JONATHAN STAGGE SE CI SEI BATTI UN COLPO (Funeral For Five, 1940) Personaggi principali: HUGH WESTLAKE medico e investig...
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JONATHAN STAGGE SE CI SEI BATTI UN COLPO (Funeral For Five, 1940) Personaggi principali: HUGH WESTLAKE medico e investigatore dilettante DAWN figlia dodicenne di Westlake COBB ispettore di polizia BRUCE BANNISTER facoltoso banchiere SHEILA BANNISTER seconda moglie di Bruce GREG BANNISTER figlio di primo letto di Bruce LINETTE THORPE OLIVER THORPE figli di primo letto di Sheila TRIMBLE COMSTOCK avvocato SARAH DEANE madre di Bruce Bannister ELEANOR FRAME infermiera e medium DAVID HANLEY giovane uomo d'affari 1 Non fosse stato per mia figlia non credo mi sarei preoccupato più di tanto dei miei vicini di casa. Ma i Bannister, dal momento in cui arrivammo a Grovestown in poi, esercitarono su Dawn un fascino particolare. Naturalmente le spiegai che struggersi era inutile: la figlia di un povero medico condotto non aveva nulla da spartire con una famiglia di milionari. Al che lei mi replicò, sospirando d'invidia: «Sai, papà, loro hanno un'aria misteriosa, che mi elettrizza. Ma non si tratta di questo. È per la piscina...» E appena me lo fece notare anch'io presi amaramente coscienza del supplizio che quella piscina così a portata di mano, nel giardino accanto, ci infliggeva. La scintillante distesa d'acqua sembrava far risaltare il caldo indegno di quell'estate, e mi costringeva a ricordare la fresca casetta di campagna che avevo lasciato per consentire a un mio vecchio amico, il dottor Hammond, di prendersi un po' di vacanza. Non riuscivo a sfuggire alla piscina nemmeno in studio, giacché, mentre visitavo, mi scappava l'occhio alla finestra e guardavo infastidito i giovani corpi abbronzati che si tuffavano nell'acqua chiara e guazzavano felici. Ora, a me la vista della piscina dei Bannister procurava un malessere
passeggero. Per mia figlia, che aveva solo dodici anni, finì invece per diventare un'ossessione. Dal portico sul retro della casa si godeva una vista perfetta del giardino accanto, e Dawn passava lunghe ore seduta lì ad agognare l'occasione di far conoscenza coi vicini controllando con rigore degno di un agente della Gestapo ogni minimo spostamento dei giovani Bannister e Thorpe. Occupazione insieme malsana e improduttiva. Tantoché, contro voglia, arrivai a decidere che un intervento paterno era doveroso. Sapevo di punire me stesso molto più della ragazza. Comunque glielo comunicai. «Vista la tua spiccata tendenza agli sport acquatici, Dawn, ti ho iscritta a un campeggio estivo per ragazze. Potrai nuotare fin che vuoi. L'opuscolo dice fra l'altro che gli animatori cercheranno di stimolare le tue attitudini e ti insegneranno a renderti utile.» Presso mia figlia, così orgogliosa della sua capacità di rendersi utile, non potevo fare un passo più falso. Mi tenne il broncio. Partì per il campeggio che era ancora imbronciata. E io sprofondai nella solitudine. Senza di lei la casa del dottor Hammond mi sembrò immensa e vuota, e la mia vita divenne la malinconica routine di un vedovo solitario. Di sera poi mi sentivo più solo che mai. A volte capitava venisse il mio amico Cobb, l'ispettore della polizia di Grovestown, a fare due chiacchiere davanti a un bicchiere di whisky. Ma di solito sedevo nella frescura del portico con la sola compagnia dell'impassibile Hamish, il terrier scozzese di Dawn, e fissavo lo sguardo nell'ampio giardino che circondava la dimora del mio vicino, Bruce Bannister. Non tardai ad accorgermi che Dawn mi aveva trasmesso un morboso interesse per la famiglia dei milionari. Io li conoscevo di vista e di fama, dato che Bruce Bannister era il più quotato banchiere di Grovestown, mentre Sarah Deane, sua madre, furoreggiava negli ambienti politico-filantropici del circondario. Anche i giovani m'incuriosivano. Oltre a due ragazzi c'era una ragazza che aveva l'abitudine di salire sul trampolino di sera, per tuffarsi al chiaro di luna. Spettacolo questo che mi mozzava ogni volta il fiato e mi faceva sentire assai più giovane di quanto converrebbe a un quarantenne. Uno dei ragazzi doveva essere il figlio di Bannister, gli altri due, figli di primo letto della sua seconda moglie. La ragazza, Linette Thorpe, aveva una vocetta deliziosa. Spesso il suo canto mi arrivava dall'oscurità vellutata della notte estiva, delicato e nostalgico come quello di un usignolo. E a volte, a notte fonda, vedevo il si-
gnor Bannister passeggiare nel giardino, abbracciato alla donna che aveva di recente sposato. Il loro pareva l'idillio di due giovani innamorati piuttosto che il menage di una coppia di mezza età. Questo fu il romantico quadretto che contemplai nel corso delle prime due settimane che seguirono alla partenza di mia figlia. Poi, lentamente, mi resi conto del cambiamento. Era come se una nuvola grigia avesse oscurato il cielo: le risate che giungevano dalla piscina parevano aver perso la spontanea allegria dei primi giorni, la vocetta non si faceva quasi più sentire, le passeggiate in giardino finirono. Strano rompicapo. Non c'erano state né partenze improvvise né rotture in quella piccola comunità, così felice fino a poco tempo prima. Solo un nuovo arrivo, una ragazza alta e magra che scendeva in piscina con indosso un costume da bagno verde giada. Il bianco cadaverico delle sue braccia e delle gambe contrastava in modo singolare con l'abbronzatura degli altri tre, che parevano sprizzare salute. La ragazza sembrava un po' isolata rispetto al resto della compagnia. Con loro insomma, ma non dei loro. Probabilmente non sapeva nuotare. Mentre gli altri guazzavano, la nuova venuta se ne stava seduta sul bordo della vasca coi piedi in acqua e solo di tanto in tanto si immergeva completamente. Non riuscivo a immaginare che ruolo avesse in famiglia, ma istintivamente ero certo che la responsabilità del cambiamento fosse da imputare a lei. La battezzai "la vipera". Ma il mio interesse per i Bannister continuò a rimanere nient'altro che un passatempo. Mai avrei immaginato di diventare un loro intimo conoscente. Né mi sarei mai sognato di pensare che il destino voleva fossero proprio loro a trascinarmi in una allucinante e catastrofica avventura, disgraziata per i Bannister e rovinosa, o quasi, per la mia carriera di medico. Tutto cominciò all'improvviso. In un giorno solo conobbi tre membri della famiglia. Il primo fu Bruce Bannister in persona. Mi telefonò per fissare un appuntamento nell'ambulatorio di casa, che io tenevo la sera dopo aver assolto il mio dovere pomeridiano nell'altro studio di Hammond, in città. Sapevo che il banchiere era un paziente del mio collega, così prima di visitarlo andai a leggermi la sua cartella clinica in archivio. Da anni soffriva di periodici attacchi di angina pectoris, ma risultava che di recente avesse finalmente risposto alla terapia e gli spasmi fossero divenuti più lievi e meno frequenti.
«Bene, giovanotto, adesso bisognerà che mi sdrai e mi lasci visitare.» La sua voce era serena, ma gli occhi, inquieti e preoccupati, non riflettevano la stessa serenità. Bruce Bannister ed io avevamo più o meno la stessa corporatura. Sebbene lui fosse più vecchio di quindici o vent'anni, era scuro come me, senza un capello bianco, e si muoveva con l'agilità di un giovane. Lo visitai, poi gli chiesi che disturbi accusava. Con riluttanza ammise che negli ultimi tempi si sentiva peggio: aveva frequenti attacchi di angina e soffriva d'insonnia. Per l'insonnia gli prescrissi un sedativo. Mentre gli porgevo la ricetta gli dissi: «Quanto ai disturbi cardiaci, le solite raccomandazioni: abolire ogni eccesso e soprattutto evitare le preoccupazioni. C'è qualcosa che vi preoccupa particolarmente, in questo periodo?» «Be'... ho avuto molto da fare.» Mentre parlava, il suo sguardo mi sfuggiva. «Pensavo di rinunciare alla presidenza della "Brown e Bannister" e di ritirarmi, ma infine ho deciso di rimanere in carica ancora un po'. Ho acquistato due figli oltre a quello che già avevo, ora.» Sorrise. «E quanto prima ci sarà un nuovo arrivo in famiglia. Devo pensare al futuro di tutti loro.» Gli chiesi che cosa gli avesse prescritto il dottor Hammond contro gli spasmi dell'angina. Dalla tasca del panciotto spuntò un tubetto. «Compresse di nitroglicerina. Ne tengo un flacone nella tasca di tutti i vestiti, per un'eventuale emergenza. Senza nitroglicerina non mi muovo.» Non restava molto da dire, visto che Bruce Bannister non pareva intenzionato a spiegarmi la ragione della preoccupazione che si celava nei suoi occhi. Sulla porta abbozzò un risolino nervoso e disse: «Comunque, d'ora in poi sarò ben curato: abbiamo assunto un'infermiera specializzata.» Dunque la vipera di giada era un'infermiera. Avrei dovuto immaginarmelo, viste le gambe. Il secondo incontro con un Bannister l'ebbi non appena l'ultimo paziente lasciò l'ambulatorio. Stavo sorseggiando un cocktail sotto il portico, con Hamish che ingaggiava stizzito battaglie con una mosca, quando vidi arrivare dal giardino accanto la signora Bannister. La seconda moglie del banchiere era una donna dalle fattezze singolari. La purezza dei lineamenti del volto e la bellezza intoccabile, ieratica, suggerivano un'idea di profonda religiosità. Ricordava una suora di clausura, con quel tanto di severità verginale che è tipica del chiostro. Era difficile
pensarla madre di due figli già grandi. E mi sembrò ancor più assurdo scoprire, una volta che ebbe raggiunto il portico, che sarebbe presto diventata mamma per la terza volta. Probabilmente intuì il corso dei miei pensieri, perché quando mi alzai per salutarla, fra gli sgarbati latrati di Hamish, mi disse: «Non sono venuta per me, dottor Westlake. Mi chiedevo se era possibile parlare con voi di mio marito.» La invitai a sedere e piuttosto maldestramente le offrii un Martini. La sensazione fu di offrire un cocktail a Santa Cecilia. Rifiutò con gentilezza, accompagnando il gesto con un dolce sorriso. Ma era fin troppo ovvio che la signora Bannister numero due non approvava affatto i giovani medici che sedevano soli nel portico di casa loro a bere cocktail prima di cena. Mi fissava. «Francamente, dottor Westlake, volevo solo chiedervi se vi pare che mio marito sia talmente malato da aver bisogno di un'infermiera specializzata.» Le spiegai quel poco che sapevo su terapie e cure dell' angina pectoris. «In conclusione: chi soffre di un disturbo del genere deve essere considerato un malato vero e proprio, ma...» Mi interruppe cortesemente. «Allora, se voi pensate che sia necessaria la costante presenza di una persona specializzata, vi sarei grata se me ne indicaste una.» «Vostro marito mi ha appena detto che l'avete già assunta.» I suoi grandi occhi grigi divennero di pietra. «Preferirei che l'infermiere fosse un uomo.» Mi osservava molto seria. «Può anche darsi che Eleanor Frame sia molto preparata nel suo mestiere, ma non va bene per mio marito. Da quando è arrivata da Vancouver, Bruce continua ad avere attacchi. Voglio mandarla via, anche se è una nipote della sua prima moglie.» Così Eleanor Frame era una parente povera. Ecco spiegato perché la vipera di giada era capitata alla corte dei Bannister. La signora Bannister inclinò lievemente il capo senza perdere nulla della sua ineffabile bellezza. Non mi fissava più, ora, pareva intenta a comunicare con qualche medico invisibile e certamente più santo di me. «Non crediate che voglia allontanare la signorina Frame per ragioni personali» disse, presumibilmente per evitare che pensassi a qualche facile geometria triangolare. «Il fatto è che mi pare eserciti su mio marito una... influenza negativa. Si spaccia per una medium. Fa sedute spiritiche coi tavolini a tre gambe e altre cose misteriose che io disapprovo assolutamente.
Ma il peggio è che riesce a convincere Bruce a parteciparvi.» Era tornata a guardarmi. Fui sorpreso a scoprire fino a che punto quegli occhi gentili potessero diventare implacabili. «Sostiene di essere entrata in contatto con lo spirito della prima moglie di mio marito e pretende di comunicare con lei quando noi tutti siamo seduti al buio intorno al tavolino. Questa eccitazione morbosa è deleteria per Brace. E tetta la faccenda è molto umiliante per me. Mi danneggia anche fisicamente» aggiunse con sorprendente franchezza. «Aspetto un bambino. E quando una donna ha più di quarant'anni, non è semplice. Specialmente poi se, come me, vive uno stato di tensione continua.» Con gesto che mi ricordò quello di una monaca che sgrana il rosario, la sua mano sottile salì a toccare la collana d'ambra che aveva attorno al collo. «Penso anche ai ragazzi. È molto diseducativo per loro.» Improvvisamente si chinò verso di me. «Ecco perché sono venuta a parlarvi, dottor Westlake. Mio marito è affascinato da questa donna e dalle sue sedute al tavolino. Io non voglio fargli scene né preoccuparlo. Ma se noi potessimo fornirgli delle ragioni terapeutiche, se voi come medico riusciste a suggerirgli che sarebbe più saggio da parte sua assumere un infermiere, ci si potrebbe liberare di Eleanor Frame senza spiacevoli incidenti. Mi farete questo piacere?» «Volentieri» dissi io «se può esservi utile. Ma c'è un inconveniente: vostro marito non ha affatto bisogno di assistenza. Se io gli raccomando un infermiere, anche maschio, può pensare che la sua malattia stia peggiorando. E preoccuparsi assai più di ora.» Era ovvio che la signora Bannister non aveva considerato la questione sotto quel profilo. «In ogni caso, perché non lasciate passare un paio di giorni prima di prendere una decisione definitiva? Da parte mia sarò felice di darvi una mano qualunque partito prendiate.» «Forse è la soluzione migliore.» La signora si alzò e mi porse la mano. Era fredda e sottile, ma molto ferma. «Siete stato gentile, dottor Westlake. Vi sono grata. Arrivederci.» Carezzò distrattamente Hamish e si allontanò. La guardai sparire nell'ombra che era calata sul giardino. Le sue strane storie di infermiere specializzate, di tavoli che ballavano e di messaggi inviati da una moglie defunta avevano stimolato non poco la mia curiosità. Infatti mi ero quasi dimenticato del Martini.
2 Cenai solo, seguitando a pensare ai Bannister. Ero appena riuscito a levarmi il pensiero e mi accingevo a scrivere una lettera a Dawn quando irruppe il terzo visitatore. Il suo ingresso fu deliziosamente poco formale. «Ehilà.» La limpida vocetta veniva dal portico sul retro. «C'è un medico da queste parti?» Uscii e accesi la luce in veranda, con Hamish che ringhiava attaccato alle mie caviglie. Linette Thorpe era davanti a me, la sigaretta accesa in mano, un sorriso franco e spontaneo sulle labbra. Un bastardone abbastanza simpatico le saltellava attorno, così nella concitazione del momento, mentre tentavo di sbrogliare la situazione separando i due cani che avevano immediatamente cominciato ad azzuffarsi, non riuscii a prestare molta attenzione alla figliastra di Bruce Bannister. Infine Hamish si decise a mostrarsi ospitale e i due cani zampettarono in casa. Da vicino, Linette Thorpe era anche più attraente di quanto mi era sembrata sul trampolino. Nel taglio raffinato del viso e nei grandi occhi grigi e distanti somigliava vagamente alla madre. Ma non aveva nulla della freddezza della signora Bannister. Cordiale, umanissima, aveva labbra rosse e capelli color miele, di parecchi toni più chiari della pelle abbronzata. «Scusatemi se ho portato Prince, dottor Westlake. Comunque pare abbia già fatto amicizia col vostro terrier.» Sorrise e soffiò il fumo della sigaretta. «Ho un mal di gola bestiale. Sono fuori tempo massimo, vero? Vi prego, datemi lo stesso un'occhiata.» «Fumare non è la medicina migliore per il mal di gola» dissi con un piglio inutilmente severo. Non so perché faccio sempre il burbero con le ragazzine graziose. Anzi, forse lo so: sto arrivando all'età in cui il fatto stesso di trovarle così graziose diventa irritante. Docile docile, spense il mozzicone e mi seguì in studio. I due cani stavano rannicchiati sotto il tavolo smaltato, in un'intimità poco igienica. Li feci uscire, chiusi la porta e indicai a Linette Thorpe una sedia. «Allora» dissi, affabile «come va con quel tuffo a volo d'angelo che vostro fratello vi stava insegnando la settimana scorsa?» Rise. «Non era mio fratello. Era Greg Bannister, il mio fratellastro. Sostiene che sembro più un diavolo che un angelo, quando mi tuffo. Chissà come ci odiate: noi laggiù a divertirci e voi in questo forno coi vostri pazienti. Perché non vi unite al gruppo qualche volta?» Era così cordiale che mi fece vergognare della mia scortesia di poco
prima. Mentre mi aggiustavo lo specchietto sulla fronte, le chiesi: «Siete voi la Vocetta?» «Intendete quella che canta? Sì. Ho studiato all'estero.» Mi lanciò uno sguardo curioso. «Certo che ci avete studiato per benino, vero? Voglio dire, almeno in quanto a nuotate e canzoni. Non vi abbiamo disturbato, spero.» «Al contrario. Vorrei che cantaste più spesso. Specialmente quel canto francese che mi ricorda uno stormire di foglie.» «Ah, quello di Debussy.» Si accese d'entusiasmo. «Io lo adoro. Lo canterò anche il mese prossimo a Grovestown, al mio debutto.» «Allora aprite la bocca e vediamo cosa c'è che non funziona nell'ugola d'oro.» Spostai lo specchietto finché la gola fu ben illuminata, poi osservai. Per usare un'iperbole vittoriana, era come guardare la navata di una cattedrale. Incredibile una capacità vocale del genere in una ragazza così minuta. E incredibile anche la perfezione dei denti bianchissimi. Nemmeno l'ombra di un'otturazione. La lingua era rosa come quella di un gatto. Né rossori né irritazioni. Completato l'esame tolsi l'abbassalingua e spensi la luce dello specchietto. «Bene» dissi con decisione «è stata una bella esperienza. Ora forse mi spiegherete la vera ragione della vostra visita. Sapete meglio di me che la gola è sanissima.» Linette Thorpe mi fissò, atteggiando lentamente le labbra a un sorriso contagioso. «Allora posso fumare di nuovo, no?» Prese una sigaretta dal pacchetto posato sul tavolo e ammiccò al sottoscritto che le porgeva un cerino. «Se proprio volete saperlo, sono venuta perché mia madre mi ha detto che a sostituire il vecchio Hammond c'era un medico giovane e bello. Ho pensato che un mal di gola fosse una scusa molto femminile per venirvi a dare un'occhiata.» «Pensatene una migliore.» Si era seduta di sbieco sulla poltroncina e con seducente noncuranza ciondolava sul bracciolo una gamba abbronzata. I suoi occhi erano fissi nei miei e avevo la netta impressione che fosse perfettamente cosciente del fascino che esercitava su di me. «Sarò sincera, sono venuta per vedere se potevo elemosinare, farmi prestare o rubare un po' di veleno. Un veleno potente, però, potentissimo.»
«Per uccidere quella vipera che vi è entrata in giardino?» Come replica fu un po' imprudente. «Vipera è la parola giusta» disse Linette con una secca risata. «Ma è offensiva per la famiglia dei serpenti. Eleanor è peggio di una vipera, è una...» «Inutile approfondire» la interruppi. «Me ne ha già parlato vostra madre.» «Immaginavo che mia madre fosse venuta per parlarvi proprio di questo.» Gli occhi grigi erano terribilmente seri, ora. «Ci aiuterete a liberarci di Eleanor Frame? Sta facendo impazzire tutti quanti e sta letteralmente ammazzando il mio patrigno.» Spalancò le braccia. «Andava tutto così bene prima che lei arrivasse. Sono anni che Bruce è innamorato di mia madre. Le chiedeva continuamente il permesso di divorziare dalla sua prima moglie, per poterla sposare. Ma finché Grace Bannister è stata viva, mamma non ha acconsentito. È molto religiosa, sapete, ed è contraria al divorzio. Dio sa, comunque, se Bruce non aveva motivi validi per chiederlo! Grace Bannister era una donna corrotta, sempre ubriaca e fuori di sé. Una pazza, che aveva fatto della vita di suo marito un inferno. Ma Bruce era un angelo con lei. Ed è stato un angelo anche con noi. Eravamo sul lastrico, e lui mi ha pagato gli studi musicali all'estero e ha sistemato mio fratello nel suo studio, dandogli un posto di responsabilità. C'è da dire che Oliver è sempre andato pazzo per la musica e avrebbe voluto studiarla: il mondo degli investimenti non gli interessava. Ma era stupido sprecare un'occasione del genere. Bruce ha fatto tutto questo per noi prima di sposare la mamma. E quando infine Grace Bannister è morta la nostra vita è diventata così felice... almeno fino a quando non è spuntata quella Eleanor Frame.» Si strinse nelle spalle, sconsolata. «Bruce sa benissimo che noi tutti la odiamo, ma la tiene a servizio perché è una nipote di Grace. E poi perché quei giochetti bestiali al tavolino lo affascinano. È cambiato da così a così. E il bello è che ha coinvolto anche noi. Tutte le sere dobbiamo sederci in circolo, mani sul tavolo, nel buio, ad aspettare che bussi lo spirito di Grace.» Alzò lo sguardo. «Grace Bannister è morta, ma visto che sta gestendo le cose da lassù o da laggiù, potrebbe benissimo essere viva. Con tutti quei messaggi! Un colpo per la A, due colpi per la B... il primo che ha inviato diceva: "Tenete Eleanor con voi e fatela contenta". Poi "Grace" ha insistito perché Bruce non si ritirasse dagli affari. E dire che l'aveva già deciso. E
c'era già un successore per la presidenza: David Hanley. È stato un brutto colpo per Dave sapere che Bruce aveva cambiato idea. Ha poco più di trent'anni, Dave, ma è un uomo in gamba e può tranquillamente aspirare a qualsiasi incarico.» Arrossì e si affrettò ad aggiungere: «È stato un brutto colpo anche per la mamma. Dopotutto Bruce ha un sacco di soldi, e noi preferiamo avere lui tutto intero, specialmente ora che è malato. Altri soldi non ci servono. Ma "Grace" non vuole capirla.» Scosse il capo. «Fra un po' sarà "Grace" a decidere il menù. Poi ci imporrà di comprare macchina e vestiti nuovi per Eleanor Frame. Che schifo! Come se uno spirito ragionevole tornasse dalla morte per picchiar colpi su un tavolino! Come se tutt'a un tratto, da morta, Grace Bannister volesse aiutare Bruce dopo avergli reso da viva l'esistenza impossibile. Ovviamente è un lurido imbroglio ideato da Eleanor Frame per farsi mantenere gratis sfruttando la sua influenza su Bruce. E lui che ci crede!» «Penso non sia piacevole per nessuno di voi» commentai. «E specialmente per vostra madre.» «È orribile.» La vocetta di Linette aveva smarrito la vivacità. «Eleanor tutti i momenti ci costringe al ricordo di Grace Bannister, che è diventata quasi una presenza viva, come abitasse in mezzo a noi. La settimana scorsa ha riesumato un vecchio ritratto di Grace e ha imposto a Bruce di appenderlo in soggiorno. Così adesso ce la vediamo davanti a colazione, a pranzo e a cena. Un giorno di questi va a finire che le tiro in faccia la zuppa di verdura. In faccia a Grace Bannister, voglio dire. Se dovessi mai tirare qualcosa addosso a Eleanor Frame, sceglierei una sostanza più calda e corrosiva della zuppa.» Mi guardava, le labbra rosse semiaperte, gli occhi ad un tempo indifesi e combattivi. «Per favore, per favore. Non potete darci una mano?» «Mi chiedete un intervento professionale?» «Be', sì.» Esitò, poi, con gesto impulsivo, aprì il borsellino. «Voglio dire... pagherò quello che devo. Mi rendo conto che vi sto facendo perdere del tempo.» «Certo, le mie prestazioni vanno pagate» dissi, prendendo una decisione improvvisa. «Per questa visita potete pagarmi subito. Vi costa un invito a cena.» Fece un salto di gioia, l'espressione di nuovo radiosa. «Siete un tesoro. Venite domani sera. Oh, lo sapevo che ci avreste aiutato.»
«Non aspettatevi miracoli» l'avvertii, mettendo le mani avanti. «Come estraneo potrò comunque tenere d'occhio la situazione. Non invitatemi come medico, il signor Bannister potrebbe preoccuparsi. Fate in modo che sia un invito casuale, a un buon vicino di casa.» «Sì, sì, è logico.» «Avete scatenato la mia curiosità sul conto di Eleanor Frame. Se poteste fare in modo di coinvolgermi in una di quelle famose sedute, forse riusciremmo a ridimensionare qualche spirito.» «Questo ve lo garantisco. Eleanor si ecciterà all'idea di avere una nuova vittima. D'altronde tutti siamo obbligati a partecipare alle sedute, tranne la nonna, la signora Deane. La nonna è un osso troppo duro anche per la nostra dolce e cara Eleanor.» Linette mi tese la mano: la stretta fu giovanile e cordiale. «Grazie, dottor Westlake. E grazie anche per la parcella, è stata così simpatica.» Restai in veranda e la vidi sparire nella calura della notte stellata, col bastardo che le galoppava dietro. Il pensiero di rivederla l'indomani era piacevole. Tornai in soggiorno: la lettera per Dawn, lasciata a metà, mi fissava con aria di rimprovero. Ma non ero nello spirito adatto per infilzare le solite noiosissime raccomandazioni paterne. Avevo altro per la testa. Quegli occhi inquieti che mi erano sfilati davanti, occhi di Bruce Bannister, di sua moglie, di Linette Thorpe, mi avevano riempito di curiosità. Volevo capire quelle persone. E sapere qualcosa di più della loro vita per poterle aiutare, se aiutarle era possibile. Avrei voluto esistesse... una biografia, che mi illuminasse sul loro passato e mi rendesse più facile capire la loro situazione presente. Improvvisamente mi ricordai dello schedario del dottor Hammond. Era un vecchio metodico, il mio collega, di quelli che registrano scrupolosamente tutto ciò che riguarda i pazienti. Ed era da molti anni medico di famiglia dei Bannister, e con tutta probabilità anche dei Thorpe. Seguito dal fedele Hamish mi avvicinai agli armadietti dove Hammond archiviava le schede. Estrassi due cartelline contrassegnate dai nomi Bannister e Thorpe. A prima vista le schede dei Thorpe non parevano di grande aiuto. Linette aveva sofferto d'influenza un paio d'anni prima. In autunno si era slogata una caviglia giocando a volano. La signora Thorpe Bannister aveva consultato il mio collega in aprile perché aveva problemi di gravidanza e le era stato giustamente consigliato di rivolgersi a un noto specialista di Grovestown.
Proprio mentre stavo riponendo la cartella mi cadde l'occhio su un'annotazione che riguardava Oliver Thorpe, il fratello di Linette. Con la sua calligrafia meticolosa e antiquata Hammond aveva scritto: "Thorpe Oliver, anni 21. Chiamato d'urgenza ore 12 e 20. Motivo: inalazione accidentale (?) di monossido di carbonio in garage. Paziente in stato comatoso al momento della visita. Prognosi seria ma nessun sintomo avvelenamento da monossido. Consultato il dottor Kirsh. Ritiene possibile complicazione agente alcaloide (atropina?). Eseguita lavanda gastrica. Alcaloidi eventualmente presenti precipitati con somministrazione soluzione iodio. Terapia con esito favorevole. Guarigione senza complicazioni." L'annotazione risaliva al novembre dell'anno precedente, ovvero appena dopo il matrimonio della madre di Oliver Thorpe e di Bruce Bannister. Naturalmente poteva essere stato un incidente, ma il punto interrogativo fra parentesi indicava, da parte dell' affabile Hammond, un cauto scetticismo. A cosa eravamo di fronte, allora? A un tentato omicidio? A un suicidio non riuscito? Perché mai il giovane Thorpe avrebbe dovuto tentare il suicidio proprio quando le sue prospettive di vita, con l'acquisto di un patrigno ricco e indulgente, erano diventate più brillanti? E poteva caso mai quell'episodio singolare essere collegato all'intervento di Eleanor Frame? Evitai di rispondere a tutte quelle domande e cominciai ad esaminare il dossier Bannister. La storia clinica del banchiere già la conoscevo, ma quella della sua prima moglie si rivelò ben più significativa: ciò che scoprii fu tragico e terrificante ad un tempo. Non mi sorprese, dopo aver letto la scheda, che il fantasma di Grace fosse tuttora vagante. Da un'annotazione di sei anni prima seppi che Grace si era rivolta a Hammond perché sofferente di cefalee. Accusava anche stati depressivi. Il caso dovette sembrare al mio collega abbastanza difficile, tanto da consigliare alla donna la visita di uno specialista quale Winchell, professore assistente di Psichiatria alla Facoltà di medicina di Grovestown. Hammond aveva anche abbozzato una diagnosi: sintomi di psicosi maniacodepressiva, probabilmente complicata dall'abuso di alcolici. Il che corrispondeva al poco edificante quadro della defunta signora Bannister fattomi da Linette. Ma c'era un'altra annotazione che riguardava fatti di cui ero completamente all'oscuro. Incollato alla cartelletta e datato circa due anni addietro c'era un ritaglio del Grovestown Times che diceva:
MOGLIE DI UN BANCHIERE SPARISCE IN MARE La signora Grace Gregory Bannister, di 46 anni, moglie di Bruce Bannister, presidente della "Brown e Bannister", la principale società d'investimenti della città, ha trovato tragicamente la morte la scorsa notte gettandosi in mare da una nave dei Flint, la "Traymore", che viaggiava verso l'Alaska, proveniente da Vancouver. La signora Bannister soffriva da tempo di crisi depressive e la crociera le era stata raccomandata dal suo psichiatra, il dottor Winchell della Facoltà di Medicina di Grovestown. Era partita per la crociera parecchi mesi fa, accompagnata dal marito e dalla suocera, signora Sarah Deane. Da New York a Panama la signora Bannister si era comportata normalmente, anzi, era parsa perfino di buon umore. Ma una volta a Vancouver le cose si erano messe al peggio, tantoché era stato deciso di farle proseguire la crociera, che l'avrebbe portata fino in Alaska. L'altra sera, la prima notte di navigazione, la signora Bannister si è ritirata presto, sostenendo di essere stanca. Il marito e la suocera non hanno abbandonato la cabina finché la donna non si è addormentata, poi sono saliti nella sala ristorante per cenare. Dopo cena, mentre scendeva in cabina, la signora Deane ha sentito prima un grido e poi un tonfo. Si è precipitata al parapetto del ponte e ha visto la sagoma di una donna affondare nell'acqua nera. "Mio Dio, è Grace" ha gridato e ha dato l'allarme. Ai passeggeri subito accorsi sul ponte la donna indicava la sciarpa arancione di sua nuora, che galleggiava ancora sull'acqua. Molti testimoni sostengono di aver intravisto una donna che annegava; nessuno però l'ha vista nell'atto dì buttarsi. Immediatamente la nave è stata fermata, per molte ore ha incrociato sul luogo dell'incidente. Ma non si è trovata nessuna traccia della donna annegata, eccetto la sciarpa che è stata recuperata e identificata come appartenente alla signora Grace Bannister. Il marito, assai scosso, non ha rilasciato dichiarazioni. La signora Deane, parlando in sua vece, ha lasciato intendere che quello non sarebbe stato il primo suicidio tentato dalla nuora. "Non l'avremmo mai lasciata sola in cabina, povera cara" ha affermato "se all'ora di cena non si fosse addormentata così profondamente. " Pare che la defunta signora abbia lasciato al marito un biglietto d'addio, il cui contenuto non è stato reso pubblico. Grace Bannister era l'unica figlia dei signori Gregory, residenti a Seattle, Washington. Lascia il marito
Bruce e un figlio, il giovane Gregory Bannister. Rilessi due o tre volte la cronaca della sorprendente vicenda. Pensieri cupi mi si addensavano in mente. Bruce Bannister era innamorato cotto di una donna di rigorosi principi che non lo voleva sposare perché la prima moglie era ancora viva. Poi, al momento giusto, la moglie muore e lui è libero di prendersi la bella e virtuosa signora Thorpe. Grace Bannister era annegata al largo di Vancouver. Eleanor Frame veniva da Vancouver. Poteva significare tutto e niente. L'occhio mi cadde sulla penultima frase dell'articolo, e improvvisamente trasalii. Il Grovestown Times diceva che Grace Bannister era l'unica figlia dei signori Gregory di Seattle. Logica voleva dunque che non avesse né fratelli né sorelle. E dove non ci sono fratelli e sorelle, non si hanno nemmeno nipoti. Invece era opinione comune che Eleanor Frame fosse l'ultima nipote della signora Bannister. O c'era una inesattezza nella cronaca del Grovestown Times, un quotidiano famoso per la sua attendibilità, oppure erano Bruce Bannister e la subdola signorina Frame a mentire riguardo i loro rapporti di parentela. Cacciai Hamish a cuccia e salii a mia volta al piano superiore per coricarmi, orgoglioso dell'elementare deduzione. Orgoglioso, ma più che mai ansioso di svelare il mistero. 3 Il giorno dopo faceva un caldo d'inferno. Mi capitarono in ambulatorio più pazienti del solito, e quando terminai le visite ero flaccido come uno straccio bagnato. Fu un sollievo ricordarmi che Linette Thorpe mi aveva invitato anche a fare un bagno in piscina. C'era giusto il tempo di fare un tuffo, giacché poi dovevo cambiarmi e presentarmi in casa Bannister per la cena. Poco più tardi, mi aggiravo nei pressi della vasca, deluso per l'assenza di Linette. Al posto suo incontrai il fratello, Oliver, e il fratellastro, Greg Bannister. Oliver Thorpe, protagonista dell'episodio del garage che mi aveva così
incuriosito la sera prima, era slanciato e ben fatto come la sorella, e il suo giovane corpo abbronzato si muoveva con grazia e agilità. Era indubbiamente bello, ma nei suoi irrequieti occhi blu brillava una luce nevrotica. Sebbene nuotasse con perfetto stile pareva quasi che l'esercizio fisico fosse per lui nient'altro che il mezzo per esorcizzare un conflitto interiore. La sua presenza era stranamente inquietante e fui contento di vederlo tornare a passi svogliati in casa, e di rimanere solo con Gregory Bannister. Scuro, massiccio, con occhi severi e profondi e gambe muscolose, il figlio di Bruce Bannister mi colpì per la risolutezza che traspariva dai suoi movimenti. In futuro sarebbe diventato qualcuno, pensai. Se aveva ereditato un po' dell'instabilità della sua defunta madre, certo non lo dava a vedere. Felice di parlare con un collega, mi comunicò di essere iscritto al terzo anno di Medicina all'università di Grovestown, dove già svolgeva ricerche di farmacologia sotto la guida del dottor Kirsh. Pareva molto determinato. E bruciava d'entusiasmo per il suo lavoro. Eravamo tutti e due ancora zuppi per il bagno, ma Greg insisté perché lo seguissi in giardino fino a quello che lui chiamava con orgoglio "il suo laboratorio". Che poi era un antico deposito per carrozze successivamente trasformato in studio e da lui convertito in laboratorio di ricerca. Mi stupì scoprire quanto fosse efficiente e ben organizzato il laboratorio ricavato nella stanza centrale. E quanto fosse competente e abile il ragazzo. Mi stupì a tal punto che mi dimenticai dell'ora. Dovetti affrettarmi a tornare a casa, ed erano già le sette passate quando mi presentai dai miei vicini. Ma non c'era nessuno ad aspettarmi in casa Bannister, e per qualche minuto rimasi solo nell'enorme soggiorno a girarmi i pollici. Certo che la casa era quieta. Anzi, tenuto conto del fatto che ci abitavano tanti giovani, quasi sepolcrale. Né voci né rumori che facessero pensare a cene in preparazione. Potevo benissimo essere la sola persona viva in quel palazzo, fra quei mobili magnifici. Poi da qualche parte, di sopra, una porta si aprì e la stridula voce di una donna mandò in schegge il silenzio. «Ve l'ho già detto: non me ne andrò finché non me l'ordinerà zio Bruce. Dopo tutto è casa sua, mica vostra.» Intuii immediatamente a chi apparteneva la voce. Non ci voleva molta immaginazione per capire che Eleanor Frame aveva appena risposto a qualcuno, probabilmente alla signora Bannister, che le ordinava di levare
le tende. Mi sentii in imbarazzo, com'era naturale per un ospite che si trova coinvolto in una lite familiare. Istintivamente allergico allo spionaggio, mi avvicinai alla portafinestra che avevano lasciato aperta. Uscii sull'ampio terrazzo piastrellato, accesi una sigaretta e cominciai ad andare avanti e indietro senza scopo. Mi venne incontro Prince, il simpatico bastardone di Linette, e prese a danzarmi attorno con quelle sue zampacce sgraziate. Mi stavo chinando per carezzarlo quando qualcuno alle mie spalle disse, a bassa voce: «Non è che avete bisogno di una bella infermiera per il vostro studio, dottor Westlake? Mi par di capire che molto presto sul mercato ne verrà immessa una nuova.» Era Linette Thorpe, giovanissima e splendente nel vestitino grigioverde a gonna lunga. La voce mi era parsa allegra, ma il viso della ragazza non era affatto divertito. Il suo risolino tirato e i suoi occhi gelidi e collerici riuscirono quasi a spaventarmi. «Sera d'inferno stasera» continuò Linette. «Mamma ha appena detto a Eleanor Frame che deve piantarla coi tavolini o andarsene.» «Se ne andrà veramente?» chiesi. «Oh, proprio non so.» Il cane le balzò addosso e lei gli carezzò la testa, con gesto assente. «La battaglia è in corso. Ma la spunterà Eleanor Frame. Le riesce sempre. Adesso sarà su a lavorarsi Bruce. Lui è talmente preso che credo butterebbe fuori noi tutti piuttosto che rinunciare a quelle sedute disgustose. Ne ho proprio abbastanza! Se almeno non me la vedessi più fra i piedi! Perché non l'assumete davvero come infermiera, dottore?» «Bella idea, Linette. Sei proprio premurosa.» Mi volsi al suono di quella voce rauca, così poco americana. Eleanor Frame ci stava venendo incontro dalla portafinestra, con un sorriso obliquo sulle labbra. Indossava un lungo vestito d'un bianco opaco che si intonava perfettamente al pallore delle guance. Sul suo viso spiccava solo il rosso scarlatto delle labbra. Il nome che le avevo affibbiato sin da quando l'avevo vista per la prima volta, si confermò eccezionalmente azzeccato. Era sottile e sinuosa come un serpente, i capelli erano lisci e lucenti e gli occhi di un verde insolito. Appena era comparsa, Prince l'aveva assalita con bonaria esuberanza, stampandole le zampe sul vestito. «Sta' giù, lurida bestia» gridò Eleanor Frame con una smorfia di disgusto e gli rifilò una manata.
Disorientato e offeso, il cane andò ad accucciarsi fra gli arbusti del giardino. Linette strinse le labbra in una linea sottile. «Devi smetterla di picchiare il mio cane» disse. «E tu insegnagli a comportarsi come si deve.» Il sorriso di Eleanor Frame non aveva perso un grammo di dolcezza. «Perché non mi presenti il signore, cara?» Di primo acchito Eleanor Frame mi era sembrata ordinaria e quasi repellente. Ma ora che la fissavo negli occhi ne percepii il fascino ipnotico. Mi accorsi spaventato che quegli occhi mi inghiottivano, risucchiandomi sempre più a fondo, finché non vidi altro che verde. Quando finalmente la morsa del suo sguardo si allentò udii confuse parole di presentazione. «Mi piacerebbe lavorare per voi, dottor Westlake» diceva Eleanor Frame, lo sguardo verde fisso su Linette. «Starei bene, così vicina ai miei cugini. E nel tempo libero potrei dare un'occhiata a zio Bruce.» Mi fu risparmiato l'onere di una risposta, perché proprio in quel momento tre uomini sbucarono dalla porta-finestra. Il primo era Bruce Bannister in persona, che si scusava per non aver potuto venire a darmi il benvenuto. Era stato trattenuto da un'importante riunione d'affari. A dispetto della cordialità che dimostrava e della mia diagnosi del giorno prima, il suo stato di salute mi preoccupò. Profonde rughe gli solcavano il viso, e gli occhi parevano quelli di un animale braccato. Mi presentò i due uomini con cui si era presumibilmente incontrato nella riunione d'affari. Uno di loro era suo cognato, Trimble Comstock, un magro occhialuto sulla quarantina, che conoscevo di fama come uno dei più illustri e rispettati avvocati di Grovestown; l'altro risultò essere David Hanley, il giovane uomo d'affari di cui mi aveva parlato Linette. Quello che avrebbe dovuto diventare presidente della "Brown e Bannister" se il vecchio avesse perseverato nella sua decisione di ritirarsi. David Hanley assomigliava a uno di quei bei figurini azzimati che di solito compaiono nella pubblicità degli abiti confezionati. E pareva fin troppo giovane per poter aspirare a una carica del genere. Tuttavia il suo viso esprimeva una sicurezza che quasi sfociava in autocompiacimento. Ritenni dovesse essere piuttosto abile nonostante l'età. Baciò Linette con fare protettivo e le elargì un "ciao, cara". Siccome il gesto affettuoso fu accettato dagli astanti senza commento, dedussi che David era il fidanzato ufficiale. Il che mi sorprese, perché mai
mi sarei aspettato che Linette potesse innamorarsi di un tipo simile. Arrivò anche la signora Bannister e mi salutò con serena dolcezza. Mi parve quasi impossibile che solo dieci minuti prima la stessa persona avesse tentato, in un accesso di collera, di mettere alla porta la Vipera dalla faccia pallida che mi stava a fianco. Di qualunque natura fossero i dissensi e i risentimenti sotterranei che attraversavano il gruppo, certo era che tutti riuscivano mirabilmente a occultarli. Eravamo una grande famiglia riunita per la cena. Ma l'ultimo membro lo conobbi solo dopo aver sorbito il consommé. Sarah Deane entrò preceduta da un fuoco di sbarramento di parole. «No, no, prego, seduti, tutti seduti. Scusa il ritardo, Sheila.» Questo era per la signora Bannister. «Riunione delle Dame di Carità. Una noia mortale. Basta che io rimanga qualche giorno fuori città e sono guai tremendi.» La madre di Bruce Bannister scaraventò senza troppe cerimonie il suo cappellino su un tavolo, scoprendo i bei capelli bianchi. Mi sorrise deliziosamente. «Il dottor Westlake, vero? Sono felice di conoscervi. Nel corso della mia vita intensa e peccaminosa sono riuscita a collezionare tre mariti, e l'ultimo, che è stato uno dei miei preferiti, era medico. Mi correggo: è medico. È vivo ancora, fa lo psichiatra sulla Costa. Non sopporto di vivere insieme a lui più di qualche giorno, ma gli sono fedele. E lui mi manda orchidee tutti i mesi.» La signora Deane era una donna splendida, sui settanta probabilmente, ma con l'energia nervosa di una trentacinquenne. Mi avevano parlato di lei a Grovestown, dove il suo nome era sinonimo di attività e efficienza. Aveva devoluto gran parte della ricchezza accumulata grazie ai tre mariti in opere di carità. E un tempo era stata, mi pare, un'attrice di successo. Difatti la sua entrata in sala da pranzo e le sue battute dimostravano una disinvoltura e un tempismo che solo il palcoscenico sa dare. Teatrale anche l'abito, elegante e moderno come quello di Linette, ma con qualche particolare in più: un cammeo, montato a spilla, un nastro di velluto sul collo, poche cose ma scelte in modo da capitalizzare il fascino che ancora emanava. Sedeva proprio di fronte a me. E fu solo dopo averla guardata a lungo che notai il ritratto appeso alle sue spalle. Non era un gran che come quadro, ma la personalità della donna raffigurata emergeva prepotentemente. Era assai più giovane di Sarah Deane, con una gran chioma di capelli castani. Lo sguardo infuocato, la linea del collo e il tratto pronunciato degli zigomi suggerivano l'idea di una certa rassomiglianza.
Quando distolsi gli occhi, la signora Deane mi guardava, l'espressione vivida. «È vostro il ritratto, vero?» chiesi senza pensarci. E come spesso e inopportunamente accade, proprio in quel momento la conversazione collettiva conobbe una tregua. E la mia voce tuonò nella stanza come se uscisse da un altoparlante. Capii l'imbarazzo generale, perché appena richiusi la bocca mi ricordai che Linette mi aveva parlato della pretesa di Eleanor Frame di appendere in sala da pranzo il ritratto della signora Bannister numero uno. E quello era l'unico quadro della stanza! Nessuno si adoperò per togliermi dagli impicci. E quello fu il primo segno della tensione che serpeggiava nell'apparente cordialità generale. La signora Bannister strinse le labbra come una monaca e guardò in faccia suo fratello avvocato. Bruce Bannister impallidì. Linette invece diventò rossa rossa. Solo Eleanor Frame rimase impassibile. Fu lei a rompere il silenzio. «No, non è la signora Deane» disse lanciandomi uno sguardo verde opaco. «È la povera zia Grace, la prima moglie di zio Bruce.» E riuscì solo a peggiorare la situazione. Il pollo arrosto si sarebbe congelato nei piatti se non fosse intervenuta Sarah Deane. «Sì, dottore. Ma non siete il primo a trovare una somiglianza fra noi» disse. «Credo che Bruce mi abbia reso omaggio sposando una donna che mi assomigliava. Somiglianza apparente, s'intende» s'affrettò ad aggiungere. Nonostante la precisazione finale, l'intervento servì ad allentare la tensione. Ma da quel momento in poi l'atmosfera restò pesante, e Eleanor Frame impostò la conversazione sulle sedute spiritiche. E allora compresi il motivo del violento antagonismo di Linette e di sua madre nei confronti di quella donna. Perché mentre lei parlava con voce rauca degli ultimi messaggi di "Grace", Bruce Bannister la fissava con gli occhi di un coniglio che ha visto una vipera. C'erano poche possibilità che i tavolini smettessero di ballare, lì dentro. Il tono con cui discorreva Eleanor Frame aveva qualcosa di morboso. Parlava come fosse sacerdotessa di riti osceni, e con la deliberata malizia di una vipera che sa perfettamente quanto sia disgustoso per chi ascolta l'argomento trattato. Ma nessuno aveva il coraggio di zittirla. Finimmo il dessert, e teneva ancora banco. Solo allora qualcuno rimbeccò.
Mi stava dicendo: «Vi ecciterete anche voi, dottor Westlake, ne sono sicura. Appena farà buio ci metteremo tutti intorno al tavolino.» «Non tutti» intervenne Sarah Deane, con voce aspra. «Io morirò abbastanza presto e non ho intenzione di rovinarmi la reputazione anche nell'aldilà.» Si alzò. «So che perdonerete una vecchia signora. Ultima ad arrivare, prima ad andarsene. Buonanotte, dottor Westlake. Buona notte a tutti.» Lanciò uno sguardo tagliente a Eleanor Frame e fieramente uscì dalla stanza. Il gesto valse a rompere l'incantesimo creato dalla Vipera. La mezz'ora successiva la passammo molto piacevolmente, o almeno così parve a me, seduti nel lussuoso soggiorno, avvolti nella calda luce della sera che filtrava dalle finestre aperte. La signora Bannister si era ritirata per un breve riposino, i giovani gironzolavano in terrazza, mentre Bannister, Comstock e io parlavamo del più e del meno davanti a una tazza di caffè. Infine, come per procrastinare l'ora maledetta della seduta spiritica, David Hanley chiese a Linette e a Oliver di fare un po' di musica. Mi stupii del cambiamento che si produsse in Oliver solo menzionando la parola. Fino a quel momento aveva misurato in su e in giù la stanza, l'espressione scontrosa di un Oreste biondo inseguito da invisibili furie. Ma quando si sedette al piano e le sue dita corsero agili sulla tastiera, il suo viso infantile si distese serenamente. Era raggiante. Con lui la musica dimostrava il potere straordinario di quietare gli animi. Linette, che era stata a frugare fra gli spartiti, ne appoggiò uno sul leggio e prese posto alle spalle di Oliver. Nella tenue luce morente quei due ragazzi biondi animavano un quadro straordinario. E quando Oliver attaccò il pezzo di Debussy, una magica dolcezza parve scendere su quella stanza. La voce di Linette era ancora più limpida e carezzevole nella penombra di quel soggiorno di quanto mi era parsa udendola dal giardino. C'era qualcosa di toccante e nella voce e nella melodia, che faceva affiorare lontani ricordi di giovinezza, primavere passate, felicità perdute. E Linette stessa, coi capelli d'oro scuro che luccicavano languidi sul viso abbronzato, parve diventare il simbolo vivente dell'effimero irraggiungibile. La guardavo rapito, e lentamente mi accorsi che anche gli altri erano entrati nell'incantesimo. David Hanley, il giovane uomo d'affari, fu il primo che notai. La maschera di sufficienza era completamente caduta, e il suo viso rivelava u-
n'ammirazione tenera e genuina. Ma più di tutti mi colpì Greg Bannister. Piegato sul pianoforte guardava la sorellastra, il viso di solito serio e solenne completamente trasfigurato. Dopo la nostra conversazione in laboratorio l'avevo catalogato come un ragazzo solido, flemmatico e distaccato, che giocava i suoi talenti nella ricerca farmacologica. Ora però, non pareva né flemmatico né distaccato. Il viso era infiammato di passione, e gli occhi guardavano Linette con una sorta di idolatria. E io riflettevo: ecco, è innamorato anche lui. Con molta più violenza ma probabilmente con assai minor successo di David Hanley. La presenza di due giovani innamorati mi sembrò accrescere l'effetto della musica. Anch'io mi lasciai rapire, coltivando l'illusione di essere a mia volta innamorato di quell'adorabile ragazza. A un certo momento un telefono dovette squillare in un'altra stanza, e silenziosamente dovette entrare una cameriera, che poi scivolò fuori seguita da Bruce Bannister. Me ne resi conto solo vagamente, perché per me esisteva solo la musica, e tutto il resto pareva aver perso di realtà. Poi, proprio mentre l'emozione toccava l'apice, tutto crollò in pezzi. Oliver stava suonando le ultime battute dell'accompagnamento, e le note vibravano ancora nell'aria quando irruppe Eleanor Frame, gridando con voce aspra e impaziente: «Adesso si è fatto buio. Possiamo cominciare col tavolino.» 4 Appena Eleanor Frame ebbe finito di parlare, Bruce Bannister rientrò in soggiorno. Mi passò molto vicino, e nonostante la semioscurità, infatti solo la luce accanto al pianoforte era accesa, il pallore cadaverico del suo volto mi impressionò. Forse aveva ricevuto qualche brutta notizia, comunque il suo entusiasmo in fatto di sedute spiritiche non si era per nulla affievolito. Si lanciò nei preparativi con fervore. Era così affaccendato che non si accorse dell'ingresso di sua moglie. Sovraintese puntigliosamente al trasloco di un pesante tavolo tondo, trasportato da suo figlio e dal figliastro, e controllò che Linette arrotolasse per bene la stuoia dopo averla tolta dal parquet. Noi altri stavamo ad osservare, freddi e silenziosi. A un certo momento fissai Trimble Comstok, e lui in risposta mi lanciò un'occhiata impacciata,
come se temesse, lasciandosi coinvolgere in pratiche ambigue, di giocare la sua rispettabilità di avvocato. Anche David Hanley cercava di assumere un'espressione assente. Era chiaro che almeno loro si sarebbero comportati da scettici nel corso dell'imminente battaglia fra Eleanor Frame e gli spiriti. Mi chiedevo come mai tutti avessero acconsentito senza proteste a partecipare. Forse, pensai, è perché nessuno se la sente di contraddire Bruce Bannister, che non è solo l'ospite, è anche un uomo malato. Mentre la Vipera si dava da fare perché il tavolo fosse disposto come lei voleva, Linette vi si avvicinò e passò una mano sul piano circolare. «Be', nessuno potrà essere accusato di farlo ballare apposta» disse. «Pesa una tonnellata.» «Non smontare la gente col tuo scetticismo, cara» le ribatté Eleanor Frame con voce esasperatamente cortese. «Che nessuno lo farà ballare è evidente.» Oliver Thorpe, lo sguardo torvo e feroce, aveva aiutato un impassibile Greg a sistemare nove sedie attorno al tavolo. Tutti prendemmo posto. Faceva un caldo insopportabile, e la proposta della signora Bannister di concedere agli uomini di levarsi la giacca mi risollevò un po'. Tutti appendemmo giacche e panciotti agli schienali delle sedie, tutti tranne Trimble Comstock, a cui pareva importare più della dignità professionale che del benessere fisico. Purtroppo al momento non feci caso all'esatta posizione di ciascuno. Ma ero acutamente conscio del fatto che Eleanor Frame avesse scelto la prima sedia alla mia destra e che Bruce Bannister sedesse di fronte a noi, dall'altra parte del tavolo. Ricordo anche che la signora Bannister stava seduta vicino al marito, le labbra pallidissime e un'espressione di disapprovazione nei glaciali occhi grigi. «Allargate le mani sul tavolo, in questo modo» ordinò Eleanor Frame. «Punte delle dita appoggiate leggermente, palme sollevate. I mignoli di ognuno devono toccare quelli del vicino. Cercate di sgombrare la mente dai pensieri. Deve essere vuota come il piano di questo tavolo. E vi prego di non parlare e di non ridere. Se arriva qualche messaggio, lasciate che sia io a parlare. Sono la più sensitiva.» Continuò la spiegazione chiarendo le modalità con cui il tavolo avrebbe trasmesso i messaggi, qualora, s'intende, messaggi fossero arrivati: un colpo era la A, due colpi la B, tre la C e via di seguito fino alla Z.
Poi qualcuno spense la lampada del pianoforte e nel buio tutti noi allargammo le dita sul piano lucido del tavolo. Avevano tirato le tende, perciò non c'era il minimo riflesso di luna. Benché ci fossimo tolti le giacche, il caldo restata soffocante. Riuscivo a cogliere il respiro un po' affannoso di Bruce Bannister, o l'involontario fruscio di un vestito, o lo scricchiolio di una scarpa. Al di là di questi impercettibili rumori, c'era il silenzio. Naturalmente evitai di sgombrare la mente. Cominciai invece a riflettere: quanto era assurdo che nove esseri intelligenti stessero seduti intorno a un pesante tavolo di mogano nel tentativo sciocco di parlare coi morti, quando avrebbero potuto stare amabilmente a conversare fra loro. Fra loro vivi. Pian piano però lo scetticismo cedette il passo alla curiosità di sapere a che cosa esattamente mirasse quella messinscena organizzata dalla straordinaria ragazza che mi sedeva in fianco. Ora che l'avevo conosciuta, avevo la sensazione che qualcosa di meno innocuo del desiderio di dimostrare le sue capacità medianiche si nascondesse dietro la facciata di quella strana cerimonia. Il silenzio si prolungava e io mi sorprendevo che tutti riuscissero a stare così fermi. Tanto più se consideravo che nel gruppo c'erano tre giovani chiassosi e vivaci. Intuii la stranezza della situazione: tutti, per ragioni diverse e personali, si erano deliberatamente coinvolti in quella negromanzia. Il loro silenzio profondo sembrava un invito agli spiriti dei morti. Il silenzio e l'oscurità parvero distendersi nell'infinito. Cominciavo a smarrire la nozione del tempo e dello spazio. L'unica realtà era la levigata superficie del tavolo che avvertivo sotto i polpastrelli. Poi improvvisamente, non so dire dopo quanto tempo, accadde qualcosa di straordinario. Di tanto straordinario e inatteso che mi si rizzarono i peli del collo come a un gatto spaventato. Sotto le mie dita contratte il tavolo parve avere un tremito e sollevarsi. La superficie del piano si increspò come un mare scosso da un vento misterioso. Udii un leggero cigolio dall'altro capo, poi un nuovo rumore smorzato e sinistro. Distintamente, inequivocabilmente, il tavolo si inclinò da un lato. Non so perché un movimento così lieve sortì un effetto del genere: l'atmosfera si caricò di tensione, l'attesa tagliava il respiro. Come se tutti fossero coscienti di una presenza invisibile e l'aspettassero. Se ci avessi ragionato mi sarei spiegato quello strano tremolio. Era un fenomeno naturale. Anche escludendo la possibilità che qualcuno stesse,
più o meno volontariamente, spingendo, sapevo che esisteva abbastanza elettricità o energia dinamica nelle mani di nove persone eccitate da poter smuovere un piano a coda. Ma al momento non ero in vena di razionalismi. Il fascino morboso di quel gioco mi stava trascinando alla deriva. D'improvviso, nel silenzio generale, risuonò un primo colpo. Il rumore non era quello di una gamba del tavolo battuta sul pavimento. No, era qualcosa di più sordo, una specie di stridio. Come se l'anima più interna del legno si fosse messa a gemere di dolore. Poi di nuovo silenzio. Il tavolo si immobilizzò. Quell'immobilità parve durare un tempo infinito. Fu il suono di una voce, alla mia destra, a farmi sobbalzare. «Hai un messaggio? Un colpo per dire sì, due per dire no.» Era Eleanor Frame, la voce rauca e vibrante d'attesa. Anch'io, coi nervi tesi, stavo ad aspettare. La risposta arrivò quasi subito. Un colpo secco. «Hai un messaggio» Eleanor Frame parlava più disinvolta, ora, il tono era impersonale. «Chi sei?» Dal tavolo si levò un forte cigolio. Uno... due... tre... quattro... cinque... sei... sette. Una pausa. G... Ricominciò, e io mi sorpresi a contare involontariamente i colpi successivi e a tradurli in lettere dell' alfabeto. R... Un colpo solo. A... Non fu necessario seguire la formazione delle altre due lettere. Già avevo intuito qual era il nome dello spirito. G... R... A... C... E. Dovrei, credo, provare un po' di vergogna ad ammetterlo, ma avvertii di nuovo quello strano formicolio alla base del collo. C'era qualcosa di macabro nell'idea che la defunta signora Bannister fosse in mezzo a noi e cercasse di comunicare. Dovrei anche vergognarmi di confessare che al momento credetti davvero alla veridicità del fenomeno. Ho già detto che non credo né agli spiriti né alla gente che si diletta di occultismo. Ma allora ci credetti. Forse fu a causa dell'oscurità di quella stanza senza aria e della tensione che sentivo crescere intorno a me, o forse quella inconscia voglia di credere che si nasconde in tutti noi. Fatto sta che mi lasciai a tal punto
trascinare dal mio stato d'animo che non mi sarei stupito nemmeno se infine Grace Bannister si fosse materializzata davanti a me. «Qual è il messaggio?» Eleanor Frame parlava con voce suadente, come fosse preoccupata di non spaventare uno spirito titubante. Il tavolo rispose. I colpi parvero ripetersi all'infinito: dopo ogni lettera, ovviamente, una pausa, e una pausa più lunga ad ogni finale di parola. Seguivo attentamente, compitamente ciascuna lettera sulle labbra, senza emettere suono. Probabilmente mi aspettavo rivelazioni sorprendenti e melodrammatiche. Infatti rimasi sensibilmente deluso quando riuscii a interpretare la prima parte del messaggio. Diceva: SONO FELICE... VIVO IN ARMONIA. Dopodiché, per un po', ci fu silenzio. Il tavolo, come se si fosse liberato di un pesante fardello, sussultò l'ultima volta, poi si immobilizzò. Infine ripresero i colpi. E io continuai a decifrarli. MA BRUCE È... Non so dire se a questo punto lo spirito esitò davvero, o se invece fu la mia ansia di sapere la parola successiva a darmi l'impressione che i colpi rallentassero la loro corsa fino a procedere a passo da funerale. M... Un'altra esitazione, come se il tavolo non avesse voglia di trasmettere il messaggio. O... Tanti colpi quasi riluttanti, che formavano una R... Poi un'altra sequenza, più lunga. T... Forse l'ultima lettera sarebbe stata una O... In quel caso "Ma Bruce è morto" sarebbe stato il messaggio completo. Ma non lo seppi mai. Perché il silenzio acuto e orribile di quel momento fu rotto da qualcosa di ancor più orribile ed acuto. Era il lacerante urlo di una donna. Fui assalito da una paura concreta, fisica, che riuscì a spazzare in me l'impalpabile terrore del sovrannaturale. «Luce, luce, per l'amor di Dio.» Sentii dei movimenti concitati, poi qualcuno accese una lampada da tavolo. L'illuminazione era insufficiente, ma bastò a farmi intravvedere quel che era successo.
Un uomo, il braccio scamiciato grottescamente proteso come ad interrompere la catena, giaceva abbandonato in avanti sulla sedia, riverso. Il suo viso era nascosto, schiacciato sulla lucida superficie del tavolo. Nella confusione dei primi istanti non riuscii a riconoscerlo. Lentamente mi accorsi che dietro quella sedia spuntava la figura minuta della signora Bannister, la faccia cadaverica, la mano tremante che si agitava inutilmente sulle spalle dell'uomo. «Non è possibile» sussurrava. «Non può essere morto.» Allora capii chiaramente. La tragica ironia della situazione era anche troppo evidente. Lo spirito della defunta signora Bannister aveva appena comunicato la morte di Bruce. E Bruce Bannister giaceva abbandonato sul tavolo, rigido e immobile, la morte fatta persona. 5 Fu un momento davvero orribile: se l'atmosfera misterica di prima ci aveva procurato qualche brivido, il culmine della tensione fu troppo reale. Eravamo balzati tutti dalle sedie e rimanemmo lì intorno al tavolo in piedi, immobili e stupefatti. Ricordo gli sguardi sgomenti sul viso degli altri. Ma in particolare ricordo la signora Bannister, ritta dietro la figura accasciata del marito, la mano appoggiata alla spalla di lui, lo strano volto da suora contratto in un'espressione d'angoscia. Credo di essere stato il primo a capire che era necessario agire tempestivamente. Mi feci largo in mezzo agli altri e raggiunsi il banchiere, dalla parte opposta del tavolo. In un primo momento avevo pensato che fosse morto, incarnando il sinistro messaggio dello spirito. Fu un gran sollievo sentir battere la vita al suo debole polso. Bruce Bannister era sudato e aveva il viso grigiastro e freddo: il suo era solo un tipico attacco di angina. Ma, me ne accorsi subito, si trattava di un attacco serio, e tanto doloroso da fargli perdere conoscenza. Probabilmente Bannister aveva sentito l'avvicinarsi della crisi durante la seduta spiritica, ma non volendo interrompere il messaggio della defunta moglie aveva sofferto in eroico silenzio finché il dolore eccessivo non aveva indotto la sincope. Mi rivolsi a sua moglie, cercando di rassicurarla. «Non preoccupatevi. Lo rimetteremo in sesto in un minuto.» Mi voltai e vidi Oliver Thorpe, molto giovane, molto biondo, molto eccitato. «Presto, portami un po' d'acqua» gli ordinai. «E voi, Hanley, prendetelo per i piedi
e aiutatemi a portarlo sul divano.» Mentre il giovane uomo d'affari ed io lo depositavamo sul sofà, Bannister emise un gemito soffocato e aprì gli occhi. Sapevo che riprendere conoscenza, in questi casi, significava anche tornare a patire l'insopportabile dolore degli spasmi coronarici. Calmare quel dolore, e calmarlo rapidamente: ecco il mio compito immediato. Sebbene fossi stato invitato quasi in veste professionale, non avevo ritenuto necessario portare con me la borsa. Ricordavo, tuttavia, che Bruce Bannister mi aveva confessato di tenere un flacone di compresse alla nitroglicerina in ogni abito. La sua giacca e il panciotto stavano ancora appesi allo schienale della sedia. Senza perdere un istante frugai tutte le tasche, una dopo l'altra. Infine nella tasca inferiore sinistra del panciotto tastai qualcosa di duro. Ne venne fuori un flacone vuoto per due terzi. La luce che proveniva dall'unica lampada era fioca, ma riuscii ugualmente a distinguere la scritta della fascetta: NITROGLICERINA IN COMPRESSE DA 1/50 di grammo. Mi feci largo fra il gruppetto che mi circondava e tornai ad occuparmi di Bannister. Armeggiai nervosamente col flacone, estrassi una compressa e gliela infilai sotto la lingua. «Dov'è l'acqua?» chiesi. Qualcuno, non so se il giovane Greg o David Hanley, mi porse il bicchiere che Oliver Thorpe aveva portato. Appoggiai il flacone sul bracciolo del divano e, mentre mi voltavo per prendere il bicchiere, lo urtai col gomito, gettandolo sul pavimento. Il silenzio era così angoscioso e profondo che il leggero tintinnio del flacone che rotolava sotto il divano parve riecheggiare per tutta la stanza. Gli altri vagavano intorno a me, storditi, e creavano una gran confusione. Accostai il bicchiere alle labbra di Bannister, poi gli presi il polso e restai in piedi accanto a lui, in attesa che il calmante facesse effetto. Nonostante fosse semicosciente, era chiaro che soffriva, e molto. Osservavo la sua faccia e mi aspettavo di vedere le rughe di dolore distendersi quasi istantaneamente. L'immediato effetto analgesico dei preparati nitrosi negli spasmi coronarici è uno dei piccoli miracoli della medicina. Attendevo, scrutando il viso di Bannister. «Brace!» disse la moglie, la voce soffocata. Gli altri tacevano. Continuavo ad aspettare. Ma l'effetto previsto non si produceva. Qualcosa stava andando storto, stranamente storto. Poco prima sarei sta-
to pronto a giocarmi la reputazione sul fatto che Brace Bannister fosse stato colpito da un attacco di angina, serio ma non critico, indotto dall'eccitazione della seduta spiritica. Ma ora, vedendo che non rispondeva al trattamento che di solito è in grado di controllare attacchi del genere, cominciavo a dubitarne. Tuttavia la mia diagnosi volante non poteva essere sbagliata. Mi voltai dalla parte di Eleanor Frame, che mi stava di fianco viscida, bianca e, come sempre, all'erta. «Voi che siete infermiera, andate a prendermi la borsa in ambulatorio. Ecco la chiave.» Le passai il mazzo di chiavi e le spiegai cosa esattamente mi serviva. «E voi, signorina Thorpe, accompagnatela e mostratele la strada.» Senza replicare, Linette ed Eleanor Frame sparirono. Allora mi rivolsi agli uomini. «Sarebbe meglio portarlo in camera da letto.» Bannister gemette di nuovo mentre suo figlio e Oliver Thorpe lo sollevavano per trasportarlo. Trimble Comstock, gli occhiali che gli tremavano sul viso preoccupato da chissà quali questioni legali, si affannò a seguirli. Sheila Bannister gli camminava a fianco, con la giacca del marito sul braccio. Per ultimi venivamo David Hanley ed io. Avevamo appena adagiato Bruce Bannister sul letto che ricomparvero Linette e Eleanor Frame. «Voglio che stiate qui ad aiutarmi, signorina Frame» dissi io. «Ora gli farò un'iniezione. Tutti gli altri possono andare.» «Preferirei restare anch'io.» Gregory Bannister non si mosse, una luce caparbia e sospettosa negli occhi scuri. Gli altri sfilarono in silenzio. Capii subito che il giovane ne sapeva abbastanza di medicina per rendersi conto che nella crisi di suo padre qualcosa non andava per il verso giusto. Da parte mia ero talmente preoccupato per le condizioni di Bannister che l'idea di un consulto, anche se con uno studente del terzo anno di medicina, mi confortò. Al di là dei già riscontrati difetti di carattere, Eleanor Frame si dimostrò un'ottima infermiera: veloce, efficiente, capace di una freddezza notevole. Obbedendo ai miei rapidi ordini sterilizzò l'ago e preparò la siringa per l'iniezione. Infilai l'ago nel braccio. Era una terapia più energica, ed ero sicuro avrebbe fatto effetto. Di nuovo aspettai che il paziente reagisse. Dapprima la risposta parve positiva. Bannister aveva aperto gli occhi e cercava di parlare.
Poi, d'improvviso, un cambiamento repentino, allarmante. La faccia, prima sudata, arrossì e si fece secca come una pergamena. Le pupille dilatate divennero piccole come puntini. La respirazione che era lenta subì un'accelerazione e si fece pesante. Riguardo a ciò che avvenne poi, non entrerò nei dettagli. Basterà dire che tutti e tre, Gregory, Eleanor Frame ed io, ci prodigammo al di là di ogni immaginazione per salvare la vita di Bruce Bannister. Ma io avevo già capito che il caso era disperato. Ci trovavamo in presenza di un fattore, della cui natura al momento non mi resi conto, che spuntava le nostre armi terapeutiche e rendeva inutile ogni intervento. Alla fine il destino si compì. Bruce Bannister morì senza nemmeno riacquistare conoscenza. Guardai l'uomo immobile nel letto, poi mi voltai verso Greg. Il ragazzo era impegnato nell'eroico sforzo di reggersi in piedi. «Sono costernato. Abbiamo fatto il possibile, lo avete visto anche voi.» Gli battei sul braccio. «Ora bisognerà avvertire la vostra matrigna.» «Ci penso io. Meglio che lo sappia da me.» La sua voce era secca come sabbia. «È meglio parlarle subito anche dell'autopsia.» «Autopsia?» fece eco Eleanor Frame, stridula. Non badammo a lei. Io fissavo Gregory Bannister, sorpreso. In lui la freddezza dell'uomo di scienza sembrava aver avuto il sopravvento sui sentimenti del figlio che aveva appena perduto un genitore. Mi stupii anche della sveltezza con cui uno studente del terzo anno di medicina aveva capito che, qualunque fosse stata la causa della morte di suo padre, quasi certamente il decesso non si era verificato in seguito ad un attacco d'angina. Il ragazzo si avviò alla porta. «Aspetta, Gregory» disse Eleanor Frame, la voce più aspra del solito. «Che vuoi dire quando parli di autopsia?» «Voglio dire che, date le circostanze, non credo che il dottor Westlake si sentirà autorizzato a firmare un certificato di morte. Se fossi già medico, in coscienza, non lo farei di certo.» Gregory Bannister, le labbra bianche, mi fissava. E mi guardava anche Eleanor Frame, stranamente ansiosa. «Che cosa stai insinuando? Non capisco. Non puoi... davvero non puoi pensare che zio Bruce sia stato avvelenato.» «È troppo presto per dire una parola definitiva, signorina Frame» intervenni. «Come infermiera specializzata, comunque, avreste dovuto capirlo da voi.»
«Ma...» Le parole le morirono in gola. Sembrava molto provata e abbattuta. Intanto Greg era uscito. Dissi: «Fareste meglio ad andarvene anche voi, signorina.» Sparì in silenzio. Rimasi un momento accanto al letto. Guardavo il corpo del banchiere e mi sentivo ad un tempo aggressivo e debole. Restava una cosa da fare. E al riguardo, mi confortava un poco solo il pensiero che l'ispettore Cobb fosse un mio vecchio amico. In passato avevamo lavorato insieme a diversi casi piuttosto spinosi. Chiamai l'ispettore al numero di casa. Mi rispose una voce stizzita, tanto che ebbi il sospetto di averlo disturbato mentre faceva le parole crociate o si giocava una delle sue furibonde partite di poker. «Che è successo stavolta, Westlake?» «Di tutto. Bruce Bannister è morto. Un paio di minuti fa, al termine di una seduta spiritica in famiglia. Ero qui per caso, invitato a cena.» L'ispettore Cobb fischiò provocando uno spiacevole crepitio nel mio ricevitore. «Bannister il banchiere? Com'è morto?» «Non so» dissi a fatica. «Ha avuto un attacco di angina e poi... qualcosa si è messo ad andare storto.» «Che vuoi dire?» «Niente di particolare. Ma ho l'impressione che faresti meglio a passare da queste parti, magari col Coroner.» «Senti, Westlake, cerca di essere chiaro.» La voce di Cobb aveva ripreso vivacità. «Stai forse tentando di dirmi che a tuo parere qualcuno l'ha ucciso?» Per un povero medico di campagna esausto e confuso la domanda era troppo impegnativa. «Se è stato ucciso» dissi con voce opaca «forse posso metterti una pulce nell'orecchio.» «Chi è che...» «Nessuno "è", semmai "era"» l'interruppi. Volevo fare l'enigmatico. «Infatti se dovessi farti un nome direi: la sua prima moglie.» «La signora Grace Bannister? Credevo che fosse morta.» «Già. Stanotte comunque era molto... viva.» A questo punto riagganciai. 6
L'ispettore Cobb era venuto col dottor Forder, Coroner di Grovestown. Io gli avevo fatto il mio rapporto e, almeno dal punto di vista medico, il caso non era più di mia competenza. Agendo con molto tatto, Forder aveva ottenuto il permesso di eseguire l'autopsia. Anche Cobb aveva avuto tatto. Si era limitato alle domande di prammatica, informandosi sulle circostanze che avevano portato al collasso di Bannister senza lasciar capire che quanto era accaduto poteva alimentare il sospetto di una morte non proprio naturale. Persino io, che lo conoscevo come uomo e come poliziotto, rimasi sorpreso da tanta riservatezza. Poco dopo mezzanotte, quando uscimmo dalla tetra atmosfera di casa Bannister, ci imbattemmo in una vera e propria barriera di giornalisti e fotografi. Fu un'autentica seccatura. Naturalmente avrei dovuto aspettarmelo: Bruce Bannister era uno dei primi cittadini di Grovestown, e sui giornali locali la sua morte avrebbe fatto notizia. Comunque realizzai solo in quel momento che la presenza dell'ispettore e del Coroner avrebbero suggerito alla stampa le ipotesi più inquietanti e sinistre. I giornalisti fecero ressa intorno a noi, chiedendoci i "particolari" e le "indiscrezioni". «Piano, andateci piano, ragazzi» disse Cobb, prendendola con spirito. «Tutto quel che sappiamo è che il signor Bannister è morto per un attacco cardiaco. Evitate di mettere alla berlina la famiglia.» Al che si sollevò un coro di domande: «È vero che è morto durante una seduta spiritica? A chi ha lasciato i suoi soldi? Al momento del decesso era presente un medico?» Quest'ultima domanda in particolare mi comunicò una sensazione spiacevole. Mi vidi davanti agli occhi gli articoli del giorno dopo, le fotografie prese col flash, i miei lineamenti alterati almeno quanto i resoconti della seduta spiritica e della parte che io vi avrei giocata... Sedute spiritiche, come se non mi vergognassi già abbastanza di avervi partecipato, dopo quanto era successo! Infine riuscimmo a liberarci dei giornalisti senza comprometterci troppo. «Farei due chiacchiere» disse Cobb. «Ti spiace se entro a farmi una pipata, Westlake?» "La pipata" è un tipico eufemismo di Cobb. Certo, il mio vecchio amico porta sempre con sé una pipa, e ci gioca distrattamente mentre parla. A volte, quando è molto eccitato, arriva a riempirla di tabacco. Se ricordo bene l'ha accesa in una sola occasione, ed era questione di vita o di morte.
Ma non l'ho mai visto a fumarla davvero. La mia fantasia non riesce a evocare nessuna catastrofe di dimensioni tali da giustificare questa eventualità. Se nell'astenersi dal tabacco Cobb è un radicale, per ciò che riguarda l'alcol è un po' meno... scrupoloso. Così, non appena ci accomodammo nel modesto soggiorno del dottor Hammond pensammo che del buon whisky avrebbe aiutato entrambi a rilassarci. Dalla noncuranza con cui sfiorò l'argomento indovinai subito che Cobb era ardentemente interessato alla morte di Bruce Bannister. «Già, Westlake, non sono mica riuscito a capirli, tutti quei paroloni medici che tu e Forder avete bofonchiato accanto al letto del defunto.» Alzò di scatto la testa come ad indicarmi la casa di fronte. «Vorrei che mi illustrassi il tuo pensiero... con parole brevi e chiare.» Gli spiegai il più semplicemente possibile perché come medico sospettavo che la morte del banchiere non fosse dovuta a cause naturali. Gli feci notare che un attacco di angina a volte può essere fatale, ma in tali circostanze il decesso avviene per una trombosi coronarica. Quando era stato colto dal collasso Bannister non aveva mostrato sintomi del genere, perciò io mi trovavo nella impossibilità più assoluta di definire i meccanismi che avevano indotto la morte. «Cioè tu pensi» mi disse Cobb, molto serio «che si possa trattare di un caso di avvelenamento doloso?» «Non necessariamente doloso» replicai, guardingo. «Ma, come ho già spiegato a Forder, se il veleno non c'entra, allora siamo in presenza di un fattore a me sconosciuto, che comunque ha reso vano ogni sforzo.» Mi strinsi nelle spalle. «Sia quel che sia, nessuno potrà dire niente di preciso finché l'autopsia non sarà eseguita.» «Ammettiamo che sia veleno. Che tipo di veleno, a tuo parere?» «Non sono un tossicologo, ma dai sintomi direi un derivato dell'atropina.» «Atropina.» Cobb si passava la pipa spenta fra le dita. «Se non sono stato a fare molte domande in casa Bannister, stasera, è perché contavo sul fatto che mi avresti aiutato tu, Westlake. Tu li hai conosciuti tutti quanti e hai partecipato a una di quelle pazzesche sedute. Che ne pensi?» Gli raccontai in tutti i dettagli ciò che avevo saputo dei Bannister e di Eleanor Frame. Gli mostrai anche le cartelle del dottor Hammond, che contenevano quelle interessanti rivelazioni sulla morte di Grace Bannister e sul misterioso incidente occorso a Oliver Thorpe. Infine gli riferii del litigio cui avevo involontariamente assistito prima di cena e aggiunsi tutti i
dettagli che ricordavo riguardo a ciò che era accaduto prima, durante e dopo la seduta spiritica. Cobb ascoltò in silenzio. Quand'ebbi terminato il racconto disse: «Be', Westlake, ha l'aria di un bel pasticcio. Bannister era malato, aveva problemi a continuare il lavoro e nello stesso tempo aveva problemi a ritirarsi. Per di più si era invischiato coi giochetti al tavolino di quella ragazza che tutti in famiglia detestavano. Un sacco di uomini si sono uccisi per molto meno.» «Non dirmi che pensi a un suicidio.» «Per lui sarebbe stato uno scherzo ingerire veleno durante la seduta spiritica, non credi?» «Certo, ma...» «Ma tu pensi a un omicidio, eh?» Il sorriso di Cobb era vagamente ironico. «Sì, forse per te sarebbe divertente. Ma per me sarebbe un disastro. Quella vecchia dama, Sarah Deane, in città è più influente di tutti i dirigenti politici messi insieme. E il fratello della signora Bannister, Trimble Comstock, si presenterà candidato per la carica di giudice distrettuale alle prossime elezioni. Se dovessi mettermi a indagare su un omicidio quei due sarebbero capaci di scatenare l'inferno.» Si infilò la pipa spenta fra i denti e prese a masticarla, meditabondo. «Comunque non vedo perché dovrebbe trattarsi di un omicidio. Se a morire fosse stata la Frame allora sarebbe un altro paio di maniche. Tu sostieni che tutti in famiglia adoravano Bannister. Quanto all'infermiera, dici che è impossibile sia la nipote della ex-signora Bannister. Farò dei controlli. In ogni caso se non fosse la nipote potrebbe sempre essere una cugina. Ma poniamo che non sia affatto parente: di false medium che vanno in giro a infinocchiare gli ingenui ce ne sono a dozzine. Bannister potrebbe aver fatto credere che fosse una nipote per rassicurare i familiari. Mi immagino che questa donna abbia inventato la messa in scena dei messaggi dall'aldilà solo per tenere in pugno il padrone di casa. Ma non mi pare che questo sia un buon motivo per ucciderlo.» Il che era logico, naturalmente. «Infatti» proseguì Cobb «siccome il suo destino dipendeva completamente dai favori di Bannister, mi sembra sia l'ultima persona che potesse avere interesse a vederlo morto.» «Ma la signora Bannister aveva tentato di metterla alla porta» azzardai. «Forse Bannister stavolta si era schierato dalla parte della famiglia e intendeva licenziarla.»
Cobb non si scompose. «Fosse anche vero? È impensabile che Eleanor Frame abbia ucciso il suo protettore solo perché questi s'era stancato di ospitarla in casa. Certo, quei messaggi fasulli che il tavolo vi ha comunicato stanotte sono interessanti. "Sono felice, vivo in armonia". Questo è tipico ciarpame da medium. Ma "Brace è morto", forse...» alzò le spalle, spazientito. «Ma che diavolo, stiamo qui a scervellarci sui moventi e non sappiamo nemmeno se si tratta o no di avvelenamento?» Mentre Cobb parlava, ebbi quel che si dice un'idea brillante. Presi uno dei dossier di Hammond e lo sfogliai finché non ritrovai l'annotazione del suo intervento al capezzale di Oliver Thorpe, l'ottobre precedente, quando il ragazzo era stato tirato fuori più morto che vivo dal garage dei Bannister. Guardai una data riga. Sì, la memoria non mi aveva ingannato. Vi si leggeva: "... possibile complicazione agente alcaloide (atropina?)..." Eccitato, passai la cartellina a Cobb, puntando il dito sulla riga in questione. «Guarda qui. Se Bannister è morto avvelenato, quasi certamente il veleno usato è un derivato dell' atropina. E questo te l'ho già detto. Bene, Hammond ipotizzava che il giovane Thorpe fosse stato intossicato dall'atropina. Che ne pensi?» Cobb diede un'occhiata al foglio e poi mi puntò gli occhi addosso, la faccia seria. «Due avvelenamenti da atropina nella stessa famiglia» grugnì. «Pare che tu abbia colpito nel segno, Westlake.» «Forse tutto avrebbe molto più senso se i due casi risultassero collegati.» «Non molto più senso. Diciamo semplicemente senso.» Cobb arricciò le labbra e fischiò. «Un tentato omicidio e un omicidio riuscito! Perdiana. Meglio non coprirsi gli occhi di fronte alla realtà, Westlake. Dobbiamo occuparci di questo caso.» Come per rimarcare la gravità della situazione Cobb sfoderò la borsa del tabacco e cominciò a caricare la pipa. «Ammettiamo dunque che non si tratti di suicidio. Come hanno fatto ad avvelenare Bannister? Per esempio, qualcuno, secondo te, ha avuto la possibilità di mettergli il veleno nel piatto?» «Ne dubito. Dopo cena abbiamo atteso un'ora buona prima di iniziare la seduta spiritica, e nel frattempo Bannister sembrava normale. Anche quando non agiscono istantaneamente quasi tutti i veleni provocano reazioni
particolari e riconoscibili in un tempo molto più breve.» «Ascolta, Westlake, ti potrà sembrare una domanda pazza. Ma ritieni possibile che qualcuno seduto al tavolo vicino a Bannister possa aver approfittato del buio e dell'esaltazione collettiva per infilargli una siringa?» «Pensare a un'iniezione mi pare un po' forzato, Cobb. Teoricamente, se il veleno gli fosse stato somministrato quando le luci erano spente potrebbe avergli causato il primo attacco. Ma ripensandoci non mi sembra probabile: scommetterei che si trattava di una vera crisi coronarica, normale, almeno per Bannister, e provocata unicamente dallo shock del messaggio spiritico. È come se fosse stato avvelenato... dopo. Dopo la seduta, intendo.» La bocca di Cobb aveva una piega truce. «In altre parole, mentre era affidato alle tue cure.» Potrà sembrare stupido, da parte mia, ma fino a quel momento non avevo ancora messo a fuoco l'inquietante particolare. Sussultai. «A parte le pillole di nitroglicerina» m'incalzò Cobb «Bannister ha ingerito qualcos'altro? Qualcosa che poteva essere stato avvelenato?» Non fu facile far mente locale. «Acqua» dissi. «Qualcuno ha portato l'acqua e io gliene ho fatta bere un sorso per sciogliere la compressa.» «Qualcuno chi?» «Il giovane Thorpe. Ma anche altri hanno maneggiato il bicchiere. Se ricordo bene, me l'ha passato David Hanley. No, forse Greg Bannister.» Cobb parve sollevato. Ma io mi sentii in dovere di aggiungere: «Se l'acqua era avvelenata doveva trattarsi di un veleno fortissimo. Bannister ne ha bevuta al massimo mezzo cucchiaino. E non chiedermi che ne è stato del bicchiere. Il tuo assassino ha avuto un mare di tempo per gettarlo via, o lavarlo, o farne tutto ciò che voleva.» «Peccato che tu sia stato così poco osservatore» commentò pacatamente Cobb. Mi irritai. «Dannazione, ero abbastanza occupato a salvare la pelle a Bannister. Non puoi pretendere che pensassi, al momento, che qualcun altro stava dandosi da fare per farlo fuori. Dopo tutto sono un medico, mica un poliziotto. E mi chiamo Westlake, non Watson.» Cobb ignorò questa esibizione di stizza. Era impegnato a scaricare la pipa, estraendone filamenti di tabacco che poi pressava nella borsa originaria. Mi chiesi se usava sempre lo stesso tabacco o se quella borsa era inesauribile come il pozzo di San Patrizio. «Escludiamo l'acqua» disse «Resta qualcos'altro?»
«Dunque: abbiamo portato Bannister in camera da letto, e lì gli ho fatto un'iniezione di nitroglicerina. Credevo che la sua mancata risposta alla terapia orale fosse dovuta a un difetto di assorbimento. Eleanor Fraine è un'infermiera. L'iniezione l'ho fatta preparare da lei.» «Allora è possibile» disse Cobb immediatamente «che quella donna abbia caricato la siringa con qualche sostanza venefica senza che tu te ne accorgessi.» «Sì, la possibilità l'ha avuta. Io e Gregory ci stavamo dando da fare al capezzale di Bannister e non ci siamo curati molto della Frame. Ma l'ipotesi è molto improbabile perché i sintomi strani avevano cominciato a manifestarsi molto prima.» Fu un momento orribile, nessuno di noi due osava parlare. Cobb guardava fisso il tappeto, badando a non incontrare il mio sguardo. Alla fine disse: «Credo che l'acqua e l'iniezione si possano escludere, Westlake. A meno che non esista un fattore che ignoriamo, resta soltanto una cosa. È vero?» Era vero. Mi lanciò un'occhiata furtiva. «Erano quelle giuste, no? Parlo delle compresse che hai trovato nella tasca di Bannister. Tu sei sicuro, naturalmente.» Naturalmente "ero stato" sicuro. Ora non lo ero più. «Ho letto la fascetta» dissi debolmente. «C'era scritto Nitroglicerina. Il flaconcino era uno di quelli in commercio.» «Sì, ma hai osservato la compressa prima di darla a Bannister?» Ripensai a quel momento di stupore e confusione generale. Ricordai la luce fioca che veniva dal pianoforte. E l'urgenza che mi sentivo dentro. Mi parve che l'accogliente soggiorno del dottor Hammond cominciasse a ondeggiare intorno a me. «No» ammisi. «Capisci, non ho mai pensato che... cioè l'idea che quelle compresse non andassero bene non mi ha nemmeno sfiorato. Ho letto la fascetta. Sapevo che dovevo agire alla svelta per salvarlo. Così ho semplicemente estratto una compressa e gliel'ho infilata sotto la lingua. Le compresse si assomigliano tutte.» Cobb mi guardò dritto negli occhi, l'espressione disfatta. «Adesso guarda dove ti sei cacciato cercando di montare un caso di omicidio. Non è simpatico.» Non era simpatico affatto. Mentre lottavo con tutte le mie forze contro quella che era, quasi inevitabilmente, la verità, sudavo, e sudavo freddo.
A casa dei Bannister, quella sera, avevo agito guidato dalle migliori intenzioni. Mi ero prodigato al limite delle mie capacità professionali, avevo fatto tutto il dovuto. Ma se la nostra ipotesi era esatta, se il tubetto conteneva davvero compresse avvelenate, allora avevo fatto anche più, molto più del dovuto. Io, Hugh Cavendish Westlake, medico chirurgo, avevo letteralmente ucciso Bruce Bannister con le mie mani. 7 Non so dire quanto rimasi lì seduto a fissare Cobb, la mente in preda a foschi presentimenti. Tutto mi pareva volgere al peggio. Mi immaginavo con che razza di titoli sarebbero usciti i giornali una volta che la cosa fosse diventata di dominio pubblico. La semplice presenza a una seduta spiritica sarebbe stata già abbastanza nociva per la mia reputazione e l'aver assistito un uomo avvelenato, una vera sfortuna. Se poi si fosse risaputo che avevo addirittura somministrato io stesso il veleno a Bruce Bannister, la mia posizione sarebbe diventata poco meno che disastrosa. Potrà sembrare, a chi non è medico, che io, nell'ansia del momento, esagerassi la gravità della situazione. Al contrario, con tutta probabilità, sottostimavo le potenziali conseguenze di un fatto del genere sulla mia carriera. Avevo agito in perfetta buona fede e non era possibile incriminarmi per omicidio volontario. L'errore che avevo commesso era giustificabile, e se fossi stato un profano tutti mi avrebbero considerato solo un babbeo che aveva incoscientemente fatto da sicario al vero assassino. Ma non ero un profano. Ero un medico, e ai medici l'incoscienza non è permessa. Specie quando hanno a che fare con pazienti ricchi e influenti. L'opinione pubblica mi avrebbe dimenticato, forse anche compatito, ma i miei pazienti si sarebbero ricordati. Sarei stato per loro "il medico che ha avvelenato Bruce Bannister". E avrebbero fatto in modo di non darmi la possibilità di avvelenare qualcun altro. Mai più. La voce pacata di Cobb mi giunse come offuscata. «Se si è trattato di un delitto, Westlake, bisogna ammettere che è stato commesso nel modo più elegante. Credo che tutti, familiari e conoscenti intendo, sapessero che Bannister teneva le pillole in tasca per usarle in caso di attacchi d'angina. Considera che si è tolto la giacca e l'ha appesa allo schienale della sedia. Sostituire il flacone di compresse sarebbe stato semplicissimo per chiunque. Altrettanto semplice era prevedere che l'emozione delle sedute spiriti-
che gli potesse provocare un attacco di angina: in quel caso Bannister avrebbe certamente cercato la famosa boccetta per prendere una pastiglia. E così facendo si sarebbe ucciso. Un sistema del genere per ammazzare una persona non l'avevo mai sentito. È a prova d'imbecille.» «E diventa ancor più "a prova d'imbecille"» aggiunsi con voce cupa «col sottoscritto nei panni dell' assassino.» «Esatto.» Gli occhi del mio buon amico erano afflitti come se la cosa fosse capitata a lui. «Non ti biasimo per avere omesso di controllare quelle compresse. Qualsiasi altro medico nella tua situazione avrebbe probabilmente agito allo stesso modo.» Si strinse nelle spalle. «Ma se la nostra ipotesi è vera la tua attività ne risentirà per un bel po'.» «Puoi dire per sempre» lo corressi, tristissimo. «In ogni modo, dov'è il flacone?» «Nello studio del Coroner. Forder starà già analizzando le pastiglie. Se sono avvelenate» si affrettò ad aggiungere Cobb, burbero «dovremo dedurre di essere di fronte a un caso di assassinio, e allora tu dovrai comparire come l'uomo che ha somministrato il veleno. Naturalmente mi farò in quattro per evitare che Forder divulghi la notizia, almeno finché non abbiamo in mano delle certezze. Ma tu sai come si comporta quando intravede occasioni di pubblicità. Diventa pignolo come un ufficiale dell'esercito prussiano.» «Non dirmelo» dissi io. Dopo aver prosciugato quel che rimaneva del suo whisky, Cobb si alzò e mi batté amichevolmente sulla spalla. «Dai, Westlake. In fondo, al momento la nostra è soltanto una teoria. E fosse anche verità, troveremo la maniera di accordarci con il Coroner e di tenerti fuori. È tardi e faresti meglio a dormirci su. Domani dovrai essere al massimo della forma, e lucido. Vedi di preoccuparti meno che puoi. Dopotutto sono io che rappresento la legge qui in città, e sono dalla tua parte.» Tentò un risolino. «Non c'è come avere qualche raccomandazione, con la polizia corrotta che ci ritroviamo!» Capivo, stava tentando di incoraggiarmi. Ma in tutta la faccenda c'era ben poco d'incoraggiante cui appigliarsi. La mia prognosi non era affatto favorevole. Tutt' altro. Cobb prese il cappello. Giunto alla porta si fermò e mi tese la mano. «Be', comunque vadano le cose, mi auguro che anche stavolta lavoreremo in coppia. Un rapido chiarimento della faccenda è interesse tuo ma sicuramente anche mio.» Gli brillarono gli occhi. «Fortuna che la tua grazio-
sissima ragazzina è fuori da questo guaio. Anche se, devo confessarlo, in casa si sente la sua mancanza.» «Tornerà» dissi io, più depresso che mai. «Se la cosa finisce sui giornali magari con tanto di fotografie dei Bannister e del loro medico, non ci sarà campeggio su tutto il suolo nazionale in grado di trattenere Dawn.» Uscito l'ispettore, mi versai una generosa razione di whisky. L'aver realizzato improvvisamente che con tutta probabilità avevo commesso un omicidio mi aveva prosciugato le emozioni. Non potevo costringermi a pensarci di nuovo. Desideravo solo il letto. E l'oblio. E giunto al termine di una giornata tanto disgraziata, pensavo di meritarmelo. Ma il mio desiderio era destinato alla delusione. Mi ero appena infilato, inebetito, fra le lenzuola candide, quando il telefono che tenevo sul comodino si mise a squillare, ributtandomi nell'odiosa realtà. Sveglio, anzi nervosissimo, riconobbi la voce secca e impersonale del Coroner. «Sono Forder, Westlake. Kirsh e io non abbiamo ancora terminato tutte le analisi, ma su alcune conclusioni che riguardano la morte di Bannister siamo oramai d'accordo.» Seguì un complesso discorso di patologia e tossicologia, di cui riuscii a capire ben poco. Cercavo di ascoltare, di seguire il filo, ma ero troppo stravolto per capire un discorso tecnico. «Perciò» proseguì il Coroner «avendo escluso la trombosi coronarica, siamo abbastanza certi che Bannister è morto per effetto di qualche sostanza tossica. I risultati del "test di Vitali" potrebbero indicarcene una del gruppo atropina-hioscina, che può essere stata ingerita presumibilmente un'ora prima della morte.» Dunque era provato. Anche la remota speranza che la morte di Bannister fosse dovuta a cause naturali era svanita. Quasi incredulo nel sentire il suono della mia voce, chiesi: «Co... come gli avrebbero somministrato il veleno?» «Per bocca.» Incassai. «Ecco perché vi ho telefonato» aggiunse immediatamente Forder. «Siccome siete stato voi a somministrare le compresse di nitroglicerina a Brace Bannister suppongo che vi interessi l'analisi del contenuto del flaconcino.» «Sì» biascicai. «Abbiamo compiuto analisi preliminari sulle compresse rimaste. Non siamo ancora riusciti ad accertare se sono dello stesso tipo di quelle in
commercio, comunque siamo convinti che non contengono sostanze tossiche. Cioè, detto in due parole, sono genuine compresse di nitroglicerina.» Per un attimo non riuscii a credere alle mie orecchie. «Non erano avvelenate?» feci eco, flebilmente. «No. E giacché nel flacone che ho ritrovato nella tasca del panciotto di Bannister mancava una sola compressa, e il flacone stesso era nuovo nuovo, mi sembra alquanto improbabile che una singola compressa avvelenata vi sia stata inserita. Immagino che la scatoletta fosse sigillata quando l'avete presa. E che voi abbiate tolto il sigillo personalmente.» Non riuscivo a controllare i pensieri, figuriamoci le parole! «Sì... sì... di sicuro» balbettai. «In questo caso è chiaro che il veleno deve essere stato somministrato in qualche altro modo. È possibile pensare, ad esempio, che Bannister abbia avuto con sé dell'atropina, e se la sia inghiottita nel corso della seduta spiritica.» Il Coroner si interruppe e aggiunse, con enfasi: «Mi sento rivivere, Westlake. Siamo riusciti a scartare una eventualità che avrebbe potuto compromettervi la carriera. Buona notte.» Con gesto lento, riagganciai il ricevitore. Rimasi incantato a fissarlo, mentre i pensieri mi invadevano la mente, a greggi. D'improvviso tutto diventava troppo, troppo bello per essere vero. Le compresse non erano avvelenate! Forder ipotizzava un suicidio! Ma l'euforia fu di breve durata. Sparì non appena incominciai sul serio a riflettere. Sì, perché dicendo a Forder di aver tolto il sigillo sul flaconcino in realtà avevo mentito. Era stato un cieco istinto di autodifesa a farmi parlare a quel modo. Cionondimeno avevo mentito. Perché ero sicuro, sicuro come l'avessi avuto in mano in quel preciso momento, che il flacone non era di quelli col sigillo intatto. E poi era vuoto per due terzi. Ed ero ugualmente certo che, dopo averlo usato, non l'avevo rimesso nella tasca del panciotto, ma l'avevo appoggiato sul bracciolo del divano. E sì, ora lo ricordavo chiaramente. Quando avevo steso il braccio per prendere il bicchiere dalle mani di Hanley, avevo sfiorato col gomito il tubetto, che era andato a rotolare sotto il divano. Era fin troppo ovvio: il flacone esaminato da Forder non era quello che io avevo effettivamente adoperato. Ma allora, qual era? Il Coroner l'aveva scoperto nella tasca del panciotto. Tuttavia, prima di trovare le compresse, io stesso avevo frugato in tutte le tasche. Ero certo che non ve ne fossero altri.
Perciò chiaramente il secondo flacone doveva essere stato infilato nel panciotto più tardi, e da qualcuno che aveva come unico scopo quello di depistare le indagini. Non avevo più dubbi ora, la teoria di Cobb era corretta. Il panciotto e la giacca di Bannister erano rimasti appesi allo schienale della sedia, e nessuno vi aveva badato. Perciò chiunque avrebbe potuto far scivolare quella seconda boccetta in una tasca: tutti, al momento, stavano facendo ressa intorno al divano. Ma c'era una sola persona che aveva motivo di agire a questo modo, la stessa che si era preoccupata di far trovare in un primo tempo nella medesima tasca il tubetto con le compresse avvelenate con l'esplicito scopo di provocare il "suicidio" di Bruce Bannister. Che si fosse trattato di un delitto, a quel punto, mi pareva indiscutibile. Mi sedetti sulla sponda del letto, cercando di riflettere. Per il momento, Forder non sapeva che parte disastrosa avevo giocato io. Nell'inchiesta giudiziaria del giorno dopo avrei almeno evitato una pubblicità rovinosa. Magra consolazione. Bisognava fare qualcosa. Mi concentrai, ripensando al flacone che avevo adoperato. Poiché l'assassino ne aveva infilato un altro nella famosa tasca, doveva certamente avere fatto il possibile, in seguito, per recuperare le compresse avvelenate, in modo da distruggere le prove. Se ci era riuscito non restava più nulla da fare. Ma dal momento che il flaconcino era rotolato sotto un divano dal fondo molto basso, forse esisteva una possibilità che gli fosse sfuggito. E, ammesso che le cose fossero andate così, rimaneva una tenue speranza: il flacone poteva essere ancora là sotto e io potevo tentare di recuperarlo. Subito. Se fossi riuscito ad impossessarmene potevo consegnarlo a Cobb senza necessariamente informare Forder. Le indagini avrebbero potuto proseguire normalmente. Sarebbe risultato utile a Cobb, e anche a me. Era possibile ipotizzare che in casa dei miei vicini, ancora sotto shock per la morte di Bannister, nessuno avesse provveduto a riordinare, a chiudere a chiave il cancello e a sbarrare la porta. Senza concedermi il tempo per cambiare idea, mi infilai i primi vestiti che mi capitarono sottomano, afferrai una lampada tascabile e corsi dabbasso. Passando in anticamera lanciai un'occhiata alla pendola: erano esattamente le 3 e 45 del mattino. 8
La notte era limpida, e benché l'alba fosse alle porte, non erano ancora impallidite le stelle. Si specchiavano come piccole lune nell'acqua di una piscina abbandonata e deserta. Attraversai il giardino che odorava dei segreti profumi dell'estate. Quei passare furtivo per il giardino dei miei vicini con lo scopo di penetrare in casa loro, mi mise addosso una strana eccitazione. Quasi quasi avrei potuto essere un giovane e ardente Romeo che inseguiva un appuntamento amoroso. Invece ero un medico di mezza età spinto dal desiderio poco poetico di recuperare un flacone di pastiglie potenzialmente avvelenate per salvarsi la reputazione. Quando mi trovai davanti ai muri grigi di casa Bannister, e cominciai a costeggiarli per giungere alla terrazza, l'eccitazione sbollì, mutandosi in un vago senso di disagio. L'essere colto con le mani nel sacco sarebbe stato come minimo imbarazzante. Mentre indugiavo sulla terrazza giocherellando a illuminare i finestroni con la torcia elettrica, una delle porte si mosse leggermente, spinta da un soffio di brezza. Mi risolsi ad entrare. La casa, come speravo, non era stata sbarrata, né chiusa a chiave. Potevo penetrare facilmente, e mettermi a cercare senza timore di essere osservato. In punta di piedi raggiunsi la porta-finestra. E proprio in quel momento avvertii un leggero rumore alle mie spalle. Mi immobilizzai e per un attimo, sentendomi in fallo, immaginai si trattasse dei passi cauti e felpati di un essere umano. Poi il rumore si ripeté... era un silenzioso tap tap seguito da un debole ringhio. Mi voltai, esplorando l'oscurità con la modesta luce della mia torcia. Finché il fascio non illuminò il bastardone dei Bannister che mi fissava con fare minaccioso. Fortunatamente mi ricordai il suo nome. «Prince!» bisbigliai «Prince, bello mio.» Mi si avvicinò circospetto, fiutò la mano che gli avevo teso e sembrò soddisfatto. Non aveva certo la tempra del cane da guardia: agitò la coda e sparì senza abbaiare fra i cespugli del giardino. A mia volta, mi infilai senza far rumore nel soggiorno di casa. Alla luce della lampada, i mobili mi si mostrarono nell'esatta posizione in cui erano al momento del collasso di Bruce Bannister. Il pesante tavolo della seduta spiritica stava ancora al centro della stanza, poggiato sul nudo pavimento. E le sedie ancora tutt'intorno, eccetto le due che erano state rovesciate.
Aleggiava qualcosa di tetro e di misterioso in quella grande stanza vuota dove poche ore prima ci eravamo seduti a raccogliere i messaggi della moglie morta di un uomo che ora era morto anche lui. Rabbrividendo mi voltai verso il divano dove avevamo adagiato Bannister. Stava al suo posto. L'impronta del corpo era ancora visibile sull'imbottitura. Mi gettai bocconi e feci scorrere il fascio di luce sotto il divano. Non c'era niente lì sotto, solo il parquet liscio e lucido. Allora, illuminandoli, passai in rassegna i lati del divano, poi guardai dietro la sponda, tastando in ogni angolo. Ancora niente. Cupo e depresso, dovetti confessare a me stesso di essere arrivato in ritardo. Stavo rimettendomi in piedi quando udii un debole click in corridoio: improvvisamente la stanza fu inondata di luce. «Chi è là?» Era una voce femminile, molto decisa. Trasalii. Battevo le palpebre per riabituarmi alla luce e mi sentivo colpevole e stupido. Sarah Deane stava ritta sulla soglia. Con uno scialle leggero sopra la veste da camera e i magnifici capelli bianchi che le incoronavano le spalle scendendo sin quasi alla vita, la madre di Bruce Bannister sembrava straordinariamente giovane e vitale. Notai tuttavia che intorno al collo portava ancora quell'antiquata fascia di velluto che le avevo visto a cena. Era un particolare strano, quasi elegante, un tocco di bizzarra dignità nell'informalità del suo abbigliamento notturno. «Così, siete voi, dottor Westlake.» Sorprendente a dirsi, ma il suo tono era esitante, come fosse lei, e non io, a doversi scusare dell'intrusione. Farfugliai qualcosa. «Io... ehm... ho lasciato... ehm... lo stetoscopio qui questa sera. Un paziente... chiamata d'emergenza... non volevo svegliare tutta la casa... le porte erano aperte... sono entrato dalla terrazza... ehm...» Mi si fece vicina, e vedendola con occhi più abituati alla luce, notai che il suo viso era profondamente solcato. Dimostrava tutti i suoi anni, ora, e le grinze sulla pelle e il colorito testimoniavano della sofferenza che aveva affrontato. Piuttosto goffamente, le dissi: «Signora Deane, sono molto, molto addolorato per la morte di vostro figlio. Vi porgo le mie condoglianze.» «Grazie» rispose con semplicità. «Mi mancherà molto, dottore. Checché ne dicesse la gente, Bruce era un buon ragazzo. Un buon ragazzo e un bra-
v'uomo. Non ha mai fatto nulla di meschino e di vile in vita sua.» Aveva gli occhi lucidi, combatteva con le lacrime. Non volendo essere vista, mi voltò le spalle. Poi, d'improvviso, riprese i modi franchi e disinvolti che avevo conosciuto a cena. «Sono vecchia, dottor Westlake, ma non rimbecillita. Vi ho sorpreso con la testa infilata sotto il divano: non crediate di imbrogliarmi con la storia dello stetoscopio.» Si fece una risatina. «Tanto per incominciare, quando sono entrata vi spuntava fuori dalla tasca.» Istintivamente mi tastai le tasche. Aveva proprio ragione, lo stetoscopio era lì. «Ma non c'è bisogno che io vi chieda la vera ragione della vostra visita» si affrettò ad aggiungere. «Credo di saperla già.» Sperai che non notasse la vampata colpevole che, ero certo, mi stava imporporando la faccia. «Siete qui» continuò «perché pensate che il povero Bruce non sia morto per un attacco cardiaco.» «Io... be'...» bofonchiai. «Non c'è bisogno che vi sforziate di rispettare i miei sentimenti, giovanotto.» Sarah Deane mi guardava dritto negli occhi. «Sono vecchia e indurita e non mi piace far la parte della ragazzina.» Annaspai, cercando le parole, ma la signora Deane mi anticipò di nuovo. «Non so cosa siete venuto a cercare e non ve lo domanderò. Ma c'è una cosa che voglio chiedervi, una cosa che mi dovete promettere come vicina di casa e, sì, come amica.» Rispondendo al suo sguardo mi sentii invadere dalla vergogna. Era chiaro che la signora Deane si fidava di me. Che cosa avrebbe pensato se avesse saputo che quasi certamente ero stato io ad uccidere suo figlio? Benché la tensione accumulata continuasse a trasparire in lei, quando ricominciò a parlare lo fece con voce vagamente teatrale. Era davvero impossibile dimenticare che quella vecchia signora così anticonformista era stata un tempo un'attrice famosa. «Qualunque cosa pensiate di questa terribile faccenda, qualunque sia il vostro dovere nei confronti della polizia, desidero che facciate il possibile per risparmiare la verità a Sheila. Aspetta un figlio, lo sapete. Tutta la sua vita è imperniata sul bambino, ora. Se solo sospettasse che il padre della creatura...» Si interruppe. «Le voglio bene, dottor Westlake, le voglio bene come se fosse mia figlia. Ha vissuto esperienze tragiche nella sua esistenza, e tuttavia è riuscita a rimanere se stessa. Aveva sposato un poco di
buono che sperperò con altre donne il patrimonio di famiglia, l'abbandonò e infine morì su una strada come un cane. Per anni ha allevato i figli da sola, lavorando per mantenerli. Ma non ha mai perso la fede, è riuscita a conservarsi serena. Poi è comparso Bruce. Era pazzamente innamorato di lei, Bruce, ma Sheila era una donna di rigorosi principi, e non gli ha permesso di divorziare dalla moglie. Voi non avete conosciuto Grace. Era una donna volgare e cattiva come se ne incontrano poche, una mezza pazza. Non le bastò aver fatto della vita di Bruce un inferno, prese a tormentare anche Sheila. Erano scenate e accuse a ogni piè sospinto. Poi Grace morì e la vita di Sheila avrebbe potuto essere felice, se non fosse comparsa quella... quell'essere spregevole di Eleanor Frame.» Sarah Deane allargò le braccia. «Non chiedetemi cosa ci fa la ragazza in questa casa. Non chiedetemi perché mio figlio la proteggeva e si interessava a quei morbosi giochi al tavolino. A volte penso che Eleanor sia perfino peggiore di Grace. Certo è che sta distruggendo la salute di Sheila, e sono sicura che in qualche modo è responsabile della morte di Bruce.» La vecchia signora fece un passo verso di me. «Ora, capite perché voglio che Sheila sia tenuta all'oscuro? Sarebbe crudele farla soffrire di più. Promettete di aiutarmi?» Mentre parlava, mi aveva attraversato la mente il pensiero che io e la signora Bannister fossimo nella stessa posizione: in fondo la segretezza avrebbe giovato ad entrambi. Stavo comunque per promettere quando improvvisamente, stridulo, cominciò a squillare il telefono in corridoio. C'è sempre qualcosa di particolarmente inquietante in un telefono che suona nel bel mezzo di una situazione che è di per se stessa un dramma. Quel qualcosa poi diventa arcano se gli squilli arrivano in un'ora piccolissima della notte. Per un momento Sarah Deane ed io rimanemmo immobili a guardarci negli occhi, spaventati. Il telefono squillò di nuovo. «Devo rispondere» mormorò frettolosamente la signora Deane. «Sheila si potrebbe svegliare.» «E altrettanto frettolosamente uscì dalla stanza.» Credo che, da un punto di vista etico, non avrei dovuto ascoltare nemmeno una parola della conversazione che seguì, fuori in corridoio. E posso affermare onestamente che all'inizio non avevo la benché minima intenzione di origliare.
Ma a quell'ora di notte le case sono straordinariamente silenziose. E la voce della signora Deane, affilata per l'emozione, era troppo vicina. Anche volendo, non avrei potuto ignorarla. Udii il click di un ricevitore sollevato. Poi la voce dell' anziana signora che diceva: «Pronto... Pronto... chi parla?... Vancouver?... Avete detto Vancouver?» Ormai ero all'erta. In quella vicenda tortuosa e densa di ombre Vancouver pareva avere assunto un'importanza sinistra. A un giorno di navigazione da Vancouver Grace Bannister si era gettata in mare. Da Vancouver veniva anche la misteriosa Eleanor Frame. In corridoio seguì un prolungato silenzio. Poi la voce di Sarah Deane filtrò di nuovo dalla porta aperta. «Pronto, pronto... sì... cosa?... no, non è possibile... non può essere...» Pausa. Poi un sussurro soffocato: «Dio mio...» Ancora silenzio. E stavolta sembrò spaventosamente profondo. Rauca, ansiosa, ancora la voce della signora Deane: «No, no. Non telefonare alla polizia. Qualunque cosa succeda, non devi farlo. Sarebbe deleterio. Arrangiati per tuo conto. È l'unica speranza. È... No, è peggio. Ho una tremenda notizia anch'io. Bruce è morto questa sera. Sì... Almeno la cosa non lo ferirà. Ma c'è Sheila. Lei...» Mentre parlava le si affievoliva la voce. Infine le mancò definitivamente. Udii qualcosa che stava a metà fra un debole sospiro e un confuso bisbiglio, qualcosa come: «Non so... Non-so-cosa-fare...» Poi il fracasso di un ricevitore scivolato di mano, seguito dal rumore attutito, inconfondibile di un corpo che cade. Allarmato, corsi fuori dalla stanza e salii i due gradini che portavano in corridoio. Lì una sola lampada era accesa. E gettava il suo raggio obliquo sul sontuoso tappeto, illuminando la minuta figura di Sarah Deane che giaceva scomposta sul pavimento, di fronte al tavolino del telefono. Il ricevitore, sopra di lei, dondolava nel vuoto come un pendolo impazzito. Subito corsi a riattaccare, e mi curvai per soccorrere quel corpo prostrato. La donna giaceva supina, con gli occhi spalancati e fissi al soffitto. Per un attimo, mentre mi accovacciavo al suo fianco, pensai di avere fra le mani un paziente grave. Sarebbe stato il secondo nel giro di poche ore. Aveva le labbra blu e le guance grigiastre. Le vene del collo erano estro-
flesse come corde di un laccio. Toglierle la fascia di velluto, che ora sembrava imprigionarle il collo e quasi strangolarla, fu la mia prima reazione. Nella debole luce del corridoio, le sollevai la testa e armeggiai per sganciare il fermaglio, appena sotto la nuca. La notte era stata un susseguirsi di shock. Ma quello forse fu il peggiore di tutti. Paralizzato dallo stupore mi inginocchiai a guardare la "cosa" che la banda di velluto celava. E mentre osservavo, Sarah Deane batté le palpebre. Mi fissò, stordita. Poi, con sorprendente agilità, si rialzò in piedi e mi voltò la schiena. «Mi dispiace, dottore, scusatemi. Sono stata melodrammatica.» Era senza fiato, e la voce le usciva rauca, tuttavia non aveva smarrito la sua consumata disinvoltura. «Il fatto è che ho ricevuto notizie... diciamo cattive. Era mio marito, quello di cui vi parlavo a cena. Il dottor Deane. È nei guai. Tutto è avvenuto così rapidamente. Non ero preparata.» Dicesse o no la verità, al momento era un problema che non mi toccava. Ero troppo sconvolto per rifletterci. «Ma signora Deane, dovete permettermi di aiutarvi. Voi...» «No, no. Non ce n'è bisogno. Mi sento bene. Davvero.» Si voltò di nuovo verso di me. Mi accorsi appena del colorito che era tornato a ravvivarle le gote, perché concentrai l'attenzione sulle mani, che stringevano alla gola lo scialle di sottilissimo cotone. Tentò un sorriso, esile. «Grazie, dottor Westlake. Ma è meglio che ve ne andiate, ora. Buona notte.» Si allontanò continuando a tenersi lo scialle premuto sul collo. Ero sicuro, a quel punto, che una sola cosa stava a cuore a quella donna: desiderava impedirmi, con tutte le sue forze, di vedere le cicatrici che la fascia di velluto aveva tenuto nascoste. Ma il suo desiderio doveva rimanere inesaudito. Perché, nonostante la luce incerta, io avevo visto. E lo spettacolo di quei segni mi aveva fatto precipitare nel mondo degli incubi. Quelle cicatrici tutt'attorno alla gola, regolari, rimarginate da poco, non erano segni qualsiasi. La mia esperienza di medico mi diceva che nessuna operazione avrebbe lasciato tracce del genere. No, quella donna non si era affatto sottoposta a interventi chirurgici. Si trattava di qualcosa di anormale che, a dispetto dell'evidenza, stravolgeva il senso comune.
Strane, serrate le une vicino alle altre, le avevo vedute rosseggiare vivide sullo sfondo della pelle diafana e raggrinzita di quel collo: erano le ferite da poco cicatrizzate del morso di una bocca umana. 9 Ero troppo stanco, quella notte, per concedermi il lusso di riflettere. La scoperta accidentale delle cicatrici di Sarah Deane aveva prodotto il collasso definitivo dei miei processi mentali. Ricordo vagamente di avere avuto coscienza, ripassando per il giardino dei Bannister, del baluginare dell'alba, a oriente. Ricordo di essermi detto che la giornata prometteva un caldo infernale. Come se si fosse trattato di un altro monotono giorno d'agosto e non del primo passo verso un futuro incerto, dove avrei dovuto giocare le parte rischiosa dell'assassino innocente. Una volta a casa, sprofondai nel sonno più profondo, completamente inebetito. Ed ero ancora abbastanza intontito quando il domestico del dottor Hammond entrò in stanza a svegliarmi, portandomi una copia del Grovestown Times, che della tragedia riportava un resoconto cospicuo: c'era perfino la foto mia e di Cobb, presa mentre lasciavamo casa Bannister. Di fronte al titolo, sgranai gli occhi: BANCHIERE LOCALE MUORE IMPROVVISAMENTE DURANTE UNA SEDUTA SPIRITICA. Il che era già di per se stesso un disastro, specialmente in considerazione del fatto che la cronaca lasciava intuire come si fosse trattato di una morte assolutamente eccezionale. Ma il peggio per me fu la didascalia posta sotto un secondo ritratto, sempre mio naturalmente, che dovevano aver rispolverato dagli archivi del giornale. Diceva: Il dottor Hugh Westlake di Kenmore, medico di famiglia dei Bannister. Benché fosse presente alla seduta spiritica, il dottor Westlake non è riuscito a rianimare il suo paziente colpito da malore. L'articolo, peraltro sconcertante, ebbe almeno l'effetto di svegliarmi completamente. Il ricordo dei traffici della notte precedente tornò ad assalirmi, e compre-
si che la prima cosa da fare era parlarne con Cobb. Appena dopo colazione scesi alla City Hall. Splendeva un sole ancora tiepido, piacevolissimo. Trovai il mio vecchio amico rintanato nel suo ufficio. Era pallido e pareva molto affaticato. Quando mi vide, gli brillarono gli occhi. «Be', Westlake, a quanto pare siamo partiti col piede sbagliato. Mi riferisco a quelle fosche ipotesi di omicidio che avevamo ventilato: Forder mi ha detto che le compresse del tubetto non erano avvelenate. Sono contento per te e per tutti. Un suicidio è molto più comodo, non credi?» «Suicidio!» feci eco, desolato. «Non parlarmi di suicidio.» Gli raccontai del secondo flaconcino e del mio fallito tentativo di recuperarlo, culminato nel colloquio con la madre di Bruce Bannister e nella drammatica telefonata. Trascurai un solo e macabro dettaglio, quello relativo alle cicatrici sulla gola di Sarah Deane. Non c'era ragione di credere che c'entrassero col caso Bannister. Inoltre la loro scoperta era stata fortuita, e decisi di considerare la cosa se non come segreto, almeno come "incidente" professionale. Mentre parlavo, Cobb giocava con la sua pipa spenta. «Così Forder avrebbe analizzato il flacone sbagliato.» Mi guardò con espressione grave. «Credo che tu abbia ragione, Westlake. Adesso non ci sono più dubbi, è un omicidio.» «Esatto» commentai. «Dove pensi che sia l'altro flacone?» «Sono sicuro di averlo visto rotolare sotto il divano, stanotte. Cento contro uno che la persona che l'ha infilato in tasca a Bannister la prima volta, ha cercato di raccoglierlo dopo averne fatto scivolare uno nuovo nel panciotto.» «E se c'è riuscita» rifletté Cobb «sarà difficilissimo per noi provare come è stato somministrato il veleno.» I suoi occhi accennarono di nuovo a brillare. «Ho capito, sei venuto a chiedermi di non parlare della cosa a Forder.» «S... sì» confermai, piuttosto imbarazzato. «Io non vedo a che cosa gioverebbe, al momento, farglielo sapere.» «Io nemmeno.» L'espressione di Cobb era severa. «Forder ci sta già procurando abbastanza guai. Ovviamente è convinto che si tratti di suicidio. Ma non vede l'ora di fare una rivelazione bomba all'inchiesta di stamattina raccontando che nel corpo di Bannister si sono trovate delle tracce di veleno.» Si strinse nelle spalle. «Se viene a sapere che è stato un omicidio, è
capacissimo di scendere immediatamente in città e vendere la notizia ai giornali. Il che brucerebbe le nostre possibilità di condurre indagini riservate. E se ci si trascina dietro un codazzo di giornalisti e fotografi, stai tranquillo che con gente come i Bannister non si conclude proprio nulla. La nostra unica possibilità è che Forder continui a credere ad un suicidio. Noi lavoreremo nell'ombra finché...» Si interruppe bruscamente. E fece appena in tempo. Perché in quel momento si aprì la porta ed entrò Forder in persona. Nonostante che i miei rapporti professionali con lui fossero sempre stati cordiali, c'era qualcosa nel volto pallido e intransigente del Coroner che mi faceva invariabilmente sentire uno scolaretto. Quella mattina poi avevo buone ragioni per sentirmi in colpa, e la mia reazione fu anche più marcata del solito. Ma con sorpresa notai che stavolta era Forder a sembrare a disagio. Mi lanciò un'occhiata quasi timida, bofonchiò un "buongiorno" e poi cominciò a tossire. «Cobb» esordì «io... ehm.» Mi guardò come se non sapesse decidersi a chiedermi di uscire. Probabilmente abbandonò l'idea, perché d'improvviso riprese il discorso. «Ci ho riflettuto, Cobb, e mi pare che sia più saggio evitare assolutamente di pronunciare la parola "veleno" all'inchiesta di oggi. È una piccola irregolarità, ne convengo. Ma Bannister era un uomo in vista e le circostanze della sua morte fanno presumere si sia trattato di trombosi alle coronarie. Perciò credo sia più conveniente, nondimeno giustificabile, che io oggi esprima semplicemente un'opinione, riservandomi di dare un giudizio definitivo fra... diciamo un paio di settimane, dopo indagini più approfondite.» Cobb ed io lo fissavamo, increduli. «Che diavolo ti è successo, Forder?» sbottò Cobb. «Venti minuti fa mi stavi facendo una predica di quelle...» Forder mi lanciò di nuovo uno sguardo nervoso. «Se è per Westlake» continuò Cobb «non preoccuparti. Collabora con me.» Il Coroner arrossì lievemente. «D'accordo, Cobb. Te lo dico, è ovvio, in confidenza. Sarebbe un segreto, ma devo assolutamente spiegarti il motivo per cui ho cambiato idea.» Si interruppe. «Mi ha appena telefonato il dottor Kirsh.» «Kirsh?» domandai. «Intendete il professore di Fisiologia e Farmacolo-
gia dell'università?» «Sì. Ci serviamo di Kirsh per certe consulenze tossicologiche. Ha lavorato tutta notte per analizzare il veleno rinvenuto nel corpo di Bannister. Voleva stabilirne l'esatta natura.» «Non avevate detto» intervenni «che si trattava di atropina-hioscina?» «Senza dubbio apparteneva a quel gruppo di composti. Ma fra i vari preparati ci sono differenze nel grado di tossicità, di rapidità d'azione e via dicendo.» Forder si guardava le mani affusolate. «Kirsh mi ha appunto chiamato per dirmi che aveva identificato la sostanza. Era sotto shock: il veleno è un derivato isomero dell'atropina che ha sintetizzato lui stesso e su cui sta conducendo esperimenti all'università.» «Bannister è morto avvelenato da una sostanza prodotta nel laboratorio di Kirsh?» disse Cobb, sbalordito. «Come diavolo può essere accaduto?» Forder parve ancor più agitato. «Be', posso spiegarlo, ma ripeto: massimo riserbo. L'autunno scorso, in ottobre per la precisione. Kirsh mi mandò a chiamare. Era molto angosciato. Si era accorto che dal laboratorio mancava una bottiglia del suo preparato più tossico. Era ansioso di recuperarla, naturalmente, ma voleva evitare che della scomparsa si parlasse in giro. Mi chiese di affidare l'indagine a te, Cobb. Ma prima che potessi avvertirti, Kirsh mi telefonò per dirmi che tutto era sistemato.» Forder tornò a rimirarsi le mani. «Da come mi raccontò la storia, pareva che uno dei suoi studenti avesse inavvertitamente portato a casa la bottiglia. Mi disse che la sostanza era stata riportata e che perciò non c'era bisogno di intraprendere indagini.» Tossì. «Pare che la famiglia dello studente fosse interessata a passare sotto silenzio l'episodio almeno quanto Kirsh. Come ringraziamento, detta famiglia donò all'università una sostanziosa somma per sovvenzionare la ricerca scientifica.» «E chi era questo studente?» chiese Cobb, la voce tagliente. Era inevitabile. Tornai col pensiero alla mia conversazione della sera precedente con Gregory Bannister. Gregory, il giovane figlio di Bruce, tanto orgoglioso del suo laboratorio, che proclamava con entusiasmo di lavorare da mesi alle dipendenze del dottor Kirsh! Il Coroner tormentava la catena del suo orologio da tasca. «Credo di essere in una posizione in cui per essere franchi bisogna violare certi segreti. Kirsh non mi ha mai rivelato il nome dello studente. Ma... mi è capitato di prender visione della lettera che accompagnava l'assegno indirizzato all'università. La lettera non era firmata. Invece l'assegno portava la firma di
Trimble Comstock.» «Comstock? Il cognato di Bruce Bannister?» «Esatto» disse Forder. «Ed ecco come vedo la cosa, ora come ora. Presumibilmente è stato il giovane Bannister a prendere quella bottiglia... per errore. E, badate, è un'ipotesi, il signor Bannister prima di renderla ha prelevato parte del contenuto. Ora, se all'inchiesta si parlerà della natura della sostanza che ha ucciso Bannister, tutto l'episodio dovrà essere reso pubblico. Kirsh ritiene che la cosa non solo lo danneggerebbe personalmente, ma sarebbe spiacevole anche per l'università. Ed è perciò che io credo si debba usare la massima discrezione.» Era abbastanza buffo, per me, pensare che un personaggio eminente e rispettato come il dottor Kirsh poteva essere trascinato in questa vicenda per recitarvi una parte quasi imbarazzante come la mia. E buffa era anche la marcia indietro di Forder, così spregiudicata e precipitosa. Ma le implicazioni dei discorsi del Coroner erano tutt' altro che divertenti. Giacché se lui credeva alla tesi del suicidio, Cobb ed io eravamo virtualmente certi che Bruce Bannister fosse stato assassinato. E ora la pista del veleno sottratto al laboratorio di Kirsh portava dritto a suo figlio, Greg Bannister. 10 Forder ammiccava. «Bene, signori, siete d'accordo sul rinvio del verdetto?» Cobb mi lanciò un'occhiata ironica e disse: «Certo, Forder. Qualunque cosa, se è per aiutare te o la tua cricca.» «Ehm... allora d'accordo.» Il Coroner guardò l'orologio. «In questo caso non c'è altro da dire. L'inchiesta comincerà alle undici, Westlake. Vi aspetto là. Vi interrogherò unicamente come medico, e vi chiederò di raccontare come si è sentito male Bannister, come siete intervenuto voi e come ha reagito il paziente. Niente più di questo. Son sicuro che tutto si risolverà per il meglio. Arrivederci.» Uscì alla svelta dall'ufficio. Pareva sgonfio. Cobb ed io ci fissammo negli occhi. «Be'» commentai. «L'inchiesta non gli interessa gran che. Sembra preoccupato di tutt'altro.» «Davvero.» Cobb ghignò. «Sei fortunato, Westlake.» Il riso gli svanì.
«Oltretutto Forder ci è stato d'aiuto, non credi?» «Perché ci ha indicato Greg Bannister?» «Già. Quel ragazzo dovrà spiegarci un sacco di cose.» «Ti ricordi della faccenda di Oliver Thorpe, nel garage? È avvenuta in ottobre, proprio al tempo del furto del veleno nel laboratorio. E Kirsh era stato interpellato per curare Thorpe.» Cobb batté leggermente sul tavolo col fornello vuoto della pipa. «Esatto. Ecco un altro particolare che il ragazzo dovrà chiarirci.» «Hai intenzione di andargli a parlare subito?» gli domandai. «No.» L'espressione dell'ispettore era indulgente, paternalistica. «Tu invece sì, vero, Westlake?» «Io?» Annuì. «Ora l'inchiesta metterà tutto a tacere, perciò io non avrò più alcun diritto di andare a curiosare a casa dei Bannister, almeno in veste ufficiale. Ma naturalmente continuerò a lavorare dietro le quinte. Per prima cosa controllerò la telefonata intercomunale che ha ricevuto la signora Deane e quella che ha preso Bruce poco prima della seduta spiritica. Ma per quanto concerne i Bannister, l'indagine filerà più liscia, in questa prima fase, se la condurrai tu, come amico di famiglia. Ti darò io le indicazioni del caso. Penso che te la possa cavare.» «Ma io sono impegnatissimo come medico, ho i miei pazienti...» azzardai. «E vuoi continuare ad essere un medico impegnatissimo, no?» mi interruppe Cobb, duro. «Se questa faccenda non si risolve a dovere, dovrai considerarti fortunato se riuscirai a farti una clientela vendendo matite agli angoli delle strade.» Il che mi tagliò definitivamente le gambe. In passato avevo collaborato con Cobb aiutandolo modestamente a risolvere qualche caso. Però mai prima d'allora ero stato costretto a far la parte dello Sherlock Holmes a tempo pieno. E poi era il primo caso in assoluto dove io stesso mi trovavo compromesso. La prospettiva era piuttosto allarmante. «Benissimo» dissi senza entusiasmo. «D'ora in avanti, immagino, dovrò prendere ordini da te. Che devo fare per prima cosa? Parlare con Gregory?» «Sì. Il fatto che il ragazzo ti abbia dato una mano, la scorsa notte, ti mette nelle condizioni ottimali per cavargli qualcosa. Vedi anche se riesci a localizzare il flacone del veleno.»
«D'accordo.» «Se si sente di parlare, Oliver Thorpe è un altro che deve avere qualcosa da dire.» Cobb diede un'occhiata all'orologio. «È ancora abbastanza presto. Hai il tempo di fare un salto da Trimble Comstock prima dell' inchiesta. Ha lo studio proprio qui a due passi.» «Comstock? Vuoi che controlli la faccenda dell' assegno per Kirsh?» Cobb scosse il capo. «Riusciresti solo a spaventarlo, in questo modo. Mi interessano invece un paio d'altre cosette. Per esempio scoprire che cosa si sono detti lui e Bannister alla riunione di lavoro di ieri sera. E sapere come sarà suddivisa l'eredità di Bruce.» «Niente di più facile» ribattei, sarcastico. «Anzi, già che ci sono mi farò raccontare i suoi problemi sessuali.» «Oh, ti dirà tutto.» Cobb sorrideva, imperturbabile. «Conosco Comstock. Le elezioni sono imminenti e avrà una paura tremenda degli scandali. Basta che tu sostenga la linea del "salviamo l'onore familiare". Ogni tanto lasciagli intuire che se non si confida con te potrebbe trovarsi a sostenere qualche conversazione con chi sai tu. E che la cosa non gioverebbe alla prospettiva di una sua eventuale elezione a procuratore distrettuale...» Allargò le braccia. «Semplice.» Mi augurai che avesse ragione. In realtà ero ansioso quanto Cobb di conoscere la risposta a quei quesiti. Così, pochi minuti dopo ero già sulla porta dello studio legale di Trimble Comstock. Benché l'avvocato fosse evidentemente molto impegnato, fui ricevuto non appena gli comunicarono il mio nome. Nell'ufficio c'erano due segretarie, e la scrivania di Comstock era ingombra di documenti legali e scartoffie. Lui, funerario, vestiva di nero. Nel darmi la mano scosse tristemente il capo e gli occhialini a molla gli tremarono sul naso. Poi ci scambiammo le consuete frasi di circostanza e quelle ancor più insignificanti con cui di solito ci si sforza di esprimere un rincrescimento decoroso di fronte a un lutto. L'avvocato sospirava, guardava la fotografia di Sheila in bilico sull'orlo del suo scrittoio e mormorava: «Ah, povera Sheila, dobbiamo risparmiarle altri dolori.» Tutti parevano ossessionati dall'idea di proteggere Sheila. Un paio di volte Comstock si smarrì a fissare i libri religiosi che si trovavano su uno scaffale vicino a noi, come assorto in pie riflessioni. Tuttavia alla fine si decise a sospendere l'attività mistica e mi permise di chia-
rirgli il motivo della visita. Benché fossi abbastanza nervoso, in fondo come vero investigatore era la mia prima operazione, me la cavai abbastanza bene. Gli dissi quanto mi dispiaceva di essere stato costretto, come medico, a chiedere, per la morte di suo cognato, l'intervento del Coroner. E gli spiegai che, nell'interesse mio e della famiglia, ero desideroso di evitare un inutile lavaggio pubblico di panni sporchi. Anche se entrambi evitammo accuratamente di pronunciare la parola "veleno", capii che l'avvocato sapeva che il cognato non poteva essere morto di morte naturale. Lasciai credesse a una semi-ufficialità del mio incarico, e conclusi assicurandogli che aveva tutto l'interesse ad essere franco con me, perché le mie relazioni con la polizia erano tali da consentirmi di far passare sotto silenzio tutto ciò che non aveva diretto rapporto con la morte di Bannister. Mentre parlavo, Comstock sedeva perfettamente immobile, le mani giunte, in una posa da uomo imparziale e equilibrato. Da perfetto giudice, se fosse stato eletto. Quand'ebbi concluso, si tolse gli occhialini e li pulì con un fazzoletto cardinalizio color porpora. «Apprezzo la vostra opera, dottor Westlake, e apprezzo anche il vostro tatto. Io ero l'avvocato personale del mio povero cognato, e inoltre trattavo le questioni legali della "Brown e Bannister". Naturalmente non posso tradire alcun segreto professionale, ma se mi riesce di esservi utile in qualche modo...» Un sorriso freddo completò il discorso. Seguendo le istruzioni di Cobb, gli dissi senza ulteriori preamboli che mi interessava sapere della riunione d'affari del giorno prima, e delle disposizioni testamentarie del cognato. Mi parve di intravedere nei suoi occhi un'istantanea espressione di sollievo. Con inaspettata prontezza mi disse: «Sono in grado di darvi risposte esaurienti, dottor Westlake. Il primo punto all'ordine del giorno, nella riunione di ieri, riguardava il ritiro di Bruce. Come sapete, mio cognato qualche tempo fa aveva deciso di abbandonare gli affari, ma recentemente era tornato sui suoi passi.» «E voi sapete come mai aveva cambiato idea?» chiesi. «Sì... certo. La situazione è abbastanza complicata. Dunque: Bannister negli affari si era fatto da solo, ed aveva sempre sperato di cedere il posto, a tempo debito, a un figlio suo. La decisione di Greg di iscriversi a medicina fu un brutto colpo per lui, e l'anno scorso, dopo aver sposato Sheila,
puntò tutte le sue carte su Oliver. Ma Oliver era troppo giovane e, benché fosse intelligente, non era affatto tagliato per gli affari. Tuttavia Bruce pensava che il ragazzo, preparato adeguatamente, avrebbe potuto farcela. Inoltre, a quel tempo, non aveva intenzione di ritirarsi e poteva aspettare.» Comstock tossì. «Però certi fatti che accaddero in autunno convinsero Bannister dell'errore che stava commettendo, perché risultò evidente che Oliver non era per nulla interessato alla conduzione della società. Fu allora che entrò in scena Hanley. Era un giovanotto abile e... pareva interessato a Linette. E Bruce decise che, in mancanza di meglio, poteva lasciare il posto a un futuro genero. Proprio in quel periodo i suoi disturbi cardiaci si aggravarono, cosicché quando prese la decisione di ritirarsi aveva in mente Hanley.» «Ma in quella sistemazione c'era qualcosa che non funzionava, vero?» domandai, curioso. «E fu per questo che ritornò sulle sue decisioni?» «Difficile dire se qualcosa non funzionava.» Le gote pallide dell'avvocato si imporporarono. «Non è semplice capire i motivi di una persona malata. Forse Bannister sentiva che Hanley non era l'uomo giusto, come in un primo tempo aveva sperato. Forse temeva che la sua storia con Linette non avesse futuro. Forse semplicemente confidava ancora un po' in Oliver. Sta di fatto che risolse di non ritirarsi, giudicando poco saggio passare le consegne ad Hanley al momento presente. Ieri, insieme, abbiamo discusso proprio di questo argomento.» Si interruppe. «È ovvio che ora, quasi certamente, il consiglio d'amministrazione eleggerà presidente Hanley. La persona più idonea, peraltro.» Benché Comstock si fosse dimostrato un maestro nell'arte del "dire e non dire", un fatto era fin troppo chiaro: per quanto riguardava David Hanley, Bruce Bannister non avrebbe potuto scegliere un momento più opportuno per morire. «Veniamo al secondo argomento della nostra conversazione di ieri» continuò l'avvocato. «Bruce voleva apportare una piccola modifica al testamento.» Batté le palpebre. «Non vedo perché non dovrei parlarvene, anche se deve ancora essere ratificata. Certo, non c'è motivo di tacervi la cosa.» Il che mi sembrava un po' troppo semplice per essere vero. Comstock sfogliò i documenti che teneva sul tavolo, scelse una certa cartelletta, e ne estrasse qualche foglio, che rimirò con malinconica soddisfazione. «Quello di Bruce è un testamento ammirevole, davvero ben fatto.» Sospirò. «Sorvolerò sui lasciti minori, sulle opere di carità e via dicendo. Le
voci più importanti riguardano: un generoso fondo fiduciario per mia sorella, la signora Bannister, due cospicui lasciti per i miei nipoti Oliver e Linette e una bella somma, di cui Sheila è garante, per il nascituro. Ma il grosso dell' eredità toccherà naturalmente al figlio naturale di Bruce, Gregory.» Dunque Gregory, presunto responsabile del furto nel laboratorio di Kirsh, improvvisamente si ritrovava ricco. Situazione alquanto desiderabile per un giovane studioso entusiasta e ambizioso, che voleva farsi strada nel campo della ricerca farmacologica. «Sono io» proseguì Comstock «il solo esecutore testamentario. D'altra parte è logico, visto che ero anche avvocato personale e parente stretto di Bruce. Naturalmente ricevevo una modesta ricompensa per le mie prestazioni professionali. Anche questo è logico, e...» Si interruppe e cominciò rigirare fra le mani i suoi occhialini. «Ecco, dottor Westlake, praticamente questo è tutto. Con l'eccezione del codicillo che Bruce ieri pomeriggio mi aveva chiesto di inserire nel testamento.» «Di che si trattava?» chiesi. Trimble Comstock si strinse nelle spalle, ostentando noncuranza. «Solo di un lascito aggiuntivo, dottore. Chiamiamolo spontaneo impulso di generosità verso un parente meno fortunato degli altri. Ieri pomeriggio Bruce mi ha chiesto di inserire la clausola di un lascito vitalizio, da ricavarsi sottraendo in proporzioni uguali dagli altri, che avrebbe assicurato diecimila dollari all'anno alla signorina... ehm... Eleanor Frame.» «Diecimila dollari all'anno vita natural durante?» feci eco, stupito. L'avvocato arrossì. «Ma sotto condizione» farfugliò. «Bruce voleva che la beneficiaria potesse incassare il vitalizio soltanto a mia discrezione. Ho dunque il potere di bloccare i pagamenti se per un qualsiasi motivo lo ritengo necessario.» Il che rendeva la cosa semplicemente pazzesca. «Già, lui... ehm... riteneva Eleanor Frame una donna un po' stravagante e cocciuta. Probabilmente pensava che una clausola come quella di assoggettare il lascito al giudizio di una terza persona potesse contribuire a frenare gli eccessi della nipote.» Conoscendo l'astuzia e l'autocontrollo della signorina Frame, la giustificazione di Comstock mi sembrò francamente zoppicante. Cominciavo a pensare che il virtuoso avvocato non fosse che un mediocre bugiardo, la cui posizione gli imponeva di coprire con penose menzogne una verità sempre più difficile da dire.
Infine, senza preavviso, mi lanciò l'ultima scarica di informazioni. «Vi ho parlato della faccenda soltanto perché il codicillo è aggiunto a macchina in fondo al testamento, e potete prenderne visione anche voi. Tuttavia la clausola non ha valore legale. Perché il signor Bannister non ha avuto... il tempo di firmarla.» Lo fissai negli occhi. «Non l'ha avuto perché è morto, intendete dire?» «Sì. Naturalmente Eleanor Frame potrebbe intentare una causa, appellandosi all'intenzione del defunto. Ma dubito che la spunterebbe.» È vero, ero venuto da Comstock per cercare moventi a un omicidio. Ma non mi sarei mai aspettato di trovare una situazione del genere. Brace Bannister era morto prima di poter assicurare ed Eleanor Frame un vitalizio in sé spropositato, e oltre tutto sottratto alla somma già destinata agli eredi naturali. Eccettuata la "Vipera" dunque, tutti in casa Bannister potevano virtualmente avere interesse che Brace morisse prima di poter modificare il testamento. Comstock mi parve frustrato dalla sua stessa franchezza. Forse avrebbe preferito non avermi detto niente. Speravo di trarre profitto dal suo imbarazzo, ma proprio in quel momento il telefono sulla scrivania cominciò a suonare. Non avevo mai visto uomo più felice di rispondere a una telefonata. «Sì, sì.» La voce era eccessivamente brillante. «Sì, certo.» D'improvviso il suo smalto svanì. Aggiunse, rauco: «Arriva qui? Per Dio!» E l'espressione, in bocca a una persona dai costumi tanto severi, mi suonò incredibilmente strana. Benché non potessi dire chi c'era all'altro capo del filo, la somiglianza di quella telefonata con l'altra, fra Sarah Deane e Vancouver, che avevo involontariamente ascoltato qualche ora prima, mi colpì profondamente. Fortuna che Trimble Comstock, molto virilmente, evitò di svenire. Comunque le notizie ricevute dovevano essere state esplosive almeno quanto quelle che avevano steso la signora Deane. Il rossore delle guance era scomparso. Seduto sulla poltrona col ricevitore appiccicato all'orecchio, l'avvocato pareva più pallido delle sue pergamene legali. «Non ci posso credere!» esclamò. «È... terribile, è troppo. Non ci posso...» Poi, come se improvvisamente si fosse ricordato che la mia presenza imponeva un contegno più discreto, si sforzò di controllare il tono di voce. «Ne discuteremo per esteso molto presto. Diciamo che questo non è il momento più adatto... No, non subito... arrivederci.»
Riagganciò il ricevitore. Con riluttanza alzò lo sguardo verso di me, l'espressione titubante. «Sono spiacente, dottor Westlake. Ho appena ricevuto pessime notizie da... un mio cliente. Spero di essere stato esauriente e sono sicuro di poter confidare nella vostra buona fede, e nella discrezione che vi contraddistingue. Ora mi duole, ma devo chiedervi di lasciare l'ufficio. Io... ho un caso importantissimo di cui occuparmi.» Quasi prima di rendermene conto, e certamente prima di capire ciò che era successo, mi trovai messo alla porta. Mentre scendevo le scale buie per uscire in strada, pensavo solo alla scena cui avevo assistito e alle sue possibili implicazioni, senza badare al resto. Infatti non mi accorsi dell'uomo che saliva di fronte a me finché non udii dire: «Buongiorno, dottor Westlake.» Riemersi dal profondo delle mie riflessioni, e vidi il giovane Oliver Thorpe sul pianerottolo appena di sotto. Mi sorrideva. «Salve, dottore. Vi siete sorbito una chiacchieratina professionale di zio Trimble, vero? Argomento? Indovino: gli si sta staccando la fodera della giacca.» Sono un uomo abbastanza all'antica, e credo che i figli, e anche i figliastri, dovrebbero mostrare un certo cordoglio, o per lo meno comportarsi con rispettosa sobrietà all'indomani della morte del relativo genitore. Perciò il contegno di Oliver mi stupì. L'avevo sempre visto molto cupo, questo biondino, e un po' anemico. Ora il suo viso sensibile pareva del tutto trasfigurato: sembrava radioso, esuberante, felice. Evidentemente la mia faccia tradì il pensiero. Perché il giovanotto si fece serio e con aria imbarazzata disse: «Terribile quel che è successo ieri sera. Terribile per mamma.» Si lasciò scappare un risolino nervoso. «Un vero disastro... e a proposito di disastri, vi avverto che oggi vi verrà a trovare il mio principale, o meglio, il mio exprincipale, l'affascinante David Hanley.» Ridacchiò di nuovo. «Mi piacerebbe esserci quando terrà la conferenza sui miei sette peccati capitali, ma temo di non poterci venire. Anzi, non ne ho affatto la possibilità.» Si scrollò il ciuffo biondo dalla fronte. «Guardatemi, sto varcando la soglia di una nuova vita, dottor Westlake. Spero che la visione sia edificante. E in particolare spero che lo sia per zio Trimble, che in questo varo deve tagliare il nastro della bottiglia di champagne. Arrivederci.» Mi sorpassò e riprese a salire, ad ampie falcate. Lo fissavo. Improvvisamente ricordai ciò che Trimble Comstock, agitatissimo, aveva appena det-
to al telefono: "Arriva qui? Per Dio..." Mi chiesi se ci poteva essere qualche relazione fra la drammatica telefonata e quell'immediato arrivo di Oliver Thorpe. 11 Erano quasi le undici, e dovetti affrettarmi per non giungere in ritardo a City Hall per l'inchiesta. La mia prima operazione in veste di investigatore quasi ufficiale mi aveva riservato ad un tempo emozioni e nuove, utili notizie. Non vedevo l'ora di riferirle a Cobb. Ma non c'era tempo. Quando arrivai, il procedimento stava per avere inizio. Mi fecero entrare subito in aula e non appena presi posto vicino al banco della giuria, entrò Forder e cominciò il tiro al piccione. Mi aspettavo di trovare il clan dei Bannister al completo, ma in mezzo alla confusione degli addetti-stampa e dei curiosi riuscii a distinguere solo il giovane Gregory. L'assenza degli altri, lo sentivo, era probabilmente il frutto di una diversione tattica progettata dal cervello strategico della situazione, l'ispettore Cobb. A dispetto delle assicurazioni di Forder, ebbi un momento di disagio alla fine del rapporto di Cobb, quando iniziò il mio interrogatorio. Ma non c'era ragione di preoccuparsi. Forder si comportò anche meglio di come aveva detto. Mi chiese unicamente di chiarire, in qualità di medico, chi era al corrente delle precarie condizioni di salute di Bannister, e chi lo aveva assistito fino al momento del decesso. Gregory Bannister, triste e scuro in volto, fu a sua volta chiamato a dare un breve resoconto degli eventi che avevano preceduto il collasso del padre. I reporter erano delusi. Come prevedibile, l'intera vicenda, seduta spiritica compresa, apparve in un alone di rispettabilità, se non di monotonia. Un secco discorsetto di Forder chiuse il dibattimento. La giuria si consultò rapidamente e decise di lasciare il verdetto in sospeso concedendo un rinvio, in attesa di ulteriori indagini. Tutto era andato come previsto. Dopo quella messinscena, cercai di rubare un minuto a Cobb, in corridoio. Gli raccontai ciò che era accaduto nello studio di Comstock. Con mio grande rammarico, ascoltò senza commentare e si limitò a battermi educatamente sulla spalla, mormorando: «Buon lavoro, Westlake.»
In quel momento i giornalisti lo assalirono, e io ne approfittai per fuggire. Era troppo tardi per andare a pranzo, così mangiai un panino a un bar e scesi in città, all'ambulatorio di Hammond, per il consueto pomeriggio di visite. Date le circostanze, fu un vero calvario. E mi sentii meglio solo quando ebbi finito con l'ultimo paziente. Tornai a casa sotto un cielo oppressivo e caldo, al cui confronto la casa di Hammond era un'oasi di frescura. Entrare fu un sollievo. Stavo appunto accarezzando l'idea di un bel drink ghiacciato quando mi accorsi che sul vassoio d'argento del tavolo in soggiorno c'era un telegramma. Con una certa apprensione, lo tolsi dal vassoio, strappai la busta ed estrassi il messaggio. Rimasi a bocca aperta. Diceva: Vita campeggio insopportabile per ragazze sensate stop alimentazione insufficiente stop epidemia lebbra stop immoralità assoluta stop direttore alcolizzato stop obbedendo tua implicita volontà ritorno stop baci Dawn. Mentre prendevo visione del pittoresco messaggio, non potei fare a meno di essere sorpreso per l'allarmante vocabolario della mia dodicenne figliola. Avevo già previsto che Dawn avrebbe cercato di muovere mari e monti per tornare a casa non appena avesse letto la notizia sui giornali. Ma non credevo che l'avrebbe fatto tanto in fretta e con tale sfrontatezza. Rimasi per un po' a pensare, diviso fra il divertimento e l'esasperazione del genitore contrariato. L'esasperazione paterna ebbe la meglio. Andai al telefono e dettai un telegramma risoluto e implacabile: Alimentazione insufficiente lebbra immoralità alcolismo ottimi per ragazze sensate stop rimani al campeggio e fattelo piacere stop Papà. La centralinista era evidentemente indignata mentre mi rileggeva il messaggio snaturato. Temetti che mi insultasse, ma non fece commenti. Io invece mi misi a imprecare contro il destino che mi aveva dato una figlia tanto scatenata e piombai in salotto. È piuttosto imbarazzante entrare in una stanza che si crede vuota e trovarla invece occupata da qualcuno. Fu anche più imbarazzante quando identificai il visitatore. Comodamente seduta nel divano, senza cappello né soprabito, intenta nella lettura di una rivista, con una sigaretta in mano, c'era nientedimeno che Eleanor Fraine che aveva tutta l'aria di essere in casa sua. La beneamata nipotina della prima signora Bannister lasciò scivolare il giornale sul pavimento e mi fissò con i suoi furbi occhi verdi. L'ultima vol-
ta che l'avevo vista al capezzale di Bannister agonizzante era sconvolta e spaventata. Ora era completamente diversa. Portava un abitino nero e, al collo e ai polsi, bigiotteria dorata, ed appariva scattante, sicura e innocua pressappoco come un cobra reale. «Buongiorno» disse. Da quando Comstock mi aveva rivelato che era uno dei maggiori beneficiari del testamento di Brace Bannister, la mia curiosità riguardo alla Frame era molto aumentata. Ma non ero in vena di essere socievole. Piuttosto scontrosamente le chiesi: «Che cosa volete?» «Non si tratta tanto di quello che voglio io, dottor Westlake» dichiarò «quanto di quello che volete voi.» Si alzò serpeggiando dal divano e mi si avvicinò aggiustandosi i capelli con una mano. Ammiccava, sorridendo. «Ho portato dei regali.» Mantenendo il perfido sorriso aprì la borsetta e ne tirò fuori qualcosa che mi porse. «Pensavo che vi avrebbe fatto piacere averla.» La presi e la guardai ottusamente. Non sapevo se sentirmi sollevato, eccitato o soltanto molto imbarazzato. La cosa che Eleanor Frame mi aveva dato era una boccetta di vetro con la scritta "Nitroglicerina" piena per circa un terzo di compresse. Era un flacone che conoscevo anche troppo bene, che ero andato a cercare inutilmente a casa dei Bannister e da cui dipendeva la mia rispettabilità professionale; il flacone che Cobb mi aveva indicato come l'indizio più importante da scoprire. Lo strinsi con amarezza. Con gesto impulsivo me lo feci sparire in tasca. Avrei voluto farlo sparire anche dai miei pensieri. Balbettai: «Dove l'avete trovato?» «L'ho visto cadere per terra dopo che ne avevate tirato fuori una pastiglia l'altra sera per darla al povero zio Bruce» rispose lei tranquillamente. «Da brava infermiera specializzata l'ho raccolto subito, mentre voi eravate impegnato a fare il vostro dovere di medico.» Esibì di nuovo il suo sorriso. Fino a quel momento non avevo fatto caso ai suoi denti. Bianchissimi e piuttosto aguzzi. «Essendo infermiera specializzata» continuò «ve l'avrei restituito l'altra sera se non mi fossi accorta di qualcosa che non andava. Ho molto spirito d'osservazione, vedete, e ho un fiuto speciale per le droghe. Non sembravano quelle giuste, le compresse; non ne avevano l'odore, non ne avevano l'aspetto. Non sono certo quelle indicate nell'etichetta.»
Fece una pausa come aspettando che dicessi qualcosa. Non riuscii a dire altro che: «Davvero?» «Già, dottor Westlake.» Si strinse nelle spalle. «Ho ripensato a quello che ha detto Greg, che non potevate stendere il certificato di morte. Ho ripensato al poliziotto che è venuto con il magistrato inquirente.» «Che cosa avete...» «Sono arrivata alla conclusione che lo zio Bruce è stato avvelenato e che il veleno è stato somministrato con queste compresse.» Fece un gesto vago, sbrigativo. «Per assicurarmi che fossero velenose, ho fatto una prova stamane; una prova decisiva. Non ho dubbi. Non si poteva arrivare ad un esito più tragico e sfortunato.» Il tono di voce di Eleanor Frame avrebbe potuto adattarsi benissimo alla ricetta di un dolce al cioccolato. Le sue lunghe ciglia si abbassarono spietate sugli occhi verdi, che mi fissavano implacabili. «Così ho pensato, dottor Westlake, che probabilmente vi interessava riavere il flacone. Dopotutto siete stato voi che avete dato le compresse avvelenate allo zio Brace, vero?» Neppure negli incubi della notte precedente avevo previsto qualcosa del genere. Avevo temuto di finire alla mercé dello zelante e integerrimo Forder. Ma non mi era venuto in mente che sarei finito nella mani di quell'essere senza scrupoli. Era anche troppo chiaro ormai che non poteva capitarmi di peggio. «Questa mattina» disse esalando una voluta di fumo azzurrino «in casa Bannister sono venuti i giornalisti. Sarebbero stati entusiasti di ricevere da me il resoconto veritiero della morte del povero zio Brace. Naturalmente avrei avuto tutti i diritti di raccontare loro quello che sapevo. Come avrei avuto il diritto di consegnare il flacone alla polizia. Ma ho pensato a voi. Giacché sono una brava infermiera, come vi ho detto, mi sono resa conto subito di come avrebbe nociuto alla vostra carriera una notizia del genere. In fondo avete avvelenato uno dei vostri pazienti.» Agitò di nuovo la mano bianca e liscia. «Questo è il motivo per cui ho deciso di non dire niente ai giornalisti, di non andare alla polizia e di consegnare a voi le compresse.» Riuscii a dire faticosamente: «E che cosa vi ha spinto ad essere così magnanima?» «Soltanto un istinto di solidarietà. Dopotutto voi siete nei pasticci. Io anche. Ho pensato che dovremmo allearci.» Schiacciò la sigaretta nel portacenere con un dito la cui unghia era dipinta poco professionalmente di rosso. «E poi stamattina i Bannister hanno espresso l'unanime volontà di
mandarmi via da casa loro. Insomma, mi hanno scacciata.» «Veramente?» Ero sconcertato. «Sì, e per sempre. Certo, potrei tornare a Vancouver. Ma dopo lo splendore di Grovestown sarebbe piuttosto triste. E poi, adesso che ho fatto la conoscenza della famiglia di Brace, sarebbe un peccato non vederli più.» Agitò la mano dalle unghie scarlatte. «Così questa povera ragazza sola e abbandonata in una città straniera ha deciso di accettare la gentile offerta che mi avete fatto l'altra sera con Linette.» «Offerta?» «Non ricordate? Voi e Linette mi avevate suggerito di fare l'infermiera da voi. Ho deciso che il lavoro mi converrà molto, per le prossime settimane.» I suoi occhi si alzarono su di me, freddi e duri come smeraldi. «Sono un'ottima infermiera, dottor Westlake. Premurosa con i pazienti, buona con gli animali. E non chiedo uno stipendio molto alto. Insomma, fate proprio un affare.» Ora che aveva messo le carte in tavola e avevo capito qual era il suo gioco, fui travolto da un'ondata di rabbia. Dimenticai il fatto che quella odiosa ragazza era in grado di rovinarmi la reputazione per sempre; avevo in mente una sola cosa, l'inaudito piacere che avrei provato nel gettarla fuori di casa mia. Mi era venuta molto vicina. Il suo viso, gli ipnotici occhi verdi e il corpo flessuoso sembravano irreali, come una specie di nauseante visione costruita dalla mia mente. «E voi credete di potermi ricattare?» «Ma no, dottor Westlake, che parola volgare. E dopo che vi ho dato quelle compresse di mia spontanea volontà! Non ho in mente di chiedervi niente altro che un modesto stipendio. Si tratta soltanto di dover dire o non dire la verità. Se fossi l'infermiera dello studio sarei tenuta al segreto professionale circa le piccole... mancanze del mio principale, quelle passate e quelle future.» Le mani mi prudevano. Le dissi: «E per che motivo volete stare qui? Per avere una base da cui tenere d'occhio i Bannister?» «Questi non sono affari vostri.» «Mi sono chiesto a lungo che cosa ci facevate, a casa Bannister. Adesso ho capito. Voi ricattavate Bruce, ecco qual era il vostro gioco. E adesso avete in mente di giocare qualche tiro a quella povera famiglia.» La mia voce era alterata. «E credete veramente che io farò il vostro gioco? Non
immaginate che ho troppo rispetto per i miei pazienti per prendervi come infermiera?» Mi fissava duramente, passandosi la lingua rosata sui denti acuminati. «E avevate rispetto anche per lo zio Bruce quando l'avete avvelenato, vero?» «Fuori!» urlai. «Non credo che vogliate davvero che me ne vada.» «Fuori!» «E che faccia una telefonata agli affascinanti giovanotti del Grovestown Times?» Si era avvicinata ancora. Ero tremendamente consapevole del suo sorriso, delle labbra rosse e dell'abito aderente. In me scattò qualcosa, perché prima che me ne rendessi conto la mia mano destra si abbatté sulla sua guancia. Non era certo un gesto cavalleresco; non riuscivo a ricordare di aver mai fatto una cosa del genere. Ma Eleanor Frame reagì inaspettatamente. Non batté ciglio, mentre sulla pelle chiara cominciavano ad affiorare i segni rossi delle mie dita. Continuava a fissarmi. Le sue labbra si curvarono in un lento sorriso. «Che sorpresa, dottor Westlake» commentò. «Può darsi che essere la vostra infermiera si riveli più piacevole del previsto.» «Voi...» cominciai. Ma in quel momento tutto cambiò perché la porta del soggiorno si aprì di colpo e una massa in movimento avanzò verso di noi. A prima vista l'oggetto sembrava formato da un paio di gambe nude e abbronzate, da capelli biondi arruffati e da un terrier scozzese a un livello insolitamente alto. Ma mi bastarono pochi secondi perché il mio istinto paterno mi avvertisse che si trattava del ritorno della figlia prodiga. Dawn si gettò fra le mie braccia con Hamish e tutto il resto. Mi ritrovai a contatto di labbra infantili e del pelo ispido del cane. Nell'entusiasmo sfrenato del ritorno a casa mia figlia non aveva neppure notato la presenza di Eleanor e riuscì a far dimenticare anche a me la sgradevole tensione della scena che aveva interrotto. «Salve, papà. Sono venuta con l'autobus. Non ero ammalata. È magnifico essere a casa. Anche Hamish sta bene. Sono ingrassata di due chili, sai?» «Toglimi di bocca questo cane» ordinai. «Levati dal mio collo e cerca di spiegarmi perché sei qui. Ho ricevuto quel tuo assurdo telegramma due
minuti fa e ho appena telegrafato di farti restare al campeggio.» Hamish fu lasciato cadere per terra e sgattaiolò via. Mia figlia mi guardò con un'espressione leggermente colpevole. Cominciò a tormentare con le dita le pieghe del suo vestitino disordinato. «Se avessi saputo che non mi volevi» disse lamentosamente «non sarei venuta. Ma dopo aver spedito il tuo, ho mandato un telegramma anche a me stessa in cui si diceva che eri moribondo. Mi hanno messa sull'autobus prima che arrivasse il tuo messaggio. Sono stati tanto comprensivi per la tua agonia, e mi hanno pagato il biglietto.» Assunse l'atteggiamento che i suoi dodici anni di esperienza degli uomini le avevano provato come irresistibile. «Non essere arrabbiato con me. Oh, forse ho esagerato un po' nel telegramma. Ma era un campeggio terribile, non si parlava altro che di ornitologia e di botanica e questa mattina ho visto la tua foto sulla prima pagina del Grovestown Times. Ho visto anche le altre, naturalmente, e ho letto dei Bannister. Ero così eccitata che ho dovuto tornare subito. Pensa, vedere la tua foto sul giornale due volte in uno stesso giorno! Non è fantastico?» Mi fu risparmiata la necessità di disilludere questa falsa convinzione. In quel momento Dawn si accorse di Eleanor Frame. Anch'io mi resi conto che non eravamo soli. Mentre mia figlia osservava la Vipera, mi venne l'idea che potesse sospettare la causa del segno rosso che aveva sulla guancia. Ma forse non se ne accorse. Con modi insolitamente civili, si inchinò ad Eleanor e le disse educatamente: «Vi prego di scusarmi per aver fatto irruzione in questo modo. Sono appena arrivata a casa...» «Questa è mia figlia» dissi. «Dawn, saluta la signorina Frame.» Eleanor Frame sorrise dolcemente e prese la mano che Dawn le porgeva. «Sono molto contenta di conoscerti. Spero che diventeremo amiche. Tuo padre mi ha appena assunto per fare l'infermiera qui, e così abiterò in casa con voi.» Fui troppo sorpreso da questa manovra per poter pensare al contrattacco. Guardai mia figlia, che osservava ancora Eleanor. Da sempre Dawn, posseduta da quella che posso definire soltanto come gelosia possessiva, aveva osteggiato ognuna delle donne che mi si erano avvicinate e che rischiavano di mettere in discussione la sua supremazia in casa. Per questo mi attendevo un'accoglienza molto fredda verso la nuova venuta che aveva, anche per l'occhio più infantile, un aspetto decisamente pericoloso. Invece mia figlia le sorrise in modo cordiale. Ero sbalordito. «Siete ve-
ramente la signorina Frame di cui si parla sui giornali? Quella che fa muovere i tavoli?» «Be', sì» rispose la Frame. «Per tutti i diavoli, veramente fantastico!» Mia figlia batté le mani estasiata. «Non è magnifico, papà? Voglio dire, che venga ad abitare con noi! Può insegnarci a far muovere i tavoli, e io in cambio le insegnerò ad orientarsi nei boschi. L'ho imparato al campeggio.» Se l'orientamento nei boschi aveva qualcosa a che vedere con l'orientamento nella jungla, a Eleanor Frame restava certo ben poco da imparare. Ma non c'era tempo per perdersi in riflessioni. Ancora accesa d'entusiasmo, mia figlia sorrise di nuovo alla Vipera scusandosi prima di uscire per andare a cambiarsi. Restai di nuovo solo con Eleanor Frame. La soddisfazione di mia figlia per la nuova assunzione aveva piuttosto cambiato il mio atteggiamento. Mentre prima ero furioso, ora riuscivo a pensare con più chiarezza, e mi accorsi che se la proposta della Frame serviva ai suoi scopi, per un altro verso favoriva anche i miei. Dato che ormai sapeva tutto quello che c'era da sapere su di me, tanto valeva tenerla in casa dove almeno potevo controllarla. Nella mia qualità di investigatore sarebbe stato vantaggioso tenere sotto stretta osservazione una delle persone maggiormente coinvolte nella vicenda della casa accanto. Gli scrupoli professionali che potevano frenarmi nel proposito di introdurre una persona tanto discutibile in casa del dottor Hammond, erano bilanciati dal fatto che la sera precedente la Frame aveva dato prova di essere una infermiera capace. Certo, molti pazienti si recavano allo studio in centro e una nuova infermiera in casa era decisamente un lusso. Ma non avrebbe potuto danneggiare l'attività, per poche settimane. Eleanor Frame aveva continuato ad osservarmi mentre io rigiravo queste idee nella mente. Dalla sua espressione soddisfatta potei capire che considerava completamente superato il nostro dissenso. «Vostra figlia è davvero graziosa» annunciò. «Grazie.» La sua mano corse alla guancia colpita. «Con una ragazzina carina e un principale cavernicolo, credo che sarò sistemata bene per qualche tempo.» Mi guardò dritto negli occhi. «Sono certa che vorrete comportarvi in modo più ragionevole. Non vi piacerebbe che vostra figlia pagasse per i vostri errori, vero?»
Mentendo risposi: «Credo che l'abbiate avuta vinta, signorina Frame. Mi dispiace di aver perso il controllo. Acconsento a prendervi come infermiera.» «Che delizia.» Non mancò di sottolineare il trionfo con un sorriso. «Vi assicuro ancora una volta che sarò all'altezza del compito. Potrete far carico del mio stipendio al dottor Hammond, immagino.» Il sorriso divenne ufficiale. «Simpatico che vostra figlia sia tornata a casa, no? Ora avremo uno chaperon adeguato. Quando entro in servizio?» «L'orario di visite comincia in questo momento» dissi. «Vi mostro la stanza dove potrete portare le vostre cose.» Solo allora seppi esattamente quanto determinata fosse Eleanor Frame. Andò verso il camino, prese una sigaretta dal ripiano e l'accese esalando fumo azzurrino dal naso. «È sempre meglio programmare le proprie azioni. Immaginando che la situazione avrebbe preso questa piega ho già fatto portare qui i miei bagagli. Sono di sopra già disfatti nella stanza in fondo al corridoio. Sarò pronta in cinque minuti.» 12 E così fu. Se ne andò di sopra e pochi minuti più tardi, quando i primi pazienti cominciarono a presentarsi alla porta dell'ambulatorio, Eleanor Frame era al mio fianco, asettica ed efficiente in un immacolato camice da infermiera. Se il tempo che avevo passato in città era stato un tormento, l'ora che seguì fu anche peggio. I pochi pazienti che si presentarono conoscevano le notizie sulla morte di Bannister meglio dei loro sintomi, ed ero costretto a sfornare rapidamente false risposte alle loro domande, mentre Eleanor Frame, come una coscienza inquieta, rimaneva accanto a me ricordandomi l'amara verità. Professionalmente era più che all'altezza del compito. Questo dovevo riconoscerlo, ma il sorrisetto sagace che mi rivolgeva mi esasperava oltre ogni dire. Non appena l'ultimo paziente se ne fu andato, la mandai via dall'ambulatorio raccomandandole di non tornare finché non avessi suonato. Questo primo contatto con quella donna in veste ufficiale mi aveva messo un po' di paura, e cominciai a domandarmi se non fossi stato troppo avventato nel lasciarla venire in casa con la remota speranza di riuscire a
scoprire qualcosa che risolvesse il problema della morte di Bannister. Ero tentato di chiamare Cobb e chiedere consiglio a lui. Ma la presenza inquisitrice della signorina Frame in casa mi dissuase dal farlo. Al punto in cui stavano le cose non potevo rischiare di farle sapere quali erano i miei rapporti con la polizia. Stavo per andarmene dall'ambulatorio per cercare Dawn e darle una solenne lavata di capo, quando la porta scorrevole che dava sul giardino si aprì e l'alta figura di David Hanley apparve nello studio. Dato che Oliver Thorpe mi aveva avvertito, non fui sorpreso di vederlo. Ora che Comstock mi aveva messo al corrente dei retroscena del ritiro dagli affari di Bruce Bannister ero più che mai interessato a quello che avrebbe avuto da dirmi il corteggiatore di Linette. Sembrava in tutto e per tutto il giovanotto irresistibile della pubblicità che ha appena ottenuto un aumento grazie alla nuova lozione per capelli. Nonostante la porta fosse aperta, nell'ambulatorio faceva un caldo infernale. Ma con qualche miracoloso espediente Hanley riuscì a mantenersi fresco e fragrante. «Buona sera, dottor Westlake. Mi rendo conto che il vostro tempo è prezioso, ma avrei piacere di scambiare due parole con voi.» Estrasse il portafoglio con una certa ostentazione. «Naturalmente, intendo pagare il vostro onorario.» Cercai di non manifestare la mia irritazione. «Non avete bisogno di pagarmi. Che cosa volete sapere?» Si dimostrò leggermente sconcertato. «In questo caso, sarò breve. Quello che voglio sapere è questo. Voi e la polizia siete pienamente convinti che la morte di Bannister sia del tutto normale?» «Normale?» «Voglio dire: c'è qualche possibilità che sia stato deliberatamente ucciso?» La subitaneità della domanda mi lasciò perplesso. Hanley continuò: «L'altra sera ho notato che, come medico, eravate sorpreso che Bannister non avesse reagito alla terapia. Più tardi ho sentito Greg dire qualcosa a sua madre in merito all'opportunità di un'autopsia. Poi sono arrivati polizia e Coroner...» Fece un gesto con la mano. «Credo sia mio dovere cercare di scoprire la verità.» «Sapevate che c'è stata un'inchiesta questa mattina?» «Un'inchiesta? Non ne sapevo niente.» «Nulla di drammatico per ora. È stato emesso un verdetto di rinvio.»
«Questo che cosa significa?» «In pratica, niente» risposi. Seguendo un impulso improvviso decisi che era più vantaggioso svelargli parte della verità. «Se volete saperlo, la polizia ritiene che ci sia più di una probabilità che Bannister sia stato avvelenato.» «Avvelenato!» Accolse la notizia con una relativa calma. «Mi aspettavo qualcosa del genere. Una bella sfortuna per la società e per la famiglia.» Era proprio da lui, riflettei, pensare prima alla società piuttosto che ai familiari di Bannister. «Immagino che non abbiano un'ipotesi precisa per il suicidio... o per l'omicidio.» «Al momento no» confermai. «Anzi, sull'intera faccenda è stato mantenuto il silenzio. Nessuno della famiglia ne è al corrente, salvo Greg e la signora Deane. Sono certo che come amico vorrete tenere gli altri il più possibile al riparo dalle possibili conseguenze.» «Oh, sì, naturalmente. Sarebbe un male inutile rivelare la verità finché non è necessario.» Si passò le dita sul mento perfettamente rasato. «In tutta franchezza, dottor Westlake, lo sospettavo: ed è per questo che sono venuto da voi. Ho per le mani qualcosa di serio. Ho bisogno di un consiglio su un fatto di cui non posso mettere al corrente i miei colleghi della ditta. Ho pensato che voi, come medico e come persona interessata alla vicenda... insomma, ho pensato che potevo fidarmi di voi per mantenere un segreto.» C'era nel suo tono una nota chiaramente condiscendente che non mancai di cogliere. «Se è qualcosa sul conto di Oliver Thorpe a preoccuparvi, posso dirvi che me l'aspettavo.» Ne rimase piuttosto colpito. La sua mascella si contrasse. «Allora sapete?» «Ho incontrato Thorpe questa mattina, e mi ha accennato alla questione.» Adesso era chiaramente nervoso. «Be', in questo caso è diverso. Ho sentito che era mio dovere avvertirlo che sarei venuto da voi. Bisogna comportarsi correttamente.» Non feci commenti su questo gesto di encomiabile altruismo. Hanley si osservò le unghie perfettamente curate. «Vi racconterò tutta la storia. Non so se siete pratico di investimenti bancari. Ma alla "Brown e Bannister" sono affidati i titoli e gli investimenti di importanti società e di possidenti privati. È una grave responsabilità e sarebbe disonesto qualunque dipendente che si lasciasse sfuggire indiscrezioni. Non sarebbe impos-
sibile, per esempio, usare gli investimenti che abbiamo in custodia per speculazioni personali. I titoli potrebbero essere acquistati e rivenduti senza il consenso del proprietario e se la manovra riuscisse, l'impiegato disonesto potrebbe intascare i profitti all'insaputa di tutti.» Fece una pausa. «Lo scorso autunno ho avuto motivo di sospettare che certi bilanci andassero esaminati. Ho fatto un controllo accurato e dallo studio di certe date di vendita e acquisto di parecchi gruppi di titoli, ho avuto la certezza che qualcuno se n'era servito per una speculazione personale. Ho messo al corrente del fatto il signor Bannister. Della cosa non si è più parlato.» Ora lo ascoltavo attentamente. «Poco tempo dopo» continuò Hanley «si verificò un incidente vero e proprio. Fu quando un cliente telefonò per ordinarci di vendere alcuni titoli. Invece di passare la pratica al giovane Thorpe, che di solito si occupa della cosa, preferii consultare io stesso il portafoglio titoli del cliente, e scoprii che i titoli erano già stati venduti. Dalla reazione di Thorpe quando gli feci notare la cosa, fui subito certo che era lui la persona che aveva tradito la fiducia della compagnia. E benché lui mi supplicasse di non farlo, non ebbi altra scelta che riferirlo al signor Bannister.» Si strinse nelle spalle larghe, leggermente imbottite. «Il signor Bannister ne fu sconvolto. Sapevo che era arrivato al punto di lasciare il suo posto a Thorpe, una volta che si fosse ritirato. Certamente fu un grave colpo per lui. Ma pretese di passare tutto sotto silenzio. Era disposto a coprire personalmente tutti gli ammanchi segnalati nei registri. Mi pregò di non dire niente e di dare a Thorpe un'altra possibilità.» Ebbe un sorriso ipocrita, compiaciuto. «Anche se la mia coscienza disapprovava un trattamento preferenziale per il figliastro del principale, mi rassegnai a tacere. Fu un favore personale nei confronti del signor Bannister. Ma colsi l'opportunità di fargli notare che un individuo colpevole di malversazione non poteva essere preso in considerazione per la carica di futuro presidente. Bannister fu d'accordo, naturalmente. In quel momento io avevo cominciato a frequentare Linette, e Bannister mi disse che, se le cose si mettevano bene fra noi due, avrebbe considerato favorevolmente la mia candidatura.» Adesso che conoscevo meglio la vicenda vi trovavo un aspetto abbastanza sgradevole, almeno per ciò che riguardava Hanley. Lo vedevo esattamente per quello che era, un impiegato brillante che si adoperava per far carriera, e non aveva esitato a sfruttare le debolezze di Oliver e la sua rela-
zione con Linette per ottenere la presidenza della compagnia. I motivi per cui Bannister aveva deciso di ritirarsi dalla compagnia erano molto chiari ormai. E più chiari diventavano, più mi interessava sapere a che cosa era dovuto il voltafaccia. Infine mi resi conto che l'educato e incorruttibile David Hanley mi era sempre più antipatico. «Tutto questo naturalmente finché Bannister era vivo.» David Hanley si eresse, aggiungendo qualche centimetro di autorità alla sua statura. «Questa mattina sono stato nominato presidente della "Brown e Bannister", e la situazione è cambiata. In ossequio alle mie nuove responsabilità verso la compagnia non posso più a lungo tollerare di tenere un impiegato disonesto. Mi dispiace se questo urterà i Bannister. Ma non posso mancare al mio dovere: licenzierò Oliver Thorpe oggi stesso.» Fece una pausa come aspettando che applaudissi questa dimostrazione di rigorosa moralità. Poiché non lo feci, continuò seccamente: «Ma questo non riguarda che la società. C'è qualcos'altro su cui volevo chiedervi consiglio, qualcosa di più serio.» Si piegò sulla scrivania. «Se Bannister è stato ucciso, dobbiamo tener conto di tutti gli indizi. Io non voglio accusare nessuno, ma sapevate che soltanto l'altro ieri Thorpe e Bannister ebbero un litigio?» «Un litigio?» «Sì, in ufficio. Io ero entrato per caso.» Cominciavo ad avere l'impressione che Hanley avesse un fiuto eccezionale per irrompere "casualmente" nelle situazioni interessanti. «Ho sentito che Thorpe gli stava dicendo che ne aveva abbastanza degli affari e voleva mollare tutto per studiare il pianoforte. Ha sempre avuto la passione della musica. So che invece Bannister ci teneva molto a farlo restare nella ditta. Erano molto agitati tutti e due. Immagino che, per riuscire a trattenerlo, Bannister l'abbia minacciato di rendere pubblica la sua speculazione.» Mi guardò dritto negli occhi. «Se le cose sono andate così, è possibile che Thorpe l'abbia ucciso, vero? Sono sicuro che erediterà una parte del patrimonio di Bannister. Con la morte del patrigno sarà indipendente e potrà fare tutto quello che vuole.» Ricordando come si era comportato Oliver quella mattina, la teoria non era del tutto improbabile. Ma per il solo fatto che l'aveva tirata fuori Han-
ley, sentii il desiderio irresistibile di confutarla. Cominciai a farmi sospettoso e a chiedermi qual era esattamente il motivo per cui Hanley mi aveva riferito tutto ciò. «Questo è il problema che mi affligge, dottore» concluse rigido. «Non voglio dirlo alla polizia se non è veramente necessario. Dopotutto, io sono quasi fidanzato con Linette. Mi dispiacerebbe enormemente accusare suo fratello. Ma se Oliver non è nient'altro che un truffatore e...» Si fermò improvvisamente. Le guance gli si imporporarono mentre guardava fissamente verso la porta che dava sul giardino. Mi girai e capii cosa c'era che non andava. Ferma sulla soglia, con gli occhi fiammeggianti di indignazione, c'era Linette Thorpe. Il suo sguardo era puntato su Hanley mentre le braccia ricadevano rigide lungo i fianchi. «Così è questo che vai dicendo alle nostre spalle.» Hanley le si avvicinò in fretta. «Linette...» «Oh, non scusarti.» La ragazza gettò indietro la testa. «Sono io che devo scusarmi. È molto maleducato origliare, non è vero? Ma, come hai fatto notare al dottor Westlake, sono quasi fidanzata con te. Questo mi consente alcuni privilegi.» «Linette, cerca di renderti conto...» «Di che cosa? Capisco perfettamente la tua posizione. L'importante dirigente e l'impiegato disonesto che guarda caso è il fratello della sua fidanzata. Il piccolo Hitler e l'epurazione. L'amore contro il dovere.» Il suo sorriso era minaccioso. «Be', fa' pure a meno di proteggere la povera donna indifesa perché qualcosa mi dice che non saremo fidanzati ancora a lungo.» «Ma Linette...» «Mi spiace continuare a interromperti, ma non m'interessa molto quello che hai da dire. È tutto molto semplice. Bruce voleva che tu mi sposassi e tu volevi sposare la figlia del principale. Adesso Bruce è morto; tu hai già preso il suo posto e io... sono soltanto la sorella del truffatore. Che cosa c'è da aggiungere?» Hanley era molto pallido, adesso. Fece un altro passo verso la ragazza. Ma il giovane viso di Linette era impietoso. «Una magnifica scena per il dottor Westlake. Ma immagino che i medici siano abituati a spettacoli grotteschi come questo. Torna nel tuo ufficio, signor presidente, spargi qualche lacrima sulla mia foto incorniciata d'argento, poi chiama la polizia
e dai alla tua coscienza l'occasione di rifulgere. Ma se proverai a vedermi di nuovo dopo che hai avuto la faccia tosta di profittare del patetico incidente di Oliver, che è stato l'unico espediente per farti arrivare alla presidenza della "Brown e Bannister", te ne pentirai amaramente. Addio.» Hanley non si mosse. «Mi hai sentito?» incalzò con calma Linette. «Ho detto addio. Adieu. Auf Wiedersehen. Adios. Au revoir. Aloha. Questo è quanto.» Non c'è dubbio che Hanley avesse meritato quello che gli era successo. Pure, non potei fare a meno di sentirmi in qualche modo dispiaciuto per lui. Appariva del tutto annientato e impotente. Scoraggiato e privo di tutti i suoi toni brillanti, il nuovo presidente della "Brown e Bannister" si girò e uscì dall'ambulatorio. 13 Dopo che se ne fu andato, Linette rimase immobile. Anche il viso abbronzato era statico. Alla fine le sue labbra si piegarono in una smorfia. «Ecco com'è andata, dottor Westlake. La fine di un perfetto idillio.» Non poté più controllare l'espressione del viso. I suoi occhi si incresparono agli angoli. Tirò su con il naso e si lasciò andare a un singhiozzo. Senza preavviso si gettò più o meno tra le mie braccia. Si accontentò di piangere con la faccia nascosta contro il bavero della mia giacca. Non feci commenti e mi limitai a darle dei colpetti leggeri sui capelli, per confortarla. Quando si fu un po' ripresa le dissi: «Non preoccupatevi. Credo che non sia altro che un litigio fra innamorati.» «Litigio fra innamorati!» Sollevò la testa in modo che i nostri visi si trovarono molto vicini. Le lacrime brillavano come gocce di pioggia sulle sue ciglia, ma qualcosa della passata indignazione bruciava nei suoi occhi. «Non era un litigio fra innamorati, dottor Westlake. Era il rantolo d'agonia di una storia d'amore.» Si allontanò da me. «Forse... oh, sapevo che sarebbe successo prima o dopo. David e io non avremmo mai potuto avere un futuro. Era soltanto una storia da poco. Gli interessavo unicamente perché ero utile alla sua carriera. E io... be', si deve pur avere qualcuno. Ma non uno che va in giro a raccontare sporche calunnie sul conto di tuo fratello.» Sul bel volto c'era un'innocenza quasi infantile. «Perché sono menzogne, dottor Westlake. Io non so che cosa vi ha detto
David, ma sono sicura che sta solo cercando di danneggiare Oliver perché ha la coscienza sporca: ha sempre trafficato per diventare presidente e per sopraffare mio fratello. Oh, sì, Oliver deve aver fatto qualcosa di idiota. Non ho mai saputo bene che cosa, ma ci dev'essere qualche guaio. È abbastanza irresponsabile e odiava lavorare nella società. Probabilmente ha immaginato che combinarne una era un buon sistema per uscire da tutta la faccenda e mettersi a studiare il piano. Si è comportato in modo sciocco e immaturo. Ma è assurdo e crudele chiamarlo truffatore e criminale.» Ebbe una risatina amara. «Come dev'essere bello essere un medico, con lucide reazioni scientifiche. Sono così stanca delle mie emozioni! Stanca di illudermi su David, di fare da balia a Oliver e di preoccuparmi per Greg.» Si morse le labbra. «E adesso siamo immersi fino al collo in questa storia tremenda. Povera mamma, è terribile per lei che Bruce sia morto così, dopo che avevano aspettato tanto per potersi sposare.» Si strinse nelle spalle. «Ma non sono venuta qui per annoiarvi con i nostri guai, dottor Westlake. Avete visto Prince?» «Volete dire il vostro cane?» «È tutto il giorno che non si vede. Nessuno se ne occupa oltre a me. Gli voglio bene perché è sempre stato mio da quando Greg me l'ha regalato che era piccolissimo. Ho pensato che magari era qui con il vostro.» «Non l'ho visto.» «Salterà fuori prima o poi» andò alla finestra e guardò fuori, nel giardino. «Ma non è nemmeno per questo che sono venuta. Sono qui per Eleanor Frame.» Mi sorpresi a sussultare. «Io e Greg l'abbiamo mandata via questa mattina. Sapevo che la mamma non avrebbe sopportato di averla intorno ancora per molto. E non abbiamo voluto sentir ragioni. Praticamente è stata l'unica cosa gradevole della giornata.» Si girò su se stessa. «Ma non fidatevi di lei, dottor Westlake. Ha preso la cosa come se niente fosse. Non so quale sia il suo gioco, ma sono sicura che ha qualcosa in mente. Ho idea che verrà da voi a chiedervi di assumerla. E sono venuta per mettervi in guardia. Se lo farà volete, per favore, sbatterle la porta in faccia? Me lo promettete?» Dovevo sembrare imbarazzato come mi sentivo. Stavo per mormorare qualcosa, ma non lo feci. Proprio in quel momento, rendendo inutile ogni spiegazione, la porta si
aprì ed Eleanor Frame, più bianca, asettica ed efficiente che mai, apparve sulla soglia. Linette la guardava sbalordita. Si girò con un debole sorriso sulle labbra. «Salve, Linette.» Gli occhi verdi si spostarono su di me. «Ho sentito la vostra voce, dottore. Credevo che ci fosse un altro paziente e che aveste bisogno di me.» «Vi avevo detto che avrei suonato per chiamarvi» dissi. «Capisco. Scusatemi.» Per un secondo le due ragazze si fronteggiarono. Poi con un frusciare di gonne inamidate Eleanor Frame si ritirò. Era anche troppo evidente che tutta la scena era stata deliberatamente provocata per sottolineare il suo trionfo. E inoltre doveva avere ascoltato anche la nostra conversazione. Linette parlava a denti stretti ora. «Così, l'avete già assunta!» «Aspettate...» «Che cosa dovrei aspettare?» Mi accorsi che stava per scoppiare di collera come aveva fatto per Hanley. Mi avvicinai a lei e la presi per le braccia. «Dovete ascoltarmi. È venuta qui e mi ha chiesto di assumerla e l'ho fatto. Ma è stato per un buon motivo. Dovete credermi. E poi, poco importa dove vive, visto che non può lasciare la città.» «Perché?» «Perché la polizia non glielo permetterebbe.» «La polizia! Volete dire che la sospettano di qualcosa?» «Non più degli altri» risposi senza perdere di vista il suo viso abbronzato. «Tanto vale che lo sappiate. Tanto, prima o dopo lo sentireste da qualcun altro. Eleanor Frame non può lasciare la città esattamente come tutti voi perché la polizia ritiene che vostro padre sia stato avvelenato.» «Avvelenato!» Le labbra dischiuse nello stupore lasciavano vedere la fila di denti bianchi. «Ma è spaventoso! Bisogna che la mamma non ne sappia mai nulla. Ne morirebbe. Siete sicuro che sia vero?» Annuii. «Ecco perché David Hanley è venuto qui!» La rabbia riappariva nei suoi occhi. «Non voleva raccontarvi soltanto quali guai Oliver ha combinato in ufficio. Ha cercato di trovare un movente perché Oliver possa sembrare l'assassino di Bruce. Quel verme!» Continuò con foga. «Non dovete credergli, dottor Westlake. Oliver non può uccidere nessuno, assolutamente. Lo so. La polizia non lo sospetta, ve-
ro?» «Credo che la persona sospetta sia piuttosto un'altra.» Un lampo di ansietà le passò negli occhi. «Qualcun altro? Greg... Greg lo sa?» «Sì, Greg e la signora Deane.» «Perché non me l'hanno detto? Se qualcuno ha davvero ucciso Bruce, non hanno pensato che avrei fatto di tutto per scoprire chi è stato?» Si interruppe e aggiunse rudemente: «Scommetto che Eleanor Frame c'entra per qualcosa. Dottor Westlake, è una pazzia tenerla in casa. Voi...» Tacque stringendosi esasperata nelle spalle. «E adesso mi metto anch'io ad accusare la gente come ha appena fatto David. Sarà meglio che vada a casa. Se rimango ancora finirò per comportarmi male.» Agitò la mano. «Arrivederci, dottor Westlake. Mi dispiace per tutto questo.» La seguii con lo sguardo mentre usciva di corsa in giardino nel brillante sole d'agosto. Avevo appena girato le spalle quando sentii un grido arrivare proprio dal giardino. Era un grido forte, ma c'era in più una nota allarmata che mi fece correre alla porta. Vidi subito Linette. Stava rigida e immobile vicino a un gruppo di cespugli che separava la mia casa da quella dei Bannister. Sembrava che guardasse qualcosa ai suoi piedi. Attraversai il prato e mi avvicinai a lei. In quel momento avvistai Greg Bannister che arrivava di corsa dalla piscina, all'estremità opposta. Raggiungemmo la ragazza contemporaneamente. «Cosa c'è, Lin?» Il volto scuro e serio di Greg era evidentemente preoccupato. «Cosa c'è?» Linette sollevò lo sguardo e rimasi colpito dalla furia che vi lessi. «Guarda!» Indicò un cumulo di rami secchi che erano stati sospinti oltre il bordo dell'aiuola. Dal mucchio di rifiuti sporgevano, grottesche, una coda biancomarrone e una zampa a larghe chiazze. «Prince!» sussurrò Linette con la voce malferma per l'emozione. «Non è semplicemente morto: altrimenti non avrebbero cercato di seppellirlo così. Qualcuno... l'ha ucciso.» 14
Impulsivamente, Linette si inginocchiò e cominciò a rimuovere la copertura che nascondeva l'animale. Gregory Bannister l'aiutava. In brevissimo tempo il corpo di Prince era in vista, rigido e patetico in una buca del terreno. Linette fissava sconsolata il fratellastro. «Dimmi, Greg, come è morto?» Io ero inginocchiato a fianco di Bannister. Greg stava passando la mano sulla spina dorsale dell'animale. Feci lo stesso. Le vertebre non erano danneggiate; le costole erano intatte; non si notavano lesioni apparenti, il che sembrava escludere l'ipotesi di un automobilista fuggito. Esaminai gli occhi dell'animale, mi accorsi degli arti rigidi e contratti. Certo era possibile che il cane fosse morto per un motivo perfettamente naturale e fosse stato sepolto casualmente da sconosciuti. Ma Prince, esattamente come Bruce Bannister, fino al giorno prima era stato benissimo. E adesso, come Bruce Bannister, era morto. Mentre questi pensieri mi occupavano la mente, mi ricordai di quello che Eleanor Frame mi aveva detto meno di mezz'ora prima. Mi aveva parlato del flacone di compresse e dei sospetti che aveva. Aveva detto: "Per accertarmi se erano velenose o no, ho fatto una prova definitiva, assolutamente definitiva...". Se Eleanor Frame fosse stata completamente diversa da come la conoscevo, avrei respinto come pazzesca la teoria. Come si poteva somministrare deliberatamente il veleno al cane di Linette soltanto per provare la tossicità di un farmaco? Ma in definitiva tutti i sintomi dell'animale denunciavano piuttosto un avvelenamento da alcaloidi. E più ci pensavo più mi convincevo che la Vipera doveva essere responsabile della morte di Prince. Questo pensiero mi fece sentire più sollevato dopo che l'avevo trattata così bruscamente. Linette stava dicendo affannosamente: «Devi dirmelo, Greg. Se scopro che qualcuno l'ha avvelenato...» Aprii la bocca per parlare, ma Gregory mi lanciò un'occhiata preoccupata e rispose in fretta: «Ha la spina dorsale spezzata, Lin. Probabilmente è finito sotto uno degli autocarri che passano per il viale e gli investitori hanno cercato di nasconderlo per non prendersi la responsabilità.» Le batté sulla spalla. «Cerca di non prendertela troppo. Il dottor Westlake e io penseremo a seppellirlo come si deve.» La ragazza si morse le labbra come cercando di capire se Greg stesse dicendo la verità. Apparentemente soddisfatta, si girò per l'ultima volta verso
il cane con un gesto che restò incompiuto, e poi ci lasciò dirigendosi a casa Bannister. Greg e io rimanemmo a guardarci l'un l'altro sopra il cadavere della bestia. «Sapete, non è vero, che la spina dorsale è intatta?» Il giovane arrossì. «Sì. L'ho detto soltanto perché non volevo sconvolgere Linette.» Lo osservai attentamente. «O l'avete detto perché volevate proteggere Eleanor Frame?» «Eleanor Frame!» ripeté sorpreso. «È stata lei ad avvelenare Prince?» «Io lo sospetto.» Questo mi sembrava il momento ideale per il discorso che Cobb mi aveva consigliato di fare al figlio di Bruce Bannister. «Che cosa ne dite di continuare a discutere da qualche parte dove nessuno ci disturbi?» Il giovane sembrava piuttosto incerto, ma dopo un momento di riflessione, disse: «Certo. Andiamo nel mio laboratorio.» Sollevò affettuosamente il cane e mi precedette oltre la piscina, verso la rimessa trasformata in laboratorio che mi aveva mostrato con tanto orgoglio il giorno prima. Mi aprì la porta e mi fece entrare. Poi distese Prince su un tavolo ricoperto di piastrelle. Si voltò dalla mia parte. «Volete dire che Eleanor Frame ha avvelenato il cane?» Era molto difficile accennare ai motivi per cui sospettavo la Vipera senza rivelare fatti per me alquanto imbarazzanti. «È soltanto una sensazione» risposi. «E... credete anche che sia stata lei ad avvelenare mio padre?» «Direi che non è probabile.» Guardai i suoi lineamenti duri. «Come fate a sapere che vostro padre è stato avvelenato? Dall'inchiesta non è emerso niente del genere.» «Oh, non sono stupido. Dopotutto sono al terzo anno di medicina e ho lavorato abbastanza a lungo con il dottor Kirsh per riconoscere i sintomi di un avvelenamento.» Le sue labbra tremarono. «La cosa più tragica è che, se mi fossi accorto in tempo di quello che stava succedendo, forse avremmo potuto metterci in contatto con Kirsh e salvare la vita di mio padre.» «Questo significa che sapete che è stato avvelenato con uno dei composti alcaloidi di Kirsh» dichiarai. La frase lo colpì come uno schiaffo in pieno viso. Diventò molto pallido. La gola gli si contrasse con un movimento involontario.
«Allora lo sapete?» «Sì. È stato usato uno dei composti alcaloidi che avete preso dal laboratorio di Kirsh nello scorso autunno.» «Che io ho preso!» mormorò. «Dio mio! Voi credete che li abbia presi io? Immaginate davvero che io, che ero la persona di fiducia del dottor Kirsh, avrei potuto fare una cosa del genere?» Si mise a percorrere a grandi passi il lucido linoleum del pavimento, passandosi affannosamente una mano tra i capelli neri. Si fermò e venne molto vicino a me. «Non so quanto ne sapete e cosa vi hanno riferito, dottor Westlake. Ma se è questo quello che pensate, è meglio che sappiate la verità su quei composti. Dio sa se non vorrei parlare male di Oliver, ma...» «Oliver?» Continuò: «Be', in pratica è mio fratello, e Linette lo adora. Non mi perdonerà mai se scopre che ho parlato così di lui. Ma dopotutto voi eravate il medico di papà e...» «Per quello che mi sarà possibile considererò tutto quello che mi direte come segreto professionale.» Greg annuì distrattamente. «In realtà è tutta colpa mia. Capite, il dottor Kirsh è stato meraviglioso con me. Quando ha saputo come mi interessavo di farmacologia mi ha dato la possibilità di lavorare con lui nel tempo libero che avevo. Senza entrare in dettagli, dirò che stava lavorando su certi isomeri sintetici dell'atropina. Il mio compito era di preparare le soluzioni che si iniettavano ogni giorno alle cavie. Alcuni dei composti non erano molto stabili e dovemmo prepararli in compresse. Io ottenevo le soluzioni, che dovevano essere fresche, dalle compresse e diciamo che una di queste era una dose quasi mortale per una cinquantina di cavie.» Si passò ancora le mani fra i capelli. Era un gesto abbastanza strano per un giovane di solito così posato. «Ero molto fiero del mio lavoro e un giorno dello scorso autunno stavo preparando le soluzioni quando Oliver venne da me. Sua madre e papà si erano appena sposati, e io ci tenevo particolarmente a fare amicizia con lui. Non ci assomigliamo molto, ma è un tipo simpatico ed ero molto lusingato dell'interesse che dimostrava per il mio lavoro. E poi non so se sapete cosa provo per Linette. È sempre stato così fin da quando ce la filavamo continuamente al cinema da bambini.» Annuii con comprensione. «Tanto per impressionarlo, cominciai a descrivermi come l'indispensabi-
le collaboratore del dottor Kirsh, mentre in realtà ero poco più che il suo lavabottiglie. Parlai a Oliver dei "nostri" esperimenti; gli mostrai gli animali del laboratorio; gli feci vedere un porcellino d'India in cui avevamo indotto una tale dipendenza, che sopportava dieci volte la dose mortale. Gli feci vedere anche le compresse del composto, raccontando addirittura che ne bastava una per far fuori metà della popolazione di Grovestown. Non avrei potuto essere più idiota.» «È molto comprensibile» lo consolai. «I giovani medici attraversano questo stadio.» «Ma ero stato idiota soprattutto perché non mi ero reso conto che Oliver era venuto per parlare di sé. Sì, certo, si interessava a quel che dicevo, ma non si poteva fare a meno di notare la sua agitazione. Mi chiese subito se potevo prestargli dei soldi. Credevo che avesse bisogno di un paio di dollari: invece voleva molto di più. Non potevo darglieli e rum potei sapete perché gli servivano perché Kirsh in quel momento mi chiamò. Quando ritornai Oliver se n'era andato.» Fece una pausa. «Questo successe un sabato mattina. Oliver andò a New York quel fine settimana perché aveva una strana storia con una ragazza in una scuola di musica laggiù. Papà non approvava, e questo era uno dei motivi per cui insisteva a tenere Oliver in ufficio anche se il lavoro non gli piaceva. Al laboratorio scoppiò il finimondo; un intero flacone di compresse era scomparso. Potete immaginare la reazione del dottor Kirsh. Io ero fuori di me perché la responsabilità era mia, ma allora non mi venne in mente che potesse averle prese Oliver. Le cose andarono malissimo per un paio di giorni, ma il martedì sera arrivai alla soluzione. Ero rientrato tardi da una riunione all'ospedale e Linette mi disse che Oliver era tornato e aveva cercato di suicidarsi; l'avevano tirato fuori dal garage appena in tempo e l'avevano trasportato in casa. Il dottor Hammond era lì; tutti erano convinti che fosse un avvelenamento da monossido di carbonio. Ma io non ero dello stesso parere. Lo esaminai e in un lampo mi resi conto di come stavano le cose. Dissi al dottor Hammond di chiamare subito Kirsh, che arrivò poco dopo e riuscì a mettere Oliver fuori pericolo.» Agitò le mani. «È incredibile che sia riuscito a cavarsela. Non soltanto aveva ingerito una quantità imprecisata delle compresse che aveva rubato da Kirsh, ma aveva anche tenuto acceso il motore della macchina. Posso soltanto supporre che il monossido di carbonio sia servito per qualche inspiegabile ragione come antidoto per l'altro veleno, oppure che ne avesse preso talmente tanto da neutralizzarlo lui stesso. Oliver riuscì a sopravvi-
vere. E Kirsh fu magnifico. Non fece parola di tutta la vicenda.» E aveva ricevuto anche una generosa donazione di diecimila dollari per le sue ricerche, riflettei io. Questo sembrava chiarire definitivamente l'equivoco incidente del garage. «Immagino che non ci siano stati dubbi che si trattasse di un suicidio e non di un omicidio, non è vero?» domandai. «Omicidio? Santo cielo, no!» Greg mi fissò con aria sorpresa. «Il povero Oliver è molto impressionabile e impulsivo. Si era trovato nei guai. È sempre stato il prediletto di Sheila, sapete, che è molto severa in quanto a moralità. La storia con la ragazza di New York si era complicata e lui temeva che sua madre venisse a saperlo. E poi...» Greg esitò. «È una confidenza segreta, ma si era messo nei pasticci anche in ufficio.» «L'ho saputo.» «Chi diavolo ve l'ha detto?» «Hanley.» «Hanley!» gli occhi di Greg fiammeggiarono. «Volete dire che quel pallone gonfiato va in giro a parlar male di Oliver? Non se ne è già approfittato abbastanza? Dio sa se non ha praticamente costretto mio padre a nominarlo suo successore facendogli da spauracchio con quella storia...» «È quello che sostiene Linette» interruppi. «È arrivata proprio nel bel mezzo della mia conversazione con Hanley.» Accennai un sorriso. «Sembra che riguardo a lui la pensiate allo stesso modo. E Linette non ha certo mancato di dirgli quello che provava.» «Volete dire che l'ha piantato?» «Credo sia proprio quello che ha fatto.» «Sia ringraziato il cielo!» Arrossì. «Temo che penserete che sono un tremendo egoista perché questo torna a mio vantaggio. Non è per questo. Ma sono mesi che sono preoccupato per lei. Ero sicuro che ad Hanley non importava veramente di lei, ma che pensava soltanto ad assicurarsi il posto di presidente. Per lui Linette era soltanto un gradino per salire più in alto.» Ebbe una smorfia amara. «Forse c'è qualcosa di buono anche in questa storia tremenda, dopotutto.» Ma mentre rimaneva a fissarmi, il suo viso si rabbuiò di nuovo. Disse: «Ora vi ho raccontato tutto, dottor Westlake. Ve lo giuro. Potete immaginare cosa ho passato ieri sera. All'inizio, quando ho visto che papà non reagiva alla nitroglicerina, non pensavo neppure che la causa del malessere fosse diversa. È stato soltanto alla fine quando ho visto le sue pu-
pille, quando ho visto la sua pelle seccarsi e diventare così rossa, solo allora ho cominciato a intuire quello che doveva essere successo. Non sapevo cosa fare. Mi sembrava talmente pazzesco che qualcuno avesse tentato di avvelenarlo! E prima che potessi fare qualcosa, era già morto.» Abbassò lo sguardo sulle mani grandi e tozze. «Non ho dormito tutta la notte, pensando che se avessi chiamato Kirsh in tempo avremmo potuto salvarlo, come aveva salvato Oliver.» Sembrava così giovane e così sinceramente infelice che provai un vero dispiacere per lui. «Non dovete prendervela così» gli dissi gentilmente. «Non avete sbagliato la diagnosi più di quanto abbia fatto io. E vostro padre non aveva la salute né la tempra di Oliver. Nelle sue condizioni neppure Kirsh avrebbe mai potuto salvarlo.» Mi guardò con un'espressione di riconoscenza. «Forse avete ragione, dottor Westlake. È quello che mi son detto anch'io, per convincermi.» Socchiuse gli occhi. «Ma chi può aver voluto uccidere mio padre? E perché? È pazzesco pensare che sia stato Oliver. Dev'esserci qualcos'altro...» «Speravo che voi mi diceste proprio questo...» «Io? Io non ne so assolutamente nulla. Stamattina mentre c'era l'inchiesta ho continuato a pensarci per trovare il senso di tutta la vicenda, ma non ci sono riuscito. Certo, ci sarebbe Eleanor Frame. Quella donna è capace di tutto.» Si strinse nelle spalle. «Ma papà la trattava come una figlia, le era veramente affezionato. Che ragione avrebbe avuto per ucciderlo?» Trovavo che Greg, riguardo ad Eleanor Frame, fosse più ragionevole dei suoi familiari. «Non ho più idee di voi su un probabile movente» confermai, sebbene sapessi che tutti i beneficiari del testamento di Bannister avevano virtualmente ottimi motivi per ucciderlo. «Dovremmo capire piuttosto chi ne ha avuto l'opportunità.» «Opportunità? Volete dire chi di noi ha avuto la possibilità di somministrargli il veleno?» Evitai il quesito imbarazzante dicendo in fretta: «Si tratta di accertare prima di tutto chi era in possesso del veleno. Presumibilmente il flacone preso da Oliver è l'unico uscito dal laboratorio del dottor Kirsh. Sapreste dirmi dove sono finite le compresse rimaste nella bottiglia che Oliver aveva rubato?» Gregory sbuffò perplesso. «In realtà non so. Ho sempre pensato che fossero state restituite al dottor Kirsh, ma...»
«Ma che cosa?» «Papà era così riconoscente a Kirsh per aver tenuto i giornali all'oscuro della storia che decise di fare una donazione all'università. L'operazione avvenne tramite zio Trimble. E papà diede anche le compresse allo zio perché le affidasse al dottor Kirsh.» Greg non disse altro, ma il significato profondo delle sue parole non mi sfuggì. Kirsh non aveva potuto stabilire più degli altri quante compresse Oliver avesse esattamente ingerito; di conseguenza non poteva essere sicuro che gli fossero state restituite tutte. Sarebbe stato facile per Oliver averne tenuta qualcuna; e facile anche per l'inconsolabile Trimble Comstock averne presa qualcuna come ricordo. Cominciai a dire: «E la signora Bannister? Sapeva...» Ma mi fermai a metà della frase perché la porta dell' ambulatorio si era aperta e Sheila in persona era entrata nella stanza. La vedova di Bruce Bannister era vestita in lutto stretto, e il nero faceva sembrare il suo viso quello di una monaca. Come medico mi preoccupai per il pallore cereo della sua pelle e per l'eccessiva brillantezza degli occhi. Stringeva in mano un foglio spiegazzato. Sembrò non accorgersi affatto della mia presenza. Con passi veloci e nervosi corse da Greg, con lo sguardo fisso sul suo viso come se fosse la sola persona al mondo che poteva aiutarla. «Cos'è successo, mamma?» chiese Greg angosciato. La donna gli porse il foglio. «Devi fare qualcosa, Gregory. Si tratta di Oliver. Mi ha lasciato questo biglietto. Soltanto questo. È... andato via.» 15 Gregory lesse il foglio mentre la matrigna lo guardava disperata. «Perché ha scelto proprio questo momento per lasciarmi?» mormorò. «Lo sapeva che se ci teneva veramente avrei fatto come voleva lui e non mi sarei più opposta.» Gregory mi porse il foglio senza commenti e circondò protettivamente le spalle di Sheila Bannister con il braccio. «Non preoccuparti, cara. Sai com'è Oliver. Fra poco tornerà certamente.» Lessi il messaggio vergato in una scrittura disordinata. Vi si leggeva:
Cara mamma, non prendertela con me, ma ho saputo che c'è una possibilità di riuscire ad entrare alla scuola di musica Bildlike. Devo iscrivermi immediatamente. Questo vorrà dire che dovrò fermarmi per un po' a New York e magari vivere qui quando cominciano i corsi. Grovestown non l'ho mai potuta soffrire. Fra l'altro puoi dire a David Hanley che non c'è bisogno che mi licenzi perché questa è la mia lettera di dimissioni. Tutto il mio affetto a te e Lin. Ti penserò. Oliver. Leggendo la lettera, provavo impressioni diverse. Il fatto che Oliver Thorpe avesse scelto proprio questo momento per andarsene da Grovestown si poteva giustificare con l'impulso giovanile e irresponsabile di approfittare immediatamente dell'indipendenza economica. Ma era vero anche che, almeno dal punto di vista di Cobb, la precipitosa partenza del ragazzo poteva sembrare la fuga di un colpevole. Senza dubbio Oliver si era messo in una posizione molto equivoca. Nondimeno non potei impedirmi di provare un malizioso piacere all'idea che la sua clamorosa uscita dalla "Brown e Bannister" avrebbe privato David Hanley del piacere sottile di licenziarlo. Gregory parlava sottovoce alla matrigna e sembrava che fosse riuscito a calmarla. La signora Bannister aveva riacquistato la sua serena dignità. Mi rivolse un debole sorriso e disse: «Scusate se non vi ho salutato, dottor Westlake. Ma è un momento talmente tragico, difficile! Bruce che è morto e Oliver che se n'è andato...» Le sue mani bianche si agitarono nervosamente. «Ma sono contenta di vedervi, perché avrei piacere di scambiare qualche parola con voi.» Lanciò un'occhiata a Greg e quindi strinse le labbra come se avesse preso una decisione che le costava molta fatica. «Potreste venire a casa stasera dopo cena, verso le nove?» Le assicurai che ero a sua disposizione a qualsiasi ora. Immaginando che desiderasse restare sola con il figliastro mormorai un arrivederci e uscii dal laboratorio. Attraversai il giardino verso casa nella tranquilla luce del tramonto. Mentre mi avvicinavo al portico del dottor Hammond, fui accolto con grandi feste da mia figlia e da Hamish. Dawn non si dimostrò minimamente pentita del suo prematuro ritorno a casa. Pareva completamente ignara del fatto che avrei potuto prendermela con lei. Mi gettò le braccia al collo e mi disse: «Papà, sono contenta che sei tornato a casa. Questo vuol dire che potremo andare subito a tavola. Sono affamata dopo averti mentito a proposito dell'autobus. Mi sentivo male e non
potevo mangiare niente. Non è magnifica la signorina Frame?» «È questione di opinioni» risposi burbero. Mia figlia scosse i pesanti capelli color grano e spalancò i grandi occhi marrone. «Quando sarò grande mi tingerò i capelli di nero e li porterò lisci come una russa, e sarò misteriosa come la signorina Frame. C'era una ragazza con l'aria misteriosa al campeggio. Cioè l'aveva finché non le è venuta l'impetigine...» Sotto il portico mi sedetti sulla sedia che Hamish aveva lasciato di malavoglia e lasciai che il chiacchiericcio di mia figlia continuasse ininterrotto, mentre io osservavo il riflesso lucente della piscina nella tenuta dei Bannister. Erano successe tante cose in così poco tempo, fatti sgradevoli e con gravi conseguenze anche per me. Cercai di collegare ciò che avevo appreso quel giorno, ma la mia mente era confusa, e ben presto mi rimisi ad ascoltare Dawn, provando un certo sollievo per l'innocenza dei suoi discorsi. «... sono successe un sacco di cose simpatiche mentre eri via. È venuto un ragazzo che era stato punto da un'ape sul naso e mentre la signorina Frame lo medicava sono andata ad aprire la porta perché Victor era occupato con la cena. C'era una donna carina con i capelli rossi e il rossetto. Be', forse non era proprio carina. Ma credevo che fosse una giornalista ed era così eccitante! Ma non lo era... voglio dire, non era una giornalista. Cercava il dottor Hammond e le ho detto che Hammond era via e tu lo sostituivi, ma lei se n'è andata.» Mia figlia mi guardò con ingenuo interesse. «Probabilmente pensava che tu non sei un medico molto bravo.» Benché l'ultima osservazione non fosse troppo gentile, non ebbi il tempo di fare commenti perché a quel punto entrò la signorina Frame con un candido e provocante abito da sera. Era evidente che non aveva ritenuto di doversi vestire a lutto, data la problematicità della sua parentela. Portava un vassoio con degli aperitivi, e mi sorrise mostrando i denti bianchi e aguzzi. «Pensavo che avreste preso volentieri un cocktail, dottor Westlake. Una piccola prestazione extralavorativa.» Dawn la fissò con aperta ammirazione. «Molto gentile!» commentò. «Papà lo beve sempre.» Le lanciai un'occhiata truce, ma presi lo stesso il bicchiere con il Manhattan. Anche se sapevo che Eleanor sarebbe stata capacissima di avvelenarlo per puro divertimento.
La conversazione continuò. O piuttosto Eleanor e Dawn continuarono. Mia figlia cambiò posizione fino ad accoccolarsi ai piedi della Vipera, continuando a sfornare aneddoti sensazionali, e quasi sicuramente inventati, del periodo passato in campeggio. Non aveva mai dato confidenza a un estraneo così in fretta, e la cosa non mancava di indisponili. Dawn era in quell'età burrascosa in cui trovare un pubblico compiacente dà alla testa come un bicchiere di gin puro. A cena era diventata eccezionalmente ciarliera e mentre stava per assalire le costolette d'agnello chiese improvvisamente: «Il signor Bannister era immensamente ricco, vero? Spero che abbia lasciato un po' di denaro alla signorina Frame.» La domanda mi lasciò piuttosto sconcertato, ma mi accorsi subito che la signorina Frame lo era anche più di me. Ne approfittai subito per prendermi una piccola rivincita. «Sì, Dawn» confermai. «Il signor Bannister è stato molto generoso. Le ha lasciato una rendita annua di diecimila dollari.» Questo colse la Vipera alla sprovvista. «Diecimila!» Il suo viso si illuminò di un sorriso tanto sfolgorante quanto inopportuno in una lontana parente. Con un attimo di ritardo si riprese. «Il povero zio Bruce era tanto tanto gentile e premuroso!» Cercò di dimostrarsi commossa. «È un peccato» continuai con falso rammarico «che vostro zio sia morto prima di avere firmato quella disposizione.» Fu uno dei momenti più gioiosi della mia vita. La notizia la lasciò stordita e incapace di dominarsi. Era diventata bianca come il suo vestito e gli occhi verdi, che mi fissavano, erano spalancati e colmi di furia impotente. Sorrisi dolcemente. Dawn, che la guardava piuttosto preoccupata, suggerì: «Sembrate come me quando mi sentivo male sull'autobus, signorina Frame.» La Vipera sollevò il bicchiere dell'acqua e ne bevve un sorso. Riuscì in qualche modo a fare un sorriso malcerto. «Non è niente, Dawn. C'è troppo caldo in questa stanza.» E la cosa finì lì, almeno per il momento. Ma ero certo che non appena avesse riordinato le idee, Eleanor Frame avrebbe studiato un piano per recuperare quanto, secondo lei, le era stato ingiustamente sottratto. Non era certo il tipo da accettare tanto facilmente una simile disfatta. Fui confermato in quest'opinione dal fatto che, appena la cena fu termi-
nata, espresse l'intenzione di "andare a prendere un po' d'aria". Mi sarebbe piaciuto seguirla. Ma si eclissò in un baleno mentre Dawn mi teneva occupato con la dimostrazione di un nuovo gioco che aveva imparato al campeggio. Poco dopo l'uscita di Eleanor Frame, arrivò l'ispettore Cobb. Considerai una fortuna che la ragazza non fosse presente. Sentivo che la vittoria nella partita a scacchi intavolata con lei dipendeva soltanto dall'abilità nel nasconderle il mio legame con la polizia. Avevo molte cose da raccontare a Cobb. L'ispettore si sedette comodamente sulla sedia e rimase impassibile, mentre gli facevo il resoconto. Riferii dell'incontro con Comstock, del colloquio con Oliver, della ambigua assunzione di Eleanor Frame, del ritorno a casa di Dawn, della mia conversazione con Hanley e Linette, della morte del cane e della visita al laboratorio di Greg. Conclusi con la notizia della fuga di Oliver a New York. Al momento culminante tirai fuori il flacone di compresse che Eleanor Frame mi aveva consegnato. «Immagino che avrei dovuto metterlo in una busta» dissi. «Ma visto che la signorina Frame e io l'abbiamo maneggiato non credo che ci saranno molte possibilità di trovarci delle impronte.» Cobb emise un grugnito indistinto. Prese il flacone e lo guardò pensosamente: «Credo che sia quello che volevamo. Eleanor Frame non ci guadagnerebbe niente a dartene uno falso, vero?» «Non ci avevo pensato, ma non credo.» «Io neppure» La voce dell'ispettore era placida. «Farò analizzare immediatamente le compresse e sapremo se si tratta del composto di Kirsh, oppure no. Non preoccuparti. Le darò io stesso a Kirsh e non diremo nulla a Forder.» Intascò il flacone e mi fece un sorriso ammiccante. «Be', Westlake, non è male come risultato per il primo giorno d'indagini.» La sua solita pipa spenta era riapparsa. L'agitava distrattamente. «Si sono chiariti diversi elementi. Abbiamo appurato che l'incidente del giovane Thorpe non era dovuto a un tentato omicidio ma a un suicidio. E sappiamo più o meno tutto sulle compresse di Kirsh.» Morse la pipa. «E anche i moventi sono apparsi. Hanley e la sua carriera. Il giovane Oliver e la sua passione per la musica. Greg Bannister e l'eredità. Più il movente collettivo, il lascito previsto per Eleanor Frame. Diecimila dollari che escono dal patrimonio di famiglia ogni anno è una bella cifra anche per un uomo ricco come Bannister. Uno di loro può bene aver pensato di ucciderlo pri-
ma che potesse firmare quel codicillo.» Mi lanciò un segno d'approvazione. «È stata una mossa abilissima assumere quella donna, Westlake. Benché personalmente non sarei contento di vedermela girare per casa, nonostante sia una bella donna.» Fece una smorfia. «Adesso è quasi sicuro che sia una ricattatrice. E doveva avere qualcosa di molto grave con cui minacciare Bannister tanto da fargli cambiare il testamento in suo favore. Tieni presente che ci sta nascondendo la cosa, anche se lui è morto.» Affondò i denti nella pipa. «Visto che Comstock aveva l'autorità di bloccare i pagamenti, immagino che sappia parecchio; ma con un avvocato non c'è niente da fare. Io punterei sulla Frame, se fossi in te. Da parte mia la lascerò in pace, sperando che sia lei a commettere un passo falso.» Sprofondò nella poltrona. «Quello che mi interessa è la telefonata che Comstock ha ricevuto questa mattina. Certo potrebbe anche essere una normale telefonata da un cliente, come lui ha detto. E anche la telefonata che la signora Deane ha ricevuto questa mattina potrebbe essere del dottor Deane.» «Hai controllato la chiamata?» mi informai. «Certo. Veniva veramente da Vancouver. Ho controllato anche la chiamata che Bannister ha ricevuto ieri sera prima della seduta spiritica. Anche quella veniva da Vancouver.» «La bolletta del telefono di qualcuno laggiù sta salendo in fretta.» «Già. Il dottor Deane vive a Vancouver. È uno psichiatra piuttosto famoso. Credo che possa permetterselo.» Si chinò improvvisamente in avanti. «Ma c'è qualcosa che ho scoperto. Sembra che tu abbia ragione riguardo alla Frame. Ho fatto ricerche a Vancouver e a Seattle dove vivevano i parenti della prima signora Bannister. Nessuno ne ha sentito parlare, e nessuno sa niente di una possibile parentela con la signora Bannister.» La notizia non mi sorprese molto. Dentro di me pensavo da un pezzo che la pretesa parentela della Frame con i Bannister fosse un'invenzione. Cobb si alzò frettolosamente. «Bene, Westlake, non posso fare nient'altro per il momento. I miei uomini stanno tenendo d'occhio tutti i membri della famiglia. Anche il giovane Oliver non andrà lontano. Continua a fare il beniamino della famiglia, Westlake. Spero che salterà fuori qualche novità dalla visita alla signore Bannister, stasera. Sii cauto con lei, però. Comstock ha chiamato stamattina e mi ha fatto promettere che la terremo all'oscuro della verità il più a lungo possibile.» Fece un sorrisetto sarcastico. «Visto che fai la parte del medico condotto
braccato dalla ricattatrice, sarà meglio che me ne vada prima che torni Eleanor Frame.» Mi tese amichevolmente la mano. «Chiamami se c'è un'emergenza. Te la stai cavando benissimo, Sherlock.» Con mio sollievo, se ne andò senza essere visto da Dawn. Nel suo attuale ruolo di spalla alla Vipera, bisognava considerarla né più né meno che come un agente di spionaggio. Erano quasi le nove, e andai di sopra a cambiarmi per la visita promessa alla signora Bannister. Avevo finito di indossare un abito scuro e una cravatta discreta, quando Dawn entrò saltando in camera, brandendo, per qualche oscuro motivo, un corvo impagliato dall'aria malandata. «Al telefono c'è un uomo che ti vuole, papà» disse senza fiato. «Dice che il suo nome è Humbolt. Ti piace questo uccello? L'ho scambiato con le mie bretelle al campeggio. Non è bellissimo?» Spinsi da parte il becco nero puntato su di me e mi precipitai giù per le scale. Il dottor Humbolt era il ginecologo più in vista di Grovestown, e alle personalità eminenti non piace aspettare. «Salve, Westlake» La sua voce era rilassata. «Chiamo in merito a una delle mie pazienti, la signora Bannister.» «Sì» risposi. «La famiglia mi ha mandato a chiamare questa sera e ho saputo da lei che vi incontrerete più tardi. Ho pensato che fosse il caso di mettervi al corrente di alcune cose.» Fece una pausa. «La gravidanza dopo i quarant'anni presenta qualche difficoltà, come sapete. La signora Bannister è in uno stato nervoso molto precario. Preoccupazioni familiari, a quello che ho sentito. La morte del marito non ha certo migliorato la situazione. Le sue condizioni non sono affatto buone.» «Volete dire fisicamente?» «No. Sotto questo profilo non c'è niente di anormale, ma la donna presenta sintomi di disturbi mentali che mi preoccupano. Sembra avere una grande considerazione per voi e da quello che ho capito vi considera un po' il suo consigliere personale.» «Non pensate male» precisai. «Non sto cercando di togliervi una delle vostre clienti.» «Certo. Capisco, Westlake. Ma non è un caso facile ed è per questo che ho chiamato. Siate cauto con lei, anche se doveste trovarla un po' strana. Non contrariatela, datele ragione.» Il tono si fece professionale. «Temo che stia rischiando una nevrosi. Soprattutto non vorrei che si agitasse. Se do-
vesse verificarsi un'interruzione della gravidanza, non potrei rispondere della sua vita.» Mentre riappendevo, pensai alla decisa volontà della signora Deane e di Trimble Comstock di proteggere Sheila. Ora che il dottor Humbolt aveva detto la sua autorevole opinione, non potevo più considerarlo come un capriccio del parentado. Mi sentivo leggermente a disagio mentre varcavo la soglia dei vicini nella mia veste di consigliere personale. Il sole era tramontato e il caldo giardino era immerso nella luce morbida del crepuscolo. Era una luce strana, scintillante e ingannevole: gli alberi e le siepi sembravano occupare posizioni diverse, e ondeggiavano come pronti a scivolare via dallo sguardo. C'era qualcosa di magico in quella sera. Mi sentivo pervaso da un forzato senso di tranquillità. Era difficile non credere che Dio era nei cieli e che tutto era in pace in questo pezzetto di terra pieno di fiori di campo, ricoperto dal prato levigato e impreziosito dalla superficie lucente della piscina. Mi fermai un momento davanti alla vasca, pensando a come sarebbe stato bello spogliarsi e tuffarvisi. Mi allontanai a malincuore, svoltando a sinistra dietro una grande siepe di rododendri che riparava il lato nord della casa dai venti invernali. La lunga siepe era interrotta a metà da una scala di cinque o sei gradini che conducevano all'ingresso... La salii lentamente, mentre la penombra s'infittiva, senza pensare a niente di particolare e godendomi la freschezza della sera dopo tutto il caldo di quella giornata. Ero in fondo alla scala quando decisi di accendere una sigaretta prima della visita alla signora Bannister, durante la quale non mi sarei certo concesso di fumare. Mi fermai, con un piede su e l'altro giù dall'ultimo gradino, frugandomi le tasche. Fu in quel momento che successe. E successe tanto in fretta e tanto sorprendentemente che non potei né difendermi, né mantenere l'equilibrio. Senza il minimo avvertimento, una figura vaga e imprecisa era balzata fuori dai cespugli di rododendro e si era gettata su di me. Feci un inutile tentativo per resistere all'assalto. Ma le ginocchia mi cedettero: caddi all'indietro contro i gradini di pietra. Ricordo il dolore sordo della testa che batteva contro uno spigolo duro e ricordo di essere caduto pesantemente sull'erba. Ma tutte queste sensazioni normali lasciarono il posto a qualcosa di veramente terribile e inaudito.
Non potevo essere sull'erba da più di una frazione di secondo quando sentii atterrare su di me qualcosa che assomigliava a un animale selvatico. Sentii delle mani strappare furiosamente i miei vestiti. Vidi oscuramente, come in un incubo orrendo, il contorno sfuocato di un volto avvicinarsi sempre di più al mio. Poi ancora stordito mentre mi dibattevo per liberarmi, la testa mi venne spinta rudemente indietro; un alito caldo mi bruciò il collo. Poi un dolore profondo, acuto mentre sentivo affondare nelle pelle della mia gola due file di taglienti denti umani... 16 Credo sia stato il momento peggiore della mia vita. Ero troppo stordito dal colpo in testa e dalla rapidità dell'attacco per potermi difendere. Troppo stordito anche per vedere se la terrificante figura accovacciata su di me fosse un uomo o una donna. Dio sa cosa sarebbe successo se avesse deciso di continuare in quel modo. Ma dopo quel gesto, l'ombra scivolò nel folto dei rododendri, silenziosa e inafferrabile com'era venuta. Mi rendevo conto che mi sarei dovuto alzare in piedi e inseguirla. Ma né le gambe, né la testa funzionavano. Rimasi steso in una specie di torpore, con le idee confuse. Nonostante l'evidenza dei sensi, stentavo a credere che alla periferia di una normale città americana dei nostri giorni, fossi stato morsicato alla gola da un aggressore sconosciuto, ma sicuramente umano. Sembrava una vicenda medievale, carica di mistero e stregoneria. Era proprio una cosa che non può succedere qui da noi. Ma mentre restavo immobile, con la testa dolorante e la mente turbata, cominciai a rendermi conto che la stessa cosa doveva essere successa almeno un'altra volta. Ricordavo la mia sorpresa quella stessa mattina quando avevo sollevato la fascia di velluto sul collo della signora Deane e avevo visto i segni dei morsi sul collo. Prima alla signora Deane e adesso a me! La sensazione del sangue che scendeva sul colletto bianco della camicia mi fece tornare più o meno in me. Tremando, mi risollevai in piedi e premetti il fazzoletto nel punto in cui i denti avevano lacerato la pelle. La ferita non era grave. Ma, con un brivido, mi resi conto che l'aggressore aveva mancato l'arteria della carotide soltanto per un soffio.
Mi controllai rapidamente. Avevo soltanto un bernoccolo doloroso ma leggero sulla nuca e le nocche della mano sinistra graffiate e sanguinanti. Rimasi vacillante per qualche minuto, cercando di connettere. Avevo rinunciato a inseguire lo sconosciuto, ma istintivamente i miei occhi frugavano l'oscurità in cerca di qualche traccia. Era ormai buio e il giardino che si stendeva intorno a me, deserto e solitario, sembrava la scena di un sogno. C'era un perfetto silenzio. Benché la casa dei Bannister non fosse più lontana di dieci metri, la siepe dietro di me assorbiva ogni rumore. L'oscurità dei cespugli mi ricordava troppo la creatura misteriosa. Mi allontanai dirigendomi verso la piscina. Avevo fatto una decina di passi. Fu allora che cominciai a sentire il rumore di qualcuno che correva. C'era una specie di incantesimo nell'eco dì quello scalpiccio. Mi immobilizzai completamente, cercando di capire da che parte veniva il rumore. Era indubbio che aumentava: il fuggitivo stava venendo verso di me. E poi, vaga e irriconoscibile, vidi una figura stagliarsi contro il cemento che circondava la piscina. Veniva nella mia direzione e quasi prima che fossi sicuro di averla vista la figura apparve nel sentiero che portava oltre i rododendri. Sentii una strana apprensione. Non sapevo cosa augurarmi. Non potevo immaginare chi si sarebbe presentato davanti a me. Riuscivo a pensare soltanto al momento in cui lo sconosciuto mi aveva aggredito. La persona era quasi vicina a me. Aprii la bocca, pronto a dire non sapevo cosa. Ma prima che parlassi, la figura si fermò a metà del sentiero confondendosi con le tenebre circostanti. Per un istante sembrò che fosse svanita. Poi si udì una voce rauca e alterata dall'emozione. «Mamma, sei tu?» Anche in quel momento di tensione, riconobbi facilmente la voce di Greg Bannister. L'incantesimo era rotto. «Non sono la signora Bannister» dichiarai. «Sono io, Hugh Westlake.» «Dottor Westlake» ansimò Gregory. «Oh, credevo che fosse Sheila. Io...» Venne verso di me. Benché fosse buio, riuscii a vedere il suo viso, a vederlo quel tanto da cogliere il pallore delle guance e l'innaturale brillantezza degli occhi.
Aveva l'aria di un uomo che fosse appena tornato dall'inferno. «Che cosa state facendo?» Mi scosse il braccio rudemente. «Perché siete qui?» Con la mano tenevo il fazzoletto ancora premuto sulla gola. «Ero... ero venuto a trovare la signora Bannister» balbettai. «Ma poi è successo... qualcosa.» «Che cosa?» «Sembra pazzesco. Ma qualcuno è saltato fuori dai cespugli e mi ha aggredito.» «Aggredito!» Il viso di Gregory era molto vicino e potevo vedere il terrore e l'incredulità del suo sguardo. «Westlake, è terribile!» La sua voce tremava. Avevo sempre di più l'impressione che gli fosse capitato qualcosa di molto brutto. Sembrava sconvolto, come se non sapesse cosa fare di sé e di me. Rimase fermo per un momento, le spalle curve, il viso come un punto biancastro nel buio. Poi, in fretta, mi chiese: «Vi prego, dottore, per favore. Se vedete la mamma non ditele niente, non raccontatele di questo. Che nessuno della famiglia lo sappia.» «Io...» cominciai. «Vi prego, promettete.» C'era qualcosa di straziante nella sua perdita di controllo. Dissi con calma: «D'accordo. Non lo dirò.» «Grazie. Grazie davvero.» Si voltò come se volesse andar via di corsa. Poi si girò di scatto. «State bene? Avete bisogno d'aiuto?» «No, grazie, va meglio.» «Bene.» Mi lasciò e sparì nelle tenebre, diretto chissà dove. Mi ero rimesso a sufficienza da capire che dovevo fare qualcosa per la mia ferita. Tornai a casa mia e scivolai senza farmi vedere nello studio. Lo specchio mi convinse che la prima diagnosi era esatta. Anche se le tracce dei denti spiccavano rosse e nette sul collo le abrasioni erano soltanto superficiali. Sterilizzai scrupolosamente la ferita e la coprii con una medicazione di garza e cerotto. Allora potei finalmente cercare di trovare una spiegazione alla cosa inaudita che mi era capitata. E lentamente cominciò a prendere forma un'ipotesi non del tutto impossibile. Si doveva considerare la possibilità che un
membro della famiglia Bannister soffrisse di attacchi periodici di mania omicida. Per quanto possa sembrare strano, la licantropia, cioè la malattia mentale per cui il paziente crede di essere un animale e si comporta come tale, è una forma di pazzia riconosciuta, la stessa che attraverso i secoli ha alimentato tutte le leggende sui lupi mannari. Se qualcuno dei Bannister soffriva veramente di questa malattia, molti fatti oscuri potevano cominciare a essere chiariti. Bannister non aveva mai avuto realmente bisogno di un'infermiera diplomata in servizio costante per il suo disturbo cardiaco. Non era possibile che la ragione che aveva addotto come motivo per la presenza continua di Eleanor Frame fosse soltanto una scusa? Non era possibile che la pretesa parentela della ragazza con la prima signora Bannister fosse soltanto un pretesto per avere in casa un'infermiera diplomata il cui vero compito era di sorvegliare qualcuno che, all'insaputa di tutti, fuorché di Bannister stesso e della signora Deane, aveva tendenze omicide? Non era un'ipotesi del tutto assurda. Perfino la vittima poteva essere ignara della sua stessa malattia. Questo avrebbe spiegato non soltanto la posizione di Eleanor Frame in casa dei Bannister, ma avrebbe motivato anche la modifica del testamento che prevedeva un lascito per la Frame soggetto a determinate condizioni. Era evidente che il banchiere avrebbe preferito continuare a pagare anche dopo la morte pur di nascondere la verità. E nel caso la Frame avesse parlato, Comstock doveva avere la facoltà di sospendere i pagamenti. Tutto collimava perfettamente. Ma se avevo trovato la soluzione esatta del mistero che avrebbe aiutato a spiegare la morte di Bannister, quale dei membri della famiglia era il licantropo, il lupo mannaro che era spuntato così improvvisamente dalla siepe? Passai mentalmente in rivista i membri della casa, uno a uno e i miei sospetti finivano inevitabilmente su una stessa persona. Ripensavo al volto di Sheila Bannister, bizzarro, remoto. Pensai a Comstock e alla signora Deane con la loro premura nel nascondere a tutti i costi la verità a Sheila. Risentivo la voce di Greg nel giardino buio che chiedeva disperata di terrore: «Mamma, sei tu?» Guardai l'orologio. Erano quasi le nove e mezza. Ero in ritardo al mio appuntamento con la vedova di Bruce Bannister. Piuttosto provato, mi alzai dalla sedia e mi avviai di nuovo alla casa dei
miei vicini... 17 Raggiunsi la casa dei Bannister senza incidenti, questa volta. Non c'era traccia di Gregory. Veramente non c'erano segni di nessuno. Indugiai sulla terrazza e poi avanzai nel soggiorno deserto. Una sola luce era accesa vicino al pianoforte, e un' aria funerea impregnava la stanza, ricordandomi che, malgrado tutte le cose straordinarie che erano accadute, il fatto più importante restava la morte di Bruce Bannister. Andai nell'ingresso, aspettando che apparisse qualcuno. Si sentì un rumore di passi sulle scale e subito si presentò Linette molto magra, bionda e pallida. Quando mi vide si fermò con una mano sulla ringhiera. Poi, confusa, come se non mi avesse riconosciuto, disse: «Oh, siete voi. La mamma aspetta di vedervi. Di sopra.» Attese che la raggiungessi. Mi precedette nel corridoio illuminato e mi lasciò davanti a una porta. «È qui, dottor Westlake.» Linette mi lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio e se ne andò in fretta. Piuttosto nervosamente bussai alla porta. Si udì una debole risposta. Aprii ed entrai nella stanza della signora Bannister. La mia mente era gravata dai pensieri cupi che mi avevano assalito nell'ambulatorio; e anche dalle raccomandazioni di Humbolt di salvaguardare la sua paziente e dalle preghiere di Comstock e della signora Deane di proteggere Sheila. La signora Bannister, vestita completamente a lutto, era seduta vicino alla finestra in una sedia a sdraio. Di fianco a lei una lampada a stelo illuminava impietosamente il suo viso pallido, distante, in cui spiccavano gli zigomi pronunciati e gli occhi strani. Sembrava fragile e minuta all'eccesso, eppure resistente, come fosse sostenuta da una riserva di forza interiore. Forse, in conseguenza della prossima maternità, c'era nonostante tutto una certa tranquillità nel suo atteggiamento. Non si alzò quando entrai e non mi sorrise. Ma i suoi occhi si spostavano dalla benda sul collo al mio viso e sembravano consci di ogni minimo particolare. «Sono contenta che siate qui, dottor Westlake. Siete leggermente in ritardo. Temevo che qualcosa vi avesse trattenuto.»
Mi indicò una sedia, vicino a lei. Mi sedetti, osservandola e cercando di controllarmi, sforzandomi di sembrare in tutto e per tutto il medico della casa accanto che viene a fare una visita di cortesia ai vicini. Ma la visita non aveva niente di casuale per la signora Bannister. Qualsiasi cosa avesse da dirmi, era chiaro che era tormentata da problemi che richiedevano tutta la sua energia per essere dominati. Per qualche istante rimase in silenzio, sostenendo il mio sguardo, come raccogliendo le forze per parlare. Finalmente parlò. «Vi ho chiesto di venire, dottor Westlake, perché non posso sopportare più a lungo da sola il peso dei miei pensieri.» La mano sottile dalle dita affusolate si spostò sulla tappezzeria blu della poltrona. «Penserete probabilmente che sarebbe meglio mi affidassi a un direttore spirituale. Ma ho riflettuto molto e sento che mi sentirei sollevata se potessi discutere con qualcuno che conosce già in parte la situazione e che potrebbe essermi di aiuto materiale oltre che spirituale.» Dopo la telefonata del dottor Humbolt mi ero aspettato di trovare la vedova di Bruce Bannister in preda alla nevrosi. E in seguito alle mie deduzioni personali, mi ero aspettato anche di peggio. Questa calma fredda, fatalistica, era una vera e propria sorpresa. I fermi occhi grigi si fissarono nei miei. «Voi conoscete un poco la storia mia e di Bannister, vero?» «Un poco.» «Sapete che Bruce voleva sposarmi da molti anni ma che io non potevo conciliare con i miei principi il divorzio dalla prima moglie?» Annuii. «E poi Grace Bannister è morta.» Le sue labbra si strinsero su questa parola, come avesse una certa riluttanza a pronunciarla. «È morta su una nave. Si è gettata in mare. Si dice che si sia suicidata.» «È quello che mi hanno detto.» Improvvisamente si alzò e rimase fragile e diritta davanti a me. «È quello che vi hanno detto. Non avete conosciuto Grace Bannister. Ma io sì. Era viziosa, crudele. Sì, la donna più crudele che abbia mai incontrato. Sapeva che Bruce mi amava. Sapeva anche che non avrei mai sposato suo marito finché lei era viva. E si godeva, a tenerci separati. So che è tremendo parlare di lei in questo modo, adesso che è morta. Ma è la verità.» Trattenne il respiro. «Poi, improvvisamente, senza motivo, si uccide lasciandoci liberi. Nei primi tempi del mio matrimonio con Bruce non feci
domande sulla storia che mi avete riferito. Ma poco alla volta, come un veleno che mi si scioglieva lentamente nel sangue, iniziai ad avere dei sospetti. E con il passare dei mesi cominciai a notare certe stranezze in Bruce: non era mai del tutto a suo agio con me, come se ci fosse sempre qualcosa che gli occupava la mente. I miei dubbi diventavano sempre più forti, finché non fui sicura di avere ragione.» Rimaneva ferma a fissarmi, con le braccia rigide lungo i fianchi. Poi lentamente disse: «Ecco che cosa sto cercando di dirvi. È mia convinzione, dottor Westlake, che Grace non si sia suicidata, ma che mio marito l'abbia deliberatamente uccisa per essere libero di potermi sposare.» La rivelazione era piuttosto sconcertante. Tragica ironia: tutta la famiglia aveva cercato di proteggere Sheila Bannister dalla verità, mentre in tutto quel tempo lei non aveva fatto altro che dibattersi in sospetti molto più tormentosi. Mi guardava supplichevole e pareva che molta della sua forza l'avesse abbandonata. «E non posso... non posso veramente biasimarlo» disse con calma. «Mi rendo conto che vi è stato trascinato da circostanze che sarebbero state intollerabili per chiunque. Quella donna lo tormentava ogni giorno della sua vita. Ma non è questo. Se qualcuno è colpevole di quella cosa tremenda, quella sono io. Soltanto io.» La sua piccola mano si protese afferrandomi la manica. «Io con i miei principi integerrimi, la mia egoistica preoccupazione per la tranquillità della mia coscienza, io l'ho messo in quella situazione insostenibile. Avevo due possibilità se fossi stata davvero onesta. Avrei dovuto rompere definitivamente con Bruce, oppure consentirgli di divorziare. Ma non scelsi né l'una né l'altra strada. Lo tenevo in sospeso, tentandolo, mettendolo in agitazione.» Le sue labbra così sicure fino a un momento prima, avevano cominciato a tremare come quelle di una bambina. «Il peso di quell'omicidio grava interamente sulla mia coscienza.» Nonostante il mio interesse per l'argomento, non potei impedirmi di sentirmi preoccupato, come medico, del pericolo che rappresentava per lei quello stato di sconvolgimento emotivo. Cercai di trovare qualcosa di rassicurante da dire. «Ma non avete delle prove. Accusate vostro marito di un crimine che non potete provare. Non è stato nemmeno ritrovato il corpo.» «L'hanno ritrovato!»
Andò alla scrivania. Con gesti affannosi aprì un cassetto, cercò tra alcuni fogli e me ne porse uno. Era un ritaglio di giornale risalente a circa tre settimane dopo l'incidente di Vancouver. Diceva: BANCHIERE IDENTIFICA IL CORPO DELLA MOGLIE Seattle, Washington: Il corpo di una donna, trasportato dalle acque a Puget Sound la scorsa settimana, è stato definitivamente identificato oggi come quello di Grace Bannister, 46 anni, residente a Grovestown, gettatasi in mare dalla motonave "Traymore" tre settimane fa in un momento di squilibrio mentale durante una crociera in compagnia del marito, noto banchiere di Grovestown, e della madre di questi, la signora Deane, moglie del dottor Deane, direttore della Clinica Armonia in Pennsylvania ed ora docente di Psichiatria della Victoria University. La gola e la parte superiore del corpo gravemente lacerate e diverse fratture del cranio suggeriscono l'ipotesi che la sfortunata donna sia stata colpita da un oggetto contundente, probabilmente l'elica della nave stessa. Sono state date disposizioni per l'immediata cremazione della signora Bannister... Quando posai il ritaglio di giornale, Sheila Bannister disse: «Capite? Ferite, cranio fratturato. Oh sì, ci sono altre spiegazioni. Ma la più probabile è che sia stata colpita alla testa e gettata in mare.» La sua mano tormentava la scollatura severa dell' abito nero. «So che c'era anche la signora Deane. Mi ha raccontato i fatti molte volte, come se sentisse che sospettavo che qualcosa non andava, e mi ha ripetuto che Bruce non era neppure presente quando Grace si è buttata. Ma è la madre di Bruce e gli voleva bene. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo.» Il suo viso era mortalmente pallido. «Ho vissuto con questo sospetto giorno e notte, dottore. Potete immaginare come sia stato il mio matrimonio.» Provai una grande ammirazione per questa donna fragile che aveva il coraggio di dieci uomini. «Vi sto dicendo questo, dottor Westlake, prima di tutto perché ho un disperato bisogno di parlare con qualcuno, ma anche perché vi devo una spiegazione per molte cose, anche sciocche, che ho fatto. Dovete aver pen-
sato che ero malata di nervi l'altro giorno quando sono venuta a chiedervi di aiutarmi a cacciare di casa Eleanor Frame. Ora capite quali erano le ragioni.» Non capivo. Ma lei non aspettò che parlassi. «Quando Bruce portò per la prima volta quella donna in casa, non riuscivo a capire perché l'avesse fatto. Ero quasi sicura che non fosse veramente sua nipote. E poi cominciarono con le sedute spiritiche e pensai che volesse tenerla in casa perché pensava che avesse poteri medianici che gli avrebbero permesso di mettersi in contatto con Grace.» Rabbrividì. «Non capite? Viveva con quel terribile peccato sulla coscienza, quel tremendo rimorso che non poteva dividere con nessuno. Pensava che se fosse riuscito a mettersi in contatto con il suo spirito, Grace avrebbe smesso di perseguitarlo. Era una cosa morbosa, umiliante, ma posso capire perché fosse così ansioso di ricevere dei messaggi da lei e di obbedire alle volontà della moglie morta. Si trattava di una specie di espiazione. Capivo che si stava distruggendo la salute. Sentivo che si doveva trovare in mezzo per fermarlo.» «È per questo che siete venuta da me?» «Sì. Ma intanto le cose peggioravano. Vedete, all'inizio ero convinta che Eleanor Frame non avesse altra influenza su di lui, oltre allo spiritismo. Ma mi accorsi che la ragazza stava scoprendo la verità. Oh, è molto furba, e non ci mise molto a domandarsi come mai Bruce cercasse di mettersi in contatto con Grace pur essendo innamorato di me. Poi Bruce cambiò idea sul suo ritiro dagli affari e fece altre piccole operazioni, per cui capii che stava pagando grosse somme di denaro senza dirmelo. Sono certa che era lei a ricattarlo.» I suoi occhi grigi si fissarono ancora sul mio volto. «E poi ieri pomeriggio mio fratello, Trimble Comstock, mi ha fatto sapere che Bruce aveva deciso di cambiare il testamento e di lasciare a Eleanor una grossa rendita. Ho avuto la certezza che i miei sospetti erano fondati. È stato un colpo tremendo, ma mi ha dato la forza che mi era mancata fino a quel momento. Ho capito che non c'erano speranze per noi, continuando così. Dovevo dire a Bruce che sapevo la verità.» «Gli avete detto che lo sospettavate dell'omicidio?» Lei scosse il capo, desolata. «Non ho potuto dirglielo con queste parole. Sono andata da lui prima di cena.» Era nella sua camera, si stava cambiando. Gli ho detto che sapevo perché Eleanor Frame lo stava ricattando, che la situazione era insostenibile,
che lui rischiava di impazzire e di renderci infelici. Ho detto che la nostra unica speranza era di non darle più un soldo, di gettarla fuori di casa e di lasciare che la verità venisse a galla. «Aggiunse teneramente:» Gli ho detto anche che se avesse affrontato la situazione mi sarei schierata al suo fianco qualunque cosa fosse successa. Fui di nuovo stupito dalla forza che questa donna dimostrava e dalla capacità di perdonare al marito un' azione così grave. Mi sentii anche colpevole per aver sospettato soltanto poco prima che questa donna coraggiosa fosse affetta da una segreta pazzia. «Vostro marito è stato d'accordo?» «Ha dovuto ammettere che avevo ragione. Ma mi sono accorta che dovevo almeno risparmiargli di affrontare Eleanor Frame. Così sono andata immediatamente nella stanza della ragazza e le ho detto di andarsene.» Le sue labbra sbiancarono come se il ricordo di quella scena la infastidisse ancora. «All'inizio lei si è ribellata. Ha risposto che quella era la casa di Bruce e non se ne sarebbe andata finché lui non gliel'avesse detto. Ma quando l'ho convinta che parlavo per conto di Bruce, ha cambiato atteggiamento. Si è dimostrata remissiva e condiscendente. Ha detto soltanto: "Va bene. Se non mi volete, non mi va di restare qui. Ma potremo fare un'altra seduta prima che me ne vada".» Si strinse nelle spali e. «Ho creduto di essere riuscita. Ero convinta che avrei potuto ricostruire la nostra vita. Ma mi sbagliavo, mi sbagliavo del tutto, perché la seduta è avvenuta e Bruce è morto.» Fu incerta per un attimo come se stesse valutando se aveva la forza di continuare oppure no. Con un gesto di rassegnazione, proseguì: «Credo che potremo capirci meglio, ora. Visto che ho dimostrato fiducia in voi, mi auguro che ne dimostrerete un poco in me.» «In che modo?» chiesi a disagio. I suoi occhi grigi erano fermi. «Voi avete assistito Bruce la sera in cui è morto. Vorrei che mi diceste la verità, soltanto per confermare ciò di cui sono sicura.» La sua voce era incredibilmente calma mentre aggiungeva: «Non è stato un attacco cardiaco ad ucciderlo, vero? Voi e la polizia credete che la sua morte non sia stata naturale.» Avevo superato lo sta dio in cui la signora Bannister poteva ancora sorprendermi. Ora svelava di essere sempre stata a conoscenza del fatto che tutti avevano cercato così disperatamente di tenerle nascosto. Non provai stupore ma soltanto ammirazione per il suo magnifico autocontrollo. Meritava certamente di sapere la verità.
«Avete ragione, signori i Bannister» dissi. «L'autopsia ha dimostrato che è stato avvelenato.» Strinse la bocca in una linea sottile. Fu l'unico segno esteriore dell'emozione che doveva averla riempita. «Lo sapevo» mormorò. Poi aggiunse: «Come si crede sia stato somministrato il veleno?» Esitai, sentendomi oltremodo a disagio. «Potete fare a meno di dirmelo. È stato avvelenato con le compresse che gli avete dato voi, vero?» Non potevo smentirla. Annuii. «Sì, credono che sia avvenuto così.» «Lo credo anch'io.» Si passò una mano bianca sulla fronte. «Dottor Westlake, è tremendamente tragico, perché io avrei potuto impedirlo, se l'avessi immaginato.» La guardai. «Vedete, prima di cena mi sono fatta promettere da Brace che avrebbe interrotto ogni rapporto con Eleanor Frame, e pensavo che Brace sarebbe stato abbastanza forte per sopportare tutto queste. "Non mi rendevo conto...» Si interruppe. «Si stava cambiando mentre gli parlavo. Quando ha finito di vestirsi, l'ho visto prendere un flacone vuoto di nitroglicerina e riempirlo con pastiglie prese da un'altra scatoletta. In quel momento mi è sembrato strano, perché era sempre stato molto preciso con la sua medicina. Usava quel flacone finché non era completamente finito e poi ne a priva uno nuovo. Mi faceva tenere sempre una boccetta pronta nella borsetta. Non l'avevo mai visto riempire una mezza bottiglietta con compresse sciolte.» Balbettando aggiunse: «Ma avevo troppi pensieri, ero troppo distratta dal resto per farci caso. Solo più tardi, quando era già morto e Greg è venuto da me e mi ha parlato dell'autopsia, mi è tornato in mente quel gesto. Ho capito perché non aveva reagito alla compressa che voi gli avevate dato: quella non era nitroglicerina, era veleno.» La situazione stava prendendo una nuova piega. Chiesi in fretta: «Avete idea di come vostro manto sia venuto in possesso del veleno?» Fece segno di sì. «Credo di saperlo. L'anno scorso mio figlio, Oliver, si è messo nei guai. È sempre stato emotivo e impulsivo. Ha rubato un po' di veleno dal dottore presso cui Greg lavorava...» «L'ho saputo» interruppi. Ma lei era troppo immersa nei suoi pensieri per essere sorpresa o incuriosita dalle cose che sapevo. «Dopo aver tirato Oliver fuori dai pasticci,
Bruce prese quello che restava del veleno. Lo consegnò a Trimble perché lo restituisse al dottore. Ma... gli sarebbe stato facile tenersi qualche pastiglia e adesso capisco perché deve averlo fatto. Era disposto a togliersi la vita piuttosto che affrontare le conseguenze delle sue azioni.» Mi guardò con un certo orgoglio. «Dottor Westlake, non dovete pensare che io voglia darvi la colpa di avere materialmente somministrato la compressa, perché so che era intenzione di mio marito togliersi la vita. Se qualcuno è responsabile, quella sono io. L'ho forzato ad agire perché credevo che avesse più forza di quella che aveva. L'ho obbligato ad affrontare Eleanor Frame. Sapeva che la verità sarebbe venuta a galla e non era in grado di affrontarla. Se non avesse avuto l'attacco di cuore, avrebbe preso lui stesso la compressa.» Stava parlando come se cercasse di riordinare i pensieri più per se stessa che per me. «Quando Greg mi ha lasciato e ho capito che cosa era successo, ho passato i momenti peggiori. Mi sono vista per quella che sono, un mortale tormento che ha condotto Bruce prima all'omicidio e poi al suicidio. Credo di aver sragionato per un po' perché ho fatto una cosa di cui devo parlarvi, una azione criminale, in un certo senso.» La guardai sentendomi molto apprensivo. «Ero qui sola» mi disse lei. «Pensavo soltanto a Bruce. Mi sentivo in colpa come se l'avessi ucciso io. Pensavo con orrore alla verità che sarebbe stata scoperta. Pensavo ai giornali con i titoli che riferivano il suicidio; all'inchiesta della polizia che avrebbe fatto luce anche sulle circostanze della morte di Grace. Bruce sarebbe stato bollato per sempre con il marchio dell' assassino che si è suicidato. Potete immaginare cosa ne sarebbe stato di noi, di Gregory, Linette, Oliver e... e del bambino che non è ancora nato! Che avvenire aspettava mio figlio con un simile ricordo di suo padre?» Distolse lo sguardo da me, mentre il suo corpo minuto si curvava come per proteggersi. «Avevo in mano il vestito di Bruce. L'avevo con me da quando ero uscita dal soggiorno. Improvvisamente mi sono domandata se non c'era un sistema per nascondere la verità. Oh, ero come impazzita. Ero troppo confusa per pensare razionalmente, ma mi sono ricordata del flacone di emergenza che Bruce mi faceva tenere sempre nella borsa. Avevo visto quello che avevate usato voi scivolare sotto il divano del soggiorno.» Capii che cosa stava cercando di dirmi e realizzai subito che questo nuovo elemento poteva cambiare completamente il corso delle indagini. «In quel momento mi è sembrata una buona idea. Ho preso le compresse
nuove di nitroglicerina dalla mia borsa. Ho rotto il sigillo e ho tolto una compressa per compensare quella che avevate usato voi, infine ho messo il flacone nella tasca della giacca di Bruce. Ero convinta che la polizia avrebbe creduto che il mio era il flacone giusto; avrebbero fatto delle analisi; avrebbero visto che era autentico e magari avrebbero concluso che Bruce era morto veramente di un attacco cardiaco. Voi potete capire adesso come sono stata stupida, perché con l'autopsia avrebbero trovato subito il veleno. Ma cercavo soltanto di ottenere un po' di felicità per gli altri. Credevo di far del bene anche a voi, perché mi ero resa conto che la situazione era molto incresciosa per voi personalmente.» Un leggero sorriso le stirò le labbra. «Non avrebbe funzionato comunque perché più tardi dopo la venuta della polizia, sono andata a cercare il flacone contenente il veleno sotto il divano e mi sono accorta che non c'era più. Ho capito che quello che volevo fare era inutile, oltre che sbagliato. Immagino che la polizia abbia il flacone in questo momento, vero?» Annuii. Non le dissi che a raccoglierlo era stata Eleanor Frame. Dovevo risparmiarle almeno questo. Per un momento rimanemmo a guardarci nella luce soffusa della stanza. Il colloquio che avevo tanto temuto si era rivelato l'elemento più importante per le indagini dalla morte di Bruce Bannister. Questa donna tranquilla, altruista, aveva chiarito con la sua tragica storia quello che finora era stato un disegno confuso di oscure mezze verità. Nonostante le gravi conseguenze che potevano derivare per lei e per i suoi cari dalla confessione, mi aveva fornito la spiegazione convincente del complicato intrigo tra Bruce Bannister e Eleanor Frame. E aveva fatto anche di più. La dolente confessione del tentativo di salvare il nome di suo marito dopo la morte cambiava completamente le basi dell'inchiesta. Fino a quel momento, la nostra teoria poggiava sul fatto che il secondo flacone si trovasse nelle tasche di Bannister. Ora che Sheila Bannister aveva ammesso il ruolo giocato da lei, questa circostanza era del tutto mutata. Praticamente ora non restava niente a ostacolare il verdetto di suicidio. E, se Sheila aveva ricostruito esattamente il passato, suo marito aveva tutte le ragioni del mondo per uccidersi. Non mi soffermai sul fatto che un secondo mistero, oscuro e impenetrabile quanto il primo, era ancora in atto in casa dei Bannister. Quando l'evidenza non fosse bastata, ne portavo io stesso i segni sul collo. Ma mentre prima avevo cercato di individuare un disegno che li contenesse entrambi,
ora cominciavo a pensare che il secondo mistero avesse una vita a sé stante. Sulla morte del banchiere non c'era niente altro da scoprire. L'omicidio su cui io e Cobb stavamo indagando non era avvenuto la sera precedente, in realtà. Ma risaliva a un anno prima, al giorno fatale in cui Grace Bannister "si era gettata" dalla motonave Traymore. 18 Sheila Bannister era tornata vicino alla sua sedia e rimaneva in piedi, muovendo distrattamente le mani sul tavolino con il telefono, che era lì accanto. «Ho cercato di dirvi tutto, dottor Westlake» disse con voce piana. «Naturalmente siete libero di riferire alla polizia quello che vi sembra opportuno.» I suoi occhi grigi si posarono sul mio volto. «Ora mi domando se potrete fare qualcosa per aiutarmi.» «Certo» la rassicurai. «È probabile che, essendo medico, siate una persona piuttosto pratica. Quando sentirete quello che voglio chiedervi penserete che è una cosa morbosa, che cedo a una tentazione che andrebbe respinta. Ma vi prego, siate paziente con me, perché è la mia unica speranza di conforto. Non pretendo di sapere che cosa accade dopo la morte. Ma non posso sopportare l'idea che mio marito sia da qualche parte con quel peso sulla coscienza, senza sapere che lo capisco, che lo perdono perché la vera colpa è soprattutto mia.» Abbassando la voce aggiunse: «So che le possibilità di successo sono molto scarse ma vorrei cercare di mettermi in contatto con il suo spirito.» La serena compostezza del suo atteggiamento non si era alterata. «Ho sempre sostenuto e pensato che lo spiritismo è una pratica pericolosa e probabilmente perversa. Ma mi sono spinta così avanti in questa vicenda che voglio aggrapparmi a ogni possibilità. Se potessi parlare con Bruce, parlargli soltanto per un attimo e dirgli che lo perdono e che divido con lui il suo delitto, questo potrebbe forse portargli la pace.» «E come pensate di fare questo?» Le sue labbra si ridussero a una linea sottile. «Per mezzo di Eleanor Frame» rispose. «Eleanor Frame?» «Sì. Linette mi ha detto che è in casa vostra. Non so quale sia il motivo e
non intendo fare domande. Ma vorrei che la portaste qui stasera e che lei cercasse di contattare Bruce attraverso il tavolo.» Anticipò i miei commenti scandalizzati. «So benissimo che è una donna disonesta. Non mi fido di lei. Ma Bruce era convinto che avesse poteri medianici. Voi mi direte che i suoi messaggi sono delle menzogne. Questo nessuno di noi può dirlo e io sono pronta a rischiare nella debole speranza che quella donna abbia realmente qualche potere di cui noi non sappiamo nulla. Poiché sono sicura che ha scoperto la verità sul conto di Grace, non c'è niente da perdere anche se sentirà quello che voglio dire a Bruce.» Si girò dall'altra parte, guardando nel buio fuori dalla finestra senza tende. «Come amico, dottor Westlake, lo farete per me? Porterete qui Eleanor Frame?» A quel punto mi aveva talmente coinvolto nel suo stato emotivo che la richiesta non mi sembrò assurda. Non che avessi fiducia in una possibile comunicazione con suo marito. Ma trovavo logici e persino decorosi i motivi che la spingevano a tentarla, il commovente gesto di dividere con un altro i suoi dubbi e le sue angosce, e anche l'atteggiamento realistico nei confronti di Eleanor Frame. «Va bene» consentii. «Farò il possibile per portarla qui al più presto.» «Al più presto. Anzi subito, se potete.» Mi rivolse un debole sorriso di gratitudine. Poi mi voltò di nuovo le spalle e riprese a guardare dalla finestra. Il nostro colloquio era finito. La lasciai e tornai in fretta a casa mia passando per il giardino illuminato dalla luna, domandandomi se la Frame avesse fatto ritorno dalla sconosciuta missione che aveva intrapreso dopo cena. All'ingresso trovai la porta del soggiorno chiusa. La aprii sul buio totale. Mentre superavo la soglia sentii uno scricchiolio familiare, poi un altro e un altro ancora. Frettolosamente raggiunsi una lampada, premetti l'interruttore e illuminai la camera. Mi si rivelò una macabra vista. Al centro della stanza stavano mia figlia ed Eleanor Frame, sedute ai lati opposti di un piccolo tavolo. Mi guardavano sbattendo le palpebre. Il tappeto era stato arrotolato e giaceva di fianco a loro. Sopra al tappeto, con le orecchie ritte e piuttosto a disagio in quel sabba di streghe, troneggiava Hamish. Probabilmente esageravo, ma il fatto che Eleanor Frame si fosse permes-
sa di indulgere alle sue cosiddette pratiche medianiche in compagnia della mia dodicenne figliola, mi mandò letteralmente in bestia. Stavo per urlare qualcosa di tremendo quando mia figlia si alzò dalla tavola e corse da me, inciampando nel tappeto e nel cane. «Papà, papà» gridò senza fiato «non puoi immaginare come è stato emozionante. Abbiamo fatto muovere il tavolo e abbiamo avuto i messaggi più straordinari. C'è stata una Lulù che ti manda tutto il suo amore, poi il mio corvo impagliato ha fatto sapere che si trova molto bene nel suo pianeta. È arrivato perfino un messaggio da una certa Cleopatra, ma il nome non era proprio esatto, che diceva di non esser stata uccisa da una vespa...» Guardai sopra la sua testolina gli occhi impassibili di Eleanor Frame. «Avete ricevuto anche un messaggio dal cane di Linette che diceva chi l'ha avvelenato?» le chiesi seccamente. Certo era sconsiderato tirar fuori quell'argomento davanti a mia figlia, ma ero fuori di me e volevo che la Vipera si sentisse il più possibile a disagio. E credo di esserci riuscito. Dal tremito dei suoi occhi ebbi la certezza che era lei la colpevole dell'insensato e crudele esperimento. «Il cane di Linette Thorpe?» fece eco Dawn. «Qualcuno l'ha avvelenato? E chi è stato?» Eleanor Frame si era alzata dal tavolo e veniva verso di me. Posò leggermente una mano sulla spalla di Dawn, con gli occhi fissi nei miei, poi disse: «Dawn, il cane di Linette è morto perché era vecchio e malato. E poi non era un cane molto carino. Ha anche morsicato Hamish.» Pur odiando la falsità della mia indesiderata ospite, notai comunque che il suo intervento aveva impedito alla fantasia di Dawn di scatenarsi su un tracciato pericoloso. Di conseguenza non feci commenti. Dawn si accovacciò sul pavimento e si mise a giocare con Hamish, dimenticando con leggerezza infantile che fino a pochi secondi prima era stata entusiasta del tavolo spiritico. Eleanor Frame si sedette in una poltrona di fronte a Dawn e, incrociando elegantemente le gambe, si accese una sigaretta. Sembravano la parodia farsesca di un quadro intitolato "MADRE E FIGLIA". Dawn trascurò Hamish per dedicarsi all'adorante contemplazione delle provocanti scarpine di Eleanor e subito dopo si girò verso di me. Il suo sguardo spaventato mi allarmò. Mi chiese: «Ehi, papà, qualcuno ha cercato
di tagliarti la gola?» Mi aggiustai la benda con le dita e risposi subito: «Mi sono tagliato facendomi la barba.» Poi, visto che anche Eleanor Frame cominciava a guardarmi il collo incuriosita, me la cavai ricorrendo all'espediente più semplice: «È ora di andare a letto, Dawn. Su, fila.» Con un fare misterioso, come se avesse appena scoperto qualcosa di importanza vitale, mia figlia si inchinò alla signorina Frame, mi diede un bacio distratto, prese Hamish e in silenzio si ritirò. Dopo che fu uscita, Eleanor Frame ed io continuammo a fissarci. A me sembrava che il suo sguardo fosse ancora puntato sul mio collo e che quella benda le avesse dato lo spunto per una serie di deduzioni molto interessanti. Infine mi sorrise. «Spero che la mia seduta spiritica con vostra figlia non vi abbia inquietato, dottor Westlake. La bambina è stata così educata...» Il sorriso si spense. «Sapete, gli spiriti dei defunti non dicono mai niente che possa spaventare i bambini.» Nonostante quest'edificante informazione, la mia indignazione non diminuì. Tuttavia, nel ruolo di emissario della signora Bannister non ero in condizioni di dire alla Vipera ciò che pensavo esattamente di lei. Goffamente, facendo del mio meglio per nascondere il vero motivo per cui la signora Bannister desiderava la seduta, le illustrai la richiesta della mia vicina, concludendo: «È in uno stato di grande prostrazione, signorina Frame, e trovo che sarebbe gentile assecondarla.» Era odioso essere amabile con lei, soprattutto agendo per conto della donna di cui lei aveva tanto amareggiato l'esistenza. Eleanor Frame lo intuì e non mancò di godersi fino in fondo la situazione. Mi parve di sorprendere una luce di trionfo nei suoi occhi, unita a un'ipocrita comprensione. «Così è lei che umilmente mi viene a cercare, vedete? Ero sicura che sarebbe finita così.» Rimase in silenzio a lungo e poi lasciò cadere con degnazione la risposta, che aveva un tono decisamente sarcastico: «Povera signora Bannister, come la capisco. Spero soltanto che questo potrà aiutarla... E che le anime non avranno cose troppo... compromettenti da dire.» Interpretai quest'ultima come un'aperta minaccia, il che mi fece sentire
ancor più a disagio mentre lei, senza aggiungere altro, si alzava e mi seguiva fuori nel giardino. Nel poco tempo che ero stato in casa, la luna era spuntata. Splendeva grande e lucente nel cielo senza nuvole e illuminava di luce argentata il giardino che era stato poco prima lo scenario della mia paurosa aggressione, e che appariva adesso un paesaggio di calma infinita. La luci erano accese nel soggiorno dei Bannister. Ad aspettarci trovammo la signora Bannister, pallida ma molto decisa. Con mia sorpresa, non era sola. In piedi, al suo fianco, c'era la sottile e agitata figura di suo fratello Trimble Comstock, vestito di un antiquato abito nero. I grigi occhi della signora Bannister si posarono freddamente su Eleanor, ma rimasero implacabili tanto da tenere in soggezione anche lei. «Vi ringrazio di essere venuta, signorina Frame» disse con dignità. «Mio fratello è stato informato del mio progetto e desidera prendere parte alla... seduta. Ci sono obiezioni?» Mentre Eleanor lo squadrava, a Comstock tremarono gli occhialini all'estremità del naso. «Certo non ci sono obiezioni per il signor Comstock» ripose la ragazza. Poi, sollevando lo sguardo verso la signora Bannister, aggiunse: «Non credete che dovrebbe esserci anche Greg con noi?» Mi sembrò di avvertire un tono di sfida in questa proposta, sfida che la signora Bannister raccolse senza battere ciglio. «Gregory è nel suo laboratorio» disse. «Non vedo motivo per disturbarlo. Ora, se siete pronta...» Nessuno accennò a Linette. Visto che eravamo soltanto noi quattro, Eleanor scelse un tavolo piuttosto piccolo. Inesperti neofiti, io e Trimble Comstock ci inginocchiamo sul pavimento ad arrotolare il tappeto sul pavimento di legno. Sheila Bannister si preoccupò di tirare le tende pesanti davanti alle porte-finestre illuminate dalla luna. Eleanor Frame prese le sedie e si sedette a capotavola. Nel silenzio teso, la signora Bannister e Comstock presero posto di fianco a lei. A un cenno della Frame spensi l'ultima luce e andai al mio posto," attraversando la fitta oscurità. La seduta era cominciata e tutto poteva succedere. Con una strana sensazione di attesa, appoggiai le mani alla superficie del tavolo, allungando le punte dei mignoli finché non si trovarono a contatto con le dita di Comstock e di Sheila Bannister. Questa ricostruzione della scena che qualche sera prima era finita in mo-
do tanto tragico era più sconcertante di quanto avessi previsto. Nonostante il buon senso mi avvertisse che con tutta probabilità le doti psichiche di Eleanor Frame erano un imbroglio e il desiderio disperato di Sheila di comunicare col marito destinato all'insuccesso, non potevo fare a meno di sentirmi preda di un'indicibile eccitazione. Sedevamo al buio, perfettamente immobili. Sentivo la leggera pressione del mignolo di Sheila contro il mio e il cauto contatto di quello di Comstock a destra. I minuti scorrevano, rincorrendosi inutilmente nell'oscurità. Persi la cognizione del tempo. Non accadde nulla. Di tanto in tanto i colpi di tosse nervosa di Comstock spezzavano l'immobilità. Ma subito le vibrazioni erano inghiottite dalla profondità del silenzio. Poi, oscuramente, credetti di aver sentito il tavolo muoversi, ma mi accorsi che si trattava dell'involontario movimento delle mie dita, che erano scivolate sulla superficie liscia. Il silenzio sembrava vuoto ed eterno come la morte stessa. Era un conforto sentire il ticchettio rassicurante del mio orologio. Tutto il resto nella stanza era così immobile, che credo di aver sentito anche il battito del mio cuore. Poi improvvisamente si udì un rumore. Probabilmente non era che un leggero scricchiolio, ma alle mie orecchie abituate al silenzio, suonò come la carica di un elefante. In quell'istante la voce di Eleanor Frame si alzò distinta. «Avete un messaggio? Battete una volta per il sì; due volte per il no.» Si udì un solo inequivocabile rumore. «Avete un messaggio. Bene. Potete dire chi sta parlando?» Di nuovo cadde il silenzio, un silenzio teso, drammatico, durante il quale il tavolo sembrava posseduto da una forza sconosciuta in lotta contro un visibile ostacolo che la frenava. Poi, chiari e distinti, i battiti tornarono. Sette colpi. G... Decifrai rapidamente i colpi successivi, conoscendo già le lettere che avrebbero formato. G... R... A... C... E. Di nuovo quel nome fatale, il nome della donna la cui morte era avvolta di sospetti tanto sinistri e che sembrava non poter riposare in pace nella sua tomba.
Le dita di Comstock tremavano contro le mie, ma quelle di Sheila Bannister erano perfettamente ferme. Mi domandai che cosa stesse pensando. Le lettere si susseguivano in una serie veloce. Poi si sentì la voce di Sheila Bannister. Chiara e molto ferma. «Grace Bannister, potete rispondere a una domanda?» La stanza era carica di elettricità. Il tavolo diede un colpo sonoro. «Ecco la mia domanda. Sapete come è morto Bruce, ieri sera?» Si udì ancora un colpo molto distinto. «Potete dirci allora come è morto?» Con i nervi tesi rimasi in ascolto del messaggio successivo, che si formò in fretta, quasi affannosamente, con una successione di lettere rapidissima. La mia mente era completamente assorbita dalla decifrazione. LA SCORSA NOTTE BRUCE È STATO AVVELENATO DA... Ero preda di un'agitazione crescente. Ero sicuro che le prossime parole sarebbero state "Dottor Westlake". ma nessuno di noi seppe mai il resto del messaggio perché la nostra attenzione fu attratta da un fatto nuovo. All'inizio pensai a un'illusione ottica o a un guizzo d'immaginazione dovuto alla lunga permanenza nel buio. Ma poi, e i capelli mi si rizzarono sulla testa, dovetti ammettere che non era così. Davanti a me stava lentamente apparendo un fascio di luce che ondeggiava lentamente, serpeggiando dal suolo fin quasi al soffitto. Non avrei potuto dire dove si trovava perché, dopo essermi concentrato sul tavolo, avevo perduto ogni cognizione dei contorni della stanza o dei mobili. A poco a poco, nel silenzio caratteristico delle materializzazioni spiritiche, la fascia si allargò muovendosi davanti a me in una forma sfuocata. Le mie dita erano ancora sul tavolo. Ma il mio sguardo era ipnotizzato da un terrore incantato. E il terrore non fece che aumentare quando mi accorsi che la luce stava cambiando forma. La parte inferiore della massa opalescente sembrò solidificarsi in un volto confuso, indistinto come un'immagine grottesca apparsa su una lastra fotografica. Il corpo, se ve n'era uno, era troppo vago per distinguersi. Ma non era il corpo che attraeva la mia attenzione. I miei occhi erano stregati da quel volto che si mostrava a noi di profilo e sembrava sospeso in una magica radiosità: il viso bianco e luminoso di
una donna. Per un momento che mi sembrò eterno mi parve che al mondo non esistesse altro che quell'apparizione luminosa. Poi sentii le dita di Sheila Bannister staccarsi dalle mie. Anche al buio la sentivo irrigidirsi come una pietra. Fu lei la prima a parlare. Non gridò né pianse: la sua voce era rotta e secca. Si fece udire in un mormorio soffocato: «Dio, la vedete? È Grace! È lei. È qui in questa stanza...» 19 Mentre le parole mormorate da Sheila Bannister mi riecheggiavano all'orecchio, il viso continuava a mostrarsi a noi di profilo. Ne distinguevo chiaramente i lineamenti e nel mio stato di sovreccitazione ero convinto che fossero quelli della donna il cui ritratto era appeso nella sala da pranzo. I miei nervi erano tesi a un punto tale che non pensai neppure per un istante che potesse trattarsi di un volgare trucco, di una contraffazione studiata. E non mi venne neppure in mente che l'apparizione potesse essere una donna in carne e ossa che si mostrava oltre le tende che riparavano il locale dal chiaro di luna. Persi ogni capacità razionale: in quel momento di panico ero convinto che ciò che vedevo fosse l'autentica materializzazione di un volto astrale, il volto di una donna defunta da tempo. Grace Bannister! Anche gli altri erano perfettamente immobili e muti. Improvvisamente, mentre sedevamo nel buio, si levò una voce. Una morbida voce femminile che sembrava provenire dal volto radioso. «Lui è fuori, tra i cespugli. Vuole entrare.» Un brivido mi percorse la schiena. Ebbi la visione dello spirito di Bruce Bannister che aleggiava fuori da quelle finestre come un fantasma cercando disperatamente di entrare per ottenere il conforto che Sheila spasimava di dargli. Il viso era diventato anche più luminoso, quasi confuso nella luce circostante. Intorno al tavolo nessuno parlava. La voce si fece sentire di nuovo, appena percepibile, come la voce di una trasmissione radio che svanisce. «È qui fuori. Vuole entrare. Ma non può. No... non può.»
Le parole si dispersero nel silenzio e con esse svanì il volto tenebroso. Quasi prima che me ne rendessi conto non era rimasto altro che una larga fascia di luce verticale. La mia mente fu come liberata da una strana paralisi e mi resi conto che quella che avevamo visto non era altro che la luce della luna che entrava attraverso un' apertura delle tende che coprivano le porte-finestre. Anche gli altri cominciavano a riprendere il controllo di sé. Sentii che Comstock diceva qualcosa sottovoce, poi il rumore di una sedia che veniva rovesciata e di passi incerti che avanzavano nell'oscurità. L'istante successivo la stanza si riempì di luce. Sbattendo gli occhi, cercai con lo sguardo Trimble Comstock che stava in piedi, molto pallido, vicino al pianoforte, con le dita ancora posate sull'interruttore della luce. Istintivamente spostai lo sguardo all'estremità opposta della stanza. Vidi che le tende davanti alle portefinestre erano scostate e lasciavano intravvedere il riflesso lucente dei vetri; una delle porte che erano state chiuse era aperta leggermente verso l'interno e si muoveva lieve per la brezza. Mi alzai, corsi verso la finestra e mi precipitai in terrazza. Esaminai il giardino immerso nella luce lunare sperando di vedere qualcosa. Ma il prato era deserto e tranquillo come sempre. Non c'era traccia di niente e di nessuno. Tornai nel soggiorno. Il bizzarro gruppo di personaggi non era mutato. Comstock, che sembrava una statua di cera, era fermo vicino al piano. La mia attenzione fu attratta invece da Sheila Bannister. Si era alzata e stava fra me e Eleanor Frame in modo tale che non potessi vedere la ragazza. Il suo viso sembrava una maschera di gesso raffigurante la morte. Gli occhi, che fissavano un punto nel vuoto, erano del tutto opachi. Con estrema lentezza sollevò una mano e si coprì il viso. «Grace» sussurrò. «Grace è venuta qui.» Sentivo che dovevo fare qualcosa per diminuire lo shock cui era sottoposta. Mi diressi verso di lei, ma Comstock la raggiunse per primo. La prese tra le braccia, come per proteggerla; il suo viso, nonostante i ridicoli occhialini, esprimeva un'appassionata tenerezza. «Non parlare così, Sheila cara. È una cosa insensata e tu lo sai. Se ci è sembrato di vedere qualcosa... è stata la nostra immaginazione.» Era difficile pensare che fosse stata la nostra immaginazione ad aprire le finestre e a tirare le tende. «Immaginazione!» Sheila Bannister ripeté ottusamente la risposta. Poi, con gesto repentino, girò su se stessa dandomi le spalle per fronteggiare di-
rettamente Eleanor Frame. «Voi! Voi avete fatto questo! È soltanto uno dei vostri sporchi trucchi. Voi...» Si interruppe, incapace di sostenere la vista della Frame. Ma ero spostato in modo da vederla anch'io. Dimostrava un'emozione di cui non avrei mai creduto capace quella ragazza così fredda e controllata. Il suo sguardo era magnetizzato sulle finestre che conducevano alla terrazza, e i suoi occhi erano colmi di un'evidente incredulità e anche, ne sono certo, di paura. Era la prima volta che la vedevo perdere il controllo, e fui sicuro, o almeno relativamente sicuro, che il fenomeno cui avevamo assistito non era opera sua. La Frame era sconvolta quanto noi. Sembrava una bambina che, giocando alle streghe, avesse evocato un demonio infernale. Le due donne si guardavano, una di fronte all'altra. Il profilo di Sheila Bannister era duro e implacabile. «Ma non sono stata io» balbettava Eleanor. «Giuro che non sono stata io.» Nel lungo silenzio che seguì, io ero troppo occupato ad osservare la corrente di ostilità che si era creata tra le due donne, per accorgermi che Trimble Comstock era sgattaiolato fuori dalla stanza. Me ne resi conto solo quando ripresi a pensare lucidamente e anche allora ero talmente assorbito dai miei pensieri che non diedi molto peso alla cosa. Non era possibile che noi avessimo assistito a una materializzazione medianica, conclusi riflettendo razionalmente. Le porte-finestre, che all'inizio della seduta erano state chiuse, spiegavano tutto. Era evidente che qualcuno doveva averle aperte durante la seduta spiritica e che la stessa persona doveva essersi mostrata fra le tende, illuminata e circonfusa dal chiaro di luna. Le gravi circostanze che avevano preceduto la seduta ci avevano spinto ad associare quel viso confuso con la donna che occupava i pensieri di noi tutti: Grace Bannister. Ecco come stavano le cose. Non era affatto chiaro invece chi potesse essere la persona che si era affacciata tra le tende. E altrettanto inspiegabile il motivo di quelle frasi incomprensibili: "Lui è qui fuori. Fra i cespugli. Vuole entrare..." Eleanor Frame e Sheila Bannister erano ancora l'una di fronte all'altra. Mi avvicinai a loro e in quel momento la porta che dava sull'ingresso si spalancò e la signora Sarah Deane si affacciò nel locale.
Portava un elegante abito scuro che la ringiovaniva parecchio. I miei occhi però erano attratti dalla striscia di velluto che le copriva il collo. Fu quel particolare a ricordarmi che la madre di Bruce Bannister non doveva essere tanto spensierata come voleva sembrare. «Bene, Sheila cara» disse con tono gioviale «si può sapere cosa stavate facendo seduti qui al buio?» I suoi occhi passarono dal tavolino a Eleanor Frame, esprimendo indignazione e sorpresa. «Sheila, non dirmi che hai fatto entrare di nuovo quella donna in casa e le hai lasciato ripetere quelle insulse sciocchezze, adesso che Bruce è morto!» Il viso di Sheila si rivolse verso di lei. Vedendo quell'espressione, la signora Deane abbandonò il tono brusco. «Mi dispiace, cara. Non volevo rimproverarti. Ma non dovresti lasciarti ingannare da questi trucchi insulsi.» Circondò con un braccio le spalle di Sheila. «Faresti molto meglio ad andare a letto e cercare di riposare un po'.» Sheila Bannister sembrava non capire quello che la suocera le diceva. Si limitava a guardarla con occhi vuoti. «Perché ci hai chiesto che cosa facevamo al buio? Vuoi dire che eri tu che guardavi fra le tende?» «Ma cara, certo che ero io. Chi credevi che fosse? Uno spirito?» Sheila Bannister si inumidì le labbra. Mormorò: «Credevo che fosse Grace.» «Grace!» gli occhi della signora Deane si riempirono di incredulità e subito dopo di rabbia. Si precipitò accanto alla Frame. «Voi le avete fatto credere che fosse Grace. Ho sempre pensato che foste una donna calcolatrice e spregevole. Ma credevo che avreste avuto il buon gusto di non tormentare oltre Sheila con i vostri maneggi meschini specialmente in un momento come questo!» La madre di Bruce si girò verso di me. «Voi avreste dovuto evitarlo, dottor Westlake. Il minimo che potevate fare era di tenere Eleanor Frame lontano da questa casa.» Ci girò le spalle e condusse la nuora fuori dal soggiorno. Per tutto il tempo in cui la signora Deane aveva parlato, Eleanor Frame era rimasta immobile come una statua. In quel momento scoppiò in una risata rauca, venata di isterismo. Nel suo lungo abito bianco sembrava bella e provocante come non mai. «Aspettate!» esclamò.
La signora Deane si girò. «Cosa volete?» Gli occhi di Eleanor Frame brillavano di uno strano splendore. «Avete detto che eravate voi la persona fra le tende. Questo è molto interessante. Forse allora potrete spiegarci perché avete detto che zio Bruce era fuori in giardino e voleva entrare.» «Bruce?» La signora Deane era stupita. «Ma non parlavo di Bruce. Ho detto che c'era qualcuno in giardino, è vero. Ma parlavo di David Hanley. Ero uscita a fare due passi e al ritorno l'ho incontrato davanti alla porta. Mi ha chiesto di lasciarlo parlare con Linette. Ho rifiutato, naturalmente.» Se Eleanor Frame aveva cercato di farla cadere in contraddizione, aveva miseramente fallito. Ed era perfettamente vero che l'"apparizione" non aveva mai fatto il nome di Bruce Bannister. Ma la Vipera non si perse d'animo. «E da quando David Hanley non può entrare in casa?» La signora Deane rispose con un sorriso sarcastico. «Sembra che ultimamente non siate al corrente degli affari di famiglia, come vostro solito. Oggi pomeriggio Linette ha rotto il fidanzamento con David Hanley e per quello che mi riguarda non posso che approvare.» Si interruppe bruscamente mentre la porta si riapriva per far entrare Comstock. Insieme a lui c'era Linette. A parte il breve incontro che avevo avuto con lei nel pomeriggio, Linette era rimasta apparentemente estranea ai sinistri avvenimenti della serata. Ma pareva scossa quanto noi. Il suo viso era pallido e turbato. Comstock si sforzava di essere vivace. «Linette stava leggendo in camera sua. E... io ho pensato che sarebbe stato un gran piacere per tutti sentirla cantare una canzone per noi.» Sorrise nervoso. «Sapete, non c'è niente come la musica per risollevare gli animi.» «Eccellente idea» confermò la signora Deane. «Prima accompagnerò a letto Sheila. Ma tornerò subito e ascolterò con piacere una canzone.» Mentre la signora Deane usciva con sua nuora, Linette si avviò a malincuore verso il pianoforte. Eleanor Frame la seguì e, avvertendo una sensazione di pericolo, mi unii a loro. «Vostra nonna ci ha appena detto che David era fuori in giardino» disse Eleanor. «Non volete che gli chiediamo di entrare?» Capii che cosa aveva in mente. Stava cercando di smentire la versione della signora Deane. Max non aveva previsto la reazione di Linette. La ragazza non la guardò neppure. A voce bassa e tagliente le rispose:
«È estremamente gentile da parte vostra interessarvi alla mia vita privata, signorina Frame. Ma per vostra informazione, avrei tanto piacere di avere qui David Hanley quanto ne ho nel vedere voi.» In quel momento la signora Deane riapparve, traboccante di vitalità ed entusiasmo come una perfetta padrona di casa, decisa a salvare un ricevimento poco riuscito. «Bene» disse allegramente. «Su, Linette, tesoro, se sei pronta, cantaci la tua canzone.» Mentre Linette si sedeva al pianoforte e suonava i primi accordi, mi ricordai di colpo della fuga tanto discussa di Oliver Thorpe. Il fatto mi era uscito di mente e tutti gli avvenimenti successivi avevano dato anche troppo materiale alle mie indagini. Ma in quel momento la sua assenza mi apparve molto importante. Ecco a cosa si doveva la sconsolata apatia di Linette. In un solo giorno aveva visto fuggire di casa il fratello prediletto e andare a monte il suo fidanzamento. Sheila Bannister non era l'unico membro della famiglia degno di compassione. Linette cominciò a parlare, e il suono della sua voce chiara mi fece superare la compassione. Vi si sentiva la bellezza del vero talento; mentre cantava, il suo viso perse la fisionomia della tristezza e riacquistò intatto il suo fascino. È quasi incredibile, ma una quieta serenità si diffuse nell'ampia sala, a dispetto dell'ostilità quasi palpabile che regnava fino a poco prima. A un certo punto, durante la canzone, la scena avrebbe potuto essere quella di un tranquillo gruppo familiare riunito per fare un po' di musica prima di andare a letto. Ma ad un tratto, nel bel mezzo di un accordo, le porte-finestre si spalancarono e Gregory Bannister si presentò nella stanza. Fu talmente drammatico il suo ingresso, che tutti guardammo verso di lui. Anche Linette smise di cantare e volse le spalle alla tastiera per guardare il fratellastro. E Gregory Bannister aveva veramente qualcosa che costringeva a guardarlo. Il corpo forte, dalle spalle larghe, sembrava, forse per un gioco di luci, più forte e possente del normale. Le mascelle erano serrate e gli occhi brillavano su un viso mortalmente pallido. Per un istante rimase vicino alla finestra, ad osservare la scena che aveva di fronte. Poi passò in fretta davanti al piano dirigendosi verso Eleanor Frame. Si fermò vicinissimo a lei: i loro visi distavano soltanto pochi centimetri. Alzò una mano e dallo sguardo pieno di odio e disprezzo che gli si leggeva in faccia pensai che stesse per colpirla. Ma non lo fece. Afferrò per un
braccio Eleanor e la trascinò via. «Venite con me» ordinò. «Voi verrete immediatamente via con me.» Eleanor Frame non disse una parola. Con un sorriso leggermente ambiguo sulle labbra lasciò che il ragazzo la trascinasse fuori senza il minimo commento. E anche noi restammo a osservarli senza parole. Quando furono sulla porta, Greg ci gettò un'occhiata e disse: «Zio Trimble, non andartene. Voglio che anche tu venga nel mio laboratorio. Tra dieci minuti.» Guardò Eleanor Frame che rimaneva in silenzio al suo fianco. «Andiamo.» Eleanor sorrise di nuovo con il suo sorriso indecifrabile. Poi, quasi come due amanti, sparirono nel chiaro di luna, lasciando che la porta-finestra si chiudesse dietro di loro. 20 Dopo l'uscita dei due, noi rimanemmo a guardarci piuttosto sconcertati. Personalmente non riuscivo a spiegarmi quanto era accaduto, e anche gli altri non diedero segno di voler dare spiegazioni, ammesso le conoscessero. Si era arrivati forse al momento più critico di tutti quelli che si erano succeduti in quella tremenda serata. Diedi un'occhiata veloce al mio orologio da polso e vidi con stupore che mancavano pochi minuti alle undici. Sembrava impossibile che fossero potute succedere tante cose in sole due ore. Il primo a muoversi fu Comstock. L'avvocato aveva reagito allo strano ordine di Greg Bannister con una calma abbastanza sorprendente. L'agitarsi sconnesso dei suoi occhialini mi aveva fatto temere piuttosto un crollo nervoso. Con un asciutto cenno del capo disse: «Sono certo che vorrete scusarmi.» E uscì dalla stanza. Non passò per la porta-finestra, come mi aspettavo, ma prese la porta che dava sull'ingresso. Linette era ancora seduta al piano, all'estremità opposta della stanza. Di conseguenza restai praticamente appartato con la signora Deane. Nonostante la pretesa allegria del suo viso vedevo chiaramente che aveva esaurito l'energia nervosa; capivo anche che avrebbe preferito di gran
lunga non dover sostenere la conversazione con me. Ma visto che non poteva ignorare la mia presenza finì per dire, con una risatina nervosa: «Bene, dottor Westlake, sembra che abbiamo avuto una serata piuttosto movimentata, non trovate? Le sorprese non sono mancate.» «Non ci possiamo lamentare» risposi. Non avevo voglia di essere aggressivo con lei, visto che era allo stremo delle forze. Ma non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione. Guardandola negli occhi mi portai una mano alla gola indicando la benda. «Questa è una delle cose che sono successe stasera. Voi non ne sapete niente?» La signora Deane guardava la benda e il suo viso divenne molto pallido. «Vi siete tagliato facendovi la barba?» «No, signora Deane. Non mi sono tagliato. Non più di quanto vi siate tagliata voi.» Lei cercò di interrompermi, ma non gliene lasciai il tempo. «Sapete benissimo che ho visto i segni che avete sotto il nastro di velluto. Non ho detto niente allora, ma ora devo farlo perché la stessa cosa è accaduta a me.» Continuava a guardarmi, lottando contro un'emozione troppo violenta per riuscire a dominarsi. «Dovete dirmi di cosa si tratta» incalzai. «Chi l'ha fatto? Chi è che morsica...» «Zitto!» La parola giunse brusca come una lama. L'anziana signora indicò con gli occhi Linette e disse a bassa voce: «Non qui, non in presenza di Linette. Vi prego!» Si guardò intorno, in cerca di una via d'uscita che sembrava introvabile. Poi mi prese convulsamente per un braccio. «Andiamo in sala da pranzo, dottore.» Mi condusse attraverso l'ingresso nella grande e austera sala da pranzo in cui avevo pranzato poco dopo aver fatto conoscenza con i Bannister. La signora Deane si guardava dietro le spalle. «Mi dispiace, dottor Westlake. Questa storia è più orrenda di quello che si riesce a immaginare. Ed è grave che ne siate rimasto coinvolto anche voi. Ma dovete fidarvi un poco di me. Non posso dirvi nulla. Non ancora. Vi giuro che se farete come vi dico tutto andrà bene.» Il viso della donna, esausto e segnato, dimostrava in quel momento tutta la sua età. Ed esprimeva anche una pressante, disperata richiesta d'aiuto.
«Vi prego, fidatevi, dottor Westlake.» Sentivo di essere arrivato vicinissimo alla verità. Ma capii che pretendere spiegazioni da Sarah Deane in quel momento sarebbe stata una crudeltà. «Va bene» acconsentii. «Mi rendo conto che sarebbe inutile insistere. Purché io possa attraversare il giardino senza correre il rischio di essere azzannato di nuovo.» «Ve lo prometto, non accadrà più.» Cercò di sorridere di nuovo, ma la brillante allegria che era riuscita a fingere poco prima era completamente svanita. «Siete molto gentile, dottore. Io sono soltanto una vecchia, e molto stanca ormai. È stato ammirevole da parte vostra non averne approfittato. Buona notte.» Mi strinse la mano e si girò per andarsene, curva e incerta. Rimasto solo, mi voltai istintivamente verso il grande ritratto di Grace Bannister appeso sopra il tavolo. Il suo volto curioso, con gli occhi leggermente prominenti e gli zigomi alti, era al centro di quella misteriosa tragedia. Il ritratto troneggiava sinistro, come il simbolo malefico delle sventure e delle angosce che si erano abbattute sulla famiglia dopo la sua morte. Ero ancora intento a osservarlo, quando la voce di Linette risuonò dietro di me. «Siete solo, dottor Westlake?» Mi girai e la vidi arrivare con i bellissimi capelli biondi che le cascavano sul viso stanco e spaventato. «Credo proprio che non siate affatto contento di me. So bene che dovrei cercare di confortare la mamma, di far qualcosa. Ma non mi sono mai sentita tanto abbattuta in vita mia.» Le sue labbra tremavano leggermente. «Non mi sono mai sentita peggio. Credo di non farcela più. Oliver che fugge di casa, la storia con David, Prince morto e...» Si passò una mano sugli occhi «e quello che mi avete rivelato sulla morte di Bruce.» Si strinse nelle spalle. «Ma non potrà continuare sempre così, vero? Altrimenti farò meglio a procurarmi una bottiglia di veleno o un pezzo di corda robusta, adatta per suicidi.» Le battei una mano su una spalla. «Ci sono già dei segnali. La schiarita è vicina. Cercate di resistere ancora un po'.» «Ma sì, non c'è altro da fare.» Tacque un momento e aggiunse bruscamente: «È vero che la mamma ha fatto un'altra seduta spiritica con quella donna orrenda?» Annuii.
«Ma è mostruoso! Se solo potessi rompere tutti i tavoli della città in testa a Eleanor Frame e... a Grace Bannister!» Mi mise una mano sul braccio. «Questo spirito non smette di perseguitarci. Prima Bruce, ora la mamma. Se soltanto...» Si interruppe fissando la tela sul muro davanti a noi. D'impulso, con uno sguardo duro, salì su una sedia e tolse il quadro dal suo gancio. Lo tese verso di me. «Prendetelo, dottore. Vi prego, per il mio bene, per il bene di tutti, prendetelo voi. Bruciatelo, infilateci degli spilli, fatelo sparire, quello che vi pare, ma fate in modo che non torni mai più in questa casa a spiarci mentre facciamo colazione, a osservarci mentre pranziamo. Portatelo via.» «Credete che vostra madre...» Si mise a ridere. «Credete che lei ci tenga ad averlo?» «Allora, d'accordo.» M'infilai sotto il braccio il grande ritratto, tenendolo per la cornice. Linette mi guardava. «Grazie, dottor Westlake. E volete farmi un'altra cortesia? Se David è ancora qui, ditegli di tornare a casa: è inutile che cerchi di vedermi.» Ebbe un gesto sconsolato. «Non è soltanto per quello che ha detto di Oliver. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora capisco che non l'ho mai amato veramente. E in più adesso non ho assolutamente l'energia per affrontare una drammatica scena d'addio.» «Ma ne occuperò io» la rassicurai. La ragazza non si mosse, come incerta se andarsene o restare. I suoi occhi si rabbuiarono e mi chiese a bassa voce: «Perché Greg e Eleanor Frame se ne sono andati a quel modo poco fa? Perché lui è venuto a prenderla così?» «Ci terrei molto a saperlo anch'io.» Doveva esserci una nota di minaccia nella mia voce perché lei mi girò le spalle e disse: «Non dovete assolutamente sospettare di Greg. È un bravo ragazzo, il più bravo che abbia mai conosciuto.» Con un sorriso sconsolato continuò: «Eravamo innamoratissimi l'uno dell'altra, a dieci anni.» «Io credo che sia ancora innamorato di voi» commentai. «Innamorato di me!» esclamò incredula. «Oh no, Greg è innamorato soltanto della ricerca farmacologica. E in quanto a me, io non sono disponibile per niente del genere in questo momento.» Si mise a ridere di se stessa. «Cinica, amara, disillusa, scettica a diciannove anni. Ecco come sono.» Mi tese la mano. «Grazie, dottor Westlake. Siete ancora il mio medico
preferito. Vorrei soltanto essere una paziente più simpatica. Buona notte.» Uscì silenziosamente dalla sala. Anch'io ritornai nel soggiorno e uscii passando per la porta-finestra. Sperai di riuscire ad arrivare a casa senza incidenti, stavolta. Stavo per farcela, ero quasi arrivato alla porta del mio ambulatorio, quando sentii un rumore di passi che si affrettavano dietro di me, e una voce che chiedeva affannosamente: «Siete voi, dottore?» Mi girai, tenendo ancora sottobraccio il ritratto di Grace Bannister. Una figura sottile correva verso di me sotto la luce della luna. Quando mi arrivò vicino mi accorsi che si trattava del giovane Oliver Thorpe. Anche in quella luce potevo vedere che il fratello di Linette era molto pallido ed agitato. Si aggrappò al mio braccio. «Siete proprio voi. Grazie a Dio!» Riuscii soltanto a dire a fatica: «Quando siete tornato?» «Oh, è stata un'idiozia da parte mia fuggire. Credo che l'idea di liberarmi di quel dannato ufficio, di avere del danaro tutto mio, mi abbia dato alla testa. Non ho pensato alla mamma, a Greg e a Linette finché non sono stato a New York. Ma una volta là ho capito che era assurdo lasciarli proprio adesso. E ho dovuto tornare.» Le parole gli uscivano in fretta. La sua mano mi stringeva ancora il braccio. «Ma non si tratta di questo. Dovete venire con me: c'è stato un incidente.» «Un incidente!» «Sì, sì, venite, vi prego!» Mi trascinò via da casa mia, di nuovo verso quella dei Bannister. Non mi restò altro che abbandonare a terra il ritratto e seguirlo. Oliver mi lasciò il braccio e cominciò a correre davanti a me. Mentre lo seguivo, al chiaro di luna, ero troppo frastornato da tutti gli avvenimenti della serata per provare qualcosa di diverso da una specie di triste rassegnazione. A questo punto della vicenda un incidente in più o in meno non poteva far molta differenza. Oliver mi precedeva sul sentiero dei rododendri. Provai un senso di angoscia vedendolo scomparire dietro la siepe. Quei cespugli mi ricordavano fatti troppo recenti e sgradevoli. Ma anch'io vi girai attorno e mi ritrovai davanti alla casa. Vidi subito Oliver. Era rigido e immobile e fissava qualcosa sul terreno. Mentre correvo verso di lui, il ragazzo si guardò alle spalle. «Eccolo, dottor Westlake. Eccolo qui.» Lo raggiunsi, invaso da un cattivo presentimento. Il giovane mi indicava
sconvolto il prato. Ma non c'era bisogno che me lo indicasse. Si vedeva benissimo lo stesso. Riverso sull'erba c'era un uomo con un braccio piegato sulla testa, le gambe rannicchiate, un abito scuro. La luce della luna era abbastanza forte perché ne riconoscessi anche il viso. Ma Oliver sembrava non rendersene conto perché mi chiese: «Ditemi, dottore. Sta bene? È David Hanley...» 21 Mi inginocchiai accanto ad Hanley. Non potevo fare a meno di pensare a come ero stato aggredito quella stessa sera ed ero sicuro che a lui fosse capitato lo stesso incredibile incidente. Non vedevo bene alla luce della luna ma toccandogli con le dita la mascella la sentii bagnata di sangue. Abbassai la mano alla gola, cercando una ferita, ma non ne trovai nessuna. Oliver si chinò al mio fianco. «Sai cosa è successo?» gli domandai. «È colpa mia.» La sua voce era molto turbata. Quando sono arrivato a casa l'ho visto davanti alla porta d'ingresso. Ce l'avevo con lui perché ho saputo che stamattina è venuto da voi a parlarvi male di me e a dirvi quello che avevo fatto in ufficio. Oh, meritavo le peggiori punizioni. Ma non da Hanley. È soltanto grazie a questo che ha potuto diventare presidente. Ci siamo messi a litigare e l'ho colpito. Ascoltando la sua voce ansante ebbi l'impressione che fosse un po' troppo ansioso di spiegarmi tutti quei particolari. Rise nervosamente. «È caduto immediatamente. Ho paura che abbia battuto la testa cadendo. Avevo paura che si fosse fatto male: è per questo che sono corso a cercarvi.» Nonostante mantenessi l'impressione che mi fosse stata riferita solo una parte della verità, fui molto sollevato nell'apprendere ciò che era capitato ad Hanley. Calcolai anche che il racconto sembrava confermare in qualche modo l'atteggiamento della signora Deane. Hanley dunque si trovava effettivamente "tra i cespugli". «Non posso far nulla per lui se restiamo qui» dissi. «Aiutami a portarlo
in casa mia.» Oliver prese per le braccia l'uomo svenuto. Io lo sollevai per le gambe. Cominciammo a percorrere il giardino tenendolo così. Eravamo arrivati al prato che circondava la piscina quando un grido attraversò l'oscurità. Era stato piuttosto confuso, ma si sarebbe detto il grido d'aiuto di una donna. Lanciai un'occhiata a Oliver. Lui guardava il corpo inanimato di Hanley e il suo viso si fece ancora più pallido. «Avete sentito?» «Sì.» «Sembra che qualcuno chieda aiuto. Sarà meglio che vada...» Oliver adagiò Hanley sul terreno. «Restate con lui. Vado a vedere.» Prima che potessi rispondere se n'era già andato, scomparendo nel buio oltre la piscina. Io rimasi vicino ad Hanley, incerto se seguirlo o no. Ma il ragazzo tornò immediatamente. «Niente» mormorò. «Chiamavano Greg al telefono. Andiamo. Portiamo dentro Hanley.» Sollevammo di nuovo il neo-presidente della "Brown e Bannister" e lo trasportammo nel mio studio. Riprese conoscenza quasi subito. Dopo che lo sdraiammo sul divano dello studio cominciò a sbattere le palpebre. Dall'angolo della bocca gli usciva un filo di sangue. Aveva la guancia gonfia e una leggera contusione in cima alla testa. Ma vidi subito che non era nulla di grave. Con i capelli arruffati e la cravatta di traverso, cominciò a guardare alternativamente me e Oliver. Si portò una mano alla guancia con un sorriso stordito. «Sembra che io non sia un gran pugile.» Oliver si scusò: «Non avrei voluto colpire così forte. Mi dispiace.» «Probabilmente me lo meritavo. Non c'è niente come una rottura di fidanzamento e un pugno in faccia per schiarirsi le idee.» Hanley sembrava sinceramente pentito. «In questa storia ho agito sempre come un pallone gonfiato. Avrei dovuto comportarmi in un altro modo. Ecco perché stasera ho cercato di rivedere Linette. Volevo dirle quanto mi dispiace.» Ero veramente ammirato da questa dimostrazione di umiltà cristiana, tanto più che io stesso quel giorno gli ero stato ostile. In realtà era perfettamente nei suoi diritti licenziare un impiegato dalla provata disonestà, come era lecito che mi riferisse le ragioni del suo atteggiamento. Quali fossero stati i motivi che l'avevano spinto, non toccava a noi giudicarlo. E dal momento che Oliver era deciso a lasciare comunque la "Brown e Ban-
nister", mi sembrava che Hanley fosse stato punito a sufficienza. Ma i due avversari erano entrambi in vena di perdonarsi. Mentre medicavo la contusione sulla testa di Hanley, i due si consolavano reciprocamente con parole tanto comprensive che non mi sarei stupito se Oliver avesse offerto sua sorella a Hanley su un piatto d'argento e se David l'avesse ricambiato restituendogli il posto di lavoro. Quando alla fine lasciarono il mio studio, sentii Oliver che diceva: «Vi accompagno a casa. Ma certo, non si discute.» Sembrava che dalle premesse peggiori fosse iniziata una grande amicizia. Riflettendo sull'imprevedibilità della natura umana, andai in soggiorno e mi lasciai cadere in una poltrona con un liquore in mano. Sapevo che questo era il momento in cui in me si sarebbe dovuto svegliare l'investigatore. Anche se io e Sheila avevamo una spiegazione plausibile per l'assassinio, nella casa dei vicini erano ancora in corso violenze cui non si sapeva dare una motivazione. E qualunque fosse il mistero che incombeva su di noi, il mio avvenire professionale dipendeva ancora interamente dai Bannister. Senza contare il fatto che Cobb contava esclusivamente su di me per le indagini. Ma fin dal mattino ero passato da un colpo di scena all'altro senza un attimo di respiro. E lo stesso era stato per tutta quella interminabile serata. Per un po' mi limitai a sorseggiare la mia bevanda, senza pensare a niente. Ma pochissimo tempo dopo realizzai che era indispensabile telefonare a Cobb e comunicargli che il caso che gli interessava, e cioè la morte di Bannister, non si doveva più considerare un omicidio. Stavo per andare al telefono quando sentii dei passi furtivi nell'ingresso. Feci appena in tempo a cogliere di sfuggita una figurina a piedi scalzi e l'estremità posteriore di un cane che scomparivano nella curva delle scale. Nel carosello di avvenimenti della serata avevo pensato ben poco a mia figlia. E non mi era neanche passato per la testa che potesse essersi alzata dal letto dove l'avevo spedita ore e ore prima. Salii indignato le scale. Percorsi il corridoio fino alla porta di Dawn, che era chiusa. La aprii: la stanza era buia, e si udiva un distinto e sonoro russare. Accesi la luce e potei assistere a uno spettacolo di quiete angelica e incomparabile. Mia figlia, in una posa celestiale, giaceva nel letto con un candido pigiama. La testa con la massa scomposta di capelli biondi posava sulle mani giunte. Gli occhi erano chiusi e il corpo rilassato nell'estatico abbandono del sonno.
A completare il quadro, Hamish stava accovacciato ai piedi del letto con il muso peloso affondato tra le zampe. Se non fosse stato per gli impressionanti versi di Dawn e per il lugubre corvo impagliato che incombeva dalla spalliera del letto, sarebbe stato in tutto e per tutto il ritratto ideale dell'innocenza. Sfortunatamente c'era un piccolo particolare che mia figlia nella sua frettolosa trasformazione aveva dimenticato. Il primo bottone della giacca del pigiama era slacciato e mostrava palesemente il colletto giallo e arricciato del vestitino che aveva indossato quel giorno. Le dissi bruscamente: «Alzati subito e spiegami perché non dormi.» Hamish spalancò timoroso gli occhi e batté la coda. Mia figlia invece non si mosse e si mise a russare anche più forte. «Vedo benissimo che hai i vestiti sotto il pigiama e ti ho vista salire le scale» sospirai con la proverbiale pazienza del genitore moderno. «Quindi smetti di fare questo chiasso tremendo e dimmi tutto.» A queste parole Dawn smise istantaneamente di russare, si sedette sul letto e mi fissò con calma e dignità. «Credo che sia stato un errore far finta di dormire» ammise. «Infatti. Non sono così sciocco.» «Oh, non lo dico per questo. Ma avrei dovuto venire da te e dirti le cose che ho scoperto.» Mia figlia si diede un contegno misterioso, alzando il naso con uno sguardo distaccato. «Che cosa hai scoperto?» «Sì, ho fatto finta di dormire per un po' per pensare a cosa dovevo fare.» Dawn saltò fuori dal letto e si mise in piedi davanti a me. Aveva un'aria particolarmente stravagante, visto che non aveva avuto il tempo di mettersi i calzoni del pigiama, e la giacca infilata sul vestito la faceva assomigliare a un barista svegliato di soprassalto. Mi guardò negli occhi decisa: «Papà, quando sei venuto a prendere la signorina Frame mentre noi eravamo sedute al tavolino volevi portarla a fare una seduta spiritica dai Bannister, non è vero?» La ricambiai con un'occhiata sospettosa: «Che cosa te lo ha fatto pensare?» «Mi trovavo per caso nell'ingresso e non ho potuto fare a meno di ascoltare.» Alzò le spalle con un gesto disinvolto. «Non puoi che esserne contento, perché qualsiasi cosa il tavolo abbia detto dai Bannister non è vero.» Ero stupito. Fino a quel momento avevo considerato mia figlia come una
delle discepole più fervide di Eleanor Frame. «Perché non è vero?» Assunse un'aria altera. «Questa sera, mentre facevamo la seduta spiritica e sentivamo i messaggi di quella Lulù e del corvo impagliato ero convinta che fosse tutto vero, insomma che gli spiriti dei morti si fossero messi in contatto con noi e così via. Dopo che tu sei arrivato e hai acceso le luci, Eleanor Frame si è seduta nella poltrona e io stavo sul pavimento davanti a lei. Alzando lo sguardo ho visto la suola delle sue scarpe e un aggeggio di metallo che c'era attaccato. Ho capito che qualcosa non andava.» Prese fiato e continuò: «Dopo che ve ne siete andati ho deciso di sapere cos'era e sono salita nella sua stanza. Ho cercato e cercato, e ho trovato un altro di quegli affari di metallo in una scatola. L'ho portato qui.» Si mise a frugare fra pigiama e vestito, tirò fuori un oggetto e me lo porse. «Ecco, guarda, è solo un trucco.» Esaminai la cosa con grande interesse. Era un tappo di gomma a ventosa al quale era stato attaccato un oggetto di metallo, a forma di bottone. Non appena l'ebbi in mano capii quali erano gli elementi che avevano consentito alla nostra veggente di mettersi in contatto con la sfera astrale. Quando si spegnevano le luci non doveva fare altro che far aderire il marchingegno alla suola, dove restava assicurato grazie alla ventosa. Poi, per ottenere quei colpi che rappresentavano altrettanti messaggi ultraterreni, non restava che battere il piede sul pavimento. Benché non fossi mai stato pienamente convinto dell' autenticità dei messaggi, fui sorpreso di scoprire che eravamo stati giocati con un trucco tanto volgare. Provai un moto di rabbia anche ripensando a come era stata inutile l'umiliazione che Sheila Bannister si era imposta chiedendo alla Frame di cercare di mettersi in contatto con suo marito. Ma ero anche leggermente eccitato dalla certezza che le parole attribuite al tavolo erano state pronunciate soltanto da Eleanor Frame. Grazie alla rude inchiesta di mia figlia avevo ormai la prova che la Frame aveva agito soltanto nel suo interesse. Quei messaggi diventavano ora importanti per chiarire gli intenti e la posizione della Vipera nell'intera vicenda. Dawn continuava a guardarmi. «Appena ho scoperto che la storia degli spiriti era un imbroglio mi sono arrabbiata moltissimo» dichiarò. «Ma poi ho pensato che con quel trucco potrò far muovere i tavoli anch'io; lo farò con tutti i compagni del cam-
peggio e potrò dire tutte le cose più tremende. Non sarà divertente?» concluse ridendo con gioia infantile. Tanta allegria non mi smosse e Dawn sembrò interpretare la mia indifferenza come un tacito rimprovero per la sua disobbedienza, perché annunciò: «Non è stato scorretto entrare nella stanza della signorina Fraine mentre lei non c'era, papà, perché al campeggio ci dicevano sempre che bisogna incoraggiare le menti avide di sapere...» «A proposito di menti avide di sapere» la interruppi «da dove venivi quando ti ho vista sgattaiolare su per le scale con il cane?» Dawn strofinò l'una contro l'altra le scarpe da ginnastica tutte infangate. «Be', c'è qualcos'altro. È per quello che facevo finta di dormire quando sei venuto: stavo pensando se dovevo dirtelo o no. Vedi, sono rimasta sola in casa e mi sono messa a pensare che la signorina Frame diceva di ricevere messaggi dagli spiriti e non era vero. Mi è venuto in mente che se aveva mentito riguardo a questo forse aveva mentito altre volte. Lei ha detto che il cane di Linette non è stato avvelenato, mentre tu dicevi di sì. Ho pensato che avevi ragione. E sarebbe stata una vergogna che fosse stato avvelenato senza che si sapesse chi era stato. Ci ho pensato e ripensato.» Mia figlia mi guardò con vero candore. «Ho deciso che la persona più adatta per avvelenare un cane era Greg Bannister perché ha quel laboratorio pieno di ogni specie di sostanze. Dalla finestra ho visto che nel laboratorio tutte le luci erano accese. Ho deciso di arrivare fin là e di indagare.» Dawn riprese con più baldanza. Era chiaro che la parte del segugio la affascinava enormemente. «È da lì che venivo quando mi hai visto salire» continuò. «Sono stata attenta a non passare vicino alla piscina dove avrebbero potuto vedermi al chiaro di luna e ho fatto il giro in mezzo ai cespugli camminando in punta di piedi e restando nell'ombra, come facevamo giocando agli indiani al campeggio. Sono arrivata fino al laboratorio: le tende erano tutte tirate ma ce n'era una che non era chiusa del tutto. Ho guardato dentro e ho visto...» Mia figlia si mise a ridere forzatamente. Aveva sollevato la mia curiosità e la incitai: «Visto che cosa?» «Qualcosa di buffo!» La bambina fece una piroetta ruotando lentamente su un piede e gettandomi un'occhiata sconcertata. «Non so bene cos'era. È per questo che non sapevo se dirtelo o no.» «È qualcosa che ha a che fare con la signorina Frame?» «La signorina Frame? Be', sì. Come hai fatto a indovinare?» Gli occhi di
Dawn erano spalancati. «O almeno sono quasi sicura che fosse lei perché era vestita di bianco come il vestito che aveva stasera, però non ho potuto vedere la faccia per via delle tende che erano tirate così in basso. Poi c'era lui. So che era Greg Bannister perché si è chinato a raccogliere qualcosa dal pavimento e l'ho visto in viso. C'era lui... e poi c'era la signorina Frame e» fece un pausa per respirare «era stesa su una specie di tavolo bianco da cucina ed era legata.» La guardai incredulo. «Che cosa diavolo vai dicendo?» «È la verità.» Sembrava offesa che dubitassi della sua parola. «Era sdraiata e legata sul tavolo. Non potevo vederle la faccia perché c'era Greg davanti. Ma c'è stata una specie di lotta e ho visto lui che si piegava su di lei con una bottiglia in mano e uno straccio. Poi ha versato un liquido dalla bottiglia sullo straccio e gliel'ha messo sulla faccia.» Alzò le spalle. «All'inizio credevo che si trattasse di un gioco d'amore, ma dopo ho cambiato idea.» Mi guardò interrogativamente. «Ho immaginato che forse la signorina Frame era malata e Greg stava per operarla. Capisci, la cosa che le ha fatto respirare era per l'anestesia, e poi l'avrebbe operata. Ma è piuttosto strano perché la signorina Frame non sembrava malata quando è andata via di qui.» La storia era così assurda che per alcuni secondi non ci credetti. Ma conoscevo troppo bene mia figlia e capivo dalla sua espressione intenta che mi stava dicendo la verità. «Quando? Quando è successo tutto ciò?» «Oh, proprio adesso. Sono tornata subito qui. Quando sono uscita ho sentito che eri con quei due uomini. Ho sentito le vostre voci e stavo per venire a chiedere il permesso ma poi...» Non aspettai oltre. «Qualsiasi cosa accada, non muoverti di casa finché non torno» le gridai mentre mi precipitavo giù per le scale e uscivo di nuovo in giardino. Cominciavo a non poterne più di quel giardino. La luna era ancora alta nel cielo, tersa e argentata, e diffondeva la sua luce calma sui cespugli e sull'erba. Tutto era di una bellezza quasi eccessiva a dispetto dei fatti drammatici che si susseguivano. Non avevo la minima idea del significato della storia che mi aveva raccontato mia figlia. Io sapevo soltanto che Greg aveva fatto irruzione nel salotto dei Bannister e aveva praticamente trascinato via Eleanor con lui.
Tutto quello che era accaduto dopo era un mistero. Davanti a me si stendeva la superficie luccicante della piscina. Mi avvicinai alla vasca percorrendone il bordo di cemento. L'acqua era leggermente increspata dalla brezza e luccicava come una moneta d'argento lisciata dall'uso. Vi gettai lo sguardo mentre passavo di corsa, ma fui costretto a fermarmi. Al primo momento, quando mi fermai, credetti che il chiarore che intravedevo al centro della vasca fosse un gioco di ombre, forse il riflesso di un albero. Ma non era un'ombra. Mi accorsi immediatamente che sull'acqua galleggiava qualcosa, per metà sommerso, per metà sospeso, un oggetto vero e proprio, voluminoso e solido. Cosa poteva essere? Un materassino scivolato in acqua? Un asciugamano? Mi sporsi sull'acqua, osservando intentamente. Mentre facevo così, una nube che aveva velato la luna si aprì e proiettò davanti a me, come in una scena di teatro, un fascio di luce che illuminò tutto. Quello che vidi in quell'orribile momento aveva qualcosa di veramente teatrale, qualcosa di orrido e crudele come una scena del Grand Guignol. Quando l'oggetto semisommerso si trovò nella traiettoria del raggio di luce mi rivelò chiaramente un particolare che spiccava bianco e distinto sulla massa scura che lo sosteneva: la vista mi fece gelare il sangue nelle vene. Era una mano. Mi gettai in piscina. Non avevo neppure pensato di togliermi gli abiti, che ora mi si avvilupparono gelidi sulla pelle sudata, impacciandomi i movimenti mentre cercavo di nuotare verso la cosa che galleggiava in mezzo all'acqua. Ma in realtà non ci volle che qualche secondo per raggiungerla. Allungai la mano: ciò che toccai era freddo. L'afferrai e cominciai a trascinare la massa pesante e intrisa d'acqua verso il bordo. Mi sollevai sulle braccia e uscii, grondante e ansimante, scuotendomi l'acqua dai capelli e asciugandomi la faccia. Nell'acqua, ai miei piedi c'era la cosa. Puntai i piedi, la circondai con le braccia e, un po' spingendo e un po' tirando, riuscii a issarla fuori dall'acqua e a portarla sul cemento. Mi accovacciai, cercando di controllarmi. La luna era eccezionalmente brillante in quel momento. Mi mostrò nei minimi particolari il corpo raggomitolato. Ne vidi le mani bianche e affu-
solate; il petto modellato dal vestito bianco appiccicato alla pelle. Ma era il viso che attraeva la mia attenzione... un viso che conoscevo così bene, ma che nella sua spaventosa immobilità appariva ora strano e irreale. Era il viso di Eleanor Frame. Mi chinai sul corpo e cominciai ad esaminarlo con mani tremanti: capii subito che era morta e non c'era più la minima speranza di riportarla in vita. Sconvolto com'ero, non riuscivo a distogliere lo sguardo da quella faccia bianca. Aveva un'espressione così composta, così serena che sembrava addormentata. Come poteva essere annegata senza tentare di salvarsi, senza che il suo viso si contorcesse nel tentativo di respirare? Dawn mi aveva appena raccontato della strana scena che aveva spiato attraverso la finestra del laboratorio: Greg chino su una donna stesa sul tavolo "come se stesse per operarla". Operare? Anestesia! Non poteva essere più chiaro di così. Un omicidio risolto ancor prima di essere scoperto! Mi inginocchiai di fianco al corpo, con gli abiti fradici e stillanti. Mentre continuavo ad esaminarla, la testa cadde all'indietro e io vidi. L'orrore m'invase. Dovetti avvicinarmi per essere certo che i segni che vedevo sul collo non fossero uno scherzo della mia immaginazione. Ma erano veri, inconfondibilmente, innegabilmente veri. Sul pallore della gola spiccavano scuri e regolari quei segni che ormai conoscevo così bene. I segni di morsi umani... 22 Rimasi inginocchiato accanto al cadavere di Eleanor Frame cercando di raccogliere le idee. Soltanto pochissimo tempo prima mi ero convinto che qualunque fosse il mistero da scoprire in casa Bannister, non si trattava di omicidio. Ora, quasi sotto i miei occhi, Eleanor Frame era stata uccisa. E per quanto fosse poco benvoluta, la sua morte rappresentava una catastrofe. L'indagine avrebbe calamitato l'attenzione di tutta Grovestown, i giornali le avrebbero dato il massimo della risonanza possibile: la reputazione dei Bannister e la mia rischiavano di essere distrutte.
Non cercai neppure di abbozzare un'ipotesi per spiegare le tracce che i denti avevano lasciato sulla gola della ragazza. Il mio pensiero era fisso su Greg Bannister e la scena cui Dawn aveva assistito dalla finestra del laboratorio. Bisognava avvertire immediatamente Cobb. Non c'era tempo da perdere. Eppure mi sembrava anche più importante accertare cos'era avvenuto nella rimessa trasformata in laboratorio. Oltre la piscina ne vedevo splendere le luci attraverso le siepi. D'impulso mi alzai per andare laggiù. Avevo superato la piscina ed ero a metà del sentiero quando sentii il rumore di un'automobile, e vidi dei fari che svoltavano nel breve vialetto di ghiaia che portava al laboratorio. La macchina si fermò. Una portiera sbattuta mi informò che qualcuno ne era sceso. Mi acquattai nell'oscurità degli alberi e attesi. Dopo qualche minuto vidi la persona che era arrivata tanto precipitosamente. Una sagoma scura si stagliò nella luce della luna. Non si diresse al laboratorio, ma dritto verso di me, sul sentiero che portava alla piscina. Mi nascosi ancor più nel buio. La persona andava di fretta e mi passò davanti senza accorgersi della mia presenza. Ma mentre si muoveva colsi il bagliore degli occhialini. Trimble Comstock... ! Cautamente tornai sul sentiero e lo seguii. C'era qualcosa di risoluto nei movimenti dell'avvocato, come se stesse recandosi a un appuntamento. Mentre gli stavo dietro, arrivò alla piscina. Lo vidi guardarsi intorno ansiosamente e restare paralizzato alla vista del corpo di Eleanor Frame steso al suolo. Lo raggiunsi e gli dissi: «Temo che siate arrivato troppo tardi all'appuntamento, Comstock.» Gli ero dietro, mentre parlavo. Lui si girò di scatto, come un bambino colto in fallo. La valigetta che teneva in mano gli scivolò dalle dita aprendosi e spargendo il contenuto sul cemento. «Chi è? Chi...?» Il suo volto era deformato dal panico. Mi tese inutilmente la mano, poi la lasciò cadere sul fianco. «Dottor Westlake? Cos'è accaduto? È morta?» «Morta. L'ho appena tirata fuori dalla piscina.» Comstock mosse un passo tremante verso di lei. «Non toccate niente» gli intimai. «Non prima che arrivi la polizia.»
«La polizia! Ma sì, certo. Dobbiamo chiamare la polizia! Che fatto spaventoso!» L'avvocato continuava ad agitare le mani, con movimenti sconnessi. Poi si accorse di aver lasciato cadere la valigetta. Si chinò e cominciò a stiparvi dentro il contenuto. Mi chinai per aiutarlo ma mi fermò. «No, dottor Westlake, no. Faccio da solo. Voi...» Ma io ero già in ginocchio e prima che facesse scattare la serratura feci in tempo a vedere cosa c'era dentro. Pigiate e affastellate alla rinfusa come enormi coriandoli, centinaia di banconote di tagli diversi riempivano la borsa nera. Nella valigetta doveva esserci una piccola fortuna. Comstock respirava affannosamente. Sollevò lo sguardo verso di me, nello scintillio degli occhialini. «Andate a casa vostra, dottore e chiamate la polizia. Dovete anche togliervi quei vestiti bagnati. Io vado al laboratorio a chiamare Greg.» «No. Restate qui. Andrò io da Greg e chiamerò di lì la polizia.» «Ma no, no...» protestò Comstock. Non lo ascoltai. Lo lasciai tremante vicino al cadavere e mi misi a correre sul sentiero, verso il laboratorio. Le luci erano ancora accese mentre aggiravo la macchina di Comstock. Salii i due gradini del piccolo edificio. Tentai la maniglia ma era chiusa. Cominciai a bussare forte. Nessuna risposta. Continuai a bussare. Finalmente dall'interno si sentirono dei passi lenti, e la porta si aprì. Greg Bannister si presentò sulla soglia. Il suo corpo massiccio mi impediva la vista del laboratorio. Era molto pallido in viso e sconvolto. «Westlake! Che cosa c'è?» Cercai di entrare spingendolo per un braccio che mi resistette come un tronco, senza lasciarmi avanzare di un centimetro. «Fatemi entrare!» gli ingiunsi. «Devo chiamare la polizia. Ho appena ripescato Eleanor Frame dalla piscina, morta annegata.» Le pupille dei suoi occhi si restrinsero come capocchie di spillo e la testa gli ricadde come se fosse annientato da quella notizia. «Eleanor Frame, morta!» «Farete meglio a raggiungere vostro zio alla piscina, mentre io telefono.» Tentai di nuovo di entrare ma il braccio che sbarrava la porta me lo im-
pedì. «Così lo zio Trimble è là!» mormorò. Le sue labbra si serrarono in una piega sottile. «Andate voi, Westlake. Chiamerò io la polizia e verrò immediatamente.» Prima che potessi rispondere mi sbatté la porta in faccia e sentii la chiave scattare nella serratura. Era fin troppo chiaro che non voleva lasciarmi entrare nel laboratorio a nessun costo. Ma anche se poteva impedirmi di vedere quello che accadeva nella stanza, non era riuscito a nascondermi un fatto gravissimo, che sembrava confermare la storia raccontata da mia figlia. Per tutto il tempo della nostra conversazione sulla soglia, avevo avvertito distintamente l'odore dolciastro e sgradevole dell'etere filtrare dal laboratorio illuminato. Non mi parve opportuno tentare di abbattere di forza la porta. Non mi restava niente da fare lì. Tornai alla piscina. Trovai Comstock che girava le spalle al cadavere, come se stesse cercando di convincersi che quello spettacolo orribile era uno scherzo della sua immaginazione. Cominciò ad assillarmi con domande ansiose, alle quali risposi a monosillabi. Presto anche Gregory ci raggiunse. Mormorò: «L'ispettore Cobb e il Coroner stanno arrivando. Dicono di non toccare nulla.» Posò lo sguardo sul corpo inanimato di Eleanor Fraine e poi si girò dall'altra parte come suo zio, fissando il vuoto. Non mostrò la curiosità professionale che aveva sfoggiato quando era morto suo padre. C'era qualcosa in lui che congelò anche la incoerente conversazione di Comstock. Da quel momento rimanemmo tutti e tre ad aspettare in silenzio. Eravamo a disagio. Alla fine si sentirono passi pesanti e voci forti provenienti dalla casa dei Bannister. Luci di torce elettriche brillarono come piccoli pianeti nella luce lunare e un gruppo di persone emerse dall'ombra. Riconobbi l'ispettore Cobb e il dottor Forder. C'erano parecchi poliziotti e due infermieri in camice bianco che portavano una barella. Insieme a loro, pallido e sconvolto, c'era Oliver Thorpe. Camminava alla testa della piccola processione e ci raggiunse per primo. Afferrò Greg per un braccio. «Dicono che Eleanor Frame sia morta. È vero?» Poi gli occhi gli caddero sul corpo ai nostri piedi e con un sospiro strozzato, disse: «Dio mio, che orrore!»
Cobb, con molta calma e autorità, si mise a dirigere le operazioni. Mentre raccontavo brevemente a Forder come avevo scoperto il cadavere, l'ispettore ordinò ai componenti della famiglia di tornare a casa e di aspettarlo là. Il Coroner iniziò un esame superficiale del corpo alla luce delle torce elettriche. Cobb rimase a guardarlo per un momento e poi si rivolse a me. «Bene, Westlake» disse amaramente «immagino che questa sia un'altra delle morti naturali che avvengono in questa casa, vero? Questa poveretta è scivolata per disgrazia nella piscina.» I suoi occhi erano molto fermi. «È un peccato che tu non abbia previsto l'incidente.» «Hai ragione. Se solo fossi stato più abile...» «No, no» grugnì. «Non me la sto prendendo con te. Non eri la sua guardia del corpo. Però è un fatto grave. Ecco tutto.» Mi posò una mano sulla manica. «Un medico dovrebbe evitare di tenersi addosso degli abiti così bagnati. Vai a casa a cambiarti, prima di prenderti un accidente.» Avevo completamente dimenticato lo stato dei miei indumenti. Tornai a casa di corsa e mi cambiai nello studio, per evitare gli sguardi indagatori di mia figlia. Quando tornai alla piscina gii infermieri stavano caricando il corpo sulla barella. Forder, una sagoma sottile e rigida, impartiva secche istruzioni. Cobb tornò da me. «Cosa pensa Forder della morta?» gli chiesi. «Niente di definitivo per ora. È annegata, questo è certo. Ma c'è il segno di un colpo dietro la testa. E lui sospetta che possa aver perso i sensi prima di cadere nell'acqua.» Questo mi decise a dirgli: «Digli che disponga una serie di esami per vedere se ci sono tracce di etere nel cadavere.» «Etere?» «Esatto. Ho molte cose da raccontarti, Cobb.» «Non ne dubito.» «Senti» dissi in fretta «è molto importante. Credo di aver capito come sono andate le cose. Sono quasi certo di sapere le cose. Sono quasi certo di sapere anche chi ha ucciso Eleonor Frame.» L'ispettore mi osservò. «Bravo, Westlake! Ti sei trasformato in una mente superiore?» «Dico sul serio. Non posso ancora esserne sicuro perché non ho parlato con le persone coinvolte. Ma anche tu preferisci risolvere l'indagine senza troppo scalpore, non è vero? Concedimi soltanto un po' di tempo, sospendi
l'inchiesta ufficiale per un paio d'ore e forse potrò fornirti la soluzione. Soltanto un paio d'ore.» Cobb era rimasto ad osservarmi in silenzio. I suoi occhi, alla luce della luna, sembravano leggermente ironici. «D'accordo, Westlake. Ci sei riuscito in passato e forse ce la farai anche questa volta. Fai pure quello che ritieni necessario. Io non potrei far molto comunque finché Forder non ha finito l'autopsia e non sono in possesso delle prove cliniche della morte della ragazza. D'accordo. Fai pure. Dio sa come vorrei che il caso si chiarisse senza far troppo rumore!» In quel momento arrivò Forder. «Noi siamo pronti ad andarcene, Cobb.» «Vengo anch'io» rispose l'ispettore. Poi indicandomi aggiunse: «Westlake dice di cercare l'etere nel corpo.» «Etere? Credete che sia stata anestetizzata?» «Sospetto qualcosa del genere» risposi. «E sentite, Forder, non appena avete i risultati chiamatemi a casa dei Bannister, vi prego.» «Va bene certo.» Forder guardò Cobb. «Sempre che l'ispettore sia d'accordo.» «Sono d'accordo» disse Cobb battendomi sulla spalla. «Dacci sotto, Westlake. Non perdere tempo perché tra due ore sarò di ritorno.» Si allontanarono. I poliziotti e gli infermieri li seguirono trasportando il cadavere. Per un momento rimasi da solo davanti alla piscina. Ora che non c'era più nessuno aveva ripreso la sua lunare tranquillità. Ma fu un momento. Dovevo decidermi a giocare le carte giuste per vincere la partita, oppure... Preferii non immaginare quale sarebbe stata l'alternativa. Lasciai la piscina e attraversai il prato verso la casa dei Bannister. 23 Il quadrante luminoso del mio orologio segnava l'una e mezza. Avevo perduto del tutto la cognizione del tempo in quella notte interminabile. Non mi sentivo nemmeno più stanco. Nel soggiorno dei Bannister le luci erano tutte accese. Quando entrai dalla porta-finestra, passando per il terrazzo, trovai Greg, Oliver e Comstock davanti al camino. Con loro c'era anche Linette. Molto pallida e spaventata, sedeva in una poltrona vicino agli altri, con una vestaglia leggera infilata sopra il pigiama bianco.
Tutti mi guardarono con una fissità ad un tempo ostile e imbarazzata. Sembrava quasi che immaginassero quello che mi ripromettevo di fare. Oliver disse duramente: «Quel poliziotto sta venendo qui?» «L'ispettore Cobb se ne è andato con il Coroner.» Osservai quelle facce chiuse. «Gli ho chiesto un po' di tempo per cercare di sbrogliare la cosa fra noi. Se non ci riusciremo tornerà e scoppierà un putiferio, ve lo garantisco.» Comstock, il viso sciupato e atterrito, diede un piccolo colpo di tosse: «Volevo dirvi che vi siamo tutti molto riconoscenti, dottor Westlake. Io in particolare. E desidero da tempo parlarvi da solo. Sento che vi devo delle spiegazioni.» «Credo proprio di sì» risposi. «E anche gli altri.» Oliver diede un segno d'impazienza. Greg evitò il mio sguardo. Linette mi osservò stupita. «So che avete visto cosa conteneva la mia borsa, dottore» esordì Comstock con voce stentata. «vi sarete chiesto come mai sono andato alla piscina a un'ora così tarda. Ma posso spiegare tutto.» Tacque aspettandosi da parte mia un commento che non venne. Le sue guance s'imporporarono. «Il fatto è che noi della famiglia, sapendo che Bruce aveva intenzione di lasciare una somma di danaro alla signorina Frame, avevamo deciso di assegnarle comunque una certa cifra, anche se la clausola del testamento che la riguardava non era stata firmata. Greg le aveva parlato e lei si era dichiarata disposta a rinunciare a ogni ulteriore pretesa in cambio del versamento di questa somma in contanti. Dato che Eleanor Frame desiderava lasciare la città il più presto possibile, ci accordammo perché io le portassi il danaro questa sera alla piscina. In ufficio disponevo di una notevole somma in banconote e in titoli convertibili. Sono arrivato tardi all'appuntamento perché ho dovuto andare in studio a prendere i soldi.» Poiché io continuavo a restare in silenzio, i suoi occhiali a stringinaso si agitarono supplichevoli verso di me. «Potete credermi, dottore. È stato un tremendo colpo per me quando sono arrivato e ho scoperto che era annegata.» Tirò un sospiro e lanciò un'occhiata a Greg in cerca di un appoggio morale. «Spero soltanto che riusciremo a tenere segreta questa transazione privata. Vi assicuro nel modo più assoluto che non ha nulla a che vedere con la morte della signorina Frame. Se la notizia diventa di pubblico dominio ci saranno conseguenze gravissime per la famiglia e per la nostra reputazione. A Grovestown sa-
remmo rovinati.» E sarebbe stato un brutto colpo anche per la sua candidatura alle prossime elezioni, riflettei. Mentre osservavo quel volto pallido e supplichevole, mi chiesi s'era possibile che un avvocato della sua levatura fosse tanto ingenuo da sperare di trovar credito per una storia tanto insulsa. Mentre i tre giovani si raggruppavano dietro di lui come un piccolo esercito sulla difensiva, dichiarai: «Sono deluso di voi, Comstock. Speravo che fosse venuto il momento di dirmi finalmente la verità. Dopotutto era nel vostro interesse. Sapete che siete un pessimo bugiardo? Questa mattina avete cercato di farmi credere che Bannister aveva lasciato alla Frame una somma di danaro perché era una parente povera e avete aggiunto che voi avevate la facoltà di interrompere i pagamenti nel caso lei avesse commesso qualche stravaganza. Ma tutto questo è falso. Eleanor Frame non era la nipote della signora Bannister e sapete benissimo che la postilla non aveva altro scopo che di pagare il silenzio di quella donna. Bisognava assicurarsi che tacesse quello che sapeva di questa famiglia.» L'avvocato rimase a bocca aperta. Greg irrigidì minacciosamente le spalle. Ma nessuno aprì bocca. «Perché non dite la verità?» dissi. «Perché non volete ammettere che Eleanor Frame vi aveva estorto il danaro che le stavate portando stasera, che vi aveva ricattato esattamente come ricattava Bannister fin dalla prima volta che ha messo piede in questa casa?» Comstock era completamente annientato. Con la mano annaspò intorno agli occhialini. «Se davvero...» «Non dirgli niente, zio» si intromise Greg. «Non vedi che sta cercando di farci cadere in trappola? Non sa niente.» «Ah, io non so niente!» mi rivoltai severamente contro il giovane studente di medicina. «Volete che vi dica solo un po' di quello che so? Questa sera a cena ho parlato a Eleanor Frame dell'esistenza del lascito e di come la morte improvvisa di Bannister l'avesse annullato. Ha cercato di controllarsi ma era fuori di sé per aver perso quell'eredità per cui aveva lottato tanto. Subito dopo cena è corsa fuori di casa. Ed è venuta da voi in laboratorio. Potete negarlo? Vi ha detto perché ricattava vostro padre e vi ha chiesto del denaro: una grossa somma e subito, in sostituzione di quella che aveva perduta. Probabilmente voi avete temporeggiato finché non vi
siete messo in contatto con Comstock per chiedergli di reperire alla svelta i soldi. Mentre aspettava la vostra risposta, lei è tornata a casa mia. Io sono andato a prenderla per portarla qui alla seduta spiritica.» Greg rimase impassibile, ma dallo sconcerto di Comstock capii che mi trovavo sulla strada giusta. «Mentre facevamo la seduta spiritica, voi avete capito che Eleanor Frame vi teneva in pugno e avete ottenuto da vostro zio di farvi portare il danaro. Dopo la seduta siete arrivato qui e avete condotto Eleanor in laboratorio. Poco dopo Comstock vi ha seguito. Avete detto alla Frame che le avreste dato i soldi in contanti non appena vostro zio fosse andato a prenderli in città. E poi...» mi interruppi. «Fino a questo punto è così che sono andate le cose, vero?» Linette si avvicinò al fratellastro e si mise a guardarlo intensamente. Nessuno dei due disse una parola. Fu Oliver a rompere quel drammatico silenzio. «E anche se fosse vero? Non sono fatti vostri, né della polizia. Non avete diritto di ficcare il naso nei nostri affari soltanto perché Eleanor Frame è caduta in piscina ed è annegata.» «Annegata?» ripetei. «Credete veramente di riuscire a farmi credere che sia annegata?» «Perché no!» protestò Linette.«Se è scivolata ed è caduta nel punto più profondo potrebbe benissimo essere annegata.» Non sapeva nuotare. Io continuavo a guardare Greg, le cui labbra si erano sbiancate. «Non ha molta importanza che la Frame sapesse nuotare o no» incalzai «dato che quasi certamente era in stato d'incoscienza quando è caduta.» «In stato d'incoscienza!» esclamò Greg, a voce bassa. «E perché mai?» «Perché è così.» Mi sentivo a disagio nel dire quello che dovevo. «E lo sapete, Greg. Non potete averlo dimenticato visto che siete stato proprio voi a somministrarle l'etere!» Questo lo scosse dalla sua immobilità. I suoi occhi si rianimarono immediatamente e mi fissarono con aperto sbalordimento. «Io?» ansimò. «Voi credete che io abbia somministrato l'etere a Eleanor Frame?» «È inutile cercare di fingere» dissi esausto. «Forder sta facendo l'autopsia al cadavere e presto scoprirà la presenza dell'etere. Io stesso ho sentito l'odore quando avete aperto la porta del laboratorio. Cercate di capire, in fondo sto soltanto cercando di aiutarvi. È meglio che confessiate spontane-
amente piuttosto che sottoporre tutti all'inchiesta della polizia. E poi potrete invocare le circostanze attenuanti. La legge tende ad essere più clemente se la vittima è un ricattatore.» Per un momento la stanza rimase silenziosa come una tomba. Linette fu la prima a riprendersi. Mise la mano sul braccio di Greg. «Non aver paura, Greg. Io non ci credo. Sono tutte menzogne.» C'era qualcosa che colpiva nella sua espressione. Mentre guardavo il suo viso pallido e tormentato, mi passarono per la mente brani della conversazione di quella sera: "Ero innamorata pazza di lui quando avevo dieci anni... adesso non penso più all'amore". Dubitavo della verità della seconda affermazione. Ma mi parve inutilmente doloroso che cominciasse a rendersi conto soltanto ora dei suoi veri sentimenti per Greg. La pressione della sua mano sul braccio sembrò riportare Greg alla realtà, che si scosse e le sorrise teneramente, ma non disse una parola. Linette si girò verso di me con gli occhi fiammeggianti. «Voi vi sbagliate. Vi sbagliate completamente. Conosco Greg. Qualunque sia la verità, non ha ucciso Eleanor. Non riuscirete mai a farmelo credere. E che prove ci sono, poi? Voi dite che era anestetizzata. Ma il Coroner non l'ha ancora annunciato. Dite che nel laboratorio di Greg c'era odore di etere? E perché un laboratorio chimico non dovrebbe puzzare di etere? Se è tutto qui...» «Non è tutto qui» sospirai con calma. «Greg è stato visto dalla finestra del laboratorio. È stato visto nell'atto di somministrare l'etere a Eleanor Frame.» Linette mi fissava e le labbra cominciarono a tremarle. Si girò verso Greg. «Non è vero» mormorò. «Non è vero, Greg, dimmi che non è vero.» Greg la guardò inumidendosi le labbra. Poi spostò lo sguardo su di me. C'era un bagliore nei suoi occhi come se avesse preso una decisione troppo difficile da attuare. «Non so» rispose «non so che cosa dire. Io...» «Non dire niente, Greg.» Oliver diede in un'alta risata. «Cosa ti succede? Non vedi che cerca di metterci nel sacco?» Si rivolse a me. «Perché dite che qualcuno ha visto Greg mentre dava l'etere a Eleanor? Vi aspettate che ci beviamo questa stupida storia?» Greg sbatté gli occhi. «Lascia perdere, Oliver. Ormai...» «Ormai un bel niente.» Oliver parlava ancora con me. «Su, diteci chi sarebbe la persona che ha visto Greg dalla finestra.» «Sì, ditelo» ripeté Linette.
Comstock continuava a fissare i tre giovani come inebetito. «Non ho niente in contrario a dirlo. La persona che ha visto Greg è mia figlia.» «Vostra figlia!» Oliver rise di nuovo con scherno. «Questa poi è incredibile. Solo perché una bambina... Io vi chiedo di portare qui vostra figlia e di lasciare che le facciamo delle domande. Finché non ci convincerà che ha detto la verità, è criminale sostenere accuse come queste!» In quel momento ebbi uno scrupolo di coscienza. Io credevo alla sincerità del racconto di mia figlia, ma mi rendevo conto che poteva essere una fonte non del tutto attendibile. Accusare Greg soltanto su questa base poteva rivelarsi una mossa troppo disinvolta. «Bene» risposi. «Andrò a prendere Dawn. Potrete farle tutte le domande che vorrete a patto che se non riuscite a smentirla, mi dovrete dire tutta la verità.» Guardai in faccia Greg. «Vi sembra accettabile?» Lo studente in medicina si strinse nelle spalle. «D'accordo. Se lei dirà la verità, la dirò anch'io.» Linette strinse più forte la mano sul braccio di Greg e gli disse: «Greg, io sono dalla tua parte. Sappi che io sono con te.» Oliver mi disse: «D'accordo, Westlake. Andate a prendere vostra figlia.» Stavo per avviarmi verso la porta quando il telefono si mise a suonare nell'ingresso. Oliver si mosse per andare a rispondere, ma lo prevenni dicendo: «Dev'essere il Coroner. Rispondo io.» Nessuno mi seguì nell'ingresso. Quando sollevai il ricevitore e sentii la voce di Forder, fui assalito dalla tensione. Ero assolutamente sicuro che avesse trovato le tracce di etere e una volta che il fatto fosse stato accertato per Greg sarebbe stato impossibile uscire da quella situazione disperata. «Siete voi, Westlake?» s'informò la voce del magistrato. «Ho fatto fare le analisi preliminari per la ricerca dell'etere, come avete suggerito. Ho pensato che fosse il caso di avvertirvi subito.» «Qual è il risultato?» «È stata colpita alla testa, piuttosto forte si direbbe. Abbastanza da farle perdere i sensi. E ci sono segni molto particolari sulla gola. Credo che si tratti...» «Sì, sì» lo interruppi «ma la prova dell'etere?» Aspettai l'inevitabile risposta. Ma quando Forder parlò, tutta la costruzione che avevo chiara e solida in mente mi crollò davanti. «Dovete aver commesso un errore, Westlake. Posso assicurarvi che non ci sono tracce di anestesia nel corpo. Assolutamente nessuna traccia...»
24 Forder riappese. Io rimasi a fissare sbalordito il ricevitore. Avevo detto a Cobb che ero sicuro di avere in mano la soluzione del mistero; avevo appena accusato senza mezzi termini Gregory Bannister di omicidio. Ora la sola prova a sostegno della mia accusa si era rivelata inesistente. Ero costretto ad accettare il fatto umiliante che mia figlia avesse mentito. La sua innata passione di inventare frottole mi aveva coperto di ridicolo. Avrei dovuto vergognarmi della mia stessa stupidità. Riuscivo solo a provare rabbia e indignazione nei riguardi di Dawn e a desiderare di metterla subito di fronte alle sue bugie. Piuttosto imbarazzato, tornai in salotto. Non tentai di spiegarmi, né di scusarmi con gli altri. Mi limitai a mormorare un frettoloso: «Sarò di ritorno tra un minuto.» E corsi alla porta-finestra che portava sul terrazzo. Percorsi a tempo di record la distanza che mi separava da casa, e in un baleno salii in camera di mia figlia. Le luci erano tutte accese, visto che Dawn sembrava aver del tutto dimenticato l'usanza di dormire la notte. Era a letto senza scarpe ma completamente vestita, e lavorava a maglia un indumento informe, mentre il corvo impagliato e il cane la fissavano perplessi. Con insolita mancanza di intuito Dawn ignorò la mia rabbia e mi rivolse un pacifico sorriso. «So che è molto tardi, ma ho pensato che era meglio stare alzata nel caso che venisse qualche paziente come la signora buffa che cercava il dottor Hammond o il ragazzo che è stato punto dall'ape. Sto facendo una tuta per il campeggio. La si indossa la notte quando si dorme nei boschi. Non è magnifica?» Mi sedetti sul bordo del letto, sentendomi mancare il fiato. «Ti ricordi quello che mi hai detto a proposito della finestra del laboratorio di Greg? Non lo hai visto, vero?» Aspettai la risposta senza respirare. Mia figlia depose il lavoro a maglia e mi fissò. «Vuoi dire la signorina Frame che si agitava sul tavolo e Greg che le metteva qualcosa sulla bocca come per operarla? Certo che è vero.» «È inutile fingere.» «Ma è vero!» Dawn era sbalordita. «Se avessi raccontato una storia ci
avrei messo roba molto più eccitante, tipo indiani e banditi.» Rimasi piuttosto sorpreso dalla scelta dei personaggi. Ma il nocciolo del suo discorso era sensato. Quando Dawn cominciava a inventare, le sue creazioni erano sempre su scala eroica. Eppure, se non aveva mentito, perché la sua versione non concordava con il rapporto di Forder? Le chiesi: «Senti, Dawn, se adesso ti porto dai Bannister, te la senti di raccontare quello che hai visto esattamente come l'hai detto a me?» Mia figlia era raggiante all'idea di un'escursione notturna. «Ma certo che glielo dirò. Proprio come l'ho detto a te, perché è così che è avvenuto.» Perplesso, ma contemporaneamente sollevato, le dissi: «Va bene, andiamo subito.» La piccola saltò fuori dal letto, saettò per la stanza, ritrovò le sue gloriose scarpe da ginnastica tutte scalcagnate e se le infilò. «Pronti, papà.» Scendemmo di corsa le scale. Sul tavolo dell'ingresso c'era una torcia elettrica. La raccolsi e uscimmo in giardino. La luna non era ancora tramontata, e la torcia mutile. La situazione elettrizzò Dawn. In un empito di gioia pagana si mise a saltare avanti a me cantando un'assurda canzoncina imparata al campeggio. Era a qualche passo di distanza da me, quando s'interruppe bruscamente e mi chiamò: «Oh, sono inciampata in qualcosa. Vieni, papà. Che cos'è?» In quel momento mi aspettai il peggio. Con il fiato in gola mi precipitai vicino a lei e abbassai il raggio della lampada. Tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che l'ostacolo misterioso non era altro che il ritratto di Grace Bannister che Linette mi aveva dato, e che avevo abbandonato e dimenticato nel corso degli eventi. Stava nell'erba, rivolto verso l'alto. Quel viso strano, particolare per via degli zigomi marcati e dei fiammanti capelli rossi, era illuminato dal raggio di luna. Nonostante la spiccata rassomiglianza con la fisionomia della signora Deane, avevo sempre trovato qualcosa di repellente nella faccia di Grace Bannister. In quella strana luce lo notavo anche di più. E poi ero esasperato da quella donna nevrotica e crudele, che era riuscita anche dopo la morte a rovinare l'esistenza di un'intera famiglia. In quel momento il viso non sembrava un ritratto. Viveva di vita propria, come se si trattasse della materializzazione spiritica che avevamo creduto di vedere quella sera.
Avevo dimenticato la presenza di Dawn finché non sentii risuonare la sua voce eccitata: «Ehi, papà, che magnifico ritratto! È strano che l'abbiano dimenticato qui!» Non le davo ascolto. Alla luce della luna il volto del ritratto assomigliava sempre di più al viso nebuloso che era apparso attraverso le tende del soggiorno dei Bannister. Era maledettamente uguale. Dawn riprese a parlare all'improvviso. In tutti i suoi turbolenti dodici anni, mia figlia ha sempre mantenuto la prerogativa di sorprendermi. Ma fino ad allora non aveva mai detto niente di così sconvolgente come la frase che pronunciò allora. Per un momento non mi sembrò che avesse un significato. Ma gradualmente, mentre il senso si faceva strada nella mia mente, il mio cervello riprese a funzionare. In un'intuizione fulminante compresi tutto quello che fino ad allora era sprofondato in un mistero insolubile. A una velocità spaventosa, le deduzioni si rincorsero una dopo l'altra nella mia mente. Compresi il senso delle drammatiche chiamate interurbane da Vancouver; capii esattamente su cosa era basato il potere di Eleanor Frame in casa dei Bannister; capii lo spaventoso significato dei primi messaggi spiritici; capii come la seconda seduta in realtà fosse stata interrotta; compresi il senso dell'articolo di giornale, apparentemente insignificante, che Sheila mi aveva fatto leggere e infine compresi la concreta e orribile verità sull'aggressione alla signora Deane, a me stesso e sì, anche a Eleanor Frame. E non era tutto. Mi accorsi anche che tanto Dawn che Forder dovevano aver ragione. Certo, non potevano esserci tracce di etere nel cadavere di Eleanor Frame. E naturalmente Dawn aveva visto tutto quello che diceva, salvo che per un piccolo, immaginabile particolare. Capii tutto questo da una frase che mia figlia disse quasi soprappensiero. Esaminando il quadro con distaccato interesse aveva commentato: «È proprio lei, ma sembrava molto più vecchia quando l'ho vista oggi pomeriggio. Immagino che sia per questo che è venuta in cerca del dottor Hammond. Voleva farsi restituire il ritratto...» Mia figlia dovette pensare che fossi improvvisamente impazzito. In quei primi momenti in cui ero occupato a pensare, ero rimasto immobile come uno stoccafisso. Poi scattai verso di lei e le dissi: «Vai a casa, Dawn. Non ho più bisogno di te. Va' a casa. Corri.» Poi mentre lei stava per andarsene via docilmente, l'afferrai, la sollevai e
la baciai esclamando: «Sei magnifica. Superba. Sei la ragazza più carina, più intelligente e più simpatica di tutta la contea.» Questo non la convinse. Si distolse dall'abbraccio orgogliosamente. «Credo che andrò a casa. E papà, per favore, non bere più quando vai dai Bannister.» Con questa raccomandazione morale, si girò e si avviò dignitosa verso casa. Rimasi a guardare il quadro con la mente in subbuglio. Ma non c'era più motivo di indugiare. Mi voltai verso la piscina e guardai oltre, in direzione del laboratorio. Non si vedeva nessuna luce accesa. Sentendomi deciso e confuso allo stesso tempo, attraversai il prato. Quando arrivai davanti al laboratorio, trovai la macchina di Trimble, parcheggiata dove lui l'aveva lasciata prima di avviarsi alla sua missione segreta. Mi accorsi che il laboratorio non era completamente buio: dietro le imposte chiuse una luce smorzata filtrava da una finestra. Raggiunsi la porta e provai la maniglia. Come immaginavo, era chiusa. Esitai un attimo prima di bussare. Il rumore delle nocche sul legno duro sembrò echeggiare in tutto il giardino. Poi svanì. Fui quasi certo di sentire armeggiare all'interno. Ma non udii passi che venissero ad aprire. Bussai di nuovo. Questa volta udii dei passi cauti avvicinarsi alla porta e una voce sommessa chiedere: «Greg, sei tu?» A voce molto bassa risposi: «Sì, sono io. Fammi entrare.» Il semplice stratagemma funzionò. Sentii la serratura scattare. La porta si dischiuse con uno scricchiolio. La spinsi velocemente e mi infilai all'interno. Nell'aria c'era ancora un leggero odore di etere. In piedi nel minuscolo ingresso c'era la signora Deane. Per un attimo non riuscì a parlare. Poi, con un ammirevole sforzo, si riprese e mi redarguì: «Come vi permettete di entrare in questo modo!» «Mi dispiace e me ne scuso.» La spinsi da parte ed entrai nella stanza centrale, quella dove la luce era accesa. La signora mi si gettò davanti e cercò di sbarrarmi la strada. «Non potete entrare. Ve lo proibisco. Io...» Non le badai ed entrai nel locale del laboratorio. Sapevo che lei sarebbe stata lì, lo sapevo così bene che vederla non mi sorprese affatto. Eppure quella scena aveva veramente qualcosa di sconvolgente. Alla luce obliqua di una sola lampadina schermata, il laboratorio
di Greg con le sue file di bottiglie ordinatamente allineate e gli austeri tavoli bianchi pareva uno scenario teatrale. Era il fondale perfetto per la figura che giaceva sul bianco tavolo di metallo, in un angolo. Dalla porta, la signora Deane tentava ancora di dissuadermi: «Dottor Westlake, io insisto...» Non le davo retta. Andai verso il tavolo e vidi la donna che vi era stesa sopra, legata con due larghe fasce fatte di bende. Sopra un abito nero e gualcito aveva uno dei camici bianchi di Greg, che infondeva al suo aspetto un'aria ancora più grottesca. Guardai quei particolari soltanto di sfuggita. L'unica cosa che attraeva la mia attenzione era il viso sotto la massa scomposta dei capelli rossi. Quel viso pallido che, anche nella falsa serenità dell' anestesia, riproduceva senza ombra di dubbio le fattezze del ritratto. La tragica ironia della situazione mi paralizzò. Io e Sheila Bannister avevamo avuto ragione. E nello stesso tempo anche torto. La situazione si era del tutto capovolta. «Dottor Westlake...» Sentii la voce angosciata della signora Deane dietro di me. Era alle mie spalle, in preda all'angoscia. «Non preoccupatevi per avermi lasciato entrare» dissi riscuotendomi. «Avevo già immaginato tutto quanto.» «Ma...» «Sono stato un idiota» la interruppi. «Ecco tutto.» Un perfetto idiota. Avrei dovuto capire fin dall'inizio che Grace Bannister era ancora viva. 25 Dopo averla sempre considerata non solo morta, ma assassinata, faceva uno strano effetto vedere la prima signora Bannister sul tavolo, anestetizzata, ma assolutamente viva. Il primo pensiero che mi venne, come medico, fu di accertarmi che non avesse bisogno di soccorso clinico. La visitai brevemente e constatai che pur essendo profondamente anestetizzata, il polso e la respirazione erano a livelli normali. Mi girai verso la signora Deane. L'anziana signora era miracolosamente riuscita a riprendere la sua abituale compostezza. Mi guardava dritto negli occhi. «Non dovete pensar male di noi perché le abbiamo fatto questo. Era il
solo modo per impedire qualcosa di tremendo. È malata di mente, come avrete immaginato, ed è pericolosa.» Annuii. La signora Deane rispose con un faticoso sorriso. «Avete scoperto il nostro segreto. È penoso pensare a quello che siamo arrivati a fare per nasconderlo. Come avete fatto a immaginarlo?» «In verità non l'ho immaginato subito. È stato un puro caso. Ero su una pista completamente falsa finché mia figlia non ha visto il ritratto di Grace Bannister. Ha riconosciuto subito nel dipinto la donna che è venuta oggi pomeriggio a casa nostra in cerca del dottor Hammond. Mi aveva raccontato di questa donna prima di cena, ma io non le avevo dato retta. Soltanto quando ha riconosciuto il ritratto ho incominciato a dedurre i fatti.» «Dunque è così che sono andate le cose. Avrei dovuto sospettare che Grace sarebbe venuta a casa vostra in cerca del dottor Hammond. Era sempre stato gentile con lei. Lo considerava un amico.» «Anch'io avrei dovuto pensarci prima. La chiave di tutto era in un ritaglio di giornale di Vancouver che diceva come vostro figlio avesse identificato il corpo di Seattle. Parlava di voi come la moglie del dottor Deane, che era stato direttore della clinica per malattie mentali Armonia in Pennsylvania. Avrei dovuto riconoscere il nome Armonia nel primo messaggio spiritico "Vivo in armonia".» I miei occhi furono attirati dalla figura di Grace Bannister priva di sensi. «In quel momento naturalmente non mi parve altro che un luogo comune del gergo dei medium. Non mi venne in mente che Eleanor Frame era sul punto di spiattellare tutta la verità, e cioè che Grace era viva e rinchiusa alla clinica Armonia.» La signora Deane fece un cenno d'assenso ma non parlò. Io continuai: «Voi e vostro figlio dovete avere organizzato tutto a bordo della nave, vero? Voi avete fatto finta che Grace si fosse gettata in mare per far credere a tutti che fosse morta.» «Esatto. Quella volta lei non era neppure a bordo.» La signora Deane fece un gesto brusco con la sua manina vizza. «Ormai posso fare a meno della segretezza con voi. È meglio che sappiate tutta la verità, per quanto brutta essa sia. E visto che non c'è motivo di stancarci oltre, andiamo a sederci. Non sono più tanto giovane.» Uscì dal laboratorio ed entrò in un piccolo locale che Greg usava come studio. Una tenda lo separava dal resto dell'ambiente, ma in quel momento non era tirata. La signora Deane si sedette su una poltroncina e mi indicò
con un cenno la sedia che stava di là del tavolo ingombro di carte. Da quel tavolo raccolse un lavoro a maglia. «Non vi dà noia se lavoro ai ferri, vero? È stata una serata pesante, e questa è una cosa che mi rilassa.» Cominciò a muovere i ferri a un ritmo regolare. «La storia è lunga, dottor Westlake, e se ha una morale questa è che non si è mai troppo vecchi per commettere delle sciocchezze. Quando abbiamo progettato il nostro piano, e sono stata io a idearlo, ero convinta di essere molto saggia, comprensiva e abile. Adesso mi accorgo di quanto ero stupida, sventata e soprattutto come sono stata crudele verso le persone che amo di più al mondo. Mi assumo tutta la responsabilità di quello che è accaduto. Ora non mi resta altro che tentare di non piangere sul latte versato, e versato così male.» Il tintinnio dei suoi ferri da calza formava uno strano sottofondo ritmico. «Una parte della vicenda la conoscete. Sapete che Bruce era innamorato di Sheila da molto prima che tutta quella storia cominciasse. Quello che non sapete, e che nessuno, neanche Sheila sapeva, è che negli ultimi anni Grace era diventata pazza. Irrimediabilmente pazza. In seguito a questo io decisi di lasciare il mio caro marito e di venire a vivere con Bruce. Avevo capito che aveva disperatamente bisogno di me. Oh, con gli estranei Grace sembrava quasi normale, e riuscimmo a fare in modo che nessuno se ne accorgesse. La sua follia si manifestava soltanto in violenze contro la casa e la famiglia. Diverse volte tentò di suicidarsi. A momenti veniva presa da attacchi di furia: allora sembrava una belva e cercava di uccidere Bruce e anche me. Greg era l'unico che riuscisse in qualche modo a contenerla. Bruce è stato un angelo con lei. Finché restò la minima speranza che potesse migliorare non pensò mai di richiuderla in un istituto. Ma a un certo punto non trovò più nemmeno uno psichiatra disposto a vendere illusioni. Grace sarebbe rimasta per sempre pericolosa per sé e per gli altri: non restava altro che ricoverarla in una clinica specializzata.» La signora Deane mi guardò apertamente negli occhi. «Non volevamo metterla in un istituto della zona perché in poco tempo tutta Grovestown l'avrebbe saputo. Pensai all'Istituto Armonia, di cui mio marito era stato una volta direttore. Poi mi venne l'idea del piano. So che vi sembrerà pazzesco, dottor Westlake. E lo era davvero. Ma la situazione era talmente insostenibile! Fino ad allora avevo continuato a insistere con Bruce perché ottenesse il divorzio per infermità mentale. Ma lui non voleva, sia per riguardo a Grace, sia perché sapeva che, per quanto segreta, la cosa si sareb-
be risaputa e voi sapete ormai cosa pensa Sheila del divorzio.» Serrò le labbra. «La vera tragedia era questa. I principi di Sheila. Dovevo ammettere che in quel momento ero esasperata dai suoi principi. Mi sembravano inutilmente punitivi. Ma evidentemente io sono sempre stata una donna viziata e senza principi. Adesso che l'ho conosciuta e che ho imparato ad amarla, ho capito l'importanza del suo rigore morale e la bellezza del suo spirito mi fa sentire sciocca e indegna per il modo in cui mi sono comportata.» Appoggiò il lavoro in grembo. Per un momento vidi una vecchia delusa, colpevole e stanca, dietro la sua maschera di brillante mondanità. «Vorrei cercare di farvi capire quello che provavo allora. Vedevo mio figlio soffrire tremendamente. Grace era pazza furiosa. Per lei la vita era finita. E lui era perdutamente innamorato di Sheila. Visto che il divorzio era fuori discussione, dovevo trovare qualcos'altro. Così progettai un piano. Mi rendevo conto delle conseguenze cui andavo incontro. Sapevo che la mia soluzione avrebbe fatto di Bruce un bigamo, che i figli che avrebbe avuto da Sheila sarebbero stati illegittimi. Sapevo tutto questo. Ma ero una povera vecchia sentimentale, convinta che la felicità di un figlio importasse più di qualsiasi codice morale. Ed ero una madre dominatrice, capace di far accettare la mia proposta a Bruce. Era contraria alla sua natura, ma alla fine il suo amore per Sheila e le mie insistenze lo fecero cedere.» Riprese a lavorare a maglia. «All'inizio, quando si poteva ancora sperare in un miglioramento, uno degli psichiatri aveva consigliato a Grace un viaggio per mare. Noi decidemmo di farlo allora, per i nostri scopi. Andai a Vancouver da mio marito, che è psichiatra laggiù. Per qualche straordinaria ragione è sempre rimasto innamorato di me anche se non sono mai stata una buona moglie. Allora desiderava che tornassimo a vivere insieme. Senza scrupoli mi servii di lui e ottenni di fargli promettere che ci avrebbe aiutati. Lui non faceva niente di contrario all'etica professionale in quanto Grace era malata di mente e non si poteva fare altro che ricoverarla.» La signora Deane continuò: «Avrete immaginato come sono andate le cose. Prendemmo una nave da crociera tutti e tre e andammo a Vancouver. Lì mio marito si incontrò con noi e portò via Grace. Avevo già predisposto che fosse portata alla clinica Armonia in Pennsylvania, e registrata con il suo nome da ragazza, come se fosse stata una qualunque delle sue pazienti. Nessuno laggiù sapeva che era la moglie di Bruce e da quel momento Grace Bannister fu ufficialmente morta.» Finì un ferro, girò il lavoro e cominciò un altro ferro.
«Tutto funzionava benissimo. Noi avevamo prenotato il viaggio in Alaska per tutti e tre, e quando tornammo a bordo a Vancouver tutti diedero per scontato che Grace fosse ancora con noi. Lei era stata piuttosto quieta per la prima parte della crociera, per lo meno in pubblico, e gli altri si erano abituati a vederla sul ponte. Fra me e mia nuora c'è sempre stata una rassomiglianza fisica. L'avete notato anche voi. Per un po' di tempo ho studiato come attrice. Fu abbastanza semplice per me quella prima sera dopo Vancouver comparire sul ponte con una parrucca rossa e avvolta in un voluminoso cappotto, dando l'impressione a tutti di essere Grace. Anche il personale di servizio alle cabine lo credette. Mi divertii molto a giocare quel doppio ruolo.» «E per la scena dei suicidio come avete fatto?» «Avevo conservato uno scialle arancione che Grace aveva portato spesso in pubblico. Dovetti soltanto aspettare il momento giusto, poi mi misi a gridare e raccontai che avevo visto Grace gettarsi in mare. Sapete, la gente si comporta sempre come un branco di pecore. È bastato indicare quello scialle e dire "Guardate!" perché alcuni passeggeri credessero davvero di aver visto una figura dibattersi nell'acqua.» Fece una risatina amara. «Sulla nave si diffuse lo scompiglio dopo che l'imbarcazione si fermò per le ricerche senza riuscire a trovare la salma. Ma in una compagnia di navigazione nessuno muore di rimorsi.» Io ero indeciso se ammirare la sua forza o mettermi le mani nei capelli davanti alla freddezza con cui trascurava nella vita tutto ciò che non era d'interesse pratico. «E il cadavere che vostro figlio ha identificato successivamente?» indagai. «Immagino che fosse soltanto un cadavere qualsiasi.» La signora Deane annuì. «Temo che quella sia l'unica mancanza commessa da mio figlio. Certo, ci sono spesso dei corpi che affiorano lungo le rive. Non appena si è saputo che c'era un corpo di donna non identificato all'obitorio di Seattle, la polizia ci ha chiamato. Brace è andato là in aereo e ha identificato Grace. Ho pensato che questo avrebbe definitivamente sistemato le cose. Grace era veramente morta per sempre.» Gli angoli della sua bocca si abbassarono. «Per un po' mi sono sentita come una di quelle vecchie intraprendenti e senza scrupoli che si vedono ogni tanto al cinema intente a risolvere i problemi degli altri. La povera Grace era come morta e Bruce l'aveva fornita di ampi mezzi per la sussistenza. Nessuno lo sapeva, nemmeno Greg. E visto che Sheila era all'oscuro di tutto, non ha dovuto tradire i suoi principi. Quando Bruce e lei si spo-
sarono io mi sentivo un po' come la loro fata buona. Stavo per lasciarli con la mia benedizione e tornare da mio marito quando...» «Quando è apparsa Eleanor Frame» dissi io. «Infatti, è apparsa Eleanor Frame.» Il viso della signora Deane si oscurò. «Era la nostra nemesi, dottore. Avevo fatto i conti senza di lei. Sapete anche voi che è venuta da Vancouver. Probabilmente avrete sospettato che non è la nipote di Grace. In realtà era l'infermiera che mio marito aveva scelto per accompagnarla alla clinica. Non le aveva detto niente, naturalmente. Ma Eleanor era molto furba, più furba di quanto mio marito immaginasse. Raccolse una parola qui e una parola là. Rimase per qualche tempo con Grace alla clinica. Poco alla volta ricostruì l'intera storia.» Capii come avevamo sbagliato, io e Sheila Bannister, nel valutare la posizione di Eleanor Frame: non avevamo capito nulla delle ragioni per cui ricattava Bannister. «Non dimenticherò mai il giorno tremendo in cui è arrivata» proseguì la mia interlocutrice. «Soltanto quando lei venne ad accusarci di quello che avevamo fatto a Grace mi resi conto della situazione in cui avevo messo Sheila e Bruce. Invece di farli felici, li avevo fatti cadere dalla padella nella brace. Non avevamo armi contro Eleanor Frame. All'inizio Bruce sperò di potersi sbarazzare di lei con una somma di danaro. Ma lei era troppo astuta per accettarlo. Aveva capito che finché rimaneva qui avrebbe potuto pretendere quello che voleva. Ci annunciò semplicemente che si trasferiva presso di noi.» Diede un segno d'insofferenza. «Rimpiango soltanto di non averla strangolata con le mie mani quello stesso giorno.» «Invece avete cercato di trovare un compromesso» interloquii io. «L'avete fatta passare per una nipote di Grace e ora mi spiego anche tutta la messinscena delle sedute spiritiche. Ero convinto, come tutti gli altri, che Bruce credesse ciecamente alla rievocazione degli spiriti. E invece era addirittura una sua idea, vero? Non era che un espediente per continuare a far credere agli altri che Grace era morta.» «Proprio così. Bruce aveva dovuto inventare una scusa plausibile per giustificare il fatto che Eleanor continuasse a restare, pur essendo così sgradita alla famiglia. Il solo fatto di essere infermiera non bastava. Bruce pensò che, fingendo di essere affascinato dalle sedute spiritiche, avrebbe sviato i sospetti sulla verità. E, come avete detto voi, pensava che finché fossero arrivati i "messaggi" da Grace morta gli altri non avrebbero pensato che fosse viva. Oh, era un trucco dettato dalla disperazione e non poteva durare a lungo. Ma tentammo lo stesso. Lui comprò a Eleanor degli ag-
geggi da attaccare alle suole delle scarpe per...» «Lo so.» «Erano d'accordo: sedevano ciascuno a un'estremità del tavolo e lo muovevano a volontà. Era così che arrivavano i messaggi.» Provai una certa vergogna pensando a come mi ero lasciato facilmente impressionare dall'elemento "soprannaturale" di quelle sedute. La signora Deane si strinse nelle spalle. «Quella donna ci teneva in pugno. E ricavava un piacere crudele nel tormentare Bruce. Eppure dovevamo lasciarle fare ciò che voleva: appendere il ritratto di Grace alla parete per esempio, o infilare nei messaggi insinuazioni che soltanto Bruce avrebbe capito, e mille altre piccole cose. La situazione è precipitata quando Sheila ha deciso improvvisamente, l'altra sera, di scacciare di casa Eleanor. Sheila pensava soltanto al bene di Bruce, naturalmente. Non poteva più sopportare di vederlo così agitato per le sedute spiritiche. Ma senza saperlo ha rotto gli equilibri.» Ed ecco che comprendevo anche l'amara ironia del colloquio di Sheila con suo marito. «Sheila voleva obbligare suo marito a sbarazzarsi di quella donna» disse la signora Deane. «Ma la cosa non funzionò. È per questo che la Frame diede quel messaggio la sera alla seduta. Era per avvertirlo che era pronta a rivelare la verità se lui non continuava a fare il suo gioco.» «È l'altro messaggio? "Bruce è morto". Non lo capisco.» «Io credo di sì. Non era presente alla seduta. Non riuscivo a sopportare la tensione di star seduta nel buio sapendo che era tutta una menzogna. Ma Sheila mi riferiva tutto quel che vi si diceva. Quella frase si compose subito prima che le luci si accendessero, vero? Probabilmente non era finita. Eleanor non voleva dire "Bruce è morto" ma qualcosa come "Bruce è mortalmente spaventato all'idea che si sappia la verità", la parola "mortalmente" è stata interrotta.» Era una spiegazione accettabile. «È stato allora che avete ricevuto la notizia che Grace era fuggita dalla clinica.» Gli occhi della signora Deane si alzarono verso i miei e poi tornarono al lavoro a maglia. «Sì. La telefonata che Bruce ricevette prima della seduta era di mio marito, da Vancouver. La clinica aveva dato a lui la notizia perché la conoscevano soltanto come sua paziente. Povero Bruce, quell'ultimo colpo è stato il più crudele di tutti. La seduta stava per iniziare. Non aveva nemmeno il tempo per parlare con me. Doveva affrontarla da solo, sapen-
do che Eleanor era sul punto di rivelare tutto e che Grace era libera e quasi certamente in viaggio verso Grovestown. Potete immaginare in che stato d'animo doveva trovarsi.» Per la prima volta perse il suo autocontrollo. Le sue labbra tremavano e la voce vacillò mentre aggiungeva: «E l'ho portato io a questo, dottor Westlake. Ecco le conseguenze delle mie azioni.» Riprese in fretta: «Non seppi niente della fuga di Grace fin dopo la morte di Bruce. Sapete quando. Eravate nel soggiorno con me quando è arrivata la seconda telefonata da Vancouver.» Annuii. «Mio marito, il dottor Deane, chiamò di nuovo perché Grace era stata vista nei dintorni. Ne rimasi terrorizzata perché avevo da poco fatto una visita al manicomio e sapevo che Grace versava in uno stato estremamente pericoloso. Mio marito voleva dire tutta la verità alla direzione del manicomio perché mandassero la polizia in cerca di Grace. Ma io ebbi sufficiente presenza di spirito per capire che quando la polizia l'avesse saputo, tutta la storia sarebbe venuta a galla e riuscii a convincerlo di non dire nulla a quelli dell' ospedale. Poi sono svenuta.» Si portò la mano alla fascia nera che aveva al collo. «Adesso potete capire perché ero così imbarazzata quando avete visto questi segni tremendi che ho sul collo. Come facevo a spiegarvi tutto, quando l'unica cosa che mi importava era di mantenere il segreto, per la salvezza di Sheila e del bambino? Avevo già fatto del male a Bruce, e senza rimedio. Ma c'era ancora Sheila cui pensare. Credevo che soltanto tenendola al riparo dalla verità avrei potuto proteggerla dal male che le avevo fatto.» La vecchia signora fu percorsa da un brivido. «È stato quando sono andata a trovarla in ospedale che Grace mi ha morsicata. Sembrava perfettamente calma quando sono entrata da lei, ma non appena mi ha visto si è gettata su di me come una belva inferocita. Mi era sembrato un gesto di umanità andare a trovarla. In realtà era stato un errore. Non avevo capito quanto Grace odiava Bruce e me. Inoltre, nei momenti di lucidità aveva capito benissimo che eravamo stati io e Bruce a farla rinchiudere. Le sue manie omicide erano fissate su di noi e su chi ci stava vicino. Quando al telefono ho avuto la notizia della fuga, ero troppo stanca e spaventata per escogitare qualche difesa. Sono andata a letto e mi sono addormentata di colpo. Più tardi, dopo colazione, ho chiamato Trimble Comstock in ufficio.»
«Ero con lui in quel momento» spiegai. «Avrei dovuto sospettare.» «Anche lui mi ha detto che c'eravate» la voce di Sarah Deane era bassa e stanca ormai. «Io e Bruce avremmo voluto evitare di rivelare la cosa a Trimble. Ma Eleanor ci ha forzato la mano. Sapeva che Bruce era malato di angina pectoris e non voleva correre il rischio di restare a bocca asciutta nel caso di una morte improvvisa. Ieri pomeriggio ha fatto pressioni perché Bruce aggiungesse una clausola in suo favore al testamento, proprio pensando a questa eventualità.» «È quello che mi ha raccontato Comstock» dissi. «Insomma, come avvocato di Bruce, doveva sapere la verità. Però ne è rimasto annientato. I suoi principi morali sono rigidi quanto quelli di Sheila e probabilmente ama la sorella più di ogni altra persona al mondo. Credo che ci abbia quasi odiati per quello che avevamo fatto, ma noi eravamo sicuri che avrebbe mantenuto il segreto: Trimble si farebbe uccidere piuttosto che lasciarsi sfuggire una parola sul fatto che il bambino di Sheila non sarà legittimo.» Abbozzò un sorriso forzato. «Questa mattina non ho avuto scelta: dovevo rivolgermi a lui. Anche se non c'era altro da fare che aspettare.» «Grace è arrivata questa sera, dunque.» Le spalle della signora Deane si curvavano come se le forze la stessero abbandonando. «Sì. Io sospettavo che sarebbe venuta prima di tutto a casa vostra sperando che il dottor Hammond le offrisse ospitalità. Il suo scopo era di venire qui a uccidere Bruce per vendicarsi di essere stata rinchiusa in clinica. Naturalmente non sapeva che era già morto. Si è nascosta nei cespugli e ha aspettato il buio. Voi avete più o meno la stessa corporatura e la stessa altezza di Bruce. Vi ha visto fuori in giardino e...» «E mi ha aggredito tentando di uccidermi pensando che fossi Bruce Bannister?» La signora Deane annuì. «È quello che lei andava blaterando quando Greg l'ha finalmente catturata. Era convinta di avervi ucciso. Continuava a ripetere di avere ucciso Bruce. È questo che voleva dire quando è entrata durante la seduta e ha mormorato: "È qui fuori; è qui nei cespugli; non può entrare."» C'era qualcosa di ironico: l'apparizione, che noi avevamo preso per lo spirito di Grace, era stata in realtà quella del suo corpo in carne e ossa. «Trimble Comstock è stato grande alla seduta» stava dicendo Sarah Deane. «Lui ha capito subito, naturalmente, che la persona comparsa era la vera Grace. Sembrava che non ci fosse più speranza di poter mantenere il
segreto. Si è salvato appena in tempo. È corso da me e siamo tornati insieme facendo credere che fossi io che avevo messo la testa fra le tende. Ho approfittato del fatto che avevo veramente visto David Hanley in giardino per spiegare la frase di Grace "È fuori nei cespugli". Era una spiegazione pietosa, lo so. Certo non ha tratto in inganno Eleanor Frame. Ma è bastata per illudere Sheila...» Si alzò di scatto e i suoi occhi brillarono dell'abituale fuoco che li animava. La sua mano si aggrappò al mio braccio con un gesto impulsivo. «Questa è l'unica cosa per cui ancora vivo, dottore. Nonostante queste mostruosità, siamo riusciti a risparmiare Sheila, finora. Aiutatemi! Non c'è che un mezzo per impedire che sappia la verità. È per la salvezza del bambino.» Si interruppe bruscamente al rumore della porta del laboratorio che si spalancava. Balzai in piedi. Entrambi ci precipitammo dallo studiolo nella stanza principale, guardando verso l'ingresso. Sulla soglia apparve Gregory Bannister. Il suo viso giovane non poteva essere più pallido e angosciato. Lo sguardo passava da me al corpo inanimato di sua madre, che giaceva sul tavolo. Con tono rude esclamò: «Così siete qui, Westlake. Ci avrei scommesso. Sapevo che avreste scoperto la verità prima o poi.» 26 Greg si avvicinò al tavolo e rimase a guardare Grace Bannister con un'espressione di tormentosa angoscia sul volto. Si volse lentamente verso di noi. «Quando non vi ho visto tornare sono andato a casa vostra, Westlake. Vostra figlia mi ha detto che eravate venuto in questa direzione. Così ho capito che dovevate aver ormai scoperto la verità.» Lanciò un'occhiata alla nonna. «Immagino che gli avrai raccontato tutto.» La signora Deane gli appoggiò una mano sul braccio. «Non potevamo più nascondergli la verità.» «Oh, me ne rendo conto. L'avrebbe scoperto prima o poi. Almeno Westlake è una persona fidata. Ed è riuscito anche a tenere lontana la polizia, per un po'.» Si passò una mano tra i folti capelli neri. «E adesso comprenderete, dot-
tore, perché quando mi avete accusato di aver anestetizzato Eleanor Frame non ho potuto rispondere nulla. Non potevo spiegarvi che io l'avevo fatto, sì, ma con mia madre.» «A me dispiace di essermi comportato in modo tanto ridicolo» mi scusai. «Su tutto il resto avevate perfettamente ragione.» Greg si guardò attorno desolato. Guardava quel laboratorio di cui era stato così orgoglioso. «Tanto vale che sappiate l'intera storia, ormai. Capite, fino a questo pomeriggio non avevo il minimo sospetto che mia madre fosse viva. Soltanto quando è fuggita dalla clinica lo zio Trimble me l'ha detto.» Si morse le labbra. «Io sono sempre stato l'unico in grado di controllarla, almeno in parte. È per questo che zio Trimble ha pensato di informarmi.» Si spostò verso una finestra e abbassò una tendina che non chiudeva perfettamente. «Lo zio mi ha raccontato anche che Eleanor ricattava mio padre. Per tutto il giorno sono stato come sotto shock. Poi, stasera dopo cena, Eleanor è venuta da me in laboratorio, furiosa, come avete detto voi. Non sopportava che papà fosse morto prima di firmare la clausola che la riguardava. Pretendeva una enorme somma di danaro in risarcimento dell'eredità che aveva perduta.» Fece una pausa. «Ero confuso e le ho detto soltanto di tornare a casa vostra e aspettare finché io non mi fossi accordato con lo zio Trimble, che era l'unico a poter raccogliere sui due piedi una cifra simile. Appena è uscita ho chiamato lo zio. Mi ha risposto che avrebbe racimolato il danaro necessario e mi ha promesso di venire subito. Sono uscito dal laboratorio e in giardino ho visto una figura nascondersi fra i cespugli. Ho capito che mia madre era riuscita a tornare a casa.» Greg abbassò lo sguardo sulle sue dita sottili. «È stato un brutto colpo. Ho ripensato a tutti questi mesi in cui l'avevo creduta morta, e a quanto erano stati tranquilli. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che fosse viva. Non soltanto viva, era qui. Non avevo la minima voglia di vederla, ma sapevo che dovevo affrontarla e metterla in condizioni di non nuocere. Era l'unico modo per impedire che Sheila e gli altri scoprissero la verità. Ho cominciato a inseguirla ma l'ho persa di vista. È stato in quel momento che ci siamo incontrati, dottore. Ero così preso dall'inseguimento che per un attimo ho creduto che foste lei. Quando ho chiamato dicendo "Sei tu, mamma?" ero sicuro di essermi tradito definitivamente.» «Non ho sospettato niente invece» gli raccontai. «Ero piuttosto scosso anch'io. Credevo che parlaste della vostra matrigna.»
«Dopo l'ho capito e ho giocato su questo.» Non ebbi il coraggio di raccontargli che al momento ero talmente fuori strada da sospettare che il bestiale assalitore fosse la stessa Sheila Bannister. «Dopo avervi incontrato, avevo perso ogni traccia di mia madre. Era sparita come un gatto nel buio. In quel momento è arrivato zio Trimble. L'ho messo al corrente degli ultimi sviluppi e ci siamo divisi: io avrei continuato a cercare in giardino e lui sarebbe stato di guardia alla casa per impedirle di entrare.» Era chiaro adesso perché Comstock si era unito a noi per la seduta. Il suo scopo era di impedire che Sheila e Eleanor si accorgessero di Grace. Greg si passò la lingua sulle labbra secche. «Mentre era in corso la seduta e io ero fuori nel giardino, Oliver è tornato a casa dopo la fuga a New York. Ho pensato che fosse meglio dire tutto anche a lui perché mi desse una mano a cercarla. Lui è stato molto coraggioso nell'apprendere la notizia e insieme abbiamo deciso di sorvegliare uno la facciata e l'altro il retro della casa. Voi sapete quello che è successo dopo. Mia madre è riuscita a sgattaiolare fin dietro alla casa. È arrivata sulla terrazza senza che la vedessi e ha fatto la sua comparsa alla seduta. È stato soltanto mentre si allontanava che sono riuscito a trovarla.» Si passò una mano sugli occhi. «È stato un momento tremendo. L'ho chiamata per nome e lei mi ha riconosciuto immediatamente. È venuta subito da me e si è mostrata molto contenta di vedermi. Per un po' si è comportata come se non soffrisse del minimo disturbo mentale. Le ho raccontato del mio nuovo laboratorio e l'ho invitata a venire a vederlo. Mi ha seguito docilmente, ma poi di colpo si è messa a ridere istericamente e a ripetere che aveva appena ucciso papà. Vi aveva scambiato per mio padre: credeva che la persona che aveva assalito nei cespugli fosse lui. Io mi sforzavo di non mostrare la mia paura. Ho fatto finta di niente finché non sono riuscito a farla entrare nel laboratorio. Ho chiuso a chiave la porta. Ho preparato un'ipodermica con una forte dose di barbiturico a effetto sedativo, ma non ne ho avuto bisogno. Mia madre si è calmata e ha cominciato a dormire come una bambina.» Il suo volto cupo si era fatto di pietra. «Lo zio mi aveva raccomandato di chiamare la clinica Armonia per far arrivare un'ambulanza e portarla via. L'ho fatto subito, ma mi hanno risposto che l'ambulanza non sarebbe potuta arrivare prima di domani. Dovevo tenerla qui per tutta la notte. In quel momento mi è tornata in mente Eleanor. Ho capito quanto fosse pericoloso
averla intorno adesso che mia madre era fuggita dalla clinica. Non sapevo cos'era successo esattamente alla seduta, ma sospettavo che, anche se lo zio fosse riuscito a trovare una spiegazione convincente per tutti, Eleanor doveva aver subodorato la verità. Dato che non le avevo ancora dato una risposta in merito al danaro, ho cominciato a temere che svelasse tutta la storia per vendicarsi. Mi sono precipitato in casa. Linette stava cantando. Voi eravate là. Mi avete visto uscire con Eleanor e avete sentito che chiedevo a zio Trimble di raggiungerci al laboratorio.» Tacque per un momento. «Lo zio era esasperato dal fatto che dovessimo occuparci di Eleanor e dei suoi ricatti in aggiunta a tutto il resto. Ma non avevamo scelta. Non appena siamo arrivati davanti al laboratorio, Eleanor mi ha comunicato con la massima calma di aver capito che mia madre era qui. Ora voleva diecimila dollari in più sulla cifra richiesta. L'avrei uccisa sui due piedi. Ma non potevo far nulla. Siamo entrati in laboratorio. Mia madre era ancora addormentata. Subito dopo è arrivato anche zio Trimble. Gli ho riferito le condizioni imposte da Eleanor; lui ha risposto che si sarebbe procurato immediatamente la somma in contanti a patto che lei partisse subito e non si facesse più vedere. Eleanor ha accettato e lo zio è andato in ufficio a prendere i soldi. Si erano messi d'accordo per incontrarsi alla piscina per la consegna.» «E dopo che lui è partito, cos'è accaduto?» chiesi comprendendo che eravamo arrivati al punto cruciale della tormentosa vicenda. «Dopo che è partito» la voce di Greg riprese bruscamente a parlare «Eleanor e io siamo rimasti soli in laboratorio. Cioè, con mia madre, naturalmente, che fino a quel momento era rimasta tranquillamente addormentata sul divano dello studio. O almeno credevo che fosse addormentata. Ma credo che abbia fatto soltanto finta. Perché non appena la porta si è richiusa alle spalle dello zio, lei è balzata in piedi di scatto e si è scagliata contro Eleanor. Prima che potessi fare qualcosa, l'aveva gettata per terra e s'era messa a morderle il collo.» Ripensando alla scena Greg rabbrividì. Cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, tenendo lo sguardo fisso sulla donna legata al tavolo. «Doveva aver riconosciuto in Eleanor l'infermiera che l'aveva accompagnata in clinica. Con un contorto ragionamento doveva aver pensato che anche lei aveva partecipato all'azione per rinchiuderla in manicomio. Dunque poteva odiarla tanto quanto odiava mio padre. A stento sono riuscito a sottrarle Eleanor, ma lei mi ha resistito e non riuscivo a controllarla. Nella
colluttazione il suo vestito si è strappato tutto. È stato tremendo. Non c'era verso di calmarla. Mi sono ricordato dell' ipodermica già pronta. Sono riuscito a iniettargliela e dopo un po' si è calmata. Le ho infilato uno dei miei camici bianchi sopra l'abito lacerato e l'ho distesa di nuovo sul divano. Dopo un poco si è riaddormentata.» Greg lanciò un'occhiata alla signora Deane che stava in piedi vicino a noi sotto la luce della lampada schermata. «Ho finalmente potuto occuparmi di Eleanor. Proprio allora è arrivata anche la nonna. Era stato lo zio Trimble a mandarla. Ho constatato che i morsi sulla gola della Frame non erano troppo gravi e li ho medicati. Ma aveva battuto la testa contro il bordo del tavolo cadendo ed era priva di sensi. Non m'importava niente di lei ma non potevo continuare a tenerla in laboratorio e rischiare che succedesse un altro incidente. Dovevo portarla via. Mia madre sembrava addormentata. L'ho lasciata sola con la nonna e ho trasportato Eleanor fuori di peso.» Greg proseguiva la sua narrazione. «L'idea migliore mi sembrava quella di riportarla a casa vostra. Per un po' l'ho portata sulle spalle, poi l'ho trascinata. Ero arrivato alla piscina quando ho sentito la nonna che chiamava.» Ricordai il grido che io e Oliver avevamo sentito mentre trasportavamo Hanley fuori del mio studio, quel grido che Oliver mi aveva detto non essere nulla di importante. «Anche se Eleanor era svenuta ero certo che non avesse subito un trauma grave e che si sarebbe ripresa presto. Era d'accordo con zio Trimble di incontrarla alla piscina per ricevere il danaro. Così l'ho lasciata vicino alla piscina e sono corso di nuovo in laboratorio.» «Mi state dicendo che l'avete lasciata svenuta alla piscina?» «Che altro potevo fare? Temevo un pericolo più grave e imminente. Ho pensato soltanto che dovevo correre subito in laboratorio. Lì ho trovato la nonna in uno stato terribile. Mia madre si era svegliata dì nuovo ed era riuscita a fuggire. Il sedativo non aveva fatto effetto. Forse la dose era insufficiente o forse in clinica si era assuefatta ai farmaci.» «Non potevo oppormi in nessun modo» interloquì la signora Deane. «Per fortuna non mi ha riconosciuto, sennò probabilmente mi avrebbe aggredito ancora. Greg, uscendo, non aveva chiuso la porta. Grace è corsa fuori ed è sparita veloce come un fulmine.» Greg continuò: «La nonna mi ha detto che si era messa a correre verso la siepe fra il laboratorio e la piscina. Sono corso a cercarla. Avevo fatto pochi metri quando ho visto qualcuno correre davanti a me. Era Oliver. Mi
ha raccontato di avere incontrato Hanley. Aveva litigato con lui e l'aveva atterrato con un pugno per levarlo di torno. Mi disse anche che era riuscito a distrarvi con il pretesto di soccorrere Hanley. Ma la cosa più importante era che dopo aver sentito la nonna chiamare aiuto, era corso a vedere cosa accadeva e, arrivato alla piscina, aveva visto una donna vestita di scuro sul bordo intenta a guardare l'acqua. Aveva pensato che fosse mia madre, che forse meditava di gettarsi dentro. Temeva di non riuscire a fronteggiarla da solo ed era venuto a cercarmi.» Oramai capivo anche perché Oliver mi aveva obbligato ad occuparmi di Hanley e perché aveva tenuto tanto ad accompagnarlo a casa in macchina. Non era stato un gesto di riconciliazione, come avevo pensato: Oliver voleva soltanto portarlo via da lì. La bocca di Greg aveva una piega amara. «Ho mandato Oliver da voi e da Hanley perché vi tenesse alla larga. Io stavo per correre alla piscina ma non ci sono arrivato perché ho incontrato mia madre davanti alla siepe. Era seduta per terra con indosso il camice bianco che le avevo infilato e rideva e piangeva in modo demente.» Scrollò le spalle. «Avevo completamente dimenticato Eleanor. Non riuscivo a pensare ad altro che a riportare mia madre in laboratorio. Non è stato facile. Lottava e si dibatteva. Ma alla fine ci sono riuscito, la nonna fortunatamente se n'era andata e si era messa al sicuro prima che entrassimo. Non volevo correre il rischio che mia madre fuggisse di nuovo. Il sedativo evidentemente con lei non funzionava e dovevo trovare qualcos'altro per tenerla quieta.» Mi indicò gli scaffali su cui erano allineati i flaconi. «Ho scelto l'etere. Lo uso a volte per gli esperimenti. Mi sembrava l'unica soluzione. Sono riuscito a sdraiarla sul tavolo. L'ho legata con le bende.» Rabbrividì. «Lei credeva che fosse una specie di gioco. Non è stato difficile somministrarle l'etere. È stato allora che vostra figlia mi ha visto dalla finestra. Ha visto l'indumento bianco e ha creduto si trattasse di Eleanor, che vestiva appunto di bianco.» Mi piantò gli occhi in faccia. Il suo viso era stravolto dalla fatica. «È stato tremendo doverlo fare. Nonostante il suo comportamento fosse mostruoso, si trattava sempre di mia madre. Ma non mi restava altro da fare.» Si interruppe, come si era interrotta in precedenza la signora Deane al rumore di un leggero armeggiare alla porta del laboratorio. Ci girammo tutti insieme spaventati. Greg sospirò: «Dio mio, ho dimenticato di chiudere a chiave la porta,
quando sono entrato.» Si slanciò in avanti e poi si immobilizzò mentre si udiva la porta scricchiolare. In un certo senso quel momento fu il più teso di tutti quelli che avevamo passato quella sera. Io guardai la signora Deane. Le sue labbra erano sbiancate. Nell'ingresso risuonarono dei passi lenti e incerti. Una donna comparve improvvisamente nella stanza: una fragile donna dal viso pallido ed infinitamente triste. Sheila Bannister... Con un balzo la signora Deane si fece da una parte, cercando inutilmente di nascondere la figura sul tavolo operatorio. Greg osservò disperato la matrigna e andò verso di lei. «Sheila, non devi star qui...» Sheila Bannister appoggiò la sua mano bianchissima sul braccio di lui. I suoi calmi occhi grigi guardavano oltre la signora Deane, verso l'altra donna legata al tavolo. «Va tutto bene, Greg» lo rassicurò. «Non dovete più preoccuparvi per me. So che tenete qui la povera Grace. So che è ancora viva.» 27 La sottile figura di Sheila Bannister emanava una specie di forza, che ci immobilizzò. Girò attorno al tavolo osservando il viso esanime della donna che era l'unica vera moglie di Bruce Bannister. «Povera Grace!» sussurrò. «Povera Grace. Se soltanto l'avessi saputo.» Sarah Deane le si avvicinò timidamente. «Sheila, è stata tutta colpa mia. Sono stata io a convincere Bruce. Sono stata pazza, pazza e cattiva. Ma Bruce ti amava talmente e io sentivo che anche tu lo amavi. Mi sembrava l'unico sistema per farvi felici. Grace è pazza senza rimedio, come vedi. Ma Bruce non aveva il coraggio di divorziare da lei per paura che tu non lo volessi più sposare. Oh, come posso spiegarti che abbiamo cercato soltanto di farlo a fin di bene?» «Non occorrono spiegazioni. E per me non è neppure un colpo così tremendo.» Sheila si girò verso di me. «Il dottor Westlake lo sa. Per tutto questo tempo io ho sospettato che Bruce... avesse ucciso Grace.» «Uccisa!» ripeté la signora Deane. «Sheila, vuoi dirmi che per tutto questo tempo, dopo che ti sei sposata...?» Sheila annuì. «È stato orribile da parte mia sospettare Bruce di qualcosa
di così malvagio. Me ne rendo conto soltanto ora. Al confronto, questo è molto meglio. Qualsiasi cosa è meglio di un omicidio.» Avevo già avuto occasione di ammirare il suo indomito coraggio quella sera. E adesso non potevo che ammirarla nuovamente. Era quasi incredibile che una donna di così forti principi morali non serbasse rancore a persone che, per quanto bene intenzionate, l'avevano indotta a sposare un bigamo, con un matrimonio che agli occhi del mondo comprometteva la reputazione sua e del nascituro. Lei continuava a guardarmi. «Dunque non ci eravamo sbagliati, sul conto di Bruce, vedete?» mi disse con calma. «Ma abbiamo scelto moventi sbagliati.» Le sue labbra si misero a tremare. «Povero Bruce, che tormento deve esser stato per lui quella seduta in cui Eleanor lo minacciava di rivelare tutto. E chissà cos'ha provato quando ha ricevuto quella terribile telefonata che lo avvertiva della fuga di Grace. Grace che poteva arrivare qui da un momento all'altro!» Si coprì il volto con le mani. «Non mi stupisce che sia stato troppo per lui e che abbia preferito togliersi la vita piuttosto che affrontare la situazione.» Trovai che aveva ragione. Quantunque avessimo attribuito a Bruce dei motivi sbagliati per ricorrere al gesto fatale, nondimeno l'ipotesi del suicidio si confermava giusta. Ed era caratteristico di Sheila che si preoccupasse perfino in quel momento di non far sapere agli altri che proprio io con le mie mani avevo somministrato al marito le compresse letali. Greg aveva attraversato la stanza e la guardava con uno sbalordimento incredulo, come se non riuscisse a capacitarsi di tanto autocontrollo. «Così, hai sempre saputo che la morte di papà non era naturale? E non ce l'hai mai fatto capire?» «Non volevo che vi preoccupaste per me» disse Sheila semplicemente. «Siete stati tutti così gentili. Non volevo che...» «Incredibile! È il miglior atto di coraggio che io abbia mai visto!» Gli occhi di Sarah Deane brillavano di pietà e ammirazione. «Ma, Sheila, come hai fatto a capire che Grace era ancora viva? Non riesco proprio a capacitarmene.» «Non era molto difficile, non ti pare? Dopo la seduta, quando sono rimasta sola nella mia stanza, ho ripensato alla persona che era comparsa fra le tende. Nonostante quello che avevi detto, non credevo che fossi tu. Il viso non era il tuo e la voce nemmeno. E non riuscivo a trovare nessun altro motivo alla tua finzione che non fosse quello di proteggermi da qualcosa. E da chi potevi proteggermi se non da Grace? Naturalmente non riuscivo a
spiegarmi come potesse essere ancora viva. Sembrava una cosa fantastica, incredibile. Ma non c'erano altre spiegazioni.» La sua voce vacillò leggermente. «Non riuscivo a sopportare di restare neh" incertezza. Dalla mia finestra ho visto le luci accese qui nel laboratorio e ho immaginato che, se la mia ipotesi era giusta, Grace doveva trovarsi in laboratorio con Greg. Ho deciso di venire a verificare di persona.» «Vuoi dire che sei già venuta qui stasera?» chiese Greg allibito. Sheila fece cenno di sì. «Dev'essere stato subito dopo che il dottor Westlake se n'era andato da casa nostra, perché sono scesa in soggiorno e non c'era più nessuno. Ho preso il sentiero sul retro. Non volevo essere vista. Se avevo ragione, volevo che nessuno di voi sapesse che avevo scoperto la verità.» Fece una pausa. «Quando sono arrivata al laboratorio la porta si è spalancata e una donna si è precipitata fuori correndo con addosso un camice sopra degli abiti neri. La luce che veniva dall'interno era sufficiente perché distinguessi il viso e i capelli rossi. Ho riconosciuto subito Grace.» Il suo sguardo inquadrò la signora Deane. «Anche se preparata a vederla, il colpo è stato molto forte. Per un momento sono rimasta paralizzata. E naturalmente ho avuto paura nel trovarla così fuor di sé. Correva verso di me. Ho cercato di nascondermi. Pensavo che mi avesse vista invece ha continuato a correre verso la siepe, dalla parte della piscina.» Noi ascoltavamo immobili e in silenzio quella storia raccontata con voce calma e senza enfasi. «Ho sentito la voce della signora Deane venire dal laboratorio. Chiamava Greg. Non volevo che mi vedesse e mi sono nascosta dietro ai cespugli. Dal mio nascondiglio ho visto ancora Grace. Avevo davanti i rami dei rododendri e non vedevo molto bene. Ma il camice bianco era facile da individuare. Stava sul bordo della piscina e osservava qualcosa ai suoi piedi. È rimasta ferma per un poco, poi è scoppiata a ridere.» Un brivido le corse per il corpo. «Rideva in un modo strano, orribile. È stato allora che ho capito. Era pazza: questa doveva essere la spiegazione di tutto. Avevo paura. Mi sono nascosta dietro i rami. Dopo pochi attimi ho sentito un tonfo.» «Un tonfo!» esclamai io. «Sì, è stato un momento particolarmente tremendo. Non sapevo cosa fare. Sentivo che dovevo andare a cercare di salvarla. Ma proprio in quell'attimo ho sentito la voce di Greg che parlava con qualcuno. L'ho sentito dire "La prenderò io". Dopo qualche minuto ho sentito Grace ridere di nuovo con quell'orribile risata e così ho capito che non era successo niente: lei
doveva aver gettato in acqua un materassino o chissà che altro.» La sua voce si ridusse a un sussurro. «Sapendo che Greg era con lei, non mi rimaneva niente da fare. Avevo scoperto quello che volevo. E desideravo che nessuno si accorgesse di me. Ho aspettato ancora e quando c'è stato di nuovo silenzio sono tornata in casa passando per il retro.» Ci guardò uno dopo l'altro. «Capite, io non sapevo nulla di Eleanor Frame. Non immaginavo certo che fosse alla piscina. Sono salita in camera mia e sono rimasta lì cercando di non pensare più a niente. Pochi minuti fa ho avuto la notizia. Oliver è venuto da me. Non sapevo neanche che era tornato da New York. Ero così felice di rivederlo, anche se purtroppo mi doveva dire di Eleanor.» Si torse le mani. «Potete immaginare cosa ho provato. Ho capito cos'era il tonfo che avevo sentito. Mi sono resa conto che, stando fra i cespugli dietro Grace, avevo in realtà assistito a un omicidio. E non potevo più tacere. Non avrei voluto farvi sapere che avevo scoperto la verità, ma ora sono obbligata a dirvelo. Ho lasciato andar via Oliver senza dirgli niente e sono venuta direttamente qui da voi per parlarvi.» Durante il colloquio che si era svolto prima dell' ingresso di Sheila, il problema della morte di Eleanor Frame non era stato affrontato. Ora, pensandoci, si arrivava a conclusioni inevitabili. Grace Bannister aveva odiato a morte Eleanor che rappresentava per lei il simbolo stesso della sua incarcerazione nel manicomio. L'aveva già assalita una volta, qui nel laboratorio, con l'intenzione di ucciderla. La seconda volta che l'aveva vista, inciampando su di lei vicino al bordo della piscina, la sua mente malata e assetata di vendetta non aveva certo avuto scrupoli per una donna svenuta e indifesa. Era una mossa anche troppo semplice. Bastava una piccola spinta e il corpo sarebbe caduto in acqua. Anche senza nessuna prova, questa sembrava la soluzione più ovvia. Le prove non mancavano: non solo Sheila, ma anche Oliver avevano praticamente visto compiere l'omicidio. Era una beffa della sorte che nessuno dei due avesse capito che cosa stava accadendo. Perfino Greg, che aveva ritrovato la madre subito dopo il crimine, non era andato alla piscina dove avrebbe certamente avuto il tempo di prestare soccorso a Eleanor. Così la Vipera, tanto spietata verso le sofferenze altrui, aveva trovato ad aspettarla un destino altrettanto spietato. Sheila continuava a guardare Greg con occhi pieni di comprensione. «So come devi sentirti. È tremendo per te. Mi dispiace proprio tanto di averti
dovuto dare questa notizia.» «Oh, l'avevo sospettato già per conto mio» la voce di Greg era esausta. «Anche Oliver ha più o meno assistito alla scena. E in più, quando ho trovato mia madre, lei parlava tra sé.» Greg guardò verso di me. «Ve l'avevo già detto, ma non vi ho riferito le sue parole. Continuava a ripetere "Era lei che odiavo più di tutti. Non c'è più speranza per lei ormai. Dirò a tutti che demonio è veramente quella donna..." In quel momento pensai che si riferisse alla sua aggressione a Eleanor qui in laboratorio. Non potevo sapere che intendeva parlare dell'assassinio che aveva commesso.» Tacque e abbassò lo sguardo sul pavimento. «Oramai tutto è chiarito.» Sheila, che appariva particolarmente pallida e stanca, si accasciò in una sedia. Noi restammo in piedi intorno a lei, in un silenzio imbarazzato. La prima a parlare fu la signora Deane. «Bene, ora avete sentito tutta la storia, dottor Westlake. Adesso si tratta di decidere cosa dobbiamo fare.» «Proprio così» confermò risolutamente Greg. «L'ispettore Cobb è un vostro amico, Westlake. Ho pensato a una possibile soluzione. Se noi andassimo da lui e gli dicessimo tutta la verità e cioè che mio padre si è suicidato e che Eleanor è stata uccisa dà un'irresponsabile, non potremmo ottenere che venisse taciuta soltanto una cosa? Che bisogno c'è di far sapere a tutti che la paziente fuggita dal manicomio era la moglie di mio padre? La tratterranno per un po' e si accorgeranno presto che non è minimamente responsabile delle sue azioni. Non dovranno fare altro che rimandarla alla clinica. Che bisogno c'è che la polizia sappia chi è veramente? Per loro non sarebbe di nessun aiuto, renderebbe solo le cose più difficili per me e per Sheila.» «È giusto» approvò la signora Deane. «Mio marito sarà qui domani, dottor Westlake. Dirà tutta la verità alla polizia, che Grace era una delle sue pazienti, che è fuggita dalla clinica Armonia, che era curata da Eleanor Frame, un'infermiera che lei odiava. La sua vera identità ha poca importanza.» La loro richiesta sembrava perfettamente giustificata. Come mi avevano fatto notare, giustizia poteva essere fatta senza rivelare a Cobb quell'unico elemento che avrebbe causato altra infelicità a quella famiglia che aveva già sofferto abbastanza. Mi guardavano tutti con apprensione, come se dipendesse da me la loro salvezza o la loro rovina. «Per quel che mi riguarda, possiamo provarci» risposi. «Ma sarà meglio andare da Cobb prima che venga lui da noi. Voi potete venire subito,
Greg?» Il giovane annuì, andò verso il tavolo di metallo e si chinò sul corpo svenuto di Grace Bannister. «Mi sembra che stia bene. L'etere dovrebbe tenerla addormentata ancora per un po'.» Lanciò un'occhiata alla signora Deane. «Sarà meglio che tu rimanga qui finché noi non torniamo.» «Resteremo qui tutte e due» lo rassicurò Sheila, semplicemente. Mentre ci avviavamo alla porta la signora Bannister venne da me e mi prese una mano. «Credete davvero che riusciremo a tenerlo nascosto?» «Lo spero» le risposi. Le labbra le tremarono e un sorriso apparve improvvisamente sul suo viso come se fosse stata liberata dal peso di ogni dolore. «Grazie» mormorò «non so dirvi quanto vi ringrazio.» 28 Dopo aver lasciato le due donne in laboratorio, Greg ed io ci inoltrammo nel giardino. La luna era tramontata e benché non ci fossero segni visibili dell'alba, si poteva avvertire nell'aria una specie di fremito che l'annunciava. Potevamo cominciare a sperare che anche quell'interminabile notte fosse finita. Prima di partire pensai di chiamare Cobb dal telefono di casa per avvertirlo che stavamo per andare al distretto. Cobb aveva appena finito una lunga riunione con Forder e la sua voce mi giunse nel ricevitore stanca e irritata. «E così state per arrivare qui con la soluzione su un piatto d'argento, eh? Ma che bravi» esclamò sardonico. «E io dovrò soltanto stare ad ascoltare e subito dopo me ne andrò a dormire. Alla polizia ce ne vorrebbero molti di aiutanti come voi.» Capivo dal suo tono che era scettico nei nostri confronti. Sarebbe stata una bella soddisfazione dimostrargli che per una volta tanto avevo risolto un caso senza il suo aiuto. Greg e io andammo in garage a prendere la mia macchina. Avevo già fatto manovra e stavo per imboccare la curva del viale quando sentii una voce malcerta gridare: «Dottor Westlake! Greg!»
Greg esclamò preoccupato: «Aspettate! È la nonna.» Saltò fuori dalla macchina. Lo seguii. Nell'oscurità si vedeva appena la figura della signora Deane che ci correva dietro. «Per fortuna vi ho raggiunti.» Le mancava il respiro ed era piuttosto agitata. «Dottore, dovete occuparvi di Sheila. Mi sono accorta che per tutto il tempo in cui abbiamo parlato, non è stata bene. Lei non ha detto niente come al solito. Ma adesso l'ha ammesso, finalmente. È sdraiata sul divano. Credo che abbia avuto troppe emozioni stasera e sono preoccupata per lei.» Benché fossi ansioso di arrivare da Cobb per raccontargli la vicenda, pensai che sarebbe stata una follia correre il rischio di non visitare Sheila. Mi sentii anzi piuttosto colpevole per essermi occupato soltanto dell' inchiesta senza darmi pena del suo stato di salute così precario. «Vado a prendere il necessario in casa e vi raggiungo immediatamente» la rassicurai. Dovemmo tornare nel mio studio. La signora Deane e Greg aspettarono ansiosi mentre riempivo di strumenti la valigetta. Ripercorremmo ancora una volta tutti e tre il percorso che separava il mio studio dal laboratorio. A quel punto avevo esaurito le riserve di energie fisiche e psichiche ed ero ridotto pressappoco a una larva. La mia prontezza di riflessi e la mia capacità d'osservazione erano ridotte al minimo. Vidi appena la piscina che si stendeva placida e tranquilla accanto a noi; intravidi la siepe che correva dietro la vasca coprendo alla nostra vista il laboratorio. Scorsi un bagliore rossastro che tremava dietro la siepe come una specie di aurora. Ma non era dalla parte giusta, riflettei. Per quanto incredibile, devo confessare che non pensai a un pericolo concreto e immediato finché Greg, che mi stava di fianco, non si fermò di colpo e chiese: «Dio mio, cos'è quello?» Recuperai parte delle mie facoltà. Osservai quella luce vibrante e rossastra mentre una sensazione di allarme si andava sollevando in me. «Il laboratorio!» gridò la signora Deane. «Greg, è il laboratorio! Sta bruciando!» Presi dal panico, cominciammo a correre. Per me quei momenti non fanno parte della realtà, ma sono avvolti dall'ansia confusa degli incubi. Ricordo la signora Deane che correva davanti a me e gridava con voce disperata: «C'è anche Sheila laggiù. A qualsiasi costo dobbiamo tirarla fuori
di là.» Corremmo oltre la piscina. La siepe che ci separava dal laboratorio si innalzava davanti a noi con la solidità di una barriera. Greg stava per attraversarla quando dall'estremità dei cespugli ci venne incontro una figura vacillante. La signora Deane, angosciata, gridò: «Sheila, sei tu?» La figura si fermò e poi venne incerta verso di noi. Si trattava veramente di Sheila Bannister, e il suo viso, anche nell'oscurità, spiccava come un foglio di carta bianca. Ci guardò come se non ci avesse mai visti prima. Poi la sua voce risuonò alterata con un fiume di parole precipitose. «Grazie a Dio siete voi. Presto. Venite. Grace è dentro. Si è slegata. Sta bruciando tutto quello che trova.» Greg la prese per un braccio. «Come è accaduto?» Sheila si mise a singhiozzare. «Deve aver fatto finta. Per tutto questo tempo è rimasta lì facendo finta di dormire. Subito dopo che la signora Deane è uscita, si è liberata delle bende ed è saltata giù dal tavolo. Mi ha vista. È venuta verso di me. Mi sono rifugiata nella stanzetta cercando di fuggire. La sentivo ridere. E sentivo le bottiglie che cadevano dappertutto. Ha trovato una bottiglia in particolare, forse l'etere. L'ha sparso in tutto il locale e l'ha incendiato. Le fiamme si sono alzate tutte insieme.» Sheila si aggrappò al braccio di Greg. «Credeva che fossi imprigionata nella stanzetta e che sarei morta tra le fiamme. Ma c'era una finestra per fortuna. Sono riuscita ad aprirla e mi sono salvata. Se non fosse stato per quella finestra...» Il bagliore era diventato più forte. E mentre eravamo fermi ad ascoltare la terribile storia di Sheila, io cominciavo a sentire il crepitio dell'incendio oltre la siepe. Sheila si avvicinò alla signora Deane e si appoggiò a lei. «Non preoccupatevi per me» sussurrò «andate a salvare Grace.» «Sì, andrò io» la voce di Greg era rauca e stravolta. Fu come se fosse stato liberato da una momentanea paralisi. Si gettò a corpo morto nei cespugli. Lo seguii. Il laboratorio apparve subito davanti ai nostri occhi. Non riuscivo a capire come il fuoco potesse averlo avvolto così completamente. Solo un incendio doloso poteva essere così veloce. L'interno del leggero edificio di legno appariva già come una sorta di inferno ardente. Le finestre della facciata cominciavano a cedere e lingue di fuoco uscivano dai punti in cui i vetri erano caduti. Il fumo reso più acre dalla presenza dei prodotti chimici
era irrespirabile; anche il calore era difficile da sopportare. Capii immediatamente che se Grace Bannister era ancora all'interno di quel rogo, provocato dal suo delirio di distruzione, non ci sarebbero stati mezzi né divini né umani per salvarla. Per alcuni istanti rimasi fermo a guardare. Alla fosca luce delle fiamme vedevo la macchina di Comstock ancora parcheggiata sul vialetto, pericolosamente vicina all'incendio. In quel mentre vidi una persona arrivare da casa Bannister. Aprì la portiera della macchina e si sedette all'interno. Avviò il motore con furia e si allontanò in velocità dalla zona pericolosa. Credevo che fosse Greg. Ma quando l'autista scese dalla vettura vidi altre due persone unirsi a lui dopo esser scese anch'esse dalla grande casa. Riconobbi Oliver, mentre gli altri due erano Linette e Comstock. Vennero tutti e tre verso il laboratorio. Quando mi videro cercarono di avvicinarsi a me, tossendo e riparandosi gli occhi dal fumo. «Abbiamo visto le fiamme soltanto ora» mi spiegò Oliver prendendomi il braccio. «Come è cominciato? È stata Grace ad appiccare l'incendio? È ancora là dentro?» Feci segno di sì. «Vuol dire che non c'è più speranza per lei, vero?» Mi accorsi in quel momento di Comstock, alto e vestito di nero, e mi accorsi che stava dicendo: «I pompieri, dobbiamo chiamare subito i pompieri!» Si mise a correre verso casa. Linette fino ad allora era rimasta in silenzio al fianco di suo fratello. Lanciò un grido: «Oliver, guarda! Laggiù, vicino al laboratorio. È Greg. Sta cercando di entrare. Dev'essere impazzito. Fermalo. Devi fermarlo.» Soltanto allora anch'io vidi Greg. Il fumo si era leggermente diradato alla brezza del mattino e riuscii soltanto a scorgerlo per un secondo, mentre scivolava vicino all'edificio in fiamme. La paura di Linette mi contagiò. C'era una speranza su un milione di salvare Grace ormai. Ma Greg era tanto disperato da tentare. «Vieni, Oliver» gli gridai. «Sta cercando di entrare dalle finestre posteriori. Io farò il giro da destra, tu da sinistra. Dobbiamo fermarlo prima che entri, o morirà.» Oliver si mosse immediatamente. Lo persi subito di vista in una nube compatta di fumo acre. Avanzai a mia volta, tossendo e inciampando. In quel momento era impossibile avvicinarsi oltre un certo limite, ma riuscii a
raggiungere i cespugli sul fianco sinistro della costruzione. Il caldo era tale che tutte le foglie degli arbusti erano accartocciate. Avanzai lungo il muro laterale. Quando raggiunsi il retro, l'aria si era fatta più respirabile perché il fumo veniva attirato in un'altra direzione. I miei occhi lacrimavano, ma riuscivo ancora a vedere. Gettai un'occhiata lungo il muro posteriore del laboratorio. Greg era là e lo vidi immediatamente. Su quel lato le fiamme non erano ancora fuoruscite all'esterno, ma il calore era divenuto intollerabile. Greg armeggiava come un disperato con la finestra, coprendola di colpi per far saltare la serratura. Cercai di avvertirlo: «Greg, è inutile! Tornate indietro.» Non mi ascoltò. Mentre correvo verso di lui, rinunciò ai suoi tentativi, si girò, raccolse un grosso sasso e lo scagliò contro la finestra. I vetri si frantumarono e l'istante successivo dalla finestra uscì una vampata di fuoco. Il ragazzo non se ne preoccupò minimamente. Si mise a spingere contro l'intelaiatura, afferrò la maniglia interna con le mani nude e cominciò a sollevarsi per saltare senza esitazioni nel bel mezzo della vampa rovente. Riuscii a raggiungerlo appena in tempo. Sporgendomi in avanti, afferrai la sua giacca proprio prima che saltasse. Avevo impiegato tutta la mia forza e bastò appena per trattenerlo. Perse l'equilibrio e cadde all'indietro sull'erba. Con uno scatto si rimise in piedi. I capelli gli cadevano sugli occhi. Sulla faccia aveva segni di fumo e sudore. Quasi non si rese conto della mia presenza. «Devo salvarla» ripeteva ansimando. «L'ho vista. È là dentro. Devo salvarla.» Si sporse di nuovo per entrare. Si aggrappò al davanzale infuocato. Non mi restava che un'unica soluzione. Lo presi per un braccio, lo tirai indietro e mentre mi guardava stupito lo colpii più forte che potevo alla mascella. Il pugno fece il suo effetto. Greg cadde di schianto sul terreno. A quel punto ero quasi sopraffatto io stesso dal fumo e dal calore. A fatica sollevai Greg per le spalle e cominciai a trascinarlo via. Proprio allora sentii un boato all'interno dell'edificio. Vidi sollevarsi scintille come in un grande fuoco d'artificio, poi una parte del tetto ondeggiò prima che tutto crollasse definitivamente. In mezzo alla confusione generale sentii la voce di Oliver: «L'avete preso, grazie a Dio.» Intravidi a malapena il volto pallido del ragazzo vicino a me. Poi ci met-
temmo a trascinare tutti e due Greg lontano dal rogo. Ci fermammo non appena il calore fu diminuito e riposammo qualche secondo. Poi sollevammo di nuovo Greg e lo trasportammo dall'altra parte della siepe, sul prato davanti alla piscina, dove l'aria era più pura. Mentre lo stendevamo sull'erba, qualcuno si mise a correre verso di noi. Era Linette che cadde in ginocchio di fianco a Greg e nella luce dell'incendio vidi il suo bel viso carico di preoccupazione. Prese le mani di Greg fra le sue. «Greg, caro, come stai? Non puoi stare male.» «Non c'è da preoccuparsi» ansimai. «Sono stato io a colpirlo. Ha perso i sensi, niente altro. Prendete un po' d'acqua dalla piscina e bagnategli la faccia.» Mi allontanai. Riuscii a trovare in qualche tasca un fazzoletto e con quello cominciai a strofinarmi gli occhi. Avevo la sensazione che tutto il mio corpo fosse pieno di fumo. «Dottore, siete ferito?» Era Sheila che mi si era avvicinata. Mi guardava fissamente con il viso stanco e stravolto. Senza aspettare la mia risposta mosse un passo verso Greg: «Greg, io...» Ma la sua voce si spense bruscamente. Mi girai appena in tempo per vederla vacillare. Mandò un piccolo gemito. Fui subito al suo fianco, la presi fra le braccia. Sheila si ripiegò su se stessa e si afflosciò svenuta. Questo mi svegliò completamente. Mentre tenevo fra le braccia il corpo rigido, mi tornò in mente la telefonata che il dottor Humbolt mi aveva fatto la sera prima. Con una sensazione di allarme, capii che esisteva un pericolo più grave dell'incendio, e lo stava correndo Sheila Bannister. Era tragico che dovesse succedere proprio adesso, nel peggiore dei momenti. Ma considerai che il rischio si era fatto inevitabile dopo la tensione fisica e psicologica che Sheila aveva sopportato per tutta la notte. La stesi cautamente sul prato. Intorno a me si raggrupparono la signora Deane, Oliver e Linette. «Non ha voluto tornare a casa» disse con voce piena di lacrime la signora Deane. «Sapevo che stava male e che avrebbe dovuto andare a letto. Ma non ha voluto finché ci fosse stata speranza di salvare Grace.» Sheila mandò un gemito. Era evidente che soffriva molto. Ebbi un momento di panico. Fu uno dei momenti peggiori di tutta la mia carriera professionale. Si trattava di prendere una decisione immediata.
Dovevo trasportare la signora Bannister in casa o dovevo fare qualcos'altro? La vista della macchina di Comstock parcheggiata vicino a noi mi decise. Dissi a Oliver: «Svelto. Aiutatemi a trasportarla in macchina. Fai più piano che puoi.» La sollevammo insieme e la stendemmo in macchina, sul sedile posteriore. Dissi ancora a Oliver: «Corri a casa, chiama il dottor Humbolt e digli di andare subito all'ospedale di Grovestown. Chiama anche l'ospedale e di' che preparino un letto: è questione di vita o di morte.» La signora Deane chiese: «Volete che venga con voi, dottore?» «Sì. E anche voi, Linette. Guiderete. Ma fate molta attenzione: niente scosse, ma più veloce che potete.» Le due donne presero posto nell'auto in tutta fretta. Linette sedette al posto di guida. La signora Deane di fianco a lei. Io stavo sul sedile posteriore con Sheila. Linette mise in moto la vettura. La riportò abilmente sul viale di ghiaia. Dietro a noi l'incendio continuava a divorare il laboratorio. Mi girai a guardare la scena dal vetro posteriore. Le fiamme illuminavano il giardino con la loro luce a sprazzi. Mentre eravamo già in viaggio, la signora Deane si girò e mi chiede sottovoce: «Ditemi, si tratta del bambino, vero?» Feci segno di sì. E pensai che quest'ultimo funesto capitolo della vita dei Bannister aveva in un certo senso portato una tragica soluzione ai loro problemi. Perché era quasi del tutto certo che, come Grace Bannister era morta nell'incendio, anche il bambino di Sheila Bannister, in circostanze così poco propizie, sarebbe nato morto... 29 Ho un ricordo confuso della corsa verso l'ospedale. Agivo con l'attenzione automatica che subentra nell'organismo in presenza di una stanchezza totale. Feci in modo che Sheila venisse sistemata in una stanza singola e rimasi ad assisterla finché non arrivò il dottor Humbolt. Fu un vero sollievo consegnarla nelle mani del suo ginecologo. Forse avrei dovuto pensare a Cobb e all'appuntamento che gli avevo an-
nunciato per dargli la soluzione della vicenda. Ma ero arrivato a uno stadio in cui né Cobb, né la soluzione, né i Bannister potevano distogliermi dal desiderio assoluto di dormire. Accantonando ogni responsabilità tornai stancamente a casa mia e andai a letto. Era quasi mezzogiorno quando mi alzai. Mi lavai, mi feci la barba e mi vestii come un automa. Come un automa, notai che era una magnifica giornata, chiara e limpida e con un alito di vento fresco che avrebbe mitigato il calore del sole d'agosto. Non volevo ancora ripensare alla notte che avevo appena trascorsa. Gli avvenimenti convulsi che si erano succeduti per tutto il giorno precedente affioravano a momenti nella mia coscienza e poi svanivano, lasciandomi in uno stato di grande inerzia mentale. Stavo per scendere le scale, quando il telefono squillò. Sollevai il ricevitore accanto al mio letto e con un certo divertimento constatai che fino ad allora Dawn aveva interpretato la parte dell'angelo guardiano con la spada fiammeggiante, perché la sentii dire al telefono del pianterreno: «Non potete parlare con lui. Nessuno può parlargli. Ha lavorato per tutta la notte e...» «Gli parlerò» dissi inserendomi nella conversazione. Poi, sentendo la voce del dottor Humbolt, dissi in fretta: «Riappendi pure, Dawn.» Mia figlia scaraventò giù il ricevitore, riuscendo quasi ad assordarmi. «Si tratta della signora Bannister.» La voce di Humbolt era solenne e professionale. «Ho pensato che vi interessasse essere al corrente.» «Ma certo, naturalmente» risposi mentendo, perché in realtà non avrei voluto saperne niente. «È come avevamo temuto. Emorragia, febbre alta...» Entrò nei dettagli del caso di placenta previa. «Ho chiamato Buskin e Trobe per un consulto. L'età è una causa aggravante, ma la paziente ha una costituzione meravigliosa. Un miracolo potrebbe ancora salvarla.» Mentre il dottor Humbolt riappendeva mi venne in mente Sheila, pallida, silenziosa, sofferente. Se la fede può aiutare un miracolo, certo Sheila possedeva quel tipo di fede. Ma neppure adesso riuscii a ripensare lucidamente all'intrico di fatti che ci avevano portati fino al tragico collasso di Sheila. Scesi al pianterreno a prendere il caffè. La testa mi doleva furiosamente e notai con sollievo che Dawn non era in circolazione. Stavo contemplando pensieroso la terza tazza di caffè quando arrivò
Cobb. Aveva la barba lunga e i lineamenti tirati. Capii subito che lui non era andato a letto per niente. Gli porsi una tazza e spinsi verso di lui il bricco del caffè. Mentre se ne versava un po', tirò fuori la pipa di tasca. Lo sguardo dei suoi curiosi occhi verdi mi fece capire che stavamo per immergerci nelle fredde acque della discussione e dell'indagine. Forse se ne rese conto anche lui perché cominciò a parlare cauto e circospetto. «Stamane è arrivato il dottor Deane. È venuto in aereo da Vancouver. È un tipo simpatico.» «Si dice che sia un ottimo psichiatra» risposi senza sbilanciarmi. «Penso proprio che un po' di psichiatria moderna sia quello che fa al caso nostro.» Cobb giocherellò con la pipa e continuò in tono disinvolto: «Sembra attaccatissimo a sua moglie, fra l'altro. Lei mi è sembrata una donna davvero straordinaria, nonostante l'età. È stata sempre con noi mentre gli parlavo. Mi domando come mai non vivano insieme.» «Forse è venuto qui proprio per convincerla a tornare con lui» dissi. Istintivamente cercavo di non scoprirmi troppo, perché non sapevo quanto Cobb sapeva della storia e non volevo mancare alla promessa che avevo fatto ai Bannister. Cobb mi guardava attentamente. «Il dottor Deane è venuto a prendere in consegna una sua paziente fuggita dalla clinica per malattie mentali Armonia, che si aggirava da queste parti. Una paziente molto pericolosa, da quello che mi hanno riferito. Con spiacevoli manie omicide, suicide e incendiarie. Sembra abbia avuto modo di metterle in atto tutte e tre proprio questa notte.» Parlava lentamente, come aspettando che intervenissi per contraddirlo. Io non dissi nulla. «Questa mattina il dottor Deane mi ha esposto un esauriente referto medico su questa paziente» continuò Cobb. «Avrei voluto che ci fossi anche tu. Dice che Eleanor Frame era infermiera di questa paziente e sembra che i malati di mente non abbiano una particolare simpatia per le infermiere. La scorsa notte la signora in questione ha aggredito a morsi Eleanor Frame e ha spinto la povera ragazza nella piscina. Successivamente si è suicidata cospargendo di etere o di qualche sostanza infiammabile il laboratorio e appiccando il fuoco.» Sollevò perplesso un sopracciglio. «Sembra una procedura piuttosto bislacca, ma il dottor Deane assicura che aveva già fatto tentativi analoghi. A te sembra normale, Westlake?»
«Nelle persone anormali l'anormalità è norma» risposi salomonicamente. «Ed è questa la soluzione del caso Frame che intendevi comunicarmi questa notte?» Annuii. «E tutta la famiglia è concorde al cento per cento nel confermare questa versione. Ho controllato le deposizioni e tutto corrisponde. Neanche le prove mancano: addirittura due persone hanno visto spingere Eleanor Frame nella piscina. Uno dei due è il giovane Thorpe. Pare che in quel momento stesse andando verso casa tua, insieme con te.» «Questo lo so» interruppi con impazienza. «Quello che non sai è che stamattina mi sono fatto portare sul posto, cioè nel punto del giardino da cui Oliver Thorpe ha visto una donna chinarsi sulla piscina esattamente all'ora in cui risulta che Eleanor è stata annegata. Dice che è sicuro di averla vista, perché alla luce della luna il vestito scuro risaltava distintamente contro il cemento chiaro che circonda la piscina. Non ha minimamente sospettato un omicidio, perché in quel momento non sapeva che la sfortunata signorina Frame era sdraiata per terra priva di sensi, in attesa che qualcuno si decidesse a toglierla di mezzo.» Fece una pausa per guardarmi attentamente. «Anche questo lo sapevi? Annuii di nuovo.» «E poi c'è anche la signora Bannister che ha visto tutto, dall'altro lato della piscina. Non ho potuto parlare direttamente con lei, ma il giovane Bannister mi ha riferito la sua versione. Anche lei ha sentito un tonfo. Ma neppure lei sapeva della presenza di Eleanor Frame. Curioso, no?» Non capivo dove voleva arrivare. «Proprio così» confermai. «Tutto questo lo sapevo.» «E non si fermano qui le prove» continuò tranquillo Cobb. «Sembra che Greg si sia imbattuto in questa paziente del dottor Deane subito dopo che l'omicidio era stato commesso. La donna continuava a ripetere frasi come "Era lei che odiavo più di tutti. Adesso per lei è finita". Io avrei immaginato che da questo il nostro astuto farmacologo avesse capito che cosa aveva appena fatto la pazza. Invece ha pensato che si riferisse soltanto a quanto accaduto in precedenza quando cioè la malata aveva assalito la Frame a morsi. Anche questo è abbastanza curioso, non trovi?» Si chinò sul tavolo e cominciò a giocherellare distrattamente con la tazza del caffè. «Donna interessantissima, questa paziente del dottor Deane. Sembra che non solo odiasse Eleanor Frame, ma che avesse anche qualche, diciamo, relazione con la famiglia Bannister. Ed è proprio per questo che
Eleanor aveva trovato un motivo per ricattarli. Sembra anzi che sia stata la notizia della sua fuga, insieme ad altri motivi per ora misteriosi, che ha deciso Bruce Bannister ad uccidersi.» Cominciavo a sentirmi a disagio. «Ecco come stanno le cose» proseguì Cobb. Strinse fra i denti la pipa spenta. «Che granchio abbiamo preso a immaginare che Bannister fosse stato ucciso, vero? Dopo che la signora Bannister ti ha detto che era stata lei a infilare il flacone giusto di compresse nella tasca del marito, dopo la seduta, la principale prova d'omicidio è venuta a cadere. Una bella fortuna anche per te, che si sia dimostrato così chiaramente che Bannister ha fatto in modo di togliersi la vita. Anche se materialmente il veleno è passato per le tue mani, la responsabilità dell'azione è tutta sua. E questo ti scagiona completamente.» Ingollai altro caffè e aspettai. «Sì, sì» proseguì. «Una bella storia. E piacerà moltissimo a Forder: proprio quel tipo di cosa chiara e netta che piace a lui. Testimoni oculari, testimonianze incrociate e concordanti, un malato di mente come colpevole, che si suicida lasciando dietro di sé un corpus delicti che non può più parlare. Finché si è sospettato qualche intrigo ai danni della giustizia, ci si è battuti come leoni per scoprire la verità. Adesso» continuò con enfasi Cobb stringendosi nelle spalle «ci limiteremo a un'inchiesta pro-forma e piena di riguardi. Bannister si è ucciso per motivi personali e di lavoro. Oh, poi non ci sarà nessun bisogno di coinvolgerti. Questa edificante storia della malata di mente che passa di qui per caso, getta la Frame in piscina e sparisce in una nuvola di fumo sistemerà tutto.» Sorrise di nuovo e cominciai a preoccuparmi. «E alla fine di tutto questo vivremo tutti felici e contenti.» Lo guardai negli occhi e gli domandai: «Vuoi dirmi che non credi a una parola di questa versione?» «Ma figurati, non mi permetterei mai. Dopotutto, io non c'entro per nulla. L'investigatore eri tu, caro Westlake. Tu e i tuoi amici Bannister mi avete portato la soluzione in un bel pacco dono, con un fiocco rosa pieno di prove inconfutabili. E chi sono io per smentire testimonianze come queste?» Si alzò bruscamente in piedi. Il suo sguardo si puntò sulla mia faccia ed era molto, molto serio. «E poi, perché dovrei sollevare dei dubbi su un punto qualsiasi di questa storia, visto che siamo sicuri che giustizia è stata fatta? Perché tu ne sei assolutamente sicuro, non è vero?»
«Perché non parli chiaramente?» esclamai. «Perché non dici chiaro e tondo che cosa c'è che non ti soddisfa?» «E va bene» acconsentì con un largo sorriso che scomparve subito. «Quello che mi lascia veramente perplesso è la paziente del dottor Deane, la malata di mente. Ma non basta: che dire di Greg Bannister, un ragazzo pratico e di buon senso, con la testa sulle spalle? Non si può certo dire che abbia un temperamento sovreccitabile, incline ad azioni inutili e sconsiderate. Eppure, proprio questa mattina si è impegnato in un tentativo di salvataggio pazzesco e del tutto inutile. Mentre i pompieri erano ancora sul posto e il laboratorio era in fiamme da cima a fondo, Greg Bannister si è gettato come un disperato nell'incendio senza che si riuscisse a fermarlo, soltanto per cercare di salvare quel che restava della salma.» Si interruppe per un momento e riprese a fissarmi. «Non ti sembra piuttosto strano che abbia fatto tutto questo per salvare i resti di un'anonima paziente del terzo marito di sua nonna?» Capii in quel momento che non aveva mai creduto alla versione dei fatti che gli era stata presentata. I Bannister non erano riusciti ad ingannarlo neppure per un minuto. Aveva capito che la paziente del dottor Deane altri non era che Grace Bannister. Era un bel gesto da parte sua tacere e fingere di accettare il nostro compromesso, anche a costo di passare per stupido con i Bannister. «Ecco, Westlake» concluse tranquillamente. «Ora che ci penso, sarà meglio che tu vada a dare un'occhiata a quel ragazzo. Si è ustionato le mani piuttosto gravemente. Vai subito, se non ti spiace.» «Ma certo» risposi. Si diresse alla porta e si girò un'altra volta. Sul viso aveva una strana espressione. «E già che ci sei, perché non fai un po' di mente locale sui vestiti delle signore? Può rivelarsi un interessante argomento di conversazione. E ricorda quello che ti ho detto. Non mi interessa ficcare il naso in questioni che non mi riguardano. L'unica cosa che mi interessa è l'omicidio. Mi dichiarerò perfettamente soddisfatto di qualunque soluzione tu voglia propormi a patto sia tua completa convinzione che è stata fatta giustizia.» Con questa frase ambigua mi lasciò. Dopo che se ne fu andato io rimasi ancora un po' a tavola, bevendo altro caffè e cercando di riflettere. Sulle prime il riferimento ai vestiti delle signore mi apparve privo di significato e di qualsiasi legame con il caso in corso.
Poi il significato mi piombò addosso in tutta la sua gravità. Quella scoperta mi scosse più profondamente di tutto quello che era accaduto fino ad allora. Come guardando in un caleidoscopio, i fatti cominciarono a comporsi insieme nella mia mente e mi resi conto che nel corso della vicenda ero stato bellamente giocato non soltanto una, ma ben due volte. La notte scorsa avevo creduto che il mistero fosse definitivamente spiegato. E adesso vedevo che ero lontano dalla verità più di quando avevo appena iniziato le indagini. Del tutto fuori strada. Il malessere che sentivo in me cresceva sempre più. Posai la tazza di caffè. Uscii di casa e mi ritrovai nel brillante sole d'agosto. Attraversai il prato verso la casa dei miei vicini. 30 Entrai nel soggiorno dei Bannister passando per la porta finestra. Greg e Linette erano seduti sul divano, da soli. Linette era molto pallida e vedevo dai suoi occhi che aveva pianto. Il braccio di Greg, con la mano fasciata, circondava amorevolmente le spalle di Linette. Mi guardarono tutti e due con una certa apprensione, ma Greg non spostò il braccio. «Mi dispiace molto per vostra madre, Linette. Sono certo che Humbolt farà tutto il possibile per salvarla.» La ragazza mi rivolse un fuggevole sorriso. «Grazie. E vorrei dirvi anche che vi ringraziamo tutti per quello che avete fatto per noi.» Abbassai lo sguardo sulle goffe fasciature che Greg aveva alle mani. «Vorrei dare un'occhiata a quelle ustioni» dissi. «Sono a posto, adesso: il capo dei pompieri mi ha già medicato.» «Lasciate lo stesso che vi visiti.» Mi guardò, stringendo leggermente le palpebre. Poi, senza una parola, si alzò e mi seguì in giardino. Arrivammo a casa mia in silenzio. Una volta nell'ambulatorio, slegai le bende e medicai le bruciature con l'acido tannico. Greg mi chiese improvvisamente: «Avete visto Cobb?» «Sì. È appena stato qui.» «È convinto che tutto è chiaro? È soddisfatto della soluzione?» «Dice di sì.»
«Che cosa significa "dice di sì"?» Il malessere mi riprese. «E voi siete convinto che tutto sia chiarito?» «E perché non dovrei?» L'espressione del suo viso lo tradì. «Meglio essere franchi, fra noi» dissi con calma. «Voi conoscete la verità. Se così non fosse, non avreste queste ustioni.» Mi guardò fisso come se stesse cercando di prendere una decisione. Poi chiese: «E anche Cobb lo sa?» «Credo di sì. Ma non dirà, né farà nulla, a meno che non sia indispensabile.» Gli fasciai di nuovo le mani. Lui rimase ad osservarmi, riflettendo in silenzio. «Come avete fatto a capirlo?» mi chiese bruscamente. «Non riesco proprio a immaginarlo.» «L'ho indovinato quando vi ho visto precipitarvi nel laboratorio in fiamme stamattina. Poi ho anche riflettuto su quello che Oliver ha detto.» «Cioè?» «L'ha ripetuto due volte. La prima a voi, la seconda a Cobb. Ed è stato proprio Cobb a darmi l'idea. Oliver gli ha raccontato di avere visto una figura vestita di scuro chinarsi sulla piscina proprio prima che Eleanor vi venisse gettata. Disse, anzi, che l'aveva vista bene perché il suo abito nero contrastava con il cemento chiaro della piscina. Era certo che si trattasse di vostra madre, che quella sera infatti vestiva di nero. Ma quando è riuscita a fuggire dal laboratorio, sopra il vestito portava uno dei vostri camici bianchi, non è vero? E lo portava ancora quando l'avete ritrovata fra i cespugli, poco dopo. Se fosse stata lei, Oliver avrebbe visto una sagoma bianca.» «Allora lo sapete anche voi che non era mia madre?» «Sì. So che non è stata vostra madre ad uccidere Eleanor Frame. E che la soluzione concertata ieri sera è completamente falsa.» Per un momento rimanemmo a guardarci, senza che nessuno dei due si decidesse a fare il primo passo. Fu Greg a parlare. Con voce rauca mi disse: «L'ho capito anch'io la scorsa notte. Come ho capito che non era stata mia madre a incendiare il laboratorio e a uccidersi.» Cercò di controllarsi. «Forse avrete compreso perché ho cercato disperatamente di salvarla, anche se l'incendio era così esteso. Non era da lei fare una cosa del genere, e a quel modo.» Girò dall'altra parte il viso, i muscoli contratti fino allo spasimo. «Vi ricorderete certamente che sono riuscito a guardare dalla finestra prima che voi mi colpiste. L'ho vista. Era sdraiata sul tavolo, come l'avevo lasciata,
ancora priva di sensi, ancora legata con le bende, mentre le fiamme divampavano tutt'intorno. Non si era mossa.» La notizia era completamente nuova per me, e per quanto fosse spaventosa per Greg capii che faceva crollare definitivamente tutte le teorie che avevo costruito. Gli parlai con delicatezza. «Dunque è per questo che stamattina avete cercato di entrare nel laboratorio, vero? Sapevate che l'incendio non avrebbe distrutto il tavolo di metallo. Sopra dovevano ancora esserci i resti del cadavere. Sapevate che se la polizia li avesse visti, non avrebbe più creduto alla storia del risveglio e del suicidio.» Annuì. «È stata una cosa pazzesca, Westlake, ma l'ho fatto per Linette. Non volevo che si scoprisse la verità, per il suo bene. Quella povera donna di mia madre era malata di mente ed è morta. Tanto valeva che la colpa ricadesse su di lei. È meglio che Linette continui a credere di essere figlia di una... santa.» «È un bel gesto da parte vostra» dissi. «E forse avete ragione. È inutile distruggere gli ideali degli altri. A meno che non sia indispensabile. Sheila è un ideale per Linette, anzi, per tutta la famiglia.» Sorrisi amaramente. «È ironico pensare come tutti hanno cercato di risparmiare i suoi sentimenti e di proteggerla dai particolari sgradevoli dell'omicidio. "Proteggere Sheila" sembrava essere diventata la parola d'ordine.» Greg si morse le labbra. «Mentre io e voi sappiamo che è stata Sheila a commettere tutti e tre gli omicidi.» Si era deciso a dirlo. Finalmente, ora che il nome era stato detto, sentivo che il mio malessere cominciava ad abbandonarmi. Ripresi: «Allora credete che sia responsabile anche della morte di vostro padre, che sia stata lei a mettergli in tasca le compresse avvelenate?» «Ne ho la certezza. Non ho mai creduto all'ipotesi del suicidio. Mio padre aveva commesso degli errori, dei reati, ma non era un codardo. Avrebbe affrontato la situazione, per quanto difficile fosse. Non si sarebbe mai tolto la vita. E se anche avesse deciso di suicidarsi, l'avrebbe fatto in privato, non davanti ad estranei. E non avrebbe messo il veleno nel flacone della nitroglicerina, correndo il rischio d'implicare qualcun altro, come è successo per voi.» Sollevò lo sguardo. «Avremmo dovuto capire ieri sera che tutto quello che Sheila diceva era una menzogna. Ma eravamo talmente sottosopra... lei poi sa mentire così bene. Parlando della morte di mio padre ha commesso
un errore tale che avrebbe dovuto farci capire che tutta la storia era falsa. Non ve ne siete accorto? Era così dolce e comprensiva mentre descriveva il suicidio del "povero Bruce". Si è girata verso di voi e ha detto: "Come possiamo biasimarlo per essersi tolto la vita dopo che aveva ricevuto la tremenda telefonata che gli comunicava la fuga di Grace?" Come poteva sapere di quella telefonata? Ha dichiarato di non aver mai avuto fino a ieri sera il minimo sospetto che mia madre fosse viva. Gli unici a sapere che il dottor Deane aveva chiamato da Vancouver erano la signora Deane, lo zio Trimble, voi ed io. E saremmo morti piuttosto che farlo sapere a Sheila. C'era un solo modo in cui poteva averlo saputo, ed è quello che spiega anche il suo movente. Aveva sempre saputo di quella telefonata, semplicemente perché era all'apparecchio ad ascoltare mentre mio padre parlava.» «Ma certo, ora ricordo» l'interruppi. «Quella sera lei era salita in camera sua per riposare un po' dopo cena, non è vero? E in camera sua il telefono ha una derivazione.» Greg fece uno stanco cenno d'assenso. «Oh, ci ho pensato tutta la notte e anche stamattina mentre cercavo di convincere Cobb a credere a questa storia. So tutto perfettamente, ormai, come se me l'avesse confessato lei stessa. È abbastanza orribile, non vi pare? Eppure in qualche modo si accorda perfettamente con il suo carattere. Perché lei è così, una donna così rigida da impedire a un uomo che l'ha devotamente amata per anni di chiedere il divorzio. E inflessibile al punto che suo figlio Oliver preferisce tentare di uccidersi piuttosto di presentarsi davanti a lei a confessare una manchevolezza. Della rispettabilità aveva fatto un feticcio: si era sposata con un cittadino onorato e stava per diventare madre onorata di un figlio legittimo.» Fece un gesto con la mano. «Poi quella sera sollevò il telefono, per caso probabilmente, ascoltò la conversazione e vide crollare tutti i suoi ideali. Immaginò i titoli dei giornali che l'avrebbero chiamata bigama, adultera e madre di un figlio illegittimo. Parole che in casa sua non voleva nemmeno sentir nominare.» Rise amaramente. «Vi ha raccontato quella storia pietosa, di mio padre che avrebbe ucciso mia madre. Forse, quando diceva di essere disposta a perdonarlo di questo crimine, era sincera. Per lei sarebbe sempre stato meno grave di quello che papà aveva veramente fatto. L'aveva ingannata e l'aveva esposta agli insulti e alle velate minacce di una donna come Eleanor Frame.» Continuò: «La nonna mi ha detto ieri che la messinscena della morte di
mia madre era stata un'idea sua. Se l'avessi saputo allora le avrei fatto capire che una donna come Sheila non avrebbe mai e poi mai potuto perdonare un gesto del genere. Ed è riuscita a scoprirlo. Riesco quasi a vederla, seduta in camera sua, con il telefono in mano, piena di odio per mio padre. Deve averlo odiato con tutte le sue forze. Credo che mettendogli in tasca quelle compresse avvelenate perché lui si uccidesse, fosse convinta di essere strumento della volontà divina. Pensava fosse giusto che lui espiasse.» «Non dimentichiamo che c'era di mezzo anche il danaro» commentai io. «Se vostro padre avesse firmato quella clausola, le avrebbe tolto una grossa parte dell'eredità.» «Esatto, Sheila è sempre stata accanita nel difendere gli interessi di Linette e Oliver. È stata povera negli scorsi anni e il danaro per lei era diventato molto importante. Quindi aveva tutti i motivi per agire, e agire rapidamente.» «Sheila» interloquii «ha fatto in modo di farmi sapere che suo marito aveva conservato parte delle compresse di Kirsh. Per lei non ci deve essere stata difficoltà a impossessarsene. Certo, secondo i suoi piani, la morte di vostro padre avrebbe dovuto essere attribuita a cause naturali. E se non ci fosse stato un medico presente mentre Bruce si sentiva male, tutto sarebbe andato come Sheila prevedeva. Non conoscevo troppo bene le condizioni fisiche di vostro padre e magari avrei firmato io stesso il suo certificato di morte. Sheila non doveva fare altro che sostituire le compresse avvelenate con quelle normali, a decesso avvenuto.» Greg mi ascoltava, annuendo. «Il suo piano subì invece una modifica: dopo aver infilato il flacone normale nella tasca della giacca, si accorse che quello del veleno non si ritrovava più. Eleanor Frame l'aveva già raccolto da sotto il divano. Quando più tardi le avete detto che ci sarebbe stata un'autopsia, ha capito che non c'erano più speranze che la polizia credesse a una morte naturale. Anzi, il fatto stesso che il flacone innocuo fosse nella tasca provava chiaramente l'omicidio. Non le rimaneva che tentare di farci credere a un suicidio.» Continuai: «Ecco perché ieri mi ha fatto venire da lei. Ha recitato la parte della donna coraggiosa che in uno slancio di generosità è disposta a perdonare al marito un omicidio. Questo le ha conquistato la mia simpatia e mi ha fornito un motivo apparentemente ottimo del perché vostro padre desiderasse uccidersi. È riuscito molto abilmente a farmi dire cosa esattamente sapesse la polizia; e addirittura ha riparato al guaio che aveva fatto sostituendo il flacone, raccontandomi di avere infilato le compresse vere
nel taschino di suo marito al solo scopo di nascondere alle autorità il suicidio. Quella semi-confessione è stata la mossa più astuta. Quando me ne sono andato ero perfettamente convinto che vostro padre si fosse ucciso.» «E naturalmente vi ha chiesto di venire anche per un'altra ragione e cioè per organizzare una seconda seduta spiritica. Tutto è chiaro. Vi ha dato dei lacrimevoli motivi per farvi credere di desiderare un contatto con lo spirito di papà. Ma il suo scopo era in realtà di rivedere Eleanor: le avevate detto che la polizia sospettava l'omicidio e doveva assolutamente accertarsi di quanto esattamente la Frame avesse scoperto.» Il giovane si passò una mano tra i capelli. «Sheila deve avere sospettato che Eleanor aveva raccolto il flacone di veleno e che probabilmente l'aveva sperimentato sul povero Prince. Temeva che Eleanor avesse fiutato la verità, tanto più ora che l'avevamo anche gettata fuori di casa e non c'era più modo di mettersi in contatto con lei. L'unica possibilità era la seduta spiritica attraverso cui si poteva, almeno indirettamente, interrogare Eleanor su ciò che sapeva e capire se intendeva servirsene. Il tentativo è fallito perché prima che la seduta cominciasse veramente, mia madre si è mostrata attraverso la porta-finestra e ha cambiato tutta la situazione.» Mi accorgevo come ogni azione di Sheila rispondesse a un piano meticolosamente predisposto. Ed era umiliante vedere che mi ero lasciato giocare fino in fondo. Greg continuava a parlare. «A quel punto Sheila decise di uccidere Eleanor Frame: benché la ragazza non l'avesse direttamente minacciata, certamente era al corrente di troppe cose. Finché fosse rimasta in vita avrebbe potuto continuare a ricattare la famiglia a suo piacimento. E Sheila non avrebbe mai avuto tregua. Non le restava che aspettare la prima occasione per eliminarla.» «E fatalmente siete stato voi a offrirgliela» dissi io. «Avete lasciato Eleanor svenuta vicino alla piscina in un punto da cui chiunque avrebbe potuto spingerla dentro.» Greg annuì. «Proprio così, e Sheila ha ammesso di essere stata in giardino. Deve avermi visto mentre trasportavo Eleanor e poi quando l'abbandonavo per soccorrere mia madre che era fuggita dal laboratorio. È stato semplice per lei annegare Eleanor e poi venire subito da noi a raccontare che aveva visto mia madre farlo.» «Forse non ce ne saremmo neppure accorti» conclusi riflettendo «se Oliver non avesse descritto così precisamente il vestito nero.» Greg annuì di nuovo. «Come io non avrei mai saputo che non era stata
mia madre a incendiare il laboratorio se non avessi guardato dalla finestra e non l'avessi vista ancora legata al tavolo.» Il suo viso era prostrato dalla desolazione. «È incredibile come Sheila ha saputo mentire. Quando è corsa fuori tutta agitata raccontando che mia madre si era liberata, era così convincente che le ho creduto pur sapendo che gli effetti della narcosi non potevano svanire tanto in fretta.» Si passò la mano sulla fronte. «Sì, Sheila è stata lucida fino alla fine. Ha addirittura finto di star male per mandar via la signora Deane e avere il tempo di versare l'etere e appiccare l'incendio.» «Quando una donna-modello decide di votarsi al male si può essere certi che non esiterà di fronte a nulla» conclusi. Greg stava tremando. «Ma questo proprio non riesco a capire perché l'ha fatto, Westlake. Perché ha dovuto uccidere mia madre? Non poteva più nuocerle. Era pazza senza speranza e tutti l'avrebbero creduta colpevole dell'omicidio. Nessuno avrebbe creduto a una sua parola.» «Ma era sempre la moglie legittima di vostro padre» dissi io. «Finché era viva ci sarebbe sempre stato il pericolo di altre persone come Eleanor Frame. E non basta. Vostra madre poteva essere una testimone poco attendibile in un tribunale, ma aveva pur sempre occhi e orecchie. E sono quasi certo che lei aveva visto materialmente Sheila spingere Eleanor in acqua.» «Credete?» mi chiese incerto Greg. «E come fate...» «Era sul posto in quel momento. E proprio voi mi avete messo sulla strada. Siete stato voi a dirmi che quando l'avete ritrovata, vostra madre continuava a ripetere: "È lei che odiavo più di tutti. Non ha più scampo. Dirò a tutti che razza di donna è veramente". Allora abbiamo pensato che queste frasi si riferissero a Eleanor. Ma non è chiaro, adesso, che si riferivano a Sheila? Dopotutto, perché vostra madre avrebbe dovuto odiare una qualsiasi infermiera d'ospedale più di tutti gli altri? Era piuttosto Sheila che aveva tutti i requisiti per essere odiata, essendo la donna che l'aveva soppiantata nel cuore del marito. E anche la minaccia di dire a tutti che razza di donna era è evidente che si riferiva a Sheila. Quello che voleva dire a tutti è che aveva visto Sheila mentre spingeva in acqua quella povera ragazza. Se l'avesse fatto, inevitabilmente qualcuno avrebbe cominciato a sospettare di Sheila.» Greg mi seguiva con estrema attenzione. «Credo che abbiate ragione, Westlake. Questo spiega perché Sheila l'abbia uccisa.» La sua voce era piana e priva di espressione. «E spiega anche tutto il resto.» Per un po' rimanemmo seduti nell'austero studio del dottor Hammond,
osservando in silenzio una macchia di luce che il sole brillante disegnava sul tappeto. All'improvviso mi sembrò strano che la stravagante tragedia della casa accanto si concludesse così quietamente in quella stanza silenziosa e piena di sole. Greg riprese pacatamente a parlare: «Tocca a noi decidere cosa fare, adesso. Avrei fatto di tutto per non far conoscere la verità agli altri, ma credo non si possa più farne a meno.» Tacque improvvisamente. Sollevai lo sguardo e vidi Oliver Thorpe sulla,porta. Teneva le spalle curve ed era pallido all'estremo. «Vengo dall'ospedale» disse. I suoi occhi cercarono quelli di Greg. «Cattive notizie. È...» «Vuoi dire che Sheila è... morta?» «Sì, è morta. Io ero con lei.» «Mi dispiace...» cominciò Greg. «Ti dispiace! No, non deve dispiacerti.» Oliver si inumidì le labbra. «È meglio così, molto meglio. Bisogna che te lo dica, Greg. Devo dirtelo perché altrimenti penseresti di tua madre cose che non sono vere. Prima di morire mia madre era abbastanza lucida e io ero con lei. Mi ha confessato cose terribili...» «Va bene, Oliver.» Greg andò da lui e gli mise una mano sulla spalla. «Non serve che tu lo dica. Lo sappiamo.» «Linette però...» «Linette infatti non deve saperlo. E non c'è motivo che lo sappia nessun altro all'infuori di noi.» I due ragazzi si girarono verso di me, con un'espressione implorante. «Dottor Westlake» tentò Greg «credete che sia possibile lasciare le cose come sono?» Ripensai alle parole con cui Cobb mi aveva lasciato: "Mi dichiarerò soddisfatto a patto che sia tua completa convinzione che giustizia è stata fatta". I personaggi del dramma dei Bannister mi passarono davanti agli occhi come gli attori di una tragedia greca. Bruce Bannister aveva infranto la legge ed era stato colpito da una disgrazia dopo l'altra. Eleanor Frame, che si era macchiata della colpa del ricatto, era caduta vittima di un destino vendicatore. La signora Deane era stata anch'essa ampiamente punita per la parte che aveva avuto nelle azioni del figlio. Io pure avevo pagato per la mia leggerezza con spavento e inquietudine. Ed ora Sheila Bannister era morta. Potevo dire a Cobb che ero sicuro che fosse stata fatta giustizia.
Greg e Oliver mi stavano ancora guardando, in attesa di una risposta. «Io credo» dissi lentamente «che sarà meglio lasciare le cose come sono.» Dopo che Oliver e Greg se ne furono andati, andai a sedermi fuori nella veranda del dottor Hammond. Nell'allegro sole d'estate la piscina dei Bannister appariva fresca e invitante come il primo giorno del nostro arrivo a Grovestown. Ma ora non riuscivo più a trovarvi niente di attraente. Mia figlia non la pensava allo stesso modo. Se ne stava seduta sulla ringhiera del portico facendo dondolare le gambe. Sul pavimento c'erano i quotidiani del pomeriggio, e Hamish ci zampettava sopra. Dawn mi lanciò un'occhiata con la coda dell'occhio. «Ehi, papà, non ti sembra fantastica la piscina? Ci farei volentieri una nuotata. Ma dato che la signorina Frame ci è morta dentro credo che sarà meglio non usarla per qualche giorno...» Di fronte a sentimenti così delicati non potei fare a meno di trasalire. Mentre osservavo l'espressione solenne del suo viso infantile, mi sentii rimordere la coscienza di padre. Dopotutto, nelle ultime ventiquattro ore la bambina era stata travolta in quel vortice di crimini e delitti che, per quanto poco l'avessero turbata, non erano certo stati gran che educativi. Per di più adesso sarebbe cominciata la sarabanda della pubblicità e dei pettegolezzi. Anche un padre semi-responsabile si rendeva conto che tutto questo doveva esserle evitato. Dawn aveva ripreso in mano i giornali e li osservava con affascinato rapimento. Sollevò verso di me uno sguardo radioso. «Oh, papà, non è meraviglioso? Il tuo nome è citato quattro volte e ti chiamano il medico tuffatore e non so cos'altro. Anche la fotografia dell'incendio è bellissima. L'incendio è stato proprio superlativo, non trovi? Io e il mio corvo abbiamo visto tutto dalla finestra della mia stanza. Credi che dovrei scrivere un articolo come testimone oculare?» «Io credo» dissi con estrema decisione «che tu dovresti andare a fare le valigie.» «Fare le valigie?» ripeté spalancando gli occhioni con angelica innocenza. «Ma papà, non ce ne andremo proprio adesso che tutto è così eccitante, qui?» «Infatti noi non ce ne andiamo» replicai senza cedimenti. «Tu torni al campeggio.» «Oh, ma papà, non posso!» protestò. «Cobb ha assolutamente bisogno di
me, che sono una testimone importante e ho fatto rivelazioni fondamentali anche se i giornali non ne parlano.» Mi gettò le braccia al collo per implorarmi meglio. «E poi potrò ricevere i tuoi pazienti e rispondere al telefono.» «Grovestown non è posto adatto a una ragazzina, quest'estate.» «Neppure quel campeggio lo è» protestò disperata. «Prenderò l'impetigine. Ne sono sicura. Tutte le ragazze ce l'hanno laggiù.» «Se non ti piace quel campeggio, ce ne sono mille altri dove puoi andare.» «Ma papà, pensa a quello che mi hai detto l'altra sera quando eri ubriaco.» Assunse la sua aria più irresistibile. «Dicevi che ero la ragazza più simpatica, carina e affascinante di tutto il paese.» Sospirò accennando a un singhiozzo. «Se me ne vado ti mancherò terribilmente.» Ma se ne andò. E mi mancò davvero. FINE