CRESCITA E DECLINO Studi di storia dell'economia romana Elio Lo Cascio «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER
I saggi compresi in q...
29 downloads
821 Views
31MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
CRESCITA E DECLINO Studi di storia dell'economia romana Elio Lo Cascio «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER
I saggi compresi in questo volume intendono delineare i caratteri e le linee di sviluppo dell' economia romana dall'età repubblicana al tardo antico, proponendo un quadro basato su alcune idee forti: la drastica differenza delle economie del passato rispetto a quelle che hanno accompagnato e seguito la rivoluzione industriale; la loro comparabilità; il carattere comunque dinamico delle economie premoderne e di quella romana in particolare, senza che questo implichi l'esistenza di un percorso rettilineo e necessario. I diversi aspetti dell'economia romana considerati nelle varie parti del libro sono l'agricoltura, il rapporto tra popolazione e risorse, i mercati e i prezzi. Un'ultima sezione, sull'interpretazione weberiana dell'economia romana, è motivata dal fatto, innegabile se si guarda alla letteratura antichistica soprattutto degli ultimi trent'anni, che la lczione weberiana ha suscitato un interesse che va ben al di là di quello meramente storiografico. ELIO LO CASCIO (Palermo, 1948) è professore ordinario di Storia romana presso l'Università di Roma "La Sapienza". La sua produzione scientifica si può considerare incentrata attorno a quattro nuclei tematici: la storia amministrativa dell'età del principato e del tardo impero; la storia istituzionale di età repubblicana; la storia economica e sociale del mondo romano; infine la storia della popolazione, nei suoi riflessi sulla vicenda economica e sociale del mondo antico. Tra le sue pubblicazioni: Il princeps e il suo Impero, Bari 2000; e i volumi a sua cura Roma imperiale. Una metropoli antica, Roma 2000; Mercati permanenti e mercati periodici nel mondo romano, Bari 2000; Production and public powers in classical antiquity (con D.W. Rathbone), Cambridge 2000; Credito e moneta nel mondo romano, Bari 2003; Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano, Bari 2006.
In sovracopertina: Affresco raffigurante una città portuale. (Stabiae, I sec. a.C., IV Stile). Napoli, Museo Archeologico Nazionale.
CENTRO RICERCHE E DOCUMENTAZIONE SULL' ANTICHITÀ CLASSICA MONOGRAFIE ---------------32---------------
ELIO
Lo
CASCIO
CRESCITA E DECLINO STUDI DI STORIA DELL'ECONOMIA ROMANA
«L'ERMA» di BRETSCHNEIDER
ELIO Lo CASCIO Crescita e declino Studi di storia dell'economia
Copyright
2009 «L'ERMA» Via Cassiodoro,
romana
di BRETSCHNElDER 19 - Roma
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell'Editore.
Lo Cascio, Elio Crescita e declino: studi di storia dell' economia romana / Elio Lo Cascio. - Roma: «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2009. - 380 p. ; 17x24 cm. (Centro ricerche e documentazione sull'antichità classica. Monografie; 32) ISBN 978-88-8265-562-4 CDD 21. 330.937 1. Roma antica - Economia I. Lo Cascio, Elio
Volume pubblicato
con il contributo
del MIUR
SOMMARIO
Premessa.
. . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .. . . . . . . . . .
1
INTRODUZIONE CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMIA
ROMANA IN PROSPETTIVA STO-
RICA. . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
L'AGRICOLTURA ROMANA TRA AUTOCONSUMO, RENDITA E PROFITTO I.
LA PROPRIETÀ DELLA TERRA, I PERCETTORI DEI PRODOTTI E DELLA RENDITA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19
La proprietà della terra in Roma arcaica, 20 - L'emergere della piccola proprietà contadina, 23 - Dalle fattorie alle villae, dall' autoconsumo al mercato, 26 - Le conquiste transmarine, l'afflusso di ricchezza in Italia e i problemi sociali del II secolo a.C., 35 - Affittuari e salariati, 43 - L'Italia e le sue produzioni agricole nell'età de II' imperialismo, 48 - Il nuovo assetto politico-amministrativo dell'impero c i suoi effetti sull'economia agraria della penisola, 55 - L'evoluzione della proprietà e le opzioni dei proprietari nel nuovo scenario, 58 - La "crisi" e gli sviluppi di età tardoantica, 66 II.
OBAERARII
(OBAERATl):
LA NOZIONE
DELLA DIPENDENZA
71
IN VARRONE III.
CONSIDERAZIONI
SULLA
STRUTTURA
E SULLA
DELL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE.
DINAMICA
. . . . . . . . . . . . .
91
Premessa, 91 - La varietà delle affittanze e degli affittuari, 92 - Modello africano e modello pliniano, 97 - Dinamica dell' affitto agrario e dinamica della popolazione, 108 IV.
L'ECONOMIA DI PLINIO.
DELL'ITALlA
ROMANA NELLA TESTIMONIANZA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
115
VI
CRESCITA E DECLINO
POPOLAZIONE I.
POPOLAZIONE
E RISORSE
E RISORSE NEL MONDO ANTICO. . . . . . . . . . . .
139
La natura della documentazione antica, 139 - Documentazione comparativa, modelli demografici e struttura per età e per sesso delle popolazioni antiche, 144 - I numeri assoluti, 150 - La dinamica delle popolazioni antiche, 157 Il.
IL RAPPORTO UOMINI-TERRA
NEL PAESAGGIO DELL'ITALIA
ROMANA. . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . .. III.
MOVIMENTI
DEMOGRAFICI E TRASFORMAZIONI
PRINCIPATO E TARDOANTICO: LO DI SCHIAVITÙ FINLEY.
ANTICA
SOCIALI TRA
A PROPOSITO DEL IV CAPITO-
E IDHOLOGIE
MODERNE
DI MOSES
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . .. . . . . .. . . . . .
MERCI,
165
MERCATI
179
E PREZZI
E GLI SCAMBI INTERMEDlTERRANEI
195
Il.
LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI. . . . . . . . . . . . . . .
211
III.
PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IV
I.
IL DENARIUS
SEC. D.C. IV.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CONSIDERAZIONI
SU CIRCOLAZIONE
MONETARIA, PREZZI
E
259
FISCALITÀ NEL QUARTO SECOLO V.
MERCATO LIBERO E "COMMERCIO AMMINISTRATO" IN ETÀ TAROOANTICA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
VI.
L'APPROVVIGIONAMENTO
DELL'ESERCITO
WEBER
TI.
E
L'ECONOMIA
WEBER E IL "CAPITALISMO ANTICO"
273
ROMANO: MERCA-
TO LIBERO O "COMMERCIO AMMINISTRATO"?
L
235
. . . . . . . . . . . .
287
ROMANA . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
299
L'IMPERO PATRIMONIALE E LA «MORTE LENTA DEL CAPITALISMO ANTICO»:
L'INTERPRETAZIONE
WEBERIANA DEL PAS. . . . . . . . . . . .
317
Bibliografia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
337
Indice delle fonti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
369
Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
377
SAGGIO DALLA REPUBBLICA
AL PRINCIPATO.
PREMESSA
I saggi ricompresi in questo volume sono stati pubblicati in un lungo arco di tempo, a partire dai primi anni '80 del secolo scorso, anche se la maggior parte è stata edita negli ultimi quindici anni. Ho ritenuto opportuno riprendere anche qualche vecchio lavoro, dal momento che mi sembrava che bene si integrasse nel disegno complessivo dei caratteri fondamentali e delle fondamentali linee di sviluppo dell'economia romana che queste pagine vorrebbero presentare. I saggi sono stati rivisti e corretti tacitamente, in talune occasioni in misura più consistente, soprattutto nel caso di qualche significativo mutamento di opinione o per eliminare fastidiose ripetizioni. In parte è stato anche aggiornato (se non aggiunto ex-novoy l'apparato erudito, per tenere conto, entro limiti ovviamente molto modesti, del dibattito successivo alla loro prima uscita. Ma non è stata modificata la loro struttura e forma, anche dipendente dalla sede dell'originaria pubblicazione: dunque si troveranno nel libro saggi concepiti per volumi indirizzati (come si dice) a un pubblico colto e saggi più specificamente rivolti a un pubblico di specialisti. L'ambizione è quella di proporre un quadro certo non sistematico dell'economia romana nel suo divenire, ma che vorrebbe avere una sua coerenza di fondo: un quadro basato su alcune idee forti - la drastica differenza delle economie che precedono la rivoluzione industriale e la transizione energetica rispetto a quelle successive, ma perciò anche la loro comparabilità sui piani più diversi; il carattere comunque dinamico delle economie del passato e di quella romana in particolare, ma senza che questo possa significare il rinvenimento di un percorso rettilineo e necessario. Quel che si vuol proporre è dunque non un modello complessivo e totalizzante, ma un' analisi nei limiti del possibile rigorosamente basata su alcune prese di posizione teoriche di fondo. I diversi aspetti dell'economia romana presi in considerazione nelle varie partizioni del libro sono l'agricoltura, il rapporto tra popolazione e risorse, i mercati e i prezzi, senza nessuna pretesa, com' è ovvio, né di esaustività, né di sistematicità. L'aggiunta di un' ultima sezione, sull' interpretazione weberiana dell'economia romana, è motivata dal fatto, innegabile se si guarda alla storiografia antichistica soprattutto degli ultimi trent'anni, che la lezione weberiana ha suscitato un interesse che va ben
CRESCITA E DECLINO
2
al di là di quello meramente storiografico: mi è sembrato perciò che l'inserimento di questa sezione fosse pienamente giustificato in un volume sui caratteri e sull'evoluzione dell'economia romana. Weber continua a essere ancor oggi un interlocutore di rilievo, ed è stato comunque l'ispiratore di alcune fra le più fortunate teorie sulla natura delle economie antiche e sul loro funzionamento, che hanno dominato il dibattito scientifico. Il saggio introduttivo, che porta lo stesso titolo del libro, vuol essere una sorta di giustificazione non tanto o non solo di questo stesso titolo, quanto dell' approccio complessivo. Tringraziamenti vanno anzitutto a Giuseppe Zecchini per avermi proposto di raccogliere in volume alcuni dei miei saggi sull'economia romana e per avere voluto accogliere il volume nella serie del Cerdac, e a Marco Maiuro, a Giovanna Merola e a Gianluca Soricelli, che mi hanno aiutato nella revisione dei testi originari, suggerendomi opportune integrazioni all'apparato delle note a piè di pagina e alla bibliografia. Vanna Merola ha anche curato gli indici. Devo poi sentitamente manifestare la mia riconoscenza, com' è ovvio, a tutti gli amici, troppo numerosi per citarli qui, che nel corso di molti anni hanno discusso con me e molte volte hanno manifestato il loro dissenso sulle mie opinioni spesso eterodosse, a partire da quelli che negli anni '70 a Cambridge attorno alla figura carismatica di Sir Moses Finley e forti della sua impareggiabile lezione si formavano assieme a me come studiosi delle economie e delle società del mondo antico. Ma soprattutto ho un debito di riconoscenza nei confronti di molti dei miei allievi delle università nelle quali ho insegnato, dalla cui intelligente autonomia di giudizio ho tratto continua ispirazione. romana in prospettiva storica è apparso nella «Rivista di Storia Economica» n.s., XXTII, 2007, 269-82, e in «Scienze umanistiche» 2, 2006, 29-41; La proprietà della terra, i percettori dei prodotti e della rendita in G. Forni e A. Marcone (a c. di), Storia dell'agricoltura italiana. J. L'età antica. 2. Italia romana, Firenze, Accademia dei Georgofili, 2002, 259-313; Obaerarii (obaerati): la nozione della dipendenza in Varrone in «Index» Il, 1982, 265-84; Considerazioni sulla struttura e sulla dinamica dell'affitto agrario in età imperiale, in H. Sancisi-Weerdenburg, R.I. Van der Spek, H.C. Teitler, H.T. Wallinga (eds.), De agricultura. In memoriam P.W de Neeve, Amsterdam, Gieben, 1993, 296-316; L'economia dell'Italia romana nella testimonianza di Plinio, in Plinius der Jiingere und seine Zeit, hg. v. L. Castagna u. E. Lefèvre, Munchen-Leipzig, Saur, 2003, 281-30 l; Popolazione e risorse nel mondo antico, in V. Castronovo (a c. di), Storia dell'economia mondiale, J. Dall'antichità al medioevo, Roma-Bari, Laterza, 1996,275-99; Il rapporto uomini-terra nel paesaggio dell'Italia romana, in «Indcx» 32,2004,
Crescita e declino: l'economia
107-21; Movimenti
demografici e trasformazioni
sociali tra Principato
e tar-
PREMESSA
3
doantico: a proposito del IV capitolo di Schiavitù Antica e Ideologie Moderne di Moses Finley, in «Opus» J, 1982, 147-59 (col titolo A proposito del IV capitolo di Ancient Slavery and Modern Ideology: movimenti demografici e trasformazioni sociali tra Principato e Basso Impero); Il dcnarius e gli scambi intermediterranei, in G. Urso (a c. di), Moneta mercanti banchieri. l precedenti greci e romani dell'Euro, Pisa, ETS, 2003, 147-65; La vita economica e sociale a Pompei, in F. Zevi (a c. di), Pompei, II, Napoli, Banco di Napoli, 1992, 113-31 (col titolo La vita economica e sociale); Prezzi in oro e prezzi in unità di conto tra il //1 e IV sec. d. c., in Prix et formation des prix dans les économies antiques, textes rassemblés par Jean Andreau, Pierre Briant, Raymond Descat, Entretiens d'Archeologie et d'Histoire, S. Bertrand-de-Comminges, musée archéologique départemental 1997, 161-82; Considerazioni su circolazione monetaria, prezzi e fiscalità nel quarto secolo, in Finanza e attività bancaria tra pubblico e privato nella tarda antichità: definizioni, normazione e prassi, Atti del XII Conv. Internazionale dell' Accademia Romanistica Costantiniana (Perugia-Spello, 11-14 ottobre 1995), Napoli 1998, 121-36; Mercato libero e commercio amministrato in età tardoantica, in C. Zaccagnini (a c. di), Mercanti e politica nel mondo antico, Roma, «L'ERMA» di Bretschneider, 2003, 307-25; L'approvvigionamento dell'esercito romano: mercato libero o 'commercio amministrato'?, in L. de Blois & E. Lo Cascio (eds.), The Impact ofthe Roman Army (200 BC-AD 476). Economie, Social, Political, Religious and Cultural Aspects, Leiden-Boston, Brill, 2007, 195-206; Weber e il «capitalismo antico», in M. Losito - P. Schiera (a c. di), Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, Bologna, Il Mulino, 1988, 401-22; L'impero patrimoniale e la «morte lenta del capitalismo antico»: l'interpretazione weberiana del passaggio dalla Repubblica al Principato, in A. Storchi Marino (a c. di), L'incidenza dell' antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, I, Napoli, Luciano, 1995,261-79.
INTRODUZIONE
CRESCITA E DECLINO: L'ECONOMIA ROMANA IN PROSPETTIVA STORICA
Le analisi effettuate di recente della composizione degli strati della calotta polare artica e dei sedimenti di bacini lacustri in Svezia, Svizzera e Spagna hanno rivelato che il grado della polluzione da piombo e da rame dell'atmosfera dell'emisfero settentrionale, in conseguenza delle operazioni di trasformazione del minerale estratto dalle miniere di argento e di rame, in un certo periodo del mondo antico, e cioè i quattro secoli a cavallo degl'inizi dell'era cristiana, è stato tale da essere eguagliato solo in un' epoca successiva all'avvio della rivoluzione industriale l. Il dato in sé è assai significativo, giacché mostra non soltanto che l'attività economica nel Mediterraneo unificato da Roma deve essere stata assai intensa, ma più specificamente che assai elevato deve essere stato il grado di monetarizzazione dell'economia: la polluzione da piombo è, infatti, un indicatore dell'entità della produzione dell'argento, e dunque della moneta argentea, mentre la polluzione da rame indica che anche la produzione di moneta enea deve avere avuto dimensioni assai ragguardevoli. In ultima analisi il dato suggerisce che gli scambi commerciali, "lubrificati", per dir così, da un' enorme quantità di moneta, integrata da strumenti creditizi peculiari e notevolmente sofisticati di cui siamo venuti a conoscenza da recenti e meno recenti scoperte epigrafiche e papiracee, devono essere stati assai vivaci 2. Lo stesso quadro è peraltro quello che emerge dallo studio dei relitti dei naufragi delle navi onerarie rinvenuti lungo le coste del Mediterraneo: il numero dei relitti risalenti a questi stessi quattro secoli è molto più elevato del numero di quelli risalenti a epoca precedente e successiva, ciò che suggerisce che il volume del traffico commerciale si deve essere attestato in questi secoli su livelli mai più raggiunti in seguito. Scambi così intensi testimoniano a loro volta una produzione globale molto elevata, spia di elevata popolazione e presumibilrnente spia di elevata produtti-
l
Riferimenti
infra, 195.
'In/io, 195 sgg.; m: CALLATAY
2005.
6
CRESCITA E DECLINO
vità: testimoniano, vale a dire, l'esistenza di un'economia in grado di produrre un elevato surplus 3. Quanto al livello del popolamento delle regioni del Mediterraneo, e segnatamente dell'Italia, si può a mio avviso sostenere che l'ipotesi più aderente al quadro documentario a nostra disposizione parrebbe suggerire che la popolazione in età augustea e nei primi tempi dell'età imperiale deve avere raggiunto livelli poi raggiunti nuovamente solo assai più tardi: per l'Italia solo nel diciottesimo secolo". Ci si può chiedere se, a questa elevatezza della produzione globale e della popolazione rispetto alle età precedenti e alle età successive, abbia corrisposto un livello parimenti elevato del prodotto pro capite, il segnale più eloquente, in definitiva, della individuale prosperità. Che sappiamo del tenore di vita di cui godevano nella multiforme realtà dell'impero sovranazionale e plurietnico di Roma i suoi abitanti? Dobbiamo pensare che la popolazione elevata dell'impero, fosse, proprio per il fatto di essere così elevata, anche malnutrita, sottoalimentata? O viceversa potremo individuare in essa una popolazione che vive ben al di sopra della sussistenza? Due altri "segnali" sono stati individuati di recente attraverso, ancora una volta, l'ausilio offerto dalle scienze della natura: l'entità, variabile nel tempo, del consumo di carne di maiale come lo si può stimare dai resti organici delle ossa degli animali; e i dati antropometrici sulla statura media della popolazione, ricavati dalla documentazione degli scheletri. Si tratta di dati che mostrano una coerenza di fondo e che non sono falsificabili con le normali procedure della ricerca storica. Un saggio recente di Wim Jongman ha raccolto la documentazione sino ad oggi pubblicata e proveniente da un cospicuo numero di siti romani, una documentazione ovviamente parziale dalla quale non può dedursi nulla più che degli ordini di grandezza, e tuttavia abbastanza significativi 5. Il consumo di carne di maiale sembra incrementarsi, nel complesso del mondo romano, ben più di quanto si incrementi la popolazione. Per quanto riguarda i dati antropometrici gli studi in questi ultimi trent' anni di antropometria storica o auxologia hanno conosciuto un rinnovato sviluppo. Nei dati in questione, raccolti soprattutto in occasione del reclutamento militare, si riconosce un'indicazione significativa del livello nutrizionale, della salute e della generale qualità della vita, nonché del grado di "social equality": i dati rivelano, in effetti, nel mondo
3
PARKER
4
Lo
1992; MEIJER 2002; DE CALLATAY & MALANIMA 2005 e rif. ivi.
CASCIO
'JONGMAN
2006.
2005.
INTRODUZIONE
7
contemporaneo, quanto una marcata diseguaglianza sociale possa essere riflessa sulla differenza di statura. Se confrontati con quelli ricavabili dai resti scheletrici rinvenuti nelle necropoli del mondo antico, essi ci danno un'informazione del tutto inattesa: c'è una netta differenza tra il livello medio di statura degli abitanti del mondo mediterraneo in età greca e romana e quello degli abitanti delle medesime regioni nel diciottesimo e diciannovesimo secolo (senza che si possano ascrivere le differenze a fattori genetici). Bisogna per di più tenere conto del fatto che il campione antico non riguarda solo giovani reclute, ma individui adulti e sappiamo che la statura nell'età adulta diminuisce gradualmente. Ora, si è notato che la statura media dei coscritti in Italia nel 1854 era di 162,64 cm, vale a dire oltre 5 centimetri inferiore rispetto a quella - di 168,3 cm - che è stato possibile calcolare su un campione di 927 scheletri di maschi adulti rinvenuti in tutta l'Italia e relativi a un arco cronologico che va dal 500 a.c. al 500 d.C. Il livello di statura antico sarebbe stato eguagliato, in base ai dati relativi alle reclute dell' esercito italiano, solo nel 1956, dunque con la coorte dei nati nel 19366. Che cosa siamo autorizzati a dedurre da dati del genere? Apparentemente una conclusione che parrebbe paradossale: che l'Italia e più in generale il mondo mediterraneo nel suo complesso, e quali che ne fossero le differenziazioni regionali, risultava in età romana, non solo più affollato di gente e, nel suo complesso, più produttivo, ma anche con un tenore di vita più elevato di quanto non sia stato in molti periodi della sua storia successiva, e ancora in epoche assai recenti. Ne dedurremo altresì che c'è stato - e ancora una volta quali che siano le differenziazioni regionali e quale che sia l'arco temporale nel quale va collocato nelle diverse aree - un "declino": un declino demografico e produttivo, e presumibilmente anche un declino nel tenore di vita, un declino da associare evidentemente, in ultima analisi, con il declino del mondo antico sino alla dissoluzione di una organizzazione politica unitaria in occidente. Ma ne dovremo dedurre, altresì, che c'è stata anche "crescita" (e tanto "estensiva", vale a dire crescita di quel che possiamo definire il Prodotto Interno Lordo dell' Impero, determinata dal mero incremento della popolazione, quanto "intensiva", l'autentica crescita economica, la crescita del prodotto pro capite). Dobbiamo, vale a dire, ritenere che il mondo mediterraneo non solo nell'ottavo secolo a.c. o nel quinto, ma ancora nel terzo secolo a.c., quando Roma avviava le sue conquiste transmarine, non era né altrettanto popolato, né altrettanto "ricco" di tre o quattro &
KRON
2005.
8
CRESCITA E DECLINO
secoli più tardi, nell'epoca del gibboniano "apogeo". Ne dedurremo più in generale che quella dell'età romana è un'economia tutt'altro che immobile. È questa una conclusione che assevera, quant' altre mai, mi sembra, la crisi del paradigma finleyano - a buon diritto definito ancora negli anni ottanta la "nuova ortodossia": un paradigma che ha dominato negli anni settanta e ottanta la discussione sulla natura e sulle "performances" delle economie antiche soprattutto, ma non solo, nel mondo anglosassone. TI libro di Sir Moses Finley, The Ancient Economy, apparso in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1973 e subito tradotto in molte lingue (la traduzione italiana fu una delle prime se non la prima in assoluto a comparire), ha avuto un'influenza decisiva nell'orientare il dibattito scientifico, non solo perché proponeva un quadro di grande coerenza e in termini perentori, per nulla sfumati, ma perché mirava a integrare la rapida presentazione dei caratteri di quella che il Finley definiva unitariamente appunto l'economia antica nel più ampio quadro delle economie preindustriali. Interlocutori di Finley erano dunque, e dichiaratamente, non solo quegli antichisti di cui pure egli non mancava di sottolineare lo scarso spessore teorico, ma economisti e storici delle economie più tarde. Converrà rapidamente delineare gli elementi del paradigma finleyano 7. Finley partiva dalla constatazione se si vuole banale della distanza che avrebbe separato l'economia antica dalle economie capitalistiche: mutuando la caratterizzazione di questa distanza e dei suoi tratti salienti da Max Weber, da Karl Polanyi, e in definitiva anche dalle varie "teorie degli stadi" in voga nella letteratura della scuola storica dell' economia, di cui una versione ovviamente del tutto peculiare era lo stesso materialismo storico marxiano. Questa radicale distanza portava, prima di tutto, a ritenere sostanzialmente inutilizzabili per intendere il funzionamento dell'economia antica e i comportamenti e le motivazioni degli attori economici privati e "pubblici", le categorie della scienza economica classica e soprattutto neoclassica, in quanto nata col nascere del capitalismo industriale moderno. Finley seguiva sostanzialmente Polanyi nel postulare una netta contrapposizione tra il mondo precapitalistico e il mondo capitalistico, per il fatto che nel primo l'economico sarebbe stato "embedded", "incastrato", nel sociale e nel politico, laddove il mondo capitalistico avrebbe visto la sua autonomizzazione. (Incidentalmente va detto che si può riconoscere nell'insistenza su questa contrapposizione anche un sotterraneo orientamento sostanzialmente critico nei confronti de Il'ideologia 7
Per quel che segue Lo
CASCIO
1991 a.
INTRODUZIONE
9
liberale e per certi versi anche di quella marxista H). Per un altro verso si evidenziavano le differenze con l'economia capitalistica in modo netto: si sottolineava il rilievo fondamentale che avrebbe avuto la produzione primaria e dunque veniva considerato del tutto limitato il ruolo del commercio e della manifattura, sicché la città antica veniva considerata come città consumatrice (e non c'è bisogno di soffermarsi sulle ascendenze sombartiano-weberiane di questo concetto); si insisteva su un supposto mancato coinvolgimento nel commercio e nella manifattura delle élites dei proprietari terrieri, che avrebbero mantenuto un'ideologia da rentier (sarebbe mancata, quanto meno nell'élite, una mentalità imprenditoriale); si metteva in rilievo l'assenza di un'integrazione economica tra le varie aree e di conseguenza l'assenza di una specializzazione produttiva; veniva negata, infine, qualsiasi possibilità di crescita che non fosse legata alla conquista e all' impero, ma che fosse il prodotto per esempio dell'innovazione tecnica e della sua diffusione. Per quel che riguarda gli attori economici pubblici Finley negava che si potesse parlare di una "politica economica" consapevolmente perseguita da un'organizzazione politica antica e contestava gli storici modernizzanti (soprattutto quelli attivi fra le due guerre) che volevano contrapporre politiche "liberali" o "Iiberiste" a politiche "dirigiste". In sostanza si individuavano tutta una serie di contrapposizioni tra l'antichità greca e romana e una modernità definita tradizionalmente come l'occidente grosso modo successivo alla rivoluzione industriale, ma senza attribuire evidentemente alle trasformazioni radicali venute in conseguenza di quest'ultima un valore di discrimine decisivo, se weberianamente i prodromi, per non dire il primo emergere, del capitalismo venivano collocati pur sempre assai prima, e senza in definitiva - mi sembra - riconoscere il salto che separa, in termini qualitativi non meno che in termini quantitativi, la crescita possibile di una "advanced organie eeonomy" (per definirla nei termini felici in cui la definisce Tony Wrigley)? e la crescita venuta in connessione con la rivoluzione industriale e con la rivoluzione energetica, con l'avvento dei combustibili fossili. L'economia antica veniva caratterizzata come quella che si basava su tutta una serie di assenze e su una presenza. La presenza era ovviamente quella della schiavitù, anche se veniva messa in discussione l'utilità euristica del ricorso a categorie come quelle di "modo di produzione" e di "formazione economico-sociale", e anche se opportunamente ne veniva messa in rilievo la centralità, rispetto al ruolo che la schiavitù B Si 9
vd. illihro recente di NAFISSI Si vd. ora WRIGLEY 2004.
2005.
CRESCITA E DECLINO
lO
avrebbe assunto nelle autentiche società schiavistiche del Nuovo Mondo, società marginali e periferiche di un mondo assai diverso, ormai avviato verso il capitalismo "'. Le assenze erano quelle di una produzione di massa e di un mercato del lavoro libero nella forma del lavoro salariato; l'assenza di un orientamento verso il profitto degli attori economici e l'assenza di un calcolo razionale e sinanco della stessa possibilità di un calcolo razionale da parte di questi stessi attori; l'assenza di un'accumulazione diversa da quella appunto consentita dalla guerra c dalla conquista imperiale; l'assenza di un'integrazione economica, che vuoI dire assenza di mercati integrati (e semmai presenza di quel che Finley seguendo Polanyi definiva "commercio amministrato"); infine l'assenza di una crescita nel senso dell' incremento della produttività e del reddito pro capite, per esempio determinata dall'utilizzazione economica di innovazioni tecnologiche. L'economia del mondo antico si caratterizzava dunque come un'economia immobile. Infine c'è un ulteriore aspetto dello scenario delineato da Finley su cui mi sembra opportuno insistere. Veniva negata da Finley qualsiasi possibilità di effettiva quantificazione, data l'inesistenza di statistiche antiche (quella che Hugo Jones definiva l"'ignominiosa verità") Il e dato il carattere stesso della documentazione antica: scarsa, episodica, inaffidabile. Né Finley mostrava un grande interesse per le quantificazioni effettuate dagli studiosi della cultura materiale, che sarebbero pervenuti, su queste basi, a conclusioni spesso definitive. E tuttavia l'asserita impossibilità di quantificazione diveniva inevitabilmente, ma illegittimamente, un vigoroso argomento a favore dell' ipotizzato immobilismo delle economie antiche, nella loro struttura di fondo: dell' assenza di dinamicità. Si faceva equivalere in questo modo, e implicitamente, la pretesa impossibilità di misurare un fenomeno con l'assenza o con la scarsa rilevanza del fenomeno stesso. La reazione nei confronti del quadro costruito dal Finley è cominciata ad emergere nettamente già nei primi anni '80 e fra i suoi critici più penetranti vanno annoverati alcuni degli studiosi a lui più vicini. Ricorderò, tra gli altri, il compianto Keith Hopkins (lo studioso che per primo ha appunto parlato, e non per caso, di "nuova ortodossia" finleyana) 12, il quale ha inteso correggere il quadro di Finley su aspetti molto rilevanti, che toccano alcuni temi di fondo, anche di carattere metodologico.
IIIVd. Il
12
pure FINLEY 1980a.
JONES 1948, 3. HUPKINS 1983, IX-XXV;
si vd. in particolare
HOPKIN~ 1978 e HOPKINS 1980; HOPKINS 1995/6.
INTRODUZIONE
11
Tipico il caso dell'impossibilità di quantificazione (quell'impossibilità - detto tra parentesi - che consentiva a Finley di ignorare totalmente nella costruzione del suo modello interpretativo la dinamica demografica). Attraverso un'astuta considerazione di ciò che è quantificabile nella documentazione materiale e il ricorso a quel che viene definito il "parametric modelling", Hopkins ha recuperato, nello studio di aspetti rilevanti dell'economia romana, quella dimensione diacronica sostanzialmente assente in Finley. Questa stessa dimensione è, peraltro, quella che emerge con maggiore nettezza nelle posizioni dell'antichistica italiana soprattutto di orientamento marxista, che si sono espresse nei lavori, di significato epocale, del gruppo di antichistica dell'Istituto Gramsci: dai volumi su Società romana e produzione schiavistica a quelli su Società romana e impero tardoanuco's.Yi modello finleyano è stato messo in discussione in modo radicale soprattutto da Andrea Carandini e dalla sua scuola 14. Va tuttavia osservata una parziale adesione da parte degli studiosi italiani del Gramsci ad alcuni elementi del paradigma finleyano e a uno in particolare: l'idea secondo la quale solo con l'avvento del capitalismo moderno si sarebbe avuta l'''autonomizzazione'' dell'economico dal sociale e dal politico (di qui l'accusa di economicismo a quei critici di Finley che svalutano la significatività di questa contrapposizione o che non aderiscono all'idea di Polanyi, e dei critici dell'economia di mercato, della "grande trasformazione"); o ancora il rilievo attribuito alla presenza e anzi alla centralità della schiavitù nel determinare l'ideologia dei ceti dominanti e le "risposte" dei ceti subalterni nel mondo antico. Oggi le posizioni critiche nei confronti del modello finleyano si sono moltiplicate, come tra l'altro emerge, per un verso, da numerose opere collettive su aspetti specifici - sui commerci e i mercanti, sui "mercati" e sul loro funzionamento, sul ruolo della moneta e del credito, sull'influenza esercitata dall'azione delle autorità pubbliche su produzione e commercio, sul ruolo economico delle città, sull'innovazione tecnica e sul suo rapporto con la crescita 15 - e per un altro verso da un'altra opera collettiva appena uscita, la nuova Cambridge Economie History oJ the Greco-Roman World, che tuttavia si pone come finalità quella di superare l'opposizione giudicata sterile tra finleyani e antifinleyani,
GIARIJINAe SCHIAVONE(a c. di) 1981; GIARDINA (a c. di) 1986. Si vd. tra i suoi vari contributi quelli raccolti in CARANDINI 1999b. "PARKINS & SMITH (eds.) 1998; Lo CASCIO (a c. di) 2000b; Lo CASCJO(a c. di) 2003; Lo CASCIO & RATHBONE (eds.) 2000; MATTlNGLY & SALMON (eds.) 2001; PARKINS (ed.) 1997; Lo CASCIO (a c. di) 2006; vd. pure alcuni dei saggi ricompresi in de BLOIS & RICH (eds.) 2002; SCHEIDEL & VONREDEN (eds.) 2002; BANG, IKEGUCHI,ZICHE (eds.) 2006. 13 14
CRESCITA E DECLINO
12
tentando di costruire un nuovo e più sofisticato apparato concettuale per interpretare le caratteristiche peculiari delle economie antiche "'. Le posizioni critiche ed anche quest'ultima impresa si riconducono in larga misura a una presa di posizione metodologica di fondo: l'affermazione non solo della legittimità, ma dell'utilità euristica di una considerazione comparativa dell'economia ellenistico-romana (più che di quella greca) e di altre economie preindustriali, tanto dell'Occidente europeo, quanto dell 'Oriente asiatico. La finalità fondamentale, se posso dir così, del libro di Finley, in parte dipendente anche dal suo carattere di libro rivolto anzitutto a un pubblico, come si è già avuto occasione di notare, di non antichisti, era di spiegare, di fronte al "modernismo" volgare e facile, dominante negli studi sull'economia antica al suo tempo, la natura della radicale differenza tra economie contemporanee ed econome antiche. Ma, paradossalmente, in questo esercizio, Finley seguiva Weber nello svalutare di fatto il carattere epocale delle trasformazioni poste in essere dalla rivoluzione industriale e dalla rivoluzione energetica, e dal venir meno delle economie agricole tradizionali. Finley, in sostanza, seguendo Weber, allontanava troppo l'economia imperiale romana dalle economie più sviluppate dell'Occidente europeo, come quella dell'Olanda e dell'Inghilterra prima della Rivoluzione industriale, perché avvicinava troppo queste ultime alle economie nate dalla Rivoluzione industriale stessa 17: economie radicalmente diverse per la brusca accelerazione che ne è derivata del tasso di crescita del prodotto pro capite, per la drastica riduzione del settore primario, per la moltiplicazione della quantità di energia a disposizione. La revisione oggi in atto nello studio delle economie antiche e segnatamente di quella imperiale romana parte dunque dal presupposto di una similarità nella struttura di fondo delle "economie organiche" del passato e dunque di una loro comparabilità. Ma inevitabilmente parte anche dal presupposto che il mondo preindustriale nel suo complesso è stato tutt' altro che immobile: ha conosciuto importanti episodi di crescita, come per esempio quello che ha caratterizzato l'Inghilterra tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo, e sino al 1760, vale a dire prima dell' avvio della Rivoluzione industriale stessa. Oggi si parla, come recita il titolo di un libro divenuto familiare anche agli studiosi dell' economia del mondo antico (dell'economista e storico economico Eric Jones) di una "Growth recurring" 18: una crescita, come si è detto, attestata anche
16
SCHEIDEL, MORRIS,
Si vd. quanto osserva i x E.L. JONES 2000.
17
SALLER
(cds.) 2007. 1990,27 s.
PLEKET
INTRODUZIONE
13
prima della Rivoluzione industriale e in regioni estranee all'Occidente europeo le cui origini, caratteristiche e modalità per certi versi sarebbero addirittura comparabili a quelle che hanno caratterizzato, certo con infinitamente maggiore velocità, la crescita delle nazioni europee a partire dal diciannovesimo secolo. Un altro storico dell'economia, studioso della Cina, Kenneth Pomeranz, si è chiesto, in un suo libro anch'esso divenuto familiare agli studiosi delle economie antiche, che cosa abbia determinato la "great divergence" tra l'Europa nordoccidentale e l'Asia orientale al momento dell'avvio di una crescita industriale sostenuta, nonostante la presenza di sorprendenti similarità tra Europa e Asia, ancora visibili alla metà del diciottesimo secolo; e ha riconosciuto nella disponibilità e nell'uso del carbone fossile, per un verso, nel commercio col Nuovo Mondo, per un altro verso, le ragioni del decollo 19. In questa sede non interessa ovviamente entrare nel merito di un simile problema. Interessa piuttosto ribadire ancora una volta che il cammino più fruttuoso da seguire nello studio dell' economia romana è, per un verso, quello che passa per un programmatico ricorso al materiale comparativo, per un altro verso, quello che consiste nell'inventare nuovi modi di analizzare la documentazione soprattutto materiale, alla ricerca di quei segnali che indichino il cambiamento tanto nella direzione della crescita, quanto nella direzione del declino. Quest'ultimo è un punto decisivo, a me sembra. Il dibattito che si è svolto a partire dalla pubblicazione del libro di Finley ha ripreso i termini della vecchia controversia che oppose Karl Biicher a Eduard Meyer, la cosiddetta controversia primitivisti-modemisti, in un aspetto essenziale: si sono continuate ad affrontare due maniere diverse di concepire l'evoluzione economica complessiva dell'occidente: in chiave lineare e in chiave ciclica. La teoria biicheriana di una successione di stadi, di Stufen, dall"'economia domestica chiusa", tipica dell'antichità e dell' Alto Medioevo, alI"'economia cittadina", tipica del Basso Medioevo, all'''economia nazionale", tipica del mondo moderno, differenziantisi fra di loro in base al numero di passaggi attraverso i quali ogni prodotto perveniva dal produttore al consumatore, era una delle tante teorie degli stadi elaborate dalla scuola storica dell'economia?', Una simile teoria, come le altre teorie degli stadi, concepiva l'evoluzione economica dell'occidente come lineare o linearmente progressiva. Per Meyer viceversa quella che egli definiva "l'evoluzione storica universale" aveva carattere ciclico. Non casualmente Meyer insisteva sulle analogie che, a suo avviso, la storia del
14
POMERANZ
'', non può interessare il proprietario romano, secondo quest'interpretazione non si giustificherebbe; infine, la stessa espressione adoperata a indicare la categoria di cui fanno parte i pauperculi, «cum ipsi colunt», sarebbe un ben strano e ambiguo modo di riferirsi ai soli piccoli affittuarii. L'interpretazione del Gummerus, peraltro, così com' è prospettata, non può accogliersi nemmeno: essa è contraddittoria, in quanto, per un verso, ipotizzando che Varrone menzioni i piccoli proprietari, considera la classificazione varroniana come riferita all'intero complesso dei lavoratori agricoli; per un altro verso, spiega la mancata menzione dei piccoli affittuari come gruppo a sé con il fatto che essi, in quanto tali, non interesserebbero l'eventuale destinatario del trattato. E tuttavia ritengo che il Gummerus ha ragione a sostenere che coloro che «ipsi colunt» sono, per Varrone, sia i proprietari che gli affittuarii. La classificazione varroniana intende rappresentare, non c'è dubbio, la totalità dei lavoratori agricoli: ma intende rappresentarla, appunto, in quanto, diremmo, totalità di lavoratori 52. Vale a dire che suo criterio distintivo non è il rapporto giuridico formale che lega la terra a chi la coltiva, il che avrebbe comportato in primis una differenziazione fra chi coltiva la terra in quanto proprietario e chi la coltiva, ad esempio, in quanto affittuario, ma il tipo di rapporto, concreto, del coltivatore col fondo e dunque il tipo di lavoro in quanto tale, caratterizzato dalle condizioni in cui si svolge e dalle finalità cui è destinato. Intesa in questo modo, la ripartizione varroniana dei lavoratori individua anzitutto quelli che «ipsi colunt», tra i quali saranno proprietari e affittuari, poi individua coloro che coltivano valendosi di mercennarii, tra i quali potranno ancora una volta esservi tanto i proprietari che gli affittuari; poi individua come gruppo a sé gli obaerarii. In che cosa si distinguono, questi ultimi, dalle due categorie precedenti? Si può dire che ciò che caratterizza le due prime categorie individuate da Varrone è il fatto che esse riguardano coltivatori che hanno una gestione autonoma del fondo, volta a un'acquisizione diretta del reddito che ne deriva: se ne dovrà concludere che gli obaerarii si "Se non. anche, nel caso dell'lllirico: cfr. PEPPE 1981, 174. "Eviterei, per evitare un anacronismo, di attribuire a Varrone l'individuazione di un concetto come quello di "forza lavoro", come fa, ad esempio, implicitamente, PERL 1977,424, o del lavoro come uno dei "fattori" della produzione, come esplicitamente fa il KALTENSTADI.ER 1978, 13, con 63 n. 30.
IL OBAERARII
(OBAERATI):
LA NOZIONE
DELLA DIPENDENZA
IN VARRONE
87
distinguono da queste due prime categorie perché ciò che ad essi manca è l'autonomia di gestione, perché essi non lavorano per se stessi, ma a beneficio di altri? Concludo con due osservazioni. La prima è relativa alla presunta equivalenza semantica di obaerarius e di obaeratus. Che l'attenzione di Varrone sia volta alla condizione di dipendenza nella quale vengono conguagliati gli antichi obaerarii della realtà italica (dipendenti obbligati per debiti) con gli attuali lavoratori coatti dell' Asia, dell'Egitto, dell'111irico, potrebbe avere determinato la scelta di un termine come obaerarius, al posto di obaeratus, che, participio di significazione passiva, reca, esso sì, dunque, la nozione del gravame che ha determinato la condizione di dipendenza. In effetti, il suffisso -ario, che non ha, nella sua vasta presenza nella lingua latina, una valenza semantica definibile in modo specifico, e piuttosto indica, su un piano generale, una certa pertinenza", ha determinato, nella stessa area lessicale cui appartengono obaeratus e obaerarius (da aes), il termine aerarius, che, fra l'altro, indica, secondo l'interpretazione del Fraccaro, oggi generalmente accolta 54, quel civis, notato dal censore, per esempio, come dice Gellio, per non avere adeguatamente coltivato il suo campo55, che viene a essere punito col fargli appunto, pagare un più elevato tributo: aerariumfacere significa appunto trasferire un cittadino contribuente in una categoria particolare, quella di coloro che devono pagare di più. Non sembra perciò senza significato che, nel nostro caso, alla parola che evoca la passività dell'indebitato, Varrone abbia preferito la parola che probabilmente si riferisce a una sia pur obbligata attività: all' attività, appunto, di un lavoratore che è, comunque, in condizione di dipendenza 56. La seconda osservazione riguarda, più in generale, il senso dell'intera rassegna varroniana. Si è detto come il significato generale della classificazione dei lavoratori agricoli, proposta da Varrone, sia stato oggetto di discussione soprattutto in rapporto al problema se tale classificazione debba intendersi motivata da un generico e astratto interesse definitorio nei confronti della totalità delle forme del lavoro agricolo o non piuttosto dallo specifico interesse rivolto a quella forza lavoro che in concreto può Cfr. in particolare NICHOLS 1929. 1933 = FRACCARO 1957, 143-70; cfr. NICOLET 19l10, 10ll sg. 55 GelI. 4. 12. 1. 56 Non occorre ribadire come, nel cercar di intendere la differente sfumatura di significato di obaerarius, rispetto al più comune obaeratus, ci muoviamo nel campo delle mere ipotesi. Anche nel campo delle mere ipotesi si muovono i tentativi di intendere la differente sfumatura di significato di obaerarius rispetto a nexus: così GONTHER 1959, 241, ha sostenuto che «Obaerarius bezeichnet die finanzi elle, nexus die rechtliche Seite der gleichen Erscheinung». 5.1
54 FRACCARO
88
CRESCITA E DECLINO
essere adoperata dal proprietario destinatario del trattato. Si è concluso che l'analisi interna del luogo varroniano non pare consentire se non la prima delle due interpretazioni. E tuttavia alcuni elementi del quadro offerto da Varrone sembrano prospettare una difficoltà, che non può risolversi se non prestando attenzione ai fondamenti ideologici da cui muove la classificazione varroniana. Notava il Brugnoli come nella nozione di instrumentum vocale non c'è, non ci può essere, l'idea dello sfruttamento: egli riferiva, come comunemente si fa, la definizione al solo servus", Notava ancora il Brugnoli come lo statuto del libero lavoro salariato sia in qualche misura determinato dallo statuto del lavoro servi le e come da ciò derivi l'ideologia del disprezzo del lavoro manuale.", Ora non è casuale, io credo, che in realtà la definizione varroniana di instrumentum vocale si applichi a tutti i lavoratori agricoli 59, mentre i servi sono citati solo come esempio, come lo sono i plaustra, per il genus mutum, o i boves per il semi vocale. Ora, il fatto significativo è che, volendo essere la classificazione varroniana una classificazione esaustiva dei lavoratori agricoli e volendo dunque ricomprendere anche i piccoli proprietari coltivatori, essa riconduca, in fondo, alla nozione di instrumentum anche chi, logicamente, non vi dovrebbe essere ricompreso: chi lavora per proprio conto, chi non può che essere instrumentum a se stesso. Siamo assai lontani dall'ideologia del «bonus agricola bonusque colonus» catoniano. La contraddizione spesse volte rilevata nel trattato catoniano tra l'atteggiamento di imprenditore agrario, produttore per il mercato, che Catone mantiene nel corso di tutta l'opera, e l'atteggiamento in qualche misura tradizionali sta della praefatio'", è, in certo senso, risolta da Varrone nel momento in cui viene a estenuarsi la positività della figura del libero proprietario coltivatore, tradizionale nerbo dello stato romano, con l'essere anch'egli ricondotto alla nozione di instrumentum. C'è, in mezzo, ovviamente, la conclusione del processo di trasformazione della società
"BRUGNOLI 1982.4. "Talehé Cicerone può definire la merces, la retribuzione del lavoro salariato, come auctoramentum servitutis: de IdI l. 150; cfr. Lo CASCIO 1975-76 e la lett. ivi cit. 59 Come hanno messo in rilievo SKYDSGAARD1968, 16,33 sg.: SKYDSGAARD1980, 68; KALTENSTADLER 1978, 13, 63 n. 30; e soprattutto PERL 1977,423-29, il quale osserva, sulla scia di STEINWENTER 1942,26 sgg., come la tripartizione dei genera instrumentorum è modellata a partire dall'ambito grammaticale e in particolare sulla tripartizione delle litterae, mentre meno risulta connessa conia celebre bipartizione aristotelica di opyava: EJ.1.'I'UXa: e a'l'uxa:; va peraltro messo in rilievo, come non manca di fare lo stesso Peri, che anche la definizione aristotelica di opyavov EJ.L'I'UXOV comprende «jeden Menschen in untergeordneter, ausftìhrender Funktion (1tàç U1tllPE'tl)ç), den korpcrlich Arbcitcndcn, unabhangig davon, ob er Freie oder Sklave ist; er schliesst also auch die freien niedrigen Handwerker und Lohnarbeitcr in die Gattung der opya:va: ein und ordnet sie antropologisch den Sklaven gleich». '" Ma si veda come Gabba in GABBA-PASQUINUCCI 1979,32 sgg., propone di risolvere tale contraddizione.
II. OBAERARII
(OBAERATI):
LA NOZIONE
DELLA DIPENDENZA
IN VARRONE
89
romana: la trasformazione, voglio dire, del ruolo e del peso di questo nerbo tradizionale dello stato romano che è stato costituito dai piccoli proprietari contadini; c'è, la decadenza, nei modi in cui l'ha lucidamente e finemente analizzata il Gabba, della piccola proprietà contadina". II libero coltivatore che lavora il suo campo «cum sua progenie», il pauperculus, può interessare il proprietario, imprenditore o rentier, in due modi: o perché gli può offrire, come hanno messo in rilievo analisi recenti del Garnsey e dello Skydsgaard'", la possibilità d'una razionale conduzione dell'unità produttiva basata sul lavoro servile, che necessita, come osserva lo stesso Varrone, anche di una supplementare forza lavoro saltuaria e stagionale, col fornirgli una riserva, appunto, di questa forza lavoro, o perché gli può dare, con l'affitto agrario e la colonia parziaria, una possibilità di esimersi dall'impegno personale nella gestione del proprio patrimonio fondiario. E in quest' ottica soltanto che Varrone può, certo con dubbia coerenza, ricondurre anche il piccolo proprietario contadino alla nozione di instrumentum.
6] Gabba in GAIlIlA-PASQUINUCCI 1979 [Ma si veda ora, per una diversa valutazione delle modalità e delle ragioni di tale decadenza Lo CASCIO 1l)l)Yb, c supra, 36 sgg., con la letteratura ivi cit.]. 62 GARNSEY 1980, 34 sgg.; SKYDSGAARD 1980,65 sgg.; cfr. pure FINLFY 1981, 9Y; CAPOGROSSI CoLOGNESI 1981, 1448 SS.; 533 sgg.; CAPOGROSSI COLOGNESI 1Y82, 90 [Lo CASCIO 1991, part. 332 sgg.l.
III. CONSIDERAZIONI SULLA STRUTTURA E SULLA DINAMICA DELL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
PREMESSA
Importanti contributi recenti sull' affitto agrario nell' età del Principato, e in primo luogo quelli di P.W. de Neeve, hanno posto su nuove basi l'indagine su alcuni temi fondamentali della storia agraria imperiale. Il riesame delle lettere di Plinio il Giovane, nonché degli accenni degli scriptores de re rustica e dei frammenti del Digesto, da un lato, e la rinnovata analisi delle "grandes inscriptions" africane, dall' altro lato, paiono fornire, nonostante gli ovvi limiti delle fonti in questione, una serie di indicazioni utili a individuare le varie configurazioni, in termini economici, della locatio-conductio e della colonia parziaria, in base all' àmbito regionale interessato, alla natura del canone, all'estensione dei fundi, al sistema di sfruttamento adottato, all' obiettivo della produzione. Quel che questi studi recenti forniscono è una sorta di nuova tipologia dell' affitto agrario, che, nel mentre ne evidenzia la natura di fenomeno complesso, ne differenzia sul terreno dei rapporti economici e sociali i protagonisti, in modo più sofisticato e rigoroso che nei precedenti studi e anche attraverso un sistematico ricorso al materiale comparativo l. Due sembrano essere le più rilevanti conclusioni che paiono emergere, tra loro evidentemente collegate: la prima è che è illegittimo supporre che gli affittuari romani siano stati sempre o anche solo predominantemente poveri «peasant farmers»: in effetti è vero il contrario, per lo meno per alcune aree «centrali» dell'impero e in certi periodi; perciò - e questa è la seconda conclusione, argomentata in termini più o meno espliciti e, com' è ovvio, in modo vario dai vari autori citati - è illegittimo postulare un' «evoluzione necessaria», in Italia e nelle province occidentali, dalla locatio-conductio dei fondi rustici al «colonato vincolato al suolo» della tarda antichità: l' «inferiorità sociale» di alcuni coloni nell' età del Princi-
I
DE NEEVE
anche Lo
CASCIO
1984a; 1984b; 1990; 1992-93.
KEHOE
1988a; 1988b; 1989;
SCHEIDEL
1989; 1992; 1994; vd.
92
CRESCITA E DECLINO
pato non va vista come ciò che sta alla radice della posizione di inferiorità, sul piano dello statuto giuridico personale, del colonus tardoantico. Partendo da questi recenti lavori, il presente contributo si propone di individuare talune caratteristiche «strutturali», in termini propriamente economici, dell' affitto agrario nei primi due secoli dell' età imperiale, nonché di formulare alcune ipotesi generali sulle linee di sviluppo dell' affitto agrario e della colonia parziaria nei diversi àmbiti italici e provinciali. I ragionamenti che verranno condotti, a questo proposito, partono dal presupposto che a rappresentare le effettive determinanti dell' «agrarian change» siano variabili quali la domanda e l'offerta dei fattori produttivi, in primo luogo terra e lavoro. Detto altrimenti: scopo del contributo è di presentare un quadro di sintesi della struttura e dell' evoluzione dell' affitto agrario che ha alla sua base un fermo convincimento, quello espresso da Pieter Wim de Neeve nel suo ultimo contributo: «ancient agrarian history is first and foremost agrarian history, that is, economie history, and only secondly ancient»2. LA VARIETÀ DELLE AFFITTANZE
E DEGLI AFFITTUARI
Quel che soprattutto i più recenti contributi paiono mostrare è che la maggior parte delle testimonianze che possediamo sull' affitto agrario si riferisce in effetti a persone il cui rapporto con la terra e con lo sfruttamento agricolo non va necessariamente visto come quello caratteristico di una «subsistence farming». La locatio-conductio dei fondi rustici, in effetti, accomuna, sul piano dell'unitarietà del contratto, modelli di sfruttamento fondiario estremamente diversificati, che coinvolgono, in una sorta di continuum, persone che si collocano ai più diversificati livelli di ricchezza e di potere, in analogia, ovviamente, con quanto avviene nella locatio-conductio degl'immobili urbani 3. E dunque, come quest'ultima", anche l'affitto dei fondi rustici interessa soprattutto le nostre fonti (in particolare quelle giuridiche) nella misura in cui coinvolge persone con qualche risorsa e di un qualche peso sociale". La differenziazione non riguarda, peraltro, solo l'ovvio aspetto dell' estrema varietà nelle dimensioni delle singole unità fondiarie affittate: si può dire che al di là di questo fattore, anche se in ovvia connessione con esso, ce ne stia un altro più decisivo, e cioè il grado del rapporto che ogni unità affittata, da quella
2
DE NEEVE
1990, 364.
4
CAPOGROSSI COLOGNESI 1986, 334 sgg. Cfr. FRIER 1980, part. 39 sgg.
5
SCHEIDEL
3
1989, a proposito, in particolare,
della testimonianza
columelliana;
si vd. già
FRIER
1979.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO
AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
93
dell'urbanus colonus di Columclla" a quella del colono pliniano, intrattiene con il mercato, tanto al livello dell' acquisizione dei fattori, quanto allivello della commercializzazione dei prodotti. Il quadro può essere ulteriormente articolato attraverso l'utilizzazione della documentazione archeologica: soprattutto quella fornita dalle indagini di superficie, condotte in diverse zone del Mediterraneo, e in particolare in Italia e in Grecia. È stata fatta recentemente l'ipotesi che le piccole e medie «fattorie», che è possibile distinguere dai più grossi siti corrispondenti alle «ville», siano da considerare testimonianza non solo o non tanto della persistenza di una piccola proprietà contadina, ma anche della diffusione dell'affitto agrario". Naturalmente l'ipotesi pone una serie di problemi: in primo luogo, com' è stato osservato da chi ha avanzato l'ipotesi, i siti in questione non possono certamente considerarsi come quelli occupati dai coloni con minori risorse e meno legati al mercato: quelli, per intenderei, che possiamo considerare a un' estremità del continuum. Per questi coloni si pone un problema di loro «visibilità»: giacché è probabile che la loro esistenza, la loro presenza in un sito non abbia di fatto lasciato pressoché nessuna traccia archeologica. Sicché anche la testimonianza dei surveys, come peraltro mostrano alcuni casi di fattorie per le quali una documentazione è stata fornita anche dallo scavo, è comunque testimonianza di affittuari con qualche risorsa 8• In secondo luogo, e più in generale, la testimonianza archeologica come non può dire nulla di sicuro circa la condizione giuridica del suolo o del personale che lavora il fondo, se libero o schiavo", così nulla di sicuro può dire in merito a quale sia il titolo - se proprietà o locazione - in base al quale chi gestisce l'unità fondiaria la gestisce. La testimonianza archeologica, tuttavia, nella misura in cui sembra essere in grado di fornire qualche indicazione circa le dimensioni delle unità fondiarie, in quanto unità di gestione, può suggerire qualche ragionevole ipotesi sul carattere prevalente dello sfruttamento: se legato, cioè, all'esistenza di sbocchi esterni all'unità stessa, per le sue produzioni, oppure no. Va ribadito che è nella qualità e nella misura del rapporto con l'esterno che va visto il discrimine più rilevante all'interno del continuum dell' affitto agrario. Secondo un' opinione oggi largamente condivisa, il modello più efficace, euristicamente più utile, per intendere il funzionamento dell' economia romana, in quanto economia fondata sostanzialmente sulla produzione di beni primari, è, per l'appunto, quello dell' economia «duale» 6
1. 7. 3.
7
FOXHALL
8 9
1990. Ma si vd. le difficoltà che pone un tentativo di tipologia in questo senso: FINLEY 1975, 87 sgg.; GABBA 1982a, 378.
FOXHALL
1990.
r I
94
CRESCITA E DECLINO
o «bisettoriale»: un' economia che prevede, cioè, a fianco di un settore commercializzato e monetarizzato, che è ovviamente il più dinamico, la persistenza di un settore, difficilmente valutabile nella sua consistenza ma certamente assai ampio, di autoconsumo, caratterizzabile nei termini della chayanoviana «peasant economy» o della braudeliana «vita materiale», dei valori d'uso, in quanto distinta dalla «vita economica» IO. Come ogni «modello», anche questo della bisettorialità dell'economia imperiale romana appare inevitabilmente per un verso troppo rigido e per un altro verso troppo generico per «catturare» la realtà nella sua varietà e complessità, proprio in quanto si basa su una semplificazione necessariamente schematizzante: sarebbe errato, in ogni caso, supporre che il discrimine tra autoconsumo e mercato vada visto come quello che obbligatoriamente passa tra un'unità fondiaria e un'altra, mentre si tratta di un discrimine che può ovviamente passare all'interno di una medesima unità fondiaria 11. È parimenti condivisa l'opinione secondo la quale, sia pure con una serie di décalages temporali a seconda delle varie aree, gli ultimi due secoli dell' età repubblicana e i primi due dell' età imperiale assistano, in Italia e poi nelle province occidentali, a una crescita economica che è caratterizzabile anche come crescita del settore mercantile-monetario a spese di quello dell'autoconsumo. Effetto e causa, a un tempo, di questo crescere del settore del mercato e della moneta è, sostanzialmente, la spinta urbanizzazione dapprima dell' Italia e poi delle province occidentali 12. Anche il diffondersi dell' affitto agrario si inquadra in questo sviluppo: ne rappresenta, anzi, uno dei prodotti più cospicui. Diversamente da quanto ha ritenuto una lunga tradizione di studi, accomunante gli studiosi di estrazione marxista ai seguaci delle impostazioni weberiane, le indagini più recenti non vedono più, e talvolta programmaticamente, la diffusione dell' affitto come l'esito del «declino» dell' economia schiavistica. Naturalmente il passaggio dall'utilizzazione del lavoro servile a quello libero dei coloni era presentato, nelle varie ricostruzioni, in forme varie e come determinato da cause varie: l'inaridirsi delle fonti di approvvigionamento degli schiavi, l'abbandono di una mentalità «capitalistica» da parte dei ceti proprietari, coerente con un restringersi dei mercati di sbocco delle produzioni specializzate delle unità schiavistiche, e
IO Lo CASCIO 1982a, 389 sgg.; Lo CASCIO 1991a, 327 sgg., in particolare a proposito di CORBIER 1981 e di CARANDINI 1983; non comprendo il motivo per cui questo sarebbe «an inadequate model for interpreting the intricate, vertically integrated economies of the Roman Mediterranean region»: FoXHALL 1990, 113. Il Lo CASCIO 1982 a; cfr. DE NEEVE 1990, 364 sg. 12 PLEKET 1990,79 sgg.; Lo CASCIO 1991a, 327 sgg.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
95
in primo luogo del vino; l' «anelasticità» delle unità fondiarie basate sul lavoro servile; nella ricostruzione per qualche verso più sofisticata, che distingue l'unità proprietaria dall'unità di gestione, la concentrazione delle proprietà che, assieme all'impossibilità, per le aziende schiavistiche, di allargarsi oltre un certo limite, sarebbe stata il fattore potente che avrebbe concorso alla frammentazione delle unità produttive in àmbito agrario. Va ascritto a merito di taluni fra i contributi più recenti 13 l'avere, intanto, distinto con maggiore chiarezza e rigore i vari profili in base ai quali va costruita una tipologia delle unità fondiarie nel mondo romano - il profilo della proprietà, quello della gestione manageriale, quello dell' organizzazione della produzione, quello della condizione giuridica personale della forza lavoro impiegata -; e di avere perciò consentito di cogliere l'indebita confusione di piani diversi che veniva compiuta dalla tradizione di studi alla quale si faceva riferimento, allorché si legava in un rapporto causale il declino della schiavitù e l'emergere dell'affitto agrario. Ma soprattutto è merito delle indagini più recenti, e particolarmente della ricostruzione complessiva della «private farm tenancy» compiuta da de Neeve '", l'avere sempre più chiaramente messo in rilievo il sostanziale parallelismo che vi è tra la diffusione della villa schiavistica, del «modo di produzione schiavistico» nell'Italia dell' espansione imperiale, e l'estendersi dell'affitto agrario (anche se con un presumibile décalage temporale di un fenomeno rispetto all'altro) 15: sviluppi, entrambi, di un unico processo, quello, per l'appunto, di una sempre più spinta «rnercantilizzazione» della produzione dei beni primari in Italia, legata per un verso a un accentuato processo di urbanizzazione e per un altro verso all' essor delle esportazioni soprattutto dirette verso le regioni del Mediterraneo occidentale. Le trasformazioni dell' economia agraria della penisola vanno nel senso di una sempre maggiore specializzazione produttiva, connessa con l'ampliamento delle dimensioni sia dell'unità produttiva sia dell'unità di gestione: ed è naturale che tale specializzazione soprattutto si manifesti nell' azienda che appare essere, da questo specifico punto di vista, più progressiva, la villa perfecta degli scriptores de re rustica 16. Ma si avrebbe torto a ritenere assente da questi sviluppi l'affitto agrario, e per una serie di ragioni. In primo luogo, e ovviamente, perché a essere affittate possono essere le stesse unità produttive delle dimensioni e delle caratteristiche delle «ville», e a soggetti economici che non si presentano soltanto come una sorta di 1984c; AUBERT 1991, part. 139 sgg. 1984 a. 15 Ma vedi ora De LIGT 2007a. 16 Vd. in particolare CARANDINI 1989. 13
14
DE NEEVE DE NEEVE
96
CRESCITA
E DECLINO
«doppione», economicamente e socialmente, dei proprietari assenteisti 17 qual è appunto l'urbanus colonus di Columella, ma che sembrano assolvere alla funzione di veri e propri «imprenditori» agricoli 18. In secondo luogo, perché la garanzia più che della sopravvivenza, della stessa efficienza della villa schiavistica è data dalla disponibilità di un lavoro libero stagionale, che è assai spesso fornito dai liberi affittuari, che coltivano le più piccole unità contigue alla villa stessa 19. In terzo luogo, e soprattutto, perché ciò che determina l'espansione dell'economia della villa è anche ciò che, potenzialmente, è in grado di determinare la trasformazione radicale dell' economia contadina: la spinta, vale a dire, verso la mercantilizzazione delle produzioni che l'espansione imperiale è stata in grado di determinare. Da un certo punto di vista, e nella misura in cui la diffusione della locatio-conductio dei fondi rustici, in Italia, è l'esito di una concentrazione fondiaria (e comunque di mutamenti anche drammatici della struttura della proprietà, nel corso del I sec. a. C.), si può dire che proprio l'affermarsi dell'affitto agrario determini una più accentuata mercantilizzazione della produzione di beni primari, in quanto l'unità affittata viene a sostituirsi, in parte almeno, alla piccola proprietà contadina tendenzialmente autosufficiente. In altri termini, si potrebbe sostenere che l'affitto agrario, se è davvero esso il fattore che più d'ogni altro intacca la piccola proprietà contadina, sia quello che vale ad allargare la quota di surplus commercializzato: se il piccolo proprietario contadino può non avere rapporti col mercato, un sia pur limitato rapporto col mercato e la moneta deve avere il colonus obbligato al pagamento di un canone monetario. La varietà delle affittanze e degli affittuari sembra essere, dunque, anch' essa un prodotto di una modificazione radicale dello «scenario» produttivo. Così come a determinare il carattere dello specifico «modo di produzione schiavistico» non è ovviamente la mera utilizzazione di un lavoro servile, ma l'organizzazione di questo lavoro all'interno di una specifica unità produttiva, sicché minore rilievo ha in effetti la condizione giuridica personale del lavoratore rispetto ai compiti che è chiamato in concreto ad assolvere e ai modi in cui li assolve, parimenti ciò che ha davvero rilievo, a diversificare i caratteri che assume la locazione dei fondi rustici, non è in sé il tipo del contratto, ma il fatto che alla sua base vi sia comunque una relazione dell'unità affittata con il mercato che può essere più o meno stretta.
17
CAPOGROSSI
COLOGNESI
1989. 19 Vd. in particolare IX
1986, 331 sgg.
SCHEIDEL
RATHBONE
1981; e supra, 38 sg.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO
AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
97
Anche per l'affitto e per gli affittuari (come per gli schiavi e la schiavitù)20 si può perciò parlare di uno «spettro» di differenti condizioni, accomunate solamente dall'identità del tipo di contratto. A un'estremità è, lo si è detto, l'affittuario di una villa: che può certo essere l'urbanus colonus di Columella, ma può essere anche, come si è osservato, un effettivo «imprenditore»; a un altro estremo è certo il varroniano pauperculus che coltiva «cum sua progenie»21, e la cui relazione con il mercato è limitata, anche quantitativamente, dalla mera necessità di acquisire la moneta con cui pagare il canone d'affitto, ma che per il resto si configura davvero come un «subsistence farmer». Dunque, non solo non si può dire che vi sia sviluppo necessario dalla villa schiavistica, come unità fondiaria di «medie» dimensioni, al latifondo parcellizzato fra piccoli coloni come «peasant farmers» tendenzialmente dipendenti, ma nemmeno la tipologia dello sfruttamento agrario può ridursi alla contrapposizione dei due modelli, per l'appunto, della villa schiavistica, caratterizzata da una spinta specializzazione produttiva, che fa assumere ad essa il carattere di «piantagione», e della grande proprietà parcellizzata, che possono avere presumibilmente rappresentato, nell'Italia centro dell'impero, le due configurazioni quantitativamente maggioritarie: essa certo comprende tutta una serie di forme intermedie, a distinguere le quali vale, come criterio maggiormente significativo, quello della maggiore o minore relazione con il mercato, tanto sul piano dell' acquisizione dei fattori produttivi, quanto su quello della commercializzazione delle produzioni. MODELLO
AFRICANO E MODELLO PLINIANO
E veniamo, con questo, all'ultima e forse più rilevante ragione per la quale sarebbe illegittimo studiare l'essordell'affitto agrario al di fuori di una considerazione complessiva delle trasformazioni che subisce l' economia dell'Italia e poi quella delle province nel senso di una sempre maggiore espansione dei rapporti mercantili-monetari. La ragione è che proprio attraverso l'espandersi dei rapporti mercantili e monetari e l'instaurarsi di quello che con piena legittimità può definirsi un mercato dei fattori produttivi, in primo luogo della terra e del lavoro, vengono meno, perché si trasformano, quei rapporti di dipendenza «altri» rispetto alla chattel-slavery che hanno caratterizzato, presentandosi, com' è ovvio, in
1974, cap. 3. R.R. l. 17; il pauperculus non è solamente il piccolo proprietario, ma nemmeno è soltanto il piccolo affittuario, come vorrebbe sostenere CORBIER 1981,428 sg.: cfr. supra, 85 sgg. 20 21
FINLEY
98
CRESCITA E DECLINO
varie forme nelle diverse realtà territoriali dell' impero mediterraneo, il mondo rurale22• Vale a dire che l'inserimento in uno «scenario» economico caratterizzato dal mercato e dalla moneta, come vale a precisare nella direzione di una giuridicamente garantita «proprietà privata» l'individuale detenzione della terra, così non può che portare alla sostituzione degli strumenti di costrizione extraeconomica, che erano alla base delle possibili forme di dipendenza in àmbito agrario, in strumenti di costrizione economica: d'ora in avanti, a fissare i termini del rapporto proprietari-coloni (o comunque proprietari-lavoratori rurali), sarà in una misura sempre più accentuata il gioco della domanda e dell' offerta, e dunque il prezzo, del fattore produttivo costituito dal lavoro agricolo, come che tale prezzo si esprima: come prezzo d'acquisto dello schiavo, come importo della merces del giornaliero, come ammontare del canone d'affitto per il colonus. L'impostazione rostovzeviana, tendente a ricostruire a partire dai rapporti agrari prevalenti nell' àmbito dei regni ellenistici la genesi del colonato tardoantico ", e in genere le tesi di coloro che tendono a far risalire ad epoca preromana la genesi dei «rapporti di dipendenza» in àmbito agrario, destinati a riemergere con più piena evidenza e unitariamente nella tarda antichità, vanno corrette in ciò: che qualunque sia la maniera nella quale si vogliano configurare, nella sostanziale esiguità della documentazione disponibile, le «forme di dipendenza» nei regni ellenistici o nell' Africa preromana, sembra certo che non si possa parlare di un' assoluta continuità col «colonato» tardoantico e ciò non tanto perché venga meno, nel corso del principato, l'inferiorità sociale dell' elemento contadino in queste realtà provinciali, rispetto ai ceti dei proprietari (o dei grandi affittuari, dei «Grofìpachter» o dei «tenants-inchief», per adoperare le denominazioni prevalenti nella storia degli studi per indicare i conductores, ad esempio, dei saltus imperiali in Africa), ma perché tale inferiorità sociale prende forme diverse dal passato, né si esprime (ovvero ancora non si esprime), in termini giuridici, come franca condizione di dipendenza di chi in qualche modo sia, al di là della summa divisio de iure personarum, a metà tra la condizione di libertà e quella di schiavitù: essa assume caratteristiche diverse rispetto al passato, nella misura in cui l'inserimento sia pure parziale di queste varie realtà rurali in uno scenario mercantile-monetario, nel quale si innescano meccanismi indubbi di integrazione economica allivello intermediterraneo, sostanzialmente posti in essere dal ruolo economico differenziato che 22 E per esempio, a Roma, i rapporti, lato sensu, di clientela: per il precarium come possibile antecedente dell'affitto agrario vd. ROSAFIO 1991, cap. 1; ROSAFIO 1993b; ROSAFIO 2002, 29-48; per le province africane in particolare WHITTAKER 1978 e 1980. 23 ROSTOVZEV1901; ROSTOVZEV 1910 a e b; cfr. MARCONE 1988,49 sgg.; MARCONE 1994.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
99
vanno assumendo l'Italia e le province 24, mette in mano a chi detiene, a vario titolo e in varia forma, il maggior potere contrattuale derivante dal possesso della ricchezza, le armi nuove del mercato e della competizione mercantile. Anche questi sviluppi naturalmente vanno visti come più o meno compiuti e conclusi nelle diverse realtà regionali: sicché, ancora per questo specifico aspetto, si osservano differenze nelle caratteristiche di fondo dei rapporti economici accomunati dall'identità, dal punto di vista giuridico, della locatio-conductio, E si può dare il caso di affitto agrario che non può configurarsi nemmeno come locatio-conductio, com' è certo la colonia parziaria, che lega il proprietario del fondo a chi lo lavora «quasi societatis iure» come dice Gaio nell'unico luogo del Digesto nel quale di colonia parziaria si tratta 25. A parte le sparse attestazioni della sua esistenza in Italia, che non permettono di farsi alcuna idea circa l' àmbito e i tempi della sua diffusione, che sembra essere stata in ogni caso più tarda rispetto alla diffusione della vera e propria locatio-conductio dei fondi rustici 26, il métayage (o il métayage dei coltivatori associato alfermage di «middle men» imprenditori) sembrerebbe essere la forma prevalente di affitto agrario o almeno è quella specificamente attestata, e pour cause, in quelle aree che vanno conoscendo in ritardo, come pare, così gli sviluppi dell'urbanizzazione, come quelli dei rapporti mercantili-monetari. Naturalmente, com'è stato ribadito da de Neeve ", la vera distinzione tra fermage e métayage non sta nel fatto che il canone viene pagato nei due sistemi in forma diversa, nell'un caso in denaro e nell'altro in natura: si può ben dare il caso, e anche nel mondo antico, di un canone fisso e non proporzionale al raccolto, ma che viene negoziato e pagato in natura (come si può dare astrattamente il caso di métayage che preveda il pagamento di una quota del reddito monetario, di una partecipazione agli utili). Ma, di fatto, fermage e métayage (ovvero tenancy e sharecroppingv", se si esclude l'area egiziana, nella più gran parte dei casi si contrappongono anche su questo piano, come mostra la maniera stessa nella quale Plinio riferisce del suo intendimento di passare da un V. FREYBERG 1988; Lo CASCIO 1991 a; Lo CASCIO 1994 a; e si vd. infra, 195 sgg .. D. 19.2.25.6. 26 DE NEEVE 1984; anche se una tale diffusione in Italia della colonia parziaria o della mezzadria non è detto affatto che debba collocarsi, come pure si è voluto sostenere in passato, giusto in età traianea e sulla scia della normativa africana (DE NEEVE 1990, 367, contro SIRAGO 1958, 174-80 e ancora Johne in JOHNE, KOHN, WEBER 1983,144); e si vd. infra, 128 sgg .. 27 DE N EEVE 1984b; DE N EEVE 1990. 28 O affitto e mezzadria o colonia parziaria; DE NEEVE 1990,391, ha ragione a mettere in rilievo la distinzione, nel nostro ordinamento, tra «mezzadria» e «colonia parziaria»; la precisazione è utile, anche se mi sembra inevitabile una qualche ambiguità nell'uso di queste espressioni con riferimento alla realtà imperiale romana. 24
25
100
CRESCITA
E DECLINO
sistema all'altro: un passaggio da una locazione «nummo» a una locazione «partibus»?". Sembra dunque legittimo sostenere che, ad avere pari rilievo, nel caso del métayage, rispetto alla variabilità del canone in rapporto al raccolto, è il fatto che il canone sia pagato in natura: eliminando, dunque, per l'affittuario, la necessità del ricorso al mercato per acquisirvi la moneta con cui pagare il canone stesso. Il caso che conosciamo meglio, anche se non tanto da potere risolvere alcune delle questioni più spinose, è quello dei latifondi imperiali in Africa, per via della singolarissima testimonianza delle «grandes inscriptions». Naturalmente sorge il problema della misura in cui è legittimo generalizzare all'Africa nel suo complesso o addirittura ad altre province gli elementi «strutturali» dei rapporti tra amministrazione imperiale, conductores e coloni deducibili da questa documentazione africana che si riferisce a una specifica area della Proconsolare, di precoce occupazione romana, o anche solo se sia legittimo estendere ai latifondi privati la portata della normativa prevista per i latifondi imperiali (la cui specifica valenza in termini giuridici è peraltro anch' essa discussa). Al di là di controversie che durano sin dal momento della scoperta e della prima pubblicazione di questi testi, e che riguardano la natura e lo specifico àmbito di validità della lex o consuetudo Manciana (mentre forse minori problemi sembrerebbe porre la successiva lex Hadriana de rudibus agris et iis qui per decem annos continuos inculti sunt), si può dire che è possibile impostare una rigorosa analisi economica delle modalità di sfruttamento dei latifondi africani, che parta, com' è stato lucidamente e convincentemente messo in rilievo nella ricostruzione più recente 30, dalla considerazione degl' interessi differenziati che hanno i tre attori che entrano nella gestione: i coloni, che godono di un diritto perpetuo di occupazione sulla terra fin tanto che la coltivano, a fronte del quale devono partes, quote di prodotto fisico differenziate a seconda delle varie colture (normalmente terze, ma anche quarte o quinte) e alcune, poche, operae, giornate di lavoro nei momenti di picco dell'attività agricola; i conductores, ai quali viene appaltata, attraverso contratti presumibilmente individuali di durata quinquennale, la riscossione delle partes per conto dell' amministrazione imperiale e ai quali è anche verosimilmente affidata la gestione complessiva delle singole unità fondiarie,fundi o saltus; il fiscus imperiale, interessato a garantire l'estrazione del massimo di surplus possibile dai latifondi imperiali, e verosimilmente in forma di
Plin. Ep, 9. 37. 3; cfr. infra, 128 sgg .. KEHOE 1988a; vedi pure KEHOE 2007, eh. 2. Una nuova copia della [ex Hadriana è stata rinvenuta nel J999 a 5 km. da Am WasseJ: DE Vos 2004, 42-45. 29
30
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO
AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
101
prodotti fisici, soprattutto grano ed olio, da destinare all' approvvigionamento della popolazione urbana di Roma e alle distribuzioni. L'elemento di maggior rilievo, dal punto di vista dell'analisi economica del fenomeno, è precisamente la duplicità dei soggetti che entrano in rapporto, contestualmente, ma ciascuno con propri differenziati interessi, con l'amministrazione imperiale. Il colono è un affittuario, ma una serie di elementi ne rende, per un verso, più sicura e salda la posizione contrattuale, rispetto a quella dei normali affittuari, e, per un altro verso, influenza in misura decisiva le sue scelte di gestione economica e di investimento: in primo luogo, il fatto stesso che l'occupazione e la detenzione della singola particella sia condizionata alla sua coltivazione e dunque determinata da una precisa opzione del colono stesso; in secondo luogo, il fatto che sia parimenti il colono a decidere quale debba essere il tipo di utilizzazione agraria; in terzo luogo, il fatto che il colono paghi non già un canone fisso, in denaro o in natura, ma una quota parte del prodotto. Più disposto a impiantare talune colture specializzate, ma che comportano un maggiore impegno finanziario, e che non sono immediatamente produttive (e anzi incentivato a farlo da una politica di iniziale esonero dal pagamento delle quote), di quanto non sarebbe un affittuario a tempo, ma meno disposto di quanto non lo sarebbe un affittuario che pagasse un canone fisso in denaro o una quantità fissa di prodotto, il cultor Maneianus è tuttavia evidentemente pronto ad abbandonare la coltivazione della sua specifica particella, qualora questa tenda a vedere decrescere, per lo stesso esaurimento di un suolo scarsamente concimato, la propria produttività e nel contempo sia disponibile del terreno vergine da occupare e coltivare alle medesime condizioni. Né può considerarsi prova di una condizione di «dipendenza» del colono l'obbligo impostogli di prestare alcune giornate di lavoro, operae, nella parte che il eonduetor riserva alla sua gestione diretta e che sembra essere la fattoria centrale 31: la stessa loro esiguità - 6 o 12 l'anno, nei fondi imperiali per i quali possediamo una specifica documentazione - nonché il fatto che debbano essere prestate esclusivamente nei periodi di picco dell' attività agricola dimostrano che la loro funzione non è in alcun modo assimilabile a quella svolta dalle eorvées nel sistema del maniero o della riserva signorile medievale. Esse rispondono a un' altra esigenza, perfettamente comprensibile alla luce di quella che è una caratteristica di fondo dell' agricoltura mediterranea (e quindi anche di quella del Tell), la variabilità estrema dell' input di lavoro richiesto nel corso dell' anno agricolo: rispondono, vale a dire, all'esigenza di fornire quella integrazione di lavoro stagionale che è ne31
Ciò che mi sembra sicuro, nonostante
quanto argomenta
KEHOE
1988a, 140 sgg.
102
CRESCITA E DECLINO
cessaria per garantire l'efficienza della gestione. Una delle condizioni per la sopravvivenza dell'unità produttiva italica basata sul lavoro degli schiavi, com' è stato riconosciuto da una lunga tradizione di studi a partire da Max Weber, è per l'appunto che la «squadra» di schiavi che lavora tutto l'anno sul fondo venga integrata, nei momenti particolari nei quali è necessaria l'utilizzazione di un numero maggiore di braccia, da un lavoro stagionale aggiuntivo di giornalieri, di norma fornito dai liberi: mercennarii che possono essere lavoratori «pendolari» o itineranti 32, ma verosimilmente più spesso sono gli stessi piccoli proprietari o anche affittuari dei dintorni, alla ricerca di un' occupazione aggiuntiva. Ciò che è caratteristico della normativa che regola i rapporti tra coloni e conductores in Africa è che a questi ultimi viene fornito contrattualmente e gratuitamente l'uso di questo lavoro aggiuntivo e che i primi sono obbligati a prestarlo non già contro il pagamento di una merces, ma in base ai termini stessi dell' accordo che regola la possibilità, per essi, di coltivare terreni non coltivati e di averne un usus proprius (o un ius possidendi ac fruendi heredique suo relinquendi). In qualche modo si potrebbe dire che il fatto che la prestazione di lavoro aggiuntivo sia per i coloni obbligata, rappresenti, paradossalmente, un' ulteriore prova del fatto che la loro posizione è contrattualmente forte: quasi che ciò mostri che, se non vi fosse un obbligo del genere, sarebbe estremamente difficile, per i conductores, procurarsi il lavoro stagionale aggiuntivo di cui hanno bisogno. Più difficile rimane, non potendo si fornire una risposta sicura a una serie di interrogativi di cruciale riliev033, il chiarire le determinanti delle opzioni economiche dei conductores. È certo che la loro posizione è pesantemente condizionata dal fatto che devono rinegoziare, ogni cinque anni, il proprio contratto colfiscus imperiale: ciò rende parzialmente difformi da quelli dei coloni gl'interessi dei conductores, nella misura in cui questi ultimi sono ovviamente disposti a sacrificare a una maggiore produzione nell' immediato quell' eventuale suo incremento futuro che sarebbe provocato ad esempio dall'impianto di nuove colture necessitanti di qualche anno per essere redditizie. E tuttavia non è detto che i conductores non possano vedere con favore, essi stessi - per esempio nel caso della cerealicoltura -, l'allargamento dell' area coltivata, visto che un tale allargamento si riflette ovviamente in un incremento stesso della produzione fisica dell'intera unità appaltata; e questo perché è probabile che, se il colonus deve dare al conductor una quota del raccolto, il con32 Si vd. il caso ben noto di quelli ingaggiati dal bisnonno di Vespasiano, che «ex Umbria in Sabinos ad culturam agrorum quotannis commeare soleant», Suet. Vesp. 1.4, o, per l'Africa, le turmae messo rum guidate dal mietitore di Maktar: e/L VIII, 11824 = /LS 7457, su cui DESIDERI 1987. 33 Nonostante le considerazioni di KEHOE, 1988a, cap. IV.
III. CONSIDERAZIONI
SULL'
AFFITTO
AGRARIO
IN ETÀ IMPERIALE
103
ductor debba dare all'amministrazione imperiale una somma di denaro prefissata o, come accadeva coi decumani in Sicilia in età repubblicana, una quantità prefissata di prodotto, quella stabilita dal contratto", e qualunque incremento nell' ammontare del raccolto significa dunque l' incremento della quota dal conductor stesso riscossa. È altamente probabile che effetto finale dell'introduzione, o della conferma, di una normativa quale quella prevista dalla lex Manciana e poi dalla lex Hadriana sia stato quello di una continua espansione dell' area coltivata, di un avanzamento della frontiera delle colture, espansione e avanzamento legati, per un verso, a un indubbio processo di sedentarizzazione di popolazioni nomadiche, per un altro verso a un incremento sostenuto della popolazione (che sembra certo, pur in assenza di dati quantitativi assolutamente incontrovertibili) 35. Il quadro vulgato, «ottimistico», degli effetti della presenza romana in Africa." non sembra per questo specifico aspetto potersi seriamente mettere in discussione e la documentazione archeologica non fa che dare conferme spettacolose di una prosperità che dura in Africa anche quando sembrano visibili altrove i segni di un più o meno definitivo declin037• Si è sostenuto che, a obbligare il fisco imperiale a scegliere una soluzione che appare essere, rispetto a quella del contratto temporaneo e non basato sulla corresponsione di quote, al meglio una soluzione «second best» sia stato il «chronic shortage of suitable coloni», rapportato a una «chronic abundance» di terreni non coltivati 38. Discende di qui che i coloni non devono e non possono essere considerati, com' è stato sostenuto da una lunga tradizione di studi, come poveri contadini «dipendenti»: oltre ad avere risorse e capitali in quantità sufficiente a consentire loro di intraprendere la coltura degli agri rudes nonché di quelli lasciati incolti, e di impiantarvi colture specializzate che abbisognano di cospicui investimenti, questi coloni appaiono essere in una posizione contrattuale assai forte, tanto nei confronti dei conductores, quanto nei confronti del fisco imperiale: posizione contrattuale che dipende dal fatto di essere pochi, comparativamente alla terra disponibile. In altri termini, la condizione di questi coltivatori, la natura e la durata della loro detenzione della terra, la natura e l'elevatezza del canone da essi pagato si fanno dipendere da una peculiare, «strutturale», relazione che si instaura in Africa tra disponibilità di terra e disponibilità di lavoro agricolo. 34 35 36 37 38
KEHOE 1988a, 127 e passim. Cfr. LASSÈRE 1977. CHARLES-PICARD 1959. Cfr. p. es. CARANDINI 1986. KEHOE 1988a: IX, 72, 226 e passim.
104
CRESCITA E DECLINO
Anche in Italia, e verosimilmente nella valle Tiberina, negli stessi anni nei quali si collocano le disposizioni dei procuratores imperiali per il fundus Villae Magnae Varianae, Plinio registra una «penuria colonorum» 39. Ma siamo autorizzati a considerare la notazione pliniana come indicativa dell'esistenza, nell'Italia traianea, di un fenomeno analogo a quello africano e parimenti diffuso? È opinione generalizzata che con «penuria» Plinio intenda riferirsi effettivamente a uno «shortage» 40; e tuttavia si è osservato come la notazione pliniana debba alludere non già a una generalizzata «mancanza» di coloni e meno che mai a una generalizzata crisi dernografìca ", ma piuttosto alla difficoltà di reperire idonei conductores"; e cioè affittuari finanziariamente solidi 43: affittuari, vale a dire, che riescano a garantire una sana gestione, che non rimangano in continuazione in arretrato col pagamento del canone, che non chiedano remissiones, che, una volta che abbiano perso la speranza di potere continuare a rimanere sul fondo, non consumino tutto quello che vi è, talché al proprietario, per rivalersi, non rimane che confiscare quanto i coloni hanno di proprio sul fondo, gl' invecta et illata. Se i coloni africani appaiono essere agricoltori piuttosto facoltosi e in ogni caso garantiti nel possesso perpetuo delle proprie particelle, qualora vogliano continuare a coltivarle, ma liberi anche di abbandonarne la coltivazione, per volgersi verso terreni più produttivi, qualora ciò risulti di loro vantaggio, se, in qualche caso, i coloni pliniani sembrano anch' essi «substantial farmers», piuttosto che «typical peasants» 44, non si può dire che il complesso delle sparse allusioni dell' epistolario pliniano debba o possa leggersi tutto in questa chiave; i coloni di Plinio e dei suoi vicini e amici sono sicuramente assai spesso non solo coltivatori dalle modeste risorse, ma anche ridotti in una posizione contrattuale di grande debolezza: sono costretti a frequenti rinegoziazioni del contratto, sono sempre in pericolo di dovere abbandonare il fondo e anche nel caso (o soprattutto nel caso) in cui rimangano debitori 45. Se, per i coloni dei saltus africani si può dire che lo «sharecropping» sia, in presenza di una detenzione della terra perpetua e trasmissibile ereditariamente, una indicazione in più della loro posizione di forza -lo «sharecropping» quale condivisione del rischio -, il passag3. 19. 7; DE NEEVE 1990: 399 sg., per la localizzazione delle terre di cui si parla nella lettera. Ma cfr. il parere assai diverso espresso infra, 120 sg. 41 DE NEEVE 1990,393; e cfr. infra, 120. 42 Plin. Ep. 7. 30. 3. 43 CORBIER 1981,432; DE NEEVE 1990,387, n. 126. 44 DE NEEVE 1990; e vd. KEHOE 1988b. 45 Come sembra incontrovertibi1mente che si debba dedurre da 9. 37. 2: «inde p1erisque nulla iam cura minuendi aeris alieni, quod desperant posse persolvi; rapiunt etiam consumuntque quod natum est, ut qui iam putent se non si bi parcere». 19
40
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO
AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
105
gio alla colonia parziaria, per i coloni di Plinio, appare essere pensato (certo in questa stessa funzione di maggiore condivisione col proprietario del rischio di un cattivo raccolto) come una maniera per meglio garantire al proprietario stesso di riuscire a ricavare un reddito dalla propria proprietà 46. L'impressione che se ne ricava è che, se la dinamica di «land» e «labour» giova ai coloni africani che allargano l'estensione delle colture ai subseciva e ai terreni abbandonati, essa non giovi, viceversa, ai coloni pliniani. Soprattutto un elemento sembrerebbe suggerire che una tale diversità nella posizione contrattuale degli uni e degli altri attesti una diversa e assai maggiore pressione dell' offerta di lavoro agricolo, rispetto alla terra disponibile, nelle regioni italiche in cui si collocano i fondi pliniani, a paragone di quanto avviene in Africa: ed è per l'appunto la circostanza - chiara al di là di ogni ragionevole dubbio - che i coloni di Plinio rimangono solo temporaneamente sui fondi, per il periodo del contratto, o comunque che sono chiamati a rinegoziare alla scadenza il contratto. Ora l'affitto temporaneo e la frequente rinegoziazione del contratto non sembrano essere fenomeni che occorrano con probabilità, qualora vi sia una condizione di equilibrio nella domanda e nell'offerta dei fattori: gli ovvi effetti negativi di un frequente turn-over nella conduzione dei fondi rustici, tanto per il proprietario quanto per il conduttore, rappresentano indubbiamente un incentivo alla stabilità. Ma l'affitto temporaneo e la frequente rinegoziazione del contratto, viceversa, si determineranno, qualora si determini una situazione di competizione, o tra i proprietari nell' accaparrarsi i coloni, o tra i coloni nell' accaparrarsi i lotti da coltivare. Nel primo caso ci troveremmo di fronte a un indizio di pressione della domanda di lavoro agricolo; nel secondo, di fronte a un indizio di pressione dell' offerta del lavoro agricolo. Ora, dalle lettere pliniane non sembrerebbe in nessun caso potersi dedurre che la frequente rinegoziazione dei contratti e l'affitto temporaneo siano considerati come tali da giovare ai coloni, tutt' altro; né vi è alcuna menzione del tentativo, da parte dei proprietari, di trattenere, con incentivi o 'con la coazione, il colono sul fondo: ne dedurremo, allora, che la frequente rinegoziazione e l'affitto temporaneo siano in qualche modo indizio di una pressione dell' offerta di lavoro agricolo, destinata, com' è ovvio, a determinare una più debole posizione contrattuale per il colonus. Detto in altri termini: se in Africa il colono abbandona la coltivazione ogni volta che vuole, nla se non vuole è garantito nel suo possesso perpetuo, il colono «pliniano» non vorrebbe abbandonare, ma in determinate situazioni perde ogni speranza di potere
46 9. 37. 3: «Occurrendum ergo augescentibus nummo sed parti bus Iocem ... ».
vitiis et medendum
est. Medendi una ratio, si non
l
106
CRESCITA E DECLINO
rimanere. La stessa «strutturale» funzione delle remissiones, quale sembra doversi dedurre dalla documentazione giuridica relativa, che non è certo quella di alleviare la condizione dei coloni", ma semmai quella di consentire di mantenere il canone a un livello più elevato, compatibile con il livello produttivo del fondo nelle annate buone:", dimostra una «strutturale» debolezza contrattuale dell' affittuario, la cui genesi potrà vedersi oltre che nella tradizionale posizione di inferiorità dei ceti contadini 49, in uno squilibrio, che parrebbe avviarsi a divenire esso stesso «strutturale», tra domanda e offerta di lavoro agricolo, per un' eccessiva pressione di quest' ultima 50. D'altra parte, il fatto che in età severiana, in un momento nel quale (per le ragioni che si diranno più avanti) una simile pressione dev' essere ormai venuta meno, le norme relative alla remissio mercedis sembrino modificarsi a vantaggio dei ceti proprietari 51 potrebbe ben trovare la sua spiegazione nel fatto che, proprio in ragione della maggiore difficoltà di trovare affittuari in numero adeguato, i livelli dei canoni siano discesi, rendendo per l'appunto ormai troppo onerose per i ceti proprietari le norme in questione. È possibile che una tale pressione dell' offerta di lavoro agricolo vada considerata come conseguente a una situazione di pressione della popolazione nelle aree della penisola nelle quali si manifesta? Com' è ben noto, l'osservazione sulla «penuria colonorum» è stata tradizionalmente intesa come quella che indicherebbe l'esistenza di un problema, semmai, di spopolamento delle campagne italiche, e la creazione degli alimenta, che si registra giusto negli anni di Traiano, se non già di Nerva, è stata parimenti interpretata, dalla storiografia contemporanea, come motivata dalla volontà di reagire a una crisi demografica in atto 52. E tuttavia è possibile che la finalità demografica indubbia del programma alimentare debba essere letta in una chiave diversa 53: quasi che il problema non fosse tanto quello di provocare un aumento della natalità, in una situazione di spopolamento, quanto piuttosto quello di evitare che si mettessero in moto i malthusiani «freni preventivi» (se non addirittura quelli «repressivi») in una situazione di eccessiva pressione della popolazione sulle risorse: nel qual caso, per l'appunto, il programma alimentare andrebbe inteso come sintomo di una sovrappopolazione dell' Italia tra primo e 47 48
DE NEEVE 1983. CAPOGROSSICOLOGNESI 1986,336
sgg.; ma cfr. ROSAFIO 1991 a, 81 sgg.; ROSAFIO 1991b, 251
sgg. FINLEY 1980, 142, sulla scia di Fustel e di Weber. Infra, 165 sgg. 51ROSAFIO 1991 a e b, a proposito di D. 19. 2. 15. 4, e di c.I. 4. 65. 8. 52DuNCAN-JONES 1982, 288 sgg., e ivi letteratura; ma vedi infra, 170 sgg. 53 EVANs 1981, 436 sgg.; ma vedi Lo CASCIO2000a, 282 sg.; e infra, 170 sgg.
49
50
III. CONSIDERAZIONI
I!
107
secondo secolo. In verità, provvedimenti quali quello domizianeo, di limitazione della coltura della vite.", vanno interpretati certamente quali segnali di una crisi di sovraproduzione vinicola, che ha il suo pendant in una crisi di sottoproduzione cerealicola, in Italia e nelle province, che potrebbe ben essere coerente con un problema di sovrappopolazione ". Né sembrano mancare indizi archeologici, sia pure esili, del fatto che la penisola, al volgere del primo secolo, in realtà dovesse registrare, in particolare in alcune sue aree centrali, un' occupazione del suolo estesa anche a terreni marginali 56. Più in generale, vi sono ragioni per le quali sembrerebbe doversi revocare in dubbio la corrente ortodossia belochiana-bruntiana circa l'interpretazione delle cifre dei censimenti augustei e dunque circa il livello della popolazione libera dell' Italia in età augustea: che non sarebbe, dunque, da collocarsi, come ordine di grandezza, attomo ai quattro milioni, ma attorno a una cifra decisamente superiorc "; per un altro verso, si è insistito ancora recentemente sugl' indizi (esili ancora una volta, ma non meno significativi) di un sia pure contenuto incremento della popolazione dell'impero nel corso dei primi due secoli del principato ". Che in età traianea una pressione dell'offerta di lavoro, in alcune aree della penisola, potesse essere il portato di una più generale pressione della popolazione sulle risorse, sembra essere dunque proposizione plausibile. Come si vede, ciò che pare distinguere i due «modelli» dell'affitto agrario che le nostre fonti ci consentono di isolare nei loro elementi strutturalmente più rilevanti è la differente disponibilità di terra e lavoro nelle due situazioni. In Italia parrebbe determinarsi una pressione dell' offerta di lavoro, in presenza di una stabile offerta della terra; in Africa ciò che avviene è sicuramente il contrario: parrebbe esservi un'ampia disponibilità della terra e, perciò, uno strutturale shortage del lavoro rispetto alla terra disponibile: si intende, peraltro, che proprio questo strutturale squilibrio è quello che spiega l'incremento, sul lungo periodo, della terra coltivata e, assieme, quello della popolazione (e, di conseguenza, come sembrerebbe lecito sostenere, della stessa urbanizzazione, nonché del ruolo sempre più di primo piano che le province africane vanno assumendo nell'impero). La strutturale differenza dei due modelli sembrebbe anche ciò che può aiutare a spiegare, dunque, la differenza nell' evoluzione rispettiva, nella dinamica del mutamento agricolo.
t
54 55 56
f
I r
!
I
SULL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
L
57 58
Fonti, p. es., in KEHOE 1988a, 42 n.18. Lo CASCIO 1991 a, 361 sgg. Lo CASCIO 1994c; e infra, 170 sgg. Lo CASCIO 1994c; Lo CASCIO 1994b; Lo PLEKET 1989, 55 sgg.; FRIER 2000b.
CASCIO
e
MALANIMA
2005.
108
CRESCITA
DINAMICA
DELL' AFFITTO
E DECLINO
AGRARIO E DINAMICA
DELLA POPOLAZIONE
In un suo bel libro recente, David Grigg ha delineato i vari «modelli» dell' «agricultural change», prospettati dagli storici, economisti, geografi o sociologi che si sono a vario titolo e con vari intendimenti interessati della storia dell'agricoltura europea e americana?'. Com'era da attendersi, la sintesi di Grigg si apre precisamente con l'esame dei due contrapposti modelli che legano l' «agricultural change» all'incremento di popolazione: il modello malthusiano e quello, che in qualche modo ne rappresenta il rovesciamento, tanto nell' individuazione della direzione causale del rapporto tra popolazione e «land-use», quanto nell' apprezzamento della positività o della negatività dell'incremento stesso della popolazione, di Ester Boserup. Non c'è bisogno di ribadire l'importanza che per le situazioni premoderne, e anche per quella del mondo romano, deve riconoscersi all'evoluzione demografica come determinante del mutamento nella produzione dei beni primari. Ma è forse possibile articolare ulteriormente il nesso popolazione-agricoltura e in una direzione tale da rendere ragione dei differenti esiti cui perviene 1'affitto agrario nelle varie realtà regionali del mondo romano. Ancora una volta non possiamo che tentare di formulare ipotesi interpretative circoscritte a quei casi che la limitatezza stessa nonché il peculiare carattere della documentazione antica consentono di ricostruire con qualche dettaglio e di formulare tali ipotesi nel senso di un semplice «model-building»: le ipotesi in questione, per questo stesso motivo, non possono che fondarsi sul materiale comparativo. Per questo specifico aspetto sembrerebbero soccorrere i due «rnodels of rural development» costruiti da Jan de Vries, come introduzione alla sua analisi del rapporto tra dinamica della popolazione e trasformazioni dell' economia rurale olandese tra cinque e settecento; i due modelli sono stati recentemente utilizzati da Wim J ongman per analizzare il rapporto tra attività rurali e urbane nella Pompei rornana'". I due modelli di «agricultural change» che de Vries individua sono legati alla crescita della popolazione contadina, sono le due possibili risposte che una società autosufficiente di «peasant farmers» ha a disposizione di fronte a una crescita della popolazione: il «peasant model» e lo «specialization model», La prima risposta è quella che porta a una divisione delle proprietà contadine, a un'intensificazione delle colture attraverso l'adozione di tecniche che comunque diminuiscono la produttività del lavoro, a situazioni nelle quali la stessa possibilità di autosufficienza non è garantita, talché 1985. 1974,4 sgg.;
59
GRIGG
60
DE VRIES
JONGMAN
1988,91 sgg.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO
AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
109
i contadini, lungi dal disporre di un surplus da commercializzare, devono «entrare» nel mercato del grano per acquistarlo: un mercato in cui il prezzo, per effetto dell'incremento di popolazione, è cresciuto in rapporto agli altri prezzi e in rapporto alle remunerazioni del lavoro. Peraltro, in questa situazione i «peasant farmcrs» non possono rappresentare essi stessi un mercato di sbocco per i manufatti prodotti in àmbito cittadino. Tenderanno, viceversa, a produrre essi stessi i manufatti di cui hanno bisogno: tenderanno a tenersi lontani quanto più possono dal mercato. Di questa situazione possono approfittare i più grossi proprietari o comunque le persone agiate e il risultato è una spinta verso la concentrazione fondiaria: essi possono approfittare della crescente domanda (e dunque del prezzo crescente) del grano. Si determina una più spinta ineguaglianza sociale, se le rendite crescono e le remunerazioni del lavoro diminuiscono e nel contempo il prezzo del grano si incrementa. Nel contempo, nell'ambito della stessa popolazione contadina, si determina un'incrementata differenziazione sociale. L'altro modello identifica l'altra possibile risposta alla crescita della popolazione: questa risposta prevede non già il morcellement delle unità contadine, ma una diversa allocazione del proprio tempo da parte del «peasant farrner» tra le attività agricole e quelle volte alla produzione di beni non agricoli, a vantaggio delle prime. Alla tendenziale diminuzione della produttività del lavoro, che consegue all'intensifìcazionc delle colture, il «peasant farmcr» risponde attraverso la specializzazione e attraverso un ingresso nel mercato in qualità di venditore di beni agricoli specializzati che crescono di prezzo. La crescita della popolazione in àmbito rurale non conduce a un progressivo impoverimento, ma è riassorbita in parte dall'intensificazione stessa delle colture, per esempio nel caso in cui un' orticoltura intensiva si giovi della vicinanza dei propri prodotti al mercato urbano, in parte dallinurbamento, a sua volta consentito dalla crescita delle attività produttive urbane; la pressione dell'offerta di lavoro in àmbito urbano è tale da mantenere bassi i salari, ma l'impiego che l'inurbato trova non ha i caratteri di saltuarietà e di casualità del lavoro da giornaliero nell' àmbito agrario. Insomma, questa serie concomitante di sviluppi può riassumersi come una spinta sempre più decisa verso l'espansione del mercato a spese dell' autoconsumo: l'urbanizzazione può considerarsi in questo caso un effetto della specializzazione (anche se ne può essere in realtà un incentivo). In che modo e in che misura i due modelli possono essere utilizzati per intendere i differenziati sviluppi dell' affitto agrario, nell' Africa e nell' Italia dell' età imperiale? La situazione africana, certamente, non può considerarsi rispondente né all'uno, né all'altro modello, e per un motivo: perché il fattore terra non è (come nel modello di de Vries) dato.
L
110
CRESCITA E DECLINO
La popolazione in Africa cresce, si potrebbe dire, in rapporto a una crescita della stessa area coltivata: non vi è, pertanto, né assoluta necessità di un'intensifìcazione delle colture, né morcellement delle unità di sfruttamento; le forze che possono giocare nell' orientare o meno verso la commercializzazione delle proprie produzioni sono altre. È stata fatta la ragionevole ipotesi che la situazione africana presentata dalle «grandes inscriptions» sia in qualche misura semmai paragonabile a quella polacca tra XVI e XVIII secolo, analizzata da Witold Kula. Se l'Italia dell'espansione imperiale, l'Italia delle grandi trasformazioni legate all'affermarsi del sistema della villa e del cosiddetto «modo di produzione schiavistico», è in qualche modo, si potrebbe dire, «centro» di un' «economiamondo», l'Africa va sempre più divenendo la sua periferia: da questo specifico punto di vista, è significativo che il termine di confronto, per quest'ultima, sia visto precisamente in un'altra «periferia» di un'altra «economia-mondo», piuttosto che nel «centro» di quest'ultima. Ora l' ormai classico «modello» di Witold Kula prospetta non solo una duplicità di orientamenti nell' agire economico da una parte dei signori feudali e dall'altra dei servi, ma individua in modo differenziato l'obiettivo della commercializzazione del surplus da parte degli uni e da parte degli altri: i signori feudali vendono il grano per l'esportazione, laddove i contadini vendono il surplus nei mercati locali; ora sarebbe possibile ipotizzare che parimenti i coloni africani per un verso reagiscano alle situazioni di mercato in modo analogo a quello in cui reagiscono i contadini polacchi, da «peasant farmers», vale a dire vendendo meno proprio quando i prezzi sono più alti; per un altro verso, che destinino questa quota della propria produzione, al di là delle partes e al di là del proprio consumo e del seme, a una commercializzazione nei mercati locali 61. Se per l'Africa i due modelli alternativi, di risposta a una crescita della popolazione, prospettati da de Vries si rivelano inutilizzabili, possono essi, viceversa, aiutare a capire l'evoluzione dell' economia agraria in Italia e in questo quadro anche quella dell'affitto agrario? L'interpretazione vulgata dei censimenti augustei implica che l'Italia tardorepubblicana, l'Italia dell'affermarsi della sua economia agraria specializzata, l'Italia che è centro di un' «economia-mondo» prima di essere centro di un «impero-mondo», sia anche un'Italia che vede scemare la propria popolazione libera e anzi drammaticamente cadere quella delle campagne 62. Vi sono tuttavia ragioni, mi sembra, probanti per rifiutare, con tale vulgata interpretazione dei censimenti augustei, anche questa, già a prima
61
KEHOE 1988a, 166 sg.; 219 sg., con il riferimento
62
HOPKINS
1978, cap. I.
a KULA 1970.
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
111
vista implausibile, ipotesi di un crollo della popolazione dell'Italia e in particolare delle sue campagne concomitante proprio col periodo di massima fioritura, «imperialistica», della sua economia'". E la prima e più immediata ragione è, paradossalmente, proprio l'accentuato processo di urbanizzazione: proprio in un periodo in cui non solo la popolazione di Roma cresce a dimensioni colossali per effetto dell' inurbamento di una parte della popolazione contadina, ma cresce fortemente il numero e l'entità delle altre concentrazioni urbane nella penisola, anche per effetto del processo di municipalizzazione, non si vede sulla base di quale produzione di beni primari potessero sopravvivere, al di là di Roma, nutrita sempre più dalle province, le centinaia di città della penisola. Ester Boserup ha potuto recentemente mettere in rilievo come, in una società preindustriale, non si dà urbanizzazione accentuata di un territorio, se ad essa non corrisponde una crescita consistente della popolazione rurale del territorio stesso?'. A meno di non ammettere, dunque, che l'ipotizzato crollo della popolazione dei liberi nelle campagne sia stato più che controbilanciato da un afflusso di schiavi ben più cospicuo di quello ipotizzato per esempio dallo stesso Hopkins, si dovrà concludere che va rimessa seriamente in discussione l'idea di una popolazione dell'Italia in forte decremento tra il terzo e il primo secolo a.C.: idea che ha per base, come si è già osservato, un' assolutamente ipotetica e implausibile interpretazione di un singolo dato documentario, qual è quello fornito dalle Res gestae a proposito dei censimenti del 28 a.C., dell'8 a.C. e del 14 d.C. Se dunque l'Italia dell'accentuata crescita economica è anche, come sembra ragionevole, un' Italia la cui popolazione libera oltre che servile è pur essa in forte crescita, possiamo chiederci quale dei due modelli individuati da de Vries, di risposta dell' elemento contadino a una crescita della popolazione, sia applicabile ad essa. Ora, nonostante i ragionamenti in negativo recentemente prospettati proprio in rapporto al caso di Pompei, di una città, vale a dire, ben al centro degli sviluppi che si legano all' affermarsi dell' economia della villa e del «modo di produzione schiavistico» 65, sembra di potere riconoscere molti degli elementi dello «specialization model» precisamente in casi quale quello della città campana e in generale dei centri urbani e delle aree rurali dell'Italia centrale tirrenica. È vero, peraltro, che le fortune dell' economia italica, legate all' espansione imperiale, sono destinate rapidamente a venir meno: e proprio in ragione di quella diversa, meno sbilanciata integrazione
63
Lo
64
BOSERUP
65
JONGMAN
CASCIO
1994c. 1981, cap. 6. 1988.
112
CRESCITA
E DECLINO
economica intermediterranea che le stesse necessità di sopravvivenza di un organismo imperiale promuovono'". L'Italia traianea è ormai un'Italia che non esporta più le produzioni delle sue aziende specializzate, è un'Italia che ha perso il suo primato; ed è dunque assai probabile che la pressione della sua popolazione determini, in talune aree almeno, quegli sviluppi che de Vries sintentizzava nel suo «peasant rnodel»: frammentazione delle unità produttive, ricerca dell' autosufficienza e conseguente ritrarsi sempre più accentuato dal mercato, crescita dello squilibrio, in termini di potere contrattuale, fra elemento contadino e grandi proprietari e così via - quegli sviluppi che sembrerebbe di poter leggere, in controluce, in talune lettere dell' epistolario pliniano. È probabile che gli ulteriori sviluppi dell' affitto agrario e della colonia parziaria siano anch' essi pesantemente condizionati, come in ogni altra situazione preindustriale, dalla dinamica della popolazione. Mi è sembrato di dovere legare i pur esili indizi di un ricorso sempre più consistente alla costrizione extraeconomica da parte dei ceti proprietari soprattutto nel senso, ovviamente, di un tentativo di limitazione della mobilità dell' elemento contadino - all'evoluzione demografica di lungo periodo, che vede, a partire dalla crisi dell' età antonina e per tutto il corso del III secolo, una popolazione in serio decremento 67. Credo, per fare un solo esempio, che sia ragionevole ipotesi che le lamentele, apparentemente accolte, dei coloni del saltus Burunitanus, non attestino, genericamente, la posizione contrattualmente forte degli «sharecroppers» africani", ma più specificamente il tentativo, da parte dei conductores, di modificare a loro favore, in una determinata congiuntura per essi sfavorevole, i termini del loro rapporto coi coloni, valendosi dell' arma extraeconomica rappresentata dal potere coercitivo dei procuratori imperiali con essi collusi: è plausibile che la pretesa dei conductores di richiedere non solo partes più elevate, ma anche un maggior numero di operae, nascesse da una situazione di accentuata diminuzione della forza lavoro sul saltus, che verrebbe fatto di connettere con il calo demografico degli anni '60 del secondo secolo?". È guardando, ancora una volta, alla dinamica di land e labour, d'altra parte, piuttosto che a un ipotizzato processo di sempre più grave indebitamento dei coloni (secondo la prospettiva fusteliana), che mi sembra debba essere affrontato il tema del rapporto, se rapporto vi è, tra il sistema delle affittanze e il colonato vincolato al suolo della tarda antichità: 66 67 6X 69
Lo Lo
1991 a, 358 sgg. 1991 b, 707 sgg., e infra, 179 sgg. KEHOE 1988a, 112 sgg. Lo CASCIO 1980b, 278 sg. [= Lo CASCIO 2000a, 303 sg.]. CASCIO CASCIO
III. CONSIDERAZIONI
SULL' AFFITTO AGRARIO IN ETÀ IMPERIALE
113
mi sembra (aderendo, peraltro, a una lunga tradizione di studi) che si debba considerare improponibile qualsiasi spiegazione dell' introduzione del vincolo alla mobilità geografica (e sociale) dell' elemento contadino, che prescinda dal probabile determinarsi di uno squilibrio, sul lungo periodo, e in un senso opposto rispetto all'Italia «pliniana», tra domanda e offerta di lavoro agricolo, al quale si risponde, per l'appunto, con un' arma extraeconomica. Ma una riflessione in questa direzione merita di essere sviluppata altrove 70.
70
lnfra, II 3; si vd. in generale Lo
CASCIO
(a c. di) 1997.
L
IV. L'ECONOMIA DELL'ITALIA ROMANA NELLA TESTIMONIANZA DI PLINIO
È difficile sopravvalutare 1'importanza della testimonianza fornita dall'epistolario pliniano (e per certi versi da alcuni capitoli centrali del Panegirico) ai fini della ricostruzione che possiamo tentare e della valutazione che possiamo proporre della situazione economica dell'Italia tra la fine del I e g1'inizi del II secolo. Il rilievo che assume l'opera pliniana deriva non solo dall'esiguità per non dire assenza di fonti coeve, ma soprattutto dal fatto che essa traduce con assoluta immediatezza la visione che Plinio ha delle questioni economiche di cui parla, le motivazioni del suo agire in quanto proprietario, le sue reazioni. Va per di più sottolineato come la testimonianza fornita dall'epistolario possa essere letta - e si tratta di un caso unico - alla luce di una parallela documentazione epigrafica ed archeologica. In effetti, significative informazioni sono quelle che ci fornisce, anche per questo aspetto, la famosa iscrizione postuma che elenca le liberalità di Plinio nei confronti di Como (oggetto di recente di una lucida e innovativa disamina da parte di Werner Eck) l, mentre la villa di Plinio a Tifernum Tiberinum (a Colle Plinio, a nord di Città di Castello nel territorio del comune di S. Giustino), il cui sito era stato identificato già nel '600, è oggetto da circa venticinque anni di una sistematica indagine archeologica, che ha confermato per molti versi e nello stesso tempo ha dato maggiore concretezza alla famosa descrizione della villa in Tuscis (a 5.6)2. Oltre tutto l'indagine archeologica ha privilegiato la pars fructuaria, la meglio conservata' confermando tra 1'altro come la vocazione produttiva della villa fosse in buona misura legata alla coltivazione della vite. La documentazione di scavo ha consentito anche di individuare, sia pure con qualche incertezza, i proprietari precedenti e successivi a Plinio, dal primo, da identificarsi in M. Granius Marcellus, proconsole di Bitinia nel 14-15 d.C.,3 all'ultimo, ILS 2927; ECK 2001. BRACONIe UROZ SAEZ (a c. di) 1999; vedi ora BRACONI2008; BRACONIe UROZ SAEZ 2008. 3 Si tratta del personaggio famoso di Tac. Ann. 1. 74, di famiglia originaria di Puteoli, legata a Mario, presente in Umbria a Hispellum, dov'è attestato un Granio quinquennalis (CIL XI, 5264); traccia degl'interessi della famiglia in quest'area può essere considerato anche il toponimo Gragnano, diffuso nella zona. I
2
116
CRESCITA
E DECLINO
Non sembra comunque escluso che, a un certo punto, ne sia divenuto proprietario Plinio seniore dal quale sarebbe pervenuta al nipote". La testimonianza pliniana si rivela illuminante su vari piani. Essa ci informa sulla mentalità dei ceti proprietari quale risulta riflessa dai comportamenti di Plinio nella gestione del proprio patrimonio fondiario e più in generale delle proprie disponibilità liquide; sull' organizzazione interna delle unità produttive e sul rapporto tra produzione e commercializzazione; sul peso rispettivo delle varie forme di lavoro (servile e libero) e in particolare sul peso rispettivo di schiavi e coloni; sulle condizioni dell' economia agraria della penisola in generale, e in rapporto a quella delle province, quanto meno nelle sue caratteristiche "strutturali". Su ognuno di questi aspetti v' è stata in questi ultimi decenni e in particolare nell'ultimo una notevole fioritura di studi, che tuttavia non sempre ha portato a interpretazioni universalmente condivise". Restano molte incertezze tanto sulla puntuale ricostruzione delle singole questioni, quanto sui limiti entro cui siamo autorizzati a generalizzare alcuni dei dati che emergono, anche in ragione dell'estrema varietà delle situazioni regionali nelle condizioni economiche della penisola, oggi dimostrata dalle indagini archeologiche di scavo e di superficie. Il fatto stesso che le lettere pliniane si riferiscano ad ambiti geografici così diversi come il territorio di Como, la valle tiberina e la costa del Lazio a sud della foce del Tevere parrebbe vanificare qualsiasi tentativo di costruire un quadro unitario di quest' economia. In quel che segue tratterò anzitutto di taluni nodi interpretativi presentati da alcune lettere che sono tuttora controversi, e che sono relativi alle motivazioni che stanno dietro alle scelte di Plinio, all' organizzazione delle sue tenute, alle modalità del loro sfruttamento. Cercherò poi di segnalare quanto la testimonianza di Plinio parrebbe suggerire, a livello generale, a proposito della questione, tradizionalmente assai dibattuta dalla I'imperatore".
4 La proprietà sarebbe stata ereditata dal figlio, Granio Marciano, proconsole della Betica tra il 25 e il 34 (vd. p. es. ALFOLDY 1969, 149 sgg.), suicidatosi nel 34 per essere stato accusato di lesa maestà (Tac. Ann. 6. 38,4). Non si può escludere che già ora la proprietà sia stata incamerata dal patrimonium imperiale (dallo stesso Tiberio? i bolli laterizi con scritta CAESAR secondo l'UROZ SAEZ I999b, 192 sg., potrebbero datarsi in quest'età). Ma è certo che la tenuta sarebbe passata nel II secolo al demanio imperiale: UROZ SAEZ, l. cito (una ricostruzione diversa in MAIURO 2007, 297-301). 5 L'appartenenza a Plinio il Giovane è attestata dalle tegulae con la scritta CPCS: UROZ SAEZ 1999a, 46 sg.; UROZ SAEZ 2008. 6 Su Plinio proprietario fondiario in particolare SIRAGO 1958, part. 22 sgg., 103 sgg.; MARTIN 1967; SHERWIN-WHITE 1966, passim; DUNCAN-JONES 1974, cap. I; Johne, in JOHNE-KoHN- WEBER 1983, 145; BACKHAUS1987; DE NEEVE 1990; KEHOE 1988b; KEHOE 1989; KEHOE 1993; ROSAFIO 1993a(trad. it. in ROSAFIO 2002, 81-109); Lo CASCIO 1992-93; e supra, 104-106; CAPOGROSSICOLOGNESI 1992-93, passim (nuova versione in CAPOGROSSICOLOGNESI 1996, capp. IV-VII). Poco di nuovo nel contributo di FELLMETH 1998, che peraltro non tiene conto di questi studi più recenti.
l
IV. L'ECONOMIA
DELL'ITALIA
ROMANA NELLA
TESTIMONIANZA
DI PLINIO
117
storiografia moderna a partire almeno dalla grande opera di Rostovzev 7, se si possa davvero parlare di una crisi dell' economia italica parallela alla crescita economica delle province (o addirittura da essa determinata, come appunto voleva Rostovzev) e se si possa riconoscere una tale crisi come già in atto o come incipiente tra la fine del I e il II secolo d.C., e dunque presenterò una serie di considerazioni sui caratteri strutturali e sulle tendenze di lungo periodo dell' economia agraria dell' Italia di età imperiale. In questo quadro insisterò sul rilievo che ha la dinamica della popolazione, di cui è possibile cogliere un riflesso solo indiretto nella testimonianza pliniana, ma che mi sembra abbia un' importanza cruciale nel determinare come si muovano alcune delle variabili sulle quali si orienta il comportamento dei proprietari italici, e cioè l'evolversi dei prezzi dei fattori produttivi, terra e lavoro, in rapporto all' evolversi dei prezzi dei prodotti. Proprio l'evoluzione di breve e di lungo periodo dei prezzi dei fattori produttivi e dei prodotti mi sembra che abbia un peso notevole, nell' orientare le scelte dei proprietari come Plinio. Va sottolineato anzitutto come non vi sia la ben che minima allusione, nell' epistolario, a un'utilizzazione in chiave autarchica delle produzioni dei propri fondi. Vi è, viceversa, una netta e chiara connessione con il mercato. Le proprietà di Plinio sono sfruttate in vista di una totale commercializzazione delle produzioni o di un ricavo monetario attraverso i canoni di affitto. Non meraviglieranno, allora, le molteplici allusioni che emergono nelle lettere ai prezzi, alla loro estrema variabilità sul breve periodo, come effetto immediato dell' entità dei raccolti a sua volta dipendente dalle condizioni atmosferiche, e alla variabilità del reditus che ne consegue. Così, ad esempio, a 4. 6, Plinio lamenta il fatto che questa possibilità di reditus è compromessa, per la proprietà di Tifernum Tiberinum, dal fatto che il raccolto è stato distrutto dalla grandine, mentre nella proprietà della regio Transpadana il raccolto è stato talmente abbondante che ora si preannuncia una vilitas". Quanto al prezzo dei fattori produttivi, se sembra esservi un unico riferimento assai generico, come vedremo, al prezzo degli schiavi - in particolare deifrugi mancipia - come un fattore di cui tener conto in una 7 ROSTOVZEV 1933; ROSTOVTZEFF 2003 (nuova edizione della traduzione italiana, corredata di una serie di testi inediti, a cura di A. Marcone). x «Tusci grandine excussi, in regione Transpadana summa abundantia, sed par vilitas nuntiatur: solum mihi Laurentinum meum in reditu. Nihil quidem ibi possideo praeter tectum et hortum statimque harenas, solum tamen mihi in reditu. Ibi enim plurimum scribo, nec agrum quem non habeo sed ipsum me studiis excolo; ac iam possum ti bi ut aliis in locis horreum plenum, sic ibi scrinium ostendere. Igitur tu quoque, si certa et fructuosa praedia concupiscis, aliquid in hoc litore para. Vale»: la lettera è indirizzata a Iulius Naso.
118
CRESCITA E DECLINO
scelta di investimento (a 3. 19), le allusioni al prezzo della terra e al suo dipendere dal reditus che se ne può ricavare sono molteplici (e trovano, per questo secondo aspetto, un parallelo nella sostanzialmente coeva documentazione fornita dai due catasti di Veleia e dei Ligures Baebiani, compilati per la gestione del programma alimentare) 9. A questo proposito una delle più significative testimonianze è certo quella fornita dalla lettera nella quale Plinio allude alla misura traianea che impone a coloro che si candidano alle magistrature e al senato di Roma di investire un terzo della propria fortuna in terra italica (6. 19) "', Il provvedimento ha prodotto l'effetto di elevare artificialmente il prezzo delle terre italiche e in particolare di quelle intorno a Roma, come ci dice espressamente Plinio, che consiglia al suo corrispondente di vendere, a questo punto, le proprietà in Italia e acquistarne altre nelle province dalle quali provengono gli aspiranti senatori, dove i prezzi stanno, per l'eccesso dell' offerta, calando. La misura traianea influenza, dunque, pesantemente il mercato della terra: i venditori dei terreni in Italia potranno ricavare, dall'incremento di prezzo, un profitto ulteriore da potere impiegare per esempio nell' acquisto di terre più a buon mercato in provincia; i nuovi proprietari, nella misura in cui comprano a un prezzo non conforme al livello delle rendite, sono incentivati a non vedersi diminuire il valore delle terre acquistate (una volta esauritosi l'effetto della legge) e dunque ad apportare migliorie che potranno consistere anche solo nella costruzione di una nuova villa o nell' abbellimento della pars urbana di quella già presente sul fondo. Andrà incidentalmente osservato come una spettacolare conferma dell' efficacia della misura traianea (poi ripresa, in una forma attenuata, da Marco Aurelio) Il proviene dalla documentazione archeologica nel suburbio di Roma. Si rileva una trasformazione delle modalità insediative e del paesaggio agrario: nel suburbio si edificano grandi dimore o si trasformano precedenti costruzioni in grandi dimore, Lo CASCIO2000a, 230 sgg., parto 233 con n. 45 e ivi riferimenti. «Scis tu accessisse pretium agris, praecipue suburbanis? Causa subitae caritatis res multis agitata sermonibus. Proximis comitiis honestissimas voces senatus expressit: 'Candidati ne conviventur, ne mittant munera, ne pecunias deponant'. Ex quibus duo priora tam aperte quam immodice fiebant; hoc tertium, quamquam occultaretur, pro comperto habebatur. Homullus deinde noster vigilanter usus hoc consensu senatus sententiae loco postulavit, ut consules desiderium universorum notum principi facerent, peterentque sicut aliis vitiis huic quoque providentia sua occurreret. Occurrit; nam sumptus candidatorum, foedos iIIos et infames, ambitus lege restrinxit; eosdem patrimoni i tertiam partem conferre iussit in ea quae solo continerentur, deforme arbitratus (et erat) honorem petituros urbem Italiamque non pro patria sed pro hospitio aut stabulo quasi peregrinantes habere. Concursant ergo candidati; certatim quidquid venale audiunt emptitant, quoque sint plura venalia efficiunt. Proinde si paenitet te Italicorum praediorum, hoc vendendi tempus tam hercule quam in provinciis comparandi, dum idem candidati illic vendunt ut hic emant. Vale». La lettera è indirizzata a Mecilio (o Metilio) Nepote: cfr. SHERWIN-WHITE 1966, 376-78. Il H.A. Mare. Il.8. 9
IO
IV. L'ECONOMIA
DELL'ITALIA
ROMANA NELLA TESTIMONIANZA
DI PLINIO
119
che sono quasi vere e proprie domus cittadine, possedute dalla nuova aristocrazia di origine provinciale che deve insediarsi stabilmente in Italia 12. Ma la più significativa testimonianza in Plinio dell' ovvia attenzione, nel momento di un investimento fondiario, al prezzo della terra in rapporto al reditus che se ne può conseguire è quella fornita dalla lettera a Calvisio Rufo, suo amico di Como (3. 19) 13. Alla fine della presentazione delle varie considerazioni che sollecitano all' acquisto di una nuova tenuta contigua alla sua o che lo sconsigliano Plinio mette in rilievo come un argomento forte a favore dell' acquisto sia proprio la convenienza del prezzo, in rapporto al reditus che potenzialmente la tenuta è in grado di garantire, se gestita in modo oculato. La convenienza del prezzo lo indurrebbe addirittura non solo a richiedere ai suoi debitori la restituzione delle somme che ha loro prestato, ma a prendere lui stesso in prestito il denaro necessario ('. La dinamica di lungo periodo delle relazioni economiche fra le varie aree può essere cioè vista in termini di prezzi relativi e in termini di differenti 'terms of trade' delle differenti aree entro l'impero, con i 'terms of trade' delle province che si andavano sempre di più deteriorando 54. L'esistenza del tributo monetario e la concentrazione dei percettori di rendite monetarie a Roma determinavano un flusso di capitali verso la penisola. Questo squilibrio strutturale veniva sanato da un sempre più forte flusso di beni provinciali importati nella penisola, mentre il flusso di prodotti italici esportati nelle province decresceva drasticamente. Alla fine questo squilibrio avrebbe portato alla stagnazione in Italia e alla crescita economica delle province. La signoria politica dell'Italia, che si esprimeva nella sua immunità, diventava, cioè, un potente fattore che contribuiva al progressivo venir meno della sua posizione di preminenza economica. E presumibilmente nell' innescarsi di questi meccanismi che dev' essere vista la ragione profonda di quella per certi versi opposta evoluzione dell' economia italica e delle economie provinciali che al Rostovtzeff pareva per l'appunto di potere interpretare come quella che dimostrava la "decadenza economica" dell'Italia come conseguenza dell"'emancipazione" delle province occidentali. Peraltro, la diffusione delle innovazioni tecnologiche dal centro, e cioè l'Italia, alla periferia, e cioè le province, avrebbe prodotto un analogo effetto. C'erano, vale a dire, forze che spingevano in direzione di una "decentralizzazione" dell' economia 5S. Nella misura in cui questi processi minavano sul lungo periodo la supremazia economica dell'Italia, si può dire che essi siano perfettamente congruenti con il progressivo ampliarsi della base del reclutamento della classe dirigente dell' impero dapprima alle province occidentali e poi a quelle orientali e con la trasformazione stessa dell'impero, con un centro che diveniva sempre meno centro e una periferia che diveniva sempre meno periferia.
53
Lo
54
VON FREYBERG
1991 a, 357 sg. 1988. 5S Significativo il fatto che il termine fosse già adoperato, and Economie History ofthe Roman Empire. CASCIO
per l'appunto,
da Rostovtzeff
nella Social
II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
Il 5 febbraio del 62, diciassette anni prima, dunque, del fatidico 24 agosto del 79, Pompei venne sconvolta da un rovinoso terremoto, di cui proprio l'area della città sembra abbia rappresentato l'epicentro. Se il sisma toccò anche Napoli e Nuceria e più gravemente Ercolano, fu soprattutto a Pompei che si ebbero, con un numero ovviamente imprecisabile di vittime, estese distruzioni di edifici: e non è casuale che, nel registrare il rovinoso evento naturale, Tacito ne ricordi solo gli effetti sulla «popolosa» Pompei e che Seneca, al quale dobbiamo i maggiori dettagli sul sisma e sulle sue conseguenze, distingua i danni subiti dalle regioni vicine dall' «abbattimento» della città l. La città venne ricostruita: ma la ricostruzione era stata ancora solo parzialmente effettuata, quando sopraggiunse il nuovo e questa volta definitivo cataclisma. L'entità della prima distruzione e della ricostruzione e la lunga durata di quest'ultima sono rivelate dalla stessa documentazione archeologica: e anzi proprio tale lunga durata, nonché il carattere stesso che avrebbe assunto la ripresa edilizia della città hanno costituito un serio problema dell' archeologia pompeiana. La nuova città di Pompei che faticosamente risorge è sostanzialmente eguale all'antica nell'impianto urbanistico e nel tracciato delle strade: ma gli edifici nuovi che sorgono hanno spesso forme e funzioni diverse rispetto al passato. Al posto di belle case d'abitazione sorgono talvolta dimore più modeste e botteghe o locali destinati ad attività manifatturiere o commerciali, come ad esempio fullonicae, tabernae e pistrina: e la proporzione di questi ultimi, rispetto agli edifici di semplice abitazione, se non lo stesso loro numero assoluto, pare crescere in misura vistosa. Nel contempo gli edifici che hanno questa destinazione utilitaria sembrano essere quelli che più presto, rispetto alle case di abitazione o ancor più agli edifici pubblici, vengono ricostruiti. Quali conclusioni trarre dalla lunga durata della ricostruzione, nonché dalle caratteristiche che essa assume? Quanto al primo punto, è stato molto ragionevolmente messo in rilievo che non si tratta di un fatto sinI
Tac. Ann. 15.22; Seno Q.N. 6. 1. 1-3.
212
CRESCITA
E DECLINO
golare, come rivelano i confronti con analoghe ricostruzioni di centri urbani preindustriali dopo sismi di comparabile gravità (quando non con le ricostruzioni dopo terremoti di cui abbiamo noi stessi esperienza diretta): ad esempio con la ricostruzione di Catania dopo il terremoto del 1693, o con quella di Lisbona dopo il sisma del 1755 (più di vent' anni), o ancora con la ricostruzione di Messina dopo quello del 1908 (venticinque) 2; e va osservato che si tratta di casi nei quali il ruolo o il rilievo che riveste il centro urbano nell' ambito della nazione o dello stato cui esso appartiene sono ben maggiori di quelli che la pur «popolosa» Pompei di epoca neroniana poteva rivestire nell'Italia romana o a maggior ragione nell'impero mediterraneo di Roma: quali che siano le ragioni del mancato interessamento imperiale per una città che si definiva «colonia neroniana» ' (ragioni sulle quali molto si discute), è degno di nota che non sia attestato, per la Pompei colpita dal terremoto, un intervento specifico di aiuto e di supporto finanziario da parte dell' autorità imperiale, analogo a quello che Tiberio, quarant' anni prima, aveva concesso alle numerose città dell' Asia minore parimenti distrutte da un terremoto". Quanto al carattere peculiare della ricostruzione effettuata a Pompei, è presumibile che esso traduca un nuovo assetto economico e sociale della popolazione della città: che risponda, cioè, almeno in parte a una modificazione delle attività che vi vengono svolte, accentuatasi se non avviatasi in conseguenza del terremoto, nonché a un ricambio della popolazione che, definitivamente o temporaneamente, vi risiede. Non c'è dubbio, anzitutto, che il terremoto sia l'evento che in modo più radicale viene a mutare, quantitativamente e qualitativamente, la demografia di Pompei, quale si è stabilizzata dopo 1'altro evento epocale, da questo punto di vista, della storia della città, e cioè la fondazione della colonia. All'iniziale, probabile diminuzione della popolazione urbana, quale effetto diretto del sisma, dobbiamo presumere che seguano, più scaglionati nel tempo, due movimenti migratori di segno opposto. Da una parte, è probabile - e la stessa documentazione comparativa pare suggerirlo - che gli esponenti dell' élite fondiaria abbiano abbandonato, nella misura in cui esse erano state distrutte o gravemente danneggiate, le proprie dimore in città, per andare a risiedere, temporaneamente o definitivamente, nelle proprie ville suburbane o addirittura lontano da Pompei (un' eventualità alla quale allude Seneca, parlando degli effetti del terremoto); la fuga in campagna dei ricchi poteva essere oltretutto favorita
1973, 375 . Si veda ora, a proposito di e/L IV, 3525, BENEFIEL 2004, 360 sgg. e la letteratura ivi discussa. 4 Tac. Ann, 2.47; cfr. anche 4. 13; Seno Q.N. 6. l. 13. 2
.1
ANDREAU
II. LA VITA ECONOMICA
E SOCIALE
A POMPEI
213
dalla preoccupazione del diffondersi di epidemie - un fatto tutt' altro che infrequente dopo un terremoto e apparentemente determinatosi anche a Pompei, come parrebbe suggerire il luogo di Seneca che descrive gli effetti del sisma 5 - o dal timore dei torbidi sociali che si potevano creare per le difficoltà dell' approvvigionamento, per la disorganizzazione della vita nella città, per il venir meno della possibilità di utilizzare i suoi servizi 6. Dall'altra parte, avviatosi il processo di ricostruzione - ciò che non necessariamente dev' essere subito avvenuto -, è probabile che esso abbia richiesto l'utilizzazione di una cospicua manodopera non reperibile nella sua totalità a Pompei e che dunque abbia comportato una sia pur soltanto temporanea immigrazione di lavoratori dai centri vicini. Quale che possa essere stato l'effetto di questi processi sulle dimensioni della popolazione del centro urbano, non c'è dubbio che essi sono valsi a mutare profondamente la sua composizione sociale 7. Più problematico è capire sino a che punto il terremoto possa essere stato in grado di modificare la composizione della classe dirigente e, con essa, la stessa fondamentale vocazione produttiva della città. E legittimo, seguendo un' affermata tradizione di studi, sostenere che il bouleversement seguito al terremoto abbia determinato, o quanto meno accentuato, l'ascesa di nuovi ceti, la cui fortuna sarebbe stata più legata alle attività «industriali» e commerciali, e meno alla rendita fondiaria e che ciò abbia addirittura portato alla sostituzione di una «plutocrazia» all' aristocrazia fondiaria nel controllo dell' amministrazione cittadina? Si è voluta fare l'ipotesi che le distruzioni prodotte dal sisma siano state tali da rendere in molti casi impossibile, ai proprietari, date le disponibilità liquide limitate sulle quali potevano contare, procedere a un rapido restauro, e che di conseguenza si sarebbe determinata una drastica riduzione del valore degli edifici e dei terreni: tale drastica riduzione, a sua volta, come avrebbe nociuto all' aristocrazia dei rentiers, dei proprietari dei fondi dell' agro pompeiano dimoranti in città, così avrebbe favorito gli affaristi con maggiori disponibilità liquide, impegnati in attività più lucrative del mero sfruttamento della proprietà fondiaria - commercianti e artigiani, spesso di condizione libertina -, che avrebbero avuto modo di approfittare della situazione acquisendo a modico prezzo gl' immobili da riattare o da ricostruire. Questo mutamento nella proprietà degl' immobili urbani sarebbe a sua volta da collegare all'apparente essor delle attività industriali che avrebbe appunto fatto seguito al terremoto e che sarebbe alla base di una
5 6 7
Seno Q.N. 6. I. 10, 28. 1-2. 1973, 375-376. ANDREAU 1973, 378-379. ANDREAU
214
CRESCITA E DECLINO
rinnovata e anzi accentuata prosperità della città. La stessa composizione del ceto dirigente pompeiano sarebbe stata influenzata da questi sviluppi: con l'emergere, al posto della vecchia aristocrazia legata alla proprietà della terra, di un ceto autenticamente «borghese» 8. In verità, così com'è formulata, l'ipotesi non regge all'analisi: che vi sia stato il supposto effetto di riduzione di valore degl' immobili urbani non solo non è in alcun modo attestato o attestabile dalla semplice documentazione archeologica, ma sembra escluso, ancora una volta, dall'esame della documentazione comparativa 9• Il terremoto ha effetti economici, per qualche verso, paragonabili a quelli di un' epidemia, nella misura in cui determina uno sconvolgimento complessivo della vita di una città: ma il fatto che il primo distrugge prevalentemente le cose anziché le persone, laddove la seconda elimina le persone lasciando intatte le cose, rende per altro verso diametralmente opposti gli effetti economici dei due eventi. La «fame di case» di un gran numero di senza tetto, non che fare diminuire, incrementa fortemente i prezzi delle abitazioni non toccate o toccate di meno dal sisma, nonché gli affitti, e può semmai alimentare certi fatti speculativi di cui si rendono in primis responsabili gli stessi vecchi proprietari. D'altra parte, il turbamento della vita cittadina, la fuga sia pure solo temporanea di buona parte della popolazione non possono che nuocere, in linea generale, a chi basa la propria fortuna sul commercio e sulla manifattura. Dunque è assai improbabile che il terremoto abbia comparativamente colpito di più i proprietari fondiari e di meno i commercianti e gli artigiani. Peraltro, l' essor di determinate attività «urbane», in quanto contrapponibili a quelle rurali, e per esempio le attività varie connesse alla trasformazione della lana e alla produzione di tessuti, è fenomeno che va sicuramente anticipato a diversi decenni prima del terremoto, come si avrà modo di mostrare: a un momento, quindi, nel quale le stesse produzioni pompeiane del settore primario - soprattutto il vino - sono anch' esse in piena fioritura. In generale, poi, sembra senz' altro da escludere la paradossale idea che il terremoto abbia potuto avere benefici effetti sull'economia della città. Non può davvero sostenersi che il terremoto abbia potuto di per sé stimolare l'attività economica: è solo supponendo che vi sia stato un intervento finanziario consistente dal centro che si potrebbe ipotizzare, in chiave «keynesiana», che un tale intervento abbia potuto rappresentare uno stimolo alla ripresa produttiva. Ma si è visto che non abbiamo alcuna testimonianza di un intervento imperiale: non c'è stato presumibilmente alcun piano generale di ricostruzione, e pare che
8
MAIURI
9
LEPORE
1942,163-164,216-217. 1950, 162 (= LEPORE 1989, 142);
ANDREAU
1973,374.
II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
215
ciascuno abbia dovuto contare sulle sue forze; le stesse manifestazioni di evergetismo da parte dei privati ricchi, nella costruzione e ricostruzione di edifici pubblici, sono assolutamente circoscritte. È stato messo in rilievo che, ancora al momento dell'eruzione, un servizio quale quello dell'approvvigionamento idrico non risultava essere stato del tutto ripristinato; che alcuni degli edifici pubblici con sicura o probabile destinazione a scopi economici, come l'edificio di Eumachia o il Macellum, non erano stati riutilizzati ovvero erano ancora parzialmente fuori uso "', Sembra, peraltro, che l'ipotesi su ricordata proponga una contrapposizione di gruppi - li si voglia considerare «ceti» o «classi», e dunque li si voglia contrapporre sul piano degl' interessi economici, ovvero sul piano dei ruoli sociali - che appare estranea alla particolare struttura della società dell'Italia romana. Sembra sostanzialmente illegittimo prospettare, per l'Italia del primato politico ed economico all'interno del mondo mediterraneo, l'esistenza di una rigida distinzione e meno che mai di una netta contrapposizione di interessi fra coloro che impegnano le proprie fortune nell' agricoltura e coloro che investono nel commercio e nella manifattura: commercio e manifattura appaiono, piuttosto, intimamente connessi con la produzione agricola, in quanto ne sono divenuti una sorta di «continuazione», a partire dal momento in cui si è realizzato il fondamentale passaggio da un'agricoltura di mera sussistenza a un'agricoltura che destina le proprie produzioni a un mercato esterno alle singole unità fondiarie: questo passaggio ha significato non soltanto l'estendersi del settore commercializzato e monetarizzato nell'ambito della produzione dei beni primari, ma anche l'affermarsi di una mentalità dichiaratamente «acquisitiva», volta al profitto, tra i proprietari, che divengono dunque piuttosto imprenditori agricoli, che semplici rentiers. Sicché, come la produzione agricola di un'unità fondiaria può essere integrata da una specifica produzione di manufatti al suo stesso interno - quella, ad esempio, dellefiglinae del fondo -, così lo stesso proprietario di una unità fondiaria che produca vino ed olio da commercializzare può far rientrare nell' ambito stesso dei suoi interessi, oltre che la semilavorazione, anche la commercializzazione delle proprie produzioni; parimenti il proprietario di greggi transumanti e stanziali può essere direttamente coinvolto o cointeressato nella produzione della lana e nella sua ulteriore lavorazione, nell' attività di filatura e tessitura: in una «verticalità» di investimenti, dunque, che garantisce non solo il controllo dell'intero processo produttivo, ma anche quello, in varie forme, della commercializzazione del prodotto.
IO MAIURI 1942,40-43 mento idrico), 217.
(edificio di Eumachia),
54-61 (Macellum),
91-94 (sistema di approvvigiona-
216
CRESCITA
E DECLINO
Voler distinguere o addirittura contrapporre, nell' élite pompeiana, i supposti portatori di interessi agrari e i supposti portatori di interessi commerciali e industriali significa compiere il medesimo errore - anche se in prospettiva rovesciata, magari «modernizzantc» - compiuto da chi, di fronte a prove documentarie difficilmente oppugnabili, ritiene di poter negare o minimizzare il coinvolgimento in interessi commerciali e «industriali», non pur della stessa élite senatorio-equestre a Roma, ma addirittura delle stesse élites municipali. Si tratta del medesimo errore compiuto da chi, ancora recentemente, nel proporre un' immagine «primitivi sta» e «minimalista» dell' economia pompeiana, ha ritenuto di potere utilizzare come chiave interpretativa adeguata a spiegare le caratteristiche strutturali della città campana, il modello della weberiana «città consumatrice»: una città, vale a dire, nella quale commercio e manifattura sono di dimensioni limitate, visto che debbono soddisfare soltanto i ristretti consumi di un ceto di proprietari terrieri, di rentiers, residenti nel centro urbano; una città che ha dunque un carattere sostanzialmente parassitario nei confronti del territorio circostante Il. Una qualche contrapposizione tra interessi eminentemente agrari e interessi eminentemente commerciali e «industriali», nell' àmbito dell' élite, può supporsi solo per un limitato periodo della storia della città: quello successivo alla colonizzazione sillana, evento, come si è detto, epocale, se non altro per il fatto che l'arrivo dei coloni ha significato un incremento improvviso e consistentissimo degli abitanti di Pompei, nonché lo sconvolgimento sia pure parziale dell' assetto della proprietà nel territorio della città 12. Ma, anche se si è recentemente sostenuto, per la verità su abbastanza fragili basi, che gli aristocratici coinvolti in una tipica attività industriale pompeiana, quale quella della lana e dei panni di lana, sarebbero stati in maggioranza gli esponenti dell' élite presillana 13, la contrapposizione ipotizzata non dev'essere stata un fatto duraturo, così come duratura non sarà stata, per lo meno al livello dell' élite, la contrapposizione etnica fra vecchi Pompe iani e coloni: più di tale contrapposizione deve avere giocato l' «alleanza di classe», com' è stata autorevolmente definita, che si crea tra i vecchi e i nuovi esponenti di tale élite, quel «blocco storico» delle classi dominanti che ha modo di estrinsecarsi così sul piano economico e sociale, come su quello della gestione politica della comunità 14. Il
JONGMAN
12
Lo
1.1
MOELLER
14
LEPORE
1988. 1992, 120-124. 1976. 1979, 18 (= LEPORE
CASCIO
1989, 163, 165)
II. LA VITA ECONOMICA
E SOCIALE A POMPEI
217
Come si è avuto occasione di osservare altrove, la colonizzazione sillana, evento pur traumatico nelle sue dimensioni, non mutò la fondamentale vocazione produttiva della zona vesuviana e di Pompei in particolare, legata alla precoce utilizzazione delle colture specializzate dell' olio e soprattutto del vino, né determinò l'integrale sostituzione del ceto dirigente, che basava la propria fortuna su questo tipo di utilizzazione della proprietà fondiaria. Ma dovette, tuttavia, determinare, con il meccanismo stesso delle confische, la necessità di una destinazione ad attività diverse da quelle meramente agricole delle risorse di lavoro e di capitali rimaste nella disponibilità delle vittime stesse delle confische. Se l'arrivo dei coloni corrispose, com' è ovvio, a una dislocazione dei Pompeiani o di una loro parte nella città (Cicerone dice appunto che i Pompeiani sarebbero stati «rimossi» dalle proprie terre 15), questo incremento della popolazione del centro urbano non può certo essere rimasto senza effetti sulla situazione economica e sociale della comunità nel suo complesso; e se è vero che la prosperità della città non venne meno, ma anzi si accentuò, vuol dire che alla non intermessa espansione dell' agricoltura specializzata, in buona misura basata sull'utilizzazione del lavoro servile, corrispose, nello stesso centro urbano, una sia pur progressiva crescita delle attività commerciali e «industriali»: attività commerciali e «industriali» che poterono, almeno in una prima fase e in parte, trovarsi in mani diverse da quelle della nuova élite dei coloni sillani 16. D'altra parte, proprio la non intermessa prosperità di Pompei, pur dopo un afflusso così consistente di popolazione, si può dire che rappresenti un formidabile argomento contro quelle posizioni «minimaliste» e «primitiviste», a proposito dei caratteri dell'economia pompeiana, cui si è fatto riferimento. La «risposta» della comunità all' improvviso incremento demografico, è appunto quella di accentuare la specializzazione produttiva, tanto al livello primario che secondario, incrementando così l'efficienza complessiva della sua economia. Si può dire che Pompei partecipa, in questo modo, sfruttando al meglio la propria situazione di partenza, all'indubbio sviluppo produttivo che caratterizza l'Italia della fine dell'età repubblicana e ancora della prima età imperiale: un'Italia che è in grado di inondare, con le proprie esportazioni, le regioni soprattutto occidentali del Mediterraneo. Si è voluto sostenere, attraverso un' argomentazione interessante, ma sostanzialmente astratta, che l'estensione stessa del territorio pompeiano e la stessa bassa produttività agricola, dati i limiti tecnici dell' agronomia
15 16
Pro Sulla 62. Lo CASCIO 1992.
218
CRESCITA
E DECLINO
antica, avrebbero reso impossibile una produzione vinicola superiore a quella richiesta dai meri consumi locali, considerata l'entità della stessa popolazione pompeiana 17. Il ragionamento che si fa è il seguente: poiché sarebbe stato necessario destinare alla produzione dell' alimento base, il grano, un' estensione cospicua del territorio pompeiano, che si ritiene di potere identificare nelle zone pianeggianti della valle del Sarno, la rimanente parte di esso, quella collinare, da destinare alla coltura della vite, sarebbe stata sostanzialmente limitata di estensione e dunque in grado di produrre quantità limitate di vino: quelle appena sufficienti ad alimentare i consumi locali. Si vuol dare forza all' argomentazione rilevando, per un verso, come gli autori antichi lodino la feracità della Campania con riferimento piuttosto alla cerealicoltura che ad altre colture e come insistano sulla stessa non eccelsa qualità del vino pompeiano; per un altro, osservando come le ville nelle quali è attestata una produzione specializzata di vino, sarebbero, appunto, localizzate esclusivamente nel territorio collinare alle falde del Vesuvio e non nella piana IX; per un altro verso ancora, invocando il parallelo della localizzazione dei diversi tipi di coltura in questa stessa zona della Campania nella prima età moderna: una localizzazione che mostra la prevalenza delle terre a grano, caratterizzate da una minore produttività del lavoro agricolo (oltre che da un regime proprietario di tipo latifondistico), nella pianura, laddove le colture della vite e dell' olivo sarebbero situate nelle zone collinari, più produttive; lo stesso regime demografico della pianura, a sua volta dipendente dalle diverse condizioni economiche, mostrerebbe tratti peculiari: sarebbe caratterizzato da una più alta natalità e da una più alta mortalità e da una minore incidenza, nel complesso della popolazione, delle classi di età più anziane, e ciò per effetto di una più precoce età al matrimonio 19. Il tentativo di «leggere» l'economia agraria pompeiana come rivolta soltanto a garantire i consumi di una popolazione locale indubbiamente assai elevata, in base agli standard di densità rilevabili in altre zone del Mediterraneo antico, sembra tuttavia non solo errato, ma semmai in grado di fornire paradossalmente, esso stesso, la migliore conferma di uno sviluppo produttivo intimamente legato alle realizzate possibilità di relazioni commerciali con aree anche lontane del Mediterraneo e che interessano i beni di più largo consumo. Ciò che si dimentica o si minimizza è che, per un verso, un' esportazione di vino dell' area pompeianovesuviana, sostenuta e continua (pur nella diversa incidenza quantitativa JONGMAN 1988,97-154. Ma si vd., contro questa conclusione, quanto osserva SENATORE 1998, in base ai dati relativi alle ville più recentemente indagate della piana del Sarno. 19 JONGMAN 1988 e lett. ivi; ma cfr. Lo CASCIO 1994c, 120 sg. 17
IX
Il. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
219
che assumono, nel tempo, le quote destinate ai vari mercati di sbocco), verso varie zone dell'impero mediterraneo di Roma, soprattutto a occidente e in particolare verso la Gallia meridionale, oltre che, ovviamente, verso l'enorme centro di consumo rappresentato da Roma - una città di forse un milione di abitanti -, risulta incontrovertibilmente dalla documentazione delle anfore vinarie: dalle greco-italiche alle Dressel l, alle DresseI2-420; e si dimentica che conosciamo da questa documentazione alcuni dei nomi delle famiglie dei produttori ed esportatori pompeiani di vino e che esse appaiono appartenere al gruppo, all'interno dell' élite, che sembra avere avuto il controllo «politico» della città": che una di queste famiglie, fiorente in età augustea, ha addirittura dato il suo nome a uno specifico vitigno «di abbondanza» 22; che lo stesso carattere di «vino di abbondanza», di non grande qualità, che ha una parte del vino di queste zone ne suggerisce una quantitativamente cospicua produzione ed esportazione come vino, appunto, di basso costo+'; che una produzione quantitativamente non trascurabile e più naturalmente destinata a una commercializzazione nella stessa città è quella delle vigne di cui si è potuta ingegnosamente individuare la localizzazione all'interno della stessa cinta urbana 24; che l'eruzione del Vesuvio e la distruzione generalizzata della viticoltura della zona sembra essere stata la causa di una temporanea crisi di sottoproduzione vinicola nella penisola, destinata ad avere effetti di rilievo sullo stesso lungo periodo 25 • Di fronte alle prove inoppugnabili di una commercializzazione del vino pompeiano in aree distanti dalla città campana, l'astratta argomentazione che si vuole fare valere contro la tesi di una sua forte esportazione può ben essere oppugnata, supponendo che, se Pompei produce troppo vino per potere produrre grano in misura adeguata ai propri consumi interni, è perché il grano che serve ai propri consumi interni lo fa venire da fuori: lo importa, per esempio, com' è stato assai ragionevolmente supposto, da Pozzuoli, luogo di arrivo, sino all' età di Claudio e ancora successivamente, del grano provinciale, soprattutto africano ed egiziano, destinato all'annona di Roma26• La comparazione con la situazione della Campania nella prima età moderna, d'altra parte, appare proprio per questo aspetto non pienamente legittima, se è vero che l'Italia tra I secolo a. C. e 1986, 45-48, 127, 176-177. 1979,95; 1986,45-47. 22 Si tratta degli Holconii, dal cui gentilizio deriverebbe la vite Holconia o Horconia, Col. de agro 3. 2.27; Plin. N.H. 14.35, cfr. TCHERNIA 1979,88; 1986, 177. 23 TCHERNIA 1979, 88. 24 J ASHEMSKI 1979. 25 TCHERNIA 1986,230-233. 26 ANDREAU 1994. 20
TCHERNIA
21
TCHERNIA
220
CRESCITA E DECLINO
I sec. d. C. ha una posizione di preminenza nel mondo mediterraneo, una posizione «imperialistica», che ha il suo ovvio risvolto anche sul piano dei rapporti economici con le province27• Accettare la realtà di una consistente importazione di grano nella città vesuviana, alla quale corrisponde un'esportazione parimenti consistente di vino, equivale, com'è ovvio, appunto, a porre seriamente in discussione l'utilizzabilità del modello della «città consumatrice» nell' interpretazione dell' economia della città campana. Un ragionamento analogo, e sempre nella medesima chiave interpretativa, è stato fatto per minimizzare l'apparentemente consistente produzione della lana e dei panni di lana 28. La presenza di una cospicua «industria» di filati e tessuti viene, anzitutto, contestata con l'argomento che la stessa limitata estensione del territorio pompei ano impedirebbe di congetturare la presenza in esso di un cospicuo allevamento ovino (nonostante che taluni luoghi delle fonti letterarie, tra cui il già citato passo di Seneca a proposito del terremoto, parrebbero fare riferimento all'esistenza di greggi di pecore nella zona) e che, mancando la «materia prima» in loco, sarebbe difficile ipotizzare una produzione cospicua per un mercato esterno alla città. L'argomento è anche in questo caso per certi versi circolare: per sostenere che l'economia pompeiana non ha rapporti intensi con l'esterno, si contesta che le dimensioni dell'allevamento entro i confini del territorio pompei ano o nelle aree contigue sia sufficiente ad alimentare un' «industria» della lana in grado di soddisfare una domanda che superi quella locale; e viene a essere esclusa, con argomentazioni tutt' altro che persuasive, la possibilità che la materia prima in questione, la lana, possa provenire dalle aree interessate dal grande allevamento transumante, quell' allevamento di cui si è messa in rilievo la trasformazione, con la fine dell'età repubblicana, per l'appunto in senso «quasi industrializzato». La localizzazione della città di Pompei allo sbocco della valle del Sarno, peraltro, rende del tutto verosimile che in essa si sia potuta concentrare un' attività di trasformazione della lana. Gli altri argomenti che si fanno valere contro l'idea di una presenza a Pompei di un' attiva e cospicua «industria» della lana e dei panni di lana pertengono all'interpretazione della documentazione archeologica. Documentazione che è stata ancora recentemente intesa come quella che testimonia l'esistenza in Pompei di «stabilimenti» nei quali si svolgono, con criteri organizzativi che parrebbero rivelare un'accentuata razionalità, le varie fasi di un intero processo produttivo: dalla tosatura e la-
27 2X
Cfr. Lo CASCIO 1991,358-365. 1988, 155-186 (contra
JONGMAN
MOELLER
1976).
II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
221
vaggio e tintura della lana, alla filatura e tessitura, alla tintura e sbianca dei tessuti, alla follatura, alla feltratura 29. Ora, se anche le destinazioni proposte per talune di queste «botteghe» possono suscitare qualche dubbio - come nel caso di quelle che si sono definite officinae lanifricariae, gl'impianti dove sarebbe stato effettuato il lavaggio della lana grezza"-, la rilevanza quantitativa e le dimensioni di quelle che appaiono essere indubitabilmente delle fullonicae sembra escludere una loro utilizzazione volta esclusivamente a rispondere alle esigenze della popolazione locale. Si è voluto stimare in una cifra tra le settecento e le mille unità il numero complessivo degli addetti 31: una proporzione consistente, dunque, della forza lavoro complessiva presente nella città, ben confrontabile con la proporzione degli addetti alle manifatture tessili nelle città fiamminghe o in Firenze nel quattordicesimo secolo. Si è fatta l'ipotesi ragionevole che l'intero processo produttivo stia sotto il controllo di una potente corporazione di «industriali» della lana, ifullones. Sono ifullones che dedicano una statua a Eumachia, sacerdos publica e rappresentante di una delle famiglie più in vista della Pompei di età augusteo-tiberiana 32, fortemente coinvolta così nella produzione del vino come in quella figulina, e legata da vincoli di parentela e/o di interessi con le altre importanti famiglie pompeiane dell'epoca. Eumachia è moglie di M. Numistrio Frontone, forse duoviro nel 2/3 d.C.33 ed esponente di una famiglia, originaria verosimilmente di Numistro (e cioè Muro lucano?), che deve avere avuto notevoli interessi nell'allevamento ovino. E la statua in questione è collocata nell' edificio da lei costruito: un edificio di grande rilievo, se non altro per le sue dimensioni e la sua collocazione.". La specifica funzione dell' edificio resta molto discussa: v' è chi vi ha voluto riconoscere una [ullonica; chi ha visto nel chalcidicum uno spazio destinato alla vendita all'asta della lana e dei panni di lana, nella porticus e nella crypta gli spazi consacrati alla vendita al dettaglio; chi, interpretando la funzione dell' edificio in questo medesimo senso, ne ha proposto un confronto con i bazaar orientali; chi vi ha visto la «guild hall», la sede della corporazione dei fullones, dove essi si incontrano e hanno anche i loro uffici e magazzini, e la borsa per la lana e per i tessuti, dunque per la vendita all'ingrosso: una funzione evidentemente legata all'ipotesi di un grosso
1976. Officinae lanifricariae: MOELLER 1976; contra JONGMAN 1988, 167-169. 31 MOELLER 1976, 81. 32 C/L X, 813 (= /LS 6368). 33 Se non si tratta dell'omonimo figlio che dedica con la madre l'edificio a Concordia Augusta e a Pietas: C/L X, 810 (= /LS 3785); cfr. CASTRÉN 1975,95. 34 Sull'edificio ZANKER 1993, 105-110; LAURENCE 1994,28. 29 30
MOELLER
222
CRESCITA E DECLINO
movimento di import-export di lana e vesti di lana". Quest'ultima interpretazione appare certo eccessivamente modernizzante. Ed è vero pure che gli studi più recenti tendono o a negare addirittura una qualsiasi funzione utilitaria per l'edificio o a negare, comunque, che una tale funzione utilitaria debba essere vista come connessa con le attività deifullones36• Non per questo tuttavia dovremmo considerare tali attività come di scarso rilievo e solo rivolte a soddisfare esigenze locali. È interessante il confronto che si è voluto recentemente istituire tra la documentazione archeologica pompeiana relativa alle fullonicae e agli altri impianti per le manifatture tessili, e quella della città di Fregellae, colonia latina della valle del Liri, collegata attraverso il fiume con il porto di Minturnae, che nel corso del II secolo e prima della sua distruzione avvenuta nel 125 a.C., avrebbe assistito a un'analoga espansione dell'attività tessile, che avrebbe lasciato un'impronta urbanistica evidente."; il confronto è interessante, anche perché il processo sarebbe collegato a Fregellae, come forse a Pompei nei decenni che seguono la colonizzazione sillana, a una modificazione nella struttura demografica della comunità; proprio a questi decenni andrebbe per molti versi anticipata, a Pompei, la «riconversione di gran parte dell'abitato entro le mura in senso produttivo» 38, che risulta, come si è visto, ancor più evidente per l'ultima sua fase di vita. Il caso del vino e il caso della lana sono indicativi, dunque, di quelle che appaiono essere le caratteristiche più singolari, ma nello stesso tempo anche più tipiche, della vita economica di Pompei nel periodo della sua massima fioritura, tra i due eventi epocali della colonizzazione e del terremoto: caratteristiche che dipendono dalla sua localizzazione economicamente «centrale» all'interno dell'impero mediterraneo di Roma, che vuoI dire dal suo essere pienamente inserita in quel processo di crescita dell'Italia romana, che porta la penisola, attraverso la precocità del suo sviluppo in senso mercantile, a una posizione di primato economico, che corrisponde alla posizione di primato politico ". La distruzione di Pompei, si potrebbe dire, impedisce di rilevarvi le tracce del progressivo venir meno di questa posizione di primato, cui corrisponde la crescita delle province, soprattutto occidentali. Si comprende, a questo punto, come Pompei sia stata considerata - e non solo per la qualità e quantità tutt' af-
35 36 37 3X 39
Cfr. MOELLER 1972; JONGMAN 1988, 179. TORELLI 1998; FENTRESS 2005, parto 225-229. COARELLI 1991. COARELLI 1991, 182. Lo CASCIO 1992.
Il. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
223
fatto singolari della documentazione che offre - come la città esemplare per studiare la forma, per certi versi, economicamente più evoluta alla quale perviene il fenomeno urbano nel mondo antico, quella nella quale trovano la loro utilizzazione gli strumenti più sofisticati ai quali è stata in grado di ricorrere l'economia romana nelle aree e nei periodi della sua più spinta mercantilizzazione e monetarizzazione. Ai due lati del chalcidicum dell' edificio di Eumachia si ergono due piattaforme, una delle quali ha dei gradini per salirvi; sulla funzione della piattaforma sembra essersi realizzato un più largo consenso che per quanto riguarda il resto dell' edificio: la si intende come il luogo deputato alle vendite allincanto ". Nelle medie città dell'Italia le vendite all'asta rappresentavano uno strumento fondamentale attraverso il quale trasferire le proprietà più varie: dagli immobili agli schiavi. L'utilizzazione di questo strumento era peraltro favorita dalla diffusione dell'uso del credito d'asta. Pompei ha restituito, a questo proposito, una documentazione qualitativamente, e in qualche modo anche quantitativamente, d'eccezione nelle tavolette cerate ritrovate al secondo piano della casa del «banchiere» L. Cecilio Giocondo, una bella casa spaziosa che, danneggiata dal terremoto, è stata restaurata (e tra l'altro ha restituito due rilievi nei quali sono rappresentati alcuni edifici pompeiani nell' atto stesso di crollare in conseguenza del sisma): tavolette, in forma di dittico o di trittico, che contengono 153 documenti, 137 dei quali riproducono le apochae, le «ricevute» rilasciate, davanti a testimoni, a Giocondo, nella sua qualità di coactor argentarius, per pagamenti da lui effettuati a venditori in vendite all'incanto, dunque per somme di denaro che egli ha anticipato ai compratori; i restanti documenti sono le ricevute rilasciate da uno schiavo pubblico della città di Pompei a Giocondo per pagamenti da lui effettuati all'amministrazione della città, per l'appalto di un'imposta o per l'affitto di una proprietà immobiliare appartenente alla città, ad esempio una fullonica. Le ricevute rilasciate dai privati contengono l'indicazione dei nomi dei venditori (e in un caso anche quella del nome del compratore), dell'ammontare della somma versata da Giocondo, talvolta (ma purtroppo non spesso) dell'oggetto della vendita, nonché, elencati in un ordine che non sembra essere casuale, i nomi dei «testimoni» con i loro sigilli. I documenti si scaglionano nell' arco di cinquant' anni, dal primo, del 15 d.C. (nel quale il «banchiere» rappresentato non è Cecilio Giocondo ma L. Cecilio Felice, forse suo padre) all'ultimo, datato al gennaio del 62 d.C., ma la stragrande maggioranza e comunque tutte quelle relative ai prestiti effettuati a privati per le vendite all'incanto si riferiscono a 40
Cfr.
MOELLER
1972,326;
ANDREAU
1974,78-80;
JONGMAN
1988, 181-182.
224
CRESCITA E DECLINO
un periodo di tempo assai più breve, tra il 54 e il 58. La ragione per la quale siano state conservate queste ricevute e non altre dell' archivio del banchiere è ignota, come è terreno di mera speculazione la ragione per la quale non si trovino documenti datati successivamente al terremoto!'. Al di là della loro formulazione, che ci informa circa tutta una serie di questioni attinenti alla ricostruzione della natura giuridica delle transazioni, nonché, come si vedrà, attraverso le deduzioni che è possibile trarre dall' ordine nel quale i testimoni sono indicati nelle tavolette, circa la specifica struttura della società pompeiana nei suoi vari segmenti, i documenti in questione ci dànno un'indicazione preziosa a proposito della funzione economica specifica che il credito d'asta assume nella specifica realtà mercantile dell' occidente romano: che è quella stessa alla quale assolve, nelle economie mercantili più sviluppate e sofisticate, lo sconto commerciale. Un «banchiere» come Cecilio Giocondo, dunque, non solo aiuta genericamente con la propria attività lo sviluppo delle transazioni commerciali, offrendo l'ovvia facilitazione che un'attività di intermediazione bancaria in ogni caso fornisce agli scambi (anche in assenza di una vera e propria creazione di «negotiable instruments» )42, per il fatto che fa crescere, comunque, la quantità economica di moneta; ma aiuta questo sviluppo delle transazioni commerciali - e di un certo tipo: quelle che molto spesso direttamente promanano dalla stessa attività produttiva - attraverso uno strumento specifico qual è appunto il credito d'asta. Chi sono i clienti di Giocondo e quali gli ammontari monetari dei crediti che egli fornisce? quali gli oggetti per la vendita dei quali egli presta il denaro? I servizi di intermediazione bancaria forniti da un banchiere come Giocondo, per la stessa sostanziale tenuità delle somme in questione, che è possibile leggere in una minoranza dei documenti - la più elevata è quella di poco più di 38.000 sesterzi, ma la maggior parte si situa tra qualche centinaio e qualche migliaio di sesterzi -, non sono certo quelli di cui si servono i gruppi economicamente e socialmente più elevati dell'impero, l'élite che appartiene ai due ordini privilegiati dei senatori e dei cavalieri; 1'entità dei patrimoni e le corrispondenti necessità finanziarie di senatori e cavalieri escludono ovviamente che essi abbiano bisogno di ricorrere a banchieri della taglia di Giocondo; le linee di credito cui possono attingere sono, peraltro, quelle loro aperte da appartenenti al loro stesso milieu, che possono contare su analoghi mezzi finanziari (come testimonia, ad esempio, 1'epistolario ciceroniano). Sembra viceversa esservi una larga corrispondenza sociale ed economica tra
41
42
Sulle tavolette di Cecilio Giocondo Supra, 196 sg.
vd.
ANDREAU
1974.
II. LA VITA ECONOMICA
E SOCIALE
A POMPEI
225
Giocondo e i suoi clienti: che sono, perciò, gli esponenti dell' élite municipale e i proprietari terrieri di media fortuna, nonché - e nella misura in cui da questi ultimi si distinguono - i commercianti all'ingrosso e al dcttaglio ". Interessante al riguardo la connessione temporale che sembra di poter rilevare a Pompei tra i giorni in cui vengono effettuate le transazioni cui Giocondo fornisce il proprio supporto finanziario e i giorni del mercato periodico nella città: un mercato che si svolgeva un giorno ogni sette, il sabato, come ci informa un graffito (mentre si teneva la domenica a Nuceria, il lunedì ad Atella, il mercoledì a Nola e così via):". Dalla connessione delle vendite all' asta col mercato periodico si deduce anche quale sia il tipo di merci messe all'asta: oltre ai beni più vari occasionalmente venduti direttamente dai proprietari, ad esempio dopo l'acquisizione di un' eredità, e oltre ai prodotti agricoli venduti, questa volta su base di regolarità, da chi aveva la proprietà o la gestione di un fondo, le aste riguardavano le vendite prevalentemente all'ingrosso effettuate dai commercianti. Le informazioni che ci dànno, a questo riguardo, le tavolette sono esigue: i beni oggetto delle transazioni ricordati dalle tavolette sono, ad esempio, un mulo, degli schiavi, degli oggetti di legno, del tessuto di lino ". Ma tuttavia è su questo livello qualitativo e quantitativo di beni nonché di prezzi che di fatto si svolge il grosso della vita economica di una municipalità di medie dimensioni qual è Pompei. Interessanti indicazioni, al riguardo, possono dedursi, per un verso, dalla stessa documentazione offerta dai rinvenimenti monetari nel suo aspetto quantitativo; per un altro verso, da una testimonianza singolare come i graffiti con l'indicazione dei prezzi di beni di prima necessità. I rinvenimenti monetari pompei ani 46 - quelli soprattutto nella forma di piccoli gruzzoli ritrovati in contenitori accanto o sui corpi delle vittime dell'eruzione, non certo un grande tesoro di aurei quale quello scoperto nella villa di Boscoreale." - rappresentano un tipo di documento del tutto peculiare, rispetto ai ripostigli rinvenuti altrove, nella misura in cui rappresentano spesso non già il risultato di una vera e propria tesaurizzazione, ma le piccole somme detenute in forma liquida per le necessità di spesa quotidiane. In questo senso rappresentano certamente un campione assai significativo di quella che doveva essere l'effettiva circolazione. Ciò che si rileva è anzitutto la ANDREAU 1974, 304. Sui cosiddetti indices nundinarii del Lazio e della Campania in part. STORCHI MARINO 2000 e la letteratura ivi citata. 45 ANDREAU 1974, 103-111; cfr. JONGMAN 1988,216-224. 46 Per una sintesi di tali rinvenimenti vd. BREGLIA 1950; POZZI PAOLINI 1975; cfr. DUNCAN-JONES 2003; TALIERCIO MENSITIERI (a c. di) 2005; CANTILENA (a c. di) 2008; vd. pure, ora, ANDREAU 2008. 47 BARATTE 1985. 41 44
226
CRESCITA E DECLINO
netta prevalenza della moneta enea, di più scarso valore unitario e dunque destinata alle piccole transazioni quotidiane, rispetto a quella argentea e ovviamente a quella aurea 48. Ciò che ancora si rileva è la sostanziale modestia degli accumuli di moneta. Entrambe queste caratteristiche della circolazione a Pompei, se dànno un'idea della penetrazione dello strumento monetario nella vita di tutti i giorni, dunque della monetarizzazione accentuata dell' economia, valgono anche a spiegare perché il livello della liquidità dovesse essere sostanzialmente basso, tanto da richiedere l'utilizzazione di forme di credito abbastanza sofisticate quali quelle rivelate dalle tavolette di Cecilio Giocondo. La testimonianza dei graffiti è tutto sommato coerente con quella offerta dalle monete, nella misura in cui rivela un livello dei prezzi dei beni di prima necessità sostanzialmente contenuto, in linea, peraltro, con le retribuzioni della manodopera (ad esempio dei giornalieri): si va dai 4 sesterzi per un modio di frumento (circa 6.5 kg., una quantità pari a un quinto di quella che costituiva la razione mensile distribuita gratuitamente a Roma e che era assai più che sufficiente per il consumo di una persona), a l sesterzio per una libbra d'olio (circa 325 gr.), a l asse (e cioè 1/4 di sesterzio) per una porzione di vino comune (mentre l sesterzi o costava l'assai pregiato Falerno), ai 2 assi-4 sesterzi della tariffa per una prestazione sessuale. Una nota della spesa per nove giorni e per le necessità di tre persone suggerisce un esborso giornaliero medio di circa 6 sesterzi 49. Per fare un confronto, si può osservare che, al tempo dell' eruzione, un soldato legionario romano riceveva uno stipendium annuo di 900 sesterzi, sul quale venivano operate le ritenute che servivano a pagarne il vitto e il vestiario". La modestia delle somme delle transazioni alle quali interviene Cecilio Giocondo, a paragone dei redditi delle grandi fortune dei magnati romani o delle retribuzioni dei grandi burocrati del ceto equestre, non può dunque considerarsi indicativa di un' economia mercantile sostanzialmente asfittica, ma semmai della tenuità delle somme che vengono tenute in forma liquida. Non sarà fuor di luogo rammentare, peraltro, che già in età cesariana era in vigore una norma, non sappiamo quanto efficacemente fatta rispettare, che limitava a 60.000 sesterzi la quota del patrimonio che era lecito appunto detenere in forma di contante.". Il pa4X
Ovviamente
in termini di numero di pezzi, non in termini di valore: si vd. in parto DUNCAN-JONES
2003. BREGLIA 1950, 50-53. Ora Lo CASCIO2007a, 637-8, e letto ivi. 51 Cassio Dione, 41.38. l; la tenuità della somma è tale che HARRIS2008, 177 sg., vorrebbe trovarne la conferma del fatto che la moneta coniata non deve essere stata l'unica forma di moneta a disposizione e che appunto la misura era volta a incentivare i detentori di moneta coniata a utilizzare le proprie riserve liquide nel prestito a interesse. 49
50
II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
227
ragone tra i grandi patrimoni, e i corrispondenti redditi, dei senatori e dei cavalieri e quello che appare essere il livello del giro di denaro a Pompei è peraltro indicativo di una società nella quale la distribuzione della ricchezza è estremamente squilibrata, e la distanza in termini di individuali fortune tra gli appartenenti agli ordines privilegiati e le stesse élites municipali resta assai forte, anche se alcuni degli esponenti di queste élites accumulano ricchezze tali da potere finanziare importanti operazioni evergetiche, come certo accade anche a Pompei, o da consentire loro, col favore imperiale, l'accesso all'ordine equestre. Ma è lecito individuare in queste élites municipali una sorta di ceto medio, non pur al livello della ricchezza, ma anche - si potrebbe dire - in termini di mentalità? In che misura queste élites municipali possono considerarsi socialmente aperte, pronte a garantire il ricambio al proprio interno, disposte ad accogliere nel proprio seno chi fa una certa fortuna, anche se proviene da umili origini o addirittura ha un' ascendenza servile? Per tentare di ricostruire le caratteristiche, e i limiti, della mobilità sociale in una società fortemente segnata anche sul piano delle strutture mentali dalla mera esistenza della schiavitù, dello schiavo come oggetto di acquisto e di vendita sul mercato (quale che ne sia la rilevanza quantitativa), la documentazione pompeiana, nella sua ricchezza e varietà, e dunque nella sua singolarità, sembra apparentemente offrire un saldo fondamento. E tuttavia proprio queste caratteristiche e questi limiti della mobilità sociale, nonché della sua stessa valutazione etico-politica, o «ideologica», continuano a costituire un terreno di accesa discussione, in un dibattito che trascende ovviamente la filologica interpretazione del dato pompeiano, ma che talvolta di tale dato fa tuttavia il suo punto di partenza. Volendo schematizzare, si può dire che si affrontino sostanzialmente due punti di vista. Uno è quello di coloro che, prendendo alla lettera talune dichiarazioni delle fonti antiche che più e meglio sembrano riflettere l'ideologia dei ceti dominanti, vi ravvisano una netta distinzione, si potrebbe dire, tra una valutazione del tutto positiva del possesso della ricchezza fondiaria come condizione necessaria, anche se non sufficiente, per garantire al singolo un posto elevato nella gerarchia sociale, e una valutazione viceversa negativa dell' arricchimento, se e in quanto ottenuto attraverso strumenti che non si confanno all'etica di ceto dei gruppi dominanti, nonché, e ovviamente, di qualsiasi attività volta al guadagno che si configuri come svolta in condizioni di dipendenza personale.": la 52
Cfr. FINLEY 1974, in part. 63-76.
228
CRESCITA
E DECLINO
differenza fra chi ha e chi guadagna - si è osservato da parte di uno studioso moderno, sulla base di una suggestione letteraria - la fa la terra 53. La conclusione che se ne trae è che, essendo l'ereditarietà dello status un caposaldo dell' ideologia dei gruppi dominanti a Roma, vi è una certa resistenza alla mobilità e che il ricambio sociale, nei limiti in cui e quando si realizza, comporta comunque l'acquisizione, da parte di chi si è elevato socialmente, di un patrimonio fondiario e, assieme e, si potrebbe dire, corrispondentemente, l'acquisizione del medesimo sistema di valori dei ceti proprietari. Un atteggiamento da «imprenditore», quello di chi si dedica in prima persona ad attività lucrative, al commercio e alla manifattura, sarà allora consentito a chi non fa, o non fa ancora, parte, del milieu più elevato, ma, una volta che la promozione sociale è avvenuta attraverso il conseguimento della ricchezza fondiaria, il promosso deve abbandonare la sua mentalità acquisitiva per ripiegare su quella del rentier>. Peraltro, l'acquisto di un patrimonio fondiario non è condizione sufficiente a garantire una compiuta accettazione da parte degli esponenti dell' élite, e si determinano, perciò, problemi di «dissonanza di status», come sono stati definiti 55: la stratificazione di una qualunque società complessa può essere misurata in base a vari criteri e il posto elevato nella gerarchia sociale che si consegue in base a un criterio può non essere parimenti elevato in base a un altro criterio; così, il possesso della ricchezza fondiaria non basta a garantire una posizione sociale di prestigio e viceversa. A ben guardare, il processo stesso della mobilità sociale può essere visto come una manifestazione di una situazione di «dissonanza di status»: ad esempio, laddove la ricchezza ereditata implica l'ereditarietà dello status, non la implica la ricchezza personalmente conseguita. In una società che ha mercificato il lavoratore prima del lavoro, il caso riguarda specificamente la persona che è di nascita non libera, la quale vede, almeno per sé, se non per i propri discendenti, fortemente limitate ovvero in qualche misura «incanalate» in determinate, specifiche direzioni le proprie possibilità di promozione sociale: così, allivello municipale, alliberto pervenuto a una certa prosperità si consente l'accesso non già alle magistrature e all' orda decurionum, al consiglio cittadino, ma a una carica connessa con l'esercizio del culto imperiale, dunque a «una carriera pubblica surrogata», com' è stata definita: quella dell' augustalità. La rappresentazione icastica, e parodistica, di un arricchimento, che, per farsi promozione sociale sia pur «bloccata», si fa acquisizione,
5.1 54 55
Cfr. VEYNE 1990,29. Cfr. Cic. de off. 1. 42. 151; JONGMAN 1988, 261-262. Sulla «dissonanza di status» vd. HOPKINS 1965 (ed anche 1983, capp. II e III)
II. LA VITA ECONOMICA E SOCIALE A POMPEI
229
in forma rozza e volgare, del sistema di valori di un' élite fondiaria, è quella del petroniano Trimalcione ". Il punto di vista contrapposto è quello di coloro che, pur riconoscendo la presenza di un atteggiamento, possiamo dire, anticrematistico nelle esplicite dichiarazioni ideologiche dei gruppi dominanti (come ad esempio in un luogo famoso del de officiis ciceroniano sempre citato a questo proposito 57), mettono comunque in rilievo, di tale atteggiamento, gli aspetti di infingimento: e ciò anche sulla base di confronti con altre situazioni premoderne, nelle quali, parimenti, alle esplicite dichiarazioni anticrematistiche non consegue un comportamento coerentemente anticrematistico. Ad avviso di questi studiosi, né il codice di comportamento dei ceti dominanti può considerarsi assolutamente monolitico, né la riluttanza a svolgere personalmente determinate attività è tale da impedire un coinvolgimento dell' élite, col proprio patrimonio, in queste attività, attraverso l'utilizzazione degli strumenti che la presenza della schiavitù personale, con la conseguente possibilità dell'individuale manomissione, è in grado di offrire: attraverso, cioè, l'utilizzazione, in queste attività, come agenti dei propri interessi, dei propri schiavi e liberti (che, pur liberi, comunque mantengono un rapporto di clientela sanzionato legalmente nei confronti dei propri ex-padronij ". Naturalmente questa diversa maniera di concepire il rapporto tra i modi di conseguire la ricchezza e lo status sociale significa anche una maniera diversa di porsi il problema della mobilità sociale, dei canali attraverso i quali si realizza, delle dimensioni in cui viene ad attuarsi nelle diverse realtà: da quella del grande centro dell'impero a quella della media municipalità italica o provinciale. Al di là della giuridica distinzione di status fra ingenui, e cioè nati liberi, e liberti, non sembra, in effetti, che a Pompei sia facilmente rinvenibile, nell' ambito degli abbienti, né una netta differenziazione fra un' élite fondiaria chiusa, che abbia anche il controllo della gestione della comunità, e i gruppi la cui fortuna dipende dall'esercizio di attività diverse da quelle agricole; né un dichiarato disprezzo per queste attività: tutt' altro. Il caso emblematico, a questo proposito, come si è ancora recentemente messo in rilievo, è quello della famiglia degli Umbricii Scauri. Uno dei due atri di una bella e signorile casa pompeiana presenta un pavimento a mosaico nel quale sono rappresentati quattro urcei, corredati ognuno da un'iscrizione che attesta che il contenuto degli urcei è il garum (la salsa 56 VEYNE 1990,23-27; ma si vd. ora quanto mi è sembrato di dovere osservare, a proposito di questa generale interpretazione, in Lo CASCIO 2007b. 57 Cic. de off. 1. 42. 150-151. 5K D'ARMS 1981; DI PORTO 1984.
230
CRESCITA E DECLINO
di pesce largamente usata come condimento dai Romani) prodotto, nelle sue varie qualità, nell' officina di Scauro ". Gli Umbricii, proprietarii della casa, «famiglia antica e benemerita a Pompei» 60, come sono stati definiti, sono indubitabilmente esponenti dell' élite: un'iscrizione funeraria commemora un magistrato municipale, un duovir, membro della famiglia, che ha ricevuto la particolare distinzione di essere onorato dall'orda con un funerale a spese pubbliche e con una statua equestre collocata nel foro?'. Ma gli Umbricii sono anche, come testimoniano i contenitori di garum rinvenuti, che recano il loro nome e quello dei loro liberti, i maggiori produttori pompei ani della salsa di pesce: una delle più importanti voci di esportazione dell'economia pompeiana". Si è messo in rilievo che la famiglia ha costantemente avuto interessi nel garum: se il mosaico è di età augusteo-tiberiana, l'iscrizione funeraria citata, posta, al figlio duoviro, dal padre, è databile attorno al 40; le iscrizioni sui contenitori di garum sono in larga misura di età flavia. Ora, è sintomatico che non vi sia, come testimonia appunto il mosaico nell' atrio di casa, alcun tentativo di occultamento dei fondamenti della ricchezza della famiglia, ma anzi una sua franca ostentazione. Non sembra, peraltro, che a Pompei sia rilevabile una netta «dissonanza di status» tra possesso della ricchezza e prestigio sociale. Si è voluta interpretare in questo senso una documentazione particolarissima qual è quella costituita dall'ordine nel quale firmano i testimoni nelle tavolette di Cecilio Giocondo: tale ordine, che sarebbe rispettato rigorosamente e sempre, rifletterebbe il rango sociale, e quest'ultimo dipenderebbe, piuttosto che dalla ricchezza, dalla condizione giuridica personale e dall' appartenenza, o potenziale appartenenza, alla cerchia dei magistrati e decurioni, come mostrerebbe l'ingegnosa utilizzazione, che è stata fatta, di sofisticate tecniche di analisi statistica del materiale in questione'". Ora, se è indubbio che l'ordine con cui i testimoni firmano i documenti di Cecilio Giocondo non è casuale, ma dipende, entro certi limiti, dallo status sociale (e un significativo luogo di Giovenale dimostra, appunto, come l'ordine con cui si firmavano i documenti contava?'), assai più discutibile, in base alla stessa documentazione, è, per un verso, che esso sia sempre e rigorosamente rispettato e, per un altro, che il rango sociale non venga in realtà misurato in base alla ricchezza, ma in base ad altri para-
59
CURTIS 1984.
60
LEPORE 1989, 144.
61
e/L
x
1024.
63
CURTIS 1988; vd. anche ETIENNE, JONGMAN 1988, 249-251.
64
Sat. 3. 81-82.
62
MAYET 1991.
II. LA VITA ECONOMICA
E SOCIALE A POMPEI
231
metri. Quel che si può dire è che c'è una certa corrispondenza tra ordine della firma e prestigio sociale, ma le contraddizioni a questo principio ci sono e sono consistenti. È interessante osservare come dall' analisi onomastica sembra potersi concludere che gl'ingenui rappresentano un'assoluta minoranza dei testimoni, ma che questa minoranza appartiene in larghissima misura all' élite municipale: e sono precisamente questi ingenui appartenenti all'élite a occupare i primi posti negli elenchi di testimoni. Fra tutti gli altri, gli augustales, e cioè l'élite dei liberti, hanno una posizione di preminenza, anche se non sempre rispettata 65. Si è perciò messo in rilievo che, in realtà, è possibile distinguere tra due gruppi di testimoni: gli appartenenti all' élite e tutti gli altri; e che un'interpretazione dell'atto del firmare quale «espressione ritualizzata dell'ineguaglianza sociale» appare francamente eccessiva. Né è possibile davvero ravvisare, in questo, la manifestazione di una «dissonanza di status» e mettere in tal modo in discussione il ruolo della ricchezza nel dare prestigio sociale'". Se, dunque, a parte il caso della nascita non libera, non sembra di rinvenire elementi che davvero frenino una compiuta ascesa sociale, se, potenzialmente almeno, la società pompeiana appare sufficientemente aperta, ci si può chiedere se vi siano strumenti per misurare quale poi sia in concreto il grado della mobilità sociale. Questi strumenti, entro certi limiti, in un caso fortunato come quello di Pompei, ci sono e sono, ovviamente, quelli forniti dall' analisi onomastica e prosopografica dei dati che fornisce una documentazione assolutamente sui generis, qual è quella offerta dell' epigrafia pompeiana. Non c'è bisogno di sottolineare quali e quante siano le informazioni che possiamo derivare da un complesso documentario affatto particolare qual è quello dei vari tipi di iscrizioni: dalle epigrafi lapidarie al numero sterminato delle iscrizioni dipinte che contengono i manifesti elettorali dei candidati alle elezioni municipali, 2600 scritte che rappresentano la maniera scelta per propagandare la candidatura da parte dei candidati alle elezioni municipali e da parte dei loro, differenziati, sostenitori e gruppi di sostenitori, per fare ad essa «pubblicità»: una maniera che, per noi moderni che solo a Pompei abbiamo modo di rinvenire una simile documentazione, appare assai singolare, anche se, per qualche aspetto, anche farniliare'". Al di là dei molti problemi che pone, al fine della valutazione della natura delle campagne elettorali in una media municipalità romana, dei 1974, 170-176,215-217. Cfr. JONGMAN 1988, 264-273. 67 Lo CASCIO 1992, 113-118; la discussione accesa: si veda in particolare MOURITSEN 1988; VIA 2002. 65
ANDREAU
66
sul significato e la funzione dei programmata è assai 1999; BIUNDO 1996; BIUNDO 2003; CHIA-
MOURITSEN
232
CRESCITA E DECLINO
loro contenuti e temi, questa documentazione, riferibile nella quasi totalità agli ultimi se non ultimissimi anni di vita della città, è assai interessante per stimare, in primo luogo, il grado dell' effettiva competizione e, attraverso esso, la misura entro cui è possibile a chi non faccia parte, per tradizione familiare, della classe dirigente, penetrarvi. Va, anzitutto, osservato che, nel caso di queste scritte riferibili agli ultimi anni di Pompei, i cosiddetti programmata recentiora, il numero di quelle per i candidati all'edilità, la magistratura che rappresenta il primo gradino della carriera municipale, è nettamente maggioritario, ammontando a poco più dei due terzi di tutte le scritte nelle quali la magistratura alla quale ci si candida è esplicitato, mentre assai inferiore è il numero delle scritte per le candidature al duovirato, il secondo gradino della carriera municipale, la carica alla quale potevano essere eletti coloro che avessero già ricoperto l'edilità. La stessa diversa distribuzione riguarda il numero dei candidati: nel caso dei programmata recentiora; i candidati all' edilità identificabili sono più del doppio rispetto ai candidati al duovirato?". Che più candidati e più scritte riguardino le elezioni all' edilità è quanto ci dobbiamo aspettare, se è vero che le elezioni al duovirato implicavano una scelta tra un numero inferiore di candidati tutti ex-edili e se le elezioni all' edilità erano il primo gradino per accedere alla magistratura e dunque all' orda: la propaganda elettorale doveva essere più insistente e meglio organizzata. La medesima conclusione, peraltro, sembrerebbe emergere dal confronto fra il rapporto di concentrazione nella distribuzione delle scritte fra i vari candidati all'edilità e il rapporto di concentrazione nella distribuzione delle scritte fra i vari candidati al duovirato. Questo rapporto risulta essere abbastanza più elevato nel caso delle scritte relative all' edilità, rispetto a quello delle scritte relative al duovirato. Detto altrimenti: la distribuzione delle scritte è assai più sperequata fra i vari candidati all' edilità di quanto non sia fra i vari candidati al duovirato: e questo parrebbe suggerire, appunto, ancora una volta, che le campagne per le elezioni all'edilità dovevano comportare un maggiore impegno nella propaganda, essere meglio e più organizzate. Queste peculiarità «statistiche», rilevabili nella documentazione fornita dai programmata, sembrano pertanto suggerire l'esistenza di un' effettiva, e accesa, competizione nel caso dell' elezione alla magistratura che, garantendo l'avvio della carriera politica e l'accesso all' orda, garantiva l'accesso alla stessa classe dirigente, all' élite. Potremo dedurne che la possibilità di un' ascesa sociale era in realtà assicurata, per lo meno a tutti coloro che avevano il censo richiesto per assumere le magistrature muni6X
Lo
CASCIO
1996b.
II. LA VITA ECONOMICA
E SOCIALE
A POMPEI
233
cipali e per divenire decurione? Per rispondere a questa domanda possiamo ricorrere a un altro tipo di analisi statistica, basata, questa volta, sulle iscrizioni, databili con maggiore o minore precisione, che ci conservano i nomi di coloro che sono stati magistrati della comunità. Un'analisi del genere parrebbe rivelare l'esistenza di un accentuato ricambio sociale, di un' ascesa continua di sempre nuove famiglie. Divisi i centosessant' anni di vita della colonia, dall' 80 a.C. al 79 d.C; in quattro periodi (rispettivamente, dall'80 al 30 a.C.; dal 30 a.C. al 14 d.C.; dal 14 al 40 d.C: dal 40 al 79 d.C.), quel che si rileva è che la proporzione delle famiglie che risultano attestate in uno solo di questi periodi risulta pressoché costante: il 70%. Una percentuale inferiore, ma non di molto, si rileva proprio là dove ce l'aspettiamo, e cioè nel caso del periodo 14-40 d.C,, che è più breve rispetto ai precedenti, mentre una assai maggiore si rileva nel caso dell'ultimo periodo, ciò che può bene spiegarsi: l'elevatezza della proporzione delle famiglie rappresentate solo in questo periodo è dovuta al fatto che non ce n'è un altro successivo, che le famiglie che erano salite solo ora al vertice della società pompeiana non avrebbero avuto, come la città, un lungo futuro davanti a sé69• Il fatto che la proporzione delle famiglie rappresentate, fra i magistrati della città, in uno solo dei periodi sia costante parrebbe rendere non del tutto plausibile la tesi, avanzata da qualcuno, secondo la quale, nel corso della storia della Pompei romana, vi sarebbero stati momenti di più accentuato ricambio dell' élite e momenti di maggiore immobilità. Il fatto che questa proporzione sia così elevata, il 70%, suggerirebbe che la mobilità sociale, nonostante i vincoli posti ad essa, doveva comunque essere abbastanza elevata. E tuttavia va osservato che un minimo di famiglie sono attestate in tutti o quasi tutti i periodi. Queste famiglie devono aver rappresentato il livello più elevato dell' élite 70: quello che, attraverso rapporti ad esempio di patronato, controllava, valendosi della propria forza di pressione nelle elezioni, l'accesso alla classe dirigente. Questa forza di pressione parrebbe doversi dedurre da tutta una serie di indicazioni che una testimonianza così significativa e «parlante» come quella dei programmata fornisce. Ma sarebbe immotivato, per questo, non attribuire autenticità a quella che, con colorita espressione, è stata definita «febbre elettorale» 71. Quali che fossero le ragioni per le quali ci si candidava a cariche pubbliche che, oltre al prestigio sociale, davano ben poco, e molto più richiedevano, in
69
Lo
711
MOURITSEN
71
ETIENNE
CASCIO
1996c, a proposito di 1988, 118. 1973,132-145.
MOURITSEN
1988, 112-117.
-234
CRESCITA E DECLINO
termini di personali impegni finanziari, e quali che fossero le motivazioni degli elettori nel dare il voto a un candidato piuttosto che a un altro, sembra certo che le elezioni a Pompei fossero l'occasione, e lo strumento, di una reale partecipazione popolare: quel che restava di più vitale - e non era poco - di quello spirito cittadino, e localistico, che la costruzione politica imperiale, un impero di città, non che spegnere, continuava ad alimentare come uno dei fondamentali suoi stessi supporti.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
Una caratteristica peculiare della moneta a Roma, dall'introduzione del sistema del denarius verso la fine del III sec. a.C. sino alla dissoluzione di questo sistema cinque secoli dopo (ma per certi aspetti anche nei vari sistemi che si susseguono nel secolo successivo), è il fatto che l'unità di conto abbia sempre corrisposto a una fisica moneta: dunque i prezzi espressi in unità di conto sono contestualmente espressi in una fisica moneta, che è l' «incarnazione» della stessa unità di conto (rappresentata, in linea di massima, dal sesterzio). La corrispondenza dell'unità di conto con una fisica moneta significa, peraltro, che i prezzi sono esprimibili sempre (e spesso sono effettivamente espressi) anche in tutte le fisiche monete presenti nel sistema: e questo perché i rapporti tra le varie monete sono fissi e non oscillanti, e non è mai attestato che il cambio di una denominazione con un' altra di un medesimo metallo o di metalli diversi, all'interno di ciò che si suole definire il mainstream coinage di Roma, preveda alcun aggio o alcun compenso per l'eventuale intervento di un cambiavalute I. Naturalmente diversa è la situazione nel cambio tra le denominazioni del mainstream coinage e le monetazioni provinciali o locali, diffuse sino alla metà del III secolo nelle province orientali 2. Ma anche qui è sintomatico che tra queste varie denominazioni e il denarius, la moneta-cardine del sistema, sia esistito comunque sempre un rapporto fisso di valore, o «statutario», com' è stato autorevolmente definito (a proposito dell' equivalenza tra denario e tetradrammo alessandrino )3: all'unificazione politica dell'impero corrisponde indubbiamente l'unificazione monetaria 4• La persistenza per parecchi secoli di un sistema monetario che comprende denominazioni in più metalli con rapporti di valore fissi fra di loro è stata resa possibile non solo dal fatto che la moneta è prodotta
l 2 3 4
P. es. Lo CASCIO 1993b, 157-58, n.3; diversam. P. es. Lo CASCIO 1981, 77-78. CALLU 1969, 186. Lo CASCIO 1994a.
DUNCAN-JONES
1994,70,
n. Il.
236
CRESCITA
E DECLINO
dallo stato in condizioni di monopolio, ma anche dalla capacità, da parte dello stato, di far rispettare la norma che vieta il rifiuto della moneta statale": l'accettazione sostanziale da parte del pubblico degli utilizzatori della moneta di una tale norma implica che l'autorità emittente può imporre il valore legale della moneta - la sua potestas'' o potentia 7 - anche se lo scarto tra tale valore nominale e il valore intrinseco è consistente. L'autorità emittente si è uniformata al parere espresso da una parte della giurisprudenza circa la natura della moneta 8, ed è anche riuscita a imporre questa nozione al pubblico degli utilizzatori: la moneta, in quanto «forma publica percussa», è pretium e non merx. Ed è peraltro significativo che merx, o accettato «loco mercis», sia per l'appunto il peregrinus nummus, la moneta straniera", che è quella che non può contare, per la sua accettazione, che sulla sua natura di pezzo di metallo dal peso e dal fino determinati. Per quanto riguarda la moneta d'oro e d'argento, questa possibilità che ha l'autorità emittente di variare entro certi limiti il contenuto metallico delle specie monetarie senza determinare problemi sul cambio ha fatto sì che il sistema monetario ha potuto essere, nei vari periodi, autenticamente bimetallico oppure caratterizzato da un bimetallismo zoppo "': non è mai stato un sistema nel quale, per potere continuare ad emettere alloro pieno valore intrinseco sia la moneta aurea che quella argentea pur in presenza di forti oscillazioni nella ratio AV:AR, sia stata necessariamente prevista la contestuale oscillazione nei rapporti di cambio fra la moneta aurea e quella argentea. Queste caratteristiche del sistema monetario romano vigenti per secoli sono quelle che fanno sì che i prezzi in moneta d'oro e i prezzi in unità di conto, sino a un certo momento - sino verosimilmente al momento della dissoluzione del sistema monetario romano, camminino del tutto parallelamente. Naturalmente questo non necessariamente vuol dire che a camminare paralleli ai prezzi in unità di conto siano anche i prezzi in oro: i prezzi espressi, cioè, in termini di peso d'oro. E questo non perché la moneta d'oro sarebbe stata anch' essa, come voleva Bolin Il, una moneta parzialmente sopravvalutata, ma perché la moneta d'oro subisce variazioni, ben individuabili, nel suo standard ponderale, e subisce anche, alla :;Lo CASCIO 1996a e 1ett. ivi. (,Gai. Inst. 1. 122; VoI. Maec. distr. 44. 7 AÉ 1973, 526. x Paul. in 0.18.1. 1 pr.; Lo CASCIO 1986; ') P1in. N.H. 33.46; VoI. Maec. distr: 45. IO Lo CASCIO 1981. Il BOLI N 1958.
STROBEL
2002,115
sgg. (=
STROBEL
2004, 50 sgg.).
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
237
fine del periodo, negli anni centrali del III secolo, una diminuzione del suo contenuto di fino 12. Le variazioni dello standard ponderale sono di modesta entità sino agl'inizi del III secolo. In seguito la discesa del peso è assai più accentuata. Restando fisso il valore in termini di unità di conto della moneta aurea, è perciò possibile calcolare, a partire dal suo peso nei differenti momenti, i prezzi in oro che corrispondono a quelli, attestati, in unità di conto: si possono, in teoria, costruire due serie di prezzi, in unità di conto e in oro. La difficoltà che si oppone a questo tentativo è, com' è ovvio, il fatto che non possediamo serie di prezzi in unità di conto, ma solo prezzi isolati, salvo che per un'area, l'Egitto; e la situazione egiziana potrebbe essere ritenuta non generalizzabile, non solo per le peculiarità della regione nella complessa realtà economica dell' impero, ma più specificamente perché l'Egitto è un'area monetaria in una qualche misura autonoma: in Egitto non circolano le monete aurea e argentea del mainstream coinage, ma circola una monetazione locale. La legittimità, tuttavia, del ricorso ai dati egiziani non pare venir meno per questo motivo: come si è detto, le monetazioni locali e provinciali erano legate al mainstream coinage da rapporti fissi di cambio, e, per quanto riguarda specificamente l'Egitto, per lo meno a partire dall'età di Claudio 13, dall'equivalenza, statutaria, di un tetradrammo con un denario, sicché è lecito convertire in sesterzi i prezzi espressi in dracme egiziane 14. Semmai si pone un altro problema, per il periodo che è oggetto del nostro interesse: l'incertezza che ancora regna circa un dato cruciale dell'evoluzione monetaria del III e del IV secolo, quello del valore in termini di unità di conto non solo della denominazione argentea destinata a rimpiazzare il denarius, e cioè la moneta introdotta da Caracalla e definita dai moderni antoninianus, e poi di quella, che è prodotta per sostituirla, creata da Aureliano, ma anche delle denominazioni auree dopo la riforma di Caracalla 15. Spiace che questa incertezza non venga messa, come dovrebbe essere messa, sempre in rilievo nei lavori che ancora di recente sono stati dedicati al problema della crisi monetaria del III secolo e alle sue cause e conseguenze 16, dando in questo modo per sicure conclusioni che rimangono congetturali. Va ribadito che noi non abbiamo alcuna sicura attestazione del valore che l'autorità emittente ha
MORRISSONe altri 1982; 1985, 81 sgg. Lo CASCIO 1984, 145, 190 n. 84. 14 Ciò di cui non sembra tener conto nella sua generale ricostruzione LENDoN 1990. 15 P. es. Lo CASCIO 1993a. 16 P. es. da HOLLARD 1995; sulle varie ipotesi prospettate circa il valore dell' antoninianus ora Lo CASCIO2003d; CORBIER2005, part. 333 sg. 12
13
238
CRESCITA E DECLINO
inteso attribuire all' antoniniano e all' aurelianiano e, quanto alla moneta d'oro, possiamo dire di avere una sicura attestazione del suo valore in termini di sesterzi solo sino a Severo Alessandro 17. Si può supporre, anzi, che verosimilmente dopo gli anni di Gallieno il governo imperiale abbia tollerato che la moneta d'oro avesse valutazione oscillante in termini di unità di conto nei rapporti dei privati fra di loro, anche se deve avere fissato comunque la sua potentia nel momento in cui procedeva con essa a un atto di spesa o nel momento in cui la incassava. Il fatto di ritrovare, nell' edictum de pretiis, la fissazione di un prezzo dell' oro «in barre o in moneta» significa non solo che la moneta d'oro viene concepita come di pieno valore intrinseco, ma anche che essa appare ormai in certo modo una merx tra le altre merces, e come tale si può stabilire anche per essa una valutazione massima 18. Se dunque conosciamo quali sono, come son fatte, quanto pesano, qual è la composizione metallica delle monete, non sappiamo, salvo che per una fase del periodo dioclezianeo o, al di là di questa data, per la moneta d'oro solamente, il rapporto che lega l'unità di conto con la fisica moneta. E semmai qualche luce circa il valore che queste denominazioni possono avere avuto può venire proprio, come si vedrà, dall'analisi dell' evoluzione dei prezzi in unità di conto. L'analisi congiunta dell' evoluzione dei prezzi in unità di conto e dei prezzi in oro ha per scopo, com' è ovvio, quello di chiarire cause e conseguenze dell'incremento dei prezzi nel corso del III e IV secolo e di permettere di valutare l'impatto che su di esso possono avere avuto i fattori monetari e reali: da un lato, la variabilità nella quantità d'oro (e d'argento) di cui ha potuto disporre, nelle varie fasi, l'autorità emittente e che ha determinato le sue scelte relative a quanta moneta produrre, di che peso e di che fino; o ancora le decisioni dell' autorità emittente in merito a quale potentia, e cioè a quale valore nominale, attribuire alla propria moneta e le reazioni del pubblico degli utilizzatori a tali decisioni; dall' altro lato, la dinamica della produzione, o cioè dell' offerta e della domanda globali di beni, se è vero che una congiuntura autenticamente inftazionistica può legittimamente definirsi appunto quella nella quale si determina uno squilibrio tra domanda e offerta globali. Ho affrontato questo tema in alcuni lavori degli ultimi anni: e sono le conclusioni ivi raggiunte che intendo ancora una volta verificare attraverso l'analisi congiunta dei prezzi in unità di conto e dei prezzi in oro.
17 18
Casso Dio 55.12.3-5, BUTTREY Lo CASCIO 1984, 1986, 1996a.
1961.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
239
Ha scritto il Jones concludendo un suo influente saggio su L'inflazione durante l'impero romano 19: «L'inflazione del III secolo fu di tipo normale. Fu la conseguenza dello svilimento e della moltiplicazione del numero dei pezzi in circolazione della moneta standard imperiale, il denario, e il processo inflazionistico fu relativamente lento ... L'inflazione del IV secolo fu più singolare. L'impero aveva ora due circuiti monetari, quello della moneta d'oro e quello della moneta di rame. Quest'ultima fu inflazionata a un ritmo e in una misura che trovano paralleli solo nel mondo moderno, e attraverso un metodo, parrebbe, analogo a quello della stampa della cartamoneta, assegnando arbitrariamente alle monete sempre più elevati valori nominali. Nello stesso tempo, lo standard di peso e di purezza della moneta d'oro venne accuratamente mantenuto e se ne accrebbe gradualmente il numero dei pezzi in circolazione, fin quando il governo non ebbe la possibilità di convertire in pagamenti in oro prelievi e versamenti in natura». La caratterizzazione proposta dal Jones dell'inflazione di quarto secolo sembra essere grosso modo da accogliere e in ogni caso è inevitabile la conclusione secondo la quale l'autorità emittente deve avere imposto un valore in termini di unità di conto sempre più elevato alla moneta che produceva, perché altrimenti non sarebbe in alcun modo giustificabile quell' incremento dei prezzi nominali di parecchie decine di migliaia di volte dall' edictum agli ultimi decenni del quarto secolo, che i documenti egiziani ci testimoniano. Va peraltro osservato che tale incremento dei prezzi nominali non è stato sempre graduale, ma è avvenuto in molti casi per salti, che, come ora si vedrà, sono bene individuabili. Rimane poi da intendere il perché l'autorità emittente sia ricorsa a questo sistema e se vi sia ricorsa sempre per un medesimo motivo. La caratterizzazione dell'inflazione di III secolo proposta dal Jones sembra, viceversa, alla luce delle più recenti indagini su moneta e prezzi nel III secolo, sostanzialmente errata, e per due ragioni di fondo: a) perché si può mostrare che non vi è relazione diretta tra riduzione del valore intrinseco (riduzione del peso o debasement) e incremento dei prezzi, ma anzi si può mostrare che i prezzi in unità di conto si sono mantenuti stabili per tutto il corso, sostanzialmente, del III secolo (durante il quale c'è diminuzione forte dello standard ponderale della moneta d'oro e grosso modo corrispondente diminuzione del valore intrinseco della moneta d'argento o di rame argentato di base), e questa stabilità si è protratta sino, giusto, al momento della riforma aurelianea 20; b) perché il salto
19 20
Trad. il. in JONES 1984,291. Lo CASCIO 1984, 1993a; in questo stesso senso RATHBONE 1996.
240
CRESCITA E DECLINO
del livello dei prezzi degli anni '70 del III secolo dev'essere anch'esso, per la sua stessa consistenza, imputabile a una modificazione del valore facciale della moneta pseudo-argentea di base, come lo sono, a giudizio di Jones, i salti del IV secolo: dunque a una ritariffazione in termini di unità di conto del tetradrammo alessandrino, che corrisponde a un' analoga ritariffazione del radiat021• Che la posizione di Jones sia da questo punto di vista errata lo mostra appunto, anzitutto, l'analisi dell' evoluzione dei prezzi in unità di conto. Ho costruito alcune tavole nelle quali vengono presentate le serie dei prezzi di alcune merci di base, scelte ovviamente perché si tratta di merci per le quali abbiamo informazioni sui prezzi più numerose, anche se si pongono problemi delicati di definizione della metrologia, e perché si tratta di merci di qualità abbastanza uniforme, anche se bisogna ovviamente tenere conto della possibilità di forti oscillazioni stagionali (che tuttavia, com'è ovvio, non influiscono sul trend di lungo periodo) ovvero del fatto che non tutti sono effettivi prezzi di mercato: le merci in questione sono il grano, l'orzo, il vino. Ho utilizzato i dati rinvenibili nella recente monografia di Drexhage 22 per il periodo sino al 284, alcuni pochi dati derivabili da Callu " per il periodo 284-301, i dati derivabili dall'edictum de pretiis e infine i dati che compaiono nella monografia su monetazione e inflazione nell'Egitto di Bagnall ", per il quarto secolo, con qualche ulteriore integrazione in base a documenti editi dopo la pubblicazione del libro di BagnalI. Come si può osservare dalle tabelle, si possono individuare i momenti nei quali vi è stato un salto nel livello dei prezzi: se si prescinde da quello che appare essere un raddoppio dei prezzi in età cornmodiana, peraltro riassorbito nei decenni successivi, si nota una decuplicazione negli anni '70 del terzo secolo, poi una quadruplicazione tra gli anni '90 del terzo secolo e i primi anni del quarto; ancora un incremento di almeno venti-trenta volte tra i primi anni '20 e il 338-40, che tuttavia sembra essere stato in qualche modo più graduale; infine un incremento di trenta-quaranta volte negli anni' 50 del quarto secolo. Per intendere la natura, e le cause, di ognuno di questi salti, è necessario confrontare l'evoluzione dei prezzi in unità di conto con l'evoluzione dei prezzi in oro: è in effetti questo confronto che sembra consentire di 21 Lo CASCIO 1984, 1993a; collega l'incremento dei prezzi alla riforma - ma facendo intervenire una ritariffazione nei confronti della moneta d'oro - anche RATHBONE 1996; la «spiegazione» fornita da LENDoN 1990, 112 sgg. (e vedi ora anche HARRIS 2006,22 sg.; HARRIS 2008, 204 sgg.) - il «collapse of popular faith» - non riesce a spiegare le dimensioni stesse, oltre che il carattere repentino, del salto. 22 DREXHAGE 1991 (vd. pure DREXHAGE 1987). 2.1 CALLU 1969,395 sgg. 24 BAGNALL 1985.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C. 241
individuare quale sia la motivazione che spinge, in ognuna delle occasioni citate, l'autorità emittente a imporre una nuova, e assai più elevata, potentia al numerario emesso e quali siano le conseguenze di quest' operazione sulla circolazione monetaria. Già il Mickwitz aveva tentato di costruire una serie dei prezzi in oro nell'Egitto tardoantico e bizantino": ma le informazioni di cui poteva disporre erano minori e soprattutto quel che gli mancava era il dato corretto del prezzo dell' oro e dell' argento nell' edictum. Più di recente, e proprio a seguito della pubblicazione dei nuovi frammenti da Aezani dell' edictum col prezzo dell'oro e dell'argento, Mrozek e sulla sua scia Corbier hanno tentato di stimare l'incremento, dal primo secolo a1301, dei prezzi di molte merci a confronto dell'incremento del prezzo dei metalli nobili 26. La conclusione della Corbier è che non c'è sostanzialmente inflazione dei prezzi in oro tra il primo secolo e il 301. Si possono sollevare tuttavia due obiezioni al procedimento adottato da Mireille Corbier: a) la prima è che, se si paragonano due prezzi, uno rappresentativo del primo secolo del principato e quello del 30 l, l'evoluzione degli stessi prezzi in oro viene a essere occultata: anche nell'ipotesi che i prezzi in oro nel primo secolo siano sul medesimo livello dei prezzi in oro nel 30 l, è possibile che essi non siano comunque rimasti costanti tra i due momenti considerati; b) la seconda è che non si tiene conto del fatto che il prezzo dell'oro nell'editto, come si può dimostrare.", è assai più basso dei prezzi dell'oro precedenti e successivi: che la struttura dei prezzi relativi quale si può dedurre dall' editto non è dunque quella dei rapporti di mercato presumibilmente vigenti nel 301, quanto meno per questo specifico aspetto del rapporto tra prezzo dell' oro (o dell'argento) e prezzi delle merci. In ogni caso poi i dati presentatici dalla Corbier non consentono di spiegare perché si arrivi all'incremento esponenziale dei prezzi: non consentono, vale a dire, di spiegare perché l'autorità emittente sia stata costretta a ritoccare in misura drastica il valore nominale della moneta che emetteva. Il procedimento adottato qui è diverso. Ho costruito più tavole relative ai prezzi di grano, orzo e vino, che consentano di paragonare nel corso del periodo considerato, e cioè il terzo e il quarto secolo, l'evoluzione dei prezzi in oro e l'evoluzione dei prezzi in unità di conto. Avevo effettuato un
25 MICKWITZ 1933; la finalità che lo studioso finlandese si proponeva era quella di definire non perché variassero i prezzi in unità di conto, ma quanto influisse sulla variazione dei prezzi in oro, e sul lunghissimo periodo, l'offerta stessa del metallo giallo; Mickwitz arrivava alla conclusione che il trend in crescita del prezzo dell'oro e la corrispondente diminuzione dei prezzi in oro fossero il risultato dell' «Inanspruchname des Goldes als Tauschmittel» e della diminuzione della sua disponibilità. 26 MROZEK 1980, tab. p. 239; CORBIER 1985; cfr. ora CORBIER 2005, part. 338 sgg. 27 Lo CASCIO 1993b; nello stesso senso BAGNALL 1989, 69 sg., e CARRIÉ 1993, 305 .
242
CRESCITA E DECLINO
esercizio analogo in un lavoro precedente.", ma non con dati dettagliati per il terzo secolo. In quel lavoro avevo preso in considerazione i dati dell' editto; nonché i dati derivabili da papiri di quarto e quinto secolo che presentassero, congiuntamente, il prezzo dell' oro (o in un caso dell' argento) e poi del solido e i prezzi delle merci. In assenza di dati analoghi per il III secolo, non ci si può basare che sulla valutazione del prezzo dell' oro derivabile dal valore in unità di conto della stessa moneta d'oro. Si è dunque preso il dato ricavabile dal peso della moneta aurea sino ai decenni centrali del III secolo e si è fatta la ragionevole ipotesi che la valutazione dell' aureus a cento sesterzi rimanga costante sino a quella data, pur in presenza di una progressiva e consistente diminuzione del suo peso ": dunque moltiplicando per 100 il numero di pezzi che sarebbero stati battuti con una libbra d'oro nei differenti momenti, si può calcolare il prezzo della libbra d'oro in sesterzi in tali differenti momenti. Con gli anni di Gallieno, la moneta aurea viene battuta, come pare, a molti diversi standard ponderali, perché la stessa discesa di peso ha determinato la proliferazione dei multipli: per questi anni si sono scelti, allora, due valori di prezzo per la libbra d'oro, un massimo e un minimo, che possano considerarsi quali limiti dell' arco dei valori computabili sempre a partire dal peso che ha il nominale aureo di base. La procedura presta certamente il fianco a critiche, ma non è interamente arbitraria, e in ogni caso l'alternativa è porre dei punti interrogativi al posto di cifre non interamente sicure. Per quanto riguarda il periodo successivo, e sino alla testimonianza offerta, per l'anno 300, dal secondo papiro di Panopoli (11.215-21), siamo ancora più al buio: in questo caso la serie dei prezzi in unità di conto egiziani, in quanto può essa stessa servire a scegliere fra interpretazioni rivali, ad esempio, della riforma aurelianea, può essa stessa fornire qualche indicazione di massima sul prezzo che l'oro deve avere raggiunto negli ultimi trent'anni del secolo; ma non ci si può nascondere l'intrinseca circolarità, in questo caso, dell' argomento posto alla base del calcolo. Ho fatto due ipotesi circa il valore dell' aureus, e dunque del prezzo della libbra d'oro, nel 269 (Claudio Gotico) e nel 276 (Tacito): rispettivamente 62.000 e 140.000 sesterzi. Come si vede, la prima delle due valutazioni, ma non la seconda, è troppo alta, e dunque i prezzi in oro risultano troppo bassi; vuol dire che il ritocco del valore della moneta d'oro non dev'essere stato, ancora nel 269, così consistente. Quali sono, dunque, le conclusioni più rilevanti che si possono trarre dall'andamento dei prezzi in oro e dal confronto tra esso e l'andamento
28 29
Lo Lo
CASCIO CASCIO
1993b. 1984, basato su
CALLU
1969.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C. 243
dei prezzi in unità di conto? La curva dei prezzi in oro mostra un'impennata negli anni di Marco e di Commodo. Nei decenni successivi i prezzi in oro scendono visibilmente, dal momento che ancora negli anni '60 del III secolo sono ai livelli del II secolo. Il successivo incremento, consistente, è quello rinvenibile nei prezzi in oro dell' edictum. Negli anni successivi si ha un nuovo decremento e poi un' oscillazione nel corso dei decenni centrali del quarto secolo; infine, i prezzi in oro del quinto secolo registrano una nuova diminuzione. Un salto nei livelli dei prezzi nominali che si può associare con assoluta sicurezza anche a un salto nel livello dei prezzi in oro è quello attestato, per il 191/2, da P. Cairo Goodsp. 30. L'ascesa dei prezzi nominali con Aureliano, di pressoché dieci volte, è preceduta da una notevole stabilità dei prezzi in oro nei decenni anteriori, e su un livello decisamente più basso che nel 191/2, o anzi da una tensione verso la discesa. Il forte incremento dei prezzi in oro attestato dall'editto non sembra corrispondere a un incremento dei prezzi nominali parimenti accentuato. Infine, né il salto di almeno venti-trenta volte dei prezzi in unità di conto tra i primi anni '20 del quarto secolo e il 338-40, né quello di trenta-quaranta volte negli anni' 50 del quarto secolo sembrano riflettersi in qualche modo nell' evoluzione dei prezzi in oro. Che cosa dobbiamo dedurre da questo confronto tra evoluzione dei prezzi in unità di conto ed evoluzione dei prezzi in oro, per i momenti più salienti? La corrispondenza tra ascesa dei prezzi nominali e ascesa dei prezzi in oro negli anni di Marco e di Commodo sembra attestare un spinta inflazionistica autentica. Mi è sembrato di dover sostenere altrove '" che né l'evoluzione, quantitativa e qualitativa, del mainstream coinage né quella del tetradrammo alessandrino sembrano giustificare tale ascesa dei prezzi come quella che conseguirebbe, quale reazione del pubblico degli utilizzatori della moneta, a un consistente incremento della sua quantità in circolazione e/o a una consistente riduzione del suo valore intrinseco. Le ragioni dell' ascesa dei prezzi devono rinvenirsi nell'evoluzione dell'economia reale: a partire dalla metà degli anni '60 l'impero entra in crisi per effetto delle guerre e soprattutto della pestilenza ed è questa crisi produttiva, in ultima analisi, a originare la spinta infìazionistica ". Perché la crisi produttiva a sua volta causata da una crisi demografica debba determinare una congiuntura inflazionistica, diversamente da quel che è potuto accadere in situazioni comparabili di crollo della popolazione (come nell'Europa di dopo il 1348), lo si può solo spiegare supponendo che l' incomprimibilità della domanda dello stato,
30 31
Lo CASCIO 1984, 146 sg.; si vd. pure LENDON 1990, 110. Lo CASCIO 1980b; 1991 b; questo parere è ripetuto da RA THBONE 1996.
244
CRESCITA
E DECLINO
e anzi il suo incremento, a fronte di una produzione decisamente calata, abbia causato quel forte squilibrio tra domanda e produzione globali che è ciò che innesca una congiuntura autenticamente inftazionistica 32:si è ora calcolato, da parte di Duncan-Jones, in un 70% l'incremento delle spese dello stato tra il 150 e il 215 d.C.33 L'innalzamento del livello dei prezzi in unità di conto con Aureliano, preceduto da un decremento consistente dei prezzi in oro dal livello raggiunto alla fine del secondo secolo, non può in alcun modo spiegarsi soltanto come il portato di uno squilibrio tra produzione e domanda globali, o di un incremento nella quantità fisica di moneta in circolazione o della sua velocità, o di una reazione, da parte del pubblico dei fruitori, a un drastico peggioramento della sua qualità. Il debasement così accentuato del numerario argenteo nel corso dei decenni centrali del terzo secolo, che avrebbe raggiunto il suo nadir con l'antoniniano di Claudio II Gotico, sarà stato ovviamente determinato da un sempre più consistente deficit finanziario dello stato, coperto attraverso la riconiazione a sempre nuovi e peggiori standard di peso e di fino del poco numerario che tornava nelle casse statali: l'incremento così consistente del numerario emesso in questi anni che pare attestato dai ripostigli non va spiegato come il semplice portato di un pari incremento nel volume di moneta immesso nella circolazione, ma appunto come l'effetto di una sempre più rapida riconiazione del numerario incassato dallo stato: un numerario, peraltro, che tendeva a essere sempre quello peggiore in circolazione, se possiamo supporre (come credo che dobbiamo) che i contribuenti abbiano scelto di pagare le proprie imposte col peggiore numerario di cui disponevano. Il debasement sempre più accentuato della moneta avrà, peraltro, determinato un sempre maggiore apprezzamento dell' oro e dell' argento rispetto alle altre merci: e non può stupire, dunque, che questo apprezzamento si rifletta in una tensione verso l'alto del prezzo dell' oro o cioè verso il basso dei prezzi in oro delle merci. È possibile che vi sia stato anche un generale rallentamento dell' attività mineraria e che ciò abbia provocato la rarefazione dei metalli nobili 34,e dunque la crescita del loro prezzo in rapporto agli altri prezzi, una crescita che valeva almeno in parte a giustificare la diminuzione progressiva del valore intrinseco della moneta che si andava producendo. E tuttavia più importante mi sembra l'effetto che in questa stessa direzione deve avere avuto la tesaurizzazione da parte dei privati: se l'oro appare rarefarsi nel terzo secolo, non è solo
32
Lo
33
DUNCAN-JONES
34
DEPEYROT
CASCIO
1980b; 1991 b. 1994,45 tab. 3, 7. e HOLLARD 1987; HOWGEGO
1992.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
245
o sostanzialmente perché sia davvero raro, ma perché «il se cache» 35. Se dunque l' innalzamento del livello dei prezzi in unità di conto con Aureliano non è il portato di uno squilibrio tra produzione e domanda globali, o di un incremento nella quantità fisica di moneta in circolazione o della sua velocità, o di una reazione, da parte del pubblico dei fruitori, a un drastico peggioramento della sua qualità, è gioco forza concludere che esso risulti, in àmbito egiziano, da una ritariffazione del numerario alessandrino che ne moltiplica di almeno dieci volte il valore in termini di unità di conto. Ma poiché, come si è detto, l'equivalenza statutaria tra tetradrammo e denario e dunque tra dracma e sesterzio non viene mai meno e il denario-unità di conto continuerà ancora a essere pari a quattro dracme-unità di conto anche dopo la cessazione della coniazione dei tetradrammi, e ancora nei primi decenni del quarto secolo, è gioco forza supporre che la ritariffazione del tetradrammo non sia che il riflesso, in àmbito egiziano, di una corrispondente ritariffazione del numerario pseudo-argenteo di base del mainstream coinage": Questa conclusione vale, naturalmente, a escludere, mi sembra, tutte quelle interpretazioni della riforma monetaria aurelianea che presuppongono che il valore della nuova moneta in termini di unità di conto sia stato o eguale o inferiore o anche solo di poco superiore a quello dell' antoniniano che essa era designata a sostituire in molte, se non in tutte, le regioni dell'impero: una sostituzione che si voleva attuare, da parte di Aureliano, come ci dice Zosimo ", ritirando dalla circolazione il vecchio numerario che era kibdelon. E stupisce come, pur in presenza della prova inoppugnabile rappresentata dall' andamento dei prezzi egiziani, e senza sentire il bisogno di confrontarsi con questa prova, si continuino a prospettare, di tale riforma, interpretazioni che risultano evidentemente contraddette dalla documentazione sui prezzi 38. Più difficile è interpretare il significato del salto del livello dei prezzi successivo, quello che si colloca tra gli anni '90 del terzo secolo e 1'edictum: quello, per l'appunto, che ha determinato il tentativo, senza confronti, di una regolamentazione capillare dei prezzi da parte di un grande stato imperiale. Il prezzo in oro delle merci risulta assai elevato - ma non più di quello degli anni di Commodo: e tuttavia, come si è osservato e come sembra confermato dai prezzi immediatamente precedenti e successivi, tale elevatezza dei prezzi in oro è presumibilmente un fatto artificiale: risulta essa stessa dalla volontà del governo tetrarchico 1979,216 sg. 1984; 1993a; così pure RATHBONE 1996. 1. 61. 3. CUBELLI 1992; HOLLARD 1995; ESTlOT 1995.
35VEYNE 36 37 38
Lo
CASCIO
246
CRESCITA E DECLINO
di mantenere basse le valutazioni dei due metalli nobili, per garantire un rapporto di cambio non sfavorevole per le categorie che non detengono oro e argento tra la moneta delle piccole transazioni e la moneta aurea e argentea 39. La finalità che si era proposta Aureliano era quella di risanare il sistema monetario, eliminando dalla circolazione il cattivo numerario emesso nei decenni precedenti e recuperando l'argento in esso contenuto. E tuttavia, poiché per attuare questa misura si era imposto un irrealistico rapporto di cambio tra la vecchia moneta argentea e la nuova, questo risultato era stato solo parzialmente ottenuto. Il risultato più gravido di conseguenze della riforma era stato verosimilmente proprio il drammatico salto nel livello dei prezzi. Noi non sappiamo se la moneta aurea di Aureliano avesse un valore di imperio (e se sì quale fosse) o se essa fosse considerata dalla stessa autorità emittente una sorta di piccolo lingotto: certo è improbabile che, in conseguenza del salto nel livello dei prezzi, il prezzo dell' oro non salisse anch' esso e dunque anche il valore attribuito dai privati alla moneta aurea. Quanto al numerario di biglione, sappiamo che si tentò di migliorarne la qualità, e dunque di incrementarne il valore intrinseco, già prima della prima riforma monetaria di Diocleziano, nel 294 o 296 (tentativi di Tacito e Caro )40; è certo, peraltro, che la nuova moneta laureata di Diocleziano, introdotta in occasione di questa riforma (già verosimilmente con quel valore di dodici denari e mezzo o cinquanta sesterzi che la moneta avrebbe avuto poco prima dello settembre del 301) e destinata ad assumere il ruolo del radiato di Aureliano, rappresentava un deciso miglioramento rispetto a quest' ultima: pesava due volte e mezzo il radiato di Aureliano e non abbiamo ragione di credere che si stabilisse, per essa, un valore nominale superiore o assai superiore a quello della moneta che sostituiva. Sembrerebbe doversi escludere che l'incremento dei prezzi negli anni '90 del terzo secolo sia stato il portato della reazione del pubblico alla cattiva qualità della moneta emessa dallo stato. Quanto al volume della moneta emessa, non pare essere stato tale da determinare di per sé esso soltanto un forte innalzamento dei prezzi, ma è possibile che abbia avuto un certo impatto la riorganizzazione della fiscalità su base annonaria (attuata da Diocleziano precocemente}", che escludeva l'uso della moneta da una serie quantitativamente rilevante di transazioni. E vi può essere stato anche un qualche squilibrio tra domanda e produzione globali in termini monetari (proprio determinato dal fatto che buona parte del prodotto destinato alla commercializzazione e non all'autoconsumo veniva sottratto direttamente ai produttori dallo stato). 39 40 41
Lo CASCIO 1993b; 1995. Lo CASCIO 1984, 174. V d. ora CARRIÉ 1994.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
247
Purtroppo il numero dei prezzi che possediamo per questi anni cruciali non è tale da consentire deduzioni certe. Qualche cosa di più sappiamo, tuttavia, della seconda riforma monetaria dei tetrarchi, quella di cui si stabiliva l'entrata in vigore il 1° settembre del 301, appena due mesi e mezzo prima dell' emanazione dell' edictum. La riforma era decisamente «inflazionistica», nel senso che, stabilendo il raddoppio della potentia così della nuova moneta argentea introdotta da Diocleziano con la prima riforma, da cinquanta denarii a cento, come del «laureato», da dodici denari e mezzo a venticinque, provocava il drastico e automatico incremento dei segni monetari in circolazione. Non sappiamo se la riforma toccava anche il valore della moneta d'oro: dal 2° papiro di Panopoli sappiamo però che l'aureus era valutato 1.000 denarii all'inizio del 300 (lI. 215-21), mentre sappiamo che la valutazione dell'editto, nel novembredicembre del 301, sarebbe stata di 1.200 denarii. Mi pare che la più probabile ipotesi sia che l' aureus avesse ancora valutazione di 1.000 denarii prima del l ° settembre del 301 e che si scambiasse, pertanto, con venti argentei e con 80 laureati grandi, laddove sarebbe passato a valere solo 12 argentei e 48 laureati con l'edictum. Il fatto che l' edictum de pretiis sia stato preceduto da un editto monetario tendenzialmente inflazionistico potrebbe valere a spiegare anche l'evoluzione dei prezzi: ciò che era accaduto negli anni precedenti era stato che il prezzo dei metalli monetabili era continuato a salire, e ciò aveva reso sempre più difficile per lo stato emettere la propria moneta senza incorrere in una perdita. Se, come pare, proprio la prima riforma monetaria era stata sollecitata dalla volontà di emettere una nuova moneta di base del sistema, il «laureato grande», assai meno sopravvalutata del radiato aurelianeo, è possibile che, con la crescita di prezzo dei metalli monetabili fosse divenuto progressivamente più difficile emettere lo stesso pezzo da dodici denarii e mezzo (o cioè cinquanta sesterzi) senza incorrere in una perdita. Bisognava, pertanto, ristabilire un certo grado di sopravvalutazione per la moneta di biglione, ed anche per lo stesso argenteus (prodotto inizialmente, al momento della sua introduzione, come pare, come moneta-tipo, non sopravvalutata), ciò che veniva attuato con la seconda riforma monetaria, che valeva a fissare un rapporto nuovo tra aureo e argenteo (non più di uno a venti, ma di uno a dodici) e tra aureo e laureato (non più di uno a ottanta, ma di uno a quarantotto). E tuttavia la spinta all'incremento dei prezzi dei metalli nobili nasceva da un fenomeno reale, di cui il governo tetrarchico non sembrava voler tenere conto: dal fatto, cioè, che in termini relativi, dunque in rapporto alle altre merci, il prezzo dell' oro avrebbe dovuto essere assai più elevato, o cioè i prezzi in oro delle merci avrebbero dovuto essere assai più bassi, data la drastica diminuzione dell' offerta d'oro e
248
CRESCITA E DECLINO
d'argento, che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Per ragioni economiche l'oro e l'argento sarebbero dovuti valere di più; ma per ragioni sociali non potevano essere i detentori d'oro e d'argento ad approfittare della situazione. La generale regolamentazione dei prezzi, che prevedeva un'irrealisticamente bassa quotazione del prezzo dell'oro e dell'argento rispetto alle altre merci, era tesa, appunto, a fermare coattivamente un' ascesa dei prezzi che non si poteva frenare in altro modo. E il governo tetrarchico cercava di rastrellare l'oro e l'argento necessari per coniare la propria moneta, attraverso quegli acquisti forzosi che giusto in questi anni, e per due decenni, sono attestati dalla documentazione papiracea. È sintomatico che gli acquisti forzosi di oro e d'argento, che si sono trasformati in una sorta di nuova imposta, cessino, apparentemente, con la riunificazione dell'impero a seguito della definitiva sconfitta di Licinio; è parimenti sintomatico che praticamente tutte le attestazioni che abbiamo del prezzo dell' oro per i decenni successivi al 324 si riferiscano all' oro monetato, al solidus": La dinamica dei prezzi in oro sembra fornire la spiegazione di quel che succede, appunto, dopo il 324, anche se, purtroppo, non possedendo valutazioni dell'oro o del solido per il quindicennio 325-40, non abbiamo l'assoluta sicurezza circa l'esatto momento nel quale collocare la svolta. Rileviamo che, rispetto ai prezzi in oro dell' edictum, i prezzi degli ultimi anni trenta e dei primi anni quaranta del quarto secolo, sono decisamente più bassi: la metà o addirittura meno della metà. Sembra a questo punto necessario ipotizzare che è stata ormai abbandonata la politica seguita dal governo tetrarchico con l'edictum: di una fissazione a un livello assai basso della valutazione dell' oro rispetto alle altre merci. Il prezzo dell' oro è stato «liberalizzato»: si è, cioè, consentito all' oro, monetato e non, di pervenire a quel valore che esso avrebbe dovuto raggiungere se lasciato alla libera contrattazione privata:". La misura aveva le sue ragioni: era l'unica che avrebbe convinto i privati detentori d'oro a immetterlo sul mercato e a cederlo allo stato; era l'unica che avrebbe consentito il reperimento anche di nuove fonti di approvvigionamento d'oro: e non è un caso che i decenni centrali del quarto secolo assistano a un incremento assai consistente dell'emissione aurea, permessa, com'è stato possibile dimostrare attraverso l'analisi della composizione metallica della moneta aurea, dall'utilizzazione, appunto, di nuove fonti di approvvigionamento 44. Mi è sembrato di dovere interpretare alla luce di questi fatti la stessa testi-
43
Lo Lo
44
CALLU
42
CASCIO CASCIO
e
1995. 1995. BARRANDON
1986.
III. PREZZI IN ORO E PREZZI IN UNITÀ DI CONTO TRA IL III E IL IV SEC. D.C.
249
monianza dell' anonimo de rebus bellicis, quando censura aspramente la profusa largitio di Costantino, che ha assegnato l'oro al posto del bronzo ai vilia commercia, e che ha reso «in perniciem pauperum clariores» le domus dei potentes; l'anonimo allude ai due fenomeni più caratteristici di questi decenni: la caduta di valore della moneta di rame nei confronti della moneta d'oro, nel momento in cui il rapporto di cambio tra solidus e nummus non viene più imposto coattivamente e difeso dall'autorità imperiale, nonché l'incremento consistente dell' oro in circolazione che ne è derivato: il primo dei due fenomeni è il risultato, immediato, di una specifica misura imperiale e ha dunque modo di dispiegare istantaneamente i suoi effetti, il secondo dispiega i propri effetti assai più lentamente, e non è un caso che l'incremento quantitativo dell' emissione aurea sia un fatto caratteristico più ancora che dell'ultimo periodo costantiniano, degli anni dei suoi successori 45. Entrambi i fenomeni mi pare che chiariscano, nella loro intrinseca connessione, la spirale di incremento dei prezzi nominali che a questo punto si determina e che costringe l'autorità emittente, una volta che ha cominciato a produrre la moneta delle piccole transazioni commerciali dando ad essa un valore in unità di conto assai prossimo al valore intrinseco, a «rincorrere» l'incremento dei prezzi dei metalli monetabili, per non produrre questa moneta in perdita, attraverso l'unico sistema a portata di mano: quello dell'attribuzione di sempre più elevati valori nominali alla moneta stessa". L'ulteriore salto nel livello dei prezzi in unità di conto che si registra negli anni cinquanta del quarto secolo credo che sia il portato, diretto o indiretto, di una riforma da datarsi, presumibilmente, nel 348, con la quale vengono introdotti dei
45 Lo CASCIO 1995; e vedi pure BANAJI 200 l, capp. 2 e 3; mi sembra da escludersi la pure assai ingegnosa interpretazione proposta da CATAUDELLA1992, che, partendo dal presupposto che nel famoso incipit del cap. 2 (