MARY HIGGINS CLARK CI INCONTREREMO ANCORA (We'll Meet Again, 1999) A Marilyn, la mia primogenita, con amore. Ringraziame...
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MARY HIGGINS CLARK CI INCONTREREMO ANCORA (We'll Meet Again, 1999) A Marilyn, la mia primogenita, con amore. Ringraziamenti «C'era una volta...» è quasi sempre così che diamo il via a una storia. È l'inizio di un viaggio. Indaghiamo sui personaggi che hanno cominciato a prendere forma nella nostra mente. Ne esaminiamo i problemi. Raccontiamo le loro vite. E lungo la strada, abbiamo bisogno di tutto l'aiuto che possiamo ottenere. Che le stelle risplendano sui miei editor, Michael Korda e Chuck Adams, per il loro inesauribile aiuto, l'editing e l'incoraggiamento. Sono i migliori. Un milione di grazie, ragazzi. Il revisore dei testo Gypsy da Silva, la redattrice Carol Catt, la correttrice di bozze Barbara Raynor, le assistenti Carol Bowie e Rebecca Head continuano a profondere con generosità tempo e attenzione. Che Dio vi benedica, e grazie. Un tributo di riconoscenza alla mia addetta stampa, Lisl Cade, amica fedele, sostenitrice e cassa di risonanza. Gloria e riconoscenza ai miei agenti letterari, Gene Winick e Sam Pinkus, per i loro preziosi consigli e il sostegno offertomi. Un grazie di cuore agli amici che volentieri mi hanno messo a disposizione le loro conoscenze mediche, legali e tecniche: lo psichiatra Richard Roukema, la psicologa Ina Winick, l'esperto di chirurgia plastica e ricostruttiva dottor Bennett Rothenberg, il penalista Mickey Sherman, gli autori Lindy Washburn e Judith Kelman, la produttrice Leigh Ann Winick. Merci alla mia famiglia per l'aiuto e l'appoggio: i Clark, Marilyn, Warren e Sharon, David, Carol e Pat; i Conheeney, John e Debby, Barbara, Trish, Nancy e David. Un ciao alle amiche che hanno letto il lavoro durante la stesura, Agnes Newton, Irene Clark e Nadine Petry. Ghirlande di fiori e grazie con amore a «lui», mio marito John Conheeney, un vero modello di pazienza, comprensione e arguzia. Ancora una volta cedo scherzosamente la parola al mio monaco del
quindicesimo secolo: «Il libro è finito. Che l'autore entri in scena». Prologo «Lo stato del Connecticut proverà che Molly Carpenter Lasch ha intenzionalmente provocato la morte del marito, il dottor Gary Lasch; che mentre lui sedeva alla scrivania, dandole le spalle, gli ha fracassato il cranio con una pesante scultura di bronzo: che lo ha lasciato morire dissanguato mentre lei se ne andava a letto...» I giornalisti seduti dietro il tavolo della difesa scarabocchiavano furiosamente i loro taccuini. L'inviata del Women's News Weekly. una veterana, scrisse di getto: «Il processo a Molly Carpenter Lasch, accusata dell'omicidio del marito Gary. è iniziato stamattina nella pacata austerità dei tribunale di Stamford, una storica cittadina del Connecticut». I rappresentanti dei media erano accorsi da tutto il mondo. L'inviato del New York Post stava sviluppando una descrizione fisica di Molly, dedicando particolare attenzione all'abbigliamento che aveva scelto per quella prima apparizione in aula. Che splendore di donna, pensò; che eccezionale combinazione di classe e bellezza. Non era un binomio che gli capitasse spesso di incontrare, e certamente non al tavolo della difesa. Il portamento dell'imputata era quasi regale, anche se qualcuno l'avrebbe senza dubbio definito «insolente». Aveva ventisei anni, era snella, con i capelli biondo scuro che le sfioravano le spalle. Quel giorno indossava un tailleur blu ravvivato da piccoli orecchini d'oro. Il giornalista allungò il collo: sì, Molly portava ancora la fede. Se lo annotò. In quel momento, lei si girò a scrutare l'aula, come per cercare un viso familiare. Quando i loro sguardi s'incontrarono, il giornalista vide che la donna aveva gli occhi azzurri, orlati da ciglia lunghe e scure. L'inviato dell'Observer stava descrivendo le sue prime impressioni sull'imputata e il dibattimento. Lavorando per un settimanale, poteva contare su tempi di consegna meno stretti. «La signora Molly Carpenter Lasch ha l'aspetto di chi si trova più a suo agio in un country club che in un'aula di tribunale», scrisse. Alzò la testa per guardare al di là del corridoio, dove c'era la famiglia della vittima. La suocera dell'imputata, la vedova del leggendario dottor Jonathan Lasch, sedeva con il fratello e la sorella. Esile, sulla sessantina, esibiva un'espressione fredda e implacabile. È evidente, pensò l'uomo, che sarebbe felice di applicare personalmente alla nuora la pena di morte.
Distolse lo sguardo dal gruppo di famiglia per osservare gli altri presenti. I genitori di Molly, un coppia distinta vicina ai sessanta, apparivano tesi, ansiosi e sofferenti. Il cronista dell'Observer annotò i tre aggettivi sul suo taccuino. Erano le dieci e trenta quando la difesa fece la sua dichiarazione preliminare. «Il pubblico ministero vi ha appena detto che proverà la colpevolezza di Molly Lasch oltre ogni ragionevole dubbio. Da parte mia, signore e signori, mi propongo di dimostrare che Molly Lasch non è un'assassina. E che è, invece, una vittima di questa terribile tragedia non meno di quanto lo sia stato suo marito. «Una volta preso atto delle testimonianze e delle prove attinenti al caso, non potrete che concludere che Molly Carpenter Lasch fece ritorno a casa sua alle venti dell'8 aprile scorso, domenica, dopo una settimana trascorsa nella sua casa di Cape Cod; che lì trovò il marito Gary accasciato sulla scrivania; che gli praticò la respirazione bocca a bocca nel tentativo di rianimarlo e che, dopo averne udito gli ultimi rantoli e aver compreso che era morto, andò di sopra e, in preda allo choc, cadde sul letto priva di sensi.» Sono solo parole, pensava Molly. Non possono ferirmi. Era acutamente consapevole degli sguardi fissi su di lei, degli occhi curiosi e accusatori della gente. Prima dell'inizio dell'udienza, alcuni degli amici più cari le si erano avvicinati per baciarla e stringerle la mano. Jenna Whitehall, la sua migliore amica dai tempi della Cranden Academy, era fra loro. Jenna ora era un avvocato esperto in diritto societario e suo marito Cal era presidente del consiglio di amministrazione del Lasch Hospital, nonché del centro di assistenza sanitaria che Gary aveva fondato con il dottor Peter Black. Sono stati tutt'e due meravigliosi, pensò ancora Molly. In quegli ultimi mesi, quando l'assaliva il bisogno di allontanarsi da tutto, si era rifugiata spesso nella casa degli Whitehall a New York, e quelle brevi fughe le erano state di grandissimo aiuto. La coppia viveva a Greenwich, ma durante la settimana capitava spesso che Jenna pernottasse nell'appartamento che avevano a Manhattan, nei pressi di United Nations Plaza. In corridoio, Molly aveva visto anche Peter Black. Il dottor Black... un tempo sempre amabile con lei, ora la ignorava, come la madre di Gary. L'amicizia fra quell'uomo e suo marito risaliva ai tempi dell'università e si chiedeva se Peter sarebbe stato in grado di prendere il posto del socio scomparso nella direzione dell'ospedale e del Centro Remington. Poco dopo la morte di Gary, Black era stato nominato direttore sanitario, mentre
Cal Whitehall aveva mantenuto la carica di presidente. Intanto, l'udienza era entrata nel vivo. Il pubblico ministero cominciò a chiamare i testimoni... per Molly, erano solo un confuso succedersi di facce e di voci. Poi entrò a deporre Edna Barry, la grassoccia sessantenne che era stata la loro collaboratrice domestica. «Quel lunedì arrivai alle otto di mattina, come al solito», esordì. «Lunedì 9 aprile?» «Sì.» «Da quanto tempo era stata assunta da Gary e Molly Lasch?» «Quattro anni. Ma prima ho lavorato per la madre di Molly, fin da quando lei era piccola. Una bambina sempre così gentile...» A Molly non sfuggì l'occhiata comprensiva che la donna le lanciò mentre parlava. Non vorrebbe danneggiarmi, pensò, ma non può tacere sulle circostanze in cui mi ha trovato, e sa bene che effetto faranno le sue dichiarazioni. «Rimasi stupita nel vedere che in casa le luci erano accese», proseguì la signora Barry. «Capii che Molly era rientrata da Cape Cod quando vidi la sua borsa da viaggio nell'ingresso.» «Signora Barry, vuole descriverci il primo piano di casa Lasch?» «C'è un grande ingresso... una zona di ricevimento, si potrebbe dire. E lì che venivano serviti i cocktail, quando davano qualche cena importante. Subito dopo c'è il soggiorno, proprio di fronte alla porta d'ingresso. La sala da pranzo è a sinistra in fondo al corridoio. La cucina e il tinello si trovano dalla stessa parte, mentre la biblioteca e lo studio del dottor Lasch sono a destra dell'entrata.» Quel giorno sono arrivata a casa presto, rammentò Molly. C'era poco traffico sulla I-95 e avevo impiegato meno tempo di quanto avessi previsto. Ho preso la sacca che avevo con me, il mio unico bagaglio, e sono entrata in casa. Dopo aver chiuso la porta, ho chiamato Gary e non avendo ricevuto risposta, sono andata nello studio a cercarlo. «Sul piano di lavoro, in cucina, c'erano dei bicchieri da vino e un vassoio con i resti di uno spuntino», riprese la signora Barry. «Era una circostanza abituale?» «Per nulla. Molly riordinava sempre, dopo che avevano avuto ospiti.» «E il dottor Lasch?» domandò il pubblico ministero. Edna fece un sorriso indulgente. «Oh, be', si sa come sono fatti gli uomini. Lui non faceva troppo caso al disordine che si lasciava dietro.» Aggrottò la fronte. «Fu allora che capii che qualcosa non andava», seguitò. «Pensai che Molly fosse
tornata per poi andarsene di nuovo.» «Ha idea del perché la sua datrice di lavoro avrebbe fatto una cosa del genere?» Quando la testimone tornò a voltarsi verso di lei, l'imputata lesse l'esitazione sul suo viso. Alla mamma non è mai piaciuto che la chiamassi «signora Barry», mentre per quella donna io ero semplicemente Molly, ricordò. Ma a me non importava. Mi conosce da quand'ero bambina. «Molly non era a casa il venerdì precedente. Era partita per Cape Cod il lunedì, mentre io ero lì da loro. Mi era sembrata terribilmente sconvolta.» «Sconvolta? Perché?» La domanda risuonò come una frustata. Molly era consapevole dell'ostilità che il pubblico ministero nutriva nei suoi confronti, ma stranamente la cosa non la turbava. «Quel giorno piangeva mentre preparava la sacca da viaggio, e si capiva che era molto arrabbiata. Molly è una persona tranquilla; ce ne vuole per farle arruffare le penne. La conosco da anni, eppure non l'avevo mai vista tanto agitata. Continuava a ripetere: 'Come ha potuto? Come ha potuto?' Le chiesi se c'era qualcosa che potessi fare per lei.» «E che cosa le rispose la signora Lasch?» «Mi disse: 'Potrebbe uccidere mio marito'.» «Potrebbe uccidere mio marito!» «Naturalmente sapevo che non parlava sul serio. Pensai che avessero avuto un litigio e che lei stesse andando a Cape Cod per lasciar sbollire la collera.» «Lo faceva spesso? Prendere su e andarsene?» «Be'. a Molly piace molto andare lì; sostiene che le si schiariscono le idee. Ma questa volta era diverso... non l'avevo mai vista partire in quelle condizioni.» Edna Barry guardò di nuovo l'imputata. I suoi occhi erano pieni di compassione. «Torniamo alla mattina del 9 aprile, signora Barry. Che cosa fece dopo aver guardato in cucina?» «Andai nello studio, per vedere se il dottore era lì. La porta era chiusa e, quando bussai, non ricevetti risposta. Nell'abbassare la maniglia mi accorsi che era appiccicosa. A quel punto aprii ed entrai.» La voce di Edna Barry tremò. «Lui era alla scrivania, accasciato sulla sedia, con la testa coperta di sangue rappreso. C'era sangue dappertutto, sul suo corpo, sulla scrivania, sulla sedia, sul tappeto. Mi resi subito conto che era morto.» La descrizione riportò alla mente di Molly quella domenica sera. Appena
entrata in casa, ho chiuso la porta di ingresso e sono andata nello studio. Ero certa che Gary fosse lì. La porta era chiusa. L'ho aperta e... da quel momento non ricordo più nulla. «Che cosa fece a quel punto, signora Barry?» domandò il pubblico ministero. «Chiamai immediatamente la squadra di pronto intervento. Poi pensai che anche Molly poteva essere stata aggredita e corsi di sopra, in camera sua. Quando la vidi sdraiata sul letto, per un istante credetti che fosse morta.» «Che cosa glielo fece pensare?» «Aveva il viso sporco di sangue. Però a un certo punto aprì gli occhi, sorrise e disse: 'Salve, signora Barry. Devo aver dormito troppo'.» Solo in quel momento mi sono accorta di essere ancora vestita, rammentò Molly mentre ascoltava la testimonianza. Per un attimo ho pensato di aver avuto un incidente. Ero tutta sporca e avevo le mani appiccicose. Mi sentivo stordita, disorientata: non capivo se ero nella mia camera, o in una stanza d'ospedale. Ricordo di essermi domandata se anche Gary fosse rimasto ferito. Poi ho sentito bussare alla porta d'ingresso e pochi istanti dopo i poliziotti sono entrati in camera. Intorno a lei la gente parlava, ma per Molly le voci dei testimoni continuavano a essere un brusio incomprensibile. Si rendeva solo vagamente conto del passare dei giorni, delle proprie apparizioni in aula, dell'avvicendarsi delle testimonianze. Deposero Calvin Whitehall e Peter Black, e poi Jenna. I due medici raccontarono che la domenica pomeriggio avevano telefonato a Gary per preannunciargli la loro visita e che, una volta lì, si erano resi conto che qualcosa non andava. Pareva che la moglie avesse scoperto la sua relazione con Annamarie Scalli, e lui era agitatissimo. Gary aveva confidato a Cal che Molly aveva trascorso l'intera settimana a Cape Cod, rifiutandosi di parlargli. Gli aveva addirittura sbattuto il telefono in faccia. «Quale fu la vostra reazione nel venire a sapere della relazione extraconiugale del dottor Lasch?» chiese il pubblico ministero. Di profonda preoccupazione, rispose Cal, sia per il matrimonio dei due amici sia per i danni che avrebbe potuto causare all'ospedale uno scandalo sulla relazione del dottor Lasch con una giovane dipendente. Gary, tuttavia, aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi: Annamarie stava
per lasciare la città. Aveva deciso di dare in adozione il bambino che aspettava e il legale di Gary aveva ricevuto istruzioni di consegnarle un assegno di settantacinquemila dollari. Da parte sua, la ragazza aveva già provveduto a firmare una dichiarazione. Annamarie Scalli, pensò ora Molly, la graziosa infermiera dai capelli scuri e dall'aria sexy. Le era capitato di incontrarla in ospedale. Suo marito ne era stato innamorato, o la loro era stata solo un'avventura a cui l'inaspettata gravidanza aveva impresso un'improvvisa svolta? Non lo avrebbe mai saputo e c'erano tanti altri interrogativi destinati a restare senza risposta. Gary mi amava davvero? si chiese. O la nostra vita insieme è stata solo una finzione? Scosse la testa. No. Pensarci in quei termini era troppo doloroso. Poi era toccato a Jenna salire sul banco di testimoni. Sicuramente avrebbe preferito non farlo, pensò Molly, ma era stata l'accusa a chiamarla e lei non aveva potuto esimersi. Jenna parlava con voce bassa, esitante. «Sì», rispose, «quel giorno le telefonai a Cape Cod e lei mi raccontò della relazione del marito con Annamarie Scalli e della gravidanza di quest'ultima. La scoperta l'aveva devastata.» Molly ascoltava solo per metà lo scambio di battute fra Jenna e il pubblico ministero. Lui le chiedeva se l'amica le era parsa arrabbiata, Jenna la descriveva come una donna in preda al dolore e infine ammetteva che, sì, la sua amica era furente con il marito. «Si alzi, Molly. La corte sta uscendo.» Philip Matthews, il suo avvocato, la prese per il gomito e la sostenne mentre lasciavano l'aula. All'esterno del tribunale i flash dei fotografi la accecarono. L'uomo al suo fianco si aprì in fretta un varco tra la ressa, spìngendola verso un'auto in attesa. «Troveremo i suoi a casa», le disse mentre si allontanavano. I genitori di Molly erano arrivati dalla Florida per starle vicino. Avrebbero voluto che traslocasse, che non continuasse a vivere nelle stanze in cui era morto suo marito, ma lei non se la sentiva. Era stata la nonna a lasciarle quella casa, e lei la amava. Su un punto, però, aveva ceduto alle insistenze del padre, acconsentendo a cambiare l'arredamento dello studio. Erano stati levati i pannelli di mogano che rivestivano le pareti e la collezione di opere d'arte e di mobili dell'Ottocento americano, tanto amata da Gary, spostata altrove. I suoi quadri, le sculture, i tappeti, le lampade a olio, la scrivania Wells Fargo e le poltrone di cuoio erano stati sostituiti da un divano rivestito di chintz colorato, da un divanetto a due posti e da ta-
voli di rovere chiaro. Ma a dispetto di quelle modifiche, la stanza restava sempre chiusa. Uno dei pezzi più pregevoli della collezione di Gary, una scultura Remington di bronzo alta settantacinque centimetri e raffigurante un uomo a cavallo, era ancora nelle mani della pubblica accusa. Sostenevano che era quella l'arma con cui lei aveva fracassato la testa del marito. A volte, quando era certa che i suoi genitori dormissero, Molly usciva dalla sua stanza, scendeva le scale e si fermava davanti alla porta dello studio, cercando di ricostruire che cosa fosse effettivamente accaduto la notte in cui Gary era morto. A dispetto di tutti i suoi sforzi, non riusciva a ricordarsi di aver parlato con il marito, né di essersi avvicinata alla scrivania. Non ricordava affatto di aver preso la scultura, afferrandola per le zampe anteriori del cavallo, né di averla calata con forza sul cranio di lui. Anche se, sempre secondo l'accusa, questo era proprio ciò che aveva fatto. Quella sera, di nuovo a casa dopo un'altra giornata trascorsa in tribunale, si rese conto della crescente apprensione di genitori e percepì il desiderio sempre più ansioso di proteggerla. Rimase rigida tra le loro braccia, poi si ritrasse per osservarli quasi con distacco. Sì. erano davvero una bella coppia, pensò... io dicevano tutti. Lei sapeva di assomigliare alla madre, Ann. E Walter, il padre, torreggiava sulle due donne. I suoi capelli, ormai grigi, un tempo erano biondi: la sua eredità vichinga, come amava dire lui, riferendosi alla nonna danese. «Scommetto che abbiamo tutti voglia di bere qualcosa», disse Walter, dirigendosi verso il mobile bar. Molly e la madre chiesero un bicchiere di vino e l'avvocato un Martini. «Philip, in che misura ci ha danneggiato la testimonianza resa oggi da Black?» domandò il padre tendendogli il bicchiere. Philip Matthews, brillante avvocato trentottenne, era una specie di stella dei media. Walter Carpenter aveva giurato di ottenere per la figlia il miglior difensore che il denaro potesse assicurare, e benché ancora relativamente giovane, Philip era risultato senz'altro il meglio che potesse offrire la piazza. Non era forse riuscito a far assolvere un dirigente televisivo accusato di aver ucciso la moglie? Ma lui, rifletté tristemente Molly, non era stato trovato coperto di sangue della vittima. La nebbia che le offuscava la mente stava diradandosi. Sarebbe tornata presto, come succedeva sempre. Ma in quel momento lei era in grado di valutare che effetto potesse fare la sua storia sulle persone che seguivano il
dibattimento, e in particolare sulla giuria. «Quanto tempo durerà ancora il processo?» chiese. «Tre settimane circa», rispose Matthews. «E poi sarò giudicata colpevole.» Il tono di Molly era noncurante. «Credete anche voi che lo sia? So che tutti gli altri lo pensano, perché ero davvero furiosa con lui.» Sospirò. «Il novanta per cento dei presenti è convinto che io menta quando dichiaro di non ricordare nulla, e il restante dieci per cento pensa che io non ricordi nulla perché sono pazza.» Consapevole degli sguardi fissi su di lei, Molly attraversò l'ingresso diretta verso lo studio e ne spalancò la porta. La sensazione di irrealtà stava di nuovo impossessandosi di lei. «Forse sono stata davvero io», riprese, senza più traccia di espressione nella voce. «Quella settimana a Cape Cod... ricordo di aver vagato sulla spiaggia pensando che era tutta un'ingiustizia. Cinque anni di matrimonio, un figlio perso, il desiderio spasmodico di averne un altro e la nuova gravidanza, e poi, al quarto mese, l'aborto. Ve lo ricordate? Siete venuti dalla Florida tutt'e due, preoccupati di sentirmi tanto disperata. E appena un mese dopo, sollevo per caso la cornetta, sento Annamarie Scalli che parla con Gary e capisco che lei è incinta, di mio marito. Ero così amareggiata, ferita. Ricordo di aver pensato che, prendendosi il mio bambino, Dio aveva punito la persona sbagliata.» Questa volta, quando Ann l'abbracciò, Molly non si ritrasse. «Ho tanta paura», sussurrò alla madre. «Tanta paura.» Philip Matthews prese Walter Carpenter per un braccio. «Andiamo in biblioteca», disse. «Credo che sia arrivato il momento di guardare in faccia la realtà. Credo che sia arrivato il momento di prendere in considerazione un patteggiamento.» In piedi davanti al giudice, Molly si sforzava di concentrarsi sulle parole del pubblico ministero. Philip Matthews le aveva detto che, seppure con riluttanza, il rappresentante dell'accusa aveva acconsentito a che lei si dichiarasse colpevole di omicidio preterintenzionale, un reato che prevedeva una condanna a dieci anni, a causa dell'unico punto debole della sua ricostruzione: Annamarie Scalli. L'infermiera non era ancora stata chiamata a deporre, ma lei aveva dichiarato agli agenti di aver trascorso quella domenica sera a casa, da sola. «Il pubblico ministero sa che io farò il possibile per gettare i sospetti sulla Scalli», aveva spiegato l'avvocato della difesa a Molly. «Anche quella donna era amareggiata e arrabbiata con Gary. Non nego che in questo mo-
do noi potremmo avere qualche probabilità di successo, ma se la nostra tesi non venisse accettata, lei verrebbe condannata al carcere a vita. Con un condanna per omicidio preterintenzionale, invece, sarà fuori al massimo in cinque anni.» Poi per Molly arrivò il momento di pronunciare le parole che ci si aspettava da lei: «Vostro Onore, benché non io abbia nessun ricordo di quella terribile sera, riconosco la fondatezza delle prove addotte dalla pubblica accusa e sono pronta ad ammettere che essa ha dimostrato la mia responsabilità nella morte di mio marito». È un incubo, pensava. Presto mi sveglierò e scoprirò di essere al sicuro in casa mia. Un quarto d'ora dopo la lettura della sentenza che la condannava a dieci anni di carcere, Molly fu ammanettata e fatta salire sul cellulare che l'avrebbe condotta al carcere di Niantic, il centro correzionale femminile di stato. Cinque anni e mezzo dopo 1 Gus Brandt, direttore di produzione della NAF, una rete televisiva via cavo, alzò gli occhi dalla scrivania nel suo studio al numero 30 di Rockefeller Plaza, a Manhattan. Fran Simmons, la giornalista investigativa che aveva assunto di recente, affidandole il notiziario delle diciotto nonché il nuovissimo programma True Crime, era appena entrata nella stanza. «Ci siamo», le annunciò eccitato. «Molly Carpenter Lasch ha ottenuto la libertà sulla parola. Uscirà la prossima settimana.» «Ce l'ha fatta!» esclamò Fran. «Ne sono felice per lei.» «Non ero sicuro che tu rammentassi il caso; sei anni fa vivevi in California. Che cosa ne sai?» «Tutto, direi. Ho frequentato la Cranden Academy di Greenwich con Molly Carpenter e durante il suo processo mi facevo mandare i quotidiani locali.» «Andavate a scuola insieme? Fantastico. Voglio che tu programmi al più presto uno speciale su di lei.» «Sicuro. Ma, Gus, non pensare anche io abbia un rapporto di confidenza con Molly», specificò Fran. «Non la vedo dall'estate del diploma, e da allora sono passati quattordici anni. Più o meno quando mi sono iscritta all'Università della California, mi sono trasferita con mia madre a Santa
Barbara, e da allora non sono rimasta in contatto con nessuno dei miei compagni di Greenwich.» Erano molte le ragioni per cui sua madre e lei avevano deciso di trasferirsi in California, frapponendo tutta la distanza possibile fra loro e il Connecticut. Il giorno del diploma di Fran, suo padre le aveva portate al ristorante, per festeggiare. Al termine della cena, aveva brindato al futuro della figlia, le aveva baciate entrambe e si era alzato, dicendo di aver dimenticato il portafoglio in macchina. Poi era andato nel parcheggio e si era sparato. Erano bastati pochi giorni perché il motivo del suo suicidio diventasse di pubblico dominio: un'indagine aveva stabilito che l'uomo aveva sottratto quattrocentomila dollari dal fondo destinato alla costruzione della nuova biblioteca cittadina, di cui era presidente. Ovviamente, Gus Brandt era al corrente di tutto e non aveva esitato a sollevare l'argomento con lei, quando era andato a Los Angeles per offrirle un lavoro alla NAF. «Ormai è storia passata. Non hai più bisogno di nasconderti e questo nuovo incarico potrebbe significare molto per la tua carriera», le aveva detto. «Tutti sanno che la mobilità è essenziale per avanzare nel settore televisivo. Gli indici di ascolto del nostro notiziario delle diciotto stanno superando quelli delle emittenti locali e True Crime è fra i dieci programmi più seguiti. E poi, ammettilo: New York ti manca.» Fran si era quasi aspettata di sentirlo citare il vecchio adagio secondo cui fuori da New York l'America era tutta provincia, ma lui non si era spinto tanto in là. Con i capelli grigi che andavano diradandosi e le spalle curve, Gus dimostrava tutti i suoi cinquantacinque anni e la sua espressione abituale era quella di chi ha appena perso l'ultimo autobus in una gelida serata di pioggia. Ma era un'apparenza ingannevole, Fran lo sapeva bene. In realtà, quell'uomo aveva una mente affilata come un rasoio, un'abilità eccezionale nel dare vita a nuovi programmi e una vena di competitività in cui non era secondo a nessuno. Lei non aveva esitato ad accettare la sua offerta. Lavorare per Gus significava entrare nella corsia preferenziale. «Così, dopo il diploma non hai più visto né sentito la Carpenter?» le chiese ora lui. «Mai. All'epoca del processo le scrissi, offrendole la mia solidarietà e il mio appoggio, e in risposta ricevetti una lettera del suo avvocato, una di quelle lettere standard, in cui si diceva che, pur apprezzando il mio interessamento, Molly non desiderava corrispondere con nessuno. Da allora sono passati più di cinque anni e mezzo.»
«Com'era? Da ragazzina, voglio dire.» Fran si tirò dietro l'orecchio una ciocca di capelli castano chiaro, un gesto inconscio che tradiva la sua concentrazione. Un'immagine le balenò nella mente e per un istante fu come se rivedesse Molly sedicenne. «È sempre stata speciale», disse dopo un momento. «Hai visto le sue fotografie. Era bella. Noi eravamo ancora un branco di goffe adolescenti quando lei faceva già girare la testa agli uomini per strada. Aveva degli incredibili occhi azzurri, quasi iridescenti, e una carnagione da far invidia a una modella. Ma a impressionarmi era soprattutto la sua compostezza. Ero convinta che se a un ricevimento le avessero presentato il papa e la regina d'Inghilterra, lei avrebbe saputo rivolgersi a entrambi nella maniera giusta, e osservando il corretto ordine di precedenza. La cosa buffa è che ho sempre sospettato che nel suo intimo fosse timida. A dispetto del suo eccezionale autocontrollo, c'era sempre qualcosa di precario in lei. Era come un bellissimo uccello appollaiato su un ramo, immobile, ma pronto a spiccare il volo da un momento all'altro.» Quando la vedevo vestita da sera, era come se scivolasse con grazia attraverso la stanza, ricordò Fran. Con quel portamento, sembrava più alta di parecchi centimetri. «Eravate buone amiche?» volle sapere Gus. «Oh, io non gravitavo esattamente nella sua orbita. Molly faceva parte dell'élite. Ero una buona atleta e mi concentravo più sullo sport che sulle attività mondane. Ti assicuro che il venerdì sera il mio telefono non era incandescente.» «Ma come avrebbe detto mia madre, crescendo non te la sei cavata male», fu l'asciutto commento di Brandt. Non mi sono mai sentita a mio agio all'accademia, stava pensando Fran. Greenwich è piena di famiglie del ceto medio, ma papà le snobbava. Si dava sempre un gran daffare per ingraziarsi la gente che contava. E da me si aspettava che frequentassi le ragazze con alle spalle una montagna di denaro o una famiglia influente. «E a parte l'aspetto fisico, com'era Molly?» «Molto dolce. Quando si venne a sapere quello che aveva combinato mio padre... l'appropriazione indebita, il suicidio... io cominciai a evitare i compagni. Molly sapeva che andavo a fare jogging tutti i giorni e una mattina la trovai lì ad aspettarmi. Disse che voleva solo tenermi compagnia per un po'. E dato che suo padre era stato uno dei maggiori sostenitori del fondo per la biblioteca, puoi immaginare quanto abbia significato per me
quella prova di amicizia.» «Non avevi motivo di addossarti la vergogna di tuo padre», osservò Gus, un po' seccamente. Fran s'irrigidì. «Non mi vergognavo per lui. Ero addolorata... e anche arrabbiata con lui. Perché aveva creduto che mia madre e io volessimo di più? Dopo la sua morte, ci siamo rese conto che in quegli ultimi giorni doveva essersi sentito disperato, sapendo che era imminente un controllo dei libri contabili del fondo, e che la sua frode sarebbe stata inevitabilmente scoperta.» S'interruppe e quando riprese a parlare, la sua voce si era addolcita: «Naturalmente lui sbagliò a compiere quell'azione illegale. Sbagliò a prendere il denaro e a pensare che noi ne avessimo bisogno. Si comportò da debole e ora capisco che era terribilmente insicuro. Ma era anche un'ottima persona». «Lo stesso vale per Gary Lasch. che era un buon amministratore. Il Lasch Hospital gode di ottima reputazione e il Remington non è uno di quei ridicoli centri che finiscono invariabilmente per fare bancarotta e lasciare nei guai medici e pazienti.» Gus fece un breve sorriso. «Conoscevi Molly e sei andata a scuola con lei, il che ti consente di fare una valutazione più precisa. Credi che sia colpevole?» «Su questo non c'è dubbio», rispose subito Fran. «Le prove a suo carico sono schiaccianti e ho seguito un numero di processi sufficiente per farmi capire che anche gii individui più controllati possono perdere il lume della ragione per una fatale frazione di secondo. Ciononostante, a meno che in questi anni non sia cambiata radicalmente, Molly è l'ultima persona al mondo che penserei capace di uccidere. Ecco perché non mi stupisce che abbia rimosso ogni ricordo dell'omicidio.» «Ed ecco perché il suo caso è proprio quello che ci vuole per il programma», commentò Gus. «Mettiti al lavoro. Voglio che tu faccia parte de! comitato di benvenuto che accoglierà Molly Carpenter Lasch, quando la settimana prossima lascerà il carcere di Niantic.» 2 Una settimana dopo, in una fredda giornata di marzo, con il colletto del cappotto sollevato per ripararsi, le mani infilate nelle tasche e i capelli nascosti sotto il suo berretto da sci preferito, Fran aspettava fuori del carcere in compagnia di un gruppetto di colleghi. Con lei c'era l'operatore. Ed A-
hearn. Come al solito, tutti brontolavano, quel giorno a causa della levataccia e del brutto tempo: pioggia battente, accompagnata da raffiche di vento gelido. E ovviamente si parlava del caso che cinque anni e mezzo prima si era guadagnato i titoli di testa in tutto il paese. Fran aveva già fatto delle riprese con il carcere sullo sfondo e in mattinata aveva annunciato in diretta: «Siamo in attesa fuori del cancello della prigione di Niantic, nel Connecticut, distante pochi chilometri dal confine con il Rhode Island, Da questo cancello fra poco uscirà Molly Carpenter Lasch, che è rimasta in prigione per più di cinque anni dopo essere stata dichiarata colpevole dell'omicidio del marito, Gary Lasch». Ora, mentre attendeva che la donna apparisse, Fran ascoltò le chiacchiere dei colleghi. L'opinione generale era che Molly fosse colpevole come il peccato, e avesse avuto una dannata fortuna a cavarsela con una detenzione tanto breve... Chi credeva di imbrogliare affermando di non ricordarsi di aver fracassato il cranio a quel poveretto? Quando vide una berlina blu scuro sbucare da dietro il corpo principale del carcere, Fran si affrettò ad avvertire la regia. «L'auto di Philip Matthews si prepara ad andarsene». Il legale di Molly era arrivato lì a prenderla una mezz'ora prima. Ahearn posizionò la telecamera. Anche gli altri avevano notato la macchina blu. «Stiamo solo sprecando tempo», borbottò l'inviato del Post. «Dieci a uno che non appena si aprirà il cancello, i due se la fileranno lasciando sul selciato mezzo chilo di pneumatico. Ehi, un momento!» «L'auto che porterà Molly Carpenter Lasch verso la libertà ha appena cominciato il suo viaggio», annunciò quietamente Fran al microfono. Un istante dopo, fissava attonita la snella figuretta che camminava a fianco della berlina. «Charley», esclamò rivolta al conduttore del notiziario del mattino, «Molly Lasch non è a bordo dell'auto, ma le sta camminando accanto. Di sicuro vuole fare una dichiarazione.» Balenarono i flash, i nastri cominciarono a ronzare e microfoni e telecamere si strinsero a formare un gruppo compatto mentre Molly raggiungeva a piedi il cancello e si fermava a guardarlo spalancarsi lentamente. È come un bambino che vede per la prima volta un giocattolo meccanico, pensò Fran. «Molly sembra incapace di credere che tutto questo stia accadendo davvero», commentò poi al microfono. Appena in strada, l'ex detenuta fu immediatamente circondata e bombar-
data di domande. «Che effetto le fa essere tornata in libertà?... Ha sempre avuto la certezza che questo giorno sarebbe arrivato?... Incontrerà la famiglia di Gary?... Crede che con il tempo riuscirà a ricostruire gli avvenimenti di quella sera?» Come gli altri, anche Fran tese il microfono, ma si tenne deliberatamente un po' in disparte. Se Molly avesse percepito in lei una nemica, in futuro non ci sarebbe stata nessuna possibilità di farsi rilasciare da lei un'intervista. La Carpenter alzò la mano in un gesto di protesta. «Per favore, lasciatemi parlare», disse in fretta. Era pallida, notò Fran, e smunta. Sembrava reduce da una malattia. È cambiata, pensò ancora, e non solo perché sono passati gli anni. La osservò con più attenzione. I suoi capelli un tempo dorati ora erano scuri come le ciglia e le sopracciglia. Più lunghi, erano trattenuti da un fermaglio sulla nuca. La carnagione, già chiarissima, aveva l'evanescenza dell'alabastro e le labbra che lei ricordava sorridenti erano tirate e avevano una piega amara, come non si curvassero in un sorriso da chissà quanto. Gradatamente il frastuono si spense e ci fu silenzio. Matthews era sceso dall'auto e ora era in piedi accanto alla sua assistita. «Non farlo, Molly. Alla commissione per la libertà sulla parola non piacerà...» cominciò, ma lei lo ignorò. Fran scrutava l'avvocato. Chissà che tipo è realmente, si domandò. Il suo viso, incorniciato dai capelli biondi con qualche filo grigio, appariva ostile. Guardandolo, la giornalista si scoprì a pensare a una tigre che protegge il proprio cucciolo. Non si sarebbe stupita se lo avesse visto trascinare Molly con la forza nella relativa sicurezza dell'auto. Ma la sua cliente sembrava determinata. «Non ho scelta, Philip.» Si girò verso le telecamere e parlò ai microfoni che la attorniavano. «Sono felice di tornare a casa. Per ottenere il rilascio sulla parola, ho dovuto dichiararmi la sola colpevole della morte di mio marito. Ho riconosciuto che le prove a mio carico erano schiaccianti. E nonostante questo, ora non posso esimermi dall'esprimere la mia profonda convinzione di essere incapace di privare della vita un essere umano. So che la mia innocenza forse non sarà mai dimostrata, ma spero, una volta a casa, forte di una nuova tranquillità, di ricordare tutto quello che accadde quella terribile sera. Fino ad allora non avrò pace, né potrò pensare a ricostruirmi un'esistenza degna di questo nome.» Fece una pausa e quando riprese a parlare, la sua voce risuonò più sicu-
ra: «Quando i ricordi di quella sera hanno cominciato ad affiorare, anche se solo in parte, ho rammentato di aver visto Gary moribondo nel suo studio. Solo da poco un altro brandello di memoria si è affacciato alla mia mente. Ora credo che al mio arrivo ci fosse qualcun altro in casa e penso che questo individuo sia l'assassino. Sono certa che non si tratti di un parto della mia immaginazione: era una persona in carne e ossa e io intendo trovarla e fare in modo che paghi per aver tolto la vita a mio marito e aver distrutto la mia». Poi, ignorando il fuoco di fila delle domande, Molly si girò e salì in macchina. Matthews chiuse la portiera e si mise al volante. Con la testa appoggiata all'indietro, lei socchiuse gli occhi mentre il legale, con la mano schiacciata sul clacson, si apriva un varco tra la folla di giornalisti e operatori. «Ecco, Charley», disse Fran al microfono. «Avete ascoltato la dichiarazione di Molly, la sua protesta di innocenza.» «Una dichiarazione sorprendente, Fran», replicò il conduttore. «Seguiremo da vicino questa vicenda, in attesa di nuovi sviluppi. Grazie.» «Ora non sei più in onda», la avvertì qualcuno dalla regia. «Allora, che cosa ne pensi?» le domandò Joe Hutnik, del Greenwich Time, un veterano della cronaca nera. Paul Reilly, dell'Observer, non lasciò alla collega il tempo di replicare. «La signora non è stupida», sbuffò. «Probabilmente sta pensando all'autobiografia che scriverà. A nessuno piace che un assassino tragga profitto dal suo delitto, anche quando può farlo legalmente, e i cuori teneri saranno più che felici di credere che è stato qualcun altro a uccidere Gary Lasch e di vedere in Molly solo un'altra vittima.» Joe Hutnik lo guardò con aria scettica. «Forse, o forse no, ma a mio parere il prossimo marito di Molly Lasch farà bene a non voltarle la schiena quando litigheranno. Tu che ne pensi, Fran?» Lei guardò i due uomini serrando le labbra. «No comment», disse secca. 3 Mentre si allontanavano dal carcere, Molly osservava i cartelli stradali. Lasciarono la Merritt Parkway all'uscita di Lake Avenue. Tutto questo naturalmente mi è familiare, pensò Molly, anche se non ricordo granché del tragitto fino alla prigione. Rammento solo il peso delle catene e le manette che mi scavavano un solco nei polsi. Teneva lo sguardo dritto davanti a sé
e percepiva le occhiate oblique che di tanto in tanto Matthews le gettava. «Mi sento strana», disse lentamente, in risposta alla tacita domanda di lui. «No... credo che la parola giusta nel mio caso sia 'vuota'.» «Te l'ho detto: tenere la casa è stato un errore, e tornarci è un errore ancora più grande», replicò l'avvocato. «Ed è stato un errore anche non permettere ai tuoi di starti vicino in questo momento.» Molly continuò a guardare fuori. La pioggia si abbatteva con violenza sul parabrezza mentre i tergicristalli spazzavano i vetri. «Quello che ho detto alla stampa lo penso davvero. Ora che tutto è finito sento che, tornando a casa, forse riuscirò a ricordare ogni particolare di quella notte. So che secondo gli psichiatri sto soltanto rifiutando la realtà, ma sono sicura che si sbagliano. E anche se alla fine risultasse che hanno ragione loro, troverò la maniera di conviverci. La cosa peggiore è non sapere la verità.» «Molly, supponiamo che i tuoi pochi ricordi siano esatti, che tu abbia trovato Gary ferito e sanguinante e che con il tempo riesca a ricostruire com'è andata. Ti rendi conto che in questo caso diventeresti una minaccia per il vero assassino? E che potrebbe considerarti tale già da ora? Dopo tutto, hai pubblicamente esposto la tua convinzione che il ritorno a casa forse ti aiuterà a rammentare di più sul conto della persona che si trovava nel vostro appartamento quella sera.» Molly non rispose subito. Perché credi che abbia insistito per far restare i miei genitori in Florida? pensò. Se mi sbaglio, non mi succederà niente. Ma se ho ragione, allora ho appena invitato l'assassino a venire a uccidermi. Si girò a guardare l'avvocato. «Quand'ero piccola, un giorno mio padre mi portò a caccia di anatre. Non mi piacque per nulla. Uscimmo che era ancora buio, pioveva e faceva freddo e avevo una gran voglia di tornarmene subito a casa, nel mio letto. Ma quella mattina imparai una cosa: gli uccelli da richiamo funzionano. Anche tu, come tutti gli altri, sei convinto che io abbia ucciso Gary in un accesso di follia. Non negarlo, ti prego. Ti ho sentito discutere con mio padre del fatto che disperavi di ottenere un'assoluzione scaricando semplicemente i sospetti su Annamarie Scalli. Hai detto che avremmo dovuto giocare la carta dell'omicidio passionale, perché la giuria avrebbe avuto meno difficoltà a credere che io avessi ucciso in preda all'ira dopo essere stata provocata. Ma hai aggiunto che non potevi garantire nulla e che se il pubblico ministero avesse acconsentito, avrei fatto bene a prendere al volo l'opportunità di un patteggiamento. Ne avete discusso in questi termini, giusto?»
«Sì», ammise Matthews. «Quindi, se ho ucciso Gary, sono stata più che fortunata a cavarmela con così poco. E se tu e tutto il resto del mondo, compresi i miei genitori, avete ragione, allora non corro nessun pericolo affermando di aver avvertito un'altra presenza in casa quella sera. Non credendo a questa presenza, non potete neppure credere che io corra dei rischi. Siamo d'accordo, fin qui?» «Siamo d'accordo», convenne l'altro con riluttanza. «Dunque non c'è motivo di preoccuparsi per me. D'altro canto, se ho ragione io, e se la mia dichiarazione ha spaventato qualcuno, potrei rimetterci la vita. Be', sei libero di non credermi, ma vorrei che accadesse. Perché, se io muoio, le indagini riprenderanno e questa volta seguendo una direzione del tutto diversa.» Philip Matthews non rispose. «Non puoi non essere d'accordo, Philip», insistette Molly in tono quasi allegro. «Se muoio, forse qualcuno si deciderà a indagare più a fondo sulla morte di Gary e alla fine troverà il vero assassino.» 4 È bello essere di nuovo a New York, pensava Fran. in piedi davanti alla finestra del suo ufficio, affacciata sul Rockefeller Center. La mattina tetra, piovosa, si era tramutata in un pomeriggio grigio e freddo, ma senza nulla togliere al fascino del panorama e del gradevole spettacolo dei pattinatori dagli indumenti multicolori che si muovevano sulla pista, alcuni con movenze aggraziate, altri tenendosi a malapena in equilibrio. Una peculiare mescolanza di scioltezza e goffaggine, rifletté divertita. Spinse lo sguardo al di là della pista di pattinaggio, verso la Quinta Avenue, per contemplare le vetrine illuminate di Saks, sfolgoranti nel grigiore di marzo. Le piaceva anche la folla delle cinque che vedeva riversarsi fuori degli uffici. Era rassicurante constatare che a fine giornata anche i newyorkesi, come gli abitanti di tutte le città del mondo, si affrettavano verso le loro case. Anch'io me ne andrei volentieri, decise, allungando la mano per prendere la giacca. Quel giorno di lavoro era stato lungo e non era ancora finito: alle diciotto e quaranta sarebbe andata di nuovo in onda per un aggiornamento sul rilascio di Molly Lasch dal carcere. Poi, finalmente, sarebbe potuta tornare a casa. Fran amava già il suo nuovo appartamento tra la Seconda Avenue e la Cinquantaseiesima, con vista sia sui grattacieli del cen-
tro sia sull'East River. A sgomentarla era solo la prospettiva di dover affrontare il caos di casse e scatoloni ancora da vuotare e la consapevolezza di non poter rimandare ancora per molto. Ma almeno, pensò confortata, l'ufficio era in ordine. I libri erano stati disposti sugli scaffali dietro la scrivania, a portata di mano, e le piante ravvivavano la monotonia dell'arredamento anonimo. Alle pareti, dipinte di un insipido beige, spiccavano variopinte riproduzioni di tele impressioniste. Quel mattino, di ritorno dal carcere, Fran aveva fatto un salto da Gus Brandt. «Lascerò passare una settimana o due prima di tentare di contattare Molly», aveva detto dopo aver discusso con lui della sorprendente dichiarazione rilasciata dalla donna. Gus masticava con vigore il chewing-gum alla nicotina che non facilitava affatto la sua personale campagna antifumo. «Quante probabilità ci sono che decida di aprirsi con te?» «Non lo so. Mi sono tenuta in disparte mentre lei parlava, ma sono sicura che mi abbia visto. Che poi mi abbia anche riconosciuta, è un'altra faccenda. Ma sarebbe fantastico avere la sua collaborazione per il servizio. Se così non fosse, dovrò trovare il modo di aggirarla.» «E della sua dichiarazione, che cosa ne pensi?» «Mi è sembrata estremamente convincente mentre parlava di un assassino sconosciuto nascosto in casa, ma credo che la sua sia solo una vana speranza. Ovviamente alcuni le crederanno e forse quello di cui ha effettivamente bisogno è suscitare qualche dubbio. Ma accetterà di parlarmi? Davvero non lo so.» Posso solo sperarlo, pensò ora Fran, mentre si affrettava verso la sala trucco. Cara, la truccatrice, le mise sulle spalle una mantellina mentre Betts, la parrucchiera, alzava gli occhi al cielo scherzosamente. «Fran, abbi un po' di pietà. Che diavolo hai fatto, hai dormito con il berretto da sci in testa?» Lei ridacchiò. «No, mi sono limitata a mettermelo stamattina. Coraggio, voi due, fate il solito miracolo.» Mentre Cara le applicava il fondotinta e Betts accendeva l'arricciacapelli, Fran chiuse gli occhi e compose mentalmente la battuta di inizio: «Alle sette e trenta di stamattina, il cancello della prigione di Niantic si è aperto e Molly Carpenter Lasch ne è uscita per rendere alla stampa una sconcertante dichiarazione». Cara e Betts lavorarono alla velocità della luce e pochi minuti dopo la giornalista era pronta per le telecamere.
«Tutta un'altra persona», commentò lei, guardandosi allo specchio. «Ce l'avete fatta di nuovo.» «Oh, c'era già tutto. Il tuo unico problema è il monocromatismo», le spiegò Cara, paziente. «I colori vanno accentuati.» Accentuati, pensò Fran. Proprio quello che desidero evitare. Ho sempre avuto qualità accentuate. La bambina più bassa all'asilo. La più bassa in seconda. La briciola. Era aumentata di statura tutto d'un colpo, durante il primo anno alla Cranden, raggiungendo un rispettabilissimo uno e sessantatré. Cara le tolse la mantellina. «Sei splendida», annunciò. «Mettili a tappeto.» Tom Ryan, un veterano dei notiziari, e Lee Manners, attraente e brillante ex presentatrice delle previsioni del tempo, erano i conduttori del notiziario delle diciotto. Al termine della messa in onda, mentre sganciavano i microfoni e si alzavano. Ryan commentò: «Buono, quel servizio sulla Lasch, Fran». «Telefonata per te, Fran, sulla quattro», comunicarono dalla sala regia. Per lei fu una vera sorpresa udire la voce di Molly. «Mi era sembrato di riconoscerti, stamattina al carcere», le disse la donna. «Sono contenta che fossi presente. Grazie per quello hai detto: almeno tu non hai dato nulla per scontato.» «Be', io voglio crederti, Molly.» Fran si rese conto di avere incrociato le dita. La voce dell'altra si fece esitante. «Mi chiedevo se non ti interesserebbe indagare sull'omicidio di Gary... in cambio, sarei felice di costituire l'argomento di una delle puntate di quel nuovo programma ideato dalla tua emittente. Secondo il mio avvocato, hanno chiamato praticamente tutte le reti televisive, ma io preferirei collaborare con qualcuno che conosco e di cui mi fido.» «Certo che m'interessa», proruppe Fran «Anzi, a essere sincera, contavo di chiamarti proprio a questo riguardo.» Concordarono d'incontrarsi l'indomani mattina a casa di Molly, a Greenwich. Fran riattaccò e guardò Tom Ryan. «Riunione di classe, domani», annunciò. «Dovrebbe essere interessante.» 5 Il centro di assistenza sanitaria Remington aveva sede presso il Lasch
Hospital di Greenwich. Il direttore, il dottor Peter Black, entrava invariabilmente in ufficio alle sette in punto. A suo dire, le due ore che precedevano l'arrivo del personale erano le più produttive della giornata. Contravvenendo alle proprie abitudini, quel martedì mattina Black aveva acceso il televisore sintonizzandosi sulla NAF. Era stata la sua segretaria a raccontargli che ora Fran Simmons lavorava per quella televisione. Il direttore era rimasto sorpreso di sapere che proprio lei era stata incaricata del servizio sul rilascio dal carcere di Molly. Il padre di Fran si era suicidato solo poche settimane dopo che Black aveva accettato l'offerta di Gary Lasch di diventare suo socio e la città aveva parlato per mesi dello scandalo. Lui era certo che a Greenwich nessuno lo avesse dimenticato. Quella mattina aveva deciso di seguire il notiziario perché era curioso di vedere la vedova del suo ex socio. Per un po' si era limitato a lanciare di tanto in tanto un'occhiata allo schermo, ma alla fine aveva posato la penna e si era tolto gli occhiali da lettura. Black aveva una folta massa di capelli castani che si stavano facendo grigi sulle tempie e da lui emanava un'aura di affabilità che i nuovi assunti trovavano rassicurante... fino a quando non commettevano l'errore di farlo irritare. Il servizio andò in onda alle sette e trentadue. Cupo in faccia, Black osservò Molly camminare adagio verso il cancello, procedendo a fianco dell'auto del suo avvocato. Non appena lei cominciò a parlare, alzò il volume, ascoltando attentamente. Non voleva perdersi neanche una parola. Quando finì, tornò ad appoggiarsi allo schienale, congiungendo le mani. Un attimo dopo sollevò la cornetta del telefono e compose un numero. «Casa Whitehall.» Il lieve accento inglese di quella cameriera non mancava mai di infastidirlo. «Mi passi il signor Whitehall, Rita», disse Black. Non si qualificò, non ce n'era bisogno... lei conosceva la sua voce. Calvin Whitehall non perse tempo in convenevoli. «L'ho visto. Quanto meno lei è coerente nel negare ogni addebito.» «Non è questo a preoccuparmi.» «Lo so. E non mi piace neppure che ci sia di mezzo quella Simmons. Potremmo trovarci costretti ad affrontare di petto il problema», replicò Whitehall, e dopo una pausa: «Ci vediamo alle dieci». Peter Black riattaccò senza salutare. Il timore che qualcosa andasse storto lo accompagnò per tutta la giornata, mentre presiedeva a una serie di in-
contri ad alto livello concernenti la proposta di assorbimento da parte del Remington di altri quattro centri di assistenza medica, un'operazione che avrebbe dato alla loro organizzazione un posto di rilievo nel lucroso settore della previdenza sanitaria. 6 Quando aveva accompagnato Molly a casa, Philip Matthews aveva inutilmente insistito per entrare. «Ti prego, lasciami davanti alla porta», era stata la reazione di lei, e subito dopo aveva aggiunto con una punta di ironia: «Conosci quella vecchia battuta della Garbo: 'Voglio stare sola'? Be', vale anche per me». Sembrava incredibilmente fragile e minuta, in piedi sulla veranda della bella casa che aveva diviso con Gary. Nei due anni trascorsi dalla rottura con la moglie, in seguito risposatasi, Matthews si era reso conto che le sue visite al carcere di Niantic erano forse più frequenti di quanto richiedesse il suo ruolo di difensore. «Qualcuno ha provveduto a fare la spesa?» le aveva domandato allora. «Voglio dire, hai qualcosa da mangiare in casa?» «Dovrebbe essersene occupata la signora Barry.» «La signora Barry!» La voce dell'avvocato era salita di qualche decibel. «Che diavolo c'entra quella donna?» «Riprenderà a lavorare per me. La coppia che badava alla casa si è trasferita. Appena hanno saputo che stavo per uscire, i miei hanno contattato la signora Barry e lei è passata di qui a dare una pulita e a rifornire la dispensa. Verrà tre volte alla settimana, come un tempo.» «Ma quella donna ha contribuito a mandarti in prigione!» «Ha soltanto detto la verità.» Nelle ore successive, perfino mentre conferiva con il pubblico ministero a proposito del suo nuovo assistito, un noto agente immobiliare accusato di aver ucciso un uomo in un incidente stradale, Philip aveva pensato con crescente apprensione a Molly sola in quella casa. Alle sette di sera, stava mettendo via le carte cercando contemporaneamente di decidere se telefonarle o meno, quando ricevette una chiamata sulla sua linea privata. La segretaria se ne era andata da un pezzo e il telefono squillò più volte prima che in lui la curiosità avesse il sopravvento sul desiderio di lasciare rispondere la segreteria telefonica. Era Molly. «Buone notizie, Philip. Ti ricordi di Fran Simmons, la gior-
nalista che stamattina era davanti al carcere? È una mia vecchia compagna di scuola.» «Me lo ricordo, sì. Stai bene, Molly? Hai bisogno di qualcosa?» «Sto benissimo. Fran verrà qui domani. Vuole indagare sull'omicidio di Gary per conto di un suo programma, True Crime. Non sarebbe magnifico se lei potesse aiutarmi a provare che quella sera c'era qualcun altro in casa?» «Molly, lascia perdere, ti prego.» Seguì una lunga pausa. Quando lei finalmente parlò, il suo tono era mutato. «Avrei dovuto immaginare che non avresti capito. Ma va bene così. Ciao.» Lo scatto della comunicazione interrotta risuonò secco nell'orecchio di Matthews. Mentre riattaccava, ripensò a un capitano dei Berretti Verdi che, accusato dell'omicidio della moglie e dei figli, anni addietro aveva accettato di collaborare con uno scrittore, solo per poi vederlo trasformarsi nel suo principale accusatore. Si avvicinò alla finestra. Il suo ufficio in Battery Park, a Manhattan, si affacciava sulla Upper Bay e la Statua della Libertà. Se fossi stato al posto del pubblico ministero, Molly. pensò, io ti avrei accusata di omicidio volontario. Finirai distrutta, se la tua amica giornalista comincia a scavare: tutto quello che scoprirà è che te la sei cavata a buon mercato. Oh, Dio, gemette dentro di sé; perché non riesce semplicemente ad ammettere che quella sera era sotto l'effetto di una tremenda pressione che le ha fatto perdere il controllo? 7 Molly quasi non riusciva a credere di essere finalmente a casa e per lei era ancora più difficile convincersi di essere stata lontano per cinque anni e mezzo. Aveva atteso che l'auto di Philip si allontanasse prima di pescare nella borsetta la chiave che apriva la pesante porta d'ingresso, di mogano scuro con un pannello di vetro colorato. Una volta dentro, aveva appoggiato la borsa e, dopo aver richiuso la porta, l'aveva bloccata con un gesto automatico. Poi, lentamente, aveva fatto il giro delle stanze, passando la mano sulla spalliera del divano in soggiorno, sfiorando l'elaborato servizio da tè d'argento in sala da pranzo, costringendosi a non pensare alla mensa del carcere, al rozzo vasellame, al cibo che in bocca sembrava trasformarsi in
cenere. Tutto lì le era incredibilmente familiare e tuttavia non riusciva a evitare di sentirsi un'intrusa. Ferma sulla porta dello studio, indugiò a guardare dentro, ancora stupita che la stanza non fosse più arredata come quando Gary era in vita, con il rivestimento in mogano, i mobili massicci e le opere d'arte che lui aveva collezionato con tanta meticolosità. Il divano ricoperto di chintz e il divanetto a due posti sembravano fuori posto, troppo femminili. Infine Molly si concesse di fare ciò che sognava da cinque anni e mezzo. Salì nella sua camera, si spogliò, prese dall'armadio la vestaglia imbottita che tanto amava e andò in bagno a riempire la Jacuzzi. Indugiò nell'acqua calda e profumata fino a che non si sentì perfettamente pulita, quasi purificata. La tensione che le contraeva i muscoli si stava finalmente sciogliendo. Prese un telo dallo scaldasciugamani e vi si avvolse. Dopo avere accostato le tende, s'infilò a letto. A occhi chiusi, rimase ad ascoltare l'insistente tamburellare della pioggia sui vetri e finalmente si addormentò, cullata dal ricordo delle notti in cui aveva giurato a se stessa che quel momento sarebbe arrivato, che avrebbe goduto di nuovo dell'intimità della sua stanza, sepolta sotto il piumone, con la testa affondata nei cuscini. Si svegliò che era pomeriggio avanzato e, in vestaglia e pantofole, scese in cucina. tè e toast, decise. Sarebbero bastati fino all'ora di cena. Con la tazza di tè caldo stretta in mano, fece ai suoi la telefonata promessa. «Sto bene», asserì con decisione. «Sì, è bellissimo essere di nuovo a casa... No, sul serio, ho bisogno di stare sola per un po'. Non a lungo, ma per qualche tempo.» Ascoltò quindi i messaggi sulla segreteria telefonica. Aveva chiamato Jenna Whitehall, la sua amica più cara e l'unica persona a cui fosse stato permesso di andare a trovarla in carcere, a parte naturalmente i suoi genitori e l'avvocato. Jenna contava di passare a salutarla in serata e le chiedeva di richiamarla per confermare. No, pensò Molly. Non stasera. Non voglio vedere nessuno, neppure Jenna. Guardò il notiziario delle diciotto della NAF, nella speranza di vedere Fran Simmons. Al termine del servizio le telefonò allo studio televisivo, poi chiamò Philip. Aveva già previsto la disapprovazione di lui e si sforzò di non farsi condizionare.
Poi tornò di sopra, per indossare un paio di pantaloni e una felpa. Si attardò qualche minuto alla toeletta, studiando la propria immagine riflessa nello specchio. I capelli erano troppo lunghi, senza forma e nel corso di quegli anni avevano assunto una tonalità più scura. Valeva la pena schiarirli un po'? Ammirando la loro naturale sfumatura dorata, Gary era solito dire che metà delle donne di Greenwich non avrebbe esitato a giurare che lei se li tingesse. Si alzò per avvicinarsi all'armadio a muro e nell'ora successiva ne esaminò sistematicamente il contenuto, mettendo da parte gli indumenti che sapeva non avrebbe più indossato. Alcuni le strapparono un sorriso... l'abito oro pallido con la giacca abbinata che aveva indossato all'ultima festa di Capodanno al country club, per esempio, o il vestito di velluto nero che Gary aveva insistito per farle provare dopo averlo notato in una vetrina di Bergdorf's. Quando era stata informata dell'imminente rilascio, Molly aveva mandato alla signora Barry un elenco degli acquisti da fare. Alle otto, tornò di sotto per cominciare a prepararsi la cena che s'immaginava ormai da settimane: insalatina verde condita con aceto balsamico, linguine ai sugo di pomodoro fresco e basilico, pane italiano di grano duro scaldato in forno e un bicchiere di Chianti. Apparecchiò nell'angolo della colazione, un cantuccio intimo davanti alla finestra che si affacciava sul cortile posteriore. Mangiò lentamente, gustando ogni boccone della pasta saporita, del pane croccante, assaporando il calore vellutato del vino contro il palato e pensando con gioia alla primavera, ormai prossima. I fiori sbocceranno tardi, si disse, ma presto cominceranno a spuntare i germogli. Quella era un'altra delle promesse che aveva fatto a se stessa: dissodare il giardino, sentire la terra umida e tiepida tra le dita, guardare i tulipani esibirsi nella loro fantasmagoria di colori, piantare le impatiens lungo i bordi del vialetto di selce. Mangiando, Molly si crogiolava nel silenzio, così diverso dal frastuono continuo e assordante del carcere. Dopo aver riordinato la cucina, si trasferì in studio, dove rimase seduta nella penombra. abbracciandosi le ginocchia. Aspettava il rumore che quella terribile sera l'aveva indotta a credere che in casa ci fosse qualcun altro, il rumore, familiare eppure sconosciuto, che per sei lunghi anni aveva visitato a intermittenza i suoi incubi. Ma udì soltanto il vento e, più vicino, il ticchettio di un orologio.
8 Lasciato lo studio, Fran attraversò il centro diretta all'appartamento di quattro stanze che aveva preso in affitto tra la Seconda Avenue e la Cinquantaseiesima. Vendere la casa di Los Angeles per lei era stato un po' traumatico, ma proprio come Gus aveva intuito, ora si rendeva conto di avere sempre avuto New York nel sangue. Dopo tutto ho vissuto a Manhattan fino ai tredici anni, rifletté mentre risaliva Madison Avenue e lanciava un'occhiata ammirata al cortile tutto illuminato di Le Cirque 2000. Prima che papà facesse un colpo fortunato in Borsa e decidesse di diventare un gentiluomo di campagna. Allora si erano trasferiti a Greenwich dove avevano acquistato una casa non lontana da quella di Molly Carpenter, nell'esclusiva zona residenziale di Lake Avenue. Presto fu chiaro che non potevano permettersela, ma alla casa avevano fatto seguito un'auto troppo lussuosa e vestiti dal prezzo proibitivo. Forse a quel punto papà era troppo spaventato per riuscire a operare ancora con successo in Borsa, pensò Fran. A lui piaceva partecipare attivamente alla vita cittadina e conoscere persone nuove. Era convinto che fra coloro che si occupavano di volontariato l'amicizia nascesse più facilmente, con maggiore spontaneità, ed era stato il più entusiasta dei volontari. Finché non aveva «preso in prestito» parte del denaro destinato alla nuova biblioteca. La prospettiva di aprire gli scatoloni ammucchiati nelle varie stanze quella sera non l'allettava affatto, ma la pioggia si era fatta più violenta e il freddo era quasi insopportabile. Fran starnutì mentre apriva la porta del suo appartamento, il 21/E. Il soggiorno, almeno, è in condizioni decenti, si consolò mentre accendeva la luce. Era una stanza allegra, arredata con poltrone e divano rivestiti di velluto color verde muschio, e con un tappeto persiano nelle tonalità del rosso, dell'avorio e del verde. La vista della libreria semivuota le infuse nuove energie. Si cambiò indossando un vecchio maglione e un paio di pantaloni comodi e si mise subito all'opera. La musica vivace diffusa dallo stereo contribuì ad alleviare la monotonia dell'operazione di svuotare gli scatoloni e fare la cernita di libri e cassette. La scatola con gli utensili da cucina fu sistemata rapidamente. Non è certo quella che si dice un'attrezzatura completa, pensò lei con un po' d'ironia. E questo la dice lunga sulla mia abilità di cuoca. Alle nove meno un quarto, Fran fece un sospiro di sollievo e trascinò gli
scatoloni vuoti nel ripostiglio. È necessario un bel po' d'amore per trasformare dei nudi locali in un'abitazione accogliente. E il suo appartamento cominciava decisamente ad assomigliare a una vera casa, considerò soddisfatta. Le fotografie incorniciate della madre con il patrigno, delle sorellastre e delle loro famiglie la aiutavano a sentire più vicine le persone care. Mi mancherete, pensò. Andare ogni tanto a New York per qualche giorno era stata una cosa, ma trasferircisi in pianta stabile, sapendo che non avrebbe più potuto vedere i suoi parenti con regolarità, era tutt'altra faccenda. Sua madre si era lasciata definitivamente alle spalle Greenwich; non parlava mai degli anni che vi aveva trascorso e quando si era risposata, aveva proposto alla figlia di prendere il cognome del patrigno. Non avrei mai potuto farlo, pensò ora lei. Felice del lavoro svolto, considerò l'ipotesi di uscire a cena, ma finì per optare per un panino con il formaggio scaldato sulla piastra. Mangiò seduta al tavolino di ferro battuto collocato davanti alla finestra della cucina, da dove si godeva un'ampia vista dell'East River. Molly è finalmente a casa dopo più di cinque anni di carcere, rammentò. Quando ci incontreremo, le chiederò di farmi una lista delle persone di Greenwich da contattare, che siano disposte a parlarmi di lei. Ma ci sono anche domande a cui dovrò cercare risposta da sola, e non tutte riguardano la mia vecchia amica. Alcuni di quegli interrogativi la tormentavano da tempo. Dei quattrocentomila dollari che suo padre aveva prelevato dal fondo per la nuova biblioteca della città non era rimasta traccia. La predilezione di Frank Simmons per le azioni più a rischio era nota, rifletté Fran, e tutti allora avevano dato per scontato che lui li avesse persi giocando in Borsa, ma dopo la sua morte non è stata trovata una sola cedola a testimonianza di simili investimenti. Avevo diciotto anni quando lasciammo Greenwich. Ormai ne sono passati quattordici, ma ora ritornerò, rivedrò molte vecchie conoscenze e parlerò di Molly e di Gary Lasch con i residenti. Si alzò per versarsi dell'altro caffè mentre continuava a pensare al padre e alla sua vulnerabilità alle lusinghe di una «dritta» interessante. Con quanta forza lui aveva desiderato essere ammesso tra i soci del country club, venire considerato un pari dagli uomini che si ritrovavano regolarmente sul campo da golf! Data l'impossibilità di rintracciare in seguito il denaro illecitamente sot-
tratto dal padre, negli anni Fran aveva cominciato a coltivare dei dubbi. Possibile che qualcuno a Greenwich, forse un uomo cne lui stava cercando di impressionare favorevolmente, gli avesse fornito un'informazione riservata sulla Borsa per poi impossessarsi, senza mal investirli, dei quattrocentomila dollari che Frank Simmons aveva così stupidamente deciso di «prendere in prestito» dal fondo'? 9 «Perché non dai un colpo di telefono a Molly?» Jenna Whitehall guardò il marito, seduto a tavola di fronte a lei. Con indosso un paio di pantaloni di seta nera e una camicetta morbida di seta, la donna era attraente in modo quasi plateale, e il suo fascino era accentuato dai capelli corvini e dagli occhi color nocciola. La prima cosa che Jenna aveva fatto, di ritorno a casa alle sei, era stata proprio ascoltare la segreteria telefonica. Ma la sua amica Molly non aveva ancora chiamato. Si sforzò di non far trapelare la propria irritazione mentre rispondeva: «Sai bene che le ho già lasciato un messaggio sulla segreteria, Cal. Se avesse voluto compagnia, mi avrebbe richiamato. È evidente che stasera preferisce restare sola». «Ancora non capisco perché abbia voluto tornare in quella casa», commentò lui. «Insomma, come farà a entrare nello studio senza ripensare a quella notte, al momento in cui ha afferrato la scultura per fracassare il cranio a Gary? La sola idea mi dà i brividi.» «Ti ho già pregato di non parlarne, Cal. Molly è la mia migliore amica e io le voglio bene. Lei non ricorda nulla della morte di Gary.» «Questo è quello che sostiene.» «E io lo credo. Ora che è di nuovo a casa, conto di starle vicino tutte le volte che vorrà. E quando non mi vorrà, lascerò che faccia a modo suo. È chiaro?» «Sei bellissima quando ti arrabbi ma cerchi di non darlo a vedere, Jen. Coraggio, sfogati. Ti farà bene.» Calvin Whitehall spinse indietro la sedia e si avvicinò alla moglie. Era un uomo di aspetto formidabile, sui quarantacinque anni, con spalle e torace ampi, lineamenti marcati e capelli rosso chiaro che si stavano diradando. Gli occhi azzurro ghiaccio, sormontati da folte sopracciglia, enfatizzavano l'autorevolezza che emanava da lui anche quando si trovava in famiglia.
Non c'era nulla nell'aspetto e nell'atteggiamento di Cal che tradisse le sue umili origini. Aveva frapposto una distanza inimmaginabile fra se stesso e la modesta casetta bifamigliare di Elmira, nello stato di New York, dov'era nato. Una borsa di studio a Yale, combinata con la capacità innata di emulare modi e atteggiamenti dei suoi compagni, più privilegiati, avevano fatto di lui un uomo d'affari potente e di successo. Fra sé, Cal amava dire che la sola cosa buona trasmessagli dai genitori era un nome dotato di una certa classe. Ora. comodamente sistemato nella sua lussuosa dimora di dodici stanze a Greenwich, conduceva finalmente la vita che a lungo aveva sognato nella cameretta spoglia in cui si rifugiava la sera per isolarsi dai genitori, impegnati come sempre a ubriacarsi di vino scadente e a bisticciare. Quando la lite si faceva troppo violenta o rumorosa, i vicini chiamavano la polizia. Cal aveva imparato a temere il suono lamentoso della sirena, il disprezzo che leggeva negli occhi degli abitanti del quartiere, le beffe dei compagni di scuola e i commenti che tutta la città faceva sui suoi discutibili genitori. Era perspicace, abbastanza da capire che per lui l'unica via d'uscita stava nell'istruzione, e i suoi insegnanti impiegarono ben poco a riconoscere in quel ragazzo un'intelligenza che sfiorava la genialità. Nella cameretta con il pavimento che cedeva, circondato da pareti scrostate e alla luce di un'unica lampadina, Cal aveva studiato e letto quasi con voracità, concentrandosi soprattutto sulle potenzialità dell'informatica. A ventiquattro anni, già in possesso di un dottorato in scienze economiche, era stato assunto da una società di informatica in via di espansione. E ne aveva appena trenta quando, poco dopo il suo trasferimento a Greenwich, ne aveva strappato il controllo al titolare sconcertato. Quella era stata la sua prima opportunità di giocare al gatto e al topo, di trastullarsi con la preda nella piena consapevolezza di essere il più forte. Il piacere di sopraffare l'avversario attenuava in lui il risentimento scatenato dalle angherie del padre e dalla necessità di sottomettersi a una serie infinita di datori di lavoro. Pochi anni dopo aveva ceduto quella società a una cifra esorbitante, e ora si teneva impegnato con una miriade di attività imprenditoriali. Era felice che dal suo matrimonio con Jenna non fossero nati figli. A differenza di Molly Lasch, sua moglie non si era fatta ossessionare dalla sterilità e dedicava tutte le energie allo studio legale di Manhattan di cui era socia. Jenna aveva avuto una parte importante nella scalata al successo di
Cal. Il suo primo passo era stato il trasferimento a Greenwich, poi la scelta di avere al fianco una giovane donna intelligente e straordinariamente bella, proveniente da un'ottima famiglia, ma di mezzi limitati. Lui era perfettamente consapevole dell'attrazione che esercitava su Jenna la vita che era in grado di offrirle. Anche lei amava il potere. E Cal apprezzava la compagnia della moglie. Le sorrise con aria benevola, passandole la rnano sui capelli. «Mi dispiace», si scusò. «Penso solo che a Molly farebbe piacere vederti, anche se non ha richiamato. Non dev'essere stato facile per lei tornare in quella casa e di sicuro si sentirà tembiimente sola. In prigione di compagnia ne aveva a iosa, anche se dubito che l'apprezzasse.» Jenna gli allontanò la mano. «Piantala. Sai che non mi piace che mi si tocchino i capelli.» E in tono secco annunciò: «Devo rivedere una relazione per la riunione di domani». «Tenersi sempre pronti. È questo che significa essere un buon avvocato. A proposito, non mi hai chiesto degli incontri di oggi.» Cal era presidente del consiglio di amministrazione del Lasch Hospital. nonché del Centro Remington. Sorridendo con aria soddisfatta, riprese: «C'è ancora qualche complicazione. L'American National Insurance vuole quei centri almeno quanto li vogliamo noi, ma la spunteremo. E a quel punto saremo il primo centro di assistenza sanitaria della zona est del paese». Jenna gli tributò un'occhiata di riluttante ammirazione. «Ottieni sempre quello che vuoi, vero?» Lui annuì. «Ho ottenuto te, giusto?» Lei premette il pulsante sotto il tavolo per chiamare la cameriera. «Sì», disse con voce quieta. «Penso di sì.» 10 Il traffico sulla I-95 assomiglia sempre di più a quello delle superstrade californiane, pensò Fran mentre allungava il collo per cambiare corsia. Si era pentita quasi subito di non aver preso la Merritt Parkway. Il semiarticolato che la precedeva era più rumoroso di un attacco aereo, ma viaggiava sotto i limiti di velocità, costringendola a segnare il passo. Durante la notte il cielo si era schiarito e, secondo le prudenti previsioni della CBS, la giornata si annunciava «parzialmente soleggiata e parzialmente coperta, con possibilità di pioggia».
Tanto per andare sul sicuro, ironizzò lei, prima di rendersi conto che quella sua eccessiva attenzione al tempo e al traffico andava attribuita a un certo nervosismo. Ogni giro di ruota la portava più vicina a Greenwich e all'incontro con Molly Carpenter Lasch, e i suoi pensieri tornavano con sempre maggiore insistenza al suicidio del padre. Per raggiungere l'abitazione di Molly, sarebbe dovuta passare davanti al Barley Arms, il locale dove avevano consumato la loro ultima cena insieme. Particolari su cui non si soffermava da anni affioravano ora senza sosta nella sua mente, piccoli episodi che per chissà quale motivo le erano rimasti impressi. Pensò alla cravatta che il padre portava quel giorno, a piccoli scacchi blu e verdi. Era una cravatta costosa. «Cos'è, intessuta d'oro, Frank?» aveva commentato sua madre quando era arrivata la fattura. «È una pazzia spendere tutti questi soldi per una striscia di stoffa.» Lui l'aveva messa quel giorno per la prima e ultima volta, rammentò Fran. Scherzando, a tavola, sua madre aveva ipotizzato che l'avesse tenuta da parte per l'occasione. Era stata forse simbolica quella sua decisione di indossare un capo tanto costoso quando aveva già programmato di uccidersi a causa di problemi finanziari? L'uscita per Greenwich era vicina. Fran lasciò la I-95, quindi cominciò a imboccare le stradine laterali che pochi chilometri più avanti l'avrebbero condotta nel quartiere dove aveva vissuto per quattro anni. Benché in macchina facesse caldo, si accorse di tremare. Quattro anni altamente formativi, considerò. Su questo non c'erano dubbi. All'altezza del Barley Arms, tenne gli occhi fissi sulla strada, senza concedersi neppure un'occhiata al parcheggio seminascosto dove suo padre si era sparato, sul sedile posteriore dell'auto di famiglia. Evitò di guardare anche la strada dove avevano vissuto. Ci sarà un'altra occasione, si disse. Pochi minuti dopo posteggiò davanti alla casa di Molly, una costruzione a due piani con l'intonaco color avorio e le persiane marrone scuro. Una donna grassoccia sulla sessantina, con un caschetto di capelli grigi e vivaci occhietti da uccello, aprì la porta ancora prima che lei sfiorasse il campanello. Fran la riconobbe dalle foto che aveva visto sui giornali: era Edna Barry, la domestica a cui si doveva la deposizione rivelatasi tanto pregiudizievole per Molly. E perché mai era stata riassunta? si chiese lei sbalordita.
Si stava togliendo il cappotto quando sentì dei passi sulle scale e un istante dopo Molly arrivò nell'ingresso per accoglierla. Per un momento le due donne indugiarono a studiarsi. Molly era in jeans e camicetta blu con le maniche rimboccate fino al gomito. Aveva i capelli raccolti un po' a casaccio con qualche ciocca che le incorniciava il viso. Come la giornalista aveva già notato, era eccessivamente magra e intorno agli occhi la sua pelle era segnata da piccole rughe. Fran, che indossava la sua tenuta da lavoro prediletta, un tailleur pantaloni a righine dal taglio impeccabile, si sentì improvvisamente troppo in ghingheri per l'occasione. Con uno sforzo rammentò a se stessa che per lare un buon lavoro doveva tracciare una netta linea di demarcazione tra quello che lei era adesso e l'adolescente insicura degli anni del liceo. Molly parlò per prima: «Temevo che avresti cambiato idea. Sono rimasta talmente stupita nel vederti lì davanti al carcere, e poi di nuovo al notiziario, ieri sera. È stato allora che ho avuto la pazza idea di chiedere il tuo aiuto». «Perché avrei dovuto cambiare idea, Molly?» Fran era incuriosita. «Ho visto True Crime, in prigione era un programma molto popolare e ho notato che non si occupano spesso di casi aperti e chiusi. Ma avevo torto a preoccuparmi... eccoti qui. Cominciamo, vuoi? Ti va un caffè? La signora Barry lo ha appena preparato.» «Volentieri.» Fran seguì l'amica lungo un corridoio che si apriva sulla destra. Passando, riuscì a dare un'occhiata al soggiorno e ne ammirò il mobilio elegante, discreto e palesemente costoso. Molly si fermò davanti a una porta. «Questo era lo studio di Gary. È qui che l'ho trovato. Ho pensato che, prima di metterci sedute a parlare, avresti voluto vederlo.» Entrò e si fermò davanti al divano. «Qui c'era la scrivania di Gary», spiegò. «Proprio di fronte alle finestre che si affacciano sul giardino davanti alla casa, il che significa che lui dava le spalle alla porta. Sostengono che io sono entrata, ho afferrato una scultura sul tavolino d'angolo che stava lì...» indicò il punto preciso «e con quell'oggetto pesante gli ho fracassato la testa.» «E hai accettato il patteggiamento perché tu e l'avvocato pensavate che la giuria si sarebbe pronunciata per un verdetto di colpevolezza», mormorò quietamente l'altra. «Mettiti qui, dov'era la scrivania, Fran. Io andrò nell'ingresso e aprirò e
chiuderò la porta principale, poi ti chiamerò a voce alta. Accontentami, per favore.» Con un cenno d'assenso, la giornalista avanzò nella stanza. Sentì i passi di Molly allontanarsi lungo il corridoio e un momento dopo la udì gridare il suo nome. Vuole dimostrare che Gary l'avrebbe sicuramente sentita, se fosse stato ancora vivo, comprese. Molly ricomparve. «Mi hai sentito, vero, Fran?» «Sì.» «Gary mi telefonò a Cape Cod. Mi supplicò di perdonarlo, ma io mi rifiutai di parlargli. Gli dissi che ci saremmo rivisti qui domenica sera verso le otto. Arrivai un po' prima, ma di certo lui mi stava già aspettando. Non credi che se fosse stato in grado di farlo, sentendomi, si sarebbe alzato o almeno avrebbe girato la testa? Sicuramente non mi avrebbe ignorato. Allora sul pavimento non c'era la moquette e se anche non avesse udito la mia voce, si sarebbe voltato sentendomi entrare nella stanza. Chi non lo avrebbe fatto?» «Che cosa ha detto il tuo legale quando glielo hai fatto notare?» volle sapere Fran. «Che Gary poteva benissimo essersi addormentato alla scrivania. Secondo lui, questa avrebbe potuto rivelarsi una circostanza addirittura sfavorevole per me... la giuria avrebbe potuto pensare che ero infuriata con lui perché non mi stava aspettando con la dovuta impazienza.» Scrollò le spalle. «Bene, la recita è finita. Puoi cominciare con le domande. Vuoi che restiamo qui, o preferisci andare in un'altra stanza?» «Credo che spetti a te deciderlo», rispose Fran. «Restiamo qui. La scena del delitto.» Molly pronunciò quelle parole con disinvoltura, senza l'ombra di un sorriso. Si sedettero vicine sul divano. Fran posò il registratore sul tavolo. «Spero che non ti dispiaccia, se registro la nostra conversazione.» «Immaginavo che sarebbe stato necessario.» «C'è una cosa che devi tenere presente, Molly... l'unica maniera in cui potrei danneggiarti con il programma sarebbe se io concludessi con una dichiarazione del tipo: 'Benché Molly Carpenter Lasch affermi di non ricordare di aver causato la morte del marito, in base alle prove non sembra esserci altra possibile spiegazione all'omicidio'.» Negli occhi di Molly rilucevano le lacrime. «Una dichiarazione che non stupirebbe nessuno», ribatté bruscamente. «È quello che ora come ora cre-
dono tutti.» «Ma se c'è un'altra risposta, io potrò aiutarti solo se sarai assolutamente sincera con me, in ogni momento. Non dovrai nascondermi nulla, neppure se le mie domande dovessero risultarti penose o imbarazzanti.» L'altra annuì. «Dopo più di cinque anni di carcere, so bene che cosa significhi l'assoluta assenza di privacy. Se sono sopravvissuta a quella prova, sopravviverò sicuramente anche alle tue domande.» Arrivò la signora Barry con il caffè. La linea contratta della sua mascella disse a Fran che non era contenta di vederle in quella stanza. Doveva avere sviluppato un certo senso di protettività nei confronti di Molly, pensò. Eppure al processo aveva testimoniato contro di lei. Sì, la signora Barry era decisamente una delle persone da intervistare. Nelle due ore successive, Molly rispose senza esitazione alle domande della giornalista. Dalle sue risposte, Fran apprese che, dopo il diploma, l'ex compagna di scuola si era innamorata di un medico affascinante di dieci anni più vecchio di lei e lo aveva sposato. «Lavoravo per Vogue», raccontò Molly. «Un impiego modesto, ma mi piaceva e stavo facendo carriera. Rimasi incinta e quando ebbi un aborto spontaneo, pensai che la colpa fosse degli orari di lavoro troppo lunghi e della fatica provocata dagli spostamenti quotidiani, così lasciai il posto.» Fece una pausa, prima di riprendere: «Desideravo tanto un bambino. Nei quattro anni successivi cercai in ogni modo di restare di nuovo incinta e finalmente accadde. Ma poi persi anche quello.» «Com'erano i rapporti con tuo marito, Molly?» «Perfetti, avrei detto un tempo. Gary mi fu molto vicino all'epoca del secondo aborto. Continuava a ripetermi quanto fossi preziosa per ìui, e che senza il mio aiuto non avrebbe mai fondato il Centro Remington.» «Aveva qualche motivo per dirlo?» «Immagino che si riferisse alle mie conoscenze. Alle relazioni che aveva stabilito mio padre. Anche Jenna Whitehall ci fu di grande aiuto. Allora era Jenna Graham... forse te la ricordi, studiava alla Cranden.» «Naturalmente.» Un'altra rappresentante dell'élite. «Era la nostra presidente di classe, nell'ultimo anno.» «Proprio così. È sempre stata la mia migliore amica. Fu lei a presentarmi Gary e Calvin durante una festa al country club. In seguito Cal divenne socio di Gary e di Peter Lasch. È un autentico genio della finanza e ha saputo convincere alcune importanti società a firmare contratti con il Centro Remington.» Sorrise. «E naturalmente anche mio padre ci aiutò moltissimo.»
«Dovrò parlare con gli Whitehall», disse Fran. «Mi aiuterai a organizzare l'incontro?» «Certo. Anch'io desidero che tu li incontri.» Fran esitò. «Ora parliamo di Annamarie Scalli. Dove vive ora?» «Non ne ho idea. Mi risulta che il bambino sia nato quell'estate, dopo la morte di Gary, e che sia stato dichiarato adottabile.» «Tu sospettavi che Gary avesse una relazione con un'altra donna?» «Assolutamente no. Mi fidavo ciecamente di lui. Ero in camera mia, il giorno in cui lo scoprii. Alzai la cornetta per fare una telefonata e sentii la voce di Gary. In qualsiasi altro momento avrei riattaccato immediatamente, ma lo udii dire: 'Sei isterica, Annamarie. Mi occuperò io di te, e se deciderai di tenere il bambino, penserò al suo mantenimento'.» «Lui come ti era sembrato?» «Arrabbiato, nervoso. Quasi in preda al panico.» «E Annamarie? Come ha reagito lei?» «Disse qualcosa del tipo: 'Come ho potuto essere tanto stupida?'» «E tu che cosa hai fatto, Molly?» «Ero stupefatta, annichilita. Corsi di sotto. Gary era alla scrivania, sul punto di uscire per andare al lavoro. Io avevo già avuto modo di conoscere Annamarie, in ospedale. Lo affrontai e lui ammise subito di avere avuto una storia con lei, ma aggiunse che era stata una pazzia, una cosa stupida che rimpiangeva amaramente di aver fatto. Era quasi in lacrime e mi supplicò di perdonarlo. Io ero furiosa. Poi lui dovette andarsene. Lo guardai uscire e sbattei dietro la porta. Quella fu l'ultima volta in cui lo vidi vivo... uno splendido ricordo da portarsi dietro per tutta la vita, non credi?» «Lo amavi, vero?» «Lo amavo, credevo in lui e mi fidavo di lui, o almeno così dicevo a me stessa. Ormai non ne sono più tanto sicura; a volte...» Molly sospirò e scosse la testa. «In ogni caso, ora so che la sera del mio ritorno da Cape Cod ero più ferita e amareggiata che furiosa.» Sul suo viso era comparsa un'espressione di infinita tristezza. Con le braccia incrociate sul petto, cominciò a singhiozzare. «Capisci perché è così importante che dimostri di non averlo ucciso?» gemette. Fran se ne andò via poco dopo. L'istinto le diceva che la chiave della crociata intrapresa da Molly andava ricercata in quel suo sfogo. Il fatto è che amava profondamente il marito, pensò, e sarebbe ancora disposta a fare qualunque cosa pur di indurre qualcuno a dubitare della sua colpevolezza. Credo che sia sincera quando sostiene di non ricordare nulla, ma sono
convinta anche che sia stata lei a ucciderlo. Per il programma televisivo, sollevare dubbi sulla sua responsabilità nell'omicidio si risolverebbe solo in uno spreco di tempo e di denaro. Lo dirò a Gus, ma prima cercherò di scoprire tutto il possibile sul conto di Gary Lasch. D'impulso, fece una deviazione e raggiunse il Lasch Hospital, la struttura che aveva preso il posto della clinica privata fondata dal padre di Gary, Jonathan. Era lì che avevano ricoverato anche il padre di Fran, il quale era morto sette ore dopo. La giornalista rimase sbalordita dal constatare che in quegli anni le dimensioni dell'ospedale erano perlomeno raddoppiate. Approfittò del semaforo rosso per esaminare con calma la costruzione. Al corpo centrale erano state aggiunte delle ali, c'era un edifico nuovo sulla destra e anche un parcheggio sopraelevato. Con il cuore stretto, Fran cercò con gli occhi la finestra della sala d'aspetto del terzo piano dove aveva atteso notizie del padre, pur sapendo che lui era ormai al di là di ogni possibile salvezza. Sarebbe il posto ideale per incontrare persone e farle parlare, si disse. Scattò il verde e ripartì. Il traffico era scorrevole e lei poté concentrarsi su Gary Lasch e sulla sua relazione con una giovane infermiera, un'intemperanza che aveva pagato con la vita. Ma era stata la sua sola trasgressione? Con ogni probabilità alla fine sarebbe saltato fuori che Lasch aveva commesso un solo grosso errore, come aveva fatto suo padre sottraendo soldi al fondo per la biblioteca, ma che sotto ogni altro aspetto era il cittadino rispettabile, il medico competente e attento alle esigenze dei malati che la gente aveva conosciuto e ricordava. Forse era così, o forse no, pensò ancora Fran, mentre varcava il confine tra il Connecticut e lo stato di New York. Ormai faccio la giornalista da tempo sufficiente per non meravigliarmi più di niente. 11 Dopo aver accompagnato Fran Siminons alla porta, Molly tornò in studio. Edna Barry la raggiunse all'una e trenta. «Molly, se non c'è altro, io vado.» «Vada pure, signora Barry. Grazie» Incerta, l'altra indugiava sulla porta. «Non vuole che le prepari qualcosa
da mangiare, prima?» «Il fatto è che non ho fame, davvero.» La voce di Molly era soffocata. Edna si chiese se stesse piangendo. Di colpo, il senso di colpa e la paura che la ossessionavano ormai da quasi sei anni si fecero più intensi. Oh, Dio, sussurrò fra sé, ti prego, cerca di capire. Non potevo fare diversamente. In cucina s'infilò il parka e si avvolse la sciarpa al collo. Prese dal piano di lavoro il mazzo di chiavi, per un istante indugiò a fissarlo e poi. con un gesto quasi convulso, lo strinse nel pugno. Una ventina di minuti dopo era nella sua modesta abitazione a Glenville. Suo figlio Wally, che aveva trent'anni, guardava la televisione in soggiorno. Non staccò gli occhi dallo schermo quando lei entrò, ma almeno sembrava tranquillo. Tuttavia c'erano giorni in cui era agitato anche se prendeva la medicina. Come quella terribile domenica in cui era morto il dottor Lasch. Wally era furente con lui, perché qualche giorno prima lo aveva rimproverato dopo averlo trovato nel suo studio con in mano la scultura Remington. Parlando con la polizia. Edna aveva tralasciato alcuni particolari. Non aveva detto che quel lunedì mattina la sua chiave di casa Lasch non era nel mazzo con le altre, che lei era entrata utilizzando quella che Molly teneva nascosta in giardino e che poi aveva ritrovato la sua in una tasca della giacca del figlio. Quando gli aveva chiesto spiegazioni, lui era scoppiato a piangere ed era scappato in camera chiudendo la porta. «Non voglio parlarne, mamma», aveva singhiozzato. «E non ne parleremo. Non dobbiamo parlare mai, mai, con nessuno di questa storia», aveva detto lei con fermezza. Wally lo aveva promesso, e fino a quel giorno era stato di parola. Da parte sua, Edna aveva cercato di convincersi che suo figlio non aveva fatto nulla di grave, che era stata solo una semplice coincidenza. Dopo tutto, lei stessa aveva trovato Molly coperta di sangue e c'erano le sue impronte sulla statuetta. Ma se Molly avesse effettivamente cominciato a ricordare i particolari di quella sera? Se avesse realmente visto qualcuno in casa? Wally era lì? Come poteva lei escluderlo con certezza? si chiese la signora Barry per l'ennesima volta.
12 Peter Black percorreva in auto le strade buie ansioso di arrivare a casa, in Old Church Road. Era un'ex rimessa delle carrozze di una grande tenuta acquistata ai tempi del suo secondo matrimonio, fallito anche quello nel giro di pochi anni. Ma a differenza della prima, la sua nuova moglie aveva dimostrato di avere un gusto squisito e dopo la separazione lui non aveva modificato l'arredamento. L'unica aggiunta era stata un bar ben rifornito, dato che lei era astemia. Peter aveva conosciuto il suo defunto socio, Gary Lasch, alla facoltà di medicina ed erano diventati subito amici. Era stato dopo la morte del proprio padre, che Gary gli aveva offerto di diventare socio. «La prevenzione sanitaria è il futuro della medicina», gli aveva detto. «La clinica non profit fondata da mio padre non può andare avanti in questo modo. La amplieremo, ne faremo un'attività remunerativa, avvieremo il nostro centro di assistenza medica.» Gary, che godeva di ottima reputazione, aveva sostituito il padre nella direzione della clinica, in seguito diventata il Lasch Hospital. Il terzo socio, Calvin Whitehall, era salito a bordo quando insieme avevano fondato il Centro Remington. Ora lo stato stava per approvare l'acquisizione, da parte del Remington, di un certo numero di centri più piccoli. Tutto procedeva per il meglio e anche se l'affare non era ancora concluso, erano ormai giunti alle ultime battute. Al momento, l'unico problema era costituito dall'American National Insurance, anch'essa interessata all'acquisizione dei centri. Ma i giochi non erano ancora fatti, si disse Peter mentre parcheggiava davanti alla porta d'ingresso. Non contava di uscire di nuovo quella sera, ma faceva freddo e aveva voglia di bere qualcosa. Ci avrebbe pensato Pedro a spostare l'auto. Peter andò direttamente in biblioteca, una stanza accogliente, con il fuoco acceso nel camino e la televisione sintonizzata sul canale dei notiziari. Pedro comparve quasi immediatamente per porgli la domanda rituale: «Il solito, signore?» Il solito era scotch con ghiaccio, ma a volte Peter decideva che ci voleva un cambiamento e chiedeva un bourbon o una vodka. Il primo bicchiere di whisky, sorbito con lentezza, placò la sua agitazione e un piattino di salmone affumicato bastò a calmargli l'appetito. A lui non piaceva cenare appena arrivato a casa e preferiva aspettare almeno u-
n'ora. Si portò un secondo bicchiere di scotch in bagno, poi passò in camera dove indossò un paio di pantaloni comodi e un maglione di cachemire a maniche lunghe. Si sentiva quasi completamente rilassato quando tornò di sotto. Peter Black cenava spesso con amici e da quando era di nuovo single, era letteralmente inondato di inviti da parte di donne attraenti e desiderabili. Se mangiava da solo, di solito si portava a tavola un libro o una rivista, ma quella sera, mentre gustava il pesce spada arrosto e gli asparagi al vapore, accompagnandoli con un bicchiere di Saint Emilion, si limitò a riflettere, meditando sulle riunioni di lavoro che lo aspettavano. Lo squillo del telefono in biblioteca non interruppe il corso dei suoi pensieri. Ci avrebbe pensato Pedro a dire a chiunque fosse che lui avrebbe richiamato più tardi. E quando il domestico si presentò in sala da pranzo con il cordless, Black gli scoccò un'occhiata infastidita. «Mi scusi, dottore», bisbigliò il domestico coprendo il ricevitore con il palmo, «ma ho pensato che forse avrebbe voluto rispondere. È la signora Lasch. Molly Lasch.» Peter Black fece una brevissima pausa, poi vuotò in un sol sorso il bicchiere di vino e prese l'apparecchio. Gli tremava la mano. 13 Molly aveva dato a Fran un elenco delle persone da intervistare. Il primo della lista era il socio di Gary, il dottor Peter Black. «Dalla morte di mio marito non mi ha più rivolto la parola», le aveva detto. Seguiva Jenna Whitehall: «Forse te la ricordi, studiava alla Cranden». Quanto al marito di Jenna, Calvin: «Fu lui a occuparsi dei finanziamenti necessari per avviare il Centro Remington». Poi il suo avvocato, Philip Matthews: «Tutti lo giudicano fantastico per aver strappato per me una condanna tanto mite e che prevedeva il rilascio sulla parola. Io avrei preferito che nutrisse almeno un piccolo dubbio sulla mia colpevolezza», era stato il commento di Molly. E per finire, Edna Barry: «Ieri, quando sono tornata a casa, era tutto in perfetto ordine. Quasi come se questi cinque anni e mezzo non fossero passati». Fran le aveva chiesto di avvisare tutti che lei avrebbe telefonato, ma quando la domestica era passata a salutarla prima di andarsene, Molly non
si era sentita dell'umore giusto per parlargliene. La signora Barry aveva seguito a puntino le sue istruzioni e quella mattina aveva fatto la spesa, pensò poi aprendo il frigorifero in cucina. C'era tutto quello che le aveva chiesto di comprare: pane di segale con i semi di cumino, prosciutto della Virginia, formaggio svizzero. Prepararsi un gustoso panino le fece piacere e per condirlo prelevò dal frigo il barattolo di senape aromatica che le piaceva tanto. Un sottaceto, decise. Non ne mangio da anni. Sorridendo tra sé, posò il piatto sul tavolo e dopo essersi versata una tazza di tè, si guardò intorno alla ricerca del quotidiano locale. Non aveva ancora avuto modo di dargli un'occhiata e la vista di una sua foto in prima pagina la fece sussultare. La didascalia recitava: «Molly Carpenter Lasch, rilasciata dopo cinque anni e mezzo di carcere». L'articolo si limitava a rimasticare fatti già noti: i particolari della morte di Gary, l'ammissione di colpevolezza pronunciata da lei in tribunale e la sua dichiarazione di innocenza davanti al carcere. Le riuscì più penosa la parte in cui si parlava della sua famiglia. C'era un profilo dei suoi nonni, autentici pilastri della buona società di Greenwich e di Palm Beach. Si accennava alla splendida carriera di suo padre, al prestigio di cui aveva goduto suo suocero in campo medico e veniva citato il centro di assistenza sanitaria fondato da suo marito e dal dottor Black. Tutte persone rispettabili con al loro attivo successi straordinari, che per causa sua erano adesso oggetto dei pettegolezzi più volgari. Allontanò il piatto; non aveva più fame. Come già le era accaduto alcune ore prima, la stanchezza e la sonnolenza minacciavano di sopraffarla. Lo psichiatra del carcere l'aveva curata per una forma depressiva, suggerendole, una volta tornata in libertà, di rivolgersi di nuovo al medico che l'aveva seguita nei mesi precedenti il processo. «Mi ha detto che il dottor Daniels le piaceva, Molly. Che con lui si sentiva a suo agio perché le credeva quando affermava di non ricordare nulla di quella sera. Ormai avrà capito che una stanchezza anomala può essere sintomo di depressione.» Molly si massaggiò la fronte per allontanare il mal di testa incombente. Sì, il dottor Daniels le piaceva molto, e avrebbe dovuto includere il suo nome nell'elenco che aveva dato a Fran. Forse avrebbe dovuto fissare un appuntamento con lui. Ancora più importante, avrebbe dovuto chiamarlo per dirgli che poteva parlare liberamente con la giornalista. Si alzò, gettò i resti del panino nel tritarifiuti e andò di sopra portandosi
dietro la tazza di tè. Aveva disattivato la suoneria del telefono, ma decise di controllare se c'erano messaggi sulla segreteria. Erano in pochi a conoscere il suo nuovo numero, che non figurava in elenco. Fra quei pochi c'erano i suoi genitori, Philip Matthews e Jenna. Quest'ultima aveva chiamato due volte. «Passo da te stasera, e non voglio obiezioni», dicevano i suoi messaggi. «Sarò lì alle otto con la cena.» Una volta che sarà qui, sarò felice di vederla, ammise Molly. In camera da letto, finì di bere il tè, si liberò delle scarpe con un calcio e si sdraiò vestita, avvolgendosi nel copriletto. Fu subito colta dal sonno. I suoi sogni furono frammentari. Era a casa e cercava di parlare con Gary, che però si rifiutava di ascoltarla. Poi un rumore... che cosa lo aveva provocato? Se solo fosse riuscita a riconoscerlo, tutto sarebbe diventato più chiaro. Quel rumore. Quel rumore. Che cos'era? Si svegliò alle sei e mezzo di sera con le guance rigate di lacrime. Forse questo è un buon segno, si disse. Quella mattina, parlando con Fran, aveva pianto per la prima volta in quasi sei anni, ossia da quella settimana trascorsa in solitudine a Cape Cod durante la quale non aveva praticamente fatto altro. Il trauma della morte di Gary l'aveva come disseccata, e da quel giorno non aveva più versato una lacrima. Riluttante, si alzò asciugandosi il viso, poi si spazzolò i capelli e si cambiò: al posto dei jeans e della camicia di cotone indossò un maglione beige e un paio di pantaloni larghi. Mise anche un paio di orecchini e si truccò leggermente. Quand'era andata a trovarla in carcere, Jenna l'aveva sollecitata a presentarsi ben curata ai colloqui. «Il primo passo avanti è il più importante, Mol; ricordati del nostro motto.» Dopo essere scesa al piano inferiore accese il caminetto a gas nel tinello. La stanza di famiglia, pensò, ma lei era sola. Quando la sera restavano casa, lei e Gary guardavano insieme qualche vecchio film. La collezione di classici del marito era ancora sugli scaffali. Poi pensò alle persone alle quali avrebbe dovuto chiedere di collaborare con Fran Simmons; tra loro ce n'era una della cui disponibilità non era affatto certa. Non le andava di chiamare Peter Black in ufficio e decise di cercarlo a casa. Era inutile rimandare e lo avrebbe fatto quella sera stessa. Anzi, decise di farlo subito. Negli ultimi anni non le era mai venuto in mente Pedro, ma sentendo la voce del domestico ricordò le cene organizzate in quella casa. Spesso era-
no solo in sei, Peter e la moglie o la fidanzata di turno, Cal e Jenna, Gary e lei. Non biasimava Peter per averla ignorata per tutto quel tempo. Lei probabilmente avrebbe reagito allo stesso modo con qualcuno sospettato di aver fatto del male a Jenna. «Vecchio amico, migliore amico» era la litania che amavano ripetere nel loro gruppo. Si era quasi aspettata che Peter si rifiutasse di parlarle e fu un po' sorpresa quando lui rispose alla sua telefonata. «Domani ti chiamerà Fran Simmons della NAF per fissare un appuntamento», cominciò con una punta di esitazione. Poi, in tono più deciso: «Sta preparando una puntata sulla morte di Gary per il programma True Crime. Sei libero di dirle quello che vuoi, Peter, ma ti prego di riceverla. Tanto vale che tu lo sappia: Fran dice che preferirebbe di gran lunga avere la tua collaborazione, ma che un tuo rifiuto non la fermerà». Attese. Peter Black parlò dopo una lunga pausa. «Pensavo che avresti avuto la decenza di lasciar perdere. Molly.» La sua voce era tesa, ma le parole erano lievemente strascicate. «Rimettere in piazza la sua relazione con Annamarie Scalli... non credi che Gary meriterebbe di meglio? Hai pagato un prezzo molto basso per ciò che hai fatto. Ti avverto, se qualche squallido programma televisivo rimetterà in scena il tuo delitto per il divertimento del pubblico, a rimetterci sarai solo tu...» Allo scatto della comunicazione che veniva interrotta si sovrappose il suono del campanello della porta. Nelle due ore successive per Molly la vita sembrò essere tornata quasi normale. Jenna non si era limitata a portare la cena; aveva con sé anche una bottiglia del miglior Montrachet di Calvin. Mangiarono in tinello, sul tavolino davanti al divano. Fu Jenna a dominare la conversazione illustrando i progetti che aveva fatto per l'amica: Molly doveva andare a New York, a trascorrere qualche giorno a casa loro, fare shopping, visitare il nuovo centro estetico che lei aveva scoperto, dove l'avrebbero rimessa in sesto. Capelli, viso, unghie, tutto quanto, annunciò trionfante. «Mi sono già organizzata per prendermi qualche giorno libero da passare con te.» Sorrise. «Di' la verità, non mi trovi in forma?» «Sei la pubblicità vivente del regime dietetico che stai seguendo, qualunque esso sia», assentì Molly. «E prima o poi ti imiterò, credimi, ma non ora.» Posò la tazzina da caffè. «Jenna, oggi è stata qui Fran Simmons. Forse te la ricordi, era alla Cranden con noi.»
«Suo padre si è suicidato, vero? Aveva sottratto del denaro dal fondo per la biblioteca.» «Proprio così. Ora lei fa la giornalista investigativa per la NAF. Si occupa del programma True Crime e vuole dedicare una puntata alla morte di Gary.» Jenna Whitehall non fece nulla per nascondere lo sgomento. «No!» Molly alzò le spalle. «Non pretendo che tu capisca, e so che non capirai neppure quello che sto per dirti. Senti, Jenna, io ho bisogno di incontrare Annamarie Scalli. Tu hai idea di dove sia finita?» «Sei pazza? In nome di Dio, perché vuoi incontrare quella donna? E pensare...» Jenna non concluse la frase. «E pensare che se non avesse avuto una relazione con mio marito oggi lui sarebbe ancora vivo? È questo che volevi dire, vero? Sono d'accordo con te, ma il fatto è che devo vederla Vive ancora qui?» «Non ne ho la minima idea. Da quello che mi risulta, ha accettato l'aiuto di Gary, poi ha lasciato la città e da allora non s'è più saputo nulla di lei. Sarebbe stata chiamata come teste al processo, naturalmente, se il patteggiamento non avesse reso superflua la sua presenza.» «Jenna, voglio che tu chieda a Cal di mettere i suoi sulle tracce di Annamarie. So bene che lui può fare qualunque cosa, o almeno incaricare qualcuno di farlo.» Lo stile «ci penso io» di Cal era sempre stato motivo di battute scherzose fra loro, ma questa volta Jenna non rise. «Preferirei di no», rispose con voce improvvisamente tesa. Molly pensò di aver compreso il motivo della sua riluttanza. «C'è una cosa che devi capire. Io ho pagato per la morte di Gary, indipendentemente dalle mie effettive responsabilità. A questo punto credo di essermi guadagnata il diritto di scoprire che cosa è accaduto veramente quella sera, e perché. Ho bisogno di comprendere quali sono state le mie azioni e le mie reazioni. Dopo, forse, sarò in grado di ricominciare, di ricostruirmi un'esistenza che assomigli a una vita normale.» Si alzò e andò in cucina, da dove tornò quasi subito con il giornale del mattino. «Forse hai già letto l'articolo. Non capisci? Se non faccio qualcosa, queste storie continueranno a tormentarmi per tutta la vita.» «L'ho letto, sì.» Jenna spinse da parte il quotidiano e prese le mani dell'amica. «Molly, ascolta, uno scandalo può essere dannoso per un ospedale proprio come per una persona. Le voci e i pettegolezzi che hanno fatto seguito alla morte
di Gary, compresa la rivelazione della sua relazione con quell'infermiera, hanno danneggiato pesantemente il Lasch Hospital. Eppure quell'istituto sta facendo un ottimo lavoro per la comunità e il Centro Remington prospera, mentre molte strutture analoghe si trovano in cattive acque. Ti prego, nel tuo stesso interesse, nell'interesse dell'ospedale, ferma Fran Simmons e lascia perdere Annamarie Scalli.» Molly scosse la testa. «Pensaci», insisté l'altra. «Sai bene che io ti sosterrò comunque, ma almeno prendi in considerazione il Piano A.» «Andiamo in città, dove mi farò rimettere a nuovo, giusto?» Jenna sorrise. «Proprio così.» Si alzò. «Ora è meglio che vada. Cal mi starà cercando.» Sottobraccio, si avviarono verso la porta. Con la mano già sulla maniglia. Jenna esitò. «A volte vorrei che fossimo ancora alla Cranden, con la possibilità di ricominciare tutto da capo», mormorò. «La vita allora era molto più facile. Cal è diverso da te e da me; non gioca secondo le nostre stesse regole. Qualunque evento o persona che rischi di fargli perdere del denaro per lui diventa un nemico.» «Me compresa?» chiese Molly. «Temo di sì.» Jenna aprì la porta. «Ti voglio bene, cara. Ricordati di chiudere a chiave e d'inserire il sistema d'allarme.» 14 Tim Mason, trentaseienne cronista sportivo della NAF, era in vacanza quando Fran aveva iniziato la sua collaborazione con l'emittente. Cresciuto a Greenwich, era tornato a viverci per poco tempo dopo l'università e per un anno era stato apprendista presso il Greenwich Time. Resosi conto che gli piaceva lavorare in una redazione sportiva, era riuscito a farsi assumere da un quotidiano dello stato di New York. L'anno dopo era passato alla locale stazione televisiva e nei sei anni successivi una serie di avanzamenti gli aveva infine permesso di entrare nella redazione della NAF. In ben tre stati il suo notiziario sportivo serale, che durava un'ora, stava già rubando spettatori alle tre maggiori emittenti televisive e Tim era ormai noto come il miglior commentatore sportivo della nuova generazione. Slanciato, con i lineamenti irregolari che gli davano un che di fanciullesco, dotato di una natura affabile e accomodante, Tim diventava addirittura
trascinante quando commentava o parlava di avvenimenti sportivi, e aveva finito per guadagnarsi l'affetto dei tifosi. Quel pomeriggio, passando nell'ufficio di Brandt, vide Fran Simmons per la prima volta. La nuova giornalista aveva ancora il cappotto addosso e stava riferendo al direttore il suo incontro mattutino con Molly Carpenter Lasch. La conosco, fu il primo pensiero di Tim. Ma dove l'ho già vista? La sua prodigiosa memoria gli fornì quasi immediatamente la risposta. Tim aveva cominciato a lavorare al Greenwich Time proprio l'estate in cui Frank Simmons si era suicidato. All'epoca, a Greenwich si diceva che quell'uomo era stato un arrampicatore sociale, che aveva usato il denaro sottratto per mettere a segno un buon colpo in Borsa, poi sua moglie e sua figlia avevano lasciato la città e gli echi dello scandalo si erano gradualmente spenti. Ora Fran si è fatta una gran bella ragazza, pensò. Certo lei non lo avrebbe distinto da un buco nel muro, come diceva sua nonna, ma per quanto lo riguardava, era piuttosto curioso di scoprire che razza di persona fosse diventata. Occuparsi del caso di Molly Carpenter Lasch non era esattamente l'incarico che lui avrebbe scelto se fosse stato nei suoi panni. Ma ovviamente lei doveva pensarla diversamente e Tim ignorava quali fossero i sentimenti di Fran in merito al suicidio del padre. Quel bastardo ha lasciato la moglie e la figlia a cavarsela da sole, pensò ancora. Frank Simmons aveva fatto la scelta dei codardi, un peccato di cui, Tim ne era certo, lui non si sarebbe mai reso colpevole. Trovandosi in una situazione analoga, avrebbe trasferito in un posto tranquillo moglie e figlia e poi avrebbe affrontato da solo le conseguenze dei suoi errori. Era stato proprio lui a seguire il funerale di Simmons per conto del Greenwich Time e ricordava di aver visto Fran e la madre lasciare la chiesa dopo la messa funebre. La ragazzina con i capelli lunghi che le nascondevano il viso e gli occhi bassi adesso era una donna estremamente attraente e anche, come scoprì pochi istanti dopo, dotata di una salda stretta di mano, di un sorriso pieno di calore e di uno sguardo che esprimeva franchezza. Sapeva che lei non poteva leggergli nel pensiero, né capire che stava ricostruendo mentalmente le circostanze del suicidio di suo padre, ma per un attimo Tim si sentì imbarazzato, quasi in colpa. Si scusò con i colleghi per averli disturbati. «Di solito Gus a quest'ora è solo, a cercare di decidere quali inconvenienti si verificheranno durante il notiziario», si giustificò. Poi fece per an-
darsene, ma Fran lo fermò. «Gus mi ha detto che la tua famiglia viveva a Greenwich e che sei cresciuto là. Conoscevi i Lasch?» Implicitamente, pensò Tim, quello che lei mi sta dicendo è: Sono consapevole che sai di me e di mio padre, quindi passiamo oltre. «Il dottor Lasch, il padre di Gary, era il nostro medico di famiglia», rispose. «Un brav'uomo e un ottimo professionista.» «E Gary?» Lo sguardo di Tim s'indurì. «Un medico pieno di dedizione», replicò con voce piatta. «Ha assistito meravigliosamente mia nonna, che è deceduta al Lasch Hospital solo poche settimane prima che morisse anche lui.» Tim evitò di aggiungere che Annamarie Scalli era una delle infermiere che si erano prese cura di sua nonna. Giovane e graziosa, Annamarie era anche un'infermiera fantastica, rammentò; una ragazza semplice e simpatica. La nonna ne andava pazza e quando era spirata, Annamarie era lì, al suo fianco. Io sono arrivato quando lei era già morta e quella giovane donna era seduta accanto al suo letto, in lacrime. Quante infermiere avrebbero reagito in quel modo? «Vado a vedere che cosa c'è sulla mia scrivania», annunciò. «Ci vediamo dopo, Gus. Lieto di averti conosciuta, Fran.» La salutò con un cenno e uscì. Non le spiegò quanto drasticamente fosse mutata la sua opinione su Gary Lasch dopo che aveva saputo della sua relazione con Annamarie; non gli sembrava giusto. Era solo una ragazzina, pensò, e per certi versi non molto diversa dalla stessa Fran, come lei vittima dell'egoismo altrui. Era stata costretta a rinunciare al lavoro e a lasciare la città. Il processo per omicidio aveva fatto sensazione in tutto il paese e per qualche tempo il nome di Annamarie Scalli era comparso con regolarità sulle pagine dei giornali scandalistici. Si chiese dove fosse ora e se le indagini di Fran Simmons avrebbero danneggiato in qualche modo la nuova vita che lei si era nel frattempo costruita. 15 Annamarie Scalli percorreva a passo rapido l'isolato, diretta alla modesta abitazione di Yonkers dov'era attesa. Dopo più di cinque anni dedicati all'assistenza domiciliare, era venuta a patti con la sua nuova vita, almeno in certa misura. Non sentiva più la mancanza del lavoro in ospedale che un
tempo aveva tanto amato. E non guardava ogni giorno le fotografie di suo figlio. In base all'accordo, dopo i primi cinque anni i genitori adottivi non avrebbero più avuto l'obbligo di mandarle annualmente una foto del piccolo e ormai erano passati mesi da quando Annamarie aveva ricevuto l'ultima immagine del suo bambino, che era la copia in miniatura del padre, Gary. Annamarie aveva adottato il cognome da nubile della madre, Sangelo. Era ingrassata e, come sua madre e sua sorella, adesso portava la taglia quarantasei. I capelli scuri che un tempo ricadevano morbidi sulle spalle erano diventati un caschetto di riccioli che le incorniciava il viso a forma di cuore. A ventinove anni, sembrava esattamente quello che era: una donna in gamba, pratica, di buon cuore. Nulla in lei ricordava la procace «altra donna» che tanto spazio aveva avuto nel processo per l'omicidio di Gary Lasch. Due sere prima aveva guardato il servizio sulla dichiarazione di innocenza fatta da Molly Lasch che era stato trasmesso durante il notiziario. La vista del carcere di Niantic, che incombeva sullo sfondo, l'aveva fatta stare male fisicamente e da allora era ossessionata dal ricordo di quella volta, ormai erano trascorsi tre anni, in cui un impulso irrefrenabile l'aveva spinta a passare in auto davanti alla prigione. Aveva cercato di immaginarsi lì dentro. Era quello il mio posto, pensò ora quasi con ferocia mentre saliva gli sconnessi gradini di cemento che portavano all'appartamento del signor Olsen. Ma quel giorno, davanti al carcere, aveva sentito il coraggio venirle meno ed era tornata a casa, nel suo appartamentino. Era stata l'unica volta in cui aveva avuto la tentazione di chiamare l'avvocato che lei aveva assistito come paziente al Lasch Hospital, per chiedergli di accompagnarla dal procuratore di stato. Mentre suonava alla porta del signor Olsen e poi entrava con la sua chiave, facendosi annunciare da un gaio «buongiorno», Annamarie ebbe la sconvolgente sensazione che, a causa del rinnovato interesse per l'omicidio Lasch, sarebbero inevitabilmente venuti a cercarla. E lei non voleva che accadesse. Aveva paura che accadesse. 16 Calvin Whitehall ignorò la segretaria di Peter Black, seduta alla sua scrivania, e aprì la porta del lussuoso ufficio d'angolo. Black alzò gli occhi
dalle carte che stava leggendo. «Sei in anticipo.» «Nient'affatto», replicò secco Whitehall. «Ieri sera Jenna ha visto Molly.» «La quale Molly ha avuto la sfrontatezza di telefonarmi per dirmi che avrei fatto bene a parlare con Fran Simmons, una giornalista della NAF. Jenna ti ha parlato dell'intenzione di quella donna di portare il caso di Gary a True Crime?» Calvin annuì. I due uomini si fronteggiarono, separati dalla scrivania. «E c'è di peggio», riprese Whitehall con voce piatta. «Molly sembra intenzionata a trovare Annamarie Scalli.» Il viso di Black sbiancò. «In questo caso ti suggerisco di dirottarla su una falsa pista», replicò con voce quieta. «Questa volta la palla spetta a te. Farai bene a maneggiarla con attenzione. Non c'è bisogno che ti ricordi che cosa potrebbe significare tutto questo per noi.» Con un gesto di stizza, allontanò i fogli che aveva davanti. «Sono tutte potenziali denunce per negligenza professionale», sibilò poi. «E tu schiaccia quegli imbecilli.» «È quello che intendo fare.» Calvin Whitehall guardava il socio. Non gli sfuggì il lieve tremore delle mani, né la rete di capillari che si allargava sulle guance e sul mento dell'uomo. Il disgusto trapelava dalla sua voce quando disse: «Dobbiamo trovare il modo di fermare quella giornalista e tenere Molly lontana da Annamarie. Tu, nel frattempo, farai bene a berti un bicchierino». 17 Fran comprese immediatamente che Tim Mason sapeva tutto del suo passato. Tanto vale che mi ci abitui, si disse. Chissà quante altre volte mi capiterà con la gente di Greenwich. Non devono far altro che sommare due più due. Fran Simmons? Un momento. Simmons... Lo sguardo perplesso. Perché questo nome mi suona familiare? Oh, ma certo. Suo padre era quello che... Quella notte non dormì bene e non si sentiva affatto in forma quando arrivò in ufficio. Un ricordo dei suoi sogni inquieti l'aspettava sulla scrivania. Molly Lasch aveva telefonato per comunicarle il nome dello psichiatra che l'aveva avuta in cura nei mesi precedenti il processo: «Ho chiamato il dottor Daniels. Non esercita quasi più, ma sarà lieto di incontrarti. Il suo
ufficio è in Greenwich Avenue». Il dottor Daniels; l'avvocato di Molly, Philip Matthews; il dottor Peter Black; Calvin e Jenna Whitehall; Edna Barry, la domestica... erano queste le persone che l'amica le aveva suggerito di incontrare, ma Fran ne aveva in mente anche altre. Annamarie Scalli, per dirne una. Prese il biglietto di Molly e lo fissò pensierosa. Comincerò dal dottor Daniels, decise. John Daniels stava aspettando la sua telefonata; le disse che quel pomeriggio era libero e che sarebbe stato lieto di riceverla. Benché ormai settantacinquenne, non se l'era sentita di abbandonare completamente la sua professione, a dispetto delle esortazioni della moglie. Uno dei pazienti con cui sentiva di avere fallito era proprio Molly Carpenter Lasch. La conosceva da quando lei era bambina e a volte aveva cenato al club assieme ai suoi genitori. A quel tempo era una bella ragazzina, sempre educatissima e fin troppo controllata. E nulla, nella sua personalità e nel fuoco di fila delle domande a cui lui l'aveva sottoposta dopo l'arresto, sembrava indicarla capace di quell'accesso di violenza che, secondo l'accusa, l'aveva spinta a uccidere il marito. Ruthie Roitenberg, la segretaria che lavorava per lui da venticinque anni, era evidentemente convinta che la lunga anzianità di servizio le desse la libertà di dire tutto quello che pensava senza mezzi termini, nonché di riferirgli i pettegolezzi. Daniels, di conseguenza, non si stupì più di tanto quando la donna, dopo avergli annunciato la visita di Fran Simmons per le due, aggiunse: «Lo sa chi era suo padre, vero, dottore?» «Dovrei saperlo?» replicò Daniels in tono blando. «Ricorda il tizio che rubò tutti quei soldi dal fondo per la biblioteca e poi si uccise? Be', era lui. La figlia ha frequentato la Cranden Academy con Molly Carpenter.» Lo psichiatra non tradì la sorpresa. Si ricordava anche troppo bene di Frank Simmons; lui stesso aveva donato diecimila dollari al fondo per la biblioteca: tutto denaro sprecato, grazie a quel tipo. «A questo Molly non ha accennato», si limitò a commentare. «Immagino che per lei non sia importante.» Il suo mite rimprovero passò del tutto inosservato. «Al suo posto io avrei cambiato cognome», sbuffò Ruthie. «A proposito, credo che anche Molly farebbe bene a cambiare cognome e ad andarsene da qui per ricominciare da capo. Sa, dottore, tutti pensano che sarebbe molto meglio se, invece di
agitare di nuovo le acque, lei affermasse pubblicamente di essersi pentita di aver ucciso quel poveretto.» «E se ci fosse un'altra spiegazione alla morte di Lasch?» «Dottore, quelli che ci credono mettono ancora una moneta sotto il cuscino per la fatina dei dentini.» Fran non sarebbe andata in onda prima del notiziario serale e trascorse la mattinata in ufficio, a organizzare le interviste. Quando ebbe finito, si comperò un panino e una bibita per fare uno spuntino in auto e alle dodici e un quarto partì per Greenwich. Prima di recarsi dal dottor Daniels, voleva avere il tempo di fare un giro in città per rivedere i luoghi che una volta conosceva così bene. Raggiunse i sobborghi della cittadina in meno di un'ora. Durante la notte era caduta una spolverata di neve e gli alberi e i prati sembravano baluginare nel debole sole di fine inverno. È davvero un posto delizioso, pensò. Non posso biasimare papà per aver voluto farne parte. Bridgeport, dove lui era cresciuto, distava solo mezzora di macchina, a nord, ma come stile di vita non poteva essere più lontano. La sede della Cranden Academy era in Round Hill Road. Fran passò lentamente davanti al campus, piena di ammirazione per i vecchi edifici di pietra. Ripensava agli anni che aveva trascorso all'accademia, alle ragazze con cui allora aveva stretto amicizia e a quelle che conosceva solo di vista. Tra quest'ultime c'era Jenna Graham, ora Whitehall. Benché diversissime, lei e Molly, invece, erano sempre state intime. Jenna era assertiva, quasi autoritaria, mentre la caratteristica dominante di Molly era la riservatezza. All'improvviso Fran ripensò con tenerezza a Bobbitt Williams, che all'epoca era nella squadra di basket con lei. Chissà se abita ancora nella zona, si chiese. Bobbitt era una brava musicista... cercò perfino di convincermi a prendere lezioni di pianoforte con lei, ma io le spiegai che sarebbe stato del tutto inutile. Il talento musicale non rientra nei doni che il Signore mi ha concesso. Mentre imboccava Greenwich Avenue era commossa e si rese conto che le sarebbe piaciuto molto rivedere alcune delle sue vecchie amiche, quelle che ricordava con affetto, come Bobbitt. Dopo la morte di papà, con la mamma non ho più parlato dei quattro anni trascorsi qui, ma non possiamo cancellarli e forse è arrivato il momento che io ne prenda atto, rifletté. C'erano tante persone che mi stavano a cuore. Forse rivederne qualcuna mi farà bene.
Chissà, si disse mentre controllava sull'agenda l'indirizzo del dottor Daniels. Forse un giorno riuscirò a tornare qui senza provare la collera e l'imbarazzo che mi accompagnano da quando ho saputo che mio padre era un imbroglione. Il dottor John Daniels scortò subito Fran nel suo studio, lontano dallo sguardo curioso della segretaria. La prima impressione che ebbe di lei fu favorevole: una ragazza equilibrata, dai modi garbati e vestita in modo informale. Indossava un morbido cappotto, una giacca di tweed marrone e i pantaloni color cammello. I capelli castano chiaro, dalle ondulazioni naturali, le sfioravano il colletto della giacca. Il dottor Daniels la guardò con attenzione mentre gli si accomodava di fronte. È davvero molto attraente, pensò. Gli occhi, soprattutto, sono affascinanti... con una sfumatura di un azzurrogrigio decisamente insolita. Probabilmente virano sul blu quando è felice, e sul grigio quando è triste o arrabbiata. Scosse la testa; stava diventando un po' troppo immaginoso, era consapevole che il suo interesse per Fran Simmons era almeno in parte dovuto alle rivelazioni di Ruthie. Sperò che lei non se ne fosse accorta. «Saprà già che per il mio programma ho intenzione di preparare una puntata sull'omicidio di Gary Lasch», esordì Fran, andando subito al punto. «Mi risulta che Molly sia stata una sua paziente e che l'abbia autorizzata a parlarmi apertamente.» «Infatti.» «Lei l'aveva in cura da prima della morte del dottor Lasch?» «No. Conosco i suoi genitori, li incontravo soprattutto al country club. A volte, quand'era bambina, ci veniva anche Molly.» «Ha mai notato in lei comportamenti aggressivi?» «Mai.» «Le crede quando afferma di non riuscire a ricordare i particolari della morte del marito? Aspetti, forse è meglio che formuli diversamente la domanda. Crede che Molly sia effettivamente incapace di ricordare i particolari della morte del marito, di quella sera in cui lo ha trovato nel suo studio morto o moribondo?» «Credo che Molly dica la verità così come la conosce.» «Sarebbe a dire?» «Sarebbe a dire che, qualunque cosa sia accaduta quella sera, per lei è così dolorosa che ha preferito seppellirla nell'inconscio. Ne recupererà mai
la memoria? Non lo so.» «Ma se dovesse succedere? Se per esempio rammentasse qualcosa di più di quella vaga sensazione di una presenza estranea nella casa... sarebbe un ricordo attendibile?» Il dottor Daniels si tolse gli occhiali per pulire le lenti. Mentre tornava a infilarseli, pensò che ormai ne era diventato così dipendente da sentirsi vulnerabile senza. «Molly Lasch soffre di amnesia dissociativa, una forma che comporta vuoti di memoria collegati a eventi traumatici e fortemente ansiogeni. È chiaro che la morte di suo marito, comunque sia avvenuta, rientra in questa categoria. «Alcuni soggetti affetti da tale patologia reagiscono bene all'ipnosi, sotto il cui effetto riescono a recuperare ricordi significativi e spesso attendibili», proseguì. «Molly acconsentì a sottoporsi all'ipnosi prima del processo, ma nel suo caso non funzionò. Nulla di strano: era emotivamente devastata dalla morte del marito e terrorizzata dall'imminente prospettiva del processo. Era davvero troppo sconvolta e fragile per reagire con successo all'ipnosi.» «Ma è possibile che a poco a poco le torni la memoria?» «Vorrei poterle dire che Molly ha ottime possibilità di recuperare la memoria di quegli eventi e di cancellare ogni ombra dal suo nome, ma onestamente credo che, qualunque cosa lei possa arrivare a ricordare, non sarà necessariamente attendibile. Probabilmente non farebbe altro che crearsi un falso ricordo, ossia ricostruire gli eventi così come vorrebbe che fossero accaduti. Lei ne sarebbe sinceramente convinta, ma noi non avremmo modo di verificare l'attendibilità delle sue reminiscenze. È un fenomeno che si chiama 'falsificazione retrospettiva del ricordo'.» Di nuovo in auto, Fran rimase seduta qualche minuto a riflettere sulla mossa successiva. Erano le tre meno un quarto; gli uffici del Greenwich Time distavano solo pochi isolati e Joe Hutnik, che era stato presente al rilascio di Molly, lavorava lì. Quel giornalista era assolutamente certo della colpevolezza della Lasch. Forse aveva seguito anche il processo? si chiese. Sembrava un tipo a posto, rifletté ancora, e doveva essere vecchio del mestiere. Forse troppo vecchio? bisbigliò una vocina dentro di lei. Forse Hutnik aveva seguito anche la vicenda di suo padre. Aveva davvero voglia di parlare con lui?
Fuori, il sole stava scomparendo dietro una densa cortina di nubi grigie. Marzo, il mese imprevedibile, pensò Fran, che ancora non aveva deciso il da farsi. Ma sì, concluse. Perché non tentare? Prese il cellulare. Un quarto d'ora dopo era nell'ufficio di Joe Hutnik, un cubicolo ritagliato nella redazione stracolma di computer del Greenwich Time, e gli stringeva la mano. Sulla cinquantina, con occhi vigili e intelligenti sotto le folte sopracciglia scure, Hutnik le indicò un minuscolo divanetto, in gran parte ingombro di libri. «Allora, Fran, che cosa la porta al 'cancello per il New England', così com'è chiamata la nostra bella città?» Non attese la sua risposta. «No, mi lasci indovinare: Molly Lasch. In giro si dice che lei vuole dedicare una puntata di True Crime al suo caso.» «In giro si parla troppo e troppo in fretta», replicò Fran. «Possiamo mettere le carte in tavola, Joe?» «Naturalmente. Purché non mi costi un titolo di testa.» Lei lo guardò sorniona. «Vedo che ci capiamo. Domanda: ha seguito il processo di Molly?» «Chi non l'ha fatto? Era un momento di fiacca e quel caso riempì il vuoto a meraviglia.» «Potrei ricavare tutte le informazioni che mi servono da Internet, ma è più facile arrivare alla verità quando si può guardare in faccia i testimoni, soprattutto durante il controinterrogatorio. Lei ovviamente è convinto che Molly Lasch abbia ucciso il marito.» «Sicuro.» «Domanda successiva: qual era la sua opinione sul dottor Gary Lasch?» Hutnik si appoggiò all'indietro sulla sedia. «Lo sa», disse dopo un attimo, «ho sempre vissuto a Greenwich. Mia madre ha settantasei anni e mi racconta ancora spesso di quando mia sorella si ammalò di polmonite, quarant'anni fa. Aveva solo tre mesi. A quei tempi i dottori facevano visite a domicilio, non si limitavano a dirti per telefono di avvolgere il bambino in una coperta e portarlo al pronto soccorso.» Si chinò in avanti e incrociò le mani sulla scrivania. «Vivevamo in cima a una collina piuttosto ripida. Il dottor Lasch, intendo Jonathan, il padre di Gary, non riuscì ad arrivarci in auto. I pneumatici slittavano sul terreno. E sa che cosa fece lui? Mollò lì la macchina e salì a piedi fino a casa nostra. La neve gli arrivava alle ginocchia. Erano le undici di sera. Me lo ricordo ancora, in piedi accanto alla mia sorellina. L'aveva fatta sdraiare sul tavolo della cucina, dove la luce era più forte. Rimase con lei per tre ore. Le
somministrò una doppia dose di penicillina e si assicurò che respirasse bene e che la febbre fosse scesa, prima di andarsene. E il mattino dopo tornò da noi per visitarla di nuovo.» «Anche Gary Lasch era quel tipo di medico?» chiese Fran. Di nuovo Hutnik si prese un po' di tempo prima di rispondere. «A Greenwich ci sono ancora tanti medici che credono nella loro professione, immagino che sia così dappertutto. Gary Lasch era uno di loro? Onestamente non lo so, Fran, ma da quello che ho sentito dire, lui e il suo socio, il dottor Black, erano forse più interessati all'aspetto economico della medicina che a curare la gente.» «Sembra che abbiano avuto successo. Dall'ultima volta che l'ho visto, il Lasch Hospital è quasi raddoppiato», commentò lei, augurandosi che la voce non le tremasse. «Da quando ci morì suo padre, vuol dire», replicò Hutnik. «Senta, sono qui da un sacco di tempo. Conoscevo suo padre e so che era un brav'uomo. Va' da sé, però, che neanche a me è piaciuto veder scomparire tutti quei soldi. Era denaro destinato alla creazione di una biblioteca in uno dei quartieri meno eleganti della città, in modo che i ragazzi potessero accedervi facilmente.» Fran sbatté le ciglia e distolse lo sguardo. «Mi scusi», riprese il giornalista. «Non avrei dovuto parlarne. Ora torniamo a Gary. Dopo la morte del padre, chiamò il suo amicone dei tempi dell'università, il dottor Peter Black, che allora stava a Chicago. Insieme, trasformarono la Jonathan Lasch Clinic nel Lasch Hospital. Poi fondarono un centro di assistenza, il Remington, forse uno dei migliori.» «Qual è la sua opinione su questi centri?» domandò Fran. «In senso generale.» «La penso come la maggioranza della gente. Puzzano. Anche i migliori, e credo che il Remington rientri in questa categoria, mettono i medici con le spalle al muro. Quasi tutti sono costretti a convenzionarsi con uno o più programmi di previdenza, il che ovviamente significa che le loro diagnosi sono soggette a revisione e che le loro richieste di visite specialistiche per i pazienti possono venire ignorate. Inoltre, i medici devono aspettare parecchio per ricevere i soldi... al punto che molti di loro versano in situazioni finanziarie niente affatto allegre. I pazienti vengono dirottati in strutture scomode e fuori mano, con l'unico intento di scoraggiarli. È paradossale, ma proprio oggi che sono disponibili terapie e farmaci di grande efficacia, i tizi che decidono se hai diritto o meno a una terapia sono quelli che ci
guadagnano se non la fai. Bel progresso, eh?» Joe scosse la testa, indignato. «Proprio in questi giorni il Centro Remington, vale a dire il suo direttore generale, il dottor Peter Black, e Whitehall, il nostro magnate locale che ne è il presidente, stanno trattando con lo stato l'autorizzazione a rilevare quattro centri minori. Se questo accadrà, le azioni della compagnia prenderanno il volo. La cosa comporta problemi? Non esattamente. Se non che l'American National Insurance punta agli stessi centri e si mormora che miri ad acquisire anche il Remington.» «C'è qualche probabilità che ciò accada?» «Chi lo sa? Probabilmente no. Il Centro Remington e il Lasch Hospital godono di buona reputazione. Si sono ripresi dallo scandalo causato dall'omicidio del dottor Lasch e dalla rivelazione della sua storia con un'infermiera, ma sono sicuro che Black e Whitehall sarebbero stati felici di firmare il nuovo accordo prima che Molly Lasch saltasse fuori a dire che dietro l'omicidio c'è più di quanto non si sappia.» «Che cosa, di preciso, potrebbe condizionare negativamente la fusione?» chiese Fran. Joe scrollò le spalle. «Tesoro, a dirigere l'American National c'è un ex medico capo della sanità pubblica che giura di voler riformare i centri di assistenza. Il Remington è ancora il candidato favorito, ma in questo pazzo pazzo mondo può succedere di tutto in qualunque momento e un sentore di scandalo potrebbe mandare a monte l'affare.» 18 Non c'è nessuno su cui possa contare, fu il primo pensiero di Molly quando si svegliò. Guardò l'orologio: le sei e dieci. Non male, decise. Si era infilata a letto poco dopo che Jenna se n'era andata, quindi aveva dormito sette ore. In carcere aveva trascorso molte notti senza riuscire ad addormentarsi e quando arrivava, il sonno era come una lastra di ghiaccio che le premeva sugli occhi e che avrebbe voluto sentire sciogliersi e fluire dentro di lei. Si stirò, sfiorando con il braccio sinistro il cuscino vuoto al suo fianco. Non aveva mai visualizzato Gary accanto a sé sulla stretta brandina della cella ma ora, e dopo tutti quegli anni, era costantemente consapevole della sua assenza, come se il tempo trascorso fosse stato solo la sequenza di un sogno. Un sogno? No... un incubo! Si era sempre sentita molto vicina a lui. «Siamo come due gemelli sia-
mesi», le piaceva dire. Forse aveva semplicemente ingannato se stessa? Troppo compiaciuta e soddisfatta di me, ecco come dovevo sembrare, si disse. E forse lo ero davvero. Di sicuro ero una sciocca. Si alzò a sedere, ormai completamente sveglia. Devo sapere, pensò poi. Da quanto tempo andava avanti quella storia con la Scalli? Per quanto tempo la mia vita con Gary è stata una menzogna? Annamarie Scalli era l'unica persona in grado di darle le risposte di cui aveva bisogno. Alle nove telefonò all'ufficio di Fran Simmons per lasciare il nome del dottor Daniels. Alle dieci chiamò Philip Matthews. Era stata nello studio del suo avvocato solo poche volte, ma se lo ricordava con chiarezza. Si trovava nel World Trade Center e da lì si vedeva la Statua della Libertà. La prima volta quella vista le era parsa incongrua... clienti che rischiavano di finire in carcere costretti guardava il simbolo stesso della libertà. Lo aveva detto a Philip e lui aveva risposto che considerava la statua una sorta di araldo: quando accettava un cliente, il suo obiettivo diventava garantirgli la libertà. Dato che Annamarie Scalli avrebbe potuto essere chiamata a deporre al processo, era molto probabile che Philip avesse il suo ultimo indirizzo, pensò Molly. Quello sarebbe stato un punto di partenza. Philip stava proprio cercando di decidere se era il caso di telefonare a Molly e, quando la segretaria gli annunciò la sua chiamata, sollevò subito la cornetta. Fin dal giorno in cui era uscita dal carcere, lei era sempre nei suoi pensieri. E poi due sere prima aveva partecipato a una festa in cui la principale attrazione era una donna che prevedeva il futuro. In quanto ospite, l'avvocato non aveva potuto sottrarsi al gioco, anche se per lui tutto ciò che aveva a che fare con la lettura delle carte o della mano, l'astrologia, i tarocchi, le tavolette ouija, rientrava nella categoria delle buffonate. Ma quella chiromante lo aveva fatto sentire a disagio. Aveva esaminato con attenzione le carte che lui aveva scelto, poi, senza mezzi termini, gli aveva detto: «Qualcuno che le è molto vicino, una donna, credo, sta correndo un grave pericolo. Sa di chi potrebbe trattarsi?» Philip aveva cercato di convincersi che la donna a cui la chiromante si riferiva era una sua cliente che, imputata di omicidio in seguito a incidente stradale, rischiava una pesante condanna, ma l'istinto gli suggeriva che quella persona era Molly. Ora al telefono lei confermò i suoi timori affermando che non aveva
nessuna intenzione di fasi raggiungere dai genitori. «Non per il momento, comunque», disse. «Philip, voglio trovare Annamarie Scalli. Hai il suo ultimo indirizzo?» «Lascia perdere, Molly, ti prego. È finita. Devi ricominciare a vivere, adesso.» «È quello che sto cercando di fare. Ecco perché devo parlarle.» L'avvocato fece un sospiro, esasperato. «Il suo ultimo indirizzo conosciuto è quello dell'appartamento in cui abitava all'epoca della morte di Gary. Non ho idea di dove si trovi ora.» Capì che lei stava per riattaccare, ma non era ancora pronto a salutarla. «Fra poco sono da te, Molly. E se non acconsentirai di uscire a cena con me, continuerò a bussare alla tua porta fino a che i vicini non chiameranno la polizia.» Molly riusciva benissimo a immaginarselo mentre faceva una scena del genere. Nella sua voce c'era la stessa intensità che aveva percepito durante il processo, quando lui controinterrogava i testimoni. Era un uomo determinato, abituato a fare a modo suo. Lei però non se la sentiva ancora di vederlo. «Ho bisogno di un po' di tempo, Philip. Senti, oggi è giovedì. Perché non vieni qui a cena sabato? Non mi va di uscire, ma posso cucinare qualcosa.» Matthews esitò solo un istante prima di accettare. Per il momento, decise, si sarebbe dovuto accontentare. 19 Edna Barry stava preparando il pollo da cuocere al forno. Era uno dei piatti preferiti di Wally, soprattutto se il ripieno era fatto in casa. In realtà, lei usava quelli già pronti; di suo ci metteva il soffritto. Il gradevole aroma del cibo riempiva la casa e cucinare la rilassava. Le ricordava gli anni in cui suo marito Martin era ancora vivo e Wally era un ragazzino vivace, assolutamente normale. Secondo i medici, non era stata la morte del padre a provocare il cambiamento. La schizofrenia, sostenevano, era una malattia mentale che spesso si manifestava negli anni dell'adolescenza o della giovinezza. Lei, però, non ci credeva. «Wally non ha mai superato la morte del padre», diceva alla gente. A volte lui parlava di sposarsi e di farsi una famiglia, ma la madre sapeva che quasi sicuramente non sarebbe mai accaduto.
Agli altri non piaceva stare con Wally: era troppo suscettibile, perdeva la calma molto facilmente. Il pensiero di morire, lasciando il figlio privo di assistenza, era una preoccupazione costante per Edna. Ma finché c'era, lei poteva accudire quel povero ragazzo. Poteva controllare che prendesse la medicina, anche se sapeva che a volte Wally la sputava. Suo figlio aveva stabilito un così buon rapporto con il dottor Morrow... peccato che lui fosse morto. Mentre chiudeva il forno, Edna ripensò a Jack Morrow, il giovane dottore pieno di entusiasmo che sapeva trattare così bene quelli come Wally. Era un medico di famiglia e aveva l'ambulatorio al pianoterra della sua modesta abitazione, che distava solamente tre isolati da casa loro. Lo avevano ucciso con un colpo di arma da fuoco appena due settimane prima della morte del dottor Lasch. Le circostanze, naturalmente, erano completamente diverse. Il dispensario del dottor Morrow era stato scassinato e svuotato, e la polizia era certa che l'assassino andasse cercato nel giro dei tossicodipendenti. Avevano interrogato anche tutti i pazienti che lui aveva in cura; era una vera fortuna, si diceva spesso Edna, che suo figlio si fosse fratturato la caviglia solo poco tempo prima. Lei lo aveva convinto a rimettersi lo stivaletto rigido prima che arrivasse la polizia. Dopo un solo giorno, la signora Barry si era già pentita di essere tornata a lavorare per Molly Lasch. Era troppo pericoloso. C'era sempre la possibilità che Wally si presentasse lì, com'era già successo. Edna allora gli aveva detto di aspettare in cucina, ma lui era andato nello studio e aveva preso in mano la scultura dell'uomo a cavallo. Sarebbero mai finite le sue preoccupazioni? Mai, si rispose mentre sospirando cominciava ad apparecchiare. «Mamma, Molly è tornata a casa, vero?» Edna alzò gli occhi. Wally era sulla porta, con le mani ficcate in tasca, i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte. «Perché vuoi saperlo?» chiese seccamente. «Perché voglio vederla.» «Non devi neanche avvicinarti a casa sua. Mai.» «Ma lei mi piace, mamma.» Wally socchiuse gli occhi, sforzandosi di ricordare qualcosa. Fissava un punto lontano, oltre la madre, quando aggiunse: «Lei non mi sgriderebbe come ha fatto il dottor Lasch, vero?» Edna sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena. Erano anni che suo figlio non parlava di quell'episodio, da quando lei gli aveva proibito di
accennare al dottor Lasch o alla chiave che gli aveva trovato in tasca il giorno successivo all'omicidio. «Molly è gentile con tutti», rispose alla fine. «E non avevamo detto che non avremmo più parlato del dottor Lasch?» «Hai ragione, mamma. Però sono contento che sia morto. Non mi sgriderà più», disse con voce priva di emozione. Squillò il telefono. L'ansia vibrava nella voce di Edna quando rispose. «Signora Barry? Spero di non disturbarla, sono Fran Simmons. Ci siamo conosciute ieri a casa di Molly Lasch.» «Sì, sì.» Edna si rese conto di aver parlato in tono esageratamente brusco. «Certo, ricordo», ripeté con voce più morbida. «Mi chiedevo se avrei potuto fare un salto da lei, sabato.» «Sabato?» Edna stava cercando freneticamente una scusa per rifiutare. «Sì. A meno che non preferisca domenica o lunedì.» Rimandare non sarebbe servito a niente, comprese la signora Barry. Era evidente che quella donna non si sarebbe lasciata dissuadere. «Sabato andrà benissimo», si sforzò di rispondere. «Alle undici è troppo presto?» «No.» «Bene. Potrebbe dirmi se l'indirizzo è giusto?» Quella donna è un fascio di nervi, pensò Fran mentre riagganciava. Si sentiva la tensione vibrare nella sua voce. Ed era nervosa anche ieri, a casa di Molly. Che cosa la preoccupa tanto? Era stata proprio la signora Barry a trovare il cadavere di Gary Lasch. Possibile che Molly l'avesse riassunta a causa di qualche sua vaga intuizione sulla versione dei fatti resa dalla domestica? Una prospettiva interessante, si disse. E dopo un rapido esame del contenuto del frigo, s'infilò il cappotto. Avrebbe fatto un salto da P.J. Clarke, a mangiare un hamburger. Mentre percorreva a passo rapido la Cinquantaseiesima, le balenò nella mente un'altra interessante possibilità: forse Molly non era la sola a soffrire di falsificazione retrospettiva del ricordo. 20 «Sei una donna intelligente, Jenna. dovresti capire che cosa intendo quando dico che Annamarie Scalli è ufficialmente scomparsa dalla faccia
della terra. Ma anche se fossi in grado d'individuarla, cosa che non credo possibile, ti assicuro che Molly Lasch sarebbe l'ultima persona al mondo a cui passerei l'informazione!» Le macchie rosse che spiccavano sugli zigomi di Calvin Whitehall erano un chiaro sintomo della sua crescente impazienza, ma Jenna le ignorò. «Perché non vuoi che Molly si metta in contatto con quella donna, Cal? Potrebbe esserle utile, aiutarla a mettere la parola fine a questa storia.» Stavano facendo colazione nel salottino adiacente alla camera da letto. Jenna era pronta per andare al lavoro, il suo cappotto e la borsa erano posati su una sedia. Calvin sbatté con forza sul piattino la tazzina del caffè. «Di Molly non mi importa. Quello che piuttosto dobbiamo concludere sono le trattative a cui sto lavorando da tre anni, nell'interesse mio non meno che tuo.» Inspirò profondamente. «E ora farai bene ad andare, se non vuoi perdere il treno. Neppure Lou riuscirà a portarti in stazione in tempo, se non ti sbrighi.» Jenna si alzò. «Credo che stasera mi fermerò a dormire in città.» «Come preferisci.» Si fissarono un istante in silenzio, poi Calvin sorrise. «Vorrei che tu potessi vedere la tua espressione. Scommetto che se avessi a portata di mano quella scultura del cowboy, la useresti come Molly ha fatto con Gary. È indubbio che voi ragazze della Cranden avete un certo temperamento.» Jenna era impallidita. «Sei davvero preoccupato per quelle trattative, vero, Cal? Di solito non sei così crudele.» «Di solito non corro il rischio di perdere un affare da parecchi milioni di dollari. Jen, evidentemente tu sei la sola a cui Molly dia ascolto. Persuadila a venire a New York con te al più presto. Falla ragionare. Ricordale che, cercando di convincere se stessa e il mondo di non aver ucciso Gary, non farà che ritardare ulteriormente il suo recupero della memoria, oltre forse a crearsi nuovi problemi.» Senza rispondere, Jenna agguantò il cappotto e la borsa. Mentre si avviava verso le scale, suo marito le gridò dietro: «Parecchi milioni di dollari, Jen. Ammettilo. Perderli dispiacerebbe anche a te». Vedendo la donna uscire dal portone, Lou Knox, da tempo autista e factotum di Calvin Whitehall, saltò giù dall'auto per aprirle la portiera. «Buongiorno, signora. Oggi siamo proprio sul filo del rasoio. Ma se dovesse perdere il treno, posso accompagnarla io in città.» «No, mio marito ha bisogno della macchina e io non ho voglia di finire intrappolata nel traffico», replicò Jenna, asciutta. A volte il carattere e-
spansivo di Lou le dava sui nervi ma, come si ripeteva, lui faceva parte del pacchetto. Aveva frequentato lo stesso oscuro istituto superiore di Cal, che se l'era portato dietro quando si era trasferito a Greenwich, quindici anni prima. Solo Jenna era al corrente della circostanza. «Lou naturalmente capisce che non c'è bisogno di far sapere a tutti che siamo stati a scuola insieme», le aveva spiegato il marito. Una cosa però bisognava riconoscergli, pensò ora Jenna: si adeguava all'istante al suo umore. Quando capiva che non aveva voglia di parlare, manteneva un discreto silenzio e sintonizzava la radio sulla stazione di musica classica preferita dalla «signora», tenendo il volume basso. A meno che lei non volesse ascoltare il notiziario. Lou aveva quarantasei anni, era coetaneo di Cal, ma anche se era in buona forma fisica, Jenna sentiva che in lui c'era qualcosa di malsano. Per i suoi gusti, era un po' troppo ossequioso, un po' troppo ansioso di piacere. Lei non si fidava. Perfino in quel momento, durante il breve tragitto fino alla stazione, percepiva i suoi occhi che la scrutavano nello specchietto retrovisore. Ho fatto del mio meglio, si disse, ripensando alla discussione avuta con il marito. Ma non c'è modo di convincere Cal ad aiutare Molly a rintracciare la Scalli. Sotto il risentimento, c'era però l'ammirazione che Jenna nutriva per il marito. Calvin era un uomo potente e carismatico. Aveva fatto molta strada dai tempi della piccola società d'informatica, lui la definiva il suo «banchetto al mercato», e ora era un uomo il cui nome suscitava rispetto. Diversamente dagli imprenditori amanti della ribalta e le cui alterne vicende riempivano le pagine dei giornali, Cal preferiva restare sullo sfondo nonostante godesse di grande prestigio nel mondo della finanza, dove nessuno si sarebbe mai azzardato a metterglisi contro. Il potere... era stato quell'elemento ad attirare Jenna all'inizio della loro conoscenza. E l'attirava ancora. Lei amava il suo lavoro nel famoso studio legale e doveva il proprio successo alle sue sole forze. Anche senza essere la moglie di Cal, avrebbe comunque fatto una brillante carriera e questa consapevolezza le dava una confortante sensazione di autonomia. «L'orticello di Jenna», lo chiamava suo marito, ma lei sapeva che la rispettava per questo. Al tempo stesso, Jenna adorava essere la signora Whitehall e godere dei privilegi che derivavano da quel nome. A differenza di Molly, non aveva
mai desiderato avere dei figli, né la lussuosa e tranquilla vita dei sobborghi che sua madre e la sua amica d'infanzia avevano sempre apprezzato. Arrivarono in stazione pochi istanti prima che il treno per New York partisse. «Appena in tempo», osservò amabilmente l'autista, scendendo ad aprirle la portiera. «Devo venire a prenderla stasera, signora Whitehall?» Jenna esitò solo un istante. «Sì, alla solita ora. Dica a mio marito di aspettarmi.» 21 «Buongiorno dottore.» Peter Black alzò gli occhi dalla scrivania. L'espressione incerta della segretaria gli disse che stava per ricevere una notizia sgradita. La timidezza di Louise Unger irritava Peter, che tuttavia ne apprezzava l'efficienza. Lanciò un'occhiata all'orologio a parete: erano solo le otto e mezzo. Come spesso accadeva, la donna era arrivata in anticipo. Borbottò un saluto e attese. «Ha appena telefonato il signor Whitehall, dottore. Ha dovuto prendere un'altra telefonata ed è stato costretto a riattaccare, ma vuole parlare con lei.» Louise esitò. «Mi sembrava sconvolto.» Da tempo lui aveva imparato a controllare la mimica del viso, in modo da non tradire le emozioni. Sorrise appena mentre rispondeva: «Grazie per avermi messo sull'avviso, Louise. Il signor Whitehall si agita facilmente, lo sappiamo». La donna annuì, con gli occhietti da uccello che splendevano. «Ho pensato che fosse opportuno avvertirla, dottore.» Era una dichiarazione piuttosto audace, per lei. Peter Black scelse di ignorarla. «Grazie, Louise.» Il telefono sulla scrivania squillò. Con un cenno, lui segnalò alla Unger di rispondere. «Studio del dottor Black», era la formula di rito, ma la segretaria non arrivò oltre il «dottor. ..» prima di coprire il microfono con la mano e bisbigliare al suo capo: «È il signor Whitehall, dottore». Premette il pulsante d'attesa, poi sgattaiolò fuori. Peter Black sapeva che mostrarsi debole con Calvin Whitehall significava firmare la propria condanna. Aveva imparato a ignorare le caustiche osservazioni del socio sulla sua predilezione per l'alcol e si era persuaso che Whitehall si limitasse a un solo bicchiere di vino a cena unicamente perché
voleva dimostrare la superiorità della sua forza di volontà. Sollevò la cornetta. «Come va l'impero, Cal?» Era una frase che usava spesso, ben sapendo che l'altro la trovava assai irritante. «Andrebbe molto meglio se Molly Lasch la smettesse di agitare le acque!» Whitehall parlava a voce così alta che la cornetta vibrava. Stringendola nella mano sinistra, Black cominciò a flettere le dita della destra, un trucchetto per alleviare la tensione. «Questo lo sapevamo già», commentò blandamente. «Già. Mi ha chiesto di rintracciare Annamarie Scalli. Dice che la vuole incontrare e ovviamente non c'è modo di dissuaderla. Proprio stamattina Jenna se l'è presa con me per la mia mancanza di collaborazione. Le ho risposto che non ho la minima idea di dove sia.» «Né ce l'ho io.» Black sapeva che il suo tono era uniforme, la scelta delle parole accurata. Ripensò al panico che aveva sentito vibrare nella voce di Gary: «Devi aiutarmi, Annamarie, per il bene dell'ospedale». All'epoca non sapevo che lei avesse una relazione con Gary. E se Molly riuscisse a contattarla? Se Annamarie decidesse di confidarle quello che sa? Che cosa succederebbe? Si rese conto che Cal stava ancora parlando. Gli aveva chiesto qualcosa? «...c'è qualcuno all'ospedale che potrebbe essere rimasto in contatto con lei?» «Non ne ho idea.» Dopo aver messo giù la cornetta, Peter Black parlò all'interfono. «Non mi passi nessuna chiamata, Louise.» Poi posò i gomiti sul piano della scrivania e si prese la testa tra le mani. La corda sta cedendo, pensava. Come poteva impedire che si rompesse mandandolo a rovinare al suolo? 22 «Non voleva che ti preoccupassi, Billy.» Nel reparto di terapia intensiva del Lasch Hospital, Billy Gallo era in piedi di fianco al letto dove giaceva la madre. Il padre, Tom, era di fronte a lui con gli occhi pieni di lacrime, i radi capelli grigi arruffati e la mano che tremava posata sul braccio della moglie. Sarebbe stato impossibile non accorgersi del legame famigliare che univa i due uomini. Avevano lineamenti straordinariamente simili: occhi mar-
rone scuro, labbra piene, mascella squadrata. A sessantasei anni, Tom Gallo, ex addetto alla sicurezza, era uno degli anziani adibiti al controllo degli incroci stradali nei pressi delle scuole di Cos Cob e la sua figura all'incrocio tra Willow e Pine era una vista gradita, rassicurante. Suo figlio Billy, di trentacinque anni, musicista nell'orchestra della compagnia di un musical di Broadway, era appena arrivato da Detroit. «Non è stata la mamma», disse in tono iroso. «Sei stato tu a non permetterle di chiamarmi, vero?» «Sei stato disoccupato per sei mesi, non volevamo che perdessi anche questo posto.» «Al diavolo il posto. Avresti dovuto chiamarmi... me la sarei vista io con quelli. Non gli avrei permesso di farla franca quando le hanno rifiutato l'autorizzazione per una visita specialistica.» «Non capisci, Billy. Il dottor Kirkwood si è prodigato in tutti i modi per mandarla dallo specialista. Ora hanno dato il benestare per l'intervento. Se la caverà.» «Resta il fatto che non ce l'ha mandata abbastanza in fretta.» Josephine Gallo si agitò. Udiva le voci del marito e del figlio e aveva la vaga sensazione di essere lei l'oggetto della discussione. Si sentiva insonnolita, senza peso. Per certi versi era una sensazione piacevole; le sembrava quasi di galleggiare e poteva ignorare la lite. Era stanca di supplicare Tony di aiutare il figlio quando questi si ritrovava disoccupato tra un ingaggio e un altro. Billy era un bravo musicista e non era fatto per un impiego fisso in ufficio, ma Tony si rifiutava di capirlo. Eppure, quelle voci irose la disturbavano. Non voleva che litigassero. Ripensò al dolore che quella mattina l'aveva strappata al sonno; lo stesso dolore di cui aveva parlato al dottor Kirkwood. Ora le voci sembravano essersi fatte più forti e lei avrebbe voluto dir loro di smetterla, di smetterla, per favore. Poi in lontananza echeggiò uno scampanio. Sentì un rumore di passi in corsa. E un dolore simile a quello che l'aveva destata al mattino. Un'ondata di dolore che cresceva sempre di più. Allungò la mano per toccarli: «Tony... Billy...» Mentre esalava l'ultimo respiro, sentì le loro voci, piene d'urgenza, di paura, gridare all'unisono: «Mammaaaaaaaa», e «Josieeeeeeeee». Poi più nulla. 23
Erano le dodici e un quarto quando Fran entrò nell'atrio del Lasch Hospital. Mentre si guardava intorno, lottava con fermezza contro i vecchi ricordi: lei che entrava lì di corsa, incespicando, stretta a sua madre. Individuò quasi subito il banco dell'accettazione, che per fortuna era al capo opposto della sala. Non le andava di essere avvicinata da una volontaria o da un addetto alla sicurezza desiderosi di indirizzarla al reparto giusto. Ma si era preparata anche a quell'evenienza: avrebbe detto che era venuta a prendere un'amica in visita a un ammalato. Uno qualunque. Si guardò intorno. Divanetti e sedie di similpelle verde, con i braccioli e le gambe di finto legno. Meno della metà dei posti a sedere era occupata. A sinistra dell'accettazione c'era un corridoio e una freccia che con la scritta ASCENSORI. Poi Fran trovò finalmente quello che stava cercando, l'insegna che indicava il bar. Mentre si dirigeva rapidamente da quella parte, passò davanti all'edicola. Bene in vista, sulla prima pagina del settimanale di quartiere c'era una foto di Molly davanti al carcere. Si cacciò le mani in tasca alla ricerca di qualche moneta. Aveva fatto in modo di arrivare prima della ressa dell'ora di pranzo e sulla soglia del bar indugiò un secondo a guardare di nuovo in giro. I tavoli erano almeno una ventina e lungo il bancone erano allineati una dozzina di sgabelli. Dietro il banco, vide due donne avvolte in grandi grembiuli a righe, sicuramente volontarie. Alcuni sgabelli erano occupati, mentre una decina di persone era sparpagliata tra i vari tavoli. Tre medici in camice bianco erano impegnati in un'animata conversazione vicino a una finestra. Accanto a loro c'era un tavolino vuoto. Doveva mettersi lì? si chiese, guardando avvicinarsi una delle addette ai tavoli. «Mi siederò al banco», disse in fretta alla donna. Davanti a una tazza di caffè, pensò, le sarebbe stato più facile attaccare discorso con una delle volontarie. Sembravano entrambe sui sessantacinque anni e forse lavoravano lì già sei anni prima, quando a dirigere l'ospedale era ancora Gary Lasch. La donna che le servì il caffè e un bagel portava una targhetta con la faccia di Smiley su cui era scritto: «Salve, sono Susan Branagan». Di aspetto gradevole, con i capelli bianchi e modi spicci, era evidentemente convinta che far parlare la gente facesse parte delle sue mansioni. «Proprio non si direbbe che mancano solo due settimane alla primavera», esordì.
Era l'occasione che Fran stava aspettando. «Io vengo dalla California. Non mi sarà facile riabituarmi al clima della East Coast.» «È venuta a trovare qualcuno?» «Sto aspettando un'amica che è da un paziente. Lei lavora qui da molto?» Il viso di Susan Branagan s'illuminò. «Ho appena festeggiato i dieci anni.» «Trovo che sia magnifico.» Fran era sincera. «Mi sentirei persa se non dovessi più venire qui tre volte alla settimana. Sono vedova, i miei ragazzi sono già sposati e hanno una loro vita. Che altro potrei fare, me lo dica lei?» Una domanda retorica che non necessitava di una risposta. «Dev'essere gratificante», commentò Fran. Con disinvoltura, posò il giornale sul banco, sistemandolo in modo che all'altra non sfuggissero la foto di Molly con la didascalia: «La vedova del dottor Lasch protesta la sua innocenza». La signora Branagan scosse la testa. «Lei viene dalla California e probabilmente non lo sa, ma un tempo era il dottor Lasch a dirigere questo ospedale. La sua morte causò un grosso scandalo. Solo trentasei anni e un così bell'uomo.» «Che cosa successe?» «Oh, aveva una storia con un'infermiera e la moglie... be', immagino che la poveretta abbia avuto un attacco di follia o qualcosa del genere. All'epoca sostenne di non ricordare di averlo ucciso, anche se naturalmente nessuno le credette. Che tragedia! Ma la cosa più triste era che l'infermiera, Annamarie, era una ragazza dolcissima. L'ultima persona al mondo che potesse avere una storia con un uomo sposato.» «Succede di continuo», osservò Fran. «Proprio così. Però fu una sorpresa per tutti. C'era quell'altro dottore... proprio un ragazzo simpatico... a cui lei piaceva moltissimo. Eravamo tutti convinti che prima o poi si sarebbero messi insieme, ma immagino che il dottor Lasch le abbia fatto girare la testa. Comunque sia, il povero dottor Morrow, che riposi in pace, rimase al palo.» Il dottor Morrow. Che riposi in pace. «Non starà parlando del dottor Jack Morrow?» «Lo conosceva?» «Lo incontrai una volta, anni fa, durante un breve soggiorno qui a Greenwich.» Fran ricordava bene il viso gentile del giovane medico che aveva
cercato di consolarla, quella terribile sera di quattordici anni prima, quando con sua madre lei aveva raggiunto in ospedale il padre morente. «Gli spararono nel suo studio, solo due settimane prima dell'omicidio del dottor Lasch. Scassinarono il dispensario.» Susan Branagan sospirò. «Due giovani medici, entrambi morti in modo violento. So che i due episodi non sono collegati, ma all'epoca sembrò una tragica coincidenza.» Una coincidenza? pensò Fran. Quando tutt'e due gli uomini assassinati erano in qualche modo legati ad Annamarie Scalli? Esistono le coincidenze, quando si tratta di omicidio? 24 Tre notti a casa, pensava Molly. Tre mattine di fila che mi sveglio nel mio letto, in camera mia. Quel giorno si era destata pochi minuti prima delle sette, era andata di sotto a prepararsi il caffè e dopo averlo versato nella sua tazza preferita, era tornata di sopra. Di nuovo a letto, appoggiata a una pila di cuscini, lo sorseggiò lentamente. Si guardò intorno, acutamente consapevole di un ambiente che nei cinque anni del suo matrimonio aveva dato per scontato. Durante le notti insonni in carcere aveva pensato spesso alla sua camera, con il tappeto color avorio, morbido sotto i suoi piedi, la trapunta di seta fresca sulla pelle, i soffici cuscini in cui affondava la testa e le tende accostate in modo da poter contemplare il cielo notturno, come spesso faceva mentre suo marito dormiva accanto a lei. Era stato in quelle lunghe notti che la sua mente si era lentamente schiarita e lei aveva cominciato a porsi le domande che ora la ossessionavano. Domande come: Se Gary non si era fatto scrupolo d'ingannare sua moglie, possibile che fosse disonesto anche in altri aspetti della sua vita? Con l'idea di fare una doccia, si diresse verso il bagno, ma non resistette alla tentazione di fermarsi davanti alla finestra. Un gesto da nulla, che le era stato negato per cinque anni e mezzo; non era facile riabituarsi alla libertà. Era un'altra giornata grigia e c'erano lastre di ghiaccio sul vialetto, ma d'impulso lei decise di uscire a correre. Correre in libertà, pensò mentre indossava la tuta. E sono libera... libera di uscire senza chiedere il permesso e senza aspettare che aprano le porte. Un'improvvisa esaltazione la invase e dieci minuti dopo trottava lungo le vecchie strade familiari che ora le apparivano del tutto nuove. Ti prego, fa' che non incontri nessuno che conosco. E che nessun auto-
mobilista di passaggio mi riconosca. Oltrepassò la casa di Kathryn Busch, un bell'edificio coloniale all'angolo con Lake Avenue. Anni prima, ricordò, Kathryn faceva parte del consiglio di amministrazione della Philharmonic Society e si prodigava per costituire un gruppo locale di musica da camera. Proprio come Bobbitt Williams, pensò ancora Molly, visualizzando un volto ormai quasi cancellato dalla memoria. Era in classe con me, Jenna e Fran, anche se lei e io non abbiamo mai legato molto. Poi si trasferì a Darien. Mentre correva, metteva lentamente a fuoco nella sua mente persone, case e strade. Notò che i Brown avevano aggiunto una nuova ala. I Cates avevano ridipinto la facciata. Di colpo si rese conto che era la prima volta che usciva, che percorreva di nuovo quei marciapiedi dal giorno in cui l'avevano ammanettata e fatta salire sul cellulare che doveva condurla alla prigione di Niantic. Il vento era freddo ma tonificante... aria fresca e pulita che le accarezzava i capelli e le riempiva i polmoni, facendola sentire più viva a ogni passo. Respirava con affanno e i muscoli cominciavano a dolerle. Dopo un giro di tre chilometri e mezzo, fece ritorno a casa. Stava puntando verso la porta della cucina ma un impulso improvviso la spinse a tagliare attraverso il prato e a costeggiare l'edificio per quasi tutta la lunghezza, sino a fermarsi davanti alla finestra dell'ex studio di Gary. Rimase lì e, scostati i cespugli, guardò dentro. Per una frazione di secondo fu quasi certa che avrebbe rivisto la bella scrivania Wells Fargo di suo marito, le pareti rivestite di pannelli di mogano, le librerie traboccanti di testi medici, di sculture e dipinti di cui lui era stato un appassionato collezionista. Ma vide solo una stanza anonima, una delle tante di una casa troppo grande per una persona sola. Il divano ricoperto di chintz, i tavoli di rovere le parvero impersonali, privi di qualunque attrattiva. Ero sulla porta e guardavo fuori. Il pensiero le balenò nella mente e un istante dopo era già scomparso. Consapevole che qualcuno avrebbe potuto vederla mentre spiava nella sua stessa casa, Molly tornò sui suoi passi ed entrò in cucina. Aveva tempo per una tazza di caffè e un muffin prima che arrivasse la signora Barry, pensò sfilandosi le scarpe da jogging. La signora Barry. Wally.
Perché improvvisamente aveva pensato a lui? si chiese mentre saliva le scale. Ora una bella doccia le ci voleva proprio. Fran la chiamò dal suo ufficio nel tardo pomeriggio. «Una domanda veloce», esordì. «Tu per caso conoscevi il dottor Jack Morrow?» La mente di Molly tornò in un baleno alla mattina quasi dimenticata di tanti anni prima, in cui una telefonata aveva sorpreso lei e Gary mentre facevano colazione. Era stato lui a rispondere e a Molly era bastato guardarlo in viso per capire che era successo qualcosa di grave. Suo marito aveva riagganciato e in un sussurro aveva bisbigliato: «Hanno trovato Jack Morrow morto nel suo ufficio. Gli hanno sparato ieri sera, non si sa a che ora». «Lo conoscevo appena», rispose ora lei a Fran. «Lavorava in ospedale e mi capitava d'incontrarlo alle feste natalizie o in altre occasioni simili. Fu ucciso appena due settimane prima di Gary.» Subito si chiese che impressione avrebbe fatto all'amica quella sua affermazione. Fu ucciso. Quanto meno, si disse, nessuno può accusarmi di essere coinvolta anche nella morte di Jack Morrow. Quella sera Gary e io eravamo a una cena. Lo disse a Fran. «Non volevo certo insinuare che tu c'entrassi in qualche modo con la morte di Morrow», protestò l'altra. «Se ho fatto il suo nome è solo perché mi sono imbattuta in un'informazione interessante. Sapevi che era innamorato della Scalli?» «No. Non lo sapevo.» «Devo assolutamente parlare con Annamarie. Conosci qualcuno in grado di indicarmi dove possa trovarla?» «Ho già chiesto a Jenna di mobilitare Calvin a questo proposito, ma pare che lui non voglia aiutarmi.» Fran non rispose subito. «Non mi avevi detto che stavi cercando di metterti in contatto con quella donna», disse alla fine. La sorpresa della sua amica era quasi palpabile. «Il mio desiderio di parlare con Annamarie non ha nulla a che vedere con le tue indagini», si affrettò a spiegare Molly. «C'è un collegamento diretto fra i cinque anni e mezzo che ho passato in carcere e la sua relazione con mio marito. È strano pensare che una sconosciuta abbia avuto una tale influenza sulla mia vita. Senti, facciamo un patto... se dovessi individuarla, o comunque scovare qualche informazione utile su di lei, te lo dirò, e tu farai lo stesso. D'accordo?»
«Devo pensarci», replicò Fran. «Ma una cosa posso dirtela già da adesso: ho intenzione di chiamare il tuo avvocato. Annamarie avrebbe potuto deporre al processo, quindi è probabile che lui abbia il suo ultimo recapito conosciuto.» «Ne ho già parlato con Philip; giura di non averlo.» «Ci proverò comunque, non si sa mai. Ora devo scappare.» Fran fece una pausa. «Stai attenta, Molly.» «Strano, Jenna l'altra sera mi ha fatto la stessa raccomandazione.» Mentre riattaccava, Molly ripensò a quello che lei aveva detto a Philip Matthews... se le fosse accaduto qualcosa, almeno avrebbero avuto la prova che le sue affermazioni avevano messo in allarme qualcuno. Il telefono squillò di nuovo. Erano i suoi, che la chiamavano dalla Florida. Parlarono del più e del meno per un po' prima di affrontare la questione del come «se la cavava tutta sola in quella casa». Dopo averli rassicurati, lei chiese alla madre: «Che fine ha fatto il contenuto della scrivania di Gary?» Gli inquirenti avevano sequestrato tutto tranne i mobili, le spiegò la madre. «E dopo il processo, io stessa ho imballato quello che ci è stato restituito e l'ho messo in solaio.» Molly si scoprì improvvisamente ansiosa di concludere la conversazione e salire in solaio. Lì, come la madre le aveva detto, trovò le scatole ordinatamente impilate sugli scaffali. Scartò quelle contenenti libri e soprammobili, quadri e riviste, per concentrarsi sulle due che avevano l'etichetta SCRIVANIA. Sapeva quello che stava cercando: l'agenda personale e quella di lavoro che Gary teneva nel primo cassetto. Forse troverò qualche appunto che tni darà almeno un'idea di ciò che stava accadendo nella sua vita, si disse. Aprì il primo scatolone, timorosa di quello che forse vi avrebbe trovato, ma decisa a non lasciare nulla di intentato. 25 Sette anni fa le nostre vite erano talmente diverse, pensò Barbara Colbert mentre contemplava dal finestrino dell'auto il paesaggio che le era diventato familiare. Come ogni settimana Dan, il suo autista, la stava accompagnando dall'appartamento sulla Quinta Avenue fino al cronicario Natasha Colbert, situato sui terreni del Lasch Hospital. Una volta giunti a destinazione, Barbara indugiò in macchina qualche minuto, preparandosi al com-
pito che l'aspettava, consapevole che nell'ora successiva il suo cuore avrebbe sanguinato mentre lei stringeva la mano di Tasha e pronunciava parole che l'altra forse non avrebbe udito, e certamente non avrebbe compreso. A settantacinque anni era una donna dal portamento eretto e con folti capelli candidi, ma sapeva di essere invecchiata di colpo nel periodo successivo all'incidente. Nella Bibbia si fa riferimento a cicli di sette anni dominati di volta in volta dall'abbondanza e dalla carestia, pensò mentre si allacciava il primo bottone della giacca di visone. Ma la ciclicità implica un cambiamento, mentre lei era consapevole che non c'erano più cambiamenti possibili per Tasha, ormai da sette anni ridotta a un vegetale. Tasha, che ci aveva regalato tanta gioia, si tormentò Barbara... il nostro dono bellissimo e inaspettato. Suo marito Charles aveva cinquant'anni e lei quarantacinque quando era rimasta di nuovo incinta. E con gli altri figli già all'università, pensavano di essersi lasciati per sempre alle spalle gli affanni di una famiglia. Era ogni volta così; il ricordo che l'assaliva quando arrivava al cronicario era quello. All'epoca vivevano a Greenwich. La loro figlia Tasha, che ormai frequentava la facoltà di giurisprudenza ed era a casa per le vacanze, era entrata in sala da pranzo. Aveva le scarpe da tennis, i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo e i suoi occhi azzurri scintillavano di intelligenza. Mancava una sola settimana al suo ventiquattresimo compleanno. «Ci vediamo», aveva detto, ed era uscita. Erano state le ultime parole che loro le avevano sentito pronunciare. Un'ora dopo avevano ricevuto una telefonata che li aveva indotti a precipitarsi al Lasch Hospital. C'era stato un incidente, aveva detto la voce al telefono, e Tasha era stata ricoverata lì. Barbara non aveva dimenticato il terrore che l'aveva attanagliata durante il breve tragitto. «Ti prego, Signore, ti prego...» era l'incoerente preghiera che occupava in modo ossessivo la sua mente. Jonathan Lasch era stato il loro medico di famiglia quando i bambini erano piccoli e Barbara si era sentita sollevata per il fatto che fosse suo figlio Gary a prendersi cura di Tasha. Ma le bastò vedere la faccia del medico al pronto soccorso per capire che era successo qualcosa di molto grave. Tasha era caduta mentre correva e aveva battuto la testa sul cordolo del marciapiede. La ferita di per sé non era grave, ma durante il trasporto in ambulanza si era sviluppata un'aritmia cardiaca.
«Stiamo facendo tutto il possibile», li aveva rassicurati Gary Lasch, ma quasi subito era diventato lampante che c'era ben poco da fare. Privato dell'ossigeno, il cervello di Tasha aveva subito danni irreversibili. A separarla dalla morte era rimasta solo la capacità di respirare in modo autonomo. Tutto il denaro del mondo, la proprietà del quotidiano più importante del paese... pensò ora Barbara, eppure non siamo riusciti a salvare la nostra unica figlia femmina. Con un cenno del capo segnalò a Dan che era pronta. Notando la rigidità dei suoi movimenti, l'uomo la prese delicatamente per il gomito. «Per terra potrebbe esserci un po' di ghiaccio, signora Colbert», spiegò. «L'accompagno alla porta.» Quando lei e suo marito avevano finalmente accettato l'idea che Tasha non si sarebbe mai più ripresa, Gary Lasch aveva suggerito di farla ricoverare in seguito nel cronicario che a quei tempi era in via di costruzione. Aveva mostrato loro i progetti della modesta struttura e per i Colbert era stato un aiuto e una distrazione seguire i lavori e fare una donazione che aveva modificato completamente i progetti iniziali: ora ogni stanza era spaziosa e piena di luce, con un bagno privato, arredamento confortevole e attrezzature mediche all'avanguardia. Adesso i residenti della struttura, persone la cui vita, come per Tasha, si era inaspettatamente e bruscamente infranta, ricevevano tutto il conforto che il denaro e un'assistenza adeguata potevano offrire. A Tasha era stata riservata una suite di tre stanze, una copia esatta del suo appartamento a casa. Con lei c'erano sempre un'infermiera e un'inserviente, e la musica classica che aveva tanto amato si udiva in sottofondo di giorno e di notte. Ogni mattina la giovane veniva trasferita dai letto al soggiorno, che si affacciava su un giardino privato. Ginnastica passiva, massaggi, pedicure e manicure mantenevano il suo corpo bello e in forma. I capelli, di un rosso ancora fiammeggiante, erano lavati e spazzolati quotidianamente. I suoi pigiami e le sue vestaglie erano di seta e le infermiere avevano l'ordine di parlarle come se fosse in grado di capire tutto. Per mesi, Barbara e Charles erano andati a trovare Tasha quasi ogni giorno. Ma i mesi erano diventati anni e infine, logorati nella psiche come nel corpo, i genitori avevano ridotto le visite a due alla settimana. Quando poi Charles era morto, sia pure con riluttanza Barbara aveva seguito il consiglio dei figli e venduto la casa di Greenwich per stabilirsi definitivamente a New York. Ora compiva quel breve viaggio solo una volta alla
settimana. Attraversò l'accettazione e imboccò il corridoio che portava alla suite della figlia. Tasha era in soggiorno, seduta sul divano, ma la madre sapeva che erano le cinghie nascoste dal copriletto a impedirle di scivolare sul pavimento, una precauzione contro eventuali ferite che potevano causarle i movimenti involontari che a volte le contraevano i muscoli. In preda come sempre all'angoscia, Barbara studiò il viso sereno della figlia. A volte le sembrava di cogliere un battito di ciglia, di udire un sospiro e allora la speranza, irragionevole quanto irreprimibile, tornava a travolgerla. Si sedette sul divano e le prese la mano. Per l'ora successiva le parlò della famiglia. «Amy va all'università, te l'immagini, Tasha? Aveva solo dodici anni all'epoca del tuo incidente. Ti assomiglia molto. Potrebbe quasi essere tua figlia, non solo tua nipote. E George Jr. ha un po' nostalgia di casa, ma per il resto se la passa benissimo alla scuola preparatoria.» Al termine della visita, stanca ma in pace, baciò Tasha sulla fronte e chiamò l'infermiera. Il dottor Peter Black l'aspettava nell'atrio. Quando Gary Lasch era stato assassinato, i Colbert avevano preso in considerazione l'opportunità di trasferire altrove la figlia, ma il nuovo direttore era riuscito a dissuaderli. «Come ha trovato Tasha oggi, signora Colbert?» «Come al solito, dottore. Ed è più o meno tutto quello che potevo aspettarmi, non crede?» Barbara non negava l'irragionevolezza dei propri sentimenti nei confronti del dottor Black. Gary Lasch lo aveva scelto come socio e lei non poteva certo accusarlo di trascurare sua figlia. Ma non riusciva a trovarlo simpatico. Forse era per via della sua amicizia con Calvin Whitehall, che Charles definiva con disprezzo un «aspirante bandito». Quando si fermava a Greenwich e cenava al club con le sue amiche, Barbara vedeva spesso i Black e gli Whitehall insieme. Mentre si allontanava dopo avergli augurato buonasera, la donna non poteva sapere che il medico la stava seguendo con lo sguardo, ricordandosi di quel terribile giorno in cui Tasha era entrata in coma e Annamarie Scalli, sconvolta, aveva urlato a Gary: «Questa ragazza è arrivata qui solo con una leggera commozione cerebrale. E voi due ora l'avete distrutta!» 26 Per quasi sei anni Philip Matthews aveva creduto di aver svolto il suo
lavoro nel migliore dei modi, strappando per Molly Lasch una condanna tanto mite. Cinque anni e mezzo per l'omicidio di un giovane medico con un'aspettativa di vita di altri trentacinque anni erano uno scherzo. Come spesso aveva ripetuto a Molly durante le sue visite in carcere: «Quando sarai fuori, potrai buttarti alle spalle tutto questo». Ma ora lei era fuori e stava facendo esattamente il contrario. Lei, evidentemente, non pensava affatto di essersela cavata con poco. Ora per Philip la cosa più importante era proteggerla dagli avvoltoi che inevitabilmente avrebbero tentato di sfruttarla. Fran Simmons, per esempio. Nel tardo pomeriggio di venerdì, mentre si preparava ad andarsene, la segretaria gli annunciò la telefonata della giornalista. Philip era tentato di farle dire che era già uscito, ma poi decise che tanto valeva liquidare al più presto la faccenda. Il suo saluto fu gelido, ma Fran non parve farci caso e andò dritta al punto: «Lei deve avere una copia dei verbali del processo fatto a Molly, avvocato. Vorrei poterli visionare al più presto». «Signorina Simmons, mi risulta che lei è stata a scuola con Molly, quindi è alla vecchia amica che mi rivolgo, pregandola di rifletterci bene. Sappiamo entrambi che la sua trasmissione non farà che danneggiare ulteriormente la mia assistita.» «Sarebbe possibile averne una copia per lunedì?» fu la brusca replica di Fran, che poi aggiunse: «Credevo sapesse che ho la piena collaborazione di Molly in questo progetto. Anzi, è stata lei stessa a proporlo». Philip decise di tentare un approccio diverso. «Posso fare di meglio. Gliela farò avere domani, ma devo comunque pregarla di pensarci bene, prima di intraprendere qualsiasi iniziativa. Credo che Molly sia molto più fragile di quanto non appaia. Se nel corso delle indagini lei dovesse convincersi della sua colpevolezza, io dovrò chiederle di cancellare la trasmissione. Molly non otterrà comunque la riabilitazione a cui aspira. Non la distrugga con un altro verdetto di colpevolezza solo per fare contenti i teledipendenti che sbavano alla vista del sangue.» «Prenda nota del mio indirizzo.» Fran quasi sputò le parole, nella speranza di convogliare lì tutta la collera che l'animava. «Le passo la mia segretaria. Arrivederci, signorina Simmons.» Dopo la telefonata, Fran si alzò e andò alla finestra. La aspettavano in sala trucco, ma prima aveva bisogno di calmarsi. Senza averlo mai incontrato, provava un'avversione profonda per Philip Matthews, anche se era
consapevole della sincerità del suo desiderio di proteggere Molly. Per la prima volta le venne da domandarsi se qualcuno avesse mai preso in considerazione un'altra spiegazione per la morte di Gary Lasch. I genitori e gli amici di Molly, Matthews, la polizia di Greenwich e il procuratore di stato che l'aveva perseguita... sembrava che tutti avessero dato per scontata la sua colpevolezza fin dall'inizio. Ed è esattamente quello che sto facendo anch'io, pensò poi. Forse è arrivato il momento di guardare le cose da un'angolazione diversa. Molly Carpenter Lasch non ha ucciso suo marito, Gary Lasch, disse tra sé. tanto per vedere che effetto faceva. Si chiese dove avrebbero potuto condurla quelle parole. 27 Quel venerdì pomeriggio, alla fine del giro di visite, Annamarie Scalli tornò direttamente a casa. Il fine settimana incombeva su di lei e sapeva che non sarebbe stato facile. I media si erano occupati molto di Molly Lasch, tornata in libertà il martedì mattina, e già la metà dei suoi pazienti aveva accennato al suo caso. Annamarie sapeva che era solo una coincidenza, che nessuno era al corrente del suo coinvolgimento. I suoi assistiti erano costretti a casa e passavano un'infinità di tempo davanti al televisore, a guardare per lo più sempre gli stessi programmi, soprattutto gli sceneggiati. Un caso giudiziario su un crimine avvenuto nella zona dava loro qualcosa di nuovo, di diverso, su cui rimuginare... una giovane donna della buona società che dichiarava di non aver ucciso il proprio marito, benché avesse accettato il patteggiamento e trascorso alcuni anni in carcere. I commenti erano stati diversi; la spigolosa signora O'Brien sosteneva che Lasch aveva avuto quello che tutti i mariti si meritavano, mentre il signor Kunzman era dell'avviso che, se fosse stata nera e povera, Molly Lasch si sarebbe beccata almeno vent'anni di prigione. Ma per Gary Lasch, anche un solo giorno di carcere era troppo, pensò Annamarie, mentre apriva la porta del suo appartamento al pianterreno. Peccato che io allora fossi troppo sciocca per capirlo. La cucina era così piccola che al confronto, amava scherzare lei, la cambusa di un aereo sarebbe sembrata spaziosa, ma aveva fatto il possibile per rallegrarla, tinteggiando il soffitto di azzurro e dipingendo sulle pareti un grande tralcio di fiori, in modo da trasformarla in una sorta di piccolo giardino coperto.
Quella sera neppure la vista della vivace stanzetta bastò a rallegrarla. I vecchi ricordi l'avevano sprofondata nella solitudine e nella tristezza e si rendeva conto che andarsene per lei sarebbe stata la cosa più saggia. C'era un solo posto dove avrebbe trovato il conforto necessario: sua sorella maggiore, Lucy, viveva a Buffalo, nella casa dove loro erano cresciute. Annamarie decise che quella era l'occasione giusta per tornarci. Finì di mettere via la spesa, poi andò al telefono. Trentacinque minuti più tardi, gettava sul sedile posteriore dell'auto una sacca riempita alla bell'e meglio e, sentendosi di umore meno tetro, avviava il motore. La lunghezza del viaggio non la preoccupava e ne approfittò per riflettere, soprattutto per rimpiangere. Rimpiangere di non avere ascoltato i consigli della madre. Di essere stata così sciocca. E disprezzarsi per essersi lasciata tentare da Gary Lasch. Se solo fosse riuscita a sforzarsi di amare veramente Jack Morrow, se solo si fosse resa conto di quanto già teneva a lui. Con rinnovato senso di colpa ricordò la fiducia e l'amore che aveva letto nei suoi occhi. Aveva ingannato Jack come tutti gli altri, e quel poveretto non aveva mai saputo né sospettato che lei avesse una relazione con Gary. Era mezzanotte passata quando arrivò, ma Lucy aveva riconosciuto la sua auto ed era già sulla porta. Annamarie afferrò la sacca e un istante dopo era tra le braccia della sorella. Lei l'avrebbe aiutata a tenere a bada le sconfortanti considerazioni su quello che avrebbe potuto essere. 28 Il sabato mattina, Edna Barry si svegliò di soprassalto. Quello era il giorno dell'appuntamento con la giornalista e lei voleva essere certa che Wally non fosse nei paraggi quando Fran Simmons fosse arrivata. Già da parecchi giorni lui era di cattivo umore e da quando aveva visto Molly in televisione continuava a ripetere che voleva andare a trovarla. La sera prima aveva annunciato che non sarebbe andato al circolo dove di solito trascorreva il sabato. Chiederò a Marta di tenerlo con sé, decise Edna. Lei e Marta Gustafson Jones erano vicine di casa da trent'anni e si erano consolate a vicenda durante le malattie e vedovanza. Affezionatissima a Wally, Marta era una delle poche persone in grado di calmarlo quando era agitato. Fran arrivò alle undici, e con Wally al sicuro dall'amica, Edna poté accoglierla in modo ragionevolmente amabile e perfino offrirle un caffè, che
l'altra accettò. «Perché non andiamo a sederci in cucina?» suggerì la giornalista mentre si sbottonava il cappotto. «Se vuole.» Edna era giustamente orgogliosa della sua cucina immacolata, dove troneggiava il tavolo in legno d'acero che aveva comprato a una svendita. Una volta seduta, Fran prese il registratore dallo zaino e lo posò sul tavolo. «Se sono qui, signora Barry, è perché desidero aiutare Molly, e sono sicura che anche lei lo vuole. Ecco perché le chiedo il permesso di registrare la nostra conversazione. Potrebbe saltar fuori qualcosa di utile. Mi sto rendendo conto che Molly è sempre più convinta di non essere la responsabile della morte del marito. Anzi, sta cominciando a ricordare alcuni particolari di quella sera ed è certa che ci fosse qualcun altro in casa, quando lei tornò da Cape Cod. Se si riuscisse a dimostrarlo, si potrebbe ottenere un proscioglimento, o almeno la riapertura delle indagini. Non sarebbe magnifico?» Edna Barry stava preparando il caffè. «Naturalmente», rispose. «Oh, santo cielo», esclamò poi. Aveva versato l'acqua sul piano da lavoro. Le trema la mano, notò Fran. C'è qualcosa in questa faccenda che la preoccupa. Era piuttosto nervosa l'altro giorno quando l'ho incontrata a casa di Molly, e lo era ancora di più quando le ho telefonato. Mentre l'aroma del caffè si diffondeva nella stanza, Fran si prodigò per mettere la donna a proprio agio e indurla ad abbassare la guardia. «Sono andata a scuola con Molly alla Cranden», esordì. «Gliel'ha detto?» «Sì, me l'ha detto.» Edna tirò fuori tazze e piattini dall'armadietto e li posò sul tavolo. Prima di sedersi, sbirciò per un istante Fran al di sopra delle lenti. Sta pensando a mio padre, intuì Fran, ma si sforzò di allontanare quell'idea molesta. «Mi risulta, però, che lei la conosca ancora da prima.» «Oh, sì. Lavoravo per i suoi genitori quando Molly era solo una bambina. Poi si trasferirono in Florida, subito dopo il suo matrimonio, e io andai a lavorare per lei.» «Dunque conosceva bene anche il dottor Lasch?» Edna ci pensò su. «Sì e no, direi. Lavoravo da loro tre mattine alla settimana. Arrivavo alle nove, quando il dottore era già uscito, e di rado lui tornava a casa per l'una, quando io me ne andavo. Ma se Molly dava una cena, cosa che accadeva spesso, l'aiutavo a servire in tavola e poi a riordi-
nare. Quelle erano le uniche occasioni in cui li vedevo insieme. Lui era sempre molto gentile.» Eppure, parlando aveva serrato le labbra, come se non trovasse particolarmente gradevole l'argomento. «Le sembravano felici insieme?» domandò Fran. «Fino al giorno in cui trovai Molly agitatissima, mentre preparava i bagagli per andare a Cape Cod, non li avevo mai sentiti litigare. Le dirò, in precedenza avevo avuto spesso la sensazione che le giornate fossero un po' troppo lunghe per lei. Lavorava come volontaria in città e so che è un'ottima golfista, ma a volte mi confessava di sentire la mancanza di un impiego. Certo, anche lei ha avuto i suoi brutti momenti. Era così ansiosa di mettere su famiglia, ma dopo l'ultimo aborto cambiò, si fece ancora più quieta, più riservata.» Nulla di quanto Edna le aveva detto le sarebbe stato di qualche aiuto, considerò Fran una mezz'ora dopo, mentre finiva la seconda tazza di caffè. Le restava ancora qualche domanda da fare, e non si poteva dire che fino a quel momento la sua interlocutrice si fosse mostrata particolarmente disponibile. «Signora Barry, l'allarme non era inserito quando lei arrivò dai Lasch, quel lunedì mattina, vero?» «No, infatti.» «Pensò per caso di controllare le porte, nell'eventualità che un estraneo si fosse introdotto in casa?» «Le porte erano tutte chiuse a chiave.» Di colpo, il tono di Edna si fece ostile e le sue pupille si dilatarono. Ho toccato un punto debole, pensò Fran, e c'è qualcosa che lei non vuole dirmi. «Quante ce ne sono, esattamente?» «Quattro.» La risposta fu immediata. «La porta d'ingresso. Quella della cucina. Si aprono con la stessa chiave. Quella del tinello, che dà sulla veranda ed è l'unica ad aprirsi dall'interno. E la porta della cantina, che era sempre chiusa e sbarrata.» «E lei le controllò tutte?» «No, ma lo fece la polizia, signorina Simmons. Perché non parla con loro?» Fran adottò un atteggiamento più conciliante. «Non sto mettendo in dubbio quello che mi dice, signora Barry.» Apparentemente addolcita, l'altra annuì. «Il venerdì pomeriggio, quando
me ne andai, controllai le porte per assicurarmi che fossero ben chiuse. Il dottor Lasch usava sempre quella principale. E il lunedì mattina il fermo non era stato inserito, il che significa che durante il fine settimana qualcuno aveva aperto la porta.» «Il fermo?» «Sì, Molly lo inseriva sempre di notte. Il lunedì mattina la porta della cucina era chiusa a chiave, di questo sono certissima.» Edna aveva il viso arrossato e sembrava sull'orlo delle lacrime. Ha paura perché pensa di aver distrattamente lasciato la casa aperta? si chiese Fran. «Grazie mille per il suo aiuto, signora Barry, e per la sua gentile ospitalità», disse. «So di averle rubato già abbastanza tempo, ma non è escluso che in seguito debba farle qualche altra domanda, e forse le chiederemo di partecipare alla trasmissione.» «Non ho nessuna intenzione di farlo.» «Ma certo. Come preferisce.» Fran spense il registratore e si alzò. Sulla porta sparò l'ultima domanda: «Signora Barry, ipotizziamo per un momento che ci fosse effettivamente qualcun altro in casa, la sera della morte del dottor Lasch. Per caso sa se nel periodo sussessivo è stata cambiata la serratura di qualcuna delle porte?» «Non che mi risulti.» «Ho intenzione di suggerire a Molly di farlo. Un giorno o l'altro potrebbe trovarsi in casa un estraneo, non crede?» Non c'era più traccia di colore sul viso di Edna Barry. «Signorina Simmons, se lei avesse visto quello che scoprii io quando andai di sopra... Molly sdraiata sul letto, coperta di sangue... saprebbe che quella sera nessun estraneo entrò in casa. La smetta di creare fastidi agli innocenti.» «E chi sono gli innocenti a cui starei creando fastidi, signora Barry?» Questa volta l'altra non replicò, ma le sue labbra erano serrate mentre le apriva la porta. «Ci rivedremo, signora Barry.» Neppure Fran sorrideva. «Ho la sensazione che ci siano ancora molte domande a cui lei dovrà rispondere.» 29 Come Molly sospettava, quando il telefono squillò, quel sabato pomeriggio, era Jenna. «Ho appena parlato con Phil Matthews, il quale mi ha detto che stasera lo hai invitato a cena», furono le sue prime parole. «Approvo.»
«Santo cielo, non metterti in testa chissà che», protestò Molly. «Minacciava di accamparsi davanti alla mia porta e dato che ancora non mi sento di uscire a cena, invitarlo qui mi è sembrata la cosa più logica da fare.» «E noi abbiamo deciso di passare a bere qualcosa, con o senza tuo invito. Cal è ansioso di vederti.» «In effetti non siete invitati», rise Molly. «Ma vi aspetto verso le sette.» «Mol...» Jenna esitò. «Spara, sono pronta a tutto.» «Oh, non è proprio nulla di drammatico, tesoro. È solo che sembri di nuovo te stessa... e questo mi rende immensamente felice.» Me stessa? pensò Molly. Ma chi sono io? «Non c'è niente di meglio delle finestre senza sbarre e di un copriletto di seta», commentò ad alta voce. «Fanno meraviglie per l'anima.» «Vedrai quando ci daremo alla pazza gioia a Manhattan! Che programmi hai per oggi?» Molly non era ancora pronta a rivelare a nessuno, neppure alla sua più cara amica, che contava di esaminare le agende di Gary, in cerca di qualche indizio. Optò per una mezza verità. «Dato che sono la padrona di casa, anche se una padrona riluttante, credo che dovrò darmi da fare in cucina. È passato parecchio tempo dall'ultima volta che ho invitato qualcuno a cena.» Questo almeno era vero. Il resto della verità era che le agende del marito, anche quelle risalenti a parecchi anni prima, la stavano aspettando sul tavolo in cucina. Molly progettava di leggerle con cura, partendo dal giorno dell'omicidio. Dati i suoi innumerevoli impegni, Gary aveva avuto l'abitudine di buttare giù brevi promemoria. Lei si era già imbattuta in parecchie annotazioni del genere: «Ore diciassette, chiamare Molly al club». Con una fitta di dolore ripensò alle volte in cui lui aveva telefonato per chiederle: «Perché avevo scritto sull'agenda di chiamarti?» Alle cinque e mezzo, poco prima di apparecchiare la tavola, Molly trovò l'appunto che cercava, un numero di telefono che ricorreva parecchie volte nell'agenda dell'ultimo anno di vita di Gary. Dal servizio informazioni seppe che era un numero di Buffalo. Lo compose e quando le rispose una donna, Molly chiese di Annamarie. «Sono io», disse quietamente Annamarie Scalli. 30
Lasciata la casa della signora Barry, Fran s'imbarcò in un vero e proprio pellegrinaggio attraverso Greenwich, un'altra incursione nel viale della memoria. Questa volta si spinse fino allo Stationhouse Pub, con l'idea di pranzare lì. Ci andavamo spesso per uno spuntino veloce prima del cinema, rammentò con nostalgia. Ordinò un sandwich di pane di segale con tacchino, il preferito di sua madre. Guardandosi intorno, pensò che era decisamente improbabile che lei rimettesse piede a Greenwich, i ricordi legati a quella città sarebbero stati troppo penosi. L'estate prima del loro trasferimento, la battuta che andava per la maggiore era che, invece di costruire una nuova biblioteca, il comune aveva aderito a un nuovo programma assistenziale, il Fondo Simmons. Che scherzo idiota, pensò ora Fran. Aveva in mente di spingersi fino alla loro vecchia casa, ma poi decise che non se la sentiva. Non oggi, per lo meno, si disse mentre chiamava il cameriere per farsi portare il conto. Philip Matthews era stato di parola. In portineria la aspettava un pacco voluminoso, la copia integrale dei verbali del processo fatto a Molly. Avrebbe voluto leggerli subito ma si ricordò che prima doveva assolutamente sbrigare qualche commissione. Erano le quattro e mezzo quando poté finalmente sprofondare nella sua poltrona preferita con una tazza di tè e i verbali. Non era una lettura gradevole. La tesi del pubblico ministero sembrava solida, senza forzature di sorta: «Ci sono prove di colluttazione? No... la ferita che il dottor Lasch presentava alla testa... cranio fracassato... è stato colpito mentre sedeva alla scrivania e dava le spalle all'aggressore... inerme... l'accusa dimostrerà che c'erano le impronte di Molly Lasch, insanguinate e perfettamente nitide, sull'arma del delitto, che Molly Lasch aveva il sangue di suo marito sul viso, sulle mani e sugli indumenti... che non ci sono segni di effrazione...» Nessun segno di effrazione, pensò Fran. Ovviamente la polizia aveva controllato le porte, ma i verbali non dicevano se una era stata trovata aperta. E Philip Matthews aveva svolto qualche indagine al riguardo? Contrassegnò il brano con l'evidenziatore giallo. Molly Lasch non ha ucciso suo marito, Gary Lasch. Sto cominciando a crederci, si disse. Ora vediamo di fare un altro passo avanti. Immaginiamo che sia stato qualcun altro a uccidere Lasch; in questo caso qualcuno di maledettamente fortunato. La vista del marito morto ha traumatizzato
Molly al punto da impedirle di ragionare con lucidità e senza accorgersene, lei ha fatto tutto quello che poteva per essere incriminata. Ha maneggiato l'arma del delitto, ha toccato il viso e la testa del morto, si è imbrattata con il suo sangue. Imbrattata con il suo sangue. Se Gary era ancora vivo quando Molly lo trovò, aveva forse fatto in tempo a dirle qualcosa? Se non lo aveva colpito lei, allora probabilmente era arrivata pochi istanti dopo l'aggressione. È andata direttamente nello studio e ha trovato il marito mortalmente ferito, ma ancora in vita? Questo spiegherebbe perché lo ha toccato, perché aveva la bocca e il viso sporchi di sangue. Forse cercò di rianimarlo praticandogli la respirazione bocca a bocca? Oppure gliela praticò solo dopo essersi resa conto di quello che aveva fatto? Ma se diamo per scontata la sua innocenza, concluse Fran, adesso là fuori c'è qualcuno che è molto, molto nervoso. Di colpo le piombò addosso la certezza che Molly fosse in grave pericolo. Se quella sera Gary era solo in casa... una casa che, stando alle prove, era chiusa e inaccessibile agli estranei ... eppure, come tutto stava a indicare, non aveva sentito il suo aggressore entrare nello studio, allora la stessa cosa sarebbe potuta capitare anche a lei. Andò al telefono. Penserà che sono pazza, si disse la giornalista, ma la chiamò ugualmente. Il saluto di Molly fu frettoloso. «Ciao, Fran. Dev'essere la giornata», esordì. «Philip Matthews viene a cena, Jenna e Cal hanno insistito per passare di qui a bere qualcosa. E ho appena ricevuto una telefonata di Peter Black. Non era molto felice quando gli ho parlato di te, l'altro giorno, ma questa volta è stato assolutamente civile. Passa anche lui.» «In questo caso non ti trattengo. È solo che... ho saputo dalla signora Barry che le serrature di casa tua non sono mai state cambiate.» «Infatti.» «Be'. stavo pensando che non sarebbe affatto male se tu lo facessi adesso.» «Non ci avevo pensato...» «Quante persone hanno una copia delle chiavi?» «A dire la verità, la chiave è una sola. La porta d'ingresso e quella della cucina hanno serrature identiche, mentre quelle della veranda e della cantina sono sempre chiuse dall'interno. In ogni caso, le copie erano solo quattro. Quella di Gary, la mia, quella della signora Barry e quella di scorta che
tenevamo in giardino.» «Chi è a conoscenza di quest'ultima?» «Nessuno, credo. La tenevamo lì per le emergenze, e non abbiamo mai avuto bisogno di usarla. Gary non dimenticava mai la sua chiave, e io neppure. La signora Barry, poi, non dimentica nulla. Fran, scusami, ma ora devo proprio andare.» «Chiama un fabbro lunedì. Me lo prometti?» «Non corro nessun pericolo, a meno che...» «A meno che tu non abbia avuto la sfortuna di arrivare a casa quando il delitto era appena stato commesso e a meno che qualcuno, ora, tema che tu possa ricordare.» Molly fece un'esclamazione soffocata. Le tremava la voce quando mormorò: «In sei anni, è la prima volta che una persona suggerisce che io possa essere innocente». «Capisci perché voglio che tu faccia cambiare le serrature? Vediamoci, lunedì.» «D'accordo», assentì Molly. «Potrei avere novità interessanti da riferirti.» Chissà che cosa voleva dire, si chiese Fran, riattaccando. 31 Tim Mason aveva progettato di concedersi un ultimo fine settimana sulla neve a Stowe, nel Vermont, ma la telefonata di suo cugino Michael, che abitava a Greenwich, lo aveva costretto a modificare i piani. La madre di Billy Gallo, un vecchio amico di entrambi, era morta per un attacco cardiaco e Michael gli aveva chiesto se lui voleva partecipare alla veglia funebre. Fu così che quel sabato sera Tim si ritrovò sulla Merritt Parkway, diretto nel Connecticut meridionale. Lui e Billy Gallo suonavano insieme nell'orchestra delle superiori, ricordò. Già allora Billy era un ottimo musicista; nell'ultimo anno avevano cercato di costituire una band e le prove si svolgevano sempre a casa sua. La signora Gallo, una donna affabile, ospitale, non mancava mai di invitarli a cena e loro accettavano sempre con entusiasmo. Nella sua cucina aleggiavano in permanenza stuzzicanti fragranze di pane croccante, aglio e salsa di pomodoro. Era lì che si affrettava a raggiungerla il marito, quando rientrava dal lavoro. La vista di lei, affaccendata ai fornelli, gli strappava
un ampio sorriso. «Eccoti di nuovo ad aprire lattine, Josie», diceva invariabilmente. Con una punta di rammarico, Tim pensò ai propri genitori, agli anni che avevano preceduto il loro divorzio e a quanto era stato felice di sfuggire alla crescente freddezza che percepiva tra i due. Il signor Gallo pronunciava quella sciocca battuta tutte le sere e sua moglie rideva sempre, come se fosse la prima volta che la sentiva. Erano evidentemente pazzi l'uno dell'altra. Invece non era mai stato molto vicino al figlio, convinto che Billy sprecasse solo tempo inseguendo il sogno di diventare musicista. Tim rammentò un altro funerale a cui aveva partecipato a Greenwich. All'epoca aveva già terminato gli studi e lavorava come cronista. Gli balenò nella mente l'immagine di Fran Simmons, giovanissima e affranta. In chiesa, i suoi singhiozzi soffocati erano echeggiati per tutta la durata della messa. E mentre la bara veniva issata sul carro funebre, Tim si era sentito una specie di voyeur, venuto lì a prendere appunti mentre accanto a lui il fotografo scattava senza sosta. Quattordici anni avevano cambiato Fran Simmons, e non solo perché era diventata una donna. In lei, la professionalità era come un'armatura invisibile. Tim l'aveva subito avvertito quando si erano incontrati nell'ufficio di Gus. Lo imbarazzava ricordare che, al momento delle presentazioni, il suo pensiero era corso al padre di lei e alla truffa che aveva perpetrato. Perché ora provava la sgradevole sensazione di dovere delle scuse a quella sua collega? Era così immerso nei propri pensieri che rischiò di superare l'uscita per North Street. Tre minuti dopo era arrivato. La sala era affollata di amici della famiglia Gallo. Tim individuò parecchi volti noti, gente che non vedeva da tempo e con cui non aveva più contatti. Mentre aspettava il proprio turno per parlare con Billy e suo padre, alcune persone gli si avvicinarono per salutarlo e complimentarsi per la sua carriera. E quasi tutti accennavano a Fran, che ora lavorava con lui. «È quella Fran Simmons? La figlia dell'uomo che rubò i fondi destinati alla nuova biblioteca, vero?» gli chiese la sorella della signora Gallo. «Mia zia pensa di averla vista al bar del Lasch Hospital», osservò qualcun altro. «Che diavolo ci faceva lì?» Quando gli posero quella domanda, Tim era proprio davanti a Billy Gallo, che con gli occhi gonfi di pianto strinse la mano del vecchio amico. «Se
Fran Simmons sta indagando sull'ospedale, dille che deve cercare di scoprire perché lasciano morire i loro pazienti», affermò. La sua voce era carica di amarezza. Il padre gli sfiorò il braccio. «È stata la volontà di Dio, Billy», sussurrò. «No, papà, non è vero. Un sacco di gente sopravvive a un attacco cardiaco.» La voce del giovane crebbe di volume. Indicò il feretro della madre. «La mamma non dovrebbe essere lì. Sarebbe potuta vivere per altri vent'anni. Ma ai medici del Lasch non importava nulla di lei e l'hanno lasciata morire.» Ora stava singhiozzando. «Tim, tu, Fran Simmons e i vostri colleghi giornalisti dovreste approfondire questa faccenda. Scoprire perché hanno aspettato così a lungo, perché non l'hanno mandata subito da uno specialista.» Poi si coprì il viso con le mani e cedette di nuovo al pianto. Tim gli posò le mani sulle spalle e le tenne lì finché non sentì che si era calmato. La voce triste di Billy era di nuovo tranquilla quando chiese: «Dimmi la verità, Tim. Hai mai assaggiato un sugo migliore di quello che faceva mia madre?» 32 Non capisco perché non mi sia opposta, pensava Molly mentre posava sul tavolo un vassoio di cracker e formaggio. La presenza di Cal e di Peter Black la turbava in un modo che non aveva previsto, distruggendo la serenità che le dava il fatto di essere di nuovo a casa. Le sembrava quasi che la sua intimità fosse stata violata. Quante volte, in passato, i due uomini si erano trovati lì con Gary. Restavano per ore nello studio a discutere... gli altri membri del consiglio di amministrazione del Centro Remington non contavano nulla. Per Molly, quei pochi giorni trascorsi a casa erano stati del tutto diversi dalla vita di un tempo, come se i cinque anni e mezzo di carcere avessero radicalmente mutato la sua percezione della realtà. Prima che Gary morisse credevo di essere felice, si disse. Credevo che l'inquietudine che mi tormentava fosse dovuta solo alla mancanza di un figlio. Ma ecco che ora avvertita di nuovo il vecchio, familiare senso di oppressione, e Jenna se n'era accorta. Aveva insistito per dirottarla in cucina, dove si era data da fare per tagliare il formaggio a cubetti e piegare i tovaglioli.
Apparentemente dimentico della freddezza con cui aveva accolto la sua prima telefonata, quella sera Peter Black sembrava deciso a comportarsi nel modo più amabile. Appena arrivato, aveva baciato Molly sulle guance e le aveva stretto la mano. Il messaggio era chiaro: è stata una terribile tragedia, ma ormai è acqua passata. Lo è davvero? si chiese lei. Possiamo davvero lasciarci tutto alle spalle, l'omicidio, gli anni di carcere, come se nulla fosse accaduto? No, non lo credo, decise mentre guardava i suoi vecchi amici, ammesso che si potesse definirli tali, radunati nel tinello. Peter Black le sembrava a disagio. Perché mai aveva insistito per passare a trovarla? Philip Matthews era l'unico a comportarsi con naturalezza. Era stato il primo ad arrivare, alle sette in punto, con una pianta di amaryllis tra le braccia. «So che muori dalla voglia di lavorare in giardino», le aveva detto. «Forse troverai un angolino anche per questa.» I grandi boccioli rosso chiaro erano splendidi. «Attenta», aveva aggiunto l'avvocato. «L'amaryllis è chiamata anche belladonna, e la belladonna è un veleno.» Ma la leggerezza di quel momento si era dileguata. Ora a Molly perfino l'aria sembrava avvelenata. Cal Whitehall e Peter Black non erano venuti con l'intenzione di darle il benvenuto a casa... lo aveva capito subito. Erano lì per altri loro motivi e questo, forse, spiegava anche l'evidente nervosismo di Jenna. Era stata lei a insistere per quell'incontro. Molly avrebbe voluto dirle che andava tutto bene. Cal era una specie di rullo compressore, lo sapevano entrambe, e se aveva deciso di vedere Molly, sua moglie non sarebbe comunque riuscita a fermarlo. Il vero scopo della visita divenne chiaro fin troppo presto. Fu Cal ad affrontare l'argomento. «Molly, ieri la giornalista televisiva che tu conosci, quella Fran Simmons. era al bar dell'ospedale a fare domande. Ce l'avevi mandata tu?» Lei alzò le spalle. «No, non sapevo neppure che ci fosse andata. Ma per me non è un problema.» «Oh, tesoro, ti prego», mormorò Jenna. «Ma non capisci quello che stai facendo a te stessa?» «Certo che lo capisco.» La sua voce era pacata ma senza incertezze. Cal posò il bicchiere con tanta forza da farlo spruzzare.
Molly si dominò e restò a fissare in silenzio i due uomini che erano stati soci del marito. Cal preferì non ignorare il piccolo incidente. «Vado a prendere qualcosa per asciugare», borbottò saltando in piedi. In cucina, mentre si guardava intorno alla ricerca del rotolo di carta assorbente, la sua attenzione fu attratta da su un appunto scarabocchiato sul calendario appeso al muro. Incuriosito, si mise a leggerlo. Peter Black era paonazzo; quello evidentemente non era il suo primo aperitivo della serata. «Molly, sai che stiamo trattando l'acquisizione di parecchi altri centri di assistenza medica. Se sei decisa a permettere, o addirittura a incoraggiare, la realizzazione di quella puntata televisiva, non potresti almeno chiedere alla Simmons di rimandarla a quando avremo concluso l'accordo?» Dunque è questo a preoccuparli, pensò lei. Temono che io riapra vecchie ferite e che l'infezione contagi anche loro. «Non che ci sia qualcosa da nascondere», riprese il medico in tono enfatico. «Ma non sarebbe la prima volta che chiacchiere e pettegolezzi mandano a monte una trattativa importante.» Sta bevendo scotch, notò Molly. Anni prima era stato un forte bevitore ed evidentemente da allora non aveva modificato le sue abitudini. «Un'altra cosa, Molly», intervenne Jenna «Ti prego di accantonare l'idea di contattare la Scalli. Chissà che cosa potrebbe fare quella donna se pensasse di poterci guadagnare... magari addirittura vendere la sua storia a un giornale scandalistico.» Lei ascoltava in silenzio. Vecchie paure e vecchi dubbi ribollivano sotto la sua calma apparente. «Bene, credo che ne abbiamo parlato abbastanza», intervenne Matthews, rompendo il silenzio carico d'imbarazzo. «Ora perché non passiamo ad altro?» Peter Black, Jenna e Cal se ne andarono di lì a poco. Philip attese che la porta si chiudesse dietro di loro prima di rivolgersi a Molly: «Se preferisci restare un po' da sola, non hai che da dirlo». Sull'orlo delle lacrime, lei annuì. «Sì, sarebbe meglio. Possiamo rimandare la cena a un'altra volta; l'invito è sempre valido, se ti va.» «Certo che mi va.» Molly aveva preparato pollo al vino e riso indiano. Dopo che Philip se ne fu andato, coprì i piatti e li mise in frigorifero. Controllò che le porte fossero chiuse, poi passò in studio. Forse a causa della visita di Cal e di
Peter, avvertì intensamente la sensazione che qualcosa si acquattasse appena fuori della portata della sua mente consapevole, in attesa di affiorare. Ma che cosa? Vecchi ricordi? Vecchie paure che l'avrebbero trascinata in una depressione ancora più profonda? O invece qualcosa che le avrebbero offerto delle risposte, magari aiutandola a fugare le tenebre che minacciavano di ingoiarla? Non poteva far altro che aspettare. Non accese la luce, ma si acciambellò sul divano, con le gambe ripiegate sotto il corpo. Che cosa direbbero Cal, Peter e Philip Matthews, si domandò, se sapessero che ho un appuntamento con Annamarie Scalli domani sera alle otto in una tavola calda di Rowayton? 33 Non c'è nulla come la domenica mattina a Manhattan, pensò Fran quando, aprendo la porta di casa alle sette e mezzo, trovò sullo stuoino una copia del Sunday Times, voluminoso e invitante. Si preparò succo d'arancia, caffè e un muffin e, così equipaggiata, sprofondò nella poltrona, appoggiò i piedi su uno sgabello basso e prese il quotidiano. Poco dopo, però, mise da parte il giornale consapevole di non aver capito quasi nulla di quello che aveva letto. «Sono preoccupata», borbottò, e subito rammentò a se stessa che parlare da soli era un pessimo indizio. Aveva dormito male ed era certa che la sua inquietudine fosse dovuta alle enigmatiche parole con cui Molly le aveva preannunciato possibili novità interessanti. Spero che non si sia messa in testa di condurre una sua indagine privata, si disse. Si alzò per andare a riempire di nuovo la tazza di caffè, poi tornò a sedersi, questa volta decisa a dedicarsi ai verbali del processo. Nell'ora successiva esaminò con attenzione le deposizioni. Quelle degli agenti di polizia arrivati per primi sulla scena del delitto e del medico legale. Quelle di Peter Black e degli Whitehall a proposito dell'ultimo incontro avuto con Gary, poche ore prima della sua morte. A Jenna è costato molto dire certe cose, pensò mentre scorreva la testimonianza della donna. PUBBLICO MINISTERO: Lei parlò con l'imputata nella settimana precedente alla morte del marito, quando la signora Lasch si trovava a Cape
Cod? JENNA: Sì. PUBBLICO MINISTERO: Potrebbe dirci qual era il suo stato d'animo? JENNA: Triste. Era molto triste. PUBBLICO MINISTERO: Era arrabbiata con il marito, signora Whitehall? JENNA: Era sconvolta. PUBBLICO MINISTERO: Non ha risposto alla mia domanda. Molly Carpenter Lasch era arrabbiata con il marito? JENNA: Sì, immagino si possa dire di sì. PUBBLICO MINISTERO: Parlando con lei, espresse un risentimento profondo nei confronti del marito? JENNA: Può ripetere la domanda, per favore? PUBBLICO MINISTERO: Certo e, Vostro Onore, vuol chiedere alla testimone di rispondere senza esitazioni, in modo da non dare adito a dubbi? PRESIDENTE DELLA CORTE: La teste è invitata a rispondere alla domanda. PUBBLICO MINISTERO: Signora Whitehall, nel corso delle conversazioni telefoniche che ebbe con Molly Carpenter Lasch in quella settimana, la signora Lasch espresse un profondo risentimento nei confronti del marito? JENNA: Sì. PUBBLICO MINISTERO: Lei conosceva la ragione per cui Molly Carpenter Lasch era arrabbiata con il marito? JENNA: No, all'inizio no. Gliela chiesi, ma in un primo momento lei non volle dirmela. Si confidò con me solo la domenica pomeriggio. Nel leggere la deposizione di Calvin Whitehall, Fran decise che, intenzionalmente o meno, l'uomo aveva danneggiato non poco l'imputata. Al pubblico ministero dev'essere piaciuta un sacco, pensò. PUBBLICO MINISTERO: Signor Whitehall, lei e il dottor Peter Black vi siete recati a casa del dottor Gary Lasch nel pomeriggio di domenica 8 aprile. È esatto? WHITEHALL: Sì. PUBBLICO MINISTERO: Qual era lo scopo della vostra visita? WHITEHALL: Il dottor Black era preoccupato per Gary. Mi disse che gli era sembrato molto inquieto per tutta la settimana, così decidemmo di
andare a trovarlo. PUBBLICO MINISTERO: Parlando al plurale, lei intende... WHITEHALL: Il dottor Peter Black e io. PUBBLICO MINISTERO: E che cosa successe una volta lì? WHITEHALL: Arrivammo verso le cinque. Gary ci fece accomodare in tinello. Ci offrì un aperitivo, poi disse: «Non è facile per me, ma è arrivato il momento di parlare francamente». Ammise di avere una relazione con un'infermiera dell'ospedale, Annamarie Scalli, e aggiunse che la donna era incinta. PUBBLICO MINISTERO: Il dottor Lasch era preoccupato della vostra possibile reazione? WHITEHALL: Ma certo. Quell'infermiera aveva poco più di vent'anni. Non potevamo non temere le possibili implicazioni... forse addirittura una denuncia per molestie sessuali. Gary, dopo tutto, era il direttore dell'ospedale. Grazie a suo padre, il nome dei Lasch è un simbolo di integrità di cui non beneficiava solo l'ospedale, ma anche il Centro Remington. La prospettiva di uno scandalo ci preoccupava molto. Fran lesse per un'altra ora, prima di posare l'incartamento. Cominciò a massaggiarsi la fronte, nella speranza di prevenire l'emicrania che sentiva inesorabilmente avvicinarsi. Gary Lasch e Annamarie Scalli erano stati abilissimi nel mantenere il segreto, pensò. La scoperta della loro relazione aveva colto di sorpresa anche le persone che erano più vicine a Gary: Molly, Black, gli Whitehall... Ricordò lo stupore espresso da Susan Branagan, la volontaria dell'ospedale. Stando a lei, all'epoca tutti erano convinti che Annamarie Scalli avrebbe finito per fidanzarsi con quel simpatico dottor Morrow. Il dottor Jack Morrow, che era stato ucciso poco prima di Gary Lasch. Erano le dieci. Fran rifletté sull'opportunità di uscire a correre, prima di rendersi conto che in realtà non ne aveva voglia. Potrei guardare che cosa danno al cinema, decise. Vada per un film, avrebbe detto papà. Aveva appena preso in mano la pagina degli spettacoli, in cerca del film giusto nel cinema giusto all'ora giusta, quando squillò il telefono. Era Tim Mason. «Sorpresa», la salutò. «Ho chiesto il tuo numero a Gus; spero che non ti dispiaccia.» «Niente affatto. Se è un sondaggio tra i tifosi quello che stai facendo, sappi che benché abbia vissuto in California per quattordici anni, la mia squadra del cuore resta quella degli Yankees. Non vedo una gran differen-
za tra i Giants e i Jets, ma se proprio fossi costretta a scegliere, opterei per i primi.» Mason rise. «Ecco cosa mi piace: una donna con le idee chiare. No, ho chiamato per chiederti se ti andava di fare un salto da Neary's per il brunch.» Il Neary's Restaurant era vicinissimo all'appartamento di Fran, sulla Cinquantasettesima. Si rese conto di essere non solo sorpresa, ma anche felice dell'invito. In occasione del loro primo incontro, si era risentita nel leggere negli occhi di Tim il riconoscimento e la consapevolezza, ma poi si era detta che quella del giornalista era stata una reazione comprensibile. Non era colpa di nessuno se Tim sapeva che suo padre era un ladro. «Mi farebbe piacere», rispose sinceramente. «A mezzogiorno?» «Fantastico.» «Non metterti in tiro, ti prego.» «Non pensavo di farlo. Sai, la giornata di riposo eccetera eccetera.» Quando riattaccò, Fran parlò da sola per la seconda volta nella mattinata, borbottando: «E questo che cosa diavolo significa? Di certo non si tratta del buon vecchio, classico appuntamento». Da Neary's trovò Tim impegnato in un'animata conversazione con il barista. Portava una camicia sportiva aperta sul collo, giacca di fustagno verde scuro e pantaloni beige. Aveva i capelli arruffati e Fran sentì il tessuto della sua giacca freddo sotto le dita quando gli sfiorò la manica. «Qualcosa mi dice che non hai preso un taxi.» «Non mi piacciono tutti quegli avvisi sull'obbligo di allacciare la cintura di sicurezza», scherzò lui. «Così sono venuto qui a piedi.» Le sorrise. «È bello rivederti, Fran.» Lei indossava le polacchine a tacco basso e di colpo si sentì come quando era in prima elementare... piccola. Il proprietario del locale li accompagnò personalmente a uno dei quattro tavoli d'angolo, segno che Tim Mason era un cliente regolare. Una volta le avevano spiegato che quelli erano i tavoli migliori. Mentre bevevano un Bloody Mary, Tim le raccontò di sé. «I miei lasciarono Greenwich dopo il divorzio. Io avevo appena finito l'università e lavoravo per il Greenwich Time. Ufficialmente ero un praticante, ma di fatto mi consideravano poco più di un fattorino. In seguito mi trasferii altrove.»
«E questo, quanti anni fa?» volle sapere Fran. «Quattordici.» Lei fece un rapido calcolo mentale. «Ecco perché hai riconosciuto il mio nome quando ci hanno presentati. Sapevi di mio padre.» Tim scrollò le spalle. «Già.» Sorrise con aria di scusa. Senza consultare i menu portati dalla cameriera ordinarono entrambi uova strapazzate. Quando furono di nuovo soli, Tim bevve un altro sorso di Bloody Mary. «Non me l'hai chiesto, ma ho intenzione di raccontarti lo stesso la storia della mia vita. Credo che la troverai particolarmente interessante, dato che è ovvio che sai riconoscere i tuoi simili.» È vero che ci assomigliamo, pensò Fran ascoltandolo parlare del suo primo incarico come commentatore sportivo del campionato scolastico di una sconosciuta cittadina nello stato di New York. Poi toccò a lei raccontare del suo apprendistato presso una televisione via cavo di una località vicina a San Diego, dove l'avvenimento più eccitante era la riunione del consiglio comunale. «All'inizio, è giocoforza accettare qualunque incarico», commentò, guadagnandosi un cenno d'assenso. Anche Tim era figlio unico, ma a differenza di lei non aveva fratellastri. «Dopo il divorzio, mia madre si trasferì a Bronxville», spiegò. «È lì che sono cresciuti sia lei sia mio padre. Comperò una casa e sai che cosa fece lui? Ne acquistò una nello stesso complesso. Da sposati non erano mai andati d'accordo, ma adesso escono insieme e nei giorni di festa bevono l'aperitivo a casa di lui e cenano da lei. All'inizio io lo trovavo un po' sconcertante, ma sembra che per loro funzioni.» «Mia madre, fortunatamente, è molto felice, e ne ha tutti i motivi», raccontò a sua volta Fran. «Ormai sono otto anni che si è risposata. Quando le ho detto che sarei tornata a New York, mi ha suggerito di prendere il cognome del mio patrigno. Sai anche tu quanta pubblicità negativa è stata fatta intorno a mio padre.» Tim annuì. «Sì, certo. E hai avuto la tentazione di cambiare cognome?» Fran piegava e spiegava il suo tovagliolo. «No, mai.» «Sei proprio sicura che sia una mossa giusta, scegliere Greenwich come ambientazione per una puntata del tuo programma?» «Probabilmente no, ma perché me lo chiedi?» «Ieri ero a Greenwich, alla veglia di una donna che conoscevo quand'ero ragazzo. È morta per un attacco cardiaco, al Lasch Hospital. Suo figlio è un mio amico ed è sconvolto. Sembra convinto che avrebbero potuto fare
di più per salvare la vita a sua madre e pensa che, già che ci sei, tu dovresti indagare anche sul trattamento riservato ai pazienti del Lasch.» «Davvero avrebbero potuto fare di più per sua madre?» «Non lo so. Forse è solo il dolore a farlo parlare così, ma non mi sorprenderebbe se cercasse di contattarti. Si chiama Billy Gallo.» «Perché dovrebbe chiamarmi?» «Perché ha saputo che ti hanno vista al bar del Lasch Hospital, venerdì. Scommetto che in città si è già sparsa la voce.» Fran scosse la testa, incredula. «Non credevo che il mio viso fosse già diventato così familiare da queste parti. E ti confesso che non mi fa particolarmente piacere.» Alzò le spalle. «Chiacchierando con una volontaria che lavora al bar dell'ospedale, ho raccolto un'informazione interessante. Probabilmente quella donna si sarebbe chiusa a riccio se avesse saputo che sono una giornalista.» «La tua visita lì aveva a che fare con la puntata di True Crime dedicata a Molly Lasch?» «Sì, anche se più che altro cercavo materiale per la ricostruzione dell'ambiente dove si sono svolti i fatti.» Fran non era affatto ansiosa di parlare di Molly. «Tim, tu conosci Joe Hutnik, del Greenwich Time?» «Sicuro. Era già lì quando io lavoravo per il giornale. Un brav'uomo. Perché me lo chiedi?» «Joe non ha una grande opinione dei centri di assistenza in generale, ma sembra convinto che il Remington non sia peggiore degli altri.» «Be', Billy Gallo la pensa diversamente.» Tim colse l'ansia sul viso di lei. «Ma non preoccuparti, è un'ottima persona. È solo che al momento è sconvolto.» Mentre bevevano il caffè, Fran si guardò intorno. Ormai quasi tutti i tavoli erano occupati e nel pub c'era un allegro brusio. Tim Mason è simpatico, pensò. Forse il suo amico mi chiamerà, forse no. Ma il vero messaggio è un altro: Tim mi sta dicendo che tutta Greenwich mi tiene gli occhi addosso e che le vecchie storie, le vecchie battute su mio padre, stanno conoscendo una nuova popolarità. Intenta a osservare la sala, non vide lo sguardo quasi compassionevole di Tim Mason, né capì che lui stava ripensando alla ragazzina che piangeva disperata al funerale del padre. 34
Annamarie Scalli aveva acconsentito a incontrarsi con Molly alle otto di sera in una tavola calda di Rowayton, una cittadina a una quindicina di chilometri a nord-est di Greenwich. Era stata lei stessa a suggerire il luogo e l'ora. «Il locale non è certo granché, ma di domenica è tranquillo, specialmente a quell'ora», le aveva detto. «E sono sicura che nessuna delle due vuole correre il rischio di imbattersi in qualche conoscente.» Alle sei, decisamente presto, Molly era già pronta per uscire. Si era cambiata due volte, sentendosi vestita in modo troppo formale con il tailleur nero e troppo casual con i jeans. Alla fine si era decisa per pantaloni di lana blu scuro e un maglione a collo alto. Aveva raccolto i capelli in uno chignon, fermandoli con le forcine. A Gary era sempre piaciuta quella pettinatura, gli piacevano soprattutto le piccole ciocche che sfuggivano allo chignon e andavano a incorniciarle il viso. La facevano sembrare più vera, diceva. «Sei sempre così perfetta, Molly», ripeteva spesso. «Sempre così sofisticata. Riesci a essere elegante perfino in jeans e felpa.» Lei allora pensava che scherzasse, ma ora non ne era più tanto sicura. Però voleva scoprirlo. I mariti parlano delle mogli con le amanti, pensò. Ho bisogno di sapere che cosa diceva Gary di me ad Annamarie Scalli. E c'è un'altra cosa che voglio chiederle, riguardo alla sera in cui Gary morì. Dopo tutto, anche lei aveva ottimi motivi per essere in collera. Non ho dimenticato il modo in cui lui le parlava al telefono. Alle sette, Molly decise che poteva finalmente mettersi in viaggio. Prese il Burberry dall'armadio al pianterreno e si diresse alla porta, ma all'ultimo momento fece dietrofront e tornò di sopra. Tirò fuori da un cassetto una semplice sciarpa blu e dopo qualche ricerca recuperò un paio di occhiali da sole di Cartier. La montatura, piuttosto grande, era stata di moda sei anni prima e ora probabilmente era più che datata. Ma gli occhiali le avrebbero quanto meno dato la sensazione di essere irriconoscibile. Un tempo, il garage aveva ospitato la sua BMW, la Mercedes di Gary e il furgone nero che lui aveva comperato due anni prima di morire. Molly era rimasta sorpresa dall'acquisto. «Non vai a caccia, non vai a pesca e non andresti in campeggio neppure se ti pagassero. Il bagagliaio della Mercedes è più che sufficiente per le tue mazze da golf. A che ti serve un furgone?» Allora non le era venuto in mente che Gary potesse avere le sue ragioni
per acquistare un veicolo anonimo, identico a mille altri. Era stato un cugino del marito a occuparsi della vendita delle due automobili. Dal carcere, Molly aveva chiesto ai genitori di vendere anche la sua, ma aveva festeggiato il rilascio acquistando una nuova macchina, una berlina blu scuro scelta dal catalogo inviatole da un concessionario. Quella era la prima volta che ci saliva e le piacque l'odore di pulito degli interni. Non guidava da sei anni e le sembrò straordinariamente liberatorio il semplice gesto d'inserire la chiavetta di accensione. L'ultima volta in cui si era messa al volante era stata quella terribile domenica, di ritorno da Cape Cod. Stringevo il volante così forte che mi dolevano le mani, rammentò mentre usciva in retromarcia dal garage e azionava il comando a distanza. Percorse lentamente il lungo viale e uscì in strada. Di norma avrei messo la macchina in garage, ma mi ricordo che quella sera la lasciai davanti a casa. Per quale ragione? Forse perché avevo la borsa e non mi andava di portarla per un tratto troppo lungo? No, era stata l'ansia di vedere subito Gary, di affrontarlo e porgli le stesse domande che ora conto di fare ad Annamarie. Avevo bisogno di sapere quali erano i suoi sentimenti nei miei confronti, perché passava tanto tempo lontano da casa, perché, se il nostro matrimonio non lo soddisfaceva, non me ne aveva parlato con franchezza, invece di lasciare che profondessi tante energie e tanto tempo nel tentativo di essere una buona moglie. Molly serrò le labbra, sentendosi invadere di nuovo dalla vecchia collera, dal vecchio risentimento. Piantala! si ammonì. Piantala subito, oppure fai marcia indietro e tornatene a casa. Annamarie Scalli arrivò al Sea Lamp Diner alle sette e venti. Era ancora presto, ridicolmente presto, ma ci teneva a essere la prima. Lo choc provato nell'udire la voce di Molly, nel rendersi conto di essere stata infine rintracciata, si era fatto sentire solo alla fine della conversazione telefonica. Sua sorella Lucy aveva tentato in ogni modo di dissuaderla. «Quella donna era fuori di sé al punto di ammazzare il marito», aveva esclamato. «Che cosa ti fa pensare che non aggredisca anche te? E se è sincera quando sostiene di non ricordarsi di averlo ucciso, be', non credi che questo la dica lunga sul suo stato mentale? Tu, poi, hai sempre avuto paura perché sapevi troppo di quello che succedeva in ospedale. Non andare all'appuntamento!» Ne avevano discusso per tutta la sera, ma Annamarie era decisa a fare a
modo suo. Dato che Molly Lasch l'aveva rintracciata, si era detta, tanto valeva andare fino in fondo e incontrarla in un locale pubblico, piuttosto che rischiare di vedersela comparire alla porta a Yonkers, o addirittura sotto casa di uno dei pazienti. Al Sea Lamp Annamarie puntò dritta verso un séparé d'angolo. I pochi clienti erano cupi in volto e altrettanto malcontenta sembrava la cameriera, che la guardò infastidita quando lei rifiutò il tavolo vicino all'ingresso che le aveva proposto. La tetraggine della tavola calda accentuò lo scoramento che già la opprimeva. La stanchezza le si era insinuata fin nelle ossa. Di sicuro è per questo che mi sento tanto depressa, cercò di convincersi, sorseggiando il caffè tiepido che la cameriera le aveva letteralmente sbattuto davanti. Naturalmente il suo disagio in buona parte nasceva dalla discussione avuta con Lucy. Pur amandola teneramente, sua sorella non esitava a colpirla nei punti più deboli e la sua litania di «Se solo...» aveva finito con il logorare Annamarie. «Se solo tu avessi sposato Jack Morrow. La mamma lo diceva sempre, era un uomo talmente caro. Era pazzo di te e per di più era un medico, e in gamba, anche! Ricordi, la signora Monahan passò a salutarci quel fine settimana in cui sei venuta a trovarci con lui. Jack disse che non gli piaceva il suo colorito e insistette perché lei facesse delle analisi. Se non fosse stato per lui, la nostra vicina non avrebbe scoperto subito di avere un tumore e ora sarebbe già morta.» Per sei anni Annamarie aveva continuato a dare a Lucy la stessa risposta: «Dacci un taglio. Jack sapeva che non ero innamorata di lui. Forse in altre circostanze avrei potuto amarlo. Forse avrebbe funzionato se le cose fossero state diverse, ma così non era. Il fatto è che avevo poco più di vent'anni e quello era il mio primo lavoro. Stavo appena cominciando a vivere. Non ero pronta per il matrimonio, e Jack questo lo capiva». La settimana prima dell'omicidio di Jack, Annamarie aveva litigato con Gary. Lo stava raggiungendo nel suo ufficio quando il suono di voci irose l'aveva fermata. «C'è il dottor Morrow con lui», le aveva bisbigliato la segretaria. «È fuori dai gangheri. Non sono riuscita a capire che cosa sia successo, ma sarà la solita storia... hanno rifiutato qualche terapia che lui aveva prescritto a un paziente.» Io però temevo che litigassero per me, pensò ora Annamarie, e sono scappata via per non affrontare Jack. Ero certa che avesse scoperto tutto.
Ma più tardi, fermandola in corridoio, lui le aveva domandato soltanto se aveva in programma una visita ai suoi. Lei aveva risposto che pensava di andarci per il fine settimana di lì a quindici giorni, al che Jack le aveva chiesto se poteva affidarle la copia di una pratica importante, perché le conservasse al sicuro a casa della madre, fino a che lui non ne avesse avuto bisogno. Ero così contenta che non sapesse di Gary e di me, e talmente sconvolta da ciò che avevo scoperto all'ospedale, che non gli chiesi spiegazioni, rammentò Annamarie. Lui disse che mi avrebbe fatto avere la copia al più presto e mi fece promettere di non parlarne con nessuno. Invece non me la consegnò mai, e una settimana dopo era morto. «Annamarie?» Con un sussulto lei alzò gli occhi. Sprofondata nei propri pensieri, non aveva sentito Molly arrivare. Un'occhiata alla sua antica rivale bastò a far sentire Annamarie brutta e grassa. I grandi occhiali da sole non riuscivano a nascondere i lineamenti perfetti della donna e le mani impegnate a slegare la sciarpa avevano dita lunghe e sottili. I capelli erano più scuri di come lei se li ricordava, ma ancora belli e serici. Anche Molly la stava studiando. Non è affatto come mi aspettavo, pensò. Le era capitato di vedere Annamarie in ospedale e la ricordava come una ragazza graziosa, con un corpo provocante e una massa di capelli scuri. Ma non c'era nulla di provocante nella donna semplicemente vestita che le sedeva di fronte. Ora Annamarie portava i capelli corti e, benché grazioso, il suo viso sembrava gonfio. Era anche più massiccia. Gli occhi erano bellissimi, marrone scuro con ciglia lunghe e ricurve, ma in quel momento tradivano infelicità e timore. Ha paura di me, si rese conto Molly, sbigottita. Ricomparve la cameriera, ora più affabile. Annamarie comprese che era rimasta impressionata dalla Lasch. «Tè al limone, per favore», ordinò quest'ultima. «E un altro caffè per me, se non la disturba», disse Annamarie. Molly attese che la cameriera si allontanasse prima di parlare. «Le sono molto riconoscente per aver accettato di incontrarmi. So che probabilmente non è meno imbarazzata di me e le prometto che non la tratterrò a lungo, ma le sarei grata se rispondesse sinceramente alle mie domande.» Annamarie annuì. «Quando è cominciata la sua relazione con Gary?»
«Un anno prima che lui morisse. Un giorno la mia auto non partì e Gary mi dette un passaggio a casa. Si fermò da me a bere un caffè.» Annamarie parlava guardando negli occhi la sua interlocutrice. «Capii che intendeva provarci. Una donna lo capisce sempre, vero?» Fece una lunga pausa e abbassò lo sguardo sulle sue mani. «La verità è che era un pezzo che avevo una cotta per lui, e di sicuro non gli resi la cosa difficile.» Intendeva provarci, pensò Molly. Annamarie era stata la prima? Probabilmente no. La decima, forse? Non lo avrebbe mai saputo. «Aveva fatto la stessa cosa anche con altre sue colleghe?» «Non che io sappia, ma lavoravo all'ospedale solo da pochi mesi quando cominciammo a frequentarci. Lui sottolineò la necessità di una discrezione assoluta, e a me andava benissimo. Vengo da una famiglia italiana molto cattolica e a mia madre si sarebbe spezzato il cuore se avesse saputo che avevo una relazione con un uomo sposato. «Signora Lasch, voglio che lei sappia...» L'arrivo della cameriera interruppe Annamarie. La donna, notò lei, non sbatté la tazza davanti a Molly. «Signora Lasch», riprese poi, «voglio che lei sappia che sono profondamente rammaricata per ciò che è accaduto. Mi rendo conto di avere distrutto la sua vita e quella del dottor Lasch. Io ho rinunciato a mio figlio perché volevo che avesse una vita decente, con persone in grado di renderlo felice. Forse un giorno, quando sarà grande, desidererà conoscermi e allora spero che riuscirà a capire, e magari a perdonarmi. Lei forse ha privato suo marito della vita, ma sono stata io a creare i presupposti per la tragedia.» «Lei?» «Se non avessi avuto una relazione con il dottor Lasch, tutto questo non sarebbe accaduto. E se quel giorno non gli avessi telefonato a casa, lei probabilmente non avrebbe mai saputo.» «Perché gli telefonò a casa?» «Mi aveva detto che voi due stavate parlando di divorzio, ma che non voleva che lei sapesse dell'esistenza di un'altra donna. Avrebbe complicato le cose, sosteneva, scatenando la sua gelosia e il suo desiderio di vendetta.» Dunque è questo che mio marito raccontava di me, pensò Molly. Che stavamo discutendo del divorzio e che io ero una donna gelosa e vendicativa? Questo è l'uomo per cui sono finita in carcere? «Disse che era un bene che lei avesse perso il vostro bambino. Un figlio avrebbe reso più difficile la separazione.» Molly era annichilita. Buon Dio, Gary ha detto davvero queste cose?
Che era un bene che io avessi perso il nostro bambino? «Ma quando gli dissi che ero incinta, lui fu preso dal panico. Mi impose di liberarmene. Non volle più incontrarmi e cominciò a ignorarmi perfino in ospedale. Poi mi chiamò il suo avvocato per offrirmi del denaro, a condizione che io firmassi una sorta di liberatoria. Telefonai a casa vostra perché dovevo parlargli e lui si rifiutava di farlo in ospedale. Ero disperata. Avevo bisogno di sapere che intenzioni avesse nei confronti del bambino. Capisce, allora non pensavo di darlo in adozione.» «E io ho sollevato la cornetta e ho ascoltato la vostra conversazione.» «Proprio così.» «Mio marito le parlava mai di me, Annamarie? Voglio dire, a parte la faccenda del divorzio?» «Sì.» «Vorrei sapere che cosa le diceva. La prego, per me è importante.» «Probabilmente mi diceva solo quello che pensava che io volessi sentire.» «Vorrei saperlo ugualmente.» Annamarie esitò, poi guardò dritto in faccia la donna che le stava di fronte, una donna che in un primo momento aveva disprezzato, quindi odiato, ma per la quale ora cominciava a provare compassione. «Diceva che lei era noiosa come la moglie di un vicario.» Noiosa come la moglie di un vicario. Per un attimo a Molly sembrò di essere ritornata in prigione, a mangiare cibo insapore, ad ascoltare il clangore dei cancelli che si chiudevano, mentre giaceva insonne nella brandina notte dopo notte. «Come marito e come medico, non valeva il prezzo che lei ha pagato per averlo ucciso, signora Lasch.» La voce di Annamarie era quieta. «Evidentemente lei è persuasa che sia stata io a ucciderlo, ma il fatto è che non ne sono affatto sicura. Non mento quando sostengo di non ricordare che cosa è accaduto quella sera, ma non escludo di riuscire a riacquistare la memoria, un giorno o l'altro. Quanto meno, ci sto lavorando. E lei dov'era quella domenica sera?» «A casa mia, a fare le valigie.» «C'era qualcuno con lei?» Annamarie sbarrò gli occhi. «Signora Lasch, se è venuta qui con l'idea di insinuare che io ho una qualche responsabilità nella morte di Gary, sta sprecando tempo.» «Sa di qualcuno che potrebbe aver avuto un motivo per ucciderlo?»
Molly si rese conto dello stupore dell'altra. «Lei ha paura di qualcosa, Annamarie. Di che si tratta?» «No, non è vero. Non so altro. Senta, ora devo proprio andare.» Annamarie posò la mano sul tavolo, pronta ad alzarsi, ma Molly la fermò afferrandola per il polso. «Lei allora era molto giovane e Gary un uomo di mondo. Ha fatto del male a entrambe, e tutt'e due abbiamo una ragione per essere in collera con lui. Ma io non credo di averlo ucciso. Se lei ha motivo, un qualsiasi motivo, di pensare che qualcun altro nutrisse del rancore nei suoi confronti, la prego, me lo dica. Per me sarebbe un punto di partenza. Negli ultimi tempi aveva litigato con qualcuno?» «Sono a conoscenza di una lite soltanto. Quella che ebbe con il dottor Morrow.» «Il dottor Jack Morrow? Ma è morto prima di Gary.» «Sì. Un giorno, poco prima che lo uccidessero, Jack mi fece una strana richiesta. Mi chiese di conservare per lui la copia di una documentazione importante. Ma venne ucciso prima di riuscire a consegnarmela.» Annamarie liberò la mano dalla stretta di Molly. «Io non so se lei ha ucciso o meno suo marito, signora Lasch, ma se non lo ha fatto, ci pensi bene prima di andare in giro a fare domande.» Andandosene, per poco non travolse la cameriera che si stava avvicinando per riempire di nuovo le tazze. Molly rifiutò con un cenno. Chiese il conto, poi si alzò a sua volta, desiderosa di sfuggire allo sguardo incuriosito della donna. La noiosa moglie di un vicario, pensò ancora mentre agguantava il cappotto e usciva. In macchina, ripercorse mentalmente le varie fasi della conversazione avuta con Annamarie. Era evidente che lei nascondeva qualcosa. Sembrava quasi che avesse paura, ma di che? Quella sera Molly, annichilita, ascoltò il servizio principale trasmesso dal notiziario delle undici della CBS. Nel parcheggio del Sea Lamp Diner di Rowayton era stato scoperto il cadavere di una donna non ancora identificata. Era stata uccisa a coltellate mentre si trovava a bordo della sua auto. 35 Tom Serrazzano aveva sempre rimpianto di non essere stato incaricato del caso di Molly Carpenter Lasch. Era convintissimo della sua colpevolezza e pensava che fossero stati il denaro e il prestigio del cognome che portava a permetterle di cavarsela così a buon mercato: solo cinque anni e
mezzo di carcere per aver ucciso il marito! Tom, che all'epoca del processo lavorava già nell'ufficio del procuratore di stato, era rimasto sgomento quando il pubblico ministero aveva accolto la proposta di un'imputazione per omicidio preterintenzionale avanzata dalla difesa. Un magistrato degno di questo nome, pensava, sarebbe andato fino in fondo, puntando a una condanna adeguata all'entità del reato. Certe concessioni lo infastidivano ancora di più quando l'imputato poteva contare su denaro e su relazioni influenti, com'era stato per Molly Carpenter Lasch. Prossimo alla cinquantina, Tom aveva dedicato tutta la vita all'applicazione della legge. Dopo aver lavorato come cancelliere, era entrato nell'ufficio del procuratore di stato, guadagnandosi nel tempo una reputazione di grande severità e rigore. Il lunedì mattina successivo all'omicidio della giovane donna, identificata dalla polizia come Annamarie Sangelo, di Yonkers, assunse un significato nuovo quando le indagini rivelarono che il vero nome della vittima era Annamarie Scalli, «l'altra donna» del caso Lasch. La deposizione della cameriera del Sea Lamp Diner e la descrizione che aveva fatto della donna con cui la Scalli si era incontrata furono più che sufficienti per Serrazzano. Quello, pensò, era un caso apeno e chiuso. «Solo che questa volta non ci saranno patteggiamenti», borbottò con aria cupa agli agenti che lavoravano con lui. 36 È importante che io sia assolutamente precisa in quello che dirò alla polizia, si ripeté più volte Molly quella notte. Annamarie è uscita dal locale prima di me. Io ho pagato il conto. Mi girava la testa, mentre andavo verso la porta. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era Annamarie che raccontava di come Gary fosse contento del mio aborto e di quanto mi considerasse noiosa come moglie. Mi sentivo soffocare. Il parcheggio era quasi vuoto quando sono uscita, continuò a riflettere. Una delle auto posteggiate era una jeep. Era ancora lì quando sono partita, e c'era un'altra vettura che si stava allontanando. Pensando che alla guida ci fosse Annamarie, l'ho chiamata ad alta voce. C'era qualcos'altro che volevo chiederle, ma che cosa? La cameriera parlerà di me, mi descriverà. Mi riconosceranno. Mi faranno delle domande. Devo chiamare Philip e raccontargli subito tutto.
Philip pensa che io abbia ucciso Gary. L'ho ucciso davvero? Ma io so di non aver fatto nulla ad Annamarie Scalli, gemette tra sé. E se non mi credessero? No, non posso affrontare tutto da capo! Non ce la faccio. Fran. Lei mi aiuterà. Sta cominciando a credere che non sono stata io a uccidere Gary. Sono certa che mi aiuterà. Al notiziario delle sette spiegarono che la vittima di Rowayton era Annamarie Sangelo, una dipendente del Visiting Nurse Service di Yonkers. Ancora non sanno chi è, pensò Molly, ma lo scopriranno fin troppo presto. Si costrinse ad aspettare le otto prima di chiamare Fran. Percepì sgomento e incredulità nella voce dell'amica che esclamò: «Mi stai dicendo che ieri sera ti sei incontrata con Annamarie Scalli e che subito dopo lei è stata assassinata, Molly?» «Sì.» «Hai chiamato Philip Matthews?» «Non ancora. Dio, Fran, lui mi aveva sconsigliato assolutamente di farlo.» Fran ripensò ai verbali del processo che aveva letto, soprattutto alla perniciosa deposizione di Calvin Whitehall. «Lo chiamo io», disse. E dopo una breve pausa: «Ora ascoltami bene. Non rispondere al telefono. Non aprire la porta di casa. Non parlare con nessuno, neppure con Jenna, finché Matthews non sarà arrivato da te. Giuramelo». «Fran, tu credi che sia stata io a uccidere Annamarie?» «Molly, io non lo credo, ma altri lo penseranno. Cerca di stare tranquilla, ti raggiungo appena posso.» Un'ora dopo Fran entrava nel vialetto di accesso di casa Lasch. Molly, che era di guardia vicino alla finestra, aprì la porta senza darle neppure il tempo di bussare. È in stato di choc, fu il primo pensiero della Simmons. Buon Dio, è possibile che abbia realmente commesso due omicidi? Molly era cinerea e il pallore del viso gareggiava con il bianco della vestaglia di ciniglia. «Fran, non posso affrontare l'inferno un'altra volta», bisbigliò. «Piuttosto mi uccido.» L'altra s'irrigidì. «Non dirlo neppure», la redarguì, prendendole le mani. Erano fredde e tremanti. «Ho parlato con Philip Matthews, sta arrivando.
Ora vai di sopra, fai una doccia calda e vestiti. In auto ho sentito che la polizia ha identificato Annamarie. Senza dubbio verranno qui a parlare con te e non voglio che ti trovino così.» Molly assentì come una bambina obbediente e si diresse verso le scale. Fran si tolse il cappotto mentre teneva d'occhio la finestra. Non appena la notizia dell'incontro di Molly con Annamarie Scalli si fosse diffusa, i giornalisti sarebbero arrivati in massa, avidi come lupi. Ed ecco il primo, pensò vedendo un'utilitaria rossa fermarsi davanti a casa. Ma fortunatamente dall'auto scese Edna Barry. Fran corse in cucina ad accoglierla. Notò che nell'agitazione l'amica non si era neppure preparata un caffè. Ignorando l'espressione ostile della donna, disse: «Signora Barry, le dispiacerebbe mettere su il caffè e preparare qualcosa per Molly? Quello che mangia di solito a colazione». «È successo qualcosa a...?» Il campanello troncò a metà la frase. «Vado io», disse subito Fran. Fa' che sia Matthews, pregò. Era lui, ma il sollievo della giornalista durò poco. L'espressione dell'avvocato le confermò subito la fondatezza dei propri timori: tutti si sarebbero affrettati a giudicare Molly colpevole. Matthews non perse tempo: «Grazie per avermi chiamato, signorina Simmons, e per avere avvertito Molly di non parlare con nessuno prima del mio arrivo. Sono certo che i nuovi sviluppi devono sembrarle un vero colpo di fortuna. L'avverto, però, che non le permetterò di interrogare Molly e neppure di assistere al nostro colloquio». La sua espressione determinata era la stessa che aveva sul viso fuori del carcere, quando aveva cercato di impedire a Molly di parlare alla stampa. Forse la crede colpevole dell'omicidio di Gary, pensò Fran, ma di certo è l'avvocato giusto per lei. Farebbe qualunque cosa per proteggerla. Era un pensiero confortante. «Signor Matthews, conosco la legge quanto basta per sapere che le sue conversazioni con Molly sono privilegiate, e che in quanto giornalista io non godo dello stesso trattamento. Temo però che lei sia ancora persuaso della colpevolezza di Molly; ne ero convinta anch'io, ma in questi ultimi giorni ho cominciato a nutrire molti dubbi. Quanto meno, ho parecchi interrogativi a cui vorrei trovare una risposta.» Fran trovò esasperante lo sguardo gelido di Philip Matthews. «Immagino stia pensando che è uno dei nostri trucchetti del mestiere»,
proruppe. «Be', si sbaglia. Voglio bene a Molly, voglio aiutarla a scoprire la verità, per quanto dolorosa possa essere. E se lei non riesce a mantenere un atteggiamento po' più aperto per quanto riguarda le autentiche responsabilità di Molly, allora dovrebbe rinunciare al mandato.» Gli voltò le spalle. A questo punto ho bisogno di una tazza di caffè almeno quanto Molly, decise. Matthews la seguì in cucina. «Senta, Fran... si chiama Fran, vero? È così che la chiamano i suoi amici?» «Sì.» «È evidente che quando parlerò con Molly lei non potrà essere presente, ma le sarei grato se volesse dirmi tutto quello che sa e che ritiene possa essermi di aiuto.» Non c'era più traccia di antagonismo sul suo viso. Fran rimase colpita dal modo in cui aveva pronunciato il nome di Molly... come se volesse proteggerla. Per lui è molto più di una semplice cliente, si rese conto. La scoperta la rassicurò enormemente. «In effetti, ci sono parecchie cose di cui vorrei discutere con lei», ammise. La signora Barry aveva preparato un vassoio con la colazione. «Caffè, succo d'arancia, qualche toast e un muffin, nel caso Molly avesse voglia di mandare giù qualcosa», spiegò. Fran e Matthews si versarono il caffè dal bricco sui fornelli. La giornalista aspettò che la domestica fosse uscita dalla cucina prima di chiedere: «Sapeva che all'ospedale rimasero tutti molto sorpresi nello scoprire che Annamarie aveva una relazione con Gary Lasch? Pensavano che fosse innamorata del dottor Morrow, un altro medico del Lasch Hospital. E sapeva che Jack Morrow fu assassinato nel suo ambulatorio appena due settimane prima dell'omicidio di Gary? Ne era al corrente?» «No.» «Ha mai incontrato Annamarie Scalli?» «No, il caso si è risolto prima che lei fosse chiamata a testimoniare.» «Ricorda se si parlò di una chiave di scorta che i Lasch tenevano in giardino?» Matthews si accigliò. «Forse sì, ma in questo caso non si trattava di un elemento rilevante. Molto francamente, considerate le modalità dell'omicidio e le prove a carico di Molly, credo le indagini siano cominciate e finite con lei. Vada di sopra, ora, e la informi che devo vederla subito», continuò. «So che c'è un salottino adiacente alla sua camera; le parlerò lì prima
che arrivi la polizia. Dirò alla signora Barry di farli aspettare di sotto.» Proprio in quel momento Edna irruppe in cucina, con un'espressione angosciata. «Molly è a letto, completamente vestita e con gli occhi chiusi», gridò. E dopo una pausa: «Mio Dio, è tutto proprio come l'altra volta!» 37 Il dottor Black iniziava sempre la giornata con una rapida verifica dell'andamento del mercato azionario internazionale su un canale televisivo via cavo. Consumava quindi una colazione spartana, durante la quale esigeva che venisse rispettato un silenzio assoluto, poi si recava al lavoro in auto ascoltando musica classica. Giunto all'ospedale, a volte faceva due passi prima di mettersi alla scrivania. Quel lunedì mattina c'era il sole. Di notte la temperatura era salita di parecchi gradi e Black decise che una passeggiata di dieci minuti gli avrebbe schiarito le idee. Era stato un fine settimana tormentato. La visita di sabato sera a casa di Molly aveva di nuovo dimostrato quanto fosse sciocca la convinzione di Whitehall di poterla convincere a collaborare. Peter Black si accigliò vedendo per terra la carta di una caramella e prese mentalmente nota di far rimproverare i responsabili della manutenzione. L'ostinazione di Molly lo mandava fuori dei gangheri. Non sono stata io. L'assassino l'ha fatta franca... Ma chi voleva ingannare? Lui aveva capito qual era la sua strategia: menti con decisione a voce alta e abbastanza spesso, e alla fine qualcuno ti crederà. Ma andrà tutto bene, si rassicurò. Le fusioni si faranno. Il Remington è ancora in posizione di vantaggio e le trattative sono a buon punto. In questa fase ci farebbe comodo Gary, rifletté. Io proprio non sono tagliato per i sorrisi e i convenevoli necessari a garantirci la collaborazione dei dirigenti che contano nelle varie società. Cal può far leva sul suo potere per tenerne a bada alcuni di loro, ma la sua aggressività non funziona con tutti. Se non staremo attenti, qualcuno finirà per preferire altri progetti al nostro. Accigliato, Black proseguì nella sua passeggiata intorno alla nuova ala dell'ospedale, continuando a ricordare con riluttante ammirazione l'abilità di Gary Lasch nel trattare con la gente. Lui era in grado di esercitare il proprio fascino quando voleva e, se necessario, sapeva esibire quell'espressione sollecita, piena di premura, che lo rendeva tanto convincente.
Gary sapeva quello che faceva quando aveva sposato Molly. Lei era una padrona di casa perfetta, bella, ricca, con le conoscenze giuste. Le persone importanti si sentivano lusingate da un suo invito a cena. Era andato tutto bene, si rammaricò, finché Gary non aveva fatto la sciocchezza di mettersi con quella Scalli. Con tutte le ragazze sexy che c'erano al mondo, doveva proprio scegliersi un'infermiera, e sveglia per di più! Troppo sveglia. Era arrivato all'edificio in stile coloniale dove c'erano gli uffici del Centro Remington. Dopo una breve esitazione, decise di entrare. La giornata si stendeva interminabile davanti a lui e prima o poi avrebbe dovuto affrontarla. Alle dieci telefonò Jenna. «Hai sentito, Peter? La donna uccisa ieri sera nel parcheggio di una tavola calda era Annamarie Scalli, e la polizia sta interrogando Molly. Alla radio l'hanno definita una 'sospetta'», esordì lei con voce isterica. «Annamarie Scalli è morta? Molly è sospettata?» Black sparò le domande come un fuoco di fila. «Pare che si fossero incontrate in quel locale», lo ragguagliò Jenna. «Te lo ricorderai, sabato Molly aveva appunto dichiarato la sua intenzione di contattarla. Secondo la cameriera del locale, Annamarie è uscita per prima, ma Molly l'ha seguita un minuto dopo. Quando più tardi la tavola calda ha chiuso, qualcuno ha notato un'auto ferma nel parcheggio. Era lì da un pezzo e hanno pensato di controllare. Così hanno trovato Annamarie. Era stata pugnalata.» Black riattaccò con un'espressione meditabonda sul viso, ma un istante dopo sorrise e fece un profondo respiro, come se si sentisse sollevato da un gran peso. Estrasse una fiaschetta da un cassetto della scrivania, si versò una dose di whisky, poi alzò il bicchiere in un brindisi. «Grazie, Molly», disse ad alta voce. 38 Quando Edna Barry arrivò a casa, il lunedì pomeriggio, la sua amica Marta le corse incontro prima ancora che lei scendesse dall'auto. «L'hanno detto in tutti i notiziari», proruppe la donna quasi senza fiato. «La polizia sta interrogando Molly Lasch; la sospettano dell'omicidio di
quell'infermiera.» «Entra a bere una tazza di tè», le propose Edna. «Non puoi neppure immaginare che razza di giornata ho avuto!» Mentre bevevano il tè e mangiavano la torta al caffè fatta in casa, Edna raccontò dello choc che aveva provato nel trovare Molly sdraiata sul letto, completamente vestita. «Per un momento ho pensato che il cuore mi si sarebbe fermato. Dormiva, proprio come l'altra volta. Quando ha aperto gli occhi era confusa, poi ha sorriso. Non ti dico. Era proprio come sei anni fa... quasi quasi mi aspettavo di vederla sporca di sangue.» Era corsa al piano di sotto, spiegò, dove c'erano Fran Simmons, la giornalista, e l'avvocato Matthews. Loro avevano aiutato Molly ad alzarsi, l'avevano fatta camminare su e giù per la stanza e costretta a bere parecchie tazze di caffè. «Dopo un po' lei ha ripreso colore, ma i suoi occhi avevano ancora quella strana espressione vuota. E poi...» Edna si chinò in avanti verso Marta «a un certo punto ha detto: 'Philip, non ho ucciso Annamarie Scalli, vero?'» «No!» La bocca di Marta era un «O» perfetto e i suoi occhi sembravano enormi dietro le lenti. «A quel punto Fran Simmons mi ha preso per il braccio e mi ha spinto verso la porta così in fretta da farmi girare la testa. Non voleva che ascoltassi quello che Molly aveva da dire alla polizia e che poi lo raccontassi in giro.» Edna non aggiunse che lo strano comportamento di Molly le aveva tolto un gran peso dal cuore. Quella donna era chiaramente instabile; nessuno che non fosse malato di mente avrebbe potuto uccidere due persone senza neppure rendersene conto. Tutte le sue preoccupazioni sul conto di Wally erano infondate. Ora, nell'ambiente sicuro della sua cucina e finalmente tranquilla a proposito del figlio, parlò liberamente con l'amica e confidente. «Eravamo appena arrivati di sotto quando due agenti hanno bussato alla porta. Venivano dall'ufficio del procuratore di stato. La Simmons li ha fatti accomodare in tinello. Ha detto che Molly stava parlando con l'avvocato, ma io sapevo che lui stava semplicemente cercando di rimetterla un po' in sesto. Non voleva che la polizia la interrogasse mentre si trovava in quello stato.» Con la bocca serrata in una linea dalla disapprovazione, Edna si servì una seconda fetta di torta. «È passata una buona mezzora prima che l'av-
vocato Matthews scendesse. È lo stesso che la difese al processo, sai.» «E poi?» Marta era avida di notizie. «Ha detto ai poliziotti che intendeva fare una dichiarazione per conto della sua assistita. Molly si era incontrata con Annamarie Scalli la sera prima, ha spiegato, perché voleva mettere la parola fine alla terribile tragedia che aveva funestato la sua vita. Erano rimaste sedute al tavolo per quindici, venti minuti, poi la Scalli se n'era andata mentre lei pagava il conto. Molly era salita sulla sua auto ed era tornata direttamente a casa. Aveva saputo della morte della Scalli dal notiziario e naturalmente esprimeva le sue condoglianze alla famiglia, ma a parte questo, non sapeva niente di ciò che era accaduto nel parcheggio.» «Hai rivisto Molly, dopo?» «È scesa non appena la polizia se n'è andata. Probabilmente si era fermata sul pianerottolo ad ascoltare.» «E come si è comportata?» Per la prima volta Edna scoprì di provare un po' di compassione per la sua datrice di lavoro. «Be', lei è sempre molto tranquilla, ma stamattina era diversa, come distante dalla realtà. Si comportava così anche dopo la morte del marito, quando sembrava non sapere mai con certezza dove si trovava o che cosa era accaduto. «La prima frase che ha detto all'avvocato è stata: 'Credono che sia stata io, vero?' Poi la Simmons è intervenuta sostenendo che voleva parlarmi in cucina... in realtà voleva impedirmi di ascoltare.» «Dunque non sai di che cosa abbiano parlato Molly e l'avvocato?» chiese Marta. «No, ma posso immaginarlo. La polizia vuole sapere se è stata lei a uccidere quell'infermiera.» «Mamma, qualcuno sta facendo del male a Molly?» Le donne alzarono gli occhi. Wally era fermo sulla soglia. «No, caro, niente affatto», lo rassicurò la madre. «Non preoccuparti, le stanno solo facendo qualche domanda.» «Voglio vederla. Lei è sempre stata gentile con me. Il dottor Lasch, invece, era cattivo.» «Avanti, Wally, non parliamone ora.» Edna era nervosa. Sperava che la vicina non attribuisse un significato particolare alla collera che traspariva dalla voce del ragazzo e che non si accorgesse della sua espressione truce. Wally si avvicinò al piano di lavoro, voltando le spalle alle due donne. «Ieri è passato da me», bisbigliò Marta. «Ha detto qualcosa sul fatto che
voleva andare a trovare la signora Lasch. Forse dovresti accompagnarcelo tu; magari sarà sufficiente per accontentarlo.» Ma Edna non l'ascoltava più. La sua attenzione era concentrata sul figlio, intento a frugare nel portafoglio preso dalla sua borsetta. «Che cosa stai facendo, Wally?» chiese bruscamente, con la voce resa stridula dall'ansia. Lui si girò con in mano un mazzo di chiavi. «Sto solo prendendo la chiave di Molly, mamma. Ti prometto che questa volta la rimetterò a posto.» 39 Il lunedì pomeriggio, Gladys Fluegel fu ben felice di accompagnare l'agente Ed Green al tribunale di Stamford, per riferire ciò che sapeva dell'incontro tra Annamarie Scalli e Molly Carpenter Lasch. Sforzandosi di non mostrare il piacere che provava per la deferenza di cui era fatta oggetto, Gladys lasciò che il poliziotto la scortasse in tribunale. Lì furono accolti da un uomo piuttosto giovane che si presentò come il viceprocuratore di stato, Victor Packwell. In una sala con un grande tavolo per le riunioni, il viceprocuratore chiese a Gladys se gradiva un caffè o qualcos'altro da bere. «Non deve sentirsi nervosa, signorina Fluegel. Lei può esserci di grande aiuto, sa», la rassicurò. «È per questo che sono qui», replicò lei con un sorriso. «Una bibita, grazie. Dietetica.» A cinquantotto anni Gladys, che era sempre stata un'accanita fumatrice, aveva il viso devastato dalle rughe. I capelli rosso vivo erano grigi alla radice. A causa della sua passione per gli acquisti on-line, era sempre indebitata. Non si era mai sposata, non aveva mai avuto una vera storia d'amore e viveva con i genitori, ormai vecchi e litigiosi. A mano a mano che i trenta stemperavano nei quaranta e i quaranta si erano mescolati in modo quasi impercettibile con i cinquanta, Gladys Fluegel si era resa conto che la sua visione dell'esistenza stava assumendo tinte fosche. Il mondo non sembrava più pieno di possibilità. Non era più sicura che prima o poi le sarebbe accaduto qualcosa di meraviglioso. Per tutta la vita aveva atteso un cambiamento eccitante, ma fino a quel momento non ne aveva visto traccia. Fare la cameriera le piaceva, ma con il passare degli anni tendeva a mostrarsi brusca e impaziente con i clienti. Le faceva male vedere le coppie con le mani intrecciate sul tavolo, o le fami-
glie che festeggiavano un compleanno, sapendo di essere esclusa dal mondo degli affetti. Quel crescente risentimento le era costato più di un impiego, finché un giorno era approdata al Sea Lamp, dove la cucina era scadente e la clientela scarsa. La squallida tavola calda sembrava adattarsi a meraviglia alla sua personalità, e ormai lei ne faceva parte integrante. Quella domenica sera Gladys era stata più nervosa del solito. La sua collega aveva telefonato per darsi malata ed era toccato a lei coprire due turni. «Verso le sette e mezzo è entrata una donna», spiegò, compiaciuta dall'attenzione degli agenti, per non parlare del cancelliere, che prendeva nota di ogni sua parola. «Ce la descriva, per favore, signorina Fluegel.» Ed Green, il giovane agente che l'aveva accompagnata a Stamford, era cortesissimo. Chissà se i suoi genitori sono divorziati, si chiese Gladys, perché in tal caso non mi dispiacerebbe proprio conoscere suo padre. «Perché non mi chiama semplicemente Gladys? Lo fanno tutti», rispose. «Come preferisce, Gladys.» Lei sorrise, poi si sfiorò le labbra con la mano, ostentando concentrazione. «Vediamo...» No, non avrebbe detto che lei l'aveva trattata male quando aveva insistito per occupare un séparé defilato. «Era sulla trentina, con capelli corti scuri, robusta, forse una taglia quarantasei, ma non era facile capirlo. Portava un paio di pantaloni larghi e un parka.» Sapeva che i poliziotti conoscevano già l'aspetto e il nome della donna, ma riteneva che fosse importante fornire loro ogni possibile particolare. E intanto si godeva la loro attenzione. La signorina Scalli, raccontò, aveva ordinato solo caffè, senza neanche un panino o una fetta di torta... il che significava che la mancia sarebbe stata una miseria. Loro sorrisero, ma erano sorrisi benevoli, e Gladys si sentì incoraggiata. «Poi è arrivata l'altra, una signora davvero di classe. Saltava agli occhi che tra le due non c'era una gran simpatia.» L'agente Green le mostrò una fotografia. «È questa la donna che si è seduta con Annamarie Scalli?» «Sicuro.» «Com'era il loro atteggiamento, Gladys? Ci pensi bene. Potrebbe essere importante.» «Erano nervose», asserì la donna. «Tutt'e due Quando ho portato il tè che aveva ordinato la seconda arrivata, ho sentito l'altra chiamarla 'signora
Lasch'. Non ho udito quello che si dicevano, però, se non qualche parola mentre le servivo e un po' più tardi, mentre pulivo un tavolo vicino.» Colse il disappunto nei loro sguardi e subito si affrettò ad aggiungere: «Comunque era una serata fiacca, e c'era qualcosa in quelle due che m'incuriosiva. Così mi sono seduta al banco, da dove potevo tenerle d'occhio. In seguito mi sono resa conto che avevo già visto la Lasch, in una foto pubblicata sul giornale la settimana scorsa». «E che cosa ha osservato di preciso, Gladys?» «Be', la donna bruna, la Scalli, mentre parlava era sempre più nervosa. Dico sul serio, sembrava quasi che avesse paura dell'altra.» «Paura, Gladys?» «Sì, dico sul serio. Non la guardava mai negli occhi e vi assicuro che la capivo. La bionda, la signora Lasch... be', avreste dovuto vedere che espressione aveva. Fredda come un iceberg. Di certo non le piaceva quello che stava ascoltando. Poi ho visto la signorina Scalli alzarsi per andarsene. Era lampante che avrebbe voluto essere a mille chilometri da lì. Mi sono avvicinata per vedere se avevano bisogno di qualcosa, per riempire le tazze, sapete come si fa...» «E lei ha detto qualcosa?» chiesero all'unisono l'agente Green e il viceprocuratore di stato Victor Packwell. «Ora vi spiego», disse Gladys. «Annamarie Scalli si è alzata. La signora Lasch l'ha trattenuta afferrandola per il polso, ma l'altra si è liberata ed è praticamente corsa fuori. Mi ha quasi travolto, tanto andava di fretta.» «E che cosa ha fatto la signora Lasch?» chiese il viceprocuratore. «Se l'è filata anche lei subito dopo. Le ho portato il conto: un dollaro e trenta. Lei ha lasciato sul tavolo una banconota da cinque ed è corsa dietro alla Scalli.» «Sembrava agitata?» Gladys socchiuse gli occhi, in un plateale sforzo per descrivere la scena con precisione. «Direi piuttosto che aveva un'espressione buffa, come se le avessero appena mollato un pugno nello stomaco.» «L'ha vista salire in auto?» Gladys scosse vigorosamente la testa. «No, non l'ho vista. Mentre apriva la porta per uscire, sembrava che parlasse da sola, poi l'ho sentita gridare: 'Annamarie' e ho pensato che avesse ancora qualcosa da dire all'altra.» «Sa se per caso la Scalli l'ha sentita?» Gli agenti sarebbero rimasti terribilmente delusi se avesse risposto che
non ne era sicura. Gladys esitò, poi disse: «Be', sono certa che deve avere attirato la sua attenzione, perché l'ha chiamata una seconda volta e poi ha gridato: 'Aspetti'». «Ha gridato ad Annamarie di aspettare?» Be', era andata più o meno così, no? pensò Gladys. «Credevo che tornasse a prendere il resto, ma evidentemente l'unica cosa che le stava a cuore era raggiungere l'altra.» Aspetti. Molly Lasch lo aveva gridato davvero, o era stata la coppia che si era appena seduta a un tavolo a dire qualcosa del genere? Gli agenti investigativi sembravano eccitati. Lei avrebbe voluto che quel momento non finisse mai. Era parte di quello che attendeva da sempre, da tutta la vita. La sua grande occasione, finalmente. Alzò di nuovo lo sguardo sulle loro facce ansiose. «Insomma, ha gridato due volte il nome di Annamarie, poi ha detto: 'Aspetti' e io ho avuto la sensazione che fosse riuscita a farsi sentire. Ricordo di aver pensato che la Scalli doveva essersi fermata ad aspettarla nel parcheggio.» Era andata più o meno così, si disse, mentre i due uomini sorridevano. «Ci è stata davvero di grande aiuto.» Il tono di Packwell era riconoscente. «È mio dovere avvisarla che probabilmente vorranno ascoltarla ancora, Gladys.» «Sempre lieta di essere d'aiuto», replicò lei. Di lì a un'ora, dopo aver letto e firmato la sua dichiarazione, Gladys era di nuovo in auto con Green, diretta a Rowayton. A turbare la sua felicità c'era solo la notizia che le aveva dato il giovane agente in risposta alle sue domande: i genitori di lui avevano appena festeggiato il loro quarantesimo anniversario di matrimonio ed erano una coppia assolutamente felice. Intanto, al tribunale di Stamford, il viceprocuratore di stato Tom Serrazzano si presentava davanti al magistrato per chiedere l'autorizzazione a perquisire l'abitazione e l'auto di Molly Carpenter Lasch. «Abbiamo motivo di credere che quella donna abbia assassinato Annamarie Scalli. Riteniamo che ci siano buone probabilità di trovare prove a suo carico. Nell'auto potrebbero esserci ancora l'arma del delitto, tracce di sangue, oppure capelli o fibre, e vogliamo impossessarcene prima che lei abbia il tempo di ripulire tutto.» 40
Durante il viaggio di ritorno a New York, Fran ripercorse mentalmente gli avvenimenti della mattinata. I giornalisti e gli operatori televisivi erano arrivati a casa di Molly in tempo per sorprendere gli agenti dell'ufficio del procuratore di stato che se ne stavano andando. Gus Brandt aveva rimandato in onda il servizio sul rilascio di Molly corredandolo della cronaca dal vivo che Fran aveva fatto per telefono dalla casa della donna. La strada scorreva mentre la giornalista rammentava le parole che aveva usato: «Uno sviluppo inatteso nel caso dell'omicidio di Rowayton. È ormai confermato che la donna pugnalata nel parcheggio del Sea Lamp Diner in quella cittadina del Connecticut è Annamarie Scalli. La signorina Scalli è stata l''altra donna' nel processo per l'omicidio del dottor Gary Lasch, un processo che si è guadagnato i titoli di testa sei anni fa e di nuovo la settimana scorsa, quando Molly Carpenter Lasch, moglie dell'ucciso, è stata rilasciata dal carcere dove era stata richiusa con una condanna di omicidio. «I particolari sono ancora scarsi, ma secondo la polizia la signora Lasch è stata vista ieri sera alla tavola calda di Rowayton, in compagnia della vittima. «L'avvocato della Lasch, Philip Matthews, ha dichiarato che la donna aveva chiesto un incontro con la signorina Scalli per mettere la parola fine a un capitolo doloroso della sua vita, e che le due donne avevano avuto uno scambio franco e onesto. Annamarie Scalli è stata la prima a lasciare il locale e da quel momento Molly Lasch non l'ha più vista. La signora Lasch, ha concluso l'avvocato, esprime le sue condoglianze ai famigliari della vittima». Terminata la trasmissione, Fran era salita in macchina con l'intenzione di rientrare immediatamente in città, ma era stata fermata dalla signora Barry, che l'aveva chiamata in preda all'agitazione. In casa, Philip Matthews, con il viso cupo e preoccupato, l'aveva invitata a seguirlo nello studio. Molly era lì, seduta sul divano, con le spalle curve e le mani intrecciate sulle ginocchia. Fran aveva avuto l'impressione che i jeans e il maglione che l'amica indossava le fossero diventati improvvisamente grandi... sembrava talmente minuta! «Molly è intenzionata a raccontarle tutto quello che ha riferito a me», esordì Matthews. E in quanto suo avvocato, sfortunatamente io posso solo darle dei consigli, non obbligarla ad accettarli. Capisco che Molly la consideri un'amica, Fran, e credo che anche lei le sia affezionata, ma se venisse chiamata a testimoniare, lei dovrebbe rispondere a domande a cui noi
preferiremmo forse che non rispondesse. Questo è il motivo per cui ho consigliato a Molly di non parlarle di ciò che è accaduto ieri sera ma, come ho già detto, io posso soltanto consigliarla.» Fran si era mostrata d'accordo con l'avvocato, ma Molly aveva insistito per confidarsi ugualmente. «Ieri sera ho visto Annamarie. Abbiamo parlato per un quarto d'ora, venti minuti. Lei è uscita dalla tavola calda prima di me e io subito dopo ho deciso di tornare a casa. Non l'ho vista nel parcheggio. C'era un'auto che si stava allontanando quando ho lasciato il locale e, pensando che fosse lei, ho gridato ad alta voce il suo nome. Ma chiunque fosse alla guida non mi ha sentito, oppure non ha voluto fermarsi.» Fran aveva chiesto se era possibile che a bordo della vettura ci fosse davvero Annamarie e che la donna fosse tornata successivamente al parcheggio. Annamarie era stata trovata morta sulla sua jeep, aveva obiettato Matthews, e Molly era certa che l'auto che aveva visto allontanarsi fosse una berlina. A quel punto Fran aveva chiesto all'amica di cosa avesse parlato con Annamarie. Ripensandoci ora, era incline a credere che su quel punto Molly non fosse stata altrettanto franca. C'è qualcosa che non vuole che io sappia. E perché Molly è tanto restia a parlare? Forse sta cercando di usarmi? Mentre s'immetteva nella strada che l'avrebbe portata a Manhattan, Fran riesaminò alcuni degli interrogativi che ancora l'assillavano: perché quella mattina Molly era tornata a letto dopo aver fatto la doccia ed essersi vestita? Un dubbio improvviso le mandò un brivido lungo la schiena. Forse stava commettendo un errore. Forse Molly aveva effettivamente ucciso il marito. E poi l'interrogativo più grande di tutti: chi è davvero Molly, che razza di persona è? Era la stessa domanda che Gus Brandt le pose in ufficio. «Fran, questo ha tutta l'aria di diventare un altro caso alla O.J. Simpson e noi abbiamo un canale privilegiato con Molly Lasch. Se quella donna continua a far fuori le persone come mosche, ti ci vorranno due puntate per raccontare la sua storia.» «Sei convinto che sia stata Molly a uccidere Annamarie Scalli?» domandò Fran. «Hai visto anche tu le riprese girate sul luogo del delitto. Il finestrino
della jeep dalla parte del guidatore era abbassato. È del tutto plausibile che la Scalli lo abbia aperto sentendo la Lasch che la chiamava.» «Ma questo significherebbe che Molly è andata all'appuntamento con l'intenzione di uccidere, e che aveva un coltello con sé», obiettò lei. «Forse non ha trovato una statuetta adatta allo scopo», fu la pungente replica di Brandt. Quando Fran tornò nel suo ufficio, aveva le mani cacciate nelle tasche dei pantaloni, un'abitudine per cui i fratellastri l'avevano sempre benevolmente presa in giro. «Quando le mani di Fran sono a riposo, il suo cervello sta facendo gli straordinari», dicevano. Andrà esattamente come la prima volta, rifletteva lei. Anche se non dovessero trovare neppure uno straccio di prova che colleghi Molly alla morte di Annamarie, l'hanno già condannata per questo secondo omicidio. Solo ieri pensavo che sei anni fa nessuno si è preso la briga di cercare un'altra spiegazione per la morte di Gary, ed ecco che sta succedendo di nuovo. «Edna Barry», disse ad alta voce mentre entrava nell'ufficetto. «Edna Barry, che cosa?» Fran si girò con un sobbalzo. Tim Mason era proprio dietro di lei. «Stavo pensando... che stamattina la domestica di Molly, Edna Barry, è scesa a precipizio in cucina, dov'eravamo Matthews e io, per dirci che Molly era tornata a letto. Ha esclamato: 'Mio Dio, è tutto proprio come l'altra volta'.» «Che cosa vuoi dire, esattamente, Fran?» «C'è qualcosa che mi lascia perplessa... non tanto in quello che Edna ha detto, quanto nel modo in cui si è espressa. Era come se fosse stata contenta di trovare Molly in quelle condizioni. Perché mai avrebbe dovuto farle piacere vedere quella poveretta ripetere la reazione che aveva avuto dopo la morte di Gary?» 41 «Molly non risponde al telefono. Mi porti da lei, Lou.» Irritata a causa di una riunione programmata per l'ora di colazione e che si era protratta più del previsto, impedendole di lasciare l'ufficio prima, Jenna aveva preso il treno delle quattordici e dieci per Greenwich, dove Lou Knox aveva ricevuto istruzioni di aspettarla. Lui la sbirciò dallo specchietto retrovisore. Jenna era di cattivo umore; quello non era il momento giusto per scontentarla, ma non aveva scelta.
«Suo marito mi ha detto di accompagnarla direttamente a casa, signora Whitehall.» «Davvero? Be', è un vero peccato, perché mio marito dovrà aspettare. Mi porti a casa di Molly e mi lasci lì. Se a Cal serve la macchina, può passare a prendermi più tardi, oppure tornerò in taxi.» Erano arrivati all'incrocio. Per andare a casa della Lasch bisognava girare a destra. Lou azionò la freccia a sinistra e scatenò la reazione che si aspettava. «È sordo o che cosa?» «Lo sa che non posso far arrabbiare suo marito, signora Whitehall», rispose lui, sperando di apparire sufficientemente ossequioso. Solo tu puoi riuscirci e farla franca, si disse. Jenna sbatté la porta di casa con tanta energia che l'intero edificio sembrò vibrare. Trovò il marito nel suo ufficio al secondo piano. Furente, con gli occhi pieni di lacrime e la voce che tremava, si avvicinò a grandi passi alla scrivania e vi appoggiò sopra le mani. «Da quando hai deciso che quel tuo viscido lacché può dirmi dove posso o non posso andare?» sibilò, guardandolo dritto negli occhi. Lo sguardo di Calvin Whitehall era gelido. «Quel 'viscido lacché', come tu definisci Lou Knox, non poteva far altro che eseguire i miei ordini. Dunque è con me che devi prendertela, mia cara, non con lui. Vorrei solo poter ispirare la stessa devozione in tutti i nostri domestici.» Jenna intuì di essersi spinta troppo in là. «Mi dispiace, Cal», tentò di rimediare. «Ma la mia amica più cara è sola. Sua madre mi ha chiamato stamattina; ha saputo di Annamarie Scalli e mi ha supplicato di stare vicina a Molly. Non vuole che lei lo sappia, ma suo padre ha avuto un leggero colpo la settimana scorsa e i medici non gli permettono di mettersi in viaggio. Altrimenti loro sarebbero già qui.» Ogni traccia di collera sparì dal viso di Calvin Whitehall. Si alzò, e attirata a sé la moglie, le parlò dolcemente all'orecchio. «A quanto pare, siamo di fronte a un conflitto d'interessi, Jen. Io non volevo che tu andassi da Molly perché appena un'ora fa ho avuto una soffiata. L'ufficio del procuratore ha ottenuto l'autorizzazione a perquisire la sua casa e a requisire l'auto. Quindi, vedi, non sarebbe di nessun aiuto e, anzi, potrebbe essere disastroso per le nostre trattative in corso, se una persona in vista come la signora Whitehall venisse apertamente collegata alla Lasch proprio mentre avviene la perquisizione. Più tardi, naturalmente, potrai andare da lei.»
«Un mandato di perquisizione? Ma perché, Cal?» Jenna si liberò dalla stretta del marito e si girò a fronteggiarlo. «Per l'ottimo motivo che le prove circostanziali del coinvolgimento di Molly nell'omicidio di quell'infermiera stanno diventando davvero molte. Stando alla mia fonte, ci sono novità. Pare che la cameriera di quella tavola calda abbia parlato con il viceprocuratore di stato e che abbia puntato il dito contro Molly. Ecco perché è arrivata subito l'autorizzazione. Ma la mia fonte ha anche altre informazioni. Per esempio, hanno trovato il portafoglio di Annamarie Scalli: era sul sedile del passeggero, perfettamente visibile. Conteneva parecchie centinaia di dollari. Se il movente fosse stato una rapina, quel denaro sarebbe certamente sparito.» La attirò di nuovo a sé. «Lo so, Molly è la tua amica, la ragazza con cui andavi a scuola, la sorella che non hai mai avuto. Devi volerle bene, ma devi anche capire che in lei agiscono forze oscure che ne hanno fatto un'assassina.» Squillò il telefono. «Dev'essere la chiamata che aspettavo.» Con un ultimo colpetto sulla spalla, la lasciò andare. Jenna sapeva che, quando Cal diceva di aspettare una telefonata, bisognava lasciarlo solo e uscire dall'ufficio chiudendosi alle spalle la porta. 42 Non sta succedendo davvero. È solo un brutto sogno. No, non un brutto sogno, un brutto incubo! Era quella un'espressione accettabile, si chiese Molly, o una ripetizione? Fin dalla mattina nella sua mente si affollava una ridda di pensieri contrastanti e di ricordi a metà. Cercare di concentrarsi su quel piccolo dubbio grammaticale era un esercizio buono come un altro per calmarsi. Era seduta sul divano dello studio, con la schiena appoggiata al bracciolo, le braccia strette intorno alle ginocchia e il mento posato sulle mani. Una posizione quasi fetale, considerò. Eccomi qui, raggomitolata su me stessa, mentre degli sconosciuti mettono a soqquadro la mia casa. Quando eravamo ragazzine, Jenna e io ricorrevamo all'espressione «assumere la posizione fetale» per riferirci scherzosamente a un fatto sconvolgente. Ma questo è stato molto tempo fa, quando le cose gravi erano un'unghia rotta o una partita di tennis cancellata. Ora per me il termine «sconvolgente» ha assunto un altro, ben più grande significato. Mi hanno detto di aspettare qui. Credevo che una volta fuori dal carcere non avrei dovuto più prendere ordini del genere, mai più. Due settimane fa
ero ancora rinchiusa, ma adesso sono a casa. Eppure non posso obbligare questi orribili individui ad andarsene. Fra un po' mi sveglierò e capirò di avere solo sognato, si disse chiudendo gli occhi. Ma non poteva crederci, naturalmente. Sollevò la testa per guardarsi intorno. I poliziotti avevano già perquisito lo studio; avevano rovesciato i cuscini del divano, aperto i cassetti, addirittura passato le mani sulle tende, nell'eventualità che ci fosse qualcosa nascosto fra le pieghe. Ormai erano in cucina da un pezzo. Senza dubbio stavano esaminando il contenuto di ogni cassetto, di ogni armadietto. Molly aveva sentito qualcuno ordinare a qualcun altro di mettere da parte tutti i coltelli per la carne che avessero trovato. Aveva anche udito l'agente più anziano dire al compagno di requisire l'abito e le scarpe che, secondo la cameriera della tavola calda, lei indossava quella sera. Ora Molly poteva solo aspettare. Che la polizia se ne andasse, che la sua vita tornasse alla normalità... quale che fosse. Ma non posso restarmene seduta qui a fare niente, pensò. Devo uscire, devo andarmene. Ma dove posso andare, senza che ci sia qualcuno che mi indichi con il dito, che sussurri alle mie spalle e senza incontrare i giornalisti? Il dottor Daniels, fu il pensiero immediatamente successivo. Devo parlare con lui. Mi aiuterà. Erano le cinque. Chissà se è ancora in studio, si chiese. Era strano, ma a dispetto dei sei anni passati, ricordava ancora il suo numero a memoria. Quando il telefono squillò, Ruthie Roitenberg stava chiudendo i cassetti della scrivania e il dottor Daniels aveva appena preso il cappotto dal guardaroba. Si guardarono. «Lascio che risponda il servizio di emergenza?» chiese Ruthie. «È di turno il dottor MacLean.» John Daniels era stanco. Aveva avuto un colloquio difficile con uno dei suoi pazienti più gravi e si sentiva addosso tutto il peso dei suoi settantacinque anni. Non vedeva l'ora di andare a casa e aveva accolto con sollievo la notizia che la cena a cui avrebbe dovuto partecipare con la moglie era stata cancellata. Tuttavia l'istinto gli diceva che avrebbe fatto meglio a rispondere. «Sentiamo almeno chi è, Ruthie.»
Gli occhi della segretaria erano pieni di stupore quando coprì il ricevitore con la mano bisbigliando: «Molly Lasch». Per un momento, incerto sul da farsi, lo psichiatra rimase immobile, con il cappotto in mano. Sentì Ruthie che diceva: «Temo che il dottore sia già uscito, signora Lasch. Vedo se riesco a fermarlo prima che salga in ascensore». Molly Lasch. Daniels esitò ancora un momento, poi andò alla scrivania e prese la cornetta dalla mano di Ruthie. «Ho saputo di Annamarie Scalli, Molly. Posso esserle d'aiuto?» Mezz'ora dopo lei entrava nel suo studio. «Mi scusi se ho impiegato tanto tempo, dottore. Volevo prendere la mia auto, ma la polizia non me lo ha permesso, così sono venuta in taxi.» Il suo tono tradiva lo stupore, come se neppure lei riuscisse a credere a quello che diceva. I suoi occhi ricordarono a Daniels il cliché del cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto, ma in lei c'era ben più che semplice meraviglia. Molly era una donna perseguitata. Si rese immediatamente conto che la sua paziente rischiava di scivolare di nuovo nella letargia che si era impossessata di lei dopo la morte del marito. «Perché non si stende sul lettino mentre parliamo, Molly?» le propose. Lei rimase seduta in silenzio sulla sedia davanti alla sua scrivania e Daniels le si accostò, mettendole la mano sotto il gomito. Il corpo di Molly era rigido. «Coraggio», la blandì, costringendola ad alzarsi. Lei si lasciò guidare docilmente. «È stato davvero gentile a ricevermi a quest'ora, dottore.» La bella bambina dalle buone maniere che tante volte aveva visto al club, pensò lo psichiatra. Una bambina perfetta, il prodotto di un'educazione impeccabile e di una ricchezza discreta. Nessuno allora avrebbe immaginato quello che il futuro teneva in serbo per lei: un'incriminazione per omicidio... una seconda. .. la polizia che perquisiva la sua casa in cerca di prove da usare a suo carico. Scosse la testa, pieno di rammarico. Nell'ora successiva, Molly cercò di tradurre in parole, per se stessa non meno che per lo psichiatra, l'impulso che l'aveva indotta a cercare Annamarie. «Mi dica che cosa sta pensando, Molly.» «Ora capisco che ero scappata a Cape Cod per una settimana perché ero arrabbiata. Ma non per quello che avevo scoperto su Gary e Annamarie. No, non è stato perché mio marito aveva un'altra. Ero arrabbiata perché avevo perso mio figlio mentre lei era ancora incinta. Quel bambino avreb-
be dovuto essere mio.» Con un peso nel cuore, John Daniels attese che lei continuasse. «Volevo vedere Annamarie perché pensavo che se non ero stata io a ucciderlo, allora forse lo aveva fatto quella donna. Non è mai stato appurato con certezza dove si trovasse lei quella sera. Ed era arrabbiata con Gary; l'avevo capito sentendola parlare al telefono.» «E quella sera le ha chiesto se era stata lei?» «Sì, e le ho creduto quando mi ha detto che non lo aveva fatto. Mi ha confidato molte altre cose... per esempio, che Gary era contento che io avessi perso il bambino, perché voleva chiedere il divorzio e un figlio avrebbe complicato tutto.» «Succede spesso che gli uomini dicano alle amanti che vogliono divorziare. Ma raramente è vero.» «Lo so, e forse anche lui mentiva. Ma non quando diceva di essere contento che io avessi perso il bambino.» «È stata Annamarie a riferirglielo?» «Sì.» «Qual è stata la sua reazione?» «È questa la cosa che mi spaventa di più, dottore. In quel momento credo di averla odiata con tutta me stessa, perché aveva pronunciato quelle parole.» Con tutta me stessa, pensò Daniels. Molly riprese a parlare in fretta. «E sa a cosa ho pensato improvvisamente? A una frase della Bibbia: 'Rachele piangeva i figli perduti e nulla poteva consolarla'. Anch'io piangevo il mio bambino. L'avevo sentito muoversi dentro di me, e poi l'avevo perduto. In quel momento ero Rachele e in me non c'è più stata rabbia, solo dolore.» Sospirò e quando riprese a parlare ogni emozione era scomparsa dalla sua voce. «Annamarie è uscita prima di me, dottore. Se n'era già andata quando io sono arrivata nel parcheggio. Ricordo con chiarezza di essere tornata subito a casa e di essere andata a letto presto.» «Lo ricorda 'con chiarezza', Molly?» «Dottore, la polizia sta perquisendo la mia casa e stamattina gli agenti hanno cercato parlare con me. Philip mi ha ordinato di non riferire a nessuno, neppure a Jenna, quello che mi ha detto Annamarie Scalli.» Il tono si fece più agitato. «È come l'altra volta, dottore? Ho compiuto un'azione terribile e l'ho cancellata dalla memoria? Se è così, e se lo proveranno, non permetterò loro di rinchiudermi di nuovo. Preferisco morire.»
«Da quando è tornata a casa, ha rammentato qualcos'altro circa la presenza estranea che aveva percepito in casa, la sera della morte di Gary?» Vide il corpo di lei rilassarsi e un lampo di speranza balenarle negli occhi. «Quella sera c'era davvero qualcuno», disse Molly. «Sto cominciando ad averne la certezza.» E io sto cominciando ad avere la certezza dell'esatto contrario, pensò Daniels, rattristato. Fu lui ad accompagnarla a casa. La villetta era immersa nel buio; non scorsero auto parcheggiate, né agenti in attesa. Daniels scortò Molly alla porta e attese che accendesse la luce nell'ingresso. «Prenda la pillola che le ho dato stasera», le consigliò. «Domani parleremo ancora.» La porta si richiuse dietro di lei e lo psichiatra tornò lentamente alla macchina. Non credeva che Molly fosse già arrivata al punto di essere pericolosa per se stessa, ma di una cosa era certo: se l'avessero incriminata, lei avrebbe di nuovo trovato il modo di fuggire dalla realtà. E questa volta non si sarebbe trattato di amnesia dissociativa, ma della morte. Oppresso dalla tristezza, si diresse verso casa e la sua cena tardiva. 43 Il martedì mattina Fran trovò in ufficio un foglietto con un messaggio «urgente» di Billy Gallo. Il testo era conciso: Gallo si qualificava come un amico di Tim Mason e le chiedeva di richiamarlo per una questione molto importante. L'uomo rispose al primo squillo. «Signorina Simmons, mia madre è stata seppellita ieri. È deceduta per un attacco cardiaco che si sarebbe dovuto e potuto prevenire. Sto che sta curando un servizio sulla morte del dottor Lasch e volevo pregarla di includervi anche un'indagine sul cosiddetto programma di previdenza sanitaria che lui aveva avviato.» «Tim mi ha detto di sua madre. Sono davvero addolorata per la perdita che ha subito», replicò Fran, «ma sono certa che per casi come il suo è prevista una procedura ben precisa.» «Oh, lo sa come finiscono certe querele», obiettò Gallo. «Senta, io faccio il musicista e non posso permettermi di perdere l'ingaggio in uno spettacolo che si tiene a Detroit. Devo tornare là al più presto. Ho parlato con Roy Kirkwood, il medico di base di mia madre, e lui mi ha spiegato che aveva richiesto con urgenza ulteriori accertamenti. E sa una cosa? La sua
richiesta era stata respinta. Kirkwood è convinto che si sarebbe potuto fare di più per mia madre, ma loro non lo hanno permesso. Gli parli, signorina Simmons. Sono andato da lui pronto a spaccargli la testa e sono uscito dal suo studio dispiaciuto per quel poveretto. Il dottor Kirkwood ha poco più di sessant'anni, ma vuole chiudere l'ambulatorio e andare in pensione. Ecco fino a che punto è disgustato dal Centro Remington.» Spaccargli la testa, pensò Fran. Era possibile che un parente di qualche ammalato avesse desiderato fare lo stesso con il dottor Gary Lasch? «Mi dia il numero di telefono e l'indirizzo del dottor Kirkwood», rispose con un sospiro. «Gli parlerò.» Alle undici, Fran era di nuovo in viaggio per Greenwich. Molly aveva accettato di pranzare con lei all'una, ma non si era lasciata convincere a uscire di casa. «Non posso», le aveva spiegato. «Mi sento troppo vulnerabile. Mi guarderebbero tutti, sai. Sarebbe troppo orribile, non posso proprio farlo.» Le aveva chiesto di comperare una quiche in panetteria. «Il martedì la signora Barry non viene e la polizia si è portata via la macchina, quindi non posso andare a fare la spesa.» Per il momento questa è l'unica buona notizia, rifletté Fran. Sarebbe stato meglio per una volta parlare con Molly senza quella donna che entrava e usciva continuamente dalla stanza. Ciò non significava che non volesse incontrare la Barry. Anzi, la prima cosa che contava di fare, una volta a Greenwich, era passare da casa sua per una visita a sorpresa. Sarò franca con lei, decise, mentre consultava la cartina stradale. Non so perché, ma Edna Barry nutre dell'ostilità nei confronti di Molly e ha paura di me. Forse riuscirò a scoprire qual è il suo problema. Temo di non valere granché come stratega, si disse poco dopo mentre, in piedi sullo stretto gradino, suonava il campanello di casa Barry. La villetta era silenziosa e la Subaru rossa della donna non era nel vialetto. Doveva infilare sotto la porta un biglietto in cui spiegava a Edna che aveva urgente bisogno di parlarle? si chiese. Un messaggio di quel tenore avrebbe spaventato la signora Barry, e tutto sommato Fran voleva proprio questo, darle una bella scossa. Ma se invece il biglietto avesse ottenuto solo l'effetto di aumentare la diffidenza di Edna? Che lei stesse nascondendo qualcosa era certo, e chis-
sà, forse si trattava di informazioni importanti. No, non poteva correre il rischio di vederla chiudersi ancora di più a riccio. Fran era ancora incerta sul da farsi quando sentì qualcuno che la chiamava: «Ehi, lei!» Si voltò. Una donna sulla cinquantina, con i capelli cotonati e gli occhiali con la montatura variopinta trotterellava sul prato nella sua direzione. Quando si fermò vicino a Fran, era quasi senza fiato. «Edna dovrebbe arrivare tra poco», ansimò. «Suo figlio Wally oggi non stava tanto bene e lei lo ha portato dal dottore. Wally diventa un vero problema quando non prende la sua medicina. Perché non si ferma da me ad aspettarli? Sono Marta Jones, la vicina dei Barry.» Fran sorrise. «Molto gentile da parte sua. Non avevo preavvisato la signora Barry, ma ho davvero urgenza di vederla.» E mi piacerebbe molto fare due chiacchiere con te. «Sono Fran Simmons.» Marta Jones la guidò in casa sua e la fece accomodare nella saletta della televisione. «Da qui potremo vedere Edna quando rientra», spiegò, posando sul tavolo due tazze di caffè appena fatto. «Il caffè delle vecchie caffettiere è più buono», continuò. «Quello preparato con le nuove macchinette non ha lo stesso sapore.» Si sistemò sulla poltrona di fronte alla sua ospite. «È un vero peccato che Edna abbia dovuto portare Wally dal dottore. Ma almeno oggi non ha dovuto chiedere un permesso sul lavoro. Va a fare i servizi da Molly Lasch tre mattine alla settimana, lunedì, mercoledì e venerdì.» Fran annuì in silenzio, ben felice di immagazzinare tutte le informazioni che la donna le dava. «Avrà sentito parlare della Lasch», riprese Marta. «È la donna che è stata appena rilasciata dal carcere dove era stata rinchiusa per l'omicidio del marito, e ora pare che sarà arrestata di nuovo per quello dell'amante di lui. Sono certa che avrà letto qualcosa anche lei, signorina... Mi scusi, prima non ho afferrato il suo nome» «Simmons, Fran Simmons.» Le bastò guardare Marta negli occhi per capire che cosa stava pensando. Fran Simmons... la giornalista televisiva, nonché la figlia dell'uomo che ha rubato i fondi destinati alla biblioteca e poi si è sparato. Ma l'espressione di Marta mutò e si fece compassionevole. «Non fingerò di non sapere di suo padre», osservò con voce quieta. «Mi dispiacque molto per lei e per sua madre.» «Grazie.»
«Così ora lei lavora per la televisione e sta preparando una puntata su Molly, quindi saprà già tutto.» «Proprio così.» «Be', forse Edna l'ascolterà. Posso chiamarla Fran?» «Ma certo.» «Stanotte non ho dormito perché continuavo a chiedermi se per Edna non sia pericoloso lavorare a casa Lasch. Insomma, l'omicidio del marito è stata una cosa. Un attacco di follia, ne sono certa; dopo tutto lui la tradiva. Ma se meno di una settimana dopo che era tornata in libertà quella donna ha deciso di uccidere anche l'amante di lui, be'... è un fatto che dà da pensare, non crede?» Fran rammentò le parole di Gus Brandt. L'idea che lei fosse una povera pazza, un'assassina al di là di ogni controllo, stava assumendo proporzioni quasi epidemiche. «Voglio dirle una cosa», seguitò Marta, «per nulla al mondo accetterai di restare per ore sola in casa con una persona del genere. Quando ho visto la mia amica, stamattina... lei e Wally stavano uscendo... le ho detto: 'Edna, che cosa ne sarebbe di Wally, se Molly Lasch impazzisse del tutto e ti ammazzasse con un colpo in testa o una pugnalata? Chi si prenderebbe cura di lui?'» «Wally ha bisogno di molte cure?» «Oh, finché prende la medicina va tutto bene. Ma quando punta i piedi diventa un'altra persona, poco controllabile. Proprio ieri ha preso la chiave di casa Lasch dal mazzo di Edna. 'Voglio andare a trovarla', ha detto. Ovviamente la madre l'ha costretto a rimetterla subito a posto.» «Ha preso la chiave di casa Lasch?» Fran si sforzò di non tradire il suo interesse. «Lo ha fatto altre volte?» «Oh, non credo. La madre non gli permette di andarci. Il dottor Lasch teneva molto alla sua collezione di arte americana, pare che fosse di grande valore. Ma so che un giorno Wally era andato nel suo studio e aveva preso in mano qualcosa che non avrebbe dovuto. Edna ci rimase malissimo. Il ragazzo non aveva rotto niente, ma si trattava di un pezzo prezioso, e a quanto pare il dottor Lasch lo aveva cacciato via urlando. Wally ne era rimasto scosso... Oh, ecco Edna.» La raggiunsero sulla porta d'ingresso. L'espressione sbigottita che comparve sul viso della signora Barry nel vedere le due donne insieme confermò i sospetti di Fran: Edna nascondeva qualcosa.
«Entra, Wally», sibilò lei rivolta al figlio. Fran ebbe appena il tempo di intravedere quel giovanotto alto, attraente, sulla trentina, prima che Edna lo spingesse dentro e richiudesse la porta. Quando si voltò a fronteggiare la giornalista, era paonazza e le tremava la voce. «Signorina Simmons, non so perché lei sia qui, ma ho avuto una mattinata pesante e ora non me la sento di riceverla.» «Oh, Edna...» Marta Jones sembrava preoccupata. «Wally non si è calmato neanche un po'?» «Wally sta benissimo.» Dalla voce della donna trapelavano collera e paura. «Marta, spero che tu non abbia raccontato alla signorina Simmons chissà che cosa sul conto di mio figlio.» «Come puoi pensarlo, Edna? Sai che nessuno è più affezionato di me a Wally.» Di colpo gli occhi dell'altra si riempirono di lacrime. «Lo so, lo so», mormorò. «Ma è tutto talmente difficile... dovete scusarmi. Ci sentiamo dopo, Marta.» Fran e Marta Jones rimasero ferme sui gradini, con gli occhi fissi sulla porta d'ingresso che si era richiusa alle spalle della Barry. «Di solito non è una persona scortese», sospirò la vicina. «È solo che ha passato dei gran brutti momenti. Prima la morte del padre di Wally, poi quella del dottor Morrow. E subito dopo, il dottor Lasch e...» «Il dottor Morrow?» la interruppe Fran. «Che cosa aveva a che fare lui con Edna?» «Oh, era il medico di Wally ed era davvero fantastico con lui. Una gran brava persona, sa. Se Wally si rifiutava di prendere la medicina o si agitava troppo, Edna non doveva far altro che chiamare il dottor Morrow.» «È del dottor Jack Morrow che sta parlando?» «Sicuro. Lo conosceva?» «Sì, lo conoscevo.» Ancora una volta Fran pensò all'uomo gentile che quattordici anni prima l'aveva abbracciata nell'annunciarle la morte di suo padre. «Forse allora ricorderà che fu assassinato nel corso di una rapina solo due settimane prima che morisse il dottor Lasch.» Marta sembrava rattristata. «Wally ne sarà rimasto sconvolto.» «Non può immaginare quanto. Fu terribile. E la lite con il dottor Lasch dev'essere avvenuta subito dopo. Povero Wally. La gente non capisce: non
è colpa sua se è così.» No. pensò Fran mentre saliva in macchina dopo aver ringraziato Marta per la sua ospitalità. Ma non era solo una questione di comprensione; forse la gente non conosceva neppure la portata dei problemi di Wally. Che cosa nascondeva Edna Barry? Possibile che avesse lasciato che la colpa di un delitto commesso dal figlio ricadesse su Molly? Possibile? 44 La pillola del dottor Daniels era stata molto efficace. Molly l'aveva presa alle dieci di sera e aveva dormito fino alle otto del mattino successivo. Era caduta in un sonno pesante, profondo, da cui emerse vagamente intontita, ma riposata. Contava di portarsi la colazione a letto, ma prima ancora di arrivare in cucina si rese conto che avrebbe dovuto darsi da fare per rimediare al disordine lasciato dalla polizia. Benché si fossero sforzati di rimettere ogni cosa al suo posto, il passaggio degli agenti aveva stravolto completamente l'atmosfera della casa. Il cambiamento era sottile, ma a Molly non sfuggiva. Tutto quello che quegli estranei avevano toccato o spostato era fuori posto, stonato. L'armonia della sua casa, il cui ricordo l'aveva aiutata a sopportare la lunga detenzione, era svanita e bisognava ripristinarla. Dopo una rapida doccia, s'infilò jeans, scarpe da ginnastica e una vecchia felpa e si mise al lavoro. La tentazione di chiamare la signora Barry ad aiutarla la sfiorò e passò subito. È casa mia, si disse. Tocca a me. Forse la mia vita è ormai fuori controllo, si disperò mentre riempiva il lavello di acqua calda e vi versava il sapone liquido, ma sono ancora in grado di badare a casa mia. Dopo tutto, la polizia non aveva precisamente sporcato, e i danni consistevano soprattutto in macchie e ditate sulle stoviglie. È stato un po' come nelle perquisizioni a sorpresa che facevano in cella, pensò poi. Molly non aveva dimenticato il rumore dei passi lungo il corridoio del raggio, l'ordine di restare in piedi contro il muro, costretta a guardare mentre loro mettevano a soqquadro il suo letto in cerca di stupefacenti. Si rese conto di stare piangendo solo quando, passandosi il dorso della mano sulla guancia, un po' di sapone le finì nell'occhio.
Ecco un altro motivo per essere contenta che oggi sia la giornata libera della signora Barry, si disse. Non sono costretta a nascondere i miei sentimenti. Posso sfogare liberamente le emozioni. Il dottor Daniels mi darebbe un Benissimo. Stava lucidando il tavolo dell'ingresso quando alle nove e mezzo chiamò Fran Simmons. Perché ho accettato di fare colazione con lei? si chiese Molly quando riattaccò. Ma conosceva la risposta. A dispetto degli ammonimenti di Philip, desiderava parlare con Fran della paura che aveva avvertito in Annamarie Scalli. E non è di me che aveva paura. Non è me che temeva, anche se era convinta che fossi stata io a uccidere Gary. Disperata, crollò a sedere sull'ultimo gradino della scala. Oh, Dio, perché permetti che mi accada tutto questo? Sono così sola. Sola. Il giorno prima sua madre le aveva risposto al telefono: «Hai ragione, cara. È meglio che non veniamo, per il momento». Io invece avrei voluto sentirmi dire che stavano arrivando. Ho bisogno di loro, adesso. Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti. Il campanello della porta squillò alle dieci e mezzo. In punta di piedi, Molly raggiunse l'uscio e vi si appoggiò, in attesa. Non aprirò, decise. Chiunque sia, deve credere che non ci sia nessuno in casa. Poi udì una voce: «Molly, apri, sono io». Con un singhiozzo di sollievo, si affrettò a girare la chiave nella serratura e un istante dopo piangeva disperatamente tra le braccia di Jenna. «Vecchio amico, migliore amico», mormorò quest'ultima, piangendo a sua volta per la commozione. «Oh, cara, come posso aiutarti?» Molly rise fra le lacrime. «Metti l'orologio indietro di una dozzina d'anni, e non presentarmi Gary Lasch. E se non puoi fare questo, stammi vicino e basta.» «Philip non è ancora arrivato?» «Doveva andare in tribunale. Mi ha detto che non sapeva a che ora sarebbe riuscito a liberarsi.» «Devi chiamarlo. Cal ha avuto una soffiata. Hanno trovato tracce del sangue di Annamarie su una delle polacchine che portavi domenica, e anche nell'auto. Mi dispiace, ma lui è persuaso che il procuratore di stato chiederà il tuo arresto.» 45
Appena fu informato delle tracce di sangue rinvenute sulla scarpa di Molly Lasch e nella sua auto, Calvin Whitehall si recò immediatamente nell'ufficio di Peter Black. «Grandi novità», annunciò, ma subito s'interruppe per scrutare attentamente l'altro. «Non mi sembri molto turbato.» «Turbato perché Annamarie Scalli, una potenziale fonte di guai, non è più tra noi? Non lo sono, infatti», replicò Peter. Sul suo viso c'era un'espressione compiaciuta. «Avevi detto che non c'era uno straccio di prova e che, parlando, la Scalli non avrebbe fatto altro che cacciarsi a sua volta nei guai.» «L'ho detto e lo penso ancora. Nondimeno, sono enormemente grato a Molly. Di pubblicità ce ne sarà, e della più sordida, ma non coinvolgerà né noi, né l'ospedale, né il Centro Remington.» Whitehall rifletté sulle sue parole. Peter Black era sempre affascinato dall'immobilità che Cal era capace di mantenere quando si concentrava. In quei casi il suo corpo massiccio sembrava trasformarsi in una roccia. Infine, Whitehall annuì. «Un'ottima argomentazione, Peter.» «Come la sta prendendo Jenna?» «È con Molly proprio adesso.» «Era opportuno che ci andasse?» «Jenna si rende conto che non potrei tollerare di vederla fotografata sottobraccio a Molly. Naturalmente, una volta che la fusione sarà avvenuta, potrà aiutare la sua amica come meglio crede. Ma fino a quel momento dovrà mantenere una certa distanza.» «Che genere d'aiuto potrà darle, Cal? Se Molly finisce di nuovo sotto processo, neppure il suo avvocato, per quanto in gamba, riuscirà a ottenere un nuovo patteggiamento.» «Oh, lo so. Ma devi capire che Jenna e Molly sono come sorelle. E io ammiro la lealtà di mia moglie, anche quando sono costretto a tenerla a freno.» Black lanciò un'occhiata impaziente all'orologio. «A che ora ha detto che avrebbe chiamato?» «Questione di minuti, ormai.» «Lo spero proprio. Sto aspettando Roy Kirkwood. L'altro giorno ha perso una paziente e sostiene che è colpa delle nostre procedure. Il figlio della donna deceduta è sul sentiero di guerra.»
«Kirkwood non avrà problemi. Dopo tutto lui aveva richiesto ulteriori accertamenti. Quanto al figlio della paziente, possiamo occuparcene noi.» «Non è una questione di denaro.» «È sempre una questione di denaro, Peter.» Il telefono privato di Black squillò in quel momento. Lui sollevò la cornetta, rimase in ascolto un istante, poi pigiò il pulsante del viva voce e abbassò il volume. «C'è anche Cal qui con me. Noi siamo pronti, dottore.» Il suo tono era rispettoso. «Buongiorno, dottore.» Anche la sua voce aveva perso l'abituale arroganza. «Congratulazione, signori. Abbiamo appena fatto un grosso passo avanti», disse l'uomo all'altro capo del filo. «E se ho ragione, nulla di quanto si potrà fare in seguito sarà anche minimamente paragonabile.» 46 Quando all'una arrivò a casa di Molly, Fran capì immediatamente che l'amica aveva pianto. Aveva gli occhi gonfi e benché fosse leggermente truccata, le lacrime le avevano lasciato qualche traccia sulle guance. «Entra, Fran. Philip è arrivato da poco. È in cucina, mi stava guardando preparare l'insalata.» Chissà che cosa lo ha spinto a precipitarsi qui, si chiese Fran. Ma scommetto che non sarà felice di vedermi. In corridoio, Molly le disse: «Stamattina è venuta a trovarmi Jenna. Ha dovuto andarsene quasi subito perché aveva un appuntamento a colazione con Cal, ma sai che cosa ha fatto, Fran? Mi ha aiutata a riordinare la casa. Forse la polizia dovrebbe istituire un corso per insegnare ai suoi uomini come effettuare una perquisizione senza seminare il caos.» La sua voce era vivace, troppo vivace, notò Fran, preoccupata. Come se fosse sul punto di crollare o di avere una crisi isterica. Philip Matthews doveva essere arrivato alla stessa conclusione. I suoi occhi attenti non si staccavano un momento da Molly, impegnata a togliere la quiche dalla confezione per infilarla in forno. Mentre lavorava, lei non smetteva un attimo di parlare. «Sembra che abbiano trovato del sangue di Annamarie sulle scarpe che portavo domenica sera, Fran. E anche all'interno della mia macchina.» D'istinto, Fran cercò gli occhi dell'avvocato e lesse sul suo viso un'ango-
scia che rifletteva la propria. «Chissà, forse questo sarà il mio ultimo pasto a casa per un bel pezzo. Non è vero, Philip?» chiese Molly. «No, non è vero.» La voce dell'avvocato era tesa. «Oh, certo, anche se mi arresteranno, potrò comunque uscire dietro pagamento della cauzione. Non è simpatico avere tanto denaro? Ai fortunati come me basta compilare un assegno per cavarsi dai guai.» «Smettila, Molly», scattò Fran. Si avvicinò all'amica e le posò le mani sulle spalle. «Ho iniziato la mia indagine partendo dal presupposto che tu fossi colpevole, ma a un certo punto ho cominciato a nutrire dei dubbi. La polizia avrebbe dovuto scavare più a fondo, pensavo, prendere in considerazione anche altre ipotesi. Ma ammetto che la tua intenzione di contattare Annamarie Scalli mi preoccupava. Poi l'hai trovata, e ora lei è morta. E io, pur non avendo ancora la certezza che tu non sia un'assassina, continuo ad avere molti dubbi. Credo che qualcuno abbia costruito una sorta di folle ragnatela in cui tu sei rimasta impigliata. Potrei sbagliarmi, ovviamente. Tu potresti essere davvero quello che il novantanove per cento del mondo pensa che tu sia, ma ti giuro che per il momento sono ancora nel restante uno per cento. Ho intenzione di fare il possibile per dimostrare che sei innocente per quanto riguarda la morte di tuo marito, e anche per quella della Scalli.» «E se ti sbagliassi?» la sfidò Molly. «Se scoprirò di essermi sbagliata, farò del mio meglio perché tu finisca in una struttura dove potrai essere curata nel modo migliore.» Gli occhi di Molly erano pieni di lacrime. «Non mi metterò di nuovo a frignare ma, Fran, voglio dirti che tu sei la prima e l'unica persona che non abbia dato per scontata la mia colpevolezza.» Lanciò un'occhiata al suo avvocato. «E questo vale anche il mio caro Philip, benché sappia che affronterebbe una tigre per me. E per Jenna, che a sua volta farebbe l'impossibile per difendermi, e per i miei genitori, che se mi pensassero innocente, ora sarebbero qui a fare il diavolo a quattro. Credo, e spero, di non avere avuto nessuna parte in questi delitti. Ma se così non fosse, ti prometto che farò in modo di non creare mai più problemi a nessuno.» Fran e Philip Matthews si scambiarono un'occhiata ansiosa. Tacitamente, decisero di non commentare quella velata minaccia di suicidio. La grazia sotto pressione, pensava Fran guardando Molly servire la quiche da una raffinata alzatina di Limoges. Il delicato motivo floreale delle
tovagliette s'intonava alla perfezione con la tappezzeria che ricopriva le pareti. Un'ampia finestra a bovindo dava sul giardino e fuori s'intravedeva già qualche getto verde, araldo della primavera. Più oltre c'era il giardino roccioso e quella vista ricordò a Fran che c'era una questione di cui voleva discutere con Molly. «L'altro giorno abbiamo parlato delle chiavi di casa, ricordi? Se non sbaglio, mi dicesti che ce n'era una copia di riserva.» «La tenevamo laggiù.» Molly indicò il giardino roccioso. «Uno di quei sassi è finto. Ingegnoso, non trovi? Decisamente preferibile al solito vaso di fiori, come nascondiglio per la chiave 'd'emergenza'.» «D'emergenza?» le fece eco Philip. «Certo, nel caso si dimentichi la propria.» «Ti è mai successo, Molly?» chiese Fran in tono disinvolto. L'altra la gratificò di un mezzo sorriso. «Sai che sono una brava ragazza. Faccio sempre le cose nel modo giusto, io. Che diavolo, non era quello che dicevano tutti? Anche a scuola, ricordi?» «Certo, e lo dicevano perché era vero.» «A quei tempi mi capitava spesso di chiedermi quale direzione avrebbe preso la mia vita se le cose per me non fossero state sempre tanto facili. Me ne rendevo conto anche allora, sai. Sapevo di essere una privilegiata e ti ammiravo, perché tu lavoravi per ottenere quello che volevi. Ricordo quando cominciasti a giocare a basket... eri ancora piccola, ma eri anche veloce e determinata, e riuscisti a entrare in squadra.» Molly Carpenter mi ammirava? Fran era stupefatta. Credevo si rendesse conto a malapena che io esistessi. «Quando tuo padre morì, mi sentii molto addolorata per te», riprese Molly. «Sapevo che la gente si affidava volentieri al mio, ed era giusto, perché è un uomo che suscita e merita rispetto; è sempre stato un padre meraviglioso. Ma il tuo non si vergognava di far vedere quanto fosse fiero di te. Era fatto così, e naturalmente tu gliene davi tutti i motivi... cosa che io, invece, non ho mai fatto. Dio, ricordo ancora la sua espressione quando segnasti il punto della vittoria al campionato dell'ultimo anno. Fu fantastico.» Smettila, avrebbe voluto dirle Fran. Ti prego, smettila. «Mi dispiace tanto per i momenti difficili che hai passato, Fran. Forse è stato un po' come per me, un susseguirsi di eventi impossibili da controllare.» Molly posò la forchetta. «Questa quiche è ottima, ma temo di non ave-
re neanche un po' di appetito.» «A Gary capitava mai di dimenticare la sua chiave?» chiese Fran. «Gary dimenticare qualcosa? Santo cielo, no. Lui era perfetto. Diceva sempre che una delle caratteristiche che più apprezzava in me era la mia prevedibilità. A differenza della maggior parte delle donne, io non ero mai in ritardo, non chiudevo mai le chiavi in macchina, non dimenticavo mai il mio mazzo. E per questo mi assegnava un Benissimo.» Si interruppe e sorrise lievemente. «È buffo, oggi continuo a pensare in termini di voti scolastici.» Spinse indietro la sedia. Accorgendosi che l'amica stava tremando, Fran sì precipitò al suo fianco proprio nel momento in cui il telefono cominciava a squillare. «Devono essere i miei. Oppure Jenna», bisbigliò Molly. Matthews andò a rispondere. «È il dottor Daniels. Vuole sapere come stai», riferì. «Ha bisogno di aiuto», intervenne Fran. «Gli chieda se può venire qui a parlarle.» Un breve scambio a mezza voce, poi Matthews riattaccò. «Viene subito. Molly, perché intanto non vai a sdraiarti? Hai l'aria scossa.» «Mi sento scossa.» «Coraggio.» Lui le passò un braccio intorno alla vita e la guidò fuori dalla stanza. «Che cosa succederà adesso?» chiese Fran all'avvocato quando questi ricomparve. «Se i test di laboratorio confermeranno che il sangue trovato è quello della Scalli, Molly sarà arrestata. Non credo che dovremo aspettare molto.» «Oh, santo cielo.» «Ho fatto promettere a Molly di mantenere il silenzio sulla sua conversazione con Annamarie. Quella donna le ha detto delle cose che l'hanno addolorata e che a un estraneo potrebbero apparire un motivo sufficiente per lei per odiarla. Ma ho intenzione di rischiare e di riferirle tutto, Fran, nella speranza che possa essermi d'aiuto. Credo che sia sincera quando dice di voler provare l'innocenza di Molly.» «Un'innocenza di cui lei non è convinto, vero?» «Sono convinto che non sia responsabile di nessuna delle due morti.» «Non è la stessa cosa», replicò Fran bruscamente. «Secondo Annamarie, Gary era felice che Molly avesse perso il bambi-
no; diceva che un figlio avrebbe solo complicato le cose tra loro. Sembra inoltre che Lasch e il dottor Jack Morrow avessero litigato, pochi giorni prima dell'omicidio di quest'ultimo. Subito dopo, il dottor Morrow chiese ad Annamarie di conservare per lui la copia di una documentazione importante, ma morì senza aver avuto il tempo di consegnargliela. Secondo Molly, Annamarie sapeva qualcosa che non voleva rivelare perché aveva paura.» «Paura per se stessa?» «Questa è stata l'impressione di Molly.» «Be', è già un punto di partenza. Anch'io ho qualche informazione per lei. Il figlio della signora Barry, Wally, un giovane con disturbi emotivi e mentali, rimase sconvolto dalla morte di Morrow e, per motivi che non ho ancora accertato, covava risentimento per Gary Lasch. Non solo, il ragazzo sembra nutrire un interesse particolare per Molly. Proprio ieri ha preso la chiave di casa sua dal mazzo della madre.» Squillò il campanello della porta. «Vado io», disse Fran. «Dev'essere il dottor Daniels.» Ma sulla porta c'erano due uomini. Le mostrarono il distintivo e il tesserino di riconoscimento, poi il più anziano disse: «Abbiamo un mandato di arresto per Molly Carpenter Lasch. Vuole accompagnarci da lei, per favore?» Un quarto d'ora dopo, le prime troupe televisive erano sul posto, in tempo per riprendere Molly Lasch che, con i polsi ammanettati dietro la schiena, il cappotto gettato sulle spalle e la testa china, veniva scortata fino all'auto inviata dall'ufficio del procuratore di stato. La vettura raggiunse il tribunale di Stamford dove, esattamente com'era accaduto quasi sei anni prima, Molly fu formalmente imputata di omicidio. 47 Sentendosi addosso tutto il peso dei suoi sessantacinque anni, Edna Barry aspettò il notiziario della sera sorseggiando una tazza di tè, la terza in un'ora. Wally schiacciava un sonnellino in camera sua, e lei pregava che la medicina facesse effetto e che al risveglio suo figlio si sentisse meglio. Era stata una brutta giornata e le voci che solo lui sentiva lo avevano tormentato senza sosta. Mentre tornavano dopo la visita dal medico, Wally aveva sferrato un pugno all'autoradio, convinto che il commentatore parlasse di lui.
Ma almeno era riuscito a farlo entrare in casa prima che Fran Simmons notasse la sua agitazione. Un interrogativo, tuttavia, la assillava: che cosa le aveva detto Marta di Wally? Edna sapeva che l'amica non avrebbe mai deliberatamente danneggiato il ragazzo, ma la Simmons era scaltra e aveva già cominciato a fare domande sulla chiave di scorta di casa Lasch. Proprio il giorno prima Marta aveva visto Wally prelevarla dal portafoglio della madre e l'aveva sentito dire che questa volta l'avrebbe rimessa a posto. Fa' che non ne abbia parlato con Fran Simmons, pregò Edna. La sua mente tornò alla terribile mattina in cui aveva scoperto il cadavere del dottor Lasch e all'agitazione che da allora l'assaliva ogni volta che qualcuno parlava di chiavi. Quando la polizia mi chiese la mia copia, io consegnai quella che avevo preso dal nascondiglio in giardino. Non ero riuscita a trovare la mia, quel mattino, e avevo una gran paura che l'avesse presa Wally. Era una paura che in seguito si era rivelata più che fondata e da allora lei aveva vissuto nel terrore che la polizia decidesse di interrogarla più a fondo in merito alla chiave. Fortunatamente non era successo. Incominciò il notiziario. Scioccata, Edna venne a sapere che Molly era stata arrestata per omicidio, formalmente imputata e quindi rilasciata dietro pagamento di un milione di dollari di cauzione, con l'obbligo di non lasciare il proprio domicilio. La telecamera inquadrò Fran Simmons, in piedi nel parcheggio del Sea Lamp Diner di Rowayton, ancora delimitato dal nastro giallo. «In questo parcheggio Annamarie Scalli è stata pugnalata a morte», stava dicendo la giornalista, «e per questo delitto oggi è stata arrestata Molly Carpenter Lasch. Tracce del sangue della vittima sono state rinvenute sulla suola di una delle calzature della Lasch e a bordo della sua auto.» «Mamma, Molly si è di nuovo sporcata di sangue?» Wally era sulla porta, con i capelli arruffati, gli occhi accesi dalla collera. «Non devi parlare in questo modo, Wally», reagì Edna, tesissima. «La statuetta del cowboy a cavallo che ho preso in mano quella volta, te la ricordi?» «Wally, fai il bravo, non parlare così, ti prego.» «No, invece.» La voce del giovane era petulante. «Non intendo parlarne, Wally.» «Ma se ne parlano tutti, mamma. Poco fa, mentre ero in camera, grida-
vano dentro la mia testa... tutti quanti. Parlano della statuetta. Non era troppo pesante per me, io sono forte, ma lo era per Molly.» Le voci sono tornate, pensò Edna piena di sgomento. Il farmaco non ha fatto effetto. Si alzò, si accostò al figlio e gli prese la testa fra le mani. «Zitto», mormorò. «Ora basta parlare di Molly e della statuetta. Lo sai che cosa ti fanno quelle voci, tesoro, ti confondono. Promettimi di non dire mai più una parola sulla statuetta, sul dottor Lasch o su Molly, d'accordo? E ora è meglio che tu prenda un'altra pillola.» 48 Terminato il servizio, Fran spense il microfono. Con lei c'era Pat Lyons, un giovane operatore arrivato da New York per effettuare le riprese. «Mi piace questa cittadina», commentò Pat. «Così vicino all'acqua, mi ricorda un villaggio di pescatori.» «È graziosa, sì», concordò Fran, che da ragazzina aveva avuto un'amica che abitava a Rowayton. Anche se il Sea Lamp non si poteva certo definire un 'posticino elegante', pensò, girandosi a guardare la squallida tavola calda. Eppure era lì che aveva deciso di cenare. Neppure il nastro giallo e i segni tracciati con il gesso che delimitavano lo spazio occupato dall'auto della Scalli avevano impedito al locale di osservare il normale orario di apertura. Fran aveva già appurato che quella sera Gladys Fluegel, la cameriera che aveva servito Molly e la Scalli, era di turno. Contava di riuscire a parlare con lei. La stupì constatare che il locale era quasi pieno, ma subito si rese conto che l'insolita affluenza andava attribuita alla curiosità generata dall'omicidio. Indugiò un istante sulla soglia. Forse sedendosi al banco avrebbe avuto maggiori opportunità di attaccare discorso con la Fluegel? A mettere fine alla sua indecisione fu la stessa Gladys, che si affrettò ad andarle incontro. «Lei è Fran Simmons, vero? L'abbiamo vista poco fa. Sono Gladys Fluegel, sono stata io a servire Molly Lasch e Annamarie Scalli. Erano sedute proprio là.» Indicò un séparé all'altro capo della sala.» La sua ansia di parlare era evidente. «Mi piacerebbe scambiare due parole con lei», rispose Fran. «Se vado a sedermi a quel tavolo, magari lei potrebbe raggiungermi. Non fa un intervallo?»
«Mi dia dieci minuti. Prima devo servire quei due.» Gladys indicò una coppia di anziani. «Gli dirò di decidersi, e appena avranno ordinato verrò da lei.» Fran calcolò mentalmente la distanza fra il séparé e l'ingresso. Più o meno dodici metri, stabilì. Si guardò intorno, incuriosita. L'illuminazione era insufficiente e il tavolo in penombra, perfetto per chi non desiderava farsi notare. Secondo Molly, Annamarie aveva paura, ma non di lei. Di che cosa, allora? E perché Annamarie aveva assunto il cognome da nubile della madre? Solo per sfuggire alla sgradevole pubblicità causata dalla scoperta del suo coinvolgimento sentimentale con Gary Lasch? Oppure la ragione era un'altra? Secondo Molly, Annamarie era uscita per prima dal locale e lei l'aveva seguita dopo aver pagato il conto. Quanto tempo dopo? Non molto; in caso contrario, Molly avrebbe dato per scontato che Annamarie se ne fosse già andata. Non molto, quindi, ma quanto bastava perché l'infermiera attraversasse il parcheggio e salisse sulla sua jeep. Molly dice di averla chiamata dalla porta, pensò. E alla fine l'ha raggiunta? Ricomparve Gladys e lasciò cadere un menu davanti a Fran. «Le specialità del giorno sono goulasch e petto di pollo in fricassea.» Mormorando qualcosa a proposito del fatto che l'aspettavano per cena, Fran ordinò soltanto un panino e un caffè. Sulla via del ritorno si sarebbe fermata da P.J. Clarke a mangiare un hamburger, decise. La cameriera tornò quasi subito e sedette di fronte a lei. «Ho solo due minuti», esordì. «Molly Lasch era seduta dove sono io e Annamarie Scalli occupava la sua sedia. Come ho detto ieri ai poliziotti, la Scalli era nervosa... sono certa che avesse paura dell'altra. E quando si è alzata, Molly Lasch l'ha afferrata per il polso. La Scalli ha dovuto divincolarsi, poi è praticamente corsa verso l'uscita... forse temeva che l'altra la seguisse, come in effetti ha fatto. Insomma, quante donne lascerebbero sul tavolo cinque dollari per una tazza di tè e una di caffè che non ne costano più di uno e mezzo? Glielo giuro, mi vengono i brividi quando penso che pochi secondi dopo quella poveretta era morta.» Sospirò. «Ma dato che verrò chiamata a testimoniare in tribunale, sarà meglio che mi abitui all'idea.» Invece muori dalla voglia di farlo, pensò Fran. «Non c'erano altre cameriere quella sera?» domandò. «Tesoro, qui la domenica sera non c'è bisogno di due cameriere. A dire
la verità, la domenica sarebbe il mio giorno libero, ma la mia collega si era data malata e indovini un po' a chi è toccato sostituirla? Però è stato interessante.» «E lo chef? Il barista? Doveva pur esserci qualcun altro.» «Oh, sì, c'era il cuoco, anche se, mi creda, chiamarlo chef è un filino troppo. Solo che lui se ne sta sempre sul retro. Occhio non vede, cuore non duole, se capisce cosa intendo.» «E al banco chi c'era?» «Bobby Burke. Studia all'università e lavora da noi solo il fine settimana.» «Mi piacerebbe parlargli.» «Vive a Belle Island, in Yarmouth Street. Subito dopo il ponticello, a due isolati da qui. Si chiama Robert Burke Jr., il suo numero è sull'elenco. È qui per intervistarmi o che cosa?» «Molto probabilmente avrò bisogno di parlarle ancora prima di registrare la puntata su Molly Lasch», rispose Fran. «Sarò felice di accontentarla.» Ci scommetto, pensò lei. Fran chiamò casa Burke dal telefono in macchina. In un primo momento il padre del ragazzo si rifiutò di farla parlare con Robert. «Bobby ha già rilasciato alla polizia una dichiarazione in cui ha detto tutto quello che sapeva. Quasi non si è accorto delle due donne e dal banco non gli era possibile vedere il parcheggio.» «Sarò assolutamente onesta con lei, signor Burke», insistette Fran. «Sono a cinque minuti da casa sua; ho appena parlato con Gladys Fluegel e ho l'impressione che la sua interpretazione dell'incontro tra la Lasch e la Scalli sia un pochino distorta. Sono una giornalista, sì, ma sono anche un'amica di Molly Lasch. Siamo andate a scuola insieme ed è in nome della giustizia che mi rivolgo a lei. Molly ha bisogno di aiuto.» «Resti in linea.» L'uomo tornò all'apparecchio pochi istanti dopo. «D'accordo, signorina Simmons, venga pure a parlare con Bobby, ma insisto per essere presente. Ora, per arrivare qui...» È un ragazzo di cui qualunque genitore andrebbe fiero, fu il primo pensiero di Fran quando si trovò davanti a Bobby Burke, nel soggiorno di una modesta abitazione. Era un diciottenne ossuto, con una massa di capelli
castano chiaro e occhi marroni pieni di intelligenza. Lui si mostrò vagamente diffidente e di tanto in tanto sbirciava di sottecchi il padre, come per chiedergli consiglio, ma mentre rispondeva alle domande della giornalista, e soprattutto parlando di Gladys, nei suoi occhi si accese una scintilla di umorismo. «Non avevo granché da fare e ho avuto modo di vedere le due signore. Sono arrivate separatamente, a pochi minuti di distanza l'una dall'altra. È stato buffo, per un certo verso. Gladys cerca sempre di dirottare i clienti verso i tavoli vicini al banco, in modo da non dover fare troppa strada, ma la signora che era arrivata per prima non ne volle sapere. Indicò subito il séparé in fondo.» «Ti sembrò nervosa?» «Non saprei dirlo, davvero.» «Hai appena sostenuto che non avevi molto da fare.» «È vero, al banco c'erano solo pochi clienti. Ma poco prima che le due se ne andassero, arrivò una coppia che si sedette a un tavolo. In quel momento Gladys era con le due donne.» «Prendeva le ordinazioni?» «Stava preparando il conto... con molta calma. È una ficcanaso e le piace sapere quello che succede intorno a lei. I due nuovi arrivati si erano stancati di aspettarla e mi ricordo che la chiamarono... proprio mentre anche la seconda signora usciva.» «Bobby, ti è sembrato che la prima delle due a uscire, quella che poi è stata trovata morta, avesse molta fretta, che fosse nervosa o spaventata?» «Si muoveva in fretta, sì, ma non potrei dire che corresse.» «E la seconda? Forse saprai che si chiama Molly Lasch.» «Lo so, sì.» «L'hai vista uscire?» «Sì.» «Correva?» «Anche lei si muoveva piuttosto in fretta. Ma ho avuto l'impressione che lo facesse perché era sul punto di scoppiare in lacrime e non voleva farsi vedere. Ero quasi dispiaciuto per lei.» Stava per scoppiare in lacrime, pensò Fran. Un comportamento insolito per una donna che si preparava a colpire in preda a una furia omicida. «L'hai sentita chiamare, gridare un nome, mentre se ne andava?» «Mi è sembrato di sentirla chiamare qualcuno, sì, ma il nome non l'ho afferrato.»
«Ha chiamato una o due volte? Per caso ha detto: 'Annamarie, aspetti'?» «Non l'ho sentita chiamare una seconda volta, ma in quel momento stavo versando il caffè, e forse non ci ho fatto caso.» «Vengo dal Sea Lamp, Bobby. Il banco è proprio vicino all'ingresso. Secondo te, se Molly Lasch avesse chiamato abbastanza forte da farsi udire da qualcuno che era già nel parcheggio, a bordo di un'auto, l'avresti sentita anche tu?» Il ragazzo ci rifletté un momento. «Immagino di sì», rispose alla fine. «La polizia ti ha interrogato su questo particolare?» «Non esattamente. Mi hanno chiesto se ho sentito la signora Lasch chiamare l'altra signora dalla porta, e io ho detto che mi sembrava di sì.» «Ricordi chi altro c'era al banco in quel momento?» «Solo due tizi, due clienti che vengono qui ogni tanto. Erano stati al bowling, ma stavano chiacchierando fra loro e non facevano caso a quello che succedeva.» «Bobby, conosci la coppia che è entrata, si è seduta a un tavolo e ha chiamato Gladys?» «Non so come si chiamino. Avranno più o meno l'età dei miei e di tanto in tanto vengono al Sea Lamp. Probabilmente erano andati al cinema o da qualche altra parte e si erano fermati a mangiare un boccone prima di rincasare.» «Se dovessi rivederli, fatti dare il loro nome e il numero di telefono, per favore, Bobby. E nel caso si rifiutassero, da' loro il mio biglietto da visita e pregali di chiamarmi al più presto. Lo farai?» Il ragazzo sorrise. «Ci può scommettere, signorina Simmons. Il suo servizio mi è piaciuto molto e guardo sempre True Crime. È un programma fantastico.» «A dire la verità, io ci lavoro da pochissimo, ma grazie lo stesso. La mia prima puntata tratterà proprio del caso Lasch.» Fran si alzò e, rivolta al padre del ragazzo, aggiunse: «È stato molto gentile a permettermi di parlare con suo figlio». «Be', la verità è che, seguendo i notiziari, ho avuto l'impressione che in questo caso siano stati tutti un po' troppo precipitosi nel giudicare... ed evidentemente la pensa cosi anche lei.» L'uomo sorrise. «Tenga presente, però, che la mia potrebbe essere una deformazione professionale. Sono un avvocato d'ufficio.» Aprì la porta. «Signorina Simmons, se lei è amica di Molly Lasch, allora c'è un'altra informazione che desidero darle. Oggi, quando la polizia ha in-
terrogato Bobby, ho avuto la sensazione che volessero una cosa sola, una conferma della versione di Gladys Fluegel e, mi creda, quella donna farebbe qualunque cosa pur di guadagnarsi un po' d'attenzione. Non sarei sorpreso se a un certo punto cominciasse a ricordare un sacco di particolari. Conosco il tipo; dirà tutto quello che loro vorranno sentirsi dire, e può scommetterci che non sarà niente di favorevole per Molly Lasch.» 49 Era stata formalmente imputata. Le erano state rilevate le impronte digitali, era stata fotografata. Aveva ascoltato Philip Matthews dire: «La mia cliente si dichiara non colpevole» e l'accusa parlare di un possibile rischio di fuga e chiedere gli arresti domiciliari. Il giudice aveva accettato la richiesta e fissato una cauzione di un milione di dollari. Molly aveva atteso in una cella del tribunale che tutte le formalità venissero espletate. Come una bambina obbediente, distaccata da tutto e da tutti, fece tutto ciò che le veniva detto, finché non fu di nuovo in auto con l'avvocato, diretta a casa. Una volta entrati, tenendole un braccio intorno alla vita Philip la guidò in tinello. La fece sdraiare sul divano, le cacciò un cuscino sotto la testa, poi andò a recuperare una coperta e gliela avvolse intorno. «Stai tremando. Dov'è l'interruttore del caminetto?» «Sopra la mensola.» Non si rese conto di rispondere fino a quando non udì la propria voce. Pochi istanti dopo il fuoco era acceso, caldo e confortante. «Mi fermo qui con te», annunciò Philip. «Ho la mia ventiquattrore, posso lavorare in cucina. Tu cerca di riposare.» Quando Molly si svegliò, erano le sette e accanto a lei c'era il dottor Daniels. «Come si sente, cara?» «Annamarie», ansimò lei. «Stavo sognando di lei.» «Le va di parlarmene?» «Sapeva che stava per accaderle qualcosa di orribile. Ecco perché se n'è andata di fretta, domenica sera. Voleva sfuggire al suo destino, invece gli è corsa incontro.» «Annamarie sapeva che stava per morire, Molly?» «Sì, credo che lo sapesse.» «Che cosa glielo fa credere?» «C'era nel sogno, dottore. Conosce la storia dell'uomo che, sapendo di
dover incontrare quella notte la morte a Damasco, fugge a nascondersi a Samarcanda? Ma lungo la strada uno sconosciuto gli si para davanti: 'Sono la morte. Pensavo che il nostro appuntamento fosse a Damasco'?» Con un gesto convulso, Molly afferrò le mani dello psichiatra. «Era tutto talmente reale!» «Sta dicendo che Annamarie non avrebbe avuto modo di salvarsi?» «È così. Non più di quanto io possa salvare me stessa.» «Mi spieghi, Molly.» «Non lo so, non lo so con certezza... Oggi, dopo che mi hanno chiuso in cella, continuavo a sentire nella mia testa il rumore della serratura di un'altra porta che veniva aperta oppure chiusa con la chiave. Non è strano?» «Era il cancello di un carcere?» «No, ma è tutto quello che posso dirle. Però so che quel rumore appartiene alla sera in cui Gary morì.» Molly scostò la coperta e si mise seduta. «Perché non riesco a ricordare?» gemette. «Se ce la facessi, forse avrei una possibilità di venirne fuori.» «È già un buon segno che lei stia recuperando eventi specifici, anche piccoli, come un semplice rumore.» «Davvero?» La voce di lei sembrava venire da molto lontano. Il dottor Daniels la scrutò e lesse gli effetti del recente stress sul suo viso: era spento, senza vita, il volto di chi sa di essere condannato. Chiaramente lei non aveva più voglia di parlare. «Mi piacerebbe tornare a trovarla di tanto in tanto, Molly. Posso?» Si era aspettato una protesta, ma l'unica risposta che ottenne fu un cenno indifferente. Lo psichiatra sospirò. «Vado a dire a Philip che me ne vado.» «Dovrebbe andare a casa anche lui. Vi sono molto riconoscente, ora come ora non sono molte le persone che mi stanno vicino. Mio padre e mia madre, per esempio. Non è proprio un'assenza che può passare inosservata, la loro.» Quando il campanello della porta squillò, il dottor Daniels vide il panico dilatare gli occhi della sua paziente. La polizia? si chiese, sgomento. «Vado io», gridò Philip. Nello sguardo di Molly il panico lasciò il posto al sollievo nell'udire un rumore di tacchi e la voce di Jenna Whitehall. La sua amica era in compagnia del marito. Con aria di approvazione, lo psichiatra guardò la donna chinarsi su
Molly e abbracciarla dicendo: «È arrivato il servizio di catering, signora. Nessuna domestica, ahimè, ma sarà l'illustre Calvin Whitehall in persona a servire e a mettere in ordine, con la capace assistenza dell'avvocato Philip Matthews.» «Stavo per andarmene», annunciò il dottore con un sorriso. Molly non era più sola e lui aveva una gran voglia di rincasare. Il dottor Daniels aveva incontrato Calvin Whitehall solo in poche occasioni, ma provava per lui una profonda avversione. L'istinto gli diceva che era un prepotente, un uomo sempre disposto a sfruttare il proprio potere, non solo per raggiungere i suoi obiettivi, ma anche per manipolare gli altri e poi godersi lo spettacolo mentre loro si dibattevano nelle difficoltà. Rimase quindi sorpreso e non particolarmente contento quando Whitehall lo seguì fuori della stanza. «Dottore...» Calvin aveva abbassato la voce, come temendo che qualcuno potesse origliare. «Mi ha fatto piacere trovarla qui. Molly è molto importante per noi. Secondo lei, c'è qualche possibilità che venga dichiarata incapace di subire un processo o, in mancanza di meglio, che si arrivi a una sentenza di non colpevolezza per infermità mentale?» «Evidentemente lei non nutre dubbi sulla responsabilità di Molly in merito a quest'ultimo delitto», replicò gelido lo psichiatra. L'osservazione stupì Whitehall, che si mostrò offeso. «Pensavo che le mie domande riflettessero soprattutto l'affetto che mia moglie e io nutriamo per Molly. Una condanna pesante equivarrebbe a una sentenza di morte, per lei.» Che Dio aiuti l'uomo così sfortunato da suscitare la tua collera, pensò il dottor Daniels. Whitehall era rosso di rabbia. «Signor Whitehall, apprezzo il suo interessamento. Ho intenzione di incontrare Molly e di parlarle quotidianamente; tutto quello che possiamo fare è stare a vedere che cosa succede giorno per giorno.» Poi, con un cenno, si congedò. Jenna Whitehall sarà anche la migliore amica di Molly, si scoprì a pensare quando fu in auto, ma è anche la moglie di un uomo che non tollera interferenze e che non permette a nessuno di ostacolarlo. Il rinnovato interesse per lo scandalo che aveva coinvolto Gary Lasch, il fondatore del Centro Remington, non deve certo far piacere al presidente del consiglio di amministrazione. Whitehall è andato a trovare Molly come marito della sua migliore amica, o perché sperava di trovare la maniera di contenere i danni?
Jenna aveva portato asparagi al gratin, sella di agnello, patate novelle, broccoli e biscotti... tutto già pronto per essere servito. Con gesti rapidi apparecchiò la tavola in cucina, mentre Cal apriva una bottiglia di vino che, come fece sapere a Molly, era un bordeaux Château Lafitte Rothschild «proveniente dalla mia cantina privata». Lei alzò gli occhi in tempo per cogliere l'espressione divertita di Philip e la smorfia con cui Jenna reagì al tono pomposo del marito. Loro sono qui con le migliori intenzioni del mondo, pensò poi, ma quello che io vorrei veramente è restare sola. Fanno di tutto per fingere che questa sia una normale serata a Greenwich, una cena improvvisata tra vecchi amici. Si ricordò che tanti anni prima, quando Gary era vivo e lei ancora felice, capitava spesso che Jenna e Cal si fermassero a mangiare un boccone da loro. La felicità domestica... ecco su cosa si fondava la mia vita, rifletté. Cucinare mi piaceva e per me non era un problema imbastire una cena in pochi minuti. Ero fiera di non avere bisogno di una cuoca o di una governante, e anche Gary sembrava orgoglioso di me: «Non è solo bella e intelligente, sa persino cucinare. Come ho fatto ad avere tanta fortuna?» diceva scherzando. Ma era solo una menzogna. Le faceva male la testa. Si massaggiò le tempie con la punta delle dita, nella speranza di alleviare il dolore. «Molly, se preferisci che lasciamo perdere...» La voce di Philip era quieta, partecipe. Jenna aveva insistito perché loro due si sedessero di fronte. «Come marito e come medico, non valeva il prezzo che lei ha pagato per averlo ucciso, signora Lasch.» Molly alzò la testa e incontrò lo sguardo perplesso dell'avvocato. «Che cosa intendevi dire?» chiese lui. Smarrita, lei distolse gli occhi. Anche Jenna e Cal la stavano fissando. «Mi dispiace», si scusò allora con voce esitante. «Credo di essere arrivata al punto in cui non distinguo più fra quello che sto pensando e quello che dico. Mi era appena venuto in mente una frase che Annamarie ha pronunciato in quella tavola calda. Sembrava così certa della mia colpevolezza, mentre io ero andata all'appuntamento con la speranza di scoprire che era stata lei a ucciderlo.» «Non pensarci più», la esortò Jenna. «Bevi un po' di vino ora, cerca di rilassarti.»
«No, ascolta.» Il tono di Molly era appassionato. «Annamarie disse che 'come medico' Gary non valeva il prezzo che ho pagato per averlo ucciso. Che cosa può averla spinta a fare un'affermazione simile? Gary era un medico fantastico. Oppure no?» Jenna continuò i suoi preparativi senza rispondere mentre Cal fissava Molly in silenzio. «Non capisci?» insistette questa, rivolta all'amica. «Forse c'era qualcosa nella vita professionale di Gary che noi ignoriamo.» «È un punto da approfondire», assentì Philip, pensieroso. «Perché non ne parliamo con Fran?» propose poi rivolgendosi alla coppia. «Inizialmente ero contrario al fatto che Molly collaborasse con la Simmons», spiegò, «ma ora so che sta dalla nostra parte.» Guardò Molly. «A proposito, Fran ha telefonato mentre tu dormivi. Ha parlato con il ragazzo che domenica sera lavorava al banco della tavola calda. Lui sostiene di non averti sentito chiamare Annamarie una seconda volta, come invece ha dichiarato la cameriera. È una piccola cosa, ma forse ci sarà utile per screditare la testimonianza di quella donna.» «Bene...» mormorò Molly. «Io sono sicura di non ricordarmene. Ma a volte mi sembra di non distinguere più la differenza tra la realtà e i prodotti della mia immaginazione. Dicevo poco fa al dottor Daniels che c'è un particolare relativo alla sera dell'omicidio di Gary che continua a tornarmi in mente... qualcosa a proposito di una porta. Secondo lui è un buon segno che io stia cominciando a ricordare particolari cos'i precisi. Forse ci sono altre risposte per queste morti. Lo spero. Quello che so per certo, comunque, è che non posso tornare in prigione.» S'interruppe, poi, rivolta più a se stessa che agli altri, mormorò: «Non accadrà». Fu Jenna a rompere con briosa determinazione il lungo silenzio che seguì. «Ehi, non vorrete lasciar raffreddare quest'ottima cena, vero?» esclamò, sedendosi a tavola. Un'ora dopo, Jenna e Cal si dirigevano verso casa. «Credi che Fran Simmons scoprirà qualche elemento che potrà essere di aiuto a Molly?» chiese lei. «In fondo è una giornalista investigativa, e forse anche brava.» «Già, ma prima di tutto bisogna avere qualcosa su cui indagare», rispose Cal in tono brusco. «E lei non ha proprio nulla. Più andrà avanti a scavare, più scoprirà che la risposta è una sola, quella ovvia.» «Secondo te, perché Annamarie Scalli avrebbe criticato la competenza professionale di Gary?»
«La mia idea, cara, è che questi piccoli risvegli di memoria di Molly siano ben poco affidabili. Non attribuirei a loro nessuna importanza, e sono certo che qualsiasi giuria farebbe altrettanto. L'hai sentita: minaccia di suicidarsi.» «Non è giusto che le si diano false speranze», proruppe Jenna. «Vorrei che Fran se ne stesse fuori da questa faccenda.» «Sì, quella ragazza è davvero un grosso fastidio», convenne Calvin. Non aveva bisogno di guardare nello specchietto retrovisore per sapere che Lou Knox lo stava osservando. Con un cenno quasi impercettibile del capo, Cal rispose alla domanda inespressa dell'autista. 50 Avevo effettivamente notato un cambiamento in Tasha la settimana scorsa, o la mente sta cominciando a giocarmi dei brutti scherzi? si chiedeva Barbara Colbert, con lo sguardo fisso sul paesaggio buio. Per il nervosismo, continuava a stringere le dita delle mani incrociate in grembo. La telefonata del dottor Black l'aveva sorpresa mentre era sul punto di uscire. «Signora Colbert», aveva esordito il medico in tono grave. «Temo che si sia verificato un cambiamento nelle condizioni di Tasha. Non escludiamo la possibilità che il suo organismo stia per cedere.» Signore, fammi arrivare in tempo, pregava Barbara. Voglio essere al suo fianco quando morirà. Mi hanno ripetuto che probabilmente non sente né capisce nulla di quanto le dico, ma io non ne ho mai avuto la certezza. Quando arriverà il momento, voglio che sappia che sua madre è lì. Voglio che senta le mie braccia intorno al corpo, quando esalerà l'ultimo respiro. Appoggiò la testa all'indietro sul sedile, respirando a fatica. La prospettiva di perdere la figlia le trafiggeva il cuore. Tasha... Tasha, invocò. Come siamo arrivati a questo punto? Il dottor Black era al capezzale della degente. La sua espressione austera tradiva lunghi anni di pratica. «Non possiamo far altro che aspettare», furono le parole con cui accolse Barbara. Il suo tono era sollecito, ma lei lo ignorò. L'inserviente avvicinò una sedia al letto in modo che Barbara potesse tenere un braccio intorno alle spalle della figlia. Il viso di Tasha era sereno, sembrava che stesse semplicemente dormendo e che da un momento all'altro avrebbe potuto aprire gli occhi e salutarla.
Barbara rimase accanto alla figlia per tutta la notte, senza accorgersi delle infermiere che si affaccendavano intorno a lei, né di Peter Black, venuto a modificare la soluzione della fleboclisi. Alle sei, il medico si chinò a sfiorarle il braccio. «Sembra che Tasha si sia stabilizzata, almeno entro certi limiti. Perché non va a bere una tazza di caffè, e lascia che siano le infermiere a occuparsi di lei? Poi potrà tornare.» Barbara alzò gli occhi. «Sì, devo anche parlare con il mio autista», sussurrò. «È sicuro che...» Lui annuì. «Nessuno può esserne sicuro, ma non credo che Tasha sia pronta per lasciarci, almeno non nell'immediato.» Barbara trovò Dan nella sala d'attesa. Si era addormentato su una poltroncina, ma si svegliò all'istante quando lei gli posò una mano sulla spalla. Lavorava per i Colbert fin dalla nascita di Tasha e con il tempo tra loro si era sviluppato un saldo legame affettivo. «Non ancora», mormorò Barbara, in risposta alla domanda inespressa dell'uomo. «Pare che le sue condizioni si siano stabilizzate. Ma potrebbe succedere da un momento all'altro.» Era un momento atteso da tempo, e tutt'e due sapevano già che cosa fare. «Avverto i ragazzi, signora Colbert.» Hanno cinquanta e quarantotto anni, pensò lei, ma Dan li chiama ancora «ragazzi». La consapevolezza che l'anziano dipendente soffriva con lei le era di qualche conforto. «Sarà bene che passino da casa, prima. Chiama Netty e dille di prepararmi una borsa.» Barbara si costrinse a entrare nel piccolo bar. Ancora non risentiva della nottata insonne, ma sapeva che era solo questione di poco. La cameriera che la servì evidentemente era al corrente di tutto. «Stiamo pregando», le sussurrò e con un sospiro aggiunse: «È stata una brutta settimana. Sa, il signor Magim è morto nelle prime ore di sabato». «Non lo sapevo. Mi dispiace.» «Non che non ce lo aspettassimo, ma speravamo tutti che arrivasse a festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Per fortuna ha aperto gli occhi poco prima di morire e sua moglie giura che ha guardato proprio lei.» Se solo anche Tasha potesse dirmi addio, pensò Barbara. Eravamo una famiglia unita, ma non siamo mai stati particolarmente espansivi, e ora mi dispiace. Sono tanti i genitori che dicono spesso: «Ti voglio bene» ai figli. Io lo trovavo un po' eccessivo, addirittura sciocco, ma ora vorrei non essermi mai congedata da Tasha senza farle sapere che l'amavo. Quando tornò in camera, le condizioni della ragazza erano pressoché
immutate. In piedi vicino alla finestra, il dottor Black stava parlando al cellulare. Dava le spalle alla porta e prima di poter essere notata, la donna lo udì dire: «Non approvo, ma se insisti, è ovvio che non ho scelta». La sua voce vibrava di tensione, pensò lei... o era paura? Chissà chi è che gli dà ordini, si sorprese a domandarsi Barbara. 51 Quel mercoledì mattina Fran aveva un appuntamento a Greenwich con il dottor Roy Kirkwood, un tempo medico di base di Josephine Gallo, sulla cui morte il figlio l'aveva pregata di indagare. Rimase sorpresa nel constatare che la sala d'attesa era deserta... una situazione insolita per uno studio medico, di questi tempi, pensò. La segretaria fece scorrere la porta di vetro che separava la scrivania dalla sala d'attesa. «Signora Simmons», disse senza neppure chiedere a Fran qual era il suo nome, «venga, il dottore la sta aspettando.» Roy Kirkwood dimostrava una sessantina d'anni. Capelli d'argento che andavano diradandosi, notò Fran, e sopracciglia imbiancate; occhiali con la montatura d'acciaio, la fronte solcata da rughe e occhi intelligenti, gentili. Ha proprio l'aspetto del dottore, si disse. Se avessi dei problemi di salute, sarei felice di affidarmi a lui. D'altro canto, considerò mentre Kirkwood le indicava la sedia di fronte alla scrivania, sono venuta qui perché uno dei pazienti di questo dottore è morto. «È stato molto gentile a ricevermi...» cominciò, ma lui la interruppe. «Diciamo che era necessario che lo facessi. Si sarà accorta che in sala d'attesa non c'è nessuno. Fatta eccezione per alcuni vecchi pazienti di cui continuerò a occuparmi fino a quando non avrò passato le loro cartelle a qualche collega, sono in pensione.» «La sua decisione ha qualcosa a che fare con la morte della signora Gallo?» «Ha tutto a che fare con quella morte, signorina Simmons. Non sto dicendo che la signora non fosse un soggetto a rischio, ma con un quadruplo bypass avrebbe potuto vivere ancora a lungo. Il suo elettrocardiogramma era nella norma, ma quello non è l'unico esame in grado di dirci se un paziente versa in cattive condizioni. Sospettavo un'occlusione delle arterie e volevo che si sottoponesse ad accertamenti più approfonditi, ma la mia richiesta è stata respinta.»
«Da chi?» «Dall'amministrazione del Centro Remington.» «Lei avrà protestato, immagino.» «Ho protestato, sì, e ho continuato a farlo fino a che non è stato troppo tardi. Ho protestato in quest'occasione come in molti altre in cui avevo visto respingere la mia richiesta di una visita specialistica.» «Dunque Billy Gallo aveva ragione... sua madre sarebbe potuta vivere ancora a lungo. È questo che lei sta dicendo?» L'espressione di Kirkwood era un misto di sconfitta e di profonda tristezza. «Dopo l'insorgere dell'occlusione coronarica, andai da Peter Black e pretesi che alla signora Gallo venisse immediatamente applicato un bypass.» «E lui che cosa le rispose?» «Acconsentì, sebbene con riluttanza. Poi però la signora Gallo morì. Un po' più di tempismo, e avremmo potuto salvarla. Ovviamente per il Centro Remington lei era solo un numero e la sua morte si è risolta in un profitto... è quindi legittimo chiedersi quanto avessero effettivamente a cuore il benessere della signora.» «Lei ha fatto del suo meglio, dottore», mormorò Fran con voce quieta. «Del mio meglio? Sono alla fine della carriera e posso andare in pensione senza troppi problemi. Ma che Dio abbia pietà dei nuovi medici. Molti di loro partono già indebitati e devono restituire i prestiti ottenuti per le spese d'istruzione. È libera di non credermi, ma l'ammontare di questi prestiti si aggira mediamente intorno ai centomila dollari. Poi devono chiedere altri finanziamenti per attrezzare l'ambulatorio e avviarlo. Oggi come oggi, o sono loro stessi dipendenti di un centro di assistenza, oppure è il novanta per cento dei loro pazienti a essere iscritto in uno di quegli istituti. «Oggi a un medico viene detto quanti ammalati al giorno deve visitare. Alcuni di questi progetti sanitari prevedono addirittura visite di un quarto d'ora ciascuna, e il medico è obbligato a tenere una registrazione aggiornata. Non è insolito che un dottore lavori anche cinquantacinque ore alla settimana, per un compenso molto inferiore a quello che percepiva prima della costituzione dei centri.» «Qual è allora la soluzione?» «Centri non profit gestiti dagli stessi medici, immagino. E un sindacato. La medicina sta facendo passi da gigante; ora abbiamo a disposizione terapie e farmaci d'avanguardia, alcuni dei quali in grado di prolungare la durata media della vita, nonché di migliorarne la qualità. Ma queste nuove te-
rapìe, questi nuovi farmaci vengono negati in maniera del tutto arbitraria, com'è successo nel caso della signora Gallo.» «Dunque lei non fa distinzione fra il Remington e le altre strutture analoghe? Eppure sono stati proprio due medici a fondarlo.» «Due medici che hanno ereditato l'attività da un grande della nostra professione, Jonathan Lasch. Ma Gary Lasch non apparteneva alla categoria del padre, né come medico né come essere umano. Quanto al Remington, ha tutte le meschinità che loro hanno voluto attribuirgli. Tanto per dirne una. parte della loro attuale campagna di riduzione dei costi consiste nel tagliare sistematicamente le attrezzature e il personale del Lasch Hospital. Vorrei tanto che il Remington e i centri più piccoli che quella struttura sta per assorbire finissero nel programma diretto all'ex ufficiale medico capo. Quello è l'uomo giusto per il nostro sistema sanitario.» Roy Kirkwood si alzò. «Le chiedo scusa, signorina Simmons. Non avrei dovuto sfogarmi con lei. Ma una giustificazione ce l'ho. Credo che renderebbe un grande servizio alla comunità se usasse il suo programma per sensibilizzare l'opinione pubblica su una situazione che va facendosi sempre più pericolosa. Ancora troppa gente ignora che ormai sono i pazzi a mandare avanti il manicomio.» Sì alzò anche Fran. «Lei conosceva il dottor Jack Morrow?» domandò. L'altro fece un breve sorriso. «Morrow era il migliore. Intelligente, ottimo diagnostico, che amava i suoi pazienti, per di più. La sua morte è stata una vera tragedia.» «È strano che non sia stato effettuato neppure un arresto per il suo omicidio.» «Se crede che io ce l'abbia con il Centro Remington, allora avrebbe dovuto sentire Jack. E probabilmente lui si spinse troppo in là.» «Troppo in là?» ripeté Fran. «Jack sapeva andare al fondo delle questioni. Mi risulta che una volta abbia addirittura definito Peter Black e Gary Lasch 'una coppia di assassini'. Questo è decisamente spingersi un po' troppo in là, benché debba ammettere di aver pensato anch'io la stessa cosa, quando è morta Josephine Gallo. Solo che non l'ho detto.» «Chi udì Morrow esprimere questo tagliente giudizio, dottor Kirkwood?» «Tanto per cominciare, la signora Russo, la mia segretaria. Lavorava per Jack, capisce. Se poi l'abbiano sentito anche altri, io non lo so.» «È la signora che mi ha fatto entrare?»
«Proprio lei.» «Grazie per avermi dedicato il suo tempo, dottore.» Uscendo, Fran si fermò davanti alla scrivania della segretaria. «Lei è la signora Russo, vero?» disse sorridendo alla donnina dai capelli grigi. «Ho saputo che un tempo lavorava per il dottor Morrow. Il dottore fu molto gentile con me quando mio padre morì.» «Era gentile con tutti.» «Signora Russo, quando sono arrivata lei sapeva già chi ero. E sa che sto indagando sulla morte del dottor Lasch per conto di True Crime, il programma televisivo?» «Lo so, sì.» «Il dottor Kirkwood mi ha appena detto che lei udì il dottor Morrow parlare di Lasch e di Black come di una 'coppia di assassini'. Un'espressione piuttosto forte.» «Veniva dall'ospedale ed era sconvolto. Sono sicura che aveva dovuto combattere la solita inutile battaglia per conto di un paziente a cui era stata negata qualche terapia. E poche sere più tardi lo uccisero, poveretto.» «Se ricordo bene, la polizia decise che a ucciderlo era stato un tossicodipendente che voleva rubare dei farmaci e lo sorprese in ambulatorio.» «Proprio così. I cassetti della scrivania erano rovesciati per terra e il dispensario era vuoto. So che a volte i tossicodipendenti sono disperati, ma perché ucciderlo? Perché non prendersi quello che serviva e lasciarlo lì legato, o qualcosa del genere?» La donna aveva gli occhi pieni di lacrime. Forse perché l'intruso non voleva essere riconosciuto, pensò Fran. Di solito è per questo che un furto con scasso si trasforma in un omicidio. Stava per congedarsi quando le venne in mente un'ultima domanda. «Signora Russo, c'era qualcun altro nei paraggi quando il dottor Morrow definì Lasch e Black due assassini?» «Solo due persone, grazie al cielo. Wally Barry, un giovane paziente del dottore, e sua madre Edna.» 52 Lou Knox viveva sopra il garage adiacente alla residenza Whitehall. L'appartamento di tre locali era perfetto per le sue esigenze. Uno dei suoi pochi hobby era la lavorazione del legno e Calvin Whitehall lo aveva autorizzato a tenere gli attrezzi in un ripostiglio ricavato nel grande garage. Gli aveva anche permesso di ristrutturare l'appartamento secondo i suoi gusti.
Ora soggiorno e camera da letto erano rivestiti di pannelli di quercia sbiancata. Alle pareti erano stati fissati parecchi scaffali e Lou Knox, che non amava la lettura, vi aveva messo il televisore, un nuovissimo impianto stereo e la sua raccolta di CD e di videocassette. Le scaffalature erano anche un'ottima copertura per la raccolta di prove, sempre più numerose, da lui accumulate per usarle contro Calvin Whitehall, se fosse stato necessario. Nel suo intimo, Lou era però convinto che non avrebbe mai avuto bisogno di tirarle fuori; da tempo lui e Whitehall avevano raggiunto un preciso accordo in merito alle sue mansioni. E poi, mostrando quelle prove sarebbe finito nei guai anche lui. Di conseguenza, quella era una carta che non aveva intenzione di giocare, a meno di non esservi costretto. Com'era solita dire sua nonna, che lo aveva cresciuto, quando lui si lamentava del macellaio per cui lavorava come fattorino, perché farsi del male con le proprie mani? «Ti paga regolarmente?» gli chiedeva. «Sì, ma chiede ai clienti di includere la mancia nel conto», protestava Lou. «E poi la calcola come parte del mio salario.» A distanza di tanti anni, Lou pensava ancora con piacere alla rappresaglia che aveva messo in atto ai danni del macellaio. Quando faceva una consegna, prelevava una parte del contenuto: un pezzo di pollo, una fettina di filetto o carne trita sufficiente per farsi un hamburger. La nonna, che dalle sedici a mezzanotte lavorava come centralinista in un motel a una quindicina di chilometri di distanza, gli lasciava quasi sempre una confezione di spaghetti in scatola e delle polpette, o qualcosa di altrettanto poco invitante, ma nei giorni di «prelievo» Lou si concedeva un piccolo banchetto e poi, per fare in modo che la nonna non si accorgesse di nulla, gettava via l'insipida cena che lei gli aveva preparato. L'unico a scoprire la sua piccola truffa era stato Cal. Frequentavano il secondo anno delle superiori quando una sera lui passò a trovare Lou, sorprendendolo mentre friggeva in padella una bistecca «prelevata». «Sei un imbecille», gli aveva detto Cal. «Le bistecche si fanno alla brace, non fritte.» Quella sera si stabilì un'alleanza fra i due ragazzi: Cal, il figlio dell'ubriacone della città, e Lou, il nipote di Bebe Clauss, la cui unica figlia era fuggita con Lenny Knox, per ritornare a casa due anni dopo solo per mollare il figlio alla madre.
A dispetto del suo ambiente di nascita, Cal era riuscito a frequentare l'università, soprattutto grazie alla sua astuzia e alla sua ambizione senza limiti. Lou, invece, era passato da un lavoro all'altro, beccandosi una condanna di trenta giorni per borseggio, scontata nel carcere cittadino, e una seconda di tre anni in un penitenziario di stato, per aggressione. Erano ormai trascorsi quasi sedici anni da quando Cal, ora meglio conosciuto come il signor Calvin Whitehall, di Greenwich, nel Connecticut, gli aveva telefonato. Ho dovuto baciargli i piedi, pensò ora nel ricordare quella che era stata a tutti gli effetti una convocazione. Cal aveva immediatamente messo in chiaro le mansioni che Lou avrebbe dovuto svolgere in qualità di suo tuttofare. Quello stesso giorno lui si era trasferito a Greenwich. nella casa che l'ex amico d'infanzia aveva acquistato. Un'abitazione più piccola di quella attuale, ma già nel quartiere giusto. Era stato quando il suo vecchio amico aveva cominciato a corteggiare Jenna Graham, che Lou aveva definitivamente aperto gli occhi sul suo conto. Una ragazza bella e di classe come Jenna che accettava le profferte di un tizio con l'aspetto di un ex pugile. Che cosa diavolo ci vedeva in lui? Ma conosceva la risposta, naturalmente. Potere. Jenna amava il potere che aveva Cal ed era affascinata dal modo in cui lui lo utilizzava. Forse non proveniva dal suo stesso mondo, ma sapeva cavarsela in qualunque situazione e di lì a poco imparò a muoversi con perfetta disinvoltura nell'ambiente di lei. Quanto agli esponenti della buona società cittadina, quale che fosse l'opinione che avevano di Cal Whitehall, stavano ben attenti a non pestargli i piedi. Cal non aveva mai invitato i suoi genitori ad andarlo a trovare. Quando morirono, a breve distanza l'uno dall'altra, fu Lou a occuparsi di tutto e a spedire le salme al crematorio con la maggiore rapidità possibile. Cal non era un sentimentale. Con il passare degli anni, Lou per lui era diventato sempre più indispensabile, ma non dubitava che, in caso di necessità, sarebbe stato gettato in pasto ai lupi senza un attimo di esitazione. Era quindi con divertito disincanto che rifletteva su come Cal stesse sempre attento a non sporcarsi le mani con gli incarichi che affidava al fedele factotum. Se ci arrivasse una patata bollente, pensò Lou, indovina un po' a chi toccherebbe maneggiarla? Ma, si disse con un sorriso obliquo, bisognava essere in due a stare al gioco. Adesso toccava a lui decidere se Fran Simmons si sarebbe accontentata
di agitare un po' le acque o se rischiava di costituire un autentico pericolo. La faccenda prometteva di diventare interessante, pensò Lou. Tale padre tale figlia? Sorrise nel ricordarsi di Frank Simmons, un imbecille troppo ansioso di farsi accettare e incapace di guardarsi dai tipi come Calvin Whitehall. Oh, alla fine la lezione l'aveva imparata, ma a quel punto era troppo tardi. 53 Il dottor Peter Black si recava di rado a West Redding durante il giorno. Anche quando il traffico era meno intenso, da Greenwich ci volevano almeno quaranta minuti e in ogni caso lui non ci teneva a diventare un viso familiare per la gente del posto. La sua destinazione era una fattoria isolata, che al secondo piano ospitava un laboratorio molto ben attrezzato. La fattoria, iscritta nel registro dei contribuenti della contea, risultava di proprietà del dottor Adrian Lowe, oftalmologo in pensione. In realtà apparteneva al Centro Remington ed era appunto dal laboratorio del centro che determinati rifornimenti arrivavano lì, nascosti nel bagagliaio dell'auto di Black. Quando si fermò con la macchina davanti alla fattoria, il dottore aveva le mani sudate. Pensava con timore all'inevitabile discussione che lo attendeva, da cui sapeva bene che non sarebbe uscito vincitore. Quando tornò alla macchina, meno di una mezz'ora dopo, aveva con sé un pacchetto il cui peso non giustificava lo sforzo che gli costò caricarlo. 54 La sera prima Molly aveva avuto compagnia. Anche se la cucina era in ordine e la lavastoviglie vuota, una differenza c'era, Edna la percepiva. Portasale e portapepe non erano al loro solito posto sul piano di lavoro, la fruttiera era sul tagliere e non sul tavolo e qualcuno aveva abbandonato vicino alla cucina a gas la caffettiera scoperchiata. Edna trovò rassicurante la prospettiva di ripristinare l'ordine consueto. Il mio lavoro mi piace, pensò mentre appendeva il cappotto nell'armadietto vicino alla porta. Mi peserà dovervi rinunciare. Ma era inevitabile. Quando aveva saputo che stava per essere rilasciata, Molly aveva chiesto ai genitori di chiamare la signora Barry chiedendole di aprire la casa e di rifornire la dispensa. Ma ora che Edna aveva ripreso a
lavorare regolarmente lì, Wally stava diventando un problema. Negli anni precedenti il ragazzo non aveva quasi mai menzionato Molly, ma evidentemente il suo ritorno aveva fatto scattare qualche meccanismo. Continuava a parlare della morte del dottor Lasch e ogni volta s'infuriava. Quando non dovrò più venire qui tre volte alla settimana, smetterà di pensarci tanto, tentò di rassicurarsi Edna mentre si allacciava il grembiule. Era stata lei a sceglierlo. La madre di Molly voleva che portasse l'uniforme, ma alla sua datrice di lavoro certe formalità non interessavano. «Oh, Edna, non è necessario», aveva detto. Molly non era ancora scesa a prepararsi il caffè, forse dormiva. Salirò a controllare, decise Edna. Dev'essere stanca, con tutto quello che ha passato. E ne ha viste parecchie. Dall'ultima volta che sono venuta, lunedì, è stata arrestata di nuovo con l'accusa di omicidio e quindi rilasciata dietro pagamento di una cauzione. Proprio come sei anni fa. Detesto pensarlo, ma forse per lei sarebbe meglio se la rinchiudessero da qualche parte. Marta dice che Molly è pericolosa e che dovrei lasciare il lavoro, rifletté ancora mentre affrontava le scale. Le ginocchia le dolevano per l'artrosi. E a te fa piacere che lo pensi, bisbigliò una vocetta dentro di lei. Se la polizia si concentra su Molly, lascerà in pace Wally. Ma lei è sempre stata gentile con te, intervenne un'altra vocetta. Potresti aiutarla, ma non vuoi. Wally venne qui quella sera... e tu lo sai. Forse lui potrebbe darle una mano a ricordare quello che accadde. Ma è un rischio che tu non puoi correre. Chissà che cosa potrebbe saltare fuori! Arrivò di sopra mentre Molly usciva dal bagno e nel vederla con indosso l'accappatoio di spugna e i capelli avviluppati in un asciugamano, Edna ripensò alla bambina di un tempo, sempre così educata, che la salutava ogni volta con un «Buongiorno, signora Barry». «Buongiorno, signora Barry.» Edna trasalì. Quella non era un'eco della memoria, ma la Molly adulta che le parlava. «Oh, cara, giuro per un momento mi è sembrato di vederla com'era a dieci anni! Sto perdendo i colpi, eh?» «Non lei», la rassicurò Molly. «Io, forse, ma certamente non lei. Mi dispiace di averla costretta a salire, ma non mi giudichi pigra. Sono andata a letto presto, solo che era quasi l'alba quando finalmente ho preso sonno.» «Così non va, Molly. Perché non chiede al dottore di darle una medicina?» «Lo ha fatto la notte scorsa, e la cosa mi ha aiutata. Sfortunatamente pe-
rò il dottor Daniels non crede molto nelle pillole.» «Ho un sonnifero che il dottore ha prescritto a Wally... sa, quando diventa agitato. Non è molto forte; vuole che gliene porti qualche compressa?» Molly, che era seduta alla toeletta con il phon in mano, si girò a guardare la donna. «Gliene sarei davvero grata, signora Barry», disse lentamente. «Per caso, ne ha un flacone in più?» «Oh, non le serve un flacone intero. Ce ne saranno almeno quaranta in quello che tengo nell'armadietto dei medicinali.» «Facciamo metà, allora, d'accordo? Da come stanno andando le cose, è probabile che nelle prossime notti avrò un gran bisogno di qualcosa che mi aiuti a dormire.» Edna, fino a quel momento incerta se far capire a Molly che era al corrente dei nuovi sviluppi, si decise. «Mi dispiace tanto per quello che è successo», borbottò. «Sì, lo so. Grazie, signora Barry. Ora sarebbe così gentile da portarmi una tazza di caffè?» Molly tornò a voltarsi e accese il phon. Ma lo spense non appena fu di nuovo sola e lasciò che i capelli le ricadessero sulle spalle. Il calore della doccia si era dileguato e le ciocche erano fredde e umide sulla pelle. Non avrai davvero intenzione di prendere tutte quelle pillole? si chiese. Scrutò la propria immagine riflessa nello specchio e vi vide qualcuno che stentava a riconoscere. Non era quello l'atteggiamento di chi, trovandosi in un luogo sconosciuto, cerca con gli occhi l'uscita pensando che potrebbe presentarsi la necessità di andarsene in fretta? Accostò un po' di più il viso allo specchio, scrutando nella profondità dei suoi occhi. Aveva posto la domanda, ma non era certa della risposta. Un'ora dopo Molly era nello studio, intenta a esaminare il contenuto di una delle scatole che aveva portato giù dal solaio. L'ufficio del procuratore di stato ha avuto tutto il tempo di fare altrettanto, rifletté. Hanno confiscato questi effetti personali dopo la morte di Gary per restituirli solo alla fine del processo e ieri li hanno guardati di nuovo. A questo punto è improbabile che sperino ancora di trovarci qualcosa di interessante. Ma io, si chiese, che cosa sto cercando? Qualcosa che mi faccia capire che cosa intendesse Annamarie quando ha detto che come medico Gary non valeva il prezzo che ho pagato per averlo ucciso. Ormai della sua infedeltà non mi importa più molto. Lo scatolone conteneva alcune fotografie incorniciate. Molly ne prese
una. Era stata scattata al ballo di beneficenza della Heart Association nell'anno del suo matrimonio e la raffigurava in compagnia del marito. Sua nonna diceva che Gary le ricordava Tyrone Power, di cui era stata follemente innamorata. Io non sono mai riuscita a vedere oltre la facciata. Annamarie, invece, sì. Ma come lo ha scoperto? E che cosa ha scoperto, esattamente? Fran la chiamò alle undici e mezzo. «Pensavo di fare un salto da te. La signora Barry è lì?» «Sì.» «Bene. Ci vediamo fra dieci minuti.» Al suo arrivo, Fran andò subito da Molly e l'abbracciò con slancio. «Qualcuno mi ha detto che ieri hai trascorso uno splendido pomeriggio.» «Mai avuto uno migliore», replicò Molly abbozzando a fatica un sorriso. «La signora Barry dov'è?» «In cucina, immagino. È decisa a prepararmi il pranzo, anche se le ho detto che non ho fame.» «Vieni con me. Devo parlarle.» Edna Barry avrebbe voluto sprofondare quando udì la voce di Fran Simmons. Aiutami. Signore, supplicò. Fa' che non mi chieda di Wally. Non è colpa di mio figlio se è così. Fran andò dritta al punto. «Il dottor Morrow era il medico di suo figlio, vero, signora Barry?» «Proprio così. Wally andava anche da uno psichiatra, ma il dottor Morrow era il suo medico di base.» Edna si sforzò di non lasciar trapelare il suo crescente disagio. «L'altro giorno la sua vicina, la signora Jones, mi ha detto che Wally reagì malissimo alla morte di Morrow.» «Infatti.» «Mi risulta che all'epoca Wally era ingessato.» Edna s'irrigidì, pronta a dare battaglia. «Dal piede al ginocchio, sì. E dopo l'omicidio del povero dottore, portò l'ingessatura ancora per una settimana.» Non avrei dovuto essere tanto precipitosa nel rispondere, si rimproverò subito dopo. Per il momento la Simmons non ha accusato mio figlio di nulla. «A lei e a Wally non è mai capitato di sentire Morrow parlare del dottor Lasch o del dottor Black, magari definendoli 'una coppia di assassini'?»
Fran sentì Molly sussultare. «Non ricordo nulla del genere», mormorò Edna, ma le mani che lisciavano senza sosta il grembiule tradivano la sua tensione. «E comunque, che cosa c'entra?» «Dubito che possa aver dimenticato un'affermazione del genere, signora Barry. Io di certo non lo avrei fatto. Mentre venivo qui, ho chiamato il signor Matthews e gli ho chiesto della chiave di scorta che Molly e suo marito tenevano in giardino. Stando agli appunti dell'avvocato, lei la consegnò alla polizia il lunedì mattina successivo alla morte del dottor Lasch, dicendo che era nel cassetto della cucina da un bel pezzo. Spiegò che un giorno Molly aveva dimenticato la sua e che, dopo aver preso quella di scorta, non si era più ricordata di rimetterla a posto.» «Ma non è vero!» proruppe Molly. «Non ho mai dimenticato la mia chiave e sono sicura che quella di scorta fosse al suo posto, la settimana prima che Gary morisse. Un giorno ero fuori, sul retro, e mi è capitato di controllare. Perché ha detto che invece era in casa e che ero stata io a portarcela, signora Barry? Non capisco.» 55 Quella sera Fran concluse il servizio sugli ultimi sviluppi nell'omicidio di Annamarie Scalli con un appello: «Secondo Bobby Burke, il barista di turno al Sea Lamp Diner la sera dell'omicidio, una coppia di clienti si sedette a un tavolo vicino alla porta poco prima che Annamarie Scalli uscisse. Philip Matthews, l'avvocato di Molly Lasch, li prega di rivolgersi alla polizia per riferire qualunque cosa abbiano visto nel parcheggio prima di entrare, o sentito all'interno del locale. Il numero dell'avvocato Matthews è 212-555-2800; in alternativa potete chiamare me, presso la nostra emittente televisiva al 212-555-6850». La luce della telecamera che seguiva Fran si spense. «Grazie, Simmons», disse in tono brioso Bert Davis, il commentatore. «E ora, dopo la pubblicità, lo sport con Tim Mason, seguito dalle previsioni meteorologiche di Scott Roberts.» Fran sganciò il microfono dalla giacca e si tolse gli auricolari. Prima di lasciare lo studio si fermò da Tim. «Posso offrirti un hamburger quando hai finito?» propose. Lui la guardò con aria ironica. «A dire la verità, pensavo a una bistecca, ma se è quello che vuoi, vada per l'hamburger.»
«No, la bistecca andrà benissimo. Allora ci vediamo dopo.» Mentre aspettava che il collega la raggiungesse, Fran ripensò agli avvenimenti della giornata. Il colloquio con il dottor Roy Kirkwood, la telefonata a Philip Matthews e infine la strana reazione di Edna Barry durante il loro breve confronto. La Barry aveva affermato di essere quasi certa che la chiave di scorta si trovasse nel cassetto della cucina da mesi, e alle proteste di Molly aveva replicato: «È evidente che si sbaglia; d'altra parte, all'epoca era talmente confusa...» Tornata a New York, Fran aveva ritelefonato a Matthews per parlargli della sua crescente convinzione che Edna Barry nascondesse qualche particolare relativo alla chiave. Lui le aveva promesso di rileggere le dichiarazioni rese dalla donna alla polizia, e poi in aula, e le aveva chiesto come avesse reagito Molly alle affermazioni della Barry. Ne era rimasta stupita, aveva risposto Fran, forse addirittura scossa. Una volta rimaste sole, le aveva detto: «Evidentemente ero via con la testa anche prima di scoprire la relazione di Gary con Annamarie. Eppure avrei giurato che la chiave fosse in giardino solo pochi giorni prima della loro telefonata». E scommetto che ha ragione, pensò ora lei. Quando Tim si affacciò al suo ufficio, gli fece cenno di entrare. «Muoviamoci», disse lui. «Ho prenotato un tavolo da Cibo's, sulla Seconda Avenue.» «Ottima scelta. Adoro quel posto.» Mentre percorrevano la Quinta Avenue diretti alla Quarantunesima, Fran allargò d'impulso le braccia, come per abbracciare gli edifici e il viavai della strada. «La mia città», sospirò. «Ne sono innamorata. È bello essere di nuovo qui.» «La amo anch'io», assentì Tim. «E anch'io sono contento che tu sia tornata.» Al ristorante, presero posto in un séparé. Fran attese che il cameriere versasse il vino e si allontanasse con le ordinazioni prima di dire: «Se non ricordo male, tua nonna è morta al Lasch Hospital, Tim. Quand'è successo?» «Vediamo... poco più di sei anni fa, credo. Perché t'interessa?» «Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti, la settimana scorsa? Ab-
biamo parlato di Gary Lasch. Tu dicesti che aveva curato bene tua nonna.» «Infatti. Perché?» «Perché in giro ho sentito voci ben diverse. Il medico che seguiva la madre di Billy Gallo, un certo dottor Kirkwood, mi ha detto che aveva richiesto per quella donna una visita specialistica, ma non aveva ottenuto l'autorizzazione del centro. Poi lei ha avuto un attacco cardiaco ed è morta. Ovviamente Gary Lasch non ci ha nulla a che fare, ma secondo il dottor Kirkwood questa politica del centro sanitario risale ai suoi tempi. Lui adesso non vuole più esercitare. È stato legato al Lasch Hospital per gran parte della sua carriera e ha affermato con decisione che Gary Lasch non assomigliava per nulla al padre. Pare che i problemi che ha incontrato con la signora Gallo non fossero affatto i primi, e che da tempo la salute dei pazienti non sia più la priorità del Lasch Hospital, né del Centro Remington.» Fran abbassò la voce. «Mi ha detto anche che il dottor Morrow, il giovane medico ucciso nel corso di una rapina due settimane prima dell'omicidio di Lasch, una volta definì lui e Black 'una coppia di assassini'.» «Un'espressione forte», commentò Tim spezzando un panino. «Comunque, devo dire che la mia esperienza è stata di gran lunga più positiva. Gary Lasch mi piaceva e allora ebbi la sensazione che la nonna non sarebbe potuta essere assistita meglio. Mi è appena venuto in mente un particolare che forse non ti avevo riferito. Sapevi che la Scalli era una delle infermiere che si presero cura di lei?» Fran lo guardò sbarrando gli occhi. «No, non me lo avevi detto.» «Non mi sembrava importante. Erano tutte ottime professioniste. Annamarie, poi, la ricordo diligente e piena di premure. Quando arrivò la telefonata che annunciava la morte della nonna, ci precipitammo subito all'ospedale e la trovammo in lacrime accanto al letto. Quante infermiere reagirebbero allo stesso modo, soprattutto nel caso di pazienti che conoscono da poco tempo?» «Non molte», concordò Fran. «Non potrebbero fare il loro lavoro, se si lasciassero coinvolgere emotivamente.» «Annamarie era molto graziosa, ma anche ingenua», rammentò Tim. «Aveva poco più di vent'anni, sai. Quando in seguito scoprii che Gary Lasch se la intendeva con lei, ne fui disgustato, ma quanto alla competenza medica, non ho mai avuto nulla da rimproverargli. «Ci divertivamo a prendere in giro la nonna dicendo che aveva una cotta per lui. Era un uomo affascinante e sembrava avere davvero a cuore la salute dei pazienti. Ispirava fiducia. La nonna diceva che a volte passava a
darle un'occhiata anche a tarda sera. Quanti dottori fanno lo stesso?» «Stando a Molly, Annamarie Scalli avrebbe detto che, come medico e come marito, Gary Lasch non valeva il prezzo che lei ha pagato per averlo ucciso», osservò Fran. «A lei è sembrato che Annamarie parlasse con estrema sicurezza.» «Ma Fran, non sono proprio queste le cose che ci si aspetta di sentir dire da una donna nella posizione di Annamarie?» «Come donna, forse. Ma la mia impressione è che parlasse anche da infermiera.» Fran scosse la testa. «Non so, forse sto saltando a conclusioni affrettate, ma mettendo insieme il commento di Annamarie e quello del dottor Morrow, non posso fare a meno di pensare che dev'esserci qualcosa di vero. C'è qualcosa che mi sfugge, lo sento, e sospetto che in questa storia ci sia ancora molto da scoprire.» «Sei una giornalista investigativa, Fran; scommetto che riuscirai ad arrivare alla verità. Conoscevo pochissimo Annamarie Scalli, ma le sono riconoscente per le cure che ha prestato a mia nonna. Mi piacerebbe vedere il suo assassino in carcere e se Molly Lasch è accusata ingiustamente, ebbene, è una vera tragedia.» Arrivò il cameriere con le insalate. «Accusata ingiustamente per la seconda volta», sottolineò Fran in tono brusco. «Potrebbe essere. Quale sarà la tua prossima mossa?» «Sono riuscita a strappare un appuntamento con il dottor Peter Black, lo vedrò domani. Credo che sarà interessante. E sto ancora cercando di fissarne uno con la mia vecchia compagna di scuola, Jenna Graham, e suo marito, il potente Calvin Whitehall.» «Persone che contano.» Lei annuì. «Lo so, ma hanno un ruolo importante in questa faccenda e, in un modo o nell'altro, devo arrivare fino a loro.» Sospirò. «Ti va di parlare d'altro, adesso? Secondo te, i miei amati Yankees vinceranno la coppa del mondo anche quest'anno?» Tim sorrise. «Naturalmente.» 56 «Stavolta verrò a trovarti da sola», annunciò Jenna, parlando con Molly dal telefono in macchina. «E ti assicuro che mi fermerò pochi minuti.» «Sei molto cara, Jen, ma ho appena chiesto al dottor Daniels di non passare, e convincerlo non è stato facile. So che sono solo le nove, ma mi si
stanno chiudendo gli occhi e ho una gran voglia di andare a letto.» «Un quarto d'ora, non ti chiedo altro.» «Oh, Jen», sospirò Molly. «D'accordo, hai vinto. Vieni pure. Solo, sta' attenta. C'erano dei giornalisti qui in giro questa mattina. E scommetto che a Cal non piacerebbe vedere sua moglie sulla prima pagina dei giornali scandalistici in compagnia della famigerata Molly Lasch.» Fu quindi con estrema cautela che poco dopo lei aprì la porta all'amica. «Oh, cara.» Jenna l'abbracciò. «Non sai quanto mi dispiace che tu debba affrontare tutto questo.» «Tu sei la mia sola amica», sospirò Molly, ma subito si corresse: «No, non è vero. Anche Fran Simmons sta dalla mia parte». «Ha telefonato per fissare un appuntamento, ma non l'abbiamo ancora richiamata. Cal mi ha promesso di vederla e mi risulta che domani la Simmons si incontrerà con Peter.» «Sì, vuole parlare con tutti voi. E io vorrei che tu fossi del tutto franca con lei; sono certa che Fran non mi farebbe mai del male.» Andarono in tinello, dove Molly aveva acceso il fuoco. «Stavo pensando... che questa casa è così grande e io ne occupo solo tre stanze: la cucina, la mia camera e questa. Quando, e se, tutto questo sarà finito, me ne cercherò una più piccola.» Jenna annuì. «Mi sembra un'ottima idea.» «Naturalmente lo stato del Connecticut ha altri piani per me e, se l'avrà vinta, la mia prossima casa sarà una cella.» «Molly!» «Scusami.» Molly sedette e guardò l'amica. «Sei fantastica. Tubino nero... un Escada, giusto? Tacchi alti. Gioielli discreti ma di ottima fattura. Dove sei stata, o dove stai andando?» «Una colazione di lavoro. Roba della società. Ho preso un treno sul tardi; stamattina avevo lasciato l'auto in stazione e sono venuta direttamente da lì. Ma è tutto il giorno che mi sento a disagio. Sono così preoccupata per te, Molly.» L'altra abbozzò un sorriso. «In questo caso, siamo in due.» Le due amiche sedevano sul divano, separate dallo spazio di un cuscino. Molly si chinò in avanti, con le mani intrecciate. «Tuo marito è persuaso che io abbia ucciso Gary, vero?» Jenna non esitò. «Sì.» «Ed è anche persuaso che abbia ucciso Annamarie Scalli?» Questa volta l'altra non disse nulla.
«So che è così», insistette Molly. «Tu sai quanto ti sono affezionata, Jenna, ma fammi un favore... non portarmi più Cal. Questa casa è l'unico posto che possa definire realmente mio, non voglio vederla invasa dai nemici.» Lanciò un'occhiata di sottecchi all'amica. «Oh, Jen, non piangere per me. Tutto questo non ha nulla a che fare con noi due. Noi siamo sempre quelle della Cranden Academy, non è vero?» «Puoi scommetterci», replicò Jenna. Con un gesto impaziente si passò il dorso della mano sugli occhi. «Ma Molly, Cal non è il nemico. Ha intenzione di chiamare altri avvocati, penalisti di prima categoria, perché collaborino con Philip alla preparazione di una difesa per infermità mentale.» «Infermità mentale?» «Non capisci che questa volta una condanna per omicidio significherebbe il carcere a vita? Non possiamo permettere che accada.» «No, non possiamo», annuì Molly, alzandosi. «Jenna, vieni con me nello studio di Gary.» Nella stanza la luce era spenta. Molly premette l'interruttore, poi deliberatamente tornò a pigiarlo. «Ieri sera non riuscivo a dormire. Verso mezzanotte sono scesa qui... e sai una cosa? Quando ho acceso la luce, un istante fa, mi sono ricordata di aver fatto lo stesso gesto quella domenica sera. Adesso sono proprio sicura che la luce fosse spenta quando sono arrivata, Jenna. Potrei giurarlo!» «E questo che cosa significa?» «Prova a pensarci. Gary era seduto alla scrivania. Aveva dei documenti davanti, quindi evidentemente stava lavorando. Ma era già tardi, ed è impensabile che non avesse acceso la luce. Se ho ragione nel ricordare di avere aperto questa porta e poi acceso la luce, allora era stato l'assassino a spegnerla. Non capisci?» «Molly...» La voce di Jenna era pacata ma in essa vibrava una nota di protesta. «Proprio ieri ho detto al dottor Daniels che mi sono ricordata di un dettaglio di quella sera, qualcosa a proposito di una porta e di una serratura.» Molly si girò in tempo per vedere l'incredulità dipinta sul viso dell'amica. Il suo corpo parve afflosciarsi. «Oggi la signora Barry ha detto che la chiave di scorta che tenevamo in giardino era in casa da settimane. Ha sostenuto che ero stata io a prenderla, che un giorno che avevo dimenticato la mia, ma non rammento neppure questo.» «Devi permettere a Cal di affiancare a Philip degli altri avvocati.» Il to-
no di Jenna si era fatto urgente. «Oggi ha parlato con un paio di loro, i migliori. Hanno entrambi molta esperienza in questo genere di difese e sono convinti di poterti aiutare.» Guardò il viso sgomento dell'amica. «Pensaci, almeno», aggiunse più dolcemente. Molly la ignorò. «Forse è per questo che ho sognato una porta e una serratura», mormorò. «Comunque vada, finirò sotto chiave. Resta solo da stabilire se sarà nella cella di un carcere o nella stanza di un manicomio.» Jenna si alzò. «Alzati, forza. Beviamo una tazza di tè, poi tu te ne vai dritta a letto. Hai detto che non stai dormendo abbastanza. Il dottor Daniels non ti ha prescritto nulla?» «Mi ha dato una pillola l'altro giorno e oggi pomeriggio la signora Barry mi ha portato quelle che prende Wally.» «Non dovresti prendere medicine prescritte ad altri!» «Ma ho letto l'etichetta, non ci sono pericoli. In fondo sono stata la moglie di un medico, qualcosa avrò pure imparato.» Rimasta sola, Molly chiuse a doppia mandata e bloccò la porta. Il rumore, una via di mezzo fra uno scatto e uno schiocco, la indusse a fermarsi. Deliberatamente ripeté l'operazione, questa volta ascoltando con attenzione, in attesa che il suo inconscio le spiegasse perché, di colpo, quel suono familiare la spaventava tanto. 57 Il dottor Peter Black iniziò la giornata lavorativa di giovedì passando da Tasha. Avrebbe dovuto essere morta da un pezzo, pensò un po' innervosito mentre percorreva il corridoio. Forse includerla nell'esperimento era stato un errore. I risultati clinici erano generalmente utili, a volte affascinanti, ma il caso di Tasha si stava rivelando particolarmente complicato, soprattutto a causa della madre di lei. La signora Colbert era troppo vigile e aveva troppe conoscenze. Il cronicario ospitava molti pazienti che rappresentavano candidati ben più adatti a quella straordinaria ricerca, pazienti i cui parenti non avrebbero mai sospettato alcunché e che avrebbero accettato come un dono del cielo anche il più piccolo segno di risveglio sul letto di morte. Non avrei mai dovuto dire al dottor Lowe che Harvey Magim sembra aver riconosciuto la moglie poco prima di spirare, si rimproverò. Ma ormai era troppo tardi; Lowe pretendeva che si andasse avanti. E per andare avanti bisognava mettere a frutto il pacchetto che lui aveva ritirato al labo-
ratorio di West Redding e che in quel momento teneva nascosto sotto il gilé. La testa dell'infermiera seduta al capezzale di Tasha ciondolava. Ottimo, pensò Black. Un'infermiera assonnata era esattamente quello di cui aveva bisogno. Avrebbe potuto allontanarla senza destare sospetto. Si chinò sulla donna. «Perché non va a prendere un caffè? Resterò io con Tasha. Dov'è la signora Colbert?» «Dorme sul divano. Poveretta, finalmente si è assopita. I figli se ne sono andati, ma torneranno stasera.» Black annuì e mentre l'infermiera sgattaiolava fuori, si girò verso la paziente. Le condizioni di Tasha erano immutate... grazie alla sostanza che lui le aveva iniettato all'insorgere della crisi. Tirò fuori il pacchetto. Così piccolo, eppure così pesante. L'iniezione della sera prima aveva prodotto i risultati previsti, ma questo era un salto nel buio. Lowe ha perso il controllo, pensò Black. Sollevò il braccio inerte di Tasha e lo pizzicò per far risaltare le vene, poi premette lentamente lo stantuffo. Il liquido penetrò nella vena. Guardò l'ora. Le otto. Di lì a dodici ore sarebbe finito tutto, in un modo o nell'altro. Nel frattempo lui avrebbe dovuto vedersela con quella giornalista ficcanaso, Fran Simmons. 58 Dopo una notte inquieta, quel giovedì Fran arrivò presto al lavoro. Voleva andare preparata all'appuntamento di mezzogiorno con il dottor Peter Black. Aveva chiesto in archivio di mandarle il materiale biografico del medico, e fu lieta di trovare tutto pronto sulla scrivania. Lo scorse rapidamente. Le informazioni erano sorprendentemente scarse e per nulla impressionanti. Nato a Denver da una famiglia della piccola borghesia; scuole locali; votazioni da mediocri a scarse alla facoltà di medicina; internato in un oscuro ospedale di Chicago, quindi l'assunzione al Lasch Hospital. Non un granché come curriculum, si disse. E questo portava inevitabilmente a una domanda: perché Gary Lasch aveva cercato proprio lui? Era mezzogiorno in punto quando Fran entrò nell'ufficio del dottor Black. La colpì il lusso dell'arredamento; un lusso, non poté fare a meno di
pensare, più adatto a un dirigente di società che a un medico, anche se era il direttore di un ospedale e di un centro di assistenza medica. Non si era fatta un'idea precisa di Peter Black. Forse lo immaginavo più simile a Gary Lasch, pensò ora mentre gli stringeva la mano e lo seguiva in un angolo salotto, davanti a una grande finestra panoramica. Il divano e due poltrone in pelle e il tavolino basso creavano un'atmosfera gradevole, calda. A detta di tutti, Gary Lasch era stato un uomo affascinante, dotato di una personalità accattivante. Peter Black, invece, aveva la carnagione giallastra ed era palesemente nervoso. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte e il labbro superiore. Si muoveva con rigidità e si appollaiò sul bordo della poltrona, tutt'altro che rilassato. Il suo era l'atteggiamento di chi si prepara a reagire a un'aggressione e, benché si sforzasse di essere cortese, la tensione che traspariva dalla sua voce era inequivocabile. Le offrì un caffè, che Fran rifiutò. «Mi aspetta una giornata particolarmente piena», esordì a quel punto il medico, «e immagino che per lei sia lo stesso, quindi spero che non le dispiaccia se vengo subito al punto. Ho acconsentito a incontrarla solo perché tenevo a dirle che trovo oltraggioso il suo tentativo di sfruttare Molly Lasch, una donna psicologicamente disturbata, solo per aumentare i vostri indici di ascolto.» Fran ricambiò il suo sguardo senza trasalire. «Credevo di aiutare Molly, non di sfruttarla, dottore. Posso chiederle se la sua diagnosi si basa su una valutazione medica effettiva o se va attribuita alla fretta di giudicare che sembra aver contagiato tutti gli amici di Molly?» «È evidente che non abbiamo nulla da dirci, signorina Simmons.» Peter Black si alzò. «Se vuole scusarmi...» Fran non si mosse. «Temo di non poterlo fare, dottor Black. Se sono venuta fin qui da Manhattan è perché ho delle domande da porle ed essendosi dichiarato disposto a incontrarmi, lei ha tacitamente accettato questa condizione. Almeno, io la vedo così. Credo che mi debba almeno dieci minuti del suo tempo.» Riluttante, Peter Black tornò a sedersi. «Dieci minuti, signorina Simmons. Non un secondo di più.» «La ringrazio. So da Molly che è stato da lei con gli Whitehall sabato sera, per indurla a chiedermi d'interrompere le indagini a causa delle trattative su una fusione che il vostro centro ha in corso. È così?» «Certamente. Ma era anche del benessere di Molly che mi preoccupavo; gliel'ho già spiegato.»
«Dottor Black, lei conosceva il dottor Jack Morrow, vero?» «Sicuro. Era uno dei nostri interni.» «Eravate amici?» «Buoni conoscenti. Buoni conoscenti, sì. Ci rispettavamo. Ma se mi sta chiedendo se ci frequentavamo fuori di qui, la risposta è no.» «Litigò con lui poco prima che morisse?» «Assolutamente no. So però che ebbe un diverbio con il mio collega, il dottor Lasch. Mi pare che Gary avesse rifiutato di sottoporre un paziente alla terapia caldeggiata dal dottor Morrow.» «Sapeva che il dottor Morrow una volta ha definito lei e il dottor Lasch 'una coppia di assassini'?» «Assolutamente no, ma non mi sorprende. Jack era un uomo impulsivo, che si scaldava facilmente.» Ha paura, pensava Fran. Ha paura e sta mentendo. «Dottore, all'epoca lei era al corrente della relazione fra Gary Lasch e Annamarie Scalli?» «Certamente no. Rimasi scioccato quando Gary me ne parlò.» «Il che accadde solo poche ore prima della sua morte», puntualizzò Fran. «Giusto?» «Infatti. Gary era stato agitato per tutta la settimana, così quella domenica andai a trovarlo con Cal Whitehall. E lui ci raccontò della sua relazione.» Peter Black lanciò un'occhiata eloquente all'orologio. Non vede l'ora di cacciarmi, pensò Fran. Prima, però, voglio fargli almeno un altro paio di domande. «Gary Lasch era un suo intimo amico, vero?» «Molto intimo. Ci eravamo conosciuti alla facoltà di medicina.» «E da allora avevate continuato a frequentarvi con regolarità?» «Non esattamente. Subito dopo la laurea, io andai a Chicago. Gary, invece, venne qui a Greenwich appena completato l'internato, per lavorare con il padre.» Si alzò. «Signorina Simmons, ora devo proprio congedarla.» Si alzò e andò alla scrivania. Fran lo seguì. «Un'ultima domanda. Fu lei a chiedere a Gary Lasch di assumerla?» «Proprio no. Mi cercò lui dopo la morte del padre.» «Con tutto il rispetto, dottore, Lasch la invitò a entrare come socio nella struttura fondata dal padre. All'epoca qui a Greenwich c'erano parecchi ottimi medici che sarebbero stati ben felici di accettare la stessa proposta. Ma il dottor Gary scelse lei, e questo benché la sua esperienza professiona-
le si riducesse a un impiego in un ospedale di Chicago non particolarmente prestigioso. Che cosa la rendeva tanto speciale?» Peter Black si girò a fronteggiarla. «Fuori dal mio ufficio, signorina Simmons!» ululò. «Che coraggio, presentarsi qui a fare sporche insinuazioni quando la metà degli abitanti di questa città è stata vittima della disonestà di suo padre!» Fran trasalì. «Touché», mormorò poi. «Tuttavia, dottor Black, non smetterò di cercare risposta alle mie domande. Anche se è evidente che lei non ha nessuna intenzione di aiutarmi.» 59 Giovedì mattina, Annamarie Scalli fu seppellita nella tomba di famiglia a Buffalo. Non ci furono annunci sulla stampa e nemmeno una veglia. Sua sorella, Lucilie Scalli Bonaventure, il marito di lei e i loro due figli furono gli unici ad assistere al servizio funebre e alla sepoltura. Era stata Lucy a insistere per tanta riservatezza. Di sedici anni più anziana di Annamarie, aveva sempre pensato alla sorella minore come alla sua prima figlia, e l'aveva osservata con gioia trasformarsi in una donna graziosa e intelligente. Lucy e la madre avevano approvato di tutto cuore la sua decisione di diventare infermiera, una nobile professione che, per di più, le avrebbe dato la possibilità di sposare un medico. E chi non avrebbe desiderato sposare una ragazza come lei? Erano rimaste addolorate quando era andata a lavorare al Lasch Hospital di Greenwich, dato che sentivano la sua mancanza. Ma dopo che Annamarie ebbe portato per ben due volte Jack Morrow a passare il fine settimana nella casa dei genitori, si erano convinte che tutti i loro sogni stessero per avverarsi. Seduta nella prima panca della cappella, Lucy ripensava ad anni più felici. Jack Morrow amava scherzare con sua madre: anche se Annamarie non era una cuoca altrettanto brava, diceva, lui era disposto a sposarla ugualmente. Una sera aveva chiesto: «Che cosa devo fare per convincere sua figlia a innamorarsi di me?» Ma Annamarie era innamorata di lui, pensò ora Lucy, mentre lacrime amare le rigavano il viso... cambiò solo quando quell'orribile Gary Lasch si mise di mezzo. E ora non dovrebbe essere lì in quella bara, dovrebbe essere la moglie di Jack ormai da sette anni. Avrebbe potuto continuare a lavorare... lui sarebbe stato d'accordo. Annamarie
era un'infermiera nata, proprio come lui era un medico per vocazione. Si girò a guardare la bara, su cui era appoggiato un drappo bianco simbolo del battesimo. Oh, tesoro, gemette dentro di sé, quanto hai sofferto per via di quel... bastardo di Lasch. Quando lui ti ha fatto girare la testa, hai cercato di farmi credere che non eri pronta per sposare Jack, ma io sapevo che non era così. Eri pronta. Avevi semplicemente smarrito la via. Eri solo una bambina. Lasch, invece, sapeva bene quello che stava facendo. «Possa la sua anima e quella di tutti i nostri defunti...» Sprofondata in un gorgo di paura e sofferenza, Lucy era solo vagamente consapevole del sacerdote che benediceva la bara. Guarda che cosa ti ha fatto quell'uomo, Annamarie, pensò ancora. Ha rovinato la tua vita. Hai persino rinunciato a lavorare in corsia e una volta quello era stato il tuo sogno... non ne parlavi, ma so che non ti sei mai perdonata per ciò che era accaduto in ospedale. Ma che cos'era mai successo? E il dottor Jack! La povera mamma era pazza di lui, lo ammirava moltissimo. Non lo chiamava mai Jack, sempre dottor Jack. E tu hai detto che non credevi che fosse stato un tossicodipendente a ucciderlo. Annamarie, di che cosa hai avuto paura in tutti questi anni? continuò a interrogarsi Lucy. Una paura che ti tormentava anche quando Molly Lasch era in carcere. Sorellina... sorellina... La cappella echeggiava di singhiozzi... i suoi, Lucy lo sapeva bene. Quando il marito le accarezzò la mano, si affrettò a ritirarla. In quel momento si sentiva vicino a una persona sola, sua sorella Annamarie. Mentre la bara usciva dalla chiesa a consolarla fu solo il pensiero che forse, in un mondo diverso, lei e Jack Morrow avrebbero avuto una seconda possibilità per essere felici. Dopo la sepoltura, i figli di Lucy si affrettarono a rientrare in ufficio, mentre suo marito tornò al supermercato di cui era direttore. Giunta a casa, lei andò nella stanza che Annamarie occupava quando era a Buffalo e cominciò a vuotare il cassettone. I primi tre cassetti contenevano calze, biancheria e maglioni, indumenti che Annamarie utilizzava durante le sue brevi visite. L'ultimo era pieno di fotografie, alcune incorniciate, altre sciolte, album di famiglia, qualche lettera e alcune cartoline. Era quello il materiale che stava esaminando, con gli occhi appannati di
lacrime, quando telefonò Fran Simmons. «So chi è lei», fu la prima reazione di Lucy. «È la giornalista che vuol riportare a galla quella sporca faccenda. Be', la smetta e lasci che mia sorella riposi in pace.» Fran telefonava da Manhattan. «Sono addolorata per la perdita che ha subito, ma c'è una cosa di cui deve rendersi conto... sua sorella non riposerà in pace se Molly Lasch finirà di nuovo in tribunale. Il suo avvocato non avrà altra scelta che dipingere Annamarie nei termini più negativi possibile.» «Ma non è giusto!» gemette Lucy. «Lei non era una rovina-famiglie. Quando ha conosciuto Gary Lasch era solo una ragazzina.» «E così era anche Molly», replicò Fran. «Più vado avanti, più provo compassione per entrambe. Signora Bonaventure, sarò a Buffalo domani e vorrei vederla. La prego, si fidi di me. Voglio solo scoprire la verità su quello che è successo, non solo sulla morte di Annamarie, ma anche riguardo a ciò che accadde sei o più anni fa al Lasch Hospital. E voglio scoprire perché Annamarie aveva paura. Perché aveva paura, sa.» «Lo so. Accadde qualcosa in ospedale, poco prima che Gary Lasch morisse.» La voce di Lucy era piatta, priva di emozione. «Domani sarò a Yonkers, a sgomberare l'appartamento di Annamarie. Non c'è bisogno che lei venga fin qui; possiamo vederci lì, signorina Simmons.» 60 Il giovedì pomeriggio, Edna Barry telefonò a Molly per chiederle se poteva passare da lei. «Naturalmente», rispose Molly, ma il suo tono era freddo. Non aveva dimenticato quello che l'altra aveva detto sulla chiave di scorta, né l'ostilità con cui aveva reagito ai suoi appassionati dinieghi. Forse vuole scusarsi, si disse, tornando alle carte che aveva accatastato sul pavimento dello studio. Gary era stato un uomo preciso, addirittura meticoloso, ma la polizia aveva frugato senza criterio nelle sue cose, mescolando il materiale e senza poi preoccuparsi di rimettere in ordine. Ma che importanza ha? si chiese Molly. Se c'è una cosa che non mi manca, è il tempo. Aveva già messo da parte le fotografie che contava di mandare alla madre di Gary. In nessuna di quelle compariva anche lei, c'era solo suo marito in compagnia di persone importanti. Non mi sono mai sentita vicina a mia suocera, rifletté, e non la biasimo
se ora lei mi odia. Anch'io odierei chiunque credessi responsabile della morte del mio unico figlio. L'assassinio di Annamarie deve averla riportata indietro nel tempo e naturalmente c'è sempre la possibilità che qualche giornalista vada a tormentarla. Per l'ennesima volta ripensò alla conversazione avuta con Annamarie. Chissà chi avrà adottato il bambino, si domandò. Ero così disperata quando ho saputo che lei era incinta! L'ho odiata e invidiata. Ma ancora oggi, sapendo quello che so, spasimo per il figlio che ho perduto. Forse un giorno avrò un'altra occasione, si disse. Era seduta per terra a gambe incrociate quando quel pensiero le balenò nella mente. Si irrigidì, quasi scioccata dall'improvvisa visione di una vita diversa. Ma subito si riscosse e scrollò la testa. Che assurdità! si disse. Perfino Jenna, la mia migliore amica, mi ha fatto chiaramente capire che le mie uniche possibilità sono il carcere o il manicomio. Come posso anche solo immaginare che prima o poi quest'incubo abbia fine? Ciononostante, quella speranza albergava in lei, e sapeva anche perché. A salvarla dalla completa disperazione erano i frammenti di ricordi che continuavano ad affacciarsi alla sua mente, attimi del passato rimasti a lungo sepolti nel suo inconscio e che ora, lentamente, cominciavano ad affiorare. Ieri sera, quando ho chiuso la porta... non so che cosa, ma qualcosa è successo. Cominciò a fare la cernita delle pubblicazioni medico-scientifiche che Gary teneva in ordine cronologico sugli scaffali. Era un materiale piuttosto eterogeneo, ma evidentemente lui aveva i suoi motivi per conservarle. Un esame sommario degli indici le rivelò che in quasi tutte Gary aveva contrassegnato almeno un articolo. Le butterò via, decise Molly; prima però scorrerò quegli articoli. Tanto per vedere che cosa voleva conservare mio marito. Sentì suonare il campanello della porta della cucina, poi la signora Barry gridare: «Sono io, Molly». «Sono in studio», rispose. Per qualche istante continuò a impilare le riviste, poi si fermò ad ascoltare i passi in corridoio. Edna si muoveva pesantemente, lei lo aveva notato in parecchie occasioni. Portava sempre delle scarpe ortopediche con la suola di gomma che cigolavano a ogni passo. «Mi dispiace, Molly.» Edna Barry pronunciò quelle parole ancor prima di entrare nella stanza. A Molly bastò guardarla in faccia per capire che non era venuta lì per scusarsi. Il suo viso aveva un'espressione decisa e la bocca era serrata. Te-
neva nella mano una chiave. «So che non è bello, dopo tutti questi anni, ma non posso più lavorare per lei. E voglio smettere subito.» Confusa, Molly si alzò. «Non deve sentirsi tenuta ad andarsene per via di quella discussione sulla chiave. Siamo entrambe convinte di avere ragione e io sono sicura che una spiegazione ragionevole ci dev'essere e che Fran Simmons la troverà. Ma deve capire che per me è un punto molto importante. Se è stato qualcun altro a usare quella chiave per entrare in casa, allora non stata io a lasciarla nel cassetto. Forse quel qualcuno era a conoscenza del nascondiglio.» «Quella sera qui non è venuto nessuno.» La voce di Edna era stridula. «Non me ne vado per via della chiave. Mi dispiace doverglielo dire, ma ormai ho paura a venire qui a lavorare.» «Paura!» Molly la fissò attonita. «Ma di che cosa?» L'altra distolse gli occhi, senza rispondere. «Non avrà paura... di me? Buon Dio.» Scioccata, Molly tese la mano. «La chiave, signora Barry. Se ne vada, per favore. Subito.» «Lei deve capirmi, Molly... non è colpa sua. Ma ha ucciso due persone.» «Vada via!» «Molly, si faccia aiutare. Per favore, si faccia aiutare.» Poi, con un verso a metà tra un un gemito e un singhiozzo, Edna Barry si girò e corse fuori. Molly attese di vedere l'auto che lasciava il vialetto e s'immetteva in strada prima di crollare lentamente sulle ginocchia, con il viso nascosto tra le mani. Piccoli suoni soffocati le uscivano dalla gola, mentre ondeggiava avanti e indietro. Mi conosce da quando ero bambina, eppure è convinta che io sia un'assassina. Che possibilità ho? Che possibilità ho di farmi credere? Ferma a un semaforo rosso, Edna Barry, sconvolta, si ripeteva senza sosta che non aveva avuto scelta, che era stata costretta a mentire a Molly a proposito della sua decisione di licenziarsi. Avrebbe impedito a persone come Fran Simmons di ficcare il naso negli affari di Wally. Mi dispiace, Molly, pensò, memore del dolore che aveva visto negli occhi della donna. Ma devi capire. Il sangue non è acqua. 61 Fra un boccone e l'altro della colazione che la domestica gli aveva servito in ufficio, Calvin Whitehall abbaiava ordini a Lou Knox. Era stato di
pessimo umore per tutta la mattina, in parte, sospettava il suo autista, perché quella Fran Simmons cominciava a dargli davvero sui nervi. La giornalista continuava a chiamare per fissare un appuntamento, rifiutandosi di accontentarsi delle vaghe promesse di Cal. E da alcune frasi che i due coniugi si erano scambiati, Lou aveva capito che quel giorno alle dodici la Simmons avrebbe incontrato Peter Black. Quando alle dodici e trenta arrivò una telefonata privata per Cal, Lou pensò che si trattasse proprio di Black, che chiamava per riferire dell'incontro. Aveva ragione e il suo principale era furioso. «Ti ha chiesto perché Gary avesse scelto proprio te? E tu che cosa hai risposto? Se fiuta la pista giusta... Perché diavolo hai acconsentito a vederla? Sapevi che avrebbe potuto solo danneggiarti; non bisogna essere dei geni per capirlo», gridò. Quando riattaccò, era paonazzo. Il telefono riprese a squillare quasi subito, ma il tono di Cal si addolcì mentre rispondeva: «Sì, dottore, ho parlato con Peter, pochi istanti fa, per essere precisi. No, non mi ha detto nulla di speciale. Avrebbe dovuto?» Lou sapeva che stava parlando con Adrian Lowe, l'oftalmologo o cosa diavolo era, che viveva nella fattoria di West Redding. Per motivi a lui sconosciuti, Whitehall e Black lo trattavano con i guanti, e altrettanto aveva sempre fatto Gary Lasch. Nel corso degli anni gli era capitato di accompagnare qualche volta Cal alla fattoria, ma erano state visite brevi, mentre lui aspettava in macchina. Lou aveva visto Lowe da vicino solo un paio di volte: era un ometto ossuto, sulla settantina, con i capelli grigi e l'aria mite. Gli bastò un'occhiata per capire che il suo capo si stava irritando. Era sempre un brutto segno quando Cal, invece di esplodere, s'irrigidiva. Il suo viso si stava trasformando in una maschera di ghiaccio. Con gli occhi socchiusi, faceva pensare a una tigre sul punto di spiccare il balzo. Quando Cal rispose alle obiezioni di Lowe, la sua voce era controllata ed emanava sicurezza e autorità. «Dottore, sa quanto rispetto ho per lei... tuttavia non penso che abbia il diritto di insistere perché Peter Black completi la procedura. Così come Black non ha nessun diritto di assecondarla. In questo momento niente potrebbe essere più rischioso, oltre che inutile. È escluso che lei possa essere presente quando la reazione avrà inizio. Dovrà accontentarsi della videocassetta, come al solito.» Lou non riusciva a sentire il dottor Lowe, ma era certo che avesse alzato
la voce. «Dottore», disse ancora Cal, «le garantisco che avrà la cassetta stasera stessa.» Riattaccò bruscamente e lanciò a Lou un'occhiata che gli fece subito capire di essere in grossi guai. «Mi sembrava di averti già fatto notare che Fran Simmons era un problema», disse. «È arrivato il momento di risolverlo.» 62 Lasciato l'ufficio di Black, Fran telefonò a Philip Matthews in studio. La voce di lui era carica di preoccupazione. «Dove si trova, Fran?» le chiese. «A Greenwich. Conto di ripartire fra poco per New York.» «Non ce la farebbe a passare da me verso le tre? Ho paura che le cose si stiano mettendo male per Molly.» «Ci sarò.» Fran interruppe la comunicazione. Si stava avvicinando a un incrocio e frenò quando scattò il rosso. Destra o sinistra? si chiese. Aveva pensato di fermarsi alla redazione del Greenwich Time nella speranza di trovarvi Joe Hutnik e al tempo stesso aveva una gran voglia di rivedere la casa dove aveva vissuto per quattro anni. Le parole sprezzanti di Peter Black l'avevano ferita, ma era per suo padre che soffriva, non per se stessa. Voleva rivedere la casa, l'ultima che avesse diviso con lui. Bene, facciamolo, decise alla fine. Svoltò tre isolati più avanti. Riconobbe all'istante la strada alberata. La casa sorgeva più o meno a metà dell'isolato, era una costruzione in mattoni in stile Tudor. Aveva pensato di limitarsi a oltrepassarla, invece si ritrovò a parcheggiare lì vicino. Era una bella casa: le finestre con i vetri piombati splendevano nella luce del sole. Non è molto cambiata, pensò Fran commossa, mentre richiamava alla mente il lungo soggiorno dal soffitto alto, dominato da un prezioso camino in marmo irlandese. La biblioteca, invece, era piccola. Scherzando, suo padre diceva che era stata costruita per ospitare dieci libri in tutto. Ma lei ne aveva fatto il suo rifugio. Era sorpresa di constatare quanti ricordi felici le tornassero in mente. Se solo papà avesse saputo guardare oltre. Se anche lo avessero condannato, in pochi anni sarebbe stato di nuovo fuori e avrebbe potuto ricominciare altrove. Non sarebbe dovuto succedere... era questo il rimpianto che aveva tor-
mentato a lungo lei e sua madre. Perché non si erano accorte di nulla, quell'ultimo giorno? Avrebbero potuto impedire la sua morte? Se solo ne avesse parlato con noi. Se solo avesse raccontato qualcosa! E il denaro... dov'era finito? E perché non era stato possibile risalire a un solo investimento che ne giustificasse la scomparsa? Prima o poi troverò la risposta, promise a se stessa mentre rimetteva in modo la macchina. Era l'una e venti, a quell'ora probabilmente Joe Hutnik era fuori a pranzo, ma Fran decise ugualmente di passare al Time. Joe era ancora alla sua scrivania e l'accolse con calore; le disse che voleva parlarle. «Dalla settimana scorsa di acqua ne è passata parecchia sotto i ponti», brontolò mentre le faceva segno di prendere una sedia e chiudeva la porta. «Direi proprio di sì», assentì Fran. «Il materiale per la sua trasmissione sta crescendo a vista d'occhio.» «Joe, Molly è innocente per quanto riguarda entrambi i delitti. Io lo so, lo sento.» L'uomo la guardò molto perplesso. «Sta scherzando, vero? Perché, se dice sul serio, allora si sta prendendo in giro da sola.» «Né l'una né l'altra cosa, Joe. Sono persuasa che non abbia ucciso né il marito né la Scalli. Senta, lei conosce questa città. Che cosa ha sentito dire in giro?» «Se lo può immaginare. La gente è scioccata, rattristata, ma non sorpresa. Tutti pensano che Molly sia andata via di testa.» «Lo temevo.» «C'è qualcos'altro che deve temere. Tom Serrazzano sta facendo pressioni perché la libertà sulla parola venga revocata. La Lasch ha pagato la cauzione, d'accordo, ma secondo lui la dichiarazione che ha rilasciato all'uscita dal carcere mal si concilia con quanto ha detto davanti alla commissione per il rilascio sulla parola, quando ha accettato la responsabilità della morte del marito. In pratica, dice Serrazzano, ha ingannato la commissione e di conseguenza dovrebbe scontare la pena per intero. E non è detto che lui non la spunti, alla fine.» «In questo caso Molly tornerebbe in carcere.» «E credo proprio che sarà quello che succederà, Fran.» «Ma non può», mormorò lei, rivolta più a se stessa che a Hutnik. «Joe, stamattina ho incontrato il dottor Peter Black. Sto facendo qualche indagine sull'ospedale e il Centro Remington. Sta succedendo qualcosa là, ma ancora non sono riuscita a capire di che si tratti. Una cosa, però, la so per
certa: Black era nervosissimo. È quasi esploso quando gli ho chiesto perché Gary Lasch avesse scelto di affidare proprio a lui, un medico con un curriculum di nessuna rilevanza, la direzione dell'ospedale e del centro, quando a Greenwich c'erano già candidati ben più qualificati.» «È strano, sì», ammise Joe. «Per quello che ricordo, l'impressione generale era che la partecipazione alla società gli fosse stata offerta per indurlo a venire qui.» «Mi creda, non è così.» Fran si alzò. «Ora vado. Joe, vorrei una copia di tutti gli articoli che avete pubblicato sulla truffa di mio padre, nonché quelli successivi alla sua morte.» «Glieli farò avere», promise lui. Non fece domande, e Fran gliene fu grata. Ma sentiva di dovergli una spiegazione. «Stamattina, quando ho cercato di metterlo con le spalle al muro, il dottor Black ha reagito con la collera del virtuoso. Che diritto avevo io di interrogarlo? mi ha detto. Dopo tutto sono la figlia di un ladro che ha derubato mezza città.» «Una reazione meschina», commentò Hutnik. «Ma, credo, facilmente spiegabile. Al momento Black è sotto pressione, ha paura che qualcosa metta in pericolo le acquisizioni che il Remington si propone di fare, ma la verità è che, stando alle mie fonti, le trattative stanno già segnando il passo. Pare che ora le probabilità siano tutte a favore dell'American National. A quanto ho sentito, al momento le cose non vanno troppo bene al Remington. Per quanto piccoli, i nuovi centri porterebbero una certa liquidità, permettendogli di guadagnare tempo.» Aprì la porta. «Come le ho detto l'altro giorno, il responsabile dell'American National è uno dei medici più rispettati del paese, nonché uno dei principali oppositori dell'attuale gestione dei centri di assistenza. È convinto che l'unica soluzione sia in un sistema che operi a livello nazionale, ma nel frattempo, sotto la sua guida, l'American National sta ottenendo ottimi risultati con i centri che controlla.» «Lei pensa che il Remington potrebbe uscirne sconfitto?» «Così sembrerebbe. I centri più piccoli che in teoria avrebbero dovuto stringersi intorno al Remington ora stanno facendo lega con l'American. Sembra incredibile, ma non è escluso che, a dispetto del pacchetto azionario in loro possesso, alla fine Whitehall e Black debbano rassegnarsi alla prospettiva che il Remington venga a sua volta assorbito.»
Sarà meschino da parte mia, pensava Fran durante il viaggio di ritorno a New York, ma dopo quelle affermazioni su papà, nulla mi farebbe più piacere del veder fallire i progetti di Peter Black. In ufficio controllò la posta e alle tre raggiunse in taxi lo studio di Philip Matthews. Lo trovò seduto alla sua scrivania, seminascosto dietro montagne di carte. La sua espressione era cupa. «Ho appena parlato con Molly», le riferì lui. «Era molto scossa. Edna Barry si è licenziata stamattina, e vuol sapere con quale motivazione? Ha paura di Molly, paura di restare in casa con una persona che ha ucciso due volte.» «Non avrà avuto il coraggio di farlo davvero?» Fran era sbigottita. «Philip, l'ho detto e lo ripeto, quella donna sta nascondendo qualcosa!» «Ho riletto la dichiarazione che aveva rilasciato alla polizia subito dopo la scoperta del cadavere di Lasch. È assolutamente in linea con quanto quella donna ha detto a lei e a Molly ieri.» «Cioè che Molly era stata l'unica a usare la chiave di scorta, dimenticandosi di rimetterla a posto? Molly è stata adamantina nel negarlo. Una cosa, Philip: all'epoca dell'omicidio, la polizia non interrogò anche Molly in proposito?» «Quando si scoprì coperta di sangue e poi seppe che cos'era accaduto, Molly sprofondò in uno stato quasi catatonico, in cui rimase per giorni. No, non mi risulta che sia stata interrogata su questo punto. Non dimentichi, Fran, che non sono stati trovati segni di effrazione e che c'erano le sue impronte sull'arma del delitto.» «Il che significa che la versione di Edna Barry verrà accettata in toto, e questo benché Molly la smentisca.» Parlando, Fran camminava avanti e indietro per la stanza. «Mio Dio, Philip, quella poveretta potrebbe crollare da un momento all'altro.» «Stamattina ho ricevuto una telefonata dal potente Calvin Whitehall. Vuole assumere dei grossi penalisti perché collaborino alla difesa. Ne ha già contattati diversi e alcuni di loro si sono dichiarati disponibili. Sono stati ragguagliati sul caso e, secondo Whitehall, concordano tutti sull'opportunità di appellarsi all'infermità mentale.» «Non deve permettere che accada, Philip.» «Certamente non lo desidero, ma c'è un altro problema. Serrazzano sta muovendo mari e monti per ottenere che venga revocata la libertà sulla parola.»
«Sì, me ne ha accennato Joe Hutnik del Greenwich Time. Dunque la situazione è questa: la domestica di Molly dice di avere paura di lei e i suoi amici vogliono che venga rinviata a giudizio. Che cosa comporterebbe una dichiarazione di infermità? Un ricovero in un qualche centro di igiene mentale, immagino.» «Non c'è giuria che la lascerebbe libera dopo un secondo omicidio, quindi, sì, verrebbe rinchiusa in ogni caso. Di sicuro non riusciremmo a ottenere un altro patteggiamento; d'altro canto, non sono affatto certo che una strategia difensiva basata sull'infermità mentale funzionerebbe.» L'avvocato era il ritratto dell'infelicità. «Non si tratta più di una questione solo professionale, vero?» chiese Fran. Lui annuì. «No, e da parecchio tempo, ormai. Ma le giuro che se dovessi convincermi che i miei sentimenti per Molly interferiscono con le mie competenze professionali, non esiterei a passare il caso al miglior penalista che conosco.» Fran gli lanciò uno sguardo di comprensione. Non aveva dimenticato la prima impressione che aveva avuto di lui, quando davanti al carcere aveva cercato di proteggere Molly con tanta determinazione. «Le credo», mormorò. «Fran, ci vorrà un miracolo per impedire a Molly di finire di nuovo in carcere.» «Domani incontrerò la sorella di Annamarie. E oggi stesso chiederò all'archivio di procurarmi tutto il materiale reperibile sul Centro Remington e sulle persone a esso legate. Più vado avanti, e più mi convinco che questi omicidi hanno a che fare con il Lasch Hospital e il Centro Remington piuttosto che con le faccende private di Gary Lasch.» Mentre si preparava a congedarsi, Fran si fermò davanti alla finestra. «Spettacolare, questa vista sulla Signora Libertà», commentò. «È per incoraggiare i clienti?» Philip Matthews sorrise. «Strano, Molly mi fece la stessa domanda la prima volta che venne qui, sei anni fa.» «Allora, per il bene di Molly, speriamo che Signora Libertà si dimostri anche essere la Signora Fortuna. Mi è venuta una mezza idea, e chissà, se ho ragione, potrebbe essere l'apertura che aspettavamo. Mi faccia gli auguri, Philip. Ci vediamo.» 63
Verso le cinque, le condizioni di Tasha cominciarono a mutare drasticamente. Barbara Colbert ne seguì ogni fase. Da due giorni le infermiere avevano smesso di applicare alla giovane donna il trucco leggero che le ravvivava la carnagione cinerea, ma ora le sue guance si erano fatte lievemente rosate. La rigidità delle membra, fino a quel momento tenuta a bada con i massaggi e la ginnastica passiva, svanì spontaneamente. Barbara non ebbe bisogno di vedere l'infermiera allontanarsi in punta di piedi, né di sentirla mormorare qualcosa al telefono del soggiorno per capire che stava chiamando il medico. È meglio così, cercò di convincersi. Signore, ti supplico, dammi la forza. E fa' che i suoi fratelli arrivino in tempo. Per loro è importante starle accanto fino alla fine. Lasciò la sedia e andò a sedersi sul letto, attenta a non toccare l'intrico di cavi e sondini. Prese le mani di Tasha tra le sue. «Tesoro», sussurrò, «il mio unico conforto è pensare che stai andando da papà, che ti amava quanto ti amo io.» L'infermiera era tornata nella stanza. Barbara alzò gli occhi «Voglio stare sola con mia figlia.» L'altra aveva gli occhi pieni di lacrime. «Certo, signora Colbert, capisco. Mi dispiace tanto.» Con un cenno, lei tornò a posare lo sguardo su Tasha. Per un istante le sembrò che si fosse mossa, che avesse risposto alla pressione delle sue mani. Il respiro dell'ammalata si fece più affrettato. Con il cuore in gola, Barbara rimase in attesa dell'ultimo. «Tasha, Tasha.» Si rese solo vagamente conto che c'era qualcuno fermo sulla soglia. Il dottore. Vai via, pensò. Ma non osò voltarsi nel timore di perdere l'ultimo istante di vita di sua figlia. Improvvisamente Tasha aprì gli occhi; le sue labbra si curvarono nel sorriso che un tempo le era stato consueto. «Dottor Lasch, che sciocca sono stata», sussurrò. «Sono inciampata in una stringa e sono caduta.» Barbara la guardò, attonita. «Tasha!» La ragazza girò la testa. «Ciao, mamma...» Chiuse gli occhi, poi lentamente tornò ad aprirli. «Mamma, aiutami... ti prego.» Poi il respiro cessò. «Tasha!» urlò Barbara. «Tasha!» Con un gesto convulso piroettò su se
stessa. Fermo sulla porta, il dottor Peter Black la guardava. «L'ha sentita? Mi ha parlato. Non la lasci morire! Faccia qualcosa!» «Oh, cara», mormorò lui con voce suadente, mentre l'infermiera si precipitava dentro. «Lasciamola andare, è finita.» «Ma mi ha parlato!» gridò ancora Barbara Colbert. «L'ha sentita anche lei!» Frenetica, strinse a sé il corpo inerte della figlia. «Non andare! Non ora che ti sei appena svegliata!» Delle braccia forti la circondarono e con gentilezza la costrinsero a lasciare la presa. «Siamo qui, mamma», disse una voce maschile. Barbara guardò i suoi figli. «Mi ha parlato», singhiozzò. «Dio mi è testimone. Prima di morire mi ha parlato!» 64 Lou Knox stava guardando la televisione quando ricevette la chiamata che aspettava. Cal lo aveva preavvisato che avrebbe dovuto consegnare un pacchetto a West Redding, riservandosi di comunicarli in seguito l'ora precisa. Lou lo trovò in biblioteca in compagnia del dottor Black. Capì subito che i due avevano litigato; la bocca di Cal aveva un'espressione cattiva e le sue guance erano arrossate. Il dottor Black teneva in mano un grosso bicchiere pieno di scotch e il suo sguardo vitreo diceva chiaramente che non era il primo della giornata. Il televisore era acceso, ma sintonizzato sul canale video e lo schermo era solo una macchia bluastra. Avevano visto una cassetta, intuì Lou. Cal si rivolse a Black. «Dagliela, idiota!» «Ti ho già detto...» protestò l'altro, strascicando le parole. «Dagliela e basta!» Dal tavolo vicino, Black prese una scatola malamente avvolta in una carta marrone. In silenzio, la tese a Knox. «È questo il pacchetto che devo portare a West Redding, signore?» chiese Lou. «Sai maledettamente bene che lo è. Ora sbrigati.» La videocassetta di cui aveva parlato con l'oftalmologo, pensò Lou. Cal e Black doveva averla appena guardata; si vedeva chiaramente che il pacchetto era stato aperto e poi richiuso.
«Vado», rispose in tono secco. Ma non prima di aver dato anch'io un'occhiata a questa roba, pensò mentre usciva. Di nuovo nel suo appartamento, Lou chiuse la porta a doppia mandata. Riaprire il pacchetto senza strappare la carta non fu un problema. Inserì la cassetta nel videoregistratore e premette il pulsante di avvio. Che diavolo c'era di interessante? si chiese qualche istante dopo, vagamente spazientito. Le immagini erano quelle di una stanza d'ospedale, una gran bella stanza, con una giovane donna a letto, addormentata o forse priva di conoscenza, e con una donna anziana dall'aria distinta seduta accanto a lei. Lou trasalì. Un momento! Io quella la conosco, si disse. È Barbara Colbert e la ragazza è sua figlia, quella che è in coma da anni. I Colbert sono quelli che hanno finanziato il cronicario, tanto che la direzione ha deciso di dargli il nome della ragazza. Nell'angolo in basso a destra lampeggiavano la data e l'ora della registrazione: le otto e mezzo del mattino di quello stesso giorno. Lou, tuttavia, dubitava che la registrazione abbracciasse l'intera giornata. Mandò avanti il nastro. Ora la vecchia signora piangeva tra le braccia di due uomini. Il dottor Black era chino sul letto. Evidentemente la ragazza era morta. L'ora indicata era le diciassette e quaranta. Appena due ore fa, realizzò Lou. Ma non possono aver registrato semplicemente la morte della ragazza. Era in quelle condizioni da anni, si sapeva che prima o poi sarebbe successo. Da un momento all'altro Cal avrebbe potuto presentarsi alla sua porta, esigendo di sapere perché non era ancora partito. Teso, Lou tornò un po' indietro con il nastro. La scena che vide allora gli strappò un brivido. Non ci avrebbe mai creduto se non fosse stata lì, sotto i suoi occhi. La ragazza, in coma da anni, si era svegliata, e girava la testa, parlava articolando con precisione le parole, dicendo qualcosa a proposito del dottor Lasch. Poi chiudeva gli occhi e moriva. Nella scena successiva, Black assicurava alla signora Colbert di non aver sentito la ragazza dire nulla. Era una strana faccenda. Sinistra. E senza dubbio era roba che scottava, Lou era pronto a giurarlo. Così com'era consapevole del rischio che correva, fermandosi a duplicare gli ultimi quindici minuti della cassetta e a nascondere la copia nella cavità dietro gli scaffali. Stava salendo in macchina quando Cal lo raggiunse. «Che cosa ti ha trattenuto, si può sapere? Spero che tu non ti sia messo in testa qualcosa,
Lou...» L'autista si augurò che il suo viso non tradisse lo sgomento che lo attanagliava. Aveva compreso il significato del nastro, e il potere che gli dava. I lunghi anni passati a perfezionare l'arte dell'inganno stavano finalmente dando i loro frutti. «Ero in bagno», borbottò. «Ho lo stomaco sottosopra.» Senza aspettare risposta, chiuse la portiera e avviò il motore. Un'ora dopo era alla fattoria di West Redding e consegnava il pacchetto all'uomo che conosceva come il dottor Adrian Lowe. In preda all'eccitazione, questi gli strappò l'involto dalle mani e rientrò sbattendogli la porta in faccia. 65 «È stata una delle cose più sgradevoli che abbia mai fatto.» Edna parlava al telefono con Marta Jones. Aveva appena terminato di riordinare la cucina dopo cena e stava sorseggiando un'ultima tazza di tè. «Sì, capisco che dev'essere stato terribile», fece l'amica, solidale. Edna non dubitava che Fran Simmons sarebbe tornata a ficcare il naso in giro e a fare altre domande, magari addirittura a parlare con Marta. E in tal caso, lei doleva fare in modo che le venisse raccontata la storia giusta. Questa volta, giurò a se stessa, Marta non avrebbe potuto mettere nei guai Wally. Bevve un sorso di tè e spostò la cornetta da un orecchio all'altro. «Sei stata tu a mettermi in testa che Molly poteva essere pericolosa, ricordi?» seguitò. «Ho cercato di non pensarci, ma si comporta in modo tanto strano... è così tranquilla. Se ne sta seduta per ore, senza muoversi, senza fare nulla. E non vuole nessuno intorno. Oggi l'ho trovata seduta per terra a frugare in certe scatole. Era circondata da pile di fotografie del dottore.» «No!» ansimò Marta. «Pensavo che se ne fosse liberata da tempo. Perché conservarle? A te piacerebbe avere intorno le foto dell'uomo che hai ucciso?» «Capisci che cosa intendo, quando dico che si comporta stranamente?» fece Edna. «E ieri, quando ha sostenuto di non aver mai preso la chiave nascosta in giardino... be', Marta, mi sono finalmente resa conto che i suoi vuoti di memoria erano cominciati prima della morte del dottore. Forse all'epoca dell'aborto. Fu un gran brutto colpo per lei e da allora non è più stata la stessa.»
«Povera donna», sospirò l'amica. «Sarebbe molto meglio per lei se la sistemassero in un posto dove possono aiutarla, ma sono felice che tu ti sia licenziata, Edna. Non dimenticare che Wally ha bisogno di te, ha la precedenza su tutto.» «La penso nello stesso modo. Non sai che sollievo sia per me avere un'amica con cui parlare, Marta. Ero così agitata, dovevo assolutamente sfogarmi con qualcuno.» «Io ci sarò sempre per te, Edna. Va' a letto presto stasera, e cerca di riposare.» Soddisfatta, Edna si alzò e, spenta la luce in cucina, passò in tinello. Wally si era sintonizzato sul canale che trasmetteva solo notiziari. Con un tuffo al cuore, sua madre vide scorrere sullo schermo le immagini del rilascio di Molly dal carcere. Il commentatore stava dicendo: «Sono passati solo dieci giorni da quando Molly Carpenter Lasch ha lasciato la prigione di Niantic dove ha scontato cinque anni e mezzo per l'omicidio del marito, il dottor Gary Lasch. Ora la donna è stata nuovamente tratta in arresto per l'omicidio dell'amante di lui, Annamarie Scalli, e il magistrato incaricato, Tom Serrazzano, si sta battendo perché le venga revocata la libertà sulla parola». «Perché non cambi canale, Wally?» «Vogliono rimettere Molly in prigione, mamma?» «Non lo so, caro.» «Era così spaventata quando lo trovò. Mi dispiaceva tanto per lei.» «Non parlare di queste cose, Wally. Sai che non devi.» «Lo so, mamma. Io c'ero, ricordi?» In preda al panico, Edna prese fra le mani la testa del figlio e lo costrinse a guardarla. «E tu ricordi com'eri spaventato quando la polizia venne a parlarti? Continuavano a farti domande e a chiederti dov'eri la sera del delitto. Te lo ricordi? Fu prima che io ti costringessi a rimettere l'ingessatura e a usare le grucce... solo allora ti lasciarono in pace. Impaurito, Wally tentò di divincolarsi. «Lasciami andare, mamma.» Edna non staccava gli occhi dai suoi. «Wally, non devi più parlare di Molly, né di quella sera. Ma più, mi capisci?» «Non lo farò.» «Senti, non lavoro più per Molly. E tu e io faremo un viaggio. Andremo lontano, in montagna, o forse in California. Ti piacerebbe?» Il giovane sembrava dubbioso. «Penso di sì.» «Allora giurami che non parlerai mai più di Molly.»
Ci fu una lunga pausa prima che Wally mormorasse: «Lo giuro, mamma». 66 Il dottor Daniels non permise a Molly di rimandare una seconda volta il loro appuntamento. Sarebbe andato da lei alle sei, affermò, e alle sei in punto suonò il campanello. «È coraggioso a venire qui», furono le parole con cui lo accolse Molly. «Se fossi in lei, starei attento. Non mi giri le spalle, potrei essere pericolosa.» Lo psichiatra, che si stava togliendosi il cappotto, si fermò di colpo, con un braccio ancora infilato nella manica. «Che cosa vorrebbe dire, Molly?» «Venga dentro, glielo racconto.» Lo condusse nello studio. «Ecco, guardi.» Indicò le cataste di cartelle e riviste sul pavimento, le foto e gli album posati sul divano. «Come vede, non sono rimasta seduta a rimuginare.» «Ha fatto la massaia», commentò Daniels. «Qualcosa di più. Lo chiamano 'nuovo inizio' oppure 'un capitolo nuovo', o 'seppellire il passato'. Scelga lei.» Lui si accostò al divano. «Posso?» chiese, indicando le foto. «Naturalmente. Quelle a sinistra sono destinate alla madre di Gary. Quelle di destra conto di buttarle via. È la cosa più sana da fare, non crede?» Daniels stava già esaminando le istantanee. «Ce ne sono parecchie in cui compaiono anche gli Whitehall.» «Jenna è la mia migliore amica e, come sa, Cal, Gary e Peter Black gestivano insieme il Remington. Ci sono anche parecchie foto di Peter e delle sue due ex mogli.» «So che vuole molto bene a Jenna, Molly, ma che mi dice di Cal? È affezionata anche a lui?» Daniels alzò gli occhi in tempo per vedere un barlume di sorriso sulle labbra della donna. «Cal non è una persona a cui ci si possa affezionare», disse Molly. «Dubito che piaccia davvero a qualcuno, e questo vale anche per quel suo autista-factotum-braccio destro, Lou Knox. Cal non piace, affascina. Sa essere meravigliosamente divertente. Ed è scaltro. Ricordo una cena in suo onore a cui parteciparono almeno seicento ospiti, tutte persone di un certo peso. E sa che cosa mi confidò Jenna? 'Il novanta per cento di loro è qui perché
ha paura di lui.'» «E secondo lei questo è un problema per Jenna?» «Santo cielo, no. Jenna adora il potere del marito. E naturalmente anche lei ha un carattere molto forte; nulla deve intralciare la sua strada. Ecco perché è già socia di uno studio legale di grande prestigio. Ha fatto tutto da sola, sa.» Molly fece una pausa. «Io non sono così. Non lo sono mai stata. Jenna è sempre molto affettuosa con me. Cal, invece, sarebbe felice di vedermi sparire dalla faccia della terra.» Perfettamente d'accordo, pensò John Daniels. «Jenna passerà anche stasera?» domandò. «No. Aveva una cena a New York. Ma ha chiamato nel pomeriggio, e sentirla mi ha fatto un gran bene. Dopo lo scambio che ho avuto con la signora Barry, avevo proprio bisogno di qualcosa che mi tirasse un po' su.» Daniels vide la sofferenza e l'incredulità dipingersi sul viso di lei, ma la voce di Molly era calma, quasi monotona, mentre gli raccontava dell'inaspettato licenziamento di Edna Barry. «Oggi pomeriggio ho telefonato a mia madre», concluse. «Volevo sapere se anche lei e mio padre avevano paura di me; volevo sapere se era per questo che se ne restavano in Florida mentre io avevo bisogno di loro. Capisce, quando sono stata rilasciata, sentivo la necessità di stare da sola; era un po' come se fossi una persona ustionata su tutto il corpo: 'Non toccatemi! Lasciatemi in pace!' Ma dopo la morte di Annamarie, li avrei voluti qui con me.» «E che cosa le hanno risposto i suoi?» «Che non possono venire. Papà si riprenderà, ma ha avuto un leggero attacco cardiaco; è stato questo a trattenerli. Hanno telefonato a Jenna per dirglielo e le hanno chiesto di starmi vicina. E naturalmente lei lo ha fatto.» Parlando, Molly sembrava fissare qualcosa al di là del suo interlocutore. «Era importante che mi spiegassi con i miei. Avevo bisogno di sapere che c'erano ancora per me. Hanno sofferto tanto per quello che è successo. E se oggi avessi pensato che anche loro mi avevano abbandonato...» La voce le morì in gola. «Che cosa, Molly?» «Non lo so.» Oh, sì che lo sai, pensò Daniels. Un rifiuto da parte dei tuoi genitori sarebbe stata l'ultima goccia. «E ora come si sente?» domandò in tono gentile.
«In stato d'assedio. Se davvero mi revocheranno la libertà sulla parola... be', non credo che riuscirei a sopportarlo. Ho bisogno ancora di un po' di tempo perché, glielo giuro, sento che sto per ricordare con esattezza ciò che accadde quella sera al mio ritorno da Cape Cod.» «Potremmo tentare con l'ipnosi, Molly. In passato non ha funzionato, ma questo non significa che adesso non potrebbe dare altri risultati. Forse la sua amnesia è come un iceberg che sta cominciando a sciogliersi. Io potrei aiutarla.» «No, devo farcela da sola. C'è...» Molly s'interruppe bruscamente. Non era ancora il momento di rivelare al medico che quel pomeriggio un nome aveva continuato ad affacciarsi alla sua mente: Wally. Ma perché? 67 Barbara Colbert aprì gli occhi. Dove sono? si chiese vagamente. Che cosa è successo? Tasha. Tasha! Di colpo ricordò: un istante prima di morire, la figlia le aveva parlato. «Mamma?» Walter e Rob, i suoi figli maschi, erano chini su di lei, amorevoli e forti. «Che cosa è successo?» bisbigliò Barbara. «Ricordi che Tasha se n'è andata, vero, mamma?» «Sì.» «Sei svenuta. Lo choc. La stanchezza. Il dottor Black ti ha somministrato un sedativo. Ora sei in ospedale. Vuole trattenerti un paio di giorni in osservazione. Sei un po' debole.» «Walter, Tasha per un momento è uscita dal coma. Mi ha parlato. Il dottor Black non può non averla sentita, e così l'infermiera. Chiedetelo a lei.» «L'avevi mandata nell'altra stanza, mamma. Sei stata tu a parlare a Tasha, non il contrario.» Barbara lottava per vincere la sonnolenza. «Sarò vecchia, ma non sono una stupida», ribatté. «Mia figlia è uscita dal coma, ne sono assolutamente certa. Mi ha parlato. Ricordo benissimo quello che ha detto, Walter: 'Dottor Lasch, che sciocca sono stata, sono inciampata in una stringa e sono caduta'. Poi mi ha riconosciuto e mi ha salutato. 'Ciao, mamma', ha detto. E mi ha supplicato di aiutarla. Il dottor Black l'ha sentita, io ne sono sicura. Perché non ha fatto qualcosa?» «Mamma, mamma, il dottore ha fatto tutto quello che poteva. Per Tasha è meglio così, sul serio.»
A fatica, Barbara si mise seduta. «Te lo ripeto... non sono una stupida. Non mi aspettavo affatto che Tasha uscisse dal coma.» La sua voce aveva riacquistato l'autorevolezza consueta. «Non so perché, ma per qualche strana ragione Peter Black ci sta mentendo.» Walter e Rob Colbert la tennero ferma mentre il dottor Black, che si era fermato fuori del suo campo visivo, si faceva avanti e le conficcava un ago nel braccio. Barbara si sentì precipitare in una tenebra calda, avvolgente. Cercò inutilmente di resistere. «La cosa più importante è che riposi», disse Black ai due uomini. «Per quanto si possa essere preparati alla perdita di una persona cara, quando arriva il momento dell'addio lo choc può essere terribile. Passerò più tardi a darle un'occhiata.» Di ritorno nel suo ufficio dopo il giro in corsia, Black trovò un messaggio di Whitehall. Doveva richiamarlo al più presto. «Sei riuscito a convincere Barbara Colbert che la sua è stata solo un'allucinazione?» gli chiese subito Cal. Black sapeva che la situazione era disperata; mentire non sarebbe servito a nulla. «Ho dovuto somministrarle un altro sedativo. Persuaderla non sarà facile.» Cal Whitehall tacque per un minuto, poi, con voce quieta disse: «Sono certo che capirai di averci causato un bel problema». L'altro non rispose. «E la signora Colbert non è il nostro problema principale: mi hanno appena chiamato da West Redding. Il dottore ha visionato il nastro non so quante volte e ora pretende di spifferare tutto ai media.» «Ma non si rende conto di quali sarebbero le conseguenze?» Black era smarrito. «Non gliene importa. È pazzo. Ho insistito per aspettare fino a lunedì, in modo da poter concordare una presentazione adeguata. Per allora l'avrò sistemato. Nel frattempo, ti suggerisco di considerare la signora Colbert come una tua precisa responsabilità.» Cal riattaccò senza aggiungere altro, lasciando intendere a Black che non aveva dubbi sul fatto che il socio gli avrebbe obbedito. 68
Lucy Bonaventure prese il primo volo del mattino per New York e alle dieci era nell'appartamento di Annamarie, a Yonkers. Benché sua sorella vi avesse abitato per quasi sei anni, lei non ci era mai stata. La casa era piccola, diceva Annamarie, con una sola camera da letto; era molto più comodo che fosse lei ad andare a trovarla a Buffalo. Lucy sapeva che la polizia aveva perquisito l'appartamento e quindi non si stupì del disordine che vi regnava. I soprammobili sul tavolino davanti al divano erano tutti ammassati; i libri precariamente impilati sugli scaffali. In camera da letto il contenuto dei cassetti era stato esaminato e poi ributtato dentro alla rinfusa. Lei aveva già chiesto all'amministratore del condominio di occuparsi della vendita dell'appartamento. Tutto quello che ora doveva fare era dare una ripulita. Aveva sperato di cavarsela in giornata, ma una valutazione più realistica le disse che ci sarebbe voluto più tempo. Le faceva male stare lì, vedere la bottiglia del profumo preferito da Annamarie sul cassettone, il libro che stava leggendo posato sul comodino, i vestiti e le uniformi nell'armadio, sapendo che sua sorella non li avrebbe indossati mai più. Lucy contava di dare in beneficienza indumenti e mobilio. Almeno, rifletté, sarebbero stati di aiuto a persone bisognose. Era una piccola consolazione, ma pur sempre meglio di niente. L'appuntamento con Fran Simmons, la giornalista, era alle undici e trenta. Lucy cominciò a vuotare il cassettone, riponendone con cura il contenuto negli scatoloni che le aveva fornito il portinaio. Pianse sulle fotografie che trovò in un cassetto, in cui Annamarie era ritratta con in braccio suo figlio. Evidentemente le foto erano state scattate subito dopo il parto. Lei sembrava giovanissima e il suo sguardo, fisso sul bambino, era pieno di tenerezza. Ce n'erano anche altre del piccolo, con una breve annotazione sul retro: «Primo compleanno», oppure «Secondo compleanno» e così fino al quinto. Era un bel bambino, con vivaci occhi azzurri, capelli castano scuro e un sorriso felice. Ad Annamarie si era spezzato il cuore quando aveva dovuto abbandonarlo, ricordò Lucy, decidendo di mostrare le fotografie a Fran Simmons. Avrebbero aiutato la giornalista a capire la vera personalità di Annamarie e il terribile prezzo che lei aveva pagato per i suoi errori. Fran arrivò alle undici e mezzo in punto. Per un istante le due donne si studiarono, soppesandosi. Fran vide una donna pettoruta, sui quarantacinque anni, con il viso arrossato per il troppo piangere. Lucy vide una donna snella sui trenta, trentacinque anni, con i capelli
castano chiaro che le sfioravano le spalle e gli occhi grigio-azzurri. Come spiegò alla figlia il giorno dopo: «Non era esattamente in ghingheri, ma aveva un'aria talmente newyorchese! È stata molto carina e quando mi ha detto che era addolorata per Annamarie, ho capito che le sue non erano solo parole. Ho preparato il caffè e ci siamo sedute a berlo nel cucinino». Fran comprese che la cosa migliore era andare dritta al punto. «Signora Bonaventure, ho cominciato a indagare sull'omicidio del dottor Lasch perché Molly, che conosco dai tempi della scuola, mi ha chiesto di presentare il suo caso a True Crime, il programma di cui mi occupo. Vuole scoprire la verità sui due omicidi, non meno di quanto lo desideri lei. Ha passato cinque anni e mezzo in carcere per un delitto di cui non si ricorda e che secondo lei, come anch'io sono arrivata a credere, non ha commesso. Ci sono ancora troppi interrogativi rimasti in sospeso. All'epoca dell'omicidio del dottor Lasch nessuno li ha presi seriamente in considerazione, così adesso sto cercando di farlo io.» «Sì, be', il suo avvocato tentò di suggerire che poteva essere stata Annamarie a uccidere il dottor Lasch.» Nella voce di Lucy vibrava la collera. «Si limitò a fare il suo dovere di avvocato sottolineando il fatto che quella sera Annamarie era sola nel suo appartamento di Cos Cob, e che quindi nessuno era in grado di confermare la sua versione.» «Se il processo non fosse stato interrotto prima, quell'uomo avrebbe controinterrogato mia sorella cercando di dipingerla come un'assassina. So che era questo il suo piano. È ancora lui a difendere Molly Lasch?» «Sì, ed è un ottimo avvocato. Signora Bonaventure, Molly non ha ucciso il dottor Lasch. Non ha ucciso Annamarie. E certamente non ha ucciso il dottor Jack Morrow, che conosceva a malapena. Ma tre persone sono morte e io credo che il responsabile di questi tre delitti sia uno solo. Chiunque sia, è giusto che venga punito, ma non si tratta di Molly. È colpa di qualcun altro se lei è finita in carcere e se ora è stata arrestata per l'omicidio di Annamarie. Signora Bonaventure, lei vuole che Molly Lasch torni in prigione per un delitto che non ha commesso o vuole trovare il vero assassino di sua sorella?» «Perché Molly Lasch ha voluto incontrare Annamarie?» «Per anni aveva creduto che il suo fosse un matrimonio felice. Ovviamente si sbagliava, altrimenti Annamarie non sarebbe mai entrata in scena. Molly voleva capire perché Gary era stato assassinato e perché il loro matrimonio era fallito. E da dove poteva cominciare, se non dalla donna che era stata l'amante del marito? Ecco in che cosa lei può aiutarmi: Annama-
rie aveva paura di qualcuno, o di qualcosa. Molly se ne accorse in occasione del loro incontro alla tavola calda, ma lei, come sorella, deve averlo notato molto prima. Perché Annamarie aveva rinunciato al suo cognome per prendere quello di vostra madre? Perché aveva deciso di non lavorare più in ospedale? A quanto ne so, era un'infermiera meravigliosa, innamorata del proprio mestiere.» «Infatti», replicò Lucy con tristezza. «Forse voleva punirsi, capisce.» Ma a me interessa la vera ragione, pensò Fran. «Lei mi ha detto che era accaduto qualcosa in ospedale, un fatto che aveva sconvolto Annamarie. Ha idea di che si trattasse?» L'altra esitò, divisa tra il desiderio di proteggere il ricordo della sorella e quello di vedere punito il suo assassino. «So che accadde poco tempo prima che il dottor Lasch venisse assassinato», rispose infine, «e che tutto si concluse in un fine settimana. Qualcosa andò storto con una giovane paziente. Il dottor Lasch e il suo socio, il dottor Black, erano coinvolti nella faccenda. Secondo Annamarie, quest'ultimo aveva commesso un grave errore, ma lei non fece rapporto perché Lasch la supplicò di tacere, dicendole che se la verità fosse trapelata, per l'ospedale sarebbe stata la fine.» Con la caffettiera in mano, lanciò a Fran un'occhiata interrogativa. Lei scosse la testa e Lucy riempì solo la sua tazza. Tornò a posare la caffettiera sul fuoco e per qualche istante indugiò a fissare in silenzio davanti a sé. Fran si rese conto che stava cercando le parole giuste. «Errori in buona fede si verificano in tutti gli ospedali, signorina Simmons. Lo sappiamo. Stando a quanto mi disse Annamarie, quella ragazza aveva avuto un incidente mentre correva e arrivò in ospedale ferita e disidratata. Ma invece della solita soluzione salina, il dottor Black le iniettò non so quale farmaco sperimentale e lei sprofondò in uno stato vegetativo.» «Ma è orribile!» «Annamarie avrebbe dovuto fare rapporto, era suo dovere, ma rinunciò per accontentare Lasch. Qualche giorno dopo, però, sentì il dottor Black che gli diceva: 'Questa volta ho sottomano la persona giusta. Ho cominciato proprio oggi'.» «Sta dicendo che eseguivano esperimenti sui pazienti?» Fran era scioccata. «Posso dirle solo quel poco che ho dedotto dagli accenni di Annamarie. Non le andava di parlarne e di solito lo faceva solo dopo aver bevuto un
paio di bicchieri di vino, quando sentiva il bisogno di sfogarsi.» Lucy s'interruppe, tornando a fissare la sua tazza di caffè. «E c'era dell'altro?» chiese la giornalista in tono gentile. Era ansiosa di sapere, anche se le dispiaceva mettere sotto pressione quella poveretta. «Sì. Annamarie mi raccontò che, la sera successiva alla somministrazione del farmaco alla ragazza, in ospedale morì una paziente, un'anziana cardiopatica. Non poteva esserne sicura, disse, ma sospettava che le fosse stata iniettata la stessa sostanza e che fosse lei la 'persona giusta' a cui si riferiva il dottor Black. Quello fu l'unico decesso avvenuto nella settimana e lui aveva continuato a entrare e uscire dalla stanza della donna, ma senza mai mettere la sua firma sul grafico.» «E Annamarie non fece rapporto neppure su questo secondo incidente?» «In questo caso non aveva prove, e gli accertamenti fatti in seguito sulla ragazza non rilevarono la presenza di sostanze sospette. Ma s'incontrò con il dottor Black e gli chiese perché non avesse firmato il grafico della vecchia signora. Lui reagì accusandola di parlare a vanvera e minacciò di denunciarla per diffamazione. Quando poi lei gli domandò cos'era successo alla ragazza che era finita in coma, Black rispose che aveva avuto un arresto cardiaco in ambulanza.» Lucy si riempì di nuovo la tazza. «Cerchi di capire, la prego. All'inizio Annamarie era sinceramente convinta che il primo episodio fosse stato solo un errore. Era innamorata di Gary Lasch, sapeva di essere incinta di lui, anche se non glielo aveva ancora comunicato. Non voleva credere che fosse coinvolto in una faccenda poco pulita e non desiderava causare fastidi né a lui né all'ospedale. Stava ancora cercando di decidere il da farsi, quando Jack Morrow fu assassinato, e lei si spaventò. Pensava che Morrow avesse sospettato qualcosa, ma naturalmente non poteva esserne certa. Lui le aveva chiesto di conservare per suo conto del materiale, una cartella clinica o chissà che cosa, ma non fece in tempo a consegnarglielo. Morì prima. Due settimane dopo, fu il turno di Gary Lasch. A quel punto Annamarie era terrorizzata.» «Smise mai di essere innamorata di Lasch?» chiese Fran. «Alla fine, no, non l'amava più. Lui la evitava e a quel punto lei lo temeva. Quando gli disse che era incinta, lui le impose di abortire. Annamarie era certa che, se non fosse stato per il test del DNA, avrebbe addirittura negato ogni responsabilità. «La morte di Morrow fu un colpo terribile per lei. Anche se aveva iniziato una relazione sentimentale con un altro, io resto persuasa che non a-
vesse mai smesso di amare Jack. Un giorno, mostrandomi la fotografia del dottor Lasch, mi disse: 'Ero ossessionata da lui. È questo l'effetto che fa alle donne. Quest'uomo usa le persone'.» «E dopo la morte di Lasch, Annamarie pensava che all'ospedale continuassero ad accadere cose strane?» «Non credo che avesse modo di saperlo con certezza. E a quel punto era completamente concentrata sul bambino che portava in grembo. Noi la supplicammo di tenerlo; l'avremmo aiutata volentieri a crescerlo. Ma lei lo dette in affidamento, perché pensava di non essere degna di allevarlo. Mi disse: 'Che cosa potrei raccontare a mio figlio... che ho avuto una relazione con un uomo che per questo è stato assassinato? Quando mi chiederà di parlargli di suo padre, che cosa potrò dirgli? Che era un pericolo per i suoi pazienti e che tradiva chi si fidava di lui?'» «A Molly, Annamarie ha detto che come medico e come marito Gary Lasch non valeva il prezzo che lei aveva pagato», commentò Fran. Per la prima volta Lucy Bonaventure sorrise. «Tipico di Annamarie», osservò. «Non so come esprimerle la mia gratitudine, signora Bonaventure. Mi rendo conto che per lei è stata una prova molto dura.» «Lo è stata, sì. Ma prima che vada, voglio mostrarle una cosa.» In camera da letto, Lucy prese le fotografie che aveva lasciato sul cassettone. «Ecco, questa è Annamarie con suo figlio. Vede com'era giovane? In questi cinque anni, la famiglia adottiva le ha mandato una foto a ogni compleanno. Ecco il bambino a cui ha rinunciato. Sì, ha pagato davvero un prezzo molto alto per i suoi errori. E se Molly Lasch è innocente, spero che lei riesca a dimostrarlo. Ma le dica che in un certo senso anche Annamarie era in carcere, un carcere in cui si era rinchiusa volontariamente, ma non per questo meno pieno di dolore e di solitudine. Quanto al fatto che fosse spaventata, lei ha ragione. Non credo che avesse paura di Molly Lasch. Sono convinta che la persona che temeva fosse il dottor Black.» 69 «Si può sapere che cos'hai, Cal? Continui a darmi contro, ma io ti ho suggerito soltanto di staccare per qualche giorno, di cercare di rilassarti, magari dedicandoti al golf.» «Credevo che ti sarebbe bastato leggere i giornali, e vedere quanto spazio dedicano alla morte dell'infermiera e all'arresto di Molly, per capire
perché sono inquieto. Se sarà l'American National ad accaparrarsi quei centri e a rilevare il Remington, Jenna, noi perderemo una fortuna. Sappiamo bene tutt'e due che mi hai sposato per quello che potevo darti. Saresti disposta, ora, ad abbassare il tuo tenore di vita?» «Quello che sono disposta a concederti è che mi pento di essermi presa una giornata libera», replicò Jenna seccamente. Aveva seguito il marito in ufficio, allarmata dall'irrequietudine che aveva mostrato a colazione. «Perché non vai a trovare la tua amica Molly?» suggerì Cal. «Sono certo che lei sarà felicissima di farsi consolare da te.» «Le cose vanno proprio male, eh?» La voce di Jenna era quieta. «Però voglio dirti una cosa, e non da moglie, ma da combattente, come sei tu... Ti conosco e so che in un modo o nell'altro alla fine troverai la maniera di ricavarne qualche vantaggio.» La risata di Calvin Whitehall fu un breve latrato privo di allegria. «Grazie, Jenna. Ne avevo bisogno. E comunque, sì, credo che tu abbia ragione.» «Ora vado da Molly. Sono preoccupata: mercoledì sera era terribilmente giù. E quando le ho parlato al telefono, ieri, dopo il licenziamento della signora Barry, era evidente che non aveva assorbito il colpo.» «Me l'hai detto.» «Lo so. E so anche che tu sei d'accordo con la Barry. Neppure a te andrebbe di restare solo con Molly, vero?» «Puoi giurarci.» «Cal, la signora Barry le ha portato una ventina di pillole del sonnifero prescritto a suo figlio. Sono davvero preoccupata: depressa com'è, potrebbe sentirsi tentata...» «Di suicidarsi? Che idea meravigliosa. Non potremmo augurarci nulla di meglio.» Lui guardò alle spalle della moglie. «Ah, Rita, ha portato la posta?» Mentre la cameriera entrava, Jenna fece il giro della scrivania e si chinò a baciare il marito sulla testa. «Non scherzare, Cal, ti prego. Sono davvero convinta che Molly stia pensando al suicidio. L'hai sentita anche tu, l'altra sera.» «Oh, ma io non stavo scherzando. Suicidandosi, farebbe un favore a se stessa. E a un sacco di altra gente.» 70
Marta Jones sapeva che solo Wally avrebbe suonato il campanello della porta con tanta insistenza. Il primo squillo l'aveva sorpresa al piano di sopra, dove stava riordinando l'armadio della biancheria. Con un sospiro, si precipitò giù per le scale, ignorando il dolore che le artigliava le ginocchia. Wally aveva le mani ficcate in tasca e la testa bassa. «Posso entrare?» chiese con voce piatta. «Sai che sei sempre il benvenuto, caro.» «Non voglio andarci.» «Dov'è che non vuoi andare, caro?» «In California. La mamma sta preparando i bagagli. Partiamo domattina. Non mi piace stare tanto tempo in macchina. Non voglio andare. Sono venuto a salutarti.» California? Che razza di novità è questa? si chiese Marta. «Sei sicuro che la mamma abbia detto proprio California, Wally?» «Sicuro.» Abbozzò una smorfia. «Voglio salutare anche Molly. Non voglio mica darle fastidio, ma non mi va di partire senza neanche salutarla. Lei crede che posso farlo?» «Non vedo perché non dovresti.» «Ci andrò stasera», borbottò Wally. «Che cosa hai detto, caro?» «Devo scappare. La mamma vuole che vada alla mia riunione.» «Mi sembra un'ottima idea. Quelle riunioni ti sono sempre piaciute, Wally. Ma ascolta, non è la mamma che ti sta chiamando?» La donna spalancò la porta. In piedi sui gradini di casa, Edna si guardava intorno. «Wally è qui», gridò Marta. «Coraggio, tesoro, vai.» Spinta dalla curiosità, lo seguì senza preoccuparsi di mettersi addosso qualcosa. «È vero che andate in California, Edna?» La Barry guardò il figlio «Sali in macchina», gli intimò. «Sei in ritardo, lo sai.» Lui obbedì con riluttanza, chiudendo la portiera con un tonfo. Solo allora Edna si rivolse all'amica. «A essere sincera, ora come ora non so se andremo in California, o a Timbuktu. Quello che so è che devo andarmene da qui. Non c'è notiziario che non dia qualche di sgradevole notizia sul conto di Molly. L'ultima è che lunedì la commissione per il rilascio della libertà sulla parola terrà una riunione straordinaria. Il magistrato incaricato del caso vuole che le venga revocato il beneficio. Se lo ascolteranno, Molly dovrà scontare per intero la pena a cui era stata condannata per l'omicidio del marito.»
Marta rabbrividì. «Oh, Edna, lo so. Anch'io ho sentito il notiziario stamattina, e mi sembra una cosa orribile. Quella poveretta dovrebbe stare in un ospedale, non in un carcere. Ma non devi lasciarti coinvolgere al punto di scappare.» «Forse. Ora però devo andare. Ci sentiamo più tardi.» Marta era infreddolita quando rientrò in casa. Si preparò il caffè e si sedette a berlo al tavolo in cucina. Povera Edna, pensò. Si sente in colpa per aver abbandonato Molly, ma ovviamente non aveva scelta. È soprattutto di Wally che lei deve preoccuparsi. I soldi non fanno la felicità... tutto il denaro dei Carpenter non basterà a evitare a Molly la prigione. Le venne in mente un'altra illustre famiglia di Greenwich di cui si era parlato nel notiziario del mattino. Natasha Colbert, in coma da più di sei anni, era finalmente spirata e la sua povera madre, prostrata dal dolore, aveva avuto un attacco cardiaco e ora versava in gravi condizioni. Forse Dio le avrebbe fatto un favore prendendola con sé, si disse Marta scuotendo la testa. Tutta quella sofferenza... Scostò la sedia e tornò di sopra, al suo armadio da riordinare. Ma un pensiero recondito la tormentava, un'inquietudine che non riusciva a scrollarsi di dosso. Finalmente capì da che cosa era provocata. A Edna verrebbe un colpo se sapesse che ho incoraggiato Wally ad andare a salutare Molly Lasch, pensò. Oh, be', probabilmente lui diceva tanto per dire, Dio sa se non lo fa abbastanza spesso. E comunque, domani non sarà più qui. Inutile sconvolgere la povera Edna parlandogliene. Di problemi ne ha già abbastanza. 71 Di nuovo in auto, Fran indugiò qualche minuto a riflettere sulle sue prossime mosse. Un conto, considerò, era se Gary Lasch e Peter Black avevano somministrato per sbaglio un farmaco a una loro paziente, causandone il coma, e poi avevano occultato il loro errore. Per quanto terribile, un errore simile non poteva paragonarsi per gravità all'utilizzo deliberato di un prodotto sperimentale, che era letale per il paziente. Eppure, era proprio questa l'ipotesi per cui propendeva Annamarie Scalli. Ma se lei non è riuscita dimostrare la veridicità dei suoi sospetti, come posso sperare di farlo io? si chiese. Annamarie aveva detto alla sorella che, oltre a commettere il fatale erro-
re, probabilmente Peter Black aveva ucciso un'anziana paziente. E se fosse stato lui ad assassinare Gary Lasch? si domandò. Di certo la morte del socio aveva eliminato un testimone, e un testimone attendibile, per di più. Sì, era possibile, decise. Se si partiva dal presupposto che un medico fosse capace di uccidere con premeditazione. Ma per quale ragione? In macchina faceva piuttosto freddo. Fran avviò il motore e accese il riscaldamento, regolandolo al massimo. Ma è un freddo che non proviene solo dall'esterno, pensò; in parte nasce dentro di me. Qualunque malvagità fosse in atto all'ospedale, aveva causato infinite sofferenze a molte persone. Ma perché? Perché? Molly ha pagato per un crimine che ora so che non ha commesso. Annamarie ha rinunciato al figlio e al lavoro che amava per punirsi. Una giovane donna si è trasformata in un vegetale a causa di un farmaco sperimentale. E un'altra, più anziana, forse è morta prematuramente per un esperimento analogo. E questi sono solo i casi di cui sono a conoscenza. Quanti altri potrebbero essercene stati? Con un sussulto si rese conto che gli omicidi forse continuavano ancora. Eppure lei era certa che la chiave di tutto fosse il rapporto, il vincolo, o comunque lo si volesse chiamare, che aveva unito Gary Lasch al dottor Black. Doveva pur esserci un motivo, se Lasch lo aveva chiamato a Greenwich e gli aveva offerto di entrare in società con lui. Una donna che portava a passeggio il cane la guardò incuriosita. Meglio andarsene da qui, pensò Fran. Ne avrebbe riparlato con Molly, nella speranza che lei gettasse un po' di luce sull'oscuro legame tra Lasch e Black. Una volta decifrata l'esatta natura della loro associazione, lei avrebbe avuto meno difficoltà a capire che cosa stesse accadendo all'ospedale. Sulla via per Greenwich, Fran telefonò in ufficio chiedendo se c'erano messaggi per lei. Le risposero che Gus Brandt voleva parlarle con urgenza. «Prima di passarmelo, vedi se il materiale su Gary Lasch e Calvin Whitehall che ho chiesto all'archivio è già arrivato», disse lei alla segretaria. «È sulla tua scrivania, Fran. Ci metterai almeno una settimana a esaminarlo tutto; su Whitehall, in particolare, c'è un sacco di roba.» «Non vedo l'ora di metterci le mani sopra. Grazie. Ora passami Gus, per favore.» Il suo capo stava per andare a pranzo. «Sono contento che tu mi abbia chiamato in tempo, Fran. Pare che da lunedì pomeriggio potrai vedere la tua amica Molly Lasch solo in carcere. Serrazzano si è appena detto certo
della revoca della libertà sulla parola. E non appena avrà ottenuto il placet ufficiale, lei verrà rispedita dritta alla prigione di Niantic.» «Ma non possono farlo!» protestò Fran. «Oh, sì, invece. E la mia idea è che vogliano farlo. Se l'era cavata con poco ammettendo la propria responsabilità nella morte del marito, ma appena rilasciata ha cambiato bandiera e ha cominciato a sostenere di essere innocente. Questo di per sé costituisce già una violazione alle norme che regolano il rilascio sulla parola. E ora che stanno per accollarle una nuova imputazione per omicidio, che cosa faresti tu, se fossi chiamata a decidere? Comunque, voglio che prepari un servizio da mandare in onda stasera.» «D'accordo, Gus. Ci vediamo dopo.» Fran riattaccò con un sospiro. Aveva pensato di chiamare subito Molly, ma l'accenno di Gus al pranzo che lo aspettava le aveva dato un'idea. Susan Branagan lavorava come volontaria al Lasch Hospital da dieci anni, il che, calcolò, significava che era già lì quando quella ragazza era entrata in coma. Il suo non poteva certo definirsi un «decorso regolare», ed era probabile che Susan ricordasse il nome di quella poveretta e che fine avesse fatto. Parlare con la famiglia della ragazza poteva essere un modo concreto per cominciare a verificare la storia di Annamarie. Forse è un colpo sparato alla cieca, si disse, o forse no. Spero solo di non incontrare il dottor Black. Gli verrebbe un colpo se scoprisse che sto ancora ficcando il naso nei suoi affari. Era l'una e trenta quando Fran entrò nel bar dell'ospedale. Era ora di pranzo e le volontarie erano impegnatissime. Ce n'erano due dietro il banco ma, con disappunto di Fran, Susan Branagan non si vedeva. Una donna le si avvicinò. «C'è ancora un posto al banco, ma se preferisce un tavolo, fra pochi minuti se ne libera uno», disse. «A quanto pare oggi la signora Branagan non è di turno», rispose la giornalista. «Oh, sì, invece. Oggi serve ai tavoli. Eccola là, sta uscendo adesso dalla cucina.» «Potrei occupare uno dei suoi tavoli?» «È fortunata, quello che sta per liberarsi è proprio nel suo settore. Guardi, si stanno già alzando.» La guidò all'altro capo della sala e, dopo averla fatta accomodare, le porse il menu. Un istante dopo Fran si sentì apostrofare da una voce allegra: «Salve! Ha già deciso, o deve pensarci ancora un po'?» Fran alzò gli occhi e si rese conto che l'anziana volontaria l'aveva rico-
nosciuta. Sperando ardentemente di non dover sorbire una ramanzina, rispose: «È un piacere rivederla, signora Branagan». Il viso dell'altra s'illuminò di piacere. «Non sapevo di stare parlando con una celebrità quando abbiamo fatto due chiacchiere, l'altro giorno, signorina Simmons. Ma da quel momento non mi sono più persa neanche uno dei suoi servizi. Mi piace molto il modo in cui sta trattando il caso Lasch.» «So che adesso è molto occupata, ma più tardi vorrei parlarle per qualche minuto, se lei è d'accordo. L'altro giorno mi è stata di grande aiuto.» «E dopo che abbiano parlato, quella poveretta di cui mi aveva chiesto notizie, Annamarie Scalli, è stata uccisa. Non riesco ancora a crederci. Pensa che sia stata Molly Lasch?» «No, non lo penso. A che ora smonta, signora Branagan?» «Alle due. A quell'ora non c'è quasi più nessuno. A proposito, non vuole ordinare?» Fran scorse rapidamente il menu. «Un sandwich e un caffè andranno benissimo.» «Vado subito, e se non le dispiace aspettare, dopo sarò felice di scambiare due parole con lei.» La Branagan aveva ragione, pensò Fran una mezz'ora dopo, mentre si guardava intorno. Questo posto sembra un campo di battaglia. La tavola calda si era svuotata quasi di colpo e l'acciottolio dei piatti e il brusio delle voci era sceso di un bel po'. Susan Branagan aveva sparecchiato il suo tavolo promettendole di tornare in un lampo. Quando ricomparve, la donna non indossava più il grembiule da volontaria e teneva in mano due tazze di caffè. «Così va meglio», sospirò, sistemandosi sulla sedia davanti a Fran. «Come le ho detto, adoro questo lavoro, ma i miei piedi la pensano diversamente. Lei però non è venuta qui per questo, e mi sono appena ricordata che fra mezz'ora devo essere dal parrucchiere. Mi dica in che cosa posso aiutarla.» Mi piace, pensò Fran. È schietta, e va dritta al punto. «L'altro giorno mi disse di aver appena festeggiato i primi dieci anni di servizio.» «Proprio così. E a Dio piacendo, festeggerò anche i venti.» «Ne sono sicura. Vorrei chiederle qualcosa riguardo a un avvenimento verificatosi in ospedale parecchio tempo fa, poco prima che il dottor Morrow e il dottor Lasch venissero assassinati.» «Oh, signorina Simmons, qui di cose ne succedono tante», protestò la
signora Branagan. «Non so se potrò esserle d'aiuto.» «Forse questo fatto se lo ricorderà. Una ragazza, ricoverata per un incidente mentre correva, entrò in coma irreversibile. Ne sa niente?» «Niente?» proruppe Susan Branagan. «Lei sta parlando di Natasha Colbert. È rimasta ricoverata per anni nel nostro cronicario ed è morta proprio stanotte.» «Stanotte?» «Sì. Una vera tristezza. Aveva solo ventitré anni all'epoca dell'incidente. Cadde mentre faceva jogging e in ambulanza ebbe un arresto cardiaco. Avrà sicuramente sentito parlare della famiglia Colbert. Sono i proprietari di una catena di quotidiani e naturalmente sono ricchissimi. Dopo l'incidente, i genitori di Natasha contribuirono con generosità alla costruzione del cronicario, a cui venne dato il nome della figlia. Vede? Subito al di là del prato... è quell'edificio a due piani.» Un arresto cardiaco in ambulanza, pensò Fran. Chi era l'autista? E i paramedici? Non sarebbe stato troppo difficile rintracciarli. «Quando Tasha è morta, la madre si è sentita male. Ora è ricoverata qui da noi, pare per un attacco cardiaco.» La voce di Susan si abbassò. «Vede quel bell'uomo laggiù? È uno dei suoi figli. Fanno a turno per non lasciarla mai sola. L'altro è sceso a mangiare qualcosa un'oretta fa.» Se morirà, si rese conto Fran con un brivido, la signora Colbert sarà un'altra delle vittime della malvagità che serpeggia in questo ospedale. «È davvero penoso per quei poveretti», stava dicendo la Branagan. «In realtà la loro sorella l'hanno perduta già molti anni fa, ma non è mai facile accettare la fine di una persona cara.» La sua voce si abbassò ancora. «Ho saputo che la signora Colbert ha dato fuori di matto quando Tasha è morta. Gridava che era uscita dal coma e le aveva parlato... una cosa impossibile, naturalmente. Secondo lei, Tasha avrebbe detto una frase del tipo: 'Dottor Lasch, sono inciampata in una stringa e sono caduta', e poi: 'Ciao, mamma'.» Fran sentì un nodo alla gola. Pronunciando le parole a fatica, chiese: «Dunque in quel momento c'era qualcuno con la signora Colbert?» «Tasha occupava una suite e la signora Colbert aveva mandato l'infermiera nell'altra stanza. Voleva stare sola con la figlia. Ma quando Tasha è morta, lei non era sola; il dottore era appena arrivato. Lui sostiene di non aver sentito nulla, dice che la signora Colbert ha avuto un'allucinazione.» «Chi era il medico?» Fran pensava di conoscere già la risposta. «Il direttore dell'ospedale, il dottor Black.»
Se Annamarie aveva visto giusto e se la signora Colbert non si sbagliava, allora Black non aveva mai smesso di effettuare esperimenti su Tasha, rifletté Fran. Esasperata dalla propria impotenza, la giornalista girò lo sguardo verso il figlio della signora Colbert. Avrebbe voluto correre da lui, per avvertirlo che sua madre era in pericolo e che doveva portarla via di lì prima che fosse troppo tardi. «Oh, ecco il dottor Black», esclamò in quel momento la sua interlocutrice. «Sta andando dal signor Colbert. Speriamo che non ci siano brutte notizie.» In silenzio, le due donne guardarono Peter Black rivolgere qualche parola al figlio della Colbert, che si alzò e lo seguì fuori dal locale. «Oh santo cielo!» sospirò la signora Branagan. «Mi sa che sono proprio cattive notizie, invece.» Fran non rispose. Il dottor Black l'aveva vista. I suoi occhi erano gelidi, minacciosi, non erano gli occhi di un guaritore. Ti inchioderò, decise. Fosse l'ultima cosa che riuscirò a fare, ti inchioderò. 72 Di fronte a una grossa crisi, Calvin Whitehall aveva l'invidiabile capacità di eliminare ogni traccia di frustrazione e di collera dalla sua mente. Ma la telefonata che ricevette da Peter Black alle sedici e trenta di quel pomeriggio la mise a dura prova. «Fammi capire», mormorò con voce minacciosamente quieta. «Mi stai dicendo che Fran Simmons era al bar dell'ospedale, a spettegolare con una delle volontarie, quando sei entrato per annunciare la morte di Barbara Colbert al figlio? Almeno hai chiesto alla volontaria di che cosa hanno parlato?» Black telefonava dalla biblioteca di casa sua. Era già al secondo scotch. «La signora Branagan se n'era già andata quando ho lasciato i figli della Colbert. L'ho chiamata a casa ogni quarto d'ora finché l'ho trovata. Era stata dal parrucchiere.» «Non m'interessa dov'è stata», lo interruppe Whitehall. «Voglio sapere che cosa ha detto alla Simmons.» «Hanno parlato di Tasha Colbert.» Il tono di Black non tradiva nessuna emozione. «Fran Simmons le ha chiesto qualcosa a proposito di una gio-
vane paziente che era entrata in coma dopo un incidente, più di sei anni fa. La Branagan non ha avuto difficoltà a identificarla e le ha raccontato tutto quello che sapeva al riguardo.» «Compreso senza dubbio il fatto che secondo Barbara Colbert sua figlia ha parlato prima di morire.» «Infatti. Che cosa facciamo, Cal?» «So che cosa farò io, ti salverò la pelle. Tu intanto puoi finire in pace il tuo scotch. Ci sentiamo più tardi.» Lo scatto della comunicazione che veniva interrotta fu quasi impercettibile. Peter Black vuotò in un sorso il bicchiere e lo riempì di nuovo. Calvin Whitehall rimase seduto per parecchi minuti, a passare in esame le varie possibilità. Giunto a una decisione, la esaminò sotto ogni aspetto e constatò soddisfatto che avrebbe eliminato due dei suoi principali problemi: West Redding e Fran Simmons. Compose il numero della fattoria. Il telefono squillò almeno una dozzina di volte prima che dall'altra parte qualcuno sollevasse la cornetta. «Stavo guardando la registrazione.» L'eccitazione rendeva quasi fanciullesca le voce del medico. «Si rende conto di quello che abbiamo ottenuto? Che accordi ha preso con la stampa?» «Chiamo proprio per questo, dottore. Lei non guarda la televisione e non può saperlo, ma c'è una ragazza, una giornalista investigativa, che si sta facendo un nome a livello nazionale. Vorrei che le concedesse la prima intervista. Sa che è importante mantenere un riserbo assoluto, ma ha in mente uno special di trenta minuti da mandare in onda fra una settimana. Lei, dottore, certamente capirà l'importanza di solleticare la curiosità dell'opinione pubblica, in modo da garantirci indici di ascolto adeguati. Bisognerà programmare tutto con cura.» La risposta fu quella che aveva previsto. «Ne sono felice, Calvin. Mi rendo conto che attualmente abbiamo da risolvere qualche difficoltà di natura legale, ma paragonate ai risultati scientifici che abbiamo raggiunto, sono poca cosa. A settantantasei anni, voglio il riconoscimento che mi è dovuto, prima che sia troppo tardi.» «Lo avrà, dottore.» «Non mi sembra che mi abbia detto il nome della giovane giornalista.» «Simmons, dottore. Fran Simmons.» Calvin riappese e pigiò il pulsante dell'interfono che lo collegava all'appartamento dell'autista. «Vieni subito, Lou.» Benché Cal avesse annunciato di non avere programmi per la serata e
Jenna fosse uscita con la sua auto, Lou Knox aveva previsto quella convocazione. Aveva visto e sentito abbastanza da intuire che il capo era alle prese con problemi seri e che prima o poi lui sarebbe stato chiamato a risolverli. Come sempre, aveva avuto ragione. «Senti, Lou», il tono di Cal era quasi cordiale, «il dottor Lowe di West Redding è diventato un problema serio, e così Fran Simmons.» L'altro attese in silenzio. «Che tu ci creda o no, sto per organizzare un incontro tra i due. Tu dovrai essere nei paraggi quando questo avverrà. Ora ascolta, nel laboratorio del dottor Lowe ci sono grandi quantità di materiali infiammabili. So che non ci sei mai entrato, quindi lascia che ti spieghi. Il laboratorio è al secondo piano, ma facilmente accessibile grazie a una scala esterna che porta a una veranda sul retro. La finestra della veranda è sempre socchiusa, per garantire una buona areazione. Mi segui, Lou?» «Sì, Cal.» «Signor Whitehall, per favore. Potresti dimenticare di rivolgerti a me nel modo giusto, quando siamo in pubblico.» «Mi scusi, signor Whitehall.» «C'è un serbatoio di ossigeno nel laboratorio... è impossibile non riconoscerlo. Sono sicuro che un ragazzo intelligente come te non avrebbe difficoltà a gettare nella stanza un oggetto in fiamme e a filarsela prima che esploda. Non sei d'accordo?» «Certamente, signor Whitehall.» «Portare a termine l'operazione ti richiederà qualche ora. Ovviamente gli straordinari ti verranno pagati generosamente... come sempre, d'altronde.» «Sissignore.» «Ho riflettuto a lungo sul modo migliore per persuadere la signorina Simmons ad andare alla fattoria. È ovvio che sulla sua visita dovrà essere mantenuto il più stretto riserbo. Credo quindi che dovrebbe ricevere una soffiata irresistibile, preferibilmente da una fonte anonima. Capisci a chi mi riferisco?» Lou sorrise. «A me.» «Esattamente. Che cosa ne dici?» «Che cosa ne dici?» era la frase a cui Cal ricorreva quando era soddisfatto del piano che aveva elaborato. «Mi conosce, signore», replicò Lou, evitando di chiamarlo per nome. «Mi diverte giocare a Gola Profonda.» «In passato te la sei sempre cavata magnificamente. E questa volta credo
che per te sarà particolarmente interessante. Nonché remunerativo. Non dimenticarlo.» Si scambiarono un sorriso. Lou pensò al padre di Fran Simmons e alla dritta che lui stesso gli aveva dato. Gli era capitato di ascoltare Cal parlare dei favolosi guadagni che si potevano realizzare con certe azioni che stavano per essere immesse sul mercato, aveva confidato a Simmons. E lui si era precipitato a prelevare quarantamila dollari dal fondo destinato alla biblioteca, pensando di restituirli nel giro di pochi giorni. Quello che poi l'aveva spinto a uccidersi era stato un secondo prelievo, che aveva fatto lievitare l'ammanco a quattrocentomila. In questo caso la sua firma era stata falsificata, ma Simmons sapeva che se avesse ammesso il primo furto, nessuno lo avrebbe creduto innocente del secondo. All'epoca Cal si era dimostrato particolarmente generoso, ricordò Lou. Gli aveva permesso di tenere i quarantamila dollari che Simmons gli aveva consegnato, nonché i certificati azionali privi di valore che l'uomo gli aveva fiduciosamente intestato. «Considerato il passato, mi sembra giusto che sia proprio io a chiamare Fran Simmons, signore», rispose al suo vecchio compagno di scuola. «Non vedo l'ora.» 73 Appena lasciato l'ospedale, Fran telefonò a Molly dalla macchina. «Devo assolutamente vederti», esordì. «Non corri certo il rischio di non trovarmi», fu la risposta dell'amica. «Passa pure. C'è Jenna qui con me, ma deve andarsene tra poco.» «Dille che mi aspetti. È un'eternità che cerco di parlare con lei e con suo marito. Arrivo tra un paio di minuti.» C'è poco tempo, considerò Fran, pensando che avrebbe dovuto ripartire per New York di lì a mezz'ora, ma voglio vedere con i miei occhi come sta la povera Molly. Deve aver già saputo della riunione speciale della commissione, fissata per lunedì. Poi le venne in mente che, in presenza di Jenna, non avrebbe potuto chiederle del sodalizio professionale tra Gary Lasch e Peter Black. Jenna lo avrebbe sicuramente riferito al marito. Erano le tre meno dieci quando Fran entrò nel vialetto di casa Lasch. C'era una Mercedes decappottabile parcheggiata lì davanti, doveva essere la macchina di Jenna. Sono anni che non la vedo, pensò Fran. Chissà se è ancora bella come
una volta. Per un momento si sentì invadere dal senso di inadeguatezza dei suoi anni giovanili. Ai tempi della Cranden Academy si sapeva che la famiglia di Jenna non navigava in buone acque. Lei stessa diceva spesso: «Il mio bis-bisnonno ha fatto un sacco di soldi e i suoi discendenti se li sono spesi tutti!» Ma non c'era da dubitare della sua origine aristocratica. Come quelli di Molly, gli avi di Jenna erano ricchi inglesi arrivati a Boston verso la fine del diciassettesimo secolo e non avevano nulla a che fare con i diseredati emigrati nel Nuovo Mondo in cerca di una vita migliore. Fran era ancora sul vialetto quando Molly aprì la porta. Era pallidissima, notò lei preoccupata, e aveva gli occhi profondamente segnati. «Tempo di rimpatriate», tentò comunque di scherzare. «Jenna ha deciso di aspettarti.» La donna era nello studio, intenta a esaminare un pacco di fotografie. «'Ci rivedremo ancora'», intonò, precipitandosi ad abbracciare la vecchia compagna di scuola. «Non ricordarmi quel mio stupido saggio di storia», la supplicò Fran con una smorfia scherzosa. Indietreggiò per osservare meglio l'amica. «Che diavolo, Jenna, non è arrivato il momento che tu cominci ad appassire almeno un po'?» E davvero Jenna aveva un aspetto fantastico. I capelli castano scuro dal taglio sapiente le arrivavano più o meno al colletto della giacca; i grandi occhi nocciola scintillavano e il corpo snello si muoveva con elegante disinvoltura, quasi inconsapevole, come se per lei la bellezza che possedeva e l'ammirazione che suscitava fossero semplicemente naturali. Per un istante fu come se il tempo fosse tornato indietro. In quei quattro anni all'accademia gli unici momenti che Fran aveva passato a stretto contatto con Molly e Jenna erano quelli dedicati alla preparazione dell'annuario. Le tornò in mente l'ufficetto in cui avevano lavorato insieme, pieno di carte, di fotografie sparpagliate, di mucchi di vecchie riviste. «È stata una giornata proficua», stava dicendo Molly. «Jenna è qui dalle dieci. Stiamo esaminando il contenuto della scrivania di Gary e degli scaffali di questa stanza quand'era ancora il suo studio. Ci siamo liberate di un sacco di roba.» «Non è stato propriamente divertente, ma per divertirci avremo tempo in futuro. Non è vero, Fran?» intervenne Jenna. «Quando questo incubo sarà finito, Molly verrà a stare un po' da me in città e ci faremo coccolare per intere giornate in quel meraviglioso centro estetico che ho appena scoperto. Faremo spese esagerate e ceneremo nei migliori ristoranti di New York.
Il primo sarà Le Cirque 2000.» Parlava con tanta sicurezza che per un istante Fran le credette davvero, al punto da sentirsi nuovamente esclusa e di provare lo struggente desiderio di partecipare ai loro progetti. Le ombre del passato, pensò. «Ho smesso di credere ai miracoli, ma se questo dovesse accadere, allora Fran farà parte del comitato di festeggiamento», interloquì Molly. «Senza voi due al mio fianco, non sarei mai riuscita a resistere.» «Si sistemerà tutto, te lo prometto. Sul mio onore di moglie di Cal il Potente.» Jenna stava sorridendo. «A proposito, Fran, temo che questa faccenda della fusione, oltre a tenerlo molto impegnato, lo renda anche terribilmente irritabile, una combinazione di tutto rispetto. Se vuoi, noi due possiamo incontrarci un giorno qualunque della settimana prossima, ma sarà meglio che tu rinunci all'idea di fissare un appuntamento con lui, per il momento.» Abbracciò Molly. «Ora devo scappare, e la tua amica avrà sicuramente delle cose da dirti. È stato un vero piacere rivederti, Fran. Alla settimana prossima, va bene?» Fran stava riflettendo rapidamente. Se il rilascio di Molly fosse stato revocato, sarebbe accaduto lunedì, e Jenna avrebbe certamente voluto restare al suo fianco. «Che ne dici di martedì verso le dieci, nel tuo ufficio?» le chiese. «Perfetto.» Molly accompagnò l'amica alla porta. Quando tornò, Fran le disse: «Devo tornare di corsa a New York, quindi ascoltami. Sicuramente avrai saputo della riunione della commissione per il rilascio sulla parola fissata per lunedì». «Oh, certo. Non solo l'ho saputo, ho anche ricevuto una specie di mandato di comparizione.» Il viso di Molly non tradiva la sua agitazione. «Posso capire che cosa stai pensando, ma devi tenere duro, Molly. Ci sono novità in vista. Oggi ho parlato con la sorella di Annamarie, la quale mi ha dato delle informazioni davvero scioccanti, relative al Lasch Hospital. Riguardano tuo marito e Peter Black.» «Non è stato Black a uccidere Gary. Loro due erano molto vicini.» «Senti, Molly, se anche solo la metà di quello che sospetto sul conto di Peter Black fosse vera, allora quell'uomo sarebbe terribilmente malvagio, uno capace di commettere qualsiasi crimine. C'è una cosa che devo assolutamente domandarti e spero tanto che tu sia in grado di rispondermi. Perché tuo marito chiese a Black di diventare suo socio? Sto facendo delle indagini sul conto di quell'uomo e ho scoperto che come medico non era poi
granché; inoltre non ha contribuito neanche con un soldo all'operazione. Nessuno cede gratuitamente mezzo ospedale a un vecchio amico... tra l'altro, non credo neppure che Gary lo considerasse tale. Tu ne sai qualcosa?» «Peter era già socio quando ho cominciato a uscire con Gary. Non ci capitò mai di parlarne.» «Proprio come temevo. Molly, non so bene che cosa stia cercando, ma fammi un favore, permettimi di tornare qui a esaminare le carte di Gary prima di gettarle via. Forse vi troverò una traccia utile.» «Se vuoi.» Molly sembrava indifferente. «In garage ci sono già tre sacchi pieni. Li metterò nell'armadio del ripostiglio. E le foto?» «Conservale, per il momento. Potrebbero servirci per la trasmissione.» «Ah, la trasmissione», sospirò l'altra. «Possibile che siano passati solo dieci giorni da quando ti ho chiesto di avviare un'indagine nella speranza di riuscire a provare la mia innocenza? Oh, che ingenuità», aggiunse con un sorriso esangue. Ha rinunciato, pensò Fran. Sa che molto probabilmente lunedì dovrà tornare in carcere per scontare ciò che resta dei dieci anni della condanna e che per di più dovrà affrontare un processo per l'omicidio di Annamarie. «Guardami, Molly», le ordinò. «Ti sto guardando.» «Devi fidarti di me, cara. Io credo che quello di Gary sia stato solo uno di una serie di omicidi che tu non avresti potuto commettere, e che di fatto non hai commesso. Credimi, riuscirò a provarlo e tu ne uscirai completamente pulita.» Fran sperava di essere apparsa sufficientemente convincente, perché a quel punto non dubitava più che l'amica stesse sprofondando nell'apatia e nella disperazione. «E allora mi comprerò un sacco di vestiti nuovi e cenerò nei migliori ristoranti di New York.» Molly fece una pausa e scosse la testa. «Tu e Jenna siete meravigliose, ma credo che stiate confondendo realtà e fantasia. Temo che il mio destino sia segnato.» «Molly, stasera vado in onda e devo ancora preparare il servizio. Ti prego, non gettare nulla di questa roba.» Fran lanciò un'occhiata al divano. Era cosparso di fotografie e Gary Lasch compariva in quasi tutte. Molly si accorse della sua occhiata. «Quando sei arrivata, Jenna e io stavamo rivivendo il passato. Ci siamo divertiti, noi quattro, o almeno così credevo. Dio solo sa che cosa pensava allora il mio caro marito. Probabilmente qualcosa del tipo: santo Dio, un'altra serata fuori con quella noiosa
della mia mogliettina!» «Piantala, Molly! Piantala di farti del male», la supplicò Fran. «Farmi del male? Non ne ho bisogno, ci sta già pensando il resto del mondo. Fran, se devi tornare a New York, ora è meglio che ti sbrighi. Non preoccuparti per me. No, aspetta, ancora una cosa. Devo conservare anche quelle vecchie riviste? Le ho scorse, ma contengono solo degli articoli di medicina che Gary aveva segnato. Pensavo di leggerli, però in questo momento la mia curiosità intellettuale sta segnando il passo.» «Qualcuno di quegli articoli era suo?» «No, si era limitato a segnare quelli che gli interessavano.» E quello che interessava al dottor Gary Lasch interessa anche a me, pensò Fran. «Le prendo io le riviste, Molly. Darò loro un'occhiata prima di buttarle via.» Si chinò a raccogliere la grossa pila di pubblicazioni. Sulla porta indugiò ancora, combattuta tra la fretta e la riluttanza a lasciare l'amica in quello stato d'animo. «Nessun nuovo ricordo?» domandò. «Credevo di sì, ma a quanto pare erano solo rumore e confusione, privi di ogni significato. Tutte le mie chiacchiere sul fatto che stava per tornarmi la memoria sono state un errore, non credi? A quanto pare, serviranno soltanto a farmi affibbiare altri quattro anni e mezzo di alloggio gratuito, e questo senza pensare alla condanna che mi verrà comminata per l'omicidio di Annamarie.» «Non cedere, Molly.» Non cedere, Molly. Era il desiderio che occupava la mente di Fran, mentre guidava nel traffico più intenso del solito. 74 «Non voglio andare in California, mamma.» Con il passare delle ore l'atteggiamento di Wally Barry si era fatto sempre più bellicoso. «Non ho intenzione di discuterne ancora.» Il tono di sua madre era deciso. Impotente, Edna guardò il figlio uscire a precipizio dalla cucina e salire le scale a passi pesanti. Si era rifiutato di prendere la medicina e lei cominciava a preoccuparsi. Devo portarlo via di qui, pensò di nuovo. Stasera scioglierò la medicina nel suo latte caldo. Se dorme, si calmerà. A tavola Wally non aveva toccato cibo. Di solito mangiava con appetito e quella sera, nel tentativo di placarlo, lei gli aveva preparato la sua cena
preferita: spezzatino di vitello, asparagi e purè di patate. Ma invece di mangiare, lui se n'era rimasto seduto borbottando fra sé. Edna sapeva che le voci nella sua testa avevano ripreso a parlare ed era angosciata. Squillò il telefono. Doveva essere Marta e anche se le sarebbe piaciuto concedersi una tazza di tè in compagnia dell'amica, Edna non pensava che quella fosse la serata giusta. Se Wally avesse ricominciato a parlare della chiave e della sera in cui il dottor Lasch era morto, Marta avrebbe potuto cominciare a prenderlo sul serio. È sicuramente frutto della sua immaginazione, si disse, come faceva ogni volta che Wally tirava in ballo l'omicidio. E se invece non lo era? Si affrettò a scacciare il pensiero; era troppo inquietante. Se anche quella sera era stato a casa Lasch, suo figlio non aveva certamente nulla a che fare con la morte del medico. Al quarto squillo, Edna si decise finalmente a sollevare la cornetta. Marta Jones aveva esitato a lungo prima di chiamare la sua vicina, ma alla fine aveva deciso che non poteva nasconderle di avere in un certo senso incoraggiato Wally ad andare a salutare Molly. Le avrebbe suggerito di portarcelo lei stessa l'indomani mattina, quando si fossero messi in viaggio. In quel modo, lei ne era certa, il ragazzo si sarebbe finalmente tranquillizzato. «Pensavo di fare un salto a salutarvi, se hai tempo», disse quando Edna fu all'apparecchio. L'altra aveva già pronta la risposta. «A dire la verità, Marta, non ho ancora finito di preparare i bagagli e se mi fermo, poi non avrò più la forza di ricominciare. Perché non passi da noi a fare colazione, domani mattina?» Be', non posso certo impormi, pensò Marta, ed Edna mi sembra davvero stanca. Forse è meglio che la lasci tranquilla. «Ottimo», replicò quindi con forzata allegria. «Spero che Wally ti sia d'aiuto.» «È in camera sua a guardare la televisione», rispose Edna. «Ha avuto una delle sue brutte giornate e ho pensato di mettere una dose extra di medicina nel suo latte caldo.» «È quello che gli ci vuole, un po' di riposo. Ci vediamo domattina.» Marta si sentì sollevata quando riattaccò. Wally era al sicuro in camera sua e di lì a poco si sarebbe addormentato. Probabilmente aveva rinunciato al progetto di andare da Molly. Ora anche lei poteva smettere di preoccuparsi.
75 Al notiziario della sera parlarono della morte di Natasha Colbert, avvenuta dopo sei anni di coma irreversibile e seguita, a meno di ventiquattr'ore di distanza, dal decesso della madre, la nota benefattrice Barbara Canon Colbert. Seduta alla scrivania nello studio televisivo, Fran guardava con aria cupa le immagini che si susseguivano sullo schermo: Tasha, radiosa e piena di vita, con una massa di capelli rossi fiammeggianti, e la sua elegantissima madre. È stato Peter Black a uccidervi, lo so, anche se forse non riuscirò mai a provarlo. Philip Matthews era quasi certo che lunedì pomeriggio Molly sarebbe tornata in carcere. «Lei se n'era andata da poco, Fran, quando le ho parlato, e subito dopo ho chiamato il dottor Daniels. Andrà a trovarla stasera. Anche lui è persuaso che, in caso di revoca della libertà sulla parola, Molly crollerà. Ovviamente sarò al suo fianco e vuole esserci anche lui, tanto per non correre rischi», le aveva detto al telefono. Questo è uno di quei momenti in cui detesto il mio lavoro, pensò Fran quando le segnalarono che era in onda. «La commissione per il rilascio sulla parola dello stato del Connecticut ha indetto una riunione speciale per lunedì pomeriggio e ci sono molte probabilità che Molly Carpenter Lasch debba rientrare in carcere per scontarvi per intero la pena comminatale per l'omicidio del marito, il dottor Gary Lasch.» Concluse il servizio dicendo: «Nell'ultimo anno, in questo paese tre imputati di omicidio sono stati assolti con formula piena in seguito alla scoperta di nuove prove, o alla confessione del vero colpevole. L'avvocato di Molly Lasch ha dichiarato che non smetterà di lottare per evitare la revoca della libertà sulla parola e per dimostrare l'estraneità della sua assistita alla morte di Annamarie Scalli». Con un sospirò di sollievo, Fran sganciò il microfono e si alzò. Era arrivata alla stazione televisiva appena in tempo per farsi truccare, cambiarsi la giacca e lanciare un cenno di saluto a Tim prima di precipitarsi sul set. Lui la chiamò approfittando di una pausa pubblicitaria. «Aspettami, Fran. Voglio parlarti.» Fran aveva lasciato sulla scrivania le riviste prese a casa di Molly, limitandosi a dare una rapida occhiata al materiale su Lasch e Whitehall che
l'archivio le aveva procurato. Ora, mentre aspettava che Tim la raggiungesse, lo riprese in mano. Le informazioni erano esaurienti e dettagliate. I ragazzi dell'archivio si sono messi d'impegno, pensò in un empito di riconoscenza. Qualcosa mi dice che stasera avrò da leggere fino a tardi. «Ti sei procurata un bel po' di roba da leggere.» Vide Tim sulla porta. «Esprimi un desiderio», rispose lei ridendo. «Hai rivelato il mio pensiero, e ciò significa che il tuo desiderio verrà esaudito.» «Questa mi giunge nuova, ma è presto fatto. Ecco il mio desiderio: vorrei che tu uscissi a mangiare un hamburger con me. Che ne dici?» Tim rise a sua volta. «Ieri ho parlato per telefono con mia madre e quando le ho raccontato che l'altra sera a cena hai pagato la tua parte del conto, me ne ha dette di tutti i colori. A lei non piace questo modo di fare. Dice che con uno stipendio come il mio e la mia totale assenza di responsabilità, non posso comportarmi come un taccagno.» Sogghignò. «Credo che abbia ragione.» «Personalmente non ne sono sicura, ma, sì, un hamburger lo mangerei volentieri, anche se temo che dovrà essere una cosa veloce.» Fran indicò la scrivania ingombra. «Stasera devo sorbirmi tutta questa roba.» «Mi è dispiaciuto sapere di quella riunione della commissione per il rilascio sulla parola. Non è un buon segno per Molly, vero?» «No, non lo è.» «Come procedono le indagini?» Fran esitò. «Al Lasch Hospital sta succedendo qualcosa di strano e d'illecito, ma a dire la verità non dovrei neppure parlarne, dato che per il momento non ho uno straccio di prova.» «Forse una pausa ti farà bene», commentò Tim. «Da P.J.?» «Perfetto, da lì a casa mia sono pochi minuti di strada.» Tim si chinò sulla scrivania. «Davvero vuoi leggerti tutta questa roba?» «Sì. Temo che mi terrà occupata per l'intero il fine settimana.» «Divertente. Coraggio, andiamo.» Mentre mangiavano, parlarono di baseball: l'inizio degli allenamenti primaverili, i punti di forza e di debolezza dei vari giocatori e delle varie squadre. «Farò bene a stare attento, un giorno o l'altro potresti scalzarmi dalla redazione sportiva», scherzò Tim mentre pagava il conto. «Forse lì potrei cavarmela meglio di come sto facendo adesso», borbottò Fran con aria scontenta. Lui insistette per accompagnarla fino a casa. «Non puoi portare tutta
quella roba da sola. Ti spaccheresti le braccia.» Mentre uscivano dall'ascensore sul pianerottolo, Tim accennò alla morte di Natasha e di Barbara Colbert. «Di solito la mattina vado a fare jogging e oggi mi sono scoperto a pensare a Tasha Colbert, che un giorno è uscita di casa con la stessa intenzione, è inciampata in una stringa e da allora non ha più ripreso conoscenza.» Inciampata in una stringa sciolta? si chiese Fran mentre girava la chiave nella toppa. Entrò e accese la luce. «Dove vuoi che appoggi le riviste?» domandò Tim. «Su quel tavolo, grazie.» «Ecco fatto.» Lui si girò a guardarla. «Probabilmente ho pensato a Tasha Colbert perché fu ricoverata in ospedale durante la degenza di mia nonna», riprese. «Davvero?» Tim era già fuori della porta. «Sì. Ero andato a trovarla quando arrivò Tasha con l'arresto cardiaco. La sistemarono a due camere di distanza. La nonna morì l'indomani.» Tacque per un momento, poi scrollò le spalle. «Oh, be'. Buonanotte, Fran. Hai l'aria stanca. Non lavorare fino a tardi.» Si girò per andarsene e non vide l'espressione stupefatta che si era dipinta sul volto di lei. Fran chiuse la porta e vi si appoggiò contro. Era certa, per qualche ragione assolutamente certa che la nonna di Tim fosse la donna della quale aveva parlato Annamarie Scalli, la cardiopatica a cui era stato somministrato il giorno successivo lo stesso farmaco che aveva distrutto la mente della giovane Tasha Colbert. 76 «Prima di andare, vorrei darle un sedativo che le garantirà una buona nottata di sonno», disse il dottor Daniels a Molly. «Come vuole.» Il tono di lei era indifferente. Erano in tinello. «Vado a prenderle un bicchiere d'acqua», disse ancora lo psichiatra, alzandosi. Molly si ricordò del flacone di sonniferi che aveva lasciato sul piano di lavoro. «Lo prenda dal mobile bar, dottore, è più vicino.» Sotto lo sguardo attento di lui, prese la pillola e la ingoiò con un sorso d'acqua. «Sto bene, davvero», lo rassicurò, posando il bicchiere. «Starà ancora meglio dopo una buona dormita. Vada subito a letto.»
«Va bene.» Molly accompagnò Daniels alla porta. «Sono le nove passate. Mi dispiace, dottore, per colpa mia questa settimana lei non ha praticamente avuto una serata libera.» «Non stia a preoccuparsi per questo. Ci sentiamo domani.» «Grazie.» «E si ricordi di andare subito a letto, Molly. Presto comincerà a sentirsi insonnolita.» Lei aspettò di vedere l'auto dello psichiatra allontanarsi prima di chiudere la porta a doppia mandata e inserire il fermo. Questa volta il rumore che fece, una via di mezzo tra uno scatto e uno schiocco, le parve del tutto familiare e per niente minaccioso. Mi sono inventata tutto, pensò scoraggiata: quel rumore, la sensazione che quella sera in casa ci fosse qualcuno. Se credo di ricordarmelo, è solo perché vorrei che fosse accaduto. Decise di controllare se aveva spento le luci dello studio. La porta era chiusa, l'aprì e istintivamente allungò la mano verso l'interruttore. Quando la luce inondò la stanza, qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa che si muoveva fuori della finestra anteriore. C'era qualcuno? si domandò. Sì. La luce le permise di distinguere Wally Barry che la osservava in piedi sul prato, a pochi passi dalla finestra. Con un'esclamazione di sorpresa, Molly distolse lo sguardo. Improvvisamente lo studio cambiò. Le pareti erano di nuovo rivestite di pannelli di legno, come una volta... e c'era Gary, seduto alla scrivania... con la testa immersa nel sangue. Sangue che sgorgava dalla profonda ferita sul cranio, gli scorreva giù lungo la schiena e sgocciolava sul pavimento. Molly cercò di urlare ma nessun suono scaturì dalle sue labbra. Allora si girò per lanciare a Wally un'occhiata implorante, ma lui era svanito. E lei aveva sangue sulle mani, sul viso, sui vestiti. Annichilita dal terrore, barcollò fuori, salì incerta le scale e si lasciò cadere sul letto. Quando si destò, dodici ore dopo, senza avere ancora completamente smaltito gli effetti del sonnifero, capì che l'orrore sanguinoso che aveva ricordato era solo parte dell'incubo ininterrotto in cui si era trasformata la sua vita. 77
Sapendo che se avesse cercato di leggere a letto si sarebbe addormentata all'istante, Fran preferì mettersi in pigiama e sistemarsi in poltrona, con i piedi appoggiati su uno sgabello. Prese per prima la documentazione su Gary Lasch. Il profilo di un uomo di successo, pensò. Lasch aveva frequentato una buona scuola preparatoria e una buona università, anche se non delle migliori, probabilmente non era riuscito a farsi ammettere. Aveva terminato l'università con un punteggio inferiore alla media, dopodiché si era iscritto alla Meridian Medical School, nel Colorado. Poi era andato a lavorare con il padre e alla morte di questi gli era succeduto nella direzione dell'ospedale. Era a questo punto che la sua stella aveva cominciato a splendere sul serio. Fidanzamento con Molly Carpenter, una ragazza della buona società. Una copertura stampa sempre maggiore per il Lasch Hospital e il suo carismatico direttore. C'erano articoli su Gary e il suo socio, Peter Black, fondatori con Cal Whitehall del Centro di assistenza Remington. Il suo sontuoso matrimonio con Molly, altri articoli sulla splendida coppia... Gary e Molly alle feste di beneficenza e agli avvenimenti mondani. E poi servizi sull'ospedale e il Centro Remington, e interventi di Gary a congressi medici. Fran ne lesse alcuni. La solita zuppa, decise, mettendoli da parte. Il resto del materiale riguardava la morte di Lasch. Un vero e proprio fiume di articoli sull'omicidio, sul processo, su Molly. Con riluttanza, Fran fu costretta ad ammettere di non aver trovato assolutamente nulla che dipingesse Lasch come qualcosa di più che un dottore di media capacità, abbastanza intelligente e in gamba da sposarsi bene ed entrare nel giro dei centri di assistenza. Fino a quando non era stato assassinato, ovviamente. Ora passiamo al potente Calvin Whitehall, decise lei con un sospiro. Quaranta minuti dopo, con gli occhi arrossati, disse ad alta voce: «Eccone uno che appartiene a tutt'altra categoria. Credo che per lui l'aggettivo giusto non sia tanto 'potente' quanto 'spietato'. È un miracolo che non sia mai finito in carcere». L'elenco delle denunce presentate contro Cal Whitehall nel corso degli anni occupava parecchie pagine. Alcune denunce erano state ritirate dopo il versamento di 'cifre non precisate', ma per la maggior parte erano finite in una bolla di sapone, oppure si erano risolte con un verdetto a lui favorevole. Gli articoli più recenti parlavano della proposta di acquisizione da parte
del Remington di altri centri più piccoli, ma c'era anche un accenno a un potenziale assorbimento del Remington stesso. Dunque le trattative per la fusione sono davvero a rischio, rifletté Fran. Whitehall poteva contare su una considerevole liquidità ma, stando ai giornali, alcuni dei principali azionisti dell'American National non avevano nulla da invidiargli sotto quell'aspetto. A quanto pareva, erano tutti convinti che per ii bene del paese il futuro della medicina richiedesse la guida del presidente della loro società, e sembravano decisi a raggiungere lo scopo A differenza di Lasch, Whitehall non era un accanito sostenitore di iniziative caritatevoli. Un appunto, tuttavia, bastò a strappare Fran dalla sonnolenza. Come suo padre, Cal Whitehall aveva fatto parte del comitato per la costituzione della nuova biblioteca! Ignoravo che ci fosse di mezzo anche lui. si disse. D'altra parte, come avrei potuto saperlo? Ero solo una ragazzina, allora. La mamma si rifiutava di parlare dell'accaduto e lasciammo Greenwich poco dopo il suicidio di papà. Gli articoli erano corredati da un certo numero di immagini sfuocate di suo padre, e le didascalie non erano lusinghiere. Fran si alzò e andò alla finestra. Era mezzanotte passata e benché in molti appartamenti le luci fossero ancora accese, la città si stava preparando al riposo notturno. Quando riuscirò finalmente a incontrare Whitehall, avrò qualche domanda interessante da fargli, pensò piena di collera. Per esempio, come aveva fatto papà a rubare tutto quel denaro senza che nessuno se ne accorgesse? Forse quell'uomo saprà dirmi dove trovare le registrazioni che mi consentiranno di scoprire se lo prelevò un po' alla volta o in un'unica operazione. All'epoca, Calvin Whitehall era già un finanziere di successo. Sicuramente sarebbe in grado di fornirmi qualche risposta in proposito. Aveva una gran voglia di andare a letto, ma prima voleva dare una rapida scorsa alle riviste prese a casa di Molly. L'amica le aveva detto che erano vecchie, ma Fran fu stupita di constatare che alcune risalivano a oltre vent'anni addietro. La più recente era stata pubblicata tredici anni prima. Cominciò dalla più vecchia. Sulla pagina dell'indice c'era un segno accanto a un articolo intitolato: «Un appello alla ragione». Il nome dell'autore le sembrò vagamente familiare. Cominciò a leggere. Non mi piace il modo di pensare di questo tizio, rifletté Fran dopo qualche paragrafo, orripilata.
Nella seconda pubblicazione, vecchia di diciotto anni, c'era un altro articolo che portava la stessa firma: «Darwin, la sopravvivenza dei più forti e la condizione umana nel terzo millennio». Il pezzo era corredato da una foto dell'autore, un ricercatore della Meridian Medical School. Secondo la didascalia, la foto lo ritraeva in laboratorio in compagnia di due dei suoi studenti più promettenti. Fran sbarrò gli occhi, incredula, quando la memoria le venne finalmente in aiuto, consentendole di stabilire un nesso fra il volto dello studioso e il nome che le sembrava di aver già sentito. E naturalmente non ci mise molto a riconoscere i due assistenti. «Tombola!» esclamò. «Questo spiega tutto.» 78 Alle dieci di sabato mattina, Cal Whitehall mise in atto il suo piano. Lou Knox era con lui nello studio, da dove avrebbe dovuto chiamare Fran Simmons. «Se non la trovi, continua a provare ogni mezz'ora», lo istruì. «Voglio che lei vada a West Redding oggi, o al più tardi domani. Non riuscirò a tenere sotto controllo ancora per molto il nostro amico, il dottor Lowe.» Lou non rispose; sapeva che l'altro non si aspettava che lo facesse. Cal stava semplicemente pensando ad alta voce. «Il cellulare ce l'hai?» «Sissignore.» Avrebbero usato il cellulare per non far comparire il numero sul display dell'apparecchio di Fran, anche se per ragioni di sicurezza il contratto era stato intestato a un nominativo fittizio e le fatture venivano inviate a una casella postale della contea di Westchester, nello stato di New York. «Forza, allora, chiama. E cerca di essere convincente. Ecco il numero.» Cal lo aveva trovato sull'elenco, ma in caso contrario non avrebbe avuto difficoltà a chiedere alla moglie di farselo dare da Molly, con la scusa di voler finalmente fissare un appuntamento con la giornalista. Comunque, era contento che non se ne fosse presentata la necessità. Sollecitando l'intervento di Jenna avrebbe violato la sua prima regola: coinvolgere sempre il minor numero di persone possibile. Lou cominciò a digitare le cifre. L'apparecchio squillò solo due volte prima che qualcuno sollevasse la cornetta. L'uomo fece un cenno d'assenso a Cal, che lo osservava con attenzione.
«Pronto?» «Signorina Simmons?» chiese Lou, ricorrendo all'accento tedesco del padre defunto. «Sì. Chi parla?» «Non posso dirglielo per telefono, ma ieri ho ascoltato la sua conversazione con la signora Branagan, in ospedale.» Fece una breve pausa. «Lavoro lì anch'io, signorina Simmons, e voglio dirle che lei ha ragione. In quel posto sta succedendo qualcosa di terribile.» Fran, ancora in pigiama e con la cornetta incollata all'orecchio, si guardò freneticamente in giro in cerca della penna, la individuò sullo sgabello e agguantò il taccuino posato sul tavolo. «Questo lo so», replicò con voce calma. «Ma sfortunatamente non posso provarlo.» «Posso fidarmi di lei, signorina Simmons?» «Che cosa intende dire?» «C'è un vecchio che prepara farmaci da sperimentare sui pazienti del Lasch. Ora ha paura che il dottor Black voglia ucciderlo e ha deciso di raccontare tutto prima che sia troppo tardi. Sa che questa storia potrà metterlo nei guai, ma non gliene importa.» Sta parlando del dottor Adrian Lowe, l'autore di quegli articoli, intuì Fran. «Ne ha già parlato con qualcun altro?» chiese. «So per certo che non lo ha fatto. Sono io che consegno per suo conto certi pacchetti all'ospedale. È un pezzo che lo taccio, ma fino a ieri ignoravo di che si trattasse. Mi ha raccontato tutto, capisce, era fuori di sé dall'eccitazione. Vuole che il mondo intero sappia che è stato lui a far uscire per qualche istante dal coma la giovane Colbert.» Un'altra breve pausa poi, a voce bassissima: «L'ha perfino registrato su cassetta, signorina Simmons. Io lo so; l'ho vista». «Mi piacerebbe parlargli.» Fran si sforzò di non lasciare trapelare la sua esultanza. «È un vecchio che vive come un eremita. Anche se sostiene di voler raccontare tutto, ha paura. Se lei si presenterà con altra gente, si chiuderà come un riccio e sarà impossibile cavargli qualcosa.» Fran non esitò. «Se vuole che ci vada da sola, lo farò. In effetti è quello che preferirei anch'io.» «Le andrebbe bene stasera alle sette?» «Naturalmente. Dove devo andare?» Lou guardò Cal, con il pollice e l'indice uniti in segno di vittoria. «Sa dov'è West Redding, nel Connecticut?» le chiese.
79 Edna telefonò a Marta nelle prime ore di sabato mattina. «Wally dorme ancora e temo che partiremo tardi», disse, sforzandosi di apparire disinvolta. Avrebbe di gran lunga preferito evitare la visita della sua vicina, ma si era già rifiutata di vederla la sera prima e temeva di offenderla. «Sto preparando una torta al caffè», rispose questa. «So che Wally ne va pazzo. Basterà che mi diate uno squillo quando siete pronti.» Marta trascorse le due ore successive a preoccuparsi per Edna. Era convinta che ci fossero guai a casa dell'amica; durante la breve conversazione telefonica aveva percepito chiaramente l'ansia nella sua voce, una tensione che dalla sera prima si era ulteriormente aggravata. E sempre la sera prima, verso le nove aveva visto l'auto di Edna uscire in retromarcia dal vialetto. Era un comportamento a dir poco insolito, dato che lei detestava guidare di notte. Sì, c'era certamente qualcosa che non andava, decise. Forse questo viaggio farà bene a tutt'e due, pensò poi. Marzo è un mese talmente deprimente e qui intorno stanno succedendo solo cose sgradevoli... l'infermiera assassinata a Rowayton; il probabile arresto di Molly Lasch... anche se naturalmente era un bene che quella poveretta venisse rinchiusa da qualche parte; e la signora Colbert e sua figlia, morte a distanza di poche ore l'una dall'altra. Edna richiamò alle undici e mezzo. «Siamo pronti», le annunciò. Marta si sentì sollevata. «Arrivo.» Ma le bastò entrare nella cucina di casa Barry per capire che i suoi timori erano più che fondati... e che i guai non erano ancora finiti. Wally aveva una delle sue giornate nere. Teneva le mani sprofondate nelle tasche e continuava a lanciare occhiate irose alla madre. «Guarda che cosa ti ho portato.» Marta cominciò a levare la carta argentata con cui aveva avvolto la torta. «È ancora calda.» Lui la ignorò. «Mamma, io volevo solo parlarle», biascicò invece. «Che c'è di male?» Oh, santo cielo, pensò Marta. Scommetto che è andato di sua iniziativa a trovare Molly Lasch. «Non sono entrato, ho solo guardato dentro. Non ero entrato neppure l'altra volta. Ma tu non mi credi, vero?» A Marta non sfuggì l'espressione impaurita di Edna. Non avrei dovuto
venire, si rammaricò. Alla mia amica non piace che io sia presente quando Wally è così agitato. In momenti come questo lui finisce sempre per parlare troppo. Che diamine, una volta l'ho sentito addirittura insultarla. «Wally, tesoro, mangiamo un po' della torta di Marta», lo pregò Edna. «Ieri sera Molly ha fatto la stessa cosa di allora, mamma. Ha acceso la luce e si è spaventata. Solo che non so che cosa l'abbia spaventata questa volta. Non ha mica visto il dottor Lasch tutto insanguinato!» Marta posò lentamente il coltello con cui si accingeva a tagliare la torta. «Ma di che cosa sta parlando?» bisbigliò all'amica, mentre nella sua mente le tessere di un puzzle molto complesso cominciavano finalmente ad andare al loro posto. Improvvisamente Edna scoppiò in lacrime. «Non sta parlando di niente. Non sa neppure quello che dice. Diglielo, Wally. Diglielo. Non stai parlando proprio di niente!» gridò. Wally parve sconcertato da quell'esplosione emotiva. «Mi dispiace, mamma. Ti prometto che non parlerò mai più di Molly.» «Io invece penso che dovresti farlo, Wally.» Il tono di Marta era deciso. «Edna, ascolta, se lui sa qualcosa sul conto della morte del dottor Lasch, devi portarlo alla polizia e fargli raccontare tutto. Non puoi permettere che quella donna venga nuovamente rinchiusa in carcere, se non ha ucciso suo marito.» «Wally, riporta dentro le valigie.» C'era una nota di rassegnazione nella voce della madre. Guardò l'amica con occhi supplichevoli. «Hai ragione, lo so; porterò Wally alla polizia, ma dammi tempo almeno fino a lunedì mattina. Devo trovare un avvocato che lo assista.» «Se Molly Lasch ha passato cinque anni e mezzo in prigione per un reato che non ha commesso e tu lo sapevi, allora hai davvero bisogno di un avvocato che ti assista.» C'erano tristezza e disapprovazione negli occhi di Marta. Nel silenzio che seguì, si udì solo Wally che masticava rumorosamente una tetta di torta al caffè. 80 Fran trascorse il resto del sabato mattina leggendo gli articoli del dottor Lowe e quelli che erano stati scritti su di lui. Al suo confronto, il dottor Morte sembra un altro Albert Schweitzer, pensò. La filosofia di Lowe era crudamente semplicistica: grazie ai progressi della medicina, la vita media
si era alzata esageratamente e gli anziani consumavano risorse mediche e finanziarie che sarebbe stato più opportuno impiegare altrimenti. Il ricercatore sosteneva che molte delle terapie riservate agli ammalati cronici erano dispendiose e inutili. C'erano decisioni, affermava, che competevano solo agli esperti e che non avrebbero dovuto coinvolgere le famiglie dei pazienti. Un altro articolo illustrava la teoria di Lowe secondo cui gli inabili costituivano una risorsa utile, forse addirittura necessaria, per lo studio di farmaci nuovi o non testati. Quei farmaci avrebbero potuto far migliorare drasticamente le loro condizioni, oppure condurli alla morte, ma restavano in ogni caso la scelta migliore. A un certo punto, Lowe si era spinto troppo in là e le sue teorie gli avevano causato l'allontanamento dall'istituto di medicina presso cui insegnava e addirittura una condanna ufficiale da parte dell'American Medical Association. Era stato perfino incriminato per l'omicidio volontario di tre pazienti, ma l'accusa non era riuscita ad addurre prove certe. Dopo quell'episodio, il medico era praticamente scomparso. Ora, però, Fran ricordava dove aveva già sentito parlare di quel ricercatore: il suo caso era stato discusso nel corso di etica che lei aveva frequentato all'università. Gary Lasch aveva sistemato il dottor Lowe a West Redding per permettergli di proseguire nelle sue ricerche? E aveva chiamato a lavorare con sé in ospedale l'altro fedele assistente di Lowe, Peter Black, perché lo aiutasse nelle sue sperimentazioni su pazienti ignari? L'ipotesi le sembrava prendere sempre più corpo. Ed è anche perfettamente logica, si disse Fran. Una logica terribile, brutale, di cui forse questa sera avrò la prova. Se ci tiene tanto a far conoscere al mondo i suoi cosiddetti successi, quello scienziato pazzo ha trovato la persona giusta. Non vedo l'ora di incontrarlo. Il suo anonimo interlocutore le aveva spiegato nei dettagli come raggiungere l'abitazione del medico. West Redding distava meno di cento chilometri da Manhattan. Sono contenta che sia marzo e non agosto, pensò Fran; in estate le strade sono sempre affollate di automobilisti diretti alla spiaggia. Ma intendeva comunque partire con un buon anticipo, voleva arrivare puntuale all'appuntamento fissato per le sette. Sapeva che non doveva rischiare di spaventare Lowe, ma sperava che lui le permettesse di registrare la loro conversazione su nastro, e magari anche su videocassetta. Alla fine decise di prendere con sé sia il registratore sia la telecamera e li infilò entrambi con un blocco per gli appunti nella sua am-
pia borsa a tracolla. Gli articoli ricavati dalle interviste rilasciate da Lowe erano al tempo stesso specifici ed esaustivi. Spero che abbia mantenuto la sua passione divulgativa, pensò Fran. Alle due aveva finito di preparare le domande che intendeva porre al ricercatore. Alle tre e un quarto aveva fatto la doccia e si era già vestita. Telefonò a Molly e si allarmò nel sentire la sua voce profondamente depressa. «Sei sola, Molly?» «Sì...» «Non aspetti nessuno?» «Ha telefonato Philip. Voleva passare stasera, ma sto aspettando Jenna e l'ho pregato di rimandare a domani.» «Molly. è ancora presto per parlartene, ma stanno succedendo parecchie cose, e tutte piuttosto promettenti. A quanto pare ho fatto una scoperta che potrebbe essere di grande utilità a te e a Philip.» «Non c'è nulla come una bella notizia, vero. Fran?» «Stasera devo andare nel Connecticut e, se parto subito, prima potrei fermarmi da te per qualche minuto. Che ne dici?» «Non stare a preoccuparti per me.» «Sarò lì tra un'ora.» Fran riappese senza lasciare all'altra il tempo di rifiutare. Si è data per vinta, pensò, premendo con impazienza il pulsante di chiamata dell'ascensore. Nelle condizioni in cui è, non dovrebbe restare sola neppure un istante. 81 È colpa mia, si ripeteva Philip Matthews. Quel giorno davanti al carcere avrei dovuto trascinare Molly in macchina. Non sapeva quello che faceva quando ha parlato con i giornalisti. Non capiva che non ci si può riconoscere responsabili di un omicidio davanti alla commissione per il rilascio sulla parola e poi negare ogni addebito. Perché non sono riuscito a fermarla? Ma l'accusa avrebbe potuto chiedere la revoca della libertà subito dopo quella dichiarazione, rifletté. Il che significa che è per la seconda imputazione che vogliono incastrarla. Ho una sola possibilità per tenere Molly fuori dal carcere: convincere i
membri della commissione che potrebbe essere stata accusata ingiuistamente dell'omicidio della Scalli. Poi, si disse, dovrò supplicarli di capire che la sua dichiarazione di innocenza non costituiva una vera ritrattazione di quanto affermato in precedenza, che in fondo lei si è solo limitata a esprimere il desiderio di ricordare ciò che accadde quella sera. Sì. potrebbe funzionare. Se solo riuscissi a persuadere Molly ad attenersi a questa versione... «Se» sembra essere la parola chiave. Ai giornalisti Molly ha parlato della sua sensazione che quella sera in casa ci fosse qualcun altro, e ha aggiunto di sentirsi incapace di privare della vita un altro essere umano. Forse potrei convincere la commissione che a farla parlare così sono stati il dolore e la disperazione, non il desiderio di ingannarli. Dopo tutto, è risaputo che in carcere le era stata diagnosticata una grave forma di depressione. Ma le sue precarie condizioni psicologiche non ci porteranno lontano se non riuscirò a susc itare qualche dubbio sulla sua responsabilità nella morte di Annamarie Scalli. Alla fine, tutto si riduce a questo. Spinto da tali considerazioni, quel sabato pomeriggio Philip Matthews si recò al Sea Lamp Diner di Rowayton. Il parcheggio dove la Scalli era morta non era più transennato, e anche se avrebbe avuto bisogno di una pavimentazione nuova e se le strisce bianche che delimitavano i posti auto erano quasi del tutto sbiadite, era entrato di nuovo in funzione. In quel luogo neutro nulla ricordava la giovane don na che era stata brutalmente assassinata e il fatto che Molly Lasch rischiasse di trascorrere il resto della sua vita in carcere a causa delle tracce di sangue scoperte sulle sue scarpe e nella sua auto. Philip aveva ingaggiato un investigatore di fiducia perché lo aiutasse nel caso, e insieme i due uomini stavano cominciando a elaborare la strategia difensiva. Molly aveva dichiarato di aver visto una berlina di media cilindrata lasciare il parcheggio mentre lei usciva dalla tavola calda. L'investigatore aveva già appurato che nessun altro cliente aveva lasciato il locale nei minuti immediatamente successivi all'uscita di Annamarie. Aveva anche detto di essersi diretta subito alla sua auto. Quando era arrivata al ristorante, aveva notato una jeep ferma nel parcheggio, ma naturalmente allora non poteva sapere se quella era la macchina di Annamarie. L'investigatore aveva concluso che Molly doveva aver posato il piede in una pozza di sangue, lasciando poi un'impronta insanguinata sul pavimento della propria auto. Tutte prove circostanziali, rimuginò Philip mentre si accingeva a entrare
nel ristorante. Solo le tracce di sangue sulla scarpa la collegano in qualche modo all'omicidio. Se a bordo della berlina c'era l'assassino, ciò significa che si era fermato nel parcheggio, perché è da lì che Molly ha visto uscire l'auto. Con ogni probabilità, dopo aver ucciso Anna marie l'assassino è risalito in macchina e si è allontanato proprio mentre Molly lasciava il locale. L'arma del delitto non è stata ritrovata; non si può quindi escludere che qualche goccia del sangue che la imbrattava sia caduta sull'asfalto e che lei l'abbia calpestata senza accorgersene. Ma c'è un altro grosso problema che non abbiamo ancora sviscerato, pensò Philip, lanciando un'ultima occhiata circolare al parcheggio: il movente. Perché mai l'assassino avrebbe dovuto seguire Annamarie Scalli fin qui, aspettare di vederla uscire e poi ucciderla? Nulla nella vita privata dell'infermiera, fatta eccezione per la sua vecchia relazione con il marito di Molly, sta a indicare un possibile movente. Lui aveva eseguito tutti i controlli del caso. Fran Simmons sta inseguendo non so quale pista che riguarda l'ospedale e che fa capo ad Annamarie, rammentò poi. Posso solo sperare che s'imbatta in qualcosa di concreto... e in fretta! Philip fu lieto di vedere Bobby Burke dietro il banco e anche che Gladys Fluegel non era in circolazione. Stando all'investigatore, le dichiarazioni della donna sul tentativo fatto da Molly per trattenere Annamarie al tavolo diventavano più sensazionali ogni volta che le ripeteva. Philip andò a sedersi al banco. «Salve, Bobby», disse. «Me la prepara una tazza di caffè?» «Ha fatto in fretta, signor Matthews. La signorina Simmons deve averla avvertita subito.» «Non capisco...?» «Ho chiamato la signorina Simmons un'ora fa e le ho lasciato un messaggio.» «A proposito di che?» «La coppia che state cercando, quella che era qui domenica sera... è venuta oggi a colazione. Sono di Norwalk. Erano partiti per il Canada lunedì mattina e sono tornati solo ieri sera. Se l'immagina? Non sapevano nulla di quello che è successo! Hanno detto che saranno felici di parlare con lei. TI nome è Hilmer. Arthur e Jane Hilmer.» Bobby abbassò la voce. «Detto fra noi, signor Matthews, quando ho riferito loro quello che Gladys sta raccontando ai poliziotti, gli Hilmer hanno commentato che sono tutte sciocchezze. Non hanno affatto sentito la signora Lasch gridare: 'Annamarie' due volte. Secondo loro l'ha chiamata
una volta sola. E sono sicuri che non abbia mai detto: 'Aspetti!' È stata la signora Hilmer a gridare: 'Che aspetta?' rivolta a Gladys.» Gli anni avevano regalato a Philip Matthews una buona dose di cinismo: gli esseri umani erano prevedibili e non mancavano mai di deluderti, pensava in genere. Ma in quel momento si sentiva un bambino nel paese delle meraviglie. «Dammi il numero degli Hilmer, Bobby», esclamò. «È una notizia fantastica!» Il ragazzo sorrise. «C'è dell'altro. Gli Hilmer sostengono di aver visto un tizio a bordo di una berlina di media cilindrata ferma nel parcheggio. Hanno potuto guardarlo bene in faccia perché i fari della loro auto lo hanno illuminato in pieno mentre posteggiavano. Sono in grado di descriverlo. Sono sicuro che quel tizio non è mai entrato qui, signor Matthews. Era una serata fiacca, quella, e me lo ricorderei certamente.» Molly ha detto fin dall'inizio di aver visto una berlina uscire dal parcheggio, rifletté Philip. Forse questo è lo spunto che aspettavamo. «Stasera gli Hilmer non saranno a casa prima delle nove, signor Matthews, ma saranno lieti di riceverla più tardi. Capiscono quanto possa essere importante la loro testimonianza per la signora Lasch, e sono ansiosi di rendersi utili.» «Mi troveranno davanti alla loro porta!» Philip era al settimo cielo. «Dio, se mi ci troveranno!» «Quella sera avevano posteggiato di fianco a una Mercedes nuova di zecca. Se la ricordano perché faceva freddo e l'auto era parcheggiata vicinissima all'ingresso. Io ho detto a loro che doveva essere quella della signora Lasch.» «È evidente che ho assunto l'investigatore sbagliato, Bobby. Come hai fatto a scoprire tutte queste cose?» Il ragazzo sorrise. «Signor Matthews, sono figlio di un avvocato d'ufficio, e mio padre è un buon insegnante. Ho intenzione di seguire le sue orme.» «E non avresti potuto iniziare in modo migliore», si congratulò Philip. «Ora per favore portami quel caffè, Bobby. Ne sento proprio un gran bisogno.» Mentre beveva il caffè, Philip si domandò se era il caso di chiamare Molly per riferirle le novità, ma alla fine decise di aspettare. È meglio che parli con gli Hilmer, prima. Manderò da loro un disegnatore della polizia... domani stesso, se è possibile... per avere l'identikit del tizio fermo nel parcheggio. Gli Hilmer potrebbero essere la nostra salvezza!
Oh, Molly, pensò, mentre il viso tormentato della donna gli fluttuava davanti agli occhi. Darei il braccio destro per farti uscire da quest'incubo. E farei qualunque cosa per vederti sorridere. 82 Calvin Whitehall preparò con cura Lou per la sua missione a West Redding. Il fattore sorpresa, gli spiegò, era essenziale per la buona riuscita del piano. «È sperabile che la finestra del laboratorio che si affaccia sulla veranda sia aperta, permettendoti così di gettare dentro gli stracci imbevuti di benzina. In caso contrario dovrai rompere il vetro», disse. «Ora mi rendo conto che il detonatore collegato al nostro piccolo dispositivo è corto, ma dovrebbe comunque darti il tempo sufficiente per allontanarti prima dell'esplosione.» Proseguì spiegandogli che il dottor Lowe aveva telefonato, eccitatissimo alla prospettiva dell'incontro con la stampa. Era evidentemente ansioso di mostrare a Fran Simmons il suo laboratorio, quindi Lou poteva sperare con ragionevole certezza che l'esplosione li sorprendesse entrambi al piano di sopra. «Se troveranno i loro resti nel laboratorio, l'ipotesi di un incidente sarà più credibile», osservò Cal con disinvoltura. «E naturalmente non avranno il tempo di fuggire, come invece potrebbe accadere se si trovassero al piano di sotto. La porta del laboratorio che si apre sulla veranda ha due serrature, ed è sempre chiusa a chiave, perché il dottor Lowe teme per la propria vita.» E ha ragione di farlo, pensò Lou. Come al solito, Cal stava dedicando un'attenzione particolare ai dettagli. «A meno che tu non manchi completamente il colpo, Lou... e non c'è bisogno che ti dica che non deve succedere. .. l'incendio e l'esplosione ci libereranno una volta per tutte di due grossi problemi. La fattoria ha più di cent'anni e le scale interne sono strette e ripide. Se l'esplosione avrà la portata che prevedo, quei due non riusciranno mai a uscire dal laboratorio, attraversare il vestibolo e precipitarsi giù per le scale. È bene comunque che tu sia preparato anche a questa eventualità.» Cal gli stava suggerendo di portare con sé la pistola, comprese Lou. Erano passati sette anni dall'ultima volta che ne aveva usata una, ma certe abilità non si perdevano mai. È un po' come andare in bicicletta o nuotare,
pensò... una volta imparato, è per sempre. Negli ultimi tempi lui aveva sviluppato una certa predilezione per un buon coltello affilato. La fattoria si trovava in un'area boscosa piuttosto isolata e anche se l'esplosione si sarebbe certamente udita nelle immediate vicinanze, Cal gli aveva assicurato che sarebbe rimasto il tempo per raggiungere la strada principale prima dell'arrivo della polizia o dei vigili del fuoco. Lou si sforzava di non mostrarsi spazientito dalla meticolosità di Cal. Ma lui era già stato alla fattoria abbastanza spesso per farsene un'idea precisa, e sapeva badare a se stesso. Lasciò l'appartamento alle cinque. Era ancora molto presto, ma secondo il capo non bisognava sottovalutare la possibilità di trovare ingorghi stradali. «Mi raccomando, parcheggia in un posto appartato, prima che la Simmons arrivi», lo aveva ammonito. Lou era già in auto quando Cal lo raggiunse. «Volevo solo salutarti», disse con un sorriso affabile. «Jenna passa la serata con Molly Lasch. Quando rientri, sali da me a bere qualcosa.» Dopo certi incarichi, non ti dispiace se ti chiamo Cal, pensò l'autista. Grazie tante. Avviò il motore e si diresse verso la Merritt Parkway nord, la prima tappa del suo viaggio a West Redding. 83 Molly sembra perfino peggiorata, rifletté Fran. Aveva le occhiaie, le pupille dilatate e il volto terreo. Parlava a voce bassa, esitante, e lei doveva aguzzare le orecchie per sentire quello che diceva. Erano nello studio e la giornalista notò che la sua amica si guardava continuamente intorno, quasi sorpresa da quello che vedeva. Sembra così maledettamente sola, pensò. È tesa fino allo spasimo. Se solo ci fossero qui i suoi genitori! «So che non sono affari miei, Molly, ma c'è una cosa che devo chiederti», le disse. «Tua madre proprio non ce la fa a raggiungerti? È evidente che hai bisogno di lei.» Molly scosse la testa e per un istante quella terribile passività sembrò abbandonarla. «Assolutamente no, Fran. Se mio padre non avesse avuto un attacco, sarebbero qui entrambi. Temo però che si sia trattato di un episodio più grave di quanto non mi abbiano detto. Gli ho parlato e mi è sembrato in buona forma, ma con tutto il dolore che ho causato a entrambi, se dovesse succedergli qualcosa mentre la mamma è qui, non potrei perdonarmelo.»
«E quanto dolore proveranno se dovessero perderti?» Il tono di Frane era brusco. «Che cosa intendi dire?» «Voglio dire che sono preoccupatissima per te, come Philip e, ne sono certa, anche Jenna. Mettiamo le cose in chiaro... ci sono una sacco di dannate possibilità che lunedì ti arrestino di nuovo.» «Ah, finalmente diciamo pane al pane», approvò Molly con un sospiro. «Grazie, Fran.» «Stammi a sentire. Sono convinta che, se anche tu dovessi tornare a Niantic, sarai di nuovo fuori in un battibaleno... e non sulla parola, ma prosciolta da ogni accusa.» «C'era una volta...» mormorò Molly con fare sognante «Non sapevo che credessi alle favole.» «Smettila! Senti, detesto lasciarti in queste condizioni, ma non posso proprio fermarmi. Ho un appuntamento terribilmente importante per molta gente, e soprattutto per te. In caso contrario non ti lascerei sola, e sai perché? Perché ho l'impressione che tu abbia già rinunciato, che tu abbia deciso di non presentarti davanti alla commissione.» Molly la guardò con aria perplessa, ma non la contraddisse. «Devi fidarti di me», insistette Fran. «Stiamo per arrivare alla verità, ne sono certa. Abbi fiducia in me, abbi fiducia in Philip. Forse a te non importa, ma lui ti ama e non si fermerà finché non avrà dimostrato che tu sei la vera vittima di tutta questa storia.» «C'è una frase di Una tragedia americana...» sussurrò Molly. «Spero di ricordarla esattamente: 'Amami finché non morirò e poi dimenticami'.». Fran si alzò. «Se davvero deciderai di porre fine alla tua vita, un modo lo troverai comunque.» La sua voce era pacata. «Che tu sia sola o in udienza dal papa, come diceva mio nonno. Ma c'è una cosa che voglio dirti. Sono arrabbiata con mio padre perché si è ucciso. No, sono più che arrabbiata... sono furiosa. Rubò del denaro e per questo avrebbe dovuto finire in prigione. Ma ne sarebbe uscito, e io sarei stata fuori del carcere ad aspettarlo.» Molly taceva, con gli occhi fissi sulle mani. Spazientita, Fran si asciugò gli occhi umidi di lacrime. «Nell'ipotesi peggiore, sconterai la tua condanna», riprese. «Non credo che accadrà, però è una possibilità che dobbiamo prendere in considerazione. Ma quando uscirai, sarai ancora abbastanza giovane per goderti la vita... godertela sul serio... per altri quarant'anni o giù di lì. Non hai ucciso Annamarie Scalli,
noi lo sappiamo, e Philip muoverà mari e monti per dimostrarlo. Quindi, per l'amor di Dio, rimettiti in sesto. Voi aristocratiche siete famose per il vostro stile. Tiralo fuori!» In piedi davanti alla finestra, Molly guardò l'auto di Fran che si allontanava. Grazie per quello che hai detto, amica mia. Ma è troppo tardi. In me non è rimasto neppure un briciolo di stile. 84 Il dottore aspettava da almeno mezz'ora quando i fari segnalarono l'arrivo di Fran Simmons. Lei suonò il campanello alle sette in punto, una dimostrazione di puntualità che Lowe trovò gratificante. Lui, uno scienziato, era puntuale e si aspettava che gli altri facessero altrettanto. Aprì la porta e con parole cortesi espresse il suo piacere d'incontrarla. «Da quasi vent'anni sono conosciuto nella zona come un oftalmologo in pensione», esordì. «Il mio vero nome, però, quello che ora sono felice di riprendere, è Adrian Lowe, come lei certamente saprà.» Le fotografie che Fran aveva visto risalivano a quasi vent'anni addietro e raffiguravano un uomo ben più robusto di quello che ora le stava davanti. Lowe, alto circa uno e ottanta, era magro, un po' curvo. I suoi capelli radi erano più bianchi che grigi e l'espressione degli occhi azzurro pallido non avrebbe potuto definirsi altrimenti che gentile. Fu con modi deferenti, addirittura un po' timidi, che la invitò a seguirlo nel piccolo soggiorno. Tutto sommato, considerò Fran, non assomiglia affatto all'uomo che mi aspettavo. Ma che cosa mi aspettavo, esattamente? si chiese mentre prendeva posto su una sedia a schienale rigido, scartando quella a dondolo che il medico le aveva indicato. Dopo aver letto i suoi articoli e aver saputo quelle cose sul suo conto, probabilmente me lo figuravo come una sorta di fanatico, con gli occhi in fiamme e le braccia vorticanti, o magari come uno di quei gelidi medici nazisti. Stava per chiedergli l'autorizzazione a registrare il loro colloquio, ma Lowe la prevenne: «Spero che abbia portato un registratore, signorina Simmons. Detesto le citazioni imprecise». «Naturalmente.» Fran aprì la tracolla, prese il registratore e lo accese. Non devi lasciargli capire che sai già molto sul suo lavoro, si ammonì. Limitati a fargli le domande; al resto penserà lui. «Vorrei farla salire direttamente in laboratorio», stava dicendo Lowe. «Ma prima mi permetta di spiegarle il motivo della sua presenza qui. O
meglio, mi permetta di spiegarle perché io sono qui.» Con un sospiro, il medico appoggiò la testa allo schienale della sedia. «Signorina Simmons, avrà certamente sentito quel vecchio adagio che dice: 'Per ogni positivo c'è un negativo' ... un presupposto valido soprattutto in medicina. È sempre necessario fare delle scelte, e a volte sono scelte difficili.» Senza fare commenti, Fran lo ascoltò spiegare, con voce morbida e a volte animata, le sue opinioni sui progressi della terapia medica e la necessità di ridefinire il concetto di «gestione terapeutica». «Un taglio alle spese mediche è quanto mai opportuno, ma non mi riferisco semplicemente alle terapie di mantenimento in vita», cominciò lui. «Pensiamo a una persona che ha avuto un terzo attacco cardiaco, o ha superato i settanta ed è in dialisi da cinque anni, oppure a qualcuno per cui sono state autorizzate le costosissime terapie necessarie in caso di fallimento di un trapianto di cuore o di fegato. «Non sarebbe giusto che questa persona ci lasciasse, signorina Simmons? Sarebbe evidentemente la volontà di Dio, e perché noi uomini dovremmo opporci all'inevitabile? È ovvio che il paziente potrebbe non essere d'accordo e senza dubbio la famiglia insisterebbe per un proseguimento della terapia. Ecco perché la decisione dovrebbe essere affidata a un organo competente, in grado di agire senza dover rendere conto al paziente e a i suoi famigliari, e senza che l'ospedale incorra in altre spese. Un'autorità in grado di decidere secondo oggettivi criteri scientifici.» Attonita, Fran ascoltava il dipanarsi di una filosofia che a lei appariva pressoché inconcepibile. «Se ho capito bene, dottor Lowe, lei sta dicendo che né il paziente né la famiglia dovrebbero avere voce in capitolo, e che addirittura non dovrebbero essere neppure informati della decisione presa?» «Proprio così.» «Sta anche dicendo che gli handicappati dovrebbero fungere da cavie... cavie ignare e riluttanti degli esperimenti suoi e dei suoi colleghi?» «Mia cara...» Il tono di Lowe era vagamente condiscendente. «Ho una videocassetta che vorrei mostrarle. Forse l'aiuterà a capire l'importanza della mia ricerca. Avrà sentito parlare di Natasha Colbert, rampolla di una famiglia illustre.» Mio Dio, sta per confessare quello che le ha fatto, pensò Fran. «A causa di uno sfortunatissimo incidente, invece della consueta soluzione salina, alla signorina Colbert venne somministrato il 'trattamento
terminale' destinato a un'anziana paziente cronica. «L'errore produsse un coma irreversibile ed è in queste condizioni che la ragazza è sopravvissuta per più di sei anni. Da tempo lavoravo per mettere a punto un farmaco in grado di rendere reversibile il coma profondo e per la prima volta l'altra sera ho assaporato il successo, anche se solo per pochi istanti. È stato l'inizio di una nuova, esaltante stagione della medicina. Ecco, può vedere lei stessa.» Fran lo guardò infilare una cassetta nel videoregistratore collegato al televisore. «Non guardo mai la televisione», riprese Lowe. «Ho questo apparecchio solo per scopi di ricerca. Le farò vedere gli ultimi cinque minuti dell'ultima giornata di vita di Natasha Colbert. Basteranno per farle capire quello che ho realizzato negli anni trascorsi in questa fattoria.» Incredula, Fran vide Barbara Colbert che, china sulla figlia morente, sussurrava il suo nome. La donna sussultò quando Natasha si mosse, aprì gli occhi e cominciò a parlare. «Vede, vede?» Esclamò deliziato il dottor Lowe. Scioccata, Fran vide ancora Tasha riconoscere la madre, poi chiudere gli occhi, riaprirli e supplicarla di aiutarla. Pianse davanti allo straziante spettacolo di Barbara Colbert che supplicava la figlia di non morire. Ma fu con un sentimento molto simile all'odio che guardò il dottor Black negare il breve risveglio di Natasha. «Non ha resistito più di un minuto, il farmaco è molto potente», spiegò Lowe mentre riavvolgeva il nastro. «Ma un giorno strappare i pazienti al coma sarà routine.» S'infilò la videocassetta in tasca. «Che cosa ne pensa, mia cara?» «Penso, dottor Lowe, che considerate le sue indubbie capacità, è incredibile che lei non dedichi i suoi sforzi alla conservazione e al miglioramento della vita, invece che alla distruzione di esistenze la cui qualità lei sembra reputare meno che accettabile.» L'uomo sorrise mentre si alzava. «Mia cara, non immagina neppure quante persone ragionevoli siano d'accordo con me. Ora mi permetta di mostrarle il mio laboratorio.» Sempre più a disagio all'idea di restare sola con lui, Fran lo seguì su per la stretta scala. Natasha Colbert, pensò furente, era finita in coma a causa di uno degli «efficacissimi farmaci» di quel criminale. E così la nonna di Tim, che aveva sperato di festeggiare il suo ottantesimo compleanno. E
Barbara Colbert, troppo intelligente per credere alle menzogne del sanguinario discepolo di Lowe, Peter Black. Chissà, forse la stessa sorte era toccata alla madre di Billy Gallo. E a quanti altri ancora? Il piano di sopra era immerso nella penombra, ma quando Adrian Lowe aprì la porta, fu come entrare in un altro mondo. Pur non avendo esperienza di laboratori scientifici, Fran ebbe la certezza di trovarsi davanti a un vero e proprio capolavoro tecnologico. La stanza non era grande, ma lo spazio era stato sfruttato con tanta intelligenza che non un solo centimetro era rimasto inutilizzato. Oltre alle apparecchiature più all'avanguardia, Fran riconobbe alcune di quelli presenti nell'ambulatorio del suo costosissimo medico. Vide anche un grosso serbatoio di ossigeno, collegato a valvole e tubi. Gran parte dei macchinari sembrava destinata a testare sostanze chimiche, mentre altri venivano evidentemente utilizzati per i test su soggetti vivi. Ratti, si augurò Fran, sempre più sgomenta. Molte di quelle attrezzature per lei non significavano nulla, ma la colpirono la pulizia e l'ordine che regnavano ovunque. È impressionante e al tempo stesso terrificante, pensò mentre s'inoltrava nella stanza. Il viso di Lowe era raggiante di orgoglio. «Fu Gary Lasch, uno dei miei ex assistenti, a mettermi a disposizione questo posto quando fui radiato dall'albo. Credeva in me e nella mia ricerca e mi fornì il sostegno necessario per portare avanti la sperimentazione. Poi mandò a chiamare Peter Black, un altro mio allievo e suo compagno di corso. In prospettiva, temo di dover dire che non fu una mossa saggia; forse a causa del suo problema con l'alcol, Black si è dimostrato codardo e pericoloso. Ha fallito in parecchie occasioni, benché di recente abbia contribuito alla mia impresa più grande. E naturalmente c'è Calvin Whitehall, che è stato così gentile da organizzare il nostro incontro e che è uno strenuo sostenitore del mio lavoro, sia da un punto di vista finanziario sia filosofico.» «Calvin Whitehall ha fatto che cosa?» Fran si sentì percorrere da un brivido. Adrian Lowe la guardò, perplesso. «È stato lui a organizzare questo incontro, ovviamente. L'ha indicata come la persona più idonea e, dopo averla contattata, è stato così sollecito da chiedermi conferma del nostro appuntamento.» Fran scelse con cura le parole: «Esattamente, che cosa ha detto che avrei fatto per lei, il signor Whitehall?» «Mia cara, lei è qui per realizzare un'intervista di trenta minuti che mi
permetterà di rendere noti al mondo i grandi risultati da me raggiunti. L'establishment medico continuerà a contrastarmi, è ovvio, ma con il tempo anche loro, come l'opinione pubblica, arriveranno a capire la saggezza della mia filosofia e la genialità della mia ricerca. E sarà lei, signorina Simmons, ad aprire la strada. Farà una buona pubblicità al servizio e lo inserirà nel palinsesto della sua prestigiosa stazione televisiva.» Fran era stordita e al tempo stesso orripilata. «Dottor Lowe, si rende conto che, così facendo, lei esporrà se stesso, nonché il dottor Black e Calvin Whitehall, a possibili incriminazioni?» «Certo che lo so.» Il medico sembrava irritato. «Calvin ha accettato il rischio, considerandolo una parte necessaria della nostra importante missione.» Mio Dio, intuì Fran, è diventato pericoloso per loro. E così io. Questo laboratorio è diventato pericoloso e vogliono liberarsene, vogliono liberarsi di noi. Sono caduta in una trappola! «Dottore», disse, sforzandosi di apparire più calma di quanto in realtà si sentisse, «dobbiamo andarcene di qui, subito. Siamo stati ingannati. Calvin Whitehall non le permetterà mai di uscire allo scoperto, e certamente non di comparire in televisione. Non può non capirlo.» «Non capisco...» C'era un che di infantile nello sconcerto di Lowe. «Si fidi di me, per favore!» Lui non si mosse. «Sta dicendo cose senza senso, signorina Simmons. Il signor Whitehall...» Lei lo afferrò per un braccio. «Dottore, qui non siamo al sicuro. Dobbiamo andarcene.» Un debole rumore, poi una folata d'aria. Qualcuno stava aprendo la finestra all'altro capo della stanza. «Là!» gridò Fran, indicando una figura appena visibile nella penombra della sera. Vide balenare una minuscola fiamma, poi un braccio che la sollevava e quindi sembrava ritrarsi, e allora comprese. Lo sconosciuto stava per scagliare all'interno un ordigno incendiario. Voleva far saltare in aria il laboratorio... con loro dentro. Lowe si divincolò. Fuggire era inutile, Fran lo sapeva, ma era decisa a provarci ugualmente. «La prego, dottore!» Veloce come il lampo, lui infilò la mano sotto il banco, ne estrasse un fucile a pallini, armò il cane, puntò e sparò. Il fragore assordò Fran. Vide il braccio che sorreggeva la fiamma scomparire, poi udì il tonfo di un corpo
che cadeva. Un istante dopo, le fiamme si levarono sulla veranda. Il dottor Lowe staccò un estintore dalla parete e glielo gettò, quindi corse verso una cassaforte a muro, la aprì e con frenesia cominciò a frugarvi dentro. Fran si sporse dalla finestra. Le fiamme lambivano i piedi del loro assalitore, sdraiato sulla veranda. L'uomo gemeva e si artigliava il petto, come per arginare il sangue che ne sgorgava. Fran pigiò la leva e un getto di schiuma uscì dall'estintore, spegnendo le fiamme che circondavano il ferito. Ma l'incendio aveva già avviluppato la ringhiera di legno e ormai stava minacciando i gradini. Parte del combustibile usato per la bomba incendiaria si era insinuato tra le fessure delle assi del pavimento, e sotto di esse si vedevano già guizzare altre lingue di fuoco. L'estintore non era sufficiente, pensò Fran. E se avesse aperto la porta che dava sulla veranda, le fiamme avrebbero raggiunto il serbatoio di ossigeno. «Esca di lì. dottore», urlò. Lo vide annuire e correre fuori con le braccia piene di carte. Sentì i suoi passi in corsa sulle scale. Guardò di nuovo verso la veranda. Doveva portare in salvo il ferito. Lasciarlo lì era impensabile; la casa sarebbe esplosa da un momento all'altro. E c'era un solo modo per riuscirci. Senza mollare l'estintore, Fran s'infilò nella finestra e uscì sulla veranda. L'incendio sembrava avere ripreso vigore e le fiamme, di nuovo pericolosamente vicine all'uomo, minacciavano di attaccare le pareti. Con la schiuma, Fran si creò una sorta di piccolo corridoio tra la finestra e le scale. L'aggressore era caduto quasi in cima. Posò l'estintore e infilate le mani sotto la spalla destra dell'uomo, lo rovesciò. Lo vide vacillare per un istante, poi rotolare su se stesso e infine cadere giù dalle scale con un grido. I piedi di Fran non facevano più presa sul pavimento reso scivoloso dalla schiuma. Cadde a sua volta, urtando la testa contro il primo gradino e la spalla contro il bordo del secondo. Quando finalmente piombò a terra, aveva una caviglia slogata. Stordita, riuscì a rimettersi in piedi proprio mentre il dottor Lowe sbucava da dietro l'angolo della casa. «Lo prenda», urlò lei. «Mi aiuti a portarlo fuori prima che questo posto esploda.» Nella caduta l'uomo aveva perso definitivamente conoscenza, e ora il suo corpo era inerte. Con uno sforzo sovrumano, e grazie all'aiuto di Lowe, Fran riuscì a trascinarlo per almeno tre metri prima che l'esplosione
tanto accuratamente pianificata da Calvin Whitehall avesse luogo. Corsero verso la salvezza mentre le fiamme guizzavano alte e i detriti rovinavano intorno a loro. 85 Quando Fran se ne fu andata, Molly salì in bagno e si fermò davanti allo specchio a studiare il proprio volto. Ancora una volta pensò che quel viso non le era familiare, le sembrava quasi di stare guardando un'estranea... qualcuno che non le sarebbe interessato molto conoscere. «Eri Molly Carpenter, vero?» sussurrò alla sua immagine. «E Molly Carpenter era una persona fortunata, addirittura privilegiata. Be', sai una cosa? Non è più qui, e tu non puoi continuare a fingere di essere lei. Puoi solo tornare a essere un numero che vive nel raggio di una prigione. Non pare una prospettiva molto divertente, vero? No, come idea non è proprio un granché.» Aprì i rubinetti della Jacuzzi. versò nella vasca i sali da bagno profumati, poi passò in camera. Jenna le aveva detto che doveva fermarsi a un cocktail prima di venire da lei; sarebbe stata la sua domestica a portare loro la cena. La mia amica sicuramente sarà bellissima, pensò Molly, ma io la sorprenderò... stasera sarò Molly Carpenter per l'ultima volta, decise. Un'ora dopo, con i capelli lucenti appena lavati, il viso truccato per nascondere le occhiaie e indosso un paio di pantaloni di seta verde e una camicetta in tinta, lei si mise ad aspettare l'arrivo di Jenna. L'amica si presentò alle sette e mezzo, bella come Molly aveva immaginato. «Sono in ritardo», si scusò. «Ero dagli Hodges, dei clienti dello studio. C'erano tutti quelli che contano, proprio non ce l'ho fatta a venire via prima.» «Io comunque non dovevo andare da nessuna parte», osservò quietamente Molly. L'altra si allontanò di un passo per guardarla meglio. «Che cosa hai fatto? Sei splendida, un'autentica meraviglia.» Molly alzò le spalle. «Dici? Ehi, che cosa si è messo in testa tuo marito? Che abbiamo intenzione di ubriacarci? Con la cena sono arrivate anche tre bottiglie di quell'ottimo vino che lui aveva portato l'altra sera.» Jenna rise. «Tipico di Cal. Una bottiglia sarebbe stato un omaggio genti-
le, tre servono a ricordarti che razza di persona importante sia lui. Ma ci sono difetti peggiori.» «Certamente», assentì Molly. «Apriamone subito una. Dobbiamo spassarcela. Fingiamo di essere ancora le ragazze che dettavano la moda in questa città.» E lo facevamo davvero, pensò Molly. Ho fatto bene a vestimi in modo elegante. Questo potrebbe essere il mio canto del cigno, ma sarà divertente, e ormai so quello che devo fare stanotte. Non sarò più la detenuta sul banco degli imputati. Con che coraggio Fran ha cercato di farmi sentire in colpa? Che cosa ne sa lei? Ricordò le sue parole: «Sono arrabbiata con mio padre... no, sono furente... abbi fiducia in Philip. Forse a te non importa, ma lui ti ama». Le due amiche erano in piedi davanti al banco del bar ricavato in una nicchia del corridoio che collegava la cucina al tinello. Da un cassetto, Jenna recuperò l'apribottiglie e aprì il vino. Lo versò in due delicati calici di cristallo. «Mia nonna li aveva uguali», osservò. «Ricordi i testamenti delle nostre nonne? Tu ereditasti questa casa, e Dio sa che altro. Io invece dei bicchieri come questi. Era più o meno tutto quello che era rimasto alla nonna quando se ne andò da questo mondo.» Versò il vino e tese all'altra un bicchiere. «In alto i calici.» Mentre brindavano, a Molly parve di vedere negli occhi di Jenna qualcosa di insolito, una scintilla che non aveva mai notato prima. Ma non sapeva a cosa attribuirla. 86 Lou sarebbe dovuto rientrare entro le nove e trenta. Com'era sua abitudine, Calvin Whitehall aveva calcolato con precisione il tempo necessario a raggiungere West Redding, sbrigare la faccenda e tornare. Ora, con gli occhi fissi sull'orologio della biblioteca, ammise finalmente che se il suo uomo non fosse tornato al più presto, avrebbe dovuto prendere in considerazione la possibilità che qualcosa fosse andato storto. Un vero peccato, pensò, perché quello era un gioco in cui si vinceva o si perdeva. Non c'erano mezze misure; non c'era modo di contenere i danni in caso di fallimento. Alle dieci, cominciò a chiedersi quanta distanza avrebbe potuto frapporre tra sé e il suo fedele assistente. Erano le dieci e dieci quando squillò il campanello della porta. Come
spesso faceva, aveva lasciato la serata libera alla domestica. Lo infastidiva avere sempre gente intorno, benché capisse che quell'irritazione nasceva dalle sue origini. Quali che siano i risultati raggiunti, rifletté, gli umili inizi scatenano sempre reazioni da umili. Mentre andava ad aprire, colse la sua immagine riflessa nello specchio. Vide un uomo dal torace ampio, con una carnagione rubizza e i capelli che andavano diradandosi. Chissà perché, gli tornò alla mente un'osservazione che gli era capitato di sentire il giorno della laurea, a Yale. La madre di uno dei suoi compagni di corso aveva bisbigliato: «Cal non sembra a suo agio nel suo vestito di Brooks Brothers». Non si sorprese di trovarsi davanti non una, bensì quattro persone. Uno uomo disse: «Signor Whitehall, sono l'agente investigativo Burroughs, dell'ufficio del procuratore di stato. Lei è in arresto per concorso in omicidio ai danni di Frances Simmons e Adrian Lowe». Concorso in omicidio, pensò lui, lasciando che la frase echeggiasse nella sua mente. Era ancora peggio di quanto avesse previsto. Guardò l'agente Burroughs, il quale lo ricambiò con un'occhiata quasi allegra. «Per sua informazione, signor Whitehall, il suo complice, Lou Knox, sta cantando come un uccellino dal suo letto d'ospedale. Ah, e un'altra buona notizia... proprio in questo momento il dottor Adrian Lowe sta rilasciando una dichiarazione al distretto di polizia. Pare gli si sia enormemente grato per avergli concesso di portare avanti le sue criminali ricerche.» 87 Alle sette, Philip Matthews era già davanti alla casa degli Hilmer. Sperava che rientrassero prima del previsto, ma erano le nove e dieci quando li vide arrivare. «Mi dispiace molto», si scusò Arthur Hilmer. «Sapevamo che c'erano buone probabilità di trovare qualcuno ad aspettarci, ma la nostra nipotina partecipava alla recita e... sa come vanno queste cose.» Philip sorrise. Un brav'uomo, fu il suo primo pensiero. «No, naturalmente lei non lo sa», si corresse subito Hilmer. «Nostro figlio ha quarantaquattro anni e lei probabilmente è suo coetaneo, penso.» Philip sorrise di nuovo. «Sa leggere i fondi di caffè?» scherzò. Si presentò, e in poche parole spiegò la drammatica situazione in cui Molly si trovava, dicendo che era suo desiderio garantirle la miglior difesa possibile. Entrarono. Jane Hilmer, una sessantacinquenne di aspetto gradevole, gli
chiese se voleva una bibita, un bicchiere di vino o un caffè, ma Philip rifiutò. Il marito parve capire che lui era ansioso di arrivare al punto. «Oggi abbiamo parlato con Bobby Burke al Sea Lamp», esordì. «Siamo rimasti di sasso quando ci ha raccontato che cos'è successo in quel locale domenica sera. Noi eravamo andati a vedere un film nel centro commerciale e, sulla via del ritorno, ci siamo fermati lì a mangiare un panino.» «La mattina dopo siamo partiti per andare a trovare nostro figlio a Toronto», interloquì Jane. «Siamo rientrati solo ieri sera e oggi, quando siamo andati al Sea Lamp per pranzare prima di recarci alla recita di Janie, abbiamo saputo.» Guardò il marito. «Proprio così. Come le ho detto, siamo rimasti di sasso. E naturalmente abbiamo subito spiegato a Bobby che eravamo pronti a dare una mano. Probabilmente lui le avrà già riferito che abbiamo avuto modo di vedere bene il tizio seduto su quella berlina, nel parcheggio.» «Infatti», assentì Philip. «Quello che vorrei da voi è che domattina andaste all'ufficio del procuratore di stato a rilasciare una dichiarazione. Poi vorrei che parlaste con il disegnatore della polizia. Un identikit di quell'uomo ci sarebbe di grande utilità.» «Ne saremo felicissimi», rispose Arthur Hilmer. «Ma forse io posso fare anche di più. Vede, abbiamo osservato con particolare attenzione entrambe le donne, mentre uscivano. Quando la prima è passata accanto al nostro tavolo, abbiamo subito capito che era sconvolta. Poi la signora bionda, quella elegante, che ora so essere Molly Lasch, è uscita a sua volta. Piangeva e l'ho sentita chiamare: 'Annamarie'.» Philip s'irrigidì. Per favore, niente cattive notizie, pregò in silenzio. «Ma era evidente che l'altra non l'aveva sentita», riprese l'uomo. «C'è una finestrella ovale proprio sopra la cassa. Da dove ero seduto riuscivo a vedere il parcheggio, o almeno il settore più vicino alla tavola calda. La prima donna deve averlo attraversato per raggiungere l'angolo più buio, e l'ho persa di vista. Ma sono certo di aver osservato la seconda... Molly Lasch, intendo dire... andare dritta alla sua auto e mettere in moto. Sono disposto a giurare che in nessun modo avrebbe potuto raggiungere la jeep e pugnalare l'altra donna, certamente non nel poco tempo trascorso dal momento in cui l'ho vista uscire a quando si è allontanata a bordo della sua automobile.» Philip non si rese conto di avere gli occhi umidi fino a che non se li asciugò istintivamente con la mano. «Non so che cosa dire...» cominciò, ma
subito s'interruppe e balzò in piedi. «Forse domani riuscirò a trovare le parole giuste per ringraziarvi», esclamò. «Ma ora devo correre a Greenwich.» 88 Il dottor Biack era in piedi davanti alla finestra della sua camera, con un bicchiere di scotch in mano. Il suo sguardo appannato era fisso sulle due auto sconosciute che stavano entrando nel vialetto di casa. Non ebbe bisogno di notare le maniere spicce dei quattro uomini che scesero per capire che non c'era più niente da fare. Cal il Potente alla fine è crollato, pensò con una punta di divertimento. Peccato che abbia trascinato anche me nella caduta. Ci vuole sempre un piano di riserva... era uno dei motti preferiti di Calvin Whitehall. Chissà se ne ha uno anche per quest'occasione, si chiese. Ma la verità è che quell'uomo non mi è mai piaciuto e che di fatto non me ne importa nulla. Black si avvicinò al comodino e aprì il cassetto. Da un astuccio di pelle estrasse una siringa ipodermica, già pronta. Per qualche istante indugiò a fissarla, quasi con curiosità. Quante volte, mosso da compassione, rifletté, aveva praticato quella stessa iniezione, sapendo che gli occhi fiduciosi posati su di lui ben presto si sarebbero annebbiati, e poi chiusi per sempre. Stando al dottor Lowe, quel particolare farmaco non lasciava tracce nel sangue e non causava dolore. Pedro stava bussando alla porta della camera per annunciargli l'arrivo di ospiti inattesi. Il dottor Peter Black si stese sul letto. Bevve un ultimo sorso di scotch poi si conficcò l'ago nel braccio. Sospirò mentre fugacemente pensava che il dottor Lowe aveva avuto ragione; non si sentiva dolore. 89 «Sto bene, davvero», insistette Fran. «Non ho niente di rotto.» Aveva rifiutato di farsi ricoverare in ospedale e un'autopattuglia l'aveva portata direttamente all'ufficio del procuratore, a Stamford. Da lì aveva chiamato Gus Brandt per riferirgli gli avvenimenti della serata. Usando il collegamento telefonico, lui aveva mandato in onda il servizio di Fran, corredandolo con immagini di repertorio.
Quando la polizia era arrivata sul luogo dell'esplosione, il dottor Lowe aveva annunciato la propria intenzione di consegnarsi alle autorità e di rendere una pubblica dichiarazione sulle sue scoperte scientifiche. Con l'incendio che ancora divampava alle sue spalle, e le cartelle strette fra le braccia, si era scusato con Fran. «Sarei potuto morire, signorina Simmons. E tutto quello che ho realizzato sarebbe scomparso con me. È importante che il materiale sia reso pubblico al più presto.» «Dottore», aveva replicato Fran, «non posso fare a meno di notare che, pur avendo ampiamente superato la settantina, lei non è poi così fatalista quando è la sua vita a essere in pericolo.» La polizia li condusse entrambi nell'ufficio del procuratore di stato, dove Fran rese la sua dichiarazione al viceprocuratore Rudy Jacobs. «Avevo registrato la mia conversazione con il dottor Lowe», disse. «Se solo avessi pensato a salvare dalle fiamme il registratore...» «Non ce n'è bisogno», la rassicurò l'altro. «Da quanto mi dicono, il nostro bravo dottore sta cantando come un canarino. Stiamo registrando le sue dichiarazioni sia su nastro sia su videocassetta.» «Avete identificato l'uomo che ha cercato di ucciderci?» «Sicuro. Si chiama Lou Knox. Vive a Greenwich ed è l'autista di Calvin Whitehall. Anche se evidentemente sbrigava per lui parecchi altri lavoretti.» «È molto grave?» «Qualche pallino nella spalla e nel braccio, e qualche ustione, ma si riprenderà. Anche lui sta parlando a ruota libera. Sa che lo abbiamo incastrato e la sua unica speranza sta nel fornirci la massima collaborazione.» «Avete arrestato anche Calvin Whitehall?» «È appena arrivato. Lo stanno imputando formalmente proprio adesso.» Le labbra di Fran si curvarono in un sorriso amaro. «Non potrei dargli un'occhiata? Ero compagna di scuola di sua moglie, ma lui non l'ho mai incontrato. Mi piacerebbe vedere il tizio che ha cercato di farmi a pezzettini.» «Non vedo perché no. Mi segua.» L'uomo robusto, quasi calvo, dai lineamenti grossolani e con indosso una polo sgualcita, fu una sorpresa per Fran. Proprio come il dottor Lowe, non assomigliava affatto all'idea che si era fatta di lui; in quell'individuo malandato non c'era nulla che evocasse «Cal il Potente», come Jenna amava chiamare il marito. Anzi, le fu difficile immaginare la sua amica, bella, elegante e raffinata, sposata con un uomo tanto rozzo.
Jenna! Dio, per lei sarà un colpo terribile, pensò. Stasera dovrebbe essere da Molly; chissà se ha già saputo. Suo marito andrà certamente in carcere. E il rischio che ci finisca anche Molly sussiste ancora. A meno, naturalmente, che quello che ho scoperto stasera sul Lasch Hospital non le sia di aiuto. Mio padre ha preferito uccidersi, piuttosto che rischiare la prigione. Che strano legame unisce noi ragazze della Cranden Academy... in un modo o nell'altro, tutt'e tre siamo entrate in contatto con la realtà carceraria. Si girò verso il viceprocuratore. «Signor Jacobs, sto cominciando a sentire dolori dappertutto. Ora approfitterei di quel passaggio a casa, se non le dispiace.» «Certo, signorina Simmons.» «Prima però potrei fare una telefonata? Vorrei ascoltare la mia segreteria telefonica.» «Sicuro. Torniamo nel mio ufficio.» C'erano due messaggi: Bobby Burke, il barista del Sea Lamp Diner aveva telefonato alle quattro per riferirle di avere rintracciato la coppia che aveva assistito al burrascoso congedo fra Molly e Annamarie Scalli. Fantastico, pensò Fran. La seconda telefonata era di Edna Barry ed era stata registrata alle sei. «Signorina Simmons, è molto difficile per me, ma sento che è arrivato il momento di fare chiarezza. Ho mentito riguardo alla chiave di scorta, perché temevo che mio figlio fosse... coinvolto nella morte del dottor Lasch. Wally è un ragazzo con tanti problemi.» Fran s'incollò la cornetta all'orecchio. Edna singhiozzava così forte che era difficile capire quello che diceva. «Signorina Simmons, a volte Wally racconta delle storie. Sente delle voci nella sua testa e crede che siano vere. Ecco perché avevo tanta paura per lui.» «Sta bene, signorina Simmons?» le chiese Jacobs, notando la sua espressione d'intensa concentrazione. Fran si portò un dito alle labbra per tacitarlo. La voce esitante di Edna proseguì: «Non ho mai permesso a Wally di parlarne, lo zittivo ogni volta che lui ci provava. Ma ora ha tirato fuori un particolare nuovo che, se corrisponde a verità, può essere molto, molto importante. «Sostiene di aver visto Molly arrivare a casa la notte dell'omicidio del dottor Lasch. Dice di averla vista entrare e accendere la luce nello studio.
Mio figlio era fuori della finestra, e quando lei ha acceso la luce, ha visto il dottor Lasch coperto di sangue. «Adesso arriva la parte importante... sempre che sia vero, e non solo una delle tante cose che Wally s'immagina. Lui giura di aver visto la porta d'ingresso aprirsi e una donna uscire. Scorgendolo, la donna si sarebbe affrettata a rientrare in casa. Wally non ebbe la possibilità di guardarla in faccia e non sa chi sia. Subito dopo, è corso via». Una breve pausa e altri singhiozzi, poi: «Signorina Simmons, avrei dovuto permettere alla polizia di interrogarlo, ma lui non mi aveva mai parlato di quella donna prima d'ora. Non volevo danneggiare Molly... è solo che avevo tanta paura per mio figlio». Per qualche istante i singhiozzi le impedirono di continuare. «Ecco, questo è quello che volevo dirle», riprese Edna quando si fu calmata. «Immagino che lei o l'avvocato di Molly vorrete parlarci, domani. Ci troverete qui. Arrivederci.» Fran era stupefatta. Wally sostiene di aver visto Molly arrivare a casa, pensò. È evidente che quel ragazzo è disturbato, e potrebbe non essere considerato un testimone attendibile. Ma se dice la verità, se ha visto davvero una donna uscire da casa Lasch... Si sforzò di rammentare ciò che Molly le aveva raccontato di quella sera. Lei aveva avuto la certezza che in casa ci fosse qualcun altro. Aveva parlato una sorta di ticchettio. Ma chi era la donna? si chiese. Annamarie? Scosse la testa. No, non era credibile... un'altra infermiera con cui Gary si divertiva? Un ticchettio. Anch'io ho sentito un suono simile a casa di Molly, si rese conto improvvisamente. Proprio ieri, quando sono passata a trovarla... e c'era Jenna con lei. Il rumore dei tacchi alti sul pavimento del corridoio. Jenna. «Vecchio amico, migliore amico», diceva. Possibile? Nessuna traccia di effrazione, nessun segno di lotta. Wally aveva visto una donna uscire dalla casa. Gary doveva essere stato ucciso da qualcuno che conosceva bene. Non Molly. Non Annamarie. Quelle fotografie... il modo in cui Jenna guardava il giovane dottore... 90 «No, Jenna, basta, dico sul serio. Giuro che mi sento già brilla.» «Santo cielo, Mol, hai bevuto solo un bicchiere e mezzo.» «Pensavo che fosse già il terzo.» Molly scosse la testa, come per schia-
rirsi le idee. «È forte, quel vino.» «Che differenza fa? Con tutti i problemi che hai, rilassarti non può che farti bene. A cena non hai quasi toccato cibo.» «Ho mangiato a sufficienza, ed era tutto buonissimo. Solo che non avevo molta fame.» Alzò la mano in un gesto di protesta quando Jenna le riempì nuovamente il bicchiere. «No, non ce la faccio più. Mi gira la testa.» «E tu lasciala girare.» Erano nello studio, sprofondate in due comode poltrone imbottite collocate una di fronte all'altra e separate da un tavolino basso. Per qualche minuto rimasero in silenzio; lo stereo diffondeva a basso volume musica jazz. Molly approfittò di una pausa tra un brano e l'altro per dire: «Lo sai? Ieri notte ho avuto un incubo, una specie di allucinazione. È stata un'esperienza davvero inquietante. Mi è sembrato di vedere Wally Barry fuori, davanti alla finestra». «Santo cielo!» «Non ero proprio spaventata, solo stupita. Wally Barry non mi farebbe mai del male, lo so. Ma poi ho distolto lo sguardo da lui... e questa stanza era di nuovo come l'aveva arredala Gary, come l"ho vista quella sera tornando a casa, quando l'ho trovato morto alla scrivania. Sai, credo di aver individuato il nesso che mancava... penso che Wally fosse davvero qui, quella sera.» Molly se ne stava semiabbandonata sulla poltrona, con la testa appoggiata sulla spalliera. Cominciava a sentirsi insonnolita e tenere gli occhi aperti le costava una gran fatica. Che cosa stavo dicendo? si domandò. Qualcosa a proposito di quando ho trovato Gary. Gary. Spalancò gli occhi e si alzò a sedere. «Jen. ho appena detto una cosa importante.» L'altra rise. «Tutto quello che dici è importante, Mol.» «Questo vino ha uno strano sapore...» «Ti consiglio di non dirlo a Cal il Potente. La prenderebbe come un'offesa.» «Click, tac. Quel rumore...» «Molly, Molly, stai diventando isterica.» Jenna si alzò e le andò vicino. In piedi accanto alla poltrona, si chinò ad abbracciare l'amica, posandole la guancia sulla testa. «Fran è convinta che io voglia uccidermi.»
«Ed è vero?» chiese Jenna, perfettamente calma. Si rialzò e andò a sedersi sul tavolino. «Così pensavo. Era quello che avevo deciso di fare. Ecco perché mi sono vestita così. Volevo che tu mi trovassi elegante.» «Tu sei sempre elegante», mormorò Jenna con dolcezza. Fece scivolare il bicchiere verso l'amica, ma quando Molly tentò di prenderlo, lo rovesciò. «Non c'è molta eleganza nella goffaggine», borbottò, tornando a sprofondare nella poltrona. «Jen, ho visto davvero Wally alla finestra, quella sera. Ne sono sicura. Forse quella di ieri sera era soltanto un'allucinazione, ma non lo fu certamente sei anni fa. Chiamalo, vuoi? Chiedigli di venire qui.» «Sii ragionevole, tesoro», rispose Jenna. «Sono le dieci.» Asciugò il piano del tavolo con un tovagliolino di carta. «Ti riempio di nuovo il bicchiere.» «Noo. No... no. Ho bevuto abbastanza.» Mi fa male la testa, pensò Molly. Click, tac. «Click, tac.» mormorò. «Che cosa?» «Il rumore che udii quella notte. Click... tac. Click, click, click.» «L'hai sentito davvero, tesoro?» «Uh-hu.» «Molly, qualcosa mi dice che stai recuperando la memoria. Avresti dovuto ubriacarti prima, sai. Ora stai lì seduta tranquilla e rilassati. Io vado a riempire questo.» Molly sbadigliò mentre Jenna prendeva il bicchiere vuoto e si dirigeva in cucina. «Click, click, click», disse poi ad alta voce, in perfetta sincronia con il ticchettio dei tacchi di Jenna sul pavimento. 91 Durante il tragitto, Philip decise che avrebbe fatto meglio ad avvertire Molly che stava arrivando, prima di presentarsi a casa sua. Compose il suo numero di telefono; lei o Jenna avrebbero risposto. Con ansia crescente, ascoltò l'apparecchio squillare sette, otto, dieci volte. Molly dorme così profondamente da non udire gli squilli, cercò di rassicurarsi, oppure ha abbassato la suoneria. Ma perché dovrebbe farlo? Siamo in pochissimi ad avere il suo numero, e dubito che a questo punto voglia rischiare di non restare in contatto con tutti noi.
Ripensò alla conversazione di quel pomeriggio. Lei gli era parsa così inquieta, depressa... sì, forse stava dormendo. Ma no, rammentò subito dopo; c'era Jenna con lei. Arrivato all'incrocio, imboccò la strada dove si trovava casa Lasch. D'altra parte, Jenna poteva essersene andata di buon'ora. Guardò l'orologio sul cruscotto: erano le dieci. Non è poi così presto, considerò. Forse Molly ha finalmente deciso di concedersi una buona nottata di sonno. Che faccio? Torno a casa? No, decise infine. Voleva riferire a Molly quello che gli avevano detto gli Hilmer, anche a costo di trascinarla giù dal letto. Dopo tutto, le portava delle ottime notizie; valeva certamente la pena di svegliarla. Era quasi arrivato quando un'autopattuglia con il lampeggiante in funzione lo superò. In preda al panico, Philip vide la macchina della polizia entrare nel vialetto di casa di Molly. 92 Jenna ricomparve nello studio con il bicchiere pieno. «Ehi, che cosa stai facendo?» Molly si era spostata sul divano, su cui aveva disposto le foto che poco prima avevano esaminato insieme. «Il viale delle rimembranze», replicò strascicando le parole. Prese il bicchiere che l'amica le porgeva e lo sollevò in un brindisi scherzoso. «Santo cielo, ma guardaci!» esclamò, gettando una fotografia sul tavolino. «Eravamo felici allora... o almeno io lo credevo.» Jenna sorrise all'amica. «Lo eravamo davvero, Molly. Noi quattro insieme eravamo una forza. Peccato che sia dovuta finire.» «Uh-hu.» Molly bevve un sorso di vino, poi sbadigliò. «Mi si stanno chiudendo gli occhi. Scusami.» «La cosa migliore che puoi fare è finire il vino e poi concederti una bella dormita.» «Noi quattro» ripeté Molly, con la voce sempre più incerta. «Mi piace stare con te, Jenna, ma non con Cal.» «Cal non ti piace, vero?» «Non piace neppure a te. Anzi, credo che tu lo detesti. Ecco perché tu e Gary...» Molly si accorse solo vagamente del bicchiere che le veniva tolto di mano, di Jenna che le passava un braccio intorno alle spalle e le riaccostava il
bicchiere alle labbra, bisbigliando con voce suadente: «Bevi, Molly, bevi ancora». 93 «Quella è l'auto di Jenna», gridò Fran quando lei e Jacobs entrarono nel vialetto di casa Lasch. «Dobbiamo sbrigarci... è là dentro con Molly!» Sull'autopattuglia assieme a loro c'erano due agenti. Prima ancora che la macchina si fosse fermata, Fran spalancò la portiera. Saltò giù, e in quel momento un'altra auto imboccò a tutta velocità il vialetto. Dimentica del dolore pulsante alla caviglia, lei balzò sui gradini e premette il campanello. «Che succede, Fran?» Philip Matthews la stava raggiungendo di corsa. Anche lui aveva paura per Molly? si chiese Fran fugacemente. Si udì lo squillo ripetuto del campanello echeggiare all'interno della casa. «È successo qualcosa a Molly?» Philip le stava accanto, affiancato dagli agenti. «Jenna! È stata lei! Dev'essere così. C'era lei, la sera in cui Gary morì. Non può permettere a Molly di ricordare, sa che quella sera la sentì precipitarsi fuori di casa, ed è disperata. Dobbiamo fermarla!» urlò Fran. «Buttate giù la porta», ordinò Jacobs agli agenti. Era solida, di mogano, e ci vollero parecchi minuti prima che l'ariete la scardinasse, abbattendola. Irruppero nell'ingresso proprio nell'istante in cui un altro rumore echeggiava per tutta la casa... le grida di Jenna che chiedeva aiuto. La trovarono nello studio, inginocchiata vicino al divano, dove Molly era riversa con la testa che copriva parzialmente una foto del marito. Aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto; una mano che penzolava fuori dal bordo. Sul tappeto c'era un bicchiere rovesciato e si allargava una macchia di vino. «Non avevo capito!» gemeva Jenna. «Probabilmente ogni volta che uscivo dalla stanza lei si metteva qualche sonnifero nel vino.» In lacrime, si gettò sul corpo inerte di Molly e cominciò a cullarla. «Oh, Molly! Svegliati... svegliati...» «Le stia lontano.» Con un gesto brusco, Philip Matthews l'afferrò per le spalle e la scostò. Poi si chinò a sollevare Molly. «Non puoi morire, non
ora!» gridò. «Non ti lascerò morire.» Prima che gli altri avessero il tempo di aiutarlo, l'aveva presa tra le braccia e correva verso il bagno degli ospiti. Jacobs e uno degli agenti lo seguirono. Pochi istanti dopo, Fran sentì lo scroscio dell'acqua della doccia, seguito quasi subito dai conati di vomito di Molly. Jacobs ricomparve. «Prendete l'ossigeno dall'auto!» gridò a uno dei suoi. E all'altro: «Chiama un'ambulanza». «Continuava a ripetere che voleva morire», farfugliò Jenna. «Andava spesso in cucina a riempirsi il bicchiere. Diceva cose strane. Sosteneva che tu eri arrabbiata, che volevi ucciderla, Fran. È pazza! Non ci sta più con la testa.» «Se mai Molly è stata pazza, Jenna, è quando si è fidata di te», rispose Fran senza scomporsi. «È vero.» Molly era rientrata, sorretta da Philip e da un agente. Era bagnata e intontita, ma i suoi occhi e la sua voce esprimevano una condanna inequivocabile. «Hai ucciso mio marito», disse. «E hai cercato di uccidere anche me. Sei tu la persona che era qui quella notte. Ho sentito i tuoi tacchi lungo il corridoio. Io avevo chiuso la porta d'ingresso e avevo inserito anche il fermo. Era quello il rumore che ricordavo... il ticchettio dei tuoi passi in corridoio. Poi tu che disinserivi il fermo e aprivi la serratura.» «Wally Barry ti ha visto, Jenna», intervenne Fran. Ha visto una donna, si corresse mentalmente. E non l'ha vista in faccia, ma forse lei mi crederà. «Jenna», gemette Molly, «hai permesso che io passassi cinque anni e mezzo in prigione per un crimine che tu avevi commesso. E avresti lasciato che mi arrestassero di nuovo per la morte di Annamarie. Perché, Jenna? Dimmelo.» Lo sguardo dell'altra si spostava inquieto tra i presenti. «Ti sbagli, Molly», cominciò; i suoi occhi avevano ancora un'espressione supplichevole. Ma s'interruppe quasi subito, conscia dell'inutilità dei propri sforzi, sapendo di essere in trappola. Era tutto finito. «Perché?» chiese allora. «Perché?» ripeté a voce più alta. «Perché la tua famiglia aveva il denaro? Perché Gary e io siamo stati costretti a sposare quello che tu e Cal potevate offrirci? Perché ti ho presentato Gary? E perché noi quattro eravamo sempre insieme? Davvero non lo sai? Ma perché Gary e io potessimo vederci il più possibile... perché non ci bastavano le
volte in cui stavamo insieme da soli!» «Signora Whitehall, ha diritto di rimanere in silenzio», la ammonì Jacobs. Jenna lo ignorò. «Ci siamo innamorati nell'attimo stesso in cui ci siamo incontrati. Poi, quella domenica pomeriggio, tu mi raccontasti che Gary aveva una relazione con un'infermiera e che lei era incinta.» Jenna proruppe in una risata amara. «Ero diventata la terza donna. Decisi di venire qui per chiarire le cose. Parcheggiai in strada, in modo che tu non vedessi la mia auto se fossi tornata in anticipo. E lui mi fece entrare. Litigammo. Gary voleva che me ne andassi prima del tuo ritorno. Si sedette alla scrivania e, girandomi le spalle, disse: 'Sto cominciando a pensare che sposare Molly non sia stato un errore. Per lo meno lei, quando è arrabbiata, se ne va a Cape Cod e si rifiuta di parlarmi. Ora vattene a casa e lasciami in pace'.» Ogni traccia di collera svanì dalla sua voce. «E poi è successo. Non lo avevo pianificato. Non intendevo farlo.» L'urlo dell'ambulanza che si avvicinava ruppe il silenzio che aveva fatto seguito alle parole di Jenna. Fran si voltò verso Jacobs. «Per amor di Dio, fate in modo che l'ambulanza non porti Molly al Lasch Hospital!» 94 «La puntata di ieri sera ha registrato indici d'ascolto altissimi», disse Gus Brandt. Erano passate sei settimane. «Congratulazioni. È il migliore episodio di True Crime che sia mai andato in onda.» «Be', è soprattutto merito tuo», replicò Fran. «Se non mi avessi incaricata di occuparmi del rilascio di Molly dal carcere, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto, oppure sarebbe accaduto senza di me.» «Ho apprezzato soprattutto la conclusione, la parte in cui Molly parla dell'importanza di avere fiducia in se stessi e di tenere duro anche quando ci si sente sopraffatti dalle circostanze. Secondo lei, è merito tuo se non si è suicidata.» «Jenna ce l'aveva quasi fatta», sospirò Fran. «Se il suo piano avesse funzionato, nessuno di noi avrebbe dubitato che Molly si fosse suicidata. Eppure, credo che qualche dubbio io l'avrei avuto comunque. Non penso che, arrivata al dunque, avrebbe preso quelle pillole.» «Sarebbe stata di certo una grande perdita... è una donna molto bella», commentò Gus.
Fran sorrise. «Sì, lo è sempre stata... dentro e fuori. È questa la cosa più importante, non credi?» Brandt ricambiò il sorriso, mentre un'espressione di benevolenza si dipingeva sul suo volto. «Certamente. E a proposito di cose importanti... credo che tu ti sia meritata una pausa. Prenditi una giornata libera. Che ne dici di domenica?» La ragazza rise. «Cos'è, hanno istituito un premio Nobel per la generosità?» Con le mani in tasca, la testa china in quello che i suoi fratelli chiamavano «l'atteggiamento da pensatore di Franny», fece ritorno nel suo ufficio. In effetti ho proprio la sensazione di avere esaurito le batterie, riconobbe. È finita, grazie al cielo, ma mi sto ancora leccando le ferite. Quante cose erano accadute! Nel tentativo di evitare una probabile condanna a morte, Lou Knox si era affrettato a fornire tutte le informazioni in suo possesso riguardo a Calvin Whitehall e ai misteriosi accadimenti del Lasch Hospital. La pistola che gli avevano trovato addosso era quella con cui era stato ucciso il dottor Jack Morrow. «Cal mi disse che era uno di quei tipi che creano sempre grane», aveva raccontato ai poliziotti. «Faceva troppe domande sulla morte di alcuni pazienti, così me ne occupai io.» Gli Hilmer lo avevano identificato con sicurezza come l'uomo che avevano visto nel parcheggio del Sea Lamp Diner. Knox aveva spiegato così il motivo dell'uccisione di Annamarie: «Quella donna poteva diventare una grossa fonte di guai. Aveva sentito Lasch e Black parlare dell'eliminazione della vecchia signora malata di cuore. Acconsentì a coprire Black quando combinò quel pasticcio con la Colbert, ma Cal s'innervosì quando vide sul calendario di Molly l'appunto che si riferiva a un suo imminente incontro con la Scalli a Rowayton. Era sicuro che prima o poi Annamarie avrebbe spifferato tutto a Fran Simmons, e a quel punto la giornalista non avrebbe avuto difficoltà ad arrivare agli infermieri che avevano portato Tasha Colbert in ospedale, i quali erano stati pagati per dire che la ragazza aveva avuto un arresto cardiaco durante il tragitto. Se questo fosse successo, avrei dovuto occuparmi di loro; era molto più semplice liberarsi della Scalli». È raggelante ascoltare qualcuno che conta le persone che ha ucciso a sangue freddo solo perché altri le ritenevano una minaccia, rifletté Fran. Ed è ancora più sconvolgente pensare che al macabro elenco vanno aggiunti i pazienti sacrificati in nome di una pretesa ricerca scientifica.
Ora capisco che anche papà è stato una vittima. Certo, la sua debolezza ha contribuito, ma è stato Whitehall a spingerlo a mettere fine alla sua vita. Il viceprocuratore Jacobs le aveva mostrato i certificati azionali privi di valore che Lou aveva conservato come prova della piccola truffa perpetrata ai danni di Frank Simmons. «Calvin Whitehall aveva ordinato a Knox di dare una dritta a suo padre, consigliandogli di comperare quarantamila dollari di queste azioni», le aveva detto. «Era certo che ci sarebbe cascato, data la sua ammirazione per i successi finanziari di Whitehall. «E lui contava proprio sul fatto che suo padre avrebbe attinto al fondo per la biblioteca. Anche Whitehall faceva parte del comitato e aveva accesso al conto. I quarantamila dollari divennero quattrocentomila, grazie alle manipolazioni di quell'uomo, e a quel punto suo padre si rese conto che non avrebbe mai potuto restituirli, né dimostrare di non essersi appropriato dell'intera somma.» Tuttavia prese del denaro che non era suo, si disse Fran... anche se lo riteneva una sorta di prestito. Ma papà sarà contento, ora che l'altra «dritta» di Lou non è riuscita a spedirmi al Creatore. Brandt le aveva dato il compito di seguire i processi a carico del dottor Lowe, di Calvin Whitehall e di Jenna per conto dell'emittente televisiva. Ironicamente, si diceva che gli avvocati di Jenna stessero preparando una difesa basata sul delitto passionale, lo stesso reato di cui Molly si era dichiarata colpevole. Malvagi, tutti quanti, rifletté. Ma pagheranno con molti anni di carcere per quello che hanno fatto. E per fortuna il Centro Remington verrà assorbito dall'American National Insurance, gestita da un uomo per bene. Molly vuol vendere la casa e trasferirsi a New York, dove il mese prossimo comincerà a lavorare per una rivista. Philip l'ama alla follia, ma lei ha bisogno di un po' di tempo per guarire e fare chiarezza nella sua vita prima di pensare a un impegno sentimentale. Sarà quello che deve essere, e lui se ne rende conto. Fran prese il cappotto. Vado a casa. Sono stanca e ho davvero bisogno di una pausa. O forse, pensò guardando l'esposizione di fiori del Rockefeller Center, è solamente colpa della primavera. Quando si voltò, vide Tim Mason sulla porta. «È un po' che ti osservo», disse lui. «Mi sembri giù. Ma ho la cura giusta per te... andiamo allo Yankees Stadium. Subito. La partita comincia fra quarantacinque minuti.» Fran sorrise. «Una soluzione perfetta per la malinconia», acconsentì subito.
Tim la prese sottobraccio. «E per cena, hot dog e birra.» «Offri tu. Non avrai dimenticato come la pensa tua madre sull'argomento.» «Certo che no. In ogni caso, una piccola scommessa sul risultato della partita aumenterà il mio divertimento.» «Io punto sugli Yankees, ma sono pronta a concederti tre punti di vantaggio», offrì Fran. Entrarono in ascensore e la porta si richiuse dietro di loro. FINE