Nancy Friday IL POTERE DELLA BELLEZZA QUARTA DI COPERTINA: Viviamo in una cultura che si nutre di immagine: gli anni '90...
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Nancy Friday IL POTERE DELLA BELLEZZA QUARTA DI COPERTINA: Viviamo in una cultura che si nutre di immagine: gli anni '90 sono la decade del desiderio della bellezza, quella bellezza che fa sì che tutti ci guardino. "Il potere della bellezza" ripercorre l'importanza del " look" nella nostra vita dall'infanzia all'adolescenza, fino all'età adulta e alla vecchiaia; prende in esame le epoche della vita, la rivoluzione femminista e la cultura contemporanea e tira le somme di un decennio di ricerche che l'autrice ha condotto sulla psicologia dell'apparenza fisica. È un viaggio attraverso le esperienze emotive, affettive, sessuali, relazionali della donna neonata, bambina, adolescente e adulta. Ma anche un viaggio dentro la vita della scrittrice che, per condurre il suo discorso, racconta ampi frammenti della propria vita, del proprio "romanzo familiare". La bellezza, ovvero come appariamo, come vediamo noi stesse, il nostro desiderio di essere viste, di ritrovarci negli sguardi degli altri è, secondo l'autrice, un fattore centrale, strettamente legato ad altri, nello sviluppo della nostra identità e della qualità del rapporto con noi stesse, con le altre donne e, ovviamente, con gli uomini della nostra vita. Nell'immagine complessiva che l'autrice ne dà, fragili dentro, a disagio con il loro corpo, con un forte senso di inadeguatezza, le donne d'oggi ancora conducono se stesse nel mondo esterno ansiose di obbedire a standard e aspettative, intrappolate nel desiderio di essere visibili, di piacere, di essere all'altezza di tutti i compiti. "Il potere della bellezza" è in parte un'odissea personale e in parte un'indagine lucida e provocatoria dei nostri tempi. Solo Nancy Friday avrebbe potuto scrivere, in modo così lirico e coinvolgente, di moda, di approcci maschili, della paura della competizione che hanno le donne, di teorie psicanalitiche, di adolescenza, di invidia, di avventure erotiche, di vecchiaia, di favole, di femminismo e di amore. In copertina: Foto Keyvan Behpour. Photonica TDR Sul retro: Nancy Friday. Foto Francesco Escalar/Grazia Neri. GRAFICA STUDIO BARONI
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA: Nancy Friday è autrice di sette libri che sono stati tradotti in venti lingue e hanno venduto 8.500.000 copie nel mondo. In Italia sono stati pubblicati: "Il mio giardino segreto", "Mia madre, me stessa", "Gelosia" e "Donne sopra". La TEA pubblica in contemporanea un'edizione tascabile di "Il mio giardino segreto", il primo libro che affrontò il tema delle fantasie erotiche segrete delle donne. Nancy Friday vive con il marito tra Key West e il Connecticut.
NANCY FRIDAY IL POTERE DELLA BELLEZZA CORBACCIO Traduzione di Cristina Venzo
Titolo originale: The Power of Beauty
Traduzione dall'originale americano di Cristina Venzo PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Copyright (c) 1996 by Nancy Friday. First published by Harper&Collins Publishers,Inc., New York. Reserved.
All Rights
Published by arrangement with Linda Michaels Limited, International Literary Agents. (c) 1997 Casa Editrice Corbaccio s.r.l., Milano ISBN 88-7972-243-3 Scansione di: Alberta Spagnolo, Correzione di: Wanda.
A Patricia Colbert Robinson
"In ultima analisi, è l'amore che trasforma anche le cose brutte in qualcosa di bello". BRUNO BETTELHEIM, Il mondo incantato, 1988
CAPITOLO 1: LO SGUARDO 1.1 Gli occhi di mia madre. Sono una donna che ha bisogno di essere vista. Ne ho bisogno in un modo essenziale, come respirare,mangiare. O di non essere vista, che è l'altra possibilità, sempre più attraente, di abbandonare l'ossessione della mia vita di ritrovare me stessa negli occhi degli altri, il bisogno di essere guardata in modo che la mia esistenza venga notata. L'ambivalenza spiega molte cose della vita. Come quando diciamo, ti amo e ti odio. Come quando non sappiamo quanto svelare di noi stessi, lasciare che un altro veda i nostri bisogni, il nostro io messo a nudo. Che felicità mostrare ogni cosa ed essere adorati; che agonia essere giudicati e poi abbandonati dopo che si è svelato così tanto del proprio fragile io. Meglio non mostrare nulla. Ma in questo caso, chi ci avrebbe visto? Iniziamo la nostra vita completamente esposti? L'ambivalenza nasce da piccoli rifiuti di parti del nostro io indifeso? Una volta, molto tempo fa, eravamo nudi. Amavamo - anzi no, l'amore si apprende -, sentivamo il bisogno dei primi occhi, delle prime braccia che ci accolsero. Loro amavano quello che vedevano? Noi questo non possiamo ricordarlo, ed è così che ci ritroviamo davanti allo specchio, nell'atto di slacciare il primo bottone, di invitare lo sguardo, per poi riabbottonarci, rimettendoci al sicuro. Ma l'amore non è sicuro; quando ci innamoriamo ogni bottone è saltato, il rischio di essere rifiutati assunto. Questi occhi posati su di noi promettono adorazione. Ovviamente riserviamo le rabbie più furenti a quelli che amiamo più profondamente. Come osano distogliere lo sguardo da noi dopo tutto quello che abbiamo loro dischiuso? Li amiamo, li odiamo. Grande ambivalenza. Non sono forse sempre le persone più intime, le più care a essere sospettate per prime in un omicidio? Sicuramente l'ambivalenza spiega il mio stato d'animo verso l'influsso che lascio esercitare agli specchi esterni. Cerco seriamente di immaginarmi che cosa significherebbe lasciare il bagaglio che ha pesato su tutta la mia vita, i giudizi altrui, come gli altri mi vedono. E, anche letteralmente, viaggiare munita solo di una piccola valigia: la mia promessa di moglie. Stai già pensando che questo non ti riguarda, dato che non sei particolarmente ricercata nel vestire o non adori gli specchi. Forse hai già cominciato a
disprezzare la mia vanità. Ma la tua vita è stata modellata dagli specchi quanto la mia; nessuno di noi sfugge all'influenza che il nostro apparire ha avuto sulle nostre vite. Più tardi possiamo scegliere di fare a meno degli specchi, ma la nostra vita comincia con un bisogno estremo di essere riflessi. In quei primi giorni, ti ricoprirono di tesori o ti fecero mancare qualcosa? La tua vita è cominciata sotto uno sguardo adorante come quella di Gesù Bambino o fosti lasciata sola, nella tua invisibilità, a dare forma al tuo essere? Forse, hai abbandonato la competizione per la bellezza così tanti anni fa da non ricordartelo. Ma c'era un tempo in cui volevi assolutamente essere vista, accolta e amata. Se ora non è così, c'è la possibilità che in passato tu abbia tentato e abbia perso. Perso contro tuo fratello o tua sorella; forse sprofondata in un abisso di invisibilità, con una madre o un padre che esigeva tutti gli occhi su di sé. Chi può desiderare di ricordare un dolore simile? Forse, invece, hai vinto e per questo sei stata odiata. L'invidia può uccidere. Il potere universale della bellezza è fluttuante, una scarica elettrica tra occhi affamati e gli oggetti del loro desiderio. "Lascia che ti divori con gli occhi. Fatti guardare." E un mercato aperto, in cui oggi si specula a dei livelli di esibizionismo finora a me sconosciuti. Per le strade corpi seminudi attirano la nostra attenzione, una moda succinta affolla i ristoranti, gli schermi televisivi dei nostri salotti: "Guardami!" Chi di noi ha anni a sufficienza ricorda un mondo che premiava virtù invisibili come la gentilezza, la generosità, l'empatia, tutte cose fuori moda oggi. Ora "indossiamo" le nostre identità. A chi importano i valori invisibili? "Guardami! Se non mi vedi non saprò nemmeno che esisto." La nostra è l'età del Contenitore Vuoto. La vanità è tutto. Credimi, tu sei parte di questa storia. All'inizio la bellezza è tutto. Più una madre è attratta dal suo bambino, maggiori sono le possibilità che il bambino sopravviva. Più grande è la sollecitudine con cui i bisogni del neonato sono soddisfatti, più bella e più buona apparirà la madre. L'uno è perfetto per l'altra, e viceversa. Quando quel viso è presente, la vita continua; nella sua assenza non c'è calore, non c'è amore. Cosa sa un neonato degli standard di bellezza o delle cure di una buona madre? Il bambino può essere troppo grasso o troppo magro, la madre una donna sgradevole, eppure nel raggio dorato dipinto tra i loro occhi, a unire i loro sguardi - il motivo che ritroviamo nei quadri del primo Rinascimento - sono perfetti. Quando tu ed io osserviamo quell'idealizzazione antica, ritratta da molti artisti con innumerevoli variazioni, riconosciamo quello che un tempo avevamo e abbiamo perso o che abbiamo desiderato ardentemente per tutta la vita. Non ci liberiamo mai dell'affinità che sentiamo per quello che i dipinti dolcissimi di madre col bambino ci comunicano, il più irresistibile dei quali è circolare e cinematografico nella composizione, una sorta di buco della serratura attraverso cui spiare e cibarsi dell'intimità altrui. E c'è quell'ultima immagine perfetta, ugualmente straziante, della Pietà, con Maria che sorregge tra le braccia il Cristo morto, suo Figlio, il Suo capo ancora una volta sul petto di lei. Diversi anni fa, un uomo fu imprigionato per aver profanato proprio quella scultura, mutilandola con il suo martello di pietra perché, si dice abbia detto alle autorità, "Maria non lo guarda!" Effettivamente, la madre di Cristo fissa il suo sguardo verso il basso, non lo posa sul Suo viso. Quando ero una giovane studiosa di storia dell'arte, queste immagini di Madonna col bambino erano in realtà quelle che apprezzavo di meno; all'equilibrio intriso di passione di Raffaello preferivo la fredda asimmetria dei Manieristi post-rinascimentali. L'infanzia felice di qualcun altro non faceva per me; chiunque possedesse ciò che a me era mancato suscitava la mia invidia, perfino la Divina Madre e Gesù Bambino. Per ironia della sorte, quel semplice raggio dorato che lega i loro sguardi è rimasto dentro di me molto più a lungo di ogni altra immagine dei Manieristi che io possa richiamare alla memoria. Vent'anni fa, mentre stavo scrivendo "Mia madre, me stessa", affiorò dal mio inconscio come il ritratto perfetto del primo amore materno, quel mutuo sguardo catturato in un raggio di luce ritornato alla memoria da una lezione d'arte al college, quando ero ancora troppo giovane e vulnerabile anche per consentirmi di riconoscere la profonda commozione che suscitava in me. Ora, nell'ambito del tema della bellezza e del bisogno di essere visti, è ancora più adatto.
Lo sguardo è il luogo dove tutto comincia. "Non appena siamo in grado di vedere, diveniamo consapevoli del fatto che possiamo anche essere visti", scrive il critico d'arte John Berger. "L'occhio dell'altro si unisce al nostro occhio nel rendere pienamente credibile il fatto che siamo parte del mondo visibile"(1). Molto tempo fa tu ed io abbiamo domandato quell'attenzione amorevole. Il nostro io bambino ha chiamato a gran voce lo specchio non giudicante di occhi adoranti in cui ci vedevamo riflessi, riscaldati, accolti e portati teneramente in giro, per poi essere restituiti, tramite quel raggio dorato, ad uno stato di pienezza interiore, l'io al riposo dentro l'io. Questo è il principio dell'autostima. Ciò che più mi disorienta, in realtà un vero e proprio tributo all'inconscio, è che ero certa del fatto che questo motivo del raggio dorato si trovasse dovunque, in infinite opere dipinte prima e durante il primo Rinascimento; dopo tutto, aveva significato così tanto per me. Eppure oggi non riesco a rintracciarne nemmeno uno, benché mi sia rivolta a diversi storici dell'arte, ai curatori del Metropolitan Museum, a docenti universitari di storia dell'arte. So che è là da qualche parte, questo dipinto che ho glorificato trasformandolo in un'intera scuola. E molto importante che la memoria abbia conservato quell'immagine, che si sia rifiutata di lasciarla andare, non perché si trattasse di qualcosa che avevo realmente visto, ma qualcosa di cui sentivo la mancanza e per cui mi affliggevo. Lo sguardo. Oggi dico a mio marito, " Andiamocene via, compriamo una fattoria, stiamo in mezzo agli animali, prendiamo uno di quei maiali vietnamiti". Sono finalmente stanca di curarmi del mio aspetto fisico. Voglio essere amata proprio come mi ama il mio cane Bongo, acriticamente, fedelmente. In ogni discorso sul potere della bellezza, l'elemento della fedeltà è importante. A chi ti è fedele non importa un bel niente di come appari. Lui ti ama per quello che hai dentro, crede al tuo valore più di quanto non vi creda tu. Non importa che l'amore incondizionato di Bongo venga interpretato come dipendenza - senza di me morirebbe - perché, fondamentalmente, so che anche se non riempissi la sua ciotola lui mi adorerebbe indipendentemente da quello che indosso in quel momento. Sarei davvero capace di voltare le spalle alle esteriorità e di modulare la vita sull'interno? È sufficiente? Questa mattina ho parlato con Dick, un mio caro amico che chiama ogni giorno prima che mi metta a scrivere. Lui sa come parlare agli scrittori, perché un tempo ha amato un uomo che ha aiutato nella carriera di scrittore. Mi ha raccontato che quest'uomo si è suicidato la notte scorsa. Mi è venuta in mente una bella foto di loro due, entrambi uomini attraenti, in cui gli occhi del mio amico sono fissi sul suo amante, che invece è completamente girato verso l'obiettivo della macchina fotografica. Dick aveva consegnato il suo potere nelle mani di quest'uomo, non solo il suo sguardo pieno di venerazione. Aveva lasciato la sua carriera per concentrare ogni sua energia sul lavoro del proprio amante. Man mano che aumentava il suo successo come scrittore, lui odiava sempre più la propria dipendenza da Dick. Amava e al contempo invidiava Dick. Alla fine, morse la mano che lo nutriva. Quando si separarono, la carriera dello scrittore entrò in una spirale negativa. Di recente, si era fatto fare un esteso intervento di lifting al viso, che però non aveva raggiunto il suo scopo. "Si è ucciso perché non lo guardavano più", ha detto il mio amico. Dentro, non aveva niente. Penso a questa parte di me che vuole disfarsi dell'ossessione della bellezza come alla Brava Nancy, la dolce bambina che per molti anni ha seppellito la sua rabbia per il fatto di non riuscire a catturare lo sguardo di sua madre, nello stesso modo in cui il Cristo bambino è adorato dalla Madonna, il raggio dorato di luce quasi un cordone ombelicale di venerazione che unisce madre e bambino. Un giorno ho visto una foto aerea di un grande jet che riforniva a mezz'aria un piccolo aeroplano, allattandolo come fa una grande mucca con il suo vitello, e questo è quello che si è dipinto nella mia mente: lo sguardo madre/bambino come nutrimento celestiale, come riempimento e rifornimento. Gesù avrebbe potuto portare a termine la sua missione di altruismo senza quel riflesso negli occhi di sua madre? Non credo. "Un giorno o l'altro", dico a mio marito, "farò abiura di tutti i miei libri e chiederò perdono a Dio per aver scritto di sesso, ambivalenza dell'amore materno, gelosia e invidia." Lui non lo trova divertente. Ama i miei libri. Sa che quella che io chiamo la Cattiva Nancy che scrive di soggetti proibiti è in
guerra con la Brava Nancy che non ha mai perso un giorno alla scuola domenicale, e che da questa guerra costante fuoriescono tutti i miei fuochi creativi. Mio marito mi vede nello stesso modo in cui Doris Lessing ha descritto un uomo che la amava in un passaggio di Taccuino d'oro: "Lui mi vedeva". Riconobbi il potere racchiuso in queste parole anni fa, molto prima che diventassi una scrittrice a mia volta. Sì, certo che capisco il potere magnetico che si sprigiona da un uomo che ti vede. Dacché riesco a ricordare, sono andata alla ricerca degli occhi degli uomini, ho richiesto il loro sguardo. Non c'è come il mistero di un padre assente a renderti dipendente dallo sguardo amorevole degli uomini. Ho sentito la mancanza di mio padre per tutta la vita, un vuoto che sarebbe rimasto seppellito sotto il muro della negazione se non fossi diventata una scrittrice. Mia madre, non dicendomi nulla, non mostrandomi nulla, intendeva proteggere me, e se stessa. Per parte mia, desideravo essere una brava figlia, e così non chiesi mai niente. D'altronde, avevo più bisogno di lei che di qualche informazione: dov'era, chi era? Sono cresciuta senza che i suoi occhi riflettessero la mia immagine, consegnandomi così l'impressione che traeva dal vedermi, dal vedere la mia figura e il mio viso, la mia mente, la mia sessualità, ogni cosa. Forse era un uomo freddo, il tipo di persona che non ama i bambini, forse non gli sarebbe mai piaciuto quello che avrebbe visto in me. Questo, però, non lo saprò mai. Non avendo e non sapendo nulla, ho finito per idealizzarlo per tutta la vita. Sarei stata diversa se avessi avuto accanto un uomo, l'altra metà di me. Quando se ne andò esattamente, che giorno, di quale anno? Nessuno mai me lo disse, o pronunciò il suo nome, o mi ammonì: "Non chiedere di lui". Ho sempre saputo che queste erano parole proibite: "Dov'è?" Tra fatti e fantasie, quel che ad oggi rimane è una relazione d'amore immaginaria, una ricerca del mio io nelle facce di tutti i membri della famiglia di mia madre, la sua bella madre che morì di encefalite letargica prima che io nascessi, e, naturalmente, suo padre, le sue sorelle, e suo fratello, gli dei e le dee del Pantheon della mia infanzia. Dalle loro vette splendevano su di me, permeati di tutto il potere che così disperatamente attribuivo loro. Ai miei occhi avevano il fascino delle grandi stelle del cinema degli anni Quaranta e Cinquanta, da cui ero stregata, entità più grandi della vita stessa. Oggi la mia casa è piena di fotografie della famiglia di mia madre; le mie preferite sono quelle che risalgono agli anni in cui ero molto giovane, al culmine della mia vulnerabilità, e ancora informe. In tutto il loro splendore mi parlano, rassicurandomi che sono parte di loro, che esiste un legame fisico tra noi e forse anche una traccia caratteriale, un tocco del mio esibizionismo nel modo in cui mio nonno monta il suo cavallo, nel loro fascino di gruppo ad un tavolo di El Morocco. Non sono mai stata bella, ma anche con le mie trecce e i miei occhiali di metallo dicevo a me stessa che ero una di loro. Visto che mi accoglievano, ne ero convinta. Né mio nonno né mio zio si sono mai presentati come padri putativi; sono io che li ho scelti in quel modo tipico dei bambini di andare in cerca della parte maschile e femminile di sé, delle loro metà genetiche mancanti. Si guardano intorno, a meno che, naturalmente, non si portino dentro la rabbia della propria madre verso gli uomini, la paura di tradirla nel caso desiderassero il nemico. Uno dei doni più grandi di mia madre è stato il permesso incondizionato, mai esplicitato, di rivolgermi agli altri in cerca di affetto. Può sembrare un dono paradossale, ma posso assicurarti che gli studi medici sono pieni di persone che non sono state amate dai propri genitori, che tuttavia impedivano loro di cercare amore e intimità altrove. Mia madre mi raccontava sempre che, una volta a casa dall'ospedale, mi consegnò nelle braccia di Anna. Nella mia testa è un film in bianco e nero, la macchina che si ferma, Anna che aspetta sul ciglio del marciapiede, chinandosi per prendere quel fagotto, io, dalle braccia di mia madre che ora è stanca, triste, probabilmente sollevata e grata di avere qualcuno che si prenda cura di questo secondo figlio. Lei è giovane, sola, suo marito, mio padre, è morto, o così mi verrà detto, benché non sia mai stata in grado di ricordare qualcuno nell'atto di dirmelo. Anna mi prende nelle sue grandi braccia tedesco-irlandesi ed è lì che rimango. Il suo grembo sarà la mia salvezza, il punto privilegiato da cui presto vedrò tutti quei film: è lei che mi ha trasmesso questa passione. La sua cucina sarà
il mio terreno di dominio, la sua visione di me influenzerà il mio essere in divenire, finché altri non cominceranno a vedermi, a riconoscere tratti che sfuggirono ad Anna, che forse non le interessavano, non colpirono la sua attenzione. Dubito che la bellezza importasse molto ad Anna, che dava più importanza al coraggio e al senso dell'avventura - le corse sul sedile anteriore delle montagne russe! - che a un bel faccino. La mattina, quando mi pettinava i capelli, nessuna delle due guardava nello specchio. Che bisogno avevo dello specchio quando avevo tutto per me il suo sguardo pieno di accettazione, che non indagava mai sul fatto che nel mio corpo non si trovasse traccia della bellezza di mia madre. "Anna mi odiava", insiste oggi mia sorella, il che non era vero, ne sono certa, mentre il fatto che fossi la preferita di Anna aveva qualcosa a che vedere con l'evidente vicinanza tra mia madre e mia sorella, che insieme avevano conosciuto una vita con mio padre, un grande motivo di legame tra loro due. Mio padre il mistero. Mia madre racchiudeva la sua parte di misteri, non ultimo la visione che suo padre aveva di lei, la sua figlia più grande, la primogenita del grande amore della sua vita, che morì quando mia madre era una ragazzina. "Mamma, mamma!" chiamava lei ai piedi delle scale quando tornava a casa da scuola, sapendo che era morta, eppure non sapendolo, incapace di accettarlo. Suo padre non la vide mai come la giovane donna attraente che divenne. Dunque, nemmeno lei se ne accorse. Egli aveva una sua idea molto personale di come le donne, e tra queste le sue figlie, dovevano apparire. Quando morì la sua bellissima moglie, era ancora un "bel partito", nelle parole della mia prima nonna acquisita, e le donne che sceglieva di conquistare erano bellezze minute, che, per carattere o per strategia, rispondevano con remissività alla sua divina persona. La mia famiglia abbonda di donne alte e volitive. La mia povera mamma non è più in pace con il suo aspetto fisico di quanto lo sia io. A tutt'oggi nasconde le sue mani che lui aveva giudicato "troppo grandi! " quando, a dodici anni, le fu ordinato di suonare il pianoforte per gli ospiti. Come si può suonare il pianoforte con mani inaccettabili? Mia madre, più di tutti gli altri cinque bambini, gli stava vicinissima. Quando andai al college lasciò Charleston e si trasferì al Nord, a meno di un miglio da lui, prestandosi alle serate di bridge, alle gite in barca a vela improvvisate sul lago Ontario, e alle critiche. Alla fine, lui non la vide mai veramente, ma non ho mai dubitato del fatto che le volesse bene e che avesse bisogno della sua vicinanza, così come lei non smise mai di tentare di piacergli. O di non dispiacergli. "Oh, papà..." il suo sospiro di rassegnazione, di rabbia. Ambivalenza. Ognuno di noi affronta il proprio dolore di essere invisibile agli occhi di un genitore con un tipico comportamento di sopravvivenza, oppure, naturalmente, soccombe. Ricordo una volta che tornai a casa dall'asilo con un disegno, qualcosa che avevo fatto per mia madre; in quest'immagine, che è anche una delle prime ch'io ricordi, sono in piedi in fondo alla scala e la chiamo mentre lei attraversa di fretta il pianerottolo di sopra. Voglio che lei mi guardi e veda quel che ho fatto, ma lei sembra non avere tempo e, senza vedermi, si infila invece nella sua camera. Quel ricordo impresso nella mia mente rappresenta, nella mia immaginazione, il momento in cui decisi di smettere di cercare di attirare la sua attenzione, di punirla ottenendo risultati, conquistando trofei, i miei ottimi voti e le mie competenze, non per lei ma per altri, soprattutto per suo padre. Il mio io di cinque anni vuole convincermi che non è importante che lei tragga poco piacere dai miei successi; fui io, dopo tutto, a "lasciarla fuori". Eppure, mi importa ancora, e ne soffro. Ambivalenza. All'età di dieci anni avevo fatto di me una ragazza coraggiosa e piena di fascino, che aveva inventato un proprio modo per farsi notare, per essere accolta e amata. Se non potevo catturare l'attenzione di mia madre, allora avrei cantato una canzone, danzato, raccontato una storia fin quando non avrei conquistavo visibilità, affetto. Ed è così che divenni una bambina che, con i suoi occhiali cerchiati di metallo e l'apparecchio ai denti, si divertiva a stare in cima ad uno dei muri che circondava la nostra casa, infilata in vecchi
jeans e in una camicia di flanella. A soli dieci anni ero al mio meglio, superstite e benefattrice di tutto quello che era stato prima. Era un senso pieno di fiducia che avrei abbandonato all'improvviso, entro pochi anni, per adattarmi agli stereotipi rigidi dell'adolescenza. La ragazza che, per ottenenere senso di appartenenza, poi tentai di diventare, si fidava molto più degli specchi che di ciò che aveva dentro. E nessuno specchio si rivelò più necessario di quello degli occhi di un uomo. Ricerco il giudizio degli uomini a causa dell'assenza di quel primo uomo. Per tutta la vita ho avuto dentro di me la certezza che sarei stata una persona diversa se solo avessi conosciuto mio padre. Al giorno d'oggi, sono così numerosi i bambini che crescono senza un padre che la mia infanzia non sembra più altrettanto strana. Il numero di bambini che vivono con un solo genitore che non si è mai sposato, dal 1983 al 1993, è aumentato del 70% (3). Tuttavia, la crescita numerica non rende meno acuto il senso di vuoto prodotto dall'assenza di un padre. Ci si può convivere, e in alcuni casi ci si deve convivere, ma come per ogni perdita dolorosa che si verifica all'interno di una famiglia e di cui gli adulti preferirebbero non parlare, la convivenza interiore sarebbe più facile se al bambino fosse data la possibilità di comprendere quell'assenza. I misteri di famiglia crescono nell'oscurità. Maschi o femmine, non smetteremo mai di sentire la mancanza del suo sguardo. Tutte le nostre vite trascorrono in reazione al vuoto, allo specchio che sarebbe potuto essere, se solo - se solo, cosa? Lungo la via troviamo dei sostituti del padre. Uno dei miei primi surrogati fu l'occhio amorevole di Dio. La mia religiosità si concentrava più nella presenza alle funzioni che nella mia fede. Alla scuola domenicale, una Figura Paterna onnipotente sorrideva dall'alto a noi bambini amandoci tutti nello stesso modo, senza favoritismi. Le storie della Bibbia erano belle quasi quanto i film, e gli inni, beh, quelli si cantavano a squarciagola, e ancora oggi riesco a ripetere tutti i versi di "Segui il raggio". Che famiglia! Che gioia! Che amore! Per aver partecipato alla scuola domenicale senza mancare un giorno vinsi la collezione completa di Nancy Drew, un premio superfluo comunque, perché niente avrebbe potuto tenermici lontana. Dopo la cresima fui altrettanto fedele al mio banco preferito della Chiesa Episcopale di St. Phillips, il cui bel cimitero era situato dietro le alte mura che circondavano la nostra casa. Ogni domenica mattina entravo a far parte di una comunità di persone che mi parevano tutte gentili, buone e generose. Di certo molti erano pieni di difetti, ma, in quel giorno e a quell'epoca, la maggior parte di loro probabilmente si considerava brava gente, e quando così non era, sapevano di vivere nella colpa e se ne vergognavano, tutti sentimenti che non erano ancora divenuti obsoleti. Le madri e i padri della congregazione mi vedevano come una bambina completa, al pari di tutti gli altri bambini, o almeno questo mi trasmettevano con il loro sguardo. Nessuno domandava di mio padre, anche se molti di loro devono aver saputo, visto che la mia era l'unica famiglia che conoscessi priva di un padre e che il nostro mondo sotto Broad Street aveva i tratti di una comunità ristretta. Non sospirare per me, perché questi furono tra i giorni più felici della mia vita; e ti confesserò che la capacità dei bambini di trarre qualcosa di buono anche dal senso di mancanza non mi ha mai abbandonato. L'ottimismo, dice l'antropologo Lionel Tuger, è in gran parte genetico; se ha ragione, devo ringraziare i miei antenati, perché ne posseggo una discreta dose. Fu il sesso che alla fine mi separò dalla Chiesa e dal suo sguardo affettuoso. L'enorme carica di energia sessuale tipica degli adolescenti, che avrebbe potuto stimolare la mia vita intellettuale e relazionale, rendermi una persona più eloquente e capace di strutturare la propria esistenza in base a scelte coscienti, fece nascere in me un senso di rivolta nei confronti di Dio e della religione. Non ricordo sermoni contro il sesso, nessuna predica in chiesa, a scuola o a casa; forse era proprio questo, il silenzio, l'assenza tanto di celebrazioni esplicite quanto di ammonimenti, come quando ti consegnano le chiavi di una macchina nuova: è tua, goditela ma sii responsabile. Fino all'adolescenza non ho ricordi di me nell'atto di guardarmi allo specchio. Ora che gli occhi dei ragazzi erano una promessa di identità, concentrai tutti i desideri dei miei dodici anni su di essi. Come fare in modo che mi vedessero, amassero quello che vedevano e ottenere così la certezza di esistere? Non era il rapporto sessuale che desideravo così disperatamente; potevo vivere secondo le
Regole della Brava Ragazza, e infatti rimasi vergine, sebbene solo per qualche centimetro, fino a 21 anni. Era il mio bisogno di essere riconosciuta, voluta, amata, a dirmi che dovevo trovare la mia salvezza, il mio io, il mio futuro negli occhi degli uomini, o di Dio. Non fu una decisione conscia, ma segnò la nascita della divisione Brava Nancy/Cattiva Nancy, di una coscienza eccessivamente severa, un io diviso che trasformò una ragazza brillante e responsabile in un'inetta che imparò a mordersi la lingua, ad accorciare i propri passi, a soffocare la sua curiosità intellettuale e ad aspettare troppo a lungo per procurarsi un diaframma. Arrivai ad accettare che il valore di una donna giaceva negli occhi di un uomo e che tutte le abilità che possedevo erano prive di importanza. Per senso di giustizia verso i ragazzi della mia gioventù, lasciami dire che non furono loro a chiedermi tutto questo. Anche quei ragazzi abbandonarono i propri sogni preadolescenziali per ereditare un sistema che diceva che il valore di un uomo era tutto in un ruolo che prevedeva la capacità di provvedere ai bisogni di una famiglia, di risolvere problemi, primo tra tutti il loro timore nei confronti delle belle ragazze. 1.2 Sognando il bambino bello. Come convincerti del fatto che il tuo modo di apparire ti ha cambiato la vita? La necessità di un esercizio di persuasione costituisce una domanda ancor più interessante, ma sono consapevole dell'esistenza di un rifiuto precostituito di matrice calvinista ad attribuire così tanta rilevanza all'aspetto esteriore, specialmente in quelle famiglie in cui si proclama l'amore che non fa distinzioni, anche se nove sono stati i mesi densi di aspettative precedenti alla nascita, anzi di più, una vita, se si tiene conto degli anni in cui i genitori hanno sognato l'immagine di quel bambino. Nasciamo dotati di sembianze uniche quanto l'impronta del nostro pollice. La bellezza nasce da dentro ed è parte del nostro crescere all'interno di un'identità particolare. E per questo che il penetrante sguardo d'amore dei genitori è così rassicurante. Essere visti invece come la proiezione di qualcun altro, come loro vorrebbero che fossimo, è profondamente sconvolgente, perché non è la nostra immagine che vedono. Essere ignorati vuol dire sentirsi invisibili: da dove verrà il prossimo pasto se lei non mi vede? Come potrò essere al sicuro se lei mi vede come il bambino che ha sognato e che ha pianificato, ma non come la persona che sono, buona o cattiva, in definitiva, me? Le nostre vite scorrono da un paio d'occhi ad un altro, da un complesso di aspettative a quello seguente, alla ricerca del nostro io, finché un giorno, se siamo fortunati, fermiamo la corsa e decidiamo di guardare dentro, dove, realmente, la bellezza è nell'occhio di chi vede. Per quanto assordante si faccia il suo pianto, quando un neonato non si sente visto e amato interamente e ha davanti a sé soltanto uno schermo bianco che non riflette nulla, la sua rabbia diviene totale. La voglia di sopravvivere detta la costruzione di una rete emozionale di negazione ferrea attorno a questa rabbia. "Io, arrabbiata?" Noi non ricordiamo la nostra prima infanzia, ma pensare a come ci innamoriamo oggi può darci una vaga idea di come possa sentirsi un bambino totalmente dipendente dalla madre. Pensa alla paralisi emotiva che ci attanaglia quando, dopo aver consegnato ad un altro il lato tenero del nostro io adulto, lui non si fa vivo, non telefona, non ci nutre di promesse di amore eterno. Al nostro terrore segue una rabbia infantile. La psichiatra Melanie Klein sostiene che, alla nascita, più che amare la madre e il suo petto generoso che ci nutre, ne invidiamo il potere. Mordiamo il suo seno per la furia di possedere così poco di fronte a lei che ha così tanto. Come osa! Melanie Klein non ci risparmia nella sua descrizione della furia titanica suscitata dall'invidia di un neonato; quando lessi la teoria della Klein per la prima volta, gettai il libro in mezzo alla stanza. Ciò che via via ammorbidisce l'invidia è la formazione della consapevolezza che la madre continua a rispondere alle nostre richieste, forse non in modo perfetto, ma adeguatamente; la coperta viene stesa, il cibo arriva, le braccia affettuose ci raccolgono ancora e poi ancora. Non ci può essere amore, dice Melanie Klein, finché non subentra la gratitudine. E la gratitudine che apre le porte all'amore. E in
fondo così diversa l'"invidia" che serbiamo per il potere che ha la persona amata di portarci in paradiso o di rendere la nostra vita un inferno terreno? La cattiva notizia, prosegue la Klein, è che se non impariamo ad amare al tempo giusto, all'interno di quella prima relazione, poi è molto, molto più difficile. Ognuno di noi fa fronte al dolore per l'invisibilità agli occhi di un genitore con un tipico comportamento di sopravvivenza, altrimenti soccombe. Quando alla fine giunsi ad accettare l'idea che non sarei mai stata capace di catturare l'attenzione di mia madre, decisi, nel mio senso di onnipotenza, di punirla. Di quali armi era ricco il mio arsenale? Mi dissi che non mi importava. Altri mi avrebbero amata. L'avrei punita così. Sarei stata io a "lasciarla fuori". Tuttavia, soffrivo del fatto che il mio andare e venire, le mie numerose imprese, non fossero neanche notati. Ancora adesso mi importa. Ambivalenza. Amiamo le nostre madri e, al contempo, odiamo le nostre madri, con quella rabbia onnipotente di bambine che rifiutiamo di abbandonare. Finché non lo facciamo, la rabbia-odio che proviamo per lei rimane il più delle volte seppellita, negata, e va a ricadere su ogni altra persona che scegliamo di amare. Se non arriviamo ad accettare la madre come una persona che ha fatto del suo meglio ma che non era perfetta, trascorreremo la vita nel tentativo di ricreare una versione idealizzata del rapporto che ci legava a lei. Naturalmente, gli altri non saranno mai all'altezza delle nostre smisurate richieste d'amore. Il senso di dipendenza, che è certamente una componente dell'amore, è piacevole solo quando siamo capaci di allontanarci e di tornare ad uno stato di piena individualità dopo che i nostri bisogni sono stati soddisfatti, come avviene in un rapporto sessuale profondamente appagante. Se non esiste alcun senso di sé e la persona amata è percepita come colei che detiene tutto il potere, di tenerci in paradiso o di spedirci all'inferno, allora essere innamorati significa vivere in costante pericolo; ogni giorno, in ogni momento, l'uomo che amiamo potrebbe portarci via tutto e noi saremmo morte. Amiamo e odiamo questa persona onnipotente. Non c'è via di mezzo. E il motivo per cui i divorzi sono così sanguinosi, tutta quella rabbia repressa che viene sfogata fino agli estremi. Povere piccole bambine. Come fare a convincere le donne a prendere atto di quella rabbia, a rinunciarvi e ad essere grate per qualunque cosa resti della buona madre ideale? Forse allora potremmo vivere un amore adulto, certo imperfetto, ma così è l'amore. C'è un'alternativa su cui sempre più spesso le donne stanno puntando. Se nostra madre non ha concentrato il suo sguardo su di noi in modo tale da farci sentire realmente esistenti oggi, allora, al diavolo! Non ameremo mai nessuno. Glielo faremo vedere. Vivremo da sole. "Non ci sono uomini decenti là fuori" , dicono le donne. Non ammetterebbero mai che questa loro soluzione ha qualcosa a che fare con questioni irrisolte della loro prima infanzia. In questi giorni è molto più facile e popolare far ricadere sugli uomini, che ora non rappresentano più una fonte necessaria di sostentamento, la colpa di tutti i problemi connessi alla sfera affettiva. Gli uomini costituiscono il terreno di scarico preferito dei nostri giorni, terreno sul quale le donne possono scagliare tutta l'amarezza e la furia che non riescono a trovare facilmente il vero canale di sfogo. I problemi della parità di trattamento economico sul posto di lavoro, le molestie sessuali, il ritorno alla tirannia della bellezza, ogni cosa viene attribuita alla disonestà di uomini incapaci che pensano solo a se stessi, diversamente da noi donne che siamo esseri moralmente superiori. La preferenza delle donne per le altre donne, la crescente espansione dell'universo lesbico, sta proliferando perché un'altra donna fornisce uno specchio perfetto in cui vedersi come avremmo voluto essere viste al principio, perché costituisce il compagno essenziale con cui ricreare l'antica unione di un tempo tra noi e nostra madre, o quella che non ci fu mai dato di sentire. Il corpo di un'altra donna è un ricordo dell'Eden, non ha nulla di quel terreno sconosciuto che può essere per noi un torace ricoperto di peli, la sensazione inquietante del pene con la sua strana superficie, il suo odore, i suoi fluidi, che gli uomini si aspettano che una donna ingoi. Il corpo di una donna, invece, racchiude così tanti ricordi, la pelle soffice, seni su cui posare il capo, capezzoli da succhiare, il ventre in cui una volta dormivamo raggomitolati, e poi la fessura della vulva, una promessa che anche quella parte di noi potrebbe essere apprezzata. E come tornare a casa, un ricongiungimento. E proprio perché è un ritorno a casa, quando lei non mantiene la promessa e il paradiso va
perduto, quando l'altra donna ci respinge - come inevitabilmente dovrà fare, non essendo in grado più di un uomo di offrirci un amore perfetto - allora la fonte della nostra ira titanica si fa ancora più accessibile, essendo tutte femmine le parti coinvolte. Secondo un articolo della rivista Ms., le percosse "... sono state per lungo tempo uno dei segreti più imbarazzanti della comunità lesbica" (4). In un libro di vecchie strofe, raccolte presso bambini che le avevano imparate da altri bambini, ho trovato questa filastrocca: Io Io Io Io Io Io Io Io
uno mia madre. due mia madre. tre mia madre. quattro mia madre. cinque mia madre. sei mia madre. sette mia madre. *odio* mia madre. (*corsivo mio*) (5)
La coppia che raccolse questi versi direttamente dai bambini sottolineò il fatto che queste "... non erano chiaramente il genere di filastrocche che una nonna potrebbe cantare ad un nipote che siede sulle sue ginocchia... Hanno più grinta, sono più spinte; sferrano colpi... passano da un bambino all'altro senza l'interferenza degli adulti". Anch'io direi così; io ho realmente "mangiato" mia madre! Melanie Klein avrebbe certamente amato questa piccola canzoncina e il disegno che l'accompagna: una mamma grassoccia che allatta il suo bambino, un gigantesco bimbo da cartoni animati che strilla finché non gli viene dato il seno e, a quel punto, mentre succhia divora sistematicamente la madre assopita, fin quando non rimane che un enorme, sorridente neonato. Melanie Klein iniziò come discepola di Freud, ma ruppe con il maestro per fondare a Londra, nel 1927, una propria scuola di psicanalisi. Mentre Freud enfatizzava l'importanza degli anni edipici, quelli che vanno approssimativamente dai tre ai sette anni, Klein assegnava una rilevanza maggiore alla lotta che intercorre tra madre e figlio nel corso del primo anno di vita. Negli anni Venti, fu tra i primi a sperimentare la terapia di gioco con i bambini. Nella mia immaginazione, un bambino disturbato troverebbe un certo sollievo nel cantare questa filastrocca insieme ad altri bambini. E d'aiuto dare un nome alle cose, sapere che non siamo "gli unici al mondo" ad odiare le persone che amiamo. E per questo che sono rimasta una scrittrice, spostandomi, ad ogni libro, da un livello di negazione della mia vita all'altro. Non cominciò in questo modo. Alla prima pagina di "Mia madre, me stessa", per esempio, non avevo la minima idea del luogo oscuro in cui mi stavo addentrando. Avevo completamente idealizzato il rapporto con mia madre, tutta la rabbia nei suoi confronti era repressa, rinchiusa, nascosta e legata stretta dai fili della negazione. Andavo dicendo a tutti che la nostra era la migliore relazione madrefiglia di cui fossi a conoscenza. Quando l'ira iniziò ad affiorare, persi gran parte dei capelli e l'utilizzo parziale della gamba destra nell'ultimo disperato tentativo di impedire ai sentimenti negativi di ferirla, nel disperato tentativo di impedirle di ferirmi. Il terrore della nursery. Non è una bella immagine quella che si profila ai miei occhi se non fossi diventata una scrittrice. Fossi nata bella, la mia mamma ansiosa avrebbe irradiato il suo sorriso su di me, mi avrebbe infuso la sicurezza di essere una persona degna di amore? Se quello fosse stato lo scenario, oggi non avrei questa vita che amo. E così per la maggior parte delle persone che ammiro, le quali, quasi senza eccezioni, paiono aver inventato se stesse, sviluppato poteri alternativi a quello della bellezza, indipendenti dal bisogno di essere visti. La letteratura è piena di storie di rabbia legate al fatto di non essere visti e amati per quello che siamo, per come appariamo, una collera che resta seppellita finché "qualcosa succede", la creazione dell'autore estratta dalle viscere della sua vita, riportata alla luce così efficacemente che il lettore del libro, lo spettatore della pièce teatrale, vi riconosce se stesso e piange. Nessuno ha creato a partire da questa vena meglio e più dolorosamente di Tennessee Williams, la cui storia familiare lo riportava continuamente a quella che una volta egli mi descrisse come "la maledizione della bellezza", o nel suo caso,
del fallimento della bellezza. "La gatta sul tetto che scotta", "La dolce ala della giovinezza", "Lo zoo di vetro", ora che ci penso, c'è qualcosa che Tennessee scrisse che non trattasse di bellezza e di rabbia? Era affetto da quello che si chiama "ambliopia", un problema muscolare in forma più grave della mia, e per il quale fu operato quando ebbe abbastanza denaro per poterselo permettere. Anni dopo, con quella sua buffa voce stridula, mi avrebbe detto: "Non trovi che mi abbia reso più bello?" Tuttavia, scrisse ancora di ciò che conosceva meglio: bellezza, rabbia, amore perduto. C'è stato un periodo, cominciato alla fine degli anni Sessanta con la diffusione del movimento femminista, in cui matrimonio e maternità costituivano materia proibita. Si poteva anche camminare per miglia e non vedere una sola donna incinta. Gli uomini stessi erano sospetti, e una stretta relazione sentimentale poteva compromettere la partecipazione ai gruppi di autocoscienza in cui le donne, prese dalla frenesia della Sorellanza, spesso rivelavano apertamente i segreti più intimi del loro matrimonio. La Nuova Donna andava ad identificarsi con il proprio lavoro e il successo che ne traeva. La mia amica Jane ricorda ancora quando, in attesa di un bambino nella New York del 1971, andava al lavoro e si sentiva come se la sua pancia portasse stampata sopra la lettera scarlatta. Ora i bambini sono tornati e la gravidanza è molto di moda. Modelle incinte camminano orgogliosamente lungo i marciapiedi, star del cinema in dolce attesa posano seminude sulle copertine delle riviste internazionali, e quando una donna allatta in pubblico il proprio bambino è possibile udire i sospiri invidiosi delle altre donne. Alcune femministe di vecchia data ora scrivono amaramente del fatto che, fin dall'inizio, la Sorellanza non incoraggiava la maternità e che, per questo motivo, hanno aspettato troppo a lungo e ora non sono più in grado di concepire un figlio. Ancor prima che il figlio nasca circolano aspettative, fantasie che i genitori nutrono per nove mesi, anzi più a lungo, perché ci sono persone che sognano un figlio, un certo tipo di figlio, per anni. L'immagine di una forma, un'altezza, un sesso, un certo colore dei capelli, che deriva dalla vita dei genitori, da ciò che avevano, o avrebbero voluto avere. "Tutte le madri, durante la gravidanza, coltivano una qualche immagine del loro bambino, più o meno conscia", afferma la Dr. Nancy Poland, che lavora con donne gravide al Brazelton Institute. "Riteniamo che siano tre i bambini a cui le madri pensano durante l'ultimo trimestre di gravidanza. Uno è il bambino perfetto, il Gerber baby, il bambino dei loro sogni. L'altro è il bambino danneggiato, un'immagine che potrebbe essere il risultato di una crisi emotiva attraversata, o di una malattia congenita in famiglia, o perfino di una lite. E poi c'è il bambino che portano in grembo, il bambino vero. Noi cerchiamo, attraverso il dialogo, di avviare un processo delicato di elaborazione, di colmare il gap tra il bambino esistente e il bambino danneggiato o il bambino perfetto. " "E se il bambino che nasce non ha le caratteristiche fisiche o comportamentali che i genitori si attendevano, su cui hanno edificato i loro sogni? " domando io. " In questo caso, i genitori devono iniziare un processo di adattamento, che li porti a dire sinceramente 'questo è il mio bambino'. Solo a quel punto si potrà creare una relazione imbevuta di fiducia e senso di sicurezza. Se l'accettazione non viene, il bambino si sentirà irrilevante, invisibile, e crescerà con la sensazione di non essere accettato per quel che egli o ella è. " La verità è che i genitori provano emozioni diverse per ciascuno dei loro figli, e le sembianze esteriori hanno un peso in tutto questo. Come potrebbe essere altrimenti? Ognuno di loro è giunto in momenti differenti della vita dei genitori quando, sia individualmente che come coppia, erano persone diverse. Non esiste alcun istinto materno o paterno dato da Dio che faccia magicamente piazza pulita delle fantasie dei genitori relative a come vedono se stessi e gli altri. Battaglie importanti sono state vinte e perse, ostaggi catturati, concessioni fatte, sotto l'influsso della bellezza. Nella famiglia dei futuri genitori la bellezza era una componente importante, o erano piuttosto la gentilezza d'animo, la generosità, i risultati ottenuti ad essere valorizzati? La lista è infinita, ma l'aspetto fisico vi compare sempre da qualche parte, in cima o in fondo. E allora, come se la sono passata queste persone adulte che ora illumineranno dall'alto questo neonato, con occhi che nel
migliore dei casi saranno amorevoli, ma anche deviati, programmati a vedere quel che desiderano vedere e ad essere ciechi verso quel che non vogliono vedere? Secondo Sherman Elias, direttore del dipartimento di genetica riproduttiva alla University of Tennessee di Memphis, verrà il giorno in cui le coppie potranno scegliere non solo il sesso ma anche le caratteristiche fisiche del nascituro. "Oggi c'è la scelta del sesso", commenta. "Domani produrremo progettatori di bambini". (7). Avremo la Coppia Onnipotente seduta ad una macchina, simile a quella con cui una persona disegna la sua nuova faccia prima di un lifting, a "disegnare" le sembianze del loro Bambino Onnipotente? Quando il bambino bello potrà essere ordinato su richiesta, possibilità finanziarie a parte, saremo allora disposti a discutere del potere della bellezza così come discutiamo del potere della moneta? Fino ad oggi, le preferenze connesse alla nascita sono che il primo figlio sia un maschio e il secondo una femmina. Quanti di noi hanno fatto lo sgambetto alle aspettative dei genitori, non solo con il proprio aspetto fisico ma anche con il sesso? Una coppia di cui siamo amici intimi aveva sperato in una figlia femmina dopo la nascita del loro primo maschio. Tutta la famiglia è molto dotata in fatto di bellezza e la madre scherza ancora su come il suo secondo figlio si rivelò non solo un altro maschio, ma anche "leggermente verdognolo..." "E sembravo proprio una rana quando sono nato, con gli occhi sporgenti", va avanti lui sorridendo, perché questa storia è stata raccontata molte volte. "E invece guardalo adesso!" aggiunge sua madre compiaciuta, visto che è il più bello della famiglia. Quasi dieci anni fa, quando stavo iniziando questa ricerca, il ragazzo si prese un giorno libero dal college e fece quattro ore di macchina per un'intervista videoregistrata. Allora ebbi la sensazione che non sapesse che ruolo assegnare a questo fatto apparentemente insignificante dell'essere nato non solo del sesso sbagliato, ma anche brutto. Gli occhi sporgenti e lo strano colore della pelle se ne erano già andati a metà del suo secondo anno di vita, ma il nomignolo, Ranocchio, in qualche occasione rispunta. Nel corso dell'intervista non è mai critico nei confronti della sua famiglia; sono uniti, si vogliono bene. Gli racconto della mia famiglia, delle vecchie rabbie che talvolta mi fanno digrignare i denti la notte, mentre dormo. "Sogno che tutti i miei denti sono caduti. Sono scomparsi nella mia bocca", mi dice. "Ho sempre fatto quel sogno." Eccolo il vecchio sogno universale di rabbia in cui distruggiamo i denti che morderebbero la "cattiva madre"; per proteggerla, rivoltiamo le armi di distruzione contro noi stessi, cavandoci i denti. Non vogliamo pensare a lei come ad una persona malvagia, l'amiamo. Ambivalenza. Mezzo mondo digrigna i denti la notte; molti di noi perché sono del sesso sbagliato, hanno l'aspetto sbagliato, sono sbagliati. I dentisti forniscono ai propri pazienti dei fermi per la notte con la stessa frequenza con cui fanno interventi di pulizia dentaria. Gli piace l'idea del sogno di rabbia, perché così le cose acquisiscono un nome, una spiegazione. È un uomo cresciuto e può affrontare la collera, che ben si adatta al suo quadro di ragazzo ribelle al campus del college, in cui non dimostra una pazienza sufficiente nell'essere "politically correct". Le donne delle vittime? Oh no, non è così che vede la situazione di potere delle donne. Non ha fretta di sposarsi; mi ricorda me stessa alla sua età, inquieta e non tanto preoccupata dal problema di fare soldi quanto da quello di scoprire il senso dell'essere al mondo. Entro pochi giorni partirà per la Croazia per lavorare con i rifugiati. Gli spedisco un biglietto in cui inserisco uno dei miei versi cinematografici preferiti, che John Garfield recita ad una donna che ha appena incontrato: "Sei bella, sei uguale e sei diversa". Alla parte bella lui non crederà, ma di certo sa di essere diverso. Una generazione a dividerci, sia lui che io traiamo consolazione dal parlare dell'" indicibile ", della rabbia verso le persone che amiamo, una rabbia antica che siamo apparentemente destinati a portarci dietro per sempre. In riferimento alla delusione che i genitori provano quando i loro figli non si uniformano alle loro speranze e ai loro sogni, la psicologa Aviva Weisbord dice: "per quanto inconscia, rimane una forma di scontento che il bambino prenderà come una mancata accettazione" (8).
Per quanto riguarda invece i bambini nati da gravidanze indesiderate, uno studio condotto alla University of South Carolina mostrava come essi fossero "soggetti a morte entro il primo mese di vita con una frequenza più che doppia rispetto ai neonati voluti" (9). Lo studio non era esteso, ma uno degli epidemiologi coinvolti giungeva alle conclusioni per cui "il non essere voluti non solo aumenta il rischio di morte infantile a breve termine, ma... può avere delle conseguenze nel corso della vita in termini di abuso infantile e di problemi comportamentali". Che responsabilità portano con sé questi Bambini Onnipotenti; come fare a non venir meno alle aspettative di una Coppia Onnipotente, soprattutto in un'epoca in cui la bellezza è sovraccaricata di significato a spese di virtù meno visibili? Sembriamo ad un crocevia, in cui l'attuale sovraesposizione del mondo della moda e dell'imperativo della bellezza è entrata in collisione con la nostra sfolgorante etica Calvinistico-Protestante. Non giudicare un libro dalla copertina. Ma è esattamente ciò che stiamo facendo, e, nel frattempo, recitiamo gli stessi sermoni che i nostri genitori hanno recitato per noi. Penso che i bambini siano assetati di discorsi chiari. A scuola, in televisione, sui cartelloni pubblicitari che tappezzano le autostrade, i bambini vedono in pieno quel che la bellezza compra, quale sia il suo potere. Ma nessuno, nessun adulto ne parla a voce alta, tentando di spiegare la naturale attrazione che sentiamo per la bellezza: " Sei un bello spettacolo per gli occhi! " Né la maggior parte dei genitori parla del meccanismo dell'invidia, il motivo per cui vorremmo cavare gli occhi alla persona che adoriamo, alla nostra sorellina, o a quella ragazza della scuola. Sì, sappiamo che l'invidia e la gelosia sono peccati, che non dovremmo provarli, ma poi questo rodimento dello stomaco, questo desiderio di distruggere, è lì, a farci soffrire. "Sii buono, sii gentile e generoso", insegna il maestro, ma niente di questo gran parlare di virtù ricompensa un bambino in modi lontanamente comparabili alla quantità di attenzione che l'ultimo paio di Reebok conquista all'istante. Allo stesso tempo i bambini nascono in famiglie in cui si vuol far credere che l'apparenza non sia ciò che conta veramente. Il bambino cresce facendo in modo di soddisfare questa menzogna. La psichiatra Ethel Person sostiene che durante la gravidanza i genitori "trasferiscono sul futuro figlio diversi investimenti emozionali". "Come ha suggerito Freud, un tipo predominante di investimento psichico assegna al bambino la possibilità di realizzare le nostre fantasie incompiute... Si sviluppano dei sentimenti per un bambino immaginario, in un processo che ricorda la scelta di un amante potenziale. In entrambi i casi ritroviamo una fantasia preesistente, con componenti sia conscie che inconscie, riguardante chi si vuole che l'altro sia - amante o figlio." Una madre può vedere il proprio bambino come la parte odiata o la parte idealizzata di sé, un sostituto di una persona morta in precedenza, la copia di una sorella detestata, o perfino "un sostituto della propria madre. Questo tema è spesso all'opera quando la madre arriva a far pressioni sul bambino... Ne sono esempi le madri che fanno delle proprie figlie le migliori amiche e confidano loro - anche quando esse stanno vivendo gli anni della pre-adolescenza o della prima adolescenza - fatti del tutto inappropriati, come i propri adulteri... Comunque il figlio che deve nascere venga immaginato, tali fantasie influiscono sulle percezioni che la madre ha del bambino e sulle sue risposte ad esso... Se [la madre] non può far combaciare fantasia e realtà almeno in qualche misura, può disinvestire nei confronti del bambino reale o arrivare anche ad odiarlo, sovrapponendo la sua immagine a quella di un marito, genitore, fratello odiato, o a sentirsene delusa, perché inferiore al bambino immaginario".(10) Ciascuno di noi ha la propria storia di come era visto all'interno della famiglia e può immaginare, se non è stato esplicitamente raccontato, come i genitori anticipavano il suo arrivo e si raffiguravano le sue sembianze durante i nove mesi di gravidanza. Accadono altre cose che saranno determinanti per il corso che prenderà la nostra vita ma l'aspetto fisico, definito dall'immagine di noi stessi negli occhi dei genitori, gioca la sua parte. La promessa che abbiamo potuto scorgere nei loro occhi rimarrà impressa nella nostra memoria. Ci sono degli specchi negli studi dei chirurghi plastici che da un lato mostrano una faccia che riconosciamo, quella che siamo abituati a vedere, una volta che siano stati cancellati gli aspetti o i segni di espressione che non ci piacciono; il
secondo lato dello specchio mostra la faccia che gli altri vedono. Quale delle due è reale? Se i nostri genitori avessero amato quel che videro dal giorno in cui siamo nati, potremmo vedere la stessa faccia in entrambi i lati dello specchio, esibendo così la loro immagine amorevole di noi, custodita nel nostro animo, come di esseri "adeguati"? Forse, dotati di un'autostima così vigorosa, che coincide essenzialmente con l'avere una buona opinione di sé, non avremmo neanche bisogno di specchiarci. "Anche i bambini con difetti fisici, quelli deformi, possono crescere in modo equilibrato", dice Nancy Poland. "Sono l'amore e le cure dei genitori a esserne responsabili. Sono stati portati a sentirsi belli. Qualcuno ha parlato loro del valore umano e così ora sono capaci di trascendere la propria apparenza." Ma per rendere credibili qualità invisibili come la gentilezza, la generosità e la bontà - qualità più durevoli di un viso grazioso - non dobbiamo prima riconoscere quale sia, specialmente oggi, il potere della bellezza? Penso che ci stiamo arrivando, diventando sempre più impazienti verso quegli atteggiamenti di sconfessione scandalizzata che hanno tenuto la bellezza chiusa nell'armadio, custodita da sentimenti alla Pollyanna. Niente ci comunica quanto siamo pronti a questo quanto l'enfasi attualmente posta sulla bellezza, con le modelle a rappresentare iconograficamente la nostra epoca. Diverse stagioni fa, vestiti da bambine ricamati, grembiulini e scarpe di vernice alla Mary Jane, conquistarono la ribalta della moda. Erano vestiti da bambina per donne adulte che in realtà li indossavano con impassibile entusiasmo. Dopo la mia reazione iniziale di orrore, quel look mi sembrò all'improvviso assolutamente adatto ad una società attanagliata dal bisogno disperato di comprendere le proprie origini. In simultanea ai baby-vestiti scoppia l'interesse del mondo della moda per i seni enormi, la nudità, testimoniato non solo da scollature e trasparenze, ma da fotografie di modelli che mordicchiano e baciano seni nudi, ritratti di modelle con bambini che succhiano, il vestito costoso aperto a sufficienza in modo tale che il bambino - e anche noi voyeurs - possa vedere... che cosa? Si tratta di un esercizio per scoprire attraverso la moda e le apparenze da dove veniamo e chi siamo? Con il millennio alle porte e con la nostra società sul punto di disfarsi, forse siamo intuitivamente tornati a vedere noi stessi nudi, in abiti infantili, non ancora pienamente sviluppati, l'immagine di sé solo agli inizi. Forse, i seni nudi e i vestiti da bambini ci offrono un'immagine esteriore con cui possiamo vivere. L'infantilismo della nostra cultura si tradisce nel nostro rifiuto di apparire e agire come adulti; la maternità sarà pure tornata in auge, ma nessuno vuole sembrare una madre, ovvero vecchia. L'avidità degli uomini e delle donne nell'appropriarsi della moda dei loro bambini, nell'indossare qualcosa che sarti impazziti hanno cucito durante la notte, si trasforma in satira del mondo adulto. Non ci sono adulti, e dunque non c'è alcuna genitorialità rispettata. Anche il lusso di avere un'infanzia è a fine corsa. Il concetto stesso di infanzia si fonda su segreti da cui il bambino dev'essere escluso, ma non ci sono più segreti. La televisione se n'è accorta. Per questo è appropriato che sia l'enigma dell'apparenza e della bellezza a doverci traghettare da questo secolo al prossimo. 1.3 - I bambini belli vengono presi in braccio prima. Sapevi che i bambini belli vengono presi in braccio prima, sono tenuti al collo più a lungo e le loro esigenze sono soddisfatte con maggiore sollecitudine rispetto agli altri bambini? Non abbiamo bisogno di trovare confermate negli studi scientifici le lezioni che la vita stessa ci ha impartito, ossia che tutti gli occhi sono per il Gerber Baby, quello adorabile, le cui guance con le fossette e le cui labbra corrucciate mandano segnali irresistibili ai nostri occhi affamati: Guardami! Prendimi in braccio! Tienimi! I valutatori negli studi sulla bellezza dei neonati non sono persone qualunque come me e te, ma operatori professionali degli asili infantili e dei reparti pediatrici. Sono persone addestrate a rispondere automaticamente ad un bambino piangente che ha bisogno di essere nutrito, cullato e pulito. Anche le madri rispondono a questa attrazione irresistibile esercitata dalla bellezza dei loro bambini, parlando e sorridendo loro in modo affettuoso, baciandoli e tenendoli in braccio più spesso di quanto non facciano le madri di
bambini insignificanti. Che inizio pieno di auspici possedere questo potere connesso alla bellezza, che attira l'attenzione di chi può salvarti la vita. E per non essere indotti a pensare che questa motivazione sia propria solo delle donne, in una ricerca si è scoperto che il grado di responsabilità di un padre per la cura del neonato era significativamente correlato alla sua avvenenza: maggiore era la bellezza del neonato, più elevate erano le aspettative dei padri per un loro coinvolgimento. (11) Scrivendo del suo lavoro di analisi compiuto sul comportamento delle madri ancora in ospedale con i loro bambini appena nati, la psicologa Judith Langlois conclude: "meno attraente era il bambino, più la madre dirigeva la sua attenzione ad altri e interagiva con persone diverse dal bambino... Entro tre mesi... le madri di bambine più belle erano portate più sovente a baciare, a parlottare e a sorridere alle loro figlie mentre le tenevano strette e le coccolavano, rispetto a quelle con bambine meno graziose".(12) Non sembra esserci alcuna possibilità di sfuggire all'universalità del potere della bellezza, dato che sembra siano concordanti gli elementi della fisionomia facciale utilizzati con maggiore probabilità per dichiarare "bello" un bambino. In uno studio condotto dalla psicologa Katherine Hildebrandt, i disegni dei lineamenti del volto di neonati di 3, 5, 7, 9, 11 e 13 mesi, venivano alterati di millimetri, in modo che ogni ritratto variasse nella grandezza della fronte, altezza e ampiezza degli occhi, misura dell'iride, misura della pupilla, lunghezza e grandezza del naso, altezza e ampiezza della bocca e misura delle guance. Quando si chiedeva ai soggetti adulti di esprimere un giudizio sui disegni in termini di attrattiva fisica, essi tendevano ad usare gli stessi criteri: i bambini belli erano quelli dai tratti brevi e stretti e dagli occhi e dalle pupille grandi. (13) Gli stessi bambini preferiscono guardare facce graziose. Secondo un altro studio di Langlois, i bambini guardano più a lungo i visi attraenti rispetto a quelli meno attraenti, indipendentemente dall'aspetto della propria madre; i bimbi di 12 mesi preferiscono giocare con persone estranee (donne diverse dalla loro madre) e con bambole dai lineamenti piacevoli.(14) E indipendentemente dal fatto che i bimbi siano bianchi, neri o ispanici.(15) Questi studi sulla bellezza dei neonati iniziarono a moltiplicarsi negli anni Ottanta, quando, ancora una volta, l'aspetto fisico delle persone di ogni età si guadagnò il centro della scena. I creatori di moda furono elevati al rango di celebrità; la nascita della modella come icona aveva preso il via. Ma c'è qualcosa di atemporale e di affascinante nel momento in cui i risultati di uno studio sulla bellezza sono focalizzati su esseri così piccoli, da poco al mondo e già così investiti di attese. Ecco i risultati di due studi ulteriori compiuti dalla Hildebrandt, in cui alcune foto di neonati furono classificate da tre gruppi di adulti: studenti di college maschi, studenti di college femmine e donne in gravidanza.(16) Tutti e tre i gruppi dello studio percepirono i neonati più attraenti dal punto di vista fisico come "più socievoli, meno attivi, più competenti, più graziosi, e fisicamente più piccoli e più femminei" dei neonati meno belli. Tre anni dopo, nel 1990, la stessa psicologa condusse uno studio che confermò lo stereotipo per cui "ciò che è bello è buono", ma che suggerisce anche che "per quanto riguarda i neonati... ciò che è bello, felice e maschio è particolarmente buono". Tuttavia, fortunatamente, la vita non si riduce ad una serie di studi quantificabili in cui agiamo in modo riflessivo. Siamo attirati momentaneamente da un viso grazioso finché qualcosa non muta le nostre preferenze, prima ancora che ne siamo consapevoli in modo conscio. Così, ci volgiamo ad un altro volto, quello che ci rimanda a qualcosa o a qualcuno. Ad esempio, c'è uno studio in cui le addette di un asilo nido con più anni di esperienza alle spalle, sceglievano di prestare più attenzione ai bambini meno attraenti, "presumibilmente per compensare la mancanza di attenzione che questi bambini pativano da parte delle operatrici nuove [con minore esperienza] ".(18) I risultati delle nuove scoperte scientifiche, inamidate nella loro oggettività, riecheggiano con forza, perché ci allontanano dal nostro lato emotivo, raccontandoci verità e saggezza con voce differente. Sia l'emozione che la fredda oggettività hanno una parte nel nostro processo di comprensione del ruolo della bellezza nelle nostre vite, un tema così colpito da interdizioni che solo di recente ci accingiamo a tentare di comprenderlo. "Che cosa c'è da dire sulla
bellezza? Semplicemente esiste, no?" mi chiedevano alcuni amici quando, alla metà degli anni Ottanta, ho cominciato questa ricerca. Non ne ero ancora certa, ma sapevo che la bellezza era stata nuovamente tirata fuori dagli armadi, che attraversava fieramente le strade in tacchi alti e unghie laccate di rosso. Gli studi precedentemente citati sono stati effettuati negli ultimi quindici anni. Oggi, nessuno si chiede più perché io o qualcun altro indaghiamo ansiosamente sull'effetto delle apparenze sulle nostre vite. "Lasciati guardare", diciamo. "Sei così bella, ti mangerei!" Che oralità si sprigiona da questi desideri adulti, dichiarabili tanto ad un amante che ad un bambino. Quanta fame in quelle parole, parole di reverenza alla vista di una faccia, una forma che riempie un vuoto della propria vita. Non possiamo vivere senza bellezza, senza il bisogno di soddisfare la nostra fame di vedere e di essere visti. "Fammi guardare!" prega il voyeur. "Guardami!" chiede l'esibizionista. Due facce della stessa medaglia. Ma stavamo parlando di genitori e neonati, e sto andando oltre, vero? Credi che quel che succede nella nursery non costituisca un modello primario di vedere e guardare, di farsi notare, che viene poi continuamente ripetuto o rimesso in atto durante tutta la vita? Non trae origine forse da lì l'aspettativa di successo o di fallimento? Guardare da vicino il gioco d'interazione degli sguardi tra adulto e neonato ci insegna qualcosa sul resto della vita. Da adulti raccontiamo le nostre storie agli psicoanalisti che ci inducono a tornare con la mente all'infanzia. Non credi che potremmo trarre vantaggio dal guardare al comportamento dei neonati per capire noi stessi oggi, il motivo per cui la bellezza ci porta così poca felicità e tuttavia desideriamo ardentemente possederla, vederla? "E soltanto un bell'uomo", diciamo normalmente. "Soltanto?" Non siamo in grado di ricordare i primi anni di vita; alcuni studi affermano che riusciamo a ritornare con la memoria fino ad un periodo collocato tra il terzo e il quarto compleanno. Tuttavia, se è vero che non ricordiamo, forse "sappiamo" alcune cose a qualche altro livello che non sia la memoria conscia. Per esempio, io non riesco a ricordare mio padre, mai, eppure so che c'è stato un momento in cui io e lui eravamo presenti e che non si è trattato di una scena felice. Quel padre attraente, o così mi viene detto. Una delle barriere più impenetrabili contro il ricordare è la paura di ritornare sulla scena della nursery, impotenti di fronte alla Gigantessa che amavamo, o volevamo amare, che ci amava a sua volta, o che invece non ci ricambiava. Oggi, a trenta, quaranta, cinquantanni, indietreggiamo al ricordo della sua indifferenza o della sua iperprotettività. I miei amici più cari vengono inesorabilmente trascinati in questo libro; sedendo sotto le volte del portico a Key West, nelle ore del drink, sono solita leggere loro un po' di pagine, dopo una giornata solitaria trascorsa nella stanza in cui scrivo. Storie che avevano dimenticato affiorano; sogni che la notte popolano i loro sonni. Per esempio ieri, mentre ci avviavamo al negozio di drogheria del porto, Jack mi ha preso in disparte. "Mi sono sempre sentito diverso dai miei fratelli e dalle mie sorelle", mi ha detto. "Pensavo che la ragione per cui ottenevano più affetto dai miei genitori fosse legata al fatto che erano più belli di me. Mentre ti ascoltavo l'altra sera mi sono ricordato di quando mia madre mi disse che da bambino sembravo un 'piccolo giapponese'. Questo accadeva proprio nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Crebbi pensando che era per questo che lei amava svisceratamente gli altri e non me. E una donna molto bella. L'apparenza è contata molto nelle nostre vite." "Ma tu sei attraente", gli dico. "E hai anche avuto più successo di tutti i tuoi fratelli." Questo è vero perché Jack, come molti di noi, compensò la sua incapacità di attirare l'attenzione dei genitori sviluppando altri talenti e abilità che durano molto più a lungo della bellezza esteriore. La sera tardi poi telefonò a sua madre, che oggi pensa che il mondo ruoti attorno a questo figlio. "Dovevo sapere in che cosa consistesse quella faccenda del 'piccolo giapponese', se era realmente accaduta. Sai che cosa mi ha detto? 'Il motivo per cui non ti coccolavo tanto quanto gli altri è perché ti voglio troppo bene'."
Mi sorride con aria mesta, scuotendo la testa. Non è una persona ossessiva, ma sa che non sarà mai capace di uscire di casa senza prima aver controllato nello specchio che il "piccolo giapponese" abbia la cravatta a posto, i pantaloni ben stirati, le scarpe lucidate. Incolpare la propria madre è un terribile spreco di energia. L'atteggiamento vittimistico ci porta soltanto a non vedere mai nostra madre come una persona completa, con i suoi pregi e i suoi difetti. Tendiamo invece a idealizzarla o a denigrare noi stessi, oppure a fare una miscela di negazioni che ci tiene legati a lei come bambini. Più libri scrivo, più faccio piazza pulita della mia prima infanzia, abbandono vecchie rabbie, paure infantili per le rappresaglie materne, e meno sento il bisogno di mantenere la mia bellezza. Tanta parte del contenuto dei miei armadi è là per recuperare quello che non mi è stato restituito allora, per mascherare la bambina brutta, che, in realtà, non era poi così male. Era la sensazione di essere esclusa in una casa piena di donne affascinanti; ovviamente venni su col pensiero "... se soltanto ci fosse stato un uomo". Nel complesso, gli abiti che indosso hanno come obiettivo principale l'approvazione maschile. Il peso dei vestiti nei miei armadi, la stessa vista di quegli abiti, cresce sempre più. D'impulso, vado nell'attico o scendo al piano terreno verso l'armadio di legno di cedro, dove una rastrelliera lunga otto piedi ricoperta di abiti fuori stagione ha recentemente ceduto. "Bisognerebbe lasciare cinque centimetri tra un ometto e l'altro", mormorava il muratore, mentre aggiungeva un sostegno ulteriore, apparentemente commentando più la mia avidità che l'esecuzione del suo lavoro. Adesso, quando apro le ante dell'armadio, di qualsiasi armadio, vado alla ricerca di quei cinque centimetri di spazio richiesti come di un indicatore della mia bravura. Non che abbia smesso di comprare vestiti, ma conosco il loro gioco di traditori attira-sguardi che all'inizio promettevano un aspetto, un'immagine sufficientemente interessante da far sì che la gente spostasse l'attenzione, abbandonasse qualunque occupazione, per guardare me. Ultimamente ho l'impressione che i miei vestiti infedeli si moltiplichino mentre dormo, ricordandomi quelle fiabe in cui stupide fanciulle filano metri e metri di lino nella notte, trasformandolo in oro, solo per scoprire la mattina dopo che il lino è tornato allo stato originale, senza alcun valore. 1.4 - Il mutuo sguardo e la tempesta di pianto. Siamo giunti al cuore di ciò che andavo cercando prima, chiamandolo il Raggio Dorato tra l'occhio della Madonna e del Bambino, il "cordone ombelicale", quel simbolo della mia prima lezione di storia dell'arte al college che, ne sono sicura, più di ogni altra cosa, decise che quella sarebbe stata la mia materia principale. Quale ragione migliore per diventare uno storico dell'arte? Sembra che il mio "raggio d'amore" abbia un nome ufficiale; gli Osservatori di Bambini, quegli psicologi e psichiatri che studiano la relazione madre-bambino, lo chiamano lo Sguardo. E dato che tutto è così miracoloso e le coincidenze della vita vanno oltre ogni nostro atto intenzionale, chi dovrebbe essere il maestro dello Sguardo? Chi lo ha descritto nell'osservazione clinica con più poesia di quanto un medico dovrebbe saper fare? Il mio analista, Daniel Stern, con cui ho parlato per cinque anni mentre il mio vecchio mondo stava andando in frantumi e questa mia nuova vita stava lottando per venire alla luce. Non abbiamo mai discusso dello Sguardo tra le tante parole che ci siamo scambiati nei primi anni Ottanta, quando andai a fargli visita nell'ufficio accanto alla stanza in cui osservava, videoregistrava e descriveva per iscritto le madri e i loro figli appena nati. Ma ne vidi il lato ironico; i suoi bambini piccoli in una stanza e, nella stanza adiacente, io, la sua bambina grande, lunghe gambe seducentemente accavallate, la tuta firmata Geoffrey Beene con la cerniera un po' troppo abbassata, con l'aria divertita di chi sta tentando di sedurre, mentre solo a tratti cadevo nei sogni più profondi e più tristi su mio Padre, il Mistero. Ora, dieci anni più tardi, nel bel mezzo di questa ricerca, mi capita tra le mani il suo libro, Diario di un bambino, pubblicato nel 1990, cinque anni dopo l'ultima volta che lo vidi. C'è il suo caro ritratto sul retro della copertina, il mio amico inseducibile che, adesso che ne ho un bisogno estremo, entra di nuovo nella mia vita. Ti sto dicendo
questo perché i miracoli dovrebbero essere registrati e questo tema di apparenza e specchi tratta di miracoli, di come lo Sguardo stabilisce un modello della capacità di amare, di vedere noi stessi e anche gli altri, sia quali esseri separati da noi, sia, in quei rari momenti, come persone che amiamo. Tutte le canzoni d'amore parlano dello Sguardo. Leggi quella che potrebbe benissimo essere una canzone d'amore, una pagina tratta dal libro di Stern in cui descrive cosa prova un neonato per la propria madre. Sono versi che ruberei per questa notte, per recitarli alla persona che amo, oppure vorrei che fosse lui, con i suoi occhi, a farmi sentire queste parole: Entro nell'universo del suo viso. Il volto e i suoi lineamenti sono il cielo, le nuvole, l'acqua. Il brio e la vivacità di lei sono l'aria e la luce. Di solito è un'esplosione di giochi d'aria e di luce, ma questa volta, quando vi entro, quel mondo è opaco e immobile. Sono immobili le linee curve e i volumi rotondi del suo viso. Dov'è lei? Dov'è finita? Ho paura. Sento il gelo di quella immobilità insinuarsi dentro di me. Mi guardo attorno alla ricerca di una scintilla vitale a cui aggrapparmi. E la trovo. Tutta l'ammirazione è concentrata nel posto più dolce e ricco di energia del mondo: i suoi occhi. Essi mi trascinano sempre più giù, verso un mondo lontano. Alla deriva in questo mondo, mi lascio cullare dai pensieri che increspano lo specchio limpido dei suoi occhi. Fisso lo sguardo nelle loro profondità. E là sento scorrere le correnti selvagge e invisibili della sua eccitazione. Risalgono impetuose da quelle profondità e mi trascinano con sé. Io le invoco. Voglio rivedere la vita sul suo viso. A poco a poco la vita rifluisce sul suo volto. Il cielo e il mare si trasformano, la superficie ora scintilla luminosa. Nuovi spazi si schiudono. S'innalzano archi fluidi di luce. Piani e volumi danno inizio alla loro lenta danza. Il suo volto diviene una brezza leggera che mi sfiora, accarezzandomi. Mi animo. Spiego le vele a quel vento e libero la danza che è dentro di me.(19) Fino a poco tempo fa i comportamentisti partivano dall'assunto che il seno fosse l'oggetto più importante che il neonato vedesse, ma oggi gli Osservatori di Bambini concordano col dire che il seno si trova ad una distanza troppo ravvicinata, rispetto al bambino che succhia, perché possa essere messo a fuoco. E il volto a trovarsi alla distanza perfetta. E l'elemento più affascinante di quel viso, situato proprio a venticinque centimetri dagli occhi del bambino allattato, è rappresentato dagli occhi della madre. "I bambini molto piccoli si comportano come se gli occhi fossero realmente lo specchio dell'anima", dice Stern. "A sette settimane, infatti, assegnano agli occhi il ruolo di centro geografico del viso e di centro psicologico della persona."(20) Nel frattempo il bambino si uniforma alla sua visione della madre e pensa che anche i propri occhi costituiscano il suo centro psicologico. D'ora in avanti e lungo tutta la vita, avrà sempre la sensazione che gli altri non lo avranno veduto realmente se non avranno visto i suoi occhi. Quando, ad esempio, i personaggi famosi non si vogliono sentire riconosciuti, ma avere l'impressione di mantenere la propria privacy, imparano ad attraversare stanze affollate guardando proprio al di sotto degli occhi degli altri. La gente può anche guardarli, ma la loro sensazione è di non essere stati visti. L'espressione che si usa è "blind-sighted", che implica quasi l'essere invisibili. Stern fornisce un esempio ancora più incantevole: un bimbo di sei anni che, per gioco, si copre gli occhi con le mani: "Se voi chiedete... 'Ti vedo?' lui risponderà: 'No!' Si pensava che il piccolo non riuscisse a immaginare di poter essere visto se non poteva vedere a sua volta, ma le cose non stanno così. Lui sa benissimo che voi potete vedere, non solo lui ma anche le mani che tiene sugli occhi; quello che vuole dire in realtà rispondendo 'No!' è: 'Se tu non puoi vedermi gli occhi, allora non mi vedi'. Per lui, vederlo vuol dire guardarlo negli occhi". (21) Quando in Sudafrica uno zulu saluta un altro zulu, dice: "Sawubona", ovvero "Salve", ma che, letteralmente tradotto, significa: "Ti vedo".(22)
Più di ogni altra cosa, sono gli angoli acuti delle estremità degli occhi, il contrasto chiaro-scuro della pupilla, del bianco dell'occhio e delle ciglia contro la pelle, ad affascinare in modo particolare il neonato. Stern afferma che il bambino è in realtà "attirato dai suoi occhi... Tutto preso da quel muto colloquio, il piccolo entra nel 'mondo lontano' dei suoi occhi".(23) Cresciamo, abbiamo tre o quattro anni, e ancora ciò che preferiamo nel volto umano sono gli occhi. Quando nel corso di uno studio condotto su alcuni bambini di questa età fu chiesto di realizzare dei disegni per mettere alla prova una teoria secondo la quale era la bocca il loro particolare preferito come punto focale dell'immagine corporea, la grande maggioranza di essi disegnò occhi; ancora una volta, gli occhi la ebbero vinta. (24) Mutuo sguardo. Ha un bel suono. Gli occhi, indipendentemente dalla nostra età, sono un elemento centrale per noi tutti, ma questa cosa del mutuo sguardo... "Guardare negli occhi una persona e venirne ricambiati", dice Stern, "è un'esperienza unica." (25) Quando spostiamo continuamente il nostro sguardo dall'occhio destro all'occhio sinistro della persona che ci sta di fronte, e quella persona fa lo stesso con noi, gli spostamenti e il centro dell'attenzione "riflettono, nelle sensazioni di entrambi gli individui coinvolti nello sguardo, il pensiero dell'altro". Quando l'altra persona non segue il nostro sguardo, quando gli occhi di entrambi non danzano insieme, ebbene, per citare Stern, "Chi non lo fa non è del tutto lì per te." Come se avessimo bisogno di farcelo dire da un bravo medico; come se non conoscessimo l'eccitazione, il brivido che ci attraversa quando una persona attraente, amata, ci guarda dritto negli occhi. In quel primissimo ciclo di "soddisfazione-piacere-rivitalizzazione" esperito con la madre, il bambino dà vita ad un modello che costituirà il prototipo delle sue aspettative verso le altre persone amate della sua vita futura. Quelli che non rientrano nelle categorie di amanti o di bambini non possono sostenere lo sguardo altrui per più di una manciata di secondi; guardarsi reciprocamente senza parlare suscita troppa emozione, diventa imbarazzante, viene percepito quasi come un atto di ostilità. Quando due animali sono chiusi in un mutuo sguardo, se quello sottomesso non abbassa gli occhi, quello dominante può attaccare.(26) Ma amanti e bambini sono nati per guardare, gli sguardi serrati, la loro intimità visibile agli estranei, che ne invidiano il desiderio di restarvi intrappolati. "Probabilmente è l'occhio - non il cuore, i genitali o il cervello -che rappresenta l'organo iniziale della storia della nostra vita", dice Helen Fisher, "perché è lo sguardo che spesso innesca il sorriso umano."(27) Leggiamo sui volti fin dalla nascita. Nelle prime dodici settimane di vita, una volta emerso il sorriso d'interazione, insieme al contatto oculare prolungato, avviamo uno schema in cui vediamo gli altri e ci sentiamo visti dagli altri, che poi continuerà per tutta la nostra vita. Quei primi occhi riflettenti, o la loro assenza, hanno avuto il potere di determinare come vediamo noi stessi, come leggiamo noi stessi negli occhi delle altre persone. "... È proprio attraverso lo studio del viso che possiamo tentare di indovinare i sentimenti e le intenzioni degli altri", asserisce Stern, "ed è per questo che cominciamo sin dalla nascita a trasformarci in degli esperti. " (28) Quando oggi ci innamoriamo, siamo così vicini all'altra persona che sembra sia la vita stessa che soffiamo l'uno nell'altro, così prossimi i nostri occhi, come immersi nella liquida profondità dei sottili giochi di luce, dei colori, delle sfumature minute di marroni e di azzurri, giù giù fino al fondo del mare, fino alla sua essenza, una sala di proiezione privata per due amanti. Nulla di quel che vediamo sul suo volto, nessuna cicatrice, nessuna ruga è meno che adorabile; per qualche strana magia, il nostro amore incondizionato ci ha aperto alla consapevolezza del nostro amore perfetto, della nostra capacità di amare in modo perfetto. Amando quell'uomo, abbandonandoci con fiducia totale ai suoi occhi, arriviamo anche ad amare noi stesse. Non c'è alcun particolare del nostro corpo, che ci è apparso imperfetto fino a poco fa, che non esca trasformato da questa esperienza intensa di intimità, da quel face-en-face, l'immagine di un nuovo io nato dall'esame attento del nostro sguardo d'amore, del nostro Mutuo Sguardo. Quando i nostri amici ci incontrano, sussurrano: "Non l'avrei riconosciuta, dev'essere innamorata!" Quando entriamo in una stanza, la faccia di lui "si illumina", un'espressione sorprendente se pensi ad essa e al suo opposto, quando lui smette di animarsi nel momento in cui alza lo sguardo e ci vede, quando
l'amore è finito. "Come posso dirle che non l'amo più?", lui si chiede, ma non ha bisogno di parole; il suo volto, i suoi occhi vuoti ci hanno già detto ogni cosa. Alcuni di noi, in questo momento, non riescono a trovare se stessi negli occhi di una persona amata. Non siamo riusciti a sperimentare quel primo prototipo di "soddisfazione-piacere-rivitalizzazione" con nostra madre. Possiamo provare l'eccitazione momentanea dell'amore, ma è come una goccia di pioggia che resta sulla superficie dell'acqua, perché nel profondo non esiste alcuna riserva che l'amore adulto possa rifornire. Tutto rimane in superficie. Non possiamo né dare amore -nella convinzione che gli altri sono come noi - né trarre un profondo conforto da qualcuno che ci professa il suo amore. Se non abbiamo provato questa unità visuale, questo imbrigliamento attraverso lo Sguardo all'età appropriata, gli inciampi inevitabili della vita ci renderanno vulnerabili fino ad un senso di disintegrazione interiore. Quando qualcuno che dichiara di amarci tenta di confortarci, noi non riusciamo a ritrovare nei suoi occhi il riflesso rassicurante di noi stesse come persone piacevoli. Non sappiamo cosa cercare. Non abbiamo mai imparato come fare. Attribuiamo la sua incapacità di farci sentire amabili, belle, alla sua mancanza di amore, mentre la mancanza è dentro di noi. Sì, diciamo di amare e stringiamo relazioni, ma dentro di noi sappiamo che siamo sole al mondo. Anche quando lo specchio ci rimanda l'immagine di una donna di successo e piacente, sappiamo che si tratta della combinazione felice e casuale di vestiti, trucco e capelli, non di una persona finita. La rabbia, specialmente la nostra, è sempre là, a minacciare di trasformare in un mostro la persona attraente che gli altri vedono, il Dr. Jekyll in Mr. Hide. Passano giorni, mesi che ci vedono soddisfatte, ma arriva il momento in cui lui parla troppo a lungo con un'altra donna o in cui qualcun altro viene promosso al posto nostro, e la nostra rabbia scoppia in modo sproporzionato rispetto a quel che è accaduto, perché in realtà siamo andate incontro ad una sconcertante perdita del nostro centro. Non siamo molto diverse dal neonato che non ha un quadro preciso di sé e del mondo che lo circonda, e nemmeno una comprensione esatta di cos'è che lo sta facendo infuriare tanto. Il neonato è nel mezzo di ciò che Stern chiama una "Tempesta di Pianto". "Il mondo ulula. Tutto esplode e si sparpaglia per poi riunirsi e precipitarsi all'indietro, verso quel nodo di angoscia che sembra sul punto di spezzarsi ma che non si spezza mai."(29) Questa è la spiegazione fornitaci da Stern su come si sente il bambino affamato negli impeti della sua Tempesta di Pianto. "Questa interferenza 'globale' dev'essere vissuta [dal bambino] come un'improvvisa disarmonia nel suo mondo, come un 'qualcosa va storto'." Questo lo consuma - per lui è tutto. I piccoli lineamenti del neonato si contorcono in una maschera gonfia e rossa di furia, simile a quella dei bambini grotteschi che popolano l'inferno dipinto da Michelangelo. Non è diversa l'immagine ugualmente contorta e innaturale di noi stesse tradite, gli occhi gonfi dalla rabbia nel pieno della nostra Tempesta di Pianto. La nostra immagine allo specchio è spaventosa, ma non del tutto irriconoscibile. In realtà, più credibile dell'immagine della nostra bellezza in un nuovo radioso vestito. Fissiamo il volto sfigurato e vi riconosciamo un autoritratto senza tempo. Ora guarda cosa accade al bimbo di sei settimane nel pieno di una Tempesta di Pianto appena la buona mamma entra nella stanza. Subito le braccia si allungano per sollevarlo da quello stato di sofferenza e per acquietare la sua rabbia. Ora è stretto al seno caldo, allattato e, miracolo dei miracoli, il bambino vede il volto di lei, guarda fisso nei suoi occhi. "E il rianimarsi del bambino in risposta alla sua presenza vivifica ancor di più il suo viso...", e, di nuovo, l'armonia nel mondo è ristabilita. Nel descrivere la reazione del neonato al ritorno dell'attenzione piena e amorevole della madre, le parole di Stern ricordano così bene il ritorno dello sguardo di un amante: "[Il bambino] vede in questi mutamenti la dimostrazione che la forza vitale rifluisce nella madre e questo riflusso ha effetti immediati anche su di lui... Il sorriso della mamma, che lo sfiora, esercita su di lui un fascino naturale e innesca una reazione contagiosa che gli strappa a sua volta un sorriso e gli infonde nuova vitalità. Si sente pervadere dall'animazione che lei dimostra, la sua felicità aumenta e sono proprio i sorrisi di lei a farla aumentare. Poi... si abbandona alla
gioia... A questo punto non si limita più a reagire, ma si identifica con la mamma".(30) La madre non è sempre presente; non deve esserlo. È più un problema di centro dell'attenzione quando è presente, di sorriso e,sempre, naturalmente, di sguardo. Gli occhi amati, con i loro affascinanti contorni e contrasti, con le amate sembianze del neonato riflesse in loro, è questo che genera la fiducia, la sicurezza di sé, l'immagine di se stessi come esseri sufficientemente piacevoli. Perché altro lei dovrebbe ritornare, o, vent'anni dopo, la persona amata ritorna, se non perché è l'anima dietro le finestre degli occhi - ciò che Stern chiama "il centro psicologico della persona" - a riportare sempre sui suoi passi la madre e l'amante? Osservando come il suo sorriso suscita quello del bambino, come il suo amore crea altro amore, la ricompensa per la buona madre consiste in ciò che il neonato le restituisce, nella consapevolezza della propria bontà e bellezza. A poco a poco il neonato imita il suo sorriso, è lui che comincia, e ora è lei che risponde. Vanno su e giù, ogni sorriso ed ogni sguardo a cementare il loro attaccamento. Gli Osservatori di Bambini hanno scoperto che maggiore è l'"attenzione visuale", più frequenti sono i sorrisi. Sorrisi, sguardi, "sono proprio questi momenti in cui si 'è con un altro' a costituire le basi dell'attaccamento".(31) È facile notare come alcune madri non possono sopportare l'idea di lasciare andare il proprio bambino, mai. Qualcuno, la sua stessa carne e il suo stesso sangue, la sta guardando in un modo in cui forse nessun altro mai l'ha guardata. Attorno alla sesta settimana di vita, quando il bambino è in grado di fissare visivamente gli occhi della madre e di sostenere il suo sguardo, la madre sente per la prima volta che il neonato sta guardando proprio lei.(32) È un tipo di sguardo completamente differente da quello scambiato con il proprio marito. Questa creatura divina, questo bambino, è totalmente dipendente da lei, il che può essere letto come "questo bambino è completamente mio". Può iniziare a sentirsi come una Madonna, totalmente buona, generosa, e, sì, perfino bella per la prima volta nella sua vita. Fino ad ora, non è mai stata capace di avvertire negli uomini la sensazione di essere stata vista e amata per quello che è. Molte volte ha desiderato reggere il mento di un uomo con le proprie dita e, gentilmente, far sì che i suoi occhi cadessero su di lei. "Tu mi stai guardando, ma non mi vedi veramente. Tu non sai chi sono e questo mi fa impazzire." Era così dannatamente forte il desiderio di dirglielo, ma non poteva. E non desiderava solo che i suoi bei capelli e la sua bocca sensuale gli rimanessero impressi, ma quell'accettazione totale che ora sta finalmente ottenendo, non da un uomo ma da un neonato. Poi qualcosa accade. Per la prima volta, il neonato può scegliere di non vedere la madre. A partire dalla fine del terzo mese, la sua capacità di messa a fuoco della distanza ha un raggio d'azione che è quasi pari a quello degli adulti. Il neonato può seguire la madre mentre si allontana, si avvicina e si muove nella stanza. Verso la fine del sesto mese, il suo focus visivo passa da un interesse esclusivo per il volto umano ad una curiosità vorace per gli oggetti. La madre ha perso la sua sovranità come centro dell'attenzione dell'universo del proprio bambino. Mentre lo tiene in braccio, la sua mano si allungherà per girare la sua testolina verso di lei, o invece sarà deliziata dall'interesse per gli altri che è nato in lui, come, si spera, sarà felice del suo futuro camminare a carponi, del suo allontanarsi da lei per trovare se stesso? Le possibilità del bambino di trovare l'amore e di disporre di un'immagine sufficientemente positiva di sé riposano tutte su questo equilibrio delicato tra unione e separazione. Ovviamente, sono possibili variazioni infinite sul tema di questo primo amore, dello sguardo primario. Quando, ad esempio, una madre rimane delusa dall'aspetto del suo bambino perché le ricorda un membro della famiglia che non le piace, o perché non è abbastanza bello, è il suo narcisismo ad uscirne ferito. Allora comincia a non posare il proprio sguardo sul figlio quanto potrebbe, e la qualità del suo attaccamento potrà risultarne influenzata.(33) Non si richiede perfezione ad una madre. La parola che userei è generosità, che la buona madre dia al figlio abbastanza del proprio io in modo tale che egli ne sia riempito, così nutrito dalla visione materna di se stesso da poter esercitare, sperimentare il suo nuovo io, mettere alla prova con gli altri il senso della propria bellezza e delle proprie buone qualità. E il dono più grande
della nostra vita; è la vita. E passato soltanto un anno, anche meno, e lei è riuscita a riempire i bagagli del bambino di un ritratto interiorizzato del suo amore incrollabile. Perché le domande sull'essere abbastanza bello, abbastanza amabile faranno la comparsa nella sua mente? Perché più tardi dovrebbe sentirsi incapace di ricambiare l'amore se la vita è cominciata così? È la questione fondamentale dell'unione e della separazione nei primi anni di vita che successivamente ci rende capaci, da adulti, di amare senza possedere e di essere amati senza perdere la nostra identità. La capacità di trattenere l'immagine che coltiva di noi la persona amata, di averla chiusa al nostro interno, in modo che quando è lontana, o guarda qualcun altro, non ci sentiamo messe da parte, è incastonata in quel processo di innamoramento, è modellata sui primi anni della nostra infanzia. Dopo venticinque anni passati a scrivere del rapporto madre/bambino, della gelosia, dell'invidia, del sesso, non ho alcun dubbio che l'infelicità attorno al problema della bellezza, come ogni altra cosa, affondi le sue radici in quella prima relazione. Questo non significa che dopo non possiamo farci niente, ma diventa molto, molto più difficile dopo i primi anni di vita. Quando le donne parlano di quel che le rende gelose, in cima alla lista c'è "Quando lui guarda un'altra donna". Lui sta solo guardando; non ha detto o fatto nulla. Perché pensiamo che il suo guardare implichi che l'altra sia più attraente di noi, che la preferisca a noi, che ora lui ci lascerà? Ci siamo sentite belle fino al momento in cui lui ha diretto il suo sguardo verso di lei. Diciamo che gli uomini sono delle canaglie, che vogliono una cosa sola, che non sanno controllare i loro appetiti sessuali, che, dopo aver "guardato", ora balzeranno addosso all'altra donna, e ci abbandoneranno. In realtà, stiamo proiettando. Attribuiamo agli uomini troppo potere. Non ci concentreremmo così tanto oggi su apparenze e bellezza, non pagheremmo quelle somme, non moriremmo così numerosi, vedendo il nostro "potere della bellezza" andare e venire, mai pienamente dominato, mai veramente nostro, se il nostro aspetto esteriore, il nostro senso di identità fosse intimamente posseduto. La sicurezza per la propria bellezza deriva da uno stock di amore interiorizzato nei primi anni di vita. "Carina, sì, guarda quel bel viso dall'altra parte della stanza", consiglieremmo al nostro partner, permettendogli di ammirare chiunque possa trovare attraente, dato che sappiamo perché ci ama, e che cosa egli ama in noi. Lui vede ciò che nostra madre ha visto, che nostro padre ha visto, mentre venivamo tenuti in braccio e arrivavamo a vedere la nostra immagine riflessa nei loro occhi, continuamente. Non abbiamo mai messo in dubbio quell'immagine. È là, profondamente radicata al nostro interno, un dato, qualcosa di conosciuto. Quella donna che il nostro uomo sta guardando è davvero bella e non influisce minimamente su quel che egli sente per noi. Ecco che i suoi occhi tornano, ancora su di noi, come avevamo previsto. Sappiamo di non essere facilmente rimpiazzabili, una promessa che ci fu fatta tanto tempo fa quando i nostri genitori ci vedevano come il sole e la luna e le stelle. Erickson ha definito questo dono un senso di fiducia fondamentale. Al giorno d'oggi, le donne possono pagarsi l'affitto da sole e non hanno bisogno di giocare a specchio-contro-specchio come le loro madri facevano con gli uomini, e girano le spalle a uomini sleali che non sono mai stati bravi nel farci sentire belle, il che, stipendio o no, è ancora un diritto di nascita femminile. Le donne oggi cercano gli specchi altrove, cambiando d'abito, stile, colore dei capelli più spesso dei cambi di stagione, alla disperata ricerca di un'immagine interna di se stesse con cui convivere. Ed eccoci qui, più donne nei posti di lavoro e meno nella nursery come mai prima d'ora. Le grandi trasformazioni degli ultimi venticinque anni hanno invitato gli Osservatori di Bambini a focalizzarsi molto attentamente sul loro lavoro. I cambiamenti radicali nelle vite delle donne - che hanno a loro volta innescato mutamenti nelle vite degli uomini - hanno lasciato ben aperta la porta della nursery. Qualcuno vi entri, per favore! Dentro non c'è alcuna Madonna. Naturalmente non vi è mai stata, ma fintantoché le donne non hanno avuto altro ruolo, e nessun potere economico, tale ruolo doveva essere idealizzato per tenere le donne al loro posto e, al contempo, gratificarle. Vorrei non avere mai scritto 'Mia madre, me stessa', e vorrei che non lo avessero letto tante donne, se non ci fosse stato il bisogno di inquadrare in modo onesto questa relazione che forgia le nostre vite e determina come ameremo
gli uomini e poi alleveremo i nostri figli. Fu il mio interesse per il senso di colpa femminile rispetto alla sessualità che mi spinse a studiare il rapporto madre-figlia; avevo appena concluso 'Il mio giardino segreto', un libro sulle fantasie sessuali delle donne, figlio della Rivoluzione Sessuale, un periodo a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, in cui le donne presero a togliersi i vestiti, a fare l'amore con gli uomini e ad aprire la loro mente a pensieri che sarebbero stati inconcepibili per la Brava Ragazza di appena pochi anni prima. Eravamo là, stavamo facendo sesso, infrangendo apertamente tutte le regole della mamma, ma quando le donne tentavano di raccontarmi le loro fantasie erotiche, le porte della loro mente si chiudevano con violenza. Il senso di colpa era soverchiante. Quegli anni segnarono un periodo di grandi contraddizioni, mai così drammatiche come in ambito sessuale. Stavamo andando contro generazioni di repressione sessuale; quanta ironia c'è nel fatto che era più facile "farlo" che accettare gli scenari proibiti della nostra immaginazione, nei quali la maggior parte dei filoni di trama avevano inconsciamente la propria madre degli anni infantili come il principale nemico della libertà sessuale. Naturalmente le donne erano colpevoli. Ancora lo siamo. È una questione di tempi. Tutto discende dalla scansione temporale, le idee degli scrittori e degli scienziati che hanno avuto inizio forse inconsciamente, portandoci verso un tema che echeggia nella nostra testa, poi mette radici nell'intelletto conscio, producendo alla fine la ricchezza di libri e di ricerca scientifica di cui abbiamo beneficiato negli ultimi anni. Il desiderio di analizzare la condizione del bambino ci ha portati a questo problema, all'uscita delle donne dalla nursery. I bisogni del neonato, quelli che influenzano la sua vita, sono sempre stati là, ma l'idealizzazione della madre aveva oscurato la nostra visione. Avevamo consegnato nelle mani femminili troppo potere di un tipo e non abbastanza di un altro; facemmo lo stesso con gli uomini, assegnando loro tutto il potere economico, ma alienandoli dalla loro umanità. Ora abbiamo l'opportunità di equipaggiare una nursery più bella di quelle che abbiamo mai potuto avere, una che, finalmente, potrebbe vedere al lavoro una squadra genetica al completo, in rappresentanza delle parti femminili e maschili del neonato, due persone a vegliare su di lui e ad infonderlo di un ritratto di sé che risplenda per tutta la vita ogni volta che passerà davanti ad una superficie che riflette. Nessuno mi ha insegnato così tanto a proposito dei soggetti scabrosi da cui sono attratta come l'uomo che io definisco il mio mentore, lo psichiatra Richard Robertiello, il cui studio bizzarro pieno di maschere africane e di sculture di donne a una gamba sola era il mio rifugio mentre scrivevo 'Mia madre, me stessa'. Nessuno ha una conoscenza più profonda del tema che è così caro alla nostra epoca, l'autostima. Lo Sguardo, come lo vede Robertiello, è un elemento cruciale per lo sviluppo dell'autostima (34), che, detto più semplicemente, significa una buona opinione di sé. Perché una cosa così ovvia come una buona opinione di noi stessi dovrebbe rivelarsi oggi così inaccessibile? In assenza di quella buona opinione, o scegliamo l'eccesso, vestiti di abiti eccentrici ed esibizionistici, o piombiamo nell'abisso dell'autodenigrazione, arrancando per le strade nelle nostre scarpe da corsa e con i nostri musi lunghi. Non c'è via di mezzo, niente autostima, niente bellezza interiore. La visibilità diventa tutto: sono visto, e dunque sono. Ci sottoponiamo a diete, acquistiamo vestiti, facciamo progetti, spendiamo denaro in bellezza come non mai pur credendovi di meno. Che questo sia accaduto in un momento storico in cui dedichiamo molto meno tempo di prima a fissare in adorazione gli occhi di un neonato, non è privo di significato. 1.5 - La bellezza della separazione: una seconda, nascita. Potessi offrire un dono ad ogni bambino che nasce, uno di quei certificati che assicurino non un giorno ma una vita di bellezza, augurerei loro una madre che abbia accettato la teoria di Margaret Mahler su separazione e individuazione (35). Pregherei che avesse una madre che lo tenga avvinto a sé, anche in uno stato di felicità simbiotica, e che poi - qui viene la parte più difficile - lo lasci andare e incoraggi tutti i suoi movimenti verso il mondo esterno, accompagnato dai suoi migliori auguri e da tutto il suo amore interiorizzato. Questo bambino sarebbe allora una piccola persona sicura e indipendente, dotato
della capacità di amare se stesso e gli altri, un bambino così a proprio agio con se stesso e aperto nelle relazioni affettive che gli altri lo vedrebbero esattamente come egli si vede. La verità è che il mondo ha fame di persone che stanno bene nella propria pelle. Quando mi immersi nella scrittura di 'Mia madre, me stessa' - e il verbo che ho usato non potrebbe essere più adatto - non avevo mai sentito parlare delle teorie di Margaret Mahler. Le parole simbiosi e separazione non comparivano nella bozza che avevo sottoposto al mio editore, ma, dopo averlo conosciuto, il pensiero della Mahler si rivelò il vero soggetto del mio libro. Per tre anni nuotammo insieme sottacqua, mentre io combattevo contro le negazioni che mi proteggevano da quel che realmente mi legava a mia madre. Fino ad allora mi ero fermamente convinta del fatto che la nostra relazione fosse perfetta. Non ero forse una donna indipendente, di successo, con una vita completamente diversa dalla sua? Quando tornai a galla per prendere aria, il libro finito, mi sentii al sicuro per la prima volta nella vita. La schiena mi doleva, mentre sul pavimento giaceva la versione definitiva, appena ultimata, del libro. Le menzogne erano svanite, e davanti a me c'erano due persone, mia madre, me stessa, e dell'amore vero. Sì, anche un po' di rabbia, ma quella è l'altra inevitabile faccia dell'amore. Le teorie della Mahler si applicano tanto ai figli maschi quanto alle figlie femmine. Nasciamo tutti da una donna, veniamo in maggior parte allevati da una donna che domina le nostre vite proprio nel momento in cui ci troviamo in una condizione di totale dipendenza e lei è la fonte di tutto, incluso lo specchio degli occhi che sarà determinante per l'immagine che avremo di noi stessi. Sì, gli uomini giocano una parte importante nelle teorie della Mahler, e il loro ingresso nella nursery è destinato a portare una grande ricchezza nella vita dei bambini. Se userò il pronome femminile per indicare la figura di chi accudisce, è perché le donne vi hanno ancora un ruolo predominante, anche se ti sollecito a leggervi anche la figura paterna. Esistono variazioni senza fine sul tema dell'attaccamento e della separazione, ma essere tenuti legati troppo stretti e troppo a lungo, così come non esserlo del tutto, può produrre quel volto particolare che tutti noi siamo in grado di riconoscere: la donna che cresce odiando l'immagine riflessa dallo specchio. Amiamo nostra madre; perché allora odiamo questo volto, queste nostre espressioni, che poi sono anche le sue? Quando non riusciamo ad affrontare la collera che sentiamo per lei (inevitabile anche nei rapporti migliori, visto che nessuno è perfetto), costruiamo una fortezza attorno a quella rabbia, che, a trent'anni, è ancora viva e minaccia di distruggere la mamma, esattamente come quando avevamo tre anni. "Chi, io arrabbiata? Mamma, io non ti odio, sono diventata come te. Ti voglio bene. Assomiglio proprio a te!" Il monumento severo della nostra negazione è svelato dal fatto che, invece di imitare le qualità che più amiamo in nostra madre - il che sarebbe ovvio e facile - assorbiamo proprio quel modo di apparire, quel modo di fare che abbiamo detestato più profondamente: la sua ansietà, la rigidità, la pignoleria, il carattere asessuato, il suo sguardo ferito. Questi lati disprezzati sono mantenuti vivi in noi perché, come il bambino di due anni che non può permettersi di vedere la mamma nel suo complesso, buona e cattiva insieme, temiamo che ella possa ucciderci, o che noi potremmo ucciderla, se sapesse che non l'abbiamo amata in modo perfetto. Sia che siano tratti fisici, emozionali o caratteriali, la persona che non è mai riuscita a separarsi emotivamente dalla madre, finisce con l'appropriarsene, per ripeterne gli atteggiamenti: le spalle curve, il portamento rigido, le rughe di tensione sulla fronte, le labbra serrate. Questo diventa il nostro aspetto, il riflesso catturato passando di fronte alla vetrina di un negozio, e, al contempo, quello di cui vorremmo assolutamente liberarci, cancellare con il trucco o trasformare con un'intervento di chirurgia estetica. Tutto questo perché - almeno così sostengo nel mio libro - non siamo mai riuscite ad abbandonare la madre. C'è bisogno che spieghi che cosa apporterebbe a questa eredità di amore misto a rabbia la figura di un padre, un'altra faccia in cui specchiarsi, un altro modello di coraggio che incentivi i nostri movimenti verso il raggiungimento di un'identità separata? Questo non diventare noi stessi, ci perseguiterà per tutta la vita. Come la persona cui viene amputata una gamba, fremeremo per la persona che avremmo
dovuto essere. Cos'è accaduto? Ci guardiamo nello specchio e non ci riconosciamo, non ci piace quel che vediamo. Quell'immagine allo specchio non corrisponde a ciò che pensiamo di noi stessi. Non coincide realmente con l'individuo che siamo. Ciascuno di noi è unico. Tutti abbiamo bisogno di un periodo iniziale - per la verità abbastanza lungo - fatto di amore e di calore, in cui ci sentiamo tutt'uno con la persona che ci è cara, in cui le nostre due identità si confondono, al punto che è impossibile sapere dove noi cominciamo e dove lei finisce. In un grumo di dipendenza totale, questa simbiosi è il paradiso. Nutriti dal corpo che fino a poco tempo prima ci ha portati in sé - guscio prezioso - e alimentati dall'immagine del nostro io riflessa dagli occhi materni, cresciamo rigogliosi. E tuttavia, per quanto perfetto - in parte, proprio perché è stato così perfetto - questo paradiso, prima che il primo anno di vita si compia, è già sfumato, siamo sazi. L'unione non ci basta più. È tempo di prendere il largo. Perché dovremmo lasciare quella felicità completa che la simbiosi ci promette se la trama della vita non prevedesse la scoperta di noi stessi, compreso quel modo di essere esteriormente che ci definisce come unici? C'è salvezza solo nella conoscenza del proprio perimetro; se non ci è dato di sentire i nostri confini, saremo destinati per tutta la vita a sentirci sicuri solo all'interno di relazioni totalizzanti, terrorizzati al pensiero di essere abbandonati, di rimanere soli. Separazione. Penso spesso che il problema sia nella parola stessa, quel che chiamo Giungla Semantica, in cui una parola è così sovraccarica di significati da rimanerne intrappolata. Anche soltanto il suo suono ci rammenta divisioni crudeli e definitive, come quel periodo terribile che precede il Divorzio, che segna la fine di un amore. Ma la Mahler intende la separazione come l'inizio di una nuova vita, in cui emerge un nuovo individuo capace di amore. Finché il nostro io rimane indistinto da quello della mamma, siamo persone più dipendenti che amorevoli. Un bambino piccolo, più che amare la propria madre, ne ha un disperato bisogno. Melanie Klein ci dice che l'amore scaturisce dalla gratitudine e può essere sentito solo quando non siamo più dipendenti dalla buona madre onnipotente. Vogliamo una parte di potere che sia solo nostra, che ci è dovuta, per diritto di nascita; se lei non ci lascerà partire con tutto il suo amore a bordo, il nostro viaggio si interromperà. Vedo la separazione come una rinascita. Non è ancora concluso il primo anno di vita e la fusione simbiotica con la madre ha già raggiunto i suoi obiettivi. Le braccia della mamma appaiono ora così costrittive quanto è costretta la vita dentro l'utero allo scadere del nono mese. Si mette in moto una forte spinta interna per scoprire cosa c'è nella stanza accanto. Il bambino se ne va a quattro zampe "No, no, non tenermi con te!" ed ecco che si spalanca uno spazio che è nuovo perché l'abbiamo scovato da soli e dichiarato nostra proprietà. Improvvisamente però il bambino viene assalito dal panico "Ehi, dov'è la mamma? Sono da solo!" e così ritorna tra le braccia della madre, la sua casa, dove lo aspettano braccia amorevoli, baci che dicono Sono-ancora-qui. Il viaggio successivo è di qualche metro più in là, e poi ancora il ritorno da lei per quello che la Mahler chiama "rifornimento", una parola che adoro. E così via, ogni viaggio in mare aperto a rappresentare un passo in più nella pratica della sicurezza indipendente. Pratica, pratica e ancora pratica. Infine, gli spostamenti si estendono al cortile, poi alla strada, sempre più lontano, quanto estendiamo il nostro io degno di fiducia. Ogni paura sconfitta è anche un nuovo territorio conquistato dell'io. L'ansia del primo giorno di scuola, i timori per un nuovo lavoro in una città sconosciuta risulteranno attenuati dalla pratica, e il tutto apparirà eccitante, come il sintomo di una realizzazione, un altro stadio del percorso di fede nella nostra identità separata, nell'immagine di una persona degna di stima che un giorno vedremo fermata sul nostro passaporto, il simbolo materiale di un permesso di entrata e di uscita attraverso un mondo alla nostra portata. Che dono di grande generosità questo, che passa di genitore in figlio. Cosa c'è di più nobile di una madre che infonde nel proprio figlio coraggio, fiducia in se stesso, al punto che egli possa dire: "Si, hai ragione, io sono questa persona amata che va in cerca della propria vita, nel corso della quale saprò come amare gli altri poiché tu hai saputo amarmi"? "Ma non sarò mai lontano, perché ti porto dentro con me, e il
tuo dono germoglierà nella vita di individuo unico che hai saputo regalarmi. La tua sarà come un'eredità per i miei stessi figli." Se tuttavia i suoi primi sforzi nel distaccarsi dalla madre furono segnati dalla paura - la sua paura, quella che noi abbiamo appreso da lei - non riusciremo a separarci emotivamente. Certo, imboccheremo fisicamente la nostra strada, ma staremo semplicemente allungando un cordone ombelicale che ci condanna alla dipendenza dalla sua approvazione, ad un'ansia cui non sappiamo dare un nome, ma che altro non è che il timore del bambino di perdere l'amore della mamma. Le donne che non furono incoraggiate a vincere la separazione emotiva cominciano il loro viaggio nelle braccia della madre per passare a quelle di altre ragazze, e finire poi a quelle degli uomini, continuando a cambiare partner, ognuno dei quali non fa altro che sostituire il primo. Quando siamo attratte da un uomo che ci fa sentire enormemente vitali, stiamo cercando noi stesse nei suoi occhi, ma non ci fidiamo di quel che vediamo. Lei non approverebbe. Non è la sua disapprovazione che, direttamente, ci occupa la mente, perché ora siamo noi a disapprovarci. Lei è noi e noi siamo lei. Ci sposiamo, facciamo dei figli ma, più di quella di nostro marito, abbiamo ancora bisogno della sua approvazione, anche solo attraverso una telefonata. Una sua parola di rimprovero e andiamo in frantumi. Può essere morta, ma basta uno di quegli atti su cui lei non darebbe il suo consenso, o uno di quei vestiti dalla foggia appariscente, a farci provare per la nostra "Nuova Identità" quel senso di disapprovazione e rifiuto di cui lei è la prima autrice. Forse, prendere la parola così abusata di "separazione" e inserirla in un contesto meno minaccioso del rapporto madre-bambino avrebbe un effetto chiarificatore sulla Giungla Semantica. Invece di pensare alla nursery, immagina un'accesa relazione sessuale tra un uomo e una donna. All'inizio, quando si incontrano, c'è una relazione di profonda attrazione tra due persone che hanno la loro vita e la loro identità distinta. La distanza che li separa è esattamente quel che fa scoccare la scintilla. Poi fanno l'amore. Come in una prova con la cartina di tornasole, la donna che non ha mai conosciuto un sano distacco dalla propria madre, ora perderà se stessa abbandonandosi a questo uomo come in una piscina e annegando la propria fragile identità nella sua. Il sesso con lui sembrerà una rinuncia al proprio io, un risveglio in lei del desiderio profondo di ciò che un tempo aveva o avrebbe voluto avere, l'unione simbiotica con la propria madre. Le donne non lo decidono consciamente, ma è questo che avviene. L'uomo andrà meno soggetto a queste dinamiche, dato che sua madre si sarà sentita spinta dalla norma sociale che vuole che il maschio sia lasciato libero di mettere continuamente alla prova la propria capacità di stare da solo. Non tutti gli uomini riusciranno a realizzare una separazione efficace dalla propria madre, ma sono costretti a fare buon viso a cattiva sorte. Il problema di un uomo sarà piuttosto quello di riuscire a lasciar cadere a sufficienza le sue difese di ferro per sprofondare nell'unità momentanea d'amore e di sesso, nella piena consapevolezza che risorgerà, rinnovato, ancora a se stesso. "Dov'è la mia donna eccitante e sensuale?" egli si chiede. "Perché non si collega di nuovo?" si affligge dal canto suo la donna che fino ad un momento prima era una sirena indipendente ma che ora si sente piccola, persa e spaventata all'idea di essere abbandonata dalla sua mamma/dal suo uomo. Oggi la situazione presenta tratti ancora più imbarazzanti: noi donne ci guadagniamo da vivere, paghiamo il nostro affitto; più entriamo in massa nel mercato del lavoro, più spinosa diventa la questione della separazione. Il denaro, l'apparente indipendenza dicono una cosa, ma quando ci impegniamo in una relazione sentimentale, il canto delle sirene della simbiosi si risveglia. Come essere efficienti sul posto di lavoro con un orecchio incollato al telefono aspettando una sua chiamata, in attesa della sua promessa di amore eterno? Questa è una cosa che manda letteralmente in bestia una donna che vive dei propri mezzi! Maledetti uomini, per non essere capaci di fare da mamma a queste bambine cresciute! Gli uomini pensano solo a se stessi. Solo le donne sanno di cosa ha bisogno un'altra donna. E così le donne si accompagnano ad altre donne. Nel frattempo, visto che le donne hanno ora una capacità di spesa per il proprio aspetto estetico mai conosciuta nella storia, l'industria della bellezza prospera. Non dovendo chiedere il permesso a nessuno, compriamo un nuovo look dopo l'altro e la mattina, di fronte al nostro armadio ricolmo, ci chiediamo
come mai non riusciamo a riconoscerci veramente in nulla che si pari davanti ai nostri occhi. Ad ogni stagione gli armadi vengono riempiti e svuotati, tanto insoddisfacente è lo sforzo vano della moda di vestire donne che non sanno chi sia il giudice fidato della loro adeguatezza quando si guardano allo specchio. Ogni giorno la nostra rabbia si fa di proporzioni sempre più gigantesche, ci tiene prigioniere del passato, le ruote che girano a vuoto e non fanno che sprofondare nella sabbia. Che umiliazione stare in un luogo di lavoro per adulti ed essere ancora intrappolate nella rabbia della nursery. E infatti lo neghiamo, dando prova della nostra indipendenza con l'esibizione della nostra sensualità, i tacchi alti, le scollature più profonde, fin quando il piccolo volto ansioso non emerge dal fumo della nostra sigaretta, riflesso nello specchio sopra il banco del bar. Di chi è quella faccia terribile? Separazione, bellezza, competizione, ognuno di questi temi sarebbe stato messo in discussione, dissezionato e analizzato se il nostro ingresso nel mercato del lavoro non avesse necessitato una maggiore comprensione di noi stesse? Finché abbiamo vissuto in società strettamente patriarcali, in cui le donne erano relegate in casa, definite dal ruolo materno, non c'è stato alcun bisogno di teorie sulla separazione e sull'individuazione. Da una figlia ci si aspettava che ripetesse automaticamente la vita della propria madre. Una madre che osservava la figlia come un falco, registrava ogni suo movimento, leggeva perfino il suo diario, era considerata una buona madre. Una figlia che godesse di troppa libertà, di troppa autonomia di giudizio, che apparisse e si comportasse diversamente da tutte le altre, era considerata una ragazza sfortunata. Agli occhi della società, le madri che immolavano la loro vita sull'altare dei figli erano le madri migliori. Era il sacrificio a definire la buona madre, anche se quel sacrificio includeva il fatto che la vita di una donna si riducesse ai suoi bambini, che quella donna non avesse nient'altro e nessun altro che la facesse sentire viva. Se poi si aggrappava alla figlia, insegnando alla figlia a fare altrettanto con lei, che importanza aveva? La bambina non sarebbe comunque corsa da nessun'altra parte, se non in un altro paio di braccia, da qualcun altro che la proteggesse, un marito. "Un figlio ti lascerà e prenderà moglie, ma una figlia è una figlia per tutta la sua (o è la "tua "?) vita", non era che un motto divertente appeso sopra la scrivania. Ma era la realtà. Il Movimento delle Donne può essere servito a segnare l'uscita dal focolare verso il posto di lavoro e a richiedere un riesame dei principi in base ai quali sono allevate le donne, ma la necessità di confrontarsi con un'immagine netta di noi stesse come individui, esiste da sempre. È raro trovare questo genere di foto nei vecchi album di famiglia: l'istantanea sbiadita di una presenza singolare, una donna sola senza accanto né marito né figli a definirne l'identità. In realtà, per generazioni abbiamo corso i pericoli di un'esistenza condotta senza un'immagine in testa di chi siamo come singoli individui; dopo tutto, era risaputo che i mariti andassero a caccia di avventure, così come i bambini crescono e prima o poi se ne vanno. L'ansia e la rabbia per non avere un proprio io, al di fuori di una relazione, veniva ingoiata, la depressione era destinata a non essere diagnosticata, l'invidia verso gli uomini e il loro potere economico rimaneva senza nome, come avremmo potuto mordere la mano che ci nutriva? Anche il tentativo di dar voce alla rabbia per il potere maschile ci portava alla fine verso un'altra fonte di rabbia, che nessuna donna a modo poteva permettersi di riconoscere, quella verso la propria madre, che amavamo e che ci amava. Nei giorni antichi, quelli precedenti al femminismo moderno, le donne si imbavagliavano, si soffocavano, accusavano emicranie, cadevano in depressione e morivano, piuttosto che ammettere l'ambivalenza dell'amore materno. Una volta negata l'ira verso la madre, le donne tentavano di trovare nell'uomo la copia dell'unico tipo d'amore conosciuto, un'unità simbiotica in cui donare tutte se stesse - indipendentemente dal fatto che gli uomini lo chiedessero. Le aspettative femminili verso gli uomini erano enormi; e infatti, non avevamo rinunciato ad ogni cosa per loro? La mamma non ci aveva forse promesso che se avessimo rifiutato tutte le opportunità che la vita ci offriva - soprattutto il sesso - avremmo incassato un Principe come ricompensa? Ora, tutto era nelle sue mani, la nostra sessualità, consegnata a lui perché la ricostituisse e la
portasse alla vita. La verginità, quando scientemente perseguita, è una scelta rispettabile. Ma la donna che aspettava che un uomo la portasse alla luce sessualmente "regalandole" un orgasmo, solitamente aveva davanti a sé un'attesa lunga e infelice. Alla fine, le donne rinunciavano al sesso, rinunciavano perfino a tentare. Il bisogno sessuale scompariva perché non si era mai adattato all'immagine interna di se stessa come Brava Ragazza. In quel breve intervallo di tempo posto tra la propria madre e il futuro marito, qualunque scintilla sessuale fosse stata innescata dai ragazzi, portava con sé il brivido proibito dell'infrazione alle regole materne. Quelle serate trascorse tra le braccia dei ragazzi, chiuse dentro auto scure con sottofondo di musica romantica ad alimentare la perdita vietata del controllo, avevano rappresentato un esempio pauroso di indipendenza. Infine il matrimonio, un marito, questo sì che era come tornare a casa. Senza averlo deciso consciamente, la figlia iniziava a vestire come la madre, a parlare e a camminare come lei, a decorare la propria casa come quella della madre. Presto arrivava un bambino, un'altra figlia con cui riprodurre l'immagine generazionale. Scrivo di sesso perché è l'elemento mancante nella vita della maggior parte delle donne, la spinta che potrebbe proiettarci fuori dalla prigione della dipendenza se solo volessimo assumerci la nostra responsabilità sessuale. Le Brave Ragazze hanno un look che le identifica come membri di un Mondo delle Donne che fonda se stesso sull'odio del sesso. Si può scegliere di non fare sesso, ma odiare il sesso è come odiare ogni donna che beve alla sua fonte, perché il Mondo delle Donne è sopportabile solo quando sono tutte pronte ad astenersi dalla sua pratica. Prima di divenire una scrittrice dicevo a me stessa che ero "diversa" da mia madre per il fatto che io ero sensuale e lei non lo era. Era dal fondo di questo abisso di autocongratulazione che mi accingevo a scrivere della sessualità femminile. Il mio specchio non rifletteva forse un'immagine intrisa di richiami sessuali, vestiti trasparenti, capezzoli liberati dal reggiseno, spavalderia anni Settanta? La mia ricerca evidenziava che la maggior parte delle donne faceva risalire le proprie inibizioni sessuali ai primi giorni che erano in grado di ricordare; e dunque la nursery era il luogo da cui cominciare. Il titolo originario di 'Mia madre, me stessa' era 'La prima bugia', titolo che avrebbe dovuto mettermi in guardia dalle difficoltà che si profilavano all'orizzonte. Tre anni dopo, quando misi la parola Fine al libro, mi sentivo come un veterano sopravvissuto ad una guerra. Il premio per il mio lavoro consistette nel fatto che avevo spogliato il rapporto tra me e mia madre di tutti gli ornamenti prodotti dal mio processo di idealizzazione. La vidi come donna, buona e cattiva, una donna in cui potevo anche vedere me stessa. Non eravamo poi così diverse; lei era coraggiosa, sensuale, competitiva e sì, anche con un tocco di esibizionismo. Fu un regalo. Alcune femministe di orientamento matriarcale hanno usato il concetto di separazione come arma contro i seguaci delle teorie della Mahler, colpevoli a loro avviso di istigazione a distaccarsi dai propri figli. Queste donne sono diventate madri a loro volta durante gli ultimi dieci, quindici anni. Forse un tempo hanno marciato per la libertà, combattuto per l'affermazione dei diritti delle donne, ma sono ancora restie a praticare l'indipendenza con i propri bambini. "Accusatrici di madri! " urlano contro quelle tra noi che vanno dicendo e scrivendo che la vera libertà delle donne comincia con la sicurezza nella propria identità di esseri separati. Come al solito, chi si oppone al concetto di separazione scaglia l'artiglieria più pesante contro gli uomini, un falso obiettivo. "Il patriarcato prospera sulla divisione delle donne", proclamano a gran voce, "creando le condizioni per una competizione interna... Gli uomini di scienza dicono alle madri che ogni bambino dovrebbe separarsi da loro per raggiungere la piena autonomia. Questa è una falsità. Questa visione distorta di una sana maternità pone i sentimenti materni in conflitto con le percezioni culturali di ciò che è necessario per lo sviluppo e il benessere del bambino. Per di più, questa falsità della separazione porta le madri a tradire inconsapevolmente le proprie figlie."(36) Questa è un'assurdità. Accusare gli uomini di creare l'idea della separazione fa sì che le donne, in tal modo fuorviate, siano portate ad eludere i problemi che
hanno con le proprie madri e a cercare con le proprie figlie l'unione che nessun uomo potrebbe mai dare loro. Patriarcato? La Mahler fu la madre della teoria della separazione e uno dei discepoli a lei più vicino era un'altra donna, la psichiatra Louise Kaplan, che ha brillantemente esposto il pensiero della propria maestra. Molte femministe che marciarono vent'anni fa smisero di avere a che fare con gli uomini perché amarli avrebbe significato essere prosciugate nel senso di identità appena conquistato. L'amore per un uomo risvegliava il vecchio potente desiderio di formare una coppia, un sentimento che suonava estraneo alla lotta per i diritti delle donne. Ma ciò che era peggio, perfino umiliante a pensarci ora, risiedeva nel fatto che gli uomini erano/sono riluttanti a impegnarsi in una relazione, a fondere i loro corpi con quelli femminili, nel timore che la "donna del lago" li trascini con sé. Com'è facile, oltre che utile, trasformare uomini riluttanti e rigidi in animali, orchi, la fonte di tutti i problemi delle donne. Gli uomini rappresentavano già il nemico che non voleva concedere alle donne un pari salario sul posto di lavoro; benissimo, scaricate su di loro anche questa questione spinosa della separazione. Dipingete gli uomini come dei bruti, l'origine di tutti i mali femminili, compresa la rincorsa alla bellezza. Gli insegnamenti della Mahler hanno conosciuto una diffusione solo negli ultimi vent'anni. L'ingresso delle donne nel mercato del lavoro alla metà degli anni Settanta ha significato un vero e proprio sconvolgimento, operato dalle donne stesse, proprio perché andava ad intaccare uno dei santuari più venerati del nostro sistema sociale. Avevamo bisogno di mappe stradali, diagrammi, spiegazioni su chi eravamo e come eravamo arrivate a quel punto, se davvero dovevamo creare questa nuova identità della Donna-che-provvede-economicamentealla famiglia. Per divenire la Donna Nuova, dovevamo prima capire la donna tradizionale, noi stesse. E le teorie della Mahler erano la chiave. E doveroso ricordare che, per molta parte degli anni Sessanta e Settanta, la maternità non fu un ruolo molto popolare. Eravamo entrate in competizione con gli uomini, e con le altre donne, in campo professionale, per l'attribuzione di compiti, e quindi dovevamo dimostrarci assertive, dure, tutti atteggiamenti che erano in contrasto con la maternità. Le teorie della Mahler si adattano perfettamente a quel periodo; l'idea della separazione emotiva era appetibile perché prometteva individualità, l'indipendenza, l'identità di cui avevamo bisogno mentre indossavamo i nostri Vestiti del Successo. Finché questa prima generazione di femministe lavoratrici rimase per conto proprio, single, le teorie della Mahler poterono essere osannate. Fu quando queste stesse donne decisero di diventare madri a loro volta che la teoria della separazione smise di funzionare. Con i bambini tra le braccia, non ne volevano più sapere di separazione; si sentirono subito attraversate da un sentimento di ricongiungimento con le proprie madri. "Allora, è per questo che lei non voleva lasciarmi andare! " (Permettimi di far notare che la Mahler non ha mai sostenuto che bisogna abbandonare le proprie madri; la separazione emotiva non equivale ad un divorzio dalla madre, e nemmeno ad un confronto diretto con. lei.) Questa unione, questo stato di beatitudine simbiotica che provavano con i loro figli: questo dunque voleva dire essere madri, la femminilità era tutta racchiusa lì dentro, non nella competizione o nella sessualità. "Appena ho visto mia figlia... e sentito tutto il bene che desideravo per lei", scrive una di queste donne anti-Mahler, "ho capito che qualunque cosa mia madre avesse fatto nel rapporto con me, lo aveva fatto per amore". (37) È impossibile. Nessuno ama in modo perfetto. Ogni aspettativa in questo senso, verso la propria madre o verso se stesse, è condannata in partenza. L'amore è imperfetto. La maggior parte delle madri fa del proprio meglio, ma nessuna è perfetta e nessuna dovrebbe chiedere a se stessa di esserlo. Immortalare la figura di nostra madre come un esempio di perfezione significa costruire un falso monumento, un modello impossibile da emulare. È una forma di condanna, perché all'interno di questa immagine idealizzata vengono seppellite le inevitabili imperfezioni della madre, piccole inumazioni che dissotterreremo e interiorizzeremo come forme di perdono per le sue "imperfezioni": vedi mamma, sono proprio come te, bisbetica, ipercritica, possessiva. Le donne che incolpano gli uomini di tutto ciò che non funziona nell'universo femminile, in realtà allestirebbero un mondo nuovo dai contorni spaventosi, in
cui tutto ciò che di negativo c'è nelle donne viene proiettato sugli uomini; noi siamo il bene/loro sono il male. Anche nel momento in cui le donne si trovano a competere con gli uomini e con altre donne nei luoghi di lavoro - il che è inevitabile - queste donne, le sante, negano di essere competitive. Solo gli uomini malvagi competono. E solo le donne sono capaci di amore. E così va avanti un piano di battaglia in cui si tenta di estorcere agli uomini quanto più potere economico e politico è possibile, e, allo stesso tempo, si tengono le figlie legate a doppio filo alle donne, appagate dal vivere in questa beata unità, perché la sola idea di riconoscere l'esistenza di sentimenti di rabbia e competitività con la mamma/le donne spaventa a morte. Le donne oggi non hanno bisogno di un uomo, non ne sentono l'esigenza, anche in una situazione di tipo familiare, come accadeva un tempo. Così sono tornate a scrivere libri contro l'idea di separarsi dalle proprie figlie, in cui accusano gli uomini di instillare questo concetto nella testa delle donne. "Ai fini del funzionamento del sistema patriarcale, la relazione cruciale da distruggere è quella tra madre e figlia", scrive Sharon Hite. "Le madri e le figlie non sono 'nemici naturali' in competizione per il padre, come pensava Freud, ma 'amiche naturali', vista la molteplicità di cose che le accomuna. Tuttavia, se questa relazione non venisse interrotta, il patriarcato non potrebbe continuare, dato che il potere non sarebbe più completamente nelle mani degli uomini."(38) Ciò che queste donne vogliono è il potere di controllo ultimo, da esercitare in un Mondo della Donna, un Matriarcato; e utilizzano l'odiata parola "separazione" come un maglio contro gli esclusi incattiviti, che indurrebbero le donne ad affrontare la rabbia che provano l'una verso l'altra, portando così distruzione in un mondo di donne dove non ci sono né padri né uomini. Frasi del tipo "Qualunque cosa mia madre abbia fatto con me, lo ha fatto per amore " danno ora la licenza alle nuove madri di riprodurre con le figlie lo stesso genere di rapporto che loro hanno avuto con la propria madre, un rapporto in cui si può dire che ogni cosa, buona o cattiva, è fatta nel segno dell'amore. È in questo modo che si tradisce la propria figlia. Non lasciandola andare, non offrendole uno spazio privato entro cui dare forma ai propri confini, la figlia non arriverà mai a conoscersi, a conoscere quel "qualcuno" che può amare, e non solo sentirne il bisogno. Proprio perché il tema di una separazione salutare è così difficile da liquidare, alcune donne tentano di combinare entrambe le modalità di rapporto; allora scrivono libri sugli "attaccamenti separati" e sull' "autonomia connessa", rendendo cosi ancora più impenetrabile la Giungla Semantica. In un mondo distruttivo come quello attuale, dove non c'è continuità, dove niente resiste e perdura nella connessione, l'atto di lasciare andare qualcuno appare ancora più doloroso. Temiamo per loro e anche per noi stesse, destinate alla solitudine. Tutte ragioni in più per accogliere le teorie sull'unione e la separazione della Mahler; un figlio può essere protetto solo per un breve periodo di tempo. Con il compimento del primo anno di età, il senso di sicurezza deve cominciare a venire dall'interno, un processo appreso di individuazione trasmesso al meglio dalle persone che amano il proprio figlio molto intensamente. Senza questo dono, il figlio, il futuro adulto, è in pericolo. Guardati dai biglietti d'auguri Hallmark che, ancora una volta, promuovono l'idealizzazione della maternità. Perché tu non sia portata a pensare che stia scrivendo nella veste di osservatore onnisciente, permettimi di aggiungere che, all'interno del mio primo matrimonio, costituivo l'esempio perfetto della donna allevata nell'assenza del senso di sicurezza interiorizzato riguardo alla propria identità di cui parla la Mahler, e che tentai di trovare nel rapporto con gli uomini quella simbiosi felice che non si era mai prodotta con mia madre. Se qualcuno avesse usato con me il linguaggio difficile della "separazione", sarei scoppiata in una risata sprezzante. Non ero giunta al matrimonio come la donna sola più autonoma e indipendente della città? Avevo mai permesso ad un uomo di pagare una sola lira del mio affitto? Ma, più di ogni altra cosa, con la mia vita sessuale avevo vinto il concorso di Miss Autonomia. Può non essere stato il primo uomo a cui mi consegnai, ma il mio precedente marito fu il primo con cui giocai "alla casa", facendo di lui il porto sicuro che non avevo mai avuto da bambina. Poiché rappresentava la madre che non avevo
mai avuto, una madre che adorasse me soltanto, quel matrimonio durò molto più a lungo di quel che avrebbe dovuto. Avevo creato l'Eden, e non potevo abbandonarlo facilmente. Non appena mi sposai il mio aspetto cominciò a mutare. Non fu semplicemente una questione di abiti dalla foggia più tradizionale e di capelli più accuratamente acconciati, che assunsero un aspetto più matronale senza che il mio pensiero conscio ne fosse minimamente sfiorato. Cominciai anche ad atteggiarmi in modo meno assertivo, le spalle non abbastanza indietro, il mento chino, che mi rendevano più simile ad una mite signora "perbene". Devo aggiungere che mio marito non era ostile a questo scenario; gli uomini possono sostenere e assumere pose virili, ma molti sono surrettiziamente alla ricerca anche di un'altra madre. Ed io, a mio modo, ero la buona madre con cui un uomo poteva desiderare di vivere. Acquistavo i suoi vestiti, preparavo le sue valigie e, quando il mio successo di scrittrice crebbe, deviavo gli elogi, riferendomi a lui come al "vero" scrittore di famiglia. "Perché non sfrutti il tuo successo su una scala più ampia?" mi chiese una volta un vecchio amico. Ma se mi fossi permessa di diventare più grande di mio marito, chi si sarebbe preso cura di me? Allora consegnavo nelle sue mani tutto il denaro che guadagnavo, in un primo tempo rifiutandomi addirittura di far comparire il mio nome sugli assegni. Era importante che lui assistesse allo spettacolo della mia esiguità e della mia dipendenza. Il fatto che alla fine divenni io il capofamiglia, dal punto di vista economico, non mutò mai il ritratto emotivo che avevo di me stessa come la bambina e di lui come la madre, anche se non mi sarei mai riconosciuta consciamente in questa descrizione. "Non ti stacca mai gli occhi di dosso! " commentavano con invidia le mie amiche. Stavo ottenendo ciò che avevo sempre voluto, una mamma. Ed effettivamente lui non guardava mai un'altra donna mentre eravamo insieme: ora mi accorgo che questo, più di ogni altro particolare, fu la prima caratteristica che mi convinse a sposarlo. Certo era attraente, simpatico, ed era un intellettuale, ma altri uomini sono dotati di queste qualità; no, quello che solo lui mi poteva offrire era qualcosa che avevo notato la prima volta che lo vidi mentre eravamo con altre persone. Avevo studiato il suo modo di tenersi così vicino alla sua donna, di non "guardare" mai veramente me od ogni altra donna. Finché non mi presentai. "Non soddisferà mai i tuoi desideri", mi ammonì l'uomo che stavo lasciando per lui. Come poteva capire quell'ex-amante che non era il sesso quello che andavo cercando nel matrimonio? Perfino io non l'avevo ancora capito. Sì, potevo soggiogare un uomo seducendolo, ma poi lui poteva guardarsi intorno e rispondere alla sensualità di un'altra donna. Ciò che chiedevo non era un uomo guidato da Eros, ma un uomo che avrebbe visto in me un premio, e mai e poi mai avrebbe guardato un'altra. "Come ti ho vinto?" mio marito si chiedeva in continuazione. Le cose non stavano così. Io lo scelsi. Lo scelsi sapendo che una volta che il suo sguardo si fosse posato su di me, vi sarebbe rimasto per sempre. Il nostro fu un matrimonio fatto di unione, in cui eravamo madre e bambino, attaccati, diffidenti verso i momenti di separazione; come una mano che accarezza l'altra, confortante ma non eccitante. Ricordo una sera in un ristorante, subito dopo sposati. Due uomini sedevano ad un tavolo vicino, chiacchierando, sorridendo, guardando verso di me. Ci ero abituata, finché non udii uno di loro che diceva: "Ne ha venti o quaranta? " Fu solo quando scrissi 'Mia madre, me stessa' che capii quanto il mio aspetto era cambiato dopo sposata; sicuramente aveva a che fare con un ricongiungimento inconscio con mia madre. Ugualmente terrificante fu il momento in cui mi resi conto che, con il matrimonio, avevo lasciato lungo la strada la ragazza piena di spirito che avevo costruito per me stessa, per contrastare l'invisibilità agli occhi di mia madre; da bambina avevo escogitato i miei trucchi per farmi vedere, prendere in braccio e amare. Con la velocità con cui avevo seppellito l'ansia che provavo all'interno della mia famiglia dietro la maschera sorridente di una bambina interessante, stavo ora seppellendo la persona che ero stata per tutta la vita dietro le sembianze di Sadie Sadie Married Lady, una donna dall'aspetto veramente teso.
Talune donne non hanno bisogno del matrimonio per trasformarsi nelle loro madri; ci guardiamo nello specchio, e vediamo comparire delle linee sottili, mentre le nostre labbra, un tempo carnose, si assottigliano; notiamo l'avanzamento dell'età che altri ancora non vedono, i cedimenti della pelle, le smagliature sulle cosce. Abbiamo solo venticinque anni, ancora giovani, figlie della mamma per sempre e mamme per sempre. 1.6 - Abbandonare l'idealizzazione della madre/delle donne. Scrivo per liberarmi della mia rabbia infantile, per sfuggire al passato così da avere più energia per amare nel presente. Ma quando lascerò questa scrivania e andrò nella stanza accanto, non ci vorrà molto prima che mi perda ancora in una di quelle foto ammalianti del romanzo familiare di mia madre. Non foto mie, perché non ve ne sono che ci ritraggono da bambini; come ho già detto, non esistono ritratti di mio padre e cosi ho adottato la famiglia di mia madre. Sono stata innamorata delle loro foto per tutta la vita; in questi momenti incorniciati sono tutti molto giovani, la mia bella nonna, che non ho mai conosciuto, e tutti i suoi figli, mia madre, le sue tre sorelle e suo fratello. Aggrappati al collo della loro madre come cuccioli, appoggiati al suo ginocchio nei loro soffici vestiti bianchi legati da ampie fasce, i nastri pendenti tra i capelli, un'aureola di calma assoluta che li circonda. Anche mio nonno, il patriarca alto e severo, partecipa a questa rappresentazione domestica, il suo bel capo inclinato verso il bambino piccolo vestito alla marinara che siede sulle sue ginocchia. Mi hanno raccontato che ci volle un giorno intero perché Bachrach immortalasse il romanzo della mia famiglia, più di trenta foto opache di una bella tonalità seppia raccolte in un prezioso album di pelle marrone chiaro, della grandezza di un tavolino da caffé. Da bambina facevo scorrere queste pagine con timore reverenziale, proiettando me stessa in ognuna delle stanze della grande casa in cui vivevano prima che mia nonna morisse e mio nonno perdesse i suoi averi con la Depressione. Finché è durato, dev'essere stato perfetto. Benché sapessi che non fu affatto perfetto. Mia nonna era una persona risoluta, che ragionava con la propria testa. Sulla mia scrivania c'è una foto di giornale sbiadita di lei in camiciotto d'artista, in piedi dietro al suo cavalletto, su cui si scorge il ritratto di mia zia, uno dei suoi quadri in mostra a quel tempo nella galleria della città. Mia zia racconta storie di cene a base di spaghetti nello studio in compagnia dei suoi amici "bohemiennes", mentre al piano di sotto mio nonno intratteneva i baroni dell'acciaio di Pittsburgh. Quanto la sua figura venne idealizzata dopo la morte non lo saprò mai, ma non è mai uscita dalle loro labbra una parola di critica. In un certo senso, desidererei che l'avessero fatto, almeno potrei riportarla al livello umano. Per quanto riguarda mio nonno, ebbene, lui era un dongiovanni, amava le belle donne e, quando le fiutava, le rincorreva e se le portava a letto. Successivamente alla morte di mia nonna, sposò soltanto donne accondiscendenti, o, perlomeno, la mansuetudine era il tratto che queste donne più volevano far credere di possedere. Siamo restii ad abbandonare i nostri romanzi familiari, e perché dovrebbe essere diversamente? Chi non preferirebbe credere nell'amore perfetto, nella devozione familiare trasmessa di generazione in generazione, in modo particolare ora, oggi che il mondo intero sembra cadere in pezzi, che nulla resta unito? Da un punto di vista strettamente intellettuale possiamo essere consci del fatto che non esiste nulla che corrisponda a quello che viene definito "istinto materno"; fu per noi un sollievo quando negli anni Settanta ci venne comunicato che le madri non amano automaticamente i propri figli quando essi vengono alla luce; che i sentimenti di una madre verso il proprio bambino diventano amore con il passare del tempo. Tuttavia, ci aggrappiamo alla promessa dell'amore della madre "naturale" con altrettanta tenacia con cui ci reggiamo stretti alla convinzione che un bambino nasce amando sua madre. Credi sia contraddittorio da parte mia continuare in quest'opera di demistificazione del romanzo familiare, anche quando cresce la mia nostalgia per un tempo più tranquillo e più dolce, per quanto solo nell'obiettivo di Bachrach? Non credo. Sono riuscita ad apprezzare veramente ciò che si trova dentro quelle cornici d'argento solo quando ho iniziato a scrivere. E come se, avviato il processo di comprensione e accettazione di ciò che realmente lega me e mia
madre, ad ogni libro, in un susseguirsi di sequenze, avessi scoperto che uno strato di idealizzazione veniva strappato via; e ogni volta venivo invariabilmente ricompensata con un frammento di realtà con cui arricchire la mia vita, pervasa da quel senso di gratitudine che le illusioni non potevano offrirmi. Ora posso scegliere di adottare solo quei tratti che di mia madre ammiro, guardare nello specchio e vedere qualcosa di lei che mi dà piacere, ascoltare la mia voce registrata e riconoscere la sua risata. Non voglio invece il suo sguardo ansioso, il suo tono sofferto al telefono. Scrivere mi ha insegnato che sarò in grado di imitare quello che di lei mi piace solo dopo essere riuscita a rinunciare alla fantasia dell'amore perfetto e alla rabbia infantile nei suoi confronti per il fatto di non avere incarnato quella perfezione. Fa tutto parte di questa questione della separazione, che in teoria si realizza nei primi anni infantili, ma che in realtà continua per tutta la vita. Abbandonare la madre, rinunciare all'idea di poterla cambiare, di essere amate da lei in modo ideale, dopo diventa un compito più arduo, ma mai privo di ricompense. E per questo che scrivo. Si dice che diventiamo come le nostre madri perché le amiamo. Ma allora per quale motivo assumere le caratteristiche di lei che meno ci piacevano? L'amore vero, genuino, richiede la presenza di due individui che scelgono consciamente di voler bene, non per bisogno o per paura, ma a partire dalla sensazione che questa persona "altra" da noi espande il nostro mondo, invece che renderlo semplicemente sicuro. E ancora attuale il vecchio adagio secondo cui un uomo dovrebbe dare prima un'occhiata attenta alla futura suocera, perché è esattamente così che diventerà la sua giovane e graziosa moglie? Dato che la vita delle donne di oggi appare differente, che noi andiamo in ufficio mentre nostra madre restava a casa, il che implica che vestiamo in modo diverso, ci comportiamo in modo diverso da lei, insomma dato che queste cose relativamente semplici sono cambiate, allora pensiamo che non diventeremo mai come lei. Non sottostimare il potere di quella prima relazione. Soltanto una figlia cresciuta con un senso solido della propria identità, amorevolmente incoraggiata a trovarlo e ad adottarlo, si trasformerà in una donna che può guardare in un pezzo di vetro che riflette la sua immagine senza essere critica. Questa donna può dire alla persona adulta che ama "Non posso vivere senza di te", e non intendere che morirebbe senza di lui, ma semplicemente che la sua vita ne risulterebbe diminuita. Mia nonna, in piedi accanto al suo cavalletto, non era un "angelo del focolare", ma esibiva, come tutte le donne del suo tempo, quello sguardo distinto fatto di dolce condiscendenza che veniva richiesto ad una moglie e ad una madre; nondimeno, dev'esserne stata irritata. Il suo è uno sguardo di affascinante rassegnazione, lo stesso esibito da mia madre fino a poco tempo fa. L'ha abbandonato o è la mia visione di lei che è mutata? Diventare scrittrice mi ha permesso di vederla anche come donna e non solo come madre. Solo quando ho imparato a smettere di volere con lei una relazione infantile idealizzata, l'alone che la proteggeva dalla mia rabbia ha potuto dissolversi. Non mi è mai apparsa migliore. L'idealizzazione di cui sono state oggetto le donne non corrisponde più, neanche lontanamente, a come viviamo, a cosa facciamo o a come appariamo. Oggi, il lavoro concorre in larga parte a definire come appariamo al mondo esterno. E come se non fossimo mai passate attraverso il romanzo familiare, in cui, per un lungo periodo, alla madre si richiedeva di crescere da sola i propri figli. Abbiamo potuto permetterci il lusso della famiglia moderna solo negli ultimi secoli. Nel giornale di questa mattina si racconta la storia di un cimitero di neonati recentemente portato alla luce a Roma. Secondo l'archeologo responsabile degli scavi, nell'antica Roma era prassi comune abbandonare senza cerimonie funebri i corpi dei neonati morti, che, in quella cultura, non erano considerati "membri della famiglia a tutti gli effetti e se morivano non dovevano essere compianti più di tanto".(39) Trecento o quattrocento anni fa, l'"istinto materno" era un lusso che pochi potevano permettersi. Una famiglia costituiva un'unità di lavoro basata sulla sopravvivenza, in cui i bambini erano utili solo se vivevano abbastanza per lavorare la terra o tessere vestiti. Fino al diciassettesimo secolo, l'infanzia, o il concetto di essa, non è letteralmente esistita, così come non è esistita la
figura del figlio; la parola era usata solo per esprimere il rapporto di parentela. "Di tutti gli aspetti che differenziano l'età medioevale dall'epoca moderna", scriveva Barbara Tuchman, "nessuno colpisce maggiormente della relativa assenza di interesse per i bambini."(40) Nelle opere artistiche di epoca medioevale i bambini venivano ritratti come adulti in miniatura, nani dall'espressione e dalla muscolatura identica a quella delle figure più alte e vecchie presenti nel quadro. Nel mondo medioevale, i bambini, appena erano in grado di fare a meno delle madri, entravano immediatamente a far parte della comunità adulta.(41) Dato che la vita era legata ad un filo sottile e la morte di neonati e bambini costituiva un fatto comune, gli adulti non potevano permettersi di investire emotivamente su di loro. La prassi era quella di mettere al mondo il maggior numero possibile di figli nella speranza che parte di loro sopravvivesse per contribuire al sostentamento familiare. Il punto di svolta venne con l'opera di moralizzazione della società iniziata nel quindicesimo secolo, capitanata da uomini di chiesa, avvocati e studiosi, che insegnarono che i genitori erano da considerarsi "responsabili davanti a Dio delle anime e anche dei corpi dei loro figli... L'attenzione impiegata nell'allevamento dei figli fece nascere sentimenti nuovi, un atteggiamento emotivo nuovo, espressi in modo ossessivo e brillante dall'iconografia seicentesca: il concetto moderno della famiglia". (42) I nostri antenati cominciarono ad apparire quelle persone moralmente responsabili che siamo abituati a vedere nei ritratti degli anni successivi, dovendo le proprie "sembianze" virtuose al ruolo rispettato che conferiva loro un'identità. E interessante il fatto che fu la carta stampata, la letteratura, dice Neil Postman, a "darci il senso di noi stessi in quanto individui unici, su cui riflettere e di cui parlare. E questo aumento del senso di sé fu il seme che alla fine condusse al fiorire dell'infanzia".(43) Non accadde in una notte. Nel diciottesimo secolo le madri avevano ancora l'abitudine di abbandonare i propri figli negli orfanotrofi e di affidare alle balie i propri neonati da svezzare, anche se così le loro possibilità di sopravvivenza erano dimezzate. Ci sarebbe voluto l'impulso economico della Rivoluzione Industriale per produrre le condizioni per il mantenimento della famiglia moderna così come noi la conosciamo. Finché il lavoro umano non si trasferì dalla casa e dai campi alla fabbrica e alla sfera pubblica, non esistette alcun concetto di sfera domestica come ambito separato. Solo allora poté nascere l'idea per cui il compito primario di una donna era di crescere i figli da sola, nella propria casa, mantenuta economicamente da un uomo il cui obiettivo era di guadagnare quanto più denaro era possibile per fornire alloggio, cibo e vestiario alla sua famiglia. E così che nacque il Buon Capofamiglia, che, entro poco tempo, andò a costituire la definizione ampiamente accettata di "virilità". Egli era riconoscibile a partire dalle apparenze della propria famiglia, che "indossava" il suo successo. Il romanzo familiare era un lusso. Con quanta più abbondanza l'uomo assolveva ai suoi doveri di capofamiglia, più grandi erano la sicurezza e la statura dì cui godeva il nucleo familiare in seno alla comunità. Un uomo del diciottesimo secolo si aspettava dal proprio "angelo del focolare", sua moglie, una santità che pareva assolverlo dalla sporcizia e dalla corruzione che sempre più spesso incontrava sulla strada dei Grandi Affari. La vacuità osservabile nei ritratti dei visi femminili attestava l'asessualità di queste donne, un certo loro autocompiacimento nell'essere arrivate ad occupare l'unica posizione cui una donna era concesso di aspirare. In un certo qual modo, questi giovani adulti ritratti in dipinti centenari ricordano, per la posizione del mento e l'atteggiamento di auto-soddisfazione, l'aspetto dei genitori giovani degli anni Cinquanta, quando sposarsi il giorno della laurea rappresentava un obiettivo diffuso. Scomparsa la sessualità adolescenziale e impaziente che risaltava dalle foto della scuola superiore, scattate solo un anno prima, al suo posto era visibile una matrona giovane e graziosa. Era così che accadeva, così che si appariva; è ancora così in molte comunità. Né è mia intenzione volgarizzare questo fenomeno; in un mondo in cui le donne non disponevano di ricchezza alcuna, rimanere nubili troppo a lungo era rischioso; apparire "diversa" da tutte le brave ragazze sposate, faceva sì che una donna di venticinque anni si
guardasse allo specchio cercando conferma del fatto di essere ancora abbastanza carina per trovare marito, prima che fosse troppo tardi. L'idealizzazione della figura della madre e del rapporto con i figli diede alla donna un senso di potere e di comunità, in contrapposizione agli uomini che controllavano il potere reale, l'economia. Ma l'operazione con cui le donne vennero issate su un piedistallo raggiunse un altro obiettivo, non privo di importanza: la Madonna veniva de-sessualizzata, il che implicava il fatto che al solo prezzo di giocarsi una compagna di giochi sessuali, un uomo poteva stare in pace chiuso nel suo ufficio, lontano da casa, dove non gli era possibile controllare i movimenti della propria donna, esponente di quel sesso indegno di fiducia, risaputamente guidato, nella sua scostumatezza, da una lussuria insaziabile, a meno che non venisse neutralizzato. Certo, questo può aver comportato ritrovarsi a casa con una partner sessualmente spenta, ma garantiva la cura gratuita dei figli, una donna di servizio e, inoltre, c'erano sempre delle poco di buono vogliose, sgualdrine pronte a fare del sesso veramente eccitante. Le Donne Facili dei film degli anni Cinquanta - mi vengono in mente Gloria Graham, Marilyn Monroe, Jane Russell - erano distinguibili a prima vista dalle brave ragazze alla June Allyson. Rossetto rosso sangue, reggiseno a punta (come lo chiamava mia madre), gonne attillate e occhi che spogliavano gli uomini con lo sguardo, questi erano i segnali esteriori per le donne che non cullavano bambini. E, naturalmente, gli uomini che correvano dietro a queste donne, come Robert Mitchum, non avevano l'aspetto dei Patriarchi. L'economia della Società Patriarcale dettava la struttura del romanzo familiare. La netta divisione del lavoro separava un uomo dal proprio figlio nella nursery; dopo tutto, non esisteva un concetto chiamato "istinto paterno", e non se ne sentiva nemmeno l'esigenza. Fino ad ora. Ora, l'uscita delle donne dalle mura domestiche e il loro ingresso nei luoghi di lavoro ha dato il via alla Nuova Economia, lasciando un vuoto nella camera dei bambini. I ruoli femminili si sono evoluti a tal punto da includere praticamente ogni cosa un uomo possa fare. Questo implica che anche i ruoli maschili potrebbero seguire un'evoluzione nella direzione di un arricchimento delle loro vite e di quelle dei loro figli. Sono numerose le donne a non potersi permettere il lusso di essere una Madonna, o a non averne l'inclinazione, per quanto molte morirebbero piuttosto che cedere il loro posto tradizionale ad un uomo; in un certo senso, significa perdere la definizione più fidata di ciò che una donna è. E non pensare che siano solo le donne a voler tenere gli uomini lontani dalla nursery. Diversamente dal caso del fenomenale ingresso delle donne nel duro e consolidato mondo degli affari, a molti uomini l'idea di un loro trasferimento in un terreno tradizionalmente femminile suona come un'abdicazione; un esercito di donnicciole che rinunciano al loro ruolo di uomini veri, contribuendo così ad indebolire ulteriormente la granitica immagine del Vero Uomo. Nel corso di un discorso rivolto ai propri compagni di partito, il candidato repubblicano alla carica di Governatore del Minnesota proclamò che gli uomini avevano una "predisposizione genetica" per essere a capo della famiglia, ovviamente volendo con ciò intendere che la "predisposizione genetica" delle donne è quella di sempre, ossia di allevatrice di figli.(44) Con un tocco più lieve, ma andando sempre a toccare lo stesso tasto, un uomo, in un articolo pubblicato su una rivista intitolato "Padre Samurai", afferma: "Che sia in forma sottile, ostentata, bonaria, aspra, o assolutamente chiassosa, un uomo deve fare lo sbruffone. Ma, signori, vi faccio presente che non è materialmente possibile fare gli sbruffoni con un bimbo roseo addormentato, appeso al vostro torace. Proprio non potete fare gli spacconi in una situazione come quella".(45) L'idealizzazione del romanzo familiare moderno raggiunse il suo pieno fulgore negli anni Cinquanta. I vestiti simili di madre e figlia catturavano l'attenzione: siamo una cosa sola; e in quel quadro grazioso si poteva leggere il fatto che la madre aveva dedicato la propria vita alla sua piccola che, a sua volta, sarebbe cresciuta e avrebbe replicato l'esistenza materna con la propria figlia. Quei vestiti uguali non sono mai stati un'idea salutare, specialmente per la figlia, per la quale i segni esteriori rappresentavano una conferma di ciò che sentiva interiormente, e cioè che non era una creatura irripetibile ma un doppio della mamma. Ci fu un periodo, circa venticinque anni fa, con l'inizio degli anni Settanta, in cui le donne concentrarono aggressivamente la loro
attenzione sul lavoro, e questi vestiti da gemelli siamesi furono messi in naftalina. Ora sono tornati. Le riviste femminili abbondano di foto di ragazzine vestite in modo tale da assomigliare alla propria madre, o forse è la donna che si è stancata di chiedere posti di lavoro e desidera tornare ad apparire adorabile, dipendente e innocente? Molte donne hanno ottenuto dal lavoro meno gratificazioni di quelle che avevano sperato; tra queste, chi può permetterselo dal punto di vista economico, sceglie di tornare a stare a casa, ma quella che rientra nella nursery è una donna nuova, che ha alle spalle un periodo di lavoro. Porta con sé un telefono cellulare e un piglio competitivo che naturalmente influisce sul suo comportamento di custode degli affetti; sul Wall Street Journal è recentemente apparso un articolo sulle mamme di ritorno, che gestivano i loro turni automobilistici per la scuola, la loro partecipazione alle associazioni genitori-insegnanti e le infornate di biscotti con lo stesso zelo combattivo che avevano esibito in precedenza nelle riunioni di lavoro. Le donne sono delle esperte in fatto di competitività, anche quando dicono di odiare la parola. Comunque appaia la nuova nursery, non è quella degli anni Cinquanta. La risposta alla domanda, un tempo divertente, che circolava nei club riservati agli uomini, ovvero: "Che cosa vogliono le donne?", è chiaramente: "Tutto". Perché allora gli uomini sono così silenziosi, apparentemente immobili dinanzi alle accuse montanti da parte femminile, per cui essi sono ritenuti responsabili di tutti i mali delle donne? La migliore strategia adottata dagli uomini sembra essere quella di sedersi e di rifiutarsi di affrontare le donne; chiusi nel loro silenzio, gli uomini stanno facendo affidamento sulla tradizione dello stoicismo maschile. La Guerra Tra Uomini e Donne imperversa enessuno ne soffre più dei bambini. Sono stata accusata da femministe matriarcali arrabbiate di essere troppo indulgente nei confronti degli uomini, troppo innamorata di loro e, di conseguenza, non simpatetica rispetto ai tempi duri che le donne stanno attraversando. Non intendo mostrare le mie credenziali femministe; i miei libri parlano da soli. Non mi illumino per tutti gli uomini, ma se c'è una luce alla mia finestra, è stata accesa in loro onore per tutta la mia vita. Quando cresci senza un padre, non smetti mai di avere fame di uomini. E alcuni uomini non smettono mai di sentire la mancanza di una parte di se stessi, il loro lato femminile gettato a mare anni prima, quando si affermò una definizione ristretta della mascolinità. Proprio come io ho imparato a reprimere il mio lato aggressivo, schietto, questi uomini hanno soffocato la loro "dolcezza" nelle tattiche da spacconi o nel silenzio. La paternità potrebbe rappresentare un'occasione per riguadagnare il loro io compassionevole. Non tutti gli uomini nascono con l'attitudine a prendersi cura degli altri, ma nemmeno tutte le donne. Tuttavia, ci aspettiamo che le donne diventino automaticamente materne appena danno alla luce un bambino e che gli uomini siano dei bravi capifamiglia. Ebbene, i luoghi di lavoro sono sovraffollati e le nursery sono troppo vuote. E ora di rimescolare le carte e di redistribuire i compiti, ciascuno impegnato in quello che sa fare meglio con il proprio figlio, la prima priorità. Per quanto afflitte da un superlavoro, le donne non consegneranno facilmente il ruolo di cura. E benché molte lo neghino con veemenza, a qualche livello sono consapevoli del fatto che chi genera e alleva la specie umana gioca il ruolo più potente di tutta la storia dell'umanità. La prospettiva di concedere la parità agli uomini nella cura dei figli, di vedere alcuni di loro eseguire il "lavoro delle donne" altrettanto bene, è intollerabile. Senza premeditazione - e io non credo che si possa parlare di una segreta strategia messa in atto consciamente - si impiega la più antica e la più infallibile delle tattiche per assicurare il monopolio delle donne su ciò che è sempre stato una loro prerogativa: idealizzarle. Tenere la donna su quel piedistallo con un bambino tra le braccia; negare l'esistenza di sentimenti negativi e di competizione tra le donne e incolpare gli uomini per tutto quello che nel mondo va storto. La nursery può ancora essere un terreno femminile, ma intravedo una speranza per i figli privati del padre in un settore improbabile: l'emergere del "difensore" donna, conosciuto anche come il killer aziendale. Prendi ad esempio la storia
riportata dai giornali di questa mattina, il profilo di una donna spropositatamente chiassosa, aggressiva, di grande successo nel settore editoriale. Se una donna può darsi al lavoro sporco, normalmente territorio di caccia degli uomini più sanguinari e venali, allora dobbiamo essere disposte ad accettare il corollario per cui un padre può prendersi cura dei figli con la stessa abilità di una donna. Quando queste virago ottengono cariche politiche, assistiamo al loro spadroneggiare, alle loro prepotenze, alle loro iniziative distruttive, perfino ai loro richiami degli eserciti in guerra. In breve, agiscono come uomini. Ho accolto con favore il libro di Christina Hoff Sommers 'Who Stole Feminism?', per il suo schedario criminale di donne che si sono ingrandite in aree redditizie aprendosi la strada con metodi scellerati, che ora controllano con tanto senso di onnipotenza quanto potrebbe fare un dittatore maschio. Questa è la vita di oggi. "Operazioni segrete", "sporchi trucchi", "menzogne", "operazioni di disinformazione", sono tutti termini familiari appartenenti al mondo degli Uomini Malvagi, e che oggi si attagliano perfettamente al femminismo moderno. E un sollievo avere donne che mostrano le nefandezze di altre donne. Il libro della Sommers ha spalancato una finestra, purificando un po' l'aria con una raffica di ricerca eccellente sulla sacra Sorellanza; per rappresaglia, le "sorelle" hanno condotto una campagna finalizzata a cancellare la programmazione delle sue apparizioni nei vari talk shows televisivi per promuovere il libro. Ed ecco poi apparire un fiume di film horror che vedono protagoniste le mamme, film che dubito avrebbero trovato un loro pubblico dieci anni fa. In "Serial Mum" Kathleen Turner provoca sonore risate per il fatto di uccidere persone che non riciclano la propria spazzatura, e Roseanne, che secondo il New Yorker avrebbe detto "penso che le donne dovrebbero essere più violente, eliminare un numero maggiore di mariti",(46) beh, dai milioni di dollari che guadagna è evidente che mezza America riconosce se stessa o la propria moglie/madre nei panni di una mamma collerica/chiassosa e aggressiva. Presa dagli spasimi dello scandalo dai contorni oscuri che la vede coinvolta, il Whitewater, Hillary Clinton potrebbe essere l'ottima interprete di un film televisivo. Quel che è interessante è che, oggi, tutte queste energie sismiche coesistono senza suscitare grandi dibattiti pubblici. Sono pochi gli uomini a criticare le forze selvaggiamente contraddittorie che covano nell'universo femminista. Forse gli uomini pensano che le donne si autodistruggeranno. Forse temono queste gigantesse; spesso le temo anch'io. Ma la mia impazienza verso gli uomini sta crescendo; i loro figli sono in prima linea. "Dannazione", vorrei urlargli, "fate qualcosa!" Nessun ruolo reclama la presenza degli uomini quanto quello di un padre coivolto nella vita del proprio figlio dal momento del concepimento. Insicuri di essere all'altezza del compito, riluttanti ad interferire in assenza di un invito profondamente sentito proveniente dalla custode "naturale", gli uomini indugiano sulla soglia della nursery. Al giorno d'oggi, la vita cambia secondo una progressione geometrica. Chi, ad esempio, vent'anni fa, avrebbe immaginato che così tanti "papà stanchi morti" avrebbero piantato in asso le loro famiglie, o che un numero così elevato di donne, prima del concepimento, avrebbe deciso di lasciare gli uomini completamente fuori dalla vita dei loro figli? Una cosa influisce sull'altra. Il mio punto di vista è il seguente: dobbiamo metterci d'accordo su cosa è meglio per i figli, perché gli adulti sono presi nel flusso, apparentemente incapaci di controllare le relazioni che li legano gli uni agli altri, e la sola costante è rappresentata da ciò di cui i figli hanno bisogno nei primi anni di vita. La psicologa Penelope Leach - la risposta inglese a Spock e Berry Brazelton affronta l'argomento con estrema franchezza: "Neonati e bambini devono essere accuditi da adulti che si dedicano con devozione alla loro cura in ambienti adatti e per ventiquattro ore al giorno. La società richiede che tutte le persone in età lavorativa e fisicamente idonee ottengano il reddito di cui necessitano e la gratificazione cui aspirano facendo lavori specializzati e a tempo pieno, che si svolgono in luoghi particolari, distanti e poco salubri. La gente non ha il dono dell'ubiquità; dunque, una persona non può essere contemporaneamente un cittadino che compie il proprio dovere e si autostima e un genitore attivamente impegnato nel lavoro di cura".(47)
Nulla ha cambiato il corso della mia stessa vita più dell'assenza di mio padre, il mistero. Qualche volta penso a me stessa come alla prima bambina nata grazie alla Banca dello Sperma. Fu la deprivazione più duratura di cui abbia sofferto, un vuoto che, alternativamente, mi ha spinto in avanti per poi risucchiarmi indietro, sempre fuori equilibrio. E dato che lui era il Grande Segreto, io, docilmente, feci ciò che ogni bambino che voglia compiacere la sua mamma fa, scelsi di proteggere mia madre e il suo segreto. Ci sarebbero voluti anni, decenni, prima che osassi solamente pensare a lui. Scrivere libri mi permise di farlo, di pensare al Segreto, a quanto avevo sentito la sua mancanza, a come sarebbe stato avere avuto un padre. Un figlio esige la presenza di un uomo e di una donna che costruiscono la sua banca genetica, una madre e un padre che lo inoltrino al suo viaggio, no, non inoltrare, perché il bambino andrà comunque e andrà meglio e più lontano portandosi dentro l'amore incondizionato di entrambi i genitori. Un miraggio? Anche il lavoro delle donne era un miraggio. Le cose cambiano. Evoluzione. 1.7 - Gli uomini nella nursery. La decisione ultima sulla bellezza, il "verdetto di Paride", spetta alle donne, non agli uomini, che non ci osservano con lo stesso sguardo critico che ci riserva un'altra donna. Gli occhi femminili andranno alla ricerca di difetti che sappiamo essere là da qualche parte, qualcosa che non siamo mai riuscite ad individuare con la sufficiente chiarezza. Gli uomini non sanno come guardare, come guardare davvero. Non furono le valutazioni di un'altra donna a contenere i giudizi più severi della nostra vita? Non fu il suo occhio a non inviare mai il messaggio "Via, cara, sei perfetta così come sei!"? Ci fosse stato un padre all'inizio a riflettere la nostra immagine, oggi crederemmo alle parole degli uomini. Se le sue braccia ci avessero stretto, i suoi occhi fissi nei nostri mentre ci dava da mangiare, se le sue mani ci avessero lavato, se la sua voce avesse cantato per noi o gridato in tono di rimprovero così che l'avremmo visto buono e cattivo insieme, adesso gli occhi degli uomini potrebbero davvero essere i nostri specchi fidati. "Per chi si vestono le donne?" Hai mai avuto dubbi sulla risposta? Senza un padre nella nursery, gli occhi della madre e, in futuro, delle altre donne, diventano onnipotenti. Se lei non ha veduto qualcosa da apprezzare in noi, i lineamenti del volto, i riccioli dei capelli, la lunghezza del busto, ci siamo sentite inadeguate, peggio, invisibili di fronte al suo mondo, che era poi il mondo. Era il suo totale controllo sulla nostra prima infanzia, guardata a vista dal suo occhio onnipresente - non diversamente da quei sensori ottici messi a guardia di una casa, che vedono ogni cosa -, era il suo potere di andare e venire a volontà, di nutrirci, di scaldarci, o di non farlo. Unite simbioticamente a lei, finiamo con l'interiorizzarne l'occhio, con il portare con noi tutti i suoi giudizi. Il suo senso del giusto e dello sbagliato diviene la nostra stessa coscienza. Quando alla fine ci uniamo al mondo delle Altre Ragazze, i loro occhi saranno i depositari delle verità femminili sulla bellezza, così come su tutto il resto, perché le altre donne prendono il posto della madre nello specchio. I loro occhi ci seguono, ci controllano e ci giudicano. Quando le Ragazze ci lasciano in disparte, quando sussurrano tra loro e ci guardano in modo critico, i loro sguardi sono come una lama: ci dev'essere qualcosa di terribilmente sbagliato in noi, qualcosa che va oltre il nostro aspetto fisico per colpirci proprio al cuore del nostro essere. Siamo terrorizzate all'idea di essere escluse dallo Sguardo del Gruppo, un'esperienza che ci disorienta come quando nostra madre non si accorgeva di noi. "Abbiamo detto spesso che la donna si vestiva per provocare la gelosia di altre donne", sottolineava Simone De Beauvoir, "effettivamente questa gelosia è un chiaro segno di successo."(48) In mancanza di occhi maschili che hanno abitato la nostra infanzia, impariamo la certezza della tirannia della bellezza dalle altre donne, un punto di svantaggio che non possiamo più permetterci. L'accesso delle donne al mercato del lavoro è il più grande "cambiamento d'immagine" nella storia delle donne e, in seconda battuta, anche nella storia degli uomini. Ovviamente, l'immagine di noi stesse, come la nostra autostima,va oltre il quadro di superficie, per comprendere ciò che facciamo, come agiamo, quello che pensiamo di noi stesse e come ci vediamo, sia a livello conscio che a livello inconscio. Passando dalle mura domestiche a relazioni più complesse con gli
uomini, quanto più a fuoco sarebbe l'immagine che abbiamo di noi stesse se un uomo, insieme a nostra madre, ci avesse allevato, fin dall'inizio. C'è bisogno che aggiunga quanto sarebbe d'aiuto anche per gli uomini avere accanto un altro uomo fin dal principio, occhi maschili uniti ad occhi femminili in cui specchiarsi e scoprirsi amati? L'allevamento dei figli ad opera di un solo sesso non ha mai rappresentato una soluzione perfetta, ma è rimasta inviolata rispetto alle trasformazioni che hanno investito la sfera lavorativa, in passato di esclusivo dominio maschile. Quasi al momento opportuno, la Nuova Paternità - come era intitolata una storia nella rivista Time - ha guadagnato in potenza vocale. Sfortunatamente, non si tratta di una rivoluzione trasversale ai sessi e alle culture, come quella operata dal femminismo. Chi poteva controargomentare rispetto all'affermazione che le donne avevano diritto ad un pari salario? Questo esercito della Paternità rimane prevalentemente sulla carta, un filone di ricerca visitato da psicologi, psichiatri, professionisti delle cure infantili, scrittori, padri, e, sì, grazie a Dio, anche da qualche donna. Il giusto è dalla loro parte, ma l'opinione e il sentimento pubblici di massa sono contro di loro. Perché non si pensa che avere gli uomini nella nursery sia "giusto" quanto avere le donne nei luoghi di lavoro? Esiste una biblioteca sterminata su ciò che sappiamo i padri apportano alle vite dei loro figli, e sta conoscendo un grande sviluppo. Iniziamo con il nonno Spock, che riassunse così il suo parere del 1933 "... agli uomini... viene la pelle d'oca alla sola idea di aiutare a curare i bambini piccoli" per arrivare nel 1993 a leggere "Il padre -ogni padre - dovrebbe condividere con la madre la cura quotidiana del bambino dalla nascita in poi... Questo per un padre è il modo più naturale per iniziare ad entrare in relazione con lui, così come lo è per la madre".(49) Sappiamo da studi scientifici che i padri, proprio come le madri, hanno delle fantasie circa i loro futuri figli, che hanno nausee mattutine, che oggi il 90% di loro è presente in sala parto al momento in cui il bambino nasce, che si esaltano nel momento in cui ricevono i propri neonati tra le braccia, che sono in grado di dare il biberon ai bambini con la stessa efficienza ed efficacia delle madri, indipendentemente da quanta esperienza abbiano di neonati; sappiamo anche che i padri trovano i propri figli più belli di ogni altro, che li vedono perfetti, che si sentono magneticamente attratti dai "loro" bambini, che gli uomini parlano ai neonati automaticamente in falsetto, senza che gli sia stato detto che i bambini piccoli rispondono alle voci dal tono più alto rispetto a quelle più basse.(50) Lo psicologo Michael Lamb afferma che "contrariamente a quanto implicato dalla nozione di istinto materno, le abilità parentali si apprendono normalmente sul campo".(51) E per quanto riguarda i padri, "si sentono diversi, trascinati, sopraffatti dai loro sentimenti, la loro autostima enormemente accresciuta", dice lo psichiatra Martin Greenberg. Naturalmente ci sono alcuni padri che non possono o non vogliono sviluppare una relazione stretta con i loro bambini, come d'altronde sono sempre esistite le madri incapaci o non desiderose di accudire i propri figli. Semplicemente ci rifiutiamo di abbandonare il nostro sogno dell'"istinto materno", della madre idealizzata. Una volta che sappiamo quali benefici può apportare un padre alla vita dei suoi figli, perché non capovolgiamo l'ordine della cose e non diamo per assodato che ai padri venga richiesto un coinvolgimento nella cura del proprio bambino che sia pari a quello della madre? Perché la società non si affretta a tradurre in pratica comune ciò che è stato provato nella ricerca scientifica, e cioè che bambini e padri si scambiano l'un l'altro un pezzo mancante del puzzle della loro vita? Ricordo la prima volta che ho sentito parlare di donne che decidevano di avere figli da sole, intenzionalmente, senza che un padre venisse coinvolto nella vita del figlio. Era da poco primavera, più o meno quindici anni fa, ero seduta in cucina a bere un caffè e a leggere il giornale, quando notai un articolo a piena pagina con foto di donne che reggevano i propri bambini. Pensai che fosse una storia d'amore e mi ci buttai a capofitto. Non ricordo se ne uscii più scioccata o confusa. Mi chiesi perché una donna volesse fare questo a un bambino e perché mai il New York Times desse spazio ad un articolo simile, come se fosse semplicemente una storia familiare tra le
tante. L'impressione che mi fece quell'articolo non è mai diminuita. Nonostante fosse mattina presto telefonai ad un'amica, una psicoterapeuta, normalmente così equilibrata nei giudizi che fui sconcertata dalla sua risposta tranquilla. "Oh, certo, ho parecchie pazienti che hanno deciso di fare la stessa cosa." Così quando non giunse alcuna reazione dall'altra parte del filo, aggiunse: "Nancy, le donne hanno diritto ad avere bambini". "Ma i figli non hanno diritto ad avere un padre?", mi scappò detto, una cosa che ripetevo spesso finché non imparai a tenere a freno la lingua quando alcune delle mie amiche più care optarono per la stessa scelta, ormai sempre più popolare. Anche quando nella famiglia sono presenti dei padri, si assiste ad un meccanismo di resistenza più granitica relativo all'ingresso degli uomini nella nursery di quello in atto nei confronti delle donne nei luoghi di lavoro: avvicinare un uomo e il suo bambino ha una portata molto più rivoluzionaria. In un mondo che perde continuamente i suoi punti fermi, riusciamo ad accettare più facilmente la presenza di una donna a capo di una riunione di lavoro dell'immagine di suo marito a casa, mentre tiene il bambino tra le braccia, i loro occhi incatenati in un Mutuo Sguardo. Perché riusciamo a guardare un travestito con più equilibrio di quanto ce ne susciti l'immagine di un padre che cambia i pannolini nel bagno degli uomini, o che lascia per un anno il proprio lavoro per stare con il figlio appena nato? Gli uomini questo lo sanno. "La società invia agli uomini un doppio messaggio", sostiene lo psicologo Jerrold Lee Shapiro, padre di due figli e autore di tre libri sulla paternità. "Il primo è: noi vogliamo che tu sia coinvolto, tuttavia sarai una madre inadeguata. Il secondo è: sei invitato in sala parto e a seguire il processo di allevamento - ma non ti vogliamo con tutto te stesso. Vogliamo solo il tuo supporto. Come cultura non siamo affatto pronti ad accettare i timori degli uomini, la loro rabbia, o la loro tristezza. Queste sono le cose che minano l'equilibrio degli uomini. Vogliamo che essi proteggano e mantengano economicamente la propria famiglia, ma abbiamo paura che smettano di farlo una volta diventati teneri." (52) Anche se la madre non è presente che a metà tempo, o se fare la madre non le piace quanto lavorare fuori casa, e/o non ne è capace, la nursery rimane il territorio inviolato delle donne. Se il bambino piccolo risponderà al padre con lo stesso automatismo e la stessa amorevolezza che riserva alla madre, allora chi sarà lei, dato che in quasi tutte le culture la definizione di femminilità coincide con quella di "colei che si prende cura della prole"? I cambiamenti a livello profondo, inconscio, quelli implicanti i sentimenti istintivi che ci sono stati trasmessi dai nostri genitori, che a loro volta ereditarono dai propri, avvengono nel corso di generazioni, se realmente avvengono. Innanzi tutto, prima che l'inconscio muti, devono cambiare gli atteggiamenti e i comportamenti, le parole dette, gli atti ripetuti. Riesci a pensare a qualcosa di più profondamente radicato dell'attribuzione della competenza esclusiva per l'allevamento dei bambini alle donne, che sono dotate di utero, seno, di tutto l'equipaggiamento necessario? Anche se l'immagine degli uomini che crescono i propri figli non sembra appropriata da un punto di vista intellettuale, anche se sfigura nella nuvoletta da fumetto posta sopra le nostre teste, dobbiamo tenercela stretta; perché alla fine evolverà una nuova immagine, in cui l'uomo che nutre e tiene in braccio un bambino sembrerà altrettanto appropriato e rassicurante della donna al lavoro in un ufficio. Una quindicina di anni fa, in un'intervista con Berry Brazelton, ricordo di avergli domandato: "Come faremo ad avere più uomini nella nursery, vista la riluttanza femminile a riconoscere loro un ruolo alla pari nella cura dei figli, la tendenza a considerarli più che altro dei luogotenenti?" "Devi dirlo in continuazione e ad alta voce", replicò. Bene, dobbiamo parlarne insistentemente, fino a quando quella profonda, nontanto-inconscia immagine di uomo non muti, facendo posto alle dimensioni della cura e dell'empatia. E se non riusciamo ad accettarla, teniamo conto del fatto che gli studi suggeriscono che gli uomini che vengono coinvolti nelle cure infantili dei propri figli hanno minori possibilità di divenire dei futuri abusanti. Oggi il 27% di tutti i bambini vive senza avere accanto il proprio padre biologico - contro il 12% del 1970 (53). "Anche nella famiglia a un solo
genitore più perfetta", sostiene la presidente dell'ASECT Judith Seifer, "non c'è alcun modo per far sì che un bambino cresca altrettanto ben attrezzato per andare nel mondo ed essere adulto, come avviene in una famiglia a due genitori. E una decisione estremamente egoistica quella di scegliere - da parte di una donna o di un uomo - di essere un genitore single." In un rapporto diffuso nel 1994, si notava che "quasi un quarto di tutti i neonati e i bambini piccoli americani vive sotto la soglia della povertà..., che i figli che crescono all'interno di famiglie ad un solo genitore... sono più a rischio per problemi comportamentali e di carattere emotivo"; che prove scientifiche crescenti indicano che l'ambiente in cui vivono i bambini, dalla nascita ai tre anni, contribuisce a determinare la struttura cerebrale e le potenzialità di apprendimento (54). La componente più forte che si frappone tra gli uomini e una loro condivisione paritetica della responsabilità morale nell'allevamento dei figli, è il rifiuto invisibile, ma impermeabile, che noi tutte proviamo a rinunciare all'immagine di padre/uomo inflessibile, tenace. Nessuno, dice ad una donna: "Fai vedere che sei una donna". Nate femmine, il nostro genere ci definisce una volta per tutte. Ma per gli uomini, l'atto di dimostrare la propria virilità è un'esperienza che li accompagna per tutta la vita, nel senso che si giocano quel titolo ogni volta che non raggiungono una meta, che non stringono i denti o non portano a casa il pane. Gli uomini sono pienamente consapevoli di come la ssocietà guarda al padre che si avvale dei permessi di congedo parentale previsti dall'azienda in cui lavora. I suoi colleghi possono battergli una mano sulla spalla e dirgli che fa una buona cosa, ma sussiste la credenza implicita che un uomo che abbandona il posto di lavoro, anche se per curare il proprio figlio, non è un vero uomo. I suoi colleghi non rabbrividiranno all'idea che, da quel momento in poi, dovranno accollarsi la responsabilità del suo lavoro, e, tra i sottoposti nella gerarchia aziendale, si scatenerà una battaglia per la sua scrivania. Proprio perché non coincide con le nostre esperienze infantili - un uomo che nutre un neonato con il biberon posto alla stessa distanza dagli occhi paterni, come lo sarebbe il seno materno (se il seno fosse lì, e invece la madre siede ad una scrivania d'ufficio, per mantenere la famiglia) - noi riusciamo ad accettare molto più facilmente l'idea della donna che lavora, di quanto possiamo convivere con l'immagine di questo uomo dallo sguardo tenero. Dobbiamo riconoscere la nostra riluttanza a separarci dall'immagine dell'Uomo Conquistatore, prima che qualsiasi cosa possa accadere e mutare finalmente l'aspetto di una nursery che ha problemi di carenza di personale. Le pressioni non-tanto-inconsce per tenere gli uomini alla larga dal "lavoro delle donne", stanno riportando la vittoria in una contesa che vede i bambini e, per estensione, la società, privati di diritti fondamentali. Il mondo competitivo dell'azienda, così com'è strutturato ora, non tollera nel modo più assoluto i congedi parentali, specialmente quelli maschili. "I discorsi che [i padri] sentono da parte dei datori di lavoro, delle istituzioni, della cultura che li circonda, perfino da parte dello loro stesse mogli", recita un articolo sulla paternità comparso su Time, "molto spesso si riducono ad un messaggio dagli effetti devastanti: noi non ci fidiamo fino in fondo degli uomini come genitori, e non sentiamo realmente la necessità che lo facciano."(55) È davvero sorprendente che la cultura d'impresa si scontri con il concetto di permesso familiare, soprattutto quando si parla di uomini? Nel 1992 la rivista Child andò alla ricerca di imprese favorevoli alla paternità, ma ne risultarono così poche con i requisiti necessari, o, addirittura, che si ponevano il problema, che la rivista abbandonò la ricerca l'anno successivo. E quando lo psichiatra di Yale Kyle Pruett rivolge le sue critiche ai gruppi di donne e ai gruppi cristiani fondamentalisti, viene severamente ripreso per quelli che vengono definiti i suoi tentativi di usurpare il posto "naturale" delle donne nella nursery. La maggior parte delle donne vuole quel che è meglio per i propri figli. Esse non appartengono al Mondo delle Donne impegnato politicamente, tuttavia esitano a concedere agli uomini l'opportunità di assumere un ruolo che loro e le loro madri hanno condiviso. Non mentirebbero mai ai propri figli, ma nello stesso studio in cui la maggioranza degli uomini manifestava un desiderio di coinvolgimento più elevato nell'allevamento dei propri figli, tra il 60 e l'80%
delle donne affermava invece di non volere che i loro mariti fossero coinvolti nell'educazione dei figli più di quanto non lo fossero già (56). Ambivalenza. Quando le donne lavorano fuori casa e diventa indispensabile che il marito si prenda cura dei figli, anche quando abbiano concordato insieme i rispettivi ruoli, molte donne vanno incontro a profondi conflitti interiori. "[Mio marito] ed io dobbiamo il nostro equilibrio al fatto che allatto", si confida una madre. "Ma sarà più dura quando smetterò."(57) È difficile abbandonare o anche solo condividere un ruolo così potente come quello di allevare la specie umana. Fino ad ora, abbiamo sempre preferito leggere il ruolo materno più come un fatto di sacrificio che come un fatto di potere. Ora anche gli uomini vogliono una parte di quel potere, e sono disposti a fare quel sacrificio. La disputa non avviene attorno alla questione se un uomo sia o meno qualificato per allevare un bambino, per prendersi cura di lui esattamente come fanno le donne. Perché questo è stato provato. Il fatto è che possiamo sopportare con molta più facilità l'idea di abbandonare l'immagine femminile tradizionale della madre/donna per consegnarla ad una sfera competitiva come quella lavorativa, piuttosto che separarci dalla nostra fantasia del Grande Papà. Qualche volta penso che la sua mancata presenza emotiva nei primi momenti della nostra vita abbia fatto sì che ci aggrappassimo alla nostra visione esasperata del padre/uomo. Ma il padre non è l'opposto della madre in nessun aspetto se non nelle sue erezioni genitali. Dipendenti in tutto da nostra madre, non potevamo permetterci di mostrarle o di ammettere a noi stesse l'altra parte del nostro amore, la rabbia. Ma un padre può sopportarlo; un padre è forte, resistente; il suo sguardo granitico è impenetrabile alla nostra rabbia. Gli uomini dallo sguardo severo ci ridanno equilibrio e traggono in salvo la madre - che non possiamo perdere. Un uomo può assumere su di sé tutta l'ira contro il nostro primo nemico, quello che deteneva tutto il potere del mondo. Che cosa faremmo se gli uomini perdessero la parte più dura del loro io, le loro erezioni? Rimarremmo incastrate con la nostra rabbia diretta verso la fonte originaria. Noi manderemmo i nostri uomini a combattere e a morire in una terra straniera ed essi vi andrebbero - con minori esitazioni di quelle che avremmo a vederli entrare nella nursery. A qualche livello non-proprio-conscio sappiamo che l'attuale disgregazione sociale, questa sensazione di un mondo continuamente attraversato da divisioni, ha qualcosa a che vedere con l'arrivo delle donne nei posti di lavoro e le conseguenti carenze nella cura dei figli. Il nostro disagio all'idea degli uomini che eseguono compiti tradizionalmente femminili non è così seppellito nel nostro inconscio. È molto curioso il fatto che risulti più irritante l'immagine di un uomo con un bimbo al collo di quella di una donna d'azienda, che distribuisce ordini agli uomini, guadagna molti soldi e si dimostra coriacea. Ma questo è appunto ciò che voglio dire: la grande donna capo sul posto di lavoro ci è intimamente familiare. Nella sua tirannia ci ricorda la Gigantessa della nostra prima infanzia. Per salvare noi stesse da lei e lei dalla nostra rabbia, abbiamo bisogno di un monolite, di uno Schwarzenegger; negli ultimi tempi è anche diventato il terreno di scarico di tutte le lamentele del femminismo: Uomini Malvagi! E quanto alle donne, dove indirizzerebbero i loro travasi di bile se lo sguardo degli uomini si addolcisse? Oggi sembra un fatto inevitabile, quando un altro articolo del Times annuncia: "Le adolescenti incinte non sono più proscritte". E compare una foto che ritrae una bambina mentre allatta un altro bambino, suo figlio, e il testo recita: "Oggi, le teen-agers che aspettano un bambino stanno perfino iniziando ad essere viste da alcune delle loro coetanee come dei modelli di ruolo". Ma siamo impazziti? Di certo le ragazze incinte non dovrebbero essere bandite, ma arrivare a glorificarle, ad erigerle a "modelli di ruolo"? Esattamente come per la storia di quindici anni prima - che non potevo fare a meno di pensare avesse dato il suo contributo al sorgere di quest'ultimo fenomeno - mi sono chiesta: ma dove sono le reazioni di protesta? A un bambino non dovrebbe essere concessa l'opportunità di avere sia un padre che una madre? L'ironia è che, anche quando la posizione in seno alla società di questa ragazza adolescente peggiorerà, noi continueremo a presentare sulla stampa e in televisione questa immagine della madre single come normale routine, facendo apparire il padre come una figura estranea.
"Le donne che tentano di farcela da sole alla fine realizzano di aver bisogno di un uomo", mi raccontò Berry Brazelton anni fa. "Se riesci a fargli capire che sarebbe meglio che l'allevamento fosse un progetto condiviso, spesso ci arrivano in tempo per salvare il bambino, che è poi il mio obiettivo principale. Una donna può anche desiderare di fare un figlio da sola, ma la mia preoccupazione va ai bambini. Una madre di una bimba di tre anni mi chiese: 'Che cosa racconto a mia figlia di suo padre?' 'Cosa?' dissi io stupito. 'So che una bambina ha bisogno di coltivare una fantasia paterna', disse lei. 'Certo che ne ha bisogno!' risposi io. 'Gliene invento uno?' mi chiese. E io replicai: 'Penso che lei dovrebbe scoprire alcuni particolari della vita del padre, raccontarle un po' di cose di lui e almeno darle una qualche spiegazione per il fatto che è diversa da tutti gli altri bambini'. E la donna mi disse: 'Sa, non ho mai voluto un uomo intorno, così quando venni inseminata dissi ai medici di non raccontarmi nulla del padre'." Quando ero piccola, non ho mai conosciuto un altro bambino senza padre. Dicevo a me stessa che non era importante. Ero costretta a farlo. L'assenza misteriosa di mio padre, ne sono certa, ha anche avuto un ruolo nella mia scelta di affrontare, nel mio lavoro di scrittrice, argomenti scabrosi. Mio marito scherza a proposito del mio epitaffio, che secondo lui dirà: "Che significa tutto questo?" Ma che significa quest'opera di idealizzazione delle madri senza marito, delle donne che scelgono di escludere gli uomini dall'atto della procreazione? Pensiamo davvero che questo non abbia nulla a che spartire con l'attuale rabbia degli uomini o con l'occupazione del centro del palcoscenico da parte della bellezza, della moda, della modella come icona del nostro tempo, con la decisione degli uomini di prendersi la loro quota di potere proveniente dall'aspetto estetico? Sono tutti frammenti dello stesso quadro. Gli uomini non entreranno da soli nella nursery per portare il loro contributo alla crescita dei figli. Se mai è esistita una questione femminista, ebbene in questo dovrebbe consistere: offrire ad un figlio la chance di avere due genitori coinvolti nella sua crescita, due persone adulte che risolvono tutti i loro motivi di conflitto all'interno della coppia, invece che idealizzare se stessi e i propri diritti individuali, scavalcando quelli del bambino. Invece di compilare liste senza fine dei crimini commessi dagli uomini a danno delle donne, dovremmo essere qui a chiederci: perché? Perché gli uomini si macchiano dei reati di cui vengono accusati? Perché gli uomini sono così arrabbiati, e qual è l'origine di una furia che li porta ad abusare di donne e bambini? Questi uomini sono i nostri padri, mariti, amanti, amici, il seme dei nostri figli. Gli uomini non si porranno queste domande su se stessi, non possono farlo (così come noi donne non ci chiediamo di quanti crimini dello stesso genere siamo responsabili e quanto contribuiamo alla furia che conduce un uomo ad agire in modo criminale). Forse il silenzio stoico è ciò che resta del significato di essere uomini nei giorni delle Donne-Che-Odiano-Gli-Uomini. Forse la riluttanza maschile a difendersi contro le accuse provenienti dalle donne è ciò che mio marito chiama il suo "gel di difesa", contro le donne arrabbiate che piombano nel suo ufficio per fare arringhe; sbraitano, urlano, ansimano, poi piangono, lui si siede, annuisce, e allora se ne vanno. Gli uomini non scrivono molto a proposito della loro rabbia e della loro sofferenza nel competere e nel perdere con le donne nei luoghi di lavoro. Questo è il terreno in cui, tradizionalmente, gli uomini mettono alla prova se stessi. I loro padri non hanno mai dovuto competere e perdere contro una donna, non lì. Né i loro padri erano costantemente accusati della serie innumerevole di delitti che oggi le donne attribuiscono agli uomini. Se essi accusassero le donne di molestie sessuali, di abusi nei confronti dei figli e di stupro - e alcuni avrebbero il diritto di farlo - si solleverebbe un coro di donne dalle voci articolate e piene di partecipazione emotiva a difesa dell'intero genere. Le rare voci maschili che hanno ribattuto alle femministe anti-maschio sono risuonate isolate come i richiami di un alce; un "vero uomo" non può prendervi parte. La mia sensazione è che le cose cambieranno nella misura in cui gli uomini si renderanno conto di quello che stanno perdendo. Ai pionieri del Movimento per i diritti degli uomini è richiesta una spina dorsale d'acciaio, perché si trovano su un campo minato, e niente lo è più della cura dei figli. Anche quando una
donna reclama a gran voce l'aiuto di suo marito, quando lui entra nella nursery e tiene il bambino, lei si fa critica. Lui desidera che lo si tratti alla pari, ma lì dentro, l'inflessione critica della voce di lei gli ricorda un'altra donna, la madre che lo ha dominato. Così, preferisce uscire di scena. Quanto sarebbe salutare anche per gli uomini tenere il proprio bambino, riconciliarsi con la parte tenera di se stessi, parte che la maggior parte di loro ha dimenticato come esprimere. Proprio come le donne hanno recuperato nei luoghi di lavoro abilità e talenti andati persi nell'adolescenza, gli uomini possono trovare la parte mancante di sé nella cura di un bambino. Portatori di un'indipendenza e di una resistenza messe alla prova nel corso di un'intera vita, gli uomini saranno degli ottimi insegnanti di separazione amorevole per i propri figli. Alcune ricerche hanno già scoperto che i padri non si aggirano con la stessa apprensione delle madri intorno al desiderio ansioso del loro piccolo di esplorare il mondo; i padri stanno a guardare, incoraggiano ma non trasmettono l'ansia comunicata da una donna.(59) Proprio in seguito alla natura delle loro vite, gli uomini sono già attrezzati per ricompensare il processo di allontanamento dalle braccia amorevoli che reggono un bambino; non vedono pericoli laddove non ne esistono. Le loro madri possono aver tentato di tenerli avvinghiati per sempre, ma, essendo maschi, esse furono restie a scoraggiare i loro tentativi di lasciare le braccia materne. E queste sono precisamente le modalità di inizio della separazione, della Seconda Nascita: camminare a carponi per esplorare la stanza accanto, con tutta la potenza racchiusa nella curiosità di un bambino per la propria vita. E più l'unione simbiotica, fonte di beatitudine, prospera, più ansioso sarà il bambino di fare i suoi primi passi nel mondo. "I padri portano con sé uno stile nella cura del bambino che è complementare a quello materno", dice Shirley Hanson, docente di Assistenza familiare alla Oregon Health Scientists University. "Mentre le madri tendono a coccolare e a stringere a sé i figli, i padri privilegiano le attività di tipo psico-motorio, sollevano in aria i bambini, poi li mettono a terra, li aiutano a camminare, muovono le loro gambe per farli andare dentro e fuori dalla stanza. Essi ampliano l'orizzonte dei propri figli in questo modo. Incrementano la crescita e lo sviluppo fisico, sociale e mentale del bambino. Questa giocosità aggiunge una dimensione differente a quella portata dalle donne. Con un padre presente, in realtà, una madre viene messa nelle condizioni migliori per realizzare pienamente il proprio potenziale." Dubito che la maggior parte delle donne ricorrerebbe al termine "competitiva" per designare la loro decisione di controllare la procreazione e la cura dei figli, perché ci è stato insegnato a negare tale emozione anche nel momento in cui la sentiamo. Sì, questo atteggiamento di rabbiosa denuncia verso gli uomini lo definirei nei termini della competizione, questo desiderio di dar vita ad un Matriarcato dove le donne continueranno la competizione l'una contro l'altra, chiamandola, puoi starne certa, con un altro nome. La competizione inizia presto nella vita di un bambino. Non tutti gli uomini la portano ai limiti estremi, ma ne conoscono le regole, come si vince e come si perde, tutte cose che le donne non hanno ancora imparato. Quel che aiuta a superare la paura e ad aprire lo spirito ad un'avventura dai confini più ampi, è la pratica della separazione accompagnata dall'amore delle due persone più importanti della nostra vita, finché un senso di sicurezza di sé non viene pienamente interiorizzato: "Posso avere una mia vita e anche l'amore incondizionato dei miei genitori. Non è un aut-aut. Questo lo so perché fin dall'inizio ho sperimentato questi movimenti che mi portavano lontano da loro e verso la costituzione di una mia propria identità, continuamente. La creazione di me stesso non mi ha mai dato la sensazione di perderli. Questa conoscenza è come denaro depositato in banca per il mio viaggio nella vita". Non ho mai la sensazione di vedere altrettanto chiaramente la relazione che mi lega a mia madre come quando scrivo di sesso, relazione dove mi confronto con quello che lei mi ha insegnato in modo silente, senza pronunciare una parola: il sesso è una cosa sporca, brutta, i miei genitali sono ripugnanti e inaccettabili. Sua madre l'aveva insegnato a lei, proprio come madri e figlie perpetuano ancora oggi l'eredità della Cloaca, che è il termine latino per "fogna".
La lezione della Cloaca, che ha inizio nelle primissime comunicazioni tra mamma e bambino, è per le donne l'immagine più dura da scacciare. Le madri non hanno bisogno di parlare per comunicare. Ma l'innominabile Cloaca fa parte di quella colla emozionale che ci impedisce di distaccarci in un nostro io sicuro; ogni volta che apriamo le gambe, no, ogni volta che anche solo pensiamo al sesso, ai nostri corpi, l'immagine delle nostre parti sgradevoli si vivifica sotto forma di sensazioni negative, di disagio. Pensa. Dopo tutto il mio scrivere di sesso, e anche della vita, quella macchia ereditata della Cloaca è ancora viva. Oh papà, quanto vorrei che fossi stato presente! Vorrei che un uomo affettuoso, in quel primo prezioso anno di vita, cui non sono mai concesse prove d'appello, mi avesse comunicato l'atteggiamento molto più liberale e salutare verso i propri genitali tipico degli uomini. Non c'è forse questo luogo sporco, che non sarà mai bello ai nostri occhi, alla base della convinzione femminile per cui il nostro viso, insieme al resto del nostro corpo, non sarà mai abbastanza gradevole? Se i miei timori di essere abbandonata si trasformano in sogni la notte, questo senso di ripugnanza per i genitali è cibo per le mie fantasie diurne, quelle trame erotiche che sono impregnate dell'energia che viene dalla sfida alle regole di mia madre, e delle altre donne, contro quella piccola parte che giace tra le mie gambe, proibita e impura. Nelle mie fantasie sessuali, gli uomini spazzano via quell'eredità femminile adorando quel che vedono. Conoscendo gli uomini, amandoli, come potrei non desiderare che uno di loro avesse lavato il mio corpo, mi avesse tenuta pulita, insegnato a fare i miei bisogni, e trasmesso la sua opinione sui genitali, fin dal primo giorno? Se gli occhi e le mani amorevoli di un uomo mi avessero consegnato il primo, non verbale senso di me stessa; se, neonata, nessuno avesse portato distruzione nell'armonia duale, in seguito all'esistenza di una parte del mio corpo che recava offesa con le sue emissioni, di sicuro sarei diventata una donna che avrebbe avuto un'opinione decente dei propri genitali. Per questo motivo, come per ogni altro, e perché credo profondamente al fatto che l'infelicità nella vita delle donne per il loro modo di apparire risieda proprio qui, tra le gambe, vorrei tanto che per ogni bambino ci fosse un padre, coinvolto come la madre nelle sue cure. Noi sappiamo che le sottili mani dei bambini giocano con i loro genitali, quell'area che risponde così piacevolmente al tocco. Perché sono convinta del fatto che sia meno probabile che i padri scaccino quella mano? Non tutti gli uomini, non per tutto il tempo, ma che sia meno probabile che emettano suoni di disapprovazione, arriccino il naso, in questo modo trasformando un viso aperto e affettuoso in una smorfia ansiosa, in un volto dall'asimmetria sgradevole? Non esiste per ora alcuna ricerca, che io abbia potuto individuare, a indicare che un uomo mostrerebbe una maggiore apertura di una donna nel far capire ad un bambino che toccarsi è una cosa normale. Quando quello studio sarà realizzato, si rivelerà un argomento interessante a favore della partecipazione maschile alle primissime cure infantili. Amare i nostri genitali significa essere portati ad amare noi stessi, a rispettare e a prenderci cura della nostra sessualità. In un'era in cui si pensa a sesso e morte uniti in un unico respiro, come non vedere la figura paterna come un salva-vita? Possiamo non ricordare consciamente la nostra infanzia, ma a qualche livello noi sappiamo certe cose. Collezioniamo immagini e sensazioni da quando siamo venuti al mondo. Anche prima che l'addestramento per fare da soli i nostri bisogni ci rivelasse le reazioni degli altri di fronte ai nostri fallimenti o ai nostri successi nel controllare quelle emissioni, leggiamo negli occhi di chi ci guarda, sentiamo nelle mani di chi ci culla e nei suoni delle loro voci quello che esattamente provano nei confronti di quella zona posta tra le nostre gambe; loro, l'intero universo di quei giorni, saranno decisivi per quello che anche noi, con l'andare del tempo, penseremo. Chi può mettere in discussione la necessità di fornire ai bambini una visione più sana dei loro genitali? Se amiamo i nostri corpi, se ne avremo cura, saremo responsabili. Se invece cresciamo avvertendo che c'è qualcosa che non va nella parte posta tra le nostre gambe, non solo vedremo quel luogo con ripugnanza, come una fogna, la Cloaca che non potremo mai rendere bella, ma, come per quelle brutte voglie sulla gamba o su un braccio, penseremo che questo è ciò che le persone vedono quando ci guardano. Il marchio originario naturalmente ha
cambiato posto, un giorno possono essere i nostri capelli, il giorno dopo il peso o le nostre braccia grasse - ma la cicatrice, la deturpazione, il suo ricordo, non scompariranno mai. E poco importano i nostri tentativi di occultarla con il trucco o con un intervento di chirurgia plastica, noi immaginiamo l'occhio dell'osservatore che guarda e rifiuta la fonte che per tutta la vita ci assicura felicità rispetto alla bellezza. Agli adulti piace pensare di avere carta bianca nella nursery; che cosa può sapere o ricordare un bambino piccolo dei nostri sentimenti per i genitali, per le loro funzioni e le loro escrezioni? Secondo lo psichiatra Daniel Siegel della UCLA il cervello di un neonato non è materialmente in grado di dare forma a ricordi espliciti fino al terzo anno di età, in gran parte perché l'ippocampo, dove la memoria viene immagazzinata, non raggiunge un pieno grado di sviluppo fino a quel periodo. I ricordi espliciti sono quelli che possiamo raccontare a qualcuno; e si è consapevoli del fatto che si sta ricordando nel momento in cui ci si pensa. Ma i ricordi impliciti incominciano a formarsi dal primo giorno e rimangono con noi per tutta la vita, perché sono immagazzinati in tutto il cervello. I ricordi impliciti riguardano fatti che non si ricorda di aver appreso e di cui non si è consci mentre li si recupera e li si utilizza. Le emozioni, come i nostri genitori reagivano alla nostra presenza, se provavano piacere a stare con noi, il nostro modo di relazionarci agli altri, sono tutte memorie implicite. Esse sono parte di noi, senza che ne siamo a conoscenza, dai primi giorni della nostra vita. "I ricordi impliciti si fondano sulle nostre esperienze con le prime figure di attaccamento e sono determinanti per come continuiamo a percepirci man mano che cresciamo", afferma Siegel. "Possiamo anche non essere consapevoli del contenuto di queste rappresentazioni interne, ma queste influenzano costantemente le nostre modalità di esperire la vita e di giudicare il mondo. Questi primissimi ricordi costituiscono il filtro attraverso cui percepiamo il mondo intero, l'esperienza umana della realtà. Sono veramente fondamentali." Le lezioni sull'amore per il proprio corpo, o, al contrario, sul ribrezzo per il corpo, iniziano fin dal principio. La donna nata da un'altra donna non è una buona insegnante, soprattutto a proposito di quella parte corporea che le hanno insegnato a deodorare, a trattare come una necessità sgradevole. Per quanto la Donna Nuova possa apparire eroticamente aggressiva, con il suo bikini in pelle, gli stivali da paramilitare e poco altro addosso, porta ancora i segni della fototessera impressa nei primi anni di vita: il ricordo implicito della propria identità sessuale riflessa dagli occhi della madre. Sua madre amava i suoi genitali nello stesso modo in cui amava i suoi bei capelli, il suo viso, le sue mani? Quando lei guardava il corpo della propria figlioletta, sorrideva alla vista amata della piccola fessura tra le gambe; o piuttosto la sua forma e il suo odore le facevano voltare lo sguardo, irrigidire le spalle, schioccare la lingua contro i denti? E se alcuni uomini crescono con un chiaro senso di orgoglio per il proprio pene, è in parte frutto del sentimento di disapprovazione espresso dalla prima e più importante persona della loro vita?" Bene, se questa parte di me, che mi distingue da te, ti disgusta, allora la sventolerò come se fosse la mia bandiera, la mia arma!" Il padre medio può non amare i pannolini inzuppati, il vomito, un corpicino imbrattato dai propri escrementi, ma è probabile che sulla sua faccia non si dipinga un'espressione così terribile, che non trattenga il respiro producendosi in suoni di disapprovazione, e che possa quindi fornire al bambino un'impressione di fondo che sottolinei il valore delle funzioni naturali dei suoi genitali. Noi non veniamo alla luce odiando l'odore degli escrementi, del sudore, l'aspetto del pene e della vagina; tutto questo è appreso. Gli uomini portano nella nursery un momento di tregua rispetto alla pulizia assoluta, alle ossessioni da capelli-sempre-in-ordine più tipicamente femminili; è meno probabile che il padre stia sempre a raddrizzare il vestitino di sua figlia, a pulirle le mani e le ginocchia sporche per lo sforzo di allungarsi, camminare, muoversi. Anche se avessi ragione solo in parte, non varrebbe la pena di risolvere i problemi esistenti nel consentire la piena partecipazione degli uomini all'allevamento dei figli, per ottenere così una generazione di donne adulte che non siano inebetite dalle manie di pulizia, dagli odori, dall'umiliazione femminile, tutte questioni che si condensano poi nell'ossessione per il proprio aspetto esteriore?
Il mondo intero è cresciuto in base agli atteggiamenti femminili relativi alle parti genitali. Nel momento in cui facciamo l'amore con qualcuno, i nostri sentimenti verso il sesso, l'immagine che abbiamo dei genitali del partner e dei nostri, si sono evoluti a partire da un seme piantato da un'altra donna. Oh sì, questi ritratti saranno a poco a poco modificati dalla nostra ribellione, positivamente influenzata da un'istruzione più appropriata, ma tutto avverrà in reazione ai primi anni di vita. Non sarebbe un danno terribile crescere un'altra generazione di donne spietate quanto noi nei confronti della povera vagina? Finché "lei" sarà una cosa sporca non crederemo mai alla bellezza di cui siamo dotate, di qualunque tipo essa sia. Avremo sempre da ridire sulla forma del nostro naso, del seno, delle cosce. Niente sarà mai adeguato fino a quando quell'unico aspetto del nostro corpo è "sbagliato". La cosa turpe tra le gambe è un segno indelebile che ci ricorda il nostro fallimento estetico, una sconfitta che pone le basi per una competizione con tutte le altre donne che sospettiamo essersi impossessate dell'arte della bellezza meglio di noi, un senso di perdita denso di sentimenti di rivalità che ci riporta indietro all'inizio della nostra vita e che rifiutiamo costantemente, secondo le Regole delle Donne, di riconoscere. Un padre che non vede sporcizia nel corpo femminile rappresenta il candidato ideale per infrangere questa maledizione generazionale tra donne. "Una delle scoperte più drammatiche nella ricerca sui padri che accudiscono i figli, è la relazione che questo ha con la violenza sessuale", scrive Kyle Pruett "sia propri che altrui. Se un uomo è coinvolto nelle cure fisiche del proprio figlio nei primi tre anni di vita, c'è un calo drastico nelle probabilità che egli sia coinvolto in seguito in violenze sessuali sui bambini. L'umanizzazione di padre e figlio implicita in un rapporto intenso erige una forte barriera contro successivi sfruttamenti dell'intimità che si è misurata tra loro."(60) Dal momento in cui veniamo al mondo, trovando rifugio nelle braccia di un padre, vedendo noi stessi nei suoi occhi, la prima impressione appresa di "bellezza" sarà intimamente legata al suo contatto, al suo odore, alla sua voce, alla sua muscolatura, così come a quelli di una donna. Con un simile inizio, una bambina, una volta adulta, potrebbe arrivare a credere alle parole di apprezzamento degli uomini, alla visione che essi hanno della bellezza, e a non fare più esclusivamente riferimento all'opinione di altre donne. Per quanto riguarda i figli maschi, un ragazzo trarrebbe dal proprio padre la sensazione della bellezza intrinseca alla mascolinità, essendosi visto in questo modo negli occhi di quel primo uomo. Non avrebbe bisogno di scappare dalle donne, ovvero dalla propria madre, per provare la sua virilità, di sfuggire la Gigantessa; e, una volta uomo, non sentirebbe più l'impulso di acquisire bellezza tramite una donna da esibire al suo braccio, per poi svilirla a causa del potere che ella esercita su di lui, perché, fin dove arriva il suo ricordo, quel potere è stato condiviso. Oggi gli uomini si muovono a passo sostenuto verso il regno della bellezza, reclamandone una quota a compensazione dell'ingresso delle donne nel loro terreno di dominio tradizionale, il luogo di lavoro. Come sarebbe più piacevole questa ri-conquista degli specchi da parte degli uomini, e quanti sentimenti di ansia e di rivalità le donne risparmierebbero loro, se, fin dal principio, entrambi i sessi scoprissero un'immagine pregevole di sé negli occhi di un uomo e di una donna. Note al Capitolo 1: 1. John Berger, Ways of Seeing, p. 9. 2. Doris Lessing, Taccuino d'oro. 3. Steven A. Holmes, "Out-of-Wedlock Births Up Since '83, Report Indicates", New York Times, 20 luglio 1994, pp. A1 e ss. 4. Achy Obejas, "Woman Who Batter Woman", Ms., settembre/ottobre 1994, p. 53. 5. Iona e Peter Opie, 'Isaw Esau: The Schoolchild's Pocket Book', p. 75. Nel tentativo di riproporre il gioco di suoni e significati che si produce con le parole presenti nel testo originale, per cui eight (otto) alla fine della filastrocca è sostituito da ate (ho mangiato), la cui pronuncia è molto simile anche al verbo hate (odio), sono ricorsa a odio che, oltre a ripetere in parte il suono del numero otto, recupera anche il secondo doppio senso originale,
benché il significato legato al "mangiare" la propria madre, che verrà subito dopo ripreso nel testo, vada perso. [N.d.T.] 6. Ibidem, pp. 11-12. 7. Nora Frenkiel, " 'Family Planning': Baby Boy or Girl? ", New York Times, 11 novembre 1993, p. C6. 8. Ibidem, p. C6. 9. Muhammad N. Bustan e Ann L. Coker, "Maternal Attitude Toward Pregnancy and the Risk of Neonata Death ", American journal of Public Health 84, n. 3, 1994, pp. 411-414. 10. Ethel S. Person, 'By Force of Fantasy: How We Make Our Lives', pp. 111-112. 11. Judith H. Langlois e Cookie White Stephan, "Beauty and the Beat: The Role of Physical Attractiveness in the Development of Peer Relations and Social Behavior ", in Developmental Social Psychology: Theory and Research, Sharon S. Brehm et al., New York, Oxford University Press, 1981, p. 160, che cita R.D. Parke et al., "Fathers and Risk: A Hospital Based Model of Intervention", in Exceptional Infant IV: Psychosocial Risks in Infant-Environmental Transactions, D.B. Sawin et al., New York, Brunner/Mazel, 1980. 12. Judith H. Langlois e Rita Casey, "Baby Beautiful: The Relationship Between Infant Physical Attractiveness and Maternal Behavior", paper presentato alla quarta Conferenza internazionale biennale di studi sull'infanzia, New York, 1984. 13. Katherine A. Hildebrandt e Hiram E. Fitzgerald, " Facial Feature Determinants of Perceived Infant Attractiveness", Infant Behavior and Development, 2, 1979, pp. 329-339. 14. Judith H. Langlois et al., "Facial Diversity and Infant Preferences for Attractive Faces", Developmental Psychology, 27, n. 1, 1991, pp. 79-84. 15. Judith H. Langlois et al., "Infants' Differential Social Responses to Attractive and Unattractive Faces", Developmental Psychology, 26, n. 1, 1990, pp. 153-159. 16. Katherine Hildebrandt Karraker et al., "Responses of Students and Pregnant Women to Newborn Physical Attractiveness", paper presentato alla conferenza dell'American Psychological Association, New York, agosto 1987, p. 2. 17. Katherine Hildebrandt Karraker e Marilyn Stern, "Infant Physical Attractiveness and Facial Expression: Effects of Adult Perceptions ", Basic and Applied Social Psychology, 11, n. 4, 1990, p. 381. 18. Katherine Hildebrandt e Teresa Cannan, "The Distribution of Caregiver Attention in a Group Program for Young Children", Child Study journal, 15, n. 1, 1985, pp. 51-52. 19. Daniel Stern, Diario di un bambino, p. 66. 20. Ibidem, p. 56. 21. Ibidem, p. 56. 22. Bill Keller, "What's 'Shock' in Zulu? Whites Visiting to Say Hi", New York Times, 31 maggio 1994, p. A4. 23. Stern, Diario di un bambino, p. 71. 24. T. Shapiro and J. Stine, "The Figure Drawings of 3-Year-Old Children", Psychoanalitic Study of the Child, 20, 1965, pp. 298-309. 25. Stern, Diario di un bambino, p. 71. 26. Ibidem, p, 56-57. 27. Helen Fisher, 'Anatomia dell'amore. Storia naturale della monogamia dell'adulterio e del divorzio.' 28. Stern, Diario di un bambino, p. 54. 29. Ibidem, p. 37. 30. Ibidem, p. 73. 31. Ibidem, p. 75. 32. Kenneth S. Robson, "The Role of Eye-to-Eye Contact in Maternal-Infant Attachment", Journal of Child Psychology and Psychiatry, 8, 1967, p. 16. 33. Ibidem, p. 22. 34. Richard Robertiello, Your Own True Love, p. 120. 35. Si veda Margaret S. Mahler, Le psicosi infantili voi. 1; Margaret S. Mahler, The Psychological Development of the Human Infant; Richard Robertiello, Hold Them Very Close, Then Let Them Go: How to Be an Uthentic Parent; Nancy Friday, Mia madre, me stessa.
36. Elizabeth Debold et al., Madri e figlie: una rivoluzione. 37. Ibidem. 38. Shere Hite, The Hite Report on the Family, p. 350. 39. John Noble Wilford, "Children's Cemetery a Clue to Malaria as Rome Declined", New York Times, 26 luglio 1994, p. C9. 40. Barbara Tuchman, Uno specchio lontano. Un secolo di avventure e di calamità: il Trecento. 41. Philippe Ariès, Centuries of Childhood: A Social History of Family Life, pp. 33,411. 42. Ibidem, pp. 412-413. 43. Neil Postman, La scomparsa dell'infanzia. Ecologia dell'età della vita. 44. Richard L. Berke, "Religious Right Gains Influence and Spreads Discord in G.O.P.", New York Times, 3 luglio 1994, pp. A1 e ss. 45. Mark Leyner, "Samurai Father", Esquire Gentleman, primavera 1994, p. 81. 46. John Lahr, "Dealing with Roseanne", New Yorker, 17 febbraio 1995, p. 58. 47. Penelope Leach, Children First: What Our Society Must Do - and Is Not Doing - for Our Children Today, p. 19. 48. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, p. 630. 49. Nancy R. Gibbs, "Bringing Up Father", Time, 28 giugno 1993, p. 58. 50. Kyle D. Pruett, "Father's Influence in the Development of Infant's Relationships", Acta Paedriatica Scandinavica, 11, supplemento n. 344, 1988, pp. 43-53. R. Parke, Fathers, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1981, p. 35 (cit. in Pruett). Martin Greenberg e N. Norris, "Engrossment: The Newborn's Impact upon the Father", American Journal of Orthopsychiatry, 44, n. 4, 1974, pp. 520-531. 51. Michael Lamb, "The Changing Roles of Fathers", in The Father's Role: Applied Perspectives, a cura di M. E, Lamb, p. 11. 52. Gibbs, "Bringing Up Father", pp. 53-54. 53. U.S. Census, "Marital Status and Living Arrangements", marzo 1994, p. ix. 54. Susan Chira, "Study Confirms Some Fears on U.S. Children", New York Times, 12 aprile 1994, pp. 1, 55. Gibbs, "Bringing Up Father", p. 53. 56. J. H. Pleck et al., Husbands' and Wives' Paid Work, Family Work, and Adjustment, Wellesley (MA), Wellesley College Center for Research on Women, 1982; e R. P. Quinn e G. L. Staines, The 1977 Quality of Employment Survey, Ann Arbor, Survey Research Center, 1979. Cit. in Michael E. Lamb, "The Changing Roles of Fathers ", p. 21. 57. Patrick Duggan Samuels, "Dads to the Rescue for the Child-Care Needs", New York Times, 12 febbraio 1995, p. F23. 58. Lena Williams, "Pregnant Teenagers Are Outcasts No Longer", New York Times, 2 dicembre 1993, p. C1. 59. Henry Biller e D. Meredith, Father Power. 60. Kyle D. Pruett, Quando papà deve fare da mamma, p. 40, che cita Seymour e Hilda Parker, "Cultural Rules, Rituals and Behavior Regulation", American Anthropologist, 86, 1984, pp. 584-600. CAPITOLO 2 INVIDIA 2.1 - Il lato oscuro della bellezza La madre si crogiola nell'ammirazione profusa sulle fattezze del bimbo appena nato. Quel piccolo corpo le sembra un miracolo, lo sente ancora parte della propria carne; e così i commenti sulla bellezza del bambino ricadono su di lei, spingendola ancora più vicina al figlio, il che è un bene, dato lo stato di totale dipendenza in cui si trova il neonato. "Che bel bambino!" esclamano gli estranei per la strada, e la madre sorride ancora al pensiero dello stato di sgomento in cui li getta la bellezza di suo figlio. Finché un giorno - uno come tanti altri -smette di sorridere e si frappone a parole tra l'ammiratore e il suo bambino. "Oh, però piange in continuazione", dice, deviando gli elogi con le proprie parole. Perché? Se la bellezza è il biglietto da visita del bambino per assicurarsi la sopravvivenza,
perché interferire nel momento in cui trova riconoscimento? Semplicemente perché l'ammirazione, e specialmente l'ammirazione della bellezza, può trasformarsi presto in invidia. L'invidia è un sentimento pericoloso; tenta di distruggere l'oggetto stesso dell'ammirazione. Come fare allora a proteggere il bambino che ne è dotato? "Kinneherra", mormora la madre ebrea, ripetendo l'antico mantra contro l'invidia, quando i complimenti aleggiano troppo numerosi sopra la testa del suo fragile bambino. Ed è una madre dei giorni nostri, una che dirige un ufficio con la medesima bravura con cui manda avanti la casa. Non ha imparato a pronunciare queste parole a Lamaze, non aveva pianificato consciamente di dirle. Forse sono sorte spontanee da una memoria inconscia della propria madre, un sentimento primario come quello di gettare il proprio corpo sopra quello del figlio per proteggerlo da un camion che si avvicina. "Istintivamente sai che troppe lodi porteranno guai", mi confessa Catherine, un'amica, il cui giovane figlio è eccezionalmente bello. "Ti senti minacciata." Si entusiasma quando per la strada le teste si voltano per ammirare il suo ragazzo, perché è abituata ad essere elogiata per la sua stessa bellezza. Donna in carriera con grandi ambizioni prima di scegliere di diventare una madre single, è come se avesse deciso intenzionalmente di mantenere il peso che aveva acquistato durante la gravidanza; come se, le suggerisco, "fosse davvero eccessivo, troppa bellezza, nel caso tutti e due aveste il potere di catturare lo sguardo della gente." Senza arrossire, concorda con me. Di recente, ha permesso ad un suo amante di fermarsi la notte a dormire; era la prima volta che un uomo riceveva il permesso di condividere il suo letto dalla nascita del figlio. La mattina successiva il ragazzo ha rotto un braccio all'intruso e ha preso il suo posto nel letto accanto alla propria madre. "Non abbiamo bisogno di lui", le ha detto. Malocchio è l'espressione italiana usata per indicare l'" occhio del male", che non può sopportare la buona fortuna di un altro e dunque proietta disavventure sull'oggetto invidiato. Per secoli, le diverse culture hanno previsto rituali e pozioni particolari finalizzati ad evitare che l'occhio che ammira faccia del male, passando così dalla lode al veleno. Tanta parte della nostra vita dipende dal bisogno di essere visti e nutriti da un occhio che ci apprezzi, ma persino nel corso del processo di osservazione visiva, la persona ammirata avverte il pericolo, intravede una sorta di linea sottile tra desiderio e distruzione; e per l'occhio "che nutre", a che punto il piacere di ammirare la bellezza si trasforma in risentimento per il fatto che il potere non è dentro, ma fuori di lui? Proprio nel momento in cui stiamo assorbendo bellezza, ci disperiamo per il fatto che possiamo solo mutuare e non possedere. L'occhio ambisce a distruggere l'oggetto che ama sopra ogni altro. Niente meglio dell'invidia definisce la nostra cattiva natura; la perdita dell'innocenza colpisce tutti noi. Eva "vide che l'albero aveva dei buoni frutti, e che era un piacere per la vista". Quando lei e Adamo ebbero mangiato il frutto, "gli occhi di entrambi si aprirono e si accorsero di essere nudi".(1) Nulla di buono può essere detto a proposito dell'invidia, quella grettezza dello spirito che più di ogni altro tratto descrive il modo contorto con cui la bellezza dà forma alle nostre esistenze, soprattutto quella delle donne, per le quali la bellezza ha tradizionalmente rappresentato una fonte di potere. La vita attorno a noi cambia ad un tasso di progressione geometrica, ma i rituali profondamente intrecciati che circondano gli usi e gli abusi della bellezza non scompaiono nel giro di trent'anni di prosperità sociale ed economica. Le leggi del potere della bellezza e dell'invidia per essa sono senza tempo come le sculture di pietra dell'Isola di Pasqua. Introdurre l'invidia nella discussione ha l'effetto di irrigidire la mia spina dorsale per la preoccupazione, di far traballare la mia risolutezza, perché questo sentimento pericoloso è l'emozione più distruttiva che si possa provare nella vita e, per la verità, occupa un posto centrale in questo libro. Se riesco a convincerti della frequenza con cui la bellezza ispira invidia e, quindi, quanto il risentimento altrui divori tutta la gioia che essa porta con sé, avrò portato a termine un'impresa non semplice per me: io che per tutta la vita non ho invidiato niente più della bellezza, che l'ho invidiata negli altri e non ho mai creduto, anche per un solo istante, in quella che avrei potuto possedere. Riconoscere e godere della mia bellezza avrebbe attirato su di me l'invidia
maligna degli altri, o così temevo. Non è una bella affermazione da fare su se stessi, un atto da signore o da femministe, ma legittima il mio diritto territoriale su questo argomento, al quale i libri scritti in precedenza mi hanno preparato. Posso non essere così astiosa come Claggart, il cattivo in Billy Budd di Melville, ma, quando si parla di lui nel libro, annuisco con la testa. "... c'è forse chi abbia mai confessato seriamente l'invidia? È in essa qualcosa che l'universale sente più infamante del crimine peggiore. E non solo essa è sconfessata, ma anche i migliori mostrano qualche incredulità se la vedono attribuita davvero a un uomo intelligente. Ma come essa si annida nel cuore, non nel cervello, nessun grado d'intelligenza può fornire un riparo contro quel male"(2). Alcuni sostengono che l'invidia sia nei nostri geni, intendendo che alcuni di noi sono caratterialmente più inclini a provare invidia, proprio come alcuni sono per natura più amabili. E così, sono radunati i fronti della battaglia; ma non aspettarti di poter facilmente avvistare quelli che la posseggono e quelli che non la posseggono; bellezza e invidia non sono mutualmente esclusive. Sono spesso il contenuto dello stesso involucro grazioso. Temendo che l'invidia assassina venga diretta contro di loro, le persone attraenti si affrettano a demolire il loro bell'aspetto, mostrando di non trarre alcun piacere da quel potere, in modo da deviare il corso dell'invidia: "Chi, io carina? Ma non hai visto che cosce terribili, che naso grosso?" E allo stesso modo la persona invidiosa, che, non volendo essere riconosciuta nella sua viltà, nega: "Chi, io invidiosa di lei? Non potrebbe importarmene di meno!" È tutto un gioco di specchi, niente è come appare. Nessuna meraviglia allora che nelle favole la Bellezza venga spesso chiamata "Povera Bellezza". La parte più dolorosa è rappresentata dal fatto che l'invidia inizia con l'ammirazione. In un primo momento, c'è la reazione di apprezzamento suscitata dal vedere qualcuno, qualcosa che cattura il nostro occhio critico, riempiendolo di tenerezza, riscaldandoci, finché la realtà non bussa alla porta, e ci risvegliamo chiedendoci: "Perché lei e non io? " Invece di sentire di appartenere ad un mondo reso più dolce dalla presenza della bellezza e di provare un senso di gratitudine per aver potuto spiare quest'oasi di grazia in un mondo freddo, digrigniamo i denti in un sorriso compiaciuto quando la bellezza messa in fuga, in tutta la sua altezza, inciampa sui suoi tacchi a spillo. Il periodo in cui viviamo viene chiamato l'Età dell'Invidia; ci rendiamo conto del fatto che stiamo etichettando noi stessi, interpreti meschini di quell'emozione di cui nulla di buono può essere detto? In modo caratteristico, siamo determinati a non permettere che nessuno abbia più di noi, possa esercitare un potere su di noi, anche se è il potere di amarci e di renderci felici. L'amore, la famiglia, la comunità, perfino l'aria e l'acqua che abbiamo inquinato grazie alla nostra avidità, che è stretta parente dell'invidia. È come se non riuscissimo a sopportare quel sentimento di piena gratitudine per tutto quello che ci è stato dato; l'invidioso vive la gratitudine come un segno di impotenza. Naturalmente la bellezza è l'icona dell'Età dell'Invidia, profondamente radicata nella società disfunzionale in cui viviamo. "L'invidia è il peccato che avvelena le gerarchie e le famiglie, le società strutturate di ogni genere", afferma la scrittrice A. S. Byatt.(3) Non confondere l'invidia con la gelosia, che è invece un'emozione appropriata quando rischiamo di perdere la persona che amiamo. La gelosia richiama sempre l'esistenza di un triangolo, che comprende il nostro partner, noi stesse e la rivale, lei che potrebbe portarci via la persona che amiamo. Non vorrei un amante che non si sentisse geloso di fronte alla prospettiva di perdermi; e tu lo vorresti? È il modo in cui gestiamo la gelosia ad evidenziare la nostra spregevolezza o la nostra nobiltà d'animo. Nel triangolo della gelosia possiamo invidiare i possedimenti del nostro rivale - la sua bellezza o la sua ricchezza - oppure il potere della persona che amiamo di portarci in paradiso o di spedirci all'inferno. Nell'esempio fornitoci da Cyrano di Bergerac, che, amando veramente, si sottrae al triangolo in nome della felicità della propria amata, diremmo che la sua gelosia appartiene ad un genere nobile di quell'emozione. Al contrario, l'invidia, come la definisce il vocabolario Oxford, è "quel
sentimento di mortificazione e di malevolenza indotto dalla contemplazione dei vantaggi superiori posseduti da altri individui". In tutte le società del mondo chi spicca sugli altri è guardato con ambivalenza. Gli antropologi citano a questo proposito una frase universale: "Verrà abbattuto". E soprattutto nel contesto di risorse limitate a disposizione dell'universo femminile tradizionale, non è questo che le donne sentono verso una donna bella? Ovvero, in quel caso, costituendo la bellezza l'unica risorsa femminile da spendere nel mondo esterno, la donna che la possieda in abbondanza viene percepita come colei che ha deprivato le altre della loro quota. L'invidia si ciba di sentimenti di deprivazione: perché tu e non io? Amiamo e tuttavia odiamo la bellezza. Desideriamo bearci del bagliore che emana da chi la possiede, condividerne il potere, ma ci auguriamo contemporaneamente il suo male. Ambivalenza. Scrivendo dell'invidia nell'ambito di una tribù primitiva degli Indiani del Messico, l'antropologo George Foster potrebbe benissimo averci fornito una descrizione del rapporto tra donne e bellezza, quando parla dell'"Immagine del Bene Limitato". È come se questi Indiani sentissero che il mondo si fonda su un sistema di ricompense. Se tu ottieni qualcosa di buono, io perderò qualcosa di buono. Per questo, devo continuamente minimizzare i miei eventi fortunati; temo di suscitare la tua rabbia nel sentirti escluso o diminuito di fronte alla mia buona sorte. Scrive Foster: "Se il bene esiste solo in quantità limitate che non possono essere dilatate, logicamente un individuo o una famiglia possono migliorare la propria posizione in relazione a qualsiasi tipo di bene soltanto a spese degli altri".(4) Perciò, se si possiede o si ottiene qualcosa che gode di grande ammirazione, si rappresenta una minaccia per l'intera comunità ed è come se si stesse privandone gli altri. Gli economisti, i sociologi, gli antropologi, gli psicologi praticamente ogni scienza sociale ha registrato questo fenomeno universale, definendolo "un gioco a somma zero". E quindi, le star della moda di oggi, che guadagnano un milione di dollari per uno spot televisivo, si affrettano a ricordarci: "Oh, odio le mie orecchie, i miei capelli, i miei piedi, il mio aspetto fisico di quando avevo dodici anni! " Questo atteggiamento è opposto e, contemporaneamente, simile a quello che ebbi modo di osservare la volta in cui, avvicinandomi ad un gruppo di donne sedute sul bordo di una piscina mentre erano intente a spettegolare malignamente sulla magnifica donna che si trovava sul trampolino, esse negarono immediatamente l'intenzione malevola dei loro commenti: "Oh, non è vero che non ci piace! E la nostra migliore amica, le vogliamo bene!". Viene detto senza imbarazzo o esitazione; la odiano e la amano, provando entrambi i sentimenti nello stesso tempo. Ambivalenza. Il neonato ama e odia il seno che lo nutre, perché detiene tutto il potere. Il neonato morde il seno. Alcuni di noi comunque provano un'invidia più intensa, e sono d'accordo con Melanie Klein che considerava l'invidia un tratto sia appreso che costituzionale. Permettimi di aggiungere che la Klein sottolineava il fatto che ogni predisposizione all'invidia risultasse incentivata da cure materne carenti o, al contrario, contrastata da cure materne appropriate. Ricordi il detto cantato dai bambini che ho citato nel primo capitolo e che inizia con " Io uno mia madre, io due mia madre " e termina con "io odio mia madre" (5), accompagnato dalla sua divertente illustrazione che ritraeva un bambino minuscolo che consumava davvero la propria madre che lo allattava? Bene, abbiamo a che fare con un distillato puro del pensiero di Melanie Klein. Il bambino ama la madre e il suo seno, il bambino invidia la madre e il suo seno, perché il potere si concentra tutto lì. E così il bambino morde il seno. Solo col tempo, se la madre sarà "sufficientemente buona", l'invidia del bambino risulterà diminuita, finché non insorgerà un senso di colpa rispetto alla bontà della madre. Il senso di colpa, sostiene la Klein, rappresenta l'avvio paradossale della trasformazione dell'invidia/ostilità del neonato in gratitudine e amore. In seguito al senso di colpa, il neonato compie dei gesti "riparatori", ossia sorride, sentendo che la madre fa del suo meglio, perché ecco che torna a tenerlo tra le braccia e a nutrirlo; tocca la buona madre, per riparare ai suoi precedenti sentimenti d'invidia di fronte a tutta quell'onnipotenza. La gratitudine entra a far parte della sua vita. E la
gratitudine, dice Melanie Klein, apre le porte all'amore. Non riesco a pensare ad un'emozione che illustri meglio dell'invidia la natura contorta del nostro atteggiamento e del nostro comportamento nei confronti della bellezza; consentimi perciò di citare la definizione di invidia fornitaci da Melanie Klein, visto che è lei la progenitrice della nostra comprensione di quell'emozione: "L'invidia è quel sentimento di rabbia che si prova verso un'altra persona che possiede e assapora qualcosa di desiderabile - l'impulso invidioso consistendo nella spinta a sottrarre o a distruggere questo qualcosa. Inoltre, l'invidia implica la relazione del soggetto con una sola persona e rimanda alla prima relazione esclusiva con la madre".(6) In questo modo, ciò che afferma Melanie Klein è che le nostre attuali modalità di reazione alla bellezza - alla nostra e a quella altrui - sono completamente interrelate con quanto è accaduto tra noi e la prima, più importante persona della nostra vita. Sei in grado di ricavare piacere dalle cose positive che gli altri possiedono? Riesci a gioire delle tue realizzazioni senza sentirti costretto a sminuirne il valore? La vita familiare è sempre al centro dell'analisi perché, come nelle favole, l'esito dipende dal principio. Ad esempio, un uomo sposa una bella donna, ma dopo un certo periodo di tempo diviene ansioso per gli sguardi invidiosi degli altri uomini che ammirano sua moglie e covano del risentimento nei suoi confronti per il fatto che lui la possiede; egli ama la bellezza di sua moglie, e al tempo stesso la odia. Per questo, presto rivolgerà la sua attenzione verso altre donne, per lenire il proprio risentimento di fronte al potere ch'ella esercita su di lui. Egli, cioè, morde la mano che lo nutre, proprio come il bimbo invidioso morde il seno materno. Rovescia la storia e considerala dal punto di vista della moglie: il marito ricco le sta offrendo tutto quello che lei desidera; ma in un momento qualsiasi di un giorno qualsiasi, lui potrebbe portarle via ogni cosa; allora si rivolge ad altri uomini o gli si nega sessualmente; morde la mano che la nutre. Mentre anche Freud poneva in grande risalto le differenze di tipo innato, costituzionali, nelle pulsioni sessuali degli individui, la Klein sottolinea questo aspetto con enfasi ancora maggiore nel suo volume 'Invidia e gratitudine': "Io considero l'invidia come un'espressione di tipo sadico-orale e sadico-anale degli impulsi distruttivi, in azione fin dai primi giorni di vita, e come un elemento avente una base costituzionale..."(7) Sono ormai dieci anni - e le lancette dell'orologio non hanno ancora smesso di girare - che viviamo nel ventre della bellezza, prestandole un'attenzione mai conosciuta prima, e, potrei aggiungere, traendone poco piacere. Niente ci soddisfa, niente dura; passiamo attraverso i dettami della moda con lo stesso ritmo con cui cambiamo partner o marito. La bellezza è l'allegoria in base alla quale ricorderemo questi anni, una metafora su cui un giorno rifletteremo, chiedendoci: ma perché a quei tempi nessuno era felice? Di tutte le cose che compriamo per farci contenti - automobili, cavalli, vacanze - la bellezza è il bene che acquistiamo nel modo più disperato, investendo nel potere che ci promette a causa dell'invidia che ci attanaglia quando la vediamo risplendere negli altri. Quando la Klein ci spiega che alcuni di noi nascono disponendo di un potenziale più o meno elevato nell'essere invidiosi del potere della bellezza altrui, dovremmo prestarle ascolto. Significa che nella vita saremo particolarmente consapevoli dell'invidia degli altri verso la nostra stessa bellezza, così come più inclini a provare risentimento per l'aspetto attraente degli altri. E gli annunci pubblicitari, i cartelloni stradali, le riviste di bellezza, gli spot televisivi non fanno altro che soffiare su queste fiamme di risentimento: perché loro e non io? Pensa ai tuoi amici; non tutti entrano in uno stato di agitazione emotiva quando una persona attraente si unisce al gruppo, o arriva sopra una Jaguar. Alcuni rimangono tranquilli, mentre altri, nel momento in cui il potere della bellezza intacca lo status quo, diveltano ansiosi. Meglio ancora, guarda alla tua famiglia, genitori e fratelli, la tua eredità genetica lungo le generazioni; erano invidiosi di quel che possedevano i vicini di casa, sempre intenti a comparare ricchezza, potere, bellezza fisica all'interno della famiglia, rispetto a quel che avevano cugini e altri parenti, mai capaci di godere di quel che già possedevano senza l'ansia provocata
dall'invidia? Oppure riuscivano a gioire del successo e degli averi altrui, dispensando con facilità congratulazioni autentiche? I bambini, cresciuti dai genitori con l'obiettivo del successo, rimangono confusi quando scoprono che i genitori li invidiano per aver raggiunto proprio le mete che, ne sono certi, essi ammirano. Dopo aver lavorato sodo ed essersi sacrificati per produrre un figlio di successo, una figlia attraente, come possono ora nutrire risentimento per la felicità dei loro figli? Non cercare una logica nell'invidia. Quando i genitori rovinano la vita dei propri figli continuando a paragonarli a qualcuno più bello, che ha più successo, l'infelicità regna sovrana. "Tuttavia, in una casa dove aleggia l'invidia, il bambino non può far altro che vedere, ascoltare e respirare l'istruzione alla consolazione e al contrattacco", dice lo psicoanalista Leslie Farber. "Se accetta le condizioni offertegli e accetta di trarre esempio dai suoi parenti più anziani, la loro invidia genererà la sua."(8) Quando penso alla mia famiglia estesa, direi che siamo stati molto invidiosi. Gli adulti erano molto sicuri nel decidere chi fosse bello e facevano paragoni tra noi bambini. E proprio perché da bambina ho invidiato così profondamente la bellezza, che oggi mi affretto ad informare la gente del fatto che il mio vestito marcato Geoffrey Beene ha dieci anni. Attualmente, ogni inclinazione naturale all'invidia viene esacerbata dalla pubblicità, che ci prende continuamente a pugni, svalutando costantemente tutto ciò che già possediamo nello sforzo di farci uscire e comprare un qualunque nuovo modello di televisione, automobile, computer, capo di abbigliamento, progettato nottetempo. La gratitudine non viene incoraggiata, perché l'apprezzamento di ciò che già possediamo è antitetico alle leggi del commercio, che sopravvive grazie all'avidità. Nell'Età dell'Invidia, i bambini sono particolarmente suscettibili ai messaggi di una società che non assegna alcun valore a virtù invisibili come la gentilezza, l'onore, la generosità. E non sono solo gli spot e gli annunci pubblicitari a tener viva la nostra invidia; in articoli di giornale e in libri a vasta diffusione, compaiono nomi DOC che specificano esattamente cosa non possediamo; belle persone che conducono una bella vita ci guardano dalle pagine dei giornali scandalistici e ci rovinano quella che fino a quel momento era stata una giornata piacevole, facendo apparire miseri e inadeguati i nostri vestiti e le nostre case. Quanta ironia nel fatto che la nostra prima reazione alla bellezza fu di ammirazione, un'emozione che si fonda sul rispetto. In una società pervasa dall'invidia, l'ammirazione inacidisce presto e si avvolge su se stessa. Non riusciamo ad augurare ogni bene a persone che appaiono in fotografie che testimoniano la loro vita tra case da favola e feste con le star del cinema. "Portami il suo cuore!" grida la regina cattiva, gonfia d'invidia, quando lo specchio le comunica che non è lei la più bella del reame, ma Biancaneve, e prosegue col divorare cuore e fegato di quello che crede sia il corpo fatto a pezzi della sua rivale. Ecco l'invidia in azione! Quando è la bellezza umana ad essere oggetto di ammirazione, il pericolo è molto più grande, proprio perché l'invidia per la bellezza richiama i primi anni di vita, qualcosa che cova sotto le ceneri da tanto tempo. In qualche modo, siamo consci del fatto che se fossimo belli la nostra vita sarebbe diversa. Sarebbe assurdo negare che la bellezza ottiene il tavolo migliore, il seno migliore. I bambini belli vengono davvero presi in braccio prima. Sono altre le cose che accadono a mutare questo inizio ricco di buoni auspici, e accadranno in fretta. Quando incontriamo una persona attraente, come possiamo sapere che dei fratelli invidiosi, dei genitori invidiosi, degli amici invidiosi hanno guastato la sua vita? Non ci preoccupiamo delle loro storie sfortunate, vorremmo solo aver avuto la possibilità di esibire quella faccia, quel corpo. Noi siamo invidiosi e loro lo sanno, specialmente in un'epoca in cui la negazione cortese non è più di moda. Nelle Metamorfosi di Ovidio troviamo l'Invidia che vive in una caverna, avvolta da una densa nebbia scura, una creatura mostruosa che si ciba di carne di serpente: "Il volto di Invidia era di un pallore mortale, il corpo magro e sciupato, lo sguardo di traverso, orribile; i suoi denti grondavano veleno. Soltanto la vista della sofferenza riportava il sorriso sulle sue labbra. Non conosceva mai il conforto del sonno, ed era tenuta continuamente sveglia dalla preoccupazione e dall'ansia, guardava con sgomento alla buona sorte degli
uomini, consumandosi davanti al suo spettacolo. Tormentando gli altri e devastata dal tormento, era lei la fonte del suo stesso strazio" (9). Il nostro rifiuto nel capire il potere della bellezza si fonda in parte sulla riluttanza a riconoscere la miseria e la velenosità della nostra stessa invidia. Sono arrivata a pensare che scrivere questo libro è come alzare la mia barriera di protezione, la mia versione della Guaina Dorata di Wonder Woman. Come faceva notare Graham Greene,"Scrivere è una forma di terapia", affermazione che pochi scrittori metterebbero in discussione; trascorrere anni seduti da soli in una stanza non è sempre la scelta di una mente felice, soddisfatta. Per quanto personale possa essere questa odissea, non sono sola nella mia preoccupazione per la bellezza, un tema scottante che fa tappezzare i muri di tutta la città; gli sguardi bramosi per le strade sibilano "perché lui, perché lei, perché non io?". Questa è l'epoca di Klein, di Bettelheim, dei Fratelli Grimm, che ci raccontano storie di persone con sorellastre invidiose piene di difetti. Ascolta i messaggi delle fiabe antiche - più sono vecchie e meglio è - delle storie che sono state tramandate oralmente, in tutta la loro saggezza. "Le allegorie e le fiabe s'incarnano poi nella morale e nella psicologia", scrive A. S. Byatt nel suo saggio sull'Invidia, "e, nel caso dell'invidia, esse funzionano particolarmente bene, perché il meccanismo dell'invidia prevede la paralisi e l'autodistruzione - l'invidioso diventa davvero tutt'uno con l'Invidia."(10) In tutto il mondo, società diverse sotto ogni altro aspetto, hanno sviluppato le loro difese particolari contro i desideri di distruzione dell'invidia. "Benvenuto nella mia umile dimora", recita il mandarino cinese, facendo un inchino sulla soglia del proprio palazzo. Rientra assolutamente nelle nostre aspettative che le persone ricche e potenti godano dei loro privilegi; anche se una parte di noi ha voluto il loro male perché posseggono così tanto più di noi, a malincuore comprendiamo i motivi del trattamento privilegiato che essi ottengono. Dopo aver eseguito il loro inchino d'obbligo agli dei, per assicurarsi che non verranno uccisi per la loro "buona fortuna", il mandarino e il mogul possono ora procedere nella loro corsa all'accumulo di potere - esattamente come faremmo noi al loro posto. Tuttavia, tendiamo a non circondare la bellezza fisica degli stessi mantra protettivi, affinché prosperi comodamente, guadagnando sempre più potere. Al contrario, invochiamo l'ammonimento: "La bellezza è solo superficiale". Queste diffide dal sapore cerimonioso agitano il dito contro quelli che esercitano il potere della bellezza; quindi, meglio sminuirla, perfino essere ciechi di fronte ad essa, o, meglio ancora, negarla: "Chi, io bella?" E il crimine peggiore che la bellezza possa commettere è quello di mirare ad obiettivi più alti. Bionde svampite non si nasce soltanto, lo si diventa. Alla fine degli anni Ottanta, mentre stavo realizzando un breve documentario sul potere della bellezza, apparve sulla carta stampata un annuncio pubblicitario per la lacca Pantene, in cui una modella maledettamente attraente diceva: "Non odiarmi perché sono bella". Stampato a carattere più piccolo, l'annuncio proseguiva con le parole della ragazza che dicevano che lei, prima di utilizzare quel prodotto, era una donna insignificante come me e te. Che copywriter intelligente, ho pensato; la pubblicità perfetta per l'Età dell'Invidia, furiosa a causa della bellezza. L'annuncio scomparve all'improvviso, e mi fu detto in forma confidenziale che il Quartier Generale Femminista aveva avuto da obiettare sul fatto che così si poteva far pensare che noi Brave Ragazze fossimo invidiose. Ogni società si dota di un proprio ordinamento implicito, un accordo tra i sessi relativo alle risorse e ai ruoli. È cosi che la bellezza si è messa al servizio della ricchezza materiale. Nella nostra società, il potere economico è appartenuto tradizionalmente agli uomini e il potere legato all'allevamento della prole alle donne, che per parecchi secoli hanno anche goduto del monopolio della bellezza. Tuttavia è un monopolio non privo di condizioni. Perché la Società Paternalistica potesse funzionare, la capacità della bellezza di mantenere tutti in stato di schiavitù doveva essere tenuta sotto controllo. Il compito venne assegnato alle donne. Erigendo la bellezza a prerogativa femminile, gli uomini si svincolarono della loro invidia per quel potere e resero le donne l'una carceriera dell'altra.
Una madre scruta il volto della propria figlia e vede il suo futuro. Se la figlia è carina, la madre si sente rassicurata sul fatto che un giorno verrà un principe e si prenderà cura della sua bella bambina, le comprerà una casa e le assegnerà un posto nella comunità. In questo consisteva l'accordo sociale: all'uomo più potente andava la ragazza più graziosa. Una formula così semplice. Un ragazzo povero di nascita poteva andare nel mondo in cerca della propria fortuna, ma una ragazza nasceva già con il suo destino chiaro a tutti. Perciò era necessario che fossero stabilite della regole per proteggere la bellezza dall'invidia delle altre donne, regole che provvedevano anche alle donne meno dotate. Elemento più importante, in un mondo dove gli uomini detenevano tutto il potere economico, le donne non potevano permettere che il vantaggio procurato dalla bellezza le aizzasse l'una contro l'altra. In un mondo che riconosceva risorse limitate alle donne, la bellezza aveva un valore così cruciale da non poter essere messa in dubbio in modo schietto; e quindi, codici, schermi, eufemismi andavano a formare un linguaggio dell'ammirazione la cui pratica era a protezione della bellezza e di quelle che non la possedevano. Alla donna bella veniva concesso ciò che le era dovuto, ma, al contempo, veniva tenuta "al suo posto". Soprattutto, bisognava evitare la competizione aperta. Per le donne non era tollerabile essere viste mentre competevano per la bellezza. Quando questo succedeva, si negava: "In competizione? Oh no, ci vogliamo molto bene!" Oggi, niente taglia le gambe alle donne su un terreno di recente conquista come quello economico quanto la loro abitudine a negare la competizione, nata a difesa dall'invidia della bellezza in un'epoca di risorse femminili limitate. Nondimeno, competiamo preferendo dare a questo fenomeno altri nomi piuttosto che disporci ad apprendere le regole per una sana competizione. Non ho mai incontrato una donna che abbia il ricordo di un gruppo di ragazze che insieme riconoscono apertamente: "Ora, queste sono le Regole della Brava Ragazza e chiunque non le rispetti è fuori". Quando eravamo giovani, essere messe al bando dal mondo femminile significava essere totalmente abbandonate, perché "il mondo delle piccole donne" rimpiazzava l'attaccamento alla propria madre. Ricordo un cartone animato straziante di Jules Feiffer, il cui tema riguardava la legge per cui "Tre Bambine Non Possono Giocare Insieme", perché due di loro emarginano sempre l'altra, che corre piangendo dalla mamma: "Mamma, mamma, ieri era la mia migliore amica!" Che è poi un ritornello di questo libro; anche le ragazze grandi si emarginano a vicenda. È un meccanismo che ho visto in azione per tutta la mia vita, al lavoro, socialmente, anche (soprattutto) tra amiche intime, dove le ragazze piccole e grandi non riescono ancora a resistere alla tentazione di "punire" un'amica, rendendo così più stretta la relazione con le altre. Finché non cancelleremo la clausola che impedisce di competere e non arriveremo a riconoscere che la bellezza non è più la nostra unica risorsa, continueremo a vigilare invidiosamente l'una sull'altra. Le donne belle raccontano storie d'infanzia in cui impararono a stare al loro posto. Non tentavano di apparire troppo brillanti (non competere) in altre aree come quelle intellettuali, sportive, del comando; la loro coppa era già troppo piena. "Chi, io carina?" diceva la ragazzina graziosa, essendo la negazione la difesa primaria e più efficace contro l'invidia. E se non era la mamma a impartire questa lezione, ci pensava una sorella. Molto presto le altre ragazze si preoccupavano di metterla al corrente della saggezza contenuta nell'espressione "bella ma stupida". È uno di quei primi, "impliciti" ricordi, una sensazione ansiosa piuttosto che una memoria "esplicita" di altri che ti dicono di non brillare troppo in classe o nel gioco. E un ricordo che si ravviva ogni volta che si presenta l'occasione di eccellere in un campo che non sia quello estetico. Trascorrono dodici anni di apprendistato delle regole femminili prima che si affacci il periodo dell'adolescenza e la bellezza diventi la compagna più ovvia del ragazzo più in gamba. A poco a poco, quando gioventù e bellezza sfumano, o quando l'uomo potente la abbandona per una donna più giovane, la donna che una volta fu bella ora ha ben poche frecce al suo arco. Tutte le prediche della giovinezza si sono rivelate vere: la bellezza è solo superficiale. Non c'è niente dentro: niente ingegno, niente intuito, niente intelligenza. Oggi una madre non ha alcun modo di sapere se la sua bella bambina crescerà usando il suo aspetto per conquistare un uomo ricco o per costruire il proprio
impero ed escludere gli uomini dalla sua vita. Ciò che rimane immutato è il potere d'acquisto della bellezza: quel che una donna e, ora sempre più spesso, anche un uomo può comprare. Per quanto il ruolo della bellezza possa evolversi, e con ciò intendo le modalità con cui ricorreremo all'apparenza per ottenere quello che desideriamo, è certo che ritroveremo al suo fianco la sua oscura onnipresente compagna, l'invidia, quell'emozione velenosa di cui niente di positivo può essere detto. In un momento storico in cui donne e uomini condividono il potere che deriva dal possesso della ricchezza materiale e della bellezza, da parte nostra sarebbe saggio studiare i meccanismi dell'invidia, divenire maggiormente consapevoli delle sensazioni che porta con sé, in modo da riconoscerla prima che possiamo ferire le persone che ammiriamo ed amiamo, perché è esattamente questo il risultato dell'invidia: mordere la mano che ci nutre. "È un fatto notevole che una persona riesca ad ammettere di provare i sentimenti della colpa, della vergogna, dell'orgoglio, dell'avidità, e anche della rabbia, senza per questo andare incontro ad una perdita di autostima", dice l'antropologo George Foster, "ma che sia quasi impossibile, almeno nella società americana, che ammetta di provare invidia... perché attraverso il suo riconoscimento, una persona riconosce anche la propria inferiorità rispetto ad un'altra; in altre parole, costui misura se stesso in rapporto ad un altro e scopre una mancanza in sé. Ritengo sia questa indiretta ammissione di inferiorità, piuttosto che l'ammissione dell'invidia in sé, a rendere per noi così difficile il processo della sua accettazione."(11) L'ingresso delle donne nel mercato del lavoro rappresenta un cambiamento radicale che comporta un'alterazione dei più antichi contratti sociali tra i sessi. Le regole che presiedono agli usi della bellezza, grazie alle quali viviamo da secoli nella Società Patriarcale, stanno diventando obsolete a gran velocità, man mano che ci approssimiamo alla società che io definirei PreMatriarcale. Le difese straordinarie che un tempo proteggevano i sessi dall'invidia per il potere detenuto da ciascuno di essi non si stanno dimostrando molto resistenti. Per quanto riguarda l'universo femminile, non dobbiamo più fare affidamento soltanto sul nostro aspetto fisico come sorta di buono mensa. Le donne di oggi possono contare anche su una forza di tipo economico. Avendo speso ingenti quantità di denaro - non quello di papà, o di nostro marito, ma il nostro - in vestiti, trucco, nel salone di bellezza, non siamo più così disposte a minimizzare la nostra avvenenza fisica. Desideriamo darle spazio. "Chi, io carina?" è un'espressione che non suona più bene come un tempo. Inoltre, abbiamo fatto caso a come gli uomini del nostro ufficio non svalutino gli elogi, come non chinino la testa in modo infantile per sottrarsi ad un complimento ricevuto per un compito ben svolto. Ora, anche loro sono interessati ad apparire in forma, e quando qualcuno si complimenta con loro per il nuovo completo Armani, non dicono: "Oh, questa roba vecchia?" Gli uomini si prendono la lode e la mettono a frutto per se stessi. Non è che siano meno invidiosi, semplicemente invidiano qualità diverse dalla bellezza, e di solito reagiscono al sentimento sottinteso al "Perché lui e non io" in modo più competitivo di quanto non facciano le donne. Gli uomini sono stati educati ad agire, ad eseguire, piuttosto che a scomparire, ad esitare. Man mano che gli uomini continueranno ad addentrarsi in un terreno di dominio tradizionalmente femminile - e così sarà - le donne saranno spinte duramente ad impiegare i dinieghi da Brava Ragazza dell'invidia contro uomini attraenti che si fanno avanti per carpire le ricompense che derivano dal possesso della bellezza. Ora, al volgere del secolo, i ruoli femminili e maschili dovranno subire un processo di ridefinizione e, in corrispondenza, il nostro aspetto sta cambiando dentro e fuori. Pensando a se stesse in modo diverso, le donne si guardano allo specchio e si aspettano di vedervi nuove immagini riflesse, che corrispondano alle loro identità in divenire. Non possiamo tollerare la visione deviata delle nostre madri che, rimirandosi, perdevano contemporaneamente ogni piacere derivante dal potere della bellezza per timore di suscitare l'invidia altrui. Alcune femministe vanno sostenendo che la competizione è l'eredità negativa della Grande Cattiva Società Patriarcale, della brutalità degli uomini; vorrebbero estendere la regola di Non Competizione del mondo femminile al luogo di lavoro, ossia vorrebbero controllare il mercato attraverso il medesimo
sistema di negazioni che ha regolato il potere della bellezza per secoli. Loro in realtà competerebbero, a testa bassa, ma sulle loro facce si stamperebbe quel tipico sorriso che contrasta con l'aggressività, l'ostilità e l'intento omicida; Kathleen Turner lo aveva sempre pronto nel film "Serial Mom", in cui mutila e distrugge, scacciando ogni sospetto grazie al suo sorriso da Brava Mamma. Ma cosa si può dire dei sentimenti maschili a proposito del fatto che il movimento delle donne ha esportato il potere della bellezza nell'ufficio? Finché detenevano tutto il potere economico, la diffidenza maschile nei confronti della bellezza femminile risultava ammorbidita. Il pungiglione era rimosso. L'accordo era codificato: al conquistatore spettava il bottino. Non importava quanto vecchio o brutto fosse l'uomo, il contratto non veniva mai messo in discussione. E ancora non lo è. Ammirando la squisita freschezza della giovane donna rispetto alla faccia gonfia e piena di macchie del vecchio patriarca, alziamo le spalle. Dopo tutto, scambi così profondamente radicati come quelli che circondano le sfere della bellezza e della ricchezza non scompaiono in fretta, e venticinque anni sono un intervallo di tempo brevissimo. Il colmo dell'ironia è che noi donne ci sentiamo più a nostro agio a lavorare, provvedere al nostro sostentamento, lanciare sfide e agire come gli uomini, di quanto non capiti al momento di confrontarci l'un l'altra sugli usi della bellezza. Ancora oggi neghiamo il potere insito nell'essere belle per paura delle rappresaglie femminili. Talvolta è come se gli uomini non esistessero nemmeno. Ad esempio, quando una donna fa il suo ingresso in ufficio nel suo costoso completo Chanel o in tacchi alti e minigonna, quali sono gli occhi che controlla mentre cammina tra le scrivanie dei suoi colleghi? Le altre donne valutano quanto ha speso per quel completo, se le sue gambe sono adatte o no ad una minigonna; gli occhi delle altre donne la spogliano, nello sforzo di immaginare se stesse in quegli abiti; fanno paragoni, valutano, giudicano. È bello indossare un completo Chanel; dopo tutto è per questo che lavoriamo, per spendere il nostro denaro come più ci piace. Ciò che dimostra la nostra irresponsabilità è l'incapacità di renderci conto dei meccanismi che la bellezza mette in moto, con quanta velocità l'ammirazione si traduce in invidia. Se non riusciamo a conviverci, o a dissipare i mormorii e il risentimento appena velato che si legge negli occhi critici delle altre, allora abbiamo investito male i nostri soldi. L'invidia non sta scomparendo, proprio come le donne non lasceranno il loro lavoro per tornare ad uno stato di totale dipendenza economica dagli uomini. Ciò che si richiede loro è che vedano se stesse così come si sono sempre visti gli uomini: potentemente belle come la prima donna che le ha tenute in braccio. Nato e allevato da una donna, un uomo ha in sé la comprensione più vera degli usi della bellezza femminile. Prima che noi donne possiamo godere delle ricompense derivanti dalla bellezza, per cui lavoriamo così sodo, dobbiamo imparare a vederla come una forma di potere. Talune femministe sostengono che un esercito di donne potenti ha il dovere di negare nel modo più assoluto le rabbie infantili, ovvero le rabbie verso le altre donne. Il nemico è "là fuori", questa è la linea di pensiero, non dentro di noi Brave Donne. Partecipare alle marce femministe ha un effetto positivo sul nostro spirito, ma ci porta soltanto a provare più rabbia, perché l'obiettivo spesso non è quello giusto. Certo, alcuni uomini feriscono le donne, ma gli uomini non sono la fonte originaria delle nostre ire più profonde. Anche gli uomini si rifiutano di ammettere quale sia la vera fonte, perché si sentono rimpicciolire nel momento in cui devono riaprire una vecchia ferita inflitta dalla prima donna della nostra vita, e anche la più importante. La vita non sottoposta ad esame è un vita fatta di negazioni. La negazione divora la nostra energia, e, come sappiamo, un esercito marcia sul suo stomaco. La fornace ha continuamente bisogno di legna per produrre cortine di fumo abbastanza denso da oscurare quel che non vogliamo vedere. Forse venticinque anni fa, mentre l'esercito si stava formando, noi donne avevamo bisogno di utilizzare la nostra energia per liberarci dalle leggi ferree del tradizionale mondo delle donne. E, non a caso, il primo punto fermo a saltare fu il guardaroba, i vestiti graziosi vennero abrogati da bambine che volevano mostrare al mondo di cosa erano capaci. Marciavamo in jeans.
Ma non sono scomparse né la rabbia della nursery né la rilevanza della bellezza. Abbiamo nuove possibilità, ma sono meno alla nostra portata e meno piacevoli di quanto dovrebbero; battaglie sepolte che abbiamo vinto e perso contro genitori e fratelli su questioni riguardanti la bellezza, ci tengono legate al passato. Le nuove alternative per le donne non spazzeranno il suo potere. Possiamo anche scoprire identità più durature in un lavoro che abbiamo scelto, ma sia che decidiamo di rifuggire dalle apparenze sia di pagarne il prezzo, quella scelta verrà comunque influenzata da ciò che è accaduto nei primi anni di vita. Rispettiamo la ricchezza materiale a spese della bellezza non perché ci siamo liberati del suo potere primitivo, ma perché una fame non corrisposta ha marchiato a fuoco i nostri destini fin dalla nascita. Niente, come dice Melanie Klein, produce rabbia come un seno materno asciutto, o, anche peggio, la sua assenza, e così, quando un uomo piccolo e brutto usa l'energia della rabbia primitiva per costruire un impero, la prima cosa che egli compra per sé è un bel viso e un gran paio di tette. Ma la vendetta non si conclude mai; la bellezza, il seno, appartengono a lei, non a lui. La rabbia non scompare mai. Il rispetto di fronte alla ricchezza materiale è qualcosa che si apprende tardi, troppo tardi, se si crede nel potere di modellare la vita futura insito nei primi anni di vita. La nostra cecità di fronte all'onnipotenza della bellezza è stata tramandata attraverso le generazioni. Dato che la Società Patriarcale si fondava sulla ricchezza materiale come obiettivo ultimo, la potenza della bellezza doveva essere denigrata in ogni modo possibile. Ovviamente, non disponiamo di nessun mantra per allontanare l'invidia. È necessario alleggerire il peso delle negazioni cortesi. Ho scritto 'Mia madre, me stessa' per paura che non mi sarei mai sentita un individuo completo e indipendente se avessi dovuto vivere in compagnia di tutti gli inviti al diniego, responsabili del perdurare di quel sorriso da Brava Ragazza sul mio viso. Per la verità, ho iniziato quel libro in uno stato di innocenza; la rabbia è affiorata solo quando ho proseguito con la scrittura, che la spinse letteralmente fuori da me stessa, lasciandomi spaventata, senza energia, esausta. Lungo la strada che conduceva ai miei primi anni di vita avevo costruito canali che deviavano la rabbia dalla mamma verso obiettivi più sicuri. Nel frattempo, altra energia veniva impiegata per ricreare e abbellire continuamente la relazione con mia madre e le altre donne: "Arrabbiata con la mia cara vecchia mamma? Stai scherzando! Abbiamo passato dei grandi momenti insieme! La relazione con mia madre è migliore di quella che ho con qualsiasi altra persona". Quando 'Mia madre, me stessa' venne pubblicato, le donne mi scrivevano dicendomi che, all'inizio, volevano uccidermi, che la rabbia che il mio libro risvegliava in loro le spingeva a gettarlo in mezzo alla stanza. Io ero simpatetica nei loro confronti. Per mesi avevo rinchiuso in un armadio il libro di Melanie Klein, per impedirmi di affrontare la realtà del rapporto con mia madre. Ma il tema di questo libro è ancora più articolato: come ci vediamo negli occhi degli altri, come essi ci accolgono nello sguardo e quale immagine vediamo riflessa dalle vetrine di un negozio mentre vi passiamo davanti; come, in definitiva, le radici della bellezza affondano nella persona della madre, del padre, dei fratelli. La fecondità di questo tema è superata solo dalla sua tempestività. La bellezza è divenuta l'ingrediente principale delle nostre vite, non tanto gli abiti o le mode stagionali, ma la rabbia, il dolore, un terribile senso di isolamento che ci portano ad essere incapaci di ricavare benessere dal denaro e dal tempo che investiamo per allestire apparenze. L'apparenza è tutto, l'apparenza è il vuoto. È un misero inganno, lo specchio in cui oggi ci vediamo belle e ci sentiamo vuote. Perché non siamo persone più generose e gentili come erano loro? Dove sono le brave nonne che un tempo sorridevano alle ragazzine graziose? Stanno facendo ginnastica, si stanno facendo belle, si stanno tenendo in forma, stanno cercando di disfarsi della pelle che cede sotto il braccio, che ricorda loro l'invidia per quelle stesse ragazzine graziose. Il femminismo si è diviso in così tante correnti di pensiero, che è difficile stare sulle sue tracce. Questo è un bene. Le femministe sono individui con idee differenti su come vivere. Ma nonostante nel femminismo si sia verificato uno sviluppo crescente delle idee che ci differenziano in modo decisivo, non esiste tolleranza per la diversità. Ogni gruppo si comporta come se quelli portatori di
opinioni differenti avessero tradito, come se ci fosse soltanto Un Femminismo, il loro. Le donne parlano ancora della Sorellanza, quando in realtà si tratta di una comunità altamente differenziata di individui dello stesso sesso. Non riusciamo nemmeno a riconoscere che dissentiamo su cose che potrebbero dar luogo ad uno scambio dialettico di opinioni interessanti proprio perché così originali. Soltanto quando riusciremo a discutere, a combattere a parole per le nostre opinioni divergenti, potremo raggiungere una Dichiarazione di Indipendenza sulla cui base poter vivere, e stringerci la mano. Ma discutere senza il timore che la nostra collera distrugga l'avversario, o viceversa, richiede equilibrio, individuazione. Per acquisire una voce affidabile con cui esprimere la rabbia, ci vuole pratica, una pratica che ci permetta alla fine di assicurarci che non si tratta di un killer, ma di un'emozione della vita. A questo riguardo, i ragazzini hanno più occasioni per fare pratica, ed è per questo che i gruppi maschili possono discutere e stare insieme, oppure frantumarsi. Il femminismo non può tollerare il dissenso perché noi donne non ci siamo mai sentite al sicuro nel differenziarci dalla prima donna della nostra vita, che non avrebbe sopportato la nostra rabbia. Dal punto di vista emotivo, non ci siamo ancora separate, e la nostra rabbia originaria viene a galla quando un'altra donna ci sfida. Come osa! La conformità totale è l'unico modo in cui queste femministe riescono a vivere nel mondo ristretto che abitano e vogliono controllare. "Elimineranno" con accuse e minacce chi di noi è alla ricerca di una vita più ampia della loro; ne è testimonianza il gioco infantile che si è scatenato per etichettare le dissidenti con vari nomignoli, e che mi trova veramente imbarazzata. Non riesco ad immaginare un miglior terreno di battaglia, in base al quale esaminare la nostra indipendenza, del tema di questo libro: l'apparenza, la bellezza, i vestiti, il modo in cui presentiamo noi stessi agli occhi degli altri e ci vediamo riflessi in varie superfici. Ai nostri giorni la moda rotea come una trottola, scalzando un look dietro l'altro, richiamando alla mente l'eroina ossessionata di Scarpette rosse, condannata a danzare ogni volta che indossa un paio di scarpette, che per me simboleggiano la negazione. Donne, uomini, nessuno di noi capirà mai o cambierà l'atteggiamento verso il proprio modo di apparire, senza andare alla fonte, agli occhi che costituirono lo specchio più severo. Fu lei, insieme a nostro padre e ai nostri fratelli, a creare la scena primaria in cui ci venne affidato un ruolo che continuiamo a recitare o a negare. Come eravamo visti da loro? Eravamo a tal punto la gioia per l'occhio della mamma che nostra sorella o nostro fratello prese ad odiarci? Forse nostro padre amava guardarci, suscitando così l'invidia di nostra madre che si mise tra noi, letteralmente impegnata a dividerci e a riconquistare il proprio marito? O magari eravamo il bruttino di famiglia, contrariamente a nostra madre, al padre o alla nostra sorella più attraente, e dunque ci sforzammo di escogitare altri modi per farci notare ed amare? Oppure passammo inosservati, nascosti? Le combinazioni e le sostituzioni di ruolo all'interno di una famiglia non sono di numero finito; sfumano in soluzioni sempre più complesse fatte di rivalità e di competizione. La famiglia d'origine è il luogo in cui vengono gettate le fondamenta dell'immagine di sé. Se ripensare oggi alle prime ingiustizie dell'infanzia ci riempie di collera, non incolpare la mamma! Non farle fare da capro espiatorio. Attribuire le colpe è un atto ingannevole. Quando incolpiamo nostra madre di tutti i nostri problemi, crediamo di essere fuori dal gioco: "È tutta colpa sua!" Quando, in realtà, noi stessi ci siamo avvinghiati all'infanzia, garantendoci un'infanzia perenne. Noi dobbiamo far scorrere la nostra rabbia; lei non la ricorderà nemmeno. Dobbiamo fare i nostri compiti, rifletterci in modo onesto, prendendo di lei i lati buoni, quelli che amiamo, così da esserle grati. La gratitudine è importante. Dunque, lei non era perfetta. E chi lo è? 2.2 - "Portami il suo cuore!" Ogni cosa attorno, in questi giorni, mi ricorda dei primi anni di vita. E niente come il nuovo Baby Boom, il proliferare di pance, petti di donne incinte, i seni congestionati di belle donne che ci vengono sbattuti in faccia dalla televisione, dalla pubblicità sui fianchi degli autobus, dai tabelloni pubblicitari che nascondono la vista del cielo. Sul giornale di questa mattina,
uomini e donne nude vendono prodotti che non esigono l'esibizione del loro corpo, eppure è così. Spesso hanno tra le braccia dei neonati, anch'essi nudi. Top-model nude ci sorridono come per far intendere che le amiamo per la loro bellezza, quando, in realtà, più che amarle le invidiamo, desiderando ardentemente di essere al posto loro e di brandire il loro potere. La nostra cultura promuove l'invidia, aizza e plaude a quell'emozione che, per definizione, non può suscitare alcun commento positivo. L'invidia fa vendere; le agenzie pubblicitarie hanno imparato che rendere la gente insoddisfatta di ciò che possiede è un mezzo straordinario per portarla a sostituire cose seminuove, appena usate. "Pensavi di essere contento dell'automobile che hai acquistato sei mesi fa?" intona la pubblicità. "Stupido, guarda cos'hanno appena comprato i tuoi vicini di casa, guarda quel che le persone davvero importanti indossano, mangiano, bevono. Meglio ancora, supera il tuo vicino, compra un'auto ancora più abbagliante della sua e guardalo mentre si contorce dall'invidia!" L'invidia, quell'emozione disgustosa e viscida, è divenuta così familiare che i bambini prendono il fucile e uccidono altri bambini per rubare loro la catenina d'oro, le scarpe da corsa, o solo per far sparire il senso di inferiorità bruciante che l'invidia innesta: perché lui e non io? Invidiamo persino il potere che abbiamo consegnato nelle mani delle persone che amiamo, quello di renderci felici o tristi, il potere che lui o lei ha di prendere la sua bellezza e dedicarla ad un altro. Odiando il potere che hanno su di noi, li lasciamo per un'altra persona. L'adulterio è materia per un popolare talkshow televisivo e i tassi di divorzio volano alle stelle. Non c'è perseveranza. Non c'è gratitudine, e senza gratitudine, dice Melanie Klein, non ci può essere amore. Non c'è niente di male nella competizione di per sé, ma in assenza di pratica e di regole sicure, come con una pistola carica, è solo questione di tempo prima che si verifichi un incidente. "Il fatto che in una società paranoica come la nostra non abbiamo bisogno di alcuno stimolo a competere per svilupparci, non smentisce l'origine finalizzata dell'emozione", afferma lo psichiatra Willard Gaylin. "È probabile che il possesso esclusivo della madre sia l'obiettivo primario di tutti i bambini, che la competizione sia normale, e che la condivisione debba essere appresa."(12) Ma appresa da chi? Il femminismo ha predicato alle donne per vent'anni che ogni forma di competizione è negativa. Cosa debbono fare i bambini se le loro madri non nominano o non spiegano loro "l'origine finalizzata dell'emozione"? Sì, è un tempo meravigioso per le favole, e più spietate sono, meglio si adattano a riflettere onestamente la vita reale per un bambino. Il bambino, all'ora di andare a dormire, ascolta la voce a lui più cara al mondo; sogni e incubi lo invaderanno. Non è la trama cruenta di Hansel e Gretel a dare forma al sogno, ma le emozioni distruttive del bambino stesso provate quel giorno verso un fratello, un genitore, un amico. Quando la voce adorata di un genitore legge il racconto e lo termina con un bacio prima di spegnere la luce, il bambino diventa meno severo con se stesso perché la fiaba gli ha comunicato che non è il solo a provare emozioni malvage, e il bacio della madre o del padre lo rassicurano sul fatto che non verrà abbandonato. Dunque, nessuna meraviglia che le fiabe annoverino tra i loro personaggi più assidui le figure familiari; per un bambino, la propria famiglia rappresenta il mondo intero, da cui dipende integralmente per ogni suo bisogno. Quando funziona, la famiglia è una rete di fiducia, ma si trasforma in un microcosmo di paure quando il bambino vi si sente minacciato. Cosa fare, allora? Cercare di abbellire l'inconscio? Leggere ai bambini solo quelle storie che gli adulti vogliono che loro ascoltino? Derubarli della capacità di riconoscere i propri lati cattivi, il proprio spirito distruttivo come parte integrante dell'intero spettro dell'animo umano? Se non si è in grado di riconoscere presto il proprio lato oscuro, come si fa poi a decidere consciamente se dar corso alla propria cattiveria o invece moderare le emozioni più negative? Le favole sono piene di eroi ed eroine che devono compiere delle scelte. E così anche per i bambini. Negli ultimi anni alcune femministe di orientamento matriarcale hanno criticato il fatto che i bambini, leggendo le vecchie fiabe, sono esposti agli stereotipi sessuali di ruolo di cui esse abbonderebbero. Lamentano il fatto che la maggior parte delle eroine delle fiabe sono ritratte come individui passivi e remissivi,
che costituiscono principalmente un premio per un principe audace e dipendono quindi dal principe per la loro identità. Come sostiene la nichilista Andrea Dworkin, le favole esortano le ragazze a "diventare quell'oggetto di ogni desiderio necrofilo - la tonta innocente, vittimizzata e di vaga bellezza, la Bella Addormentata di infinita e dormiente bontà"(13). Nei suoi libri Andrea Dworkin ci fornisce un'alternativa alla saggezza delle fiabe, scrivendo storie in cui le sue eroine castrano sistematicamente tutti i personaggi maschili. Non un quadro carino, ma una descrizione orripilante del genere di rabbia femminista verso gli uomini della stessa Dworkin. Anche se non si tratta di favole per far addormentare i bambini, il veleno che sprizza e le tattiche incitanti alla rivolta - stile "Non fare prigionieri!" - che le sue seguaci prediligono verso tutti coloro che dissentono, esemplificano, sotto ogni aspetto, il nichilismo che ribolle nell'inconscio infantile. La Dworkin, nei suoi vari scritti, ammette di aver avuto una giovinezza molto infelice, del cui orrore sono responsabili gli uomini che l'hanno violentata non una, ma più volte. Come Freud ha fatto una volta notare ad un suo paziente - e io parafraso - "Posso capire che questa disavventura capiti una volta, anche due, ma ad un certo punto è necessario chiedersi il ruolo del proprio coinvolgimento nella propria infelicità." A mio giudizio è terrificante che le donne stiano creando nuove fiabe in cui le eroine non siano più descritte come esseri abbattuti e indifesi, ma come persone che prendono il coraggio a quattro mani e portano a termine l'impresa valorosa di liberare se stesse e gli altri dagli oppressori malvagi. Nella favola di Petronella la principessa alla fine si sposa, ma solo al termine della sua personale attività di ricerca, che è irta di pericoli e richiede intelligenza e coraggio. Nel "Principe della Foresta " il racconto è rovesciato, e la principessa salva il principe. Troppo spesso il narratore di alcune di queste nuove favole è preso da un eccesso di zelo, e il risultato è una storia non meno stereotipata dei più crudi racconti di stampo patriarcale. Quanto alle donne che inventano fiabe per celebrare il mondo femminile, dovremmo ricordarci che rispetto al bambino in ascolto, maschio o femmina che sia, le donne hanno davvero un potere totale di dare o sottrarre amore, di punire, di dominare, di comporre tutti i litigi e le differenze, in breve, il potere della nursery. Se le nuove fiabe femministe presentano personaggi maschili monodimensionali e deboli in contrasto a donne onnipotenti, rendiamo anche un pessimo servizio ai nostri figli e alle nostre figlie, che si appassionano alle favole non tanto perché promettono loro un futuro roseo, ma per mettersi in comunicazione con il loro inconscio distruttivo. "Mentre certi genitori privi d'immaginazione non se ne rendono conto, i bambini sanno che, quale che sia il sesso dell'eroe, la storia si riferisce ai loro problemi", scrive Bruno Bettelheim, contestando l'idea che le fiabe antiche rinforzano gli stereotipi sessuali (14). È da stupidi gettare a mare le vecchie favole solo perché non sottoscrivono la nostra agenda militante. Molto tempo prima che queste storie fossero scritte, centinaia di anni fa, l'argomento della bellezza e il potente influsso che esercita sulle nostre vite era ciò di cui i genitori parlavano ai bambini e ciò che quei bambini scelsero di ricordare e di raccontare ai propri figli. In quasi venticinque anni di femminismo moderno hai notato una diminuzione del peso della bellezza nella vita degli uomini e delle donne? Direi piuttosto il contrario. Puoi onestamente sostenere che questa riaffermazione del potere della bellezza sia il frutto di un'azione vilmente progettata dagli uomini malvagi per dirottare nuovamente le donne dal luogo di lavoro verso le attività di taglio e cucito? Siamo noi donne che rivendichiamo la presenza della bellezza nella nostra vita, ma le modalità dei suoi usi nella pratica sono ostacolate da quelle donne che non vogliono vederla usata affatto. Il potere della bellezza è eterno, non qualcosa che si possa accendere e spegnere. Il fatto che un tempo costituisse la nostra unica forma di potere non significa che dobbiamo rinunciarvi completamente; è più ragionevole comprenderne i meccanismi, imparare ad utilizzarla in modo efficace guardando direttamente al suo potere luminoso fin dalla culla. "Lascia che ti divori con gli occhi", sarà un'espressione in perfetto stile finché non diverremo tutti ciechi; e anche allora useremmo i nostri polpastrelli
per tracciare delicatamente il profilo amato delle labbra e degli occhi della persona che ci è cara. Il potere della bellezza non ha nulla a che fare con le mutevoli macchine della politica, e dovrebbe essere incluso nei manuali femministi per illuminare le donne e renderle maggiormente consapevoli dei suoi usi molteplici e delle responsabilità connesse. Escludere la bellezza dalle fiabe contemporanee quando le donne stanno rincorrendo le apparenze più voracemente che mai, significa distorcere la realtà con l'intento di mostrare il nostro sogno personale di come la vita dovrebbe essere. E dato che anche i ragazzi cresceranno usando l'aspetto estetico per raggiungere i loro obiettivi, non solo con le donne ma anche in campo professionale, ragione di più per scrivere racconti che rispecchino i sentimenti del bambino che dorme vicino alla propria sorella, odiandola per tutte le esclamazioni di meraviglia e ammirazione che suscita, e che potrebbe sentirsi molto più in pace con se stesso sapendo/ascoltando che il sentimento di rivalità non fa di lui un bambino cattivo. Qualunque cosa si dica ad un bambino, deve contenere il valore della verità, rappresentare ciò che i genitori sentono veramente, perché i figli conoscano i genitori come le proprie tasche. I genitori dovrebbero spiegare gli effetti provocati dalle apparenze, quelli positivi e quelli negativi. La bellezza, infatti, aprirà alcune porte ma ne chiuderà delle altre. È una forma di potere talmente fluttuante, fa il suo ingresso quando meno ce lo aspettiamo, nelle sembianze della sconosciuta, della nuova ragazza in classe, alla festa, e un bambino dovrebbe essere preparato ad avere a che fare con essa e anche con l'invidia che l'accompagna, negli altri e in lui, o in lei. Il potere del denaro non provoca reazioni viscerali in un bambino, è qualcosa che comparirà più tardi. Prima viene la bellezza, la moneta originaria. Se un bambino riceve spiegazioni oneste dalle persone che ama di più, il potere della bellezza e i problemi ad esso connessi diventeranno un dato, in modo tale che, a poco a poco, quando la bellezza di superficie sarà scomparsa, quando il bambino invecchierà, la vecchia lezione darà i suoi frutti: la bellezza è nell'occhio di chi guarda. Non farebbe male a nessuno di noi ascoltare ancora le vecchie fiabe. Cresciuti, con figli nostri, ne abbiamo dimenticato la saggezza e abbiamo imparato invece la lezione delle difese educate, impartita dalla società per mascherare la meschinità indicibile che riserviamo ai rivali più belli di noi. La rabbia dell'altra sera, per esempio, è venuta a disturbare i nostri sonni, ci ha fatto fare tardi in ufficio questa mattina, con quei sogni orribili che riguardavano certamente la cena in cui nostro marito andava particolarmente d'accordo con la sua bella vicina di posto, le sorrideva in quel modo complice che è il "nostro" sorriso, un sorriso troppo prolungato, dedicato a quella donna che lui più tardi aveva definito una persona veramente noiosa, ma i cui capelli, occhi e splendidi vestiti ci avevano stranamente fatto vergognare del nostro abito elegante, che ci era parso magnifico al momento di uscire di casa. In auto, sulla via di casa, la nostra rabbia nei suoi confronti è esplosa in modo sproporzionato all'accaduto, che poi non era altro che un sorriso, qualche parola. Come fare a nominare ad alta voce quel sentimento così umiliante, l'invidia della Regina Cattiva verso la più bella Biancaneve, una cosa dolorosa ma accettabile nella voce di nostra madre quando eravamo piccole, ma completamente disonorevole, mortificante in una persona adulta. Educati a negare il potere della bellezza, dobbiamo negare anche l'invidia che le viene appresso. È così la notte scorsa abbiamo dormito male, la paura della perdita dell'amore per una rivale seppellita. Ma l'atto di seppellire non ha funzionato. I sogni notturni erano sogni di demoni che avevano promesso un ritorno all'impotenza una volta comparsi nell'infanzia, la rabbia inammissibile verso fratelli e sorelle, per paura dell'abbandono che, in quel periodo della vita, coincideva in realtà con la morte, o almeno così sembrava. Quel che è accaduto oggi in ufficio è stato influenzato dai sogni, dal sonno perso; la nostra solita energia competitiva si è trovata fuori equilibrio. Ci siamo comportate male, oppure in modo brillante, abbiamo sbrigato gli affari con un piglio crudele atipico, o non è stato così? E con questi sentimenti irrisolti, inquietanti, all'ora in cui i nostri figli vanno a dormire, ci scopriamo alla ricerca dei Fratelli Grimm. Amiamo i nostri figli, vogliamo
proteggerli, proprio come un tempo i nostri genitori hanno tentato di preparare noi alla vita. Se le forze potenti della bellezza e dell'invidia non vengono esplicitate, il loro pungiglione non viene rimosso, e la negazione diventa uno stile di vita; si finisce con l'approfittare di quel potere, con l'infliggere sofferenza, e tutte le azioni e le intenzioni vengono chiamate con un nome sbagliato. Per il resto della loro vita in comune, genitore e figlio mescoleranno fatti e finzioni, mentre il figlio sa che non sarà amato in modo uguale, e il genitore nega la sua affinità con il figlio più bello. È una storia familiare come quella di Roshomon, in cui ogni volta che padre e figlio si incontrano va in scena una nuova rappresentazione che altro non è se non una reazione al primo spettacolo della loro vita in comune. Ogni volta il figlio pensa che sarà tutto diverso perché la vita è apparentemente cambiata, il genitore è invecchiato, il figlio o la figlia ora hanno un'esistenza indipendente e di successo, con bambini propri. Se non fosse che non cambia mai nulla. Le vecchie dispute e rabbie familiari si ripetono perché sono radicate in versioni opposte della realtà, una delle quali riguarda il modo in cui il potere dell'apparenza ha influito sull'amore. Bettelheim scrive che spesso i bambini ritengono di meritare le umiliazioni, di "essere relegati in un inferno di carbone", a causa delle loro azioni e dei loro desideri segreti. Inoltre, odiano e temono i propri fratelli e tutte le altre persone che pensano immuni da una simile malvagità, e si preoccupano del fatto che, come Cenerentola, se si dovessero scoprire i loro segreti, verranno degradati dai genitori. "Egli vuole che gli altri - e soprattutto i suoi genitori - credano alla sua innocenza, e quindi è lieto che 'chiunque' creda a quella di Cenerentola", scrive Bettelheim. "Dato che la gente crede alla bontà di Cenerentola, crederà anche alla sua: così il bambino spera... ed anche per questo è una fiaba che piace tanto."(15) A mio avviso fa tutto parte dello stesso quadro, le paure del rifiuto e la promessa d'amore riflessa dallo sguardo adorante di una nutrice onnipotente, conquistato a forza di fossette nelle guance e di ricci nei capelli. I miei capelli dritti e i miei piedi troppo grandi hanno portato agli incubi di cui parlo: le valigie perse, i vani delle porte da cui, sola, guardo coppie di amanti abbracciati. Sono talmente abituata ai sogni di abbandono, che non mi chiedo più perché la mia comprensione razionale non li abbia mutati. Ho imparato che questo è l'inconscio che, inesorabilmente, suona la sua vecchia familiare melodia. Ma l'inconscio mi ha insegnato anche che, senza i capelli dritti e in presenza di uno sguardo adorante, non sarei mai divenuta una piccola conquistatrice fuori dalla norma, una donna che non teme di sedurre un uomo. Questo ha significato molti armadi e più scarpe di quante potrei mai contare. Ma ha significato anche mio marito, che mi ama appassionatamente, senza esitazioni. Mio marito che un giorno, alle scuole elementari, fu prescelto dalla bambina più bella della classe. "Per un solo magico giorno", racconta, "fui trattato e guardato in modo diverso da tutte le altre bambine e gli altri bambini, perché ero avvolto dal bagliore magico della bellezza. E poi, un altro giorno, per un motivo tanto indecifrabile quanto il motivo per cui mi aveva scelto, mi lasciò." Aveva "dimenticato" questa storia fino al giorno in cui ci siamo incontrati. Il marito adorabile a cui ho promesso che un giorno viaggeremo con una sola piccola valigia. 2.3 - Rivalità tra fratelli: "Ciò che è bello è buono" Non ho alcun ricordo di me nella veste di una bambina che desidera vestiti graziosi, che gioca con pettini e spazzole, che viene sollevata davanti ad uno specchio. Solo con l'arrivo dell'adolescenza ci fu questo cambiamento, e avvenne dalla sera alla mattina. Quanti anni potevo avere quando decisi di trovare altri modi, diversi dalla bellezza, per farmi notare? Quando decisi di essere un'attrice, di comportarmi in modo da catturare l'attenzione di coloro che altrimenti avrebbero potuto ignorarmi, da costringerli a fermarsi e sorridere, a vedermi e prendermi con loro? Così presto i miei piccoli occhi devono aver scrutato il paesaggio valutando le mie possibilità di sopravvivere in una casa di donne attraenti, che oggi sono convinta di essere nata inventando un'identità che prendesse il posto della bellezza. Non mi sono mai aspettata di essere amata per il solo fatto di esserci, come mia sorella.
Permettimi anche di affrontare il tema della mia cattiveria, della sensazione orribile di non essere buona come la mia deliziosa sorella. Questo è un segreto che ho custodito gelosamente, e voglio rivelarlo perché il mio "segreto" si attaglia troppo bene agli studi comportamentali sull'apparenza. Non sono solo le prime persone che si prendono cura dei bambini ad individuare quelli più belli; anche i bambini piccoli lo fanno. I bimbi in età prescolare sapranno dirti quali sono i loro compagni più carini; preferiscono avere come amici bambini attraenti, da cui ci si aspetta siano più amichevoli e meno aggressivi, meno inclini a colpire senza una buona ragione. Al momento in cui i bambini arrivano all'asilo, attribuiscono ai loro coetanei più belli il privilegio di essere più brillanti, più simpatici, più bravi, più autosufficienti e indipendenti rispetto a quelli poco attraenti; al contrario, i bambini brutti, soprattutto i maschi, sono percepiti come più aggressivi e asociali (16). Chi studia l'apparenza lo chiama "effetto aureola". Carino, di per sé, è sinonimo di bontà. Così semplice e così gravido di effetti potenziali. Pensa a tutte le eroine dagli occhi umidi delle fiabe; la ragazza sciocca non colpiva duro, e anche Cenerentola non ricambiò le sue terribili sorellastre con la stessa moneta. E così anche mia sorella. Ma io la corteggiavo aggressivamente per ogni gioco di carte e per ogni gioco della campana in cui riuscissi ad attirarla. Era così pronta a perdere, le importava così poco di vincere che avrei voluto scuoterla violentemente. Era come se sapesse che il gioco non contava, che, sia che vincesse o che perdesse, ci sarebbe stato comunque qualcuno a prendersi cura di lei. Quando si avvicinava per abbracciarmi, la scacciavo in malo modo. Sono troppo dura con me stessa? Ricordati le classiche difese contro l'invidia di cui parla Melanie Klein - idealizzazione e svalutazione -perché è certo che invidiavo l'intimità che c'era tra mia sorella e mia madre, che devo aver in parte percepito come il frutto della bellezza che avevano in comune. Senza dubbio ho idealizzato mia sorella, elevandola in bellezza e santità nella stratosfera situata oltre la mia invidia omicida; ed eccomi ancora qui a svalutarmi dipingendo un autoritratto molto più ignobile e insignificante di quanto probabilmente fosse. C'è un'instabilità di fondo nelle famiglie, o in ogni altra relazione d'affetto, formata da tre persone. "Uno dei fratelli è sempre destinato a spiccare, suscitando in tal modo sentimenti appassionati di odio o d'amore", dice lo psicologo Stephen Bank, che si interessa in modo specifico delle relazioni tra fratelli, "è raro che questi sentimenti siano distribuiti in modo uniforme." È una teoria comprovata nel caso dell'amicizia (tre bambine non possono giocare insieme) e mostra il suo valore anche nella psicologia dell'amore, quando la sacra diade non può tollerare interferenze di sorta. In ogni partita a tre, "due persone cercheranno inevitabilmente una relazione d'intimità, anche una fusione, lasciando la terza nella propria solitudine" (17). L'"effetto aureola" descrive alla perfezione quello che avevo visto al tempo di 'Mia madre, me stessa'. Per il fatto che lei era più carina, pensavo che fosse una persona migliore di me. Lei era buona e io ero cattiva. Non esistono foto che mi ritraggono prima dei quattro anni. Bene, questo è quanto io ricordo: ho quattro anni, i capelli dritti e sparuti sono raccolti stretti, mentre il mio occhio destro, che non era ancora stato operato, scivola all'interno - al pari di Quasi Moto di Charles Laughton - dietro gli occhiali cerchiati di metallo. Alle mie spalle c'è mia sorella, con i capelli ricci che incorniciano delicatamente il suo viso grazioso, così simile a quello di mia madre. Era questo il motivo per cui l'ho sempre scacciata da me? Ci furono dei paragoni poco lusinghieri che io ascoltai per caso dall'infanzia in poi? Giudizi che decisero di una vita, intorno al fatto che non ero come "loro", come mia madre e mia sorella? E siccome sembravo una persona appartenente ad un'altra famiglia, allora avrei anche agito in quel modo, con un'originalità che non avrebbe permesso alcun paragone con mia madre e mia sorella. Per quanto riesco a ricordare, rifocillavo il mio corpo in modo diverso, rifiutandomi di mangiare pesce, dolci al cocco, torte di mele, tutto ciò che le mandava in visibilio; chiedevo perfino di far rifornimento di Miracle Whip, sostenendo che il mio stomaco non poteva sopportare la loro Hellman sui miei panini di burro di arachidi. Visto che loro
erano così buone (e belle) ed io così cattiva (e brutta), iniziai ad alimentare la mia reputazione di bambina cattiva arraffando ad un'età molto precoce i dolciumi nei negozi, dopo aver rubacchiato qualche moneta dal borsellino di mia madre. Quando le zanzariere venivano lasciate aperte inavvertitamente, io me ne uscivo tutta sola, sapendo che era proibito, ma anche alla ricerca, ne sono certa, di sguardi che registrassero la Vera Me Stessa, la dolce bambina camuffata da ladruncola per necessità, costretta a dire bugie. Per fortuna, quando avevo quattro anni, la gente a cui correvo incontro sul marciapiede si dimostrava estremamente gentile; mi portava a casa con sé offrendomi tagliatelle in brodo di pollo e panini con burro di arachidi, finché, dopo una serie di telefonate, si scopriva a chi appartenevo. Come odiavo indossare quella piccola versione gialla del suo vestito rosa più grande. Fino all'adolescenza, ho evitato testardamente gli specchi, preferendo gli occhi delle persone, che sapevo come accendere esibendomi nell'esercizio della candela. Se potevo darle la colpa per una malefatta, lo facevo, e mi sentivo legittimata a prendermi queste vendette, benché non riesca a ricordare nessuna sgarberia da parte sua. Come poteva comprendere questo mio desiderio di vendetta, che risaliva ai primi giorni di vita? Come era possibile che io "ricordassi" delitti commessi fin dalla nascita? In 'Diario di un bambino', Dan Stern descrive come un bambino di quattro anni accede a sensazioni che risalgono alla prima infanzia. Esistono ricordi utilizzati più di continuo, aggiornati e perciò, come si esprime lo stesso Stern, "rimaneggiati e tenuti in vita"(18), delle sensazioni antiche riguardo a come genitori e fratelli apprezzarono o non apprezzarono quel che videro in noi, giudizi connessi al sorridere, toccare, tenere in braccio, baciare, allora come adesso, adesso come allora? Da dove altro proviene l'intensità emotiva suscitata dalle riunioni familiari, indipendentemente dalla nostra età? La descrizione di Stern della "memoria" enuclea questi sentimenti mai dimenticati dall'inconscio e fornisce una spiegazione della nostra acuta sensibilità di fronte alla perdita e al rifiuto dei nostri familiari e dei nostri amanti. Non scambiare il mio autoritratto per autocompassione, perché non scambierei mai la mia vita per un'altra. La piega che ha assunto dipende completamente da come è iniziata. Le qualità che forgiai per guadagnare visibilità costituiscono ora il cuore del mio io più fidato. Non sono la madrina fatata di nessuno, ma non sono la bambina perfida che mi figuravo di essere quando ero piccola. L'invisibilità dell'infanzia mi affascina non a causa della sua tristezza, ma per la sua qualità altamente drammatica, un testamento per la primissima determinazione di un bambino piccolo a sopravvivere. Questa è la lezione: dobbiamo smetterla di bastonarci, di svalutare, non solo qualunque tratto gradevole del nostro aspetto fisico, ma anche qualunque buona qualità che possediamo. Non siamo così male come pensiamo. Di sicuro le mie precoci avventure con il pericolo, e talvolta con la legge, erano un "agire" in reazione alla certezza che mia madre amava di più mia sorella perché lei era più bella e più dolce. "Okay, se non mi ami, sarò la cattiva che tu pensi." Un pomeriggio ero seduta sulle scale e ascoltai mia madre e sua sorella mentre parlavano di quanto mia sorella fosse "gentile e generosa". Dissero che io non ero "gentile e generosa"? E realmente accaduto? Divenni cattiva perché invidiavo la sua bellezza ed ero/sono più cattiva di ogni altro? "I fratelli sono un'occasione meravigliosa per imparare delle cose sulla vendetta", mi disse una volta Dan Stern. "Vanno bene per imparare tutti gli aspetti del sistema legale e penale. Funzionano molto meglio dei genitori. Spesso offrono insegnamenti sulla realtà quotidiana molto più accurati dei genitori." Ero rimasta là, a noi tre, e nonostante non ricordi una sola parola crudele da parte di mia madre o di mia sorella in quei primi anni, la rabbia e l'ansia suscitate dalla sensazione di essere esclusa da quello che io "percepivo" come un legame tra loro due, che, in buona misura, iniziava con la loro somiglianza fisica e caratteriale, determinarono poi il corso della mia vita. Tuttavia, quei miei stupidi tentativi di "vendicarmi" hanno finito col farmi perdere molti momenti e cose piacevoli solo per il fatto che "loro" li condividevano o le facevano. Il mio scrittoio ora è esattamente al posto in cui il mio caro amico, il cantante e compositore Peter Alien, teneva il suo pianoforte. Uscivo ed
entravo dal suo appartamento, beandomi della vista di quell'uomo scalzo, con la sua camicia hawaiana, che, seduto al piano, componeva canzoni di amore non corrisposto. Nessuno era capace di scriverle come Pete. Se mai c'è stato un tempo adatto a raccontare fiabe, questo lo è. Il mondo reale mette paura. Tutti gli accordi sono saltati. Il risentimento, la rabbia e l'invidia spadroneggiano in campi in cui un tempo i codici di comportamento, l'etica e la buona educazione dettavano legge. Oggi la bellezza gioca in prima persona, è là fuori che solca le strade a seno nudo, tacchi a spillo, con la patta aperta da una grossa erezione. Per le sue belle scarpe, un bambino viene ammazzato da un altro bambino invidioso che vuole per sé il potere della bellezza. E tu vuoi leggere a tuo figlio la storia di "Toot, il piccolo motore potente"? Prendi in mano le favole di Grimm. Rivelano la realtà per quella che è, e i bambini desiderano disperatamente ascoltare qualcuno che parli ad alta voce della realtà. Ancora a contatto con le emozioni intatte, i bambini riconoscono in se stessi esattamente quel che le sorellastre malvage sentono per Cenerentola, avendo nutrito, proprio quel giorno, gli stessi sentimenti di crudeltà omicida verso il proprio fratello o la propria sorella, i cui grandi ricci dorati, ancora una volta, hanno conquistato l'ultimo biscotto rimasto sul piatto. E al fratello bello non è sfuggito l'effetto che quei ricci hanno su di te: invidia assassina tra fratelli. E quando la mamma non riconosce apertamente la meschinità e la paura che l'incidente del biscotto si porta dietro, quando tenta semplicemente di abbellire la realtà e di far credere che, in ogni momento, tutti amino tutti quanti, allora i bambini sono portati a vedersi bianchi o neri, il fratello più bello buono come un angelo, e l'altro esageratamente cattivo. Le fiabe distraggono i bambini da queste aspre accuse che rivolgono a se stessi, fornendo loro eventi e personaggi che rappresentano e danno voce a tutti i sentimenti che provano; non sono più costretti a interiorizzare i cattivi sentimenti, a dirigerli contro se stessi. Le sorellastre di Cenerentola non solo ricevono quel che gli spetta, ma sono malvage a tal punto da far impallidire, al confronto, l'ostilità provata dal bambino. "Dato che [il bambino] non può comprendere le gradazioni, le sfumature, e per lui le cose sono completamente chiare o completamente scure", scrive Bettelheim. "Una persona è tutta coraggio o tutta paura; la più felice o la più disgraziata, bellissima o bruttissima, intelligentissima o ebete; prova amore o odio, mai un sentimento intermedio. È così che anche la fiaba descrive il mondo: i personaggi sono incarnazioni della ferocia, oppure la bontà e la generosità in persona. Un animale è uno spietato divoratore d'uomini oppure un salvatore per eccellenza. Ogni personaggio è essenzialmente unidimensionale, così da permettere al bambino di comprendere facilmente le proprie azioni e reazioni. Mediante immagini semplici e dirette la fiaba aiuta il bambino a separare i suoi complessi e ambivalenti sentimenti, che, prima in un confuso coacervo, cominciano a trovare ciascuno il suo posto distinto."(19) Se la bellezza non giocasse un ruolo di primo piano nelle nostre vite, non spiccherebbe in modo così prominente e tanto spesso come il tema di fondo delle fiabe. I bambini belli vengono presi in braccio prima nel senso più ampio dell'espressione. Gli sguardi sono tutti per loro, le voci diventano più calde alla loro comparsa, in un fiorire di "Oh!" e "Ah! " da parte di chi li alleva, incapace di trattenersi mentre appaga gli occhi nell'ammirazione del bambino adorato. Gli altri bambini si accorgono di queste cose, una prova di realtà più incontrovertibile di quella registrata dall'espressione "Amo i miei figli tutti allo stesso modo." Essere visti significa tutto quando siamo piccoli, una verità che dura fino a quando viene il momento di raccontare una storia ai nostri stessi bambini. Molto prima che le fiabe fossero messe per iscritto, questa memoria delle cose veramente importanti degli anni della nursery costituiva l'argomento principale delle storie raccontate dai genitori ai propri figli. È ciò che essi scelsero di ricordare. Avrebbero potuto inventare storie più piacevoli che rappresentassero la vita da favola che sognavano per il proprio figlio; e invece, istintivamente, proteggevano i propri bambini con storie che raccontano non di come la vita potrebbe essere, ma di quali emozioni suscita. Possiamo mantenerci da sole, scegliere di amare un'altra donna o di essere single, ma la bellezza ha comunque il sopravvento perché ha regnato
incontrastata nel periodo dell'infanzia, e nessuno, ragazzo o ragazza, può dimenticare un paio d'occhi che passano oltre per posarsi in adorazione su di un altro. Sarebbe un atto di maggiore generosità e saggezza da parte delle femministe incoraggiare l'ingresso dei padri nella nursery, invece di scrivere nuove fiabe corrosive che si adattano ai programmi politici degli adulti; un padre rappresenta un altro paio di occhi, di braccia, un'altra voce amorevole, un altro odore, un altro contatto fisico, fonte d'amore e di opinioni sulla bellezza. La vita ne risulterebbe arricchita. E, altrettanto invariabilmente, in ogni racconto che tratti di bellezza, la trama prevede rivalità sanguinose tra fratelli, portate all'estremo da uno scopo: dare al bambino una versione amplificata delle emozioni che i suoi genitori chiamano con nomi diversi, più civili; ma anche permettere al bambino di togliersi un po' dai guai. Le sorellastre sono così grottescamente malvage, che sembra giusto odiarle, e in tal modo il bambino diventa anche consapevole di non voler essere così orribile, e dunque può riconoscere alla fine di non essere così terribile come temeva. Quando i bambini associano bontà e bellezza, classificano allo stesso tempo se stessi, nella loro imperfezione fisica, come meschini, cattivi, come il peggiore di tutti, un aspetto che diventa il loro io segreto, il lato oscuro che impareranno a tentare di tenere nascosto. Chi è meno attraente all'interno di una famiglia, tenta spesso di nascondere questo "brutto carattere" dietro una raffinata eleganza, uno sforzo esasperato di piacere, sotto il quale si cela il sospetto che, quando il telefono non suona o l'invito non arriva, il mondo abbia penetrato quello strato di gradevolezza esteriore e scoperto la bruttezza interiore. Ai bambini piace sentirsi ripetere le favole in continuazione. La conferma che non sono "i soli" ad ospitare emozioni oscure, crudeli. Sono gli adulti che dimenticano questa verità e ora si ritraggono davanti all'orrore che emana dalle favole: "Caro, come faccio a raccontarla ad un bambino?" Ma come puoi sottrarti, se è l'unica forma di onestà a nostra disposizione? Le favole narrano di trasformazioni, è la loro promessa al bambino che ascolta, sul punto di addormentarsi ma mai lontano dai propri desideri e/o dai propri severi giudizi su se stesso; per il bambino non ci sono sfumature: l'io cattivo lotta contro l'io buono. La fiaba partecipa alla risoluzione del conflitto, permettendogli di addormentarsi, promettendogli che la bontà prevarrà e che anche in lui ci sono lati buoni, oltre a quelli cattivi. L'ambivalenza si apprende, e solo attraverso la sua consapevolezza possiamo compiere delle scelte. "In ultima analisi, è l'amore che trasforma anche le cose brutte in qualcosa di bello", scrive Bettelheim. "Siamo noi stessi che da soli mutiamo il contenuto primordiale, rozzo, e più comune del nostro inconscio - rape, topi, rospi - nei prodotti più sofisticati della mente."(20) La promessa del "restauratore di bellezza", il momento televisivo più seguito di qualsiasi altro, non si riduce alla semplice trasformazione della donna dallo sguardo triste della terza fila. E anche la convinzione, la sua come la nostra, che dopo quell'intervento sarà una persona migliore, con una vita migliore, per il solo fatto di essere più bella. L'"effetto aureola". Sì, vogliamo essere belli, ma, come il bambino prossimo al sonno, vogliamo avere un'opinione migliore di noi stessi, sbarazzandoci dei pensieri meschini ispirati dall'invidia, che ci fanno desiderare di picchiare una persona qualunque allo stesso modo di un fratello. È un peccato smettere di leggere le fiabe così presto; in realtà, dovremmo chiedere ai nostri figli di rileggercele, una volta che ne siano capaci. Sarebbe un esercizio interessante quello di sentire, dalla loro voce, come si adattano ancora a tutti noi. Accadde tutto così tanto tempo fa che ci rifiutiamo di credere che le rabbie infantili siano responsabili delle nostre reazioni odierne. Già con dei figli nostri, ci chiediamo come sia possibile sostenere che quello che è successo con un fratello o con una sorella influenzi ancora la nostra vita. Eppure, dove altro cercare le ragioni per spiegare l'influsso della bellezza oggi? Dovunque andiamo, ci sono occhi pronti a giudicarci, spingendo così il bottone della memoria che richiama i sentimenti e i paragoni dei primi anni di vita. Quando il nostro compagno guarda un'altra donna "in quel modo", la nostra reazione eccessiva non è dovuta ad un atto - e infatti non è successo niente - ma a quel
sentimento "frequentemente usato e aggiornato" di quando un nuovo fratello è entrato per la prima volta nella nostra vita. A livello razionale, sappiamo quali sentimenti prova per noi la persona che amiamo. Da dove proviene allora quella rabbia che così inappropriatamente ci sovrasta? Il fatto è che la consapevolezza di essere "il brutto" della famiglia non si acquieta mai, non scompare mai. Resta "altamente disponibile", intrisa di tutta l'intensità sperimentata da un bambino impotente, dipendente. Tu ed io non crediamo ai complimenti che ci rivolge il nostro partner - non con la stessa prontezza con cui accoglieremmo dei giudizi negativi; abbiamo speso metà del nostro stipendio per dare forma alla persona riflessa dallo specchio, ma essa non è altro che un prodotto, buono soltanto fintantoché non soffia il vento. Il giudizio estetico è la prima valutazione, quella che ingoiammo per intero quando eravamo totalmente inermi, quando essere visti come eravamo realmente, e non come la proiezione delle fantasie altrui, significava la vita. Tutto quello che desideriamo, diciamo, è creare un'immagine di noi stessi con cui convivere più felicemente, come se il problema consistesse nell'assumere un consulente d'immagine, quando invece è più plausibile andare alla ricerca delle sue radici nelle battaglie vinte e perse molto tempo fa contro un fratello o una sorella che ci rubò il centro della scena. "Mi ami?" chiediamo al nostro amante, il cui "Sì" appassionato non riesce comunque a convincerci. Noi non riusciamo a vedere una persona piacevole allo specchio, e così torniamo alla carica, e lui torna a ripeterci: "È naturale che ti amo, sì!" fin quando trionfanti non scoviamo una piccola incrinatura, qualche difetto nella sua protesta: "No, non è vero, tu non mi ami!" gridiamo, piene di disperazione ma anche con un pizzico di autogiustificazione. "È vero", e, abbandonando il campo, ci dà ragione. "Non ti amo." Sono a Key West, è la mattina di Natale e sono nel mio giardino a vagare scalza tra le palme, la Phoenix Robellini, la Monsteria Deliziosa, la Coco Plumosam, alla ricerca del mio "restauratore di bellezza", l'ibisco doppio bianco che oggi mi metterò tra i capelli. Un giorno perfetto di bellezza, questa è la vita dell'ibisco. Non una vita lunga, ma neanche una brutta vita. Nasce col primo sole del mattino, è di una bellezza sensuale a mezzogiorno, si secca la notte, cadendo infine dallo stelo. A meno che, naturalmente, non lo si raffreddi fino a sera, prolungando la sua vita e così anche la mia, perché mi sento una persona diversa (migliore) quando ne indosso uno, due, talvolta tre. Ogni volta che smetto di lavorare, sposto i vasi nel giardino inseguendo la luce del sole. Voglio che le mie piante raggiungano la perfezione. Colto al momento della piena fioritura, conservo l'ibisco nel frigorifero finché non giunge la zucca/carrozza di quella sera, e poi lo sistemo dietro l'orecchio, a fare da corona. Indosso solo la versione doppia, grande e bianca, che, quando è perfetta, ha delle sfumature color rosa pallido e crema, spruzzate sui petali. Questa è l'immagine che prediligo di me stessa, non solo perché prendo a prestito la bellezza dell'ibisco, ma perché i fiori tra i capelli di una donna sono sinonimo di tranquilla femminilità in comunione sensuale con la natura. Ricorda le trasformazioni delle fiabe, se penso a come mi vedo durante il giorno: senza fiori, frettolosa, ambiziosa, impaziente, non sempre gentile, meno attraente e dunque meno buona. La verità è che un piccolo tocco di bellezza, trasformando la nostra immagine allo specchio, probabilmente ci rende persone migliori, perfino più buone. E la rappresentazione trova conferma nell'esitazione e nello sguardo diverso che scorgiamo negli altri; e, vedendo i loro occhi puntati su di noi, proviamo un sentimento di gratitudine. Così si mette in moto lo scambio, mentre ognuno lavora alla trasformazione estetica del proprio sistema individuale, fino a quando una parola, un'azione non rompono l'incantesimo, ricordandoci che si tratta solo di un fiore, di un vestito o di una nuova pettinatura, e che sotto siamo ancora le persone insignificanti di prima. Ciò non significa che dovremmo destituire il potere della Trasformazione, perché esso è onnipresente. Qualcuno, in qualche luogo, è sempre sul punto di scivolare in un vestito d'oro tessuto dagli elfi. Per me, una donna raramente a riposo, che fa ampio ricorso ai geni maschili, accentuare i lati femminili è fonte di profondo sollievo. Tre fiori bianchi tra i capelli possono rappresentare un eccesso di esibizionismo, ma diversamente da una camicetta trasparente, i fiori sono disarmanti; chi può accusarti di
attirare l'attenzione su di te, di suscitare invidie, se hai semplicemente preso a prestito dalla natura? La mattina trovo i resti appassiti dell'ibisco della sera precedente sul comodino vicino al letto, sul pavimento, o in un bicchiere da cognac; contengono sempre molti ricordi, come le orchidee che ricevetti da un ragazzo molto tempo fa. Ma nel farmi dono di un ibisco, prendo al contempo le distanze da quella ragazza inerme, totalmente dipendente dal ragazzo. Questi fiori sono i miei complici eletti, coinvolti nei piaceri che ho messo in moto la sera scorsa, non solo momenti piacevoli per me, ma atti generosi compiuti per la felicità di altri, gentilezze che non avrei portato a termine, né potrei, senza la leggerezza che mi viene dalla bellezza dei fiori, responsabili del miracolo sulla Cattiva Nancy. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che il mio esibizionismo derivi dalla competizione con la mia sorella maggiore, la Bellezza Bambina. (Il fatto che io riscossi la mia quota verso i 19 anni non conta; era ormai troppo tardi per crederci.) Quando ero piccola mi dicevo che non mi interessava perdere quella gara sciocca, visto che continuava il mio sforzo di inventare e vincere altre competizioni in cui primeggiavo. Quando infine potei competere anche per l'aspetto fisico, avevo già accolto e appreso questo primo modello di esibizionismo evolutosi sui campi da gioco. Era parte di me, della mia identità. Portare questi esotici, enormi fiori tra i capelli in una Key West immaginaria, ha su di me l'effetto più calmante e benigno; l'ansia di non essere all'altezza svanisce d'un colpo, con la velocità di un tocco di bacchetta magica. Oggi è il giorno di Natale, così ho detto qualche preghiera in più per il fatto che la natura, durante la notte, è stata così generosa. Avrò bisogno di almeno nove boccioli per superare i tre atti del giorno di Natale, il primo dei quali è la colazione con i nostri vicini e amici più cari, Dick e Bob, che hanno il giardino confinante con il nostro. Separo le elitre giganti di un Uccello del Paradiso e compaiono, un magico raccolto di boccioli di ibisco coperti di rugiada, tre per questa mattina, tre per il pranzo da Jimmy e tre per la cena da David sulla terrazza, in cima al vecchio edificio Kress. La Signora Vampira si ritira nella cucina per sbattere le uova, friggere fette di pancetta e scaldare grandi quantità di torta di noce americana per il caffè e brioches della panetteria francese. In questo rituale un'attenzione particolare va a Dick, per compensare il Natale dei suoi quattro anni. Quella mattina indossava la sua piccola giacca blu bordata di rosso, calze al ginocchio e pantaloni corti di flanella grigia, e, da quel bravo bambino che era, stava in cima alla scala attendendo con impazienza un giorno di festa perfetta. Invece, vide la sua bella mamma tra le braccia dell'autista, il suo amante, mentre la portava fuori dalla casa di suo padre, in cui non fece mai più ritorno. Dick fu spedito subito nella sua camera, mentre i suoi regali rimasero incartati. È figlio unico, il che non significa che sia stato risparmiato dalla rivalità tra fratelli. Sua madre occupa tutte le basi, fraterne ed edipiche. Fu suo padre a desiderare "un bel figlio maschio, un erede", e a questo fine aveva selezionato, come compagna e madre di suo figlio, un esemplare perfetto, molto più giovane di lui. "Lui mi teneva spesso in braccio, mi lanciava in aria e baciava la mia pancia, facendomi ridere", sospira Dick. Ma dal momento in cui sua madre se ne andò, smise di occuparsi di suo figlio. Come nelle favole, fu una nonna affettuosa che mandò avanti la casa del figlio e fece da madre al piccolo nipote. Quando la nonna morì, seguita subito dopo dal padre, Dick fu lasciato solo con l'astio di sua madre. Di domenica, il fratello di suo padre, il parente povero, veniva a cena con sua moglie Brunhilde e i loro bambini, dei "mostri senza collo" come quelli di cui scriveva Tennessee in La gatta sul tetto che scotta. Competevano per guadagnarsi l'attenzione e il denaro della nonna, tentando, senza riuscirvi, di averla vinta sul suo amato Dick, il più bello di tutti. Covavano amaramente del risentimento per lui e alla fine si presero la loro terribile vendetta, che lasciò Dick praticamente cieco per un anno. Vent'anni fa, sua madre lo invitò a pranzo al Polo Lounge del Westbury Hotel di New York, dove lo abbandonò per sempre. Stava per sposarsi per la quarta volta, ed era sicura che lui avrebbe capito "che nessuno crederebbe che ho un figlio della tua età". Non importa il fatto che Dick sia un uomo di singolare bellezza; una donna che specula sulla propria bellezza sente che il potere che ha viene
messo a repentaglio se gli vengono associati dei numeri sbagliati, qualunque essi siano. Lei aveva soltanto diciassette anni quando nacque Dick, e odiava la bellezza del bambino, sentendosi minacciata dalla possibilità che egli le avrebbe sottratto tutti gli sguardi di ammirazione. Quando divenne un adolescente di grande fascino, e gli occhi di un amante la abbandonarono per andare a posarsi troppo a lungo su di lui, tagliò le sue visite mensili. "La mamma ti chiamerà quando vorrà vederti", annunciò con un tono competitivo, simile a quello che avrebbe avuto una sorella. Quel giorno, al ristorante di New York, aggiunse: "E non telefonare mai più. Non cercare di raggiungermi". Ora impiliamo fin troppe scatole splendidamente decorate sotto l'albero fasciato di rami di buganvillea, e, mentre Tony Bennett riempie l'aria di canzoni che si addicono di più ad una scena di seduzione che ad un Natale, tutti insieme riscaldiamo la bellezza della giornata e la nostra buona fortuna di averci come amici. Mentre scartiamo i doni, i familiari telefonano per farci gli auguri, ma non c'è nessuna famiglia che chiami per Dick. Una delle chiamate è da parte di mia cugina di Charleston, che ci vuol far sapere quanto i bambini abbiano apprezzato i nostri regali, una serie di fiabe su videocassetta. "Abbiamo dovuto affittare la cassetta di Biancaneve una dozzina di volte", mi dice, "ora, hanno la loro copia. Indovina chi le ama di più? Quello di due anni." Due anni e avvinghiato alla bellezza, all'amore e all'invidia assassina, le cose di cui è fatta la vita quando hai due anni ed esigi informazioni schiette. Appena svezzato, il bimbo di due anni registra i mantra contraddittori che ricordano così bene come è fatta la vita. La bellezza è potere. La lezione è stata appresa e con lei il codice di comportamento che ogni bellezza deve seguire se vorrà sopravvivere nel mondo delle donne; possederla ti mette già in una posizione così lontana da quella di tutte le altre ragazze - soprattutto quelle di famiglia, che dormono nel letto accanto al tuo - che la tua unica salvezza risiede nello sminuirla. Quando la bambina raggiunge i quattro anni, il detto per cui "la bellezza è solo superficiale" sarà così profondamente impresso nella sua testa, che non ci sarà bisogno di ripeterne le parole. Altri bambini le avranno insegnato i loro sentimenti ambivalenti verso quel dono; la cercheranno, attratti, come gli adulti, dalla serenità che si sprigiona dalle sue forme deliziose. Se dovesse acquisire altri poteri, l'ammirazione si trasformerà d'incanto in invidia, che è sempre stata in agguato dietro le quinte. Il portafoglio della bellezza può essere svalutato in un istante, peggio ancora, chi ne è in possesso può metterlo a repentaglio, nella piena consapevolezza della precarietà del potere legato alla bellezza. Come sopravvivere nel mondo delle donne, anche quello delle piccole donne, se possiedi il dono? Minimizzalo, sii cauta, non inseguire troppi traguardi perché possiedi già tanto. Raggiunta l'età di dieci o undici anni, i bambini hanno una tale familiarità con il sistema di difesa contro l'invidia che, quando fu condotta un'indagine tra le bambine di quinta elementare, più del 75% di esse, incluse le più carine, si classificarono come le meno attraenti della classe.(21) È un risultato talmente significativo, così denso di implicazioni, che diventa quasi imbarazzante cominciare a commentarlo. Come è possibile che menti di solo dieci anni siano già così programmate da non osare riconoscere la realtà? E ci meravigliamo del fatto che le donne non credano mai nella loro bellezza, che i nostri armadi trabocchino di vestiti che promettevano bellezza e che non hanno mantenuto la promessa. Ci avevo pensato due volte prima di inviare la collezione di fiabe su video ai figli di mia cugina. Da bambina ero molto felice quando qualcuno mi leggeva le fiabe, la presenza fisica di un adulto che mi stava vicino, la vista, l'odore di questa persona amata che mi prestava un'attenzione esclusiva, il suo tempo, e poi la voce familiare che ripeteva storie che erano chiamate di "finzione", ma che suonavano più vicine alla vita di ogni altra realtà. Le fiabe dei Fratelli Grimm erano raccolte in un pesante volume blu, e gli arabeschi dorati in rilievo sulla sua copertina promettevano storie complicate che non deludevano mai. Tremavo di terrore, perché probabilmente mi identificavo, riconoscendo la mia stessa rabbia di bambina invidiosa di una bella sorella maggiore, così legata a mia madre che sembrava non esserci posto
per me. Forse amavo l'idea che a mia madre fossero state lette le fiabe da quello stesso volume, perché all'interno c'era un'incisione che diceva: "Dalla biblioteca dei bambini di Colbert". I miti e il folklore offrono al bambino delle soluzioni immaginarie alle contraddizioni reali della vita. Trasformazioni e camuffamenti non hanno tanto l'effetto di confondere quanto di spiegare. Brutti ranocchi si trasformano in principi, nonne apparentemente gentili diventano vegliarde che torturano i bambini. Sì, è giusto, perché agli occhi di un bambino il mondo adulto è un rigoglio di contraddizioni. Gli adulti non chiamano le emozioni con il loro vero nome. La loro interpretazione di ciò che succede intorno è in contrasto con quanto sperimenta il bambino. Dicono di amarti quando non è così, e mentono sul valore di avere un bel viso. La fiaba è più vicina alla realtà delle parole della mamma. Anche ora mentre scrivo, mi rendo conto di aver trasferito in ogni relazione importante della mia vita adulta il ritratto formatosi a partire dalla convinzione del mio io cattivo segreto di bambina; ancora una volta dovevo apparire per la persona che non ero, qualcuno che fosse più bravo della Cattiva Nancy. Quanto a mia sorella e a mia madre, solo di recente le ho demitizzate, attribuendo loro parte della cattiveria che avevo monopolizzato da bambina. Quantunque sia giusto e veritiero, né la mia attuale comprensione a livello razionale, né gli atti di gentilezza e di generosità spontanea, e nemmeno l'amore che provo per mio marito, sembrano sufficienti a epurare il sospetto che l'invidia infantile mi abbia impresso a vita il marchio di Cattiva Ragazza. Quando una cara amica recensisce in modo malizioso uno dei miei libri, niente e nessuno riesce a consolarmi. Mio marito tenta di dirmi che è stata l'invidia a provocare in lei quella reazione. Ma l'invidia altrui non attenua il sospetto sulla mia. Gli autoritratti che disegniamo nell'infanzia sono troppo duri perché sia possibile proteggerci dal loro influsso e perché, a loro volta, vengano scalfiti. Senza le mie tute firmate, i miei orecchini di marca e le mie acconciature, verrei riconosciuta per quella che sono veramente. Per risalire dai travestimenti di mezza età ai primi anni d'infanzia basta seguire alcuni segnali. Ho cercato di farmi una ragione dell'ansia che, con ogni probabilità, regnava nella casa in cui fui portata dopo la mia nascita in ospedale. La mia giovane madre era economicamente dipendente da un padre completamente dominante, che si era opposto così violentemente al suo matrimonio con l'uomo che lei amava, da costringerli a fuggire insieme. Poi lui, il mio padre misterioso, se ne andò, scomparve, per non tornare mai più. Naturalmente lei non aveva né il tempo né la propensione per le immagini dei bambini. Ma l'occhio interno della mia memoria, le istantanee tratte dalla mia banca dei sogni, mi suggeriscono che non sbaglio a far risalire i miei atteggiamenti esibizionistici alla prima probabile fame di visibilità. Ricordi di mio padre. Non ne ho nessuno. Sono cresciuta nella convinzione che fosse morto, anche se nessuno pronunciò mai queste parole. Qualcuno deve averlo fatto, ma quando? "Oh, mio papà è morto", rispondevo allegramente quando qualche estraneo mi chiedeva di lui. Niente di più, perché non ne sapevo niente, anche perché non chiedevo, non mi ponevo nemmeno delle domande sul suo conto, tanto era denso l'alone di proibizione e di possibili conseguenze negative che circondava quell'argomento. Fin dai primi giorni pensai che lui fosse la fonte dell'ansia di mia madre; sospirava in continuazione e in quelle rare occasioni in cui era lei a spazzolarmi i capelli, invece della mia amata governante Anna, tutto quel suo sospirare dietro la mia testa per me era la prova terrificante di quanto le fossi di peso. Altre volte, quando udivo i suoi sospiri, presumevo avessero a che fare con l'assenza di mio padre. Feci due più due, ed ebbi la ferma convinzione che, se non fosse stato per me, lei sarebbe stata ancora con lui. Ho sempre avuto il sospetto che era esistito un tempo in cui "loro" erano felici, mia madre, mia sorella e mio padre, prima che arrivassi io. Mia sorella l'aveva conosciuto, era stata tenuta tra le sue braccia, si era specchiata nei suoi occhi. E sicuramente mia madre allora era felice. Era una mia sensazione che mia madre e mia sorella condividessero questo romanzo familiare, che creava un legame speciale tra loro. Devo aver provato per lei un sentimento acuto di
invidia, benché l'abbia totalmente negato fino a pochi anni fa, fino a quando scrivere libri non l'ha fatto affiorare. Rivalità verso quella sciocca della mia sorella maggiore? Assolutamente no! Non ero forse la ragazza più popolare della classe, la più intelligente, la più divertente, la ragazza che era la benvenuta in ogni casa della città? L'apparenza non compariva nemmeno sulla lista di quel che contava nella mia vita di bambina; costruivo la mia felicità conquistando affetto fuori dalla famiglia in ogni arena che non fosse quella della bellezza. Le mie barriere di difesa contro il riconoscimento dei miei sentimenti d'invidia nei confronti di mia sorella, per il fatto che aveva conosciuto mio padre Il Mistero e che assomigliava a mia madre, erano impenetrabili. Ora scopro che, nelle indagini condotte sulle donne di successo, la maggior parte di esse ammette di essersi sentita, nell'infanzia, la sorella meno attraente. Quando nel 1990 condussi la mia ricerca nazionale con il Yankelovich Group, il 75% delle donne intervistate disse che essere "la meno carina" della famiglia aveva suscitato in loro la determinazione di mettersi alla prova. Allora potremmo concludere che percepirsi come il bruttino di famiglia ha dei grossi vantaggi, visto che trascorriamo la maggior parte della nostra vita fuori dalla casa che ci ha visto nascere e crescere. Ma purtroppo non è così che vanno le cose della vita, a meno che non si abbia la fortuna di crescere in una famiglia eccezionale, quelle in cui si valorizza la curiosità, l'indipendenza, l'ingegno, il coraggio, e si attribuisce anche un giusto ruolo alla bellezza, riconoscendone il potere e la forza così da insegnare a maneggiarla in se stessi e negli altri. Perché mai sarebbero così numerose le fiabe conosciute che trattano di rivalità tra fratelli e sorelle, se la bellezza, semplicemente grazie al suo potere luminoso, non costituisse l'argomento di cui il bambino piccolo vuole sentir narrare, parlare, raccontare all'infinito, in modo da poter ritrovare in esse i suoi stessi sentimenti? C'era una volta - questa è una storia vera - un uomo che mi donò un grande anello d'oro su cui aveva fatto incidere l'illustrazione della fiaba della principessa della montagna di vetro. Il padre della principessa aveva dichiarato "l'uomo che riuscirà a scalare la montagna di vetro avrà in sposa mia figlia e otterrà il mio regno". In una famiglia c'erano tre fratelli, il maggiore dei quali andò spavaldamente alla carica della montagna di vetro con il suo cavallo e fallì miseramente. Il fratello di mezzo provò nello stesso modo e fallì. Fu il fratello più giovane, quello negletto, a scalare a piedi la montagna scivolosa e a conquistare il cuore della principessa. Se si guarda l'anello molto da vicino, si può scorgere abbastanza nitidamente una piccola principessa in cima alla collina, e tutti e tre i fratelli. L'uomo che me lo regalò era il più giovane di tre fratelli, che erano molto più vecchi di lui, e il prediletto della madre. Finché non nacque una sorella, l'unica e tanto attesa figlia femmina, che prese il suo posto. Quanto ha odiato quella sorella, un'invidia che ora riesco a riconoscere come la spiegazione di quel suo commento solitario, a proposito di quella che lui definiva la "conquista" delle sue sedute in analisi. Le sue parole hanno avuto l'effetto di confondermi fino a questo momento: "La bellezza delle donne è importante". Non avendo mai dato credito al mio modo di apparire, accettai l'anello e lo misi al dito; lo conservo ancora. Era un ragazzo così duro, quell'amante, un intellettuale circondato da mura di difesa di ferro. Immagina lui che concede a se stesso di concepire un dono simile. Immagina me che non ci ho mai creduto, mai. Ed ecco una piccola filastrocca con cui chiosare questa sezione sulla rivalità tra fratelli. È stata raccolta in Inghilterra dalle stesse persone che ci hanno fatto dono di quell'altra, la mia preferita di sempre "Io uno mia madre... io odio mia madre". Gli autori ci fanno sapere che i bambini la cantano mentre vanno in altalena: Andai nel giardino di mio padre e ci trovai un soldo irlandese. Lo diedi alla mia mamma per comprare un fratellino. Mio fratello era così cattivo che ci feci un bel pasticcio. Il pasticcio non aveva un buon sapore
e così lo gettai oltre il muro del giardino, lo gettai oltre il muro del giardino. Muori una volta! Muori due volte! Muori tre volte e non tornare mai più, e non tornare - mai - più! 2.4 - Imparare ad essere puliti (e belli). Un problema moderno: perché le donne, famose per disprezzare la vista, l'odore e il contatto dei genitali, i propri come quelli degli uomini, continuano ad essere il sesso che insegna alla specie umana a controllare le funzioni organiche? Sappiamo che le impressioni più durevoli circa i nostri genitali si formano nei primi anni di vita, sensazioni che poi trasferiremo nella vita sessuale e che sono terribilmente difficili da invertire. Con tutto l'amore del mondo, che cosa porta una donna all'insegnamento dell'amore di sé, del sé completo, incluso quel che si trova tra le gambe? Cosa comunicano i suoi occhi, le sue espressioni facciali, la sua voce e il linguaggio del suo corpo quando apre le piccole gambe per pulire fenditure e fessure? È impenetrabile all'olezzo delle feci? È possibile che il suo approccio abituale ad un'igiene che la infastidisce, la sua paura di uscire umiliata da una perdita del controllo delle funzioni corporee collegate all'area genitale, si traducano in un atteggiamento rilassato, non apertamente critico verso il controllo della vescica e dello sfintere? Infine, è possibile che abbia più considerazione per la vulva della figlia, glabra e pura come può apparire, di quanto ne abbia per la propria, che un tempo forse permise a suo marito di baciare, mentre ora odia anche solo l'idea che lui la tocchi? Insieme ai mali sociali, odiosi ma prevedibili, che la nostra società, attraversata da dibattiti infuocati, ha tentato di evitare, ora assistiamo ad un'epidemia di gravidanze indesiderate e a malattie legate alla condotta sessuale che si concludono con la morte. L'origine di questi problemi orribili risiede tra le nostre gambe. Noi questo lo sappiamo. Abbiamo sentito e letto che l'atteggiamento che riserviamo ai nostri organi genitali determina anche il nostro comportamento sessuale. Le nostre emozioni, conscie e inconscie, influenzeranno anche le modalità con cui avvieremo i nostri figli alla vita adulta, e le loro possibilità di raggiungere la maturità. Anche se le donne potessero abbandonare i loro impegni professionali - una possibilità irrealistica - non riusciremmo più ad infondere nella figura della "madre" l'onnipotenza o la grazia di una volta; abbiamo visto troppe donne che si comportano come uomini, per poter credere ancora nella mamma idealizzata degli anni passati, che è stata ormai riportata ad un livello terreno per mano delle stesse donne, una mano grande e talvolta crudele al pari di quella di un uomo. Questo fenomeno lascia la porta della nursery casualmente socchiusa. Il carico di lavoro che grava sulle donne, cresciuto a dismisura fuori e dentro la casa, richiede una redistribuzione dei compiti; a ciascuno dovrebbe andare il tipo di lavoro per cui è meglio qualificato. Data la priorità assoluta di insegnare ai bambini piccoli a rispettare i propri organi genitali, il candidato naturale è un uomo, il padre. Addestrare un bambino a controllare la vescica e lo sfintere, anche quando dorme, è il punto di inizio del rispetto per i genitali. Se questo compitò viene assolto con tranquillità, fornendo segnali di ricompensa e non di punizione, ogni cosa "là sotto" non viene caricata di disgusto, paura e minaccia di perdere l'amore dei genitori. Darei ogni cosa per essere stata educata da un uomo in questo campo. Mi rendo conto che questa non sarà una discussione popolare. Anche se non ha niente a che vedere con il fatto di accusare le donne di essere delle cattive madri, sarà presa come tale, la solita tattica difensiva per allontanare le cose. Sarò etichettata come una "accusatrice di madri" e richiamata all'ordine. Ma in questo caso so di essere dalla parte giusta. Questo tema è al centro del mio libro: i nostri atteggiamenti verso l'area genitale, l'immagine che ne abbiamo, che si è formata anche prima che ci insegnassero a fare i nostri bisogni, costituisce una lente inevitabile attraverso cui guardiamo ogni altra parte del corpo. Come potrebbe essere altrimenti?
Quando le donne si guardano allo specchio, quel che trovano di poco attraente, e che non corrisponde mai a verità, è in realtà lo sporco segreto che portano tra le gambe, nella loro immaginazione sempre brutto e sudicio. Le donne, prima e sopra ogni altra cosa, non sono forse "pulite"? I genitali non occupano la sfera conscia della nostra mente, ma sono come uno sfregio che nessuna quantità di bei vestiti, profumo o abbellimenti di altre zone del corpo, può mai cancellare. Né un uomo può persuaderci con parole dolci del fatto che "la" ama, perché la persona più importante della nostra vita ci ha impresso nella memoria le sue sensazioni sui nostri genitali. Nessuno dei due sessi nasce amando o odiando i propri genitali più dell'altro. E appreso, è tutto appreso. E dato il nostro stato di totale dipendenza, viene appreso in un momento in cui siamo così fragili e impressionabili, che non scorderemo mai quelle lezioni, caricate come sono dalla promessa o dal rifiuto dell'amore, ovvero di cibo, calore, protezione, sicurezza, vita. Noi donne accusiamo gli uomini di essere troppo innamorati del loro pene. Proviamo un rancore profondo per quel rapporto d'amore perché ci esclude, sì, fino al punto che si potrebbe sostenere che siamo gelose del tempo che egli trascorre da solo con "lui". Non ne abbiamo necessariamente voglia, ma questo non significa che ci faccia piacere che ci si diverta, perché questo ci rammenta il nostro fallimento come esseri sessuali. In qualche parte del nostro cervello, noi donne sappiamo che il sesso è una cosa sana e naturale, che abbiamo vissuto momenti belli in cui anche a noi piaceva farlo, ma non nel suo stesso modo. No, lui potrebbe farlo molto più spesso di noi. Non siamo solo gelose del fatto che ci ha escluso dai suoi momenti di masturbazione, siamo anche invidiose; anche se non lo ammetteremmo mai, ammiriamo segretamente qualcuno che si masturba senza provare sensi di colpa, o forse nonostante i sensi di colpa. Prova a immaginare cosa significhi riuscire a sentirsi in colpa ed avere contemporaneamente un orgasmo! Dato che gli uomini e le donne passano così tanto tempo della loro esistenza senza essere in sintonia a proposito della bellezza dei genitali, i nostri e quelli dell'altro, il dilemma merita di essere analizzato. Ad esempio, non potrebbe darsi che le donne, identificandosi nella madre che le accudisce, facciano proprio senza volerlo il suo atteggiamento verso le parti intime? Invece i ragazzi, essendo di sesso opposto alla madre, potrebbero essere indotti a passare la loro vita nel tentativo di dimostrare che lei si sbaglia, negandola e sfidandola, come è loro dovere, oppure sottomettendosi al suo giudizio e divenendo adulti nell'odio di se stessi, come molti naturalmente finiscono per fare. Il fatto che molti uomini trascorrano la vita misurandoselo, masturbandosi, andando con donne "di cattivi costumi" per fare del sesso proibito, e che la maggior parte non abusi delle donne ma invece mascheri la propria rabbia, rivoltandola perfino contro di sé, costituisce una prova di quanto è stata profonda la ferita, quel primo giudizio da parte della persona più importante del mondo. Pensa al triste volumetto che si potrebbe compilare con tutti i nomignoli umilianti che una madre dolce e amorevole applica al piccolo pene del suo bambino. Su questo aspetto dobbiamo essere attente, perché l'immagine che, crescendo, ci formiamo dei nostri genitali è parte integrante dell'intero ritratto che abbiamo di noi stessi: che cosa sente o prova la madre che regge il pene di suo figlio mentre gli insegna i rudimenti del controllo delle sue funzioni organiche? Benché non raggiunga la grandezza di un pollice, ha mai avuto un pene così vicino a sé prima d'ora, l'ha mai desiderato, o ne ha mai baciato uno, portandolo all'erezione nella propria bocca? Certo, questo è suo figlio e ha soltanto due anni, ma questo è un pene, e prima che possa accorgersene crescerà e prenderà il volo. Ne parla come del suo "pisellino", non sapendo così di tarpargli le ali, e tuttavia continua a farlo. Ovviamente, i ragazzi crescono in qualche modo "programmati" per esibire il loro pene in compagnia di altri coetanei che condividono con loro altri interessi, nessuno dei quali racchiude però la carica liberatoria del sollievo sessuale di essere sfuggiti dalle mani della Gigantessa. Il pene rappresenta la bandiera che tiene sotto controllo il territorio vinto a discapito della madre; comportamenti associati alla genitalità che una volta mettevano in pericolo la continuità dell'amore materno, diventano terreno di prova maschile e fonte di orgoglio. Nessuna bambina oserebbe scoreggiare in classe, ma per i ragazzi la rottura
pubblica delle regole di comportamento femminili costituisce una vittoria spavalda, resa ancor più gioiosa quando le bambine (piccole mamme) arricciano il naso in segno di disgusto. Ogni speranza che le ragazze adolescenti condividano l'interesse dei loro coetanei maschi nell'atto di esplorare le parti proibite del corpo, s'infrange quando l'indignazione femminile comunica ai ragazzi che esse sono proprio come la mamma. Il ragazzo è di fronte alla scelta difficile di agire come le ragazze o di fare lo spavaldo insieme agli altri ragazzi, stabilendo così quella triste divisione tra i sessi in cui ciascuno percepisce l'altro come un nemico, o, semplicemente, come il Nemico. Saremmo disposte ad ammettere di avere un ruolo nell'ossessione maschile per l'erezione? Chi può accusare il ragazzo che va con le "sgualdrine" per fare sesso, quando è stato educato da una donna a separare il sesso dall'amore? Quando incontra una donna che adora il suo pene con un entusiasmo che ben si combina con il suo, dopo il sentimento iniziale, eccitante, di gratitudine, sorge la domanda: perché? Che genere di donna è? Il vecchio detto per cui ci sono le ragazze da scopare e quelle da sposare, non è circolato senza motivo per così tanto tempo. Buona parte delle fantasie sessuali maschili si sviluppano a partire dall'amore materno, quando il bambino percepì chiaramente che doveva scegliere tra l'amore di lei e il suo pene. Nelle sue fantasie erotiche, l'uomo tenta intelligentemente di aggirare le proibizioni della madre, di volgere a proprio vantaggio i suoi ammonimenti paurosi intorno al "Sesso Sporco". Si immagina legato, incatenato, umiliato, alla mercé di una Donna Potente. Lei è nella posizione di controllo, sì, ma è lui che vince. La frusta può anche essere nelle sue mani, ma lui ha in cambio il suo piccolo orgasmo. Molto acuto. Perché mai un uomo dovrebbe attendersi che le Brave Ragazze amino il suo pene più di quanto ha fatto sua madre? In realtà, la donna che combina la buona educazione della mamma con una serena familiarità sessuale con gli organi genitali maschili potrebbe essere percepita come troppo potente. In caso di matrimonio, l'uomo prova spesso una sensazione di sollievo quando l'energia sessuale della donna si affievolisce dopo la nascita di un figlio. Egli preferisce andare in cerca di sesso in un luogo meno denso di complicazioni della propria casa, ancora una volta riempita dalla presenza di madre e figli. Oggi, anche lei può preferire la separazione tra sesso e matrimonio. Tutto ciò ha a che fare con le questioni del controllo e dell'amore, con i ritratti di se stessi come persone sensuali o come brave persone, immagini in conflitto che vanno a comporre l'ordito emozionale di ciò che prende il nome affettuoso di "battaglia del vaso da notte". Senti cosa dice un uomo che descrive come sua madre gli ha insegnato "a fare la pipì in un vaso, come un uomo grande". E questo evento, egli pensa, che fa sì che, nella sua vita adulta, sia "consumato da desideri che sono repellenti alla mia coscienza, e da una coscienza repellente ai miei desideri". Questo passaggio, tratto da Lamento di Portnoy di Philip Roth, fu scritto quasi trent'anni fa, quando il mondo era così armonico e Roth uno scrittore così divertente e dotato, che persino i lettori più perbenisti vi trovarono qualcosa in cui riconoscersi: "Sono in piedi davanti alla tazza, il mio pistolino sapientemente sporto in fuori, mentre la mamma siede accanto al bordo della vasca, controllando con una mano il rubinetto della vasca (da cui esce un filo d'acqua che dovrei imitare) e con l'altra solleticandomi la parte inferiore del pisello. Ripeto: solleticandomi il pisello! Pensa, suppongo, che sia un modo per spillare qualcosa dalla punta dell'arnese e, me lo lasci dire, la signora ha ragione. 'Fai una bella sis, bubala, fai una bella sissina per la mamma', mi canticchia, mentre in realtà ciò che sto facendo lì in piedi con la sua mano sul cacchio è con tutta probabilità il mio futuro! S'immagini! Che comicità! Si sta forgiando il carattere di un uomo, si sta modellando un destino..."(22) 2.4 - Povera vagina, una rosa dai nomi più vari... Quando andai a farmi sistemare il mio primo diaframma - molto più tardi di quanto avrei dovuto, dalla stupida vergine che ero, che giocava con i rapporti sessuali, "perdendo" così il proprio prezioso gioiello per pochi centimetri sedetti nello studio del medico con il mio nuovo disco di gomma, guardando senza vedere la sua illustrazione dell'orrendo modello rosa degli organi riproduttivi
femminili posato sul tavolo. Non volevo vedere, essere informata, per quanto l'idea di una gravidanza mi terrorizzasse. Non riuscivo a guardare nel punto in cui la sua matita aveva tracciato linee per centinaia di altre donne cieche, a segnare il tragitto che dalla cervice conduce all'uretra, alla vescica e, oh no!, all'ano. Non avevo mai visto da vicino né uretra né ano, e nonostante niente avesse il potere di portarmi in paradiso come la bocca di un uomo in quella zona, non volevo saperne nulla di più. Sono certa che questo fosse un ingrediente essenziale della magia, il fatto che lui, il mio amante, volesse mettere la sua bocca "lì"; in qualche modo, questo lo rendeva potentemente maschio e osceno, consentendo a me, femmina innocente, di essere sopraffatta fino all'orgasmo da forze che andavano oltre il mio controllo. Fu solo quando scrissi 'Mia madre, me stessa' che appresi che esisteva un termine clinico per il nostro ritratto cognitivo dell'area genitale femminile, che, in modo irrazionale,tendiamo a immaginare ogni cosa "là sotto" come un unico buco, un'apertura attraverso cui tutto fluisce dal nostro corpo. Ho menzionato prima il concetto della Cloaca, e lo utilizzerò spesso perché è così che vediamo sempre i nostri genitali; la Cloaca è il termine latino per "fogna". I ginecologi mi riferiscono che, anche oggi, molte donne non conoscono la precisa localizzazione di uretra e vagina, né la loro differenza; grandi passi si sono invece compiuti nella direzione dell'individuazione della posizione della clitoride, grazie all'invenzione del vibratore. Non è poi sorprendente che così tante donne preferiscano masturbarsi sotto un getto di acqua pura che sgorga dal rubinetto della vasca da bagno; non è solo un buon sistema, ma elimina la necessità di toccarsi, promettendo pulizia nel pieno degli spasimi dell'orgasmo, quasi una forma di assoluzione. "Non credo che l'invidia del pene sia innata come pensava Freud", mi dice il mio vecchio amico e mentore, lo psichiatra Robertiello, "e questo vale anche per la maggior parte dei medici che operano nel settore. Non penso che una donna nasca con la sensazione di un organo mancante." Ma al pari di altri esponenti della sua professione, Robertiello sente che le bambine, a causa di un addestramento molto rigido al controllo delle funzioni corporee, a causa di madri che si svalutano o apertamente masochiste, cui va aggiunto il fatto che in una famiglia le femmine sono meno considerate dei maschi, sono portate a sentire che "in loro c'è qualcosa di sbagliato", egli afferma, "che sono poi i loro organi genitali. Le donne crescono dislocando questa 'deturpazione' sulle proprie cosce, sul seno, sulle braccia flaccide. Hai mai incontrato una donna che non pensa che ci sia qualcosa di sbagliato nel suo corpo?" Scuoto tristemente la testa, desiderando disporre di una controargomentazione valida. Io e Robertiello abbiamo discusso spesso su questo tema nel corso degli anni. E più scrivo, leggo, penso, vivo, più mi convinco degli effetti di ricaduta della Cloaca, che finisce con l'imbrattare il resto del nostro corpo. Quando siamo piccole non desideriamo il pene, quanto piuttosto il senso di controllo che esso rappresenta. Se durante la nostra crescita assistiamo anche alle manifestazioni dell'attaccamento erotico tra la mamma e nostro fratello, il nostro convincimento per cui lui ha qualcosa di desiderabile che noi non abbiamo trova ulteriori motivi di conferma. L'impressione è che qualunque tipo di trattamento preferenziale un ragazzo ottenga, dalla famiglia o dalla società, possa essere ricondotto a quella zona del corpo di cui noi bambine avvertiamo l'inadeguatezza. Non ho avuto un fratello o un padre; tuttavia, ho imparato molto presto questa lezione. Fin dove arriva la mia memoria "esplicita", ricordo che tentavo di fare pipì stando in piedi, senza ottenere grandi risultati. Quanto al mio corpo: inaccettabile! Il fatto è che la maggior parte degli uomini non deve convivere per tutta la vita con il senso di insoddisfazione che le donne provano per il proprio corpo; possono preoccuparsi della misura del loro pene, ma non pensano al pene e all'ano come ad una fogna. Quando i ragazzini imparano a denigrare la vagina, riferendosi ad essa come ad un " taglio" o a una "fessura", si tratta di un'ingiuria deliberata appresa in parte dalla sensibilità delle stesse ragazze circa la loro "deformità". In questo gioca anche l'invidia che il ragazzo sente nei confronti delle donne, per il seno e la loro capacità di avere figli, ma egli è animato soprattutto dalla coscienza dei genitali che sente vibrare negativamente nelle ragazze stesse, una sensazione che offre uno sbocco perfetto al risentimento maschile: denigra la ragazza, e sminuendola, vendicati delle
donne che ti tengono in pugno! Quando alla fine il ragazzo scopre che le donne hanno il controllo totale sui rapporti sessuali, il ritmo dei suoi commenti crudi e imbarazzanti indirizzati alle ragazze, aumenta; la maggior parte delle volte, ciò che desidererebbe sopra ogni cosa è rimanere semplicemente in adorazione del corpo di una donna. Quando viene rimesso bruscamente al suo posto e gli si fa capire che è un animale selvaggio, lui risponde come se davvero lo fosse: due uomini chiacchierano tra loro all'angolo di una strada, e ad un tratto i loro occhi sono attratti da una donna che passa, nel pieno del suo splendore. Sentendo il loro sguardo puntato su di lei, la donna li fissa con disprezzo. Il timore reverenziale si trasforma in rabbia: "Ehi, Harry", fa uno dei due ragazzi all'altro, "guarda quelle botti!" "Rozzi animali!" si consola la donna, inarcando in avanti le spalle. Che razza di guerra è questa? Quando comincia e perché? Gli uomini non dovrebbero urlare commenti grossolani alle donne, ma giocano su una sensibilità che è sempre esistita, una paura di inadeguatezza che le donne imparano da altre donne. L'ironia è che gli uomini hanno scovato il nostro punto debole, una vulnerabilità la cui conoscenza è preziosa, visto che nella loro testa, sono le donne ad avere tutto il potere. "Quando le pazienti vengono da me e dicono, 'La mia immagine corporea coincide con la misura del mio naso, la mia altezza, il mio peso', io cerco di mostrare loro quanto l'immagine del proprio corpo sia complessa", dice la psicologa Anne Kearney Cooke. "L'immagine corporea non coincide con quello che pensi del tuo corpo, come ne parli. Riguarda come ti senti sessualmente; riguarda le questioni del controllo, che iniziano con come funziona il tuo corpo, a cominciare dalle prime lezioni che hai ricevuto in materia di controllo delle funzioni corporee." Il nostro primigenio senso di sé deriva dal modo in cui percepivamo il nostro corpo di bambini, da come siamo stati educati a vedere noi stessi, da come "loro" ci vedevano. "Il tuo corpo è la casa in cui vivi, e se vi alberga qualcosa che ti sembra sbagliato", afferma Kearney Cooke, "allora ne avrai un'immagine negativa. Quando hai iniziato dapprima a gattonare, e poi a camminare, tutti hanno applaudito. Anche attraverso l'apprendimento del controllo dello sfintere, l'addestramento a fare i propri bisogni da soli, ottieni amore o senso di fallimento. Maggiore è il controllo che senti di poter esercitare sul tuo corpo, maggiore sarà anche il senso di controllo sulla tua identità infantile, che si traduce poi in una buona immagine corporea." Controllo. Forse è l'ultima cosa a cui penseremmo come elemento chiave per determinare l'immagine del proprio corpo; ma prova a pensare al suo opposto, alla perdita di controllo, all'eventualità di sporcarsi, di attirare l'attenzione su di sé mentre non si ha la certezza assoluta che ogni singolo capello sia al suo posto. In realtà, è soltanto quando possiamo controllare l'osservatore, ossia attrarre la sua attenzione nel momento in cui siamo assolutamente sicure di apparire perfette - come in un quadro vivente - che ci sentiamo a nostro agio nell'essere guardate. Controllo, controllo, controllo. Dov'è che noi donne impariamo il nostro bisogno - che gli uomini odiano - di controllare il mondo? Lo impariamo presto, nella camera dei bambini, e in quella adiacente, il bagno, dove c'è il water su cui ci mettono per imparare a controllare sfintere e vescica, e in quel modo otteniamo amore, approvazione, oppure no, e in quest'ultimo caso non avremo né controllo su noi stessi né sicurezza dell'affetto da parte delle persone care, senza le quali non possiamo vivere. Improvvisamente, l'amore, l'accettazione, l'immagine di sé riposano completamente sulla capacità di controllare il flusso dell'urina e delle feci. "Le bambine piccole vengono depositate su un water, non dovranno guardarsi, né toccarsi, ma gli viene insegnato che questa è una funzione del corpo che devono amministrare, controllare", dice l'educatrice sessuale Judith Seifer. "Alle bambine viene costantemente inviato un messaggio, che quel che hai là sotto è oscuro, sporco, non devi toccarlo. Dopo aver imparato a urinare, l'insegnamento successivo riguarda come asciugarsi e pulirsi con grandi quantità di carta igienica, e poi lavarsi, e lavarsi le mani finché non sono ben pulite. Per quanto riguarda invece i maschi, viene insegnato loro come tenere il pene, come indirizzarlo, e li si elogia quando il flusso di urina va a finire nel water." Prendiamo, ad esempio, il pene di nostro fratello, un organo esterno ch'egli può dirigere e indirizzare. Può anche non essere un esperto nell'arte del controllo dello sfintere e della vescica, ma dal nostro punto di vista di sorelle, ha il
privilegio unico di guadagnarsi l'apprezzamento e l'amore materni. (Non si chiamerebbe "la Battaglia" del vaso da notte se non fosse in gioco l'amore materno.) Agli occhi della bambina, l'arnese manipolabile che egli regge tra le mani è come la manopola del rubinetto che chiude o apre l'acqua. Se di invidia del pene si deve parlare, è un'invidia acquisita per il possesso di qualcosa percepito come uno strumento di controllo delle funzioni corporee così efficace da rendere felice la mamma. Seduta sul water, alle prese con organi genitali invisibili - ad ogni modo, sprovvisti di un'impugnatura - la bambina arriva a presumere che quella zona tra le gambe sia ingestibile. Se così non fosse, il viso e l'atteggiamento della mamma esprimerebbero alla fine tranquillità e soddisfazione per le diverse esigenze connesse alle funzioni corporee della propria figlia. In uno studio recente, condotto su madri di origine etnica ed estrazione socioeconomica diverse, con figli di età compresa tra gli uno e i quattro anni, si è scoperto che a meno di un terzo dei bambini erano stati insegnati vocaboli appropriati per nominare i loro genitali, che venivano chiamati con i nomignoli più vari. Ad alcuni di loro non era stata insegnata alcuna parola. E perché tu non creda che miglioriamo con l'età e l'istruzione, nei programmi d'insegnamento di due diverse università mediche, gli studenti di pediatria "conducendo l'esame di routine dell'igiene infantile, o omettevano di esaminare i genitali, o procedevano in silenzio, oppure facevano precedere l'esame da commenti del tipo 'Ora controllerò là sotto'; [uno studio simile] scoprì che gli studenti di pediatria includevano i genitali nelle loro visite con una frequenza doppia per i maschi rispetto alle femmine"(23). In qualche occasione venivo lavata e asciugata nel bagno elegante di mia madre, e sono certa che immaginavo che un giorno avrei ereditato tutte quelle bottigliette e fiale graziose, insieme alle dolci fragranze che vi si nascondevano e che rendevano la mamma così bella e pulita. Le sembianze e il profumo del nostro futuro risiedono in questi accessori confezionati con cura, arricchiti di fiori e bouquet selezionati per promettere alle donne, perennemente in ansia per il loro odore, una grazia assoluta. Essere pulite, avere un buon odore, sentirsi diverse da nostro fratello, sono tutte cose legate alla toilette e al diverso modo di accostarci ad essa; lui sta in piedi reggendo il pene e chiacchierando con i propri amici mentre urina, e non si asciuga, anzi, lascia cadere qualche goccia sul pavimento. (Immagina se fossimo noi a lasciare una macchia sul pavimento!) Per una bambina costituisce un enigma vedere il proprio fratello più pulito per la sua capacità di controllare il flusso dell'urina e, al tempo stesso, più sporco nelle abitudini; presto, il bambino ce la metterà tutta per distanziare la sorella in sporcizia, nel tentativo di differenziarsi il più possibile da lei e dalla mamma-che-lui-ama-troppo. Prima ancora che vada a scuola, la bambina si unirà al coro di disapprovazione della madre per le impronte di fango lasciate dal fratello sul pavimento pulito della cucina, identificandosi con la mamma sia attraverso i pavimenti puliti che attraverso le fiale e le boccette di cosmetici contenuti nell'armadietto sopra il lavandino del bagno. Può non avere ancora capito il loro uso, ma ha afferrato che sono lì a mascherare l'innominabile in una donna, a renderlo gradevole. Un giorno, non conoscendone affatto la funzione, la bambina si infila tra le gambe un assorbente igienico, giocando alla "signora", un rituale di delicatezza che attiene più alla fogna di quanto lei possa ancora immaginare. Oh no, il sangue no, non lì! A poco a poco, ogni cosa che la ragazza si metterà addosso, vestiti, rossetto, biancheria intima raffinata, sarà un camuffamento, un velo, un trucco teatrale per compiacere l'occhio, per distogliere l'attenzione dalla macchia, dal difetto, dalla fogna. "Nel corso degli anni, molte pazienti di ogni età e provenienza mi hanno chiesto, durante l'esame pelvico, 'Come può fare questo lavoro? È così disgustoso' ", riferisce la ginecologa Christiane Northrup. "Il motivo più comune per cui le donne si fanno le irrigazioni interne risiede nella loro convinzione errata, trasmessa di madre in figlia, che questa zona del corpo sia sgradevole e richieda una pulizia speciale."(24) È sconfortante pensare che le nostre relazioni intime da adulti costituiscano delle reazioni emotive a quel che è accaduto con la propria madre: in nessun altro luogo le donne combattono così duramente per amare il proprio corpo che
nei sogni erotici, dove il desiderio di sentirsi sessuate lotta contro la Brava Ragazza di retaggio materno; in nessun altro luogo la rabbia delle donne è così erroneamente indirizzata come quando è deviata dalla propria madre e proiettata sull'Uomo Cattivo della fantasia sessuale, che ci "costringe" a provare cose che abbiamo sempre sognato, il piacere dell'orgasmo che trae origine dal suo pene, dalla sua mano, meglio ancora dalla sua bocca, adagiata su quel posto oscuro, proibito, sporco. Molto tempo fa - sembra un'altra vita - quando le brave signore erano identificate e classificate nei loro ruoli di casalinghe, la pubblicità televisiva proiettava l'immagine di Mastro Lindo che entrava in cucina, coglieva le massaie alla sprovvista mentre usavano il detergente sbagliato e le redarguiva perché il loro pavimento non era per niente pulito. Donne sporche e cattive! Per conseguire il marchio di approvazione della Buona Casalinga, ogni donna doveva munirsi di un bel prodotto gigante di un tipo o di un altro, un Grande Uomo per un Grande Lavoro: la pulizia. Le pubblicità di oggi sono indirizzate alla Nuova Donna che si divide tra casa e ufficio, frenetica nella sua sensazione di non portare a termine adeguatamente nessuno dei suoi compiti. Vanno dritte a quell'area che il Signor Pulito simboleggiava soltanto: Signore, non la state tenendo pulita sul serio! Potete fare il lavoro di un uomo, essere perfino indipendenti economicamente, ma avete trascurato la casa: lavatela! Deodoratela! Che meraviglia per una bambina essere lavata, ricoperta di talco e addestrata all'uso del water da qualcuno che non pensa che la vista e l'odore degli escrementi sia ributtante; qualcuno che non vede la vagina come una fogna da ripulire in continuazione. L'idea della pulizia della maggior parte degli uomini non è assoluta. Inoltre essi non pensano che la loro identità sia in pericolo, che il mondo li giudicherà se una bambina, come fanno tutti i bambini, tocca i propri genitali. Come andrebbe a finire la storia della masturbazione se i bambini venissero lasciati nelle mani di un padre invece che in quelle di una madre? Prova a immaginare la possibilità di crescere masturbandosi a piacimento, in modo naturale, imparando le regole della privacy, sentendosi in diritto di farlo e dunque divenendo più responsabili della propria sessualità. Quando, nel corso di una Conferenza sull'AIDS, fu chiesto a Jocelyne Elders, medico generico, quali pensasse che fossero le "prospettive per una discussione più esplicita e una promozione della masturbazione", lei rispose: "Penso che sia parte della sessualità umana e che forse dovrebbe essere insegnata. Ma da bambini non ci sono stati insegnati nemmeno i rudimenti. E penso che abbiamo sperimentato l'ignoranza per un periodo molto lungo, ed è ora di sperimentare l'istruzione"(25). Parole coraggiose e ben scelte che purtroppo hanno sollecitato la richiesta di dimissioni della Elders da parte del presidente Clinton. Non sono mai stata così delusa dall'uomo per cui ho votato. È imperdonabile che un paese che annega nella perdita di vite umane per ignoranza sessuale, debba privare i propri giovani della conoscenza che essi hanno il diritto e il dovere di possedere dei loro corpi. Dalla Elders mi differenzia soltanto la scelta di usare la parola "insegnare"; non abbiamo bisogno di insegnamenti, perché se ci fosse permesso di masturbarci senza timore di perdere l'affetto di qualcuno, lo faremmo. Non vogliamo occuparci della sessualità preadolescenziale; proviamo un senso di disagio nell'immaginare i bambini piccoli come esseri sessuati - pensa solo alle conseguenze per la carriera di Freud nella Vienna vittoriana! -, ma siamo riluttanti anche a far riemergere le nostre prime eccitazioni nella casa natale, dove occhi in perenne osservazione non ci consentivano alcuna privacy. Un giorno eravamo là, a cavalcioni del bracciolo del divano, dondolandoci avanti e indietro come avevamo sempre fatto, tranne che questa volta abbiamo sentito una sensazione eccitante, proveniente dalla zona posta tra le nostre gambe, percorrere tutto il corpo dai piedi alla punta delle dita, su su fino al cervello dove immagini di pirati che ci tenevano in ostaggio ci dicevano che questa era una situazione di cui aver paura. Anche se avevamo soltanto quattro anni, il luogo di partenza della sensazione ci suggeriva che quel che stavamo facendo poteva essere sbagliato, ma fu l'improvvisa apparizione della mamma, il tono della sua voce e l'espressione sul suo viso, che ci mise in guardia perché non lo facessimo mai più. Ma fare cosa? Dondolare sul bracciolo del divano, quello che stavamo immaginando, o il calore che si era sprigionato attraverso
tutto il nostro corpo? Il problema consisteva nel fatto che non dovevamo più toccarci "là", o che lei sapeva quello che stavamo sentendo, perché anche lei una volta l'aveva provato e non era per niente una bella cosa? Oggi la disapprovazione di nostra madre è saldamente intrecciata alle nostre sensazioni sessuali. Lei è buona - su questo non ci possono essere dubbi - e dunque noi e quella piacevole sensazione non siamo belli affatto. Se rinunciamo a quel piacere, lei non ci abbandonerà mai. Lo sconfessiamo o tentiamo di farlo, e combattiamo contro il suo riemergere per il resto della nostra vita. Anche la scossa più flebile di eccitazione sessuale, dieci, vent'anni dopo, affiora mescolata all'ansia, che la contrasta con i muscoli contratti dell'addome, con le porte del cervello che si chiudono violentemente, dove la passione ha già provocato la resa. Non ricordiamo l'incidente del bracciolo del divano, ma quando nostro figlio ha quattro anni, nel momento in cui lo sorprendiamo mentre si tocca, rivediamo la nostra rabbia, e ci sentiamo più vicine a nostra madre. Perdoniamo lei e rimproveriamo lui. Se nella casa di quando eravamo piccoli ci fosse stata un'altra fonte d'amore, qualcuno che non fosse stato contrario al dondolio sul divano, apprezzeremmo di più il nostro corpo. Avendo un padre come secondo tutore, una voce diversa pronta a spiegarci nel tempo l'essenza delle nostre sensazioni, non avremmo timore della disapprovazione materna in un modo così totale. Il suo criticismo occasionale non incomberebbe come il giorno del giudizio, e impareremmo a volerle bene per quella che è, una persona buona e cattiva come qualsiasi altro essere umano. Non tenderemmo a incorporare le parti che odiamo di lei - la sua ansia, la sua possessività, la sua asessualità - come prova del nostro affetto. "La mamma è meravigliosa, ma io sono una persona diversa e l'amo perché mi permette di diventare quella che sono." Hai certamente notato l'effetto stupefacente sull'aspetto fisico di un rapporto sessuale molto soddisfacente. I volti delle donne acquistano una radiosità, un ardore, un allentamento dei segni di tensione che non ci rendevamo nemmento conto di avere, tanto è continuo il nostro atteggiamento difensivo. Sei mai uscita, ad esempio per andare in un ristorante, mentre quel bagliore è ancora lì sul tuo volto, hai mai fatto caso al potere post-orgasmico che eserciti sulla sala, alla gratitudine particolare del maître, alle facce dei camerieri che mutano e si addolciscono in risposta alla loro inclusione nel tuo cerchio magico? È un terribile spreco di risorse naturali non darsi da fare, soprattutto in tempi così tesi, difficili, per educare più donne a irradiare il mondo della luce post-orgasmica. Dato che il sesso è sotto il controllo femminile, è il nostro bagliore orgasmico monopolizzato che potrebbe contribuire a realizzare la serenità globale. Immagina se tutte le donne fossero educate a gioire del sesso in modo responsabile: che calore, che felicità, che sogno! Il fatto invece che le donne spendano così tanto tempo e denaro in bellezza e così poco a letto, spiega il dominio ferreo delle regole sessuofobiche in base alle quali siamo state allevate. Pensa alle radici della nostra rabbia per esserci negate una vita sessuale soddisfacente, al nostro carattere infernale trattenuto a stento, a patto che tutte le donne stiano a questo gioco. Dannazione ad ogni donna che apre le gambe più spesso delle altre e porta in giro quel sorriso post-orgasmico, perché si prende gioco della nostra rispettabilità forzata, ricordandoci il nostro sacrificio. Anche il benessere economico recentemente conquistato dalle donne non allevia il risentimento per la rinuncia alla sessualità avviatasi nel periodo precedente all'adolescenza. Spesso sono incline a pensare che la rabbia delle donne sia persino più cocente oggi e che cresca in parallelo all'aumento di potere economico, come dire: "Eccomi qui, padrona del mio universo, ancora ad odiare il mio corpo! Tutta colpa dei Grandi Uomini Cattivi!" Poveri uomini, il bersaglio di sempre, quello più sicuro, mentre probabilmente non hanno nulla a che fare con gli insegnamenti che abbiamo ricevuto, quelli che ci hanno indotto a denigrare il nostro corpo. Non furono gli uomini a lavarci, a insegnarci l'uso del water, o a trasmetterci la convinzione che i nostri genitali sono una cosa sporca. Tuttavia, per andare all'origine dell'autodenigrazione, la persona in nome della quale abbiamo abbandonato la nostra piena identità sessuale oggi è affranta dall'ansia come quando eravamo bambine. È una situazione demoralizzante. Ed è resa più sopportabile solo nel momento in cui ripetiamo con
i nostri figli gli stessi gesti e le stesse parole che lei ci ha insegnato; il comportamento di nostra madre ci riesce così facile, così automatico. Diventando come lei, la perdoniamo: "Vedi mamma, non ti odio! Non sono proprio come te? Ora sì che capisco: è questo che vuol dire essere madri!" È infantile cercare di evitare questo argomento sostenendo che in tal modo si incolpa la povera vecchia mamma. Come può una madre che ha rinunciato alla propria vita sessuale essere felice nello scoprire che le sue figlie sono sessualmente curiose? Non intendo sessualmente attive, semplicemente aperte, portate ad accettare se stesse. Si scatena una grande invidia nei confronti delle persone, si, persino nei confronti delle proprie figlie, che appaiono più a loro agio dal punto di vista sessuale; risvegliano la consapevolezza di ciò a cui abbiamo rinunciato e le odiamo per il fatto di accendere il ricordo di quel che avrebbe potuto essere. Quando le donne mi raccontano storie di madri che le hanno rimproverate amaramente perché si masturbavano da piccole - "Nessun uomo onesto ti sposerà!" - sento che è l'invidia materna a parlare. Quel che rende così devastante l'atteggiamento poliziesco delle donne verso la sessualità è che esse avvertono la necessità di controllare non solo i propri figli, ma anche il mondo che le circonda. Godere pienamente della nostra sessualità è un presupposto essenziale per il senso di completezza, per sentirsi un intero, e non mi riferisco necessariamente al rapporto sessuale, ma alla consapevolezza di sé come esseri sessualmente vitali. È insopportabile che altri prendano parte al banchetto proibito. L'autodenigrazione sessuale e l'astinenza possono essere vissute solo quando tutti vi acconsentano. La comunità conservatrice, anti-sesso, composta di uomini e donne, trova una straordinaria fonte di energia nell'invidia, nella rabbia che non ha fine. Suggerire che anche la più apprensiva delle madri dovrà insegnare alla figlia a rispettare la propria vagina, e al figlio ad apprezzare il proprio pene, mentre lei non riesce a condividere questi sentimenti, significa chiederle di inventare un nuovo modo di essere madre. Significa chiederle di agire come un uomo, o di invitare il proprio marito ad assisterla in questo cambiamento dell'eredità sessuofobica di matrice femminile, affiancandola in modo paritetico nella cura dei figli. Dovremmo pensare seriamente al motivo per cui siamo così pronte a concedere alle donne il diritto di realizzarsi professionalmente, e così riluttanti all'ingresso degli uomini nella nursery. Alcuni uomini possono svolgere i compiti impliciti nell'allevamento dei figli con lo stesso livello di competenza con cui una donna dirige un ufficio. È venuto il tempo di accettarlo, di parlarne liberamente; dovrebbe rientrare tra le discussioni di due persone innamorate che parlano del loro futuro, del matrimonio. È possibile che entrambi vogliano il matrimonio, ma lei non dovrebbe sentirsi in colpa nell'ammettere che non riesce ad immaginarsi ad allevare bambini. Per una donna, il fatto che l'uomo che ama desideri fare il padre a tempo pieno, o a metà tempo, mentre lei lavora fuori casa, potrebbe rientrare tra i motivi importanti di scelta del partner. Noi scegliamo il nostro compagno in base a criteri religiosi, economici, estetici, alla passione condivisa per i vecchi film e per le escursioni di pesca. Perché un'unione non dovrebbe fondarsi su un terreno così significativo come quello di stabilire chi è tra i due la persona meglio attrezzata per prendersi cura dei figli e/o per guadagnare denaro? Vent'anni fa, si scatenò l'inferno all'idea che metteva in discussione l'esistenza dell'"istinto materno". Ebbene, non esiste. L'amore è qualcosa che si apprende, e questo vale sia per i genitori che per i figli. Il ritorno negli ultimi anni ad un'idealizzazione della maternità, è reso evidente dagli inesorabili standard di perfezione celebrati nella nuova produzione delle cartoline d'auguri per la Festa della Mamma. Nel frattempo, i pubblicitari si torcono disperatamente le mani per escogitare un modo per fare breccia nella madre "tipica". "I pubblicitari hanno molta paura di offendere le loro migliori clienti", confidò Barbara Liggert, critico pubblicitario per la rivista Adweek. "Se mostrano delle madri che stanno a casa, non tengono conto delle madri lavoratrici. Se presentano delle frenetiche madri lavoratrici, ignorano le madri che stanno a casa."(26) Pensa ad una generazione in cui entrambi i sessi apportano i loro talenti unici e le loro esperienze di vita alla cura e all'educazione di un bambino; pensa a cosa significherebbe crescere amando le proprie parti intime, vedendole belle. Per caso, i problemi che riguardano il coinvolgimento degli uomini
nell'allevamento dei figli si profilano più scoraggianti di quelli affrontati dalle donne vent'anni fa? Quale impresa può essere più ardua dell'ottenere che gli uomini abbandonino il loro monopolio su un dominio tradizionalmente maschile come il lavoro? Noi donne abbiamo rivendicato quello che era un sacrosanto diritto sia da un punto di vista legale che morale; anche gli uomini se ne sono accorti, e molti di loro hanno combattuto al nostro fianco per la parità dei diritti. Ora, la possibilità che gli uomini siano pienamente coinvolti nella cura dei figli - una questione etica e morale esattamente come quella dell'ingresso delle donne nel mondo del lavoro - giace nelle mani delle donne. Gli uomini non entreranno in un dominio su cui le donne un tempo avevano il controllo assoluto finché non abbandoneremo questa volontà di controllo totale e non solo inviteremo gli uomini a condividere questa responsabilità, ma glielo domanderemo perché questa è la soluzione migliore per i loro figli. Questo cambiamento non sarà di facile realizzazione. Forse è questo il motivo per cui sono particolarmente toccata da una scena che si ritrova nel romanzo di Saul Bellow, Herzog, in cui Moses Herzog, portando con sé una pistola, raggiunge la casa della sua ex moglie Madeleine per vendicarsi di lei e del suo nuovo marito, Gersbach. Guardando attraverso la finestra del bagno, vede una mano - la mano di un uomo! - che si allunga per chiudere il rubinetto dell'acqua. Poi, l'odiato rivale Gersbach, scherzosamente e gentilmente, ordina alla propria figliastra "di alzarsi in piedi, e la bambina si curvò un pochino perché lui le potesse lavare la piccola fessa... L'asciugò, con movimenti continui e completi, e poi con un gran piumino la cosparse di talco. La bambina saltava su e giù beata. 'Basta adesso con tutte queste matterie', disse Gersbach. 'Mettiti il pigiammo adesso'". Assistendo a questa scena, la rabbia di Herzog scompare, ed egli decide di andarsene: "Sparare non era stato che un pensiero"(27). Ho pensato spesso a questa scena in cui un uomo arriva brandendo una pistola e si trova disarmato di fronte al suo rivale intento a lavare teneramente la "piccola fessura" della propria figlia. Amo questa scena. Siamo così bombardati da storie e statistiche di uomini che abusano di bambini, da iniziare a credere che sia un fattore latente in ogni uomo, il che non è più vero di quanto non lo sia per le donne. Una donna bacia il pene di un bambino piccolo e il mondo se ne infischia; un uomo fa lo stesso e viene imprigionato. In una ricerca del 1977 si scoprì che il 51% dei mariti riferiva che, potendo lavorare di meno, passerebbe quel tempo libero con la propria famiglia. Un altro 40% avrebbe apprezzato un orario di lavoro ridotto per poterlo fare.(28) Il LA. Times condusse un sondaggio nel 1990 in cui si evidenziò che il 39% dei padri avrebbe voluto lasciare il proprio lavoro per avere più tempo da dedicare ai figli; il 74% degli uomini intervistati per un'altra indagine preferiva un lavoro compatibile con il proprio ruolo di padre rispetto ad un lavoro di veloce carriera.(29) Disponiamo anche di studi che mostrano come gli uomini che sono stati intimamente coinvolti nella crescita dei propri figli hanno un'opinione migliore di sé, che si traduce in un'autostima più elevata; e questi uomini hanno anche comportamenti meno violenti. Appare così ovvio. Perché non ci sono gli aeroplani a scriverlo nel cielo? Questo non suggerisce anche che un ragazzo allevato congiuntamente da un uomo e da una donna potrebbe sviluppare comportamenti meno violenti? Finché non disegneremo un nuovo accordo tra i sessi, che includa tanto i diritti degli uomini che quelli delle donne, i nostri uomini saranno sempre più arrabbiati, così come lo saranno anche le donne, proprio mentre ci avviciniamo alla parità economica tenendo però ben stretta in mano la carta vincente, ovvero la facoltà di crescere gli esseri umani e di modellarli senza il contributo degli uomini. L'incipiente Matriarcato. Un centinaio di anni fa uomini e donne mettevano al mondo una dozzina di figli per compensare l'inevitabile tasso di mortalità infantile. Ora che raccogliamo i frutti dei progressi in campo medico e tecnologico, il nostro problema è che abbiamo i genitori ma non i bambini; e abbiamo perso la famiglia estesa composta di nonni, zii e zie che una volta non fornivano solo braccia in più per il sostentamento familiare, ma anche un grembo e uno sguardo amorevole in più in cui il bambino poteva vedersi riflesso. L'attenzione degli adulti, dice Penelope Leach, "è una delle comodità più rare nelle case del benessere materiale". I bambini "... non possono essere se stessi senza l'attenzione dei genitori.
Preferirebbero ottenere disapprovazione, rabbia, perfino punizioni, piuttosto che essere ignorati, e tenderanno spesso a provocare un'attenzione negativa se questa è l'unica forma di attenzione disponibile"(30). Quale amara ironia aver raggiunto traguardi medici e tecnologici così rilevanti e aver perso nel corso di questo processo la nostra umanità. Diamo ai nostri figli più beni materiali e meno parti di noi, forse perché attribuiamo più valore al possesso di cose che a noi stessi. Dal punto di vista razionale, sappiamo che i modi di pensare e di comportarsi nella vita affondano le loro radici nei primi anni di età. A soli due, tre anni siamo già i veterani di alcune delle battaglie più significative dell'intera vita umana. In quel momento si decide se i nostri figli potranno disporre di una base di riferimento per la costruzione del senso di sé, di un'identità separata da noi; se quando guarderanno nello specchio scorgeranno un'immagine soddisfacente, quella realmente corrispondente alla persona che sono, qualcuno "sufficientemente buono", sufficientemente amato, in modo tale che in futuro non ci sia spazio per il sospetto di non essere all'altezza. Oppure, al contrario, la loro immagine riflessa sarà distorta da sconfitte umilianti, celate dietro le difese della memoria, battaglie perse contro fratelli più belli, contro la sorella bruttina di cui temevano l'invidia, o contro genitori che cercarono di piegarli al loro ideale di bellezza, di renderli altrettante repliche di sé. Nessuno, cioè, li vide mai come esseri completi, dicendo loro: "Vai, figlio mio, sei perfetto così come sei". Note al Capitolo 2: 1. Genesi 3: 6-7. 2. Herman Melville, Billy Budd, p. 72. 3. A. S. Byatt, "The Seven Deadly Sins/Envy: The Sin of Families and Nations", New York Times Book Review, 18 luglio 1993, p. 3. 4. Geoge Poster, "Cultural Responses to Expressions of Envy in Tzintzutzan", Southwestern Journal ofAnthropology, 21, n. 1, primavera 1965, p. 26. 5. Letteralmente, come si ricorderà dal primo capitolo, la traduzione è "Io ho mangiato mia madre". [N.d.T.] 6. Melanie Klein, Invidia e gratitudine. 7. Ibidem. 8. Leslie H. Farber, Lying, Despair, Jealousy, Envy, Sex, Suicide, Drugs and the Good Life, p. 44. 9. Ovidio, Le Metamorfosi. 10. Byatt, "The Seven Deadly Sins/Envy: The Sin of Families and Nations", p. 25. 11. George M. Foster, "The Anatomy of Envy: A Study in Symbolic Behavior", Current Anthropology, 13, n. 2, aprile 1972, p. 184. 12. Willard Gaylin, Riscoprire l'amore. 13. Andrea Dworkin, Woman-Hating: A Radical Look at Sexuality, p. 33. 14. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, p. 218. 15. Ibidem, p. 231. 16. Karen K. Dion, "Young Children's Stereotyping of Facial Attractiveness", Developmental Psychology, 9, n. 2, 1973, pp. 183-188. 17. Stephen Bank e Michael D. Kahn, The Sibling Bond, p. 51. 18. Stern, Diario di un bambino. 19. Bettelheim, Il mondo incantato, p. 75. 20. Ibidem, p. 11O. 21. Norman Cavior, "Physical Attractiveness, Perceived Attitude Similarity, and Interpersonal Attraction Among Fifth and Eleventh Grade Boys and Girls", tesi di dottorato, University of Houston, agosto 1970. 22. Philip Roth, Lamento di Portnoy, pp. 109-110. 23. M. Cecile Fraley et al., "Early Genital Naming", Developmental and Behavioral Pediatrics, 12, n. 2, ottobre 1991, p. 303. 24. Christiane Northrup, Women's Bodies, Women's Wisdom, pp. 241-242. 25. Michael K. Frisby, "Clinton Fires Surgeon General Elders Citing Differences in Opinions, Policy", Wall Street Journal, 12 dicembre 1994, p. A16. 26. Susan Chira, "No Cookie-Cutter Mothers in 90's", New York Times, 8 maggio 1994, sez. 1, p. 26. 27. Saul Bellow, Herzog, pp. 333-334.
28. Robert P. Quinn e Graham L. Staines, The 1977 Descriptive Statistics, with Comparison Data from Surveys, Ann Arbor, University of Michigan Survey 15.32. 29. Gibbs, "Bringing Up Father", Time, 28 giugno, 30. Leach, Children First, pp. 121, 120.
Quality of Employment Survey: the 1969-1970 and 1972-1973 Research Center, 1977, tabella 1993, p. 56.
CAPITOLO 3 GLI ANNI DELL'INVEZIONE 3.1 - Libertà: la sua sensazione, la sua vista! C'è un capitolo della storia della vita di ognuno di noi che viene stranamente escluso dal racconto, come se nessuna azione vi si svolgesse e nessun valore vi si annidasse. Tuttavia, se dovessi individuare gli anni in cui la vera immagine di me stessa venne pienamente alla luce, in cui mi sentii come un'eroina al centro della mia stessa storia, riandrei agli anni stimolanti incastrati tra gli onnipresenti occhi materni e le luci intermittenti dell'adolescenza. Abbiamo, quanti anni?, forse otto o nove, e stiamo spesso fuori casa, relativamente affrancati rispetto a quel che accadeva prima e a quel che giace dinanzi a noi. È una sfortuna che Freud abbia chiamato questi anni il "periodo di latenza", facendolo apparire così noioso, come se lo trascorressimo da sonnambuli, quando invece racchiude un potenziale di creatività e di ottimismo che non sperimenteremo mai più. Né manchiamo di sensazioni sessuali, come invece suggerisce il termine "latenza"; piuttosto, dopo l'esperienza negativa dei primi esami notturni dei nostri anni edipici, abbiamo imparato a tenere per noi le eccitazioni sessuali. Sì, siamo piccoli, ma c'è in noi una combinazione unica di curiosità, coraggio, di infallibilità legata all'innocenza; forse usciamo feriti dalle lotte di competizione familiare, ma quelle perdite hanno il vantaggio di rimanere confinate entro le mura di casa. E per quel che riguarda il brutale processo di sradicamento che presto riprenderà con l'adolescenza, periodo che ci marchierà per tutta la vita, insomma, chi, a nove o dieci anni può verosimilmente comprenderne l'enorme rilevanza? Quando oltrepassiamo il prato di casa nostra, scopriamo con un brivido di eccitazione che nessuno, al di fuori di quelle mura, sa dei nostri difetti e della perfezione dei nostri fratelli. Ora, in bicicletta o a piedi, ce ne andiamo dal campo base di casa nostra, dove facciamo ritorno rifocillati, fisicamente ed emotivamente, ma che non rappresenta più il mondo intero. Oltre a quella casa, c'è un nuovo pubblico fatto di occhi che ci catturano in modi a noi prima sconosciuti: fino ad ora tutti ci hanno visto in rapporto ai nostri genitori, guardando da loro a noi, e da noi a loro. "Assomigli tutta a tuo padre", dicevano. "Hai gli occhi di tua madre." Tutto questo può essere molto piacevole, ma non siamo noi. Sulle nostre biciclette, nelle nostre scorrazzate a scuola e a casa degli amici, veniamo visti per la prima volta come individui separati dalla famiglia. Una finestra si spalanca inaspettatatamente. Come potrebbe essere altrimenti? Queste persone non conoscono i terribili nomignoli con cui ci chiamano in famiglia; non nutrono alcuna aspettativa nei nostri confronti. L'uomo alla stazione di benzina dove andiamo per far gonfiare le gomme della bicicletta, la donna alla cassa del negozio dove compriamo i dolci, il modo in cui essi ci vedono dipende dalle loro vite, non ha nulla a che fare con noi, e questo dà uno strano senso di libertà. A loro non importa nulla, e questo ci lascia spazio per sperimentare un atteggiamento: un modo di parlare e di camminare che cattura la loro attenzione. Forse per un minuto accantoneranno le loro occupazioni, e se saremo particolarmente vittoriosi, vedremo le loro pupille dilatarsi dopo che lo sguardo si è posato su di noi. Noi. Si fa strada in noi la convinzione che possiamo crearci da soli! Come nelle fiabe che ci hanno letto in tutti questi anni, possiamo essere l'eroe di un'avventura, perlomeno possiamo influenzare gli eventi e realizzare cose, non solo essere manovrati. È il classico momento che ritroviamo nella letteratura, nei film, nella vita, in cui un estraneo parla di noi ai nostri stessi genitori: "Che narratore meraviglioso è tuo figlio. Che bambino affascinante, così divertente,
adorabile". Il genitore si illumina, forse è eccitato, ma non sempre. Benché lo neghino, alcuni genitori non gradiscono di essere istruiti da un estraneo sulle qualità dei propri figli. Non essere partecipi di un aspetto del carattere del figlio li getta in uno strano stato che sa di fallimento, quasi di tradimento, tutto perché il bambino non ha rivelato prima a loro quella parte di sé. Ma il bambino percepisce la delusione e il sospetto di slealtà per aver donato qualcosa di speciale di sé al di fuori del legame familiare; e così decide di mantenere nascoste queste nuove, segrete identità. L'intima qualità di molta parte di ciò che accade nel corso di questi anni può essere un modo per proteggere sia i genitori che noi stessi. Teniamo per noi quelle avventure particolari perché la "loro" preservazione dà vita ad un rinnovato senso di responsabilità. È la versione infantile di quel sussurrare tra adulti frasi del tipo: "Come si fa a dire ad un bambino una cosa del genere?" Ciò che i ragazzi del film Stand by me imparano è che è meglio non confidare l'avventura che hanno appena vissuto; questo non solo rinsalda i loro rapporti camerateschi, ma li unisce tramite un giuramento di protezione rispetto ai genitori, è l'inizio del passaggio del testimone. I ragazzi emergono dalla loro avventura sentendosi diversi, guardandosi in modo differente, meno infantili, più sicuri di sé. Qualcuna può essere più graziosa di noi, ma adesso ci sono altre qualità che contano, e contano come mai prima d'ora, vista la sovranità precedentemente esercitata dall'aspetto fisico. Compariamo la nostra intelligenza, velocità, creatività, coraggio, con un bel viso, e ne usciamo vincitori! O quanto meno alla pari. Continuamente esercitate, queste capacità diventano nostre, diventano a poco a poco la persona che siamo. Prestando fede a questa rappresentazione, iniziamo ad apparire come l'atleta, l'attrice, la leader. Nei primi anni, l'insicurezza perseguita i nostri lineamenti, perché la nostra personalità prende forma attraverso continui paragoni con gli altri membri della famiglia. Ora, per fortuna, il volto infantile dallo sguardo basso e triste prende vita e assume un carattere proprio. Non abbiamo bisogno di guardarci allo specchio; abbiamo iniziato a sposare dentro di noi la conoscenza intima di chi siamo, e agli occhi della nostra mente è così che appariamo. Genitori e fratelli possono accorgersi del fatto che abbiamo cominciato a camminare e a parlare come se stessimo recitando una parte; effettivamente, un fratello può accusarci del fatto che "ci mettiamo in mostra", mentre una sorella ci consiglia di "smettere di tentare di essere quello che non siamo". Con un coraggio tutto nuovo, scacciamo le loro critiche, preservando le nostre nuove identità. È possibile che nulla possa mai cambiare nel ritratto familiare, dove fratelli, sorelle e genitori continuano a vederci per il resto della vita inseriti nel ruolo che ci hanno affibbiato nell'ambito della gerarchia originaria. "John è quello bello", essi diranno a venti, trentanni di distanza, quando in realtà noi siamo diventati molto più attraenti di John. Quando un genitore, fin dall'inizio, ha sovrapposto la propria immagine a quella di un determinato figlio, può manifestarsi poi il rifiuto, più o meno conscio, ad alterare la posizione famigliare del figlio preferito; fare questo implicherebbe una diminuzione anche per l'io del genitore. Tentare di forzare oggi, da adulti, un processo di rivalutazione nel corso di una festa in famiglia, significa entrare in un campo minato. Ci chiamavano "Botticella" o "Quattrocchi", e continuano a rifiutare di riconoscere quanto abbiamo realizzato nella vita. Ti dò un consiglio: lascia perdere. Scarica il vecchio bagaglio delle ingiustizie familiari, perché non c'è nulla che possa privarti della gioia di vivere quanto mettere in discussione i vecchi giudizi di famiglia nel tentativo di costringere i suoi artefici a vederci per quel che siamo diventati. Prendi la tua rabbia, inquadrala nella cornice temporale appropriata, e lasciala andare. Se non fossi diventata una scrittrice non avrei mai riportato alla luce la ragazzina che sono stata in quegli anni pre-adolescenziali, lei che ha rappresentato una fonte di energia positiva per tutta la mia vita. In tutti i libri che ho scritto negli ultimi venticinque anni, ho rimpianto di averla abbandonata con il sopraggiungere ingombrante dell'adolescenza. Ma lei non se n'è mai andata veramente. Il suo ottimismo di fondo è stato inconsciamente attivo nel corso di tutta la mia esistenza, finché, recentemente, non ha assunto una forma cosciente e non mi sono rammentata delle corse lungo le alte mura che
cingevano lo splendore dei giardini segreti del luogo meraviglioso in cui sono cresciuta. Quando mi feci abbastanza grande da inforcare la bicicletta e lasciare la casa in cui mi sentivo invisibile, fu una sensazione eccitante scoprire che gli occhi delle persone che incontravo riflettevano un'immagine diversa di me, quell'io di cui avevo sempre sospettato l'esistenza. Ora, essere semplicemente me stessa era sufficiente per conquistare affetto. Quando stavo in cima alle mie mura, i mattoni teneri che si sgretolavano sotto i piedi, ed esaminavo il mondo che giaceva sotto di me, la tristezza di non essere capace di attirare l'attenzione di mia madre spariva. La mia sicurezza proveniva da un nuovo senso dei confini, dalla salvezza ritrovata. Ero convinta di poter badare a me stessa. Anche se in realtà non era vero, avevo un'intima visione del mondo come di un posto accogliente, il cuore aperto dell'eroe delle fiabe e dei racconti quando lascia la casa paterna per andare in cerca di fortuna. Che ne sapevo delle divisioni di genere, dei ruoli stereotipati che mi stavano aspettando, del momento in cui tutto quello che mi faceva sentire viva iniziativa, coraggio, competizione - mi sarebbe stato negato? Come potevo prevedere che l'amore per i ragazzi, il bisogno disperato di fare in modo che si accorgessero di me, avrebbero reso immediata e repentina la capitolazione del mio io dodicenne? Non avrei mai più avuto un'immagine di me stessa così piacevole come quella che avevo allora. Suppongo che fu questo, nei primi anni Settanta, a spingere me, insieme a milioni di altre persone, verso Il Piccolo Principe di Saint-Exupery. "Questo mondo di ricordi d'infanzia", come egli scriveva, "mi apparirà sempre irrimediabilmente più reale dell'altro."(1) Questo intervallo di tempo, stretto tra nostra madre e la nostra adolescenza, forma un piccolo quadro, con l'otturatore della macchina fotografica che si apre e si chiude brevemente. Ma la sua durata non è importante, a patto che riusciamo a delineare i tratti importanti del nostro carattere, quelli che ci descrivono. Questi anni vanno a formare un capitale accantonato per il futuro. Passiamo infatti così tanto tempo a soddisfare le aspettative della famiglia e della società, anche se possono non corrispondere all'immagine che abbiamo di noi stessi. Mentre è necessario imparare a mantenersi economicamente, forse a provvedere anche ad una famiglia, abbiamo veramente bisogno di tutto quel bagaglio, quei beni, quei vestiti e quel trucco che quasi automaticamente siamo portati poi a desiderare? Quando ci guardiamo allo specchio, sovraccarichi di tutti questi acquisti, non ci piace quel che vediamo. Niente ci affascina quanto la vista di noi stessi quando, a dieci anni, stavamo in cima al mondo. La bicicletta torna alla mente come il simbolo di quegli anni. Imparare a cavalcare significa dominio, ma in assenza di un cavallo - l'immagine dei miei sogni, una cowgirl - la bicicletta fu la mia compagna nelle imprese di scoperta del mondo che si stendeva al di là della mia casa, le strade, le vicinanze che non avevo mai esplorato. Essere da soli per la prima volta su una bicicletta costituisce un'esperienza fatta di controllo e di avventura diversa da ogni altra, fino forse alla prima macchina, che rappresenta un dominio ancora più grande, che si realizza quando i confini del mondo si allargano ulteriormente e l'obiettivo della macchina fotografica si apre per mostrarci territori di movimento sempre più distanti dai primi occhi giudicanti. Gli estranei fanno il loro ingresso nelle nostre vite. Gli estranei possono trasformarsi in qualsiasi cosa, diventare chiunque, così come noi ai loro occhi. Mi vedo sulla mia Schwinn verde, senza mani, che canto, vestita in jeans e maglione di nessun colore o stile particolare. E infatti, cosa poteva importarmi delle immagini allo specchio? Presa dal movimento, sapevo chi ero, mentre oltrepassavo semplici passanti, percorrendo strade familiari che erano divenute le mie strade grazie ai continui viaggi per andare a scuola, poi improvvisamente svoltavo a destra, per sperimentare una strada nuova, perdendomi, ritrovandomi, facendo tutto da sola, provando a me stessa che ne ero capace, provando e riprovando. Gambe, muscoli, la loro coordinazione era diventata senso di sé in moto, completamente sotto controllo. Nella mia testa immaginavo gli altri come testimoni del mio passaggio e del mio potere. E dunque cosa importava se non mi avevano neanche notato? Non li avevo seppelliti sotto una nuvola di polvere? La realtà non era importante; era il ritratto di me stessa ai miei occhi e ai loro occhi che rinforzava il senso di dominio, la sua vista. Io ero entrata nel loro mondo e lo abbandonavo quando mi pareva.
Erano così pochi gli ingredienti per la felicità allora, ed io li avevo tutti; prendere una bicicletta, aggiungere una ragazzina, cucinare fino a cottura ultimata. Avrei potuto vivere solo di quello. E ancora potrei, se solo potessi riavere indietro la sensazione di essere abbastanza in gamba. Sono mai stata più felice di così? Per ciascuno di noi, la magia di questi anni consiste nel fatto che, per un breve periodo di tempo, siamo liberi di esplorare, di imitare le persone che ammiriamo, di esercitare i tesori genetici per i quali scopriamo di avere un talento naturale, a cui aggiungiamo un'abilità tutta nostra. D'un tratto siamo esseri speciali. Un insegnante ci dice: "Hai un occhio particolare per il disegno!" Qualcuno ci ha riconosciuto! "Provaci! Sii questo! Fai così!" sprona la voce interna; la spontaneità regna come mai più in futuro, quanto meno non con questa libertà unica dagli occhi che ci giudicano, che ci trapassano. Proprio dietro l'angolo ci attende l'adolescenza, con le sue regole comportamentali inflessibili, una giacca aderente rispetto alla comoda informalità di un mondo che non dispensa critiche come quello dei nostri dieci anni. Quale momento migliore per scoprire chi vogliamo essere? Un pubblico ci aspetta là fuori, e anche se possiamo sentire la paura da palcoscenico, in futuro i nostri timori saranno sicuramente più grandi. Fallo ora. Sii chiunque. Il tempo di scoprire che cosa vogliamo e chi siamo si stende davanti a noi. Niente riesce meglio dell'invenzione. E nessuno è più creativo di un bambino di dieci anni. Svelto, prima dell'adolescenza, quando l'uniformità è tutto e l'unicità è la morte! Pensa a Il rosso e il nero, a Tom Sawyer, a La mia vita a quattro zampe, a Stand by me. Amiamo questi giovani eroi perché ci riconosciamo in loro, e anche se desidererei comparissero più eroine di dieci anni nei film e nei libri, posso però guardare A Bronx Tale di Robert De Niro e identificarmi completamente con quel ragazzino, che dorme sul suo letto spinto sotto la finestra, per non perdere nulla di quel che avviene nella strada sottostante, il suo mondo. Anch'io dormivo con il cuscino appoggiato al davanzale della mia finestra, così certa del fatto che la mia vita si svolgesse là fuori, dovunque, una vita senza confini, e non volevo perderne neanche un po'. E lì non c'erano specchi. In quegli anni non ero per niente timida. Libera dal confronto estetico con mia sorella e mia madre, crescevo facendo leva sull'amore che riuscivo ad ispirare in altre figure. Nacque in me un sentimento di grande generosità, un desiderio di dare grande quanto il mio bisogno di ricevere. Come ho potuto perderlo per strada, dov'è finito? Che persona completamente diversa sarei oggi se avessi immagazzinato la creatività di quegli anni, invece di ricacciarla indietro sotto le pressioni tiranniche della bellezza, regina incontrastata dell'adolescenza. Non mi è mai capitato di mettere in discussione la mia passione per la musica romantica. Correndo con la bicicletta verde, cantavo a squarciagola le ballate che avevo imparato dai dischi di mia madre dei musical di Broadway. Canzoni d'amore strazianti fluivano dalle mie labbra mentre giravo per le strade dolci e strette della mia infanzia, melodie che mi aprivano il cuore in un modo che non sono ancora riuscita ad afferrare, attirandomi verso i loro struggimenti; forse, nella mia mente infantile, il loro contenuto amoroso veniva scambiato per qualcos'altro, o forse no. L'amore, dopo tutto, non è il sesso; in realtà, la vera essenza dell'amore romantico, così come era originariamente inteso dai trovatori, coincideva con l'irraggiungibilità dell'amato. Struggimento puro. Di sicuro desideravo disperatamente perdermi nelle braccia di qualcuno, il che, ora che ci penso, faceva di I Got Lost In His Arms, tratto da Annie Get Your Gun, uno dei miei pezzi preferiti. Anche adesso potrei cantarne ogni parola. Le braccia di lui, le braccia di lei, che importava? Essere tenuti stretti era ciò che contava e non ne ero nemmeno consapevole, non potevo permettermi di riconoscerlo per paura di essere rifiutata, ancora. Anche adesso posso abbandonarmi alla musica romantica come nessun altro. Ovviamente, eccetto il mio dolce vicino di casa Peter Alien, che un tempo era padrone della scena alla Radio City Music Hall, lanciato verso il successo come The Rockettes, e cantava le sue canzoni d'amore sulla terrazza che abbiamo condiviso per dodici anni. D'estate, sedevo su quella terrazza e lo ascoltavo comporre, sentendo che se la mia vita era giunta alla fine di un certo percorso, lo dovevo al fatto di avere questo musicista a distanza di canto. L'estate prima che morisse, facemmo spostare il suo piano sulla terrazza, e con Manhattan sullo
sfondo, la luna piena sopra il Carlyle Hotel, Pete cantò canzoni d'amore, canzoni d'amore e nient'altro. Pete era per me il fratello che non ho mai avuto. Mi era sempre sembrata una cosa triste non avere un fratello, perché sarei maturata nel ruolo di sorellina minore, io che sembravo un maschio, con la mia altezza e la mia passione per tutte le imprese avventurose e, naturalmente, il mio disinteresse per gli specchi. Identificandomi così poco con mia madre e mia sorella, mi assegnai la parte del fratello. Mi identificavo certamente con mio nonno e, come accennavo prima, sentivo quasi l'obbligo di essere "l'uomo di casa", data la propensione alle lacrime di mia madre e di mia sorella, e visto che l'adolescenza incipiente di mia sorella aveva l'effetto di esacerbare l'ansia e la competitività di mia madre. Bisognava pure che ci fosse qualcuno percepito come colui che aveva il controllo della situazione, e, benché non potessi pagare le bollette, giurai a me stessa che non avrei portato altra ansia in quella casa e che non avrei mai pianto "come loro". Questa attenuazione dei ruoli di genere è un aspetto di questi anni preadolescenziali che assaporo in modo particolare. L'impronta materna di come dovrebbe apparire una piccola donna è ancora lì - forse per sempre, visto il suo radicamento a livello inconscio - a fissarci con uno sguardo critico dallo specchio del presente, mentre posiamo con addosso il nostro Wonderbra chiedendoci perché non ci piace quel che vediamo. Le lotte ingaggiate con i giudizi severi di nostra madre a proposito del nostro look sensuale adulto si alimentano alla fiamma preadolescenziale di un'indipendenza e di un coraggio intrisi della sicurezza di sé. In quale altro periodo della vita ad una donna si concede un momento di tregua rispetto ai giudizi maschili e femminili, perché, non avendo ancora raggiunto la maturità sessuale, è considerata "non a rischio"? La maggior parte di noi non avrà altre occasioni per inventare se stessa o non oserà prenderle al volo per mille motivi diversi, nessuno dei quali è insormontabile, anche se è così che verranno percepiti. E finiamo per morire senza esserci messe alla prova, completamente ripiegate su noi stesse, un embrione di quel che avremmo potuto essere. Se scorgiamo più spacconeria maschile in una bambina di quanto non vediamo elementi femminili nei ragazzi, questo è dovuto in parte al fatto che la società è molto dura nei confronti dei maschi, estremamente rigida nel definire cosa significa essere uomini. Il figlio maschio ha il dovere di negare in sé proprio le qualità della madre che ha amato di più, rifuggendo ogni aspetto che sia femminile per riuscire infine ad individuare gli ingredienti della virilità. Egli sa fin troppo bene che cos'è una donna, ne ha una conoscenza di prima mano e ravvicinata, ma cos'è un uomo, al di là di un individuo munito di valigetta che impone una disciplina severa? I ragazzi si conoscono, si riuniscono fuori casa, ciascuno portando incise dentro di sé immagini di uomini apprese dalla televisione: Schwarzenegger, Rambo, quali che siano gli eroi dei ragazzi, in qualche misura nessuno ha la stessa credibilità del potere incarnato dalla madre e dalla donna. Per dimostrare di essere più grande di lei, deve sminuire le donne. E più rari sono i padri, più grandiosa si profila la madre all'orizzonte, il che significa che più grande sarà la distanza che oggi il ragazzo dovrà coprire per vedersi diverso da lei. Forma una banda insieme ad altri ragazzi anch'essi ansiosi di provare che non hanno bisogno delle donne. Insieme mettono in pratica nuovi modi di agire, di sentire, di parlare, tutto il tempo intenti ad escludere dalla propria personalità qualsiasi attributo femminile. Immagina dei ragazzini che, nel pieno dell'estate, corrono verso un lago, togliendosi di dosso gli abiti alla rinfusa, finché non sono in acqua insieme, rinati alla loro nudità, come nel dipinto di Eakins The Swimming Hole. Mi sarei divertita un mondo insieme a quei ragazzi nell'acqua, tanto ero desiderosa di non essere come le altre donne di casa, timide, in lacrime e così prese l'una dall'altra. Benché non avessi un padre, né un fratello, e neanche un amico maschio, mi comportavo come uno di loro. E lo facevo senza imitarli consciamente, il che mi fa pensare ad un elemento di ottimismo innato nel mio carattere. Vorrei raccontarti di una vacanza estiva trascorsa con due bambine e la loro famiglia a Oakracoke Island, al largo del North Carolina. Al mio arrivo, subito dopo aver toccato terra, le mie amiche mi corsero incontro, e, sovrapponendosi,
mi gridarono all'unisono: "Nancy, Nancy, gli abbiamo detto che quando saresti arrivata qui gliel'avresti fatto vedere tu, li avresti puniti!" Ai loro occhi ero una specie di eroe vendicatore, perché quelli che dovevo sfidare erano un gruppo di ragazzi scalmanati.. Ricordo di essermi sentita scossa nel mio equilibrio da come loro mi vedevano. Ero una persona così formidabile? Se davvero lo ero, non l'avevo pianificato. Ricordo anche che, durante quell'estate, in diverse occasioni mi chiudevo nel bagno e cercavo di fare pipì in un bicchiere. Stavo esercitandomi ad essere un ragazzo? Forse. Non ricordo cosa ne fu dello scontro con i teppisti, anche se ebbe luogo, ma ricordo bene la sensazione non del tutto spiacevole di cercare di indirizzare il mio flusso di urina in quel piccolo bicchiere premuto stretto contro la vulva. Mia madre ha sempre voluto scacciare i miei ricordi di come apparivo fisicamente in quegli anni, dicendo: "Non è vero, eri così carina con le tue treccine, mentre scalavi quelle mura infilata nei tuoi jeans". Ma non ero carina, e questo è proprio il motivo per cui mi arrampicavo su per i muri, per provare che ero in grado di primeggiare in qualche altro campo che non fosse la bellezza. Non importa che altri membri della nostra famiglia abbiano una loro indelebile impressione di come eravamo; per te, per me, le persone che siamo diventate si sono evolute a partire dalle intime sensazioni e impressioni di come eravamo visti all'interno del ritratto familiare. Quando nel presente voglio avere una buona opinione di me stessa, ecco affacciarsi la ragazzina di dieci anni dei miei ricordi. Mi alzo la mattina, così presto che l'oscurità della notte non ha ancora abbandonato completamente la mia camera. Dalla stanza che divido con mia sorella prendo i vestiti piegati sulla sedia dalla sera prima, e mi avvio verso il bagno. Sul retro della porta sono appese le calze e gli slip di una donna, mia madre. Lo specchio sopra il lavandino riflette delle trecce, una fronte alta, lentiggini, apparecchio per i denti, e i vestiti che mi infilo dalla testa non sono coordinati per colore o tessuto. In realtà, non guardo nello specchio finché non afferro il mio spazzolino da denti, lo porto alla bocca, vedo gli spazzolini di mia madre e di mia sorella, e con aria di sfida, bagno il mio sotto il rubinetto e lo rimetto al suo posto. Non lavarmi i denti o attendere che mi vengano ripettinati i capelli, costituiscono una piccola vittoria, un marchio d'identità: Diversa Da Loro. So che nessuno farà caso allo spazzolino da denti non utilizzato o ai miei capelli non spazzolati, tuttavia devo ugualmente eseguire questo rito. Al piano di sotto raccolgo Raisin Bran, burro di arachidi e toast, mi metto a sedere al mio posto e mangio, mentre, nel frattempo, gioco con le pagine di un blocco sparse davanti a me. Scrivo canzoni, beh, in realtà nuove parole per melodie popolari già esistenti. Le insegnerò poi agli altri membri dello Slick Chick Jivers, un quartetto di bambini di quinta elementare che devono esibirsi proprio quel giorno alla Upper School, l'edificio imponente situato al lato estremo dei campi da gioco della Lower School, che è la scuola che frequento io. Mentre mangio canticchio, provo un po' di movimenti delle mani, mi alzo una o due volte ed eseguo un passo complicato che ricordo di aver visto nell'ultimo film musicale al Cinema Gloria. Quel che mi piace del mio io di ragazzina (e rimpiango di aver perduto) è l'assoluta mancanza di artificio e di auto-compiacimento. I libri in una mano, monto sulla mia fidata Schwinn e pedalo veloce come il vento, via da quella casa di timidezza, rallentando solo per salutare le donne che sistemano i loro vasi di fiori ai piedi delle scale del Post Office, e gli uomini che portano il ghiaccio sui loro carri tirati dal cavallo, che prima ero solita seguire fianco a fianco (fin quando gli amici di mia madre non mi riconducevano a casa). Il tempo di raggiungere la casa della mia amica Joanne, e sono pronta per un'altra colazione, soprattutto perché quest'altra si svolgerà con una famiglia al completo, ovvero con un padre a capotavola. Vengo accolta come una della famiglia e letteralmente rinasco, sorridente, incantevole. Joanne, che è la mia migliore amica, è una delle componenti dei Jivers, proponiamo immediatamente di offrire alla famiglia un'anteprima del nostro spettacolo. Io sono in piedi, con le braccia attorno a lei - mi arriva a malapena alle spalle, ma cosa me ne importa dell'altezza, cosa ne so dell'adolescenza? - cantiamo la nostra canzone e balliamo, "You wonderful you",
come la eseguono Gene Kelly e Judy Garland in Summer Stock. Le parole romantiche della ballata si armonizzano perfettamente con la voce dolce da soprano di Joanne e con la mia da contralto. La smania sentimentale prende corpo attraverso due ragazzine che recitano i ruoli di un uomo e di una donna innamorati. Siamo ancora delle bambine e mentre possiamo sentire il desiderio d'amore - come è possibile sentirlo ad ogni età - non siamo ancora sensibili al significato erotico di ciò che stiamo cantando. Tutto quello che mi si richiedeva in quei pochi anni era che fossi a casa per pranzo e cena e andassi a letto entro le nove. E anche queste richieste saltavano quando telefonavo da una delle tante case sparse per la città in cui ero la benvenuta. Devo così tanto alle famiglie che mi lasciavano un posto alla loro tavola. Mi vedevano come un'anima persa, l'unica figlia della nostra cerchia senza padre? Non ne ho idea. Se anche fosse stato così, non mi mostrarono mai la loro pietà; al contrario, elogi, accettazione e amore era ciò che rimbalzava dal loro modo di fare. Non ho saldato questo debito di gratitudine e questo mi amareggia. Forse è troppo grande. O forse ho dovuto vivere così a lungo per apprezzare l'enormità del mio debito verso queste persone, questa scuola, verso questa idilliaca città. Questi anni scolastici del periodo preadolescenziale sostituiscono gli angusti confini della propria casa. Se i nostri genitori e i nostri fratelli ci hanno sempre visti come Il Tranquillo di famiglia, è difficile che cambino opinione. In confronto al nostro estroverso fratello maggiore, sì, siamo silenziosi, ma ora, liberi da quel paragone, i nostri insegnanti e compagni di classe possono udire per la prima volta tutta la loquacità di cui siamo capaci. Il potere della nostra voce e il nuovo riflesso che provoca nei loro occhi si rifrange su di noi. Questa voce è proprio la nostra, nostro questo nuovo rispetto che riusciamo ad incutere, e lo vezzeggiamo, come un tesoro da cui cominciare a costruire. Quindi coesistevano in me due persone, la conquistatrice scolastica cui diedero una coppa d'argento per la Leadership quando mi laureai - ora si trova alle mie spalle e mi fa da portamatite - e l'abitante della mia casa, dove l'invisibilità cominciava a farmi comodo. La mia posizione non veniva mai messa in discussione, cosa che mi provocava un profondo sentimento di ambivalenza, perché il fatto che nessuno pareva sentire la mia mancanza da un lato mi feriva, dall'altro mi dava anche la possibilità di reinventarmi in continuazione. La mia scuola, quel luogo meraviglioso in cui sono cresciuta e ho trascorso più ore del mio tempo che a casa, era il mio personale Giardino dell'Eden, un posto di delizie senza fine, in cui provavo commedie, mi esercitavo a baseball, scrivevo musical, ero una leader. Qualche mattina arrivavo così in anticipo che vi trovavo solo il custode, e mentre aspettavo che sopraggiungesse il resto della squadra per gli esercizi, tiravo a canestro, completamente appagata solo dal fatto di essere lì, a scuola, la mia scuola. Gli sport competitivi contavano molto per me, e se alla fine divennero un po' troppo importanti, una ragione c'era. Nel Sud non era previsto che le ragazze s'impegnassero seriamente nelle competizioni, ossia nello sforzo di vincere, e questo mi faceva impazzire, perché vincere era il motivo principale per giocare. Devo aggiungere che questa era una scuola femminile, cosa di cui sono stata eternamente grata; se ci fossero stati dei compagni maschi, sono certa che avrei fatto di tutto perché i ragazzi mi vedessero come una ragazza piacevole/amabile, invece di impegnarmi a diventare l'atleta, la studentessa, la leader. E infatti, quando nella mia vita entrarono i ragazzi, abbandonai tutto il resto per loro, anche se, a loro difesa, devo ammettere che non mi chiesero mai questo sacrificio. Questo è dunque il ritratto della mia fase preadolescenziale, un'immagine che ammiro con tutto il cuore, al di sopra di ogni altro ricordo di me stessa, da allora fino ai giorni nostri. Ero gentile, ero buona, ambiziosa, giusta, competitiva, impaziente, loquace, un vero leader, e solo qualche anno più tardi abbandonai tutto per il ritratto della Brava Ragazza, un ritratto che non mi si addiceva. 3.2 - Ritrovare se stessi sullo schermo d'argento. Pochi ricordi sono così inestricabilmente legati a questi anni come la scoperta del nostro io segreto proiettato sugli schermi cinematografici. Se la bicicletta promette il controllo fisico sul mondo esterno, i film risvegliano la nostra
immaginazione, aprendoci a sogni che potremmo non avere mai coltivato, tenuto conto dell'immagine che avevamo di noi stessi, e di come gli altri ci vedevano, all'interno del nostro piccolo mondo. Se le fiabe rispecchiano le emozioni turbolente che ci cullavano da piccoli, l'esperienza del grande schermo riprende il discorso là dove i Fratelli Grimm l'avevano lasciato. Seduti nel buio di una sala cinematografica, il perimetro della vita si estende all'infinito; possiamo spaziare con lo sguardo oltre l'orizzonte rappresentato dalla nostra casa e dalla nostra scuola, immaginandoci dovunque la macchina da presa ci porti. Certo, è finzione, ma ad alcuni di noi sembra più reale di qualunque altra cosa mai sperimentata, o anche mai letta. Non siamo belli, non sappiamo far danzare su e giù voli di stelle, ma neanche l'eroina ne era capace all'inizio, finché finché cosa? - finché qualcuno non la vide in modo differente grazie ad una canzone, ad un abito, ad un bacio. Per alcuni ragazzi i film sono semplice intrattenimento; hanno solo dieci anni ma stanno bene nella loro pelle; si vedono mentre lentamente si trasformano nei propri genitori; dato il loro carattere e la loro esperienza di vita fino a quel punto, ogni desiderio è già noto. Per altri invece, i film rappresentano il punto d'inizio della vita. Prova a ripensare ai momenti della tua infanzia trascorsi al cinema. Non riesci a distinguere, tra le persone con cui sei cresciuta, quelle che si perdevano nella magia del grande schermo da quelle per cui il cinema rappresentava soltanto un'esperienza che incominciava e terminava con il film? Per i bambini di dieci anni come me, i film, con tutto il loro portato di finzione, davvero rappresentavano il principio della vita. Sono fermamente convinta del fatto che ogni cosa al mondo sia legata al grado di visibilità di cui abbiamo goduto nei primi giorni della nostra vita in seno alla famiglia, al fatto di essere stati più o meno visti e riscaldati dagli occhi più importanti del mondo, quelli dei genitori. Se noi siamo stati il loro film, i lineamenti adorati in cui perdersi, allora i nostri giorni di celebrità hanno assorbito quel bisogno di visibilità. Siamo stati adorati a sufficienza al momento giusto, all'inizio. Se così non è stato, credo che i film - e non mi riferisco alla televisione, ma al grande schermo - offrano un'immagine in cui perdersi. Mentre fissiamo lo schermo, possiamo essere tanti voyeur, ma la magia dei film sta tutta in quel loro accoglierci completamente. Non mi sorprende il fatto che condivido questa ossessione con i miei amici più intimi che, come me, non si perdono un solo film che arrivi in città. Ciò che ci attrae a vicenda non è esattamente l'assiduità religiosa con cui presenziamo alle proiezioni, ma la nostra comune inclinazione all'esibizione: la predisposizione ad esporci e prendere le occasioni al volo. Come il bambino di Nuovo Cinema Paradiso, dopo aver visto il primo film, dovetti vederli tutti. Rovistavo nelle tasche del cappotto di mia madre e nelle sue borsette fin quando non racimolavo i soldi necessari - solo un quarto di dollaro, per quanto mi ricordi - poi camminavo per qualche isolato fino all'emporio all'angolo tra King Street e Broad Street, dove avevo un appuntamento con le mie amiche. Avendo già deciso se andare a vedere il film che davano al Riviera o quello che davano al Gloria, ci fermavamo alla panetteria per riempire alcuni sacchetti di carta di dolci di gelatina e di paste al cioccolato, che venivano divorati nella sacra oscurità, un ulteriore incentivo alla resa del nostro io, che prendeva le forme dei personaggi del grande schermo. Gli occhi inchiodati, sospiravamo con loro, le bocche piene di ciambelle glassate, morivamo con loro, eravamo loro. Questo è ciò che si perde con la televisione; le dimensioni gigantesche delle persone e della loro passione, che ci sovrasta e ci coinvolge. Se nella nostra breve vita non c'è ancora stato un adulto in carne ed ossa ad alimentare sentimenti eroici dentro di noi, questi giganti che vivono per un'ora sullo schermo, colmeranno questo vuoto, rimandandoci l'immagine di cosa prova e come appare la persona che potremmo diventare. Sedere nel mezzo di un grande spazio buio -tra estranei! - e, pubblicamente, fare esperienza dei propri sentimenti più privati e sconosciuti, è una rivelazione unica al mondo, irripetibile. Respiriamo affannosamente e sospiriamo in una mostra collettiva delle emozioni, che rappresenta la seconda faccia delle Buone Maniere, muniti come siamo del mandato di celare i nostri sentimenti. Credo fosse questo che i greci e i romani condividevano nei loro anfiteatri.
Strano a dirsi, questo dono era simile a quello che mi aveva fatto la Chiesa: un sentimento di appartenenza ad un'emozione più-grande-della-vita, pubblicamente condivisa con altri; un'immagine collettiva di se stessi. Sicuramente mi vidi come una piccola cristiana, che si rispecchiava in tutti gli altri buoni e bravi cristiani attorno a me, ma il mio "io cristiano" rappresentava solo una piccola parte della mia personalità. La Vera Me Stessa nacque al cinema, dove feci la conoscenza di tutte le componenti del mio io, un assaggio di quel che la vita avrebbe potuto essere. Qui fu piantato il seme, evolutosi nella certezza adolescenziale con cui esprimevo il desiderio di non sposarmi dopo la laurea, a differenza di tante amiche del mio gruppo. C'erano delle esperienze da fare, emozioni da vivere in tutta la loro pienezza, con la stessa intensità che si era dispiegata lassù, sullo schermo; volevo assaporare tutto. I film offrivano anche un grande conforto; c'erano i cattivi, che mostravano una malvagità molto più terribile di quella che sospettavo in me stessa. Vedere in azione Richard Widmark era terrificante, ma la grandezza della crudeltà a cui dava voce rendeva sopportabile la mia. Forse, dopo tutto, non ero così male. La bellezza di Elizabeth Taylor oltrepassava i miei sogni più selvaggi, ma al posto dell'invidia, il fascino del cinema permetteva la nascita in me di un sentimento di adorazione. Stranamente, la sua bellezza straordinaria e le sue sofferenze le grandi bellezze soffrivano sempre - mi inducevano a pensare che la bellezza non era tutto, che esistevano dei poteri ad essa alternativi realmente preferibili, il che significava che per me c'era speranza. Sì, la bellezza era potente, ma i film ti davano modo di vedere quanto l'invidia di quelli che non la possiedono possa giungere fino al desiderio di sopprimerla. Tuttavia, niente mi scosse così profondamente come i grandi musical della fine degli anni Quaranta e dei primi anni Cinquanta: Cantando sotto la pioggia, Show Boat, On moonlight Bay, Good News, Cenerentola a Parigi. In uno stato ipnotico, sedevo al buio, muovendo le labbra e il corpo, io come Doris Day mentre attaccava bottone con il ragazzo della porta accanto, e quando lasciavo la sala del Gloria dopo essermi identificata in Fred Astaire e Judy Garland in Ti amavo senza saperlo, non potevo fare a meno di fare due gradini alla volta della scala del Post Office, con un bastone immaginario tra le mani, dimentica dei sorrisi delle fioraie che vi stazionavano sotto. La musica dei film che catturava la mia immaginazione manteneva il suo incantesimo anche molto tempo dopo che ne avevo comprato i dischi e ne avevo imparato ogni singola parola. Non volevo uscire dalla trance in cui mi lasciavo cadere, sospirando, desiderando ardentemente, morendo. La promessa della felicità in una canzone, in un ballo. Mi è sembrato appropriato il ritorno trionfale dei vecchi musical in un periodo così arido come gli anni Ottanta, quando le storie romantiche sincere erano in declino. Incapaci di creare parole e musica che fossero in grado di cogliere l'amore romantico, abbiamo riscoperto Frank Sinatra e Tony Bennet, e, senza alcuno sforzo, abbiamo fornito la melodia di un cuore infranto ad una nuova generazione. Quando affermo che i film mi salvarono la vita, fornendomi uno sguardo e una promessa di volti e ruoli che potevo tentare di fare miei, non esagero. Non mi importava nulla che fosse un uomo o una donna ad incarnare certe emozioni; i film mi aprirono gli occhi esattamente sulle cose che non ero riuscita a trovare nella vita reale, dove mi avevano insegnato a reprimere e a negare la piena espressione di grandi passi e di una voce potente. Il cinema mi suggeriva che tutto ciò non solo era giusto, ma che queste emozioni dovevano essere vissute il più possibile; che non si deve mai abbandonare la speranza, come Black Beauty, come Leslie Caron, come Bette Davis. 3.3 - Tre bambine non possono giocare insieme. All'età di dieci anni, mentre immaginiamo noi stessi alle prese con l'infinita varietà della vita, abbiamo bisogno del pieno incoraggiamento da parte della banda dei nostri amici più cari. Leggiamo un libro, vediamo un film, incontriamo qualcuno che risveglia in noi un senso di reciprocità. Facciamo bene ad andare in giro a fare acquisti simbolici, vivendo con una miriade di nuvolette da fumetto sopra la nostra testa, vestendo ora i panni di una persona ora quelli di un'altra, per vedere quale si adatta meglio alla nostra personalità. Non si ripeterà mai più un periodo così lieve di pressioni per essere conformi a qualche standard. Se avessimo la forza di sperimentare, evolvere, cambiare,
sorretti dal pieno appoggio degli amici, conserveremmo questi ritratti interni immaginari di noi stessi con una tale determinazione da poter attraversare l'adolescenza senza abbandonare il nostro sogno. Alla fine, potremmo crescere ed assumere davvero le sembianze della nostra eroina prediletta, una persona che ammiriamo, invece di trasformarci in una donna insicura della propria identità, del proprio aspetto, perennemente impegnata ad adeguarsi, a cambiare, ad alterare corpo, viso e capelli per conformarsi ad un'immagine che dallo specchio non ci sorride mai in modo così convincente come ci era apparsa nelle pagine di un libro, di una rivista, in un film. Se solo le bambine sostenessero l'una la causa dell'altra, se incoraggiassero l'individualità, l'originalità. Noi diamo vita ad amicizie intense con le altre bambine, senza le quali ci sembra di non poter vivere, amicizie che potrebbero sostenere l'unicità. Ma proprio l'affetto di cui sono impregnate queste amicizie, ci porta al tradimento reciproco, e anche al tradimento di noi stesse. L'amore assume gli unici contorni che ci è stato dato di conoscere, un amore fatto di vincoli e di simbiosi, che conserva un lato oscuro; la vecchia rabbia che non abbiamo potuto esprimere nei confronti di nostra madre per il timore di perderla, è ora a disposizione, in realtà una tentazione irresistibile. Un giorno abbandoniamo la nostra migliore amica o la escludiamo. E arrivata un'altra ragazzina, dando luogo ad un trio che ha innescato il bisogno innegabile di escludere qualcuno. È un gioco giocato dalle donne, e ha inizio così precocemente da contribuire a definirci tanto inevitabilmente quanto il fatto di possedere un seno. Come dire: "questa è una donna". Per la verità, si tratta di un comportamento appreso. Attraverso la sua semplice ripetizione, si trasforma in un impulso irresistibile ogni volta che più di due donne si incontrano. Non c'è una madre che non sia passata attraverso questa esperienza con la propria figlia: "Mamma, era la mia migliore amica! Cosa le ho fatto? Perché lei e quell'altra ragazza scherzano e corrono via lasciandomi da sola?" Quando due ragazzine che giocano sotto un terso cielo blu iniziano ad evitarne una terza, altro non fanno se non mostrare i muscoli, entusiasmandosi alla vista dell'infelicità che riescono a provocare, un dolore che conoscono bene, perché l'hanno provato in prima persona. Escludere una di noi, qualcuna che è stata la nostra amica più intima e più cara fino a cinque minuti prima, è un comportamento tipicamente da "ragazze". In due vanno perfettamente d'accordo, ma la presenza di una terza, la sostituta, offre l'opportunità di creare una diade da brivido, a spese dell'infelicità di una delle ragazze, cui viene somministrato il "trattamento". È un'esperienza che ci tocca appena usciamo dai confini della nostra casa, al momento in cui facciamo pratica di relazioni, ed è modellata sull'unico rapporto d'amore che abbiamo potuto conoscere, quello con la mamma. Con la nostra nuova amica vogliamo creare un'atmosfera di intimità, ma vogliamo anche il potere, come quello che nostra madre esercitava su di noi, un desiderio che si risveglia quando sopraggiunge "la vittima". Proprio perché noi stesse abbiamo dovuto interpretare quel ruolo, sentiamo crescere un bisogno insormontabile di imporlo ad un'altra. Vogliamo giocare alla mamma. Non è che per questo smettiamo di essere emotivamente legate alla nostra migliore amica; in realtà abbiamo sovrapposto la sua immagine alla nostra. Non era lo stesso anche per noi, intrappolate nella relazione materna? Benissimo, facciamola soffrire per un po', proprio come la mamma ha fatto con noi. La capacità di produrre una vittima rende automaticamente più viva e intensa la nuova diade venutasi a creare con la nostra compagna di cospirazione. È vera passione. Il lato sinistro della faccenda è che, anche dopo aver sperimentato questo genere di abbandono, alla prima occasione, agiremo nello stesso modo nei confronti di un'altra ragazza/donna. Se la madre avesse permesso alla figlia di andare lungo un processo di graduale acquisizione di una propria personalità, dopo l'interiorizzazione dell'affetto reciproco come viatico essenziale per intraprendere il viaggio della separazione, la figlia non sarebbe stata così timorosa di perdere l'amore materno ogni volta che la madre volgeva l'attenzione ad altri membri della famiglia; non si sarebbe instaurato con lei un rapporto di dipendenza totale per qualsiasi cosa. Senza confini sicuri a delimitare interiormente la sua identità, la bambina rimane irrigidita in una relazione d'amore-odio con la madre, che ora
estende alle altre ragazze, alle altre donne. Ama la sua migliore amica nell'unico modo che conosce. L'aspetto tristemente ironico di questa dinamica è che, volendole bene, non riesce a fare a meno di farla soffrire, proprio come la madre ha fatto con lei. Questi dovrebbero essere anni di grandi amicizie e di dimostrazioni continue di lealtà. E lo sono! Ma segnano anche il principio di un processo di tradimento e abbandono delle persone che amiamo. La lettera che segue venne pubblicata nell'ambito della rubrica Help! della rivista American Girl; è una richiesta d'aiuto così frequente che, in ogni numero, almeno una lettera scritta da un'"esclusa" vi trova risposta: Cara Ragazza Americana, le mie due migliori amiche sono attaccate come la colla. Sono sempre l'esclusa della situazione. Sto bene quando gioco con una alla volta. Come potremmo essere tutte amiche senza litigare sempre?(2) Abbiamo nove, forse dieci o undici anni. Il nostro fisico si sta allungando, la nostra capacità di provare emozioni si va affinando e il nostro volto si apre pieno di aspettative, una tavolozza di colori attraverso cui tutte le sensazioni della vita dovrebbero sentirsi libere di correre, senza timori di censura. Nostra madre non è sempre presente per dirci di calmarci e di stare buone. Dovremmo essere pronte a incitarci a vicenda, ad applaudire le reciproche imprese. I nostri occhi dovrebbero spalancarsi al pensiero delle avventure da condividere con altre ragazze coraggiose, animate dalla curiosità. Cos'è che ci induce a stringere gli occhi, a muoverli nervosamente da una parte all'altra? Paura. Preoccupazione. L'ansia per la possibile perdita dell'affetto. Il sospetto che se andremo troppo lontano, se risulteremo troppo vittoriose, se saremo troppo felici, le altre ragazze ci abbandoneranno. Dove credi che le donne adulte imparino a deflettere i complimenti -"Oh, questa vecchia cosa?" "Quel vecchio contratto di centinaia di migliaia di dollari?" La minaccia dell'esclusione pende nell'aria come una spada di Damocle sopra la testa delle amicizie più care della nostra infanzia. "Mamma, perché mi evitano? Cosa ho fatto?" Lei non ha fatto niente. Due ragazzine volevano sentirsi particolarmente intime, ed era necessaria una terza bambina perché loro potessero sperimentare quella sensazione di vicinanza, allo stesso modo di un fuoco che per essere ravvivato ha bisogno di altro carburante, o, in questo caso, di un sacrificio. La vittima predestinata all'esclusione potrà essere riaccettata anche il giorno seguente, ma adesso, in questo momento, quel bisogno irresistibile non può essere negato. Puniscila, feriscila, disinnesca la rabbia immagazzinata per tanto tempo! Ha funzionato. Il bandimento della terza amica ha compattato la diade come non mai, completamente gemellato e stordito le sue parti, grazie al dolore provocato in un'altra. Era necessario qualcosa di più complesso dell'amore - perché se due persone possono amare, allora tre amano anche più intensamente - ed è stata la rabbia, il desiderio di vendetta e di potere ancora intrecciati al concetto che dell'amore hanno le bambine. Mai svezzate rispetto alla versione infantilmente simbiotica dell'amore, all'ombra della quale è avvenuto l'apprendimento della fiducia in se stessi e nell'altra persona coinvolta nella relazione amorosa, la diade di due individui avvinghiati l'uno all'altro è rimasta la sola forma conosciuta e sicura d'amore: il possesso totale. Come era percepito in quei giorni lontani questo tipo d'affetto quando la madre distoglieva l'attenzione dalla bambina a beneficio del padre o del fratello minore, rompendo così la diade? La bambina aveva soltanto un anno, forse due, e dunque dovette ingoiare la sua rabbia per preservare l'amore materno; un esercizio continuamente appreso, come quando si interessava al padre e sentiva bruciare alle sue spalle la competitività della madre. In seguito al divieto materno di mostrare ogni segno di rabbia o di potere - una regola fissata più rigidamente per le femmine che per i maschi - la bambina rimetteva in scena queste sofferenze con le proprie bambole, che puniva proprio allo stesso modo in cui lei era stata punita: "Cattiva, cattiva, cattiva!" Adorava le sue bambole; ma d'ora in avanti, la rabbia e il desiderio di vendetta, uniti al desiderio di disporre dello stesso potere della madre, erano diventati componenti intrinseche dell'amore.
Il vocabolario psicoanalitico prevede un'espressione per questa forma di rappresentazione ripetuta: viene definita "identificazione con l'aggressore". Funziona in modo abbastanza semplice, e coincide esattamente con quanto due bambine fanno subire ad una terza. Maggiore è l'intensità dell'amicizia e più è probabile che risvegli le emozioni belle e brutte provate nel rapporto con la donna più importante della nostra vita. Quando tre bambine stanno insieme, le lotte competitive per l'affetto del padre, con i fratelli e le sorelle, vengono riattualizzate. La competizione non viene mai nominata, ma l'aria ne è piena. Dato che la madre "vinceva" tutte le competizioni che tacitamente si svolgevano entro i confini della casa, la figlia si identifica con lei in questa lotta tra migliori amiche per l'accaparramento dell'amore, nel senso che qualcuno deve "perdere". L'altra amica del cuore viene data in pasto ai lupi. Le bambine misurano l'amore e la vita come se nel mondo esterno valessero le medesime leggi; quando la mamma si interessava ad altri membri della famiglia, in noi, che in quel momento venivamo escluse, aleggiava sempre la sensazione che ci venisse tolto qualcosa. La bambina invidiava il potere del padre, della sorella, del fratello, di sottrarre l'amore materno, ma la sua più grande maestra e rivale non le aveva mai insegnato a riconoscere che si poteva combattere una bella battaglia, essere arrabbiati, competere, e che poi, comunque, in futuro, ci sarebbe stato ancora altro amore. Una bambina, invece, cresce con questo senso di sconfitta a priori; per quale ragione allora tentare di combattere? Perderebbe comunque. Perciò le competizioni la terrorizzano. A meno che, naturalmente, non sia possibile avere la garanzia della vittoria. Quando la bambina nuova si avvicina, lei si apparta con la nuova venuta a dispetto della sua amica più cara; esclude e tradisce la sua migliore amica, ma ha evitato la competizione! In realtà, non è necessario venire alle mani, ferirla o dirle qualche cattiveria. L'evitamento, i bisbigli, gli scherzi, l'allontanamento emotivo garantiscono il successo dell'impresa. Non sta forse singhiozzando? Non abbiamo ottenuto un'unione simbiotica, una vittoria? Se si affrontassero direttamente le due bambine - come fanno spesso le madri preoccupate - esse non saprebbero spiegare perché l'hanno fatto, non più di quanto potrebbero due donne adulte. Continuerà per tutta la vita, questo nostro bisbigliare, cospirare di donne, questo bisogno impellente di scomunicare un'altra, mentre avviciniamo in modo complice le teste, sentendo al contempo il brivido della scarica di adrenalina provocato dalla vista improvvisa dell'infelicità che si dipinge sul volto di un'amica. Man mano che il tempo passa le ragazze diventate donne imparano ad agire in fretta, con un solo segnale degli occhi che attraversa la stanza affollata. Si chiama l'"occhiata". Nel corso della sua esecuzione, l'Occhiata è compiaciuta, clandestina e perfida, mentre vi si abbandonano due o più donne che siedono al tavolo di un ristorante, dopo che, ad esempio, la sfortunata di turno si è avviata alla toilette. Le teste avvicinate, gli occhi felini stretti come due fessure, le donne sono bambine di dieci anni perfettamente truccate. Sono implacabili e impassibili, avendo accumulato anni di esperienza nel maneggiare questo genere di cartucce; nel profondo delle loro viscere, sentono insinuarsi più intensamente che mai la vecchia eccitazione. Due Bambine Stanno Escludendo Un'Altra Bambina, che è stata la loro migliore amica fino a cinque minuti prima. L'Occhiata può sembrare un fenomeno di portata minore, ma è significativo, una falla non solo nei nostri rapporti interpersonali, ma anche nell'immagine che abbiamo di noi stesse; sappiamo di essere infide, tanto capaci di tradimento quanto di essere la prossima vittima del mondo femminile. Cosa pensi che produca quest'apprensione, anno dopo anno, sul volto di una donna? Ci sentiamo sempre in pericolo, le piccole rughe di ansia e di tensione non si rilasciano mai, e così incidono la nostra pelle; gli altri ci trovano "troppo vistose", troppo incolori, troppo sgargianti, eccessivamente svestite, eccessivamente vestite, mai al punto giusto? "Entro i primi anni di vita, i bambini imparano a controllare alcune di queste espressioni facciali, celando i veri sentimenti e fingendo emozioni che non provano", afferma lo psicologo Paul Ekman. "I genitori insegnano ai figli a controllare le loro espressioni attraverso l'esempio, e, più direttamente, tramite affermazioni del tipo: 'Non lanciarmi quell'occhiata arrabbiata'."(3)
Ekman sostiene che, quando diventiamo adulti, apprendiamo le "regole di dimostrazione" per la gestione dell'espressione emotiva, che operano automaticamente, mutando la nostra espressione senza coinvolgere la nostra capacità di scelta o la nostra consapevolezza. Anche quando diventiamo consapevoli del fatto che stiamo mettendo in atto le nostre " regole di dimostrazione", non sempre è possibile, e di sicuro non è facile, smettere di applicarle. "Credo che le abitudini attinenti alla gestione dell'emozione - le regole della dimostrazione -possano essere le più difficili in assoluto da rimuovere", sostiene Ekman (4). Nel frattempo, i nostri volti diventano le mappe della nostra vita. Più spesso, iniziando al tempo dell'infanzia, il nostro modo di esprimere le emozioni perde in spontaneità, e prende il via il processo che Ekman chiama di "mascheramento". Costringere i muscoli a nascondere le emozioni deve provocare molto logorio e molte lacrime. Il volto falso. C'è poco da meravigliarsi che il chirurgo plastico sia divenuto, negli ultimi anni, uno specialista così necessario, visto che viviamo in un'epoca di grandi emozioni negative da mascherare, e che il processo ha inizio nei primi anni infantili, quando i bambini hanno a disposizione ben pochi occhi per catturare la loro immagine e rispondere allo sguardo d'amore. In un'epoca femminista e matriarcale come la nostra, sembra che le donne esercitino più potere che mai sull'apparenza delle altre donne. Rispondiamo, come banderuole al vento che soffia dalla minima occhiata, non tanto al giudizio degli uomini quanto allo sguardo critico lanciato dalle altre donne, che decidono del nostro destino esattamente come amministrarono il nostro piccolo mondo fino al sopraggiungere dell'adolescenza; i ragazzi giocano un ruolo straordinario, suscitando il nostro desiderio sessuale, ma nella maggior parte dei gruppi sono Le Ragazze a manovrare le leve del potere. Le adolescenti che si alleano con Gli Uomini sono etichettate come Cattive Ragazze. Il dominio che le donne esercitano l'una sull'altra, che basta un'"occhiata" a stabilire, è una dinamica ricorrente nella trama di alcuni film interpretati da Bette Davis. Il suo influsso si estende alle migliori amicizie; nel corso degli anni, l'Occhiata acquista un'influenza sempre più profonda su quanto osiamo avventurarci nelle situazioni della vita, quanto siamo disposte ad esibire di noi stesse, quanto successo ci consentiamo di ottenere, quanto sesso, quanta bellezza, dovendo fare i conti con tutto quel guardare, elogiare, giudicare delle donne, le loro teste unite, le loro labbra in moto, anche se non c'è bisogno che una sola parola venga pronunciata o udita, perché sentiamo il peso dei loro occhi puntati su di noi. Alcune donne eroiche se ne infischiano; abbiamo esempi famosi anche nel cinema e in letteratura, i personaggi interpretati da Rosalind Russell o da Katherine Hepburn, che non mutavano il loro comportamento quando erano attorniate da altre donne; in verità, quel tipo di donna era circondato più da uomini che da donne, il che la dice lunga. Dopo la colazione di lavoro di oggi, ad esempio, è partito il giro di telefonate, in un fiorire di pettegolezzi a proposito della promozione di un'altra donna, della sua nuova conquista sessuale, dei suoi abiti vistosi, della sua tendenza a "darsi importanza", o così è parso alle sue amiche, le cui vite ora impallidiscono un poco di fronte alle sue recenti conquiste. Come osa infrangere le leggi non scritte che vogliono tutte le donne sullo stesso piano? Come osa farci notare quel che non possediamo rispetto a lei? Ha scatenato la molla proibita della competizione, la stessa che la vita comprimeva come rimane compresso il calore di un vulcano. Mettiamola al tappeto. Riserviamole "L'Occhiata", o il trattamento del silenzio. Quando Hillary Rodham Clinton si montò la testa troppo presto dopo la festa d'inaugurazione per l'elezione a presidente del marito, gli uomini non avrebbero mai potuto colpirla senza il pieno contributo delle donne. Facciamola soffrire! Prendiamola in giro per il suo guardaroba sconsiderato. Le stesse donne che ammirano Hillary assistono alla sua degradazione con malcelata soddisfazione. Le sarebbe andata meglio se avesse continuato ad indossare i suoi abiti trasandati. Se non avesse dato ascolto all'irresistibile opera d'incoraggiamento di Anne Leibowitz, affinché mostrasse all'occhio delle telecamere tutto il potere seduttivo della bellezza che lei aveva tenuto nascosto sotto lo scafandro. Paradossalmente, avrebbe fatto meglio a tenere lo scafandro.
Se un uomo riservasse ad una donna lo stesso trattamento che riceve da alcune amiche, verrebbe lasciato. Ma noi non possiamo permetterci di lasciare le nostre amiche; la settimana dopo, il mese dopo, questa stessa donna che ci ha schivato, che ha spettegolato sul nostro conto e ci ha escluso durante quella cena, sarà anche quella che accorrerà in aiuto al nostro fianco. Purtroppo questo è stato il rituale che ha caratterizzato tutta la nostra vita, un ciclo fatto di intimità, esclusione e dolore, che tiene a bada la nostra spinta a competere, anche se, di per sé, si riduce ad una forma malata di competizione. "Esiste una chiara distinzione di genere nel modo in cui ragazze e ragazzi fanno gli sbruffoni con i propri coetanei", afferma un dirigente di Childline, un servizio di counseling telefonico rivolto ai bambini in Inghilterra. "I ragazzi optano per la forma virile, aggressiva; per quanto riguarda le ragazze, è più probabile che il comportamento strafottente verso le compagne coincida con l'esclusione dal gruppo d'amicizia."(5) Nel suo romanzo Occhio di gatto, Margaret Atwood coglie il sapore amaro di questa dinamica tipicamente femminile, quando Elaine, la bambina di nove anni protagonista della storia, cerca di adeguarsi alle sue prime amiche: "Ripenso preoccupata a ciò che ho detto oggi, all'espressione del mio viso, al mio modo di camminare, a ciò che indossavo, perché tutto questo va migliorato. Io non sono normale, non sono come le altre ragazze. Me l'ha detto Cordelia ma mi aiuterà. Anche Grace e Carol mi aiuteranno. Sarà un lavoro duro e ci vorrà molto tempo... Per i nemici si può provare odio e collera. Cordelia invece è mia amica, mi vuole bene, vuole aiutarmi, e così le altre. Sono mie amiche, le mie migliori amiche" (6). Gli uomini possono comportarsi da miserabili. Dimenticano di telefonare e non ricambiano il nostro amore. Ma le donne riescono a vivere proprio bene senza uomini intorno; lo stiamo dimostrando in un numero crescente di casi. Se gli uomini sono in grado di vivere le relazioni amorose facendo a meno di questo dramma tra la vita e la morte, è perché la maggior parte di essi possiede un senso di sé più solido; sono riusciti a superare l'unione simbiotica con maggiore successo per il semplice fatto che appartengono ad un sesso diverso da quello della madre, che, ci piaccia o no, la società incoraggia a premiare l'indipendenza del figlio maschio. Un ultimo commento tratto dalla Atwood, che è cosi acuta a proposito dei temi inerenti all'universo femminile: "Capisco che non ci sarà mai fine all'imperfezione, ai modi sbagliati di fare le cose ", dice Elaine. "Anche quando si è adulti, per quanto ci si sforzi, qualsiasi cosa si faccia, ci sarà sempre qualche altra macchia in faccia o qualche stupidaggine e qualcuno che aggrotterà la fronte. Ma in un certo senso mi fa piacere ritagliare tutte queste donne imperfette, con le rughe sulla fronte che mostrano quanto sono preoccupate, mi piace incollarle sul mio albo."(7) Passano gli anni e continuiamo nel nostro tentativo di dipingere il volto perfetto, di indossare l'abito perfetto, di dire le cose perfette; una donna può onestamente pensare che l'ansia tremenda che la attanaglia, apparentemente non condivisa dagli uomini, derivi dalle sofferenze che essi le hanno inflitto? Anche quando un uomo ci abbandona, ne usciremmo meno ferite se credessimo nella possibilità di un altro amore, di un altro uomo, se non fossimo cresciute all'ombra della sensazione che la rottura della diade primaria avrebbe significato la morte, e che la competitività è un brutto sentimento rispetto al quale non esiste uno sbocco sicuro, praticabile. Quanta rabbia repressa può contenere un corpo umano? Attrazione fatale è stato un film di successo per molte ragioni, non ultima la presenza di una bella donna ad alta carica erotica intenta a sedurre molto attivamente l'uomo della storia; ma, riflettendo, mi è sembrato che il vero motivo d'attrazione per il pubblico fosse rappresentato dall'occasione di vedere da vicino la donna moderna, la sua immagine apparente di donna in carriera in abiti Armani, grondante di rabbia irrefrenabile. Era il personaggio di una squilibrata, ma non a livelli tanto esasperati rispetto a molte donne di potere aggressive, seduttive, vestite in abiti firmati e sull'orlo del delitto. Quando si rompono gli argini, la persona verso cui indirizzeremo la nostra collera sarà un uomo; riteniamo in tutta onestà che quel tipo di rabbia titanica che si riversa dappertutto, abbia le sue radici nell'adolescenza, quando i ragazzi fecero il loro ingresso nelle nostre
vite? No. La rabbia femminile ha radici più profonde e primitive. Non osiamo mostrare ad altre donne quel tipo di rabbia che riserviamo agli uomini. Suppongo che l'immagine dei bambini mi sia così cara per il fatto che io stessa ero così maschile nei miei anni preadolescenziali, non solo nell'abbigliamento e nel comportamento, ma nella mia completa innocenza riguardo a ciò che l'adolescenza avrebbe comportato. Ero così decisa a non essere mai come "loro", mia madre e mia sorella, incarnazioni della femminilità il cui legame mi escludeva, che avevo pianificato di vivere per sempre la vita dei miei dieci anni. A metà degli anni Ottanta, quando ero una giornalista del San Francisco Examiner, scrissi un articolo sulla fase preadolescenziale così come viene vissuta dai ragazzi, sugli anni bucolici che intercorrono tra il potere materno e quello esercitato dalla bellezza delle ragazze; perché, scrissi, non esisteva almeno una rivista per questi ragazzi, qualcosa che celebrasse quel periodo dell'esistenza e sapesse anche prepararli alla vita che li aspettava? Ne esistono a dozzine dedicati alle ragazze della medesima età. Il giorno dopo la pubblicazione dell'articolo, il direttore del giornale mi si avvicinò e, ridendo di cuore, mi disse: "Se esistesse una rivista del genere, io la chiamerei 'Piagnucolone'". Evidentemente, non desiderava che suo figlio avesse la strada più spianata di quanto era toccato a lui. Il ragazzo preadolescente fa i suoi progetti per una vita immaginaria, vedendosi come un atleta, un inventore, un viaggiatore, qualunque cosa si adatti al suo occhio interiore. Non ha ancora messo a fuoco tutto il peso della ventiquattrore di suo padre. Il ruolo del Buon Capofamiglia non compare sulla sua lista. E le ragazze? Le ragazze gli ricordano la madre, che ama e di cui ha ancora tanto bisogno; se vuole essere un Vero Ragazzo, qualunque cosa scelga di diventare dovrà avere delle caratteristiche opposte a quelle incarnate dalla mamma e dalle ragazze. La mamma è la mamma, e lei è grande, ma quanto alle ragazze? Le ragazze sono assolutamente indesiderate nel Club per Soli Ragazzi. Le insegne fuori dal locale parlano chiaro: NESSUNA RAGAZZA. Esiste un truismo a Hollywood: entrambi i sessi vanno a vedere i film per ragazzi, ma i ragazzi non vanno a vedere i film per ragazze. Quando 'La piccola principessa' era ancora ad uno stadio di programmazione, qualcuno suggerì di sostituire l'eroina con un eroe. Quando il film fu proiettato, senza cambiamenti di genere nel ruolo della protagonista principale, ottenne delle recensioni entusiastiche, ma gli "esperti" avevano visto giusto: al botteghino non accadde nulla. Il film Pocahontas ha certamente eguagliato in budget Il re Leone, ma non è riuscito ad eguagliarne l'enorme successo, "a causa del fattore ragazza", commentò un addetto ai lavori di Hollywood.(8) "I ragazzi non vogliono andare a vedere un film per ragazze." Ogni aspetto della vita di un ragazzino di dieci anni si concentra sull'aderire esattamente all'immagine maschile, e la prima risposta a questa esigenza fondamentale è: tutto quello che è radicalmente opposto alla madre e alle bambine. Le amicizie, il cameratismo, la fiducia, tutti questi aspetti sono molto importanti, perché la Banda del Ragazzo risponde alla perfezione all'immagine del Vero Ragazzo. I ragazzi possono piantarsi in asso, ma le loro amicizie non tendono a formarsi e riformarsi come fanno i lombrichi, separandosi, ricongiungendosi, escludendo sempre qualcuno. E se si verifica una rottura in un'amicizia, il ragazzo è in grado di gestire quella sensazione di esclusione; sa dare voce alla sua rabbia. Sua madre gli ha concesso più libertà d'azione di quanta ne abbia concessa a sua sorella, la libertà di discutere, di essere in disaccordo, di alzare la voce - "Che ometto, proprio come tuo padre!" I ragazzi litigano, discutono, si sfidano, ma quando si tratta di competere, che sia in un litigio o in un gioco, ricorrono alle regole apprese. Non c'è spazio per il gioco sporco. Il ragazzo che non rispetta le regole viene lasciato fuori dal gioco, e lui sa bene perché. I giochi sono fatti di perdite e di vincite; per definizione, c'è sempre qualcuno che rimane fuori, oggi tocca a lui, domani toccherà ad un altro. È necessario accettare questa dinamica fatta di perdere e vincere, e venire a patti con essa. Alla fine del gioco, ci si può stringere la mano. Diversamente da sua sorella, il ragazzo cresce nella convinzione che la vita è un gioco continuo fatto di infiniti vincitori. I ragazzi possono essere crudeli, ma amano e applaudono il coraggio. Seguono il capobranco perché ha distanziato gli altri. Lui infrange record stabiliti dagli
eroi che l'hanno preceduto nel gioco, e piega regole eccessivamente rigide che limitano la libertà. Gli altri ragazzi possono anche sentire la rabbia, l'invidia e la competitività, ma se non imparano a perdere in questo periodo, a stringere la mano all'avversario nella convinzione che oggi hanno perso ma che domani potranno vincere, non hanno diritto a prendere parte alla banda. I ragazzi coltivano strette amicizie a due, ma appartengono ad un club più vasto. Qualche volta il club ha una certa organizzazione, e prevede un quartier generale, una capanna sugli alberi, il garage del padre di uno di loro, una cantina. E non ci sono ragazze! Un sentimento fluttuante di cameratismo portato all'estremo si trasforma in un club. Gli uomini si guadagnano la loro possibilità di parteciparvi imparando a vincere e a perdere. Con il passare del tempo, naturalmente, diventa Il Club per Soli Uomini all'angolo di Main Street. Il legame maschile non assomiglia a quello tipico del gruppo femminile, che si basa sull'omogeneità e sull'evitamento dell'aperta competizione. Prova a domandarlo ad uno psichiatra infantile; i bambini non corrono a casa piangenti: "Ieri era il mio migliore amico. Perché è corso via con quell'altro ragazzo? Che cosa ho fatto? Perché non mi parlano?" Le donne esercitano molto più potere l'una sull'altra di quanto un uomo possa mai fare con le donne. Siamo le grandi depositarie dei permessi che ci diamo a vicenda, e, ovviamente, siamo l'una la carceriera dell'altra. Questi poteri subiscono una grande accelerazione durante l'adolescenza, e non diminuiscono più. La possibilità di scomunicare un'altra donna dall'universo femminile è uno dei principali fattori d'intralcio nelle reti professionali tra donne. Il meglio lo si ottiene da una sana competizione, perché nella sfida implicita nella scelta di competere con un'altra donna si nasconde un dilemma: se vinco, lei mi vorrà ancora bene o mi ucciderà? Le due possibilità non sono poi così tanto distanti l'una dall'altra. Le ragazze che si sforzano di tener fede ad un motore interno che le sospinge verso la loro identità di individui unici, non possono fare a meno di sentirsi in contrapposizione con la propria madre, anche se lei non si esprime in modo esplicito. In assenza di una separazione salutare, lei occupa le nostre teste, o così sembra, quando agiamo in modo diverso da lei. Il senso di colpa è il nostro secondo nome. Nella vita delle donne, ci sarebbe meno spazio per il senso di colpa causato dalla sensazione di tradire la madre, se potessero avvertire la presenza di un padre tanto caro e vicino quanto lei. Ascolta lo splendido parere di Bettelheim: "Il bambino comincia a sentirsi una persona, un partner importante e significativo in una relazione umana, quando comincia a stabilire rapporti col padre. L'individuo diventa una persona adulta soltanto quando definisce se stesso in rapporto a un'altra persona... Una certa autodefinizione, per quanto assai rudimentale, inizia quando il bambino definisce se stesso in rapporto alla [madre]. Ma, a motivo della profonda dipendenza da lei, il bambino non può procedere all'autodefinizione se non può appoggiarsi a una terza persona. È un passo necessario verso l'indipendenza poter dire 'Io posso aggrapparmi anche a un'altra persona, oltre a mia madre', prima di credere di potersi arrangiare senza appoggiarsi a qualcuno"(9). Chi meglio di un padre può essere il primo "altro significativo" per una figlia, insegnarle il funzionamento di una sana dinamica competitiva, che esiste la vita anche oltre la diade? I padri costituiscono un'alternativa. "Quando all'inizio il padre si affaccia per offrire alla ragazza un legame supplementare... rispetto al legame esistente con la madre", scrive Dorothy Dinnerstein, "le mette a disposizione un nuovo modo di affrontare... l'ambivalenza tipica di ogni rapporto tra madre e neonato."(10) Il padre porta con sé una "lavagna pulita", come dice la Dinnerstein, immacolata rispetto alle "inevitabili sofferenze dell'infanzia" legate al rapporto con la madre. Sviluppando un attaccamento nei suoi confronti, la bambina "ottiene un centro d'attenzione meno ambiguo per i suoi sentimenti di amore puro, e si sente più libera di provare i suoi rancori per la madre, senza il timore di essere totalmente tagliata fuori da quell'ideale di generosa armonia che la unisce ad un genitore circonfuso da un'aura magica, selvaggiamente amato". Finché le ragazze non verranno educate fin dall'inizio a sentire la grande importanza di diventare individui unici, ad essere la figlia della madre ma non il suo clone, continueremo a trascorrere la nostra vita alla ricerca
dell'approvazione delle altre donne e temendone la disapprovazione. Lasciamo spazio alle discussioni senza timori di rappresaglie, alla rabbia senza paura di perdita del rapporto d'affetto, e anche ad una competizione salutare con lei che è la nostra maestra ideale per apprendere come si vince e come si perde. Finché tutto questo continuerà a non avvenire, tre bambine non saranno mai capaci di vivere insieme, lavorare insieme, stare insieme, senza paura di essere escluse. Comprendo l'attuale bisogno delle donne che lavorano di essere accolte nei club maschili, ma sono anche parzialmente simpatetica con gli uomini, che in questo modo stanno perdendo le loro "stanze senza donne". Gli uomini hanno ancora bisogno di ricostituire il loro senso di sé, il significato di una piena mascolinità, in un mondo in cui, anche nei momenti più alti del regno patriarcale, temono il potere delle donne. Quando confido queste opinioni a mio marito, che ha forti sentimenti egualitari, mi ricorda di tutti gli accordi economici che vengono stretti proprio in questi luoghi da cui le donne erano escluse. Certo, capisco. Tuttavia, non tutta la vita può essere spiegata in termini di giustizia nelle questioni d'affari. Gli uomini e le donne necessitano dei loro rituali e dei loro luoghi separati che li mettono poi in grado di coesistere a livello sociale e sessuale, come a livello professionale. Sono sempre stata consapevole del fatto che la felicità che le donne provano in compagnia degli uomini, e viceversa, acquisti una pienezza maggiore se sopravviene dopo un periodo di lontananza. Anche questo risale ai primi anni di vita, in cui il bambino era completamente dipendente dalla Gigantessa, e il residuo di tutta quella rabbia maschile rimane poi focalizzato sulle donne. Metti più uomini nella nursery e la mia previsione è che le donne saranno accolte con più cortesia nei club per soli uomini, saranno trattate con meno durezza e verranno molestate con minor frequenza nei luoghi di lavoro. Fino ad allora, gli uomini si sentiranno anche più intrappolati in un mondo in cui il potere delle donne, già notevole ai loro occhi, è ora più grande che mai. Gli uomini andranno alla ricerca di qualche luogo, di qualche modo, per stare insieme da soli, senza donne, anche solo per essere poi in grado di amarle. Non permettere che ci sia un'altra generazione di donne in cui una funge da guardia carceraria per l'altra, tutte decise a non permettere che qualcuna possa ottenere più delle altre. Quando ero una ragazza, era difficile spronare una squadra di ragazze competitive affinché giocassero per vincere. Ridacchiare e far cadere la palla erano gesta meritevoli di applauso. Mi faceva venire i nervi. Assistere oggi agli sport di squadra femminili mi manda in visibilio. Queste giovani donne assumono la vittoria di un'altra donna come parametro a cui rapportarsi, uno sbocco sicuro per il fuoco della competizione. Quando la squadra di basket femminile dell'Università del Connecticut, gli Huskies, conobbe una stagione senza sconfitte, fu bello assistere a quell'ultima partita, all'immagine delle giocatrici e anche della folla. Sentivo che davanti a me si compiva la fine di un'epoca. E se l'atleta, la pattinatrice, la giocatrice di basket è anche bella, come reagiscono le donne e gli uomini a questo accumulo di potere? E come vi reagisce lei? È normale che oggi la bellezza, lasciata libera, si aggiri per le strade come un filo elettrico staccato con tutto il suo potenziale di corrente. Cosa possiamo farne? Le donne non hanno più l'esclusiva sulla bellezza; mentre noi diventiamo più competitive, gli uomini diventano più belli. Gli stili per uomini e donne di tutte le età fluttuano in un balletto costante, come se la vita fosse rimasta impigliata in una porta girevole. I bambini per le strade, gli uomini e le donne negli uffici, allungano e accorciano gli orli, i capelli, scambiando stili generazionali e di genere. Il modo di apparire e il sesso sono inseparabili e vanno a costituire il materiale con cui reinventiamo i nostri ruoli sociali. Proprio come quando eravamo bambini e indossavamo per gioco i vestiti dei nostri genitori, scimmiottando le loro voci e i loro modi, oggi gli adulti, e anche i bambini, tentano di tutto, ricorrendo a costumi di ogni genere e alle più svariate pose sessuali. È comprensibile che i vecchi conservatori siano nervosi, memori di quel che accadde negli anni Sessanta e Settanta, su cui fanno ricadere la colpa del caos odierno. Ma potrebbero prendersela allo stesso modo con il costume, con i venti del cambiamento, visto che gli stessi anni Sessanta e Settanta si
svilupparono a partire dalla rigidità e dalla bigotteria degli anni Cinquanta. E così succede, o è successo. Qualunque cosa facciamo, dobbiamo prestare molta attenzione alla bellezza e al sesso; ci è stata data la rara opportunità di creare un nuovo modo di vivere, e dovremmo vedere il passare delle mode e delle pose sessuali non come un prodotto finale, ma come un mezzo per giungere alla meta. Vogliamo essere gli artefici del nostro futuro, coloro che plasmano l'argilla, e non semplice argilla. La bellezza che affolla le nostre strade sta tentando di dirci qualcosa: diversamente dai nostri genitori, possiamo scegliere consciamente quanta importanza attribuire alla bellezza, che uso fare del suo potere, che, per estensione, include tutte le altre forme di potere, e cioè amore, sesso, lavoro. Per scegliere con saggezza, dovremmo ricorrere a tutti i microprocessori, utilizzare ogni informazione contenuta nelle nostre banche della memoria, non ultimi i cosiddetti anni di "latenza". Proprio lì potremmo riscoprire il ritratto preferito di noi stessi, quello interno e quello esterno, non uno schiavo delle mode, o uno schiavo del denaro, ma un essere giovane che non si è mai guardato allo specchio perché riponeva ogni fiducia nel proprio io interiore. 3.4 - Alla ricerca di un ideale dell'Io. Nel periodo tra il confino nella casa materna e le Regole della Brava Ragazza dell'adolescenza, ugualmente costrittive, ebbi due eroine, due amori, che per questo breve intervallo di tempo esercitarono un dominio totale su di me, tanto eccitanti erano le loro immagini, e la mia riflessa dalle loro. Ognuna di esse risvegliò in me la promessa di una vita come ancora non l'avevo sognata. Non avevano bisogno di fare nulla, se non di esistere. Entrambe avevano il potere di spezzarmi il cuore, tanto ne ero innamorata, mossa dal desiderio di essere loro vicina, di guardarle estasiata e di imitare quelli che mi si rivelavano come i modi in cui volevo muovermi, parlare, agire, guardare. Una era la mia musa creativa, l'altra quella erotica. Una era adulta, l'altra aveva solo due anni più di me. Entrambe erano donne, e oggi mi accorgo dell'impronta che lasciarono su di me. Mia zia Pat venne a vivere con noi quando avevo nove anni. Era la sorella più giovane di mia madre, e giunse come il visitatore di un altro pianeta, ai miei occhi così bella nel suo modo originale di apparire e di comportarsi. Non assomigliava a nessuna delle donne adulte che avessi conosciuto, alla madre di nessuno, a nessuna insegnante. Era un'eroina nata. Era facile guardarla - alta, come me, e consanguinea - e scoprirvi sia un ritratto di me stessa che un modello da seguire. Non avevo certo il suo fascino, lei con i suoi capelli rossi che si liberavano in grandi onde di riccioli, le sue gonne ampie fermate da alte cinture, le sue ballerine, ma adoravo la sua evidente diversità, ben sapendo in cuor mio che anch'io ero diversa da tutte le mie compagne, un'alterità che andava oltre il mio non essere originaria del Sud e l'essere l'unica ragazza a non avere un padre. Mia zia, che era attrice, pittrice e scrittrice, quando rideva gettava la testa all'indietro ed emanava un profumo di muschio che sembrava provenire dalle monete dell'antica Grecia che cingevano il suo polso. La seguivo fianco a fianco fino al molo, dove arredò uno studio al secondo piano di un magazzino abbandonato. Là sistemò il suo cavalletto, gettò qualche drappo e qualche cuscino sopra vecchi divani e fissò delle candele nelle bottiglie di Chianti, alla luce delle quali lei e i suoi amici attori leggevano ad alta voce da The Lady's Not for Burning, The Voice of the Turtle e da Bell, Book and Candle. E a me, che avevo solo nove anni, era permesso di unirmi a loro, anzi, mi assegnavano persino delle parti da leggere. La loro generosità, la gentilezza! Non le ho mai dimenticate. Qualche sera andavamo al Dock Street Theatre - il teatro più antico del paese ed io guardavo l'uomo che avrebbe presto sposato, che l'avrebbe diretta, lei che era la sua signora incontrastata, in Shakespeare, Wilder, O'Neill. Nei giorni d'estate ci recavamo al cimitero dietro la chiesa di St. Philips, dove mi insegnava ad usare gli acquerelli, e molto presto mi sembrò di non poter vivere senza di lei. Durante quella prima estate che passò con noi, la scuola era finita ed io stavo distesa sul mio letto, soffocata dall'intenso profumo di magnolia che giungeva attraverso la mia finestra, perché era come se non potessi
respirare finché non sentivo il rumore dei suoi passi sul vialetto di ghiaia, il cigolio del grande cancello di ferro. Era tornata! Ne ero innamorata, e la parte più bella della storia è che la zia Pat mi permetteva di amarla; era perfettamente cosciente del mio sguardo adorante e deve essersi accorta del dolore che si impossessava di me quando lei era lontana, perché mi coinvolgeva nel suo giro di amici adulti ogni volta che le era possibile. Seduta nell'oscurità di una sala cinematografica, lasciavo che il mio braccio si avvicinasse al suo, e in quel contatto fisico, provavo una sensazione simile, anche se non identica, a quella che avrei sperimentato qualche anno dopo con i ragazzi. L'interesse che mostrava nei miei confronti mi spingeva a credere che, col tempo, avrei potuto assomigliarle, perfino diventare come lei. Incarnò la prima speranza, anzi no, più precisamente, il primo vero desiderio che mi permisi di coltivare sul mio aspetto fisico e sulla possibilità di essere guardata. Ciò che mi diede questa fiducia fu la sua visione di me come persona che meritava di essere istillata di grandi progetti di realizzazione. Compilava per me delle liste di letture, m'impartiva lezioni di recitazione, mi insegnava l'orgoglio dell'altezza e della postura. Soprattutto, la vedevo ad uno scrittoio sistemato nella mia camera da letto, mentre batteva a macchina una sceneggiatura, a cui lavorava nel pomeriggio, con il suo bocchino d'oro che emanava una scia di fumo irreale, mentre diffondeva la brezza leggera dell'estate per tutta la stanza, dove io abbracciavo con lo sguardo l'intero quadro, sì guardavo, senza fingere di leggere il libro appoggiato sulle mie ginocchia, tanto ero innamorata dell'immagine di questa donna giovane e bella, la prima persona della mia vita che si era accorta di me e mi aveva fatto sentire amata. Nello stesso periodo, ho incontrato e mi sono ugualmente innamorata di Poppy, una ragazza con due anni più di me, la cui famiglia aveva acquistato una casa oltre il muro del nostro giardino. In questi anni viaggiavo attorno al mio vicinato percorrendo le mura di mattoni che circondavano i bei giardini della parte della città in cui abitavamo. Alcuni avevano in cima cocci di bottiglia a scoraggiare gli intrusi, ma io non mi facevo dissuadere facilmente e non mi sono mai sentita indesiderata nei giardini in cui mi lasciavo cadere senza tante cerimonie. Coloro che vi abitavano sembravano attendermi, e con ciò intendo che non erano mai colti alla sprovvista o adirati dal trovarmi a giocare con i loro animali o a sedere tra i rami degli alberi, mentre uscivano a fare una passeggiata nel loro giardino. Forse era il mio fare amichevole, perché io non avevo mai messo in dubbio la loro ospitalità e conoscevo da tempo il potere racchiuso in un sorriso o in una bella storia ben raccontata. Soprattutto, erano il tempo e il luogo giusti. Charleston era ancora "il segreto meglio custodito d'America" - parole di mio zio - e, quanto alle persone, non erano di certo dei Contenitori Vuoti, anime vacue alla rincorsa disperata di vestiti, etichette, gioielli o automobili da favola con cui attirare l'attenzione. Colmi fino all'orlo di gentilezza, carattere, buone maniere, e dell'eredità di un solido senso d'identità, popolavano la mia infanzia e la benedivano con la loro presenza. Le alte mura lungo cui correvo, invece di segnare confini, promettevano scomparti d'avventura, come i capitoli di un libro di favole. Dubose Heyward un tempo era vissuto parecchie mura più a ovest, e si diceva che la scena per il suo Porgy and Bess fosse ambientata vicino al nostro labirinto di mura; proprio a sud della nostra casa viveva una delle ultime famiglie nere del vicinato, e i bambini sedevano sul portico protestando, scuotendo costernati la testa quando li salutavo dal muro della casa a tre piani che costeggiava la loro proprietà, una struttura fatiscente abbandonata, i cui mattoni si rompevano facilmente sotto i piedi, mettendo in stato di allerta i doberman che, situati dalla parte opposta del tonfo nella boscaglia, iniziavano ad abbaiare furiosamente. Da dove prendevo tutta quella temerarietà, e dove l'ho persa? Un giorno scivolai dalla finestra della mia stanza verso il muro di casa per scoprire che, due giardini più in là, una nuova famiglia si stava trasferendo nella nostra comunità. È così che ho incontrato Poppy, il cui primo saluto fu "E tu chi diavolo sei?", un'espressione che non avevo mai sentito sulle labbra di una Brava Ragazza, ma che, nel suo potere scioccante, conteneva un chiaro segnale d'invito. Mi calai nel giardino di Poppy, che mi colpì al primo istante, perché lei era più incosciente di me e, insieme alla sua famiglia (che, la gente
diceva, proveniva dai quartieri poveri), trasudava l'erotismo più manifesto che mi sia mai capitato di incontrare. Lo potevo sentire, odorare, percepire ancora prima che sapessi che il suo nome era sesso, anche se avrei presto appreso la parola da Poppy e dalle sue tre sorelle maggiori, ognuna della quali portava un colore particolare di rossetto che le distingueva: Cattive Ragazze. Non ero abituata all'idea di una ragazza quasi della mia età che mi superasse in spacconeria, a cui Poppy aggiungeva i costumi del mondo operaio, rendendo insipido ed eccessivamente pudico il mio ambiente da scuola privata per sole ragazze. Fin quando non capitai in mezzo a loro, non fui consapevole di quanto mi era mancato il lato caldo-umido della vita, incarnato dall'aspetto e dal modo di sentire di Poppy e di tutta la sua famiglia. La loro casa non era ben tenuta, non c'erano rami di foglie di magnolia a decorare il camino d'estate, né lumi di candela sul tavolo imbandito per la cena; in realtà, mangiavano in cucina e comunicavano l'uno con l'altro urlando. Ma soprattutto, era l'aspetto sessuale, una lezione che l'altra mia eroina, mia zia, non impartiva, ma che ora aveva acquisito un fascino immediato. Nei miei pantaloncini da Girl Scout sedevo per ore - questo era il tempo che impiegavano - a guardare le sorelle di Poppy mentre si preparavano per gli appuntamenti con i cadetti della Cittadella, che aspettavano al piano di sotto queste giovani donne in fiore, grossolane, con i loro capelli biondi e il loro trucco. I loro letti stavano in un'unica grande stanza, e stretti tra i letti c'erano mobili da toeletta, numerosi specchi in cui si guardavano per ore mentre si depilavano, mentre applicavano lentamente, sapientemente il trucco, il mascara, il rossetto, la matita per le sopracciglia, mescolando in modo esperto i colori, leccandosi le dita per lisciare i capelli ribelli. Poi veniva la volta dello smalto per le unghie, le dita divaricate sul ginocchio nudo, il colore rosso sangue che vi veniva dipinto con la delicatezza con cui i preti devono aver decorato il Book of Hours. Nel frattempo, i cadetti al piano di sotto aspettavano, immaginavano, speravano. Io volevo dire a queste donne deliberatamente lente: "In fretta, in fretta, o se ne andranno!" Ma loro la sapevano più lunga. Mia madre e mia zia si truccavano molto poco, mentre queste altre donne avevano armadi ricolmi di vasetti e ampolle di unguenti, lozioni, creme dai colori pastello, e sui loro affollati mobili da toeletta campeggiavano così tanti pennelli di tutte le lunghezze, ferri per arricciare i capelli, spazzole, che, ogni volta che alzavano qualcosa, si levavano a ondate nuvole dorate di cipria che roteavano attorno, donando alla scena una magnificenza surreale. Sapevo che si stavano preparando per un'occasione così importante da far accelerare il battito del mio cuore; un giorno anch'io sarei stata parte di tutto questo, e quindi le studiavo da vicino, come facevo con mia zia. Davanti a me si svelavano due parti del mio futuro divenire, che, se non contraddittorie tra loro, erano sicuramente complesse da combinare in un'unica forma: c'era il mondo affascinante di mia zia fatto di imprese, con la sua promessa di creatività e di apprezzamenti; e c'era il mondo della sessualità proibita, con la sua pari garanzia di visibilità agli occhi altrui, di cui avevo una fame decisa, cresciuta in anni di invisibilità all'interno della mia famiglia. In una notte di sonno che iniziò come tante altre, Poppy strisciò nel mio letto e mi prese la mano, portandola ai suoi seni, mostrandomi come fare, indirizzando i miei movimenti, prima di trascinarsi fino al mio bassoventre e di appoggiare la sua bocca e la sua lingua su quella parte del mio corpo, che non avevo mai toccato se non per pulirmi. Fu una sensazione eccitante, accentuata dalla consapevolezza che si trattava di un atto sporco. Avevo solo dieci anni, ma sapevo già che era cosa proibita e che non avrei dovuto farne parola con le altre Brave Ragazze. Ma ho sempre amato il sesso proibito. Mia zia non approvava Poppy. Un giorno mi sorprese dietro un cespuglio di azalea nell'atto di mettermi furtivamente del rossetto rosa acceso sulle labbra, appena dentro la nostra grande cancellata di ferro; indossavo un paio di jeans, una vecchia camicia di flanella, e avevo le mie solite treccine e l'apparecchio ai denti: la mia dev'essere stata un'immagine disorientante. "Perché frequenti quella ragazza?" mi chiese la zia Pat. Se fossi stata capace di leggere le mie smanie, le avrei risposto: "Perché suscita in me una sensazione che mi piace, qualcosa dentro di me che è parte di quella che sono quanto le cose che mi hai
portato tu". Ma non dissi nulla; anzi, rossa dalla vergogna, corsi via come una falena verso la luce. L'adolescenza sorprese Poppy nel giro di una notte, e io non le servii più. Scomparve dalla mia vita all'improvviso, proprio come c'era entrata. Era circondata da ragazzi in calore per il suo modo di apparire e per l'odore di muschio che le era stato insegnato a emanare. Sulle orme delle sorelle, Poppy si faceva avanti per attrarre gli uomini con le stesse tattiche seduttive che avevano attratto anche me. Con il cuore a pezzi, ritornai alla compagnia del genere di ragazze che avevo conosciuto fino ad allora. Ridivenni una di loro, ma dentro ero cambiata. Il regalo più generoso che mia madre mi fece fu quello di non giudicare o di non limitare in alcun modo la mia adorazione per la sua sorella minore. Non è del tutto inusuale per alcune donne, anche se sono completamente disinteressate al loro ruolo di madre, provare risentimento per le proprie figlie quando si affezionano ad un'altra donna, invece mia madre mi permise di avere tutta l'intimità del mondo con mia zia, i cui amici la seguivano dal Nord. Erano donne tutte dello stesso stampo; a New York dirigevano riviste e scrivevano libri. Arrivavano anche uomini, alti e attraenti architetti, poeti, drammaturghi, tutti con proposte di matrimonio per mia zia; uno di loro fece due viaggi in autobus per questo motivo e per due volte fu respinto; anni dopo l'avrei reincontrato a New York, dove è ancora uno dei maggiori registi di Broadway. Vissi all'ombra di mia zia finché l'adolescenza non mi scosse come una febbre e mi ritrovai fuori, nel capitolo successivo della mia esistenza. Quel che conservai della mia storia d'amore con la zia Pat fu l'immagine di un modo di apparire, non nel senso della moda o del trucco, ma di una modalità interna di guardarmi che veniva da lei. Naturalmente, neanche questo servì a sradicare la paura infantile di essere abbandonata per un'altra più carina di me. Questi due aspetti della mia personalità combattono anche ora; una grande fiducia in se stessi, di cui lei mi fece dono, e la bambina insignificante che non si sentiva mai all'altezza. Ambivalenza. 3.5 - Da Nancy Drew a Thelma e Louise. Ambasciatori di noi stessi, a dieci anni andiamo in cerca di alleanze, esponendo le nostre credenziali, che altro non sono se non la fiducia che otteniamo dalla famiglia. Muniti di quella benedizione, ci avviamo alla ricerca di modelli diversi da quelli fornitici dai nostri familiari, su che tipo di donna o di uomo essere? I nostri genitori amano sentire le storie che raccontiamo loro sulle persone mervigliose che abbiamo conosciuto, il padre di un nostro amico che ci sta insegnando a pescare con le mosche, la bella insegnante che ci dice che abbiamo un dono per le lingue, per la pittura, forse anche per essere in futuro un grande soprano e andare in Europa a cantare in un posto chiamato La Scala? Oppure percepiamo un senso di tradimento, un aleggiare di slealtà? A dieci anni abbiamo bisogno del permesso di imitare affettuosamente le persone che non fanno parte della nostra cerchia familiare; abbiamo bisogno di sentirci dire dalle persone a noi più care che vogliono davvero che siamo aperti alle alternative, ai modelli che vanno oltre la loro persona. In realtà, abbiamo avuto bisogno di questa generosità fin dall'inizio, fin dalle incitazioni di nostra madre perché andassimo verso nostro padre, dal suo sorridere all'immagine dell'amore e dell'intimità che ci legava a lui, nella convinzione che questo non le togliesse nulla. Se invece, ad esempio, abbiamo percepito che il nostro affetto per un fratello maggiore, per uno zio, veniva preso da nostra madre come un tradimento, allora ci siamo aggrappate a lei ancora di più, sentendo tutto il suo dolore inespresso di fronte alla nostra slealtà. La madre, il padre, negavano il loro rancore per le alleanze che stipulavamo al di fuori della famiglia; la possessività di un genitore viene chiamata facilmente con altri nomi: responsabilità, preoccupazione, timore per il mondo esterno, che in verità è reale. Ma sapere la differenza tra un pericolo vero e uno immaginario rientra nei compiti di un genitore. Come dire ad un padre o ad una madre che incoraggiare il proprio figlio ad avvicinarsi ad altre persone è uno dei più grandi atti d'amore che un genitore possa compiere? I bambini sono naturalmente attirati nel mondo per trovare se stessi, il che spiega tutta la nostra passione per le vecchie storie di Tom
Sawyer e di Huckleberry Finn e le loro avventure, costellate di personaggi coloriti che essi incontrano fuori dalle mura domestiche, persone destinate a cambiare il loro modo di pensare e le loro vite. Anche le bambine hanno bisogno di eroine, ora più che mai, viste le scelte che le attendono, le decisioni che sarà difficile prendere, se scegliere di essere diverse dalla propria madre è sentito come un tradimento. Si va in cerca della varietà esistente nel mondo esterno quando l'incoraggiamento implicito della madre e del padre ha convinto la figlia e il figlio che andare per la propria strada è una buona cosa e non intacca in alcun modo l'amore che ci si scambia nell'alveo familiare. Le donne aspettano da anni questo ampliamento della scena; oggi il mondo multicolore in cui viviamo ci ha imposto la sua presenza, e questi rappresentano i primi anni di preparazione per entrare a farvi parte. Abbiamo nove o dieci anni, e siamo alla disperata ricerca di eroi, non essendone neanche consapevoli, finché non fanno il loro ingresso nella nostra vita, risvegliandoci dal torpore del confino rappresentato dalla casa e dai familiari, cui siamo affezionati, ma di cui ci siamo liberati come modelli da imitare. Abbiamo tasche per diversi tipi d'amore, a cui i nostri genitori non sono invitati. La trama libera della nostra vita risiede nelle cavità che attendono di essere riempite; abbiamo bisogno di istruzioni sotto forma di eroi che abbiano sperimentato modi di essere che desideriamo anche per noi stessi. Nelle nostre menti, un vuoto di cellule aspetta l'ispirazione che può darci una persona ammirevole che ci invita a vedere tratti della nostra identità in lei o in lui, un ritratto da mettere nell'involucro di cellophane del nostro nuovo portafogli. Chi siamo? Non abbiamo neanche coscienza dell'esistenza di questa domanda, ma è lei che ci spinge fuori, nel mondo. In teoria, la separazione è un processo che portiamo a termine tra il primo e il secondo anno di vita, ma in realtà rappresenta un compito a cui lavoriamo per tutta la vita. Non siamo mai abbastanza vecchi per espandere la nostra identità, per rafforzare la sicurezza del nostro io. Se abbiamo interiorizzato l'amore che ci proviene dalla famiglia, allora abbiamo il carburante necessario per muoverci nel mondo. Per quanto riguarda quei bambini che non hanno ricevuto la sicurezza che viene da un amore incondizionato, ebbene, questi anni sono ancora pieni di desideri ansiosi di trovare qualcuno, delle persone "là fuori" che ci abbracceranno, ci guarderanno dritto negli occhi e riconosceranno la nostra scintilla di individualità. L'adolescenza avrà su di noi un effetto anestetizzante; questo è il momento giusto. Ciò che si richiede ad un genitore è l'incoraggiamento esplicito a creare nuovi legami stretti, qualcosa tra le righe, del tipo: "È molto bello che tu abbia trovato qualcuno che apprezza il tuo amore per la lettura, per il tennis, per le lingue. Che gentile da parte sua dedicarti il suo tempo e la sua attenzione". I genitori si rendono conto di quante occasioni sprecano i bambini piccoli per paura di essere sleali? Scortati dalla benevolenza dei nostri genitori, ci sentiamo liberi di camminare, parlare, pensare, vestirci come altre figure per noi significative, scoprendo che il nostro nuovo io non ci è costato la perdita dell'amore della nostra famiglia. Siamo cresciuti. Ogni volta che ci innamoriamo, l'eccitamento del primo periodo è dato dal fatto di essere visti come individui unici. Quando l'eccitamento di affidare a qualcuno il nostro io speciale si tramuta in paura dell'abbandono, perdiamo la nostra separatezza di individui, e, normalmente, senza che lo abbiamo deciso. Chi sceglierebbe consciamente di rinunciare alla propria identità? Ricadiamo nello stato di bisogno simbiotico e indistinto del neonato: "Se mi lasci morirò!" Gli Anni dell'Invenzione si stagliano nitidi nei ricordi di molte donne perché hanno rappresentato quel tempo eccitante frapposto tra il bisogno della madre e il bisogno degli uomini. Per un poco, siamo state libere da regole, libere da occhi onnipresenti, libere di inventarci un'identità. Come è ovvio, oggi le donne sono arrabbiate; guarda a cosa hanno dovuto rinunciare. Nessuna di noi vuole essere lasciata da una persona amata, ma quando un deserto si stende davanti ai nostri occhi al minimo allontanamento - quando lui semplicemente guarda un'altra donna - la nostra collera ci spaventa, e spaventa anche lui. Se non abbiamo mai imparato che la rabbia è parte dell'amore, l'altra sua faccia inevitabile, allora brucerà del calore omicida originario che la alimenta. Se non ha mai potuto trovare espressione durante gli anni della nostra
crescita, se non ha mai preso il volo, e le parole terribili non hanno mai potuto rimanere sospese nell'aria fino al loro dissolversi, con l'aria che ancora una volta tornava a farsi pura tra lei e noi, allora la rabbia verrà sempre sentita così, titanica. È un mondo pericoloso, ma nessun luogo è tanto pericoloso quanto l'universo racchiuso nell'immaginazione di molte donne adulte; penso a me stessa come ad una persona che non ha paura, ma da sempre, quando la notte sono sola in casa e sento dei rumori alle porte e alle finestre, penso a degli assassini; Robertiello dice che si tratta della mia stessa rabbia, che, non avendo mai trovato sfogo nell'infanzia, sopravvive nell'inconscio solo per essere proiettata su forze maligne provenienti dall'esterno. Come per milioni di altre ragazze, quel che mi attraeva in Nancy Drew era il suo coraggio. Non sentiva gli assassini che scuotevano porte e finestre quando era sola in casa. Ho letto tutti i libri della serie e non era il suo aspetto fisico che desideravo emulare. Era la determinazione con cui andava incontro all'ingiustizia e alle forze avverse. Non blaterava - "Oh cara, cosa penseranno le altre ragazze?" - agiva. E il pericolo non la bloccava, non la spingeva a riconsiderare la situazione - "Oh, probabilmente non dovrei entrare in quella grande casa buia da sola!" - lei ci entrava. Lo stesso facevo io, quando avevo dieci anni. Ampie case vuote, vagoni ferroviari giù al molo, alberi altissimi mi facevano grandi cenni d'invito; il pericolo non era nulla in confronto al premio di bravura che prometteva. Avevo paura solo nella casa di mia madre, quando ero sola la notte, e sentivo quella inspiegabile minaccia nell'oscurità, oltre il vetro della finestra. La mia stessa rabbia veniva proiettata all'esterno, sui killer che volevano distruggermi: "Io uno mia madre, io due mia madre... io odio mia madre". Allo stesso tempo, esercitavo il mio coraggio come uno spadaccino, sfidando i miei amici ad arrampicarsi più in alto sulle mura di mattoni che circondavano i giardini segreti che separavano le nostre case, fin quando non riuscivamo a vedere tutti i campanili delle chiese della nostra città. Anche adesso l'inaspettato mi attrae più delle comodità, in cui non mi sento a mio agio. Non è di certo una scelta di vita per tutti, ma viste le incertezze di cui sono pieni i nostri tempi, non è una brutta cosa insegnare il coraggio ad una bambina, e non esiste altro momento migliore per fare pratica di audacia del decimo anno di età. Fu la stessa scossa di adrenalina che provavo quando leggevo Nancy Drew ad afferrarmi quando vidi Thelma e Louise, quel film che, si ricorderà, suscitò un trambusto incredibile nel 1991, fu sulle copertine della rivista Time, mise scompiglio tra molte femministe. Disincantate, frustrate, più vicine alla fine della loro vita che al suo inizio, le due eroine precipitano in un'avventura che le riconcilia con la loro libido, il loro coraggio, la loro espansività. Tirano con la pistola, derubano alcuni negozi, fanno saltare in aria un autocarro, e, in generale, "si comportano proprio da uomini". E allora? Non è forse un film, un'opera di finzione, e noi non stiamo agendo proprio come gli uomini, fatta eccezione per il coraggio? Che chiasso provocò quel film, soprattutto tra quelle Femministe Matriarcali che amano incolpare gli uomini di tutto il male esistente al mondo. Le donne si telefonarono in tutto il paese per giorni, discutendo, urlando, alcune furibonde, altre divertite, ma vive! Era una bella sensazione avere una disputa a disposizione, all'esterno di noi stesse, e il film fu il primo di molti altri in cui le donne spadroneggiano per le strade, facendo saltare edifici a destra e a manca. Ma per il fatto che era scritto da una donna, Thelma e Louise ricevette un'accoglienza particolarmente dura da parte di certe femministe che si misero a sbattere le ali e a rimproverare, come fece il critico cinematografico Sheila Benson, che lo interpretò come un tradimento del femminismo che "ha a che fare con la responsabilità, l'uguaglianza, la sensibilità, la comprensione - non con la vendetta, la punizione o il comportamento sadico" (11). Ognuno di noi trae da un film quel che vi ha letto; io in Thelma e Louise, e sempre più in altri film, ho visto all'opera allegorie cinematografiche di donne che ricoprono ruoli in cui non ci siamo mai viste prima. Ma noi conosciamo la crudeltà, l'abbiamo sperimentata nella vita reale, la rabbia delle donne come la loro gentilezza d'animo. È liberatorio, rassicurante, talvolta perfino divertente, vedere in azione sullo schermo la puttana che c'è in noi. Ci dice che noi, i voyeurs, siamo esseri umani, ci suggerisce di levarci quella maschera
irrigidita che pensiamo nasconda la nostra crudeltà - preferirei di gran lunga vedere negli occhi il mio nemico - e ci ricorda di fare una scelta più consapevole la prossima volta che sentiremo un impulso sadico. Prendere questi film più alla lettera delle storie standard in cui primeggiano degli eroi maschili, vederlo come un'incitazione alle donne per diventare dei fuorilegge armati significa perdere la bellezza del messaggio. Questo è quel che siamo diventate, forse non letteralmente. D'altronde non abbiamo preso alla lettera le provocazioni di Clint Eastwood. Abbiamo accettato il fatto che alcuni uomini venissero dipinti come assassini; lo stesso deve valere per le donne. Queste femministe che puntano il dito pensano per caso che noi altre abbiamo bisogno di un Set di Regole da seguire, le loro regole, perché siamo troppo immature per compiere le nostre scelte di vita? Le femministe sarebbero dunque "sensibili", "comprensive"? Lasciamo stare! Per me, Thelma e Louise rappresentava il seguito perfetto rispetto agli anni preadolescenziali: l'immagine di donne selvagge, pronte all'azione, suscitò troppa invidia, non negli uomini, ma in quella razza di femministe che semplicemente non può permettere che un'altra donna vada a tutta velocità su un'autostrada sessuale, con il tetto della decapottabile abbassato, pistola in pugno, pronta ad affrontare l'oblio piuttosto che tornare ad una vita di regole e regolamenti. È una strada che le dispensatrici di divieti sanno che non prenderanno mai. Queste sono le stesse femministe che ti spingevano a "portare tua figlia al lavoro" e a lasciare tuo figlio a casa, a sottrarre risorse al sistema educativo a spese dei maschi, sulla base di false accuse secondo le quali le deviazioni di genere tipiche del sistema scolastico sarebbero responsabili della perdita di autostima che ha indebolito le scolare americane. La verità è che la maggioranza degli esperti nel campo dello sviluppo preadolescenziale semplicemente non riconosce l'esistenza di grandi differenze su basi sessuali in termini di autostima. "Shortchanging Girls, Shortchanging America" - lo studio accademico che ha lanciato lo slogan "Porta tua figlia al lavoro" - è una ricerca piena di errori, con statistiche manipolate e presentate in modo così drammatico da indurre i media a farne un pasto frenetico che non si è ancora esaurito (12). Hai trascorso un po' di tempo in un college ultimamente? Sei al corrente del dominio matriarcale che regna in questi campus in cui tanto i tuoi figli quanto le tue figlie, vengono allevati a forza di retorica sulla vittimizzazione femminile, che si abbevera alla convinzione secondo cui gli uomini addormentati continueranno a recedere di fronte alla rabbia delle donne? Uomini, svegliatevi! Mi chiedo perplessa perché gli uomini continuano a cedere al minimo accenno di protesta a proposito della vittimizzazione delle donne. Si tratta di senso di colpa, timore, o della convinzione tradizionalmente diffusa tra molti uomini per cui se si assecondano abbastanza a lungo le lamentele delle donne, queste diminuiranno. Uomini, non fateci conto. Questa fu la reazione di vostro padre. Queste donne non hanno bisogno di voi, né vi vogliono. Il vostro sperma non ha alcun valore; possono sempre prenderne una fiala alla banca dello sperma più vicina. Siete inessenziali nel loro mondo. A partire dall'affair di Anita Hill, il Femminismo Matriarcale ha tratto profitto dal tema della vittimizzazione più di quanto ci si potesse immaginare, e quest'opera di sfruttamento è ancora in atto. Non ero assolutamente una fan del giudice Clarence Thomas o di quella caricatura congressuale che è stata una giuria composta da soli uomini. Ma non pensare che la rabbia femminile potrà mai essere evacuata scaricandola soltanto sugli uomini. La gigante pompa cardiaca della rabbia-che-non-muore-mai delle donne è il pozzo senza fondo che rimanda ai primi anni d'infanzia. È rabbia verso le donne, non verso gli uomini. Data la nostra incapacità di esprimerla allora alla persona che amavamo e di cui avevamo bisogno, la rabbia infantile onnipotente non scompare mai del tutto. Oggi le donne si sono guadagnate una voce e un obiettivo che non può essere più sicuro di una massa di uomini assopiti. Qual è la donna che osa nominare la vera fonte della nostra rabbia, che è anche la destinataria del nostro amore... "Io uno mia madre, io due mia madre... io odio mia madre." 3.6 - Il potere del modello di ruolo negativo.
In contrapposizione ai nostri idoli, c'erano persone che rappresentavano un modo di agire, di apparire, di vivere che detestavamo e che giuravamo non avremmo mai imitato. Forse all'epoca non ne eravamo consci, ma nel nostro intimo giurammo a noi stessi che non saremmo cresciuti somigliando ad un padre ipercritico, ad una madre lamentosa, o ad una sorella crudele. Ancora dipendenti dalla famiglia, non potevamo permetterci di pronunciare le parole ad alta voce, ma il voto fu fatto: Non sarò come loro! E infatti non lo siamo. Quando ci guardiamo allo specchio non vediamo certe somiglianze fisiche con uno zio troppo presuntuoso, un nonno irritabile, un fratello maggiore manesco. Un chirurgo estetico mi racconta che i suoi pazienti, al momento di indicare i tratti del loro viso che vorrebbero cambiare, tendono a guardare alle proprie immagini riflesse senza mai vedere la gobba del naso o le palpebre cascanti; queste ultime caratteristiche appartenevano al modello negativo. Abbiamo fatto il voto di non assomigliare mai a loro e, ai nostri occhi, è esattamente così! Rimasi colpita dal ritratto che Doris Lessing fa dei propri genitori nel primo volume della sua autobiografia, un'immagine di come non sarebbe stata la sua propria vita: "Eccoli là, insieme, uniti, tenuti là dalla miseria e - molto peggio - da bisogni segreti e inconfessabili che provengono dalla profondità delle loro due storie così diverse. Mi appaiono intollerabili, patetici, insopportabili, è la loro debolezza che mi riesce insopportabile. Io sono là, una bambina fiera, implacabile, adamantina, che dice a se stessa: io no. Io no. Io non sarò così. Io non sarò mai come loro... Ricorda questo momento", ammonisce se stessa la giovane Lessing. "Ricordalo sempre. Non permetterti di dimenticarlo. Non essere come loro."(13) Quand'è che feci il voto di essere una donna economicamente indipendente, vedendo il prezzo che mia madre dovette pagare per la sua dipendenza da mio nonno? Lui era il mio eroe, ma come molti nonni che riescono a costruire un legame stretto con i nipoti, era incapace di non essere critico e autoritario con i suoi stessi figli. Era un uomo ricco, ma la sua rigidità calvinista esigeva che mia madre lavorasse per lui a parziale "ricompensa" dei fondi che egli metteva a disposizione per lei e per noi bambine. Forse oggi questo discorso suona ragionevole, ma durante la mia infanzia nel Sud, nessuna donna della "nostra classe sociale" lavorava; quel che mia madre mi trasmise non fu l'immagine ammirevole di una donna lavoratrice - lei si doleva per quel lavoro ma la sua aria ansiosa colma di rassegnazione. Giurai a me stessa che non avrei mai esibito quell'atteggiamento. La tristezza stampata sul suo bel viso mi spaventava, specialmente durante le cene, il terreno di battaglia per moltissime famiglie. Quando stava con i suoi amici, nel mezzo di feste che spesso si svolgevano nella nostra casa, allora la vedevo felice e sorridente, ma quando si voltava verso di me non mancava mai quel sospiro di rassegnazione, o così mi pareva. Non avrei mai sospirato a quel modo, giuravo a me stessa, e infatti non l'ho mai fatto, non per problemi di denaro, mai. Come in genere fa la maggior parte dei bambini diedi per assodato di essere la causa di quei profondi sospiri e non ci voleva molta immaginazione per arrivare alla conclusione che la loro fonte ultima fosse la dipendenza da suo padre. Decisi che per me non sarebbe mai stato così. Non avrei mai indossato quello sguardo di resa. Quando mi capita di cogliere anche solo qualcosa che lo ricordi vagamente mentre passo davanti ad una vetrina, faccio un respiro veloce e profondo, nel tentativo di rilassare i muscoli del mio viso. Posso anche aver deciso di essere diversa, di essere indipendente, ma ci sono alcune caratteristiche, alcuni sguardi che non si può fare a meno di ereditare per dozzine di motivi, non ultima quella della prova d'amore: "Vedi mamma, non ti odio, sono diventata come te!" La mia famiglia rideva dei miei banchetti di limonata, delle mie vendite di roba usata, delle commedie che mettevo in scena sulla nostra terrazza sul retro, usando le lenzuola come sipari, con una bambina che raccoglieva monetine alla porta. Anche solo il fatto di pensare al denaro, era considerato poco femminile, inadatto ad una vera signora. Tutto questo ebbe inizio quando avevo circa sette anni. Conservavo i miei risparmi in una banca di vetro a forma di mondo. Quando guardavo il Portogallo, la Francia diventava opaca dietro i miei penny, le mie monete da cinque e da
dieci centesimi, che fantasticavo potessero servire a comprare il mio biglietto per raggiungere quei paesi dai colori brillanti raffigurati sui francobolli che il nonno mi inviava nei suoi viaggi. Il fatto che la mia banca personale avesse la forma del globo terrestre era importante, perché, per quanto riesco a ricordare, sognavo di trasferirmi, di viaggiare, l'avventura. Proprio non potevo ripercorrere il destino di mia madre. Alla fine, sarei giunta a provare una grandissima tenerezza per quel che mia madre aveva passato, ma quando ero piccola non conoscevo le ragioni di fondo della sua infelicità. Mio padre, che mi era stato fatto credere fosse morto, in realtà era ancora vivo; visse dunque con questo pensiero, cui si aggiungeva la mortificazione causata dalla sua necessità di fare affidamento sulle elargizioni di mio nonno. Io ne vedevo solo l'esasperazione, e quella che leggevo come mancanza di gioia nei momenti in cui mi guardava, le sue spalle incurvate sotto il peso della rassegnazione. E così ho sempre portato a casa i massimi voti, e vinto premi, trofei, gare, fui eletta capitano, presidente di qualsiasi cosa di cui facessi parte. Ma lei non ne traeva alcun piacere, e dunque decisi che non avrei mai portato problemi o premi alla sua porta. Cercai di essere responsabile di me stessa. È così che crebbi ed è così che sono oggi, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista emotivo. Nessuno ha mai pagato il mio affitto e nessuno mi ha mai comprato cibo o vestiti. Non è un manifesto di orgoglio, semplicemente un dato. Ricordo il primo uomo che mi regalò un pezzo di quella che credo si chiami gioielleria "seria". Era un produttore cinematografico italiano che incontrai a Roma negli anni Sessanta. "È vera?" domandai sgarbatamente, togliendomi una spilla d'oro adornata da piccoli diamanti e da rubini. Rimase sconcertato. Io protestai dicendo che non avevo alcuna intenzione di prolungare la nostra relazione, che stavo tornando a New York, da un altro uomo, ma egli rise sonoramente e appoggiò la sua mano sulla mia. "Nancy", disse, "è solo un piccolo regalo." Quando oggi guardo la spilla, mi ritorna alla memoria la paura che provai al pensiero che accettare la spilla significasse rinunciare in qualche misura alla mia indipendenza; ora comprendo cosa provava la giovane Nancy, e cosa provo tuttora. Con tutte le celebrazioni che riserviamo alle donne di successo, nella nostra società permane tuttavia un profondo, tradizionale risentimento verso quelle che hanno ottenuto grandi riconoscimenti economici. Il Sistema applaude ad un uomo "che ha tutto", ma quando una donna accumula ricchezza, fama, bellezza e potere, viene ridotta ai minimi termini, anche ad Hollywood. Tra mia zia, il modello di ruolo positivo rappresentante l'indipendenza e la gioia della vita creativa, e mia madre, che temo di presentare ingiustamente soltanto come modello di ruolo negativo, si è evoluto dentro di me un progetto emotivo che è ancora valido. Ciò che è cambiato è la consapevolezza conscia del fatto che la risata di mia madre, il suo entusiasmo e il suo spirito competitivo appartengono anche a me, tratti ereditati sia per via genetica che per via imitativa. Fui in collera per troppo tempo per ammettere l'entità del mio debito nei suoi confronti; la gratitudine era stata seppellita insieme alla rabbia. Lei non mi vedeva quando ero piccola. E questo mi ha profondamente addolorato. Lei è mia madre. A Key West, quando la vedo in compagnia dei suoi amici, mentre beve Martini attorno alla piscina e si protende con fare seduttivo verso l'uomo che è anche il mio amico più caro, vedo me stessa. E quando lei guarda alla mia vita, vede il modo in cui viviamo, viaggiamo in tutto il mondo, i vestiti che indosso, dice: "Cara la mia Nancy, sei una donna di mondo!" Ora è tutto a posto. Posso convivere con la sua invidia, perché la comprendo: geneticamente e caratterialmente lei sarebbe stata ugualmente capace di avere la vita che conduco io, o qualunque altra vita; semplicemente, le è mancato un modello negativo come l'ho avuto io. Ambivalenza. Se riuscissi a fare accettare l'idea per cui nella vita, le persone che amiamo di più sono anche i destinatari delle nostre rabbie più accese, avrei raggiunto un obiettivo importante. 3.7 - Dormire sugli alberi contro dormire a casa delle amiche. Il fatto che le ragazze e i ragazzi preadolescenti, una volta fuori di casa, si avviino in direzioni così diametralmente opposte, conferma l'urgenza dei loro bisogni: ognuno dei due sessi è ansioso di trovare persone simili, di creare
amicizie, gruppi che sostituiscano le intimità familiari con fotocopie che riproducano il significato di essere ragazza o ragazzo. Cerchiamo disperatamente un altro volto e un altro corpo della nostra stessa misura, che abbia i nostri stessi bisogni. Le ragazze creano il loro nido comune durante le notti che passano nelle reciproche case, tramite il contatto fisico, parlandosi nel pieno della notte, rassicurandosi a vicenda sul loro essere simili, sul fatto di volersi bene. L'ultima cosa che le bande di ragazzi desiderano è una bella camera da letto in chintz. Meglio dormire in una tenda, in una capanna costruita sugli alberi, e paragonarsi, competere su un campo da baseball; è un modo di stare in gruppo tanto opposto a quello delle sorelle quanto lo sono i loro rispettivi corpi. Il ragazzo preadolescente deve entrare in contatto con altri ragazzi per prendere le distanze dalla vista di se stesso negli occhi delle donne/della madre, cui egli vuole bene ma che l'ha dominato fin dal giorno della sua nascita. Chi sono? egli si domanda. Che forma assumo specchiandomi in occhi diversi dai suoi, che non riescono a vedermi veramente, dato che il suo corpo è così diverso dal mio, tanto che sto incominciando a credere che anche i suoi pensieri e le sue esigenze lo siano? Dunque, mentre la amo e la proteggo dal mio io segreto, devo trovare altre persone come me, che mi assomiglino, in cui possa vedere me stesso, e di cui possa fidarmi. Il fenomeno dei padri che hanno una parte nella vita intima dei propri figli non sta andando di pari passo con il numero di donne completamente sole che allevano figli maschi. C'è dunque da sorprendersi del fatto che i ragazzi e gli uomini spesso siano portati ad atteggiarsi, ad apparire e a comportarsi come se fossero anti-femmine? Solo come esempio di quello che "avrebbe potuto essere" o "potrebbe ancora essere", lascia che citi un brano tratto da un articolo comparso su Esquire, a proposito di uno studio condotto da Robert Sears, che ha seguito un gruppo di uomini per diversi decenni e ha scoperto che "coloro che all'età di ventitré anni mostravano capacità superiori nel risolvere i conflitti ricorrendo al compromesso, erano stati allevati da genitori che avevano condiviso su basi paritarie il compito di crescere i figli quando essi avevano cinque anni... i padri erano impegnati con loro quanto le madri. Quando gli stessi uomini furono valutati sulla dimensione della capacità empatica all'età di trentun anni, e, successivamente, a quarantun anni, furono valutate le loro relazioni sociali e il loro comportamento in intimità, il fattore maggiormente determinante risultò essere il livello di coinvolgimento del padre" (14). Potendo scegliere, preferirei un padre coinvolto fin dal primo giorno di vita, ma mi accontenterò di ciò che è possibile ottenere in questo dibattito controverso ma cruciale sulla genitorialità condivisa. Lasciati a se stessi, i ragazzi in fase preadolescenziale formano la Banda dei Ragazzi, il prototipo delle future partite di poker, dei club per soli uomini, dei saloon, di ogni luogo o periodo di tempo che i ragazzi/uomini possono condividere senza ragazze/donne intorno. Ora, sui campi da gioco, nei club segreti, nei luoghi sporchi e oscuri appositamente scelti per la loro chiassosità, per la loro qualità umida, carica di odori, rude, così antitetica a quella femminile, prende forma e viene esercitato un nuovo linguaggio, un nuovo modo di muoversi. Appreso con una tale cura, con tali rischi, con una tale ricchezza di promesse, che molti uomini non lo disimpareranno mai. "Merda! Fottiti! Che schifo! Chi ha scoreggiato?" Urlano il loro linguaggio, lo mettono in pratica, masturbandosi, scoreggiando, cacando insieme, insomma tutto quello che non ha un aspetto femminile. Se i ragazzi esagerano è perché cercano disperatamente di contrapporsi a noi. Nel giro di pochi anni, a un ragazzino verrà richiesto di saper maneggiare quel segno di virilità che è sintetizzato dalla capacità di avere tutto sotto controllo. Sii un uomo! Fai quel goal! Prendi d'assalto quella testa di ponte! Ho amato la scena di Hotel New Hampshire di John Irving, in cui John e sua sorella Fanny cacano insieme sul vialetto che imboccano i giocatori di football nella loro strada di ritorno dagli allenamenti, e poi rimangono ad aspettare per vedere quando ci mettono il piede (15). Questo sarebbe stato grande, pensavo io, desiderando per l'ennesima volta la presenza di un fratello durante gli anni della mia infanzia. Oppure un pene - non ora, ma a quei tempi, quando apprezzavo pienamente la fissazione dei ragazzi. Il pene è un simbolo talmente unificante, così esposto, afferrabile e pulito.
Cos'altro hanno i ragazzi che li differenzia al massimo grado dalle donne, che fino a quel momento hanno dominato le loro vite? Naturalmente spengono il fuoco da campeggio con una pisciata comunitaria, nudi fanno capriole negli spogliatoi, e fanno giochi masturbatori in cui si fa a chi arriva più lontano. Infrangere gioiosamente le regole restrittive della propria madre, gettarle al vento, alimenta la loro spacconeria. È un atto di sfida e di vittoria. Il ragazzo, in questo modo, afferma la podestà su quella parte di sé che, soltanto fino a pochi anni prima, lei controllava ma non gradiva. È qualcosa che lui ha e lei no, e sono poche le cose di cui lo si possa dire. Ogni volta che un ragazzo si masturba, è un esercizio di separazione dalle donne e una dichiarazione di mascolinità. Quante sono le possibilità di cui gode un ragazzo di vedersi riflesso in un altro maschio, di ammirare ed amare la vista di un corpo maschile bello e giovane? Le ragazze/donne si toccano, si guardano, si adorano, stanno distese insieme senza sentirsi minacciate. Ma il ragazzo può godere solo di questo breve periodo, libero dal senso di vergogna, in cui gli è permesso adorare qualcuno che è simile a lui, una specie di culto dell'eroe. Relativamente presto, il fatto solo di pensare ad un altro uomo provocherà in lui i terrori dell'omosessualità: "Oddio, devo essere gay!" Un film del 1969 intitolato If conteneva una scena che catturava in modo memorabile quest'immagine del culto dell'eroe: il ragazzo più grande dondola senza sforzo appeso alle alte sbarre della palestra, il suo corpo elegante, addestrato, in stato di perfetta coordinazione. Il ragazzo più giovane, guardandolo, è chiaramente attratto da quella perfezione di forme e di abilità, forse è innamorato dell'altro uomo, che un giorno potrebbe essere lui. La decisione di un ragazzo di liberarsi delle apparenze, dando la preferenza a mezzi alternativi per attirare l'attenzione, rientra nel suo processo di separazione dalla madre. L'ammirazione che otteneva grazie alle lunghe ciglia e ai riccioli biondi è ora spazzata via, a vantaggio di imprese di coraggio quasi andate a segno, che avranno l'effetto di allarmare la madre, se non di disgustarla, ma di guadagnare punti agli occhi dei membri della banda. La perdita dell'adorazione materna per la propria bellezza è l'equivalente del terreno che ha conquistato come uomo. Il potere della bellezza è diventato un bene di valore inferiore, da donne, e se ora la mamma dovesse lisciare i suoi capelli e posare il suo sguardo su di lui -" Fatti guardare!" - egli la respingerebbe con un "Dai, mamma!". Il ritrovarsi negli occhi della banda dei ragazzi lo ha portato alla certezza che forza, cattiveria, potenza, sono i modi per provare la sua virilità, la sua distanza dalla madre e dalle ragazze. All'interno della banda, la bellezza non conta. L'aspetto diventa intenzionalmente scarmigliato, persino sporco. Le pubblicità televisive che ritraggono sua madre come una lavandaia, si focalizzano sulla sua gratitudine per i detersivi che tolgono lo sporco disseminato dal suo piccolo furfante. La nota di orgoglio per il suo "ometto" è evidente - "Ora vedi di non infangare troppo la mia bella divisa pulita!" - è detto con rassegnazione appassionata, con un accento di accettazione della sporcizia dei ragazzi che non si estende alle figlie. Non tutti i ragazzi sono atleti, ma per quelli che ne hanno la capacità e il coraggio necessari, gli sport costituiscono ancora il terreno privilegiato in cui il ragazzo preadolescente compie il suo processo di identificazione come maschio. Sarà interessante vedere cosa accadrà all'aspetto fisico in evoluzione dei bambini di dieci anni, man mano che l'apparenza gioca un ruolo sempre più importante nella costruzione dell'identità maschile. Non sono solo gli uomini adulti che si stanno addentrando in misura crescente nel mondo della moda, che si fanno belli e godono del potere che deriva dall'apparire in forma. La televisione ha reso la bellezza maschile un affare sempre più profittevole. I miei amici che hanno figli maschi giovani, mi riferiscono che l'idea dell'avere un bell'aspetto è penetrata nel gruppo d'età dei loro ragazzi. Gel e mousse per capelli, il tipo giusto di Nike, la maglietta e i jeans della marca giusta possono essere molto importanti per un bambino di nove anni. Quel che manda in confusione il bambino sono le ragazzine che gli telefonano, che lo seguono da scuola fino a casa; si veste per essere accettato dalla banda dei suoi amici, non per le ragazze, non ancora.
Oggi è tornato di moda il look della Beat Generation, riportandomi alla mente un libro di Joyce Johnson che uscì negli anni Ottanta, in cui l'autrice descrive la sua vita in compagnia di questi luminari Beat, come Jack Kerouak e Allen Ginsberg. Lei capì che l'aspetto e l'anima del movimento Beat era quello della "banda di ragazzi" raccolta attorno al fuoco sacro. Alle donne come lei era permesso di presenziare, ma venivano escluse dall'interno del santuario; le donne non vi appartennero mai veramente. Ad un certo punto scrive di come la sua amica Elise "sta malinconicamente a guardare mentre loro [gli uomini] giocano ai loro giochi pericolosi, ammazzando il tempo che separa l'adesso dal disastro finale" (16). 3.8 - Bambine nelle braccia di altre bambine. Al contrario dei ragazzi, le bambine portano ai loro momenti di intimità condivisa lo stesso tipo di passione simbiotica che le teneva saldamente legate alla madre. Si esaltano durante le notti che trascorrono insieme alle amiche, notti in cui condividono ogni cosa che possano ripescare dalle loro brevi vite, ogni segreto, ogni frammento di sé che possano offrire per mostrare la fiducia che nutrono nell'altra, nella speranza che le altre ricambieranno la confidenza, suggellando così la loro unione. Certo, vogliamo vivere l'unicità della nostra vita, ma il solo modello di rapporto che conosciamo è quello della diade. Non abbiamo mai camminato da sole. Prova a pensare a quanto potremmo essere diverse dalla mamma, a quanto siamo sature della sua presenza, di come si comportava con noi e di come l'abbiamo percepita in tutti questi anni. Le ragazzine s'intrufolano l'una nei letti dell'altra per bisbigliare, ridacchiare, farsi il solletico sulla schiena, abbracciarsi, toccarsi, guardarsi. Non possiamo guardare troppo in profondità, perché l'altra siamo noi e noi siamo lei. Incominciamo ad amare noi stesse. Questa è una bambina, non la mamma, non la sorella, ma la mia migliore amica, che mi assomiglia così tanto che, quando non stiamo insieme, rimaniamo unite da un cavo telefonico, tale è la disperazione nell'aggrapparsi a questa nuova immagine di se stesse. Nostra madre fu per noi uno specchio, ma ora lei è troppo alta, troppo vecchia; i suoi armadi sono una fonte di piacere, ma i suoi vestiti sono troppo grandi, il suo mobile da toeletta è affascinante, ma troppo complicato da maneggiare. La nostra piccola amica sì che è il nostro riflesso! Non importa che lei sia bruna e noi siamo bionde. Siamo sorelle dell'anima, lei il ponte per il grande ignoto, l'"altro" totalmente affidabile che sostiene i nostri passi incerti fuori dalla casa natale, la sua mano a stringere la nostra, i suoi occhi che ci inviano messaggi luminosi di sicurezza in noi stesse. Finché non ci tradisce con un'altra, non ci esclude, e non restiamo monche della nostra stessa identità. Il mondo non vuole pensare ad una bambina di nove anni come ad un essere dotato di una propria sessualità; la pubertà comincia abbastanza presto, e il nostro ostinato rifiuto di accettare le sensazioni sessuali provate da una bambina fin dall'inizio della vita, riflette il nostro stesso timore per il sesso. Non ce ne occupiamo fino all'adolescenza, quando si sviluppano le capacità riproduttive, e per il resto ci sentiamo tranquilli. Sono patetici i nostri sforzi di negare ciò che la scienza ci ripete in continuazione, e di continuare ad educare i giovani a sopprimere una vitalità che invece potrebbero mettere a frutto in altre aree di sviluppo, diverse da quella dei rapporti sessuali, se soltanto noi riuscissimo a venire a patti con la nostra propria sessualità. L'energia sessuale è un alimento essenziale da sfruttare per ottimizzare l'apprendimento, gli sport, la comunicazione interpersonale, tutti i talenti e le abilità; i bambini sono in grado di apprenderlo, e anche di apprendere che un rapporto sessuale precoce potrebbe compromettere una giovane vita. Noi li inganniamo non educandoli agli usi dell'energia sessuale appropriati all'età. Quando entrano nella fase adolescenziale, il desiderio di assumersi la responsabilità di qualcosa che è così "brutto" che nessuna persona cara lo ha mai riconosciuto nel suo potere eccitante, avrà per forza dei margini ridotti; in realtà, la loro inconsapevolezza di fronte a ciò che noi abbiamo scoperto, il brivido delle sensazioni sessuali, rende il sesso qualcosa che alla fine potrebbero non capire. E ci meravigliamo del fatto che i bambini non ci dicano nulla delle loro sensazioni sessuali. Ancor più dei nostri fratelli, noi ragazze abbiamo interiorizzato l'atteggiamento anti-sesso delle madri, visto che apparteniamo allo stesso
genere e lei rappresenta inevitabilmente il nostro modello; ma quando mettiamo in atto i nostri giochi sessuali esplorativi con altre bambine e altri bambini, l'immagine di nostra madre che, sorprendendoci, agita il dito e ci minaccia di privarci del suo amore, contribuisce a rendere il gioco più eccitante. "Siedevamo sul bordo della buca piena di sabbia", mi racconta una donna, "potevamo avere otto o nove anni, maschi e femmine, e ricorderò sempre i lievi grugniti che emettevamo, come se fossimo dei piccoli animali, quando ci abbassavamo i pantaloni e ci esibivamo a vicenda." Il fascino del proibito; è la pietra angolare delle fantasie sessuali che le donne continueranno ad intessere per anni. Il sogno erotico oggi più popolare, sia tra donne eterosessuali che omosessuali, è di fare sesso con un'altra donna, e i primi ricordi di questa esplorazione sessuale realmente avvenuta risalgono a questi Anni dell'Invenzione. Com'è naturale, la memoria dei primi eccitamenti rimane con noi: il tocco di un dito della stessa misura del nostro, il sapere che appartiene ad un'altra bambina che condivide i nostri pensieri, finora tenuti segreti. Pensavamo di essere le sole, che tutte le altre femmine fossero come la mamma. Ma ecco materializzarsi questa cara compagna, che allenta le regole materne fino a che non si dissolvono. Insieme, partner dei pensieri e delle azioni, prendiamo le distanze dalle nostre madri. Da una parte, diventiamo uno schermo di protezione per la mamma, non le racconteremo nulla; i segreti rientrano nel processo di separazione, ma, allo stesso tempo, l'elemento di proibizione contenuto nell'atto di infrangere le sue regole, si estende a macchia d'olio, tanto profondamente associato al sesso che, per molte donne, il "sesso proibito" è l'unico ad avere un potere eccitante; così, dopo il matrimonio, il sesso perde di gusto. Un altro particolare prevalente nelle fantasie sessuali delle donne adulte è la conversazione intima, la confessione reciproca di segreti, ore di parole per costruire un ponte erotico che conduca all'atto sessuale. Gli uomini non comprendono la passione femminile per il preambolo verbale di una conversazione segretissima che preceda il sesso, parole su parole che danno forma alla fiducia, all'allentamento dei vincoli di proibizione sessuale, che aprono la porta della gabbia e fanno prendere il volo alla passione. Le bambine, distese sul letto, si scambiano segreti; le donne vogliono una cena a lume di candela, voci basse raccolte in intimità, e, forse più tardi, musica romantica, e altre parole d'amore che le facciano sciogliere dal desiderio. Un tempo ci promisero che saremmo state amate per sempre se avessimo fatto le brave bambine. Per rompere questo accordo simbiotico che stipulammo silenziosamente con nostra madre, e sentirci sessualmente libere, esigiamo che il nostro amante sia più persuasivo della mamma. Quando siamo piccole, quando abbiamo nove anni, abbiamo già interiorizzato il ritratto dei nostri organi genitali come parte del corpo intoccabile, fatta eccezione per quando è necessario lavarsi. Non abbiamo mai veduto i nostri genitali, ma sappiamo che non si tratta di un bello spettacolo. Qui, insieme ad un'altra bambina, abbiamo l'occasione di scoprire che forse nostra madre aveva torto. Se l'altra vuole toccarci proprio "là" e ci chiede di fare lo stesso con lei, allora quel segreto non sarà più sporco e non sarà più nemmeno un segreto. Forse possiamo iniziare a pensare alla nostra vagina, alla nostra clitoride, come ad una parte di noi, ad una parte dell'immagine di noi stesse. Come dev'essere difficile per gli uomini arrivare a comprendere quel tipo speciale di reciproco accesso di cui godono le donne, la nostra capacità di convincerci a vicenda che i genitali sono una parte eccitante da toccare, deliziosa da assaporare, e bella da vedere. Noi vorremmo credere alle parole degli uomini, ma loro non sanno riprodurre la persuasività di cui è capace una voce femminile. Alcune donne "dimenticano" le loro avventure preadolescenziali con altre ragazzine, finché, anni dopo, durante un rapporto sessuale o mentre si masturbano, l'inconscio non rilascia una sensazione, quell'eccitamento provato nelle nostre prime scoperte sessuali. Ora nelle fantasie che attraversano le menti femminili durante l'atto sessuale si ritrova l'immagine di una donna con un bel seno e dei peli sul pube, caratteristiche non ancora sviluppatesi nelle ragazzine delle nostre notti preadolescenziali trascorse a dormire insieme; sono i seni e i peli di nostra madre ma, nelle fantasie attuali, si mescolano
all'immagine della nostra compagna di giochi erotici dei nove anni, a formare un'unica donna. Molte bambine non si sognerebbero mai di toccare un'altra bambina, stare sopra di lei, esplorare il suo corpo. Nel caso dovessero fare qualcosa di male, come fare pipì insieme nell'erba alta, sono certe del fatto che qualcuno le sta osservando e sono prese da un'ansia profonda. Non avendo mai avviato un reale processo di separazione, interiorizzato l'amore materno, la bambina ha introiettato l'occhio onnipresente e onnisciente della madre. Quando molti anni dopo, è a letto con un uomo e la madre telefona, è certa del fatto che lei "veda" l'uomo nudo al suo fianco, le lenzuola macchiate. L'occhio adorante dell'infanzia guarda ancora da altezze celestiali, controllando ogni cosa e provocando in lei una sensazione che la porta a chiedersi: "Non so perché mi sento così colpevole!" In piedi davanti allo specchio si toglie e si mette in continuazione l'abito sexy che ha appena comprato, e la sua incapacità di decidersi trae origine dall'incapacità di credere ad una versione erotica di sé, non essendosi mai separata o differenziata dalla visione critica che sua madre aveva di lei. L'opinione che oggi sua madre ha di lei la distrugge con la stessa efficacia di quando era una bambina di due, di nove, o di quarantanni. Fino a vent'anni fa, le fantasie sessuali femminili concernenti altre donne erano relativamente scarse. Oggi rappresentano il tema maggiormente diffuso. In realtà, le donne si sentono sessualmente attratte da altre donne, tanto nella vita reale che nella fantasia, così universalmente attratte da comparire l'una nelle braccia dell'altra nelle foto di moda, nei film, ovunque. È un dato di fatto che le donne entrano ed escono dai letti di altre donne senza pensarci due volte. In un certo senso, sembra la cosa più logica in un mondo in cui esse stanno reinventando il significato di essere e apparire donna. Facciamo gli stessi lavori degli uomini, ma ci avvinghiamo più che mai al desiderio di sembrare una donna. Chi è la donna di oggi? Cosa significa essere donna? Ci voltiamo piene di curiosità, ansiose di esaminarci da vicino e di trovare conferma su cosa significhi essere femmine, proprio come quando avevamo nove anni. Le donne si fermano mai a riflettere sul vantaggio che abbiamo rispetto ai nostri fratelli, grazie alla disinvoltura ambisex che ci permette di avventurarci in esperimenti con entrambi i sessi senza la paura di perdere la certezza di appartenere al nostro genere? Raramente ho udito donne di qualsiasi età condannare se stesse con quel piglio auto-accusatorio eccessivamente severo che un ragazzo/uomo riserva a se stesso anche solo per aver pensato in termini sessuali ad un altro uomo: "Dio mio, devo essere omosessuale!" La fantasia spontanea, o l'esperienza reale, di un rapporto con un'altra donna, può arricchire l'immagine che una ragazza ha di sé ma, nella mente del ragazzo, le porte si chiudono con violenza e l'immagine di sé rimpicciolisce. Gli uomini "normali" non osano giocare con fantasie che abbiano per oggetto altri uomini; invece, il tema predominante delle fantasie maschili rimane quello che indica quanto sia profondamente radicato, spesso a livello inconscio, il potere che la prima donna ha esercitato sul figlio e la rabbia di costui di fronte alla mancanza di riconoscimento e apprezzamento della sua sessualità. "Esiste una quantità terribilmente elevata di uomini, specialmente quelli a capo di aziende o molto potenti nella vita di tutti i giorni, che vogliono cedere quel potere", afferma Norma Jean Almodovar, responsabile di COYOTE, il sindacato delle prostitute della California. "E vogliono farlo in una situazione molto sicura, in cui si fidano della persona a cui stanno consegnando tutto quel potere su di loro. Vogliono essere legati e che gli si dica che razza di bambini sono; vogliono soprattutto parole, più che un qualche genere di abuso fisico." Nei sogni erotici di degradazione, l'uomo rivolge la sua rabbia contro altre donne; infantilizzato ai piedi della Grande Donna, la dominatrice, l'uomo umiliato si vendica della donna/madre; le consegna la frusta, tutto il potere dell'autorità sulla sua persona, ma alla fine è lui che trionfa con il suo piccolo sporco orgasmo. Alcune bambine accettano così completamente la rigidità sessuale delle proprie madri da non riuscire mai a superare il loro disdegno per tutte le faccende sessuali; attraverseranno la fase puberale, si sposeranno, avranno rapporti sessuali e diventeranno madri, ma non si vedranno mai come persone sessuate. Davanti ad uno specchio, non riusciranno ad immaginarsi un uomo che reagisce
alla curva armoniosa del loro seno, alla lunghezza delle loro gambe; non potranno mai vedersi in quel modo. Hanno rinunciato alla loro sessualità molto tempo addietro, e non ne sentiranno mai la mancanza. Hai sicuramente incontrato queste donne, le conosci - anche qualche uomo, benché siano meno numerosi. Hanno un aspetto, un modo di vestire, un insieme di caratteristiche che ammonisce: non guardarmi come persona sessualmente desiderabile. Sono chiamate Donne della Latenza, che significa che, dal punto di vista emotivo, non hanno mai vissuto la crescita sessuale del periodo adolescenziale. Non sono lesbiche, semplicemente non sono sessualmente vive, e si trovano più a loro agio con le donne che con gli uomini. All'interno del matrimonio, possono tentare di riprodurre con i propri mariti il rapporto che le legava alla loro madre, ma la maggior parte degli uomini ha paura di perdersi emotivamente in una dolce, assoluta fusione. Allora, le loro donne prenderanno questa decisione: se ti rifiuti di formare un'unione simbiotica con me, io rimarrò con te ma sarò più rilassata e felice in compagnia delle altre ragazze. Fintantoché queste donne Girl Scout tengono per sé il loro atteggiamento contrario al sesso, non ho nulla da obiettare; è nel momento in cui volgono i loro occhi giudicanti, pieni di sacro fermento, verso le altre donne, domandandoci di vivere come fanno loro, che inizio a considerarle un nemico. Rinuncia pure alla ricchezza, al consumo di carne, al ballo della domenica, ma se rinunci al tuo centro sessuale ti scoprirai a digrignare i denti durante il sonno, mentre immagini le altre che partecipano alla degustazione del frutto proibito. L'astinenza sessuale è tollerabile solo se tutti vi si attengono. Gli uomini anti-sesso sono di mentalità ristretta, hanno il naso delicato e sono critici quanto le loro donne. Non ho mai dubitato del fatto che la destra radicale ricavi la disciplina ferrea della sua rabbia invidiosa dalla visione insostenibile di altri che si divertono con ciò che essi, gli astemi, gli autoproclamatisi timorati di Dio, non provano da anni. Né ho dei dubbi sul fatto che i consumatori più religiosi di pornografia sono quelli che, dopo aver letto, vanno in giro per il mondo a cercare l'assoluzione per i loro sporchi orgasmi; e trovano il perdono nelle rabbiose condanne pronunciate per ogni anima dannata che legge i libri che essi stessi hanno appena finito di imbrattare. Quando scrivo dell'avvento del Matriarcato, ne vedo le sue più ovvie radici nelle case di oggi, a dominio femminile, dove l'assenza dell'uomo non viene problematizzata. Anzi, in realtà, è gradita. Avere un controllo totale sui propri figli può produrre un senso di benessere in una donna, ma i ragazzi e le ragazze, privati di un padre, arrivano al traguardo dell'adolescenza senza aver potuto sviluppare un sentimento di qualche tipo verso un uomo. Il ragazzo farà allora totalmente e pesantemente affidamento sul gruppo dei pari maschile; la ragazza invece si aspetterà che l'intimità creatasi con un uomo rispecchi l'unico tipo d'amore che ha conosciuto, quello materno: l'attesa è che gli occhi degli uomini la riflettano esattamente come hanno fatto quelli della madre. Ed è una condanna questa aspettativa che nutriamo nei confronti dei ragazzi, per non dire di peggio. Molte di noi non vogliono vivere in un regime matriarcale; temiamo le rigide regole imposte dalle donne e il loro potere di vincolo, quanto, se non di più, quelle che caratterizzano la società patriarcale. Ma i bambini che crescono circondati soltanto da un'autorità femminile non hanno la nostra stessa facoltà di scelta. Invece di ricevere insegnamenti che li portino ad amare gli uomini, viene loro somministrata la dose giornaliera di rabbia nei confronti di questi esseri terribili, un'idea che trova rinforzo nel ritratto che di essi viene presentato, in televisione o sui giornali, come persone villane, crudeli, brutali. Quando un ragazzo senza padre diventa uomo e risponde disgustato all'arrivo inaspettato di una donna in un ambiente completamente maschile, siamo di fronte alla reazione esasperata del bambino di dieci anni nei riguardi del potere esercitato su di lui dalle donne, alla sollecitazione di un riflesso condizionato per cui per essere un Vero Uomo devi contrapporti alla mamma. Un ragazzo non è geneticamente predisposto ad essere un viaggiatore in terra straniera, quali sono per lui le donne. Ma gli uomini non cesseranno di depredare la vulnerabilità femminile fin quando il bambino non avrà avuto, a partire dal primo giorno di vita, la netta percezione del potere di un uomo empatico, e l'uomo cresciuto non avrà quindi riscoperto la sua capacità di
provare comprensione prendendosi cura del figlio che ora dipende completamente da lui. Curioso, non è vero?, che diveniamo consapevoli della necessità fondamentale, decisiva per la vita futura, di un accudimento affettuoso fin dai primi giorni successivi alla nascita, proprio nel momento in cui sta venendo meno la squadra estesa - madre, padre, nonni, e tutto il resto. Non che questo significhi che avere molte braccia in casa costituisca una garanzia automatica per una dinamica perfetta di simbiosi e separazione. Tuttavia, guardiamo Radio Days di Woody Allen o Lost in Yonkers di Neil Simon, e sospiriamo per le zie e gli zii adorabili che erano soliti abitare le stanze vuote delle case di famiglia. Penso alle persone che amo e ammiro di più, forse perché così tanti di loro sono scomparsi di recente. Non conobbero unione e separazione, ma ebbero qualcuno come mia zia Pat, che vegliava su di loro. Non era una soluzione perfetta, ma l'immagine e l'affetto di quella persona speciale fu una spinta sufficiente per iniziare il viaggio della vita muniti di una sorta di stampella affascinante. Per ironia, fu la mancanza di un amore simbiotico nei primi anni di vita che, in combinazione con quella stampella, ci fornì un talento particolare per farci notare e venire raccolti. Il fatto che queste persone, una volta adulte, divennero attori, ballerini, compositori, scrittori e registi, non è sorprendente. Che tanti di loro, i migliori, morirono presto di AIDS, mi fa dire: chi non avrebbe voluto andare a letto con loro? Molto tempo prima avevano fatto in modo di apparire irresistibili per sopravvivere. Scrivevano canzoni, commedie, libri intorno al tema del trovare e perdere l'amore, perché era ciò di cui s'intendevano di più. Passavano in un baleno dalle vette agli abissi della passione, preda di amori impossibili, di persone che li tradivano o che essi tradivano. La passione e l'agonia hanno sempre cavalcato fianco a fianco. E quando morirono, le funzioni religiose che si svolsero nei teatri erano affollate di quelli tra noi che piangevano per se stessi, perché li avevamo amati esattamente per gli individui che erano. Si ritorna sempre alla vecchia discussione esistenziale con Robertiello: "Avresti preferito nascere bello e circondato d'amore come Gesù Cristo, mai abbandonato a te stesso, oppure invisibile e con la necessità di inventare mezzi di sopravvivenza alternativi per farti notare?" Io scelgo sempre quest'ultima; si traduce in alti e bassi vertiginosi che non si vorrebbe sperimentare, ma anche la bellezza giovanile viene ingannata: non dura, mentre le arti apprese da una zia Pat, o da uno zio interessante che è stato ventriloquo, violinista, cantante lirico, possono durare per tutta una vita. Spero che i giovani, in particolare, leggano questo capitolo, e anche se non vi si ritroveranno, potranno riconoscere l'entità delle opportunità inutilizzate che giacciono nel mondo esterno, opportunità uniche per i bambini di otto o dieci anni di avvicinarsi ad una persona diversa dai genitori da poter ammirare. Non rivivremo un'altra volta questo tempo prezioso, in cui siamo così malleabili e liberi dalle richieste della famiglia, dalle sue proiezioni, e da come la società esige che siamo e appariamo. Anche se abbandoneremo il nostro io dei dieci anni nella sala degli specchi che sarà l'adolescenza, le vittorie di questi anni rimarranno intatte, ben custodite dentro di noi. Posso assicurarti che non è mai troppo tardi per andare a ritroso e affermare un'immagine di sé che si è creata quando avevamo nove o dieci anni; se la si sottopone ad esame, si scoprirà che si adatta ancora perfettamente perché è un'immagine interna. Dieci anni fa, alla fine maturai; e con ciò intendo dire che mutai pelle, quella pelle in cui ero vissuta per tutta la mia vita adulta, smisi di cercare di ricreare con gli uomini quel rapporto che non mi era stato concesso nell'infanzia. Il luogo in cui andai a cercare la pelle giusta per me è questo, questi anni incantati. Ricordati di segnare questo punto della tua vita, proprio come i pirati segnavano sulle loro mappe il luogo dei tesori sepolti. Dobbiamo sempre sapere in che punto abbiamo lasciato la persona mirabile che l'adolescenza ha adombrato. Note al Capitolo 3: 1. Stacy Schiff, Antoine de Saint-Exupéry. 2. American Girl, luglio-agosto 1994, p. 48.
3. Paul Ekman, Telling Lies: Clues to Deceit in the Marketplace, Politics, and Marriage, p. 125. 4. Ibidem, p. 125. 5. Keather Welford, "Best Friends and Bully Girls", The Guardian, 23 novembre 1993, p. T16. 6. Margaret Atwood, Occhio di gatto, p. 128 e 130. 7. Ibidem, p. 148. 8. Laura Shapiro e Yahlin Chang, "The Girls of Summer", Newsweek, 22 maggio 1995, p. 56. 9. Bettelheim, Il mondo incantato, p. 211. 10. Dorothy Dinnerstein, The Mermaid and the Minotaur, pp. 51-52. 11. Sheila Benson, "True or False: Thelma and Louise Just Good Ol' Boys?", Los Angeles Times, 31 maggio 1991, p. F1. 12. American Association of University Woman, "Shortchanging Girls, Shortchanging America", gennaio 1991; si veda anche Christina Hoff Sommers, "The Myth of Schoolgirls' Low Esteem", Wall Street Journal, 3 ottobre 1994, p. A20; Christina Hoff Sommers, Who Stole Feminism?: How Women Have Betrayed Women, pp. 137-152. 13. Doris Lessing, Under My Skin: Volume One of My Autobiography, to 1949, p. 120. 14. Michael Segell, "The Pater Principle", Esquire, marzo 1995, p. 122. 15. John Irving, Hotel New Hampshire. 16. Joyce Johnson, Minor Characters, p. 84. CAPITOLO 4 LA DANZA DELL'ADOLESCENZA: LE RAGAZZE 4.1 - I bambini belli vengono presi in braccio prima, di nuovo. Nessuno dimentica l'adolescenza. Nessuno. Un giorno che comincia come tutti gli altri, una sezione del cervello della grandezza di una mandorla chiamata ipotalamo, segnala al corpo che ora siamo pronti per dare il via allo sviluppo sessuale. Risvegliati da un bisogno che ci raggiunge e ci blandisce nel regno dei giochi infantili condivisi con altri in cui ci siamo identificati per anni, ora ci disponiamo ad incontrare gli occhi giudicanti del sesso opposto. Attratti dalla loro luce, cerchiamo un nuovo riflesso. Ci giudicheranno adeguati, apprezzeranno lo spettacolo, andiamo bene, siamo all'altezza? Qualunque autostima ci siamo guadagnati, ora sentiamo di dipendere dalle loro valutazioni. Aspettiamo di danzare. Se dovessi creare una coreografia per l'adolescenza - perché la danza è una forma d'arte particolarmente adatta all'espressione di questo periodo - il sipario si alzerebbe sugli ultimi giorni, lenti e tranquilli, dell'infanzia. Immagina il palcoscenico illuminato da una luce uniforme, i ragazzi raggruppati sulla sinistra del palco, le ragazze a destra, un tendaggio sottile a separarli. Nessuno dei due gruppi si cura dell'altro, tanto sono presi dalla loro propria danza. I movimenti sono quelli di una vita libera, di una totale assenza di imbarazzo, in cui grandi gesti si allungano ad estendere i corpi, che sembrano quasi crescere sotto i nostri occhi. Si seguono a vicenda, imitandosi, sfidandosi, soprattutto i ragazzi, che nelle loro interazioni sono molto più competitivi e combattivi delle ragazze. Dall'altra parte della tenda, le ragazze danzano insieme seguendo le note di musiche differenti, alcune abbracciate ad altre; si pettinano i capelli a vicenda, bisbigliano, leggono insieme; altre giocano con la Palla fin quando non ne nasce un diverbio, la competizione è in agguato, e il gioco scompare. Improvvisamente, un branco di ragazze si apparta e una delle ragazze viene espulsa, lasciata sola a piagnucolare e poi, altrettanto all'improvviso, viene risucchiata di nuovo nel gruppo. Si amano intensamente, ma sono svelte nel mettere in atto i loro giochi meschini; l'ambivalenza segna i loro rapporti, che esprimono un desiderio di rompere l'omogeneità del gruppo e, al contempo, di esserne contenute e consolate. Assistiamo ai passi di avvicinamento alla tenda di alcune ragazze, che vogliono spiare i ragazzi; li invitano a giocare con loro, ma i ragazzi non le degnano di uno sguardo, sono perfino sprezzanti, tanto sono impegnati nella loro danza.
L'energia competitiva che si sprigiona dai movimenti maschili è costante, e quando raggiunge livelli tali da minacciare di distruggere il cameratismo, il ragazzo più forte, più intelligente, stende la mano in un gesto formale, una stretta di mano che viene ripetuta da tutti gli altri ragazzi, finché tutti i movimenti coraggiosi del leader non sono stati imitati dalla banda al completo, che raggiunge così un nuovo grado di eccellenza comune. L'eccitazione della squadra maschile è uno scontro di energia e di moti di sfida che portano l'intero gruppo ad un controllo sempre più elevato delle abilità necessarie allo sviluppo, fin quando non viene raggiunto un grado di perfezione da mozzare il fiato. Nel frattempo, vediamo come la bellezza atletica della dimensione corale sia sostenuta dalle strette di mano ripetute, il motivo che doma ogni minaccia di distruzione. Quando ognuno dei due gruppi è nel suo momento di massima definizione e unicità, quando meno ce l'aspettiamo, un vento urlante spazza via la tenda a divisione dei sessi e spinge le ragazze, i ragazzi, a creare due formazioni rigide poste l'una di fronte all'altra, l'una a fissare l'altra, con lo sguardo puntato sulle persone opposte che erano state così vicine, ma di cui ognuno si era dimenticato dell'esistenza. Cosa vedono gli uni negli altri? Non lo sanno, ma non possono voltare la faccia, tornare alla loro danza individuale, anche se è possibile scorgere il tentativo isolato di qualcuno, che comunque fallisce. Invece, rispondono alla richiesta di eseguire una mutua danza, una danza alla quale non sono stati preparati, ma a cui non possono sfuggire. Come fare a cominciare? Una delle ragazze più estroverse si fa avanti in tutta la sua gaiezza, dando inizio alla sua danza personale indirizzata ai ragazzi, soltanto per poi essere subito richiamata nelle file e rimproverata dalle altre ragazze, che ora sono dotate di un intuito più fine rispetto alla loro leader di prima, su come la danza dovrà progredire. E infatti, numerose ragazze raffinate, finora rimaste tranquillamente sullo sfondo, emergono dal coro e danzano, ensemble, la nascita della bellezza sensuale dalle tenere membra infantili. I loro movimenti sono così squisiti che sembra vogliano lanciare messaggi tra le fila maschili, selezionando gli eroi tra loro, quelli dall'aspetto più atletico, più attraenti, e più sviluppati dei loro compagni. Attraversando la linea dove un tempo c'era la tenda, i leader maschi lasciano con passo sicuro la loro banda, che, disciplinatamente, arretra per lasciare che i suoi eroi compiano quel che è percepito come un destino inevitabile: quelli tra loro dotati di un corpo più atletico condurrano la danza con le ragazze più belle. Così ricordo la coreografia di Sette spose per sette fratelli, West Side Story e di Oklahoma! Nello scrivere queste parole, sento dentro questa danza con la stessa sofferenza che provai allora, quando mi ci trovai in mezzo per la prima volta. Sono in volo, immaginando che le promesse dell'adolescenza risponderanno alle mie preghiere, al bisogno di una neonata che non è mai stata tenuta tra le braccia e amata. Tale è la magia della musica romantica e della danza. Nel corso degli anni ho raccontato quella notte allo Yacht Club, il nostro primo ballo ufficiale nel mondo adulto della "compagnia dei più vecchi", e del mio shock, come se fossi testimone di un evento tanto inconcepibile quanto la morte, perché, come potevo immaginare a tredici anni la caduta e la disintegrazione del mio mondo, del mio io? Tutti gli anni gioiosi dell'invenzione strappati d'un colpo come le pagine di un calendario in un film, a suggerire il trascorrere del tempo. Ma per me, il tempo stava correndo all'indietro, non in avanti, mentre stavo impalata nel mio orribile vestito, le scapole contro la parete, a guardare le mie amiche più care, di cui avevo fino a quel momento guidato la danza, nelle braccia di ragazzi attraenti; e per tutto il tempo quel sorriso spettrale inchiodato sul mio viso, a voler negare che avevo bisogno di essere salvata. Perché anche la ragazza che non era stata capace di fare un solo tiro al canestro in tutta la sua vita, ora era lì che ballava. Anche se tutte loro mi dicevano sottovoce di riparare nel bagno per le donne, non abbandonai il campo. Non so se fu quella notte o qualche tempo dopo, ma alla fine abdicai al mio ruolo di leader, e con esso, gettai al vento tutto il mio coraggio, la mia intelligenza, la mia arguzia, la mia sveltezza; tutte le imprese in cui mi ero esercitata in quegli anni, si dimostravano inutili nel mio desiderio disperato di essere accompagnata nella danza dell'adolescenza. Ho una mia foto scattata nel giardino di casa che potrebbe rappresentare il Primo Giorno dell'Adolescenza. Qualcuno mi ha tagliato i capelli a paggetto, con
la frangia diritta; il mio viso allungato acquista un'espressione ancora più triste, mentre siedo su una bianca sedia di vimini, curvata in avanti, lo sguardo a terra, le mani che si reggono forte al grembo, avviluppata nell'agonia della sconfitta. Chi ha scattato quella foto? Non ne ho idea, anche se ricordo l'obiettivo che mirava a me e a quell'insieme orribile di gonna e camicetta, ereditati da mia sorella, come il vestito dello Yacht Club, che ben si addiceva ad una bellezza, ma così fuori posto per un maschiaccio. Gli adulti si sussurravano a vicenda: "È soltanto una fase, la supererà". Gli psicologi ricorrono ancora a queste parole, come se il dolore e le contraddizioni fossero inevitabili. È proprio così? Io non ne sono convinta. Credo che tutti noi, uomini e donne, tendiamo a sacrificare molto più del necessario per aderire ai modelli rigidi dell'adolescenza. Gli errori più gravi che ho commesso, le strade che non ho intrapreso, le occasioni che non ho colto, oggi ne sono certa, avrei potuto evitare tutto questo, se solo fossi stata capace di portare con me, negli anni adolescenziali, la ragazza che ero stata fino a poco tempo prima. Tenendola a freno, costringendola ad obbedire alle regole di vita ferree a cui tutte le ragazze dovevano attenersi, mi trasformai, per il resto della vita, in una persona estremamente impacciata, troppo prudente, insicura, sospettosa di tutto. E rabbiosa, senza però lasciare uscire allo scoperto la rabbia che provavo nel rinunciare alla mia identità, una rabbia che mi faceva digrignare i denti e che io diligentemente ingoiai e "dimenticai". Le regole rigide dell'adolescenza fecero di me, al pari di quasi tutte le altre donne che ho conosciuto, una persona che ha un grande bisogno di controllo. Condurre un'esistenza piccola, quando per natura la nostra fame è molto più grande, è sopportabile solo se anche tutte le altre ragazze sopprimono i loro appetiti. Forse questo costituisce il motivo più importante per la mia scelta di non divenire madre; non volevo controllare un altro essere umano, ossessionare un bambino chiedendogli perfezionismo, la rigida conformità che acquisii in quegli anni. E per favore non ditemi che la mia volontaria acquiescienza allo stereotipo della Brava Ragazza fu causata dai dettami di una Società Patriarcale bruta e malvagia. Gli uomini non ebbero niente a che fare con la sconfitta della mia adolescenza, se non per il fatto che li desideravo disperatamente e commisi l'errore di credere che ciò che essi volevano coincidesse con ciò che il mondo femminile esigeva: bellezza e passività. Sì, gli uomini ricercano la bellezza, ma vogliono anche altre cose in una donna, come calore, gentilezza d'animo, generosità, senso dell'umorismo, iniziativa. Siamo noi donne che facciamo risalire tutto alla bellezza, alla necessità di ottenerne quanta più possibile, per poi non credere a quella di cui siamo dotate, non fidandoci mai dell'immagine riflessa dai nostri specchi. E così, oggi come non mai, la competizione per la bellezza a tutti i costi continua, e il giudizio delle altre donne rimane il giudizio più importante. L'adolescenza mi sorprese senza che avessi alcuna esperienza di specchi. Per anni vi ero passata davanti senza la minima consapevolezza del loro potere. Quel vetro posto sopra il lavello del bagno avrebbe potuto essere benissimo una parete dipinta. Ero talmente sicura della persona che ero, grazie all'immagine che mi restituivano gli occhi altrui, che bisogno avevo degli specchi? L'impressione che le persone mi rimandavano indietro era fatta di approvazione e di diletto, del loro piacere alla mia presenza. Mi crogiolavo al sole della gentilezza che sentivo in loro, riscaldandomi. Ora, d'un tratto, dovevo stimare i miei averi. Chiudevo la porta del bagno e fissavo la persona alta che si disegnava nello specchio a figura intera; come nelle prove a scuola, cercavo di sommare i miei capelli, la mia faccia, il mio corpo, ma questa volta non ne ero capace. All'improvviso, non ero neanche un contendente. Abituata a vincere, a scuola e nello sport, conoscevo alla perfezione le abilità e le mancanze di tutte le mie amiche, visto che per tutto quel tempo avevo giocato a basket e a baseball con loro. Ero abituata a formare le squadre, e non mi sarei mai scelta per questa nuova gara, che, con mio grande dolore, sembrava la più significativa di tutte le imprese che avessi mai tentato. D'un tratto, nel corso di una notte, seppellii l'immagine di me stessa che mi portavo dentro, e convogliai tutta la mia energia nell'imitazione dei modi, delle pose e dei vestiti della ragazza più graziosa; m'inventai anche una voce sottile, da adolescente.
Improvvisamente, la mia casa si palesava in tutto il suo carico imprescindibile di bellezze di successo: mia madre, incantevole, pronta per risposarsi, e mia sorella La Bellezza. Le liti tra loro durante la cena, dispute accalorate che vertevano su trucco e camicette attillate, ora venivano caricate di significato. Fino a quel momento, seduta in mezzo a loro nell'atto di rappresentarmi tranquillamente estranea alla competizione che ingaggiavano, avevo apprezzato i vantaggi della mia invisibilità. Ora desideravo che la smettessero di litigare e riversassero sulla mia condizione tutto il loro grande sapere in fatto di apparenze. Probabilmente avrei rifiutato le loro offerte d'aiuto, ma ero così disperatamente alla ricerca di un mago della bellezza che avrebbero trovato un candidato disponibile, se solo avessero saputo sconfiggere le mie difese infantili. Sto esagerando? Non credo. La madre della mia amica Molly, dopo avermi dato un'occhiata, mi confezionò una bella gonna e una blusa da mettere nell'ora di danza. Li indossai e mi rivolsi ancora una volta allo specchio, affinché emettesse il suo verdetto; piegando le mie ginocchia sotto la gonna ampia, risultavo più bassa, il che aiutava. Ora potevo appoggiare il capo sulla spalla del ragazzo con cui ballavo, ma le ginocchia piegate dovevano essere manovrate in modo tale che non cozzassero contro le sue, rivelando così il mio "segreto": e cioè, che non ero una piccola, adorabile persona. Guardando alle mie spalle, capisco pienamente la condizione della ragazza anoressica, il suo tentativo disperato di controllare ogni aspetto della vita, che è invece così fuori dal nostro controllo; solo il suo corpo deperito obbedisce agli ordini. Non si usava essere molto magre nel periodo della mia giovinezza, ma, nel Sud, era di moda essere piccole. Fosse stato di moda avere i piedi bendati, avrei zoppicato di buon grado insieme al meglio della mia generazione. Noi ragazze ci trovavamo nel bel mezzo di una gara, una lotta per distruggerci a vicenda in una competizione negativa, in cui l'obiettivo finale era essere di meno, non di più. Perfino le qualità intellettive, soprattutto quelle, i buoni voti per cui un tempo facevamo a gara, non erano cose di cui vantarsi. Ai ragazzi non piacevano i "dizionari ambulanti", il nostro appellativo sprezzante per le ragazze che semplicemente non potevano fare a meno di leggere tutto quello che offriva la biblioteca. Prima dell'arrivo dell'adolescenza, la vita mi aveva insegnato che ogni abilità, dopo un esercizio sufficientemente prolungato, poteva essere acquisita. Ora il mio compito consisteva nel disimparare ogni cosa, nel frenare, parlare meno, pensare meno, essere meno. Ci sarebbero voluti parecchi anni prima di riacquistare la fiducia in me stessa ed esporre in modo scorrevole i miei pensieri, tale era stata la mia abilità adolescenziale nell'interrompere il circuito che legava il cervello alla lingua. Quante volte al college, durante i miei vent'anni, e anche i miei trenta, mi capitava di iniziare ad esporre un'opinione per poi essere subito assalita da un panico vertiginoso, una paralisi strisciante legata al timore di perdere il filo del discorso; tutti gli occhi puntati su di me ed io ero sul punto di essere umiliata. Vent'anni dopo avrei impiegato infinite ore di terapia per riallineare la mia spina dorsale, che non si è mai ripresa del tutto dalla posizione con le gambe curve padroneggiata all'epoca dell'arte della diminuzione. Ma ciò che più mi è mancato per anni fu l'assoluta sicurezza di sé, il coraggio che avevo prima dell'adolescenza, quell'immagine interna di me stessa che faceva di ogni porta che aprivo un'avventura piena di ottimismo; perché le persone non dovrebbero amarmi? Il successo in campo professionale, le grandi amicizie, l'amore degli uomini, nemmeno tutto questo mi fu d'aiuto nel recuperare il grado di fiducia in me stessa, la visione interiore, e anche la gentilezza e la generosità che mi erano propri prima del dominio degli specchi esterni dell'adolescenza. Finché la mia casa non andò in fiamme non potei iniziare a ricostruire, anche se non si può mai riguadagnare pienamente il momento in cui costruire era tutt'uno con l'azione; certe cose sono semplicemente legate ad un periodo della vita, e non è possibile ricatturarle completamente negli anni successivi. Finché il mondo non cambiò d'un colpo - perché l'adolescenza arriva in un attimo - la conquista dell'amore era diventata sinonimo di realizzazione. La comprensione del fatto che potevo ottenere visibilità e ammirazione attraverso la mia intelligenza, il mio senso dell'umorismo, la superiorità in svariati campi, aveva rappresentato una delle esperienze di crescita più straordinarie.
Quando un insegnante scrive una nota di lode in fondo ad una nostra composizione, quando veniamo eletti capitani, capi, presidenti dai nostri compagni, sentiamo di essere stati visti come un bambino diverso da quello che abita la casa d'origine, dove la nostra crescita non ha mutato il primo giudizio espresso dallo sguardo familiare. "Carpe diem !" urla il professore interpretato da Robin Williams alla sua classe di ragazzini assopiti, risvegliandoli alla vita nel film L'attimo fuggente. C'era qualcuno in mezzo al pubblico che non vibrava a quelle parole, memore del potenziale perduto? E solo da pochi secoli che siamo letteralmente in grado di permetterci questi anni chiamati "adolescenza", di dare ai nostri figli l'opportunità di crescere, invece di faticare nei campi o nelle fabbriche per diventare poi genitori a loro volta all'età di quattordici anni. Perché facciamo loro questo dono, se poi non riconosciamo la loro individualità, se non guardiamo estasiati al miracolo del loro sviluppo fisico e intellettuale, così come l'abbiamo ammirato nella loro infanzia? Di certo non sono più così piacevolmente dipendenti da noi, quella dipendenza che ci faceva sentire tante Madonne in terra; piuttosto il contrario, gli adolescenti possono farci impazzire in quel loro alternare il bisogno di scivolare sulle nostre ginocchia e di rivendicare per sé i diritti degli adulti. Per loro sarebbe umiliante chiedere l'amorevole riflesso di se stessi, più appropriato ad un neonato, ma è esattamente quello che vogliono - lo Sguardo nel momento in cui non stanno domandando una privacy totale. E chiedere troppo ad un genitore? Allora perché il dono di questi anni? Il giornale del mattino è pieno di storie di delitti commessi da adolescenti e di gravidanze precoci; campeggiano le foto di belle ragazze di quindici, sedici anni vestite all'ultima moda. Da quello che dovrebbe essere un periodo importante per preparare i ragazzi alla vita, abbiamo creato un mostro. Potrei piangere per ciò che abbiamo dovuto abbandonare per soddisfare lo stereotipo, oggi proprio come allora. E in questa abdicazione includerei anche le belle ragazze, che sono portate a credere in modo assoluto al potere dominante della bellezza. E come potrebbe essere diversamente, dopo che il mondo si è inchinato ai loro piedi? Come dire agli eroi e alle eroine dell'adolescenza che i loro pochi momenti di luce possono essere proprio quelli? Risponderei che dobbiamo insegnare loro il ruolo della bellezza, istruirli su come funziona, sottolineando il potere della bellezza ma anche mostrando loro come soppesare la longevità dell'intelligenza, dell'ingegno, e della compassione in contrasto con il regno effimero dell'apparenza, in modo che questi anni di formazione non vadano sprecati. Siamo stati pericolosamente reticenti nella negazione delle modalità secondo cui la bellezza agisce e diventa bene di scambio, a dispetto di tutte le prediche e i luoghi comuni. Invece, propagandiamo la bellezza su ogni mezzo di comunicazione e contiamo i gettoni guadagnati sulla testa dei nostri giovani. Oggi, le feste di compleanno per le bambine di nove anni si svolgono in saloni di bellezza, dove nugoli di estetisti forniscono servizi di manicure, parrucchiere, trucco, e tutto il resto; agenzie di top-model pubblicizzano video rivolti alle giovanissime su "Come diventare una modella". Se dovessi allestire un curriculum per preadolescenti, li preparerei al nuovo modo di valutare e di essere valutati dal sesso opposto, che si trova proprio dietro l'angolo. Il mio ricordo dell'adolescenza è racchiuso in una porta che si apre all'improvviso, e, dietro, compaiono i ragazzi. Non ero nemmeno conscia di quel che mi era mancato, finché non li vidi e la musica non incominciò a suonare; a quel punto, si levò dai primi giorni di vita un desiderio disperato che esigeva soddisfazione. Tutte le canzoni che avevo cantato sulla sella della mia bicicletta, con le braccia protese come avevo visto fare nei musicals, ora avevano un obiettivo. Fino all'arrivo dell'adolescenza, il mio esibizionismo infantile si era concentrato nello sforzo di conquistare l'attenzione e l'approvazione del mondo esterno nel suo complesso. Adesso, dal momento in cui quella piccola parte del mio cervello si mise a gocciolare e a diffondere tutto il suo elisir nel mio sangue, riconobbi il mio vero pubblico: i ragazzi. Se solo mi avessero notata, se avessero amato quello che stava sotto i loro occhi, e con quello sguardo mi avessero restituito a me stessa. Lo Sguardo. Lo Sguardo dell'infanzia ora affiorava dai giocattoli della nursery a domandare che venisse concessa un'altra chance, che questa volta vedesse come protagonisti i ragazzi al posto della
madre. Il tranello fu che, nella mia mente e nel mio corpo di tredicenne, il desiderio sessuale venne confuso con la brama infantile per la felicità della simbiosi. L'energia libidica resa ora disponibile per il mio sviluppo intellettuale e sociale, fu fatta deviare e reincanalata al servizio del bisogno irresistibile di essere tenuta tra le braccia. Se l'intelletto e la leadership fossero state qualità apprezzabili in questi primi rituali di accoppiamento, avrei potuto continuare a crescere. Nessuno disse mai una parola, ma un esame veloce dell'allineamento maschile e femminile mi suggeriva che se volevo andare a ballare ed essere tenuta tra le braccia dei ragazzi, allora il silenzio e la piccola statura mi sarebbe stati maggiormente d'aiuto. E sarebbe stato soltanto uno di loro. Ai miei occhi, solo un ragazzo aveva il potere di risvegliarmi. Malcom, il leader del branco, James Dean, Elvis, alter ego del mio io di bambina sepolto dentro il guscio di sicurezza di sé, di autonomia, che avevo costruito. Come potevo conoscere la differenza tra desiderio sessuale e bisogno di comunione? Malcom, il duro in giacca a vento, le maniche della T-shirt arrotolate sopra i muscoli delle braccia, gli occhi e le spalle sempre atteggiati in modo inflessibile, per me significava la roccia a cui aggrapparsi, il principe inarrivabile per cui avrei ucciso qualsiasi drago. Una contraddizione, lo so, ma le contraddizioni sono il segno distintivo dell'adolescenza. Malcom però non mi vedeva neppure. Il suo sguardo mi oltrepassava e andava dritto ad un ragazza che conoscevo da sempre, una che non sapeva colpire a baseball, che non era capace di arrampicarsi su un muro, o capitanare una classe. Una ragazza bella, di cui gli odierni studiosi di ideali di bellezza avrebbero detto che possedeva la perfetta associazione di grandi occhi, mento stretto, mandibola ampia, fianchi prosperosi e, naturalmente, seno. La invidiavo? A qualche livello preconscio di sicuro ne ero invidiosa, perché non ho mai perso di vista Malcom in quegli anni adolescenziali, non ho mai smesso di desiderarlo, il ragazzo impossibile, l'essenza dell'amore romantico. Ma non potevo permettermi di odiare la ragazza che aveva scelto, che era una mia amica e rispetto alla quale avrei negato con violenza ogni sentimento di competitività. I ragazzi erano l'obiettivo, ma il gruppo delle amiche rappresentava il porto sicuro. Invece, impiegai una delle tattiche più efficaci contro il riconoscimento dell'invidia: idealizzai la mia rivale. Lei era bella, perfetta, così fuori misura per me che sarebbe stato impensabile considerarla una rivale. Sorridevo in sua presenza, le stavo appiccicata come non mai, e raccontavo a me stessa che ero felice di uscire con uno dei luogotenenti di Malcom. Se in questa nuova gara di desiderabilità non ero più la leader del mio branco, ero però quella più incline ad uniformarmi all'identità collettiva. Benché tutta la mia vita di sogno, quella della veglia e quella notturna, fosse ora invasa dall'amore per i ragazzi, non mettevo mai in discussione le regole di casa. Mi risolsi così ad applicare il mio spirito competitivo ad una gara in cui distanziare tutti nell'osservanza delle regole della Brava Ragazza, il che voleva dire Niente Competizione e Niente Sesso; per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare nessuna nell'atto di proclamare ad alta voce Le Regole, o di ammonire che la rottura delle regole anti-sesso avrebbe comportato l'eliminazione automatica dal Gruppo. Ma esistevano, e formavano il perimetro più strettamente delimitato che abbia mai conosciuto da quel momento. Il gruppo delle ragazze era il petto collettivo su cui poggiavo il capo, la Grande Madre che vigilava con il suo occhio disciplinare; anche se ho sempre sentito che nessuna nel nostro gruppo desiderasse i ragazzi con la mia stessa passione, allo stesso tempo, nessuna si atteneva alle Regole più scrupolosamente di me. Ogni tanto ho pensato di telefonare alle ragazze della mia giovinezza e di chiedere loro se a quel tempo assaggiavano il frutto proibito. Ero forse l'unica che, pur morendo dalla voglia di oltrepassare il limite, di darmi completamente al ragazzo amato in cambio di affetto, si asteneva? In realtà, le esperienze sostitutive del rapporto sessuale erano a loro modo abbastanza appaganti. Per quel che mi riguarda, arriverei a sostenere che alcune delle ore più appassionate e interminabili della mia vita le ho trascorse in quelle auto parcheggiate, con la musica romantica dell'autoradio ad alimentare il senso dell'abbandono dei confini, del mio corpo che si librava in volo, in
qualche modo, la formazione di una sensazione orgasmica suprema nel penetrare l'io del ragazzo al mio fianco in modo così completo, da trascinarmi in uno stato di semicoscienza. Più studio il potenziale orgasmico delle donne, il potere della fantasia di provocare orgasmi senza che vi sia un contatto fisico di qualche tipo, e più mi convinco che questo era il risultato della passione che si sprigionava nell'abitacolo delle auto parcheggiate della mia gioventù. Non ho mai capito il motivo per cui, al mio ritorno a casa, i miei bei pantaloni bianchi di cotone perfettamente allacciati fossero bagnati. Non permettevo che toccassero il mio seno e i miei genitali; succedeva tutto nella mia testa. Il segreto dell'appagamento sessuale risiede più tra le nostre orecchie che tra le nostre gambe. Potevo tranquillamente fare a meno della penetrazione, che incombeva come l'Inferno con la sua minaccia di ostracizzazione dal Gruppo. Cosa ne potevamo sapere, noi stupide vergini, di come si restava incinta? La promessa mentale che avevo fatto a me stessa funzionò meglio di ogni mezzo preconfezionato: una "gomma mentale" piantata con determinazione dentro la mia testa da mia zia e dalle mie insegnanti, insieme a tutti i libri che avevo letto e ai film che avevo visto, che provocarono in me la voglia di vedere il mondo, di essere una persona avventurosa. Per quanto struggente fosse il mio amore per i ragazzi, le cui braccia mi promettevano l'unione simbiotica che mi era mancata nei primi anni di vita, ancora più potente era la prospettiva di avere molti uomini, molte avventure, che sarebbero andate in fumo nel caso di una gravidanza, che voleva dire ripetere il percorso di mia madre. Ecco il potere del modello di ruolo negativo! Per il momento, la droga preferita consisteva nel perdersi al suono di una musica romantica. E tuttavia non penso ai miei anni di ragazza come alla Grande Tragedia Americana. Le persone, in quel luogo meraviglioso in cui divenni adulta, erano gentili, e nel ricordo affiora tutta la loro accettazione e il loro affetto, nonostante i miei sforzi condannati all'insuccesso di diventare piccola e carina. Nessuno mi chiese di trasformarmi in questa brutta copia della "Ragazza Ragazza". Il lato tragico della faccenda è che mi ci è voluta una vita per liberarmi di quel ruolo. All'epoca in cui partii per il college, mi consideravo la ragazza più felice della città. Non ero stata eletta la ragazza più popolare del mio corso? Anni dopo, quando ritornai tra quelle stradine incantevoli in compagnia del mio precedente marito, la gente che egli incontrava gli diceva: "Tutti volevano bene a Nancy Friday". Ed effettivamente era così. Il sorriso dietro al quale trinceravo la mia rabbia per aver dovuto rinunciare alla mia identità, divenne il simbolo della persona in cui mi ero trasformata. Il segno del cerchio dorato che circondava tutte noi Brave Ragazze, stava a testimoniare che ero ammessa al club. Giacere solamente tra le braccia di un ragazzo/uomo e sentirsi adorate, rendeva degno di valore ogni sacrificio, e quando all'inizio dei miei vent'anni ebbi infine il mio primo rapporto sessuale, fui la persona più acquiescente che si potesse immaginare: delegai a lui ogni responsabilità; non usai alcun metodo contraccettivo. Non fu affatto un comportamento tipico della ragazza affidabile che ero stata prima dell'adolescenza. Con una forza maggiore di quella che si cela nelle parole, l'irresponsabilità sessuale delle donne parla alla madre, rassicurandola sul fatto che siamo ancora la sua bambina: "Vedi mamma, faccio sesso, ma non sono una compagna alla pari. Ho affidato a quest'uomo/ragazzo la proprietà del mio corpo proprio come un tempo l'ho affidata a te". 4.2 - Pubertà: "Un addio all'infanzia" G. Stanley Hall, uno psicologo vissuto a cavallo del secolo scorso, scrisse che l'adolescenza è "una seconda nascita", un periodo di innalzamento della creatività (1). Secondo Hall, in nessun altro momento della vita ci viene data una simile opportunità. L'alternativa è che il futuro della nuova generazione di adolescenti conosca uno sviluppo,un avanzamento in termini di civilizzazione, oppure che questo tempo prezioso vada irrimediabilmente perduto. Il modo in cui vivremo gran parte della nostra vita futura è inestricabilmente connesso agli eventi intercorsi nell'adolescenza; questi anni sono stati per noi un picco cui è seguita una vita tutta in discesa, oppure un periodo angoscioso di adattamento, che, ad uno sguardo retrospettivo, ha influenzato pesantemente
tutte le scelte determinanti della nostra vita? La percezione netta per cui alcuni di noi non si dimostrano all'altezza delle richieste che ci vengono rivolte in quella fase della vita - non ultima delle quali, la bellezza - è talmente dolorosa che il terreno perso in questi anni di competizione non verrà mai più riguadagnato. Come spiega lo psicoanalista Peter Blos, "prende forma una consapevolezza progressiva della rilevanza delle proprie azioni per il proprio ruolo e la propria posizione nella società, nel presente e nel futuro". Citando Inhelder e Piaget, Blos scrive che nulla differenzia l'adolescente dal bambino più del fatto che "il suo pensiero va oltre il presente... impegna se stesso nel regno del possibile" (2). Perché allora tendiamo a denigrare l'adolescenza, preferendo vederla come un fenomeno a metà strada tra un'opera comica e un periodo travagliato di adattamento? Gli adulti sorridono o piangono per gli estremi emotivi dei teenagers, in attesa che gli anni passino; ci comportiamo come se non fossimo capaci di richiamare alla memoria in modo vivido la nostra propria adolescenza, il che può spiegare la riluttanza a concedere ai nostri figli adolescenti la pazienza e la comprensione che meritano e che noi non abbiamo ricevuto. È possibile che li invidiamo? Abbiamo letteralmente acquistato questi anni, grazie al duro lavoro e ai livelli di prosperità raggiunti, in modo che i nostri figli possano attraversare in modo più utile gli stadi emozionali, intellettuali, biologici della "seconda nascita", invece di essere costretti a faticare e a procreare ad un'età eccessivamente precoce. Abbiamo consegnato loro questi anni, ma nessuno strumento mentale che li guidasse al loro uso migliore. Sì, io penso che ci sia dell'invidia da parte nostra. Come spiegare altrimenti il fatto che il ruolo dell'adolescenza, rispetto ai primi anni di vita, è stato trascurato fino a poco tempo fa da parte degli studiosi del comportamento dell'epoca moderna? Il filosofo inglese John Locke vedeva nell'adolescente una persona incompleta in attesa di essere trasformata in un adulto tramite l'istruzione, le lettere, l'autocontrollo e il senso del pudore; nel diciottesimo secolo, la visione romantica dell'adolescenza del teorico politico francese Jean-Jacques Rousseau era contenuta nel suo ritenere che fosse il periodo della vita che più si avvicina allo "stato di natura". Ma ai giorni nostri, nei nostri tempi da tecnologia avanzata, opterei per le parole di Peter Blos: "Le società democratiche e capitalistiche dell'occidente forniscono a stento processi o tecniche che definiscano il ruolo dell'adolescente, né questo tipo di società offre un riconoscimento ritualizzato dello status di cambiamento rappresentato dalla fase adolescenziale... Durante l'adolescenza, in netto contrasto con la prima infanzia, l'assenza di modelli istituzionalizzati è impressionante. La società, per così dire, abbandona la gioventù e lascia che si arrangi per conto suo" (3). "Una seconda nascita." Siamo gli unici primati caratterizzati da questo lungo processo evolutivo nel corso della vita, chiamato appunto adolescenza. I primati inferiori nascono, crescono, finché non sono in grado di riprodursi, e fanno questo automaticamente, in continuazione, fino alla loro morte, proprio come la generazione che li ha preceduti. "Gli animali fisicamente sviluppati semplicemente non sono benvenuti nella tana della famiglia", scrive la sociologa Virginia Rutter; "la competizione sessuale rende insostenibile la coabitazione. Ma negli animali, la maturità fisica coincide con l'acume mentale, e così il loro allontanamento non è un rifiuto."(4) Prova a immaginare se, una volta raggiunta la pubertà, venissimo buttati fuori di casa; in realtà, non è molto diverso da quel che succedeva realmente fino a tre secoli fa. Non fu solo la prosperità, la Rivoluzione Industriale, ma anche l'istruzione, soprattutto l'invenzione della stampa, che a sua volta richiese l'approntamento di scuole che dunque crearono un periodo, formato da alcuni anni, chiamato adolescenza. Da allora in poi, il giovane, per diventare adulto, dovette imparare a leggere. "Dato che la scuola era progettata per la preparazione di un letterato adulto", scrive Neil Postman, "il giovane inizia a non essere più percepito come un adulto in miniatura, ma come qualcosa di complessivamente differente - un adulto non ancora formato", o un adolescente (5). Ricordi i dipinti del sedicesimo e del diciassettesimo secolo che ho menzionato precedentemente, in cui i bambini piccoli erano ritratti come "adulti in miniatura"? Ebbene, l'apprendimento dai libri, la lettura, le scuole,
l'istruzione, la prosperità, e il loro effetto combinato, alterarono l'immagine della giovane persona adolescente, tanto nell'arte quanto nella vita reale. Viste tutte le traversie a cui siamo andati incontro, perché allora evitare così tenacemente la comprensione psicologica, morale e sessuale dell'adolescente? Abbiamo dozzine, centinaia di buoni libri sull'infanzia, sui bisogni fisici e psicologici del neonato, e anche diversi volumi sul ruolo dei genitori; ma dove si trova la biblioteca dedicata all'adolescenza, che istruisca gli adulti e le persone giovani sui cambiamenti complessi che intervengono dal punto di vista chimico, fisico, emotivo, che prepari i genitori ad assistere nel migliore dei modi i loro figli? "Soltanto un po' di anni fa, il fatto che in campo adolescenziale esistesse una gran confusione, costituiva un segreto apertamente riconosciuto tra gli studiosi più seri dello sviluppo umano", scrive lo psicologo dell'età evolutiva Urie Bronfenbrenner. "Naturalmente, esisteva un buon numero di studi sofisticati ed eccitanti, ma molte cose che passavano per essere ricerca erano, al massimo, materiale di bassa qualità."(6) A partire dal 1985 e con l'istituzione della Society for Researching Adolescence, la situazione è mutata; ma è tardi. Dove sono i documentari televisivi che affrontano il tema di come ci si sente a tredici, quindici anni, che mettono in scena come questi anni modelleranno e determineranno così tanti aspetti del resto della vita? Hai mai visto un manuale d'istruzioni per genitori di figli adolescenti sulla lista dei best-seller? Creiamo un mercato già sovraffollato di prodotti per i teen-agers, che rastrella milioni di dollari ogni anno -quasi 100 miliardi di dollari l'anno nel 1994 - ma non abbiamo il tempo o la volontà di studiare il loro sviluppo con la stessa accuratezza impiegata per quando erano neonati.(7) Abbiamo un universo in continua crescita di specialisti in geriatria, per controbilanciare il nostro universo di pediatri, ma dove sono gli "adolescenziatri"? La mia risposta affrettata, ma onesta, consisterebbe nel ritenere che di tutto ciò è responsabile la nostra invidia per gli adolescenti. Proviamo risentimento per il ritratto della loro bella sessualità, per il fatto che hanno una vita davanti a loro, e che, per contrasto, una vita si stende dietro le nostre spalle. Guardandoli, non possiamo fare a meno di ricordare la nostra adolescenza, con le sue promesse di vita eterna. Allo stesso tempo, li amiamo, amiamo intensamente i nostri tesori, e questo è precisamente il motivo per cui proviamo anche rancore per tutto quell'uscire la sera, mano nella mano, così giovani, così pieni di aspettative, così reminiscenti della nostra giovinezza. Il mondo dei ragazzi diventa sempre più complesso e pericoloso; perché affrontare tutti i problemi e le spese necessarie per prendersi cura dei neonati e dei bambini, per poi abbandonarli, incompresi, sulla riva della pubertà? Dall'altra parte li attende il mondo degli adulti, e, ahimè, la linea che separa la vita da ragazzi e la vita da adulti diventa ogni giorno più indistinta, man mano che gli adolescenti diventano star grazie a film fatti da adulti, modelle con guadagni da top, superstar della MTV, idoli non solo della loro generazione, ma anche della nostra. Forse allora - naturalmente a livello inconscio - non vogliamo che i nostri figli adolescenti ci sorpassino, che ci rammentino, nel pieno fulgore delle loro vite sessuali in fiore, che siamo vecchi. È un paradosso colmo di ambivalenza, e la bellezza sessuale vi gioca un ruolo di primo piano. Amiamo i nostri figli, e forse in nessun periodo della loro vita come quando sono piccoli, dipendenti, "nostri". Il pronome possessivo non può essere applicato nel caso dell'adolescente, che è un groviglio di contraddizioni, che un momento chiede di essere ascoltato, e il minuto dopo implora di essere consolato. Il mondo contemporaneo, i media, la moda, il cinema, il mercato, tutti i riflettori sono puntati sulle persone giovani e belle, come se questi sedicenni fossero il centro dell'universo. E questo può turbare un genitore a molti livelli. Stabilire delle regole per un adolescente è un'impresa difficile anche nei tempi più propizi, e questi non lo sono. I genitori non sono immuni dal provare invidia per i propri figli. Riserviamo i rancori più cocenti per le persone che amiamo più intensamente, siano essi amanti, genitori o figli. L'ambivalenza intrinseca all'amore non conosce legami familiari o età anagrafica. Noi desideriamo il bene dei nostri figli, abbiamo fatto dei sacrifici per loro, ma proprio nell'istante in cui sorridiamo radiosi alla pienezza della loro vita adolescente, al ritratto della loro bellezza, della realizzazione sociale,
intellettuale e sessuale che li strappa al nostro controllo e supera i traguardi che noi stessi abbiamo tagliato, allora siamo presi dal morso dell'invidia. E, negata e chiamata con altri nomi - "Sto solo facendo il tuo bene" - il terribile ruggito soffocato dell'invidia non fa altro che peggiorare. L'adolescenza è una fase sufficientemente complessa da richiedere tre stadi evolutivi: preadolescenza, prima adolescenza, adolescenza vera e propria, o, se si preferisce, pubescenza, pubertà, giovinezza. Ascoltando i nomi degli ormoni che marciano per il corpo di un adolescente - androgeno, estrogeno, testosterone - mi ritornano alla memoria le armate romane: "Insula est parva", perché questi erano gli anni in cui noi ragazze imparavamo i primi rudimenti di latino dalla cara Mrs. Jervey. Mentre leggo delle secrezioni che interessano il corpo adolescente - fluidi, energia chimica che "stimola un balzo in avanti nello sviluppo", che "mette in allerta" i peli pubici affinché crescano - immagino una scena di Tempi moderni di Charlie Chaplin, ruote di macchine, cinghie di trasmissione che marciano sistematicamente in tutte le direzioni. Il ragazzo dorme e tuttavia la marcia continua, stimolando la discesa dei testicoli, la crescita del pene, di ogni osso, organo, tessuto che spinge, s'ingrossa, chiede altro spazio. Una mattina si sveglia e trova il proprio seme sulle lenzuola della mamma. "Oh mio Dio!". Un amico mi racconta delle notti adolescenziali in cui barcollava fino al frigorifero per arraffare latte, pane, carburante per l'esercito che avanzava all'interno della persona in cui si stava trasformando. Un giorno la voce cambia suono, un altro un'erezione improvvisa, non sollecitata, lo sorprende sull'autobus della scuola. Là invece siede la ragazza, a leggere, a sognare, ad ascoltare musica romantica, mentre i suoi eserciti danno inizio alla crescita del clitoride, della vulva, dei seni, dei peli, e, naturalmente, dei foruncoli. Quando un giorno, mentre si trova in classe, all'improvviso inizia a sanguinare e si macchia il vestito. "Oh mio Dio!" Da un corpo di bambina prende forma il corpo di una donna, capace di dare alla luce un altro bambino. Solleva le braccia alla ricerca dei primi peli, allarga le gambe quando si lava per vedere se è spuntato un pelo, si mette di profilo davanti allo specchio nella speranza che siano cresciuti dei seni paragonabili a quelli delle sue amiche. Fa dei sogni e ha delle fantasie che segnalano al suo corpo di rilasciare fluidi; fa anche sogni ad occhi aperti pieni di desideri intensi di intimità, un refrain che giunge dai giorni dell'infanzia, che lei non può ricordare "esplicitamente", ma che nondimeno abbonda della nostalgia di essere care, preziose e protette. Rammenta la descrizione di Daniel Stern del ricordo che un bambino di due anni ha della primissima infanzia, non esatto, non preciso, ma come la "sensazione" di essere già stato in un posto, di aver provato quell'emozione in precedenza. È un processo di associazioni che va indietro nel tempo, e se dovessimo chiederne spiegazione ai nostri genitori, essi non ricorderebbero, perché non hanno provato le nostre stesse sensazioni. E questo è ciò che compie l'adolescenza, una ricapitolazione della prima infanzia. Al lato opposto di queste tenere reminiscenze, c'è un teen-ager con aria di sfida, uno che infrange le regole; vestiti, taglio di capelli, un nuovo linguaggio, un nuovo ballo e una nuova musica inventati per frapporre una distanza tra lui o lei e i sentimenti di vulnerabilità tipici della "seconda nascita", e anche tra loro e noi adulti. Il fatto che noi adulti siamo disposti a comprare con tanta generosità la maschera dietro cui si nascondono i nostri figli adolescenti, la dice lunga sulle emozioni complesse che i genitori provano nei confronti dei loro figli dal recente risveglio sessuale. Regaliamo degli anni ai nostri figli ma ci comportiamo da bambini che non possono tollerare di separarsi dal dono prezioso che hanno consegnato nelle mani di altri; scontrosi, affidiamo loro questi anni ma tratteniamo le istruzioni su come usarli, come far funzionare il giocattolo. Senza la nostra comprensione della loro adolescenza, e anche i nostri migliori auguri - "Buona seconda nascita, mio caro!" - quel dono è imbarazzante, e spesso pericoloso. No, siamo noi che vogliamo essere giovani e belli tentando una seconda adolescenza! "Siamo ottime amiche!" dice la madre, non volendo che si crei una distanza tra lei e la propria figlia, lei nel ruolo della più vecchia, del genitore più saggio, di chi impone la disciplina. Ancora bisognosa di intimità con la propria madre, ma desiderosa di una figura che la guidi, la figlia sorride mostrandosi d'accordo, ma le vengono a mancare le
regole che solo una persona più vecchia può far applicare. Gli adulti di oggi non vogliono sembrare genitori, sia dal punto di vista estetico che comportamentale. Vogliono per sé le sembianze dei loro figli; in qualche forma, anche i figli e le figlie più amorevoli devono provare risentimento per questo. Cosa ne è stato dell'ottimismo che informava la visione idealistica, coltivata dagli intellettuali del diciottesimo secolo, dell'adolescente come l'essere "in stato di natura"? Come siamo giunti alla soglia del ventunesimo secolo con un'immagine dei nostri adolescenti come di avidi consumatori e sibariti irresponsabili? Siamo noi che l'abbiamo prodotta. Se i teen-agers sono ossessionati dalla loro immagine, è perché noi adulti li abbiamo trasformati in acquirenti che darebbero ogni cosa per ciò che promette loro un'identità; poveri piccoli Contenitori Vuoti, non fanno altro che riprodurre i propri genitori, che si sentono ugualmente invisibili a meno che non avvolgano la cavità del loro io negli ultimi, strabilianti abiti di nuova firma. Guardami! Se non mi vedi, morirò! L'ultima campagna pubblicitaria di Calvin Klein mostrava dei bambini piccoli in biancheria intima a beneficio dell'occhio del pedofilo errante, e venne salutata da un tale trambusto sulla stampa che le vendite di Klein andarono alle stelle. Questo è esattamente il meccanismo di funzionamento del mercato, e i nostri adolescenti lo sanno e ridono di noi, invece di mettere in discussione l'aspetto morale dell'evento. Al contrario, prenderanno a modello lo stesso Klein e le sue logiche mercenarie. Non educhiamo i nostri figli ad andare oltre l'amore di sé in favore dell'amore per la specie; di certo, non hanno scorto nulla in noi che potesse ricordare anche solo lontanamente questo comportamento altruistico. La nostra società si consuma nel narcisismo più insano; gli adolescenti ci vedono mentre voltiamo le spalle alle nostre identità, mentre soffochiamo i nostri pregi e il nostro senso morale negli ornamenti e nei beni materiali. Vedono i nostri leader nazionali e internazionali, subdoli e privi di scrupoli, nei telegiornali della sera. Rousseau ci diceva che questi sono anni di svolta, anni in cui una giovane mente mette in discussione e sfida gli standard culturali, per esplorare se stessa, analizzare, mettere in dubbio, dare un contributo. Già assorbiti da se stessi, gli adolescenti dovrebbero essere, potrebbero essere -nonostante noi - proprio le persone adatte a promuovere la loro causa. Essi stessi rappresentano la loro grande speranza per il futuro. Quale migliore corso obbligatorio per lo studente adolescente a scuola, al college, del "conosci te stesso"? Riferendosi all'adolescenza come a quel periodo della vita in cui la prossima generazione sarebbe o progredita, in termini di civiltà, o si sarebbe persa per sempre, G. Stanley Hall si spinse a dichiarare che egli non riteneva possibile costruire, nei momenti successivi dell'esistenza, ciò che era andato perduto nel corso della "seconda nascita". Io sarei d'accordo. Benché abbia una visione sentimentale della mia adolescenza, mi accorgo della quantità di terreno perso proprio in quel periodo. Non sono mai riuscita a rivivere quel momento; sono giunta ad accettare il fatto che probabilmente il mio livello intellettivo sarebbe stato più elevato se non avessi compiuto tante rinunce a vantaggio delle gratificazioni immediate di quegli anni. Sarei stata intellettualmente più ricca, con un sistema etico interiore più organizzato, se fossi stata capace di portare con me le buone qualità sviluppate nell'infanzia. Ricordo che nella prima fase adolescenziale, per un breve periodo, tornai ad interessarmi alle bambole cui ero affezionata; feci risorgere Lulù dalla cantina e, insieme alla mia amica Daisy, mi ritirai ancora una volta nel suo attico a giocare "alla casa". Ma non era come prima. Questa volta non c'erano bambini intorno; piuttosto, assegnavamo alle nostre bambole un linguaggio e un'identità separata da noi. Dicevamo a noi stesse che le sentivamo parlare e muoversi nell'attico, godendo di una vita a noi segreta, ma che tuttavia dipendeva da noi. Strisciavamo per i piani della casa per sorprenderle sul fatto, convincendoci del fatto che le avevamo viste mentre si muovevano. Non ho dubbi che questo breve episodio rappresentò sia il mio ultimo saluto all'infanzia sia il permesso che io davo a Lulù di mettere in atto l'approssimarsi della fase indipendente della mia vita; Lulù doveva vivere senza di me come io sapevo di dover vivere senza mia madre.
Nessuno, nel mio gruppo di amiche, ricevette una spiegazione su ciò che stava accadendo al nostro corpo. Non ci fu alcun tipo di educazione sessuale a casa o a scuola, e nemmeno noi ragazze, che ci conoscevamo da una vita, ne avevamo mai parlato. Se i cambiamenti biologici rimasero per noi un mistero, di certo questi anni non ci vennero presentati all'interno di una cornice, come sarebbe dovuto accadere, con qualcuno che ci illustrasse con passione le ricompense di una crescita intellettuale ininterrotta come ingrediente essenziale per un futuro di gran lunga più eccitante di un matrimonio e di una gravidanza precoci. Saremmo dovuti essere gli esponenti di una generazione che avrebbe fatto progredire la società, che avrebbe oltrepassato i propri genitori, costruito un mondo migliore. La società non deve averlo voluto, altrimenti sarebbe successo. Ad un'occhiata superficiale, l'universo adolescente di oggi presenta poche somiglianze con il mondo giovanile dei miei tempi, e anche con il tuo, se hai più di trent'anni. Ma il ritratto interiore di sé - che m'interessa molto più della carta dell'involucro - rimane il medesimo: turbolento, vacillante, alla disperata ricerca di riconoscimento: "Come mi vedi, così che io possa vedermi?" I ragazzi ci riportano alla nostra adolescenza, alle occasioni perdute, agli eccitamenti sessuali negati. Quando eravamo giovani non capivamo che l'energia sessuale andava anche ad alimentare lo sviluppo delle nostre capacità intellettuali e sociali; ma, forse inconsciamente, ora lo sappiamo, sappiamo che molto è andato perduto proprio allora, non solo l'opportunità di avventurarci nei territori del sesso, ma anche l'intero mondo che non ci fu mai dato di assaporare, ed è questa perdita che i nostri figli adolescenti richiamano alla memoria. Avendo concentrato tutta la nostra energia punitiva sulla soppressione dell'attività sessuale giovanile - come se avessimo il potere di farla cessare abbiamo messo fuori uso l'intera macchina. A meno che non li incateniamo al muro, non possiamo sorvegliare i ragazzi per mantenerli lontani dalla vita sessuale. È il nostro rifiuto a fornire loro un'educazione sessuale e le protezioni necessarie, che garantisce che essi non ci distanzieranno, o ci rammenteranno del nostro mondo, povero di realizzazioni intellettuali e sessuali. Oggi gli adolescenti fanno i conti con tassi crescenti di depressione, suicidio, abuso di sostanze; circa il 30% di essi ha avuto rapporti sessuali all'età di quindici anni. È vero che i tassi di natalità della metà degli anni Cinquanta erano più elevati di quelli odierni, ma in quegli anni le adolescenti che rimanevano incinte tendevano a sposarsi, "e l'economia beneficiava di una situazione per cui anche una persona non diplomata poteva mantenere una famiglia", dice la giovane avvocatessa Margaret Pruitt Clark. "Ciò di cui la gente oggi si preoccupa davvero è che una gravidanza precoce si traduce in dipendenza dal welfare" (9). Quelli che vanno predicando che fornire ai giovani informazioni sul sesso equivale a dar loro il permesso di avere rapporti sessuali, considerano i propri figli alla stregua di animali ammaestrati. Rifiutando di credere che un individuo giovane possa arrivare a vedere il proprio corpo come un tempio che merita protezione, afferma Virginia Rutter, non facciamo altro che svelare i nostri sentimenti nascosti. "Questo suggerisce anche l'atteggiamento negativo che gli americani hanno verso l'adolescenza - la consideriamo una specie di malattia."(10) Esistono delle buone ragioni per non avere rapporti sessuali ad un'età troppo giovane. La fantasia sessuale ha in sé un potere enorme, e un'adolescente è in grado di esercitare una pressione anche più forte su questo gioco: il sogno della vita speciale che l'attende, e che risulterà rovinato se non sarà capace di rimandare il sesso o di ricorrere ad un metodo contraccettivo. Quando un adolescente di saldi principi decide di subordinare la gratificazione sessuale al Grande Schema, e, nonostante questo, un genitore non si fida né fa sentire la sua disponibilità ad essere d'aiuto, il sogno dell'io responsabile può uscirne irrimediabilmente danneggiato. Quando una ragazza si sente emotivamente tradita dalla propria madre che mostra evidenti segni di rivalità, o che non l'ha preparata all'adolescenza e non ha riconosciuto la sessualità della figlia, la gravidanza è in agguato. "Quasi sempre, dietro una gravidanza precoce indesiderata si cela un desiderio inconscio di ricongiungimento con la madre", sostiene la psichiatra Louise
Kaplan, "e una vendetta intrisa di ribellione verso la madre che le ha sottratto il suo affetto."(11) Gli adolescenti di oggi non ci percepiscono come modelli da ammirare e da emulare, facendo leva su corpo e mente per superare i risultati che noi abbiamo raggiunto. Il Sogno Americano era tutto qui: lavorare sodo perché i nostri figli potessero avere un avvenire migliore del nostro. Ma oggi la situazione è disastrosa. Più di un milione e seicentomila ragazzi tra i cinque e i quattordici anni ogni giorno vengono lasciati a casa da soli.(12) Quante delle capitolazioni sessuali dell'adolescenza, che finiscono in gravidanze indesiderate, accadono a seguito del grido appassionato di "Prenditi cura di me! Adorami!", piuttosto che per un desiderio di sesso, che potrebbe trovare soddisfazione in modo responsabile? Abbandonare la sfera della responsabilità crea la dipendenza di un connubio infantile di cui non si è mai goduto. Non avendo conservato dentro di sé la sensazione che qualcuno fece da testimone alla sua prima nascita, la bambina giunge affamata alla seconda nascita dell'adolescenza e ghermisce un frammento di beatitudine simbiotica abbandonandosi nelle braccia di un altro adolescente, invece che rimanere in attesa delle promesse fittizie, inaffidabili, racchiuse in una futura vita adulta. Abbiamo assuefatto i nostri adolescenti al potere dell'Immagine. Essi hanno avvertito la nostra invidia per la loro bellezza e la loro giovinezza, ci hanno sorpresi mentre rubavamo la loro adolescenza, le loro mode, la loro musica, i loro balli, tutto quello che inventano per separarsi da noi. Un'invidia sfrontata, ignara - appresa dagli adulti - è ora un elemento essenziale del loro atteggiamento mentale. 4.3 - Tempio o fogna? Da oggi sono una donna.., o è una "maledizione"?(13) Proprio nel momento in cui la bellezza conta di più, ci svegliamo come da un incubo alla scoperta scioccante che non abbiamo alcun controllo su ciò che sta accadendo ai nostri corpi. Il nostro seno cresce, i vestiti che fino a ieri ci andavano bene, questa mattina sono troppo corti e troppo stretti. Poi un giorno perdiamo sangue e macchiamo la nostra biancheria. Siamo già state in questo posto. Questo sentimento inevitabile di vergogna ci riporta ad un capitolo della nostra storia seppellito anni fa. Riemerge lo scenario delle sconfitte dei primi anni di vita: la ferita d'orgoglio, roba da bambine spaventate che pensavamo di aver sconfitto definitivamente, per sempre, attraverso i risultati raggiunti recentemente, nell'infanzia e nei nostri anni dell'invenzione. Proprio quando pensavamo di aver trovato il nostro posto nel mondo in mezzo alle amiche, dopo aver trasferito il nostro bisogno di identificazione dalla madre a persone della nostra età e della nostra misura, un'ondata di marea che investe e trasforma il corpo e la mente, ci riporta alle umiliazioni della nursery. Il sangue delle mestruazioni risveglia la paura della perdita di controllo che risale ai primi anni di vita, un senso di oscenità del corpo appreso da un'altra donna, oppressa da queste stesse sensazioni verso il proprio corpo. Abbiamo sempre saputo che nostra madre non amava il suo corpo; ora ne comprendiamo il motivo. È una cosa orribile che può succedere soltanto una volta al mese per un periodo che va dai cinque ai sette giorni, ma durante gli altri giorni del mese aspettiamo, sempre nella consapevolezza di essere pulite solo finché, ancora una volta, non torneremo ad essere sporche e inaccettabili. Qualunque immagine di sé una ragazza si sia costruita prima dell'arrivo delle mestruazioni, quel ritratto ora subirà dei mutamenti; i sentimenti negativi che accompagnano la perdita di sangue metteranno in dubbio la bellezza di ogni parte del suo corpo. Le mestruazioni, insieme a tutti i riti e i rituali che le accompagnano, agiscono ad un livello emozionale così profondo che le ragazze non guarderanno mai più alla propria immagine allo specchio con lo stesso ottimismo che caratterizzava il periodo precedente a quelle perdite di sangue, quando il viso, i capelli, le cosce e le braccia le soddisfacevano a sufficienza. Nel riaccendere le sensazioni di perdita del controllo dei primi anni di vita, ora coronate da un sanguinamento che macchia, emana odore e vince il controllo, le mestruazioni diventano il nemico più temuto della bellezza. E non c'è alcun dubbio che lo siano.
Durante il mio periodo di crescita, i soli riferimenti all'igiene femminile erano rappresentati dagli annunci pubblicitari a pagina intera che ritraevano donne attraenti dalle gonne eleganti, e che recavano scritto in un angolo un messaggio discreto: "Modess perché". Perché cosa? Prima della mia prima perdita di sangue non pensavo al mistero delle mestruazioni, anche se oggi direi che quel messaggio riservato doveva essermi rimasto impresso nel cervello. Ma il giorno in cui sanguinai, "sapevo", senza che nessuno me lo avesse mai detto, che se non avessi tenuto per me quel piccolo sporco segreto, esattamente come la signora elegante della foto, non avrei mai potuto aspirare al titolo di Brava Ragazza. Che stupida a pensare che non ero rimasta impressionata da queste pubblicità; non vagavo forse intorno alla cassa della farmacia più vicina a casa in attesa che si liberasse una donna che mi vendesse una scatola di Tampax, tanta era la vergogna di domandarla ad un uomo? Come devono sentirsi oggi le ragazzine che crescono sotto il bombardamento continuo degli spot pubblicitari sull'igiene femminile, che dilatano la questione a livelli di epidemia sanitaria? Sono passati i tempi dell'understatement racchiuso in quel "Modess perché", che, di per sé, non era un granché visto che lasciava tutto sottinteso; il suo posto è stato preso da vedute di raggianti teen-agers sulla spiaggia, di madri e figlie che passeggiano nei campi di fiordalisi, colme di gratitudine per aver superato un altro mese senza umiliazioni grazie a questo o a quell'altro delle dozzine di prodotti per l'igiene femminile che oggi offre il mercato. Le donne pubblicitarie, alcune di loro senza dubbio laureate con lode, hanno il compito di scrivere i testi per questi prodotti ad uso femminile, testi che implicitamente riconoscono lo spettacolo disgustoso rappresentato dai nostri genitali; perché non li ribaltiamo, perché non diamo vita ad una vera rivoluzione nell'auto-stima delle donne? Molto tempo prima dell'arrivo delle mestruazioni, la ragazza è venuta a patti con il fatto che è in grado di controllare la propria vescica e il proprio sfintere anche mentre dorme; tutti i timori infantili legati al fatto che il proprio fratello aveva un controllo superiore al suo grazie al possesso di un "manico" che poteva far uscire o arrestare i flussi, ebbene, tutto quanto è stato dimenticato. Non c'è alcun modo di controllare la comparsa del proprio flusso mestruale, nessun modo di sapere quando inizierà o di essere assolutamente certe che questa volta non macchieremo i nostri abiti in pubblico. A complicare ulteriormente le cose, ora ci rendiamo conto che quella parte posta tra le nostre gambe è fonte di piacere sessuale come di vergogna imminente. Come possiamo anche solo pensare a questo conflitto? Per anni sono passate sotto i nostri occhi le scatole familiari di Kotex e di Tampax, qualunque siano stati quelli usati dalla mamma; li abbiamo visti, ma non potevamo sapere neanche lontanamente come funzionavano, fin quando non è accaduto. Come abbiamo fatto? Devo aver accettato questi elementi come parte essenziale del mio futuro, ma non mi ci soffermavo. Io che mi arrampicavo sui rami di alberi altissimi ed esploravo edifici abbandonati dove c'erano segnali che impedivano il passaggio, ora avevo compiti di investigazione degni del mio tempo. Ma nessun compito investigativo aveva il potere di spaventarmi, fuorché l'attento esame del mio corpo. La masturbazione avrebbe dovuto essere in agenda, eppure curiosamente non lo era. "Non stiamo attrezzando le donne affinché siano responsabili del loro corpo", sostiene Judith Seifer, che ha studiato la fase puberale e ha insegnato educazione sessuale alle adolescenti per più di vent'anni. "Nelle classi di educazione sessuale si scopre che alle ragazze non è stato ancora detto che hanno una clitoride. Sono in lotta da diciotto anni con due case farmaceutiche, la Ortho e la Wyett, a proposito dei modelli in plastica usati negli ambulatori medici che entrambe costruiscono. Il modello della Ortho è una cosina rosa e azzurra in plastica chiara, originariamente pensata per mostrare dove inserire il diaframma. Non ho mai visto un modello degli organi genitali femminili prodotto da una casa farmaceutica per l'educazione sessuale che prevedesse anche la presenza della clitoride. Le ragazze delle mie classi, che hanno tra gli undici e i quindici anni, prendono in mano questi modelli e li guardano, e se sono state abbastanza fortunate da aver già scoperto la loro clitoride e non ne
vedono una sul modello, non crederanno mai ad una sola altra parola che esca dalla mia bocca." Grazie soprattutto ai miglioramenti nella nostra alimentazione, raggiungiamo la pubertà più precocemente di prima. Dalla metà del secolo scorso, la pubertà l'avvento della maturità sessuale e il punto d'inizio dell'adolescenza - è arretrata di un anno al trascorrere di ogni periodo di venticinque anni. Oggi, in media, si verifica sei anni prima rispetto al 1850 - ossia a undici, dodici anni di età per le ragazze; a dodici, tredici anni per i ragazzi. "Quando ero ragazza io, alla fine degli anni Cinquanta, l'età d'inizio era dodici anni e otto, nove mesi", dice la Seifer. "Nel periodo precedente alla seconda guerra mondiale, era probabilmente a tredici anni e più. Il motivo per cui le ragazze di dieci e undici anni dei quartieri poveri delle città stanno iniziando ad avere mestruazioni più precoci e a rimanere incinte, risiede nel fatto che molte di loro hanno più grasso corporeo delle generazioni precedenti; si nutrono di cibi non necessariamente salutari, ma che producono cellule di grasso, e l'estrogeno viene immagazzinato in quel tipo di cellule." Dato che le nostre mestruazioni iniziano sempre prima, si allontana sempre più anche il periodo della menopausa, il che fa sì che trascorriamo trenta, quarantanni della nostra vita a sanguinare, e a preoccuparci. Le mestruazioni toccheranno ad ogni ragazza, e questo ci consola; ma se non giungono abbastanza presto, iniziamo a temere che non arriveranno mai. Uno dei personaggi più popolari creato da Judy Blume parla in nome di tutte le ragazzine quando prega perché le arrivino presto le prime mestruazioni: "Sei lì ad ascoltarmi Dio? Sono io, Margaret. La mia amica Gretchen ha avuto il suo ciclo. Sono così gelosa Dio. Mi odio per il fatto di essere così gelosa, ma lo sono. Vorrei che tu mi aiutassi solo un po'. Anche Nancy è sicura che le arriveranno presto. E se sarò l'ultima non so proprio cosa farò. Oh, ti prego Dio. Voglio soltanto essere normale"(14) Da quel momento in poi, la vita è fatta più che mai di uniformità; quando si profilano all'orizzonte le umiliazioni associate alle mestruazioni, l'uniformità ci unisce in gruppi dai legami stretti; condividiamo il senso di mortificazione della nostra migliore amica nel momento in cui macchia il suo abito, perché siamo ben consce del fatto che potrebbe facilmente accadere anche a noi. Il controllo è la nostra unica arma di salvezza. Dobbiamo scrutarci, stare attente ad ogni movimento, guardarci in ogni istante dalla benché minima perdita di controllo. Una volta iniziato il nostro ciclo, diventiamo maestre di controllo. Le Regole che sovrintendevano al nostro gruppo di amiche, regole che non si potevano infrangere, che avevano il potere di farci bandire dal gruppo come il potere di renderci tutte uguali, ora diventano più inflessibili che mai. Questa nuova attività di controllo va oltre il pericolo potenziale di lasciare una piccola pozza di sangue da qualche parte, come se ora monitorare ogni cosa fosse il compito di noi ragazze. Naturalmente, pignoleria/purezza/controllo hanno sempre fatto parte della nostra esistenza, non solo in quei primi addestramenti all'amministrazione delle funzioni corporee, ma anche dopo, in quei continui ammonimenti della mamma e della maestra che ci ricordavano di abbassare la voce, di modulare la nostra risata rauca, di rallentare la nostra corsa a tutto gas; e poi, naturalmente, venne il controllo del Gruppo sull'abbigliamento e sul comportamento, su tutto. Ora, con i ragazzi, si aggiunge anche il controllo della passione, regole implicite che oggi, all'interno di determinati gruppi, possono consentire i rapporti sessuali con un ragazzo, ma che, nel momento in cui una ragazza abbia due flirt, mentre tutte le altre hanno tracciato la linea da non oltrepassare, fanno scattare le reazioni di punizione, etichettamento, evitamento, esclusione nei suoi confronti. Dopo l'avvento delle mestruazioni e della sua innominabile compagna, l'umiliazione, la minaccia di scomunica da parte del Gruppo carica la vita delle ragazze di ulteriore severità e senso di solitudine. Non c'è nessun aspetto di me stessa che odio con più forza del mio bisogno di controllo, nessun rimprovero da parte del mio uomo che mi spinga così vicina alle lacrime come quando mi dice: "Smettila di cercare di controllarmi!" Era il lato del carattere di mia madre che avevo giurato di non ereditare mai. Quanta amarezza c'è nel fatto di essere riuscite a prendere d'assalto le barricate dei posti di lavoro di esclusivo dominio maschile, e di non aver fatto
nulla per aiutarci a festeggiare l'aspetto più naturale della vita delle donne, il flusso mestruale. "E un comportamento appreso", dice Judith Seifer. "Le ragazze ancora oggi non amano il loro ciclo. Lo chiamano ancora 'la maledizione'. Se si cresce in un ambiente familiare in cui le donne odiano questa esperienza, la disprezzano e la patologizzano, soffrono di forti dolori e assumono pillole contro i dolori mestruali o vanno a letto con un termoforo che cos'altro resta da fare alla ragazza che tenta di mimare il comportamento adulto, se non ripetere le stesse cose?" Riportando le parole della Seifer, ricordo il bicchierino di gin che mia madre portava a mia sorella che si lamentava al piano di sopra. Attraverso le porte chiuse, i gemiti risuonavano due volte al mese per tutta la casa, madre e figlia. Un giorno, durante la lezione di storia, mi arrivarono le mestruazioni; improvvisamente, mi piegai in due dal dolore. Mi alzai diligentemente dal banco, chiesi di uscire, e come il figlio ipnotizzato in The Manchurian Candidate, attraversai la strada incespicando, diretta alla casa di una mia amica, dove trovai la porta chiusa. Fedele alla tradizione familiare, ruppi il vetro di una finestra della cucina per procurarmi del gin. "Gli antichissimi tabù del sangue mestruo non furono necessariamente un'invenzione maschile", scriveva Susan Brownmiller nel suo 'Femminilità' del 1984. "La reclusione in una capanna, l'interdizione dal rapporto sessuale e in generale la lontananza dagli uomini, l'astensione dai lavori agricoli e di preparazione del cibo costituirono risposte del tutto pratiche ai problemi posti da crampi e dalla copiosità del flusso... Per parlar chiaro, le mestruazioni sono una sporca faccenda... che impone circospetti e continui accorgimenti: garantire una protezione sicura, controllare che non ci siano perdite, portare l'assorbente di riserva e cambiarlo, oppure vivere la mortificante esperienza della goccia, del fiotto, della macchia."(15) Non pretendo di fare di un cavolo una rosa, ma perché la Brownmiller e una proto-femminista pugnace come Simone De Beauvoir si comportano "da ragazze" quando si arriva a trattare della funzione che più di ogni altra segnala la nostra capacità riproduttiva? Gli odori, buoni o cattivi che siano, impariamo a sentirli, e la vista del sangue, quando ad esempio filtra attraverso le bende di un combattente, merita un saluto solenne. Perché mai allora il nostro sangue non dovrebbe essere un vessillo sotto cui le donne possano marciare per celebrare la forza vitale che noi sole possediamo, noi, il sesso che detiene il potere di perpetuare la specie umana? Invece ecco cosa scrive la mia eroina, Simone De Beauvoir: "Il sesso dell'uomo è pulito e semplice come un dito; si esibisce con innocenza, spesso i bambini l'hanno mostrato ai compagni con orgoglio e sfida; il sesso femminile è misterioso per la donna stessa, nascosto, tormentato, mucoso, umido; sanguina ogni mese, talvolta è sporco di umori, ha una vita segreta e pericolosa".(16) Una macchia del nostro sangue si porta dietro la vergogna, il segno di una sventura, che annuncia al mondo che quella donna non ha tenuto in ordine la casa e ha mancato di autocontrollo; questa umiliazione la spinge a lasciare di corsa la stanza per rifugiarsi in un pianto inconsolabile, placato da altre donne che possono solo ringraziare il cielo che non sia accaduto a loro. Per il fatto di non essere stata sufficientemente attenta e di non avere saputo esercitare un controllo sovrumano sulla magia del suo ciclo mestruale, che ovviamente sfida ogni controllo, si sente diminuita nel suo essere donna. Alcuni amici ebrei mi raccontano che è loro consuetudine onorare il menarca di una figlia celebrando il suo bat mitzvah, l'equivalente femminile del bar mitzvah dei ragazzi. Questo è positivo, ma è solo un inizio. Il messaggio sociale dev'essere invertito, e presto anche, per abbandonare quella concezione della "maledizione" che rende le donne eccessivamente focalizzate sull'imperfezione del loro corpo. Oggi il nostro lavoro si svolge in pubblico, il che significa che abbiamo gli occhi degli altri costantemente puntati su di noi, che siamo circondate da specchi e da superfici riflettenti che ci turbano ricordandoci che siamo troppo grasse, troppo basse, troppo alte, e forse ignare di aver macchiato i nostri vestiti. Agli occhi della ragazza anoressica, il dominio sulla perdita di peso rappresenta una grande benedizione. Quando diventa sufficientemente emaciata, smette anche di avere mestruazioni. Una volta scomparso il sangue, rimane solo il corpo affamato, simbolo di trionfo e di controllo supremo.
Prima di esporre le ragazze ai brividi competitivi del luogo di lavoro, perché non promuovere una campagna pubblicitaria che fissi il traguardo da primato per le mestruazioni? Potremmo vendere fasce rosse da indossare orgogliosamente sul braccio nei giorni del flusso mestruale. Vent'anni fa scrissi che se gli uomini sanguinassero mensilmente, se fossero loro il sesso che ha il potere di portare un bambino in grembo e di partorirlo, di espandere la specie, onorerebbero tale privilegio il più pubblicamente possibile. Se la comparsa del sangue rappresentasse un rito di passaggio maschile, sarebbe sottolineata da qualche bravata, da uno sparo di cannoni. Invece di infilarsi tra le gambe un tampone di cotone fissato nel modo meno appariscente possibile, il pene del ragazzo adolescente verrebbe abbellito, ornato con un amuleto, fornito di un apparato di fattura magistrale che raccolga il sangue, e lo confezioni per essere usato, puoi starne certa, in qualche schema di carattere religioso o economico. Ho letto che il sangue mestruale è un nutrimento eccellente per le piante, i giardini; bene, se gli uomini avessero le mestruazioni e ne fossero a conoscenza, si accaparrerebbero quella fetta di mercato. Il suo odore verrebbe inalato in profondità, come se si trattasse di Chanel n.5, sarebbe applicato al corpo come un afrodisiaco, un segno di potenza sessuale. Sì, io credo che se i ruoli fossero rovesciati, l'arrivo mensile del flusso mestruale sarebbe una festa che i ragazzi aspetterebbero con ansia. Educhiamo le nostre figlie a credere di poter accedere ad ogni forma di realizzazione, ma le carichiamo del nostro disagio di fronte alle mestruazioni. Il tabù è così profondamente radicato nel mio inconscio che mentre siedo attorniata dalla letteratura recente in materia di cerimonie, libri, corsi, ritali su come le donne potrebbero iniziare le proprie figlie ad una accettazione sana e persino gioiosa delle mestruazioni, metà del mio cervello dice "Sì!" e l'altra metà "Stregonerie!" Da un punto di vista intellettuale, ritengo che nessun handicap fisico inibisca le donne più dell'atteggiamento mentale che esse continuano ad avere verso il corpo che sanguina. Che razza di valore ha un salario pari a quello maschile, se poi abbiamo un'immagine incrinata di noi stesse, come di individui in perenne pericolo, a meno che non possano controllare ogni cosa? "Progettati per bloccare ogni incidente prima che capiti", recita una pubblicità per assorbenti igienici su una rivista per teen-agers. "L'autobus è in ritardo e tu sei presa da dolori tremendi. Stai ritenendo così tanti liquidi che ti senti un cucciolo di beluga...", dice un'altra, la cui frase finale promette: " Efficace finché non scompare." Cos'è che dovrebbe scomparire? Forse il 20% dei nostri anni fertili, quei giorni persi, brutti, e pericolosi, a sentire gli annunci pubblicitari, che continuano a fare il lavaggio del cervello alle ragazzine e alle loro madri. Proprio come è riemersa la sovranità della bellezza nella vita delle donne alla metà degli anni Ottanta - dopo anni di Abiti per il Successo di saia blu scuro anche gli annunci pubblicitari a pagina intera per i prodotti igienici femminili hanno iniziato a crescere vertiginosamente; nel 1986 sono stati spesi 23.974.600 dollari per la pubblicità su riviste di questi prodotti, e nel 1994 la cifra era salita a 40.931.300 dollari (17). La cosa si fa più sorprendente se pensiamo agli spot televisivi che hanno inondato improvvisamente i nostri soggiorni, balzando fuori come un pupazzo a molla quando meno ce l'aspettavamo. Oggi le pubblicità sui giornali e quelle televisive proliferano, in misura maggiore rispetto a dieci anni fa, contribuendo a dare del ciclo mestruale un'immagine che porta a viverlo personalmente in modo ancora più odioso e minaccioso di prima. Sarà interessante vedere come generazioni successive di donne che lavorano in massa, con tanto di conto in banca, faranno fronte, all'ombra della Fogna, alle crescenti domande di bellezza. "Noi non sappiamo come segnare i cambiamenti fisiologici e psicologici impliciti nel diventare donna, o come celebrare questo traguardo", dice Tamara Slayton, responsabile del Menstrual Health Foundation. Fu una gravidanza non pianificata all'età di quindici anni ad indurla a seguire un cammino che sfociò infine nella concessione di un finanziamento governativo per i corsi tenuti dalla Slayton per l'accrescimento delle conoscenze sui meccanismi della fertilità femminile e il festeggiamento del menarca. "Quando iniziai a lavorare con ragazze in età puberale", racconta la Slayton, "mi accorsi che esse non vedevano alcun valore positivo nelle mestruazioni. La
loro avversità verso il flusso mestruale era così profonda che, lo sentivo, alcune giovani donne, nel subconscio, desideravano restare incinte pur di non dovere avere a che fare con il loro ciclo. Nella nostra cultura attuale, la gravidanza è vista in una luce positiva, anche se avviene al di fuori del matrimonio, mentre per le mestruazioni permane una percezione che le riduce ad esperienza negativa. Le trasformazioni ormonali che avvengono nel nostro corpo in questo periodo producono mutamenti corporei, che però non sappiamo assolutamente come sottolineare simbolicamente. Le ragazze si mettono a sfidare il proprio corpo, a prendere decisioni da sole, a indirizzare la loro vita, ma lo fanno attraverso una gravidanza prematura. Così, l'intero fenomeno delle gravidanze nelle ragazze giovani può in realtà avere il significato di un rito di passaggio, che invece potrebbe essere istituito all'arrivo della prima mestruazione." Le madri adolescenti non solo vengono accettate, ma molte ricevono i benefici del welfare state e i buoni pasto, insieme alla stima delle loro coetanee, che le vedono come "ideali di bellezza", ossia donne che hanno volto a loro vantaggio la bruttezza del sangue mestruale. L'idea assurda di predisporre orfanotrofi come soluzione all'epidemia di gravidanze precoci, costituisce una non-soluzione crudele ad un problema fondamentalmente radicato nell'atteggiamento che le donne hanno verso la propria fisicità, nella visione sociale della donna mestruata come sporca, invece che bella, orgogliosa e responsabile verso il proprio corpo. È necessaria un'educazione sessuale, che cominci nelle case, e venga poi sottolineata e riaffermata nelle scuole. "Se una madre vive male il proprio corpo, non dovrebbe parlarne in presenza dei figli", sostiene Ann Kearny-Cooke, una psicologa specializzata in questioni legate all'immagine corporea. "I bambini iniziano presto ad identificarsi con i loro genitori, a prendere a prestito la loro autostima. Un genitore deve sforzarsi di capire la storia della propria immagine corporea, così da non proiettare l'avversione che nutre per alcune parti del proprio corpo sul figlio. Le madri che si vergognano del loro sesso, del loro seno, dei loro organi genitali, anche senza dire una parola, trasmettono questa sensazione alle figlie." Farei un passo oltre e inviterei le madri a raccontare onestamente alle figlie le sensazioni che provano per il proprio corpo e per le mestruazioni; la ragazza conosce già la verità. E il fatto di sentirlo dire a voce alta dalla propria madre che può produrre su di lei un effetto liberatorio, soprattutto se la madre esprime il suo desiderio affinché la figlia coltivi un'immagine di sé migliore della propria. Se non è in grado di parlarne o non ne ha l'intenzione, allora la Buona Madre dovrebbe fare in modo che la figlia parli con qualcuno che abbia un atteggiamento salutare verso le mestruazioni. Il che, a mio parere, costituisce uno dei grandi doni che una madre può fare ad una figlia. Concordo con Tamara Slayton sul fatto che "noi veniamo silentemente iniziate alla vergogna, e, in questo processo, alla ragazza viene fornito un quadro molto chiaro di ciò che significa essere femmine e di come ignorare i suoi ritmi corporei in quanto fonte di forza e di ispirazione". Questo silenzio che circonda il ciclo mestruale irrompe anche nel regno delle nostre corde vocali, ammutolendo ragazze loquaci di dodici, tredici anni, completamente a disagio nel rapporto con il proprio corpo, di cui non si fidano più; la ragazza di ieri, ricca di parole e d'inventiva, oggi è insicura, restia ad attirare l'attenzione su se stessa, timorosa di parlare prima di aver controllato minuziosamente la frase nella propria testa e la propria immagine fisica, continuamente intenta a lisciarsi la gonna, a rendere vaporosi i capelli, e a controllare con aria incerta la parte posteriore del suo vestito per assicurarsi che sia pulito. Cosa succederebbe se attirasse l'attenzione su di sé proprio nel momento in cui il suo corpo l'ha tradita? Meglio non parlare del tutto. Il silenzio della famiglia e della società sull'evento del menarca spiega il riadattamento negativo, che si verifica al momento della pubertà, in ragazze un tempo vivaci e sicure di sé. Aggiungi a questo ostacolo i riflettori puntati in modo esasperato sulla bellezza e l'apparenza, e si ottiene una generazione di giovani donne addestrate a guadagnarsi il loro spazio in un mercato del lavoro competitivo dove, peraltro, saranno ancora afflitte dall'ansia suscitata dalle mestruazioni.
Diversi secoli addietro, la donna mestruata era considerata benedetta; secondo il dizionario Webster, la parola blessing (18) deriva dall'inglese antico bletsian, ovvero sanguinamento. Dal tempo di Aristotele, scrive Barbara Walker, autrice di The Woman's Encydopedia of Miths and Secrets, si pensava che gli esseri umani prendessero forma nell'utero da sangue mestruale coagulato, una credenza insegnata nelle scuole di medicina europee fino al diciottesimo secolo (19). Nelle storie della creazione mediorientali, o di altra provenienza, è una dea a creare il genere umano, miscelando argilla con il suo sangue mestruale; è possibile rintracciare l'influsso di questa credenza nel nome di "Adamo" che compare nel Vecchio Testamento, che deriva dalla parola ebraica adamah, ossia "argilla insanguinata". Tuttavia, quando in Europa si diffuse il cristianesimo, con esso si diffuse anche l'idea dell'impurità delle donne legata al sangue mestruale. Tra l'antico culto del sangue mestruale e l'isteria che oggi investe le mestruazioni dev'esserci una via di mezzo, un margine di equilibrio mentale e di accettazione. "Le ragazzine oggi imparano a non fidarsi del loro corpo", dice Judith Seifer. "Loro dicono: 'Dal mio corpo posso solo aspettarmi che mi renda puzzolente, sporca, impedita, dolorante, lagnosa'. Oggi, la sindrome PreMestruale viene ufficialmente considerata un disturbo psichiatrico a tutti gli effetti. Qual è allora la differenza tra questa concezione e quel che succedeva in epoca vittoriana, quando si assumeva che l'isteria femminile dipendesse dalle mestruazioni di una donna? Era considerato un disturbo a carattere involutivo o ciclico. Le donne venivano rinchiuse per questo." Sia che abbiamo cinque o cinquantacinque anni, il fattore predittivo numero uno della nostra autostima risiede nella percezione che abbiamo del nostro aspetto fisico, suggerisce la psicologa Susan Harter, che studia i problemi connessi all'autostima da vent'anni. Le notti e i sogni diurni di una ragazza sull'orlo dell'adolescenza sono completamente invasi dal romanticismo, dall'amore e dalla bellezza. Non è mai stata più sensibile al suo modo di apparire, che le regalerà l'amore e la favola, i baci, gli abbracci, il riaccendersi del senso di unità e di leggerezza tra le braccia di un ragazzo. "Prendimi, tienimi con te, non lasciarmi mai", canta la voce di sogno che proviene dall'autoradio. Quando lui allunga le mani tra le sue gambe, l'illusione del "Portami via con te!" è già in frantumi. Da quando ha avuto le prime mestruazioni, pensa che quella parte del suo corpo sia doppiamente intoccabile, e lui vorrebbe mettere la sua mano proprio dove il sangue esce a fiotti, nel luogo d'origine di quell'odore sgradevole? Come può rovinare tutto, facendola sentire orrenda proprio nel momento in cui si sentiva amata? Il ritratto di sé che coltiva nel suo intimo, cola a picco: non solo il momento romantico, ma tutta la sua autostima ora è azzerata. L'adolescenza definisce proprio il territorio di appartenenza di questa discussione; è li che ha inizio il ribrezzo verso se stessi, originatosi in un'avversione pressante verso i propri organi genitali, trasmessa dalla madre, che a sua volta l'ha ereditata dalla propria madre. Ora sì che capiamo perché la mamma odiava i suoi genitali. Ora siamo divenute anelli di una catena generazionale che andrà a vincolare anche la vita delle nostre stesse figlie, tramite quel triste, oscuro disgusto per il sangue mestruale. La maggior parte delle donne è convinta di sanguinare a grandi fiotti, in un flusso interminabile di sangue, quando la verità è che le più, ad ogni ciclo, ne perdono una quantità pari a circa sei cucchiai. Se tendiamo ad esagerare la quantità complessiva di sangue perso, diviene comprensibile il motivo per cui immaginiamo anche che questo abominevole canale di scolo abbia contaminato altre parti del nostro corpo. Le adolescenti sono ossessionate dalle braccia in carne, dalle pance tonde, dalla mole delle cosce. Bene, se non è in loro potere controllare il flusso o il cattivo odore, allora controlleranno il loro peso; qualunque tipo di curve esse desiderino, le potranno sviluppare attraverso la ginnastica, ammesso che abbiano l'energia necessaria per fare esercizio fisico. Cosa pensano i giovani di oggi dei capolavori di Rubens, che ritraggono donne in carne, ricoperte di rotoli di grasso, immortalate nei giardini insieme ai cigni, abbandonate tra le braccia di uomini, a cavallo di tori, animali/uomini che le portano via con sé per farci l'amore? Sesso con tutto quel grasso? Che orrore! Le icone della bellezza dei nostri tempi, quelle emulate dalle adolescenti e
dalle loro madri, sono di una magrezza estrema, quasi embrionale, alcune hanno gli occhi sporgenti, le facce da animale randagio, emaciate. Non è per gli uomini che moriamo di fame, ma perché cerchiamo lo sguardo di approvazione sul viso delle altre donne, affinché rispondano con ammirazione di fronte al successo di essere riuscite a trasformare le piacevoli rotondità del nostro corpo in angoli e spigoli. Non riesco a ricordare quando ha preso forma questo ritratto mentale di mia madre in piedi davanti al camino della casa in cui vivevamo quando avevo undici anni. È l'ora del cocktail e lei sta chiacchierando e ridendo insieme ad un uomo, mentre io sono seduta sul divano, intenta ad osservarli. Improvvisamente, mi accorgo della presenza di una piccola pozza di sangue sul pavimento, proprio in corrispondenza del punto in cui si trova la mia graziosa mamma, e io sono assalita da un senso di orrore, senza parole, proprio come lei. È l'uomo a dirigersi in fretta verso la cucina, e a ritornare con dei tovaglioli di carta per ripulire il sangue dal pavimento. Lui non è per niente a disagio, ma noi donne - perché ora il fatto di sanguinare ci unisce... a questo punto, la telecamera posta nella mia mente si blocca e non mi mostra ciò che è avvenuto dopo, ammesso che l'intero incidente sia davvero accaduto. Non l'ho mai saputo con certezza, e mia madre, cui ho telefonato poc'anzi, è inorridita dalla storia. È tutto frutto della mia immaginazione, l'incubo dell'umiliazione di una ragazzina di undici anni che è appena diventata una donna. La memoria, scriveva Oscar Wilde, è il diario che narra cose che non sono mai avvenute e che non sarebbero potute avvenire in alcun modo. Alcuni uomini maneggiano il corpo di una donna che ha le mestruazioni con una facilità superiore alla nostra, e non posso fare a meno di pensare con profondo affetto agli amanti della mia vita che si sono dimostrati prontamente disponibili ad acquistare una scatola d'emergenza di Tampax in una farmacia affollata; la loro mancanza di vergogna mi suggerisce qualcosa, come quegli uomini che hanno amato autenticamente il mio corpo durante le mestruazioni, ritirando il loro pene insanguinato e macchiando così le lenzuola, nel pieno di uno stato di abbandono che mi diceva qualcosa... qualcosa d'importante, ma cosa? Forse che il mio senso di vergogna potrebbe essere disimparato? Come ho detto prima, non ho mai dubitato del fatto che, se fossero gli uomini a sanguinare mensilmente, ogni giorno del mese sarebbe scritto in rosso. E quanta amara ironia c'è nel fatto che siamo proprio noi donne lavoratrici di successo a lanciare le campagne pubblicitarie e a pianificare il marketing che permette ad un'industria con profitti elevati, come quella dei prodotti per l'igiene femminile, di promuovere un'immagine della donna come persona sudicia. Ricordo bene il giorno in cui, vent'anni fa, mia zia - l'eroina dei giorni della mia infanzia - mi parlò della sua idea di scrivere un libro sulla menopausa, fase in cui lei era entrata da poco. "Ho telefonato a tua madre", aggiunse, "ma non ne vuole parlare." Lei non scrisse mai quel libro, ma negli ultimi anni altre donne l'hanno fatto. Quasi ogni giorno viene pubblicato un articolo che tratta di altri nuovi elementi che si aggiungono nel campo della ricerca sulla salute femminile; dato che viviamo più a lungo e diventiamo più benestanti, vengono istituite nuove divisioni all'interno delle compagnie che si occupano della produzione di una linea in perenne crescita di prodotti per la salute della donna. E nonostante ciò, le nostre menti indagatrici si arrestano al limite delle mestruazioni, come se si trattasse dello Stige. Invece di cercare di comprendere l'origine del disgusto per il nostro corpo, ci dedichiamo più che mai alla rincorsa della bellezza, di un pacco deliziosamente vuoto che ha la pretesa di negare quello che si nasconde all'interno. La nostra ignoranza deliberata è un modo di restare attaccate alle nostre madri e alle nostre nonne? Man mano che la nostra vita muta seguendo una progressione geometrica, l'ignoranza è forse il nostro modo di aggrapparci al passato? All'incirca cinquant'anni fa, Simone De Beauvoir scriveva: "È difficile recitare la parte degli idoli, delle fate, delle principesse lontane quando si ha tra le gambe uno straccio sporco di sangue; e, in linea più generale, quando si avverte tutta la miseria originaria di essere un corpo" (20). Quando la Brownmiller citava queste parole in 'Femminilità', avrei voluto che correggesse la De Beauvoir, ne ammodernasse il pensiero con un nuovo tono di approvazione femminista, legando le mestruazioni al dominio pieno e ricco della fertilità.
In 'Meeting at the Crossroads' di Carol Gilligan, in cui si documentano i cambiamenti drammatici cui le ragazze preadolescenti vanno incontro man mano che passano da uno stadio all'altro, questa femminista di orientamento matriarcale evita del tutto di menzionare le mestruazioni. Che razza di evitamento è questo? Secondo un articolo di Susan C. Roberts, comparso sul New Age Journal, nella scuola privata femminile in cui la Gilligan e la sua collega Lyn Mykel Brown condussero la loro ricerca "si otteneva una reazione accigliata appena si nominavano esplicitamente simili argomenti"(21), come le mestruazioni. Innominabili? Come è possibile scrivere un libro sul passaggio dagli anni di latenza all'adolescenza ed omettere il tema delle mestruazioni, che costituiscono il simbolo del Bivio? L'altro motivo per questa omissione è però ancora più triste, e cioè l'intenzione della Gilligan di evitare di attirarsi il biasimo delle altre femministe, "in quanto quell'inclusione avrebbe potuto far supporre che le donne sono 'essenzialmente' diverse dagli uomini" , afferma la Roberts. "Se avessero iniziato ad enfatizzare il ruolo del menarca, sarebbero state accusate di unirsi al coro di reazioni contro il femminismo, attraverso un'operazione che mascherava il vecchio argomento sessista per cui 'l'anatomia è un destino' dietro una foggia più consona ai tempi."(22) E così, una femminista di primo piano, una pensatrice brillante le cui parole hanno un peso enorme nel mondo femminile, omette di menzionare le mestruazioni per paura che Le Altre Ragazze la mettano al bando. La tirannia degli uomini non è davvero nulla in confronto a quella esercitata dalle donne su altre donne. In realtà, è proprio attraverso l'omissione che queste femministe enfatizzano il vecchio argomento per cui "l'anatomia è un destino"; perdere sangue ogni mese è il nostro destino, il simbolo del nostro potere di perpetuare il genere umano. Proprio la negazione femminile - e non la Cattiva Società Patriarcale - ha portato alcune donne ad annullare per inedia il proprio flusso mestruale. Se non ci affrettiamo a sollevare le mestruazioni dal potere contaminante della fogna immaginaria, e non impariamo a celebrare il loro arrivo, avremo mancato l'incontro al Bivio. 4.4 - In onore della masturbazione. Prova ad immaginare come sarebbe diverso se fossimo cresciute pensando ai nostri organi genitali come ad un disegno dalla forma elegante e ad una naturale fonte di piacere; cosa ne sarebbe stato di noi se non fosse mai esistito il tabù che riguarda quella parte del corpo che si riduce a costante ricordo di contesa e indecenza? Sappiamo dagli studi di Simmons e Rosenberg che ragazzi e ragazze hanno immagini di sé quasi equivalenti fino al sopraggiungere dell'adolescenza, fase in cui l'autostima è sottoposta a cambiamenti significativi lungo le linee di genere, e molte più ragazze, rispetto ai ragazzi, diventano timide (23). Se si chiede a delle adolescenti: "Quanto ti trovi bella?", è molto meno probabile, rispetto a delle bambine, che rispondano: "Molto bella". E maggiore è l'importanza che attribuiscono all'aspetto fisico, più acuta è la loro timidezza (24). Visti i cambiamenti fisiologici cui si va incontro in questi anni, sarebbe strano se gli adolescenti non divenissero più coscienti del ruolo degli specchi. A quest'età, i ragazzi e le ragazze tendono "a non distinguere tra ciò che gli altri pensano e la loro stessa apprensione, e dunque assumono che i loro coetanei siano ossessionati dal proprio comportamento e dal proprio modo di apparire esattamente come lo sono loro", sostiene lo psicologo David Elkind (25). Non è affatto sorprendente che la base primaria delle amicizie di questi anni sia costituita dall'apparenza fisica. Noi preferiremmo che i nostri figli dessero maggiore valore alla gentilezza d'animo e alla generosità, più che all'aspetto esteriore; il nostro senso morale ha ragione, ma dimentichiamo che, alla loro età, noi non eravamo certo meno "consci delle apparenze". Tuttavia, possiamo trovare dei modi per aiutarli a superare l'esame di superficie, cominciando con l'incoraggiamento ad accettare il proprio corpo, soprattutto le parti più intime. Farlo nel periodo adolescenziale è già tardi, ma meglio tardi che mai, se si tratta di permettere ad una persona giovane di esplorare i propri organi genitali (nessuno ha bisogno di insegnamenti su come masturbarsi) finché non viene sollecitata una calda, piacevole sensazione, che non ha eguali. Pensa come sarebbe naturale per una
ragazza imparare a rispettare e a proteggere questa zona del corpo che le procura così tanto piacere; la responsabilità sessuale dovrebbe essere al centro di discussioni che terminano solo quando negli occhi di un'adolescente albeggia la luce dell'accettazione razionale. Se i genitori non riescono a farlo in modo naturale, tranquillo, credibile, che trovino qualcuno che lo possa fare al posto loro. È loro dovere pensarci. In base a tutto quanto è stato scritto negli ultimi anni, l'autostima coincide sostanzialmente con l'avere una buona opinione di se stessi. Noi scambiamo l'arroganza, la vanità e l'orgoglio per autostima, quando in realtà, spesso, la vanagloria dell'individuo borioso nasconde una cattiva opinione di sé. In termini semplici, come possiamo avere una buona opinione di noi stessi se siamo convinti della bruttezza dei nostri organi genitali orrendi, di ospitare una fogna nel nostro corpo? Se una donna, giovane o vecchia, non può toccare le proprie parti intime senza un senso di repulsione, i suoi sforzi verso il rispetto di sé sono condannati al fallimento, indipendentemente dal numero di corteggiatori che la inseguono ovunque e di cui possa fare sfoggio. Quando una donna non riesce, servendosi delle proprie dita delicate, a raggiungere piacevolmente la sua clitoride, al momento del rapporto sessuale sarà poco incline ad essere coinvolta nell'inserimento di un diaframma; l'immagine della sua mano proprio "lì", non appartiene alle sue fantasie, in cui il principe che ora la tiene tra le braccia la condurrà via con sé. Se non fosse stato per le regole tacite che la proibivano, la cui infrazione era caricata di conseguenze tremende, la masturbazione sarebbe stata un esito naturale delle nostre esplorazioni corporee nel corso degli anni. Nei primi anni di vita le piccole mani si spingevano in mezzo alle gambe perché la sensazione suscitata era piacevole. E se una persona per noi molto importante non avesse spostato quella mano così tante volte, accompagnando il gesto con mormorii di rimprovero e con un corrugamento della fronte, avremmo continuato ad imparare più cose sulla nostra anatomia. Col tempo, avremmo anche imparato le semplici regole della privacy. Al giorno d'oggi, sui giornali e sulle riviste vediamo spesso comparire le statistiche sulle gravidanze non pianificate. Ogni anno, il 12% di tutte le ragazze tra i quindici e i diciannove anni rimangono incinte.(26) Essendo consci del rischio, come è possibile che dei genitori affettuosi non preparino le proprie figlie adolescenti in ogni modo? Qualunque sia l'opinione dei genitori, personale o religiosa, sulla masturbazione, se può essere d'aiuto nel prevenire una gravidanza, che sconvolgerebbe il futuro dei propri figli, quale altro argomento le si può contrapporre? Io sarei disposta a fare qualunque cosa in mio potere per persuadere una ragazza a rimandare una gravidanza. Rischio e disturbi ad essa associati a parte, esistono argomenti così persuasivi e ragionevoli a favore dello stare da sole, aperte alla propria maturazione, con la mente e l'immaginazione coinvolte in un processo di espansione possibile solo quando si è completamente indipendenti, libere, in questo periodo sorprendente di evoluzione che è l'adolescenza. C'è uno splendore intrinseco al modo in cui ci trasformiamo, il compimento di un miracolo indissolubilmente legato a questi anni particolari, e che semplicemente non si realizza se diveniamo parte di una coppia, un matrimonio o una maternità. Non possiamo riaverlo indietro, non possiamo rimandare agli anni a venire questa maturazione; con al nostro fianco un bambino, un marito, la vita sarà sperimentata come coppia, nel senso che le idee, le sensazioni, le opportunità, verranno filtrate da questa fusione di sé nell'altro. Non sto dicendo di non innamorarsi negli anni dell'adolescenza. Non sono pazza. È il rapporto sessuale, con il travaso di emozioni che innesca, anche quando si hanno venti o trent'anni, che una ragazza di quattordici anni semplicemente non è preparata ad affrontare, specialmente una ragazzina che, molto probabilmente, ha dentro di sé forti spinte a ricercare l'unione simbiotica. Quando concediamo il nostro corpo al sesso, non possiamo fare a meno di sentire che questo dono prezioso che facciamo a quel ragazzo sia qualcosa che lui riconosca come tale: noi siamo sue. Un momento siamo coinvolte da un processo di crescita intellettuale, sociale, fisica, e un momento dopo, all'improvviso, colte dalla passione per la Favola,
un ragazzo infila il suo pene dentro di noi e il miracolo di una giovane donna che evolve in un individuo unico, viene interrotto da un'onda di abbandono che trae alimento dal bisogno infantile. "Ti voglio/ Ho bisogno di te/ Non posso vivere senza di te" è così che ci sentiamo, aggrappandoci a quel ragazzo, che si chiede che cosa mai sia successo, dov'è finito l'ardore sessuale e da dove salti fuori questa bamboccia. Credetemi ragazze, se non su altre cose, credetemi almeno in questo: il sesso consumato nell'adolescenza non vale quel che va perduto per sempre. C'era qualcuna nell'adolescenza più affamata di me, più vulnerabile rispetto a "quel sentimento" che i ragazzi accendevano dentro di me quando mi baciavano e mi tenevano tra le braccia? Se li avessi lasciati entrare nel mio corpo, se le mie saracinesche emotive fossero state sollevate dall'esperienza di un rapporto sessuale, ne sarei rimasta schiavizzata. Niente sarebbe stato altrettanto importante se non stare di nuovo con lui, e poi di nuovo ancora, perché lui avrebbe avuto la chiave della mia vita, o così mi sarebbe sembrato. Superficiale com'ero allora riguardo al problema della contraccezione, sapevo che non avrei mai realizzato i miei sogni se gli avessi permesso di "mettermelo dentro". Avevo ragione. Vorrei tanto essere stata incoraggiata - anzi no, vorrei non essere stata scoraggiata - ad apprendere le cose del sesso dal mio stesso corpo. La maggior parte delle ragazze adolescenti non capisce ancora che il rapporto sessuale non si riduce solo all'inserimento del pene nella vagina. Se la ragazza non ha imparato dall'autoeccitamento che le sue sensazioni sessuali risiedono soltanto dentro di lei, e non sono qualcosa che un altro individuo abbia il potere di accendere in lei, allora il ragazzo avrà il monopolio della magia. E lei confonderà il sesso con l'amore. Diventerà dipendente dalla magia che si sprigiona "da lui", da quello che le sue mani e la sua bocca possono fare di lei. Fin quando non scopre che toccandosi con la sua stessa mano è in grado di scatenare la medesima sensazione, sarà il ragazzo-principe a reggere la chiave; siederà vicino al telefono, ad attendere e poi ancora attendere, per rivivere il prossimo momento magico in cui lui la tiene tra le braccia e la "rende " sessuale. Il fatto che così tante ragazze e donne adulte cedano alla "sua" magia e alla fine acconsentano ad un rapporto completo, senza contraccezione, ha assolutamente a che fare con la questione di a chi venga attribuito il potere magico. E poi noi critichiamo con asprezza gli uomini perché sono troppo orgogliosi del loro pene. Chi insegna loro il potere magnifico dell'erezione? Sì, al ragazzo piacciono i propri organi genitali più di quanto alle ragazze piacciano i loro; lui pensa al mondo in funzione del suo pene. Ma noi donne lo insigniamo dell'onore dei pieni voti con la lode. "Wow!" pensa il ragazzo, vedendo come il suo pene è riuscito a trasformare una ragazza riluttante nella sua schiava d'amore: "Sapevo che era notevole, ma non pensavo che potesse fare questol" La ragazza adolescente lotta tra il proprio desiderio d'amore e il desiderio del ragazzo di toccarla "là"; come può volere esplorare la fogna con le sue dita, con la sua bocca! Non sa che cosa succede là sotto, non riesce a sentire quell'odore? Non ha visto le pubblicità in televisione? Ma i media l'hanno anche informata sui piaceri estatici del sesso orale e sulla sua promessa di orgasmo. Oltre al ribrezzo che prova per se stessa, c'è il desiderio di provare quell'estasi misteriosa di cui ha letto e che ha visto più volte sui volti rapiti di stupende eroine della televisione e del cinema. Come riesce a conciliare il desiderio erotico con il brutto quadro mentale che ha delle sue parti intime? Il tocco delle labbra di lui risolve il suo dilemma. Proprio come il rospo delle favole che si trasforma in un principe quando viene baciato da una principessa, la fogna ripudiata diventa meno repellente quando viene baciata dal principe. E l'autore di questo miracolo riceve tutta l'adorazione della ragazza: quando la bocca coraggiosa e affamata di lui raggiunge il suo corpo, lei scorda l'assenza di ogni forma di bellezza dall'interno delle sue cosce. Che razza di animale è lui! Come la fa sentire vogliosa, tanto desiderosa di sesso che lui potrà compiere quell'atto impensabile e portarla anche all'orgasmo. Tuttavia, la magia è nella bocca di lui, non nella sua clitoride. "Lascia solo che una donna assaggi la mia bocca là sotto e sarà mia!" Ho sentito gli uomii vantarsene. Ma
se una donna attribuisce alla bocca di un uomo tutto il merito per il proprio orgasmo, gli si consegnerà anima e corpo. Adesso, quando lui si muove per penetrarla, il suo desiderio di bambina per un amore simbiotico gli consegna la piena responsabilità per il suo piccolo io. C'è un'ironia penosa nel fatto che per alcune di noi sia più facile concedere alla bocca di un uomo di toccarci "là" che esplorare il nostro corpo con le nostre stesse dita. Nel mio caso, fu un cadetto della Cittadella dalla parlantina melliflua che citava Baudelaire a vincere il mio "No!" Parlandomi con dolcezza riuscì ad oltrepassare la barriera del disgusto per il mio corpo e a portarmi all'orgasmo. Non ho mai dimenticato la sua bocca, la sensazione della sabbia sulla spiaggia, e, ancora oggi, lui e l'essenza del sesso proibito vagabondano per le mie fantasie. Perché mi ci vollero altri dieci anni per scoprire che potevo procurarmi la "sua" magia servendomi della mia stessa mano, da sola? Semplicemente, credo che non volessi essere da sola con il mio orgasmo. La mia era la forma mentis di una bambina che si rifiutava di imparare a pettinarsi i capelli per paura che la sua cara "tata" Anna, sentendosi inutile, l'avrebbe abbandonata. Anche quando insultiamo gli uomini e li incolpiamo per tutte le malvagità di questo mondo, ricordiamoci che è questo che noi ragazze/donne facciamo al ragazzo/uomo: lasciamo la chiave delle nostre vite sessuali nelle loro mani; non vogliamo masturbarci e procurarci da sole l'orgasmo, perché questo vorrebbe dire che siamo individui indipendenti, e non lo siamo, non dal punto di vista emotivo. Senza avere mai esplorato la nostra vagina, avere mai toccato la nostra clitoride, distese, come pesci bolliti, aspettiamo: "Dammi un orgasmo! Rendimi sessuale! Non lasciarmi, altrimenti morirò! Prenditi cura di me, perché sono una cosa piccola e indifesa senza di te!" Chiamalo rispetto di sé o amor proprio, ad ogni modo, l'opinione che abbiamo dei nostri organi genitali gioca un ruolo centrale nella formazione dell'immagine che ci creiamo del nostro intero essere. Pensare che là sotto alberghi una fogna, influenza il modo in cui vediamo la nostra persona, vestita o svestita. Non lo ammettiamo ad un livello conscio, ma quando guardiamo nello specchio o immaginiamo come ci possano vedere gli altri, il nostro inconscio tiene conto della fogna e la nostra immagine di sé risulta distorta dall'orrore che si nasconde tra le gambe. Come la macchia sulle mani di Lady Macbeth, impossibile da cancellare, la nostra deturpazione si estende ad altre aree del corpo, divenendo la bruttezza dei nostri avambracci, la grassezza della nostre cosce, il naso, i piedi, le gambe, sbagliato, tutto sbagliato! Perché ci irrigidiamo ansiose alla vista degli operai sul marciapiedi davanti a noi? Quando ci fissano e fischiano, commentando tra di loro, pensiamo automaticamente che ci stanno denigrando, che si stanno prendendo gioco di noi; pensavamo di avere un bell'aspetto quando ci siamo guardate allo specchio prima di uscire di casa. Ma il loro Sguardo ai raggi X ci ricorda che non siamo mai in pace con il nostro modo di apparire; forse si vede il nostro slip, oppure la gonna è troppo stretta, insomma qualcosa non va! Qualcosa è sempre fuori posto. Uomini malvagi! 4.5 - "Non sei carina": ingoia la tua rabbia. Ero rimasta in piedi, tutta desiderio e impazienza, mentre mi veniva sistemato il vecchio vestito da sera di mia sorella, prima di quel fatidico ballo allo Yacht Club. Non ero neanche abbastanza esperta da guardare con occhio critico allo specchio e notare che l'abito senza spalline non era adatto a me, specialmente dopo che vi erano state aggiunte un paio di spalline di velluto marrone scuro per sostenere il vestito sul mio seno piatto. Non riponevo alcun valore nell'aspetto fisico. Poiché nessuno mi aveva spiegato questo rito di passaggio, non disponevo di alcun indizio intorno al fatto che la bellezza era il prerequisito per rientrare tra le dive dell'adolescenza. Sicuramente, un desiderio fremente e tutto nuovo per i ragazzi mi aveva reso imbarazzata in loro presenza; ma avevo notato che anche loro erano ugualmente imbarazzati. Abituata ad essere scelta per prima per ogni squadra femminile, non avevo dubbi sul successo di quella sera, non avevo ricordi di fallimenti, tanto ero stata attenta a seppellire le vecchie rabbie dell'infanzia sotto i trofei delle conquiste più recenti. Se durante quella serata i ragazzi fossero stati timidi al momento di scegliere la loro partner, sono certa che sarei stata pronta a
risolvere il loro problema prendendo io stessa l'iniziativa. Fino a quel momento, l'assunzione delle responsabilità aveva fatto parte del mio modo di essere. Negli ultimi anni la mia vita si era trasformata in una grande avventura, in cui non c'era stato più posto per i paragoni con mia madre e mia sorella. Nella mia testa, loro erano noiose, sempre occupate da tediose discussioni sul modo di apparire di mia sorella e sulle sue serate con i ragazzi. Quella sera allo Yacht Club segnò la fine dell'infanzia, il termine di un racconto d'avventura di cui io ero l'eroina. Nel corso di una sera fatale mi accorsi di tutto e feci a me stessa il mio discorso di concessione. Osservavo le mie amiche, di cui ero stata la leader indiscussa per anni, le guardavo mentre si abbandonavano tra le braccia di ragazzi desiderabili, e capii che cosa loro avevano e a me mancava, lo vidi così chiaramente che anche oggi posso ricreare quel film, inquadratura dopo inquadratura: avevano un aspetto che andava oltre la bellezza. Non si trattava solo di riccioli, seni, lineamenti graziosi, ma, ciò che era più importante, avevano un atteggiamento di acquiescenza, un offrirsi arrendevole ad essere guidate piuttosto che a guidare; un fascino sottomesso che gridava: "Prendimi, perché io sono piccola e non posso vivere senza di te". Il mio viso aveva un'espressione troppo aperta, troppo bramosa, troppo sicura di sé. Avevo bisogno di una maschera. Avevo bisogno di una faccia nuova che occultasse il leader intelligente e avesse le forme della ragazzina, anzi no, della piccola, inerme bambina che non era stata tenuta stretta nei suoi primi anni di vita e aveva atteso per tutti questi anni ciò che ora offrivano i ragazzi. Infelice com'ero quella sera, riconobbi il cammino che si stendeva davanti a me: la ragazza che avevo inventato, che ero divenuta, che era così ricca di parole che aspettavano solo di essere pronunciate e di abilità che attendevano di essere padroneggiate, doveva essere rimandata indietro, come un brutto pupazzo a molla, con il coperchio ben fissato sopra. Mi dissi che nessun ragazzo si sarebbe mai preso un pacco che avesse la mia forma. E allora, negami, nascondimi, dimenticati di me. Pronta com'ero a pagare qualsiasi prezzo pur di ottenere l'amore dei ragazzi, una parte di me dev'essere stata gonfia di rabbia all'idea di dovere abbandonare quella che credevo fosse una persona piacevole. La collera sarebbe stata di proporzioni titaniche, paragonabile al bisogno d'amore infantile. Cosa ne feci di tutta quella furia? Non avevo voce per la rabbia. Appartenevo ad una famiglia di donne che piangevano, e il fatto di non piangere mi aveva reso diversa da mia madre e da mia sorella. Quella sera divenni una donna; piansi e piansi dopo che il padre di qualcuna mi accompagnò a casa, mentre il resto del Mio Gruppo se ne uscì nella notte per un'altra festa insieme ai ragazzi. Mostrai il mio dolore ma non la mia rabbia. Non disponevo di alcun modello di ragazza/donna che prende in mano la sua rabbia, la modella e la trasforma in energia costruttiva. Feci quello che ancora fa la maggior parte delle donne; ingoiai la mia rabbia, la soffocai - senza alcun dubbio innestando una catena di problemi fisici che si sarebbero manifestati negli anni successivi, dopo avere ripetutamente ingoiato; chinai la testa, in parte per sembrare più piccola, ma, come una mucca messa nell'angolo, anche per segnalare la mia resa. La vergogna del mio fallimento al ballo dello Yacht Club fu quanto di peggio si possa immaginare per il suo carattere così pubblico, perché rimasi in piedi per tutta la serata, con le scapole a solcare la parete alle mie spalle, rifiutandomi per principio di andare a nascondermi. Ebbe un effetto ancora più destabilizzante l'essere ributtata indietro nel tempo in un colpo solo, alla sensazione di essere piccoli e incapaci di attirare l'attenzione materna. Ancora una volta mi sentivo invisibile! E questa volta non c'era niente intorno a negare che ciò che non possedevo era la bellezza, un potere che ero riuscita a svalutare in passato, ma ora non più. Ora la bellezza regnava suprema. La mattina seguente, avevo già seppellito e compianto il mio io undicenne, la ragazzina che passeggiava sulle mura, ed ero fermamente decisa ad andare a scuola di bellezza. D'ora in poi, avrei scimmiottato le mie amiche più belle, avrei esibito il sorriso in vigore nel Gruppo, camminato come camminava il Gruppo, e, stando a capo chino e curvando le mie ginocchia, mi sarei avvicinata il più possibile al modo di apparire del Gruppo. Ma ero molto, molto arrabbiata;
non a quel tempo, non consciamente, solo ora riesco a rendermene conto. Come avrei potuto non esserlo, io e tutte le altre ragazze che non si adattavano allo stampo? Alla vigilia dell'adolescenza, rinchiusi la mia collera nella stessa stanza ermeticamente sigillata dell'incoscio in cui avevo riposto l'antica rabbia verso mia madre. Riguardo all'ira che si prova verso la propria madre, vorrei sottolineare che parte di quel sentimento è inevitabile, una sorta di lato oscuro presente in ogni relazione d'amore. La chiave per comprendere la rabbia di una persona adulta sta nel ripercorrere la sua vita fino alla fonte originaria; se ci sforziamo di capire l'ira che riserviamo alle persone amate più tardi nella vita, negando contemporaneamente la rabbia che sentiamo verso nostra madre, smarriamo la chiave. Per quanto le persone care di oggi possano essere accusate della colpa commessa, se la nostra rabbia è sproporzionata all'accaduto, l'ammontare di quell'infelicità e di quella collera non sgorga da ciò che essi hanno appena fatto o non hanno fatto. Guarda più indietro nel tempo. Le rabbie infantili e le loro ricapitolazioni nel periodo dell'adolescenza attizzano la fornace del lato oscuro delle nostre relazioni sentimentali adulte, quando desideriamo colpire fisicamente i nostri partner, far loro del male, forse ucciderli. Sono detti delitti passionali, e in alcuni paesi sono trattati con clemenza, tanto la passione amorosa si avvicina alla rabbia assassina. Non abbiamo ricordi consci della prima infanzia, dove prendono forma i primi modelli d'amore e di rabbia, ma l'adolescenza, periodo in cui tutti questi temi vengono sollecitati nuovamente, ci è nota. Trova il cordone ombelicale della rabbia dell'adolescenza e risali più che puoi agli anni della nursery, alla prima infanzia e alla madre, fonte originaria dello Sguardo. Ti è stato riservato lo Sguardo? L'adolescenza è il periodo in cui tenti di ottenerlo di nuovo. Questa volta sei riuscita ad ottenerlo da qualcuno? Durante l'adolescenza, eri bella, irradiata, catturata, riflessa da altri sguardi? Esistevano dei concorrenti astiosi nella gara per la bellezza, dentro la tua famiglia o fuori di essa? Certo, ci sono delle alternative alla bellezza; gli uomini hanno sempre goduto del possesso di talenti elettivi e di abilità da esercitare. Ora le giovani donne possono inseguire questi stessi traguardi, e tuttavia ci esercitiamo più che mai nell'arte di essere belle. Che significa? Segui il cordone ombelicale. Cerca di non mettere in discussione in modo troppo liquidatorio i ritratti nebbiosi dei primi anni di vita che fuoriescono dalla tua mente; ricorda che, mentre quella parte del cervello che immagazzina la memoria non si sviluppa pienamente fino ai tre anni, conserviamo ancora alcune impressioni che risalgono a periodi precedenti, e che sono rimaste con noi per tutto questo tempo. Mark Twain si riferiva a queste confuse reminiscenze quando parlava delle "esagerazioni", intendendo dire che occupavano un territorio a metà tra fatto e finzione. In esse possono celarsi alcuni dei nostri ricordi più preziosi. Personalmente, nello scrivere questo libro, ho scoperto una discreta quantità di "esagerazioni"; dopo aver tormentato i parenti che hanno abitato i miei primi anni d'infanzia, sono riuscita a trovare conferma per la maggior parte di esse, come fatti realmente accaduti. È un grande sollievo scoprire che sussistono dei motivi reali per le rabbie che mi hanno accompagnato per tutta la vita, e che ho negato fino a quando non sono divenuta una scrittrice. Che manciate di rabbia devo aver ingoiato durante la mia adolescenza. Tutta quella spacconeria, quell'intelligenza, quello spirito precedentemente acquisiti, ora si rivelavano completamente inutili per conquistare amore. I miei punti di forza erano decisamente indesiderabili, perché in realtà erano di tipo maschile. I ragazzi della mia adolescenza devono essersi sentiti sovrastati dall'intensità della mia passione. Agli uomini adulti della mia vita è successo. Come potevano, ognuno di loro, sapere di avere tra le braccia una bambina piccola, al posto di una giovane donna? Gli occhi socchiusi, il mio corpo abbandonato all'abbraccio, mi sentivo davvero molto piccola, e tutti i miei bisogni trovavano appagamento in baci dalla profonda soddisfazione orale. Gli autori di canzoni romantiche, quelli veramente bravi, fanno spesso appello ai bisogni infantili che nasconde la passione vissuta dalle persone adulte. Sapevi che sono stati condotti degli studi che mostrano che niente per una ragazza adolescente è più eccitante del suono di una musica romantica? Non i
film, non le foto nelle riviste, ma le immagini/sensazioni evocate nella nostra testa quando ascoltiamo musica del tipo "prendimi-abbracciami". È nell'essenza dell'adolescenza volerci sentire in uno stato di leggerezza, catturate da musica e parole romantiche; siamo innamorate dell'amore, disperatamente desiderose di darci all'eccitamento sessuale, alla soddisfazione dei piaceri orali, alla perdita dei sensi, anche se tutto questo lo chiamiamo "romantico". Così tante canzoni scritte per gli adolescenti sembrano pensate per protrarre lo Sguardo. Quando compriamo un vestito nuovo, i nostri primi tacchi alti, dormiamo la notte con i bigodini fissati dolorosamente alla testa, il nostro obiettivo principale è quello di trovare noi stesse nello Sguardo del ragazzo inconsapevole, sprovvisto di indizi per risalire alla fonte del suo potere. Poveri ragazzi della mia adolescenza, come potevano immaginare la forza del mio desiderarli per vedermi riflessa, non avendo interiorizzato in passato un'immagine soddisfacente di me stessa? Gli abiti acquistati in tutti questi anni non avrebbero mai il potere di realizzare per più di una serata quello che volevo allora, e quello che voglio tuttora: possederli per nessun'altra ragione che andarmene via e dire con onestà: "Basta. Basta vestiti. Basta specchi". Nella fretta di conquistarmi la bellezza adolescenziale, abbandonai molte cose, ma non rimpiango niente come la mia capacità di parola. È probabile che stessi aspirando ad acquisire il fascino della povera Bambina. Non ero una maestra dei piani escogitati. Ma ripudiai il lato pensante e parlante della mia persona, la ragazza che aveva più volte rappresentato la scuola durante le assemblee, assunto la leadership nei giochi di squadra. Mi mangiai la lingua, disattivai il circuito che, a partire dal cervello, presiedeva alla formazione delle parole. Non fu uno stratagemma deliberato per raggirare i ragazzi. Al contrario, si trattava della più inconscia delle rese. Ma la mia mancanza di responsabilità nelle mie prime esperienze sessuali fu senz'altro un esito della capitolazione finale di sé. La rabbia, che divenne il lato oscuro dell'amore che avevo per gli uomini, non si manifestava come furia nei loro confronti: "Dopo tutto, rinunciai per te nella mia adolescenza!" La mia rabbia consisteva nel fatto che non potei mai indurre gli uomini ad amarmi come avrei voluto che mi amasse la mamma. Poveri ragazzi/uomini, come potevano indovinare che questa ragazza/donna appassionata voleva essere vista come Gesù Bambino? Il nostro modo di parlare è naturalmente una parte del nostro modo di apparire, di come gli altri ci percepiscono. Il volto di una ragazza/donna loquace è vivo, il corpo intero impegnato nell'atto di trasformare i pensieri in parole. Le donne silenziose, che aspettano che qualcun altro parli per loro, ordini per loro al ristorante, prenda le loro decisioni su questioni importanti come investimenti e volontà, hanno visi come finestre dalle persiane chiuse. Maschere. La capacità espressiva, l'ho sempre saputo, fu la rinuncia più triste della mia vita. Le parole fanno fluire rabbia, umorismo, ispirazione. Afferriamo i nostri pensieri, traducendoli in discorso, mentre la nostra mente si spinge già in avanti per catturare il pensiero successivo, venuto alla luce solo quando le ultime parole stavano abbandonando le nostre labbra; c'è qualcosa di più eccitante di una bella conversazione, gli individui illuminati dalla corrente elettrica che si sprigiona dalle parole dell'altro e dalle nostre? Cresciamo all'interno di questi scambi, diveniamo, reinventiamo noi stessi. E fino a poco tempo fa, le donne perdevano tutto questo con l'arrivo dell'adolescenza. I pensieri trattenuti nella testa, le parole soffocate, gli angoli della bocca abbassati in una smorfia, a formare un'espressione di rassegnazione, dietro cui fioriva la rabbia, che più avanti sarebbe divenuta malattia, fisica e mentale. Come poteva essere diversamente? La parola è potere. Se non parli, gli altri non sanno chi sei, e neanche tu lo sai. Un giorno la vita finisce e sulla nostra pietra tombale scriveranno: era una brava persona. Imparare ad esprimere la nostra rabbia avrebbe dovuto essere parte del processo di separazione da nostra madre nel corso dei primi anni di vita. Con la scoperta della sua maneggiabilità alla presenza della persona da cui dipendevamo per vivere, avremmo imparato a fidarci del nostro modo di amministrare la rabbia; in quel processo avremmo scoperto che essa presuppone il nostro amore, non la nostra mancanza d'amore. È una delle lezioni più importanti della vita. Se non l'abbiamo appresa allora, la rabbia ci terrorizza, perché ci appare in tutto il
suo potere distruttivo, proprio come nell'infanzia. Per tutta la vita continueremo a tentare di creare l'amore perfetto, la ricompensa promessaci dalla madre se avessimo ingoiato la nostra rabbia, esattamente come lei aveva ingoiato la sua con la propria madre. Ai nostri occhi, poiché niente è mai colpa della mamma e le colpe sono tutte nostre, il seme della rabbia rimane come il sintomo di una nostra malattia, e il cancro prolifera. La madre rimane perfetta; noi siamo quelle cattive. Nell'adolescenza investiamo l'oggetto della nostra passione romantica di quella perfezione materna, perché lei rimane il nostro modello d'amore. Ora, questo ragazzo ci adorerà in quel modo perfetto per cui abbiamo sempre smaniato. È il nostro premio per il fatto di essere una Ragazza Buona. E quando lui si dimostra meno perfetto di quanto noi abbiamo programmato che fosse, quando non ci vediamo costantemente adorate, è la nostra fine. Potremmo anche ucciderlo, o così ci pare, ma non possiamo permetterci di sentire consciamente questa rabbia, qui e adesso. Ancora una volta la seppelliamo, la rivolgiamo silenziosamente contro noi stesse. I titoli dei film sull'adolescenza che hanno avuto più successo risuonano nella nostra mente, indipendentemente dall'età che abbiamo; colgono l'impossibilità dei giovani di farsi vedere per quello che sono veramente dai propri genitori, dalla società. Questi film sono Splendore nell'erba, Gioventù bruciata, e, uno dei miei preferiti, Dirty Dancing, un film che ha stentato a decollare, dal budget ridotto, e che poi è riuscito a far vibrare una corda internazionale. In ognuno di questi film, l'incapacità del ragazzo o della ragazza adolescente di vedere riconosciuto il proprio io interno, autentico, lo porta a costruire una faccia "falsa", una maschera dietro cui nascondere la rabbia causata dal rifiuto del mondo esterno, finché, naturalmente, l'eroe o l'eroina non riesce più a reprimere i suoi veri sentimenti e la sua vera identità. Fino all'esplodere di questi anni in cui il sesso ha un ruolo così cruciale, tutto veniva osservato e commentato nell'ambito familiare. L'adolescente aspetta fiduciosa che le si confermi quel che sta succedendo alla sua persona. Cosa c'è di tanto terribile nel sesso che non possa essere ammesso insieme a tutti gli altri cambiamenti che stanno interessando la mente e il corpo? L'adolescente sente questa mancanza di fiducia, avverte che, mentre gli occhi di tutti sono puntati sulla sua sessualità, la questione viene affrontata in modo disonesto. Molto bene - sente interiormente la ragazza - se il periodo che sto attraversando è materia proibita, agirò di conseguenza, e scriverò la verità soltanto sul mio diario. Ma spesso i diari vengono rovistati da genitori ansiosi che giustificano le loro invasioni nella privacy in base al fatto che lo fanno "per il bene della ragazza". L'impossibilità di godere della propria privacy rispetto alla madre, e il fatto di non avere una vita separata da lei, le impartisce una severa lezione. "Mia madre è sempre nella mia camera", scrive una ragazza alla rivista Seventeen. "Ci va mentre sono a scuola o sono fuori con i miei amici. Scopro sempre che ha spostato le cose, o le ha prese a prestito, gettate via, o solo segni del suo ficcare il naso dappertutto. Mi sento come se la mia privacy non venisse rispettata. Ho tentato di parlargliene, ma la sua risposta è del tipo: 'Perché ti preoccupi? Mi stai nascondendo qualcosa?', oppure: 'È la tua stanza, ma è la mia casa'." (27) Quello di cui abbiamo bisogno quando siamo giovani è uno sbocco per la rabbia dentro la famiglia, discussioni salutari che s'infiammano e poi si placano, che consentano a tutti di vedere che nessuno è stato ucciso, che la rabbia è solo un'altra emozione della vita. Ricordiamo l'esempio portato da Melanie Klein di come la rabbia onnipotente del neonato venga sedata col tempo dalla consapevolezza che, mentre la madre può non rispondere immediatamente alle richieste di cibo, calore e coccole del bambino, lei alla fine arriva, sempre, dandogli il seno, sistemando la coperta, stringendo il suo adorato bambino e irradiando la propria venerazione nei suoi occhi. A poco a poco, il neonato impara che, anche se la madre non può essere controllata in modo assoluto, è però "sufficientemente buona", un sentimento che ispira gratitudine e, infine, amore. In un certo senso, questa primissima pratica delle emozioni della rabbia e dell'amore è quanto va ripetuto nella fase adolescenziale. Ora i bisogni del proprio figlio sono quelli di trovare riconoscimento per un io più maturo, un
individuo che ha opinioni, diritti, esigenze di privacy e di rassicurazioni sulla permanenza dell'amore dopo il dissolversi del risentimento. L'amore rimane sempre, bisogna che venga fatto sentire. Se non possiamo dire chiaramente ciò che pensiamo all'interno della nostra famiglia e poi vedere finire il pranzo in una stretta di mano verbale, nel sorriso generale, non riusciremo a fidarci della nostra rabbia, mai. La rabbia rimarrà bloccata a quello stadio infantile, onnipotente. Mandiamo giù tanta rabbia, fin quando non ne abbiamo abbastanza, e si trasforma in un tic all'occhio, in emicranie, in un'ernia al disco. "Proprio come tuo padre", mormora la madre al proprio figlio, non apprezzando il suo modo di contraddirla, il suo rifiuto rabbioso di accondiscendere, ma "gli uomini sono fatti così". Lei vorrebbe tenerlo con sé, ma la società la bollerebbe come una "cattiva madre" se non lo lasciasse andare. Sua figlia è un'altra faccenda. La madre non tollererà "quel tono di voce" dalla sua bambina. Quando il Gruppo soppianta la madre come linea-guida per le cose della vita, la ragazza scoprirà che neanche tra le "piccole madri" il dissenso è tollerato. La rabbia può sibilare nelle linee telefoniche della città, durante le telefonate a due, ma quando il Gruppo si riforma, i visi dolci sono d'obbligo. Le Ragazze diventano delle esperte nella negazione della rabbia - "Oh, ma noi le vogliamo bene, è la nostra migliore amica!" -, che scompare nel sorriso forzato, nelle labbra perennemente contratte in una fessura. Lo standard di eccellenza nell'adolescenza - la bellezza sopra ogni cosa - si applica a così poche ragazze che l'invidia diventa inevitabile. L'invidia è risentimento, è rabbia. Noi la ingoiamo, noi sorridiamo, e come tante bambole di cera ripetiamo in coro: "Chi, io arrabbiata?" 4.6 - La pericolosa negazione della competizione madre-figlia. Vent'anni fa, suggerire ad una madre di essere in competizione con la propria figlia adolescente avrebbe suscitato un muro di adirata negazione, oppure di stupore. Forse, lei avrebbe ammesso che l'ingresso della figlia nella pubertà aveva riacceso il ricordo della sua giovinezza, e, questo sì, la faceva sentire più vecchia. Ma in un'epoca in cui le ragazze di tredici anni dimostravano semplicemente la loro età e le loro madri avevano un aspetto matronesco, perfino questo genere di ammissione avrebbe costituito un'esagerazione: "Competere con la mia bambina? Devi essere impazzita!" Ma oggi è tutta un'altra storia. La nostra venerazione per la bellezza giovanile nelle donne di ogni età, allestisce una scena più prevedibile per un confronto madre/figlia; d'improvviso, ci sono due femmine sessualmente attive ad occupare la casa. Un confronto non ha necessariamente un carattere competitivo, ma richiede che la donna più vecchia veda la propria figlia in una luce diversa, perché ora la ragazza è identificabile come un'icona di bellezza per la società, la modella che indossa i vestiti che la madre guarda con ammirazione sulle pagine della sua rivista preferita. Nondimeno, la maggior parte delle madri affermerebbe che "nulla è cambiato" nei loro sentimenti verso le figlie; è esattamente quel che è stato insegnato loro dalle rispettive madri. La competizione femminile, specialmente quella tra madre e figlia, è la pistola fumante che le donne ancora oggi rifiutano di riconoscere: "Quale pistola?" Conosco donne che hanno avuto madri estremamente competitive e altre, come me, che sono rimaste invisibili alle proprie, ma sia che la nostra presenza le apparisse di natura volatile sia che ci percepisse come una minaccia tangibile, il modo in cui lei reagì alla nostra seconda nascita, alla nostra separazione, ha il potere di forgiare il resto della vita. Prima di scrivere questo libro, ti avrei sicuramente detto che mi sentivo completamente estranea al rapporto di rivalità tra mia madre e mia sorella, ma sarebbe stata una menzogna. La verità è che, una volta raggiunta l'adolescenza, la mia facoltà, un tempo apprezzata, di entrare e uscire di casa senza catturare le loro occhiate giudicanti, ora mi faceva sentire inferiore; quella che era stata una qualità, l'invisibilità, ora era la conferma del fallimento nel presentare il mio biglietto d'ingresso per l'adolescenza: la bellezza. Fu una ferita così profonda che, da allora, sono entrata e uscita dalle stanze della mia vita sempre con un senso di disagio, alla disperata ricerca di riconoscimento e, al contempo, cieca a tutti gli attestati che ricevevo. I primi anni di vita avevano preparato lo stampo; ora l'adolescenza lo aveva scolpito nel bronzo.
Quanta ironia c'è nel fatto che fui la prima del mio gruppo a cui vennero le mestruazioni, persino prima di Julie e di Rose Anne, che erano dotate di seni meravigliosi. Lo shock delle macchie rivelatrici sui miei pantaloni bianchi di cotone richiese il coinvolgimento di mia madre, lei più imbarazzata di me nel dovermi fasciare in quell'orribile cintura sanitaria (una scelta di parole interessante) che avevo spesso intravisto nell'armadietto del bagno, e associato agli altri equipaggiamenti femminili che mi avevano tenuto tanto felicemente così mi ero convinta - separata da lei. Ora ero una di loro, lei e mia sorella, e non volevo esserlo, anche se la verità è che nessuno mi aveva mai invitata a partecipare. Con mia grande sofferenza, mi sentii improvvisamente catapultata nel mezzo delle questioni competitive su cui si modellava la relazione complicata che mia madre aveva con mia sorella. Per anni ero stata seduta a tavola, durante la cena - un luogo sventurato per troppe discussioni familiari, per non citare i disturbi dell'alimentazione -ed ero stata testimone delle loro dispute cariche di tensione a proposito dell'abito di mia sorella, del suo far tardi la sera con i ragazzi, scoppi d'emozione dolorosi che sgorgavano dall'incapacità di mia madre di fare i conti con la bellezza rigogliosa della propria figlia maggiore. Nella memoria, si affacciavano anche gli anni d'oro della bellezza di mia madre. Il fatto che il mio ingresso nella pubertà passò del tutto inosservato, era senza ombra di dubbio legato alla mancanza di segni di somiglianza fisica che mi accomunassero a loro due, io con i miei capelli dritti, il mio apparecchio per i denti, ed il mio seno piatto. Amavo mia madre, avevo sempre avuto bisogno di lei, in quel momento critico più che mai, ma il ruolo che mi ero scelta era della ragazza forte, che non si lamenta; ricordo che alla gente diceva sempre: "Non ho mai dovuto preoccuparmi per Nancy. Sa badare a se stessa". E così feci, finché non arrivò l'adolescenza, quando il mondo cambiò d'un colpo e l'uniformità del gruppo esigeva che indossassi un reggiseno, indipendentemente dal fatto che non avessi nulla con cui riempirlo. Mi rifiutai di chiedergliene uno dopo che la sentii che commentava divertita con mia zia che ero fortunata ad essere "piatta". Mentre la sua osservazione era vera, la mia umiliazione fu talmente bruciante che quando alla fine ebbi davvero bisogno di un reggiseno, ne rubai diversi al Belk's Department Store. Né le chiesi di acquistarmi il genere di abiti graziosi color pastello che indossavano le mie amiche, ricavando piuttosto una magra consolazione da quelli che mi passava mia sorella. Mi trovai nel mezzo di un gioco pietoso in cui mi rifiutavo di chiedere qualsiasi cosa, nella speranza che un giorno mia madre si sarebbe guardata intorno e mi avrebbe finalmente notata. Quando infine la bellezza arrivò anche per me, lei non se ne accorse mai; e quando, dieci anni più tardi, la sua amica Betty le disse che a suo parere io ero diventata la figlia più carina, mia madre la guardò come se fosse pazza. Mutare la sua opinione su mia sorella avrebbe significato mettere in discussione molte decisioni che aveva preso sulla propria vita. Il sistema di classificazione familiare non cambia mai. Sono giunta ad accettare il fatto che mia madre non presterà mai attenzione a nessuno dei risultati che ho raggiunto; c'è un lato positivo in questo, e cioè che, qualunque successo abbia ottenuto, che sia la bellezza, gli uomini, o il lavoro, è stato in larga parte alimentato dalla sua cecità nei miei confronti. Secondo lo psicologo Laurence Steinberg, l'adolescenza di un figlio rappresenta tipicamente il periodo in cui i genitori si scoprono a rivisitare le proprie vite precedenti. Mentre si può dire che, in generale, sia particolarmente doloroso per un genitore dello stesso sesso, madri e figlie incontrano comunque maggiori difficoltà rispetto a padri e figli. "In entrambi i casi, i figli tendono a funzionare come specchi delle loro identità perdute", riassume Virginia Rutter. "[La sessualità dell'adolescente] può suscitare dubbi circa l'attrattiva [dei genitori], le loro attuali vite sessuali, così come rimpianti o nostalgia per le loro prime esperienze sessuali negli anni giovanili... I genitori di un teen-ager si sentono depressi per la propria vita o il proprio matrimonio; sentono la perdita del proprio figlio; si sentono gelosi, rifiutati, e confusi circa il nuovo aspetto fisico, sessualmente maturo, del figlio, i suoi cattivi umori, il ritiro nella propria privacy dentro la casa dei genitori, e il coinvolgimento crescente rispetto agli amici."(28)
L'analogia della separazione in età adolescente con la separazione che interessa i primi anni di vita è assolutamente evidente; l'energia fisica ed emotiva spinge avanti, fuori di casa, la ragazza adolescente, che poi però sente il bisogno di farvi ritorno e accoccolarsi in grembo alla madre, di stare nel letto accanto a lei. Di sicuro non siamo dei neonati giganti ora sessualmente cresciuti, ma quando l'adolescente vacilla tra l'esigenza di rivendicare un proprio spazio e di pendere dal collo della mamma, è in preda ad una sorta di agonia che ricorda il senso di precarietà e il coraggio legati ai primi passi mossi da un bambino piccolo per raggiungere la stanza accanto. La ragazza ha bisogno di regole, sì, di regole ragionevoli che stabiliscano confini sicuri, ma anche di incoraggiamento e conferma sia della sua nuova identità separata che dell'amore costante dei propri genitori - "Vai tesoro, con il mio amore incondizionato, comunque tu sia, sei mia figlia!" Se molti di noi sono rimasti bloccati all'adolescenza, e non sono mai diventati adulti responsabili, questo è dovuto in parte alla mancanza di fede nel futuro, in noi stessi, ovvero alla nostra incapacità di superare il passato. Siamo impegnati in questo sforzo di separazione per tutta la vita, ma non c'è momento più adatto dell'adolescenza per dare forma alle nostre identità, proprio per tutti i sogni che facciamo sul nostro futuro. La bellezza ha sempre incoronato l'adolescenza, è sempre stata il premio per cui competere. Ma oggi la bellezza guida uomini e donne di tutte le età; e più giovani sono, meglio è. Dato che madre e figlia inseguono il medesimo obiettivo e la ragazza è più giovane della madre, quanto è importante riconoscere l'esistenza di una sana competizione, più che discuterne? Uno dei passi più distruttivi e retrogradi del recente Femminismo Matriarcale è stato lo sforzo di restaurare la vecchia idealizzazione del rapporto madre/figlia. Queste figlie di mamma vanno a comporre quello che i demografi chiamano il secondo Baby Boom. Possono anche essere impegnate in un lavoro fuori casa, diversamente dalle proprie madri, ma rispetto alle loro bambine vogliono esattamente quello che abbiamo tentato di superare negli anni Settanta: l'unione con la mamma. Le ricompense del processo di individuazione ora vengono denigrate. In questo momento storico, l'imperativo di "lasciare andare" le figlie rimane schiacciato sotto il peso di un desiderio più intenso di stabilire con loro una stretta relazione. Per molte di queste madri, la figlia rappresenta il rapporto più intimo e più importante della loro vita, forse il loro unico rapporto. Per il fatto di svolgere il doppio lavoro del sostentamento economico e della cura, spesso sentono di avere dei "diritti" aggiuntivi; forse non viene concettualizzato in questo modo, ma guadagnare denaro e allevare un figlio da sole aumenta il loro senso di proprietà e il loro desiderio di controllo. Il ruolo del capofamiglia non portava forse gli uomini a sentire di "possedere" le loro donne? Quali possibilità ha una figlia di trovare la sua identità unica di individuo, se la propria madre, cosiddetta femminista, si oppone al suo processo di trasformazione in un io separato, accompagnato dalla totale rassicurazione che la madre rimarrà al suo fianco? Ciò che invece avverrà è che la madre predicherà l'uguaglianza ma forgerà la figlia, proprio come quando si fanno i biscotti con gli stampini, a sua immagine e somiglianza. Queste giovani figlie degli anni Novanta ricordano le ragazze degli anni Cinquanta, le "brave ragazze" che "condividono tutti i loro segreti con la mamma". "Sono, e normalmente rimangono, fotocopie di una versione della mamma idealizzata - così ne imitano il modo di spazzolarsi i capelli, di vestire, di mangiare, di parlare, di camminare", scrive la psichiatra Louise Kaplan. " 'Non siamo mai state così vicine come ora', si vanta orgogliosa la madre... Anche dopo che [la figlia] si è sposata, la sua migliore amica rimane la mamma. La mamma è la sua confidente, la sua alleata contro il proprio marito. Nessun uomo può frapporsi in questa intimità madre-figlia." (29) La nostra cultura non ha mai smesso di sorridere di fronte a questo tipo di relazione "appiccicata ai fianchi" che vede protagoniste madre e figlia, in cui si evidenzia la preferenza di avere davanti a sé una donna desessualizzata, un clone, piuttosto che una figlia con una propria identità forte, su un piano paritetico, affettuosa - ma separata. In questi giorni, non c'è nessuno che ci impedisca più ostinatamente di portare a termine il compito iniziato vent'anni
fa, se non altre donne; e quelle che fanno più baccano ed esercitano un'influenza maggiore sono le donne che controllano il Femminismo Matriarcale, che è contro gli uomini e contro il sesso. Facendo della competizione il sinonimo del tradimento, si permette ad una donna adulta di negare i suoi sentimenti di rivalità verso la figlia adolescente, proprio nel momento in cui la bellezza e la giovinezza occupano il centro della scena. La contesa per la bellezza è tutto un fatto di competizione. Donne adolescenti e donne adulte camminano per la strada indossando abiti corti, trasparenti, che mettono in evidenza i capezzoli. "Guardami!" sembra che chiedano i loro vestiti. Ma non c'è nessuno che guarda, perché tutti sono in gara per catturare l'attenzione. Intervistate dalla rivista Seventeen a proposito di come vedono la propria generazione, il 60% delle adolescenti che hanno accettato di rispondere ha detto: "competitiva" (30). Queste ragazze sanno dare un nome all'emozione, ma non sono state educate a gestirla, e così sfugge al loro controllo. L'attuale supremazia di aspetto fisico/bellezza/apparenza abbandona le adolescenti all'ansia insostenibile di dover competere duramente contro altre ragazze e contro le proprie madri, cui si aggiunge la paura che la competizione distrugga l'amore. È una paralisi da aut-aut, appresa molto presto nella vita, proprio dalla nostra rivale più cara. Se nostra madre non sarà in grado di attraversare i diversi stadi di una competizione accettata e consapevole con noi, fin quando non arriviamo a convincerci che gareggiare e vincere sia eccitante, dopodiché si rimane buone amiche, allora quando/se saremo costrette a competere, lo faremo con un senso di timore misto a rabbia. Ritengo che il legame tra madre e figlia possa essere la più grande fonte di forza delle donne, ma non se la mela rossa appetitosa dell'amore è guastata da un orribile verme chiamato negazione. Ho visto in azione una velata competizione per la bellezza all'interno di relazioni apparentemente perfette; tutto è assolutamente invisibile, finché non "accade qualcosa". Quando avevo all'incirca venticinque anni, andai a fare visita alla famiglia del mio fidanzato. Era un fine settimana, e dovevamo andare tutti al country club per cena. La madre del mio fidanzato era una bella donna sui sessantanni, abbigliata con grande cura dalla testa ai piedi. La figlia avrebbe potuto essere ugualmente attraente se non avesse indossato un abito informe abbinato ad accessori trasandati. L'affettuosa vicinanza tra le due donne era evidente, ma era altrettanto chiaro chi tra le due era la star. Ci fecero una fotografia proprio quella sera, e quando il week-end successivo ci riunimmo tutti per vedere come eravamo venuti, la figlia si ritirò in lacrime nella propria camera. Suo fratello, essendo pienamente al corrente di ciò che succedeva in quella casa, mi disse: "Mia madre compra tutti i vestiti di mia sorella. L'ha sempre vestita a quel modo, anche quando era al college. Penso che il fatto di vedere te e la mamma così belle insieme e lei in quell'abito terribile... che deve fare? È una cosa che non si può mai mettere in discussione". Questa madre amava la propria figlia, e la figlia ricambiava quel sentimento. Ma non c'era posto per due bellezze nella stessa famiglia. Era un compromesso con cui era possibile convivere, fino a quando una foto non aveva reso troppo palese una verità inconfessabile. Oggi quella figlia ha delle figlie a sua volta che veste con gli abiti della propria infanzia che sua madre ha conservato in soffitta. Queste donne si sentono al telefono ogni giorno; l'affetto che le lega può essere autentico, ma ha il prezzo della rabbia repressa. Quando una figlia come questa cresce e si sposa, in realtà gravita ancora attorno al mondo della madre; l'altra donna al campo da tennis, l'altra donna che suo marito non può fare a meno di fissare, si trasforma automaticamente nella concorrente contro cui lei non potrebbe mai vincere; una sconfitta a priori. Perché fare lo sforzo di essere adulte, responsabili, quando il terreno è già stato occupato dalla persona che ha sempre controllato la nostra vita e la perdita del suo affetto significherebbe morire? Lasciamo pure che sia la madre ad assumersi la responsabilità della vita sessuale della figlia, dei suoi disturbi genitali, dei suoi problemi con la droga, o che sia invece un uomo a prendere in mano la situazione; la ragazza gli si dà con tutta la passione di cui è capace e dà per scontato che, come ha fatto la mamma, lui si occuperà di ogni cosa.
Se non si discute onestamente di come funziona la bellezza, e con lei il sesso, vero alleato del fascino adolescenziale, allora la ragazza interpreterà la negazione materna come la conferma che queste sono aree che sfuggono alla sua capacità di controllo e di cui non è per niente responsabile. I ragazzi imparano presto che le promesse d'amore e le continue rassicurazioni sulla bellezza della ragazza - dicendole che è così irresistibile, che la desidera - sciolgono le sue difese. Alla fine, ascoltando le parole che ha sempre voluto udire, sentendo di avere davvero raggiunto lo scopo femminile di sempre - il potere della bellezza - si consegna nelle sue mani. Una ricerca del 1992 indicava che le ragazze con "valori tradizionali" avevano rapporti sessuali prima di quelle che non avevano tali valori, ed era anche meno probabile che usassero metodi contraccettivi (31). Quel che si intendeva con "valori tradizionali" consisteva in credenze riassunte da frasi come queste: "La maggior parte delle donne non è in grado di prendersi cura di sé senza l'aiuto di un uomo"; "La maggior parte delle donne [non] è molto interessata al proprio lavoro e alla propria carriera"; "Un marito dovrebbe essere più brillante di sua moglie". Dato che la madre si tiene in allenamento con la ginnastica e controlla la propria dieta, può indossare gli abiti della figlia. La nuova musica infuocata trasmessa dalla MTV, il canale preferito di sua figlia, è identica a quella diffusa nel salone di bellezza frequentato dalla madre, a quella che la madre sente quando guida fino all'ufficio, e se è divorziata o single, è la musica che balla nei locali che frequenta, i bar preferiti per i suoi appuntamenti galanti, durante i quali forse incontra uomini più giovani di lei, che hanno un'età compresa tra la propria e quella di sua figlia. I vestiti all'ultima moda esposti nei negozi possono sembrare più appropriati alla figlia, ma ci aspettiamo forse che la madre vesta come una matrona? È fuori questione; questi sono gli anni migliori della sua vita, o così le era sembrato, finché la bellezza rigogliosa di sua figlia non ha iniziato a maturare di giorno in giorno. La mamma ama la sua bambina, si sente ancora la sua guardiana, quella che fa rispettare le regole, che impone una disciplina, la "donna" della casa. Come può gestire questi nuovi sentimenti di competizione, cui lei stessa non è stata preparata dalla propria madre, e che neanche ora chiamerebbe con quel terribile nome: competizione. Usa tutte le freccie al suo arco nello sforzo di negare quell'orribile sentimento, a cominciare da: "Competere con mia figlia? E perché mai? Siamo ottime amiche!" La scienza medica e i progressi economici si sono uniti per rendere la giovinezza un bene disponibile il più a lungo possibile per tutti coloro che possono permetterselo; tuttavia, nessuno vuole fare in modo che la smorfia rabbiosa rimanga fuori dalla competizione, mediante la trasmissione di regole che insegnino alle donne che si tratta di un'emozione umana, e che è meglio esercitarvisi nell'ambito della prima relazione competitiva, quella che ha luogo tra le mura domestiche. "No!" dichiarano le madri, alla ricerca invece del salvagente rappresentato dall'unione di due esseri simili come madre e figlia. La paura di sentirsi più vecchie, paragonandosi alla bellezza sensuale delle figlie, viene messa a tacere; non dicono tutti che sembrano più che altro sorelle? Quale delle due è la madre? Noi sosteniamo di educare le nostre ragazze a credere di essere le artefici del proprio futuro. Ed esse consciamente accettano questa convinzione, ma, reagendo a pressioni inconsce, si comportano esattamente come le ragazze della mia generazione, che aspettavano di essere invitate a ballare, aspettavano che lui desse inizio alla danza della seduzione proprio come l'avevamo coreografata nella nostra immaginazione, come noi avremmo agito se fossimo state al suo posto. Naturalmente lui commetteva passi falsi. La nuova generazione di ragazze può farsi avanti e invitare il ragazzo al cinema, a cena, ma quando si tratta di sesso, gli passa il testimone della responsabilità. Le mie amiche che hanno figlie adolescenti non assomigliano alle madri degli anni passati. Guardo le foto di mia madre di quando ero una ragazza, e, anche se era una bella donna, mostrava pienamente di appartenere ad una generazione precedente. Quando i mass-media di oggi applaudono alla squadra di sorelle formata dalla diade madre-figlia, chi è la persona vincente, la donna più giovane che sembra più vecchia o la madre che è riuscita nell'impresa di tirare
indietro le lancette dell'orologio? Ovviamente quest'ultima. C'è qualcosa di profondamente inquietante in questa intercambiabilità tra madre e figlia, soprattutto oggi che il valore esteriore dell'apparenza ha rimpiazzato quello interiore del garbo: il contenitore dallo splendido incarto è vuoto. Come agisce la ragazza adolescente di oggi per costruirsi un'identità separata dalla madre che ama? Come annunciare la sua uscita dall'infanzia e il suo arrivo sull'orlo di una nuova generazione che lei e i suoi amici creeranno? Esistono motivazioni profonde che spiegano i vestiti, la musica, il ballo e il linguaggio degli adolescenti, che tradizionalmente scioccano e sconcertano la generazione precedente, che per questa via si sente oltraggiata. Durante l'adolescenza, tentiamo disperatamente di essere visti per quello che siamo, di sentire nel nostro intimo che la nostra "diversità" viene pubblicamente notata. È una fase di grande narcisismo. Uscendo dall'ombra di nostra madre, veniamo alla luce, l'infanzia alle nostre spalle, sentendoci talmente unici interiormente da andare agli estremi. "Noi, come gruppo, siamo diversi da voi", sembra gridare il look del gruppo generazionale nella direzione dei più vecchi. E se la "vecchia" generazione dovesse rifiutare di riconoscere il passaggio del testimone, l'aspetto e il comportamento di quella nuova diventerebbe più selvaggio: "Dannazione, guardaci!" Le persone più anziane dovrebbero essere inorridite di fronte al modo di apparire dei giovani; da un certo punto di vista, esso sottolinea il tabù dell'incesto: stai lontano dall'erba, stai alla larga. Oggi, quando gli adulti imitano il modo di apparire dei giovani, si stanno scordando chi sono; non devono sembrare o agire da vecchi, ma non dovrebbero nemmeno attraversare la linea che divide le generazioni. Resta pure giovane e dall'aspetto sano per quanto ti è possibile, fatti dare un "tiratina" dal chirurgo estetico, ma rispetta la distanza tra le generazioni, che ha un suo motivo d'essere. Un'adolescente non dispone delle risorse necessarie per chiedere alla madre di mantenere questa distanza che le divide. Rientra nel ruolo di madre onorare la privacy, essere la persona deputata al "sacrificio" di apparire e comportarsi come l'esponente di una generazione più vecchia, responsabile. Le adolescenti tendono compulsivamente a nutrire dubbi su se stesse, a fare automaticamente paragoni con le altre donne. L'ultima persona cui una figlia ha bisogno di contrapporsi nel giudizio su di sé, è la propria madre, che veste meglio di lei gli abiti di moda creati per la nuova generazione. Se la madre vince la contesa, guadagnandosi le luci di scena, la figlia passerà la sua vita a chiamare la competizione con tutti i nomi possibili eccetto che con quello che sente dentro di sé in tutta onestà, finendo con l'ammettere sempre le sconfitte, ma con l'odiare segretamente le sue rivali per il solo fatto di "vincere". Come un tempo gli uomini "indossavano" le loro belle donne per attirare l'attenzione su di sé, così oggi fanno certamente i genitori con i propri figli. E in tal modo i figli crescono con la crucialità dell'apparenza stampata sulla faccia. Per più di un decennio, la generazione più vecchia, dei genitori, ha invaso il campo della celebrazione dell'adolescenza dei propri figli, appropriandosi, alla stessa velocità con cui venivano inventati, dei loro stili, della loro musica, dei loro modi. L'ultimo "look di gruppo" degli adolescenti, creato al fine di distinguere i genitori dai figli, viene sottratto nottetempo dai produttori di abiti, video, musica, riviste; questi produttori altri non sono che i genitori stessi. Prodotto di massa che invade le strade, i grandi magazzini, i cartelloni pubblicitari, il look adolescente trafugato subisce la sorte di venire ricreato da disegnatori d'alta moda esclusivi, e poi venduto ai genitori, la cui cooptazione nell'operazione costringe i figli ad inventare ancora un altro look. Produttori di abiti per giovani e di abiti di alta moda fanno miliardi a palate attingendo da entrambi i mercati, visto che ciascuna generazione è alla disperata ricerca di un proprio look, di un'identità, qualcosa che farà loro il dono della visibilità nell'era del Contenitore Vuoto. Gli abiti sono sempre un segno di identità, ma gli adolescenti dei giorni nostri sono stati cresciuti nell'abitudine di vedersi al centro dell'attenzione. L'avidità del mondo economico fondata sulla schiavitù dei giovani dal mito della bellezza è tale che il look deve cambiare in continuazione; è così fugace il senso di realizzazione che dà un nuovo paio di
jeans, un paio di scarpe o un pezzo di gioielleria all'ultima moda, che la felicità necessita di essere continuamente ricaricata, ricomprata, perché nulla ha toccato le corde interne, non c'è alcun senso di sé a cui ricorrere. La rabbia incontrollata che cammina per le strade, che fa risuonare i piatti nelle case, una rabbia che un tempo veniva governata da adulti che conoscevano e agivano secondo il loro ruolo, è ora di dominio dei più giovani, quelli dalle identità rubate dai propri genitori. La febbre sessuale dell'età adolescente spinge a livelli parossistici il bisogno disperato di essere visti. Le ragazze che affamano se stesse ingaggiano la gara più sinistra di tutte, perché chi vince muore. Le ragazze/donne si scrutano a vicenda con invidia, mentre comparano il diametro dei fianchi e della vita, prorompendo esultanti in frasi del tipo: "Oh, hai un aspetto meraviglioso, sei così magral" Questa competizione ha la pretesa di ruotare attorno alla questione della bellezza, ma non ha niente a che vedere con gli uomini. Le pratiche con cui venivano bendati i piedi, recise le clitoridi perché fosse impossibile provare alcun piacere sessuale, possono essere state finalizzate a tenerci buone al nostro posto, ma l'anoressia e la bulimia si evolvono a partire da problemi innominabili che sorgono tra donne. L'emergere delle top-model adolescenti, che vengono scimmiottate e adorate da un pubblico adulto, mette le ragazze comuni della medesima età in una posizione insostenibile. Il modello, l'idolo della cultura della nostra epoca è l'adolescente. Perché mai crescere allora? Diverse stagioni fa, apparve sul New York Times una recensione brillante della collezione autunnale di Donna Karan, in cui la giornalista scriveva che "la stilista ha insistito sul fatto che la moda oggi è multiculturale, che le madri possono indossare gli stessi abiti delle figlie, e che la moda è tanto importante sul lavoro, quanto lo è in palestra, nei locali e alle feste".(32) Tre giorni dopo, sulla costa opposta, il cantante Kurt Cobain, leader dei Nirvana, il gruppo rock grunge che era giunto al successo quattro anni prima, si uccise. Kurt Cobain proveniva da un retroterra sociale di classe operaia, una famiglia distrutta da un divorzio molto conflittuale, e le sue canzoni, che hanno affascinato un'intera generazione, erano intrise di una rabbia primitiva, di morte e alienazione, rigurgitanti di disagio psichico. È ironico e insieme triste il fatto che i suoi necrologi ne accreditassero il ruolo di inventore del Grunge Look, una moda recente che ha copiato il modo di vestire stracciato, stinto, del tutto privo di "rispettabilità", del cantante. Ricordo le estati passate a Sullivan's Island, all'epoca in cui io e le mie amiche stavamo diventando grandi. Il luogo in cui eravamo solite ritrovarci si chiamava The Pavillon, il nostro ballo era lo Shag, e l'uniforme che avevo inventato per me era costituita da un paio di calzoni bianchi regolamentari della Marina, acquistati al magazzino dei vestiti in eccesso della Marina, e portati così attillati che potevo quasi udire il sospiro di mia madre quando lei e i suoi amici mi passavano a prendere. "Nancy, quei pantaloni stretti, il modo in cui ballavi, quella musica ad alto volume!" sospirava la mattina dopo mentre siedevamo a tavola per la prima colazione, luogo da cui mi allontanavo sbrigativamente, portandomi dietro una sensazione nuova di soddisfazione perché, in ultimo, avevo ottenuto l'attenzione di mia madre. Quando lei roteava gli occhi a quel modo, rivolta verso il cielo, gli altri adulti sorridevano, seguiti da lei, e da me. Corroborato il fisico da una tavoletta di cioccolato Mallomars e da una CocaCola, trascorrevo l'intera giornata alla spiaggia ad abbronzare religiosamente il mio corpo troppo lungo, finché non assumevo un colorito dorato intenso, che, come mostrava lo specchio, aveva il potere di trasformare il mio aspetto. La magia di quella bella sfumatura da Pocahontas che ho esibito sulle spiagge di tutto il mondo, mi ha reso una delle più grandi veneratrici del sole. Inquieta per natura, potevo trascorrere giornate intere immersa, con l'acqua fino al ginocchio negli oceani, nei laghi, nei mari, in pace, completamente appagata dalla consapevolezza di avere trovato il mio speciale segreto di bellezza, un modo per farmi notare. Sentendomi bella nella mia abbronzatura intensa, camminavo con un portamento eccessivo, su e giù per le spiagge del mondo, gongolando alla vista delle teste che si voltavano per vedermi passare. Uno degli ammonimenti di mia madre era corretto: ho danneggiato in modo irreparabile
la mia pelle. Tuttavia, questi sono stati tra i miei anni preferiti, anni in cui ho appreso il potere della conquista. Nel corso di quelle estati dell'adolescenza, la disapprovazione di mia madre per i miei abiti, la mia musica, il mio modo di ballare, le ore trascorse tra le braccia dei cadetti della Cittadella sulla grande amaca di corda, tutto era una forma di rassicurazione del fatto che io stavo diventando me stessa e che lei rimaneva una parte del passato, amata ma a distanza. In questa distanza che io avevo architettato e che lei onorava, riconoscevo un senso crescente di responsabilità verso me stessa, man mano che mi sottraevo sempre più alla sua vista: se non dovevo arrivare ad assomigliarle o a comportarmi come lei, dovevo prendermi cura di me stessa. Come posso sottolineare ancora una volta che è a partire dallo sforzo creativo compiuto dagli adolescenti per costruire un io separato da quello dei propri genitori che nasce la possibilità di stabilire una serie di regole volte alla protezione di se stessi? "È strano che ciò che conosciamo della vita emozionale e mentale dei neonati vada ben oltre quel che riusciamo a comprendere degli adolescenti", afferma Louise Kaplan, "questi nostri figli più grandi che potrebbero - se gli fosse data l'opportunità - parlarci così chiaramente dei loro dilemmi sessuali e morali." (33) Non c'è posto per una sana competizione tra madre e figlia che siano l'una "la migliore amica" dell'altra. Un obiettivo del genere abbandona la ragazza alla necessità di sottomettersi alla donna più vecchia, finendo per non assumersi mai delle responsabilità verso se stessa, per non osare mai sfidare un'altra donna o forse, per sfidare le altre donne ad ogni passo. Quando non si sente la presenza di un padre in una casa, un uomo che potrebbe riconoscere più prontamente l'importanza e le regole della competizione, non c'è virtualmente nessun altro che possa aiutare la ragazza adolescente a superare l'attaccamento simbiotico per andare finalmente verso la propria vita. La Buona Madre trova la sua "migliore amica" al di fuori della diade madre/figlia, una relazione non adatta alle confidenze reciproche. Un'amica del cuore dovrebbe essere una coetanea, perché la voce materna, per ogni segreto confidato, che sia di tipo sessuale o di altro genere, porta sempre il segno di un'autorità giudicante che ha le sue radici nel ruolo di Gigantessa della nursery. Anche se non reagisce apertamente di fronte alle confidenze della figlia, la donna più giovane sa esattamente come la madre si deve sentire, l'ha sempre saputo. E per quanto riguarda la gara di bellezza, la figlia non può permettersi di sorpassare la madre, perché nella vittoria è compresa anche la perdita della sola persona - così le è stato fatto credere - che l'ama veramente. 4.7 - Il gruppo: la clausola di non competizione. Dov'erano i ragazzi della mia adolescenza, prima di quel fatidico giorno in cui apparvero all'orizzonte, improvvisamente depositari di tutto il potere e il fascino del sole, della luna e delle stelle? Suppongo che fossero lì intorno, a fare tiri al canestro, proprio come me. Ma li ricordo a malapena, prima del periodo dell'adolescenza. Noi ragazze, invece, eravamo inseparabili, dormendo insieme l'una nel letto dell'altra per anni, mentre l'amicizia che ci legava ci completava a vicenda, mentre il nostro riflesso negli occhi delle altre ci riempiva la vita. Ora le nostre mutue valutazioni esigevano che ci giudicassimo attraverso gli occhi del sesso opposto. All'improvviso, i ragazzi erano diventati i giudici, e noi, senza metterlo in discussione, vivevamo dei loro punteggi; il loro modo di classificarci faceva sì che ci vedessimo l'un l'altra sotto una luce diversa. Certo, durante la fase di latenza, noi ragazze avevamo preso in considerazione il valore di avere un viso grazioso; ma i paragoni e la competizione finivano più facilmente nell'abbraccio dell'emozione più forte che dava la comunione. Ora, il fatto che la selezione maschile cadesse su alcune ragazze del nostro gruppo, e tutto il ragionare dietro alla scelta di una ragazza particolare da parte del ragazzo più desiderabile, creava una nuova, innegabile gerarchia sociale. Senza chiedere spiegazioni, accettavamo le preferenze maschili per seno, riccioli biondi, e belle gambe. La supremazia esercitata dalla bellezza nel periodo adolescenziale aveva risvegliato i nostri ricordi di quel genere di
potere che avevamo visto in azione fin dai primi anni della nostra vita in famiglia. Gli anni di latenza avevano rappresentato un notevole momento di tregua rispetto alla tirannia della bellezza, ma ora essa era di nuovo in auge, ed era alimentata dall'arma chimica più potente che ci sia in natura: il desiderio sessuale. Maschi e femmine, andiamo verso di lei, come falene attirate dalla luce. La bellezza è la moneta universale della terra. Compra ogni cosa. Non importa tanto che ad essere bella sia un'esponente del nostro sesso; lei possiede l'elisir e noi vogliamo starle intorno. Comprendiamo nel modo più pieno il motivo per cui il ragazzo migliore sceglie la ragazza più carina. Noi faremmo lo stesso. In verità, le mie amiche più intime, sia negli anni della latenza che successivamente, durante l'adolescenza, erano le ragazze più carine; devo avere sentito dentro di me che solo il fatto di stare accanto a loro mi avrebbe trasmesso calore. Probabilmente speravo che, restando nel cerchio della loro luce, qualche bagliore residuo si sarebbe riflesso su di me. Forse uno dei corteggiatori respinti mi avrebbe scelta. "A partire dalla terza elementare, le percezioni delle ragazze sulla propria apparenza si fanno sempre più acute, mentre i maschi continuano a non dubitare del proprio aspetto", dice la psicologa Susan Harter. "Più ancora dell'intelligenza, delle abilità in campo atletico e in altri campi che possono dare autosoddisfazione, l'idea che le persone si fanno del proprio modo di apparire è altamente legata alla loro autostima. Questo è vero per gruppi tanto diversi come maschi e femmine, portatori di handicap o normodotati. All'interno di tutti questi gruppi, la valutazione sulla propria bellezza ha la precedenza, rispetto ad ogni altro dominio di confronto, quale fattore predittivo numero uno per il grado di autostima, inducendoci a domandarci se per caso l'autostima sia solo un fatto di superficie. Perché il nostro io esterno, fisico, dovrebbe essere così strettamente legato al nostro io interno, psichico?"(34) Ma non siamo comunque da soli in quest'opera di attribuzione di potere d'influenza al nostro aspetto fisico sulla nostra intera personalità; come ai tempi dell'asilo e negli anni di latenza, anche gli amici e gli insegnanti vedono quelli più belli tra noi come individui che posseggono talenti speciali: uno studio del 1987 scoprì che "gli insegnanti delle classi con alunni da poco adolescenti, consideravano gli studenti fisicamente più attraenti come più competenti da un punto di vista scolastico, relazionale, sportivo... rispetto a quelli meno attraenti" (35). Senza fare discussioni, noi ragazze rimescolammo il mazzo di carte in accordo con il lavorio sismico che la bellezza stava provocando nella nostra vita; le leader degli anni della latenza occuparono automaticamente il sedile posteriore rispetto alle bellezze adolescenti, pienamente consapevoli della appropriatezza della selezione naturale. La tragedia fu che, paragonate alla bellezza, le nostra abilità mentali, fisiche e relazionali ci apparivano così meschine, talvolta persino un intralcio, in quella danza erotica, romantica a cui ora desideravamo ardentemente partecipare. Il lato ironico della faccenda per noi ragazze adolescenti è che, pur desiderando vedere la nostra immagine riflessa dagli occhi dei ragazzi, i giudici che ancora regnavano sulle nostre esistenze erano le Altre Ragazze, i cui occhi non erano meno severi, più tolleranti di quelli materni. Possiamo anche catturare lo sguardo di un ragazzo, ma esiste un potere più grande senza la cui approvazione non possiamo vivere. Quando le Altre Ragazze ritengono che abbiamo oltrepassato certi confini con un ragazzo, che, prese dalle nostre smanie esibizionistiche, ci siamo messe troppo in mostra, diventiamo inconsolabili. Nemmeno il nostro amato ragazzo può riportarci alla vita; solo nel momento in cui veniamo perdonate, riaccolte nella Famiglia, ci sentiamo di nuovo persone complete. Vivere osservando le Regole delle Ragazze e nel frattempo accedere all'amore degli uomini è un saggio di equilibrismo in cui la ragazza avventurosa, piena d'inventiva, degli anni di latenza non ci è di nessun aiuto: ora quella ragazza ci è completamente inutile. Sì, a quel punto le amicizie con le ragazze sono importanti, anzi vitali, ma la comparsa dei ragazzi nei nostri desideri introduce un'intensa competizione sessuale interna, cui non siamo assolutamente preparate. Gettate nel bel mezzo di una rivalità sessuale con le ragazze che per anni per noi hanno significato la vita, ci trasformiamo in tanti zombie passivi, in
individui in perenne attesa, aspettando di essere scelte, perché l'atto di prendere l'iniziativa con i ragazzi introdurrebbe nel gioco un elemento di competizione proibita. Al centro di queste amicizie sussiste infatti una potente Clausola di Non Competizione, una luce rossa che si accende ogni volta che sentiamo il bisogno di distanziare un'altra ragazza. È lo stesso tipo di comprensione del divieto di competizione che abbiamo sperimentato con nostra madre, di fronte alla quale ci siamo sempre dolorosamente arrese. Non fu mai vera competizione, perché vincere voleva dire perderla. Ero cresciuta insieme ai ragazzi della mia prima adolescenza; potevo scommetterci che a loro sarebbe piaciuto ricevere una mia telefonata, che avrebbero gradito una prima mossa da parte mia. Ma all'epoca, prendere l'iniziativa era assolutamente tabù, a meno che, ovviamente, non lo facessimo come gruppo. Sedevo davanti al telefono, fissandolo con gli occhi, aspettando, pregando perché suonasse. E dato che al cinema era proibito raggiungere la mano di un ragazzo, io sistemavo la mia sul bracciolo che ci divideva nella posizione più supplichevole, oppure sul mio grembo, e pregavo. Nelle riviste per teenagers di oggi si legge che la maggioranza dei ragazzi e delle ragazze pensano: "Non c'è niente di male nel fatto che una ragazza chieda ad un ragazzo di uscire". Questo è un punto a favore, ma gli stessi sondaggi concordano sul fatto che: "Le ragazze che escono con più di un ragazzo alla volta, si guadagnano la reputazione di sgualdrine" (36). Si tratta dello stesso gioco a somma zero: se tu ottieni di più, significa che per me ci sarà di meno. Soltanto ieri la nostra migliore amica era il nostro mondo; oggi, il Gruppo ne prende il posto, allargando come una chioccia le ali sulle nostre teste. In effetti, il Gruppo è una grande madre, una fonte d'amore e di identità, ma anche un tribunale eccessivamente severo in altre occasioni. Dopo la scuola, il nostro rituale di gruppo prevedeva di andare in giro, su e giù per le vecchie stradine di Charleston, fino a quando non trovavamo i ragazzi, in genere in questo o quell'altro campo da gioco. Non lo avremmo mai fatto da sole, ma il coraggio del Gruppo era enorme. La patente di guida veniva concessa a quattordici anni, e l'autista designata prelevava ciascun membro del Gruppo finché sette o otto di noi non ci accalcavamo nella macchina. Oh, l'ansia di aspettare alla finestra l'arrivo della macchina della mia amica, nella paura che potesse dimenticarsene, anche se non succedeva mai. Era una paura che avevo imparato a dominare anni prima, quando, dovendo servire una palla di softball, incoraggiavo le mie compagne più timorose ad essere coraggiose. Ora ero di nuovo nella posizione di attesa, e anche se nessuno parlò mai della mia mancanza di bellezza, sono certa che questa fu la causa del riaccendersi della mia paura di abbandono. Fossi stata capace di portare con me nell'adolescenza la facilità con cui affrontavo le situazioni competitive, avrei trovato di sicuro qualcosa, nel mio carattere poliedrico, per gareggiare con le ragazze più belle. Ma dato che nel Sud vigeva la supremazia della bellezza, ricaddi in un ruolo non competitivo all'interno della mia famiglia, dov'ero sempre stata invisibile. Lì ero riuscita a persuadermi che non avevo bisogno di "loro", di mia madre e di mia sorella, ma avevo bisogno con tutto il cuore del mio gruppo. "L'adolescenza è un altro stadio in cui si tenta di acquisire un io psicologico indipendente", afferma la psicologa clinica Jeanne Murrone. "È un processo che avviene a otto mesi, a due anni, ancora a quattro e cinque anni, e poi nell'adolescenza. Tuttavia, il modo in cui gli adolescenti gestiscono questo stadio di individuazione è caratterizzato dal fatto di non essere del tutto soli, ma di disporre di un sostituto della famiglia, il gruppo dei pari. Per la prima volta nella vita, i propri coetanei rappresentano probabilmente le persone più importanti, al posto della famiglia." Ho confuso amore e sesso per la maggior parte della mia vita, trovando tra le braccia degli uomini molto più di quanto essi potessero immaginare. Dopo un primo bacio, divenivo schiava di una passione che non aveva nulla a che fare con il ragazzo/uomo. Lui era quasi un prestanome, una soluzione mitologica alla ricerca infinita del mio cuore errante. Due baci avevano il potere di farmi sentire sullo stesso piano di ragazze la cui bellezza, solo qualche momento prima, mi aveva fatto sentire inferiore. Adesso avevo anch'io delle braccia pronte a stringermi; ero un membro autentico del Gruppo, dove la bellezza e il suo premio, il principe, erano prerequisiti per farne parte.
Amavo i miei anni adolescenti, i balli al suono della musica sulla spiaggia, le ore passate nei cinema drive-in. Ma l'intensità delle smanie romantiche ammutolirono il mio cervello; persi il ritmo del processo di accelerazione della crescita mentale. Considerando la quantità di energia che concentravo sugli standard di bellezza e di sesso vigenti nel gruppo, e la distanza che sentivo di dover coprire per tener fede a quegli ideali, nessuna delle mie paure era più intransigente di quella del giudizio emesso dagli specchi. Mi veniva richiesto di abbandonare l'occasione di cui parla Rousseau - lasciarsi alle spalle "l'amore di sé" in favore dell' "amore per la specie" - e di rinascere invece nel riflesso emanato da uno specchio, quello della Ragazza adolescente comune. Dopo che i ragazzi ebbero fatto il loro ingresso nelle nostre fila serrate ed ebbero strappato le ragazze l'una dalle braccia dell'altra per portarle fuori da sole la sera, la lealtà reciproca ne uscì violata. Noi desideravamo intensamente rientrare tra le prescelte, ed eravamo felici di andare con loro, ma le offerte d'amore e di approvazione dei ragazzi non sarebbero mai state investite di tanto potere quanto le voci delle altre ragazze. Ci sentivamo più a nostro agio insieme alle ragazze perché tutte quante non credevamo all'amore professato dai ragazzi. Sul punto di affogare, ci aggrappavamo le une alle altre, disperandoci per il fatto che i ragazzi non riuscivano a convincerci del loro amore, e che avrebbero potuto lasciarci sole. Naturalmente, questo genere di affetto reciproco non ci tratteneva, in un giorno d'estate qualunque, ubriacate da un eccesso di fanciullaggine, dal somministrare "il trattamento" alle nostre amiche più care. Volevamo loro bene/volevamo punirle; amore e rabbia, il primo e più importante modello d'intimità. Stare fuori dal Gruppo, essere diverse, avere qualcosa "in più", può voler dire rifiuto e isolamento, sostiene la psicologa dello sport Cheril McLaughlin. "Per essere accettate, soprattutto durante gli ultimi anni di scuola media e di scuola superiore, le ragazze devono essere l'una uguale all'altra, vestirsi allo stesso modo, avere un gergo che le accomuni. Scegliere di stare fuori, e mostrare le proprie qualità, ha spesso serie conseguenze. Nelle squadre di tennis delle scuole superiori, le giocatrici di talento spesso preferiscono nascondere la loro abilità, perdere le partite con le proprie amiche, perché non vogliono rischiare di perdere l'amicizia. A tutti i livelli, le ragazze e le donne tendono a sottrarsi alla competizione per motivi del tipo: 'Come posso sentirmi bene quando vinco se questo significa che l'altra persona perderà?'." Quando alla fine ci mettiamo in competizione, lo facciamo furtivamente, negandolo, e al buio. Noi vogliamo bene alle nostre migliori amiche, ma qualche volta proprio non possiamo farne a meno, e il cerchio di ferro che tiene unite le ragazze/donne viene messo alla prova: "Ho perso la mia verginità l'anno scorso", scrive una giovane donna alla rivista Seventeen, "e da allora la mia migliore amica cerca in ogni modo di entrare in competizione con me. Se io vado a letto con un ragazzo, lei va a letto con due. È come se ogni volta fosse un fatto di competizione, lei va a letto con quel ragazzo in più per vincere, e me lo sbatte sempre in faccia. Non so cosa fare. Sono forse stupida ad usare tutti questi ragazzi in questa sciocca competizione ignorante?" (37). La competitività è un sentimento naturale; siamo noi che siamo ignoranti perché non siamo state preparate a gestirla con regole sicure. Non esiste area in cui la rivalità sia più inevitabile che quella in cui abbonda la bellezza, e quel momento della vita coincide appunto con l'adolescenza. In modo simile, un uomo di giovane età mi racconta di un incidente capitato nella sua scuola un po' di anni fa, quando la ragazza del suo migliore amico rimase incinta. Si trattava di una delle ragazze più carine della scuola e faceva parte di un gruppo particolare, il gruppo delle cheerleaders, ed era anche l'alunna più brillante della loro classe. Insieme alle sue amiche formava un gruppo molto ristretto, soprannominato Le Vestali Vergini. Quando si scoprì che una di loro aveva infranto la regola cardinale, la misero al bando. Il ragazzo decise di sposare la sua ragazza, ma non prima di essere andato al bar della scuola, e, davanti a tutti, annunciò alle Vestali Vergini: "Che coraggio ad attaccare la mia ragazza ! Lasciate che vi dica quali altre del vostro gruppo di santarelline ha fatto sesso con me: tu e tu!" Additò le due ragazze. Il gruppo si sciolse, per non ricostituirsi mai più. Una delle più grandi fantasie erotiche femminili che si forma nell'adolescenza, è quella di sedurre un uomo. Le donne adulte sognano come sarebbe poter essere
di nuovo adolescenti e, rompendo le Regole, abbordare il ragazzo che adoravano e mostrargli ogni forma di seduzione proibita. Quali che fossero le regole del periodo in cui sei cresciuta, le più rigide riguardavano probabilmente il modo in cui una ragazza poteva mostrare il proprio corpo. Trascorriamo la nostra vita a comprarci la bellezza, a fare diete in suo onore, a mutilare il nostro corpo per acquisire un aspetto che impressioni, e in cui finiamo per non credere mai. Perfino una bellezza naturale non permette a se stessa di esibire un piacere eccessivo di fronte al proprio vantaggio. È solo questione di fortuna, solo un fatto di buoni geni trasmessi dai genitori, voleva farci credere Cybill Sheperd, scrollando i suoi stupendi capelli biondi in una pubblicità televisiva per l'Oreal. "Sì, certo", annuivamo con invidia, provando un pizzico di piacere alla lettura del fallimento del suo matrimonio. "Non odiatemi perché sono bella", supplica un'altra bellezza del cinema dalle pagine di una rivista femminile, centrando pienamente il problema. Ecco una bella pagina tratta da 'Il borgo' di William Faulkner, che riesce a riprodurre l'immagine della Ragazza Bella, proprio come io la ricordo: "Eula Varner... non aveva tredici anni... Tutto quanto il suo aspetto, anzi, faceva pensare alla simbologia delle antiche epoche dionisiache - miele nel sole e grappoli esuberanti, contorti rivoli di sangue della vite fecondata e schiacciata sotto lo zoccolo caprino duro e ingordo. Eula non pareva un vivente elemento del mondo a lei contemporaneo, ma sembrava esistere piuttosto in un vuoto pregnante, nel quale i suoi giorni si susseguivano come sotto una campana di vetro, dove lei pareva ascoltare in un cupo smarrimento, piena di stanca saggezza ereditata da tutta quanta la maturità mammifera, i suoi organi crescere... Per tutta la primavera, e per la lunga estate del suo quattordicesimo anno, i ragazzi quindicenni, sedicenni e diciassettenni che avevano frequentato la scuola con lei e altri che non c'erano stati, volarono come vespe intorno a quella pesca matura ch'era la sua umida bocca carnosa. Erano in tutto una dozzina. Formavano un gruppetto, omogeneo e clamoroso, del quale Eula era l'asse, il centro, serena e sempre intenta a masticare. C'erano nel gruppo tre o quattro ragazze, meno in vita, benché nessuno sapeva per certo se lei se ne servisse deliberatamente come riparo. Erano più piccole, sebbene quasi tutte più anziane. Pareva che l'abbondanza che aveva presieduto alla sua culla, non contenta di eclissarle semplicemente con la forma dei lineamenti e col tessuto dei capelli e della pelle, le avesse pure volute impicciolire e liquidare a pretta forza di massa."(38) Entrare negli anni dell'adolescenza senza essere dotate di bellezza, può trasformarsi in un rivolgimento di tali proporzioni che chi vi è coinvolto finisce per non riprendersi mai dal senso di inadeguatezza. La bellezza può anche sopraggiungere dieci anni dopo, ma il riflesso nello specchio non sarà mai degno di fede. La tirannia della bellezza ci tiene in pugno perché cela in sé la negazione della competizione. Possiamo dare sfogo al nostro malumore solo a brevi sussurri, in segreto, con un'altra donna che condivide il nostro risentimento. Quando una ragazza vede le teste di altre due ragazze che si uniscono, i loro occhi che si stringono, un'elettricità sfrigolante tra loro, riconosce la cattiveria proprio nel momento in cui sgorga. A loro modo, questi sfoghi occasionali di invidia aiutano il Gruppo a rimanere in vita. Il ragazzo dei propri sogni può essere l'obiettivo, ma se lui ci spezza il cuore, sappiamo che saremo circondate dall'abbraccio delle Ragazze, che loro ci consoleranno. Durante l'adolescenza lottiamo per ottenere l'amore del sesso opposto e, allo stesso tempo, per non perdere i legami e la nostra identificazione con il Gruppo. Non possiamo averli entrambi? Perché per le donne dev'esserci un autaut? Troppo presto i volti speranzosi delle ragazze iniziano a registrare l'ansia del rifiuto da parte dei ragazzi, ma anche la rivalità soffocata verso le persone che sono alla base del nostro mondo. Lo sguardo dell'adolescenza diventa titubante in seguito al nostro sforzo di controllare le emozioni che erano solite correre libere sul nostro viso. Emozioni come la rabbia e la paura non devono comparire sul nostro volto. Un modello muscolare di espressioni inizia ad inciderlo; si stanno preparando le linee e le rughe che anni dopo cattureremo con odio nello specchio sopra il lavandino. Con il tempo, i nostri volti diventano la carta stradale della nostra vita, come le pieghe profonde che
si formano sull'abito su cui siamo state sedute a lungo, pieghe che non si lisceranno una volta alzate in piedi. "Penso che il viso riveli il carattere di una persona", dice Lynton Whitaker, primario di chirurgia plastica alla Medicai School della University of Pennsylvania, "perché i muscoli mimici facciali non sono diversi da ogni altro muscolo del corpo: si innestano nella pelle direttamente dall'osso. Perciò, essi mostrano quello che si sta sentendo esattamente nel modo in cui lo si vuole mostrare. Un'espressione deve ricorrere per un periodo di tempo sufficientemente lungo perché si formi un'incisione, come un'incisione nel vetro. Deve ripetersi probabilmente diversi milioni di volte, prima che le linee rimangano impresse in modo permanente. Forse il 20, 30% delle persone che si rivolgono a me per interventi di natura estetica, mi chiedono esplicitamente di rimuovere qualcosa che verrebbe caratterizzato come un'emozione: tristezza, rabbia, ansia, fatica. Non c'è dubbio che in alcune persone queste rughe inizino a formarsi negli anni adolescenziali." Immagina il controllo muscolare richiesto ogni volta che non permettiamo allo sguardo d'odio o di rabbia di attraversare i nostri bei visini! Per quanto riguarda l'autoaccettazione sessuale - non mi riferisco al rapporto sessuale, ma all'essere a proprio agio con i propri desideri sessuali - anche in questo caso si crea un modello che durerà per tutta la vita. Se i primi anni infantili non ci promisero che lei sarebbe stata sempre al nostro fianco, che la competizione avrebbe anche potuto dispiegarsi, ma che l'amore sarebbe comunque rimasto, allora ogni lite e rivalità con i ragazzi e le ragazze che amiamo avranno sempre il sapore dell'amore minacciato; la felicità, in questo caso, si dà solo nell'unione simbiotica. Il tipo di angoscia che prova il Gruppo ora, quando ragazzi adorabili, irresistibili, scelgono una o due ragazze, non è molto distante dalla sensazione quasi di morte che accompagnava le amicizie più intime dei nostri anni di latenza, quando due bambine abbandonavano la terza senza alcun motivo. Un ragazzo sceglie la ragazza che non sapeva neanche di sognare fino alla sera precedente, e poi eccola lì, quella dal sorriso schivo, dalla pelle candida, dai seni deliziosi, lei che accende in lui una sensazione che dice: "Danza con me". Non intende distruggere il Gruppo delle Ragazze, né sminuire le candidate perdenti; ha dovuto fare i conti con lo scegliere e il perdere per diversi anni. Allettandola ad abbandonare le sue amiche, non è conscio del rischio, così come del potere che lei matura. La tragedia della Ragazza Bella consiste nel fatto che, molto "probabilmente, era una ragazza come tante fino all'adolescenza, quando il cigno affiorò in lei. E mentre una parte di lei riconosce il successo agli occhi dei ragazzi, è però molto attenta a non dare troppo peso al proprio trionfo. Lo sguardo che scorge sul viso delle altre ragazze, che la amano e la invidiano, esige che perda sotto qualche altro profilo, al fine di controbilanciare la sua vittoria. Per moderare i suoi nuovi poteri, non cerca di eccellere in altre attività, perché possiede già molto. L'amore dei ragazzi è una cosa meravigliosa, ma il sostegno e l'affetto delle Ragazze e della Madre rappresentano le linee guida della vita adolescenziale. Anche se possiamo aver agognato di essere noi a impersonare la regina o il re che ritorna in patria, l'inevitabilità della loro unione ci colpisce profondamente; comprendiamo completamente il motivo per cui si appartengono. Il potere attira il potere. Insieme regnano su di noi, il loro ruolo indiscusso, finché, naturalmente, non avvistiamo una crepa nella loro armatura perfetta, che rivela la loro vulnerabilità, che invita la nostra invidia. Allora affondiamo la lama e lasciamo scorrere il flusso meschino del risentimento, scoprendo così l'altro lato del potere della bellezza, quello di incentivare la crudeltà in quelli che ne sono sprovvisti. Il pettegolezzo è un ingrediente importante per le trame dei film di successo dedicati al pubblico adolescente, sussurri che paventano lo scandalo e ricamano sul sentito dire, trasformandolo in voci esagerate; la voce corre intorno alla scuola: "Uccidili! Falli fuori! Trai un po' di piacere dal loro dolore!" Al termine del film, rinasciamo nel segno della loro riunione, della loro difesa, della loro bellezza. Ambivalenza. Nel mondo femminile tradizionale, la rivalità che ribolliva per la bellezza venne soffocata a tal punto che la regola di non competizione dovette essere
estesa ad ogni aspetto della vita. Queste leggi anticompetizione iniziarono a svanire solo quando la bellezza non fu più l'unica fonte di potere. Questo è assolutamente evidente negli sport femminili. In essi, il soffio salutare della competizione, lo sforzo stremato delle giocatrici, contenuto soltanto da buone regole, è musica per le orecchie e un sollievo per gli occhi. E vedere queste giovani donne giocare con tanto accanimento e tanta grazia, come accade in ogni altra squadra maschile, guardarle esultare alla vittoria e stringere le mani alle avversarie, che sanno di poter vincere domani, ecco, questo per me è il femminismo al suo meglio. Il mio tipo di femminismo. È un'esperienza meravigliosa per una futura vita lavorativa, e anche per la maternità, se queste donne dovessero scegliere di diventare madri. "Il problema più grande che all'inizio le atlete devono affrontare è quello di dover giocare contro le proprie compagne di squadra durante gli allenamenti e poi rimanere in rapporti amichevoli con loro fuori dal campo", riferisce Geno Auriemma, che allena la squadra di basket femminile del Connecticut. "Una delle prime cose che dico loro è: 'Ascolta, qui non ci sarà niente di tutta quella roba da ragazze. Niente cose del tipo, Lei ha detto che tu hai detto che loro hanno detto, che è così spesso associato alle ragazze'. E loro sanno esattamente di cosa sto parlando. Prendi due ragazzi di una squadra liceale che competono per lo stesso posto. Durante l'allenamento si uccidono totalmente; il livello d'intensità del conflitto è altissimo. L'allenamento finisce. I due ragazzi se ne escono, forse vanno a mangiare qualcosa insieme. Poi tornano l'indomani e ripetono tutto da capo. E questa si chiama competizione. Le ragazze faticano a fare questo. Si portano fuori la competizione in campo. 'Non le rivolgerò più la parola.' Oppure: 'Se sta cercando di farmi fuori, allora vuol dire che è mia nemica'. È difficile insegnare alle ragazze che qualcuno dovrebbe sforzarsi al massimo in una situazione competitiva. Il gioco consiste in questo, fare del proprio meglio, non in 'Chi è mio amico, chi è mio nemico'. Giocare duro non rovina l'amicizia. Ho una ragazza nella mia squadra che è senza dubbio la persona più competitiva che io abbia mai allenato, maschio o femmina. Noi abbiamo bisogno di persone così. 'Lo voglio adesso e ci lavorerò finché non me lo merito', lei dice. È sicura di sé, leale, competitiva, e una grande giocatrice. Penso che le donne lavorino di più e più duramente degli uomini. Ma devono imparare a lavorare in squadra, invece di escludere sempre una di loro. Devono imparare a credere che possono competere nel modo più duro e poi uscire per andare a bere qualcosa insieme. Lo stesso vale per il lavoro quando sono più grandi. La gente dice: 'Le donne non sono capaci di maneggiare la competizione, sono troppo emotive'. Balle. Le donne sono più forti di quanto la gente è disposta a scommettere." A chi devono prestare ascolto le giovani donne allora, allo squillo di tromba per una sana competizione o alla vecchia linea di partito stabilita dal Femminismo Matriarcale? Gloria Steinem ha affermato che la competizione danneggia il femminismo, e le ha fatto eco Carol Gilligan, che asserisce che la superiorità delle donne risiede nella loro innata riluttanza ad indulgere in atteggiamenti competitivi. In realtà, è la mancanza di regole sicure di competizione a rendere la tirannia della bellezza così micidiale. Invece di riconoscere il potere della bellezza e la inevitabile rivalità che essa suscita, regrediamo ad una situazione di conformità, che sembra mettere al sicuro la bellezza dal rancore provocato in quelle che non la possiedono. Piuttosto che affrontare la competizione, il modo di vestire e di apparire dei membri del gruppo comunica: "Vedi, non sono arrabbiata, appaio proprio come te, provo le tue stesse sensazioni, parlo proprio come te, cammino proprio come te. Non voglio essere unica. Voglio essere la replica di te, e di te, e di te". E così, in questa Seconda Nascita che è l'adolescenza, quella persona originale, alimentata dal fuoco dello sviluppo sessuale unico di quegli anni, non viene mai alla luce. Non è mai esistito il giorno in cui discutemmo le Regole che decretavano come vivere i nostri anni adolescenti. So solo che desideravo fare cose che poi non facevo. Era come se, durante la notte, la Fata dell'Adolesceza avesse fatto visita a ciascuna di noi e, nel sonno, ci avesse sussurrato all'orecchio le Regole. Un giorno ci siamo alzate e vestite per andare a scuola e ci siamo scoperte meno avventurose, più guardinghe a vicenda, anche se un osservatore
esterno avrebbe potuto dire che eravamo più intime e simbiotiche. La paura di essere escluse, più di ogni altra cosa, faceva sì che ci aggrappassimo le une alle altre. Noi ragazze cresciute insieme eravamo così reciprocamente dipendenti, che ora ci avvicinavamo all'adolescenza, ai ragazzi, al sesso, strette da un abbraccio che formava una sorta di gruppo acquatico genetico. La scuola di ballo di Esther Williams. Non rompevamo mai la catena magica che ci legava, la nostra rassicurazione - e anche la nostra garanzia - che nessuna si mettesse a nuotare per proprio conto, portando con sé più della sua quota di frutto proibito. Abbiamo avuto il nostro primo ciclo mestruale in periodi diversi, ma, emotivamente, ci stavamo addosso a vicenda, per qualsiasi tipo di esperienza che una ragazza potesse fare. Erano davvero poche le ragazze che soddisfacevano lo stereotipo estetico della giovinezza richiesto nel luogo e nel periodo in cui siamo cresciute. Anni dopo guardiamo le vecchie fotografie e ridiamo dei mocassini da quattro soldi che tutte indossavano, dei maglioncini di cashmere con le perle o delle minigonne e dei maglioni di poco valore, dell'uniformità nel modo di portare i capelli, lunghi, corti, stirati, arricciati, raccolti a chignon, qualunque fosse il modo che ci assicurasse l'appartenenza. Per quanto forte potesse essere il bisogno di venire riconosciute e amate dai ragazzi, il Gruppo imponeva restrizioni e ci tirava per i capelli, tenendoci d'occhio. Le Regole della Brava Ragazza sono sopportabili solo quando nessuna ottiene una fetta della torta più grande delle altre. Possiamo anche non essere pronte per un rapporto sessuale, ma chiediamo più vita di quanto ci consentano le dita agitate in segno di rimprovero delle altre ragazze. Ci mancano le voci spiegate degli anni di latenza, l'estensione intellettuale a scuola, l'orgoglio dei risultati sportivi. Tutti perdono quando non c'è modo di gestire la competizione per la bellezza adolescente. Ovviamente, l'ironia è che la competizione continua imperterrita, negata, disconosciuta, e chiamata con altri nomi. Nessuno aveva mai detto precisamente cosa si poteva fare e cosa non si poteva fare con un ragazzo. Forse era proprio questo a rendere le Regole così prodigiose: lasciavano ognuna di noi nell'incertezza su quel che esattamente facevano le altre ragazze nell'oscurità, trasmettendoci soltanto la convinzione che noi ci eravamo spinte troppo oltre in un momento di passione e che perciò dovevamo compilare il nostro biglietto per l'inferno. Nella mia spinta sessuale mi sono sempre sentita più vicina agli uomini che alle donne. Non ne faccio un vanto, è piuttosto il sospetto, il timore di non essere "normale". Perché mai dovrei preoccuparmene? Oggi non c'è nessun Club delle Brave Ragazze da cui possa essere rimproverata. Ma, vedi, in realtà esiste. Loro, Le Ragazze, non scompaiono mai veramente. Di quando in quando accade qualcosa che mi riporta d'un colpo alla consapevolezza della capacità delle donne di condannarmi all'inferno, della loro presa senza fine su di me. Durante un'estate a metà degli anni Sessanta, ero a Fire Island, nuda nel letto accanto a Stan, il mio amante. Non era il nostro letto, ma Stan amava farlo nei posti proibiti, e la festa che si svolgeva nella stanza accanto risuonava nelle nostre orecchie, mentre la nuvola di fumo d'erba rimaneva sospesa tra le travi del soffitto. Vorrei ricordarti che quelli erano gli anni dell'assenza di Regole, in cui la sola regola vigente era quella di infrangere tutte quelle che s'incontravano sulla propria strada. Non solo io e Stan, ma tutti quanti, anche quelli che stavano dall'altra parte della porta, eravamo coinvolti fino in fondo in questo gioco di infrazione delle regole. Il solo fatto di scopare al margine di una folla di persone stava portando Stan all'orgasmo, quando improvvisamente la voce di una donna si levò sopra il frastuono della festa, una voce decisamente critica che intendeva afferrarmi nel pieno delle mie fantasie erotiche, e riportarmi violentemente alla realtà con l'accusa terribile, preceduta dal martelletto del giudice che diceva: "Colpevole!", anche se in realtà le parole esatte furono: "Nancy è nella camera da letto a scopare con Stan". Vero. Ma era il tipico tono da censura femminile; oppure fu la mia coscienza eccessivamente severa a trasformare un'affermazione di fatto in una sentenza di messa al bando, nell'ambito del mio problema d'identità senza fine, quello che mi trova divisa tra la Brava Ragazza e la Cattiva Ragazza? Le Regole della Brava Ragazza me le porterò nella tomba. Quando scrivo libri sul sesso, mi faccio
colpire a fondo dalla loro censura pubblica sui mass-media. Anche se ne anticipo il criticismo benpensante, che anzi utilizzo come impulso creativo per scrivere i miei libri, e ho quasi la sensazione di tramortirle con le mie parole per la loro responsabilità nel diffondere il senso di colpa sessuale tra le donne, tuttavia mi raggiungono. Mi piace pensare che tutto questo stia cambiando; la nuova generazione di giovani commedianti, per esempio The Bad Girl su The Comedy Channel, sputano nell'occhio della censura femminile ad ogni barzelletta oscena che raccontano, annunciando così tempi migliori. 4.8 - Cercando gli occhi di mio padre. Mio padre. Le parole suonano così estranee pronunciate dalle mie labbra, così sconosciute alle punte delle mie dita che le depongono sulla carta. Una specie di alto tradimento, per la rottura del tacito voto del silenzio. Anche ora sembra pericoloso scrivere di lui, ovvero della sua mancanza. Rientrava tra i miei doveri di brava ragazza non chiedere di lui: "Cosa gli è successo? Dov'è andato? Com'era?" L'argomento era così scottante che mia madre non pronunciò mai il suo nome, mai. Il suo nome era Walter. Ecco, l'ho scritto. È venuto il momento di parlare di lui, specialmente in questo capitolo, che chiede a gran voce la presenza dei padri; ha assunto troppe forme nei sogni dell'ultimo sonno. So che la sua assenza, soprattutto nell'adolescenza, costituì un vuoto profondo, come deve esserlo per ogni ragazza senza padre. Fino a quella sera abissale allo Yacht Club, quando nessuno mi scelse come compagna di ballo, non c'era stata alcuna figura maschile nella mia vita, eccetto mio nonno. In realtà, avevo tentato di prendere il posto di mio padre all'interno della famiglia, con l'essere responsabile, evitando di lamentarmi, essendo coraggiosa, rispetto ad una madre e ad una sorella deboli e ansiose, o così almeno avevo deciso di vederle. Ora, in una sola notte, volevo essere una stella di quel sesso da cui mi ero sempre tenuta lontana, quel club privato di donne che si comportano da donne a cui mia madre e mia sorella appartenevano, e per il quale non avevo mai fatto domanda d'iscrizione. Non avendo alcun padre che potesse benedire la mia femminilità, decisi, non senza provare un certo senso di disperazione, che avrei trovato l'approvazione maschile da un'altra parte. Suppongo che a questo si riferisse il mio psichiatra Leonard Michaels, quel giorno di alcuni anni fa in cui lo intervistai: "Una figlia che cresce in una casa senza padre non smette mai di sentire il bisogno di un uomo". Per natura sono una cocca di papà, un'amante degli uomini, "mascolina" nella mia determinazione a mettermi sempre alla prova. Per quanto il mio amore per gli uomini derivi in parte dal desiderio di trovare nei loro occhi l'adorazione che non ho avuto da mia madre, l'altro aspetto connesso a quel bisogno è rappresentato dalla voglia di diventare la compagna spirituale del mio uomo, realizzando così il suo sogno adolescente di avere una ragazza che gli vada incontro in tutto. Ho sempre saputo che se solo fossi riuscita a fare in modo che un uomo abbassasse le sue difese lasciandomi entrare nel suo mondo, avrebbe riconosciuto in me la donna che lo accetta completamente. Sarei stata per lui lo specchio pronto a riflettere la persona che egli ha sempre temuto che nessuna donna avrebbe amato; e, sicuro del fatto che non ci sarebbe stato nulla di ciò che mi aveva mostrato di sé che non sarei stata disposta ad accettare, si sarebbe arreso. Non mi avrebbe lasciato mai. Dove avrebbe potuto ritrovarmi in un'altra donna, e dove avrebbe potuto ritrovare ancora se stesso? Un giorno caldo della mia adolescenza vidi la sua foto in fondo all'armadio per la biancheria intima di mia madre. Ricordo la quiete della casa, i raggi di sole sul legno scuro del cassettone di mogano che un giorno avrei ereditato. Non era la prima volta che esploravo gli armadi e i cassettoni di mia madre, perché non ho mai smesso di cercare, rovistando qua e là quando lei era fuori casa. Non ammettevo consciamente di essere alla ricerca di indizi sull'esistenza di mio padre, ma, all'improvviso, sotto le mutandine di pizzo, mi apparve: un bell'uomo dai capelli scuri, in giacca e cravatta, mi guardava. Il mio padre segreto, la persona di cui nessuno parlava, il legame mancante della nostra famiglia e della mia vita; gli occhi di cui avevo sempre sentito la mancanza, del loro vedermi, accogliermi, approvarmi, amarmi. "Tuo padre era un beniamino delle donne", mi disse una delle sorelle di mia madre anni dopo. "Era quello che noi chiamiamo un 'donnaiolo'." Naturalmente ho
sempre dato per scontato che io sarei stata la sua prediletta, come mia sorella lo era per mia madre. È possibile che la sua presenza sarebbe servita a smorzare la competizione in cui mi sentivo coinvolta, non solo con mia madre e mia sorella, ma ora, nell'adolescenza, con le amiche della mia infanzia? Se fosse stato presente, tenendomi tra le braccia e amandomi, forse le vecchie sconfitte infantili tra fratelli non sarebbero risorte così crudamente dalla tomba, lasciandomi in lacrime al momento di abbandonare il ruolo di leader del mio gruppo. Non ebbi mai dubbi sulla mia identità di genere; morivo dalla voglia di apparire desiderabile agli occhi del sesso opposto. La tragedia era che non apparivo così femminile come mi sentivo dentro. Al tempo in cui una qualche bellezza giunse anche per me, alla fine degli anni adolescenti, la mia morte era già stata predisposta; lo specchio ha sempre riflesso la ragazzina di tredici anni senza bellezza; talvolta la nascondo dietro il glamour che si compra nei negozi, ma, senza trucco, lei riemerge sempre. Non ho mai dubitato del fatto che il mio bisogno esibizionistico dell'approvazione maschile fosse una reazione alla perdita della gara di bellezza con mia madre e mia sorella. Un giorno, l'anno in cui la mia casa andò a fuoco e mi separai dal mio primo marito, per una seduta terapeutica con Dan Stern scelsi dal retro dell'armadio un vestito che non indossavo da anni, un capo giallo brillante, dalla gonna gonfia, stile ragazza ingenua, con la scollatura che scendeva sulle spalle, un abito estraneo al mio stile e inadatto ad una seduta con il proprio analista. "Indossi quel bel vestito giallo per me?" furono le sue prime parole, gentile come un padre con la sua bambina e con un sorriso particolarmente affettuoso sul viso. Mi aveva visto dentro, mi aveva letto nel pensiero con un'acutezza superiore alla mia. Sì, naturalmente ero uscita con l'idea di sedurre il mio analista, era stato così fin dal primo momento che ci siamo incontrati; durante le sedute, la mia posizione preferita era distesa con la schiena appoggiata al pavimento, e mentre parlavamo, facevo scorrere il mio piede scalzo su e giù per la sua gamba. In mia difesa, posso dire di avere una schiena che mi dà dei problemi e che sto spesso in quella posizione, distesa sul pavimento, ma questo è solo un inutile tentativo di negare l'evidenza; ero pazza di mio padre/dell'analista, e l'incidente del vestito giallo mi colse di sorpresa, perché stavo recitando il gioco della seduzione non come una vamp adulta, ma come una ragazza adolescente. "Non hai letto Proust?" gli chiesi in modo arrogante nel tentativo affrettato di mettere in salvo la mia sofisticata compostezza. "Metà di 'A la recherche du temps perdu' parla di quello che indossa Albertine. I vestiti fanno progredire la trama." "E che genere di trama stai cercando di portare avanti, Nancy?" mi domandò. "La nostra relazione, ovviamente. Che tu ti rifiuti di riconoscere. Invece, preferisci lasciarmi per andartene sulla tua stupida barca." Eravamo quasi ad agosto, mese di vacanza nazionale per gli analisti. E poi scoppiammo a ridere, anche se il mio riso suonava esitante. Nessuno conosceva meglio di Stern l'influenza che l'assenza di un padre aveva avuto sulla mia vita. "Tornerò", disse alla sua grande bambina vestita di giallo. Non ne ero convinta. È incredibile quanto siamo pronti ad accettare l'assenza di un padre nella vita di una ragazza adolescente quando invece è così ovvio l'aiuto che potrebbe fornirle in quegli anni, perché, essendo un uomo, avrebbe delle conoscenze a proposito dei ragazzi, una vera fissazione per lei ora. Pensa ad un padre che fornisca alla propria figlia un'immagine più umana del sesso maschile, e che, allo stesso tempo, le spieghi, molto meglio di quanto possa fare una madre, l'effetto potente che la sua bellezza ricca di richiami sessuali esercita sui ragazzi. Se il padre fosse molto vicino alla propria figlia, le direbbe delle insicurezze dei ragazzi, dei loro sogni, del loro ricorrere al ruolo del macho perché incapaci di maneggiare le emozioni al cospetto delle ragazze, che, ai loro occhi, sembrano avere tutto il potere del mondo. L'umanità intera viene allevata da donne che non sanno nulla degli uomini. Il nostro sarebbe un mondo differente se fosse invalsa l'abitudine e l'aspettativa per cui gli uomini, al pari delle donne, rimangono tanto vicini alle proprie figlie adolescenti quanto lo sono stati nel periodo dell'infanzia. Lasciare le
ragazze unicamente in mani femminili comporta una crescita priva di una vera conoscenza del sesso opposto, esattamente come è accaduto alle loro madri. Nell'adolescenza, gli occhi paterni rappresentano per la figlia un nuovo territorio di conquista; lei vorrebbe accenderli, nel momento in cui questa persona amata, che ha avuto fin qui un ruolo centrale nella sua vita, si rende conto di quanto le è accaduto. Stando davanti a lui, appesa alla sua mano, attende il suo verdetto: "Guardami", lei vorrebbe dire. "Fammi sapere che sto andando bene, che sto riuscendo nell'impresa di diventare una ragazza carina. Le tue opinioni sono le uniche di cui possa fidarmi." "Lascia stare tuo padre, adesso sei grande", dice la madre. Se lei interferisce, se il padre batte in ritirata proprio in questa fase cruciale del rapporto padre/figlia, la ragazza apprenderà che le relazioni d'intimità con gli uomini mettono a rischio i legami tanto amati con le altre donne. E il padre imparerà quello che ha sempre saputo, che la gelosia di sua moglie è messa a guardia della proprietà dei figli, e della sua persona. Ritrarsi dalla competizione in corso tra le donne di casa, significa abbandonare a se stessa la propria figlia. Sono tante le donne che ricordano di essere state "scaricate", al sopraggiungere dell'adolescenza, da padri che in precedenza erano stati compagni affettuosi. "Ero la cocca di papà", narra la storia, "la sua preferita, andavo a pescare insieme a lui e talvolta lo accompagnavo nei suoi viaggi di lavoro. Ma quando raggiunsi l'adolescenza, mi scaricò." Come spiegare la confusione e la rabbia che le si agitano dentro, quel senso di tradimento? Come non pensare che ciò che è accaduto al suo corpo ha a che fare con tutto questo, e che è un male che questo cambiamento le procuri la perdita della persona più importante della sua vita? E com'è facile trasferire l'infedeltà di un padre su tutti gli uomini della sua vita futura: "È così che sono fatti gli uomini! Prima o poi, ti lasciano". Il fatto che così tante tra noi, per vari motivi, siano entrate nell'adolescenza senza godere dell'approvazione amorevole di un padre per il nostro risveglio sessuale, costituisce una perdita che non finisce mai di risospingerci indietro nel tempo. La ragazza adolescente non intende rubare realmente il padre alla madre, quanto piuttosto mettere alla prova la sua capacità di civettare con l'unica persona di cui può fidarsi. Se lui riconosce la natura dei bisogni della figlia e sa qual è la sua parte, con un riflesso di amore autentico nello sguardo le dirà: "Ti sei trasformata in una donna così bella!" Riconoscendo la genuinità delle sue parole, lei gli crederà. Il dono sarà stato scambiato. Se avessi avuto un padre simile, la mia vita sarebbe stata diversa. Di una cosa soltanto sono certa, e cioè che ho cercato inutilmente mio padre in tutti gli uomini che ho amato, senza mai credere del tutto alle loro professioni d'amore o alle loro rassicurazioni sulla mia bellezza. Non ricordo una sola ragazza della mia adolescenza che avesse un rapporto solido con il proprio padre. Non una. Posso essere stata l'unica ragazza senza padre nel mio gruppo ma, in quel momento della loro vita, tutte quante avrebbero benissimo potuto esserlo. Non ci fu mai un consiglio o una conoscenza provenienti da un padre che qualcuna più fortunata di noi poté trasmetterci, e quando andavo a trovare le mie amiche a casa loro, i padri erano come fantasmi, figure nell'ombra intente a leggere il giornale sulla sedia a dondolo. In uno studio sulle teen-agers cresciute con o senza padre, un gruppo proveniva da genitori divorziati e non vedeva il proprio padre dall'epoca del divorzio, il secondo gruppo era formato da ragazze con madri vedove, e il terzo viveva con entrambi i genitori. Tra i diversi gruppi non è stata riscontrata alcuna differenza in termini di problemi comportamentali, ma si evidenziavano differenze sostanziali sul modo di reagire agli uomini. Rientrava nello studio il fatto che ogni ragazza dovesse presentarsi in un ufficio dove veniva intervistata da un uomo. Nell'ufficio c'erano tre sedie tra cui la ragazza doveva scegliere. Le figlie di genitori divorziati sceglievano solitamente la sedia più vicina all'uomo, e sedevano in una posizione scomposta, a gambe aperte; erano civettuole, loquaci, e si protendevano verso l'uomo, guardandolo negli occhi. Le ragazze orfane di padre sceglievano la sedia più lontana dall'uomo e sedevano assumendo una posizione rigida, con le gambe serrate, non sorridevano ed evitavano lo sguardo dell'intervistatore; erano timorose e timide. Le ragazze che avevano entrambi i genitori in casa reagivano secondo modalità situate tra gli altri due estremi, e si mostravano molto più a
loro agio con l'uomo che avevano di fronte. Quando le stesse ragazze vennero intervistate da una donna, non si evidenziarono queste differenze. Quando i ricercatori studiarono il tipo di relazioni che le ragazze intrattenevano con altri uomini, scoprirono che le ragazze provenienti da una famiglia di genitori divorziati trascorrevano molto più tempo in luoghi in cui circolavano giovani uomini, e tendevano ad usare il loro corpo per attirare l'attenzione; si incontravano più spesso con i ragazzi, avevano rapporti sessuali più frequenti e più precoci rispetto alle ragazze appartenenti agli altri due gruppi. Le ragazze il cui padre era defunto, iniziavano ad incontrarsi più tardi con i ragazzi, tendevano ad evitare i maschi, e apparivano sessualmente inibite. Nel rapporto di ricerca, lo psicologo E. Mavis Hetherington scrive: "Per entrambi i gruppi di ragazze il cui padre era assente, la mancanza dell'opportunità di creare un rapporto costruttivo con un padre affettuoso e attento ha prodotto ansia e capacità inadeguate nel relazionarsi ai maschi" (39). I risultati indicavano che se un padre non prende parte alla vita familiare, la sua assenza ha un'influenza decisiva sull'atteggiamento della figlia verso gli altri uomini, un atteggiamento che continua molto dopo la fase adolescenziale. "Le donne provenienti da famiglie intatte, compivano le scelte di matrimonio più realistiche e riuscite, e mostravano di avere una vita sessuale matrimoniale più soddisfacente (incluso il numero di orgasmi), rispetto alle donne che erano cresciute senza un padre." (40) Lo studio che ho appena citato desta forse qualche sorpresa? Il fatto che appaia sensato rappresenta la più triste delle reazioni, perché significa che abbiamo sempre saputo quale effetto abbia la mancanza di un padre sulla vita delle ragazze giovani, ma la nostra scelta di convivere con questa situazione rientrava nello scambio di potere all'interno della Società Patriarcale. Per perpetuare la focalizzazione dell'uomo sul motore dell'economia, il ruolo del padre come colui che provvede nel modo migliore al sostentamento della famiglia veniva idealizzato, esattamente come il monopolio della madre sulla casa e sui figli veniva elevato a livelli sacrali. Oggi, entrambi i sessi possono provvedere efficacemente al benessere economico familiare, e difatti soffriamo di uno squilibrio sociale. Se continuiamo a ritrarre il ruolo di cura come un ruolo privo di potere, i padri non spingeranno per rivendicarne una quota, e le madri continueranno a crescere gli esseri umani, mentre sono impegnate anche a competere con gli uomini nei luoghi di lavoro. Cosa c'è di sbagliato in questo scenario? Le donne preferiscono sobbarcarsi più compiti di quelli che riescono a gestire, piuttosto che chiedere ai padri di partecipare alla vita dei loro figli. Gli uomini dovranno fare pressioni per rivendicare i loro diritti di paternità con lo stesso accanimento con cui le donne domandano pari opportunità nelle aree ancora a predominio maschile. Tutti quei giudizi densi di conseguenze dei primi anni di vita non dovrebbero dipendere solamente dagli occhi di una donna. E una volta giunta l'adolescenza, un padre dovrebbe prendere atto della realtà per cui la propria figlia è sul punto di attraversare la soglia della femminilità adulta; invece di voltare i tacchi, dovrebbe far sentire la sua presenza incitandola a continuare ad esercitare il suo intelletto, le sua capacità dialettiche, e tutte le altre abilità che padroneggiava nel periodo preadolescenziale. Dovrebbe parlarle di sesso, fornirle un'immagine reale dei ragazzi, con le loro fragilità e i loro punti di forza. Perché mai una ragazza dovrebbe attendere l'arrivo di un altro adolescente che le dia la conferma della propria bellezza, un ragazzo male attrezzato a capire ciò che gli si chiede, quando invece nella sua casa alberga il giudice perfetto? Se il padre si sottrae a questa valutazione cerimoniale del rito di passaggio della figlia, l'approvazione da parte dei coetanei diventa troppo carica di significato. Quando il ragazzo adolescente porge il complimento che lei desiderava ardentemente udire dalle sue labbra, lei leggerà così tante cose nell'adorazione di lui che, in uno slancio di gratitudine, gli si offrirà. In genere, gli adolescenti se ne infischiano completamente dei complimenti che provengono dai genitori, è un modo di segnalare una rottura con il passato. Eppure è necessario pronunciarle quelle parole, perché in realtà loro sono in ascolto. "È molto evidente che la maggior parte dei genitori di adolescenti
continua ad esercitare l'influenza più rilevante", afferma Jeanne Brooks-Gunne, presidente della Society for the Research of Adolescence. "Anche se l'influenza esercitata dai pari guadagna in statura nel corso di questi anni, quando si guarda agli studi sull'importanza dei risultati accademici, l'importanza dei voti scolastici, degli obiettivi post-diploma, anche per cose come fumare e bere, i genitori contano ancora più dei coetanei." Il riconoscimento paterno del processo di crescita della figlia, che continua anche quando l'adolescenza dorme - La Bella Addormentata - sarà il mantra scritto sopra il suo letto, l'ultima cosa che lei vede la sera, e la prima la mattina, un monito che ricordi ad ogni ragazza che si addormenta in lacrime che il giudizio fidato del proprio padre è giusto. La figlia che manca di bellezza imparerà dal padre che non tutti gli uomini cercano la bellezza in una donna; riuscirà a convincerla che ci sono altre qualità e caratteristiche importanti per gli uomini. Può esserle di tiepido conforto, e tuttavia lo accetterà, più di quanto avrebbe fatto se fosse provenuto da sua madre, perché lui appartiene al mondo dei ragazzi/uomini da cui è tanto attratta. I suoi consigli finalizzati a convincerla di non smettere di coltivare il suo talento, che non ha niente a che fare con lo specchio, avranno un significato particolare. Lei gli crederà perché ha imparato a fidarsi di ciò che vede nei suoi occhi. Finora le donne hanno pensato che solo altri occhi femminili potessero giudicare la bellezza; che il monopolio derivasse dalla dipendenza assoluta delle donne dalla madre/dalle donne che caratterizza tutta la nostra vita. Dal momento in cui saranno sempre più numerosi i padri che aiutano le loro figlie a crescere fin dalla nascita, i loro occhi e i loro verdetti risulteranno tanto credibili e ricercati quanto quelli della madre e delle altre donne. La risposta al vecchio detto "Per chi si vestono le donne?" sarà: "Uomini e donne". Alla domanda su quali siano le necessità più rilevanti per una ragazza adolescente, Judith Seifer risponde: "Ha bisogno di avere intorno un uomo adulto che non può sedurre, con cui esercitare le proprie abilità sociali e seduttive. Questo non può farlo con le sue amiche. E tuttavia proprio la cultura che sta negando questo ad una donna, sta anche insegnando agli uomini che tutte le donne sono potenziali partner sessuali. Nella nostra cultura, le donne e le ragazze sono così investite di significati erotici che il solo modo in cui padri e mariti in una casa possono avere a che fare con le proprie figlie adolescenti passa attraverso la negazione della loro sessualità. Quando il padre si allontana, lei non capisce per quale motivo questa persona che ama la sta respingendo. Noi puniamo le ragazze perché crescono. Se il padre non sottoscrive i cambiamenti fisici cui la figlia sta andando incontro, seguendo modalità non seduttive, là fuori c'è una fila intera di ragazzi pronti a sottoscriverli". Perché assumiamo che i padri siano meno capaci di affrontare la sessualità delle figlie di quanto lo siano le madri con i figli maschi? Perché un uomo dovrebbe essere meno in grado di impedire a se stesso di oltrepassare la linea dell'incesto? Talvolta penso che la nostra prontezza nel vedere gli uomini incapaci di dominare la loro sessualità, in tutte le aree, si sia trasformata in una profezia che si autoavvera. Guardiamo un uomo che ha la responsabilità di prendersi cura di una bella ragazza giovane, e automaticamente siamo assalite dall'idea che la molesti; cosa c'è che non va in noi? Il dato dell'incesto paterno è continuato per generazioni perché si adattava alla società. Le fantasie erotiche che riguardano persone della nostra stessa famiglia capitano, ma in una fantasia non c'è predeterminazione. Se la società non volesse che i padri indietreggiassero rispetto alle figlie, non avesse deciso di vedere la libido maschile come un elemento incontrollabile, avremmo istruito, educato gli uomini ad interpretare le fantasie nella loro qualità di idee e immagini che raggiungono la nostra mente, proprio come succede con i desideri di omicidio; non commettiamo un assassinio/non commettiamo incesto. Tenendo gli uomini lontani dai loro figli, fuori dalle mura di casa, la società ha fatto in modo che si concentrassero unicamente sul loro ruolo economico, nettamente bilanciato dal monopolio femminile sulla totalità delle questioni domestiche. L'assunto secondo cui "gli uomini sono belve sessuali" ha ulteriormente dilatato l'immagine dell'uomo potente, e ha smorzato la libidine originaria della donna. Forse ti sei accorta del fatto che non viviamo più in questa dimensione. Come possiamo avere una visione così piena dei nuovi diritti
alle pari opportunità delle donne e, al contempo, conservare un'immagine così deviata degli uomini? Lasciare la cura dei bambini alle "buone" madri, escluderne gli uomini, è stato un sistema negativo per il passato, ma certamente non si attaglia al presente. Preferiamo pensare che le madri non abbiano idee incestuose, che l'incesto madre/figlio e madre/figlia non accada. Con l'accrescimento del potere economico delle donne, si è evidenziato sempre più l'intero spettro delle nostre scelte sessuali. Se il solo modo per ottenere che i padri siano maggiormente coinvolti nella vita dei figli prevede lo svelamento del lato nascosto della sessualità femminile - non siamo meno umane degli uomini - io voto a favore. L'impedimento maggiore perché una figlia abbia un rapporto stretto con il proprio padre è rappresentato dal rifiuto femminista a mettere in agenda la sessualità delle donne, a vedere il quadro completo. La questione dell'incesto materno è stata messa a tacere perché la società aveva bisogno di idealizzare i propri custodi del focolare e della prole. Fino a trent'anni fa, gli studi comportamentali negavano persino che le donne avessero fantasie sessuali. Se la società recalcitrava di fronte all'accettazione del fatto che anche le donne pensavano al sesso, è ovvio che l'idea dell'incesto, come pensiero o come atto, fosse fuori questione. Abbiamo fatto dell'incesto paterno una notizia talmente succulenta per i mass-media, l'argomento di punta dei talk show giornalieri, e poi ci voltiamo orripilati di fronte all'indizio che le madri non solo hanno pensieri incestuosi, ma, in realtà, commettono il fatto. Quali sono gli elementi che ci fanno parlare di incesto? Per definizione, non si tratta semplicemente di rapporto sessuale. La madre che dà un bacio al pene del suo bambino piccolo dopo che gli ha fatto il bagno e l'ha asciugato, non può essere visto come un atto incestuoso. I diritti materni sono così inoppugnabili che coloro che eventualmente assistessero a questo comportamento non farebbero alcun commento, né si sentirebbero in dovere di prendere qualche provvedimento. Lasciata sola, la madre scivola nel letto del proprio figlio mentre il marito è fuori città per affari. Dorme con il braccio attorno al proprio figlio, niente di più, ma significa "qualcosa" per il ragazzo, che sta lì con la sua erezione e se lo ricorderà per il resto della vita. La sensazione di avere dei diritti speciali nei confronti dei propri figli comprende anche un contatto fisico che va ben oltre i limiti appropriati d'età. Sentiamo parlare così poco dell'incesto materno perché i ragazzi, gli uomini non ne fanno parola. La mamma lo ha amato; una parte di lui ha goduto della situazione in cui lei era distesa al suo fianco. Le sensazioni sessuali che ha provato sono tutte colpa sua; sente un terribile senso di colpa per l'erezione avuta mentre giaceva tra le braccia della madre; la mamma è buona/lui è cattivo. Una volta adulto, il figlio sente che da parte sua sarebbe poco virile e ingrato discuterne, persino pensarvi; in realtà, la maggior parte degli uomini "dimentica" incidenti di questo tipo. Non furono atti compiuti dalla persona che li ha fatti nascere, che si è presa cura di loro per tutta la vita, e a cui sono uniti da un nodo d'acciaio? Le centinaia di uomini che mi hanno scritto e parlato di incesto con la propria madre non lo hanno fatto con un tono giudicante. La maggior parte di essi preferisce vederlo come un atto d'amore, e tuttavia, cosa può portare una confusione sessuale più dirompente di una madre che dorme con il proprio figlio la notte e veste i panni di chi detta le regole, di chi lo contrasta, di giorno? I sessi sono composti da diverse sfumature. La rabbia che le donne erano solite ingoiare e rivolgere contro se stesse, oggi vola libera nell'aria, in cerca di altri obiettivi. Gli uomini ne sono investiti più del dovuto, poiché le donne sono restie a sfogare il proprio malumore su altre donne, più temute degli uomini. Soprattutto quelle più giovani accettano con maggiore facilità il personaggio della Puttana/Assassina quale eroina chiaramente riconoscibile da inserire nelle trame dei film, dei libri, della fiction televisiva e delle strisce di fumetti. Questo è progresso. È salutare mostrare delle donne che si macchiano, tanto quanto gli uomini, di atti di malvagità. "Siamo stati educati a vedere le madri come amorevoli e affettuose, completamente votate all'autosacrificio", afferma la psicologa Jeanne Murrone. "Ma esistono le madri arrabbiate, alcune di loro apertamente aggressive, che lottano con sensazioni del tipo 'Questo bambino non mi piace. Avevo sentimenti
contrastanti sul fatto di averlo. Nessuno mi ha mai detto che sarebbe stato così. Su questo non sono per niente pazza'. Come cultura, non parliamo mai di cose come queste, non è ammissibile." Noi sappiamo che, ogni anno, più di un milione dei nove milioni di ragazze tra i quindici e i diciannove anni degli Stati Uniti restano incinte (41); sappiamo che le ragazze che crescono senza un padre tendono ad avere più precocemente il primo rapporto sessuale (42). Appare ovvio che, senza un uomo per casa, una ragazza adolescente tenderà ad idealizzare gli uomini, ad immaginare quanto le sue "aree problematiche" si sarebbero risolte se ci fosse stato un padre che l'avesse vista proprio come le sarebbe piaciuto. Ed è altrettanto ovvio che, quando si vedrà "in quel modo" negli occhi di un ragazzo, lei sarà vulnerabile. Un tempo, un ragazzo faceva pressioni su una ragazza "per andare fino in fondo", ma se lei resisteva, solitamente lui lasciava perdere. Trent'anni fa, erano più numerosi i padri che potevano fornire almeno la parvenza di un esempio di mascolinità ai propri figli maschi. Ma la ragazza di oggi, più ansiosa che mai di essere amata, si ritrova tra le braccia di un ragazzo la cui immagine di mascolinità si è formata attraverso la televisione. Fino all'adolescenza, la ragazza senza padre è sopravvissuta nell'universo femminile; ora ha bisogno di confrontarsi con un'immagine che rispecchi la riuscita della sua transizione dall'infanzia alla vita adulta. Legge quell'immagine di sé negli occhi dei ragazzi, proprio come legge nei sentimenti che lui ha suscitato l'idea che l'ama e si prenderà cura di lei; si dona a lui, senza alcuna forma di contraccezione, il che, agli occhi della ragazza, lo rende responsabile. "Le figlie hanno davvero bisogno dei loro padri durante l'adolescenza, quando la consapevolezza e l'approvazione di un uomo permette ad una figlia di accettarsi fisicamente, nell'interezza della sua immagine corporea", sostiene lo psicologo Henry Biller, da trent'anni impegnato nello studio della paternità. "Ma quel che vuole una figlia è così semplice: la conferma che ciò che le è accaduto fisicamente ed emotivamente sia buono e ammirevole, e che ai suoi occhi lei non ha fallito. È diventata una bella giovane donna." Sfortunatamente, non disponiamo di alcuna "tradizione" nel rapporto padre/figlia, niente che ci possa dire com'era; non esistono storie, nessuna forma di saggezza trasmessa di generazione in generazione alle famiglie di oggi, in modo tale che i padri attuali possano sapere in cosa consistano le loro responsabilità verso una figlia adolescente. Il padre moderno si sta inventando da solo. Sua moglie si è reinventata nei luoghi di lavoro maschili, dove la propria madre può non aver lavorato; bene, i padri devono prendere il coraggio a quattro mani e quando assistono, ad esempio, ad una competizione in atto tra madre e figlia, devono farsi coinvolgere dalla situazione. Suona così terrificante? Ebbene, i giorni della ritirata del padre dagli "affari tra donne" sono finiti. Stiamo aspettando che vengano scritti i libri per i padri, e uno dei capitoli più deprimenti sarà su come i padri dovrebbero affrontare la competizione tra le donne presenti in casa, in modo che essa venga riconosciuta, superata, cosicché né la madre né la figlia sentano di avere perduto il suo affetto o quello che le lega l'una all'altra. Persino il maestro, il Dr. Freud, non fu in grado di gestire bene questo aspetto della propria vita familiare. La sua figlia più famosa, Anna, crebbe nella sensazione di non riuscire ad ottenere l'attenzione di suo padre, e lei sapeva che questo aveva a che fare con il fatto di non essere bella (43). Era Sophie, la sua bella sorella maggiore, a catturare lo sguardo di Freud. Anna Freud non ebbe mai un rapporto sessuale in tutta la sua vita, lasciandoci con il sospetto che fu la sconfitta nella gara di bellezza di famiglia a portarla a seguire le orme paterne nella professione, visto che le mancava quell'essenziale qualità "femminile" che aveva attirato il padre verso la propria sorella. Le adolescenti di oggi si troveranno presto a dover affrontare la competizione con entrambi i sessi nei luoghi di lavoro. Hanno bisogno di essere istruite sulle nozioni di base, a cominciare dal fatto che la competitività è un sentimento positivo, che può essere manifestato, un argomento di cui discutere; che esistono delle regole di protezione, e che, una volta terminata la gara, ci si stringe la mano, sapendo che l'avversaria di oggi potrà essere l'alleata di domani, se ce ne sarà bisogno. Gli studi comportamentali ci dicono che le ragazze che svolgono un'attività sportiva hanno migliori possibilità di riuscire
nel mondo degli affari perché imparano a lavorare in squadra, la cooperazione, l'assunzione di rischi, il che si traduce nella costruzione di reti di colleganza nei luoghi di lavoro. In questo genere di cose un padre gode di una grandissima esperienza. Abbiamo a nostra disposizione una risorsa preziosa, chi meglio di un padre può accompagnare la propria figlia sulla soglia del prossimo secolo? Quando negli anni Sessanta ero single e abitavo a New York, evitavo i lavori di tipo aziendale che mi venivano offerti; preferivo collaborazioni che richiedevano un lavoro intenso ma che avevano un inizio e una fine. Ti avrei fornito ogni sorta di risposta sul motivo per cui rifiutavo stipendi elevati all'interno di grandi compagnie, ma ora so che il mio grande timore era rappresentato dal mio spirito competitivo. Sarei stata un individuo di successo, ma come potevo fare colpo sugli uomini se avessero visto in me una persona potente quanto loro? È un miracolo che non mi sia sposata con uno di quei ragazzi che mi tenne stretta tra le sue braccia e non sia rimasta una donna/bambina; che non sia stata preda dell'intossicazione prodotta dall'essere amata, in definitiva, da un "altro" che sapeva di esotico nel suo essere così maschio, tanto mi era mancato tutto questo in una casa composta da sole donne. Se ho finito con l'idealizzare i ragazzi, fu perché la mia vita era trascorsa ad immaginarli in assenza di un padre. Naturalmente mi creai un ideale. Tuttavia, devo aggiungere che nella vita reale ho scoperto che gli uomini sono più generosi, più giusti, e più affascinanti nel loro bisogno d'amore, di come li ritrae la maggior parte delle femministe. Anche se sprovvista della corona della bellezza, ho amato il mio risveglio adolescenziale nei confronti degli uomini. Nessuno dei miei primi amori fu Il Ragazzo Divino, Malcom, colui che avrei scelto se prendere l'iniziativa fosse rientrato nei comportamenti da Brava Ragazza. Tuttavia, se lo avessi preso per mano, non sarebbe stata una mossa opportuna; non possedevo la bellezza adatta al suo ruolo di leader, né potevo disobbedire alle Regole della Brava Ragazza. Anche lui aveva le sue regole, e il sesso era ciò che voleva. Me lo disse, l'unica volta che sono stata tra le sue braccia, la sera prima di partire per il college. Quando allontanai la mano che tentava di incunearsi tra le mie gambe, disse: "Ecco perché non funzionerebbe, Nancy. Questo è quello che voglio". Lo disse con una voce gentile, facendolo sembrare una cosa leale, come avrebbe fatto un uomo più vecchio di lui. D'altronde, era il leader del branco. Malcom/papà. Dove trovai il coraggio di negare a me stessa ciò che desideravo di più, non lo saprò mai. Ero una ragazza così infatuata, così malata d'amore; e anche se rivestivo queste sensazioni di romanticismo, c'era una buona dose di puro desiderio sessuale. Ma le regole che mi ero imposte erano estremamente severe nel loro potere di autocondanna; in assenza di un padre, mi ero creata il ruolo della persona responsabile di famiglia. E naturalmente a scuola venivo sempre scelta come leader. Un giorno di primavera del mio secondo anno al college, decisi che volevo interrompere la mia carriera di leader scolastico. Non volevo essere la persona che crea le regole e che dice che non si può bere birra sui prati attorno al lago, volevo trascorrere un sabato pomeriggio a bere birra con il mio ragazzo. Più precisamente, volevo poter scegliere, volevo essere più emotivamente coinvolta in ciò che decidevo di fare con gli uomini. Desideravo abbandonare le Regole della Brava Ragazza ed essere me stessa, qualunque cosa questo potesse significare. La mia decisione confuse il mio advisor di facoltà. Può sembrare un evento di poca importanza, ma costituì un punto di svolta, e riguardava pienamente il sesso e il bisogno di inventare una vita in compagnia degli uomini basata su regole nuove. Le regole sono importanti, l'atto di costituirle e di infrangerle. Le regole sono particolarmente importanti per una ragazza che cresce senza un padre accanto, con una fame costante di uomini. Non comprendevo pienamente il significato di quella banca di vetro in cui conservavo le mie monetine, né, da vergine sciocca, del mio essere biologico, anche quando giocavo con il pene dei ragazzi e le quasi-penetrazioni nelle auto parcheggiate. Per quanto riguarda il potere della bellezza, mentre quelli erano ancora i tempi in cui la bellezza costituiva il prezzo supremo per ottenere il
principe migliore, non afferrai pienamente il ruolo dei poteri giganteschi che avevano regnato sulla mia giovane vita - denaro, sesso e apparenza - fino a quando la mia casa non andò a fuoco nel 1980. Oggi le giovani donne non possono giovarsi del lusso di una giovinezza prolungata e ingenua come quella che ho vissuto io; la mia generazione è stata l'ultima a conoscere l'ottimismo di base fondato sull'etica del lavoro protestante, il cui influsso aveva dominato la vita di così tante generazioni precedenti. Oggi non siamo più fiduciosi nel fatto che, educando i nostri figli a lavorare sodo e a credere in Dio, essi godranno di standard di vita migliori. L'etica del lavoro, l'ottimismo, la bellezza interiore, la moralità, sono cose passate. Il potere del denaro, del sesso e della bellezza esteriore scoppiano tutti insieme nel periodo dell'adolescenza. Ora più che mai, la presenza di un padre, di "un maschio adulto che non si può sedurre", è assolutamente necessaria nella vita di una ragazza adolescente. Senza di lui, senza alcuna sensazione di un uomo al mio fianco mentre diventavo donna, la determinazione a mantenermi da sola assunse un carattere estremamente contorto. Fu così che divenni una persona capace di provvedere brillantemente alle necessità economiche procurandomi anche cospicui redditi, ma che, durante il mio primo matrimonio, consegnava il denaro nelle mani del proprio marito. Non volevo capire il funzionamento delle faccende economiche. In un contratto che vedeva me come bambina e lui come il papà che non avevo mai avuto, apponevo semplicemente una firma sugli assegni che poi affidavo alle sue cure. Quando mi accennava al totale del nostro conto in banca, il mio cervello entrava in confusione. Fu soltanto in seguito a quell'incendio e alle mie conversazioni con l'inseducibile Dan Stern che incominciai a distinguere i poteri che l'adolescenza aveva confuso, il denaro, il sesso e la bellezza. Note al Capitolo 4: 1. Per un'analisi dei contributi dati da Hall, Loche e Rousseau allo studio dell'adolescenza, si veda Louise J. Kaplan, Adolescence: The Farewell to Childhood. 2. B. Inhelder and J. Piaget, The Growth of Logical Thinking, New York, Basic, 1958, citato in Peter Bios, L'adolescenza: un'interpretazione psicoanalitica, p. 124 (ed. or.). 3. Bios, L'adolescenza: un'interpretazione psicoanalitica. 4. Virginia Rutter, "Adolescence: Whose Hell Is It?", Psychology Today, gennaio/febbraio 1995, p. 68. 5. Neil Postman, La scomparsa dell'infanzia. Ecologia dell'età della vita. 6. Laurence Steinberg, Adolescence, p. v. 7. Peter Zollo, "Talking to Teens", American Demographics, novembre 1995, p. 24. 8. Alan Guttmacher Institute, "Teenage Reproductive Health in the United States", 1994. 9. Sue Woodman, "How Teen Pregnancy Has Become a Politicai Football", Ms., gennaio/febbraio 1995, p. 92. 10. Rutter, " Adolescence: Whose Hell Is It?", p. 68. 11. Louise J. Kaplan, Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary. 12. U.S. Census, "Who's Minding the Kids? ", 1994. 13. Nel testo americano il termine usato è curse che, nel linguaggio popolare, viene utilizzato anche per indicare le mestruazioni (come maledizione, appunto). [N.d.T.] 14. Judy Blume, Are You There, God? It's Me, Margaret, p. 100. 15. Susan Brownmiller, Femminilità, pp. 176-177. 16. De Beauvoir, Il secondo sesso, p. 443. 17. Mediawatch Multi-Media Service, "Product versus Media Report", 1995. 18. Blessing significa "benedizione". [N.d.T.] 19. Barbara G. Walker, The Women's Encyclopedia ofMyths andSecrets, p. 635. 20. De Beauvoir, Il secondo sesso, p. 413. 21. Susan C. Roberts, "Blood Sisters", New Age journal, maggio/giugno 1994, p. 137. 22. Ibidem. 23. Roberta G. Simmons e Florence Rosenberg, "Sex, Sex Roles, and Self-Image", Journal of Youth and Adolescence, 4, n. 3, 1975, pp. 229-258.
24. Roberta G. Simmons et al., "Disturbance in the Self-Image at Adolescence", American Sociology Review, 38, 1973, pp. 553-568. 25. David Elkind, "Egocentrism in Adolescence", Child Development, 38, 1967, pp. 1029-1030. 26. Alan Guttmacher Institute, "Teenage Reproductive Health in the United States", 1994. 27. Seventeen, settembre 1995, p. 98. 28. Rutter, "Adolescence: Whose Hell Is It?", pp. 58-59. 29. Kaplan, Adolescence, p. 170. 30. "My Generation: The Seventeen Survey", ottobre 1989, p. 101. 31. Vangie Foshee e Karl Bauman, "Gender Stereotyping and Adolescent Behavior: A Test of Temporal Order", Journal of Applied Social Psychology, 22, n. 20, 1992, pp. 1574-1575. 32. Bernadine Morris, "From DKNY, Eclecticism for Mothers, Daughters", New York Times, 7 aprile 1994, p. C10. 33. Kaplan, Adolescence, p. 14. 34. Susan Harter, "Causes and Consequences of Low-Esteem in Children and Adolescents" in Self-Esteem: The Puzzle of Low Self-Regard, a cura di R. F. Baumeister, New York, Plenum, 1993, pp. 95-96. 35. K. Lenerz et al., "Early Adolescents' Organismic Physical Characteristics and Psychosocial Functioning: Findings from the Pennsylvania Early Adolescent Transitions Study (PEATS), in Biological-Psychosocial Interaction in Early Adolescence: A Life-Span Perspective, a cura di Richard M. Lerner e T. T. Fochs, Hillsdale (NT), Erlbaum, 1987, pp. 225-247. Citato in Body Images, a cura di Thomas F. Cash e Thomas Pruzinsky, pp. 118-119. 36. "My Generation: The Seventeen Survey", p. 103. 37. Seventeen, giugno 1995, p. 58. 38. William Faulkner, Il borgo, pp. 131, 169. 39. E. Mavis Hetherington, "Effects of Father Absence on Personality Development in Adolescent Daughters", Developmental Psychology, 7, n. 3, 1972, pp. 313-326. 40. Riportato in Henry B. Biller e Robert J. Trotter, The Father Factor: What You Need to Know to Make a Difference, p. 186. 41. Guttmacher, "Teenage Reproductive Health in the United States". 42. Hetherington, "Effects of Father Absence". 43. Adam Phillips, On Flirtation, pp. 90-93.
CAPITOLO 5 LA DANZA DELL'ADOLESCENZA: I RAGAZZI 5.1 - Le sembianze dei ragazzi: amate nemiche Una sera, all'apice dell'adolescenza, noi ragazzi e ragazze che eravamo cresciuti insieme, giocammo per l'ultima volta sulla grande spiaggia di Sullivan's Island. Era un gioco chiamato Red Rover, in cui due squadre si fronteggiavano, ragazze contro ragazzi che si reggevano strettamente per le braccia, formando una catena umana verso cui i membri della squadra opposta correvano cercando di oltrepassarla. Chi rompeva la fila degli avversari doveva riportarne un membro nella propria squadra. Avevamo fatto questo gioco per anni, ma quella sera c'era un eccitamento nuovo nell'aria, una sensazione che non era molto diversa da quella che provavamo durante la nostra recente introduzione alla danza nei corsi di Madame Larka all'Hiberniam Hall, dove anche lì stavamo in piedi gli uni di fronte alle altre, aspettando di scegliere, nel caso di un ragazzo, o di essere scelta, nel caso di una ragazza. Ma quella sera, avendo rotto la fila opposta, in base alle regole non sessiste del gioco avevo diritto a prendere con noi chiunque di loro scegliessi. Guardai i ragazzi. Senza pensare dissi: "Siete tutti così belli, non so chi scegliere". Forse queste non furono le parole esatte, ma si avvicinano abbastanza, e non appena le pronunciai, fui sommersa dalla vergogna. Ma erano venute dal cuore. Sono sempre stata un'amante degli uomini e della loro bellezza. Dal piacere pieno di timore reverenziale che ricavo dai loro volti e dalle loro forme,
immagino quale grande vantaggio gli uomini debbano trarre dal vedersi come li vedo io. Nell'adolescenza, pur bramando l'amore dei ragazzi, riconoscevo, anche se inconsciamente, il peso delle richieste a loro indirizzate. Ero così simile a loro nella mia propensione a guidare, nella mia altezza e nel mio coraggio, che riesco ancora a ricordare il desiderio di aiutarli, anche quando le Regole lo proibivano: "Eccomi, lascia che ti aiuti in questo affare del corteggiamento, perché sono infatuata di te e so esattamente dove conduce la danza, tanto è grande il mio desiderio di essere tenuta tra le braccia". Il potere della bellezza non è cosa nuova nell'adolescenza, perché siamo già stati tutti in questo posto. Anche se abbiamo tentato di voltare le spalle alla nostra prima infanzia, cacciato nell'oblio il ricordo doloroso della preferenza di nostra madre per un fratello o una sorella più belli, ora, nella supremazia della bellezza sensuale, tutto ritorna a galla: la vecchia gelosia, l'invidia, il ricordo della perdita. Il ragazzo oserà ritentare di conquistare la bellezza, si sente adeguato, possiede le caratteristiche fisiche richieste, il potere di non essere da meno nel confronto con la ragazza? Oserà rischiare di venire sconfitto di fronte ai suoi compagni? Per cinque, sei anni il suo bisogno d'amore da parte delle donne/della madre è stato smorzato dalla crescente solidarietà sviluppatasi all'interno del cameratismo maschile, dall'identità potente che esso gli fornisce, sancendo la sua differenza dalle donne. D'un colpo - perché è così che accade - la bellezza delle ragazze fa piazza pulita di tutto ciò che incontra sulla sua strada, rivendicando il predominio che le viene dall'innegabile effetto che ha su di lui, e trasformando così il ragazzo forte, sviluppato e sicuro di sé in un corteggiatore servile e goffo; certo, l'attrazione è fonte di eccitamento, ma anche carica di paura. Può darsi che egli non associ consciamente il potere che le ragazze hanno su di lui alla propria contrapposizione alla figura materna, tuttavia esiste, è là, in qualche luogo della sua memoria. Nel suo risveglio alla bellezza femminile, il ragazzo è davvero così diverso dalla Bella Addormentata? Dimentica per un istante i ruoli legati alla divisione tra i sessi. Per alcune di noi, non c'è una vista più mozzafiato di quella di un giovane corpo maschile; i Greci avevano ragione. È tutta questione di addestramento, è tutto nell'occhio che si abitua alle mode passeggere dell'abbigliamento, al grasso rispetto al magro, e ad un ideale di bellezza, maschile o femminile. Nella mia mente, mi figuro il ragazzo adolescente che stende la mano verso la ragazza, lui un capolavoro di perfezione, non dissimile dalla nuda figura maschile di Michelangelo all'alba della creazione. No, per essere più precisi, all'alba dell'essere creati, perché in quella elegante mano maschile che si protende c'è tutta l'aspettativa della reciprocità, la speranza che la ragazza gli andrà incontro a metà strada. Ai suoi occhi, lei ha un potere enorme, ed essendo stato a digiuno di tocco femminile per diversi anni, ora ha bisogno, ancora una volta, di essere visto, di essere esaminato con lo sguardo e quindi accettato per quello che è. Il suo ricordo di bellezza è rappresentato dalla figura materna, che aveva tutto il potere del mondo; mentre egli viveva sotto il suo dominio, il bisogno di quegli occhi posati su di lui era totale; è cresciuto nella luce del suo sguardo, nutrito, confortato e rafforzato dal suo sguardo. Con il passare del tempo, ha cominciato a provare imbarazzo al tocco delle sue dita affettuose che gli allontanavano i capelli dalla fronte, perché potesse guardarlo più profondamente, vederlo. Ora, raggiunta la pubertà e intimorito dalla bellezza delle ragazze, scaccia il sonno dagli occhi, recuperando all'improvviso tracce di memoria del potere femminile. Mentre non riesce a staccare lo sguardo dalla bellezza delle ragazze, ha però un grande bisogno di trovare riconoscimento, proprio come lei. Come potrebbe essere diversamente? Se non fosse scritto da qualche parte che i maschi devono essere i voyeurs e le femmine le esibizioniste, in questa danza ci sarebbe più collaborazione. E così il ragazzo impara duramente a non essere visto, a non essere guardato realmente da nessuno. E ci chiediamo perché, talvolta, gli uomini ci fissano con un lampo di rabbia negli occhi. Immagina cosa possa significare appartenere al sesso invisibile, quello su cui nessun occhio adorante, carico di desiderio, si ferma. Lo Sguardo, con i suoi
poteri ristoratori, è stato il primo alimento della vita, e non perde mai quel potere. Ma agli uomini si insegna a voltare la faccia, che non è virile crogiolarsi nello Sguardo. Il ragazzo vede invece gli occhi della sua ragazza che vanno oltre la sua persona, per posarsi sulla sua macchina, sul suo coraggio sul campo da gioco, sul suo status, totalizzando il suo valore come una calcolatrice, per andare poi alla ricerca del riflesso d'invidia nello sguardo delle altre ragazze. Sì, oggi lei si guadagna da vivere, ma esige il mantenimento dei suoi vecchi diritti di opzione, oltre a quelli di recente acquisizione. Se lei dovesse rifiutarlo, lui dovrà apparire impenetrabile. Le ragazze hanno il monopolio della mostra pubblica del dolore, mentre lui non vorrebbe mai che i suoi compagni vedessero i suoi punti deboli. La vita non si è rivelata così come l'aveva sognata prima dell'adolescenza, quando era pieno di progetti, scorgeva ampi orizzonti. Ora comprende il potere di quella valigetta, di quella scatola di pelle che faceva sembrare suo padre più vecchio della sua età. Ha solo tredici anni e sta imparando a fingere, nella speranza di passare per quello che non è. Le ragazze esprimono aspettative e giudizi nei confronti del ragazzo, che sono diversi da quelli espressi dagli altri maschi. Le ragazze sanno ciò che vogliono; nella eccezionalità e nel mito della loro bellezza, desiderano però essere sapientemente guidate. Cosa volete che ne sappia un ragazzo di tredici anni di come si scorta una dea che si sta esercitando al Passo Divino? Cosa ne sa delle fantasie che lei coltiva nei suoi confronti, dell'accesso al proprio io di cui lei gli farà dono - ma solo se riuscirà a convincerla della sua maestria? Nella vita monastica che egli ha condotto fino a poco tempo prima, aveva pensato di stare bene senza donne. Ora sono lì, erudite dalla scienza delle riviste femminili, esercitate all'arte raffinata dell'intimità, ma, nondimeno, pronte a richiedere la sua capacità di dominio. Mi guidi? Alla ragazza non verrebbe mai il sospetto che il ragazzo non ha anticipato il suo arrivo, che non si è esercitato nelle abilità richieste, che non ha evocato la visione che lei ora desidera così disperatamente vedere nei suoi occhi, lo specchio che la riconsegnerà a se stessa senza macchia. Non essendosi mai distanziata emotivamente dai primi anni di vita, ha tenuto vivo nella memoria il Raggio Dorato che univa i suoi occhi a quelli di chi si prendeva cura di lei. Ora, riattiva la beatitudine di essere adorata e curata, sostituendo abilmente il ragazzo alla propria madre. Come può capire il ragazzo, che finora ha intrapreso un viaggio completamente differente, che lei vuole sentirsi come la sua cara bambina di cui egli sa leggere tutti i pensieri e su cui ha un dominio totale? Per lui, è lei ad avere tutto il potere! Non ha controllato ogni suo movimento fino a quel momento, regolando il suo accesso, di centimetro in centimetro? Legge l'arrendevolezza della ragazza abbandonata nelle sue braccia come il segno di un incontro tra due coetanei, in cui è lei ad essere in vantaggio, nel senso che soltanto lei ha il potere di dare un senso alla sua sessualità di maschio, di umanizzare i sogni masturbatori che cova, e che fino a quel momento non avevano un cuore. Per lei, l'abbassamento del ponte levatoio in suo onore è stato come dichiarare "Sono tua!", nel senso che sarà lui ad erotizzarla e ad essere responsabile della sua persona. Come può il ragazzo adolescente comprendere il significato della sua resa e delle aspettative che ora nutre su di lui? Sì, è pieno di gratitudine, forse arriva ad amarla, ma questo non era un viaggio a due? Come può intuire che ora l'esperienza dell'intimità ha mutato completamente la visione che la ragazza aveva di se stessa, come può capire le sue nuove aspettative di trasformazione alla luce dei suoi occhi maschili? Cosa ne sa lui di specchi? Ha insegnato ai propri occhi a non smascherarlo, a non tradirlo. Egli la vede nella sua globalità, mentre ai propri occhi lei non è altro che un assemblaggio di parti, tutte imperfette fino a quel momento; fino a che non è arrivato lui. Ora che l'ha trasformata, ha bisogno che i suoi occhi siano esclusivamente puntati su di lei, che si accorgano di quando è infelice, quando ha cambiato la riga ai capelli, quando le è spuntato un foruncolo o indossa un maglione nuovo. È così che la madre e le
altre ragazze la guardano. Quando lui sbaglia, lei piange: "Non mi hai mai amato!" Ancora una volta, apprende che soltanto le donne sanno come valutarsi a vicenda; soltanto le donne, ne deduce, sanno come si ama. È raro che gli occhi degli uomini risultino credibili quanto quelli delle altre donne, tranne forse nella letteratura, come nel romanzo "La casa degli spiriti" di Isabel Allende, in cui si descrive l'adolescente Alba, innamorata di Miguel: "Per la prima volta nella sua vita, Alba sentì il bisogno di essere bella e rimpianse che nessuna delle splendide donne della sua famiglia le avesse lasciato in eredità i suoi attributi, e l'unica che l'aveva fatto, la bella Rosa, le aveva dato solo una sfumatura d'alga marina ai suoi capelli, che, se non era accompagnata da tutto il resto, sembrava piuttosto un errore del parrucchiere. Quando Miguel indovinò la sua inquietudine, la portò per mano fino al grande specchio veneziano che ornava un angolo della camera segreta; tolse la polvere dal vetro incrinato, accese tutte le candele che aveva e gliele mise intorno. Lei si rimirò nei mille frammenti dello specchio. La sua pelle, illuminata dalle candele, aveva il colore irreale delle figure di cera. Miguel cominciò ad accarezzarla e lei vide trasformarsi il suo volto nel caleidoscopio dello specchio e convenne infine che lei era la più bella dell'universo, perché aveva potuto vedersi con gli occhi con cui la vedeva Miguel" (1). Cosa possiamo dire del ragazzo particolarmente bello, che si rimira negli specchi, che sente i commenti della gente sulla propria bellezza? All'epoca del Vecchio Contratto, agli uomini era vietato sfruttare il proprio aspetto fisico; certo, notavano i propri riflessi, erano consci del potere di attrazione che esercitavano sulle donne. Ma come la ragazza adolescente che doveva rallentare il passo e diminuire la propria personalità, dal canto suo, il ragazzo doveva mettere da parte una consapevolezza troppo viva di ciò che la sua bellezza gli permette di acquisire. Decisamente contorto! Rimpiango il fatto di non avere reso i ragazzi della mia adolescenza più consapevoli del potere della loro bellezza. Ci sarebbero voluti anni prima che ammettessi persino a me stessa quale potere intossicante il loro aspetto fisico aveva su di me, un potere che metteva in azione il mio corpo in modo così violento da indurmi ad attribuire quelle sensazioni ad un'indigestione, tanto ignoravo la capacità di sconvolgere della bellezza maschile. Nessuno mi aveva preparato. Nessuna donna mi aveva parlato dell'eccitamento che si prova a rimpinzare i propri occhi dello spettacolo offerto dalla bellezza maschile. Il silenzio era così profondo che credo lo interpretai come un segnale di proibizione. L'accordo sociale per cui la bellezza femminile veniva scambiata con la protezione maschile ci aveva reso cieche e, altrettanto certamente, forniva agli uomini una difesa contro il loro desiderio di essere visti. E naturalmente, gli uomini erano furiosi, arrabbiati al pari delle donne; deprivati del sano piacere narcisistico di essere visti, adorati, accolti da uno sguardo amoroso, gli uomini si comportavano come le creature invisibili che ne avevamo fatto. La mia prima presa di coscienza della bellezza delle forme maschili, l'esperienza eccitante di guardare i corpi degli uomini - veduti ma al contempo non veduti, perché la lussuria visiva era bandita - fu lo spettacolo sul terreno di parata alla Cittadella. Secondo un rituale che le ragazze di Charleston osservavano ogni venerdì pomeriggio, parcheggiavamo le nostre auto lungo il perimetro del campo, e ci appollaiavamo graziosamente sui paraurti anteriori, mentre i cadetti marciavano alla melodia di John Philip Sousa. Noi ragazze ci vedevamo come tante belle confezioni, il centro dell'attenzione visiva, attendendo nei nostri golfini di cashmere corredati da giro di perle che i cadetti rompessero le righe e venissero a sceglierci. Che farsa. Esiste uno spettacolo più sessualmente esibizionistico del guardare la bellezza collettiva rappresentata da una squadra di cadetti nelle loro uniformi attillate, le giacche aderenti con le loro seducenti strisce scure in fondo alla schiena, le curve a forma di S che sottolineano le spalle, i fianchi, i sederi dei nostri innamorati? Che strano che nessuna di noi ne parlò, del nostro asservimento ipnotizzato a quella vista, dell'impronta che lasciava nelle nostre fantasie. Nel Sud, i ruoli sessisti erano così rigidamente distinti in voyeurs ed esibizioniste, che noi ragazze ci contorcevamo su noi stesse nella piena consapevolezza della nostra bellezza, accavallando le gambe in modo da essere sicure di attrarre gli uomini.
La sera scorsa io e mio marito abbiamo visto il film del 1949 "L'ereditiera", in cui Olivia de Havilland recita la parte della figlia bruttina disprezzata da un padre freddo proprio a causa della sua mancanza di bellezza, e che viene rifiutata da un affascinante cacciatore di dote, dopo la scoperta che il padre ha minacciato di diseredarla nel caso lei dovesse sposarlo. Questa mattina mio marito ha l'aria annebbiata. "Quel film mi ha disturbato per tutta la notte", mi dice. "Erano tutti così crudeli con lei. Che padre terribile, e Montgomery Clift poi, non era da meno. Per quale motivo? Lei era l'unica persona del film con cui si potrebbe voler passare del tempo. Solo perché era brutta..." "Ti sei identificato con lei", gli dico. "Suppongo di essermi identificato", risponde. "Lei era là, perfettamente felice, nella sua vita semplice, finché all'improvviso il suo aspetto fisico non è diventato importante." Mio marito non ha mai dimenticato le disgregazioni e i rifiuti della sua adolescenza; nessun tipo di successo, per quanto grande, la può cancellare. Non ha mai creduto al fascino conquistato con il passare degli anni. Nessuno di noi ci crede. Cresciuti su due pianeti differenti, i ragazzi e le ragazze s'incontrano nell'adolescenza, senza disporre di una qualche conoscenza reciproca. Se all'inizio è probabile che il ragazzo soffra per la propria incapacità, successivamente la visione sognante che lei coltiva di lui, come di colui che ha il dovere di dare inizio alla danza, può indicare un ruolo estremamente piacevole da ricoprire; quando si è goffi, è molto gratificante essere visti più grandi della vita stessa. Lui la corteggia. Solo più avanti comprenderà il pieno raggio d'azione delle aspettative della ragazza. Allora si sentirà a disagio. E lei si sentirà tradita. Con l'avvento dell'adolescenza, le giovani donne sacrificano così tanto di se stesse da arrivare poi ad odiare gli uomini, colpevoli di non ricompensarle adeguatamente per tutto ciò cui hanno dovuto rinunciare per loro. Ma i ragazzi non ci hanno mai chiesto nulla. Le ragazze non prendono mai in considerazione tutto ciò che il ragazzo adolescente è stato costretto a lasciarsi dietro le spalle, nella sua smania di essere amato da noi. Negli anni precedenti, grazie alla compagnia degli altri ragazzi, era giunto a credere che i maschi fossero dotati di una forza equiparabile a quella delle loro madri; non che fossero tutti uguali tra loro, ma quando dei bravi ragazzi si trovavano insieme, l'attesa, alla fine, era quella di un grande senso di serenità. L'insegna che diceva "Solo Uomini", all'inizio non era indirizzata alle donne, ma a se stessi, nasceva da un bisogno che si era sviluppato nei primi anni di vita a dominazione femminile. Ora, nell'adolescenza, ecco arrivare le ragazze! Ed elettrizzanti come sono, i ragazzi imparano presto quali risorse devono portare al tavolo delle contrattazioni per riuscire a conquistare una bellezza. Essere ragazzi adolescenti in questi giorni fa più paura che mai, dovere trattare con giovani donne molto sveglie ed esigenti, educate in base all'agenda politica del Femminismo Matriarcale, che vede il ragazzo come Il Nemico Pubbico Numero Uno. Non c'è nemmeno bisogno di spendere la parola femminista; le ragazze che crescono a Fort Worth con una madre che ripudia il movimento delle donne, sono però parti di una cultura modellata attorno all'ostilità verso il maschio. Eppure i padri si rifiutano ancora di prestare attenzione alla condizione dei propri figli maschi, al loro imbarazzo adolescenziale nel trovarsi totalmente impreparati dal punto di vista comportamentale rispetto alla Nuova Ragazza del post-femminismo. Devo presumere che l'abbandono sia frutto di una scelta. I comportamentisti ci dicono che i genitori vedono se stessi nei propri figli adolescenti, che quest'età, in particolare, risveglia le loro passate esperienze. Se un padre ha passato l'inferno nell'adolescenza, non desidera facilitare in qualche modo la vita del proprio figlio? Forse si è convinto del fatto che i colpi duri ricevuti in passato hanno fatto di lui un uomo; forse è invidioso di tutto ciò che il figlio possiede e di cui lui non ha mai goduto, perché solo il suo duro lavoro ha permesso il benessere di oggi. Sì, questo è il motivo per cui ha lavorato così sodo, ma ora che il ragazzo si trova sull'orlo della vita, in un momento in cui il padre sente improvvisamente il peso degli anni, anche l'uomo prova invidia, risentimento. La Società Patriarcale ha insegnato al padre che dagli uomini ci si aspetta che siano potenti e saldi al posto di comando, privi di sentimenti "deboli"; dunque,
decide il padre, che il figlio soffra in questi anni, anni che sono una sorta di campo di addestramento per la vita. Probabilmente non si tratta di una decisione conscia, ma serve a lenire l'invidia per la giovinezza. Tuttavia, le ragazze di oggi non sono le stesse dei giorni di gioventù del padre; anch'esse aspirano a diventare economicamente potenti. Il futuro del ragazzo non è per niente certo; l'attuale definizione di Vero Uomo non coincide con quella dei tempi del padre. Senza genitori, insegnanti, libri che lo informino su ciò che lo aspetta e su quanto sono complesse e contraddittorie le Nuove Ragazze, l'adolescente vive oggi tempi peggiori del padre alla sua stessa età. Almeno lui poteva contare sull'esistenza di un patto sociale in cui le donne lo consideravano necessario alla loro sopravvivenza economica. Certo, non era un grande patto, e infatti ce ne siamo liberati, ma quello attuale, tuttavia, condanna il maschio adolescente dei nostri giorni ad incespicare dietro alle ragazze, che sono emotivamente bisognose ed esigenti come non mai, ma che, in definitiva, possono sopravvivere senza di lui. Qual è la posta di oggi per tener testa al potere delle ragazze? Egli aspira al potere maschile tradizionale, quello proveniente dalla ricchezza, ma lavora anche al suo aspetto fisico, interroga il suo specchio, compra vestiti e prodotti di bellezza più di ogni altra generazione che l'ha preceduto. Il potere della bellezza femminile, ora rafforzato dalla recente conquista di poteri che erano di esclusivo dominio maschile, costringe i ragazzi adolescenti a rivalutare anche per se stessi l'importanza della bellezza. E un ragazzo realmente saggio quello che comprende il potere monetario della bellezza. Se oggi i ragazzi si fanno maggiormante coinvolgere nella sfera dell'apparenza come il figlio undicenne del mio amico Joni, che ogni mattina si mette religiosamente la mousse tra i capelli e controlla continuamente il proprio aspetto nello specchio - è perché è stato rimosso quello che un tempo era considerato il pericolo della vanità maschile: un maschio non è meno maschio per il fatto di essere attraente e di indossare dei bei vestiti. Il femminismo ha fatto questo regalo agli uomini, ha costantemente, lentamente, aperto l'anta dell'armadio per rivelare l'esistenza di un guardaroba sempre più vario, come quello di qualsiasi donna. Man mano che il periodo dell'adolescenza si allunga, dando ai nostri figli/uomini sempre più tempo per uscire dall'infanzia e per immaginare una vita migliore di quella dei propri genitori, noi della vecchia generazione dovremmo comprendere più a fondo il potenziale che si racchiude in questi anni; con il nostro aiuto, essi potrebbero andare oltre il nostro mondo senz'amore e dar vita ad un nuovo ordine morale. Invece, l'espressione dei nostri occhi tradisce l'invidia per la loro giovinezza; non ci comportiamo più come adulti, tutori, maestri rispettati di disciplina. Avendo fatto dei nostri figli degli spendaccioni, guadagniamo più denaro che mai sulla loro testa, non solo spingendoli a spendere, ma, in un secondo tempo, guardandoci in giro e sottraendo loro qualunque cosa essi abbiano inventato nello sforzo di essere unici. Gli adolescenti avranno bisogno di molto più delle loro passioni morali e sessuali, tipiche della loro età, per sorpassarci e cambiare il mondo che hanno ereditato. Oggi, la rabbia dei ragazzi/uomini ricade in tutte le direzioni, qualche volta anche sulle donne: ogni anno, in America, si verificano più di un milione di episodi di violenza domestica. Non c'è dubbio che un motivo per cui gli uomini maltrattano le donne ha a che fare con come esse li considerano. Per quanto la vita delle donne sia cambiata, continuiamo a pretendere che gli uomini stringano i denti e si prendano cura anche di noi. Questo è ancora più vero per le adolescenti. 5.2 - "Sii uomo!" Durante quei brevi anni di latenza posti tra la dipendenza materna e la comparsa delle ragazze sulla scena, il bambino, nel processo di separazione dalla madre, si è svezzato rispetto alla propria adorazione delle forme femminili. In compagnia di altri ragazzi ha imparato a "dimenticare" il suo amore/la sua invidia per il corpo che un tempo l'ha contenuto, per il suo potere di sostentarlo. Con le proprie mani e con l'immaginazione, si è costruito un mondo di Potere Maschile che è servito a rinforzare il suo nuovo senso di indipendenza
in assenza di donne. La sua attenzione visiva si è invece concentrata sulla perfezione del ragazzo più grande. La venerazione dell'eroe. Finché, un giorno, arriva l'adolescenza. Improvvisamente, le ragazze, sprofondate nell'invisibilità e nell'inutilità fino a ieri, vengono avvistate in tutta la loro magistrale bellezza, risvegliando in lui il desiderio quasi dimenticato del corpo femminile; ma in questo nuovo struggimento, al desiderio sessuale si mescolano ricordi potenti della bellezza del seno, della pelle e dell'odore femminile. "Mi sembra che molti uomini scelgano il proprio oggetto di desiderio in un luogo sprofondato nei recessi dell'infanzia" (3), scrive Paul Theroux. "Le loro libido vengono codificate molto presto. Per la maggior parte degli uomini, la componente infantile del desiderio sessuale è la più difficile da ammettere o con cui venire a patti. È la puerilità che tutte le prostitute e gli attori conoscono... [essa] si basa su un ricordo infantile o dell'adolescenza", il che rappresenta il motivo per cui la maggior parte degli uomini è riluttante a rivelarne la fonte ad una donna, "perché rivelandola a lei, le consegna ogni potere su di sé". Che saggia ammissione, questo ricordo di Theroux che risale all'inizio dell'adolescenza, quando un giorno entrò nella casa di vacanza di un amico e vide la bella madre del ragazzo seduta con i suoi shorts slacciati, scalza, mentre indossava solo un reggiseno bianco: "Il reggiseno con le coppe coniche come un'icona, l'umidità del giorno, i piedi nudi, i suoi occhi, il suo sorriso, la sua pelle, la sua posizione, il mio respiro da lupo... Non era previsto che io fossi là. Questo faceva parte dell'eccitazione - il fatto di essere entrato in una casa non mia e di avere sorpreso la madre di un mio amico, che era più nuda di ogni altra donna che avessi mai visto in vita mia... La desiderai. Anche se la parola desiderio non rientrava nel mio vocabolario, in questo consistette il mio risveglio vorace... Essere lontano da casa... era una componente distinta dell'eccitazione. Sono sicuro che il mio bisogno di viaggiare è iniziato quel giorno... C'è da meravigliarsi che io abbia trascorso quasi 35 anni a vagabondare? Il termine Wanderlust (4) è tra i più veri del linguaggio... Non esiste il desiderio maturo. Le radici del sentire affondano nell'inconscio giovanile di un uomo" (5). E all'epoca Theroux aveva solo dieci anni. Vorrei che ogni donna leggesse interamente questo saggio e si immedesimasse in questo bambino di dieci anni, per capire meglio il ragazzo diventato uomo. Dato che noi tutti, uomini e donne, cominciamo la nostra vita attaccati ad un seno, la ragazza adolescente non ha alcuna impressione inconscia del corpo maschile legata all'infanzia, non viene risvegliata al bisogno sessuale quando guarda i ragazzi della sua età. Se dovesse entrare senza preavviso nella casa di un'amica e intravedere la forma del pene di un uomo seminudo, ne sarebbe eccitata, ricorderebbe la forma del pene maschile sotto gli shorts come "un'icona" che la ispiri successivamente al wanderlust? Ne dubito. Al contrario, lei deve creare una nuova immagine a partire dalla bellezza delle forme maschili, che metta radici nel qui e adesso dei suoi dodici, tredici anni; e se il terreno non è pronto, accogliente, fertile, se non è stata cresciuta nell'amore degli uomini, la sua immaginazione non accetterà la visione erotica dei ragazzi. Il suo addestramento alla vita sotto le regole femminili, la sua mancanza di familiarità con il suo stesso corpo, la lasciano ancor meno incline, meno stimolata alla vista di una forma maschile, ed è meno probabile che riesca a trarre piacere dal guardare. Non avendo mai assistito allo spettacolo di sua madre che contempla un corpo maschile, nell'adolescenza, la ragazza non condivide il risveglio allo stimolo erotico rappresentato dal guardare, tipico del ragazzo. La sua libido non è "sempre caricata e drizzata", per citare Theroux. Non solo perché le manca l'organo esterno del ragazzo che ne annuncia l'eccitamento; è qualcosa di più profondo, di più antico, che va più indietro nel tempo. Il ragazzo comincia la propria vita innamorato della forma, dell'odore e della vista dei corpi delle donne, soprattutto il delizioso seno a forma di cono avvolto da un "casto reggiseno bianco". Anche a noi donne piace guardarla. Cosa deve offrire il ragazzo tormentato in cambio della bellezza femminile? Non gli passa per la mente che anche il suo aspetto fisico meriti di essere
paragonato al viso della ragazza, al suo corpo; né lo sguardo di lei si fissa su di lui, amandone le forme, risvegliandolo al proprio valore, in tal modo appreso dagli occhi della ragazza. Egli si sente impotente. Sarà la ragazza ad insegnargli cosa lei desidera, quale tipo di ragazzo lei ritiene sia degno della propria bellezza. Ahimè, lei decide ciecamente, senza una piena consapevolezza o anche una minima considerazione dei sentimenti del ragazzo, dell'effetto che lei ha su di lui; sa che lui la guarda, ma lei non ha alcun sentimento di simpatia, di empatia. E, fonte di grande infelicità per lui, le ripugna la vista del suo pene. Col passare del tempo, sarà lei a decidere se può baciarla sulle labbra, toccarle il seno, il cui contorno lo sveglia nel cuore della notte, provocandogli un'erezione. La ragazza non si rende conto della grandezza del suo potere, ma ciò che ancora manca allo scenario è il fatto che lei non vede la bellezza di lui. D'altra parte, il ragazzo non è stato educato a riconoscerlo, ma è certo che desideri intensamente di essere visto. Non è ciò che fanno le donne - amarti con i loro occhi? Eppure no. Noi abbandoniamo i ragazzi adolescenti a lottare con la loro bancarotta di fronte alla supremazia della bellezza femminile. Suppongo che sia per temprarli - "Sii uomo!" - in modo che apprendano più in fretta a vestire i panni di chi provvede al sostentamento economico e risolve tutti i problemi, il prezzo di costo della bellezza. Tuttavia, l'effetto collaterale sgradevole è che questo ha sempre indotto gli uomini a sentire un profondo senso d'invidia per il potere che si cela nella bellezza femminile. Dobbiamo riattivare l'ammirazione per la bellezza degli uomini, insegnare agli occhi pigri a risvegliarsi alle curve dal fascino ipnotico del torace maschile, che si aggira per la città, sui campi da gioco, nelle palestre, che si erge là al bar, i piedi appoggiati alla sbarra d'ottone, accentuando così la bellezza del sedere. Sta già accadendo. Nel 1995, il 73% dei ragazzi tra i dodici e i diciannove anni dichiaravano di "fare ogni sforzo" o di "preoccuparsi abbastanza" per stare al passo con gli ultimi dettami della moda (6). Non siamo tutti un po' sazi in questi giorni del potere della bellezza femminile? È venuto il momento della bellezza maschile, e non c'è niente di più piacevole delle forme di un ragazzo adolescente. Lasciamo i ragazzi in una situazione terribilmente svantaggiosa, in cui molti di loro sanno, provenendo da famiglie senza padre, che le ragazze, come le loro madri, possono fare a meno degli uomini. Questa constatazione lascia il ragazzo solo ad affrontare la sua visione della ragazza onnipotente, che ha suscitato in lui sentimenti di provenienza ignota, bisogni e desideri che deve tentare di nascondere, dal momento che riguardano una sola delle parti coinvolte, mentre la ragazza ovviamente non soffre, non lo degna di uno sguardo. Ecco il ricordo di una sera della mia adolescenza. Siamo parcheggiati vicino alla spiaggia, al drive-in. Il ricordo ha un carattere così sensoriale che potrei riprodurlo meglio suonando uno strumento musicale, e dar voce così alla sensazione della mia preghiera silenziosa perché lui voltasse la testa verso di me e portasse la sua bocca verso la mia. I miei occhi sono chiusi, le mie labbra aspettano, mentre le mie mani tremolanti, che avrebbero potuto raggiungerlo, voltargli gentilmente la testa e condurlo alle mie labbra, sono strette sulle mie ginocchia. Niente di questa passività mi apparteneva. Lasciami dire che quest'ansia, questa paura, questo tirarsi indietro, non erano nemmeno dovuti a lui. Era tanto intimorito dal potere della bellezza femminile quanto lo sono i ragazzi di oggi. Non mi era permesso di dare il via, di fare la prima mossa, ma non è proprio questo che il femminismo ha conquistato per le nostre adolescenti, non solo il diritto di prendere l'iniziativa, ma anche la condivisione della sua responsabilità, che comprende anche il coraggio di rischiare il rifiuto? Noi adulti, che all'epoca non ci siamo assunti le nostre responsabilità sessuali, siamo dei candidati deboli per insegnare ai nostri figli maschi a guardarsi chiaramente nello specchio, in modo che possano godere della loro quota di potere connesso alla bellezza, imparare ad usarlo saggiamente, e ad essere responsabili di ciò che provoca. Forte di questa credenza, il ragazzo entrerà nell'adolescenza da concorrente, invece di sentirsi frustrato alla vista della testa che la bella ragazza scuote con fare liquidatorio. Sentendo di avere qualcosa di suo, non prenderà il suo rifiuto per farne un unico ammasso di
rabbia che una notte sfogherà contro di lei, sfruttando la sua vulnerabilità. Non abbiamo neanche insegnato alle nostre figlie gli usi e le responsabilità connessi al potere della bellezza, tanto meno le abbiamo educate ad apprezzare la linea di un torace maschile. L'esperienza della bellezza delle donne risveglia i ragazzi all'intero spettro della vita stessa? Theroux lega la sua prima presa di coscienza della bellezza femminile ad un grande desiderio di vedere il mondo, di provare tutto, che lo ha poi accompagnato per tutta la vita. Che porta straordinaria la nostra bellezza spalanca ad un uomo! Nel riconoscere la bellezza maschile, non potremmo insegnare alle nostre figlie a consegnare agli uomini quel riflesso di sé per cui stanno letteralmente morendo? Se siamo capaci di insegnare ai giovani il funzionamento del denaro, possiamo anche fornire loro spiegazioni sulla moneta della bellezza: come è stata scambiata per secoli nella Società Patriarcale, come il suo tasso si è evoluto con l'avvento del femminismo moderno. Con le donne posizionate nei luoghi di lavoro ad eseguire quello che solevamo chiamare un "lavoro da uomini", il ritorno del potere della bellezza maschile era inevitabile. Sarebbe una buona cosa se noi adulti, insieme ai nostri figli, comprendessimo lo scambio di potere che soggiace al fenomeno della bellezza. Senza più ricorrere all'ipocrisia implicita nella nozione per cui la bellezza è un fatto di superficie. Racconta al ragazzo il motivo per cui si trasforma in gelatina davanti alle belle ragazze, e per cui la ragazza che lo ha scelto ha trasformato i suoi amici in tanti rivali. Non istruito, si aggira come un sonnambulo, inebetito annuisce con la testa di fronte all'inevitabilità della coppia formata dalla ragazza più carina e dall'eroe dal fisico atletico, il leader scolastico, il ragazzo che possiede la macchina, il denaro. Oggi disponiamo di informazioni preziose che potrebbero spiegare agli adolescenti il funzionamento di questi aspetti della vita; per esempio, sappiamo che un precoce sviluppo a livello fisico, ossia spalle ampie, la crescita della barba, l'altezza e una voce profonda, si traduce naturalmente in maturità psicologica, ossia in leadership, per il ragazzo. Secondo gli psicologi, lo stesso parallelo non è valido per le ragazze, in cui un precoce sviluppo dei seni, di fianchi ampi, e la comparsa delle mestruazioni, non costituiscono una previsione per la conquista della leadership all'interno del gruppo. È una differenza tra i sessi che ha notevoli effetti di risonanza; il ragazzo che si sviluppa prima, il leader, per esempio, sceglie la ragazza più bella. Sappiamo perché, e tuttavia non lo sappiamo. Durante la mia fase di sviluppo, questo fenomeno, nel nostro gruppo, ebbe l'effetto di colmare d'invidia gli occhi giudicanti delle altre quando la nostra "migliore amica" sbocciò prima di noi. Molto bene, noi accettavamo la legge di natura per cui era previsto che fosse prescelta dai ragazzi, ma, all'interno del Gruppo, doveva stare attenta a dove metteva i piedi, non lasciare, per così dire, che i suoi seni le dessero alla testa. Non è quindi affatto sorprendente che gli psicologi abbiano scoperto che le ragazze che si sviluppano prima sono maggiormente a rischio per i problemi psicologici più seri nella fase adolescenziale. Questa corrispondenza tra sviluppo fisico e sviluppo psichico segna uno squilibrio significativo tra i sessi. Il modo in cui ciascun sesso riconosce i propri membri e i propri leader rappresenta una lezione che ci accompagna per il resto della vita. Che così tanti ragazzi fisicamente poco dotati, i cosiddetti "sfigati", perseguano il successo economico in modo così caparbio e diligente, può non essere un fatto casuale; così come colpisce il fatto che tante donne di successo di oggi riferiscano di essersi sentite "la meno carina" durante la loro adolescenza. Chi non è stato privilegiato dal lato della bellezza, cerca di compensare con altre qualità. Le Regole della Brava Ragazza del mondo delle donne di oggi che ancora esigono che nessuna ottenga una fetta di torta più grande di quella delle altre, sono davvero cosi diverse da quelle in vigore nei nostri anni giovanili? È solo di recente che abbiamo scoperto che alcuni di noi, maschio o femmina, sono geneticamente più assertivi di altri. Ce l'hanno nel sangue. Una volta i ragazzi avevano gli ormoni dalla loro parte - o così credevano - ossia si presumeva che, da un punto di vista chimico e biologico, le ragazze non potessero agire in modo aggressivo. Oggi, sappiamo che gli androgeni e gli estrogeni, un tempo ritenuti strettamente appartenenti rispettivamente ai maschi e alle femmine, esistono in modo sfumato in entrambi i sessi. Sembra che non vi
sia niente che il ragazzo possa rivendicare come proprio, nemmeno il testosterone, per rafforzare la propria sicurezza nell'alzare il ricevitore del telefono e rischiare un rifiuto. Dieci, quindici anni fa, le femministe si affrettavano a negare l'aggressività femminile: "No, no, sono gli uomini ad essere aggressivi e competitivi, le donne sono concilianti". Tuttavia, un'occhiata alle Ragazze Cattive dei film d'oggi, quelle dall'aria sinistra, che afferrano il comando e superano gli uomini in tutto, suggerisce che i ragazzi dovranno guardare altrove per rintracciare i segni della loro superiorità fisica "naturale". Solo ieri, una ragazza leggeva la presenza di peli sopra le proprie labbra come un fallimento del suo essere donna; quale uomo avrebbe voluto prendersi cura di una donna con la barba? Le ragazze di oggi, senza perdere un grammo di femminilità, seguono i ragazzi, forse dividono il prezzo del biglietto per un film dove guardano la bella Sharon Stone che fa balenare i peli del pube. Quando una ragazza di oggi si trova, anzi no, si mette, tra le braccia di un ragazzo che comincia ad esplorare il suo corpo con le mani, lei si trova presa tra due mondi. Sua madre, ad esempio, non le ha mai parlato della sua clitoride; sono rare le madri che lo fanno. Quando il ragazzo la scova al suo posto, l'immagine di lui si trasfigura in quella di un Principe, e la Nuova Ragazza assertiva si trasforma nella Schiava d'Amore. "Quando non istruiamo le bambine sul loro corpo, le consegniamo in tutta la loro vulnerabilità nelle mani di altri che le riveleranno a se stesse", afferma Judith Seifer. "Ti garantisco che, e Dio ne sia testimone, se la ragazza non ha trovato da sola la propria clitoride, e nessuno l'ha incoraggiata a farlo, sarà portata a pensare di essere innamorata del primo ragazzo che ci passi sopra. 'Oddio, è questo l'amore?' E, naturalmente, non ha niente a che fare con l'amore. Nei bei giorni dell'educazione sessuale negli anni Settanta, eravamo davvero convinte di fare tutto diversamente. Ma mi accorgo, con l'esplosione delle gravidanze non pianificate di oggi, che non siamo state diverse neanche un po' nel nostro modo di allevare i figli." Disorientante com'è per una ragazza, immagina, dopo venticinque anni di femminismo, cosa possa provare un ragazzo. Ai ragazzi è sempre sembrato che le ragazze avessero tutto il potere nelle loro mani. E tuttavia, quando lui la porta all'orgasmo, lei si trasforma nella sua bambina, nel suo tesoro, completamente abbandonata alla sua magia. Lui sa di non aver compiuto nulla di magistrale, che la magia è tutta in lei. Quanto potere conferisce questo ad un ragazzo? Assomiglia più all'equivoco di essere scambiato per qualcun altro, nel senso che lui sa che la ragazza avrebbe potuto benissimo fare la stessa cosa con le proprie mani. Ma oggi i ragazzi devono apparire più freddi che mai e al comando del timone; con così tanti mercati attenti ai miliardi di dollari che essi spendono ogni anno, ci dimentichiamo che la persona che sta nelle Nike da 135 dollari crescerà di circa trenta centimetri in quattro anni, e dunque dagli 8,5 ai 10 centimetri all'anno, fino a quando non termina la pubertà. Lo sviluppo delle ragazze scatta prima di quello dei ragazzi, attorno ai dodici anni; quello del ragazzo non comincia, più o meno, fino ai quattordici anni, ma queste disuguaglianze contano di più ora, ora che i ragazzi sono ansiosi di essere ammirati quanto le ragazze. La cultura non ha simpatia per l'esperienza maschile. La rabbia femminista nei confronti degli uomini è diventata la rabbia della nostra cultura. Con un numero sempre più esiguo di padri presenti in famiglia, con nessuna figura maschile da prendere a modello, l'invisibilità del ragazzo e la sua mancanza di potere rispetto alle Grandi Donne lo abbandonano più che mai all'identificazione con i propri coetanei. Il ragazzo s'inventa un proprio look, un linguaggio, e un comportamento, come reazione alla cruda disperazione della sua rabbia adolescenziale. Non è poi così sorprendente che, di fronte ad un potere femminile che gli instilla sentimenti d'inferiorità, tenti di farle lo sgambetto, di denigrare la bellezza, facendosi beffe di lei, così da tenerla, lei e il suo potere formidabile, al suo posto. "Il suo corpo è bello, così sto pensando di violentarla - le sue tende non avrebbero dovuto essere aperte, vedi, è il suo destino", rappeggiano i Geto Boys. Quando un gruppo di uomini rozzi fa commenti pesanti diretti ad una donna che passa per strada, è l'invidia che parla; quando giovani cantanti rap declamano parole crude, orribili, sul corpo
delle donne, la nostra parte più sensibile, il loro rancore osceno è l'urlo di individui che si sentono insignificanti di fronte a donne che oggi si comportano come se non avessero affatto bisogno degli uomini. 5.3 - Come le ragazze proiettano sui ragazzi la bruttezza del sesso. Nell'adolescenza, una delle prime cose che un ragazzo deve imparare è nascondere la propria insicurezza; anche se può sembrare che le ragazze abbiano ogni potere, vogliono però essere guidate, accudite. L'imbarazzo nei loro riguardi è un sentimento nuovo, e l'ignoranza del contenuto dei loro desideri non deve portarlo a tradirsi. Perciò, egli dovrà predisporre le sue caratteristiche fisiche, i muscoli del viso e del corpo, in modo da mascherare ogni tipo di sentimento. Immagina quanto controllo muscolare è necessario per negare le emozioni che rischiano di dipingersi sul suo volto, per costruire la maschera, ogni volta che si sente sottosopra per l'arrivo di una bella ragazza. Nel giro di pochi anni, l'armatura di difesa gli sarà naturale, e ne passeranno altri ancora prima che la somiglianza dei volti impassibili degli uomini di successo ritratti sui giornali risulti sconcertante. "Cosa senti?" domandano le donne, guardando con impazienza i volti impassibili dei loro compagni. "A cosa pensi?" Le donne si esasperano con gli uomini, il cui aspetto esteriore non tradisce alcuna emozione, mentre noi, il sesso emotivo, siamo come un libro aperto. Con il passare del tempo, il ragazzo/uomo diventa di pietra anche dentro, nell'atto continuo di sopprimere le proprie sensazioni emotive. Gli eroi adolescenti dei film odierni non si smascherano mai; guardano fissi nel vento, le loro facce indurite e segnate dagli elementi naturali, non dalle lacrime, mai. C'è una ragione per cui i ragazzi praticano il voyeurismo di gruppo: da soli fa troppa paura. Questo bisogno urgente di dedicare tanta attenzione a guardare le ragazze invece che a giocare a basket, è assolutamente nuovo. Alle prime fantasie di veleggiare verso l'Africa subentrano i sogni dei corpi femminili. Quando lei passa, la sua mascella si allenta; cosa ne sa inizialmente della sensibilità delle ragazze di fronte a due occhi che guardano con insistenza? Noi donne non sappiamo nulla della reazione involontaria che lo assale quando ci vede, non capiamo e non simpatizziamo. Se il nostro piacere sensoriale e la nostra dipendenza infantile si fossero focalizzati su di un corpo maschile, che ci avrebbe rese capaci di anticipare la vista, l'odore e l'amabilità degli uomini, nell'adolescenza riusciremmo a ricambiare l'occhiata dei ragazzi, riconoscendo in loro la nostra nuova identità erotica. Dato che ci rifiutiamo di riconoscerlo, il ragazzo capta il nostro disagio. Soffrendo per la mancanza di un contatto visivo, di quella reciprocità implicita in ogni sguardo condiviso, combina la nostra inermità con il punto debole che gli abbiamo mostrato, e ci riserva "l'occhiata" che noi detestiamo, l'esame dalla testa ai piedi. Tuttavia, saranno rari i ragazzi che trovano il coraggio di guardare da soli; una volta diventato adulto, può anche guardare le donne per conto proprio, sempre nella speranza che una di loro gli risponda con un sorriso, ma, nell'adolescenza, è richiesta la tribù al completo. Il cameratismo della vecchia banda acquista ora un nuovo significato, quando la vista possente delle ragazze fa sentire troppo piccolo il singolo ragazzo. Avendo prestato scarsa attenzione al proprio aspetto fisico, non si accorge del disagio delle ragazze per le cosce troppo tornite, i capelli dritti, il foruncolo sul naso. Lui pensa a noi come alle Padrone dell'Universo, e gli consegniamo un'arma che non sapeva nemmeno di possedere. Aggiungi alla nostra annosa preoccupazione per l'apparenza l'arrivo della "Maledizione", e ora ogni centimetro di bellezza verrà messo in dubbio. Tutto questo, proprio quando il desiderio sessuale accende il nostro bisogno di essere desiderate, scelte. Da parte sua, sono passati anni dall'ultima volta che è stato tenuto tra le braccia, o ha desiderato accarezzare qualcuno; questo è proprio il genere di cose di cui, spartanamente, si era ripromesso di fare a meno. Adesso desidera la ragazza, proprio quella con il foruncolo sul naso, che lui non nota neppure. Fuori esercizio e mal equipaggiato per assumere il ruolo di leader nel corteggiamento, la desidera, mentre lei non si accorge nemmeno del suo stato. Sentendosi invisibile, rifiutato, il ragazzo afferra il potere che lei gli ha dato; il timore che si dipinge negli occhi della ragazza alla sola idea di essere valutata, unito alla sua passività ammosciante, lo incoraggia a guardare.
E lo fa con crudeltà, con un eccesso di spacconeria, in modo da vincere la propria ansia. Non sono assolutamente i modi che avrebbero usato le ragazze, nel caso fosse toccato a loro fare la prima mossa. Noi sappiamo come baciare, accarezzare, coccolare, amare, e certamente, sappiamo come esaminare le altre donne. Quando le sue avances maldestre cadono al di sotto dei nostri standard, lo respingiamo. E non lo facciamo con grazia, perché siamo in collera per la nostra passività eccessiva. Anche lui semina rabbia al tentativo seguente. Quando alla fine sarà riuscito a padroneggiare l'arte di guardare le ragazze, ci sarà molta ostilità nel suo sguardo, molta della quale l'ha appresa da noi. Fuori dall'emporio di Schwettman, i ragazzi si allineavano con le loro giacche a vento contro le vetrine, attraverso cui potevo scorgere il banco delle bevande analcoliche, il mio rifugio preferito fino al giorno prima. Da quel momento in poi, neanche la promessa di un gelato al cioccolato e nocciola poteva indurmi a sfiorare I Giudici. I ragazzi si ritrovavano lì solo per passare il tempo, non facevano niente, ma avevo dodici anni, e per me erano come un tribunale, una banca d'occhi che aveva tutto il potere del mondo. Questa era la mia strada abituale per tornare a casa, seguendo King Street, dopo aver trascorso il pomeriggio al cinema Gloria. C'ero passata centinaia di volte, ma ora, all'improvviso, si era trasformata in un incubo. Normalmente amavo le sfide, ma qui si nascondeva la promessa di un fallimento che nessuna dose di coraggio poteva equiparare. A dire la verità, non so neanche se loro mi guardassero, o, se lo facevano, cosa ci fosse nei loro occhi, ma sentivo così acutamente il loro rifiuto a priori da immaginarmeli come un plotone di esecuzione. Certo, camminavo davanti a loro; deviare dalla mia strada abituale verso casa era impensabile. Ma mi sembrava di morire. La cosa strana è che non li disprezzavo; non erano loro gli artefici di ciò che provavo, quel fallimento di antica origine nel catturare l'attenzione di mia madre. Riesco a malapena a ricordare come apparivano a loro volta i ragazzi, in questi primi giorni dell'adolescenza; noi ragazze sentivamo così intensamente i loro occhi su di noi, che non ci passava neanche per la testa di guardare a nostra volta. Ed eravamo così certe della nostra inadeguatezza, così cariche di odio per il nostro corpo, da proiettare su di loro il disprezzo che provavamo per noi stesse. Riempivamo i loro occhi delle armi che in quel momento pensavamo stessero usando contro di noi. Una profezia che si autoavverava. Da quale altra fonte un ragazzo poteva apprendere di essere in possesso dello stesso potere che gli occhi di sua madre dovettero un tempo aver esercitato su di lui? Non ricorda consciamente, sarebbe una modalità decisamente poco maschile; piuttosto, decide che è così che fanno gli uomini: controllano le piccole. Oggigiorno, affronto il guanto della sfida del marciapiede con un misto di curiosità, un minimo di fiducia nell'immagine di me stessa, e anche qualche ansia residua. Ma riesco a distinguere tra un brutto bastardo e gli altri uomini che gironzolano sul marciapiede mentre consumano il pasto di mezzogiorno; sono giunta a credere che il bastardo sia l'eccezione, non la regola. Sì, i ragazzi danno la caccia alle ragazze, stanno agli angoli delle strade e ci guardano, ma, tutto sommato, la loro attività principale consiste nel girovagare. La loro integrità, la loro autosufficienza anche in nostra assenza, è fastidiosa. Quando ero giovane, talvolta ci incontravamo a casa di una ragazza e aspettavamo che i ragazzi ci trovassero: "Aspettare i ragazzi". Presto o tardi arrivavano; ci trovavano sempre, ma seguivano i loro tempi. Andavamo d'accordo, noi ragazze, ma, giunta l'adolescenza, ci sentivamo stranamente incomplete senza ragazzi intorno. Era la nostra mancanza di autonomia, quella che non avevamo potuto esercitare nei primi anni di vita, a renderci bisognose dei ragazzi in quel modo intenso, emotivo, che i ragazzi non conoscevano, non come "bisogno". Gli uomini ci amano, ci vogliono, non stanno bene quando, più tardi, vivono per conto loro, senza una donna accanto, ma non hanno quella paura mortale che, a cominciare dall'adolescenza, tiene in pugno le donne. Altre volte passavamo il pomeriggio ai lati del campo da gioco dei ragazzi, a guardarli tutti concentrati nel loro gioco, contenti di portarlo a termine prima di spostare la loro attenzione su di noi. Talvolta restavamo in piedi per ore, incapaci di tornare a casa felici senza di loro. Che cosa pensavamo delle nostre sensazioni? Di certo non era l'eccitazione del gioco a tenerci là a scherzare, ad aspettare, a spingerci e tirarci a vicenda. Non lo chiamavamo desiderio erotico. Lo spostamento ai margini dei campi da gioco dei ragazzi costituiva un
semplice trasferimento geografico delle notti claustrofobiche che trascorrevamo insieme, l'una nella casa dell'altra. L'eros stava inviando i suoi richiami, ma noi eravamo ancora appiccicate ai fianchi materni; e mentre guardavamo i ragazzi, mantenevamo un occhio di gran lunga più giudicante sulle nostre coetanee. È stato doloroso tenere a freno l'inclinazione a prendere l'iniziativa? Ciò che mi feriva di più era tutto quell'aspettare, aspettare che il telefono squillasse, che il ragazzo mi baciasse, che qualcosa che desideravo con tutto il cuore accadesse. Divenne il tema della canzone della mia vita, la spiegazione che diedi a me stessa per anni dopo il passaggio dell'adolescenza, a proposito della ragione per cui non intendevo sposarmi, non ancora, e per cui viaggiavo, nella convinzione che, dietro l'angolo successivo, mi attendesse un altro uomo interessante: "Aspetto che accada qualcosa". Ciò che stavo aspettando, avrei imparato, era riguadagnare il mio talento naturale per la prima mossa. Sarei portata a credere che se le ragazze venissero educate a prendere l'iniziativa con i ragazzi, a condividere questa esperienza, si assumerebbero più naturalmente la propria responsabilità sessuale. Tutto quell'aspettare rende una ragazza/donna indolente, pigra, infantile, e irresponsabile. Ci vollero anni prima che imparassi con quanta sincerità un uomo risponde ad una donna disposta ad accollarsi la metà del rischio, ma prima avrei dovuto imparare a riconoscere quel tipo di uomo. Quel tipo di uomo non desidera fare sesso con una bambina. Ci volle un uomo ad insegnarmi ad assumermi la responsabilità della mia sessualità. Mi aprì gli occhi. Fu anche colui che mi risvegliò a tutto ciò che avevo abbandonato durante l'adolescenza - loquacità, sveltezza, intelletto, e tutto il resto - il mio piccolo dono ai ragazzi. Le donne hanno una vaga idea di cosa significhi essere continuamente respinti? Talvolta, il ragazzo si sveglia preso dal terrore - facendo coincidere il pensiero con l'atto - per avere fatto sogni erotici con persone del suo stesso sesso. Non sa che è naturale fare certi sogni; per lui sono spesso il segnale del suo fallimento nell' "essere all'altezza" delle ragazze. Il ragazzo marchia se stesso pensando: "Devo essere gay". Forse lo è, ma forse no. Le donne, per tutta la loro vita, fanno sogni, notturni e diurni, selvaggiamente erotici che coinvolgono altre donne, senza mai mettere in dubbio la loro eterosessualità. Il doppio standard non è sempre a favore degli uomini. La ragazza non ha un organo genitale esterno che le dica quando è eccitata. Non ha mai visto un pene eretto da vicino e associa tutto ciò che si trova tra le gambe a qualcosa di brutto e sporco. Quando lui cerca di guidare là la sua mano, quando mette la mano di lei sul proprio pene nudo, o le indica che vuole che gli metta la sua bocca "lì", la ragazza prova un senso di repulsione. Lui ne è confuso, ferito, si sente rifiutato. Lui venererebbe la zona situata tra le gambe di lei, gli basterebbe toccarla. "No!" intima lei. Non ha mai toccato i propri genitali, non li ha mai esplorati con le dita, e se si è masturbata, ha provato un gran senso di colpa. Che lui, il suo eroe romantico, che l'ha appena infiammata con i suoi baci, ora debba rovinare ogni cosa attirando la sua mano verso il duro rigonfiamento sotto i pantaloni, o esponendo quel grande "coso" rosso, brutto... perché? Potrebbe anche piangere. Forse lo fa. In questo modo, il ragazzo impara quale grande differenza passa tra un maschio e una femmina: lui è cattivo, lei è buona. Questa è la visione che lei ha di lui e di se stessa. Il che è sicuramente meglio che essere visti come l'imbranato che talvolta lui teme di essere. Essere dei "cattivi", duri, suona virile. Perciò, se vuole fare passi in avanti nell'impresa dell'assalto alla cittadella, deve interpretare il ruolo dello sporco aggressore sessuale, mentre lei sarà la principessa; deve corteggiarla con questa storia non del tutto spiacevole dei baci, dei tentativi di toccarla, conquistando lentamente un po' di terreno alla volta, un po' più di fiducia, mentre le mani di lei che impediscono il passaggio offrono sempre meno resistenza. Fino all'adolescenza lui non ha associato l'amore al sesso. In realtà, dato l'amore che prova per la propria madre e data la sua disapprovazione verso i giochi masturbatori, ha imparato a separare amore e sesso. Il ragazzo ha assolutamente ragione; è meraviglioso quando ci sono entrambi, ma l'amore e il sesso sono diversi. Il più bravo dei ragazzi è ora messo nella posizione non invidiabile di dover imparare ciò che eccita le ragazze; l'ironia è che lei
crede che la magia del proprio eccitamento sessuale risieda in lui. Lui ha la chiave, è la chiave. È compito del ragazzo introdurla al sesso proibito/sporco/cattivo, mentre, al contempo, resta il suo Principe. Lei lo divide in due. È lei che gli insegna che "no" non significa sempre "no". Quando lei mormora "Oh no, non farlo! " anche quando il suo corpo s'incurva sotto quello di lui, è il segnale per il Bruto che c'è in lui di spingere oltre, di insistere, anche quando, nel suo ruolo di Principe, le sussurra all'orecchio "Oddio, come ti amo, sei così bella, così dolce, oh sì, per favore, lascia che ti tocchi, per favore, ti amo così tanto...!" E così il gioco continua, con lei che desidera provare sensazioni sessuali ma non ne vuole la responsabilità, a meno che il sesso non sia mascherato dall'amore. Nel frattempo, il pene orribile, che è più grande di entrambi, pretende la sua ricompensa. Dopo quella notte, sia che ci sia stato o no un rapporto sessuale, lei, distesa sul proprio letto, tenterà di ricreare le sensazioni provate al suono di una musica romantica, immaginando di rimettersi tra le sue braccia e di sentire tutto di nuovo, lui la forza potente, oscura, lei la bella inafferrabile, e mentre si leva il suono del violino, nella sua mente prendono forma queste parole: "Prendimi, piegami, fammi sentire 'in quel modo', fuori dalla mia pelle, fuori dalla mia mente, Trascinata via, tua!" La resa sognante, alle note della migliore musica romantica, fa da sfondo alle sue fantasie di essere presa, di essere portata a cedere di fronte alla sua abilità, che la spinge a superare i suoi "No", rendendola una vittima dell'amore (il suo modo di chiamare il sesso). Immagina se stessa corteggiata, irretita. E lui? Lei lo vede come sopraffatto dalla sua bellezza, che ha l'effetto di una droga sul suo io forte, scostante, duro, forse un po' alla Sean Penn, così cattivo, animalesco, perché ora la sua fame deve bastare per tutti e due, deciso a fare a pezzi i suoi "No!" Quando lui non telefona il giorno dopo, naturalmente lei lo accusa di tradimento, immaginandolo mentre vaga per le strade con la sua lussuria, in cerca di una preda, come farebbe lei se fosse al suo posto. Gli uomini sono affamati di sesso: proiezione. Lei aspetta la sua chiamata; come è possibile che non voglia ristabilire la comunicazione? Quando il telefono non suona e lei lo vede con un'altra, o quando lei si scopre incinta, gli urla: "Ma mi hai detto che mi amavi! Mi hai detto che ero bella! Non avrei mai fatto quelle cose se non avessi pensato che t'importava". Ma lui non ha detto che l'amava, e anche se lo ha fatto, non sapeva cosa intendesse lei per amore. Per senso di giustizia verso il ragazzo, lui vede la reciprocità della loro passione come un esempio del fatto che lei sa esattamente cosa sta facendo; lui procede. Con il tempo, dopo ripetute esperienze, il ragazzo impara la triste verità: alle ragazze, come alla mamma, non piace il suo pene; in realtà, esse pensano che sia brutto, che abbia un aspetto sinistro, il che non si allontana molto dalla loro opinione del sesso nel suo complesso. Quando lui diventa adulto e si sposa, l'immagine femminile dell'erezione maschile diventa incompatibile con l'immagine pulita, a modo, materna, della propria moglie. Per fare del buon sesso - ossia, sporco - va a prostitute. Se noi ragazze osassimo prendere qualche tipo di iniziativa con gli uomini, verremmo separate dalle nostre amiche. Se un ragazzo ci vuole, deve sembrare che sia lui a sottrarci alle altre ragazze, che allora capiranno che si tratta di una forza irresistibile, oscura, misteriosi, estranea alle donne, ma, nondimeno, il loro futuro. Le altre ragazze devono vederci mentre le abbandoniamo contro la nostra volontà, sopraffatte da qualcosa che sfugge al nostro controllo. La confusione sul sesso "cattivo" che ci strappa alla mamma/alle ragazze diviene un dato; quando gli uomini ci feriscono, o ci lasciano, torniamo dalle donne, che fanno quadrato intorno a noi e ci consolano: "Ecco, ecco come sono gli uomini". Il ragazzo non avrebbe alcun indizio circa il proprio potere se non fossimo noi a proiettarlo su di lui nel corso dell'adolescenza; quando più tardi gli uomini ci costringono ad un rapporto sessuale, mettono in atto l'opinione che le donne hanno di loro. E non ci saranno cambiamenti di rilievo finché le ragazze non saranno educate a capire e a farsi carico della loro sessualità, ad abbandonare la posa della ninfa che sta per annegare, il cui corpo inerme dev'essere salvato. Invece di andare in deliquio, di andare alla deriva, di ondeggiare nella loro piccola danza provocante di fronte ai ragazzi, dovrebbero imparare ad
impossessarsi saldamente, con autorità, della loro identità sessuale. La masturbazione, come ho detto, è una grande lezione di responsabilità, perché insegna alla ragazza che è lei, e non il ragazzo, a reggere la chiave della propria sessualità; dopo essersi procurata un orgasmo, la ragazza non è più portata a trasferire il potere del proprio sesso su di lui, sui suoi baci, sul suo abbraccio. Non dividerà più tra una femminilità buona e una mascolinità cattiva. Le sembreranno sullo stesso piano. Il ragazzo può non essere un esperto in fatto di responsabilità sessuale, ma è probabile che si sia masturbato e, prima dell'arrivo dell'adolescenza, può essere giunto alla convinzione che il magico fluido che zampilla mentre eiacula ha un suo potere indipendente. Sa che il suo seme è nel suo sperma, e che, mentre sono le donne a portare in grembo un bambino, non vi può essere alcuna gravidanza senza il suo apporto - beh, almeno fino all'arrivo delle banche dello sperma. Naturalmente, il ragazzo fantastica sul fatto che alla ragazza piaccia la sua eiaculazione, e la sua fantasia si concentra su lei che beve il suo seme, una delle preferite dagli uomini di tutte le età. Lo "schizzo" rappresenta il climax prediletto dei film per soli adulti, mostrando gli uomini nel loro momento di gloria. Il ragazzo può anche non avere mai visto un film per soli adulti, ma "il lancio nel cerchio" può aver fatto parte del repertorio del suo periodo di crescita, lasciandolo impreparato di fronte alla ripugnanza della ragazza all'invito a mettere la bocca sul suo pene. Nello studio sul sesso di Hunt del 1974, il numero di ragazzi che, all'età di tredici anni, si era già masturbato, era doppio (63%) rispetto a quello delle ragazze (33%) (7). Dopo Hunt, diversi studi sulla sessualità hanno riportato uno spettro di cifre che indica un aumento del fenomeno della masturbazione tra le ragazze, ma ciò che rimane costante è il fatto che sono molto più numerosi i maschi che si masturbano rispetto alle femmine. "Ovviamente... per le donne, la masturbazione non ha lo stesso effetto di rinforzo che ha sugli uomini", commentavano i ricercatori di uno studio del 1993. "La spiegazione usuale per questa differenza tra i sessi riguarda il fatto che le donne sono state socializzate più degli uomini all'associazione tra sesso e romanticismo, e tra relazione e intimità emotiva. Si suppone che l'interesse per il sesso visto unicamente come forma di gratificazione fisica sia un tabù più per le donne che per gli uomini... lo sforzo recente di incoraggiare le donne ad essere maggiormente responsabili della loro sessualità e il suggerimento esplicito per un'attività masturbatoria più frequente non hanno prodotto alterazioni su tale processo di socializzazione."(8) La masturbazione gioca un ruolo interessante nelle fiabe. Secondo Bettelheim, il racconto "Jack e il fagiolo magico" ha il potere di calmare i timori del bambino a proposito della terribile punizione che gli sarà inflitta se verrà scoperto mentre si masturba. In un'altra versione, "Jack e la sua bacchetta magica", la bacchetta gli permette di tener testa al padre per la prima volta, così come di vincere la gara con gli altri pretendenti alla mano della principessa; alla fine, Jack riesce ad impossessarsi della principessa, dopo che la Bacchetta ha messo in fuga gli animali selvatici. Questa sì che è una bacchetta! Tutto considerato, Bettelheim ci assicura del fatto che tutte le versioni della favola di Jack producono un effetto benefico sul ragazzo a proposito delle sue erezioni e della sua attività masturbatoria, e, nel contempo, gli insegnano che "dopo la pubertà, un ragazzo deve trovarsi obiettivi costruttivi e lavorare per raggiungerli e diventare un membro utile della società" (9), che suppongo significhi che non dovrebbe passare tutto il giorno a masturbarsi. Mentre Bettelheim ripete che queste favole parlano sia ai ragazzi che alle ragazze, rimango a chiedermi in che modo le femmine possano trovare messaggi di accettazione e di permesso per la masturbazione in racconti popolati da gambi e bacchette. Viene da chiedersi, ma esistono fiabe confortanti sulla masturbazione rivolte alle ragazze? Essendo cresciuta in una casa priva di uomini, non ho alcun ricordo di prime immagini di peni, duri o a riposo. Con il tempo, ho amato la sensazione di averne uno pressato contro di me durante un ballo, ma non mi raffiguravo la sua forma, né mi soffermavo a pensare quale parte del mio corpo era così eccitata mentre vi si strofinava contro. Per anni, nella mia mente, il pene, sarebbe rimasto dissociato dal resto del ragazzo amato, nel senso che finché non ne
tenni uno in mano e non acquistai familiarità con la sua presenza nella mia bocca, in me non si fece largo alcuna associazione tra organo genitale maschile e la bellezza delle altre forme del ragazzo. Come per le ostriche, sarebbe stato un gusto acquisito col tempo. Ciò che contribuì a che questo accadesse, fu la scoperta della gratitudine maschile, insieme al mio senso di potere nel riuscire a dare così tanto piacere ad un uomo. Oggi studio con grande curiosità le straordinarie foto di peni scattate da Mapplethorpe; il corpo maschile è una vera opera d'arte! E che tragedia il fatto che i sessi, fisicamente disegnati per adattarsi così piacevolmente l'uno all'altro, debbano invece attraversare così tante difficoltà sotto l'aspetto psicologico proprio in questa dimensione dell'esistenza. Ma ecco l'ostacolo: ansia da misure a parte, gli uomini tendono a trovare accettabile la propria conformazione e divina la nostra, mentre noi odiamo la vista dei nostri organi genitali e, ogni giorno, ci sentiamo divise sul fatto se ci piaccia oppure no l'aspetto del pene. Ahimè, il sesso non ha mai costituito un capitolo del femminismo moderno. La masturbazione e le sue gioie, unite al senso di responsabilità e all'autostima che ne conseguono, non trovano accettazione nel processo di crescita che si svolge nella casa materna. Le ragazze pensano ancora che il sesso sia qualcosa che viene conferito loro dagli uomini. Dal momento che denigriamo gli aspetti sessuali della nostra identità e l'atto sessuale in sé, ne segue un'immagine degli uomini - che divengono così le uniche persone dotate di una sessualità come tanti bruti sporchi e malvagi. Nessun uomo, ricorrendo a parole dolci, convincerà mai una donna della bellezza del suo corpo con la stessa capacità di persuasione che lei potrebbe esercitare su se stessa. Finiamo quindi per odiarli per il fatto di non riuscire in questa impresa. Guardiamo ai ragazzi e agli uomini come a tanti specchi affidabili; quando falliscono nel tentativo di convincerci della bellezza dei nostri seni e della nostra vulva, ci vengono forniti motivi ulteriori per conservare l'opinione negativa e carica di autoritarismo riservataci dalle altre donne. E per quanto riguarda gli uomini, essi personificano tutto il male possibile perché apprezzano i propri organi genitali. June Reinisch, direttore emerito del Kinsey Institute, sostiene che, quando si chiede agli uomini cosa desiderino in una compagna, la risposta più frequente è "essere amati". Non è vero che "i ragazzi vogliono una cosa sola"; è una nostra proiezione e, facendo questo, trascuriamo tutte le altre cose che un ragazzo desidera - vicinanza, conforto, amicizia, amore. Già condannato, potrebbe benissimo tener fede a quell'immagine; cos'ha da perdere? La ragazza proietta sul ragazzo tutto quello che lei vorrebbe fare se solo fosse al suo posto, se il mondo non proibisse alle ragazze di avere un ruolo di primo piano nell'avviare una relazione erotica. Da quando è al mondo, sa che il suo seno e i suoi genitali sono macchiati da un'imperfezione innata. Queste sono proprio le parti che il ragazzo vuole toccare. Cosa deve fare? Per salvare se stessa e sottrarsi al dilemma, si mette nelle sue mani; egli è sia l'inventore della sua felicità che il responsabile di qualunque cosa possa scaturire da questa unione. Per lui si è trattato di sesso, per lei di un atto d'amore; lei ora è sua. Il significato del rifiuto a proteggersi ricorrendo alla contraccezione va ricercato nel mantenimento della sua proiezione sulla figura maschile sia del sesso come cosa sporca, sia della responsabilità nei confronti della sua persona. Forse il ragazzo la ama, certo è che non è in grado di comprendere quanto la ragazza confonda sinceramente il sesso con l'amore. Cosa può saperne dell'amore così come lo vivono le donne, da cui è fuggito, tanto soffocante era l'abbraccio della propria madre? La mancanza di familiarità del ragazzo con la definizione che la ragazza dà dell'amore è pari a quella della ragazza rispetto all'accettazione e alla comprensione che il ragazzo ha del sesso. L'adolescenza gli ha insegnato che sono le ragazze a controllare il sesso. Abbastanza presto impara che esse hanno la stessa scarsa considerazione per i suoi genitali che aveva la mamma. Questa persona della sua stessa età può amare il suo viso, le sue spalle, il suo torace, ma distoglie lo sguardo proprio dalla parte che lo definisce come maschio, il suo pene. La cattiva opinione di lei lo mette sulla difensiva e lo manda su tutte le furie. Si sente sminuito anche
nell'immagine che ha di sé come persona complessiva, e questo contribuisce a trasferire ancora più potere della bellezza alla corte delle donne. "Le ragazze delle scuole superiori sono più a disagio con le proprie esperienze sessuali di quanto non lo siano le loro controparti maschili", annunciava una ricerca nazionale condotta nel 1994. Qualcuno si sorprende del fatto che i ragazzi godano maggiormente della loro vita sessuale o del fatto che "mentre l'81% dei ragazzi sessualmente attivi diceva che 'il sesso è un'esperienza piacevole' solo il 59% delle femmine riferiva di aver provato la medesima sensazione"?(10). Non saremmo sorprese se le stesse cifre risultassero più alte nell'esperienza degli uomini e delle donne di vent'anni più vecchi. Siamo ancora lontani dall'aspettarci che le donne godano del sesso quanto gli uomini, accampando motivi quali l'insensibilità degli uomini verso i bisogni delle donne, quando la verità è che, ancora oggi, la maggior parte delle donne si aspetta che siano gli uomini a renderle sessualmente attive. "Se il ragazzo accetta davvero l'opinione delle donne per cui il suo pene costituisce una parte brutta, sporca del suo corpo, la ragazza a cui piace veramente fare l'amore con lui non sarà certo una persona perbene, e, di sicuro, non una da sposare e con cui fare dei figli", sostiene la Reinisch. "È un fatto inconscio. Può spargere i semi della dicotomia Madonna/Puttana." La condizione del maschio adolescente era solita costituire materiale d'ispirazione per libri e commedie. Il personaggio di Marty, ad esempio, nel film classico "Marty, vita di un timido", corrispondeva alla figura di un giovane uomo che sentiva di non soddisfare fisicamente ed emotivamente le aspettative sociali. Alla fine, trova il genere di ragazza che fa per lui, il suo tipo. Tutti noi abbiamo conosciuto dei Marty, un personaggio che va oltre il passaggio delle mode. Ma l'eroe di "Picnic" di Bill Inge, interpretato nel film omonimo da un giovane William Holden, in questi giorni non è molto di moda. La società non reclama così ansiosamente la forza sessuale irresistibile di un uomo, incarnata da un giovane straniero dai modi duri che, un caldo giorno d'estate, salta su un treno merci e si intrufola nella vita di una famiglia che vive in una piccola cittadina. Quando alla fine degli anni Cinquanta apparve "Picnic", non associammo automaticamente la figura del cattivo/bruto/violentatore a quella di un giovane uomo dall'enorme carica erotica. Nessuna donna gli sfugge, dalla vecchia zitella insegnante della scuola cittadina, alla ragazza adolescente che capisce, nel modo più completo, perché la sua vogliosa e attraente sorella maggiore gli risponde in un modo che il Bravo Giovane Uomo, il suo bellimbusto posato, un bel ragazzo che manca di calore, non sollecita. Prima dell'arrivo dello straniero, la bella sorella era appunto soltanto bella; ma non era del tutto viva, non come si sentirà dopo essere stata infiammata dalla sessualità minacciosa dello straniero. Quando questo accade, giustamente dopo la sua incoronazione a regina di bellezza della città, sentiamo che la lussuria sinistra di lui contagia anche lei. Ma non riusciamo ad incolparla, perché l'abilità di Inge fa sì che il pubblico acclami la sua lascivia; l'eroe ci ha sedotto tutti quanti. Sia che lo riconosciamo o meno, Inge ci sta dicendo che il sesso vero è reso malvagio soltanto dalle nostre convenzioni. Certo, l'eroe semina distruzione nella famiglia, nell'intera città, ma in realtà non ha fatto nulla, è solamente comparso, proprio come il sesso nell'adolescenza. Siamo noi a renderlo brutto, e nessuno lo riconosce più facilmente della giovane sorella adolescente. In un'intervista recente, Paul Newman accennò al fatto di essere stato rifiutato per il ruolo da protagonista nel film "Picnic" perché non aveva un'aria "abbastanza minacciosa" (11). Nessuno oggi scrive commedie come "Picnic". I giovani uomini come Brad Pitt sono sexy, ma non hanno quell'odore muschiato che reca con sé questo avvertimento: pericolo. Il femminismo avrebbe dovuto dividere quel profumo di muschio tra i sessi, dando alle donne la quota che spetta loro, pari a quella degli uomini. Oggi, gli uomini e le donne non sono più altrettanto eccitati sessualmente l'uno dall'altra perché abbiamo smarrito il Satiro, la bella forza maschile che è l'altra metà della nostra bellezza sensuale. Invece, continuiamo ad educare un'altra generazione di ragazze sciocche ad aspettare che il ragazzo, grazie alla chiave di cui solo lui è in possesso, le riveli a se stesse.
5.4 - Un addio all'invidia del pene. In questi giorni non si sente parlare molto di invidia del pene. Ha un suono datato, agrodolce, la stessa dei film anni Quaranta, che fa comparire per magia immagini di uomini in abiti di flanella grigia che provvedono alle loro famiglie, che proteggono le loro donne. Questi erano i giorni gloriosi in cui la sola parola invidia richiamava quell'altra che solitamente l'accompagnava, il pene. Personalmente, questa espressione non mi è mai piaciuta. Ero troppo innamorata degli uomini, troppo bisognosa della loro presenza, e dunque totalmente immune da ogni forma di invidia verso il potere che esercitavano su di me. Anche solo la citazione del nome di Freud mi faceva corrucciare le labbra; abbassavo lo sguardo di fronte alle persone che entravano in analisi, perché le vedevo come individui deboli, che sperperavano il loro tempo e il loro denaro. Poi divenni una scrittrice, e non mi sarei mai aspettata di incontrare qualcuno che potesse incutere più timore di Freud - Melanie Klein, che mi avrebbe insegnato che esisteva qualcosa di gran lunga più potente del pene: il seno. Molto prima dell'avvento del femminismo moderno, nessuno, eccetto i freudiani più ortodossi, credeva più al fatto che le donne desiderassero scambiare la loro vagina con il pene; il famoso saggio della psichiatra Clara Thompson "Penis Envy in Women", pubblicato nel 1943, aveva stabilito chiaramente i termini della questione: l'invidia del pene è principalmente simbolica, nella misura in cui dimostra il senso di inadeguatezza delle donne nella società patriarcale. "I fattori culturali", scriveva, "possono spiegare la tendenza delle donne a provare sentimenti d'inferiorità riguardo al loro sesso e la loro conseguente tendenza ad invidiare gli uomini... in questo modo, l'atteggiamento definito come invidia del pene è simile all'atteggiamento di ogni gruppo svantaggiato nei confronti di chi detiene il potere."(12). Oggi per il pene in pericolo il panorama è piuttosto desolato. L'intervento da macellaio di Lorena Bobbit a danno del pene del marito non è esattamente ciò a cui mi riferisco, anche se, in qualche modo, coglie nel segno. Desta sconcerto il fatto che la signora Bobbit sia stata ritenuta non colpevole, anche se non fa altro che riecheggiare il Femminismo della Brava Ragazza: "Noi siamo Buone e Loro sono Cattivi! " Sì, Bobbit era un uomo violento e meritava una giusta punizione; ma non si affetta il pene di un uomo mentre dorme. Ciò che ha davvero affossato la supremazia del pene, è stato il sorgere dell'Invidia del Seno, che si è sviluppata a passi da gigante. Di fronte al potere evocato dal seno, il pene come simbolo perde semplicemente il suo valore. L'Invidia del Seno è grande ovunque. È sempre esistita, ma ora assurge al rango di celebrità. Gli uomini di vecchio stampo, saldi nella convinzione del pene come re incontrastato della cultura patriarcale, vagheggiavano, piuttosto che invidiare, il seno femminile. "Sono un uomo da seno", poteva dire un ragazzo, intendendo dire che odiava gli artigli a colazione, tanto si sentiva al riparo dietro le difese teutoniche del Patriarcato. Un uomo poteva tranquillamente perdersi davanti alle immagini del seno delle donne e masturbarsi con gioia, sapendo di vivere nel Marlboro Country. "Invidiare" le tette di una donna? Diavolo, no! Oggi le stesse donne spingono in un angolo gli uomini per venerare il seno, per guardare rapite ciò che è venuto ad assumere un significato più profondo per le donne stesse che per gli uomini, i quali, in definitiva, non potrebbero comprendere il vero messaggio che si cela in un seno. Il ruolo che oggi gioca nella vita femminile, non ha niente a che fare con gli uomini. Le donne lanciano sguardi infuocati al seno delle altre donne. Nelle loro fantasie sessuali descrivono dettagliatamente la misura, la forma, il sapore del seno delle altre donne; vogliono congiungersi con loro, possederle. Proprio come comprano lo sperma, ora vogliono comprare il seno. Chi ha ancora bisogno di un uomo? Seni nudi, innesti di seno, ricostruzione del seno, reggiseni push-up, allattamento sulle panchine del parco... non sono mai circolati così tanti seni e così poco latte di bontà umana. C'era un tempo in cui un uomo poteva "rubare" una sensazione, mordicchiare un capezzolo mentre la Brava Ragazza implorava con il "No, no!" di prassi, che voleva dire sì. Oggi lei gli insegna a succhiare più forte, a palpare il suo seno in questo o quel modo, a farlo meglio, più
velocemente, come lo fa l'altra donna. Le donne stanno sbattendo in faccia agli uomini il potere del seno. Cosa provano gli uomini, da quando sempre più donne incinte portano con orgoglio le proprie pance in ufficio, in cui competono professionalmente con gli uomini e chiedono permessi di maternità e benefici extra? Equità e giustizia per le donne a parte, come si pensa che reagisca l'uomo esautorato di oggi a questa mostra di seni e gravidanze che popolano le strade, le copertine delle riviste, pubblicizzati come l'ultima moda? Anche i divi del cinema partecipano alla vicenda, completamente abbigliati da travestiti e con enormi seni finti, in un film costruito attorno ai personaggi di tre omosessuali irriverenti che viaggiano per il paese, e che, durante il viaggio, vincono una gara di bellezza per travestiti e appaiono realmente più belli di alcune donne vere del film. Il povero vecchio pene non ha neanche una piccola parte. Questo è quello che dobbiamo ricordare quando tentiamo di capire la rabbia del ragazzo verso le donne: rivolgiamo la nostra invidia/ira/ rabbia più intensa alle persone che ci sono più care e di cui abbiamo più bisogno. Se il ragazzo sente che il potere della madre/delle ragazze lo rende piccolo e vile, è normale che la sua ambivalenza nei confronti delle donne cresca; non può permettersi di odiare la madre, e così la sua rabbia/invidia per il potere del corpo femminile viene indirizzata verso le ragazze, i cui seni e organi genitali sono diventati l'oggetto dei suoi desideri di adolescente. Le giovani donne non ricevono certo un'educazione migliore in fatto di potere del corpo, rispetto a quella ricevuta dagli uomini che le desiderano. Nei giorni del patriarcato, non abbiamo portato avanti un'opera educativa che promuovesse la consapevolezza tra i sessi del potere femminile; il pene era tutto. Ora viviamo in una società che non sappiamo come nominare, e ci rifiutiamo ancora di riconoscere l'influenza esercitata dai corpi femminili - seni, genitali, pelle, odore, conformazione - sulle nostre vite. Oggi non c'è nessuno che senta più acutamente l'influsso di quel potere del ragazzo adolescente. Prendiamo ad esempio le ragazze giovani e belle che ballano in topless nei locali. Si massaggiano i seni enormi, completamente assorbite da se stesse, innamorate del loro stesso corpo. Si eccitano sessualmente facendo scorrere le proprie mani sui loro seni turgidi, ed emettono piccoli gemiti quando stringono tra le punte delle dita i capezzoli rosei e appuntiti. Ovviamente consce degli sguardi avidi degli uomini incantati, le donne innamorate di se stesse sembrano dire: "Sì, capisco perché desideri queste bellezze; anch'io le desidero. Roditi il fegato". Gli habitué maschi dei locali di streap-tease degli anni passati mi hanno descritto l'adorazione reciproca che solitamente si creava tra spogliarellista e spettatore; i locali non erano così lussuosi come i club di adesso, ma lo scambio tra pubblico e palcoscenico era molto più caldo: gli uomini erano grati alle donne per ciò che mostravano, e le donne denudate lasciavano che gli uomini cogliessero quanto essi desideravano vedere. Noi viviamo nell'era della negazione. La negazione è la prima forma di difesa contro l'invidia. Le donne sono abituate a negare; nel corso del lungo periodo in cui si è realizzata la nostra emancipazione mancata, la negazione ci ha accompagnato come un secondo nome: "Chi, io arrabbiata? Chi, io bella, invidiosa, risentita? Oh no!" Ma gli uomini non sono abituati alla negazione; quando provano rabbia agiscono, soprattutto gli adolescenti che tentano di dimostrarsi uomini, in un'epoca in cui la vecchia definizione di virilità permane ancora in tutta la sua potenza, forza e autorevolezza. Il ragazzino guarda le sue vicine di casa strette nei loro Wonderbra mentre sfilano liberamente su e giù per la strada, lanciando un messaggio a chiare lettere, proprio come le ragazze che ballano nei locali: non abbiamo bisogno di voi ragazzi; possiamo benissimo fare a meno di voi. Il ragazzo prende in mano fame e rifiuto e si masturba non solo pieno di desiderio, ma anche pieno di rabbia. Il volume della sua musica si fa più alto, il ritmo più selvaggio, i versi parlano delle ragazze come tante puttane e pronunciano parole di disprezzo per i corpi maleodoranti delle donne, e nessuno ha il tempo di spiegare al ragazzo cosa gli sta accadendo. Al contrario, la televisione gli mostra il criminale senza emozioni, che uccide e violenta le donne senza battere ciglio. Guarda poi la nuova eroina, la Puttana, nella sua vertiginosa minigonna di pelle che fa a gara in omicidi con Terminator. Non gli
è rimasto niente che possa rivendicare come suo, nemmeno la volontà distruttiva senza emozione. Guardiamo le statistiche in crescita sui crimini commessi da adolescenti maschi, su droga, imprigionamento, suicidi, e le ascriviamo a tutto fuorché al soggetto apparentemente leggero del potere insito nella bellezza sessuale delle donne. Il tema del seno, a mio avviso, va preso molto seriamente. Melanie Klein sostiene che il potere distruttivo dell'invidia inizia con quello provato dal neonato per il seno materno; il neonato ama il seno/il neonato prova rancore per il potere del seno. Se non leniamo la distruttività maligna dell'invidia in modo da giungere allo stadio della gratitudine e dell'amore per la madre/per il seno, allora vivremo aridamente il resto dei nostri giorni covando amaramente invidia. Negli ultimi vent'anni abbiamo ribaltato i valori su cui si basava la nostra società; preferiamo pensare che il nostro disorientamento sia tutto legato al lavoro, al denaro, alla politica, quando in realtà sentiamo il bisogno del nutrimento affettivo che le donne un tempo incarnavano. Abbiamo tutti perso le nostre mamme, incluse noi donne, e questo è il motivo per cui sono così numerose quelle tra noi che scelgono di vivere con altre donne, piuttosto che con gli uomini. Dammi un seno su cui posare il capo! Naturalmente, il pene è stato sostituito dal seno. Naturalmente le donne gonfiano i loro seni e guardano affamate le altre donne, esattamente come fanno gli uomini. Stiamo tutti morendo di fame. E più di tutti il ragazzo adolescente, che non ha nemmeno potuto godere, che non ha nemmeno un ricordo, delle cose buone che, senza volerlo, abbiamo perso nel corso degli ultimi venticinque anni. 5.5 - L'aspetto della rabbia. Lentamente, inesorabilmente, man mano che la pubertà fa prima la sua comparsa e l'età media dei matrimoni si sposta in avanti - oggi, quasi venticinque anni per le donne e quasi ventisette per gli uomini (13) - l'adolescenza si protrae sempre più. Questo potrebbe tradursi in tempi più lunghi di crescita intellettuale e sociale, prima che sopravvengano le responsabilità del matrimonio e della maternità. Quale periodo della vita è più adatto per crescere e sperimentare? È difficile navigare il mare dell'adolescenza quando il look della cultura degli adulti, il suo ideale di bellezza, è l'adolescenza stessa. Dove sono finiti gli adulti? Lungi dal trovare in noi qualcosa da emulare, gli adolescenti provano rancore per le nostre continue intrusioni, e a ragione. In assenza di confini visibili che ci dividano, fanno propri i privilegi degli adulti, fanno esperienze sessuali troppo precoci, bevono e assumono droghe in misura maggiore dei loro genitori, e portano armi. Li abbiamo messi rabbiosamente in competizione con noi. Quando accusiamo i nostri ragazzi di comportarsi come persone più vecchie della loro età, impossessandosi di privilegi che ancora non gli spettano, dovremmo dare un'occhiata al nostro continuo attraversamento dei confini, alle nostre invasioni di campo. Non ci riferiamo alle tragedie che vedono protagonisti gli adolescenti come se fossero nostre creazioni; ammettere questo, vorrebbe dire guardare in faccia ai nostri sforzi carichi di avidità di contrastare l'età che avanza, non solo la vecchiaia, ma anche solo la mezza età. C'è qualcuno che può sentire dentro un vuoto maggiore dell'adolescente che eredita il nostro mondo? Cosa faremmo se avessimo quattordici anni e tutto quello che ci è mai stato dato di conoscere fosse l'esibizionismo e il voyeurismo di oggi, in cui ognuno è terrorizzato dall'idea di essere invisibile, non potendo ricorrere ad alcun tipo di risorsa interiore? Un adolescente ha un bisogno disperato di essere notato, un bisogno superiore a quello di ogni altro. "Durante la pubertà, le parti del corpo non crescono tutte alla stessa velocità o nello stesso tempo", afferma Laurence Steinberg. "Questo... può portare ad un'apparenza di goffaggine o di imbranatezza nel giovane adolescente, che può sentirsi imbarazzato dalla crescita accelerata ma disuguale di parti differenti del proprio corpo." (14) Questi sono anche anni di sviluppo dell'introspezione, della coscienza di sé e della capacità di razionalizzazione. L'apparenza ha sempre avuto un ruolo centrale nella vita degli adolescenti, ma il teen-ager di oggi si confronta anche con una versione idealizzata del maschio adolescente, quale è rappresentata dall'eroe di sit-coms televisive, dal cantante/ballerino di punta di MTV, e dai ragazzi di grande fascino che appaiono sulle copertine delle
riviste. Tutti gli occhi sono puntati su una versione idealizzata dell'adolescente, o così pare. Gli uomini, riferendosi alle donne che puntavano il dito in tono accusatorio, ricorrevano solitamente all'appellativo di "bisbetica". Ma a quell'epoca, quando gli uomini detenevano saldamente il potere, questo fenomeno non rappresentava un elemento così importante della loro vita. La moglie/madre bisbetica era materiale per fumetti, accettato con umorismo e poi accantonato; faceva arrabbiare le donne, che però, all'epoca, non avevano una voce per la rabbia. "Ma mamma!" si lamentava il ragazzo adolescente, accettando diligentemente gli sforzi materni di controllarlo, che era poi lo stesso tipo di risposta rispecchiato dal comportamento del padre. Dopo aver concesso un abbraccio alla propria madre, il ragazzo poteva poi fare uno strappo alle regole che lei aveva fissato, facendo molta attenzione, come papà, a tenere la propria "cattiveria" fuori dalla sua vista. In qualche luogo a metà strada tra il controllo sulla società esercitato dagli uomini "cattivi" e gli sforzi delle donne "buone" per controllare gli uomini, venne creato un set di regole etiche, una moralità e un codice di comportamento che erano essenzialmente il prodotto della bontà e della cattiveria che venivano attribuite agli uomini e alle donne. Non si trattava di un sistema sano, ma ha funzionato per molto tempo. Oggi, le donne sono "cattive" quanto gli uomini, ma pensiamo sia nostro diritto incolpare gli uomini per tutte la malvagità del mondo, mentre noi stesse vi partecipiamo a pieno titolo, e anche questo aspetto viene liquidato come "colpa degli uomini". Nessun uomo vive questa situazione sulla propria pelle e con maggiore asprezza del ragazzo adolescente, ancora molto vulnerabile alla sensazione del potere esercitato su di lui dalla madre, cui si uniscono ora le richieste provenienti dalle ragazze. I giovani uomini sentono la rabbia delle donne ricadere sulle loro teste e cercano riparo. Come dovrebbe apparire, cosa dovrebbe indossare per proteggersi dalla pioggia di aggressività proveniente dalle donne, che possiedono già così tanto e che tuttavia vogliono anche le sue palle, che insistono con l'incolparlo del reato di non consegnare nelle loro mani il suo lavoro, di non fornire il genere di amore che esse desiderano, di non prendersi i loro insulti, insomma, di non voltarsi e lasciare che le ragazze lo controllino? I maschi commettono molti crimini e le statistiche crescono a vista d'occhio, ma nessuno si chiede come mai i nostri uomini, e sempre più quelli giovani, si comportano in questo modo. È severamente proibito avanzare l'ipotesi che il post-femminismo abbia lasciato delle rovine sul suo cammino. Ogni rivoluzione, e così anche il nostro glorioso movimento delle donne, semina confusione nella sua scia, ma le Vittime Femministe non vogliono assumersi alcuna responsabilità. Il privilegio tradizionalmente femminile di incolpare gli uomini è ancora intatto. Forse un uomo adulto può passarci sopra, ma l'adolescente è più vulnerabile; c'è una cosa orribile che gli rimane da fare quando la pressione diviene troppo pesante da sopportare: tra il 1960 e il 1992 il tasso di suicidi per i maschi bianchi tra i 15 e i 19 anni di età è aumentato del 212%, rispetto ad un aumento del 131% per quello femminile (15). Mentre andiamo in giro a fare i nostri affari, ad accumulare denaro, a sposarci, a divorziare, a comprare più vestiti, più "cose" che coprano il nostro senso di vuoto, pensiamo che i nostri figli non ci vedano? Quando la famiglia, la comunità e la società non si danno più regole, ma sono invece luoghi dove è stato infranto ogni accordo, a cominciare da quello che legava un tempo i genitori, a cosa dovrebbero appoggiarsi gli adolescenti? Le regole degli adulti risultano sospette se non possono sorreggere nemmeno coloro che le hanno create. Non esiste alcun punto fermo basilare che regga nel rapporto tra uomo e donna, e nessuna coscienza, privata o pubblica. L'unico elemento costante e fruttuoso che la società sembra capace di offrire ai giovani di oggi è rappresentato dalla promessa di potere che si cela nella bellezza. Che genere di futuro può esserci per un adolescente, quando tutti i ritratti fotografici che campeggiano sui cartelloni pubblicitari e sulle copertine delle riviste sono quelli di sedicenni, di suoi coetanei? Perché crescere quando la tua immagine, agghindata in modo tale da ispirare invidia tra gli adulti, è l'immagine culto del momento? Tanto i ragazzi quanto le ragazze sono al corrente dei redditi oltraggiosi guadagnati dai modelli e dalle modelle di oggi. In versione bianco e nero e
Technicolor, suona così: è una cosa meravigliosa essere una donna bella e per di più ricca. Uomini molto più vecchi e potenti del ragazzo fanno da cavaliere a ragazze giovani e belle, riscaldandosi al riflesso della loro bellezza. Il ragazzo non può fare a meno di guardare le sue attraenti coetanee, ma deve camuffare il proprio desiderio, perché esse oggi sono più potenti che mai. Il ragazzo vive una situazione in cui reagisce all'attrazione genetica, erotica esercitata su di lui dalle belle ragazze, ma, al contempo, come faceva suo padre, si sforza di apparire freddo. Mentre il femminismo si rifiuta di riconoscere il potere della bellezza femminile, di comprenderne il funzionamento nel suo lato oscuro e nel suo lato brillante, abbandoniamo i nostri figli in una situazione di terribile svantaggio, in cui entrambi i sessi subiscono la tirannia della bellezza. Sì, ci aspettiamo che siano preoccupati per l'aspetto fisico, ma oggi abbiamo elevato la bellezza al rango di potere che domina tutti quanti. È già abbastanza pesante essere individui di mezz'età e scoprirsi guidati dalla forza misteriosa della bellezza, ma diventa insostenibile quando si hanno quattordici, diciotto anni, e si è maggiormente motivati dall'apparenza esteriore piuttosto che da una qualche struttura morale. Che cosa significa "Sii uomo"? Il ragazzo deve imparare ad apparire come colui che ha tutto sotto controllo, a nascondere l'emozione. I giovani inventano una moda, un modo di vestire, che gli altri non esitano a copiare. Trent'anni fa, si facevano crescere i capelli, volevano il beat look, anche quando i loro padri trasalivano solo a vederli. C'erano diversi cartoni animati che ritraevano papà e figli che passavano attraverso il rituale del barbiere. Ma il look di oggi non è bello; il ragazzo cerca disperatamente un modo di apparire che tenga testa al potere che le ragazze esercitano su di lui. Non bastano gli abiti, sono necessari anche un comportamento, un atteggiamento, un certo modo di camminare e un'espressione facciale che nascondono l'ansia interiore. Forse egli non è ancora consapevole della political correctness, ma il disprezzo nei suoi riguardi lo ha già colpito. Impara ad esibire una faccia finta. Come fa notare il fisiologo Paul Ekman, quando una persona indossa una simile maschera in genere tradisce i propri sentimenti con un'espressione che dura una frazione di secondo; talvolta, quando un'espressione autentica inizia a trapelare, la persona farà ogni sforzo per ridurla al silenzio. Ricorrere a muscoli che contrastino e coprano un'espressione veritiera, costringere le labbra ad unirsi per nascondere un sorriso di piacere, costituiscono altrettanti esempi del processo di "mascheramento". La sera scorsa, ho pensato al lavoro di ricerca sul mascheramento condotto da Ekman mentre sfogliavo una copia di un Men's Vogue italiano; c'erano forse otto ritratti a tutta pagina di ragazzi adolescenti, la maggior parte dei quali in biancheria intima, che posavano seminudi per un fotografo che in qualche occasione è riuscito a catturare la "maschera" dei loro volti apparentemente freddi. Altre volte, ciò che trapelava era la dolcezza e la vulnerabilità di un ragazzo evidentemente conscio del fatto che i suoi genitali fossero in mostra. Il servizio fotografico era stato realizzato da Steven Meisel, il fotografo della campagna per Calvin Klein che ritraeva adolescenti seminudi che indossavano la sua leggendaria biancheria. Che cosa pretendono di fare Klein e Meisel? Mostrarci i giocattoli maschili, i Pinups, e se così fosse, sono immagini dedicate al piacere voyeuristico di altri maschi, come parrebbe? Non posso fare a meno di chiedermi quale tipo di impatto queste foto così suggestive possano avere sia sui giovani modelli che su noi spettatori, che non sappiamo bene come interpretarle Esiste un'altra situazione imbarazzante che un giovane ragazzo sessualmente insicuro deve fronteggiare, ossia come rispondere alla nuova moda lesbica dei campus universitari. Ne ho gà fatto cenno prima, ma nel quadro delle difficoltà del ragazzo adolescente, ci sono fondati motivi per dare maggior enfasi all'argomento. Il Nuovo Lesbismo, dentro e fuori dal campus, non è tanto il prodotto del movimento di liberazione dei gay, ma del Femminismo Matriarcale; la nuova libertà economica di cui godono le donne fa sì che le ragazze possano scegliere un'altra donna come partner sessuale, invece che andare alla ricerca di un marito. La Nuova Economia ha creato i presupposti per il Nuovo Lesbian Chic.
In tutto il paese, le insegnanti femministe, in classi frequentate da maschi e femmine, spesso dipingono il mondo diviso in Loro e Noi, dove "Loro" sono gli Uomini Cattivi, i violentatori/molestatori/nemici rispetto a "Noi", le donne buone e virtuose. In molte classi, viene rifiutata qualsiasi opera creata da intellettuali del passato, maschi e bianchi. Un'insegnante femminista chiese perfino che fosse rimossa dalla parete la riproduzione di un nudo di Ingres. Posso capire in che senso l'uomo adulto possa scambiare il Lesbian Chic per la rappresentazione nella vita reale dei suoi sogni erotici. È uno tra i più diffusi tra gli uomini, è sempre stato un sogno che diveniva realtà quando un uomo riusciva a persuadere due donne ad entrare nel suo letto. Ma oggi alcune figlie del femminismo moderno si rapportano le une alle altre in modo alquanto differente; di certo gli uomini della loro stessa età non giudicano i baci, il sesso orale e la convivenza di due donne semplicemente come un'altra forma di eccitamento. Questo tipo di donna non ha bisogno degli uomini, per niente, un messaggio questo, che mette in questione la sessualità, e il futuro, di un giovane uomo. Dopo la laurea, molte di queste lesbiche da college aspirano pienamente a dar vita a relazioni eterosessuali; le loro precedenti relazioni omosessuali sono irrilevanti. È un'opzione di cui gli uomini non possono avvalersi: due donne hanno rapporti sessuali e il mondo scuote la testa, ma quando un uomo osa anche solo pensare al sesso con un altro uomo, marchia se stesso senza clemenza. Un uomo o è normale o è gay, mentre per una donna il mondo è un'ostrica. Gli omosessuali maschi apprezzano l'atto sessuale. Una volta fatto, si dimostra una decisione difficilmente reversibile, almeno nella mente dell'uomo. Ma l'associazione di studentesse lesbiche può essere una scelta tra "sorelle" che non pregiudica la vita futura, mentre evidenzia più che altro l'inclinazione di stare dove le ragazze sono sempre state, vicino alle altre donne. Un tempo, il ragazzo vedeva il seno femminile come il suo obiettivo. La sua forma e il suo tessuto erano così affascinanti che non poteva fare a meno di guardare, desiderare, ammirare. Non ricollegava quella malia alla dipendenza nella nursery, anzi vedeva il seno della ragazza come qualcosa di integro e di nuovo. Oggi, Il Petto del Potere, stretto nel suo Wonderbra, non è a lui che lancia segnali, ma alle altre ragazze. Le giovani donne, molto più consapevolmente delle loro madri, scrutano gli occhi delle altre donne in cerca di segni di approvazione, oltre che di desiderio. Ma, allora, il ragazzo compete con altri uomini o con altre donne, per quel bel seno avvistato dall'altra parte della stanza? Dovrebbe liberarsi dalla fantasia erotica preferita del padre, quella di due donne che hanno rapporti sessuali? Che ruolo può avere in questa coppia completa, che non lo degna di uno sguardo, non vede alcuna forma di bellezza in lui, mentre egli, che è eterosessuale, desidera disperatamente la bellezza femminile, che quegli occhi femminili riflettano la sua immagine? Le cosiddette Lesbians Until Graduation (16) - LUGS, come sono comunemente conosciute - possono andare e venire, ma il fenomeno dell'associarsi tra donne cresce costantemente, producendo negli uomini un senso di attesa, interrogativi, visto che è poco virile protestare contro le amicizie sessuali tra donne. Quando recentemente, sulla prima pagina della seconda sezione del Wall Street Journal, è apparso un articolo sul fenomeno del lesbismo nei college, nessun uomo di mia conoscenza è insorto. "Guarda, per come la vedo io", commentava una LUG all'interno di quel pezzo, "oggi è così difficile cercare di trovare un lavoro ed avere lo stesso successo dei tuoi genitori - che lasciar andare l'amore per cose come le etichette circa il sesso di qualcuno, è davvero da stupidi." (17) La selezione sessuale è una cosa stupida? In un altro quotidiano dello stesso giorno, c'è un articolo su un uomo gay cacciato dal servizio militare. I ragazzi leggono questi articoli e sanno perfettamente che il loro futuro nei luoghi di lavoro potrebbe essere in pericolo se si comportassero come la donna citata sopra. Ma le donne che compaiono nell'articolo del Journal forniscono i loro nomi veri e le loro sembianze fisiche, e domani possono godere del privilegio di ritornare ad una vita eterosessuale e ad un uomo che penserà a loro come a delle donne, esattamente come si vedono loro stesse. Che privilegio! Non le priverei di questo, ma cosa ne è dei diritti degli uomini? Cosa pensare di un ragazzo adolescente che cresce al calore del potere femminile e poi vede i suoi vecchi
prendere alla leggera i privilegi di cui godono le LUG, di una selezione sessuale che avrebbe implicazioni ben diverse per lui? Nel suo libro, The Father Factor, Henry Biller scrive: "La relazione tra tuo figlio e le ragazze, sarà basata sulla qualità della sua mascolinità, che sarà stata influenzata dall'esempio che hai dato nella relazione che hai con tua moglie e con le altre donne... Tuo figlio imparerà anche osservando il tuo modo di reagire all'attrazione sessuale delle donne... I figli maschi che non hanno un rapporto stretto con il proprio padre o che soffrono per l'assenza o il rifiuto paterni... possono avere dei problemi nel relazionarsi alle ragazze e alle donne. Senza una solida identità di genere, è più probabile che si sentano insicuri con le donne" (18). Dato che quasi due bambini su cinque in America non vivono con il proprio padre, "l'assenza dei padri è ricollegabile ai peggiori incubi della nostra società - dai ragazzi con le pistole alle ragazze con i bambini" (19). "Ci chiediamo da dove venga la violenza che dilaga tra gli adolescenti, taccheggiamenti, rapine, aggressioni", dice Jeanne Murrone, una psicologa clinica che lavora con gli adolescenti. "La nostra cultura produce un senso di diritto acquisito. Quando un ragazzo accende la televisione, quello che vi vede pubblicizzato è un paio di scarpe da ginnastica Adidas da 120 dollari. Non può permettersi delle scarpe da 120 dollari, ma per venire accettato, non può mettersi delle scarpe da 20 dollari. 'Devo procurarmi le Adidas da 120 dollari', pensa. 'Ho diritto ad avere quelle scarpe, a quella roba per i piedi. Prenderò una pistola, la pianterò in faccia a qualcuno e gliele leverò dai piedi.' " Gli adolescenti di oggi riderebbero di fronte alla visione che di loro aveva Rousseau, come di individui "che lottano pieni di tensioni morali". Come possono capire la moralità e l'idealismo in un mondo di adulti immaturi, irrazionali e non propriamente rispettabili? Uno studio pubblicato dai Centers for Disease Control and Prevention asserisce che il tasso annuale a cui gli uomini tra i quindici e i diciannove anni vengono assassinati è volato, dal 1985 al 1991, al 154% (20). Siamo molto solerti a far risalire al consumo di droghe tutto quello che di sbagliato succede nella nostra società, rintracciando l'origine di tutti i mali negli anni Settanta. In realtà, il male è in noi stessi, sia che la nostra vacuità sia cominciata con il consumismo successivo alla seconda guerra mondiale, con il maccartismo degli anni Cinquanta, o con il Vietnam degli anni Sessanta e Settanta, o che invece decidiamo di imputarla al crescendo di avidità che ha caratterizzato gli anni Ottanta. Il fatto è che noi abbiamo perso la parte migliore della nostra identità. E invece di affrontare l'orrore del nostro vuoto, ci infiliamo in involucri fantasiosi e scappiamo dal nostro Eden, un tempo regno della perfezione. Fu ai tempi del Watergate che l'integrità e la gentilezza d'animo cominciarono a scomparire, insieme alla vergogna e al senso di colpa? Nella mia memoria, fu all'inizio degli anni Ottanta, quando, sfogliando il Miami Herald mentre facevo colazione, mi trovavo in continuazione di fronte a storie da prima pagina sull'ennesimo alto funzionario governativo, l'ennesimo capitano d'industria, che aveva truffato, rubato, mentito; in nessuno di questi articoli si accennava alle loro dimissioni. Per la fine di quel decennio avevamo tutti cessato di rimanere costernati per il fatto che i ladri, i mentitori e i truffatori - tutte figure di rilievo nazionale - non si scusassero né si dimettessero per la vergogna. Né sembrava che il pubblico si aspettasse che lo facessero. Ci siamo abituati al Contenitore Vuoto. Oggigiorno sulla prima pagina troviamo la storia di un uomo/un bambino sconosciuto, che si è ucciso o ha ucciso qualcun altro senza provare alcun rimpianto. Quando i maggiori leader della nazione infrangono il codice morale e i leader delle singole comunità truffano, mentono e rubano, non ci rimane altro che la cultura della vigliaccheria. Cominciamo ad essere terrorizzati dalla nostra stessa assenza di valori; come potremo giudicare noi stessi e gli altri quando i tratti invisibili che un tempo identificavano l'essenza di una persona non esistono più? Guarda all'esterno del contenitore, all'involucro. Indossalo! Vuoti e spaventati, camminiamo per le strade, catturando gli sguardi, attirando le linee visuali, domandando attenzione. "Guardami, dannazione, o ti ammazzo!" 5.5 "Sono il padre che è mancato alla tua fanciullezza".
Questo è il verso che Ulisse pronuncia rivolto al figlio Telemaco, dopo vent'anni di separazione. Che parole semplici, come un'iscrizione tombale, come se non rimanesse lo spazio o la possibilità di catturare con un saluto tutto ciò che quei lunghi vent'anni avevano rappresentato. Ho trovato la citazione in un ritaglio di giornale sbiadito del 1984, in cui il poeta Stanley Kunitz sottolineava che il mito di Edipo "ha un significato minore per l'America del ventesimo secolo rispetto al mito della riconciliazione rappresentato dall'incontro tra Ulisse e suo figlio... E anche quando sono fisicamente presenti, essi [i padri] sono spiritualmente assenti... Il padre nella vita si sente perso come nell'esercito, nella fabbrica, nel mercato"(21). Nella sua poesia, scritta cinquantanni prima, Kunitz scriveva: " 'Padre, urlavo, ritorna. Tu conosci la strada' ". Cosa può fare il ragazzo di oggi, che cresce senza avere a disposizione un'immagine maschile desiderabile che possa tenere testa all'apparenza e ai sentimenti potenti delle donne? Dove può trovare una figura maschile ammirevole su cui concentrare l'attenzione, che potrebbe desiderare di emulare, uno che sia in grado di fargli sentire di essere approdato nell'universo degli adulti insieme ai suoi pari, ma conservando al contempo anche un potere di attrazione sulle ragazze? Un anno fa, le dimostrazioni allo slogan "Riprendiamoci la notte" che infiammarono i campus dei college, trasudavano rabbia. Il titolo di un articolo di Ellen Goodman recitava: "Sicurezza per le donne? Tentare di spodestare gli uomini". C'è poi da sorprendersi se i ragazzi imitano il look di Trent Reznor, del gruppo Nine Inch Nails, che con il loro secondo album sono diventati il numero due delle classifiche del 1994? I suoi capelli neri come l'ebano, il suo abbigliamento scuro, e il pallore della sua pelle bianca non si prestano ad un'imitazione letterale, ma il suo atteggiamento, insieme ai versi delle sue canzoni, parla per un'intera generazione; canta la pazzia, il suicidio, l'inutilità della vita e la realtà del dolore, e le folle impazziscono; dentro e fuori, egli rispecchia ciò che sentono. In quest'epoca adolescenziale, abbiamo creato il nostro povero Frankenstein, che si aggira pericolosamente, terrorizzando la popolazione con il suo aspetto volgare, chiassoso, mentre va alla ricerca del papà che l'ha creato. Il Frankenstein di Mary Shelley era intrinsecamente buono, capace di grande intelligenza, ma così disperatamente bisognoso d'affetto e così irrimediabilmente condannato dal proprio aspetto fisico a non trovarlo mai, che la povera creatura si avventava furiosamente contro tutto quello che incontrava per la sua strada. Suo padre lo aveva abbandonato. Shelley creò il suo mostro ispirandosi agli sconvolgimenti politici, sociali ed economici della fine del secolo scorso, un classico eroe romantico che ricorreva alla violenza solo come ultima risorsa, in seguito al trattamento ricevuto dagli altri esseri umani. Quando un ragazzo cresce senza padre, senza nemmeno un ricordo di lui, una vaga idea della persona che avrebbe potuto amarlo, che forse l'avrebbe scelto come figlio prediletto, questo modella la sua vita intera. Anche se lo ricopre di tutto l'amore del mondo, come comprendere la decisione della madre di escludere gli uomini dalla propria vita e dalla sua? Dato che anch'egli è maschio, nel cuore della madre si nasconde forse della rabbia anche nei suoi confronti? Che cos'hanno di così terribile le persone del suo stesso sesso? Nqn può crescere assomigliando a sua madre, ad una donna. Di chi dovrà seguire le orme? Certo, esistono uomini senza cuore che abbandonano i propri figli senza contribuire al loro mantenimento. Essi sono moralmente colpevoli e mi unisco alla pubblica protesta affinché vengano puniti. Ma incolpo anche quelle donne che privano il proprio figlio di un padre dal momento del concepimento. È un atto di egoismo. Finora, gli uomini hanno reagito a questa esclusione chiudendosi in un relativo silenzio; ma questa situazione deve aver inciso sugli ultimi anni di crescente brutalità maschile, rivolta tanto contro gli uomini stessi quanto contro le donne. Se il genere umano non ha bisogno degli uomini, potrebbero comportarsi come fossero superflui. Quando ragazzi sbandati senza padre incontrano ragazze senza padre, afferma lo psichiatra Frank Pittman, "è probabile che le ragazze scelgano come boyfriend quelli violenti ed altamente seduttivi"(22). Robert Bly, nel suo best-seller "Iron John", osserva come il potere crescente di cui beneficiano le donne richieda uno sforzo da parte dei maschi adulti per
aiutare le giovani generazioni attraverso raduni di natura cerimoniale che escludano le donne, dove possano "stringere legami" e riprendere possesso della loro virilità perduta. "Mi sembra che Bly abbia impostato i suoi rimedi nel modo sbagliato", commenta l'educatrice Marina Warner, aggiungendo: "I mostri del machismo vengono creati in società dove gli uomini e le donne sono già eccessivamente separati dal timore e dal disgusto del sesso, divisi dal disprezzo per la regola che prescrive che il regno domestico è delle donne, e, soprattutto, dall'insistenza esasperata sull'aggressione come la caratteristica principale che definisce l'eroismo e il potere... La presenza dei padri avrà l'effetto di ridurre il carattere minaccioso della mascolinità che fiorisce attorno a noi, soltanto se diminuirà, non se aumenterà, la polarizzazione tra i sessi"(23). Ad ogni modo, appare chiaro che i ragazzi necessitano di più tempo da trascorrere con altri uomini. Gli adolescenti di oggi crescono imparando cosa significhi essere maschi dai film, dalla televisione, dai libri di fumetti, dai video games, e dai nuovi miti e/o dalle fiabe moderne. Qual è l'aspetto dell'eroe maschile? "La paura verso gli uomini è cresciuta di pari passo alla credenza per cui l'aggressione inclusa la violenza sessuale - va a definire inevitabilmente la figura del maschio di giovane età", soggiunge la Warner (24). Sono passati i tempi delle streghe, dell'intruso tradizionale che incute paura. Invece, sostiene, si assiste ad "una nuova attrazione mista ad inquietudine che circonda gli uomini... I ragazzi non vengono educati ad essere truffatori e imbroglioni [come nei vecchi miti e nelle vecchie fiabe] - sarebbe impensabile addestrare il futuro uomo all'arte delle lusinghe e delle astuzie, dei mascheramenti e dei trucchi; vengono educati a giocare con l'Uomo d'Azione, e con il suo arsenale pesante, futuristico di Guerre Stellari; gli viene insegnato ad identificarsi con le Tartarughe Ninja, con i crociati, i vigilantes, i guerrieri... con Terminator, Robocop. Non sto proponendo l'uomo truffatore contro l'uomo soldato, l'imbroglione contro l'onesto gentiluomo - questo sarebbe assurdo; sto indicando una tendenza nel modo di definire l'identità e il genere maschile che va nella direzione dei segni visibili, fisici, sessualizzati della potenza, invece che in quella dell'agilità verbale e mentale." Gli studi ci informano del fatto che i tre quarti dei criminali di giovane età detenuti nei riformatori di stato provengono da famiglie prive di un padre (25); questi stessi giovani hanno anche maggiori probabilità di abbandonare la scuola superiore. È triste, ma sembra proprio che più elevate sono le capacità della madre single di svolgere compiti potenzialmente maschili, e più drammatici saranno gli interrogativi che sorgono nella mente del ragazzo sui motivi che richiedono la necessità della presenza di un uomo accanto ad una donna. Per contrasto, esistono risultati positivi a proposito dei padri coinvolti nei primi stadi della vita dei loro figli, e cioè che essi ottengono da questa relazione tanti benefici quanti ne ottengono i figli. Lo studio Glueck, ad esempio, seguì 240 coppie di padri e figli di Boston per quattro decenni. Fu possibile stabilire che non solo i padri partecipi dello sviluppo dei propri figli producevano effetti di ricaduta in termini di più elevate abilità verbali e sociali nei loro ragazzi, ma che anche i padri venivano ricompensati con avanzamenti di carriera di maggior rilievo, stabilità di coppia e serenità durante il periodo della mezza età. Cosa sarebbe successo se, nella vita di questi ragazzi, fosse esistito un padre non competitivo che avesse condiviso le esperienze del proprio figlio fin dall'inizio, che lo avesse tenuto in braccio e lavato, che lo avesse amato in modo tale che il figlio si sarebbe sentito visto e adorato sia da un uomo che da una donna? E, ancora, se la separazione dai genitori non fosse stata caricata da un senso di disperazione, che il ragazzo ha provato perché c'era soltanto la parte femminile a rappresentare le emozioni dell'amore e dell'intimità, a cui il ragazzo ha sentito quindi di dover rinunciare per essere veramente maschio? Con un padre presente, il ragazzo probabilmente avrebbe avvertito in misura inferiore la necessità di enfatizzare eccessivamente la sua differenza dalle donne/dalla madre, dalla persona che l'ha tenuto tra le braccia, che l'ha nutrito, lavato, e gli ha regalato il solo paradiso sicuro che egli abbia mai conosciuto. Il potere di lei era straordinario, e ora egli, a soli otto o nove anni, deve voltarle le spalle per trasformarsi nel suo opposto, per fingere di
avere il controllo della situazione, quando ancora sembra che sia lei la fonte di tutto il potere. È un compito da Ercole per un bambino, un'impresa che solo apparentemente compie con spacconeria nel corso degli anni, mostrando muscoli e potenza. Come potrebbe essere diverso se ci fosse un uomo a mostrare al proprio figlio, fin dal primo giorno, che un uomo può permettersi di essere tenero e amorevole, oltre che forte Se si realizzasse un processo di identificazione fin dall'inizio, unito ad uno sforzo da parte dell'uomo più vecchio per moderare la competizione, l'adolescenza e gli anni appena precedenti non sarebbero connotati meno intensamente dalla condanna per tutto ciò che è femminile? Con l'arrivo dell'adolescenza, il ragazzo forse non temerebbe il desiderio d'intimità che prova, ma piuttosto, similmente alla ragazza, sentirebbe di aver compiuto un ciclo, di poter recuperare qualcosa che appartiene ad un tempo lontano, per cui una volta aveva un grande talento: l'amore. Capirebbe i desideri della ragazza e non avrebbe paura di guardarla in quel modo personale, intimo, per cui lei smania. Trarrebbe piacere dal perdersi nella sua bellezza, invece di sentire il bisogno di frapporre una distanza di sicurezza, quella che gli offrono le fotografie di donne oggetto su Playboy. È mia opinione che nessuno, eccetto un padre, possa far crescere questo tipo di uomo. Fino agli anni dell'adolescenza, "i ragazzi e le ragazze esprimono le emozioni ugualmente" sottolinea lo psicologo Warren Farrell. "E l'adolescenza che spinge i ragazzi americani... a ritrarsi da un punto di vista emotivo." La ragazza bella diventa quella che Farrell definisce "una celebrità genetica". I ragazzi fanno a gara per ottenere la sua attenzione come se lei fosse un star e "la celebrità genetica si trasforma in diritto acquisito. Per quanto questo sia difficile per le ragazze, ritengo che oggi stia succedendo qualcosa ai ragazzi", dice Farrell, " che amplifica le possibilità di suicidio" (27). I maschi come esseri malvagi sembrano essere gli unici modelli disponibili ai giorni nostri. Data la pressoché totale assenza di donne nel mondo immaginario costituito dai film e dai video games rivolti ai ragazzi preadolescenti, il senso di separatezza, di alienazione, sperimentato dai maschi, non li prepara certo allo spettacolo delle ragazze adolescenti. Anche con tutto il desiderio e l'ambizione del mondo, come può dimostrarsi all'altezza dell'eroe che lei ha in mente? Un adolescente apprende dall'osservazione del matrimonio dei propri genitori. Quando il padre del ragazzo guarda la madre, come funziona lo scambio, com'è che gli occhi del padre sembrano riempirsi quando vengono sfiorati da quelli della madre? Nel periodo in cui i padri di oggi stavano crescendo, il campo femminile non era sede di tutto il potere che oggi detengono le ragazze adolescenti; la bellezza fisica non era una moneta sfruttata così apertamente come succede ora. Dunque, in che modo il padre pensa di assistere il proprio figlio in questo nuovo scambio di potere? Secondo lo studio Glueck, "I padri che avevano fornito alti livelli di sostegno intellettuale-scolastico sia durante l'infanzia che durante l'adolescenza, così come alti livelli di supporto sociale ed emotivo durante l'infanzia, avevano figli che raggiungevano gradi maggiori di duttilità nel campo dell'istruzione" (28). In questa ricerca, il sostegno paterno venne misurato nell'ambito di tre domini d'importanza critica - sociale/emozionale, fisico/atletico e intellettuale/scolastico - e si scoprì che per i padri è impossibile essere eccessivamente coinvolti nel rapporto con i propri ragazzi. Cosa succede quando sorge il sentimento della competizione? Sì, ci aspettiamo che i successi in campo atletico e intellettuale provochino l'invidia dell'uomo più vecchio, ma cosa accade a proposito del successo sessuale del figlio, della sua prestanza fisica superiore, che attira gli sguardi di tutte le donne? E questo a maggior ragione in un periodo in cui un uomo di qualsiasi età dovrebbe essere cieco per non accorgersi del nuovo ascendente esercitato dalla bellezza maschile. Se il movimento della Nuova Paternità continuerà a proliferare, e il processo che vede i padri maggiormente coinvolti nella vita dei loro figli subirà un'accelerazione, ci giungeranno più notizie circa l'invidia paterna per il fascino fisico e il successo sessuale del proprio figlio, visto il tasso a cui gli uomini di tutte le età si stanno interessando al responso dello specchio.
Avremo a che fare con la competizione per la bellezza tra padre e figlio - una nuova versione del vecchio, stanco dibattito che vedeva come protagoniste madre e figlia. Perché gli uomini non scrivono di più sui sogni che coltiva un ragazzo adolescente? Forse è troppo poco virile andare a ripescare questi ricordi, che devono essere anche colmi di rabbia per i sacrifici fatti lungo il cammino. Forse gli uomini non vogliono facilitare la giovinezza ai propri figli. Nei "Racconti dell'Ohio", Sherwood Anderson ci ha fornito una descrizione meravigliosa di George Willard, un adolescente che si affaccia alla vita, dicendo addio all'infanzia dopo la morte della propria madre: "C'è un momento della vita di ogni ragazzo in cui egli, per la prima volta, si sofferma a guardare la sua vita trascorsa. Forse è quello il momento in cui egli oltrepassa la linea della virilità. Il ragazzo cammina per le strade del suo paese. Sta pensando al suo avvenire e a ciò che rappresenterà nel mondo. Dentro di lui si risvegliano ambizioni e rimpianti. Improvvisamente avviene qualcosa; si ferma sotto un albero e sembra attendere una voce che lo chiami. Fantasmi di antiche cose s'insinuano nella sua coscienza; le voci fuori di lui sussurrano un messaggio sulla caducità della vita. Il suo essere così sicuro di sé e del suo futuro si fa, d'un tratto, malcerto. Se è un ragazzo dotato d'immaginazione, è come se una porta gli si spalancasse dinanzi ed egli, per la prima volta, getta uno sguardo sul mondo, e vede, come se sfilassero in processione davanti a lui, le innumerevoli persone che, prima di lui, sono venute fuori dal nulla, hanno vissuto le loro vite e si sono nuovamente dissolte nel nulla. Il ragazzo è preso dalla tristezza del fantasticare. Con affanno, vede se stesso portato come una foglia dal vento, nelle strade del suo villaggio. Capisce che malgrado tutti gli stolti discorsi dei suoi coetanei, egli dovrà vivere e morire nell'incertezza, povera cosa in balia del vento, destinata come il grano a maturarsi al sole. Rabbrividisce e si guarda ansiosamente intorno. I diciotto anni della sua vita gli sembrano un momento, un breve soffio nella lunga marcia dell'umanità. Già sente la morte chiamare. Con tutto il cuore desidera sentirsi vicino ad un altro essere umano, toccare qualcuno con la mano, essere toccato dalla mano altrui. Se preferisce che questo sia una donna, è perché egli pensa che una donna sarà gentile, e che lo capirà. Più d'ogni altra cosa, desidera essere capito."(29) Fiducia di fondo, ottimismo. Li portai con me quando lasciai Charleston per il college, come avevano fatto i ragazzi che vi incontrai. Avevamo quell'aspetto. Sì, anche noi provavamo lo stesso senso di perdita di George, ma era controbilanciato dall'aspettativa che avremmo incontrato il nostro compagno, che sarebbe stata anche la nostra partita. Per gli adolescenti di oggi è più difficile sentire l'ottimismo di un tempo. I volti dei loro genitori rivelano l'assenza di speranza che permea buona parte della società, e si sentono dire di fare appello a tutte le loro forze per ottenere uno standard di vita inferiore uno scenario che nessun'altra generazione di americani ha mai dovuto anticipare. Per quanto riguarda la possibilità di trovare comprensione nel sesso opposto, ci vuole un ottimismo straordinario per contrastare l'alienazione tra i sessi così diffusa oggi nei campus universitari. Lo psichiatra Peter Blos, che cita spesso Anderson, scrive egli stesso che, nell'addio all'adolescenza, il ragazzo/uomo sente "il futuro senza limiti dell'infanzia [contrarsi] in proporzioni più realistiche, una vita fatta di opportunità e obiettivi limitati; ma, allo stesso tempo, il dominio del tempo e dello spazio e la conquista del senso d'impotenza aprono la strada ad una promessa di autorealizzazione fin qui sconosciuta. Questa è la condizione umana dell'adolescenza che il poeta ha messo a nudo per noi" (30). Note al Capitolo 5: 1. Isabel Allende, La casa degli spiriti, p. 280. 2. Ronet Bachman e Linda Saltzman, "Bureau of Justice Statistics Special Report: National Crime Victimization Report", agosto 1995, p. 3. 3. Paul Theroux, "The Roots of Desire", Vogue, ottobre 1995, p. 250. 4. "Vivo desiderio di viaggiare". [N.d.T.] 5. Paul Theroux, op. cit., pp. 248-250.
6. Teen Research Unlimited, cifre non pubblicate, 1995. 7. Morton Hunt, Sexual Behavior in the 1970's. 8. Harold Leitenberg et al., "Gender Differences in Masturbation and the Relation of Masturbation Experience in Preadolescence and/or Early Adolescence to Sexual Behavior and Sexual Adjustment in Young Adulthood", Archives of Sexual Behavior 22, n. 2 (1993): 96. 9. Bettelheim, Il mondo incantato, p. 180. 10. Tamar Lewin, "Boys Are More Comfortable with Sex Than Girls Are", New York Times, 18 maggio 1994, p. 20. 11. Paul Newman, intervista di James Lipton, Inside the Actor's Studio, Bravo, 26 aprile 1995. 12. Clara Thompson, "Penis Envy in Women", Psychiatry 6 (1943), pp. 123-124. 13. U.S. Census Bureau, "Marital Status and Living Arrangements", March 1994. 14. Steinberg, Adolescence, pp. 31-32. 15. National Center for Health Statistics, Division of Vital Statistics, dati pubblicati e non pubblicati. 16. "Lesbiche fino alla laurea" [N.d.T] 17. Wendy Bounds, "Dating Game Today Breaks Traditional Gender Rules", Wall Street Journal, 26 aprile 1995, p. B4. 18. Biller e Trotter, The Father Factor, p. 183. 19. Joseph Shapiro et al., "Honor Thy Children", U.S. News & World Report, 27 febbraio 1995, p. 39. 20. Fox Butterfield, "Teenage Homicide Rate Has Soared", New York Times, 14 ottobre 1994, p. A22. 21. Walter Goodman, "Writers Discuss Theme of Myths in Modem Life", New York Times, 13 ottobre 1984, p. A13. 22. Frank Pittman, Man Enough: Fathers, Sons, and the Search for Masculinity, (New York: G. P. Putnam), citato in Lee Smith, "The New Wave of Illegitimacy ", Fortune, 18 aprile 1994, p. 94. 23. Marina Warner, Six Miths of Our Time, p. 41. 24. Ibidem, pp. 32-33, 36-37. 25. U. S. Justice Department, "The Survey of State Prison Inmates", 1991. 26. John Snarey, How Fathers Care for the New Generation, pp. 149-19L 349-356. 27. Farrell, The Mith ofMale Power, p. 165. 28. Snarey, How Fathers Care for the Next Generation, p. 173. 29. Sherwood Anderson, Racconti dell'Ohio, p. 177. 30. Blos, L'adolescenza: un'interpretazione psicoanalitica.
CAPITOLO 6 - FEMMINISMO E BELLEZZA 6.1 - "Le ragazze nei loro abiti estivi" Essere una donna single negli anni Sessanta era un dono in termini di tempo e di luogo. Vivere un'epoca di risveglio sessuale, sopraggiunta con la disponibilità di metodi contraccettivi affidabili e con l'indipendenza che essi offrivano, soprattutto in un periodo in cui sembrava che uomini e donne convivessero felicemente... beh, se ci fossi stata, potresti comprendere meglio le difficoltà del momento presente. A mio parere, quegli anni costituiscono l'elemento di fondo a cui riferire ogni evento successivo. Se la tua attività sessuale è cominciata negli anni Sessanta, probabilmente sei cresciuta negli anni Cinquanta, e hai vissuto gli albori dell'attuale guerra tra i sessi all'interno del vecchio regime. Accadde tutto in un decennio, anzi meno, perché, fino alla morte nel 1963 di Jack Kennedy, che si portò via la promessa di un mondo nuovo, non ci rendemmo conto fino a che punto ci eravamo affidati alla sua azione politica, affinché ci portasse al punto culminante del percorso che avevamo lentamente imboccato alla fine delle seconda guerra mondiale. Fu così che la promessa infranta del padre defunto provocò un ulteriore inasprimento di tutte le altre rivoluzioni: il Movimento per i Diritti Civili, la protesta contro la guerra del Vietnam, il Movimento Femminista, la controcultura hippy, il consumo di droghe. Non sto sostenendo che Kennedy fu la causa ultima di tutta quell'amarezza, ma che, anche ora, ci addoloriamo per la nostra sorte ogni volta che vediamo il suo ritratto. Era il candidato che poteva interpretare al meglio i risultati
raggiunti del passato; era la promessa del futuro. Se non si era presenti quando è accaduto, quando si verificò L'Evento, come eravamo soliti chiamare i Grandi Momenti in quei giorni, dev'essere maledettamente difficile cercare di immaginarsi "cosa significhi tutto questo". Anche disponendo dei pezzi del puzzle, è ardito comprendere perché, non soltanto la sua morte, ma la promessa incompiuta di andare oltre ciò che eravamo stati fino a quel momento, provoca così tanta tristezza. Kennedy, l'eroe adolescente, era il sogno di ogni ragazza, e l'uomo a cui i ragazzi desideravano assomigliare. In lui vedevamo la persona che saremmo potuti diventare nella maturità degli anni, dopo aver raggiunto quella tensione morale superiore di cui scriveva Rousseau, se solo JFK non ci avesse abbandonato. Naturalmente questo non lo sapremo mai, ma la rabbia successiva alla sua morte è quella tipica degli orfani adolescenti inconsolabili, che non possono fare a meno di essere furiosi con il padre che se n'è andato. Dalla fine della seconda guerra mondiale siamo la nazione più ricca del mondo, ma il resto del pianeta - paesi così tanto più vecchi di noi, molto più logorati di noi da secoli di invasioni, di continui tradimenti, che sono stati ripetutamente venduti a genitori/paesi adottivi - ci guarda e si chiede perché, come tanti bambini ricchi e viziati, abbiamo dilapidato la nostra eredità. Ebbene, abbiamo perso il nostro papà; con Kennedy abbiamo perso anche l'immagine di noi stessi. Nel periodo precedente alle rivoluzioni degli anni Sessanta e Settanta, appena prima che il mondo cambiasse, ero andata a vivere nell'upperside di Manhattan, dove quasi tutto appariva proprio come doveva essere stato per generazioni. I ragazzi cresciuti in quelle belle e antiche famiglie con cui solevo cenare la domenica sera, assomigliavano ai genitori, che, a loro volta, assomigliavano ai propri. Soltanto il modo di vestire, immortalato nelle foto che troneggiavano sui tavolini lucidati vicino al divano, cambiava. Per qualche momento feci parte di quel mondo che non mostrava ancora segni di soluzione di continuità con gli anni Cinquanta, e di questo sono felice, perché rimane il mio punto di riferimento per tutto quello che seguì. Ero stata allevata in un mondo fatto di uniformità, in cui tutti avevano denti sani, un certo reddito e una certa istruzione, immediatamente riconoscibili dalla cortesia di tono episcopale, dai capelli ben acconciati, dalle espressioni affabili. Le buone maniere erano importanti, molto importanti; forse mi mancano più di ogni altra cosa. Ma erano le donne le custodi delle buone maniere, e quando alla fine iniziammo a tentare di azzannare la mano degli uomini beneducati che ci scostavano le sedie e ci tenevano le porte, essi reagirono riservandoci uno sguardo più fisso, quello che odiamo tanto. "Molto bene, puttana, se mi dici con quella voce rude di non reggerti la sedia, ti guarderò ogni dannata volta che mi piace!" Questo non per dire che le donne sono responsabili per il nostro mondo assolutamente privo di buone maniere, ma, semplicemente, che le rivoluzioni hanno le loro ripercussioni. Nei primi anni Sessanta, New York aveva un aspetto innocente, come le ragazze dell'Upper East Side, dove condividevo un appartamento con due giovani donne vergini. Nella stanza in cui dormivamo c'erano tre letti gemelli, un armadio per i vestiti, e un risponditore telefonico che riconosceva le voci degli uomini con cui non desideravamo parlare. C'era meno traffico, meno rumore, meno spazzatura e la cassiera con i guanti bianchi da Bonwit Teller lavorava velocemente. Non è un ritratto che farebbe felici alcune femministe o i maniaci del politically correct, ma durò a lungo e a molti piacque. Io e le mie compagne di camera eravamo in costante stato di innamoramento, e benché gli oggetti dei nostri sentimenti romantici cambiassero regolarmente, finché, a turno, non perdemmo tutte la verginità, nessuna di noi usava il diaframma. Che una di noi sarebbe rimasta incinta era inevitabile. Forse innocente non è la parola giusta per descrivere il nostro atteggiamento, ma "stupido" indica un giudizio troppo severo nei confronti della mia bella compagna di camera. Un sabato l'accompagnai fino all'angolo della Second Avenue e piansi con lei quando si allontanò per un aborto che l'avrebbe lasciata sanguinante e afflitta da dolori atroci per giorni. Poco dopo si sposò. Stavo attenta alle persone con cui passavo la notte. Mi piaceva il modo in cui un'amicizia si trasformava in una passione dopo che tra me e quell'uomo c'era stato del sesso: la mia sensazione di potenza di fronte alla magia che
esercitavo su di un uomo in posizione verticale, diventava schiavitù una volta che mi ritrovavo supina; erano la mia bocca, il mio corpo, la mia vulva ad avvinghiarlo e a prosciugarne le forze, ma mentre lui dopo l'orgasmo si alzava rinvigorito, era più efficace nel suo lavoro, io giacevo come preda di un incantesimo, incapace di muovermi fin quando non telefonava o, meglio ancora, non tornava con un'altra dose di "droga". Sapevo che la mia passione per la musica romantica era parzialmente autoindotta, che la sensazione di poter morire senza la sua presenza non aveva niente a che fare con quel singolo uomo, responsabile soltanto di girare la chiave nella serratura del mio giardino segreto, ma come per tutte le droghe, la comprensione intellettuale non diminuiva il mio desiderio insaziabile. Noi ragazze degli anni Cinquanta e Sessanta eravamo di peso e altezza differenti, ma esibivamo un modo di apparire collaudato, intercambiabile, che ora, a posteriori, direi fosse il nostro modo di evitare la competizione. Niente serviva a tale scopo con altrettanta efficienza del nostro modo di vestire; nessuna spiccava abbigliandosi in modo vistoso, al fine di accalappiare gli sguardi maschili. Gli uomini erano l'obiettivo per cui eravamo state cresciute, ma, nel tentativo di conquistarne uno, non bisognava dare l'impressione di provarci con troppo impegno. Intento a guadagnare denaro, a competere e a consumare tempo, l'ultima cosa di cui un uomo potesse avere bisogno era di una donna esibizionista, seduttiva. Sì, desiderava una donna bella, per meglio sottolineare il proprio successo economico, ma, una volta sposato, voleva che il canto della sua sirena si facesse matronale; un uomo d'affari non aveva tempo per i sospetti di gelosia. Quando erano lontani da casa, gli uomini tradizionali sapevano di non doversi preoccupare dell'eventualità che le proprie donne uscissero. Le donne vigilavano l'una sull'altra, assicurandosi che nessuna ottenesse una fetta più grande della torta; l'invidia per l'appetito sessuale di una "sorella" avrebbe reso insopportabile a tutte le altre il Patto su cui si reggeva la Società Patriarcale. Prima della Rivoluzione Sessuale, il mondo era nettamente diviso in Brave Ragazze e Cattive Ragazze, e niente disegnava la linea in modo più evidente di un modo di apparire sensuale che Hollywood aveva creato di proposito. C'era Doris Day e c'era Marilyn Monroe. In quei giorni, i vestiti, il trucco, i capelli, le scarpe di una ragazza, e di certo il modo in cui orientava lo sguardo - mai rivolto troppo direttamente ad un uomo - diceva tutto. Niente catturò questo momento temporale come il giorno di neve in cui Jack Kennedy giurò da Presidente, quella marcia lungo Pennsylvania Avenue al fianco di Jackie, graziosa con il suo cappellino, un evento che rappresentò il punto culminante del Sogno Americano. Tutte le linee storiche precedenti convergevano qui, il modo in cui volevamo pensare a noi stessi, dentro e fuori, la nostra Camelot. Erano entrambi così belli, la loro immagine era così nitida, lei con la sua piccola voce a permettere alle parole di lui di abbracciare i nostri ideali più alti. Questo era il compito di una donna: "Prendermi cura di mio marito, il Presidente". Il fatto che lui fosse un adultero, che la famiglia Kennedy fosse attraversata da una lunga storia delittuosa, che sembra non avere ancora fine, non importava e non importa. Preservando loro e la loro immagine, in qualche modo preserviamo noi stessi, la promessa. Quando nel 1994 Jackie morì, l'intera nazione si strinse in un unico abbraccio anzi no, l'intera comunità internazionale, come quando morì suo marito e tutto il mondo lo pianse; ancora una volta guardammo le vecchie foto con un dolore venato di nostalgia, anche per vedere se erano in grado di rivelarci chi eravamo diventati. Vibriamo di fronte alla loro immagine, perché è così che un tempo volevamo essere, perché è un'immagine che parla della nostra passata identità interiore. Dov'è finita la sensazione di essere delle brave persone? Non importa che fosse spesso una finzione, rivogliamo indietro quel modo di apparire e quel sentimento. Quando cercavo di ricatturare le mie impressioni sulla vita che scorreva lungo la Fifth Avenue nei primi anni Sessanta, ciò che affiorava dalla mia memoria era il titolo di una storia breve di Irving Shaw, "Le ragazze nei loro abiti estivi". Queste parole evocano come immaginavo fosse sempre stata la vita a New York, l'ininterrotto mutare degli anni nel momento in cui l'estate seguiva la primavera e gli uomini tiravano fuori i loro abiti in tela indiana per andare a passeggio con ragazze dagli abiti color pastello che lasciavano scoperte le
braccia. In realtà, il racconto di Shaw fu pubblicato nel 1939, non negli anni Sessanta come credevo, e si svolgeva nel Greenwich Village, non nella Midtown. Tuttavia, non mi sbaglio mai sul momento preciso in cui noi ragazze gettammo al vento la biancheria intima e accorciammo a dismisura le gonne, quando il modo di apparire e sentire delle Brave Ragazze si tramutò in quello della Donna Nuova, quando iniziammo a mantenerci e a prendere l'iniziativa nei rapporti con gli uomini. Qualunque cosa sia andata storta allora, non ci rimetteremo mai sul giusto cammino finché non avremo assimilato il passato di cui siamo così impregnati, finché non decideremo consciamente che ci sono aspetti - per quanto politically incorrect possano sembrare - che vorremmo riavere indietro. Tu ed io, con l'ausilio dei nostri principi intellettuali, possiamo farne a meno, ma di fronte ai bambini di oggi che fissano come ipnotizzati lo schermo televisivo, guardando in continuazione lo stesso programma, dovremmo metterci in ascolto, e tentare di soddisfare il loro bisogno di capire: "Cosa significa tutto questo?" Il passato ci accompagna come mai prima d'ora, e nessuno prova un desiderio più smodato per le cose antiche delle persone giovani, che non hanno mai conosciuto una società in cui le nonne hanno il petto profumato di lavanda. Dovrebbero essere pronti a desiderare qualcosa di radicalmente diverso dal mondo di un tempo, ma non possono progredire se non riescono prima a fare chiarezza nella nostra confusione. Questo lo sanno meglio di noi, che abbiamo gettato al vento quei valori invisibili di cui loro adesso sono alla ricerca, come la cortesia e la pazienza. I teen-agers seguono mode che ricalcano i vestiti che indossavamo noi trent'anni fa, reinventati da stilisti adulti che non si chiedono perché imitano invece di creare. I nostri figli ereditano i buchi neri che abbiamo scordato di sostituire, perché non c'è nulla con cui si possa sostituire l'etica. Con la posta di oggi è arrivato l'ultimo numero di W, la bibbia della moda, in cui sono ritratti Cary Grant, Kim Novak, Grace Kelly e Sophia Loren in una sezione intitolata "Prima del Brat Pack, prima del Jet Set, c'erano i Belli... negli anni Cinquanta"(1). "Sembrano così casti e fuori moda", dice mio marito. Ma li fissiamo come in attesa di un messaggio. Qualche pagina dopo, troviamo l'ultimo dettame della moda: lo Slip. Non un vestito che assomiglia ad uno slip, ma uno slip come quello che le donne indossavano negli anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta. La differenza è che questo è più trasparente, benché sia stato concepito come capo d'abbigliamento. Probabilmente Sophia e Grace ne portavano uno sotto il loro abito. Non si tratta di una critica pruriginosa. Ciò che mi sconvolge è la dinamica tra look del passato e del presente: ogni tanto, da qualche parte, si incontrano, la modella adolescente e dal volto emaciato nei suoi slip inconsistenti, e le prosperose star del cinema degli anni Cinquanta/Sessanta, che appaiono stranamente più giovani. 6.2 - I pantaloni Jax e il twist. Ero arrivata a New York con un aspetto e un modo di vestire molto simile a quelli che avevano caratterizzato il mio periodo al college, dove la fortuna per me era mutata. Al Nord venivo vista in maniera differente. Forse per il fatto che gli uomini erano più alti, o erano alla ricerca di una persona che possedesse una qualità che avevo, e che, adesso come allora, mi rimane sconosciuta. Non ho mai capito perché, durante la nostra prima occasione di incontro con gli uomini che frequentavano Harvard, il ragazzo più bello della sala si fece largo nella folla per venire verso di me. Io stavo là impalata, sorridendo con quel sorriso fasullo che avevo imparato a mostrare come sostituto della smorfia naturale, aspettandomi il peggio. Lui era un eroe, una star nello sport, e io divenni la sua pulzella, quella che indossava l'enorme maglione color marrone della sua squadra, con la grande "H" stampata sopra. Con mia grande sorpresa, nella danza sessuale ero avanti anni luce rispetto a lui, e mi riferisco alle lunghe ore trascorse a baciarsi e ad accarezzarsi, oltre al fatto che ero abituata a respingere i ragazzi del Sud, educati a spingersi più lontanto che potevano con una ragazza. Ma questo principe era stato allevato in un clima freddo, e, cosa piuttosto strana, era deludente scoprirsi più focosa dell'uomo. Era come se danzassimo ad un ritmo differente. Quando lui mi chiese in sposa al nostro secondo anno insieme, io avevo già perso
ogni interesse nei suoi confronti. Avevo scoperto che in un uomo contano altre cose oltre ad un bel viso. Con lui scoprii che era in mio potere attrarre gli uomini. Forse anche in seguito alle sue carenze imparai che dovevo/potevo esprimere le mie preferenze. Ad ogni modo, incominciai a desiderare abiti aderenti, al posto di gonne ampie. Sarei arrossita se mi avessero detto che volevo essere notata, perché questo non rientrava tra i miei programmi espliciti; solo a posteriori riesco a riconoscere il momento d'inizio della mia esistenza da esibizionista. Dalla vergine che ero, e che sarei rimasta per parecchi anni, desideravo nondimeno indossare i miei veri colori. Le ragazze che conobbi a New York avevano ereditato, in materia di abbigliamento, la filosofia delle nostre madri; tutte noi indossavamo abiti da Brava Ragazza e scarpe comode che segnalavano silenziosamente la posizione di ciascuna nella vita. Si usava portare rispetto agli "abiti in buono stato", che dovevano essere indossati almeno per qualche anno; i guardaroba invernali venivano riposti con la pulitura a secco e ritirati fuori l'anno seguente, con una o due aggiunte. Così ero stata cresciuta. Quando arrivava un pacco dalla prozia Mildred, che conteneva abiti e completi eleganti, seminuovi e ben tenuti, mia madre ne era entusiasta. Il famoso New Look di Dior può aver fatto notizia in tutto il mondo, ma la gran maggioranza delle donne della "nostra classe" di Charleston vestiva sobriamente. Quando ebbi i miei primi assegni, girai per Saks e Bergdorf Goodman in cerca di qualcosa che riflettesse Me Stessa, ma quando mi si avvicinò una commessa gentile, mi sorpresi a corto di parole che potessero descrivere ciò che volevo, chi era quella Me Stessa che andavo cercando. Poi scoprii Jax, appena fuori dalla Fifth Avenue, nella Fifth-seventh Street. Jax servì a chiarirmi i motivi per cui i vestiti da Brava Ragazza che si potevano trovare da Bergdorf non mi soddisfacevano. Ero così ignorante in fatto di moda che non avevo mai studiato il mio corpo, mai valorizzato le mie doti, finché non mi vidi allo specchio con i pantaloni Jax. Dentro di me si risvegliò qualcosa, si realizzò la scoperta tardiva che anch'io avevo il potere di attirare l'attenzione della gente, di essere vista e adorata con lo sguardo, come capitava alle altre ragazze. Fu esilarante. A loro modo, qualche minuto prima di Pucci, di Courrèges e dell'arrivo della minigonna, i pantaloni Jax segnalarono i fermenti della Rivoluzione Sessuale. Quella stoffa di jersey di lana e percalle a quadretti, era tagliata in modo stretto, diritto, cucita in modo tale da rendere irresistibili un bel sedere e un paio di gambe lunghe. Ho conosciuto donne che mi hanno detto che la loro vita è incominciata con i pantaloni Jax; mi associo a loro. Che felicità ballare il twist al Peppermint Lounge in pantaloni Jax, un misto di musica, sesso e un modo di apparire uniti di proposito. Ballare il twist indossando vestiti comodi sarebbe stato frustrante. Non tutti quelli che crescono sentendosi invisibili, perdendo le prime battaglie di famiglia con i suoi membri più belli, si trasformano automaticamente in esibizionisti, ma il fatto che oggi siamo così numerosi, maschi e femmine, a sfilare in cerca di latenti voyeurs affinché ci vedano, ci raccolgano e ci amino, non è sorprendente. Con la moltiplicazione delle famiglie ad un genitore, sono aumentati anche i vestiti corti, aderenti e trasparenti. I miei amanti dei primi anni Sessanta erano alquanto diversi dai Bravi Ragazzi che avevo frequentato al college. Ero io che sceglievo gli uomini che mia madre non avrebbe approvato, in segno di rappresaglia per il suo rifiuto di offrirmi il suo riconoscimento, perfino di vedermi? Forse. Oppure stavo seguendo le orme della zia Pat, che stimavo tanto, cercando la compagnia di architetti, pittori, attori e musicisti? Forse. Ma diversamente da mia madre e mia zia, non stavo cercando di sposarmi, e l'eventualità di una maternità era tanto distante da essere inimmaginabile. Matrimonio, maternità significavano fermarsi. Mentre la vita stava solo cominciando. New York mi sembrava una città adatta ai desideri di una donna. Nelle braccia di uomini diversi, una ragazza poteva spostarsi di sera da uptown a downtown a crosstown; gli uomini, dal canto loro, sembravano confinati e definiti dai loro milieux particolari, in cui la cerchia degli amici cambiava raramente, gruppi definiti per lo più dal medesimo lavoro. Ai miei occhi, gli uomini erano come le signorine di Amsterdam: ciascuno offriva il proprio essere speciale all'interno
del suo ambiente. Gli uomini erano più felici in mezzo a persone del loro ambiente, ed ogni gruppo - Wall Street, pubblicità, musica, arte -aveva il suo fascino, annunciato da un modo di parlare, un codice di abbigliamento e una competenza specifica per quel mondo particolare. Per quanto riguarda la vista sociale, gli uomini lasciavano raramente le loro comunità; i tipi da Greenwich Village non si facevano vedere alle feste dell'Upper East Side, così come quelli di Wall Street non frequentavano i loft dei registi di West Side. Ma una donna...! Ogni sera poteva uscire in compagnia di un uomo ed entrare in un mondo in cui non era mai stata, dove incontrava persone che conducevano vite del tutto diverse da quelle che aveva conosciuto fino a quel momento, che sollevavano argomenti che non aveva mai avuto l'occasione di discutere prima e, soprattutto, che la vedevano sotto una luce assolutamente nuova. Io ero un'anomalia, una ragazza di buona famiglia che l'adolescenza aveva ridotto ad uno stato di quasi-ritardo mentale; come Humpty Dumpty stavo cercando di tornare alla mia vera identità. Gli uomini mi aiutarono. Furono il mio corso post-laurea nei campi della vita e dello studio di cui non avevo mai sospettato l'esistenza. Furono insegnanti pazienti in presenza di una buona ascoltatrice. Specialmente gli uomini che conobbi a West Side e a downtown, che non assomigliavano per niente agli uomini di Harvard e di Yale del mio passato. Erano incuranti di se stessi, come se si vestissero al buio e non possedessero uno specchio, dove con questo intendo che non indossavano completi eleganti, e che nei loro occhi non c'era un'espressione di scusa per questo, piuttosto ti guardavano come si fa con un bel pasto appetitoso. Sui loro volti non c'erano mascheramenti d'emozione. Quelli più interessanti erano ebrei. Si aspettavano che avessi delle opinioni, e restavano in ascolto mentre formulavo pensieri mai espressi prima, visto che nessuno si era mai curato di sollecitarli. La loro risata era fragorosa e spontanea, e la passione con cui argomentavano, il volume delle risa, tutto contribuiva a dirmi che ero stata saggia e fortunata a non essermi sposata dopo la laurea, come tutte le Brave Ragazze dell'Upper East Side. Avevo frequentato buone scuole, ma rispetto a queste persone ero analfabeta, e volevo imparare, esplorare i loro mondi, diventare come loro, rilassata, a mio agio, assertiva, e autosufficiente. Molto più che altre donne, questi uomini furono i miei modelli di ruolo. Seduta dietro, sulla Honda del mio amante, indossavo i miei pantaloni Jax passando sotto Fourteenth Street, un tempo la linea di demarcazione che molti si vantavano con orgoglio di non oltrepassare mai, tanto noiosa e limitante era considerata la scena nella uptown. Le donne incredibili che avevano la loro corte a downtown si riferivano a me - non esattamente lontane dal mio raggio di ascolto - come ad una "pollastra dell'uptown", intendendo dire che vestivo in modo troppo elegante. Queste donne facevano dell'indifferenza verso l'abbigliamento una religione, il che implicava, naturalmente, la creazione di una moda. Erano in anticipo sulla Rivoluzione Sessuale, affascinate da Norman O. Brown e Timothy Leary, e le loro feste si svolgevano avvolte da una nube onnipresente di marijuana. Le droghe in camera da letto furono la prima mescalina e psilocibina che mi capitò di provare. Se non varcai il confine del sesso di gruppo fu più per il terrore di perdere il mio compagno a causa di un'altra donna, o di un altro uomo, che per una questione morale. Ciò che mi infondeva coraggio e mi permetteva di rimanere ben salda all'interno di quel mondo misterioso, era la bellezza che avevo di recente scoperto in me. L'intelligenza, la presenza di spirito, l'abilità nel gestire le relazioni interpersonali, erano tutte caratteristiche che mi erano sempre appartenute, ma ero cresciuta vedendo occhi che passavano oltre la mia persona e braccia che circondavano la vita della ragazza carina che stava accanto a me. Quando la bellezza arrivò anche per me, non importavano più il passato e i suoi giudizi di adeguatezza. E poiché la mia persona irradiava la fiducia che riponevo nel mio nuovo io sessuale, questo era quanto gli altri vedevano. "Come ci si sente ad essere te, bella ragazza?" mi chiese una sera una donna le cui sculture sono esposte in varie gallerie d'arte. Nessuna donna mi aveva mai chiamato "bella". Sicura nei miei pantaloni Jax, mi sentivo uguale a queste persone straordinarie della West Thirteen Street, pionieri delle varie rivoluzioni in procinto di scatenarsi. Sbocciai. Più grande era la sicurezza che acquisivo, più sessualmente esibizionistico divenne il mio modo di apparire.
Un giorno, camminando lungo la East Fifty-fourth Street - era mattino, forse le nove - vidi in vetrina una camicetta di seta lucida di Tangeri e una gonna appariscente color fucsia. Rimasi ad aspettare l'apertura del negozio, finché non entrai e scoprii che c'era anche una giacca reversibile. In questo modo feci la conoscenza di Rudi Gernreich e della moda seria, il che significa che incominciai a risparmiare denaro. Quando alla fine feci scivolare quell'arcobaleno sopra la mia testa, stendendo la gonna stretta sui fianchi, il mio aspetto si trasformò, come nelle fiabe. I colori degli abiti possono apparire uno strano modo di proclamare la propria separazione, ma dato il ruolo significativo che il sesso svolge nel processo di definizione della nostra identità, i vestiti attillati e sgargianti di Gernreich divennero i miei colori di battaglia. Indossandoli, non c'era più bisogno di stare a blaterare sull'esistenza del mio desiderio di essere vista. L'anno seguente da Gernreich trovai un tubino di seta e jersey, senza maniche, lungo fino al pavimento, con una scollatura a V sul retro così profonda che era fuori questione indossare biancheria intima. Un architetto, il mio partner di quel Capodanno, mi aveva regalato uno splendido boa di piume bianche che completava il quadro. Mentre facevamo il nostro ingresso alla prima festa di quella sera, una donna più matura mi apostrofò con un "Ehi, che ragazza carina", convincendomi del fatto che, per la prima volta nella mia vita, avevo suscitato l'invidia per la bellezza in un'altra donna. L'anno seguente, il 1964, Gernreich fece epoca con il suo topless. La protesta con cui, quattro anni più tardi, al concorso di Miss America vennero bruciati i reggiseni, viene in genere considerato l'evento che convinse le donne a gettare il proprio reggiseno, ma fu il topless nero di Gernreich che diede inizio a tutto, con la foto di quella modella, i capelli neri raccolti, a testimoniare il momento storico. Come afferma Robin Morgan nella sua raccolta di "Historical Documents" in Sisterhood is Powerful, pubblicato nel 1960: "I reggiseni non furono mai bruciati. Il rogo dei reggiseni fu una pura invenzione dei media" (2). Le donne possono anche non aver acquistato il costume di Gernreich, ma di sicuro ne acquistammo il simbolo. I colori dei primi anni Sessanta non assomigliavano a niente di ciò che era stato creato prima. Da quel momento, abbiamo poi periodicamente riciclato tutte le nostre precedenti affermazioni di libertà, allora dense di significato. Ma per quelle tra noi che erano presenti a quel primo appuntamento, i colori sfacciati e l'esibizionismo formavano un look che non avevamo mai visto addosso alle nostre madri. Abbandonammo la bellezza tradizionale come uno schiavo avrebbe potuto liberarsi delle proprie catene; stavamo sradicando il patto che aveva regolato lo scambio tra bellezza femminile e ricchezza maschile. Benché nessuna di mia conoscenza avesse ancora letto "La mistica della femminilità" di Betty Friedan, che venne pubblicato nel 1963, il suo messaggio era già nell'aria. Il ruolo della minigonna e della liberazione dal reggiseno fu rilevante a diversi livelli, molto più di quanto le femministe anti-uomini e anti-sesso vogliano riconoscere. Come scrisse il romanziere Tim Robbins: "Sono due gli articoli materiali degli anni Sessanta e Settanta che penso bisognerebbe onorare: la minigonna, per il suo glorioso debutto, e il reggiseno, per il suo martirio, la sua ritirata. Il comportamento dilagante di indossare la minigonna e di levarsi il reggiseno fu il simbolo della ribellione contro il clima di costrizione - sessuale, culturale, politica, economica e religiosa che caratterizzava quell'epoca. La nostra cultura avrebbe subito un processo di ri-femminilizzazione, le donne liberate dalla loro armatura, nelle loro gonne accorciate... esprimevano questa protesta in un modo tanto diretto e immediato quanto gli uomini con i capelli lunghi... Le donne potevano protestare contro una guerra ingiusta o battersi per i diritti civili, ma come veniva evidenziato dal loro abbigliamento, si rifiutavano di lasciare che le questioni all'ordine del giorno facessero di loro delle vittime in stile o le trascinassero in uno stato di disperazione... Da allora, le mini-mini gonne sono tornate alla ribalta diverse volte. Ma capite che ho ragione se dico che non è la stessa cosa"(3). Si è spesso sostenuto che Proust ricorreva ai vestiti per parlare a nome dei suoi personaggi; allo stesso modo, noi imbevemmo di significato i nostri vestiti, ed essi ci ricambiarono il favore. Le pareti della stanza in cui scrivo
sono ricoperte di immagini dei revivals della moda degli ultimi quattro anni. Non dicono assolutamente nulla di nuovo. Le varie rivoluzioni prefigurate dagli abiti, dalla musica, dall'arte e dal ballo, accrebbero la mia fame per una voce che fosse veramente mia, una voce che mi era appartenuta prima dell'adolescenza. Alle feste, iniziai a dare la caccia a uomini con cui potevo esercitare la mia capacità di conversare, una facoltà che si era arrugginita dopo che l'adolescenza mi aveva costretto ad ingoiare la lingua. Mi ero accorta del fatto che le persone che mostravano disinvoltura nell'esprimere spontaneamente i propri pensieri avevano un aspetto più aperto, un atteggiamento non affettato. Desideravo disfarmi della rigidità di Brava Ragazza, e la postura rilassata degli uomini immersi nelle loro chiacchiere mi suggeriva che, ristabilendo il collegamento tra cervello e lingua, il guadagno non si riduceva alle semplici parole. Gli uomini non formulavano idee brillanti in continuazione, ma stavano bene nella loro pelle. Non sto esagerando questa faccenda del reimparare a parlare - non lo dirò mai abbastanza spesso - perché rappresentò forse il lavoro di ricostruzione più imponente nell'opera generale di ricomposizione dei pezzi della mia personalità perduta. Scoprii che i migliori conversatori erano uomini più maturi con cui non c'era alcuna relazione sentimentale, che erano vissuti a Burma, avevano combattuto nella seconda guerra mondiale, diretto film all'estero. Ricordo una volta mentre stavo in un bar del Village - stare nei bar a chiacchierare era un grande passatempo - e discutevo di qualcosa con un uomo, esprimendo spontaneamente la mia opinione prima che tutte le risorse mi abbandonassero, quando ad un tratto lui alzò la testa e, guardandomi più da vicino, mi disse: "Dove hai imparato a parlare in questo modo?" Lo disse mosso da una tale ammirazione e da una fredda curiosità che arrossii di piacere. Se ci fu un momento in cui mutò la rigidità del mio ritrarmi, comprimermi nel personaggio della piccola "Ragazza Ragazza" che era cominciato con il mio undicesimo anno, fu allora. Sono state scritte così tante pagine contro gli uomini come profittatori delle donne, che vorrei dipingerli così come io li ho visti negli anni Sessanta, un'immagine che poi assomiglia molto a quella che vedo anche ora, e cioè di individui che hanno la stessa probabilità di essere gentili o villani degli individui appartenenti al mio sesso. Quando oggi passeggio intorno alla mia casa, riconosco uomini che furono miei amici, amanti, insegnanti. Il sentimento di gratitudine che provo nei loro confronti non riguarda tanto ciò che mi donarono fisicamente, quanto ciò che mi trasmisero in termini di capacità di amare e apprezzare l'arte, la buona cucina, la musica, i libri, insieme ad una passione per la costruzione, che mi lascia infelice quando non sento il suono di martelli e seghe. Mi aiutarono a pensare andando oltre le pagine dei libri che avevo studiato al college, mi fecero desiderare di riempire pagine con parole tutte mie. Esiste un'istruzione universitaria ed esiste la vita. "Come sei riuscita a sfuggire?" mi chiese un uomo una sera ad una festa, riconoscendo la scuola della Brava Ragazza tra le righe delle mie osservazioni. La verità era che non ero ancora sfuggita. Quando alla fine ci riuscii, dovetti quel successo in buona misura alla gentilezza degli uomini, alla loro generosità di spirito, al loro incoraggiamento intellettuale, e alla percezione che essi non erano troppo invidiosi perché mi potessi mostrare completamente. Le donne che amano gli uomini sanno che essi sono più mutevoli di noi, visto che la loro capacità di espressione e comprensione emotiva ha dovuto essere incapsulata precocemente perché la carica virile potesse risaltare appieno, e sanno anche che non c'è nulla di più eccitante che riuscire a rimuovere quella capsula, liberandoli dalla loro vita "compartimentalizzata", in cui osano mostrare solo i propri tratti mascolini. Sono rimasta amica della maggior parte dei miei vecchi amanti perché la gratitudine è stata profonda da entrambe le parti. 6.3 - Wonderbra e completi del potere. Come apparivamo allora, sulla cuspide di tutte le rivoluzioni, non era diverso da come eravamo. Le Brave Ragazze in cerca di Bravi Uomini che si prendessero cura di loro avevano un aspetto virginale che segnalava una promessa di continuità per gli aspiranti corteggiatori; pubblicità di se stesse, le donne sapevano di dovere proiettare il loro ruolo nel contratto sociale, riflettendo
all'esterno la loro essenza interiore: materiale per una buona madre, ovvero essere gentile, sottomessa, non competitiva. Questa proiezione permetteva all'uomo di adempiere ai suoi compiti previsti dal Contratto: entrare nel mercato sporco e crudele e provvedere al mantenimento della famiglia. Le donne confezionavano se stesse a beneficio degli occhi degli uomini, per ottenere la loro protezione e il loro potere. "Se mi lasci morirò!" non era solo un verso pronunciato da un'eroina del cinema degli anni Cinquanta, esprimeva la vita vera, così com'era percepita. Dal loro versante contrattuale, gli uomini, nei loro completi di flanella grigia, avevano l'aspetto del provider, con i piedi nelle scarpe pesanti e scure saldamente piantati per terra, un aspetto che parlava alle donne, dicendo loro che tutti gli anni passati a negare l'indipendenza, la voglia di avventura, l'autonomia di parola, ma soprattutto il sesso, non erano passati invano. Gregory Peck, Charlton Heston, e, sì, anche Jack Kennedy, erano i simboli di quel modo di apparire. Erano persone concrete. Anche uomini piccoli, molto meno belli, trasmettevano sicurezza a donne dipendenti. I divorzi esistevano, ed erano spesso molto più tristi di quelli odierni perché la maggior parte delle donne abbandonate non possedeva alcuna capacità lavorativa. Ma erano numerose le pressioni per continuare a stare insieme; il divorzio non faceva una bella figura sul curriculum di un uomo. Alle aziende piacevano gli uomini tutti casa e famiglia. Ancora nel 1970, mio marito ricorda lo scandalo che scoppiò a Detroit quando il presidente della General Motors divorziò dalla moglie per sposare la sua avvenente segretaria. L'adulterio di un uomo era preferibile al divorzio, e le donne vi convivevano. Le donne che si accompagnavano a uomini sposati, donne sessualmente libere, avevano un aspetto riconoscibile. Quando persi la mia verginità - intendo la penetrazione completa e non solo l'inserimento della punta del pene in vagina - corsi immediatamente allo specchio per vedere il mio nuovo io, tale era la mia certezza che il sesso avesse il potere di cambiare l'aspetto esteriore di una donna. Con mia grande sorpresa, apparivo uguale. Fortunatamente, i miei anni come ragazza single dedita al sesso si svolsero in coincidenza dell'avvento di quella che sarebbe stata chiamata "rivoluzione sessuale", in cui mi buttai con grande passione. Ora potevo mostrare la Vera Me Stessa, la ragazza che era sempre morta dalla voglia di essere vista, di essere desiderata. L'annuncio del lato sessuale della mia personalità non combaciava con gli amici da Brava Ragazza dell'Upper East Side, ma questo non mi spaventò. Andava "oltre il mio controllo", come diceva il personaggio maschile ne Les Liaisons Dangereuses per difendere le sue imprese erotiche. Avendo ricevuto un'educazione strettamente aderente alle Regole della Brava Ragazza, ero ben consapevole delle sanzioni, reali o immaginarie, cui andavo incontro per aver cambiato il mio look. La frase che le riassumeva fu quella che sentivo pronunciare negli anni Sessanta agli uomini che sorridevano e si asciugavano la fronte dopo un twist infuocato nelle sale da ballo, mentre mi riconsegnavano al mio ragazzo: "È troppo per me!" Non suonava come un complimento. Cosa significava? Pensavo non esistesse una donna che fosse "troppo" per un uomo; non ero ancora in grado di comprendere la natura del Contratto, che implicava che anche uomini con una posizione economica considerevole venissero messi in una posizione di vulnerabilità da una Cattiva Ragazza che dichiarava esteriormente la propria sessualità. Il successo e il denaro, per l'uomo in doppio petto blu, significavano che la sua caduta sarebbe stata ancora più rovinosa se fosse stato tradito, se la donna incandescente che stava al suo fianco si fosse dimostrata una "sorella" dalla carne debole, che non riusciva a conservare il proprio ruolo di donna fedele. Per quanto possa apparire una storia vecchia alle donne che hanno oggi venti o trent'anni e che non hanno vissuto gli anni Sessanta, bisogna tenere conto del fatto che questi sentimenti radicati non scompaiono nell'arco di un breve intervallo di tempo, come lo sono trent'anni. Le donne oggi possono andare a cena non indossando biancheria intima, e anche gli uomini possono brillare del proprio fascino sessuale in modi che erano vietati ai loro padri, ma un uomo che cerca una compagna per la propria vita indietreggia ancora di fronte al ruolo del marito tradito. Circa il 25% dei giovani desidera ancora una sposa vergine, e tale percentuale non ha subito grandi oscillazioni dal momento in cui i ricercatori hanno cominciato a calcolarla (4).
È stato ieri che ho visto la rassegna di Milano della moda maschile invernale? La data esatta non importa; dall'inizio di questo libro, la porta girevole della moda è totalmente fuori controllo. Ora lo chiamano Il Completo del Potere, la giacca larga, dalle spalle ampie di Armani, non esattamente quel che indossava Gregory Peck in The Man in the Grey Flannel Suit, ma abbastanza simile. "Perché gli uomini non possono essere affascinanti apparendo virili?" domanda Armani (5). Si è detto che ciò che ha spinto gli uomini a cercare un'immagine allo specchio più potente è stata "l'immagine della strega con tanto di Wonderbra, scarpe con tacco a spillo, drappeggio di boa, look saltellante da discoteca che la moda femminile promuove così sfacciatamente". Il che significa che se le donne volevano alzare la posta del loroesibizionismo sessuale, gli uomini dovevano equilibrare il quadro complessivo. "Un grande seno in realtà è una pietra al collo per una donna", scrisse Germaine Greer nel 1970; "la rende cara agli uomini che vogliono fare di lei la loro mammina, ma quella donna non potrà mai minimamente pensare che i loro occhi ipnotizzati la vedano veramente."(6). Alla fine degli anni Sessanta, abbiamo respinto i seni prosperosi come un segno di schiavitù nei confronti degli uomini - il che rese introvabile un push-up per trent'anni - ma ora sono tornati, non in risposta ad una richiesta maschile, ma femminile. Le donne vogliono ancora grandi seni, e guardano con chiara invidia chi li possiede. Un tempo la società si sentiva ingannata quando le persone apparivano in un modo e si comportavano in un altro. "Sembrava una così Brava Ragazza! Sembrava uno così responsabile, per niente il tipo che pianta in asso moglie e figli!" Ci aspettiamo ancora che le persone tengano fede all'immagine che mostrano all'esterno, che è poi il motivo per cui la moda continua il suo gioco del riciclo. Non disponiamo di un Nuovo Contratto tra i sessi che possa sostituire il vecchio, che rappresentava un sistema di riferimento chiaro che ci consentiva di trasmettere, attraverso ciò che indossavamo e il modo in cui lo indossavamo, la nostra appropriatezza, la sostanza di cui eravamo fatte, ad un nostro eventuale partner. La domanda è, esiste davvero qualcosa di definibile come "sostanza" oggi, e poi, cosa definisce la mascolinità se anche le donne possono provvedere efficacemente al mantenimento economico della famiglia? Wonderbra e Completi del Potere. Sì, riesco ad immaginare perché il completo maschile di ieri non reggeva di fronte ad una donna con 10 centimetri di tacchi a spillo che contribuivano a modellare il suo bel corpo secondo una devastante curva a S, che faceva riaffiorare immagini di donne nude "prese" da satiri. Enormi seni e una schiena ondeggiante che sembrano reclamare a gran voce la penetrazione, fanno sembrare gli uomini vestiti nei loro completi che svolazzano al vento tanti adolescenti, tanti ragazzi incapaci. Quando il Wonderbra conquistò le pagine dei quotidiani - la pagina della moda non poteva contenerlo da sola - restai a bocca aperta; negli anni Sessanta non avevo posseduto bei reggiseni simili a questo, quando si potevano inserire piccole imbottiture in modo da spingere il seno verso l'alto o lasciarlo dov'era? Quando il Council of Fashion Designers of America annunciò la consegna di un premio speciale al "Wonderbra, per il suo contributo alla moda", io pensai: "Un momento, questo è revival, non creazione". E per provare la mia affermazione andai a fare delle ricerche nello scantinato del nostro fienile, fin quando non trovai i bauli contenenti le memorabilia delle Grandi Notti del Passato. E proprio come pensavo, erano là: una collezione di confezioni di push-up in pizzo acquistati da Saks negli anni Sessanta. Mi è rimasto poco altro di quegli anni, eccetto qualche paio di occhiali da sole scuri, che insieme al mio Wonderbra e niente altro, darebbero vita ad un dettame della moda molto attuale. 6.4 - Grazie, Dottor Guttmacher. Il problema era che mi innamoravo con troppa facilità. Il problema era che non conoscevo la differenza tra amore e sesso. Quando arrivò la bellezza, si moltiplicarono le occasioni per entrambi, e dunque anche i guai, che mi attendevano al varco. Durante i miei primi anni a New York, vissi di sesso orale e di minime, infinitesimali penetrazioni. Conoscevo i rischi e, quando il mio ciclo era in ritardo, andavo in continuazione al bagno delle donne, pregando che qualche macchia di sangue mi segnalasse che ero stata risparmiata dall'incubo che, più di ogni altra cosa, mi terrorizzava. Tuttavia, una volta superato il pericolo
per altre quattro settimane, tornavo al mio gioco fatto di peni, orgasmi, parziali penetrazioni, finché l'uomo non eiaculava. Come disse Sally Belfrage nel suo memoir degli anni giovanili: "Nessuna penetrazione, una volta su un milione, ma eccoti qui: sei incinta" (7). Ero una donna molto intelligente in tutto tranne che in questo, anche se avevo dei progetti, sogni meravigliosi per una vita che non includeva ancora il matrimonio e i figli; pagavo regolarmente il mio affitto, non scrivevo mai a casa per farmi mandare del denaro, svolgevo il mio lavoro con professionalità, ma in quest'unica cosa sbagliavo in continuazione. La promessa racchiusa in quella sensazione di rapimento che mi prendeva tra le braccia di un uomo, riusciva ad offuscare la mia intelligenza; per quanto riguarda tutte le promesse fatte a Dio che non avrei mai più rischiato se egli mi avesse salvato quest'ultima volta, bene, è un enigma troppo grande, che ancora ci rifiutiamo di affrontare. In qualche modo, stupida com'ero, sfuggii alla gravidanza; forse questo spiega la passione con cui appoggio i benefici educativi della masturbazione in tutti i miei libri. Se qualcuno mi avesse informato per tempo che era in mio potere raggiungere l'orgasmo da sola, che il sesso era qualcosa che mi apparteneva e non qualcosa che il Principe risvegliava in me, non mi sarei arresa così totalmente alla "sua" magia. Esplorare i labirinti dei miei organi genitali sarebbe stata una preziosa lezione di geografia, un corso elementare di autostima, che mi avrebbe insegnato che la bellezza sensuale di cui ero in cerca durante i miei vent'anni non cominciava con l'involucro seducente che potevo acquistare nelle boutiques, ma con il mistero racchiuso tra le mie gambe, non una fogna ma un fiore dal fascino erotico, al pari di qualsiasi opera di Georgia O'Keeffe. I miei primi impegni professionali consistevano nel procurarmi una collaborazione interessante della durata di otto o nove mesi di lavoro intenso, lavori che avevano un inizio e una fine. Non stavo cercando una carriera o un matrimonio, solo denaro a sufficienza per pagarmi l'affitto e permettermi di viaggiare all'estero fin quando i soldi non finivano. A quel punto, facevo ritorno a New York, incontravo qualcuno, solitamente un uomo, che mi offriva un nuovo lavoro. Incontravo gli uomini nei locali in cui si ballava o alle feste, e nessuno mi chiese mai un favore in cambio del lavoro che mi offriva. Ho sempre viaggiato da sola, visto che la mia prima avventura europea mi aveva insegnato che due donne sedute l'una accanto all'altra incentivavano in modo formidabile gli approcci maschili. Avevo terminato quel mio primo viaggio in un hotel vicino all'Etoile di Parigi, un piccolo bordello frequentato da prostitute e dai loro clienti, che di notte litigavano sulle scale strette. Era molto a buon mercato. Nella piccolissima camera che occupavo c'era un lavello e un bidet in metallo posto su un seggiolino pieghevole, una scena che ritrassi nel mio album per gli schizzi, quando non leggevo "Per chi suona la campana". Mangiavo burro di arachidi e aspettavo che succedesse qualcosa. Questo è quello che scrissi nel mio diario di viaggio: "Sto aspettando che accada qualcosa". Ogni giorno andavo a passeggiare in rue du Faubourg-St.-Honoré, facendo collezione di manifesti delle gallerie d'arte; dato che avevo poco denaro e possedevo solo il mio biglietto di ritorno, dicevo che facevo il critico d'arte per un piccolo giornale. La sera sedevo ai tavoli dei bar in compagnia di uomini che mi baciavano e che io baciavo a mia volta, qualcuno più appassionatamente di altri, ma quando il denaro finì, m'imbarcai su una nave e navigai verso casa, vergine ancora per pochi centimetri, ancora in attesa "che accadesse qualcosa". Riuscire ad ottenere quel vantaggio che, per tutta la mia vita, avevo invidiato nelle altre, la bellezza, avrebbe dovuto essere come un'eredità inaspettata, un nuovo potere da spendere. Ma la bellezza che giunge tardi ha un sapore di inaffidabilità. Quando si è stati invisibili da piccoli e si è dovuto costruire un mondo in cui si affilano talenti diversi dalla bellezza per sollecitare lo sguardo degli altri, e poi durante l'adolescenza si perde tutto quanto, ebbene, gli occhi colmi di ammirazione della gente diventano poi inaffidabili. Volevo credere con tutta me stessa a quegli occhi. Rispondevo al sorriso degli uomini, assaporando il desiderio che scorgevo nel loro sguardo, e divenni sempre più esigente nella scelta delle persone a cui permettevo di offrirmi una cena. Alla fine, una mattina, dopo che lo specchio mi convinse del fatto che il mio nuovo aspetto esteriore mi stava conducendo verso troppe avventure rischiose,
percorsi i due isolati che mi separavano dallo studio del dottor Aronson. Distesa sul lettino, i piedi sistemati nelle staffe, l'inserimento di un diaframma non ebbe niente del brivido di quando si prova un paio di scarpe nuove. Probabilmente, ciò che avrei dovuto sentire era: "Ehi ragazzo, ora posso scoparmi in tutta sicurezza un milione di uomini, tenere fede alla promessa dei pantaloni Jax, del tubino di seta di Gernreich che m'impedì di indossare biancheria intima quando impegnai il mio sedere in un twist a Le Club!" Poco dopo, nello studio del Dott. Aronson, stetti con quell'orribile disco rosso in mano, le veneziane tirate proprio di fronte ai miei occhi, mentre il medico, con la punta della matita, segnava i vari canali e le varie cavità dei miei organi riproduttivi su un modello di plastica. Se la nostra sessualità non fosse stata oggetto di stigmatizzazione, marchiata come Cattiva, forse il diaframma avrebbe potuto rendere un servizio migliore alle donne. Se fossimo state educate ad avere una buona opinione del lato sessuale della nostra personalità, avremmo preso con noi il diaframma, automaticamente, come si fa con le chiavi del proprio appartamento. Invece, una Brava Ragazza doveva ricordarsi di infilare quella cosa dall'aspetto orribile nella sua borsetta, "solo in caso di bisogno": quasi come portare l'ombrello in una giornata di sole. Se poi tornava a casa senza averlo usato, si sentiva come una Jezabel mancata; se invece si era trovata nel pieno degli spasimi di Eros e aveva dovuto districarsi dai lacci della passione per ritirarsi nel bagno, accovacciarsi e inserirlo nel suo canale umido, a quel punto si era già ricordata che non era infallibile; piegato in due come un biscotto della fortuna - Buona fortuna! - e spinto su nella vagina, a una donna non restava che pregarlo di curvarsi nella giusta posizione attorno alla cervice vorace, sempre affamata di intrepidi spermatozoi, che lottavano nel loro viaggio di risalita come tanti salmoni impazziti. Ero stata proprio una stupida vergine. Avevo aspettato troppo a lungo ad usare un diaframma e, anche dopo essermelo procurato, non ne andai mai orgogliosa, lasciandomi ancora "trascinare" dalla passione. Come molte giovani donne di allora e di adesso, ero un groviglio di contraddizioni, visto che una parte di me amava il ruolo dell'esploratrice indipendente, ansiosa di vedere il mondo e di andare a letto con qualsiasi uomo, mentre regredivo allo stadio di infante ogni volta che m'innamoravo, ovvero ogni volta che facevo sesso con un uomo. Davanti a me c'era un buon dottore che voleva istruirmi sui segreti della protezione, proprio come un sergente d'esercitazioni potrebbe istruire una recluta nell'arte di salvarsi la pelle. Non temevo l'eventualità di una gravidanza come la morte? E il matrimonio non era forse una possibilità lontana, da riservare alla fine delle mie odissee? Il riflesso che ora scorgevo nello specchio mi dava il senso di potere che avevo sempre desiderato. E questo disco di gomma, non era proprio il mio biglietto di viaggio, un giubbotto antiproiettili che mi consentiva di avere rapporti con ogni uomo che desiderassi, di essere la seduttrice che avevo sognato di diventare? Bene, vostro onore, avanzerei l'ipotesi che il dono di essere in grado di sedurre un uomo non conferisce automaticamente ad una ragazza la capacità di avere il suo orgasmo, levarsi in piedi ed andarsene, forte della propria indipendenza. Spesso decidevo di andare sola alle feste, per meglio mettere alla prova l'efficacia del mio nuovo aspetto fisico, per potermene andare con un uomo di mia scelta. Automaticamente il mio occhio cadeva sull'uomo più irraggiungibile del locale, quello dallo sguardo in cui si leggeva autosufficienza sessuale, sicurezza; Malcom, il sogno inaccessibile, inarrivabile, emotivamente precluso, dei miei tredici anni. Ora però, non solo ero pronta ad andare a letto con un uomo, ma avevo anche imparato il fascino che, su uomini di questo tipo, esercitavano le donne che desideravano il sesso per il sesso, che non volevano il loro cuore, la loro anima. Compresi che, per gli uomini, l'offerta di sesso senza lacci ha la forza di una calamita. Stavo giocando ad un gioco per il quale ero scarsamente equipaggiata. Era sfiancante, ed era una menzogna. Non avevo dubbi che il fascino che l'uomo impossibile esercitava su di me nasceva dal mistero impenetrabile di mio padre. Il gioco a cui giocavamo prevedeva che il potere fosse tutto nelle mie mani finché il pene, la bocca, le labbra, la lingua avida e le mani di un uomo non mi portavano all'orgasmo, ancora, e poi ancora; davo in cambio tanto quanto ricevevo, ma gli uomini non vengono educati come le donne, a corrispondere alla
ricerca dell'unione simbiotica. Prima ancora che la notte fosse terminata, mi ero già persa in quell'uomo, fluttuavo nella sua orbita. Houdini non avrebbe saputo fare di meglio. Dev'essere stato vagamente sconcertante per un uomo venire sedotto da una giovane donna fasciata in un abito sexy, il cui corpo assertivo mandava segnali per cui lei, essendo una donna indipendente, non lo avrebbe mai messo al guinzaglio, e poi svegliarsi la mattina e sentirle pronunciare queste parole: "Quando ti rivedrò?" La sua giornata lavorativa sarebbe andata meglio, perché lui, dopo, si sentiva più forte, più potente, mentre io, ora che un amore disperato mi aveva sopraffatto, ero in uno stato di bancarotta emotiva, e sul pavimento giaceva la mia corazza della sera precedente - il piccolo abito Jax e i tacchi alti, a formare un'unica pozza di impotenza. Questo asservimento che seguiva il sesso mi spaventava, molto più di quanto non preoccupasse gli uomini. Mi mandava su tutte le furie l'idea di non riuscire a controllare questa trasformazione da arti magiche. Quale beneficio potevo trarre dalla bellezza e dal potere sessuale se l'unione che si creava distruggeva la buona opinione che avevo di me stessa, mi faceva sentire come un mendicante, mentre lui, Principe fortunato, diveniva una droga così potente da farmi rimanere abbarbicata al telefono, ad aspettare, a pregare, tanto che non osavo nemmeno scendere al negozio per comprarmi del burro di arachidi. E se lui chiamava mentre non ero in casa? Meglio morire di fame. Per quanto riguarda l'aspetto razionale, nessuno meglio di Dorothy Parker diede voce a questa sensazione: "Dio, per favore, fai che lui mi telefoni ora. Dio caro, fa' che mi chiami ora. Non ti chiederò altro,veramente. Non è chiedere molto. Sarebbe una cosa talmente piccola per Te, Dio, una cosa così, piccola piccola" (8). Dannazione, questo fatto della dipendenza delle donne dall'unione simbiotica, soprattutto dopo un rapporto sessuale, avrebbe dovuto costituire una delle prime questioni all'ordine del giorno per il femminismo, allo scopo di insegnare alle donne la differenza tra amore e sesso. La lezione principale avrebbe dovuto spiegare nei minimi dettagli l'origine del nostro bisogno patologico di unione, riconducendolo alla mancata separazione dalla madre nei primi anni di vita, una dipendenza che viene risvegliata dall'esperienza dell'intimità nella vita adulta. Che razza di risorsa è la pari opportunità nel lavoro se perdiamo ancora la nostra identità nel sesso? Invece di insegnarci che avremmo potuto avere amore, lavoro e sesso, e che questi elementi formano una bella combinazione insieme ma restano comunque aspetti separati dell'esperienza individuale, il femminismo ha scelto di tenere le donne nell'ignoranza, facendo in modo che passasse la convinzione per cui l'unica sicurezza giace nei legami tra donne. Il femminismo ha preso le distanze dal sesso, nella consapevolezza che, se le donne fossero sessualmente libere di amare genuinamente gli uomini, la loro alleanza assoluta con il Mondo delle Donne andrebbe perduta. Come posso descrivere il passaggio sensazionale dalla donna con il diaframma alla donna con la pillola? La pillola non rimosse solo la paura di una gravidanza indesiderata, che rendeva ogni giorno di ritardo del ciclo una tortura, visto che quel piccolo diavolo, il diaframma, non era affidabile. No, ciò che riuscì a realizzare la pillola fu la messa in discussione del ruolo di Brava Ragazza nel sesso, o, detto in altri termini, la riproposta della domanda su cosa avrebbe di tanto "cattivo" il sesso. La pillola cancellò dal mio volto quel sorriso congelato da Brava Ragazza, e con esso le barriere che dovevo abbattere ogni volta che raggiungevo l'orgasmo. Il fatto che il fascino suscitato in me dalle fantasie sessuali femminili ebbe inizio proprio pochi anni dopo l'ingresso della pillola nella mia vita, non è privo di significato. Con la libertà venne anche la prima consapevolezza di avere a mia volta della fantasie sessuali. Come poteva una piccola pillola, presa tutti i giorni, allargare il perimetro della vita, mutare l'opinione che avevo di me stessa? Per molte di noi, la pillola rappresentò ciò che era stato per gli uomini la prima automobile Ford cinquant'anni prima. Era il nostro lasciapassare, le nostre ruote, il nostro addio ad una vita soffocante: questo fu il periodo in cui le donne cominciarono
a prendere l'iniziativa in campo sessuale, ad avvicinare un uomo, a sedurlo, una sensazione diversa da ogni altra. Era il 1963, e non avevo mai sentito parlare della pillola, finché una mattina il mio amante si lamentò, riferendosi al mio diaframma come a quella cosa "fottutamente scomoda". Mi fidavo di quell'uomo, soprattutto in fatto di sesso, un mondo di cui mi aveva aperto le porte, incoraggiandomi ad entrare. "Leggi questo", disse, passandomi un articolo sul Dott. Alan Guttmacher e la nuova pillola contraccettiva. Non avendo mai amato granché quel dischetto di gomma, la sua sensazione, il suo odore, l'impiccio delle creme e l'incertezza sulla sua efficacia contro le gravidanze, presi un appuntamento per incontrare il venerabile Dott. Guttmacher, fui visitata dal grande uomo in persona, e mi fu fatta la prescrizione per una nuova vita. Devo moltissimo a quell'amante di allora. Visto che non sapevo mai dove sarei stata nell'ora prefissata per assumere la mia pillola giornaliera, le portavo in un braccialetto d'oro da cui pendeva un piccolo globo terrestre incernierato. La cognizione di dominare la mia sessualità, cambiò il mio modo di camminare per le strade. Calzavo scarpe con tacchi più alti, non solo per essere vista ma anche per guardare, per catturare l'attenzione maschile, o per giudicare meglio, scoprendo, mentre lo facevo, che era così che doveva sentirsi un uomo. Se ti disponi in modo attivo, pronta in ogni occasione, e non in modo passivo, aspettando di essere scelta al pari di un biglietto della lotteria, è certo che prenderai l'iniziativa. "Rispetto alla pillola, ciò che le donne sentivano era che essa separava l'atto della contraccezione dall'atto sessuale", afferma Jeannie Rossoff, presidente dell'Alan Guttmacher Institute. "Noi sappiamo che più il metodo di controllo delle nascite è lontano dall'atto del rapporto sessuale, maggiori sono le probabilità che sia efficace." A questo aggiungerei che l'influenza della pillola andò oltre la contraccezione in sé; con un occhio retrospettivo, mi permise di sentirmi una persona costantemente dotata di una propria sessualità, non solo quando ero in compagnia di un uomo. La mia vita sessuale apparteneva innanzi tutto a me, non si riduceva a qualcosa che un uomo aveva il potere di accendere. La magia era tutta mia, e mia era anche la crescita intellettuale e sociale. Non era la composizione chimica della pillola, ma il fatto di essere costantemente pronte al rapporto sessuale, che rimuoveva quell'atteggiamento rigido contro il sesso che era stato inculcato alle donne fin dalla tenera età, un'ansia che ci portavamo dentro e che influiva sul nostro equilibrio fisico, emotivo e intellettuale. Fu una trasformazione di grande rilievo, non visibile o pienamente compresa nel momento in cui si verificò, ma credo di aver sempre saputo che la sensazione sessuale fosse energia pura. E di sicuro ero più felice di poterla spendere. Non c'era nulla di sconsiderato nel mio nuovo esibizionismo, nell'allegria di camminare in una sera d'estate in un abito verde-acqua di Pucci, un capo d'abbigliamento così leggero che si poteva reggere sulla punta di un'unghia laccata di rosa e sotto il quale indossavo soltanto un paio di calze e una giarrettiera. Se gli uomini non mi avessero guardata, ne sarei rimasta delusa. Desiderare consciamente di essere esaminata con lo sguardo, di attirare gli occhi sul mio corpo, e per mia scelta, mi dava un grande senso di controllo. Sapevo esattamente cosa mi ero messa addosso e perché; accettavo il fatto che era mio compito essere responsabile delle onde che avevo messo in movimento. Camminare per la Forty-eight Street fino al bar dove ci incontravamo dopo il lavoro era per me una specie di marcia trionfale e un addio a quella poverina dello Yacht Club che era stata impalata tutta la sera con le spalle contro la parete, a guardare le sue amiche mentre ballavano. Ogni giorno tra le cinque e le sei, non importava dove fossi e di fronte a quale uomo, aprivo il globo sul mio piccolo polso della responsabilità e ingoiavo la mia pillola. Sentendomi al sicuro, il capitano della mia nave, smisi di aspettare di venire richiesta e iniziai ad avvicinare gli uomini che mi colpivano. La pillola mi regalò un'esperienza straordinaria, forse la più liberatoria di tutta la mia vita, e non ho mai dimenticato una sola volta di prenderla. Avresti dovuto esserci per capire quanto la pillola riecheggiasse il tempo che stavamo vivendo, quanto fosse l'estensione naturale della musica, dei vestiti, dei balli, dei sentimenti rivoluzionari che riempivano l'aria, che si
traducevano nelle marce per i diritti civili o contro le guerre. La pillola era il nostro sistema di difesa. Il fatto che apparissimo così diverse dalle persone appartenenti alle generazioni precedenti non andava attribuito soltanto alla moda. Non ci si poteva certo aspettare che il prototipo della brava ragazza vergine fosse parte di tutto questo, lei che, da quando ero nata, sorrideva passivamente dalle pagine dei giornali, così linda, così pura, così asessuata. La sua immagine epitomizzava la netta divisione tra Brava Ragazza e Cattiva Ragazza, un esaurimento di energie, una confusione d'identità che non potevamo più permetterci. La pillola ci separava dalle nostre madri in un modo quasi tangibile. Non potevo immaginarmi mia madre nell'atto di prenderla. Prima della sua invenzione, tra le donne c'erano le Jane Russell e le Grace Kelly, il che significa che il sesso aveva un aspetto talmente riconoscibile da poterlo individuare ad un miglio di distanza. Di questo era fatto il passato. Forse non siamo riuscite ad usare in modo sufficientemente responsabile tutte le nostre nuove libertà, ma non è stata colpa della pillola. Eravamo, e in qualche misura ancora lo siamo, le figlie di nostra madre, e anche di nostro padre, perché è l'intera società ad essere colpevole del mancato incoraggiamento della responsabilità sessuale nelle donne. La società, fino a quel momento, non aveva mai prescritto alle donne la libertà sessuale. Insieme alla spirale e ad altri nuovi contraccettivi, la pillola offrì loro il permesso di pensare oltre il patriarcato, e anche oltre il matriarcato. Era passato il tempo in cui "aspettare che qualcosa accada"; ora la sola cosa che poteva trattenere una donna dal "fare in modo che qualcosa accada" era il timore del giudizio delle altre donne. Le Regole della Brava Ragazza non erano state formulate dagli uomini al fine di controllare le donne, ma dalle donne per controllarsi a vicenda in un periodo di risorse limitate; solo un uomo per ogni donna, solo una quantità definita di sesso, pari per tutte le donne. Ebbene, le risorse non erano e non sono così limitate. Tutto ciò di cui le donne hanno sempre avuto bisogno è il sostegno reciproco, la liberazione dalla tirannia dell'ostracizzazione dal Mondo delle Donne. Né la pillola né ogni altra forma di contraccezione sarà mai perfetta finché esse non vorranno e non approveranno la libertà sessuale delle altre donne. Per un momento, forse per un decennio, sembrò quasi che stessimo raggiungendo quel traguardo. Talvolta penso che è ciò che gli stilisti tentano di ricatturare nei revival dei vestiti che portavamo allora: il nostro ottimismo, la promessa di relazioni sessuali che evolvono verso un futuro in cui gli uomini e le donne pensano a se stessi come esseri uguali, compagni di una danza cui entrambi possono dare inizio e in cui ognuno è responsabile. Se la pillola non era perfetta, era l'ottimismo di fronte alla sensazione che stavamo raggiungendo non solo l'indipendenza economica, ma anche quella sessuale, a conferire quell'aspetto: di persone arrivate alla meta, petto in fuori, orgogliose, sensuali. Se i traguardi economici raggiunti successivamente ora ci appaiono vuoti, è perché il Femminismo Matriarcale ha eliminato l'amore per, e il sesso con, gli uomini. 6.5 - Le apparenze della rivoluzione. Gli anni Sessanta furono così densi di cambiamenti che mi è difficile districare le singole rivoluzioni che vi ebbero luogo. La loro febbre consumava ogni cosa, rendendo possibile pensare alla crociata appassionata che si conduceva per difendere i propri ideali come all'unico corteo della città. Guardando il telegiornale della sera senza volume, era impossibile capire se i dimostranti erano Students for a Democratic Society (SDS), manifestanti anti-Vietnam, dimostranti per i diritti civili, femministe, hippies, o un'altra ondata di combattenti rivoluzionari che non aveva ancora un nome. In quei giorni la terra appariva come un mare di jeans, magliette, stivali, capelli lunghi, code di cavallo, afro-americani, e le donne talvolta erano indistinguibili dagli uomini, eccetto che di profilo. La sola cosa che i rivoluzionari avevano in comune era il fatto di non assomigliare ai membri dell'establishment. Anche così, era possibile trascorrere questi anni come avevano fatto i propri genitori. Alla fine, i mutamenti cumulativi innescati dagli anni Sessanta avrebbero investito la vita di tutti, ma, all'epoca, la gran parte degli americani (che non compariva nelle marce in televisione) non ne voleva sapere della Rivoluzione Sessuale e si risentiva amaramente per l'occupazione dell'etere da parte della
controcultura: gli hippies, i Figli dei Fiori, i sit-in degli studenti a Berkeley nel 1964, la musica dei Jefferson Airplane, annunci bizzarri come quelli di Andy Warhol: "Nel futuro, ognuno sarà famoso per quindici minuti". L'attrazione dei media di fronte a queste immagini e a questi suoni, diede agli americani integrati nel sistema la sensazione di essere tenuti all'oscuro di qualche segreto, che era poi proprio il messaggio che si intendeva trasmettere: si era In o si era Out, un modo di dire che credevamo di aver coniato noi, ma che ho poi scoperto esistere da secoli. Quando i dimostranti contro la guerra sputavano sulla bandiera e schernivano i ragazzi che partivano per il Vietnam, questo mandava comprensibilmente su tutte le furie quelli che si ritenevano veri americani; era un rancore diverso da quello che provavano quando i loro figli abbracciavano la musica e il modo di portare i capelli dei Beatles, e reclamavano le minigonne pubblicizzate dai giornali di moda del 1964, e tuttavia era rancore. Qualcosa di estraneo all'American way si stava impossessando della loro terra, e coloro a cui questo non piaceva si sentivano invisibili. Si venne così a creare una divisione che non è mai stata sanata. Con il passare del tempo, la rabbia della Maggioranza Invisibile avrebbe incluso l'amarezza delle donne di stampo tradizionale, che si sentivano offese dal fatto che tutti i riflettori nazionali fossero puntati sul nascente femminismo, che non solo disprezzava i loro valori, ma ne faceva piazza pulita. Che io sappia, nessuno ha avuto parole di simpatia per la rabbia e il risentimento degli uomini e delle donne che non si sentivano parte delle rivolte che si sovrapposero negli anni Sessanta e Settanta; non mi riferisco solo alla generazione precedente alla nostra, che veniva automaticamente offesa dal processo in atto, ma agli individui di vent'anni, o più giovani, che si arruolavano volontariamente per combattere in Vietnam, alle donne che sceglievano di sposarsi, di stare a casa e allevare i propri figli, come avevano fatto le loro madri. Alla fine, molti di questi tradizionalisti sarebbero divenuti la colonna portante della destra repubblicana di oggi. Se non si è stati testimoni del bombardamento a tappeto cui furono sottoposti gli anni Cinquanta dalla marcia del Maryland del 1963, dalle rivolte del 1965, dallo spargimento di sangue alla convention democratica di Chicago del 1968, dalla marcia sul Pentagono del 1969; se non si sono cantate quelle canzoni, indossati quei vestiti, se non si è fumato quel che si fumava allora; se si è mancato a tutti questi appuntamenti, forse si può essere sbalorditi di fronte all'imperversare dei revivals di tutto ciò che appartiene a quegli anni, come le serie televisive, i film, la musica, e soprattutto la porta girevole della moda. Io c'ero, e tuttavia sono sbalordita. Mentre scrivo, si svolge una retrospettiva dedicata a Andy Warhol. Ricordo la prima volta che circolò Empire, un'immagine statica della durata di otto ore dell'Empire State Building mentre il tempo passava e passava, finché non ci trascinammo dalla sala di proiezione alla balconata, dove trascorremmo il tempo a fumare marijuana e a guardare la città dall'alto, e Andy non apparve e camminò tra noi. Vedi, non è qualcosa che si possa raccontare, perché il nucleo dell' "avvenimento" consisteva nel fatto che non accadeva assolutamente nulla, nell'essere "rilassati"; per comprendere questo, si doveva essere In; chiedere, significava essere Out. Nondimeno, pieno o vuoto di significato, eccolo rispuntare di nuovo, e non si tratta solo del film, ma di un continuo riemergere della cerchia di persone che attorniava Andy. Una per una ritornano a galla in lunghe interviste pubblicate sui quotidiani e sulle riviste, apparendo e suonando vecchie, stanche, e con altri trent'anni di vuoto sulle spalle. Per quale motivo i giornalisti li vanno a cercare? Suppongo sia per lo stesso motivo per cui gli stilisti reinventano le gonnelline di Courrèges e le maglie rasate e strette dall'aspetto povero che indossava Edie Sedgwick - un'altra delle superstar di cui si attorniava Warhol. Io prendo davvero molto seriamente le corse incontrollate di oggi nel campo dell'abbigliamento. Similmente a Nelson Thall, presidente della Marshall McLuhan Center on Global Communications, anch'io sono convinta del fatto che "il nostro modo di vestire è un'estensione della nostra pelle, proprio come un martello è un'estensione tecnologica della nostra mano" (9). L'abbigliamento è anche un'estensione di ciò che sentiamo, inclusi i nostri sentimenti inconsci. Con ciò che indossavamo negli anni Sessanta e Settanta volevamo comunicare dei messaggi.
Alcuni di quei modi di apparire erano anti-moda, alcuni anti-establishment, anti-guerra del Vietnam, anti-segregazione, antimaterialismo. Ma vestirsi facendo al contempo una dichiarazione politica costituisce un atto che si differenzia molto dal vestire di oggi, che ha più la funzione di una preghiera disperata per ottenere riconoscimento. Cosa cerchiamo in quegli anni? La moda può anche divertirsi con i revival, ma gli ultimi anni sono stati solo una sorta di incubo disperato, come quando si perde qualcosa, una chiave, e per trovarla dobbiamo passare in rassegna tutti gli abiti, gli armadi, le tasche. Scrivendo degli anni Sessanta avevo sperato di trovare un indizio sul motivo per cui la storia imputa i mali di oggi a ciò che è accaduto allora. Nella sua recensione alla retrospettiva dedicata ai film di Warhol, il critico Stephen Holden scriveva: "L'estetica che percorre i film di Warhol non è altro che freddo voyeurismo... Si ha di continuo la sensazione di essere di fronte a persone con risorse interiori limitate, attraversate dal desiderio disperato di essere notate a tutti i costi... Spingendosi oltre, la superstar Warhol può anche essere visto come il precursore delle migliaia di persone comuni che sembrano spasmodicamente ansiose di svelare i loro segreti più intimi nei talk show televisivi" (10). Integrerei questa efficace osservazione con il riferimento alle persone che oggi solcano le strade vestite in modo esibizionistico, che sono anche "spasmodicamente ansiose di svelare le loro più intime" parti fisiche, talmente disperato è il bisogno di vedersi riflesse negli occhi degli estranei che camminano verso di loro. Ma sono tutti sazi di oltraggi; siamo stremati. I voyeurs potenziali hanno ormai visto tutto; pienamente consapevoli di ciò che si vuole da loro - i loro occhi che si accendono, il respiro che si blocca per la meraviglia - non ci pensano nemmeno a concedere altro tempo agli esibizionisti. Lo stesso Warhol non era una persona piacevole. Il suo genio consisteva nel saper riconoscere il vuoto della società, la fame degli esseri umani di essere visti. Sfruttava quegli individui che, felicemente, ansiosamente, avrebbero fatto o mostrato ogni cosa che permettesse loro di essere notati. Era il caposarto della fiaba moderna, che convinceva gli attori del fatto che la loro nudità e i loro estremi sessuali erano pieni di significato. La sua attrazione per le scarpe da donna - i suoi blocchi erano pieni di questi disegni - e la sua collezione di giocattoli antichi, nella mia mente, hanno sempre formato un'immagine di Warhol nella nursery. Il suo talento consisteva nel riconoscere il proprio vuoto in ogni altro individuo, e nel metterlo poi al suo servizio. Furono in molti ad eccedere in quegli anni. Alcuni morirono di eccesso di indulgenza verso se stessi, e molti di coloro che marciarono contro l'Establishment, fumarono e scoparono allo Sleep-In a Central Park finirono poi con il diventare ricchi o famosi, o più conservatori dei loro genitori. La mia amica Joanna, nel 1968, trascorse diverse notti in prigione per varie contravvenzioni del tipo che ho citato sopra; quindici anni dopo era vicepresidente di una grande impresa di Wall Street, che poi, nel 1990, lasciò per tornare a fare la mamma a tempo pieno e lavorare a casa. Oggi, lei e la sua bambina indossano abiti madre/figlia della stessa foggia. Dato che marciavamo in cortei diversi in giorni diversi della settimana, molte di noi avevano dei guardaroba complicati. La mia amica Kate, che lavorò a Grove Press, la casa editrice che aveva pubblicato "Il pasto nudo" di Burroughs, e poi a Random House, che stava pubblicando in quegli anni Stokely Carmichael, Abbie Hoffman e Tom Hayden, ricorda molto bene la complessità del modo di vestire: "Avevo un intero armadio pieno di abiti corti e sexy di Paraphernalia e di Electric Circus che indossavo quando andavo da Max's Kansas City o da Le Club, e poi avevo i miei jeans scampanati stracciati, con le piccole sciarpe da legare intorno alla gamba, le magliette rattrappite da portare senza reggiseno sotto per i raduni a Central Park". Ridiamo quando le ricordo della sera in cui il padre di un'amica ci aveva viste mentre lasciavamo la casa per andare al raduno; con la mano intorno al bel viso di Kate, disse: "Non la farete franca, non con una faccia combinata così". Ci sentivamo delle sovversive abbigliate in quel modo? "Neanche un po'", afferma Kate. "Quello che teneva insieme tutto questo era il sesso. Tutti facevano sesso in quel periodo. Prendevamo la pillola, o avevamo una spirale, qualcosa. Sia che stessimo marciano o ballando, in realtà stavamo tutti facendo sesso."
Anche quando la rivoluzione si contrapponeva in modo stridente all'apparire ben vestiti, il look che emergeva come simbolo di quella particolare ribellione diveniva altrettanto obbligatorio di quello che intendeva sostituire. Nonostante tutti i canti che celebravano la libertà e la necessità di essere se stessi, gli hippies e i Figli dei Fiori, con i loro capelli lunghi e i loro abiti smessi, la loro nudità, il consumo di droghe, gli eccessi sessuali, erano di una rigidità assoluta verso chi aveva un aspetto che non si adattasse a quello del branco. Alla fine degli anni Sessanta ero a Haight-Ashbury con una squadra munita di cinepresa che riprendeva la scena, e ricordo persone che venivano rifiutate alle feste perché il loro look era "sbagliato". Indossa qualcosa trovato per strada, di stracciato, di sporco, indossa una coperta, basta che non assomigli a "loro", una richiesta che aveva lo stesso sapore di uniforme del modo di vestire al country club di mamma e papà. Nelle parole di Timothy Leary: "L'essenza degli anni Sessanta era quella di un movimento populista, ma tra gli hippies vigeva un codice di abbigliamento più rigido di quello di West Point o di Park Avenue" (11). Una sera d'autunno del 1967, Michael Butler mi telefonò per invitarmi ad assistere ad un musical al teatro downtown di Joseph Papp. Michael mi aveva affidato il mio primo lavoro a New York, quello di curare l'edizione di una rivista chiamata Islands in the Sun. Non avevo mai scritto un articolo in vita mia, tanto meno curato l'edizione di una rivista, ma mi aveva assunto con la stessa spontaneità con cui poi acquistò Hair, un musical che era sul punto di venire sospeso e cadere per sempre nell'oblio. Da quella sera in poi, tutte le nostre vite cambiarono, soprattutto quella di Michael, che non avrebbe mai più indossato uno dei suoi abiti su misura. La sera prima che Hair fosse presentato a Broadway, un gruppo di noi sedeva al tavolo di un ristorante del Greenwich Village, dopo che il regista e il produttore avevano infine concesso che venisse lasciata ai singoli membri del cast la scelta di mostrarsi nudi da sotto l'impermeabile alla fine del primo atto. La sera di apertura, il pubblico sbalordito sobbalzò di fronte al cast completamente nudo - la prima volta sulla scena di Broadway. La mattina seguente, il critico teatrale Clive Barnes ebbe queste parole per lo spettacolo: "Fresco e franco... gradevole... il musical rock che l'altra sera ha ultimato il suo cammino faticoso da downtown, passando per una discoteca, ed è infine approdato, palpitando di amore vero e odorando di sudore e di fiori... Così nuovo, fresco e nient'affatto pretenzioso..." (12). Hair ha fatto la storia del teatro musicale; raggiunse il record di essere messo in scena nello stesso momento da ventuno compagnie sparse nel mondo; ma, ciò che è più significativo, Hair traspose in musica pop gli scismi che attraversavano la nostra società intorno alle questioni dell'omosessualità, della droga, della guerra del Vietnam, della libertà sessuale e razziale, scismi ancora attuali. Hair non creò il problema, aprì piuttosto una finestra che ci fornì una chiara visione retrospettiva di ciò che era in fermento da anni. L'uso in Hair della nudità e dei capelli lunghi non si riduceva ad un espediente teatrale; questi modi di apparire sono rimasti con noi per trent'anni per quello che ancora oggi rappresentano. Con seni e sederi nudi, Hair non fece altro che spogliare il contenitore umano sul palcoscenico di Broadway in un momento in cui eravamo moralmente e intellettualmente vuoti. Ci rivelò a noi stessi. Hair si autodefinì il "Musical Rock dell'Amore Tribale", quando, in realtà, c'era ben poco amore tra quelli che erano maggiormente coinvolti nella produzione. "Pace e amore" era lo slogan che compariva sulle labbra di tutti, ma non si trattava di una profezia che si autoavverava. Allo stesso modo della famiglia Warhol e di altri gruppi In che circolavano per la città, i loro membri ricavavano molto calore dal meccanismo dell'esclusione: "Noi siamo In e tu sei Out". È un gioco interessante in cui si impegnano gli esseri umani, che attinge molta della rabbia nichilistica che lo alimenta dai primi anni d'infanzia. Per quanto amassi gli anni Sessanta, rammento la crudeltà dell'aspetto sdegnoso di certi Insiders, che erano stati Outsiders fino a cinque minuti prima; ricordavano tanto quei gruppetti di bambine in cui due di loro ne escludono una terza, o le esclusioni tra fratelli, o i giochi di tipo edipico. Ma il fatto che noi praticassimo il gioco dell' In e Out nell'Era dell'Acquario, la dice lunga su quanto i figli della ricchezza del secondo dopoguerra e del maccartismo fossero impreparati a costruire una società fondata sull'amore.
Attorno alla metà degli anni Sessanta, prese il via una moda deprimente, di carattere diverso, che non ha mai conosciuto interruzioni. La gente iniziò a portare i nomi e le iniziali di altri sui propri vestiti. Un giorno stavo entrando da Saks sulla Fifth Avenue, quando vidi un gran movimento attorno al banco delle sciarpe di Yves Saint-Laurent, dove diverse donne lottavano tra loro per afferrare i grandi foulard di seta. Sì, erano belli da guardare, ma erano ricoperti di "YVS". Per quale motivo una persona dovrebbe pagare centinaia di dollari per mettere sul proprio corpo le iniziali di qualcun altro, un po' come acquistare delle lenzuola che portano la sigla di un estraneo? Ben presto divenne impossibile trovare anche solo una T-shirt che non avesse stampato sopra le iniziali di qualcuno. Fino a quel momento, le "LV" impresse sulle borse di Louis Vuitton della mia prozia Mildred erano state le uniche iniziali che avessi mai visto usare in quel modo. Oggi, le borse di Vuitton, un tempo usate solo da persone facoltose, si vedono ovunque; le segretarie risparmiano il loro denaro per comprare un esemplare delle borse a tracolla LV, in modo che la gente per la strada non possa sbagliarsi sulla loro identità; nel frattempo, la qualità dei prodotti Vuitton scade sempre più, in una logica che vede prevalere il profitto sull'orgoglio di produrre merce di un certo pregio. I clienti di Hermes, Gucci e Ralph Lauren si sentirebbero ingannati se le iniziali ben riconoscibili venissero rimosse dalle loro calze e dalle loro magliette. Come potrebbero farsi riconoscere dagli altri? Come farebbero loro stessi a sapere chi sono? La gente è così felice di essere In, di avere un'identità e di sentirsi dotata di un contenuto, da assumere con ansia l'aria arrogante e altezzosa che si accompagna alle celebrità vuote, dimenticando di non essere più Out solo grazie ad un potere d'acquisto di origine recente. È la cognizione del fatto di essere viste, guardate con invidia - anche quando simulano di dimenticarsi degli spettatori - a rifornire le persone In della sostanza che le rende irraggiungibili. Come ha fatto notare John Berger: "La felicità di essere invidiati conferisce glamour... Essere invidiati costituisce una forma solitaria di rassicurazione. Essa è legata precisamente all'assenza di condivisione della propria esperienza con coloro che ti invidiano. Si viene osservati con interesse ma non si osserva con interesse - se lo si fa, si diventa meno invidiabili... È questo che spiega lo sguardo assente, non focalizzato su alcun particolare, di così tante immagini piene di fascino. Queste persone guardano al di sopra degli sguardi di invidia che le sostengono" (13). I valori rigettati dalle rivoluzioni degli anni Sessanta esigevano da tempo una loro messa in discussione, ma quando la polvere si posò e il tempo passò, ci chiedemmo se non avevamo sostituito il vuoto con altro vuoto. Quando le femministe si misero a sbraitare contro gli uomini che reggevano loro la porta, stavano mettendo al bando una forma di cortesia che probabilmente indicava un gesto vuoto in un'epoca in cui le donne non avevano alcun potere. Ora abbiamo il potere ma abbiamo perso non solo il garbo racchiuso nel gesto di reggere una porta o una sedia, ma anche tutti gli altri modi, le forme di gentilezza, quei gesti di cortesia apparentemente privi di significato che sono però le regole di base su cui riposa ogni convivenza civile; una conversazione dai toni pacati sulla pace, la riconciliazione, la distensione, la preservazione di un matrimonio, può svolgersi solo ricorrendo alle buone maniere. Una volta le donne erano le custodi delle virtù invisibili; ora non c'è più nessuno che abbia il tempo o l'attitudine di chiedere e praticare la civiltà, termine da cui deriva "civilizzazione"; alle buone maniere contrapponiamo un "freddo voyeurismo" e un disperato esibizionismo. Nella sua enciclica del 1994, Papa Giovanni Paolo II si riferì agli anni Sessanta come al principio di tutti i mali che guastano oggi la nostra società la crisi della famiglia, l'AIDS, la diffusione dell'omosessualità. Tuttavia, a giudizio di alcuni di noi, l'editoriale di Howell Raines comparso sul New York Times riassunse quegli anni con maggiore accuratezza: "Gli anni Sessanta generarono una nuova politica basata sulla moralità, che enfatizzava la responsabilità individuale, allo scopo di parlare a voce alta contro l'ingiustizia e la corruzione... per porre fine alla più disastrosa avventura militare americana in terra straniera, la guerra del Vietnam. A questo
livello, gli anni Sessanta videro all'opera un esercizio di equilibrio mentale di massa, in cui i cittadini precedentemente senza voce di una nazione - i suoi membri più giovani - rovesciarono una politica di guerra che era, in realtà, pura follia... Nella sua intima essenza, la controcultura constava di una delle parole preferite dai conservatori: valori" (14). 6.6 - La rivoluzione sessuale versus il movimento delle donne. Suppongo sia per la loro concomitanza che tendiamo a pensare al Movimento delle Donne e alla Rivoluzione Sessuale come ad una cosa sola, ad una marcia splendida e indiscriminata per la libertà. All'inizio pensavo che fossimo tutte dalla stessa parte. Di certo apparivamo tutte nello stesso modo, con i nostri jeans e le nostre magliette, da cui spuntavano orgogliosamente i capezzoli di recente messi a nudo. Questo rendeva più facile presumere che fosse un unico grande movimento storico, insieme alle marce per i diritti civili e a quelle contro la guerra del Vietnam. Anche oggi, molti di quelli che vi parteciparono presumono che l'aspirazione ad una vita sessuale piena comparisse sull'agenda dei diritti delle donne. Nulla permise di pensarlo più dell'arrivo della pillola anticoncezionale, una chiara dichiarazione di indipendenza sessuale. Se si aggiunge il Movimento per la libera scelta, con la sua elevata visibilità e la sua risonanza, i cui vessilli proclamavano il diritto di ogni donna di controllare il proprio corpo, fu assolutamente automatico assumere che il femminismo fosse pro-sesso. Se si separano questi assunti, verrà alla luce la filigrana che è all'origine della attuale Guerra Tra Le Donne di oggi. Dapprima, i due campi sembravano essere quello delle donne tradizionali, che avevano una famiglia e che sceglievano di lavorare a casa, e quello delle Nuove Donne che iniziarono a popolare i luoghi di lavoro. Tuttavia, negli ultimi anni nuovi tipi di scisma ci hanno frantumato ulteriormente lungo altrettante linee di divisione, come la questione della vittimizzazione che, in particolare, ha diviso le femministe a tal punto che le nuove generazioni di donne sono restie a definirsi femministe, persino ad usare la parola. Mentre infuria la polemica, il tema del sesso diviene sempre più rilevante come spartiacque in base al quale definirsi. Non sapremo mai quanto terreno avremmo potuto guadagnare negli ultimi venticinque anni se le donne non fossero state così divise tra loro. Da una visione retrospettiva, sarei portata a sostenere che lo scisma tra movimento delle donne e rivoluzione sessuale è stato il nostro tallone d'Achille, soprattutto se si vede la sessualità, non solo l'atto sessuale, come una parte essenziale della nostra individualità. Le richieste rigide, improntate ad una logica di esclusione tipica del Femminismo Matriarcale anti-sesso e anti-uomo, non causarono soltanto la mancata partecipazione al movimento di donne che si sentivano obbligate a scegliere tra l'amore degli uomini e la Sorellanza, ma ebbero anche l'effetto di indebolire la motivazione di quelle femministe provviste di cartellino che si sentivano alienate dalle "sorelle" per la propria mancanza di lealtà, dovuta al fatto che continuavano a dormire con il nemico. Il libro del 1963 di Betty Friedan, La mistica della femminilità, andava al nucleo dell'errore che caratterizzava Il Sistema attaccato dal femminismo, un sistema che manipolava le donne attribuendo loro come unici ruoli e fonti d'identità quelli di moglie e di madre. La Friedan non dipinse mai gli uomini come il nemico, li vedeva piuttosto come vittime del medesimo sistema, controllati dai grandi gruppi d'affari, dalla pubblicità, dalle università. Se le donne comprimevano se stesse per adattarsi agli stereotipi presentati dalle riviste femminili, gli uomini si immolavano sulle scrivanie, colpiti da infarto in giovane età nella corsa per essere all'altezza delle aspettative che caratterizzavano l'altra faccia del patto sociale. Tra le donne che conobbi a New York e a Londra, città in cui sono vissuta nei primi anni Settanta, la libertà sessuale rappresentava l'essenza del nuovo femminismo. Ciò che la donna oggi non immaginerebbe è il fatto che la nostra nuova politica di libertà abbracciasse la dimensione erotica, l'idea di un'unione migliore tra i sessi, a cui noi donne avremmo portato il risveglio dei nostri nuovi desideri sessuali, diversi da quelli degli uomini, ma non estranei. Niente come la dimensione sessuale aveva esercitato un rigido controllo sulle nostre vite: una donna che decideva di concedersi i piaceri del sesso, poteva averne la vita distrutta. Ma ora, tutto intorno a noi - film, libri, abiti,
musica, ballo - ci incoraggiava a crescere, ad espanderci, a diventare quelle persone sessuali che forse avevamo segretamente sognato di essere. Sicuramente, questo era il cuore del nuovo femminismo. Non esattamente. Forse fu naif, ma all'inizio alcune di noi si dichiararono con passione vere femministe, lottando per l'uguaglianza politica ed economica, e, al contempo, amando gli uomini. Nella nostra mente, i nuovi orizzonti erotici e il femminismo si mescolavano; non posso esagerare la sensazione inebriante di quel mix, l'idea di sentirsi parte di un mondo di donne che cancella i suoi confini. Per la prima volta nella storia, avevamo il controllo della contraccezione. Le case editrici si affannavano a far firmare contratti alle donne per libri, poesie, articoli che elaborassero il modo di sentire delle donne; eravamo il nuovo continente da scoprire. Mentre i nostri lavori venivano pubblicati, e un numero crescente di donne si univa alla forza lavoro, si ribellava, se ne andava di casa, o "faceva le cose che sentiva di fare", sussisteva la tacita convinzione che nessuna idea potesse essere tanto oscura, o "sconveniente", da non essere accettata dalle altre "sorelle". Non avevo mai udito o letto qualcosa a proposito delle fantasie sessuali femminili. Molto bene, pensai, se il mondo vuole davvero sapere cosa pensano le donne, come siamo da un punto di vista sessuale, perché non scrivere un libro su questi pensieri erotici segreti? Era il 1969. Le mie stesse fantasie, a lungo represse, erano riaffiorate solo di recente dalla zona preconscia della mia psiche, in risposta all'aria permissiva che si respirava, e alla benedizione che la pillola aveva automaticamente dato alla nostra sessualità. Il primo indizio del fatto che avevo varcato la soglia di un territorio più tabù di quanto avessi mai potuto immaginare, fu il muro di diniego cui andai incontro nel corso delle interviste ad alcune delle donne più avventurose dal punto di vista sessuale che avessi conosciuto: "Cos'è una fantasia sessuale?" mi domandavano, guardandomi in modo assente. Desideravano sentirsi parte di qualunque aspetto riguardasse la sessualità, volevano dare un contributo alla mia ricerca, ed erano addolorate dall'eventualità che esistesse qualcosa di cui non erano a conoscenza e che si stavano perdendo. Ma l'esistenza di donne con fantasie sessuali esulava completamente dalla loro esperienza. Questi di Londra erano giorni trionfali, e la realtà sessuale non era mai stata più viva; collaudavo l'argomento del mio futuro libro durante i drink consumati all'Aretusa o da Annabelle's, e la reazione iniziale era di grande solleticamento. Ma quando una donna sposata si avventurò a descrivere le immagini che passavano per la sua testa durante il rapporto sessuale, la reazione sconcertata del marito provocò un silenzio generale. Oppure, ricordo quell'altra donna che si bloccò dicendomi: "Oh, credevo fossi molto soddisfatta della tua vita sessuale, dolcezza. Non pensavo che avessi bisogno di fantasie". Per qualche ragione, il motore interno che alimentava le fantasie erotiche suscitava invidia nelle donne e ansia negli uomini, come se fosse implicito che il fatto di nutrire delle fantasie diminuisse la vita sessuale vera di una donna, quando, in realtà, è piuttosto vero il contrario. Quasi niente è sessualmente eccitante quanto le suggestioni erotiche proibite, le associazioni mentali che risalgono ai primi anni di vita. Infrangere queste regole, che un tempo ci avrebbe procurato la perdita dell'amore materno - o così temevamo - ci porta sulla luna. Quando gli uomini vanno a prostitute, non chiedono di fare del sesso "comune", vogliono quello proibito. Anche per noi donne era venuto il momento di immergerci nel preconscio per giocare nelle stesse acque oscure. Ma ci volle ancora un po' di tempo. Dopo quattro anni trascorsi a intervistare donne, a scrivere articoli, a pubblicare annunci sulla rivista New York e sul Los Angeles Times, scoprii che il metodo più veloce per mettere le donne in contatto con le loro fantasie sessuali consisteva nel raccontare loro le mie e quelle di altre donne. Ovvero, nel dare loro il permesso. Eravamo state talmente educate ad essere Brave Ragazze che la sola idea di pensare ad un altro uomo mentre eravamo nelle braccia del nostro fidanzato, equivaleva in tutto ad un tradimento. Tuttavia, una volta lette o ascoltate le fantasie di altre donne, la sensazione di ricevere in qualche modo il permesso sovrastava l'abitudine alla negazione, l'impensabile diveniva accettabile. Quando racconto questa storia alle giovani donne di oggi, mi guardano incredule, visto che la letteratura, il cinema, la pubblicità e persino le conversazioni sono intessuti dei sogni erotici femminili.
La mia personale esperienza nello scrivere il testo di "Il mio giardino segreto" non fu meno carica di timori. La tensione che mi assaliva mentre ero seduta davanti alla macchina da scrivere era tale che mi costringeva a lasciare la stanza in cui lavoravo, ad andare in un altro luogo della casa per stendermi sul divano finché il mio battito cardiaco non tornava alla normalità. Eppure mi consideravo una donna completamente liberata; non ero stata forse l'ideatrice di questo libro, nonostante ciò che psicoanalisti e psicoterapeuti mi avevano detto, incluso lo psichiatra che teneva una rubrica sulla rivista Cosmopolitan "Le donne non hanno fantasie sessuali"? Quando inviai le bozze de 'Il mio giardino segreto' ad una redattrice della rivista Ms., una donna in compagnia della quale avevo partecipato alle feste dei giorni gloriosi degli anni Sessanta, ipotizzai che avrebbe trovato il materiale quanto meno interessante. A quei tempi, il suo impassibile esibizionismo sessuale era leggendario. In tutta risposta ricevetti una reprimenda concisa, ad una frase, che affermava: "Sarà la rivista Ms. a decidere cosa sono le fantasie sessuali delle donne". Quello fu il mio primo assaggio della presa di posizione anti-sesso del femminismo. Qualche mese dopo la pubblicazione del libro, su Ms. apparve una recensione in cui non solo venivo accusata di avere confezionato un libro carico di "sadismo sotterraneo", ma anche - e consentimi di citare testualmente - del fatto che "Chi è stato capace di scrivere quelle frasi assolutamente riprovevoli, ovviamente non è femminista; e questo costituisce uno dei problemi del libro in questione" (15). A distanza di vent'anni, riesco a sorridere di questo duro rimprovero, ma all'epoca ebbe l'effetto di levarmi il respiro e - mi dispiace ammetterlo - di farmi sentire umiliata, che era poi lo scopo vero di quell'attacco. Ma m'insegnò una lezione importante sulla Sorellanza che non ho mai scordato: si gioca con le loro regole, oppure non si gioca affatto. Fino a qualche anno fa, ero orgogliosa di definirmi femminista, rifiutandomi di far venir meno la lealtà ad un movimento in cui avevo sempre avuto un ruolo. Ma di recente, le Femministe Matriarcali, con il loro atteggiamento vittimistico, anti-uomo e antisesso, si sono appropriate così indebitamente della parola femminismo che, al pari di altre donne, molte delle quali decisamente più giovani di me, ho esitato spesso ad usare quel termine, anche se non ve n'è un altro a disposizione. Per un certo femminismo è assolutamente intollerabile il fatto che altre donne possano gustare il frutto proibito da cui esse, per motivi personali, si astengono. Uno dei primi slogan del femminismo recitava: "La libertà delle donne sarà anche la libertà degli uomini". Nel corso degli anni Settanta, quando tenevo lezioni nei campus universitari, citavo spesso questo slogan, spiegando poi in che senso i mutamenti nella vita delle donne avrebbero comportato anche la liberazione degli uomini. Ma i sentimenti anti-maschili erano già caldi, visto che alcune leader femministe si resero conto di avere bisogno di un capro espiatorio non solo per le ingiustizie sociali contro l'universo femminile, ma anche per quelle commesse dalle donne ai danni di altre donne. Scaricare tutto sugli Uomini Cattivi fu ciò che ne derivò. Capitava con una certa frequenza che, nel corso di quelle lezioni universitarie, qualche giovane donna arrabbiata balzasse in piedi e agitasse i pugni verso di me per il fatto che mi mostravo simpatetica nei confronti degli uomini. "Non ce ne frega niente degli uomini!" urlavano. "Perché ci vieni a parlare della loro libertà?" Un altro modo di tradire una devozione insincera alla causa della Sorellanza, era la ricerca di un genere di bellezza che rivelava platealmente un interesse sessuale per gli uomini. "Come puoi parlare di cose femministe e vestire a quel modo?" mi urlò una studentessa confusa di una piccola università dell'Indiana. Le mie parole sull'uguaglianza politica la esaltavano, ma i miei pantaloni grigi di flanella e il mio maglione di cashmere sembravano gridare: "A me lo specchio!" Uno dei miei primi ricordi della rigidità femminista riguarda un fatto accaduto ad una festa in cui io e una mia amica, l'attrice Joan Hackett, ci allontanammo dal resto del gruppo, finendo in un'altra stanza. Hackett, come amava essere chiamata, era una conversatrice molto brillante, ed eravamo nel bel mezzo di una chiacchierata quando diversi uomini entrarono nella stanza. Quando se ne andarono, si voltò verso di me e mi disse: "Tu cambi quando un uomo entra in una stanza". Benché le volessi molto bene e ne ammirassi il coraggio, quella sera
sentii in lei un difetto di intelligenza. Era una critica alla mia identità di femminista: ero impegnata in una conversazione con una donna e avevo mutato la mia espressione, o il mio modo di parlare, nel momento in cui si erano avvicinati degli uomini. Chissà quante volte mi è capitata una situazione come questa; ovviamente, proprio come quando "cambiamo" quando una persona anziana o un bambino entrano in una stanza, il nostro viso riflette anche l'arrivo di una persona dell'altro sesso. Non mutare aspetto all'ingresso di un uomo in una stanza - non fare qualunque cosa risulti naturale e spontanea - non ci rende migliori nella nostra qualità di femministe, al contrario ci desensibilizza, ci defrauda delle nostre reazioni autentiche. Ci sarebbe voluto più della sola parola femminismo per definire chi siamo state per un lungo periodo. La polemica intorno alle questioni del sesso e della bellezza non ha solo diviso le nostre fila per vent'anni, ma ha anche approfondito la divisione presente entro ciascuna di noi, tra Brava Ragazza e Cattiva Ragazza. Come per il rapporto che ci lega a nostra madre, temiamo di non riuscire ad essere noi stesse, dotate di una nostra sessualità, di una nostra individualità separata da lei, e, contemporaneamente, a conservare il suo amore. Un po' di anni fa stavo tenendo una lezione al YMHA a New York e mi capitò di citare le donne che mettono in atto le proprie fantasie esibizionistiche, una delle quali era quella di "mostrarsi in pubblico", di sedere sull'autobus con le gambe scostate e senza mutande. Un gruppo di studentesse sedute in prima fila che si autoproclamarono femministe, si mise ad urlare: "Sì, una donna può fare questo e nessun uomo ha il diritto di metterle un dito addosso!" Io commentai che mi sembrava che quella fantasia in particolare potesse rientrare tra quelle che è meglio lasciare al sicuro nella propria testa. Nella prima fila si scatenò l'inferno, con le donne che insistevano rabbiosamente nel dire che le donne possono fare tutto ciò che vogliono, mentre quei vigliacchi degli uomini non possono toccarle. Questo è diventato il femminismo, non la sicurezza in un mondo insicuro, ma la convinzione onnipotente travestita da "diritto" che permette alle donne di compiere ogni atto che passi loro per la testa, e, nel caso gli Uomini Cattivi decidano di attaccare, anche questo diventa una vittoria, perché non fa altro che mostrare che razza di creature malvage siano se paragonati a noi povere vittime indifese. Le femministe dovrebbero guardarsi indietro; la lezione da imparare non è quella per cui "tutti gli uomini sono dei bruti", ma quella per cui le donne devono assumersi la responsabilità verso se stesse. Il giornalista William Raspberry ha colto esattamente l'essenza di questo comportamento, scrivendo a proposito di "leader femministe che pensano sia impossibile riconoscere i seri progressi che si sono fatti verso la giustizia nei rapporti tra i sessi - non perché non vi sia stato alcun progresso, ma perché il loro potere deriva dalla loro capacità di continuare a ritrarre le donne come tante vittime" (16). Qui sta l'essenza della mia disputa con la Sorellanza: se il mio viso si accalora, i miei occhi si accendono e il mio polso corre più veloce quando una uomo entra in una stanza, perché mai dovrei provare il mio essere femminista reagendo agli uomini come se fossero donne? Man mano che le differenze tra i sessi diminuiscono, sento il bisogno di celebrare tutto quello che di opposto c'è tra noi e loro. La mia cara amica Hackett era una donna piena di rabbia; nel corso degli anni mi aveva raccontato della sua infanzia, della madre che aveva amato molto, ma verso la quale c'era stata chiaramente anche una grande quantità di rancore. Come molte di noi che non riescono ad accettare facilmente la collera che proviamo per la madre/le donne, trovava meno doloroso riversarla completamente sugli uomini. La separazione tra sfera sessuale e Sorellanza continua a svilupparsi. Agli occhi di certe femministe, non è possibile coltivare una relazione con un uomo che abbia un ruolo di primo piano nella nostra vita, ed essere contemporaneamente femministe. È come se Le Regole dell'adolescenza, secondo le quali ogni ragazza che riceveva più sesso delle altre veniva ostracizzata, non fossero mai scomparse. Questa clausola di esclusione è una diretta conseguenza dell'adagio infantile per cui Tre Bambine Non Possono Giocare Insieme, perché due di esse fanno sempre gruppo ed escludono l'altra. Uomini/sesso/bellezza accendono la competizione e distruggono il Gruppo.
Quanti milioni di adepte potenziali ha perduto il femminismo, donne che si sarebbero unite con gioia ad un'organizzazione che celebrasse i diritti delle donne, incluso il diritto di amare gli uomini, di lavorare in casa, e, sì, anche di perseguire la bellezza? "Spesso si sostiene a torto... che la sessualità è il nemico della donna che voglia davvero sviluppare questi aspetti della personalità [come l'iniziativa e l'ambizione]", scriveva Germaine Greer in L'eunuco femmina, "e questo è forse l'aspetto più ingannevole di movimenti come il National Òrganization of Women" (17). Abbastanza presto, Le Regole arrivarono a costituire il nucleo fondamentale della rivoluzione. Le Regolatrici divennero così brave nel lavoro di pattuglia per assicurarsi che nessuna oltrepassasse i confini stabiliti, che si trasformarono in dittatrici. Quasi venticinque anni fa, nel suo primo numero, la rivista Ms. dichiarò: "La Rivoluzione Sessuale e il Movimento delle Donne rappresentano due poli opposti nella filosofia, negli obiettivi e nello spirito... la cosiddetta Rivoluzione Sessuale è soltanto un anello della catena di abusi perpetrati ai danni delle donne nel corso della storia a dominio patriarcale" (18). Nel prendere le distanze dalla Rivoluzione Sessuale - no, permettimi di correggere - nel prendere le distanze da sesso e uomini, il femminismo ha vinto la battaglia e ha perso la guerra. Se il femminismo avesse abbracciato il tema della sessualità, avrebbe potuto diventare una grande forza educatrice per la promozione della responsabilità sessuale, insegnando alle donne ad amare il loro corpo in modo che venisse loro spontaneo insegnare alle proprie figlie la bellezza delle forme femminili e, in particolare, delle parti genitali. Quale impegno più ovvio per il femminismo di quello di celebrare la bellezza della sessualità, del nostro potere più grande, la capacità di dare la vita? Se lo slogan dedicato alle donne avesse detto "Noi proteggeremo i nostri corpi, rispetteremo i nostri organi genitali, per essere sessualmente responsabili, e per godere della nostra vita sessuale", le donne sarebbero state meno vulnerabili alle gravidanze indesiderate. Anche la castità avrebbe potuto essere un valore; preservare la propria verginità per rispetto della propria integrità, mentale e fisica, fino al momento in cui una donna non si sente pronta per il sesso, avrebbe potuto rappresentare un atto spirituale. E se il femminismo avesse mantenuto la promessa originaria per cui "La libertà delle donne sarà anche la libertà degli uomini", gli uomini sarebbero riusciti a sentire una qualche parentela con la nostra rivoluzione, ad individuare il significato che avrebbe potuto avere anche per loro. Sarebbe stato possibile per entrambi i sessi divenire consapevoli del fatto che l'Accordo Patriarcale, prodotto diverse generazioni prima, costituiva un vicolo cieco tanto per gli uomini quanto per le donne. Gli uomini l'avrebbero riconosciuto, e mentre sarebbe aumentata la competizione con le donne nei luoghi di lavoro, essi avrebbero sperimentato un alleggerimento del compito oneroso di provvedere costantemente al sostentamento economico. Se tutto questo fosse accaduto, più donne avrebbero abbracciato il femminismo, portando con sé i propri uomini. Ora avremmo il femminismo della famiglia. Disfandoci delle rigide definizioni che dettano quale sia il compito di un uomo e quale quello di una donna, ognuno di noi si sarebbe sentito libero di scegliere più naturalmente la sfera lavorativa che riteneva più adatta a sé - la casa o il lavoro esterno, o entrambi. Le ventenni e le trentenni di oggi, che hanno beneficiato delle varie rivoluzioni che abbiamo portato avanti, giocano con le questioni del sesso, della competizione e della bellezza. Il fatto che entrambi i sessi rimarranno nei luoghi di lavoro è un dato; ma i giovani di oggi si trovano menomati dalla nostra riluttanza ad affrontare l'argomento degli anni che conosciamo meglio, perché li abbiamo vissuti, perché siamo stati quelli che hanno cambiato lo status quo, quelli che, trent'anni fa, hanno capovolto il mondo. Sono tutti fattori legati, allora e adesso. Qui, oggi, sono ricomparsi i vestiti che indossavamo noi, sono tornati nei negozi. Quando una nuova generazione di giovani donne s'infila dei pantaloni scampanati e inciampa per le strade con gli zatteroni ai piedi, siamo di fronte ad un fenomeno che non si riduce alla moda che reinventa se stessa. La sera scorsa ho partecipato ad una festa in onore della pubblicazione del primo romanzo di una giovane scrittrice. La storia, ambientata negli anni
Settanta, narra di una donna la cui vita viene oscurata dalla sorella maggiore, una Figlia dei Fiori degli anni Sessanta morta in circostanze misteriose in Europa. "Perché gli anni Sessanta sono stati una tale fonte d'ispirazione e un tale fardello per le generazioni che sono venute dopo?" si legge nel risvolto di copertina. "Solo sciogliendo l'incantesimo dei fantasmi di un passato romanzato, [l'eroina] riesce ad entrare in pieno possesso del suo mondo... un viaggio essenziale per tutti noi." (19) È esattamente questo che sottendono i vestiti, il modo di apparire, i revival di quell'epoca, uno sforzo di comprendere cosa accadde allora, in modo da capire cosa accade oggi. Ci fu davvero una Rivoluzione Sessuale, e se c'è stata, perché l'amore tra i sessi ora è così compromesso? Perché le femministe di quegli anni, che hanno vissuto quegli anni, si scagliano oggi così rabbiosamente contro gli uomini? Cosa ne è stato della Pace e dell'Amore? Le giovani donne del nostro tempo sono confuse dal clima di invettiva che è stato creato attorno agli uomini e al sesso. La perdita della gioia sessuale è un fenomeno distinto dalla piaga dell'AiDS e delle malattie veneree. Queste ultime hanno compromesso le esperienze sessuali per conto proprio. Ma le donne controllano il sesso; senza il nostro consenso non vi sarà alcun sesso. Se la nostra vita sessuale è caratterizzata dall'irresponsabilità, se è accompagnata dalle accuse di abuso e di molestia, cui va aggiunto l'aumento straordinario del numero di donne che scelgono di avere rapporti sessuali con altre donne invece che con gli uomini, lo dobbiamo anche al femminismo. Pensa all'Abito, a quello delle favole, che ha proprietà magiche. Soltanto nelle fiabe il potere della bellezza riesce a sconfiggere l'invidia delle sorelle malvage/donne cattive. Nella realtà, ci vediamo fasciate nell'abito magico, ma poi non lo indossiamo per paura di suscitare la disapprovazione delle altre donne. L'obiettivo del femminismo non era la libertà? Al tempo in cui gli uomini erano il nostro buono mensa, e le donne il nostro mondo emozionale, la rivalità che sesso e bellezza suscitavano tra le donne costituiva un problema reale. Ora ci guadagniamo da vivere e possiamo avere quanti uomini vogliamo; anche in presenza del flagello delle malattie legate al sesso, potremmo praticare il sesso sicuro. Ma non lo facciamo. Le malattie veneree oggi costituiscono una piaga sociale quanto le gravidanze indesiderate. È chiaro che non è il sesso che vogliono le donne. Se così fosse, sarebbero responsabili e lo praticherebbero più spesso. Il fatto è che da quando il femminismo ha divorziato dalla gioia del sesso, le femministe storiche mantengono saldamente il controllo dell'universo femminile facendo degli uomini il nemico principale e tenendo le donne sotto la vigilanza e il potere di censura delle altre donne. Mai nella mia vita i vestiti hanno avuto il significato scottante che hanno ora. Il look sessuale ha rimpiazzato l'atto sessuale; l'obiettivo di essere visti, di essere guardati, rappresenta la realizzazione suprema. È d'obbligo creare un nuovo look ogni cinque minuti, in un mondo della moda impazzito, che si trova alla fine a stracciare i vestiti da una parte, mettendo in mostra le cuciture quasi nell'atto di cercare e scoprire, come è esemplificato dal look decostruito che è stato di moda per una stagione, solo per essere poi gettato nell'immondizia ed essere sostituito da reggiseni, corsetti e biancheria intima cucita sull'esterno dell'abito. Cosa andiamo cercando? Nei giorni bui della Società Patriarcale indossavamo gli stessi vestiti per anni, li tenevamo con cura. Ciò che indossavamo non aveva la stessa importanza di ciò che eravamo dentro. Non abbiamo ancora trovato un'alternativa all'Accordo Patriarcale. Il femminismo vorrebbe farci credere che la sua formula anti-sesso e anti-uomo rappresenti la Soluzione Finale. Ma la nuova generazione non ci sta, il che, per le femministe, fa sorgere un problema d'identità. Nel 1992, in un sondaggio di Time e CNN, il 50% delle donne intervistate rispose che non riteneva che il Movimento delle Donne riflettesse le opinioni della maggior parte delle donne. In un articolo comparso su Atlantic Monthly in cui venivano intervistati i direttori delle riviste femminili più importanti, la questione dell'identificazione delle lettrici con la parola femminista figurava decisamente come un fattore d'incertezza. Noi leggiamo un libro, ascoltiamo le chiacchiere ai cocktail party o alla televisione, memorizziamo l'ultima retorica rivoluzionaria, la traduciamo perfino in comportamento, e ci illudiamo di essere persone nuove, lontane anni
luce dai nostri genitori. Ma i sentimenti profondi, inconsci, assorbiti dai nostri genitori, il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, che essi hanno ereditato a loro volta dai propri genitori - e che diventa la nostra stessa coscienza - questi sentimenti cambiano lentamente, se cambiano. Trent'anni fa, sia gli uomini che le donne non capirono quanto tempo sarebbe stato necessario per cominciare a mutare un modo di vivere in cui ciascun sesso aveva trovato una propria identità nel corso di centinaia di anni. Nemmeno l'uomo più devoto alla causa del femminismo, per quanto possa sentirsi gravato dal dovere di provvedere economicamente, sessualmente e socialmente ad una donna, vuole perdere il proprio lavoro a vantaggio di un altro uomo o di una donna. La quantità di donne che oggi stanno lasciando il lavoro e stanno tornando al loro ruolo di madre a tempo pieno, o che desidererebbero farlo se potessero permetterselo, è un indicatore della lentezza dei cambiamenti a livello dei sentimenti più profondi, spesso inconsci, che ci dicono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il fatto che molti dei gozzovigliatori seminudi degli anni Sessanta e Settanta siano diventati i pilastri conservatori della società attuale, ci dice che le radici del cambiamento reale sono ancora poco profonde. Nulla evidenzia la lenta andatura del cambiamento quanto le tragedie associate al sesso, errori che forse si sarebbero potuti evitare se il sesso fosse stato messo in cima all'agenda femminista, a fianco dell'uguaglianza nei luoghi di lavoro. 6.7 - Femminismo versus bellezza e uomini. Era inevitabile che il Movimento delle Donne avrebbe finito per disfarsi della bellezza. E non si trattava soltanto dell'aspetto meccanico della faccenda, per cui sarebbe stato difficile marciare in tacchi a spillo e con borse cariche di cosmetici. La bellezza rappresentava la più preziosa moneta di contrattazione all'interno di un sistema che il femminismo cercava di superare, in cui erano gli uomini a detenere tutto il potere vero - quello economico. Il viso di una donna, il suo corpo, erano anche la sua assicurazione sulla vita, un certificato di matrimonio, un nome, una casa e una fonte di reddito. Di fronte ad una bella donna, era naturale aspettarsi di vederla al fianco di un uomo potente; l'accordo era perfettamente riconoscibile. Le donne perseguivano la bellezza con la stessa caparbietà con cui gli uomini morivano d'infarto sulle scrivanie, portando la loro resistenza fisica all'estremo per provare la loro virilità. Una madre scrutava il visino della propria neonata e vi leggeva il suo futuro. Ma anche la donna più attraente presto doveva rendersi conto che i suoi giorni di sole erano limitati. Sposa all'età di vent'anni (l'età media per il matrimonio nel 1960), la giovane moglie si levava al mattino e già vedeva il calare del sole. La bellezza doveva divenire politically incorrect se le donne dovevano immaginarsi come individui completi e indipendenti, senza un uomo al loro fianco. Nella nostra mente, dovevamo smettere di curarci della perfezione della nostra acconciatura, e costruirci una vita in cui saremmo state in grado di nutrirci e vestirci con soldi nostri, un'immagine, cioè, diametralmente opposta a quella riflessa dall'aspetto e dalla vita delle nostre madri. Il punto essenziale era non vedersi più come trofei della guerra di conquista maschile. Tuttavia, il più grande potere delle donne era e rimane quello di generare, allevare e modellare la razza umana. Ma era un potere che non poteva essere colto come tale. Da tempo immemorabile le donne erano totalmente dipendenti dal denaro degli uomini per sopravvivere, quale valore poteva avere la piena consapevolezza del potere della maternità contrapposta al fatto tangibile per cui la madre e i figli sarebbero morti senza il cibo e il riparo che "lui" procurava? L'equazione che legava il denaro dell'uomo alla bellezza e al potere di dare alla luce dei figli della donna, era troppo densa di implicazioni per consentire riflessioni pacate. Le donne governavano da dietro il ventaglio; governavano tramite la manipolazione fino al punto in cui era loro consentito. E se un uomo dalle grandi fortune economiche diveniva ad un tratto consapevole del maggiore potere acquisito con il tempo, si sentiva in diritto di venire ripagato con una donna più giovane e più bella. Non tutti gli uomini approfittavano della lievitazione dei loro patrimoni. Molti amavano le proprie mogli e le proprie famiglie, e sentivano tutto il potere insito nel ruolo ricoperto da una donna, memori di quello che la madre aveva un
tempo esercitato su di loro. I membri di una coppia spesso si rivolgevano l'uno all'altro con l'appellativo di "Madre" e di "Padre". Il presidente Reagan chiamava "Mamma" sua moglie Nancy. Nondimeno, non c'era alcun dubbio su come apparisse l'Accordo Patriarcale sulla scala della bilancia. Le donne opponevano resistenza nel riconoscere il potere intrinseco al ruolo materno. Ancora oggi resistono. Ad un livello conscio, non veniva percepito come una forma di potere, non era così che nostra madre considerava il compito di allevare i figli; ancora oggi permane il sospetto che se la maternità venisse dipinta come un "potere" piuttosto che come il "sacrificio" prediletto, le donne potrebbero perdere la loro posizione monopolistica nella nursery. Per quanto riguarda invece la messa in discussione del denaro di provenienza maschile, rimane il segno più sicuro di lite imminente, il punto debole di un matrimonio. Ancora oggi, gli avvocati specializzati in cause di divorzio faticano a convincere la moglie abbandonata della necessità di accertarsi dei guadagni del proprio marito in fuga. Può anche avere il braccio al collo in seguito all'ultimo litigio, ma si aggrappa alla convinzione che lui si prenderà cura di lei. Quand'ero giovane, le Brave Ragazze non discutevano mai di denaro. Non era da persone educate menzionare il costo di un'automobile, di una casa, perfino di un vestito. Anche quando noi donne, depositarie e professioniste del potere della bellezza, mettemmo in moto il femminismo moderno, non ci fu mai una discussione onesta e aperta su come potevamo ricorrere a quel potere a nostro beneficio. Era un tema troppo scottante da maneggiare. Al contrario, negli anni Settanta, il femminismo mise semplicemente fuori legge la bellezza, ne bandì il suo uso, il suo godimento. E per quanto riguarda le donne che venivano ai raduni truccate, che sorridevano in modo troppo invitante agli uomini, ci pensavano le "sorelle" a somministrare loro "il trattamento". Le rivoluzioni sono per natura intolleranti. Buona parte dell'energia necessaria ad attivare la marcia viene attinta alla carica elettrica fornita dall'esclusività che lega tra loro a filo doppio i rivoluzionari. Respingere quelle che non possedevano l'indumento giusto, il look appropriato, l'esatto sentimento politico, serviva a serrare le fila del Movimento delle Donne. Non erano valutazioni che si limitavano a ciò che si diceva, a come ci si comportava, ma che si estendevano anche al modo di apparire attraverso i vestiti che si indossavano. La mia coscienza femminista crebbe gradualmente alla fine degli anni Sessanta, ma ciò che leggevo e di cui sentivo parlare aveva degli effetti di risonanza ad un livello più profondo, più personale, e la risposta viscerale era "Sì, assolutamente sì!" Il femminismo che si sviluppò a partire dalla pubblicazione di 'Mistica della femminilità' di Betty Friedan giunse in un momento in cui erano molte le sirene a fare a gara per conquistarsi i nostri occhi e le nostre orecchie. Il mondo così come l'avevamo sempre conosciuto stava cambiando rapidamente, e quelle di noi che volevano cambiare con esso credettero che, per la prima volta nella nostra vita, l'originalità, e non la conformità, sarebbe stata la regola. La focalizzazione sull'uguaglianza economica faceva del femminismo il club adatto a me. Chi poteva mettere in dubbio la giustezza dell'obiettivo del pari salario? Quando ero una bambina, non si prendevano gioco di me perché mettevo da parte tutte le mie monetine, proprio come mi chiedevano perché mai non volessi sposare uno di quei "bravi ragazzi" che portavo a casa durante le vacanze? Per me era vitale il fatto di essere in grado di pagare l'affitto di casa e di essere economicamente indipendente dalla mia famiglia, nella consapevolezza che ogni dollaro che accettavo da loro comportava altrettanti lacci. Ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che capissi quanta animosità i miei pantaloni di pelle scamosciata suscitassero ai raduni. Mi rifiutai di non indossarli. Con il passare del tempo le regole antibellezza divennero anche più severe, e notai come le leader del Movimento delle Donne rifiutassero offerte di aiuto provenienti da donne potenti che lavoravano nel cinema, attrici dotate di grande bellezza. C'era evidentemente di più nelle posizioni femministe contro la bellezza di quanto potesse apparire. "Il problema che non ha nome", scriveva Betty Friedan, "per cui alle donne americane viene impedito di sviluppare la pienezza delle loro capacità umane sta costando al nostro paese, in termini di salute fisica e mentale, molto più
di ogni altro disturbo conosciuto." Quando oggi rileggo 'La mistica della femminilità', ciò che salta all'occhio è il, fatto che la Friedan non mise in agenda la posizione anti-uomo, antisesso e anti-bellezza che avrebbe successivamente caratterizzato il femminismo. Forse era inevitabile che alcune donne avrebbero concentrato la loro attenzione sugli uomini come il nemico responsabile di tutte le ingiustizie patite dalle donne, ma va ricordato che la battaglia femminista non iniziò in questo modo. Molte di noi che negli anni Sessanta avevano ballato e dormito felicemente con gli uomini, si risvegliarono negli anni Settanta scoprendosi marchiate dall'accusa di tradimento, come donne che non erano "vere femministe". Per quel che ne so, nessuna lo disse mai ad alta voce, o lo mise per iscritto, ma, alla fine, ogni tentativo di inseguire la bellezza, di attirare l'attenzione sul proprio corpo e il proprio viso venne bandito. Il sesso e la bellezza non possono essere separati, e dunque ogni uomo che si presentasse ad un raduno nei primi anni Settanta doveva essere dotato di uno stomaco forte, perché la retorica dell'odio anti-maschio era all'ordine del giorno. Ma esistevano degli uomini che erano buoni sostenitori della causa femminista e che lottavano per i diritti delle donne. Uno di loro mi ricorda un raduno politico tenutosi a New York negli anni Settanta per promuovere l'elezione di una certa femminista. "C'erano diverse centinaia di donne e forse una dozzina di uomini oltre a me", racconta. "Per due ore, diverse oratrici attaccarono l'establishment maschile in un modo che mi rese, come posso dire... nervoso? Quando tutto fu finito, la candidata balzò sul podio e allegramente gridò: 'Ora uniamo tutti le nostre mani e cantiamo "Ciò di cui il mondo ora ha bisogno è amore, amore, amore"'." 'La mistica della femminilità' ottenne la sua breve recensione sul New York Times a tre mesi dalla pubblicazione, e, in quella sede, il recensore si risentì per le "ampie generalizzazioni" dell'autrice, sostenendo che era "superficiale incolpare la 'cultura' della depressione e del senso di vuoto delle donne". Quell'anno, il libro fu sulla lista dei best-seller solo per sei settimane, senza mai riuscire a superare 'Happiness Is A Warm Puppy' di Charles Schultz. Ma nel novembre del 1963, la rivista Life l'avrebbe definito "un best-seller dall'oggi al domani, tanto dirompente per le conversazioni ai cocktail party e le discussioni dei club femminili quanto una bomba lacrimogena". Il mio primo ricordo di una di queste conversazioni da cocktail party riguardava un argomento che non avevo mai sentito affrontare da delle donne, e cioè la facoltà di parola. Un punto fermo della Società Patriarcale era rappresentato dal fatto che le Brave Ragazze non parlano, non alzano mai la voce. Nel Medio Evo, scrive Marina Warner, "la seduzione del discorso delle donne rifletteva la seduzione dei loro corpi; era considerato pericoloso per gli uomini cristiani, e condannato come atto improprio per sé" (20). La voce delle donne, al pari della loro sessualità, doveva essere soppressa. Ora, per la prima volta, ero in compagnia di altre donne a parlare del problema di far udire le nostre voci, di dare forma ai nostri pensieri e di esprimerli prima che svaniscano. Oggi può sembrare un discorso elementare, ma negli anni Sessanta era sconvolgente stare con un bicchiere in mano ad ascoltare altre donne che parlavano proprio della condizione che vivevo fin dall'adolescenza, quando per la prima volta iniziai a mordermi la lingua prima di verbalizzare le mie idee spontanee. "Il tempo di formulare una frase nella mia testa", diceva una donna, "e la conversazione è già passata ad un altro argomento." Tutte annuivamo concordi, mentre un'altra donna aggiunse che non era rara l'eventualità per cui, quando una donna diceva qualcosa di interessante, nessuno l'ascoltava, ma se una voce maschile diceva la stessa identica cosa dieci minuti dopo, tutti gli occhi si voltavano verso di lui, e sia le donne che gli uomini esclamavano: "Perché no, George, che magnifica idea!" Quella non era altro che la base del femminismo al lavoro, una reazione al libro della Friedan, che aveva messo in moto una rivoluzione. Non c'era bisogno di aver letto il libro per reagire all'aria che si respirava. Tre anni dopo la pubblicazione di 'La mistica della femminilità', nel 1966, la Friedan era ad una colazione ufficiale con un gruppo di donne che stava discutendo della mancata applicazione deliberata dell'articolo VII del Civil Rights Act, che proibiva la discriminazione sessuale. A quel punto della discussione, decisero di creare un
"NAACP per le donne". "Io scrissi la parole 'NOW' su un tovagliolo di carta", raccontò. "Il nostro gruppo dovrebbe chiamarsi l'Organizzazione Nazionale per le Donne', dissi, 'perché gli uomini dovrebbero farne parte.'"(21) La Friedan rimase presidente di NOW fino al 1970. Dato che, dopo la sua guida, il suo concetto originario di femminismo "amichevole con gli uomini" non sarebbe prevalso, permettimi di citare l'epilogo comparso nell'edizione del 1983, in occasione del ventesimo anniversario di 'La mistica della femminilità'; forse, dato il rinnovato interesse del nostro tempo per apparenza/moda/bellezza, può essere di una qualche utilità per quelle che hanno dimenticato, o per quelle troppo giovani per ricordare, che nel femminismo c'è stato un momento in cui le donne pensavano fosse possibile ottenere l'uguaglianza unitamente al piacere procurato dalla bellezza e dall'amore degli uomini. È ancora possibile. Questa è Betty Friedan: "Non potevo definire la 'liberazione' delle donne in termini che negassero la realtà sessuale e umana del nostro bisogno di amare, e anche, talvolta, di dipendere da un uomo. Ciò che bisognava cambiare erano i ruoli sessuali obsoleti del femminile e del maschile che disumanizzavano il sesso, rendendo quasi impossibile alle donne e agli uomini di fare l'amore, e non la guerra... Mi pareva che gli uomini non fossero il vero nemico - essi erano piuttosto vittime quanto noi, nel senso che subivano una mistica mascolina superata che li faceva sentire inutilmente inadeguati in assenza di belve da uccidere" (22). Ripensando al clima della fine degli anni Sessanta, alla rabbia e alla ribellione di cui le altre rivoluzioni circolanti riempivano l'aria, è facile capire perché il femminismo adottò il look della rivolta - jeans, stivali, capelli lunghi, un atteggiamento assolutamente contrario ai dettami della moda. Si poteva marciare contro la guerra del Vietnam e per i diritti delle donne nello stesso pomeriggio, senza mutare espressione o vestito. La mia amica Molly era in prima linea durante le rivolte finite nel sangue a Chicago nel 1968, ma non viaggiava mai senza i suoi bigodini caldi. Nel 1970, durante il cinquantesimo anniversario della marcia per il suffragio delle donne che si svolse sulla Fifth Avenue, furono 50.000 le donne che seguirono il corteo, ma anche gli uomini marciarono. Era ancora possibile essere una buona femminista e, contemporaneamente, amare gli uomini. Lo psicologo Warren Farrell, che divenne un attivista del movimento delle donne nel 1969, fece parte del consiglio d'amministrazione del circolo di New York City di NOW per tre anni. Oggi mi ricorda che "gli uomini erano presenti in quasi tutti i movimenti femminili che andavano formandosi, o partecipandovi singolarmente, o tramite organizzazioni supplementari come 'Men for ERA'. Betty Friedan e Karen De Crow - presidente di NOW dal 1971 al 1974 - dedicarono sempre molto, ma davvero molto impegno alla causa dell'uguaglianza tra uomini e donne, non solo ai diritti delle donne." Quando il femminismo escluse gli uomini dalla nostra lotta per l'uguaglianza, imboccammo una strada che finì per condurci all'attuale mentalità vittimistica; inoltre, ottenemmo il risultato di rafforzare gli elementi divisivi della Guerra Tra Donne. L'uomo moderno non inventò il Patto Patriarcale, piuttosto lo ereditò. Anche gli uomini soffrivano per le richieste sociali che venivano attivate nei loro confronti. Certo, controllavano il denaro, ma non era necessario essere chiaroveggenti per accorgersi che alla maggior parte di loro erano proibiti quei sentimenti essenziali per nutrire la propria esistenza: le emozioni della cura, dell'amare, della tenerezza, dell'empatia. All'inizio degli anni Settanta, Jessie Bernard scriveva dell'aumento del tasso di alcolismo, suicidio e morte tra gli uomini che vivevano senza una donna accanto. La donna che sarebbe succeduta a Betty Friedan come leader riconosciuta del Movimento Femminista, Gloria Steinem, in un certo senso condivideva questa posizione. Gli uomini, in qualità di amanti e di amici, avevano avuto un ruolo centrale nella sua vita, e non sembra che abbiano mai interferito con il suo femminismo. La figura della Steinem è la chiave di volta per capire la latitanza del femminismo sul tema del funzionamento dell'apparenza in un mondo dalle coordinate profondamente mutate. Lei conosce gli uomini, sa come usarli per ottenere ciò che vuole, sia sul piano politico che personale. Non è una critica. È normale ricorrere alle
risorse che si hanno a disposizione. Perché lo scambio tra denaro e politica dovrebbe essere più accettabile dell'uso della bellezza? Un membro della famiglia Kennedy esiterebbe ad utilizzare il proprio nome per trarne qualche vantaggio? Quando nel 1963 la Steinem era alla ricerca di un nome prestigioso che firmasse la prefazione al suo primo libro, intitolato 'The Beach Book', una raccolta spensierata di canzoni, rompicapi, enigmi, istruzioni per un'abbronzatura perfetta, per spelarsi le scottature da troppo sole, per costruire castelli di sabbia, si rivolse all'aristocratico John Kenneth Galbraith. Lui le fece una cortesia. "A parte il fatto che mi piace questo libro e la ragazza che lo ha scritto, potrei apparire come la persona più improbabile per scrivere questa introduzione" (23) egli esordisce. Tuttavia la scrisse. Trent'anni dopo venni a sapere che il suo amante, Mort Zuckerman, avrebbe prestato 1,4 milioni di dollari alla rivista Ms. Negli anni che intercorsero tra quei favori, ci furono diversi uomini e diverse donne che aiutarono personalmente e professionalmente la Steinem per vari motivi, non ultimo il fatto che era e rimane una bella donna. Perché una qualità, qualsiasi qualità, deve passare inosservata, indipendentemente dal fatto che sia associata con un periodo in cui la bellezza rappresentava il nostro unico biglietto d'accesso al potere? Se si dovesse scegliere un volto da accostare al femminismo moderno, sarebbe quello della Steinem; il ritratto sul francobollo postale emesso in onore del femminismo, sarebbe il suo. Non è assolutamente possibile comprendere l'ambivalenza odierna sulle questioni della bellezza e degli uomini e omettere le iniziative e le prese di posizioni di cui si fece promotrice la stessa Steinem. Non può essere esclusa dalla discussione perché è stata il generale e la Pinup Girl dell'esercito femminista. La sola immagine del suo viso sollecita il nostro ricordo del periodo in cui il femminismo stava diventando un fenomeno di massa. Il fatto che si tratti di un viso attraente, allora come adesso, conta. "Personificazione di una donna di potere", recitava la didascalia sotto una foto della Steinem a corredo di un articolo pubblicato su Time nel gennaio del 1969. "Una delle migliori partner di questi giorni da condurre con sé ad un party di New York", diceva l'articolo nell'apertura, "... uno dei nomi da lasciarsi sfuggire che fa più colpo - questa è Gloria Steinem. Non è solo una scrittrice freelance di successo... è anche una brunetta dai riflessi biondi ben curata, innegabilmente femminile, che è stata descritta come 'la Jean Shrimpton dell'uomo pensante'. Aggiunge fascino ai suoi morbidi completi e ai suoi abiti attillati, ha gambe degne delle minigonne che porta, e un cervello che tiene viva la conversazione senza renderla eccessivamente complicata" (24). In una delle foto che accompagnavano il servizio su Time, Gloria è seduta, le lunghe gambe nude degne dell'inserto centrale, certamente non presentando la tenuta e la posa che assumeva quando attraversava il paese per raccogliere "fondi e coscienza per quello stato d'animo ancora amorfo e rivoluzionario chiamato Movimento di Liberazione delle Donne" (25). Con questo non voglio muovere una critica di doppia personalità; esiste, come ci hanno sempre detto i nostri genitori, "un tempo e un luogo" per il potere della bellezza sensuale. Era utile per esercitare un'influenza su uomini ricchi e potenti, ma non era benvoluta ai diversi raduni femministi a cui la Steinem interveniva come oratrice, spesso in compagnia di una femminista nera. "Parlando insieme a centinaia di incontri pubblici", scrisse nella sua raccolta di saggi, Outrageous Acts and Everyday Rebellions, "speravamo di ampliare un'immagine pubblica del movimento delle donne largamente creata dal suo primo evento interno di comunicazione, La mistica della femminilità."(26) Secondo la Steinem, il libro di Betty Friedan era indirizzato alle "donne bianche, istruite, dei sobborghi", e, come tale, aveva un potere d'attrazione limitato. Benché alla fine la Friedan abbia appoggiato la leadership della Steinem, riconoscendo la necessità per il movimento femminista di avere alla sua guida una persona giovane e dialetticamente abile, i loro rapporti si guastarono. Il fatto che la Steinem fosse bella non nocque alla sua candidatura; il femminismo, all'interno dei mass-media, aveva la reputazione di un esercito di donne frustrate e poco attraenti che stavano dando libero sfogo alla loro
rabbia contro uomini che le rifiutavano. Un disconoscimento stupido, seppure utile ai media controllati dalla Società Patriarcale. L'arrivo di Gloria Steinem fu provvidenziale. Anche se lei, nel suo libro autobiografico Revolution from Within, può descriversi come una donna che non è mai riuscita a superare il proprio modo di vedersi come una ragazzina tozza e bruttina, in realtà rappresentò un gesto di sfida contro gli avversari del movimento, orgogliosa e affascinante come la testa d'albero su una bella goletta. "Si potrebbe sostenere che, per alcuni anni tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, esistettero due movimenti femministi tra loro in competizione - il femminismo liberale e il movimento di liberazione delle donne", scriveva Flora Davis in Moving the Mountain: The Women's Movement in America Since 1960. Nel secondo si annoveravano il New York Radical Women, le Redstockings, le Feminists, la Cell 16, Bread and Roses, e la SCUM (la Society for Cutting Up Men); erano gruppi di femministe più giovani, prevalentemente costituiti da ventenni che appartenevano al Civil Rights Movement, che risentivano del radicalismo dei campus, e che conducevano una lotta di opposizione alla guerra del Vietnam. "Quando fu il momento delle tattiche", scriveva la Davis, "queste giovani adepte pensavano in termini di disobbedienza civile - tattiche rivoluzionarie concepite per forzare cambiamenti rivoluzionari." (27) Gloria Steinem forniva ciò di cui c'era bisogno; era perfetta per la causa, perfetta per i mass-media costantemente affamati. "Litigavamo molto", disse la Friedan nel corso di un'interivsta del 1992, riferendosi al suo rapporto con la Steinem. "Io ero davvero contraria alla politica radical-chic e anti-uomo che lei sposò: 'Una donna ha bisogno di un uomo come un pesce ha bisogno di una bicicletta'... Non mi piacque quando andò alla League of Women Voters per sostenere l'ERA e, nel suo discorso, disse che tutte le mogli erano delle prostitute. Pensavo fosse una strategia politica scellerata, e la combattei dentro NOW e in generale nel movimento delle donne. Lottai contro i tentativi di deviare il movimento delle donne dal suo corso principale, e questo mi mise contro Gloria." (28) Con il passare del tempo, Betty Friedan sarebbe stata accusata di essere troppo tenera con gli uomini. L'organizzazione che lei aveva fondato, NOW, si sarebbe spinta anche oltre verso la militanza, e, nei primi anni Settanta, Gloria divenne il leader del femminismo. Il fatto che fosse una brava oratrice, carismatica, bella - nonostante gli occhiali scuri e i capelli che le coprivano il volto - la portava ad essere anche più di una figura d'alto grado e di spicco: "Strappatevi il cuore, ragazzi, lei è nostra!" Quando nei primi anni Settanta i gruppi marginali più radicali iniziarono a scomparire, NOW (e altre organizzazioni moderate come la AAUW) cominciò ad assorbirne gli elementi che non avevano altro posto in cui andare. Così, le organizzazioni si riposizionarono a sinistra e abbracciarono in pieno l'ideologia matriarcale (anti-maschio); alla metà degli anni Settanta, una buona metà di tutti i circoli di NOW sparsi per il paese si opponeva all'affido congiunto come assunto di partenza in una causa di divorzio. Nel 1970, Kate Millet apparve sulla copertina di Time, che citò brani tratti dal suo 'La politica del seno', e, quello stesso anno, venne pubblicato anche 'L'eunuco femmina' di Germaine Greer. Un gruppo di donne scrittrici ed editrici decise che "una rivista su carta patinata che apparisse ogni mese nelle edicole di tutto il paese poteva ingrossare le fila del femminismo di migliaia di donne." (29). Nel 1971, la rivista New York offrì un'anteprima della rivista Ms., e, nel gennaio 1972, il primo numero raggiunse le edicole e venne esaurito in otto settimane. Da quel momento, chi prendeva decisioni nei mass-media iniziò a prendere più seriamente le proteste del movimento delle donne. "Quando iniziarono a trattare il movimento con maggiore rispetto", scrive Flora Davis, "vennero scaricate le militanti più radicali... Alla metà degli anni Settanta, non si sapeva più nulla della maggior parte delle femministe radicali che avevano scritto libri e acceso i dibattiti nei talk show." (30) Nessuno è stato più politicamente sapiente riguardo al delicato tema femminista della bellezza della stessa Steinem. È interessante per il femminismo moderno il fatto che la sua leader più in vista abbia tentato per venticinque anni di
manipolare la propria bellezza in relazione alla necessità di "essere presa sul serio", e, contemporaneamente, abbia mantenuto rapporti intimi con vari uomini ricchi e potenti. "L'atteggiamento espresso dalla Steinem verso il proprio aspetto gradevole consiste nel desiderio che tutti lo ignorino - il che implica che chiunque mostri di notarlo la stia semplicemente trattando come un Oggetto Sessuale - ma le cose sono meno semplici di così. 'Non le piace questa idea di essere considerata un sex-symbol, tuttavia sembra che, in un certo senso, lo ricerchi forse senza accorgersene', dice la redattrice della sezione dedicata alle donne del New York Times, Charlotte Curtis."(31) La passione della Steinem per gli specchi è stata una componente evidente di tutta la sua carriera, e tuttavia è riuscita a dare l'impressione che il suo essere bella fosse irrilevante. Dopo aver riposto le minigonne dei primi anni Settanta, scelse di vedere la sua nuova identità femminista nell'immagine di una donna in jeans, dai capelli che ricadono sul viso, nascosto così da grandi ombre. Ma ciò che vide il resto del mondo fu una bella donna in jeans attillati, con capelli meravigliosi e occhiali scuri, dal fascino sicuro, e che in più parlava in modo molto persuasivo ed era seguita con venerazione da un esercito di donne. L'involucro era tanto più importante perché era eguagliato dal suo contenuto, un genio della leadership femminista che disprezzava pubblicamente gli uomini e la rincorsa della bellezza delle altre donne. Che colpo! Sedetti di fronte alla Steinem in un'intervista registrata nel 1989, quando iniziai le ricerche per questo libro. Lei non avrebbe potuto essere più amabile, più piacevole. Sentivo di rischiare continuamente di cadere sotto l'incantesimo della sua linea di ragionamento, tanto sono contagiosi la sua abilità e il tono materno con cui sembra persuaderti a seguirla abbandonando il tuo punto di vista personale. Quando le chiesi bruscamente di parlarmi della bellezza, di come la usava, se ne sentiva il potere o l'intralcio, mi rispose con un aneddoto: "Negli anni Sessanta c'era un lavoro alla rivista Life che volevo assolutamente ottenere. Arrivai con la mia cartella, e venni accolta da un uomo che mi squadrò e mi disse: 'Non vogliamo una bella ragazza, vogliamo una che sa scrivere'. Non ottenni il lavoro." La foga con cui, in Revolution from Within, Gloria Steinem affronta il capitolo Mort Zuckerman può rappresentare per quest'ultimo il prezzo che si deve pagare per innamorarsi di una santa; Zuckerman era solito dire che era più duro vivere con una santa che esserlo. Alla fine, dopo un lungo conflitto interiore riguardo al lusso delle limousines, alle grandi case negli Hamptons, al piacere in sé di essere la compagna di uno degli uomini più potenti di New York, mentre allo stesso tempo rappresentava il movimento femminista, Gloria optò per la Sorellanza. È stata una buona decisione. Credo sinceramente che questi saranno i suoi anni più felici, e anche quelli in cui più grande sarà il suo potere. Si è dichiarata libera dalla tentazione sovvertitrice della conservazione della bellezza e dagli uomini. Ora le sue seguaci l'hanno tutta per sé, quantunque abbia sempre ritenuto che esse non avessero mai dubitato del fatto che il suo cuore battesse solo per loro, e che gradissero la sua capacità di usare la bellezza per far guadagnare loro terreno, emolumenti e influenza politica. Mentre Gloria puntava sulla politica e negava la propria bellezza, Helen Gurley Brown pubblicava la propria versione di femminismo, che non vacillò mai. Apparire bella, andare a letto con gli uomini e fare soldi non ha mai reso meno femminista, per ciò stesso, la Cosmo Girl. Dal giorno in cui, nel 1965, la Brown assunse le funzioni di direttore di una rivista in pessime condizioni, rimase fedele alla formula che aveva escogitato, per dare vita ad una delle grandi leggende della storia editoriale. La Cosmo Girl - si noti che non è mai diventata una Cosmo Woman - venne creata dalla costola della Brown. Più la ragazza di Playboy che non una versione femminile di Playboy, la Cosmo Girl invita l'occhio a fermarsi, a scrutare con attenzione, a immergersi nella vista del capezzolo, dei peli del pube, mentre ti sfida a non distogliere lo sguardo, a non guardarla come un oggetto sessuale. La Brown non è turbata dal fatto che il suo tipo di femminismo collide totalmente con quello presentato dalla rivista Ms. ? Lasciamo replicare alla Cosmo Girl seminuda della tipica pubblicità a pagina intera:
"Sono una femminista? Sì. Femminismo significa che si vuole il meglio per entrambi i sessi, che ognuno, uomo o donna, abbia la possibilità di realizzare al meglio la propria personalità. Ci sono state delle iniquità nei confronti delle donne? Naturalmente, ma il nostro sesso ci sta arrivando... avvocati, medici, scienziati a migliaia, e questo è solo l'inizio. La mia rivista preferita sostiene che l'uguaglianza e la realizzazione sono punti cruciali per le donne, ma non bisogna smettere di amare gli uomini mentre si ottengono questi risultati. Questo vuol dire essere femminili. Amo quella rivista. Penso si possa dire che io sono Quella COSMOPOLITAN Girl" (32). L'unico aspetto di cui si preoccupa Helen Gurley Brown, per la quale scrissi il mio primo articolo pubblicato su una rivista, è la tiratura, ossia se la formula riesce a tenere il passo delle generazioni successive di donne che comprano la sua rivista. La tiratura non fa altro che crescere, raggiungendo quasi la vetta dei tre milioni di copie, facendo di Cosmopolitan "la rivista per giovani donne più venduta del mondo". Ha una tiratura cinque volte superiore a quella di Ms. Con grande riluttanza, la Brown ha accettato un ritiro forzato dalla vita attiva per il 1997, all'età di settantaquattro anni, dopo trentadue anni al posto di comando. Gloria e Helen sono rimaste sedute per anni, da una parte all'altra della città, a capo delle rispettive riviste. In base alle mie ricerche, Ms. non ha mai sfidato la filosofia di Cosmopolitan. Questo silenzio probabilmente infastidisce la Brown, una concorrente dura. Acutamente, Gloria non polemizza con la rivista femminile preferita in America: come accusare i grandi-cattivi-uomini-bruti di costringere le donne a comprare la loro bibbia mensile di sesso, moda, glamour e consigli? Chiuso nella sua formula ristretta, Ms. spesso è in lotta per la sopravvivenza. C'è poco senso dell'umorismo e, naturalmente, poca attenzione al desiderio umano di sesso e bellezza. Descrivere la devozione delle donne al romanzo come un'azione di "sostituzione", costituiva un'operazione molto simile a quella con cui la Steinem istruiva le sue seguaci rispetto alla devozione delle donne nei confronti della bellezza; è sempre stato un segreto noto a tutti che Gloria fosse un'amante degli specchi, ma i leader politici sono famosi per le loro incoerenze plateali. È davvero fastidioso che Gloria non sia capace di ampliare la sua visione del femminismo per accogliere altre voci, dissensi, discussioni salutari. È una leader altamente competitiva, ma, purtroppo, il suo genere di competitività è carico di negazione, un rifiuto del tipo "la mamma la sa più lunga", volto ad impedire alle figlie di essere in disaccordo, di crescere, forse di usurpare il trono. La nuova generazione di femministe non accetta ciecamente il suo assolutismo; ma quando esse polemizzano con le "verità" della Steinem, come quella esposta sotto, i loro libri e i loro articoli vengono bombardati dai personaggi influenti che controllano ancora i mass-media: "Non è tanto che le donne attratte dalla pornografia non possano essere al tempo stesso femministe", scriveva la Steinem in 'Erotica vs. Pornography', "quanto il fatto che la pornografia stessa dev'essere riconosciuta come un nemico della sicurezza e dell'uguaglianza delle donne, e perciò, a lungo andare, del femminismo" (33). E dal momento che la bellezza e il sesso sono così intimamente connessi, non sorprende che la Steinem non sia meno perentoria e assolutista a proposito del ruolo della bellezza nel femminismo: "Così, le donne che si profondono in tutti quegli 'Ooh!' e 'Aah!' davanti ai vestiti e fanno un gran chiasso intorno ad essi, riproducono un'immagine che così tanti uomini amano avere di noi - di 'cose piccole e tenere'. Giocare a quel ruolo significa in realtà contribuire alla disumanizzazione delle donne, dunque dovremmo smetterla" (34). Come spiegare allora la sua personale ricerca del potere della bellezza? Nel corso degli anni, il femminismo ha perso centinaia di migliaia di membri, perché le donne della Middle America non si riconoscevano più nel movimento. Le donne comuni volevano la parità, ma si tiravano indietro di fronte allo sguardo d'odio verso gli uomini e i discorsi di un femminismo che le avrebbe separate dai loro mariti, dai loro figli, dai loro amanti. È uno dei motivi più importanti per la nostra perdita dell'ERA nel 1982. La perdemmo anche per altre
ragioni, ma per me, la triste assurdità di tutto ciò stava nell'incapacità di entrare in rapporto con le donne che avevano scelto uno stile di vita tradizionale. Il femminismo non rappresentava un modo di vivere che corrispondesse ai loro desideri; molte di loro non erano tanto d'accordo con Phyllis Shlafly, piuttosto dissentivano dall'arroganza autoritaria delle "dure" che dettavano le regole del femminismo, Grandi Ragazze che, proprio come bambine di nove anni, non ti avrebbero lasciato giocare a meno che non si giocasse secondo le loro regole. Come la scrittrice Anne Tyler ebbe a dire nel 1982: "Molti fallimenti del movimento hanno le loro radici nelle persone che parlano in nome delle donne... Di base, io concordo con tutto ciò che dicono, ma mi scopro a desiderare di essere in disaccordo per il modo in cui lo dicono. Se persone come me, che sono a favore delle donne, si sentono respinte da questi modi, immagina le altre" (35). Nel 1980, donne come Raquel Welch furono rifiutate dai quartieri generali femministi quando offrirono il loro sostegno al passaggio dell'Equal Rights Amendment. Era il timore che la partecipazione lealista potesse essere minata da un interesse di natura sovversiva per il mantenimento della bellezza? La preoccupazione del femminismo circa l'illegittimità della bellezza continua per la semplice ragione che essa suscita competizione, quell'emozione di cui non è dato discutere. L'assolutismo ha inacidito il femminismo a partire dalla fine degli anni Sessanta, quando si udirono gli echi non di dispute salutari, ma di voci imperiose di donne, ciascuna a reclamare la proprietà della parola femminista. Nell'aprile 1992, al raduno in favore della libera scelta tenutosi a Washington, dove 500.000 persone marciarono per la libertà di scelta, Betty Friedan, la madre del Movimento delle Donne, non venne nemmeno invitata a parlare. Dice la Friedan: "Non mentirò. Mi ferisce molto sentirmi maltrattata dalle leader dell'organizzazione che ho contribuito a creare. Ma non farò la gioia dei media esacerbando le divisioni che ci sono tra noi. Devo ammettere che ci rimasi molto male per il fatto che non mi fecero parlare al raduno... È una sorta di processo di de-stalinizzazione all'interno del movimento delle donne - il loro tentativo di proscrivermi dalla storia, anche se non credo che questo accadrà" (36). Il "bandimento" della Friedan fu di cattivo gusto e di natura vendicativa. Ma queste donne non si rendono conto in quale luce mettono il "loro" femminismo nel momento in cui escludono la donna che ha capitanato per prima il femminismo moderno? Quando una Susan Faludi accusa la Friedan "di calpestare un movimento che creò e condusse con tanta fatica ed energia" (37), e in questo modo, diventa la nuova accolita della Steinem, è necessario osservare più da vicino: la Faludi si presenta come una persona molto mite, dalla voce sottile, quasi un sussurro. Non c'è pericolo per la regina; mentre la Friedan - d'accordo, può anche non essere una bellezza, ma crede nel proprio potere, è un'amante onesta degli uomini, e ha una voce stentorea. Perché un libro come 'The Beauty Mith' di Naomi Wolf ha chiamato a raccolta le donne delle università di tutto il paese? Offriva la tipica panacea per tutti i mali delle donne: i Grandi Uomini Cattivi mi hanno indotto ad inseguire la bellezza, ad affamare il mio corpo. Per quanto spazio i media dedicarono al libro, non si è però riusciti a distogliere le donne dall'obiettivo della bellezza, ritornato in auge nella metà degli anni Ottanta. Bellezza/sesso/uomini saranno i capisaldi della via d'uscita dal vecchio femminismo. È una buona strada; una strada su cui c'è dibattito, di cui si scrive e che si pratica, che ci sta già conducendo ad un femminismo più moderno. Scrittrici come Camille Paglia, Katie Roiphe, Christina Hoff Sommers e Nadine Strossen, per citarne alcune, con i loro scritti, hanno già avanzato una linea politica; segnali di fumo salgono dal vecchio quartier generale femminista per etichettarle come "pseudo-femministe", post-femministe, "faux" femministe, appellativi sciocchi e infantili che tradiscono la debolezza della vecchia guardia. Tuttavia, da questo esercizio di denominazione può scaturire una grande vittoria: alla fine ci porterà fuori dalla Giungla Semantica. Gloria, "la femminista più amata d'America", non appare meno bambinesca quando scomunica Camille Paglia e la scaccia dal Gruppo. Per il semplice motivo che un'altra donna dissente dalla sua linea è brillante, favorevole alla bellezza, al potere e al sesso, la Steinem la bandisce per iscritto dal "suo" femminismo.
"La cosa davvero importante è che noi abbiamo fatto sufficienti progressi per cui l'essere femministe non è più considerato una specie di attività di frangia" dichiara la Steinem. "Così, per anti-femministe come Camille Paglia professarsi femministe è un modo abbastanza efficace per sentirsi parte della corrente principale."(38) È un'osservazione che ha il sapore dell'incriminazione, ma trasuda anche arroganza e vanità nel suo potere schiacciante di ostracizzare alla cieca. La Paglia può essere una persona difficile, dittatoriale e anche egocentrica, ma se lei non è una femminista brillante, una combattente dalle armi costantemente affilate grazie al suo modo fiero e acuto di argomentare, allora io non capisco nulla di femminismo. Di sicuro le manca la capacità della Steinem di piacere, ma questo è proprio quel che fa di lei un grande contendente; appartiene a quella generazione di femministe che esprimono la propria opinione senza sentire il bisogno di giustificarsi, senza profondersi nei sorrisi da Brava Ragazza. Non è quello per cui abbiamo combattuto, un femminismo che incoraggi un confronto vivo e pulsante nel suo continuo dilatarsi e contrarsi, fondato anche sul disaccordo dei suoi membri? Se la Steinem non fosse così angustamente preoccupata dal controllo della propria leadership su un manipolo di femministe, e invece fosse capace di raggiungere i milioni di donne ansiose di sentirsi parte del femminismo, potrebbe ancora risultare vittoriosa. Ma non sa perdere, un prerequisito importante per una persona impegnata in una sana competizione. La paura di perdere la strangola, la spinge verso un irrigidimento sempre maggiore delle posizioni. Non è tanto un fatto di odio della competizione, quanto l'incapacità di maneggiare con grazia la sconfitta. Ama citare spesso il libro di Alfie Kohn, No Contest: The Case Against Competition; con esso, Kohn intende scuotere radicalmente le fondamenta dell'etica competitiva. Ma, come ha fatto notare un recensore del libro: "Kohn ci descrive la competizione nelle sue forme patologicamente eccessive. Per molti di noi, il piacere della gara rende l'esito irrilevante. È l'incontro, non il fatto di battere l'avversario, la sfida che eleva lo spirito. I giochi non hanno solo la funzione di socializzare attorno alla smania di vincere, insegnano anche l'idea dell'esistenza di regole imparziali e del gioco corretto... Nell'analisi [di Kohn] è implicita l'idea per cui se ci disfiamo della competizione, potremmo conquistarci un posto in paradiso... L'alternativa più probabile al diritto di competere sembra la perdita di tutti i diritti" (39). Dal canto suo, la Paglia è un'amante della competizione. Dal punto di vista intellettuale, è una profonda conoscitrice del ruolo potente della bellezza nella storia, avendo al suo attivo diversi lavori scritti sull'argomento, e coglie chiaramente il conflitto in cui si trova impigliata Gloria Steinem sui temi della bellezza e della competizione. Da un palcoscenico di Manhattan, di fronte alle telecamere di 60 Minutes, la Paglia lanciò la sua sfida a Gloria: "lo odio l'ideologia vittimistica. Disprezzo una visione dell'universo incentrata sul concetto di 'vittima', che, come sapete, è sintomatica del femminismo attuale". Continuò con l'accusare la Steinem di "aver soffocato le voci femminili di dissenso negli ultimi vent'anni" (40). Quando la troupe di 60 Minutes si presentò ad un seminario che si stava svolgendo in città patrocinato dalla Steinem, si trovò l'accesso sbarrato. "No, voi non ci farete domande per il vostro spettacolo su una donna antifemminista", si mise a urlare Gloria dal palco. "Noi non contribuiremo al dissenso. Questa è la nostra serata... Spegnete le telecamere. Non ce ne importa un cazzo di quel che pensa". È stata l'unica volta in cui udii la Steinem perdere il suo usuale sangue freddo. Il suo spirito competitivo, più volte negato, era stato sollecitato. Non abbandonerà il "suo" femminismo con garbo. 6.8 - L'inchiostro delle donne/il sangue delle donne Nella metà degli anni Settanta, si formò un gruppo di donne scrittrici di cui facevo parte, che, nel suo piccolo, rifletteva il meglio e il peggio del femminismo, contraddizioni innominabili che alla fine smembrarono il nostro club con la stessa crudeltà che avrebbe seminato una bomba piazzata al suo centro. Ci chiamavamo "Women's Ink" (41) e i nostri incontri avvenivano in modo informale ogni mese, nell'appartamento di una delle partecipanti, a rotazione, per socializzare e scambiarci idee di lavoro.
Non solo gli scrittori vivono dentro le loro teste, ma la maggior parte di essi passa il giorno da solo chiuso in una stanza, alle prese con pensieri che, in una forma o nell'altra, finiranno anche nei suoi sogni la notte. Sul piano professionale, sviluppiamo un attaccamento dai contorni naives (senza dubbio, esito di questo isolamento) verso i nostri agenti e i nostri editori, che ci piace credere abbiano per la testa innanzi tutto i nostri interessi. Tuttavia, anche quando apprezzano il nostro lavoro e forse anche la nostra persona, l'alleanza agente/editore/casa editrice, per ognuno di questi attori presi singolarmente, viene al primo posto. Ci si può dunque rendere conto di quanti vuoti un gruppo come Women's Ink potesse riempire, offrendoci un luogo in cui spettegolare, trovare consolazione, e discutere i meccanismi contorti dei contratti, delle dichiarazioni dei diritti d'autore, e dei giri promozionali per pubblicizzare i libri. Tuttavia, fin dall'inizio, in quei grandi appartamenti del West Side in cui ci riunivamo, era palpabile un'atmosfera elettrica intrisa di rivalità, che mandava a casa molte di noi con la sensazione di essere reduci dal trambusto frastornante tipico delle associazioni femminili. Era difficile individuare esattamente di che si trattasse, ma, ad uno sguardo retrospettivo, direi che fosse il classico modo di stare in gruppo delle ragazze portato all'ennesima potenza; c'erano le "star", le donne che pubblicavano molto, e noi mortali di minor importanza, o così ci sembrava. Circa quattro mesi dopo la nostra colazione ufficiale, si scatenò una lotta di potere per la leadership, non una competizione aperta e discussa, ma un processo di gran lunga più insidioso, come quando a scuola si promuovono le campagne di bisbigli contro qualche agnello sacrificale. C'erano le telefonate di mezzanotte, gli incontri segreti della cosiddetta Commissione di Governo, l'obiettivo della quale era fare ostracismo contro una certa donna dal piglio assertivo, per escluderla in puro stile "Tre Bambine Non Possono Giocare Insieme". Non intendo fare la parte dell'innocente, perché quando mi chiesero di partecipare a queste riunioni clandestine, ci andai. Ma tornavo a casa tutta tremante; era il periodo in cui stavo scrivendo 'Mia madre, me stessa', e la crudeltà di cui si macchiano le donne nei confronti di altre donne era proprio ciò che alimentava le mie ore di veglia e di sonno. Suppongo che fossi lusingata per il fatto di essere inclusa, ma oggi non sono esattamente sicura di quale crimine si fosse mai macchiata L'Incriminata, la bella bionda la cui testa era già posata sulla ghigliottina. Quel che è certo è che il vero motivo del contendere era il potere, ma, in qualità di donne cresciute da altre donne, non potevamo dirlo ad alta voce. Non essendo state educate a competere in un modo sano, questi incontri non erano improntati alla discussione franca, onesta. E tuttavia eccoci, femministe consumate con tanto di targhetta, che invece di tenere unito un gruppo che avrebbe potuto esserci d'aiuto dal punto di vista professionale, eravamo sul punto di sventrarlo. Una donna ebbe l'ardire di mettere in dubbio le leader del gruppo. Per di più era molto graziosa, aveva una forte personalità, e una vera attitudine alla leadership. Il suo peccato più grave: aveva infranto la regola tacita che proibisce la competizione. In una lettera di abbandono scrisse: "Qualche anno fa Nora Ephron scrisse un saggio sugli spray vaginali. Uno dei motivi per cui vengono venduti è: si può sempre far credere alla gente che in loro c'è qualcosa che non va. Colpiscili dove sono più fragili - nel loro senso di timore, nella loro paura di essere brutti, di avere un cattivo odore. Si può sempre far credere alle persone che se sono assertive, hanno un cattivo odore... Alzare la voce... una rabbia sana e il confronto diretto non costituiscono un mio problema. Questi sono il problema di molte donne che siedono al Comitato di Governo. Invece di ricevere le congratulazioni per l'aggressività dimostrata, mi venne detto che avevo bisogno di uno spray vaginale". Fu un brutto affare quella campagna per "dissolverla con lo spray", una piccola orribile guerra intrapresa da donne adulte. Non c'era alcun nemico "là fuori", nessun uomo malvagio su cui riversare la nostra cattiveria. Il nemico era interno, una crudeltà che, in un momento o nell'altro, ciascuna di noi aveva
sentito ribollire dentro di sé, solo in attesa di una vittima. Ed eccola: spruzzala! Il legame tra l'inchiostro delle donne e il sangue delle donne potrebbe non apparire così limpido, ma è parte integrante di questo libro. Ciò che noi donne ci permettiamo di affermare, di scrivere, è vincolato dai sentimenti più profondi che nutriamo per il nostro corpo. Il bisogno continuo di apparire pulite, di non umiliare noi stesse, ha un effetto di censura persino su ciò che ci permettiamo di pensare. Gli uomini non sparano sulle donne. Sono le altre donne le esperte in quest'arte. La recensione apparsa su Time del mio libro sulle fantasie sessuali, Women on Top, costituisce un classico esempio di trattamento dello "spray" a cui le donne si sottopongono a vicenda. L'articolo era intitolato "Batteries Not Included". La riga che più rivelava le insicurezze personali di chi recensiva era: "Sono andati i tempi delle fantasie prefemministe di uomini affascinanti, ambienti confortevoli, lenzuola pulite e servizio in camera" (42). "Lenzuola pulite"? Prego, signora, com'è possibile avere rapporti sessuali e mantenere pulite le lenzuola? In mite risposta alla denuncia di Time, il mio editore rimosse in tutta fretta il logo di Simon & Schuster dalla ristampa del libro. Sono passati quasi venticinque anni da quando Nora Ephron scrisse quel saggio, di fatto il tempo di vita del movimento delle donne. Forse eravamo portate a pensare che, con la crescita economica e sociale delle donne, sarebbe aumentata l'impenetrabilità al Trattamento dello Spray, che l'immagine che abbiamo di noi stesse si sarebbe lasciata alle spalle il timore ossessivo di inquinare l'ambiente tramite la contaminazione rappresentata dai nostri organi genitali. Mi dispiace dover riferire che l'industria degli spray intimi non ha mai fatto tanti profitti come ora. L'articolo della Ephron, intitolato "Dealing with the, Uh, Problem", venne pubblicato nel 1973 su Esquire. Dato che il "problema" è la chiave per l'immagine di sé delle donne, permettimi di riportare la citazione della Ephron delle affermazioni fatte dalla psicoanalista Natalie Shainess: "Questi prodotti [per l'igiene femminile] incoraggiano sentimenti paranoidi, nelle donne e negli uomini, nei confronti delle donne stesse - e il modo in cui sono pubblicizzati presenta un'immagine orrenda delle donne come creature intrinsecamente maleodoranti. Questo mina alla base il senso di sé e l'ego, anche se si suppone che il prodotto sia disegnato per porre rimedio a tale situazione." (43) Questa citazione, da quando fu pubblicata per la prima volta, mantiene intatto il suo valore anche ai giorni nostri. Manderemo una donna sulla luna e all'Ufficio Ovale della Casa Bianca prima di affrontare il tabù del nostro rapporto con i nostri organi genitali. L'unico cambiamento osservabile dal 1972 è che è fiorito il mercato per i prodotti dell'igiene intima femminile, e niente vi ha contribuito maggiormente della sapiente supervisione di donne che ora conducono i focus-group e scrivono i testi pubblicitari per quei beni di consumo. Non c'è nulla di più difficile del convincere le donne che tale soggetto attiene direttamente all'autopercezione, all'immagine di sé, a come ci sentiamo con noi stesse e ci vediamo allo specchio. Tutto è così soppresso, negato, "dimenticato" per l'intera vita, a cominciare dalla nascita, quando le nostre mani, i nostri occhi e i nostri pensieri sono stati distolti dalla zona del corpo in cui pulsa la vita del genere cui apparteniamo. Noi gareggiamo con gli uomini nella professione, viviamo con loro in seguito ad una scelta, ma in ogni momento del giorno siamo vulnerabili. Come la donna perseguitata nel mio gruppo Women's Ink diceva: "Possono sempre farci sentire che c'è qualcosa che non va in noi, che siamo brutte, troppo assertive, troppo chiassose, che emaniamo un cattivo odore". Tutto il successo e il potere del mondo non sono altro che polvere di fronte alla paura delle umiliazioni inaspettate, dei cattivi odori, del senso di fallimento come donna. Acquistiamo nuovi vestiti, curiamo a fondo il nostro aspetto, ma che chances possono avere un bel vestito nuovo, i capelli soffici, le gambe ben modellate, contro le infezioni che fermentano, gli odori, il sangue mestruale, un intero zoo di germi miscroscopici che minacciano di impossessarsi della nostra vagina e di esporci pubblicamente ad esclamazioni del tipo: "Cos'è questo odore?"
"Mettere le dita là dentro, inserire qualcosa là in fondo mentre si sanguina e poi rimuoverlo quando è pieno di sangue? Assolutamente no!" Questo era il risultato di un focus-group allestito per fare delle ricerche su un nuovo prodotto che avrebbe permesso alle donne di godere dei piaceri del sesso "senza impiccio" - durante il ciclo mestruale. "Semplicemente non volevano un prodotto che implicasse la necessità di capire dove inserire qualcosa dentro il loro corpo", riferì la persona che condusse la ricerca di mercato. "Non volevano dover allungare le dita all'interno e rimuovere il prodotto, entrare in contatto con il sangue mestruale." E i giorni in più di attività sessuale non venivano percepiti come un premio. "Sono abituata a non fare sesso per dieci giorni al mese", era il commento più comune. "Non voglio quei giorni in più di sesso, grazie tante." La maggior parte degli uomini non ha la minima idea delle dimensioni della nostra ansia relativa alla zona genitale. Anche noi prendiamo consciamente le distanze dalle modalità con cui quel tipo di sensibilità influisce su ogni altro aspetto della vita. Veniamo ingannate molto facilmente dall'aspetto delle Nuove Donne, dagli addobbi che adornano le esibizioniste seduttive che sfilano per le vie cittadine, l'orlo della gonna all'inguine, i capezzoli che s'intravedono sotto le maglie corte e attillate prescritte dai dittatori della moda di questa stagione. E gli uomini, ma anche le donne, ne rimangono folgorati, convinti del fatto che una donna che riesca ad indossare quei vestiti con un piglio così deciso, che trasmetta quell'aria di dominio, sia assolutamente sicura di sé, fino al midollo. Chiunque esibisca quel genere di atteggiamento ha evidentemente sotto controllo ogni aspetto della sua vita. O non è così? Talvolta penso che tutto il denaro guadagnato a fatica e poi investito in apparenza, costituisca l'ultima trincea della negazione femminile di come vediamo veramente le parti più intime del nostro corpo. Così rimaniamo a chiederci quale visione dell'essere donna esprima la Vera Donna del nostro tempo: ci ricorda continuamente la nostra vulnerabilità o è la nuova Eroina Puttana? Fa tutto parte del quadro, La Nuova Donna Al Potere è inseparabile dalla bambina insicura, è ancora schiava dei suoi genitali. Se saremo mai capaci di avere una visione corretta, con gli aspetti interiori ed esteriori del nostro essere che collimino tra loro, potremo scrivere il capitolo mancante più significativo del femminismo: impareremo a proteggerci sul versante della contraccezione. Nelle donne comprese tra i trenta e i trentaquattro anni, il 41% delle gravidanze sono non pianificate. E questo gruppo di età è proprio il frutto delle nostre fatiche degli ultimi venticinque anni. Ma nulla cambierà finché non ci decideremo a scandagliare i sentimenti femminili più profondi, inconsci, a proposito degli organi genitali. Per quanto i libri, i film e la televisione possano ritrarre la nuova Eroina Dark come sessualmente vorace, come una bella puttana che uccide e scopa "come un uomo", la menzogna si cela però al centro della sua immagine, come è evidenziato dalle dimensioni ormai gigantesche dell'industria dei prodotti per l'igiene intima femminile. Quell'Eroina è più un prodotto tecnologico che una Nuova Donna in carne ed ossa che ha costruito se stessa dall'interno, ossia al livello inconscio, che è il luogo in cui avvengono i veri cambiamenti. È un evento creato dai media, una creatura del nuovo mondo economico. Il suo look era inevitabile dopo che le nostre recenti conquiste non potevano più essere espresse dal Completo Blu Scuro Per il Successo. Noi donne volevamo qualcosa che mostrasse al mondo i risultati del nostro duro lavoro. E così eccoci nei nostri completi Armani, sicure di noi stesse, appena una sfumatura di arroganza. Ma ogni mese perdiamo sangue, emaniamo odore negli ascensori affollati, temiamo quella macchia scura sulla nostra gonna. Le nuove eroine cinematografiche possono fottere gli uomini fino alla morte sullo schermo, sbattere i loro seni nudi in faccia ai maschi, e lasciare a casa le loro mutandine, ma ciò che onestamente le donne pensano dei loro corpi si forgia continuamente alle immagini delle pubblicità televisive per gli spray vaginali, le irrigazioni interne, i disinfettanti, le creme anti-batteriche, insomma tutto ciò che promette di trasformare la fogna in un giardino. La nuova Eroina Puttana è scaduta da tempo; essa rappresenta il vero lato oscuro delle donne negato nelle nostre prime idealizzazioni. "Spara prima alle donne", insegna l'Interpol alle sue squadre antiterrorismo, perché le terroriste femmine
sono considerate più pericolose dei terroristi maschi. C'è qualcuno veramente sorpreso da questa annotazione? Il pubblico accetta che Linda Fiorentino vada in giro ad ammazzare uomini con i suoi tacchi a spillo senza perdere un sovrattacco. È la vita reale a fare paura, donne reali che mettono in atto il loro risentimento velenoso e la loro meschina rivalità, tutto mentre sorridono e assicurano: "Oh no, ci vogliamo molto bene!" La rabbia delle donne impregna l'aria, le Arpie sono dovunque; gli sceneggiatori ci hanno consegnato i film della Mamma Killer e anche quelli delle adolescenti killer, come Heavenly Creatures, la storia di due ragazze che uccidono a randellate una delle loro madri. Il fatto vero ha avuto luogo nel 1952, quando non c'era fame di film di questo tipo; oggi, le persone vogliono vedere com'è la realtà. Non bisogna trascurare il fatto che l'Eroina Puttana sia quasi sempre senza figli. Assomiglia più ad un'arma che ad una donna, e probabilmente non sanguina neppure, non potrebbe/vorrebbe concepire. Il suo disgusto si concentra tutto nella pallottola indirizzata agli uomini, artefici di tutto il male del mondo. Sono molte le ragioni per cui disprezza gli uomini, non ultima la loro incapacità di convincerla della sua bellezza, un'accusa che non muoverebbe mai alle altre donne. Gli uomini sono dei capri espiatori così facili; li accusiamo della brevità della nostra vita funzionale, racchiusa tra la comparsa della bellezza giovanile, la nostra capacità riproduttiva, e la cessazione di entrambe, e li accusiamo di non ascoltare le nostre voci. E tuttavia sono convinta che la nostra contesa primaria per il potere non veda gli uomini come avversari, ma le altre donne. E in nessun'altra arena come quella della bellezza, questa verità prende corpo più chiaramente. La parola lesbica non descrive tanto la curiosità sessuale che le donne oggi hanno l'una per l'altra. In questo caso, le donne rappresentano piuttosto l'una lo scavo archeologico dell'altra, in cui l'escavazione di organi genitali, seni, trama della pelle, è il luogo in cui cercare ciò che manca alla loro vita, qualcosa che gli uomini non possono dare. Avendo ereditato i diritti del femminismo, si chiedono per quale motivo non si sentono uguali, non tanto uguali rispetto agli uomini, ma rispetto alle altre donne. Dimentica le affermazioni degli uomini sulla bellezza di queste donne; è nella voce di lei che esse ripongono ogni fiducia, e nel suo bel corpo, con cui desiderano identificarsi. Ogni giorno, ogni mese, ogni anno, possono sempre scegliere di darsi all'amore e ai rapporti eterosessuali - il che è un privilegio femminile - ma, in primo luogo, hanno bisogno di udire quest'altra donna che dice loro, con la sua voce tutta femminile, di trovare deliziosi i loro organi genitali, dolci nel sapore, perfetti nel disegno. Poiché anche lei sanguina tutti i mesi, la sua voce è degna di fede. Nel romanzo 'Il colore viola' di Alice Walker, vincitore del premio Pulitzer nel 1982, due donne, Celie e Shug, diventano amanti dopo che Shug insegna a Celie a vedere la bellezza dei propri organi genitali: "Lei dice, Avanti, prendi questo specchio e guardati là sotto. Scommetto che non te la sei mai guardata, eh? No. E scommetto che non hai nemmeno guardato Albert [il marito di Celie], eh? L'ho sentito, dico io. Resto lì con lo specchio in mano. Lei fa, Ma come, hai vergogna perfino a guardarti da sola? E dire che sei così carina, dice ridendo. Tutta elegante per andare da Harpo, profumata anche, e hai vergogna a guardarti la passera. Allora vieni anche tu, con me, dico io. E andiamo in camera mia, di corsa, come due ragazzine sciocche. Tu guarda se viene qualcuno, dico io. Lei ridacchia. Va bene, dice. Non viene nessuno. Campo libero. Io mi sdraio sul letto e mi tiro su il vestito. Tiro giù le mutande. Mi metto lo specchio in mezzo alle gambe. Ugh! Quanti peli. Le labbra della passera sono nere. Ma dentro è come una rosa bagnata. È molto più bella di quello che pensavi eh? dice Shug dalla porta. È mia, dico io. Dov'è il bottoncino?
Su in cima, dice lei. Quel cosino che sporge in fuori. Io guardo Shug e metto un dito sul bottoncino. Sento un brivido. Niente di speciale, ma abbastanza per capire che ho toccato il punto giusto... Arrivano Albert e Harpo, dice Shug. E io mi tiro su le mutande e mi tiro giù il vestito, di colpo. Come se io e Shug stessimo facendo qualcosa di male" (44). Nelle fantasie sessuali femminili che prevedono la presenza di altre donne, la donna può definirsi lesbica, bisessuale o eterosessuale. In questo periodo, le donne provano pochi sensi di colpa o ambivalenza sia nel pensare a, che nello stare con, un'altra donna. L'interesse erotico tra donne permea le fotografie di moda che compaiono sulle maggiori riviste, i film, e club del tipo The Clit Club e Lesbo-A-Go-Go, aperti diversi anni fa, quando femministe più anziane vi si recavano per suggerire alle "sorelle" più giovani che stavano svalutando se stesse. Una bella ragazza semisvestita replicò con veemenza, come citò il Washington Post, "Sono assolutamente una femminista e non è degradante... Mi piace eccitare la folla, vedere le loro bocche" (45) spalancate. "Molte parti del corpo che le donne non amano di sé, sono aree che non guardano mai", afferma la psicologa Lonnie Barbach. "Per il fatto che pensano che sia brutta, nelle loro menti questa parte cresce a dismisura, finché non diventa grassezza. La bruttezza dei loro genitali diventa la pesantezza delle cosce, seni troppo piccoli o troppo grandi, qualunque cosa esse critichino del loro corpo." Ne 'Il mio giardino segreto', pubblicato nel 1973, comparivano pochi pensieri erotici coinvolgenti altre donne, ma in un momento imprecisato degli anni Ottanta, le donne cambiarono opinione intorno al sesso orale e al partner che avrebbero scelto, nella vita reale e nella fantasia. E questo anche nelle donne che non avevano alcun desiderio effettivo per il sogno erotico tipico delle lesbiche, e cioè la bocca di un'altra donna che esplori quella parte del corpo che più di ogni altra le squalifica nella gara di bellezza. Per quanto esperta possa essere la bocca di un uomo, il fatto che sia maschio e che perciò non possa afferrare il senso profondo di questa pratica la sensazione di essere abbastanza belle e deliziose che qualcuno possa aver voglia di mangiarci - lo rende automaticamente una seconda scelta. Nostra madre fu la prima figura ad accordarci permessi; soltanto qualcuno provvisto di vagina e clitoride può rovesciare l'opinione materna. Le sensazioni provate durante il sesso orale descritte da molte donne si avvicinano alla perdita di coscienza, e il grido dell'orgasmo è simile alle lacrime, come alla fine di un lungo viaggio. Il tempo a cui l'orgasmo dei rapporti orali ci riconsegna è quello in cui avvenne la contrattazione in cui rinunciammo all'amore del nostro corpo in cambio dell'amore della persona da cui dipendevamo integralmente. L'obiettivo della fantasia è di rimuovere il suo "No!", negarlo. La scena che fa da sfondo alle fantasie che animano il sesso orale spesso risale al tempo dell'adolescenza, quando le rigide regole antisesso furono messe alla prova per la prima volta; siamo dentro macchine parcheggiate, sulla spiaggia, in locali pubblici, la scoperta è imminente e il brivido delle cose proibite è così intenso da portarci al top. Per le donne, il sesso consiste nell'infrangere le regole della mamma, e questo è il motivo per cui l'effetto specchio degli organi genitali di un'altra donna, della bocca di un'altra donna, è così tanto potente. Lei ha conosciuto La Fogna nei suoi momenti peggiori, quando sanguina e l'odore è insopportabile. La maggior parte di noi ha imparato la lezione del silenzio in occasione del menarca. La questione del sanguinamento fluisce insieme al rispetto perduto per la voce delle donne. Dev'essere davvero molto oscuro, questo sangue, se nessuno parla del suo mistero. In silenzio, anche noi impariamo a contare i giorni così da non farci sorprendere impreparate dal flusso di sangue di cui non è lecito parlare. Nel mutismo carico di prudenza si mescola la repressione delle esplosioni di spontaneità che erano tipiche del nostro modo di essere. E se ci fossimo messe al centro dell'attenzione proprio nel momento in cui il nostro corpo era sul punto di tradirci? Nel 1970, ripercorrendo la storia di Kate Millet, il Time ne parlava come della "Mao Tse-tung della Liberazione delle Donne" (46). Nel suo libro 'La politica del sesso', la Millet sviluppa la tesi per cui il Sistema Patriarcale conferisce alle donne gli aspetti oscuri, maligni e sporchi della sessualità, mentre tiene
per sé gli attributi più elevati del sesso, come simbolizzati dal Fallo, emblema di fertilità: "Il patriarcato ha Dio dalla sua parte. Uno dei suoi più efficaci mezzi di dominio è il carattere potentemente sbrigativo delle dottrine concernenti la natura e l'origine della femmina e l'attribuzione a lei sola dei pericoli e dei mali imputati alla sessualità. È interessante, a questo punto, l'esempio greco: quando vuole esaltare la sessualità, celebra la fertilità con il fallo, quando vuole denigrare la sessualità, cita Pandora. La religione e l'etica patriarcale tendono ad accomunare la femmina e il sesso, come se l'intero fardello della responsabilità e del marchio d'infamia che attribuiscono al sesso esistesse per colpa della sola femmina. Per conseguenza, il sesso, che, si sa, è impuro, peccaminoso e debilitante, riguarda la femmina, mentre l'identità del maschio è preservata come identità umana anziché sessuale" (47). Capisco che lo zelo rivoluzionario esiga una visione del tipo "bianco o nero", ma venticinque anni dopo le donne hanno ottenuto un potere sufficiente a permettere loro di cogliere le sfumature, che corrispondono alla realtà delle nostre vite quotidiane. In questo terreno di mezzo, non riusciamo a vedere chi davvero sia il massimo responsabile dell'alimentazione della credenza per cui noi donne rappresentiamo il lato sporco della sessualità? Siamo noi che siamo state allevate a riconoscere l'oscenità della nostra identità sessuale, lezione che abbiamo appresa dalla bocca di altre donne, il che implica che solo le donne hanno il potere di mutare quell'immagine. Gli uomini non nascono odiando le donne; imparano a farlo. Esistono dei motivi alla base delle violenze e degli stupri commessi a danno delle donne, dei motivi alla base della rabbia che alimenta la molestia sessuale. Non è più importante conoscere i motivi che si nascondono dietro alla rabbia degli uomini, anche se implica la presa di coscienza di cosa devono provare gli uomini di fronte a donne che non hanno più bisogno di loro, che vogliono il loro lavoro, le loro palle, tutto? Una sera, durante le Olimpiadi invernali del 1994, mio marito ed io eravamo a letto a guardare le finali di pattinaggio artistico femminile, ammirati e sopresi dall'abilità e dalla bellezza delle atlete. Ancora pieni d'ammirazione, al termine dello spettacolo cambiammo canale, sintonizzandoci sullo show Saturday Night Live, dove l'attore comico Martin Lawrence stava cominciando il proprio monologo d'apertura. È possibile che, al giorno d'oggi, due adulti vaccinati possano ancora rimanere scioccati? Non si trattava solo del contenuto del monologo, ma del fatto che apparisse in uno show nazionale. Come dice il titolo dello show, si tratta di uno spettacolo "Live", il che significa che, a meno che non si fosse sintonizzati durante la trasmissione originale, buona parte del monologo di Lawrence, rapidamente ridotto, è andata perduta per molti. Vorrei precisare poi che non è stato facile ottenere una copia dello spettacolo; anche il funzionario della NBC a cui ho telefonato, un amico, ha incontrato delle difficoltà a procurarmelo, tale era l'ansia del network televisivo di seppellire la prova, in risposta alle reazioni degli spettatori che si sono sentiti offesi. Lawrence ed altri sono abituati a simili prove negli spettacoli trasmessi dalle televisioni via cavo, ma questa era la prima volta su un canale a diffusione nazionale. Gli uomini, soprattuto quelli giovani, sono arrabbiati con le donne e hanno scovato cartucce micidiali negli spot commerciali televisivi che reclamizzano l'umiliazione femminile. Vi presento Martin Lawrence: "Vedete, io sono single. Sono un uomo solo. Non ho nessuno; sto cercando qualcuno. Però incontro un sacco di donne là fuori - ne puoi trovare di belle, ma ti può capitare anche qualcos'altro là fuori, a questo proposito ho qualcosa da dire: alcune di voi non si lavano il culo nel dovuto modo... Ora, io non so cosa deve fare una donna per mantenere l'igiene del suo corpo. So che vedo le pubblicità delle lavande in televisione. E mi domando se alcune di voi leggono le istruzioni. Non credo. Perché io vengo a letto con alcune di voi signore, e sento certi odori, 'Aspetta un momento! Ragazza, senti questo, questa sei tu. Annusati, ragazza!' [Poi, rivolto alla telecamera:] Annusatevi! Tra un minuto dirò ad una donna: 'Fatti una lavanda! Fatti una lavanda!' Ad alcune non piace che glielo si dica, quando si è franchi con loro. 'Fatti una lavanda!'... Io dico, 'Non me ne frega niente cosa fai. Mettiti un TicTac nel culo! Mettiti un
Cert nel culo! Sembra un posto fottutamente adatto per uno Stick-Up su per il culo!'... Insomma, io sono un uomo; a me piace baciare le donne. Sapete, mi piace baciarle dappertutto sul corpo. Ma se non siete pulite nelle parti giuste, io non posso baciare tutti i posti che vorrei. Alcune donne ti lasciano andare giù, sapendo di avere un'infezione in fermento. Mi spiace. Spiacente! Forza con la pasta per il pane sulle nostre dannate labbra! Ecco una rondella e un croissant sulle labbra! 'Qualcuno ha del burro? Vorrei della marmellata sul mio' " (48). La componente comica aveva solo l'effetto di accrescere la rabbia celata nell'insulto. Da quella sera ho sentito o letto abbastanza testi per musica rap da raccogliere il messaggio: i giovani uomini non lo tollereranno più, il nostro Potere Femminile, il nostro disprezzo nei loro confronti. La Nuova Battaglia Tra Uomini e Donne fa progressi; ogni sesso ricorre alle proprie armi. La moda è diventata il teatro in cui travestire la nostra rabbia. Le modelle dell'anno passato, con indosso i loro corsetti da dominatrice, portavano fruste e coltelli adorni di pietre mentre percorrevano a lunghi passi le passerelle con i loro tacchi a spillo assassini. Fotografie a tutta pagina sui maggiori giornali di moda ritraevano modelli nudi, maschi e femmine, nell'atto presumibile di fare l'amore, o invece era una guerra? Ne risultava enfatizzata una minaccia di violenza, di pericolo, ma anche un senso di stanchezza, come se nulla contasse davvero. Modelle in abiti eleganti posavano dietro uomini in piedi davanti agli urinatoi, il travestito si trovava dovunque, ed è tutto divenuto così comune che nessuno solleva più dubbi. Uno spot televisivo recente della Diet Sprite mostra una donna "in carriera" che cammina fino al bar, si siede vicino ad un ragazzo, e dice: "Gli uomini sono tutti dei bugiardi. Ti dicono di amarti, ma non è vero. Dicono di amare i bambini, ma dimenticano di dire che ne hanno già due. Ti raccontano che il cerotto sul dito della fede nuziale è dovuto ad un incidente di pesca. Già!" Poi prende il bicchiere di lui, beve un sorso, e gli domanda cos'è, e lui risponde: "Diet Sprite". Lei gli getta la bevanda in faccia, lo chiama bugiardo, e si allontana a grandi passi. Quelli della Diet Sprite dicono a Maureen Dowd del New York Times che la pubblicità è indirizzata alle donne "indipendenti" che "seguono i propri istinti" (49). Più di vent'anni fa, in un libro intitolato 'Sexual Suicide', il conservatore George Gilder ammoniva sul fatto che, se le donne non fossero tornate alle cure del focolare, se non avessero lasciato i loro lavori, si sarebbe scatenato l'inferno, una previsione che si avvicina abbastanza a ciò che si è effettivamente verificato. Data la portata della rivoluzione, che è tuttora in corso, come potevamo aspettarci effetti minori? Dopo aver sciolto la donna dai vincoli del Patriarcato, si può notare quanto essa sia, sotto molti punti di vista, "proprio come un uomo". L'Eroina Dark, la puttana, la dominatrice di pelle vestita, la rabbia, sono sempre state lì. Quel che accadrà in futuro dipende dalle donne, dalla loro capacità di azzerare il conto con l'obiettivo della nostra collera; presto o tardi le donne dovranno affrontarsi a vicenda. Ma almeno sarà tutta là fuori, la rabbia, e non ingoiata come un tempo, finché non ci portava alla malattia. Il New York Times di domenica scorsa è stata una vera rivelazione! Non mi ero resa conto delle dimensioni del nuovo "universo sotterraneo del fumetto" in versione femminile, ritratto là, a colori vivi, sulla prima pagina della sezione "Arts and Leisure". Secondo la giornalista Roberta Smith, "L'universo sommerso femminile incominciò a raggiungere la massa critica nel 1990... Il loro lavoro costituisce uno dei ritratti più accessibili e più psicologicamente dettagliati del ventesimo secolo, delle molte forme e stili di vita femminili... Tutto, dalle crisi artistiche alle funzioni corporali diventa bersaglio consentito... Portato agli estremi, e solitamente con uno stile di disegno adeguato, il fumetto può rappresentare un meraviglioso canale di sfogo delle emozioni. Quasi ogni donna ha utilizzato il mezzo per dare sfogo a qualche forma di rabbia femminile... In una striscia memorabile della Di Massa, un uomo robusto si siede vicino a Hothead sulla panchina di un parco, lasciando incautamente scivolare la gamba fino a toccare quella di lei, un'esperienza nota alla maggior parte delle donne che viaggiano in metropolitana. Mettendo in atto un numero incalcolabile di fantasie dell'ora di punta, Hothead scaglia un'ascia e gli taglia l'arto dell'offesa... [Le donne fumettiste] ci forniscono la prova del fatto che le
donne sono soggette agli stessi sentimenti, tormenti e desideri degli uomini, e sono capaci degli stessi atti e fantasie inconfessabili... il loro lavoro solleva le donne dallo status dello zerbino... o del piedistallo e cerca di metterle allo stesso livello degli uomini" (50). Tutto questo può non essere politically correct, ma, nell'ambito di un nuovo mezzo di comunicazione utilizzato dalle donne, riflette un altro ritratto del Nuovo Femminismo. La Sorellanza preferisce conquistare terreno proiettando un'immagine degli uomini come esseri brutali e delle donne come buone, in un'operazione in cui si avverte molto poco senso dell'umorismo. Ma la commedia, insieme alla moda, è sempre stata una forma di espressione del cambiamento sociale. L'aspetto della nuova generazione di attrici comiche che appare regolarmente sul Comedy Channel costituisce un'altra indicazione eccitante delle divisioni interne al femminismo di oggi. Vent'anni fa ero alla ricerca di esempi di donne che osavano rischiare l'umiliazione che ogni comico deve affrontare. Solo Phyllis Diller e Joan Rivers avevano questi requisiti. Esporsi pubblicamente, scommettere con la possibilità della vergogna al posto dell'adulazione, che è esattamente il dilemma che un attore deve affrontare, va ad incidere su quella fonte di imbarazzo che circonda il corpo femminile che sanguina ogni mese. Cosa succederebbe se l'attrice si "macchiasse" mentre si trova sul quel palcoscenico, se raccontasse una storia comica del genere oltraggioso e sporco, e questa cadesse nel più totale silenzio? La nuova generazione di commedianti donne non scherza solo su sesso e violenza, entra anche nei territori proibiti delle mestruazioni e dell'aborto. Diversamente da Martin Lawrence, si prendono gioco di se stesse. "Tradizionalmente, le donne che fanno ridere la gente non sono femminili", afferma Gail Singer, il regista di un documentario sulle donne che recitano in una commedia composta tutta di assoli, chiamata Wisecracks (51). Questo genere di commedia "non è il posto adatto perché donne manifestino quel tipo di forza e di spirito". L'attrice Robin Tyler spiega: "All'improvviso, lei ottiene il centro della scena - e non è una ballerina catturata da un uomo, non è una cantante lirica che aspetta il compagno..." La comica veterana Phyllis Diller la mette in questo modo: "Guarda, la commedia è un atto aggressivo, ostile, e gli uomini vengono educati ad essere aggressivi e ostili. Le donne sono educate ad essere condiscendenti e a rimanere nell'ombra". Quando i comici maschi terminano i loro atti, dice la Singer, ci sono dei gruppi, delle fans, che li aspettano davanti alla porta del palcoscenico, ma "non avviene lo stesso per la donna comica straordinaria, efficace, di successo" (52). Quando assisto al numero di due attrici comiche che raccontano le seguenti barzellette sulle mestruazioni - di fronte ad un pubblico - vedo la storia nel suo compiersi. Se non le trovi divertenti, almeno prendi a cuore il fatto che una divulgazione sufficiente dell' "innominabile" contribuirà a diminuire la tensione sui visi femminili. Riferendosi al nuovo assorbente provvisto di ali che sembra spiccare il volo dritto verso il cielo negli spot televisivi, una delle attrici fa dondolare una gamba sopra un assorbente immaginario e finge di cavalcarlo come se fosse Pegaso. Oppure questa: " 'Con gli assorbenti Kotex, nessuno saprà mai che stai avendo il tuo ciclo' ", cita Jenny Lecoat da un annuncio pubblicitario. "Oh di certo! Finché non ti siedi di fronte alla classe e sei cinque centimetri più alta di tutti gli altri!... Ricordate quelli nuovi che dicevano che si potevano lavare nel water? Siamo tutte cadute per colpa loro, vero? Lava un assorbente nel water -come se si potesse lavare una televisione nel water!" (53). Sento questi pezzi comici e La Brava Ragazza della mia adolescenza si trova dinanzi la bambina esibizionista di dieci anni in cima alle mura più alte, dandomi l'impressione di essere ancora una persona intera. L'attrice Joy Behar asserisce che tuttavia ci sono alcune storielle con cui gli uomini possono farla ugualmente franca, e le donne no. "C'è un comico maschio di oggi che è assolutamente osceno e assolutamente letterale", dice. "Inizia con cose del tipo, 'Dunque lei mi sta succhiando l'uccello', oppure 'Così avevo la mia lingua sul suo culo'... Se una donna osasse dire cose del genere, verrebbe allontanata dalla citta" (54). Forse verrà il giorno in cui le donne racconteranno storie tanto oscene quanto quelle degli uomini, ma questa scelta dovrà spettare alle donne, così come a noi spetterà la scelta di ascoltarle oppure no. Non ci siamo ancora arrivati; le
Regole della Brava Ragazza puniscono ancora le "sorelle" per non aver fatto le cose che dovrebbero, e per fare cose che non dovrebbero. Gli ultimi vent'anni sono trascorsi nello sforzo di mostrare che eravamo in grado di lavorare esattamente come gli uomini, e, nel frattempo, abbiamo perso di vista le nostre differenze di genere, quelle che rendono le donne misteriosamente potenti, e così gli uomini, nella loro diversità da noi. Una pubblicità per assorbenti di tessuto lavabile recita: "Molte donne [dopo aver lavato i loro assorbenti] condividono l'abitudine di riconsegnare spontaneamente quest'acqua scrosciante alle loro piante e ai loro giardini con risultati sorprendenti". Un po' esagerato? Ma non è un messaggio in qualche modo più positivo di quello trasmesso per televisione dalla bella e giovane donna di Madison Avenue che confessa la propria esperienza di umiliazione quando il suo assorbente la tradì e lei fu costretta a legarsi la giacca attorno ai fianchi? Le donne hanno forse intenzione di continuare a seppellire la loro autostima nell'umiliazione e nel disgusto del ciclo mestruale? Un giardino concimato con il sangue mestruale può non essere una scelta per tutte, ma io sobbalzo all'idea di un'altra generazione di donne cresciute a forza di pubblicità che gioca con il loro disgusto al pensiero di toccare i genitali durante le mestruazioni. E cosa dire della Women's Tennis Association che ha recentemente respinto un'offerta di 10 milioni di dollari da parte della Tambrands (produttori dei Tampax) per rimpiazzare le Virginia Slims come sponsor? Sembra che le donne possano convivere con le sigarette che uccidono, ma non con qualcosa che ricorda loro il fatto che sanguiniamo una volta al mese, e, oh!, che umiliazione se una delle donne in campo macchiasse la sua uniforme immacolata! Una volta i corpi delle donne erano oggetto di venerazione. "La grande festa annuale di Afrodite nella città di Argo era chiamata Histeria, 'utero' ", scrive Barbara Walker. "Le tombe e i tumuli di epoca megalitica avevano la forma di 'uteri', affinché potessero far rinascere il morto. I passaggi di entrata a forma di vagina mostrano che le tribù neolitiche andavano incontro a problemi considerevoli nell'escogitare imitazioni in terra e pietra dell'anatomia femminile" (55). Negli anni Settanta Betty Dogson si fece un nome dipingendo grandi tele che ritraevano vagine e tenendo corsi di masturbazione rivolti alle donne. Mai accettata ufficialmente nel quartier generale femminista, insegna ancora masturbazione, una vocazione che nacque dal confronto silenzioso con il proprio corpo, quando, ancora bambina, un messaggio non verbale della madre le comunicò che i suoi organi genitali erano brutti e deformi. La Dogson si convinse del fatto che la masturbazione aveva allungato le labbra interne della sua vulva, sfigurandola. Finché non ebbe trentacinque anni e un divorzio alle spalle, si sentì troppo umiliata per permettere ad un uomo di vedere la sua deturpazione; poi, un amante, "un profondo conoscitore di fiche" come lo definì lei, la convinse a lasciarlo guardare da vicino e con le luci accese, e pronunciò il proprio verdetto di bellezza. "Aveva una pila di riviste per uomini e mi mostrò foto di donne che avevano genitali proprio come i miei!" esclama. "Fu un momento di grande trasformazione per me scoprire di essere normale. Tengo dei seminari in cui ci sono ancora delle donne che non si sono mai guardate gli organi genitali!" Sono tutti fenomeni tra loro collegati, le mestruazioni, la masturbazione, il rapporto sessuale e la contraccezione. Quando uno è sporco, tutti sono sporchi. Dato che la rivoluzione sessuale e la rivoluzione femminista si sono svolte contemporaneamente, e che alcune di noi sono scese in piazza per entrambe, crediamo siano una cosa sola. La verità è che il femminismo ha voltato le spalle al corpo, al sesso, agli uomini, e anche alla bellezza. E tempo di fare un passo in avanti. 6.9 - Vestirsi per il successo "Non ho nulla da indossare!" Il perenne lamento femminile dal tempo in cui Eva abbandonò il Giardino dell'Eden, assunse un nuovo significato quando eserciti di donne iniziarono ad entrare nel mercato del lavoro alla fine degli anni Settanta. Una donna in preda alla disperazione davanti al proprio armadio sovraffollato non era più una semplice barzelletta. Dopo generazioni di vestiti che avevano lo scopo di attirare l'attenzione degli uomini, le donne si trovarono di fronte al dilemma di cosa indossare per essere considerate alla pari degli uomini, ovvero delle colleghe di lavoro. Come non
essere viste come donne sensuali, ed essere invece prese sul serio? Essendo delle capofila, ci chiedevamo ansiose come dovessimo apparire allo specchio e quale dovesse essere il Nuovo Io, un'immagine completamente differente da quella valida fino ad un momento prima, ovvero il modo di apparire e comportarsi delle donne delle nostre famiglie e dei nostri gruppi di amiche. Non erano solo gli occhi maschili che dovevamo abituare a non concentrarsi su gambe e seno, anche i nostri avevano bisogno di addestramento. E dovevamo smetterla di paragonarci alle altre donne, di contrapporre il nostro aspetto esteriore a quello delle altre. A questo punto, fa il suo ingresso John T. Molloy e "L'Abito per il look da Successo". Siamo stati così immersi nella follia della moda degli ultimi anni che Molloy è scivolato nell'oblio, quando, in realtà, il suo Codice d'Abbigliamento per le donne, per quanto non bello, fu tuttavia una manna. Eravamo là nel bel mezzo degli anni Settanta, con i nostri jeans, le nostre gonne corte, le maxi-gonne, travestimenti inventati in reazione al glamour d'alta classe dei decenni precedenti, quando improvvisamente la retorica femminista, tutto il gran marciare in corteo e il bussare alle porte delle imprese, ci ripagò: le porte si aprirono. Insomma, forse non avvenne così all'improvviso, ma le donne erano estremamente consapevoli di non essere vestite nel modo appropriato, di non avere previsto che, pur non volendo essere considerate degli oggetti sessuali, dovevano comunque indossare qualcosa. Il Completo del Successo di Molloy verrà ricordato come il look delle donne che fanno il loro ingresso nei luoghi di lavoro, eserciti provvisti di scarpe pratiche, valigette alla mano, tutte con indosso l'abito blu scuro del potere, camicia bianca e, come si esprime Lily Tomlin "con qualcosa attorno al collo, una via di mezzo tra una specie di sciarpa, una specie di cravatta e una specie di collare che non rappresenta una minaccia per nessuno perché non ci sta affatto bene" (56). Era ovviamente la versione femminile dell'abito dell'uomo d'affari, e l'alacrità con cui le donne lo comperarono dimostrava quanto corrispondesse ad un bisogno disperato, evidenziando il dilemma di voler essere viste come una persona seria e in affari, non come la donna sexy in pantaloni e maglietta attillati, non come la Ragazza Courrèges in stivali bianchi, insomma come nessun'altra donna vista in passato, ma una Donna Nuova, uguale ad ogni altro uomo nell'esecuzione del proprio lavoro. Alla metà degli anni Settanta, non era possibile viaggiare in aereo e non notare che la metà delle donne a bordo era intenta a studiare il libro di Molloy. Oggi facciamo risorgere tutti gli stili antecedenti all'arrivo di Molloy, come se, infilandoci ancora una volta i pantaloni scampanati e l'intero repertorio Courrèges, potessimo trovare una spiegazione a come siamo arrivate a questo punto, perché ci sentiamo incomplete, arrabbiate; qualcosa manca all'appello, qualcosa che abbiamo dimenticato là da qualche parte negli anni Sessanta e Settanta, e non sappiamo che cosa. Il che non significa che Molloy avesse torto. Il suo completo ci fece passare per quella porta facendoci sentire più a nostro agio, e per molte donne funziona ancora. Ma i sessi ogni tanto sono mossi dal desiderio intenso di mandarsi segnali. Gli animali possono mostrare i propri organi genitali, alzare la coda, corrucciare le labbra, espandere il proprio corpo, pavoneggiarsi, emanare un odore. Noi indossiamo abiti, e usiamo il loro linguaggio per trasmettere messaggi; portando i tacchi a stiletto di oggi, gli stivali di lamé e i reggiseni in pelle tentiamo di dire, ricorrendo a codici semplici, che gli uomini e le donne vorrebbero escogitare un Patto Nuovo. Il fatto che ci rivolgiamo agli stili del passato, ripetendolo in ogni variazione possibile, potrebbe suggerirci che, per ritrovare la strada, gli uomini e le donne devono tornare ai canoni estetici del periodo in cui il gioco dell'accoppiamento era in fase di stallo, in cui le donne erano scese in guerra. L'uniforme di Molloy per quella guerra convogliava un atteggiamento: non guardarmi come si guarda una donna o un oggetto sessuale, ma come una persona che lavora; prendimi sul serio. Alla prima occhiata, sembrava disegnata per distruggere generazioni di giudizi fondati sugli sguardi. Le donne, al pari degli uomini, hanno sempre giudicato e valutato le donne sulla base di ciò che indossavano, immaginando la misura e la forma del corpo che vi si nascondeva. Noi donne siamo voyeuristiche nella stessa misura degli uomini, e benché a quel tempo avessimo appena cominciato ad esaminare gli uomini senza battere ciglio,
ci siamo sempre criticate spudoratamente a vicenda. La letteratura femminista vorrebbe farci credere che Il Completo del Successo fosse indirizzato soltanto agli uomini, ma la competizione femminile intorno al modo di vestire che esso permetteva di sopprimere costituì un fattore ugualmente importante. John Molloy aveva iniziato la sua ricerca sull'influenza dell'abbigliamento studiando le carriere degli uomini e delle donne nel mondo accademico, dove scoprì che ciò che un insegnante indossava costituiva un ingrediente estremamente importante della quantità di rispetto e di attenzione che egli o ella riuscivano ad ottenere dagli studenti. Quando allargò la sua tesi a tutto il mondo del lavoro, rilevò che i funzionari donna di alto livello incontravano delle difficoltà ad ottenere rispetto, cosa che lo portò a dedurre che per esercitare autorità, è necessario apparire autorevoli. Molloy predicava alle sue lettrici che, quando un uomo indossava un completo, era come se stesse esponendo un segnale: "Sono un uomo d'affari degno di rispetto". Negli anni Settanta, le donne nei loro armadi non avevano a disposizione soluzioni così semplici; l'uniforme proposta da Molloy prometteva di realizzare quel che Brooks Brothers e i completi di flanella grigia avevano realizzato per gli uomini. Dopo avere ampiamente testato in tutto il paese le prime impressioni e reazioni dei compagni di lavoro a determinati stili, Molloy decise i colori, i tessuti, i modelli, i tagli e le fogge d'abbigliamento che avevano prodotto l'effetto desiderato sui colleghi di pari livello e sui superiori negli uffici. Migliaia di donne seguivano con assiduità le liste di Molloy su ciò che era da considerarsi In e Out, i suoi ordini su ciò che non si doveva Mai fare e ciò che bisognava Sempre fare. Man mano che il libro di Molloy scalava la classifica dei best-seller diretto alla prima posizione, i suoi seguaci, disseminati in tutto il paese, s'impegnarono, in realtà, "a fare sì che le donne potessero disporre di un'uniforme professionale efficace come quella maschile, e dunque potessero competere meglio ad un livello paritario". Oggi è facile deridere quel modo di vestire, le borse per i documenti che sostituivano le borsette femminili, ma questa era un guerra. Molloy comprese che era necessario addestrare innanzi tutto le donne a vedere e a pensare a se stesse come a persone che non avrebbero ricevuto una seconda occhiata per la strada; queste donne furono la prima ondata dell'invasione. Ma alla metà degli anni Ottanta le donne iniziarono a desiderare qualcosa di più eccitante della formula inventata da Molloy; forse la nozione di "diritto acquisito" descrive efficacemente il sentimento di una donna che ha lavorato sodo, ha guadagnato del denaro e pretende una ricompensa. Le donne cominciarono a scoprire che pagare per un guardaroba scelto in prima persona costituiva un'esperienza esaltante: "Questa sono io", diceva tra sé e sé, scegliendo un capo più elegante del Completo Blu Scuro. "Ma l'industria della moda bloccò l'esperimento della creazione di abiti per gli affari in versione femminile", rimprovera Naomi Wolf, "e così andarono perduti lo status professionale istantaneo e la leggera mimetizzazione sessuale offerta dall'uniforme maschile. Lo spostamento della moda [rispetto al completo di Molloy] mise al riparo dalla crisi l'intero settore, e, al contempo, costrinse le donne a faticare di più per essere 'belle' e a faticare di più per essere prese sul serio." (57) La signora Wolf intende forse suggerirci che le donne lavoratrici, nel momento in cui si riconciliarono con il mondo della moda, erano semplici pedine e non erano protagoniste di decisioni consapevoli? Come afferma l'antropologa Lionel Tiger: "Non ho mai creduto alla teoria del lavaggio del cervello delle donne. Che facciano determinate cose perché vedono la pubblicità, perché vedono le persone alla televisione, perché gli viene detto di credere a certe cose. Ritengo che esse facciano ciò che vogliono, e quando le donne non avevano molto potere, volevano però la bellezza. E ora che hanno più potere, vogliono più bellezza. Questo dovrebbe suggerirci qualcosa; dovrebbe dirci molto". I miei primi sospetti riguardo al fatto che le donne non traessero sufficiente gratificazione dal Completo del Successo furono alimentati dall'Invasione dei Saloni di Manicure. Eravamo nella prima metà degli anni Ottanta. Nel suo modo sottile, fu un inizio toccante, questo ritorno inevitabile della bellezza che si insinuava furtiva per mezzo delle punte delle dita. Queste botteghe si diffusero
così rapidamente, ai piani superiori, ai piani bassi, compresse tra negozi più grandi, che un giorno mi svegliai trovandomele dovunque andassi - oggi, sono quasi 35.000. Prima dell'avvento del femminismo, l'unico luogo in cui era possibile fare la manicure era il salone di bellezza; ora, le donne di tutte le età facevano la fila per il tocco proibito di sensualità rosso-sangue. Il Completo del Successo forniva una copertura eccellente, ma come le coperte in dotazione all'esercito, il loro tessuto ruvido ricordava alle donne quella parte di sé che mancava all'appello. Prima del revival della moda, arrivarono le unghie laccate di rosso. E la lingerie sexy. Ah, la lingerie! La parola stessa non ha traduzione. La lingerie non è semplicemente biancheria, o "indumenti intimi", che tutti indossavamo in questo paese, perlomeno ai miei tempi, prima dell'arrivo del femminismo. L'America aveva scaffali e scaffali di reggiseni e mutande non stiro dall'aria insulsa, e di slip molto poco stimolanti dal richiamo sessuale nullo. Fu durante il mio viaggio in Europa che vidi quel che avevo sempre desiderato: la lingerie sexy. A Parigi e a Roma, all'interno di innumerevoli piccole botteghe, confezionavano su misura reggicalze di pizzo color caffelatte, slip di satin blu pallido con inserti di boccioli di rosa. La Duchessa di Windsor non era l'unica donna con la passione per le mutandine belle e sexy, per le canottiere di pizzo e i reggiseni delicatamente scolpiti che racchiudevano i seni come potrebbero le mani di un amante. Oggi esistono molti disegnatori di lingerie sensuale, e Victoria's Secret, che aprì i suoi primi magazzini nel 1982, ora conta 601 punti vendita disseminati sul territorio nazionale. Ma Ferdinando Sanchez merita il titolo di El Primo. Era la fine degli anni Settanta quando vidi per la prima volta su Vogue il suo capo di velluto nero e marabù? Al primo sguardo, si risvegliò qualcosa dentro di me, giù giù, dovunque abbia inizio l'orgasmo; toccò anche un angolo del mio cuore, il suo lato tenero, come poche cose sanno fare. Le maniche erano tagliate dalle spalle fino al polso e fasciate di satin nero, che avvolgeva anche la vita. Sedevo là, come oggi, davanti alla mia macchina da scrivere, con un paio di pantaloni dei più vecchi e malconci e un maglione logoro, la mia uniforme da scrittura; forse, proprio come la donna nel suo Vestito del Successo blu, sentivo il desiderio nostalgico del tocco del velluto, della seta e del satin sulla mia pelle. Il lavoro nutriva generosamente il mio spirito, ma l'altra parte di me si vedeva in quella creazione di velluto nero, anche se non c'era un luogo in cui potessi indossarla, tanto informale era la vita che conducevo. Lo acquistai in ogni caso. Lo indossavo mentre cucinavo per i miei amici, il vapore che arricciava il marabù mentre servivo la cena ad una lunga tavolata di uomini e donne che discutevano animatamente della politica del nuovo mondo che stavamo creando. A quelle di noi appassionate di lingerie sexy, sottovesti e bustiers non importava un bel niente se gli amici scuotevano la testa e sorridevano, come quando mi vedevano immersa nel vapore dei fornelli. Mi curavo di molte cose alla volta, del mio lavoro, della mia commedia e, non ultima, della mia vita sessuale. Ho ancora quel capo di marabù. Decanto le virtù di Sanchez come farei con un poeta. È stato un innovatore nel campo della bellezza sensuale, paragonabile al fenomeno del Completo del Successo. E aveva ragione; noi donne possiamo avere entrambe le cose, e questo è ancora motivo di impegno oggi - il mix di lavoro, amore e sesso. Per ironia, nulla evocò il nostro bisogno decisivo di una cosa così intensamente femminile come della lingerie di classe, quanto il nostro ingresso in massa nel mondo del lavoro. Le donne avvertivano un bisogno disperato di rassicurare il proprio io sessuale all'intensificarsi della necessità di sgomitare nella competizione che le vedeva contrapposte agli uomini e alle altre donne. Chi incolpa l'industria della moda per avere stornato l'interesse femminile dallo scialbo completo blu, mostra di non sapere cosa ci rende donne potenti. Ricordi la mia danza adolescenziale, la descrizione di come le ragazzine si svegliavano alla propria sessualità? Immagina, allora, un'altro tipo di danza, quella della donna adulta che si sveglia la mattina presto per andare a lavorare, che esamina il completo scuro appositamente progettato per nascondere le sue belle curve, per tenere lontani gli occhi e fare in modo che l'attenzione si focalizzi altrove, per esempio, sulle sue numerose conquiste professionali. Tuttavia, prima di indossare l'armatura, cerca il suo pagliaccetto di satin
nero, vi entra lentamente, facendo in modo che il tessuto leggerissimo scivoli sulle sue cosce, i suoi fianchi, il suo seno, fin quando le spalline sottili non sono al loro posto. Si guarda allo specchio, esaminando la bellezza che a nessun altro è dato di vedere, che a nessun uomo è consentito di ammirare. Ma per tutto il giorno, ogni volta che il satin lambirà il suo corpo, si ricorderà del proprio centro sessuale. C'è un elemento di tenerezza, ma anche di orgoglio, in una donna che spende molto denaro per una canottiera di seta e pizzo che solo lei vedrà. È un lusso privato, dal significato tanto più complesso nel momento in cui fa ritorno come oggetto d'investimento del denaro che guadagniamo personalmente, poiché parla della nostra identità; alimentiamo la nostra immagine sessuale nella stessa misura in cui abbiamo bisogno di nutrirci per vivere. Comprare la nostra bella lingerie, rispondere al fascino che esercita su di noi, è come dire: "Sono l'artefice del mio essere sessuale, sono la regina delle mie fantasie erotiche, e se decido di condividere queste fantasie o il mio corpo con un'altra persona, in quell'unione porto il potere della mia identità indipendente". Perpetuando la mentalità del Maschio Bruto, rendiamo molto più difficile del necessario la nostra comprensione degli usi possibili della bellezza. Per le donne è sempre stato un problema trovare un equilibrio tra quello che un tempo si chiamava "bellezza e cervello". La donna che decide di acquistare un completo elegante di Gianfranco Ferré dando fondo al denaro che ha faticosamente guadagnato e di indossare poi l'indumento incriminato nel luogo in cui lavora, sa cosa l'attende. Dovrebbe essere conscia di questi meccanismi, del fatto di avere tutto il diritto di portarlo e anche del fatto che sia normale che gli altri reagiscano; dovrebbe essere preparata a gestire quel che lei stessa mette in moto, in modo tale che ciò non interferisca con gli affari e non turbi la sua quiete. Deve essere conscia di attivare invidia e desiderio, forse anche un comportamento di molestia da parte di entrambi i sessi. (Sì, anche le donne molestano altre donne, talvolta sessualmente, talvolta attraverso comportamenti di rivalità.) Invece di educare le donne ai loro diritti e alle loro responsabilità riguardo agli usi della bellezza nei luoghi di lavoro, permettiamo alla piaga delle molestie sessuali degli uomini a danno delle donne di estendersi. E nemmeno gli uomini sono stati educati a fare fronte alla bellezza dai richiami sessuali in un ambiente lavorativo; e dato che siamo noi donne che decidiamo di portare la nostra sessualità in un ambiente asessuato, il peso della responsabilità ricade innanzi tutto sulle nostre spalle. Dopo avere portato la dinamite in ufficio, è necessario comprenderne il pericolo. Nessun uomo dovrebbe fare violenza su una donna. Ma qual è il nostro ruolo in questa trama? La bellezza sensuale è una forza che vuole eccitare, suscitare desideri, di sicuro una forza che esige attenzione. La bellezza sensuale ha le sue radici nel rituale di accoppiamento. Dunque, ci ritroviamo con il rituale dell'accoppiamento nell'ufficio, luogo deputato alla competizione, e in presenza di uomini analfabeti dalla nascita in tema di sguardi da rivolgere ad una donna sensuale, e, a maggior ragione, se si tratta di parlare o di agire. Non è una buona idea ordinare alle donne di tornare al loro Completo Blu Scuro. Così come non è giusto incolpare gli uomini per le loro azioni sconvenienti e mandare completamente assolte le donne. Siamo tutti coinvolti. L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro costituisce un passo nel cammino evolutivo della società e dovrebbe essere affrontato come tale. Una delle mie eroine del primo femminismo moderno era il procuratore Flo Kennedy, una persona sincera, che rifiutava di blaterare certi slogan senza senso o di abbandonare alcuni accessori di bellezza. "Lo smalto per le unghie o le ciglia finte non fanno parte della politica" ebbe a dire nel 1974. "Se si ha in testa una buona strategia politica, quel che indossi non ha alcun significato. Non prendo lezioni da certe piedipiatti che pretendono di fissare degli stili secondo i quali dovrei vestirmi come una signora di mezza età. La mia politica non dipende dal fatto che le mie tette si trovino dentro o fuori da un reggiseno." (58) Durante un raduno svoltosi nell'incantevole ristorante Four Season, in cui indossavamo tutte la divisa composta da jeans e stivali, il messaggio di fondo di tutti i discorsi sulla conquista delle cariche politiche da parte delle
donne, era che esse, semplicemente per il fatto di essere donne, avrebbero portato automaticamente onestà, bontà e pace al mondo intero. Incapace di tollerare oltre quella retorica, la Kennedy si alzò in piedi con calma e disse: "Per favore, diamo un taglio alle cazzate". Si rifiutò anche di abbandonare le sue unghie laccate e la sua pelliccia di volpe rossa, finché, come disse lei stessa, non venne "rubata ad un raduno". Se noi donne non impareremo ad usare il potere della bellezza in modo più efficace, gli uomini ne faranno presto il proprio territorio di conquista e ne godranno molto meglio i frutti. Gli uomini sono dovuti scendere a patti con il potere della bellezza dai tempi dell'infanzia trascorsa accanto alla madre, quando sentivano molto chiaramente che il bisogno di nutrirsi della sua bellezza si rifletteva su di loro. Con il passare del tempo, un uomo ha poi imparato a conquistare una bella donna tutta per sé, ma oggi non ci accontentiamo di lavorare al suo fianco, siamo anche in concorrenza per quel potere monetario che un tempo era completamente sotto il suo dominio. Avendo sperimentato la potenza della bellezza, conoscendone le dinamiche, ora egli vi ricorrerà da professionista. Mentre le donne sono intente a litigare per decretare chi sia la femminista più pura, gli uomini fuggiranno con la corona della bellezza, lasciandoci a competere per la loro conquista, forse a lavorare per mantenerli, a consumarci le piccole dita fino all'osso, rimpiangendo il giorno in cui non abbiamo appreso ad usare la bellezza in modi più vantaggiosi. Il femminismo dovrebbe smetterla con i suoi tentativi di ridimensionare la questione ed incominciare invece a studiare i meccanismi di funzionamento della bellezza. Bisognerebbe organizzare conferenze, tavole rotonde, simposi in cui discutere i molti usi della bellezza, sconsacrare le vecchie negazioni. Non siamo più così inermi come all'epoca del dominio Patriarcale, quando la bellezza rappresentava la nostra unica risorsa nella contrattazione. Se non la finiremo con questo gioco al massacro reciproco per quello che indossiamo o non indossiamo, perderemo di vista proprio la realtà contro cui abbiamo marciato in corteo venticinque anni orsono, quella vita piena di limitazioni in cui ci costringevamo a rivedere di continuo i nostri pensieri prima di esprimerli, in cui stavamo in piedi davanti ad uno specchio abbottonando e sbottonando la blusa, incerte su quanto osare esibire del nostro decolleté. Allora, come adesso, non avevamo paura della censura maschile, bensì di quella esercitata dalle altre donne. Chi può essere dotata di tanto potere da arrogarsi il diritto di stabilire una linea relativa a come dovrebbe apparire una femminista? Naturalmente, alcune di noi hanno fatto ritorno nel regno della bellezza. Ciò che dovremmo domandarci è perché qualcuno non può sopportare il fatto che una di noi si guadagni il centro della scena. L'invidia è un sentimento nefasto, e può essere gestito solo quando lo si riconosca. Ci troviamo a questo punto: paghiamo l'affitto delle nostre case, siamo responsabili di cariche pubbliche, amministriamo grandi aziende, ma ancora ci lamentiamo del fatto che Madonna, la Streisand, o chi per loro, feriscono a morte il femminismo ostentando un abbigliamento vistoso. Madonna si è inventata da sé e non ha mai sentito il bisogno di giustificare il proprio esibizionismo sessuale. Al contrario, ha fondato un impero con un enorme seguito di fans che traggono coraggio dal suo esempio. Ovviamente, una donna che combina successo economico ed esibizionismo sessuale è circondata dall'invidia. Qualunque sarà il prossimo personaggio che sceglierà di incarnare, il successo più strepitoso Madonna l'ha ottenuto con i giovani, che hanno riconosciuto in lei un tipo di femminismo più onesto con cui era possibile identificarsi. In una società che tende a compartimentalizzare ogni cosa, una donna che riesca a combinare intelligenza, bellezza e sessualità e a trarne un profitto economico, racchiude in sé una grande forza politica. Un'altra donna che si trovò presa nella rete del conflitto tra bellezza e potere economico è Diane Sawyer, che ha tratti di riservatezza tipici degli anni prefemministi. Prima di divenire molto famosa con 60 Minutes sulla CBS, scriveva discorsi politici alla Casa Bianca. Un giorno d'autunno del 1987 saltò fuori con una foto a doppia pagina davvero magnifica su Vanity Fair. Ah!, ho pensato io, ecco una bella donna che si gode i piaceri dell'esibizione del proprio fascino, che se li concede nel momento in cui si è guadagnata questo diritto sul piano professionale. La fotografa Annie Leibovitz l'aveva ritratta in una posa
languida, orizzontale, con indosso un pigiama (non trasparente), la testa gettata all'indietro e la famosa chioma bionda che ricadeva a cascata. Non ci volle molto tempo perché le forze combinate dell'invidia e della competizione si radunassero per poi sfidare apertamente la Sawyer - che in quel momento stava trattando per un altro contratto -con l'accusa di "essersi spinta troppo oltre", di avere dato un risalto eccessivo alla sua bellezza sensuale, di essere stata "poco professionale". L'uomo con cui viveva all'epoca disse che lei aveva temuto queste critiche, che la sera della foto era rientrata a casa torcendosi le mani, rimpiangendo di essersi fatta convincere dalla seduttiva Annie Leibovitz a posare in modo così fascinoso. Una sera, durante una cena, notai che chi la criticava era davvero senza speranza. Dal gran baccano sulla stampa, sembrava avesse posato nuda. Gli altri convitati, tutti dirigenti nel settore dei media e in quello editoriale, mi attaccarono energicamente: "Una presentatrice televisiva, una che legge le notizie e vuole farsi prendere sul serio, non può, non dovrebbe mostrare la propria bellezza in quel modo, così generosamente! Ne andrà di mezzo la sua carriera!" Per la verità, successivamente la Sawyer firmò un contratto da 7 milioni di dollari con la ABC, un grosso incremento rispetto al suo stipendio precedente. La foto servì o fu d'ostacolo? Decidi tu! Per quanto riguarda la Sawyer, purtroppo si affrettò a tagliare i bellissimi capelli, gesto che personalmente interpretai come una sorta di autopenitenza. Ma rimpiango la voce data al potere della sua bellezza - magnificata in modo decisivo dai capelli - unita allo status professionale ed economico. Ci vorrà un'altra generazione, quella di chi sta emergendo oggi, maschi e femmine, per saldare le nostre diverse fonti di potere in un'unica vita. Sta' sicura che, lungo la via, assisteremo a dei sacrifici umani, molti di essi aventi a che fare con il parrucchiere, come nel caso di Hillary Rodham Clinton, per cui politica e ciocche di capelli sono ormai legati indissolubilmente. Dopo una partenza grossolana all'inizio del mandato di Presidenza del proprio marito, risultò poi vittoriosa su tutti i fronti, compresa la bellezza. Ma Hillary Rodham Clinton non è una First Lady comune. Appartiene ad una generazione di donne dall'aspetto indipendente, intelligente, aggressivo e competitivo, al pari di ogni altro uomo, anzi, alcuni direbbero di più. Appare in questo modo perché vive in questo modo. Far passare in secondo piano questa famiglia, in particolare lei, sarebbe una menzogna. La storia di Hillary Rodham Clinton è particolarmente interessante per la semplice ragione che il suo aspetto esteriore cambiò drasticamente sotto i nostri occhi e, più specificamente, sotto gli occhi della stampa e delle telecamere. Poiché è stata la prima First Lady a mettere in atto una mutazione di questa portata, viene la tentazione di chiedersi cosa abbia trasformato questa donna "fuori moda" in una bellezza simile. "Stringevo i denti per la voglia di mettere Hillary a sedere sul bordo della vasca e darle qualche lezione di trucco", raccontava la madre del Presidente, l'anziana Virginia Kelley, una donna che si autodefiniva un'esibizionista. "Poterle mostrare come mettere in risalto tutta quella bellezza naturale che lei copriva non truccandosi. Ma a lei non importava niente di tutto questo. Era troppo occupata con la propria istruzione e a impegnarsi in iniziative lodevoli come i programmi per i giovani avvocati agli inizi. Il trucco non significava proprio un bel niente per lei." (59) E invece ora le importa, e sarei portata a credere che una donna che ha accresciuto il proprio potere con tanto successo nel corso degli anni deve trovare interessante, se non anche piacevole, esperire il potere della bellezza dopo averlo evitato per tanto tempo. Gli stilisti che si occuparono del suo aspetto estetico all'inizio dell'amministrazione Clinton riferirono che non si guardava mai allo specchio durante i loro interventi di soccorso, tanto era concentrata sugli appunti per la sua comparsa televisiva. Ma devono essere piovuti complimenti, sorrisi, dev'esserci stato uno sguardo nuovo negli occhi delle persone che le parlarono dopo quel discorso, dopo la fotografia carica di fascino di Annie Leibovitz che la ritraeva nell'abito sexy di Donna Karan. Di questo sono fatte le favole. Hillary era abituata agli elogi per le sue realizzazioni, ma quasi niente ha il calore rinnovatore dell'elogio indirizzato alla propria persona.
La saga di Hillary Rodham Clinton assomiglia ad una storia morale rovesciata; prima che diventasse bella, noi sapevamo già di non avere a che fare con un angelo del focolare idealizzato. Che si trattava di una donna moderna, interessata alle discussioni, impegnata in battaglie condotte a suo modo sulla scena del dramma politico, talvolta vincendo, talvolta perdendo, ma non risparmiando le armi del proprio arsenale. Ora abbiamo di fronte anche una bella donna. Abbiamo il ritratto pieno, efficace della donna de-idealizzata, con i suoi lati buoni e i suoi lati cattivi. E esattamente quello che ha ordinato il dottore; avevamo un estremo bisogno di abbandonare l'immagine della donna come persona più gentile e più virtuosa dell'uomo. Per intere generazioni le donne hanno camuffato i molti usi della bellezza, proprio come hanno svalutato la qualità del loro potere di madri, facendone un ruolo sacrificale, invece di riconoscerne il contenuto di autorità. In una società in cui il potere economico delle donne era nullo, ci veniva garantito un potere manipolatorio. È tempo di sbarazzarci del piedistallo, di abbassare la maschera della vittima. È una buona cosa che nei nostri salotti, durante il telegiornale della sera, si assista allo spettacolo della donna più potente del paese che apprende gli usi del potere della propria bellezza. 6.10 - La negazione della competizione. Non potrei scrivere questo libro se non fossi cresciuta assistendo allo spettacolo della bellezza al lavoro prima degli anni Sessanta, gli anni che cambiarono il mondo. Una volta che l'esercito femminista si mise in marcia, la competizione tra donne sulla base dei verdetti dello specchio non era più ammessa. Se dovevamo riuscire ad ottenere la nostra quota di risorse economiche, possedute e amministrate interamente dagli uomini, quella moneta antica con cui un tempo ci procuravamo il boccone quotidiano doveva scomparire. A cominciare dalla fine degli anni Sessanta e poi più intensamente negli anni Settanta, gli uomini e la bellezza divennero sospetti. Poi, nella metà degli anni Ottanta, all'improvviso - o così mi è parso - la bellezza esibizionista fece ritorno per consumare la sua vendetta. Qualcosa si stava preparando: quando accendevo la televisione, le donne che leggevano le notizie indossavano giacche sciancrate dai colori brillanti; un giorno, nel 1985, aprii una rivista di moda e vi trovai la prima collezione di Donna Karan, dove compariva un body in cashmere rosso e una gonna fasciata, entrambi molto sexy e molto vistosi. La sostituzione dell'innocuo Completo del Successo con il potere della bellezza mi indusse a pormi delle domande: come gestiranno le donne questo nuovo look sensuale nei luoghi di lavoro dove regna la competizione? Saranno consapevoli delle reazioni che mettono in moto quando entrano in una stanza indossando il loro abito vistoso, da fare schiattare d'invidia? Sapranno come neutralizzarla? E quando gli uomini si metteranno a fissarle, saranno abbastanza sagge da accettarlo come reazione "naturale" al loro modo di apparire carico di richiami sessuali? Mi sono anche chiesta come avrebbero reagito gli uomini al passaggio di donne fasciate in quei vestiti stretti, aderenti al sedere, le gonne corte, un vero richiamo di sveglia per il testosterone. Alcuni di questi uomini e di queste donne erano troppo giovani per ricordare l'ultima volta della bellezza sensuale. Come si sarebbero destreggiati tra sesso e lavoro allo stesso tempo? Anche noi veterani non avevamo sperimentato un cocktail erotico del genere, non in ufficio. "Nel moderno luogo di lavoro, gli uomini sono come tanti fuchi, e le donne delle api regine", scrive Camille Paglia. "La divisa aziendale maschile, con i risvolti longitudinali della giacca, nasconde la sessualità. L'abito erotizzato della donna la rende, senza possibilità di fuga, il centro dell'attenzione visiva, sia che le persone ne siano consapevoli o no. La maggior parte delle donne, come la maggior parte degli uomini, eterosessuali o gay, valuta immediatamente se una donna ha delle 'belle gambe' o un grande sedere, non perché questi attributi ne diminuiscano il valore personale o la riducano a semplice 'carne' (un'altra mistificazione femminista), ma perché si aggiungono in modo ingiustificabile al suo potere e secondo modalità che possono avere un effetto destabilizzante sul luogo di lavoro. La sessualità delle donne è distruttiva della meccanica routine che caratterizza la quotidianità del mondo
del lavoro, in cui efficienza vuol dire uniformità... Lei porta la natura in un regno sociale, che può essere troppo piccolo per contenerla." (60) Il ritorno della bellezza sensuale ebbe dei risvolti eccitanti, a maggior ragione nei luoghi di lavoro, perché ora certamente il suo potere avrebbe richiesto un pieno interessamento da parte del femminismo a proposito delle questioni della competizione, dell'invidia, della gelosia, inizialmente accantonate. Ma nessuno nominò la competizione. Al contrario, proliferava una moda densa di simbologie sessuali, che abbandonava i concorrenti di questa gara a spintonare per ottenere lo sguardo di chi non era già completamente assorbito dalla propria ricerca di uno specchio. Ognuno voleva essere visto, senza il conforto di regole sicure. Sentivo il sopraggiungere di una conflagrazione, qualcosa di portata storica che mi riportava al tempo in cui sbarcai a New York per la prima volta. Avendo lasciato così di recente l'isolamento della stanza di scrittura, non potevo affrontare un altro periodo di tre o quattro anni necessario per scrivere un libro. Ma non riuscivo a togliermi l'idea dalla testa; giunsi ad un compromesso e telefonai a diversi amici che lavoravano presso le principali riviste di moda. Cosa ne direste di una storia raccontata attraverso le fotografie, proponevo, con immagini di modelle chinate mentre si pavoneggiano negli uffici delle aziende, corredate di didascalie che contengano tutte le domande che questa visione aveva suscitato nella mia mente? "Che cosa intendi per 'Potere della Bellezza'? Cosa c'entrano l'invidia e la competizione con la moda?" mi domandavano i direttori delle riviste. Non volendo scrivere l'articolo che essi pretendevano, inventai altri modi per affrontare questo tema. Produssi un video di dieci minuti, lanciai una serie televisiva sul tema, organizzai seminari in diverse città, feci alcuni lavori di consulenza per una ditta importante di cosmetici, e, in collaborazione con DYG Inc., la società di ricerche di mercato diretta da Dan Yankelovich e da Madeleine Hochstein, condussi una serie di focus-groups, lavoro che culminò con una ricerca a livello nazionale. Invitai uomini e donne - psicologi, sociologi, antropologi e altre figure accademiche - a parlare a questi seminari. Avevano tutti l'età per ricordare il ruolo della bellezza prima dell'avvento della rivoluzione sessuale e di quella femminile. Non potrebbe essere utile per delle giovani donne, pensavo, ascoltare e vedere come le loro madri avevano usato la bellezza nei giorni in cui costituiva il loro biglietto per la sopravvivenza? "Dato che penso a me stessa come ad un'intellettuale, mi sento a disagio all'idea di parlare di bellezza ", disse il critico cinematografico Molly Haskell a quel primo seminario nel 1989, che era intitolato "Il potere della bellezza". "La relazione tra una donna e la bellezza - e lo specchio - è una delle relazioni più personali, individuali, perfino delle più segrete e misteriose che ci possa essere." Avevo invitato la Haskell a parlare perché ammiravo il suo lavoro e l'avevo sempre vista come una donna che riconosceva la propria bellezza. Certo, la vedevo anche come un'intellettuale, ma ho voluto riprendere le sue parole perché vanno dritto al cuore della discussione: può una donna essere bella e detenere allo stesso tempo altre forme di potere? Perché un'intellettuale non dovrebbe anche essere bella? Sotto le vecchie leggi del Patriarcato, non si chiedeva ad una donna bella di possedere altre qualità. Se ne era dotata, doveva avere il garbo di sminuirle. Mi domando se Molly Haskell pronuncerebbe ancora quelle parole oggi, a distanza di anni, quando sotto i nostri occhi sfilano numerose donne belle che sono tra l'altro anche brillanti pensatrici e oratrici. Ho parlato con molte di loro, ed esse sanno perfettamente a cosa mi riferisco; è come se, anche oggi, venissero imposti i vecchi limiti; se si è belle e si ha anche un buon successo professionale, si ha la sensazione di camminare sulle uova. Dato che le donne vengono educate a negare la propria bellezza in modo da scacciare l'invidia altrui, non impariamo mai veramente il pieno potere che vi si cela, il suo effetto sulle persone, come potremmo utilizzarlo al meglio. "Mentire, naturalmente, è uno dei mezzi per ottenere potere sulle altre persone manipolandole in vari modi, e questo lo imparano anche i bambini. Essi imparano anche a mantenere i segreti", afferma la filosofa Sissela Bok. "Io credo che dovremmo disimparare questo. Se vogliamo maturare, dobbiamo disimparare ogni
piacere che traiamo da quel potere, ogni beneficio... Nel complesso, come si può tentare di condurre la propria vita così da comunicare con gli altri senza tentare di manipolarli?" (61). L'altro ammonimento che avverto nelle parole della Bok riguarda il fatto che il Femminismo Matriarcale deve smetterla di predicare alle donne che competere è male, mentre invece è chiaro a tutti che il femminismo moderno sopravvive grazie alla competizione, che, nel modo più banale, rifiuta di tollerare ogni forma di discussione. Le femministe della vecchia guardia sono maestre di manipolazione. Il fatto che le donne ora abbiano messo radici economicamente e politicamente in un mercato internazionale basato sulla competizione mentre il femminismo continua a ripetere il suo vecchio adagio "Noi non competeremo!" suonerebbe ridicolo se non avesse effetti distruttivi. Questo fa sì che le donne competano con una mano dietro la schiena, non diversamente da come abbiamo sempre trattato la nostra bellezza, ricorrendovi mentre negavamo persino di possederla. Anche gli uomini spintonano e fanno a gomitate, ma non negano il loro potere. Alcune delle persone più belligeranti che io conosca sono donne; semplicemente non si definiscono così. Alcune delle persone più sensibili che io conosca sono uomini, ma non vengono ancora incoraggiati ad abbracciare quella descrizione di sé per timore che ciò non sia abbastanza virile. Noi donne ci rendiamo responsabili di atti di discriminazione nei confronti degli uomini all'interno della famiglia, in relazione all'allevamento dei figli, allo stesso modo in cui essi ci discriminano in campo professionale. Le donne più competitive che io abbia incontrato, di cui abbia letto i libri, sono le femministe della vecchia guardia. Ciò che trovo irritante, specialmente da parte delle prime femministe, è la promessa per cui l'amore è riservato solo a quelle brave ragazze che "si ribellano all'abitudine della competizione". "In virtù di un grande seno o di un favoloso abito da padrona di casa", scrisse la direttrice della rivista Ms., Letty Cottin Pogrebin, "noi donne siamo state impegnate nel gioco snervante di avere la meglio su ogni altra donna. Nonostante questa abitudine all'invidia sia più diffusa del fare sfoggio di amici altolocati o del mordersi le unghie, fino a poco tempo fa è rimasto il piccolo sporco segreto di ogni donna. Ora il coperchio è stato levato. Le donne si stanno scambiando i loro segreti. E la vera rivelazione è che la nostra competitività non consiste in uno sporco atto di perfidia, ma nella tattica di sopravvivenza di esseri umani di seconda classe... Una volta che ci saremo ribellate all'abitudine alla competizione, ci attende un nuovo e nobile obiettivo: apprezzare le donne. Apprezzare le donne in modo sincero." (62) Il femminismo non ha attinto alla sua posizione del tipo "la mamma ne sa più di te" fin dall'inizio: fai la brava, non discutere, sii una brava piccola femminista non competitiva e la Grande Mamma ti vorrà sempre bene. La Clausola di Non Competizione del femminismo è essa stessa un retaggio diretto dei giorni patriarcali, proprio la legge che tenne le donne così a lungo in una condizione di sottomissione. Se mai dovessimo "ribellarci all'abitudine alla competizione", ci troveremmo governate, dominate e controllate da un Matriarcato talmente competitivo nel suo carattere assolutistico da seppellire il ricordo del Patriarcato. Era inevitabile che, sviluppandosi, il femminismo si sarebbe diviso su questioni come la competizione. Un movimento esteso come il nostro deve dividersi man mano che nascono gruppi d'interessi specifici e i nostri obiettivi ci separano. In questa rottura non deve esserci alcun tipo di acrimonia, esattamente come nel caso della separazione dalla propria madre. Ma nel femminismo è osservabile un livello adolescenziale di malignità e di crudeltà che è tipico delle Brave Ragazze. Alle leader non piace perdere il controllo, benché alcune grandi leader abbiano capito quanta benevolenza venga garantita dalla simpatia delle fazioni che si separano, che, permettendo alle dissidenti di andare per la propria strada, rimane lo spazio per un legame sostenuto dalla gratitudine. La Buona Madre lo apprende con i propri figli. La Cattiva Madre, legando i figli a sé, pensa di aver mantenuto il potere, ma l' "amore" che essi provano per lei è più dipendenza carica di rancore che gratitudine. Il nostro femminismo moderno, rifiutandosi di incoraggiare e di lodare una sana competizione, agisce esattamente da Cattiva Madre. Per quelle che non hanno vissuto i primi anni del femminismo moderno, vorrei riuscire a dipingere il quadro delle emozioni provate prima che le donne
incominciassero a predicare alle altre donne ciò che potevano e non potevano fare o dire, chi era una "vera" femminista e chi non lo era. Ora il femminismo si trova seppellito dalla Giungla Semantica. Siamo divenute dure l'una nei confronti dell'altra, come in qualsiasi Patriarcato; e visto che le Regole delle Donne tendono ad essere più rigide, le nostre punizioni sono anche più dolorose. 'Mia madre, me stessa' era iniziato come un'indagine sulla fonte del senso di colpa femminile riguardo al sesso. Era il frutto di un'evoluzione cominciata con 'Il mio giardino segreto', che mi aveva lasciato un senso di confusione sui motivi per cui le donne si sentivano così colpevoli anche solo nell'atto di pensare al sesso - non al momento di farlo, semplicemente immaginandolo, privatamente. Chi sarebbe mai venuto a conoscere il contenuto delle loro fantasie? Due passi oltre il filo spinato che circonda le dinamiche di relazione tra madri e figlie, e mi imbattei nella competizione. Fare luce su quell'oscuro mistero che caratterizzava la vita delle donne comportava un confronto aspro con la figura materna. In realtà, una delle mosse più dannose e retrive del recente Femminismo Matriarcale è stata lo sforzo di restaurare l'antica idealizzazione della relazione madre/figlia. Si adatta a meraviglia al copione che assegna alle donne il ruolo delle persone moralmente superiori rispetto ai Grandi Uomini Cattivi. Ogni sedia occupata da una donna in un luogo di lavoro significa una sedia in meno per un uomo e per un'altra donna; ogni sedia conquistata da un uomo viene vista, sia dagli uomini che dalle donne come quella che sarebbe potuta toccare a loro. È una guerra complessa, competitiva, resa ancora più difficile dal fatto che uomini e donne competono anche per conquistarsi i loro cuori. "Una delle ragioni per cui al giorno d'oggi siamo così confusi è legata al fatto che i luoghi di lavoro sono cambiati drasticamente", sostiene la psicologa e docente di management Lisa Mainero. "A cominciare dai primi anni Ottanta, le norme aziendali riguardo ai vestiti, all'immagine e all'apparenza sono diventate più elastiche. Uno dei mutamenti più significativi è rappresentato dal fatto che l'ufficio è diventato il luogo per incontrarsi, per darsi appuntamento, per relazionarsi all'altro sesso. Tra le donne che ho intervistato, il 76% di esse riferivano di essere state o personalmente implicate in, o di essere venute a conoscenza di, un'avventura romantica svoltasi all'interno della ditta in cui lavoravano." La Mainero intervenne al terzo e ultimo seminario che organizzai, e che si svolse a Chicago con il titolo "La bellezza nel luogo di lavoro". Era il 1990, un anno prima che io e la DYG Inc. avessimo completato i due anni di lavoro con i focus-groups che culminarono nella ricerca nazionale sulla bellezza, in cui vennero intervistati donne e uomini. Uno dei risultati più interessanti presentati in quel seminario era costituito dal fatto che per le donne l'apparenza costituiva la qualità che più influenza l'immagine di sé; il 76% la collocava nelle prime cinque qualità su una lista che ne prevedeva quattordici, e il 34% la metteva al primo posto, sopra l'intelligenza, la performance lavorativa, la sessualità - e questo nonostante il fatto che più di tre quarti delle donne del campione lavorasse. I risultati della ricerca di Lisa Mainero, circa il fatto che sia le donne che gli uomini temevano che le donne attraenti fossero ingiustamente avvantaggiate nei luoghi di lavoro, avrebbero collimato perfettamente con ciò che alla fine scoprimmo con la ricerca della DYG. Negli ultimi cinque anni si è moltiplicato il numero degli studi nuovi su bellezza/sesso/apparenza negli uffici, e si profila un particolare mutamento di atteggiamento: in studi come quello del 1979 di Madeline Heilman si rilevava che per gli uomini avere un bell'aspetto era considerato un vantaggio, mentre per le donne lo era soltanto quando il lavoro era di bassa qualifica (63). L'assunto che vi si nascondeva era che donne attraenti in posizione manageriale apparivano più femminili, e in tal modo vittime di tutti gli stereotipi femminili della passività, della timidezza e così via. Tuttavia, con la fine degli anni Ottanta, due studi mostrarono che ogni punto addizionale in termini di fascino estetico si traduceva in un vantaggio aggiuntivo di 1.000 dollari sullo stipendio di partenza maschile, e, mentre una donna di bell'aspetto non otteneva alcun vantaggio immediato fino a quando non era in servizio, una volta a bordo della nave, ogni punto di bellezza valeva più di 2.000 dollari (64). Nel 1993, la gente percepiva quanto uomini e donne
attraenti stessero guadagnando almeno il 5% in più delle persone considerate di aspetto medio (65). In una ricerca del 1993 condotta da McCall's/Yankelovich, la stragrande maggioranza delle donne intervistate, appartenenti a tutti i gruppi di età, concordava sul fatto che "la maggior parte della gente ti giudica sulla base dell'aspetto fisico" (66). "Noi donne americane vogliamo essere amate per la persona che siamo", dichiara la giornalista di moda Holly Brubach, "e se per caso siamo carine, lo consideriamo un premio. Questo atteggiamento può avere le sue origini nella nostra eredità puritana, ma il movimento femminista ha di recente dato una grande spinta al rafforzamento del nostro convincimento per cui è sbagliato per una donna speculare sul suo aspetto fisico. Inoltre, la venerazione della bellezza mal si adatta alla norma implicita per cui un bell'aspetto rappresenta un vantaggio ingiusto in una società in cui si suppone che tutte le donne siano create uguali."(67) La nostra eredità puritana può determinare il nostro tradizionale ammonimento a non giudicare un libro dalla sua copertina, ma la decretazione femminista per cui è sbagliato che una donna speculi sulla propria apparenza ha molto più a che vedere con il tabù femminile contro il desiderio di competizione, che, una volta solleticato, inviterebbe al dibattito, al disaccordo, e alla possibile destituzione delle giocatrici più potenti del femminismo. Il fatto è che le giovani donne di oggi, liberate dalla tirannia della bellezza quale unico potere a loro disposizione in un regime patriarcale, riconoscono però l'influsso reale dell'apparenza sulla loro vita. Nella nostra ricerca, l'86% delle donne e il 76% degli uomini individuarono nella sicurezza di sé il motivo per cui la bellezza è un elemento importante per le donne. Quando le femministe mettono al bando la promozione della comprensione dei meccanismi competitivi, giustificata dall'incentivazione ad un loro utilizzo migliore e più vantaggioso, esse deprivano le donne di sicurezza in se stesse. Ammettendo l'importanza della bellezza nella loro vita, ma avendo al contempo una pratica scarsa delle regole note, sicure, che governano la competizione, le donne rimangono in una condizione di estrema vulnerabilità. Bellezza/sesso/competizione sono elementi intrecciati tra loro che giocano l'uno contro l'altro; attualmente, sono tutti lanciati a gran velocità e vengono condannati dal femminismo. Più la bellezza subisce un processo di sessualizzazione, più l'invidia viene sollecitata, e più la situazione si fa pericolosa, poiché ciascuno finge che l'esposizione del proprio corpo non abbia alcun effetto sulla situazione. La moda, nelle sue estremizzazioni erotiche, esige un commento. Ma i finanziamenti per qualsiasi tipo di ricerca sul sesso si sono esauriti. È come se la nostra invidia per il potere della sessualità femminile avesse messo a tacere qualunque tipo di analisi su quanto sta accadendo. Rispetto alla bellezza classica le donne possono accusare sentimenti di rivalità, ma la grande minaccia rappresentata da una donna sessualmente liberata e per di più bella suscita un ringhio di rancore che attanaglia chi lo prova. Anche se la donna in questione non è bella, le altre sanno che gli uomini sono attratti dalla donna sessualmente disponibile, perché stare con una donna che ama il proprio corpo, e che per estensione ama anche quello maschile, equivale a giacere con la Buona Madre. Quando Barbra Streisand fece la sua apparizione al discorso inaugurale di Clinton del 1993 indossando una gonna elegante, scura, dal taglio maschile, spacco al ginocchio, con la camicia che mostrava parte del solco tra i seni, Anne Taylor Fleming scrisse un articolo carognesco sulla pagina "Op-Ed" del New York Times. Ciò che fece infuriare la giornalista fu il fatto che la Streisand voleva "farci sapere che sotto il suo completo del potere da nascondino, sotto tutta la sua spacconeria e le sue tante realizzazioni, è ancora una femme fatale accessibile" (68). Se non ci fosse stata pelle in mostra, nessuna gonna con lo spacco, nessun decolleté in vista, il completo del potere sarebbe andato bene. Fu il mix di messaggi a mandare su tutte le furie la giornalista: "Ciò che lo spacco comunica è: possiamo imitare il vostro guardaroba e chiedere di essere ammesse nelle sale riservate agli uomini, ma, statene certi, sotto siamo ancora il centro della vostra attenzione, le vostre ragazze di sogno MTV... [I completi] esemplificano lo sforzo della società di tenere le donne in una posizione di squilibrio, di
obbligarle al nuovo immaginario dell'oggetto sessuale: maschio sopra, seduttrice sotto". Chiaramente, non soltanto la bellezza, ma anche il messaggio sessuale è nell'occhio di chi guarda. Personalmente trovai che il look della Streisand fosse eccezionale, autorevole, perfettamente adatto a lei, nel suo equilibrio tra bellezza e cervello. Ma la fantasia della Fleming, alla vista della Streisand, fu sollecitata in altro modo; era forse invidia? Al critico che non ha saputo trattenersi dallo sfogare il proprio risentimento servendosi dell'inchiostro, la divisa della Streisand trasmetteva "un segnale disturbante alla - e della - donna americana". Non credo proprio. In realtà, era piuttosto l'opposto. Questo è ciò che comunicava alle donne e agli uomini: "Riconoscete il vostro completo ragazzi? Lo prenderò a prestito e gli donerò qualcosa che a voi non sarà mai accessibile, le gambe e i seni di una donna." È questo il motivo per cui molte donne amano indossare uno smoking da uomo, e per cui gli uomini e altre donne amano osservare in azione il potere dell'esibizionista che può toglierselo. Il fatto che la Streisand riesca a chiamare a raccolta i suoi vari poteri e a presentarli in una forma elegante e sensuale mi fa dire: ecco un modello da ammirare. La Streisand costituisce un buon esempio del campo minato sotterraneo su cui le donne devono camminare in terra femminista, soprattutto se sono affermate e belle. Quando in un'intervista fu chiesto a Norman Mailer, che ha trascorso una vita intera accompagnandosi a belle donne e a scrivere di loro, se le donne inseguono la bellezza per gli uomini, rispose: "No. Le donne si vestono per le altre donne; si acconciano i capelli per le altre donne. È una competizione forsennata. Mi ricorda i jazz-men dei primi anni Sessanta, quando i musicisti smettevano di prestare attenzione al pubblico e iniziavano a suonare per gli altri musicisti, infilandosi ogni sera in frasi musicali sempre più elaborate solo per mostrare agli altri quanto erano in grado di fare. Questo è quello che succede oggi con la moda femminile. Ogni cento donne, ci sarà sempre un piccolo gruppo che stabilisce le tendenze. Le altre seguono come schiave, e tutte si lamentano del fatto che gli uomini stanno diventando superficiali. Noi uomini andiamo in cerca della bellezza perché non abbiamo altra scelta. Tutte le donne ce l'hanno indicata. Non è facile per un uomo dire, vorrei uscire da questo gioco di rivalità accanita e sistemarmi con una donna piena di virtù" (69). Non c'è nulla di particolarmente virtuoso nell'abbandonare la rincorsa alla bellezza, e oggi non riesco ad immaginare consiglio peggiore da dare alle donne del falso concetto per cui le "brave donne" non competono come gli "uomini cattivi"; per la prima volta nella storia, siamo tutti nei luoghi di lavoro e davanti ad uno specchio; bisogna esercitarsi ad una sana competizione per renderla poi più sicura. Alcuni di noi, uomini e donne, sono per natura, per ragioni genetiche, per carattere e per formazione più competitivi di altri. Chi va predicando la filosofia delle donne come esseri superiori in virtù della loro natura non competitiva, rende un pessimo servizio alle "sorelle". In 'Autostima', la Steinem spinge le donne ad abbandonare la competizione e a pensare invece ad un'unione non competitiva con le altre donne, come quando si lavora ad una trapunta. "Piuttosto che derivare dalla competitività, tanto l'autostima che la qualità delle prestazioni sono il prodotto del piacere di sondare e forzare i propri limiti, della soddisfazione che viene dal lavoro stesso, del piacere di collaborare e di apprezzare ed essere apprezzati dagli altri, ricavando altrettanto godimento dall'attività in se stessa che dai suoi risultati", sostiene la Steinem. "Quando ogni persona completa se stessa e porta un contributo autentico, emerge un nuovo paradigma, quello della circolarità... Se visualizziamo noi stessi come un cerchio, l'obiettivo diventa la compiutezza anziché la sconfitta degli altri... Se visualizziamo l'organizzazione del lavoro come un cerchio, il fine diventa quello dell'eccellenza e della collaborazione, non della competitività."(70) A sostegno della propria posizione, la Steinem abbraccia l'approccio eccentrico alla competizione proposto da Alfie Kohn, citando per esteso la sua affermazione per cui "una prestazione di qualità elevata non solo non richiede competitività, ma il più delle volte ne richiede addirittura l'assenza... Entriamo in competizione l'uno con l'altro per cancellare le incertezze di fondo sulle
nostre capacità e, in ultima analisi, per trovare una compensazione alla nostra scarsa autostima" (71). Pensare di "fare trapunte" e sperare nei legami in giochi e situazioni che prevedono l'elemento competitivo significa sfuggire alla vita reale. Siamo a questo punto, afflitti da un bisogno disperato di conoscenze su come competere, e ciò che il femminismo ha da offrirci è la "circolarità". Non è necessario predicare la competizione, è un sentimento che esiste fin dai primi giorni di vita. Quando sentiamo che stiamo per perdere qualcosa o qualcuno per noi vitale, l'ansia, la paura, la rabbia che si impossessano di noi sono in parte competizione; la persona che vorrebbe portarci via ciò che amiamo e di cui abbiamo bisogno è il nostro competitore. Anche prima della formazione del triangolo edipico, un bambino si sente in competizione con qualunque cosa o persona gli sottragga lo sguardo materno. Lo scopo del bambino è di vincere la contesa con il padre, con un fratello, o con il lavoro, per ricatturare l'attenzione della madre. Queste intromissioni sono inevitabili, e le modalità di superamento di quella fase decidono la conformazione della scena per le nostre risposte alle minacce competitive degli anni edipici, e, successivamente, per le nostre sensazioni di fronte alle situazioni di competizione che si creano nella vita adulta. Si potrebbe dire che nella fase preedipica impariamo a rispondere ai colpi. Quando, nella fase edipica, il sesso diventa una componente della competizione, producendo senso di colpa e timore di ritorsioni, allora impariamo ad inibire la competizione. L'integrazione è l'obiettivo: competere ma seguendo regole sicure. Sostituendo un sano spirito competitivo con la "circolarità" della Steinem, in cui "il progresso coincide con il sostegno reciproco e la connessione" (72), queste femministe disegnano sorrisi da scuola materna sul volto delle donne, risospingendoci nella nursery, dove vigeva la legge della mamma per cui "Tutti amano tutti nello stesso modo". Non ci abbiamo creduto allora, e non vi crederemo certo oggi, dopo che abbiamo trascorso venticinque anni nel mondo reale. Quasi tutte le nostre madri non avevano la minima idea di come insegnarci a competere in modo sicuro; nessuno gliel'aveva mai insegnato. Ma la vita, e in particolare il mondo del lavoro, ci hanno insegnato che la natura umana è fatta di sfumature, non si presenta bianca o nera. Siamo tutti ogni tanto un poco buoni e un poco cattivi. La competizione non appartiene soltanto agli uomini, né si tratta di un'imposizione maschile che noi donne, esseri superiori, possiamo rimuovere. C'è un lavoro, un contratto; in diversi vi aspirano, solo uno lo otterrà. Distruggere le altre persone, mentire, truffare, non è la risposta, come non lo è la circolarità. Eseguire meglio un compito, provare che si è la persona più adatta per una determinata professione, conquistarsi un lavoro, un contratto, questa è la risposta sicura, una sana competizione. Si è discusso fino alla morte degli ostacoli che hanno confinato le donne allo status di cittadine di seconda classe; è venuto il momento di ammettere a noi stesse l'esistenza di alcuni problemi, le questioni dell'invidia e della competizione, che hanno silenziosamente contribuito a tenerci nella paura di distanziare le nostre madri, le nostre amiche, tutte le altre donne. Quando mio marito era il responsabile editoriale del Wall Street Journal, creò un precedente assumendo diverse donne, promuovendole agli incarichi più prestigiosi. Alcune lavoravano meglio di altre, ma tutte avevano dei problemi a gestire le critiche, la competizione, gli eventuali confronti nel suo ufficio, che spesso si concludevano con le lacrime. Queste donne lottavano per raggiungere il loro obiettivo, gareggiavano come gladiatori nell'arena, ma quando venivano criticate sedevano di fronte a lui con le lacrime agli occhi. Non era il fatto che lui mettesse in questione la loro competizione, ma che le critiche in sé erano vissute come una punizione. Se la competizione, il comportamento aggressivo, fossero forme di comportamento femminile consentite, sarebbero state approvate dalla propria madre; poiché esse solitamente non fanno parte della relazione d'affetto che ci lega a lei ogni "capo" successivo che ci rimproveri risveglia in noi tutte le rappresaglie terribili che sentivamo di meritare da bambini dopo che avevamo infranto le regole. A trenta, quarant'anni, scoppiamo in lacrime quando veniamo criticate perché ci sentiamo come delle bambine cattive non più degne d'amore. I superiori maschi siedono di fronte a donne piangenti che fino a dieci minuti prima avevano
tutto sotto controllo e si chiedono cosa hanno mai fatto per produrre questa trasformazione. Loro non hanno fatto nulla. È stato fatto tutto anni fa, e ora quelle esperienze tornano semplicemente a galla. Entriamo nelle stanze convinte che tutti gli occhi ci stiano giudicando. Forse è così, forse no, ma questo sono le donne, le giudici e le giudicate. È quello che facevamo da bambine e si è trasformato in ciò che ci aspettiamo, essere apprezzate, accettate, oppure essere respinte. Anche le donne che ci vogliono bene ci giudicano, forse loro più di altre, perché se dovessimo superarle, il loro timore è che le abbandoneremmo per una cerchia di amicizie più altolocate. Come possiamo ammettere la nostra competitività quando il nostro primo amore, il nostro modello, la nostra prima concorrente non ha mai ammesso la propria, e così anche la madre di nostra madre? "Come affronta una figlia la competitività della madre nei suoi confronti o la gelosia per le sue realizzazioni?" si chiede la psicologa Paula Caplan. "Spesso, opta per una delle due soluzioni che ha a disposizione (o le tenta entrambe in momenti diversi): riduce i propri sforzi di autorealizzazione (o quanto meno inizia a nasconderli alla madre), oppure frappone una distanza emotiva o fisica tra sé e la propria madre."(73) Forse è questo il motivo per cui non potevo rimandare la decisione di andarmene di casa, di viaggiare, di frapporre una distanza tra me e la competizione non riconosciuta che si svolgeva nella casa in cui ero cresciuta. Ho sempre pensato che il motivo fosse la rivalità con mia sorella. Ma ora sono certa che, anche più di questo, ho odiato e temuto l'intensità complessa e misteriosa del sentimento che mia sorella suscitava in mia madre. Sono giunta a capire perché né il grande successo né la certezza dell'amore da parte della persona a cui sono legata sentimentalmente possono eliminare il fuoco competitivo che si scatena quando un'altra donna tenta di catturare la sua attenzione. Non si tratta solo del risveglio della rivalità tra sorelle, ma delle dinamiche di cui sono stata testimone, solitamente a tavola durante la cena, nel periodo culminante dell'adolescenza di mia sorella, quando l'aria era carica di emozioni indicibili, tanto inaccettabili per mia madre, così bloccate e inesprimibili, che non le rimaneva altro che lasciare la tavola in lacrime, seguita da mia sorella, anche lei piangente. Mi consideravo assolutamente estranea a tutto questo, ma ora mi accorgo che era una forma di difesa; in verità, mi sentivo isolata, perché non mi immaginavo all'interno del dramma che loro stavano vivendo, visto che, essendo scarsamente dotata di bellezza, non avevo titoli per entrare a farne parte. Vi incoraggio a comprendere i problemi che oggi sentite di avere con le situazioni competitive mediante l'analisi e la pacificazione con quanto è avvenuto nei primi anni di vita. È d'aiuto sapere qual è l'origine di quel senso di sconfitta a priori che sentiamo quando si profila all'orizzonte una rivale? Sì, assolutamente, di sicuro. Solo il fatto di sapere che non è la donna orgogliosa ed esibizionista a sentirsi sconfitta ancora prima che la battaglia sia cominciata, ma una bambina, la bambina che un tempo sono stata, mi aiuta a mettere la situazione in prospettiva. Sento crescere questo senso di malessere, lo afferro per la gola, lo atterro e parlo, perché non c'è nulla che restituisca alla realtà come udire la forza della propria voce. Lotterò con queste sensazioni fino alla tomba, ma il potere è conoscenza. Le donne sono spesso accomunate da questo senso di sconfitta a priori, quando il minimo accenno di perdita è nell'aria, a meno che non abbiano avuto madri che hanno insegnato loro regole sicure per una competizione leale, che palesarono quel sentimento velenoso così che la parola non acquisisse quel suono diffamatorio e poco femminile. È normale che una madre si senta in competizione con la propria figlia, ed è più sicuro ammetterlo, discuterne, scherzarci sopra, per poi abbracciarsi, sentire il senso della vittoria e della perdita, e della vita che continua comunque, lasciando indenne l'amore. Ciò che mi ha deluso nel libro di Naomi Wolf, The Beauty Mith, è stato il fatto che una donna giovane e bella ha perso l'occasione di affrontare il tema proibito della competizione. Invece, ha utilizzato statistiche inventate per deporre ai piedi degli Uomini Malvagi la rincorsa alla bellezza che conduce le donne alla morte. La mentalità delle donne-vittime che pervade tutto il suo libro ha avuto l'effetto di galvanizzare un'altra generazione di fronte alla visione degli uomini come origine di un problema che, più di ogni altro, può trovare soluzione solo all'interno dell'universo femminile. Forse la decisione
di non mettere alcuna foto della bella autrice sulla copertina del libro è stata presa dalla casa editrice, ma è chiaro che qualcuno ha deciso che altrimenti la credibilità intellettuale e le vendite del libro presso le femministe sarebbero state in pericolo. Gli uomini non vedono alcuna incoerenza tra processi competitivi e processi di costruzione delle reti professionali, poiché ritengono che entrambi portino ad un'espansione delle opportunità. Le donne, prive di abilità nella competizione e diffidenti nei suoi riguardi, lottano anche contro la formazione di legami nei luoghi di lavoro. Esitiamo a istruirci a vicenda man mano che avanziamo nella gerarchia aziendale, temendo che il nostro aiuto possa tradursi nella possibilità che l'altra donna conquisti la nostra stessa posizione, o addirittura ci superi. La nostra ansia si basa sulla convinzione che, diversamente dagli uomini, abbiamo risorse e opportunità limitate. Nostra madre ci ha allevato facendoci credere che senza la sua approvazione e il suo amore saremmo morte. Non dobbiamo mai competere con lei. Quando si viene cresciute nel timore della competizione e nella convinzione che esistono quote limitate d'amore, di lavoro, di bellezza, ogni piccola conquista da parte di una rivale si trasforma in una grande perdita per sé. Gli uomini non istruiscono i colleghi a loro inferiori perché sono buoni e generosi; lo fanno perché il lavoro di rete, essi sperano, porta con sé lealtà e gratitudine. Il debito verrà ricordato, ripagato in vari modi, una realtà in cui noi donne non crediamo perché non l'abbiamo sufficientemente praticata e messa alla prova. L'uomo che non impara a stringere le mani e a pagare un giro di drinks secondo lo spirito per cui domani la vittoria potrà essere sua, è considerato "non idoneo ad un club", nel senso che non ha appreso le regole della competizione. Questo è esattamente ciò che la competizione e il lavoro di rete insegnano, e cioè che, con il passare del tempo, una catena di persone impara a fare affidamento sugli altri per il voto, la collaborazione, il lavoro di squadra. Gli uomini creano networks più facilmente di noi perché la maggior parte di essi è più a proprio agio nelle situazioni competitive; il passato ha dato loro più lezioni di circolarità - ritorno di favori - di quanto il lavoro di tessitura comune di cui parla la Steinem potrebbe mai fare. La stretta di mano allevia il fastidio che si prova a perdere, apre la porta ad una riunificazione comune, permette di dormire sonni tranquilli. La vittoria dell'altro si trasforma in stimolo a vincere la prossima partita. Le labbra degli uomini non si serrano in smorfie di malignità, come accade invece alle nostre in seguito a tutto il veleno che abbiamo dovuto ingoiare. Gli uomini fanno la guerra, ma anche noi la facciamo. La Thatcher e Golda Meir sono solo la punta dell'iceberg. Forse le donne vivono più a lungo, ma se i nostri travasi di bile continueranno, nella popolazione femminile gli infarti, le ulcere, per non citare la perdita di bei capelli, non potranno che crescere. Vorrei che ogni giorno ci fossero delle forti voci di donna che discutano l'idea del "lavoro di tessitura comune". Ciò di cui abbiamo bisogno è più dialogo, la libertà di essere in disaccordo, una competizione aperta, salutare, tra quante di noi scelgono di buttarsi nella mischia. Le donne devono poter sperimentare che nei luoghi di lavoro è possibile discutere, ottenere un contratto cui aspira un'altra donna e poi pranzare insieme a lei; diversamente dall'universo femminile tradizionale, il mondo del lavoro di oggi richiede che le asce di guerra vengano seppellite e che la ruota del commercio sia continuamente in funzione. L'attività di network è sempre un azzardo; la persona che riceve l'aiuto, una volta promossa, può tener fede oppure no al vincolo di lealtà, ma bisogna sapersi assumere questo rischio. Questi sono gli affari. Come una copertina recente di Fortune titolava: "Dunque sbagli. E allora?" Per quanto autoritaria possa apparire, Camille Paglia è la nuova ondata di femminismo. E così le forze antilibertarie rappresentate dalla Dworkin e dalla McKinnon, non esattamente il tipo di persone che prediligo, ma, in una società competitiva, qualsiasi voce forte proveniente dal versante femminile merita di essere ascoltata. Ci costringe a pensare con maggiore chiarezza alle nostre convinzioni. La vecchia guardia della Steinem può ancora mordere con efficacia, ma man mano che donne più giovani, ugualmente padrone di sé, eloquenti, e, perché no, belle, continueranno ad esprimere le loro opinioni, avremo un suono e
un aspetto maggiormente in sintonia con l'era contemporanea, ossia un femminismo che ha molte voci e molti volti competitivi. Note al Capitolo 6: 1. "The Beautiful People", W, gennaio 1995, p. 86. 2. Robin Morgan, Sisterhood is Powerful, p. 521. 3. Tom Robbins, " The Mini, a Natural High ", New York Times, 6 aprile 1995, p. C1. 4. "A New Glamour Survey: Hearts and Minds. What Do Collegue Men and Women Really Mean to Each Other? ", Glamour, agosto 1981, p 328. "My Generation: The Seventeen Survey", p. 4; "Love and Sex in the 90s: The Seventeen Survey", 1991, p. 60. 5. Amy M. Spindler, "In Milan, Brazen Men Parading", New York Times, 19 gennaio 1995, p. C13. 6. Germaine Greer, L'eunuco femmina. 7. Sally Belfrage, Un-American Activities, p. 199. 8. Dorothy Parker, "A Telephone Call", Complete Stories, p. 81. Originariamente pubblicato in The Bookman, gennaio 1928. 9. Karen De Witt, " So, What Is That Leather Bustier Saying? ", New York Times, 1 gennaio 1995, sez. 4, p. 2. 10. Stephen Holden, "For Warhol, to Be Was to Be On Screen", New York Times, 27 gennaio 1995, p. C28. 11. Laurel Graeber, " So Where Is That Lava Lamp Now? ", New York Times, 6 aprile 1995, p. C6. 12. Clive Barnes, "'Hair' - It's Fresh and Frank", New York Times, 30 aprile 1968, p. 40. 13. Berger, Ways of Seeing, pp. 132-133. 14. "In Praise of Counterculture", New York Times, 11 dicembre 1994, p. 14. 15. Barbara Grizzuti Harrison, "Talking Dirty", Ms., ottobre 1973, p. 41. 16. William Raspeberry, "An Interest in Failure", Washington Post, 5 novembre 1993, p. A27. 17. Greer, L'eunuco femmina. 18. Anselma Dell'Olio, "The Sexual Revolution Wasn't Our War", Ms., primavera 1972, p. 104. 19. Jennifer Egan, The Invisible Circus, risvolto di copertina. 20. Marina Warner, From the Beast to the Blonde: On Fairy Tales an their Tellers, p. 31. 21. Betty Friedan, La mistica della femminilità. 22. Ibidem. 23. Gloria Steinem, The Beach Book, p. ix. 24. "Thinking Man's Shrimpton", Time, 3 gennaio 1969, p. 38. 25. "Gloria Steinem: A Liberated Woman Despite Beauty, Chic and Success", Newsweek, 16 agosto 1971, p. 51. 26. Gloria Steinem, Outrageous Acts and Everyday Rebellions, p. 5. 27. Flora Davis, Moving the Mountain: The Women's Movement in America Since 1960, pp. 70, 69. 28. "Playboy Interview: Betty Friedan", Playboy, settembre 1992, p. 62. 29. Davis, Moving the Mountain, p. 117. 30. Ibidem, pp. 118-119. 31. "Gloria Steinem: A Liberated Woman", p. 52. 32. Marketing di Cosmopolitan, 1995. 33. Steinem, Outrageous Acts, p. 258. 34. Liz Smith, "Gloria Steinem, Writer and Social Critic, Talks about Sex, Politics and Marriage", Redbook, gennaio 1972, p. 76. 35. Jay Cocks, "How Long Till Equality?", Time, 12 luglio 1982, p. 22. 36. "Playboy Interview", p. 149. 37. Susan Faludi, Contrattacco: la guerra non dichiarata alle donne. 38. Molly O'Neill, "Decades as Icon; Now, Freedom", New York Times, 9 febbraio 1995, p. C1O. 39. Andrew Bard Schmoockler, " No Contest: The Case Against Competition ", Los Angeles Times/The Book Review, 28 settembre 1986, p. 11. 40. "Camille", 60 Minutes, CBS, 1 novembre 1992. Intervista di Steve Kroft. 41. Inchiostro di donne [N.d.T.].
42. Margaret Carlson, "Batteries Not Included", Time, 2 dicembre 1991, pp. 7879. 43. Nora Ephron, "Dealing with the, Uh, Problem", Esquire, marzo 1973, p. 184. 44. Alice Walker, Il colore viola, pp. 84-85. 45. Laura Blumenfeld, "Feminists Hit a Bump and Grind at Lesbian Club", Washington Post, 25 luglio 1991, p. D2. 46. "Who's Come A Long Way, Baby?", Time, 31 agosto 1970, p. 16. 47. Kate Millet, La politica del sesso, p. 73. 48. Saturday Night Live, 19 febbraio 1994. 49. Maureen Dowd, "Our True Lies", New York Times, 20 agosto 1995, p50. Roberta Smith, " A Parallel Art World, Vast and Unruly ", New York Times, 20 novembre 1994, sez. 1, pp. 1, 42-43. 51. Susie Linfield, "Women Comics Stand and Deliver", New York Times, 12 luglio 1992, p. 11. 52. Wisecracks, 1992. 93 minutes. A Zinger Films Production, in co-produzione con Studio D del National Film Board of Canada. 53. Ibidem. 54. Ibidem. 55. Walker, The Women's Encyclopedia, pp. 1091-1092. 56. Maureen Dowd, "Fashion Week Fabrics", New York Times, 1 aprile 1995, p. A34. 57. Naomi Wolf, Il mito della bellezza. 58. Tricua Kushner, "Finding a Personal Style", Ms., febbraio 1974, p. 83n. 59. Virginia Kelley e James Morgan, Leading with My Heart, p. 212. 60. Camille Paglia, Vamps and Tramps, p. 52. 61. "Sissela Bok", Bill Moyers' World of Ideas, WNET e WTTW, 3 ottobre 1988. 62. Letty Cottin Pogrebin, "Competing with Women", Ms., luglio 1972, pp. 78, 132. 63. Madeline E. Heilman e Lois R. Saruwatari, "When Beauty Is Beastly: The Effects of Appearance and Sex on Evaluations of Job Applicants for Managerial and Nonmanagerial Jobs ", Organizational Behavior and Human Performance, 23, 1979, pp. 360-372. 64. Irene Hanson Frieze el al., "Attractiveness and Business Success; Is It More Important for Women or Men? " (relazione preparata in occasione dell'Academy of Management Meetings del 1989, Washington D.C:, agosto 1989); Irene Hanson Frieze et al., "Perceived and Actual Discrimination in the Salaries of Male and Female Managers ", (relazione presentata all'Academy of Management Meetings del 1986, Chicago). 65. Daniel S. Hamermesh e Jeff E. Biddle, "Beauty and the Labor Market", National Bureau of Economie Research, novembre 1993. 66. McCall's/Wankelovich Confidence Study: Health and Appearance, 1993. 67. Holly Brubach, "Landscapes with Figures", The New Yorker, 30 aprile 1990, p. 106. 68. Anne Taylor Fleming, " Peekaboo Power Suits ", New York Times, 28 gennaio 1993, p. 21. 69. "A Doctor Is No Better Than His Patient: An Interview with Norman Mailer", Cosmopolitan, maggio 1990, p. 404. 70. Gloria Steinem, Autostima, p. 250. 71. Ibidem. 72. Ibidem. 73. P. J. Caplan, Between Women: Lowering the Barriers (Toronto, personal Library, 1981), p. 120. Citato in Robert W. Firestone et al., "The MotherDaughter Bond ", The Glendon Association. CAPITOLO 7 UOMINI ALLO SPECCHIO 7.1 - L'armadio di mio nonno. Della mia infanzia non ricordo niente di più misterioso dello spogliatoio di mio nonno. Lui era il mio eroe e il mio modello. Forse, mentre studiavo attentamente questa camera elegante, così intimamente sua, dove ogni cosa che si trovava lì era fatta su misura per lui, pensavo di congiungermi a lui in modo più personale. Ero una bambina e non ero interessata ai vestiti, né volevo essere un maschio, ma sapevo che questa stanza di sartoria aveva un significato cruciale
per l'uomo che adoravo, che ogni membro della mia grande famiglia temeva ed amava, e di cui ero decisa a conquistarmi l'attenzione. Lì dentro, in mezzo all'odore delle eleganti scarpe di pelle e al profumo dell'acqua di colonia, si realizzava una qualche comunione profonda, personale, qualcosa che gli procurava piacere e che lo rendeva anche più potente ai miei occhi. Conoscevo ogni centimetro dell'armadio di mia madre, vi avevo rovistato quasi ogni giorno alla ricerca di piccole monete per comprare gelati o francobolli dal vecchio di Broad Street. Quel piccolo negozio era pieno di ritratti in miniatura di luoghi sperduti che io attaccavo nell'album di francobolli regalatomi dal nonno in occasione del mio nono compleanno. Ricordo le mattine in cui mi arrampicavo sul suo letto - un piacere raro - e mi sistemavo al suo fianco contro la montagna di cuscini, immerso nei quali leggeva la sua copia del Wall Street Journal; insieme sfogliavamo anche il grande volume rilegato in pelle che aveva già decorato di francobolli provenienti dai suoi viaggi all'estero. (E poi mi chiedo da dove nasca il mio grande desiderio di viaggiare!) Ma nessun mistero circondava l'armadio di mia madre, neanche un po'. Non avevo alcuna intenzione di diventare come lei, una signora in una bella casa con dei bei bambini e una vita tranquilla. Volevo essere come mio nonno, un uomo che si era fatto da solo e aveva costruito la sua fortuna nel settore dell'acciaio a Pittsburgh, aveva perso tutto con la Grande Depressione, e poi aveva riottenuto tutto. D'estate, quando risiedevamo nella sua proprietà lungo la riva del Niagara River, scivolavo nella sua camera da letto nei torridi pomeriggi di agosto e aprivo piano la porta-che-non-faceva-rumore che conduceva nella stanza ricoperta di pannelli progettata per contenere il suo guardaroba. Le luci nascoste si accendevano, come su un palcoscenico, e comparivano splendidi completi inappuntabili che pendevano spalle contro spalle, schierati come un esercito, sciarpe dei più preziosi e soffici tessuti che giacevano in bella mostra in cassettoni di mogano, file di cappelli, vestaglie, e dentro minuscoli cassetti rivestiti di velluto c'erano anelli e gemelli, ogni accessorio immaginabile per magnificare lo splendore maschile. Fino ad un certa altezza, le pareti erano ricoperte di specchi, sopra invece erano state appese delle fotografie dei possedimenti di mio nonno, i suoi cavalli, le sue case, le sue barche, e la famiglia. Ancora oggi conservo una giacca alla marinara color verde pisello disegnata a Dunhill, insieme a dei pantaloni di flanella grigia e mantelli da coperta, abiti che egli aveva ordinato per i suoi cinque figli quando acquistò la sua ultima barca, The Duchess. Quanto odiavano portare quelle uniformi per le crociere estive sul Lago Ontario; quanto ero ansiosa invece io di crescere per poterle indossare; le eredità di mio nonno tessevano altrettanti preziosi legami con lui. Nella mia casa ora sono appesi i ritratti che gli fece mia nonna, sua moglie. In essi, è ancora bello e giovane, con i capelli rossi, legato da una somiglianza sorprendente al giovane F. Scott Fitzgerald. Io lo ricordo più vecchio e più massiccio, un John Houston che arriva nella sua tranquilla città circondato da uno stuolo di segretarie, soci in affari, tutti accampati in una suite al The Fort Sumpter Hotel. Nel suo completo di lino, il cappello di Panama, il sigaro infilato tra i denti, non assomigliava a nessun uomo che avessi mai visto. Ciò che ne accresceva la magnificenza era il rispetto deferenziale che gli portavano non solo i suoi nipoti, ma anche i suoi stessi figli ormai adulti. Mia madre e le sue sorelle acquisivano un aspetto sottomesso in sua presenza, e una sola parola dura le feriva visibilmente, tuttavia lo adoravano e desideravano ardentemente godere del suo rispetto. Critico verso ogni cosa che facessero, dal ruolo di mio zio ammiraglio nella Baia dei Porci, alla postura di mia madre "Spalle indietro!" - era incredibilmente orgoglioso della bellezza del Clan che faceva il suo ingresso al country club, tutti i suoi membri profumati ed eleganti. In mio nonno amavo soprattutto la disinvoltura, la risata fragorosa, l'energia che portava con sé ovunque andasse. Avevo imparato che la via che portava al suo cuore non passava per l'esitazione, ma per la mossa di arrampicarsi sulle sue ginocchia, dargli un bacio e raccontargli una storia. E poi mostrargli i miei ottimi voti, i premi e i nastri che conquistavo a scuola. Come apprezzava i miei risultati! Li amava troppo, senza dubbio, ma mi assegnava un obiettivo. Poiché mia madre non mi degnava di uno sguardo, molto tempo prima avevo deciso
inconsciamente di non dirle nulla dei miei successi, e di consegnare le pagelle a Papà Colbert, come gli piaceva essere chiamato. Le sue lettere di elogio e di incoraggiamento, dettate al suo segretario John, costituivano la mia ricompensa. Il regalo per il mio diploma di scuola superiore fu un set di valigie Hartman con incise le mie iniziali, insieme alla promessa di un viaggio in Europa quando avrei finito l'università. "Compra il meglio", mi disse. "Vale sempre la pena investire." Può una donna attingere, per il proprio aspetto esteriore, all'immagine di un uomo? Assolutamente sì. Non era il completo su misura di velluto a coste color crema di mio nonno, che gli piaceva così tanto indossare a Palm Beach, cui aspiravo; era la mia immagine riflessa nei suoi occhi. Il modo di apparire che cominciai a creare per me stessa all'età di vent'anni corrispondeva all'immagine che mi ero fatta della donna degna di stare al suo braccio. Posso dirlo ora, benché, al momento dell'acquisto, la mia scelta accurata dei vestiti si basasse su elementi non ben identificabili. Non c'era altra donna nella mia famiglia che si vestisse come mi sono sempre vestita io, con un occhio alla bellezza del tessuto e della confezione e un occhio all'effetto di attrazione degli sguardi. Loro sono più conservatrici nell'abbigliamento - per niente esibizioniste come lo sono io, diretta discendente di mio nonno. Non posso descrivere il potere di rivelazione che si sprigiona dal fatto di scrivere queste cose. Fino a questo momento, non avevo mai riconosciuto l'esistenza di queste dinamiche. Oggi che gli uomini si accostano allo specchio con la stessa serietà con cui vanno a lavorare, mi piace immaginare che avremo più ragazzine che, come me, cresceranno studiando gli uomini che amano, forse imparando molto, se non di più, dalla relazione con la sua immagine rispetto a quanto potrebbero trarre dal rapporto con l'immagine di un'altra donna. Non tutte le donne amano lo specchio, le superfici che riflettono gli occhi degli altri fissi su di loro. Ma il mio primo mondo di invisibilità oggi è un'esperienza comune a molti bambini, visto che nelle mura domestiche sono così pochi gli occhi pronti a riflettere la loro immagine, e il posto che mio nonno occupava in mezzo a quel vuoto, non come un elemento decorativo ma come un'alternativa reale al mare che mi circondava, beh, mi salvò la vita. Quando negli anni Sessanta veniva a Manhattan non si preoccupava di avvisarmi in anticipo. Mi chiamava dal Pierre o dal Plaza, dicendomi dove e quando incontrarlo per pranzo o per cena. "Ti aspetto al 21 per l'una", diceva, ed io ero felice di cancellare tutti gli altri progetti, di scegliere con cura il mio abito, e di fare il mio ingresso, cercando i suoi occhi, mentre lui era in piedi a braccia aperte, per abbracciarmi e presentarmi con orgoglio agli altri uomini suoi amici. Era così deliziato dal fatto che fossi una "ragazza che lavora", che i miei impegni di lavoro mi portassero in Europa e ai Caraibi, e che la mia presenza tra quegli uomini li avesse fatti balzare in piedi. Dopo il pranzo passeggiavamo dirigendoci verso est, lui fumando uno dei suoi grandi sigari, diretti verso uno dei suoi negozi di moda maschile preferiti, Sulka o Dunhill, dove la sua entrata veniva salutata con grandi svolazzi. Mi venivano offerti una sedia comoda, un bicchiere di vino bianco e poi un'esibizione. L'amore di mio nonno per l'eccellenza si estendeva ai dettagli più esoterici. Si accendeva un sigaro nuovo mentre gli venivano portati gli articoli provenienti dalla stanza privata interna, un tessuto, ad esempio, che presumibilmente nessuno, tranne lui, Charles Colbert, avrebbe apprezzato. Lui e il direttore del negozio si perdevano nell'ammirazione del risvolto di una giacca. Chiedeva la mia opinione su tutto - cravatte, giacche sportive, giacche da sera, tessuti per camicie - indicandomi le sottili differenze che facevano di un capo un'opera di qualità superiore. Orgogliosamente, annunciava ancora una volta al direttore, come faceva con tutti, "Mia nipote lavora", soddisfacendo completamente i dubbi di quell'uomo circa la vera natura della relazione che ci legava. Mi faceva piacere pensare che potessero credere che fossi la "mantenuta" di questo uomo anziano. Riaccavallavo le gambe e sorridevo, sapendo che l'avevo reso felice e che questo era diventato il mondo. Dopo tutto, non avevo imparato tutto quanto da lui, a lavorare, a badare a me stessa, per, infine, essere vista? Il giorno che vendette la compagnia che aveva fondato, poi perduto e rifondato, mi telefonò alle sei del pomeriggio, e nel suo tipico modo perentorio, senza mai porsi il problema che potessi avere altri progetti, mi diede istruzioni perché
ci incontrassimo al Plaza Hotel per cena. Salutai l'uomo che sedeva sul mio divano, attraversai la città in taxi e trovai mio nonno scalzo nel mezzo della sua suite, stanco ma esuberante. Aveva settant'anni. Sedemmo insieme sul divano, guardando le cime degli alberi nella pallida primavera di Central Park, e brindammo al suo successo. Non sapeva ancora cosa avrebbe significato non lavorare, essere esautorati da ogni responsabilità e potere; come poteva saperlo? Aveva lavorato fin da ragazzo, era stato di sostegno ai suoi stessi genitori, perché il mio bisnonno, con grande sconcerto di suo figlio, era un uomo che si curava più della gente che del denaro, non riusciva ad esigere il pagamento di un conto da uno che non avesse denaro in contanti, e così finì in bancarotta una mezza dozzina di volte. Subito dopo la vendita della compagnia, la salute di mio nonno si deteriorò, come per tanti uomini, che, con la pensione, perdono la loro identità. Ma in occasione del festeggiamento di quella sera, la nostra ultima sera da soli, si sentiva in cima al mondo, orgoglioso del corsorzio che aveva creato per i propri figli e i propri nipoti. "Meglio dello stupido trust che ha messo in piedi Mellon", si vantò, e mi invitò a fargli domande sul funzionamento del trust. Ma io ero raggelata al pensiero di qualcosa che prendesse vita dalla sua stessa vita, e lo pregai di parlare invece dei primi giorni a Pittsburgh, quando lui e Mellon e Carnegie cenavano al William Penn Hotel, gareggiavano a Steeplechase e bevevano gin distillato alla macchia. Mi raccontò del suo primo colloquio di lavoro, del fatto che era in ritardo e che, correndo in mezzo ai campi, aveva strappato le scarpe nuove di pelle nera contro un filo spinato; mi raccontò dei suoi appuntamenti con Delores, che cantava con un gruppo e che avrebbe poi sposato Bob Hope, e dell'esistenza di una passatoia di lino bianco sulle scale che portavano alla sezione riservata alle signore nell'esclusivo Duquesne Club. Ci fu un momento mentre stavamo brindando in cui il ragazzo dell'albergo bussò alla porta e mio nonno mi spinse con ansia nella stanza accanto, dove io aspettai a piedi nudi, divertita dal fatto che egli avesse temuto che il ragazzo, vedendomi, avrebbe pensato a me come ad una "donna di malaffare", senza dubbio una proiezione della fantasia di mio nonno. Quella sarebbe stata l'ultima notte in cui danzai con lui. Bevemmo champagne, mangiammo ostriche e aragosta, e non ci perdemmo un solo ballo, perché il padre di mia madre era un grande ballerino. Il fatto che mi tenesse troppo stretta a sé e che appoggiasse la mano sulla mia gamba sotto il tavolo, che io ripetutamente spostavo, non mi fece certo scoppiare in lacrime; mio nonno stava festeggiando la fine della sua vita. "Tu sei la sola donna della famiglia che vede tuo nonno come un uomo", mi avrebbe detto la mia nonna acquisita anni dopo, poco prima della sua morte. Mi confidò anche che era un'amante meraviglioso. Era un grande donnaiolo, il mio Papà Colbert. Sposatosi tre volte, fece in modo di rimanere nella Chiesa Cattolica e, per usare le parole della sua ultima moglie, era "il miglior partito di Palm Beach". Se verso la fine della sua vita mi vide in una luce sensuale, sono certa che, in parte, io volli diventare così per lui. Io ero la sua bambina, lui era il mio eroe, il mio modello di come vivere una vita su grande scala. La mia passione per la compagnia degli uomini, la mia tendenza a non pensare che siano peggio delle donne, deriva da lui e dal mistero che ha sempre circondato la persona di mio padre, la cui assenza enigmatica ha determinato la creazione di un'immagine di uomo dealizzata, il genitore mancante che mi avrebbe certamente amato e visto come la sua bambina. Le donne che hanno intenzione di escludere gli uomini dalla vita dei propri figli, dovrebbero ricordarsene. 7.2 - Il buon capofamiglia. Fino in epoca recente, la maggior parte degli uomini e delle donne della nostra cultura e di tutto il mondo definivano la virilità nei termini del Buon Capofamiglia. È impossibile esagerare quanto sinteticamente tale definizione riassumesse la virilità di un uomo, il suo successo indiscutibile nell'essere un Vero Uomo. Essere un Buon Capofamiglia costituiva così tanto il marchio di un uomo che più egli provvedeva al sostentamento economico della famiglia, più denaro faceva, e meno altri aspetti della sua persona e della sua vita venivano
messi in discussione. La sua personalità, la sua freddezza, la sua gentilezza se riusciva a mantenere la propria famiglia, riusciva anche come uomo. Questa definizione, in base alla quale sono state cresciute generazioni di uomini, era talmente vitale per la stabilità del mondo - come Atlante che sorregge il globo terrestre fuori dal Rockfeller Center -che tutti gli altri ruoli erano organizzati attorno ad essa, a cominciare dalla definizione della femminilità in termini di "colei che si prende cura dei figli". Nell'ambito dell'Accordo Patriarcale, i figli potevano crescere sognando una vita diversa, sogni che però venivano quasi sempre abbandonati quando la realtà dell'Accordo prendeva il sopravvento. Teoricamente, un uomo non aveva un "aspetto esteriore". Si potrebbe dire che il suo successo lo precedeva, nella figura della moglie e dei figli, ovviamente belli, o nello spettacolo della sua casa e della sua automobile; ma quando guardavamo lui, sia che fosse grasso o magro, calvo o con la barba, ciò che vedevamo era potere, e il potere, di per sé, era, e ancora è, molto attraente. Quando un uomo ostentava una bella donna al suo braccio, guardavamo la pelliccia di lei, la sua borsetta di coccodrillo, l'eleganza del suo viso e delle sue forme, e dopo avere totalizzato i suoi beni, ci eravamo fatti anche un'idea del grado di preminenza di lui. Mentre ci complimentavamo con lei per la raffinatezza dei suoi accessori, il nostro rispetto più profondo andava a lui. Quando l'esercito femminista entrò nel mondo del lavoro, cambiò il nostro modo di vedere le donne, e non riesco proprio ad immaginare un ritorno alla definizione tradizionale di femminilità. L'allevamento dei figli può in parte definire le donne, ma la nostra parziale appropriazione di ciò che un tempo si chiamava mascolinità ha lasciato gli uomini in una posizione scoperta, senza riparo. Nel frattempo, continuiamo a giudicare lo status degli uomini in base al fascino della donna che gli sta a fianco. "Gli uomini cercano delle donne attraenti come compagne non solo per il loro valore in termini riproduttivi", scrive lo psicologo David M. Buss, "ma anche come segnali di status rispetto a competitori dello stesso sesso e ad altre potenziali compagne."(1) La ricerca che Buss condusse servendosi di fotografie di uomini e donne dalla differente prestanza fisica lo portò a concludere che "la gente sospetta che un uomo bruttino debba avere uno status elevato se interessa ad una donna di stupefacente bellezza". La psicologa Susan Harter scoprì un corollario a questa osservazione: "Il fascino degli uomini è spesso associato al potere, allo status, alla ricchezza, alla posizione sociale. L'uomo che possiede questi beni viene spesso giudicato attraente anche se, dal punto di vista strettamente fisico, non si può pensare che i suoi lineamenti corrispondano ai canoni classici della bellezza". Una ricerca che comprovò le osservazioni della Harter giunse proprio dopo la Guerra del Golfo, quando, in un articolo comparso su una rivista femminile, si chiedeva: "Chi è l'uomo più sexy d'America?" Era il generale Norman Schwarzkopf. Durante il Patriarcato, alcuni uomini facoltosi come mio nonno tendevano a pavoneggiarsi e a vestirsi con più eleganza, scegliendo completi e abiti di lino ricercati, scarpe dalla buona fattura riconoscibile, ma si astenevano assolutamente dallo sfarzo; un uomo doveva stare molto attento a non apparire troppo vistoso. Nel mondo industrializzato del diciannovesimo secolo, un comportamento che mettesse le apparenze al di sopra della performance semplicemente non si addiceva ad un uomo. Meglio peccare di invisibilità. Militari di alto rango come i generali Goering e Patton erano famosi per i loro svolazzi in campo estetico, ma i comuni mortali la sapevano più lunga. Un uomo dagli abiti lussuosi annunciava ad altri di avere passato più tempo con il suo sarto che dietro la propria scrivania. La ritirata degli uomini dallo specchio costituì l'inversione di una tendenza storica di grande rilievo. Fino all'avvento del capitalismo e all'ascesa della borghesia, gli abiti degli uomini erano stati anche più splendidi di quelli femminili. Nel diciottesimo secolo, gli uomini si vestivano per attirare l'attenzione sulla propria persona; più raffinato era l'abbigliamento e più ammirato era l'uomo che lo indossava. Ma al volgere di quel secolo, gli uomini rinunciarono alla moda, all'eleganza e alla bellezza, e adottarono una nuova uniforme, il completo scuro, quello con cui fecero il loro ingresso nelle fabbriche capitaliste. In cambio di questo potere di natura pubblica,
consegnarono nelle mani delle donne il ruolo della bellezza, un potere privato, certo, ma controllato in gran parte dagli uomini. In un'ottica superficiale, può sembrare che gli uomini abbiano fatto un buon affare, ma ostentare la bellezza sotto forma di una bella donna al proprio braccio, e non possederne alcuna in proprio, è un po' come mangiare del cibo a cui sia stato levato ogni sapore. Come il mio vecchio amico psichiatra Richard Robertiello osservò una volta: "Gli uomini traggono grande nutrimento dagli occhi della gente che ammira le belle donne che essi portano con sé. Noi maschi, inconsciamente, ci identifichiamo con l'esibizionismo di lei, ma nutriamo la nostra vanità quando gli altri assaporano la sua bellezza". "Un'ammirazione di seconda mano non suona molto gratificante", replicai a mia volta. Alzando le spalle mi disse: "Questo è il motivo per cui gli uomini serbano rancore per il potere della bellezza femminile e le umiliano. Gli uomini amano e allo stesso tempo invidiano quel potere". In una prospettiva di sano narcisismo, l'Accordo Patriarcale non era sano né per gli uomini né per le donne, che venivano incoraggiate ad essere degli oggetti piacevoli che si sciupavano come tanti fiori delicati che hanno dinanzi a sé una vita breve. Quando ci voltiamo indietro ad esaminare quegli anni, siamo tentati, nel caos che attraversa il mondo odierno, di pensarli come parte di un'epoca migliore, più ordinata. Ma l'ordine era esattamente ciò su cui si reggeva L'Accordo; i ruoli sessuali erano così rigidamente prefissati che ciò che non vi trovava posto veniva soffocato nella negazione. Gli uomini non potevano permettersi di ammettere a se stessi quanto si sentissero inermi, eccitati e intimiditi dinanzi alla bellezza femminile; un atteggiamento simile avrebbe sfidato le esigenze economiche del Sistema Patriarcale prima ancora del suo inizio. Dunque, era necessario addomesticare le donne, neutralizzare la loro potente bellezza sensuale così che l'uomo si trovasse nelle condizioni di poter lasciare a casa quella piccola donna mentre egli si avviava a caricare le fornaci del mondo industriale. Essendo ben consapevole di ciò che lo aveva inizialmente attratto nella donna che ora era sua - i suoi seni, le labbra carnose, le belle gambe - come poteva lasciare a casa questa creatura sessuale tentatrice, senza alcun controllo, a miglia di distanza dai luoghi dei suoi affari? E se un altro uomo l'avesse vista, ne avesse sentito il profumo, avesse messo il piede dentro casa? Essere un marito tradito era infatti la sorte peggiore che potesse toccare ad un uomo. La moglie non era una sua proprietà? Un pensiero grossolano forse, ma lui pagava per ogni cosa, e una scopata casuale con l'idraulico, il postino, chiunque, avrebbe diminuito il valore della sua proprietà, un po' come una gamba scheggiata rovina un bel tavolo Chippendale. Un uomo avrebbe perso la faccia apparendo in pubblico con una donna che era stata sessualmente "usata" da un altro uomo. Meglio dunque desessualizzarla dopo il matrimonio, invitarla ad allungare le sue gonne, a lasciare che i suoi capelli tornassero al loro colore naturale. Meglio diminuire anche la sua stessa visione di lei come persona sessualmente interessante. Gli uomini si lamentano del fatto che le donne, una volta terminata la luna di miele, si spengono nei propri ardori sessuali, ma questi adattamenti di grande significato avvengono solitamente in tandem. Un uomo con famiglia non desiderava pensare al genere di sesso "proibito" per cui smaniava, in compagnia della madre dei suoi figli, della donna che anch'egli chiamava "Madre"; per questo tipo di sesso c'erano le "sgualdrine", che avevano il loro modo di apparire, che era molto, molto diverso da quello della "allevatrice di figli". Nel sopprimere la bellezza sessuale della propria donna, egli poneva dei limiti anche al suo stesso godimento, ma in tal modo rendeva più facile la vita del Buon Capofamiglia. Colui che non riusciva a "controllare" la propria moglie, era guardato dagli altri uomini e dalle altre donne come un debole. Con il passare del tempo, il trasferimento della dimora della propria moglie nei sobborghi, dove le lunghe giornate trascorrevano in compagnia soltanto di altre donne, per l'uomo moderno ebbe forse la stessa funzione consolatoria della cintura di castità per il crociato che partiva per la guerra, che era poi il modo in cui gli uomini borghesi vedevano il mercato. Prima del femminismo, la società era strutturata in modo da eliminare tutto quello che potesse ostacolare il progresso economico. Chi interferiva con tale
obiettivo aveva dunque un aspetto esteriore che segnalava la presenza di guai in vista. L'effetto sconvolgente di una "donna di cattivi costumi" - il personaggio di Lana Turner ne Il postino suona sempre due volte - consisteva nel fatto che la sua sensualità vistosa - tacchi alti, pantaloncini corti e turbante minacciava lo status quo. Un secondo dopo l'ingresso di questo "tipo" di donna nel film, la musica assumeva un tono erotico, a suggerire alle spettatrici abbigliate con le loro gonne ampie quel che esse già sapevano: che rischiavano di perdere i propri mariti per donne come queste. L'intera città veniva scombussolata quando una Gloria Grahame o una Marilyn Monroe camminava per la via principale, facendo girare la testa a tutti gli uomini, mentre la musica incalzava. L'aspetto esteriore comunicava ogni cosa. Crescendo in un periodo in cui questa formula era ancora vitale, non mi ritrovavo né nel ruolo della rovina-famiglie né in quello della custode del nido, così come non riconoscevo il mio tipo di uomo nel completo di flanella grigia che prometteva sicurezza. Quando giunsi a New York, scoprii di essere eccitata dall'aspetto di uomini che non avevano nulla del Buon Capofamiglia. C'era una sessualità annunciata nei loro capelli scompigliati, nell'andatura dinoccolata, nell'assenza del completo blu scuro, nel modo in cui questi "uomini proibiti" tenevano la sigaretta o un bicchiere di scotch. Una ragazza sapeva di avere di fronte un uomo senza denaro, guidato da altri obiettivi, ben più affascinanti. I loro volti erano animati da pensieri sempre sul punto di traboccare, e quando guardavano una donna, la vedevano davvero. Nella loro irreggimentazione, le vite della maggior parte degli uomini avevano confini tanto ristretti quanto quelle delle donne; eravamo stati tutti posti su dei binari nella nostra infanzia, e niente annunciava la direzione del nostro viaggio quanto il modo in cui apparivamo all'esterno. Gli uomini raccolgono poca simpatia tra le donne, che ancora li vedono in possesso di ogni potere, quando in realtà molti di essi sono totalmente immersi nell'impresa di rendersi ottusi, dipendenti, di chiudere ogni orizzonte che non conduca al successo economico, ovvero a ciò che, ancora oggi, costituisce una parte importante della definizione di un uomo. Alle donne interessate a sistemarsi, il look del completo blu della resa alle briglie del capitalismo rappresenta il richiamo dell'accoppiamento. Che io andassi nella direzione opposta rimase un mistero per mia madre, benché lei non si sia mai preoccupata per me. Quando in occasione delle vacanze portavo a casa i miei vari uomini, non accennò mai alla mancanza del completo blu e delle scarpe di marca. Musicisti, scrittori, artisti, devianti vari, nessuno degli amanti che mi accompagnò a casa di mia madre le procurò sconcerto o la indusse a fare dei commenti, eccetto il saltuario: "È ebreo, non è vero?" Erano, quasi sempre, brillanti, divertenti, e, ovviamente, sensuali, cosa di cui credo anche mia madre si accorgesse. C'era un dono che facevo ad ogni uomo di cui mi innamoravo, che mio nonno aveva fatto prima a me: li introducevo all'arte dello specchio. Non al completo blu scuro, che avevano sconfessato così chiaramente, ma alla versione più raffinata di qualunque genere di abbigliamento preferissero. È un grande dono aprire un uomo alla sua vanità, molto inebriante, come i risvegli nelle fiabe. Una donna che applaude al narcisismo di un uomo, dandogli il permesso di inseguirne ulteriormente i richiami, beh, credo che un uomo non dimentichi in fretta una tale tutela. Ne scaturisce una forma di dipendenza, in cui l'uomo sente un bisogno più forte della presenza di quella donna nella propria vita. Lei ora è il sole, senza il quale non ci sarebbe nessuno pronto ad accoglierlo con lo sguardo, a vederlo. Fare un dono simile ad un uomo significa aggiungere legna al fuoco dell'amore, una parola che reclama una definizione. "Oh, amore mio, amo il modo in cui mi vedi!" Ora quella parola acquista un significato. Noi donne siamo quelle che danno il permesso, perché tutto è cominciato con la prima donna della sua vita, che ha amato, oppure no, la forma adorabile del suo piccolo corpo; in entrambi i casi, questo è quanto una donna adulta accende in lui, la vista di se stesso adorato dai suoi occhi. C'era uno scrittore che portai da un sarto, i cui fili magici riuscirono ad alterare il modo in cui il mio amante si vedeva, ed il modo in cui vedeva me. Eravamo a Roma in vacanza. Nella sua unica valigia aveva riposto qualche paio di jeans, magliette, e un blazer, ma soprattutto l'aveva riempita della carta legale gialla su cui scriveva e dei libri che stava leggendo. Lo amavo
pazzamente e desideravo fargli dono di quel fascino che lo avrebbe legato a me. Una mattina gli comunicai che l'avrei portato dal sarto di Mastroianni. "Considerala come un'esperienza di cui scrivere", gli dissi per persuaderlo. Anche dopo una colazione in Piazza Navona era nervoso come una giovane sposa, e così ci avviammo verso via Condotti fin quando non arrivammo a poche porte dalla scalinata di Trinità dei Monti. Lì svoltammo in una piccola corte, e, dopo essere saliti su una stretta rampa di scale, entrammo in una sequela di stanze ombrose, con le persiane socchiuse per il sole del pomeriggio. Pezze di stoffe aperte giacevano alla rinfusa sui tavoli da taglio e ammassate sugli alti scaffali, mentre l'unico suono veniva dalla fontana della corte di sotto. Mentre gli assistenti del sarto-mago prendevano le misure al mio uomo, il maestro gli parlava usando i toni più gentili, nella consapevolezza di avere a che fare con un novizio. Il mio amante era un tipo arrogante, sempre pronto a mascherare ogni segno di disagio, ma quel giorno si comportò come una vergine che veniva lentamente e sapientemente sedotta. La svolta, naturalmente, era legata al fatto che si stava innamorando della propria immagine. Come con mio nonno, il mio piacere consisteva nell'assistere allo spettacolo, nel vedere cadere le sue difese. Sono sempre stata colpita dal fatto che la maggior parte degli uomini, quando si guarda allo specchio, tenda a fissare la propria faccia con un'espressione quasi sofferente, innaturale, al modo dei bambini, il che non è strano, vista la loro mancanza di pratica. "Quando un uomo guarda in uno specchio, guarda dovunque ma non dritto davanti a sé", sono le parole di un venditore di specchi citate dall'Esquire. "È come se pensasse che guardarsi è sbagliato, come se avesse paura di essere sorpreso."(2) L'invisibilità di cui ho sofferto da bambina mi aveva resa sensibile al bisogno di un uomo di essere lodato per la sua forma fisica. Comprendevo bene la solitudine che si prova quando gli occhi degli altri ti scavalcano. Quando il blazer e i pantaloni in tessuto diagonale furono finiti, l'uomo che li indossava si sentiva così a proprio agio durante la prova, la sistemazione degli spilli, le esclamazioni di ammirazione davanti all'alto trittico di specchi, che la sua autoinfatuazione ricordava quella di un animale che vede il proprio riflesso in uno stagno. Il rapporto con il sarto era divenuto nel frattempo così amichevole che, quando venne il momento di separarsi, si scambiarano battute e sigari. Era un dono che avrei scambiato in futuro con altri uomini, ma solo dopo aver riconosciuto in loro l'amore per l'aspetto esibizionista della mia personalità, un aspetto che essi desideravano condividere. Non volevo un uomo che mi ostentasse al suo fianco, nutrendo il suo esibizionismo in modo vicario. Meglio essere il condotto che lo apriva al suo sano narcisismo. Gli uomini che si alimentano della bellezza delle loro donne, con il tempo, iniziano a invidiarne il potere, oppure si stancano del suo aroma e vanno in cerca di altre donne, altri sapori. Non voglio nessun cavaliere risentito al mio fianco; piuttosto, un gemello che aspiri al potere di essere visto. Riconsegnare un uomo alla bellezza del proprio riflesso è un atto che ha in sé un fascino magico, estremamente importante per quelle di noi che temono il rifiuto. Solo di recente i termini voyeurismo ed esibizionismo sono entrati a far parte della conversazione garbata. Gli esperti mi mettono in guardia sul fatto che le parole sono appropriate quando riferite a comportamenti patologici, laddove il guardare o l'atto esibizionistico sostituiscono il sesso. Ma questi guru sono disposti a concedere che non abbiamo ancora coniato termini che esprimano ciò che sta accadendo negli ultimi anni, da quando cioè sono sempre più numerose le persone che se ne vanno in giro mezze nude. La smania di oggi di attirare l'attenzione sul proprio corpo si riassume in un mondo fatto di voyeurs e di esibizionisti; nulla ha influenzato questo processo più del ritorno degli uomini nella contesa per la bellezza. "Al giorno d'oggi, le persone utilizzano queste parole in modo molto più generale", afferma Robertiello. "Gli uomini sono decisamente più voyeurs delle donne, mentre le donne sono infinitamente più esibizioniste rispetto al loro aspetto fisico. Alcuni uomini oggi si preoccupano di più della propria forma fisica, della mostra del loro corpo, ma è un'evoluzione relativamente recente, e inoltre non si applica alla maggior parte degli uomini. " Vent'anni fa, gli
esperti puntavano il dito contro di me, ammonendomi sul fatto che soltanto gli uomini erano voyeurs. Oggi, donne colte come Judith Seifer ammettono: "È naturale che le donne siano voyeurs! Cos'altro è se non voyeurismo il modo in cui le donne guardano altre donne e ricordano con una memoria da elefante esattamente cosa indossano? Esistono poi dei video pornografici prodotti espressamente per donne". Mentre William H. Masters pone l'accento sul fatto che il termine esibizionista, in una prospettiva psicoterapica, implica ancora che si stia parlando di un uomo, la maggior parte dei comportamentisti concorda sul fatto che entrambe le parole, esibizionismo e voyeurismo, stiano scivolando sempre più nell'uso comune. C'è una differenza tra l'esibizionista maschio nel suo sporco impermeabile e la donna che indossa un abito trasparente camminando per strada, ma le sfumature si moltiplicano. Negli anni Settanta, Kate Millet descrisse ciò che prova l'eroina di Charlotte Brontë di 'Villette' quando guarda gli uomini: "La loro bellezza, e la Brontë è forse la prima donna che abbia mai ammesso in un libro che le donne trovano belli gli uomini, la stupisce e la ferisce" (3). Può essere vero, mi chiedevo, che le donne siano state così restie a parlare e a scrivere del potere della bellezza che gli uomini esercitano su di loro? La nostra riluttanza a condividere il potere della bellezza è meno decisa di quella maschile a rinunciare al potere economico e politico di cui godevano in modo esclusivo? Il potere del denaro è talmente ovvio che, quando cambia di mano, solleva un dibattito; la bellezza non è meno potente, ma ne abbiamo svalutato l'influenza dominante per diversi secoli perché l'Accordo Patriarcale, avendola negata agli uomini, non poteva permettere che la bellezza delle donne fosse messa sul piatto della bilancia. La proprietà della bellezza da parte delle donne sotto il Patriarcato portò a molti comportamenti scellerati tra quegli uomini che non potevano permettersi economicamente le belle donne da cui si sentivano attratti, cui sentivano di avere diritto. Sono le cose di cui è fatta la letteratura, il bambino che cresce adorato dalla propria madre, vedendo se stesso nei suoi occhi e identificandosi con la sua bellezza. Ma non possiede la ricchezza necessaria per avere una donna bella per sé, oppure la famiglia di lei è alla ricerca di un partito migliore. Quindi, quando lui vede le belle donne che non saranno mai sue, le odia, cerca di mortificarle, non diversamente dalla moglie più abile, e dunque scontenta, che odia il proprio marito per essere un fallimento sul mercato. Anche l'uomo ricco con al braccio una gran bellezza spesso non è soddisfatto; la bellezza appartiene a lei, non a lui. E così gli uomini si comportano con disprezzo nei confronti delle donne che dispongono di tutto questo potere, benché essi non riconoscerebbero mai consciamente il motivo per cui stanno agli angoli delle strade e fanno commenti volgari, colmi di una rabbia tanto brutale quanto la furia femminista indirizzata agli uomini. Proviamo ad immaginare quanto l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la nostra conseguente capacità di provvedere al nostro mantenimento abbia alterato il modo in cui gli uomini vedono se stessi. Accantona per un momento il diritto di lavorare delle donne, perché l'inconscio non segue logiche di giustizia. Le immagini femminili e maschili convogliate da quella giostra non così allegra che è la moda, riflettono la radicalità del cambiamento nel modo di definire la mascolinità e la femminilità. Stiamo tutti cercando un look che vada molto oltre i semplici vestiti - non che i vestiti siano mai "semplici" - un'immagine della nostra vita con cui poter convivere in modo equilibrato. È fonte di grande turbamento dover esistere senza l'ancora dell'identità, che include un'immagine esteriore di sé. Opprimenti, ridicolizzanti e soffocanti, i ruoli tradizionali del Buon Capofamiglia e della Custode del Focolare erano funzionali più di quanto ci piaccia ammettere; orfani dei nostri ruoli sociali, specialmente gli uomini si trovano abbandonati in una zona grigia che non li aiuta nel processo di definizione di cosa significhi essere uomo. Noi non risparmiamo tempo e inchiostro ad investigare i ruoli delle donne, i loro problemi, le loro storie di vita. Per gli uomini, non porsi domande sulla virilità può essere l'unica cosa totalmente maschile che resta loro. Questo è il massimo per le donne che odiano gli uomini, e, io temo, il loro numero è in aumento. La maggior parte degli uomini sembra tirare avanti a stento, forse nella convinzione che gli
ultimi venticinque anni saranno spazzati via, che la destra repubblicana restaurerà lo status quo. La mia simpatia per gli uomini può forse influenzare la mia fede ottimistica sul futuro ammorbidimento dei sentimenti di disprezzo manifestati da gruppi come quelli responsabili dell'organizzazione della Million Man March, o i Promise Keepers. L'aumento vertiginoso di famiglie senza padre, unito ai tassi a livelli senza precedenti di incarcerazione di giovani per crimini, droga e atti di violenza, dovrebbe indurci a chiederci: perché? Perché abbiamo perduto così tanti uomini, così tanti padri? Al contrario, le Femministe Matriarcali rimproverano gli uomini sempre più aspramente. La nostra rabbia incontrollabile, la nostra capacità di amare, così come il nostro bisogno di essere visti, comincia con la nascita. Chi si macchia di abusi, il rude balordo sul marciapiede, e così la bella ragazza seminuda che egli sta molestando verbalmente, non vogliono convincersi del fatto che i nostri bisogni sono radicati nei primi anni di vita. Se c'è un grido incagliato nel fischio di quell'uomo, potrebbe essere questo: "Ti odio perché sei così bella, così potente, e così cieca nei miei confronti, il che mi fa sentire così piccolo e bisognoso rispetto a te: 'Io uno mia madre, io due mia madre, io tre mia madre... io odio mia madre' ". Ed è esattamente ciò che fanno gli occhi dei ragazzi e degli uomini furibondi: ci divorano, alcuni barbaramente, altri amorevolmente, una variazione questa che dipende dalla storia d'infanzia dell'uomo in questione. E non c'è bisogno che aggiunga che la stessa cosa vale per la reazione di una donna al guardare maschile: si sentirà riscaldata dagli occhi degli uomini oppure li odierà a seconda di quel che pensa che essi vedano. 7.3 - "Cosa vede in lui?" Come vedeva una donna il proprio uomo trent'anni fa? Di certo non come un oggetto sessuale o un capolavoro di bellezza. Quando l'esistenza di una donna dipende da un uomo che lavora fuori casa, in un posto sconosciuto che egli raggiunge tutte le mattine e da cui non fa ritorno fino a sera, l'immagine che lei ha di lui si tinge di bisogno assoluto, quasi come quanto l'immagine glorificata che il bambino ha della propria madre è circondata da un'aureola di santità nel caso lei sia una cattiva madre. La donna proiettava sull'uomo le sue proprie ambizioni, tutti gli obiettivi che aveva sempre desiderato raggiungere ma che le era stato vietato di perseguire. Una certa sfumatura erotica era inevitabile; lui svettava alto, probabilmente più alto di quanto fosse realmente. Il suo peso, le guance cascanti, la calvizie prematura, l'invecchiamento, non rientravano nell'immagine che lei aveva di lui. Contava piuttosto la prospettiva del suo ritorno a casa, il luogo di lavoro di lei, in cui si prendeva cura di quell'uomo, lo nutriva, lavava e stirava i suoi vestiti fino al giorno successivo, quando lui avrebbe ancora una volta lasciato la casa, portando con sé il destino di tutti i suoi abitanti. Quando il treno dei pendolari era in ritardo, quando lei trovava una bustina di fiammiferi di qualche motel o le altre donne sussurravano a proposito dell'avventura extra-coniugale del marito, la sua disperazione non si concentrava sull'immagine di lui come oggetto sessuale - che lei aveva perso di vista fin dai primi giorni di matrimonio; piuttosto, pregava perché la porta si aprisse, solo per poterlo vedere mentre, in tutta la sua solidità e affidabilità, rimetteva insieme i cocci della sua vita subalterna. Fino alla metà degli anni Cinquanta, le coppie sposate dei film dormivano in letti singoli, e i mariti indossavano i loro vestiti completamente abbottonati fino al momento di andare a letto; in L'uomo dal vestito grigio, Leave It to Beaver, The Dick Van Dyke Show, perfino in The Honeymooners, i mariti apparivano forti e affidabili anche quando giravano per casa, ad enfatizzare il loro ruolo di capifamiglia. Se un uomo era in grado di provvedere efficacemente al benessere economico familiare, nessuno si chiedeva: "Cosa vede in lui?" Le sue riviste parlavano di affari e di politica. Le riviste di lei la consigliavano di dare un tocco di mistero alle loro serate insieme, di accendere qualche candela, di preparare un piatto speciale; il guaio peggiore in cui potesse incappare una donna era quello di perdere il proprio uomo. Per questo, lei non poteva permettersi di "lasciarsi andare". Quando le donne volevano sognare, evadere, leggevano i romanzi Harlequin. Dal 1906, Harlequin alimenta
l'immagine dell'uomo dei sogni delle donne. Negli anni Cinquanta, Sessanta e per gran parte degli anni Settanta, "Alpha Man rappresentò l'incarnazione dell'uomo desiderato dalle donne", commenta Katherine Orr di Harlequin. "Era corpulento, forte, imponente, un tipo meditabondo di cui lei non riusciva a leggere i pensieri. Poteva possedere una proprietà in cui lei lavorava, oppure essere un medico. Andavano molto le coppie medico/infermiera allora. Il medico era visto come una figura eccitante, potente. Ma ancora una volta, misteriosa e piuttosto assorta, perché sottoposta ad una gran quantità di pressioni. E ricco. Sempre ricco." Sia che si trattasse del grasso Jackie Gleason o del bruno Alpha Man, doveva comunque essere un Buon Capofamiglia. Altrimenti, non aveva alcun senso; se una donna non possedeva denaro in proprio, che senso aveva sognare un uomo bello e sensuale, eccitante ma pericoloso, dato che il sesso al di fuori del matrimonio poteva derubare una donna di ogni cosa? Un'altra immagine prediletta dai film anni Quaranta era la storia di una donna che cade preda del fascino sensuale di un uomo, film come Back Street. Semplicemente, le donne non potevano permettersi di rispondere ad altra qualità in un uomo che non fosse la sua capacità di mantenerle. L'industria cinematografica e del romanzo tascabile nutrivano le fantasie romantiche delle donne, ma non esisteva alcuna industria dell'eros per loro, nulla di concepito specificamente per eccitarle, per farle pensare alla masturbazione o al sesso extra-coniugale. La musica romantica colmava un vuoto, ma dato che le donne non si ritenevano persone dotate di una sessualità autonoma, indipendente dalla presenza di un uomo, le sensazioni di tipo sessuale che in realtà provavano, ricadevano, sia per loro che per chiunque altro, sotto l'etichetta del "romanticismo". Fino a venticinque anni fa, le donne non pensavano di avere delle fantasie sessuali, e così il resto del mondo. Dunque che senso aveva per un uomo pensare alla propria immagine fisica, cercare di catturare l'occhio di una donna se poi tutte le donne si curavano soltanto della sua capacità di sostentarle economicamente? Era un dato di fatto che le donne non guardavano. Gli uomini erano i voyeurs e le donne le esibizioniste. Il significato che si cela nel rinnovato interesse maschile per il proprio aspetto estetico è più che ovvio. Implica che le donne, ora meno dipendenti sul piano economico, si sono messe a guardarli, a giudicarli. In una ricerca del 1994 promossa dalla University of Chicago, intitolata Sex in America, il 30% delle donne tra i diciotto e i quarantaquattro anni e il 18 % delle donne tra i quarantacinque e i cinquantanove anni risposero che trovavano "molto attraente" "guardare il partner svestito"; non è una percentuale disprezzabile, visto che le Brave Ragazze non guardavano del tutto. Per quanto riguarda gli uomini, il 50% tra i diciotto e i quarantaquattro anni e il 40% del gruppo più anziano trovava "molto attraente" la prospettiva di guardare la propria partner svestita (4). "Gli uomini oggi, più spesso che in passato, si trovano nella posizione degli oggetti sessuali", sostiene William Farrell, "ma ciò che è ancora vero è che sono visti dalle donne prima di tutto e prevalentemente come 'oggetti di successo'." Quando certe donne si stancano del proprio lavoro, hanno a loro disposizione l'opzione di andarsene, di tornare da un marito che le mantenga, di sposarsi, o di lavorare a casa. Non è un'opportunità di cui la maggior parte degli uomini possa usufruire. Gli uomini si rendono conto che la stessa donna che compete con lui in ufficio, che può guadagnare come lui o più di lui, fa ancora delle valutazioni sul suo reddito. Certo, esistono i matrimoni in cui le donne guadagnano più dei loro uomini, ma gli studi sui litigi in famiglia, le rotture di matrimoni e relazioni, spesso additano nella "lite per questioni finanziarie" il principio della fine. Anche se la donna riesce a mettere da parte l'incapacità dell'uomo nel provvedere alla famiglia, è l'uomo che non può farlo. Più è giovane l'uomo, e maggiori sono le probabilità che accetti di investire il proprio denaro in un prodotto di bellezza o in un vestito nuovo; questi uomini rappresentano la punta dell'iceberg, e le industrie della moda e della cosmesi stanno trattenendo il respiro. Le donne lo compreranno, compreranno lui, il nuovo uomo attraente? Gli occhi delle donne si faranno docilmente condurre alla condivisione dello specchio?
Nel frattempo, a ovest spunta il nuovo eroe maschile dei libri Harlequin, mai da sottostimare come fattore predittore del futuro dei sessi. Fa il suo ingresso il Western Cowboy, l'eroe di fantasia preferito di oggi, la cui immagine decora le copertine di milioni di libri in tutto il mondo. Il 46% delle vendite di tascabili per il mercato di massa è costituito dai romanzi rosa. Nel mondo, ci sono cinquanta milioni di lettrici di storie romantiche, e ognuna di loro legge più di un libro a settimana. Barnes & Noble calcola che la lettrice media spende 1.200 dollari all'anno per i suoi libri tascabili (5). Che genere di fame sta saziando questo fenomeno? "Il suo aspetto dice alla donna che egli è forte, che si può prendere cura di lei", aggiunge Katherine Orr. Viene il sospetto che sia simile al Buon Capofamiglia; nelle parole della Orr, il Cowboy non è un aiuto comune nel ranch, ma possiede centinaia di acri di terra. "Questo dice immediatamente alla donna, sposata o single - la sua età media è di quarantadue anni - che lui può salvarla dall'isolamento del mondo contemporaneo", commenta la Orr. "Ma a parte il fatto che è ricco e forte, è la sua concentrazione su di lei, l'attenzione nei suoi confronti che è di massima importanza. Lui le parla. Le donne desiderano sempre comunicare, gli uomini no. Le lettrici di letteratura romantica vogliono il dialogo. E dato che lui ha molti dipendenti, può abbandonare il suo ranch e pensare soltanto a lei." Un Buon Capofamiglia che parli. Ancora il sogno di ogni donna. Nella vita reale, dopo un rapporto sessuale, l'uomo si gira dall'altra parte, avendo perso quota più velocemente di lei dal momento dell'orgasmo. Lui è pronto a interrompere la comunicazione e a dormire. Lei vuole mantenere l'intimità, è ancora in fase di discesa, sia da un punto di vista psicologico che chimico; vuole essere tenuta tra le braccia, parlare. Per le donne, la conversazione prima e dopo il coito occupa il primo posto della lista; anche nella fantasia, le donne enfatizzano l'importanza delle parole, la conversazione protratta che pone le basi per la fiducia, che, letteralmente, permette alle donne di aprirsi. Quanta intelligenza da parte di Harlequin puntare su un cowboy parlante e per di più ricco. Le donne accusano gli uomini di vederle come un assemblaggio di parti, tette e culo. Il Principe delle Parti dell'immaginario romantico femminile è poi così diverso? C'è un "aspetto" dell'eroe dei paperback per ogni tipo di donna. Questi piccoli pezzi di uomini non sono come le donne nude che gli uomini fissano, prima questa parte, poi quell'altra? È vero, le fotografie degli uomini sono sulla carta, mentre le nostre immagini prendono forma nella mente; ma anche questo sta mutando man mano che aumenta il numero di donne che consentono a se stesse - che possono letteralmente permettersi - di vedere gli uomini, dai pettorali alle natiche. Stiamo lentamente addestrando i nostri occhi a vedere l'uomo nudo nei film vietati ai minori, lasciando che la scarica elettrica che comincia dall'occhio e percorre il nostro circuito sessuale, si trasformi nell'umidore tra le gambe. Ci fu un grande trambusto nel mondo letterario, e non solo, quando una scrittrice stimata, Sallie Tisdale, scrisse un articolo per l'altrettanto stimata Harper's Magazine, intitolato "Take Dirty to Me", riferendosi alla proprie avventure nei negozi di video pornografici che frequentava. Pensa: una donna intellettuale a cui piacciono i film pornografici! L'idea era così allettante che la Tisdale trasformò l'articolo in un libro. Noi donne stiamo imparando a guardare. Gli uomini delle prime fantasie sessuali che raccolsi negli anni Settanta non avevano alcuna identità: "Non so chi sia", diceva solitamente la donna. "Non riesco a vedere la sua faccia". L'anonimia significava che "lo straniero senza volto" non l'avrebbe giudicata, sarebbe scomparso dopo la scopata, a cui solitamente lui la "costringeva" (parole di lei). Dunque, lei poteva mostrargli il suo io erotico nascosto, selvaggio, e dato che si trattava di "stupro" (ancora una volta, parole di lei, anche se non c'era dolore o umiliazione), lei ne sarebbe uscita con la reputazione di Brava Ragazza intatta. Oggi possiamo permetterci di vederlo; desideriamo guardare, e gli uomini, sentendosi addosso i nostri occhi, gonfiano i bicipiti e mettono la mousse ai capelli. Alcune donne disprezzano gli uomini che si masturbano mentre guardano le donne nude ritratte su Playboy e Penthouse, come se una connessione voyeuristica con il loro pene fosse sporca e poco virile. La grande maggioranza delle donne non coltiva fantasie di uomini che soddisfano da soli i propri appetiti sessuali
perché ciò implica che lui non ha bisogno di lei; all'interno di questo scenario, il suo pene è in competizione con noi. Quando avevo vent'anni, una notte mi svegliai e sorpresi il mio amante mentre si masturbava sul divano del soggiorno. Mi ritrovai furiosa e invidiosa; solo poche ore prima avevamo fatto sesso, ed ora eccolo qui con quest'altra persona/cosa, a farlo senza di me. In qualche strano modo lui mi aveva tradito. Guardai allo sperma sprecato sulla sua pancia come ad una pozzanghera sporca; effettivamente, l'uomo, nel suo complesso, ora mi appariva meno attraente. Spesso penso che parte dell'eccitazione maschile durante la masturbazione sia legata al fatto che stanno infrangendo le regole materne contro il sesso, inculcate loro sin da quando erano bambini. Non è quello che le donne nude sulle riviste suscitano negli uomini, oltre allo stimolo supplementare dovuto al fatto che lui sta avendo il suo piccolo sporco orgasmo guardando una donna che gli sta restituendo lo sguardo? Lei lo vede "mentre lo fa". Il contatto visivo fu il contributo di Hugh Hefner. "Forse altre preferenze derivano dal nostro passato lontano", scrive l'antropologa Helen Fisher. "Alcuni uomini sono voyeurs, altri apprezzano la pornografia visiva... Si può dire che le fantasie sessuali maschili vengono di solito solleticate da stimoli visivi di ogni genere. Forse queste preferenze sono, in parte, promosse dal loro cervello più attento alla spazialità. Le donne amano i romanzi d'amore e le telenovela, tiepido porno verbale: forse perché sono così sensibili al linguaggio."(6) Recentemente, Cosmopolitan ha pubblicato un altro inserto centrale in cui era ritratto un uomo nudo, approssimativamente il dodicesimo da quando Burt Reynolds vi apparve nudo nel 1973. Evidentemente, Heien Gurley Brown ha registrato la popolarità dell'ultimo spot della Coca Cola in cui alcune donne guardano dalla finestra di un ufficio un fusto che lavora come manovale nella strada sottostante. Ridacchiano e parlano dei suoi pettorali. Ma si eccitano fisicamente come succederebbe ad un uomo che guarda delle donne nude? La risposta è sì, secondo la produttrice di film erotici Candida Royalle. "Io trovo che a molte donne piaccia vedere i genitali maschili. Può essere che non vogliano ammetterlo con i loro uomini perché non l'hanno ancora ammesso a se stesse. Ma sono stati compiuti dei test in cui furono posizionati dei recettori sul corpo di alcune donne cui veniva mostrato del materiale erotico. Intervistate successivamente, la maggior parte delle donne diceva che non si era eccitata, mentre i recettori raccontavano una storia differente. Semplicemente non stavano riconoscendo consciamente le proprie reazioni fisiche. 'Le brave ragazze' non guardano ancora." Ancora oggi, l'uomo che "costringe" la donna ad avere un rapporto sessuale con lui rimane una delle fantasie femminili più potenti. Lui arriva, compie il fatto, e la lascia vittima "innocente". E poi noi donne diciamo che gli uomini ci vedono come "oggetti". Tutto ciò che vogliamo dal nostro amante immaginario è la sua forza e il suo uccello. Queste fantasie sono più "perbene" delle bellezze nude che posano su Playboy e che tentano gli uomini a comportarsi da Cattivi Ragazzi e a masturbarsi? Quando Madonna e Sharon Stone aggrediscono gli uomini con il loro corpo, sono così diverse dagli uomini che, nei luoghi di lavoro, trattano le donne come oggetti con le loro parole sessualmente moleste? Mentre scrivo mi ritorna alla memoria un uomo del mio passato. Mi accorgo ora di non averlo "visto", di non averlo neanche notato per le prime due sere che passai in sua compagnia, cenando con altre cinque persone. Il mio sguardo lo attraversava, mentre la mia mente era altrove, da un altro uomo. Fu solo il giorno successivo che lo guardai, e, a quel punto, ciò che vidi erano le sue parti sessuali, che innescarono in me una reazione erotica. Eravamo a metà degli anni Sessanta, ed io ero a Palermo a scrivere un articolo di viaggio per una rivista. I giorni trascorrevano lentamente, senza che niente succedesse, finché una mattina il fotografo con cui stavo viaggiando mi suggerì che sarebbe stato cortese da parte mia andare in macchina con quest'uomo, un architetto di cui stavamo andando a visitare l'albergo. Dopo essermi lamentata del fatto di dover tornare fuori al caldo e di dovere fare il viaggio con un uomo di cui non ricordavo neanche il nome, alla fine acconsentii. Ed eccoci lì, quello straniero ed io, a volare lungo la costa siciliana con la sua Alfa Romeo, immersi in un silenzio pesante e nella calura estiva, perché lui non parlava inglese ed io conoscevo solo qualche rudimento di italiano. Il
potente motore dell'auto rombava, mentre l'uomo al volante mi conduceva ad una velocità sempre più alta sulla strada pericolosamente stretta, sorpassava i carretti dipinti dalle grandi ruote, e altri guidatori più lenti, meno esperti. A quel punto guardai, guardai giù al dorso della sua mano immensa, che cambiava le marce avanti e indietro, e i miei occhi seguirono i peli scuri del suo braccio abbronzato, facendomi ricordare tutte le mani e le braccia maschili che mi avevano portato fuori in tutte le sere della mia vita. Soltanto in quel momento, mentre il suo piede abbronzato calzato in un paio di sandali premeva sull'acceleratore, guardai su, in direzione del suo viso, e vidi l'uomo nella sua completezza, e seppi immediatamente che, prima della fine di quella giornata, saremmo diventati amanti. Fu la vista delle sue "parti", di quegli oggetti maschili - le mani, i piedi, le braccia - che mi spinse a guardarlo più attentamente, ad intravedere un'immagine di me alle sue spalle, lui tutto controllo e potere, ed io, naturalmente, catturata. Anche se orchestrai il gioco di seduzione insieme a lui, rimase sempre quell'iniziale risveglio alle seduzioni adolescenziali ad alimentare il mese del nostro love-affair, durante il quale incrociammo la Sicilia, Roma, la costa amalfitana, Capri, con sua moglie sguinzagliata alla sua ricerca. Essere in un'automobile da sola con un uomo, le cui mani stringevano il volante, le cui braccia e gambe e piedi controllavano la mia corsa verso l'incontro sessuale, per questo ero stata cresciuta, per un Principe di Parti Virili. Allevata in una famiglia privata della sua figura maschile, tutti gli uomini, per definizione, erano un assemblaggio di parti dall'aspetto gradevole imbevute da me di bisogni, desideri, gratificazioni sessuali. Un uomo al volante era per me come un principe sul suo cavallo. Non ero forse diventata grande nelle macchine nei ristoranti drive-in, nei cinema drive-in, parcheggiate lungo la spiaggia? All'inizio di queste avventure erotiche, il singolo uomo era quasi intercambiabile con ogni altro, la cui funzione oggettivabile era quella di guidare/proteggere/ dirigere la piccola, inerme creatura che ero; alla fine, avrei imparato ad amare l'uomo per la sua soggettività, nella sua interezza, ma non c'era mai stata bevanda più ubriacante, o musica più struggente, che avesse il potere di avviare il mio motore sessuale, come l'essere da sola in un'automobile con un uomo al volante. Quel giorno a Palermo venni risvegliata ad una fantasia erotica quasi in uno stato di trance, seguendo il richiamo di una risposta innescata. "Autolove": così lo chiamai in un breve racconto che scrissi dieci anni più tardi. 7.4 - Gli occhi affamati degli uomini Nella vita compartimentalizzata di un uomo, non c'è alcun bisogno di romanzi rosa, nessuna porta contrassegnata dal sogno e dalla tenerezza, perché ciò che è tenero è nemico di ciò che è duro, l'esito delle trasformazioni fisiche maschili necessarie ad una perfomance erotica. Le donne vogliono essere "rapite", un uomo non può permetterselo. Il Lavoro del Sesso ha sempre gravato pesantemente sulle spalle degli uomini; le donne possono considerarla una forma di potere e risentirsi di fronte agli sforzi di seduzione talvolta goffi degli uomini, ma per un uomo che non sia caratterialmente portato ad essere un dongiovanni, questa faccenda delle erezioni e del loro mantenimento rappresenta una fonte cruciale di identificazione. Le donne possono affermare sdegnate che gli uomini sono innamorati del proprio pene; non proviamo simpatia per quelli che si masturbano guardando le donne nude. Ma cosa succederebbe se il pene di un uomo non si indurisse alla vista di una donna nuda nel suo letto, non su una rivista, ma distesa proprio lì, in attesa che lui la renda sessualmente attiva, mantenga la sua erezione finché anche lei non è eccitata, per poi "procurarle" un orgasmo? Se è imbarazzante avere un'erezione inattesa, peggio ancora eiaculare nei propri pantaloni, immagina come debba sentirsi un uomo che non ha un'erezione o che la perde strada facendo. Quando l'uomo del Sistema Patriarcale possedeva il mondo intero, incoraggiava le donne all'ignoranza sessuale, il che ci rendeva sì delle partner noiose a letto, ma proteggeva l'uomo dalla nostra educazione visiva ed intellettuale al sesso. Noi non guardavamo i nostri organi genitali, e non guardavamo certo i suoi. Le donne vedevano gli uomini come fonte di sostegno economico e di protezione, tanto che non guardavano per niente, mentre gli uomini frequentavano i locali di spogliarello, i bordelli, per guardare le donne e farci sesso in modi che non
avrebbero mai riservato alle loro brave e linde mogliettine. Gli uomini si soffermavano anche sui ritratti di donne nude perché l'occhio umano è nato con un gusto, per così dire, per il corpo femminile. Si potrebbe dire che l'atto del guardare donne nude rappresentasse un buon esercizio per il pene, per quel circuito che unisce cervello ed erezione che gli uomini avevano bisogno di tenere ben oliato. Al volgere del secolo scorso, ci fu una scuola di pittura che giocava con i bisogni voyeuristici degli uomini, mentre al contempo, rispettava le rigide regole antierotiche dell'Età Vittoriana. In queste tele, appartenenti ad alcuni dei più eminenti artisti dell'epoca, Childe Hassam, Robert van Vorst Sewell, Josef Englehardt e Charles Chaplin, donne senza vestiti si abbandonano sulle rive dei fiumi, nei campi in fiore, sulle rocce illuminate dal sole, e sotto le fronde degli alberi, con i loro corpi stranamente eterei, che sembrano assorbiti nell'evoluzione stessa della natura. Uno dei nostri ristoranti preferiti di New York, il Café des Artistes, è famoso per i suoi murales di giovani corpi nudi che giocano felici tra i papiri, sguazzando nei ruscelli, come se la natura fosse la loro dimora. Ha molto del tour de force questo periodo artistico di fine secolo che diede al gentiluomo dell'era patriarcale l'opportunità di stare alla Royal Exhibition e guardare tranquillamente delle donne nude, soddisfacendo il proprio voyeurismo in qualità di patrono delle arti, studioso del mezzo artistico, custode religioso della venerazione della purezza femminile. In effetti, c'è qualcosa di estremamente "irreale" nelle donne nude di questi dipinti. Sì, compaiono dei seni ed una fessura in mezzo alle gambe, ma sembrano sprovviste di uno scheletro, di una spina dorsale, a malapena in grado di sostenere i loro esili corpi mentre emergono dai fiori o giacciono in deliquio come se fossero cadute dagli alberi sotto i quali dormono l'una nelle braccia dell'altra. Oggi ci si potrebbe domandare cosa mai ci sia in quei quadri, tanto poco erotici sono questi nudi di donna. È affascinante come la società tenti sempre di nutrire il bisogno umano di vedere il corpo nudo nel quadro di determinate regole prescritte dall'epoca di riferimento, sia che l'immagine della bellezza sia maschile o femminile. Al sorgere della rivoluzione industriale, si pretendeva che tutta l'attenzione di un uomo fosse concentrata sul suo ruolo economico, e tuttavia c'era bisogno di una scappatoia per la sua immaginazione erotica. Patriarca e capitano d'industria, non aveva né il tempo né il permesso della società di rincorrere la propria bellezza. E per quanto riguarda l'eccitazione sessuale, la Regina Vittoria la proibiva (portando, ovviamente, ad uno dei periodi più licenziosi della storia moderna). Inoltre, egli non poteva permettersi di pensare che le donne fossero dotate di un qualsiasi potere, incluso la bellezza sensuale. Le donne erano perciò nettamente divise in due fazioni opposte, la Brava Donna, che era moglie e madre - la cui totale purezza doveva compensare il necessario coinvolgimento dell'uomo nella grave immoralità del commercio - e la Donna di Malaffare, colei che era disponibile a soddisfare tutte le esigenze sessuali. Unire la Buona e la Cattiva Donna - madrina e dea del sesso - in un'unica persona era impensabile, allarmante. La vita era abbastanza dura. Bisognoso di momenti di tregua rispetto alle attività losche e competitive del nuovo mercato economico, il gentiluomo vittoriano era egli stesso legato, almeno pubblicamente, dalle regole sessuofobiche della famiglia in cui era stato allevato dalla propria madre, "l'angelo del focolare", e da un padre distante e tirannico. Quale perfetto "nutrimento" visivo fornivano questi ritratti nudi, non proprio di donne umane, una pletora di carne femminile messa a nudo. Nel suo club, o nel suo pub, in cui imitazioni più a buon mercato si diffusero in fretta, un uomo poteva trarre un conforto voyeuristico dal seno delle signore nude che rivestivano le pareti. Immagino l'uomo vittoriano mentre si perde nel genere di sogno ad occhi aperti più sicuro, dopo una giornata di duro lavoro nella crudele macchina commerciale. "Per il maschio della fine del diciannovesimo secolo", scrive Bram Dijkstra in Idoli di perversità, "niente era benvenuto quanto il pensiero della donna anche la donna come incarnazione della natura - che assumesse il controllo. Egli voleva essere al comando, era suo diritto essere al comando. A lui, lo assicurava Henry Drummond, era stata 'assegnata principalmente la realizzazione
della prima grande funzione - la Lotta per la Vita'. Rientrava nel ruolo designato della donna, anche come personificazione della natura, fluttuare leggera nell'aria." Ed infatti ella fluttua in questi dipinti "perché camminare significa agire, e chiamare con un cenno una forma di invito, un modo di assumere il controllo"(7). Nel libro di Dijkstra compare la riproduzione di un dipinto intitolato Sleep, in cui alcuni corpi nudi dall'aspetto sontuoso sono distesi sotto un albero. "Fuori dall'angolo superiore destro di questo quadro", scrive Djikstra, "striscia un piccolo singolare mostro, metà uomo d'affari e metà lumacone, con gli occhi incavati di tipo maschile... mentre è disposto all'autoeccitamento... Effettivamente, la strana creatura... qui sembra capace solo di contemplare ad una distanza di sicurezza le belle e autosufficienti donne sotto l'albero. La parte inferiore del suo corpo sembrerebbe essersi dissolta, come se fosse la rappresentazione simbolica dell'essenza del voyeurismo." Il voyeur e la bellezza oggetto, una rigida definizione dei ruoli di genere per la maggior parte del ventesimo secolo. L'uomo voyeur era disprezzato per le sue fantasie e per i suoi comportamenti masturbatori, ma nondimeno l'"atto" della masturbazione rimaneva suo. La donna, l'oggetto sessuale, si sarebbe infine trasformata nella Vargas Girl delle pagine di Esquire degli anni Trenta e Quaranta, una dea del sesso dalle gambe lunghe che non aveva più sangue nelle vene dei nudi che l'avevano preceduta alla Royal Exhibition. Ma lei e le sue amiche meno eleganti dei calendari a poco prezzo, offrivano all'uomo lo strumento masturbatorio necessario: l'oggetto della bellezza femminile, nudo e sicuro. Sarebbe stato Hugh Hefner, negli anni Cinquanta, a compiere il passo rivoluzionario di coinvolgere direttamente il soggetto del suo inserto centrale, la Playmate, con il suo voyeuristico compagno maschile. Queste donne acconsentivano, tramite i loro occhi, ad entrare nelle fantasie dell'uomo e lo invitavano ad entrare nelle loro. Con il passare del tempo, divennero più sfrontate, arrivando a toccarsi i seni e a muovere le proprie mani tra le gambe. Quel che comunicava il loro aspetto era: "Vedi, sono sessuale come te". A suo modo, la Playmate rappresentava un passo in avanti anche per le donne, perché proclamava che la ragazza della porta accanto aveva una sua propria sessualità. Non che le Brave Ragazze si identificassero inizialmente con quell'inserto, Dio lo proibisce; ma la porta era stata spalancata, e la Playmate, dalla Cattiva Ragazza che era, dava il permesso a tutte le donne di accettarsi maggiormente dal punto di vista sessuale. Dal versante femminista si gridò all'oltraggio quando nel 1979 Playboy invitò le giovani donne dei college Ivy League a gareggiare per il privilegio di spogliarsi per i fotografi di Playboy; una protesta indirizzata sia alla rivista che alle donne che accettarono. Il fatto che si fosse giunti a questo, e cioè che delle Bravissime Ragazze, quelle delle migliori porte accanto, posassero nude, attestava non solo il voyeurismo maschile ma anche l'accettazione della gioia dell'esibizionismo da parte delle donne. La Playmate, così sessualmente sfrontata, non costituiva alcuna minaccia per gli uomini, trovandosi dentro una rivista. Anche le Conigliette di Playboy, inventate per accogliere gli uomini nei Playboy Club, erano intoccabili, e il fitto Libro di Regole che regolamentava il loro lavoro era rigido quanto il Manuale della Girl Scout. Le Regole erano a protezione delle Conigliette dagli uomini lascivi, ma erano anche a protezione degli uomini stessi. Le Femministe Matriarcali vedono ancora la Playmate e la Penthouse Pet come esempi di degradazione femminile, un'idea che, nella mia testa, si avvicina più all'immagine che della donna avevano gli uomini di epoca vittoriana, che alla libertà sessuale conquistata negli anni Sessanta e Settanta. Ma è su questo punto che noi donne ci dividiamo, un problema interno all'universo femminile che non ha nulla a che fare con gli uomini; le stesse donne che facevano i picchetti fuori dai Playboy Club vent'anni fa, oggi scrivono che la pornografia è degradante per le donne, anche quando siano le donne a scriverla. Non incolpo gli uomini di starsene in disparte rispetto al nostro furioso dibattito su quanto una buona femminista dovrebbe mostrare del proprio corpo. Le donne che denigrano altre donne per il fatto di scegliere di togliersi i vestiti davanti ad una macchina fotografica, di scrivere racconti pornografici o di comprare video erotici per poi andare a casa a masturbarsi, questi irritabili
censori della sessualità, sono i diretti discendenti degli angeli del focolare della fine del secolo scorso. Loro odiano vedere in azione la bellezza e il potere legato alla sessualità femminile perché è un tipo di libertà che non concedono a se stesse. Una volta, tanto tempo fa, queste donne contrarie al sesso assaporarono l'eccitamento erotico; è impossibile trascorrere la propria vita senza mai, anche da bambini, essersi toccati. Poi furono soltanto gli Uomini Vigliacchi a ricordare ogni tanto a queste megere la loro sessualità negata. Ma ora odiano anche più profondamente le donne sensuali, colpevoli di aver messo a nudo la ferita della loro passata e poi repressa sessualità. Molti uomini godono ancora nel soddisfare i propri bisogni sessuali esattamente come facevano i loro nonni: da soli nel buio. Quasi nessun orgasmo riusciva ad essere tanto eccitante come quello che seguiva la masturbazione nel grazioso gabinetto della mamma, solo a pochi passi dalla famiglia riunita attorno alla tavola da pranzo. E nessuna donna è tanto eccitante come quella con le dita immortalate tra le sue gambe, mentre i suoi occhi fissano l'uomo, invitandolo a fare lo stesso. Quando gli uomini inizieranno ad apprezzare il potere della loro bellezza, guarderanno le donne in modo diverso. Sentendosi meno poveri, non ci fisseranno con così tanta fame negli occhi. Mi chiedo fino a che punto questo farà piacere alle donne, e se qualcuna non sentirà la mancanza degli occhi che ora fanno loro da specchio e che dichiarano di odiare. Gli uomini sanno più cose delle donne e della bellezza femminile di quante ne sappiamo noi. Ci guardano mentre noi ci guardiamo a vicenda. Noi neghiamo la nostra competitività, ma nella letteratura e nel cinema gli uomini sono sempre apparsi nell'atto di scuotere le loro teste, divertiti, ai margini della competizione tra donne per un uomo, per il pilastro economico maschile, che non costituiva però il vero premio, da sempre rappresentato dai riflessi osservabili negli occhi delle altre. Saluto con piacere l'avanzata degli uomini nell'arena della bellezza Voglio accoglierli sulla via ed esortarli a farsi avanti per riconquistare il potere e il piacere di cui i loro antenati maschi hanno goduto fino a duecento anni fa. Se la moda oggi attinge un giorno agli anni Cinquanta e quello successivo agli anni Settanta, apparendo futuristica l'indomani, dovremmo ricordarci del fatto che il design dei vestiti rappresenta spesso l'avamposto delle nostre decisioni quotidiane. Come afferma Anne Hollander, "la moda tende a mostrarci ciò che stiamo pensando veramente piuttosto che ciò che stiamo dicendo"(8). Credo che gli uomini siano ormai nauseati dalle pose e dalle prediche femminili; forse possono tollerare l'uguaglianza nella professione, certamente non la pretesa di prendersi il loro lavoro, di volere anche il loro cuore e poi di incolparli di problemi che abbiamo ancora paura di affrontare al nostro interno. "Ti darò questo, ti darò quello", sembrano dire molti di loro, "ma mi prenderò un po' di quella bellezza che non sai neanche come usare, e ti farò vedere come esercitare il suo potere." Gli occhi degli uomini ci divorano. Quando la loro occhiata dura più di un semplice complimento, li odiamo. In che misura il guardare costituisce un complimento? Questa decisione è sempre spettata alle donne. Quando un'occhiata di apprezzamento si trasforma in uno sguardo che squadra in modo volgare? Le donne criticano gli uomini senza pietà per come guardano e tuttavia li odiano quando non guardano. Gli occhi di un uomo possono essere stati attratti da una donna graziosa con la stessa innocenza con cui un passante guarda dei pasticcini esposti in vetrina, mentre i suoi pensieri vanno alla riunione d'affari che dovrà presiedere. Gli uomini hanno fame. Avendoci consegnato il potere della bellezza, la cui mancanza affligge tanti uomini - essere adorati per quelli che siamo è proprio dell'essere umano, non di un determinato genere - il sesso maschile sente il bisogno di apprezzare la nostra bellezza proprio come noi avevamo bisogno del loro denaro. Ma, rifiutati da donne che odiano il loro stesso corpo e dunque non possono permettere ad altri di trovarvi un qualche appagamento, vanno a prostitute, guardano le donne spogliate sulle riviste, e si lasciano andare ai loro desideri e alla loro rabbia, che, si dovrebbe notare, è più spesso rivolta contro se stessi. La maggior parte degli uomini non paga le prostitute per soddisfare piaceri sadici, sono piuttosto molto più frequenti i giochi in cui viene prescelto il ruolo masochista, il cattivo ragazzo/uomo che ha il suo orgasmo ai piedi della
dominatrice. Le statistiche degli abusi commessi dagli uomini contro le donne hanno visto un incremento parallelo all'ingresso di queste ultime nel mercato del lavoro; non si deve sottovalutare o giustificare la brutalità maschile, andrebbero però affiancate le cifre sulla mortalità degli uomini, sulla loro incapacità di vivere da soli dato l'addestramento precoce alla soppressione delle emozioni cui sono stati sottoposti. Siamo tutti coinvolti in questo complesso di cose. Quando aumenteranno i casi di invecchiamento precoce e d'infarto tra le donne che lavorano, forse impareremo a provare della compassione per l'" uomo la belva". 7.5 - "Lo sguardo copulatorio" Nessuno, ai vecchi tempi, prendeva seriamente i lamenti delle donne nei confronti degli uomini che facevano loro gli occhi dolci; se gli uomini non avessero guardato, non avrebbe potuto esserci alcuna scelta/appuntamento/matrimonio/sicurezza. Le donne vestivano per essere viste e quindi scelte; gli uomini spesso approfittavano del loro ruolo di voyeurs, "trafiggendoci con lo sguardo", ma nessuno insegnava ai ragazzi come guardare, né veniva spiegato come si sentivano le donne ad essere osservate, o rifiutate. Dovremmo esaminare attentamente il nostro timore del rifiuto, l'imbarazzo da cuore in gola mentre venivamo classificate, detestando l'esame e tuttavia pregando contro un nostro eventuale fallimento. Fallire significava vivere senza essere scelte, senza un marito, dei figli. Odiavamo gli occhi degli uomini anche mentre ci vestivamo al suono di una melodia romantica, cullate dalla fantasia di soddisfare i suoi occhi. Consentimi di citare un lungo brano dell'antropologa Helen Fisher, perché la sua voce calma, intelligente è così piena di comprensione e di compassione per noi, poveri, confusi animali umani: "Lo sguardo è probabilmente il più straordinario mezzo di corteggiamento umano. Nelle culture occidentali, dove lo scambio di occhiate tra i due sessi è permesso, uomini e donne spesso fissano con intenzione un potenziale compagno per circa uno o due secondi, durante i quali le pupille possono dilatarsi, segnalando un estremo interesse. Quindi lo sguardo si abbassa e si allontana dall'oggetto del corteggiamento. Non meraviglia che l'uso del velo sia stato adottato da un gran numero di culture: lo scambio di occhiate sembra ottenere un effetto immediato. Lo sguardo mette in moto una parte primitiva del cervello umano, scatenando una delle due emozioni basilari: interesse o ripulsa. Non è possibile ignorare lo sguardo di una persona fisso su di voi: dovete reagire. Potete sorridere e iniziare una conversazione, oppure potete distogliere gli occhi e allontanarvi. Ma prima, probabilmente, dovrete grattarvi un orecchio, sistemarvi la giacca, sbadigliare, giocherellare con gli occhiali o comunque compiere qualche gesto insignificante, un movimento di 'deviazione' o 'attività di sostituzione' che serve ad alleviare l'ansia mentre decidete come reagire all'invito: se fuggire o restare e partecipare al gioco del corteggiamento. Questo tipo di sguardo, noto agli etologi come sguardo di 'solleticazione sessuale', potrebbe essere insito nella nostra psiche evolutiva... Forse è l'occhio (non il cuore, o i genitali, o il cervello) l'organo primigenio delle relazioni sentimentali, perché lo sguardo fa spesso scattare il sorriso umano"(9). Gli uomini guardano in un modo diverso dalle donne. La Fisher suggerisce che l'abitudine maschile di guardare deriva dai loro antenati, che stavano appostati per ore dietro un cespuglio della prateria africana, osservando gli animali che si avviavano alla pozza d'acqua. Il cervello maschile si relaziona all'azione collocata nello spazio in modo differente da quello femminile. Noi donne stiamo solo incominciando a guardare sul serio, forse in risposta al nuovo interesse maschile per la moda, forse perché lo reputiamo una ricompensa per la nostra nuova situazione economica. La scrittrice Susie Bright sostiene che le lesbiche possiedono l'arte di guardare le donne dalla testa ai piedi e offre un consiglio agli uomini: "Guardala. Dappertutto. Soffermati su tutto quello che ti piace. Quando lei lo noterà (e lo farà, se stai guardando davvero), sostieni il suo sguardo. Tieni i
tuoi occhi legati ai suoi. Ogni secondo sembrerà un minuto. Sarai tentato di distogliere il tuo sguardo, ma non farlo... A quel punto saprai se lei ti vuole oppure no... Se lei ti vuole, sarà eccitata dal tuo sguardo, perché le dice che ha la tua completa attenzione... L'inizio dell'amore è la promessa di tutto ciò che seguirà - per le ragazze e per i ragazzi. E tutto comincia con uno Sguardo, che non è nulla di più che una Speranza. Se io riesco a sedurre una ragazza normale con la forza dei miei occhi verdi curiosi, tu non dovresti avere alcun problema"(10). Ma certo che egli ha dei problemi, a cominciare dal fatto che lo sguardo di una donna viene percepito in un modo alquanto differente rispetto a quello di un uomo. Gli occhi delle donne sono sempre stati i principali giudici della nostra bellezza; è per le donne che ci vestiamo ed era dello sguardo di una donna che i nostri piccoli occhi di neonate erano alla ricerca. Gli uomini, quando dentro si sentono privi di bellezza, spostano lo sguardo da una donna all'altra, mai appagati, sempre alla ricerca di donne giovani, più attraenti. È una donna saggia quella che vede il proprio uomo come un soggetto di bellezza, che risveglia in lui la certezza nella propria piacevolezza fisica. Quell'uomo non oserà abbandonare la visione che lei ha di lui. Solo lei avrà il privilegio dell'occhio, dello specchio affidabile. Senza di lei, lui si ritroverebbe ancora una volta relegato nel grigiore invisibile del mondo maschile. Il denaro dà un potere prodigioso, ma non ti riscalda. "Nutrimi! Nutrimi!", gli occhi degli uomini sporgono dalle orbite per le strade, affamati da un'esistenza in cui nessuno li ha mai visti veramente. Se all'inizio ci fossimo viste negli occhi paterni, ora poseremmo il nostro sguardo più sugli uomini e meno sulle donne. Quando il padre è completamente assente, la dipendenza dalla figura femminile ne risulta ovviamente amplificata. Nei suoi romanzi come nella sua vita, D. H. Lawrence fu ambivalente rispetto alle donne, un atteggiamento quasi patologico che traeva le sue origini da un'intensa relazione con la propria madre e dalla totale assenza del padre. Da parte di uno dei suoi numerosi biografi è stata avanzata l'ipotesi secondo cui le donne che Lawrence fa oggetto di spregio misogino nei suoi lavori rappresentino una versione di se stesso, quella parte di sé troppo legata alla madre adorante, eccessivamente asfissiante, forse troppo identificata con la sua figura per l'assenza di un padre(11). Lawrence non poteva sopportare rivali, e nel suo matrimonio con Frieda, la sua insana gelosia nei confronti dei figli di lei, nati da un precedente matrimonio, lo conduceva spesso ad atti di violenza. Gli studiosi di letteratura si affannano sul "vero" Lawrence, così come ritratto dai personaggi dei suoi romanzi. Nei giorni più rigidi dell'età Patriarcale, un uomo cresceva imparando attraverso l'osservazione i rituali del guardare le donne. Nessuno gli parlava dell'esistenza di un'etichetta nell'esercizio del proprio voyeurismo, o del fatto che ci sarebbe dovuta essere. Egli osservava il proprio padre e altri uomini mentre guardavano e facevano commenti sulle donne che passavano, e dato che gli uomini non facevano cenno a come le donne si potessero sentire nel venire esaminate a quel modo, al giovane uomo non passava nemmeno per la testa di dover padroneggiare altro che il coraggio di fissare con il proprio sguardo. È da noi che i ragazzi e gli uomini hanno scoperto quale fosse il nostro punto formidabilmente debole. Considera la consapevolezza nascente di un maschio, cresciuto sotto il potere monopolistico dello sguardo di una donna, nel momento in cui scopre che i suoi stessi occhi hanno la capacità di vestire e svestire, di eccitare o di sconvolgere una persona dello stesso sesso di sua madre. Un uomo arriva a scoprire di essere dotato di questo potere quasi nello stesso momento in cui si rende conto del proprio ruolo economico, che lo porta a rivalutare l'influenza esercitata in casa dal proprio padre, fino a quel momento considerata inferiore a quella della madre onnipotente. Quando un giovane uomo si rende conto di disporre di questi diversi poteri, essi lo aiutano a percorrere la strada che lo conduce nel mondo, fino ad allora spaventevole, governato dalle donne. Oggi le donne hanno nelle loro mani il potere tradizionalmente femminile unito a quello economico, e sono diventate voyeurs. Se gli uomini hanno affilato il loro voyeurismo, una ragione c'è. Sempre alla ricerca di un equilibrio di potere, gli uomini entrano ora come un esercito nell'arena della bellezza, spingendo le
donne ai margini dello specchio. È un fenomeno che non ha niente a che fare con i creatori di moda; è una dinamica di mossa e contromossa nell'evoluzione dell'equilibrio di potere tra i sessi. Ai vecchi tempi, una giovane donna poteva ricorrere al potere del proprio corpo nudo, "fingendo" di non accorgersi degli occhi maschili affamati; vi ricorreva per sentire il brivido di potere dato dalla perdita del controllo del suo uomo. In Henry James'Midnight Song di Caron De Chellis troviamo una descrizione estasiata di un giovane appostato alla finestra di una ragazza, cui ha salvato la vita mentre lei era sonnambula nel parco. Ora la sta osservando mentre gioca con i suoi seni, nuda di fronte allo specchio: "Era stordito dallo spettacolo... dalla meraviglia inebriante di quel seno oro e rosa e bianchissimo... e poi la sua mano, tre dita, lo raggiunse, vi si appoggiò lievemente mentre il solco si apriva e si chiudeva... Poi levò la sua testa e guardò nello specchio, dritto verso di lui... La ragazza si allontanò dal vetro, sul suo viso un sorriso imperscrutabile. L'aveva visto mentre la guardava? Lo sapeva?... Dentro di sé, egli era certo che lei sapesse che lui quella notte era là fuori ad osservarla, inchiodato nel buio dietro il vetro. Il suo respiro si era fermato quando aveva visto il suo capezzolo là, e il suo sorriso e il suo inclinarsi nello specchio, la sua schiena rivolta verso di lui, il suo viso riflesso verso di lui, e si era sentito così spinto dal desiderio e dalla bellezza"(12). Oggi provvediamo a noi stesse, il che ci permette di godere del potere dell'esibizionista sessuale; ma le altre ragazze, la mamma, le Regole, prosciugano ogni gioia derivante dal nostro senso di onnipotenza erotica, e così odiamo gli uomini, li accusiamo di non risolvere il nostro dilemma. Ce la prendiamo con loro, li puniamo quando indossiamo l'abito esibizionista in ufficio, dove possiamo farli licenziare, arrestare, colpevoli di non risolvere la divisione brava ragazza/cattiva ragazza, un compito che solo noi possiamo portare a termine. Non esiste un termine spregiativo per le donne che si scoprono in pubblico; nel North Carolina e nel Mississippi è contro la legge spiare le donne dalla finestra, ma non esiste alcuna legge per le donne che spiano gli uomini. Noi camminiamo per la strada, seminude, stiamo davanti alle finestre e ci spogliamo, o fantastichiamo a proposito del brivido di eccitazione di masturbarsi facendoci vedere dall'uomo della porta accanto: il brivido del proibito, mentre allarghiamo le gambe e sentiamo i suoi occhi sui nostri genitali, noi al sicuro dietro le nostre palpebre socchiuse, ci porta ad un orgasmo esplosivo. Più le donne tenderanno a guardare gli uomini, e così sarà, più si renderà necessario imparare dai loro errori, di cui ci siamo lamentate a lungo e amaramente. Quando gli uomini tentano di farci abbassare la cresta con il loro sguardo, stanno levandoci i tacchi alti perché ci considerano esseri inferiori? Non potrebbe essere invece che sentono il dominio che esercitiamo su di loro? Quando ci lamentiamo del fatto che gli occhi maschili ci trattano alla stregua di "oggetti", facciamo apparire la bellezza come un segno spregiativo, mentre invece l'espressione "Sei un sollievo per la vista", parla di un balsamo, del potere medicinale di un farmaco ricostituente. Parte del sussulto di rabbia delle donne dinanzi al crudele tampinatore da marciapiede è legato al fatto che egli ha riportato alla luce la nostra tendenza all'autodenigrazione. Non ci venne detto da bambine che un giorno sarebbe giunto IlPrincipe e avrebbe riconosciuto la nostra bellezza? Maledetto, i suoi occhi ci hanno sdegnato ancora una volta, hanno vanificato i nostri sforzi di fronte allo specchio prima di uscire di casa, e ci hanno consegnate al pubblico ludibrio, hanno trasformato in realtà tutti gli ammonimenti delle donne/della mamma: "Te l'avevo detto di non metterti in evidenza!" Perché ogni scelta positiva riguardante l'abbigliamento, i capelli, il trucco, ha il suo opposto, l'ammonimento che se indosseremo quel corsetto, se tingeremo i nostri capelli, saremo in pericolo? I Fratelli Grimm hanno scritto molti racconti sulla prudenza: la bella fanciulla è altezzosa e si guadagna una bella punizione; la sua matrigna e sua sorella la invidiano e la trattano con crudeltà; lei è solita adescare gli uomini che poi fanno una brutta fine; e suo padre è incestuosamente attratto da lei. L'elfo/il folletto/l'animale delle
fiabe che mette in guardia la fanciulla perché non indossi il bel vestito, le scarpette rosse, simboleggia, effettivamente, la madre e le altre ragazze che ci ammoniscono contro l'eccesso di bellezza, fonte di risentimento e di esclusione. Ora, quando gli occhi degli uomini ci spogliano per le strade, il racconto della prudenza ci grida: "Te lo sei voluto!" Per la verità, l'uomo non ha detto nulla. Non abbiamo alcuna idea dei pensieri che gli passano per la testa. Sta solo guardando. Siamo noi che coviamo al nostro interno la paura di esserci spinte troppo oltre, di aver mostrato troppo. Quando arriviamo nel luogo verso cui eravamo dirette, raccontiamo alle altre donne l'esperienza in cui siamo incappate lungo il tragitto. "Gli uomini sono fatti così", simpatizzano le altre. Tuttavia, forse una di loro menzionerà ad un'altra la camicetta sbottonata, il capezzolo che si intravede attraverso il tessuto, la curva del sedere messa in evidenza. "È andata a cercarsela", mormoreranno, un giudizio comune che rafforzerà in modo elettrico il loro vincolo di amicizia, escludendo l'agnello sacrificale. Forse ciò che odiamo negli sguardi maschili è il fatto che abbiano colto il peggiore giudizio che abbiamo di noi stesse, oppure la nostra fantasia sul desiderio di guardare, una fantasia che è in buona parte sessuale, ovvero esattamente ciò che non ci viene permesso di essere. Nel ritratto che quell'uomo ci ha appena rubato, con il click dell'obiettivo dei suoi occhi ammiccanti, il nostro abito è forse troppo stretto, il reggiseno troppo appuntito? Eravamo insicure della nostra immagine riflessa dallo specchio poco prima di uscire di casa, ma qualcosa in noi amava il modo in cui quel capo accentuava le curve, messe ancora più in vista dalla rinuncia a portare la giacca, che ora, in preda al senso di disagio, vorremmo tanto avere indossato. Ad essere oneste, quando un uomo ci fissa non è tanto in questione la sua opinione, ma ciò che i suoi occhi hanno attivato. Non riusciamo nemmeno ad incontrare i suoi occhi, non osiamo guardare, ma temiamo che egli veda la sgualdrina, la Cattiva Ragazza che ci hanno insegnato a nascondere e che ora abbiamo sfrontatamente esposto, credendo di essere in grado di gestire tutto ciò. Non ne siamo capaci, e accusiamo lui del nostro fallimento. Lo odiamo per il fatto di vedere il nostro corpo, che reclama a gran voce la visibilità, una carezza, proprio ciò che nostra madre ci proibiva. Ma si tratta di una proiezione: allontanare da noi stesse i nostri desideri più oscuri e proibiti, e riporli nell'uomo, accusandolo poi di possederli. 7.6 - La scopata immaginaria. Solo nella fantasia ci permettiamo di infrangere le regole della mamma/delle donne e di arrivare all'orgasmo all'idea del nostro corpo che fa impazzire un uomo, e noi stesse, perché non c'è nulla di più eccitante del sesso proibito, trafugato di nascosto - "Sì, sto infrangendo Le Regole, scopandomi questo uomo, questi uomini, i loro corpi sono in fiamme alla vista della mia bellezza, le loro facce affondano nel mio sesso, che divorano dalla fame!" Lo scopatore immaginario - non è un "amante" - con il suo pene e la sua bocca riesce in un'impresa impossibile per il comune mortale: la sua lingua si muove contro l'immagine del nostro sesso - non una bella vista - fin quando non ci fa venire, e il nostro grido di liberazione nell'orgasmo è in parte un atto di gratitudine per qualche momento d'amore di sé. La fantasia di una donna di spogliarsi davanti agli uomini, indotti alla masturbazione dalla vista del suo bel corpo nudo, la libera momentaneamente dalle prime lezioni sulla bruttezza dei propri organi genitali. Per raggiungere queste vette, le donne trasformano gli uomini in esseri brutali, perché nessun Brav'Uomo sarebbe in grado di soggiogare la mamma. I sogni erotici degli uomini non sono neanche lontanamente sogni di umiliazione delle donne; nella privatezza delle loro menti, dove potrebbero essere e fare qualunque cosa, non sono affatto gli zotici malvagi, meschini e violenti che piacerebbe tanto immaginare alle femministe. Ciò che la maggior parte degli uomini sogna è che una donna adori il loro corpo, venga loro incontro a metà strada nel sesso, o si assuma l'intero compito della seduzione, rimuovendo così tutti i timori di rifiuto e dando all'uomo l'approvazione inequivocabile che egli ha sempre desiderato ricevere da una donna. La donna dei suoi sogni ha fame di sesso, non di una cena romantica; ama il suo pene, la sua vista e il suo odore, e il suo seme è dolce nettare da ingoiare fino all'ultima goccia. Questa donna immaginaria riassume tutto quello che la maggior parte delle donne reali
non è, e pensa al proprio corpo come vi ha sempre pensato l'uomo, come a un tempio, in cui ogni morbida fessura dev'essere esplorata da una bocca maschile. La fantasia maschile di due donne insieme, perennemente data per favorita, corrisponde ad un desiderio che egli sogna di realizzare nella realtà, tanto è eccitante l'idea delle donne - due donne! - che godono intensamente l'una del corpo dell'altra, una testimonianza vivente della loro parziale natura animale, proprio come la sua, una confutazione della loro natura di persone contrarie al sesso che egli aveva sempre dovuto faticare a sedurre, affinché aprissero le gambe e lui potesse dare prova di venerazione. Talvolta queste donne immaginarie lasciano che lui si unisca a loro, e se l'uomo reale avesse molta fortuna e/o denaro, farebbe di tutto per realizzare questo sogno. L'ultima cosa cui l'uomo eterosessuale del Sistema Patriarcale aveva bisogno di pensare era l'idea del sesso con un altro uomo. Va bene che le donne giochino con le loro fantasie omosessuali, ma l'aspetto di un uomo normale, dalla sua fisionomia ai contenuti della sua immaginazione, doveva conformarsi al Patto. Per essere un Vero Uomo si doveva disporre di una donna a cui provvedere. L'ingresso delle donne nella sfera professionale ha allargato i confini dello specchio, facendo spazio agli uomini; acquisendo un ruolo di tipo economico, le donne hanno liberato gli uomini dalle loro anguste visioni di sé. La stragrande maggioranza degli uomini non attribuirebbe al femminismo il loro ritorno allo specchio. Esistono altri fattori che hanno contribuito ai cambiamenti che hanno interessato la vita maschile, ma, per parafrasare Karl Marx, l'economia determina la storia. In questo secolo, il femminismo rappresenta la Nuova Economia. Man mano che gli uomini tenderanno a rilassarsi e ad interessarsi più a fondo delle questioni legate all'apparenza, sarei portata ad immaginarmi una maggiore fluidità nei loro ruoli di genere, simile a quella che caratterizza le donne. La mia ricerca evidenzia che le fantasie erotiche dei giovani uomini eterosessuali concernenti altri uomini stanno iniziando ad affiorare al livello conscio; diversamente da quelle dei loro predecessori, non suscitano senso di colpa; tuttavia, l'altro uomo immaginario è solitamente anonimo, il che mantiene la fantasia su un terreno più sicuro. Con tanti uomini che scendono nell'arena della bellezza, come potrebbe la mente non girovagare in questo territorio un tempo proibito? 7.7 - La bellezza nei luoghi di lavoro: corteggiamento o molestia sessuale? Mi chiedo se noi donne eravamo consapevoli di ciò che stavamo importando negli uffici venticinque anni fa, del fatto che attirando gli occhi degli uomini su di noi stavamo, nelle parole di Helen Fisher, "agendo su una parte primitiva del cervello umano, richiamando una delle due emozioni basilari - l'avvicinamento o la ritirata". Il Vestito del Successo era una sorta di armatura che risolveva molti problemi, ma quando la moda sexy e i tacchi alti tornarono sulla scena, furono gli uomini a dover fronteggiare un evento senza precedenti. Secondo la legge femminista, alle donne era permesso di fare ciò che volevano con il proprio corpo, mentre agli uomini era vietato reagire. Di quale retroterra disponevano questi uomini per affrontare il lavoro in compagnia di belle donne che li eccitavano, li confondevano, e spesso li rendevano furiosi respingendoli? Invece di educare le donne alle reazioni che provochiamo quando ci abbigliamo in modo vistoso, consegniamo nelle loro mani il senso dell'oltraggio, l'arma legale della molestia sessuale da usare contro ogni uomo che risponda secondo modalità che creino una situazione di disagio per la donna. Avremmo potuto educare le donne al linguaggio degli abiti; e invece, il femminismo si rifiuta anche di prendere in considerazione l'idea che le donne, consciamente o no, possano essere implicate nella molestia ricevuta, che esistano modi di vestire, camminare, parlare che segnalano ad un uomo qualcosa che la donna può non aver avuto l'intenzione di comunicare. Con il proseguire del processo di femminilizzazione del mondo del lavoro, ci troviamo a competere professionalmente sia con gli uomini che con altre donne. Ora siamo ritornati alla competizione per la bellezza, che coinvolge questa volta entrambi i sessi, anche se molte donne sarebbero restie a chiamarla con il
suo vero nome. Al contrario, le donne chiamano gli sguardi e le parole degli uomini che le mettono a disagio "molestia sessuale". I veri comportamenti di molestia sessuale esistono, e in cosa esattamente consistano e come dovrebbero essere puniti sono questioni che necessiteranno di tempo perché venga individuata una soluzione. Dopo tutto, l'80% delle donne single che si sposano mentre lavorano a tempo pieno lo fanno con una persona incontrata nel proprio ambiente professionale. Una cosa è ridicolizzare gli uomini per il fatto di guardare e parlare alle donne per le strade, nei bar o alle feste, in modi percepiti insultanti e volgari. Sia che lui fosse o non fosse colpevole, avremmo sempre potuto andarcene. Ma un ufficio è un luogo confinato, la situazioni e le sensazioni risultano amplificate dalla compressione degli spazi, dalla possibilità che lo sguardo/le parole/l'essere toccati potrebbero ripresentarsi domani, la settimana seguente. Abbiamo portato la giungla in uno spazio illuminato da luci al neon, abbandonando gli animali umani al compito di elaborare lo spettro dell'interazione tra maschio e femmina. Tutti si stanno guadagnando da vivere, tutti stanno competendo, tutti si stanno guardando a vicenda con desiderio, rabbia, invidia e competitività, emozioni che solitamente si dispiegavano in una dozzina di palcoscenici differenti, ma che ora sono tutte raccolte in un unico spazio, con un pubblico in attesa sotto forma dei colleghi di lavoro. "La libertà delle donne sarà anche la libertà degli uomini!" Noi abbiamo detto questo. Era un impegno solenne che prendemmo durante la nostra campagna di lotta, venticinque anni orsono. Abbiamo capito come essi leggevano quella promessa? Le donne non hanno la minima idea di come ci vedano gli uomini. Essi sono estremamente rilassati quando sono in compagnia l'uno dell'altro. Quando li sbirciamo nelle loro stanze più riservate, sui campi da gioco, invidiamo il modo in cui si lasciano andare, tanto è diverso il loro atteggiamento quando sono in nostra compagnia e il nostro quando siamo con altre donne; desideriamo che ci concedano quella fiducia che riservano agli altri maschi. E noi, cosa diamo? Non godiamo ancora degli stessi livelli di potere economico e politico, ma ci siamo prese una bella fetta della loro torta e, lungi dall'ammorbidire le regole della guerra interna tra donne, siamo diventate anche più antagoniste nei loro confronti. Invece di continuare a discutere delle molestie sessuali sistematicamente dal punto di vista femminile, perché non chiedersi il motivo per cui l'uomo viene additato come l'unica parte in causa? Le donne sono cieche dinanzi alla propria immagine corporea, vestita o svestita. Quando si sollevano temi come l'anoressia, invece di scagliarsi contro la Società Patriarcale, perché non parlare del contributo femminile a questo dilemma? Siamo nate e siamo state cresciute per essere selezionate. Cosa volete che ne sappia il nostro corredo genetico delle alternative femministe? Il calore che si diffonde sulle nostre guance in risposta alla penetrazione di uno sguardo maschile è un misto di eccitazione, umiliazione e rabbia. Abbiamo appena infranto Le Regole della Brava Ragazza. E poco importa che nel mondo reale ci siamo sbarazzate di loro, che ora siamo economicamente indipendenti e non dovremmo neanche stare a pensare alle regole della mamma. Non abbiamo forse comprato quel vestito, non l'abbiamo scelto, pagato? Questo non contribuisce a separarci da lei, lei che ancora amiamo, ma come persone distinte? Questi uomini stanno guardando noi, non l'altra donna; abbiamo vinto la contesa genetica della bellezza. Ma prima ancora che l'orgoglio possa mettere le sue radici, siamo assalite da un terrore: siamo sole, tutti gli occhi puntati su di noi, sorprese senza un gruppo cui appartenere! Senza esperienza nel gestire il successo del nostro esibizionismo, il brivido di avere trionfato con i nostri geni, temiamo la perdita del controllo, l'umiliazione. Allora facciamo quel che di solito fanno le donne e cerchiamo di aggrapparci ad un sentimento di indignazione altera. Ci copriamo con essa come con uno scudo. Ci comportiamo come facevano le donne prima del raggiungimento del potere economico, un periodo che rappresenta ancora il nostro luogo emozionale; amiamo quei libri che rafforzano la piattaforma concettuale secondo cui gli uomini sono cattivi e noi donne siamo
intrinsecamente buone. Rovesciamo l'umiliazione e, voilà!, ecco apparire il femminismo, che non ci educa al potere della bellezza e del sesso, ma che ci incoraggia a scaricare sugli Uomini Cattivi tutti i sentimenti negativi. "Ciò che accade alle donne che non hanno ancora integrato la loro sessualità al momento dell'ingresso nel mondo del lavoro", afferma Judith Seifer, "è ciò di cui è fatta gran parte del comportamento di molestia sessuale. Queste donne pensano: 'Questa è una cosa che devo tenere a freno, devo stare in guardia, perché gli uomini su questa cosa non riescono a controllarsi'. Invece, dovrebbero pensare: 'Parte della mia energia, parte di quello che mi rende così brava sul lavoro, parte del mio flusso creativo, ha a che fare con la mia energia sessuale'. Io tengo dei seminari nei luoghi di lavoro e le grandi questioni oggi sono le relazioni galanti, romantiche, sessuali, intensamente personali che si verificano lì. La maggior parte delle donne ha sperimentato un buon rapporto professionale con un uomo in particolare, un rapporto in cui ognuno dei due è arrivato a fare affidamento sull'altro, a leggere nella mente dell'altro, a finire le frasi cominciate dall'altro. Questo spesso implica una forma di dislocazione dell'energia. Ma sia che la relazione tra l'uomo e la donna rimanga un'amicizia di lavoro, un'amicizia personale, sia che diventino amanti, la donna deve riconoscere la propria energia sessuale. Se su questo non avviene mai una negoziazione interiore, il rischio è che il tutto si trasformi in un disastro che li aspetta al varco; una sera in cui lavorano fino a tardi, vanno ad un convegno o uno dei due si sente particolarmente bisognoso di attenzioni, si accorgono che davanti a loro c'è proprio una persona che capisce e con cui ci si sente a proprio agio, e improvvisamente tutta quella energia erotica che era stata incanalata nel lavoro prende la via sessuale, quello che altrimenti chiamiamo molestia sessuale. Le donne danno tutta la colpa agli uomini, ma finché esse non impareranno a riconoscere e a separare la loro sessualità come una parte importante della loro identità, non la padroneggeranno mai. Considero la maggior parte dell'energia come fisica o sessuale. Esse si mescolano e ricadono all'esterno. Noi non insegniamo questo ai nostri figli. È da bambini che deve incominciare un senso di controllo della propria sessualità. Finora siamo riusciti a defraudare intere generazioni del senso del controllo personale. Invece, veniamo educate a credere che se una donna fa colpo su un uomo, lui non sarà in grado di controllarsi. Io so che posso controllarmi, e così anche gli uomini. Ma la nostra cultura ha fortemente sancito l'idea per cui 'Il sesso con gli uomini e i bisogni sessuali sono incontrollabili. Il sesso è una cosa che le donne fanno e che gli uomini vogliono, e noi dobbiamo stare in allerta'. Questo è il motivo per cui le donne pensano di essere delle vittime; gli uomini non sono responsabili del nostro stato di vittime, è piuttosto la cultura, il modo in cui veniamo educate a disconoscere la nostra energia sessuale, a portarci sulla strada dello stupro del conoscente e della molestia sessuale sul luogo di lavoro." La fatica di essere maschi è un argomento di cui si sta solo iniziando a discutere, a scrivere, benché le parole stentino ad essere digerite, tanto è imbranato e poco mascolino il ritratto che ne esce per poter mutare l'immagine da noi coltivata del Marlboro Man. In qualche recesso nascosto della mente femminista aleggia il sospetto che, riconoscendo agli uomini un'umanità vulnerabile come la nostra, noi donne diventeremmo i bruti della situazione. Sembra che i quartieri generali femministi vogliano fare di tutto per tenere in vita l'affermazione secondo cui gli uomini hanno tutto il potere e le donne non sono altro che Kleenex usati e poi gettati al vento. Tuttavia, l'anno scorso la Ms. Foundation si è spinta troppo oltre nella preparazione del suo rapporto educativo annuale, invitando le insegnanti ed i genitori ad educare i bambini maschi su cosa si prova ad essere una bambina: il bambino dovrebbe chiudere gli occhi ed immaginare di vivere in una scatola buia e angusta. "E se volessi uscire dalla scatola e non potessi farlo?" si legge nelle istruzioni. "Cosa dicono le persone alle bambine per tenerle nella scatola? Cosa succede alle ragazze che mettono piede fuori dalla scatola?" Spinta a rispondere, sarei portata ad immaginare un ragazzo che pensa di essere lui quello rinchiuso in una scatola buia e stretta, visto tutto il potere esercitato da una donna in casa, dove è egualmente probabile che un'altra figura maschile sia assente piuttosto
che presente, e dove il potere di sua madre e di sua sorella è tutto quel che conosce. Perché assumiamo che i nostri figli maschi non abbiano altrettanto bisogno della nostra attenzione emotiva e razionale? Abbiamo imposto una deviazione al nostro modo di pensare così da arrivare a vedere gli uomini unicamente come modelli negativi. Sento donne negli uffici che si riferiscono con disprezzo ai propri colleghi maschi con il termine di "Vestiti Vuoti"; com'è potuto succedere che un ragazzo sensibile si sia trasformato in un Vestito Vuoto? Spetta ai padri il compito di iniziare a raccontare ai propri figli tutta la storia, con le parti belle e quelle meno belle, di cosa significhi crescere maschio. La definizione di virilità dipende ancora così tanto dall'immagine forte e silente del tipo duro, che i pochi uomini che hanno lamentato comportamenti di molestia sessuale da parte di una donna vengono guardati dall'alto in basso, così come gli uomini che dichiarano di essere stati oggetto di abusi femminili. Anche molte di noi che scrivono e combattono per i diritti degli uomini nell'allevamento dei figli si lasciano andare ad una fitta di dolore antico alla vista di un uomo con un neonato legato al petto. Vogliamo che ami il suo bambino, che faccia esattamente ciò che sta facendo ma, tenendo quel bambino, non riesce ad evitare quella reazione da parte nostra. Questo è esattamente il punto della discussione: l'ambivalenza. Il mondo reale che oggi i giovani uomini si trovano a dover affrontare nei luoghi di lavoro non corrisponde ai mondi di cui vanno predicando la Steinem e le sue "sorelle", dove donne inermi si confrontano con Uomini Cattivi e Onnipotenti. Non è assolutamente così che si sentono gli uomini giovani e quelli più vecchi. Entrambi i sessi arrivano impreparati ai tipi di relazione che debbono affrontare oggi negli uffici. "C'è spesso ambivalenza", dice Eleanor Maccoby, una psicologa evolutiva degli studi di genere. "Non siamo sicuri se vogliamo essere attraenti nei confronti dell'altro sesso o se vogliamo essere soltanto dei colleghi di lavoro. In genere, è questa situazione a causare difficoltà alla gente"(14). Come donna che si batte contro le vere molestie sessuali perpetrate ai danni delle donne e degli uomini, citerò la descrizione fatta da Warren Farrell di come gli uomini interpretano l'abbigliamento e il trucco provocante delle donne, nonché eventuali comportamenti civettuoli: "[Gli uomini] vedono questi comportamenti come un invito a rispondere su un piano non professionale, il che li porta a prendere meno seriamente le intenzioni professionali di queste donne". Come affermò l'antropologo Lionel Tiger nel nostro primo seminario sulla bellezza del 1989, "la bellezza è uno strumento di vendita per il prodotto più basilare di Madre Natura - la riproduzione - che a sua volta dipende dall'attrazione e dal successo sessuale". Quando l'iniziativa di una bella donna aveva successo, culminava con il matrimonio e con la fine di ogni rapporto con il mercato del lavoro. I colleghi di una bella donna sanno che ogni maschio eterosessuale è vulnerabile al suo fascino. Lei è ciò che Farrell chiama una "celebrità genetica". I clienti maschi le facilitano automaticamente l'accesso. Il superiore maschio desidera guidarla, mostrarle la via e proteggerla dal fallimento, portarla in salvo se sbaglia; allo stesso tempo, egli teme di "fare favoritismi". La ricerca di Farrell indica che i maschi che lavorano alle dipendenze di una bella donna temono che un superiore che sia anche una celebrità genetica sia così abituata ad essere protetta, che non saprà come proteggerli; temono che lei non saprà come "dare e ricevere" perché probabilmente è stata abituata ad ottenere sempre ciò che vuole. Temono che, forse, la sua esperienza in fatto di critiche ricevute sia molto ridotta. Fortunatamente, sta crescendo il numero di donne che parlano e scrivono della vita delle donne che lavorano. "È vero, ci sono ancora molte meno donne nelle posizioni di responsabilità, ma le femministe non vogliono riconoscere che, almeno in parte, questa disparità è il risultato di scelte femminili", scrive Laura A. Ingraham, un avvocato del comitato consultivo dell'Indipendent Women's Forum. "L'idea per cui le donne sarebbero costantemente ostacolate dalle barriere invisibili del sessismo, le relega nello stato permanente di vittime. Quest'idea ribalta anche la causa di cui le vere femministe si sono fatte originariamente paladine: le uguali opportunità per le donne. Un uguale accesso
alla forza lavoro e all'avanzamento di carriera non ha mai avuto lo scopo di garantire che le donne alla fine ottenessero una percentuale prefissata delle posizioni direttive... Nel 1992, le donne detenevano il 23 % delle posizioni di vicepresidente nelle aziende, contro il 14% del 1982. Dal 1979 al 1993, i salari delle donne sono aumentati del 119%... Richiedendo una competizione professionale vera, non precostituita, le donne realizzerebbero il vero scopo del femminismo... Invece di lagnarsi dell'esistenza di un soffitto di vetro immaginario, perché le femministe non festeggiano il fatto che le donne presenti nella forza lavoro stanno finalmente spalancando una porta aperta?"(15). Durante l'Era Patriarcale, le donne non mettevano in discussione l'aspetto fisico degli uomini - la pancia che s'ingrossava, la pelle cadente, la caduta dei capelli; se il suo conto in banca era sano, il suo aspetto malsano non veniva registrato. Noi investiamo in uomini che ai nostri occhi sono indistruttibili; anche dopo l'acquisizione di potere economico da parte delle donne, manteniamo delle resistenze a guardare le cifre della vulnerabilità maschile. Negli ultimi venticinque anni, i temi della salute femminile hanno ricevuto un'attenzione che attendevamo da lungo tempo; ora individuano una delle aree della medicina a tasso di sviluppo più elevato. Ma non posso fare a meno di preoccuparmi quando il femminismo dipinge il quadro del Patriarcato malvagio che prospera a spese delle donne, mentre in realtà i fatti raccontano una storia differente. "A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo le donne vivono circa il 10% più a lungo degli uomini", scrive il dottor Andrew Kadar. "Lungo la storia dell'umanità, dall'antichità fino all'inizio di questo secolo, gli uomini, in media, vivevano leggermente più a lungo delle donne. Dal 1920 in poi, l'aspettativa di vita delle donne negli Stati Uniti era di un anno superiore a quella degli uomini (54,6 anni contro 53,6). Dopo, il gap è cresciuto costantemente, a 3,5 anni nel 1930, 4,4 anni nel 1940, 5,5 anni nel 1950, 6,4 anni nel 1960... Nel 1990, la cifra era di sette anni (78,8 anni contro 71,8)... Siamo arrivati ad accettare un tempo di vita più lungo per le donne come un fatto naturale, come la conseguenza della loro idoneità biologica superiore. Tuttavia, questo stato di salute superiore non si è mai manifestato durante tutti i millenni della storia umana che hanno preceduto l'epoca presente e il suo sistema sanitario - lo stesso sistema che i promotori della salute delle donne accusano di negligenza ai danni del sesso femminile."(16) Mentre sorseggiamo il nostro caffè mattutino, leggiamo con aplomb le ultime statistiche sulle violenze commesse dagli uomini. Tuttavia, la crudeltà delle donne non è facilmente registrabile come quella maschile; i figli non abbandonano le loro madri, e anche la maggior parte dei mariti non pianta in asso le mogli. Nondimeno, alcuni uomini si stanno facendo avanti. Recentemente, il giornale riportava la storia di un uomo di ventotto anni che aveva trascorso tutta la vita ossessionato dall'esito del rapporto del coroner in cui si diagnosticava la morte dei propri fratelli neonati come "morte improvvisa"; dopo avere ottenuto di recente il permesso legale di fare riesumare i corpi, scoprì di non essersi sbagliato ad aver pensato ad un'altra versione; venticinque anni prima la madre aveva ucciso gli altri due figli, e il giudice, come ogni altra persona a quel tempo, si era rifiutato di credere che lo avesse fatto. Le madri erano figure idealizzate. Più di recente, Susan Smith, una madre della South Carolina che annegò i propri figli perché interferivano con la sua vita amorosa, fu velocemente incarcerata. Oggi, si può credere all'esistenza di Medea. Gli uomini sono stati soppiantati nei loro compiti: la protezione della Società Patriarcale non è più quella di un tempo. Le donne non si sono limitate ad acquisire i diritti dovuti, possono agire male quanto ogni altro uomo, per esempio istituendo leggi punitive contro le molestie sessuali. Anche se la maggior parte degli uomini è ancora riluttante a sollecitare capi d'accusa contro le donne, visto che sopravvivono così poche altre definizioni di mascolinità oltre a quella connessa al silenzio spartano, questa situazione non durerà. Gli uomini sono lenti nel confrontarsi con il femminismo, ma non sono stupidi. Quando la rabbia maschile viene espressa dalla generazione patriarcale più anziana, come nel caso di Norman Mailer, assistiamo ad una sorprendente rivelazione della paura che gli uomini nutrono per le donne: "Se le donne
s'impossessassero mai di ogni cosa, come potrebbe effettivamente accadere, e si avesse l'equivalente di uno Stalin o di un Hitler fra le donne (e avendo avuto qualche contatto con alcune delle prime donne liberazioniste, posso facilmente concepire questa eventualità), vedo un giorno in cui un centinaio di schiavi maschi saranno tenuti in vita per essere munti ogni giorno, mentre il ricavato sarà messo nelle banche del seme per perpetuare la razza. Non più di un centinaio di uomini per volta dovranno essere tenuti in vita. Gli uomini, di conseguenza, nutrono una paura molto profonda nei confronti delle donne. Non è che gli uomini pensino: 'Oh, c'è un seno, vi appoggerò la mia testa; non mi costerà nulla'. Al contrario, essi sanno che in quel tenero seno vi sono zone di sentimenti gelidi, aree ghiacciate, zone di odio, e se hanno una qualche idea delle donne, sanno che avvicinare una donna non è molto diverso che scalare una faccia di pietra... Non tutti la pensano come me, ma sarei portato a sostenenere che gli uomini avvertono queste cose in modo istintivo"(17). Ciò che Mailer tralascia nella riflessione precedente è che le donne, allo stesso modo degli uomini, nutrono "una paura molto profonda nei confronti delle donne". È sul nostro reciproco timore, sul nostro bisogno della reciproca approvazione, che gioca il genere di femminismo propagandato da Ms., sul comando di "non disobbedirmi, non contraddirmi, non competere con me" della Gigantessa della nostra infanzia. All'inizio, il femminismo dichiarava che, nel momento in cui le donne avessero guadagnato posizioni di potere reale, ci sarebbero state meno guerre nel mondo. "Con le donne a costituire la metà dei rappresentanti eletti del paese, e una donna Presidente una volta ogni tanto", scriveva Gloria Steinem nel 1970, "i problemi del maoismo nazionale conoscerebbero una forte riduzione. La vecchia idea secondo cui la mascolinità dipende dalla violenza e dalla vittoria gioca, dopo tutto, una parte importante nei problemi che abbiamo per le strade e in Vietnam... Nei prossimi cinquantanni le donne avranno un ruolo di grande valore nella politica, temperando l'idea della virilità con un atteggiamento meno aggressivo e più adatto a questo pianeta affollato e post-atomico"(18). Donne come Janet Reno, Jeane Kirkpatrick e il massimo consigliere di Clinton, Susan Thomases, non hanno esattamente portato carne al fuoco della profezia della Steinem secondo cui le donne avrebbero portato più compassione nella gestione del potere. Né la sua previsione circa l'aspetto esteriore delle donne si è realizzata: "Sarà meno probabile che le donne, una volta provviste di un'identità professionale normale, costruiscano il proprio senso di sé in base alla giovinezza e all'apparenza; così ci saranno meno tracolli nervosi alla comparsa delle prime rughe"(19). Davvero? Oggi, al crescere dei redditi femminili, cresce anche l'ammontare di denaro speso dalle donne in abiti e cosmetici; che siano delle neofite o che stiano scalando la gerarchia aziendale, che indossino sofisticati tailleurs pantaloni o gonne ben al di sopra del ginocchio, nei luoghi di lavoro le donne vogliono avere un bell'aspetto; e mantenersi giovani è una componente molto importante dell'intero quadro. I creatori di moda possono tentare di decifrare cosa esattamente le donne desiderino, ma è certo che gli uomini non staranno semplicemente a guardare la sfilata, subendo passivamente qualunque completo da molestia sessuale le donne decidano di gettare ai loro piedi. Al contrario, gli uomini contrattaccheranno; competeranno con delle donne confuse e porranno le basi per una nuova età dell'oro della bellezza maschile. Loro non saranno intralciati dalle difese contro l'invidia, del tipo "Chi, io bella?" dietro cui si nascondono le donne. Non c'è alcuna negazione infantile nello stile competitivo maschile; gli uomini oggi, man mano che ricorrono in modo sempre più massiccio al proprio aspetto fisico all'interno delle strutture di potere professionali, assemblano il loro arsenale - valigetta e bella presenza - utilizzando ogni cosa pur di ottenere il contratto. "Quando si controllano le risorse [come capitava agli uomini un tempo, quasi in modo esclusivo]", afferma lo psicologo dei consumi Michael R. Solomon, "non ci si deve preoccupare della propria desiderabilità personale... [ma l'] afflusso delle donne alle posizioni lavorative di responsabilità ha spostato l'equilibrio del potere"(20). Gli uomini si guardano intorno alla ricerca di ciò che può restituire loro una posizione di vantaggio, e vedono con quanta efficacia la bellezza delle donne funziona a loro favore nella sala conferenze.
Uno studio ha mostrato che la città in cui gli uomini spendono le quantità più ingenti di denaro per l'abbigliamento d'affari non è New York, la città alla moda per eccellenza, ma Atlanta. Un addetto nel campo dell'abbigliamento riferisce al Newsweek che Atlanta è "una città di rappresentanti di commercio e di manager regionali, 'proprio il tipo di persone che deve presentarsi al meglio'"(21). Come dice il produttore Hart Shaffner & Marx nella sua pubblicità per quello che chiamano "Il Vestito Giusto": "Potrebbe non aiutarti a chiudere il contratto. Ma il vestito sbagliato potrebbe facilmente chiuderti fuori"(22). E gli uomini, come forse avrai notato, non confinano la loro nuova attenzione per la moda alla sfera professionale. Norman Karr della Men's Fashion Association racconta a Newsweek che gli uomini stanno accumulando guardaroba distinti "per il mio io pubblico e per il vero me stesso". Suona familiare, signore? Quando - nella sala riunioni - l'uomo dall'aspetto affascinante e curato ci supererà, ed è ovvio che gli occhi saranno tutti per lui e non per noi, grideremo alla molestia? Quando ricorrerà apertamente al suo aspetto fisico per ottenere dal suo superiore donna una promozione cui noi aspiravamo, come ci sentiremo allora a proposito della nostra atavica paura di essere censurate dalle altre donne facendo uso della nostra bellezza? Punto sul fatto che gli uomini porteranno a termine ciò che noi donne non potremmo mai fare da sole: il loro successo nel maneggiare la bellezza - la nostra area di competenza - ci costringerà ad imparare come competere, oppure diventeremo il grigio cavallo da soma dell'industria. 7.8 - "Levati dal mio specchio!" Dopo generazioni di mugugni sul fatto che gli uomini ci spogliano con gli occhi, le donne stanno sperimentando ora un tipo di competizione a cui giungono impreparate. Proprio le persone che eravamo solite rimproverare sono oggi i nostri concorrenti. La contesa per gli sguardi di ammirazione altrui non è più un terreno di esclusivo dominio femminile. Le donne non possono acquisire potere economico senza rinunciare a qualcosa che solo loro possedevano. Come le stupide vergini che rimangono senza olio nella lanterna, le donne non stanno prendendo sul serio il ritorno agli specchi degli uomini; ci siamo esercitate a tal punto nella negazione della competizione tra noi, che ci rifiutiamo testardamente di ammettere di avere dei nuovi rivali nella sfera della bellezza, ovvero coloro che un tempo costituivano il premio. Pensavamo davvero in tutta onestà che gli uomini ci avrebbero permesso di impossessarci dei loro lavori, del ruolo che li definiva più di ogni altro come maschi, senza vendicarsi? E nel momento in cui investe il suo denaro nel completo firmato Calvin Klein, fa ginnastica e paga per un barbiere migliore, stiamo certe che farà uso delle sue cartucce. Nessun balletto della negazione per lui. Le donne devono scegliere se lasciarsi alle spalle le Regole della Brava Ragazza e imparare a competere, o consegnare lo specchio agli uomini, che lo utilizzeranno con un vigore che ci seppellirà. Questa nuova attenzione maschile all'aspetto fisico riflette un appetito che era già presente. Se il femminismo non avesse ritagliato per le donne un pezzo del terreno un tempo di esclusivo dominio maschile, forse le sciarpe dai colori brillanti, i capelli lunghi e i gioielli ostentati dagli uomini negli anni Settanta se ne sarebbero andati così come erano venuti. Ma noi donne abbiamo messo piede nella proprietà maschile per eccellenza, ed ora essi stanno seriamente riguadagnando il vantaggio perduto. Pavoni già in passato, gli uomini si prenderanno gli elogi e li esibiranno con orgoglio. La loro inclinazione a vestirsi elegantemente e a mettersi in mostra ha uno spessore storico maggiore del nostro. Per quasi cinquecento anni le forme e il viso maschili hanno rappresentato i criteri di bellezza. La rincorsa all'abito elegante, al possesso di un aspetto attraente, viene riappresa velocemente perché la sua ricompensa è così immediata. Entusiasmo e senso di benessere ci scorrono nelle vene quando degli occhi colmi di ammirazione si posano su di noi. Quando gli uomini si abbandonavano ai piaceri della moda, non si profondevano nelle nostre lamentele virginali per gli sguardi inviataci dal sesso opposto. Comprendevano il potere della bellezza ed i suoi usi molteplici. "L'abbigliamento dai richiami erotici esibito dagli uomini aveva in parte lo
scopo di affascinare le donne, di provocare in loro un risveglio sessuale", scrive Lois Banner. "Gli europei di queste epoche credevano che l'amore fosse una passione volubile, che potesse colpire in ogni momento. In questo senso, essi ritenevano che gli occhi, e quanto gli occhi vedevano, fossero cruciali. Si pensava che ciò che suscitava l'amore fosse in primo luogo la qualità della bellezza, solitamente definita come l'aspetto piacevole della persona oggetto di sguardi" (23). Per secoli fino ai giorni nostri, gli uomini hanno assistito ai grovigli dell'invidia femminile, sapendo che non c'era nulla che essi potessero dire o fare che avrebbe intaccato il potere che le donne esercitano l'una sull'altra. Non è molto lusinghiero per gli uomini, ma, nell'ambito dell'Accordo Patriarcale, gli affari interni del mondo femminile che mantenevano le donne nell'ignoranza del potere della bellezza permettevano ad essi di perseguire la ricchezza economica, nella certezza, più o meno conscia, che Le Altre Donne avrebbero tenuto le mogli "al loro posto". "Ehi, essere belli è un modo per avere successo!" esclama il giovane uomo di oggi. Un nuovo tipo di competizione è alle porte, una competizione che trova le giovani donne ancora diffidenti, anche se si rendono conto del fatto che gli uomini della loro stessa età le deruberanno della bellezza se non saranno in grado di riconoscere ciò che stanno perdendo: il potere della bellezza stessa. Allo stesso modo, gli uomini farebbero meglio a stare attenti ai modi subdoli con cui noi donne agiamo quando c'è in gioco la bellezza. "Era solo un bel vestito vuoto", mi dice una dirigente donna a proposito dell'uomo ben vestito che ha licenziato. Lei è molto carina, molto bionda, e ha molto successo nel suo lavoro. Stiamo pranzando insieme per festeggiare il premio più prestigioso nel suo campo che ha appena ricevuto, e nonostante non abbia dovuto fare uso del suo aspetto per fare carriera, indubbiamente le è stato d'aiuto. Nel suo tono di voce c'è un'evidente sfumatura d'invidia verso l'uomo attraente che aveva invaso il suo campo ed è stato conseguentemente licenziato. Con l'aumento del numero di donne nelle posizioni dirigenziali, gli uomini che lavorano alle loro dipendenze andranno incontro al tradizionale destino femminile nei luoghi di lavoro, ovvero all'assunto pieno di rancore per cui una bellezza eccessiva si traduce in minore intelligenza, minore capacità d'iniziativa e minore ambizione? La bella donna che ha licenziato "il bel vestito vuoto" sta per incontrare il suo degno compare, un "vestito" che risponda ai suoi colpi. Gli uomini valutano l'avversario, avanzano, arretrano, lottano per il comando, forse arrivano anche ad allearsi con il loro diretto concorrente, costruendo così la loro esperienza in fatto di reti professionali, ma non telefonano a tutti gli altri uomini per bisbigliare di aver scomunicato il bello del Gruppo. La moda cambia ancora prima della nostra presa di coscienza degli avvenimenti storici in procinto di accadere; è come se il nostro occhio interno, a lungo esercitato, avesse preso le misure del paesaggio che si profila all'orizzonte e si stesse attrezzando fisicamente per ciò che ci attende in futuro. "Negli anni Settanta, gli uomini e le donne cominciarono a scambiarsi sul serio i loro effetti personali", dice Anne Hollander. "Le donne iniziarono a capire fino a che punto potevano ricorrere alla divisa maschile - ossia totalmente. Dress for Success di Molloy diceva: 'Non vestirti come se volessi quel lavoro. Vestiti come se avessi quel lavoro'. Ed ora, cosa pensiamo che stiano facendo gli uomini? Stanno usando per la prima volta nell'intera storia della moda gli oggetti femminili. Ora gli uomini hanno a disposizione una nuova, meravigliosa abilità nel gestire lo schema tagliato su misura per i maschi secondo modalità che non erano possibili prima del grande sommovimento femminista." Quando il fatturato - da sempre l'indicatore più affidabile - informò l'industria della bellezza maschile del fatto che gli uomini stavano acquistando più abiti e più cosmetici, i pubblicitari e i produttori si misero in stato d'allerta. Prima ancora che l'uomo medio potesse accorgersene, loro sapevano già su quale strada ci stavamo incamminando. La pubblicità sulle riviste maschili informò fette più ampie della popolazione maschile, attivando l'immaginario degli uomini e spingendoli a vedersi in un modo nuovo, in quel completo a doppio petto, più magri, più muscolosi, più giovani. Quando il prestigioso Bergdorf Goodman aggiunse una sezione di lusso riservata ai clienti maschi all'interno del negozio per donne sulla Fifth Avenue, il
direttore mi raccontò che dovette tenere dei corsi per educare i commessi su come far sì che gli uomini si convincessero a spendere 1.000 dollari per un vestito. C'era molto denaro da fare nel nuovo mondo della moda maschile, ma gli uomini sarebbero stati disposti a investire le considerevoli somme che le donne sono abituate a spendere? La risposta sembra essere affermativa. Cinque anni dopo, la pubblicità di Bergdorf diceva: "Senza stile, l'ambizione è meramente aggressiva". In realtà, avevo sperato che alcuni vantaggi, come i ritocchi tradizionalmente gratis di cui gli uomini hanno sempre beneficiato, sarebbero filtrati nel mondo della moda femminile; invece, sembra che gli uomini siano disposti a pagare qualsiasi cifra per impossessarsi della bellezza che desiderano. Diversamente dalle donne, gli uomini vedono la bellezza come qualcosa che possono decidere di inseguire oppure no, e se i loro meriti in quel tipo di gara non vengono riconosciuti, così sia. Noi donne non siamo ancora così indipendenti. Possiamo decidere razionalmente di essere libere dagli obblighi di carattere estetico - e si tratta di una scelta rispettabile - ma non è ancora giunto il tempo in cui una donna non conservi il ricordo di un'infanzia in cui la bellezza giocava un ruolo cruciale; la maggior parte di noi non crede all'esistenza di fonti alternative di potere. Se ci credessimo, non saremmo così dannatamente invidiose della bellezza delle altre. No, noi non potremo decidere onestamente di rifiutarci di inseguire la bellezza finché non avremo imparato a maneggiare la competizione, a riconoscere la sensazione che essa provoca prima che ci inacidisca. Il procuratore Susan Thomases, conosciuta anche come la "sostenitrice" di Hillary Rodham Clinton, convive tranquillamente con il soprannome di "vecchie scarpe flosce" quando trascina i piedi per i corridoi del potere di Washington, i capelli scarmigliati, "i vestiti spesso sgualciti", e poco preoccupata dal trucco, ma costituisce un'eccezione, tanto che il Wall Street Journal l'ha citata per la sua mancanza di attenzione ai rituali della bellezza. Gli uomini sono diventati attraenti quanto le donne. Quando percorriamo in auto un viale, guardiamo il cartellone pubblicitario dell'uomo in biancheria intima Calvin Klein, o la gigantografia di Cindy Crawford? E quando arriviamo a destinazione, sia che siamo uomini o donne, i nostri occhi sono attratti dal bel decolleté femminile o da uno degli uomini, giovani e belli, elegantemente vestiti, che attendono di essere ammirati, che si sono vestiti davanti allo specchio con la piena e conscia intenzione di essere apprezzati per il loro aspetto fisico, come i loro padri non si sarebbero mai sognati di fare? Venti, dieci anni fa, gli uomini che trascorrevano troppo tempo davanti allo specchio erano sospetti. Quando chiedo all'uomo più classicamente bello ch'io conosca - nel senso che i suoi lineamenti sono così perfetti che dev'essere bello da sempre - come ci si sentiva ad essere dotati di una simile bellezza naturale ed essere contemporaneamente ai vertici in campo professionale, egli mi risponde: "Diventa molto difficile essere presi sul serio". Oggi ha cinquant'anni. È strano sentire un uomo dire una cosa simile, e suppongo che questo spieghi anche la sua reputazione di avversario micidiale, di intellettuale aggressivo. In passato, nelle rare occasioni in cui veniva scritto un articolo sugli uomini molto attraenti, veniva regolarmente intervistato. Uno dei suoi amici più intimi dice che tutti gli uomini del suo fascino hanno sempre sollevato il sospetto che non potessero essere persone di grande intelligenza o con il senso degli affari. Ovviamente, lui ha lavorato sodo per essere preso sul serio: era una star nello sport al college, si è laureato con la lode, e continuò fino a diventare un capitano d'industria. Ma i suoi figli non dovranno portare quei bagagli, residui del rigido Mondo Patriarcale. La maggior parte degli uomini si addentra nel mondo degli specchi con prudenza, regolando il proprio comportamento in base a quello di altri uomini e assicurandosi costantemente che la bellezza, di recente annessione, non interferisca con il successo finanziario. "Gli uomini non ammettono mai ciò che sto per dire", scrive un collaboratore della rivista Mademoiselle, "perché li fa sentire un po' strani - una delle più grandi paure della vita di un uomo eterosessuale è quella di dire la cosa più lieve che possa dare adito a sospetti sulle sue tendenze sessuali - ma la verità è che noi uomini studiamo la vita di un fusto con la stessa intensità delle donne... Divoriamo queste storie solo perché vogliamo sapere il motivo per cui questo
tipo viene venerato e noi no, perché la fama e il denaro e naturalmente le donne cadono ai suoi piedi... Ci sembra quasi che egli non abbia veramente bisogno di uno scopo nella vita, che non debba fare niente se non aspettare - e le grandi occasioni gli si presenteranno presto"(24). C'è una verità importante in ciò che dice; gran parte del mondo maschile eterosessuale è ancora suscettibile all'idea di sembrare effeminato nel vestire. Ma fu il mondo gay a contribuire all'espansione della moda, a godere visibilmente della finestra che essa aprì sull'universo maschile a cominciare dalla fine degli anni Sessanta. I gay non hanno bisogno di essere convinti del potere della bellezza, dato che ricorrono proprio allo strumento visivo per segnalarsi a vicenda l'avvio del rituale del corteggiamento omosessuale. Ma tutti gli uomini oggi sono debitori al look maschile sgargiante e creativo di trent'anni fa, che si è evoluto e si è diversificato nei maglioni di cashmere dai colori pastello che rappresentano un elemento base del guardaroba della maggior parte degli uomini di oggi, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali. La cultura maschile eterosessuale non trattiene più nervosamente il respiro quando i suoi membri girovagano per il magnifico edificio di un negozio di Ralph Lauren, in cui la sperimentazione nella moda e nei colori costituisce il marchio di fabbrica di uno stile che gli uomini non si limitano ad indossare, ma con cui decorano le proprie case e i propri uffici. Dopo averli criticati per il fatto di vederci come "oggetti sessuali" e dopo averli messi a tacere negli uffici, le donne, in realtà, hanno aperto agli uomini nuovi orizzonti. Nessuna sorpresa dunque se essi non solo si rendono più attraenti, ma vanno a pascolare in territori precedentemente proibiti, per trovare ulteriori ricompense al loro duro lavoro. Siamo abituate a mariti che lasciano le mogli per donne più giovani, ma oggi potrebbero lasciarla per un uomo più giovane. Fino a poco tempo fa, nulla aveva il potere di distruggere la vita di un uomo quanto l'insinuazione di omosessualità. Un sogno o una fantasia in cui egli si vedeva insieme ad un altro uomo, anche solo un pensiero, erano sufficienti per condurlo dritto al lettino dell'analista. Ma è probabile che la memoria infantile di un uomo contenga scene di masturbazione di gruppo, l'adorazione venata di erotismo del ragazzo più grande e dal fisico più atletico, sogni che l'apprendimento delle rigide regole del mondo eterosessuale gli ha suggerito di mettere al bando. Ma come è possibile mettere al bando un sogno, disattivare l'inconscio? Ricordo perfettamente quando una mattina dello scorso anno arrivò una telefonata con la notizia mozzafiato dell'editore multimiliardario Jann Wenner - colui che aveva creato la rivista Rolling Stone - che aveva lasciato moglie e figli e si era rifugiato nella suite di un albergo di lusso dell'East Side insieme ad un modello. Fu effettivamente un momento di grandi pettegolezzi, ma il mondo non tremò come avrebbe potuto succedere vent'anni prima. Ci furono delle esitazioni circa l'opportunità di pubblicare la storia, legate alle possibili reazioni di protesta da parte degli omosessuali. Ma alla fine la storia venne fuori, e la reazione dell'opinione pubblica fu tiepida, divertita ma tollerante. Dopo tutto, alcuni degli uomini più ricchi e potenti del mondo editoriale, dell'industria musicale e cinematografica sono gay. Wenner poteva ritornare dalla moglie e dalla famiglia l'indomani oppure no, presentarsi ancora una volta con lei in pubblico, e non ci sarebbe stato comunque alcuno scandalo. Quando si tratta di bellezza, la nostra cultura cambia aspetto, e la bellezza è connessa all'omosessualità maschile; con lo spostamento sempre più accentuato del potere della bellezza nella vita degli uomini, la stella dell'omosessualità risplenderà anche di più. Il mondo degli stilisti è sempre stato a prevalenza gay; quando guardavamo una bella donna vestita da un abito splendido non pensavamo automaticamente: "Oh no, deve averlo disegnato un gay!" Invece, pensavamo: "Oh, ma è di una bellezza mozzafiato!" Non riconosciamo ancora il nostro debito nei confronti dell'occhio omosessuale, per avere portato così tanta bellezza nelle nostre vite; ma, ancora una volta nella storia, abbiamo permesso ai nostri uomini, a tutti gli uomini, di prestare attenzione a se stessi. Più del lavoro, più di un matrimonio e di una famiglia, abbiamo bisogno di avere un'identità sessuale. Nella privacy delle fantasie erotiche, gli uomini hanno sempre giocato con immagini di donne che si eccitano a vicenda, e
dall'accoppiamento al femminile traevano un permesso eccitante per se stessi; per quanto proibite, e dunque eccitanti, fossero queste fantasie, l'idea di immaginarsi in compagnia di un altro uomo non era sessualmente stimolante. Oggi, come testimoniano i film, la letteratura, le fantasie erotiche e la vita reale, il tema dell'omosessualità suscita ancora il brivido del proibito, ma ora, quando affiora dall'inconscio, gli uomini ne sono meno spaventati, e più eccitati. Nel vedere l'altro, l'uomo guarda se stesso, guarda fisso come faceva una volta, all'età di dieci anni, quando gli altri ragazzi si masturbavano insieme a lui e aveva bisogno di un'immagine di potere maschile che contrastasse quello materno, un momento della sua vita che precedette quello in cui guardare gli altri maschi equivaleva a perdere la propria virilità. Nel film che ho visto la sera scorsa, Heat, Robert De Niro e Al Pacino sono mossi da sentimenti così intensi di rivalità e competitività nel loro gioco di guardie e ladri, che non resta spazio, né qualche tipo di sentimento o passione residua, per le donne; alla fine, si confrontano, e Pacino spara a De Niro, che, esalando l'ultimo respiro, stringe la mano dell'unica persona con cui possa identificarsi. Pacino è immerso nell'oscurità, nello spazio piatto di un campo all'aperto, reggendo la mano del Cattivo fin quando non muore. In quel momento sappiamo che, vincendo, Pacino è più solo che mai, senza più un altro uomo in cui vedere riflesso se stesso. C'è bisogno che aggiunga che entrambi gli uomini vestono alla moda? Al crescere della competizione professionale con le donne, come si vedrà un uomo a letto con un'esponente del sesso che vuole controllarlo sempre più, che pretende il suo lavoro, che vuole sorvegliare il suo modo di parlare e di comportarsi, che vuole tutto? Fino ad ora le donne hanno costituito il premio per cui gli uomini gareggiavano l'uno contro l'altro. Il successo sessuale degli uomini con le donne affondava le sue radici nei primi anni di vita, nelle contrapposizioni vissute con il padre, i fratelli, e con quella prima grande campionessa in fatto di competizione, la madre. Questo non è mutato. L'uomo espresso dalla società patriarcale sfuggiva alla consapevolezza dell'influenza esercitata dalla propria madre in tutte le aree della sua vita. Ma l'uomo gay, per cui la bellezza costituisce anche il suo buono mensa, è maggiormente conscio dell'influenza che le donne hanno su di lui. Dieci anni fa, la storia del mio amico Dick, che ora racconterò, sarebbe stata relegata al mondo omosessuale. Ritengo che oggi possa rappresentare una parabola valida per tutti gli uomini. Come forse ricorderai, la madre di Dick era una donna attraente che nutriva tali sentimenti di rivalità nei confronti del proprio figlio, un bambino bellissimo di quattro anni, da non poterne neanche sopportare la sua vista. Abbandonò lui e il proprio marito, ma durante le sue rare visite per motivi di denaro e i brevi momenti di incontro tra madre e figlio, Dick divenne suo discepolo nell'esercizio del potere della bellezza. "Avrei anche potuto essere invisibile per lei", mi confida. "Mi era sempre stato detto che le assomigliavo, e non riuscivo a capire perché lei non mi amasse. Ma osservavo come lei usava la sua bellezza, ed è da lei che ho imparato a usare il mio aspetto fisico. Benissimo, se non potevo avere la sua attenzione, l'avrei battuta al suo stesso gioco." In un modo assai seducente e accattivante, Dick è una delle persone più competitive che io conosca. Quando Dick aveva tredici anni, venne mandato dalla madre per uno dei soliti brevi soggiorni. "Lei e il suo amante erano appena tornati dal Messico", dice Dick, "ed erano vestiti con gli stessi abiti bianchi accompagnati da una sciarpa rossa. Ad un certo punto, mia madre lasciò il soggiorno. Mi misi a flirtare con lui, sapendo bene ciò che stavo facendo, stuzzicandolo, toccandogli la spalla, la mano, finché lui non mi circondò con il suo braccio. Eravamo sul divano e lui era su di me, mi baciava e mi ordinava: 'No, no, apri la bocca!' Lei entrò. Non l'avevo mai vista così furibonda. Mi rispedì a casa, disse tutto a mia nonna, che l'avvertì che se avesse raccontato l'incidente a mio padre non avrebbe più ricevuto neanche un penny. Lei rifiutò me e si tenne l'amante. Ma io avevo gareggiato con lei ed avevo vinto. Sono sicuro che lei lo pensò. Ero terrorizzato dal contenuto delle sue future rappresaglie. Le nostre visite diminuirono sempre più, finché non s'interruppero del tutto." Dall'inizio di questo libro ho pensato spesso al rifiuto di sua madre di vederlo ancora, persino di parlargli per telefono. "Non penso che il motivo per cui
rifiuta di vederti sia dovuto alla tua età ", gli ho detto nel giorno della Festa della Mamma scorso, mentre lui, come al solito, era seduto a fissare il telefono che lei gli ha proibito di usare. "Penso che sia a causa della sua paura di competere con te, e di essere battuta un'altra volta." "Non ci ho mai pensato", mi rispose. "Lei era la più bella donna che avessi mai visto. Lo feci solo per vendetta. Non mi degnava neanche di uno sguardo." "Purtroppo, hai vinto tu la gara di bellezza." Quando un uomo richiama l'attenzione di una donna da un lato dello specchio, il patrimonio genetico femminile riaffiora; il suo aspetto e il suo comportamento parlano di egoismo, non di altruismo. Ora lui sarebbe ancora disposto a dare la sua vita per lei? Se è intento a studiare il proprio riflesso allo specchio, non si accorgerà dell'orso minaccioso. E quando lei sarà incinta, durante quei nove mesi che gli antropologi incorporano nella "selezione naturale" di un compagno maschio più potente, come potrà provvedere a lei e come potrà proteggerla se sarà dal suo sarto? Non importa che lei possieda una casa propria, abbia un reddito superiore al suo, tenga una pistola nel cassetto del comodino per proteggersi, e ora possa tirare fuori un seno e allattare il proprio neonato in un ristorante in cui pagherà il conto della cena. La sua mancanza di fiducia in un maschio narcisista coincide con il sospetto delle sue antenate verso quegli uomini che amavano mettersi in ghingheri invece che provvedere economicamente alla famiglia. Gli uomini non dicono nulla, nessun richiamo di aiuto è udibile da sotto le stratificazioni delle accuse femminili, non finché non si ridurrà ad un urlo o ad un soffio, tanta è l'inesperienza maschile nella modulazione emotiva del lamento. "Il Movimento di Liberazione delle Donne deve essere assolutamente consapevole del pericolo di indurre gli uomini ad uccidere le donne", disse Margaret Mead. "Li avete fatti letteralmente impazzire"(25). Gli uomini e i ragazzi di oggi, nella loro crescente fiducia nei propri muscoli, nella forza bruta, sembra che stiano dicendo: "Impiegheremo quelle caratteristiche che in voi donne non sono sviluppate in modo adeguato". Marina Warner sostiene che nei miti moderni, come nei film e nei videogame, si insegna ai ragazzini che il modellamento di una struttura fisica e muscolare fa il vero uomo. La forza è diventata "la sorgente dell'autorità maschile, del potere", scrive (26). La reazione di una Femminista Matriarcale di fronte al crescente tasso di violenza tra gli uomini giovani non è quella di cercare una spiegazione, ma di scrivere che agli uomini dovrebbe essere attribuita una "tassa dell'utente" per le prigioni e gli istituti di riabilitazione monopolizzati dalla popolazione maschile. "Gli uomini sono costosi", scrive la psicologa June Stephenson. "Non possiamo attenderci che essi sorveglino i loro compagni, che si assumano la responsabilità del contributo alla violenza in questo paese... Gli uomini non sono i guardiani dei propri fratelli. Eccetto i gruppi a forte legame maschile, gli uomini non sono emotivamente connessi tra loro come lo sono le donne... Gli uomini devono pagare per essere uomini"(27). Agli uomini spetta un compito anche più difficile di quello svolto dalle donne quando entrarono nel mondo del lavoro; e devono farlo anche quando il Femminismo Matriarcale li maledice accusandoli di essere naturalmente violenti e insensibili verso qualunque cosa buona, gentile e femminile. Quando l'uomo era un ragazzo, questi sentimenti caldi, teneri, appartenenti alla madre, la Governatrice del Mondo, non venivano per niente sminuiti. Ma quando mise il capo fuori dalla porta di casa e si unì al Mondo dei Ragazzi, fu costretto ad abbandonare queste emozioni potenti. È stata la società ad insegnargli che le emozioni "virili" sono superiori. Le altre, le emozioni "femminili", che sono naturali a tutti noi, hanno dovuto subire un processo di repressione. Lo psichiatra Willard Gaylin una volta mi disse: "Se gli uomini non hanno stretto delle amicizie prima - nell'adolescenza, alla scuola superiore, all'università - più tardi non ne avranno la capacità o la forza. Il lavoro li prosciuga. Ed essi vivranno portandosi dentro un senso di esclusione." Io ho vissuto la maggior parte della mia vita con accanto un uomo, ho avuto due matrimoni e diverse relazioni sentimentali, e non ho mai conosciuto un uomo adulto che abbia stretto una nuova, grande amicizia con un altro uomo adulto.
Mio marito mi racconta di un incidente di macchina, che lui descrive come un' "esperienza vicina alla morte", avvenuto quando aveva diciannove anni. L'auto venne demolita. Quando guarì dalle ferite, suo padre gli prestò la propria automobile dicendogli che gliene avrebbe comprata una nuova, e gli suggerì di utilizzare il denaro dell'assicurazione per fare un viaggio. "Invita uno dei tuoi amici", gli disse. Mio marito chiese a suo padre di accompagnarlo. Non avevano mai passato del tempo insieme, da soli. Suo padre era un uomo di successo, un gran lavoratore, sempre fuori casa durante il giorno, spesso anche la sera. Insieme visitarono una mezza dozzina di città, comprese Acapulco, Città del Messico, San Francisco, e non parlarono mai. Certo, discussero di politica, di affari, delle notizie sui giornali, ma mai niente che riguardasse la loro vita personale, le loro emozioni, ciò che sentivano dentro, che era invisibile. Quando incontrai per la prima volta mio marito, nelle nostre prime conversazioni intime spesso si riferiva alla sua vita prima del nostro incontro come ad una vita "compartimentalizzata". Poi vidi la sua collezione di antichi scrigni giapponesi, un ricordo del periodo trascorso a Tokyo. Erano incantevoli, e tutti avevano tanti piccolissimi cassetti che mi piaceva immaginare celassero un tempo i suoi segreti. Pensa ad una madre e ad una figlia in viaggio come mio marito e suo padre. Immaginale a non discutere mai di emozioni, di sentimenti. Impossibile. Non è scritto nel marmo, né è un fatto genetico che gli uomini debbano reprimere fin da ragazzi la propria emotività; non è "colpa" delle donne né è compito nostro cambiare gli uomini. È un compito che spetta agli uomini adulti; paragonata alla nostra battaglia per entrare nei diversi campi professionali e per accedere alle cariche politiche - una lotta certo, ma eccitante, matura, anche sessuale in termini di energia e ricompense - questa rivoluzione è ancora più dura. Non è facile per un adulto scavare alla ricerca di quanto è rimasto in lui del ragazzo ricco di emozioni di un tempo, per poter parlare al proprio figlio seguendo altre direzioni. Per un uomo adulto, servirsi della propria vita come di un'architrave cui appoggiarsi per poter parlare di ciò che avrebbe potuto fare, mettere a nudo tutte queste ferite "poco virili" e aggiungervi anche qualche intuizione sul funzionamento del mondo femminile, ecco, fare tutto questo non è una cosa di cui Freud o le riviste maschili si occupano. E, a proposito di Freud, che dire della competizione padre/figlio? Se il bambino non imparerà a vivere dal padre - che appartiene allo stesso sesso ed è dunque il modello più fidato - non ci saranno abbastanza prigioni per contenere la prossima generazione, il che si adatterebbe proprio bene al disegno matriarcale. Gruppi come quello di Robert Bly e dei Promise Keepers sono solo l'inizio. La rivista Ms. mandò un'inviata donna in incognito - era infatti vestita da uomo ad uno dei congressi dei Promise Keepers; anche se la giornalista finì per apprezzare molti degli scopi che l'organizzazione si prefigge di raggiungere "Non vedo come la società possa cambiare nella direzione che auspichiamo se agli uomini non verrà offerto sostegno per cominciare a comportarsi meno da 'uomini' e più come esseri umani premurosi, affettuosi, moralmente integri, e non dominanti" - ovviamente sentì che le sue lettrici avevano bisogno di un preambolo beffardo: "Uomini radiosi e vestiti alla moda agitano le bandiere splendenti dei Promise Keepers come se fossero dei manganelli", e "Sto camminando come se avessi il segnalatore del potere tra le gambe?"(28) È un esercizio di visualizzazione cercare di immaginare come cambierà il modo di apparire degli uomini quando i ragazzi cresceranno restando aperti alle emozioni invece che attraversare la vita con un'espressione impassibile sul volto, le imposte chiuse, i sentimenti compartimentalizzati. "Se prendete il vostro potere di procreare, la vostra capacità riproduttiva, l'allevamento dei figli... e cercate di prendervi anche quello che ci rimane", dice la star della televisione Tim Allen, "avrete degli uomini molto arrabbiati che faranno cose molto rabbiose per proteggere quel poco che resta del loro territorio.."(29). Cosa significa essere un uomo in un mondo sempre più snob e di classe media, in cui le donne non solo hanno conquistato il potere, ma hanno ridefinito le regole dell'impegno sentimentale dal loro punto di vista? Allen continua: "La nascita di un bambino - mia moglie che continua con i suoi' 'Ooh!' - li vedo innamorati dentro a una stanza, e i miei occhi assomigliano a quelli di un
bambino che guarda da Macy's dei giocattoli che non possiederà mai. E quei due: 'Ah!' - i piccoli versi di due piccioni che tubano. Ed io era come se dicessi 'Chiii!', indietreggiando di fronte a questo piccolo uomo. Devo fare qualcosa devo trovare il modo perché abbiano bisogno di me... 'Mi è rimasto molto; poco, mi resta solo questo angolino. Devo stare attento ai tuoi sentimenti; devo assicurarmi che tu sia sistemata nel mercato del lavoro. E non mi è permesso di essere uno stupido aggressivo!' Un guerriero -io e mia moglie lo dicevamo sempre, sono fatto per quello. Sono un guerriero...'voi [donne] non volete veramente che io esista. Bene, andate a farvi fottere - io esisto. E non finisce qui... formerò un esercito, e vi distruggerò! Voglio dire, se mi trattate in quel modo, lo farò. Se è davvero quello che volete - farmi la guerra... 'Vi siete scelti lo scopatore di madri sbagliato!' Perché io so come si combatte meglio di voi" (30). 7.9 - I magnati lassi e calvi della finanza e le loro svettanti mogli-trofeo Io ed una mia amica siamo sedute ad un tavolo del ristorante Bel Air di Los Angeles quando lei ad un tratto mi tocca con il gomito, avvisandomi dell'ingresso di un piccolo uomo calvo in completo blu scuro che ha appena comprato una linea aerea, un intero paese. Non ha nulla che lo distingua dagli altri uomini, eppure si dà un certo tono, perché sa che vediamo il suo portafogli, le sue case, il suo aereo privato e che questi beni lo rendono meritevole della donna più bella del locale, che, guarda caso, è al suo braccio. Lei porta con sé una elegante valigetta Hermes e sulla sua testa è posata una corona di capelli meravigliosamente pettinati, che attira così tanta luce da lasciarci momentaneamente accecate. Non ci chiediamo cosa veda in lui. "Lui deve aver avuto un'adolescenza terribile", dico alla mia amica. Ogni tratto della sua persona reca questo messaggio: rifiutato dalle ragazze nell'adolescenza. In quello strano periodo che fu la seconda metà degli anni Ottanta, era una frase che mi capitava spesso di pronunciare, ottenendo notevoli successi, quando sedevo vicino ad un rampollo del mondo imprenditoriale: "Raccontami della tua adolescenza". Non voleva essere un gioco sgarbato, perché riaprivo le mie stesse vecchie ferite e comprendevo con simpatia il motivo per cui l'uomo in questione aveva lavorato così duramente per scampare a quegli anni, affinché non si ripetessero di nuovo. In breve, i magnati calvi perseguivano un obiettivo più impregnato di aggressività degli eroi di football della loro giovinezza. Possono aver trascorso i loro sabati negli uffici del padre a leggere consuntivi di bilancio, mentre tutti i ragazzini normali erano a giocare, ma l'invisibilità e l'invidia li rendevano duri dentro. Alla fine, trionfarono. In nessun periodo come negli anni Ottanta, gli Uomini Bassi e Calvi dall'Adolescenza Infelice ostentarono più chiassosamente le loro vittorie. Erano sulle copertine dei giornali, oppure vi comparivano le loro mogli affascinanti, con il loro marchio di fabbrica - la Grande Capigliatura - aperto a ventaglio da una parte all'altra della pagina. Anche se non erano belle, i loro capelli le facevano sembrare tali. "I capelli sono tutto", diceva una mia amica, e queste donne avevavo a disposizione un budget sufficiente da permettersi un trattamento giornaliero dal parrucchiere che, insieme al creatore di moda, era il massimo agente della bellezza del momento. Era un Ballo delle Debuttanti per stagionati, questa autopromozione di uomini di enorme successo ma non di grande bellezza, le cui mogli erano più che semplici trofei, perché lavoravano, dirigevano le proprie compagnie, o dedicavano la loro vita ai balli di beneficienza, che organizzavano senza tregua. La stravaganza di questa parata, che prevedeva feste da millioni di dollari come quella di compleanno di Malcom Forbes a Tangeri e quella di Saul Steinberg negli Hamptons, ed una moda vistosa ed esotica, aveva tratti felliniani, creando una scena percorsa da una corrente nervosa ad alta tensione sul punto di implodere. Il falò delle vanità di Tom Wolfe colse questa atmosfera meglio di ogni altra opera. Un prodotto significativo ma volgare di quell'epoca erano le discussioni avide, pubbliche intorno al tema del denaro. Le conversazioni durante le cene si focalizzavano spesso sui prezzi, sulla quantità di dollari spesi per i propri possedimenti. Nessuno ci pensava due volte a chiedere quanto costasse un appartamento, un abito, una casa di vacanze. Se non c'era qualcuno a fare
domande, le persone si sentivano obbligate a dire quanti soldi avevano sborsato, come se l'esposizione di grosse cifre costituisse una garanzia di visibilità. Per quanto io ricordi, la cattiva abitudine di parlare di prezzi prese l'avvio alla fine degli anni Settanta, quando tutte le regole della nostra infanzia sulla discrezione garbata nella ricchezza si volatilizzarono. Fu lo scandalo Watergate sommato al Vietnam, una vergogna pubblica che portava nella direzione dell'invisibilità, a rendere fuori luogo la generosità e le buone maniere in base a cui eravamo stati allevati? Fu questo a risucchiarci nel baratro di persone che abitano una società del Contenitore Vuoto, sempre desiderose di nuove mode che coprano il nostro senso di disagio? Tradizionalmente, le donne belle sono state esibite dagli uomini come segnali del loro successo rivolti al mondo esterno. Ma con la metà degli anni Ottanta, le belle donne - quanto meno a Manhattan e nelle altre grandi città - iniziarono ad esigere il proprio portafoglio. Il femminismo aveva donato un'aura chic al lavoro, e le mogli degli uomini più ricchi volevano essere In. Queste compagne competitive dei Grandi Ricchi non pretendevano semplicemente un lavoro, ma anche un grosso successo, e così una Georgette Mosbacher voleva portare la propria valigetta ed essere intervistata dalla stampa non per i suoi rituali quotidiani di bellezza, ma per il suo senso degli affari. Per loro sarebbe stato impensabile presentarsi per il pranzo a The Four Seasons o da Le Cirque senza farsi accompagnare dai propri clienti. Le Bambole degli anni Cinquanta, che si limitavano a pranzare, a sfoggiare vestiti e ad essere esibite dai loro mariti erano scomparse. Le necessità finanziarie non avevano niente a che fare con le snervanti routines giornaliere cui si sottoponevano queste donne, i loro programmi massacranti puntualmente riportati su Vogue, Town and Country, e Harper's Bazaar. Le loro corse dalla ginnastica delle 6 del mattino con tanto di allenatore privato, al parrucchiere e poi all'ufficio a bordo di limousines guidate da un autista, venivano descritte senza ironia. Per qualche assurda ragione, venivano (e ancora sono) prese molto sul serio. Il quartier generale femminista non le ha mai toccate, né per lodarle né per deprecarle, anche se i loro programmi competitivi che univano lavoro e divertimento erano nati sotto l'influsso femminista. Era diventato motivo di disagio e di rabbia per una donna partecipare ad un'occasione sociale e non avere nulla da rispondere alla domanda "E tu cosa fai?", il che significava: "In quale lavoro interessante fuori casa sei impegnata?" Così nacque la Coppia del Potere, al cui interno un uomo, solitamente divorziato, ora sceglieva una donna bella e molto più giovane. Certo, non rappresentava la maggioranza, ma era molto coccolata dai mass media. Mentre la prima moglie era rimasta a casa ad occuparsi dell'accudimento dei figli, questa nuova compagna, giovane e attraente, si piegava al compito di accrescere l'immagine maschile in altri modi. In genere più esperta di vita sociale di lui, gli insegnava a quali club iscriversi, quali enti di beneficienza arricchire, a quali feste prendere parte e come ospitarle, e, naturalmente, come vestire. Spesso parlava in sua vece; essendo più avvenente di lui, prestava il suo bel volto alle telecamere finché la sola vista della sua immagine non sortiva l'effetto di evocare il nome di lui. Il punto cruciale dell'Accordo era che lei non lo facesse apparire piccolo, cosa che sarebbe stata insostenibile; al contrario, la pubblica sommatoria doveva risultare tale per cui lui apparisse come un uomo in grado di prendersela. Il primo di gennaio, si sedevano l'uno accanto all'altro a riempire le loro agende da Coppia del Potere per far sì che i loro programmi lavorativi distinti e i loro impegni sociali comuni coincidessero. Quale interessante alternativa all'invisibilità il femminismo aveva offerto a questi uomini: una moglie lavoratrice la cui ricchezza non era certo all'altezza della fortuna di lui, ma la cui bellezza, e, ugualmente importante, il cui savoir faire nelle occasioni sociali, segnalava alla gente che quell'uomo era degno di considerazione. Questi uomini si dedicavano così intensamente alla creazione di una grossa fortuna, che si dimenticavano della funzione delle forchette per il pesce, dei promemoria, e del significato abbagliante di essere membro del consiglio del Metropolitan Museum; alla fine, ad alcuni di loro toccava aspettare in fila perché quel museo prestigioso accettasse la loro
donazione di dieci milioni di dollari, quella cioè che comprava il biglietto d'ingresso al suo comitato dirigente. Noi incontriamo un piccolo uomo calvo vestito di blu, un abito fatto su misura da un sarto eppure indistinguibile da altri completi, e ci giriamo dall'altra parte, finché qualcuno non ci mette al corrente su chi sia, ovvero che cosa possieda. Ci voltiamo di nuovo, e vediamo una persona nuova, non così basso, ma dall'aria principesca e con una nuvoletta dorata ad ornargli il capo, perché ora ricordiamo quante volte abbiamo visto quel nome, non solo sulle pagine finanziarie dei giornali, ma sulle pagine dedicate alla vita di società di tutti i periodici. Adesso capiamo perché quella bella bionda, alta, attraversa la stanza per appiccicarsi al suo fianco. Ogni cosa va al suo posto, clic, clic, clic, Il Patto, lo scambio di beni e servizi. Molte di queste femmine purosangue non avrebbero mai avuto bisogno di sposarsi; avrebbero potuto comprarsi i loro duplici appartamenti a Park Avenue. Si sarebbero potute permettere compagni più giovani, più attraenti, non necessariamente dei gigolò, ma uomini più vicini a loro per età e interessi, che ballavano i loro balli e ascoltavano la loro stessa musica. Tuttavia, abbiamo a disposizione alcuni risultati di studi condotti prima e dopo l'avvento del femminismo moderno, che indicano che le donne, indipendentemente dalle dimensioni delle loro risorse economiche personali, preferiscono ancora gli uomini in possesso di risorse superiori alle proprie. "Dozzine di studi documentano il fatto che le moderne donne americane, in realtà, valutano le risorse economiche dei propri compagni sostanzialmente di più di quanto facciano gli uomini"(31), scrive lo psicologo David M. Buss. Rispetto al 1939, i risultati di Buss del 1956 e poi ancora del 1967, mostravano una varianza molto limitata. E la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta non alterò le preferenze femminili. Negli anni Ottanta, Buss continuò a fare ricerche su uomini e donne, a cui veniva chiesto di "ordinare diciotto caratteristiche personali in base al loro valore per un eventuale matrimonio. Come nei decenni precedenti, le donne danno un peso due volte superiore a quello dato dagli uomini alle buone prospettive finanziarie del partner". Uno studio successivo di Buss, condotto nel 1994 e nel 1995, utilizzando "annunci personali sui giornali e sulle riviste, confermò che le donne che si pongono sul mercato matrimoniale vanno alla ricerca di risorse finanziarie... Negli annunci femminili la ricerca di buone condizioni finanziarie compare circa undici volte più spesso che negli annunci maschili". Buss ed i suoi colleghi hanno poi continuato questa ricerca studiando trentasette culture in sei continenti e cinque isole, e ancora una volta scoprirono che "le donne di tutti i continenti, di tutti i sistemi politici (inclusi comunismo e socialismo), di tutti i gruppi razziali, di tutte le religioni, e di tutti i sistemi matrimoniali (dalla poligamia alla presunta monogamia) attribuiscono più valore degli uomini alle buone prospettive finanziarie. Soprattutto, per le donne, rispetto agli uomini, le risorse finanziarie sono più importanti nella misura di circa il 100% " (32). Personalmente, sono delusa dai risultati delle ricerche di Buss; anche se i miei colleghi antropologi si limiterebbero ad un'alzata di spalle a significare "Te l'avevo detto", avevo sperato che il drastico incremento delle capacità di guadagno femminili segnato dall'avvento del femminismo moderno ci avrebbe rese libere di guardare a quelle caratteristiche che portano ad una compatibilità di coppia di tipo più intimo, in un processo di selezione che avrebbe superato qualsiasi inclinazione genetica che determina nelle donne il bisogno di un compagno che possa proteggerle e provvedere a loro durante gli anni dell'allevamento dei figli. In modo perverso, i risultati di Buss sembrano mostrare che le donne più di successo e più istruite "esprimono una preferenza anche più forte per uomini dai lauti guadagni di quanto non facciano donne meno benestanti". Una donna vede la calvizie e la pancia appartenenti ad un uomo ricco in modo differente rispetto ai medesimi difetti in un uomo povero. Certo, è il suo potere economico che compie la trasformazione, ma se andiamo sulle tracce dell'importanza del potere spingendoci sufficientemente indietro nel tempo, per una donna il conto in banca di un uomo non è irresistibile allo stesso modo in cui lo era il potere esercitato su di lei dalla propria madre? La madre, che aveva tutto il potere del mondo, era "bella" perché saremmo morte senza di lei.
Non è questo che viene riportato alla luce quando una donna bella e giovane, che dispone di una propria ricchezza, sposa un magnate piccolo e calvo che la domina economicamente? È il suo ricordo implicito dell'essere accudita dalla persona più potente del mondo che la trascina verso il potere venti, trenta, quarant'anni più tardi. Nonostante questi studi, mantengo il mio ottimismo e spero che le donne belle, vivaci e autosufficienti non scelgano più uomini più vecchi di venti, trenta e quarant'anni, e che la loro scelta vada invece a cadere su qualcuno maggiormente in grado di condividere il loro aspetto fisico, i loro interessi, la loro energia. Per dirla in modo brusco, quando vanno a letto con questi uomini vecchi dalla carne raggrinzita, la loro fantasia non va a uomini le cui erezioni, a dir poco, durano un po' più a lungo? La bellezza di un uomo non è mai stata in cima alle mie preferenze, ma anche quando possedevo poco denaro, vecchi uomini con la pancetta, con bassi livelli di libido, e niente capelli non hanno mai rappresentato il mio orizzonte. Man mano che la nuova situazione economica femminile raggiungerà le profondità del nostro inconscio, e le donne sentiranno in modo più convinto di avere diritto a qualcuno che condivida la loro energia e il loro background, le cose cambieranno. Di sicuro, la lenta marcia degli uomini verso lo specchio influenzerà il modo in cui le donne guardano gli uomini e scelgono un compagno. Forse le scelte femminili, da sole, non riusciranno a ridurre la differenza di età tra gli uomini ricchi e le loro spose adolescenti, ma il cambiamento avverrà attraverso le leggi dell'economia, che hanno sempre modellato la storia. Il femminismo è stato l'evento storico che ha uguagliato la Rivoluzione Industriale per capacità di influenzare ogni aspetto della vita sociale. E le ripercussioni sono ancora in corso. Nel Wall Street Journal di questa mattina, ad esempio, compare un articolo sulla generazione attuale di figlie più o meno ventenni di femministe, che sono cresciute avendo accanto madri afflitte da superlavoro, stanche e assenti. Queste giovani donne dicono di non desiderare il tipo di indipendenza economica cui hanno aspirato le loro madri, vedendo per sé un ruolo in qualche modo a metà strada tra la donna del Sistema Patriarcale e quella creata dal femminismo. Se un numero sufficiente di loro sente le cose in questo modo, certamente rimodelleranno il femminismo, e così la generazione delle loro figlie e quella dopo ancora. Se i piccoli uomini calvi hanno introdotto le proprie mogli nel mondo dell'alta finanza, queste ultime li hanno però accompagnati nel regno degli specchi. Già esperte di tutti gli aspetti dell'alta moda, le mogli della Coppia del Potere hanno capito il significato di una cravatta Hermes, una camicia Charvet, un vestito su misura, scarpe Hunstman o Church. Molto presto, i mariti hanno cominciato a darsi un punteggio a vicenda, a notare il maglione, la cravatta, l'orologio, le scarpe, totalizzando firme e prezzi ad una tale velocità che i loro occhi non tradivano quasi alcun movimento. Ricordo un uomo d'affari che, nella sua ingenuità, faceva quasi tenerezza. Ogni volta che m'imbattevo in lui, mi esaminava da cima a fondo, a cominciare dalla testa: "Chi ti fa i capelli?", "Yves". "Mi piace molto quella tuta. Chi l'ha disegnata?" "Geoffrey Beene." "Di chi è quella borsa?" "Prada." "Suppongo che quelle scarpe siano Ferragamo." "Esatto." Un giorno ci incontrammo per strada e mi chiese dove stavo andando. Gli risposi che stavo andando da Yves a tagliarmi i capelli. "Posso venire con te?" mi chiese, e mi accompagnò incedendo a lunghi passi, standomi a fianco, mentre la sua Mercedes con autista ci seguiva lentamente, non proprio come Cary Grant e Ingrid Bergman in Indiscreto, ma me lo fece venire in mente. Era chiaro che stava facendo pratica di etichette, prezzi e di sguardi dall'alto in basso. Eccolo qui, cinquantenne e finalmente al termine della sua adolescenza, a guardare le donne per cui aveva sempre sentito di non avere le carte a posto, e ora ad essere visto da loro, apprezzato, corteggiato. Aveva costruito la sua fortuna in una città più piccola a sud di Manhattan, dove viveva con una moglie di stampo tradizionale. Aveva creato una serie di compagnie di alto profilo reclamizzate da modelle belle e altissime che egli collezionava nello stesso modo in cui i capitani d'industria che l'avevano preceduto collezionavano cavalli da corsa. Oggi, naturalmente, le modelle sono i purosangue della nostra epoca. Ciò che lo
rendeva piacevole un tempo, prima che la nuova moglie lo verniciasse a nuovo, era la sua curiosità imperturbabile, i suoi occhi spalancati per lo stupore di fronte al mondo in cui era capitato, in un momento della storia in cui il solo bene che possedeva - il denaro - era ciò che contava. Ogni volta che vedo la sua foto sui giornali, quella piccola faccia rotonda, il suo ultimo cavallo da corsa al braccio, mi chiedo se si stia ancora divertendo in questo gioco, se gli accessori della bellezza riusciranno mai a seppellire l'anonimato della sua adolescenza. Con il tempo, lasciò la sua seconda moglie per un trofeo ancor più luminoso, e più alto, questa volta con aspirazioni politiche. È una delle ultime versioni del Nuovo Accordo di Potere tra i sessi: donne ambiziose, alte, eleganti che hanno bisogno di uomini ricchi per alimentare economicamente le loro aspirazioni alla conquista di posizioni di potere. Altri Nuovi Accordi in cui entrambi i partner lavorano e dispongono di un notevole potere economico, implicano che ognuno dei due sia libero di andarsene in ogni momento. Questa coppia può non avere mai dei figli, può essere omosessuale, ma l'indipendenza economica permette a ciascuno dei suoi componenti di manipolare il potere - nel nome dell'amore - come modo di stare insieme, sulla base di una dinamica di coppia che lo psicologo Michael Vincent Miller chiama "terrorismo dell'intimità" (33). I sociologi Philip Blumstein e Pepper Schwartz scrivono: "I nuovi matrimoni, in cui la moglie ha delle ambizioni personali, sono meno stabili. Non è che una moglie ambiziosa sviluppi necessariamente un'insoddisfazione verso il proprio matrimonio o vada alla ricerca di giardini più verdi. Piuttosto, è il marito che non vuole vivere con una donna così ambiziosa o di successo. Tra le coppie sposate che si sono sfasciate, rileviamo che più la moglie è ambiziosa e più è probabile che il marito voglia mettere fine alla relazione" (34). In soli venticinque anni il femminismo ha reinventato il filo della trama della storia universale della vita femminile. Un tempo non era importante come un uomo apparisse esteticamente, se era vecchio o se era meschino. L'obiettivo di una donna era quello di trovare una persona che potesse provvedere al suo mantenimento, non vivere sola, disprezzata, rifiutata. Raramente le belle donne finivano come Vecchie Zitelle. Nessuno usa più questa espressione. Come non guardiamo più inorriditi alla bella donna non sposata che è ricorsa alla Banca dello Sperma e porta i suoi vestiti pre-maman alla moda senza timore di censura. Ma al momento di acquistare la sua dose di sperma, puoi star certa che ha richiesto un fluido con certi tratti genetici. "Non riceviamo richieste per uomini piccoli", rispose la persona addetta alle relazioni esterne della banca cui la mia ricercatrice aveva telefonato. Non c'è bisogno che alcun donatore potenziale al di sotto di una certa altezza faccia domanda. Perché penso che se il mio piccolo miliardario dall'adolescenza infelice offrisse dello sperma, le donne si getterebbero ai suoi piedi, per avere un po' del filtro magico di quel magnate? Niente ha sintetizzato più brillantemente il cattivo gusto imperante tra le Coppie del Potere della metà degli anni Ottanta quanto l'approdo strombazzato a New York dello stilista Christian Lacroix, che attraversò l'oceano nel novembre del 1987 per vestire le "mogli-trofeo". L'evento, in tutti i suoi lati grotteschi e in tutto il suo cattivo gusto, venne descritto con grande acutezza da Julie Baumgold per la rivista New York, in cui scrisse che la moda di Lacroix rappresentava lo stesso genere di ripudio pomposo storicamente osservabile nelle aristocrazie in declino. "Probabilmente, abiti di un lusso e di una provocazione così plateali non si vedono dal tempo in cui gli aristocratici francesi del diciottesimo secolo sobbalzavano sui carri lungo le strade in pietra che portavano alla ghigliottina"(35). C'è qualcosa che ricorda le lezioni delle favole nell'umiliazione e nel disastro che caratterizzarono l'Esperienza Lacroix, che seguì al crollo del mercato azionario del 1987; i vestiti che egli consegnò alle donne della nuova società erano ridicoli, in qualche modo spassosi nei loro eccessi di stravaganza. Ma le donne che facevano a pugni per acquistarli non ne vedevano il lato comico. Un miscuglio firmato Lacroix costava 15.000 dollari, ma c'erano donne che facevano a gara e imploravano per avere il privilegio di portare quei costumi, confezionati con i tessuti più preziosi, ma che, una volta indossati, trasformavano in tante caricature chi li portava.
Lacroix era, come scrisse Baumgold, "l'uomo che fa dei vestiti così stravaganti, superbamente eccessivi, quasi a voler dividere le classi una volta per tutte. L'uomo che ha riportato in vita la mini, creato il pouf... L'uomo che ha riportato sulla scena i corpetti aderenti e la pelle nuda, e che ha comunicato il suo amore, nell'abbigliamento, per oggetti bizzarri, obsoleti, abbastanza di cattivo gusto, come rose centifoglie, sottovesti, pouf, panieri e cappelli piatti, che producevano un effetto sfarzoso e visionario. La sua particolare visione era decisamente fuori epoca, ma lui riuscì a renderla moderna e audace. Soprattutto audace, adatta alla danza sul bordo del vulcano"(36). Quando il Vestito del Successo cominciò a dare il prurito, le donne sentirono l'esigenza di qualcosa da acquistare con il loro denaro che ricordasse la Donna Nuova. Ma chi è la Donna Nuova? Non si può spiegare chi sia finché non sappiamo chi è lui. I due sessi non si evolvono mai separatamente. Il fatto che i nostri stilisti ricreino invece di inventare modelli originali, non significa che non ci abbiano inquadrato del tutto. Non sono psichiatri. Fin quando non capiremo adeguatamente il presente e non scopriremo dove abbiamo lasciato la nostra anima, continueremo a dar vita a reincarnazioni del passato. Purtroppo, i creatori di moda non sono astuti come i sarti dalle arti magiche delle fiabe; anch'essi sono presi nella rete del passato e si riconoscono nelle vecchie fotografie in cui apparivamo più solidi. Gli estremisti di destra vorrebbero farci credere che la nostra anima sia andata perduta negli anni Sessanta e Settanta. In realtà, in quel periodo tentammo di scrollarci di dosso il materialismo del dopoguerra, per trovare finalmente noi stessi. Oggi, i nostri figli si mettono i nostri vestiti inconsapevolmente, istintivamente, e ballano al ritmo della nostra musica. Questi uomini che pagavano 15.000 dollari per un vestito Lacroix si sono mai fermati a riflettere su cosa diavolo stessero facendo le loro mogli con una gabbia d'uccello in testa e le crinoline sotto le rose? Probabilmente non dissero niente, presumendo che le mogli comprendessero la scena sociale in cui erano caduti come esseri provenienti da un altro pianeta. I piccoli magnati degli anni Ottanta erano dei maestri del portafoglio e poco più; nessuno aveva insegnato loro a ballare il samba. Si affidavano alla moglie-trofeo per navigare su quel terreno accidentato che era la Nuova Società. Contavano su di lei per apprendere le arti del vestirsi, oppure assumevano un consulente d'immagine, una professione che ha conosciuto un boom negli anni Ottanta e la cui fortuna continua ancora, con la globalizzazione dell'economia. Oggi, il successo ha creato le condizioni per una gara allo specchio tra l'uomo d'affari americano e i suoi concorrenti europei, uomini che, per la verità, vestono molto bene; l'obiettivo di eguagliare l'aspetto esteriore del proprio concorrente, forse di batterlo, ha affrettato il ritorno degli uomini alla bellezza. Quando un dirigente di Topeka vola a Torino per una conferenza, sa che nel mondo della finanza europeo l'apparenza di un uomo rientra nel contratto d'affari. La Association of Image Consultant International prospera non solo rivestendo l'uomo d'affari, scegliendo le sue scarpe, i suoi gemelli e le sue cravatte, ma anche insegnandogli ad usare la cristalleria e l'argenteria a tavola. "Quando oggi gli uomini si incontrano attorno ad una tavola di conferenza", dice la consulente Camille Lavington, "si esaminano a vicenda con la stessa attenzione che riservano al prospetto. Gli uomini vogliono fare affari con altri uomini che capiscano il valore delle buone maniere e dell'apparenza." È interessante che la noia degli uomini per gli abiti convenzionali ebbe inizio più o meno contemporaneamente, negli anni Ottanta, alla stanchezza delle donne per il Vestito del Successo blu. "Gli uomini americani si trovarono a guadagnare grandi quantità di denaro da spendere in abiti che avrebbero reclamizzato la loro nuova ricchezza e li avrebbero resi in grado di competere con la raffinata tradizione europea e giapponese", aggiunge la Lavington. Insieme all'internazionalizzazione della finanza, uomini eleganti come Don Johnson, della serie televisiva di altissimo gradimento Miami Vice, diedero ai giovani il permesso di farsi avanti su tutti i fronti della moda: affari, weekend, estate, inverno. I guardaroba maschili sono arrivati a reclamare lo stesso spazio nell'armadio di quello occupato dalle donne. Oggi le star di Hollywood e dello sport, insieme ai grandi uomini d'affari, stabiliscono gli standard della
moda, puntualmente fotografati e pubblicati, che poi masse di uomini seguono, nella linea originale di alto costo o nelle riproduzioni abusive. Le istruzioni della Lavington incominciano in realtà dal contatto visivo, la stretta di mano, lo sguardo, la postura. "La prima cosa da fare è guardare il tuo interlocutore dritto negli occhi; così puoi sapere con che tipo di persona avrai a che fare. La seconda cosa è vedere se ha un aspetto curato. In ordine, si va dal taglio di capelli, la rasatura, il colletto, la cravatta, l'aspetto dei vestiti e la loro adeguatezza (in altre parole, se hanno un bel taglio), e poi giù alle scarpe. Il modo di vestire di un uomo dice qualcosa del suo potere. Nel mercato internazionale, quando si sbarca dal Concorde e si ha a che fare con uomini d'affari francesi e italiani, se si indossano calzini corti che mostrano la gamba al posto delle calze lunghe "manageriali", si viene notati. I grandi manager, le persone responsabili di ingenti quantità di denaro, si conformano ad un modello riconosciuto di vestire e di comportarsi". Il ritorno degli uomini allo specchio non si è limitato all'abbigliamento. La American Academy of Cosmetic Surgery riferisce che, in tutto il paese, nel 1993 gli uomini sono ricorsi agli interventi di chirurgia plastica nella misura del 24% sul totale degli interventi, contro il 10% del 1980. La rincorsa alla bellezza da parte degli uomini va oltre il lifting facciale, gli interventi al naso e la liposuzione. Dagli impianti ai pettorali, che aumentano le dimensioni del torace, alla falloplastica, che aumenta le dimensioni del pene, un numero più ampio di uomini sta ora guardando al miglioramento di un maggior numero di zone del proprio corpo. "A livello nazionale, gli interventi più spesso eseguiti sugli uomini", dice Jeffrey Knezovich, direttore dell'American Academy of Cosmetic Surgery, "sono il trapianto di capelli, la rinoplastica (interventi sul naso), la blefaroplastica (lifting intorno agli occhi), la liposuzione e la modellazione del corpo, il lifting al viso, la dermoabrasione, e gli impianti ai pettorali." La mia personale sensazione è che la ricerca della bellezza degli uomini non avrà lo stesso carattere compulsivo di quella femminile; il nostro bisogno di bellezza era legato a questioni di sopravvivenza. Né penso che gli uomini si fermeranno in questa corsa in omaggio all'assunto che la bellezza rientra tra i privilegi tradizionali femminili. L'ingresso degli uomini nella nursery necessiterà di più tempo, ma è altrettanto inevitabile, non tanto perché gli uomini lo vogliono - questo ruolo ne spaventa molti - ma perché il bisogno esiste. Il ruolo del Nuovo Padre influenzerà l'aspetto degli uomini in modo diverso dalle trasformazioni operate dai creatori d'immagine, dalla chirurgia plastica e dal body-building, ma alla fine sarà una trasformazione più profonda e più duratura; un bambino vorrà emulare il modo di apparire del proprio padre perché sarà appartenuto ad una delle persone più importanti della sua vita. Quanto è affascinante che tutti questi cambiamenti nella vita degli uomini accadano simultaneamente e in risposta ad una rivoluzione: il femminismo. 7.10 - "Il futuro della bellezza degli uomini è in gran parte nelle mani delle donne " Avevo vent'anni quando un avvocato mi telefonò per informarmi della mia modesta eredità. "Da parte di chi?" chiesi. "Da parte di suo padre", egli rispose. È così che seppi della sua vita e della sua morte. Anni dopo, quando mia zia Dot venne a visitare Key West, mi disse: "Tuo padre era l'uomo più bello di Pittsburgh. Aveva una grande presenza fisica. La gente si voltava a guardarlo quando entrava in una stanza". Più di recente, mia madre, durante una sua visita, mi raccontò che era una persona molto allegra, un conquistatore. Dopo una vita passata a rifiutarsi di parlare di lui, infine parlò in un registratore che avevo piazzato sul tavolino. Dopo avere atteso così a lungo questo momento - accadde due anni fa non riesco ancora a riascoltare quella registrazione. Voglio finire questo libro senza di lui, così come è sempre stata la mia vita. Non c'è da meravigliarsi che non sia mai stata attratta dagli uomini belli. Non faceva per me un uomo che altre sarebbero state tentate di portarmi via, in cui persino l'aspetto fisico odorava di infedeltà. La deprivazione d'affetto subita nell'infanzia mi aveva insegnato ad andare alla ricerca di uomini che mi
vedevano come più di quanto si sarebbero mai sognati di conquistare. In cambio, mi trasformavo volentieri nel loro specchio fedele, negli occhi in cui si sarebbero visti adorati. Amo guardare gli uomini mentre si vestono e si svestono, e scrivendo questo libro sono arrivata a capirne il motivo: relegato al ruolo di voyeur - che spesso gli viene rimproverato con disprezzo - l'uomo arriva tardi al cospetto dello specchio. Ho conosciuto uomini che si vestivano facendone completamente a meno. Quando incontrai per la prima volta mio marito, nei primi anni Ottanta, egli fu attratto dalla mia tendenza all'ostentazione, dal piacere di vestirmi per essere vista. Quando camminavamo per la strada, si accorgeva delle persone che mi guardavano ed io sapevo che lui ne teneva il conto. Lo iniziai allo specchio, lo portai da Bergdorf's, sedetti su una piccola sedia dorata, come avevo fatto per mio nonno da Sulka's, e lo osservai mentre lui si osservava allo specchio durante la prova del vestito. Era come se non avesse mai visto quell'uomo riflesso dallo specchio. Quando ci conoscemmo possedeva sei completi blu identici realizzati in Corea. Comprando abiti per lui investo nella mia felicità. La mattina esce dal suo spogliatoio e si para dinanzi a me, aspettando il mio verdetto. Sono i miei occhi che desidera intensamente, il mio giudizio su un aspetto esteriore che si è concesso solo dopo il nostro incontro. Non si fiderebbe degli occhi di un'altra donna. Il fatto di averlo riconciliato con la sua vanità ha smorzato la mia natura gelosa. Io sono il suo specchio migliore. Non temo che diventi eccessivamente vanesio, tanto è profondamente radicato in lui il ruolo del Buon Capofamiglia. Ma quando camminiamo per la strada, poco importa quanto siano splendidi i suoi nuovi vestiti, è tuttora più interessato agli sguardi che mi lanciano gli uomini, e questo è un indicatore di quanta importanza diano ancora al fatto di esibire una donna al proprio fianco. Altri uomini mi raccontano di come sia difficile catturare l'attenzione di una donna. Tuttavia, quelle più giovani stanno iniziando a concedere i propri sguardi al sesso maschile, nonostante sia un'abitudine ancora poco praticata e ci vorrà tempo perché il voyeurismo diventi un fatto naturale. "Una delle prime idee analitiche sul voyeurismo ha a che fare con l'abitudine dell'occhio, proprio come la bocca, a ricevere qualcosa di buono.", afferma Robertiello. "L'esperienza di guardare una bella donna, assaporare visivamente il suo corpo, accoglierlo e venire nutriti dall'immagine è analoga al processo di alimentazione." Senza dubbio, questo spiega perché anche alle donne piaccia guardare le altre donne. Nella mia indagine DYG, la grande maggioranza delle donne mise gli uomini alla quinta posizione rispondendo alla domanda "Perché la bellezza è importante per le donne?" Naturalmente, gli uomini misero le donne in testa tra i motivi che li spingevano verso un miglioramento del loro aspetto fisico. Tutti noi, ad ogni modo, guardiamo il corpo femminile. Le donne, al pari degli uomini, ammirano con un senso di nostalgia gli inserti delle riviste che ritraggono nudi femminili; così come invidiamo i grandi seni delle nostre amiche. Vorremmo posare lì il nostro capo, e nelle nostre fantasie erotiche, è esattamente quel che facciamo. Man mano che le qualità tipicamente materne diventano una risorsa sempre più scarsa, le donne crescono odiando più che mai i propri corpi, con la pelle flaccida delle braccia che risveglia l'invidia del seno e la rabbia, con i sederi e le pance rotonde che fanno riaffiorare i furori di deprivazione della nursery. Un bello stipendio non può portare calore nei freddi recessi dell'inconscio. Se ci fosse stato un padre a condividere con la madre le cure infantili, avremmo potuto portarci dentro il ricordo della sua pelle, del suo odore, del suo contatto; chissà che effetti avrebbe potuto avere per il voyeurismo di entrambi i sessi, ma di sicuro avrebbero serbato meno rancore alle donne. Leggendo solo degradazione negli occhi degli uomini che si masturbano guardando il seno e i genitali nudi delle donne, le femministe biliose mancano del tutto il bersaglio. "Chi non è introdotto in questi ambienti è convinto del fatto che gli uomini guardino le donne nude per prendersi gioco di loro, o che le donne odino gli uomini e lo facciano solo per ricavarne qualche soldo", dice Robertiello, che era abituato a frequentare i teatri dove si tenevano spettacoli di spogliarello. "Invece è una festa dell'amore. Noi uomini siamo in una posizione di venerazione. Queste donne vedono l'adorazione negli occhi maschili.
Gli uomini pensano che le donne siano delle dee per il fatto che li lasciano guardare. Le loro mogli non sono abbastanza interessate a mostrare il proprio corpo. Queste donne resuscitano i sogni di esibizionismo repressi dell'uomo." "Nessun fischio?" "Le rare volte in cui succedeva, quegli uomini venivano talmente disapprovati dal resto del pubblico, che finivano per essere buttati fuori dal locale. La relazione spogliarellista/pubblico è un love affair, forse anche più importante di un sex affair." Forse la bellezza può non bilanciare esattamente la ricchezza economica, ma il crescente investimento degli uomini nell'apparenza sta già correggendo il Patto tra i sessi. Le donne stanno modificando seriamente gli uomini, forse li vedono per la prima volta. E con i giovani uomini che ricorrono alla propria prestanza fisica per avere successo, è difficile che le donne possano continuare a negare di fare lo stesso. Non avendo alle spalle la nostra storia peculiare in fatto di bellezza, essi non si trovano ad esclamare "Oh, questo vecchio completo Armani?" Gli uomini non sono persone migliori, sono però dei competitori esperti, e non vivono nel timore che gli altri ragazzi li abbandoneranno se possiedono più bellezza di loro. Osservare gli uomini mentre usano in modo competitivo la loro bellezza può incentivare noi donne ad analizzare i nostri problemi rispetto al vincere e al perdere. Scoprendo che la loro identità non dipende interamente dal potere economico, forse gli uomini impareranno da noi che scegliere un Buon Capofamiglia sotto la veste di una donna che ama la competitività lavorativa più di loro significa una vita di gran lunga migliore di quella condotta dai loro padri. Come minimo, le ricompense derivanti dall'avere un bell'aspetto e dal guadagnarsi l'ammirazione degli altri possono smussare la loro rincorsa ossessiva al potere economico, e, allo stesso tempo, diminuire la loro dipendenza voyeuristica dalle donne. Quando sempre più donne impareranno a godere della vista degli uomini, questo piacere le indurrà a domandarsi il perché li abbiano denigrati così a lungo per il loro voyeurismo? Quando crescerà il numero di donne che apprezzano gli uomini attraenti che si esercitano in palestra accanto a loro, che comprano gli abiti dagli stessi stilisti, che ora creano anche linee maschili, riusciremo a vedere gli uomini come i nostri compagni di bellezza? Qualche donna guarderà agli uomini come a dei "pezzi di carne", il nostro modo di descrivere il loro perenne modo di considerarci; altre donne, si spera, porteranno al voyeurismo un talento naturale, insieme al ricordo di come hanno sempre desiderato essere viste dagli uomini. Se le donne incominceranno davvero a scegliere per sé degli uomini belli, il sesso maschile farà di tutto per apparire più attraente. Tuttavia, se dobbiamo credere alle riviste femminili, ci sarà un periodo di prova: "Prima di tutto, la bellezza è potere e gli uomini partono da una situazione già abbastanza privilegiata quanto a potere", ha scritto una donna in un articolo intitolato "E se lui è più bello di te?" "In secondo luogo, la perfezione fisica in un uomo mi appare sempre minacciosa. È la quiete prima della tempesta... La stizza della mia invidia per il fatto di non essere nata a mia volta perfetta... Ho visto Neil, come gli uomini spesso vedono le donne molto belle, come un'avventura, un giocattolo. In realtà, non è giusto dire che 'ho visto' Neil. Lui era il mio specchietto. Non mi importava guardare sotto la superficie. Ciò di cui mi importava era la gloria riflessa che la sua bellezza mi forniva: il ritratto di me come il genere di donna capace di attrarre quel genere di uomo. E, alla fine, il riflesso che mi venne rispedito assunse dei tratti rapaci, e per niente piacevoli"(37). Verrà mai il tempo in cui una donna che lavora duramente e che guadagna molto sentirà di avere diritto ad un uomo molto attraente, sentendosi a suo agio quando la gente guarda lui e non lei? E lui riuscirà ad accettare la divisione del potere, quando cioè è lei a contribuire maggiormente al reddito familiare? Ancora una volta è l'economia che determina la storia. Non ci sono più tigri con i denti a sciabola contro cui lottare, guerre combattute a forza di muscoli; la funzione dell'uomo si è evoluta. Alcune di noi possono ancora sentirsi infastidite dai rituali dei nuovi movimenti maschili, ma rappresentano la punta dell'iceberg. Ricordi come ridevano del primo femminismo? Un giorno ci guarderemo alle spalle e ci meraviglieremo del nostro scetticismo verso le prime
scorrerie maschili nel regno della bellezza e della riluttanza femminile a concedere agli uomini pari diritti nell'allevamento dei figli. A quel tempo, sarà cresciuta una generazione di donne che intenderà provvedere al proprio mantenimento, forse anche a quello di un uomo, e considererà quella forma di realizzazione per quello che è, un segno del successo di una persona che, tra le altre cose, è di sesso femminile. Nel frattempo, l'uomo che si avvicina ad una bella donna sa ancora che sarà suo compito mantenerla. L'ha appreso come parte del proprio processo di socializzazione, e compete per farlo, mentre un uomo che sia concentrato sulla propria bellezza costituisce ancora un anatema per una donna. Ambivalenza. Se anche lui è attraente, la donna può temere che egli diventi dipendente dalle esigenze del proprio aspetto fisico e che si aspetti che sia lei a mantenerlo. Le donne si preoccupano quando il narcisismo di un uomo supera una certa soglia; per l'uomo che si trovi nella stessa posizione, questo non costituisce una fonte di scoraggiamento. Finché l'uomo adempie adeguatamente ai propri doveri economici, perché la donna dovrebbe curarsi della sua calvizie incipiente e del suo aumento di peso? "Le donne tendono ad apprezzare quello che hanno", riferisce Psychology Today, riportando una ricerca compiuta a livello nazionale sull'apparenza degli uomini, "sia che lui abbia la barba, non sia circonciso, sia basso o in altro modo 'fuori' dalla norma." Tuttavia, le donne dalla maggiore sicurezza finanziaria, e quelle che si considerano attraenti fanno eccezione: "Questa minoranza nuova e assertiva", si legge nel rapporto "dichiara impassibilmente una forte preferenza per uomini più belli... Uno dei risultati più affascinanti della ricerca era che le donne che si classificavano come attraenti tendevano a collocare in una posizione più elevata i lineamenti del viso e la performance sessuale degli uomini. Queste donne erano un po' più vecchie della media (età media 38 anni), più magre... e godevano di una situazione economica migliore (quasi la metà guadagnava oltre i 30.000 dollari l'anno)"(38). Warren Farrell aggiunge: "La differenza tra uomini e donne che si sentono trattati come oggetti di bellezza è che la donna bella è stata abituata allo status di celebrità nel corso di tutta la sua vita, al fatto che gli uomini la desiderino per il suo aspetto. L'uomo molto attraente invece può essere cresciuto circondato dall'ammirazione per la sua bellezza, ma anche da altri tipi di aspettative, ossia l'autorealizzazione in campo economico. E quando una donna di successo lo rifiuta per il suo scarso rendimento economico, comincia a sentirsi un oggetto sessuale. C'è una grande differenza tra bellezza negli uomini e bellezza nelle donne, con effetti di sconvolgimento per entrambi, ma secondo modalità estremamente diverse". Oggi esiste una nuova categoria di donne belle che sta intimorendo gli uomini, al punto da considerarle inavvicinabili: sono le donne che, oltre ad essere belle, hanno successo nella sfera professionale. Le donne di successo sono convinte di far fuggire gli uomini, ma Farrell non è dello stesso avviso: "Contrariamente alla credenza popolare", afferma, "più una donna ha successo, e più appare attraente agli occhi di un uomo. Ma l'uomo sa che è più probabile che una bella donna di successo lo respinga, rispetto ad una donna bella ma non realizzata professionalmente. Lei non ha bisogno di lui. Farà la Jane Fonda della situazione. Lui dovrà essere un produttore cinematografico, un candidato alla presidenza o un multimiliardario. Le donne dicono: 'Gli uomini non sono attratti dalie donne di successo'. Questo non è per niente vero. Non sarebbe intimidito dall'idea di essere rifiutato se non fosse già attratto da lei". Nessuno vuole essere rifiutato. Tradizionalmente, scegliamo compagni che sopperiscano a quello che non avevamo. Gli uomini avevano denaro e case, che le donne non avevano, mentre noi avevamo la bellezza, di cui gli uomini potevano entrare in possesso mostrandoci in pubblico. Ora che gli uomini stanno ricercando la bellezza per compensare ciò che hanno perso, frequentano più spesso gli studi medici. "Vedo un numero sempre crescente di maschi che hanno problemi con la loro immagine corporea", afferma il Dr. Stephen Roman, direttore dell'Outpatient Eating Disorder Clinic di New York. "Fanno esercizio fisico in modo compulsivo, e c'è un certo numero che fa anche abuso di steroidi. "Dal 1987, il numero di uomini che fa esercizio fisico frequentemente è cresciuto di più del 30% (40).
Una donna graziosa è un piacere per la vista, ma così lo è anche un bel corpo maschile, una volta che le donne e gli altri uomini si siano abituati a guardarlo. Oggi, specialmente tra i più giovani, la fame che anima gli occhi sbarrati degli uomini di fronte alle donne non è puro desiderio fisico; essi vogliono per sé una parte dei loro eccessi di esibizionismo, di quell'incedere tronfio, di quell'ostentazione. In uno studio del 1994, a 6.000 uomini di età compresa tra i diciotto e i cinquantacinque anni venne chiesto come avrebbero voluto vedersi. Tre delle prime sei risposte fornite avevano a che fare con l'apparenza fisica: attraente per le donne, sexy, bello. I tratti dello stereotipo maschile - decisione e assertività - si attestarono all'ottava e alla nona posizione. La stessa ricerca rilevò che il 56% degli uomini era d'accordo con l'affermazione: "Mi fa piacere quando la gente nota e fa commenti sul mio aspetto fisico" (il 69% degli uomini ventenni era di questa opinione)(41); sei anni prima, soltanto il 48% di tutti gli uomini si era dimostrato d'accordo. Le donne non hanno ancora capito quel che stanno perdendo; ancora ferma ad un'immagine di uomo come voyeur pervertito, la stampa del Femminismo Matriarcale non sarà disposta a riconoscere che la bellezza femminile è un investimento, una fortuna da possedere, persino un'arma. Il solo ostacolo che si frappone tra noi e l'apprendimento dell'uso a nostro vantaggio della bellezza è il gergo politico utilizzato dalle donne-senza-uomini che ancora vivono in un mondo in cui non possono sopportare l'idea di una bella donna che gode di piaceri a loro mai concessi. Quando noi donne non saremo ancora riuscite a risolvere la competizione al nostro interno, gli uomini avranno già trovato un modo di riconquistare la corona della bellezza. Cosa importa agli uomini nati negli ultimi trent'anni degli atteggiamenti femministi verso la bellezza maschile e femminile? La vista di se stessi allo specchio ha profonde radici storiche; il piacere nell'essere ammirati è un'eredità che viene da lontano, da antenati che recitavano non nel ruolo di comparse, ma di protagonisti. Alcuni di questi giovani uomini hanno un rapporto più profondo con lo specchio, una reazione alle loro radici genetiche, un'attitudine, una naturale inclinazione, acquisita o appresa dai genitori. L'ostentazione, l'entusiasmo nell'essere soggetti di bellezza, è qualcosa che ci scorre nelle vene. La storia tende a ripetersi; fino alla fine del diciottesimo secolo, lo specchio dello spogliatoio apparteneva agli uomini. Quando la bellezza e la moda rappresentavano un campo di dominio maschile, non c'era posto per le negazioni femminili degli ultimi duecento anni. Né gli usi della bellezza, quando era saldamente nelle mani degli uomini, si limitavano al corteggiamento e al sesso. Gli uomini usavano il loro aspetto fisico, se ne vantavano, se ne servivano per procacciarsi qualunque premio o potere fosse in gioco. Anne Hollander descrive un incontro al vertice nel sedicesimo secolo tra Francesco I ed Enrico VIII, in cui "le descrizioni di ciò che tutti indossavano sono insopportabili! Tutti coloro che presero parte all'incontro portavano argento tempestato di diamanti, eccetto quando erano in abiti d'oro coperti di rubini! Tutto era profilato di ermellino e tutto era lungo 20 yarde, e tutti avevano addosso delle piume e così via. Questo è il motivo per cui quell'incontro fu denominato il Campo dell'Abito d'Oro. Proprio come la poesia è piena di richiami simbolici e di allegorie, l'abbigliamento era intessuto di quel tipo di materiale. Così, il motivo intrecciato in oro o perle sulla manica doveva produrre un forte effetto. E se non succedeva, si era meno esaltanti del compagno che invece riusciva a produrlo. Essi erano in diretta competizione l'uno con l'altro, e così lo erano le loro famiglie, e le corti e l'entourage e ogni altra cosa. Dovevano apparire più sfarzosi degli altri"(42). Secondo uno studio recente intitolato "Women: The New Providers", il 55% delle donne contribuisce a metà o più del reddito familiare. Questo studio è stato definito come lo sguardo più completo agli ultimi quattordici anni in tema di visione del lavoro, della famiglia e della società da parte delle donne. Per ogni dollaro guadagnato da un uomo, la media femminile è ancora di 73 centesimi, ma dal 1974 al 1994 il numero di famiglie in cui l'unica fonte di reddito è una donna è aumentato del 114%. Un risultato interessante era che il 48% delle donne intervistate disse che avrebbe scelto di lavorare a tempo pieno o a metà tempo anche in assenza di condizioni di necessità finanziaria (43).
Quel che resta da vedere oggi è con quanta convinzione le donne che conquistano sempre più potere economico, tradizionalmente in mano maschile, andranno anche alla ricerca di uomini di successo e/o attraenti. Questo è ciò che intende Warren Farrell quando afferma che il futuro della bellezza maschile è in buona parte nelle mani delle donne. In questo momento, non sappiamo minimamente se i sessi condivideranno la bellezza, come hanno iniziato a condividere il potere economico, o se invece le giovani generazioni maschili acquisteranno velocità e sorpasseranno le donne. È anche possibile che i giovani uomini siano così stufi della rabbia femminista, delle marce della serie "Riprendiamoci la notte", che semplicemente finiranno per essere presi solo da se stessi, come le donne hanno fatto negli ultimi vent'anni. Inseguiranno una donna, la desidereranno, ma si rifiuteranno di mostrarsi eccessivamente deferenti verso le sue richieste. Se il potere della bellezza maschile continuerà a mostrarsi efficace in ambito lavorativo, questo alimenterà ulteriormente la sua ricerca, rendendo irrilevante ogni altra considerazione. Un uomo competerà con una donna per un lavoro e non si aspetterà che lei approvi il suo nuovo vestito fatto su misura. Se lei lo rifiuterà perché è troppo carino e la batte sul tempo, lui si troverà semplicemente un'altra donna, una che lo veda in modo differente, che ne ami sinceramente la bellezza, la sua quota di partecipazione al reddito familiare, e che non sia così concentrata sulla propria immagine allo specchio. Un giovane uomo è ora libero di immaginare un mondo in cui la principessa brilli della luce riflessa dalla sua bellezza. È là fuori, questa donna non invidiosa, basta trovarla. Non passerà molto tempo prima che ci abituiamo a vedere degli uomini attraenti in compagnia di donne meno belle, a vedere una donna bella con un uomo che si sente a proprio agio, nonostante lei gli faccia ombra dal punto di vista economico; naturalmente, i vecchi uomini di sostegno, bassi, calvi e ricchi, accompagnati da svettanti principesse, ci saranno sempre. Le miscele di ricchezza economica e bellezza saranno infinitamente variabili. Questo sfruttamento della bellezza maschile, ora che è cominciato, non si esaurirà. Come la nuova posizione economica delle donne, entrerà a far parte del Nuovo Patto. "Gli uomini vogliono essere potenti", dice John Molloy. "Convincili del fatto che la bellezza può far loro guadagnare potere, indurre le persone a fare ciò che essi desiderano che facciano, e la bellezza per loro sarà semplicemente grandiosa." È giusto anche il contrario: gli uomini schiveranno qualunque cosa riduca il loro potere. Fu nel 1675, quando le sarte francesi rivolsero una petizione al re Luigi XIV affinché permettesse loro di produrre vestiti per le donne, che l'interesse degli uomini per la moda iniziò a decadere. Invece di sperimentare intorno al disegno fondamentale degli abiti, come facevano i sarti maschili, i disegni dei produttori di abiti femminili divennero studi per creare eccessi di superficie. La moda assunse dei caratteri ridicoli e cessò di trasmettere messaggi di potenza; l'abbigliamento maschile divenne gradualmente più semplice. Nel suo libro 'Sex and Suit', Anne Hollander spiega che verso la fine del diciottesimo secolo, quando i sarti scoprirono la scultura greca e le proporzioni universali del corpo umano, il movimento neoclassico e il costume maschile "compirono un radicale progresso nella moda"(44). Gli abiti dalle spalle strette e dai grandi panciotti che associamo ai ritratti di George Washington e di Bejamin Franklin furono sostituiti da disegni più semplici che facevano assomigliare l'uomo che li indossava alle figure eroiche dell'antichità, con le spalle ampliate dall'imbottitura e le gambe slanciate grazie ai pantaloni lunghi. "Il moderno vestito d'affari [come lo conosciamo oggi] discende dalla giacca da passeggio della fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, una giacca larga, squadrata, senza cucitura alla vita a definire il taglio della finanziera"(45). Con l'invenzione del filatoio meccanico, del telaio meccanico e lo sviluppo del metro a nastro, gli abiti confezionati sulla costa orientale americana nella metà del diciannovesimo secolo furono disponibili in tutto il paese tramite catalogo, fenomeno che creò uno stile nazionale nell'abbigliamento. A cominciare dal 1880, il flusso degli immigranti provenienti dall'Europa fornì manodopera a basso costo che permise una produzione di massa nell'industria
dell'abbigliamento. Durante gli anni antecedenti il primo conflitto mondiale, l'onnipresente completo di saia blu a tre pezzi era divenuto l'uniforme maschile, tanto che, guardando gli uomini che si riversavano nelle strade dai loro luoghi di lavoro, si aveva quasi l'impressione che esistesse un'unica classe e un'unica professione (46) . Con la fine della seconda guerra mondiale, il Patto aveva messo le sue radici, e le "ragazze nei loro abiti estivi" si accompagnavano agli "uomini nel loro completo di flanella grigia". Le donne non hanno idea dell'entità che il contributo del genio maschile porterà all'arte di essere belli. Dopo due secoli di possesso della bellezza e di esitazione di fronte al suo potere, siamo sul punto di assistere ad una sfilata di veri pavoni. Noi pensiamo che gli uomini non possano mettersi addosso due vestiti contemporaneamente. Pensaci bene. "Gli uomini, in termini di uso degli abiti come forma di comunicazione, sono diventati maggiorenni negli anni Ottanta", afferma lo stilista Alan Fusser, autore di diversi libri sulla moda maschile. "Le donne usano la moda per comunicare, ma gli uomini la usano a loro modo. Ci trovammo nella situazione di emergenza del vestito che costava più di 1.000 dollari, che divenne un fenomeno normale per tutti i negozi. Fino agli anni Ottanta, non si era venduto quel genere costoso di abbigliamento maschile. Gli uomini cominciarono a comprare vestiti più costosi per rappresentare il livello di successo raggiunto, il livello di successo che volevano raggiungere. C'era un grande entusiasmo e uno sforzo di incoraggiamento indirizzato agli uomini, al fine di ampliare le loro concezioni su ciò che potevano e non potevano indossare." Sono d'accordo con Fusser, ma non sminuirei l'impulso che venne dal femminismo, quando la focalizzazione delle donne sulle questioni economico-professionali lasciò un vuoto nello specchio. Gli occhi erano affamati, e gli uomini avevano un talento innato. "È evidente che i progressi più accelerati e più sexy nella storia dell'abito occidentale sono stati compiuti nel settore della moda maschile", scrive la Hollander, "incluso il balzo in avanti nella moda della fine del ventesimo secolo, il mutamento nel senso della modernità che lanciò la sfida a tutte le generazioni successive"(47). Le donne non si sono limitate a prendere posto nelle professioni maschili, si sono anche impossessate della moda maschile. Iniziarono ad indossare i pantaloni da uomo durante la seconda guerra mondiale, e non se li sono mai levati. Ora li portiamo negli uffici e anche nei ristoranti più raffinati. Ricordo un completo pantaloni che lo stilista Patrick de Berentzen creò per me nel 1963. Era il giorno successivo all'assassinio di Kennedy. Ero a Roma e stavo piangendo a Piazza del Popolo, e quando lui mi vide, mi disse: "Permettimi di farti un regalo. Non ho mai disegnato uno di questi completi per una donna". Mentre mi prendeva le misure e sceglieva il tessuto ricamato verde pallido e i bottoni diamante, piangeva anche lui. Piangevamo tutti. Quella sera di Capodanno, a New York, mi feci accompagnare al 21 Club indossando il mio eccentrico completo da sera; il maître fece dei problemi all'ingresso. Non avevano mai servito una donna in pantaloni. Ma il vestito era così bello che ci lasciarono entrare. Venne l'intero staff dalla cucina a vedere la donna in doppio petto "da uomo". Durante gli anni del femminismo, noi donne abbiamo progressivamente adottato la moda degli uomini, cosa che in qualche modo ha smorzato la rigidità dell'apparenza maschile. "È chiaro che durante la seconda metà di questo secolo", scrive la Hollander, "le donne hanno infine fatto proprio lo schema totalmente maschile dell'abito, modificandolo per adattarlo a se stesse, e l'hanno restituito agli uomini carico di nuove, immense possibilità"(48). La sera della prima di Hair, nel 1968, gli uomini del pubblico indossavano una grande varietà di giacche Nehru, pantaloni di velluto e sciarpette di seta, oltre a varie collane, collanine e orecchini singoli. Quando mi trasferii a Londra l'anno seguente, frequentavo un negozio a Greek Street in cui Thea Porter disegnava capi ricamati, caffetani e pantaloni larghi di una bellezza strordinaria, sia per uomini che per donne. Nel giornale di quest'oggi la collezione maschile di Milano mostra uomini vestiti con le medesime giacche Nehru, gli stessi pantaloni a gamba larga. "Proprio come ci si aspetta che le donne rimontino volentieri sui tacchi a spillo e ritornino agli abiti aderenti", scrive la responsabile della moda per il New York Times, "si chiede agli uomini
di rinunciare ad un'evoluzione che ha reso i completi comodi quanto i maglioni"(49). Da questo punto di vista, si esprime in modo praticamente identico alla Hollander, che ha affermato: "Il nuovo glamour maschile mette in scena talune appropriazioni sorprendentemente letterali del fascino tradizionalmente femminile"(50). Gli uomini non si torceranno le mani di fronte allo specchio, nel timore di essere stati eccessivi nella scelta del loro vestito. Noi donne abbiamo esitato a credere troppo profondamente nella nostra bellezza, o ad usarla troppo scopertamente. Gli uomini non temono di essere esclusi dal gruppo quando utilizzano a proprio vantaggio il loro aspetto fisico. Quando un uomo sentirà una donna che gli sussurra all'orecchio: "Sei così bello" la guarderà negli occhi e accetterà il complimento molto più prontamente di quanto noi siamo mai riuscite a credere ai complimenti o alle professioni d'amore che ci provenivano dagli uomini. L'amore e la bellezza sono unite da una storia comune, che prende l'avvio nella famiglia. Oggi, il trattamento preferenziale riservato ad un figlio più bello, nell'infanzia e nell'adolescenza, modella la vita futura sia di un maschio che di una femmina. La danza davanti allo specchio è antica come il tempo; ora gli uomini si riuniscono alla danza dinanzi a noi e in competizione con noi, reazione inevitabile all'ingresso delle donne nell'arena economica. "Entrambi i sessi oggi giocano a cambiare le carte in tavola", dice la Hollander, "perché, per la prima volta nei secoli, gli uomini stanno imparando le abitudini dell'abbigliamento dalle donne"(51). Nella mia versione della fiaba, l'uomo di oggi è il principe addormentato che attende il bacio di una donna che ha finalmente imparato a guardare. Note al Capitolo 7: 1. David M. Buss, L'evoluzione del desiderio. Comportamenti sessuali e strategie di coppia. 2. Stephen Brewer, "Put Your Face Here", Esquire, agosto 1990, p. 34. 3. Millet, La politica del sesso. 4. Robert T. Michael et al., Sex in America: A Definitive Survey, p. 146-147. 5. Dana Wechsler Linde e Matt Rees, "I'm Hungry. But Not for Food", Forbes, 6 luglio 1992, p. 70. 6. Fisher, Anatomia dell'amore. Storia naturale della monogamia, dell'adulterio e del divorzio, p. 227-228. 7. Bram Dijkstra, Idoli di perversità. 8. De Witt, "So, What Is That Leather Bustiers Saying?", p. 2. 9. Fisher, Anatomia dell'amore, pp. 15, 16, 17. 10. Susie Bright, " How To Make Love To a Woman: Hands-on Advice from a Woman Who Does", Esquire, febbraio 1984, p. 108. 11. Brenda Maddox, D. H. Lawrence, The Story of a Marriage, (New York, Simon & Schuster, 1994), descritto in Cristopher Lehman-Haupt, "D. H. Lawrence Seen in One Intense Lens", New York Times, 14 novembre 1994, p. C18. 12. Carol De Chellis Hills, Henry James's Midnight Song, pp. 206-207. 13. Citato in Christina Hoff Sommers, " A Holiday Based In Ms. Information ", Wall Street journal, 10 aprile 1995, p. A20. 14. Susan Edmistone, " Reconcilable Differences ", Mirabella, marzo 1990, p. 112. 15. Laura A. Ingraham, "Enter, Women", New York Times, 19 aprile 1995, p. A23. 16. Andrew Kadar, " The Sex-Bias Mith in Medicine ", Atlantic Monthly, agosto 1994,p. 70. 17. Norman Mailer, "Norman Mailer on Madonna: Like a Lady", Esquire, agosto 1994, p. 50. 18. Gloria Steinem, "What It Would Be Like to Win", Time, 31 agosto 1970, p.22. 19. Ibidem, p. 22. 20. Jerry Adler et al., "You're so Vain", Newsweek, 14 aprile 1986, p. 55. 21. Ibidem, p. 51. 22. Ibidem, p. 52. 23. Banner, In Full Flower: Aging Women, Power, and Sexuality, p. 212. 24. Skip Hollandsworth, "Why I Hate Hunks", Mademoiselle, ottobre 1990, p. 86. 25. Margaret Mead, "Who's Come a Long Way, Baby", p. 20.
26. Warner, Six Miths of Our Time, p. 36. 27. June Stephenson, Men are not Cost Effective: Male Crime in America, pp. 450452. 28. Donna Minkowitz, "In the Name of the Father", Ms., novembre/dicembre 1995,pp. 71, 64. 29. Camille Paglia, "When Camille Met Tim", Esquire, febbraio 1995, p. 70. 30. Ibidem, p. 71. 31. Buss, L'evoluzione del desiderio. 32. Ibidem. 33. Michael Vincent Miller, Intimate Terrorism: The Deterioration of Erotic Life. 34. Philip Blumstein e Pepper Schwartz, American Couples, p. 312. 35. Julie Baumgold, "Dancing on the Lip of the Volcano: Christian Lacroix's Crash Chic", New York, 30 novembre 1987, p. 37. 36. Ibidem, p. 38. 37. Judith Thurman, "What If He's Cuter Than You?", Mademoiselle, aprile 1985, p. 120. 38. Jill Neimark, "FIow Men Measure Up", Psychology Today, novembre/dicembre 1994, pp. 35, 38. 39. Ibidem, p. 70. 40. American Sports Data, un istituto di ricerca, che riferisce che il numero di uomini che fanno esercizio fisico 100 o più volte all'anno è cresciuto dai 17,2 milioni del 1987 ai 22,6 milioni del 1994. 41. GQ, "Men in the Nineties: The Quiet Revolution", 1994, pp. 20, 21, 27. 42. Anne Hollander, Sex and Suits: the Evolution of Modem Dress, 1994, pp. 65, 72. 43. Families and Work Institute, " Women: The New Providers ", maggio 1995, p.33. 44. Ibidem, pp. 83-97. 45. Martin & Koda, Jocks & Verds, p. 151. 46. Ink Mendelsohn, " We Were What We Wore", American Heritage, dicembre 1988, pp. 42-43. 47. Hollander, Sex and Suits, p. 182. 48. Ibidem, p. 182. 49. Amy M. Spindler, "How Much Glamour Can a Man Take?", New York Times, 30 giugno 1994, p. C11. 50. Hollander, Sex and Suits, p. 182. 51. Ibidem, p. 181. CAPITOLO 8: IL PENE, LA SCARPA E LA VAGINA 8.1 - Il pene: passato, presente e futuro. Poco dopo aver iniziato questo libro, mi arrivò per posta una poesia inviatami dalla zia Pat, l'eroina della mia infanzia. Era stampata su un pezzo di carta ingiallito, logoro, strappato da un volume di Cerberus, la collezione annuale di racconti e poesie scritte da studenti della mia amata scuola. Negli ultimi tre anni ho tenuto questo foglio spiegazzato, un talismano perfetto per questo viaggio, appiccicato sopra la mia scrivania, in attesa di accluderlo qui: L'UOMO CON LA PADELLA Una volta incontrai un uomo con la padella. Non mi piaceva l'uomo con la padella e così scappai alla chetichella. Quell'omino m'inseguì ma fui svelta e su un albero salii. Quell'omino venne su ma fui svelta e dall'albero corsi giù. Corsi a casa e l'omino non mi inseguì. Quell'omino sull'albero era ancora lì. NANCY FRIDAY, terza elementare
Diversi mesi dopo aver ricevuto la poesia, tutta la famiglia si riunì per il funerale di mio zio. La sera in cui arrivammo nella grande casa di mia zia, ci raccogliemmo tutti in grande circolo nel salotto, quattro generazioni di una stessa famiglia, perché era venuta anche la prozia Marge, la sorella di mia nonna. Non erano passati neanche venti minuti dal mio arrivo che mi disse: "Nancy, ti ricordi quando da piccola entrasti in casa correndo, dicendo che un uomo si era svestito davanti a te?" Non credo di aver più rivisto mia zia Marge dal giorno a cui si riferiva, e all'improvviso me la trovavo dinanzi, molto vecchia e molto cieca, a raccontarmi il significato della poesia che avevo appena ricevuto. Quando per la prima volta ebbi per le mani i resti sgualciti de " L'uomo con la padella ", la lessi divertita, non avendo la minima idea di cosa mi passasse per la testa quando la scrissi da bambina. Ora lo sapevo. Sapevo perché stavo scrivendo questo libro, che aveva penetrato il mio inconscio; lo sapevo con la stessa chiarezza con cui ora potevo vedere le strade attorno a quella casa per le quali solitamente girovagavo, alla ricerca di non so che, ma sempre osservando ogni cosa. Quello è il luogo e il tempo in cui incontrai l'uomo che stava sotto un albero con il pene di fuori. Tre o quattro anni dopo, quando scrissi la poesia, ricordavo ciò che aveva fatto quell'uomo? Non lo saprò mai. L'aspetto magico di tutta questa vicenda è che, come nelle fiabe, il vecchio Cerberus venne trovato in una soffitta, la mia poesia strappata e mandata a mia zia, che poi l'aveva inviata a me proprio nel momento in cui mi ero lanciata nella scrittura. Ovviamente non augurerei un Uomo con la Padella nella vita di ogni bambino, ma si è materializzato nella mia e si è guadagnato un posto in questo libro che tratta di uomini e donne che non stanno bene nella loro pelle, che non accettano quei corpi che poi ricoprono di strati di apparenze così invitanti, alla moda, nella speranza di invitare gli altri a vedere e ad amare quelle "parti" che noi invece non riusciamo a guardare. Nella mia mente c'è una connessione, mai così appropriata, tra gli uomini che fanno del loro esibizionismo un riprovevole comportamento antisociale e quelli che giacciono nei letti di tutto il mondo, con le mani su un pene non amato, le loro menti intente a sognare una donna che, per una volta, lo guardi, lo tocchi, lo assapori, lo adori. Allevato da una donna, l'uomo cresce accettando l'idea che gli occhi femminili non si illuminano alla vista della zona posta tra le sue gambe. La sorella riceve l'educazione corrispondente, che prevede che s'identifichi con la propria madre per il resto della vita (a meno che un uomo sappia cambiare la sua visione di sé),mentre il ragazzo segue la strada dell'alleanza con gli altri coetanei. È questa infatti la situazione: la determinazione comune degli uomini, come sfida rispetto all'opinione femminile, a celebrare il simbolo della loro differenza. Il fatto che agli uomini tocchi una tale fatica, connessa al verdetto emesso dalla prima donna della loro vita, impressosi nella loro mente; che perdonino alle donne il disprezzo per il pene; che vadano anche oltre, tentando di persuaderci della bellezza dei nostri genitali... tutto questo, a ben guardare, è una dimostrazione di grande generosità. Lungi dal mostrare gratitudine, noi donne sdegniamo quella passione per il loro pene. Il femminismo avrebbe dovuto sollevare questo tema anni fa. E invece, fanatiche dello stampo di Andrea Dworkin non fecero altro che sputare vetriolo, come quando la stessa Dworkin declamò impazzita: "La violenza è il maschio; il maschio è il pene; la violenza è il pene o lo sperma che da esso eiacula" (1). So che esistono, ma in venticinque anni di ricerca non ho mai incontrato un uomo che avesse la fantasia sessuale di scoprirsi in pubblico. I maschi amano invece sognare una donna cui piaccia guardare il loro pene, inalarne l'aroma, gustare il seme che sgorga, e poi la benedizione finale, ingoiarlo! Centinaia di migliaia di occhi maschili si illuminano nel mondo per la felicità. Lei mi accetta! dice quella fantasia, lei ama la parte più profonda, più dolce di me, quella che le donne mi hanno insegnato a considerare ripugnante, una parte vile che le allontana da me e da "lui", perché io e "lui" siamo intercambiabili, inseparabili, io e questo pene dal magico fluido che le donne, ahimè! vogliono solo per la procreazione. Per ironia, l'occhio vigile materno puntato sul suo pene suggerisce al ragazzo che, in realtà, dev'essere una parte molto importante, altrimenti la mamma non
le presterebbe così tanta attenzione. Come nelle favole e nei video games, dove la cosa più gelosamente custodita rappresenta il premio più prezioso, il ragazzo arriva a credere che il suo pene debba significare ben qualcosa, altrimenti la madre non protesterebbe con tale veemenza. Con il passare del tempo, ciò che è proibito si mescola al piacere. "Non è così casuale che abbiamo così tanti uomini che soffrono di difficoltà di erezione", afferma Judith Seifer, "o di perdita di desiderio, o di eiaculazione precoce. Questi sono proprio gli uomini a cui le madri hanno insegnato che non è possibile avere un buon rapporto con il proprio pene. Il modo tipico dei genitori di affrontare ogni genere di sensazione o atteggiamento erotico è di negarlo o di ignorarlo. Il sesso veniva considerato cattivo, sporco e un peccato, oppure non se ne discuteva mai. In seguito al senso di colpa o alla paura instillati in loro, molti di questi uomini non sperimentano mai la preoccupazione circa lo sviluppo dei propri genitali tipica dell'età puberale. Questi bambini non si masturbano, invece è proprio così che matura la competenza eiaculatoria. Ci vuole pratica. A cominciare dalla pubertà, i ragazzi imparano che più a lungo durano, e più forte è la sensazione di piacere che provano. Più si diventa eccitati prima di farsi venire, e più grande diventa il pene. Questa è un'opportunità preziosa per darsi letteralmente una buona occhiata, per mettersi a proprio agio con i cambiamenti subiti dal proprio equipaggiamento corporeo e imparare quanto possa essere utile. La masturbazione dà grandi lezioni." Non dev'essere piacevole per un uomo stare nudo accanto ad una donna, penetrarla e contemporaneamente sapere che a lei non piace la sua vista. C'è quasi da meravigliarsi che gli uomini scelgano di venire con noi. E poi ci sentiamo offese se vanno a prostitute, donne che sanno che la bocca sul pene è il vero piacere per cui gli uomini pagano. "È la prima cosa che gli uomini desiderano, il sesso orale", sostiene Norma Jean Almodovar, dirigente di COYOTE, il sindacato delle prostitute della California. "Dopo il sesso orale, la fantasia maschile più popolare è il menage a trois. In quell'ordine. "Due donne che adorano il suo pene! E nessuna delle due è gelosa dell'altra, questa sì che è felicità pura! Un sacco di uomini, soprattutto quelli molto potenti, vogliono cedere quel potere", aggiunge l'Almodovar. "Vogliono farlo in una situazione sicura, in cui possano fidarsi della persona a cui cedono il controllo. Spesso vogliono che li si leghi e che gli si dica che razza di piccole pesti siano. 'Bambino cattivo!' Che lo si creda o no, esiste ancora una tremenda quantità di donne che non acconsente al sesso orale con il proprio marito." Nelle fantasie erotiche maschili il sesso orale registra il massimo successo. "Per gli uomini, il sesso orale sembra essere in relazione alla loro visione dell'intero rapporto e alla loro visione dell'essere amati", afferma June Reinisch, direttrice emerita del Kinsey Institute. "Per gli uomini ha un grande significato, superiore a quello che ha per le donne. C'è qualcosa di correlato all'accettazione, all'amore, all'ammirazione per il pene da parte di una donna che un uomo mette in relazione all'accettazione di tutto il proprio sé, al fatto che ogni cosa di lui venga apprezzata e amata." Quando era un ragazzino e il suo pene eiaculava durante la notte, sporcando le lenzuola pulite della mamma, il suo desiderio non era di non avere mai più un orgasmo, ma di riuscire a sfuggire alle Regole delle Donne. Trema all'idea di insozzare i graziosi asciugamani nel bagno in cui si masturba, ma la sua rabbia per la donna cui vuole bene dev'essere rimossa, risospinta in un luogo della sua mente in cui si batte contro il bisogno della madre/delle donne. Le fantasie sado-masochistiche degli uomini - per favore, prenderne nota - riguardano raramente un comportamento violento nei confronti delle donne; piuttosto, l'uomo si getta ai loro piedi, diventa il loro schiavo, e, sì, alla fine ha anche il suo piccolo sporco orgasmo. Quando gli uomini accettano l'opinione delle donne intorno alla bruttezza del fallo, al suo essere disgustoso, indegno di baci, prendono atto del nostro verdetto, non del loro. Un tale comportamento ha l'effetto di indurire gli uomini, di separarli dalla loro parte emozionale. Quando in una coppia scoppia un litigio, è più facile che sia l'uomo ad andarsene, non perché la sua ferita sia meno profonda, ma perché la vita trascorsa sotto l'imperio delle Regole
delle Donne lo ha costretto ad esercitarsi alla sopportazione del dolore, nella prospettiva di una vita priva di bellezza o di sentimenti. Un uomo ha bisogno di così poco per essere convinto, e prova una tale gratitudine quando le donne contemplano e riflettono la sua immagine elegante. Perché questo rifiuto di restituire agli uomini una parte del piacere che ci hanno regalato riconoscendo la nostra bellezza? Alcuni uomini effettivamente portano il voyeurismo all'estremo, ma non è altro che rabbia accumulata. La nostra opinione del fascino fisico degli uomini non riesce però mai ad andare oltre l'invettiva rabbiosa verso quella parte dell'anatomia maschile che odiamo: "Il pene è concepito come arma", scrisse Germaine Greer in L'eunuco femmina, "e la sua azione sulle donne viene interpretata in qualche modo come distruttiva e nociva"(2). Qualunque cosa le donne possano pensare del pene, rimane il fatto che ci aspettiamo che gli uomini mutino la bassa opinione che abbiamo dei nostri organi genitali, che vediamo come una sorta di mutilazione. Ecco il dialogo di questa scena tratta da Frankie and Johnny in the Claire de Lune di Terrence McNally, e domandati quante donne farebbero questo regalo ad un uomo, una visione adorante dei suoi genitali: JOHNNY: Apri la vestaglia. FRANKIE: No. Perché? JOHNNY: Voglio vedere la tua fica. FRANKIE: No. Perché? JOHNNY: È bella. FRANKIE: Non lo è. Lo dici per dire. JOHNNY: Lo penso. Ti sto dicendo che hai una bella fica! FRANKIE: Odio quella parola, Johnny! JOHNNY: Va bene, quella cosa! E ti sto chiedendo di aprire la vestaglia perché io possa guardarla. Solo guardare. Quindici secondi... (Lei alla fine acconsente, e rimane lì, la testa scostata, imbarazzata, mentre lui guarda, poi Johnny le prende la mano, la bacia, vi strofina contro la propria guancia). Gli uomini non riescono ad afferrare il nostro astio per le parti del corpo oggetto della loro venerazione; né comprendono come questo atteggiamento si diffonda e intacchi così il giudizio che abbiamo del nostro corpo. Noi respingiamo le bocche affamate degli uomini, ci sottraiamo ai loro occhi che vorrebbero adorarci, e li bolliamo come maiali perché vogliono guardare e assaggiare. Forse al primo incontro abbiamo creduto alle sue parole di adorazione, ma quando l'attrazione si è tramutata in "amore", il nostro satiro si trasforma nella nostra balia. E una volta sposati, ci vediamo nei ruoli di Mamma e Papà proiettando l'immagine dei nostri genitori, che ai nostri occhi sono sempre stati asessuati. Sono qui seduta e cerco di immaginare cosa possa significare essere un uomo, trascorrere la vita con quest'organo, che ha una sua vita distinta, una sua connessione privata con il cervello che scatena a piacimento la sua tumescenza. Sì, altri uomini accettano il pene, finiscono anche con il celebrarne le virtù, ma mezzo mondo lo disprezza. E altri uomini ancora lo sviliscono quando non si dimostra all'altezza della situazione. L'educatrice sessuale Betty Dodson riferisce di aver incontrato pochissimi uomini "a cui piacciono veramente i propri organi genitali, e che godono veramente dei piaceri della masturbazione. Quando ho pubblicato il mio primo libro, tentai di accludervi dei disegni dell'organo maschile per aiutare gli uomini con lo stesso metodo con cui stavo cercando di educare le donne, ma la casa editrice non voleva includere i disegni. Per le donne va bene essere in mostra, ma per gli uomini? I venditori si rifiutarono di commercializzare il libro. Sostanzialmente, ogni uomo del pianeta pensa che il proprio uccello non sia adeguato o abbastanza grosso. Tenni alcuni gruppi per uomini, in modo da portarli ad apprezzare la bellezza dei loro genitali, ma fu proprio impossibile farli dialogare sull'argomento." Durante gli anni Sessanta, mi innamorai di un uomo che, all'epoca in cui ci conoscemmo, aveva appena lasciato una rigida moglie dei sobborghi. Adorava il sesso più di ogni altro uomo che abbia conosciuto. L'unica storia della sua
giovinezza che Stan mi raccontò fu di quando sua madre distrusse le pagine di pubblicità delle calze Hanes che lui aveva appeso sopra il proprio letto. C'è quella proibizione femminile all'origine della passione di questo mio vecchio amante; per il sesso praticato nei luoghi semipubblici in cui potevamo venire scoperti - sulla spiaggia, sotto i tavoli dei ristoranti, nelle piscine? Gli anni Sessanta furono gli anni del rischio. E dato che lui era l'uomo, dialetticamente più sciolto, più colto, affascinante e paziente che avessi mai incontrato, un insegnante nato, lo seguii. Non vedevo l'ora di lasciarmi alle spalle la rigidità di Brava Ragazza. Da altri spiriti liberi di quegli anni appresi che noi ragazze fresche di laurea costituivamo spesso le migliori candidate per l'esplorazione sessuale. Le varie Edie Sedgwick formavano la legione. Certo, lei morì, ma molte di noi sapevano bene dove tracciare la linea di confine. In quegli anni, ci fu un certo numero di uomini che, come il mio amante Stan, abbandonò l'uso della biancheria intima - che, come dire, liberò il proprio pene - in un'epoca cioè che tendiamo ad associare all'esibizionismo femminile, mentre in realtà anche gli uomini stavano tentando di andare oltre la definizione culturale prevalente della virilità - il Buon Capofamiglia - proprio come noi donne senza più reggiseno stavamo rompendo gli stampi su cui ci avevano modellato le nostre madri. Se noi donne fossimo state più consapevoli delle vite ristrette che gli uomini conducevano, avremmo potuto aiutare noi stesse aiutandoli. Ma quasi tutti gli uomini erano chiusi nel loro silenzio, tale era la disabitudine della voce maschile a modulare il lamento, e tale era la mancanza di simpateticità delle orecchie degli uomini e delle donne. È ancora così. Noi non vogliamo udire le rivendicazioni dei loro diritti all'accudimento dei figli, e non vogliamo nemmeno ascoltare le loro preoccupazioni a proposito del pene. Poveri uomini. Costretti a fare sesso con le donne stando attenti a non sporcare le lenzuola. Poveri uomini, che starebbero ore a rimirare 'con piacere la nostra vagina, a leccarla come tanti micioni. Ma le brave Ragazze non potevano, non volevano lasciarli avvicinare alla fogna che neanche loro avevano avuto il coraggio di esaminare, e quanto al godere del seme appiccicoso spruzzato su ogni parte del loro corpo - il loro "omaggio" - per favore, porta via quell'orribile coso! "È notevole come le donne, anche le donne che posano nude per le riviste, sappiano poco della risposta sessuale maschile", dice Gay Talese. "Negli anni Settanta stavo nella villa di Los Angeles, un periodo in cui passavo molto tempo con Hefner. Stavo guardando l'ultimo numero di Playboy, l'ultima bella, eccitante Playmate del mese e, improvvisamente, lei entrò nella stanza. Stavo prendendo un brandy nella biblioteca, così ci sedemmo e incominciammo a chiacchierare. Naturalmente lei era vestita, ma io avevo di lei un'immagine molto definita, che derivava semplicemente dal fatto di aver guardato la rivista. Le chiesi se, mentre stava posando per quel fotografo, le fosse passato per la mente che tipo di effetto avrebbero avuto le sue foto sul pubblico di Playboy, tre o quattro milioni di uomini al mese. " 'Cosa intendi dire?' mi disse. "Io le risposi: 'Siamo più precisi'. Ricordati che a quel tempo stavo facendo delle ricerche per Thy Neighbor's Wife. Le dissi che la rivista è in tutto il paese, nelle piccole città, nei motel lungo la strada, negli Holiday Inns, e mentre io ti sto parlando ora in California, a Newark, nel New Jersey, è mezzanotte, e in qualche Holiday Inn da una parte all'altra di George Washington Bridge, dopo la cena qualche tipo è salito nella sua stanza con le foto di Playboy ed ora si trova nel suo letto alle prese con un'erezione. E mentre ti guarda, si tiene la mano sul pene, strofinandolo su e giù. E sta per avere un orgasmo. Sta per afferrare un Kleenex, infilerà il pene in quel Kleenex e verrà. Sostanzialmente, lui starà facendo sesso con te'. Lei mi disse: 'Lo trovo disgustoso. Questo è veramente disgustoso.' Io le dissi: 'Mi spiace che sia disgustoso, ma quel che ti sto dicendo è vero. Potrei benissimo essere io quell'uomo perché prima ho visto quella tua foto e trovo che tu sia molto eccitante. E se mi rimanesse un po' di energia sessuale, potrei essere tranquillamente quel tipo. Non solo io sono quel tipo, ma sono milioni di tipi come quello'.
Lascia che ti racconti cosa accadde. Questa donna andò a lamentarsi da Hefner e lui mi chiamò il giorno dopo e mi disse: 'Gay, penso che tu ti sia comportato male ieri sera parlandole in quel modo'. Io dissi: 'Non mi sono comportato male affatto. In realtà, mi sento insultato dal fatto che tu mi abbia parlato in quel modo. Sei uno che ha fatto i milioni con la masturbazione. Sei il primo uomo della storia del commercio di questo paese capitalista a fare i milioni con la masturbazione. È lì che si crea la tua fortuna, non in quelle interviste filosofiche che rilasci'. Non accettò di sentirselo dire. Non credo che le donne che posano oggi siano diverse. Anche gli uomini ignorano le cose degli uomini. Non esiste un'autorità riconosciuta per le vite sessuali degli uomini. Henry Miller, John Updike e Philip Roth fanno della pornografia letteraria. Ma scrivono romanzi. Si nascondono dietro i loro personaggi. 'Questo non sono io, signore e signori della terra letteraria, questo non sono io.' Ma gli uomini? Gli uomini non scrivono della loro vita sessuale così come fanno le donne. Non sappiamo davvero niente delle vite sessuali maschili. E uno sporco segreto." Oggi, con il costante e progressivo ingresso degli uomini nel mondo degli specchi, non è soprendente che il pene, insieme ad ogni altra cosa, venga esaminato più a fondo. Nel corso di tutti gli anni in cui gli uomini mi hanno scritto, e lo hanno fatto a migliaia, insieme all'età, alla situazione di coppia e alla professione, hanno incluso anche il dato della dimensione del loro pene, eretto e flaccido. Non ne avevo fatto richiesta, ma è chiaro che gli uomini pensavano fosse un dettaglio che dovessi conoscere per poterli capire. Vestito o nudo, un uomo ha coscienza del proprio pene in un modo che le donne non possono raffigurarsi. L'immagine femminile della Fogna costituisce una fonte di pressione inconscia, mentre per gli uomini gli organi genitali sono a pieno titolo parte integrante di come vedono se stessi. Quando nel corso di un'intervista fu chiesto a June Reinisch qual è l'ansia maggiore per gli uomini che stanno per avere un rapporto sessuale, lei rispose: "L'impotenza è un grosso problema". Elencò anche malattie, omosessualità, e il raggiungimento del "tipo giusto" di orgasmo. Poi fece un respiro veloce e aggiunse: "E la misura del pene. La dimensione del pene è una vera preoccupazione per il maschio americano. La gente ha tendenze suicide riguardo a questo problema"(3). In Festa Mobile, Ernest Hemingway scrive dell'insicurezza degli uomini circa il loro pene. In questo libro, F. Scott Fitzgerald racconta a Hemingway di non aver mai fatto sesso con un'altra donna oltre a Zelda, e che lei gli aveva detto che "così come ero fatto non avrei mai potuto rendere felice alcuna donna e che fu questo a sconvolgerla originariamente. Disse che era una questione di misure. Da quando mi ha detto questo non mi sono sentito più lo stesso e so che ha ragione". Al che Hemingway suggerisce all'amico di ritirarsi nel bagno degli uomini, e dopo il loro ritorno nella sala del ristorante dice all'amico: "Vai benissimo... Sei O.K. Non c'è niente che non va in te. Tu ti guardi dall'alto e hai solo una visione di scorcio. Vai al Louvre e guarda le statue, poi vai a casa e guardati di profilo allo specchio". "Quelle statue possono non essere accurate." "Vanno bene. La maggior parte della gente si accontenterebbe." "Ma perché lei me l'avrebbe detto?" "Per metterti fuori gioco. È il trucco più vecchio del mondo per mettere fuori gioco la gente."(4). Ma Fitzgerald non credette mai del tutto a Hemingway, almeno secondo il "Papa"; forse andrebbe ricordato che c'era stata una lunga storia di competizione tra i due. Raccontando questo aneddoto, Hemingway si rende colpevole quanto Zelda di mettere Fitzgerald "fuori gioco"? Per tutta la loro vita, gli uomini hanno paragonato le proprie dimensioni con quelle dell'altro ragazzo nel bagno pubblico, con lo straniero in piedi accanto a loro davanti all'orinatoio. Le dimensioni del pene del proprio padre sono state oggetto di un'esame estremamente attento, una comparazione dolorosa se pensiamo alla giovane età del ragazzo e al suo disperato bisogno di immagini di virilità -molte immagini! - che tengano testa all'aspetto potente della madre/delle donne. Ancora una volta, se il padre fosse stato intimamente coinvolto nell'allevamento del proprio figlio, esattamente come la madre, il
ragazzo avrebbe potuto appassionarsi a tutte le forme di potere, fisiche ed emozionali, di cui un uomo può essere dotato. Non ci sarebbe stato spazio per quella folle ossessione per le dimensioni, di cui ci racconta con un aneddoto l'autore e attore Tim Allen: "Mio padre portava me e mio fratello a fare la pipì, e mentre non sei più alto di un cazzo, quello di papà è fuori misura. Questa balena di pene si lancia fuori, e tu hai una cappella di fungo che due mani potrebbero a malapena staccare dal tuo corpo. Ed ecco il pene di papà - truuum! E, davanti a questa enorme, orribile bestia pelosa, ti viene da gridare - "Oh, Dio!" Poi lasciavamo il bagno dicendo "Merda! L'hai visto? Dannazione, era tutto peloso!" E tutti noi pregavamo: "Spero di non assomigliargli mai!"(5). Allevato e istruito all'uso della toilette da una donna, ovvero dal sesso che pensa che ogni cosa posta tra le gambe sia sinonimo di sporco, il ragazzo guarda al padre attendendo segni alternativi di potere maschile, solo per incappare in un pene che potrebbe essere quello di Gulliver. Un padre affettuoso e presente avrebbe fatto parte di ciò che Helen Fisher chiama la "mappa dell'amore" di un figlio; durante la prima infanzia, il bambino avrebbe potuto assorbire inconsciamente una lista di caratteristiche che indicano chi è un uomo e cosa dovrebbe fare. La grandezza superiore del pene del padre non sarebbe stata caricata del significato di compensare tutto il potere incarnato dalla figura materna. Il pene avrebbe potuto essere ancora un oggetto di ammirazione, ma sarebbe stato interpretato come una promessa per il futuro. Fin quando gli uomini non si approprieranno del ruolo di accudimento, il pene non sarà mai grande abbastanza. "Dopo il sesso, ogni uomo si chiede: 'Mi diventerà duro un'altra volta?" dice Gay Talese. "E dopo il sesso, ogni donna si chiede: 'Mi richiamerà?' " replico io. Il paragone delle preoccupazioni post-coito di uomini e donne è significativo: l'uomo è responsabile della performance, ovvero avere l'erezione, e anche di fare il passo successivo nel corteggiamento, ovvero rischiare il rifiuto. Le donne invece aspettano, a letto, e, più tardi, preferiscono piangere vicino al telefono piuttosto che chiamarlo. Nondimeno, accusiamo gli uomini di non avere tatto e di essere freddi nella loro esitazione a legarsi a noi, così come li accusiamo di essere scarsi nelle loro prestazioni erotiche. Non sorprende il fatto che, in un'epoca in cui le donne si sono guadagnate un nuovo spazio economico, sia maturato anche il momento della chirurgia per l'ingrandimento del pene. Un articolo comparso su Vogue riferisce che tra il 1990 (momento d'inizio di quel tipo di operazioni in America) e il 1994, sono stati eseguiti approssimativamente 3.000 interventi di aumento del pene. Solo nel 1994 gli interventi ammontavano a 3.000, e taluni pensano che il numero possa subire un raddoppiamento nel 1995. Gli esperti in campo medico sono allarmati, visto che la chirurgia estetica genitale ricade ancora in un'area grigia tra l'urologia e i ciarlatani. Gary Griffin, editore di una newsletter chiamata Penis Power Quarterly, afferma: "Gli uomini hanno sempre voluto peni più grossi. Più grandi sono e meglio sono. Un grosso pene è segno di virilità, e gli uomini sono competitivi su questo"(6). In un momento in cui sempre più donne ricorrono alla chirurgia estetica, inclusi gli impianti di seno, possiamo fare gli schizzinosi con gli uomini che desiderano ingrandire il loro pene? Le cifre sull'atteggiamento delle donne riguardo alle dimensioni del pene, sotto il profilo della sua rilevanza per la performance, sono variabili, ma un dato spicca tra gli altri: "Le donne che si consideravano più attraenti erano particolarmente interessate a dimensioni maggiori", riferisce lo psichiatra Michael Pertschuk a proposito di una ricerca pubblicata su Psychology Today. "Tra le donne che si descrivevano 'molto più attraenti della media', per il 64% la larghezza del pene contava molto o moderatamente, mentre per il 54% contava la sua lunghezza. Le donne che classificavano il proprio aspetto fisico nella media si situavano a circa 20 punti percentuali più in basso"(7). Quando gli uomini saranno ancora più immersi nella sfera dell'attrazione fisica - abiti, cosmetici, body-building - e le donne risponderanno alla loro bellezza esteriore, saranno meno ansiosi a proposito delle misure del pene, rendendosi
conto che vi sono altre cose, dal punto di vista fisico, che attraggono le donne? Secondo un sondaggio fatto dalla rivista Glamour, la risposta è "no". Di fronte ad una domanda che chiedeva loro se avrebbero preferito essere più alti con un pene più corto, o meno alti con un pene più lungo, il 62% degli intervistati scelse la seconda opzione, e solo il 36% la prima (8). 8.2 - Dei piedi e dei feticci. Non ci sono certezze assolute nell'ambito degli studi che si occupano della connessione tra il pene da una parte, e le scarpe e i piedi delle donne dall'altra, nessuna parola definitiva su cosa tutto questo significhi, ma da quando un numero crescente di donne si aggira nei negozi di videocassette per soli adulti per sbirciare qualche pene messo a nudo, si sa che hanno anche ricominciato a comprare più scarpe dal tacco alto; anche gli uomini sono tornati ad essere incantati dai piedi e dalle scarpe femminili. Ecco il rapporto di una giornalista di ritorno da un recente spettacolo di moda tenutosi al Bryant Park di New York: "[Le modelle] montavano su... stivali fino all'anca da dominatrice, sandali con cinturino e tacco a stiletto, pantofole da maliarda di vernice nera e tacco a spillo - scarpe che sarebbero di casa in qualsiasi boutique del feticcio. Nell'aria c'era un senso di invidia, di dramma, di bellezza e di morte, e non proveniva dal mare di lenti delle macchine fotografiche o dagli... ordini effettuati. Non veniva nemmeno dagli abiti. Veniva dalle scarpe, i veri strumenti della trascendenza"(9). Niente è casuale nel mondo della moda; il ritorno al tacco a spillo, contemporaneamente ai fenomeni della biancheria maschile imbottita e degli interventi di chirurgia estetica del pene, ci dice che non si tratta di una pura coincidenza. La corrispondenza amorosa tra pene, scarpa e vagina diverte e mette sull'avviso, tale è la capacità di tutte e tre gli elementi di richiamare la loro connessione con la fiaba. "Un angusto ricettacolo dove una qualche parte del corpo può infilarsi e adattarsi alla perfezione può essere visto come un simbolo della vagina", scrisse Bettelheim riferendosi alla favola di Cenerentola e alla sua scarpetta. "Qualcosa che è fragile e non deve essere allargato perché altrimenti si romperebbe ci ricorda l'imene, e qualcosa che è facile perdere alla fine di un ballo quando un innamorato tenta di trattenere accanto a sé l'amata sembra un'immagine appropriata della verginità... Ogni bambino sa che il matrimonio è legato al sesso... ed è sufficientemente evidente che Cenerentola è una fanciulla vergine..."(10). "Da duemila anni... in molte popolarissime fiabe di ogni parte del mondo la pantofola femminile è stata accettata come una soluzione fiabesca del problema di trovare la sposa adatta, e questo deve avere i suoi buoni motivi. La difficoltà di un'analisi del significato inconscio della pantofola come simbolo della vagina consiste nel fatto che maschi e femmine, benché entrambi sensibili al suo significato simbolico, lo interpretano in modo diverso."(11). Preferirei preservare la vaghezza di questa connessione tra pene e scarpa, non sapere, perché diversamente da altri fatti comprovabili della sessualità, eccone uno a cui nessuno di noi è sfuggito o che ha compreso, l'occhio misteriosamente attratto dai piedi e dalle scarpe delle donne. La storia di questo tema è talmente ricca di contributi che avrei potuto impostare l'intero libro su questo mistero insolubile, perché tale questione è parte integrante dell'argomento della bellezza sessuale. Ma incominciamo pure con Freud, che sostiene che nel linguaggio onirico la scarpa o la pantofola rappresentano i genitali femminili, e che mentre più tardi nella vita l'odore pungente del piede può essere sgradevole, nell'infanzia questo odore forte è motivo di fascino. Una volta eravamo tutti là, ai suoi piedi maestosi, gattonando alla base del centro del nostro universo, la Mamma. Camminando su queste piattaforme nude o calzate, lei si avvicinava a noi o ci abbandonava, portandoci o sottraendoci la fonte della vita stessa. Quando eravamo molto piccoli e quei piedi erano grandi, la loro vicinanza ci permise un'esame attento, ravvicinato. Così s'impressero nella nostra mente. Sarei propensa ad immaginare che la connessione tra piede e organi genitali risalga all'inizio del tempo. Prima che ci fossero delle pantofole c'erano i piedi, il che suppongo significhi che il simbolo della scarpa venga rimosso.
Simbolo dopo simbolo, ci crea nella mente un nugolo di stanze in cui corre la fantasia. Barbara Stanwyck, nel film Lady Eva, intrappola Henry Fonda a bordo di una nave da crociera facendolo inciampare e rompendo in questo modo il tacco della propria scarpa. Lo conduce seducentemente fino alla propria cabina, in cui si trova una valanga di scarpe. "Vedi qualcosa che ti piace?" dice lei sorniona, consentendogli di scegliere. Lei dondola il piede nudo davanti agli occhi di lui, che suda, inghiotte, fa scivolare la scarpa sul suo piede e ferma la fibbia del cinturino sulla caviglia, sottomesso. È in Amazzonia da due anni, lui spiega, a studiare i serpenti: "La mia vita sono i serpenti". Ora la sua vita appartiene a lei, perché facendo scivolare la scarpa sul suo piede nudo, come fece il Principe con Cenerentola, nel nostro immaginario voyeuristico il suo pene si adatta perfettamente alla sua vagina. Ora formano una coppia. "Originariamente, i piedi erano proprio come le mani", afferma Helen Fisher, "e così hanno notevoli terminali nervosi nel cervello. Molta parte del funzionamento cerebrale è assorbito dalla ricezione degli impulsi sensoriali provenienti dai piedi e dalle mani. Si ricevono stimoli potenti facendo delle cose con i piedi. Parlando da un punto di vista evoluzionistico, i piedi sono una parte del corpo molto sensuale. Nel cervello si genera una risposta straordinaria se si succhia il piede di qualcuno." Nel suo libro The Sex Life of the Foot and Shoe, W. A. Rossi scrive che l'erotismo del piede e della scarpa derivano tanto da questa sensibilità fisica quanto dal simbolismo fallico racchiuso nel piede, il fascino erotico da cui trae ispirazione la decorazione del piede stesso. Come ne ha parlato Esquire: "Di tutti gli oggetti feticistici, le scarpe sexy sono tra i più antichi e i più comuni... esse assottigliano i piedi. Inarcano il collo del piede. Alzano i polpacci. Fanno inclinare il sedere, curvano la schiena, oliano i fianchi e sottolineano un'andatura agile. Il loro profumo e il loro tessuto di pelle animale, evocano gli sport sanguinari della giungla incapsulati nei nostri geni. Fanno apparire il piede più piccolo e più prezioso e tuttavia aggiungono l'effetto formidabile di un'altezza maggiore, e, spesso, una specie di minaccia racchiusa nel tacco a spillo. Una scarpa sexy è un capolavoro di nascondimento e di rivelazione e, in questo senso, definisce la dinamica del desiderio erotico stesso."(12). Noi pensiamo che l'oggetto dell'attenzione privilegiata degli uomini siano i piedi femminili, quando, in realtà, c'è stato un tempo in cui gli uomini erano altrettanto concentrati sui propri. Ancora prima che, agli inizi del quattordicesimo secolo, l'abito perdesse la sua linea informe, e incominciasse a lasciar intravedere la forma del corpo umano, tra gli uomini era diffuso un uso altamente suggestivo della scarpa come indizio seducente di ciò che un abito così ampio nascondeva. "L'enfatizzazione delle parti del corpo associate alla sessualità iniziò alla fine dell'undicesimo secolo, con l'adozione di scarpe affusolate, appuntite", scrive Lois Banner. "Tale tendenza si estese nel quattordicesimo secolo, quando le giacche corte, le gambe lunghe, e l'esposizione della forma dei genitali divenne di moda. Con la fine del quindicesimo secolo il tipo fisico maschile preferito era più massiccio, mentre scarpe ampie e senza punta andarono a sostituire quelle lunghe e appuntite. L'uso del 'perizoma', una guaina che racchiudeva il pene, si sviluppò proprio in questo periodo storico."(13). Per parecchi secoli le scarpe allungate maschili furono dei simboli erotici, un segno stuzzicante del mistero che giaceva sotto l'abbigliamento. Queste scarpe dalla forma artistica appuntita erano chiamate poulaines, e vennero probabilmente inventate dai cavalieri normanni perché si adattavano meglio alle loro staffe (come è raffigurato nelle scene degli arazzi che raccontano la conquista normanna). Un altro motivo della popolarità di queste scarpe affusolate, sostiene Banner, va ricervato nella percezione dei piedi dell'aristocrazia come lunghi e snelli, e di quelli dei contadini come grandi e goffi. "La credenza popolare europea collegava i piedi, come il naso, al pene, nel senso che la misura dell'uno rifletteva la misura dell'altro", scrive Banner. "Così, ad un certo punto, la moda dettò l'allungamento delle poulaines, tanto che dovevano essere riempite di sabbia per stare diritte. E non era ignoto il
fatto che alcuni di quelli che indossavano queste scarpe ne modellassero e ne colorassero l'estensione per farle assomigliare ad un pene" (14). Pensa! Gli uomini andavano in giro "mostrando in pubblico" immagini della loro intimità dipinte sulla punta delle scarpe allungate ad arte. Quel che balza alla mia mente sono i reggiseni push-up, imbottiti, gli interventi per aumentare il seno, quelli per ingrandire il pene e la biancheria intima da uomo imbottita. Tutto ciò che è vecchio è tornato nuovo. Alla fine, nel 1367, Carlo V di Francia mise fuori legge le poulaines a forma di pene. Dato che in questi giorni, quanto a piedi e sesso, i fatti corrono più velocemente della finzione, racconterò di quando, durante il mio recente viaggio a Los Angeles, feci la conoscenza con un paio di "scarpe falliche". Entrando nel mio negozio favorito di Los Angeles, Max-field's, il direttore si fece avanti per mostrarmi un paio di scarpe da uomo disegnate da Yohji Yamamoto. Erano lì, posate in quella che sembrava e aveva l'odore di una normale scatola da scarpe. Ah, però queste non erano scarpe comuni! Convinsi mio marito ad indossarle. "Wow!", esclamò. "Ti vanno bene!" disse Cenerentola. E così le comprammo, scarpe nere da uomo molto ben fatte, eccetto che per il pene rosa e carnoso dipinto su ognuna di esse, accompagnato da entrambi i lati da una grande palla nera pelosa, della misura di una palla da golf. Il puzzle senza età di scarpe e piedi, vagine e peni, riappare oggigiorno sotto forma di storie nuove e sulle pagine di moda. Un giorno l'uomo incaricato delle pubbliche relazioni per conto di Marla Maples viene arrestato per aver rubato scarpe per anni. "Mi chiedevo dove fossero finite quelle scarpe", medita la signora Maples (moglie di Donald Trump). In un altro articolo di giornale si racconta la storia di un uomo che ha offerto ad una diciassettenne centocinquanta dollari per seguirlo in una stanza d'albergo e lasciargli baciare i suoi piedi nudi. La polizia ha arrestato puntualmente un assistente del procuratore distrettuale di quarantaquattro anni, felicemente sposato. "Mi ha detto di essere un feticista", aggiunge la donna "e che voleva che andassi in albergo con lui, che mettessi una gonna ed un paio di scarpette di vernice per potermi adorare mentre si soddisfaceva sessualmente... Mi diceva che non poteva aspettare di vedere i 'bei piedi' che avevo. Penso che abbia questa cosa con le scarpe." (15). Stiamo effettivamente assistendo ad un aumento dell'erotismo legato alle scarpe e ai piedi, oppure questi giorni di mutamenti complessi dei ruoli sessuali ci hanno solo reso tutti più consapevoli di ciò che è sempre esistito, allertando gli occhi dei cronisti e dei redattori a fermarsi su eventi legati al feticismo del piede che avrebbero potuto passare inosservati solo vent'anni prima? La mia opinione personale è che i movimenti sismici in risposta al femminismo, alla tecnologia e alla biologia riproduttiva hanno riacceso il nostro interesse per il simbolismo sessuale. Per esempio, anche solo pensando all'immagine fornitaci da Bettelheim della scarpetta di Cenerentola come di una vagina vergine, un luogo bello e accogliente, perfetto per il pene di un futuro sposo, mi rendo conto del fatto che le donne oggi non appaiano e non si comportino come Cenerentola, non essendoci alcuna necessità economica per desiderare un Principe, nessuna verginità, nessun bisogno del pene di un Principe, vista l'esistenza della locale banca dello sperma. Quando si calcoli anche la comparsa sempre più precoce delle mestruazioni, che presuppone che le ragazze adolescenti siano più grasse, ci si accorgerà anche del fatto che esse camminano su piedi più grandi. L'American Orthopedic Foot and Ankle Society stima che i piedi femminili oggi corrispondono mediamente alla misura 8. Ma la misura di scarpa da donna più venduta è il 7 e mezzo, il che indica che la donna media, con un piede corrispondente alla misura 8, se ne va zoppicando in scarpe che sono troppo corte e troppo strette. In realtà, questo è proprio quello che evidenziò uno studio del 1991 della AO-FAS: l'88% delle donne intervistate calzava scarpe troppo piccole, e l'80% soffriva di problemi ai piedi (16). Le donne fanno questo per gli uomini o per se stesse? Stiamo strizzando i nostri piedi in scarpe troppo piccole così che gli uomini abbiano un'immagine di loro come di una cosa delicata e dunque un rifugio adatto al loro pene, oppure lo facciamo in modo da rassicurare il nostro incoscio sulla nostra femminilità da Cenerentola, sulla nostra natura di piccole creature indifese, indipendentemente dalla consistenza degli stipendi che percepiamo? Nel frattempo, i piedi delle donne
diventano sempre più grandi, visto che si stimano a sei milioni le donne che oggi portano il 10 o una misura ancora più grande (17). È certo che lavoreremmo con maggiore profitto calzando scarpe della misura giusta; le donne, in questo paese, sono le destinatarie del 90% degli interventi chirurgici per malattie comuni del piede, cosa che si traduce in un costo di 3,5 miliardi di dollari per gli interventi e in 15 milioni di dollari in giorni di lavoro persi (18). Aggiungi a questa follia il ritorno dei tacchi a spillo, che la mia amica Jane calza religiosamente; quando torna a casa dal lavoro, i muscoli della sua caviglia sono così contratti che non riesce a stare a piedi nudi ed è costretta a cascare dalle scarpe direttamente sul letto, su cui resta distesa finché i muscoli non si rilassano e può camminare senza sentire dolore. Quanto mi ricorda le brutte sorellastre di Cenerentola, che cercavano di incastrare i loro piedi nella scarpetta di vetro ottenendo solo l'effetto di sfregarli fino a farli sanguinare. Il piede di Cenerentola si adattava alla perfezione alla scarpetta di vetro. Presto o tardi la scarpa, la vagina e il pene si siederanno insieme e si diranno: Cosa significa tutto ciò? Talvolta un sigaro è soltanto un sigaro, ma fino a che punto il nostro mondo tecnologicamente avanzato farà leva su questa pressione inconscia della saggezza delle favole che incoraggia le donne a comprimere i loro piedi in scarpe che fanno male? Ora che sono tornati gli stivali con i tacchi alti, il piacere delle donne nel portarli eguaglia la loro scomodità? "Nel codice di abbigliamento del sadomasochismo, gli stivali rivestono naturalmente un ruolo di grande importanza come simboli di potere, e sono molto eccitanti per gli uomini", sostiene la psichiatra Avodah Offit. "L'attuale passione per gli stivali a me pare di derivazione chiaramente mascolina. Le donne, portandoli, tendono ad imitare o ad adottare la forza e il dominio degli uomini"(19). I piedi tendono a gonfiarsi anche di più negli stivali rispetto alle scarpe, il che significa che la sensazione di potere sessuale debba essere davvero molto dolce. Gli uomini non ci costringono ad acquistare questi oggetti che impediscono i nostri movimenti, deformano i nostri piedi, e incurvano le nostre schiene. Lo facciamo per l'immagine allo specchio, per il riflesso di noi come persone eccitanti e dominanti, un obiettivo che dà uno straordinario senso di soddisfazione e con cui possiamo convivere più felicemente che con un uomo; chi ha bisogno di lui? Non ci sono fantasie erotiche femminili equivalenti a quelle degli uomini che si portano a letto la scarpa di una donna. I sessuologi e gli psichiatri offrono varie spiegazioni del feticismo del piede. La meno persuasiva è: "Il piede è la parte del corpo più lontana dal cuore, ovvero più lontana dall'intimità, cosa che permette all'uomo di fare del sesso puro, senza complicazioni". A mio avviso, è piuttosto ragionevole sostenere la rilevanza dell'esperienza del piede/della scarpa in quanto parte familiare del corpo materno, vicina alla vista, all'olfatto, al tatto della piccola creatura che cammina a carponi sul pavimento della cucina attorno a dei piedi onnipotenti. Ma lascia che citi Valerie Steel che ha scritto diverse cose interessanti sul feticismo: "Freud sosteneva che 'Il feticcio è un sostituto del pene della donna (della madre) nella cui esistenza un tempo il bambino credeva e... a cui non vuole rinunciare... perché se una donna fosse stata castrata, sarebbe in pericolo il suo stesso possesso del pene'. Il feticcio rappresentava un 'compromesso' inconscio tra la 'percezione sgradita' dell'assenza del pene dal corpo materno e il desiderio e la prima credenza circa la sua esistenza. L'ego si difende sconfessando o reprimendo una percezione spiacevole. 'Sì, nella sua mente la donna ha un pene... ma questo pene non è più lo stesso... Il suo posto è stato preso da qualcos'altro.' Il feticcio serve così a placare la sua paura di castrazione, trasferendo allo stesso tempo l'importanza del pene su un'altra parte del corpo femminile o su qualche capo d'abbigliamento"(20). Continua così la Steel: "Gli oggetti scelti come 'sostituti del fallo femminile assente' non furono necessariamente quelli che apparivano altrove come simboli del pene; ma furono forse collegati all'ultimo momento in cui la donna poteva ancora essere considerata fallica'. Così, ad esempio, 'capi di biancheria intima, che vengono spesso prediletti come feticci, cristallizzano il momento dello svestirsi'. La pelliccia o il velluto furono associati ai peli del pube che avrebbero dovuto rivelare un pene. Il fascino per le scarpe è legato
all'associazione del piede al pene: 'Il piede rappresenta il pene di una donna, la cui assenza è sentita molto profondamente' ". Quando gli uomini entreranno a pieno titolo nella nursery e i bambini cresceranno accanto alle scarpe di pesante cuoio cordovano del proprio padre, la cui presenza sul pavimento della cucina sarà un segno rassicurante, mentre la loro scomparsa nella stanza accanto un segno di allarme, ci appassioneremo di più alle scarpe e ai piedi maschili? Siamo abituati a immagini di bambine che si arrampicano sui tacchi alti della mamma, ma talvolta i bambini fanno lo stesso. "Un giorno, avevo forse tre o quattro anni, ero solo nella stanza da letto di mia madre e andai nel suo guardaroba", mi racconta un grosso industriale. "Vidi le sue scarpe e mentre stavo pestando i piedi in giro per la stanza con addosso le sue scarpe con i tacchi alti, lei entrò. Me la vidi brutta. Era talmente sconvolta che non lo feci mai più." Ma ci sono alcuni uomini che mettono le scarpe delle donne, sognano di fare sesso con una donna nuda che indossa solo i suoi zatteroni, oppure si portano a letto la scarpa dal tacco a spillo di una donna e si masturbano. "I piedi sono sia simboli di umiliazione che di potere", dice Offit. "Il tacco alto è un'arma... e anche un simbolo fallico. E allo stesso tempo, il fatto che faccia incedere a fatica una donna, la fa sembrare potente. Sui tacchi, la donna può essere malvagiamente soggiogata - non può correre velocemente, non ha un equilibrio stabile, i piedi probabilmente le dolgono - ma è anche più alta, indossando al contempo una cosa a punta che potrebbe essere introdotta nel corpo di un uomo: dopo tutto sono chiamati 'tacchi a stiletto' "(21). L'assenza di verità assolute in merito a questa faccenda delle scarpe e dei piedi le conferisce un senso di fragilità umana, la nostra incapacità di risolvere la questione, cosa che è di per sé eccitante e fa sperare in prossimi sviluppi. Mentre il feticismo può essere un fenomeno esclusivamente maschile, come ha affermato Kinsey, l'incapacità delle donne di viaggiare con meno di dieci paia di scarpe coinvolge anche noi nella questione, forse non in veste di feticiste, ma di certo come partecipanti al gioco. Essere attratte dalle scarpe, si dovrebbe ricordare, non fa di una persona un feticista; è il desiderio della scarpa al posto dell'essere umano che rende una persona un feticista. "Tra tutte le forme di simbolismo erotico, la più frequente è quella che idealizza il piede e la scarpa", scriveva Havelock Ellis. Per esempio, il piede di "loto" è un motivo predominante nella pornografia cinese: "Quando una creatura divina accoglie nella propria mano il piede di una donna, soprattutto se è molto piccolo, l'effetto su di lui è esattamente lo stesso di quello provocato in un europeo dalla palpazione di un petto giovane e sodo"(22). Poiché il piede viene così prontamente associato all'attrazione sessuale, Ellis suggerisce che "qualche grado di feticismo del piede [è] un fenomeno normale"(23). Secondo Freud, l'interesse per il piede e la scarpa "diventa patologico solo quando il desiderio per il feticcio... effettivamente prende il posto del fine normale e... diviene il solo oggetto sessuale"(24). La prostituta Norma Jean Almodovar ci illustra una prospettiva più pragmatica: "Non si sta parlando di avere un rapporto sessuale con i feticisti del piede. Loro vogliono fissarsi sull'oggetto fisico mentre tu sei presente. Principalmente le loro fantasie sono quelle di strisciare sul pavimento, leccare i tacchi delle scarpe che sono sul tuo piede, leccare la punta della scarpa, forse farti mettere la scarpa sui suoi genitali. Non devi camminarci sopra con forza, solo fare in modo che sentano la scarpa, il tacco sul pene. Dopodiché, tolgo la scarpa e loro iniziano con la medesima routine con il mio piede, nudo o con la calza, con le dita dei piedi, e poi si masturbano venendo sul mio piede." Per più di nove secoli, le dita dei piedi arrotolate sono state un simbolo stilizzato della reazione erotica nell'arte giapponese. Apprendere questo fatto mi ha ricordato un mio amante che nel mezzo dell'orgasmo urlava: "Oh Dio, le dita dei piedi mi fanno male!" La sua era una reazione "normale", secondo Kinsey, che scriveva che durante il rapporto sessuale i muscoli delle dita e del piede possono reagire in questo modo. "L'idea comunemente accettata del quasi-feticismo culturale", argomenta la Steel, "implica la fusione delle distinzioni tra perversioni individuali (come il feticismo del piede e della scarpa) e l'interesse erotico per i piedi e le scarpe. Così, molti storici della moda sostengono che la gonne lunghe del diciannovesimo secolo contribuirono allo sviluppo di un'ossessione culturale per
i piedi femminili, dato che l'occultamento investiva teoricamente queste appendici di un maggiore fascino erotico. Questi storici poi saltano alla conclusione che ciò era responsabile dell'incidenza significativamente più elevata del feticismo del piede e della scarpa rispetto ai periodi precedenti o successivi - un'ipotesi che le prove a nostra disposizione non supportano in modo necessario."(25). In Primo amore di Turgenev, un ragazzo adolescente s'innamora di una giovane donna che lavora nella proprietà di suo padre: "Io la guardavo... Mi pareva di conoscerla da tanto tempo e che prima di allora non avessi saputo nulla... e neppure avessi vissuto... Indossava un abitino scuro, non più nuovo, con un grembiulino; mi pareva che avrei accarezzato con gioia ogni piega di quel vestito e di quel grembiulino e che mi sarei inginocchiato con devozione davanti alle sue scarpine, che spuntavano appena di sotto alla gonna" (26). Non c'è niente come ciò che è proibito che ecciti la fantasia; proibisci ad un bambino di toccarsi i genitali, e questo atto si caricherà di emozione a tal punto che l'idea di infrangere le regole, di sfidare la madre che tutto può, diventa una fantasia erotica. La storia dei nostri sogni erotici risale all'infanzia, le sue radici impigliate nelle proibizioni, nell'allontanamento delle dita, nelle promesse dell'inferno e della dannazione. Tutto ciò è irresistibile. Con il ritorno ansioso delle donne ai loro tacchi a spillo da nove centimetri, la boutique del sesso Eve's Garden ha aggiunto a gran richiesta un nuovo pene artificiale, più grande, alla sua linea. Gli uomini, con o senza interventi di aumento delle dimensioni del pene, saranno all'altezza? Ci prendiamo i loro lavori, ci soddisfiamo sessualmente con imitazioni in plastica del loro pene, e indossiamo i loro abiti. Man mano che ci appropriamo di tutto quanto è maschile, e la definizione di virilità appartenente al Sistema Patriarcale diventa sempre più confusa, gli uomini sprofondano nei nostri armadi. Il travestimento da parte di uomini eterosessuali è diventato un tema popolare dei film per il grande schermo; nella vita reale, attualmente esistono le riunioni annuali per i travestiti e le loro mogli. Per quanto riguarda la furibonda popolarità dei travestiti, uomini come RuPaul, che predilige abiti da donna bizzarramente femminili, sono diventati simboli molto amati. Non si può fare a meno di chiedersi fin dove si spingeranno gli uomini nella loro appropriazione delle apparenze femminili. Noi sottostimiamo l'inventiva nella storia degli uomini allo specchio. 8.3 - Il perizoma. Nel 1367, per esempio, quando Carlo V proibì agli uomini di continuare ad indossare le poulaines a forma di pene, le scarpe allungate, gli uomini fecero del perizoma una moda. "In altre parole", scrive Banner, "si potrebbe affermare che la sessualizzazione del piede venne trasferita al più ovvio organo sessuale"(27). Evoluzione. Il perizoma, già popolare nel mondo gay, può presto godere di un revival di più ampie dimensioni, dato il Batman Forever di Val Kilmer e le foto di moda di Calvin Klein, che vende presumibilmente biancheria intima. Chi può evitare quella protuberanza seducente, che invita l'occhio ad esplorare? Che immagine affascinante, un mondo in cui gli uomini camminavano con la forma del loro pene sottolineata con orgoglio, decorata, abbellita in modo tale che gli occhi delle donne - e degli altri uomini -ne fossero attratti, similmente a come non possiamo fare a meno di guardare le pellicce delle donne, i loro gioielli, i seni, le gonne di satin sculettanti, e i loro piedi su tacchi seducentemente alti. Come dev'essere stato all'inizio per gli uomini competere l'uno con l'altro per la bellezza del proprio perizoma? Era bello sentirsi al centro dell'attenzione? Non sempre gli uomini hanno potuto provare il piacere di sentire gli occhi altrui veramente concentrati sulla loro persona. Quando gli uomini potevano condividere con noi le luci della ribalta erano grazie a ciò meno voyeurs, meno abusivi nei confonti delle donne? L'unica versione moderna dell'uomo-col-perizoma che mi venga in mente è il cowboy con le sue protezioni di pelle per le gambe, e là, posto tra le sue cosce, "l'occhio del toro": il cavallo, il "canestro" rivestito di jeans, inevitabile e senza vergogna. Ricordi i Village People, il gruppo di gay che cantava negli anni Settanta e la loro passione per i chaps dei cowboy e i completi da marinaio? Ah, ricordo bene,
quando ero una ragazzina, quei pantaloni bianchi scampanati e aderenti in giro per tutta la città, visto che Charleston è un porto di mare. Con quale mancanza di esitazione i miei occhi di ragazza preadolescente erano attirati dal cavallo degli uomini cha camminavano verso di me lungo i marciapiedi tra il cinema e casa mia. Il mio caro amico Bob mi racconta di quando era in marina e la prima cosa che un ragazzo fece con i suoi nuovi pantaloni bianchi fu di farli aggiustare da un sarto, rendendoli così stretti sopra e sotto che il corpo si trasformò in un semaforo, non solo per il "canestro" ma anche per il sedere deliziosamente arrotondato. Essendo reduce dal campo di addestramento, il giovane marinaio era consapevole del fatto che il suo corpo non era mai stato così armonioso, la pancia così piatta, i muscoli così gonfi; le uniformi di alcuni marinai erano talmente aderenti che si rendeva necessario far cucire attorno alla vita delle piccole cerniere. Il perizoma ha il suo posto indimenticabile nella storia. Sicuramente, quando i creatori di moda maschile si guarderanno attorno alla ricerca di reinvenzioni perché la moda è una giostra - il perizoma, con la sua varietà di richiami decorativi, farà il suo ritorno; lo accoglierei con piacere, perché nella sua componente di esibizionismo erotico vedo un po' di tregua ai lamenti sul voyeurismo maschile delle vecchie femministe; lascia che l'uomo si rafforzi e competa per l'attenzione degli altri. Descrivendo la grandiosità e l'opulenza della vita di corte del Rinascimento, Ackerman scrive che l'abbigliamento "non nascondeva il corpo, ma aderiva strettamente nel posto giusto per accentuare il genere di appartenenza. Uno dei capi più curiosi, forse, fu il perizoma, indossato dagli uomini europei tra il quattordicesimo e il sedicesimo secolo. In qualche modo simile alla guaina che rivestiva il pene delle popolazioni tribali o ad un sospensorio, il suo scopo era quello di proteggere il pene, ma gli uomini ne esageravano la misura e la forma - talvolta decorandolo perfino con una testa tipo gargolla - per attirare l'attenzione sull'organo e farlo apparire costantemente grosso ed eretto"(28). "Mentre accadeva tutto questo", scrive la Hollander, "le donne si abbigliavano con graziosi vestiti informi, quando invece i loro uomini indossavano calzamaglie perfettamente aderenti e farsetti attillati... allacciati insieme attorno alla cintola per creare un indumento unico e liscio... Le calze separate venivano unite da una cucitura per dar vita alle calzamaglie e avvicinate molto strettamente per nascondere le mutande; e poiché le gambe mettevano a nudo ogni cosa, fu inventato e imbottito il perizoma."(29). Qualunque sia l'origine del perizoma, la sua capacità di domandare attenzione, di suscitare sensazioni erotiche, non può essere sminuita. Banner suggerisce che l'ispirazione per la sua creazione può essere venuta dalla necessità di proteggere il pene durante la battaglia. "Tuttavia, uno studioso ha recentemente sostenuto che il perizoma fu in realtà concepito per impedire che i tessuti costosi venissero macchiati dalla crema oleosa a base di mercurio che veniva applicata sul pene e usata come trattamento per la sifilide, diffusasi improvvisamente in forma epidemica nel 1490."(30). Tuttavia, Banner riconosce che "si trattava anche di un capo d'abbigliamento sessualizzato, perché attirava l'attenzione sull'organo sessuale maschile. Il curato conservatore dei Canterbury Tales tuonava contro le giubbe corte che lasciavano esposta la forma dei genitali. Nelle commedie del quattordicesimo secolo sui temi del mistero e del miracolo, i personaggi dei diavoli esibiscono spesso dei peni finti di grosse proporzioni". Gli uomini davano ai loro perizomi le forme e le linee più svariate, li dipingevano in modo creativo, tutto per meglio catturare gli sguardi. "Si poteva guardare un giovane uomo elisabettiano particolarmente alla moda e scoprirvi un perizoma rialzato, potentemente eretto, abbellito da una faccia di gargolla che guarda fisso", scrive Ackerman. "Sotto, da qualche parte, penzolava un membro di proporzioni normali. È quasi come essere spaventati dalla profonda e sonora voce del Mago di Oz, per scoprire poi un uomo di modeste dimensioni con un megafono nascosto sotto il costume da mago."(31). La Ackerman si burla degli uomini rei di ingannare attraverso i loro perizomi imbottiti? Ma cosa si nasconde dentro i nostri Wonderbra? Senza la nostra benedizione, gli uomini stanno ad ogni modo reclamando lo specchio. Quando alla fine del 1992 le pubblicità dell'intimo di Calvin Klein apparvero su cartelloni giganti, non si levò un soffio dai quartieri generali
femministi. "Indossando soltanto un paio di boxer in lycra che stringevano le sue cosce muscolose e rigonfiavano in modo provocatorio il cavallo, stava lì a farsi beffe di noi", scrive un giornalista uomo. "Un capo d'abbigliamento che abbiamo indebolito o tenuto completamente fuori dalla vista, ora è uscito dalla sua prigione di sartoria ed è emerso alla pubblica visione come l'oggetto di niente meno che un culto di massa, un atto collettivo di feticizzazione."(32). Gli slogan pubblicitari per "Il nuovo intimo da uomo" suonano molto simili alle reclamizzazioni del Wonderbra: i boxer corti ed esotici non solo vestono bene, proteggono, coprono e sostengono, ma "scolpiscono", "modellano", "sottolineano il contorno", "cesellano", "trasformano", "abbracciano", "accentuano" e arrivano addirittura a "baciare ogni tua curva". Mi rallegro in anticipo con gli uomini per la loro creativa esibizione sessuale che accompagna la crescita lenta ma certa del potere di guadagno delle donne, implicante il bisogno sempre meno incombente di un uomo che le mantenga. Forse il fatto che gli uomini ci batteranno sul tempo inciterà le donne ad abbandonare gli sciocchi dinieghi riguardo a come competono tra loro. Dato l'occultamento del nostro corpo a corpo, l'importanza dei premi di tipo economico e le negazioni fanciullesche cui ricorriamo per nascondere le nostre azioni, ci riduciamo a chiamare il comportamento con cui eliminiamo i nostri oppositori, maschi e femmine, in tutti i modi, evitando accuratamente il termine corrispondente alla realtà dei fatti: competizione. La nostra nuova indipendenza ci porterà oltre le regole contro il voyeurismo che ci hanno fatto abbassare gli occhi per secoli? Pensa: le donne voyeursl Sarebbe il primo passo verso la libertà, sia per le donne che per gli uomini. Non c'è gioia a sfilare se nessuno guarda. Note al Capitolo 8: 1. Andrea Dworkin, Pornography: Men Possessing Women, p. 55. 2. Greer, L'eunuco femmina. 3. Beverly Beyette, "Kinsey Institute's Reinisch Wants to Renew, Expand Sexual Studies; American Sex Habits Changed Since 1948 - But Not That Much", Los Angeles Times, 18 maggio 1986, p. 1. 4. Ernest Hemingway, Festa mobile. 5. "When camille Met Tim", p. 72. 6. Kevin Cook, "Is Bigger Better?", Vogue, aprile 1995, p. 266. 7. Neimark, "How Men Measure Up", p. 72. 8. "Have You Ever Measured Your Penis?", Glamour, gennaio 1995, p. 136. 9. Chip Brown, "Heel Boy! ", Esquire, novembre 1995, p. 107. 10. Bettelheim, Il mondo incantato, pp. 254-255. 11. Bettelheim, II mondo incantato, p. 258. 12. Brown, "Heel Boy! ", p. 103. 13. Banner, In Full Flower, p. 203. 14. Ibidem, p. 207. 15. Susan Forrest, "Da Booted", Newsday, 5 novembre 1993. 16. Carol Frey et al., " American Orthopaedic Foot and Ankle Society Women's Shoe Survey", Foot and Ankle, 1993, p. 79. 17. John Pierson, "Man Walked on the Moon, Why Can't Man Make a Woman's Dress Shoe That Doesn't Hurt?", Wall Street journal, 10 gennaio 1996, p. B1. 18. American Orthopaedic and Ankle Society, "Position Statement on Women's Shoewear and Foot Problems", 1991. 19. Sherry Magnus, "Feet Sex and Power... The Last Erogenous Zone", Vogue, aprile 1982, p. 384. 20. Valerie Steel, Fashion and Erotism, pp. 32-33. 21. Magnus, "Feet, Sex and Power", p. 384. 22. Ibidem, citando il dottor J. Matignon, "A propos d'un Pied de Chinoise", Archives d'Anthropologie Criminelle, 1898. 23. Havelock Ellis, Studies in the Psychology of Sex, p. 21. 24. Sigmund Freud, Tre saggi sulla sessualità. 25. Steel, Fashion and Eroticism, p. 30. 26. Ivan Turgenev, Primo amore, p. 368. 27. Banner, In Full Flower, p. 207. 28. Diane Ackerman, A Naturai History of Love, pp. 74-75. 29. Hollander, Sex andSuits, pp. 43-44.
30. Banner, In Full Flower, pp. 205, 207. 31. Ackerman, A Naturai History of Love, p. 248. 32. Daniel Harris, "The Current Crisis in Men's Lingerie: Notes on the Belated Commercialization of a Noncommercial Product", Salmagundi, autunno 1993, pp. 130, 131. CAPITOLO 9 - SUPERARE IL DOPPIO MODELLO D'INVECCHIAMENTO 9.1 - Adulterio: "lettera scarlatta" o Croce Rossa? Nel gennaio 1980, quando la mia casa s'incendiò, ogni cosa andò in fumo, compreso il mio precedente matrimonio. Ci sono voluti tutti questi anni, e in particolare la scrittura di questo libro, perché considerassi quell'incendio come la conclusione di un capitolo della mia vita maturato anni prima, un fatto che ero incapace di ammettere, come farebbe un figlio nella sua incapacità di riconoscere la riluttanza a lasciare la casa paterna. Il mio non era certo un matrimonio tipico, ma era il prodotto dell'epoca in cui sesso, economia, bellezza e femminismo formarono un'unica grande meteora che diffuse i semi sia del nuovo accordo tra i sessi attualmente oggetto di negoziazione, sia dell'evoluzione del nostro doppio modello d'invecchiamento. Negli anni di quel matrimonio scrissi i miei primi libri, e da quell'attività di scrittura scaturì anche l'inizio della conoscenza di sé. Ebbi la fortuna e il tempismo di affrontare i temi delle fantasie sessuali delle donne e del rapporto madre/figlia nel periodo più vitale del femminismo moderno. Allora, l'aria era impregnata di un senso inebriante di permesso di dire e pensare cose prima inammissibili. Molte di quelle porte si sono già richiuse, ma quella prima profonda sensazione di permesso degli anni Sessanta e Settanta eccitò la mia natura esibizionista, insieme all'intelletto assopito, messo a riposo durante l'adolescenza, quando le Regole della Brava Ragazza richiedevano silenzio e passività. Non ascoltare i maniaci delle proibizioni che vorrebbero farti credere che gli anni Settanta furono la causa di tutti i mali odierni; certo, ci furono degli eccessi, ma le esagerazioni furono inevitabili nella lotta contro le sabbie mobili morali del maccartismo e l'autolegittimazione prepotente sottesa al nostro coinvolgimento in Vietnam. Il femminismo di oggi può essere imprigionato nella giungla semantica, ma, negli anni Settanta, quella parola andava assolutamente a significare libertà per le donne di pensare, parlare, comportarsi, scrivere. Se non si era presenti non si può comprendere appieno l'effetto della sensazione di imparare a fidarsi delle proprie opinioni, ad usare la propria voce, e della presa di coscienza dell'esistenza di capitoli della lunga vita di una donna che aspettavano di essere vissuti. Scrivere sarebbe stata la mia salvezza, un passaggio attraverso le mura della memoria verso l'inconscio, dove avevo messo al riparo la parte migliore di me. Il permesso di pensare a me stessa come ad una persona che poteva assumere iniziative mi fece ricordare la ragazza che avevo seppellito con la comparsa dell'adolescenza, colei che osava pensare e fare ogni cosa. Le mode sessualmente esibizioniste degli anni Settanta avevano un significato, parlavano di identità, rappresentavano, da parte nostra, uno sforzo sperimentale di scoprire chi eravamo, sessualità inclusa. Oggi appaiono insensate perché si riducono a vacue imitazioni, ad uno stile senza contenuto. A quel tempo non eravamo Contenitori Vuoti. Avevamo dei progetti, avevamo un sogno, come disse Martin Luther King, e non lo cito con leggerezza, perché il sogno è sfumato. Tutto quel che ci rimane ora sono una serie di abiti futili e copiati, da cui dovremmo trarre qualche lezione. Ricorda quel che sostiene Anne Hollander: ciò che indossiamo ci dice dove stiamo andando ancor prima di essere consapevoli della destinazione. Gli uomini e le donne stanno fianco a fianco davanti allo specchio, si scambiano i vestiti e fanno i conti con il potere della bellezza alimentato da un'economia in mutamento; con il passare del tempo, tutti questi cambiamenti decideranno il nuovo significato da attribuire alla femminilità e alla mascolinità. Il mio senso di identità come donna iniziò a mutare quando divenni una scrittrice, ma, in realtà, prima dell'incendio, il cambiamento aveva investito solo il mio atteggiamento e il mio comportamento. Il livello più importante di cambiamento, quello inconscio, richiede tempo; talvolta, riceve un'accelerazione, come quando la propria casa va in fiamme.
Quando tutte le tracce materiali del mio passato furono trasformate in cenere, misi in discussione tutto, compreso il mio matrimonio. Non fu un fatto cognitivo; in seguito, alcuni mi dissero che pensavano fossi sull'orlo di una crisi nervosa. In realtà, con equilibrio, intuitivamente, stavo andando indietro nel tempo alla ricerca di me stessa. Quel matrimonio era il primo ostacolo, un nocciolo duro da rompere. Ho già detto che decisi di sposare il mio precedente marito perché non mi toglieva mai gli occhi di dosso, una cosa che avevo sempre desiderato, non avendola ottenuta da bambina. Per ironia della sorte, quando ci conoscemmo ero al massimo del successo in campo sessuale, con gli uomini che facevano la fila per ballare con me, mentre i sogni-al-suono-della-musicaromantica di tutta la mia vita si avveravano. Ma la vita gioca strani scherzi, e quando gli occhi concentrati su di me e sull'abito Pucci verde-acqua furono troppo numerosi, e le offerte d'amore capovolsero un destino fatto di rifiuti iniziato con la mia adolescenza, dall'inconscio affiorò tutta la grandiosità infantile, l'emozione di dimensioni mostruose della nursery che assurge al potere assoluto alla vigilia della pubertà. Ero terrorizzata all'idea che il telefono del mio appartamento non avrebbe mai smesso di squillare, che avrei avuto così tanti corteggiatori da volare troppo in alto, trasformandomi in una creatura grottesca, una Regina fuori controllo dello Yacht Club Regatta. Allora, quando tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di me, sarei stata incapace di gestire quell'adorazione, mi sarei macchiata il vestito, umiliandomi di fronte agli altri. E così, scappai da quello che avevo sempre desiderato. Sposai il mio primo marito, uno scrittore attraente, un intellettuale che aveva alle spalle un'infanzia senza amore, di solitudine, che nascondeva il suo bisogno di attenzioni dietro un modo di fare cinico. Lo sedussi, e mi presentai come una persona completamente indipendente, che non vincola il sesso che offre. Pensavo di sapere quali uomini volessero e potessero fare questo in modo brillante, tutte le insicurezze della gelosia ben nascoste. Non si trattava di una trama consciamente progettata, assomigliava piuttosto ai movimenti programmati di un pupazzo a molla. Non ero innamorata di lui quando ci sposammo, non nel modo infantile e passivo in cui l'avrei amato una volta che lo vidi come una mamma, o un papà. Proprio prima del nostro matrimonio, un istinto salutare da ultima trincea mi spinse a Roma, dove forse speravo che, tra le braccia sicure di amanti italiani - sicure perché non comportavano alcun rischio -, avrei potuto ripensare al mio matrimonio ed evitarlo. Ma lui mi scrisse ed in quella lettera c'era una riga che l'inconscio afferrò, baciò e impresse nel suo cuore: "Trascorrerò la mia vita a guardarti. Non a sorvegliarti". Dio mio che offerta! Per tutta la mia vita ero andata alla ricerca del raggio dorato che lega gli occhi della Madonna al Bambino, quel motivo della pittura pre-rinascimentale che gli psicologi dell'infanzia chiamarono "Lo Sguardo". È chiaro ora per quale motivo la promessa del mio ex-marito era irresistibile, collegata com'era al mio timore per la grandiosità? Il suo voto di trascorrere la sua vita a "guardarmi", non a "sorvegliarmi", aveva il calore e il potere nutritivo del latte materno. E lui non sarebbe mai andato alla ricerca di altre avventure. Non faceva per me un uomo dall'occhio vagabondo, un uomo come mio padre. Di mio marito sapevo di riempire tanto la sua vita quanto i suoi occhi. "La tua bellezza mi basta", diceva, parole che mettevano a dormire così tanti demoni, benché al momento mi limitassi a sorridere, tanto impenetrabili erano le mie difese. Le parole "Ti amo" impallidivano accanto alla promessa nascosta nella frase "La tua bellezza mi basta", che implicava che il suo sguardo non si sarebbe spinto oltre, che sarebbe stato cieco al fascino delle altre donne. Dopo il matrimonio, misi alla prova i suoi occhi, amoreggiai con altri uomini che mi corteggiavano, perché il bisogno di essere vista e desiderata era ancora vivo. Stranamente, vista la sicurezza che mi veniva offerta, la mia fame per lo Sguardo crebbe. Il suo occhio invece non andò mai alla ricerca di altro, e, con il tempo, lo interiorizzai, l'occhio genitoriale che ama tutto di noi, che mi permetteva di essere sensuale con altri uomini. Naturalmente rimasi con lui troppo a lungo. Stavo ricevendo tutto quello che avevo disperatamente desiderato e mi era sempre mancato nei primi anni di vita.
Scivolai nella promessa della sua fedeltà con la stessa fiducia con cui un bambino si accuccia tra le braccia della mamma. Le mie amiche erano invidiose e lo corteggiavano, ma inutilmente. Mi alimentavo al suo Sguardo; fortificata, sedevo e scrivevo. Mi trattava come la sua piccola mogliettina ed io lo rimiravo come il grande intellettuale che si prendeva cura anche di me, non da un punto di vista finanziario, come un Buon Capofamiglia, ma come la madre adorante il cui sguardo non mi avrebbe mai abbandonato. Eccetto quando io mi sottraevo alla sua vista per andare con altri uomini dal fascino proibito che non avevano niente a che fare con un amore soffocante e materno. Divenni io il Buon Capofamiglia, un ruolo che mi piaceva e a cui ero abituata, dato che mi ero mantenuta da sola fin da quando avevo lasciato la casa di mia madre. Sicura nel raggio di adorazione del mio marito/genitore, ed eccitata dal sesso che trovavo fuori dal bozzolo, scrivevo. Quando arrivavano gli assegni dalle case editrici, li firmavo e li passavo a lui. Questa sistemazione era molto gratificante, e se alla fine non fossi maturata, oggi potrei trovarmi ancora lì. È poi così diverso dalla situazione predisposta dagli uomini nei matrimoni tradizionali, in cui provvedono al mantenimento di una brava moglie che è felice di lavorare a casa e che preferisce non sapere nulla delle sue infedeltà, vista la sua efficienza nell'assicurare il benessere famigliare, visto che la ama, cosa che lei desidera più del sesso? Non vado fiera dei miei adulteri, ma erano un prodotto di quel matrimonio; andavo a cercare sesso altrove perché tra noi non c'era nulla di erotico. C'era amore, attaccamento, intimità, certo, ma per un rapporto sessuale veramente soddisfacente erano necessari due individui; perché la scintilla sessuale potesse scoccare e prendere fuoco ci voleva la distanza eccitante della separazione. Io e lui eravamo chiusi in un'unità eccessivamente simbiotica, madre e figlio, mamma e papà, due piselli in un unico baccello. Una parte di me era incredibilmente felice di possedere ciò che avevo sempre desiderato, ma più mi teneva tra le braccia la sera mentre guardavamo la televisione, e meno lo vedevo come un candidato sessuale. Perché avrei dovuto desiderare di sporcare questa Casa delle Bambole, questo regno di beatitudine e d'infanzia, con del lurido sesso? Noi non siamo tolleranti verso l'adulterio femminile. Per "noi" intendo uomini e donne, anche se credo che nessuno disprezzi un'adultera più delle donne che hanno completamente rinunciato al sesso. Tuttavia, le statistiche sull'adulterio delle donne sono in salita, sospinte dal nostro nuovo ruolo economico. All'indipendenza finanziaria si accompagna un senso di legittimità; quando le donne dovevano agli uomini il tetto che avevano sopra la testa, ci pensavano due volte prima di commettere adulterio. La maggior parte di loro non l'ha neanche mai preso in considerazione, perché la loro fiamma sessuale si era spenta subito dopo il matrimonio, ancora di più dopo la maternità. La ripetizione della vita delle loro madri veniva spesso incentivata dal marito, che, di ritorno al castello dopo una dura giornata di lavoro nel mondo sporco e immorale degli affari, voleva trovare non una dea del sesso, bensì La Buona Madre. E così lei saliva sul piedistallo, una reinvenzione idealizzata della madre-Madonna. Se le donne chiudevano un occhio di fronte ai tradimenti del proprio marito, era perché l"altra donna" offriva qualcosa di cui una moglie non poteva più godere. Le mogli che "permettevano" ai propri mariti di soddisfare i loro appetiti sessuali altrove, spesso ottenevano per sé un amore anche più grande da parte dei loro uomini; questi matrimoni non solo duravano, ma prosperavano secondo la legge del doppio modello. Per quanto nel mio matrimonio i ruoli fossero rovesciati, tuttavia volevo che il mondo percepisse mio marito come il grande e potente pater familias. "Perché non ti godi di più il tuo successo?" mi chiedevano gli amici degli anni che avevo trascorso da single. Ma se io non mi fossi mostrata esitante, se non gli avessi consentito di pavoneggiarsi nel suo senso di grandezza, il raggio dorato irradiato su di me si sarebbe indebolito. Volevo che fosse potente quanto la madre realmente materna che non avevo mai avuto. Il fatto che lui, a sua volta, "permettesse" le mie escursioni sessuali e non mi desse mai motivo di credere che ne fosse a conoscenza, lo rendeva una presenza ancora più essenziale.
Il fatto che fossi il Buon Capofamiglia della situazione aveva un ruolo estremamente importante nei miei comportamenti adulteri. Non ci pensavo consciamente, ma sicuramente sapevo, come ogni uomo che tradisce la propria moglie sa, che se fosse successo il peggio e fossi stata scoperta, non sarei morta di fame. Nondimeno, sceglievo i miei amanti con molta attenzione. Quando tornavo a casa e trovavo mio marito ad aspettarmi, sorridente, affettuoso, lo adoravo ancora di più. Qualche volta non mi accoglieva in modo adorante, ma lo trovavo rinchiuso nella sua stanza a bere. Era un forte bevitore quando lo conobbi, ma cosa potevamo saperne, io e chiunque altro, a quei tempi dell'alcolismo? Allora sembrava che bevessero tutti quanti. Presumevo che potesse smettere in qualunque momento lo decidesse. Poiché mi amava, avrebbe smesso. Ma non lo fece. Avevo bisogno dell'illusione che ogni cosa fosse perfetta nel nostro matrimonio. Lui era mio marito e mia madre allo stesso tempo; mi sembrava di non potere letteralmente vivere senza di lui. Quando si ritirava nella sua stanza a bere da solo, scoppiavo in pianti inconsolabili. Infine, smise effettivamente di bere, ma anche allora, spesso si chiudeva nella sua stanza per diversi giorni di seguito. Tuttavia, io pagavo l'affitto e, ebbene sì, giocavo a fare l'adultera. Ficcavo nella sua mano i proventi dei miei diritti d'autore. Per favore, fai il Grande Banchiere, diceva il mio gesto, perché io sono troppo piccola e ingenua per maneggiare del denaro. Quando alla fine divenni l'unica fonte di reddito, la mia figura all'interno del nostro matrimonio rimpicciolì a vista d'occhio, mentre elevai la sua a proporzioni proustiane, considerandolo il creatore di "vera" letteratura, mentre io scarabocchiavo quelli che lui chiamava "i libretti che ci danno da vivere". Forse ora comprendi perché provo un sentimento di macabra gratitudine per quell'incendio che distrusse ogni cosa. "Quando si subisce un incendio come il tuo", mi disse un amico psichiatra, "si perde spesso la memoria." Io riguadagnai la mia. Ebbi bisogno di quell'apocalisse che fece piazza pulita del passato, di ogni sua traccia, per poter ricominciare. "Ora basta giocare a fare la bambina!" mi sussurravano le ceneri che nuotavano nelle pozzanghere d'acqua lasciate dai pompieri. "Mettiti al lavoro, donna, fai ordine nella tua vita!" Ora, mentre siedo qui, con un matrimonio così diverso dal primo, temo che tutto ciò avrebbe potuto non accadere mai in assenza di quel bisogno materiale di ricostruire. Dopo l'incendio, ci trasferimmo in un albergo e mi assunsi il compito di fare pulizia, della rimozione dei mobili carbonizzati, del servizio di porcellana donatomi da mia madre per le nozze, di centinaia di libri, di vecchi manoscritti, e dei dipinti di mia nonna. Impresari edili, architetti e assicuratori riempivano le mie giornate insieme al mio editor, con cui stavo programmando un giro promozionale per il mio nuovo libro. Una mattina mi alzai dal letto e caddi a terra; era il mio orecchio interno, il mio centro dell'equilibrio. "Cerca di non essere emotiva", disse il medico. Molto poco emotivamente, fissai una cifra molto alta per il mio prossimo libro; avevamo bisogno di quel denaro. Ma più di ogni altra cosa, una parte di me sperava che l'editore non accettasse la mia proposta. Ero molto stanca. E invece accettarono la cifra, il che mi creò una certa confusione. Nei momenti migliori, la prospettiva di scrivere un libro sull'invidia e sulla gelosia mi avrebbe entusiasmato, ma, allo stesso tempo, terrorizzato. E quelli non erano certo i tempi migliori. Ingranai la marcia più alta come un veterano, infiammata dal riemergere del talento alla sopravvivenza che avevo posseduto un tempo, molto prima di avere fatto di me la caricatura di una moglie bambina che trafuga un po' di piacere sessuale nelle braccia di uomini proibiti. Una volta, prima dell'adolescenza, ero stata la ragazza più coraggiosa e più indipendente della città. Ora avevo bisogno di quegli strumenti, un arsenale di ottimismo, l'equipaggiamento emotivo per sopravvivere. Gli scienziati dicono che siamo dotati di due sistemi di memoria, uno per l'informazione comune e l'altro per l'informazione di carattere emotivo. Forse il sistema mnemonico emozionale si è sviluppato per il suo valore nella lotta per la sopravvivenza, per fare in modo che gli animali si ricordassero degli eventi e delle circostanze più minacciose per la loro vita. Il mio era certamente un caso del tipo "o combattere o morire". Ora che il fuoco aveva inghiottito ogni cosa e la credenza era vuota, chiamai in soccorso quella ragazzina. Avviai il tour promozionale del libro che avevo
appena pubblicato, iniziai il mio nuovo libro, supervisionai la ricostruzione della mia casa, firmai un contratto di due anni con la NBC e chiesi a mio marito di andare a vivere a Key West, lontano da me. Susan Cheever ha scritto che quando le donne lavorano fuori casa, uno dei problemi cui possono andare incontro i loro uomini è che quando "esse operano in una situazione razionale dal punto di vista professionale... questo può portarle a mettere in discussione una situazione irrazionale che va avanti tra le mura domestiche"(1). In un certo senso, non fu colpa sua; lui era ancora la stessa persona. Ero io quella che era cambiata. Non mi diedi pena di nascondere la mia successiva storia amorosa. Forse mi aspettavo che, presto o tardi, mio marito avrebbe reagito. L'uomo che divenne il mio amante era una persona che osservavo con ammirazione da mesi, la cui bellezza e serietà nel lavoro aveva colpito la mia fantasia dal giorno in cui aveva cominciato i lavori di costruzione del mio nuovo appartamento. Un carpentiere, sì, il top per molte donne nella lista degli amanti immaginari preferiti. Un fatto non previsto, inatteso tanto per me quanto per lui. Semplicemente accadde, come spesso avveniva in quegli anni per le avventure sessuali. È probabile che mi stessi comportando come un uomo che, sentendosi legittimato dall'ottimo lavoro appena compiuto, si volta e vede una bella donna. Appena di ritorno da una settimana di promozione del libro da una parte all'altra del paese, stavo parlando con l'architetto, che dovette allontanarsi dalla stanza per fare una telefonata. Alzai lo sguardo e lui era là, il mio muratore, così bello, così serio. Attraversai la stanza, gli misi le braccia intorno alla vita, e lo baciai. Fu un momento di gratitudine, di ammirazione e, sì, provai anche la sensazione di averne il diritto. Mi accompagnò nei week-end per il resto del tour promozionale. Durante i nostri voli a San Francisco, a Chicago e a Los Angeles, osservando il piacere negli occhi del mio amante, pensavo: questo è quello che provano gli uomini quando fanno fare un viaggio meraviglioso ad una donna, quando hanno il potere di farle un regalo e di condividere la loro ricchezza. È così che ci si sente a dare piacere. Una domenica andammo a Cape Cod e ci stendemmo sulla spiaggia ad ascoltare la musica romantica dell'estate del 1980. Lo ricordo più di ogni altra cosa, perché infuse quella storia di tutto il romanticismo delle mie estati adolescenziali. Ma c'era una differenza sostanziale: questa volta ero io quella della prima mossa, e, invece di venire trascinata inconsapevolmente in un romanzo sessuale, ricambiavo in parti uguali il piacere che ricevevo. Tuttavia, era una situazione precaria, perché lui era più giovane di me, e la sua giovinezza, insieme alla musica romantica, mi riportava indietro al mondo fantastico dell'adolescenza di cui dovevo liberarmi, memore del fatto che pagavo i suoi salari, dei suoi possibili sentimenti d'invidia, e del fatto che spettava a me assicurarmi che saremmo usciti indenni da questo idillio. Fino a quell'incendio, fino all'ingresso di quel muratore nella mia vita, non l'avevo creduto possibile, portare nell'adolescenza sia l'amore romantico che il brivido dell'iniziativa. Avrei potuto chiedere a Malcom di ballare con me. Durante quell'estate, fui come un fantasma che ritorna sul luogo della propria morte, l'adolescenza. Non avevo scelto quel muratore per la sua giovinezza, ma per quella combinazione unica di bellezza, dolcezza e una devozione quasi astratta al lavoro. La ricchezza e il potere non mi avevano mai influenzato, né mai lo faranno. Noi donne economicamente indipendenti non abbiamo bisogno di un vecchio, canuto miliardario. Se dovevo proprio rischiare di essere rifiutata, sarebbe stato per qualcuno che desideravo, il cui aspetto fisico ben si accompagnava alla musica. Inoltre, avevo sentito i suoi occhi su di me e sapevo che non ci sarebbe stato alcun rifiuto. La vita mi aveva insegnato che le donne hanno dei poteri alternativi alla bellezza di gioventù, che abbiamo più da offrire del nostro utero, e che la nostra apparenza dura più a lungo di quella della generazione delle nostre madri. L'idea del monopolio della giovinezza sulla bellezza ci era stata inculcata da una società che voleva tenere le donne "al loro posto", ovvero tenere confinato il loro valore agli anni della riproduzione, posti tra adolescenza e menopausa. Ebbene, il "nostro posto" stava cambiando; stavamo andando dappertutto, facendo ogni cosa, e la nostra bravura stava trasformando
il nostro modo di vedere noi stesse e il modo in cui gli altri ci vedevano. Sapevo che quando un uomo guarda una donna di successo, soddisfatta, può accorgersi della sua età, ma sente anche la sua energia - la vita - e ne vuole un po' anche per sé, proprio come un tempo le donne volevano il potere economico che gli uomini offrivano loro. Se solo le donne credessero nella portata del fascino emanato dal loro aspetto fisico e dalle loro conquiste professionali, come fanno molti uomini! Gli uomini giovani, cresciuti nell'era del femminismo, sono particolarmente vulnerabili allo spettacolo maestoso di una donna che suscita ammirazione grazie alla sua personalità completa, ossia alla sua professionalità e alla sua sessualità. Siamo noi donne che, più di ogni altro, protraiamo questa visione di noi stesse "in declino". Possiamo non essere facoltose come i piccoli, calvi magnati della finanza, ma siamo sufficientemente ricche da emanare lo stesso fascino seducente, a patto di essere disposte ad esibire il nostro potere come fanno loro. Alla fine, io e il muratore ci separammo, ma non ho mai perso di vista le scoperte di quell'estate. Senza quella congiunzione astrale, se il fuoco non avesse scoperchiato la mia casa, con la mia vita professionale che improvvisamente mi portò ad un livello economico di cui non avevo mai beneficiato prima, avrei potuto continuare a vivere come una bambina nella casa delle bambole, invece di costruire la dimora che si addice ad una donna adulta. Benché non stia raccontando una storia "edificante", nel senso che le brave ragazze non trovano motivazione nel denaro, posso assicurarti che il riconoscimento delle mie potenzialità economiche mi spinse oltre lo specchio che mi aveva riflessa come la sposa/bambina di un uomo senza il quale credevo di non poter vivere. Non sto facendo una storia esemplare della mia vita durante i sei anni intercorsi tra l'incendio e il divorzio dal mio ex-marito; tuttavia, terminai quel libro sulla gelosia, mi guadagnai da vivere e mantenni il mio ex-marito. Finito il libro, avviai la pratica di divorzio. Quel che mi fece soffrire fu l'animosità dei miei amici di un tempo, uomini e donne. Ero furiosa con me stessa per le mie reazioni da cattiva ragazza. Ma è a quella profondità che agiscono le Regole della Brava Ragazza. "Servendosi di parole, dell'acume non verbale, delle abilità di comunicazione e di negoziazione - e anche della liberazione del testosterone - le donne diventeranno probabilmente sempre più visibili nella moderna vita economica, a livello nazionale e internazionale", scriveva l'antropologa Helen Fisher (2). Aggiungerei che accelereremo il processo attraverso cui diventeremo "sempre più visibili" se riusciremo a celebrare la bellezza e il sesso nelle altre donne, così come le abilità professionali, nei periodi successivi della vita, come hanno sempre fatto gli uomini. L'invidia antica per il sesso e la bellezza nelle altre indurrà le donne ad esitare e a scegliere tra l'uno o l'altra, quando invece potrebbero averli entrambi, come avviene per gli uomini. Non intendo minimizzare il potere del doppio modello di invecchiamento. Ciò che vorrei sottolineare è che quest'idea comincia nel mondo femminile, nel momento in cui vediamo in atto un processo di deterioramento, ovvero di perdita di valore, prima ancora che sia incominciato. Scorgiamo rughe su una pelle che è ancora intatta e sottoponiamo all'attenzione altrui le nostre imperfezioni immaginarie. Siamo incurabilmente vendicative verso le nostre coetanee; Tre Bambine Non Possono Giocare Insieme davanti allo specchio dell'ufficio proprio come nella buca della sabbia. Insistere oggi sul fatto che gli uomini vogliono solo stare con, vivere con, e andare a letto con, le donne giovani, è come dire che gli uomini sono impermeabili al fascino dell'intelligenza, della sofisticatezza, del potere economico e, sì, della capacità di iniziativa sessuale di una donna che è consapevole di ciò che possiede. Il femminismo si è spinto troppo oltre per invitarci ad abbandonare il vecchio slogan per cui "Noi non saremo come gli uomini", e ad accettare il fatto che ci sono molti aspetti negli uomini che vale la pena di imitare. Insistere sul fatto che le donne debbono apprendere tutto da altre donne limita gli orizzonti delle nostre vite. Quando un numero sempre maggiore di bambine verrà cresciuto fin dalla culla tra le braccia di un uomo, assisteremo, da parte delle donne, all'imitazione di qualità maschili il cui fascino irresistibile le avrà rese degne di essere interiorizzate per affrontare il viaggio della vita.
9.2 - Diventare la ragazza che ci siamo lasciate alle spalle: all'inferno l'invidia delle altre donne! Le donne aspettano. L'orologio avanza, e noi possiamo quasi avvertire l'azione del tempo che ci distrugge. Alla fine, lo sguardo d'attesa colmo d'ansia, di paura, di rabbia, si trasforma in una maschera. Quando eravamo piccole osservavamo gli occhi che indugiavano affamati sulla bellezza, le mani che si allungavano per raggiungerla, gli inviti sussurrati al suo orecchio. Pensiamo che, agli occhi degli altri, il nostro sguardo di attesa tradisca il rifiuto; nessuno ci vuole. Se fossimo più belle, non dovremmo aspettare neppure noi. Io sono sempre puntuale, anzi no, sono sempre in anticipo, una vecchia abitudine che, ne sono certa, nasce dal timore di arrivare tardi, che gli altri non mi aspetterebbero, che se ne andrebbero senza di me. Anche adesso, mi preparo ad uscire prima di mio marito, e lo devo aspettare. Non cambia mai niente? La paura del tempo che passa e del nostro invecchiare inizia in un periodo in cui siamo ancora ridicolmente giovani; questo solo fatto dovrebbe suggerirci quanto sia irrazionale, quanto assomigliamo ancora alle nostre madri, che aspettavano e aspettavano fin quando, un giorno, il loro marito non rientrava più a casa; oppure vedevano una donna vecchia allo specchio e chiedevano "È questo tutto quel che rimane?" Questo ritratto di attesa è completamente anacronistico rispetto a tutto ciò che abbiamo portato a termine negli ultimi vent'anni. Quando volevamo un pari salario, dicevamo: "Gli uomini ottengono questa cifra, dunque io voglio lo stesso". Ancora non l'abbiamo ottenuta, ma abbiamo avuto più successo nell'impresa di conquistare benefici economici che in quella di mutare la tirannia della bellezza, del ticchettio dell'orologio. Che vantaggio c'è in un bel conto in banca se sentiamo che il nostro valore diminuisce con il passare degli anni? Quale piacere può darci la casa, la pelliccia, il viaggio in Europa che possiamo permetterci di pagare, se ci vediamo in quella casa, in quella pelliccia, durante quel viaggio, ad aspettare che qualcosa accada? Perché non ci spingiamo a dire: "Gli uomini sono guardati, voluti, desiderati fino al giorno in cui muoiono, perché non è così anche per noi?" e poi non cerchiamo la risposta con lo stesso vigore che abbiamo riservato ai traguardi raggiunti nel mondo del lavoro? La risposta è che siamo restie a sfidare il nostro mondo, ovvero le altre donne. Prendere l'iniziativa ci porterebbe più vicine al nostro obiettivo, ma agendo da sole faremmo un passo fuori dal Gruppo. Ci vorranno ancora tra le loro fila una volta che saremo riuscite a conquistare più di un amante, forti di una bellezza sensuale che si rifiuta di sfiorire e di un successo economico che supera quello delle altre? E la mamma, ci vorrà ancora? La forza più durevole delle femministe della vecchia guardia consiste nella loro abilità a scaricare sugli uomini la responsabilità di tutto ciò che di sbagliato c'è nella vita delle donne. Quando una donna, agendo per conto proprio, instilla nelle altre il dubbio che il serpente prosperi in seno all'universo femminile, si autocondanna all'emarginazione. "Una donna deve sorvegliarsi in continuazione. È quasi costantemente accompagnata dalla propria immagine di sé", scrive il critico d'arte John Berger. "Mentre attraversa una stanza o mentre piange sul letto di morte del padre, non può quasi mai evitare di vedersi camminare e piangere. Dalla primissima infanzia le è stato insegnato ed è stata convinta ad esaminarsi continuamente... E così, arriva a considerare l'esaminatrice e l'esaminata che convivono dentro di lei come i due elementi costituivi, e tuttavia distinti, della sua identità di donna... Come appare agli altri, e, in definitiva, come appare agli uomini, costituisce un elemento di cruciale importanza per quello che viene normalmente considerato il successo della sua vita. Il suo stesso senso di sé è soppiantato dal senso di essere apprezzata da un'altra persona"(3). Benché Berger abbia scritto queste parole quasi venticinque anni orsono, la loro descrizione del nostro modo di vederci percepite dagli altri è agghiacciante per la sua rilevanza nelle nostre vite attuali. È la frenesia consuma-energia di essere sempre costrette a sorvegliarci che divora le nostre vite, e tutte le cose che avremmo potuto fare con quell'energia, quella vita. Gli uomini non vivono con questa immagine costante di sé nell'atto di essere percepiti. Gli uomini non sono stati allevati per aspettare, ma, al contrario,
per prendere l'iniziativa. Quel trampolino di lancio che spinge all'azione anche il ragazzo più timido, lo costringe a concentrarsi su di un obiettivo più distante della preoccupazione di come gli altri lo vedano. Negli anni precedenti l'adolescenza, quando lasciava la macchina della madre per correre alla festa di compleanno, la mano materna non si allungava per dare un'ultima sistemata ai suoi vestiti, l'ultima pettinata ai suoi capelli; non è cresciuto con quella sensazione di non essere mai completo, mai abbastanza adeguato. E quando sopraggiungeva la danza dell'adolescenza, i ragazzi facevano a gara per conquistarsi la più bella per il ballo, per portarla fuori la sera prima che uno dei meno motivati potesse anche solo sceglierla. Ciò che le ragazze imparano durante quella danza coincide con quanto hanno già imparato nella nursery, che il primo sguardo, il primo biscotto, il primo sorriso e il primo abbraccio vanno alla più bella; le ragazze aspettano, i ragazzi danno il via. Prima dell'adolescenza, noi ragazze avevamo anche imparato a padroneggiare alcuni poteri nella sfera della creatività. Ma soltanto ai ragazzi era concesso di portare la leadership, la sveltezza, il senso dell'umorismo, l'iniziativa, nella danza sessuale che li metteva faccia a faccia con le ragazze. Dietro al privilegio maschile di dare inizio al contatto sessuale c'è tutta la piena approvazione e l'incoraggiamento dei propri compagni. Tutto ciò che ci apparteneva quando eravamo bambine, ora è incarnato dai maschi, e il dono che possiamo offrire in cambio della sua mossa d'inizio è la nostra bellezza. Possiamo desiderare un ragazzo che abbia lo spirito e la forza che un tempo erano nostre, ma dobbiamo osservare e aspettare mentre la bellezza della ragazza più carina attira a sé il ragazzo dei nostri sogni. Il volto che nasconde rabbia e impazienza inizia ad incidere queste emozioni nella nostra espressione giovanile. Nessuna meraviglia che questi siano i tratti che odiamo di più del nostro riflesso allo specchio e che desideriamo rimuovere con un intervento chirurgico. Gli uomini ti diranno che le donne si dimenticano del rituale del rifiuto. Dal luogo in cui, fin dall'adolescenza, abbiamo atteso composte l'arrivo del principe, quando è il tipo sbagliato a chiamare, siamo noi a sentirci rifiutate. Il tipo giusto può chiamare a sé un'altra ragazza, qualunque sia di suo gradimento, ma noi dobbiamo continuare ad aspettare. Dato l'annullamento del nostro coraggio e della nostra capacità di parola, siamo impazienti con gli uomini che si dimostrano impacciati nei loro inviti, che annaspano goffamente nelle loro avances sessuali. Noi saremmo state più brave; perché quando avevamo dieci, undici anni eravamo un'acqua cheta, il modello stesso di chi dà il via ad una relazione d'intimità. Quante risorse sprecate. Ci siamo trasformate nella Bella Addormentata proprio quando ci eravamo perfezionate nel ruolo del principe. Qui, adesso, giunte all'età della saggezza, è tempo di prendere in mano la nostra vita e di piegarla ai nostri desideri, di modellarla, di farne ciò che vogliamo. Abbiamo cosa, trenta, quaranta, sessant'anni? Qualunque sia la nostra età, è tempo di smettere di attendere che il telefono squilli, che un uomo chiami, che le cose accadano. Non abbiamo altro da perdere se non la paura. Non prendiamo forse in mano il telefono per una chiamata di lavoro? Ma quando invitiamo un uomo fuori a cena e lui ci respinge, questo rifiuto taglia la fibra stessa di cui è intessuto il nostro essere donna. Nel tentativo di afferrare più di quanto posseggono le altre ragazze, abbiamo infranto le Regole delle Donne. Nell'inseguirlo invece di aspettare, abbiamo mostrato la nostra carta sessuale. Ora il senso di vergogna che proviamo trae origine dall'immagine di noi stesse esaminate e poi scartate. Respinte dall'uomo al telefono, ci lasciamo cadere nella nostra poltrona manageriale, mortificate, rosse in volto, punite "Te l'avevamo detto", fanno in coro le sorveglianti. Detestiamo l'uomo, ma ancor più della sua perdita, quel che ci amareggia è il fallimento del nostro sforzo di agire invece di aspettare, di vivere al di là dei confini soffocanti del mondo delle donne. Riferendosi all'elemento catalizzatore che ci motivò venticinque anni fa, Gloria Steinem ha recentemente detto: "La sorellanza che avevamo in mente consisteva nell'esperienza condivisa... I temi condivisi divennero la fonte dell'intuizione politica"(4). A questo aggiungerei che i soli temi condivisi sono quelli consentiti dal femminismo moderno; era alquanto difficile quando eravamo più
giovani rimanere al passo con tutte le altre, non apparire troppo grandi o troppo ricche, in modo da evitare un'eventuale competizione. Ma quando una donna di mezza età sorveglia la propria quota di vita così da non suscitare invidie per il fatto di apparire più grande delle altre "sorelle", è come se nulla fosse cambiato dall'adolescenza in poi, quando i "temi condivisi" governavano le vite di tutte le ragazze. Le ricompense della Nuova Mezza Età la prima di questo genere per noi donne del ventunesimo secolo - si sono trasformate così in "un ancoraggio alla memoria". Siamo già state in questo posto. Siamo più ricche, non siamo mai state più in forma, ci sentiamo più sensuali e sicure di noi stesse, ma l'ancoraggio alla memoria ci ricorda che se sceglieremo di vivere la vita su un palcoscenico più grande di quello delle altre ragazze, ci ritroveremo senza amiche. Questo è esattamente quello che vorrei incoraggiarti a fare: vivere la vita su una scena grande quanto lo desideri, assumerti dei rischi, spalancare la porta ed entrare nel terzo atto della tua esistenza nel modo più ricco possibile, nella consapevolezza che la nostra paura non è altro che la minaccia della scomunica dal Gruppo della nostra adolescenza, la paura di perdere la madre proprio quando non potevamo vivere senza di lei. Non siamo più bisognose in quel modo estremo, quando l'alternativa era tra la vita e la morte; e, cosa più importante, là fuori ci sono molte donne pronte ad applaudirci. Il tema dell'"esperienza condivisa" ha un valore confortante in alcuni casi, ma quando è percepito come un'attrazione negativa che ci tiene impantanate nel minimo comune denominatore della conformità del mondo femminile, si riduce ad una corda legata attorno al nostro collo. Soltanto noi, pioniere di questo nuovo terzo atto della vita che abbiamo conquistato, possiamo cambiare il modo in cui è sempre stato percepito l'invecchiamento delle donne. Noi siamo il modello di un futuro nuovo per le donne più giovani. La bella ragazza di vent'anni, dalla coppa sul punto di traboccare, conosce perfettamente i sentimenti dell'invidia e della competizione, ma se vede donne che hanno il doppio della sua età, o anche più, che sono passate dalla bellezza della giovinezza a qualcos'altro, qualcosa di profondamente eccitante che giunge solo con l'età, allora vedrà la vita di una donna come un'avventura che si protrae oltre gli anni fertili; e così tutte le altre ragazze attorno a lei, che la invidieranno di meno. Per credere all'idea che la bellezza dell'essere donne non sia limitata né alla giovinezza né ai ruoli femminili tradizionali, sono necessari dei modelli che siano la prova vivente, che respirino. Non basta limitarsi a prometterlo nel vuoto, dobbiamo viverlo. Noi, le nuove persone di mezza età, costituiamo il mercato più importante e a maggiore incremento, una cultura fatta di uomini e di donne muniti di conto in banca, persone istruite che si aspettano di lavorare, divertirsi e fare sesso il più a lungo possibile. Secondo il giornale di oggi, "non solo gli americani stanno vivendo più a lungo, ma stanno sviluppando meno malattie croniche e invalidità... Il numero di disturbi che affliggono le persone sopra i 65 anni è sceso più dell'11% nell'ultimo decennio"(5). Questa fetta di popolazione non è mai esistita prima d'ora. Estrogeno sintetico, testosterone, incredibili creme di bellezza, macchine rivoluzionarie per il body-building, chirurgia estetica, niente di tutto questo scomparirà. In realtà, è un mercato destinato a fiorire e ad estendersi. Già ora si assiste ad un affievolimento dell'atteggiamento di condanna moralistica a proposito dell'"apparire belli", anche quando si tratti di chirurgia estetica, e domani sarà ancora meglio. Il tempo di un aspetto fisico bello e sano è arrivato, e non si tratta tanto dell'eterna giovinezza quanto di una vita più estesa. "Non c'è potere più grande al mondo dell'entusiasmo di una donna che ha superato la fase della menopausa", diceva Margaret Mead. Quando sempre più donne lo scopriranno, voglio pensare che rifiuteranno di sottoporsi passivamente alle critiche intolleranti delle altre donne. Scopriremo in noi stesse risorse che avevamo dimenticato di avere, talenti abbandonati da giovani solo per adattarci agli stereotipi. In un'intervista recente, Dominique Aury, la giornalista francese di ottantasei anni che scrisse Histoire d'O, riferiva di aver concepito il suo libro come una sorta di poesia d'amore dedicata ad un uomo che amava e che temeva di perdere. Aveva quasi cinquant'anni quando richiamò alla memoria le proprie fantasie
erotiche della prima adolescenza come fonte d'ispirazione per il personaggio di O. "Cosa potevo fare?" dice l'eminente giornalista, "non sapevo dipingere, non sapevo scrivere poesie. Che cosa potevo fare per scuoterlo?... Non ero giovane, non ero carina, era necessario scovare altre armi. Il lato fisico non era sufficiente. Le armi, ahimè, erano nella testa." Quando confidò le sue intenzioni al proprio amante, egli replicò: "Sono sicuro che non sei capace di fare una cosa del genere". "Tu pensi di no?" disse lei. "Beh, ci posso provare." Histoire d'O fu pubblicato per la prima volta nel 1954 e da allora non è mai stato fuori stampa. Ma quel che qui ci interessa maggiormente è il fatto che la Aury, una donna di mezza età, scoprì la magica facoltà di tenere legato a sé il proprio amante ritornando alle fantasie erotiche dell'adolescanza, "quelle lente meditazioni poco prima di addormentarsi... in cui l'amore più puro e più selvaggio approvava, o piuttosto richiedeva sempre, la resa più terribile, in cui le immagini infantili di catene e fruste aggiungevano alla coercizione i simboli della coercizione stessa"(6). Una delle benedizioni connesse all'appartenenza all'enorme ondata di donne che oltrepassano i cinquant'anni oggi, è rappresentata dal fatto che siamo più decise, assertive e sicure di noi stesse di ogni generazione di donne in menopausa che ci ha preceduto. E abbiamo anche più potere economico. Siamo più di 40 milioni, e questo numero di donne meglio istruite, più informate ed economicamente benestanti è in costante aumento. Cosa abbiamo lasciato là, sulle rive dell'adolescenza? Non avevamo la più pallida idea di ciò che ci avrebbe riservato la vita matura, e tuttavia possedevamo più strumenti di quanti ne avremmo mai avuti in futuro, e sono ancora là ad attenderci. Oggi, sia che si tratti di un amante da trattenere o di un lavoro particolare che sogniamo di realizzare se solo ne avessimo il coraggio, potremmo trovare le nostre risorse migliori proprio dove le abbiamo lasciate anni fa. "La persona appassionata, idealista, energica e giovane che esisteva prima dell'arrivo delle mestruazioni può ritornare se glielo permettiamo", ha scritto Germaine Greer in La seconda metà della vita, il suo libro sulla menopausa. "Possiamo elaborare strategie migliori per affrontare questa difficile transizione se pensiamo a quello che stiamo facendo non come a una negazione o a una posticipazione del cambiamento, ma come a un'accelerazione del cambiamento: il ritorno dell'io che si era prima di diventare uno strumento del destino sessuale e riproduttivo. Eravamo forti allora, sane e felici, finché l'adolescenza non ci ha mutato in qualcosa di più problematico e potremo essere sane, forti e felici di nuovo"(7). Finora la società ha gettato il suo vetriolo e il suo disprezzo sulle donne più anziane, sulla donna che vive sola, la vecchia zitella, la strega, su quella dalle mani macchiate e dai segni incisi sul labbro superiore. Tutto il rancore per il potere delle donne che risale al tempo della nursery ha trovato sinora un brutto ricettacolo nella figura della vecchia megera, che sapeva bene perché veniva individuata come bersaglio, avendo provato da giovane le stesse cose per le donne più vecchie. E così diventava una profezia che si autoavvera, non solo la punizione da parte degli uomini ma anche da parte nostra, noi che abbreviavamo le nostre vite non plaudendo a quelle donne che tentavano di arrivare più in alto, di raggiungere obiettivi più importanti. Oggi un'altra donna può avere successo nella propria professione ed essere bella allo stesso tempo; disabituate all'idea di prenderla come modello da imitare, cadiamo vittime del nostro solito modo autodistruttivo di gestire l'invidia; quando facciamo a gara per condividere la nostra velenosità con altre donne, telefonando, bisbigliando, cospirando, con il fine di abbatterla, distruggiamo qualcuno che stava conquistando la testa di ponte anche per noi. Guarda gli spettacoli popolari della televisione, in cui donne giovani, belle e in carriera si distruggono a vicenda. È un tema molto popolare, che affascina gli spettatori perché provano più consolazione che sdegno nei sorrisi e negli inganni cospiratori che finiscono per distruggere l'oggetto delle invidie; anche se dovrei aggiungere che oggi le spettatrici sono altrettanto contente se la donna invidiata, dall'inferno in cui è stata cacciata, si trasforma in una carogna. Anche questo dà una grande soddisfazione. I modelli di una sana competizione, ahimè, sono assai rari.
La triste verità è che le donne non riescono a dormire sonni tranquilli sapendo che le altre donne godono di benefici che a loro, le invidiose, non sono concessi. Così facendo, eliminiamo i nostri migliori modelli di ruolo, le eroine della nostra stessa età. Invece di approfittare delle loro storie eccitanti come stimolo per compiere dei passi in avanti, le puniamo, somministriamo loro il "trattamento", proprio come facevamo a scuola. Quando Marie Claire pubblicò un articolo su personaggi di successo come Barbra Streisand, Mary Matalin, Linda Bloodworth-Thomason e Leslie Abramson, il pezzo era intitolato "Le rompipalle: i segreti del successo di sei donne d'attacco". I redattori e i giornalisti apparivano incerti se ritrarre queste donne ricche, potenti e famose come delle eroine o come delle vittime della loro avidità rapace. Della Streisand si dice: "Che sia basata su qualche pregiudizio sessista, sulla gelosia o sulla verità, la sua reputazione è quella di una donna dominante ed egocentrica". Della Wachner, presidente del Warnaco Group (leggi Wonderbra), vengono citati i rimproveri indirizzati ai dirigenti maschi: "'Siete degli eunuchi!' gridava. 'Come fanno a sopportarvi le vostre mogli? Non avete niente tra le gambe!' ", e dopo: " 'Amerei davvero un bambino, non vorrei adottarne uno, potrei adottare un marito, e lui potrebbe avere un bambino'". Poi vengono citate le parole della Matalin: " 'Davvero non mi piacciono, nella vita lavorativa e nel tempo libero, le persone che non siano aggressive e volitive' ". Di Linda Bloodworth-Thomason, scrittrice e produttrice di Designing Women, si dice: "Sosteneva di essere sorpresa e deliziata dal fatto che si pensasse di lei che era una donna dura... 'Ne sono effettivamente eccitata'"(8). Non disponiamo di tante donne di successo come queste, tuttavia l'occasione di sminuirle fu irresistibile. La malignità sottesa alla delineazione di questi profili è palpabile. Chi vorrebbe emulare simili draghi? Certo, è senz'altro importante includere la loro reputazione di persone ruvide e arroganti, ma mettendola in prospettiva rispetto alla misura dei loro risultati. Per arrivare alla posizione in cui sono, hanno dovuto schivare pericoli peggiori di quelli rappresentati dai Grandi Uomini Cattivi, ossia, altre donne invidiose e rancorose. Le donne giovani necessitano di rispecchiarsi in donne vive, reali, con il cui successo possano identificarsi; ma questa opportunità viene prontamente cancellata. Mi fa male vedere le giornaliste che stroncano la Streisand, Jane Fonda, Hillary Rodham Clinton per quello che indossano o per la decisione di intervenire sul proprio corpo. Io dico: guardate al quadro complessivo, a tutto ciò che hanno saputo realizzare, invece di andare a scovare il brutto completo di Hillary nel giorno dell'inaugurazione, o la presunta boria della Streisand per aver osato parlare al Kennedy Center di Harvard, dove pontificano solo gli uomini importanti. Qualche sera fa hanno ridato lo speciale televisivo del 1994 su Barbra Streisand, e, per la prima volta, ho visto l'apertura della serata di Los Angeles, l'esaltazione straordinaria della folla, e, nel momento in cui salì sul palcoscenico per cantare "It Feels as If We Never Were Apart", l'elettricità che attraversò quel grande auditorium. Diversi anni fa, il suo manager, Marty Erlichman, raccontò degli esordi della Streisand a New York, quando non riusciva ad ottenere neanche un ingaggio, quando nessuno voleva "quella voce". Poiché era senza soldi e non aveva un posto in cui dormire, portava con sé una brandina pieghevole; a turno qualcuno le offriva uno studio vuoto o una sala prove in cui passare la notte. Sempre di più ho l'impressione che "non ci siamo mai separate" da quei giorni negli anni Sessanta quando la sentii per la prima volta, quando ancora "aspettavo che qualcosa accadesse". Trent'anni dopo, una rivista femminile la cita in qualità di "rompipalle", il che può anche essere vero, ma, Dio mio, e tutte le altre cose che la definiscono? una vita intera a portare le persone a tuonare di ammirazione per aver consegnato loro un talismano vivente sotto forma di una donna incredibile. Se le donne non tratteranno le proprie eroine come abbiamo fatto con i nostri eroi, emulandone i lati positivi, scartando quelli negativi, non potranno far rivivere dentro di sé il loro coraggio e le loro buone qualità. In questo modo, non disporremo mai dei modelli eroici femminili di cui abbiamo disperatamente bisogno. Invidiose e risentite, disprezziamo la persona
nel suo complesso, citando il suo lato oscuro come giustificazione, quando in realtà, quel che non possiamo sopportare è il suo enorme successo. Preferiamo invitare a pranzo la donna che è stata piantata dal proprio marito piuttosto che festeggiare colei che si destreggia tra una brillante carriera ed un'avventura sentimentale. Possiamo non desiderare una vita come la sua, ma il suo modo di vivere sfidando le convenzioni rappresenta un'offensiva più potente contro il Vecchio Ordine di quella condotta dalle Sorelle Matriarcali. Siamo sorprese allora dal fatto che siano poche le donne arrivate che si concedono di credere nelle proprie realizzazioni? Annusano l'invidia delle altre donne; temono di essere odiate per il loro successo, e così lo sminuiscono, proprio come facevano quando erano adolescenti. Continuano a lavorare sodo, ma non premiano se stesse per timore di suscitare invidie. In questo modo disponiamo di poche donne ammirevoli di mezza età da emulare, donne che abbiano saputo unire al successo nel lavoro che si sono scelte la bellezza ed una vibrante sensualità. Gli uomini non possono impedirci di beneficiare dei privilegi che ci siamo guadagnate. Soltanto il potere che le altre donne esercitano su di noi può funzionare da deterrente rispetto alla tentazione di ingrandirci oltre i loro limiti. Uno dei privilegi di invecchiare è l'acquisizione della libertà di dire e fare ciò che vogliamo, di apparire esattamente come desideriamo. Diciamo che il Patriarcato limitava le nostre vite, che una volta sfiorita la bellezza di gioventù, gli Uomini Cattivi ci riducevano ad un mucchio di cenere. Ma non si può fare ricadere la colpa sugli uomini se, ancora oggi, sono così numerose le donne realizzate che sostengono di sentirsi invisibili. Ci guardiamo nei nostri abiti eleganti, sedute alla scrivania dell'ufficio, con la gente che rispetta i nostri risultati professionali, e pensiamo di essere indipendenti. Perché allora avvizziamo quando sentiamo su di noi gli occhi critici delle altre donne, quando le loro labbra maligne cospirano per eliminarci, o così temiamo? Perché non ce ne liberiamo, non torniamo al nostro lavoro e non ridiamo della loro invidia? È esattamente quello che faremmo se fossimo emotivamente indipendenti. Può sembrare umiliante per una donna di cinquantanni sentirsi dire che è ancora troppo legata alla mamma/alle altre donne secondo un modello che avremmo dovuto superare nei primi anni di vita. Ma la grande maggioranza di noi non l'ha mai fatto. Ci esercitiamo al difficile compito della separazione per tutta la vita; teoricamente è un processo che dovrebbe compiersi nei primi anni d'infanzia, ma se in quegli anni quell'opportunità è andata perduta, e così è stato anche durante l'adolescenza, o quando, da sposate, abbiamo formato un'unione simbiotica con nostro marito, non è ancora troppo tardi. Se non lo facciamo ora, qualunque sia la nostra età, la censura delle altre donne verso i nostri tentativi di essere ancora belle e sensuali minerà il nostro piacere per qualsiasi tipo di successo riusciremo a raggiungere. Dopo i quarantanni, sia che decidiamo di inseguire L'Occhio Affamato "là fuori", sia che scegliamo le ricompense legate all'invisibilità, disponiamo di un dono di cui i nostri nonni non poterono beneficiare. Nel 1995, gli americani sopra i cinquant'anni rappresentavano quasi un quarto della popolazione, e nel 2000 supereranno i 75 milioni; molte donne vivranno fino ad ottant'anni, rispetto alla media di quarantasette anni di vita del secolo scorso (9). Anche solo dal punto di vista numerico, avremo inventato questa Nuova Mezza Età, e date le nostre risorse in termini di energia e di indipendenza, avremo l'opportunità di ricatturare qualunque aspetto della nostra personalità cui abbiamo rinunciato per soddisfare lo stereotipo adolescenziale. Superata una certa età, si ha meno da perdere. I nostri figli sono ormai adulti, e noi non dobbiamo più recitare la parte della Buona Madre; possiamo essere cattive, ovvero sensuali, ovvero ridere di gusto, indossare qualunque cosa ci piaccia. Perché sottoporci alle diete, fare ginnastica tre volte alla settimana e poi non esibire il proprio corpo? Sono le altre donne che vedono la strega che tutte temono di diventare, lo spettacolo sopra le righe che temiamo di aver dato la sera prima quando ci siamo divertite un mondo, anche se questa mattina temiamo di avere bevuto troppo, di aver ballato troppo a lungo, e di esserci rese ridicole. Forse eravamo troppo affascinanti e provocanti, il reato per cui le streghe venivano condannate al
rogo. Quando le donne si spingono troppo oltre e sono sessualmente intriganti, le scacciamo dal club, che è un modo per mandarle al rogo. "Le donne venivano bruciate come streghe per la semplice ragione che erano belle" (10), ha scritto De Beauvoir, e, in qualche modo, capiamo bene a cosa si riferisca, poiché abbiamo "bruciato" un po' di nostre amiche in passato e abbiamo posto dei limiti alla nostra vita sessuale per paura di essere bruciate a nostra volta. Non dimentichiamo mai gli uomini con cui non siamo andate a letto, quelli che desideravamo più di ogni altro, ma da cui siamo fuggite per paura... di cosa? Paura della censura da parte della madre/delle altre donne; con fare compiacente, restringiamo i confini della nostra vita perché esse ci amino ancora. L'industria cosmetica guadagna miliardi di dollari sulla paura delle donne che non si sono mai separate dalla propria madre di diventare la Madre Cattiva dell'infanzia. Soprattutto nei giorni più tardi della vita, quando la madre è vecchia o è morta, c'è il desiderio inconscio di tenerla viva dentro di sé, di tenere viva soprattutto la Strega, la mamma bisbetica, contraria al sesso, che odiamo, un odio che ci divora per il senso di colpa che suscita. Quando ci svegliamo la mattina dopo un sogno in cui lei cavalcava un manico di scopa, barcolliamo fino allo specchio per vedere quale opera di devastazione si sia compiuta sul nostro viso durante il sonno. La crema che mettiamo religiosamente sul viso ogni sera prima di coricarci un tempo veniva chiamata Crema Evanescente; diciamo di metterla per prevenire le rughe, ma il nostro inconscio sa che l'applichiamo in una sorta di magico rituale contro gli incubi della Gigantessa che stiamo diventando. Tu ed io stiamo invecchiando meglio delle nostre madri, e il motivo non risiede nel miglioramento della qualità delle creme; siamo più belle per un periodo più lungo perché il genere di vita che conduciamo è riuscito a persuaderci interiormente della nostra indipendenza. È anche possibile abbandonare lo specchio - "Grazie a Dio, è finita, ora posso rilassarmi e lasciare che i capelli diventino grigi!" - ma la felicità legata a questa decisione richiede da parte nostra una vita non tormentata dall'invidia per le amiche che ancora non hanno cessato di sfilare. Siamo abituate all'invidia per la bellezza tra le ventenni, mentre siamo la prima generazione che porta la bellezza nella mezza età. Fino a poco tempo fa, a meno che non si trattasse di una star del cinema o di una signora molto, molto ricca, vigeva un accordo implicito tra donne di "una certa età" in base al quale si considerava terminata la gara di bellezza. Un grande senso di virtù si legava all'indossare scarpe comode e alla rinuncia al trucco. Ed ora eccoci qui ad estendere la sfera della bellezza ad una nuova fase della vita senza avere più pratica nella gestione della competizione con le altre donne di quando eravamo adolescenti. L'età è un fatto inevitabile, ma con l'aumento della nostra longevità il momento della morte si fa via via più distante. Avremo molto tempo a nostra disposizione dopo la menopausa, anni che potrebbero essere i migliori della nostra vita se iniziassimo ad andare alla ricerca di donne esemplari da emulare. Getta via quel che non ti interessa. Sbarazzati dell'invidia che provi per queste donne che hanno più di te; le eroine sono fatte per avere di più. E osservati la prossima volta che vedrai una "donna vecchia" che indossa qualcosa che pensi non sia adatto alla sua età, incluso l'uomo che sta al suo fianco. Lei è il tuo futuro. Pensa a lei come ad una persona che sta trovando delle soluzioni in modo che tu possa godere di una situazione migliore quando avrai la sua stessa età. E infatti forse hai solo ventinove anni, ma sul tuo volto puoi già scorgere i segni dell'ansia simili a quelli della tua cara mamma, riconoscere il tono bisbetico della sua voce quando parli ai tuoi figli. Troppo spesso la vita si risolve in un'assimilazione delle caratteristiche che odiavamo in nostra madre, non di quelle che amavamo, il che sarebbe un facile tributo. "Le prove schiaccianti emerse da studi di ricerca e dalle mie stesse interviste indicano che, nel periodo centrale della vita, tanto le donne quanto gli uomini diventano sempre più se stessi", scrive Betty Friedan nel suo libro sull'invecchiamento, che apprezzo per la corrente di ottimismo che lo attraversa. Quando ho letto questa frase per la prima volta ho pensato: "Sì, dopo i miei quarantacinque anni sono divenuta estremamente consapevole di chi ero prima dell'adolescenza". "L'età stessa può essere... un'avventura?" domanda la Friedan. "Possiamo metterci a rischiare, come non siamo mai state capaci di
fare prima, nuove avventure, a vivere la nostra età... questa terza età in cui ora stiamo entrando, quella leggerezza piacevole e liberatoria può essere un segno importante - un segnale per la sopravvivenza, un segnale che indica evoluzione"(11). Questo mi piace: evoluzione. 9.3 - Vincere la paura del sesso C'è molta ironia nel fatto di aver ottenuto più potere economico prima ancora di aver vinto la nostra paura del sesso. Il fatto di non avere messo, vent'anni fa, il sesso in cima alla lista accanto alla parità economica, la dice lunga sul nostro timore di affrontare il potere femminile, il nostro e quello delle altre donne. Farlo avrebbe comportato mettere in discussione la nostra ambivalenza, la disputa interna. Così come avremmo dovuto mettere in discussione la nostra invidia per la bellezza sensuale delle altre, che suscita molto più rancore delle loro superiori conquiste in campo economico. Preferivamo subire passivamente il nostro destino di strega, di vegliarda dalla pelle scavata, dai capelli grigi e radi e dai denti ingialliti, di colei che nei giorni della nostra infanzia, quando ebbe inizio la paura del sesso, impersonificava il male. Fu tra le braccia della mamma che imparammo per la prima volta che le nostre parti sessuali erano in contrasto con il suo affetto; toccandoci, avevamo l'effetto di trasformare una madre bella e buona in una brutta arpia rabbiosa. Terrorizzati dalla prospettiva di perderla, dividemmo la mamma a metà, tenendo la Buona Mamma lontana dalla Madre Cattiva. Come afferma Bettelheim, dividere "non è soltanto un sistema per conservare una madre interiore dall'infinita bontà quando la vera madre non è infinitamente buona, ma permette anche di avercela con questa cattiva 'matrigna' senza rischiare di alienarsi le buone grazie della vera madre, che è vista come una persona diversa"(12). Spetta a noi, una volta adulti, fondere la buona e la cattiva madre, nella sua persona e al nostro interno, e, così facendo, vincere la paura del sesso. Il fatto di non riuscirvi così miseramente, che il femminismo si rifiuti ancora di affrontare i temi della sessualità, ci lascia scisse, la brava ragazza contro quella cattiva, un io diviso il cui esaurimento nel tentativo di tenere la cara mamma al sicuro dalla madre che odiamo è inciso nei segni che scavano il nostro volto. Nasciamo traendo piacere dal nostro corpo, un istinto cui rinunciamo solo quando viene contrapposto allo sguardo d'amore di colei che assicura la nostra sopravvivenza. La bellezza adolescenziale può anche trarre la sua rigogliosità dalla nostra nuova potenzialità riproduttiva, ma veniamo al mondo animate dall'energia sessuale, restando così fino all'ultimo giorno della nostra vita, se è questo che vogliamo. Quando eravamo piccole e vedevamo i disegni delle vecchie streghe delle favole dei Fratelli Grimm, vi riconoscevamo la Madre Cattiva che ci aveva punito. Osservandola, imparando da lei, capivamo che nulla metteva a rischio il suo amore per noi quanto il sesso; niente le piaceva meno del nostro corpo e del suo, delle parti sessuali. Quando giocavamo al dottore con nostro fratello, ci calavamo le mutandine e facevamo la pipì insieme agli amici sotto il portico, sapevamo che era male, il culmine del pericolo. Ma lo facevamo ugualmente, proprio come avremmo perseverato nell'adolescenza, rincorrendo le sensazioni sessuali proibite insieme ai ragazzi, pur conoscendo le conseguenze se la mamma ci avesse scoperto. Lo sguardo di disapprovazione materno è talmente interiorizzato che era come se i suoi occhi fossero lì con noi, in quelle auto parcheggiate, e, rose dal senso di colpa, ci aspettavamo quasi che fosse presente, in attesa di punirci una volta tornate a casa. Ma naturalmente lei non sapeva, e questo smorzava il nostro senso di colpa e ce la rendeva più cara che mai. Proprio come avevamo diviso la madre in buona e cattiva per preservarne l'amore, separiamo il nostro sesso cattivo dal resto di noi stesse: la brava ragazza è la bambina della mamma, quella cattiva il nostro inaccettabile io sessuale, la parte di noi stesse che Bettelheim dice che dobbiamo eroicamente salvare vincendo la nostra paura. Finché eravamo giovani, abbiamo delegato ai ragazzi la responsabilità del sesso osceno. In modo diabolico, conservando i nostri legami di bontà con la madre, rendevamo anche più eccitante il sesso proibito con gli uomini; andare contro le
regole materne ci prometteva una vita in cui, pur amando la cara mamma, saremmo state sicuramente più erotiche di lei. Se qualcuno ci avesse accusato di essere ancora delle bambine legate simbioticamente alla madre, avremmo altezzosamento offerto come prova della nostra identità di individui separati l'elenco delle nostre avventure sessuali e il nostro guardaroba sexy. Noi eravamo la nuova generazione, per nulla simili alla vecchia cara mamma asessuata. Noi non saremmo finite a quel modo. Eppure è stato così. Non c'è alcun test per l'autonomia individuale che comporti altrettanto timore di perdere l'affetto materno e, più in generale, delle altre donne, come quello di sconfiggere la paura del sesso. Ogni volta che ci tocchiamo, che andiamo a letto con un uomo, indossiamo un abito sexy che attira gli sguardi altrui, l'eccitamento che proviamo deriva dalla componente di sfida verso la madre/le donne. Il complesso edipico ancora irrisolto, la competizione sessuale con le Altre Ragazze mai affrontata e vinta, ci affrettiamo sempre a tornare tra le braccia delle altre donne, dove domina l'uniformità. Gli uomini sono eccitanti; il sesso con loro ci offre una visione unica di cosa sia la vera autonomia. Ma gli uomini non possono regalarci quell'unione simbiotica che avremmo dovuto superare ma per cui ancora smaniamo. Soltanto altre donne che come noi non si sono mai affrancate da quella simbiosi sanno di cosa abbiamo bisogno, avendone bisogno a loro volta, e cioè un seno su cui poggiare il capo. Il pene non è nulla al confronto del seno. Cresciamo aspettandoci che gli uomini cambino la nostra opinione sulla Fogna, che facciano di noi delle donne sessualmente attive -"Fammi avere un orgasmo!" e, sostanzialmente, che ci mettano sulla strada cui si riferisce Bettelheim, quella in cui superiamo la paura del sesso. Questo non è compito loro. Eppure, arriviamo ad odiare un uomo che fallisce in questo tentativo. Possiamo anche amarlo - siamo abituate all'ambivalenza - persino sposarlo, ma il rancore che gli portiamo per non essere in grado di accendere la nostra sensualità, insieme all'invidia per la sua mancanza di imbarazzo nell'atto sessuale, trova espressione nel momento in cui ci sottraiamo alle sue attenzioni erotiche; investiamo completamente la nostra identità nei figli, escludendolo. Oppure ci prendiamo un amante, scambiando questo atto per indipendenza sessuale. Ma se l'adulterio segue al desiderio di ricatturare il brivido del sesso adolescenziale, oggetto delle proibizioni materne, la nostra infedeltà non è tanto l'eroica conquista di cui parla Bettelheim, quanto il desiderio di sensazioni erotiche di una bambina, espresso nell'unico modo che fa del sesso un'esperienza eccitante: quando ci ricongiunge al dito puntato della mamma. Non avendo mai ucciso il drago, non avendo mai riempito di un fuoco individuale il sesso dei nostri giorni da single, il sesso da sposate si riduce ad una delle tante cose che l'uomo possiede, come la casa e l'automobile; cedere al "suo" sesso, al suo pene, diventa una cosa che noi facciamo, colme di risentimento, per lui, e non per noi stesse. Avendo fatto dei nostri mariti dei compagni di un rapporto simbiotico accogliente, non desideriamo più il sesso. Ci trasformiamo in una madre, prima lentamente, poi più velocemente, quando diventiamo madri a nostra volta. Molte donne che si batterono con forza vent'anni fa, quando si trovarono tra le braccia i loro minuscoli neonati, cambiarono idea: "Ora capisco perché mia madre si è comportata in quel modo!" E poiché hanno rinunciato alla loro stessa sessualità, allontanano le manine delle loro figlie che indugiano in mezzo alle gambe, gettando così il seme di un doppio modello d'invecchiamento per un'altra generazione. Impadronirci della nostra sessualità, gioirne, sembra proibito perché temiamo che andare contro la mamma comporti che lei, ad un certo punto, si alzerà e ci castigherà; cos'altro ci può essere di altrettanto potente da frapporsi tra una donna indipendente e la sua soddisfazione erotica? Detto in altro modo, la condanna materna del sesso è il motore che alimenta le nostre fantasie. Questi sono gli anni migliori della mia vita da quando ho scritto Mia madre, me stessa, che fu pubblicato all'acme dell'entusiasmo femminista, prima che il sesso tornasse ad essere una parola sporca. 9.4 - Strega buona/strega cattiva Quando nell'adolescenza ci viene insegnato scorrettamente che solo da quel momento incomincia la nostra vita sessuale, siamo indotte a presumere che,
quando cessano le mestruazioni, non abbiamo più una vita sessuale. La possibilità di portare in grembo un bambino durante l'adolescenza è soltanto questo, uno stadio nell'evoluzione della sessualità femminile che comincia con la nascita. La menopausa segna la fine dell'età fertile, non la morte del sesso. Ci sono stati periodi della storia in cui si pensava che le donne in menopausa fossero all'apice della loro sessualità. La donna più vecchia come iniziatrice sessuale era un tema molto popolare nella letteratura e nella poesia dei secoli precedenti. Dal The Art of Courtly Love del dodicesimo secolo traiamo questa nozione: "Riguardo all'istinto naturale della passione, i giovani uomini sono solitamente più ansiosi di soddisfarlo con donne più vecchie piuttosto che con donne più giovani, della loro stessa età"(13). Nel suo In Full Flower: Aging Women, Power, and Sexuality, Lois Banner cita un'autobiografia del sedicesimo secolo: "Colui che corteggia una vedova non deve portare anguille 'veloci' nel suo perizoma, ma dare qualche riprova di essere sodo prima"(14). Mi piace l'immagine della donna matura, che non ha mai dimenticato (le donne non dimenticano mai) in cosa era stato carente il suo primo amante e può così insegnare quella lenta costruzione della passione orgasmica, avendo immaginato e ripercorso le immagini delle seduzioni passate e future più di ogni altro uomo. Durante il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, continua Banner, gli appetiti sessuali delle donne più vecchie erano visti come particolarmente pruriginosi: "Anche la presunta bruttezza connessa all'invecchiamento possedeva una sua qualità erotica, la qualità di essere oltre l'ordinario... di indicare nuovi regni del vizio"(15). I nostri appetiti sessuali non vanno persi con l'età; è l'immagine di noi stesse come persone sensuali che abbandoniamo diligentemente per adeguarci allo stereotipo anacronistico del Patriarcato, che irreggimentava il sesso delle donne in modo funzionale alla struttura del potere economico; tutto, all'interno di quella struttura, era progettato per sostenere il ruolo di potere maschile nell'arena economica e per restringere il prodigioso potere sessuale delle donne alla sfera riproduttiva. Noi non viviamo più secondo quelle leggi. Nonostante quelli che vorrebbero conservare alcune rigidità del sistema patriarcale, vedendo continuità e sicurezza nel ritorno "ai bei vecchi tempi", di quale vantaggio può tornarci la nostra nuova posizione economica se non riesce a procurarci i privilegi dell'invecchiamento di cui hanno sempre goduto gli uomini? "Gran parte degli uomini e ancor più le donne - quelle giovani che si sentono in pericolo censurano le anziane con scherno, con crudeltà, quando mostrano sconvenienti sintomi di tipo sessuale"(16), scrive Doris Lessing nel romanzo che vede come eroina una donna di sessantacinque anni che è "innamorata al limite della follia" di un uomo che ha la metà dei suoi anni. La stessa Lessing è stata un'eroina del femminismo per decenni; ancora una volta ha colto perfettamente nel segno. In uno stupefacente esempio di realtà che imita l'arte, appare sul New York Times, proprio mentre sto scrivendo queste pagine, la recensione del libro della Lessing ad opera di Michiko Kakufani. "La storia che la signora Lessing ha scelto di raccontare in 'Love, Again' è inverosimile, involontariamente comica e resa in modo goffo", scrive la Kakutani. "La signora Lessing ci chiede di credere al fatto che una donna di sessantacinque anni non solo possa cadere in uno stato di desiderio e lussuria, ma che possa anche diventare l'oggetto d'amore di diversi uomini più giovani."(17) L'invidia della Kakutani verso la Lessing e l'eroina del romanzo è tanto ovvia quanto offensiva. Provenendo dal critico letterario donna più potente del paese, le parole della Kakutani suonano come poco più che la negazione infantile della sessualità materna. Lei, una donna di poco più che quarant'anni, proverà gli stessi sentimenti quando ne avrà sessantacinque? A venticinque anni di distanza dalla nascita del femminismo, accettiamo ancora che un uomo più vecchio abbia una relazione con una donna molto più giovane, ma non il contrario. Pensa a Eastwood e alla Streep, a Redford e alla Pfeiffer, oppure, nella vita reale, al Senatore Alfonse D'Amato e all'inviata Claudia Cohen. Se il femminismo ha un qualche senso, questo consiste nel vedere le donne che infrangono eroicamente nuove barriere; ovviamente, ciò è vero nel mondo delle idee e del commercio, ma non nella stanza da letto. Come altro spiegare la conclusione della Kakutani per cui "nei primi romanzi della Lessing, gli
inventari dell'identità di un'eroina erano resi meticolosamente nei vari dettagli emozionali, ed erano utilizzati come una sorta di commento alla società in cui tale eroina viveva. Per qualche ragione, questo in 'Love, Again' non accade, e il risultato è che il romanzo sembra superficiale e artefatto, implausibile fino all'estremo"(18). Rileggendo un articolo di Susan Sontag del 1972 non posso fare a meno di pensare quanto la sua descrizione di una donna che invecchia mi ricordi gli atteggiamenti femminili verso la sessualità, in particolare verso quelle parti del corpo che ci insegnano fin dalla nascita a considerare brutte, sporche, maleodoranti, e dunque ora, ad un'età più avanzata, dall'aspetto e dall'odore ancora più sgradevoli: "L'invecchiamento nelle donne è un processo attraverso cui si diventa sessualmente oscene", scriveva la Sontag, "perché il sedere cascante, il collo pieno di rughe, le mani macchiate, i capelli bianchi, il busto senza vita e le gambe segnate dalle vene varicose di una donna anziana, danno un'idea di osceno. Nei nostri momenti di immaginazione più spaventosi, questa trasformazione può realizzarsi con impressionante velocità - come alla fine di Lost Horizon, quando la bella ragazza viene portata fuori da Shangri-La dal suo amante, e, in pochi minuti, si trasforma in una vecchia avvizzita, repellente... Uno degli atteggiamenti che punisce le donne nel modo più severo è l'orrore viscerale per la carne femminile che invecchia... Che le donne vecchie siano repellenti costituisce uno dei sentimenti estetici ed erotici più profondamente radicati nella nostra cultura"(19). Non so cosa venga in mente prima, se la strega o la vagina, ma come chiarisce la Sontag nella sua ultima frase, sono interconnesse. Il sesso delle donne o è "ammaliante", come in quelle giovani e belle, o è orripilante, come i bitorzoli sul naso della vegliarda. Tra il 1500 e il 1800, vennero uccise nove milioni di donne con l'accusa di essere delle streghe. La Chiesa vedeva nella sessualità delle donne la radice di ogni male e nelle donne l'ostacolo alla santità degli uomini. Il manuale sulla persecuzione delle streghe, Malleus Maleficarum, commissionato dal papa Innocenzo VIII nel 1486, affermava che "tutte le stregonerie hanno origine nella lussuria carnale, che nelle donne è insaziabile"(20). Il Malleus chiariva così che le donne, grazie alla loro sessualità, sia che fossero belle al di là di ogni immaginazione, o di una bruttezza accecante, disponevano di un potere terribile sugli uomini. Noi crediamo erroneamente che tutte le streghe fossero vecchie, ma la donna straordinariamente bella aveva la stessa probabilità di essere considerata una strega della brutta vegliarda; gli effetti del potere sessuale della donna bella - l'erezione maschile, le polluzioni notturne, così come il suo senso di impotenza in un'epoca in cui non si comprendeva il significato di queste reazioni - andavano a convalidare la credenza secondo cui avesse fatto un patto con il diavolo. Le donne erano considerate più vulnerabili alle seduzioni diaboliche perché irrazionali e maggiormente guidate dai loro istinti sessuali. E nessuna donna era più sensibile agli artifici del diavolo di quella che stava invecchiando. "In quanto esseri sessualizzati, le donne anziane erano creature malevole", commenta Lois Banner, "le 'intermediarie' del diavolo con il mondo degli umani... 'Dove il Diavolo non può andare, vi manda una vecchia'. Si credeva che queste stesse donne fossero coinvolte in una grande cospirazione di prostituzione segreta, poiché controllavano i giovani diavoli femmine (succubi) e i giovani diavoli maschi (incubi), inviati a sedurre e a reclutare altri individui per il loro culto satanico"(21). Se si osservano le illustrazioni delle streghe, si può notare che indossano le poulaines, le medesime scarpe lunghe e appuntite portate vezzosamente dagli uomini tra l'undicesimo e il quattordicesimo secolo, prima che il re e la Chiesa le proibissero. Mentre gli uomini indossavano le poulaines per celebrare la potenza del loro pene, le streghe le indossavano, forse in modo beffardo, per celebrare il loro potere sessuale sugli uomini. Educate fin dalla culla a non toccare i propri genitali o a non averne una buona opinione, ora comprendiamo perché le mestruazioni sono chiamate la Maledizione, un potere di esclusivo dominio delle streghe. È così strano che, quando ci guardiamo allo specchio all'età di quaranta o cinquant'anni, la nostra pelle rilasciata, la perdita della bellezza, si tinga del colore della bruttezza della
vagina/strega? Talvolta arrivo a pensare che le donne affrettino la corsa verso una vecchiaia asessuata. E dunque siamo a questo punto, più sagge, più ricche e più realizzate, ed è come se nessuna delle nostre vittorie avesse alterato l'immagine sessuale della donna matura. Quando ci guardiamo allo specchio e scorgiamo le piccole tracce della strega che si sta impossessando di soppiatto del nostro corpo, il nostro cuore è preso da una morsa di gelo. Rifiutandoci di credere che un uomo possa ancora desiderarci, gli chiediamo di spegnere la luce prima di infilarci nel suo letto. Quando ci dice che non vede le rughe, lo odiamo per la menzogna. Quando poi le rughe compaiono realmente, nelle nostre parole si legge il trionfo: "Vedi, te l'avevo detto! Vattene sesso, sparisci, perché non sono mai stata in pace con te! Ora, finalmente, chiusa la partita con bellezza e sesso - anche se ho soltanto quaranta, cinquantanni -posso riposare sul petto della mamma, posso essere una mamma. Sono in pace, Età, prendimi!" Molte donne preferiscono vedere nella menopausa il termine della loro vita sessuale, anche se la scienza ci dice che il declino della libido non è così rapido come quello maschile. Alle donne che preferirebbero chiudere il capitolo sesso, la notizia di queste scoperte arriva come un vento malsano. La vecchia madre invecchia, e più la sua carne si affloscia sulle ossa, più la figlia mai separata cerca disperatamente di rimanervi attaccata interiormente, trasformandosi non nella buona, ma nella cattiva madre. Non è un processo conscio; quando, dopo la sua morte, le amiche le fanno notare che la sua voce al telefono sembra proprio quella di sua madre, lei rabbrividisce, perché solo lei sa quanto ha odiato quella voce. Ora, quando guarda i peli del pube ingrigiti, la linea dura delle labbra, vede un orrore che va oltre l'invecchiamento in sé; a livello preconscio, vi riconosce non la madre che ha amato, ma La Strega. "La strega - più delle altre creazioni della nostra immaginazione che abbiamo investito di poteri magici, la fata e il mago - nei suoi aspetti opposti è una reincarnazione della madre totalmente buona dell'infanzia e della madre totalmente cattiva della crisi edipica", scrive Bettelheim. "Ma essa non è più vista realisticamente come un amalgama di entrambi, come una madre amorevole dall'immensa generosità e come la figura opposta di una matrigna frustrante ed esigente, ma in modo totalmente irrealistico, o come sovrumanamente gratificante o disumanamente distruttiva"(22). Preferisco la saggezza delle fiabe alla letteratura strettamente psicoanalitica, soprattutto in tema di paura del sesso; le prime possiedono una credibilità che deriva loro da un potere che dura da secoli e che persiste anche nei nostri stessi ricordi. Amiamo le favole perché rispecchiano i nostri sentimenti più profondi, quelli buoni e quelli cattivi. Il loro ruolo è importante tanto per questo capitolo finale quanto per quelli che l'hanno preceduto, perché nel terzo atto della vita la maggior parte di noi non è più vicina alla sconfitta della paura del sesso di quanto non lo fosse quando la mamma ci leggeva le favole. Il fatto che possiamo aver allevato dei figli a nostra volta non ha nulla a che fare con la paura del sesso; l'atto del rapporto sessuale si riduce a quello, ad un atto, fin quando non sfidiamo e non sconfiggiamo l'antica paura di perdere l'amore a causa dell'infrazione delle regole anti-sesso inculcateci dai nostri genitori. "Un individuo diventa un essere umano completo che ha realizzato tutte le sue potenzialità", scrive Bettelheim, "soltanto se, oltre ad essere se stesso, è nello stesso tempo capace e felice di essere se stesso con un'altra persona."(23) Ci sono due stadi nel processo di maturazione verso un essere umano completo; fiabe come "Biancaneve" e "Cenerentola", in cui l'eroe e l'eroina devono superare una serie di prove, hanno appunto come tema centrale il raggiungimento della propria identità individuale. L'obiettivo è quello di portare il personaggio centrale al momento della rivelazione per cui lei o lui sono "degni di essere amati". Ma non si accenna ai sentimenti di Cenerentola o di Biancaneve per il Principe, vi troviamo soltanto la vaga assicurazione di una felicità perenne nel futuro. Si avverte un senso di incompletezza. "Queste storie, benché portino l'eroina fino alle soglie del vero amore", afferma Bettelheim, "non dicono quale crescita personale sia necessaria per l'unione con la persona amata."(24) È necessaria una prova supplementare: l'eroe e l'eroina devono
vincere la paura del sesso. A questo proposito, il Ciclo fiabesco dello SposoAnimale comincia là dove la Principessa Addormentata ha lasciato. "Le fiabe suggeriscono che alla fine sopravviene un periodo in cui dobbiamo imparare quello che in precedenza non sapevamo, oppure, per metterla in termini psicoanalitici, annullare la repressione del sesso"(25), dice Bettelheim. Per quale motivo le donne vogliono fare sesso al buio? Cosa c'è di tanto ripugnante nell'esame di un corpo maschile? All'inizio eravamo curiose, perfino eccitate, dall'atto del guardare, ma quando arriviamo a mescolare l'amore che sentiamo per lui con il sesso, il primo distrugge il secondo, e si forma l'antinomia tra sesso e amore. Se le cose stanno così, allora dovremmo mettere in discussione la qualità del nostro amore. Come osserva Bettelheim: "Ciò che era stato avvertito come pericoloso e ripugnante, come qualcosa da evitare, deve mutare le proprie sembianze così da essere percepito come qualcosa di realmente meraviglioso. È l'amore che permette questa trasformazione"(26). Pensa alla favola "La bella e la bestia", che appartiene al Ciclo dello SposoAnimale. Nella storia, l'eroina affronta la propria paura e la bestia diventa bella grazie al suo amore. Da queste storie i bambini traggono rassicurazioni sul fatto che non sono i soli a temere il sesso, ma che altri condividono la loro ansia. "Ma così come i personaggi della storia scoprono che nonostante questa angoscia il loro partner sessuale non è una brutta creatura ma una persona di bell'aspetto, la stessa scoperta sarà fatta dal bambino."(27) La favola rumena del "Maiale fatato" è meno nota, ma è ricca di esempi moderni di eroismo femminile; in essa, l'eroina viene costretta a sposare un maiale, che la notte si trasforma in un uomo; giunto il mattino, ridiventa maiale. Il personaggio femminile segue il consiglio di una strega e lega una corda attorno alla gamba dell'uomo per impedirgli di ritornare maiale - ma poiché ha tentato di affrettare le cose, si guadagna la disapprovazione dell'uomo/maiale. Le viene detto che non lo rivedrà finché "non avrà consumato tre paia di scarpe di ferro e spuntato un bastone d'acciaio" nelle sue peregrinazioni alla ricerca dell'uomo. Bettelheim descrive la sua ricerca: "Egli scompare, e la ragazza, nelle sue interminabili peregrinazioni in cerca del marito, va sulla luna, sul sole e nel vento. In ciascuno di questi posti le viene data una gallina da mangiare, coll'avvertimento di metterne da parte le ossa... Alla fine... arriva davanti ad un monte, dove, a quanto le viene detto, si trova suo marito"(28). Per arrivare a lui, forma una scala con le ossa di tutti i polli che ha mangiato durante il viaggio, e amputa perfino il proprio mignolo per formare l'ultimo piolo di cui ha bisogno. Quando lo raggiunge, l'incantesimo di cui lui è prigioniero svanisce. In qualità di Principe e Principessa, ereditano il regno del padre della sposa e "regnarono come solo i re che hanno sofferto molte pene possono regnare". Nelle fiabe è solitamente una donna vecchia, una matrigna a fare l'incantesimo, oppure una strega, che trasforma l'uomo/il Principe in un animale brutto, insinuando neanche in modo troppo sottile che "le angoscie sessuali delle ragazze sono il risultato non della loro esperienza ma di quanto è stato loro detto da altre persone"(29). Oppure, di ciò che altre donne non ci hanno raccontato. Possiamo discutere all'infinito su chi impianti il messaggio sessuofobico nella mente femminile, ma è abbastanza semplice stabilire se il femminismo abbia educato o no le donne ad accogliere la bellezza della componente sessuale della loro identità, ad accogliere gli uomini, diventando così esseri umani completi. Il femminismo ci ha abbandonato al ruolo di noneroine della nostra personale fiaba moderna. Dobbiamo cominciare col portare il sesso nel cammino del femminismo. Oggi stiamo coi piedi puntati all'ingresso della caverna della belva, rifiutandoci vigliaccamente di completare il nostro compito come esseri umani. Noi donne facciamo un gioco stupido se pensiamo che eliminando gli uomini dalla nostra vita saremo esentate dal compito di sconfiggere la paura del sesso, quando, in realtà, quella paura albergava dentro di noi molto prima che il sesso opposto si affacciasse con i suoi richiami. Prima del particolare momento storico che stiamo vivendo, eravamo troppo dipendenti per affrontare questo viaggio. Ora abbiamo gli strumenti ma abbiamo trovato un altro espediente per rimandare la ricerca: la nostra guerra contro gli uomini.
Ma neanche il capro espiatorio della brutalità maschile ci protegge dal nostro timore di invecchiare, che è diventato più forte. Finché non si scoprirà che la Fogna è piacevole - come il maiale che ha scoperto di essere bello conserveremo sempre un'immagine orribile dell'età. E inoltre, quello che a mio avviso è l'aspetto più sinistro della faccenda, finché non trasformeremo ciò che era ripugnante in qualcosa di bello, riferendomi con questo, in sostanza, alla sessualità umana, i nostri figli cresceranno vulnerabili alle piaghe mortali associate al sesso irresponsabile. Leggere la letteratura recente sul tema delle donne che invecchiano prodotta da eroine del femminismo come la Steinem e la Greer, può costituire un macabro esercizio, come nelle fiabe dei Fratelli Grimm, perché, ai primordi del femminismo, ciascuna di queste eroine è stata una giovane bellezza, con una propria sessualità. E dotata di coraggio. Ma, purtroppo, al tema dell'invecchiamento esse non portano neanche un briciolo della passione che le animava un tempo. Quando la parità economica e politica costituiva l'obiettivo primario della lotta, queste donne erano le madri dell'invenzione; non c'era niente che non potessimo cambiare, ci dicevano, che non potessimo realizzare, se eravamo in tante a volerlo. Avevano ragione. I nostri obiettivi erano rivoluzionari, alcuni li consideravano irrealistici, ma riuscimmo a raggiungerli. Poiché credevano fermamente alla loro visione delle cose, fummo portate a credere in noi stesse, arrivando a condurre una vita inimmaginabile per le nostre madri. Cosa ci poteva essere di più difficile dell'obiettivo di mutare l'immagine della donna/madre che accudisce, ricostituendola attorno ad una figura alla pari dell'uomo sul luogo di lavoro? Ovviamente, l'immagine delle donne che mantengono una bellezza di tipo sensuale quando invecchiano. Eliminando il sesso e la bellezza dall'agenda femminista, la Sorellanza ha rimosso le principali fonti di dissenso tra le donne. Ma cerchiamo di essere chiare a proposito dei nostri sentimenti più profondi: non abbiamo optato per una donna brutta in rappresentanza del movimento femminista. Abbiamo scelto una gran bellezza le cui relazioni a sfondo sessuale con vari uomini potenti erano note a tutti. La Steinem era, e rimane, la regina leggendaria del femminismo, per quanto non una eroina da fiaba che abbia conquistato la felicità sessuale. Ecco, in un'intervista rilasciata a Gail Sheehy, il verdetto della Steinem sul sesso: "Il sesso e la sessualità - stare a letto per due giorni interi e mandare a prendere del cibo cinese - ha avuto una parte così importante nella mia vita, e che ora non ha proprio più... Non so quanto ci sia di ormonale e quanto sia un fatto di superamento di una fase"(30). È un messaggio che lascia perplessi. Consapevole della rilevanza che hanno le parole della femminista vivente più citata e del proprio ruolo nella storia, la Steinem tuttavia si spinge oltre, offrendo il suo successo nel superare il bisogno sessuale come obiettivo per le altre donne, invitandole ad "avere fede che questo possa valere anche per loro". Cosa significa? Perdere interesse nel sesso durante la terza fase della nostra vita è una manna mandata dal cielo, una cosa da augurarsi? Ritorniamo all'inizio della storia, perché nessuna femminista poté godere di un successo dai contorni quasi magici come quello che caratterizzò ogni impresa della giovane e bella Gloria Steinem. "Quando divenne la portavoce del femminismo, l'effetto di rassicurazione offerto alle donne sul fatto che, contrariamente all'impressione data dai media, non tutte le femministe assomigliavano a camionisti in stivali e tenuta da lavoro, fu profondo"(31), ha scritto la biografa della Steinem, Carolyn Heilbrun. Andrei oltre le affermazioni della Heilbrun; la bellezza della Steinem non fu solo un elemento di "rassicurazione" per le donne. Scegliendola come figura leader del femminismo, tutte le femministe, brutte o belle, concordarono, più o meno inconsciamente, sull'importanza della bellezza sensuale per le donne. Negli anni Settanta, possiamo aver voltato le spalle alla bellezza per ottenere un vantaggio politico ma, scegliendo la Steinem, abbiamo continuato silenziosamente a rivendicarne il potere. Quando negli anni Ottanta l'abbiamo infine recuperata con orgoglio, il libro The Beauty Mith di Naomi Wolf tentò di far ricadere la rinnovata tirannia della bellezza sugli Uomini Cattivi. Ma non attaccò. Come poteva essere diversamente? La leader del femminismo non era una delle donne più
belle del mondo? Non venne scelta da altre donne, e, inoltre, la persistenza della sua bellezza fino ad oggi non è il risultato di una sua scelta? Nessuno è in una posizione migliore di Gloria per parlare chiaro all'universo femminile. Non le ci vuole molto lavoro di ricerca per sapere quanto sono cruciali per le donne le questioni dell'invecchiamento, del sesso e della bellezza. Ad ogni modo, che segua la sua strada dal punto di vista personale, ma, da buon generale, deve a tutte noi una spiegazione chiara, non ambigua, del suo desiderio di privarsi di certi diritti. È palesemente una di quelle persone fortunate che rimangono belle e sensuali anche nell'ultimo periodo della vita, un potere che potrebbe continuare finché... chissà? Per Gloria affermare di avere rotto con la bellezza sensuale deve avere un effetto disorientante. Soprattutto da quando, poco dopo l'intervista alla Sheehy, una Steinem attraente, di sessantuno anni, ha posato per una fotografia apparsa sul numero annuale della rivista People, letto da venti milioni di donne, che fa la lista delle cinquanta persone più belle del mondo (32). Non è il canto del cigno di un'eroina, ma la promessa di una madre potente che lascia credere ai propri figli che il sesso sarà sempre in contrapposizione all'amore materno. Non essendo mai riuscita nell'opera di conciliare pubblicamente il sesso con il proprio femminismo, l'eredità della Steinem è quella di un'eroina che non ha mai sconfitto quella che Bettelheim chiamava "la paura del sesso come di una cosa pericolosa e animalesca". La ricerca sul tema della salute femminile mostra che stiamo vivendo più a lungo e meglio di ogni generazione che ci ha preceduto. È una rivelazione molto emozionante. Nel 1992, più di 43 milioni di donne avevano raggiunto la menopausa, e per il 2002 il numero potrebbe crescere ancora di 6 milioni (33). Queste donne sono economicamente indipendenti, appaiono e si comportano in modo più giovanile rispetto alle loro madri, sollevando così la questione: che cosa ci aspettiamo dalla nostra sessualità? "Dalla metà dei quaranta fino ai sessanta anni circa le donne tendono ad assumere un atteggiamento più aggressivo rispetto al mondo, oltre che un comportamento più decisamente orientato alla realizzazione di obiettivi ben determinati", scrive Gail Sheehy in Il passaggio muto, "mentre gli uomini tendono a mettere a nudo il lato più tenero e vulnerabile della loro personalità, che probabilmente era stato represso fino ad allora. Le donne le cui ovaie hanno smesso di fabbricare estrogeni, ovvero gli ormoni sessuali femminili, continuano a produrre nella zona corticale delle ovaie una quantità inferiore ma pur sempre consistente di testosterone, l'ormone sessuale maschile. Il livello relativamente alto di testosterone presente nel corpo del 50% circa delle donne in post-menopausa potrebbe dunque spiegare, almeno in parte, il ruolo trainante assunto dalle donne di mezza età all'interno della coppia, che tanto spesso ci capita di osservare. In questi stessi anni, invece, i livelli di testosterone presenti nel corpo dell'uomo registrano una regolare diminuzione man mano che l'età avanza."(34) "La sessualità, prima e dopo la menopausa, costituisce un fatto complesso ed individuale, e non ha tanto a che fare con i livelli di estrogeno, quanto piuttosto con come ciascuna donna si sente con se stessa e la situazione che vive", sottolinea Bernardine Healy, ex-direttore del National Health Institute. "Da un punto di vista biologico, mentre l'estrogeno ha un effetto chiaramente identificabile sul funzionamento delle secrezioni vaginali della donna e sugli organi sessuali, oltre a poter giocare un ruolo sull'ardore, è soprattutto il testosterone a dominare la libido. Così, semmai, quando il rapporto tra testosterone ed estrogeno cresce durante e dopo la menopausa, l'orientamento sessuale di una donna potrebbe aumentare... Una cosa che mi è assolutamente chiara come medico e come donna è che la sessualità - specialmente nella fase della menopausa - è un mix intricato di mente, corpo e situazioni di vita."(35) Questa ricerca contraddice la convinzione della Steinem per cui "superare i 50 ha significato la fine di un'epoca, l'epoca in cui una donna ha ancora una sua vita sessuale, un'utilità riproduttiva..." Non è nemmeno vero. La libertà dalle preoccupazioni riproduttive non comporta una cessazione della sessualità a cinquanta, sessant'anni, e oltre. Potrebbe invece significare l'avvio di un'avventura sessuale, un nuovo atteggiamento mentale, che è poi esattamente il luogo in cui ha inizio un sesso soddisfacente, nella testa.
Sembrerebbe proprio che siamo capaci di fare tutto eccetto che portare l'immagine della nostra sessualità nel ventunesimo secolo. E dato che la bellezza è così intrecciata al sesso, le donne di venti, trent'anni ascoltano il messaggio della principale leader del femminismo e vedono la loro bellezza scivolar loro già dalle mani. Con il tempo, ci sarà un numero sufficiente di donne di mezza età che si ergerà a modello di bellezza sensuale. Ma una grande opportunità sarà comunque andata perduta. "Non potrebbe importarmene di meno", rispose la Steinem a chi la intervistava chiedendole del suo sessantesimo compleanno. "E quanto al sesso?" E quando l'intervistatrice commentò la sua risposta dicendo: "Le nostre lettrici saranno deluse", la Steinem replicò: "Ma non dovrebbero esserlo. Si è libere. Il cervello è libero di pensare ad altre cose. Si è libere dalla gelosia o dalla competitività" (36). È interessante che proprio nel momento in cui la Steinem si ritira dall'arena sessuale, abbia affrontato con nuovo vigore il tema della competizione. Con l'annuncio di aver superato la fase del desiderio sessuale, segnala alle sue truppe che le altre donne non hanno più motivo di invidiarla o di provare sentimenti di rivalità per gli uomini che frequentava un tempo. Ma come si sentirà la stessa Steinem quando altre donne - soprattutto quelle della sua età - continueranno a perseguire obiettivi sessuali, a sorridere in modo affascinante allo specchio e ad andare a letto con gli uomini? Nulla accende la competizione tra donne come la bellezza sensuale. E la Steinem non è impermeabile a quegli scoppi di rivalità quando donne brillanti e sensuali come la Paglia esprimono una concezione del femminismo diversa dalla sua. Accoliti del genere di Susan Faludi tengono viva la fiamma della Steinem scrivendo in modo sprezzante - e molto competitivo - delle nuove e giovani femministe come Katie Roiphie e Christina Hoff Sommers, dotate di una lama sessuale particolarmente affilata. Gli obiettivi che le muovono, sostiene la Faludi, sono la loro stessa fama, non il cambiamento sociale. Ragazze cattive! "Il loro sarà sempre un tipo di femminismo mancato", scrive con toni risentiti, "perché è un'ideologia che non genererà, e nemmemo lo vuole, cambiamento politico, sociale o economico... [Esse] non guardano avanti per creare un futuro migliore, ma solo dentro per un'ulteriore adulazione di sé."(37) La sua invidia per il loro tipo di femminismo percorre bruciante la pagina, soprattutto nel momento in cui si abbraccia il sesso e lo si inserisce nella nuova agenda femminista. Niente, ma proprio niente, manda le donne su tutte le furie come il pensiero di altre donne che godono dei piaceri del sesso. Ironia della sorte, la sua vista e il suo odore hanno gli stessi effetti sugli arcinemici della Steinem e della Faludi - i Patriarchi di destra - il che avvicina in modo imbarazzante le posizioni dei rispettivi eserciti. Il sesso, la sua paura, crea strani compagni di letto. Venticinque anni orsono, un'altra femminista di fascino, Germaine Greer, scrisse: "La donna rivoluzionaria può unirsi ai Gruppi di Liberazione delle Donne e maledire e urlare e lottare contro la polizia, ma avete mai sentito una di loro che marcia per la pubblica via con la gonna alzata, gridando: 'Riesci ad ammirarla? Fica è bello!' Il giardino cintato dell'Eden era FICA. La mandorla dei santi era FICA. La rosa mistica era FICA. L'Arco d'Oro, il Cancello del Paradiso. La fica è un canale che attira tutto verso di sé. Fica è conoscenza. La conoscenza è ricettività, che è a sua volta attività. La fica è il simbolo della scienza erotica... È il tempo di apprezzare la FICA e le donne dovrebbero farlo per prime"(38). La Greer aveva vent'anni quando lo scrisse. Era uno spettacolo glorioso per la vista e per la mente, una celebrità esibizionista. La sua vitalità sessuale infondeva coraggio a tutte noi. Era, e ancora è, una persona che fa sensazione, anche se questa non è sempre l'immagine che vuole dare di sé nel suo libro sulla menopausa, La seconda metà della vita, in cui è decisamente ambivalente. "Il cambiamento fa soffrire. Come una persona appena sciolta dai ceppi, la donna libera dapprima inciampa. Anche se la sua eccessiva visibilità era angosciosa, la presente invisibilità è disorientante. Non si era resa conto di quanto dipendesse dalla presenza fisica, nei negozi, nelle officine, sull'autobus. Per la prima volta nella vita si rende conto che deve alzare la voce o aspettare mentre gli altri la superano a gomitate."(39)
In questo brano si descrive una scena ambientata in un ristorante in Francia, dove una donna protesta per il fatto che lei e la sua amica stanno pranzando sole e avvolte dall'invisibilità, mentre al tavolo accanto due uomini della loro stessa età fanno l'occhiolino a delle donne molto più giovani di loro. Sì, questo può succedere, ma è anche vero che noi non ci siamo mai concesse di godere dei piaceri della bellezza giovanile; ci siamo spesso sentite troppo vistose e accusavamo gli uomini che ammiccavano di trattarci come oggetti. Non abbiamo ancora avuto accesso all'identità individuale più piena, che è di tipo interiore, uno stato mentale, coscienza del proprio valore, autoaccettazione, senso di essere degni, coraggio... tutte qualità invisibili. La nostra è una sessualità più completa, a patto di credervi, di sentirlo dentro. Come ha scritto venticinque anni fa la stessa Greer nell'articolo citato prima, "Le donne devono apprezzarla per prime". Quando The Change venne pubblicato, Harper's Bazaar scrisse un articolo sulla Greer accompagnato da una foto che la ritraeva seduta, nuda, trasandata, i capelli quasi grigi che le coprivano il volto per metà, il seno cascante e il suo gatto in grembo, sì, molto stregonesca. L'effetto era disorientante, perché nel suo libro la Greer non esalta tanto il potere sessuale della strega, quanto l'aggressività che inibisce gli uomini. Rispetto ad una donna che un tempo aveva portato nel proprio aspetto esteriore i segni di un'ammaliante provocazione rivolta agli uomini, il suo libro abbracciava ora l'adozione di un tipo di malia che esclude gli uomini. Tale atteggiamento esclude la possibilità per le donne di evolvere verso una bellezza e un potere di qualità superiore nel momento in cui vi credano, o ne vedano i presupposti in se stesse o in un'eroina come la Greer, che, peraltro, aveva un aspetto alquanto piacevole e vibrante quando venne nella mia libreria locale a firmare le copie di The Change. Quel giorno la sua retorica era assolutamente in contrasto con il suo aspetto fisico; parlava come La Strega Cattiva, potente, arrabbiata, quasi con una nota lamentosa nella voce. Avrei voluto scuoterla, alzare uno specchio davanti al suo viso, e domandarle. Perché? Non è abbastanza questa tua bellezza matura? C'è la possibilità che si rivolti contro gli uomini perché non la guardano con il medesimo desiderio istantaneo e voyeuristico che le dimostravano un tempo? Una volta che si è stati una celebrità dell'esibizionismo in molti campi, inclusi quello intellettuale e quello della bellezza giovanile, erotica, non basta essere considerati "soltanto" brillanti. Se noi non saremo in grado di rappresentare dei modelli più affidabili, le donne più giovani, guardando le nostre facce stanche e arrabbiate, si immergeranno sempre più nella rincorsa della bellezza giovanile, negando a se stesse di poterci assomigliare in futuro. Queste sarebbero le eroine, donne che si lamentano del fatto che nessuno le guarda più sbavando come un tempo. Beh, non tutte le eroine. Prendiamo ad esempio Faye Wattleton, la donna cinquantaduenne precedentemente a capo di Planning Parenthood.Registrai un'intervista che le feci dieci anni fa, in cui disse di essere stata educata dalla propria famiglia a rispettare e a preservare il potere della bellezza. Quando cito il suo nome ad altre donne, sia che la conoscano personalmente o no, hanno sempre parole di ammirazione per la sua bellezza, il suo successo, e il suo impegno di femminista, tutte qualità che tiene da conto come farebbe una persona che ha ereditato una grande fortuna. Vorrei che la Greer rileggesse un paragrafo tratto dal suo libro L'eunuco femmina: "Il sesso dev'essere salvato dal traffico tra il potente e l'inerme, tra il dominatore e il dominato, tra il sessuale e il neutrale, per divenire una forma di comunicazione tra persone forti, delicate, tenere, che non possono realizzarsi attraverso la negazione del contatto eterosessuale"(40). Desidero la libertà che viene con l'età matura, la possibilità di essere completamente me stessa esaltata dalla Greer, ma mi rifiuto di accettare che tale libertà giunga solo nel momento in cui si ritiene che non siamo più di alcun interesse sessuale per gli uomini. Se il femminismo non sarà sessualmente disponibile verso gli uomini, caldo, avvolgente ed erotico in quel modo profondo, eccitante e insaziabile che contrassegna spesso il sesso più conturbante, allora avremo fallito. Non ritengo il Matriarcato un segno del successo del femminismo. Il seno cadente e i capelli grigi vengono per tutte noi, ma non è mia intenzione piantarli sullo stomaco degli uomini come fa la Greer con quel brutto e inquietante ritratto che la vede nuda con il gatto.
9.5 - Che differenza per questo terzo atto della vita se un padre fosse stato protagonista del primo. Vedo procedere congiuntamente due cambiamenti sociali di vasta portata: la nostra visione dell'uomo come figura responsabile dell'accudimento dei figli, e la nostra visione del potere della donna che abbia superato i cinquantanni. In assenza di un uomo coinvolto nei primi gesti che hanno forgiato la nostra vita, quando l'argilla era ancora umida, cresciamo con l'aspettativa che gli uomini cambino la nostra opinione sulla bellezza, il sesso, ogni cosa. Ma come possono farlo? Chi può mutare la direzione del vento, della luna e delle stelle, la mappa celeste compilata in una nursery controllata da un angelo che era al contempo La Strega? Il Principe doveva rappresentare il saldo definitivo. Sapevamo poco del Principe, poiché era maschio, il che ci portò a sognare e ad idealizzare l'entità dei suoi doni oltre ogni limite concesso ad un comune maschio mortale. Il padre è un modello maschile, ma è entrato troppo tardi nella nostra vita, non avendoci accudite fin dalla nascita. Gli anni edipici giungono dopo anni di concessioni, perdite e rese, e con ciò intendo che le donne raramente riottengono ciò che è stato sacrificato sull'altare della preservazione dell'amore materno quando erano completamente dipendenti e la madre rappresentava la sola fonte di vita. Come potrebbe un padre comprendere veramente di quanta approvazione e incoraggiamento ha bisogno la propria figlia per disinnescare i giudizi onnipotenti della madre, soprattutto laddove rientrano i temi della bellezza e del sesso? E così il compito passa al Principe, che però non è più abile nel far sentire le donne belle e sensuali. Noi non perdoniamo mai gli uomini. E quando arriviamo a quaranta, cinquant'anni e non abbiamo ancora dato credito all'opinione degli uomini sulla nostra bellezza sensuale, ci arrendiamo alla madre: vediamo la Strega impossessarsi lentamente di noi e diciamo "Sono vecchia", prima ancora di esserlo. Che spreco. Prova ad immaginare come potrebbe evolversi la nostra vita se un padre ci avesse cresciuto fin dall'inizio, insieme ad una madre o da solo, nel caso lei avesse scelto di lavorare fuori casa. È un esercizio d'immaginazione su cui faremmo meglio a soffermarci, data l'inevitabilità dei processi in corso, a meno che, naturalmente, il Matriarcato prenda il sopravvento. Una delle ragioni per cui attualmente abbiamo un aspetto migliore risiede nel fatto che ci stiamo già "comportando come gli uomini", nel senso che ci siamo conquistate un certo potere economico e il diritto di parola. Quando ai vecchi tempi una donna veniva accusata di "comportarsi da uomo", non era certo un complimento; né c'era da aspettarsi che la donna in questione fosse bella. Oggi il nostro aspetto fisico è migliore di quello delle nostre madri proprio perché il nostro stile di vita anima i nostri lineamenti, fa ribollire il nostro sangue, e allevia l'ansia, la depressione e la rabbia che facevano invecchiare prima del tempo le nostre madri. Se l'essere entrate nel territorio di dominio degli uomini e l'aver acquisito alcuni dei loro privilegi ha compiuto questo miracolo, perché non inserire nella nursery un esperto in accrescimento dell'esistenza, in cui i nostri figli possano letteralmente vedere all'opera le qualità "maschili" migliori, se non attraverso un latte paterno, perlomeno tramite il contatto delle sue braccia forti, delle sue mani tenere, del suo modo peculiare di amare, e dei suoi occhi, di gran lunga meno critici, che irradiano approvazione e incoraggiamento? Gli uomini non sono angeli, ma tendono ad essere più indipendenti, assertivi, e sessualmente orientati delle donne. Dal fatto che sempre più donne ottengono potere economico, non potrebbe discendere che gli uomini non dovranno più misurare la loro virilità in base a quanto denaro guadagnano? Potrebbero aprirsi a definizioni alternative di virilità, proprio come le donne hanno esteso il significato di chi e che cosa sia una donna. Amando i figli come dimostra di fare, un uomo potrebbe trovare piacevole un ruolo paritario nel loro accudimento, forse addirittura farne il proprio lavoro a tempo pieno. Ciò su cui faccio affidamento è che, quando l'uomo farà la propria parte nella nursery così come la donna fa la sua nel lavoro, ci accorgeremo della "naturalezza" dell'accordo. Ne deriva una forma di patteggiamento: se le donne
vogliono prolungare la loro bellezza sensuale, devono cedere agli uomini un potere di valore comparabile. I termini di questa contrattazione non sono scritti in qualche incontro al vertice, ma se gli uomini ci sentissero dalla loro parte, sarebbero disponibili a schierarsi dalla nostra. Senza il nostro insano attaccamento simbiotico alla madre, probabilmente non saremmo arrivate a dividerla nella Buona Madre e nella Strega Cattiva per assicurarci un amore integro. Avremmo potuto vederla nella sua completezza di persona; non avremmo messo in dubbio così affrettatamente l'amore degli uomini; avremmo accettato la nostra bellezza e la nostra sessualità, senza alcun timore di perdita. Tutto il denaro del mondo non basta a comprare chirurgia estetica a sufficienza per impedire alle donne che invecchiano di dubitare dei loro specchi e di disprezzare se stesse nel tentativo di apparire più giovani mentre la loro voce interiore dice: "il tuo tempo è passato". Quella voce è il doppio modello d'invecchiamento; finché un uomo mantiene il suo potere economico, il valore della sua immagine non diminuisce con l'età. Quando un uomo non viene guardato non si sente minacciato dall'invisibilità; sa di esistere indipendentemente dagli occhi degli altri puntati su di lui perché è così che è cresciuto. Un uomo comincia la propria vita nel segno del bisogno dello sguardo materno, sentendosi perso in sua assenza, ma poi se ne allontana con minore paura e maggiore approvazione; acquisisce il suo personale occhio interno. Prova piacere nell'essere guardato, ma, come scrive Berger, non se ne va in giro con un fumetto sopra la testa in cui si chiede in continuazione come gli altri lo stanno vedendo. Quando un uomo arriva all'età di cinquanta, sessanta, ottant'anni, la sua pelle può anche essere rugosa e la sua testa senza capelli, ma non si sente per questo meno uomo. Le sue preoccupazioni derivano principalmente dal successo economico. Se una donna dovesse desiderarlo per il suo denaro o il suo seme, non si chiederebbe perché lo vede come un Principe. Ma anche le donne che hanno raggiunto l'indipendenza finanziaria e non desiderano un uomo, mettono in dubbio il proprio valore quando iniziano ad invecchiare. Cosa c'è di così diverso nelle donne che ci impedisce di superare la parete di specchi con la stessa convinzione degli uomini? La mia risposta è che la madre non vede se stessa rispecchiata nel proprio figlio; l'uomo cresce dotato di una differenza fisica che sostiene la sua separazione da lei. Il suo pene rinforza la pressione sociale sulla madre affinché lasci andare il figlio per la sua strada. Le sue erezioni e le sue secrezioni non le obbediranno. L'identità dell'uomo verrà grandemente influenzata dall'opinione materna della sua virilità, ma in definitiva rimane solitamente un suo dominio. C'è da meravigliarsi che, senza un uomo nella nursery, il potere del pene venga esasperato, talvolta persino usato come arma contro le donne? Forse il ragazzo/uomo non riusciva a tenere testa alla Gigantessa della Nursery, non riusciva a difendersi emotivamente, verbalmente, e non voleva però colpirla. Ma poteva farlo, e lo fa, con le altre donne che spesso sostengono l'urto della rabbia che è cominciata allora. Forse il padre nella nursery non eliminerebbe la successiva brutalità maschile contro le donne, ma, attraverso una forte figura maschile presente dal giorno in cui è nato, un uomo che lo ha tenuto in braccio, lo ha nutrito e lo ha educato in modo disciplinato, un ragazzo arriverebbe all'età adulta portandosi dentro un ritratto più completo di cosa significhi essere uomo. Proprio come la bellezza delle donne si forma a partire dal primissimo ruolo svolto dalla madre, anche il ruolo paterno potrebbe svolgere questa funzione, nel senso che sia i ragazzi che le ragazze crescerebbero avendo davanti agli occhi un ideale di bellezza tanto maschile quanto femminile. Perché questo possa accadere, le donne devono prima riconoscere che l'accudimento dei figli non è solo un sacrificio ma anche il ruolo più potente della vita umana. E dovranno essere disposte a condividerlo. Gli uomini, per la verità, non si liberano mai della loro paura verso il potere delle donne, in cui credono molto più di quanto non vi crediamo noi. Non ci lasciarono entrare nel mercato del lavoro per senso di equità e di giustizia. Sapevano che potevamo batterli. Il denaro che li aveva resi potenti era un semplice cerotto sulle ferite emotive inflitte dalla Gigantessa dell'infanzia; quando il potere femminile riapparve in massa sotto le vesti di un femminismo
rabbioso, si sottomisero quel tanto che bastava a farci entrare. Una volta che La Strega infila la punta del piede attraverso la porta, è già dentro. Nonostante tutte queste conquiste, le donne non vogliono vedersi in possesso del potere stregonesco della madre, optando per l'immagine molto efficace di persone piccole e maltrattate alla mercè del grande lupo cattivo. Incolpiamo gli uomini del doppio modello di invecchiamento: data una serie di donne sconosciute, la maggior parte degli uomini sceglierebbe quella giovane e bella. Esattamente quello che faremmo noi. Quando però un uomo ama una donna di cinquanta o settant'anni e la desidera sessualmente, non è lui a voltarle le spalle. Siamo noi donne a chiamarci fuori dalla corsa: anche quando il nostro corpo era giovane e rigoglioso, lo detestavamo. Ora che i segni visibili della strega dalla pelle rugosa si sono impossessati di noi, prendiamo le distanze dal sesso con un moto di disgusto, leggendo negli occhi degli uomini la nostra propria repulsione. Non c'è assolutamente nulla che noi donne non potremmo realizzare - inclusa l'abolizione di questo doppio modello d'invecchiamento - se solo riuscissimo a sbarazzarci dei rami secchi e ad incoraggiarci a vicenda a riconoscere la forza della nostra bellezza sensuale, che sopravvive alla menopausa, e che non è confinata alla giovinezza, o da essa definita. Non per suonare vagamente strega, ma dobbiamo solo crederci per fare che sia così; gli uomini già lo fanno. Più di ogni altra cosa, la presenza degli uomini nella nursery avrebbe il potere di rovesciare la concezione femminile della bellezza e del sesso in quanto definiti dalla giovane età. È il processo di evoluzione al suo meglio: gli uomini che pigliano il grembiule ora che le donne hanno lasciato socchiusa la porta della nursery per entrare nel mondo del lavoro. Quando una voce maschile amata legge ad una figlia le fiabe del Ciclo Animale, in cui l'eroina vince la propria paura del sesso e diventa così una persona completa, l'immagine e le parole paterne saranno accolte come una promessa di evoluzione, un'opinione alternativa a quella della madre. Tu ed io siamo troppo vecchie per ricevere questo dono da papà, ma potremmo farlo alla prossima generazione, un dono magnifico, da buone femministe, ai nostri figli. 9.6 - Portare magnificamente il proprio potere. Durante gli anni del Patriarcato, il valore di una donna diminuiva con il progredire dell'età; ora, invece, anche in una fase in cui non possiamo più procreare, diventiamo sempre più sicure sotto il profilo economico; questo deve rappresentare il punto di partenza in base al quale soppesare il nostro valore. In una cultura in cui il successo assurge al rango divino, siamo libere di autoreclamizzarci. Tutti noi siamo attratti dalle persone di successo e desideriamo riscaldarci alla luce del loro bagliore. Se poi le persone di successo sono anche dotate di bellezza, l'attrazione ne risulta moltiplicata. Quando si somma la bellezza di una donna alle sue realizzazioni professionali, si ottiene un risultato veramente molto attraente, dentro e fuori. Alle donne non resta che esibire il loro successo con sicurezza, e non si troveranno mai senza amici ed amanti, se questo è ciò che desiderano. Un collega dell'allora cinquantenne Judith Rodin, psicologa e presidente della University of Pennsylvania, diceva di lei: "È il tipo di persona che diveniva più affascinante e più carismatica man mano che otteneva più fondi e più fama"(41). La Rodin è una donna straordinaria, una madre risposatasi tre volte. Mi piace la citazione del suo collega perché accenna a come la bellezza e l'autorealizzazione si mescolino, l'una che va ad alimentare l'altra, se è questo quello che vogliamo. Nel momento in cui raccogliamo i frutti del femminismo moderno, trasferiamo negli anni di vita in più di cui possiamo beneficiare tutti gli obiettivi raggiunti quando eravamo più giovani a vantaggio della totalità delle donne. È il momento di festeggiare, non di accasciarsi e lasciarsi morire. La nostra nuova posizione nella sfera economica ha prodotto un riallineamento tra i sessi, in cui spetta a noi ridisegnare e vivere questo nuovo ruolo. Vengono in mente i Giochi Olimpici, una bella atleta che corre da una parte all'altra del mondo per dar fuoco alle torce: lascia che i giochi abbiano inizio! Quella persona che corre siamo io e te, che, giunte alla mezza età, non abbiamo mai avuto un aspetto migliore o lavorato tanto duramente da avere il privilegio di essere la
prima generazione a rompere con il doppio modello d'invecchiamento del Mondo Patriarcale. Noi vediamo gli uomini attraverso una lente chiamata papà/ricchezza/denaro/potere; anche se l'uomo fa solo in modo che i fini s'incontrino, noi consegniamo ancora nelle sue mani il diritto di sceglierci, un potere che va poi a determinare il modo in cui vediamo noi stesse. La nostra posizione economica ci ha dato il diritto di mutare l'Accordo Patriarcale, riassumibile nel diritto del più ricco di avere per sé la donna giovane più bella. Gli uomini possono ancora estrarre questo premio, ma noi non abbiamo più bisogno di contare sul loro denaro o sul loro giudizio. Lascia che scelga la giovinezza; noi abbiamo un potere nuovo; la capacità di incantare non giace nell'occhio di chi guarda ma di colei che la possiede e crede nella bellezza sensuale fino alla propria morte. Un tempo le donne anziane venivano viste come streghe per via del loro potere; era la loro capacità di incarnare l'energia sessuale, non il loro vecchio sesso rinsecchito, a spaventare gli uomini e anche le altre donne, che non erano animate dalla stessa baldanza. Realmente a cavallo di un manico di scopa. Il manico di scopa non rappresenta forse il fallo? Secondo Lois Banner, "i due termini dispregiativi più comunemente usati dalle donne contro altre donne nel periodo medioevale erano 'puttana' e 'strega'. Tutte le donne potevano essere puttane; tutte le donne potevano essere streghe"(42). Il modello che sin da ora offriremo, il nostro modo di apparire, di comportarci, di vederci, di pensare a noi stesse verrà ricordato come la prima ondata del potere del femminismo moderno, un cambiamento di portata evolutiva. Vedendoci, le donne giovani non avranno più il timore che la vita si esaurisca con la giovinezza. Tuttavia, se continuiamo il lamento degli occhi che non ci fissano più come un tempo, tutto ciò che abbiamo realizzato si dissolverà nella polvere. Non è buona cosa che oggi le femministe più anziane dicano che la bellezza non rappresenta un fattore rilevante; lo è sempre. Ciò che cambia è il modo di misurarla. Se dobbiamo mutare una situazione di monopolio della bellezza da parte della gioventù, la Strega Buona dovrà apparire come era originariamente dipinta - creativa, saggia, intenta ad occuparsi dei propri poteri, e bella oltre ogni dire. Lamentarsi dell'invisibilità delle donne più vecchie riduce ad una farsa gli ultimi vent'anni; dice al mondo che razza di oggetti sessuali siamo sempre state e siamo rimaste. Il ritorno di oggi alla tirannia della bellezza giovanile complica il nostro compito; la moda adolescenziale che prende spunto dalla nostra stessa giovinezza degli anni Sessanta e Settanta, mima la nostra incapacità di creare un'immagine di bellezza matura eppure rigogliosa. Chi siamo? A fare la differenza non sono tanto gli abiti che indossiamo, ma il modo in cui ci comportiamo, pensiamo e guardiamo a noi stesse. Abbiamo bisogno di un look che celebri la Nuova Mezza Età delle donne. Non apparteniamo alla generazione di nostra madre. Prima supereremo la paura di sorpassarne il destino, più vicine saremo all'opera di creazione di questo nuovo look. L'occhio affamato è abituato a nutrirsi di un solo piatto: la gioventù. Non sarà tentato di assaggiare questa nuova offerta, più ricca, se noi che la viviamo in prima persona non ci crediamo. La ricerca dell'occhio per la bellezza giovane è automatica, eterna, indipendente dai contenuti dello splendido involucro. La capacità riproduttiva risiede nella mente dell'occhio biologico. Ma tu ed io siamo più che animali da riproduzione. Siamo persone appagate, ed è l'immagine di noi stesse come donne più eccitanti e affascinanti man mano che invecchiamo che ci rende tali. Quando le altre donne ci vedranno, porteranno con sé, dentro al loro specchio, il nostro modo di apparire; noi saremo una lente attraverso cui esse si vedranno sotto una luce nuova. Tutto sta nell'abituare l'occhio ad ammirare una donna più matura, dopo che la mente abbia mutato la sua opinione e ne abbia informato l'occhio. La nostra disinvoltura attirerà le persone, il che ci renderà meno dipendenti dalla bellezza giovanile. La gente oggi, più che mai, è attratta da chi trasmette una certa naturalezza. Una ragazza giovane e bella attrae le folle, ma raramente in lei c'è spazio per la naturalezza; colta da un uomo come un fiore al massimo della sua perfezione, lei non può far altro che prendere a prestito un po' della sua naturalezza. Sapendo che il suo valore è dettato dal tempo, teme il ticchettio dell'orologio.
Quando tu ed io, venti, trenta o quarant'anni più vecchie di lei, ci facciamo prendere dall'invidia nei confronti della sua giovinezza, ci dimentichiamo in quello stesso momento quanto ci appariva pericolosa la vita allora. Questi sono i risultati del risentimento che coviamo. Quando riusciremo a credere nel nostro nuovo potere, saremo circondate da altri uomini e da altre donne; gli uomini inseguono sempre donne forti che siano in grado di amarli. Competere con una ventenne per ottenere gli sguardi degli altri è un'impresa condannata al fallimento. A cinquantanni misurare il proprio successo in termini di visibilità in base a quello che riuscivamo a mietere a trenta è da sciocche. Non facciamo più parte della squadra genetica, in competizione con altre femmine alla ricerca di un compagno con cui procreare per continuare la stirpe. Siamo più vecchie e più sagge e non vogliamo un occhio indiscriminato; per la verità, non vogliamo essere scelte, ma essere noi le artefici del processo di selezione. Questa non è la scuola di ballo della nostra adolescenza. Questi sono gli anni in cui possiamo fare la prima mossa. I "racconti delle vecchie mogli" a proposito della caduta di desiderio che si accompagna al progredire dell'età non sono altro che questo, racconti di vecchie donne intesi a tenere le altre donne al loro posto. "La capacità della donna di avere orgasmi non subisce alcun tipo di deterioramento con l'età", scrissero Masters e Johnson nel 1994. "In uno studio, si scoprì che la frequenza degli orgasmi per le donne sessualmente attive in realtà aumentava in ogni decade della vita, fino agli ottant'anni."(43) Di fronte a questa citazione non provi un certo imbarazzo, al pensiero di un corpo femminile invecchiato preso dagli spasmi dell'estasi? Ricordati allora che le donne di trent'anni vedono già i segni della vecchiaia sul proprio corpo e sono convinte del fatto che gli uomini le vedranno come loro si vedono. La nostra invisibilità è una profezia che si autoavvera. La maggior parte delle mie amiche ha superato la soglia dei cinquanta, e il loro aspetto è piacevole come quello di tante trentenni; non appaiono altrettanto giovani, ma non è la giovinezza quel che hanno da offrire. La donna di mezza età non è più quella di un tempo. Norma Desmond, il personaggio principale del film e del musical di Broadway Il viale del tramonto, doveva essere originariamente una donna di cinquant'anni, una vecchia, una star del cinema in declino che non poteva più mostrare il proprio volto. Quel film venne prodotto nel 1950. Oggi ci viene da ridere all'idea di associare i cinquant'anni alla vecchiaia; è il nostro sguardo che è cambiato, oppure sono cambiate le donne? Direi entrambe le cose, ponendo una grande enfasi sulla seconda. Andrew Lloyd Webber, che compose la musica per la versione teatrale, citava alcune mogli di Hollywood che proclamavano in coro: "Abbiamo tutte cinquant'anni, e siamo tutte belle!" Cerca di ricordare la Swanson nella parte, quanti anni dimostrava? L'ho riguardato qualche sera fa. Effettivamente appare vecchia. Presumibilmente, a William Holden sembrava umiliante recitare di fronte ad una donna così vecchia, e dovette essere obbligato ad impersonare quel ruolo, ironicamente una delle sue migliori interpretazioni. "Oggi cinquant'anni non sono niente", dice Lloyd Webber, "ma a quei tempi, quando realizzarono il film, fu scioccante." Chi ha reso i cinquant'anni una definizione obsoleta per la vecchiaia? Tu ed io. Un uomo di quarantacinque anni ha un aspetto distinto, ma una donna della stessa età è in declino. Questo il detto riportato da Debby Then, studiosa del Center for the Study of Women alla UCLA. In qualità di donna che guarda gli uomini, replicherei che sono pochi gli uomini di quarantacinque anni che mi appaiono distinti finché, forse, non so chi sono, cos'hanno fatto e non gli leggo sul volto i risultati che hanno raggiunto. "Le donne quarantenni stanno meglio con se stesse di prima", continua Debby Then, "ma sfortunatamente questo succede proprio nel momento in cui diventano invisibili per la società."(44) Preferisco l'approccio alle donne, alla bellezza e all'età di Carolyn Heilbrun. "È forse soltanto in tarda età, di sicuro dopo i cinquanta, che le donne possono cessare di essere interpreti della femminilità, possono cogliere l'opportunità di rovesciare i loro principi prediletti di femminilità."(45). Come modello ammirevole di donna anziana, la Heilbrun ha scelto Margaret Mead. "Ricordo di aver pranzato con mia zia", racconta, "che mi esortava 'Perché non fai qualcosa di te stessa?' Guardai Margaret Mead che... era alta poco più di un metro e
mezzo e pesava 90 chili... ed era circondata da molte persone, compresi uomini giovani. Decisi che avrei fatto così."(46) La Mead viene spesso citata dalle altre donne come grande esempio di donna vecchia che sfida l'invisibilità. Nella sua autobiografia, la Mead celebra gli anni della menopausa, la libertà dalle gravidanze, come un periodo della vita in cui alle donne si rende disponibile qualcosa di "molto speciale": "Improvvisamente, viene rilasciata la loro intera creatività - dipingono o scrivono come mai prima di quel momento, oppure si gettano nel lavoro accademico con entusiasmo"(47). Per quanto riguarda il suo aspetto fisico e la sessualità, la figlia della Mead ha scritto di lei che "parve diventare più bella e per la prima volta in vita sua comprò qualche abito di sartoria, di Fabiani; credo anche che avesse incominciato una storia d'amore nuova. Senza ombra di dubbio, comunque, la sua attività professionale era andata incontro a un processo vero e proprio di rinascita."(48) "Quando guardo le pubblicità prodotte dal settore della cosmesi, rimango colpita da quanto spesso si suggerisca che la donna si faccia bella per gli altri", diceva la psicologa Georgia Witkin, che prese parte al mio seminario sul potere della bellezza del 1989. "Ho parlato con 1500 donne per un libro che scrissi, intitolato The Female Stress Syndrome, e ho scoperto che noi ci guardiamo in una superficie che riflette o in uno specchio per una media di diciassette volte al giorno. Questo comprende tutto, dai riflessi nelle vetrine, al trucco personale, alle sedute nei saloni di bellezza. Durante queste diciassette volte, ciò che le donne mi dissero di cercare non era come apparivano agli altri ma a se stesse. E se le loro guance apparivano rosee, le loro labbra rosse e i loro occhi brillavano, si dicevano: 'Bene, allora, devo sentirmi bene. Devo essere giovane, lo sembro'. Noi vogliamo la bellezza non solo per gli altri; vogliamo apparire come ci sentiamo, ovvero abbastanza giovani, abbastanza forti e abbastanza belle, anche se stiamo invecchiando." Nel corso dello stesso seminario, la giornalista televisiva Nancy Collins domandò ad una sala piena di dirigenti maschi di una grande casa di prodotti cosmetici il motivo per cui ricorressero ancora alle donne di vent'anni per reclamizzare le creme anti-età, e la risposta fu che questo era ciò che volevano i consumatori. Da allora, nelle pubblicità di prodotti di bellezza femminili, il numero di modelle avvenenti di età superiore ai quaranta si è moltiplicato; modelle come Lauren Hutton, Patti Hansen, Carmen e Isabella Rossellini rappresentano l'avanguardia. Gli uomini che dirigono grandi imprese di prodotti di bellezza sono alla ricerca di maggiori profitti; se risulta provato che le donne più mature vendono le creme anti-età meglio delle donne più giovani, procederanno con le prime. Ma la decisione riguardo a quanto e per quanto tempo vogliamo attrarre gli sguardi altrui spetta soltanto a noi. Diciamo di odiare l'idea di essere oggetti di bellezza quando in realtà quel che odiamo veramente è l'essere invisibili e senza potere. La menopausa può costituire un piacevole momento di tregua per chi detesti gli sguardi. Quando una generazione di donne crescerà portandosi nell'adolescenza i grandi occhi coraggiosi con cui guardare il mondo, insieme a tutti gli altri talenti oggetto di ammirazione prima dell'arrivo delle mestruazioni, poi, alla loro cessazione, quelle stesse donne potranno sentire dentro di sé tutte le abilità e le capacità che hanno esercitato fin dalla nascita. L'invisibilità allora non sarebbe così temuta, perché il senso del proprio valore sarà stato interiorizzato. Ricorderemmo i benefici degli anni trascorsi prima dell'arrivo dell'adolescenza, quando le persone rispondevano più prontamente alle nostre voci, al nostro fascino, alle nostre capacità atletiche e scolastiche. Non essere continuamente al centro della scena allora era sinonimo di libertà. Ora capisco di cosa parlano i miei sogni di valigie perdute e di armadi ricolmi di vestiti, e per quale motivo ho incominciato questo libro, incerta se avrei desiderato continuare ad essere vista oppure no. La nostra generazione non riuscirà a mutare il doppio modello di invecchiamento prima della conclusione della propria vita, ma abbiamo cominciato ad acquisire un potere che un tempo pensavamo appartenere alle donne solo nel momento in cui si sposavano. Non è mai stato così. Né gli uomini avevano accesso al nostro potere. Ora ciascun sesso possiede una parte di ciò che un tempo era di dominio esclusivo dell'uno o dell'altro, e possiamo decidere di condividerlo insieme o di vivere da soli.
Saremo sempre più coinvolte nel processo di trasformazione nel tipo di persone che desideriamo essere. Questo è quel che gli altri leggeranno sul nostro volto, non più giovane come una volta,"ma nemmemo più sciupato di quello degli uomini: la bellezza di gioventù svanisce, ma l'intelligenza, l'energia, la capacità di comando, tutte le qualità che gli uomini conservano nel corso della vita, inclusa l'energia sessuale, saranno anche caratteristiche femminili. Non mi accosto alla vecchiaia con gioia, ma detesto lo spreco. Voglio credere che le giovani donne stiano crescendo prendendo a modello donne più mature di valore; le ragazze assistono al rispetto che si riserva ora alle donne di tutte le età, come avviene con gli uomini; il successo economico sarà sempre oggetto di ammirazione, perché l'economia è diventata il nostro dio. Ma altrettanto lo saranno le realizzazioni in altri campi. Quando i figli vedono i propri genitori genuflettersi di fronte a donne di settant'anni come Pamela Harriman, la nostra ambasciatrice in Francia, si accorgeranno che non è per un bel viso. E vedranno donne dotate come Maya Angelou, Elizabeth Dole, Sandra Day O'Connor ricevere atti di deferenza, come altre migliaia di donne degne di rispetto attive oggi. Tra dieci anni, si sentiranno ancora i lamenti delle donne sull'invisibilità, ma si spera ci sia meno disperazione e più senso dell'umorismo nelle loro voci, perché avranno colto pienamente il proprio valore. Chi perde volentieri la propria bellezza? Non io. E nemmeno gli uomini. Ma quel che mi dà forza è la convinzione che questi saranno gli anni migliori. 9.7 - Cosa dovrebbe indossare la Strega Buona? Il futuro professionale dei sarti di oggi è già assicurato; ogni anno milioni di donne passano i cinquant'anni e non hanno mai avuto un aspetto migliore. Siamo anche più ricche di quanto il nostro gruppo d'età sia mai stato prima, e non si tratta di una ricchezza ereditata da un marito morto a cui siamo sopravvissute. Avendo guadagnato del denaro nostro, ci sentiamo anche più libere di spenderlo per noi stesse. Vogliamo apparire come ci sentiamo: vive, sensuali, più padrone della nostra vita che mai. Siamo le nuove Streghe Buone che non vogliono sprofondare nell'invisibilità, né vogliamo apparire grottesche, come succede quando una donna attempata indossa i vestiti di un'adolescente. Anne Hollander è il profeta venuto a dirci che i vestiti hanno un linguaggio e parlano per noi. Le donne l'hanno sempre saputo, ma rientrava nel ruolo della brava donna dire: "Quel che conta non è come si appare, cara, o cosa indossi, ma chi sei dentro". Certo, essere buoni d'animo è importante, ma è possibile essere "buoni" ed essere anche sensuali e belli. "Siamo stanche di fare sempre le buone", dice la scrittrice Margaret Atwood, una voce matura abituata all'onestà intellettuale. "Quando si nega alle donne una qualsiasi nozione di sfida, le si riporta sostanzialmente all'età vittoriana. Tutta innocenza, niente potere, eccetto il potere di essere buona."(49). I creatori di moda non sanno come vederci, tale è il carattere rivoluzionario di questa nuova categoria di donne. Non si è mai pensato che le donne mature potessero meritare un'immagine speciale. Non lavoravano in massa negli uffici, non occupavano incarichi governativi di prestigio, non maneggiavano portafogli finanziari. Quando ero giovane, le madri delle mie amiche non raggiungevano mai una bellezza sensuale matura; arrivavano all'acme della loro bellezza nell'adolescenza, conservavano la loro verginità per il matrimonio, e passavano velocemente dal rango di regina dei balli scolastici a quello di madre, il cui aspetto era svuotato di richiami sessuali. Quando una nuova generazione di giovani donne si guadagnava le luci della ribalta, le loro madri scomparivano visivamente dal paesaggio. Solo le grandi regine dello schermo, con l'aiuto di stilisti come Edith Head e Adrian, riuscivano a dare risalto alla bellezza erotica della maturità; queste star venivano illuminate da luci che accentuavano la qualità affascinante della naturalezza sensuale che erano state addestrate a fare affiorare dai recessi più profondi della loro interiorità. Questo è il motivo per cui chiamavamo il cinema "make-believe". Non vedevamo mai donne simili in carne ed ossa. Ma tu ed io non invecchiamo come le nostre madri; molte di noi lavorano fuori casa e dispongono di buone somme di denaro da spendere: le donne comprese tra i cinquantacinque e i sessantaquattro anni guadagnano il 41% in più rispetto allo stesso gruppo di età di trent'anni fa; le donne sopra i sessantacinque anni
guadagnano invece più del doppio, all'interno del medesimo confronto(50). Pongo una certa enfasi sul denaro perché si è portati a pensare che i dollari, in mancanza d'altro, potrebbero scuotere i creatori di moda. Ma non possiamo incolpare gli stilisti, che di mestiere non fanno gli psichiatri. La frase "Cosa vogliono le donne?" ha acquisito un nuovo significato; un esercito di donne come noi è arrivato a quest'età sprovvisto di un modello psicologico ed estetico della bellezza sensuale matura. Non abbiamo niente da metterci! Il critico di moda Holly Brubach ha scritto degli anni Settanta: "C'è qualcosa di particolarmente allarmante nel fenomeno di riciclo che riguarda questo decennio, come se tutta la storia si stesse tramutando in una sala di specchi... Mi sembra che sia semplicemente più tranquillizzante trovare riparo nello stile di un altro decennio piuttosto che inventare uno stile per la nostra epoca e con esso mettere a nuovo il mondo. In altri termini, è un pretesto, un mezzo per abdicare alla vita che abbiamo di fronte"(51). La maggior parte degli stilisti che fanno risorgere oggi la moda degli anni Sessanta e Settanta allora non erano neanche in circolazione. La loro intenzione è forse quella di suonare la nostra vecchia musica e reinventare quei vestiti nella speranza che il look possa ricatturare quel particolare momento storico e tirarci fuori dal tran-tran in cui siamo immersi? I creatori di moda possono inventare gli abiti solo quando la gente è pronta ad indossarli, perché il look si adatta ai tempi. Non siamo ancora giunte a destinazione, e dunque essi non possono vestirci. "Il silenzio che avvolge l'invisibilità può avere degli effetti devastanti dopo una vita trascorsa tra i complimenti o la ricerca degli sguardi di approvazione che confermino la nostra capacità di piacere"(52), ha scritto nel 1986 la psicologa Rita Freedman. Ma il senso di devastazione cui vanno incontro le donne giovani arriva dopo soli venticinque anni di vita. Sono prigioniere di un io impoverito nella prima infanzia da un lato, e della paura di invecchiare dall'altro, poiché sono così poche le donne più vecchie di loro da prendere a modello. Le riviste femminili rafforzano la loro ansia legata alla sensazione che la vita si fermi a questo momento dell'esistenza. Fatti vedere ora, perché davanti a te c'è solo oscurità. Ricordo bene le bibbie in fatto di moda che vedevo da bambina sui tavolini, le riviste della mamma come Vogue e Harper's Bazaar, con le loro immagini incantevoli di belle donne adulte da cui emanava un senso di mistero, la promessa di un futuro eccitante in mano agli adulti. A sedici anni non volevamo apparire in quel modo, non ancora, ma queste donne dal fascino esotico, come le regine del grande schermo, offrivano un futuro in cui la bellezza sensuale aveva un ruolo, decisamente diverso da quello della cara vecchia mamma. Negli anni Sessanta e Settanta, quando i baby boomers, con la sola forza dei numeri, conquistarono i mass-media, le immagini di Jean Shrimpton, Penelope Tree e di Twiggy invasero le pagine di moda. La forza impetuosa della musica, dell'arte e della scrittura fornì un contenuto al look. Questi libri, queste canzoni e questi dipinti costituivano il messaggio udibile in tutto il mondo. Le voci delle prime femministe facevano da sfondo ai quadri di Warhol, alla musica degli Stones, alle magliette logore e ai capelli lunghi dei giovani che fecero vacillare il mondo. Tutto quello che c'era di interessante e di importante avveniva in sincrono con il Movimento per i diritti civili, la rivendicazione del diritto di aborto, la protesta contro la guerra in Vietnam. Detto questo, esistono anche cose del passato che andarono perdute durante le rivoluzioni e che vale la pena di recuperare. Noi che le abbiamo vissute costituiamo l'ultima generazione venuta alla luce in un mondo fatto di tradizione e di buone maniere. Se non incorporeremo quell'eredità culturale nella nostra esistenza, così che il modo di apparire dei genitori che abbiamo amato possa rivivere in noi, andrà perduta per sempre. Ci sono dei motivi dietro il nostro desiderio di rivisitare continuamente i vecchi film e di reinventare abiti che appartengono al passato; le voci di Frank Sinatra e di Tony Bennet hanno il suono dolce delle estati della nostra giovinezza, del nostro mondo andato in fumo, anche per chi non le ha sentite quando erano in voga. Tutti hanno fame. Dobbiamo trovare un look per la Strega Buona. Le donne si sentono a disagio nell'apparire potenti, nell'associare la forza all'età, ovvero alla madre? Alla vista di una bella donna di cinquantanni accostiamo un ricordo diverso da quello
che accostiamo ad un uomo. Se la vedessimo soltanto, senza conoscerla, saremmo semplicemente attratte dalla sua bellezza. Ma poi succede che qualcuno ci informi sulla sua età e, d'un tratto, la vediamo con occhi diversi. L'immagine della prima donna della nostra vita getta un'ombra sul modo di vedere il nostro stesso invecchiamento, e, per estensione, su come vediamo invecchiare le altre donne; parte del piacere che proviamo nel distruggere una donna più vecchia risiede nel rivoltarci contro la strega della nursery, non a quella buona, ma a quella cattiva. Giunte all'età di cinquanta o sessant'anni, quando ci vediamo allo specchio fatichiamo a confidare nel nostro aspetto fisico. Soltanto le donne che sono riuscite a separarsi emotivamente, nel loro processo di invidualizzazione, raggiungono lo stadio in cui si riesce a vedere la madre interiorizzata come persona completa, e dunque a vedere anche se stesse come individui completi. Chi di noi non c'è mai riuscito, rimane con la Strega Buona e la Strega Cattiva delle favole, con la scissione della donna più potente del mondo nella madre amata e nella madre odiata. E, naturalmente, non desideriamo apparire potenti. I Fratelli Grimm, quando raccolsero i racconti di "Biancaneve" e di "Hansel e Gretel", furono così turbati dal fatto di trovare le madri al centro di storie che comprendevano l'omicidio, la gelosia e l'abbandono - storie che erano state tramandate oralmente da una generazione di donne anziane a quella successiva che, per la terza edizione della collezione pubblicata nel 1819, trasformarono il personaggio in una matrigna. "Per loro la madre cattiva doveva scomparire perché sopravvivesse il suo ideale e per consentire alla figura della Madre di fiorire come simbolo dell'eterno femminino, la madre terra e la famiglia stessa come il più nobile dei desiderata sociali."(53). Questo è molto negativo. I bambini hanno bisogno di sentire esplicitata la realtà che vivono; possono sopportarlo. E possiamo farlo anche noi. Altrimenti, in una donna matura potente, noi stesse o un'altra, vedremo e temeremo solo La Strega Cattiva. La mia stessa ambivalenza a proposito del bisogno di essere vista, in quanto contrapposto all'impulso di svuotare gli armadi stracolmi e di viaggiare con una piccola valigia, attiene a qualche parte di questo enigma; l'esibizionismo, il desiderio di esporsi con un abito vistoso, porta con sé la minaccia della perdita del controllo, come quando si vola in aereo. Per esempio, quando sono a bordo di un aeroplano afferro istintivamente delle riviste di moda; niente ha il potere di distrarmi dalla paura della perdita del controllo in volo come l'atto di giudicare la bellezza. Giro le pagine di Vogue con languida pregustazione, a tratti sollevata - in un impeto di senso di superiorità - dal fatto che niente sia di sufficiente qualità da attrarre la mia attenzione, seguito da un Ah! di adrenalina quando intravedo qualcosa che farebbe voltare un intero ristorante. Immaginarmi in abiti eleganti mi ha fatto farebbe voltare un intero ristorante. Immaginarmi in abiti eleganti mi ha fatto superare molte turbolenze in volo. Oggi, quando l'areoplano atterra senza problemi, dopo aver ingannato la morte ancora una volta, mi accorgo di aver fatto le orecchie a sempre meno pagine di moda. Sono una "drogata" in remissione, simpatetica rispetto ai motivi per cui le donne comprano sempre meno: noi, la generazione di donne di mezza età più attraente e più benestante della storia, siamo diverse dalle nostre madri e nulla ci rappresenta. L'occhio che si concentra sulla donna matura non riesce a coglierla. Anche le cosiddette riviste per donne adulte sono incapaci di andare oltre la bellezza adolescente, vivono un impasse culturale. Ieri, di ritorno in aereo a Key West, mi è capitato di leggere un articolo su Harper's Bazaar a proposito dell' "invenzione" di una modella nuovissima. "Gli agenti lo definiscono 'inventare la ragazza' ", scriveva il giornalista, "prendi e decidi cosa devono fare... Le metti in posa. Decidi come dovranno essere viste... per soddisfare l'occhio affamato della nostra cultura... la sua è una bellezza che sembra comporsi ed attrarre più la si guarda."(54). Ma non si tratta di un viso da Greta Garbo, come potrebbe far credere l'ultima frase citata sopra, ma di un viso grazioso dell'ultima icona di diciottenne in jeans e top. Tutte le sue idiosincrasie e la sua filosofia di vita sono puntualmente registrate. L'età mediana della lettrice di Vogue è di 32,4 anni. È vero che "la giovinezza è l'unica cosa che valga la pena di possedere"(55) come diceva Dorian Gray? La nostra preooccupazione al riguardo va oltre la paura dell'età in sé, come se la nuova donna attraente di fine millennio consegnataci dalla nostra rivoluzione, fosse, come usavano dire gli uomini, "troppo per me".
Perché i direttori di giornali, gli stilisti e i fotografi che danno vita a queste riviste non escogitano un look adatto all'occhio e al portafoglio della maggioranza delle loro lettrici? Proprio prima che Alexander Liberman si ritirasse dal suo incarico di creative director di Condé Nast - che possiede Vogue - dove lavorava da più di cinquant'anni, ebbi un breve incontro con lui nel suo ufficio. Piena di rispetto, persino intimidita, consapevole della reverenza che lo circondava, gli domandai perché queste riviste per donne adulte non avevano un aspetto più sofisticato, come i numeri che egli progettava trenta e quarantanni fa, che riportavano le immagini delle donne che, nel mondo, appartenevano ad un pantheon di bellezze supreme, come Lisa Fonssagrives-Penn, Babe Paley, Liz Whitney e Slim Keith. Non ho mai dimenticato la foto miracolosa di Avedon che ritraeva Dovina con gli elefanti, le foto piene di fascino di Horst scattate a Coco Chanel, e quelle di Liberman stesso che ritraevano Marlene Dietrich. Fotografate con uno stile che esprimeva il senso dello chic, dell'eleganza, del cosmopolitismo, queste donne, dissi a Liberman, rappresentavano un mistero che da giovane non comprendevo, ma che mi colpì come una promessa per il mio stesso futuro. "Non si può vendere una rivista che piaccia alle matrone", mi avvertì sprezzante. E poi aggiunse: "Lei vive nel passato". Fui presa così alla sprovvista, mi alzai in piedi, senza parole. L'intervista era terminata. Mi piace pensare che non sia solo la mediocrità della moda a spiegare la scarsità delle pagine di Vogue che suscitano il mio interesse, ma anche il fatto che, ora, ho un'opinione migliore di me stessa e, di conseguenza, ho meno bisogno di travestimenti stravaganti. Non una grande opinione, semplicemente migliore, in gran parte connessa a venticinque anni trascorsi a scrivere, che mi hanno insegnato che sono stata al colmo della felicità all'età di dieci anni. È esattamente quella disinvoltura, più di ogni altra cosa, che vorrei riavere. Allora non mi guardavo mai allo specchio. Alla fine delle mie scuole medie, mio nonno mandò a mia madre una borsetta da sera d'argento come regalo di Natale; dentro c'era un piccolo tubo dorato di rossetto, adornato da una elegante figura di cicogna. Il rossetto era di un colore che non avevo mai visto prima, un rosa shocking che mi catturò come nelle fiabe. "Prendimi", diceva, e io lo feci. Noi ragazze eravamo agli inizi dei nostri rituali di bellezza - si comincia presto nel Sud - e quando mi misi quel rossetto rosa shocking, tutti mi guardarono. Ero abituata a leggere l'ammirazione negli occhi degli altri per le pagelle, i risultati sportivi, i miei salti in sfida alla morte da un albero all'altro, ma ora stavano guardando la mia bocca, il mio viso. Era una sensazione completamente differente, essere ammirate per una parte del proprio corpo. Più o meno quarantanni dopo, in un giorno d'estate che reclamava un rossetto rosa acceso, un accessorio che non ha mai smesso di fare parte del mio guardaroba, mio marito ed io ci recammo a fare visita ai nostri amici Charles e Belinda. Avevamo affittato case separate a Malibu per il mese di agosto, ed era un giorno ideale per bere un Bellini in compagnia. Sedemmo nel loro giardino e ridemmo a lungo, perché lo champagne e il nettare di pesca producono un bollente stato di eccitazione. Quindi entrammo in casa per vedere il dipinto di una giungla con animali di Rousseau che Belinda aveva appena allestito, essendo lei un'appassionata di natura selvaggia e in particolare di pappagalli, tanto che lei e Charles ne posseggono due esemplari. Lui mi chiese se volevo tenere il suo pappagallo sulla spalla e poiché sapevo che quell'uccello era il più mansueto dei due, acconsentii. Stando molto ferma, sorridendo con le mie labbra dipinte di rosa acceso, non mi accorsi che Belinda, dopo essere scivolata silenziosamente alle mie spalle, aveva posto, senza avvisarmi, il proprio irascibile pappagallo sull'altra spalla, cosa che mi fece voltare la testa all'improvviso. L'uccello emise uno strido rauco e affondò il suo becco nella mia faccia. Sentii un rivolo di sangue caldo scorrere sulla guancia e la risata di Belinda mentre mi portava eccitata verso il suo mobile da toeletta, dove mi applicò un astringente. Alla vista della pelle lacerata e sanguinante proprio sotto l'occhio, iniziai a tremare così visibilmente che mio marito dovette riportarmi a casa. Quando, davanti al mio specchio, vidi il buco nella mia guancia, e mi resi conto di quanto fosse vicino al mio occhio buono, scoppiai in un pianto dirotto. Non
era il dolore fisico, ma qualcos'altro, di più profondo e triste che non riuscii a nominare per giorni. Perché aveva messo quell'uccello collerico così vicino al mio viso senza neanche una parola di avvertimento? "È stato il tuo aspetto sgargiante, quel rossetto di colore acceso", mi disse quando telefonò per riferirmi il parere del suo "esperto d'uccelli" a proposito dell'incidente. "Il rossetto e quei capelli biondi. Sei così vistosa. Questo ha fatto arrabbiare il mio caro Petrov." Era più divertita che preoccupata, dato che era stata colpita più volte dai suoi uccelli e anche per qualche altro sentimento nascosto. "Avresti dovuto vedere la mia amica Jane", proseguì, "mentre il piccolo Petrov le dava la caccia su per le scale. Tutti quei capelli rossi gli erano andati alla testa. Lei urlava, ma era uno spettacolo comico, il piccolo Petrov che saltellava su per le scale dietro a quella magnifica donna." La stessa Belinda è bella, anche se si dà un gran da fare per demolire le sue forme meravigliose, la sua pelle, i suoi capelli, l'intero capolavoro, sotto i colpi della propria incuria. L'atto di demolizione è totalmente intenzionale. Tuttavia, si rifiuta di arrendersi. Sul suo tavolino troneggia un vecchio numero di Vogue con la sua foto in copertina come la più bella debuttante dell'anno. Che genere di infelicità la induce a mostrare la sua bellezza giovanile anche quando distrugge quel che ne rimane? Evidentemente, quel che la bellezza le ha permesso di conquistare non l'ha lasciata soddisfatta. Meglio prendersi gioco di noi che ancora veneriamo ciò che lei odia, i resti dello splendore così promettente di un tempo. La rivista è appoggiata sul tavolo, in modo che possa passarvi davanti, indossando di proposito qualcosa di sciatto. Una volta, Galanos, Halston e Saint-Laurent la pregavano di portare le loro creazioni in modo che altre donne potessero venerare lei in quegli abiti, e gli abiti in lei. La studio da vicino perché non voglio diventare come lei, rabbiosamente invidiosa delle altre donne che non accettano di imitare la sua amara capitolazione di fronte all'età. In una versione di Cenerentola, dopo che le due malvage ed invidiose sorellastre sono state battute da Cenerentola nella competizione per la mano del figlio del Re, cercano di ritornare nelle sue grazie per dividere con lei la sua buona fortuna. Lungo la via verso la chiesa in cui avrà luogo il matrimonio, sopraggiungono due uccelli che beccano un occhio di ciascuna delle due sorelle cattive; dopo la cerimonia, gli uccelli riappaiono e beccano l'occhio rimanente di entrambe. "E così, per la loro malvagità e la loro falsità, vennero punite con la cecità per il resto dei loro giorni." Il commento di Bruno Bettelheim sull'accecamento delle due sorelle da parte degli uccelli è che costituisce un simbolo della loro insensibilità, "ma anche la logica conseguenza della [loro] incapacità di sviluppare una personalità propria... [Esse non] avevano sviluppato un'identità separata... non avevano scoperto la differenza tra il bene e il male, né sviluppato una capacità d'iniziativa e di autodeterminazione... erano rimaste dei gusci vuoti."(56). Una parte così rilevante della vita trascorre nel tentativo di attirare l'attenzione degli altri. Nonostante tutto il mio parlare del desiderio di svuotare gli armadi, non voglio finire come Belinda con i suoi uccelli. Voler smettere di attirare gli occhi a sé è una buona decisione, a patto che sia presa in piena coscienza, consapevoli di quanto ci si sta lasciando alle spalle. Fare a pezzi ciò che rimane della bellezza senza accettare al contempo come ci si potrà sentire quando altre donne primeggeranno in quello che un tempo è stato il proprio ruolo, beh, può portare a spedire all'attacco un sacco di uccelli per alleviare la propria invidia, per beccare gli occhi delle donne "vistose" che hanno osato riportare alla memoria quel che si possedeva una volta. In un certo senso, forse con la stessa scrittura di questo libro, voglio scendere a patti con il mio bisogno di essere vista, così che quando sarà andato il tempo per gli abiti vistosi - non vedo labbra rosa shocking quando verrà il momento della carrozzella - avrò interiorizzato la convinzione di essere una persona piacevole per altre qualità, di tipo invisibile. I processi di separazione e individuazione di cui parlano Bettelheim e la Mahler hanno inizio nella prima infanzia, e, per quanto idealmente dovrebbero concludersi attorno ai due anni di età, donne e uomini più saggi sanno che ci lavoriamo per tutta la vita.
"Dietro ogni terrore si nasconde un desiderio", diceva Freud, e, senza dubbio, quando il vento leggero di Key West fa aderire il top trasparente al mio seno, io mi sento divisa: una parte di me desidera essere vista, l'altra metà teme di esserlo. Lo psichiatra Eric Berne scrisse a proposito di questo nel suo libro Games People Play, in cui spiega che alcuni di noi, invece di comportarsi da adulti equilibrati che fanno soltanto ciò che approvano in prima persona, recitano sia la parte del genitore critico che del bambino dispettoso. Se sono davvero ancora allo stadio della ribellione contro una madre ipercritica che neanche mi vedeva, mi rassegno. È il mio modo di rimanere legata a lei, di cercare ancora di ottenere quel che non ho avuto quando ero bambina. Scrivo i miei libri contro di lei? È per questo che Freud scrisse i suoi, che lo fa oggi Camille Paglia? E Madonna, al pari di Marylin Monroe e di Gypsy Rose Lee, si spoglia per rivoltarsi contro di lei? Raggiungiamo mai una fase in cui lo facciamo per noi stesse? Quando incominciai a intervistare i guru del mondo degli studi comportamentali, venivo ripetutamente corretta perché utilizzavo il termine voyeur in riferimento a come noi donne guardavamo gli uomini nei loro pantaloni attillati degli anni Settanta, quando i nostri occhi erano attratti dalla parte del cavallo creativamente sistemata. "Gli uomini, e non le donne, sono i voyeurs", mi correggevano. E quando mi descrivevo come un'esibizionista, mi veniva detto anche che il termine esibizionista si riferiva all'uomo che si sbottona i pantaloni nel parco. Nel suo libro Perversioni femminili, la psichiatra Louise Kaplan fornisce una spiegazione estremamente affascinante e attuale del motivo per cui alcuni di noi sentono l'esigenza di esibirsi. Consentimi di citarne lunghi stralci, perché, in questi giorni di genitorialità carente, un numero sempre maggiore di ragazze cresce senza lo Sguardo, e cerca così la certezza di esistere attraverso un comportamento esibizionista. Questa è la Kaplan che parla dell' "omovestitismo", un termine coniato dallo psicoanalista canadese George Savitzianos. Inizia con la descrizione di un personaggio della letteratura: "Una Emma Bovary che si comporta e si veste rispettando in pieno i dettami della femminilità più stereotipata, può essere un'omovestita, una donna che non si sente sicura della propria femminilità e ha timore di riconoscere apertamente le proprie tendenze maschili... Il concetto di omovestitismo, implicando la messa in scena del genere a cui si appartiene, di ciò che succede quando una donna si abbiglia per esibirsi come merce sessuale di valore, può anche essere più puntuale del termine esibizionismo... Per tagliar corto, sia la psichiatria sia la gente comune spesso parlano delle spogliarelliste come di donne che interpretano film pornografici o posano da esibizioniste per riviste per soli uomini. Se le gratificazioni garantite dall'esibizionismo... svolgono un qualche ruolo nell'attrarre le donne verso queste attività, in definitiva le innumerevoli donne che indossano biancheria intima femminile, veli o altri indumenti femminili atti a esporne parzialmente il corpo per assumere pose sessualmente esplicite o suggestive, lo fanno per rassicurarsi che non saranno abbandonate o annullate. La loro stessa esistenza è in gioco. Il corpo feticizzato dell'attrice porno è tutto quanto è rimasto alla bambina che non è mai riuscita a spiegarsi del tutto perché l'amore le sia stato tolto... Le donne come... quell'eroina di culto che è Marilyn Monroe, sono prigioniere di corpi che non possono prendere vita se non attraverso la messa in scena della femminilità. Queste impersonatrici di parti femminili sono dominate dai loro rigidi scenari sessuali tanto quanto gli uomini che catturano, fanno prigionieri e servono"(57). Quel che mi piace della definizione più ampia di esibizionismo presentataci dalla Kaplan è che fornisce una spiegazione del nostro bisogno adulto di essere guardati risalendo allo Sguardo dei primi anni di vita. Quanto tempo ancora ci vorrà prima di capire che ciò che accade nella nursery va oltre i fenomeni dell'allattamento e dell'accudimento, che è lì che prende forma il modello per la vita futura? Finché non accetteremo questo fatto, avremo giovani uomini e giovani donne che vagano affamati per le strade del mondo, bramosi di vedere se stessi negli occhi degli altri, e furiosi al limite della violenza quando nessuno li vede. La paura del bambino piccolo di essere "abbandonato e
annullato" o di "non riuscire mai a spiegarsi del tutto perché l'amore gli è stato tolto", come scrive la Kaplan, ha creato bambini che, allevati dentro nursery vuote, si sono trasformati in persone giovani il cui vestire e parlare in modo esibizionistico non è solo un marchio di fabbrica di moda, ma un modo di vivere: "Guardami! Guardami, dannazione, o ti ammazzo!" Scrivendo sono arrivata a capire che La Brava Ragazza che fino a quel momento avevo presentato al mondo era in realtà molto arrabbiata e, sì, molto bisognosa di essere vista. Tutto aveva a che fare con l'assenza di mio padre. Ora, guardandomi indietro, posso capire perché l'atto di scrivere di temi proibiti come il sesso e di abbigliarmi per attirare l'attenzione erano alimentati da un'esigenza così vitale. Vorrei tanto poter dire che, con il passare del tempo, essere etichettata come una dirty writer dalle Signore dei mass-media mi ferisce sempre meno, ma una Brava Ragazza non supera mai veramente questi complessi. Tuttavia, non potrei smettere di scrivere di sesso più di quanto un bambino non potrebbe abbandonare il cerchio di luce disegnato dagli occhi di sua madre. Nella sua autobiografia Paura dei cinquanta, Erica Jong ricorda con una nota dolente: "È difficile, oggi, ricordare l'odio che arrivava fino a me sulla scia di Paura di volare. Giornaliste che, in privato, mi confessavano la loro piena immedesimazione, poi mi attaccavano in pubblico, usando, spesso, proprio quelle confidenze che mi avevano estorto, in nome dell'identificazione femminista. Mi sentivo tradita. Le loro aspre critiche mi riducevano al silenzio più che non i miei critici maschi."(58). Erica ed io ci conosciamo da quando i nostri libri sulla sessualità delle donne, i suoi di narrativa, i miei di saggistica, vennero pubblicati nei primi anni Settanta; mi identifico fin troppo bene con quanto afferma. Uno dei vantaggi dell'invecchiare è dato dal fatto che ci si preoccupa di meno di cosa pensano gli altri: "Cosa diranno i vicini?" Anche se non indosso gli abiti succinti con cui un tempo mettevo in mostra il mio corpo, la mia mente è sicuramente meno inibita. Quando avevo vent'anni, il desiderio di esibirmi e di essere sensuale era in conflitto con il timore di ciò che avrebbero detto le altre ragazze. Allo stesso modo di Erica, ero allibita dalla reazione delle mie amiche a 'Il mio giardino segreto'; le estranee erano molto più dalla mia parte. Fu a dispetto del disprezzo delle mie amiche che continuai a scrivere di sesso. Gli scrittori occupano una postazione elevata nei diagrammi che descrivono il suicidio, i collassi nervosi, la depressione patologica, e le ulcere. Anni fa lessi una lista di autori che avevano vinto il premio Nobel morti per alcolismo. Mettere a nudo l'emozione in modo che il lettore possa entrare in risonanza con la propria opera richiede un grande lavoro di scavo da parte dello scrittore, lo svelamento di grandi blocchi di memoria su cui sta scritto "Non toccare". Il fatto che tanti di noi finiscano per condurre una vita solitaria, fatta di intuizioni che poi si rivelano essere rabbia pura, mi suggerisce che ciò che facciamo ha valore. "Avevo paura che, se avessi liberato la mia rabbia, in qualche modo avrei distrutto il mondo", scriveva Richard Rhodes, riferendosi al suo blocco nella scrittura. Ed è di Virginia Woolf la frase: "Sento con certezza che impazzirò". Byron, Shelley, Melville e Coleridge, soffrivano tutti di varie forme di depressione maniacale e di depressione dell'umore. La furia teutonica è in genere quella del neonato che siamo stati, ed è per questo motivo che parliamo di onnipotenza infantile. Una volta una persona saggia mi disse che il blocco di uno scrittore non era altro che sua madre seduta nel suo inconscio con una matita blu nella mano. La rabbia sul viso trova espressione attraverso "l'aspetto corrucciato ": sopracciglia aggrottate, sguardo duro e labbra serrate a coprire i denti, dice Carl Izard, che studia la comunicazione non-verbale. Quando la rabbia viene repressa, egli afferma, si dipinge un' "espressione di copertura" che maschera il volto, un aspetto che mi ricorda la maschera della Brava Ragazza che esibivano le donne della generazione di mia madre, un muro comune di emozione repressa che le faceva apparire vecchie prima del tempo. Le donne odiano le labbra costantemente serrate. Oggi le iniettiamo di collagene, e l'odontoiatria del Nuovo Mondo sostituisce i denti che consumiamo a furia di digrignarli per la rabbia nottetempo. Ma le più desiderose di iniezioni di collagene sono le ventenni. La disperazione di farsi notare non è più confinata ad una qualche generazione. Le ricompense connesse alla bellezza non sono più accompagnate come un tempo dai
vecchi giudizi moralistici applicati agli sforzi di miglioramento "scientifico" della propria apparenza. "Il fascino dell'aspetto semplice, acqua e sapone, non falsificato dal belletto, è essenzialmente di carattere morale", scrive Holly Brubach. "In una donna ammiriamo il coraggio di mostrarsi al mondo per quella che è, e, alla fine, è il coraggio che troviamo attraente."(59). Sicuramente questa concezione ci appartiene ancora, intrecciata com'è alla struttura della nostra etica protestante. Ma quando estendiamo le potenzialità della bellezza giovanile con l'esercizio fisico, la chirurgia, una salute migliore e un lavoro che abbiamo scelto, il mio voto in favore del coraggio va a chi si assume il rischio, a chi se ne infischia delle regole della moralità e osa mettersi il belletto, mostrare le gambe, le ampie scollature, il corpo, a chi ricorre alla chirurgia estetica, a condizione che la porti con sicurezza. Ammiriamo la bellezza di Joan Collins perché ha dato voce al suo esibizionismo con grande aplomb; mettendoci a nostro agio, ci permette di guardarla. La disinvoltura è forse ciò che ammiro maggiormente, perché annichilisce l'invidia. Guardo con sospetto a chi si santifica per il fatto di rifuggire la chirurgia estetica per poi denigrare chi vi è favorevole. Schernire la donna che acquista un ottimo aspetto dopo essersi rifatta il contorno occhi, conferisce alle invidiose un tono di superiorità morale, quando in realtà non si distanziano dai ficcanaso che spettegolavano sulle prime donne che fumavano in pubblico. Barbara Bush, con i suoi capelli bianchi e le sue perle false, non mi ha mai convinto della sua felicità per quella scelta. Mi ha sempre fatto l'impressione di una donna rabbiosa, invidiosa. Quando oggi l'industria della bellezza utilizza l'invidia per la pubblicità, io ne sono contenta. Quando la pubblicità fa propri i principi impliciti della nostra cultura, si eleva a forma artistica: "Dicono che gli uomini, quando invecchiano, acquistano dei segni di espressione, mentre alle donne vengono semplicemente le rughe... davvero?" dice la donna nello spot per Oil of Olaz. "Non intendo invecchiare con garbo, voglio combatterla strada facendo, centimetro per centimetro." Ciò che desideriamo è avere un aspetto migliore mentre invecchiamo, ed essere ancora "brave persone" come lo erano le nostre madri. In questo appunto consiste la preda preferita delle invidiose, nella supposta immoralità dei nostri tentativi di migliorare l'apparenza al di là di ciò che è "naturale". L'ansia di una donna di cinquantanni che ha migliorato il proprio aspetto grazie alla chirurgia estetica coincide con la paura della ragazza la cui bellezza sensuale le ha procurato l'amore dei ragazzi in misura superiore alla quota che le spettava: temendo che le altre ragazze le riserveranno meno affetto, soffia sulla fiamma del proprio eros. Potremmo decidere di sottoporci ad un trattamento di liposuzione o tingerci i capelli di biondo rame se solo, con queste scelte, non ci giocassimo la bontà, la gentilezza, e l'approvazione degli altri. Perché consegniamo agli altri il verdetto finale sulla nostra moralità? Una parte del risentimento suscitato dalla bellezza non scompare mai, soprattutto se conservata in un'età in cui ci si aspetta che le donne si avviino buone buone verso l'oblio. Noi, immerse nel Terzo Atto della nostra vita, siamo l'ultima generazione che possa ricordare il destino inevitabile delle donne che diventavano nonne dai capelli bianchi e soffici, dal grande petto su cui poggiare il capo, nonne risaputamente prive di invidia, che una volta sostituivano le madri che non avevano alcun talento per curarsi dei bambini piccoli. La tristezza che prolifera nelle nostre strade ci dice quanto sentiamo la mancanza di persone che apparivano in pace con se stesse e il loro aspetto, di persone con cui potevamo rilassarci e non impegnarci in competizioni estenuanti. Nonne che profumavano di lavanda e avevano una pelle rugosa e soffice, che ci regalavano uno sguardo profondo, amorevole, che diceva: "Vai a scoprire il mondo, mia cara, perché io ti ho visto e ho amato quello che ho visto". Ma ora siamo a corto di nonne, perché i capelli bianchi e le braccia dalla pelle floscia sono molto fuori moda. Altre culture sembrano avere meno problemi a coniugare bellezza e serietà di propositi. Culture in cui la ricerca della bellezza, a qualsiasi età, non è vista come un'azione sciocca. Al contrario, il ruolo della bellezza sembra rientrare nella cultura stessa; forse perché sono culture più antiche della nostra? Durante la seconda guerra mondiale, quando Parigi non poteva offrire bei vestiti, ma solo lunghe file per il pane, la stessa donna che combatteva nella Resistenza si ingegnava per inventare comunque uno stile. Le donne parigine
confezionavano cappelli utilizzando vecchi giornali e piume di gallina, un vestito di nozze con della seta recuperata da un paracadute. Lungi dal produrre cadute nella stima degli altri, la loro originalità al servizio della bellezza veniva apprezzata (60). C'è una foto famosa di quegli anni di guerra in cui l'elettricità era razionata, che ritrae delle donne francesi sedute sotto il casco per asciugare i capelli azionato da uomini che pedalano su una bicicletta, visibili nella stanza sottostante. Non si trattava di vanità impazzita, ma di un simbolo della volontà di sopravvivenza, in cui la bellezza femminile rappresenta un bene per cui vale senz'altro la pena di combattere, come il Louvre o la cattedrale di Chartres. Alla fine, i termini dei patti che facciamo con noi stesse, che ci permettono di vederci come persone potenti e affascinanti, oppure no, dipendono unicamente dalla visione imperante tra le donne. Ogni tentativo intrapreso da una donna per essere bella e sensuale è contrapposto all'amore e all'accettazione dell'universo femminile. Fino a quando l'immagine rassicurante di una nuova generazione di donne non avrà compiuto il suo viaggio verso il mondo della bellezza sensuale, le donne più giovani ci osserveranno con circospezione, con invidia, finché il terreno non sarà veramente conquistato. Allora si assisterà ad una corsa precipitosa, ma non verso la vecchiaia, bensì verso la vita che continua. È il viaggio delle donne moderne, e il nemico è interno. 9.8 - Risolvere l'enigma di amore e denaro. Il denaro consente ad ogni donna che io conosca di portare avanti le proprie scelte di vivere da sola o in coppia, di continuare a lavorare o di smettere, di dare e ricevere nella misura che desidera. Le permette di stringere una relazione d'amore con un uomo che non dipenda dalle sue promesse di mantenimento. Il femminismo ha sempre spinto per la parità economica, ma a tutt'oggi non siamo in grado di insegnare la relazione tra indipendenza economica e indipendenza emotiva, a far fruttare il nostro denaro non solo per pagare le bollette, ma anche ad un livello più profondo, inconscio, nella sede dell'autonomia, dove, nel suo modo unico, serve la causa della separazione psicologica. Le donne con redditi a sei cifre possono anche passare per individui indipendenti, ma nel modo in cui maneggiano il denaro, evidenziano il rapporto di tipo adolescenziale che ancora le lega alla mamma. Questo è il motivo per cui il denaro è un indicatore ingannevole; così, delle bambine possono passare per adulti potenti solo perché sono grandi spendaccione. In realtà, si prendono gioco anche di se stesse. Il denaro non può renderci emotivamente indipendenti, ma può lastricare la via che conduce all'autonomia, liberandoci dalla promessa implicita della mamma che diceva che, standole vicine, avremmo sempre ricevuto il suo affetto. Oggi la madre negherebbe di averlo mai detto, con la stessa forza con cui noi negheremmo la circostanza di vivere ancora secondo le sue regole. Ma quando, pur disponendo del denaro per pagarci un appartamento e un diaframma, dimentichiamo aperta la porta del primo e lasciamo inutilizzato il secondo, non siamo forse ancora la bambina dipendente della mamma? Le donne non parlavano di denaro nel periodo in cui sono cresciuta io. Semplicemente non si faceva. Festeggio con tutto il cuore l'avvento dell'indipendenza economica femminile, nella ferma convinzione che incoraggi il senso di responsabilità. Questo è il motivo per cui mi sono rallegrata con il precedente governatore del Texas, Ann Richards, quando tenne un discorso alla Texas High School, un discorso che forse le è costato la rielezione. Il suo avversario, George W. Bush jr., individuò delle cartucce a suo favore quando lo ascoltò, accusandola di essere anti-americana per il fatto di spingere le giovani donne a imparare a prendersi cura di sé dal punto di vista economico. "La domanda importante che dovete porvi", disse la Richardson, "non è: 'Cosa voglio fare da grande?' ma: 'Chi sono?' e: 'Cosa voglio fare della mia vita?' E non potete contare su un Principe Azzurro che vi farà sentire meglio con voi stesse e si prenderà cura di voi... Nel mondo reale, la metà dei matrimoni si conclude con un divorzio. E oltre il 70% delle donne divorziate si vede scivolare verso la soglia di povertà... La sola persona su cui potrete contare quando avrete bisogno di aiuto siete voi stesse. E quasi ogni cosa che valga la pena di avere richiede molto lavoro, lavoro che non sempre ottiene la giusta ricompensa... Se c'è una cosa che frena [le donne]... è la nostra riluttanza ad
affrontare la realtà del denaro... Dovrete essere disposte a prendervi carico della vostra vita e ad essere responsabili di voi stesse."(61). "Questo non è il messaggio che i texani vogliono che i loro leader consegnino alle nostre figlie e ai nostri figli", ha controbattuto energicamente George Bush, accusando la Richardson di essere contro la famiglia. "I nostri leader dovrebbero impegnarsi nella costruzione della famiglia, non nella sua distruzione."(62). Il cuore sobbalza al pensiero che un'opinione così contorta possa far vincere un'elezione ad un uomo. Ma Bush sapeva di giocare su un desiderio profondo che tutti abbiamo, un senso di sicurezza agognato e sognato da bambini; forse alcuni di noi sono riusciti a realizzarlo, ma se lo si offre oggi a delle studentesse, non è altro che una menzogna. Non ritorneremo alla famiglia dei nostri sogni educando le ragazze ad essere completamente dipendenti da un uomo come un infante dalla propria madre. Personalmente, ho vissuto da vicino la dipendenza economica di mia madre, una situazione che presi come modello di quello che non avrei voluto diventare da adulta. Oggi, sono profondamente grata alla mia possibilità di mantenermi, ma non augurerei ad un altro bambino le prime lezioni che mi hanno condotto fin qui. Invece, vorrei che le madri e i padri facessero del loro meglio per insegnare alle loro figlie a tenere in grande considerazione il valore premiante dell'autosufficienza. Tutti i Bush del mondo giocano sulla nostalgia per un mondo che non è mai esistito realmente, e immagino che George Bush Jr. sia contrario anche alla nostra più grande speranza per il futuro, ossia al coinvolgimento diretto dei padri nei compiti di accudimento dei figli, accanto a madri che ne condividano il ruolo di assicurazione del reddito familiare. È possibile essere una femminista e avere qualcuno che paghi le spese per i tuoi abiti e per il tuo vitto. Ma è difficile, molto più difficile rispetto a quando si è in grado di badare a se stesse economicamente. Il denaro porta sempre dei lacci con sé, anche quando è dato con amore, forse anche di più. La dipendenza economica da altre persone dà loro il diritto di criticarci, o almeno questo è ciò che possono pensare. Quando si dipende da altri per il tetto che abbiamo sopra la testa, nel nostro inconscio si insinua sempre il timore "E se domani ci portano via tutto?" Una donna all'interno di un matrimonio tradizionale negherebbe con veemenza l'insinuazione circa il rancore che sente per il potere che suo marito ha su di lei; alla radice della sua fiducia nel loro accordo matrimoniale - in cui lui provvede economicamente alla famiglia e lei si prende cura della casa e dei figli - c'è la sua formazione alla scuola della propria madre: se lei avesse fatto la brava e obbedito alle Regole (ovvero, non si fosse separata dalla madre), sarebbe stata ricompensata con un Principe. Per quindici, vent'anni, la figlia ha tenuto fede all'accordo; ha sacrificato indipendenza, spirito d'iniziativa, capacità dialettica, il bisogno di guidare invece di essere guidata, finché un giorno la fede è stata ripagata sotto forma di un Principe. Per lei, anche solo prendere in considerazione la possibilità di perdere la propria identità, investita nella figura di lui, è impensabile, anche nel momento in cui trova nella tasca della sua giacca la ricevuta del motel vicino. Questo è il ritratto di una donna tradizionale, una donna che crede nel modo di vivere che ha contraddistinto l'esistenza delle nostre madri e delle nostre nonne, di cui, per buona parte, io sento la mancanza; ma questo è quel che accade nelle rivoluzioni: nel corso dei cambiamenti radicali, va perso molto più di quanto era nelle intenzioni originarie. Dare alle donne l'opportunità di scegliere di mantenersi da sole e di essere economicamente indipendenti è una grande conquista. La parola chiave è "scelta"; la denigrazione da parte del femminismo per il ruolo svolto da donne che scelgono di lavorare a casa è una vera disgrazia. Anche le mie amiche che hanno vissuto gli anni Sessanta e Settanta sono d'accordo con me sul fatto che questi sono gli anni migliori della nostra vita. E la capacità di pagare l'affitto di casa vi gioca un ruolo importante. Più dell'età anagrafica, era il peso sul piano emozionale a far invecchiare le nostre madri prima del tempo. Quando i mariti andavano alla ricerca di altre avventure, le altre mogli si radunavano insieme come per un lutto, e il lamento funebre cominciava: "Gli uomini sono fatti così". Sui loro volti si dipingeva la rassegnazione, i segni agli angoli della bocca si allungavano, diventavano più profondi; la sottomissione all'inevitabile rafforzava il loro atto collettivo di
accettazione. Dentro, ogni donna accumulava la propria rabbia in un nodo che si stringeva fin quando non cominciavano le emicranie, l'alcol non veniva ingoiato, le cellule cancerose non si moltiplicavano, e la morte simbolica non sfumava nella sua conclusione letterale. Quando le successive generazioni di donne faranno il loro ingresso nel mondo del lavoro - e lo faranno - e lo stipendio medio femminile aumenterà - come sarà il doppio modello d'invecchiamento, a mio avviso, subirà un continuo processo di livellamento. Man mano che le donne trarranno un senso di sicurezza sempre maggiore dalla consapevolezza di poter badare a se stesse dal punto di vista economico, è sperabile che il criticismo femminile davanti allo specchio diminuisca, così come la nostra sensazione di perdita di valore al progredire dell'età. Munite di una protezione economica maggiore, dovremmo incominciare a beneficiare di un senso di calma pari a quello di cui hanno sempre goduto gli uomini, una disinvoltura che sarà terribilmente attraente agli occhi maschili, soprattutto per i più giovani, che sono cresciuti in un mondo che li ha abituati a donne che dispongono di un potere economico oltre a quello connesso al ruolo materno. Gli uomini cominciano la loro vita immersi nello spettacolo del potere della bellezza femminile; se allo splendore indimenticabile della donna che dirige la nursery si aggiunge il suo potere economico, il doppio modello d'invecchiamento diviene obsoleto, o, quanto meno, opzionale. A questo punto bisogna che sia la donna stessa a convincersene, a vedersi come la vedono gli uomini, a guardare non l'immagine di sé filtrata dalle pieghe impercettibili che si dipingono agli angoli della sua bocca, ma l'immagine complessiva, che va oltre lo specchio, oltre la casa, per includere tutto ciò che fa ed è. Più grande è il potere economico di un uomo, con più facilità avvicina le donne. Sarà ferito da un loro rifiuto, ma questo non gli impedirà di ritentare. Per un uomo, il denaro in banca ha un significato enorme; egli è cresciuto vedendo gli uomini ricorrere a questo potere e le donne reagirvi positivamente. Ma noi donne non abbiamo ancora alle spalle decenni di sfruttamento del nostro denaro in vista di conquiste personali. L'unica merce che abbiamo visto scambiare alle donne è la bellezza. Per quanto si tratti di un bene dal valore fluttuante, instabile, poiché può essere negli occhi di un osservatore e non di quello successivo, ci fidiamo più della bellezza che del denaro, e, ironicamente, soffriamo per la sua perdita oggi più che mai. In una ricerca recente, quasi il 50% delle donne americane tra i diciotto e i settantanni di età, confessava di essere insoddisfatta del proprio aspetto fisico, rispetto ad una percentuale del 30% registrata un decennio prima (63). Il nostro problema è che abbiamo ottenuto qualche mezzo economico prima di raggiungere l'obiettivo della separazione emotiva, mettendo in qualche modo il carro davanti ai buoi. Benissimo, non ci resta che lavorare con ciò che abbiamo conquistato, investendo consciamente il denaro, spendendolo per far progredire il processo di individuazione. Anche quando vent'anni fa facevamo pressione per ottenere un pari salario, la sensazione avvertibile nell'aria era che, nel raggiungere l'obiettivo della libertà economica, saremmo state diverse dagli uomini, saremmo passate attraverso una sorta di rinascita spirituale da cui saremmo riemerse autonome, senza però venire contaminate da uno sporco spirito di lucro. Per quale motivo queste Femministe Matriarcali pensano che nel momento in cui saremo ugualmente potenti dal punto di vista politico ed economico rispetto agli uomini, saremo migliori, più generose, e più sante di loro? Noi siamo persone che, tra le altre cose, appartengono al genere femminile e, quanto a sensibilità e gentilezza, per niente diverse dagli uomini, che annoverano tra le loro fila persone gentili e non. "Una ragazza dovrebbe imparare a battere a macchina perché non si sa mai quando potrebbe rivelarsi utile": questo era tutto l'incoraggiamento verso l'indipendenza economica che in genere le ragazze ricevevano. Data la promessa di un Principe che avrebbe rimediato ad ogni rinuncia - coraggio, iniziativa, capacità di esprimere le proprie idee, la propria identità - la posizione di ripiego implicita nel saper dattilografare non aveva alcun senso. Naturalmente, nessuna imparava a battere a macchina. Dopo tutto, c'era un Principe in arrivo!
La dipendenza ha un sapore dolce, ma tutta la rabbia che si ingoia di fronte alla sensazione di non avere un'ancora propria distrugge la bellezza; una volta cresciuti i figli e dissoltosi l'aspetto giovanile, le nostre madri sapevano che il valore della loro metà dell'accordo stretto con il proprio marito iniziava a diminuire. Queste verità, pur non potendo appartenere alla sfera conscia, costituivano il materiale prediletto per i romanzi, per i film, e quando la donna sorridente chiudeva il libro, o lasciava la sala cinematografica, felice per la sua buona fortuna e per l'impossibilità che questo accadesse a lei, la notte, nei suoi sogni, accadeva. Non era solo la mancanza di esercizio fisico o di una dieta che le faceva invecchiare peggio di noi; era la prospettiva innominabile dell'abbandono. Gli uomini non predisponevano un inganno ai danni delle loro mogli; anch'essi avevano concepito un amore che durasse fino alla morte. Ma le cose accadono. Nessun "Ti amo" ripetuto all'infinito poteva lenire ciò che le donne sentivano quando i loro mariti guardavano altre donne; la moglie non guardava altri uomini e nessun uomo la guardava più in quel modo da anni. Lei negava il significato profondo dietro a tutto questo, ma la negazione con il tempo divora l'energia. Così avviene anche per la perdurante perdita di identità al momento in cui i figli, una volta cresciuti, se ne vanno. Dal momento che venni educata a non parlare mai di denaro, obbedivo a quel voto femminile del silenzio, e, senza dirlo a nessuno, risparmiavo silenziosamente le mie piccole monete nella banca di vetro a forma di mondo. Nella determinazione di lasciare la casa per avere una vita per mio conto, c'era il voto di non sentirmi mai più esclusa o bloccata dalla paura. Non avevo ancora colto pienamente il vero significato della dipendenza, ma di certo ne avvertivo il peso emotivo, quello di mia madre e il mio, e non mi sfuggiva il ruolo che vi aveva il denaro. La libertà di cui godeva mio nonno, il rispetto che suscitava, contrapposti all'ansia delle donne, mi furono di lezione. I bambini assorbono molto più di quanto pensino i loro genitori; capivo che una persona che non fosse in grado di mantenersi avrebbe avuto l'aspetto ansioso di mia madre, avrebbe sospirato altrettanto profondamente, tutte cose di cui mi credevo responsabile, sbagliando certo, ma era così che mi sentivo dentro. Guardare mio nonno andare e venire nel nostro piccolo mondo, sempre di ritorno da porti lontani con splendidi doni per mia madre e mia zia - sciarpe di seta dipinte da Picasso portate da Parigi, valigie di pelle bianca bordate di satin rosso da Madrid - come potevo non desiderare di diventare come lui invece che come quelle donne spaventate? Era l'aura che lo circondava che volevo per me, una sicurezza di sé quasi intangibile. Il fatto che fosse un uomo non complicava affatto il mio piano preadolescenziale. Mia madre sorrideva con fare canzonatorio della mia banca di vetro sulla libreria accanto al letto, e mentre le seccava che mia sorella perdesse o dimenticasse in giro la sua mancia, questo cementava ancora di più il loro legame. Detto in altri termini, fallire nell'impresa dell'indipendenza era una parte importante del modo di essere donna. Quando divenni una donna sensuale, l'enigma di amore e denaro prese una piega più sofisticata. Ero pienamente consapevole del fatto che l'aspetto di donna sessualmente indipendente aveva un notevole potere di attrazione su tutti i tipi di uomini, e nessuno ne era affascinato quanto quello che possedeva molto denaro. Ciò che non mi piaceva di loro era che si vedevano riflessi dal loro conto in banca, nel senso che in qualche modo erano inaccessibili ad una donna, a chiunque. Protetti da mura imbottite di denaro, era proprio questo aspetto della loro personalità che desideravo raggiungere con la mia sensualità, promettendo implicitamente che non ci sarebbe stato nulla del loro io originario, delle loro prime emozioni disvelate, che non avrei accettato. Volevo un uomo da poter risvegliare, come il Principe aveva svegliato la Bella Addormentata, un uomo le cui difese non fossero state rese impenetrabili dalla sicurezza del denaro, che costruisce comunque condizioni di falsa libertà, atrofizzando il cervello, inibendo il flusso delle emozioni, rendendo quell'uomo invisibile a se stesso e inutile ai miei fini. Non volevo molto denaro - ancora oggi è così - ma abbastanza da garantirmi quell'indipendenza che mi permettesse di non aver bisogno degli uomini in modo così disperato da non potermi vedere rispecchiata in loro, e loro in me. È eccitante quando un uomo prende a prestito le tue emozioni, quando assorbe
coraggio, o accresce la sua libertà, o gioca con il potere della bellezza. Questi scambi tra un uomo e una donna sono eccitanti quanto il sesso - fanno parte del sesso. Avrei finito per scrivere dell'influenza degli anni infantili sulla vita adulta, ma all'età di ventidue anni sapevo, in modo istintivo, sensoriale, che se potevo risvegliare un uomo alla convinzione che in lui non amavo il denaro, ma la personalità, quel che precedeva il bacio della società che faceva della ricchezza un personaggio, egli si sarebbe reso conto che non avrebbe potuto rimpiazzarmi facilmente. Era amore eterno, non si trattava della ricerca di un Buon Capofamiglia. Dopo tutto, io ero già un Buon Capofamiglia. A metà degli anni Settanta ricordo una discussione di gruppo in cui a quattro coppie sposate, inclusi io e mio marito, venne chiesto di discutere di qualcosa come "Matrimonio e femminismo". Quando avanzai l'argomento per cui il fatto di guadagnarmi da vivere era stato utile al mio femminismo, ci fu una reazione irritata da parte del pubblico. "Il femminismo non riguarda il denaro!" qualcuno gridò. Ma quando negli anni Settanta le donne defezionavano in massa dai loro matrimoni, lasciandosi dietro una casa e una famiglia per "trovare se stesse", stavano reagendo ad un'intima convinzione secondo la quale non si sentivano libere nemmeno di riflettere sulla propria esistenza, molto meno di comportarsi come volevano all'interno di una struttura - la casa nuziale - che si basava sulle medesime premesse, ed era retta dalle stesse regole, che caratterizzavano la casa dei propri genitori. In quegli anni, nel corso dell'esodo rivoluzionario che portò le donne lontane da casa e dalle loro responsabilità, furono commessi degli errori, ma l'impulso di gettarsi fuori dalla porta traeva la sua forza dalla fame di riottenere indietro qualcosa che non era stato dato sotto le regole dell'Accordo Patriarcale. Se altri si occupano del tuo mantenimento economico, distribuendo fondi che provengono da un conto che è solo a loro nome, per generosi che possano essere, ti ritrovi comunque nel ruolo della bambina buona che fa il proprio dovere e per questo ottiene una mancia. Le liti sulle questioni finanziarie rappresentano il principale punto d'inizio dei problemi matrimoniali. Ciò che rende la realtà della dipendenza economica dolorosamente difficile da spiegare è il fatto che a numerose donne appaia ancora in una luce positiva. Questo tipo di donna non vuole il proprio conto in banca, perché questo sarebbe come dire al proprio marito: "Non ho bisogno di te". Ad un livello preconscio, rappresenterebbe un'induzione a lasciarla. I vari Bush del mondo promuovono la dipendenza delle donne come se rientrasse tra i valori della famiglia che essi sostengono di difendere. È un genere di Patriarcato che si rifiuta ciecamente di accettare il valore delle conquiste degli ultimi due decenni, un livello di indipendenza per le donne che potrebbe evolvere in una versione nuova e più reale di valori familiari che non si limitino a semplici parole. Con questo intendo dire che la scelta di tenere unita una famiglia di persone che si amano deve poter essere fatta ogni giorno, in quanto sia il marito che la moglie - non soltanto l'uomo dispongono dei mezzi per essere indipendenti. In tal modo, si sceglie di continuare a restare insieme, anche dopo litigi amari, perché si ha la piena consapevolezza di quel che andrebbe perduto, avendo spesso riesaminato a fondo le ragioni della propria unione, per scoprire che è troppo preziosa per volerla mettere in discussione. Dato che le donne che lavorano in casa svolgono un ruolo importante quanto quello legato al lavoro salariato del marito, dovrebbero ricevere una parte di quel salario. Depositato su un conto a suo nome, andrebbe automaticamente a sostanziare il suo io separato; i vantaggi simbolici potrebbero non essere consciamente percepiti, ma il ripetersi dei pagamenti di beni e servizi facendo ricorso ai propri fondi, che sono il frutto di un lavoro, le indicherebbe, volente o nolente, che esiste per se stessa e che, ecco, le persone non la amano di meno per il fatto di avere un'identità propria. Al contrario, sono più attratte da lei proprio grazie alla rimozione del peso della dipendenza e al fatto che l'indipendenza le conferisce un aspetto più affascinante. I suoi figli crescerebbero avendo davanti a sé un modello di donna che sa essere sia affettuosa che indipendente all'interno di un matrimonio d'amore, che sa dare alle proprie figlie un ricordo della donna più importante della loro vita come qualcuno la cui identità non scolorisce nello stato di perenne bisogno, prigioniera di una femminilità del tipo "Se mi lasci morirò !" E i suoi figli
maschi erediterebbero una nozione utile di compagna, come di una persona la cui intera identità non coincide ciecamente con il servizio prestato ai figli e al marito, ma che sceglie ogni giorno di essere una madre ed una moglie; grazie alla componente di scelta, il fardello percepito da un figlio circa la necessità di ripagare la propria madre per aver rinunciato alla sua vita, potrebbe risultare alleggerito, e poiché lei si guadagna letteralmente da vivere, il figlio si sentirebbe libero di definire la mascolinità secondo criteri che vanno il più possibile al di là del semplice atto di guadagnare denaro. Una donna che sceglie di lavorare in casa può non apprezzare l'idea di ricevere un compenso che venga depositato in banca a suo nome, perché non è così che sua madre si regolava all'interno del matrimonio. Prendere denaro dal proprio marito appare in qualche modo come una concessione della licenza di abbandono, equivale a dare di sé un'immagine di collaboratrice assunta piuttosto che di piccola mogliettina indifesa. Anche gli uomini cercano di ritrovare nelle mogli il rapporto avuto con la propria madre, ma solitamente non usano il denaro come canale; la confusione delle donne a proposito dell'amore e del denaro potrebbe suonare così: "Se guadagno un sacco di soldi, chi si prenderà cura di me?". Il denaro è nemico della simbiosi. L'enigma che si crea intorno al denaro è molto più complesso di quanto ognuno di noi sia disposto ad ammettere. Per quanto sia gratificante comprare i propri abiti, pagare il proprio affitto, non è ancora passato abbastanza tempo perché le donne riconoscano le loro conquiste. I contratti impliciti stipulati dalle nostre madri, sotto il cui influsso siamo cresciute, ci perseguitano ancora, forse solo in sogno la notte, ma sarebbe strano se non fosse così. Certo non aiuta che il femminismo ometta intenzionalmente di pronunciarsi sulla realtà fredda e tangibile del denaro depositato in banca; vorrebbe dire scatenare il mostro terribile tra le ragazze che possiedono meno denaro di altre: la competizione. Il fatto che oggi molte donne lavorino fuori casa non implica necessariamente che siano individui emotivamente separati e indipendenti. Ma senza denaro per pagare vitto e alloggio, siamo palesemente legate, legate ad una madre e a un padre, ad un marito, al sistema assistenziale, ad una definizione di donna più rassicurante di quella cui ora stiamo dando forma, talvolta, io credo, contro la nostra stessa volontà. Il mondo femminile si rifiuta ancora di dare pieno credito al "vil denaro"; come per il sesso, che è un suo stretto alleato, c'è quella lieve, imbarazzante sensazione per cui il denaro è, in un certo senso, poco femminile. Affinché il mio messaggio non venga travisato nella traduzione femminista, lasciatemi ripetere che non si tratta di quanto denaro si guadagna; chi guadagna grosse somme non è necessariamente più autonomo. È la consapevolezza, sul piano emozionale e psicologico, delle possibilità di cui la nostra indipendenza economica ci arricchisce che dev'essere interiorizzata. Un buon esercizio per imparare a godere delle potenzialità liberatorie del denaro è quello di usarlo con un uomo, pagargli una cena, dargli piacere, provare la dolce sensazione di essere gli iniziatori. È un ottimo esercizio mettere mano al libretto degli assegni; si fa qualcosa che la propria madre non ha mai fatto. Lui ti ringrazierà per la cena, non un evento sconvolgente, ma un gradino di gratificazione per far scoppiare quella nuvoletta di fumetto sopra le nostre teste in cui ci vediamo costantemente osservate dagli altri. Venticinque anni fa dicevamo di non volere che gli uomini ci pagassero la cena, che ci aprissero la porta, che ci accendessero la sigaretta. Fare tutto da sole costituiva uno dei modi con cui stavamo "demolendo per sempre il mito della superiorità maschile". Francamente, mi piace che qualcuno sposti la sedia al posto mio, così come mi piace pagare un pranzo ad un uomo e prendere la sua mano nella mia, né costituisce un problema ritirare i suoi vestiti in tintoria o cucinargli una cena, che può essere un atto gratificante quando viene scelto. Non c'era questo ragionamento dietro alle porte che volevamo aprire da sole, per finire con il rovesciare i tavoli e conquistarci il diritto di prendere l'iniziativa, di fare la prima mossa, come avevano sempre fatto gli uomini? Il nostro ringhiare contro gli uomini che davano un colpetto al loro accendino quando prendevamo in mano una sigaretta, era solo un atto di scortesia, era solo per il piacere di essere sufficientemente libere di suonargliele? Che vicolo cieco.
Un femminismo intelligente, a mio modo di vedere, non è fatto solo di rivendicazioni del pari salario, ma anche dell'uguale opportunità di reinventare l'immagine che si ha di sé, per lasciare che l'indipendenza economica penetri nei nostri pori in modo da saperla maneggiare con più disinvoltura, consentendoci così di allentare quella tensione, così tipica nelle nostre madri, che si sentivano costantemente osservate. Quando una donna paga la cena ad un uomo sta sovvertendo qualche legge darwiniana? E se poi dovessero andare nell'appartamento di lui, la prima mossa dovrà venire da lei, oppure, nel caso la faccia lui, senza il suo accordo esplicito, la donna si sentirà in diritto di accusarlo di "stupro da appuntamento"? Riesco ad evocare le varie emozioni che accompagnano l'atto di pagare una cena ad un uomo al ristorante e, secondo l'antropologa Helen Fisher, il rito della nutrizione nel processo del corteggiamento svolge un ruolo non privo di significato. Pur facendo notare che alcuni mammiferi femmine nutrono effettivamente i loro compagni, le donne che corteggiano offrono il cibo agli uomini con una frequenza che non si avvicina neanche lontanamente alla regolarità con cui lo fanno gli uomini con le donne: "il 'nutrimento da corteggiamento', come viene chiamato questo costume", afferma la Fisher, "probabilmente risale a prima dell'era dei dinosauri, poiché svolge un'importante funzione riproduttiva. Fornendo cibo alle femmine, i maschi danno mostra delle loro abilità come cacciatori, come esemplari efficaci nell'assicurazione della sopravvivenza, e come validi partner ai fini della procreazione"(64). Man mano che le donne entrano sempre più numerose a fare parte del mondo del lavoro, rimettendo così in gioco tutti i ruoli che vi si accompagnano, non sarebbe necessario che rimettessero in discussione anche la loro immagine di sé? Dalla persona che paga il conto non ci si attende un aspetto o un atteggiamento mentale passivo, schivo e irresponsabile. Lei comunica qualcosa attraverso il suo nuovo ruolo economico, forse non la volontà di avere un rapporto sessuale dopo cena, ma se segue l'uomo nel suo appartamento, come dovranno essere interpretate le sue azioni? L'uomo dovrà aspettare che sia lei a fare la prima mossa, come ha fatto per il conto della cena? Certamente il fatto di seguirlo nell'appartamento dopo avergli pagato la cena implica che la donna abbia un ruolo di partecipante attivo nella conduzione della serata. Ciò che accade dopo rientra in parte anche nelle sue responsabilità. Lo stupro è un delitto, ma l'illogicità di uno "stupro da appuntamento" in un'epoca in cui le donne sono finanziariamente autonome, possono pagare per un uomo, occupano posizioni professionali di responsabilità, e indossano vestiti trasparenti, mette in discussione i ruoli dell'economia e della bellezza, le modalità con cui questi fattori interagiscono e influenzano tutte le relazioni. Quindici anni fa, al Tomorrow Show della NBC, Tom Snyder era solito interrompermi, in questo modo: "Sì, sì, Nancy, ma perché noi uomini dobbiamo sempre portarvi prima a cena? Perché non possiamo fare soltanto del sesso?" Forse la spiegazione di Helen Fisher circa il "rituale del corteggiamento" non servirebbe a placare Tom, un maschio pienamente consapevole del fenomeno per cui le donne stavano guadagnando somme di denaro che si avvicinavano sempre più alle sue. Era il 1981, e mentre le femministe chiedevano a gran voce che alle donne venisse concessa l'opportunità di guadagnarsi da vivere, altre rimanevano ancora attaccate al privilegio tradizionale di essere mantenute da un uomo, assicurandosi così che egli avrebbe provveduto non solo a pagare il pasto del giorno ma anche quelli dei nove mesi di gravidanza. La nostra nuova posizione economica ci dà l'opportunità di offrire al mondo qualcosa di più della nostra bellezza, di offrire a noi stesse qualcosa di più di un magnifico aspetto da cui dedurre il proprio valore. Quando ci avviciniamo ad un uomo e ci assumiamo la responsabilità della sua felicità, anche se solo per una sera, impariamo una cosa che abbiamo sempre invidiato negli uomini: invece di aspettare e confidare nella bellezza affinché ci premi, telefonandogli, pagando la sua cena, e dando l'avvio a qualunque cosa ci vada di fare quella sera, abbiamo rischiato attivamente il rifiuto e non ne siamo uscite distrutte. Il denaro non è tutto, ma aiuta a sopravvivere, dal punto di vista fisico ed emotivo. Nel segno di questa consapevolezza, nasce la posa rilassata degli uomini, la loro risata aperta, la libertà di dire qualunque cosa passi loro per
la mente, per quanto stupida possa essere. Lui non si accorge nemmeno dell'orlo della giacca che penzola, dei capelli che reclamano un colpo di pettine! Ma proprio questo è motivo di fascino: che non gliene importa un bel niente dell'immagine riflessa dallo specchio. In definitiva, la naturalezza degli uomini è sempre stata una loro caratteristica proprio perché l'ansia per l'apparenza è sempre stata una nostra caratteristica. 9.9 - Il principe, il menestrello, il sarto, le nozze: un musical! Prodotto dalla bambina che mi ero lasciata alle spalle. Due anni dopo l'incendio, incontrai l'uomo che avrei sposato e con cui avrei trascorso il terzo atto più bello della mia vita. Se il fuoco non avesse distrutto ogni cosa, non ci sarebbe stato alcun incontro e alcun matrimonio. Rabbrividisco all'idea di quel che avrebbe potuto non accadere. Non avrei mai riconosciuto il Principe, così intelligentemente camuffato la sera in cui gli aprii la porta, di sicuro non l'avrei mai sedotto se il fuoco non avesse avuto il potere di risvegliare in me la ragazza che mi ero lasciata alle spalle, il mio io migliore. Telefonò un tardo pomeriggio di agosto, sorprendendomi mentre passavo dinanzi al telefono, cui normalmente risponde una segreteria telefonica; avevo trascorso una brutta giornata alle prese con l'invidia, nel tentativo di catturare quel sentimento assassino sulla carta, e perciò digrignando continuamente i denti. Per questo, il suono del telefono rappresentò un momento di tregua, e così alzai il ricevitore. La voce gentile di un uomo mi ricordò in modo titubante la circostanza in cui ci eravamo incontrati diversi mesi prima, ad una cena in onore del film di un amico comune, e poi, non udendo alcuna risposta, mi chiese come stavo. "Sto lottando con i fratelli", borbottai come saluto. Volevo uscire a bere qualcosa? Avevo progettato di stare a casa quella sera. Ma erano le quattro passate ed ero già inquieta. Più tardi mi avrebbe detto: "Pensai che se mi avessi respinto avrei potuto sempre razionalizzare il tuo rifiuto con il fatto che era tardi". L'intrepido direttore di giornale temette il rifiuto. Questo fatto mi intenerì: avevo sempre avuto un debole per la pecorella che si nasconde nella pelle di un lupo. Venne per bere qualcosa e non se ne andò più, è così che ora raccontiamo la storia. In realtà, quando suonò il campanello non avevo alcuna aspettativa, nessun ricordo di come fosse fisicamente. Poi mi apparve, subito caro, i riccioli neri, la testa leggermente abbassata come un ragazzo timido ad un appuntamento. Sedemmo fuori sulla terrazza, mentre lui beveva una birra e parlava di un qualche budget che quadrava o non quadrava in Messico, io guardavo il sole del tardo pomeriggio di agosto compiere la sua magia sulle finestre della Fifth Avenue dall'altra parte del parco; piano dopo piano, i piccoli quadrati ardevano di rosso vermiglio mentre il sole andava ad accovacciarsi dietro l'orizzonte, sulla lontana spiaggia dell'Hudson. L'aria era così dolce e densa che avremmo potuto paracadutarci per i diciassette piani che ci separavano dal marciapiede. "Chi sta suonando il piano?" chiese. Gli dissi che era Peter Allen, e ci fermammo ad ascoltare la voce di Pete crescere, fermarsi, e ricominciare. "Sta scrivendo un musical", dissi. La canzone che cantava si chiamava "Come Save Me". Noi non saremmo stati capaci di salvare Pete, anche se allora non ne sapevo nulla. Quando divenne buio, prendemmo un taxi verso un ristorante dell'East Side dove, nel corso della cena, continuammo la nostra conversazione impersonale, in modo così diverso da tutto quello che sarebbe venuto dopo. Poi camminammo per Madison Avenue e lui mi prese la mano. Fu un semplice mano nella mano. Avrebbe anche potuto prendermi tra le braccia, issarmi sul suo cavallo e cavalcare via nella notte. Fu un mano nella mano eccezionale, tanto che non riuscii a ricordare il nome di due buoni amici che passarono in quell'istante. Quel che seguì fu una scena che ero stata geneticamente programmata a recitare per tutta la mia vita. Ritornammo nel mio appartamento, gli versai un drink, misi un disco di Roberta Flack - che per caso stava cantando "I'm the One" - mi accostai e lo baciai mentre era nel mezzo di una frase. Non ebbi più paura dopo l'incidente. Il fuoco aveva bruciato la crosta della Brava Ragazza. Rischiare il rifiuto, prendere al volo le occasioni, fare la prima mossa, erano tutti comportamenti rientrati a far parte della mia natura. Il mio Pincipe reagì come in una fiaba, risvegliandosi. Ritornò alla vita.
Sai che essere sedotti è una delle fantasie sessuali preferite degli uomini? Gli uomini chiudono gli occhi e si eccitano al pensiero di una donna che conduce il gioco, permettendogli di lasciarsi alla spalle la condotta dominante che le donne richiedono e che essi chiedono a se stessi nel caso vengano respinti. Quella notte lo presi per mano e lo condussi al piano di sotto, nella mia camera da letto, con le pareti dipinte di fresco e la moquette posata da poco, tutto di una piacevole tonalità rosa carne. Nei tre giorni successivi cercò di dire addio a tutte le donne che stava frequentando, e, quando una settimana dopo partì per l'Europa per creare un nuovo giornale, ci promettemmo di parlarci per telefono ogni giorno, e di incontrarci, nel suo paese o nel mio, ogni due o tre settimane. Tre anni dopo terminai Jealousy, due anni dopo aver ottenuto il divorzio, ci sposammo. Oh, e come ci sposammo! Peter Allen decise la scena per le nostre nozze quando, una sera dopo cena, quando ci separammo davanti alle rispettive porte, disse: "Voi due sposatevi, io canterò e danzerò alle vostre nozze!" Era un'offerta che non potevamo rifiutare. Il matrimonio rientrava tra i nostri progetti, ma ora avevamo bisogno di un set adatto per organizzare non solo un matrimonio, ma un musical. Due settimane dopo, Norman mi mise un anello di fidanzamento al dito; stavamo cenando nella Rainbow Room, in cima al Rockfeller Center. "Là", dissi, facendo segno al piccolo palcoscenico sopra l'orchestra, "è lì che dovremmo sposarci." Norman piegò la testa e guardò su. "Là?" chiese, certo del fatto che stessi scherzando, ma non del tutto. Avevamo dovuto superare molte prove e tentativi, come direbbe Bettelheim, non ultima delle quali il sofferto senso di invisibilità di Norman durante gli anni semiclandestini della nostra relazione che precedettero il mio turbolento divorzio. "Voglio noleggiare un areoplano", si lamentava, "e scrivere nel cielo: Norm ama Nancy!" Bene, ecco una piattaforma nel cielo, gli dissi. Mi strinse la mano su cui aveva appena posto l'anello, riguardò la piattaforma e poi mi disse: "Mi fido di te". Sarebbe stato un matrimonio da favola in tutti i sensi, compresa l'ultima prova, quella della disavventura del mio abito; non si materializzò, letteralmente, nel senso che stoffa e sarto scomparirono. Oggi, a distanza di otto anni, una sposa presa dal panico potrebbe trovare immediatamente un altro abito da sposa; persino Armani sta disegnando una collezione nuziale, ma nel 1988 le nozze eleganti non erano ancora state riciclate a causa del femminismo. Perfino i reparti di abiti da sposa di Saks and Bergdorf's si riducevano ad alcove polverose con abiti di scarsa immaginazione; gli annunci di matrimonio non coprivano neanche una pagina del New York Times. Cosa doveva indossare l'eroina del musical nuziale? Entri il maestro dei fili, un nome che conoscevo fin dagli anni Sessanta, quando avevo visto Barbra Streisand cantare e danzare nelle sue creazioni. Il primo vestito "importante" che avevo comprato era stato disegnato da Donald Brooks. Quando un amico comune lo contattò, egli declinò, dicendo che era troppo occupato a disegnare i costumi per un film per inventare l'abito da sposa di una sconosciuta. Ma non mi diedi per vinta; feci un provino per lui alla Russian Tea Room a base di vodka e, prima di aver scolato l'ultima, aveva già disegnato su un tovagliolo di carta un abito che si addiceva a Marlene Dietrich, completo di cappuccio di pizzo. Però era luglio, e la maggior parte degli showroom di tessuti erano chiusi. Ma Donald, essendo un mago, trovò scampoli e pezzi di pizzo bianco sufficienti per un vestito che doveva essere cucito da una sarta spagnola che non parlava una parola d'inglese. Quando arrivò per l'ultima prova, due giorni prima delle nozze, lo accolsi indossando l'abito creato da lui vent'anni prima, una lunga colonna di jersey di lana, ad una sola manica, dall'aspetto sinuoso, ad ampie strisce navy e bianche. Lui ed io avevamo concluso un ciclo. E così io e Norman ci sposammo nel nightclub più bello del mondo, su un palcoscenico posto sopra il pavimento da ballo girevole dove gli artisti degli anni Trenta usavano fare la loro entrata Ta-Da! prima di scendere le scale curve in stile Art Déco che abbracciano l'orchestra di sotto. Fu una notte tratta da un finale di uno dei film musicali della mia infanzia un festeggiamento da "una volta nella vita", deliberatamente in contrasto con la scelta di riservatezza che aveva caratterizzato la nostra vita precedente e successiva al matrimonio. Quando ci dichiararono marito e moglie, l'orchestra di
Peter Duchin iniziò a suonare, le tende dorate attorno alla stanza si levarono per rivelare tutta Manhattan, e il pavimento da ballo iniziò a roteare. E mentre girava e girava, si materializzò il banchetto, spuntarono i ballerini, arrivò la torta nuziale, e poi, quando nessuno avrebbe pensato di poter ricevere altri piaceri, Peter Allen ci fece il suo regalo: la sua band, le sue coriste e Peter che suonava il piano, ballava, la sua giacca gettata al vento, la folla che reclamava un altro ritornello di "Rio". Nessuno sapeva renderti più felice di Peter Allen. Il giorno dopo le nozze, Norman ed io ci rifugiammo nella nostra casa nel Connecticut, dove, in quei perfetti giorni di luglio, gli chiedevo in continuazione di raccontarmi in dettaglio come era stato il nostro matrimonio. Quando si organizza la propria festa di nozze, è difficile calarsi all'improvviso nella parte della sposa; ero presente, ma avevo dei grossi buchi di memoria. Ad esempio, lo rimproverai di non aver ballato con me. "Ma se ho ballato con te per metà della serata!" protestava lui. Quel che ricordavo è che era stato splendido, e anche qualcos'altro, una sensazione che continuava a farmi alzare dal bordo della piscina per condurmi dentro casa a scrivere, qualcosa che premeva per essere raccontata: "Lasciami uscire!" Per la fine del week-end avevo scritto una storia breve che narrava di una bambina che era cresciuta in una piccola città del Sud, una storia che iniziava in cima ad un'alta muraglia di mattoni, all'ombra delle chiese di St. Phillip e di St. Michael, che fiancheggiavano le vicinanze della mia vecchia casa. Quando l'ebbi terminata, la portai a Norman, che la lesse, sorrise e mi ringraziò. "Per cosa?" chiesi. "Il tuo racconto non è una risposta al mio brindisi in tuo onore durante la festa di nozze?" "Tu hai fatto un brindisi?" Questo è il brindisi nuziale di mio marito, di cui faccio dono a tutte le donne che a dieci anni sono state bambine coraggiose: Quando Nancy era una bambina a Charleston, era sempre il capo avventuroso del suo gruppo. Con i suoi amici al seguito, correva lungo le mura più alte della città urlando: "Più lontano! Più veloci!" sfidando i suoi amici a tenerle testa. Non c'era atto di coraggio che non fosse disposta ad affrontare, nessun brivido di cui non andasse alla ricerca, nessuna sfida che non abbracciasse con gioia. Questa sera, stando in cima alle leggendarie scale della Rainbow Room, guardando su tutti voi e su tutta New York, comprendo l'effetto che deve avere avuto la giovane Nancy sui suoi amici. Prendere la sua mano, seguire il suo esempio, è quel che mi rende più coraggioso di quanto sia mai stato, più desideroso di vivere la vita nel modo più pieno. Carissima, adorata Nancy. Incontrarti, sposarti, è il brivido della mia vita, l'avventura che voglio intraprendere. Sono impaziente per i bei giorni che ci attendono, senza paura e senza rimpianti. Al nostro matrimonio e alla nostra vita insieme, e a tutte le grandi mura che scaleremo, vivendo la vita nel modo più pieno. Ora capisco perché non ero riuscita a sentire quelle parole quando furono pronunciate la prima volta; anche adesso mi è difficile accoglierle. Non era stata solo l'eccitazione delle nozze, ma il contenuto del suo discorso, così pieno di verità, così terribilmente vicino a ciò che avevo sempre desiderato sentire. Era troppo doloroso o troppo bello? Forse la Nancy donna non poteva accogliere il dono di quelle parole, ma la bambina sentì, ed è questo il motivo per cui dovevo continuamente correre in casa e scrivere il racconto. Quella bambina mi ha parlato per tutta la vita, rivendicando la sua presenza in ogni libro che ho scritto. L'autunno che seguì il nostro matrimonio, fui restia a ritornare alla solitudine della stanza di scrittura. Erano anni che non avevo del tempo tutto mio a disposizione. Lessi, passeggiai, sfogliai riviste, assaporai un piacere che non mi concedevo da anni, le mie prime colazioni di mezzogiorno in compagnia di amici. Ma la lavoratrice in me diventava ogni giorno più inquieta. Non potei resistere alla tentazione di buttarmi nella ricerca che alla fine mi portò allo schema per questo libro.
Un libro è un viaggio e, anche se può incominciare con uno schema, non si tratta di una mappa. Con questo intendo che si spera sempre che il tema si impossessi di noi, ci afferri, e ci conduca verso territori prima inimmaginabili. Noi ci accodiamo, confidando nel fatto che il tema conosca la strada meglio del nostro pensiero conscio. Non è questo il motivo per cui scegliamo prima il tema? Una volta seppellimmo un'idea che era troppo scottante da maneggiare, qualcosa per cui non ci sentivamo ancora pronti, ma che non siamo riusciti a dimenticare; alla fine ci viene ricordato, forse grazie ad un sogno, che dobbiamo ripescare quell'idea, che vuole a tutti i costi suscitare la nostra attenzione a livello conscio. Il momento è quello giusto. Istintivamente, andiamo sul posto e dissotterriamo l'osso. Isaac Bashevis Singer scriveva le sue pagine migliori a letto, subito dopo essersi svegliato, da poco reduce da un sogno. Dove l'ho letto, molto tempo fa? Oh sì, annuii, comprendendo assolutamente. Ciò che amo dell'inconscio è la sua ostinata determinazione a ricordarmi mentre dormo ciò che mi rifiuto di affrontare durante il giorno. Per esempio, il mio modo di dormire cambiò completamente quando mi sposai quella prima volta. Non avevo mai avuto problemi di sonno fino a quel momento. Poco importavano le ansie che mi avevano sconvolta durante il giorno, mi distendevo per dormire e mi addormentavo. Ma quando sposai l'uomo sbagliato, l'insonnia si impossessò di me. Tentai di combatterla con l'ipnosi, con le pillole per dormire, ma nulla sembrava funzionare. Poi, un giorno, nel corso di una chiacchierata con il mio vecchio amico e mentore Robertiello, accennai ai miei problemi di sonno, ed egli, molto prosaicamente, disse: "Tu e tuo marito siete così simbiotici che hai paura, cadendo in un sonno profondo, di perdere la tua identità. Tu lotti contro il sonno per rimanere appesa al tuo io". Non fui mai così lontana dalla bambina dei miei dieci anni come durante quel matrimonio. In questo matrimonio con Norman ho raggiunto il massimo dell'appagamento; ecco perché è nata quest'idea di svuotare gli armadi e di viaggiare munita solo di una piccola valigia. Che bisogno ho di abiti vistosi? Alla bambina dei miei dieci anni, quella che mio marito ha visto e ama di più, non importa niente della bellezza. Talvolta temo che lui la veda più chiaramente di me, soprattutto quando cado nel vizio di non essere autentica di giorno, e smarrisco la strada negli incubi notturni. La notte scorsa, per esempio, mi trovavo di nuovo sulla strada e c'erano delle valigie. Con mio grande orrore erano vuote. Tutti i bei vestiti riposti da indossare al matrimonio a cui io e Norman eravamo diretti, erano scomparsi. Eravamo in qualche squallida cittadina, il corso sfarzosamente illuminato che assomigliava alla distesa di negozi di magliette di Key West. Intuendo che non avrei mai trovato niente di "abbastanza bello" in quel posto e che non potevo partecipare alle nozze indossando qualcosa che fosse meno che "perfetto", Norman si offrì di riportarmi a casa. Ma questo avrebbe comportato un viaggio di otto ore. Ci saremmo persi il matrimonio a causa della mia stupidità, della mia follia, della mia debolezza. Stavo in piedi in mezzo alla strada con le valigie aperte, vuote, mentre ero circondata da persone che festeggiavano, perfettamente a loro agio in qualunque vestito portassero. Perché non poteva essere così, "lasciare risplendere all'esterno la mia parte buona", come avrebbe detto la mia insegnante della scuola domenicale? Ovviamente, temo che dentro ci sia solo cattiveria, che soltanto un vestito sgargiante può nascondere. "Il bagaglio con cui si viaggia è un carico di peccato... che ci schiaccia", scriveva Freud. "Ma, più precisamente, il bagaglio spesso si rivela un simbolo inconfutabile degli organi genitali del sognatore" (65), aggiunge il maestro. Umiliazione. Perdita del controllo. Sporcarmi. L'altro incubo perenne che il mio inconscio si rifiuta di abbandonare. Io accomunata a tutte le altre donne per cui vengono creati gli spot pubblicitari dei prodotti per l'igiene intima femminile. Dove prendeva Freud queste idee? Immagino questo grande uomo durante una mattina nella Vienna di fine secolo, seduto sul letto, subito dopo un sogno, mentre si appunta le ultime scene prodotte dall'inconscio. "Il bagaglio perso", scrive, "simboleggia la perdita della propria identità." Oh sì, sia nei sogni che nella realtà, la mia paura a proposito del perdere i bagagli è il timore che, senza il mio guardaroba sensazionale, sarei inaccettabile o invisibile.
Forse, viaggiare con una piccola valigia non corrisponde alla definizione giusta di bontà; forse non è necessario avere una visione estremistica, nel senso di scegliere di vivere in una fattoria possedendo solo due paia di jeans e qualche mucca nel granaio. Forse ciò che ci vuole è semplicemente l'abbandono del piagnisteo per la mamma che non mi amava e mi fece indossare il vecchio vestito da sera di mia sorella al ballo dello Yacht Club, dove nessuno mi notò. E poi mi accorgo che se avessi goduto dello Sguardo, non avrei questa vita con un marito che mi vede e ama in me la scrittrice esibizionista di libri piccanti. Come si può vivere nel passato avendo accanto un uomo simile? Trascino i bagagli nei miei sogni come nella vita, sempre divorata dall'ansia per paura che la linea aerea abbia smarrito la mia identità. Anche da adolescente - specialmente allora, il vero momento d'inizio di quest'ansia portavo troppe valigie. Quando iniziai questo libro, davanti alla pagina vuota, non avevo alcuna idea di come cominciare. Soltanto per scrivere qualcosa, e con l'intenzione di cancellarla successivamente, scrissi: "Sono una donna che ha bisogno di essere vista. Ne ho bisogno in un modo essenziale, come respirare, mangiare. O di non essere vista, che è l'altra possibilità, sempre più attraente". Non appena le parole furono sulla carta, iniziai a svuotare i miei armadi, alcuni giorni alzandomi dal tavolo di lavoro per andare al piano di sopra e riempire un'altra scatola di vestiti seminuovi da inviare a parenti e amiche. Quando finirò questo libro, ci saranno più di cinque centimetri a separare gli appendiabiti. Ma sarò una persona migliore? La verità è che la donna che Norman ama è la bambina cui ha brindato al nostro matrimonio. Sono io che non l'accetto completamente. Quella bambina cresceva rigogliosa al calore degli sguardi che la vedevano per quel che era dentro, non per quel che indossava. Il suo progetto di sopravvivenza era di gran lunga migliore di qualunque cosa sia riuscita ad escogitare da allora. L'attenzione ottenuta, l'affetto conquistato, erano il frutto della gentilezza, del senso dell'umorismo, della creatività, di una bella storia ben raccontata. L'amore era la cosa più facile del mondo da conquistare, quando avevo dieci anni. Penso che le nostre più importanti decisioni di sopravvivenza prendano forma così presto nella vita, da non poterle neanche ricordare. Tuttavia, dopo un certo lasso di tempo, se siamo attenti alle dinamiche che si ripetono nella nostra vita, siamo continuamente colpiti da un senso di déja vu. Diventiamo saggi. Siamo sopravvissuti, e non per caso. Le stesse corde che vibrano ripetutamente ci dicono che noi influenziamo gli eventi. Non siamo quella persona impotente cui le cose accadono casualmente, che ha buona o cattiva fortuna. Ancora si ripete, quella corda familiare, rammentandoci che siamo già stati in quel posto, offrendoci un'altra chance per cucire assieme le falde della vita. Siamo esseri intrinsecamente coerenti. Non sono una persona qualsiasi, inventata, il cui enigma si svela solo dinanzi ad uno specchio; dentro ho un'immagine di me che mi ha accompagnato nel corso di tutta la vita. Le parole di mio marito alle nostre nozze hanno aperto una finestra sul prossimo capitolo, permettendomi di scorgere la bambina che sono stata un tempo e che, nelle sue parole, sono ancora. Lei è stata quella corda che vibrava in continuazione, quel déja vu di ogni volta che sono sopravvissuta a situazioni al limite della sopravvivenza. Lei sta aspettando tra gli oggetti smarriti, dove l'ho lasciata, tutta gambe, vecchi jeans, camicia di flanella, treccine, e impeto. Nessuno si fermerebbe a guardarla due volte. Lei è invisibile, fin quando, vedendomi, non sorride, catturando la mia attenzione. Torna a vivere, parlando, animata, camminando verso di me, raccontandomi una storia, prendendomi per mano, assolutamente certa del fatto che alla fine l'amerò. Non riesco a distogliere il mio sguardo da lei. E non è carina. "Ti riporterò a casa", dice, e iniziamo a discendere King Street, passiamo il cinema Gloria, mentre lei ha già quasi la mia altezza. Stanno dando il musical Easter Parade, che mi dice di aver visto due volte. Dall'altra parte della strada c'è la panetteria in cui riempivamo di dolci i sacchetti di carta marrone, cibo perfetto per un musical. Quando passiamo il Belk's Department Store, che faceva da scena ai miei piccoli furti, la guardo imbarazzata, ma lei è già davanti a me, fuori dalla casa in cui viveva Amorous. Il Charleston News and Courier gli aveva dato quel nome, a questo Don Giovanni che aveva messo in subbuglio la città, entrando nella case nel mezzo della notte, scivolando nel
letto delle donne, stringendole a sé, e poi, dopo averle baciate, andandosene silenziosamente com'era venuto. Amorous s'intrufolava solo nelle case migliori, in cui dimostrava di avere uno straordinario senso dell'orientamento, come se fosse già stato sul posto. "Ricordi la sirena che fece mettere la mamma in caso Amorous le facesse visita?" domanda la mia compagna. Come potrei dimenticare il giorno in cui gli elettricisti installarono l'interruttore accanto al letto di mia madre, il filo elettrico collegato attraverso la finestra ad una sirena grande a sufficienza da svegliare l'intera città? Quante volte ero rimasta seduta sul suo letto, con il dito sull'interruttore, con una gran voglia di premerlo. Alla fine, il povero Amorous venne catturato, anche se la sua identità non venne mai resa nota, poiché si trattava del figlio leggermente ritardato di una della migliori e più antiche famiglie di Charleston. Ma ecco dinanzi a noi l'insegna con mortaio e pestello da farmacista di Schwettman che pende sopra il marciapiedi, e sotto, allineati contro la grande vetrina, Malcom, Jimmy, Billy e Tommy. Allungo la mia mano protettiva, mentre già affiorano alle mie labbra le parole che usava pronunciare la zia Pat a mo' di incoraggiamento: "Stai diritta, spalle indietro, ricordati che le Goldwyn Girls sono le ragazze più belle del mondo!" Poi mi accorgo all'improvviso che la mia compagna ha soltanto dieci anni, che è ancora al di qua dell'adolescenza. Dimentica dei ragazzi che non la degnano neanche di un'occhiata, s'infila nella porta a vetri, facendomi cenno di seguirla. Ma io aspetto fuori, guardandola attraverso la vetrina mentre alla cassa ordina due gelati di cioccolato e nocciola, il tipo con lo sciroppo di noci, il nostro preferito. Come mi appaiono giovani i ragazzi, aperti e impreparati come me all'adolescenza, che è in agguato proprio dietro l'angolo. Entro un paio d'anni, poiché nessuno gliene aveva regalato uno, quella bambina si sarebbe comprata da sola un braccialetto - li chiamavamo braccialetti dello schiavo - con il nome di Malcom su un lato e quello di Tommy sull'altro; naturalmente, non avrebbe mai avuto il coraggio di portarlo. Con il nostro gelato nella mano, passiamo gli ultimi isolati per Broad Street, giriamo a sinistra, oltrepassiamo il bel palazzo anteguerra in cui, al secondo piano, il dentista le aveva recentemente sistemato un apparecchio ai denti; entro un paio d'anni, lei avrebbe imparato a sorridere in modo che il labbro superiore le coprisse l'odiato metallo. Dopo qualche edificio ci fermiamo davanti alla vetrina del piccolo negozio in cui compravo e scambiavo francobolli; voglio dirle che alla fine lei viaggerà attraverso molti dei paesi ritratti su quei quadrati e quei rettangoli, ma lei è già ottimista, la qualità che la porterà su e giù da tutte le navi e gli aeroplani della sua vita. All'angolo di Broad e Meeting svoltiamo a destra, verso l'ufficio postale, passiamo l'Hibernian Hall, dove presto frequenterà i corsi di ballo da cuore in gola di Madame Larka, e poi, all'angolo di Tradd Street, giriamo e camminiamo finché non raggiungiamo l'alta casa rosa con le persiane azzurre, il balcone in ferro battuto al secondo piano, proprio in corrispondenza della stanza adibita alla musica, del pianoforte che non avrei mai imparato a suonare perché lo suonavano "loro". Vorrei convincerla a non essere così sciocca, a non limitare la sua vita per la rabbia che prova verso una madre che non la vede, per l'invidia verso una sorella che riesce a farsi vedere. Mi volto, ma lei se n'è andata. No, aspetta, vorrei gridare, non andare, non ancora! E poi la sento: "Nancy, Nancy!" Conosco la strada: attraverso il grande cancello di ferro battuto, passo la casetta per gli ospiti, e poi su per i rami del grande fico, e da lì sul muro a fianco. La guardo dondolare da un albero più alto, e poi, con un enorme swooosh!, eccola in cima al muro di sostegno a tre piani, tutto quel che resta di un vecchio palazzo. Polvere e mattoni rimossi le volano da sotto i piedi mentre corre lungo il muro, e il suo passaggio attira l'attenzione della vecchia matriarca dai capelli grigi che le urla contro da un'alta veranda sul lato delle mura che costeggia l'East Bay, non lontano dallo studio della zia Pat, dove imparai a dipingere e dove scrissi il mio primo racconto. Quella vecchia donna si arrabbiava così tanto con me, sguinzagliandomi contro i suoi doberman, che correvano sotto la rovina a tre piani, avanti e indietro nella fitta boscaglia. Dalla cima del vecchio muro può vedere la nostra casa, dove mia madre, mia sorella ed io vivevamo quand'ero bambina e la piccola banca di vetro era piena
solo per metà. Come metterla in guardia dall'adolescenza, dal potere della bellezza che non avrà e da quello cui rinuncerà per essere solo un candidato perdente? Non farlo, le grido, ma naturalmente non serve a nulla. Tutto dovrà essere vissuto. Solo così potrà arrivare qui. Alla fine, sarà lei a salvarmi: "In cima al muro, mamma!" Note al Capitolo 9: 1. Susan Cheever, A Woman's Life: The Story of an Ordinar? American and Her Extraordinary Generation, p. 120. 2. Fisher, Anatomia dell'amore. 3. Berger, Ways of Seeing, p. 46. 4. Sue Halpern, "Soul Sisters", Harper's Bazaar, luglio 1994, p. 48. 5. Gina Kolatà, "News of Robust Elderly Beliefs Fears of Scientists", New York Times, 27 febbraio 1996, p. C3. 6. John De St. Jorre, "The Unmasking of O", New Yorker, 1 agosto 1994, pp. 43, 45. 7. Germaine Greer, La seconda metà della vita, pp. 55-56. 8. Aimee Lee Ball, "Ballbusters: Success Secrets of 6 Pushy Women", Marie Claire, settembre/ottobre 1994, p. 58. 9. U.S. Census Bureau, "Projection of the Population, by Age, Sex, Race, and Hispanic Origin". 10. de Beauvoir, Il secondo sesso. 11. Betty Friedan, The Fountain ofAge, pp. 483, 568, 597. 12. Bettelheim, Il mondo incantato, p. 70. 13. The Art of Courtly Love, in Banner, In Full Flower, p. 172. 14. Ibidem. 15. Ibidem, p. 174. 16. Doris Lessing, Amare, ancora, p. 126. 17. Michiko Kakutani, "Who Exactly Is This Sexagenarian Sex Kitten?", New York Times, 15 marzo 1996, p. C30. 18. Ibidem. 19. Susan Sontag, "The Double Standard of Aging", Saturday Review, 23 settembre 1972, p. 37. 20. Heinrich Kraemer e Jacob Sprenger, The Malleus Maleficarum, trad. Montague Summers, New York, Dover, 1971, p. 47, citato in Banner, In Full Flower, p. 193. 21. Banner, In Full Flower, p. 193. 22. Bettelheim, Il mondo incantato, pp. 93-94. 23. Ibidem, p. 267. 24. Ibidem, p. 267. 25. Ibidem, p. 268. 26. Ibidem, p. 268. 27. Ibidem, p. 286. 28. Ibidem, p. 284. 29. Ibidem, p. 285. 30. Gail Sheehy, Passaggio muto. 31. Carolyn Heilbrun, Gloria Steinhem: The Education of a Woman, p. 122. 32. "The50 Most Beautiful People in the World", People, 8 maggio 1995, p. 91. 33. Sheehy, Passaggio muto. 34. Ibidem, p. 157. 35. Bernardine Healy, A New Prescription for Women's Health: Getting The Best Medicai care in a Man's World, New York, Viking, 1995, p. 183. 36. "Feminist Fatale", Longevity, luglio 1994, p. 16. 37. Susan Faludi, "I'm Not a Feminist but I Play One on TV", Ms., marzo/ aprile 1995, p. 39. 38. Germaine Greer, The Madwoman's Underclothes, pp. 37-38. 39. Greer, La seconda metà della vita, p. 54. 40. Greer, L'eunuco femmina. 41. Molly O'Neill, "In an Ivy League of Her Own", New York Times, 20 ottobre 1994, p. CI. 42. Banner, In Full Flower, p. 194. 43. William H. Masters et al., Heterosexuality, p. 470, citando B. D. Starr e M.B. Werner, The Starr-Weiner Report on Sex and Sexuality in the Mature Years, Stein and Day, 1981.
44. Lynn Darling, "Age, Beauty and Truth", New York Times, 23 gennaio 1994, sez. 9, p. 5. 45. Carolyn Heilbrun, Scrivere la vita di una donna. 46. Darling, "Age, Beauty and Truth", p. 5. 47. Margaret Mead, Blackberry Winter: My Earlier Years, pp. 246-247. 48. Sheehy, Passaggio muto, p. 155. 49. Laurei Graebel, "Zenia Is Sort of Like Madonna", New York Times, 31 ottobre 1993, p. 22. 50. U.S. Cebsus, "Current Population Reports", Series P-60. Cifre adattate in modo da riflettere il valore monetario per l'anno 1993. 51. Holly Brubach, "Retroactivity", New Yorker, 31 dicembre 1990, p. 76. 52. Rita Freedman, Beauty Bound, p. 204. 53. Marina Warner, From the Beast to the Blonde: On Fairy Tales and their Tellers, pp. 211-212. 54. Guy Trebay, "Inventing Kirsty", Harper's Bazaar, luglio 1994, p. 127. 55. Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray. 56. Bettelheim, Il mondo incantato. 57. Kaplan, Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary, pp. 87, 92, 93, 96. 58. Erica Jong, Paura dei cinquanta, p. 386. 59. Brubach, "Landscapes with Figures", p. 107. 60. Holly Brubach, "Survivors", New Yorker, 27 agosto 1990, pp. 74-75. 61. Ann W. Richards, "Girls, Pulì Your Freight", New York Times, 25 giugno 1994, p. 23. Corsivo aggiunto nel testo. 62. Sam Howe Verhovek, "Family Becomes Issue in the Texas Governor's Race", New York Times, 22 giugno 1994, p. A16. 63. Thomas F. Cash e Patricia E. Henry, "Women's Body Images: The Results of a National Survey in the U.S.A", Sex Roles 33, n. 1/2, 1995, pp. 19-28. 64. Fisher, Anatomia dell'amore. Storia naturale della monogamia, dell'adulterio e del divorzio. 65. Sigmund Freud, L'interpretazione dei sogni. RINGRAZIAMENTI Un libro è un viaggio, o, come si esprimerebbe Bruno Bettelheim, una ricerca piena di prove e tentativi. Cinque persone molto speciali mi hanno aiutato a superare i numerosi ostacoli lungo il cammino: Dick Duane è stato la musa a cui mi sono rivolta ogni mattina. Il suo dono particolare è quello di saper parlare agli scrittori. Le sue parole mi hanno infuso coraggio nei momenti in cui ne avevo più bisogno. Diane Reverand, il mio editor, ha sempre "visto" questo libro esattamente nel modo in cui io uso questo verbo di enorme significato, lasciandomi libera di trovare me stessa. Julie Roth, la mia eccellente ricercatrice, è stata la più acuta raccoglitrice di indizi, risolutrice di enigmi, e la migliore compagna che uno scrittore potesse desiderare. Caroline Fireside è stata la Donna Saggia che, se si è fortunati, si incontra lungo la strada. Lei ha visto un buon numero di draghi prima di me e ha saputo come aggirarli. Quanto al mio principe, mio marito, Norman Pearlstine, a lui serbo tutto l'amore e la gratitudine che non mi ero mai resa conto di provare prima del termine di questo viaggio.
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Indice CAPITOLO 1 - LO SGUARDO 1.1 - Gli occhi di mia madre 1.2 -Sognando il bambino bello 1.3 - I bambini belli vengono presi in braccio prima 1.4 - Il mutuo sguardo e la tempesta di pianto 1.5 - La bellezza della separazione: una seconda nascita 1.6 - Abbandonare l'idealizzazione della madre/delle donne 1.7 - Gli uomini nella nursery CAPITOLO 2 - INVIDIA 2.1 - Il lato oscuro della bellezza 2.2 - "Portami il suo cuore! " 2.3 - Rivalità tra fratelli: "Ciò che è bello è buono" 2.4 - Imparare ad essere puliti (e belli) 2.5 - Povera vagina, una rosa dai nomi più vari... CAPITOLO 3 - GLI ANNI DELL'INVENZIONE 3.1 - Libertà: la sua sensazione, la sua vista! 3.2 - Ritrovare se stessi sullo schermo d'argento 3.3 - Tre bambine non possono giocare insieme 3.4 - Alla ricerca di un ideale dell'Io 3.5 - Da Nancy Drew a Thelma e Louise 3.6 - Il potere del modello di ruolo negativo 3.7 - Dormire sugli alberi contro dormire a casa delle amiche 3.8 - Bambine nelle braccia di altre bambine
CAPITOLO 4 - LA DANZA DELL'ADOLESCENZA: LE RAGAZZE 4.1 - I bambini belli vengono presi in braccio prima, di nuovo 4.2 - Pubertà: "Un addio all'infanzia" 4.3 -Tempio o fogna? Da oggi sono una donna... o è una "maledizione"? 4.4 - In onore della masturbazione 4.5 - "Non sei carina": ingoia la tua rabbia 4.6 - La pericolosa negazione della competizione madre-figlia 4.7 - Il gruppo: la clausola di non competizione 4.8 - Cercando gli occhi di mio padre CAPITOLO 5 - LA DANZA DELL'ADOLESCENZA: I RAGAZZI 5.1 - Le sembianze dei ragazzi: amate nemiche 5.2 - "Sii uomo!" 5.3 - Come le ragazze proiettano sui ragazzi la bruttezza del sesso 5.4 - Un addio all'invidia del pene 5.5 - L'aspetto della rabbia 5.6 - "Sono il padre che è mancato alla tua fanciullezza" CAPITOLO 6 - FEMMINISMO E BELLEZZA 6.1 - "Le ragazze nei loro abiti estivi" 6.2 - I pantaloni Jax e il twist 6.3 - Wonderbra e completi del potere 6.4 - Grazie, Dottor Guttmacher 6.5 - Le apparenze della rivoluzione 6.6 - La rivoluzione sessuale versus il movimento delle donne 6. 7 - Femminismo versus bellezza e uomini 6.8 - L'inchiostro delle donne/il sangue delle donne 6.9 - Vestirsi per il successo 6.9 - La negazione della competizione CAPITOLO 7 - UOMINI ALLO SPECCHIO 7.1 - L'armadio di mio nonno 7.2 - Il buon capofamiglia 7.3 - "Cosa vede in lui?" 7.4 - Gli occhi affamati degli uomini 7.5 - "Lo sguardo copulatorio" 7.6 - La scopata immaginaria 7.7 - La bellezza nei luoghi di lavoro: corteggiamento o molestia sessuale? 7.8 - " Levati dal mio specchio ! " 7.9 - I magnati bassi e calvi della finanza e le loro svettanti mogli-trofeo 7.10 - "Il futuro della bellezza degli uomini è in gran parte nelle mani delle donne" CAPITOLO 8 - IL PENE, LA SCARPA E LA VAGINA 8.1 - Il pene: passato, presente e futuro 8.2 - Dei piedi e dei feticci 8.3 - Il perizoma CAPITOLO 9 - SUPERARE IL DOPPIO MODELLO D'INVECCHIAMENTO 9.1 - Adulterio: "lettera scarlatta" o Croce Rossa? 9.2 - Diventare la ragazza che ci siamo lasciate alle spalle: all'inferno l'invidia delle altre donne! 9.3 - Vincere la paura del sesso 9.4 - Strega buona/strega cattiva 9.5 - Che differenza per questo terzo atto della vita se un padre fosse stato protagonista del primo 9.6 - Portare magnificamente il proprio potere 9.7 - Cosa dovrebbe indossare la Strega Buona? 9.8 - Risolvere l'enigma di amore e denaro 9.9 - Il principe, il menestrello, il sarto, le nozze: un musical prodotto dalla bambina che mi ero lasciata alle spalle RINGRAZIAMENTI
BIBLIOGRAFIA
Finito di stampare nel mese di maggio 1997 per conto della Casa Editrice Corbaccio s.r.l dalla Milanostampa di Farigliano (Cuneo) Printed in Italy