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R.BARI'NES-F. BOÝON F. a LEEiI'NARDT R. λlARTINACIIΛICD J. STAROBIλ~XI
Titolo originale Analyse structurale...
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R.BARI'NES-F. BOÝON F. a LEEiI'NARDT R. λlARTINACIIΛICD J. STAROBIλ~XI
Titolo originale Analyse structurale et exégèse biblique © Delachaux et Niestlé , Neuchétel ι Traduzione dí Cesare Greppi
SOCIETÀ EDITRICE
PREMESSA
Proprietà riservata alla SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE Torino Officine Grafiche SEI Apńle 7973 • M. E . 40994
Nel febbraio del 1971, Za Facoltà di Teologia protestante dell' Università di Ginevra organizzò un incontro dedicato all'analisi strutturale e all'esegesi biblica . Erano stati invitati due oratori : Roland Barthes, della Ecole pratí~ue des Hautes Etudes dí Parigi, allora professore invitato presso la Facoltà di Lettere di Ginevra, e Jean Starobinski, professore alle Facoltà di Lettere e di Medicina dell' Università di Ginevra . Entrambi accettarono cortesemente, e si dette vita così a un dialogo fra biblisti e critici letterari. Questo incontro, che occupò due serate, vide riuniti esegeti, teologi, critici letterari, storici della letteratura e linguisti di Ginwra e della Svizzera romanda. L'interesse fu assai vivo . Nel dibattito che seguì le comunicazioni si notò in particolare che tra i biblisti si profilavano due tendenze . Per gli uni, la radice storica del testo rimane un dato da cui non è possibile prescindere; per gli altri, l'approccio letterario e st~utturale proposto da Barthes e da Starobinski consente di mettere meglio in luce la ricchezza del testo . In seguito a questi incontri, ai quali aveva egli stesso partecipato, Piene Barthes direttore delle edizioni teologiche di Delachaux e Niestlé, sollecitò la pubblicazione in volume delle conferenze del colloquio . IZ lettore troverà qui riuniti i contributi di Roland Barthes e di Jean Starobinski. Mentre il primo ci ha consegnato senza sostanziali modifiche il testo della sua esposizione, il secondo ha preferito rielaborare e completare il suo, il che spiega la diversa ampiezza dei due contributi . Anzicché accompagnare queste conferenze con le discussioni che le hanno seguite, è parso preferibile dar la parola a due esegeti . Risultava così più facile mettere in evidenza i punti di contatto e le divergenze fra il metodo esegetico e le letture proposte oggi dai critici letterari . IZ professore Robert Martin-Achard, delle Facoltà di Teologia di Ginevra e di NeuchRtel, ci ha indicato, sulla base del testo dell'Antico Testamento 5
utilizzato da Roland Barthes, quale sia la sua pratica dell'esegesi, e i principali risultati ottenuti col metodo storúo-critico . F.-J. Leenhardt, professore onorario dell' Università di Ginevra , ci offre da parte sua una analisi del testo biblico scelto da Jean Star~binski . Si tratta di un saggio che l'autore aveva elaborato per uso personale in vista del colloquio . F. ~ . Leenhardt non segue propriamente le vie dell 'esegesi contemporanea, la quale, distinguendo la redazione dalla tradizione , ricerca la genesi del testo e la sua radice storíca .i Noi ritroviamo in queste pagine l'originalità di un metodo che non accetta le parole d'ordine di una scuola determinata . 2 La sua analisi, che non esita a ricorrere alla psicanalisi, dimostra chi il problema non può limitarsi all'alternativa fra esegesi storúo - critúa e analisi strutturale , ma che diverse vie d'accesso al testo biblico si rivelano necessarie e feconde. Pierre Barthel ha infine ritenuto opportuno che il volume si aprisse con un testo d'introduzione allo strutturalismo , che io avevo concepito in particolare per un pubblico tedesco . Se queste pagine non diranno nulla di nuovo agli specialisti, potranno forse orientare il lettore, sconcertato dalla molteplicità dei lavori strutturalisti e dall ' ermetismo della terminolo-
aperta ad ogni metodo che permetta di rinnovare l'approccio ai testi . Cercare di ajj'~nare tali metodi d'indagine fa parte dello spirito scientifico che deve caratterizzare l'esegeta . 3 F~~Αr~çο~s Βονοτν
3 . Un po' dovunque sorgono attualmente riflessioni metodologiche sull'esegesí . A titolo dí esemplo, indichiamo qualche opera significativa : J . BgRa, Semantica del li~~g~aggío biblico, Bologna 1959 ; E . GtPrrcEa~n~ws, Offerse Fragen zur Formges~hichte
des Evangelíums. Eíne methodolígís~he Sk~xze des Crrundlagenproblematík der Form- und Redaktíonsgeschi~hte , Muních 1970 ; R. Ba~~r~~s, P . BEAUCflAMP , H. Bou~~~.nRn, J . COURTES , E .
HAULOTTE ,
X.
LÉON-DUFOUR,
L . MARIN,
P . R~coE~rn, A .
VERGOTE,
Exégèse et Herméneutique, París 1971 . Segnaliamo infine, editi da H. R . Weber in a The Ecumenical Revíew » 23, 1971, 4~ fascicolo (ottobre ), i contributi che analizzano un testo biblico, precisamente Marco 5 . 1-20, partendo da diversi punti dí vista, strutturale, spirituale, eco .
gia impiegata . Di proposito questa raccolta non reca al termine nessuna conclusione . La discussione intorno a strutturalismo ed esegesi è appena cominciata, e questo ci sconsiglia per il momento ogni tentativo di sintesi metodologica . Questa, in breve, la genesi dell'opera . Ci auguriamo che i lettori ne traggano qualche profitto ; che avvertano , se non altro , come l'esegesi sia una scienza viva . Fondata su discipline rigorose, essa è costantemente
1 . Ríηvíamο íl lettore interessato ad un'esegesi che míáí a definire la preistoria del testo e l'apporto della redazione finale, agli studi seguenti : C~. MnssoN, Le démoníaque de Gérasa (Mart 5 . 1-20), in Vers les sources d'eau vive. Etudes d'exégèse e~ de ihéologie du Nouveau Testament, Lausa~~ne 1961 , pp . 20-37 ; P . Lw MnR CHE, Le possédé de Gérasa (Mat. 8. 28-34 parallèles), in ~ Nouvelle Revue Théologique» 90, 1968, pp . 581-597 ; J . F . CR~c~n~, The Gerase~e Demoniac, in M The Catholic Biblical Quarterly » 30, 1958, pp . 522-536 ; J . VE~covs~v , Der gadarenísche Exo~xismus (Mat . 8 . 28-34 and Parallelen ), ín x Communío Víatorum » 14, 1971, pp . 13-29 ; R . P~sc~, The Marc~~ Version of the Healing of the Gerasene Demoniac , ín ~ The Ecumenical Review » 23, 1971, pp . 349-376 . Da parte sua, J . B~.~c~ ( The Gerasene Demoniac and the Resurrection , ín x The Catholic Biblical Quarterly » 31, 1969, pp . 383-390) segue ~m metodo completamente diverso . 2 . Il saggio qui presentato risponde al tipo dí esegesi che l'autore aveva greconízzato già una ventina di anni fa : F. J . I,EE~~p~~~r , La parabole du Samarítaín. Schéma d'une exégèse e~ístentíaliste , ín Aux sources de la Tradition chrétienne. Mclan-
ges offerts à M. Maurúe Goguel à l'occasion de son soíxantedixíème an~íversaire, Neuchâtel et Paris 1960, pp . 132-138 .
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Lo strutturalismo francese e l'esegesi biblica 1
Introduzíone Dal 1945 ad oggí, ín Francia, il clima intellettuale sí è profondamente modificato . Alla fine della guerra, l'esistenzialismo trionfava, incoraggiato dagli atti liberi degli eroi della resíste~~za . Venivano esaltati íl « soggetto » e la sua « coscienza » . La « libertà » e la « decisione » facevano parte della panoplia del filosofo . Il ~ senso » della vita era l'ideale da raggiungere . Sartre era l'incontrastato maître à penser. In una parola, sí viveva in pieno umanesimo . Oggi, le scienze umane respingono la filosofia nelle sue ultime trincee . Nuovi metodi, logici e oggettivi, derìvatí dalle scienze della natura, vengono applicati all'uomo, al linguaggio, al comportamento . Da soggetto che era, l'uomo è divenuto oggetto, oggetto precario e prowisorio . 2 Non sí parla più dí storicismo o dí coscienza, ma dí codici, dí formalizzazioni e di sistemi . Sí citano oggí altri nomi : LéviStrauss, Barthes, Althusser, Faucault.3 Come spiegare questa trasformazione senza accennare alla nozione dí struttura ? Certo, da molto tempo, e non solo ín Francía, sí parlava dí struttura, 4 particolarmente ín fisica e in mate1 . La versione originale dí questo contributo è apparsa, col titolo StrukturaZismus uxd bíblísche Exegese, nella rivista ~ Wíssenschaft und Praxis in Kírche und Gesellschaft » 60, 1971, pp . 16-26 . La versione che si pubblica qui ha subito qualche ritocco rispetto all'originale . In particolare, è stato aggiunto un secondo esempio a titolo dí illustrazione del metodo : Giovanni 1 . 35-51 . 2 . Cfr . M. Foucau~,r, Le parole e le cose. Ux'archeología delle seíexxe umane, Milano 1957 . 3 . Cfr. B . P~xcnun, Ixtroductiox à Sartre aujourd'huí u, ín a L'Arc a 30, 1966, p . 1 . 4 . L . T. Hjelmslev definisce la struttura ~ un'entità autonoma dí dipendenze interne e (citazione senza referenza dí P . R~eo~u~~, La strutture, Ze mot, l'évéxemext, ín ~ Esprit s 35, 1967, p . 804, ora in P . R~eo~*.u~t, Le coxf~it des íxterprétatíoxs, París 1969, p . 83) . J . Píaget sottolinea dal canto suo l'aspetto dinamico della struttura : ~ In M
matíca . 5 Ma ecco che questa nozione, e íl sistema dí pensiero che essa implica, sono stati trasferiti con successo nelle scienze umane, nella linguistica dapprima, e poi nell'etnologia, nella critica letteraria, nella storia, nella psicanalisi, nella sociologia, e infine nella filosofia .° E questo ín modo sistematico .' Tutto il campo delle scienze umane è oggi occupato da schiere dí intellettuali che brandiscono la struttura
lo vede come la reazione compensatoría di una intellighenzia di sínístra frustrata, che del determinismo struttwale fa una virtù 1 0 Nelle pagine che seguono considererò lo strutturalismo come metodo . Io penso, e non sono íl solo a pensarlo, che questo movimento sarà utile aí teologi appunto ín quanto metodo, che può permettere loro una migliore intelligenza dei testi biblici .
come un'arma efficace. Lo scritto che segue nasce dalla convinzione teologico con il rnovímento strutturalista sarà non ma fruttuoso . Inevitabile, perché lo strutturalismo moda e un'ideologia : íl teologo cristiano, che vive
L'esegesi contemporanea, particolarmente ín Germania, continua a svilupparsi sotto íl segno di una duplice eredità : lo storicismo e l'esistenzialismo . Tutte le correnti esegetiche del ventesimo secolo si inscrivono ín una prospettiva. storica : Formgeschichte, Überlíeferungs-
che un dialogo solo inevitabile, è diventato una nel mondo, deve
geschichte, Redaktíonsgeschichte . In ognuno dí questi casi, sia pure ín maniera diversa, vediamo comparire una preoccupa~íone storica . Evoluzione dei generi letterari, trasmissione delle grandi tradizioni, reínterpretazíoní successive dei materiali . L'organizzazione interna, le differenze, come diceva il linguista Saussure, vengono lasciate nell'ombra : non solo le strutture profonde e invisibili, ma spesso
dunque necessariamente affrontarlo . Fruttuoso perché, come metodo, lo struttwalismo può far progredire l'esegesí . Lascio ad altri la cura dí giudicare lo struttwalismo come moda e come ideologia . Sartre vede ín esso l'ultimo bastione eretto dalla borghesia per appoggiare lo status quo economíco .e La struttura non appare forse ostile al dinamismo della storia ? Rícoeur considera questo movimento una tentazione del nostro tempo, inteso a risparmiarci la que~tíone ultima del della rícerca (cioè íl passaggio del torrente) è evidentemente Dío ; íl Destinatario è ancora Gíacobbe (due attantí sono dunque presenti in una stessa figura) ; l'Oppositore (colui o coloro che ostacolano il Soggetto nella sua rícerca) è Dio stesso (miticamente, è lui che ~ustodísce íl passaggio) ; l'Aiutante (colui o coloro che aiutano íl Soggetto) è Giacobbe, che sí aiuta con la propria forza leggendaria (tratto indízíale, come abbiamo visto) . Immediatamente si ríle~a íl paradosso, o almeno il carattere anomíco della formula: è assai comune che íl soggetto sia confuso col destinatario ; più raro è il caso in cui il soggetto è l'aiutante dí se stesso ; questo awíene normalmente solo nei raccontí o nei romanzi . 20 Con questa citazione siamo entrati ormai nella
qualche oscurità, che d'altra parte non sí deve esagerare, presenta una certa coesione ; indubbiamente íl suo awío è infelice, ma la ridondanza dei w . 23-24 sí spiega probabilmente col desiderio del redattore dí collegare l'episodio con ciò che precede . Se z vero che íl v . 33 ha l'aria dí un'appendice, verosimilmente esso sí riferisce ad un antichissimo tabù . Quanto al resto, è normale che il combattimento
seconda via d'accesso, ispirata dalla scuola della storia delle forme, la quale sí aggiunge opportunamente allo studio storico-critico .
rimanga indeciso fino alla fine ; lo stile dell'autore è volontariamente ambiguo (uso frequente della 3a persona singolare) per lasciare l'ascoltatore (e íl lettore) nell'incertezza dell'esito . Il colpo che
Nel suo commento, H . Gunkel ha messo ín evidenza l'importanza della saga zi nella Genesi e ne ha precisato le caratteristiche e í fini . Secondo lo studioso, la saga illustra e spiega una realtà biologica,
Giacobbe riceve pub aver provocato la lussazione dell'anca (v . 26),
geografica o umana, racconta una storia semplice e viva, nella quale intervengono pochi attori i cui gesti contano molto più che non la loro psicologia . Lavori successivi hanno confermato le opinioni dí H . Gunkel e hanno dimostrato come la narrazione israelita, la cui origine risale all'epoca seminomade, non sia un prodotto dí pura fantasia, ma segua regole determinate. L'autore mette ín scena due o tre
íl nome dato al patriarca non esclude che questi riceva la benedizione (v . 29 s .), la duplice interrogazione (v . 29 s .) appartiene all'arte del racconto che mette in presenza due interlocutori dí volta ín volta interroganti e interrogati . Peniel non è altro che Penuel (v . 31 s .) e la menzione ripetuta dell'aurora, ín una storia ín cui l'oscurità svolge un ruolo così importante, non può sorprendere . La divisione di Gen . 32. 23 ss . ín due versioni parallele non è affatto un dato che s'imponga necessariamente . Il racconto del guado dello Iabboq mette ín luce i limiti del metodo preconizzato dalla scuola dí j . Wellhausen . Il testo biblico resiste ín molti casi a un'applicazione sistematica della teoria delle fonti : non è un cadavere che possa essere sezionato a piacere da anatomisti, ma fa parte di una tradizione νίνα della quale riflette una tappa . Non lo sí può leggere se non sí tiene presente che la tradizione massoretíca ha un passato lontano, suppone una successione di narratori e si ríferísce ad una mentalità diversa dalla nostra : esige insomma dí esseri trattata con molta cautela . (~ Questa narrazione , scrive giustamente G . von Rad, ci rende evidente, più che tutte le altre antiche tradizioni patriarcali, qualcosa del lungo processo. formale a c~í íl materiale è stato sottoposto nel corso dí vasti periodi della storia . Numerose generazioni gli hanno dato configurazione e significato, è stato ín movimento per lunghi secoli fino a che sí è per così dire irrigidito nella forma
18 . Op . cít., p . 146 ss .
19 . Tuttavia O . E~ss~E~a~r (1922) attribuisce Gen . 32. 23 ss . a L (= Laíenquelle), cioè ad una antica versione, anteriore a J, e Th . C . V~íezen (1948) secondo F . VAE TkIGT, op . ~ít ., p . 295 ss ., sí pronuncia, seguendo A . Díllmann (1875), ín favore di E ; A. D~ P~~~v, ín uno studio che apparirà prossimamente su Gen . 32 . 23 ss ., difende nettamente íl carattere jahvísta dí questo racconto.
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Secondo approccio
personaggi principali, ríferísce le loro azioni e le loro parole ; fa abbondante uso di contrasti, dí giochi di parole, dí dialoghi, ricamando intorno ad un tema o ad un termine ; la sua arte sí manifesta nel modo con cui egli awínce gli uditori e più tardi í lettori, creando in essi una tensione via vία maggiore fino allo scioglimento finale, dopo d~ che conclude rapídamente .$z Gen . 32 . 23-33 è un eccellente esempio dí saga israelíta . 23 Questa pericope sí apre con la presentazione dell'eroe, il quale sí trova in una situazione particolarmente delicata : Giacobbe è solo, nella notte, e deve guadare un torrente . D'improwíso soprawíene una difficoltà ímpre~ísta : uno sconosciuto lo assale e ingaggia con lui una lotta ad oltranza . L'esito del combattimento resta a lungo incerto,
20 . G. Vox Rn~~, op . cit., pp . 453-454. 21 . La terminologia relativa alla saga, che corrisponde alla Sage ín tedesco, è ancora incerta . Talvolta sí distingue la saga dalla leggenda e dalla fiaba, talvolta li sí confonde ; sembra preferibile per íl momento parlare dí saga. Sulla narrazione patriarcale, bibliografia ín R. M~~xr~~- ACI3ARD, Actualité d'Abraham, Neuchâtel et Pańs 1969, p. 40 ss ., 57 ss . 22 . Cfr . specialmente C . WI~r~~zw~aNx, u Arten der Erzâhlung ín der Genesís n Fors~hung am Altea Testament, Theologísche Bucherei, 24, München 1964, pp . 9-91 ; H . GI~n~ Rw~xr~.ow, Opfere deiden Sohn . Eíne Auslegung von Genesís 22, ín n Bíblische Studien n 53, Neukirchen-Vluyn 1968, p . 32 ss ., con indicazioni bibliografiche . 23 . Partendo da altre premesse, R. Barthes fa la stessa constatazione .
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tanto più che esso si svolge nell'oscurità, e non sí vede esattamente quale dei due contendenti riesca a colpire l'altro . Se l'azione raccontata nei primi versetti è volontariamente misteriosa, le parole che seguono non contribuiscono ad illuminare l'ascoltatore, íl quale non può
Ogni lettore di questo passo della Genesi è colpito dalla varietà e dalla ricchezza dei temi utílizzat~, ciò che spíega íl gran numero dí commenti che la pagina ha suscitato . Si possono tuttavia riconoscere, in questi versetti, tre motivi principali : íl primo concerne la proibí-
immaginare dove íl narratore voglia condurlo . I due personaggi si rivolgono la parola ; uno chiede dí essere liberato, ma l'altro esige in cambio dí essere benedetto . Il dialogo, appena abbozzato, sembra
zíone di mangiare il nervo sciatico, ed ha un ruolo secondario ; íl secondo, la scoperta che Giacobbe fa della presenza divina a Penuel ; l'ultimo, íl più importante, la lotta del patriarca al guado dello Iabboq .
fallire, ma riprende quando uno degli antagonisti, senza rispondere al desiderio del compagno, lo interroga e finalmente gli rivela la propria
Questi motivi, all'origine indipendenti gli uni dagli altri, si sono combínatí a poco a poco per costituire íl racconto biblico che noi leggiamo .
superiorità accordandogli un nuovo nome . In un attimo i ruoli sono invertiti: l'anonimo, che pareva allo stremo delle forze, ora comanda, e sí congeda dal partner lasciandogli la sua benedizione . Il racconto volge al termine ; si conclude con l'immagine dell'eroe che sí allontana, zoppicando, mentre sorge íl sole . 24 E . Gunkel ha insistito molto sul carattere etiologico delle saghe della Genesi ; la loro funzione, a suo parere, è innanzi tutto esplicativa. Studi recenti hanno permesso dí attenuare questo punto di vista, mettendo ín evidenza che il motivo etíologico è spesso secondario e tardo . La Saga risponde ad altre preoccupazioni, estetiche e religiose : mira a divertire, mentre conserva gelosamente, come un memoriale, íl ricordo degli antenati dí Israele . In Gen . 32 . 23 ss . l'elemento etiologíco non manca: il racconto spíega l'origine dí una proibizione (v . 33), di un nome dí luogo (Penuel, v. 31) e del cambiamento del nome dí Giacobbe (Israele, v . 29), ma non sí limita a render conto di tutto ciò . Non è stato composto per giustificare una prescrizione alimentare, che tatto sommato resta marginale (v . 33) ; quando a Penuel, se effettivamente un ieros logos è potuto esistere un tempo, l'episodio della lotta dí Giacobbe con l'angelo, nella sua forma attuale, non sí riduce a questo dato esplicativo . Infine, nessuno potrebbe negare l'importanza
Fondendosi, essi possono aver cambiato di valore : un elemento, per esemplo etíologico, è passato ín secondo piano, mentre altri elementi, come íl nome dí Israele, hanno assunto via νία un grande rilievo . Non è facile ricostruire la storia delle tradizioni dí Gen . 32 . 23-33 . Queste sono certamente anteriori all'epoca israelitica e íl loro incontro ha preceduto la messa ín iscritto del racconto della lotta dí Giacobbe con l'angelo . I discepoli dí H . Gunkel hanno tentato dí raccontare lo sviluppo della narrazione biblica, e per quanto nelle loro rícostruzíoni rimanga una parte dí ipotesi, hanno avuto il merito dí mettere ín evidenza íl fatto che la Scrittura è un dato vivente, animato da e per una comunítà .zs Il tabì~ alimentare dí cui sí parla al v . 33 può essere avvicinato ad altre proibizioni di questo tipo in Israele e altrove ; per quanto verosimilmente molto antico, esso è rivolto agli Israeliti e quindi non sí colloca sullo stesso piano del racconto . È notevole íl fatto che la proíbizío~~e non ricompaia nell'Antico Testamento, mentre viene richiamata nel Talmud dí Babilonia, nel trattato misnaíco dí Hullin § 7. 27 Israele non può cibarsi del nervo sciatico - forse converrebbe tradurre l'espressione ebraica con ~~ íl muscolo della coscia » - perché questo veniva messo ín relazione con la potenza riproduttiva della regione lombare ; íl popolo dí Yahvè non ha íl diritto di impadronirsi della
della dichiarazione dell'avversario dí Giacobbe relativa a Israele (v . 29), ma questa è inseparabile dalla narrazione del confronto fra il patriarca e Dío, che appare come íl motivo centrale della pericope, dato che può sussistere indipendentemente dal v . 29. Geη . 32 . 23 ss . riferisce, ín primo luogo, come dice giustamente C . Westerman,
l'incontro del patriarca con un personaggio misterioso nel quale egli riconosce, tardivamente, íl suo Dío .zs
24. Il levar del giorno è íl momento della risposta hberatríce dí Dío, secondo la tradizione veterotestamentaría (Sal . 46 . 6 ; 90. 14 ; 143 . 8) (cfr . J . Z~~G~.~~~, Die Hílfe Gottes w am Morgen ». Alttestametttliche Studíeu Friedrich Nôtscher zum 00 . Geburtstag, Bonner Biblische Beítráge , I, Bonn 1950, pp . 281-288) . 25 . C . WF51'ERMANN, op. ~ít ., alla nota 1 della p . 50, p . 85 .
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26. Neí lavori dí K . Elliger e di F . van Trígt citati alla nota 2, sí troveranno buoni esempi dí questa ricostituzione della storia delle tradizioni per quanto riguarda Gen. 32. 23 ss.
27. Il Talmud nota che il nervo dí Giacobbe è stato spostato durante la lotta con l'angelo . Secondo í commentatori della tradizione giudaica, la cosa sí sarebbe verificata perché í figli dí Giacobbe avrebbero trascurato (gioco di parole sulla radice n~fah) l'obbligo dí ~esta~e presso íl logo padre : perciò sarebbe stato vietato loro dí consumare il nervo sciatico . Un'altra interpretazione giudaica vede nel fatto che Giacobbe non è stato vinto, ma soltanto ferito nel suo combattimento al guado dello Iabboq, il pegno che Israele, il quale soffre ín esilio, non sarà annientato dai suoi nemici . Queste informazioni mí sono state cońesemente comunicate dalla Signora E . Starobinskí-Safran . Sí possono trovare nel Mídrasch Bereschít Rabba, edito da A . Wtlκseκε, Leipzig 1881, altri echi della Haggada su Gen . 32 . 23 ss . (pp . 376-381) .
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forza vitale che è collegata alle cosce o più esattamente alle parti sessuali dell'animale, come non può mangiare carni che contengano il loro sangue (Gen . 9 . 4 ; Lev . 7 . 26 s .) . 28 Penuel sí trova non lontano dallo Iabboq, ed è stato identificato con tell ed _dahab esch-schergi ; al tempo dí Gedeone íl luogo possedeva
che voleva impedirgli il passaggío dí un guado . L'uomo ríesce, non senza difficoltà, a superare l'ostacolo ; esce malconcio dall'avventura, ma ha la benedizione, vale a dire : egli ha perduto qualcosa, ma ha rícewto ín cambio un bene più prezioso . Gen. 32. 23 ss . appartiene alla categoria dei racconti incentrati sul tema della prova dell'eroe.
una torre (Guíd. 8 . 9, 17), che fu poi fortificata da Geroboamo I (I Re 12 . 25) . La località doveva probabilme~~te íl suo nome, come segnala F . vai Trigt, ad una altura che evocava un volto gigantesco, come è dato incontrarne in Scozia o nel Sahara . Strabone cita una
Non è difficile trovare tradizioni parallele a questa saga . Gíà H . Gunkel ha segnalato l'esistenza di racconti islandesi, germanici, anglosassoni, lituani che narrano i combattimenti che esseri umani hanno dovuto sostenere dí natte contro dèmoní, mostri, o contro íl
città della Fenicia chiamata, forse per la stessa ragione, ~~o~ ~~~ó~~~tov . 29 Penuel era certamente un antico centro dí culto ( hammagóm) (v. 31), che Gen . 3Z . 23 ss . collega alle imprese del patriarca ; del resto è possibile che lo zoppicare dí Giacobbe (v . 32), che fa pensare
diavolo . Egli paragona la storia della lotta dí Giacobbe con l'angelo alle leggende nelle quali u~ uomo, con l'astuzia o con la violenza, costringe la dívínítà a cedere una parte del suo potere o del suo sapere . È íl caso di Menelao e di Proteo, dí Mída e Síleno, ecc.31 Ma, come osserva giustamente E . van Trígt, questi accostamenti non tengono conto dí un elemento assai importante ín Gen . 32 . 23 ss ., cioè che az Esistono altri racconti Giacobbe si trova sulla riva dello Iabboq nei quali un dio o lo spirito del fiume sorvegliano un guado e ne ímpedíscono gelosamente l'accesso . J . Chaíne cita una serie dí casi,
alla danza claudicante dei profeti di Baal al Carmelo (I Re 18 . 26
riferiti da Plutarco e da Erodoto, nei quali il capo dell'esercito, prima di far passare alle sue truppe un fiume, sacrifica alla divinità del fiume stesso per propízíarsela . 3a Lo Iabboq, oggi Nahr ez-Zerga, cioè íl fiume azzurro, scende a precipizio verso íl mar Morto ; le sue acque, abbondanti nella stagione delle piogge, non ne facilitano íl guado . Questo fatto ha potuto far credere che un dio ne proibisse íl passaggío, e anche dar luogo alla leggenda secondo cui un uomo, dotato dí una forza erculea, era riuscito a domare questo dio . È dunque verosimile che sia esistita una saga dí questo tipo in uno stadio pre-israelita. Quando gli Israeliti occuparono la regione,
La lotta di Giacobbe con lo sconosciuto presso íl torrente Iabboq appare come l'elemento centrale della nostra perícope . Questo motivo è sviluppato ín una saga che costituisce un tutto omogeneo, anche prescindendo dalla proibizione dí mangiare íl nervo sciatico e dalla menzione dí Penuel . Ricondotto aí suoi tratti essenziali, l'episodio racconta la lotta notturna che ha opposto qualcuno a una forza misteriosa 28 . Cfr . F . Vp~ TRIGT, op. ~ít., p . 285 ; si veda anche L . SABOURIN, op . cít., p . 89, nota 65 . 29 . Ibíd., p . 284. 30 . Spesso sí avvicina il nostro brano ad uno stiano racconto nel quale Jahvè affronta d'improvviso Mosè e cerca dí farlo morire (Es. 4 . 24-26) .
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sí impadronirono della leggenda, facendo del loro antenato Giacobbe l'eroe della lotta al guado dello Iabboq . Secondo F . van Tτígt, Israele trovava così íl modo dí dare un'origine e una spiegazione gloriose al proprio nome, e forse anche íl mezzo per appropriarsi il luogo culturale dí Penuel, e persino un tabù alimentare, collegandoli a Gíacobbe . 34 La leggenda, conosciuta sotto forma orale, doveva servire ad esaltare
31 . Nelle ultime edizioni del suo commento H . Gunkel dedica un paragrafo speciale ai paralleli dí Gen . 32. 23 ss . (3g - 68 ed ., 1910-1964), pp . 364-5 . 32 . Op. ~ít., pp . 283-4 . 33 . J . Cτ~.ιτrτε, op . cít., pp . 347-8 . 34. Op. cit ., pp. 285 ss . Questo autore paragona il combattimento dí Giacobbe alle lotte dí Rachele contro la sorella (Gen . 30 . 8 ) e sí domanda , considerando la díchia~azíone dí Osea (12 . 4 s .), se l'episodio riferito ín Gen . 32 non dovesse collocarsi all'inizio della carriera dí Giacobbe , quando egli non aveva ancora figli .
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sciuto, accanto a un Giacobbe tranquillo, che dimora nelle sue tende, presso la madre (Gen. 25 . 27 s .), un Giacobbe capace dí prodezze
Così sí può riassumere la storia della tradízíone del guado dello Iabboq secondo la scuola dí H . Gunkel . I discepoli dí J. Wellhausen cí avevano condotti a una sorta dí impasse, sezionando Gen . 32 . 23 ss ., senza giungere ad un accordo su quanto doveva attribuirsi alle diverse fonti della Genesi . Un nuovo approccio al racconto della lotta dí Giacobbe con l'angelo ci ha consentito di superare l'ostacolo e dí
fisiche straordinarie (non ha forse fatto rotolare da solo la pietra che i pastori non erano ín grado di spostare se non unendo í loro sforzi ? Gen . 29 . 10 ; nota dí R. de Vaux), una specie di gigante, dí cui una
riconoscere il genere letterario dí questo episodio, í motivi che sono messi in scena, e anche le forme del suo divenire . Nello stesso tempo questa prospettiva ci svela la vita che sta dietro, o dentro, íl testo dí
versione antica dí Gen. 32, 23 ss. narrava una delle tante imprese . Secondo il racconto israelita, il patriarca trionfava del suo awersarío (cfr . Os . 12 . 4 s., un testo discusso) .as
cui cí occupiamo .
La saga verrà ripresa dallo Jahvista. Questo scrittore, come ha giustamente osservato K . Elliger, non è un semplice compilatore, e d'altra parte non ha inventato la narrazione che trasmette ; egli è soprattutto un teologo, e vuol far entrare questo episodio (Gen . 32 .
Terzo approccio
íl patriarca : ne vantava l'astuzia, che la Genesi ricorda spesso (Gen . 25 . 27 ; 29 ss . ; cfr . Os . 12 . 4 ; il nome del Dio dí Giacobbe, íl ~~ Campione », che compare in Gen . 49 . 24 ; Es . 49 . 26, ecc ., non può riferirsi anche alla forza del patriarca ?) . Sembra che la tradizione biblica abbia cono-
23 ss .) ín un insieme che presenti la totalità della storia di Giacobbe . Riprende dunque la tradizione israelita apportandovi qualche ritocco per accordarla al suo progetto e alla sua visione teologica della vita dei patriarchi se Sarebbe del tutto fuori luogo, nella prospettiva che gli è propria, raccontare un successo dí Giacobbe su Jahvè ; per questo il nome proprio del Dío d'Israele è accuratamente taciuto . D'altra parte lo Jahvista sfrutta l'ambiguità del racconto, lasciando aleggiare un certo dubbio sull'esito del combattimento : Giacobbe non deve vincere, ma nemmeno deve essere sopraffatto ín maniera troppo manifesta ; alla fine dovrà abbandonare la presa, ma íl suo awersarío sarà costretto a riconoscere la sua resistenza . Ha lottato una notte intera, è stremato dalla prova, ma ha ricevuto - o conservato - la benedizione divina . L'episodio non è più scritto ín gloria del patriarca, ma questi non ne esce diminuito . Lo Jahvista sottolineando che Giacobbe, contrariamente ad ogni attesa, è uscito vivo dal suo incontro con Dio, suggerisce che l'ultima parola è rimasta alla grazia dívína.37
35 . Cfr. la nota 17. Sí osserverà che nella ve~síone masso~etíca íl v. 5 , correttivo del v. 4, lascia capire che Giacobbe ha lottato non contro Dio, ma contro íl suo angelo . 36. Sulla teologia dello Jahvista, cfr . í commenti di K. Elliger e dí G . von Rad . Cfr . inoltre H . W. Woτ.τ=κ, Das Kerygma des Jahu~ísten, ín s Evangelische Theologíe » 24, 1964, pp . 73-98, ora ín Gesammelte Studíe~ xum Altera Testament, Theologísche Büchereí , 22, München 1964, pp . 345-373). 37 . K. E~.~.~c~~ mostra come J abbia rielaborato la vecchia saga israelita (op, cít ., pp . 149 ss .), sottolineando ín particolare l'aspetto positivo dell'azione divina su Giacobbe (pp . 169 ss), seguito ín questo da H . J . Sro~t~~~: (~p. cit .) .
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Qualunque sia stato il cammino della saga su Giacobbe a Penuel dall'origine cananea alla elaborazione Jahvista, essa fa ora parte di un insieme del quale occorre tener conto per comprendere la portata del racconto nel quadro biblico che oggi è íl suo . Anche se Gen . 32 . 23 ss . è stato talvolta considerato un blocco erratíco, attualmente íl brano è integrato nella storia del ritrovamento di Giacobbe e di Esaù . Qualunque esegeta, nella sua spiegazione, deve tener conto del contesto, contesto che ρυò essere considerato a tre differenti livelli ; innanzi tutto í paraggi immediati di Gen . 32 . 23 ss ., poi la collocazione dell'episodio dello Iabboq nel ciclo narrativo dí Giacobbe, infine íl ruolo dí questo - testo nella Scrittura e ín particolare nell'Antico Testamento . Sarebbe interessante proseguire l'indagine allargando la nozione dí contesto sino a situare questo testo della Genesi nella tradízíone giudaica post-canonica o nella letteratura cristiana 38 Gen . 32 . 23 ss . è stato inserito, sicuramente dallo Jahvista, nella narrazione dell'incontro fra Giacobbe e íl fratello . Gen . 31 racconta
38 . Questa pagina della Scrittura è stata spesso interpretata come una íllustrazíone del combattimento spirituale o della preghiera che è talvolta una lotta (cfr. già í Padri : Orígene, Gerolamo) . J . M. T~z~ ancora ultimamente ne ha fatto una lettura spirituale (op . cit.) ; si è visto anche una prefigurazione della sofferenza del Cτísto al Gehtsemani o sul Calvario (cfr . J . SCHILDENBIStGI:R, op . cít ., pp . 95-6 ; L. Saso~~~t~~, op . cít ., p . 86) ; e ín questo stesso senso, Giustino, Teodoτeto, Lutero, ecc. W. Víscher dichiara : a Ma con Lutero noi possiamo ora dire : Senza alc~~~~ dubbio, quest'uomo non è un angelo, ma nostro Signor Gesù Cτísto, Dío eterno divenuto uomo . . . ; Dío appare ín Gesù Cτísto come l'uomo sulla terra per combattere con gli uomini e lasciarsi vincere da loro » (W . V~sC~i~~, La loi ou les ~ínq livres de Mosse, traduzione francese, Neuchâtel et Paris 1949, p . 208) . Sí potrebbero moltiplicare le citazioni che mostrano la varietà e la ricchezza dei commenti che questo episodio della vita dí Giacobbe ha ispirato .
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come il patriarca sia riuscito a liquidare tutte le pendenze con il suocero Labano : da questo lato egli non corre più alcun rischio . Tuttavia Gìacobbe sa che una difficoltà molto più grave lo attende prima di poter raggiungere íl suo paese : egli deve attraversare il territorio che appartiene ad Esaù e non potrà per conseguenza evitare dí trovarsi di fronte a colui che ha gravemente offeso sottraendogli la benedizione del padre . Gen . 32 cí dice ín quale modo il patriarca sí prepari a questo avvenimento : íl capitolo, nel quale í critici ritrovano le fonti J ed E, si apre con una indicazione etíologíca (v. 2) che, nel contesto attuale, appare come un segno premonitore della scena del guado dello Iabboq: esseri divini sí presentano improvvisamente a Giacobbe . Secondo í w . 4-14 a (J), íl patriarca, venuto a sapere che suo fratello rnarcía contro di lui con quattrocento uomini, impaurito, divide i suol beni in due parti nella speranza dí salvarne una parte . Inoltre sí rivolge a Jahvè, Dio dei suol padri, che gli ha promesso tutto íl suo appoggio . Questa preghiera (w . 10-13), espressione della teologia dello Jahvísta, permette di inquadrare nella loro giusta relazione Dío e il patriarca . Nel momento stesso ín cui questi è impegnato ín questioni tutt'altro che chiare, confessa che deve tutto a Jahvè e che attende tutto dalla sua misericordia . II seguito del capitolo (w . 14 b - 22) (E) riferisce un'altra misura presa da Giacobbe nei confronti dí Esaù : gli manderà una serie dí regali destinati a calmare a poco a poco la sua ira . 39 Il capitolo 33 racconta l'incontro fra i due fratelli . In modo del tutto inatteso (ma indubbiamente bisogna vedere in questo la mano di Jahvè), Esaù sí getta al collo di Giacobbe e sigilla con questo gesto la riconciliazione dei figli dí Isacco 40 Ciononostante, se il peggio è stato evitato, la diffidenza resta, da una parte e dall'altra . Esaù preferisce sorvegliare da vicino l'attività del fratello, e Giacobbe cerca, e vi riesce, dí liberarsi dí quella presenza con un futile pretesto . L'episodio dí Penuel sí colloca dunque fra í preparativi dell'incontro e l'incontro stesso . Il contesto mostra che, per quanta cura abbia 39. Nello sconosciuto del guado dello Iabboq sí è voluto vedere l'angelo custode dí Esaù, un a doppio s della personalità del fratello di Giacobbe, ecc . (cfr . L. Sn~io~~~u~, op. cít ., p . 86). Alcuni commentatori, come H . Cazelles (cfr . la nota 16) e O . Procksch (cfr . la nota 2), mettono ín relazione la scena dí Penuel con la d~chíarazíone dí Giacobbe a Esaù: ~ . . . ío ho visto la tua faccia come sí vede la faccia dí Elohrom, e tu nú hai accolto benevolmente u (Gen . 33 . 10) . 40 . Sull'incontro dei due fratelli, cfr . W. V~sc~t~~, La ré~on~~líatíon de Ja~ob et d'Esaü, ín ~ Verbum Caro u 41, 1957, pp . 41-51 . Le tradizioni su Giacobbe ed Esaù riflettono probabilmente la storia delle relazioni fra clan e tribù parenti e rivalí. Questa dimensione socio-economica del racconto biblico, alla quale qui alIudiamo soltanto, non deve essere trascurata .
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messo il patriarca - nel preparare la cosa, ha dimenticato un punto essenziale . Ha pensato a tutto fuorché al fatto che íl Dío da lui invocato aveva la sua parola da dire nella questione . La difficoltà interviene proprio quando l'eroe non se l'aspetta : egli deve affrontare un avversario molto più temibile di Esaù, Dío stesso, íl quale risponde così in maniera sorprendente alla sua preghiera . Giacobbe non può andare direttamente incontro al fratello, occorre che prima passi attraverso una notte d'agonia, che alla fine sarà in qualche modo una notte dí purificazione (Sap . 10 . 12) . A1 mattino egli è un altro uomo, come attestano l'anca slogata, segno visibile della grazia che gli è stata fatta, e íl nome che d'ora innanzi porterà, un nome che gli apre nuove prospettive . Sí è parlato, a questo proposito, della conversione dí Giacobbe ; ma non bisogna idealizzare troppo la trasformazione che sí opera nel patriarca, íl quale continua a giocare d'astuzia con Esaù (Gen . 33 . 12 ss .)?~ Al livello del contesto immediato, l'accento del racconto batte sulla prova temibile che Giacobbe ha dovuto sopportare prima dí riconciliarsi col fratello . Questa pagina della Genesi riporta uno degli episodi della vita del patriarca, fa dunque parte del ciclo di Giacobbe, alla luce del quale bisogna ancora esaminarla (Gen . 25 . 19-35, 29) . Secondo J . Schíldenberger, nei suol termini attuali, la storia del patriarca, che combina diverse tradizioni (J, E e P), comprende cinque rivelazioni dí Dío a Giacobbe, e ín particolare tre teofanie, dí cui la prima e l'ultima sono situate a Bethel (Gen . 28 . 11-12 ; 35 . 9-15) e la seconda a Penuel (Gen . 32 . 23-33) . Il destino dí Giacobbe l'ha condotto da Canaan al paese dí Aram, e poi dí nuovo a Canaan ; Bethel ha significato, ín ognuno dí questi viaggi, una tappa importante, ma nel cuore delle sue peregrinazioni sí trova l'episodio del guado dello Iabboq . Esso rappresenta una svolta decisiva nell'esistenza del patriarca, la líquídazíone di un certo passato, collegato al nome dí Giacobbe, e l'inizio della storia dí Israele 4z Se sí considera soltanto la fonte jahvísta, Gen . 32. 23 ss. appare come una ripresa del tema della benedizione. Sotto forma dí promessa, la benedizione ha una funzione capitale nella tradizione dei patriarchi, collegando fra loro, nella prospettiva jahvísta, í diversi momenti
41 . Come rilevano anche W . VISC~IER, op . 42 . A. D~ P~~~w ha titolo u Promesse divine
L. Sn~;o~rn~N, op . cit., pp . 82-3, seguendo G. von Rad, e ~ít., alla nota 2 della p . 57, pp . 47 ss . preparato sul ciclo dí Giacobbe una tesi importante dal e leggende culturali nel ciclo dí Giacobbe u.
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della vita degli antenati del popolo d'Israele, e assicurando la contínuítà di una storia di salvezza che sí inaugura con Abramo, continua con Isacco e Giacobbe e mira alla felicità dí tutte le nazioni (Gen. 12 . 2 s . ; 18 s . ; 24. 6 s . ; 26 . 23 ss . ; 28 . 13 ss . ; ecc .) . 43 Giacobbe è stretta-
allude direttamente, seppure ín modo assai libero, con un'intenzione polemica nei riguardi dei suoi contemporanei . Egli vuole mostrare loro che sono í degni discendenti di Giacobbe, di colui che slealmente soppiantò ~l fratello, e che Dío umiliò al guado dello Iabboq (Os. 12 . 1 ss . e ín particolare 4 s .) 46 Tuttavia la narrazione contiene
mento coinvolto nel problema della benedizione : fin dalla giovinezza egli manifesta il desiderio di impadronirsene con tutti í ~r~ezzí (Gen . 25 . 29 ss . ; 27 . 1 ss .), e questo lo condanna all'esilio per sfuggire alla col-
un elemento destinato a svolgere un ruolo significativo nella Moria del
lera dí Esaù ; a Bethel, nel momento ín cui è costretto ad espatriare, Jahvè lo designa come l'erede della promessa fatta ad Abramo ; al guado dello Iabboq, malgrado la ferita, non accetta dí lasciare ín libertà íl suo awersarío prima di ricevere da lui la benedizione (Gen . 32.
Gen . 32 . 29 spiega infatti la portata dell'appellativo Israele . È una spiegazione di tipo popolare, che si basa su un gioco dí parole, come abbiamo visto : viene messo ín relazione íl nome dí Israele con
26) . Questa sorta dí accanimento è caratteristica dell'atteggiamento
la sua tenacia . Lo sconosciuto celebra la difesa del patriarca, íl fatto
del patriarca . Piuttosto che la pietà, bisogna vedere ín ciò, osserva G . von Rad, la reazione quasi primitiva dell'uomo che desidera ac-
che abbia resistito una notte intera, più che non la sua vittoria, come
quísíre la forza divina ; alla fede sí mescolano disperazione e sfrontatezza .~ Ma la cosa più sorprendente è che, secondo lo Jahvísta, Dio
popolo dell'Antica Alleanza, giacché rivela ad esso l'origine e il senso del suo stesso nome .
la lotta dí Giacobbe contro Elohim e contro gli uomini, e anche con
comunemente sí pensa?' Da un punto dí vista scientifico, questa interpretazione del nome di Israele non si regge : El, ín Isra-el, non può che essere íl soggetto
acconsente a lasciarsi convincere da questa violenza ; Giacobbe non riesce a trattenerlo più a lungo, ma Jahvè gli manifesta la sua grazia
e non l'oggetto dell'azione dí lottare . Israele dunque deve essere interpretato come Ismael, che significa ~~ che El/Dio ascolti ~> ; così
benedicendolo . Per K . Elliger, Gen . 32. 30 legittima la benedizione che íl patriarca ha ottenuto da Isacco con l'astuzia (Gen . 27), conferma
strí la sua forza ~>, o anche ~c regni ~, dato che íl senso preciso dél
la parola pronunciata a Bethel (Gen . 28) ed esaudisce la preghiera dí Giacobbe prima del suo incontro con Esaù (Gen . 32 . 10 ss .) . A partire da questo momento Giacobbe, che ha dovuto confessare
Israel può essere reso con « che El/Dío combatta », oppure ~ dímoverbo s~r~h rimane incerto . Comunque, íl nome di Israele evoca la fede e la speranza dí colui che lo porta, proclamando í~ qualche modo ~ che El/Dio manifesti nel combattimento la sua potenza » 4a
íl proprio nome e perciò stesso riconoscere le proprie colpe, può vivere sotto íl segno delle benedizione che Jahvè gli ha liberalmente concesso . A rileggere la storia del guado dello Iabboq nella prospettiva jahvista cí sí accorge, con K . Elliger, che íl vero soggetto dell'epísodío non è Giacobbe, ma Jahvè . È lui che ha provocato l'incidente, che ha voluto che l'awersarío sí piegasse fino a rivelare la sua identità, e che alla fine concede la sua grazia. Anche se sulle prime non appare con evidenza, è Dio che guida gli avvenimenti, e persegue íl suo piano d'amore nei confronti dell'umanità 4s Resta da considerare il testo dí Gen . 32 . 23-33 alla luce dell'Antico Testamento . È notevole íl fatto che questo racconto non sia stato spesso presente alla tradizione veterotestamentaría nonostante la sua importanza (cfr ., per es ., Sap . 10 . 12) . Soltanto íl profeta Osea vi
43 . Cfr. specíalmente ί lavorí di Η . W . Wοιεε (ηοtα 2, ρ. 55) e dí C . Wεsrτ?κτ~τητsκ (nota 1,
ρ. 50) .
44 . Ορ . cít ., ρρ . 328-9 e 331 . 45 . Ορ . cít., 1966, ρρ . 168 ss .
46 . Cfr . le note 17 e 35 . Accanto al commento dí E . Jacob segnaliamo quello dí H. W . Wo~.F~, Bíblíscher Kommentar, XIV/I, Neukirchen Kreís Moers 1961 . 47 . Con K . E~.~,~c~~ (op . cit., 1966, pp . 166-7) è preferibile tradurre l'espressione ebraica con ~ resistere ~ piuttosto che ~ vincere n ; sono le versioni che impongono l'idea dí un successo di Giacobbe sull'avversario . $ vero che ín simili circostanze, non cedere immediatamente costituisce già una riuscita. 48 . Sull'etimologia dí Israele, c fr . i n pańícola~e í lavori dí M . Norme, Die ísraelítischett Personennamen im Rahmett der gemeinsemítis~hen Namengebung , Beítràge zur Wíssenschaft vom Alten índ Neuen Testament, III, 10, 1928, pp . 207 ss . ; G. A . Dn~~~ .~., Studíes in the Name of Israel ín íhe Old Testament, Uppsala 1946, pp . 22 ss . Sí pensa generalmente che sáráh ha il senso dí lottare, ma considerato l'uso rarissimo del termine (Gen . 32. 29 ; Os . 12 .4), questo sígnifi~ato viene contestato da certi specialisti . M . Noth sí riferisce piuttosto a una radice sfirâh = regnare, dímostrarsí padrone . E . JACO~t nella sua Théologie de l'An~iett Testamene, Neuchâtel et París 1955, p . 165, ritiene che íl nome di Israele derivi dalla radice yflshar et sígnífichí n El è retto o giusto » (o anche ~ che El sí mostri retto, giusto n, cioè vittorioso) ; questo nome farebbe di Israele íl campione dí El . Altre ipotesi sono state avanzate senza tuttavia far progredire la questione .
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Il racconto del guado dello Iabboq presenta dunque un'altra spíegazíone, la quale, pur non essendo esatta sul piano filologico, non è meno piena di profondità al livello teologico, giacché riguarda non solo l'esistenza del patriarca, ma anche quella dell'intero popolo d'Israele . Certo, la dichiarazione del v . 29 concerne ín primo luogo Giacobbe che ha appena affrontato Elohím e che ha non pochi guai con Labano e can Esaù, ma lo jahvista, pur tenendo presenti questi dati, conferisce loro una portata più vasta . Egli non può prescindere dalla storia dei díscendent~ dí Giacobbe e dalla loro lunga esperienza religiosa ; appunto attraverso questo schermo egli rilegge l'avventura di Giacobbe a Penuel e ne intuisce l'esemplarità per i figli d'Israele . L'epísodío del guado dello Iabboq prefigura quello che sarà íl destino dei díscendentí del patriarca . Lo jahvista getta sul passato uno sguardo profetico 49 e scorge nella scena della lotta la rivelazione della sorte misteriosa dí Israele . Il nome stesso che porta destina íl popolo dí Jahvè ad affrontare al tempo stesso Dio e l'umanità ; lungo tutta la sua storia Israele deve resistere contro un Dio che si nasconde proprio nel momento in cui è più congiunto con íl suo popolo, un Dío dovunque presente eppure inafferrabile, e deve resistere contro le nazioni ín seno alle quali Israele appare sempre come qualcosa dí intollerabile, tanto che tutti cercano di sbarazzarsene con l'astuzia o con la forza . Gen . 32 . 23-33 rivela così la vocazione dí Israele, che è quella dí scontrarsi con Jahvè, dí cui pure è il testimone, volente o nolente, e dí scontrarsi col mondo al quale Dío lo impone ín conformità con il suo piano dí salvezza . Quest'ultimo approccio mostra la funzione del contesto nella spíegazíone dí un testo bíblíco ; è una via che ci consente di far luce sulle diverse sfaccettature della storia della lotta dí Giacobbe con l'angelo ~n funzione della sua estensibilità. Gen . 32 . 23 ss . racconta la prova decisiva che attende Giacobbe prima dell'incontro con Esaù, insiste sull'ostinazione del patriarca nell'acquistare e conservare la benedizione divina, svela infine nell'episodio del guado dello Iabboq íl tipo di relazione del popolo dí Jahvè con Dio e con gli uomini.
bíblíco dalle sue origini più remote e certamente anteriori all'epoca israelita, fino alla sua integrazione nel canone veterotestamentarío, percorrendo gli stadi successivi della sua elaborazione . Questo modo di comprendere un testo è conforme alle più recenti indicazioni degli specialisti dell'Antico Testamento, íl quale appare come l'eco di una tradizione viva, sviluppatasi in seno ad un popolo e nel corso della sua storia, come un riflesso degli aggiornamenti costanti della fede jahvista ispirati da una duplice preoccupazione, dí rispetto nei confronti del passato e dí apertura verso il presente . L'Antico Testamento è esso stesso il prodotto dí una esegesi che ha voluto esprimere íl significato attuale della Parola Dívína . ROBERT MARTIN-ACHARD
Questa esegesi, di proposito abbondantemente sviluppata, indica che oggi il bíblista pratica volentieri una lettura sincronica della scrittura . Il suo intento è quello dí scrivere íl destino dí un dato 49 . F. VAE T~~~cT ricorda l'espressione di Corníll a proposito della stońog~afia israelita : si tratta dí u~~a x rü~kw~írts gekehrte Prophetie x (op . cit ., pp . 281, 309) .
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L'indemoniato di Cerasa : Analisi letteraria di ~~larco 5 . 1-20 ι
L'esperienza dí una lettura puramente letteraria dí un testo evangelico ha indubbiamente l'aria di una scommessa : è una lettura che sí aggiunge a tutta l'esegesí precedente ignorandola o fingendo dí ignorarla . Non è la lettura dí un credente, e neppure dí un teologo dí altra confessione, e dunque apparirà inadeguata per la sua stessa esteriorità . Esteriorità non compensata dal fatto dí chiudersi all'interno del testo per tentare di coglierne tutto íl senso . Impegnandosi ín questo tipo dí esercizio, il critico letterario viene, per così dire, messo alla prova : saprà scoprire tanti fatti significativi quanti ne ha saputo vedere la tradizione esegetica ? Ultimo venuto, egli è consapevole che la sua interpretazione verrà immediatamente confrontata con tutte quelle di cui non fa che aumentare la lista, sicché sí mette ìn guardia : sa che deve essere prudente, ma al tempo stesso deve dispiegare tutte le risorse del proprio ingegno per provare la legittimità dei suoi metodi . Glí sarà quindi díffìcíle adottare l'atteggiamento del lettore non prevenuto, per quanto ví~o sia íl suo desiderio di far tabula rasa , e dí accostare íl testo sacro come un qualsiasi altro testo : non si può ignorare íl posto che questo testo occupa fra í testi che costellano í secoli, non si può ignorare la sua funzione storica e, dí conseguenza, le ragioni presenti (cioè storiche) che nai abbiamo dí interessarcene . Soltanto a titolo dí procedimento, dí metodo, e con la chiara consapevolezza delle dimensioni eluse, íl frammento studiato verrà ridotto al registro del suo discorso - della sua struttura. Non sí giungerà certo a simulare l'ignoranza del contesto vetero- e neo-testamentario . Cίδ che sí elimina dal campo dell'attenzione non sono le pagine che precedono o seguono, ma íl contributo dei documenti esterni al testo, tutto ciò che aiuta lo storico a situare íl testo nel suo momento, ín rapporto ad avvenimenti che non figurano nella narrazione, ma che la memoria scientifica ha ricuperato per altre vie . Non sí esiterà ad accettare senza riserve la versione canonica del testo, senza chiederci se tutte le sue parti siano proprio della stessa mano, o se sia íl caso dí 60
distinguere stadi anteriori alla redazione che cí è offerta . Insomma, invece dí situare il testo all'interno del tempo storico, ci sí sforzerà dí decifrare la temporalità interna che risulta dal suo stesso enunciato . Tutto questo significa studiare il testo nella « sincronia » cíoè nella quasi-simultaneità delle sue parti, ma prestando al tempo stesso la più viva attenzione alla sua organizzazione sequenzíale : separato dal tempo dello storico, astratto dalle sue condizioni prossime e remote, íl testo non è immobile, ci propone anzi una durata, che è íl ~ filo »stesso dí cui una lettura docile fa l'esperienza . Sulla base di queste premesse l'analisi rinuncerà a congetturare come íl testo sia stato composto, come sia pervenuto alla scrittura : lo assume così come viene offerto alla lettura, trattando tutti gli elementi come dati omogenei, senza pretendere dí distinguere ciò che sarebbe soltanto « redazionale ~ da ciò che potrebbe essere « originale » . Non entrerà ín competizione con gli storici nella ricerca di un ipotetico racconto dei primi narratori, intravisto dietro gli arricchimenti o í guasti dovuti alle tecniche letterarie dell'evangelista . L'analisi strutturale, invece dí scomporre la lezione tradizionale, si sforza dí leggerla nella sua interezza ; e poiché sí tratta dí una lezione canonica, tanto più strettamente sí vorrà aderire alla forma nella quale íl testo è stato ricevuto e interpretato attraverso í tempi . Questo rispetto deriva anche dal fatto che, nel corso dei secoli, il testo è stato ritenuto ispirato ín ogni sua parte . È sotto questa forma che esso ha agito . Noi possiamo anche sapere che le più diverse alterazioni, arbitrarie o accidentali, non aboliscono ogni senso, ma spesso offrono un altro senso plausibile all'interpretazione: tale contingenza del testo canonico può gettare dubbi sulla sua genesi, sulla sua redazione, ma non sul fatto che esso è stato conservato e trasmesso nella forma in cui oggi lo leggiamo . Possono essere intervenuti mutamenti, distorsioni, corruzioni e correzioni, eppure noi sappiamo che anche il testo più deformato è ancora capace dí parlarci, dí sollecitare l'ingegnosità del commentatore, il quale troverà ricchezze impreviste, intenzioni precise là dove forse non si dà che la cantonata dí un copista. Il ~ pericolo » dí una analisi immanente risiede certamente nella sua eccessiva ricettività, nella sua duttilità accondiscendente, nel suo modo dí adattarsi a tutto ciò che cade sotto la sua attenzione . Ma non c'è ragione dí vincolare questo tipo di analisi alla regístrazìone delle armonie e delle concordanze : se sa essere abbastanza attenta, l'analisi segnalerà anche gli squilibri, le contraddízíoní eventuali, í contrasti fra procedimenti opposti, se per aventura ne íncont~a. Si può dare íl caso che, in uno studio cominciato con l'accettazione dí tutti í dati proposti ; sí giunga alla fine a scoprire íneguaghanze, scarti, incoerenze, di cui la filologia potrà far tesoro, 61
per i fini che le sono propri, dí rettifica o dí espunzione degli elementi dubbi . Cíò significa che una valutazione « critica » dei dati testuali non viene a priori esclusa dall'analisi interna . Tuttavia, non è mia intenzione orientarmi ín questo senso nel caso presente : mí basterà rivolgere al testo un certo numero dí domande che soltanto dal testo aspettano risposta.
Chi parla ? A quale autrne (o locutore) rinvia íl testo (Marco 5 . 1-20) ? Nessun autore (nell'incipit o nelle ultime righe del vangelo dí Marco) sí presenta ín prima persona . All'infuori del titolo, non v'è nulla che faccia comparire il nome dí Marco . Il testo non è dunque sospeso al pensiero, alla volontà, alla memoria, alle incertezze di un individuo . Il « narratore » sí è interamente cancellato, come per preservare la sua opera da tutto ciò che potrebbe renderla relativa a lui, dipendente dal suo particolare punto dí vista . Non per modestia, ma per conferire al racconto l'autorità del sapere senz'ombra . Siamo di fronte al tipo perfetto del puro racconto, la ευί f~u~zione radicalmente narrativa esclude ogni rinvio espressivo all'autore . Non v'è posto che per la designazione dí un « referente » (la vita e la passione dí Gesù) al quale è legato il destino dí tutti gli uomini . Da ciò, la giustapposizione, nel testo, del sistema narrativo semplice che caratterizza la cronaca, e - nel preambolo (1 . 1-3) come nelle parole citate (di Giovanni, del Cristo) - dell'atteggiamento kerigmatico, con ìl quale sono annunciati una venuta e un compimento decisivi . Le citazioni dei profeti compaiono fin dall'inizio, come per preparare íl lettore a riconoscere, ín Giovanni e poi in Gesù, íl referente assente che la profezia veterotestamentaria metteva al futuro . Non solo íl testo evangelico, come tutti í testi mitici, sviluppa un racconto senza lacune esplicite, ín cui ogni atto e ogni parola dell'u eroe » viene fedelmente riferita nei suoi terminí esatti e totali, ma sí pone come evento che soddisfa l'attesa e la speranza suscitate dal testo dell'Antico Testamento e dei profeti : lavora a colmare í vuoti dí un testo antecedente . Avviene così che la citazione testuale dí una parola già scritta (« come è stato scritto ») e la citazione alla lettera della parola proferita da Gesù (« disse ») investano íl testo di una autorità che non può non riflettersi sulla narrazione (la cronaca) che le collega e le introduce . Il proposito evidente dell'evangelista è quello dí mostrare che sí è verificata la sutura fra ciò che era stato annunciato e ciò che ormai s'è com~íuto : la sutura è ancora più netta quando la citazione dell'Antico Testamento si incontra nelle parole stesse che l'evangelista mette ín bocca a Gesù 62
(come succede fin dai primi appelli del Cristo : Marco 1 . 15, che riprende Es . 56 . 1) . La domanda : chi parla ? non trova, come sí vede, una risposta semplice . I1 racconto, da cui è assente la persona del narratore, introduce parole riferite, la cui origine è forttmente marcata . Sí debbono dunque distinguere due livelli : quello della. narrazione pura, che svolge una funzione presentatíva, enunciando awenímentí e situazioni ; quello delle parole riferite, che provengono sia dal Libro santo, sia dalla persona del Cristo (e di coloro che l'awícínano) . L'abolizione del narratore ín quanto soggetto sí risolve a favore della messa in evidenza del Cristo, cioè dí colui che usa la prima persona : l'evangelista non parla se non per far parlare, senza neppure attribuirsi la parte del testimone . Tuttavia l'evangelista sí attribuisce la conoscenza intera dell'identità dei personaggi (uomini o demoni) che intervengono nel suo racconto . Egli sa che íl Cristo è figlio di Dio, e può di conseguenza distinguere coloro che hanno visto la verità da coloro che non l'hanno riconosciuta : questa divisione rende possibile un giudizio su chi crede e su chi non si lascia convincere . La narrazione certa fonda la possibilità di tracciare tana linea di demarcazione che separa ín due gruppi í contemporanei del Cristo . Ma questa discriminante sí prolunga virtualmente fino al momento della lettura : agli occhi dí colui che prende conoscenza del testo dell'evangelista, e che dà ad esso la sua piena adesione dí uditore o dí lettore, íl rifiuto dí credere al Cristo non può essere che la conseguenza dí un accecamento o dí una colpevole resistenza . Con la sua forma gíudicatoría, íl testo provoca una lettura ín ευί íl giudizio sull'identità reale dei personaggi implica immediatamente la fede : diciamo, più nettamente, che l'assenso che accompagna ogni lettura docile sí muta ín questo caso insensibilmente in un atto dí fede che, al dí là dí ciò che è scritto sí indirizza verso Colui del quale è scritto . Il testo è strutturato ín modo che íl lettore (l'uditore) del Vangelo divenga, ipso facto, discepolo del Cristo, per interposto racconto . A chi parla il testo ? Il testo non accenna esplicitamente ad alcun destinatario . Non sí finalizza ín maniera determinata (solo ricorrendo ad indizi sparsi sí può congetturare che íl vangelo di Marco è « in origine » rivolto a una comunità pagano-cristiana) . Ma l'assenza di un destinatario determinato ottiene l'effetto di universalizzare íl destinatario . Il racconto senza ombre richiede una lettura-riconoscimento da parte dí tutti, ín ogni tempo . Il Cristo, che parla aí suoi interlocutori nelle 63
circostanze riferite dal racconto, raggiunge íl lettore nella misura in cui le sue parole sono abbastanza generali da superare la circostanza che le ha provocate, e anche nella misura ín cui le circostanze sí prestano ad assumere una funzione simbolicata le che í lettori possano applicarle a se stessi . ll testo contiene l'indice del suo statuto ? La critica attuale, nel campo letterario, è sensibile a quel partícolarí che, all'interno dí un testo, costituiscono l'indice o l'emblema della funzione devoluta all'opera, della sua genesi o della sua finalità . Ora, noi troviamo ín Marco 5 . 19-20 l'ordine dato da Gesù al Geraseno guarito : ~~~~~~~~o~, « annuncia loro » . L'uomo obbedisce : ~~~~~o x~~ú~~~w . « E cominciò a proclamare per la Decapolí quello che Gesù gli aveva fatto » . Il testo mostra chiaramente l'origine dell'atto dí proclamare (άπαγγέλλειν, χηρύσσειν) . È susseguente all'ístante miracoloso dí una guarigione, è l'esecuzione dí un ordine espresso del Maestro, il quale ha preferito che l'uomo, restituito alla salute, sí separi da Lui, ín una « míssíone lontana », a distanza, piuttosto che accettarlo tra la folla dí coloro che stanno al suo fianco ad ascoltarlo . Se il testo dí Marco è l'atto dí annunciare, dí proclamare, esso reca, ín questo episodio, una storia possibile - un emblema figurato - della propria origine . È questo, occorre sottolinearlo, uno degli elementi del testo che hanno destato íl sospetta degli storici : ví scorgono un'aggiunta redazionale, destinata a giustificare, mediante la volontà stessa del Cristo, la míssíone, l'apostolato in terra non vangelo dí ebraica. Ma la cosa non ha importanza : noi leggiamo íl Marco nella sua forma « redazionale », ed è particolarmente sorprendente íl fatto che íl redattore abbia creduto necessario introdurre qui una a figura » della propria attività. (Certo, nel suo annullamento, íl redattore non sí affaccia dí persona, non racconta le circostanze che l'hanno condotto alla fede : ηοί non possiamo sapere se anche lui sia stato guarito dal demonio, per opera dí Cristo o per opera dí un se stessa apostolo . Ma l'espulsione del demonio, la liberazione, è ín un atto così ricco di implicazioni simboliche da potersi applicare ad ogni conversione, ad ogni « nuova nascita ») . La struttura spaziale Il nostro testo è particolarmente ricco di indicazioni spaziali . Non soltanto vediamo comparire una precisa topografia, ma la ve. Non diamo disegnarsi per íl fatto che ín essa un'azione sí inscrive senso stesso dell'azione íl uno sfondo scenografico : sí tratta insomma dí 64
è intimamente legato allo spazio chiamato in causa . In altri termini, l'azione non potrebbe dar senso, se venisse privata della determínazíone spaziale : l'azione è inseparabile dal suo movime~~to . « E giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Geraseni » . K~~ ~~~ov ~~~ ~ó ~~~~~ ~~~ ~~~~~~~~ είς ~~v ~~~~v ~~v ~~~~~~v~v (5 . 1) .
II testo greco, ripetendo la preposizione aίς, cí rende attenti a una doppia specificazione del luogo . Innanzi tutto è l'altra riva del mare (índícazione puramente topografica), ma poi è anche la regione dei Geraseni (índícazione etnico-religiosa) . Questa abbondanza dí ínformazíone non è fortuita : è carica dí senso . Gesù sí trasferisce in terra straniera, nella Decapolí (la regione dí Gerasa) . Quí sí trovano greggi dí porci, che non sí sarebbero potuti incontrare ín terra giudaica . Superati i limiti confessionali del paese, egli interverrà per « salvare » un uomo, per farne un suo testimone, in mezzo ad un popolo che non osserva la legge, che verosimilmente non l'ha mai osservata . Sí comprende che, metonímícamente, íl paese dei Geraseni possa apparire come il prototipo di tutti í paesi dei gentili, nei quali sí espanderà la missione cristiana . Così l'indemoniato liberato diventa la prefigurazione degli apostoli, í quali costítuíscono í modelli dí ogni impresa evangelizzatrice . Ma « l'altra riva del mare », ~ó ~~~~v τής ~~~~~~~~, è un « al di là », la cui determinazione non sí limita alla natura dei culti praticati ín terra straniera . Ví sí aggiunge, subito, tutta la serie dei caratteri che conferiscono a questo luogo un aspetto selvaggio e temibile : tombe, montagne . Hanno lasciato la sponda al cader della notte (4 . 35), è sopravvenuta la tempesta (4 . 37 ss .) . E íl primo essere vivente che Gesù incontra è una creatura spaventosa . Siamo dí fronte, qui, a una serie dí tratti cumulativi che cí vietano dí considerare la navigazione di Gesù una semplice traversata da ovest a est . Il passaggio assume una sfumatura qualitativa : ha i caratteri del muovere incontro ad un mondo infernale, è l'equivalente dí una discesa agli inferi, dí una catabasí . Attraverso una lettura metaforica, l'altra riva diventa l'omologo dí un « altro mondo » infernale, e íl viaggio del Cristo simboleggia una traversata dell'universo fino alle sue più tenebrose profondità . Se l'opposizione geografico-religiosa (terra giudaica - terra pagana) offre il substrato dí una allegoresí ecclesíologíca, l'immagine stessa della traversata verso una terra notturna, selvaggia, popolata dí demoni, sí lascerà leggere altrettanto bene in senso ontologicoteologíco : anagogícamente, íl miracolo operato da Gesù ín questi luoghi sinistri è una figura della salvezza universale . L'altra riva, 3 $~+T~~s
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~ò ~~~~~, è ciò che, fuori, dall'altro lato, ci fronteggia ; è l'altro, l'inverso, nella sua qualità non solo dí luogo opposto, ma di potenza che sì oppone . L'oltresponda è un'antí-sponda ; l'oltre-giorno è un antí-giorno ; le tombe, dimora dei morti, sono un'anti-vita ; í demoni sono dei ribelli . Il superamento della « frontiera » è l'evento centrale, capace dí funzionare come segno decisivo sia nell'allegoresí ecclesíologica che nella lettura ontologica . Il Cristo va verso l'altro : avversario, incredulo, uomo sofferente . Come sí vede, i due sensi della traversata - vincere (íl demonio), convincere (gli uomini) non si escludono, anzi, sí confermano a vicenda ; i due significati infatti non sono ín concorrenza fra loro, ma sí possono considerare consecutivi : l'azione liberatrice costituisce íl punto di partenza della missione « evangelizzatrice » affidata all'indemoniato guarito . Da parte nostra vedremo come alcune tra le funzioni attive del testo sí concentrino ín parole o in gruppi di parole apparentemente senza importanza, ma tali da ricevere, mediante la loro ripetizione e le relazioni che istituiscono, un'enorme carica dí senso : la preposizione είς, che appare la prima volta per indicare il movimento del Cristo (είς ~ò ~~~~~, 4 . 35 ; 5 . 1), sí ripresenta per indicare il movimento ingiunto all'indemoniato guarito : « Va nella tua casa ». "~~~~~ είς τòν o~xóv ~o~ (5 . 19) . La dinamica positiva sí inscrive fortemente nella struttura preposizionale così ripetuta : si tratta, ogni volta, dí un movimento verso, che include íl senso « affrontare » e insieme ~< propagare la salvezza » (la verità sulla salvezza, la narrazione della guarigione) . Ma si noterà che la stessa preposizione ricompare anche per figurare la contropartita del movimento liberatore, quando gli spiriti sí riversano nei porci (εί~ ~oú~ ~o~~o~~, 5 . 12, 13) e í porci sí precipitano nel mare (είς ~~~ ~~~~~~~~, 5 . 13) . In questo caso è íl movimento di ciò che fugge e indietreggia alla presenza dí Gesù . La caduta dei porci apre una dimensione verticale (la caduta dall'alto ín basso) che contrasta con íl percorso orizzontale del Cristo . Sappíamo che l'indemoniato viveva « nei sepolcri e sulle montagne » (5 . 5) ; così , dalla montagna alle profondità del lago, íl percorso delle potenze demoniache incrocia letteralmente íl percorso dí Gesù . Il tracciato globale dell'azione nello spazio è strettamente connesso con il movimento delle persone, e non sarebbe corretta la descrizione del movimento se sí omettesse di segnalare che esso ha la sua origine, íl più delle volte, nella parola di Gesù che lo annuncia e, per così dire, lo genera. Così è per la traversata: « Quel giorno stesso, verso sera , Gesù dice loro : Andíame all'altra riva ». (4 . 35) ~~~~~~~~v είς ~ò ~~~~~ . Il movimento è detto prima d'essere compiuto . Lo stesso succede per la « missione » del Geraseno liberato . Gesù gli 66
dice :