Ugo Mattei
BEMCOMUM Unmanifesto
@wwle'e
O 2Of 1, Gius. Iaterza & Figli
Introd,uzione
Prima edizione 2011
www.late...
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Ugo Mattei
BEMCOMUM Unmanifesto
@wwle'e
O 2Of 1, Gius. Iaterza & Figli
Introd,uzione
Prima edizione 2011
www.laterza.it Questo libro è stampato su c.rrta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari
Finito di stampare nel luglio 2011
SEDIT - Bari (Italy) pet conto della Gius. Iaterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-97 t7 -4
Quando lo Stato prwatizzauna ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di prwatizzare il servizio idrico integrato (cioè l'acqua potabile) o l'universirà, esso espropria la comunità (ogni suo singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune), in modo esattamente analogo e speculare rispetto a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un'altra opera pubblica. Nel primo caso, infatti, si tratta di rasferimento immediato o graduale di un bene o di un servizio dal settore pubblico a quello privato (privatizzaaone/hberalizzazione), mentre nel secondo caso il medesimo trasferimento (di una proprietà o di un'attività d'impresa) è dal privato al pubblico. In un processo dt pivattzzazione il governo non uende quanto é suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità, così come quando espropria un campo per costruire un'autostrad a esso acq uis ta (coattivamente) una proprietà che non è sua. Ciò significa che ogni processo dr pivatizzazione deciso ddl'autorità politica attraverso il governo p ro terupore espropria ciascun cittadino (e non solo i cittadini, come vedremo) della sua quota parte del bene comune espropriato, proprio .ome avtiene nel caso dell'espropriazionedi un bene privato. Tuttavia, mentre la tradizione costituzionale liberale tutela il proprietario privato nei confronti dell'autorità pubblica (Stato) attraverso
I'istituto dell'indennizzo pet espropriazione (e pure della c.d. riseraa di legge), nessuna tutela giuridica (men che meno costituzionale) esiste nei confronti dello Stato che ffasferisce al privato beni della collettività (beni comuni) che non siano detenuti in proprietà pivata. Di ciò manca completamente la consapevolezza non solo a livello politico, visto che la pivatizzazione è considerata un'opzione assolutamente libera e percorribile dal governo in carica per i1 sol fatto di esserlo, ma anche a livello degli operatori e teorici del diritto (non solo italiani), pioprio per la mancanza dielaborazione teorica della nozione di bene comune. Questa asimmetria, come vedremo, è spiegabile sul piano storico (rionfo del costituzionalismo liberale in Occidente), ma ciò non toglie che oggi essa costituisca un anacronismo giuridico e politico che deve essere assolutamente superato, soprattutto in virtù del mutato rapporto dtforzafuagli Stati e i grandi soggetti economici privati transnazionalt. Infatti, le conseguenze di questa asimmetria costituzionale si sono dimostrate devastanti. Consentire al governo in carica di vendere liberamente beni di tutti (beni comuni) per far fronte alle proprie necessità contingenti di politica economica è, sul piano costituzionale, tanto irresponsabile quanto lo sarebbe sul piano familiare consentire al maggiordomo di vendere l'argenteria migliore per sopperire alla sua necessità di andarc in vacanza. Purtroppo, l'assuefazione alla logica del potere della maggiomnza, tipica della modernità, ci ha fatto perdere consapevolezza del fatto che il governo dovrebbe essere il servitore del popolo sovrano, e non viceversa. Certo, il maggiordomo (governo) deve
poter disporre dei beni del suo padrone (beni comuni della collettività) per poterlo servire bene, ma deve esserne amministratore fiduciario (sulla base di un mandato o al massimo di una proprietà fiduciaria) e certo non proprietario, libero di abusarne alienandoli e ptivatizzandoli indiscriminatamente. I beni comuni, infatti, una volta alienati o distrutti non esistono più, e non sono riproducibili
o facilmente recuperabili né per la generazione presente che dovesse rendersi conto di aver scelto (amaggtroranza) un maggiordomo scellerato, né per quella futura, cui non si può neppure rimproverare la scelta del maggiordomo. Ecco perché la qriestione dei beni comuni non può non avere valenza costituzionale: è nelle Costituzioni, infatti, che i sistemi politici collocano le scelte di lungo periodo sottratte al rischio di arbitrio del governo in carica. Volendo :utiltzzarc un linguaggio che mi renda comprensibile alla cultura costituzionale dominante, interpreterò in questo scritto i beni comuni come una tipologia di diritti fondamentali «di ultima generazione>>, finalmente scollegati dal paradigma dominicale (individualistico) ed autoritario (Stato assisten ziale). Infatti, è proprio la tenaflia fta la dimensione individualistica e quella autoÌitaria ad aver completamente inibito - all'indomani della caduta del muro di Berlino - qualsiasi potenziale di emancipazione legato alla nozione di diritti sociali. I diritti sociali come concepiti oggi richiedono una prestazione economica discrezionale da parte del uelfare state, che è sovrano sul suo budget, e sono sempre in balia delle sue crisi fiscali. I beni comuni, invece, non riconoscono alcun altro sovrano rispetto a chi direttamente vi accede e sottiaggono chi ne è titolare al ricatto politico della discrezionalità fiscale.
All'attuale condizione
di
diffusa inconsapevolezza
politica e di conseguente accettazione generalizzata della visione dominante del mondo (la rivoluzione rcaganiana è stata possibile e si è poi diffusa in tutto il mondo esartamente perché si è accettatalalogica del maggiordomo dissipatore e del popolo sovrano espropriato), è urgente opporre l'elaborazione teorica e la contestuale tutela militante dei «beni comunil> (o, meno pregnantemente, proprietà comune) come un genere dotato di autonomia giuridica e strutturale nettamente altemativa rispetto tanto alla
proprietà privata quanto a quella pubblica (intesa come demanio e,/o parimonio dello Stato e delle altre forme di orgarizzazione politica formale). Ciò è tanto più urgente
nella misura in cui il maggiordomo è oggi vittima del vizio capitale del gioco ed è conseguentemente piombato nelle mani degli usurai, che paiono assai più forti di lui e che ne controllano ogni comportamento. Nella stragrande maggporanzadelle realtà statuali, infatti, il govemo - controllato capillarmente da interessi finanziari globali - dissipa al di fuori da ogni controllo i beni comuni, utilizzando come spiegazione naturale (e dunque politicamente in gran parte accettata) la necessità autoriproducentesi di ripagare i
suoi debiti di gioco. Questa logica perversa, che naturaluza uno stato di cose che è frutto di continue e consa-
pevoli scelte politiche camuffate da necessità, deve essere smascherata perché i popoli sovrani possano riprendere il controllo (ancorché forse tardivo) dei mezzi che consentono loro di vivere un'esistenza libera e dignitosa. La consapevolezza dei beni comuni come strumenti politici e costituzionali di soddisfazione diretta dei bisogni e dei diritti fondamentali della collettività non emerge a tavolino. Essa costituisce piuttosto un collante politico, ancora tecnicamente amorfo, che si radica nel senso profondo dell'ingiustizia che dà vita al diritto. La consapevolezza deibeni comuni e della loro continua espropriazione emerge nell'ambito delle battaglie dutissime, sovente sanguinose, spesso perse ma sempre emancipatorie, che si svolgono in tutto il mondo per la loro difesa. Non di rado, nell'ambito della grande confusione di piani e di ruoli che
catattettzza l'attuale fase dell'anffopocene,
i veri nemici
dei beni comuni sono proprio quegli Stati che dovrebbero esseme fedeli guar&ani e maggiordomi. I-espropriazione
dei beni comuni a {avorc dell'interesse privato multinazionale è così, sovente, l'opera formale di governi sempre meno indipendenti (e quindi nella sostanza più deboli) rispetto a soggetti economici transnazionali, che ne determinano le politiche di pivatizzazione di beni e servizi, di consumo del territorio e di sfruttamento dei più deboli. Il principale obiettivo critico di questo saggio è dunque la falsa contrapposizione fra Stato e mercato che do-
mina 1o scenario politico dell'Occidente, polaizzando lo scontro politico su un falso problema. Infatti, la tradizione occidentale moderna si è sviluppata nell'ambito della
dialettica Stato/proprietà privata in un momento storico in cui soltanto quest'uldma parcva necessitare di protezioni e garunzie nei confronti di governi autoritaie onnipotenti. Di qui la genesi delle garanzie costiruzionali della pubblica utilità, della riserva di legge e dell'indennizzo. Coerentemente con questa impostazione, la tradizione costituzionale liberale garantisce e protegge soltanto il passaggio dal privato al pubblico e non quello dal pubblico al privato (prwatizzazione). Trasferirè beni p,rbblci in mano privata fa parte, da sempre, delle ordinàrie potestà di ogni governo in carica. Oggi tuttavia, nel mutato rapporto diforza fra Stati e settore privato (corporations multinazionali), anche e soprattutro la proprietà pubblica è bisognosa di tutele e garunzie di lungo periodo. Queste sono difficili da immaginare alf interno della tradizionale moderna riduzione del pubblico allo Stato. Ecco perché nei nuovi rapporti diforza fra governi (tutti) e capitale la tutela liberale classica del privato nei confronti dello Stato, ancorché forse ancora necessaria, non appare certamente più sufficiente. Llemersione della consapevolezza politica dell'espropiazione (o saccheggio) dei beni comuni nell'ambito delle battaglie in corso (per l'acqua, per l'università pubblica, per il cibo, conrro le grandi opere che distruggono i territori) si svolge sovente senza un sufficiente con un'elaborazione tecnicogiuridica di nuovi strumenri che siano capacidi produrre nuova consapevolezzae dtindicare una direzione. Questo Manfesto, scritto nella consap evolezzache il diritto possa restare vivo soltanto se accompagnato dalla lotta concreta contro l'ingiustizia, vuole offrire un piccolo contributo a questa necessaria opera , e costituisce un atto di lota nei confronti di una delle scienze so-
riali è il peccato mortale dell'accademia (soprattutto di quella americana, oggi egemone), in particolarè nell'ambito dei beni comuni essa sterilizza il potenziale trasformativo profondo di questa nozione. Il tema dei beni comuni, infatti, riguarda la questione fondamentale del dominio e del rapporto fra persone e natura. Pertanto, esso non può essere affrontato e men che meno compreso senza tenere ben al centro del palcoscenico la dimensione istituzionale del potere e della sua legittimità. Di consegtrenza,il principde bersaglio critico di questo Ma ntfesto per i beniiomuai è costituito dall'assetto istituzionale fondamentale del potere globale oggi dominante: la tenaglia fra la proprietà pivata, che legittima i comporramenti più brutalidella moderna corporation, e la sovranità statuale, che instancabiLnente collabora con la prima per creare sempre nuove occasioni di mercificazione e prwatizzazione dei beni comuni. Presenterò qui il tema dei beni comuni in una prospettiva nettamente fenomenologica e «indisciplinata>, rifiutando innanzitutto la separazione «discipliÀare>> fra giuridico, economico e politico. Considero inoltre non separabili, nella mia prospettiva contestuale, ranro la dimeniione <soggettiv»> da quella >,7 dicembre 20L0, p.35). Mi pare quanto mai necessaria una radicale riconversione del modo comune di pensare, capace di trasformare la retorica denigratoria dei in un mune>> (invertendo l' accezione
, che con me quotidianamente lottano per mantenedo come bene comune di tutta la sinisffa; e quelli con colleghi e amici, in particolare Saki Bailey e Peppe Mastruzzo, con i quali si cerca di portare avantiuna piccola buona prutica di università bene comune, l'International University College di Torino. AireJi,24 giugno 2011
Capitolo primo
TRASFORMAZIONI GLOBALI IN CORSO. IL NUOVO MEDIOEVO
IJatteggiamento dei cultori di ogni disciplina sociale (di-
dtto, economia, sociologia, antropologia, scienza delTa politica ecc.) di fronte alle complesse, contraddittorie, profonde e rapide trasformazioni globali è assai mutevole nel tempo e nello spazio. Non è opportuno perciò generalizzarc. Mi interessa nondimeno tratteggiare brevemente il contesto che ha prodotto l'ideologia che ancor domina la «tarda globaluzazione>>, quest'ultimo decennio circa (e primo decennio del nuovo millennio), in cui la tematica dei beni comuni sta prepotentemente riemergendo in tutta la sua rivoluzionariapottata. In questo capitolo cercherò di dar breve conto tanto del prodursi della narrativa dominante a livello globale quanto di quella recessiva, soffermandomi sul rapporto attuale Éa le due, così come illuminato dalla questione dei beni muni. I piani del discorso non sono omogenei. Infatti h prima, narrativa egemonica, costituisce un'evoluzione iblogica in gran parte coincidente con il dominio culturrle e politico degli Stati Uniti, attraverso l'utilizzazione, .'rne apparato ideologico, della scienza economica ivi irsegrrata e studiata. La contronaffativa si fonda su espetfuze di lotta per i diritti delle comunità oppresse dallo rniluppo capitalistico globale in vari contesti del pianeta hoprattutto, ma non solo, nel c.d. Sud globale), sicché il erc impatto accademico, relativamente recente, è ancora
largamente marginale. Il rapporto fra questi due modi di vedere il mondo è profondam..rt. .orrflittuale sul piano politico.e la questione dei beni comuni sembra svolgere il non facile ruolo di cuscinemo (o oggetto del conteridere) fra i due campi.
kttura, proposta da economisti che proprio in quegli anni, da Chicago, sferravano un attacco decisivo d, paradigma keynesiano (da tempo tacciato di statalismo da Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises e Milton Friedman), consacrava la proprietà privata a strumento principe per evi-
.Nei primi anni Novanta del secolo scorso si possono collocare i primi studi accademici volti a riscattaie i beni comuni dalla in cui li aveva rele_ gati il famosissimo saggio di Gamett Hardin, La tragedia dei comuni, pubblicato sulla rivista > nel igeS. In quel saggio il noto biologo e demografo americano, ve_ ro guru di un diffuso movimento neo-malthusiano volto a diffondere I'uso della contraccezione nei paesi poveri, aveva presentato una sorta di versione aggiornata, poco tecnica e di agevole lettura, delle ragich.!"f.rr.. téggi ai Ricardo, secondo le quali l'umanitisarebbe stata neces_ sariamente condannata alla miseria. Infatti, in mancanza
tare la tragedia che necessariamente sarebbe conseguita al mantenimento delle risorse in comune. Si ribadì così che i beni comuni (altri esempi tragici fondati sulla stessa logica erano i pascoli sovrasfruttati dall'eccessivo numero di pecore) erano luoghi di ruon diritto (e vedremo come questa ktura fosse tutt'altro che nuova da Hobbes in avanti), che potevano essere efficientemente govemati soltanto tramite la pdvatizzazione, che (dando loro un prezzo) ne limiava l'accesso e il consumo eccessivo. Questo argo-
di una disciplina esterna capace di porre iirrriti ,l .orrr_ poftamento naturale degli esseri viventi, questi crescono
numericamente fino a che il cibo ne .orr.rtu la riprodu_ zione. Così facendo gli umani si condannano necéssaria_ mente alla miseria conseguente al processo di riduzione da consumo eccessivo delle risorse a disposizione. Sebbene il saggio di Hardin rifiutasse la possibilità stessa di ..rirol_ vero> problemi di tale portata, lompendo espressamenre con I'atteggiamento tecnocratico eà ingegneristico della tradizione anglo-americana, esso ricevetÉ ina lettura assi_ milativa (e politica) nell'emergente ortodossia accademica d'oftre oceano, ottenendo lr, ,.rccesro straordinario per un'idea che in realtà non conteneva. Infatti, la trugidiu dei comuni, esemplificata atrraverso il caso a aiu"rr?.o_ munità di pescatori ciascuna delle quali intensifica ecces_ sivamente la pesca perché sopporta soltanto una fuazione del costo complessivo deil'impàverimento del putrimonio
ittico, mentre fa proprio l'intero beneficio di br.,o. p"_ riodo del pesce che riesce a cattutate, venne tosto leita come una teoria normativa della proprietà privata. euesta
m€nto, pur screditato accademicamente da hnga pezza (e il merito della sua confutazione ortodossa va a Ostrom, cte in verità reinventa quanto Engels aveva scritto oltre cento anni prima), echeggia ancor oggi nelle affermazioni «ld propugnatori sedicenti ecologisti della pivatizzazione dei servizi idrici, secondo i quali imporre un caro prczzo dl'acqua costituirebbe la soluzione contro gli sprechi. Il zuccesso delTaTragedia dei comuni non può spiegarsi completamente se si dimentica il clima culturale delh Guera Fredda e i relativi intensi investimenti in quei dipartimenti di Economia che si stavano dimostrando dù zelanti nello screditare ogni lettura marxista o anche qltanto keynesiana dei processi economici. Non bisogna
mrdare che comnzons e corTtftzufiisrn condtvidono il pre§sso! In ogni caso quelli furono gli investimenti accademici c-he negli Stati Uniti portarono, proprio intomo agli rni Settanta, al proliferare di cattedre affidate ad ecorxrnisti vicini alla Scuola di Chicago perfino nelle facoltà fi Giurispru denza e nei dipartimenti di Scienze politiche, progressiva sower"rrr un'impressionante e conseguente fue del rapporto teorico (e in seguito anche pratico) fra irdnrzioni pubbliche e mercato. In effetti, per la prima mha nella storia dell'Occidente, si abbandonava esplici-
tamente la.stella polare della come criterio di organizzazione sociale teoizzaido, sulla scia dell,econo-
dl chicago
(e premio
Ti:li drrrtto dovesse > della sodtdr-ions del consumatore (in realtà un semplice model-
h
domand
a-
offerta) . I-limp atto psicologico del successo
firuna tale teoria della massimizzazione anche al di fuori ffi'accademia fu immenso. Infatti, mentre fino a pochi mi orsono dire di un politico 6asmetteva un segnale di denigrazione, oggi que-
{e
quate un politico ruzionale e realista non può che sot-
rtare. E in effetti, se da un lato Obama viene largamente uoho per aver razionalmente rispettato una percentuale molto deludente delle sue promesse di cambiamento - «Che ci potevamo aspettare? che si mettesse dawero omm le banche, le assicurazioni ed il Pentagono? Deve csse.e rieletto!>> -, dall'altro lato politici che si dimostrino Edeli a un'ideologia vengono spesso descritti come fanatici e irrazionali e malvolentieri ammessi nei >.
Corollario di questa trasformazione culturale, squisito prodotto delle teorie accademiche dominanti nelle grandi università e nei think+anks statunitensi (finanziati generosrmente da corporations e fondazioni conservatrici), si rinvieoe neila promozione di diversi comportamenti privati, uadizionalmente visti come patologici e oggi invece non solo divenuti fisiologici, ma perfino incoraggiati. In effetti, se un sistema giuridico e istituzionale (che mima il mercato) è desiderabile, desiderabili (e da ralutarsi solo in chiave diefficienza) sono altresì i comportamenti che ne determinano il raggiungimento. Vengono mì avanzate un gran numero di teorie evoluzioniste del diritto, secondo le quali le regole giuridiche efficienti sono quelle per il raggiungimento delle quali più si . Linvestimento nella lite giudiziaria passa tramite il reclu-
tamento dei migliori awocati, al fine di sottoporre le re_ gole che limitano l'attività di mercato (come per esempio le regole del diritto del lavoro poco flessibili) u .""tdJà sfide giudiziarie, fino u che esà non verranno abbandonate
da un cambio di giurispruà;nà
evolutivo. Naruralmente, gli interessi più fa"colto;iG;il; corporations) investono di più in awoìati pir: bravi e chi ha meno soldi (lavorarori, consumatori, àggetti debolii resiste per meno tempo e in modo *.rro Nrtr_ ralmente in questa logica non è l,efficienza"frLu... tpr"Àoro a, glest-a visio-n9 competitiva ed evolutiva) a dàversi far ca_ rico dei problemi di uguaglian za o digiustizia distributiva che derivano dalle asimmàtrie di poteie (il potere, si ricor_ derà, è per I'ortodossia un tema politico, ,io., scientifico) fra quanti possono investire di più . q"rrrii di
-.rro,rài
processo . .
Similmente, per quanto riguarda
gli
(ossia lo scarso o nullo controllo degli attori forti del mercato). Occorre inoltre aggiungere un aspetto molto importante per comprendere il rapporto diforza fra Stati e corporationr. I sistemi giuridici hanno prodotto una sostanziùe equiparazione fra person a fisica (individuo mortale) e persona giuridica (corporation), dotando progressivamente quest'ultima degli stessi diritti della prima. Ciò è vero soprattutto per i diritti economici, su cui tutti gli altri
lnrti
da attore economico e politico razionale, massimiz-
ando la propria utfità attraverso investimenti volti alla creazione di un ambiente politico e culturale (oltre che,
me già visto, giuridico) favorevole alla ptwatizzazione dei beni comuni. Ed ecco quindi spiegati gli investimenlti in comunicazione (controllo dei media e dell'industria qrlturale dominante), che non è solo marketing di determinati prodotti, ma anche propaganda volta a produrre c sostenere certi modi di pensare. Per esempio, forti e di lnrticolare successo sono stati, nell'ultimo ventennio, gli fovestimenti nel persuadere che Ia globaluzazione sia un rbtema di «leggi naturali>> - quali la insieme en largamente dominante *p."" a quella materiale dell', anche perché la oràd,rriot. di beni privati, tanto durevoli quanto di con-*-o, .t, molto limitata sul piano tecnologico' Friedrich Engels ci offre una bellissima illustrazione di quanto la stesla distinzione fra e , apprezzable in astratto in base al suo rendimento produtti.rò «oggettivamene quantificabilo>' In effetti, insieme dla creaitone del denaro e del salario (per unità astratta di lavoro), la trasformazione della terra iÀ *.r.. fu una delle grandi invenzioni che, fondando la visione del mondo della modernità, ancora ci dominano' La tena, fisicamente unica in ogni suo appezzamento in
quanto porzione della superficie terresffe che occupa uno spazio non riproducibile,è in naturabene comune ambientale per ....-ll*rr, perché necessaria a sostenere la stessa vita ln collettività lu trr" riproduzione. La sua mercifica" riducendola a oggetto astratto zione è possibile soltanto dalle soggettività che vi abitano' ontologicamente separato perciò un prodotto cultuè tema Jella La meicificazione rale nettamente ascrivibile alla visione del mondo fideisticamente tecnicistica e positivistica della prima modernità' Nella logica quantitativa che fonda questa visione,-il rapporto frll'uomo (portatore di diritti individuali) e la terra che quello di dominio privatq, teoizzato no, pot"uu "ssere dalla filosofia politica liberale proprio in contrapposizione col comune. §ignificativament., un ricco dibattito sullo >
del Rousseau de\7'Origine della disuguaglianza, che con il socialismo utopistico di Proudhon condivideva la visione della proprietà privata come furto di beni comuni' Irogni caso, che lo si voglia vedere come un aspetto negativJ (Locke) o come un aspetto positivo (Rousseau), il s"elvaggio non conosce la proprietà p rvata e la sua condizionJlottica è fondata sulla condivisione di beni co-
muni alllinterno della sua tribù. Importante è osservare, a questo proposito, come sia proprio questa caratteristica dei «selvàggior> ad averlo reso oggetto di ptivatizzazione e di mr.*iÀ".nto, La conquista, che ancora nel XVI secolo doveva produrre un impònente (ancorché inutile) dibattito accad-emico fra i giuristi spagnoli circa la sua legittimità, non sarà accompagnata da alcuno scrupolo nel secolo successivo in Nord America. IJideologia dell'individualismo proprietario, profondamente radicata nello spirito razionaliita protestante, che con Ugo Grozio conquistò completaménte la teoria del diritto naturale e fondò il moderno diritto intemazionale, non lasciava più spazio ad alcun dubbio, seppur accademico. Ogni uomo ha diritto esclusivo alla pioprietà privata di quanto produce e un diritto naturale à roit.u...ìalla comunione originaria il frutto del suo lavoro e dei suoi commerci. Per Locke e molti ùtrr, gh' indiani, non conoscendo la proprietà privata, dimostrano di essere selvaggi ed.è perciò nel loro stesso interesse che si compie la coiquista. Il territorio indiano, bene comune
4t
Ir-L
degli indigeni - che vi vivevano in mirabile equilibrio ecologico, sostenuti da un'intelligenza generule di lungo periodo -, viene così qualificato giuridicamente terrd nullius e in quanto tale liberamente occupabile secondo il diritto di natura. Lo sterminio e il saccheggio che seguirono alla mercificazione di beni comuni altrui trovarono nei padri fondatori del liberalismo (che ancor oggi domina, senza alcun segnale di pentimento, il pensiero occidentale) non solo gli apologeti ma anche gli istigatori, in nome della
produttività economica. Purmoppo, anche laddove la polemica nei confronti della proprietà privata e delle conseguenze genocide del pensiero liberale produsse rivoluzione politica, fu lo Stato a beneficiarne e non i beni comuni. In Occidente essi rimasero relegati a un'esistenz a cadetta, certo non priva di impoftanza - come dimostrano per esempio in Italia gli studi di Paolo Grossi -, ma incapace di articolarsi in un progetto politico vitale ed alternativo in grado di sotrarsi allatenaglialetale di proprietà pflvarta e Stato. In effetti, la teoria politica della modernità conferma 1o strettissimo rapporto strutturale fra proprietà ptivata e sovranità statuale ai danni dei beni comuni. Ancora una volta è l'invenzione della territori4lità come principio fondamentale dell'assolutismo giuridico moderno a produrre questo fenomeno. Già abbiam visto come in una società fondata sullo status il principio che più naturalrnente connette l'individuo al diritto sia quello drpersonalità. Uindi-
viduo parte integrante e inestricabile di un gruppo porta con sé, ovunque si trovi, il legame identitario giuridicopolitico con quel gruppo. E il gruppo a produrre le regole per l'individuo, che costui riconosce come legittime. Cerio, quando viene meno la stanzialità,, condizione tipica di una società fondata su)lo status, viene in gran pafte meno anche il controllo del gruppo sulf individuo, sicché il suo rispetto delle regole non sarà oggetto di quel controllo diffuso (a volte sentito come opprimente) che carutteirzzala società di villaggio. Parimenti, con l'allontanamento fisico 42
in contatto con altri gruppi stanziati ro ultrl territori e inevitabilmente rispetterà, per uil -4i
f individuo entrerà
corrtig"ita territoriale, determinate regole, .diverse dalle
orooii" personali. Cosi il viaggiatore musulmano rispeti"rà ul.,rt. regole degli infedeli nel cui territorio venga
a trovarsi, o il-mercanle fiorentino si adatterà ai costumi (per esempio alla valuta) del mercato estero-in cui si trovi
,i
op"rurè. il principio di territorialità del diritto diventa p.r.iO ptogt"rrirr-è.rt. più forte in proporzione all'affiei.U.ri à.fi-pott*za délo status,perché è evidente che nessuno ,uprà ,.o.g"re Ia condizionè - libera o servile, di contadino o di allevatore - di -.r.u"r. o di .hià.o,daldi proprio luogo di provenienza' un viandante lontano (anzi crea il nuovo status), i lo staius I d.ruro sostituisce e si indiviconrattualizzano si irpp"ttl progressivamente questa osserva(Sumner celebre reso ha Maine diubzzaio in imporsi ad tenderà di territorialità principio il e zione) opp"*o càn h àobilità degli individui. I" tq99? moderna ù giurisdizione (iuris-diciio,ossia il potere di dichiarare q"A."ti, it diritto che si applica adlrdato conflitto), del t rt,o .o-putibile con il principio di-personalità, acquista caratterinettamente territoriali e lo Stato moderno rivendi.h.ta presto il potere di ius dare (ossia di creare diritto Jsuo tàrritorioie non più soltanto quello dichiarativo di iis d.icere,tipico dell'ordine medievale' Con l'assolutismo eiuridico, proprio dell'imporsi della statualità sovrana, io Stato ii*"dicheta giuriidizione esclusiva e dichiarerà g".tt, ogni fedelti giuridica diversa dal principio di "a territori"alità ci appare oggi come una forierritorialitàlla ma giuridica tanto elementare quanto naturale' _.-f,iegr*.
forte fra le teorie dèlla sovranità e.quelle della oroorie"tà è agevole da scorgere' I teorici della sovranità irrr"t" assolJr, da Machiavelli a Bodin a Hobbes, non J"borurot o le proprie teorie in un vuoto di materiali' Da secoli i siuristi iomanisti e quelli di comrnort lata, nccolti rispettirramente fin dall'Xl secolo d.C. intorno alle università e ale corti regie, affinavano un ricco arsenale pratico 4)
di regole e teorie volte a tracciare i confini fra individui proprietari soVrani; Infatti la tradrzione giuridica occidentale pone le sue radici, cinque secoli prima di Cristo, nell'assegnazione di terre in proprietà privata a patres rcmani, capi clanici sovrani assoluti sui territori loro assegnati, legati fra loro da un patto costituzionale volto a prevenire conflitti armati (ne ciues ad arrna ueniaru.t) e fondato sul rispetto sacro del territorio. Questo modello politico andò progressivamente gi:uridtcizzandosi e produsse, per la prima volta nella storia, un ceto di giuristi professioni sti deputati a dirimere controversie sempre più complesse legaté ai rapporti patrimoniali fra i patres. Nel VI secolo d.C., dopo mille anni di evoluzione del diritto romano, l'imperatore Giustiniano, la cui Corte era ormai a Costantinopoli a causa delle invasioni barbariche, raccolse una selezione delle opinioni dei più celebri fra i giuristi in una compilazione, i. Corpus luris Ciuilis, destinata a divenire il libro giuridico più celebre dell'Occidente. Quest'opera, riemersa dall'oblio nell'Xl secolo, fu la base dello studio giuridico presso le nascenti università europee' Al cuore
della compilazione giustinianea e dell'intera tradizione continentale si collocò così la proprietà privata,vista come potere sovrano di un individuo sul suo territorio e sui suoi teni. In questo quadro la struttura del giudizio civile non poteva che nascere come un gioco a somma zero, in cui le utilità di ciascun bene conteso appartenevano o all'attore che agiva in giudizio o al convenuto che vi resisteva. Questa stessa struttura si riprodusse tale e quale in Inghilterra perché Guglielmo il Conquistatore, proprio come il leggendario secondo re di Roma quindici secoli prima, divise le terre fra gli armati che lo avevano aiutato nella conquista e fu poi costretto a creare una struffura per dirimere le controversie fra questi e garantire la solidità politica del suo regno. E anche qui l'amministrazione del
ria della proprietà pivata, visto che ll loro stessa esistenzaerulnimarnente connessa con l'affermazione storica di quest'ultima (ai danni dei beni comuni). Una delle pi,g-9ele-
b.i d.tit irioni di proprietà privata ci viene così da Villiam Blackstone - il più noto giurista inglese modetno, grosso
modo coevo di Adam Smith, che scrisse nel tardo XVIII secolo - e discende direttamente dalla tradizione giustinianea (srazie all'influenza della scuola del diritto naturale olanJese). Secondo Blackstone, che fu giudice e professore di
Diritto inglese al collegio All Souls di Oxford, . I-lesclusione degli dtri,la pivazionedel loro accesso, il dispotismo arbitrario e idiosincratico del titolare costituiscono dunque l'essenza del dominio. Sul piano ideologico Blackstone, figlio del razionalismo del suo tempo, chiude definitivamente i conti con quel medioevo giuridico che aveva dovuto compiere dorziintellettuali notevolissimi per far convivere la semplicità individualistica del diritto romano con la complessità di un mondo feudale in cui I'espeienza umana, tnnanzitutto comunitaia, apparteneva alla terra (e alTa natura) e
gioco a somma zero (se la proprietà non spetta all'uno spetta al7'altro) fu affidata ai giuristi, i quali da sempre erano abituati a non porre domande sulla legittimazione origina-
non viceversa. Celebrando l'esclusione egli chiude con un mondo dominato dai beni comuni e si iscrive fra i cantori della modernità. Egli non solo ttihzza quegli stessi materiali del diritto romano che stavano sulla scrivania di ogni uomo di cultura rinascimentale, ma traccia un parallelo, quello fra proprietà e sovranità, che sarà destinato a dicelebre. Così come i1 proprietario sui suoi beni, "iotrr. b Stato moderno asserisce dominio solo e dispotico - in una parola sovrano - sul suo territorio' La sovranità statuale e la proprietà privata hanno struttura identica, quella dell'escluiione e dell'arbitrio sovrano. Enmambe non sopportano limitazioni, se non quelle dettate dall'esigenza di ònvivere con altri sowani (proprietari o Stati) su territori contigui, risolte nel gioco a sofitma zero della tradizione giuri&ca. Entrambe anelano alla semplicità decisionale (e L fonduno sul decisionismo gerarchico) e aborriscono la
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_l complessità olistica tipica del comune. proprietà privata e Stato moderno divengono alleati naturali contro il iomune,
come dimostrato dall'epopea delle enclosures. La loro al-
leanzaè in verità paradossale, perché entrambi rivendicano |'assolutezza sullo stesso (uniio) appezzarnento di crosta terrestre. Essa tuttavia, ancorché storicamente mutevole, si dimostra solidissima, perché a sua volta si basa su un semplice gioco a-somma iero nel quale l'una o l'altro possono
Capitolo terzo
TRA LESSERE E UAVERE. FENOMENOLOGIA DEL COMUNE r
prevalere nel singolo_episodio confliftuale, ma sempre si rafforzano a vicenda. Se non prerrale lo Stato prevale É proprietà privata e se non prevale la proprietà privata prevale
lo Stato. I.giuristi, dominanti tanio nel.rrorrdo .rpitulirtu quanto nella parentesi socialista , fotmalizzano e cementa-
no quest'alleanza conteorie sofisticate che confermano l,esclusione del comune, incompatibile con una logica a somma zero che, come abbiam visto, ha radici lontÀissime. A seguito delle recinzioni, per un fenomeno centrale allo stesso sviluppo della coicienza della modernità, i
beni comuni sono stati espulsi, cancellati come categoria politico-culturale dotata di una qualunque dignità àstituzionale. Soltanto Stato e propiietà piivata, presentati come fra loro in confliffo, ma in realtà complicì nela distruzione del terzo fattore, sono presenti nègfi orizzonti
del costituzionalismo moderno. Tutte le Costiltuzioni mo-
derne contelgono garunzie per la proprietà privata nei confronti dello Stato sovrano. Soltanto quella to[viana e g","lk ecuadoregna ripristinano i beni comuni fra i luoghi
del diritto costituzionale.
Nel precedente-capitolo ho cercato di dar conto della po_ sizione di grande sofferenza in cui i beni comuni sonoie_ nuti a trovarsi nella modernità. Ho affermato che la stessa modernità nasce con quel fenomeno di mercifi.urior. uiolenta dei beni comuni (soprattuùto della rcsra viva: Gaia) che trova nelle enclosuleringlesi e nella conquista i suoi momenti fondativi. Nella cultura politica dell,Illuminismo i beni comuni sono esclusi dal novero delle categorie po_ liti.che e giuridiche rispettabili e vengono relegati"a tuoglri dslor-e-moderno, del-selvaggio e dél medi.,ràle tanto?a chi è favorevole quanto da chi è contrario ,ff, pr"pii.ìa pivata. Del resro, la separuzione fra politica e di;ift;, ;;si
come quella fra le varie dis-cipline delie c.d. scienze sociJ, sono sostanzialmente prodotti della modernità che rrr.o_ oo sulle ceneri dello smantellamento ,.i."iifi.o
tp;ili;;,
giuridico, economico e tecnologico) dei beni comuni. Ii comune cessa di essere uno statuto epistemologico dei beni.avente pari dignità rispetto ,l prbblico ,I"p.*uto.
La Marca tedesca, la partecipanza émiliana, il" maio altoÈrT,Iro, gli usi civici o i commons inglesi sono considerati residui anacronisrici di un rempo loituno. I beni possono essere pubblici (cioè apparrenenti a organizzazioni pub_ bliche come lo Stato) oppure privati (Iio. app"rtenenti a indir.idui o persone giuridiclie private). N;; p*r;;;
tertiuru non datur. Del resto basta leggere le regole dedicate alla comunione in qualsiasi Codice civile (la forma giuridica più squisitamente rappresentativa della modernità) per percepire lo sfavore e la damnatio di questa forma giuridica, considerata quasi come una patologiaarcuca da sanare il prima possibile: , re-
orse. In effetti, diritto ed economia (ma anche purtroppo hfilosofia anahticae la scienza politica dominanti) fondaoo la propria > nell'assumere la distribuzione iriqua delle risorse (prodotta dalle enclosures) come un dato di fatto,unaspecie di realtà naturale, come il sorgere o il tramontare del sole, cui solo gli utopisti - e non gli
cita perentorio l'art. 1111 del Codice italiano. Qresto atteggiamento della modemità si fonda molto
-
scienziati guidati dal supremo valore del realismo - posson pensare di porre rimedio. Poiché la modernità illuminista (e il costituzionalismo
seria il lascito culturale della tradrzione moderna che ci ha consegnato il costituzionalismo liberale. Compreso in questo lascito vi è sicuramente la «de-legittimazione» dei beni comuni che, qualora sottoposta a serio vaglio critico, comporterebbe la necessità di ridiscutere radicalmente gran parte delle categorie giuridico-politiche della modernità, compresa - anzi soprattutto - la questione tabù per diritto ed economia, ossia la giusta distribuzione delle ri-
il nostro modo di pensare, i suoi laculturali creano l'immaginario dominante la nostra quotidianità e hanno quindi un immenso potere politico di costruzione della realtà. La nostra realtà è costruita htomo a categorie del possibile che escludono i beni comuni proprio perché la loro privatizzazione, continua e progréssiva a scapito della natura e degli altri esseri umani (" rèopo di crescita o di sviluppo economico), è considerata un dato naturale, non solo certo e irreversibile ma mche desiderabile. Restituire dignità politica e culturah ai beni comuni significa fondare il discorso politico e giuridico su un'altra realtà, quella di un mondo e di una o.tom che non possono a qualcuno soltento, ma che devono essere condivisi e accessibili a tutti. Significa riconoscersi, come talvolta si dice, in un'altra oanativa, secondo la quale prima vengono gli interessi di tutti (umani e non), concepiti come un ecosistema di relazioni di reciproca dipendenza, e solo successivamente gli interessi individuali. Poiché §li individui non sono neppure materialmente concepibili come monadi isolate (in natura, l'individuo solo necessariamente soccombe e muore), i beni comuni smascherano gli assunti irrealistici dell'individualismo borghese. Il loro riconoscimento promuove la costruzione di un immaginario comune in cui la Iibertà individuale va considerata come parte del mondo dell'essere, consistente nella facoltà di accedere e godere dei beni comuni e delle relazioni sociali comunitarie (e politiche) che essi rendono possibili. La libertà nell'es-
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probabilmente sulla rimozione psicologica dell'inaudita violenza che ha catatterizzato I'accumulazione originaria e che ha visto come complici ed istigatori la più parte dei pensatori che ancor oggi ammiriamo e che fondano il nostro immaginario liberale. Oggi tendiamo ad assolvere Locke o i padri fondatori americani per esser stati schiavisti e ruzzist1 e proviamo fastidio se cosftetti a riconoscere che lo sviluppo capitalistico occidentale si è fondato sul saccheggio dei beni comuni. I-?operazione di rimozione di questo fastidio passa attraverso la storici zzazione e successiva assoluzione del pensiero liberale per gli eccessi dell'individualismo proprietario. Assolvendo i padri fondatori della modernità in quanto figli del loro tempo, implicitamente asseriamo che gli eccessi dell'accumulazione origsnaia (enclosure s, conquista, sfruttamento, schiavismo) sono a loro volta parte di un passato lontano e irripetibi le. Purtroppo così facendo non solo chiudiamo gli occhi sul fatto che tali eccessi sono con noi ogni giorno (basta anahzzarc le relazioni industriali nell' econom ia glob ahzzata), ma soprattutto non sottoponiamo ad alcuna critica
fiberale) struttura
riti
sere va nettamente separata dalla brutale soddisfazione
degli appetiti acquisitivi dell'avere per accumulare. Una naffativa che si fonda sui beni comuni rifiuta perciò di collocare al centro del sistema politico tanto la proprietà privata quanto lo Skto, visto che quest'ultimo, fondato sulla stessa struttura, da sempre presiede alla privatizza-
rapporto alle uguali necessità altrui, proprio come awiene quando siamo invitati a un buffet, dove ciascuno deve prendere in considerazione le esigenze di tutti, evitando dringozzatsi smodatamente nel minor tempo possibile di tutto ciò che più stuzzicail suo appetito. I-individualismo proprietario tipico del pensiero della modernità celebra come desiderabile e promuove ad esercizio di libertà fon-
zione dei beni comuni adoperandosi per ampliare la sfera della proprietà. pivata.In un mondo di risorse finite l'accumulo può logicamente awenire soltanto sottraendo al comune, e dunque tramite un comportamento strutturalmente antiecologico, ossia conffario all'interesse della comunità naturale. Or,rriamente, privilegiare la dimensione dell'essere su quella dell'avere è anatema per la struttura fondamentale del capitalismo dominante, perché riduce il consumo e la conseguente possibilità di privatizzarc i. surplus economico prodotto dalia trasformazione di beni comuni in utilità private. In effetti un consumatore, ogni volta che soddisfa un qualsiasi desiderio sul mercaro, per esempio acquistando un nuovo computer, privatizzabeni comuni, perché quel computer sarà prodotto trasformando beni scarsi che si trovano esclusivamente in natura come un dono che nessuna tecnologia è in grado di riprodurre. Egli, per esempio, trarrà utilità privata dagli idrocarburi, talizzati per produrre la plastica; da grandi quantità d'acqua, indispensabili per il raffreddamento dei processi produttivi; dalle cosiddette teme rare (per esempio il coltan, impiegato per produrre i microchip), che si trovano in luoghi del mondo (quali il Congo) devastati per lo sfruttamento brutale di queste risorse. È proprio questa continla azione drprwatizzazione di utilità donate dalla natura (a tutti, e non soltanto a chi può economicamente sul mercato) che erode in modo irreversibileilgrande tesoro che Gaianasconde da miliardi di anni. Tale attività dipfivatizzazione delle utilità è necessaria per la vita e in questo senso può certamente considerarsi ecologica, visto che Gaia è un pianeta vivo e la vita umana ne fa parte. Essa tuttavia va sempre valutata in
muovono le teorie realistiche contemporanee, a ben vedere, si fonda su tre grandi frnzioni (l'invenzione del denaro, hmercificazione della terra, resa un bene fungibile nonostante il suo essere ontologicamente unica, e l'astrazione del tempo-lavoro), che sono condizioni di possibilità di comportamenti antiecologici di accumulo quantitativo. Non è per nulla un caso che molte popolazioni nella storia umana, diversa dalla circoscritta fase del capitalismo egemonico, siano state capaci di vivere per secoli in mirabile equfibrio ecologico con la natura, essendo dotate di quell'intelligenza comune che i'individualismo possessivo della modernità ha prima delegittimato in teoria e poi eroso progressivamente nella pratica. Ora, quando al centro della scena si pongono i beni comuni, è proprio la realtà r.afrJralzzata e resa egemonica dal mondo capitalistico in cui viviamo ad essere posta in questione. I-lattenzione e la piena comprensione dei beni comuni consentono di scorgere una diversa realtà, la possibilità di diversi rapporti sociali fondad sulla soddisfalione di esigenze dell'essere e non soltanto dell'avere. In una pada, porre i beni comuni al centro della scena significa dire che «un altro mondo è possibile>». Non solo, ma una teorica dei beni comuni, rifiutando la mercificazione e lo sfruttamento e rivendicando le condizioni ecologiche dell'esistere in comunità, si fonda su un'altra realtà, che pone in discussione radicalmente il pensiero dominante dicendo
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damentali proprio il comportamento di accumulo brutale, indifferente alle esigenze altrui sulla base di singolari teorie economiche che si fondano sul paradigma della crescita (partecipi del) bene comune (siamo acqua, siamo parte di un ecosistema urbano o rurale). La alf idea
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cui essi divengono rilevanti in quanto tali. Di qui l'estrema ampiezza e flessibilità della nozione, ed anche la difficoltà di racchiuderla nelle tradizional-j classificazioni giuridiche (beni, o servizi?) o politiche (destra o sinistra?). Per esempio, una recente manifestazione sindacale in Italia era intitolatall kaoro è un bene comune. Una tale affermazione non avrebbe avuto alcun senso in una logica tradizionale, abittata a vedere il lavoro come oggetto di un contratto (ancorché collettivo) o come un diritto della persona. Tut-
di
tavia, il contesto di una prassi di lotta volta a difendere il ritto di tutti a lavorare in condizioni , a fronte delle esigenze di profitto proprie di una multinazionale che asserisce di voler competere sul mercato globale, fa cogliere agevolmente il senso di una tale affermazione.
Il lavoro va tutelato come bene comune di una collettività (nel cui ambito opera un'impresa). Il bene comune lavoro richiede che le persone siano occupate in modo qualitativamente accettabile e coerente con il pieno rispetto dei diritti costituzionoh.In altri termini, vedere il lavoro come bene comune significa porre al cenffo le esigenze della
collettività in cui awiene la produzione, adoperandosi in uno sforzo collettivo di soluzione dei problemi ad esso sottesi. Il lavoro come bene comune non è né un oggetto (mer-
5)
t I !
ce, entità astatta) né un astratto diritto soggettivo, bensì un'entità collettiva (comune appunto) . .o,it.rtruie, allo stesso tempo condizione dell'essere e del produrre (avere). Il lavoro come bene comune non è fine à se stesso, ma è entità necessariamente funzionale alla quahtà dell'esistere in un determinato contesto (ecosistemà), du t.rtelarri n.i confronti sia del capitale privato (proprietà) sia del siste_ ma politico (governo), *.gSl capiìale privato sempre più
frequentemente succube. Il fine precipuo della aif"ruà"I lavoro come bene comune è quelà di cànsentire ailavora_ tori l'accesso a un'esistenza libera e dignitosa nell,ambito di u1a produzione ecologicamenre sosÉnibil., per9i9 pienamente anche i diritti di chi non lavoru(ancora o più) e in quella comunità vive. è
;h.;i;
questo esempio mostra, .beniCome comuni
la fenomenologia dei
è nettaménte funzionalisdca, nel ,.""ro .lo essi divengono rilevanti per un particolare fine sociale coe_ rente con le esigenze dell'ecologia politica. I beni comuni richiedono perciò una percezioÀe oiistica, che ne .olgu up_ pieno gli inestricabili nessi con la comunità di.if".irià"lo e con le altre comunità ad essa contigue o che ad .rru ,i sovrappongono. Essi non possono in alcun caso essere og_ gettificati. Ecco perché alCune delle classifi cazioniche .J_ mmcrano_ a emergere riguardo ai beni comuni _ quali per esempio beni comuni naturali (ambiente, ucqua, ària
i.r_
ra) e beni comuni sociali (beni culturali, memìria ,rori'.u,
sapere), o ancora beni comuni materiali (piazze, giardini o immateriali (spazio comune defweb) _"a."o"o
pubblici)
essere oggetto
di riflessione critica approfondita e vanno
urbanistico, ma Io è in q_ua-1to Juogo di accesso sociale e di scambio esistenziale. bim.ru *'r.bf"*r.pr.rre i tratti fisici da quelli sociali di una pr^*i,, A""frriil;.rar.i.# di d,eterminati gruppi di i"ài"id;-arff" p*.f,ine o dai tavolini dei bar cosiiìuirebb. aài-pri*ipi" "", "iotrrior" fondamentale dell,ac-cesso universale , ,r, b...r. comune.
IlriconoscimentodeUapi^ri"ir"*il;;;";;;;à.-_ r-ebbe invalida
un,ordinànr,
.i"al.rf.-.t
do.r.rr. i_o._
g_.{e panchine cuscnmrnatona,Ia decisione di un barista ",1".rì,, r"#r,7 dinon fr.,.a.ià
*::j::.
"i;;;;;;;.
cittadini extracomunitari poveri. ia ii^r^ *fiii;"p;;;: tiene>> a una comunità ossia di tutti à.bd., 4picam.il quanti, stanziafi o viandanti, po.rur"o ir, ìr,.u*o godere della sua funzione di Iuogo'ai ..rÀUi". É ciò nei modi e nelle forme di cui ciasci"r. è ;;;ò;.1
C"_" q"àrr"
esernpio dovrebbe mostrare, lap.r..!io* . lu rt.Ju dil fesa dei beni comuni prrrr""-"J..rràrilà-.nr. attraverso posl in opera potitica (teoricae
ài;.;;;it;;i; Ti,l::li nvoluzrone epistemologica prodoma ddl, f.no_L";*r; e dalla sua critica deil,olgettivi,a. N.fir.iio dei beni co_ ,r;1 il soggetro
è parte
aeil,ogg.tto?.
ui;.rrr,).
Vuesta tenomenologia.dei beni comuni apre la que_ stione della loro co-oai=ibilità con t,rii"a.,r*ttura della giuridicità occidentall, ancora largamente b asatasull,idea aslr atta di un ordine giyridicg oesisterebbe, "ggZniu;-.hJ come una struttura reaÌe, indipendente rispetto ,ttu ,t"rru esisrenza dei suoi fruitori . à.i ,*i i"t.ifr.ti. Si matta della nota mitolosia d.llr.l.gdia t"Àa{OrU of lau), quella secondo c,ii ,i uugh.;;i;'""r'r.I",a occidentale a varie
maneggiate con consapevolezza. graÀde cautela. Esse vei_
governara.da Ieggi e
della separazione fra soggetto€_oggetto, con i conseguen_ agguaro, della mercifi cazione.Iioltre ogni classificazione dai tratti ontologici . ,ron funzionali_
,ì ,rrotg.r.È-b. ""i ir;;."rior" è non sub "iiu do_i_ kcrl;;ff;ì, nante del diritto è quella di un i"ri;";.;;;;.
c.ofno in qualche modo la vecchia logica meccanicistica
ti rischi, sempre in
stici dei beni comuni rischia di ergàre barriere artificialt fra fenomeni contestuali.ror, ,.prribili. per esempio, una piazza non è bene comune in quanto ,prrio iiri.o
-".o
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,o.,
du ùòmi"i .1, forme di dispotismo orientale in iu
,i;;pone
sab homine
"d;r;;;;
di regole scritte sufa base delle-quati;i;;;;;l,".iali (pub_ regolano i propriiffa;. diritto, che ,bT:: ry,l,lti) r
grurlstl chlamano
,
insieme di norme che
a;;
è immaginato come un
làIorti ,ppti.r".'tfni 55
o
_"no _.._
canicamente) ai casi concreti per dirimere i conflitti sociali. Queste stesse norme ..eanò inoltre spazi di protezione individuale attribuendo diritti - q.r.rtà volta ìoti come «soggettivil> - agli individui. La dicotomia fra diritto oggettivo e dirittosoggettivo, così come la stessa idea p...iri sarebbe possibile un' quasi meccanìca del
diritto ai fatti concreti della vita, .o.titrrir.. uno squisito prodotto.della logica_ riduzionista e meccanicisticaipica della modemità occidentale, che abbiam visto largamànte incompatibile con l'idea dei beni comuni. In effetù secondo questa concezione il diritto esisterebbe indipendentemente dai-soggetti che inevitabilmente lo interpretano e che con il lop comportamento sociale lo plasmano. Esso sarebbe qualcosa di meccanico, esistente di per sé, ontologico,> (rule of law), ossia dall'illusione che si possa essere governati da leggi (oggettive e ontologicamente esistenti di per sé) e non da uomini che comunque le interpretano introducendo l'inevitabile componente soggettiva.
Il comune è invece nozione che può comprendersi solo in autentica chiave fenomenologica e olistica, ed è quindi incompatibile con la logica riduzionistica dell'avere (e del potere). Si può rendere quest'idea con la locuzione >,
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ideologici dello Stato ha prodotto lo sviluppo delle prime università statali, soprattutto in area francese, a pafike dagl, dell'Umanesimo. I-università di Parigi e quella di ^r-i per esempio, nacquero come università di Stato, Torino, rompendo con il modello più antico della libera università medievale. Nelle università di Stato insegnano docenti che sno funzionari dello Stato e che ad esso sono perciò legati da una particolare fedeltà. Questo punto è molto importante nel distinguere I'università bene comune dall'università di Stato, nel senso che quest'ultima, come del resto
m'università pivata,può essere vista come un bene comune ma può anche non essedo. Un'università di Stato può, infatti, essere strumento di propaganda nel momento in cui il sapere che vi viene professato non è critico, così come wa corporate uniuersity, cteata daun'azienda per formare ipropri quadri o per farsi pubblicità a livello globale, altro non è che uno strumento di marketing. Naturalmente può essere vero anche il contrario, a conferma del fatto - più rche fin qui osservato che f idea di si Inne a un livello diverso rispetto alla dicotomia privato/ grbblico così come declinata nella modernità. Che poi anche i giornali e i media possano svolgere funzione propagandistica o di marketing piuttosto che critica, e che ciò sia del tutto indipendente dalla natura pubblica o privata della loro , è fin troppo owio. Comé esempi, se si vuole evitare quello troppo banale della riPravda> (verità) sovietica, basterà citare le televisioni del
-
c.d. servizio pubblico italiano e owiamente le loro, non àcilmente distinguibili, concorrenti private. Restando aile nniversità, si può osservare come le strategie uulizzate dal capitale per recintame gli aspetti di bene comune possono essere le più varie, ma non di rado, come ai tempi delle enclosures inglesi, il capitale si serve dello Stato per raggiungere il suo intento. Ciò sta avvenendo in Italia molto rapidamente in questi ultimi anni di ,
che danno attuazione particolarmente zelante a un di priv atizzazione/ aziendakzzazione dell'univer-
processo
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sità che ha radici a livello europeo. Negli Stati Uniti le
cose stanno un po' diversamente perché diversi erano i punti di partenza, soprafiutto dal punto di vista dell'idea di . Occorre perciò ora soffermarsi sulle forme di mle partecipazione. In coerenza conla nafiia dei beni comuni, che rifuggono la contrapposizione ligidafuater.ira e prassi, il presente capitolo riflette su una concreta espet'rr:rrza drbattaglia: quella per l'acqua bene comune in Italia. Nel nostro paese si è svolta una battaglia referendaria che ha costituito l'epifania locale di una guerra globale di lunga durata per l'utilizzo democratico ed ecologico dell'acqua. La gteraper l'acqua bene comune ha ottenuto le più significative vittorie in Bolivia dieci anni fa e da ultimo a P alJig;r. con la sua ripubblicizz azione democratica conquistata dal sindaco Bertrand Delanoè e dall'assessore Anne Le Strat proprio ai danni (e a casa) di due fra i critica può consentire
principali attori globali del saccheggio idraulico, Suez
e
Vivendi. Naturalmente tale guerra globale, raccontata magistralmente da Vandana Shiva mentre labattaglia di Coàabamba era ancora in corso, continua a segnare molte sconfitte. Esse si registano ognivolta che i problemi idrici vengono affrontati nell'ambito di una logica economicisti., àt..rro..atica (inevitabilmente autoritaria), ritenendo possibile ).
Tutto ciò non costituisce un discorso astratto, perché proprio un movimento, quello per l'acqua pubblica, ha saputo darc forza politica (tradottasi in una massiccia risposta ai referendum sull'acqua bene comune) - nell'incapacità assoluta dei partiti politici di farlo - a un itinerario culturale alto, inffapreso da anni anche inltalia, ffamite una serie di importanti ricerche accademiche. Oggi assistiamo a :ufia vera esplosione di gruppi di studio sui beni comuni che coinvolgono giuristi, economisti, antropologi e filosofi delle più diverse estrazioni, raccolti presso numerose università e centri di ricerca (Fondazione Basso,
sviluppo economico (come nel caso dei beni tradizionali, privati o pubblici che siano). Al contrario, i beni comuni, in quel primo tentativo di porli in opera in un sistema di
diritto civile,
e devono essere gestiti con strumenti a vocazsone pubblicistica (nel
senso ampio di estranei alla logica del profitto priaato) aJ fine primario di soddisfare i diritti fondamentali della persona, costituzionalmente garantiti e informati al principio di eguaglianza e solidarietà nella sua .rifuniu sovietica, è finalmente percepito massicciamente ;.É liirlfr;ento (quantome"o morale) del'>' ia soluzione, Ma quesia ribeliòne si rivolge soprattutto contro i partiti oolitici. che nella loro forma gerarchica sono incapaci ai-.i.t.-i#" conffollo critico e di tutelare le persone dallo *up"r.t" del capitale privlto: Così facendo essi si sono resi ,-piu-.rrt" coriespoÀabili della costruzione ideologica di
la una narratlva a penslero unico, che sdogana interamente 87
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INDICE
Vimo, Paolo, Grammatica della ruoltitudine. Per una analisi delle forne di aita conternporanee, DeriveApprodi,Roma 2003' \X/^ldrorr, Jeremy, voie Property and Ownetship, n Stanfotd Enq,clopedia of Philosophy,'2004, reperibile sul sito http://
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\(ì[iams, Enc,
Introduzione
I.
Trasforrnazioni globali in corso.
Il nuovo medioevo
fI. III. fV.
La modernità, le ..enclosures, e il disagio del comune
Tra l'essere
e
25
I'avere.
Fenomenologia del comune
47
La consapevolezua delcomune. Cultura critica e propaganda
M
V. Il partito, il movimento e il governo democratico del comune.
YI.
Loawentura dell'acqua
77
tr comune e l'immateriale: i tonni e la Rete
8!)
CanchnianL Un futuro ia comune o nessuÌì
futuro
100
Riferimenti bibliografi ci
tt5
r07