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Livio Sichirollo
La dialettica
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Livio Sichirollo
La dialettica
ISEDI Istituto Edito~iale Internazionale
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Prima edizione, maggio 1973. Prima ristampa, gennaio 1977. Copyright @ 1973 by ISEDI, Istituto Editoriale Internazionale Via Paleocapa, 6 - 20121 Milano (Italia). :B vietata la riproduzione, totale o parziale, della presente opera, con qualsiasi mezzo, compreso le copie fotostatiche e i microfilm. I relativi diritti sono riservati per tutti i Paesi. Stampato in Italia - Printed in ltaly.
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Indice
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24 24 27 30 34 37 41 41 43 47 51
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Introduzione l. Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria 1.1. Premessa 1.2. Il verbo ~taÀÉyetv, ~taMye0'3at 1.3. Il sostantivo ì..6yoç 1.4. Un'interpretazione di Seno/onte· 1.5. Esempi di ~taÀÉyea3m in Omero, Erodoto e nell'uso attico
2. Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate 2.1. Oratoria e sofistica 2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele 2.3. Dialettica e filosofia. lppia e Platone 2.4. Protagora e Gorgia. La dialettica nelle contraddizioni della retorica 2.5. L'esperienza socratica 3. Dìalogo, dialettica e filosofia in Platone 3.1. Premessa 3.2. Dialogo e dialettica 3.3. La dialettica come problema 3.4. La dialettica come "metodo " e come " scienza " (la Repubblica) 3.5. Dialettica e politica dopo la Repubblica
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Indice 60 60 63 68
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4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele 4.1. Filosofia e coscienza comune: si}uazione della filosofia aristotelica 4.2. La " storia della dialettica " secondo Aristotele 4.3. Il rapporto sofistica, dialettica e filosofia (Retorica e Metafisica) 4.4. Dialettica e antologia (Topici) 4.5. Dialettica, storia, politica 5. Morte e trasfigurazione della dialettica antica. Dagli Stoici all'età moderna 5.1. Dialettica soggettiva e dialettica oggettiva 5.2. Qualche considerazione sulla " dialettica " degli Stoici 5.3. La dialettica, ·ula parte più nobile della filosofia " secondo Piotino 5.4. Figure, problemi e metodi della dialettica nel Medioevo. Gli intellettuali e il mondo delle città 5.5. Fiore e scorpione, scettro e serpente: la dialettica nell'iconografia 5.6. Fede e sapere 5.7. u Ars sermocinalis ": le Università e la Scolastica 5.8. La società civile e la dialettica delle cose. w/,Éyw{}at) e di dominarsi: in una parola il " dialettico ". Il discorso, infatti, volgeva intorno alla temperanza. L'accostan;ento dei due verbi non è un'idea di Senofonte, ma forse di Socrate stesso, anzi si ritiene, in complesso giustamente, che il significato di 1'ìtaÀÉyr:m'tm nella tradizione preplatonica e del primo Platone sia adeguatamente determinato proprio dalla testimonianza di Senofonte, esaurendosi in essa: cruvt6naç xptvfi BotJAEtJr.a{}w, " trovarsi i]Jsicmc, incontrarsi e prender consiglio in comune ". Come si vede non è possibile tradurre direttamente in italiano il 5Laì.Éyea-1tat rendendone J.'interna complessità. Ad essa si avvi2 Per quanto sopra cfr. H. FoURNIER, Les verbes " dire " en grec ancien, Paris 1946, in partic. pp. 53-59, 211-224 e FRisK, op.cit., fase. 11 (1961), pp. 94-96.
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Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
cinano invece il verbo e il sostantivo tedeschi (sich) auseinandersetzen e die Auseinandersetzung, anche questi difficilmente traducibili in italiano. In senso figurato, che è poi il più diffuso, il verbo indica "spiegarsi con qualcuno ", " discutere per venire ad una spiegazione ", con inclusa l'idea, viva anche nel sostantivo, che il risultato di taJ dibattito (dialogo fra due persone o gruppi di persone) sia di reciproca soddisfazione, porti al di là dei due punti di partenza.
1.5. Esempi di tico
l'\LaÀÉyEa{hn
in Omero, Erodoto e nell'uso at-
Per illustrare questa presentazione linguistica, un po' astratta, del nostro (\taMyEa{}m, vediamo attentamente qualche esempio tratto da Omero, Erodoto e dall'uso attico; ci caleremo così nella storia viva del termine, nella preistoria del suo senso e uso filosofico. Incominciamo da Omero. Nell'Iliade (XI 407) leggiamo questo verso: ?iA),à ·d ~ ~wt Taiim cp(ì,oç l'\tEÀ.É~aTa {h,~6ç, che in italiano possiamo rendere così: ma perché mai il mio cuore discute (pensa) queste cose? Il verso è un'antica formula, citata di solito, ma non discussa. Quando è stata presa in considerazione non si è notato che si tratta di un verso stereotipo, e questo è di notevole importanza. Ricorre, infatti, in altri quattro luoghi della stessa Iliade (XIX 97; XXI 562; XXII 122 e 385), ma non per questo il verso e il verbo perdono il loro valore; d'altra parte non è determinante l'altro fatto, che Eustazio commenti: 15tEÀf'ça'to sta senz'altro per dn~::, dice. Se osserviamo a fondo l'uso che della formula fa i1 poeta, cioè i luoghi, il momento in cui egli la introduce, ci apparirà qualcosa di più del semplice " dire ", ma addirittura un'anticipazione della sua storia, del suo valore filosofico. n verso ricorre sempre in un momento di estrema tensione del personaggio, al limite di una decisione che sta per prendere o che, inconsapevolmente deliberata, non si è ancora pienamente manifestata come coscienza o meglio come coscienza dell'opposizione, dell'alterità dell'uomo rispetto alla situazione e anche dell'uomo rispetto al dio o al fato. Si vorrebbe soggiungere che affiora qui il concetto della scelta e deUa libertà. In XI 407, Ulisse, lasciato solo dagli Achei in fuga, decide di restare a ogni costo saldamente al suo posto di combattimento. xrx 97 : la battaglia infuria intor-
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Esempi di ('HaMyEa{)-at in Omero, Erodoto e nell'uso attico
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no a Menelao e ai cadaveri di Patroclo e di Euforbo; Menelao vorrebbe porre in salvo Je armi di Patroclo quando sopraggiunge Ettore con i Troiani; egli sa che dovrebbe combattere e resistere, ma sa anche che non può opporsi al figlio di Priamo sospinto da un nume - e decide quindi di indietreggiare. XXI 562: Agenore deve affrontare· Achille sulle porte di Troia; divino nel suo immenso coraggio, nel momento dello scontro _si chiede se tentare una fuga, e come. Ma perché riflettere su queste possibilità che non offrono scampo? È più prudente accettare subito il combattimento. E infine xxn 122: forse, insieme al primo, il luogo più significativo: Ettore è in campo, solo, per la battaglia con Achille; dalle mura lo invitano a rientrare. Il magnanimo cuore adirato, e, come ci informerà il poeta poco dopo, in preda al terrore, egli va meditando. La sua riflessione si svolge su due piani: se cede alJe lusinghe dei suoi cari ne avrà onta eterna, ché troppi Troiani sono caduti anche per sua colpa; per il suo meglio non può dunque che affrontare Achille, e vincere o morire. L'altra possibilità è presentarsi ad Achille disarmato e concedergli favorevoli condizioni di pace, ma come può il suo cuore prendere in considerazione un'idea simile? Achille lo ammazzerebbe come una donna. È bene che si venga alla lotta. Se ricordiamo quanto abbiamo detto di /,r)yoç e /,f.yEtv, del loro significato etimologico originario (duplice: razionale e distributivo), non avremo difficoltà a riconoscere nel l:>w/,Éyo[Aat del verso omerico " la nozione di esame riflesso aJ.lo stato puro ", cioè quel senso logico di calcolare, pensare, cui la radice destinava il verbo, ma al quale il solo /,ÉyEtv in Omero non perviene. È caratteristico, ha seri tto un vecchio interprete, che in seguito a tale analisi ideale, alla selezione dei casi possibili, maturi sempre una decisione, sicché questa dialettica contiene, dunque, una riflessione c una deliberazione, accentuando la natura logica, intellettuale dell'uomo 3• Ma è ancora più caratteristico che per questo dibattito a più voci, per questa pluralità di " io " che si agitano nell'uomo e che conducono di volta in volta all'identificazione di sé, l'antico poeta abbia fatto uso di un verbo che riflette ancora soggettivamente e direttamente una situazione. Il suo significato apparirà in seguito oggettivato, fino a coincidere in un ' L'interpretazione che rivela un piano intellettualistico o meglio gnoseologico, dal quale vorremmo liberare il concetto, è di TEICHMULLER, Neue Studien zur Geschichte der Begrifje, r, Gotha 1876, pp. 173-4. EuCKEN nella sua Geschichte der phi/os. Terminologie, 1879 (rist. Hildesheim 1960) ricorda solo il concetto fra gli altri, ma non ne studia il problema.
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Dialettica, la parola e la cosa: etimologia e preistoria
primo tempo con la situazione stessa (Socrate, Platone nel suo primo periodo), e successivamente, assolutizzato c astratto il fatto logico contenuto nell'azione espressa dal verbo (Aristotele), si viene con es:so a determinare un momento, una parte della filosofia - la dialettica. Diogene Laerzio, infatti, ci dice che la filosofia si occupò dapprima soltanto di un oggetto, la fisica; Socrate ne aggiunse un secondo, l'etica, e Platone intese dare ad essa compimento con la dialettica 4• A questo punto è inevitabile porsi la domanda se ci sia e quale una figura del ~taMyco-ltm (il verbo come tale non è attestato) nel dialogo della tragedia. Non è il caso di seguire le operazioni di Schaerer quando afferma: " per quanto grandi siano le qualità di spirito, di vivacità e d'ironia a cui s'accompagna la discussione dialettica, resta il fatto che si sforza di evocare un modello; in questo senso, è tragica ". Ma, dopo un preciso esame delle tesi in contrasto nell'ultimo ventennio (fra il 1915 e 1935 circa), quella tradizionale dell'unità psicologica e drammatica della tragedia, e l'altra che negava queLl'unità, sostenendo che i personaggi obbediscono a necessità di ordine tecnico, scenico, concludeva: "Non è dunque possibile ... paragonare individualmente i dialoghi alle tragedie. Sarebbe più esatto stabilire la corrispondenza tra certuni di essi e atti di tragedie; ma anche accostamenti di questo tipo esigono molta prudenza" 5• Il problema non. è questo. Qui ha visto bene Untersteiner: solo dopo aver ricostruito la genesi e il concetto del tragico, la genesi e la formazione delle parti tradizionali della tragedia (in particolare: doppio coro e àywv, composizione epirrematica, " logos contro logos ", stasimo e principio dell'unità binaria, della sizigia tragica, sticomitie ecc.), solo allora egli ritiene di poter interpretare come segue l'innovazione eschilea: " Eschilo introdusse H dialogo, perché la sua poetica Io richiedeva. La dialettica del tragico doveva portare facilmente alla necessità di fissare nella nuova forma d'arte, come suo elemento essenziale, il btaÀÉyé;a-ltat, il btw.oyoç. Possiamo aggiungere l'influsso del dialogo, dell'epos e • Vite dei filosofi, trad. it. a cura di M. Gigante, Bari 1962, m, 34, ma cfr. il Proemio, 13, dove la tripartizione rimane con Zenone iniziatore della dialettica, che è opinione aristotelica. 5 R. ScHAERER, La question platonicienne, Paris-Neuchatel 1938, pp. 219, 231 e cfr. L'homme antique et la structure du monde intérieur, Paris 1958, p. 110: "Mais le propre de la dialectique est de n'étre jamais sati· sfaite ". Sul tema dialogo-dialettica e dialogo-tragedia in particolare in Platone già HIRZEL, Der Dialog, Leipzig 1895, vol. I, pp. 200-218. Ma su Platone cfr. ora P. VICAIRE, Platon critique littéraire, Paris 1960.
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Esempi di
~taÀÉyEo{}m
in Ornerò, Erodoto e nell'uso attico
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del canto popolare, per quanto non qlJi, come si pretende, stia la radice del ()ta-Àoyoç (l'autore accenna al ()uJ.A.oyoç intellettuale fra due personaggi, e cita l'esempio di Eteocle e dell'osservatore nei Sette a Tebe di Eschilo, vv. 375-652). L'importanza di questo dialogo, che trova la sua forma più trasparente e più intensa nella sticomitia, è pertanto ovvia " 6 • Non crediamo che si possa andare più in là di questa conclusione se· manteniamo il discorso sul piano generale ()taÀÉyEo{}atdialettica-dialogo. Giustamente Untersteiner ha l'occhio esclusivamente al documento ed esercita la sua interpretazione là dove il testo e la tradiziçme lo consentono. Egli lascia pertanto cadere la notizia di Suda sù Laso di Ermione, che parve ad altri tanto suggestiva: "Si ritiene che per primo avesse scritto un'opera sulla musica e che fosse stato uno degli iniZiatori dell'eristica. All'influenza di Laso (quale che sia d'altronde il senso esatto di queste tradizioni) è da attribuire lo sviluppo dello spirito dialettico in Simonide? Se non rispondere, si può porre la domanda " 7• Dopo Omero e la tragedia ricordiamo i lirici, dai quali ()uxMè usato ma in frammenti troppo brevi e corrotti per paterne trarre qualche utile conseguenza. In Archiloco (fr. 108 Diehl), Saffo 134 e Alceo 129 (Lobel-Page) significa "parlare", "far discorsi". Notiamo Saffo: ta < •. > v ..d;af-lCI.V OVUQ ')(.1):rt(lOyÉvlla, " ti ho parlato in sogno, o Cip ride ". Esempi interessanti si trovano invece nella prosa erodotea e attica, dove balza evidente l'indicazione del dialogo, del gioco di domanda-risposta, lo scambio di opinioni fra due individui. E non solo di opinioni, vorremmo aggiungere, ché in Aristofane troviamo di ()taÀÉyEo{}a.t l'uso eufemistico per mJvouma~Etv (avere relazioni carnali), un significato, quindi, non del tutto estraneo alla nostra storia (Pluto, v. 1082; Donne a parlamento, v. 890 e cfr. Stephanus, Thesaurus linguae graecae, IV, 1211). Ma cominciamo con Erodoto e vediamo la descrizione delle regioni joniche (I, 142, 2): dice che in alcune città della Caria i cittadini parlano la stessa lingua: xa.-rà -.aù-rà ~tctÀ.EyopEvat. Va sottolineata l'idea del reciproco comprendersi, presente insieme all'idea della relazione che si istituisce fra diverse persone mediante il linguaggio. Non è un caso, o comunque può non esserlo, che nel medesimo luogo affermi che non in tutta la regione si paryw{}m
• M. UNTERSTEINER, Le origini della tragedia c del tragico, Torino 1955, pp. 331-2. 7 A. et M. CROISET, Ilistoire de la /ittérature grecque, Paris 1951 ' (ristampa) p. 379.
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Dialettica, la parola c la cosa: etimologia c preistoria
lava la stessa lingua, utilizzando un altro verbo: y'Awcrcrav , trad. it. Firenze 1957, p. 388. I Sofisti, praticamente assenti nelle storit della filosofia del '700 (per es. Stanley e Tennemann), appena ricordati d~ Kant (cfr. K. REICH, Kant und die Ethik der Griechen, Ttibingen 1935, p. 19), entrano gloriosamente nella storia della !Ìlosofia e della cultura con H egei: com'è noto, nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia (Werke, 1833, vol. xrv, p. 9; trad. it. Firenze 1932, vol. u, pp. 7 -8), egli li paragonò agli Illuministi: " I Sofisti sono i maestri della Grecia; con loro nacque in Grecia la cultura in generale (Bil~rmg~ ". Tale tesi divenne opinio recepta. Cfr. W. JAF.GER, Paideia, trad 1t. F1renze 1953, vol. r, pp. 459-563. Nestle, invece, che abbiamo citato, parla di una filosofia della çu/tura, che avrebbe avuto l'Illuminismo per risultato. ' TI primo punto è la tesi di O. GIGON, Sokrates, Bern 1947 (per la quale cfr. C.J. DE VoGEL, Il Socrate di Gigon, in «Antologia della critica filosofica», a cura di P. Rossi, Bari 1961); il secondo punto è la tesi di E. DUPRÉEL, La légende socratique et /e.1· sou~·ces dt' Platm!, ~ruxelles 1922 e Les Sophistes, Neuchatel 1948. Per altra via e del :utto !ndJ~cndcn temente, a risultati analoghi è giunto M. UNIERSTEINER: m ~ .SojÌs/1, Torino 1949 e nella sua edizione dei frammenti c delle testtmomanzc, Firenze 1949 sgg. que~ta
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Dialogo e dialettica. li punto di vista di Aristotele
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monia una volta di più la grandezza di quel tempo, ~la complessità dei pcrsonag&>i e soprattutto l'esiguità delle nostre informazioni.
2.2. Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele L'epocà ha tentato le possibilità estreme: dalla filosofia come retorica di Protagora, dalla tesi " rendere più potente il discorso meno valido " - che è libera interpretazione, trascrizione nel nuovo linguaggio della parmenidea via dell'opinione, " ambito naturale dello sviluppo di una retorica " - all'ideale isocrateo delIa retorica come filosofia, come fondamento e compimento dell'educazione e della sapienza nell'uomo: basti ricordare che con cptÀocrocp(a lsocrate non intçnde una filosofia particolare, ma la cultura in generale, celebrata dagli Ateniesi. Va subito soggiunto che all'interno di questo arco anche la dialettica si prova nelle sue due estreme possibilità, bene individuate da antiche testimonianze: dialettica come dialogo, come l'autentico esercizio filosofico e dialettica come atteggiamento formale privo di risonanza umana. Platone per esempio fa dire a Socrate: " Protagora qui presente è capace di svolgere discorsi lunghi e belli (come l'esperienza dimostra), ma è capace anche, quando è interrogato, di rispondere .con brevi battute e, se è egli colui che interroga, di aspettare e, quindi, comprendere la risposta, abilità questa che da pochi è stata conquistata " - e di Gorgia: " E pur questa è una delle attitudini che mi riconosco: che nessuno potrebbe svolgere più brevemente di me i medesimi argomenti ". Ed ecco l'altra voce nel dibattito: " E, di poi, non diede Isocrate il nome di sofisti agli cristi e, come essi direbbero, ai dialettici, mentre definì se stesso filosofo e filosofi gli oratori e quelli che sono dediti alle attività politiche? Alcuni dei suòi contemporanei usano la terminologia in modo analogo " 4• 4 Protagora, 329 B (DIELS-KRANZ 80 A 7), Gorgia, 449 C (DIELS· KRANZ 82 A 20), Elio Aristide in Diels-Kranz 79, l (trad. Untersteiner). Vedi: il commento di G. CALOGERO alla sua edizione del Protagora platonico, Firenze 1948, pp. 62-63 e la voce Protagora nell'" Enciclopedia italiana" dove parla di un'arte dialettico-retorica; W. JAEGER, Paideia, cit., vol. m. cap. q: "La retorica di Isocrate come ideale di cultura", partic. p. 83, nota 2 (va appena ricordato che la stessa terminologia troviamo nella storia di Tucidide, n, 40, nel celebre capitolo che va sotto il titolo di Epitaffio di Peric/e); M. UNTERSTEINER, ] sofisti, cit., pp. 86-87 e nota 54.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
Siamo dunque nel vivo del problema. Da una parte veniamo a sapere, dallo stesso Platone, che il dialogo socratico, la cosiddetta esperienza dialettica di Socrate, l'interrogare e rispondere per domande c risposte brevi (xanl [3Qaxv) non è nato direttamente né esclusivamente da un Sokrateserlebnis; dall'altra che la dialettica platonica può essere interpretata, e lo era di fatto dai contemporanei (Isocrate appunto, tra i massimi), non già come la totalità del sapere, o meglio come il fondamento del sapere del legislatore, ma come eristica, un'educazione formale e parziale (àl)o/:~:ax(u xat f.LLX(>OÀoyfu): se non danneggiava i giovani, non promuoveva quel perfezionamento che i suoi cultori si ripromettevano. Oratoria e sofistica, retorica e dialettica sembrano richiedersi ed escludersi a vicenda, ma non offrono direttamente la possibilità di una distinzione dall'interno del dibattito. La stessa connessione, e dunque la. collocazione del problema della genesi della dialettica in una sfera culturale più ampia della sola filosofia, troviamo anche in Aristotele. Ma la situazione appare subito diversa. Aristotele, infatti, guarda al problema a evoluzione conclusa, e può considerarlo sine ira, con interesse meramente storico: il mondo della polis, che aveva generato, sorretto e giustificato lo scontro ideologico e le sue manifestazioni di cultura, è ormai crollato. Non dobbiamo mai dimenticarlo: non erano allora in questione i destini della filosofia, ma il senso e il futuro della polis. Altrimenti quale significato avrebbe la tarda dichiarazione di Platone, cittadino greco, ateniese, e aristocratico, che nel Sofista ritiene di aver trovato nella dialettica " la scienza degli uomini liberi " (253 CD)? I problemi della filosofia, della retorica o dialettica come rrutl'ldu, definiti e messi a punto nelle scuole di Platone o di Isocrate, venivano dibattuti sulla pubblica piazza, nell' uyoQa dove erano primamente sorti come problemi politici. Divenuti astratti, essi rientrano, con Aristotele, nel chiuso della scuola, vengono configurati storicamente e codificati nel sistema. Ma il punto di vista di Aristotele è proprio per questo interessante, perché agisce a un tempo sulla conclusione di un'esperienza storico-culturale e dell'evoluzione di una particolare problematica filosofica. Limitiamoci per ora a constatarne il risultato in quel primo capitolo del libro 1 della Retorica, che si deve ritenere una delle parti meno recenti dell'opera. È significativo anche il movimento dell'argomentazione, il suo stesso incedere: " La retorica fa riscontro (àni.a-rQocpoç) con la dialettica. L'una e l'altra, infatti, vertono su questioni che sono in. qualche modo alla portata di tutti, e non richiedono scienza determinata. Tutti
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Dialogo e dialettica. Il punto di vista di Aristotele
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vi partecipano, quindi, a gradi diversi: è di tutti fino a un certo punto discutere una tesi e sostenerla, accusare e difendersi. Ma i più lo fanno a caso, altri per pratica che dipende da un habitus ". Aristotele inizia, dunque, la sua ricerca sul piano stesso della retorica come piano della coscienza comune. B un inizio empirico, storico potremmo dire, che sarà successivamente giustificato, come lascia intendere subito con l'affermazione: " delle due possibilità si deve ricercare speculativamente la ragione" (1354 a 10). Esaminando le tecniche precedenti, i compiti delle varie figure di retori, Aristotele rileva che la retorica ha il suo fondamento in un tipo particolare di prova, di sillogismo, che la colloca ancora una volta nell'ambito deila dialettica: "Bisogna inoltre poter persuadere del contrario deiie proprie tesi, come nei sillogismi dialettici... nessuna delle altre arti deduce i contrari, la dialettica e la retorica sole possono farlo: entrambe, infatti, dei contrari si occupano ... " - è quindi chiaro perché Zenone eleatico fosse ritenuto da Aristotele l'inventore della dialettica: egli accettava le tesi dell'avversario, ma deduceva una conclusione opposta mediante una serie di appositi passaggi intermedi. B interessante notare che a questa figura logica, individuata da Aristotele, si fa corrispondere un atteggiamento umano e psicologico particolare. La tradizione non lascia dubbi su questo. Isocrate dice: " Zenone, che cerca di provare che le stesse cose sono insieme possibi,Ji e impossibili ... " - e un tardo commentatore: " Fu detto dalla duplice lingua non perché fosse un dialettico, come quello di Citio, o perché confutasse e dimostrasse ·vera la stessa cosa, ma perché era un dialettico nella vita, dato che diceva una cosa pensandone invece un'altra" 5• " Compito proprio della retorica non è dunque persuadere, ma riconoscere le condizioni della persuasione relative a ogni soggetto... riconoscere ciò che persuade e ciò che persuade solo in apparenza, come la dialettica, il sillogismo vero e quello apparente ". Ora, Aristotele conclude questa definizione per approssimazione della retorica e ci riconduce a quel piano storico che avevamo notato all'inizio della sua ricerca: " La sofistica, infatti, non si fonda sulla capacità, ma sull'intenzione; inoltre si sarà retore o per scienza o per intenzione, ma sofista per intenzione, e dialettico non per intenzione ma per capacità " ' A. PASQUINELLI, a cura di, l presocratici, Torino 1958, pp. 249 e 2.51. Per avere un'idea della forza di questa tradizione si pensi all'iconografia medievale, ricchissima, e si legga il noto colloquio di Goethe con Hegel, riferito da Eckermann, 18 ottobre 1827.
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate
dove per intenzione (ngoatQEr.NGTON, Scienza e politica nel mondo antico, 108; G. THoMsON, Eschilo e Atene, trad. it. Torino 1949, M. UNTERSTiiiNER, Fisiologia del mito, Milano 1946, pp. sgg. e in generale il saggio Le origini sociali della sofistica, filosofia in onore di R. Mondolfo». Rari 1950.
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cit., pp. 105~ pp. 291 sgg.; 241-242, 305 in «Studi di
L'esperienza socratica
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pia) e dialettica sono la stessa cosa; dialettica come dialogo, come il filosofare nel suo più profondo esercizio e dialettica come metodo e scienza particolari che innalzano la coscienza comune alla coscienza filosofica o che ricercano nel sapere filosofico una giustificazione della coscienza comune.
2.5. L'esperienza socratica 1:: interessante notare come la storia de1la dialettica ripresenti sempre le sue figure. La sua evoluzione, se di evoluzione si può parlare, descriverà ancora questa curva fondamentale. Solo il sistema filosofico nella sua totalità e chiusura ci offrirà qualche possibiJità di pervenire a una definizione particolare univoca, ma anche allora non verrà meno il pericolo di smarrime il senso nella definizione concettuale, nel sapere. Perché questo è il carattere della dialettica, di rappresentare nella genesi del sistema filosofico il momento della negazione, dyl no, del non-ancora - cioè quel fondamento reale del sistema,· quel punto di attacco della filosofia con la storia, che viene negato nella costruzione, nella universalità del discorso del filosofo. Se questo discorso sia a sua volta dialettico (storico universale) è quanto di volta in volta il filosofo deve provare e l'interprete pervenire a comprendere. Resta il fatto non superabile della alterità di situazione e dialettica, dialettica e filosofia, filosofia e situazione - alterità che riflette e ripete l'estraneazione originaria dell'uomo rispetto al mondo (il suo stupore e la sua protesta) e l'estraneazione ultima del filosofo nella violenza delle cose. Diciamo la alienazione, ma così abbiamo percorso l'intero circolo della dialettica, abbiamo evocato la figura di Socrate. :B giusto concludere con Socrate il capitolo sulle origini storiche della dialettica. Ma con questo non intendiamo, aggiungere un nostro contributo a più di due millenni di storiografia socratica. La dialettica socratica è un fatto irripetibile nella sua genesi e nel suo fondamento. Ora, è sufficiente notare che nella tragica figura di Socrate - tragica nel senso che coincide con la tragedia della storia quando un principio si erge come assoluto (il singolo, la coscienza comune, c i. suoi valori) di fronte a un altro principio, esso pure oggettivamente assoluto (la tradizione civile; la costituzione, la noÀtç 12) - la dialettica vive e si manifesta 11
È
l'interpretazione di Hegel, che si può leggere nelle lezioni sulla sto-
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti e Socrate
in un momento di eccezionale equilibrio, di unità con la situazione, la storia, la vita. È l'uomo comune come coscienza della città non ancora posta come problema a se stessa. Per questo è un fatto unico e irripetibile. La risoluzione della situazione in ricerca dialettica, il suo storico modificarsi, porta inevitabilmente con sé il rifiuto e la distruzione della situazione stessa, la nascita, quindi, della collisione tragica. E a questa nascita la filosofia non può che essere estranea - la filosofia viene dopo. Socrate, il democratico, fu mandato a morte da un tribunale democratico, che faceva proprie accuse dettate dagli ideali aristocratici tradizionali. La contraddizione tragica della situazione non fu spiegata, ma soppressa da Platone, che idealizzò Socrate come l'uomo dell'oracolo - l'uomo che trascende la situazione. Di fronte a questa figura, che smarrisce continuamente nel mito i suoi contorni, preferiamo lasciare la parola, per illustrare il punto che ci interessa, ad un interprete che fu nei nostri tempi un socratico. " La dialettica. Come procede ora tale ricerca? Un atto, una situazione rimanda a un valore: a un principio generale di azione, all'idea di una virtù, a un criterio di giudizio. È chiaro questo valore alla coscienza? Sappiamo noi con certezza di che si tratta? "h questa la domanda elenctica, il problema che prova e mette in gioco la nostra sicurezza, con cui l'inchiesta si inizia. E sin dal primo esame risulta che il nostro sapere è in questo campo un'musionc, fondata su certe accezioni comuni che si riflettono in un nome comune, ed hanno bensì la loro base in una comune struttura etica - di ciò Socrate non dubita - ma che qui s'è astratta, confusa e resa ambigua, capace di accogliere ogni contenuto. Questa coscienza dell'ambiguità del linguaggio era stata già riconosciuta nelle ricerche siQònimiche di Prodico, ed era stata rilevata in tutta la sua importanza, come espressione della crisi etica, da Tucidide. Ma qui Socrate va ancora più a fondo: sotto l'ambiguità generica della parola, sotto l'astratta incctiezza della comune opinione, egli eccita, per così dire, la singolarità delle opinioni, impegna ciascuno in una detenninazione concreta di quel valore, e lo impegna a fondo, con la sua esperienza, con la sua vita. Perciò ogni opinione è presa ria della filosofia, ma anche in quelle sulla filosofia della storia: si vedano alcuni giudizi di Hegel nel Socrate di A. Banfi, Milano, 19442, pp. 333 sg~. (il brano che ora riportiamo è a p. 88 sgg.); poi K. LEESE, Die Geschichtsphi/osophie Hegels auf Grund... , Berlin 1922, p. 206 sgg.; J. KuP'FER, Die Aufjassung des Sokrates in Hegels Geschichtsphilosophie, Diss. L~ipzig 1927 c il nostro Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone, m Storicità della dialettica antica, Padova 1966.
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L'esperienza sncratJ.ca
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con la massima serietà, proprio perché in essa deve esprimersi con la massima vigoria la situazione personale di fronte a quel problema, è chiarita in cgni suo presupposto, in ogni suo sviluppo, è rapportata sia all'esperienza personale come alla estensione obbiettiva riconosciuta di quel valore etico. E in tal processo si illuminanò i suoi limiti c il non sapere deHa persona stessa, la sua mancanza di chiarezza con sé, di coerenza interiore, l'ambiguità dei propri principi, prnprio là dove si esigerebbe il massimo di precisione; ed ecco nuove opinioni si affacciano, si contrastano, sono riprese a fondo e di nuovo le persone reagiscono e prendono coscienza di sé. Tutta' quella sfera etica è posta in movimento, messa in problema, e non un puro problema di sistemazione teoretica, ma un problema di vita e di partecipazione d'animo. Le reazioni, naturalmente, delle singole persone sono diversissime, e qui ha avuto luce la grande arte platonica; impassibile, sereno, comprensivo e insieme ironico è Socrate, che iqcessantcmente svolge. intreccia, approfondisce la ricerca, risolleva il discorso dalle facili affermazioni dogmatiche come dagli scoramenti. "Questo esame che corre continuo e si sviluppa sotto il dialogo è la dialettica socratica. Essa si differenzia sia dalla retorica sofistica, sia dall'eristica dei cinici, sia dalla dialettica speculativa di Platone. Per riguardo alla prima essa è in netta opposizione. Giacché la retorica sofistica è lo svolgimento armonico e persuasivamcntc coerente di un punto di vista, è l'univcrsalizzazione nel discorso di un'opinicnc, mentre la dialettica socraticu è proprio il conllitto delle opinioni, 1a distruzione della loro certezza, la risoluzione del loro apparente equilibrio. Quanto all'eristica cinica essa svolge uno dei motivi della dialettica socratica, i·l motivo negativo del non sapere, in senso puramente scettico: ciò che le importa e a cui usa tutti i mezzi di una retorica del dissuadere, è di distruggere le pretese dell'intcllettualismo a una legislazione della vita e di lasciar campo libero a.Jla virtù spontanea della natura umana. Infine, la dialettiCa platonica ha valore essenzialmente teoretico. Essa nasce sì dalla dialettica so-, cratica, ma, pur sviluppando un elemento della sua natura, ne modifica l'intenzione. Voglio dire che in Platone il movimento del pensiero, attraverso il caos confuso dell'opinione, mira a scoprire il sistema delle idee che vi soggiacc, superando via via la parzialità dì ogni posizione nell'ordine dei suoi rapporti c purificando quella in questi. 1:: insomma il regno universale e autonomo della verità che così è conquistato, in modo che il processo o il metodo dialettico si estende a tutti i piani c- le forme
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Esperienze dialettiche tra i Sofisti c Socrate
dell'esperienza. Pt:r Socratc la dialettica non è un metodo universale teoreticp: essa si riferisce solo al campo etico ed è il processo per cui questo si traspone sul piano della moralità. Giacché la dissoluzione della certezza dell'opinione, il riconoscimento della sua astrattezza o parzialità, il rilievo delle contraddizioni tra opinione e opinione e dell'inadeguatezza di ciascuna ad esprimere nella sua purezza e universalità il mondo etico, se non. si arrestaper Socrate alla constatazione scettica di Antistene, non procede neppure con Platone verso Ja definizione universalmente valida del concetto di quel valore. La dialettica ha per Socratc un fine essenzialmente pratico: essa mira a riportare i valori etici incerti nella crisi del costume a contatto con le esigenze e le situazioni personali, a trar queste fuori dal limite della loro egoistica sufficienza, a far sì che sul comune piano di problemi le singole persone riconoscano la loro comune umanità ... " La ricerca socratica ci dà il primo esempio spontaneo del metodo concettuale, pur senza averne in chiaro, date le sue finalità pratiche, l'efficacia teoretica. La reazione sofistica scettica verso la filosofia razionale dei fisici, è un ritorno alla validità deil'esperienza concreta e dell'opinione, con l'aspirazione pratica a creare un'opinione retoricamente così universale da valere come criterio di giudizio c di azione. Ma in Socrate l'esperienza, l'opinione, !ungi dall'essere astratta, è lasciata valere nella sua concretezza, è riconosciuta nella varietà della sua struttura e dei suoi rapporti, la cui unità limite è per l'appunto i1 concetto. La dialettica socratica è proprio questo metodo; solo che il suo interesse è pratico, non teoretico, la sua funzione è protreptìca, rivolta alla formazione della coscienza e della responsabilità personale. Perciò il metodo resta aperto, la dialettica senza soluzione, il concetto non è raggiunto, e il suo essere - tratto fuori dall'incertezza dell'opinione comune - è un limite della ricerca, e quindi né definito astrattamente in senso logico né realizzato metafi.sicamente come idea o come essenza sostanziale. Dal che risulta che proprio la finalità pratico-protreptica della dialettica socratica, la rende un tipico esempio di metodo concettuale aperto e progressivo, la pone, sia pure senza chiara coscienza del suo valore teoretico, all'inizio di quel razionalismo della ricerca, che dopo essersi espresso in Platone nella sua esigenza più profonda e definito e limitato sistematicamente in Aristotele, troverà nel pensiero moderno il suo più largo sviluppo" 13•
" A.
BANI'I,
.Socrare, cit., p. 88 sgg.
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3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
3 .l. Premessa Tre fatti essenzialmente impediscono allo storico e all'interprete di accedere alla filosofia platonica con la stessa oggettività di cui sa o almeno può dar prova in altri casi e oserei dire in tutti gli altri casi: la forma letteraria, che Platone ha scelto per consegnare a noi il suo filosofare, il dialogo, il dibattito drammatico, che presuppone invenzione di personaggi, creazione di situazioni, e, diciamolo pure, mistificazione di uomini e di idee; la mediazione,· che egli ha voluto creare, tra sé, i personaggi e il lettore, inserendo nel . dibattito la persona di Socrate, sollecitatore della ricerca ma anche, ad un tempo, " figura dello schermo", centro dal quale sfuggono verso un'immaginaria circonferenza le linee di ~orza che quella ricerca ha messo in luce e determinato cori. calcolo e perizia~; e infine una specie di " doppia verità", messa in pratica da Platone, e cioè la filosofia contenuta nei dialoghi c la filosofia esposta nelle lezioni all'Accademia, dci cui limiti e rapporti oggi sappiamo ben poco, mentre i contemporanei non potevano non esserne al corrente. Per questi motivi l'interprete, sia esso filosofo o filologo, non può che scegliere un momento, una tesi, un problema della filosofia platonica presupponendo che tale tesi sia anche di Platone - e dare così per risolta una difficoltà che storicamente risolta non è - ricostruendo secondo questo punto di vista il sistema o una sua parte o la sua evoluzione. Dobbiamo insomma presupporre come nota una filosofia di Platone per· intendere in Platone la filosofia. Hegel stesso, che ha fondato nella Storia della .filosofia la sua magistrale ricostruzione del platonismo sulla Repubblica, ha così posto da parte il dato storico, che Aristotele non cita mai questo dialogo nella discussione dei problemi stret~ tamente filosofici o metafisici.
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Dialogo, dialettica c tilosofia in Platone
Le tre diflìcoltà di cui abbiamo parlato (forma dialogica, problema di Socrate c doppia verità) sono a più forte e a maggiore ragione presenti, si unificano, direi, nel problema della dialettica, nel senso però che· questo ne costituisce il fondamento, il loro tessuto connettivo. Infatti, la dialettica nasce dal dialogo, è il dialogo stesso almeno fino ad un certo punto, e si può sostenere che la forma dialogica era richiesta, per darne un'immagine phstica, dal dìalettizzare di Socrate o, se vogliamo, dall'interpretazione che Platone intendeva dare della filosofia socratica. Già per tale motivo problema di Socrate in Platone e dialettica sono tutt'uno. Qual è, infatti, la forma della dialettica socratica? In che si distingue dalla dialettica platonica? 't presente la distinzione in Platone, e, se c'è, a che punto e su quale piano ha essa inizio? Non ha grande importanza per noi, in questa sede, la questione delle " lezioni " platoniche, delle dottrine non scritte, ma è chiaro che non può non esserci una relazione con ciò che è stato l'anima di una lunga evoluzione, con quella dialettica che ritorna, trasfigurata, anche negli ultimissimi scritti, per esempio la Lettera VII. Abbiamo premesso queste osservazioni per sottolineare la natura particolare della ricerca platonica e addirittura la sua ecce~.:ionalità quando la si debba investire dal punto di vista della dialettica. l dati della questione, infatti, si presentano in modo tale che l'interprete si vede· costretto a esporre il problema della dialettica in Platone come se esso costituisse ad un tempo la parte c l'jntero di quella fi·losofia, il fatto c il problema, il presupposto del filosofare, il suo risultato e la prospettiva del filosofo. Stando così le cose, molti problemi, che il lettore si" sarebbe immaginato di veder qui accennati o risolti, saranno lasciati in ombra, altri, che la tradizione riteneva accolli o superati, verranno invece discussi a fondo. Ma tutto ciò, ormai lo si è detto più volte, dipende dalla filosofia di Platone, dai suoi limiti - che sono la sua stessa grandezza e la ragione del suo poter essere continumnente ripetuta. Per chiarezza cercheremo di separare e di tener separati questi piani, questi strati del platonismo, individuando prima una storia esterna del concetto di dialettica c proponendo in un secondo momento una interpretazione.
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Dialogo e dialettica
3.2. Dialogo e dialettica llw:MyEa1lcn inizia· la sua storia in Platone col significato di " intrattenersi in colloquio ", " discutere ", " domandare e rispondere " ecc. È l'uso degli scrittori attici intorno al 400 a.C. Il colloquio che viene con questo verbo indicato si svolge preferibilmente fra due persone, ma non necessariamente, perché al dibattito partecipano spesso numerosi interlocutori. Non ha grande importanza documentare questo dato preliminare. Basta sfogliare qualunque dialogo platonico per accertarsene. Per esempio: " Ed io non sono di quelli che pretendono denaro per parlare... " (Apol. 33B); poco più avanti: "Abbiamo avuto, infatti, voi ed io, troppo poco tempo per discutere ( =per venire ad una spiegazione) " (3 7AB). Nel Protagora questo verbo ricorre, dicono, 33 volte 1• Vediamone qualche esempio: "Ora ti farò una domanda sull'argomento intorno al quale poco fa tu ed io si discuteva " (339AB); una volta è usato il duale: "Bisogna infatti che coloro che assistono a tali dibattiti siano imparziali tra i due interlocutori " (337 AB); ancora: " ... nel vestibolo parlammo a lungo finché ci si mise d'accordo" (314CD). Nel F e do ne: " (perché il veleno faccia il suo effetto) è necessario che ti spieghi di parlare il meno possibile " (63DE); anche in un'opera tarda come le Leggi troviamo: "Avendo considerato questa potenza militare di cui stavo parlando ... " (m. 686DE), e: " In realtà il nostro colloquio è rivolto ad uomini, non a dei " (v. 732E-733A). Significative contrapposizioni illuminano in pieno, anche se indirettamente, l'uso di questo verbo in Platone, una accezione nient'affatto semplice perché di volta in volta Platone dà ad esso se non un particolare significato almeno una sfumatura diversa. Il discorrere, il conversare ordinatamente, la discussione onesta, pura da invidia e da spirito di emulazione (come il filosofo si esprimerà da vecchio nell'Epistola VII, cfr. 344BD), vengono opposti al disputare, al dibattito eristico, sottile, capzioso, formaJe (Repubbl. v. 454AB); alla contestazione oratoria, nel corso della quale è lecito scherzare ed ingannare, mentre nel dialogo ci si deve impegnare seriamente, aiutare l'avversario, mostrargli gli errori (Teet. 167D-168A); alla pubblica allocuzione nell'assemblea o nei tribunali, dove una parte deve schiacciare l'altra (per es. Gorg. 471E-472A); secondo un noto passo del Protagora: "Pen1,
1 W. MuRI, Das Wort Diaiektik bei Plato, in « Museum Helveticum 1944, n. 3.
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Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
savo, infatti, (dice Socratc) che una conversazione tra persone che si sono date convegno e un discorso al popo~o fossero due cose distinte" (336BC) - e viene subito introdotto il noto tema del discorso breve e del discorso lungo, dell'indagine che procede per brevi domande-risposte e dell'esposizione continuata, sistematica potremmo dire, che avrebbe opposto prima i sofisti tra loro, poi, in Platone, i sofisti e Socrate. Vorremmo, infine, ricordare un luogo del Menone comunemente citato, che tuttavia ha per noi un valore addirittura paradigmatico, se ha senso tutto ciò che abbiamo detto e cercato di mostrare sulla genesi e sulla natura della dialettica, su questa costante dell'interpretazione platonica: " Se poi l'interrogante fosse uno di quei sapienti eristici e polemici, gli direi: ' Io ho parlato; se non ho detto bene, tocca a te riprendere l'argomento e confutarmi'. Ma quando due amici, come tu ed io siamo, hanno voglia di discutere insieme, allora dovrei rispondere un po' più dolcemente ed in modo più conforme allo spirito della conversazione. E questo significa non soltanto rispondere la verità, ma anche fondarla su ciò che l'interlocutore riconosce lui stesso di sapere" (75CE) (cfr. sopra 1.2). E così, lo vedremo subito, ritorniamo, perfezionandola, alla situazione del Protagora. È indubitabile, infatti, che questa accezione, la pm VIcma, come dobbiamo ritenere, al valore etimologico e semantico di llt.aMyw{hXL-dialettica, esaurisca aQche, nel suo complesso, il primo, socratico-platonico, significato di dialettica. Il fenomeno è già stato da altri accuratamente studiato, la tecnica del dialogo socratico attentamente esplorata 2• Sul cosiddetto procedimento elenctico si è innalzato addirittura un sistema, a torto secondo noi, perché in tal modo risulta annullata la libertà del procedimento socratico e platonico; il libero gioco della domandarisposta, dell'accettazione e della confutazione dell'ipotesi è stato determinato nelle sue forme dirette e indirette, induttive, sillogistiche, definitorie. A che scopo? Robinson alla fine del suo progetto di lavoro conclude: "L'Eì.eyxo; si trasforma in dialettica, il negativo in positivo, la pedagogia nella.rivelazione, la mo2 Soprattutto nelle interpretazioni degli storici e filologi inglesi, fra le più equilibrate nell'individuare nel platonismo il momento ·socratico e quello platonico. Vedi per esempio A.E. TAYLOR, Socrate, trad. it Firenze 1952 e ROBINSON, Plato's E.arlier Dialectic, Oxford 1953 2, parte r: "Elenchus ··, pp. 19 e 69 per le citazioni qui sotto. Stato della questione e bibliografia in V. DE MAGALIIAEs-VILHENA, Socrate et la légende platonicienne, Paris 1952.
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Dialogo e dialettica
ralità in scienza ". L'elenco o confutazione non è, dunque, altro che una prima forma della dialettica, una dialettica, per usare la terminologia del Robinson, che non è ancora pervenuta al metodo, che non si sa ancora come metodo. Perché allora fare dell'elenco un metodo? Fra i luoghi in cui Platone fa reclamare a Socrate libertà di movimento e di procedimento, scegliamo questo, dal Teeteto, significativo perché abbastanza recente nell'evoluzione. Socrate, confutando Ja norma protagorea, riprende un'argomentazione dell'Eutidemo (287 A sgg.): se non possiamo ingannarci né con l'azione né con le parole né con il pepsiero, a chi, di grazia, .volete dare lezione? Per qual motivo Protagora sarebbe tanto saggio da poter insegnare agli altri se ciascuno di noi è misura della propria saggezza? - e aggiunge: "Come non dire che Protagora parla ad uso del popolino? Per ciò che riguarda me e la mia arte maieutica è meglio non parlare di tutto il riso che provocherebbe, e penso anche a tutta l'opera dialettica ... " (161 E-1-62A). Una volta esposta la situazione di fatto dobbiamo però porci una domanda. Come avviene in Platone la determinazione filosofica, la traduzione in valore concettuale di questo fenomeno linguistico, lessicale, e ad un tempo (non dimentichiamo Socrate e la prassi quotidiana del tempo) prammatico? Uno dei problemi più affascinanti della storia della dialettica, forse dell'intera storia del pensiero antico, è destinato a nostro avviso a rimanere senza soluzione, un enigma - ed esso racchiude la ragione, non ultima, del suo provocare continuamente gli interpreti. Le radici del problema, Ja sua genesi, o stanno semplicemente in quella storia che abbiamo cercato di tracciare - una storia alla quale Platone partecipa attivamente e si trova ad esserne /anche l'erede, un epigono - oppure esse affondano nell'intrico dei rapporti Socrate-Platone, in .un tessuto, dunque, dove ogni ipotesi è possibile, ma dove ogni interpretazione rischia di essere una violenza esercitata sui testi e sui documenti in nostro possesso. Abbiamo accennato ora, per star fermi al nostro ùtaMyecr{hu e per non coinvolgere temi dell'intera dottrina, all'interpretazione del Robinson, e abbiamo ricordato a suo tempo quella senofontea (cfr. sopra 1.4), senza eco, cioè non esplicitamente testimoniata, che si sappia, in Platone. A questo punto, per rispondere più direttamente alla domanda posta, che in modo più adeguato potremmo formulare così: Fra gli esempi riportati qual è la determinazione del btaì,iyun'tm che si impone come filosofica? vorremmo riprendere la tesi del Calogero, che proprio sul
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Dialogo, dialettica e filosofia in Platone
bwÀÉyfo{}m fonda la sua ricostruzione socratica: " ... e anche se la socratica volontà di dialogo si è qui (nel Fedro) già sensibilmente cristallizzata in ' arte dialettica ' (secondo quel processo che segna la storia interna del pensiero platonico, e .che a poco a -poco riduce Ja dialettica a non essere altro che una particolare dottrina, cioè un più o meno ragionevole logo nel dialogo), tuttavia il fatto che si inseriscano i ÀélyOL come semi fecondi, negli animi degli interlocutori continua ad èssere concepito come un processo ininterrotto che si ripete in sempre nuovi animi e con sempre nuovi ÀoyOL ... " 3 • Se riteniamo accettabile questa configurazione, la determinazione del bwi.Éyw-frat, che ha in sé immediatamente qualcosa di filosofico, è presente nel Protagora: qui per la prima volta Socrate . dirige il dibattito, nel senso che impone ad esso certe condizioni. Si tratta del lungo passo 328D-336C all'interno del quale cade la citazione, che abbiamo sopra riportato: elogio del discorso breve e di Protagora, che sa tenere " discorsi lunghi e belli ", ma sa anche, quando è interrogato, rispondere con concisione e, quando interroga, " attendere la risposta e accoglierla " per valutaria correttamente (la qual cosa, ironizza Socrate, " è data a pochi"); esposizione del procedimento come controllo dell'opinione sostenuta, sia essa quella degli interlocutori sia quella di altri fatta valere nel dibattito, ma anche esame e di chi la domanda pone e di chi risponde - insomma il metodo del domandare-rispondere in breve, attenendosi però al fatto, interpretando correttamente la domanda, rispondendo a tono, dandone ragione nella risposta a sé e agli altri. È un. momento del dibattito sul quale Platone insiste, e lo sottolinea usando espressioni " tecniche" (alcune di esse ritroveremo anche più tardi: per es. Resp. VII. 531E-532A e Politico 286A: "saper dar ragione di una cosa e intendeme ragione"): ~çn&.~uv (sottoporre ad esame), 1!/,qxoç (l'esame, la contestazione, e la dimostrazione che se ne dà), f),Érxnv (mettere in atto l'EÀFy;(oç), ÈÀÉYXfm'}cn (essere oggetto dell'EÀEyxoç); btW.Éyw{}m nella precisa accezione di rispondere riferendosi esattamente a ciò che è stato chiesto; Myov &ouvat (rispondere a tono), Aùyov 6É~aaftm (intendere la risposta c interpretarla opportunamente al fine di procedere nella conversazione) 4•
' G. CALOGERO, Socrate, in o avviso, una risposta al Socrate17 Con questo termine intendiamo, con Lugarini, la ricerca aristotelica nel libro m della 1\1elaJÌsica (esposizione dei problemi della filosofia o della filosofia per problemi) e che consideriamo come un momento continuamente operante della sua ricerca. Si può anche dire, con Ross, melOdo aporematico o con Tricot metodo diaporematico: questi evidentemente si basa sull'espressione usata da Aristotele stesso per indicare il libro III [tv "tOtç aLGtrrop"Jj:LG!CH: cfr. Metaph. XIII, 2. 1076bl, XIII, 10. 1086b15.]
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Dialettica, storia, politica
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Platone del Menone, quando all'argomentazione sofistica dell'impossibilità della conoscenza sia di ciò che si sa sia di ciò che non si sa, nel primo caso perché non c'è bisogno della ricerca, nel secondo perché non è possibile (Men. 80 D/81 A) - un argomento, come è noto, che suona dolce alle orecchie degli uomini pigri (81 DE) - Platone oppone il mito della reminiscenza, che renderebbe gli uomini operosi e ricercatori (ib.): una operosità, si badi, che è sollecitata unicamente dalla coincidenza, nel sapere, della ricerca e del sapere (81 DE), il cui fondamento è da cogliere in quel sapere come mito che alla fine è estraneo alla ricerca e all'uomo. Se Aristotele risponde a Platone, è per tornare ancora una volta all'esperienza sofistica e socratica, per riconquistare lo spirito di una ricerca veramente operosa e quindi una misura più adeguata dell'uomo. Con l'osservazione che abbiamo sottolineato, egli tende a porsi dalla parte dell'argomentazione sofistica, la quale aveva trovato la propria verità e realk>t storica nella polemica contro l'assolutizzazione dell'essere, cqntro un essere che veniva detto in un modo solo. L'essere- non si stanca di ripetere Aristotele- si dice in molti modi (rtoÀÀax&ç HyE-raL n) ()v). Ma è chiaro che non si tratta di un ritorno puro e semplice. Aristotele, infatti, traspone l'argomentazione sofistica come figura logica sul piano dell'esperienza storica: lo dimostra proprio la pagina dell'Organon dove il passo del Menone viene esplicitamente citato e dove Aristotele afferma che l'individuo, del quale egli si occupa, " in un certo senso sa, ma in un certo altro senso non sa" (An. post., 1 l. 71 a 26). Anche in questo caso egli riprendeva Platone, il celebre tema di Diotima: "Forse che è ignorante colui che non è un saggio? Non credi tu forse, che tra scienza e ignoranza vi sia qualcosa di intermedio? " (Conv. 202 AB), un tema, tuttavia, che coincide col mito del quale è oggetto. Aristotele rifiuta il mito, accetta la situazione di fatto e la inserisce in un più profondo risultato storico. Il rapporto tra le due introduzioni alla Metafisica, storico-dialettica la prima, dialettico-diaporetica la seconda, risponde alla necessità ora descritta di fondare da una parte storicamente la scienza (potremmo quasi dire: di storicizzare la scienza, di porla all'interno di una coscienza che si sappia storica) e di offrire d'altra parte alla scienza in via di fondazione (la Metafisica) una intelligibilità che non può altlimenti spiegarsi se non nel circolo chiuso del sapere filosofico. In questa direzione uno dei significati e dei compiti della dialettica aristotelica coincide con ciò che è stata poi chiamata la stmia, la coscienza storica; con una ter-
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Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele
minologia più vicina alla problematica aristotelica potremmo definirla configurazione, storicizzazione della tradizione. Se ora riportiamo il testo del terzo libro all'interno del dibattito che abbiamo cercato di chiarire in Metaph. IV, 2, possiamo dire di aver raggiunto una conclusione n,uova o almeno di aver aggiunto qualcosa di nuovo alla precedente conclusione: quella filosofia che è yvwgto..nxf] è la scienza oggetto della ricerca, l'idea della scienza, quella scienza suprema, agxtxo,;dnl, di cui si fa discorso anche nel libro precedente (cfr. 1 2.982 b 4/5); ma la scienza in atto, il filosofare, del quale di volta in volta si parla nella Metafisica, è la dialettica, Jtft(lM'tlXfJ (cfr. Top. IX, 8 c 11): una figura della " scienza ", ma quella che si determina, storicamente, nel btan:ogYjom. Il filosofo, il suo sapere e la coscienza comune non si oppongono e d'altra parte non coincidono, di fatto, come per il passato, ma trovano nella storia il loro senso c la possibilità di riconosccrsi, perché uno è il sapere, ma ad esso non è estranea l'opinione. A questo punto, il nostro discorso potrebbe ricominciare da capo. Se siamo venuti in chiaro circa il senso della dialettica in Aristotele, dalle sue origini come sofistica e sistema delle opinioni, e quindi: l) teoria della coscienza comune c 2) motore, come storia, della ricerca metafisica, della determinazione della scienza filosofica dell'essere (un senso eminentemente politico per ciò che tiene fermo il proprio oggetto, i molti, pur apponendolo all'uno, oggetto della scienza), abbiamo lasciato aperto nella sua problematicità il concetto della scienza secondo quanto risulta dai testi aristotelici. Ne abbiamo indicato sopra le deterIninazioni fondamentali sulle quali hanno operato le grandi interpretazioni della storia, cioè la distinzione, e non il conflitto, ormai classici, tra una metaphysica generalis che riguarda l'ens commune e una metaphysica specialis che verte sul summum ens, Dio. Ma il conflitto, la contraddizione non risolta è già in Aristotele: " ... l'opposizione dell'antologia e della teologia come quella dell'opinione e della scienza, della retorica e del mestiere riproducono in realtà su un piano diverso il conflitto di aristocrazia e democrazia. Ci si deve meravigliare di ciò? Può destare meraviglia il fatto che la preistoria della metafisica ci conduca ad un nodo di problemi in cui politica, filosofia, riflessione sulla parola e suU'arte s'infrecciano e si scambiano di significato in un complesso indissociabile? Che il progetto di una scienza dell'essere in quanto essere, che sembrò subito astratto quando se ne smarrirono le risonanze umane, tragga la propria origine, e quasi
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Dialettica, storia, politica
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la sua linfa, da un dibattito in cui era in gioco la condizione e la vocazione nello stesso tempo teorica, tecnica e politica dell'uomo in quanto uomo? ... n filosofo è l'uomo qualunque, l'uomo in quanto uomo oppure il migliore degli uomini? Il suo oggetto è l'essere comune, cioè l'essere in quanto essere oppure il genere più eminente dell'essere? L'essere appartiene a tutti e di volta in volta anche alla più umile delle nostre parole oppure si svela nella sua meravigliosa trascendenza unicamente nell'intuizione degli indovini e dei re? E infine: il discorso del filosofo è la parola di un uomo semplicemente uomo che avrebbe rinunciato ad apostrofare l'essere come teologo, fisico o matematico oppure è la parola distante di colui che, primo in. tutti i generi, sarebbe d'accordo con gli dei? " 18• ~ ancora il dibattito che aveva caratterizzato la sensibilità filosofica e politica degli uomini del v secolo. Vediamo di approfondire la questione e teniamo presente che è sempre buona norma metodica non solo lasciare aperte le contraddizioni individuabili in un filosofo, ma farle agire e sollecitarle: non sempre esse sono componibili nell'unità o nel circolo del sistema. Chiediamoci il senso dell'affermazione aristotelica nel primo libro dell'Etica nicomachea: posta la diversità degli scopi umani e uno scopo supremo e quindi un'unità di questi scopi, ci deve essere una scienza (EmaT~fll)) di questa unità, che sarà la più importante e la più architettonica (xt'(H(t>nhq, UQZt'tfXTovtxi)) - la " politica. Essa determina quali scienze sono necessarie nella città e quali ciascuno deve apprendere e fino a che punto. Vediamo, infatti, che anche le scienze più onorate si trovano sotto di essa, come la strategia, l'economia e la retorica. Dal momento che essa si serve delle altre scienze pratiche, e inoltre stabilisce che cosa bisogna fare e che cosa ·evitare, il suo fine potrebbe comprendere quello delle altre, cosicché sarebbe il bene umano " (1094 a 26/b7). Segue la fondamentale affermazione, che tiene in luce la differenza-relazione tra l'etica e la politica: se è identico il bene per il singolo e per la città, si deve scegliere e salvare quello della città, ché questo è un compito più bello e più divino. · ~ inutile sottolineare la concordanza di questo inizio dell' Etica nicomachea con quello ben noto della Politica 19• Lasciamo 18 P. AunENQUE, Le problème de l'ètre chez Ar., cit., pp. 279-280, ma cfr. E. WEIL, Quelques remarques ... , cit. sopra nota 7, pp. 844-49. " ARISTOTE, La politique, vol. I, Paris 1960 (coli. Les Belles Lettres), a cura di J. AUBONNET, p. 105. È molto importante l'introduzione all'edizione di questo testo aristotelico. Sulla Politica si ricordi almeno E. BARKER, The Politics oj Ar:, Oxford 1952; R. WmL, Ar. et l'histoire. Essai sur la" Politique ", Paris 1960, e la traduzione italiana a cura di C.A. VIANO,
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Logica e dialettica, storia c filosofia in Aristotele
pure da parte, anche se la connessione non sarebbe ingiustifi.cata, l'elogio della città c della comunità politica che lo segue immediatamente, che ritorna nel trattato sull'amicizia (partic. vm 11) e che apre il libro sulla Politica. La chiave per intcnderlo si trova a nostro avviso nello stesso contesto: " A questo (scienze necessarie nella città, detenninazione del bene per il singolo e per la città), mira, dunque, il nostro trattato, che è politico. Sarà sufficiente che esso tratti chiaramente intorno alla materia proposta. Infatti, non bisogna cercare in tutte le discussioni una precisione uguale come neppure nelle professioni manuali ... Ci si deve accontentl:>il;lmo.J).Init~ sintetica qrjgjl)aria della app~::rcezione, l:fq Pf:.fl~'(L (un termine kantiano che, grosso modo, corrisponde a ciò che gli idealisti chiameranno coscienza di sé), che accompagna tutte le mie rappresentazioni e che garantisce l'identità della coscienza in queste rappresentazioni stesse (p. 130 e sgg.); l'operazione ha bisogno, d'altra parte, di una mediazione : come è possibile applicare l'unità di una regola pura dell'intelletto al diverso delle intuizioni empiriche prodotte dalla sensibilità? Come conciliare questi due eterogenei? È la dottrina dello schematismo, che ha tanto affaticato gli interpreti. Abbiamo gli schemi e la loro facoltà, l'immaginazione, che fanno da ponte tra l'intelletto e la sensibilità. ·(Un solo esempio: " .. .lo schema puro della quantità, come concetto dell'intelletto, è il numero, il quale è una rappresentazione che' comprende la successiva addizione degli omogenei uno a uno. Cosicché il nu-
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Intelletto c ragione, fenomeni e noumcni
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mero non è altro che l'unità della sintesi del molteplice di una intuizione omogenea in generale, per il fatto che io produco il tempo stesso nell'apprensione dell'intuizione ", p. 162). "Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'intelletto puro esaminandone con cura ogni parte, ma l'abbiamoanche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, c delle quali non può mai venire a capo. Ma, prima di affidarci a questo mare, per indagarlo in tutta la sua distesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da speraTL~, sarà utile che prima diamo ancora uno sguardo alla carta della regione. che vogliamo abbandonare, e chiederci anzitutto se non potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene; o anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel caso che altrove non ci fosse assolutamente un terreno sul quale poterei fabbricare una casa; e in secondo luogo, a qual titolo noi possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla contro ogni nemica pretesa. Sebbene abbiamo già risposto sufficientemente a queste domande nel corso dell'Analitica, tuttavia una scorsa sommaria alle soluzioni di essa può rafforzare la nostra convinzione, riunendo i vari momenti di essa in un punto unico" (pp. 237-238). Tl "punto unico", al quale Kant fa cenno, è quello della distinzione di tutti gli oggetti in generale in fenomeni e noumeni: l'uso empirico dell'intelletto e delle sue categorie, l'esperienza saldamente ancorata entro i limiti della sensibilità. Quelli dell'intelletto, dunque, " sono semplicemente principi dell'esposizione dei fenomeni, c l'orgoglioso nome di Ontologia, che presume di dare in una dottrina sistematica conoscenze sintetiche a priori delle cose in generale, deve cedere il posto a quello modesto di semplice Analitica dell'inteltetto puro " (p. 244). Le cose in generale, oltre ai fenomeni, sono " altre cose possibili, ma che non sono punto oggetto dei nostri sensi, come oggetti pensatisempliccmcnte dall'intelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili (noumena) " (p. 248) (dove è bene sottolineare quel pensati che rimanda alla funzione non empirica dell'intelletto, in opposizione al conoscere s
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che dell'intelletto è la funzione propria). II concetto di noumeno è, dunque, un concetto limite, e di uso quindi puramente negativo. Il noumeno può essere configurato anche in senso positivo, ma allora dobbiamo supporre che esso sia l'oggetto di una intuizione non sensibile, '' un'intuizione intellettuale, la quale però non è la nostra, e della quale non possiamo comprendere nemmeno la possibilità " (p. 249) - una potenza veramente più che umana, avrebbe detto Platone: ma dì questa potenza non si occupa, non può occuparsi la filosofia critica.
6.5. L'oggettività della contraddizione e l'inevitabile dialettica della ragione · " Ogni nostra conoscenza sorge dai sensi, indi va all'intelletto e finisce nella ragione, al di sopra della quale non c'è nulla di più alto per elaborare la materia dell'intuizione e sottoporla alla più alta unità del pensiero... Se l'intelletto può essere una facoltà deU'unità dci fenomeni mediante le regole, la ragione è la facoltà dell'unità delle regole dell'intelletto sottoposte a principi. Essa dunque non si indirizza mai immediatamente all'esperienza o a un oggetto qualsiasi, ma all'intelletto, per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un'unità a priori per via di concetti; unità, che può dirsi unità razionale, ed è di tutt'altra specie da quella che può essere prodotta dall'intelletto " (pp. 281 e 283). Kant chiama l'unità a priori della ragione, che serve a _C'!!_!!!:Prendere, come i concetti dell'intèlletto a j_J_1[~rtc/er~(p. 289), secondo -ra-ferminologia tradizionale; anzi proprio perché quella terminologia fa capo a Platone, non c'è motivo di mutarla: " un concetto derivante da nozioni, e che sorpassa la possibilità dell'esperienza, è l'idea o concetto razionale " (p. 296). La dialettica trascendentale presenta il sistema delle idee trascendentali c di quei raziocini dialettici della ragion pura, la cui natura abbiamo più volte indicato. Kant tiene fermo il rapporto col mondo empirico come mondo del condizionato, e allora ritiene che, in generale, le idee della ragione abbiano a che fare con l'unità sintetica incondizionata di tutte le condizioni. Per analogia con le operazioni dell'intelletto e con i suoi elementi, Kant individua un ·soggetto, un oggetto e un oggetto pensato dal soggetto; configurando questi elem'enti in una dimensione, quella razionale, che per sua natura si sottrae alle condizioni e le annulla, Kant può ritenere che tutte le idee trascendentali si riducano a
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Oggettività della contraddizione e dialettica della ragione
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tre classi: ·· la prima comprende l'assoluta (incondizionata) unità del soggetto pensante, la seconda l'assoluta unità della serie delle condizioni del fenomeno, la terza l'assoluta unità della condizione di tutti gli oggetti del pensiero in generale. Il soggetto pensante è l'oggetto della psicologia; il complesso di tutti i fenomeni (il mondo), l'oggetto della Cosmologia; e la cosa, che contiene la condizione suprema della possibilità di tutto ciò che può esser pensato (l'essenza di tutte le essenze), l'oggetto della Teologia. La ragion pura dunque fornisce l'idea per una dottrina trascendentale dell'anima (psychologia rationalis), per una scienza trascendentale del mondo (cosmologia rationalis), e, infine, anche per una conoscenza trascendentale di Dio (theologia trascendentaTis). Lo stesso semplice disegno di una o dell'altra di queste scienze non proviene punto dall'intelletto, quand'anche esso si unisca al più elevato uso ·logico della ragione, ossia a tutti i raziocinii immaginabili per spingersi da uno de' suoi oggetti (fenomeno) a tutti gli altri. fino ai membri più remoti della sintesi empirica; ma è unicamente un puro c schietto prodotto o problema della ragion pura •·· (p. 305). Tali idee trascendentali della ragione, che pur contengono o esprimono una realtà trascendentale del tutto soggettiva, hanno dato luogo c continuano a rendere possibili diverse serie di raziocini dialettici, veri c propri sistemi aventi una loro coerenza e interna necessità; essi non contengono premessa empirica alcuna e nondimeno, per quell'inevitabile apparenza, di cui abbiamo fatto più volte discorso, attribuiamo loro una realtà oggettiva. Riportiamo ancora alcune righe di Kant, esemplari per il loro stile dimesso, per quel suo rispetto per la finitezza e la povertà dell'uomo, per il dramma che l'uomo continuamente vive a causa della lacerazione che la ragione produce e rappresenta in lui: " raziocini siffatti, rispetto al loro risultato, son dunque da dire sofismi, anzi che sillogismi, quantunque per la loro origine possono anche portare l'ultimo nome, perché essi non sorgono per finzione od a caso, ma derivano dalla natura della ragione. Sono sofisticazioni, non dell'uomo, bensì della stessa ragion pura, dalle quali il più savio non può liberarsi, c magari a gran fatica potrà prevenire l'errore, ma senza sottrarsi mai all'apparenza che incessantemente lo insegue e si prende gioco di lui" (p. 308). Non è il caso di seguire Kant nell'analisi dei paralogismi della ragion pura, falsi sillogismi della psicologia razionale, nella quale si parla dell'anima e della sua pretesa realtà; e neppure nella costruzione dell'ideale della ragion pura come risultato della critica delle varie prove dell'esistenza di Dio: " l'essere supremo re-
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sta per l'uso semplicemente specùlativo della ragione un semplice ma perfetto ideale ... la cui realtà oggettiva, è vero, non è dimostrata ma non può né anche essere contrastata" (p. 492); co- me è noto, lo ritroveremo, insieme alle altre due idee, l'anima e il mondo, come postulato della ragione pratica. Mette conto invece soffermarsi brevemente sull'antinomia della ragion pura, cioè quel sistema di raziocini cui dà luogo l'idea del mondo. Qui la _dialettica celebra se stessa in tutta la sua tradizione più gloriosa e, come antitetica della ragion pura (sistema delle antinomie), : apre la strada a quel nuovo intendimento o nuova figura della dia! lettica che sarà dell'idealismo - c poi di Hegcl. L'idea trascenlùentale del mondo produce quattro conflitti. l) Tesi: il mondo nel tempo ha un cominciamento, e, per lo spazio, è chiuso dentro limiti; Antitesi: il mondo non ha né cominciamento né limiti spaziali, ma è, così rispetto al tempo come rispetto allo spazio, infinito. 2) Tesi: ogni sostanza composta nel mondo consta di parti semplici, e non esiste in nessun luogo se non il semplice, o ciò che ne è composto; Antitesi: nessuna cosa composta nel mondo consta di parti semplici; e in esso non esiste, in nessun luogo, niente di semplice. 3) Tesi: la causalità secondo le leggi della natura non è la sola da cui possono essere derivati tutti i fenomeni del mondo. È necessario ammettere per la spiegazione di essi anche una causalità per libertà; Antitesi: non c'è nessuna libertà, ma tutto nel mondo accade unicamente secondo leggi della natura. 4) Tesi: riel mondo c'è qualcosa, che, o come sua parte o come sua causa, è un essere assolutamente necessario; Antitesi: in nessun luogo esiste un essere assolutamente necessario, né nel mondo, né fuori del mondo, come sua causa (pp. 348-375). Kant dedica molto spazio all'esame di queste tesi e antitesi attraverso minuziose analisi: senza fare nomi, ma limitandosi a citare per lo più correnti importanti di pensiero, è tutta la storia .della filosofia che entra in questo dibattito. E il dibattito posto in questa forma non ha soluzione oppure " l'antinomia della ragion pura nelle sue idee cosmologiche vien superata dimostrando che essa è meramente dialettica, è un conflitto di un'apparenza che nasce da questo, che si è applicata l'idea dell'assoluta totalità, che non ha valore se non come condizione delle cose in sé, ai fenomeni... " (p. 404) (ovviamente le opinioni dei filosofi consegnate nel~a storia della filosofia sono studiate anche a proposito dell'anima e di Dio).
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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà
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6.6 La dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà Giunti alla fine di questa esposizione, non possiamo non chiederci quale sia nel sistema la funzione delle idee trascendentali. Non sta al sistema rispondere in quanto per esso ha risposto già la dialettica trascendentale. Tuttavia Kant ne parla in un'appendice sull'uso regolativo delle idee della ragion pura e sullo scopo finale della dialettica naturale della ragione umana. L'uso regolativo delle idee è appunto c solo quello di indirizzare l'intelletto a un certo scopo per coPlerirgli la maggiore unità possibile con la maggior estensione, c la ragione è presente in questa operazione come l'elemento sistematico della conoscenza, cioè la connessione di essa secondo un principio (p. 494). Le idee della ragione possono rappresentare il limite della conoscenza, nella coscienza che l'intelletto non può giungere ad esse, non può rcalizzarle in una esperienza. E allora si può anche dire che le idee rappresentano, nella loro astratta formalità, il sistema ideale (in effetti semplicemente regolativo) di ogni conoscenza razionale. " Così la ragion pura, che da principio pareva prometterei nientemeno che l'estensione delle conoscenze di là dai limiti della esperienza, se noi la intendiamo bene, non contiene se non principii regolativi, che esigono bensì un'unità maggiore di quella che può raggiungere l'uso empirico dell'intelletto, ma appunto perché spingono tanto innanzi il fine dell'approssimarsi ad essa, portano al più alto grado, mediante l'unità sistematica, l'accordo di esso con se medesimo; ma se s'intendono male, e si tengono per principii costitutivi di conoscenze trascendenti, producono, con un'apparenza splendida sì, ma ingannevole, una convinzione e un sapere immaginario, e con ciò eterne contraddizioni e contrasti" (p. 531). Con la sua Critica Kant ci consegna un'immagine dell'uomo che non trova riscontro immediato nella cultura illuministica, nel suo ottimismo, nella sua credenza da un lato nel progresso delle scienze e delle lettere e dall'altro nella bontà originaria della natura umana. Nonostante la sua anunirazionc per Rousseau, uno dei pochi autori che Kant ha esaltato (c, forse, grazie a questa ammirazione), non c'è in Kant nessun mito del buon selvaggio. Anzi, se si bada alla Critica della ragion pura e se la si legge non soltanto come un testo speculativo o, come vogliono certi manuali, come il semplice risultato di una polemica tra razionalisti cd empiristi (una polemica inesistente anche se lo stesso Kant l'ha schematizzata nelle pagine della Introduzione alla CritÌC{J -
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Kant
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le sole universalmente note e altrettanto universalmente fraintese), ma come un complesso intreccio culturale, una risposta ai problemi del tempo e quindi una critica di quella che poi si sarebbe chiamata l'ideologia, allora troviamo qui una dissacrazione di quel mito. L'uomo per Kant non è naturalmente né buono né cattivo: questo dipende dalla sua condotta morale, cioè dall'uso che l'uomo sa e vuoi fare della sua libertà. Infatti, non si dimentichi il primato della morale in Kant, nel senso, tra l'altro, sia dell'interesse tutto particolare che la vita morale aveva sempre suscitato in lui sia, in senso stretto, perché ciò che è primo, per Kant, è la vita morale. _Proprio l'analisi della conoscen:za ha indicato che l'uomo è un essere che agisce; e proprio in quanto. agisce- è. vlÌole. agire, costruisce quel mondo empirico, concreto, reso comprensibile c organizzato dai concetti e dalla ragione. È vero, la ragione non si esaurisce in questa attività perché è una facoltà che regola tutta la vita dell'uomo. Si può dire: .;t- J'uq_~_q_ è lib~_o p~rché si scopre conoscitivwnente_ fini~o. La Critica mostra che è vana la ricerca dell'incondizionato nella natura: ma questo incondizionato l'uomo e la sua ragione lo ritrovano immediatamente in se stessi, nel dovere. In quanto -pensa e si pensa l'uomo non può fare a meno di pensarsi come universale e come libero. Questo è il senso del rapporto fra l'analitica e la dialettica trascendentale, questo il senso del loro essere ancorate all'estetica, cioè alla sensibilità: la dialettica trascendcn. tale fQrrcia la Critim perché proprio l'essèrefinitodcl.Fiiomo- espo~ sto all'illusione di una conoscenza dell'incondizionato dipende dal suo essere immerso nella sensibilità c dal suo non aver riconosciuto, prima della Critica, che il mondo della conoscenza (empirico) non è il sapere. Dopo la Critica, dopo la dialettica trascendentale, critica dell'apparenza, l'intelletto c la ragione si trovano privati di quell'impero metafisica sul quale avevano orgogliosamente dominato. Si schiude loro il mondo della libertà morale, ma è un mondo da farsi, una conquista continua. Naturalmente l'uomo non è un essere morale. La pagina kantiana è umile; nulla è tanto estraneo a Kant quanto le magnifiche sorti e progressive. Dopo Kant non ci sarà dato facilmente di ritrovare questo senso di impotenza e di povertà che silenziosamente percorre, come altri ha scritto 9, non potenziato dal fiato di false divinità, tutta la sua opera: in polemica implacabile con l'ottimismo illuministico, essa ha a suo ulti• A.
MASSOLO,
Introduzione all"analitica kantiana, ciL, p. 48.
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Dialettica tra l'essere finito dell'uomo e la sua libertà
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mo fondamento una concezione sanamente pessimistica dell'uomo. Non c'è conoscenza infinita, non c'è dio, non c'è libertà co~ me qualcosa di dato. Il solo dato è l'essere dell'uomo nel mondo, in un mondo che ha un senso, se c'è l'uomo: ma questo senso deve essere scoperto. Questo spiega una certa fortuna di Kanf' nell'esistenzialismo, almeno nella sua parte più seria 10 • Riprendiamo e approfondiamo i temi della conoscenza, del sapere e della libertà, motori c oggetti della dialettica. Come è noto, su di essi è stato scritto praticamente tutto perché intorno ad essi si è svolto fino ai nostri giorni il dibattito delle filosofie postkantiane maggiori e minori e della cultura in generale. Ci sembra opportuno riportare la pagina di un filosofo contemporanco, che coglie il senso della problcmatica kantiana come si è cercato di delinearla nelle pagine precedenti: " Ogni conoscenza di ogni dato è condizionata e mediata; il sapere della libertà e del dovere è immediato e incondizionato. Così nasce questa nuova e doppia dialettica: come è possibile l'incondizionatczza della libertà in un mondo che non è mondo, se non in forza delle leggi determinanti e deterministiche della natura? E come può avere un senso la vita dell'uomo, se questo senso è dato dalla libertà e se nello stesso tempo la libertà non trova posto nel mondo? ... In generale Kant dirà: alla prima domanda basta rispondere che il problema stesso è dialettico in quanto vi si richiede una soluzione che va al di là dei limiti dell'uso empirico della ragione; l'incondizionato non è nel mondo, è il fondamento del mondo, e il mondo non può nulla contro di esso, non più di quanto l'incondizionato possa contro il mondo: la distinzione della conoscenza c del sapere, del relativo e dell'assoluto, è sufficiente per superare una difficoltà che si fa invincibile solo a partire dal momento in cui i due piani siano confusi. Quanto alla seconda domanda, la soluzione è positiva e non sta in una dissoluzione del problema: poiché (e in quanto) la ragione cerca l'assoluto, ma evita di collocarlo all'interno del mondo, le è perfettamente lecito credere in ciò che non potrebbe essere né confermato né infirmato da una conoscenza condizionata. Dio, la libertà, l'immortalità dell'anima, fino a che non saranno poste come ipostasi, non saranno introdotte nella esperienza in forma di forze agenti o di entità esistenti, sono i legittimi oggetti 10 In generale si veda L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, Firenze 1942 (recentemente ristampata e ampliata) e, tematicamente, di A. MAssoLO, i saggi e le note su Husserl, Heidegger, Jaspers e Kant in Logica hegcliana e filosofia contemporanea, Firenze 1967.
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della fede filosofica, consolazione e speranza del pensatore, il quale sa bene di non aver il diritto di fondare su di essi la morale, ma si è convinto della legittimità della sua speranza in una giustizia trascendente che indirizza il mondo secondo la volontà pura dell'universale e che ricompensa le intenzioni di quella coscienza morale che determina le proprie massime secondo la legge dell'universalità. Alla dialettica oggettiva della soggettività si sovrappone (poiché è fondata sulla prima) una dialettica oggettiva che si svolge tra la soggettività e il mondo da essa costituito, mondo del quale tenterà sempre di dimenticare la costituzione fondata sulla soggettività" 11 •
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E.
WEIL,
Pensiero dia/ellico e politica, in Filosofia e politica, Firen·
ze 1965, pp. 27-28.
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7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica
7.1. Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana La storia della filosofia dopo Kant può essere intesa, e lo è stata di fatto 1, come una storia della filosofia kantiana. Indipendentemente dai risultati e dalle interpretazioni dei singoli storici della filosofia non c'è ombra di dubbio che i grandi, anzi i grandissimi dell'idealismo tedesco (Fichte e Schelling) come, a maggior ragione, i cosiddetti minori (Reinhold, Jacobi, ecc., e lo stesso Schopcn.haucr) scrivono le loro opere più importanti e significative come risposta ai problemi che la filosofia di Kant aveva imposto al loro tempo. Non possiamo soffermarci su questo punto. Tuttavia, per esemplificare, ci permettiamo di affermare che il tardo idealismo religioso di Fichte come la filosofia della natura c della mitologia di Schelling, per quanto grande possa essere il loro peso nelle vicende culturali dell'epoca, restano accadimenti quasi insignificanti per il dcsti"no della filosofia dopo Kant. Oppure agiscono come semplici punti di riferimento storico (è il caso del cosiddetto secondo Schelling, appunto, con. i suoi motivi esistenzialistici) 2 • Lo stesso Hegel, che, a sentire i suoi compagni di studio, forse un po' maliziosi, non dedicava molte ore ai filosofi e preferiva leggere Shakespeare, Tucidide e i tragici greci, cominciò come kantiano commentando la Metafisica dei costumi e scrivendo una Vita di Gesù ispirata alla morale di Kant; e quando, più che tren.terme, si presenta al pubblico con il celebre saggio sulla Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schel1 Questa affermazione va intesa in senso stretto e quindi cade fuori di essa la cosiddetta storiografia idealistica e neohegeliana: Kroner per esempio e i nostri Croce, Gentile e De Ruggiero. 2 Su questo punto e per una interpretazione non idealistica dell'età kantiana cd hegeliana si veda K. LOWITH, Da Hegel a Nietzsche, trad. it., Torino 1949.
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Da Kant a Hcgcl
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/ing in rapporto ai contributi di Reinhold per una p1u semplice comprensione d'insieme dello stato della filosofia agli inizi del X I X secolo (180 l), Kant è ancora il suo nume tutelare. La Critica della ragion pura è al centro del dibattito, esplicitamente, c basterebbe citare i titoli delle opere di Reinhold, Jacobì, Maimon, del primo Fichte e del giovane Schclling. Tmplìcitamente (e si tratta di una storia ancora tutta da scrivere - o da riscrivcrc leggendo Hcgcl), la Dialettica trascendentale è al centro del dibattito sulla Critica della ragion pura. E questo per due motivi. In primo luogo: abbiamo notato la presenza, nella Dialettica trascendentale, di una serie di tesi, di una vera e propria storia della tì.losofia sui generis. È un sorprendente ritorno di Aristotele, è una interpretazione profonda della dialettica aristotelica, ignorata dalla storiogralìa. Nonostante la diversità della situazione storica c della impostazione filosofica dei problemi, resta il fatto, fondamentale, che per Kant, come per Aristotele, oggetto della dialettica non sono le cose, ma le opinioni sulle cose, c queste opinioni, inoltre, possono determinarsi come ragioni contrapposte. Posta, dunque, una certa identificazione, in Kant come in Aristotele, di dialettica e storia della filosofia, la distinzione comincia a partire dal fatto che nella dialettica kantiana le tesi sono riconosciute come necessitate da una situazione umana: la ragione esposta all'errore dell'illusione; in Aristotele, invece, sono lasciate nella loro assoluta contingenza. Quindi quella dialettica o topica o dibattito sulle tesi correnti che in Aristotele rappresentava la propedeutica al filosofare, rientra con Kant nel sistema, giustificato dalla struttura stessa della ragione dell'uomo. ·Va sottolineato: l'esame dei sistemi e delle tesi avviene come se non avessero dimensione temporale; senza contingenza né arbitrarietà alcuna esse costituiscono le tappe, non cronologiche, della storia necessaria della ragione (una storia filosofica ancora più astratta di quella aristotelica). E in questa sua necessità la ragione, lo abbiamo visto, manifesta una sua struttura: l'antitesi, la contraddizione. Non poteva sfuggire a H egei: " Kant pose la dialettica più in alto, ed è questo uno dei suoi meriti maggiori. Egli le tolse quell'apparenza di arbitrio, che ha secondo l'ordinario modo di rappresentarsela, e la mostrò come un'opera necessaria della ragione ... l'idea generale, che Kant pose per base e fece valere, è l'oggettività dell'apparenza, e la necessità della contraddizione appartenente alla natura delle determinazioni del pensiero... " 3• Questo fatto resti qui soltanto accennato: esso è appunto ' Ho seguito, talvolta parafrasandole, alcune pagine del saggio, fonda-
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Il dibattito sulla dialettica trascendentale kantiana
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il problema òeila filosofia dopo Kant. Come avviene che la ragione umana, nell'esame al quale sottopone se stessa, si manifesti come contraddizione e antitesi? Come nasce l'antitesi nei discorsi sulle cose? La dialettica, soggettiva, della ragione, costitutiva della filosofia, non sarà essa il fondamento di una dialettica oggettiva intesa sia come dialettica oggettiva della soggettività (razionale) sia come dialettica della realtà? Già questo interrogativo, presente ai contemporanei, indica come la filosofia critica non potèsse essere mantenuta nel suo equilibrio e come di fatto trascendesse il pensiero dello stesso Kant. Una dinamica a sua volta inevitabile, della quale non potevano essere responsabili né Kant né i suoi interpreti. Il sistema aveva prodotto i suoi effetti sul tempo e il tempo rispondeva con altre interrogazioni facendo violenza al sistema. In secondo luogo: la Critica della ragion pura apparve immediatamente ai contemporanei - ben più dotati e culturalmente più sensibili degli storici della fìlosofia loro successori - un edificio imponente, ma fragile. Le contraddizioni (ne abbiamo qui sopra indicata soltanto una, sia pure importante) sulle quali si reggeva, risultavano composte c in equilibrio, ma solo all'interno della filosofia kantiana: non potevano resistere all'interpretazione. Sensibilità (reccttiva) e intelletto (spontaneo), intelletto come facoltà dell'unità di un molteplice (sensibile) e ragione come facoltà dell'unità incondizionata, fenomeni come oggetto di conoscenza e noumeni come pensabili, la materia della sensibilità come dato non deducibile c le rappresentazioni (intuizioni, concetti, idee) come costruzione dell'attività conoscitiva umana, !'io penso come coscienza di sé, unità sintetica originaria, e l'uso meramentc empirico dell'intelletto, il realismo delle cose nello spazio e l'idealismo delle rappresentazioni, l'esistenza della materia accanto alla semplice coscienza di sé e l'idealismo della coscienza di sé rappresentante e unificante - contraddizioni sostanzialmente riconducibili ad una sola, cioè a quella, dichiarata dallo stesso Kant e già ticordata: " l'idealista trascendentale può essere un realista empirico, e, come si dice, un dualista" (p. 674), cioè l'ammissione, grosso modo, della coesistenza o non coesistenza nella Critica di due sistemi contrapposti. È la celebre interpretazione di Jacobi, che Fichtc farà propria, c che sì legge formulata comentale, di A. MASSOLO, Per una le/tura della 'Filosofia della storia' di llege/, in La storia della filosofìa come prohlema, Firenze 1967, pp. 171 sgg. La citazione hegeliana è tratta dalla Scienza della logica, trad it. di A. Moni, Bari 1968, vol. r, pp. 38-39 (i corsivi sono di Hegel).
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Da Kant a Hegel
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sì: " come è possibile accordare la presupposizione di oggetti esercitanti una impressione sui nostri sensi e in tal modo suscitanti una rappresentazione, con una dottrina che vuol mettere nel nulla tutti i fondanienti su cui questa prcsupposizione si fonda? " 4• Ma Fichtc andava oltre, esponendo il vero idealismo, cioè quel punto di vista trascendentale e speculativo dal quale il filosofo può osservare la deduzione che la coscienza empirica compie del proprio sistema del mondo 5• Non già, dunque, due sistemi contrapposti: la loro coesistenza ha un senso perché Kant avrebbe prefigurato l'idealismo come giustificazione del realismo. Di qui quella dialettica fichtiana di io e non io, di tesi, antitesi c sintesi, dalla quale avrà inizio una lunga evoluzione composta o conclusa da Hegel. Ma potremmo aggiungere una terza motivazione, che è poi alla base delle considerazioni precedenti. La filosofia kantiana è in quegli anni al centro di· un grande dibattito non soltanto per la sua potenza speculativa, ma soprattutto perché " i contemporanei ne avevano immediatamente avvertito l'interesse pratico-politico " 6• Essi penetravano facilmente nello spirito del sistema perché si servivano non soltanto delle grandi opere sistematiche, ma anche di quegli scritti cosiddetti minori, che poi per molto tempo sono stati ingiustamente trascurati. Basterebbe rileggere i due brevi saggi del 1784 e 1791: Risposta alla domanda: che cos'è l'Illuminismo (Aufklarung)? e Dell'insuccesso di ogni tentativo di teodicea, " per renderei consapevoli della facilità, per un suo contemporaneo, di cogliere il significato della sua Critica in funzione e a servizio della instaurazionc dell'uomo ". Proprio nell'interpretazione del'IIluminismo come " uscita dell'uomo da uno stato di minorità che egli non può che imputare a se stesso ", emerge la figura del criticismo "teso a garantire all'uomo non solo una realtà non ostile c non radicalmente estranea ma anche la possibili' Sull'idealismo trascendemale (1787), trad. it. a cura di N. Bobbio, in « Rivista di filosofia»; 1948, n. 3, p. 256. 5 È il tema dell'opuscolo fìchtiano: Seconda introduzione alla Dottrina
della scienza (1797), uno degli scritti, cosiddetti minori, con i quali Fichte, insieme a Schelling, partecipava fra il 1794 e il 1798 (anni in cui cadono le due maggiori esposizioni della Dottrina della scienza) al dibattito sulla filosofia kantiana. C'è una traduzione italiana con commento a cura di Massolo, pubblicata per gli studenti a Urbino, 1948, ora fuori commercio. Cfr. A MAssoLO, Il primo Schelling, Firenze 1953, Introduzione, partic. pp. 11-12. • A. MASSOLO, Sche/ling e l'idea/isn10 tedesco, in La storia della filosofia come problema, cit, p. 132. Da questo saggio sono tratte le altre citazioni che seguono.
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tà di essere un costruttore del proprio destino ". Proprio questo è il problema che troviamo al centro del dibattito, cioè come possa conciliarsi questa direzione del suo pensiero con la tesi secondo la quale all'uomo non è dato trascendere tutti quei dualismi, tecrizzati in ultima istanza dall'esposizione dell'uomo al nulla dell'illusione trascendentale, e ancora la contraddizione di una filosofia che voleva porsi come sistema stesso della libertà e che al tempo stesso denunciava l'impossibilità storica dell'uomo di porsi come uomo totale.
7.2. Fichte e Schelling oltre e contro Karit Per quanto la discussione sia fittissima, interessante e di grande levatura gli interventi e le repliche (libri, recensioni, opuscoli, giornali, fogli ufficiali, firmati o anonimi: non dimentichiamo che si va preparando quella che pochi anni dopo verrà definita l'epoca, l'età d'oro della filosofia, e in un certo senso, a ricostruirla oggi, vi siamo già immersi in pieno), non terremo conto dei cosiddetti postkantiani, cioè di coloro che, in definitiva, videro soltanto la contraddizione propria di un sistema e non della situazione, e credettero pertanto di eliminarla mediante una revisione del sistema stesso. Lo spirito del tempo è colto bene da Regel, giovanissimo, in una lettera a Schelling del gennaio 1795. Schelling non si dava ragione né pace della " miseria " dei professori di filosofia di Ttibingen che fraintendevano Kant, non capivano il primato della ragione pratica e della libertà e Io adattavano ad una nuova teologia con i suoi vecchi interessi di sempre. " Ciò che tu mi dici ", scrive Hcgel, " sulla filosofia di Tlibingen, non ha niente di straordinario. Non si può distruggere l'ortodossia sino a che la sua professione, legata ad interessi secolari, è inserita nello Stato. Questo interesse è troppo forte ". Hegel aveva capito l'impossibilità di rispondere a quella difficoltà rimanendo sul piano meramente filosofico e l'aveva riportata, quindi, sul suo piano vero, che è appunto quello praticopolitico. Di questi esempi non sapremmo trovarne molti. Gli stessi Fichte e Schelling, Schelling soprattutto, sfuggiranno ben ' presto al piano pratico-politico, rinunceranno a capirlo, ad esseme capiti. Vediamo allora Fichte. Con il nome di dialettica fichtiana si intende l'esposizione dei principi nella Dottrina della scienza del
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Da Kant a Hegcl
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1794, che si chiama propriamente Grundlage der Wis.\emchaftslehre. Fichte ha iniziato la sua ricerca prima della Critica del giudizio ed egli appare dominato dal primàto kantiano della ragion pratica. La ragion pratica dovrà costituire quel fondamento sul quale innalzare l'edificio solido, chiaro e coerente della filosofia: presupposto, e risultato, di questa filosofia è la reale possibilità dell'uomo di liberarsi da una situazione. Abbiamo indicato le caratteristiche dell'uomo, in Kant, lacerato dai dualismi. Poiché ne ignora la genesi, secondo Fichte, egli 11011 può libcrarsene: un passaggio che Kant, come abbiamo visto, non intendeva compiere per rimanere fedele alla sua immagine (settecentesca) dell'uomo. La vita, la volontà sono l'oggetto della Dottrina della scienza, c Fichte teorizzcrà la volontà di agire come sforzo infinito c questo come l'unica seria possibilità d'intendere il reale. Non c'è dubbio: sollecitato da Kant egli lo interpreta c ne elistrugge il sistema: vi abbiamo fatto cenno, non è possibile comporre le contraddizioni della filosofia e dell'uomo kantiani restando all'interno del suo sistema. Altri tempi corrono. L'8 gennaio 1800 Fichtc scrive a Rcinhold: " Il mio sistema dal principio alla fìne nient'altro è che l'analisi del concetto della libertà". Ma la libertà di cui parla Fichte non è un dato né psicologico né speculativo, ma è il segno, il fermento dci tempi nuovi, la libertà civile e politica affermata dalla Rivoluzione francese. Fin dall'aprile 1795 egli aveva scritto allo svizzero Baggesen queste parole che fanno da contrappunto a quelle che abbiamo sopra riportato di Hegel: " Il mio sistema è il primo sistema della libertà. Come la nazione francese ha liberato l'umanità da catene materiali, il mio sistema la libera dal giogo delle cose in sé e i suoi principi fondamentali fanno dell'uomo un essere autonomo. La Dottrina della scienza è nata nel corso degli anni in cui la nazione francese, a forza di energia, faceva trionfare la libertà politica; è nata in seguito ad una lotta intima con me stesso e contro tutti i pregiudizi ancorati in me, e proprio questa conquista ha contribuito a far nascere la Dottrina della scienza. Debho al valore della nazione francese di essere stato sollevato ancora piì1 in alto, di aver stimolato in me l'energia necessaria per comprendere quelle idee. Mentre scrivevo un'opera sulla Rivoluzione, i primi segni, i primi presentimenti del mio sistema sorsero in me come una specie di ricompensa " 7 • ' L'edizione migliore delle lettere di Fichte, delle quali purtroppo non c'è una traduzione italiana, è quella a cma di H. Schulz, Fichtes Briefwechse/, Leipzig 1925, in due volumi. L'opera sull~ Rivoluzione francese alla quale Fichte allude è Contributo per relli(icare il giudizio del p11bblico
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È giusto, dunque, affermare ·che Fichte, per primo, avrebbe constatato che la genesi, il fulcro della dialettica, in quanto movimento reale, risiede nella società 8• È ancora più giusto osservare che, proprio perché vera la constatazione precedente, non c'è in Fichte una teoria ddla dialettica, una riflessione sulla dialettica: con Fichte, per primo, la dialettica non è altro dal movimento della realtà; la realtà, non il pensiero, è dialettica oppure il pensiero è dialettico in quanto pensa la realtà: ma la realtà- questo il limite di Fichte - è l'Io. Solo con Hegel questo limite (letteralmente, cioè questa visione parziale della realtà) verrà superato. Una volta indicate le caratteristiche fondamentali, non ha interesse esporre nei particolari la filosofia, cioè la dialettica, fichtiana, esposizione facilmente reperibile presso i migliori interpreti e in qualche buon manuale 9• Limitiamoci a presentare lo schema contenuto nei tre principi fondamentali della Dottrina della scienza, la posizione dell'lo, la posizione del Non-io e la conquista o superamento del Non-io da parte dell'Io. L'Io agente è il fondamento di questa costruzione o produzione che non presuppone altro che l'Io: l'Io realizza se stesso mediante un atto libero, nel senso più forte del termine; la sua libertà è, infatti, anche un atto di autolimitazione: il Non-io è opposto all'Io dallo stesso Io in modo da avere quel contenuto che altrimenti gli mancherebbe. Il compito dell'Io - l'azione, il suo manifestarsi come volontà - e il suo contenuto coincidono. Da quello sdoppiamento l'Io procederà, ritornerà verso l'unità, che sarà una· nuova unità, superiore, concreta, di se stesso e del suo altro. Questo movimento, questa dialettica è estremamente complessa. Teniamo presente almeno che l'Io di cui parla Fichte non è l'Io individuale o della coscienza individuale e neppure un ipotetico Io dell'umanità. B un'astrazione, un lo puro (un termine che diventerà tecnico, anche nella filosofia italiana, soprattutto in. Gentile), nel quale non è possibile isolare il consapevole dall'inconsapevole, il finito dall'infinito, l'Io teorico dall'Io pratico, l'Io che agisce e produce c l'Io che osserva l'azione, la costruzione, e la descrive -l'Io del filosofo, insomma: il solo che può ricostruire e restituire quel fatto che è l'azione (Thathandlung in tedesco, che
sulla rivoluzione francese, 1793, ora in J.A. FrcHTE, Sulla Rivoluzione francese a cura di V.E. Alfieri, Bari 1966. 8 Così G. GuRWITCH, Dialectique et socio/ogie, Paris 1962, p. 58. 9 Per esempio: M. GUEROULT, Evolution et structure de la Doctrine de la Science, Paris 1930; A. MAssoLO, Fichte e la filosofia, Firenze 1948; L. PAREYSON, Fichte, vol. I, Torino 1950 e P. SALVUCCI, Dialettica e immaginazione in Fichte, Urbino 1963.
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Da Kant a Hegel
è una parola doppia, difficilmente traducibile: That-Handlung, azione-atto), che precede ogni coscienza e la fa nascere, sia essa collettiva o individuale o ancora, come si verifica anche storicamente, le due insieme. Questa dialettica, questa costruzione dell'Io è apparsa a Fichte " una storia prammatica dello spirito umano " 10• Gli strumenti di cui si serve l'Io nel fare la storia e il filosofo nel descriverla sono l'intuizione e l'immaginazione. È frequente incontrare nelle pagine di Fichte questa espressione: " la sola intuizione possibile è l'intuizione di noi stessi nel compimento dell'azione o la certezza immediata della libertà della ThatHandlung ottenuta nell'azione ". Nasce qui quella terminologia dell'in-sé e del per-sé, che sarà poi di Hegcl: l'in-sé come il fatto dell'azione dell'Io (del suo prodursi e del suo sdoppiarsi nel Non-io) che non può non coincidere, per acquistare consapevolezza e storicità, con il per-sé, cioè con il punto di vista del filosofo che rappresenta e rende possibile quella consapevolezza stessa. È la dialettica della tesi, antitesi, sintesi, una dialettica non della riflessione come in Kan.t: la costruzione dell'Io c del suo mondo, cioè la società e la storia sono la dialettica stessa. Tuttavia, per usare un'espressione che sarà rivolta da Marx contro Hegcl, potremmo dire che da una parte, con Fichte, si fa strada quel concetto della dialettica che sarà hegeliano, ma, d'altra parte, il mondo fichtiano apparirà a Hegel un mondo rovesciato: il reale, la società e la storia, non possono reggersi sull'astrazione dell'Io; non l'Io, e la sua dialettica, ma la realtà, sociale e storica, è il primo. Solo questa realtà può essere dialettica, cioè concreta, in senso fichtiano. Non sapremmo dire se la dialettica fìchtiana nella sua prima formulazione (quella della Dottrina della scienza del 1794, la sola che abbiamo preso qui in considerazione e la sola veramente degna di rilievo) u, sia una dialettica soggettiva o oggettiva. Certo, come abbiamo tentato di dimostrare, l'Io puro come principio è A. MASSOLO, Il primo Schelling, cit., p. 12. In realtà abbiamo qui interpretato la Dottrina della scienza del 1794 alla luce dell'esposizione che Fichte fece della Dottrina della scienza nelle lezioni tenute a Jena nel semestre invernale 1798-99, pubblicate da Jacob: FICHTE, Nachgelassene Schri/ten, vol. n (solo apparso), Berlin 1937 (cfr. ora la traduzione italiana a cura di A. Cantoni: J.G. FICHTE, Teoria della scienza "nova methodo ", Milano-Varese 1959). La storia dell'evoluzione della Dottrina della scienza è estremamente complessa: in genere si prende come fondamentale e definitiva (il che è contestabile, anche metodologicamente) la Dottrina della scienza del 1794 (trad. it. presso Laterza). 10 11
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ad un tempo soggettivo-oggettivo e il sistema che ne risulta sarà chiamato ideai-realismo 12• Ma se il principio è l'Io, l'atto, o, con un termine già in uso ma che diventerà tecnico solo con Schelling, l'Assoluto, rimane pur sempre soggettivo: la natura è un semplice oggetto della soggettività e la storia smarrisce ogni autonomia. Fiehte, infatti, studierà più in particolare i problemi del sentimento, della religione e della comunità storica, e li studierà proprio in dialogo o in polemica con Schelling. Fin dal principio (fin dalle sue opere del 1795: l'lo come principio della filosofia e Lettere sul dogmatismo e criticismo), Schelling aveva fatto valere una tesi più radicale: " l'uomo non è nato per la speculazione, ma per l'azione " (che è una tesi fkhtiana), ma nel senso che la filosofia non è teoria, ma oggetto della libertà 13 . Con questo Schclling intendeva affermare che il principio, l'Assoluto, unità del soggettivo e dell'oggettivo, è anche unità dello spirito e delta natura (comc verrà meglio precisando in opere successive, per esempio nelle Idee per una filosofia della natura del 1799), c che la tìlosofìa, se nasce c quando nasce, è una malattia, la nostalgia dello spirito stesso, mcmore di quella identità perduta, alla ricerca di una sua ricostruzione. Non è assolutamente possibile seguire Schelling lungo le infinite pagine delle sue meditazioni. Egli ha sempre pubblicato tutto ciò che pensava. Ha detto bene Hegel, nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia, che egli " ha compiuto la sua formazione filosofica al cospetto del pubblico. La serie dei suoi scritti filosofici è anche la storia della sua evoluzione speculativa " 14 • Schelling non ha svolto o costruito una forma particolare di dialettica. Egli ritiene di poter realizzare quella sintesi alla quale Fichte non. pervenne, di determinare l'identità' e la coincidenza del soggettivo e dell'oggettivo, conservando nello stesso tempo sia il principio della coscienza (l'Io) sia quello della natura (il Non-io). Su di lui agisce più direttamente la presenza della Critica del giudizio, una interpretazione del mondo dell'arte e della sua finalità: " la finali- . tà dell'arte mediante la quale l'uomo e la soggettività passano nella natura, e la finalità dell'organismo, nella quale la natura si manifesta alla soggettività come una specie di soggettività particola12 È la formula che usa Schelling, soprattutto per indicare la filosofia del suo Sistema dell'idealismo tra.w.:endentale (1800), contro Fichte. Cfr. le lettere Fichte·Schelling 1800- t 802, pubblicate in Appendice allo studio di A. MASSOLO, Il primo Schel/ing, cit. 13 A. MASSOLO, Schelling e l'idealismo tedesco, cit., p. 134. 14 G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze, 1944, vol. m, parte II, p. 376.
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Da Kant a Hegel
re -· questa doppia teleologia cesserà ora di appartenere alla sola riflessione, e ciò che in Kant fu giudizio sulla conoscenza diventerà conoscenza della realtà c nello stesso tempo contenuto di questa realtà: nella natura Io spirito va verso se stesso; nello spirito la natura si fa cosciente e si compie " 15•
7.3. Hegel contro Schelling. L'assoluto - realtà e ragione come storia Queste idee di Schelling, certamente fra le più geniali dell'epoca (anche perché investono campi da altri inesplorati come la filosofia della natura e le scienze naturali) non furono, però, mai da lui compiutamente elaborate. E anche questo è un segno dei tempi. Egli iniziò condizionato da Fichtc e da Kant (1794-95), tentò di intrecciare subito un dialogo con Fichte, che ha il suo punto culminante nello scambio epistolare del 1801-1802 16, una vera gigantomachia intellettuale, ma fu contemporaneamente investito dalle pubblicazioni di un Hegel che si atteggiava a schellinghiano, ma che in realtà aveva già intrapreso un suo proprio cammino: è lo H egei del 1801 -1802, dei saggi Fede e sapere e Differenza dei sistemi fichtiano e schellinghiano, che anticipano incredibilmente la Fenomenologia dello spirito c dove compaiono due tesi tipicamente anti-Schelling: il sapere filosofico, se è sapere, è totalità, quindi identità di riflessione e intuizione (cioè, più tardi, è la tesi del sapere come ragione che riflette sulla realtà che è data prima); e l'assoluto non è né soggettivo né oggettivo, ma unità dell'unità e della differenza, cioè l'assoluto non è né l'Io puro fichtiano né l'identità schellinghiana di spirito e natura, ma, se è possibile esprimersi così, quell'unità delle due posizioni che sola consente di cogliere, al suo interno, il movimento della storia. La posizione fichtiana viene da Hegcl, attraverso Schelling, rovesciata: la storia è l'Assoluto. Cioè, le differenze, le antitesi, sono la storia - l'assoluto rappresenta la possibilità di una loro comprensione, di una loro unificazione sul piano della ragione. :B la tesi della Fenomenologia: l'assoluto non è sostanza, ma soggetto; l'assoluto non è il primo, ma essenzialmente un risultato 17 • 15 E. W!òiL, Pensiero dialettico e politica, in Filosofia e politica, Firenze 1965, pp. 31-32. " Cfr. sopra nota 12. 17 Fenomenologia dello spirito, trad. it. a cura di E. De Negri, Firenze 1960, vol. 1, pp. 13 e 15.
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Hcgel contro Schelling
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Questa è la matrice speculativa della dialettica hegcliana. :B la sua prima formulazione. Anzi, la sua prima forma. Paradossalmente si potrebbe affermare che tutta la cosiddetta dialettica hegeliana sta in quelle due tesi anti-Schelling. La letteratura su questo punto è vastissima. Il punto di vista hegeliano è talmente semplice che merita di essere ancora una volta spiegato. E ricorreremo per questo a due delle sue immagini più correnti, banali, manualistiche. L'Assoluto (di Schelling) è come " la notte dove tutte le vacche sono nere " 18 : H egei polemizzava con il mondo notturno e lirico dci romantici di Jcna, ma intendeva soprattutto dire che nell'Assoluto come identità, appunto come nella notte, scompaiono e si annullano le differenze, cioè i vari aspetti della vita, le cose nella loro molteplicità e nel loro divenire, il mondo naturale e umano nelle loro contraddizioni, in una parola, la storia. L'Assoluto deve poter! a giustificare, spiegare o meglio comprendere, e allora non può essere che la storia stessa. Il filosofo c l'uomo comune, ciascuno secondo le sue possibilità c i propri concetti, debbono paterne discutere, parlarnc agli altri, comprenderla nonostante le sue infinite contraddizioni; e allora, grazie ad esse c all'infinità dei suoi aspetti, la storia, cioè la realtà, mostra di avere in sé un suo senso, una sua ragione: la storia è la ragione; ed è per questo che Hegel dice che l'Assoluto è soggetto e risultato: soggetto indica non il logico, il soggettivo, ma il movimento, lo sviluppo per forze proprie, perché così voleva la terminologia del suo tempo; risultato vuoi dire· che l'Assoluto, c la filosofia che ne è la comprensione, non è un primo, non sta all'inizio, non è il creatore della realtà, bensì è quel principio che la filosofia riconosce come tale, cioè principio, fondamento, proprio perché è apparso per ultimo, alla fine di una lunga evoluzione. Insomma, anche per Hegcl la filosofia è l'Assoluto, è il pensiero del mondo o, se si preferisce, il mondo pensato; ma, questo è più importante: " essa appare solo nell'epoca in cui la realtà effettuale [la realtà fatta dagli uomini] ha compiuto il suo processo eli formazione cd è bell'e fatta " (Prefazione alla Filosofia del diritto, 1821). Allora risulterà chiara anche l'altra posizione hegeliana, sull'intuizione di Schelling, paragonata ad un colpo di pistola. L'intuizione era per Schelling un perfezionamento di quella fichtiana, lo strumento per mezzo del quale l'Io potesse conoscere sé e la sua azione. Essa diventava in Schclling, come intuizione intellettuale, lo strumento principe della filosofia, il solo strumento che 18
Fenometwlogia delfo spirito, cit., p. 13.
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Da Kant a Regel
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consentisse al filosofo di poter cogliere (in senso platonico, cioè con un contatto immediato, quasi un vedere) l'Assoluto e il movimento delle cose nell'assoluto. L'intuizione non poteva quindi, così, rendere ragione di quelle infinite mediazioni attraverso le quali la realtà, le cose, la storia si compongono e si manifestano. Sostenendo le esigenze e le pretese della ragione che deve poter comprendere la realtà per il fatto stesso del suo esserci, e perché, se c'è, e può essere compresa, deve avere in sé qualcosa di ragionevole, Regcl, che pure polemizzò con Kant per tutto l'arco della sua vita, rende un omaggio a Kant: la ragione, non l'intuizione intellettuale, è lo strumento della conoscenza umana, e se la ragione riflette le contraddizioni della realtà, compito della ragione è soltanto quello di riconosecrle come proprie e di comprenderle. Al mondo notturno, schellinghiano e romantico, di un Assoluto nel quale scompaiono le differenze della storia e dove a tentoni si muove un uomo incerto dci propri strumenti conoscitivi qui egli può solo affidarsi all'arbitrio c al soggettivo di un'intuizione - Regel oppone il regno del giorno, della ragione che rende comprensibile all'uomo la ragionevolezza di se stesso e della sua storia. La storia, totalità e infinità di aspetti contrastanti come la vita, che ha nelle sue contraddizioni un suo senso, le sue ragioni, la sua verità, sia pure nascosta; la filosofia come unità, come coscienza del senso della storia, della ragione nella storia. Regel ha voluto comprendere, comprendere tutto: " c comprendere la verità totale nella sua unità: l'uomo in genere accetta (anche quando le nota) le contraddizioni dei discorsi e delle azioni, e si batte a favore della propria posizione; per Regel, invece, è la molteplicità di queste posizioni che costituisce un grande problema, il problema filosofico. Hegel vuoi essere filosofo. Ma essere filosofo non significa costruire un discorso coerente in più tra i molti altri discorsi coerenti, esplicativi, bensì comprendere la realtà una nell'unità della verità. Hcgel è il più sistematico dei filosofi, il più coscientemente sistematico. Tutto ciò che noi chiamiamo la verità ha per Regel un valore limitato, nessuna verità è la verità, e ogni verità particolare è anche falsa perché particolare. Senza dubbio vi sono verità incrollabili : nessuno metterà in dubbio che la battaglia di Isso è avvenuta nel 333 a.C. o che il peso molecolare dell'idrogeno è uguale a l; ma ,queste verità di fatto non hanno senso in sé: lo acquistano unicamente nel quadro della storia o in quello della scienza naturale, solo mediante concetti che organizzano i dati e li trasformano in fatti per la scienza. Ora: le verità concettuali, le sole che richie-
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La dialettica non è un metodo
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dono un senso, sì contraddicono, e nessun concetto sostiene se stesso: l'essere è essere in divenire, l'ordine, ordine di un disordine, la storia produce ciò che trascende il tempo, e l'eterno si rivela solo nella storia, la ragione è ragione dell'uomo appassionato. Ogni concetto, ogni verità, sono aspetti di una sola verità e realtà, ed ogni affermazione particolare diviene falsa quando, dimenticando che essa è soltanto un'astrazione c una delle considerazioni possibili e necessarie, esige che tutto si riduca ad essa. La verità è la struttura di tutte le verità, la struttura che le unisce, le pone in contatto e in contraddizione. Tale struttura però è quella della totalità: non una verità in più che si possa staccare o sottrarre: sarebbe altrettanto facile staccare dal corpo una parte che, accanto alle altre, ne rappresentasse l'organizzazione o il movimento. Hegel non vuole spiegare - c nulla è allo spirito umano più naturale delle spiegazioni. Con ingenuità commovente ha ritenuto sufficiente dire agli uomini che il compito della filosofia consiste nel comprendere, comprendere la scienza, comprendere la politica, la religione, la poesia, e comprendere il tutto nella sua unità e a partire da tale unità, senza mai voler comprendere l'unità da un punto dì vista esterno o superiore o più profondo. Egli vuoi comprendere la ragione, come ragione, ma nella sua concreta esistenza, con quelle sue contraddizioni che sono tali solo in quanto ogni tesi particolare pretende di essere l'intero della verità, ogni aspetto della realtà si pone come la realtà e si crede la realtà. La realtà è l'unità delle contraddizioni. II frutto è in contraddizione con il fiore perché è la morte del fiore, ma soltanto l'insieme del frutto e del fiore costituisce l'organismo vivente.
7.4. La dialettica non è un metodo " Questa è la cosidde{ia dialettica. Dialettica è unicamente la realtà che comprende se stessa. Misticismo? Lo si è detto spesso e Io si ripeterà sempre. La tentazione infatti è grande: basta considerare questa dialettica come un metodo, come un'astuzia del filosofo, un'invenzione, e subito si scopre il suo limitato valore rispetto ai metodi della scienza, della logica formale, dell'analisi attenta e prudente. Ma la dialettica non. è un metodo, il mondo non è il suo oggetto: essa è il mondo nel suo presentarsi nel discorso. In rapporto al mondo l'uomo non è l'altro, uno straniero in cerca di un accesso impossibile; non. è un fotografo che riprende ciò che gli sta sotto gli occhi. L'uomo è al centro della realtà,
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Da Kant a Hegcl
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nella realtà, è parte della realtà stessa; c il filosofo, che vuole comprendere, sa che la visione della totalità non è altro che la totalità degli aspetti della realtà: egli li sviluppa prendendoli sul serio, letteralmente, nel loro presentarsi - la contraddizione generata dai diversi aspetti della realtà resiste sino a quando si accettano alloro livello. Ma l'opposizione non è assoluta. Né la filosofia la annienta. Per la filosofia essa appare come opposizione di ciò che da ultimo è uno. C'è un presupposto comune, infatti, comune a tutte le posizioni: l'uomo può parlare della realtà, e la realtà si manifesta nel discorso degli uomini. Discorsi ragionevoli, almeno nel senso che non sono in contraddizione assoluta con la realtà: se non fosse così l'uomo non avrebbe più possibilità di inserirsi nella realtà - ne morirebbe e con la sua morte finirebbe l'umanità. Anche la realtà, dunque, è razionale. Non come l'uomo che, ragionevole (parzialmente), ne è inoltre cosciente, ma perché accessibile al pensiero e al discorso, perché genera discorso, che è quel discorso dell'uomo reale. La realtà ha una struttura: il reale è ragionevole, il ragionevole è reale. La dichiarazione hegeliana ha sorpreso; ma questa meraviglia è ancor più sorprendente, poiché nessuno ha mai dubitato della natura come insieme di leggi, della regolarità naturale, della descrizione ragionevole e razionale che può ordinare i fenomeni. L'uomo pub parlare di cib che è perché ne fa parte: ne rappresenta il linguaggio. Ma la manifestazione non si manifesta in un discorso unico. L'uomo non è puro spirito, sopra o fuori della natura. Parla perché agisce e agisce perché parla. Agisce e pensa insomma perché dispone di una piccola parola: no. L'uomo è nella natura. Ma non è natura come il minerale e l'animale: è scontento, insoddisfatto di ciò che è, e nel suo discorso parla di ciò che non è, di ciò che egli vuole introdurre nell'essere. In principio è la contraddizione. " La dialettica non è dunque altro che il movimento incessante tra il discorso che è azione e la rivelazione della realtà in questo discorso e in questa azione. La dialettica è questo movimento, non una costruzione dello spirito. Proprio perciò la dialettica finisce per sapere che essa è totalità non contraddittoria delle contraddizioni. Finisce per saperlo, c il suo sapere è il suo prodotto, il prodotto delia storia reale dove l'uomo ha agito, parlato, trasformato il mondo e se stesso con la parola e con la sua opera. Il discorso nella sua storia, nel suo farsi reale, è pervenuto al punto in cui non soltanto comprende ogni cosa, ma comprende anche se stesso. L'uomo può volgersi al passato, al cammino percorso, riconoscersi in ciò che nel mondo fu compiuto. La storia ha un senso. Non perché una Ragione, con lettera maiuscola, an-
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La dialettica non è un metodo
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teriore al tempo c alla storia ne avrebbe predeterminato senso e significato: è l'uomo invece che pensando e agendo col suo lavoro, ha dato un senso al mondo, sua attuale dimora. Solo l'uomo ha dato un senso a ciò che è stato prima di pervenire a quel punto di vista, dove il senso è divenuto comprensibile, ed è compreso infatti, e da dove tutto appare, com'è giusto e necessario, preparazione del risultato. Questo è la storia: n.egatività e discorso, e realizzazione del senso del no della parola e dell'azione. Comprendere significa comprendere ciò che è divenuto a partire dalla storia o meglio nella storia. La filosofia è innanzitutto comprensione del suo stesso divenire, del suo essere-divenuto " 19• Abbiamo riportato questa lunga citazione perché questa pagina ci sembra cogliere, più di un lungo commento, il senso e lo spirito della dialettica hegeliana. Allo stato attuale degli studi c della storiografia, c tenendo conto dell'interpretazione di Marx, che fu uno dei pochi a comprendere a fondo Hegel in tutto il corso del XIX secolo, non è più possibile tentare di ricostruire sui testi quella " figura " o quel " sistema " della dialettica, ai quali Hegel non pensò mai. B bene chiarire subito che la distinzione tra il metodo hegeliano, dialettico e quindi corretto, progressivo, storicistico, antimetafisico e aperto, " rivoluzionario ", e il sistema, conservatore, metafisica, chiuso e antistoricistico, distinzione che risale a Marx e Engels, voleva avere un valore critico c interpretativo: i due pensatori erano ben consapevoli che metodo e sistema in Hegcl fanno tutt'uno, e lo sapevano tanto bene, e compresero Hegcl così a fondo che accettarono il metodo hegeliano soltanto per rovesciarlo, per restituire alla storia l'immagine di un uomo che camminasse sulle gambe. 1:. un fatto storico. Chi non ha compreso Hegel o lo ha rifiutato, come Kicrkegaard, o ne ha tratto una scolastica come i teologi della destra hegeliana; chi lo ha capito, come Marx, non ha potuto che rovesciare il sistema. È questa una tesi, un risultato fondamentale del pensiero hegeliano che percorre tutto l'arco della sua meditazione: il sistema, cioè la filosofia e il suo metodo, è una presa di coscienza della realtà; questo intervento modifica la realtà c il sapere stesso che ne prende coscienza fino a scuotere e a spezzare il sistema che la rende possibile. Questa è la dialettica. Ed è la dialettica della realtà, che nel sistema hegcliano, pur sempre un sistema c quindi chiuso, risultava rovesciata, perché si fondava sulla coscienza, sul pensie,. E. WEIL, Jfegel, trad. it. con alcune pagine inedite a cura di Livio Sichirollo, Urbino 1962, pp. 13 sgg.
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Da Kant a Hegcl
ro e non sulla realtà. Marx rifiuta o meglio rovescia il sistema hegeliano proprio perché comprende il risultato di quel sistema: la realtà può essere modificata, trasformata - ma a partire dalla realtà. Ma non anticipiamo. Limitiamoci per ora a queste osservazioni, e ripetiamo ancora una volta che per tutti questi motivi è arbitrario racchiudere in una formula una definizione della dialettica. Teniamo presente che questa pretesa definizione nei testi hegeliani non c'è come risulta anche da un lessico della terminologia hegeliana 20 • Se mai, come esemplificazione o per tentare di cogliere lo spirito di ciò che intende Hegel con quel termine, si può riflettere sù questa affermazione e considerarla una definizione indiretta della dialettica: " compito della filosofia e della scienza è rendere fluidi i rigidi concetti, i duri pensieri (die festen Gedanken) " 21 • Ed è interessante notare che Hegel aveva individuato in Platone questo compito della filosofia c lo considerava appunto un merito immortale del suo pensiero (come si può rilevare dal capitolo dedicato a Platone e alla dialettica nelle sue Lezioni sulla storia della filosofia). Non la dialettica come scienza o intuizione lo aveva affascinato nei dialoghi platonici, ma il movimento stesso dei concetti, le loro contraddizioni come movimento e contraddizione della realtà. Se la dialettica sia o no un metodo o anche semplicemente il metodo è, dunque, in Hegel, un falso problema. Molta parte della filosofia dell'Ottocento, e anche del Novecento, se ne occupò. Basterà ricordare Croce e Gentile. Essi parlarono e scrissero di una " riforma " della dialettica hegeliana come se un sistema filosofico fosse un fenomeno astratto dalla realtà, un immaginario mosaico che potesse essere restaurato. Proprio per questo non ci occuperemo di loro.
7.5. Dialettica è la realtà effettuale, la storia Vediamo, invece, i pochi passi nei quali Hegcl spiega che cosa intende per dialettica. Non è un caso che egli se ne occupi nella Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), la sola opera che contenga per intero una esposizione del sistema. E non è un caso che in quest'opera egli se ne occupi alla fine di una parte ìntro20 H. GLOCKNER, Het:el-Lexikon, 4 voli. presso Frommann di Stuttgart: fa parte di un'edizione delle opere di Hegel in 20 volumi. " Fenomenologia dello spirito, cit., vol. 1, p. 27.
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Dialettica è la realtà effettuale, la storia
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duttiva: infatti, si tratta di una chiarificazione a scopo didascalico, che cade sotto il titolo: " Concetto più pmiicolare e divisione della logica ". Teniamo ancora presente che la dialettica di cui Hegel parla in questi pochi paragrafi è uno dei momenti della logicità, cioè del movimento del pensiero, di quello stesso pensiero che riflette il movimento della realtà prendendone coscienza : si può quindi affermare, senza timore di far violenza al pensiero hcgcliano, che a questo movimento del pensiero corrisponde un movimento della c nella realtà (la realtà effettuale, come la chiama Hegel, la Wirklichkeit, la realtà storica come prodotto delle azioni e del pensiero degli uomini), c solo per comprendere, cioè per rendersi ragione di questo tipo di realtà, ha un senso quello che Hegel ci dice del movimento del pensiero. La logicità ha tre aspetti: "a) l'astratto o intellettuale; b) il dialettico o negativo razionale; c) lo speculativo o positivo razionale " 22 • Hegel aggiunge, per chiarire, che questi tre aspetti non sono tre parti della logica, ma tre momenti di ogni- atto logico reale, cioè di ogni concetto o di ogni verità in genere. Come sappiamo, il concetto e la verità hanno una loro realtà effettuale, storica, cioè sono da ritrovare nella storia e nella cultura degli uomini all'interno delle quali agisce il momento dialettico. Il loro movimento, le loro trasformazioni sono possibili grazie a questa considerazione della realtà, che è appunto dialettica. Infatti, con il termine intelletto Hegel intende il pensiero fermo c rigido in una sua posizione (Hegel dice determinazione), e nella differenza di questa posizione rispetto alle altre (§ 80): è come se una cosa, un fatto, un avvenimento venisse considerato a sé, in astratto, senza nessuna connessione con· le altre cose, fatti o avvenimenti. Questa connessione è possibile grazie al momento dialettico: " esso è il sopprimersi da sé di siffatte determinazioni finite e il loro passaggio nelle opposte" (§ 81). Il testo sembra difficile, ma non lo è se badiamo al senso delle parole e all'esempio che abbiamo fatto. Quella cosa, fatto o avvenimento, che abbiamo preteso di considerare a sé, come qualcosa di assoluto e di separato, quindi come un finito, come tale non può sussistere ed è incomprensibile: ogni cosa diviene, si trasforma, e così anche ogni fatto o avvenimento, che sono quello che sono e possiamo studiarli e parlarne e discuterne con gli altri proprio perché sono diventati 22 § 79. Seguiamo la traduzione di B. Croce, Bari 1963, che riproduce il testo della 2• ed. ampliata del 1827, in genere accolto come un testo definitivo. Per questa impostazione ed esposizione, cfr. J.N. FrNDLAY, Hegel oggi (1958), cap. 3, e la conferenza di E. WEIL, The Hegelian Dialectic (cfr. " Guida bibliografica ").
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quello che sono c non qualche cosa d'altro, cioè hanno soppresso e superato la propria astrazione c il loro essere finiti, evolvendosi. Lo schema del movimento interno della loro evoluzione è il loro porsi come qualcosa di opposto a se stessi. Non è possibile comprendere che cosa intenda Hegel per dialettica se non si arriva a capire la sua visione dinamica della realtà, che è poi una visione storica. Ma anche questa è una spiegazione inadeguata, perché non si tratta di vedere la .realtà dal di fuori, ma di comprenderla, nel suo movimento, dal suo interno. Hegel, infatti, commenta il § 81 e ci dice che la dialettica non è un'arte estrinseca che introduce nei concetti le contraddizioni: questa dialettica è quella dello scetticismo, "il quale contiene la mera negazione come risultato della dialettica". Essa è, invece, " la propria e vera natura delle cose e del finito in genere ", una " risoluzione immanente, nella quale la unilateralità e limitatezza delle detern1inazioni intellettuali si esprime come ciò che essa è, ossia come la sua negazione " - e non dimentichiamo che con determinazioni intellettuali Hegcl intende cose, concetti o fatti isolatamente considerati, cioè astratti. Egli conclude il commento affermando che la dialettica è l'anima motrice del progresso scientifico, il principio per cui la connessione immanente e la necessità (delle cose fra loro) entrano nel contenuto della scienza: e così si ha, dice Hegel, " la vera e non estrinseca elevazione sul finito". Qui Hegel parla della scienza, ma dobbiamo ricordare, comc abbiamo sottolineato, la connessione fra realtà e concetto o filosofia o scienza, cioè fra la realtà e la comprensione della realtà che è il principio fondamentale della filosofia hegeliana: noi parliamo di realtà perché c'è una realtà c perché possiamo comprenderla, e possiamo comprenderla solo a mezzo del pensiero e dei concetti. Senza questo principio non ci sarebbe per Hegel né realtà né concetti né linguaggio. Il terzo momento, speculativo o positivo razionale, è il momento dell'unità di quelle determinazioni finite, astratte, di cui abbiamo parlato, ma nella loro opposizione : " ed è ciò che vi ha di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso " (§ 82). Qui H egel vuoi dire una cosa molto semplice : da una parte abbiamo le determinazioni finite, astratte, separate le une dalle altre, rigide neHe loro differenze, senza connessioni; talmente astratte c talmente sconnesse che equivalgono, dall'altra parte, al loro opposto nel senso che passano, si trasformano nel loro opposto - e il risultato di questo movimento sono le cose che ci stanno sotto gli occhi e gli avvenimenti dei quali possiamo parlare, _cioè le cose determinate, ma determinate come unità dell'uni-
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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune
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tà e della differenza: l'unità del loro esser poste per se stesse, nella loro separazione, e la differenza del loro essere in relazione, del loro non poter essere e non poter essere considerate come entità separate. L'unità, il positivo del risultato ·è una unità che c'è già, ma non dispiegata, non presente appunto come risultato. H egei dice nella Scienza della logica:." Su questo elemento dialettico... nel comprendere l'opposto nella sua unità, ossia il positivo nel negativo, consiste lo speculativo " 23 • Quindi, in· questa configurazione della dialettica emerge anche il concetto del '.' negativo del negativo " come caratteristica sua propria, e lo afferma esplicitamente Hegel in un'altra pagina della stessa opera, che vale anche come commento: " ... il negativo del negativo, al quale siamo giunti, è quel togliere della contraddizione; ma neppure esso, non meglio che la contraddizione, è l'opera di una riflessione esteriore, essendo anzi l'intimo, più oggettivo momento della vita e dello spirito ... " 24•
7.6. Il "mondo rovesciato" dell'uomo comune Hegel stesso cl spiega la formulazione del terzo momento nel commento al ~ 82. Egli -sottolinea il risultato positivo della dialettica, " perché essa ha un contenuto determinato o perché il suo verace risultato... è la negazione di certe determinazioni ". E aggiunge ancora, sul filo del ragionamento e degli esempi che abbiamo fin qui illustrato, una ulteri01.:e caratterizzazione di questo " razionale ", " positivo ", di questo " risultato ", che è poi la dialettica stessa: " Questo razionale è perciò, quantunque sia un qualcosa di pensato e di astratto, insieme qualcosa di concreto, perché non è unità semplice c formale, ma unità di determinazioni diverse ". Il testo non potrebbe essere più chiaro. Rovesciando il ragionamento hegeliano, ma, crediamo, nello spirito del suo filosofare, si potrebbe dire: la realtà è qualcosa in quanto viene pensata, e questo significa, ripetiamolo, il suo essere portata su quel piano dell'universalità che sola permette il linguaggio, la comunicazione e la comprensione. Certo, questa comprensione della realtà nel pensiero e come pensiero, può anche essere o apparire qualcosa di astratto. Questo avviene, però, quando si ha di mira il particolare, le cose o gruppi di cose considerate al di fuori " Scienza della logica, cit., vol. I, p. 39. " Scienza della logica, cit., vol. 11, p. 948.
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Da Kant a Begel
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delle loro connessioni: ed è, di fatto, il pensiero presente nelle operazioni delle scienze che procedono per astrazioni; ma è anche il pensiero dell'uomo comune, che compie, senza averne coscienza, tutta una serie di generalizzazioni e presenta quindi dci ragionamenti, astratti, che sono proprio il contrario del ragionamento filosofico che considera la realtà come unità e totalità. Hegel lo spiega molto bene in un piccolo saggio intitolato: Chi pensa in astratto? 25 Egli fa l'esempio di una serie di classificazionì, appunto astratte, tipiche dell'uomo comune o dello specialista che non hanno nulla di filosofico o meglio che rappresentano una filosofia rovesciata: un uomo che commette un delitto è per l'uomo comune, per l'avvocato, per il giudice che non tengono conto e non vogliono tener conto dell'intero contesto nel quale quell'avvenimento si è prodotto c della sua complessa genesi, un "assassino", non già quell'uomo particolare che ha commesso quel tal delitto. È, quindi, estremamente indicativo il nuovo significato che i termini -astratti e concreti assumono nella sua problcmatica. La coscienza comune tende a caricare di valore gli " astratti ", umanità per esempio, mentre considera poco nobili le determinazioni concrete o almeno prive di valore particolare. Hegcl fa proprio questo linguaggio e gli astratti sono numerosi nella sua pagina, ma egli capovolge questa scala di valori: l'astratto è per lui la vuota rappresentazione, l'assolutamente indeterminato, la forma concettuale " non sviluppata "; concreto è, invece, ciò che si è dispiegato fino a determinazioni singole, particolari, cioè il vero universale nella singolarità c della singolarità. L'essere, questo concetto antico, solenne, è astratto, è il concetto più povero, più vuoto; concrete sono le cose, la realtà, la storia. Concreto, reale è il razionale; l'astratto una semplice elaborazione dell'intelletto (della scienza o dell'uomo comune). "Ai non iniziati " egli scrive a Voss, il traduttore d'Omero, nel 1805 - cd è chiaro che intende riferirsi a coloro che non vogliono fare lo sforzo di avvicinarsi alla filosofia, alla ragione, alla comprensione razionale delle cose, c scambiano per filosofia i contenuti, i riassunti dci manuali, " ai non iniziati quel mondo deve, per il suo contenuto, inevitabilmente apparire come un mondo capovolto, perché in contraddizione con tutti i concetti a cui sono abituati e con quanto appariva ad essi come valido secondo il cosiddetto buon senso ". Invece, " capovolto " è il mondo delle loro astrazioni, non quello della filosofia che vuoi soltanto comprendere le cose come sono c come sono divenute. Insomma, Hcgel 25
Trad. it. in «Rinascita»,
XIV,
1957, n. 1-2, a cura di P. Togliatti.
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Il " mondo rovesciato " dell'uomo comune
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rovescia una lunga tradizione, o meglio l'interpretazione che è stata data della tradizione : l'uomo comune ritiene di pensare (o si ritiene che pensi), sia pure ingenuamente, le cose in modo concreto, per quello che sono; la scienza e a maggior ragione il filosofo compiono delle astrazioni e quindi ci presentano un mondo inventato, immaginario, che non sarebbe quello che noi abbiamo sotto gli occhi. " Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, e ciò che è su questa linea, come pure ogni qualsiasi difettiva c passeggera esistenza " (~. 6). Hegel dimostra che questo è un modo inadeguato di considerare la realtà e le cose; anzi, egli ritiene che proprio il mondo dell"uomo comune e dello scienziato è un mondo rovesciato; un mondo astrat.: to nel senso che è formato di cose particolari, separate le une dalle altre, immobili, cioè senza quelle relazioni reciproche che di fatto hanno, se sono cose c se possiamo parlarnc. Il problema non è se le cose stanno così o diversamente: che le cose stiano come dice Hegel lo dimostra semplicemente il fatto che ci sono c ne parliamo, e quindi hanno in sé. qualcosa di razionale. Il problema è che lo scienziato e l'uòmo comune non lo sanno e non possono sapcrlo. Solo la filosnfia, cioè la comprensione della realtà nella sua unità e totalità può comprenderlo; rovesciando il punto di vista particolare dello scienziato c dell'uomo comune, e rimettendo, quindi, il mondo sui piedi. A ben guardare, infatti, " anche per l'ordinario metodo di pensare un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale: - l'accidcn.tale è un'esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile che può non essere allo stesso modo che è " (ivi). Marx applicherà ad Hegel la stessa critica che Hegcl fa all'uomo comune: c sarà giusto, perché, come abbiamo accennato e come vedremo in seguito, per poter andare oltre Hegcl egli abbandona la filosofia di Hegcl, cioè la filosofia, c inizia dai bisogni degli uomini, dalla loro lotta per l'esistenza e dalla loro organizzazione nel lavoro. Ma questo è un altro discorso. Ora, sia chiaro: il concreto di cui parla Hegel, non è, dunque, neppure il punto di vista della filosofia e del filosofo, che sarebbe ancora una volta una "unità semplice e formale", cioè un'astrazione, il punto di vista di una scienza particolare, ma è quell'" unità di detenÙinazioni diverse ", quel risultino di un movimento interno al pensiero e alle cose, come abbiamo visto, che partendo dal loro semplice essere, attraverso una serie di negazioni e di fatto contraddizioni, ci consente di comprendere le cose per quello che sono, qualcosa di concreto e unitario, che è e non è, diviene quello che è e continuame.nte si trasforma. Questa è la realtà -
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o, che è lo stesso, la filosofia. Allora questa è la sola realtà che la filosofia (se è filosofia e non una qualsiasi scienza particolare) può e deve comprendere. Questa è la dialettica.
7. 7. Il razionale è reale, il reale razionale. " La dialettica non è semplice vanità o smania soggettiva " Ancora poche osservazioni sulla presentazione che abbiamo sin qui seguito, sulla pagina di Hegel, del suo concetto di dialettica. In primo luogo riteniamo di non aver più bisogno di spiegare, a questo punto, quale sia il vero significato dell'affermazione hegeliana " ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale " 26 • Ne sono state date, e ancora se ne leggono, interpretazioni tra le più fantastiche e arbitrarie. Non è questa la sede per discuterle. Se lo vorrà, il lettore che avrà scorso le nostre pagine può confrontare una qualsiasi monografia hegeliana o un manuale di storia della filosofia. Possiamo solo aggiungere che se al posto di razionale usiamo la parola ragionevole, che traduce meglio la parola tedesca verniinftig, ogni difficoltà o perplessità dovrebbero scomparire e il senso del nostro discorso dovrebbe essere chiaro: ragionevole è ciò che può e deve avere un senso, ciò che può e deve essere compreso, totalmente compreso, come unità delle e nelle sue contraddizioni. Razionale è, invece, più adeguato come traduzione di verstlindig, che indica invece un punto di vista più limitato, quelle operazioni della scienza che classificano e catalogano. Ora sappiamo che non è questa la realtà o la filosofia di cui · Hegel intende parlare: è una realtà, questa, non dialettica, senza dialettica. Ed ora comprendiamo anche che cosa Hegel potesse pensare delle costruzioni " dialettiche " di coloro che lo avevano preceduto, una concezione sostanzialmente scettica che manteneva distinte realtà e filosofia, cose c ragione. " Ordinariamente si prende la dialettica come un procedimento estrinseco c negativo, che non appartenga alla cosa stessa, ma abbia la sua radice nella semplice vanità, come smania soggettiva di dare il crollo e 26 Nella " Prefazione " ai Lineamenti di Filosofia del diritto, trad. it. a cura di Messineo, Bari 1954, p. 15. Cfr. Enciclopedia, cit., § 6, nota. Per comprendere il senso di " ragionevole " al posto di " razionale " si leggano gli scritti citati di ERIC WEIL, in particolare Filosofia e politica, cit., p. 35.
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Il razionale è reale, il reale razionale
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di distruggere tutto ciò che v'ha di stabile e vero " 27• Lo stabile e il vero è la realtà nel suo intero, ogni " effettuale " considerato come intero: la realtà che nel suo movimento si evolve c talvolta distrugge le forme, le culture, le istituzioni nelle quali si è manifestata. Hegel stesso aveva sentito, come hanno dimostrato i migliori interpreti contemporanei, la fine di un mondo, della·" vecchia vita", come soleva esprimersi, e l'incalzare di un'età nuova. Lo dice chiaramente in una delle ultime pagine delle Lezioni sulla storia della filosofia: " Sembra talvolta che lo spirito abbia dimenticato se stesso, si sia smarrito. Ma al suo interno, in opposizione con se stesso, esso è progresso interiore - come Amleto dice dello spirito di suo padre: Ben fatto, brava talpa! - fino a che, avendo acquistato forza in se stesso, solleva, per farla crollare, la crosta terrestre che lo separava dal suo sole, dal suo concetto. In tali epoche ha calzato gli stivali delle sette leghe; la crosta, un edificio senz'anima, roso dai tarli, crolla c lo spirito assume la forma di una nuova giovinezza " 28• Prima di Hegel, dunque, la dialettica come metodo che si applica dall'esterno alle cose. Solo con Kant prende forma quel nuovo concetto della dialettica che appartiene alla preistoria della dialettica hegeliana (cfr. sopra 7.1 e nota 3): "È da ritenersi per un passo infinitamente importante che la dialettica sia stata di nuovo riconosciuta come necessaria alla ragione, benché da ciò s'abbia a ricavare il risultato opposto a quello che ne venne fuori ... " 29 • Hcgcl intende qui riconoscere in Kant la necessità della contraddizione come appartenente alla natura e del pensiero e della realtà, una necessità che in Kant, come è noto, era soltanto formale, una caratteristica non delle cose, ma dei discorsi della ragione sulle cose (e, quindi, il motivo dei " limiti " della ragione). A questo proposito abbiamo analizzato con Hegel il movimento della ragione interno alla cosa, cioè il movimento della cosa come il suo essere stesso. Resta da aggiungere qualche parola sul termine tecnico che Hegel usa per indicarlo: il verbo aufheben e il sostantivo die Aufhebung: sopprimere, superare, ma ad un tempo mantenere c conservare ciò che è stato messo da parte o soppresso. In italiano si è consolidato l'uso del verbo togliere: " la parola togliere ha nella lingua il doppio senso, per cui val quanto conservare, ritenere, e nello stesso tempo .quanto far cessare, metter fine"; " Il conservare stesso racchiu" Scienza della logica, cit., vol. r, p. 38. 23 Lezioni sulla storia della filosofia, cit., vol. m, parte n, pp. 2 e 411. " Scienza della logica, cit., vol. n, pp. 943-45.
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de già in sé il negativo, che qualcosa è elevato nella sua immediatezza "; " Il tolto è insieme un conservato, il quale ha perduto soltanto la sua immediatezza, ma non perciò è annullato " >o. Anche queste postille mostrano l'unità c la totalità del cosiddetto movimento dialettico. Un movimento che si manifesta nelle singole cose o avvenimenti, ma che è presente altresì nella storia, nella successione delle sue tappe, ma che in ogni momento è, sempre, la storia nel suo intero. Solo così possiamo comprenderla, a mezzo della filosofia, comprendere l'universalità dei suoi momenti particolari e la particolarità di quella totalità o universalità che è in ogni momento, anzi che è ogni momento stesso. · Se questo è il senso della dialettica hegeliana e il suo concetto, il nostro compito può considerarsi esaurito. Non è il caso di riassumere qui i grandi affreschi storici, "dialettici ", che Hegel dedicò, nelle sue lezioni berlinesi, all'arte, alla religione, alla storia della filosofia e alla filosofia della storia 31 • È sempre la storia del mondo considerata come totalità e unità di totalità. Lungi dal cristallizzarsi in formule, il suo sistema a Berlino si arricchì e si rinnovò, si dispiegò in una dimensione storica che la filosofia non conobbe più. Il risultato fu una tensione nella ricerca e una problematicità quale le sue pagine non avevano ancora conosciuto. Egli ripeteva se stesso, cioè il suo sistema, la Fenomenologia dello spirito e l'Enciclopedia delle scienze filosofiche, ma come la storia del mondo, non come il punto di vista del signor professor Hegel. Anche per questo egli non parlava di sé, per sé o per i suoi contemporanei, ma per i posteri. Come disse Marx - lo vedremo subito - Hcgel era la filosofia. Ed ora lo sappiamo, se abbiamo capito il fondamento della sua comprensione della realtà, della storia - e della filosofia.
"' Scienza della logica, cit., vol. I, p. l 00. Oltre alle. Lezioni sulla storia della filosofia e sulla Filosofia della storia, già citate, sono tradotte in italiano l'Estetica, Torino, 1967 e La filosofia della religione, in corso di stampa presso Zanichelli, Bologna. 31
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8. Marx e Engels. La dialettica realizzata e la fine deJia dialettica
8.1. Il rapporto Hegel-Marx e :la dialettica: uno pseudo-
problema filosofico Leggendo i classici del marxismo, dagli scritti giovanili rimasti a lungo inediti fino alle grandi opere della maturità 1, studiando (quanto è possibile a ciascuno di noi farlo) una storiografia e tma letteratura sterminate (non soltanto, ovviamente, per motivi filosofici), ci troviamo in una situazione paradossale. Marx ed Engels si sono espressi chiaramente più volte c in momenti diversi della loro attività speculativa sia su Hegel, cioè sul rapporto che si veniva costruendo tra la filosofia classica tedesca (da Kant a Feuerbach), la filosofia hcgeliana in particolare c la loro dottrina, sia sul concetto di dialettica. Oggi, poi, disponiamo anche di quelle opere rimaste inedite (Manoscritti economico-fìlosofìci, Ideologia tedesca) 2, che i contemporanei non. conoscevano, ma che gli autori dovevano continuamente presupporre. Tuttavia ciò che essi venivano pubblicando doveva essere abbastanza chiaro, se quel fatto non fu mai per loro un problema. Basta leggere ciò che dice Marx nel 1859 nella " Prefazione " a Per la critica dell'economia politica ed En.gels nel 1888 nella prefazione e nel testo del Ludovico Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, per non citare, qui, che i testi più significativi (ne discuteremo in seguito altri) 3 • Ciò che essi pensano di Hegel è chiaro, che cosa ' Per motivi di spazio e per non tradire il fìlo conduttore che abbiamo seguito fin qui - presentare, di questa storia, i grandi momenti e le fi. gure fondamentali - lascjamo da parte le vicende interne della scuola hegeliana, importanti certo, ma sostanzialmente riassunte, presenti e operanti nell'interpretazione di Marx, sulla quale appunto ci soffermeremo. 2 Buone traduzioni italiane presso Einaudi e gli Editori Riuniti (le citeremo avanti). Queste opere sono anteriori al Manifesto, 1848. 1 Rispettivamente Roma 1957 a cura di E. Cantimori Mezzomonti e
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Marx e Engels
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rappresenti la dialettica dopo Hegel - come vedremo subito - è ancora più chiaro: tuttavia storici e interpreti, marxisti e non marxisti, i marxisti più dei non marxisti, hanno ritenuto, ritengono e probabilmente sosterranno ancora per qualche genetazionc che questi sono i due punti più oscuri della dottrina. Era inevitabile. Ogni grande dottrina non può non generare o diventare (anche) una scolastica. Ogni scolastica ha le sue diatribe. La diatriba del marxismo è il rapporto Hegel-Marx e il connesso problema della dialettica. Di qui le variazioni nella diatriba: se la dialettica sia un metodo o il sistema (questione già risolta da Hegel); se la dialettica (idealistica) possa essere accolta in una concezione materialistica (questione risolta subito dai due classici); che cosa Marx ed Engcls debbono a Hegel e il valore e limiti della influenza di questi; se Marx cd Engels, accettando in parte Hegel, ne hanno compreso gli errori e se, rifiutandolo o confutandolo, lo hanno rifiutato e confutato in tutto o in parte - insomma, come chiedersi se Marx ed Engels abbiano capito Hcgcl e se stessi. Come se i testi non ci fossero c non parlassero da sé. In queste condizioni, data l'ampiezza della problematica, il nostro compito sarà di una banalità desolante: cercare di mostrare da una parte che questo problema in· Marx ed Engels non esiste e dall'altra che, se è presente nella storiografia, lo è per motivi non filosofici e che non dipendono né da Hegcl né da Marx né da Engels. Ciò che distingue Marx e coloro che da Marx discendono, Engels compreso 4 , è la configurazione della dialettica come metodo. Non possiamo, e non intendiamo farlo, citare i numerosi passi che possono dimostrare questa tesi (il lettore li troverà facilmente nei manuali, sui testi, nella saggistica). Basterà ricordare il celeberrimo Poscritto alla II edizione del 1 volume del Capitale (1873) 5 dove Marx definisce "il mio metodo dialettico", distinin Marx-Engels, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971. ' Torneremo subito sulla collaborazione di Engels e Marx. Sulla funzione di Engels nella storia del marxismo è nata, per una serie di motivi che potremo solo accennare, una storiografia del tutto fantastica, smentita, ma inutilmente, da due testi (fra i moltissimi) fondamentali dei due autori e amici: cfr. di MARX la " Prefazione" a Per la critica dell'economia politica, cit., pp. 12-13 (del 1859!) e di ENGELS la nota all'inizio del cap. lV del L. Feuerbaclz e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca (del 1888!). Stato della questione, indicazioni bibliografiche e una prima guida interpretativa in S. TIMPANARO, Sul materialismo, Pisa, 1970, in partic. cap. m: Engc/s, materialismo, " libero arbitrio ". 5 Roma 1955', a cura di D. Cantimori, vol. 1, l, pp. 27-28. Tra i molti passi che si potrebbero citare ricordiamo almeno la lettera a Engels del
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guendolo da quello hegeliano, che ne è" direttamente l'opposto". Leggiamo questa pagina di Marx e lasciamo da parte ogni commento: " Per H egei il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente col nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell'idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini. Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale, i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lcssing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un 'cane morto'. Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che_ egli sia stato il primo ad esporre ampiamente c consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico. Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e pei suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione della negazione di esso, la comprensione del suo necessario tramonto, perché concepisce ogni forma divenuta nel fluire del movimento, quindi anche dal suo lato transeunte, perché nulla la può intimidire ed essa è critica c rivoluzionaria per essenza ". Dobbiamo supporre che nel 1873, quanto al metodo, Marx sapesse quello che scriveva. Il metodo è o almeno si annuncia qui sia come quello, diciamo pure, del movimento degli opposti sia 14 gennaio 1858 (in Carteggio, Roma 1972, vol. m): " Quanto al metodo del lavoro [=la teoria del profitto] mi ha reso un grandissimo servizio il fatto che per puro caso ... mi ero riveduto la Logica di Hegel. Se tornerà mai il tempo per lavori del genere [e questo non si verificò: di qui il saggio su Feuerbach di Engels c la sua esplicita dichiarazione nella nota sopra citata], avrei una gran voglia di rendere accessibile all'intelletto dell'uomo comune in poche pagine, quanto vi è di razionale nel metodo che Hegel ha scoperto ma nello stesso tempo mistificato".
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come quello della relazione o contrapposiZione di clementi che fra loro interagiscono. Non c'è dubbio alcun.o che Marx schematizza, cioè presenta concettualmente i risultati delle sue ricerche, e qhindi troviamo il riferimento più preciso nello stesso Marx, in quella Prefazione all'opera già citata del 1859, dove è configurata la cosiddetta dialettica struttura-sovrastruttura. Leggiamo anche questo testo: " Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale delIa loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica c alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, c le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistenttl tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia
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società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione " 6• Di Engels ricordiamo subito i due grandi testi sulla Dialettica della natura e I'Antidiihring (un capitolo di quest'ultimo è di Marx, e la cosa non va sottovalutata) 7 , dove egli si studiò di applicare la metodologia dialettica elaborata da c con Marx alle scienze naturali. Ne nacque un dibattito che non è ancora finito: si pretenderebbe di vedere in Engels un metafisica del materialismo, quindi un traditore di Marx, che avrebbe preservato il materialismo storico da pericolose contaminazioni positivistiche (quindi metafisiche, ma questo resta da dimostrare) con la scienza in genere e con le scienze naturali in particolare. Il che è falso, perché Marx era perfettamente al corrente delle ricerche di Engels e le condivideva: tra i due c'era stata una specie di divisione del lavoro che corrispondeva alle loro attitudini e ai loro interessi. D'altra parte Engels si era espresso chiaramente su questo punto nel Ludovico Feuerbach: perfetta identità di vedute con Marx relativamente al rovesciamento della dialettica hegeliana. Engels sottolinea " l'aspetto rivoluzionario " della filosofia hegeliana, cioè il metodo dialettico, riprende il testo marxiano che abbiamo riportato e conclude con un'altra famosa immagine: " .. .la dialettica di Hegel fu posta con la testa in alto, o, più precisamente, capovolta, perché si reggeva sulla testa, e fu quindi dmessa di nuovo con i piedi in terra "; indica poi le possibilità, anzi necessità di applicazione di questo metodo alle scienze naturali, se si vuoi tener conto delle tre grandi scoperte scientifiche che hanno dominato, c capovolto, la scienza: la scoperta della cellula, la scoperta della trasformazione dell'energia c quella dell'evoluzione della specie. Mondo storico-sociale, il mondo delle ' Per la critica ... , cit., pp. 10-11 (e si ricordi che la citazione continua con la pagina sulla collaborazione con Engels: cfr. sopra nota 4). 7 Rispettivamente Roma 19551 (a cura di L. Lombardo Radice) e 19682 (a cura di V. Gerratana). Importanti, per quanto è detto nella nota 4, i capitoli sulla dialettica: nell'A ntidiihring (1878) Engcls fa anche il punto su come Marx ha inteso la dialettica hegeliana e sul senso della sua appliziottc; nella Dialettica della natura (inedita fino al 1925) presenta e discute le tre leggi della dialettica hcgcl-marxiana, ricavate dal mondo naturale e dal mondo storico-umano, e ad essi applicabili: conversione della quantità in qualità e viceversa; compenetrazione degli opposti e negazione della negazione.
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scienze umane, e mondo naturale, oggetto della scienza, si unificano o almeno non presentano soluzione di continuità e sono suscettibili di essere trattati con lo stesso metodo 8 • Nel presente contesto si può, allora, anche sostenere che, sostanzialmente, questa metodologia non abbia più nulla a che vedere con la dialettica hegeliana. Si è parlato di astrazione determinata, di circolo concreto-astratto-concreto per indicare il metodo (dialettico) storico, cioè quel procedimento che dall'analisi di una situazione di fatto, concreta, storica, perviene all'individuazione di una legge o di una categoria, astratta, ma altrettanto storica quanto alla sua genesi, che viene infine applicata alla situazione di fatto, alle vicende storiche, per comprenderle. Possiamo accettare questa formulazione. Ma il suo presupposto non può e non deve essere trovato in un presunto errore di Hegel (non esi. stono errori di filosofi, ma problemi o difficoltà da capire) e neppure in pretese contraddizioni fra Marx filosofo e Marx scienziato, fra scritti di Marx pubblicati e altri lasciati inediti (un testo non pubblicato non può mai essere usato per confutarne uno pubblicato) 9• La filosofia hegeliana, a causa o grazie al suo metodo, non poteva che essere rovesciata, e la storia lo ha dimostrato di fatto. La concezione dialettica della filosofia, cioè il risultato della filosofia hcgcliana, la storia e il mondo come dialettica, ha soppresso (aufheben, cioè soppresso, sublimato e conservato) la filosofia (hegeliana), e la dialettica stessa. Questo è il senso della ben nota (ma non sempre pienamente compresa) affermazione di Engels: " Il movimento operaio tedesco è l'erede della filosofia classica tedesca" (ultima frase del saggio su Feuerbach). Riassumiamo : " Ciò che distingue Marx, c coloro che da Marx discendono, è proprio l'accettazione della dialettica come metodo. Tuttavia, per Marx come per Engels, la dialettica hegeliana è idealistica, la qual cosa significa che procede dal pensiero, da un pensiero che preesiste alla storia e che la dirige, diciamo così, dal' Ci atteniamo qui al cap. rv (" Il materialismo dialettico ") del saggio su Feuerbach, cit., al quale rinviamo. Per una più ampia discussione della questione rinviamo al libro di Timpanaro, citato nota 4. Poi vedi testo e nota 9. 9 È l'interpretazione di Galvano della Volpe e della sua scuola: vedi Saggio sulla dialellica, in La libertà comunista, Milano 1963 2 e Clzia~·e della dialettica storica, Roma 1964, ma in complesso Logica come scienza storica, nuova edizione Roma 1969; L. CoLLETTI, li marxismo e Her.:el, ora in LENIN, Quaderni fìlosofìci, Milano 1969'. Su Engels, in negativo, oltre a Colletti v. L. ALTHUSSER, Per Marx, trad. it. Roma 1967. In generale v. N. BADALONI, l/ marxismo italiano de!?li anni sessanta, Roma 1971.
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l'esterno. (Non c'è dubbio che alcune espressioni di Hcgcl si prestano a questa interpretazione, soprattutto quando se ne assumono i termini in un senso estraneo al pensiero hegeliano). Si tratta quindi di riportare la filosofia sui propri piedi oppure - cd è la stessa co~a - superarla rcalizzandola. La dialettica di Marx è allora quella della lotta dell'uomo con le condizioni esterne della sua esistenza, create dall'uomo stesso, ma che gli appaiono come entità indipendenti. L'uomo è alienato e deve uscire da questa alienazione: ne uscirà trasformando la realtà storica alienante, a condizione, dunque, di trovarsi infelice in questa realtà; egli se ne libererà, quindi, (c libererà l'umanità) con tanta maggior certezza quanto più è alienato. L'uomo assolutamente alienato è il proletario, colui che per vivere deve trasformarsi in merce, vendendo alle condizioni del mercato quella sua forza di lavoro che lo costituisce in quanto membro della società. La dialettica della storia si manifesta così come lotta di classe c la liberazione dell'uomo si realizzerà quando una classe, che non ha interessi particolari da difendere, sopprimendo il sistema stesso delle classi, restituirà l'uomo a se stesso in un mondo divenuto umano. Il mezzo per raggiungere questo fìne è l'azione rivoluzionaria, un mezzo che, nel presente immediato, contiene la propria giustificazione: ciò che serve la rivoluzione serve allo scopo della rivoluzione. Il risultato di queste tesi fu abbastanza dialettico nel senso che questo appello alla dialettica condusse alla sua soppressione. In realtà, le condizioni del lavoro (i rapporti di produzione) determinano il pensiero di un'epoca, la situazione sociale determina il pensiero delle classi, la situazione oggettiva nell'ambito dell'economia e della tecnica offre o esclude la possibilità della rivoluzione: la realtà economica si trasforma così in causa c il pensiero diviene l'effetto di questa causa. Attribuire queste conclusioni ai fondatori della scuola sarebbe storicamente falso (vedi per es. le lettere di Engels a Bloch, C. Schtnidt, ecc., in Engels, Feuerbach, trad. Brackc, Paris, 1952): furono hegeliani abbastanza fedeli da non prendere il rapporto causa-effetto per un rapporto di entità indipendenti. Ma furono anche, quali che siano stati i loro risultati, hegeliani abbastanza fedeli da voler realizzare la filosofia (di Hegel) e da non occuparsi di problemi dialettici come problemi filosofici. Volendo far questo, si limitarono ai problemi dell'azione, e la loro teoria politico-sociale, applicazione della dialettica, non rimetteva in questione, esplicitamente, ciò che applicava e implicava. Le interpretazioni causali, meccanicistiche, deterministiche della storia, combattute da Engels come errori di avversari malevoli o incapaci di comprendere, fuùrono ben presto col domina-
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re il pensiero della scuola - e questo avvenne tanto più facilmente in quanto le riflessioni metodologiche e filosofiche del giòvane Marx, fonti della sua teoria, restarono nascoste al pubblico " 10•
8.2. Eric Weil: Marx e la Filosofia del diritto
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Sulle fonti del pensiero di Marx riteniamo, allora, che metta conto spendere ancora una volta qualche parola. E questo non è in contraddizione con quanto abbiamo detto all'inizio. Intendiamo mostrare come e perché il problema del rapporto Hegel-Marx sia sorto come tale, costituisca ancora gran parte del dibattito della filosofia contemporanea e ne rappresenti, anzi, la parte migliore. Abbiamo deciso di non aggiungere su questo punto una nostra personale opinione, ma di lasciar parlare un interprete non comune, che ha avuto il merito, a nostro avviso, d'investire il problema senza voler dare spiegazioni, ma cercando di capirlo, senza voler dare risposte o inventare soluzioni "filosofiche", ma ponendo domande, il che resta il compito della grande tradizione della filosofia, se ancora di filosofia possiamo parlare. È caratteristico del nostro tempo, è solito dire l'autore delle pagine che sotto riportiamo, essere capaci di rispondere a qualsiasi cosa, di trovare soluzioni, ma non sappiamo più porre domande, interrogare i testi e la realtà. l?, una buona norma metodologica: in questo caso dovrebbe ancora poter dare i suoi frutti. 10 E. WmL, Pemiero dialettico e politica, in Filosofia e politica. Firenze 1965, pp. 37-38. Come uno dei fili conduttori interpretativi di questo capitolo si veda anche A. MAssoLo. Marx e il fondamento della filosofia, in Lo~?ica hegeliana e (iloso{ia contemporanea, nuova edizione Fi-· renze 1967, che incise, più profondamente di quanto non appaia, nei dibattiti sul marxismo e Hegel in Italia (vedi bibliografia). Questi testi - e lo stesso modesto tentativo della nostra esposizione - dovrebbero dimostrare che non è sostenibile la tesi di Timpanaro (con il quale per altro concordiamo praticamente su tutto) della " intrinseca idealisticità della dialettica " (sic!: non della dialettica hcgcliana): cfr. Sul materialismo, cit., p. 74. a Riportiamo qui, per motivi che non vanno più dichiarati perché fanno parte della costruzione di tutta la nostra esposizione, la traduzione italiana di Marx et la Philosophie du droit, appendice a Hegel et l'Eta! di Eric Weil, Paris 1950, non compresa nella traduzione italiana dell'opera in Filosofia e politica cit. (nella collana " Socrates " del compianto Massolo). Dopo il primo capoverso il testo fra asterischi corrisponde alle pp. 1417 (trad it. pp. 112-115) del saggio su Hegel e lo Stato: ci è parso necessario inserirlo. Ringraziamo l'autore per il suo gentile consenso.
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Eric Wcil: Marx e la filosofia del diritto
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Leggiamo il testo : Sebbene la letteratura sui rapporti di Marx con Hegel sia di un'importanza numericamente enorme, a nostra conoscenza e nelle lingue che ci sono accessibili (cioè, soprattutto, escludendo il russo) presenta pochi lavori particolari e poche ricerche condotte senza preconcetti. Una ricerca di questo genere incontra subito grosse difficoltà: Marx ed Engels, vivendo in un'atmosfera hegcliana, riprendendo continuamente la lettura delle opere hcgeliane e considerando Hegel come l'ultimo filosofo, presuppongono sempre una conoscenza di Hegel che non si trovava già più all'epoca dell'acme della loro influenza. Le critiche da loro rivolte a Hegel sono dunque rapidamente divenute incomprensibili e, con poche eccezioni (Plekanov o Lenin), i marxisti si sono limitati a ripcterle senza domandarsi quale ne fosse la portata, che cosa lasciassero in piedi del sistema hegcliano, persino che cosa stabilissero come principio di ogni critica che potesse pretendere di essere "all'altezza". Il caso Liebknecht costituisce una buona testimonianza.
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Rivedendo ciò che è stato scritto su Hegel nella seconda metà del secolo xrx ho trovato un solo testo, anzi non un testo, ma alcuni frammenti di lettere, che lo difendono dalla classica accus;1 che gli vien mossa di essere il filosofo della reazione 12 • Per il resto son tutti d'accordo: guardiamo a quel. vecchio liberale che è 12 Per essere esatti bisognerebbe citare altre apologie come quella di Rosenkranz: Apologie llegels gegen Dr. R. Haym, 1858. Ma a parte il fatto che lo scritto è debole, nonostante molte osservazioni giuste e pertinenti, l'autore (come E. Gans) appartiene alla scuola hegeliana che è stata ben presto obbligata a tenersi sulla difensiva e non ha avuto influenza a partire dalla metà del secolo XIX. La storia della scuola hegeliana è ancora da scrivere. Il miglior compendio si trova in J.E. ERDMANN, Grundriss der Geschichte der Plzilosophie, 3" ed. (la quarta, fatta da Benno Erdmann, è inutilizzabile), Berlino 1878, §.§ 331 sgg. Come giudichi Hegel la tradizione della Grande Germania del nostro secolo appare chiaramente dall'apologia che ne fa F. Meinecke: " Pensa tori conservatori, liberali e radicali, storici c dottrinari, nazionali e cosmopoliti potevano andare alla scuola di questo sistema ... Hegel è in primo piano tra i gnmdi pensatori del secolo XIX che hanno diffuso in generale il senso dello Stato, la convinzione della necessità, della grandezza e della dignità morale dello Stato" in WeltbiirRertum und Nationa!staat, Miinchen-Berlin 191 P, p. 272. [Cfr.. trad. it. Cosmopolitismo e stato nazionale, Firenze 1930]. In altre parole, Hegel non è così antiprussiano come è stato detto, benché sia ancora universalista (lo dice Meinecke, op. cit., pp. 278 sgg.). Il nazionalista Meinecke è d'accordo con il liberale Haym.
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Haym 13 - senza parlare di spiriti di minor apertura, ma non di minore influenza, come Welcker o Rotteck, esponenti del partito costituzionale della Grande Germania -, guardiamo all'estrema sinistra con i Bauer e il loro gruppo: il verdetto è unanime 14 • Volgiamoci alla destra, a Schelling, agli credi del romanticismo, alla scuola storica di Savigny; se per essi Hcgel non è dalla loro parte 15 è perché non ha camminato con il tempo - la " destra "·è, infatti, sempre composta di gente che crede di aver finalmente compreso la verità eterna -, non ha colto le aspirazioni di un'epoca rinnovata, purificata dai miasmi del secolo XVIII: anche per loro Hcgel è rimasto indietro. Dunque, un solo testo fa eccezione. Ecco di che si tratta: qualcuno ha pubblicato un articolo in cui si parla di Hegel; l'articolo appare in una rivista, e, poiché siamo nel 1870 ed Hcgel è dimenticato in Germania, l'editore crede di far bene ad aggiungere una nota, per dire che Hegcl è conosciuto dal grosso pubblico come colui che ha scoperto e glorificato l'idea " regio-prussiana " dello Stato. Quest'ultima espressione suscita la collera dell'autore dell'articolo, che scrive ad un amico comune: " Quest'animale si permette di stampare, in calce al mio articolo, note che sono delle vere c proprie scemenze, senza citarne l'autore. Avevo già protestato, ma adesso la stupidaggine è così crassa che la cosa non può continuare ... Quest'animale che per anni è stato a cavallo sulla ridicola antitesi fra diritto e potere senza sapere come cavarsela, come un fante messo su un cavallo bizzarro e chiuso in un galoppatoio, quest'ignorante ha la sfrontatezza di voler liquidare un tipo come Hegcl con la parola prussiano. Ne ho abbastanza ... Val meglio non essere pubblicato che·csscre presentato ... comc un asino ··. Al che il corrispondente risponde a giro dì posta: " Gli ho scritto che farebbe meglio a tener chiusa la bocca invece eli ripetere quelle vecchie bestialità di Rotteck e di Wclcker. .. È un individuo davvero troppo stupido " 16 • Il povero editore è ,. Tra gli avversari di Hegel dì gran lunga il più importante è Haym per la qualità del suo libro che per la sua in1luenza. Hegel und seine Zeir è stato scritto sotto l'impressione della politica reazionaria seguita al fallimento della rì voluzione del 1848. Una seconda edizione (Lipsia 1927), a cura di H. Rosenberg, contiene in appendice indicazioni utili sull'evoluzione di Haym e sulla storia dell'hegelismo. " Ma cfr. sopra nota 12, e subito qui avanti per la critica del giovane Marx. 15 N umerosc informazioni (senza alcuna comprensione dei problemi filosofici) in I\1. LEI"Z, Geschichte der Universitiit Berlin, Halle 1910-1918. Si seguirà qui facilmente l'evoluzione della politica ministeriale e. delropinione universitaria. " Engels a Marx, 8 maggio 1870; Marx a Engels, 10 maggio 1870 ~ia
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Wilhelm Liebknecht, uno dei dirigenti della socialdemocrazia tedesca, l'autore della prima lettera è Engels, la risposta viene da Marx. Ecco una cosa sorprendente : Marx ed Engels non vogliono ammettere che Hegel abbia glorificato l'idea " regio-prussiana " dello Stato, Marx ed Engels danno dell'animale a chi annovera Hcgel tra i reazionari- ecco due difensori della reputazione politica di Hcgel, che passano tradizionalmente per i suoi critici più severi. Come si spiega?È evidente che una opinione, anche se dettata da due buoni conoscitori di Hegel quali furono Marx ed Engels, non può fare autorità. Tuttavia, essa viene proprio a confermare il nostro sospetto: in realtà, sarebbe naturalissimo veder riprese le accuse di conformismo, di prussianesimo, di conservatorismo, da parte di coloro che si proclamano i pensatori della rivoluzione·. Se quelli che affermano di aver superato Hegel, disdegnano di servirsi di tale accusa, come non domandarci se possiamo continuare a sostenerla? Se non è possibile, dunque, considerarla evidente, l'immagine tradizionale di Hegel non sarà soltanto errata in qualche particolare: ogni correzione sarà impossibile c bisognerà sostituirla con un 'altra.
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Non ò possibile in questa sede chiarire problemi di questo genere tanto importanti quanto ingarbugliati. Tuttavia, è necessario chiedersi in che cosa il pensiero di Marx sia differente da quel(Icllen.: n. 1359 c n. 1370, ed. Mosca, vol. IV, 1939, pp. 38 sgg. [trad it. Carteggio Marx-t:ngels, a cura dì E. Cantimori Mezzomonti, vol. VI, Roma 1972]. L'interesse del testo è duplice. Da una parte esso mostra la differenza tra i fondatori del marxismo e i loro successori: Liebknecht ha avuto la meglio su Marx ed Engels e attualmente i "rivoluzionari" sono d'accordo con i .. reazionari " nel vedere in Hegel l'apologista dello Stato prussiano. Anche l'ultima opera della scuola, G. LuKÀcs, Der junge Begel. Ueber die Bezielumgen. von Dialektik und Oekonomie (Ztirich-Wien 1948) [cfr. trad. ìt. a cura di R. Solmi, Il giovane Hegel, Torino 1960], afferma che Hegel, essendo idealista, non poteva non riconciliarsi con la cattiva realtà della sua epoca. È vero che nelle sue analisi l'autore non va oltre la Fenomenologia dello spirito e non si crede in dovere di provare mediante la interpretazione dei testi ciò che propone in modo deduttivo. D'altra parte il testo permette di capire le ragioni dell'alleanza così curiosa tra " liberali " e " nazionalisti " tedeschi: gli uni difendono la società contro lo Stato, gli altri lo Stato contro la società, cd entrambi si rifiutano di pensare la società nello Stato, mentre Marx ed Engels, che si pongono precisamente il problema dell'unità e dell'uno e dell'altra, riconoscono l'autenticità filosofica della analisi hegeliana e protestano contro il tentativo di svalutarla partendo da una posizione dogmatica e servendosi di giudizi di valore di ordine politico.
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lo di Hcgel: storicamente Hegel agisce attraverso Marx e nella coscienza della nostra epoca Hegel è il precursore di Marx e non già Marx il discepolo di Hegel; se il cadetto è comprensibile solo a mezzo del primogenito, è il secondo che direttamente o indirettamente fonda tutto il vivo interesse che oggi è rivolto al primo. Com'è noto, e lo si è ripetuto a sazietà, la differenza fondamentale fra i due è quella tra l'idealismo dell'uno e il materialismo dell'altro. Questa opposizione acquista tin senso preciso quando nei due casi si aggiunga l'aggettivo storico: si può e si deve contrapporre una dottrina della storia e dell'azione storica che insegna l'onnipotenza dell'idea e una teoria che vede nelle condizioni esterne dell'esistenza degli uomini la molla di ogni cambiamento e di ogni progresso. Ma sul piano filosofico quella contrapposizione smarrisce ogni significato preciso sia per la metafisica tradizionale che distingue il realismo dall'idealismo e lo spiritualismo dal materialismo 17 sia, e a maggior ragione, per una filosofia dialettica, nella quale una delle astrazioni tradizionali c predialcttiche si trasforma nell'altra. Nel senso della scuola Hegcl e Marx non sono stati né idealisti né materialisti e sono stati insieme l'una c l'altra cosa. È diverso quando si tratta di azione politica: qui divergono le strade di Hegel c di Marx. Hegel crede che la semplice comprensione sia sufficiente per realizzare lo Stato della conciliazione totale, nel senso che l'azione ponderata delle autorità dello Stato esistente, cioè dell'amministrazione, farà tutto il necessario per prevenire una rottura fra la realtà sociale e la forma dello Stato imponendo una forma del lavoro che darà ad ogni cìttadino famiglia, onore, coscienza-di-sé e possibilità di partecipare allo Stato, in altre parole imponendo la mediazione totale. Marx è convinto che solo l'azione rivoluzionaria potrà realizzare una società veramente umana in uno Stato veramente umano. Dopo ciò che abbiamo detto della filosofia politica di Hegel e considerata la funzione decisiva che svolge in Marx la presa di coscienza è evidente che questa contrapposizione è estremamente schematica. Hegel insegna che le condizioni reali obbligano lo 17 " Aus der Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie " (qui abbreviato Critica), in Marx-Engels Gesamtausgabe, vol. 1, l, Francoforte 1927, per es. p. 455: .. Le corporazioni sono il materialismo della burocrazia e la burocrazia è lo spiritualismo delle corporazioni " oppure p. 507: .. Lo spiritualismo astratto è materialismo astratto: il materialismo astratto è lo spiritualismo astratto della materia". [Cfr. trad. it. in K. MARX, Opere filosofiche giovanili, a cura di G. Della Volpe, Roma 1969' oppure in MARX e ENGELs, Opere scelte, a cura di L. Gruppi, Roma 1971].
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Stato (l'amministrazione) ad agire; Marx sa c dice che l'azione violenta pura c semplice, senza un sapere chiaro dello scopo, senza una scienza, è il contrario di un'azione progressiva: questa è la pura conseguenza del fatto che né l'uno né l'altro aderiscono ad un'astratta filosofia della riflessione, ma ad una filosofia dialettica. Si potrebbe aggiungere: per entrambi l'azione non consapc~ vole o, più precisamente, il semplice sentimento della non-soddisfazione è all'origine di ogni grande avvenimento storico; la presa di coscienza può effettuarsi soltanto quando l'azione sia intrapresa e sarà completa solo quando l'azione sarà condotta a termine. Tutti e due, poi, sanno - Marx lo dice più apertamente di Hegel 18 - che la completa presa di coscienza di una situazione storica indica che questa situazione deve essere e sarà superata così come tutt'e due vedono l'impossibilità di elaborare un'immagine precisa dello stato da realizzare, poiché solo il senso dell'opposizione all'esistente è determinato, ma non la nuova forma risultato dell'azione. Tuttavia, è altrettanto vero, l'uno pone· l'ac~ cento sulla funzione delle masse (o delle classi - i due termini si trovano in Hcgel e nel senso in cui li impiegherà Marx), l'altro sul~ l'azione del governo. Hegel non ha visto, quindi, uno dci problc~ mi scottanti del mondo contemporaneo, cioè la possibilità data all'amministrazione di fare causa comune con una delle classi sociali in conflitto. Hegel ha visto il conflitto in sé; non gli ha attribuito l'importanza che, con la lotta per lo Stato (non soltanto: nello Stato), doveva rapidissimamcnte prendere. È evidente la ragione di questo errore di valutazione (ed anche le sue cause: esperienza vissuta di una rivoluzione fallita, differenze oggettive nella situazione economica delle due epoche - Marx ha tredici anni quando Hegcl muore, tre quando esce la Filosofia del diritto): Hegel è un teorico, un teoretico; non è c non vuol essere un uomo politico. Ciò che gli interessa è la storia nel suo senso c nella sua direzione, prendendo i due termini nella loro totalità, e non il problema tecnico del successivo passo del progresso. Gli importa poco che la liberazione dell'uomo avvenga ora o fra qualche secolo, che si verifichi qui o altrove, in questo modo o in quest'altro; a Hegel basta sapere che cosa è (per il suo contenuto - è impossibile, infatti, per Hegel come per Marx, anticiparne la forma concreta) una società libera. Marx (e neppure qui insiste~ remo sul mutamento delle condizioni: la Prussia di Federico Gu" Cfr., sotto, la teoria della realizzazione della filosofia e della sua soppressione come anche la teoria della coscienza. di classe del proletariato nel Afanifesro del parli/o comunista.
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glielmo lV e quella di Federico Guglielmo III, l'economia europea del 1840 e quella del 1820 ccc.) non crede alla buona volontà dell'amministrazione né alla sua intelligenza: dove Hegel aveva visto un problema per l'amministrazione, Marx vede una lotta tra l'amministrazione in carica e la classe oppressa (termine tanto hegcliano quanto marxista); dove Hegcl ·si riferisce all'interesse ben compreso dello Stato, Marx ha fiducia soltanto nella rivolta di coloro che non hanno più né famiglia né morale né onore né patria. Bisogna i.1otare che Marx, come Hegcl, non pensa alla violenza pura c semplice; anche Marx pretende una direzione consapevole, che si chiamerà l'élite rivoluzionaria, i dirigenti, il partito, la testa del proletariato; ma questa nuova amministrazione, destinata a conciliare l'uomo con se stesso in una nuova organizzazione - poco importa che la si chiami Stato o altro, tanto più che Marx non ha mai elaborato una teoria dello Stato - si formerà contro l'amministrazione ufficiale invece di derivare da questa mediante una impercettibile trasformazione della costituzione 19 • Si aggiunga: per Hegel il motore della storia è la guerra; uno Stato sviluppa la sua nuova fonna di organizzazione ragionevole della libertà c vince gli altri Stati mediante la lotta, e questo avviene per la ragione filosofica che esso è il veicolo dell'idea c per la ragione materiale di poter contare sul patriottismo di tutti i cittadini 20 • Per Marx il problema della guerra non è fondamentale (e per il marxismo lo sarà solo con la teoria dell'imperialismo abbozzata da Lcnin); lo è invece la rivoluzione all'interno degli Stati che renderà superflua la lotta tra le nazioni 21 • Infatti, elaborando il concetto della lotta di classe, Marx trasforma in concetto scientifico fondamentale ciò che per Hegel re19 Filosofia del diritto, § 298: " Il potere legislativo è, anche, una parte della costituzione, la quale gli è presupposta, e pertanto, in sé c per sé. si trova fuori della determinazione diretta di esso, ma consegue il suo ulteriore sviluppo nel continuo progresso delle leggi e nel carattere progressivo degli affari generali del governo " [trad. it. a cura di Messineo-Plebc, Bari 1954]. 2° Filosofia del dirillo, § 289: " Questo è il segreto del patriottismo dei cittadini visto secondo l'aspetto delle corporazioni, cioè che essi conoscono Io Stato come loro sostanza, poiché esso mantiene le loro sfere tJarticolari, il loro diritto e autorità come il loro benessere ". Questo patriottismo manca, dunque, alla p!ehaulia. 21 " Con l'opposizione delle classi all'interno della nazione scompare l'atteggiamento ostile delle lwzioni tra loro··: Manifesto del partito comunista, in Marx-Enge/s Gesamtausgahe, cit., vol. VI, p. 543 [cfr. trad. it. commentata a cura di E. Cantimori Mezzomonti, Torino 1962, p. 155]. Anche per Hegel l'insufficienza della ricchezza sociale, dunque la crisi (inevitabile), conduce alla politica espansionistica.
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sta un concetto filosofico, un concetto, inoltre, al limite della filosofia: la passione. Per Hcgel la passione è proprio la forza che muove la storia; per usare il linguaggio della Fenomenologia dello spirito (che più tardi non sarà più usato) la passione è la negativilà come appare all'uomo nella sua storia ( = per sé) e allo storico-filosofo nell'uomo storico ( = in sé). Per Marx la passione è determi.p.ata in ogni momento della storia, quindi anche nella situazione storica presente. Per Hegel solo la passione che si è realizzata e che si è così compresa determinandosi è scientificamente conoscibile e, secondo l'autore della Filosofia del diritto, la passione del proprio presente non è che un residuo, un avanzo assimilabile da parte della coscienza di sé della realtà storico-morale dello Stato moderno (reale nell'amministrazione). Per Marx questo Stato è Stato dell'alienazione e la passione non è soltanto necessaria per realizzare la libertà, ma essa è determinata nella sua tendenza dalla forza concreta della realtà nella e contro la quale si scatena: le lince di forza secondo le quali la passione deve attaccare, se vuole restare passione della libertà concreta, possono essere scientificamente conosciute. D'un tratto il soggetto c l'oggetto dell'azione da politici che erano divengono sociali (sebbene per Marx si collochino nel quadro dello Stato hegeliano) e fondano sulla filosofia politica una scienza sociale. Potremo dire, dunque, che tutti gli elementi del pensiero-azione di Marx sono presenti in Hegel. Essi divengono concetti scientifici e fattori rivoluzionari a partire dal momento in cui Marx applica il concetto della negatività, sviluppato dalla Fenomenologia, ai dati strutturali elaborati nella Filosofia del diritto. Le due tesi o più precisamente i due atteggiamenti derivano dalla stessa tesi c da una medesima esigenza: la soddisfazione dell'uomo nel c a mezzo del riconoscimento di tutti c di ciascuno da parte di tutti e di ciascuno 22 ; ancora oggi esse sono attuali e non sapremmo dire se gli avvenimenti hanno deciso per l'una o per l'altra, pur restando confermato ciò che costituisce la loro comune base: la necessità della liberazione dell'uomo - necessità condizionale, necessità se devono sussistere la civiltà, l'organizzazione c la libertà positiva. Il problema dell'alienazione dell'uomo, quello della ricchezza (no: della proprietà, in senso hegcliano), " Aver fatto dci concetti di riconoscimento e soddisfazione il centro dell'interpretazione del pensiero hcgeliano è il grande merito del libro di A. Ko!F.vE, lntroduction à la /ec·tw·e de l!egel, Par!s 1947 [trad. it. non completa col titolo La dialettica e l'idea della morte in Hegel, Torino 1948].
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dunque del capitale, sono visti sia da Hegcl che da Marx e da allora suno riconosciuti come fondamentali da parte di ogni teoria e di ogni pratica politica consapevoli. Che la loro soluzione sia il compito del presente come lo era al tempo di Hcgcl e di Marx, è da gran tempo communis opinio; ma non ci sono ancora neppure i primi abbozzi di una teoria della politica che tenga conto delle nuove forme. di Stato manifcstatesi nel frattempo: gli apologisti dell'evoluzione· tranquilla, quelli della rivoluzione c della dittatura e i loro critici si sono tutti, in generale, limitati a dar prova di molta passione, di molta pcnetrazione anche nella difesa delle loro personali opinioni contro quelle dei loro avversari, ma non hanno quasi mai voluto pesa~e le conseguenze inerenti ai loro propri principi. Si sa benissimo come provocare o domare una rivoluzione, come mettere in piedi o sostenere una dittatura rivoluzionaria o controrivoluzionaria: non ci si è quasi mai chiesti quali sono i punti forti c deboli dei sistemi dittatoriali e quelli aperti alla discussione in rapporto al fine che si vuoi raggiungere, ancora meno quali sono le funzioni della costituzione e della morale concreta di una certa nazione (i due-termini, soprattutto il primo, presi in senso hegeliano) in rapporto alla possibilità dì utilizzare l'uno o l'altro procedimento. L'accordo sui termini, l'omaggio reso da tutti a parole come libertà, democrazia, autorità, legge, uguaglianza ecc. dimostrano soltanto mancanza di chiarezza nella discussione. Per porvi rimedio bisognerebbe cominciare col problema della coesistenza (consapevole) della rivoluzione, dell'evoluzione e della reazione all'interno dello stesso mondo; e poi continuare con la ricerca del senso concreto dei tem1ìni formale c reale, i quali servono l'uno di giustificazione e l'altro come insulto e che, tuttavia, indicano entrambi o delle realtà o momenti pure astratti di realtà. Le considerazioni precedenti hanno il solo scopo di mostrare le difficoltà di un confronto fra Hegel c Marx; esse non mirano affatto a chiarire il problema abbozzato e neppure a tracciar(;' la strada che bisognerebbe seguire per giungervi. Ma erano necessarie per poter parlare molto brevemente della Critica della filosofia del diritto che il giovane Marx ha redatto tra il marzo e l'agosto 1843 23 • Non è nostra intenzione analizzare questo testo nei particolari. In tal caso dovremmo fare un confronto tra questa critica c la 23 Per la data cfr. la prefazione di D. Rjazanov al vol. sg. delle. opere compfete citare,
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l, pp.
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teoria hcgcliana e, visto come lavora Marx, dovremmo riprendere l'interpretazione della Filosofia del diritto paragrafo per paragrafo. Avremmo allora occasione di notare certe obiezioni particolannente brillanti e giuste 2\ altre invece che contengono errori nella comprensione delle parole e delle tesi discusse 25 • Lasceremo · questo lavoro agli specialisti che vorranno seguire l'evoluzione del pensiero di Marx. Nel presente contesto vedremo soltanto le grandi linee e i principi di questa critica. Ben diversamente dall'Introduzione alla cntlca della filosofia del diritto di Hegel, uscita a Parigi nel 1844, la Critica non ha fatto rumore: il manoscritto è stato pubblicato per la prima volta nel primo volume dell'edizione critica dell'Istituto Marx-Engels di Mosca nel 1927 e non ha attirato molto l'attenzione del pubblico, anche di quello ristretto, interessato a tali problemi 26 • Si può capire questa accoglienza: infatti, il testo è incompleto, pesante e di lettura difficile perché è dedicato per la maggior parte ad una critica diretta senza indugi interprctativi, c questo presuppone da parte del pubblico una conoscenza di Hegel immaginabile probabilmente nel 1843, non già oggi. Si deve aggiungere che il pensiero è, per così dire, premarxista, se chiamiamo marxista l'enunciazione dci principi nel Manifesto del partito comunista, elaborati da Marx e Engels per tutto il resto della loro vita. Infine, il manoscritto è incompleto, non soltanto perché è andato perduto il primo foglio, ma perché in molti luoghi Marx ha lasciato delle pagine bianche che intendeva scrivere più tardi notando qua e là ciò che bisognava precisare o aggiungere. ,., Per es. la critic>, novembre 1955. Solo col Jocl e con Th. Gomperz la testimonianza aristotelica assume valore privilegiato come quella che ci consente di distinguere ciò che è storico in Platone e in Senofonte, come conferma, quindi, sia di Platone e Senofonte sia di Platone o Senofonte. Questa soluzione non si impose affatto. La tesi di Taylor e Burnet (Aristotele non avrebbe potuto o voluto disporre di fonti di informazione originali rispetto a Platone e pertanto la sua testimonianza è inessenziale: il Socrate storico è il Socrate di Platone) fu poi seguita da notevoli studiosi, dal Wilamowitz al Cornford. RoniN, che l'aveva suggerita quasi agli inizi del secolo, la considerò ben presto un'impasse (recensione al Taylor, in « Revue des études grecques », 1916 e Les fins de la culture grecque, in « Critique », n. 15-16, 1947): il Socrate platonico non rappresenta verosimilmente per Aristotele il Socrate storico, ma solamente lo stesso Platone. E con questo siamo alle posizioni di Gigon, Dupréel (e in parte di Untersteiner, per quanto riguarda i Sofisti) citate alla nota 3 (testi, bibliografia e date in Le problème de Socrate, pp. 231-234). Per quanto riguarda Aristotele e il suo intervento sulla retorica dei Sofisti rinvio il lettore al testo e alla bibliografia relativa ai paragrafi 4.2-3. 2.3-4. Abbiamo già dichiarato le fonti della nostra interpretazione, in positivo e in negativo. (Altri problemi possono sorgere se la problematica viene posta all'interno della filosofia platonica intesa nella evoluzione, nella storia della sua formazione. Ma per questo rinviamo al capitolo su Platone). Qui ricordiamo: M. BuccELLATO, La retorica sofìstica negli scritti di Platone (1953) e Linguaggio e società alle origini del pensiero greco (1960); A. CAPIZZI, Pra/agora (1955) e G. GIANNANTONI, Il frammento l di Protagora in ww nuova testimonianza platonica, in « Rivista critica di storia della filosofia>>, 1960; J. LucciONI, Xénophon et le socratisme, Paris, P.U.F., 1953; M. DE CoRTE, Parménide et la Sophistique, in Autour d'Aristole, Louvain-Paris, Ed. Universit~.iies, 1955; A. PLEBE, Breve storia detla retorica antica, Mitano, Nuova Accademia, 1961; C.A. VIANO, La dialettica stoica (19 58), i primi due paragrafi sui rapporti eleatismo, sofistica, socratismo. Sul conflitto che scuote Atene fra l'ideale scientifico-materialistico, jonico, democratico e l'ideale filosofico-religioso, dorico, aristocratico, oltre agli autori citati alla nota 12, si tenga presente la cosiddetta interpretazione spiritualistica (accanto, appunto, a quella di ispirazione sociologica):
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Guida bibliografica
J. STENZEL, Metaphysik des Altertums, Miinchen, Oldenburg, 1931 e Plato der Erzieher, Hamburg, Meiner, 1961' (tr. it. ùella l" ed., Bari, Laterza. 1936 - ma non si è tradotta l'Introduzione, molto importante, sulla preistoria della filosofia platonica, e quindi il cap. "Atene e l'Attica", che ha un corrispondente nell'opera citata sopra del 1931) e W. NEsTLE, Griechische Geistesge.~chichte, Stuttgart, Frommann, 1944', il cap. vn: "La filosofia jonica nell'Attica". Per altro, cfr. J.N. FINDLAY, "Dialectic ", in Encyclopaedia Britannica.
2.5. Alle indicazioni date sopra (2.2) aggiungiamo: A. LABRIOLA, Socrate, Bari, Laterza, 1909 (nuova ed. nelle Opere complete a 'cura di L. DAL PANE, Milano, Feltrinelli, 1961), un Socrate riformatore sociale, un'immagine sanamente positivistica; WINSPEAR-SILVERBERG, Wlw was Soe~·ates!. New York 1960' (tr. it. col titolo Realtà di Socrate, Urbino, Argalia, 1965), una demitizzazione del filosofo, fondata praticamente su Aristofane e Policrate, un criptodemocratico al servizio degli interessi dell'aristocrazia; R. MoNDOLFO, Moralisti greci, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, la leggenda di Socrate negli studi più recenti; I. BRUNs, Das literarische Portriit der Griechen, (1896), rist. Hildesheim, Olms, 1961, sulle vicende delle prime interpretazioni antiche di Socrate e sulla tecnica biografica dei greci; G. MisCH, Geschichte der A utobiographie, Frankfurt/Main, t 949', vol. I, t. I; infine per l'intreccio di problemi di dossografia. storia e ideologia, il nostro Problemi di dossograjia aristotelica. Socrate in Aristotele, in Storicità della dialettic-a antica, Padova, Marsilio, 1965.
3. Dialogo, dialettica e filosofia in Platone 3.1. Gli scritti di Platone furono anticamente ordinati dal grammatico alessandrino Aristofane di Bisanzio (m sec. a.C.) in trilogie. DIOGENE LAERZIO, Vite dei filosofi (tr. it. Bari, Laterza, 1962, m, pp.61 sgg.) ci ha tramandato questo ordinamento come anche quello di Trasillo (forse un matematico vissuto sotto Augusto e Tiberio), in tetralogie, rimasto tradizionale (accolto ancora nell'edizione critica del testo greco - la migliore di Oxford, a cura di BuRNET, coll. " OCT Oxford Classica! Texts ''): 36 dialoghi, le Definizioni (un'opera della scuola), alcuni dialoghi spuri, 13 lettere sulla cui autenticità si sono elevati seri dubbi, 33 epigrammi, alcuni dei quali, di ispirazione erotica, bellissimi (in Antologia Palatina, testo, traduzione, introduzione e commento presso Les Belles Lettres, Paris). ARISTOTELE (De Generatione et cormptione, n, 2) cita anche le Divisioni, non un'opera, ma probabilmente una nomenclatura ad uso didattico, e (Fisic-a, IV, 2) le "cosiddette dottrine non scritte", senza dubbio lezioni orali, alle quali Aristotele deve aver assistito prendendo appunti, che conservava. Una di tali lezioni può essere la celebre Sul bene O'idea centrale della Repubblica e della l~ettera VII), che ci è stata tramandata come scritto aristotelico (forse Aristotele ha diretto seminari su questo tema) nel corpo dei frammenti aristotelici (su queste dottrine è fondamentale: L. RoBIN, La théorie platonicienne des idées et des nombres cfaprès Aristate, 1908, rist. Hildesheim, Olms, 1963). I dialoghi di Platone (dobbiamo lasciar càdere questioni di autenticità e storia del testo, che si possono leggere nell'esemplare schema di G. CALOGERO, Platone, in Enciclopedia Italiana, xxvn, 1935) sono citati universalmente con un numero e una lettera: è l'impaginazione dell'edizione curata a Parigi nel 1578 da Henri EsTIENNE, in tre tomi, rispettivamente di pp. 542, 992, 416 (le lettere da
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A a E indicano la divisione della pagina in colonne). Una buona edizione moderna (oltre alla citata di Oxford) è quella a cura di vari autori presso I.es Belies Lettres, Paris (coli. "Universités de France, Fondation G. Budé "): i dialoghi sono ordinati cronologicamente, con ampia introduzione, traduzione francese, commento (filologico e filosofico); un lessico in due volumi completa l'edizione (altro noto lessico è quello di Fr. AsT, Lexicon platonicum, 3 voli., Leipzig 1835-38, rist. Darmstadt 1956). La traduzione italiana pill nota è quella a cura di vari autori apparsa presso Laterza, ora (1966) in due volumi, a cura di G. GrANNANTONI: sommari introduttivi ed un indice abbastanza utile non sostituiscono la mancanza di un commento. Impossibile indicare persino le linee di una bibliografia platonica. Si veda, F. ADORNO, l.a filosofia antica, vol. I, Milano, Feltrinelli. 1961, pp. 564 sgg.; A. CAPIZZI, Studi su Platone dal 1940 a oggi, in « Rassegna di filosofia», 1953, e, meglio, le "Note bibliografiche" premesse da F. ADORNO alla sua edizione di Platone, Opere politiche, Torino, UTET, 1953-58. 3.2. Per i motivi piit volte esposti ci limitiamo a presentare opere direttamente consultate e fatti ve nella nostra ricerca. Ci limiteremo, inoltre, a quelle strettamente connesse, di volta in volta, al tema. Diamo per presupposte le grandi monografie del WTLAMOWITZ e del FRIEDLANDER, del ROBIN, del Rnrm, del TAYLOR e dello JAEGER (questi ultimi due tradotti in italiano presso La Nuova Italia; di Platone si tratta nel n e 111 vol. di Paideia). L'intelligibilità dell'espo&izione del tema " dialogo e dialettica " riposa anche sulle già citate opere di MURI, STENZEL, CALOGERO e MAIER, alle quali si aggiungano i lavori socratico-platonici di TAYLOR e RoaiNSO~. qui citati alla nota 2 ed ora G. GIANNANTONI, Il problema della genesi della dialettica platonica, 1966. Inoltre, in generale: J. ANDIOEU, Le dia/opue antique. Structure et présentation, (1954); P. MAZON, Sur une /ettre de Platon, in Mélanges de philosophie wecque offerts à Mgr. Diès, Paris 1956; più in particolare: E. PACI, La dialettica in Platone (1958), a nostro avviso una delle esposizioni più acute e sollecitanti, proprio per essere l'autore riuscito a individuare alcune figure della dialettica platonica pur investendo i temi nodali, classici del platonismo; J. STENZEL, Literarische Form und philosophischer Gehalt des platmzischen Dialoges (1916), che rappresenta il presupposto indispensabile del nostro lavoro; A. KoYRÉ, Introduzione alla lettura di Platone (1944): un libretto aureo, che dopo secoli di storiagrafia c filologia agguerrite riesce a dare una risposta al problema dei dialoghi aporetici (quelli privi di una conclusione) e quindi a scoprire il senso filosofico del dialogo platonico: un dialogo che veniva letto, di fronte ad un uditorio che conosceva molto bene le questioni e sapeva quindi da par suo trame le conseguenze, e le conclusioni (ottima anche la parte sulla Repubblica, sulle connessioni in Platone di filosofia e politica, un fatto per· Platone, non dimentichiamolo - ma contivuiamo a dimenticarlo - che diventa un problema per noi); infine M. BUCCELLATO, Studi sul dialogo platonico, 1963, sulla tecnica dialogica in relazione alla tradizione e all'ambiente sociale. Ovviamente si ricordi Hirzel, e altri citati 1.5. 3.3-4. Siamo al centro della costruzione del problema e quindi anche per noi si pone inevitabilmente il problema dell'evoluzione, della formazione del pensiero platonico, del rapporto cJn Socrate e della sua interpretazione come problema dell'evoluzione del platonismo. Data la situazione di fatto è una via senza uscita. L'interpretazione presuppone un'idea dell'evoluzione, l'idea dell'evoluzione presuppone l'interpretazione. Le due tesi, di-
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scontinuità c continuità nel pensiero di Platone, sono da sempre presenti e appaiono difficilmente conciliabili perché questioni di cronologia e di interpretazione si intrecciano e si condizionano a vicenda .. E il problema Socrate, che ne è l'anima, resta una specie di enimma (cfr. sopra 2.2 e 2.5). La nostra è soltanto un'ipotesi di lavoro, diciamo così, forse vaga: continuità e discontinuità insieme, ma per strati, per problematiche che si presentano, scompaiono, riaffiorano, si intrecciano, si confondono. La Repubblica, come crediamo di aver mostrato (3.4), rappresenta un momento di equilibrio e, dal nostro punto di vista, di crisi. È di qualche utilità notare qui che il problema si è posto da sempre, anche a partire, ovviamente, e a fortiori, dalla filologia platonica in senso stretto, la quale si basa su queste tre opere, ne discende, e in esse di continuo si ritrova: K.Fr. HERMANN, Geschichte und System der platonischen Philosophie, Heidelberg 1839; F.D. ScHI.EIERMACHER, Platons Werke, Berlin 1804-1810 con introduzione e traduzione tedesca rimasta esemplare (oggi l'opera circola fra gli studenti in un'edizione tascabile); W. LUTOSLAWSKJ, The origin and growth of Plato's style ami of the cronology of his writings, London 1897, 1907', che riprese e discusse precedenti lavori di L CAMPBELL (autore della voce " Platone " nell'Enciclopedia Britannica) e di BLASS e DnTEM!lERG. Lo Hermann ebbe il merito di introdurre per primo la considerazione evolutiva del pensiero platonico (in sé già presente agli antichi editori, e a Platone stesso; si pensi alla successione Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico: cfr. H. ALLINE, Histoire du text de Platon, Paris 1915, "Bibliothèque Ecole Hautes Etudes ", fase. 218). ma abbandonando l'idea che vi fosse. un sistema di Platone, da costruirsi nella pretesa coerenza dei vari dialoghi. Lo ScHLEIERMACHER, precedentemente, nell'" Introduzione " citata, aveva sostenuto il criterio opposto: all'interno del pensiero di Platone cogliere quel piano o schema in armonia col quale comprendere, giudicare e cronologicamente disporre i vari dialoghi. Questo piano egli individuò nel Fedro (264C e 265C scgg.): il doppio processo della sinossi dell'oggetto e della sua definizione e l'esercizio dialettico della divisione nelle singole specie. Il Lutoslawski adottò, invece, tutt'altro criterio: l'esame linguistico o, come si dice, di statistica linguistica. Si tratta di esaminare gli usi linguistico-sintattici e la fraseologia tecnico-filosofica di un autore in un momento sicuramente databile della sua evoluzione (in PLATONE, Le lexJ:i, per es.) e rapportare a questo periodo le opere che presentano identità di usi, a un periodo anteriore quelle che presentano diversità e ad un periodo intermedio le altre. Questo criterio, che permette ovviamente di espungere certe opere " attribuite " caratterizzate da usi e strutture impossibili a determinarsi, non è però la panacea .della filologia: si può usare, e, se usato come mezzo relativo a questioni particolari c soprattutto come un mezzo fra gli altri, può dare risultati soddisfacenti. Oggi la storia della filosofia antica e la filologia sono ritornate al punto di partenza: V. GoLDSCHMIIJT, Les dia/ogues de Platon e Le paradigme dans la dialectique platonicienne, Paris, P.U.F., 1947 (il secondo è molto utile: mostra come, in realtà, le varie forme [paradigmi] della dialettica [dialogo, divisione, sintesi, sinossi] possano variamente implicarsi) riprende con maggior libertà la tesi di Schleiermacher; gli editori dei dialoghi presso Les Belles Lcttres ripropongono con prudenza ma con convinzione la tesi di Hermann; tuttì accettano l'ipotesi di Lutoslawski. Stato della que~tione in P.-M. SCHUHL, Etudes sur la fabulation platonicienne, Paris, P.U.F., 1947; L'1euvre de Platon, Paris, Flammarion, 1954; Etudes platoniciennes, Paris, P.U.F., 1960 e la bibliografia ragionata di E.M. MANASSE, Biiche1· iiber Platon, in « Philosophische Rundschau » 19 57 e 1961 (fascicoli speciali).
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3.5. Sulla Repubblica e sull'evoluzione della dialettica dopo la Repubblica si veda: l'edizione del testo in tre volumi a cura di B. JowETT-L. CAMPBELL,· Oxford 1896 c l'edizione, pure in tre volumi, a cura di A. DIÈs, Pac ris, Les Belles Lettres, 1947; P. KucHARSKI, Les chemins du savoir dans les derniers dialogues de 1'/aton, 1949; B. LIEBRUCKS, Platons Entwicklung zur Dialeklik. 1949. Sulla Le fiera V Il sono fondamentali il libro di PASQUALI e la lunga discussione con Pasquali e con la storiografia di A. MADDALENA, citati nota 7, che presuppongono due notevoli saggi di STENZEL in Kleine Schriften zur griechischen Phi/osopllie (1956); H.-G. GADAMER, Dialektik und Sophistik im Vll. platon. Brief, 1964. Ma sulla Repubblica, sulle connessioni di dialettica, filosofia e politica, uno dei testi più sollecitanti rimane il capitolo " Platone " delle Lezioni sulla storia della filosofia di Hegel (tr. it. presso La Nuova Italia): per esso ci sia consentito rinviare ai nostri saggi Antropologia e dialettica nella filosofia di Platone e Letture di Platone nella "Storia della filosofia" di Il epel, in Storicità della dia/eUica antica (cit. sopra: 2.5). Infine, sul tema Hegcl e la filosofia greca (in particolare Platone e Aristotele), si legga di J. STENZEL, Hegel e la filosofia greca, in Hegeliana, "Differenze", n. 5, Urbino, 1965; sul tema Filosofia c saggezza (Hegel e Platone) - cioè il problema del rapporto coscienza comune-filos(')fia e filosofia come sapere (concetto, totalità)-mondo storico (in sostanza la domanda filosofica che al mondo politico posero Hegel e Platone) .- si legga il saggio, che reca quel titolo, di A. KoJÈVE, in Hegeliana, cit. (un capitolo della sua lntroduction à la lecture de Hegel, J>aris, Gallimard, 1947, non compreso nella tr. it.).
4. Logica e dialettica, storia e filosofia in Aristotele 4.1 ~2. Di Arh>totelc possediamo circa 50 opere, scritti di filosofia, trattati scientifici, raccolte di materiali. piani di lavoro (opere come le Etiche e la Politica, che Aristotele chiamava ;tpo:y:.w:c~i c, pare fossero elaborate in comune, e rimaste incompiute, con gli scolari sulla base di uno schema di Ari&totele), non tutti aristotelici e non sempre nella f0rma e composizione originaria, poiché di queste opere per un paio di secoli non si seppe quasi nulla fino a quando furono pubblicate a Roma da Andronico di Rodi. pare, nel r sec. a.C. l contemporanei e l'antichità conobbero i lavori letterari, pubblicati, destinati al pubblico, quindi, (opere essoteriche), per lo più dialoghi, ma non drammatici alla maniera platonica: Eudemo, Sulla filosofia, Protreptico ecc., dei quali ci sono rimasti pochi frammenti. Il Corpus aristotelicum giunto a noi contiene, invece, le opere esoteriche o acroamatiche, cioè per gli scolari, testo o risultato di lezioni. A partire da questo fatto nasce un problema estremamente complesso che riguarda l'ordinamento, la datazione, la composizione - e ovviamente, come per Platone, l'interpretazione - e dell'intero sistema e delle singole opere: ne è nata una filologia aristotelica talmente specializzata che è stato trascurato il fondamentale compito della pubblicazione delle opere complete del filosofo: infatti, non abbiamo, oggi, un'edizione aristotelica moderna, critica, completa come quelle indicate per Platone (abbiamo citato alla nota 6 l'edizione del testo-greco presso l'Accademia delle Scienze di Berlino - che si è dovuta recentemente ristampare - a cura di BEKKER, BRANDIS, BoNnz: 2 voli. di opere - la cui impaginazione è stata universalmente· accolta: accanto al numero romano o alla lettera indicante il libro dell'opera e àl numero indicante il capitolo, dopo un punto, si fa se~ guire nelle citazioni la pagina, la colonna, a oppure b, e la riga; un volume
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di traduzioni latine, un volwne di scoli, un volume di supplemento con altri scoli, i frammenti - più volte, come le altre opere, aggiornati e tipubblicati autonomamente - e I'Index aristotelicus di BoNITZ di enorme utilità). In italiano buone traduzioni con breve commento delle principali opere aristoteliche presso Laterza, Bari, e tra esse la Metafisica a cura di A. CARLINI (1928, ma recentemente ristampata); ricordiamo inoltre: l'Organon, a cura di G. COLLI, Torino, Einaudi, 1955 e Politica e Costituzione degli Ateniesi, a cura di C.A. VIANO, Torino, UTET, 1955; ancora, la Metafisica e gli Analitici, primi volumi di una grossa edizione commentata del corpo aristotelico, a cura di G. REALE, in corso di realizzazione presso Loffredo, Napoli, 1"968 sgg. Buona la traduzione francese c il commento di tutte le principali opere a cura di J. TRICOT, presso Vrin, Paris. Per quanto riguarda l'evoluzione del pensiero aristotelico, si tenga presente: Aristotle and l'lato in the Mid-Fourlh Century, in «Studia graeca et latina Gothoburghensia », 11, 1960. Inutile tentare una bibliografia. Le vicende delle opere aristoteliche sono raccontate da SmABONE (xiii, l, 54) nella sua Gèo/.lrafia, ma si sono scoperte altre fonti studiate dagli specialisti: rinviamo per Lulli a A. MANSION, Les listes anciennes des ouvrages d'Aristole, Louvain, Ed. Unìversitaires, 1951; W.W. JAEGER, Aristotele. Prime linee di una storia della sua evoluzione (1923), il fondatore della moderna interpretazione evolutiva; G. VARET, Manuel de bibliof?raphie phi/osophique, Paris, P.U.F., 1956, vol. 1, pp. 120 sgg. (bibliografia dell'Aristotele perduto e dell'interpretazone evolutiva); in generale, F. ADORNO, La filosofia antica, cit. sopra 3.1., pp. 267 sgg., 572 sgg. Per quanto riguarda la presente ricerca seguiamo le ipotesi c i risultati di E. WEIL nei due saggi sulla Logica c sulla Metafisica, citali note .1 c 7, dove è brevemente indicato anche lo stato della questione. Per comprendere questi primi due paragrafi - cioè la situazione della filosofia aristotelica, soggettiva e oggettiva, la nuova dimensione storica e " dialettica " della sua ricerca, che trova la sua origine, giustificazione e il suo obiettivo nella coscienza dell'uomo comune - è necessario tenere presente: Aristotele è senza dubbio e senza paragoni il filosofo più completo, una personalità ecçezionalc, la più importante dell'intera storia della filosofia e della cultura. " Maestro dì color che sanno " per Dante, tutto di lui è caduto con la scienza nuova - ma la filosofia e le scienze, nelle loro parti c totalità, nei fondamenti e. nel loro compito, sono creazione aristotelica e costituiscono ancora oggi il contenuto del nostro patrimonio filosofico e culturale; anche la forma, in gran parte, perché creazione aristotelica è il vocabolario c il linguaggio filosofici. Greco di ascendenza (Stagira era colonia jonica) Aristotele vede crollare la Città-Stato (polis) e assiste agli inizi della ellenizzazione del mondo mediterraneo, ma egli aveva appreso dalla vita della poli~> la sua ragione più alta, cioè il senso della politicità e della storicità del sapere. Come precettore egli ha certamente trasmesso ad Alessandro l'idea che tuili gli uomini possono diventare cittadini di un solo stato in quanto essi hanno una sola e medesima essenza e, d'altra parte, che l'impero deve poter essere l'espressione non di una casta o popolo, ma di una civilrà (fondata sulla scienza, sul logo, sulla cultura). Come fondatore del Liceo Aristotele ha dimostrato di fatto e per sempre che la ricerca specializzata (fisica, storica, naturalistica), cioè il lavoro dello scienziato, deve radicarsi nell'universalità dell'idea e della filosofia, cioè nella visione che hwmo ha di sé e del mondo in cui vive. Come filosofo in senso stretto Aristotele è il primo pensatore che ha fondato la sua filosofia c nello stesso tempo l'inquadramento storico e della sua ricerca e della propria personalità speculati-
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va (come ha giustamente detto, c dimostrerà, 1AEGER, Aristotele, p. 1). Ogni filosofo è un uomo del proprio tempo, ma Aristotele sa di esserlo e quindi presenta consapevolmente il proprio sistema all'interno di un'evoluzione culturale (cfr. i libri introduttivi alla Metaftsica, Fisica, De anima, sul primo dei quali, soprattutto, avremo occasione di ritornare). Oggettivamente, tenuto conto delle vicende delle sue opere nel mondo arabo e cristiano, Aristotele è il mediatore fra la cultura del mondo greco classico e il pensiero medioevale e moderno. Come si vedrà, questo fatto ha una sua dimensione " politica ": è stato notato che c'è un''' ~la destra " della storiografìa ottocentesca " che considerava il platonismo come il culmine del pensiero antico, condannava nel modo pill aspro gli atomisti e i Sofisti, considerava Aristotele troppo empirista ... c'era una tendenza meno estrema che ammetteva la validità della critica di Aristotele alla dottrina delle idee e riconosceva alla sofistica almeno una funzione di stimolo critico " (S. TIMPANARO, Th. Gomperz, in « Critica storica», 1963, n. 1). Insomma, Hegel e Zellcr contro Schleiermancher c Wolf (una storia che si sarebbe ripetuta in questo dopoguerra, riflettendo sui pericoli del platonismo di JAECiER e della sua Paideia). Comunque, sul tema sopra delineato in queste righe vedi la traduzione italiana dei saggi di KOJÈVE e KELSEN citati alla nota 2. Poi: A HEuss, A lexander der Grosse un d di e poli lische Ideologie des Altertums, in « Antike und Abendland », IV, 1954; R. WEIL, Aristote et le fédéralisme, in « Actes du Congrès Budé >>, Lyon 1958, Paris, Les Belles Lettres, 1960. Il problema può essere studiato come storia della genesi e ricorso dell'ideale filosofico (privato) e politico della vita (ed ebbe un suo momento rilevan{e presso le filosofie della cultura): W. W. JAEGER, Genesi e ricorso deli'ilh·ule filosofico della vita, in app. alla tr. it. cit. di Aristate/,,; A. GRILLI, Il problema della vita contemplativa nel mondo greco-romano, Milano, Bocca, 1953. Non sembrino paradossali (e neppure semplici curiosità erudite) due citazioni .di saggi-romanzi, 'che ci danno l'idea della forza suggestiva che ancora esercita la figura di Aristotele nel quadro da noi sopra tracciato: R. ALLENDY, Aristate ou le complexe de trahison, Genève, ed. du Mont Blanc (Coll. "Action el Pcnsée ", 9), s.d. (ma primi anni del secondo dopoguerra) c Klaus l\1ANN, (figlio di Thomas), A lexandre. Roman de l'uropie, Paris, Stock, 1931 (il lettore sa, è noto, che proprio per la sua posizione filosofica e culturale, Aristotele fu accusato o comunque sospettato di tradimento da Alessandro, dagli Ateniesi e da alcuni amici). Infine: sulla storia e sulla storiografia in Aristotele c'è pure una bibliografia notevole, soprattutto tedesca, secondo la quale Aristotele avrebbe sistematicamente deformato (non fosse che per la sua forza speculativa) il pensiero degli autori di cui riporta continuamente notizie e frammenti e nei casi più favorevoli avrebbe classificato autori e dottrine in funzione del proprio sistema posto come ultimo e definitivo (cfr. esposizione del problema e stato della questione in La storiografia filosofica antica di DAL PRA, 1950). I saggi di WmL sulla logica aristotelica e sulla storia della dialettica (1950 e 1955: citati alle note 3 e 4) hanno completamente rinnovato la quèstione, rovesciandola, all'interno stesso del pensiero aristotelico: dossografia (storia) e dialettica (implicante un'ontologia) fanno in Aristotele tutt'uno, sono due aspetti della stessa ricerca. È la tesi che abbiamo seguito c ritenuto di sviluppare in queste pagine: approfondendola si dimostra sempre più ricca di conseguenze. Per una bibliografia specifica su questo tema ci si consenta di rinviare ai nostri lavori su Aristotele in Storicità della dialettica antica, ci t.. c A ristote/ica, Urbino 1961 (Pubblicazione dell'Università, "Serie Lettere e Filosofia", xn), con una raccolta di testi aristotelici commentati.
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4;3-4. Qui' si fa agire una i11.terprctazione della Metafisica che riposa sulla definizione che ne dà Aristotele stesso: la scienza oggetto della ricerca (m, 1), che presenta due figure o stratificazioni fondamentali in rapporto alla particolarità o all'universalità dell'essere, suo oggetto: la scienza dell'essere comune a tutte le cose (IV, 3) e la scienza più eminente che ha per oggetto il .;çenere più eminente (vi, 1). Accettano questa configurazione AuBENQUE e WETL, citati, che a loro volta accettano, con diverse riserve e motivazioni, l'interpretazione evolutiva di Jaeger. Sostiene rigorosamente un'interpretazione unitaria G. REALE, l/ concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele, Milano 1961 (Pubbl. Università S. Cuore). Ancora: V. DÉCARJE, L'objet de la Métaphysique se/on Aristate, ParisMohtréal I 961; A. MANSION, Philosophie première, pllilosophie seconde et métapllysique chez Aristate, in « Revue philosophique de Louvain », 1958: U. D'HONDT, Science wprème et antologie chez Aristote, in c.s., 1961 (e la recensione all'opera di Aubenque, in e.s., 1963); L. ELDERs, Aristate et /'ohjet de la Métapilysique, in c.s., 1962; AA. VV., Aristotele nella critica e negli studi collfemporanei, Milano 1957 (Pubbl. Università S. Cuore) e Aristate et le.v problèmes de la métlwde, Paris-Louvain, Ed. Universitaires, 1961. Sono anche da ricordare due lunghi studi, in tedesco, sulle origini del nome "metafisica" e sulle sue connessioni con la biblioteconomia, di H. REINER, in « Zeitschrift fiir philos. Forschung », 1954 e 1955. (Una bibliografia specifica sulla Metafisica aristotelica si legge, oltre che in AuBbNQUE, in J. OwENS, The doctrìn of Being in the Aristotelian Metaphysics. Toronto, (Pontificai Institut of Medieval Studies), 1957'. Più particolarmente il rapporto retorica-dialettica (in relazione o non con la Metafisica) è studiato dai seguenti autori: Ch. THUROT, Etudes sur Aristate. Politique, dialectique, rhhorique, Paris 1860, un'opera preziosa, praticamente sconosciuta, ricordata da Aubcnque, che è all'origine della nostra impostazione del problema; W. KROLL. l'articolo " Rhetorik ", Real-Encyclopiidie (PAUtY-WISSOWA), Suppl.-Rd. VII, 1940: C.A. VIANO, La logica di 'Aristotele (1955) c La dialettica in Aristotele (1958); A. MICIIEL, Rhétorique et philosophie clzez Cicéron (1960); L. LtrGARTNI, Dia/elfica e filosofia in Aristotele, 1959; e ancora, oltre agli autori citati sopra c nelle note, la traduzione c il commento al testo dci Topici, a cura di J. BRUNSCHWIO presso Les Belles Lettres. vol. 1 (I-IV), t 967 e gli Atti del nr Simposio aristotelico: Aristotle 011 Dialectic: T/re" Topics ", a cura di G.E.L. OwnN,- Oxford U.P., 1968. 4.5. L'autonomia del libro 1 del De partibus animalium, di natura metodologica, dimostrata fin dai primi dell'Ottocento da Fr. N. TITZE, Aristate/es iiber die wissenschaftliche Behandlungsart der Naturktmde iiberhaupt, Leipzig 1823', ma erroneamente valutata come introduzione al libro sulla Storia degli animali (cfr. Traité des partie.1· des animaux et de la marche des animaux, tr. fr. a cura di J. BA.RTHÉLEMY-SAINT-HII.ATRE, 2 voli., Paris 1885, "Introduzione"), è stata recentemente rivendicata da Fr. NuYENS, L'évolution de la psyc/iologie d'Aristate, Louvain-Paris, Ed. Universitaires, 1948 e in particolare da J.M. LE BLOND, Aristate. Philosophie de la vie ... (1945, cfr. nota 20). I n fine si veda la recente edizione di questo testo presso Les Belles l.cttres, 1956, a cura çli P. Lou1s. Sui rapporti moralepolitica vedi E. WEIL, L'anthropologie d'Aristate (1946), P. AUDENQUE, La prudence chez Aristate, e gli autori-editori citati alla nota 19. Tutti questi autori notano, ovviamente, la concordanza dell'inizio dell'Etica nicomachea e della Politica. Anche su questo argomel)to la bibliografia è sterminata. Ricordiamo soltanto J. BuRNET, 1'he Ethics of Aristotle, testo, introduzio-
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ne, e commento, London 1900, che dichiara (pp. v-vi) di intendere gli scritti etici aristotelici come dialettici, non scientifici, o meglio come, sollecitati da un punto di vista dialettico. Un a tesi recentemente confutata da GAuTHIER-JouF (1958-59), vol. 1, p. 88, vol. n, p. 9 - alla quale la storiografia è ritornata. crediamo con qualche successo, quando si sia meglio inteso che cosa Aristotele intenda per dialettica. ,
5. Morte e trasfigurazione della dialettica. Dagli Stoici all'età moderna 5.1. I problemi esposti in questa premessa sono ora ripresi da E. WEIL. De la dialectique objective (1970), un saggio che rappresenta la conclusione di una lunga meditazione sulla dialettica e sulla sua storia: egli dimostra come la distinzione di dialettica soggettiva e oggettiva non sussista; come essa sia una e una sola dialettica: intenderla significa comprendere quel discorso che vuole comprendere coerentemente, sistematicamente, la realtà - e, quindi, a loro volta, dialettica, discorso, realtà formano un intero. 5.2. l frammenti degli Stoici sono raccolti nei quattro volumi di H. V<m ARNIM, Stoicorum veterum fragmenta, Leipzig 1903-1924. La traduzione italiana è .indicata alla nota 6. Il lettore tenga presente un'esposizione generale della storia e della cultura dell'età alessandrina: indico E. VACHEROT, Histoire critique de l'Eco/e d'A lexandrie, 3 voll., Paris 1846-1851 (recentemente ristampata), un'opera di grande respiro, che è stata lasciata in margine da una storiografìa (soprattutto filosofica) che si è ritenuta più preparata c fondata (penso alle varie ispirazioni storicistiche, antipositivistiche e in polemica con la concezione primo ottocentesca della scienza). Sugli Stoici è fondamentale M. POHLENZ, Die Stoa, Giittingen 19592 (tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1967, 2 voli. a cura di Vittorio Enzo Alfieri) e, più in generale, T:uoma greco, tr. it. La Nuova Italia, Firenze, 1967', due opere, che, pur dovute ad un grande studioso e pur disponibili in italiano, non ci sentiremmo di raccomandare se non invitando alla prudenza: la visione della grecità qui operante è talmente letteraria e astorica (quindi antistorica) che manifesta persino tracce di razzismo (il che non è inconsueto presso certa storiografia tedesca fra le due guerre). Sulla dialettica stoica la migliore e più recente monografia italiana è quella di C.A. VIANO, citata nota 4. Spieghiamo nel testo i motivi per i quali dissentiamo dal Viano, soprattutto nell'interpretazione della tradizione che confluisce negli Stoici. Egli poi sostanzialmente identifica dialettica e logica, una problematica che noi, anche qui, abbiamo cercato, sia pur sommariamente, di tenere distinta o di individuare nel momento della differenza. Alla nota 45, p. 89 del saggio di Viano si legge anche una adeguata bibliografia. La si -integri con la bibliografia,relativa agli Stoici nella già citata Filosofia antica di F. ADoRNO, pp. 587 sgg. Nel volume, citato, di A. MICHEL, Rhétorique et phi/osophie clzez Cicéron, si vedano i passaggi su aristotelismo, platonismo e stoicismo nel mondo romano, che ci sono stati molto utili. Qualche buona indicazione in W.C. c M. KNEALE, Storia della logica, tr. it. Torino, Einaudi, 1972. Inutilizzabili, come al solito, la nota breve Storia della logica di H. SCHOLZ, citata, cap. 6, nota 4 c la Storia della dialettica di LosAcco. 5.3. Di Plotino, oltre alla tr. it. a cura di V. CILENTO, con commento, citata alla nota 13, si tenga presente l'edizione commentata del testo greco,
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con tr. fr. e introduzione a cura di E. BRÉHIER, 7. voli., Paris, Les Belles Lettres, 1924-19 38. A nostra conoscenza non è possibile ricostruire una bibliografia speciale sulla dialettica plotiniana. Si veda; GuRWITCH, I 962: e V. VERRA, Dia/euica e fìlomfia in Plotino, Trieste 1963; il lettore consulti inoltre B. MARIEN, Bibliografìa critica degli studi plotiniani con rassegna delle loro recensioni, riveduta e curata da V. Cilento, vol. m, parte n (1949) della sua traduzione. Dopo il 1949 cfr. F. ADORNO, Filosofia antica, vol. n, Milano, Feltrinelli, 1965, pp. 857 sgg., tenendo presente, dagli Stoici ai Padri della Chiesa, BARWICK, Probleme der stoischen Sprachlehre und Rhet~Jrik, 1957 .. 5.4. È superfluo far notare che la bibliografia sulla filosofia medioevale è vastissima. Anche se ci si limita al campo dei nostri interessi - quando si tenga conto che la dialettica medioevale ha un'autonomia molto relativa, che in realtà essa oscilla continuamente fra la logica e la retorica, con le quali tende a unificarsi, c che, trattandosi di un'epoca nella quale il sistema, la sua architettonica, da un lato, la sua discussione in pubblico, messa in problema, dall'altro, hanno un'estrema importanza, essa finisce per coprire tutte le manifestazioni della filosofia e della scienza. Ci limiteremo pertanto ad indicare le opere più importanti, di preferenza italiane, senza dimenticare peraltro di E. GILSON, Lo spirito della filosofia medievale (19322), Brescia, La Morcelliana. 1969, per l'apertura, la curiosità intellettuale e la singolare trattazione della storia della filosofia e dei suoi problemi; C. VAsou, La filosofia medioevale, Milano, Feltrinelli, 1961: è da ritenersi, a nostra conoscenza, una delle migliori storie della filosofia del Medioevo, attenta alle diverse implicazioni, storiche, sociali, civili di una cultura complessa, dinamica, policentrica (un'ampia bibliografia, generale e particolare, per testi, materia e autori rende il volume uno strumento indispensabile di lavoro); per la caratteristica ora accennata della cultura medioevale non, si dimentichi la vecchia opera di F. PICAVET, Esquisse d'une histoire des philo.mpl!ies médiévales, Paris, Alcan, 1907 (recente ristampa Frankfurt 1967) e le due celebri monografic di Martin GRABMANN, citate nota 15, fondamentali: quasi interamente fondate su materiale d'archivio, manoscritto, vivacissime nell'esposizione, acute nell'individuare le sfumature più diverse del rapporto dialettica-filosofia da una parte e dialettica come tecnica della disputa dall'altra, gioco, anzi sport (come ha dimostrato tanto bene Weil nel suo saggio, citato, sulla logica aristotelica); altro lavoro di base è C. PRANTL, Storia della logica in occidente, tr. it. del voL n, parte r; " L'età medioevale fino al XII secolo"; R. Mc KEON, Dia/ectic and Politica/ Thought and Action, 1954; D. HAYDEN, Notes on aristotelian Dialectic in theo/ogical Metlzod, 1957; E. GARIN, La dialettica dal secolo XII ai principi dell'età modema, 1958, il lavoro più completo - pur nei limiti di un saggio - che possediamo su questo specifico argomento: abbiamo addotto le ragioni della nostra adesione alle tesi qui sostenute nel nostro testo (5.6; cfr. nota 26 e all'inizio di 5.8). Garin presenta, in una nota iniziale, una breve bibliografia speciale (a lui dobbiamo la citazione di Heydenreich, particolarmente sollecitante, non soltanto perché ci ha consentito di redigere il par. 5.5) e segue, discutendola, la storiografia nelle varie note; G. PRETI, Dialettica terministica e probabilismo nel pensiero medioevale, 1953; G. PRETI, Studi sulla logica formale nel Medioevo, 1953; M. DAL PRA, Studi sul problema logico del linguaggio nella filosofia medioevale, 1954; M. DAL PRA, Fede e ragione nell'interpretazione della filosofia medioevale, 1955; G. PRETI, La dottrina della "vox significativa" nella semantica terministica classica, 1955. Due altri
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lavori specifici sono citati alle note 29 e 30. Sulla persistenza di questi temi, sulle successive articolazioni del nostro problema, che abbiamo per altro lasciato cadere, ritornandovi brevissimamente nella Premessa a Kant, cfr. C. VASOLI, La dialettica e la retorica dei/'Unumesimo. "Invenzione" e "metodo" nella cultura del XV e XVI secolo, 1968.
6. Kant. La finitezza dell'uomo e l'inevitabile dialettica della ragione 6.1. Per questa premessa mi limito a rinviare ai lavori di TONELLI, citati nota l, che contengono altri riferimenti bibliografici. Tuttavia, in generale, anche per certe nostre affermazioni sulla filosofia kantiana in rapporto allo spirito deli'JIIuminismo (cfr. 6.3 e 6.4), ollre a quanto abbiamo esposto e alle opere citate nel paragrafo 5.8, si tenga presente la fondamentale, non ancora superata opera di E. CASSIRhR, La filosofia dell'Illuminismo, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 19702• - Abbiamo indicato alla nota 5 l'edizione tedesca delle opere di Kant. È utile sapere che c'è una buona edizione economica delle opere di Kant presso la Wisscnschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt e Insel-Verlag, Frankftlrt, a cura di W. WEISCHEDEL, Kant. Studienausgabe, in 6 voli. più un volume di tavole di raffronto fra le varie edizioni delle opere kantiane e il Kant-Lexikon di K. Ch. E. ScuMID, 1798', che già ai suoi tempi era un efficace strumento di lavoro. A R. ErsLER dobbiamo un più moderno Kant-Lexikon, 1930, rist. Hildesheim, Olms, 1961. Ci sono buone, talvolta ottime, traduzioni italiane (le tre Critiche c le più importanti opere prccritiche presso Laterza; una raccolta di scritti politici presso UTET di Torino). A noi interessa direttamente la Critica della ragion pura: cfr. la citata traduzione di Gentile-Lombardo Radice presso Laterza, di G. Colli presso Einaudi e la recente di P. Chiodi presso UTET, tutte disponibili. Una buona antologia dci Pro/egomeni, Fondazione della metafisica dei costumi e Critica del giudizio, con due ottime introduzioni, generale a Kant e speciale alla Critica del giudizio (attente alla funzione della dialettica), si trova in A. BANFI, Esegesi e letlure kantiane, vol. r a cura di N. DE SANCTIS c vol. II (studi critici su Kant e il kantismo) a cura dì L. Rossi, Urbino, Argalia, 1969. 6.2-5. Non possiamo qui dividere la bibliografia in paragrafi corrispondenti al testo: la nostra presentazione, interamente fondata sulla Critica della ragion pum, con ampie citazioni, si aggira intorno al solo problema della dialettica e costituisce t:n'unità. La letteratura kantiana è sterminata, in particolare sulla Critica, paragonabile solo alla letteratura su Aristotele e inferiore solo a quella su Marx, per sollecitare la quale hanno agito, come è noto, le più diverse motivazioni politiche. Kant è l'autore più studiato del XIX e xx secolo. Esiste una Kant-Gesel!schaft, che promuove congressi e pubblicazioni, e unà rivista « Kant-Studien » (alla quale è annessa una collezione di opere autonome), attive dagli inizi del secolo, quasi interamente rivolte allo studio di Kant. Inoltre, storiografia e bibliografia coincidono, almeno per un cinquantennio, con il dibattito filosofico stesso: la filosofia da Pichte a Hegel (come in parte abbiamo mostrato nel cap. 7.1-2) e· al vecchio Schelling, dai postkantiani ai neofichtiani e agli stessi neohegeliani contiene già una storiografia, che è ppi la più interessante e decisiva. Il neokantismo della seconda metà dell'Ottocento (Cohen, Vaihinger, Cantoni, Rickert, Windclband ecc.) è in fondo una scolastica, una filosofia di epigoni, che studiano Kant con Kant, ne discutono ed aggiornano il siste-
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ma come .se nulla dopo Kant fosse successo. TI Kant di Fichle, Schelling, Hegel (ne abbiamo dato i punti di riferimento fondamentali nel capitolo sopra citato), e dello stesso Schopcnhauer, è una realtà culturale, politica viva ed operante, è lo spirito del tempo che si pone in questione interrogando Kant. Il lettore che voglia avere una idea di come, quando e quanto c in quale direzione storici e filosofi hanno lavorato su Kant, consulti G. VARET, Manuel de bibliographie philosophique, Paris, P.U.F., 1956, vol.r, il cap. "Kant et la philosopbie kantienne ", che contiene una rara cronobibliografia con brevissimi commenti e indicazioni di recensioni, riviste, ecc. Riportiamo l'indice del capitolo: 1) Cronobibliografia del kantismo europeo: Kant fino al 1784; Il movimento filosofico dal 1784 al 1804; Le scuole kantiane tedesche dal 1804 al 1870. n) Le interpretazioni del kantismo: Schelling, Herbart, Fries, Schopenhauer; Hegel postumo; Kant postumo: la nuova. filologia kantiana; le interpretazioni filosofiche neokantiane; i temi kantiani. m) Le filosofie francesi all'epoca kantiana. Ricordiamo per Lulli: X. L{;ON, Fie h te et san temps, 3 voli., Paris, Colin, 1922-1927, un'ampia, affascinante storia della cultura non soltanto filosofica di questa stagione aurea della filosofia, ricchissima di documentazione (in qualche caso ancora inedita); J. VUILLEMIN, L'héritage kantien et la révolution c:opemicienne, 1954, che ha studiato proprio le tre correnti filosofiche contemporanee che si sono rispettivamente ispirate all'Estetica, all'Analitica e alla Dialettica trascendentale della Critica, ritenendo ciascuna di queste parti il fondamento dell'intera opera; P. SALVUCCI, Grandi interpreti di Kant. Fichte e Scftelling, Urbino 1958 (Pubbl. Università di Urbino, "Serie Lettere c Filosofia ", rx), che contiene anche una recensione di Vuillemin, e L'uomo di Kant, particolarmente importante per la dottrina dello schematismo (ricostruzione storica e teorica) e per le sue implicazioni con l'intendimento della dialettica (citato nota 8, dove sono citati anche i lavori di DE VLEESCIIAUWER, fondamentale per la storia interna del testo della Critica e per l'evoluzione del criticismo, M ASSOLO, la cui interpretazione è stata qui seguita, CHIODI); F. BARONE, Logica formale e logica trascendentale, vol. I, Torino, Ed. Filosofia, 1957: L. GoLDMANN, Introduzione a Kant. La comunità umana e l'universo (1945), Milano, Sugar, 1972, una delle opere più originali sul pensiero kantiano e sulla sua evoluzione incentrata sul concetto di " totalità " e quindi indirettamente importante per intendere la posizione della Dialettica trascendentale (ispirata al pensiero del primo Lukacs, fino a Storia e coscienza di classe per intenderei, ha svolto una certa influenza sulle interpretazioni esistenzialistiche e marxistiche di Kant, sullo stesso Massolo). Oltre a queste opere si ricordi ancora MAssoLo, Marx e il fondamento della filosofia (1949), citato nella bibliografia alla Premessa iniziale, dove spieghiamo come questo saggio abbia operato per una storia della dialettica (e della filosofia contemporanea) che trovi il suo punto di volta in Kant. In particolare, sulla Dialettica trascendentale kantiana, la migliore esposizione complessiva si deve a P. CHIODI, La dialettica di Kant, 1958, che presenta, discute e interpreta con singolare equilibrio i fondamentali significati di " dialettica " nella Critica e nelle altre opere kantiane. Siamo sostanzialmente d'accordo col Chiodi, che per altro presenta uno studio più ampio e documentato del nostro. Riteniamo, tuttavia, che anche all'interno della sua interpretazione sia possibile individuare e giustificare il ruolo fondante della Dialettica trascendentale, il suo essere, nella costruzione della Critica e nella rappresentazione della finitezza dell'uomo, a partire dalla quale il mondo è subìto e si rivela come contraddizione, il presupposto della Critica stessa. A nostro avviso - per schematizzare - non la distinzione delle cose in fenomeni e noumeni (ri-
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sultato della Analitica e determinazione del senso della realtà a mezzo della scienza) dà luogo alla dialettica della .-agione - ma: dacché l'uomo è finito, dacché pe.- questo -fatto è esposto all'illusione dell'infinito, è necessaria quella ricerca critica (della Critica) che mette capo alla distinzione delle cose in fenomeni e noumeni. Ma, forse, questo risultato è implicito nella ricerca del Chiodi ed egli stesso lo condivide. Che è poi la sostanza delle argomentazioni di Jacobi e di Hegel, diversamente motivate (cfr. cap. 7.1 e 7.7), il punto intorno al quale si articola, dal quale si diparte e si divide l'intera storiografia kantiana. Cfr. gli studi, tra i tanti, classici, su questo tema: H. VAIHINGER, Beitrage zum Verstiindnis der Analitik und Dialektik ·in der Kritik der rei n e n Vermmft, 1903; L. BRUNSCHWICG, La technique des antinomies kantiennes, 1928; M. GUEROULT, Le jugement de flegel sw· /'antithétique de la raison pure, 1931 e GuRWITCH, capitolo kantiano di Dia/ectique et sociologie, ciL
7. Da Kant a Hegel: ragione, storia, dialettica 7 .1-2. ln generale cfr. quanto è stato detto e citato nella bibliografia rela-
tiva al paragrafo precedente. I testi di cui ci siamo serviti e le traduzioni italiane sono tutti citati nelle note. Qui aggiungiamo: SCHELLING, Lettere fì!osofìclle sul dommatismo e criticismo, a cura di G. SEMERARI, Firenze, Sansoni, 1958 (la VI lettera è su Kant e l'interpretazione è presentata nel testo); per la storiografia, stato della questione c critica, A. BANFI, In/onzo al problema di una storia dell'idealismo (1931), ora in Incontro con Hegel. 1965: Banfi discute e confuta la storiografia cosiddetta neohegeliana, idea· listica e ne mostra l'unilateralità e la parzialità: proprio questa storiografia nega la· funzione fondante della dialettica kantiana, vi identifica il problema dei limiti della .-agione come problema J?noseo/ogico e quindi traccia una storia della filosofia dopo Kant come la storia del superamento di Kant e dell'esigenza della liquidazione della dialettica, ma come esigenza "filosofica". Quanto è poi avvenuto, oggettivamente, storicamente, non è la manifestazione di tale esigenza, ma appartiene alle esigenze della storia, ai bisogni degli uomini di cui parlò Hcgel, come crediamo di aver dimostrato - e quindi la dialettica è stata liquidata per le ragioni opposte a quelle sostenute per es. da Croce e Gentile, pe.- restare tra noi: non la realtà si è trasformata in spirito o ha dimostrato di poter essere risolta (risolubile. conoscibile) nell"' atto" dello spirito, ma la realtà si è imposta allo spirito, cioè alla ragione, finita, dell'uomo, che può soltanto riconoscer/a, e come attività pratica trasformarla. A questo proposito cfr. i lavori di GENTILE. GIANNANTONI, VALENTINI citati cap. 8 nota 44; si aggiunga: B. CROCE, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (1904), in Saggio sullo flegel, 1948 e R. FRANCHINI, Croce interprete di Hegel, Napoli, Giannini, 1958 e soprattutto Le origini della dialellica, 1961, una storia della dialettica " vera ", cioè quella crociana, dalle origini a Croce (ma, è bene tenerlo presente, Croce parlava di dialettica degli opposti e di nesso dei " distinti "; cioè, nel suo sano buon senso, si accorgeva che la realtà, per lui il divenire dei distinti (le forme dello spirito: arte, economia, pratica e filosofia), è già in sé dialettica: dialetticò, stricto sensu, è solo il tipo del movimento, per opposti). Ancora F. VALENTINI, Diritti e torti della dialettica, in philosoplrie de Jangue française. Paris. P.U.F., 1969 (le relazioni di P. Aubenque, F. Chatelet, M. Dufrenne. A. Jm.:ob, Ch. Perelman, E. Weil e i rapporti introduttivi alle varie sezioni del congresso sono pubblicati in « Lcs Etudes philosophiqucs "• 1970. n ..l) Dia/elfica e positi1·ismo in socio/ogia. Torino, Einaudi. l 972 Il materialismo .~torico. in A Ili del congrl'sso inlenwzìorralc> di Filosofia. Roma 1946, Milano-Roma, Castellani. 1947, vol. n A !ti del convegno di .1·tudi hege/iano-marxistici, Roma l 948, in « Il costume politico-letterario», 194!\-1949. ristampati in «Studi Urhinati », n.s.B. 1967. 1-2 (in memoria di A. 'M assolo) ABBAGNANO.
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·WILPERT,
www.scribd.com/Baruch_2013
www.scribd.com/Baruch_2013
Enciclopedia filosofica ISI