ED McBAIN ALLARME: ARRIVA LA MADAMA (Fuzz, 1968) I Gente mia, che settimana. Quattordici truffe, tre violenze carnali, u...
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ED McBAIN ALLARME: ARRIVA LA MADAMA (Fuzz, 1968) I Gente mia, che settimana. Quattordici truffe, tre violenze carnali, un accoltellamento in Culver Avenue, trentasei tipi assortiti di furti, e gli imbianchini nella sala-agenti. Non che la sala-agenti non ne avesse bisogno. L'agente investigativo Meyer Meyer sarebbe stato il primo ad ammettere che la sala-agenti aveva effettivamente bisogno di un'imbiancata. Solo che sembrava idiota la decisione di imbiancarla proprio adesso, all'inizio di marzo, quando fuori tutto era marcio di pioggia, freddo, triste e brutto, e bisognava tenere le finestre sbarrate perché i maledetti caloriferi non riuscivano a scaldare a sufficienza, e di conseguenza un poveretto stava tutto il giorno col puzzo d'acqua ragia nel naso, per non parlare dei due imbianchini sempre tra i piedi, o sopra la testa, imbianchini che certo non sarebbero mai stati chiamati a decorare la Cappella Sistina. «Scusate» disse uno degli imbianchini, «non potreste spostare quel coso?» «Quale coso?» disse Meyer. «Quel coso.» «Questo coso» disse Meyer, sul punto di perdere la calma «è nientedimeno che il nostro archivio delle schifezze. Questo coso contiene tutte le informazioni sui criminali e i mestatori del distretto, e questo coso è di valore inestimabile per gli infaticabili agenti investigativi di questa squadra.» «Bel discorso» disse l'imbianchino. «Non volete spostarlo?» domandò il secondo imbianchino. «Spostatelo voi» disse Meyer. «Gli imbianchini siete voi, e spostatelo.» «Noi non siamo tenuti a spostare niente» disse il primo imbianchino. «Noi siamo tenuti soltanto a imbiancare» disse il secondo imbianchino. «Nemmeno io sono tenuto a spostare i mobili» disse Meyer. «Io sono tenuto solo a fare indagini.» «Okay. Allora non spostatelo» disse il primo imbianchino «così diventerà tutto verde di vernice.» «Copritelo con un telo» disse Meyer. «I nostri teli sono già là sopra e su quelle scrivanie lì» disse il secondo
imbianchino. «Non ne abbiamo altri.» «Ma perché mi capitano sempre dei comici?» disse Meyer. «Cosa?» disse il primo imbianchino. «Sta facendo lo spiritoso» disse il secondo imbianchino. «Io so soltanto che non intendo muovere quel raccoglitore» disse Meyer. «Per l'esattezza, non intendo muovere proprio niente. State mettendo a soqquadro tutta la sala-agenti, e quando ve ne sarete andati, per una settimana non riusciremo a trovare più niente.» «Il nostro non è mica un lavoro leggero» disse il primo imbianchino. «Inoltre non abbiamo chiesto noi di venire qui» disse il secondo. «Credete per caso che non si abbia niente di meglio da fare che schizzare gocce di vernice in questo posto? Credete che questo sia un lavoro interessante o divertente? È un lavoro da crepare di noia, se volete saperlo.» «Ah, sì?» disse Meyer. «Già, da crepare di noia» disse il secondo imbianchino. «Da creparci, proprio» confermò il primo. «Tutto verde mela! Vi sembra interessante? Il soffitto verde mela, le pareti verde mela, le scale verde mela; sì un bel lavoro di soddisfazione.» «La settimana scorsa abbiamo fatto un lavoro alle porte esterne dei mercati di Council Street. Quello sì è stato un lavoro di soddisfazione.» «Il più interessante che ci sia capitato» disse il secondo imbianchino. «Ogni chiosco un colore diverso. Li conoscete quei chioschi? Ecco, ognuno di un colore diverso. Quello sì che è stato un buon lavoro.» «Questo invece è uno schifo di lavoro» disse il primo imbianchino. «Una noia e uno schifo» confermò il secondo. «Comunque, io continuo a non spostare quel raccoglitore» disse Meyer, e il telefono suonò. «Qui Ottantasettesima Squadra, agente investigativo Meyer» disse nel ricevitore. «Meyer Meyer in persona?» domandò la voce all'altro capo del filo. «Chi parla?» domandò Meyer. «Prima ditemi, per favore, se sto parlando con Meyer Meyer in persona.» «Sono Meyer Meyer in persona.» «Oh, Dio, l'emozione potrebbe uccidermi!» «Sentite, chi...» «Sono Sam Grossman.» «Salve, Sam, cosa ti...» «Non so dirti quanto mi emozioni parlare con una persona tanto famosa»
disse Grossman. «Ah, sì?» «Sì...» «Okay, cos'è questa storia? Non ci arrivo.» «Vuoi dire che non lo sai?» «No, non lo so. Che cosa dovrei sapere?» domandò Meyer. «Sono certo che lo scoprirai» disse Grossman. «Se c'è una cosa che odio sono i misteri» disse Meyer «quindi perché non mi dici subito di che cosa si tratta e mi risparmi un sacco di fatica?» «Ah-ah» disse Grossman. «Ci mancavi tu, oggi» disse Meyer, e sospirò. «Per la verità ho telefonato per una giacca sportiva maschile, taglia quarantotto, a scacchi rossi e blu, con l'etichetta di Tom's Town e Country, di cui mi è stata richiesta l'analisi relativa ad alcune macchie sospette sul risvolto sinistro. Ne sai niente?» «L'ho chiesta io» disse Meyer. «Hai una matita a portata di mano?» «Forza, spara.» «Esame del sangue, negativo, esame degli spermatozoi, negativo. Pare una normalissima macchia di unto. Vuoi un'analisi precisa?» «No, non è necessario.» «La giacca è di qualcuno sospetto di violenza carnale?» «Abbiamo avuto trentasei sospetti di violenza carnale, questa settimana. Più due imbianchini.» «Come hai detto?» «Lascia perdere. Non c'è altro?» «Nient'altro. È stato un piacere parlare con voi, signor Meyer Meyer. Non immaginate quanto sia emozionante!» «Senti, cosa diavolo...» cominciò Meyer, ma Grossman riattaccò. Meyer tenne ancora in mano il ricevitore per un momento, guardandolo perplesso, poi lo rimise giù, e notò diverse macchie di vernice verde sul ripiano di plastica nera. «Maledizione!» brontolò a mezza voce, e uno degli imbianchini domandò: «Cos'avete detto?». «Niente.» «Mi era sembrato che aveste detto qualcosa.» «Sentite un po', da quale Dipartimento dipendete, voi?» domandò Meyer. «Lavori Pubblici» rispose il primo imbianchino.
«Manutenzione e Riparazioni» disse il secondo. «Perché non siete venuti a imbiancare questo maledetto posto in estate, invece di farlo adesso, quando ci sono le finestre chiuse?» «Perché? Che differenza fa?» «C'è una gran puzza, qua dentro. Ecco la differenza» disse Meyer. «Qua dentro c'era puzza anche prima che arrivassimo noi» disse il primo imbianchino, e probabilmente aveva ragione. Meyer annusò con disgusto, poi voltò le spalle ai due uomini, e tentò di rintracciare il classificatore dove c'erano i rapporti dell'ultima settimana, ma il classificatore pareva svanito. Se c'era una cosa che Meyer non sopportava, e ce n'erano tante, era il caos. La sala-agenti era in uno stato di caos assoluto, completo, totale. Scale a pioli, lenzuola, giornali, barattoli di colore chiusi, barattoli di colore aperti, pennelli usati, pennelli puliti, scatole di acqua ragia e scatole di diluente, miscelatori, campioni di colore in tutte le delicate sfumature del verde mela, cavalletti, assi, bastoni, rotoli di carta, mucchi di mascherine, tute, stracci macchiati di colore distesi buttati appesi sparsi appoggiati posati, in bilico sulle scrivanie sui classificatori sul pavimento sulle sedie sulle colonnine dell'acqua sui davanzali delle finestre, su tutto quello che non si muoveva. Il giorno prima, gli imbianchini per poco non avevano buttato uno dei loro teli sul corpo inerte dell'agente investigativo Andy Parker addormentato, come al solito, sulla sedia girevole dietro la sua scrivania, i piedi appoggiati a un cassetto aperto. Meyer stava in mezzo a tutto quel disordine simile al monumento della pazienza, alto, forte, con gli occhi azzurri e la testa calva, schizzata, ora, e lui non se ne era accorto, di macchioline verde mela. La faccia rotonda aveva un'espressione dolente, le spalle erano afflosciate sotto il peso della fatica, e lui sembrava disorientato e scombussolato, e non sapeva più dove fossero le cose che cercava. Caos! pensò, e suonò il telefono. Era più vicino alla scrivania di Carell quindi annaspò sotto il panno alla ricerca del telefono, ne venne via con una grossa macchia verde sulla manica della giacca, piombò sull'apparecchio della sua scrivania, e, imprecando, sollevò il ricevitore. «Ottantasettesima Squadra, agente investigativo Meyer» disse. «Domani sera il Commissario ai Parchi Cowper morirà impiombato a meno che non mi diate cinquemila dollari prima di mezzogiorno» disse una voce maschile. «Vi dirò di più in seguito.» «Cosa?» disse Meyer.
La comunicazione venne interrotta. Meyer guardò l'orologio. Erano esattamente le sedici e un quarto. Quel pomeriggio, alle sedici e trenta, quando Steve Carell entrò in salaagenti, il tenente Byrnes gli chiese di andare un momento nel suo ufficio. Il tenente era seduto alla scrivania nella stanza con due finestre, sbuffava fumo da un sigaro, e sembrava esattamente quello che era, cioè un capo. Indossava un abito grigio a righe sottili, appena più scuro dei capelli tagliati cortissimi, una cravatta di seta nera e gialla, una camicia bianca con una macchiolina verde su un polsino, l'anello del corso universitario con una pietra scura all'anulare destro, la fede alla sinistra. Chiese a Carell se voleva una tazza di caffè. Carell rispose di sì, e Byrnes chiamò Miscolo, dell'Ufficio Schede, e gli disse di portare un'altra tazza di caffè, e poi chiese a Meyer di mettere Carell al corrente della telefonata. Meyer impiegò approssimativamente dieci secondi per riferire la conversazione. «Tutto qui?» domandò Carell. «Tutto qui.» «Mmmm.» «Che cosa ne pensi, Steve?» domandò Byrnes. Carell era seduto sull'orlo della scrivania di Byrnes tutta segnata dalle sigarette. Era alto e snello, e in quel momento aveva l'aria di un vagabondo perché, non appena fosse stato buio, avrebbe cominciato a girare per le strade e poi si sarebbe sdraiato in un vicolo o sotto un androne, con addosso una gran puzza di vino, sperando che qualcuno andasse a dargli fuoco. Due settimane prima un vagabondo autentico era stato bruciacchiato ben bene da qualche giovinastro buontempone, e la settimana prima un altro barbone era servito da combustibile per un secondo falò, fatale, questa volta. Così, da allora, Carell passava le sue notti sdraiato sotto questo o quel portone, a fare finta di essere ubriaco, e a desiderare di venire incendiato. Da tre giorni non si faceva la barba, e sul mento gli cresceva una peluria ispida, castana come i capelli, che spuntava a ciuffi disuguali dando alla sua faccia un'aria incompleta, come se fosse stata schizzata in fretta da un disegnatore alle prime armi. Aveva gli occhi scuri, e personalmente gli piaceva pensare che fossero penetranti, ma ora sembravano vecchi e opachi, accoppiati com'erano alla barba cespugliosa e agli strati di sporco naturale che lui aveva lasciato accumulare sulla fronte e sulle guance. Di traverso al naso aveva un segno che sembrava davvero un taglio in via di risanamento, e alcune gocce di tintura a base di erbe, e pezzettini di mastice
abilmente applicati, davano l'impressione di sangue coagulato e siero. Pareva persino che avesse addosso i pidocchi. Faceva venire a Byrnes la voglia di grattarsi. Faceva venire voglia di grattarsi a tutti quelli che c'erano nella stanza. Prima di rispondere alla domanda del tenente, Carell si soffiò il naso, e il fazzoletto preso dalla tasca posteriore dei pantaloni unti e inzaccherati pareva ripescato da una fogna. Si soffiò il naso a lungo e rumorosamente, e Meyer pensò che niente è peggio che esagerare in una caratterizzazione, poi rimise il fazzoletto nella tasca dei pantaloni e disse: «Ha chiesto di parlare con qualcuno in particolare?». «No. Ha cominciato a parlare non appena io ho detto il mio nome.» «Potrebbe essere uno scherzo» disse Carell. «Potrebbe.» «Ma perché proprio a noi?» disse Byrnes. Ottima domanda. Supponendo che l'uomo non avesse fatto uno scherzo, e supponendo che progettasse veramente di uccidere il Commissario ai Parchi, a meno di non ricevere il giorno dopo i suoi cinquemila dollari, perché telefonare all'Ottantasettesima Squadra? In quella bella città c'erano Squadre a non finire, e nessuna, c'era da giurarlo, aveva gli imbianchini in casa la prima settimana di marzo. In compenso, tutte contavano agenti investigativi operosi e decisi come quei tipi risoluti che adesso erano riuniti a gustare la loro bevanda del pomeriggio e a far passare il tempo, e tutti i poliziotti di tutte le altre Squadre conoscevano il Commissario ai Parchi altrettanto intimamente. Quindi, perché proprio l'Ottantasettesima? Una buona domanda, già. E come alla maggior parte delle buone domande, non ci fu risposta immediata. Miscolo entrò con la tazza di caffè, chiese a Carell quando aveva intenzione di fare un bagno, e tornò alle sue scartoffie. Carell prese la tazza con una mano incrostata di sporcizia, la sollevò alle labbra screpolate e spaccate, bevve, poi disse: «Abbiamo mai avuto niente a che fare con Cowper?». «Cosa vuoi dire?» «Ma, non so. Qualche incarico speciale, roba di questo genere...» «Che io mi ricordi, no» disse Byrnes. «L'unica cosa che mi viene in mente è il suo discorso durante quella Festa dei Parchi, ma tutti i poliziotti della città erano stati invitati.» «Per me è uno scherzo» disse Carell. «Può darsi» ripeté Meyer. «Ti è sembrata la voce di un ragazzo?» domandò Carell. «No, mi è sembrata quella di un adulto.»
«E ha detto quando avrebbe ritelefonato?» «No. Ha detto soltanto "più tardi".» «Ha spiegato quando e dove dovreste consegnare il denaro?» «Niente.» «Ha detto dove avreste dovuto procurarvelo?» «No.» «Forse si aspetta che facciamo una colletta» disse Carell. «Cinquemila dollari sono soltanto cinquecentocinquanta dollari meno di quello che io guadagno in un anno» disse Meyer. «Sì, ma indubbiamente quello ha sentito parlare dell'immensa generosità dei poliziotti dell'Ottantasettesima.» «Ammetto che si presenta come uno scherzo» disse Meyer. «Ma ha detto una cosa che non mi va.» «E cioè?» «"Morirà impiombato". Non mi è piaciuto, Steve. Queste parole mi spaventano.» «Già. Direi di aspettare per vedere se richiama» disse Carell. «Chi c'è nel prossimo turno?» «Kling e Hawes dovrebbero essere qui alle cinque.» «E gli altri, chi sono?» domandò Byrnes. «Willis e Brown. Andranno direttamente a dare il cambio sul posto.» «A quale caso sono assegnati?» «Quei furti di macchine. L'appostamento è all'angolo della Culver Avenue con la Seconda Strada.» «Tu, Meyer, pensi che sia uno scherzo?» «È probabile. Comunque, vedremo.» «Ritenete opportuno informare Cowper?» «Perché?» disse Carell. «Può finire in niente, non ci sarebbe senso a metterlo in allarme.» «Okay» disse Byrnes. Guardò l'orologio, si alzò, andò all'attaccapanni messo in un angolo e si infilò il soprabito. «Ho promesso ad Harriet di accompagnarla a far spese. Se qualcuno ha bisogno di me, mi troverà a casa verso le nove. Chi c'è di servizio in sala-agenti?» «Kling.» «Ditegli che sarò a casa alle nove, va bene?» «Bene.» «Spero che sia uno scherzo» disse Byrnes, e uscì. Carell rimase seduto sull'orlo della scrivania, e finì di bere il caffè. Ave-
va l'aria stanca. «Come ci si sente a essere famosi?» domandò a Meyer. «Cosa vuoi dire?» Carell lo guardò. «Allora non sai niente» disse. «Che cosa dovrei sapere?» «Del libro.» «Quale libro?» «Qualcuno ha scritto un libro.» «E con questo?» «Si intitola "Meyer Meyer".» «Cosa?» «Proprio così. "Meyer Meyer". È recensito oggi sui quotidiani.» «Ma... Di cosa stai parlando? Un libro... "Meyer Meyer"?» «Già. Ha avuto delle critiche molto favorevoli.» «"Meyer Meyer"...» disse Meyer. «Ma è il mio nome!» «Appunto.» «L'autore non può farmi una cosa simile!» «L'autrice. È una donna.» «Come si chiama?» «Helen Hudson.» «Non può farmi una cosa simile» ripeté Meyer. «L'ha già fatta.» «Be', non può lo stesso. Io sono una persona vera, non si può dare a un personaggio inventato il nome di una persona vera!» Aggrottò le sopracciglia e guardò Carell con sospetto. «Mi stai prendendo in giro?» «Mai più! È verità sacrosanta.» «E questo... questo tale è, magari, un poliziotto?» «No, mi pare che sia un insegnante.» «Un insegnante! Oh, Gesù!» «Un professore universitario.» «Ma non può farmi questo!» disse ancora Meyer. «È calvo?» «Non lo so. Nelle recensioni si dice che è piccolo e grasso.» «Piccolo e grasso! Quella donna non può usare il mio nome per una persona piccola e grassa! Io le faccio querela!» «Falle querela» disse Carell. «Pensi che non lo farò? Chi ha pubblicato questo maledetto libro?» «Dutton.» «Bene!» disse Meyer, e tolse di tasca un taccuino. Scrisse qualcosa su una pagina bianca, richiuse il taccuino con un colpo secco, lo lasciò cadere
per terra mentre stava rinfilandolo in tasca, imprecò, si chinò a raccoglierlo, poi guardò Carell, e protestò: «In fondo, sono nato prima io». La seconda telefonata arrivò quella sera alle undici meno dieci. Rispose l'agente investigativo Bert Kling, di servizio in sala-agenti, e che Meyer aveva messo al corrente prima di andarsene. «Ottantasettesima Squadra» disse Kling. «Agente Kling.» «Probabilmente a quest'ora avrete deciso che sono in vena di scherzi» disse la voce maschile. «Non è così?» «Chi parla?» domandò Kling, e fece segno ad Hawes di ascoltare sulla derivazione. «La mia minaccia è stata fatta molto seriamente» disse l'uomo. «Se domani a mezzogiorno non riceverò cinquemila dollari, domani sera il Commissario ai Parchi verrà fatto secco. Ora vi dirò cosa dovrete fare. Avete una penna?» «Scusate, ma perché avete scelto proprio noi?» domandò Kling. «Diciamo per motivi sentimentali» disse l'uomo, e Kling ebbe la netta sensazione che stesse sorridendo. «Pronto con la penna?» «Dove volete che li troviamo cinquemila dollari?» disse Kling. «Questo è affar vostro» disse l'uomo. «Io mi incarico solo di uccidere Cowper se non mi consegnate il denaro. Allora, le volete queste informazioni?» «Parlate» disse Kling, e guardò all'altro capo della stanza, dove Hawes stava chino sul suo telefono. Hawes gli fece un cenno con la testa. «Voglio la somma in banconote. Non occorre dirvi che non devono essere segnate.» «Signore, lo sapete che questa si chiama estorsione?» domandò Kling, di colpo. «So benissimo cos'è» disse l'uomo. «Non tentate di trattenermi in linea. Intendo riattaccare molto prima che riusciate a rintracciare da che telefono parlo.» «Sapete come viene punita un'estorsione?» domandò Kling, e l'altro riattaccò. «Bastardo!» disse Kling. «Richiamerà, e la prossima volta saremo pronti» disse Hawes. «Comunque, non possiamo rintracciare l'apparecchio con i mezzi automatici.» «Si può sempre provare.» «Scusa... che cos'ha detto dei motivi?»
«Ha detto "motivi sentimentali".» «Allora ho capito giusto. Ma che cosa significa?» «E chi lo sa?» disse Hawes, e tornò alla sua scrivania dove aveva disteso una tovaglia di carta sopra il lenzuolo degli imbianchini, e dove prima che la telefonata gli interrompesse lo spuntino stava bevendo tè da una tazza di cartone e mangiando formaggio danese. Grande e grosso, alto uno e novanta, pesava novantun chili, cioè quattro o cinque chili in più di quanto sarebbe stato perfetto per la sua statura. Aveva gli occhi azzurri, la mascella quadrata, e la fossetta nel mento. I capelli erano rossi, a parte una ciocca bianca sulla tempia sinistra nel punto dove, una volta, aveva preso una coltellata. Lì, fatto curioso, dopo che la ferita si era rimarginata, i capelli erano ricresciuti bianchi. Il naso era dritto, e la bocca grande, col labbro inferiore carnoso. A vederlo intento a bere tè e a masticare formaggio, pareva un rude capitano Achab intrappolato in un lavoro da funzionario civile. Quando si piegava sulla tovaglia di carta, dal fodero agganciato sotto la giacca spuntava il calcio della rivoltella, su cui cadevano briciole di formaggio. La rivoltella era di dimensioni adatte a lui: una Smith & Wesson che pesava un chilo e tre etti, e poteva aprire un buco grosso come un melone nella testa di chi si fosse trovato sulla strada di Cotton Hawes in una notte di luna. Cotton Hawes aveva la bocca piena di formaggio quando il telefono suonò. «Ottantasettesima Squadra, agente Kling.» «La pena prevista per un'estorsione» disse l'uomo «va fino a quindici anni di carcere. Volete sapere altro?» «Ascoltate...» cominciò Kling. «Ascoltate voi» disse l'uomo. «Voglio cinquemila dollari in banconote non segnate. Li voglio in una gavetta di metallo, e voglio che la gavetta sia messa sulla terza panchina di Clinton Street, in Grover Park. Il resto in seguito» e riattaccò. «Mi sembra un romanzo a puntate» disse Kling ad Hawes. «Già. Cosa ne dici, chiamiamo Pete?» «Aspettiamo finché ne sapremo di più» disse Kling, poi sospirò e cercò di rimettersi a battere il suo rapporto. Il telefono risuonò soltanto alle undici e venti. Sollevato il ricevitore, riconobbe immediatamente la voce dell'uomo. «Ripeto» disse la voce. «Voglio che la gavetta sia messa sulla terza panchina di Clinton Street in Grover Park. Se qualcuno terrà d'occhio la panca, se il vostro uomo non sarà solo, la gavetta resterà dov'è e il Commissario
verrà ucciso.» «Volete che mettiamo cinquemila dollari su una panchina del parco?» domandò Kling. «Esattamente» disse l'uomo, e riappese. «Credi che non telefonerà più?» domandò Kling ad Hawes. «Non so» rispose Hawes, e guardò l'orologio appeso alla parete. «Diamogli tempo fino a mezzanotte. Se per quell'ora non avremo ricevuto altre telefonate, chiameremo Pete.» «Okay» disse Kling. Ricominciò a battere a macchina. Batteva curvo in avanti, usando un sistema a sei dita tutto suo, scrivendo velocemente, facendo un sacco di errori, ribattendo o cancellando quando si accorgeva dello sbaglio, detestando il lato burocratico che non mancava nel lavoro di poliziotto, chiedendosi perché mai qualcuno volesse che una gavetta di metallo venisse lasciata su una panchina di un parco dove chiunque, passando, poteva prendersela, imprecando contro la macchina decrepita fornita dall'amministrazione cittadina, e poi ancora chiedendosi come si poteva avere la colossale faccia tosta di pretendere cinquemila dollari per non commettere un omicidio. Lavorava tenendo la fronte aggrottata, e siccome lui era l'agente investigativo più giovane di tutta la Squadra, e la sua faccia non era ancora devastata dalla tensione immancabile nel lavoro che si era scelto, l'unica ruga visibile era quella creata dall'aggrottare delle sopracciglia: un segno profondo che gli attraversava verticalmente la fronte. Bert Kling era biondo, alto un metro e ottantatré, con occhi nocciola e una bella faccia aperta. Indossava un pullover giallo senza maniche, e la giacca marrone di taglio sportivo era appoggiata sulla spalliera della sedia. La Colt calibro 38 Special, che lui portava abitualmente agganciata alla cintura, adesso era nel primo cassetto della scrivania, dentro al fodero. Nella mezz'ora seguente Kling rispose a sette telefonate. Nessuna dell'uomo che aveva minacciato di uccidere Cowper. Aveva finito il suo rapporto, un normale elenco di persone interrogate a proposito di una truffa avvenuta in Ansley Avenue, quando il telefono suonò ancora. Alzò il ricevitore macchinalmente. Macchinalmente Hawes andò a sollevare quello della derivazione. «Ultima telefonata di questa notte» disse l'uomo. «Voglio il denaro prima di domani a mezzogiorno. Siamo più di uno, perciò non cercate di arrestare l'uomo che lo ritirerà, se no il Commissario verrà ucciso comunque. Se la gavetta sarà vuota, o se conterrà pezzi di carta o biglietti falsi, o bi-
glietti segnati, o se per un motivo qualunque, o per qualunque circostanza, il denaro non sarà sulla panchina prima di mezzogiorno, il progetto di uccidere il Commissario verrà attuato. Se avete qualche domanda da fare fatela adesso.» «Non vi aspetterete veramente che vi offriamo cinquemila dollari su un piatto d'argento?» disse Kling. «No, in una gavetta» disse l'uomo, e di nuovo Kling ebbe l'impressione che stesse ridendo. «Dovrò parlarne con il tenente» disse Kling. «Certo, e lui indubbiamente dovrà parlarne con il Commissario ai Parchi» disse l'uomo. «In che modo possiamo metterci in contatto con voi?» domandò Kling, giocando sulla possibilità che l'uomo potesse meccanicamente dire il suo numero di telefono o il suo indirizzo. «Parlate più forte» disse l'uomo. «Sono un po' duro d'orecchio.» «Ho detto in che modo possiamo...» L'uomo riattaccò. Questa città sgualdrina a volte può mettere uno in soggezione semplicemente con le sue dimensioni, ma quando lavora in combutta col tempo può addirittura far desiderare a un uomo di essere morto. Quel martedì, 5 marzo, Cotton Hawes avrebbe voluto essere morto. La temperatura registrata al lago di Grover Park quel mattino alle sette era di dodici gradi sotto zero. Alle nove, quando lui cominciò a camminare lungo Clinton Street, era salita solo di un grado e si era cristallizzata sui meno undici. Un vento tagliente soffiava dal River Harb, e infilandosi nello stretto corridoio formato dalla grande strada che correva in direzione nord-sud, arrivava dritto sul vialetto del parco senza trovare ostacoli. Il vento gli buttava in avanti i capelli rossi, e gli incollava alle gambe i lembi del cappotto. Hawes aveva i guanti, e teneva nella mano sinistra una gavetta verniciata di nero. Il terzo bottone del cappotto, quello all'altezza della vita, era aperto, e subito sotto i lembi svolazzanti l'impugnatura della Smith & Wesson era in posizione per essere estratta rapidamente. La gavetta era vuota. La notte prima alle dodici meno cinque avevano svegliato il tenente Byrnes, mettendolo al corrente delle loro successive conversazioni con l'uomo che ormai chiamavano il Rompiscatole. Il tenente aveva fatto sentire una serie di grugniti, poi aveva detto: «Vengo immediatamente» e poi aveva chiesto che ora fosse. Gli avevano risposto che era quasi mezzanot-
te. Lui aveva fatto un altro grugnito e aveva riattaccato. Arrivato alla salaagenti, gli altri l'avevano messo al corrente di ogni particolare, dopo di che Byrnes si era deciso a telefonare al Commissario ai Parchi per informarlo della minaccia e per discutere con lui una linea d'azione. Il Commissario ai Parchi aveva guardato l'orologio messo sul tavolino accanto al letto, non appena aveva sentito suonare il telefono, e immediatamente aveva informato il tenente Byrnes che era mezzanotte e mezzo, e gli aveva chiesto se non si poteva aspettare fino alla mattina... ... Byrnes si schiarì la voce e disse: «Ecco, signore, una persona dice che vi sparerà.» Il Commissario ai Parchi si schiarì la voce e disse: «Be', perché non mi raccontate tutto?». La situazione era grottesca. Il Commissario ai Parchi non aveva mai sentito parlare di una situazione più grottesca di quella. Quell'uomo doveva essere pazzo completo per supporre che qualcuno gli avrebbe dato cinquemila dollari solo per un paio di telefonate. Byrnes ammise che la situazione era grottesca, ma aggiunse che nella città molti delitti venivano commessi quotidianamente da persone col cervello malato o prive di principi morali e che la salute mentale non era un requisito indispensabile per commettere con successo un gesto criminale. Il Commissario ai Parchi non aveva mai sentito parlare di una situazione più assurda di quella, e non riusciva nemmeno a capire perché lo stessero seccando con una storia che era chiaramente la trovata stravagante di uno squinternato. Perché non si limitavano a non pensarci? «Ecco» disse Byrnes «non mi piace comportarmi come un poliziotto da film, signore, e vi assicuro che preferirei non pensarci, come consigliate voi, ma esiste la possibilità che qualcuno progetti veramente di uccidervi, e in coscienza io non posso ignorare questa possibilità senza averla prima discussa con voi.» «Ne avete già discusso con me» disse il Commissario ai Parchi «e io vi ho detto di non pensarci.» «Signore» disse Byrnes, «vorremmo tentare di mettere le mani sull'uomo che prenderà dalla panchina la gavetta, e vorremmo anche darvi la protezione della polizia per domani sera. Avete in progetto di uscire, domani sera?» Il Commissario ai Parchi disse che Byrnes poteva fare tutto quello che
riteneva conveniente per arrestare l'uomo che avesse preso il portavivande, che lui in effetti aveva in progetto di uscire la sera dopo perché era stato invitato dal sindaco ad assistere all'esecuzione dell' "Eroica" di Beethoven con cui l'Orchestra Filarmonica inaugurava il nuovo teatro con annessa sala da concerto vicino a Remington Circle, e lui non voleva la protezione della polizia, né ne aveva bisogno. «Bene, signore» disse Byrnes. «Vi informeremo sui risultati della caccia alla gavetta.» «D'accordo, informatemi» disse il Commissario ai Parchi «ma non in piena notte, d'accordo?» e riattaccò. Alle cinque del mattino di martedì, mentre era ancora buio, gli agenti investigativi Hal Willis e Arthur Brown bevvero due tonificanti tazze di caffè nella silenziosa sala-agenti, indossarono l'equipaggiamento antigelo prelevato da un camion della Squadra di Emergenza, agganciarono i foderi, e uscirono nella tundra per iniziare la sorveglianza della terza panchina di Clinton Street, nel parco. Siccome la maggior parte dei vialetti di Grover Park seguivano la direzione nord-sud, e naturalmente avevano due ingressi, uno a nord e uno a sud, i due poliziotti pensarono dapprima che potesse nascere confusione a proposito della terza panchina di Clinton Street. Ma un'occhiata alla carta topografica della zona chiarì che quel viale in particolare aveva un solo ingresso, esattamente sulla Grover Avenue, che costeggiava il parco, e dopo aver attraversato Grover Park finiva al recinto della banda, vicino al lago. Willis e Brown andarono a mettersi su uno spuntone di roccia che guardava proprio sulla terza panchina, dietro i tronchi di una macchia di olmi che facevano da schermo. Il freddo era intenso. Certo non si aspettavano che succedesse qualcosa prima che Hawes deponesse la gavetta nel punto indicato, ma non avrebbero certo potuto appostarsi là sopra dopo l'arrivo di Hawes, e così Byrnes aveva avuto la brillante idea di mandarli lì molto prima che la persona incaricata di tenere d'occhio la panchina potesse notarli. Piazzati là sopra, battevano i piedi, facevano ginnastica con le braccia, si premevano le mani sulla faccia che pareva sul punto di congelare. Né Willis né Brown avevano mai sofferto tanto freddo in vita loro. Alle nove del mattino, quando entrò nel parco, Cotton Hawes era quasi, ma solo quasi, gelato come loro. Nell'andare verso la terza panchina, Hawes superò due persone: un vecchio in cappotto scuro diretto alla stazione della metropolitana di Grover Avenue, e una ragazza in pelliccia di visone
da cui spuntavano i lembi svolazzanti di una lunga camicia rosa di nailon, che stava portando a spasso un barboncino bianco coperto con una mantellina di lana rossa. La ragazza sorrise quando Hawes passò con la sua gavetta. Alla terza panchina non c'era nessuno. Hawes si guardò rapidamente in giro, poi alzò gli occhi sulla fila di case di Grover Avenue. Un migliaio di finestre riflettevano i raggi del primo sole. Dietro ognuna di quelle finestre poteva esserci un uomo con un cannocchiale. Niente ostacolava la vista della terza panchina. Hawes andò a mettere la gavetta su un'estremità della panchina, si strinse nelle spalle, la spostò all'estremità opposta, poi la rispostò mettendola esattamente al centro. Si guardò di nuovo in giro sentendosi molto stupido, poi uscì dal parco e tornò in sala-agenti. Bert Kling era seduto alla sua scrivania, intento ad ascoltare al radiotelefono collegato con l'apparecchio di Hal Willis. «Come va laggiù?» domandò Kling. «Ci stiamo congelando» rispose Willis. «Ancora niente?» «Credi proprio che qualcuno sia tanto matto da uscire con questo freddo?» disse Willis. «State allegri» disse Kling. «Ho sentito il capo dire che quando questa storia sarà finita, vi manderà tutti e due all'isola di Giamaica.» «Sì, come carne surgelata» disse Willis. «Attento!» Silenzio assoluto in sala-agenti. Hawes e Kling aspettarono. Finalmente la voce di Willis si fece risentire. «Niente. Solo un ragazzo che si è fermato alla panchina, ha dato un'occhiata alla gavetta, e l'ha lasciata dov'era.» «Bene, continuate a stare lì» disse Kling. «Dobbiamo stare qui per forza» intervenne la voce di Brown. «Il gelo ci ha fuso insieme a questa maledetta roccia.» Adesso c'era un po' di gente nel parco. Si erano avventurati per le strade con prudenza, messi in guardia dai bollettini meteorologici trasmessi per radio e televisione, resi maggiormente cauti dalla prova visiva fornita dai termometri appesi fuori della finestra, dal sibilo del vento sotto le grondaie delle vecchie case, e dalla morsa gelida che afferrava ogni mano che, osando protendersi all'esterno, resisteva solo un attimo, dopo di che la finestra veniva richiusa alla svelta. Vestiti senza riguardo per i dettami della moda, gli uomini con paraorecchi e
guanti imbottiti, le donne infagottate in più strati di lana e con le scarpe alte foderate di pelo, cappucci e sciarpe a proteggere la testa e le orecchie, attraversavano in fretta il parco, degnando appena di un'occhiata la panchina con la gavetta nera sistemata proprio al centro. In quella città, nota per l'indifferenza dei suoi abitanti, la gente era resa più che mai apatica dalla fretta e dalla preoccupazione di vincere il freddo. Parlare li avrebbe resi più vulnerabili, aprendo la bocca avrebbero lasciato uscire un po' di calore immagazzinato all'interno, l'interesse per gli altri non avrebbe diminuito la forza del vento che li staffilava, il vento tagliente che saliva dal fiume e faceva svolazzare i giornali nell'aria e i cappelli nei canali di scolo. In quella gelida giornata di marzo, parlare era un lusso. Nel parco, Willis e Brown tenevano d'occhio la panchina senza parlare. Gli imbianchini erano sempre in vena di chiacchierare. «State organizzando un'operazione in grande?» domandò il primo imbianchino. «È per questo che usate il radiotelefono?» domandò il secondo imbianchino. «Ci sarà una rapina a una banca?» «Cosa state ascoltando su quel coso?» «Silenzio!» disse Bert Kling, alimentando la loro curiosità. In alto sulle loro scale i due imbianchini facevano piovere gocce di colore verde mela su tutto. «Una volta abbiamo imbiancato l'ufficio del Procuratore Distrettuale» disse il primo imbianchino. «Stavano interrogando quel tale che ha fatto fuori la madre con quarantasette coltellate.» «Diconsi quarantasette!» «Già. Con un punteruolo da ghiaccio.» «Ha detto che l'aveva fatto per salvarla dai marziani.» «Se non era matto quello!» «Oh, dico, quarantasette colpi sono tanti!» «Chissà poi perché ridurla in quello stato l'avrebbe salvata dai marziani» disse il secondo imbianchino. «Forse perché ai marziani non piacciono le signore con quarantasette buchi sparsi qua e là» disse il primo imbianchino e scoppiò a ridere. Il secondo si unì alla risata. Piegati in due dal gran ridere, là in cima alle scale, tenendo i pennelli ciondoloni, i due imbianchini facevano piovere il colore sui giornali che coprivano il pavimento della sala-agenti.
L'uomo entrò nel parco alle dieci. Doveva essere sui ventisette anni, aveva la faccia lunga, viola dal freddo, teneva le labbra serrate contro il vento, e gli piangevano gli occhi. Indossava un cappotto corto, marrone, col bavero rialzato. Sotto, aveva una sciarpa di lana grigia. Teneva le mani affondate nelle tasche sformate. I pantaloni erano scuri, a righe orizzontali, e le scarpe nere da lavoro salivano oltre la caviglia. Imboccò Clinton Street camminando in fretta, senza guardarsi attorno, andò direttamente alla terza panchina, prese la gavetta, se la infilò sotto il braccio, rimise le mani nude in tasca, fece rapidamente dietro front, e stava tornando verso l'uscita quando una voce alle sue spalle disse: «Fermo dove sei, amico». Lui si voltò, e vide un negro grande e robusto, vestito con una specie di tuta blu da astronauta. Impugnava una grossa pistola, e teneva nella sinistra il portafoglio che aprendosi mostrò un distintivo azzurro e oro. «Polizia» disse il negro. «Vorremmo fare quattro chiacchiere con voi.» II Miranda-Escobedo sembra il nome di un torero messicano. Ma non lo è. Miranda-Escobedo è l'abbreviazione usata dalla polizia per indicare due decisioni della Corte Suprema. Queste due decisioni insieme riguardano le regole per gli interrogatori degli indiziati, e i poliziotti le giudicano una colossale rottura di scatole. Negli Stati Uniti non esiste poliziotto che consideri la Miranda-Escobedo una buona idea. Questi poliziotti sono tutti bravi americani che tengono nella massima considerazione i diritti degli individui di una società libera, ma la Miranda-Escobedo non gode delle loro simpatie perché, secondo loro, non fa che complicargli il lavoro. Il loro lavoro è la prevenzione dei crimini. Dal momento in cui i poliziotti dell'87o mettevano le mani su un individuo sospetto, con l'intenzione di interrogarlo, scattava immediatamente la Miranda-Escobedo. Poco dopo la decisione presa dalla Corte Suprema nel 1966, il capitano Frick, che comandava l'intero Distretto, aveva emesso un bollettino. Nel volantino stampato su carta verde si informavano tutti i poliziotti del Distretto, in divisa e no, su come si doveva svolgere l'interrogatorio delle persone sospette. Parecchi poliziotti in divisa giravano col volantino infilato nel loro blocco d'appunti, per averlo a portata di mano in caso di necessità. Gli agenti investigativi, che di solito interrogavano molta
più gente che non i loro colleghi in divisa, avevano imparato le disposizioni a memoria, e ormai avevano grande familiarità con tutte le regole, il che non impediva loro di continuare a considerarle con estremo disgusto. «In ottemperanza alla decisione della Corte Suprema di Miranda, Arizona» disse Willis «siamo tenuti a informarvi dei vostri diritti, cosa che ora io farò. Primo, avete il diritto di non rispondere se preferite non farlo. Avete capito bene?» «Sì.» «Avete anche capito che non siete obbligato a rispondere a nessuna domanda che vi venga rivolta dalla polizia?» «Sì.» «Capite inoltre che, se rispondete, le vostre risposte possono essere usate come prova contro di voi?» «Sì, ho capito.» «Devo anche informarvi che è vostro diritto consultare un avvocato prima o durante l'interrogatorio. Avete capito?» «Capito.» «Se decidete di servirvi di questo diritto, ma al momento non avete il denaro per un avvocato, potete disporre di un legale d'ufficio per consultarvi con lui prima o durante l'interrogatorio. Vi è chiaro anche questo?» «Sì.» «Avete capito bene quali sono i vostri diritti?» «Li ho capiti.» «Intendete rispondere alle nostre domande senza la presenza di un avvocato?» «Ecco, non so» disse il sospettato. «Cosa devo fare?» Willis e Brown si scambiarono un'occhiata. Fino a quel momento avevano applicato alla lettera le disposizioni della Miranda-Escobedo, informando il sospettato del suo diritto all'assistenza legale e del privilegio di non dire cose che potevano ritorcersi contro di lui. L'avevano fatto con frasi chiare, non limitandosi a citare il Quinto Emendamento. Si erano anche accertati che il sospettato avesse capito quali erano i suoi diritti prima di chiedergli se voleva o no servirsene. Il bollettino compilato dal capitano Frick avvertiva che non bastava mettere al corrente l'individuo sospettato e poi procedere all'interrogatorio. Era invece indispensabile che il prigioniero confermasse di aver capito, e che era sua volontà rispondere alle domande senza l'avvocato. Solo così la Corte poteva riconoscere che egli aveva rinunciato ai propri diritti costituzionali.
Inoltre il volantino ammoniva tutti gli uomini della polizia a evitare l'uso di un certo linguaggio che in seguito potesse servire all'avvocato della difesa per sostenere che il poliziotto "con minacce o trucchi aveva indotto" l'accusato a rinunciare ai suoi diritti. Si raccomandava soprattutto ai poliziotti di non dire al sospettato di non preoccuparsi per avere un legale, o anche solo di insinuare che senza un legale se la sarebbe cavata meglio. In breve, il poliziotto doveva limitarsi a informare l'accusato dei suoi privilegi e dei suoi diritti, e basta. Perciò, tanto Brown quanto Willis sapevano di non poter rispondere alla domanda del sospettato. Se uno di loro gli avesse consigliato di rispondere senza che ci fosse presente un avvocato, qualsiasi confessione ottenuta in quelle condizioni non sarebbe stata ammessa in tribunale. Se, d'altro canto, gli consigliavano di non rispondere, o di consultarsi prima con un legale, le probabilità di ottenere una confessione sarebbero notevolmente diminuite. Perciò Willis disse: «Vi ho spiegato quali sono i vostri diritti, e da parte mia sarebbe scorretto darvi qualsiasi consiglio. Spetta a voi decidere». «Ecco, io non so» disse l'uomo. «Pensateci» disse Willis. Il giovane ci pensò. Né Willis né Brown aprirono bocca. Sapevano che se lui si rifiutava di rispondere, l'interrogatorio era bell'e finito. Sapevano inoltre che se lui cominciava a rispondere alle domande e poi decideva improvvisamente di interrompere l'interrogatorio, loro avrebbero dovuto smettere immediatamente, in qualsiasi modo lui si fosse espresso per esporre i suoi desideri. Poteva dire, ad esempio: "Mi appello ai miei diritti", oppure: "Non intendo dire altro", o ancora: "Chiedo uno che parli per me". Perciò aspettarono. «Non ho niente da nascondere» disse il giovane alla fine. «Volete rispondere alle nostre domande senza la presenza di un avvocato?» domandò Willis. «Sì.» «Come ti chiami?» chiese Willis. «Anthony La Bresca.» «Dove abiti?» «A Riverhead.» «Dove, esattamente, Anthony?» domandò Brown. Tutti e due gli agenti investigativi erano passati all'uso del nome di battesimo, violando, con quella forma confidenziale, solo la dignità umana e non i diritti dell'uomo, dato che la forma confidenziale non aveva niente a
che fare con la Miranda-Escobedo, ma in tutto il mondo era un ottimo sistema per sconvolgere psicologicamente un prigioniero. Dai del tu a un uomo senza permettergli di fare altrettanto con te e: 1) lo passi automaticamente al ruolo di subordinato; 2) privi la formula confidenziale di ogni significato amichevole dandole invece un tono minaccioso. «A Riverhead, dove?» domandò Willis. «Johnson Street, 1812.» «Vivi solo?» «No, con mia madre.» «E tuo padre?» «I miei sono separati.» «Quanti anni hai, Anthony?» «Ventisei.» «Cosa fai per vivere?» «In questo momento sono disoccupato.» «Normalmente che cosa fai?» «Sono un operaio edile.» «Quando hai lavorato l'ultima volta?» «Sono rimasto senza posto il mese scorso.» «Perché?» «Abbiamo finito il palazzo.» «E da allora non hai più lavorato?» «Sto cercando.» «Ma finora non hai avuto fortuna, è così?» «Sì, è così.» «Parlaci della gavetta.» «Cosa volete sapere?» «Ecco, prima di tutto, che cosa c'è dentro?» «La colazione, credo» disse La Bresca. «La colazione, eh?» «Di solito in una gavetta c'è la colazione, no?» «Le domande le facciamo noi, Anthony.» «Be', sì, la colazione» disse La Bresca. «Hai per caso telefonato a questa Squadra, ieri?» domandò Brown. «No.» «Come facevi a sapere che su quella panchina c'era una gavetta?» «Mi hanno detto che era là.»
«Chi te l'ha detto?» «Quel tale che ho incontrato.» «Chi è questo tale?» «Quello che c'era all'agenzia di collocamento.» «Forza» disse Willis, «raccontaci un po'.» «Stavo facendo la fila davanti all'agenzia di collocamento di Ansley Avenue. Lì hanno per le mani un sacco di lavori di costruzione, sapete, e sono stati loro a mettermi a posto l'ultima volta. Per questo oggi sono tornato là. Quel tale era in fila con me, e a un tratto fa schioccare le dita e dice: "Gesù, ho lasciato la colazione nel parco". Io non dico niente, e lui mi guarda e fa: "Sentite questa, che è bella. Ho lasciato la mia colazione nel parco". Io gli rispondo che è proprio un peccato, eccetera, gli dimostro la mia comprensione, sapete com'è. Un povero diavolo va a cercare lavoro e lascia la colazione nel parco.» «E poi?» «Poi lui dice che se non fosse per la gamba che gli fa male tornerebbe di corsa a prenderla. E dopo mi chiede se non ci andrei io per lui.» «E tu naturalmente gli hai detto di sì» disse Brown. «Uno che non conosci ti chiede di andare da Ansley Avenue a Grover Avenue e fin dentro il parco a prendere la sua gavetta con la colazione, e tu naturalmente gli dici subito di sì.» «No. Naturalmente gli ho detto di no.» «Allora che cosa stavi facendo nel parco?» «Ecco, ci siamo messi a parlare un po', e lui mi ha spiegato in che modo era rimasto ferito durante la seconda guerra mondiale, combattendo contro i tedeschi. La scheggia di una bomba da mortaio, era stata. Un gran brutto affare, sapete.» «E così, naturalmente, nonostante tutto hai deciso di andare a recuperare la colazione.» «No. Naturalmente non ho deciso un bel niente.» «E allora vuoi dirci come mai sei finito nel parco?» «Ma è proprio quello che sto cercando di dirvi!» «Hai avuto pietà di quel tipo, è così? Siccome aveva la gamba matta e fuori faceva tanto freddo, hai avuto compassione, è così?» disse Willis. «Ecco... sì e no.» «Non te la sentivi di fargli fare tutta questa strada, giusto?» disse Brown. «Ecco... sì e no. Voglio dire, quello non lo conoscevo; perché diavolo doveva importarmi qualcosa se tornava a piedi fino al parco?»
«Senti, Anthony» disse Willis, che cominciava a perdere la pazienza e cercava di controllarsi dicendosi che interrogare un sospettato diventava particolarmente difficile con la storia della Miranda-Escobedo, grazie a cui uno in qualsiasi momento poteva rifiutarsi di rispondere, e allora, spiacente, ragazzi, niente più domande, quindi chiudete pure quella bocca da piedipiatti che vi ritrovate se non volete correre il rischio di rovinare tutto. «Senti, Anthony» ripeté in tono gentile «noi stiamo solo cercando di scoprire come mai ti è capitato di entrare nel parco e di puntare dritto su quella panchina a prendere la gavetta.» «Lo so che volete sapere questo» disse La Bresca. «Dunque, hai incontrato un ferito di guerra. Giusto?» «Giusto.» «E lui ti ha detto che aveva lasciato nel parco la gavetta con la colazione.» «Ecco, all'inizio lui non ha parlato di gavetta con la colazione. Ha detto soltanto "colazione".» «Quando ha parlato di gavetta?» «Dopo che mi ha dato i cinque dollari.» «Ah! Allora ti ha offerto cinque dollari per andare a prendere la sua gavetta, è così?» «Non me li ha offerti, me li ha dati.» «Ti ha dato cinque dollari e ti ha detto: "Vuoi andare a prendermi la gavetta con la colazione?"» «Proprio così. E mi ha detto che l'avrei trovata sulla terza panchina di Clinton Street. E l'ho trovata proprio là.» «E che cosa dovevi fare della gavetta dopo essere andato a prenderla?» «Portargliela indietro. Lui intanto mi avrebbe tenuto il posto nella fila.» «Capisco...» disse Brown. «Ma si può sapere che cosa c'è di tanto importante in una gavetta?» domandò La Bresca. «Niente» disse Willis. «Parlaci un po' di quel tale. Com'era?» «Un tipo normale, comune.» «Quanti anni poteva avere?» «Trentaquattro o giù di li.» «Alto, piccolo, o di statura media?» «Alto. Uno e ottantadue, uno e ottantatré, centimetro più centimetro meno.» «E di corporatura? Grasso, magro o normale?»
«Era un bel tipo. Con le spalle larghe.» «Grasso?» «Direi robusto. Un tipo ben piazzato.» «E i capelli?» «Era biondo.» «Aveva i baffi o la barba?» «No.» «Hai notato il colore degli occhi?» «Azzurri.» «Qualche cicatrice o segno particolare?» «No.» «Tatuaggi?» «No.» «Il timbro di voce, com'era?» «Una voce media. Non troppo profonda. Media. Una bella voce.» «Qualche accento o cadenza?» «No.» «Com'era vestito?» «Cappotto scuro e guanti scuri.» «E il vestito?» «Non ho visto che cos'aveva sotto il cappotto. Be', certo, i pantaloni li aveva, ma non ho notato di che colore erano, e non posso dirvi se erano i pantaloni di un completo oppure...» «Bene. Portava il cappello?» «Niente cappello.» «Occhiali?» «Niente occhiali.» «Qualche cos'altro, che hai notato?» «Sì» disse La Bresca. «Cosa?» «Aveva un apparecchio acustico.» L'agenzia di collocamento era sull'angolo di Ansley Avenue con Clinton Street, a cinque isolati dall'imbocco del vialetto del parco con lo stesso nome. Nella lieve speranza che l'uomo con l'apparecchio acustico stesse ancora aspettando il ritorno di La Bresca, i due poliziotti presero una macchina e andarono là. La Bresca era seduto dietro, pieno di buona volontà di identificare l'uomo, se c'era ancora. Una fila di gente arrivava oltre l'angolo
di Clinton Street, uomini in abiti da lavoro e berretti, le mani affondate nelle tasche, le facce livide per il freddo, i piedi in continuo movimento nel tentativo di mantenerli un po' caldi. «Si direbbe che qui stanno distribuendo dollari» disse La Bresca. «In realtà impegnano a versare all'agenzia una settimana di paga. Però trovano dei buoni posti. L'ultimo che mi hanno trovato rendeva proprio bene, ed è andato avanti otto mesi.» «Vedi il tuo uomo nella fila?» domandò Brown. «Da qui non riesco a vedere bene. Non possiamo smontare?» «Sì, certo» disse Brown. Parcheggiarono la macchina contro il marciapiede. Willis, che era al volante, smontò per primo. Era piccolo e snello e si muoveva con la grazia e l'agilità di un ballerino e la decisione fredda di uno sfollagente. Mentre aspettava che smontasse anche Brown, cominciò a battere le mani guantate una contro l'altra. Brown smontò con la delicatezza di un rinoceronte, spingendo fuori il corpo enorme, sbattendosi la portiera alle spalle, e infilando poi i guanti sulle mani smisurate. «Hai tirato giù l'aletta?» domandò Brown. «No. Tanto ci fermiamo pochi minuti.» «È meglio tirarla giù, se no puoi scommettere che quei rompiscatole del traffico ci danno la multa.» Brontolando, Brown risalì in macchina. «Ehi, fa freddo fuori» disse La Bresca. «Già» disse Willis. In macchina, Brown abbassò una delle alette parasole. Due elastici rossi tenevano fissato il cartoncino con scritto sopra a mano: "Macchina della Polizia". La portiera sbatté di nuovo, Brown li raggiunse, e insieme i tre uomini andarono verso la fila di operai allineati sul marciapiede. Entrambi i poliziotti sbottonarono i cappotti. «Lo vedi?» domandò Brown a La Bresca. «Non ancora» disse La Bresca. Percorsero lentamente tutta la fila. «Allora?» domandò Brown. «No» disse La Bresca. «Qui non c'è.» «Andiamo a dare un'occhiata di sopra» disse Brown. La fila dei disoccupati in attesa continuava su per la rampa di scale di legno che finiva sul pianerottolo davanti alla porta dell'ufficio. L'iscrizione
sul vetro smerigliato diceva: "Agenzia di collocamento Meridian - Lavoro assicurato". «Lo vedi?» domandò Willis. «No» rispose La Bresca. «Aspetta qui» disse Willis e i due agenti investigativi si allontanarono di qualche passo verso l'altra estremità del ballatoio. «Che accusa possiamo fargli per trattenerlo?» «Nessuna.» «Ecco. Allora sai che cosa ne penso.» «Vale la pena di farlo pedinare?» «Dipende dall'importanza che il tenente dà a questa storia.» «Perché non glielo chiedi?» «Proprio quello che farò. Tu non mollare le posizioni.» Brown tornò accanto a La Bresca. Willis trovò un telefono a gettoni dietro l'angolo del ballatoio e chiamò la Squadra. Il tenente ascoltò con attenzione tutto quello che Willis gli riferì, poi disse: «A te che effetto ha fatto?». «Mi è sembrato che dicesse la verità.» «Credi veramente che ci fosse qualcuno con un apparecchio acustico?» «Sì.» «Allora perché se n'è andato prima del ritorno di questo La Bresca?» «Probabilmente ha immaginato che avessimo messo le unghie sul suo fattorino e non ha voluto correre il rischio di ciondolare qui attorno. In ogni caso, La Bresca non mi pare un criminale.» «Dove hai detto che abita?» «A Riverhead, in Johnson Street 1812.» «Telefonerò al Distretto di quella zona. Può darsi che abbiano un uomo da mettergli alle calcagna. Dio lo sa che noi non ne abbiamo uno che ci cresca.» «Allora lo lascio andare?» «Sì, e tornate qui. Prima però mettetegli addosso un po' di fifa. Non si sa mai.» «Bene» disse Willis. Riagganciò il ricevitore e tornò da La Bresca e Brown. «Va bene, Anthony» disse Willis «puoi andare.» «Andare? E chi vuole andarsene? Io adesso mi rimetto in fila. Sto cercando di trovare un lavoro, qui.» «E ricordati, Anthony, che se succede qualcosa, sappiamo dove trovar-
ti.» «Cosa volete dire? Che cosa dovrebbe succedere?» «Niente. Ma tu ricordatelo.» «Certo» disse La Bresca. Poi, dopo una breve pausa aggiunse: «Sentite, volete farmi un favore?». «Di che si tratta?» «Fatemi arrivare in testa alla fila.» «E come facciamo?» «Siete poliziotti, no?» disse La Bresca, e Willis e Brown si guardarono. Rientrati alla sala-agenti, seppero che il tenente Byrnes aveva telefonato al 115° Distretto, quello di Riverhead, e che gli avevano risposto di non avere un uomo in più da assegnare alla sorveglianza di Anthony La Bresca. Nessuno parve molto sorpreso nel saperlo. Quella sera, mentre il Commissario ai Parchi scendeva la larga scalinata di marmo bianco della sala da concerti, la moglie appesa al braccio sinistro, avvolta nel visone, con una sciarpa di velo bianco attorno alla testa, lui risplendente in smoking e cravatta nera, quattro gradini dietro il sindaco con la moglie, in alto il cielo vuoto di stelle, attorno l'aria secca e mordente, quella sera, mentre il Commissario ai Parchi scendeva i gradini del teatro avendo alle spalle le immense vetrate altissime da cui una calda luce dorata pioveva sulle scale e sulla strada, quella sera mentre il Commissario alzava il piede sinistro preparandosi a posarlo sul gradino inferiore, e rideva a qualcosa che la moglie gli aveva detto nell'orecchio, e la risata gli usciva dalla bocca in visibili sbuffi di vapore subito portati via dal vento, quella sera mentre il Commissario si infilava il guanto destro con la sinistra già guantata, quella sera due spari echeggiarono nella piazza rompendo per un attimo il corso del vento, e la risata del Commissario si fermò, la mano del Commissario si fermò, il piede del Commissario si fermò, e lui rotolò giù dai gradini col sangue che gli sgorgava dalla testa e dalla faccia, e sua moglie urlò, e il sindaco si voltò a vedere che cosa succedeva, e un fotografo intraprendente, in attesa sul marciapiede, immortalò sulla pellicola il Commissario che cadeva. Era già morto prima che il suo corpo rotolante si fermasse sull'ultimo largo gradino di marmo bianco. III
A Concetta Esposito La Bresca avevano insegnato soltanto una cosa: odiare i negri e diffidare di loro. Ai suoi fratelli era stato insegnato a farli a pezzi quando era possibile. I ragazzi avevano imparato le rispettive lezioni in un grande quartiere tra i più miserabili, affettuosamente e ironicamente soprannominato "Paradiso" dai suoi abitanti in maggioranza italiani. Concetta Esposito, crescendo in questo discutibile angolo di cielo, aveva visto fin da bambina i suoi fratelli e gli altri ragazzi del quartiere fracassare parecchie teste negre, e lo spettacolo non le aveva mai dato fastidio. Secondo lei se uno era tanto stupido da nascere negro, e ancora più stupido da mettersi a circolare per il Paradiso, allora si meritava di ritrovarsi con la sua stupida testa negra spaccata in due. Concetta aveva lasciato il Paradiso a diciannove anni, quando il venditore di ghiaccio del quartiere, un ragazzo napoletano di nome Carmine La Bresca, si era trasferito nel quartiere di Riverhead e aveva chiesto alla più giovane delle ragazze Esposito se voleva sposarlo. Concetta aveva accettato senza esitazioni perché Carmine era bello, con profondi occhi neri e folti capelli ricci, e perché aveva un negozio che rendeva e di cui era l'unico proprietario. Aveva anche accettato perché in quel periodo aspettava un bambino. Suo figlio era nato sette mesi dopo il matrimonio, adesso aveva quasi ventisette anni, e viveva solo con Concetta in Johnson Street, al primo piano di una casa che ospitava due famiglie. Carmine La Bresca era tornato a Pozzuoli vicino a Napoli, un mese dopo la nascita di Anthony. L'ultima che Concetta aveva sentito su di lui era la storia della sua morte durante la seconda guerra mondiale ma, conoscendo suo marito, Concetta sospettava che fosse da qualche parte in Italia a fare il re dei venditori di ghiaccio, a impegnarsi ancora con le ragazze e a metterle nei guai nel retro del negozio, come la sfortuna crudele aveva voluto che succedesse a lei. Concetta Esposito La Bresca continuava a non avere simpatia per i negri e a diffidare di loro, quindi rimase alquanto sbalordita, a dir poco, quando, a mezzanotte e un minuto di una notte senza stelle e senza luna, ne trovò uno sulla porta di casa sua. «Chi siete?» gridò. «Andate via.» «Polizia» disse Brown, e le mostrò il distintivo, e in quel momento Concetta vide l'altro, un uomo bianco, piccolo, con la faccia lunga e stretta e gli occhi neri penetranti, che la guardavano come se le volessero gettare il malocchio, Madonna Santa! «Che cosa volete? Andate via» disse accavallando le parole, e abbassò la
tenda sul pannello di vetro dell'ingresso posteriore dell'appartamento. La porta si trovava alla fine di una rampa di scale con i gradini malandati, Willis si era quasi rotto il collo inciampando nel terz'ultimo, e guardava su una specie di cortile dove cresceva un albero coperto adesso da un telone incerato. Probabilmente un albero di fichi, aveva pensato Brown mentre salivano le scale. Una corda curva sotto il peso della biancheria distesa si allungava in diagonale dal piccolo atrio davanti alla porta a vetri a un palo piantato all'estremità opposta del cortile. Il vento fischiava sul pianerottolo mettendocela tutta per buttare Willis sul tetto di rampicanti che coprivano la veranda del pianterreno. Lui bussò di nuovo e gridò: «Polizia, signora, è meglio che apriate». «State zitto!» disse Concetta, e aprì la porta. «Volete svegliare i vicini? Ma che vergogna.» «Possiamo entrare, signora?» domandò Willis. «Entrate, entrate» disse Concetta, e indietreggiò nella piccola cucina permettendo cosi a Willis e Brown di venire avanti. «Che cosa volete alle due di notte?» disse Concetta richiudendo la porta sul vento. La cucina era lunga e stretta. Acquaio, stufa economica e frigorifero, lungo una parete, tavolo col ripiano smaltato contro l'altra. Appoggiato alla terza parete, di fianco al calorifero, c'era un mobile di metallo con le antine aperte. Dentro, scatole di cereali per la prima colazione, e altri cibi in scatola. Sopra l'acquaio, uno specchio, e sul ripiano del frigorifero un cane di porcellana. Appeso alla parete del calorifero, un quadro raffigurante Gesù Cristo. Dal centro del soffitto pendeva una lampadina protetta da un globo di vetro e, accanto, la catenella che serviva da interruttore. Il rubinetto del lavandino perdeva. Il tic-tac di un orologio elettrico faceva da contrappunto allo sgocciolìo. «È solo mezzanotte» disse Brown «non le due.» La voce del poliziotto aveva un'asprezza insolita, che Willis non aveva notato durante tutta la corsa fino a Riverhead. Evidentemente era dovuta alla presenza della signora La Bresca, se quella era la madre di Anthony, e lui si chiese forse per la centesima volta come facesse Brown ad avere quella specie di radar che gli permetteva di individuare infallibilmente un razzista nel raggio di un chilometro. La donna stava guardandoli con eguale ostilità, così almeno parve a Willis. Aveva i capelli neri raccolti a crocchia sulla nuca, indossava un accappatoio maschile sulla camicia da notte, e, lui se ne accorse in quel momento, era a piedi nudi. «Siete la signora La Bresca?» domandò Willis.
«Sono Concetta La Bresca, e voi chi siete per domandarmelo?» disse lei. «Agenti investigativi Willis e Brown dell'Ottantasettesima Squadra» disse Willis. «Dov'è vostro figlio?» «Sta dormendo» disse Concetta, e siccome era nata a Napoli e cresciuta nel Paradiso, immediatamente pensò che fosse necessario fornirgli un alibi. «È stato qui con me tutta la sera» aggiunse. «Non è lui quello che cercate.» «Volete svegliarlo, signora La Bresca?» disse Brown. «Per che cosa?» «Vorremmo parlare un momento con lui.» «Per che cosa?» «Signora, se preferite, possiamo farlo venire con noi al posto di polizia» disse Brown. «Ma mi sembra più comodo per tutti se gli facciamo un paio di domande qui e subito. Volete andare a chiamarlo, signora?» «Sono alzato» disse dall'altra stanza la voce di La Bresca. «Volete venire qui un momento, signor La Bresca?» disse Willis. «Un momento e arrivo» disse La Bresca. «È stato qui tutta la sera» disse Concetta, ma la mano di Brown salì lo stesso al calcio della rivoltella attaccata alla cintura, caso mai La Bresca fosse invece stato fuori a ficcare due pallottole nella testa al Commissario Cowper. Ci mise un po' ad arrivare. Quando finalmente aprì la porta ed entrò in cucina, non teneva in mano niente di pericoloso oltre alla cintura dell'accappatoio. Era spettinato e aveva gli occhi gonfi di sonno. «Cosa c'è?» chiese. Dal momento che quella era un'indagine d'emergenza, e che La Bresca non poteva in nessun modo essere considerato in arresto, né Willis né Brown ritennero necessario informarlo dei suoi diritti. Perciò Willis chiese immediatamente: «Dove eravate questa sera alle undici e mezzo?». «Qui» rispose La Bresca. «E cosa stavate facendo?» «Dormivo.» «A che ora siete andato a letto?» «Verso le dieci.» «Vi ficcate a letto sempre così presto, signor La Bresca?» «Lo faccio quando mi devo alzare presto al mattino.» «Domani mattina dovete alzarvi presto?» «Alle sei» rispose La Bresca.
«Perché?» «Per andare al lavoro.» «Credevamo che foste disoccupato.» «Ho trovato lavoro questo pomeriggio, poco dopo che ci siamo lasciati.» «Che genere di lavoro?» «In un cantiere di costruzione.» «È stata la "Meridian" a trovarvi lavoro?» «Sì.» «Presso quale impresa?» «La "Erhard Engineering".» «A Riverhead?» «No, a Isola.» «A che ora siete rientrato a casa, questa sera?» «Sono venuto via dalla "Meridian" che sarà stata la una circa. Sono passato dalla sala di biliardo di South Leary e ho fatto un paio di partite. Poi sono tornato a casa. Saranno state le cinque o le sei.» «Poi, che cos'avete fatto?» «Ha mangiato» disse Concetta. «E dopo?» «Ho guardato un po' la televisione, poi sono andato a letto» disse La Bresca. «C'è qualcuno che possa confermare questa versione, oltre a vostra madre?» «Non c'era nessuno qui, se è questo che volete dire.» «Avete ricevuto qualche telefonata nel corso della sera?» «No.» «Quindi, abbiamo soltanto la vostra parola, è così?» «E la mia» disse Concetta. «Sentite, non so che cosa vogliate da me» disse La Bresca «ma vi ho detto la verità. Comunque, posso sapere che cosa è successo?» «Non avete sentito il notiziario alla televisione?» «No, devo essermi addormentato prima che trasmettessero il notiziario. Perché? Cos'è successo?» «Io sono entrata in camera sua a spegnere la luce alle dieci e mezzo» disse Concetta. «Vorrei che mi credeste» disse La Bresca. «Qualsiasi cosa abbiate in mente, io non c'entro.» «Vi credo» disse Willis. «Tu, Arthur, cosa ne pensi?»
«Anch'io gli credo» disse Brown. «Ma dobbiamo farvi delle domande» disse Willis. «Spero che comprendiate.» «Certo, capisco» disse La Bresca. «Ma è già notte, sapete? E domani mattina devo alzarmi presto.» «Perché non ci parlate ancora dell'uomo con l'apparecchio acustico?» suggerì cortesemente Willis. Interrogarono La Bresca ancora per almeno un quarto d'ora, e alla fine decisero che bisognava accusarlo di qualcosa oppure non pensarci più. L'uomo che aveva telefonato alla Squadra aveva detto: "Non ci sono soltanto io", e questa informazione era stata passata da Kling agli altri agenti della Squadra. Soltanto questo spinse Willis e Brown a continuare l'interrogatorio di La Bresca per un bel po' anche dopo che avrebbero dovuto mettere la parola fine. Di solito un poliziotto capisce se ha della carne al fuoco o no, e nessuno di loro riteneva La Bresca un criminale. Willis l'aveva già detto al tenente quel pomeriggio, e non aveva cambiato parere nelle ore seguenti. Ma se nell'omicidio del Commissario era coinvolta una banda, non poteva darsi che La Bresca fosse uno di loro? Poteva essere l'ultima ruota dell'organizzazione, quello non indispensabile, l'uomo che si poteva correre il rischio di far cadere in mano alla polizia se qualcosa andava male. E in questo caso, La Bresca stava mentendo. Ecco, se mentiva, lo faceva con l'abilità di un esperto, guardandoli con quegli occhi innocenti, e commovendo i due incalliti agenti investigativi con la storia della sua ansia di cominciare il nuovo lavoro, motivo per cui era andato a letto presto quella sera, eccetera, maturo di cervello come di corpo, americano di nascita e tutte quelle belle storie. E a questo punto si prospettava un'altra possibilità, e cioè che se La Bresca stava mentendo, e fino a quel momento loro non erano riusciti a coglierlo in fallo, non erano riusciti a trovare discrepanze tra la descrizione dell'uomo misterioso incontrato all'agenzia fatta al mattino e quella che stava facendo adesso, se lui stava mentendo, allora era anche possibile che l'uomo delle telefonate e La Bresca fossero la stessa persona. Quindi, non si trattava di una banda, frutto della sua immaginazione e teso a far credere alla polizia che esistesse un gruppo bene organizzato anziché un unico farabutto ambizioso che sognava un omicidio. Se era così, allora anche La Bresca e l'assassino del Commissario erano la stessa persona. Nel qual caso, sarebbe stato opportuno portare via quel bugiardo e accusarlo di omicidio. Certo, e poi cercare qualcosa che avrebbe retto, qualsiasi cosa purché la storia reggesse, se non
volevano vedere i sorci verdi fin dalle udienze preliminari. A volte non si riesce a cavare un ragno da un buco. Perciò, dopo un quarto d'ora circa di tentativi destinati a sconvolgere La Bresca, con Brown che ricorreva al suo metodo specialissimo di insistere con le domande mentre Willis interveniva di tanto in tanto con la tattica del diversivo, per confondere e frastornare, i due poliziotti ne sapevano esattamente quanto prima. Unica differenza, che adesso il Commissario era morto. Perciò, ringraziarono la signora La Bresca per l'ospitalità, scambiarono una stretta di mano con suo figlio scusandosi per averlo tirato giù dal letto, gli fecero gli auguri per il nuovo lavoro, poi dissero buonanotte e se ne andarono. Sentirono la signora La Bresca chiudere la porta mentre scendevano la rampa di gradini sconnessi, e usciti dal vicolo attraversarono la strada diretti alla macchina. Willis mise in moto, accese il riscaldamento, e poi i due uomini si scambiarono a voce bassa le loro impressioni e decisero di chiedere al tenente il permesso di mettere sotto controllo il telefono di La Bresca. Poi tornarono alla Squadra. Nel vicolo dove Steve Carell, avvolto in un cappotto lacero, stava sdraiato su un fianco, era buio e faceva freddo. L'ultima neve di febbraio, spalata e ammucchiata su un lato del vicolo contro un muro di mattoni, era diventata nera di sporcizia. Carell indossava due paia di tute termiche e un panciotto imbottito, inoltre, in una tasca del panciotto era ficcato uno scaldamani che forniva un bel caldo sotto il cappotto liso. Ma lui aveva freddo lo stesso. Il muro di neve che gli si ergeva di fronte peggiorava la situazione. A Carell non piaceva la neve. Certo, ricordava benissimo lo slittino che aveva da ragazzo, e quanto si fosse divertito, allora, a filare sulla neve sdraiato a pancia in giù, ma alla luce della sua attuale e autentica avversione per la neve, quei ricordi sembravano falsi. La neve è fredda e bagnata. Se siete un cittadino privato dovete spalarla, e se invece siete un operaio del Dipartimento della Salute Pubblica, dovete caricarla su un camion, portarla fino al River Dix, e liberarvene buttandola nel fiume; quindi la neve è una grossa scocciatura. Tutta quella storia dei falò era una grossa scocciatura. Però era anche divertente. Era il lato divertente che teneva Carell in quel vicolo buio e freddo in una notte che non era fatta né per gli uomini né per le bestie. Naturalmen-
te, a lui era anche stato ordinato di mettersi in un vicolo buio e freddo, dal tenente per il quale lavorava, un brav'uomo di nome Peter Byrnes, perciò avrebbe ben dovuto sdraiarsi in un vicolo buio e freddo, una notte o l'altra. Comunque, la parte divertente di quella particolare storia stava nel fatto che Carell non era di servizio in una banca, nella speranza di prevenire una rapina di milioni e milioni di dollari, né in un negozio dove si sperava di smascherare e rompere una catena internazionale di spacciatori di droga, e nemmeno era nascosto nel bagno dell'appartamento di qualche zitella, sperando di mettere finalmente le mani su un maniaco sessuale. No. Carell era sdraiato in un vicolo freddo e buio e la parte divertente stava nel fatto che due vagabondi erano stati incendiati. Un momento. Non era divertente che fossero stati incendiati, anzi, questo era molto triste. Il particolare divertente era che si fosse trattato di due vagabondi. A quanto Carell ricordava, la polizia aveva sempre condotto una guerra spietata contro i vagabondi, arrestandoli, mettendoli in prigione, rilasciandoli per poi arrestarli di nuovo, e così all'infinito. Adesso la polizia si trovava di fronte a due benefattori che stavano cercando generosamente di liberare le strade da tutti i barboni dandogli fuoco, e che cosa faceva? La polizia spediva immediatamente un suo uomo di valore in un vicolo freddo e buio perché si sdraiasse lì davanti a un muro di neve sporca con la speranza di mettere le mani sui bravi ragazzi che si erano incaricati di incendiare i barboni. Una cosa senza senso. E divertente. Nel lavoro della polizia c'erano un sacco di cose divertenti. Certo era più divertente stare sdraiato lì a gelare, piuttosto che essere a letto in casa propria accanto a una donna calda e adorabile. C'era talmente da ridere che quasi Carell ne avrebbe pianto. Pensava a Teddy a letto sola con i capelli neri sparsi sul guanciale, la bocca sorridente, la camicia da notte che le velava il corpo morbido. Dio santo, potrei morire congelato qui in questo maledetto vicolo, e mia moglie lo saprebbe soltanto domani mattina, pensò. La mia bella moglie appassionata! Lo saprà dai giornali! Leggerà il mio nome sulla quarta pagina! Saprà... Rumore di passi all'imbocco del vicolo. Fu subito attento e in tensione. Sotto il cappotto la destra si staccò dallo scaldamani e con un gesto rapido andò al calcio della pistola d'ordinanza. Tolse la rivoltella dal fodero restando sdraiato su un fianco, con l'arma pronta, e aspettò. Il rumore di passi si fece più vicino. «Qui ce n'è uno» disse una voce. Una voce giovane.
«Già» rispose una seconda voce. Carell aspettò. Teneva gli occhi chiusi, facendo finta di dormire, e adesso aveva l'indice a un millimetro dal grilletto. Qualcuno gli diede un calcio. «Svegliati!» disse una voce. Si mosse in fretta, ma non abbastanza. Stava sollevandosi e portando l'arma in posizione di tiro quando il liquido gli inondò la giacca. «Bevi, bello» gridò uno dei ragazzi, e Carell vide accendersi un fiammifero, e istantaneamente fu avvolto dal fuoco. Fu curioso il succedersi delle sue reazioni. Il primo segnale venne dall'olfatto che colse l'inconfondibile odore di benzina, poi il fiammifero acceso, già fonte di sorpresa in sé con la sua improvvisa esplosione di luce nel buio del vicolo, ma assai più traumatizzante abbinato all'odore di benzina. L'allarme gli risuonò nelle tempie, scattò lungo i canali elettrici fino al cervello, e contemporaneamente ci fu la fiammata. Nessuna sorpresa per le fiamme che gli scattarono verso la faccia. Solo terrore. Steve Carell reagì esattamente come deve aver reagito l'uomo di CroMagnon la prima volta che gli capitò di avvicinarsi troppo a un fuoco e che scoprì che le fiamme potevano cuocere anche un uomo, oltre alle tigri dai denti a sciabola. Lasciò cadere la pistola, si coprì la faccia con le mani, si girò di scatto, e d'istinto corse verso gli sporchi mucchi di neve, senza più curarsi dei suoi assalitori, conscio solo vagamente che stavano correndo via, fuori del vicolo, nella notte, capace solo di pensieri spezzettati... corri, presto, il fuoco, corri brucia fuoco fuoco... e si buttò lungo e disteso nella neve. Teneva le mani premute sulla faccia, sentiva le fiamme mordergli rabbiosamente il dorso, sentì l'orribile puzzo dei peli e della carne bruciata, e poi sentì le fiamme sfrigolare al contatto con la neve, sentì la fredda pressione confortante della neve, e fu di colpo avvolto dal bianco vapore che si sollevava dalla neve meravigliosa, si rotolò nella magnifica dolce benefica bianca stupenda neve, e si scoprì lacrime negli occhi, e non pensò a niente, e rimase lì a lungo con la faccia premuta nella neve. Alla fine si rialzò, andò, dolorante, a recuperare la rivoltella abbandonata, poi camminò lentamente fino all'imbocco del vicolo e si guardò le mani alla luce di un lampione. Rimase un attimo col fiato sospeso, poi raggiunse la cabina telefonica all'angolo della strada. Disse al sergente Murchison che i maledetti incendiari si erano fatti vivi, che aveva le mani bruciate e aveva bisogno di un'autolettiga. «Ma... stai bene, Steve?» domandò Murchison. E Carell si guardò ancora le mani e disse: «Sì, sto bene, Dave».
IV L'agente investigativo Bert Kling era innamorato, ma era l'unico. Il sindaco non era innamorato: era furibondo. Il sindaco telefonò al Commissario di Polizia e volle sapere che razza di città era quella dove un uomo dell'importanza di Cowper, Commissario ai Parchi, poteva venire preso a fucilate sui gradini del Teatro della Filarmonica. «Ecco, signore» cominciò il Commissario, ma il sindaco disse: «Forse potete dirmi perché diavolo non è stata fornita al Commissario Cowper l'adeguata protezione della polizia, dato che questa mattina ho saputo da sua moglie che la polizia sapeva di una minaccia alla sua vita. Forse potete rispondere a questo» urlò il sindaco nel telefono. «Ecco, signore» cominciò il Commissario, ma il sindaco disse: «O forse potete dirmi perché non è ancora stato identificato l'appartamento da dove sono partiti quei colpi, dato che l'autopsia ha già rivelato l'angolo di penetrazione dei proiettili, e i vostri esperti balistici hanno già stabilito la probabile traiettoria. Forse potete rispondere a questo». «Ecco, signore» cominciò il Commissario, ma il sindaco disse: «Datemi al più presto qualche risultato. O volete che questa città diventi tutta da ridere?» Il Commissario di Polizia non voleva affatto che la città diventasse una cosa tutta da ridere, perciò disse: «Sissignore, farò del mio meglio» e il sindaco disse: «Buon per voi» e riattaccò. Quel mattino non c'era amore tra il sindaco e il Commissario di Polizia. Perciò il Commissario chiamò il suo segretario, uno scialbo giovanotto alto e biondo con la faccia del consunto, il quale dichiarava che la sua tosse continua era causata da tre pacchetti di sigarette al giorno più un lavoro sufficiente da solo a far impazzire chiunque; il Commissario di Polizia chiamò dunque il suo segretario, e gli chiese di scoprire che cosa aveva voluto dire il sindaco quando aveva parlato di una minaccia alla vita del Commissario ai Parchi, e di riferirglielo immediatamente. Lo scialbo segretario alto e biondo si mise subito in moto, chiese qua e là, e scoprì che in realtà l'87° Distretto aveva ricevuto diverse telefonate da un misterioso sconosciuto il quale aveva minacciato di uccidere il Commissario Cowper se non gli fossero stati consegnati cinquemila dollari entro mezzogiorno del giorno prima. Quando il Commissario di Polizia lo seppe, disse: «Ah, sì?» e compose immediatamente il numero Frederick 7-8024, e chiese di
parlare con il tenente Peter Byrnes della Squadra Investigativa. Il tenente Byrnes della Investigativa aveva già sufficienti grattacapi, quel mattino, con Carell all'ospedale per ustioni di secondo grado a tutt'e due le mani, gli imbianchini che si erano spostati dalla sala-agenti al suo ufficio, dove stavano facendo colare vernice su tutto quello che c'era nella stanza e si scambiavano battute spiritose dall'alto delle loro scale. Tanto per cominciare, Peter Byrnes non vedeva particolarmente di buon occhio il Commissario di Polizia, importato da una città vicina quando era cominciata la nuova amministrazione, una città dove, secondo Byrnes, la percentuale di criminalità era ancora più alta che non lì da loro. A sua volta, il nuovo Commissario non vedeva di buon occhio il tenente Byrnes, perché Byrnes era il tipo dell'irlandese loquace che non sapeva tacere alle feste dell'Associazione Benefica della Polizia e alle riunioni del Circolo Smeraldo, e faceva sapere a tutti quelli a portata d'orecchio che cosa pensava lui del nuovo ragazzo prodigio nominato dal sindaco. E perciò, quel mattino, lungo i cavi del telefono tra l'ufficio del Commissario alla Centrale di Polizia in High Street e l'ufficio schizzato di vernice di Byrnes, al primo piano della grigia stazione di polizia in Grover Avenue, non corsero piacevolezze né tantomeno cortesie. «Che cos'è tutta questa storia, Byrnes?» domandò il Commissario. «Ecco, signore» disse Byrnes, pensando che l'ex Commissario lo chiamava Pete; «ieri abbiamo ricevuto diverse telefonate minacciose da un uomo rimasto sconosciuto. Telefonate a proposito delle quali ho discusso personalmente con il Commissario Cowper.» «Che provvedimenti avete preso in seguito a queste telefonate, Byrnes?» «Abbiamo messo sotto sorveglianza il punto stabilito per la consegna del denaro e abbiamo preso l'uomo che è andato a prelevarlo.» «E poi cos'è successo?» «L'abbiamo interrogato e l'abbiamo rilasciato.» «Perché?» «Prove insufficienti. L'abbiamo interrogato di nuovo questa notte dopo la morte del Commissario ai Parchi. Non abbiamo elementi per arrestarlo, quindi è ancora libero, ma da questa mattina il suo telefono è sotto controllo, e siamo pronti a muoverci non appena sentiremo qualcosa che serva a incriminarlo.» «Perché al Commissario non è stata data la protezione della polizia?» «Gliel'ho proposta, signore, ma lui ha rifiutato.» «Perché l'uomo sospettato non è stato messo sotto sorveglianza prima
che il delitto fosse commesso?» «Non avevo uomini disponibili, signore, e quando ho telefonato al 115° Distretto, quello di Riverhead, dove l'uomo abita, mi è stato detto che nemmeno loro avevano uomini da mettere a disposizione. Inoltre, come vi ho già detto, il Commissario Cowper ha rifiutato la protezione della polizia. Era convinto che si trattasse di uno scherzo, e devo dirvi che questa era anche la nostra opinione. Lo è stata, naturalmente, finché i recenti avvenimenti non hanno dimostrato il contrario.» «Perché non è stato ancora localizzato quell'appartamento?» «Quale appartamento?» «L'appartamento da dove sono partiti i due colpi che hanno ucciso il Commissario Cowper.» «Signore, il delitto non è stato commesso nel nostro Distretto. Il Teatro della Filarmonica, signore, è nella zona di giurisdizione del 57°, e come certamente vi renderete conto, signore, le indagini su un omicidio vengono svolte dagli agenti investigativi della Squadra Investigativa del Distretto in cui il delitto è stato commesso.» «Non cercate di farmi fesso con queste storie, Byrnes» disse il Commissario. «In questa città, signore, noi lavoriamo così» disse Byrnes. «Questo caso è vostro» ribatté il Commissario. «Avete capito, Byrnes?» «Se lo dite voi, signore.» «Lo dico io. Mandate sul posto qualche uomo, e scovate quell'appartamento.» «Sì, signore.» «E riferite subito a me.» «Sì, signore» disse Byrnes e riattaccò. «Disturbi alla trasmissione, eh?» disse il primo imbianchino. «Qualcuno vi vuol rompere le scatole, eh?» disse il secondo imbianchino. Dalla cima delle loro scale i due uomini facevano colare vernice sul pavimento. «Andate al diavolo, fuori da questo ufficio!» gridò Byrnes. «Non abbiamo ancora finito» disse il primo imbianchino. «Non ce ne andiamo mai prima di aver finito un lavoro» disse il secondo. «Questi sono i nostri ordini» disse il primo. «Noi non dipendiamo dal Dipartimento di Polizia, sapete? Noi lavoria-
mo per il Dipartimento dei Lavori Pubblici.» «Manutenzione e Riparazioni.» «E non piantiamo mai un lavoro se non l'abbiamo finito.» «Piantatela di far colare la vernice su tutto il pavimento, porco Giuda!» urlò Byrnes, e uscì dall'ufficio come una furia. «Hawes!» urlò. «Kling! Willis! Brown! Dove diavolo sono tutti?» urlò. Meyer uscì dalla toilette chiudendosi la cerniera dei calzoni. «Cosa c'è, capo?» disse. «Dov'eri?» disse Byrnes. «In fondo a destra. Perché, cosa c'è?» «Manda subito qualcuno sul posto» urlò Byrnes. «Quale posto?» «Dove quel maledetto Commissario si è fatto accoppare!» «Ah, sì» disse Meyer. «Ma perché? Il caso non è nostro.» «Lo è diventato.» «Ah, sì?» «Chi c'è di servizio, qui?» «Io.» «Dov'è Kling?» «Oggi è il suo giorno di riposo.» «Dov'è Brown?» «All'ascolto di quel telefono che sai.» «E Willis?» «È andato all'ospedale a trovare Steve.» «E Hawes?» «Sceso un momento a comprare formaggio danese.» «Ma cosa diavolo dirigo io, qui? Un ristorante di montagna?» «Nossignore. Noi...» «Mandaci Hawes! Mandacelo non appena ricompare. Telefona alla Sezione balistica, e fatti dire cos'hanno scoperto. Chiama il medico legale, e fatti dare il reperto dell'autopsia. Forza, scattare, Meyer!» «Sissignore» scattò Meyer, e andò di volata al telefono. «Questo maledetto omicidio mi farà diventar matto» disse Byrnes, e si voltò per fare irruzione nel suo ufficio, si ricordò che là dentro c'erano i due spiritosi imbianchini, e fece invece irruzione nell'Ufficio Schede. «Metti in ordine quei classificatori» urlò. «Si può sapere che cosa fai tutto il giorno, Miscolo? Prepari il caffè?» «Sissignore» disse Miscolo, perché in quel momento stava esattamente
facendo il caffè. Bert Kling era innamorato. Quello non era il periodo migliore dell'anno per essere innamorati. Molto meglio essere innamorati quando i fiori sono sbocciati e dal fiume soffia una brezza delicata, e i cani che non ti conoscono allungano il muso a leccarti la mano. C'è solo un punto a favore dell'essere innamorati in marzo: meglio esserlo in marzo che non esserlo affatto, come ebbe a dire una volta un saggio. Bert Kling era innamorato pazzamente. Era innamorato pazzamente di una ragazza di ventitré anni con la vita sottile e, sopra e sotto, no; con i lunghi capelli biondi a volte sciolti sulle spalle e a volte raccolti in una crocchia dorata sulla nuca, con gli occhi azzurri come fiordalisi, una ragazza alta che però gli arrivava soltanto al mento quando portava i tacchi alti. Era innamorato pazzamente di una studentessa che studiava di sera per laurearsi in psicologia e lavorava di giorno all'ufficio personale di una ditta che aveva sede in Shepherd Street, in centro, una ragazza seria e responsabile, che sperava di guadagnarsi la laurea e poi fare pratica in psicologia, una ragazza matta, capace di far portare in sala-agenti un cuore alto un metro e ottanta, in masonite, dipinto di rosso, e con scritto sopra in giallo "Cynthia Forrest ama l'agente investigativo di 3° grado Bertram Kling. E allora, è forse un delitto?" come aveva fatto proprio il mese prima, per il giorno di San Valentino, e a causa del quale Kling ne stava ancora sentendo di tutti i colori dai suoi colleghi, una ragazza sensibile, capace di mettersi a piangere alla vista di un cieco che suonava la fisarmonica nello Stern e di dargli un biglietto da cinque dollari mettendoglielo silenziosamente nel cappello, e poi di voltarsi a piangere sulla spalla di Kling, una ragazza appassionata, che lo abbracciava freneticamente e che qualche volta lo svegliava alle sei del mattino dicendogli: "Ehi, poliziotto, tra un paio d'ore io devo andare a lavorare. Ti interessa?" al che lui rispondeva invariabilmente "no", e poi cominciava a baciarla finché lei si sentiva stordita, e dopo si sedeva davanti a lei al tavolo di cucina e la guardava, meravigliandosi ogni volta della sua bellezza, e una mattina l'aveva fatta arrossire col dirle: "In Mason Avenue c'è una donna che vende 'pidaguas'. È nata a Porto Rico e si chiama Illuminata. Tu dovresti chiamarti Illuminata, Cindy. Riempi la stanza di luce." Gente, se era innamorato. Ma essendo marzo, ed essendo ancora le strade fiancheggiate dagli alti
mucchi della neve di febbraio, e poiché imperversavano i venti, e i lupi ululavano inseguendo i cittadini che avvolti in pelli d'orso viaggiavano in troika facendo schioccare le fruste, essendo ancora un gelido inverno che, cominciato in settembre, non dava segno di voler finire prima di agosto quando, forse, ma soltanto forse, tutta la neve si sarebbe sciolta e i fiori avrebbero schiuso i petali, essendo questo tipo di inverno insidioso, cosa si poteva fare di meglio che parlare di lavoro? Molto meglio affrettarsi per le strade gelide durante l'ora di intervallo che Cindy aveva per la colazione, con la mano della ragazza stretta nell'incavo del braccio, il vento che fischiava e portava via la voce di Kling intento a spiegarle le misteriose circostanze relative alla morte del Commissario ai Parchi, Cowper. «Sì, sembra tutto molto misterioso» disse Cindy, e tolse la mano di tasca nel tentativo di impedire al vento di strapparle il fazzoletto dalla testa. «Senti, Ber» disse lei «io non ne posso proprio più di questo inverno. Tu no?» «Sì» disse Kling. «Senti, Cindy, sai chi spero che non sia?» «Speri che non sia, chi?» disse Cindy. «Quel tale delle telefonate. Quello che ha ucciso il Commissario. Sai chi spero che non ci sia piovuto addosso?» «Chi?» domandò lei. «Il Sordo» disse lui. «Cosa?» disse Cindy. «Abbiamo avuto a che fare con un tale, sette o otto anni fa. Ha scatenato il finimondo in città per rapinare una banca. È stato il delinquente più astuto che ci sia mai capitato.» «Chi?» domandò Cindy. «Il Sordo» ripeté Kling. «Sì, ma come si chiama?» «Non sappiamo come si chiama. Non l'abbiamo mai preso. Si è buttato nel fiume, e avevamo pensato che fosse annegato, ma forse è ricomparso. Come Frankenstein.» «Vuoi dire come il mostro di Frankenstein» disse Cindy. «Già, proprio lui. Ricordi? Sembrava che fosse morto in quell'incendio, e invece no.» «Ricordo.» «Un film da cardiopalmo, eh?» «Figurati che quando l'ho visto mi sono bagnata le mutandine dalla paura. Era in televisione.»
«Ti sei bagnata le mutandine in televisione?» disse Kling. «Davanti a quaranta milioni di spettatori?» «No! Ho visto Frankenstein alla televisione» disse Cindy ridendo. «Il Sordo» disse Kling. «Spero proprio che non sia lui.» Era la prima volta che un agente della Squadra Investigativa esprimeva in parole la possibilità che l'assassino del Commissario fosse lo stesso uomo che anni prima aveva dato loro tanto filo da torcere. Quello era un pensiero in un certo senso proibito. Bert Kling era giovane, e non particolarmente portato alla speculazione, ma intuiva che il Sordo sapeva fare il gioco delle probabilità con la precisione di un calcolatore elettronico, sapeva come seminare confusione e paura, sapeva manipolare i vari fattori in maniera da sconvolgere la rigorosa e in parte burocratica efficienza di un Distretto di polizia facendo fare ai tutori della legge la figura dei poliziotti cretini di un vecchio film muto, capiva istintivamente ma con certezza che se l'assassino del Commissario era davvero il Sordo, allora ne avrebbero sentito riparlare. E siccome l'idea di quello che il Sordo poteva combinare era traumatizzante, Kling rabbrividì involontariamente, e non per il freddo. «Spero che non si tratti di lui» disse, e le sue parole vennero portate via dal vento. «Dammi un bacio» disse Cindy, tutt'a un tratto. «E poi offrimi una tazza di cioccolata calda, razza di tirchio.» Il ragazzo che entrò all'87° Distretto nel pomeriggio di mercoledì aveva circa dodici anni. La giacca a vento che indossava, azzurra, e di tre buone misure troppo grande per lui, era chiaramente del fratello maggiore. Aveva tirato su il cappuccio e aveva stretto il più possibile i cordoncini sotto il mento, ma il cappuccio era ancora troppo grande, e tendeva a cadergli sul naso. Cercò di costringerlo a stare indietro quando entrò alla stazione di polizia tenendo una busta nella mano con cui si stava asciugando la goccia dal naso. Calzava scarpe alte con la suola di para, disinvoltamente, come tutti i ragazzi di certi quartieri che, nonostante i consigli dei pediatri, calzano sempre scarpe alte con la suola di para estate e inverno. Andò al banco camminando con l'andatura elastica data dalle suole di gomma, tentò ancora di far stare a posto il cappuccio, si asciugò di nuovo il naso, poi alzò gli occhi a guardare il sergente Murchison e disse: «Siete il sergente di servizio?». «Sono il sergente di servizio» rispose Murchison senza alzare gli occhi dai cartellini degli assenti. Li stava compilando con l'aiuto del foglio delle
presenze. Erano le due e dieci, e tra un'ora e trentacinque sarebbero cominciati ad arrivare gli uomini del turno pomeridiano, si sarebbe fatto un nuovo appello, e si sarebbero dovuti compilare altri cartellini di altri assenti. Bello! Se fosse stato furbo avrebbe fatto il pompiere o il postino. «Devo consegnarvi questa» disse il ragazzo, e si alzò sulla punta dei piedi per consegnare a Murchison la busta sigillata. «Grazie» disse Murchison, e prese la busta senza guardare il ragazzo. Poi alzò di scatto la testa e disse: «Aspetta un momento». «Perché? Cosa c'è?» «Stai qui ancora un momento, eh?» disse Murchison, e aprì la busta. Spiegò il foglio di carta che era stato accuratamente piegato in tre, lesse quello che c'era sul foglio, poi guardò giù al ragazzo, e disse: «Dove l'hai presa questa?». «Fuori.» «Dove?» «Me l'ha data un tale.» «Chi è questo tale?» «Uno alto che c'era fuori.» «Fuori dove?» «Qui vicino al parco. Sull'altro marciapiede.» «E ti ha dato questa?» «Sì.» «Che cosa ti ha detto?» «Che dovevo portarla qui e darla al sergente di servizio.» «Tu lo conosci, quel tale?» «No. Mi ha dato cinque dollari per portare qui la busta.» «Com'era?» «Alto e biondo. Aveva un coso nell'orecchio.» «Che specie di coso?» «Come se fosse sordo» disse il ragazzo, e si passò di nuovo la mano sotto il naso. C'era questo, sul foglio.
Lo studiarono attentamente, cercando con la massima cura di non metterci sopra altre impronte digitali oltre a quelle che già ci aveva lasciato il sergente Murchison, e poi si misero attorno a un ragazzetto di dodici anni col naso che colava e con addosso una giacca a vento azzurra di tre misure troppo abbondante, e gli spararono un fuoco di fila di domande come se avessero arrestato Jack lo Squartatore venuto da Londra per il finesettimana. Il ragazzo non poté dare loro niente, a parte, forse, il suo raffreddore. Il ragazzo ripeté quello che aveva già detto al sergente Murchison: un tale alto, biondo, con un coso nell'orecchio... vuoi dire un apparecchio acustico?... già, un coso così nell'orecchio, l'aveva fermato sul marciapiede davanti al posto di polizia, ma dall'altra parte della strada, e gli aveva offerto cinque dollari per portare una busta al banco del sergente di servizio. Il ragazzo non ci aveva visto niente di male a portare una busta al posto di polizia, quindi aveva accettato, e questo era tutto. Lui non lo conosceva quello con il coso nell'orecchio... vuoi dire un apparecchio acustico?... già, un coso così nell'orecchio, lui non sapeva chi fosse, non l'aveva mai visto nel quartiere né in nessun altro posto, e adesso poteva andare? perché lui doveva fare un salto alla "Linda's Boutique" a prendere dei vestiti da portare a sua sorella che faceva la stiratrice in casa per la signora Montana. Quell'uomo aveva un apparecchio acustico, vero, ragazzo? Sì, aveva un coso nell'orecchio. Alle due e trenta lasciarono andare il ragazzo senza nemmeno avergli offerto un gelato o una striscia di gomma da masticare, e rimasero lì a passarsi il foglio misterioso, tenendolo con un paio di pinze, e poi decisero di mandarlo al tenente Sam Grossman della Scientifica, nella speranza che lui potesse cavarne qualche impronta che non fosse del sergente Murchison.
Nessuno di loro nominò il Sordo. A nessuno piaceva parlare di fantasmi. E nemmeno pensarci. «Salve, Bernice» disse Meyer al telefono. «C'è il tuo Capo? Sì, certo, aspetto.» Calmo, cominciò a battere una matita sul ripiano della scrivania e ad aspettare. Dopo un momento sentì una voce vivace e acuta. «Qui Raoul Chabrier, assistente del Procuratore Distrettuale» disse la voce. «Salve, Rollie, sono Meyer Meyer dell'Ottantasettesimo» disse Meyer. «Come va la vita da voi, in Chelsea Street?» «Oh, bene, bene» disse Chabrier. «Che cos'avete per noi, di bello? Un piccolo omicidio, forse?» «No, niente del genere, Rollie» disse Meyer. «Nemmeno un piccolissimo delitto con un'ascia?» disse Chabrier. «No. Per la verità, telefono per una faccenda personale» disse Meyer. «Oh, oh!» disse Chabrier. «Già. Senti, Rollie, cosa si può fare se qualcuno si serve del nostro nome?» «Cosa vuoi dire?» «In un libro.» «Oh-oh» disse Chabrier. «Qualcuno ha usato il tuo nome in un libro?» «Sì.» «In un libro sui dipendenti del Dipartimento di Polizia?» «No.» «E ti si nomina specificamente?» «No. Ecco, sì e no. Cosa intendevi esattamente con la tua domanda?» «Nel libro si nomina un agente investigativo di terzo grado Meyer...» «Di secondo grado» corresse Meyer. «Si nomina l'agente investigativo di secondo grado Meyer Meyer dell'Ottantaset...» «No.» «Non hai detto che sei nominato?» «Sì, ma non in questo modo.» «Avevo capito che qualcuno ha usato il tuo nome.» «Infatti è così. Lei l'ha usato.» «Meyer, io ho parecchio da fare» disse Chabrier. «Ho qui una montagna di lavoro che farebbe crollare sotto il suo peso un elefante! Puoi dirmi per
favore di che cosa si tratta?» «Di un romanzo» disse Meyer. «Un romanzo intitolato "Meyer Meyer".» «È il titolo di un romanzo?» domandò Chabrier. «Sì. Posso citarla?» «Io sono un penalista» disse Chabrier. «Lo so, ma...» «Non sono pratico di leggi sulla proprietà letteraria.» «Sì, ma...» «È un buon romanzo?» «Non lo so» disse Meyer. «Vedi, Rollie, io sono un uomo esistente, e quel romanzo parla di un certo professore d'università, un tale piccolo e grasso...» «Bisognerà che lo legga» disse Chabrier. «Dopo che l'avrai letto mi telefonerai?» «Perché dovrei telefonarti?» «Per informarmi.» «Di che cosa?» «Se posso citarla o no.» «Per questo dovrò leggere il codice» disse Chabrier. «Meyer, ti devo per caso un favore?» «Me ne devi sei» disse Meyer, riscaldandosi. «Ad esempio per tutte le volte che avrei dovuto tirarti giù dal letto alle tre di notte per qualcosa di veramente grosso che ci era capitato qui, e invece a mio grande rischio personale ho trattenuto la persona sospetta fino al mattino, per lasciarti fare tutto un bel sonno. Adesso, Rollie, ti sto chiedendo un piccolo favore. Non voglio spendere per rivolgermi a qualche pretenzioso legale specializzato in diritto letterario o come diavolo si dice, io voglio sapere solo se posso citare una persona per aver usato il mio nome regolarmente registrato su un bel certificato di nascita, se posso citare questa persona che ha usato il mio nome come titolo di un romanzo e per un personaggio di un romanzo, il mio nome che è quello di un uomo reale in carne e ossa, chiaro?» «Va bene, ma non ti scaldare» disse Chabrier. «E chi si scalda?» disse Meyer. «Consulterò il codice, e poi ti richiamerò.» «Quando?» «Un momento o l'altro.» «Forse, se un momento o l'altro capita in sala-agenti qualcuno, una notte in cui sei tu di turno, posso farla ancora in barba alla Miranda-Escobedo e
tirare in lungo fino al mattino in modo che tu possa russare tranquillamente tutta notte...» «Va bene, va bene, ti ritelefonerò domani.» Chabrier fece una pausa, poi aggiunse: «Non vuoi sapere a che ora?». «A che ora?» domandò Meyer. L'affittacamere aveva l'artrite, odiava l'inverno, e non le piacevano i poliziotti. La donna disse immediatamente a Cotton Hawes che erano già venuti altri poliziotti a ficcare il naso da quando avevano sparato a quel pezzo grosso, e non capiva perché non lasciassero in pace una signora. Hawes che aveva già sopportato lamentele del genere da altre affittacamere e amministratori di altre case della strada, spiegò pazientemente che lui stava solo facendo il suo lavoro, e si disse sicuro che lei non si sarebbe rifiutata di collaborare per assicurare un assassino alla giustizia. L'affittacamere disse che la città era corrotta e c'era marcio dappertutto, e che per quanto la riguardava non avrebbe certo perso il sonno anche se accoppavano tutti i pezzi grossi. Fino a quel momento, Hawes aveva ispezionato quattro case della fila di squallidi edifici che fronteggiavano la costruzione in vetro e cemento dove aveva sede il Teatro della Filarmonica. Il teatro, un trionfo architettonico, l'acustica molto meno rispettata poteva anche andare al diavolo, era ben visibile da tutte le case d'affitto, e l'ampia scalinata di marmo bianco sull'altro lato del viale offriva una perfetta visuale di chiunque stesse sui gradini, o li salisse, o li scendesse. Quindi l'uomo che aveva piazzato due proiettili nella testa del Commissario Cowper poteva averlo fatto da una qualunque finestra di quelle case. L'unico motivo dell'interesse della polizia sulla esatta fonte di quei due colpi era la possibilità che l'assassino avesse lasciato qualche prova. In un caso di omicidio è sempre bene avere qualche prova. Per prima cosa, Hawes chiese all'affittacamere se recentemente avesse affittato un appartamento o una stanza a un uomo alto e biondo con un apparecchio acustico. «Sì» disse l'affittacamere. Era un buon inizio. Hawes era un agente investigativo con molta esperienza, e capì immediatamente che la risposta affermativa dell'affittacamere rappresentava un inizio ottimo. «A chi?» chiese subito. «Sapete come si chiama?» «Sì.» «Come si chiama?»
«Timpano. Mort Timpano.» Hawes prese il suo taccuino d'appunti e cominciò a scrivere; «Timpano» disse. «Mort. Non sapete per caso se fosse Morton o Mortimer, o cos'altro?» «Il nome è Mort» disse l'affittacamere. «Mort Timpano. Era italiano.» «Come fate a saperlo?» «Tutti i nomi che finiscono in "o" sono italiani.» «Davvero? E Shapiro, allora?» disse Hawes. «Volete fare lo spiritoso?» «Questo Timpano... quale appartamento gli avete affittato?» «Gli ho affittato una stanza, non un appartamento» disse l'affittacamere. «Al terzo piano, sulla facciata.» «La stanza guarda verso il teatro?» «Sì.» «Potrei vederla?» «Certo, perché no? Io non ho nient'altro da fare che mostrare le stanze ai poliziotti!» Cominciarono a salire. C'era freddo lì dentro, e le finestre dei pianerottoli erano tutte contornate da ghiaccio. Sulle scale, odore di spazzatura e peggio. Una signora pulita, quell'affittacamere. La donna si lamentò della sua artrite lungo tutte le scale fino al secondo piano, raccontando ad Hawes che il cortisone non le giovava affatto e tutti quei pezzi grossi di medici continuavano a farle promesse che non diminuivano affatto i suoi dolori. Si fermò davanti alla porta che aveva una targhetta d'ottone con il numero 31, e affondò una mano nella tasca del grembiule per prendere la chiave. All'altra estremità del pianerottolo una porta si aprì di pochi centimetri, e poi si richiuse. «Chi c'è laggiù?» domandò Hawes. «Laggiù, dove?» disse l'affittacamere. «In fondo all'atrio. La porta si è aperta e poi richiusa. «Sarà stata Polly» disse l'affittacamere, e aprì la porta del numero 31. La stanza era piccola e triste. Contro la parete di fronte alla porta, un letto da una piazza e mezzo con un copriletto di ciniglia bianca. Sopra il letto, una stampa incorniciata che rappresentava un mulino, un fiume, e un cane pastore col muso alzato al cielo. La tappezzeria era gialla e sporca. Il copriletto aveva una grossa macchia in corrispondenza di un angolo del guanciale. Bruciature di sigarette segnavano tutto l'orlo del cassettone. Lo specchio era macchiato e spellato. L'anello metallico attorno al foro di sco-
lo del lavandino situato di fianco al cassettone era arrugginito. «Quanto tempo è stato qui quel vostro inquilino?» domandò Hawes. «Ha preso la stanza tre giorni fa.» «Ha pagato in contanti o con un assegno?» «In contanti, e in anticipo. Ha pagato per una settimana. Affitto soltanto a settimane, non mi piacciono quelli che cercano una stanza per una notte sola.» «Certamente» disse Hawes. «So benissimo cosa state pensando. Pensate che per un posto così poco elegante non dovrei fare tanto la schizzinosa. Be', non sarà elegante» disse l'affittacamere «ma è pulito.» «Sì, lo vedo.» «Voglio dire che qui non ci sono cimici, caro signore.» Hawes non disse niente, e andò alla finestra. La tenda era strappata, e mancavano i tiranti. Lui prese l'orlo con le dita guantate, lo sollevò e guardò fuori. «Avete sentito gli spari, ieri sera?» «No.» Guardò sul pavimento. Bossoli non ce n'erano. «Chi altro abita su questo piano?» «Soltanto Polly.» «Polly e poi?» «Polly Malloy.» «Posso guardare nell'armadio e nei cassetti?» «Fate pure. Ho tutto il tempo che volete. Io passo i giorni a fare da guida turistica per tutte le stanze!» Hawes andò al cassettone e a uno a uno aprì i cassetti. Erano tutti vuoti tranne l'ultimo: c'era una cimice annidata in un angolo. «Ne avete dimenticata una» disse Hawes, e chiuse il cassetto. «Cosa?» disse l'affittacamere. Hawes andò ad aprire l'armadio. C'erano sette grucce appese alla sbarra, ma l'armadio era vuoto. Stava richiudendo l'anta quando notò qualcosa per terra: una moneta da venti cents. «Se sono soldi» disse l'affittacamere «è roba mia.» «Ecco» disse Hawes, e le diede la moneta. Tanto, anche se fosse stata dell'inquilino, sarebbe stato impossibile ricavarne impronte utili, come lo era ottenere dall'amministrazione pubblica il rimborso della benzina usata per servizio, ma con una macchina privata.
«C'è un gabinetto, da queste parti?» domandò. «In fondo all'atrio. Chiudete la porta.» «Volevo soltanto sapere se c'era un altro locale.» «È pulitissimo, se è questo che vi preoccupa.» «Sono sicuro che è immacolato» disse Hawes. Si guardò in giro. «Tutto qui, allora?» «Tutto qui.» «Manderò un uomo con la polvere» disse Hawes. «Perché?» disse l'affittacamere. «Qui c'è pulito.» «La polvere per le impronte digitali. Non per gli insetti.» «Oh» l'affittacamere lo guardò. «Pensate che quel pezzo grosso sia stato ucciso da questa stanza?» «È possibile» disse Hawes. «E io avrò dei guai?» «No, a meno che non siate stata voi a sparare» disse Hawes, e sorrise. «Siete proprio spiritoso» disse l'affittacamere. Uscirono dalla stanza. La donna richiuse la porta. «Vi basta così» disse «o volete vedere qualcos'altro?» «Vorrei parlare con la donna che occupa l'altra stanza» disse Hawes «ma non occorre che veniate anche voi. Vi ringrazio molto, siete stata gentilissima.» «Mi è servito a rompere un po' la monotonia» disse l'affittacamere, e lui le credette. «Di nuovo grazie» le disse, e la guardò scendere le scale. Poi andò alla porta segnata col numero 32 e bussò. Nessuna risposta. Bussò di nuovo e chiamò: «Signorina Malloy?». La porta si aprì di due dita. «Chi è?» chiese una voce. «Polizia. Posso parlare un momento con voi?» «Di che cosa?» «Del signor Timpano.» «Non conosco nessun signor Timpano» disse la voce. «Signorina Malloy...» «Sono la signora Malloy, e non conosco nessuno con quel nome.» «Potete almeno aprire la porta, signora?» «Non voglio guai.» «Non ho intenzione...» «So che ieri sera è stato ammazzato un uomo. Non voglio guai.»
«Avete sentito gli spari, signorina Malloy?» «Signora Malloy.» «Li avete sentiti?» «No.» «Sapete per caso se il signor Timpano era in casa ieri sera?» «Non so chi sia questo signor Timpano.» «L'uomo della stanza trentuno.» «Non lo conosco.» «Signora, volete per cortesia aprire la porta?» «Non ho intenzione di aprire.» «Signora, posso benissimo tornare con un mandato di perquisizione, ma sarebbe molto più semplice...» «Non mettetemi nei guai» disse lei. «Aprirò la porta, ma per favore non mi mettete nei guai.» Polly Malloy indossava una vestaglia di cotone verde chiaro. La vestaglia aveva le maniche corte, e i segni delle punture spiegavano molte cose sul conto della donna. Aveva trentacinque o trentasei anni, un corpo giovane e snello, e la faccia sarebbe stata bella se non avesse dimostrato tanto chiaramente tutte le esperienze fatte. Gli occhi verdi avevano un'espressione intelligente e attenta. La bocca era dolce. Si morse le labbra e tenne la vestaglia stretta attorno al corpo. Le dita erano lunghe e sottili, e i segni sulle braccia urlavano forte tutto quello che c'era da dire. «Non ho niente, qui» disse lei. «Non ho fatto domande del genere.» «Potete cercare, se volete.» «La cosa non mi interessa» disse Hawes. «Venite avanti» disse lei. Lui entrò. La donna richiuse la porta. «Non voglio guai» ripeté lei. «Ne ho già avuti abbastanza.» «Non ho intenzione di procurarvene. Voglio solo qualche informazione sull'uomo della stanza trentuno.» «Sapevo che hanno sparato a qualcuno. Per favore non mi ci immischiate.» Si sedettero uno di fronte all'altro. Lei sul letto, lui su una sedia, e tra loro passò una specie di corrente, una sensazione quasi palpabile come il puzzo di spazzatura e peggio, che li circondava. Stavano seduti lì a loro agio, ognuno chiaramente conscio della natura dell'altro: Cotton Hawes, poliziotto, Polly Malloy, tossicomane. E forse si conoscevano meglio di
quanto molti si siano mai conosciuti. Forse Hawes aveva arrestato troppi drogati alla ricerca di una ventina di dollari per poter fare un bagno nella loro porcheria, forse aveva assistito all'agonia di troppi intossicati a corto di droga, forse conosceva quella drogata o qualsiasi altra meglio di uno spacciatore, forse nella sua vita aveva visto troppo e imparato troppo. E forse la ragazza era stata portata dentro troppe volte, aveva protestato troppe volte di essere assolutamente pulita, aveva buttato troppe fialette di eroina sotto gli sgabelli di un bar, o nei tombini, all'avvicinarsi di un poliziotto, era stata in troppe stazioni di polizia, aveva avuto a che fare con troppi agenti, era stata invitata a seguire una cura disintossicante da troppi magistrati, forse sapeva meglio dell'assistente del Procuratore Distrettuale come viene applicata la legge contro quelli che si drogano, forse anche lei aveva visto troppo e imparato troppo. La loro reciproca conoscenza stabiliva una specie di contatto elettrico, generava una specie di calore illuminante, dava vita alla curiosa simbiosi tra il tutore della legge e il fuorilegge, confermando la peculiare rispondenza tra delitto e castigo. In quella stanza, tra quei due esseri, esisteva un sottile legame, una affinità, quasi una complicità. Quei due potevano parlarsi chiaramente senza giri di parole. Erano come due innamorati sazi con le teste sullo stesso guanciale. «Conoscete Timpano?» domandò Hawes. «Mi terrete fuori della storia?» «Sì. A meno che non ci siate dentro.» «No, non ci sono dentro.» «Allora avete la mia parola.» «La parola di un poliziotto?» domandò lei, con un sorriso triste. «Avete la mia parola, se la volete.» «Sì, ne ho bisogno. Pare proprio che ne abbia bisogno.» «Esattamente, tesoro.» «Lo conoscevo.» «Come l'avete conosciuto?» «L'ho incontrato la sera che si è trasferito qui.» «Quando è stato?» «Due o tre sere fa.» «Dove vi siete incontrati?» «Io ero messa male, avevo un gran bisogno di una dose. Ero appena venuta fuori da Caramoor, quella bella prigione, sapete... Non avevo ancora avuto il tempo di rientrare nel giro.» «Perché siete stata dentro?»
«Oh... truffa.» «Quanti anni avete, Polly?» «Diciannove. Sembro molto più vecchia, vero?» «Sì, sembrate più vecchia.» «Mi sono sposata a sedici anni. Con un altro "siringa". Bell'affare.» «Cosa fa adesso vostro marito?» «Sta scontando una pena a Castleview.» «Per che cosa?» Polly si strinse nelle spalle. «Si era messo a fare lo spacciatore.» «Va bene. Cosa mi dite del signor Timpano?» «Gli ho chiesto un prestito.» «Quando?» «L'altro ieri.» «E lui ve l'ha fatto?» «Non è che gli abbia veramente chiesto del denaro. Gli ho offerto di... di fare qualcosa per lui. Era proprio qui alla porta accanto, capite, e io stavo male davvero. Giuro su Dio che non credevo di farcela ad arrivare fin giù in strada.» «Lui ha accettato?» «Mi ha dato dieci dollari, e non ha voluto niente in cambio.» «Un brav'uomo, allora.» Polly si strinse nelle spalle. «Non era un brav'uomo?» domandò Hawes. «Diciamo che non era il mio tipo» disse Polly. «Già.» «Diciamo che era un maledetto bastardo» disse Polly. «Che cosa è successo?» «Ieri sera è venuto qui.» «Quando? A che ora?» «Saranno state le nove o le nove e mezzo.» «Dopo l'inizio del concerto» disse Hawes. «Come?» «Niente. Stavo solo pensando a voce alta.» «Mi ha detto che aveva qualcosa di bello per me. Mi ha detto che se fossi andata nella sua stanza mi avrebbe dato qualcosa di bello.» «Ci siete andata?» «Prima gli ho chiesto cos'era. Lui mi ha risposto che si trattava di qualcosa che io desideravo più di tutto al mondo.»
«Ma ci siete andata nella sua stanza?» «Sì.» «Non avete visto niente di insolito?» «Cioè?» «Ad esempio un fucile con mirino telescopico.» «No, niente del genere.» «Va bene. Che cos'era questa bella cosa che vi aveva promesso?» «Polvere.» «Eroina?» «Sì.» «Ed era per quello che vi aveva chiesto di andare da lui? Per l'eroina?» «Così aveva detto.» «Ha tentato di vendervela?» «No, ma...» «Forza, parlate.» «Mi ha costretto a supplicarlo per averla.» «Che cosa volete dire?» «Mi ha mostrato la bustina e mi ha lasciato assaggiare la polvere per dimostrarmi che era proprio eroina, e poi ha rifiutato di darmela a meno che non l'avessi supplicato come voleva lui.» «Capisco.» «Mi... mi ha torturato per... per due ore. Per tutto il tempo ha continuato a guardare l'orologio e a farmi... a farmi fare un sacco di cose.» «Che genere di cose?» «Cose stupide. Prima mi ha chiesto di cantare. Mi ha fatto cantare "Bianco Natale". Era un bellissimo scherzo, secondo lui, perché la polvere è bianca, capite? E lui sapeva che avevo un gran bisogno di quella roba, e allora mi ha fatto cantare "Bianco Natale", e poi ricantarla, e ancora, e ancora. Ho dovuto cantargliela sei o sette volte. E intanto lui continuava a guardare l'orologio.» «Continuate.» «E poi mi ha chiesto di spogliarmi, ma non semplicemente di togliermi i vestiti. Mi ha detto di fare come nei locali, un vero e proprio spogliarello. E io l'ho fatto. E allora lui ha cominciato a prendermi in giro, per come mi muovevo e per come ero fatta, eccetera, e a dirmi che ero stupida e pietosa, e a chiedermi se volevo davvero l'eroina, e poi guardava ancora l'orologio... erano circa le undici, in quel momento, e io continuavo a dire che sì la volevo, per favore me la desse, e allora lui mi ha chiesto di ballare, di
fargli un valzer. E dopo che gli ho ballato il valzer mi ha detto di ballare uno shake, e io non sapevo di che cosa diavolo parlasse perché non avevo mai sentito nominare lo shake, sapete cos'è?» «Sì» disse Hawes. «Insomma, ho fatto tutto quello che voleva, e avrei fatto qualsiasi altra cosa per lui, e mi ha chiesto di mettermi in ginocchio e spiegargli perché avevo realmente bisogno dell'eroina. Mi ha detto che si aspettava da me un discorso di cinque minuti sull'argomento della droga e della necessità pei drogati degli stupefacenti, e mentre io parlavo lui teneva gli occhi fissi sull'orologio. Ormai tremavo e non riuscivo a dominarmi. Avevo i brividi...» Polly chiuse gli occhi. «Ho cominciato a piangere. Parlavo e piangevo, e finalmente lui ha detto: "I cinque minuti sono passati. Qui c'è il tuo veleno. Prendilo e va' al diavolo" e mi ha buttato la bustina.» «Che ora era in quel momento?» «Saranno state le undici e dieci. Io non ho l'orologio perché l'ho impegnato parecchio tempo fa, ma dalla mia stanza posso vedere il grande orologio elettrico del Mutual Building, e dopo aver preso la mia dose ho visto che erano le undici e un quarto. Non potevano essere passati più di cinque o dieci minuti.» «E lui ha continuato a guardare l'orologio, eh?» «Sì. Come se avesse un appuntamento.» «L'aveva» disse Hawes. «Come?» «Aveva un appuntamento per ammazzare un uomo dalla finestra. Con voi ha voluto solo divertirsi fino al momento in cui è finito il concerto. Sì, un brav'uomo, il signor Timpano.» «Devo dire una cosa a suo favore» disse Polly. «Quella che mi ha dato, era roba di prima qualità. La migliore che abbia mai avuto da un paio d'anni. Non avrei nemmeno sentito sparare un cannone nella stanza accanto.» Hawes cercò sulla guida telefonica della città e non trovò nessun Timpano, né Mort, né Morton, né Mortimer, poi, alle quattro, telefonò all'Ufficio Identificazione Criminali. L'Ufficio Identificazione, ormai completamente automatico, lo richiamò dopo dieci minuti per comunicargli di non avere nessun dato sulla persona sospettata. Nel frattempo Hawes aveva spedito un telescritto all'FBI di Washington, chiedendo che controllassero nei loro voluminosi archivi l'esistenza di un noto criminale di nome Timpano, Mort, o Morton, o Mortimer. Stava seduto nella sala-agenti odorosa di imbiancatura fresca, quando entrò l'agente di pattuglia Richard Genero a
chiedere se doveva andare in tribunale con Kling per quell'arresto operato insieme la settimana prima. Genero era stato fuori di ronda tutto il giorno, ed era mezzo assiderato dal freddo, quindi rimase lì a ciondolare anche dopo che Hawes ebbe risposto alla sua domanda, sperando che gli venisse offerto un caffè. E così vide per caso il nome che Hawes aveva scritto sul blocco per appunti quando aveva chiamato l'Ufficio Identificazione, e decise di far bella figura. «A quanto vedo avete un altro indiziato di origine italiana» disse. «Come fai a saperlo?» domandò Hawes. «Tutti i nomi che finiscono in "o" sono italiani» disse Genero. «E Marion Brando, allora?» domandò Hawes. «Cos'è, fate lo spiritoso?» disse Genero, e sorrise. Guardò ancora il nome sul taccuino, e poi disse: «Certo, devo ammettere che questo tale ha un nome buffo per un italiano». «Buffo in che senso?» domandò Hawes. «Tìmpano» disse Genero. «Si dice Tìmpano? Comunque non vedo...» «Mort Tìmpano in italiano vuol dire timpano morto, orecchio morto.» E orecchio morto, naturalmente, aveva un solo significato in tutte le lingue. Hawes strappò la pagina dal blocco di appunti, la appallottolò, e la buttò verso il cestino della carta straccia, mancando il bersaglio. «Cos'ho detto di male?» domandò Genero, rassegnato, adesso, a non avere la sua tazza di caffè. V Il ragazzo che portò il messaggio aveva otto anni, e gli era stato detto di consegnare la busta al sergente di servizio. Era nella sala-agenti, adesso, circondato da poliziotti che gli sembravano alti due metri e mezzo almeno. Gli stavano tutti intorno a formare un piccolo circolo, e lui guardava in su con gli occhi sbarrati e avrebbe voluto essere morto. «Chi ti ha dato questo messaggio?» domandò uno dei poliziotti. «L'uomo che c'era nel parco.» «Ti ha pagato per venire qui?» «Già. Sì.» «Quanto?» «Cinque dollari.»
«Com'era?» «Aveva i capelli biondi.» «Era alto?» «Alto, sì.» «Aveva un apparecchio acustico?» «Già. Cosa?» «Un coso all'orecchio.» «Ah, sì» disse il ragazzo. Giravano tutti attorno al foglio in punta di piedi, con estrema cautela, quasi che temessero di vederlo esplodere da un momento all'altro. Tutti maneggiarono il messaggio con le pinzette o dopo aver infilato un paio di guanti bianchi di cotone. Tutti furono d'accordo di mandare immediatamente il messaggio al laboratorio della polizia. Tutti lo lessero almeno due volte. Tutti lo esaminarono e lo studiarono. Persino tre o quattro agenti di pattuglia salirono dal pianterreno per dargli un'occhiata. Quello era un documento assai importante. Richiese almeno un'ora del prezioso tempo della polizia prima di venire infilato in una cartellina di plastica e mandato alla Centrale in una grossa busta di carta.
Tutti furono dello stesso parere sul significato del messaggio: il Sordo, che ora ammettevano, per quanto con riluttanza, di avere nuovamente tra i
piedi, voleva cinquantamila dollari per non uccidere il vice sindaco esattamente come aveva ucciso il Commissario Cowper. Dal momento che cinquantamila dollari erano una cifra assai più alta dei cinquemila richiesti la volta precedente, i poliziotti dell'87° Distretto si sentirono, e a ragione, estremamente lusingati dalla richiesta. Comunque, l'audacia di quel criminale esulava da ogni loro esperienza. Per quanto avesse qualcosa in comune con un rapimento con conseguente domanda di riscatto, quello non era un caso di rapimento. Nessuno era stato rapito, quindi non c'era nessuno da riscattare. Di conseguenza, era un caso tipico di estorsione! Eppure i casi di estorsione con cui avevano avuto a che fare nel corso degli anni erano sempre stati casi del tutto conformi alle regole, e in cui si era avuto "uso illecito della forza e della paura" allo scopo di ottenere "ricompensa da altri". Ecco. La parola chiave era "altri". E "altri" era invariabilmente la persona contro la quale si erano minacciate violenze. In questo caso, invece, l'autore dell'estorsione non si preoccupava affatto di chi avrebbe sborsato il denaro, pur che qualcuno lo facesse. A lui andava bene chiunque. Ora, come si può trattare con un matto del genere? «È un matto» disse il tenente Byrnes. «Dove diavolo pensa che li troviamo cinquantamila dollari?» Steve Carell, che era stato rilasciato quel pomeriggio dall'ospedale con tutta una serie di fasce avvolte attorno alle mani, e che sembrava un pugile sul punto di infilarsi i guantoni, disse: «Forse si aspetta che li paghi il vice sindaco». «Allora perché diavolo non li ha chiesti al vice sindaco?» «Perché noi siamo gli intermediari» disse Carell. «Lui ritiene che la sua richiesta acquisti maggior peso se presentata dai tutori della legge.» Byrnes lo guardò. «Certo» riprese Carell. «Inoltre sta cercando di vendicarsi. Ce l'ha con noi perché anni fa abbiamo buttato all'aria la rapina alla banca. Ora ha deciso di rifarsi.» «È un matto» ripeté Byrnes. «No, è un delinquente molto furbo» disse Carell. «Ha fatto fuori Cowper dopo la modesta richiesta di cinquemila dollari. Adesso noi sappiamo che può farlo, e allora chiede dieci volte tanto per non sparare al vice sindaco.» «Dove parla di sparare?» domandò Hawes. «Eh?» «Non dice affatto che sparerà a Scanlon. Sul biglietto di ieri c'è scritto solo: "Il prossimo a morire sarà il vice sindaco".»
«Giusto» disse Carell. «Significa che intende avvelenarlo, o pugnalarlo, o ammazzarlo facendogli "buh", o...» «Per favore» disse Byrnes. «Telefoniamo a Scanlon» suggerì Carell. «Può darsi che abbia da qualche parte cinquantamila dollari di cui non sa cosa fare.» Telefonarono al vice sindaco Scanlon, e lo informarono della minaccia alla sua vita, ma il vice sindaco non aveva da qualche parte cinquantamila dollari di cui non sapesse cosa fare. Dieci minuti dopo suonò il telefono di Byrnes. Era il Commissario di Polizia. «Allora, Byrnes» disse il Commissario in tono falsamente dolce «cos'è quest'ultima trovata?» «Signore» disse Byrnes, «abbiamo ricevuto due messaggi dall'uomo che sospettiamo abbia ucciso il Commissario Cowper. Si tratta di una minaccia alla vita del vice sindaco Scanlon.» «Cosa state facendo al riguardo?» domandò il Commissario. «Signore» disse Byrnes, «abbiamo già mandato i due biglietti al laboratorio, per le analisi. Inoltre, signore, abbiamo identificato la stanza da dove sono stati sparati l'altra sera i due colpi di fucile, e abbiamo motivo di credere di avere a che fare con un criminale già noto a questo Distretto.» «Chi è?» «Non lo sappiamo.» «Mi pareva di aver capito che vi fosse noto...» «Si, signore, abbiamo già avuto a che fare con lui un'altra volta, ma per quanto ci risulta, la sua identità è sconosciuta.» «Quanto chiede questa volta?» «Cinquantamila dollari, signore.» «Quando dovrebbe venire ucciso Scanlon?» «Non lo sappiamo, signore.» «Dove dovete portare i cinquantamila dollari?» «Non lo sappiamo, signore.» «C'è qualcosa che sapete, Byrnes?» «So, signore, che stiamo facendo del nostro meglio per fronteggiare una situazione senza precedenti, e che siamo pronti a mettere l'intera Squadra Investigativa a disposizione del vice sindaco se e quando vorrà chiedere la nostra protezione. Inoltre signore, sono sicuro di poter persuadere il capitano Frick che, come voi forse sapete, comanda questo Distretto...» «Cosa significa, come forse saprò, Byrnes?» «Che in questa città siamo organizzati così, signore.»
«La polizia è organizzata così in molte città, Byrnes.» «Sì, signore, certo. In ogni caso sono sicuro di poterlo convincere a togliere qualche poliziotto in divisa dal servizio normale, o di richiamare magari qualche poliziotto che non sia in servizio, se il Commissario lo ritiene necessario.» «Io ritengo necessario proteggere assolutamente la vita del vice sindaco.» «Sì, certo, signore, questa è una preoccupazione comune» disse Byrnes. «Cosa c'è, Byrnes? Non avete simpatia per me?» domandò il Commissario. «Faccio il possibile per non mescolare i sentimenti personali con il lavoro, signore» disse Byrnes. «Questo è un caso complicato. Non so voi, signore, ma io non mi sono mai trovato a fronteggiare niente di simile. Gli uomini della mia Squadra sanno il fatto loro, e stiamo tutti facendo del nostro meglio. Più di questo non possiamo fare.» «Byrnes» disse il Commissario, «dovete fare di più.» «Signore» cominciò Byrnes, ma il Commissario aveva già riattaccato. Arthur Brown se ne stava seduto su una sedia dello scantinato di una scuola, con una cuffia d'ascolto in testa e la mano destra sul pulsante che metteva in moto il registratore. In casa di La Bresca, sul lato opposto della strada, diagonalmente rispetto alla scuola, il telefono aveva cominciato a suonare per la trentaduesima volta, e Brown aspettava che Concetta La Bresca si decidesse a sollevare il ricevitore come aveva fatto le trentun volte precedenti. Finalmente Concetta La Bresca rispose, e lui azionò il ricevitore, sospirando. Mossa astuta, da parte della polizia, quella di aver piazzato un microfono-spia nell'appartamento di La Bresca, microfono abilmente sistemato da un agente in borghese, uno del laboratorio, che si era spacciato per un operaio dei telefoni e aveva fatto il suo subdolo lavoro nel soggiorno, e poi aveva teso i cavi-gemelli dal tetto della casa di La Bresca al palo del telefono, da lì al palo davanti alla scuola, dal palo della scuola al marciapiede, e dal marciapiede al tetto della scuola, poi giù lungo il muro e dentro la finestra dello scantinato, fino a un piccolo locale dove erano ammucchiati vecchi libri di testo e un proiettore da sedici millimetri, e dove il tecnico del laboratorio aveva sistemato la piccola stazione d'ascolto per Brown. Molto astuto, anche, da parte della polizia, aver assegnato a Brown quella missione d'ascolto, perché Brown era un poliziotto di grande esperienza,
che aveva già fatto altre volte quel lavoro e che sapeva distinguere il normale dallo speciale in qualsiasi conversazione telefonica. C'era un solo guaio. Arthur Brown non capiva l'italiano, e Concetta La Bresca parlava con le sue amiche esclusivamente in italiano. Per quel che ne capiva Brown, con le sue telefonate la donna poteva aver complottato trentun volte, quel giorno, su qualsiasi argomento, dalle pratiche illecite a una rapina a Fort Knox, ed essere sul punto di farlo adesso un'altra volta. Dato che finora non aveva capito una sola parola di quello che era stato detto, Brown aveva già registrato due nastri interi, per avere il testo di tutte le conversazioni di modo che qualcuno, magari Carell, potesse poi tradurle. «Pronto?» disse una voce in inglese. Per poco Brown non cadde dalla sedia. Si raddrizzò, sistemò meglio la cuffia, regolò il volume del registratore, e cominciò ad ascoltare. «Tony?» disse una seconda voce. «Sì, chi parla?» La prima voce era quella di Anthony La Bresca. Evidentemente era tornato dal lavoro. La seconda... «Sono Dom.» «Chi?» «Dominick.» «Oh, Dom, come va?» «Magnificamente.» «Cosa c'è, Dom?» «Niente» disse Dom. «Volevo solo sapere come stavi, e salutarti.» Un silenzio. Brown piegò la testa di lato, e alzò una mano a coprire uno degli auricolari. «Sto bene» disse alla fine La Bresca. «Sono contento» disse Dom. Un altro silenzio. «Se è tutto qui quello che volevi sapere» disse La Bresca «possiamo...» «In realtà, Tony, mi stavo chiedendo...» «Sì?» «Mi stavo chiedendo se non puoi per caso prestarmi qualcosa finché non mi sarò organizzato.» «Organizzato per cosa?» domandò La Bresca. «Ecco, ho perso parecchio sull'incontro di pugilato di due settimane fa, e non mi sono ancora riorganizzato.» «In questo senso, non sei mai stato organizzato in vita tua» disse La Bre-
sca. «Non è vero, Tony!» «D'accordo, non è vero. Però è vero che non ho denaro da prestarti.» «Veramente io ho sentito un'altra versione» disse Dom. «Ah, sì? E che cosa hai sentito dire?» «Che presto avrai per le mani una somma molto grossa.» «Ah, sì? E dove le hai sentite queste fesserie?» «Sai, io ascolto un po' qui e un po' là, e così sono sempre al corrente.» «Be', questa volta le tue informazioni sono sbagliate.» «Sai, stavo pensando a qualche biglietto da cento dollari per stare a galla un paio di settimane.» «Dom, un biglietto da cento dollari io l'ho visto soltanto in fotografia.» «Tony...» Una lieve esitazione, quel tanto per dare alla pausa un significato di avvertimento. Brown colse il tono minaccioso, e tese le orecchie in attesa del seguito. «Io so» disse Dom. Un altro silenzio. Brown aspettò. Poteva sentire il respiro pesante di uno dei due interlocutori. «Che cosa sai?» domandò La Bresca. «So del colpo.» «Quale colpo?» «Tony, non farmi parlare troppo chiaro per telefono. Non si sa mai chi può esserci in ascolto.» «Si può sapere che cosa diavolo hai in mente?» domandò La Bresca. «Voglio solo farmi prestare cento o duecento dollari, nient'altro. Fino a che non mi sarò organizzato. Proprio non vorrei vedere il tuo piano finire in malora, Tony. Ti giuro che mi dispiacerebbe.» «Provati a fischiare, amico, e tutti sapremo chi è stato.» «Tony, se ho scoperto io qualcosa sul colpo, vuol dire che parecchi altri ne sono al corrente. Se ne parla dappertutto, Tony. Sei fortunato che i poliziotti non ti siano già piombati addosso.» «I poliziotti non sanno nemmeno che io esisto» disse La Bresca. «Non sono mai stato accusato di niente in vita mia.» «Non essere stato accusato e non aver mai fatto niente sono due cose diverse. Non ti sembra, Tony?» «Non cercare di fare il furbo con me. Provati a servirti di questa storia...» «Non mi sto servendo di niente, Tony. Sto solo chiedendo un prestito di duecento dollari. Tony, dimmi sì o no. Questa maledetta cabina telefonica
mi sta facendo diventare nervoso. Sì o no?» «Sei un bastardo» disse La Bresca. «Significa sì?» «Dove ci vediamo?» disse La Bresca. Quella sera, mentre stava sdraiato nel vicolo, con le mani ancora fasciate, Steve Carell pensava più al Sordo che ai due farabutti che gli avevano dato fuoco. Capelli arruffati, sentore di vino nell'alito, faccia sporca e segnata, Carell era l'immagine perfetta di un rifiuto umano. Ma la destra infilata sotto la giacca impugnava una calibro 38 Special. Calzava i guanti, ma l'indice del guanto destro era stato tagliato via all'altezza della terza falange per permettergli di tirare agevolmente il grilletto. Era pronto a sparare, e questa volta non avrebbe permesso a nessuno di arrostirlo, e nemmeno di bruciacchiarlo. Teneva gli occhi socchiusi in una espressione simulata da ubriaco e non perdeva di vista l'imbocco del vicolo, ma i suoi pensieri erano tutti per il Sordo. Non gli piaceva pensare al Sordo perché gli ricordava con dolorosa precisione il colpo di pistola che si era preso otto anni prima, il dolore acuto alla spalla, la perdita di sensibilità nella mano e nel braccio, e i ripetuti colpi del calcio sulla faccia finché lui non era crollato sul pavimento, svenuto. Non gli piaceva pensare quanto era stato vicino a perdere la vita per mano del Sordo. Né lo rallegrava il pensiero di un avversario molto più astuto di qualsiasi agente investigativo dell'87a Squadra, un estroso, intelligente, deciso bastardo che faceva i giochi di prestigio sulla vita e la morte con l'abilità e il sangue freddo di un matematico. Il Sordo, chiunque e dovunque fosse, era una macchina, e Carell aveva terrore di tutto quello che agiva con la precisione di un calcolatore, con logica rigorosa ma non raziocinante, infallibile e freddo e pericoloso. Temeva l'idea di trovarselo ancora di fronte, eppure odiava essere lì, inchiodato a quell'incarico, un gioco, al confronto, per cogliere sul fatto due teppisti. Due teppisti che sarebbero indubbiamente stati presi perché erano convinti che tutte le loro vittime potenziali fossero vulnerabili e indifese, e non si rendevano certo conto che uno poteva essere un poliziotto con l'indice della mano destra pronto sul grilletto di un'arma molto, molto pericolosa. E una volta presi quei due, lui sarebbe passato in pieno al caso del Sordo, e forse si sarebbe ritrovato a faccia a faccia con l'uomo alto e biondo che portava l'apparecchio acustico.
Pensò all'ironia della bizzarra coincidenza per cui la persona che lui amava di più al mondo, la donna di nome Teddy, che era sua moglie, fosse sordomuta, e la persona che più lo spaventava, come poliziotto e come uomo, fosse un sordo, o uno che per lo meno lo sembrava. Quell'uomo dava baldanzosamente pubblicità al suo difetto. Oppure anche questo particolare era una trovata, un sotterfugio, un dettaglio dell'intero progetto? La cosa più spaventosa era la certezza assoluta che il Sordo aveva di trovarsi di fronte una manica di idioti. Forse era così. Quell'uomo agiva con tale sicurezza che la sua ipotesi finiva sempre per assumere le caratteristiche della realtà. Lui diceva che tutti i piedipiatti erano stupidi, ed ecco che loro lo diventavano davvero... Già, meglio pagare a quell'uomo qualsiasi cifra richiesta, prima che uccidesse tutti i funzionari di alto grado della città. Se poteva rendere noto sfacciatamente il progetto di un omicidio e poi commetterlo sotto gli occhi sbalorditi del primo cittadino, come si poteva impedirgli di commettere il prossimo delitto, o quello dopo, o quello dopo ancora? A Carell non piaceva sentirsi stupido. A volte non gli piaceva particolarmente il suo lavoro, come adesso, lì a congelare nel vicolo, ma non gli capitava mai di non avere rispetto per quello che faceva. Il concetto di tutela della legge era ben chiaro nella sua mente. Chiaro e semplice: i buoni contro i cattivi. E lui era uno dei buoni. E anche se viveva in un'epoca in cui i cattivi vincevano abbastanza spesso da far apparire a volte le virtù come qualcosa fuori moda, Carell era ugualmente convinto che uccidere la gente, per esempio, non era affatto una bella azione. Né era ammirevole penetrare di notte in casa di qualcuno. E non era onesto spacciare stupefacenti. E truffare, battere moneta falsa, rapire la gente, rubare, e anche sputare per terra, in realtà, non erano gesti civili destinati a innalzare lo spirito e allargare il cuore. Lui era un poliziotto. Questo significava che veniva travisato da tutte le versioni che innumerevoli film e originali televisivi davano del poliziotto: il funzionario tonto battuto in scaltrezza dal rude e deciso investigatore privato, l'ingenuo superzelante che senza rendersene conto ostacola i brillanti tentativi del giovane dirigente d'azienda per uscire dai guai, lo stupido privo di sensibilità che con il suo comportamento incoraggia ottusamente i ragazzi a diventare criminali. Cosa si fa in questi casi? Vi dicono che siete così e così, e voi cosa fate? Carell si chiese quanti autori di originali televisivi quella sera fossero sdraiati in un vicolo in attesa di venire assaliti da due teppisti. La
cosa che più spaventava nel Sordo, comunque, era la sua abilità a far sembrare autentiche tutte quelle immagini stereotipate. Non appena compariva lui, tutti i poliziotti della Squadra facevano la figura di essere tonti, ottusi e inefficienti. E se riusciva a ottenere questo risultato solo con un paio di telefonate o di messaggi, cosa sarebbe successo se... Carell si irrigidì... L'agente investigativo incaricato di sorvegliare Anthony La Bresca fu Bert Kling, perché La Bresca non lo conosceva. Una telefonata di Brown alla Squadra aveva informato il tenente Byrnes che La Bresca aveva quasi ammesso di essere coinvolto in un prossimo colpo, e questo era un motivo sufficiente per mettergli un uomo alle calcagna. Così, Bert Kling, lasciato il caldo confortevole della casa di Cindy, affrontò la temperatura sotto zero dell'esterno, raggiunse in macchina il quartiere di Riverhead, e si appostò di fronte alla casa di Anthony La Bresca, pronto a metterglisi alle costole quando fosse uscito per andare all'appuntamento con Dominick. Brown aveva informato il tenente che i due si erano accordati di incontrarsi quella sera alle dieci. Adesso l'orologio da polso di Kling segnava le nove e sette. Era arrivato in tempo utile per congelarsi nell'attesa. La Bresca comparve nel vialetto a destra della casa alle dieci meno dieci, e Kling si riparò nell'ombra dietro la macchina. La Bresca si avviò in direzione della sopraelevata che passava a due isolati da lì. Kling gli diede un vantaggio di mezzo isolato, poi cominciò a pedinarlo. Dall'ampio viale in fondo alla strada arrivavano forti raffiche di vento. Kling era costretto a sopportarlo a faccia alta per non perdere di vista La Bresca, e forse per la cinquantasettesima volta nel corso dell'inverno maledisse le condizioni atmosferiche che sembravano studiate apposta per tormentare chi lavorava all'aperto. Non che lui lavorasse continuamente all'aperto. Parte del tempo lo passava alla scrivania a battere a macchina i rapporti in triplice copia, a telefonare a testimoni e vittime. Ma molto tempo, e dire molto era una cosa onesta, lavorava all'aperto, girando in lungo e in largo quella bella città, facendo domande e annotandosi le risposte, e quello di quell'anno era l'inverno più bastardo che lui ricordasse in vita sua. Spero che tu stia andando in qualche bel posto caldo, caro La Bresca, pensò. Spero che l'appuntamento col tuo amico tu ce l'abbia in un bagno turco o in un altro posto simile. Davanti a lui La Bresca stava salendo la scala che portava alla piatta-
forma della sopraelevata. Si voltò una volta a guardare Kling, e Kling abbassò immediatamente la testa e poi affrettò il passo. Non voleva arrivare sulla piattaforma e scoprire che La Bresca era già salito su un treno, scomparendo. Ma non era il caso che si preoccupasse. La Bresca lo stava aspettando vicino alla biglietteria. «Mi state seguendo?» domandò. «Cosa?» disse Kling. «Vi ho chiesto se mi state seguendo» domandò La Bresca. In quel momento Kling aveva ben poche alternative. Poteva dire: "Siete impazzito? Perché dovrei seguirvi?", oppure: "Sì, vi sto seguendo. Sono un poliziotto, ecco il mio distintivo e la mia tessera di identificazione". Queste erano le uniche alternative. E in entrambi i casi il pedinamento era fallito. «Siete in cerca di un calcio sui denti?» disse Kling. «Come?» disse La Bresca, colto di sorpresa. «Ho detto, siete per caso mezzo matto?» disse Kling, il che non era affatto quello che aveva detto prima. La Bresca parve non accorgersi della discrepanza. Guardò Kling, sinceramente sbalordito, poi cominciò a balbettare qualcosa che Kling interruppe subito con un'occhiata minacciosa, decisa, furibonda. Borbottando fra sé, Kling raggiunse la parte destra della piattaforma, buia, deserta, battuta dal vento, e rimase là, con i lembi del cappotto che gli sbattevano sulle gambe, finché La Bresca non ebbe raggiunto il lato sinistro della stazione. Il treno di La Bresca arrivò tre minuti più tardi, e lui ci salì. Il treno ripartì con un gran fracasso. Kling ridiscese e cercò una cabina telefonica. Quando Willis in sala-agenti sollevò il ricevitore, Kling disse: «Sono Bert. La Bresca mi ha notato dopo un paio di isolati. Sarà meglio mettergli dietro qualcun altro». «Da quanto tempo fai il poliziotto?» domandò Willis. «Può capitare anche al migliore» disse Kling. «Dove ha detto Brown che si sarebbero incontrati?» «In un bar di Crawford Street.» «Be', La Bresca ha preso un treno diretto al centro un paio di minuti fa. C'è tutto il tempo di mandare qualcuno nel bar prima che ci arrivi lui.» «Certo. Ci mando subito O'Brien. Come diavolo hai fatto a farti scoprire?» «Un colpo di fortuna, nient'altro» disse Kling. Era una serata no.
Entrarono nel vicolo camminando in fretta e andarono direttamente verso Carell. Erano due ragazzi sui diciassette, diciotto anni, tutti e due robusti, uno teneva in mano un grosso recipiente da cui era saltata via l'etichetta. La luce del lampione lo fece brillare un attimo mentre i due si avvicinavano, e Carell pensò ecco, quello è il bidone di benzina. Cominciò a estrarre la rivoltella, e per la prima volta nella storia della sua carriera di poliziotto, l'arma si incagliò in un ostacolo. Si incagliò in qualcosa all'interno della giacca. Era una rivoltella fatta in modo da non creare un grosso ingombro, non era destinata a incagliarsi in un dannato indumento, no, la canna lunga sei centimetri non era stata progettata per creare un ostacolo quando uno estraeva l'arma, e lui pensò, ecco, ci siamo, gli stupidi poliziotti dei film muti, e scattò in piedi. Non riusciva a disincagliare quella dannata pistola che si era agganciata alla lana del golf, e la lana tirava ma non si rompeva, e lui sapeva che l'attimo dopo il recipiente di benzina gli sarebbe stato rovesciato in faccia, sapeva che un fiammifero o un accendino avrebbe fatto fiamma, e questa volta il puzzo di carne bruciata sarebbe arrivato fino alla Squadra. Macchinalmente, abbassò la mano sinistra tenendola dritta e rigida come una sbarra d'acciaio, e l'abbatté sull'avambraccio del ragazzo che teneva il recipiente, colpendo con forza sufficiente a rompere un osso, sentì l'urlo che scaturì dalla bocca del ragazzo mentre il recipiente cadeva, e poi sentì il dolore acuto che gli si ripercosse nel cervello e quasi lo costrinse a gridare, quando la mano ustionata e fasciata si ribellò al trattamento. Magnifico, pensò, non posso usare le mani, e adesso questi mi faranno sputare l'anima, il che si rivelò un'ottima predizione, perché andò esattamente così. La benzina non costituiva più un pericolo, adesso, e, magra consolazione, almeno non potevano dargli fuoco. Ma le sue mani erano inutilizzabili e la rivoltella era incagliata là sotto la giacca, attaccata al golf... tentò di rompere il filo di lana... dieci secondi, venti secondi, un millennio... e gli assalitori capirono immediatamente di essere in vantaggio. Gli saltarono addosso, quanti erano? Quaranta? Ottanta? e dopo fu troppo tardi. Sapevano fare a cazzotti, quei ragazzi. Avevano imparato tutto sul colpo al pomo d'Adamo, avevano imparato tutto sulla tattica dell'assalto di fianco, in cui uno gira sulla sinistra dell'avversario mentre l'altro gli si accosta da dietro per... e Carell ricevette sulla testa la mazzata più formidabile della sua vita, sì, bravissimi a pestare, quei ragazzi, e allora si chiese se gli avrebbero fatto la bara di metallo o di legno. E mentre se lo chiedeva, uno dei due ragazzi che avevano imparato a pestare in qualche bel quartiere dei peggiori,
di quelli dove tutti sono amici, gli diede un calcio all'inguine. Mai provato? Carell si piegò in due, e l'altro leale avversario gli tirò una seconda mazzata alla testa, la sua specialità, evidentemente, mentre il primo collaborava con un ottimo uppercut che per poco non gli staccò la testa dal collo. E così si trovò per terra, in mezzo alla sporcizia e a una certa dose del suo sangue, e allora gli altri decisero di usare i piedi, com'è naturale che si faccia quando l'avversario è per terra, no? che allora è comodo pigliarlo a calci nei fianchi, nella testa, nelle spalle, dappertutto dove si arriva. Se l'avversario è in condizioni normali si agita e tenta di afferrare gli altri per i piedi, ma se per caso si è tanto fortunati di avere a che fare con uno che recentemente ha avuto le mani ustionate, allora c'è assolutamente campo libero per pigliarlo a calci come si vuole, perché le sue mani sono troppo sensibili per afferrare qualsiasi cosa, figuriamoci poi dei piedi. È per questo che sono state inventate le rivoltelle, pensò Carell, di modo che se capita di avere ustioni di secondo grado alle mani non si è costretti a usarle molto, e ci si limita a premere un grilletto, e certo è un peccato quando la rivoltella è incagliata. È un peccato anche che domani mattina Teddy sia costretta a ricevere le condoglianze, pensò, ma sarà così perché questi ragazzi mi ammazzano se non faccio qualcosa alla svelta. Il guaio è, pensò, che sono uno stupido poliziotto ottuso, ha ragione il Sordo. Adesso i calci piovevano con maggior forza e calma e precisione, incoraggiati dall'inerzia della vittima. Sì, certo, sono felice per la benzina, pensò, e un calcio gli esplose sull'occhio sinistro. Subito pensò che avrebbe perso l'occhio. Rotolò di lato, era stordito e aveva la nausea, uno stivale gli affondò nelle costole, e gli parve persino di sentire il rumore delle cartilagini spezzate, un altro calcio gli centrò il ginocchio sinistro, e lui cercò di alzarsi, poi le mani. «Fottuto rompiscatole d'un pula» disse uno dei ragazzi, e lui pensò "Rompiscatole", e un altro calcio gli piombò sul cranio mandandolo a sbattere la faccia sui sassi. Perse i sensi. Per quanto gli risultava, poteva anche essere morto. Era una serata no. Pat O'Brien si trovò con una gomma a terra mentre stava andando all' "Erin Bar-Grill" di Crawford Street, dove Tony La Bresca aveva appuntamento con un certo Dom. Quando ebbe cambiata la ruota, le sue mani erano intorpidite dal freddo, il suo umore era nero, il suo orologio segnava le 10,30, e il bar era lontano
ancora dieci minuti. Nella lieve possibilità che La Bresca e il suo simpatico amico fossero ancora là, O'Brien proseguì verso il centro, e arrivò al bar che mancavano dieci minuti alle undici. Non solo i due se ne erano già andati, ma nel momento in cui mise piede nel locale, il barista gli disse: «Accettate qualcosa da bere, agente?». Era decisamente una serata no. VI Il venerdì mattina, 8 marzo, il tenente Sam Grossman del laboratorio della polizia telefonò alla Squadra e chiese di Cotton Hawes. Gli venne risposto che Hawes con altri agenti investigativi della Squadra era andato all'ospedale Buena Vista a trovare Steve Carell. L'uomo che rispose al telefono era l'agente di pattuglia Genero, incaricato di tenere il forte finché non fosse tornato qualcuno. «Be', le volete o no queste informazioni?» domandò Grossman. «Signore, io devo soltanto annotare le telefonate finché loro non tornano» disse Genero. «Più tardi avrò parecchio da fare» disse Grossman. «Non posso dire a voi?» «Va bene, signore» disse Genero, e prese la matita. Si sentiva proprio un agente investigativo. Per di più era contento di non essere per la strada in un'altra giornata spaventosa come quella. «Sparate» disse, poi si affrettò ad aggiungere: «Signore». «Si tratta di quei biglietti che mi hanno mandato.» «Si, signore. Quali biglietti?» «"Il prossimo a morire sarà il vice sindaco Scanlon"» citò Grossman «e "Attenzione! Prezzo completamente..." eccetera.» «Sì, signore» disse Genero, che non sapeva assolutamente di che cosa stesse parlando il tenente. «Il tipo di carta usato è "Whiteside Bond", la si trova in qualsiasi cartoleria della città. Le parole sono state ritagliate da riviste e da orari della metropolitana. La colla è un tipo comune di mastice.» «Sì, signore» disse Genero, intento a scrivere freneticamente. «Impronte, risultato negativo. Abbiamo ricavato una confusione di macchie da cui è stato impossibile ottenere qualcosa di chiaro.» «Sì, signore.» «Per farla breve» disse Grossman «adesso sapete cosa potete farci con
quei biglietti.» «Che cosa, signore?» domandò Genero. «Qui eseguiamo soltanto le analisi» disse Grossman. «Siete voi ragazzi che dovete trovare le risposte ai problemi.» Genero si sentì raggiante. Quel "voi ragazzi" l'aveva incluso in una élite. «Be', grazie, allora» disse «lavoreremo su quello che sappiamo.» «Bravo» disse Grossman. «Rivolete i due biglietti?» «Non ci farà male averli.» «Ve li manderò» disse Grossman, e riattaccò. Entusiasmante, pensò Genero, rimettendo il ricevitore sul supporto. In quel momento, se avesse avuto un cappello a cilindro se lo sarebbe messo. «Dov'è il gabinetto?» domandò uno degli imbianchini. «Perché?» disse Genero. «Dobbiamo imbiancarlo.» «Cercate di non sbrodolare le tazze» disse Genero. «Abbiamo studiato ad Harvard» disse l'imbianchino. «Le tazze non le sbrodoliamo mai.» L'altro imbianchino rise. Il terzo messaggio arrivò quel mattino alle undici. Venne consegnato da uno studente delle medie, che passò davanti al banco del sergente di servizio e salì direttamente nella sala-agenti, dove l'agente di pattuglia Genero stava cercando di risolvere l'appassionante mistero del mastice usato come adesivo. «Tutti in vacanza, oggi?» domandò il ragazzo. Aveva diciassette anni e la faccia costellata di brufoli. In una sala-agenti si sentiva perfettamente a suo agio perché un tempo aveva fatto parte di una banda di ragazzi chiamata "I Magnifici Dieci" e composta da undici ragazzi alleatisi per combattere i portoricani che avevano invaso il loro dominio. La banda era stata sciolta poco prima di Natale non perché i portoricani l'avessero distrutta ma semplicemente perché otto degli undici ragazzi che si erano battezzati "I Magnifici Dieci" avevano dovuto soccombere a un nemico comune tanto ai portoricani quanto agli anglosassoni: gli stupefacenti. Cinque degli otto erano irrecuperabili, tre erano morti. Degli altri tre, uno era finito in prigione per porto d'armi abusivo, uno si era dovuto sposare perché aveva messo nei guai una ragazzetta irlandese, e il terzo aveva portato una busta nella sala-agenti di una Squadra Investigativa, e si sentiva talmente a suo agio da fare lo spiritoso con un agente di pattuglia.
«Cosa volete?» domandò Genero. «Dovevo consegnare questa al sergente di servizio, ma giù non c'era nessuno. Volete prenderla voi?» «Cos'è?» «E cosa ne so?» disse il ragazzo. «Un tale mi ha fermato per la strada e mi ha dato cinque dollari per portarvela.» «Sedetevi» disse Genero. Prese la busta dalle mani del ragazzo, incerto se aprirla o no, poi si rese conto di averci lasciato sopra le sue impronte. Lasciò cadere la busta sulla scrivania. Nella toilette in fondo al corridoio gli imbianchini stavano cantando. Genero era lì soltanto per rispondere alle telefonate e annotare i messaggi. Guardò ancora la busta, fortemente tentato di aprirla. «Vi ho detto di sedervi» disse al ragazzo. «Perché?» «Dovrete aspettare finché non ritorna qualcuno degli agenti investigativi, ecco perché.» «L'hai trovato quello buono, "madama"!» disse il ragazzo, e si voltò per andarsene. Genero estrasse la pistola d'ordinanza. «Ehi!» disse, e il ragazzo guardando da sopra una spalla vide il largo foro della canna di una calibro 38 Special. «Mi appello alla Miranda-Escobedo» disse il ragazzo, comunque si sedette. «Bene, così siamo in due» disse Genero. Ai poliziotti non piace che altri poliziotti ci rimettano la pelle. Li rende nervosi. Gli fa sentire che la loro non è una professione esattamente tranquilla, nonostante il lavoro da tavolino. Gli fa sentire che in qualsiasi momento qualcuno li può prendere a pugni, o a calci, o a rivoltellate. Il che gli fa sentire che non sono amati. I due giovani atleti che avevano dimostrato tanto bene a Carell la loro mancanza di affetto, gli avevano rotto tre costole e il naso. Gli avevano anche procurato un feroce mal di testa dovuto al trauma cranico causato da tre o quattro calci ben centrati. Carell aveva ripreso conoscenza poco dopo il ricovero in ospedale, e adesso era pienamente cosciente, ma non aveva un bell'aspetto, e non si sentiva affatto bene, e non aveva nessuna voglia di parlare. Perciò se ne stava sdraiato a letto, con Teddy seduta vicino, teneva stretta una mano della moglie, e respirava a fatica perché le costole rotte gli facevano un male d'inferno. La maggior parte della conversazione fu sostenuta dai poliziotti in visita, ma con scarsa allegria. Si erano trovati di
colpo a faccia a faccia con un episodio di violenza che li coinvolgeva quasi personalmente, non il tipo di violenza con cui avevano a che fare ogni giorno per motivi di lavoro, non l'osservazione fredda e distaccata di sconosciuti feriti o massacrati, ma la vista di un collega e amico dolorosamente immobilizzato in un letto d'ospedale con accanto la moglie che gli teneva la mano e cercava di sorridere alle loro battute forzate. I quattro agenti investigativi lasciarono l'ospedale a mezzogiorno. Brown e Willis camminavano davanti. Hawes e Kling li seguivano senza parlare. «Ragazzi, se l'hanno conciato male!» disse Brown. Il teppista diciassettenne cominciò a strillare per la Miranda-Escobedo citando i suoi diritti con la competenza di un legale. Genero continuava a ripetergli di stare zitto. Non aveva mai capito molto bene le decisioni della Corte Suprema, nonostante i volantini distribuiti a tutti i poliziotti del Distretto, e adesso aveva una gran paura che il ragazzo sapesse qualcosa che lui invece non sapeva. Con immensa gioia, quindi, sentì il rumore dei passi sui gradini metallici delle scale dipinte di fresco. Per primi comparvero Willis e Brown. Dietro c'erano Kling e Hawes. Genero li avrebbe abbracciati e baciati tutti e quattro. «Sono questi le teste dure?» chiese il ragazzo. E Genero disse: «Silenzio!». «Cosa succede?» domandò Brown. «Spiegate qui al vostro amico la faccenda di Miranda-Escobedo» disse il ragazzo. «Chi sei tu?» domandò Brown. «È venuto a portare una busta» disse Genero. «Ci siamo» disse Hawes. «Come ti chiami, ragazzo?» «Prima, informatemi dei miei diritti.» «Dimmi come ti chiami o ti prendo a pedatoni» disse Brown. «Ti va bene questa informazione?» Aveva appena visto coi suoi occhi che cos'avevano fatto a Carell un paio di farabutti e non era in vena di accettare fesserie da un moccioso. «Mi chiamo Michael McFadden, e non risponderò a nessuna domanda senza la presenza di un avvocato» disse il ragazzo. «Puoi permetterti la spesa di un avvocato?» domandò Brown. «No.»
«Hal» disse Brown, rivolto a Willis «procuragli un avvocato.» «Ehi, cosa significa?» disse il ragazzo. «Vuoi un avvocato, e noi te lo procuriamo» disse Brown. «Io non ho bisogno di un avvocato. Sono venuto soltanto a consegnare una busta!» «Perché tu abbia bisogno di un avvocato, non lo so» disse Brown. «Sei stato tu a dire che ne volevi uno. Hal, chiama l'ufficio del Procuratore Distrettuale, e fai venire un avvocato per questo sospetto.» «Sospetto?» disse McFadden. «Sospetto? Si può sapere che cos'ho fatto?» «Non lo so, figliolo» disse Brown «e non posso scoprirlo perché tu non vuoi che ti faccia domande finché non c'è qui un avvocato. Allora, gli cerchi questo avvocato, Hal?» Willis aveva sollevato il ricevitore del telefono e stava ascoltando un tranquillo segnale di linea libera. «La linea è occupata, Art» disse. «Va bene. Allora dovremo aspettare un po'. Mettiti comodo, ragazzo, faremo arrivare l'avvocato appena possibile.» «Sentite... Oh, diavolo, non ho bisogno dell'avvocato» disse McFadden. «Avevi detto che ne volevi uno.» «Già, ma ecco, se m'assicurate...» «Volevamo soltanto farti qualche domanda a proposito della busta.» «Perché? Che cosa c'è dentro?» «Dobbiamo aprirla e mostrare al ragazzo che cosa contiene? Cosa ne dite?» domandò Brown. «Io l'ho solo consegnata» disse McFadden. «Bene, facciamogli vedere cosa c'è» disse Brown. Ripiegò il fazzoletto attorno alla busta, l'aprì con un tagliacarte, e poi usò un paio di pinzette per estrarre lentamente il foglio piegato. «Tieni, usa questi» disse Kling, e prese da un cassetto della scrivania un paio di guanti bianchi di cotone, Brown si infilò i guanti, alzò le mani davanti alla faccia tenendole bene aperte e sorrise. «Sapere badrone cosa fare gallina che addraversare sdrada?» disse Brown, e scoppiò a ridere. Anche gli altri poliziotti risero. Incoraggiato, rise anche McFadden. Brown gli diede un'occhiata, e la risata gli morì in gola. Con delicatezza, Brown spiegò il foglio e lo mise, aperto, sulla scrivania.
«Che cosa significa questa roba?» domandò McFadden. «Diccelo tu» disse Brown. «Come faccio a saperlo?» «Chi ti ha dato la busta?» «Un tale alto e biondo con un apparecchio acustico.» «Lo conosci?» «Mai visto prima.» «Ti è venuto vicino e ti ha dato la busta, eh?» «No, mi è venuto vicino e mi ha offerto una mancia per portare qui la busta.» «Perché hai accettato?» «Cosa c'è di male a portare una busta con un messaggio a una stazione di polizia?» «Niente, se non è tentativo di estorsione» disse Brown. «Cos'è un'estorsione?» domandò McFadden. «Tu fai parte dei "Magnifici Dieci", no?» domandò improvvisamente Kling.
«La compagnia si è sciolta» disse McFadden. «Tu però ne facevi parte.» «Sì. Come fate a saperlo?» domandò McFadden, con una sfumatura d'orgoglio. «Conosciamo tutti i poco di buono del Distretto» disse Willis. «Hai finito con lui, Artie?» «Sì, ho finito» rispose Brown. «Va bene. Allora addio, McFadden.» «Che cos'è un'estorsione?» domandò McFadden. «Ciao, addio» ripeté Willis. L'agente investigativo incaricato di pedinare Anthony La Bresca era Meyer. Era stato scelto perché di solito gli agenti investigativi non li si immagina calvi, e si era pensato che La Bresca, già sfuggito una volta, non avrebbe mai sospettato di lui. Inoltre si era pensato che se La Bresca era veramente coinvolto in un prossimo colpo, era forse meglio non seguirlo dal posto di lavoro a dove era diretto, ma conveniva di più aspettarlo "in loco" quando arrivava. Naturalmente questo presentava un problema: indovinare dove andava, finito il lavoro; ma a uno degli agenti investigativi venne in mente che La Bresca aveva detto di frequentare una sala da gioco in South Leary, perciò quel pomeriggio alle quattro Meyer andò ad appostarsi là. Indossava un paio di pantaloni con le borse alle ginocchia, una giacca di pelle e un berretto scuro con visiera. Aveva l'aria di un portuale o qualcosa del genere. In realtà lui non sapeva che cosa sembrava, sperava soltanto di non sembrare un poliziotto. Teneva in bocca uno stuzzicadenti. Aveva pensato che lo stuzzicadenti fosse un tocco azzeccato. Per di più, dato che i criminali hanno l'abilità di capire quando uno è "carico", non aveva portato la rivoltella. Unica arma in suo possesso, un uncino da scaricatore infilato nella cintura dei pantaloni. Se qualcuno gli avesse chiesto perché quell'uncino, avrebbe risposto che gli serviva per lavoro, stabilendo così il tipo di lavoro che faceva. Comunque, sperava di non dover usare l'uncino. Entrò nell'atrio della sala da gioco al primo piano di uno squallido edificio in mattoni, disse: «Salve» all'uomo seduto subito dopo la porta e poi domandò: «Avete qualche tavolo libero?». «Biliardo o boccette?» disse l'uomo. Anche lui stava masticando uno stuzzicadenti. «Biliardo» disse Meyer.
«Potete prendere il numero quattro» disse l'uomo, e si voltò a girare un interruttore su un pannello alle sue spalle. «Nuovo, di queste parti?» domandò, ancora voltato al pannello. «Già, nuovo» disse Meyer. «Non ci piacciono i piantagrane» disse l'uomo. «Non sono un piantagrane» rispose Meyer. «Cercate di dimostrarlo.» Meyer si strinse nelle spalle e si diresse al tavolo dove l'uomo aveva acceso la luce per lui. C'erano sette clienti nella sala, tutti attorno a un tavolo vicino alle finestre. Quattro giocavano e gli altri davano consigli. Meyer andò a prendere una stecca dalla rastrelliera, sistemò le biglie sul tavolo e cominciò i suoi tiri. Era un giocatore scadente. Di tanto in tanto guardava la porta. Stava giocando da una decina di minuti quando uno dei sette dell'altro tavolo gli si avvicinò. «Salve» disse l'uomo. Era un tipo massiccio, con una giacca sportiva e la camicia di lana. Dal collo della camicia, aperto, spuntavano ciuffi di peli neri. Aveva gli occhi scuri e un paio di baffi che sembravano scivolati giù sotto il naso dalle guance. Anche i capelli erano neri. Aveva l'espressione dura e minacciosa, e Meyer lo inquadrò subito come una specie di ras locale. «Già stato qui altre volte?» domandò l'uomo. «No, mai» disse Meyer senza alzare gli occhi dal tavolo. «Io sono Tino.» «Salve, Tino» disse Meyer, e fece un tiro. «Sbagliato» disse Tino. «Già, sbagliato.» «Siete un piantagrane?» disse Tino. «No.» «Ai piantagrane qui rompiamo le braccia e li buttiamo giù dalle scale» disse Tino. «Le braccia o tutto il piantagrane?» domandò Meyer. «Non ho il senso dell'umorismo» disse Tino. «Nemmeno io. Toglietevi di qui, mi guastate il divertimento.» «Non fatevi venire in mente di rompere le scatole a qualcuno, chiaro?» disse Tino. «Questa è una sala da biliardo per gli amici del quartiere.» «Già. Infatti voi le date un tono molto amichevole» disse Meyer. «È che non ci piacciono i piantagrane.» «È la terza volta che lo sento dire. Non sono deficiente» disse Meyer. Ti-
rò, e sbagliò. «Dove avete imparato a giocare?» domandò Tino. «Mi ha insegnato mio padre.» «Era una schiappa come voi?» Meyer non rispose. «Cos'avete appeso alla cintura?» «Un uncino» disse Meyer. «Perché lo portate in giro?» «Perché lo adopero» rispose Meyer. «Lavorate al porto?» «Esatto.» «Dove?» «Al porto» disse Meyer. «Già, ma su quale molò?» «Sentite, amico» disse Meyer, e messa giù la stecca si girò a guardare Tino. «Sì?» «Perché vi interessa dove lavoro io?» «Mi piace sapere chi è la gente che viene qui.» «Perché? Siete il padrone della baracca?» «Il padrone è mio fratello.» «Okay» disse Meyer. «Mi chiamo Stu Levine, e per il momento lavoro al molo di Leary Street, a scaricare il mercantile svedese "Agda". Abito in centro, in Ridgeway, e ho notato passando che qui c'era una sala da biliardo, così ho deciso di salire a fare un po' di tiri prima di andare a casa. Basterà questo a vostro fratello, o volete vedere il mio certificato di nascita?» «Siete ebreo?» domandò Tino. «Strano che non ne abbia l'aria, vero?» «Ne avete proprio l'aria, invece.» «E allora?» «E allora niente. Ogni tanto capitano qui due o tre ebrei che abitano vicino.» «Mi fa piacere. Va bene per voi se mi rimetto a giocare?» «Volete un compagno?» «Come faccio a sapere che non siete un piantagrane?» «Giocheremo a tempo e non a punti, vi va?» «Vincerete voi lo stesso» disse Meyer. «E con questo? Sempre meglio che giocare da soli, no?»
«Sono venuto qui per fare un paio di tiri e divertirmi» disse Meyer. «Perché dovrei mettermi a giocare con uno più bravo di me? Per me passerà solo il tempo ma a giocare sarete voi.» «Prendetela come una lezione.» «Non ho bisogno di lezioni.» «Ne avete bisogno, sì, credetemi» disse Tino. «Giocate in maniera da far paura.» «Se voglio prendere lezioni, le prendo da Minnesota Fat.» «Minnesota Fat non esiste» disse Tino, «è un personaggio inventato.» Questo fece venire in mente a Meyer che qualcuno aveva inventato un personaggio e l'aveva chiamato come lui, e gli venne anche in mente che non aveva ancora saputo niente da Rollie Chabrier dell'ufficio del Procuratore Distrettuale. «Comunque, temo proprio che non imparerò mai a giocare» disse «nemmeno se state qui a insegnarmi per un giorno intero.» «Allora, giochiamo?» domandò Tino. «Avanti, prendete una stecca» disse Meyer, e sospirò. Sentiva di essersela cavata molto bene. Non si era dimostrato troppo ansioso di fare amicizia, ma aveva ottenuto lo scopo di mettersi a giocare con uno dei frequentatori abituali della sala. La Bresca, una volta arrivato, ammesso che arrivasse, avrebbe trovato Tino intento a giocare con il suo buon amico Stu Levine che lavorava al molo di Leary Street. Ottimo, pensò Meyer, domani mattina dovrebbero passarmi di primo grado. «Per cominciare, non tenete la stecca nel modo giusto» disse Tino. «Se volete combinare qualcosa, è così che dovete tenerla.» «Così?» disse Meyer, cercando di correggere la posizione. «Cos'è? Avete l'artrite, per caso?» domandò Tino e scoppiò a ridere, dimostrando a Meyer che il senso dell'umorismo proprio non ce l'aveva. Quando La Bresca entrò, una ventina di minuti più tardi, Tino stava spiegando il "colpo all'inglese" per ottenere che la biglia deviasse a sinistra dopo aver colpito il bersaglio. Meyer lo riconobbe immediatamente grazie alla descrizione che gli avevano fatto, ma non insistette a guardarlo perché non voleva dimostrare il suo interesse, e si mise ad ascoltare le spiegazioni di Tino, e poi ascoltò la battuta, scarsa, propinata da Tino sui motivi per cui quello era chiamato "colpo all'inglese", cioè che se si colpisce un inglese nel punto giusto con una stecca da biliardo, quello diventa bianco come la biglia, chiaro? Tino rise, e Meyer rise con lui, e fu questa la scena che si presentò a La Bresca quando si avvicinò al loro tavolo: Tino e il suo buon
amico del molo di Leary Street che se la ridevano di cuore e giocavano una partita amichevole nella sala da biliardo degli amici del quartiere. «Salve, Tino» disse La Bresca. «Salve, Tony.» «Come va?» «Così così. Questo è Stu Levine.» «Piacere» disse La Bresca. «Piacere» disse Meyer, e tese la mano. «Questo è Tony La Bresca. Uno che gioca bene.» «Tu però sei il più bravo di tutti» disse La Bresca. «Stu invece gioca come Angie. Te lo ricordi Angie, con quel braccio storto? Ecco. Stu gioca così.» «Me lo ricordo, sì» disse La Bresca, e i due amici scoppiarono a ridere. Meyer si unì alla risata. Erano amici, no? «Stu ha imparato da suo padre» disse Tino. «Ah, sì? E suo padre da chi ha imparato?» disse La Bresca, e i due uomini risero ancora. «Ho sentito che hai trovato lavoro» disse Tino. «Vero.» «Sei venuto qui solo a dare un'occhiata?» «Pensavo di fare un paio di partite prima di andare a mangiare. Hai visto Colooch?» «Sì. È a quel tavolo laggiù, davanti alle finestre.» «Farò una partita con lui.» «Perché non giuochi con noi?» disse Tino. «Grazie» disse La Bresca «ma avevo promesso a Colooch di giocare con lui. E poi tu sei troppo un leone.» «Sentito, Stu?» disse Tino. «Dice che sono un leone.» «Be', ci vediamo» disse La Bresca, e andò al tavolo vicino alla finestra. Un tale, alto, in maniche di camicia, era chino sul biliardo, in procinto di fare un tiro. La Bresca aspettò finché tre o quattro biglie non furono entrate in buca, poi tutti e due andarono dall'uomo seduto nell'ingresso. All'altra estremità della sala si accese la luce sopra un tavolo. La Bresca e il suo compagno andarono al nuovo tavolo, presero le stecche, sistemarono le biglie e cominciarono a giocare. «Chi è Colooch?» domandò Meyer a Tino. «È Peter Calucci» disse Tino. «Un amico di Tony?»
«Sì. Si conoscono da un sacco di tempo.» Colooch e La Bresca stavano parlando parecchio. Non giocavano molto, ma era certo che facevano un gran parlare. Parlavano, poi uno faceva un tiro, e poi parlavano ancora, e poi l'altro faceva anche lui un tiro, e così via per quasi un'ora. Dopo un'ora i due uomini rimisero a posto le stecche e si salutarono con una stretta di mano. Colooch tornò al tavolo vicino alla finestra, e La Bresca andò nell'atrio a pagare il biliardo. Meyer guardò l'orologio e disse: «Ehi, ma sono già le sei. Meglio che vada a casa, se no mia moglie mi ammazza!». «Bene, Stu, mi ha fatto piacere giocare con voi» disse Tino. «Venite ancora qualche altra volta.» «Perché no? Una volta o l'altra ci torno» disse Meyer. Fuori, la strada era immersa nella pallida luce grigia del crepuscolo, deserta e silenziosa se non per il sibilo del vento, gelido, proibitivo. Anthony La Bresca camminava tenendo le mani nelle tasche del cappotto nocciola, il bavero rialzato, la sciarpa verde girata attorno al collo e penzolante nel vento. Meyer lo seguiva stando parecchio lontano. Memore dell'imbarazzante situazione in cui si era trovato Kling la sera prima, non voleva che capitasse la stessa cosa a un vecchio agente investigativo della sua esperienza. Il freddo e le strade deserte non gli agevolavano il compito. Pedinare qualcuno in una strada affollata è relativamente facile, ma quando al mondo sono rimaste soltanto due persone, quella che cammina davanti può voltarsi all'improvviso, per un rumore di passi o perché ha colto un movimento con la coda dell'occhio. Perciò Meyer si teneva il più lontano possibile, infilandosi nei portoni, passando da un marciapiede all'altro, fingendo di svoltare, contento di quella frenetica attività fisica che lo aiutava a vincere un po' il freddo, convinto che l'altro non l'avrebbe notato, ma cosciente del rischio che correva: se La Bresca svoltava improvvisamente in una via traversa o si infilava in un portone, l'avrebbe perso. La ragazza aspettava seduta nella Buick. La macchina era nera. Meyer riconobbe immediatamente la marca e l'anno di fabbricazione, ma non poté leggere il numero di targa perché la Buick era troppo lontana. Il motore era acceso. Dal tubo di scarico usciva un fumo grigio e denso che si scioglieva nel grigio della strada deserta. La Bresca si fermò all'altezza della macchina, e Meyer s'infilò nel portone più vicino, che non era un portone ma il rientro di un negozio. Circondato da sassofoni e macchine per scrivere, racchette da tennis e cineprese, canne da
pesca e cestini da pic-nic, Meyer sbirciò attraverso l'angolo della vetrina stringendo gli occhi nel tentativo di decifrare la targa della Buick. Ma non riuscì a mettere a fuoco i numeri. La ragazza era bionda. I capelli, molto lunghi, le cadevano sulle spalle. La vide protendersi ad aprire la portiera. La Bresca salì e sbatté lo sportello. Meyer tornò sulla strada proprio mentre la grossa macchina scattava via dal marciapiede. E non riuscì a leggere il numero della targa. VII Lavorare di sabato non piace a nessuno. C'è qualcosa di demenziale nel lavorare di sabato. È contro natura. Il sabato è la giornata che precede il giorno destinato al riposo, l'ideale per purificarsi dalla tensione accumulata dal lunedì al venerdì. Dato un giorno di marzo come quello, con quel bel vento gelido e l'aria da neve, e una città in monolitica attesa, stoica e solenne, dato, dicevamo, un gioiello di sabato così, che bello poter accendere un fuoco col carbone della secchia nel camino dell'appartamento di tre locali e finire affumicati. Oppure, in mancanza di un camino, quale altro modo migliore di utilizzare il sabato che riempire di whisky un bicchiere da birra e infilarsi sotto le coperte con una bionda o con un libro, passando così il tempo con "Guerra e pace" o "Lady Chatterley"? Shakespeare non ha forse dato il via a parecchie delle sue opere migliori di sabato, dopo essersi ficcato, sbronzo, nel primo letto che gli capitava? Sabato è una giornata tranquilla. Un giorno che distrae e allieta con l'idea del tempo libero, costringe a cincischiare la coperta del letto presentando il problema di cosa fare di tutta quella improvvisa libertà, spinge a camminare su e giù per le stanze in cerca di qualcosa da fare, con la consapevolezza che si sta avvicinando la serata più solitaria della settimana. A nessuno piace lavorare di sabato perché nessun altro lavora. Tranne ai poliziotti. Sgobbare, sgobbare, sgobbare, lavorare, lavorare, lavorare, spinti da una sensazione di utilità pubblica e dedizione all'umanità, i tutori della legge sono sempre a disposizione, svegli di mente, svelti di corpo, nobili nello scopo. Andy Parker dormiva sulla sedia girevole dietro la sua scrivania.
«Dove sono finiti tutti?» disse uno degli imbianchini. «Cosa?» disse Parker. «Eh?» disse, e si tirò su di colpo, e fulminò con un'occhiata l'imbianchino. Poi si passò le grosse mani sulla faccia e disse: «Cosa diavolo vi salta in testa di spaventare la gente in questo modo?». «Ce ne andiamo» disse il primo imbianchino. «Abbiamo finito» disse il secondo. «Abbiamo già caricato sul camioncino tutta la nostra roba, e volevamo salutare gli altri.» «Allora, dove sono?» «C'è una riunione nell'ufficio del tenente» disse Parker. «Metteremo dentro la testa a salutare» disse il primo imbianchino. «Non ve lo consiglio» disse Parker. «Perché?» «Stanno discutendo di un omicidio. Non è consigliabile mettere dentro la testa in un posto dove c'è gente che discute di omicidi.» «Nemmeno per salutare?» «Potete salutare me» disse Parker. «Non sarebbe la stessa cosa» disse il primo imbianchino. «Allora aspettate e li saluterete quando escono. Dovrebbero aver finito prima delle dodici. Anzi, finiranno senz'altro prima delle dodici.» «Già, ma noi abbiamo finito adesso» disse il secondo imbianchino. «Non potete vedere se avete dimenticato qualcosa?» suggerì Parker. «Ad esempio, non avete imbiancato le macchine per scrivere, né la colonnina dell'acqua, e nemmeno le nostre rivoltelle. Come mai vi siete dimenticati delle rivoltelle? Avete sparso il verde dappertutto, qui, perché non sulle rivoltelle?» «Bella gratitudine!» disse il primo imbianchino. «Lo sapete che certi, il sabato, non muovono nemmeno un dito, né per un'ora né per un minuto?» E con questo i due imbianchini se ne andarono, indignati dal trattamento, e Parker tornò a dormire sulla sedia girevole dietro la scrivania. «Bella squadra mi ritrovo» disse il tenente Byrnes. «Due agenti che non riescono a portare a termine un pedinamento! Uno si fa scoprire dopo soli dieci passi, l'altro perde di vista il suo uomo! Bel risultato! Eccellente media di successi, per due agenti investigativi esperti!» «Mi era stato detto che l'uomo da pedinare non aveva la macchina» disse Meyer. «Mi era stato detto che la sera prima aveva preso la ferrovia.»
«Esatto» disse Kling. «Aveva preso la sopraelevata.» «Non potevo sapere che una donna lo aspettava con una macchina» disse Meyer. «E così te lo sei lasciato scappare» disse Byrnes «cosa che poteva anche non avere importanza, se lui fosse andato a casa. Ma O'Brien era appostato davanti alla casa di La Bresca, e La Bresca ieri sera non si è visto. E questo significa che noi non siamo in condizioni di sapere dov'è oggi, vero? Il giorno in cui la vita del vice sindaco è in pericolo, noi non sappiamo dove sia il principale indiziato.» «No, signore» disse Meyer. «Non sappiamo dove sia, infatti.» «Perché tu te lo sei lasciato scappare.» «Sì, signore.» «Hai qualcosa da dire, Meyer?» «No, signore. Me lo sono lasciato scappare.» «Molto bene. Ti proporrò per una ricompensa.» «Grazie, signore.» «Meyer, non fare lo spiritoso!» «No, signore.» «Non è uno scherzo, ragazzi. Non voglio che Scanlon finisca con due fori nella testa come Cowper.» «Nossignore. Non lo voglio nemmeno io» disse Meyer. «Bene. E allora per l'amor di tutti i santi impara come si fa a pedinare una persona, d'accordo?» «Sì, signore.» «Adesso, cosa mi puoi dire di quell'altro che hai visto parlare con La Bresca? Come si chiama?» «Calucci, signore. Peter Calucci.» «Hai fatto fare delle ricerche?» «Sì, signore. Ieri sera, prima di andare a casa. Queste sono le informazioni ricevute dall'Ufficio Identificazione Criminali.» Meyer mise una busta sulla scrivania di Byrnes, e poi fece un paio di passi indietro per unirsi agli altri agenti investigativi allineati militarmente davanti alla scrivania. Il tenente quella mattina era di umore impossibile; entro mezzogiorno qualcuno avrebbe dovuto scovare cinquantamila dollari, e il vice sindaco aveva grandi probabilità di venire spedito a rivestire la sua carica in cielo, tre motivi validi perché nessuno sorridesse. Il tenente aprì la busta, ne tolse la copia fotografica di un cartellino con
le impronte digitali. Dopo aver dato un'occhiata superficiale al cartellino, tirò fuori la fotocopia dei precedenti penali di Peter Calucci. Byrnes lesse tutto, poi disse: «Quando è uscito?». «Non era un detenuto modello. Ha fatto domanda per essere rilasciato in libertà condizionata dopo aver scontato un terzo della condanna. La domanda è stata respinta. Ha continuato a ripeterla ogni anno. Dopo sette anni gliel'hanno accettata. È fuori dall'ottobre scorso.» «Cosa fa adesso?» «Il muratore.» «È sul lavoro che ha conosciuto La Bresca?» «L'assistente sociale che ha la responsabilità di Calucci dice che il suo assistito ha lavorato ultimamente con la Abco Construction, e da una telefonata alla società di costruzioni risulta che nello stesso periodo anche La Bresca ha lavorato con loro.» «A proposito, questo La Bresca ha dei precedenti?» UFFICIO IDENTIFICAZIONE Nome: Peter Vincent Calucci Numero d'archivio: P. 421904 Conosciuto come: Colooch - Cooch - Kook Razza: bianca Abitante a: Isola - 91° Strada Sud n. 336 Data di nascita: 2 ottobre 1938 - Età: 22 Luogo di nascita: Isola Statura: 1,76 - Peso: 71,500 - Capelli: castani - Occhi: castani Colorito: olivastro - Professione: operaio edile Segni particolari o tatuaggi: cicatrice da appendicectomia Arrestato da: agente di pattuglia Henry Butler Numero di riferimento: 63-R1- 1605-1960 Data dell'arresto: 14/3/60 - Luogo: 65° Strada - Isola Imputazione: rapina Note sul crimine: Calucci è penetrato nella stazione di servizio della 65° Strada, attorno alla mezzanotte, e ha minacciato di sparare. all'incaricato se non gli apriva la cassaforte. L'incaricato gli ha risposto che non conosceva la combinazione. Calucci gli ha puntato contro la rivoltella e stava per sparare quando l'agente di
pattuglia Henry Butler del 53° Distretto è arrivato sul posto e l'ha arrestato Precedenti penali: nessuno Giudicato da: Tribunale Penale 15 marzo 1960 Imputazione riconosciuta: rapina di primo grado - art. C.F. 2125 Sentenza: condannato a dieci anni da scontarsi nel carcere di Castleview con sentenza del 8/7/60 «No, signore.» «Niente su Calucci, da quando è fuori?» «A sentire l'assistente sociale, niente, signore.» «Ora, chi sarebbe questo Dom che ha telefonato a La Bresca giovedì sera?» «Non ne abbiamo nessuna idea, signore.» «E questo perché La Bresca si è accorto che lo pedinavi, vero, Kling?» «Sissignore. Esatto.» «Brown è ancora in ascolto su quella derivazione?» «Sì, signore.» «Avete fatto qualche tentativo con i soliti informatori?» «No, signore, non ancora.» «E quando diavolo vi decidete a mettervi in moto? Entro mezzogiorno dovremmo consegnare cinquantamila dollari, e sono già le dieci e un quarto. Si può sapere quando...» «Signore, abbiamo tentato di entrare in contatto con Calucci. L'assistente sociale ci ha dato il suo indirizzo, e abbiamo mandato là un uomo, ma l'affittacamere dice che da ieri mattina presto non è più rientrato. «Ci potete scommettere!» urlò Byrnes. «Lui e l'altro sono probabilmente da qualche parte con quella bionda, chiunque essa sia, a decidere in che modo dovranno ammazzare Scanlon se noi non consegniamo la cifra stabilita! Cercate Danny Gimp o Donner il Lardo, scoprite se uno dei due conosce un certo Dom che due settimane fa ha perso una grossa cifra scommettendo su un incontro di pugilato. Che diavolo d'un incontro c'è stato due settimane fa? Cos'era, un incontro per un titolo?» «Sì, signore.» «Va bene. Datevi da fare. Chi si serve di Gimp, oltre a Carell?» «Nessuno, signore.» «Chi si serve di Donner?»
«Io, signore.» «Allora mettiti subito in contatto con lui, Willis.» «Se non è in Florida, signore. Di solito, in inverno, Donner va al sud.» «Stramaledetti informatori! Vanno al sud, loro» imprecò Byrnes. «Al sud! E noi siamo qui a vedercela con una manica di matti che vogliono ammazzare questo e quello. Va bene, Willis, dàtti da fare.» «Sì, signore» disse Willis, e uscì. «Adesso passiamo all'altra possibilità. La storia di quel sordo, e voglia il cielo che non si tratti di lui. Spero che si tratti di La Bresca e Calucci e la bionda che ti ha soffiato La Bresca di sotto il naso, Meyer...» «Sì, signore...» «... e non di quel bastardo d'un sordo. Ho parlato col Commissario, e con il vice sindaco, e col sindaco, e siamo tutti d'accordo che di pagare i cinquantamila dollari non se ne parla nemmeno. Dovremo seguire chiunque vada a prelevare il portavivande, e tentare, questa volta, di risalire al mandante. E bisognerà provvedere a proteggere Scanlon. Per ora, non c'è altro. Due di voi si incaricheranno di portare la gavetta sulla panchina, che dovrà essere tenuta d'occhio al limite della prudenza. Voglio che siate pronti a muovervi non appena qualcuno preleverà la gavetta, e a seguirlo in capo al mondo. In altre parole voglio un sospetto qui, oggi, preferibilmente il vero responsabile, ma se non possiamo arrivare fino a lui voglio che portiate qui il suo tirapiedi per interrogarlo finché gli resta fiato. Fate in modo che ci sia pronto un avvocato per lui nel caso che si appelli alla MirandaEscobedo. Voglio una pista sicura oggi stesso, chiaro?» «Sì, signore» disse Meyer. «Sissignore» disse Kling. «Credete di riuscire a organizzare la sorveglianza della panchina e la consegna della gavetta senza combinare guai come avete fatto con il pedinamento?» «Sì, signore, possiamo occuparcene.» «Va bene, allora cominciate, e portatemi qualcosa su cui lavorare per questo maledetto caso.» «Sì, signore» dissero, insieme, Meyer e Kling, e poi uscirono. «Adesso sentiamo un po', tu. Cos'è la storia di una drogata che sarebbe stata nella stanza insieme con l'assassino?» domandò Byrnes a Hawes. «È così, signore.» «Tu, cosa ne pensi?» «Secondo me, lui l'ha fatta andare nella sua stanza per essere sicuro che
al momento della sparatoria sarebbe stata tanto inebetita da non sentire niente.» «È l'idea più stupida che abbia mai ascoltato in vita mia» disse Byrnes. «Vai via! Vai a dare una mano a Meyer e Kling, telefona all'ospedale e senti un po' come sta Carell, organizza un altro appostamento per quei due farabutti che l'hanno picchiato, fai qualcosa, insomma, perdio!» «Sì, signore» disse Hawes, e passò in sala-agenti. Svegliato dal parlottare degli altri, Andy Parker si passò le mani sulla faccia, si soffiò il naso e disse: «Gli imbianchini vi hanno lasciato i loro saluti». «Meno male» disse Meyer. «Per te è arrivata anche una telefonata dall'ufficio del Procuratore Distrettuale.» «Chi era?» «Rollie Chabrier.» «Quando ha telefonato?» «Circa mezz'ora fa.» «Perché non me l'hai passato?» «Mentre eri di là dal tenente? No, grazie.» «La stavo aspettando, quella telefonata» disse Meyer, e compose immediatamente il numero di Chabrier. «Ufficio del signor Chabrier» disse subito un'allegra voce femminile. «Bernice, sono Meyer Meyer dell'Ottantasettesimo. Mi hanno detto che poco fa Chabrier mi ha cercato.» «Infatti» disse Bernice. «Vuoi passarmelo, per favore?» «È già uscito, e per oggi non torna.» «Già uscito? Ma se sono appena passate le dieci?» «Be', sai com'è» disse Bernice «a nessuno piace lavorare di sabato.» La gavetta nera di metallo contenente migliaia di pezzetti di carta di giornale fu messa sulla terza panchina del vialetto di Clinton Street, in Grover Park, dall'agente investigativo Cotton Hawes, il quale indossava una tuta termica, due maglioni, un completo grigio, un cappotto, e un paraorecchie. Hawes era un bravo sciatore, e gli era capitato di sciare con temperature di zero gradi al fondovalle e di tredici o quattordici sotto zero in cima alla pista, aveva sciato in giornate in cui per il freddo non sentiva più le mani e i piedi, e lui volava giù per la discesa non per divertimento o
per sport, ma per raggiungere un posto riscaldato prima di diventare una statua di ghiaccio. Ma non aveva mai sentito un freddo simile. Già era brutto lavorare di sabato, ma lavorare di sabato con una temperatura che minacciava di congelare il sangue era addirittura un'indecenza. Tra coloro che quel sabato affrontarono coraggiosamente il vento fuori stagione e la bassa temperatura, c'erano: 1) Un venditore ambulante di ciambelle salate all'inizio del vialetto di Clinton Street. 2) Due suore che recitavano il rosario sedute sulla seconda panchina. 3) Una coppia di innamorati che si sbaciucchiava infilata in un sacco a pelo sull'aiuola dietro la terza panchina. 4) Un cieco seduto sulla quarta panchina, intento ad accarezzare il suo cane-guida, un pastore tedesco, e a buttare briciole ai piccioni. Il venditore di ciambelle era un agente investigativo di nome Stanley Faulk, di cinquantotto anni, con grossi baffi grigi, reclutato per l'occasione dall'88° Distretto. I baffi lo rendevano identificabilissimo quando lavorava nella zona di sua competenza, diminuendo notevolmente l'efficacia di un appostamento. Ma ottenevano anche lo scopo di terrorizzare teppisti e furfanti vicini e lontani, pressappoco come la comparsa di un'autoradio verde e bianca della polizia dovrebbe spaventare i criminali e servire da freno alla loro attività. Faulk non era molto contento di essere stato chiamato in servizio per l'87° Distretto in una giornata come quella, e si era infagottato con diversi maglioni sopra cui ne aveva infilato uno nero a cardigan del tipo in uso tra i bottegai, e sopra cui aveva messo un grembiule bianco. Se ne stava là dietro il suo carrettino carico di ciambelle. Nel carretto c'era un radiotelefono. Le due suore che recitavano il rosario erano Meyer Meyer e Bert Kling, e in realtà stavano dicendo che Peter Byrnes era stato proprio uno sporco bastardo a trattarli come aveva fatto di fronte a Willis e Hawes, perché li aveva messi in grave imbarazzo e gli aveva fatto fare la figura degli stupidi. «Io mi sento ancora più stupido adesso» mormorò Meyer. «Come mai?» mormorò Kling. «Mi sembra di essere un invertito» mormorò Meyer. Per la coppia di innamorati, incarico di lusso, Hawes e Willis avevano tirato a sorte. Il motivo per cui l'incarico era di lusso stava in un piccolo particolare: l'altra metà della coppia era un lusso in se stessa, trattandosi di Eileen Burke, una donna poliziotto con la quale Hal Willis aveva già lavora-
to anni prima in un caso di omicidio. Eileen aveva i capelli rossi e gli occhi verdi. Eileen aveva le gambe lunghe con le caviglie sottili, i polpacci ben torniti e le cosce che non finivano più. Eileen aveva bello anche tutto il resto, e anche se era molto più alta di Willis, che superava appena il metro e sessantacinque indispensabile per entrare nella polizia, a lui non gliene importava niente perché si era sempre sentito attratto dalle donne alte, e viceversa. «Dovremmo baciarci» disse a Eileen, e l'attirò a sé nel tepore del sacco a pelo. «Mi si stanno screpolando le labbra» disse lei. «Le tue labbra sono sempre belle» disse lui. «Da quanto mi risulta, siamo qui per lavoro» disse Eileen. «Mmmm» rispose Willis. «Togli le mani da lì!» disse lei. «Oh, era roba tua?» domandò lui. «Senti...» disse lei. «Ho sentito» disse Willis. «Sta arrivando qualcuno. Presto, baciami.» Lei lo baciò. Willis teneva un occhio aperto fisso sulla panchina. Passò una governante con una carrozzella. Chissà perché portare fuori un bambino così piccolo in una giornata così fredda. La donna e la carrozzella si allontanarono. «M re chsen ndata» disse Eileen. «Mmmmm?» disse Willis. Eileen staccò la bocca da quella di Hal e prese fiato. «Ho detto: "Mi pare che se ne sia andata".» «Cos'è questo?» domandò Willis di colpo. «Niente paura, è soltanto la mia rivoltella» rispose Eileen, e rise. «Voglio dire sul sentiero... Ascolta.» Ascoltarono. Qualcuno si stava avvicinando alla panchina. L'agente di pattuglia Richard Genero, seduto in borghese sulla quarta panchina, con gli occhiali neri, intento ad accarezzare la testa del pastore tedesco accucciato ai suoi piedi, a buttare briciole ai piccioni, e a desiderare l'estate, vide chiaramente il giovane che si avvicinò in fretta, andò alla terza panchina, prese la gavetta, si guardò intorno e riprese a camminare non verso l'uscita del parco, ma addentrandosi tra i prati. Al primo momento Genero non seppe assolutamente cosa fare.
L'avevano ficcato di servizio soltanto perché quel giorno c'era scarsità di uomini disponibili - prevenire i crimini è sempre un'impresa ardua, ma lo è maggiormente di sabato - e gli avevano affidato quel posto considerato il meno pericoloso. Dato che il sentiero di Clinton Street portava soltanto al recinto della banda, si era pensato che chiunque fosse andato a prendere la gavetta avrebbe immediatamente fatto dietrofront tornando verso l'ingresso del parco, in direzione di Grover Avenue, così che o Faulk con le sue ciambelle, o Hawes seduto nella sua macchina, avrebbero immediatamente iniziato il pedinamento. Invece l'uomo stava addentrandosi nel parco, e quindi andava verso la panchina di Genero, e Genero, che non era tipo particolarmente portato per le azioni violente, rimase seduto a rimpiangere di non essere a casa, a letto, con sua madre che gli preparava il minestrone e cantava vecchie arie italiane. Il cane accucciato ai suoi piedi era stato addestrato come cane-poliziotto. Nella sala-agenti, prima che uscisse per mettersi di sentinella sulla quarta panchina, avevano insegnato a Genero tre o quattro ordini da dare al cane con un gesto o con parole, ma Genero aveva paura dei cani, soprattutto di quelli grossi, e il solo pensiero di dare a quella bestia un ordine d'attacco, che magari il cane sbagliava a interpretare, lo faceva tremare di paura. Se lui dava l'ordine, e il cane saltava alla sua gola, invece che a quella del giovane che adesso era a circa un metro dalla panchina e camminava svelto voltandosi ogni tanto a guardare indietro? Se lui dava l'ordine, e quella bestia gli saltava addosso e lo faceva a pezzi, che cos'avrebbe detto sua madre? Gli pareva di sentirla: "Bravo! Hai voluto fare il poliziotto, eh?". Nel frattempo, Willis aveva fatto scivolare il suo radiotelefono tra sé ed Eileen per informare delle novità Cotton Hawes, seduto in macchina in Grover Avenue, che è proprio il posto giusto dove stare quando il tuo uomo sta andando esattamente dall'altra parte. Adesso Willis cercava disperatamente di aprire la cerniera del sacco a pelo, ma la cerniera pareva incagliata. A Willis non sarebbe dispiaciuto restare bloccato in un sacco a pelo con una ragazza come Eileen Burke, che si contorceva e si agitava assieme a lui nel tentativo di liberarsi, ma gli era di colpo balenata la visione del tenente che se lo mangiava vivo come aveva mangiato vivi Meyer e Kling quel mattino, perciò i suoi tentativi per aprire la cerniera erano autentici, nonostante l'effetto che gli procurava Eileen Burke col suo agitarsi. Naturalmente, Genero non sapeva che Hawes era stato avvertito. Lui sapeva solo che il sospetto andava verso di lui... passava davanti alla panchina... si allontanava rapidamente dalla panchina... quindi si alzò, e prima si tolse
gli occhiali, poi sbottonò il terzo bottone del cappotto come aveva visto fare tante volte dagli agenti investigativi in televisione, poi infilò una mano sotto il cappotto per prendere la rivoltella, e poi si sparò in una gamba. Il sospetto si mise a correre. Genero cadde, e il cane andò a leccargli la faccia. Willis uscì dal sacco, Eileen Burke si riabbottonò il cappotto e la camicetta e rimise a posto il reggicalze, Hawes entrò nel parco di corsa, scivolò su un punto ghiacciato vicino alla terza panchina e per poco non si ruppe l'osso del collo. «Fermo! Polizia!» gridò Willis. E, miracolo di tutti i miracoli, il sospetto si fermò di colpo, e aspettò che Willis gli si avvicinasse con la rivoltella in pugno e la faccia tutta sporca di rossetto. Il sospetto si chiamava Alan Parry. Lo informarono dei suoi diritti e lui accettò di rispondere alle loro domande senza la presenza di un legale, per quanto l'avvocato fosse lì per il caso che lui lo volesse. «Dove abiti, Alan?» domandò Willis. «Proprio qui, voltato l'angolo. Vi conosco tutti. Vi vedo continuamente in giro. Voi non mi conoscete? Abito qui, voltato l'angolo.» «Lo conoscete?» domandò Willis agli altri agenti investigativi. Scossero la testa. Gli stavano tutti attorno, il venditore di ciambelle, le due suore, i due innamorati, e quello alto coi capelli rossi, la ciocca bianca su una tempia e una caviglia dolorante. «Perché ti sei messo a correre, Alan?» domandò Willis. «Ho sentito uno sparo. In questo quartiere quando si sente sparare è meglio correre.» «Chi è il tuo compare?» «Quale compare?» «Quello che è con te nel colpo.» «Con me in che cosa?» «Nel progetto d'omicidio.» «Cosa?» «Andiamo, Alan, gioca pulito con noi, e noi giocheremo pulito con te.» «Ehi, un momento! Vi siete scelti un cliente sbagliato» disse Parry. «Come ve lo sareste diviso il malloppo?» «Quale malloppo?» «Quello che c'era nella gavetta.»
«Sentite, io non ho mai visto quella gavetta in vita mia.» «Ci sono cinquantamila dollari là dentro, amico» disse Willis. «Andiamo, Alan, lo sai benissimo, piantala di fare l'ingenuo.» O Parry non ci era cascato, oppure non sapeva che nella gavetta avrebbero dovuto esserci cinquantamila dollari. Scosse la testa e disse: «Non so niente di nessun malloppo. Mi hanno chiesto di andare a prendere la gavetta, e così ho fatto». «Chi te l'ha chiesto?» «Uno alto e biondo con un apparecchio acustico.» «E ti aspetti che ti crediamo?» disse Willis. Molte altre volte, durante l'interrogatorio di una persona sospetta, gli agenti investigativi dell'87° Distretto avevano fatto un certo giochetto. Quella di Willis era una specie di frase-chiave, e Meyer raccolse immediatamente l'imbeccata e disse: «Stai calmo, Hal» risposta con cui diceva a Willis che avrebbero dovuto sostenere una volta di più il ruolo di antagonisti. Nei concitati minuti successivi, Willis avrebbe fatto la parte del bastardo pronto a buttare un'accusa grave sulle spalle del povero indifeso Alan Parry, mentre Meyer avrebbe fatto quella del poliziotto comprensivo, animato da sentimenti paterni. Tutti gli altri, compreso Faulk dell'88°, che conosceva il gioco per essersene servito lui stesso con i compagni della sua Squadra, avrebbero assunto le funzioni di coro greco, imparziale e obiettivo. Senza degnare Meyer nemmeno di un'occhiata, Willis disse: «Cosa significa stai calmo? Questo disgraziato farabutto ha cominciato a mentire appena ha aperto bocca!» «Forse c'è davvero un biondo alto con un apparecchio acustico» disse Meyer. «Dagli almeno la possibilità di spiegarsi, no?» «Certo! Forse c'era anche un elefante a strisce con la proboscide a pallini rosa!» disse Willis. «Chi è il tuo compare, razza di mascalzone?» «Non ho nessun compare» disse Parry. Poi si rivolse a Meyer in tono supplichevole: «Per favore, volete dirgli voi che non ho nessun compare?». «Calmati, Hal» disse Meyer. «Sentiamo un po', Alan. Racconta.» «Stavo tornando a casa quando...» «Da dove?» scattò Willis. «Eh?» «Da dove venivi?» «Dalla casa della mia ragazza.» «Dove abita?»
«Qui dietro l'angolo. Nella casa di fronte alla mia.» «Cos'eri andato a fare là?» «Ecco, sapete com'è» disse Parry. «No! Non lo sappiamo» disse Willis. «Per l'amor del cielo, Hal!» disse Meyer. «Un uomo ha pur diritto di avere qualcosa di intimo e personale, no?» «Grazie» disse Parry. «Dunque, sei andato a trovare la tua ragazza» disse Meyer. «A che ora?» «Sono salito da lei che erano circa le nove e mezzo. Sua madre va a lavorare alle nove, quindi io sono salito alle nove e mezzo.» «Sei disoccupato?» abbaiò Willis. «Sì, signore» disse Parry. «Da quanto tempo?» «Ecco, vedete...» «Rispondi alla domanda!» «Ma lascialo parlare, Hal!» «Sta menando il can per l'aia!» «Sta cercando di risponderti!» Gentilmente, Meyer domandò: «Cosa stavi dicendo, Alan?». «Ecco, avevo quel lavoro, ma poi ho lasciato cadere le uova.» «Uova?» «Sì. Lavoravo nella polleria della Diciottesima Strada. Un giorno ero nel retro a mettere a posto un sacco di cassette di uova, e mentre le portavo nel frigorifero ho lasciato cadere due cassette. Così mi hanno licenziato.» «Per quanto tempo hai lavorato in quel negozio?» «Da quando ho finito le scuole.» «Quando hai finito le scuole?» domandò Willis. «Nel giugno scorso.» «Sei diplomato?» «Sì, signore, ho il diploma» disse Parry. «E che cos'hai fatto da quando hai perso il lavoro?» Parry si strinse nelle spalle. «Niente» disse. «Quanti anni hai?» domandò Willis. «Compio i diciannove... Che giorno è oggi?» «Il nove.» «Compirò i diciannove la settimana prossima, il quindici di marzo.» «Sei sulla buona strada per festeggiare il compleanno in prigione» disse Willis.
«Adesso basta» disse Meyer. «Non voglio che tu minacci questo ragazzo. Cos'è successo quando sei uscito dalla casa della tua amica?» «Ho incontrato quel tale.» «Dove?» «Davanti al "Corona".» «Davanti a cosa?» «Al "Corona". Conoscete quel cinema con le assi tutt'attorno, a tre isolati da qui?» «Lo conosciamo» disse Willis. «Ecco, lì.» «Cosa stava facendo davanti al cinema?» «Non lo so. Era là. Pareva che stesse aspettando qualcuno.» «E cos'è successo?» «Mi ha fermato e mi ha chiesto se avevo da fare. Gli ho risposto che dipendeva. E allora lui mi ha detto se mi sarebbe piaciuto fare cinque dollari. Gli ho chiesto in che modo. Lui mi ha detto che nel parco c'era una gavetta e se io andavo a prendergliela mi avrebbe dato cinque dollari. Allora io gli ho chiesto perché non andava lui, e lui mi ha risposto che stava aspettando una persona e che se si allontanava magari quell'altro arrivava, non lo vedeva e pensava che se ne fosse già andato. Così io dovevo andare a prendere la gavetta, portargliela lì, davanti al cinema, così lui non si muoveva e non rischiava di perdere l'appuntamento col suo amico. L'amico aveva l'appuntamento con lui davanti al "Corona", capite? Conoscete quel cinema, no? Una volta là davanti hanno sparato a un poliziotto.» «Ti ho già detto che lo conosciamo» disse Willis. «Allora io gli ho chiesto che cosa c'era nella gavetta, e lui mi ha detto che c'era la sua colazione, e allora io gli ho detto che con cinque dollari poteva andare a comprarsi qualcos'altro da mangiare, ma lui mi ha detto che là dentro, insieme con la colazione, c'era un altro paio di cose, io gli ho chiesto che cos'era, e lui mi ha chiesto se i cinque dollari li volevo sì o no. Allora ho preso i cinque dollari e sono andato a prendergli la gavetta.» «Ti ha dato cinque dollari?» «Già.» «Prima che tu andassi a prendere la gavetta?» «Già.» «Continua.» «Sta mentendo» disse Willis. «È la verità, lo giuro!»
«Cosa credevi che ci fosse in quella gavetta?» Parry si strinse nelle spalle. «La colazione. E qualche altra cosa. Come aveva detto lui.» «Andiamo!» disse Willis. «Ti aspetti davvero che ti crediamo?» «Ragazzo, in tutta sincerità, che cosa credevi che ci fosse nella gavetta?» domandò Meyer gentilmente. «Ecco... Sentite... non potete farmi niente per quello che io pensavo che ci fosse là dentro, vero?» «Verissimo» disse Meyer. «Se si dovesse mettere dentro uno per quello che pensa, saremmo tutti in galera, giusto?» «Giusto» disse Parry, e rise. Meyer si unì alla risata. Anche il coro greco rise. Risero tutti tranne Willis, che continuò a guardare Parry con espressione dura. «Allora, cosa pensavi che ci fosse nella gavetta?» domandò Meyer. «Droga» rispose Parry. «Sei un "siringa"?» domandò Willis. «No, signore, mai nemmeno toccata quella porcheria.» «Arrotola la manica.» «Non sono drogato, signore.» «Facci vedere il braccio.» Parry arrotolò la manica. «Okay» disse Willis. «Ve l'avevo detto» disse Parry. «Va bene, ce l'avevi detto. Cos'avevi in mente di fare con quella gavetta?» «Non capisco...» «Il "Corona" è a tre isolati da qui in direzione est. Tu hai preso la gavetta e ti sei diretto a ovest. Cos'avevi in mente di fare?» «Niente.» «Allora perché ti sei diretto dalla parte opposta a quella dove il sordo ti aspettava?» «Io non mi sono diretto da nessuna parte.» «Ah, no? Invece di tornare indietro sei andato avanti.» «Devo essermi confuso.» «Ti sei confuso al punto di dimenticarti da che parte eri appena entrato nel parco? Ti eri dimenticato che l'ingresso era dietro di te?» «No, non mi ero dimenticato dov'era l'ingresso.» «Allora, perché sei andato avanti?»
«Ve l'ho detto. Devo essermi confuso.» «Questo bastardo mente» disse Willis. «Qualunque cosa tu dica, Meyer, io adesso lo incrimino.» «Senti, aspetta un momento, solo un momento» disse Meyer. «Sai di essere in un grosso guaio se nella gavetta c'è della droga, vero, Alan?» disse Meyer. «Perché? Anche se c'è della droga, non è roba mia.» «Ecco, vedi, io lo so, e lo sai anche tu, Alan, ma la legge è molto rigorosa sul possesso dei narcotici. Sicuramente ti renderai conto anche tu che qualsiasi spacciatore preso con la merce addosso dichiara che non è sua, che deve avergliela messa in tasca qualcuno, che lui non sa da che parte sia arrivata, e via di questo passo. Dicono tutti le stesse cose, anche quando noi abbiamo la certezza del contrario.» «Già, mi figuro anch'io che sia così» disse Parry. «Perciò, puoi capire che se c'è veramente della droga là dentro, io non ti posso aiutare granché.» «Sì, capisco» disse Parry. «Lui sa benissimo che non c'è droga nella gavetta. Il suo compare l'ha mandato a ritirare il denaro» disse Willis. «No, no» disse Parry scuotendo la testa. «Tu non sapevi niente dei cinquantamila dollari, vero?» domandò Meyer, gentilmente. «Niente» disse Parry scuotendo la testa. «Ve l'ho detto che ho incontrato quel tale davanti al "Corona", e che lui mi ha dato cinque dollari per andare a prendere quel coso.» «Che tu hai poi deciso di rubare» disse Willis. «Eh?» «Avevi intenzione di riportargli la gavetta?» «Ecco...» Parry esitò. Guardò Meyer, e Meyer gli fece un cenno d'incoraggiamento. «Ecco, no» disse Parry. «Ho pensato che se c'era della droga potevo ricavarne alla svelta un po' di dollari. In questo quartiere c'è un sacco di gente disposta a pagare bene per quella roba.» «Quale roba?» domandò Willis. «Come quella che c'è nella gavetta» disse Parry. «Aprila, ragazzo» disse Willis. «No.» Parry scosse la testa. «No. Non voglio.» «Perché?» «Se si tratta di droga, non voglio saperne. E se ci sono i cinquantamila
non voglio averci a che fare. Io non so niente. Non risponderò più a nessuna domanda. Non voglio.» «Qui ci fermiamo, Hal» disse Meyer. «Va bene. Vai a casa, ragazzo» disse Willis. «Posso andare?» «Sì. Sì, puoi andare» disse Willis in tono stanco. Parry si alzò di scatto e senza voltarsi puntò dritto sul cancelletto che divideva la sala-agenti dal corridoio. Fu alle scale in un baleno, poi i suoi passi risuonarono svelti sui gradini di metallo della scala che portava al pianterreno. «Cosa ne pensate?» domandò Willis. «Che siamo esattamente al punto di partenza» disse Hawes. «Avremmo dovuto seguirlo anziché fermarlo. Ci avrebbe portato dritti dal Sordo.» «Il tenente non è di questo parere. Il tenente ritiene che nessuno sarebbe tanto matto da mandare un estraneo a prendere cinquantamila dollari. Il tenente pensa che la persona incaricata di andare a prendere il denaro doveva essere uno della banda.» «Già, ma il tenente si sbagliava» disse Hawes. «Sapete cosa penso io?» disse Kling. «Diccelo.» «Penso che il Sordo sapeva benissimo che nella gavetta non ci sarebbe stato niente. Ecco perché si è permesso di mandare un estraneo. Sapeva che la gavetta sarebbe stata vuota e sapeva che avremmo beccato chiunque fosse andato a prenderla.» «Se è così...» cominciò Willis. «Esatto. Il Sordo "vuole" uccidere Scanlon» disse Kling. I poliziotti si guardarono. Faulk si grattò la testa e disse: «Be', io farò bene a tornare alla mia Squadra, se non avete più bisogno di me». «No, vai pure. Grazie, Stan» disse Meyer. «Figurati» disse Faulk, e se ne andò. «Io mi sono divertita molto» disse Eileen Burke, poi guardò Willis con espressione maliziosa, andò al cancelletto, lo aprì, e se ne andò. «Può darsi che sia il vento...» recitò Meyer a cantilena. «Che fa fiorire i fiori...» disse Kling sullo stesso tono. «Andate all'inferno» disse Willis. Poi fece una genuflessione e concluse: «Sorelle!». A nessuno piace lavorare di sabato. Figuriamoci di sabato sera.
La sera del sabato, caro mio, è fatta per le follie. La sera del sabato è la sera in cui si esce a conquistare il mondo. La sera del sabato ci si mette la biancheria di seta pura e una toilette firmata da un gran sarto, ci si infila la camicia e si mettono i gemelli col monogramma, ci si spruzza di colonia e si ride troppo forte. La sera del sabato, la città è in un certo senso diversa, affascinante e sofisticata in nero, profumata e morbida, ma non incrollabile, bella da mozzare il fiato nella danza delle luci. Rossi e arancioni, blu elettrici e verdi brillanti aggrediscono gli occhi incessantemente, e il risultato è languido ed elettrizzante come l'effetto di una droga assorbita in un attico, un gusto gelido che evoca sogni fatti di torreggianti campanili di cristallo e minareti ricchi di smalti. La sera del sabato l'atmosfera della città è eccitante ma temperata da una romantica attesa. La città non è sgualdrina. Non la sera del sabato. Non lo è se l'amate. A nessuno piace lavorare la sera del sabato, perciò gli agenti investigativi dell'87a Squadra avrebbero dovuto essere contenti quando il Commissario di Polizia telefonò a Byrnes per dirgli che intendeva chiedere agli uomini del Procuratore Distrettuale di assumersi la responsabilità di proteggere il vice sindaco Scanlon. Se avessero avuto un minimo di buonsenso, gli agenti investigativi dell'87a Squadra avrebbero dovuto considerarsi fortunati. Invece si risentirono tutti profondamente dell'esclusione, prima Byrnes, e poi tutti gli uomini della Squadra quando Byrnes li mise al corrente della novità. Quel sabato sera se ne andarono ognuno per la propria strada, qualcuno a lavorare, altri a casa, a riposarsi, ma tutti con un profondo senso corporativista di fallimento. Nessuno di loro si rese conto di quanto era stato fortunato. I due agenti investigativi della Squadra del Procuratore Distrettuale erano poliziotti di grande esperienza, che avevano portato a termine numerosi incarichi speciali. Quella sera, quando l'autista personale del vice sindaco andò a prenderli, loro stavano aspettando sul marciapiede, davanti al palazzo del Tribunale Penale, proprio all'angolo dell'edificio dove c'era l'ufficio del Procuratore Distrettuale. Erano esattamente le otto di sera. L'autista del vice sindaco era andato a prendere la Cadillac berlina al garage municipale esattamente mezz'ora prima. Aveva passato la spazzola sui sedili, aveva spolverato la carrozzeria con un panno, aveva pulito i vetri con una pelle di daino, aveva vuotato i portacenere. Adesso notò con piacere che i due agenti investigativi erano puntuali: non sopportava i ritardi.
La macchina imboccò Smoke Rise, la strada dove abitava il vice sindaco, si fermò davanti alla casa del signor Scanlon, e uno degli agenti investigativi smontò, andò a suonare il campanello, e venne introdotto nel palazzo di mattoni da una cameriera in nero. Il vice sindaco scese l'ampia scalinata che portava nell'atrio centrale, scambiò una stretta di mano con l'agente investigativo della Squadra del Procuratore Distrettuale, scusandosi per avergli rovinato il sabato sera, fece un paio di commenti sulla "assurda stupidità di questa storia", poi chiamò la moglie per dirle che la macchina stava aspettando. Sua moglie scese la scalinata, e il vice sindaco le presentò l'agente investigativo della Squadra del Procuratore Distrettuale, e poi uscirono tutti dalla porta principale. L'agente uscì per primo, andò a dare un'occhiata dietro la siepe che fiancheggiava il vialetto d'ingresso, e poi scortò alla macchina il vice sindaco e la moglie. Aprì la portiera, e lasciò che salissero prima di lui. L'altro agente investigativo aspettava dall'altra parte della macchina, e non appena il vice sindaco e la moglie ebbero preso posto, i due poliziotti salirono a loro volta, e si sistemarono sui sedili ribaltabili, di fronte ai signori Scanlon. L'orologio del cruscotto segnava le 8,30. L'autista personale del vice sindaco mise in moto, e il vice sindaco scambiò qualche battuta scherzosa con i due agenti investigativi, mentre la macchina percorreva dolcemente le strade del quartiere residenziale di Smoke Rise, sulla riva settentrionale del fiume, e poi imboccava l'arteria di collegamento con la River Highway. La settimana precedente i giornali avevano annunciato che alle nove di quella sera il vice sindaco avrebbe tenuto un discorso al B'nai Brith, la principale sinagoga della città. La casa del vice sindaco era a soli quindici minuti di strada dalla sinagoga, quindi l'autista procedeva lentamente, guidando con estrema attenzione, mentre i due agenti della Squadra del Procuratore Distrettuale tenevano d'occhio tutte le macchine che superavano o incrociavano la Cadillac. La Cadillac saltò in aria quando l'orologio del cruscotto segnò le 8,45. La bomba era di grande potenza. Esplose sotto il cofano, proiettando pezzi d'acciaio all'interno della macchina, sfondandone il tetto come se fosse stato di carta, scaraventando le portiere sventrate di qua e di là dalla strada. La macchina, impazzita, sbandò, invase due corsie, s'impennò, si capovolse, rotolò su se stessa come una belva colpita a morte, e improvvisamente si incendiò. Una decapottabile cercò di evitare l'urto con la Cadillac in fiamme. Se-
guì una seconda esplosione. La decapottabile piombò contro il parapetto del fiume, schiantandosi. Quando arrivò la polizia, l'unica persona ancora viva era una ragazza di diciassette anni volata fuori del parabrezza infranto della decapottabile. VIII La domenica mattina, l'orario delle visite all'ospedale Buena Vista era dalle dieci a mezzogiorno. La domenica è sempre una giornata di gran traffico, più del mercoledì, per esempio, perché la sera del sabato fomenta rotture di braccia e gambe, fratture di costole, e teste fracassate. In nessun posto l'atmosfera è più febbrile che al pronto soccorso di un ospedale di una grande città il sabato sera. E la domenica mattina è naturale che la gente vada a trovare parenti e amici tanto sfortunati da essere rimasti coinvolti, la sera prima, in violenze assortite. Steve Carell si era scontrato con un certo assortimento di violenze la sera di martedì, e la domenica mattina, seduto sul letto, aspettava l'arrivo di Teddy, e si sentiva debole e pallido e con la barba lunga anche se si era rasato non più di dieci minuti prima. Dal ricovero in ospedale aveva perso quattro o cinque chili, perché risulta particolarmente difficile mangiare e respirare contemporaneamente quando si ha il naso chiuso e fasciato, ed era ancora tutto dolorante, e ogni volta che si muoveva gli sembrava di scoprire nuovi lividi e nuove ferite, per questo aveva l'impressione di avere la barba lunga. Dalla notte di martedì aveva avuto parecchio tempo per pensare, e non appena era stato in grado di mettere a fuoco le proprie sensazioni, si era sentito, in rapida successione, istupidito, furibondo, e animato da spirito di vendetta, e aveva deciso che il Sordo era responsabile di quanto gli era successo. Ottima cosa, questa, perché scaricava di ogni colpa due giovani teppisti... per tutti i santi, com'era possibile che un poliziotto della sua esperienza si facesse conciare in quel modo da due giovani teppisti?... e la scaricava invece su un criminale dei più astuti. Carell pensava che i criminali astuti fossero un comodo caposcarico, perché permettevano a un poliziotto di ignorare la propria incapacità. Una volta Meyer gli aveva raccontato un vecchio gioco di parole ebraico: una madre diceva al figlio: "Fannullone, cercati un lavoro" e il figlio rispondeva: "Non posso, sono un fannullone". La sua situazione era alquanto simile, e nel suo caso le battute potevano venire modificate così: "Come hai potuto permettere che uno dei
maggiori criminali ti combinasse in questo modo?". E la risposta logica era: "È stato facile. È uno dei maggiori criminali". Che il Sordo fosse un criminale tra i più pericolosi poteva essere materia di discussione. Carell avrebbe dovuto interpellare i suoi colleghi sulla possibilità di tenere un seminario sull'argomento non appena fosse rientrato in servizio. E secondo i medici, che gli avevano esaminato il cranio come se lui fosse un soggetto per frenologi, il rientro sarebbe avvenuto martedì, dato che, secondo la loro opinione, la perdita di coscienza significava sempre commozione cerebrale, la commozione cerebrale comportava sempre il rischio di un'emorragia interna, e in casi simili era sempre di rigore che il paziente restasse in osservazione almeno una settimana. Mai provato a discutere con un medico? Forse il Sordo non era affatto un grosso criminale. Forse era semplicemente più furbo dei poliziotti con cui si trovava a che fare, il che portava a un paio di congetture niente affatto confortanti. Data un'intelligenza superiore in azione, era possibile che delle intelligenze minori venissero a capo del piano diabolico concepito dalla prima? Ah, andiamo, pensò Carell, addirittura diabolico, adesso! Be', pensò, diabolico, sì. Perché è diabolico chiedere cinquemila dollari e poi far fuori il Commissario ai Parchi, ed è diabolico chiederne cinquantamila e poi far fuori il vice sindaco, e a questo punto viene la pelle d'oca solo a immaginare quale potrà essere la prossima richiesta, e quale la prossima vittima. Perché certamente ci sarebbe stata un'altra richiesta che, se non accolta, avrebbe portato a un'altra vittima. Oppure no? Già, com'è possibile prevedere le mosse di un grande criminale? Non si può, perché lui è un grande criminale. No, pensò Carell, è solo un essere umano che conta su alcuni risvolti certi della natura umana. Spera di realizzare un programma di minacce e vendette, e spera che ogni volta noi tenteremo di fermarlo, sapendo che falliremo costringendolo così a portare a termine la sua minaccia. E questo significava che le due prime estorsioni erano di sondaggio, di preparazione per il colpo più grosso. E dal momento che pareva avviato a dare la scalata ai gradi della municipalità, dal momento che aumentava le sue richieste moltiplicandole per dieci, Carell era disposto a scommettere che la prossima vittima annunciata sarebbe stato James Martin Vale, il sindaco in persona, e che la richiesta sarebbe stata dieci volte la precedente, cioè cinquecentomila dollari. Un bel mucchio di noccioline. O stava soltanto cercando di prevedere le mosse di un grande criminale? E poteva permettersi, lui, di farlo?
Il Sordo stava realmente preparando il terreno a un più grave omicidio oppure aveva in mente un piano ancora più diabolico? Riecco di nuovo quell'aggettivo. In quel momento entrò Teddy Carell, e l'unica cosa che Carell si trovò impegnato a prevedere fu chi dei due avrebbe baciato l'altro per primo. Dal momento che aveva il naso completamente nascosto dalle fasce, Carell lasciò che la moglie scegliesse da sé il traguardo, cosa che Teddy fece con estrema disinvoltura dovuta alla pratica, provocando in lui il desiderio di elaborare un suo progetto diabolico del tutto personale che, se messo in pratica, avrebbe costituito un caso senza precedenti e non permesso tra le mura dell'ospedale Buena Vista. Nemmeno in una camera privata. Quella domenica mattina, l'agente di pattuglia Richard Genero si trovava nello stesso ospedale, ma i suoi pensieri erano più ambiziosi che erotici. Nonostante il rigoroso riserbo ufficiale sui precedenti omicidi, un intraprendente giornalista quel mattino aveva avanzato l'ipotesi di un possibile legame tra la gamba ferita di Genero e il successivo omicidio di Scanlon. Fino a quel momento, la polizia e le altre autorità cittadine non avevano comunicato alla stampa la notizia dei tentativi di estorsione, ma il giornalista del maggior quotidiano cittadino si chiedeva, nel suo articolo, se gli agenti investigativi di "un Distretto vicino al parco" non avessero per caso avuto notizia in precedenza di un attentato alla vita del vice sindaco, e non avessero di conseguenza messa in atto una complessa trappola "durante la quale un coraggioso agente di pattuglia era destinato a restare ferito a una gamba nel tentativo di catturare il sospetto assassino". Dovunque il giornalista avesse pescato le sue informazioni, aveva però trascurato di segnalare che Genero si era ferito da solo, a causa della sua paura dei cani e dei criminali, e di una certa mancanza d'esperienza nello sparare a un individuo sospetto in fuga. Il padre di Genero, anche lui pubblico funzionario, in quanto dipendente del Dipartimento della Salute Pubblica da circa vent'anni, non sapeva che suo figlio si era ferito incidentalmente da solo. Lui sapeva soltanto che suo figlio era un eroe. Per onorare l'eroe, il signor Genero aveva portato all'ospedale un pacchetto di cannoli, e adesso lui, la moglie e il figlio, erano riuniti nella semi-intimità di una camera del quarto piano a mangiare i dolci e a discutere della quasi sicura promozione di Richard Genero ad agente investigativo di 3° grado. L'idea di una promozione non era venuta in mente prima a Genero, ma
mentre suo padre sottolineava la sua eroica azione nel parco, cominciò a vedersi nei panni di colui che aveva reso possibile la cattura. Senza di lui, senza il colpo di avvertimento, che Genero si era sparato nella gamba, forse Alan Parry non sarebbe stato fermato. Che Parry fosse poi risultato una falsa pista, a Genero non importava niente. Era facile rendersi conto, dopo, che un uomo non era pericoloso, ma mentre Parry stava correndo dritto dritto verso Genero, con una gavetta piena di Dio solo sapeva che cosa, dov'erano tutti quei bravi agenti investigativi, eh? E come potevano sapere in quel momento, mentre Genero estraeva coraggiosamente la sua pistola, che Parry sarebbe poi risultato solo un innocente babbeo? Nossignore, non era possibile saperlo, allora. «Sei stato coraggioso» disse il padre di Genero. «Sei stato tu che hai tentato di fermarlo.» «È vero» disse Genero, perché questo era vero. «Dovrebbero promuoverti.» «Dovrebbero» disse Genero. «Telefonerò al tuo capo» disse la madre di Genero. «No, mamma, non mi sembra il caso.» «Perché no?» disse la donna, in italiano. «Perché... Mamma, per favore, non parlare in italiano, lo sai che non lo capisco bene.» «Vergognati. Non capire la propria lingua! Voglio proprio telefonare al tuo capo.» «No, mamma, non è questo il modo migliore.» «Allora, qual è il modo migliore?» domandò suo padre. «Ecco, bisogna fare delle allusioni un po' qui un po' là.» «Allusioni? A chi?» «Be', a qualcuno.» «A qualcuno chi?» «Ecco, in questo stesso ospedale c'è anche Carell, forse...» «Chi è questo Carell?» domandò la madre. «Un agente investigativo della Squadra.» «Lavora dove lavori tu?» «Sì.» «È il tuo capo?» «No, è uno che lavora alla Squadra.» «Anche a lui hanno sparato?» «No, è stato picchiato.»
«Dallo stesso che ha sparato a te?» «No, non dallo stesso che mi ha sparato» disse Genero, il che era verissimo. «Allora, che cosa c'entra con te?» «Ecco, ha una certa influenza.» «Sul tuo capo?» «Ecco, non proprio. Il comandante dell'intero Distretto è il capitano Frick, quindi il capo è lui. Ma il capo della Squadra Investigativa è il tenente Byrnes, e Carell è della Squadra Investigativa. Lui e il tenente sono così» e accavallò il medio sull'indice «quindi, se parlo a Carell, lui capirà quanto sono stato di aiuto ieri per prendere quel tale, e magari metterà una buona parola per me.» «Lascia che tua madre telefoni al tuo capo» disse il padre. «No, è meglio nell'altro modo» disse Genero. «Quanto guadagna un agente investigativo?» domandò la madre. «Un capitale» rispose Genero. I meccanismi affascinavano sempre il tenente Sam Grossman, anche quando erano bombe. O forse specialmente quando erano bombe. Nessuno aveva dubbi, e non potevano essercene, di dubbi, considerata la distruzione della macchina e dei suoi cinque viaggiatori, sul fatto che qualcuno avesse sistemato una bomba nella Cadillac del vice sindaco. Inoltre, era ovvio concludere che qualcuno aveva regolato la bomba perché esplodesse a una certa ora, anziché servirsi dell'accensione per provocare lo scoppio. Questo aspetto del problema era immensamente interessante per Grossman, il quale considerava le bombe che esplodono al momento dell'accensione meccanismi assai rozzi ed elementari, all'altezza di un qualsiasi scimmione addomesticato. Quella particolare bomba era una bomba a orologeria. Ma una bomba a orologeria di tipo molto speciale. La bomba non era stata collegata all'orologio della macchina. Questo, come faceva Sam Grossman a saperlo? Qui, vi volevo! Il laboratorio di polizia non dorme mai, nemmeno di domenica! Inoltre i suoi tecnici avevano trovato due quadranti d'orologio nella carcassa della Cadillac. Uno era quello dell'orologio inserito nel cruscotto della macchina. L'altro aveva fatto parte di una sveglia a buon mercato pubblicizzata in tutta la nazione. Tra i rottami era stato anche trovato qualcos'altro d'importante: un pezzo di un convertitore con il nome della ditta costruttrice impresso a
fuoco e ancora leggibile. Questi tre pezzi erano allineati sul banco nel laboratorio di Grossman, elementi chiave di un difficile rebus. Grossman doveva semplicemente metterli insieme e trovare una brillante soluzione al problema. Quella domenica mattina Sam Grossman si sentiva particolarmente brillante perché soltanto due giorni prima suo figlio gli aveva portato a casa un bel nove nell'esame di chimica, e quando suo figlio otteneva un successo in qualcosa lui si sentiva sempre molto brillante. Allora, vediamo, pensò, con eccezionale brillantezza. Qui ho tre pezzi di una bomba a orologeria, o meglio, due pezzi della bomba, perché ritengo di poter tranquillamente eliminare l'orologio della macchina e considerarlo solo come punto di riferimento. Chiunque ha sistemato la bomba non ha voluto fidarsi del proprio orologio, dato che una differenza di un paio di minuti, anche di uno solo, poteva rovinare il piano... un minuto di ritardo, ad esempio, e il vice sindaco poteva essere già smontato dalla macchina e dentro la sinagoga. Perciò, doveva regolare l'orologio elettrico con l'ora segnata dall'orologio del cruscotto. Ma perché proprio un orologio elettrico? Semplice: non voleva un orologio che facesse tic-tac. Il rumore poteva essere notato e attirare l'attenzione, soprattutto se proveniva da sotto il cofano di una silenziosa Cadillac. Bene, vediamo dunque a che punto siamo. Abbiamo una sveglia elettrica, e abbiamo un convertitore CC-CA, il che significa che si voleva trasformare una corrente continua in corrente alternata. La batteria di una Cadillac è del tipo a 12 volts e a corrente continua, mentre un orologio elettrico funziona a corrente alternata. Quindi, non trattandosi di un detonatore collegato all'avviamento del motore, è ragionevole supporre che il progetto fosse di collegare l'orologio alla batteria, e perciò serviva un convertitore di corrente. Vediamo un po'. Per ottenere lo scopo l'attentatore aveva dovuto collegare un polo positivo alla batteria e uno negativo a qualche parte metallica della macchina, dal momento che l'auto stessa avrebbe fatto da "terra", no? Così si otteneva una fonte di corrente per l'orologio e l'orologio avrebbe funzionato. Bene. Il resto era abbastanza semplice. Doveva aver usato un detonatore elettrico, sì, la corrente per farlo funzionare c'era, infatti la maggior parte dei detonatori elettrici in commercio funzionano con passaggio di una corrente continua di 0,3 o 0,4 amperes, bene, sì, vediamo adesso, un momento, guardiamo un po'... Dunque, la batteria fornisce l'energia...
...al convertitore...
...e fa funzionare l'orologio elettrico...
... che è regolato su una certa ora, attorno alle otto, vero? Sì. Poi doveva aver trafficato un po' sull'orologio di modo che invece di scattare la suoneria della sveglia sarebbe scattato un interruttore. Così il circuito sarebbe stato completo, vediamo... sì... un collegamento con la batteria, un altro con il detonatore, e un terzo dal detonatore a qualche parte metallica della macchina. Non manca niente? No... non manca niente... Ecco, lo schema si presentava così...
Ecco fatto. L'attentatore poteva aver messo insieme la sua bomba a casa, averla portata con sé in una scatola, e aver fatto i collegamenti con la macchina in pochi minuti, naturalmente assicurandosi che tutti i cavi fossero opportunamente isolati per non correre il rischio che un passaggio di corrente provocasse un'esplosione prematura. Restava solo un problema: come aveva
fatto l'uomo ad arrivare alla macchina. Ma per fortuna questo problema non lo doveva risolvere lui. Almeno questo non toccava a lui. Fischiettando, Sam Grossman staccò il ricevitore del telefono e chiamò l'agente investigativo Meyer Meyer dell'87° Distretto. Il garage municipale era in centro, sulla Dock Street, a sette isolati circa dal Municipio. Alle dieci e mezzo, Meyer Meyer andò a prendere Bert Kling. Dopo una corsa di venti minuti lungo il River Dix, si fermarono a un parchimetro di fronte all'enorme edificio in cemento e piastrelle, e Meyer abbassò macchinalmente l'aletta parasole nonostante che, essendo domenica, le limitazioni di parcheggio non valessero. Il capo garage era un certo Spencer Coyle. Stava leggendo un fumetto di Dick Tracy e parve meno impressionato dai due agenti investigativi in carne e ossa che dalle avventure fantastiche del suo personaggio preferito, e fu con enorme sforzo che riuscì a distogliere l'attenzione dal giornale. Comunque, non si alzò dalla sedia. La sedia era spinta indietro, in bilico sulle gambe posteriori, e appoggiava con la spalliera contro la parete piastrellata del garage. Le piastrelle, di un giallo orribile, erano comuni a parecchi edifici pubblici della città e, secondo Meyer, o qualche funzionario dell'economato di vent'anni prima era rimasto influenzato da una cospicua "bustarella", o il poveretto era totalmente sprovvisto di senso del colore. Spencer Coyle rimase là seduto con la schiena contro le piastrelle, la faccia lunga, grigia di barba brizzolata, le lunghe gambe distese, il giornale piegato alla pagina dei fumetti ancora penzolante dalla mano destra, come se lui fosse riluttante a lasciarlo andare del tutto per quanto avesse smesso di leggere. Indossava la tuta marroneverdastro dei dipendenti della Sezione Trasporti, il berretto a bustina piantato sulla testa con la disinvoltura di un maggiore dell'Aviazione militare. Il suo atteggiamento dichiarava apertamente che a lui non piaceva essere disturbato mai, ma soprattutto la domenica. I due agenti investigativi lo trovarono indisponente. «Signor Coyle» disse Meyer, «ho appena ricevuto una telefonata dal laboratorio della polizia. e pare che la bomba...» «Quale bomba?» domandò Coyle, e sputò sul pavimento mancando di un centimetro le lucide scarpe di Meyer. «La bomba che è stata messa nella Cadillac del vice sindaco» disse Kling, sperando che Coyle sputasse ancora, ma Coyle non sputò. «Ah, quella» disse Coyle, come se le bombe venissero messe regolar-
mente in tutte le macchine di rappresentanza, rendendo assai arduo il compito di tener dietro a tutte le bombe seminate in giro. «Cosa c'è da dire sulla bomba?» «Il laboratorio riferisce che si trattava di una bomba molto complicata, ma che non ha richiesto molto tempo per essere collegata alla batteria della macchina, se era stata messa insieme prima. Ora, vorremmo sapere...» «Non ho difficoltà a credere che fosse complicata» disse Coyle. Non guardava in faccia i due poliziotti, e teneva gli occhi azzurri fissi su un punto all'altra estremità del garage. Kling si voltò per vedere che cosa stesse guardando, ma notò solo un'altra parete di piastrelle gialle. «Non avete idea di chi abbia messo quella bomba nella macchina, signor Coyle?» «Io non sono stato di sicuro» disse Coyle. «Nessuno ha insinuato che siate stato voi» disse Meyer. «No, tanto per intenderci subito» disse Coyle. «Il mio compito è quello di dirigere il garage, stare attento a che le macchine siano in ordine, che siano pronte a partire non appena qualcuno ne richiede una, e basta. Non ho altri incarichi.» «Quante macchine avete in garage?» domandò Meyer. «Ventiquattro Cadillac. Dodici che vengono usate regolarmente e dodici a disposizione dei pezzi grossi in visita. Poi ci sono quattordici autobus e otto motociclette. Abbiamo anche qualche macchina del Dipartimento Parchi, ma le teniamo qui soltanto per fare un favore, e perché il posto c'è.» «Chi tiene in ordine le macchine?» «Quali macchine?» «Le Cadillac.» «Quali Cadillac?» disse Coyle, e sputò di nuovo. «Sapete, signor Coyle» disse Kling «che sputare sul marciapiede è reato?» «Questo non è il marciapiede, è il mio garage» disse Coyle. «Questo non è il vostro garage, è il garage dell'amministrazione pubblica» disse Kling «ed essendo proprietà dell'amministrazione è come se fosse un marciapiede. Per la precisione, dato che la rampa d'accesso parte direttamente dalla strada, può essere considerato un prolungamento del marciapiede.» «Certo» disse Coyle. «Allora, intendete arrestarmi per questo reato?» «Allora intendete renderci la vita difficile?» domandò Kling. «Chi vi rende la vita difficile?»
«Anche a noi piacerebbe essere a casa a leggere i fumetti, invece di girare e romperci la testa sull'esplosione di una bomba» disse Kling. «Allora, come la mettiamo?» «Nessuno dei nostri meccanici ha messo la bomba in quella macchina» disse Coyle, secco. «Come fate a saperlo?» «Perché conosco bene tutti quelli che lavorano qui, e nessuno di loro ha messo una bomba in quella macchina, ecco perché lo so.» «Ieri eravate qui?» domandò Meyer. «Sì, c'ero.» «Eravate solo?» «No. C'erano anche gli uomini.» «Quali uomini?» «I meccanici.» «Quanti?» «Due.» «Di solito ne avete soltanto due in servizio?» «Di solito ne abbiamo sei, ma ieri era sabato, e avevamo solo un servizio ridotto.» «C'era qualcun altro?» «Sì. C'erano degli autisti venuti a prendere qualche macchina o a riportarla. È stato un via vai continuo. Poi doveva esserci quella faccenda della pesca a Grover Park, e qui ci sono stati parecchi autisti di autobus. Dovevano andare a raccogliere la gente del quartiere per portarla al parco dove avrebbero dovuto pescare nel lago facendo dei buchi nel ghiaccio. Ma non se n'è fatto niente.» «Perché?» «Troppo freddo.» «Quando sono venuti in garage gli autisti degli autobus?» «Sono arrivati al mattino presto e sono stati qui finché non si è saputo che tutto era stato rimandato.» «Avete visto qualcuno di loro darsi da fare attorno alla Cadillac?» «No. Sentite, state battendo una strada sbagliata. Tutte queste macchine sono state controllate proprio ieri, e sono risultate a posto in tutto e per tutto. La bomba deve essere stata messa dopo che la macchina è uscita dal garage.» «Questo è impossibile, signor Coyle.» «Be', non è stata messa certo qui.»
«Ne siete proprio tanto sicuro?» «Vi ho appena detto che le macchine sono state ispezionate, no?» «Le avete ispezionate personalmente, signor Coyle?» «No, ho altro da fare che ispezionare due dozzine di Cadillac, quattordici autobus e otto motociclette, io.» «Allora, chi le ha ispezionate, signor Coyle? Uno dei vostri meccanici?» «No, c'è stato qui un ispettore dell'ufficio autoveicoli.» «E ha detto che le macchine erano tutte in ordine?» «Le ha controllate tutte da cima a fondo.» «Ha guardato sotto i cofani?» «Ha guardato tutto, dentro e fuori. Trasmissione, sospensioni, tutto. È stato qui quasi sei ore.» «Quindi, se ci fosse stata una bomba l'avrebbe trovata, esatto?» «Esatto.» «Signor Coyle, quell'ispettore vi ha rilasciato qualcosa per iscritto che dimostri l'avvenuto controllo delle macchine e le loro condizioni?» «Perché questa domanda?» disse Coyle. «State cercando di trovare qualcuno a cui dare la colpa?» «No, vogliamo...» «State tentando per caso di passare il vostro arrosto al Servizio Autoveicoli?» «Stiamo cercando di capire come può essere sfuggita a un controllo la bomba che doveva essere sotto il cofano di quella macchina. Questo stiamo cercando di fare.» «La bomba non c'era, ecco la spiegazione.» «Signor Coyle, il nostro laboratorio afferma...» «Non me ne importa niente di quello che afferma o non afferma il vostro laboratorio. Io vi dico che tutte queste macchine ieri sono state passate al pettine fitto, cari voi, e nella macchina del vice sindaco non poteva assolutamente esserci una bomba, quando è uscita dal garage. Le cose stanno così» disse Coyle, e sputò ancora sul pavimento, per dare maggior enfasi alle sue parole. «Signor Coyle» disse Kling «avete assistito personalmente all'ispezione della macchina del vice sindaco?» «Ho visto coi miei occhi quando è stata ispezionata.» «Avete visto personalmente quando è stato alzato il cofano?» «Sì.» «E siete disposto a giurare che è stata fatta un'ispezione sotto il cofano?»
«Cosa volete dire?» «Avete realmente visto l'ispettore controllare il vano sotto il cofano?» «Non ero là a guardare da sopra le spalle dell'ispettore, se è questo che volete dire.» «Dove eravate, esattamente, quando è stata controllata la macchina del vice sindaco?» «Ero qui.» «In questo punto esatto?» «No. Dentro l'ufficio. Ma potevo vedere il garage. L'ufficio ha una parete di vetro.» «E avete visto l'ispettore sollevare il cofano della Cadillac del vice sindaco?» «Ho visto benissimo.» «Le Cadillac sono ventiquattro. Come facevate a sapere che si trattava proprio di quella del vice sindaco?» «Dal numero di targa, che conosco a memoria, come conosco a memoria quello della macchina del sindaco e quello della...» «Va bene, va bene, si trattava proprio di quella macchina e voi avete visto chiaramente...» «Sentite, quel tale ha dedicato mezz'ora a ogni macchina, non ditemi che in mezz'ora non si fa un'ispezione in piena regola.» «Ha impiegato mezz'ora anche per la macchina del vice sindaco?» «Minuto più minuto meno.» Meyer sospirò. «Dovremo parlare personalmente con lui, allora» disse a Kling. Poi tornò a rivolgersi a Coyle. «Come si chiamava, signor Coyle?» «Chi?» «L'ispettore. Quello mandato dal Servizio Autoveicoli.» «Non lo so.» «Non vi ha detto il suo nome?» domandò Kling. «Mi ha mostrato le credenziali e mi ha detto che era venuto per ispezionare le macchine.» «Che genere di credenziali?» «Le solite carte stampate con timbri eccetera.» «Signor Coyle» disse Kling «quando era venuto l'ultima volta un incaricato del Servizio Autoveicoli per ispezionare le macchine?» «È stata la prima volta ieri» disse Coyle. «Prima non avevano mai mandato un ispettore?» «Mai.»
Lentamente, con aria stanca, demoralizzata, Meyer chiese: «Che aspetto aveva quell'uomo, signor Coyle?». «Era alto e biondo, e portava un apparecchio acustico» rispose Coyle. Donner il Lardo era un informatore, era grasso, aveva una particolare simpatia per il clima caldo, e la carnagione di una tredicenne irlandese. Il termine carnagione in realtà trascendeva i confini del normale riferimento alla faccia per estendersi a tutto il corpo di Donner, che era bianco dappertutto, di un bianco malaticcio, tanto da far sospettare a Willis che fosse dedito agli stupefacenti. Ma a Willis non sarebbe comunque importato niente. Trovare un buon informatore non era facile, e Donner era uno dei migliori in circolazione, quando era in circolazione. La difficoltà, con Donner, era la sua tendenza a trasferirsi durante i mesi invernali a Las Vegas, o Miami Beach, o Porto Rico, dove passava il tempo sdraiato all'ombra, percorso dai brividi di piacere procurati dalla sudorazione e preoccupatissimo di difendere anche la più piccola porzione del suo corpo da Buddha persino dai riflessi dei raggi solari. Willis rimase sorpreso di trovarlo in città durante il marzo più freddo che i bollettini avessero mai registrato. Non fu affatto sorpreso, invece, di trovarlo in una stanza dove faceva un caldo soffocante, con tre stufe elettriche oltre ai due caloriferi normali. Seduto in una poltrona imbottita, con addosso cappotto, guanti, e due paia di calze di lana, Donner teneva i piedi appoggiati contro uno dei caloriferi. Nella stanza con lui c'era una ragazza, molto, molto giovane, con addosso una vestaglia di seta e poche altre cose, come si vedeva dalla vestaglia aperta. Ma evidentemente la presenza di un estraneo non l'imbarazzava affatto. Guardò appena Willis quando il poliziotto entrò, poi cominciò a darsi da fare per la stanza, senza nemmeno badare ai due uomini intenti a parlare tra loro a voce bassa vicino alla finestra da cui filtrava la luce del sole ancora invernale. «Chi è quella ragazza?» domandò Willis. «Mia figlia» rispose Donner, e sorrise. Donner il Lardo non era un tipo pulito, ma era un ottimo informatore, e dalla conoscenza del mondo criminale nascono a volte curiosi accoppiamenti. A Willis venne il sospetto che la ragazza "lavorasse" per Donner, dato che un informatore rispettabile si trova a volte nella necessità di qualche piccolo guadagno supplementare, e può realizzarlo, ad esempio, prendendosi qualche ragazzetta dell'Ohio e insegnandole che "ci son più cose in terra e in cielo, Orazio...". Comunque a Willis non interessava se Don-
ner era tossicomane, e non aveva interesse ad accusare di prostituzione la ragazza né a mettere nei guai Donner secondo l'articolo 1148 del Codice Penale, cioè "sfruttamento della prostituzione". A Willis interessava togliersi il cappotto e il cappello, e scoprire se Donner gli poteva dare qualche informazione su un tale chiamato Dom. «Dom e poi?» chiese Donner. «Non sappiamo altro di lui.» «Quanti credete che siano i Dom in questa città?» chiese Donner. Si rivolse alla ragazza intenta a mettere ordine nel frigorifero, e disse: «Mercy, quanti Dom credi che ci siano in questa città?» «Non lo so» rispose Mercy, senza guardarlo. «Tu personalmente, quanti ne conosci?» le domandò Donner. «Nessuno» disse la ragazza. Parlava con voce acuta e con l'accento del sud. Cancella l'Ohio, pensò Willis, e sostituiscilo con il Tennessee o l'Arkansas. «Non conosce nessun Dom» disse Donner, e rise. «E tu, Lardo? Ne conosci qualcuno?» «Non avete altre indicazioni da darmi?» «Due settimane fa, ha perso un bel po' di soldi scommettendo su un incontro di pugilato.» «Tutti quelli che conosco io hanno perso un bel po' di soldi nell'incontro di due settimane fa.» «Al momento è completamente a terra. Sta cercando di organizzare qualcosa.» «In che quartiere abita?» «Un suo amico abita a Riverhead» disse Willis. «Come si chiama questo amico?» «La Bresca. Tony La Bresca.» «Cosa mi potete dire di lui?» «Non ha precedenti.» «Pensate che il vostro Dom sia stato dentro, qualche volta?» «Non ne ho la minima idea. A quanto pare ha sentito in giro di un colpo in programma.» «È questo che vi interessa? Il colpo?» «Sì. A sentire lui, se ne parla dappertutto.» «In giro si parla sempre di qualcosa» disse Donner. «Cosa diavolo stai facendo lì, Mercy?» «Metto un po' in ordine» disse Mercy.
«Senti, vai da un'altra parte. Mi stai rendendo nervoso.» «Mettevo soltanto un po' d'ordine nel frigorifero» disse Mercy. «Non sopporto l'accento del sud» disse Donner.«A voi non dà fastidio?» chiese a Willis. «Non mi fa nessun effetto» disse Willis. «Io non riesco mai a capire bene quello che dice. Parla come se avesse una patata in bocca!» La ragazza chiuse il frigorifero, andò ad aprire l'armadio, e cominciò a spostare le grucce. «E adesso cosa fai?» chiese Donner. «Metto solo a posto i vestiti» disse lei. «Vuoi che ti sbatta fuori a calci così come sei?» chiese Donner. «No» disse lei. «Allora piantala!» «Va bene.» «Comunque è ora che tu ti vesta.» «Va bene.» «Avanti, vai a vestirti. Che ore sono?» domandò a Willis. «È quasi mezzogiorno» disse Willis. «Allora vai a vestirti» disse Donner. «Va bene» disse la ragazza, e andò nell'altra stanza. «Maledetta sgualdrinella» disse Donner «non vale neanche la pena di tenersela in giro.» «Credevo che fosse tua figlia» disse Willis. «Davvero?» disse Donner, e tornò a ridere. Willis dominò un impulso improvviso, sospirò, e chiese: «Allora, cosa ne pensi?». «Per il momento non penso niente, ragazzo mio. Niente di niente.» «Quanto tempo ti serve?» «Quanta premura avete?» «Abbiamo bisogno di sapere qualcosa al più presto.» «Di che colpo dovrebbe trattarsi?» «Forse estorsione.» «Dom, eh?» «Dom» ripeté Willis. «L'abbreviazione di Dominick, no?» «Sì.» «Be', lasciatemi il tempo di sentire un po' in giro, chi sa mai.»
La ragazza rientrò nella stanza. Indossava una minigonna, calze bianche ricamate, e camicetta rossa molto scollata. Si era messa il rossetto e aveva le palpebre verdi. «Metti il cappotto» disse Donner. «Va bene» disse lei. «E prendi la borsetta.» «Adesso la prendo.» «Non tornare a mani vuote» disse Donner. «No» disse lei, e si avviò alla porta. «Me ne vado anch'io» disse Willis. «Vi darò un colpo di telefono.» «D'accordo, ma un po' alla svelta» disse Willis. «Il guaio è che mi disturba uscire quando fa così freddo» disse Donner. La ragazza stava scendendo le scale, davanti a Willis. Scendeva senza fretta, abbottonandosi il cappotto. Willis la raggiunse, e disse: «Di dove sei, Mercy?». «Domandatelo a Lardo» rispose lei. «Lo sto chiedendo a te.» «Siete un poliziotto?» «Esatto.» «Della Georgia» disse lei. «Quando sei arrivata?» «Due mesi fa.» «Quanti anni hai?» «Sedici.» «Si può sapere cosa ci fai con uno come Donner il Lardo?» domandò Willis. «Non lo so» disse lei. Non alzò mai gli occhi a guardarlo, e continuò a tenere la testa bassa anche quando furono sul marciapiede. «Perché non ti tiri fuori da questa vita?» La ragazza lo guardò. «E dove vado?» domandò, e lo lasciò lì, avviandosi lungo la strada ancheggiando, la borsetta appesa alla spalla, i tacchi alti che battevano ritmicamente sul selciato. Quel pomeriggio alle due, la ragazza di diciassette anni rimasta ferita quando la decapottabile si era schiantata contro la spalletta del fiume, morì senza riprendere conoscenza.
Il reparto dell'ospedale Buena Vista diceva semplicemente: deceduta in seguito a lesioni craniche. IX In sala-agenti il telefono cominciò a suonare il lunedì mattina presto. La prima telefonata fu quella di un giornalista del più serio quotidiano del mattino. Il giornalista chiese di parlare alla persona che aveva il comando della Squadra, e quando gli fu detto che in quel momento il tenente Byrnes non c'era, chiese di parlare a chi lo sostituiva nel comando. «Io sono l'agente investigativo di secondo grado Meyer Meyer» gli fu detto. «In questo momento al comando ci sono io.» «Agente Meyer» disse il giornalista. «Qui parla Carlyle Butterford. Vorrei controllare un paio di informazioni.» Dapprima Meyer pensò che al telefono ci fosse qualche tipo spiritoso, perché non era possibile che uno si chiamasse Carlyle Butterford. Poi ricordò alcuni nomi letti sul giornale di quel mattino e disse: «Sì, signor Butterford, in cosa posso esservi utile?». «Questa mattina abbiamo ricevuto una telefonata...» «Da chi, signore?» «Una telefonata anonima» disse Butterford. «Sì?» «Sì. La persona al telefono ci ha consigliato di chiedere all'Ottantasettesimo Distretto notizie su certe telefonate e messaggi di estorsione che il Distretto in questione avrebbe ricevuto tanto prima della morte del Commissario Cowper quanto prima di quella del vice sindaco Scanlon.» Un lungo silenzio sulla linea. «Agente Meyer, c'è qualche fondamento di verità in questa affermazione?» «Vi consiglio di telefonare all'Ufficio Stampa del Dipartimento di Polizia» disse Meyer. «Responsabile dell'ufficio è l'agente investigativo Boyle, e lo troverete alla Centrale. Il numero è Center 6-0800.» «Lui è al corrente di questi pretesi messaggi a scopo di estorsione?» domandò Butterford. «Dovrete chiederlo a Boyle» disse Meyer. «E voi siete al corrente di questi pretesi...» «Come vi ho già detto» disse Meyer «il tenente in questo momento non c'è, ed è solo lui che generalmente dà informazioni alla stampa.»
«Ma voi personalmente, avete qualche informazione...» «Io ho un sacco di informazioni riguardo a un sacco di cose» disse Meyer. «Omicidi, rapine, truffe, furti, atti di violenza, tentativi di estorsione, tutte cose del genere. Ma come sicuramente sapete, i poliziotti sono pubblici funzionari, e la politica del nostro Dipartimento tende a scoraggiare i tentativi di mettersi personalmente in luce. Se volete parlare col tenente, dovrete richiamare verso le dieci. Per quell'ora ci sarà.» «Su, andiamo, ditemi almeno qualcosa» disse Butterford. «Spiacente, amico, ma non vi posso aiutare.» «Sono uno che lavora, io, come voi.» «Anche il tenente» disse Meyer, e riattaccò. La seconda telefonata arrivò alle nove e mezzo. Rispose il sergente Murchison di servizio al centralino, e la passò immediatamente a Meyer. «Sono Cliff Savage» disse la voce. «Vi ricordate di me?» «Fin troppo bene» disse Meyer. «Che cosa volete?» «C'è Carell?» «No.» «Dov'è?» «Fuori» disse Meyer. «Voglio parlare con lui.» «Ma lui non vuole parlare con voi» disse Meyer.«Una volta per poco non avete fatto ammazzare sua moglie, con le vostre ambizioni giornalistiche.» «Allora dovrò parlare con voi» disse Savage. «Se volete sapere la verità, nemmeno io ho molta simpatia per voi.» «Vi ringrazio» disse Savage «ma non è la verità che sto cercando.» «E che cosa cercate?» «Ho ricevuto una telefonata, questa mattina, da un tale che ha rifiutato di dire il suo nome. Però mi ha dato un'informazione interessante.» Una pausa. «Ne sapete niente voi?» Meyer sentiva il cuore battere forte, ma rispose con calma. «Non so leggere il pensiero, Savage» disse. «Credevo che ne sapeste qualcosa.» «Savage, vi ho già concesso cinque minuti preziosi del mio tempo, quindi, se avete qualcosa da dire...» «Va bene, va bene. L'uomo col quale ho parlato mi ha detto che l'Ottantasettesimo Distretto ha ricevuto diverse telefonate di minaccia prima della morte del Commissario Cowper, e tre messaggi con una richiesta di denaro
prima della morte del vice sindaco. Ne sapete qualcosa?» «Probabilmente la Società dei Telefoni potrà esservi utile se volete controllare delle telefonate, e la sezione documenti della biblioteca pubblica...» «Andiamo, Meyer, a me non la fate.» «Non ci è permesso dare informazioni ai giornalisti» disse Meyer. «Lo sapete bene.» «Quanto?» domandò Savage. «Cosa?» «Quanto volete, Meyer?» «Quanto potete permettervi di offrire?» domandò Meyer. «Che effetto vi fanno cento dollari?» «Non molto buono.» «E duecento?» «Prendo molto di più soltanto per proteggere gli spacciatori del quartiere.» «Trecento è l'offerta massima» disse Savage. «Volete per favore ripetere l'offerta in maniera che possa registrarla su nastro?» disse Meyer. «Voglio avere una prova chiara per quando vi denuncerò per tentata corruzione di un funzionario di polizia.» «Stavo semplicemente offrendovi un prestito» disse Savage. «Non si fanno e non si accettano prestiti» disse Meyer, e riattaccò. Quella storia non era piacevole. Anzi, era una storia bruttissima. Meyer stava per telefonare a casa del tenente nella speranza di raggiungerlo prima che uscisse, quando il telefono suonò di nuovo. Questa volta era uno di un giornale del pomeriggio, e disse più o meno quello che Meyer aveva già sentito dai due giornalisti precedenti, poi chiese a Meyer se era al corrente. Meyer, restio a mentire, per l'eventualità che la storia alla fine si risapesse, se la cavò alludendo all'improbabile fuga di notizie, e suggerì al giornalista di provare a sentire più tardi, col tenente. Dopo aver riattaccato, guardò l'orologio e decise di aspettare la prossima telefonata, prima di cercare di mettersi in contatto col tenente. Per fortuna i quotidiani erano soltanto quattro. Non dovette aspettare molto. Il rappresentante del quarto quotidiano chiamò dopo cinque minuti. Aveva una voce stridula e un tono tutto zucchero e miele. Non riuscì a cavare niente da Meyer, e alla fine riattaccò, furibondo. Ormai erano le dieci meno cinque, troppo tardi per trovare Byrnes a casa.
Mentre aspettava l'arrivo del tenente, Meyer si mise a schizzare un uomo in cappello floscio, che sparava con una Colt calibro 45. L'uomo era tale e quale a Meyer solo che aveva i capelli. Un tempo Meyer aveva avuto anche lui i capelli. Adesso cercò di ricordare quando. Probabilmente all'età di dieci anni. Stava sorridendo con tristezza di se stesso, quando il tenente entrò in sala-agenti. Quella mattina Byrnes aveva la faccia di chi soffre di fegato. Meyer ne dedusse che sentisse la mancanza degli imbianchini. Alla Squadra tutti sentivano la mancanza degli imbianchini. Avevano portato un tocco di umanità, di allegria, di spirito bonario, un certo non so che. «Siamo nei guai!» disse Meyer, ma prima che potesse mettere al corrente Byrnes dei nuovi guai, il telefono suonò di nuovo. Meyer sollevò il ricevitore, disse il suo nome, poi guardò Byrnes. «È il Capo della Polizia Investigativa» disse. Byrnes sospirò, ed entrò nel suo ufficio per parlare più a suo agio. Quel mattino furono fatte trentadue telefonate: i funzionari di polizia e quelli dell'amministrazione cittadina surriscaldarono i cavi telefonici che collegavano i loro uffici a quello del tenente Byrnes, nel tentativo di decidere che cosa dovevano fare dopo gli ultimi disgustosi sviluppi. Quello di cui proprio non avevano bisogno in quel caso, era la pubblicità, che gli avrebbe fatto fare la figura degli stupidi. Ma se c'era stata realmente un'indiscrezione di qualcuno della polizia a proposito dei tentativi di estorsione, era probabile che tutta la storia venisse a galla da un momento all'altro, e allora, molto meglio dare un'equa versione alla stampa prima che uscisse con la notizia. D'altra parte, l'anonimo informatore poteva aver parlato solo su intuizione, senza avere prove per convalidare la faccenda delle estorsioni, nel qual caso una dichiarazione prematura alla stampa sarebbe servita unicamente a evitare un pericolo che in realtà non esisteva. E allora, cosa bisognava fare, maledizione, cosa bisognava fare? A ogni telefonata, il dilemma aumentava. I pezzi grossi infuriavano e gli umori diventavano sempre più neri. Il sindaco, James Martin Vale in persona, rimandò una passeggiata dal Municipio a Grover Park, e telefonò personalmente a Peter Byrnes per conoscere il suo parere sulla "pericolosità della situazione". Il tenente Byrnes passò per competenza al Capo della Polizia Investigativa, che a sua volta ripassò all'87° Distretto alla persona del capitano Frick, che scaricò il segretario di James Martin Vale al Commissario di Polizia, che per motivi sconosciuti disse che prima doveva consultarsi col Commissario al Traffico, che a sua volta smistò il Commissario di Polizia al responsabile del Traffico Fluviale, che chissà perché si
rivolse all'Assessore anziano il quale telefonò a James Martin Vale per chiedergli che cosa voleva. Dopo due ore di temporeggiamenti e discussioni, fu deciso di prendere il toro per le corna, e diramare i testi delle conversazioni telefoniche e le copie fotografiche dei tre biglietti a tutti e quattro i quotidiani della città. Il primo quotidiano a riportare la storia, il giornale radicale coi titoli in blu, che quella settimana aveva iniziato la pubblicazione di un'inchiesta sul gioco clandestino del lotto, dimostrando la prevalenza delle scommesse da dieci e venti cents dovute ai giovanissimi, pubblicò in prima pagina le fotografie dei tre biglietti. L'altro giornale del pomeriggio, che dopo chiusure, cessioni, fallimenti, assorbimenti, e rinunce di altri giornali spariti dalla circolazione, era stato ribattezzato "Pierce-Arrow-Universal-InternationalBugle-Chronicle-Clarion" o qualcosa di molto simile, fu il secondo a riprodurre i biglietti in prima pagina, assieme al testo delle tre telefonate stampato in un bel carattere nero su due colonne. Quella notte, anche le due prime edizioni dei giornali del mattino riportarono per esteso tutta la storia. In cifre, adesso, quattro milioni di lettori erano al corrente delle minacce di estorsione. Ora si aspettava la prossima mossa. Quel lunedì sera, Anthony La Bresca e il suo compagno di biliardo Peter Vincent Calucci, detto Colooch, o Cooch, o Kook, si trovarono in un teatro dello Stern, alle sette. La Bresca era stato pedinato dall'uscita dal posto di lavoro, un'area di demolizione nel quartiere degli affari del centro, da tre agenti investigativi che avevano usato il sistema ABC. Considerati i fallimenti dei due tentativi precedenti, nessuno avrebbe osato rischiare ancora un insuccesso, e il sistema ABC era il più sicuro, comodo, e garantito. L'agente investigativo Pat O'Brien, per l'occasione "A", seguì Anthony La Bresca, mentre l'agente investigativo Andy Parker, "B", camminò dietro O'Brien mantenendosi in costante contatto visivo. L'agente investigativo Carl Kapek, "C", procedette parallelamente a La Bresca, ma sull'altro lato della strada. Con questo sistema, se La Bresca fosse improvvisamente entrato in un bar, o avesse svoltato un angolo per poi fermarsi a controllare, Kapek avrebbe immediatamente scambiato il suo posto con quello di O'Brien, andando ad occupare la posizione "A", mentre O'Brien, ormai bruciato, avrebbe attraversato la strada per assumere la posizione "C". Il sistema permetteva inoltre ai tre poliziotti di scambiarsi i posti a piacere e
a loro giudizio, assumendo posizioni diverse dalla iniziale, così che la combinazione poteva diventare BCA o CBA oppure CAB, o qualsiasi altra ritenuta opportuna, di modo che La Bresca non avrebbe riconosciuto per un pedinatore l'uomo che lo seguiva, dato che nessuno dei tre l'avrebbe seguito per più di un certo tempo. Con questa tattica, La Bresca non ebbe via di scampo. Anche in strade particolarmente frequentate non c'era pericolo di perderlo. In caso di folla eccezionale, Kapek si sarebbe semplicemente spostato sullo stesso marciapiede, precedendo La Bresca di quattro o cinque metri, e lo schema sarebbe diventato, in tal caso, ad esempio, C-La Bresca-A-B. In gergo alpinistico, erano legati a corda doppia. I tre poliziotti svolsero ottimamente il loro incarico, senza dare nell'occhio, senza affanno, nonostante la temperatura bassa e nonostante che La Bresca, camminatore instancabile, se li fosse portati dietro per mezza città, evidentemente per passare il tempo in attesa che arrivasse l'ora dell'appuntamento con Calucci. In teatro, i due uomini presero posto nella decima fila di poltrone. Lo spettacolo era già incominciato, e due comici in pantaloni larghi, lunghi e sformati, raccontavano di un incidente stradale che uno di loro aveva avuto con una macchina guidata da una bionda da cavare il fiato. «Vuoi dire che ti ha tamponato in pieno?» domandò uno dei due comici. «Mi ha colpito con i suoi fari» disse il secondo. «Ti ha colpito con i suoi fari?» domandò il primo. «Ti assicuro. Un vero colpo al cuore» disse il secondo. Mentre si sedeva in decima fila, sull'altro lato del passaggio, Kapek ripensò di colpo ai due imbianchini della Squadra, e si rese conto di sentire la loro mancanza. O'Brien era invece nella stessa fila, due poltrone dopo Calucci. «Qualche guaio in vista?» domandò Calucci a voce bassa. «No» rispose sommessamente La Bresca. «Cos'è la storia di Dom?» «Vuol partecipare.» «Credevo che volesse soltanto un paio di centoni.» «Questa era la pretesa della settimana scorsa.» «Adesso cosa chiede?» «Che si divida in tre.» «Digli di andare a grattarsi» disse Calucci. «Non si può. Sa tutto.» «Come l'ha saputo?»
«Non lo so. Ma è certo che sa tutto.» La tromba dell'orchestra a quattro elementi nascosta dentro la sua buca lanciò un richiamo assordante. I riflettori passarono alla luce rossa e un raggio bianco disegnò un cerchio sul sipario, a sinistra del palcoscenico. Un sassofono seguì lo squillo trionfante della tromba modulando un motivo studiato per evocare ricordi o far sorgere desideri, o entrambe le cose. Una mano guantata si affacciò, serpentina, dal sipario. «E adesso» disse una voce dall'altoparlante, mentre mezza batteria cominciava un prolungato rullo di tamburo, «e adesso siamo lieti di annunciare che, per la prima volta in America, arrivata dalla sua città, Brest, si esibirà nel suo insuperabile eccitante talento di danzatrice, per il vostro piacere... miss Freida Panzer!» Dal sipario spuntò una gamba. Fluttuò nell'aria animata di vita propria. Una scarpa nera col tacco alto sfiorò il pavimento con la punta, scattò in alto, un muscolo si tese, il ginocchio si piegò, e poi la punta della scarpa toccò ancora terra. Adesso la parte della gamba visibile era notevolmente aumentata. La calza nera di nylon avanzò lucida nel raggio del riflettore, fermata da una giarrettiera, in alto, al limite con la pelle bianca della coscia scoperta, e alla vista dell'elastico nero che premeva la carne tutti i feticisti seduti in teatro fremettero e sbavarono, per non parlare di una mezza squadra di poliziotti che pure non erano affatto feticisti. Freida Panzer ondeggiò sul palcoscenico bagnata dal riflesso delle gelatine rosse. Indossava una lunga veste rossa, aperta ai lati fino all'altezza della vita, e le calze nere e le tantalizzanti giarrettiere si offrivano alla vista ogni volta che lei muoveva un passo con le gambe lunghissime. «Guarda che gambe» mormorò Calucci. «Viste» disse La Bresca. O'Brien, seduto alle loro spalle, "guardò che gambe". Erano gambe eccezionali. «Non mi va di far partecipare qualcun altro» mormorò Calucci. «Neanche a me» disse La Bresca. «Ma cosa possiamo fare? Se rifiutiamo, quello va diritto a spiattellare tutto ai poliziotti.» «L'ha detto lui?» «Non proprio con queste parole, ma l'ha lasciato intendere.» «Razza di bastardo!» «Allora, cosa ne dici?» domandò La Bresca. «Si tratta di un bel mucchio di quattrini...»
«Credi che non lo sappia?» «Perché dividere con lui quando a progettare tutto siamo stati noi?» «Cos'altro si può fare?» «Potremmo dargli una lezione» mormorò Calucci. Sul palcoscenico la ragazza si stava togliendo i vestiti. I quattro elementi dell'orchestra raggiunsero vette altissime di espressione musicale: un colpo di tamburo a sottolineare la caduta di ogni pezzo del vestito sfogliato come una margherita, un trillo di tromba sincrono con ogni movimento del bacino, il gemito del sassofono ad accompagnare le mani della ragazza nella lunga carezza sui fianchi, un accordo di pianoforte a ritmare ogni passo delle lunghe gambe, ogni contorcimento, ogni movimento studiatamente erotico, controllato, eseguito alla luce del sorriso fisso e delle occhiate sensuali, con Calucci che mormorava: «Certo che ci sa fare» e La Bresca che rispondeva: «Già». Poi gli uomini tacquero. La musica crebbe fino a diventare assordante. La batteria più insistente, ora, la tromba che urlava in toni sempre più acuti, un do un'ottava più alta tentato e mancato, il sassofono che piangeva impaziente, il piano che martellava i diesis, i piatti della batteria impazziti, la tromba che ritentava il do e risbagliava. Le luci, diverse, sciabolavano il palcoscenico inondato di suoni e colori. Odore forte di sudore e di desiderio, nel teatro, mentre la ragazza inviava il suo messaggio servendosi di un codice svelato da tanto su troppi palcoscenici come quello, promettendo alla platea estasi e peccato... vieni, caro, da me, vieni... vieni... Il palcoscenico si spense. Nel buio, Calucci mormorò: «Tu cosa ne pensi?». Uno dei comici in pantaloni troppo lunghi, troppo larghi e tutti sformati, ricomparve con una bionda maggiorata a recitare una scenetta in cui lui faceva il medico e la bionda la paziente preoccupata per certe anomalie. «Non mi va l'idea di usare certi sistemi» mormorò La Bresca. «Se è necessario è necessario.» «Lo so, ma non mi piace.» «Si tratta di parecchi quattrini, non lo dimenticare.» «Già, ma proprio perché sono tanti si potrebbero dividere in tre, no?» disse La Bresca. «Perché dividere in tre quando si può dividere soltanto in due?» «Perché se non ci mettiamo anche lui, Dom può mandare tutto a monte. Senti, perché farla tanto lunga? Mettiamoci anche lui e basta.»
«Voglio ripensarci.» «Non hai molto tempo per pensarci. Abbiamo fissato per il quindici, e poi Dom vuole la risposta subito.» «Va bene, allora digli che c'è dentro anche lui. Decideremo dopo se dovrà essere dentro o fuori. E intendo fuori per sempre, quel bastardo.» «E adesso, signore e signori» disse la voce dell'altoparlante, «abbiamo il grande piacere di presentarvi il terremoto di San Francisco, la donna che ha fatto infiammare tutti gli ambienti della città del Golden Gate, la donna che con le sue danze esotiche ha fatto cambiare idea ai monaci di Hong Kong... È con immenso orgoglio, signore e signori, che cediamo il palcoscenico a miss... Anna... Zong!» In platea le luci si attenuarono. L'orchestra eseguì un morbido arrangiamento di "Limehouse Blues". Nell'aria vibrò l'eco di un cimbalo, e una ragazza con gli occhi a mandorla, in costume cinese, avanzò accompagnata dal raggio del riflettore, a piccoli passi, le mani unite a palma a palma, la testa china. «Le cinesi mi rimescolano tutto» disse Calucci. «Volete piantarla di chiacchierare?» disse uno spettatore calvo dalla fila davanti. «Col vostro cicaleccio non riesco a gustarmi le ragazze.» «Ma va' all'inferno, palla di biliardo» disse La Bresca. Però i due amici non parlarono più. O'Brien si protese in avanti. Parker si piegò di lato sul bracciolo. Ma non c'era altro da sentire. Sull'altro lato del passaggio, Kapek non avrebbe sentito niente comunque, quindi si limitò a guardare la cinese che si spogliava. Alla fine dello spettacolo, La Bresca e Calucci si alzarono con calma e uscirono. Fuori, si separarono. Parker seguì Calucci fino a casa, e lo stesso fece Kapek con La Bresca. O'Brien rientrò alla Squadra per preparare il rapporto. I tre agenti investigativi si ritrovarono soltanto alle undici, ora in cui La Bresca e Calucci stavano già dormendo, si sperava. Si incontrarono in un locale con la tavola calda a cinque isolati dalla Squadra. Davanti a una tazza di caffè e un vassoio di panini, ammisero in pieno accordo che l'unica cosa di cui erano venuti a conoscenza durante il loro ascolto era la data fissata per il colpo progettato da Calucci e La Bresca: il quindici marzo. Ammisero, inoltre, in pieno accordo, che Freida Panzer aveva curve più pronunciate di Anna May Zong. Nel salotto di un appartamento elegante di Harborside Oval, da dove si
vedeva il fiume, a quattro chilometri abbondanti da dove gli agenti investigativi O'Brien, Parker e Kapek stavano discutendo sulle misure delle due spogliarelliste, il Sordo stava seduto su un divano che fronteggiava una porta scorrevole, a vetri, intento a bere, soddisfatto, un whisky e soda. Le tende erano aperte, e la vista delle luci calde e brillanti allineate sui cavi elettrici sopra il ponte, e delle lontane insegne, occhieggianti in rosso e giallo lungo la riva, davano alla notte una ingannevole aria primaverile. Il termometro sul terrazzo segnava quindici gradi sotto zero. Sul tavolino davanti al divano ricoperto in morbida pelle nera c'erano due bottiglie di ottimo whisky, una già vuota. Sulla parete di fronte al divano era appeso un Rouault originale, un acquerello, ma ugualmente di gran valore. Un piano a coda si allungava verso il centro della stanza, e una ragazza bruna in minigonna e camicetta bianca di pizzo, seduta al piano, suonava e risuonava "Heart and Soul". La ragazza, ventidue o ventitré anni, si era appena fatta aggiustare il naso da uno specialista, aveva grandi occhi scuri, lunghi capelli neri che le scendevano fino a metà vita, e ciglia artificiali. Le ciglia sbattevano ogni volta che lei sbagliava una nota, il che accadeva spesso. Al Sordo le stonature evidentemente non davano fastidio. Forse era sordo davvero, o forse aveva bevuto una quantità di whisky sufficiente a renderlo insensibile. Anche gli altri due uomini presenti parevano non preoccuparsi delle cacofonie. Uno cercò persino di cantare seguendo l'interpretazione poco fedele della ragazza... finché lei non sbagliò di nuovo nota e ricominciò da capo. «Non imparerò mai» disse la ragazza, facendo il broncio. «Ci riuscirai, tesoro» disse il Sordo. «Devi solo avere costanza.» Uno degli altri due uomini era piccolo e snello, con la carnagione scura, da indiano. Indossava un paio di pantaloni neri attillati, una camicia bianca e un panciotto nero, aperto. L'altro era alto e robusto, con gli occhi azzurri, capelli e baffi rossi. Aveva la faccia cosparsa di lentiggini, e la voce, quando ricominciò a cantare, seguendo la ragazza, era profonda e sonora. Indossava un paio di blue-jeans e un maglione azzurro a collo alto. Mentre la ragazza continuava a suonare "Heart and Soul", il Sordo si sentì preso da una sensazione di languore. Seduto lì sul divano, a guardare la seconda parte del suo piano diventare realtà, godette di nuovo, intimamente, alla perfezione del progetto, poi guardò la ragazza e sorrise quando lei sbagliò ancora la stessa nota, battendo un mi bemolle al posto di un mi naturale, e poi guardò ancora Ahmad intento a battere a macchina. «La bellezza di questa parte del piano» disse a voce alta «è che nessuno
ci crederà.» «Dovranno crederci» disse Ahmad, e sorrise, appena. «Sì, ma non in questa fase.» «No, solo più tardi» disse Ahmad, e bevve un sorso di whisky, e guardò le gambe della ragazza, e poi riprese a battere a macchina. «Quanto avremo di spese postali?» domandò l'altro uomo. «Te lo dico subito, Buck» disse il Sordo «spediremo cento lettere spendendo cinque cents per lettera, quindi avremo un totale di cinque dollari... Se i miei conti sono esatti.» «I tuoi conti sono sempre esatti» disse Ahmad e sorrise. «È questo il punto che non mi riesce» disse la ragazza, e suonò e risuonò la stessa nota, quasi per imprimersela bene in mente. «Insisti, Rochelle» disse il Sordo. «Ci arriverai.» Buck prese il suo bicchiere, si accorse che era vuoto, e andò al tavolino per riempirlo. Si muoveva con economia di gesti, come un atleta, la schiena dritta, le braccia lungo i fianchi, come il ginnasta che torna alla pedana dopo un salto bene eseguito. «Lascia, faccio io» disse il Sordo. «Non troppo» disse Buck. Il Sordo versò una razione abbondante nel bicchiere che Buck gli tendeva. «Bevi» disse «te lo meriti.» «Non vorrei ubriacarmi.» «E perché no? Siamo tra amici» disse il Sordo, e sorrise. Quella sera sentiva di apprezzare particolarmente il talento di Buck, perché senza di lui una parte del progetto non si sarebbe mai realizzata. Sì, certo, una qualche bomba elementare la si sarebbe sempre potuta mettere insieme per poi collegarla al sistema di accensione, ma un sistema così rozzo, affidato al caso, non si addiceva al Sordo. La serietà con cui Buck aveva affrontato e risolto il problema era confortante. La soluzione del congegno chiuso in un pacchetto... il convertitore del peso di soli sei chili e mezzo e nelle misure di venticinque centimetri per venticinque per tredici, che non presentava difficoltà di trasporto e poteva venire collegato in poco tempo, la sua richiesta di un convertitore con un sistema di regolazione a sinusoide... era costato un po' di più, certo, 64 dollari e 95, ma in realtà un niente, raffrontato al compenso... la sua insistenza su una riunione per spiegare come maneggiare il detonatore in cui si abbinavano elettricità e dinamite, tutto era stato ammirevole. Ammirevole. Uomo in gamba, quel Buck, un esperto, che aveva prestato la sua opera in innumerevoli e legit-
time opere di demolizione, precedenti indispensabili alla realizzazione del piano studiato dal Sordo: in quello Stato non era permesso acquistare esplosivi senza uno speciale permesso e un'adeguata assicurazione, cose che Buck possedeva. Il Sordo era assai compiaciuto di averlo alle sue dipendenze. Anche Ahmad era indispensabile. Ahmad aveva lavorato come disegnatore alla "Compagnia Metropolitana Luce ed Energia Elettrica", nell'ufficio Progetti, con una paga di 150 dollari la settimana. Era stato là che il Sordo era entrato in contatto con lui. Ahmad era stato pronto ad apprezzare l'alto compenso che gli sarebbe venuto dall'adesione al piano, e aveva fornito con entusiasmo tutte le informazioni tanto necessarie alla fase finale del progetto. Inoltre era un tipo preciso e meticoloso, e aveva insistito perché tutte le lettere venissero scritte su carta di prima qualità, e perché tutte e cento le persone a cui erano destinate ricevessero una lettera originale e non una copia carbone o fotografica, un tocco destinato a evitare in chiunque il sospetto che si trattasse di uno scherzo. Il Sordo sapeva che il successo e il fallimento di un'impresa dipendono a volte proprio da un piccolo particolare del genere, e adesso sorrise ad Ahmad, per dimostrargli la propria soddisfazione, e bevve un altro sorso di whisky, e poi disse: «Quante ne hai scritte finora?». «Cinquantadue.» «Temo che bisognerà lavorare fino a tardi, allora.» «Quando dobbiamo imbucarle?» «Avevo sperato di spedirle mercoledì.» «Le finirò molto prima» promise Ahmad. «Intendete veramente lavorare qui tutta notte?» domandò Rochelle, e rifece il broncio. «Se vuoi, puoi andare a letto, cara» disse il Sordo. «A che mi serve andarci senza di te?» disse Rochelle, e Buck scambiò un'occhiata con Ahmad. «Su, vai, ti raggiungerò più tardi.» «Non ho sonno.» «Allora bevi qualcosa e suona qualche altro motivo.» «Non ne conosco altri.» «Allora leggi un libro» consigliò il Sordo. Rochelle lo guardò con espressione assente. «Oppure va' di là a guardare la televisione.» «Danno soltanto vecchi film.»
«Alcuni vecchi film sono assai istruttivi» disse il Sordo. «Alcuni sono molto noiosi, però» ribatté Rochelle. Il Sordo sorrise. «Cosa ne dici di leccare un centinaio di buste?» domandò. «No, non me la sento di leccare le buste» rispose lei. «Lo immaginavo» disse il Sordo. «Allora, cosa dovrei fare?» «Mettiti la camicia da notte» disse il Sordo. «Mmmm?» disse lei, e lo guardò inarcando le sopracciglia. «Mmmm» replicò lui. «Okay» disse lei, e si alzò dal piano. «Allora, buonanotte, amici» disse. «Buonanotte» disse Buck. «Buonanotte, signorina» disse Ahmad. Rochelle guardò ancora il Sordo, e poi passò nell'altra stanza. «Sgualdrinella senza un briciolo di cervello» disse lui. «Credo che sia pericoloso averla attorno» disse Buck. «Al contrario» disse il Sordo «serve a calmare i nervi e ad allentare la tensione della giornata. Inoltre lei è convinta che siamo tutti uomini d'affari rispettabili intenti a studiare un qualche sistema di pubblicità. Non ha la più vaga idea di quello che abbiamo in mente.» «Qualche volta non ne ho la più vaga idea nemmeno io» disse Buck, e fece una smorfia. «In realtà è molto semplice» disse il Sordo. «Stiamo lanciando un appello diretto per posta, un sistema di sondaggio e persuasione già sperimentato con profitto da industriali e commercianti di questa generosa nazione. Naturalmente, noi lo facciamo su scala limitata, appena un centinaio di lettere. Ma spero che avremo un'alta percentuale di risposte favorevoli.» «E se non sarà così?» «Ecco, Buck, proviamo a pensare al peggio. Supponiamo di ottenere l'un per cento di risposte, cioè il minimo che ci si aspetta generalmente dal sistema di sondaggio diretto. Finora le nostre spese sono state: ottantasei dollari e novantacinque per una carabina di precisione, tre dollari e settantacinque per una scatola di proiettili, sessantaquattro dollari e novantacinque per il tuo convertitore, sette dollari per la sveglia elettrica, nove e sessanta per dodici candelotti di dinamite, e cinque di spese postali. Se non ho dimenticato niente e la mia somma è giusta...» fece una pausa per sorridere ad Ahmad «... il totale è di centottantasette dollari e venticinque. Le spese future, per il voltimetro, la divisa, eccetera, dovrebbero essere trascurabili.
Ora, se avremo soltanto l'uno per cento di risposte, cioè se soltanto una delle cento persone che riceveranno la nostra lettera risponderà, avremo ugualmente un alto margine di guadagno al nostro investimento iniziale.» «Cinquemila dollari mi sembra una cifra conveniente in cambio di due omicidi» disse Buck. «Tre omicidi» corresse il Sordo. «Ancora meglio» disse Buck, e fece una smorfia. «Vi assicuro che mi aspetto assai di più dell'uno per cento di risposte. Venerdì metteremo in esecuzione la fase finale del nostro piano. Sabato mattina non ci saranno più scettici.» «Quanti credi che accetteranno?» «Parecchi. Per non dire tutti.» «E i poliziotti?» «Cosa ti preoccupa? Non hanno ancora scoperto chi siamo, e non lo scopriranno mai.» «Spero che tu abbia ragione.» «Eppure i poliziotti mi preoccupano» disse Buck. «Non so cosa farci. Sono condizionato a preoccuparmi di loro.» «Non c'è niente da preoccuparsi. Non capisci perché vengono chiamati "madama"?» «No. Perché?» «Perché non capiscono niente, sono ottusi e confusionari e antiquati e incompetenti, come una vecchia madama. La loro tecnica di indagine è vecchia e regolata da schemi fissi e sempre uguale, studiata per tempi passati che non sono più quelli, inadeguata. I poliziotti sono come giocattoli meccanici con la chiavetta della carica nella schiena, capaci solo di ciò che rientra nei loro limiti, uomini meccanici che camminano sui marciapiedi con le gambe rigide e si affannano in tondo senza fantasia. Mettigli un ostacolo sulla strada, un muro o una cassetta d'arance, e resteranno bloccati senza scampo, fermi nello stesso punto, con braccia e gambe che continuano a muoversi senza portarli da nessuna parte.» Il Sordo sorrise. «E io, mio caro, sono il muro.» «O la cassetta d'arance» disse Buck. «No» disse Ahmad in tono convinto, «il muro.» X Il primo spiraglio di luce nel caso in questione si aprì il mattino seguente
alle dieci, quando Donner il Lardo chiamò l'87a Squadra. Fino a quel momento, i punti interrogativi a proposito di quello che Calucci e La Bresca avevano in progetto erano almeno duemila. A parte considerazioni minori, come ad esempio dove sarebbe avvenuto il colpo ed esattamente a che ora del quindici marzo, i poliziotti si trovavano ad avere a che fare con diverse identità sconosciute, come quella di Dom che finora non aveva altro nome, e quella bella ragazza bionda che il precedente venerdì sera aveva dato un passaggio a La Bresca. La polizia riteneva che riuscendo a localizzare una o l'altra di queste due persone, avrebbe potuto estirpare a una o all'altra notizie sulla natura del colpo misterioso. Se questo colpo fosse o no connesso in qualche modo con i recenti delitti avrebbe costituito poi materia di ulteriore speculazione, come l'avrebbe costituita il decidere se o no La Bresca era coinvolto nelle attività del Sordo. Le domande da fare erano una montagna, se solo avessero trovato la persona a cui rivolgerle. La telefonata di Donner venne passata immediatamente. «Credo di aver trovato il vostro Dom» disse Donner a Willis. «Bene» disse Willis. «Come si chiama di cognome?» «Di Filippi. Dominick Di Filippi. Abita a Riverhead, vicino al vecchio stadio. Conoscete la zona?» «Sì. Cos'hai scoperto d'altro?» «Fa parte del Coaxial Cable.» «Ah, sì?» disse Willis. «Sì.» «E che cosa significa?» disse Willis. «Che cosa, che cosa significa?» «Quello che hai detto. È per caso una frase in codice?» «Che cosa è una frase in codice?» «Il Coxial Cable.» «No. È un complesso.» «Un complesso di cosa?» «Un complesso musicale» disse Donner. «Un'orchestra, vuoi dire?» «Sì, ma adesso si chiamano complessi. Quello dove suona Di Filippi è il Coaxial Cable.» «Non mi stai per caso prendendo in giro?» disse Willis. «No! Parlo sul serio. Si chiama davvero così.» «E Di Filippi che cosa suona?»
«Chitarra elettrica.» «Dove posso pescarlo?» «Il suo indirizzo di casa è North Anderson numero tre sei cinque.» «In Riverhead?» «Esatto.» «Come fai a sapere che è proprio il Dom che cerchiamo noi?» «Da qualche piccolo particolare» disse Donner. «Negli ultimi quindici giorni è andato dicendo in giro che aveva perso un patrimonio nell'incontro per il titolo di campione, e ha fatto credere che si trattasse di due o trecento dollari. Poi è saltato fuori che aveva perso solo cinquanta dollari...» «Continua.» «Poi, recentemente, ha detto di sapere di un grosso colpo che si sta preparando.» «A chi l'ha detto, questo?» «Ecco, uno del complesso sta in piedi a droga fin da prima che diventasse di moda. È così che ho avuto le informazioni su Di Filippi. Quel tale mi ha detto che tre o quattro giorni fa stavano "facendo un viaggio" insieme e Di Filippi è saltato fuori con la storia di un grosso colpo di cui è al corrente.» «Ha anche detto di che colpo si tratta?» «No.» «E stavano fumando marijuana?» «Già, sapete cosa significa fare un viaggio, no?» «Forse Di Filippi stava solo dando i numeri.» «Non credo.» «Ha nominato La Bresca?» «No.» «Ha detto quando dovrebbe esserci questo colpo?» «No.» «Be', non è molto quello che mi hai detto, Lardo.» «Vale però mezzo centone, non credete?» «Vale al massimo dieci dollari» disse Willis. «Ehi, un momento! Ho dovuto farne di lavoro per cavar fuori le informazioni da darvi!» «A proposito, mi viene in mente una cosa» disse Willis. «Eh?» «Togliti dai piedi la tua compagna.» «Eh?»
«La ragazza. La prossima volta che ci vediamo, voglio che lei non ci sia più.» «Perché?» «Perché ci ho pensato sopra, e l'idea non mi piace.» «L'ho già sbattuta via due volte» disse Donner «ma lei torna indietro.» «Allora forse dovresti usare i nostri dieci dollari per comperarle un biglietto di ritorno per la Georgia.» «Certo! E forse dovrei anche versare altri dieci dollari all'Esercito della Salvezza» disse Donner. «A me interessa soltanto che tu mandi via la ragazza» disse Willis. «Da quando siete diventato puritano?» «Da un momento.» «Credevo che foste un uomo col senso degli affari.» «Lo sono, infatti. E questo è proprio un affare. Lascia andar via la ragazza e io dimenticherò tutto quello che so sul tuo conto e tutto quello che scoprirò in futuro.» «Nessuno scopre niente sul mio conto» disse Donner. «Io sono il Santo.» «No» disse Willis. «Il Santo è Simon Templar. Non la guardi la televisione?» «Ma parlavate sul serio?» «Ho detto che voglio quella ragazza fuori dei piedi. Se la prossima volta te la vedo ancora intorno, ti denuncio.» «E perdete un uomo di valore.» «Forse» disse Willis. «Vorrà dire che cercheremo di arrangiarci senza di te.» «A volte mi domando perché mi do tanto da fare per aiutarvi» disse Donner. «Un giorno o l'altro te lo spiego io, se hai un momento di tempo» disse Willis. «Lasciate perdere.» «Manderai via la ragazza?» «Sì, sì, va bene. E voi mi manderete i cinquanta dollari, vero?» «Ho detto dieci.» «Facciamo almeno venti.» «Per quelle briciole che mi hai dato?» «È una traccia, no?» «Ma niente di più.»
«Bravo! Una traccia vale come minimo venticinque dollari.» «Te ne manderò quindici» disse Willis e riattaccò. Il telefono ricominciò a suonare nell'attimo stesso in cui Hal Willis appoggiava il ricevitore. Tornò a sollevarlo e disse: «Ottantasettesima, parla Willis». «Hal, sono Art, dalla scuola.» «Salve, Art.» «Stavo aspettando in linea che Murchison passasse la comunicazione. Credo di avere qualcosa per le mani.» «Spara.» «Circa cinque minuti fa La Bresca ha parlato al telefono con sua madre.» «In inglese o in italiano?» «In inglese. Le ha detto che stava aspettando una telefonata da Dom Di Filippi. Potrebbe essere il nostro uomo, no?» «Già, ha tutta l'aria di esserlo» disse Willis. «La Bresca ha detto alla madre che durante l'intervallo di mezzogiorno si sarebbe trovato con Di Filippi all'angolo della Settima Strada con Cathedral Street.» «Di Filippi ha già chiamato?» «Non ancora. La telefonata di La Bresca è arrivata soltanto cinque minuti fa.» «A che ora ha detto che dovevano trovarsi?» «Alle dodici e mezzo.» «Dodici e mezzo, angolo tra la Settima e la Cathedral.» «Esatto» disse Brown. «Manderemo qualcuno.» «Ti richiamerò. Adesso c'è un altro cliente.» Dopo cinque minuti Brown richiamò la Squadra. «Era Di Filippi» disse. «La signora La Bresca gli ha fatto la comunicazione. Pare che finalmente si arrivi a qualcosa, eh?» «Chissà» disse Willis. Dall'interno della Chrysler berlina parcheggiata in Cathedral Street, Meyer e Kling potevano vedere benissimo La Bresca fermo sull'angolo vicino alla fermata dell'autobus. L'orologio del campanile della chiesa cattolica che torreggiava sull'incrocio segnava le dodici e venti. La Bresca era in anticipo e impaziente. Andava su e giù per il marciapiede, nervoso, e accese tre sigarette una dopo l'altra. Ogni due minuti alzava la testa a guar-
dare l'orologio della chiesa e poi controllava l'ora sul suo. «Ha ragione di essere agitato» disse Kling. «Incontro al vertice per la decisione sui dividendi» disse Meyer. «Già. La Bresca dirà all'amico Dom che è dentro per un terzo. Poi Colooch deciderà se dovranno o no scaricarlo nel fiume.» «Sei a cinque che l'amico Dom finirà in un blocco di cemento.» «Per abitudine non scommetto» disse Kling. L'orologio della chiesa cominciò a suonare la mezz'ora. Qualche passante alzò gli occhi al campanile. Gli altri, i più, filavano via con la testa incassata nelle spalle per difendersi dal freddo. «L'amico Dom è in ritardo» disse Meyer. «Guarda il nostro Tony» disse Kling. «È quasi pronto a menare le mani.» «Già» disse Meyer, e rise. In macchina funzionava il riscaldamento, e lui era lì rannicchiato, insonnolito, comodo. Non invidiava La Bresca fermo sull'angolo battuto dal vento. «Cosa faremo dopo?» domandò Kling. «Appena i due si lasceranno, fermeremo l'amico Dom.» «Dovremmo prenderli tutti e due» disse Kling. «Mi vuoi dire con quale giustificazione?» «Abbiamo sentito La Bresca progettare un colpo, no? Articolo 580: Associazione a delinquere.» «Bella roba! Preferisco scoprire che colpo ha in mente e poi coglierlo sul fatto.» «Se è in combutta col Sordo ha già commesso due delitti» disse Kling. «E molto gravi, per la precisione.» «Se è in combutta col Sordo.» «Tu credi che sia così?» «No.» «Io non ne sono sicuro» disse Kling. «Forse l'amico Dom potrà dircelo.» «Se si fa vedere.» «Che ore sono?» «Venti alla una» disse Kling. «Mmmm» disse Meyer. Continuarono a guardare La Bresca. Adesso era ancora più nervoso, camminava battendosi le mani guantate sui fianchi, per vincere il freddo. Indossava lo stesso cappotto corto che aveva il giorno in cui era andato a
prendere la gavetta nel parco, la stessa sciarpa verde girata intorno al collo. «Attento» disse improvvisamente Meyer. «Cosa c'è?» «Sull'altro lato della strada. La macchina che sta accostando al marciapiede.» «La vedo. E allora?» «È la stessa bionda, Bert. Con la stessa Buick!» «Come entra in scena, quella?» Meyer mise in moto. La Bresca aveva visto la Buick, e stava andando in fretta verso la macchina. Dal loro posto d'osservazione i due poliziotti videro la ragazza buttare indietro i capelli e piegarsi di lato per aprire la portiera. La Bresca salì. Un attimo dopo la macchina si staccò veloce dal marciapiede. «Adesso cosa facciamo?» domandò Kling. «Li seguiamo.» «E Dom?» «Forse la ragazza sta portando La Bresca da lui.» «E forse no.» «Cosa perdiamo a seguirli?» domandò Meyer. «Possiamo perdere Dom» disse Kling. «Ringrazia il cielo che non siamo a piedi» disse Meyer, e inserì la Chrysler nel traffico. Quella era la parte più vecchia della città. Le strade erano strette, le case non avevano marciapiede, i pedoni attraversavano a casaccio senza tenere conto dei semafori, passando tra i veicoli in moto con la disinvoltura che viene dall'abitudine, incuranti del pericolo. «Mi piacerebbe multarli tutti per camminata pericolosa» brontolò Meyer. «Non perdere la Buick» ammonì Kling. «Ehi, figliolo, mi credi nuovo del mestiere?» «La settimana scorsa hai perso proprio la stessa macchina.» «La settimana scorsa io ero a piedi.» «Attento, stanno voltando a sinistra» disse Kling. «Ho visto.» La Buick aveva effettivamente voltato a sinistra, sboccando sul largo viale che costeggiava il River Dix. Il fiume era una lastra di ghiaccio da una riva all'altra, fenomeno verificatosi in precedenza solo due volte, nella storia della città. Privato così del suo normale via-vai di battelli e rimorchia-
tori, il River Dix si allungava verso Calm's Point come una piatta pianura del Kansas, coperto da una fitta coltre uniforme di neve che nascondeva la superficie ghiacciata. Ai lati del viale, gli alberi spogli si piegavano nel vento che infuriava dal fiume. Anche la pesante Buick sembrava che faticasse a procedere in mezzo alle raffiche, e ogni tanto sbandava, costringendo la bionda a fare forza sul volante. Poi la ragazza accostò al marciapiede, e spense il motore. Sul viale, unico rumore il sibilo del vento. Fogli di giornali volavano nell'aria come grossi uccelli senza testa. Un rivestimento di damigiana venne giù lungo il viale, rotolando. Dietro la Buick, a un isolato di distanza, dal parabrezza della Chrysler berlina senza contrassegni, Meyer e Kling tenevano d'occhio la macchina. Il vento comprometteva l'ascolto delle chiamate-radio. Kling alzò il volume. «E adesso?» domandò. «Aspettiamo» disse Meyer. «Fermiamo la ragazza quando il colloquio è finito?» domandò Kling. «Già.» «Pensi che sappia qualcosa?» «Lo spero. Deve esserci in mezzo anche lei, non credi?» «Non so. Calucci ha parlato di dividere in tre. Se erano già in tre...» «Ma forse lei è la ragazza dell'amico Dom.» «Vuoi dire che agisce per lui?» «Certo. Forse Dom sospetta che gli altri vogliano eliminarlo, e così manda la ragazza al suo posto e lui se ne sta al sicuro da qualche parte a suonare la chitarra.» «È possibile» disse Meyer. «Del resto, tutto è possibile.» «Osservazione estremamente ponderata» disse Meyer. «Guarda» disse Kling. «La Bresca sta smontando dalla Buick.» «Incontro breve» disse Meyer. «Andiamo a prendere la ragazza.» Mentre La Bresca proseguiva lungo il viale, Meyer e Kling smontarono dalla Chrysler. Il vento per poco non li buttò a terra. Incassarono la testa e si misero a correre. Non volevano che la ragazza mettesse in moto e se ne andasse prima che loro l'avessero raggiunta, e speravano di evitare una lunga caccia in macchina per tutta la città. Meyer sentì accendersi il motore della Buick. «Forza!» gridò a Kling, e i due uomini coprirono di volata gli ultimi cinque metri, Meyer scendendo sulla strada, Kling allungando il braccio ad
aprire la portiera dalla parte del marciapiede. La bionda al volante indossava un paio di pantaloni e un giaccone grigio. Si voltò a guardare Kling quando lui spalancò la portiera, e Kling notò con sorpresa che non era truccata e che aveva lineamenti marcati e volgari. Mentre sbatteva le palpebre, perplesso, notò anche un'altra cosa: la ragazza aveva le guance e il mento segnati da un'ombra che aveva tutta l'aria di essere una barba di tre giorni. La portiera dalla parte del guidatore venne aperta di colpo. Meyer diede un'occhiata alla "ragazza" dietro il volante, e disse: «Il signor Dominick Di Filippi, immagino!». Dominick Di Filippi era molto orgoglioso dei suoi lunghi capelli biondi. Nell'intimità della sala-agenti se li pettinò spesso, e spiegò agli agenti investigativi che i componenti di un complesso dovevano fare tipo, mi spiego? E tutti quelli del suo complesso avevano delle caratteristiche particolari, capito? Il batterista, ad esempio, portava gli occhiali con la montatura di metallo alla Benjamin Franklin, quello della prima chitarra portava i capelli pettinati in avanti a fare frangia sugli occhi, e il pianista metteva sempre camicie e calze rosse, e così capite che ognuno aveva una sua caratteristica. I capelli lunghi non erano stati esattamente un'idea sua, in altri complessi ce n'erano un sacco con i capelli lunghi, per questo lui adesso si stava lasciando crescere la barba da abbinare ai capelli. La sua barba era di un biondo rossiccio, spiegò, e una volta cresciuta sarebbe stata una cannonata, e gli avrebbe conferito un aspetto singolare, suo personale, distintivo, capito? «E adesso che sapete questo, mi dite che cosa faccio in una stazione di polizia?» domandò poi. «Siete un musicista, vero?» chiese Meyer. «L'avete detto.» «È il mestiere che fate per guadagnarvi da vivere, vero?» «Be', il complesso l'abbiamo formato da poco.» «Da poco quanto?» «Tre mesi.» «Già avuto qualche ingaggio?» «Certo.» «Quando?» «Ecco, abbiamo fatto delle audizioni.» «Vi hanno pagato per suonare in qualche posto?»
«Ecco, no, non ancora. Pagato no. Ma anche i Beatles hanno cominciato dal niente, sapete?» «Già.» «Hanno cominciato suonando in quelle cantine fetenti di Liverpool, sapete, dove guadagnavano sì e no un penny per sera tra tutti.» «Okay, Dom, lasciamo perdere un momento la storia della musica, eh? Parliamo invece di un altro genere di affari, eh?» «Già, parliamo ad esempio del perché sono qui, eh?» «Mettilo al corrente della legge» disse Kling. «Sì» disse Meyer, e passò all'esposizione della Miranda-Escobedo. Di Filippi ascoltò attentamente. Quando Meyer ebbe finito, lui mosse su e giù la testa bionda, e disse: «Se voglio posso avere un avvocato, eh?» «Sì.» «Voglio un avvocato» disse Di Filippi. «Ne avete in mente uno in particolare o volete che ve ne procuriamo uno noi?» «Ne ho in mente uno in particolare.» Mentre gli agenti investigativi che stavano nella sala-agenti aspettavano ottusamente e "madamescamente" che arrivasse l'avvocato di Di Filippi, Steve Carell, ormai fuori del letto, decise di scendere al quarto piano per fare una visita all'agente Genero. Genero era seduto sul letto, con la gamba ferita ancora fasciata ma in via di rapida guarigione. Parve sorpreso di vedere Carell. «Ehi!» disse «questo sì che è un onore. Davvero vi ringrazio di essere venuto qui.» «Come va, Genero?» domandò Carell. «Così, cosi. Fa ancora male. Non sapevo che potesse fare tanto male. Nei film si vede continuamente un sacco di uomini che si prendono una pallottola, e cadono giù, ma non danno l'impressione che faccia male.» «E invece fa male» disse Carell e sorrise. Poi si sedette sull'orlo del letto. «Vedo che qui avete la televisione» disse. «Sì, è di questo del letto vicino.» Genero abbassò la voce. «Ma lui non la guarda mai. Credo che stia molto male. Non fa che dormire o lamentarsi. Secondo me, non se la cava.» «Che cos'ha?» «Non lo so. Dorme e si lamenta, e basta. Le infermiere gli stanno attorno continuamente, notte e giorno, o per dargli una medicina o per fargli un'i-
niezione... Vi assicuro che pare di essere in una stazione, con tutto questo va e vieni.» «Non è poi tanto male» disse Carell. «Cosa volete dire?» «Il fatto che le infermiere vadano e vengano.» «Ah, no! Per questo non mi lamento affatto» disse Genero. «Ce ne sono certe che è proprio un piacere vederle!» «Com'è successo?» domandò Carell indicando con la testa la gamba di Genero. «Non lo sapete?» domandò Genero. «Ho solo sentito che ti eri preso una pallottola.» «Già» disse Genero, ed esitò. «Stavamo cercando di prendere quel tale che sapete. Quando è venuto nella mia direzione, io ho estratto la rivoltella per sparare un colpo di intimidazione.» Esitò ancora. «Ecco com'è andata» concluse. «Proprio una scalogna» disse Carell. «Be', uno se le deve aspettare queste cose. Se uno sceglie come lavoro di fare il poliziotto, allora deve aspettarsi cose del genere. Fanno parte del suo lavoro.» «Certo.» «Ecco, sì, guardate un po' cos'è successo a voi» disse Genero. «Mmmm» disse Carell. «Certo, voi siete della Investigativa» disse Genero. «Mmmm» disse Carell. «E allora è più comprensibile.» «Cioè?» «Ecco, ci si aspetta che un agente investigativo corra più pericolo che non un normale agente di pattuglia, no? Voglio dire, un normale agente di pattuglia, quello che se ne va in giro calmo in divisa, che non ha scelto il lavoro di polizia vero e proprio come scopo della sua vita, ecco, voglio dire, non ci si aspetta che rischi la vita nel tentativo di arrestare un sospetto, no?» «Be'...» disse Carell, e sorrise. «Voi ve lo aspettate, forse?» insistette Genero. «Tutti cominciano come agenti di pattuglia» disse Carell. «Sì, certo. Solo che quando si parla di un agente in divisa, si pensa a uno che dirige il traffico o aiuta i bambini ad attraversare la strada o prende informazioni in caso di un incidente, cose così, insomma, no? Non ci si im-
magina che debba rischiare la vita, comunque.» «Molti agenti di pattuglia sono stati uccisi in servizio» disse Carell. «Sì, sì certo, lo so. Io sto solo dicendo che, in genere, non ci si aspetta che debba succedere.» «In realtà non si pensa mai che debba succedere a noi personalmente.» Silenzio nella stanza. «Certo che fa male» disse Genero. «Comunque, spero che mi lascino andare via presto. Non vedo l'ora di tornare in servizio.» «Non cercate di affrettare i tempi» disse Carell. «Voi quando uscirete?» «Credo domani.» «Vi sentite bene?» «Sì, benissimo.» «Vi hanno rotto le costole, eh?» «Già. Tre.» «E anche il naso.» «Già.» «Brutta faccenda» disse Genero. «Ma voi siete della Investigativa.» «Mmm» disse Carell. «L'altro giorno sono stato su in sala-agenti» disse Genero. «Ho dovuto prendere il posto dei ragazzi che erano venuti a trovarvi. È stato prima della sparatoria. Prima che mi prendessi quel colpo.» . «Come ti sei trovato in quella gabbia di matti?» domandò Carell, e sorrise. «Oh, credo di essermela cavata bene» disse Genero. «Naturalmente c'è molto da imparare, ma forse con la pratica uno poi ci fa la mano.» «Certo» disse Carell. «Ho fatto una lunga chiacchierata con Sam Grossman...» «Brav'uomo, Sam.» «... già, nel laboratorio. Abbiamo riveduto insieme i risultati delle prove di quei biglietti. Brav'uomo, Sam.» «Già.» «E poi è arrivato un ragazzo con un altro biglietto, e io l'ho trattenuto finché non sono tornati i ragazzi. Credo di essermela cavata bene.» «Ne sono più che sicuro» disse Carell. «Ecco, bisogna essere molto coscienziosi se ci si aspetta che un lavoro diventi quello di tutta la vita» disse Genero. «Certo» disse Carell. Si alzò, fece una smorfia al momento di raddriz-
zarsi, poi disse: «Be', vedo che te la cavi». «Sto bene, grazie. Ho apprezzato molto la vostra visita.» «Bene» disse Carell e sorrise, e si avviò alla porta. «Quando rientrerete alla Squadra» disse Genero «salutatemi tutti, eh.» Carell lo guardò con l'aria di non capire. «Tutti gli altri ragazzi» disse Genero. «Cotton e Hal, Meyer e Bert. Tutti quelli che erano in quell'operazione con me.» «Oh, sì, certo.» «E ancora grazie per essere venuto a trovarmi...» «Non parlarne nemmeno.» «Salve... Steve» osò dire Genero, mentre Carell usciva. L'avvocato di Di Filippi era un certo Irving Baum. Arrivò in sala-agenti senza fiato, e per prima cosa chiese agli agenti investigativi se avevano informato il suo cliente dei suoi diritti. Ricevuta l'assicurazione che Di Filippi era stato trattato con tutto il rispetto alla costituzione, fece un cenno con la testa, si tolse il cappello scuro e il pesante cappotto in tinta, depose l'uno e l'altro bene in ordine sulla scrivania di Meyer, e poi domandò di che cosa si trattava. Irving Baum era di aspetto gradevole, con baffi e capelli bianchi, occhi scuri dallo sguardo cordiale, e un suo certo modo di muovere la testa, quando qualcuno parlava, con piccoli cenni che parevano segni di approvazione. Meyer gli disse in breve che la polizia non aveva intenzione di incriminare Di Filippi, ma semplicemente voleva da lui un paio di informazioni. Baum non vide alcun motivo perché il suo cliente non desse tutta la sua collaborazione. Fece quindi un cenno di testa a Di Filippi e poi disse: «Coraggio, Dominick, rispondi pure alle loro domande». «Va bene, signor Baum» disse Di Filippi. «Volete dirci il vostro nome completo e l'indirizzo?» disse Meyer. «Dominick Americo Di Filippi, North Anderson Street numero tre sei cinque, Riverhead.» «Professione?» «Ve l'ho già detto. Sono un musicista.» «Scusate un momento» disse Baum. «L'avete già interrogato prima del mio arrivo?» «Calma, avvocato» disse Meyer. «Gli abbiamo chiesto solo che cosa faceva per vivere.» «Va bene» disse Baum, e piegò la testa di lato con l'aria di chi sta cer-
cando di decidere se era stata o no commessa un'ingiustizia. «Va bene» disse «continuate pure.» «Età?» domandò Meyer. «Ventotto anni.» «Scapolo o ammogliato?» «Scapolo.» «Chi è il vostro parente più prossimo?» «Scusatemi» disse Baum «ma se volete solo avere qualche informazione, perché queste domande da scheda d'archivio?» «Signor Baum» disse Willis, «voi siete qui insieme con il vostro cliente, perciò non continuate a preoccuparvi. Lui non ha detto niente che possa farlo finire in cella. Non ancora.» «È soltanto normale trafila, avvocato» disse Meyer. «Sono sicuro che lo capite.» «Va bene, va bene, continuate» disse Baum. «Allora, il vostro parente più prossimo?» «Mio padre. Angelo Di Filippi.» «Che mestiere fa?» «Lo scalpellino.» «Difficile trovare un buon scalpellino al giorno d'oggi» disse Meyer. «Già.» «Dom» disse Willis, «che legame avete con Tony La Bresca?» «È un mio amico.» «Perché oggi vi siete incontrato con lui?» «Così, come si incontrano due amici.» «È stato un incontro molto breve» disse Willis. «Già, breve.» «Venite sempre giù fino in centro per vedere qualcuno per cinque minuti?» «Be', Tony è un amico...» «Di che cosa avete parlato?» «Di musica» disse Di Filippi. «In che senso?» «Ecco, un cugino di Tony si sposerà presto, e lui voleva sapere se si poteva avere il nostro complesso.» «Voi, cosa gli avete detto?» «Che eravamo liberi.» «Quando dovrebbe essere questo matrimonio?»
«Il... ecco, in giugno.» «In giugno. Che giorno?» «Non mi ricordo la data esatta.» «Allora come fate a sapere che sarete liberi?» «Ecco, non abbiamo nessun impegno per giugno, quindi sapevo già che saremmo stati liberi.» «Siete voi l'amministratore del complesso?» «No.» «Allora perché La Bresca ha parlato con voi?» «Perché siamo amici, e aveva sentito parlare del complesso.» «Quindi oggi avete parlato del matrimonio di suo cugino?» «Si, esatto.» «Quanto gli avete detto che sarebbe costato il complesso?» «Gli ho detto, ecco gli ho detto settanta dollari.» «Quanti sono gli elementi del complesso?» «Cinque.» «Allora, quanto viene a testa?» domandò Meyer. «Viene, ecco... settanta dollari diviso cinque.» «E quanto fa?» «Fa, ecco... cinque nel sette uno e riporto di due, cinque nel venti quattro, viene quattordici dollari a testa.» «Però quando avete chiesto settanta dollari non lo sapevate, vero?» «Certo che lo sapevo.» «Perché allora avete fatto la divisione proprio adesso?» «Solo per controllare.» «Quindi avete detto a La Bresca che il complesso era libero e che sarebbe costato settanta dollari. E poi?» «Lui ha detto che ne avrebbe parlato con suo cugino, e poi è sceso dalla macchina.» «Tutto qui l'argomento della vostra conversazione?» «Sì.» «E non avreste potuto parlarne al telefono?» «Certo, avremmo potuto.» «Allora perché non l'avete fatto?» «Ecco, mi fa piacere vedere Tony ogni tanto. Siamo buoni amici.» «Perciò, siete venuto fino in centro per vederlo?» «Esatto.» «Quanto avete perso in quell'incontro di boxe per il titolo?»
«Oh, non molto.» «Quanto?» «Dieci dollari più o meno. Ma voi come fate a saperlo?» «I dollari non erano per caso cinquanta?» «Può darsi, ma non mi ricordo. Come fate a saperlo?» Di Filippi si rivolse a Baum. «Come fanno a sapere della scommessa?» domandò all'avvocato. «Come fate a saperlo?» domandò l'avvocato ai poliziotti. «Avvocato, se non avete niente in contrario» disse Meyer «le domande le facciamo noi, a meno che non troviate qualche obiezione da sollevare.» «Nessuna obiezione. Finora tutto regolare, ma vorrei sapere a cosa mirate.» «Sono sicuro che tra un po' vi sarà chiaro» disse Meyer. «Ecco, agente Meyer, mi piacerebbe saperlo subito, di che cosa si tratta, se no potrei sentirmi spinto a consigliare al mio cliente di non rispondere.» Meyer fece un lungo sospiro. Willis si strinse nelle spalle, rassegnato. «Abbiamo la sensazione che il vostro cliente sappia qualcosa di un progetto criminoso» disse Meyer. «Che progetto sarebbe?» domandò Baum. «Se ci permettete di continuare a interrogarlo...» «Non posso permetterlo se prima non mi rispondete» disse Baum. «Signor Baum» disse Willis «possiamo incriminarlo per mancata denuncia in base all'articolo cinque sette zero del Codice Penale, oppure per...» «Un momento, giovanotto» disse Baum «volete prima spiegarmi la vostra affermazione?» «Sì, signore. Abbiamo motivo di ritenere che al vostro cliente sia stato promesso denaro o altro per non rivelare quello che sa di una prossima azione criminosa. Ora, questo è reato grave o reato minore, signor Baum, a seconda della natura del crimine che il signor Di Filippi ha accettato di non rivelare. Indubbiamente, sono cose che voi sapete.» «E quale sarebbe il crimine che lui ha accettato di non denunciare?» «Possiamo anche incriminarlo per complicità, articolo cinque otto zero, nel caso in cui sia personalmente coinvolto nella progettazione del crimine.» «Avete l'assoluta certezza che verrà commesso un crimine?» domandò Baum. «Ne abbiamo la ragionevole certezza, sì, signor Baum.» «Vi rendete conto, immagino, che nessun accordo significa complicità a
meno che oltre all'accordo non venga fatta qualche azione tesa a raggiungere lo scopo in oggetto.» «Sentite, signor Baum» disse Meyer «qui non siamo in tribunale, quindi non mettiamoci a fare un processo, eh? Non abbiamo intenzione di incriminare il vostro cliente, e non lo faremo se lui collabora un po' e risponde...» «Mi auguro di non ravvisare una minaccia in questa vostra dichiarazione» disse Baum. «Insomma, piantiamola» disse Meyer. «Sappiamo che certi Anthony La Bresca e Peter Calucci stanno progettando un crimine, di cui ignoriamo la natura, e che intendono portarlo a termine il quindici marzo. Abbiamo anche buoni motivi per credere che il vostro cliente sappia di cosa si tratta e abbia chiesto agli altri due del denaro per non rivelare niente alla polizia. Ora, signor Baum, non vogliamo arrestare La Bresca e Calucci per associazione a delinquere perché, primo, l'accusa non reggerebbe senza quell'azione di cui voi parlate, e secondo, tutto potrebbe rivelarsi un reato minore, una volta scoperto cosa bolle in pentola. Come certamente saprete, se La Bresca e Calucci hanno in programma un omicidio, un rapimento, una rapina aggravata, lo spaccio di narcotici, estorsione o incendio doloso, e se oltre all'accordo che li unisce hanno commesso qualche azione tesa a favorire il loro scopo, sono entrambi colpevoli di un reato grave. Saprete certamente, inoltre, che di recente sono stati assassinati due alti funzionari della nostra città. Ora, non è esclusa la possibilità che La Bresca e Calucci siano in qualche modo coinvolti in quei due omicidi, che l'azione criminosa in progetto sia in relazione a un nuovo omicidio o a una estorsione, o a entrambi, il che avvalorerebbe automaticamente l'accusa di associazione a delinquere. Come vedete, dunque, non stiamo affatto accanendoci contro la persona del vostro cliente, ma vogliamo semplicemente prevenire un crimine. Detto questo, possiamo piantarla con tutti i cavilli legali e avere da voi un po' di collaborazione, specialmente da lui?» «A me sembra che finora abbia collaborato magnificamente» disse Baum. «A me sembra che finora abbia mentito magnificamente» disse Meyer. «Considerato quello che c'è sotto...» cominciò Baum. «Signor Baum, per favore...» «... ritengo che fareste meglio a incriminare il signor Di Filippi con una delle accuse che ritenete più rispondente. Lasceremo che sia il tribunale a decidere la sua innocenza o la sua colpevolezza.»
«E intanto, due farabutti portano a termine il loro colpo, vero?» «Non mi interessa prendere in trappola due delinquenti» disse Baum. «Consiglio il mio cliente di non dare altre risposte, facendo appello ai diritti che gli vengono garantiti dall'applicazione di...» «Grazie, signor Baum.» «Intendete incriminarlo o no?» «Intendiamo incriminarlo» disse Meyer. «Con quale accusa?» «Per mancata denuncia, articolo cinque sette zero del Codice Penale.» «Molto bene. Allora vi consiglio di sbrigarvi a regolare la sua posizione» disse Baum. «L'avete già trattenuto senza giustificazione anche troppo a lungo. So che vi renderete conto...» «Signor Baum, noi ci rendiamo conto di tutto. Hal, portalo giù e fallo incriminare.» «Ehi, aspettate un momento» disse Di Filippi. «Ti consiglio di non protestare» disse Baum. «Prima che abbiano anche solo cominciato, avrò fatto i miei passi per ottenere il rilascio su cauzione, e ti ritroverai fuori in meno...» «Aspettate un momento, ho detto» disse Di Filippi. «Che cosa succede se questi procedono con la loro...» «Dominick, ti consiglio di non parlare.» «Ah, sì? Cosa mi capita con questa storia dell'associazione a delinquere o come diavolo si chiama?» «Dipende da quello che faranno i vostri amici» disse Meyer. «Dominick...» «Se loro commettono un crimine punibile con la morte o con l'ergastolo, potete prendervi cinque anni. Se commettono...» «E per una rapina?» domandò Di Filippi. «Dominick, in qualità di tuo avvocato, devo di nuovo consigliarti...» «E per una rapina?» ripeté Di Filippi. «È una rapina che hanno in progetto?» domandò Meyer. «Non mi avete risposto.» «Se commettono una rapina e voi accettate denaro da loro per non dire niente, potete prendervi tre anni.» «Ah!» disse Di Filippi. «Volete rispondere a qualche domanda?» «Se rispondo, dopo mi lasciate andare?» «Dominick, non sei obbligato a...»
«A voi piacerebbe andare in galera per tre anni?» domandò Di Filippi. «Non hanno prove, stanno soltanto...» «No? Allora come fanno a sapere che il loro colpo verrà fatto il quindici di marzo? Dove l'hanno saputo questo? Gliel'ha mormorato nell'orecchio qualche passerotto?» «Noi siamo stati leali con voi, Dominick» disse Willis «e, credetemi, non avremmo parlato come abbiamo fatto se non avessimo in mano materia su cui procedere. Se volete, potete aiutarci; in caso contrario vi incriminiamo e vi portiamo giù per la registrazione dell'accusa, e per tutto il resto della vita risulterà a vostro carico un procedimento d'arresto. Cosa preferite?» «Questa è coercizione!» gridò Baum. «Può darsi, ma è anche un fatto innegabile» disse Willis. «Vi dirò tutto quello che so» disse alla fine Di Filippi. Sapeva parecchio e disse tutto. Disse che la rapina era fissata per le otto di venerdì sera, e che la vittima prescelta era il proprietario di una sartoria di Culver Avenue. L'ora e il giorno del colpo erano stati fissati in base al fatto che il sarto, certo John Mario Vicenzo, il venerdì sera metteva insieme gli incassi di tutta la settimana, e portava a casa il denaro in una piccola scatola di metallo, scatola che sua moglie Laura portava poi alla Fiduciary Trust la mattina del sabato. La Fiduciary Trust era l'unica banca del quartiere che restava aperta anche il sabato mattino fino a mezzogiorno. John Mario Vicenzo, o John il Sarto com'era conosciuto in Culver Avenue, era sulla settantina, facile avversario, quindi. Il bottino sarebbe stato cospicuo, spiegò Di Filippi, sufficiente ad assicurare una grossa cifra a tutti anche se diviso in tre. Il piano consisteva nell'entrare nel negozio alle otto meno dieci, appena prima che John il Sarto abbassasse le tende della vetrina. Al posto del sarto, le tende le avrebbe abbassate La Bresca, che avrebbe poi chiuso a chiave la porta mentre Calucci doveva costringere il vecchio a passare nella retrobottega, minacciandolo con una rivoltella, per poi legarlo e lasciarlo lì per terra dietro la macchina stiratrice. Insieme avrebbero quindi vuotato la cassa di tutto il denaro accumulato durante la settimana, poi se la sarebbero svignata. Che John il Sarto restasse vivo o no sarebbe dipeso dalla sua buona volontà nel collaborare. Di Filippi spiegò di aver sentito per caso tutto il progetto una sera nella pizzeria della Terza Strada Sud, dove La Bresca e Calucci, insieme in uno
scomparto accanto al suo, senza accorgersene avevano parlato a voce un po' troppo alta. Al primo momento gli aveva dato fastidio che due italiani volessero prendere di mira il negozio di un altro italiano, ma poi si era detto che in fondo non era affar suo, e poi l'unica cosa che lui non aveva mai fatto in vita sua era fare la spia. Questo, però, prima dell'incontro di pugilato. Poi la scommessa persa l'aveva lasciato all'asciutto. Preso dal bisogno disperato di un po' di soldi, si era ricordato di quello che aveva sentito nella pizzeria, e aveva tentato di partecipare agli utili della rapina. Da parte degli altri due non avrebbe dovuto trovare resistenza, perché in fondo il malloppo era parecchio grosso, e dividere in tre non sarebbe poi stato un danno. «Di quanto denaro si tratta?» domandò Willis. «Quanto?» disse Di Filippi facendo roteare gli occhi. «Ci saranno almeno quattrocento dollari, e forse anche di più.» XI Mercoledì accaddero un sacco di cose. Ad esempio, mercoledì fu scoperto che qualcuno aveva rubato dalla sala-agenti i seguenti pezzi: Una macchina per scrivere. Sei penne a sfera. Un ventilatore. Un thermos. Una scatola di tabacco da pipa. Quattro saponette. Nessuno riuscì a immaginare chi poteva essere stato. Nemmeno Steve Carell, che era stato rilasciato dall'ospedale e che portava in giro con estrema delicatezza le sue costole rimesse insieme, riuscì a immaginare chi poteva essere stato. Un paio di spiritosi consigliarono che Carell, essendo un invalido, venisse assegnato alla soluzione del Grande Giallo della Sala-Agenti, ma il tenente Byrnes decise che era meglio assegnarlo invece alla sorveglianza della sartoria insieme con Hal Willis. Così, quel mercoledì a mezzogiorno i due si avviarono al negozio di John il Sarto. Ma prima di mezzogiorno accaddero parecchie altre cose. Sì, quello fu indubbiamente un mercoledì parecchio laborioso. Alle otto del mattino, per esempio, un agente in servizio di ronda telefo-
nò per riferire di aver trovato un cadavere in un portone, e che il cadavere gli pareva proprio quello di un morto bruciato. Questo voleva dire che i due incendiari avevano colpito di nuovo durante la notte, e che bisognava fare qualcosa, e molto alla svelta, prima che quelli annaffiassero di benzina tutti i barboni della città. Kling, aveva risposto lui al telefono, ordinò all'agente di restare accanto al cadavere finché non fosse arrivata la macchina dell'obitorio, e l'agente si lamentò che sotto il portone e in tutta la strada c'era una puzza insopportabile. Kling gli disse che quella era indubbiamente una seccatura, ma che avrebbe dovuto lamentarsene con il capitano Frick. Alle nove e un quarto arrivò Sadie la Balorda a raccontare a Willis del maniaco sessuale che la notte prima aveva attentato alla sua integrità. Sadie la Balorda aveva settantotto anni, era completamente sdentata, da circa quattro anni proteggeva la propria integrità, e ogni mercoledì mattina, immancabilmente, o per telefono, o di persona, informava la Squadra che durante la notte un uomo si era introdotto in casa sua e aveva tentato di usarle violenza. La prima volta, circa quattro anni prima, la polizia le aveva creduto, pensando che fosse saltato fuori un nuovo strangolatore di Boston, questa volta nel territorio di loro competenza. Avevano immediatamente iniziato le indagini, ed erano arrivati persino ad assegnare l'agente investigativo Andy Parker alla sorveglianza dell'appartamento della vecchia signora. Ma il mercoledì seguente, di mattina, Sadie si era ripresentata in sala-agenti a denunciare un nuovo tentativo di violenza, nonostante che Parker avesse passato un noioso martedì notte ben sveglio e sul chi vive nella cucina della donna. Gli spiritosi della Squadra avevano suggerito che l'estroso maniaco fosse proprio Parker, ipotesi che Parker aveva trovato assai poco divertente. Ormai si erano convinti tutti che Sadie era matta, e che avrebbero avuto frequenti visite o telefonate da lei. Non avevano ancora capito però che le visite e le telefonate sarebbero arrivate con puntualità da cronometro ogni mercoledì mattina, né che la fantasia di Sadie avrebbe avuto carattere stabile e immutabile come la stessa sala-agenti. Il passionale aggressore era sempre alto e atletico, assomigliava sempre a Rodolfo Valentino, indossava sempre un mantello nero sopra un abito da sera, nero, una camicia bianca e cravattino nero. Cominciava sempre a spogliarsi lentamente con gesti tantalizzanti, e intanto diceva a Sadie di non gridare perché lui non intendeva farle del male, ma solo, erano parole di Sadie, "farla sua". Invariabilmente, Sadie aspettava fino a un certo punto, poi urlava. Allora l'uomo "volava" fuori atterrando sulla scala di sicurezza come Dou-
glas Fairbanks in uno dei suoi film, e spariva. Quel mercoledì, la storia di Sadie fu esattamente la stessa di tutti gli altri mercoledì degli ultimi quattro anni. Willis prese nota, e promise che avrebbero fatto tutto il possibile per assicurare il maniaco alla giustizia. Sadie la Balorda uscì dalla sala-agenti compiaciuta ed eccitata, già pregustando la visita notturna della prossima settimana. Alle dieci meno un quarto, arrivò una donna a denunciare la scomparsa del marito. La donna, una bruna avvenente, sui trentacinque anni, indossava un cappotto verde che si intonava ai suoi occhi da irlandese. Aveva la faccia arrossata dal freddo e sprizzava vitalità nonostante l'ansia per la scomparsa del marito. Durante il colloquio, comunque, Meyer venne a sapere che l'uomo non era affatto suo marito, ma quello della sua migliore amica che abitava in Ainsley Avenue nell'appartamento accanto al suo. In seguito ad altre domande, la signora con gli occhi verdi spiegò a Meyer che lei e il marito della sua migliore amica avevano una relazione da tre anni e quattro mesi, che tra loro non erano mai corse parole grosse, e che erano molto attaccati l'uno all'altro. Ma la sera precedente, quando la migliore amica di occhi verdi era andata alla parrocchia a giocare a bingo, occhi verdi e il marito dell'amica avevano avuto una discussione feroce, perché lui voleva "farlo" proprio lì in casa, sul divano del soggiorno, coi bambini di là che dormivano, e lei aveva rifiutato perché non sarebbe stato dignitoso e allora lui si era messo cappello e cappotto, ed era uscito col freddo che faceva. Non era ancora tornato, e per quanto l'amica di occhi verdi fosse convinta che lui stesse smaltendo qualche sbornia, dato che il marito era evidentemente un tipo che beveva, occhi verdi sentiva terribilmente la sua mancanza, e credeva in tutta sincerità che l'uomo fosse scomparso per causa sua, e se avesse saputo che avrebbe fatto una cosa simile l'avrebbe lasciato fare a suo modo, perché, sapete come sono gli uomini. Sì, Meyer disse che lo sapeva. Così, nonostante che la moglie non ritenesse necessario denunciare la sua scomparsa alla polizia e tirarsi addosso i poliziotti, occhi verdi temeva che lui commettesse un gesto disperato, essendosi visti negati i suoi favori, e quindi invocava l'intervento della legge per ritrovarlo, e farlo tornare in seno alla sua famiglia e ai suoi cari, perché, sapete come sono gli uomini. Sì, ripeté Meyer. Quindi Meyer prese appunti, e intanto cercava di ricordarsi quando mai lui aveva tentato di adempiere i suoi doveri coniugali con Sarah sul divano del soggiorno, coi bambini addormentati nelle loro stanze, e si rese conto
di non aver mai tentato di compiere i suoi doveri coniugali sul divano del soggiorno. Decise che ci avrebbe provato quella sera, e poi assicurò la signora dagli occhi verdi che avrebbero fatto tutto il possibile per ritrovare il marito della sua migliore amica, ma che lei non aveva motivo di preoccuparsi perché probabilmente l'uomo era andato a passare la notte in casa di qualche conoscente. «Già» disse allora occhi verdi «è proprio di questo che mi preoccupo.» «Oh» disse Meyer. Quando occhi verdi se ne fu andata, Meyer archiviò i dati per un'eventuale necessità futura, non volendo oberare prematuramente di lavoro l'Ufficio Persone Scomparse. Stava cominciando a battere a macchina un rapporto su una rapina, quando l'agente investigativo Andy Parker arrivò con Lewis il Borseggiatore. Parker rideva a crepapelle, ma Lewis non sembrava altrettanto divertito. Era alto e magro, con un'ombra bluastra sulle guance, occhi azzurri penetranti, e capelli biondi e sottili. Indossava un impermeabile chiaro e guanti di pelle marrone, portava un ombrello appeso al braccio, e guardò tutti con espressione cupa, mentre Parker continuava a ridere a più non posso. «Guardate un po' chi ho preso!» disse Parker, ed esplose in uno scoppio convulso di risa. «Cosa c'è di tanto speciale?» disse Meyer. «Salve Lewis, come vanno gli affari?» Lewis guardò Meyer con espressione cupa. Meyer si strinse nelle spalle. «Il miglior borseggiatore del quartiere!» disse Parker con le lacrime agli occhi. «Indovinate che cos'è successo?» «Cos'è successo?» domandò Carell. «Stavo al banco, nel locale di Jerry, conoscete? La tavola calda?» «Sì, e allora?» «E allora voltavo la schiena alla porta. Provate un po' a indovinare?» «Prova a dircelo.» «Sento che qualcuno mi infila una mano in tasca in cerca del portafoglio. Lo afferro per il polso, mi giro con la rivoltella nell'altra mano, e indovinate chi era?» «Chi era?» «Lewis!» disse Parker, e riscoppiò a ridere. «Il miglior borseggiatore del quartiere aveva scelto un poliziotto per fare affari!» «È stato un errore» disse Lewis, con la faccia scura. «Oh, sì, bello! È stato proprio un grosso errore!» tuonò Parker.
«Mi voltavate le spalle» disse Lewis. «Lewis, amico mio, tu adesso vai dentro» disse Parker allegramente, e poi aggiunse: «Andiamo, adesso ti incriminiamo in piena regola prima che tu metta le mani sul portafoglio di Meyer». «Non mi sembra che ci sia da ridere» disse Lewis, e seguì Parker fuori della sala-agenti, sempre con la faccia scura. «A me pare molto divertente, invece» disse Meyer. Proprio in quel momento, un uomo fece la sua comparsa al cancelletto divisorio, e domandò in inglese stentato se qualcuno parlava italiano. Carell disse che lui parlava italiano, e invitò l'uomo alla sua scrivania. L'uomo lo ringraziò, si tolse il cappello, lo appoggiò sulle ginocchia dopo essersi seduto, e cominciò a raccontare la sua storia. A quanto pareva qualcuno si divertiva a buttare rifiuti nella sua macchina. «Spazzatura?» domandò Carell. «Sì, spazzatura» disse l'uomo. Da una settimana, continuò l'uomo, c'era qualcuno che di notte andava a buttare spazzatura sui sedili della sua macchina. Spazzatura di tutti i generi. Scatolette vuote di birra o cibi conservati, avanzi della cena, torsoli di mela, fondi di caffè, tutto. E tutto sui sedili della macchina. «Perché non chiudete le portiere?» domandò Carell. Ecco, spiegò l'uomo, lui chiudeva la macchina tutte le sere, ma non serviva a niente. La prima volta quel porco, per fare il suo sporco lavoro, aveva rotto il vetro di un finestrino, e aveva aperto la portiera. Quindi non faceva differenza anche se lui chiudeva a chiave, perché quello continuava ad aprire passando la mano dal vetro rotto, e poi buttava la sua spazzatura sui sedili, e la macchina cominciava a puzzare come una fognatura. Carell domandò se non conosceva nessuno che fosse tipo da fare una cosa simile. L'uomo disse di no, non conosceva nessuno che potesse fare una simile porcheria. Allora Carell domandò se c'era qualcuno che ce l'avesse con lui. L'uomo disse di no, lui era amato e rispettato da tutti. Allora Carell disse che avrebbero mandato un uomo a controllare quello che succedeva. «Sì, per piacere» disse l'uomo, poi si rimise il cappello, scambiò una stretta di mano con Carell, e uscì dalla sala-agenti. Erano le dieci e trentatré. Alle dieci e trentacinque, Meyer telefonò a Raoul Chabrier, all'ufficio
del Procuratore Distrettuale, passò tre minuti a chiacchierare piacevolmente con Bernice, e finalmente gli venne passato Chabrier. «Salve, Rollie» disse Meyer «che cos'hai trovato?» «A che proposito?» disse Chabrier. «A proposito di quel libro intitolato...» «Ah, sì.» «Te ne sei dimenticato» disse Meyer, in tono d'accusa. «Senti» disse Chabrier, «hai mai provato a occuparti di due casi contemporaneamente?» «Mai» disse Meyer. «Ecco, ti assicuro che non è comodo. Sto preparando un caso e intanto devo aggiornarmi su un altro. Non pretenderai che mi preoccupi anche di un maledetto romanzo?» «Veramente...» disse Meyer. «Lo so, lo so» disse Chabrier «te l'avevo promesso.» «Ecco...» «E me ne occuperò. Te lo prometto di nuovo, Meyer. E non sono tipo da mancare a una promessa. In nessun caso. Te l'ho promesso e te lo riprometto adesso. Qual era il titolo?» «"Meyer Meyer"» disse Meyer. «Ma sì, certo. "Meyer Meyer". Me ne occuperò immediatamente, e ti richiamerò. Te lo prometto. Bernice!» gridò «prendi nota di richiamare Meyer.» «Quando?» disse Meyer. Erano le dieci e trentanove. Alle undici meno cinque, un uomo alto e biondo, con un apparecchio acustico, e in mano una scatola di cartone, entrò nel l'ufficio postale di Hale Street, in centro. Andò direttamente agli sportelli, appoggiò la scatola sul banco, e la spinse verso l'impiegato. Nella scatola c'erano 100 lettere sigillate e affrancate. «Tutta corrispondenza di città?» domandò l'impiegato. «Sì» rispose il Sordo. «Tutte affrancate?» «Tutte.» «Bene» disse l'impiegato, e vuotò la scatola sul lungo tavolo alle sue spalle. Il Sordo aspettò. Alle undici, l'impiegato cominciò a far passare le lettere alla timbratura. Il Sordo tornò a casa, dove Rochelle gli andò incontro sulla porta.
«Spedita tutta la corrispondenza?» domandò la ragazza. «Spedita» disse il Sordo, e sorrise. John il Sarto non ne voleva sapere. «Non voglio poliziotti nel mio negozio» disse chiaro e tondo in un inglese approssimativo. Pazientemente Carell gli spiegò, in inglese, che la polizia era a conoscenza di un piano per una rapina che avrebbe dovuto avvenire la sera di venerdì, alle otto, ma che il tenente aveva pensato di mettere due uomini di guardia nel retro del negozio fin da quella sera, per il caso che i rapinatori cambiassero idea e decidessero di fare il colpo prima. Assicurò John che sarebbero andati a mettersi tranquillamente dietro la tenda che divideva il negozio vero e proprio dal retro, senza dare fastidio. «Voi siete matto» disse John il Sarto, in italiano. Dopo di che Carell si mise a parlare anche lui in italiano, e John il Sarto rimase molto impressionato dal fatto che Carell fosse italiano come lui. Una volta, John il Sarto aveva scritto una lettera ai responsabili di una serie televisiva molto popolare, protestando perché nei telefilm c'erano troppi delinquenti italiani. La sua famiglia era composta da settantaquattro persone, tutte lì negli Stati Uniti, in quella città, da moltissimi anni, e nessuno di loro era un criminale, anzi, erano tutti onesti e volonterosi lavoratori. E allora perché la televisione faceva cose da cui sembrava che tutti gli italiani fossero ladri? Aveva ricevuto risposta da un qualche assistente del direttore del programma, che gli spiegava in una lettera che non tutti i criminali dei telefilm erano italiani, infatti c'era anche qualche ebreo e qualche irlandese. L'affermazione non aveva affatto raddolcito John il Sarto, il quale era tutt'altro che stupido, anzi, e in grado di capire benissimo la differenza basilare tra le frasi "Non tutti gli italiani sono criminali" e "Non tutti i criminali sono italiani". Perciò adesso era assai compiaciuto di avere nel suo negozio un poliziotto italiano, anche se quella presenza significava che lui doveva ammettere degli estranei nella retrobottega. A John il Sarto non piacevano gli estranei, anche se erano poliziotti italiani. Inoltre, quell'altro, quello piccolo, non era sicuramente italiano. Il negozio del Sarto faceva buoni affari, per quanto Carell non credesse a un incasso di quattrocento dollari alla settimana, cifra calcolata da La Bresca e Calucci. Si domandò perché mai quei due volessero rischiare di finire in prigione da un minimo di dieci anni a un massimo di trenta, pena stabilita per le rapine aggravate, per un'impresa che avrebbe fruttato tutt'al più
quattrocento dollari. Non sarebbe mai riuscito a capire la mentalità dei criminali. Per esempio, non capiva il Sordo. L'enorme rischio che aveva corso, era assolutamente pazzesco: un colpo che poteva fruttargli cinquantamila dollari contro la possibilità dell'ergastolo. Senza dubbio, un uomo della sua intelligenza e delle sue capacità sapeva che l'amministrazione cittadina non avrebbe attinto ai suoi fondi ed elargito cinquantamila dollari unicamente perché qualcuno minacciava di commettere un omicidio. Le probabilità contro il pagamento di un simile ricatto erano infinite, e chiunque abile nel calcolo delle probabilità se ne doveva rendere conto. Inoltre, il Sordo non aveva sperato di ricevere il denaro, ma aveva proprio voluto uccidere il vice sindaco come aveva già ucciso il Commissario ai Parchi. Ma perché? Il Sordo poteva essere qualsiasi cosa, ma Carell non se n'era fatta l'idea di uno che ammazza per gusto. No, il Sordo era un affarista astuto che giocava su un rischio calcolato. E gli uomini d'affari non corrono mai rischi a meno che non abbiano qualche speranza di guadagno. Il Sordo aveva cominciato col chiedere cinquemila dollari, aveva avuto un rifiuto, e aveva commesso un delitto. Poi aveva chiesto cinquantamila dollari sapendo benissimo che avrebbe avuto un secondo rifiuto, e aveva commesso un altro delitto. Poi aveva informato i giornali dei suoi falliti tentativi di estorsione, e da allora non si era più fatto vivo. Dunque dov'era il guadagno? Ma sarebbe arrivato, bello, di questo Carell ne era certo. Nell'attesa, stava seduto nella retrobottega di John il Sarto a domandarsi quanto poteva guadagnare un buon operatore di macchina stiratrice. XII Signor Carl Wahler Marshall Avenue, 1121 Isola Caro signor Wahler, se considererete questa lettera uno scherzo, morirete. Qui di seguito vi esponiamo i fatti. Leggete attentamente. Può essere la vostra salvezza. 1) Il Commissario ai Parchi, Cowper, ha ignorato un avvertimento, ed è stato ucciso.
2) Il vice sindaco Scanlon ha ignorato un avvertimento, ed è stato ucciso. 3) Il prossimo sarà JMV. Verrà ucciso venerdì sera. Che cosa c'entra tutto questo con voi? 1) Questo è il "vostro" avvertimento. L'unico preavviso che riceverete. Non ce ne saranno altri. Ricordatevelo. 2) Dovrete prelevare dal vostro conto in banca cinquemila dollari in biglietti di piccolo taglio e non segnati. 3) La prossima settimana qualcuno si metterà in contatto telefonico con voi. L'uomo col quale parlerete vi dirà come dove e quando dovrà essere consegnato il denaro. 4) Se respingerete la richiesta, anche voi sarete ucciso. Senza preavviso Non crogiolatevi in false speranze. La polizia non è riuscita a salvare né Cowper né Scanlon, che pure erano stati avvertiti in anticipo. Non sarà in grado di salvare nemmeno JMV. Quale possibilità avrete di salvarvi, voi, se non pagando? Quale possibilità avrete mai se intendiamo colpire senza preavviso? Procuratevi il denaro. Avrete ancora nostre notizie. Presto. Giovedì le lettere vennero consegnate in cento case. Quel mattino il Sordo era molto allegro. Girellava per l'appartamento fischiettando, rivedendo mentalmente, e soddisfatto, il suo progetto, assaporandone le sottigliezze, gustando l'idea che sabato mattina cento persone finanziariamente solide sarebbero state prese dal panico. Poteva supporre ragionevolmente che alle cinque di giovedì sera la maggior parte dei destinatari avrebbero ricevuto e letto la sua lettera, formandosene almeno una prima opinione. Lui si aspettava che qualcuno, dopo averla guardata furibondo, l'avrebbe ridotta a una palla cincischiata per buttarla immediatamente nella spazzatura. Si aspettava inoltre che sei o sette, paranoici e simili, avrebbero subito telefonato alla polizia, o magari sarebbero anche andati di persona al posto di polizia più vicino, con la lettera in mano, indignati, a chiedere protezione. Questa parte del piano, lui la riteneva particolarmente buona. Il sindaco era stato avvertito, sì, certo, ma molto indirettamente. Il sindaco sarebbe venuto a conoscenza della minaccia alla sua vita soltanto perché sei o sette cittadini terrorizzati avrebbero informato la polizia.
E domani sera, per quanto avvertito in anticipo, il sindaco sarebbe ugualmente morto. Sei mesi prima, quando il Sordo aveva cominciato il lavoro preliminare, in base al suo progetto, erano venute alla luce diverse notizie alquanto interessanti. Per cominciare, aveva scoperto che chiunque desiderasse conoscere con esattezza l'ubicazione delle condutture sotterranee dell'acqua non doveva fare altro che rivolgersi al Servizio Rifornimento Acqua, stanza n. 1720 del Municipio, dove le piante del sottosuolo erano a disposizione del pubblico. Allo stesso modo si potevano avere le piante del sistema di fognature, rivolgendosi al Servizio Lavori Pubblici nell'ufficio principale del medesimo palazzo. Sfortunatamente, il Sordo non aveva alcun interesse nelle condutture dell'acqua e nemmeno nella rete di fognature. A lui interessava l'elettricità. E aveva scoperto in fretta che per motivi ovvii, le piante dei cavi elettrici sotterranei non erano a disposizione del pubblico. Quelle piante erano conservate nell'Ufficio Archivio della Compagnia Metropolitana Luce ed Energia Elettrica, e venivano elaborate da un ufficio composto in gran parte da disegnatori. Ahmad aveva fatto parte di quella schiera di disegnatori. La prima pianta che Ahmad aveva consegnato al Sordo portava l'intestazione: "Rete a 60 cicli - Zona Periferica di Isola - Parte bassa", e riportava l'ubicazione di tutte le cabine esistenti in quel settore della città. L'area che interessava personalmente il Sordo era quella definita "Residenziale Cameron". La casa del sindaco era all'angolo della South Meridian Street con Vanderhof Street, nel quartiere residenziale Cameron. La cabina che erogava l'energia elettrica alle case di South Meridian Street e Vanderhof Street era segnata con un cerchio rosso e una croce, e aveva la denominazione "South Meridian - 3". In questa cabina passavano cavi ad alta tensione provenienti da una cabina di smistamento situata in un altro punto della rete di erogazione. Se si voleva far piombare la casa del sindaco nel buio, la sera del delitto bisognava danneggiare irrimediabilmente quei cavi di rifornimento. La seconda pianta fornita da Ahmad fu quella del "Sistema di allacciamenti" e riportava lo schema ingrandito e dettagliato dei cavi ad alta tensione che portavano l'energia a ogni particolare cabina. Una volta localizzata sullo schema particolareggiato la cabina che sulla prima pianta era denominata "South Meridian - 3", il Sordo poté identificare il numero di riferimento del cavo: 65CA3. Questo lo portò al terzo schema, ancora più particolareggiato, e definito semplicemente, modestamente, "65CA3", con un
sottotitolo che diceva "Ubicazione della Cabina South Meridian". Lo schema, un lungo diagramma che riproduceva la strada percorsa dal cavo sotto la pavimentazione della città, era seminato da numeri in corrispondenza dei tombini che davano accesso ai cavi. Nelle sue circonvoluzioni sotterranee che lo portavano dalla cabina centrale di smistamento alla cabina di rifornimento, il cavo 65CA3 toccava undici tombini. Il Sordo scelse quello a ottocento metri circa dalla casa del sindaco, e si annotò il numero: M3860 - 42SMS - CENT. L'ultima pianta, la più importante, fu quella che localizzava con esattezza il tombino. M3860 era situato in Faxon Drive, 42 metri a sinistra del marciapiede sinistro di Harris Street, al centro del viale, ecco perché quel 42SMS - CENT. I cavi ad alta tensione che passavano là, sotto il piano stradale, erano cinque, ed erano protetti da un tubo di cemento al quale si accedeva da un tombino pesante centodieci chili. Venerdì sera, Ahmad, Buck e il Sordo avrebbero sollevato il tombino, e una delle bombe di Buck si sarebbe incaricata dei cavi con estrema efficienza. E poi... Ahhh, poi... La parte più stupenda del piano veniva ancora dopo, e il Sordo sorrise, pensandoci... Immagina la casa del sindaco alle dieci della sera seguente, circondata da poliziotti e agenti investigativi in servizio speciale, tutti là per proteggere da ogni violenza l'onorevole JMV. Immagina se stesso, al volante di una berlina nera, accostare con sicurezza la macchina al marciapiede davanti all'edificio buio, la torcia elettrica di un poliziotto che illumina la scritta dorata sulla portiera anteriore: "Compagnia Metropolitana Luce ed Energia Elettrica" ottenuta con lettere a pressione che Ahmad aveva accuratamente applicato sulle due portiere anteriori, prezzo di ogni lettera otto cents, spesa totale quattro dollari e ottanta. Vede aprirsi le portiere. Tre uomini smontano dalla macchina. Due indossano tute da operaio, spesa 6 dollari e 95, da Sears & Roebuck. Il terzo è in divisa di sergente della polizia, completa di nastrino di benemerenza appuntato sul lato sinistro del petto sopra il distintivo, provenienza "Noleggio Costumi Teatrali", costo 10 dollari al giorno più 75 dollari di cauzione, e in più il distintivo giallo del Servizio di Emergenza del Dipartimento di Polizia applicato alla manica, 1 dollaro e 25 al Magazzino Divise, di fronte alla sede della Centrale di Polizia. «Chi siete?» domanda il poliziotto in servizio, e fa scorrere il raggio del-
la torcia sulla macchina. Buck, in divisa da sergente, fa un passo avanti. «Tutto regolare» dice Buck. «Sono il sergente Pierce, Servizio Emergenza. Questi sono gli uomini della Compagnia Elettrica. Stanno tentando di localizzare il guasto all'impianto.» «Bene, sergente» risponde il poliziotto. «Tutto tranquillo, qui?» domanda Buck. «Finora sì, sergente.» «Meglio controllare l'attrezzatura di questi uomini» dice Buck. «Non voglio storie dopo.» «Buona idea» dice il poliziotto, e muove il raggio della torcia. Ahmad apre la sua cassetta degli arnesi. Dentro ci sono soltanto attrezzi da elettricista: una lampada di prova, quattro cacciaviti, un martello, un fusibile, un rotolo di cavo elettrico, una pinza, valvole, chiave inglese, nastro isolante, un trinciante, trapano... «Bene» dice il poliziotto, e si rivolge al Sordo. «E voi cos'avete lì?» «Un voltimetro» risponde il Sordo. «Volete aprire per favore?» «Certo» dice il Sordo. Lo strumento di controllo è in una cassetta di pelle nera lunga quarantadue centimetri, larga ventidue, e profonda otto. Quando il Sordo fa scattare la chiusura e solleva il coperchio, il raggio della torcia elettrica illumina uno strumento rettangolare adagiato sul fondo e alto quanto la cassetta. Due grossi quadranti occupano quasi tutta la superficie dello strumento, attorno a uno c'è scritto "Voltimetro", attorno a quell'altro "Amperometro". Sotto i quadranti sono inserite tre manopole. Tre parole impresse a fuoco ne indicano l'uso: le due manopole esterne sono contrassegnate dalla parola "Regolatore", su quella centrale c'è scritto "Accensione". Sul lato sinistro dello strumento ci sono delle tacche messe verticalmente e contrassegnate 600 V, 150 V, 75 V, 30 V, Normale. Sul lato destro ce n'è un'altra serie simile con le scritte 60 Amp, 15 Amp, 7,5 Amp, 3 Amp, e Normale. Sotto una delle manopole dette "Regolatore" ce n'è un'altra più piccola con accanto una minuscola lampadina, leva e lampada sono comprese nella scritta "Indicatore di Dispersione". In alto, lungo tutto lo strumento, corre quest'ultima scritta impressa a fuoco: "Analizzatore Industriale". «Bene» dice il poliziotto. «Potete chiudere.» Il Sordo chiude il coperchio della scatola, e fa scattare la serratura. «Li accompagno dentro io» dice Buck. «Bene, sergente» dice il poliziotto, e i tre uomini vanno verso la porta
dove vengono fermati da un agente investigativo. «Sergente Pierce, Servizio Emergenza» dice Buck. «Questi due uomini sono della Compagnia Elettrica, vengono a fare un controllo per la mancanza di corrente.» «Bene» dice l'agente investigativo. «Io gli starò vicino» dice Buck «ma non voglio altre responsabilità.» «Cosa volete dire?» «Che se il sindaco inciampa e si sloga una caviglia mentre loro stanno lavorando, non voglio poi una lavata di testa dal capitano.» «Terremo il sindaco alla larga» dice l'agente investigativo, e sorride. «Bene. Da dove volete cominciare voi due?» domanda Buck. «Dalla cantina?» Entrano nella casa. Ci sono delle lampade alimentate da una batteria, ma per lo più la casa è al buio, e le figure che si muovono nella penombra appaiono incerte e indefinite. I tre uomini cominciano dalla cantina a controllare i circuiti. Poi passano un'ispezione in tutti i locali della casa, e durante il loro giro non vedono nemmeno una volta il sindaco. Nella camera da letto principale il Sordo infila lo strumento di controllo sotto il grande letto cercando ostentatamente il guasto. Quando esce dalla stanza non ha niente in mano. L' "Analizzatore Industriale" è rimasto sul pavimento sotto il letto del sindaco... Questo analizzatore con il suo assortimento di quadranti, leve, tacche e terminologia elettrica è autentico, eppure è falso. Sotto quei misuratori non c'è nessun strumento di controllo, l'interno della scatola è stato svuotato. Nascosta sotto il pannello dello strumento c'è soltanto un'altra delle bombe di Buck, regolata per esplodere alle due di notte. Domani notte il sindaco sarebbe morto. E sabato mattina gli insolventi avrebbero pagato. Avrebbero aperto il giornale e letto i titoli, e avrebbero capito che la lettera era autentica, e che soltanto chi l'aveva progettato e commesso aveva potuto predire con tanta precisione un omicidio. Allora sarebbero andati a ripescare la lettera da dove l'avevano messa senza darle importanza, l'avrebbero riletta, e adesso avrebbero capito appieno la minaccia che conteneva, rendendosi conto, adesso, del suo vero significato spaventoso. Messi di fronte alla minaccia di una morte improvvisa, erano davvero troppi cinquemila dollari? In quell'elenco di cento persone non una guadagnava meno di 200.000 dollari all'anno. Erano stati selezionati tutti accuratamente da una lista iniziale di quattrocentoventi nomi limata e ridimensionata e ridotta a quei cento me-
glio qualificati come vittime, cento uomini per i quali perdere cinquemila dollari ai tavoli da gioco di Las Vegas non era niente, dei quali si sapeva che avevano investito grossi capitali in grosse speculazioni o nei redditizi spettacoli di Broadway, quei cento, in poche parole, che avrebbero facilmente rischiato cinquemila dollari nella speranza di salvare la pelle. Pagheranno, pensò il Sordo. Non tutti, certamente, non tutti. Ma in numero sufficiente. Forse ci sarebbero voluti ancora un paio di omicidi, forse tre o quattro dei grossi pescecani in elenco avrebbero dovuto venire eliminati prima che gli altri si convincessero, ma alla fine si sarebbero convinti, e avrebbero pagato. Dopo l'omicidio della sera seguente, dopo quello, quando si sarebbero resi conto che loro non stavano scherzando, avrebbero pagato. Il Sordo sorrise. Forse già in quel momento al Municipio c'era parecchia gente. Sì, si prospettava una fine settimana molto interessante. «Hai visto giusto» disse il tenente Byrnes a Steve Carell. «Il suo prossimo bersaglio è il sindaco in persona.» «Non ci riuscirà mai» disse Hawes. «E sarà meglio che non ci riesca» disse Byrnes. «Se ce la facesse a eliminare il sindaco, potrà raccogliere dollari come se crescessero in un prato! Quante lettere pensi che abbia spedito? «Vediamo un po'» disse Carell. «Prima ha minacciato il Commissario Cowper chiedendo cinquemila dollari. Poi il vice sindaco, con una richiesta di cinquantamila dollari. Adesso ci dice che venerdì sera ucciderà il sindaco. Se ha mantenuto la stessa progressione, dovrebbe adesso mirare a dieci volte cinquantamila dollari, cioè cinquecentomila. Se dividiamo cinquecentomila...» «Lascia perdere» disse Byrnes. «Volevo solo ricostruire il ragionamento matematico.» «Cosa c'entra la matematica con l'eventuale uccisione di JMV?» «Non lo so» disse Carell, e si strinse nelle spalle. «Però mi sembra che se riusciamo a calcolare la progressione matematica, possiamo anche calcolare che cosa c'è di sbagliato nella progressione.» Byrnes lo guardò senza capire. «Voglio dire che per il Sordo non può essere sufficiente eliminare il sindaco» disse Carell. «Ah, no? Ammazzare il sindaco a me sembra più che sufficiente.»
«Già, dal tuo punto di vista. Ma non per il Sordo. È troppo orgoglioso della sua astuzia.» Carell guardò ancora la lettera. «Chi è questo Carl Wahler?» domandò. «Ha un'industria di confezioni, abita in centro, in Stewart City, giurisdizione del Diciassettesimo Distretto. Ha portato la lettera questa mattina. Il capitano Frick ha pensato che potesse interessarci vederla per via dei due omicidi precedenti di nostra competenza.» «Pare del tutto coerente con lo schema degli altri due, no?» disse Hawes. «Anche gli altri delitti erano stati annunciati.» «Sì, ma questa volta manca un particolare» disse Carell. «Cosa?» «L'interesse personale. Ha cominciato coinvolgendo l'Ottantasettesimo, una piccola vendetta per averlo fatto fesso anni fa quando ha seminato il caos in tutta la città per distogliere l'attenzione dalla sua rapina alla banca. Perché allora tutto a un tratto si allontana dall'Ottantasettesimo? Se ammazza il sindaco, la figura degli stupidi la fanno soltanto quelli del servizio speciale assegnati alla sua protezione. Noi restiamo fuori, puliti. È questo che non capisco. È questo che non quadra.» «A me sembra invece tutto semplice e chiaro» disse Byrnes. «Se può uccidere JMV dopo averlo avvertito, che probabilità di scampo avranno gli altri, senza preavviso? Guardate quante volte lo ripete nella lettera. Senza preavviso. Senza preavviso...» «Eppure, non mi convince» disse Carell. «Non dovresti avere dei dubbi» disse Byrnes. «L'ha messo ben chiaro, nero su bianco. Quell'uomo è una creatura demoniaca.» La reazione immediata di Hawes e Carell fu quella di ridere. Solitamente non capita di sentire un poliziotto usare "creatura demoniaca" per definire un criminale, nemmeno se si tratta di un assassino di bambini. Questo genere di linguaggio resta riservato ai giudici o agli uomini politici. E normalmente Byrnes non si esprimeva con simile fiorita ricercatezza. Ma nonostante l'impulso di ridere, un'occhiata alla faccia di Byrnes frenò i due uomini. Il tenente era al limite della resistenza. Sembrava invecchiato di colpo, e molto stanco. Sospirò profondamente. «Ragazzi, come lo fermiamo?» disse col tono di un terzino di primo pelo di una squadra universitaria costretto a giocare contro un'ala di centoventi chili. «Pregando» disse Carell. Per quanto fosse un cattolico osservante e devoto, il sindaco James Mar-
tin Vale quel pomeriggio decise che se non voleva rompere l'unità familiare avrebbe dovuto fare qualcosa di più che pregare. Convocò quindi una riunione ad alto livello nel suo ufficio, al Municipio, riunione alla quale il tenente Byrnes non fu invitato, e durante la quale venne deciso che bisognava prendere immediatamente ogni precauzione perché il Sordo, come insistevano a chiamarlo quelli dell'87° Distretto, non portasse a termine la sua minaccia. JMV possedeva modi affascinanti e riflessi pronti, e riuscì a convincere tutti di essere più preoccupato per i suoi cittadini che per la propria incolumità. «Bisogna assolutamente che io non venga ucciso, perché così quell'uomo non potrà spremere nemmeno un dollaro dalla gente di questa nostra grande città» disse. «Se lui riesce nel suo progetto, i cittadini verranno sottoposti all'estorsione. È per questo che voglio essere protetto.» «Signor sindaco» disse il Procuratore Distrettuale «vorrei suggerire di estendere l'opera di protezione oltre il limite fissato di venerdì notte. Ritengo che se quell'uomo riuscisse a uccidervi anche in un momento qualsiasi, anche nel futuro, i cittadini penserebbero che ha ugualmente attuato la sua minaccia.» «Sì, credo che abbiate ragione» disse JMV. «Signor sindaco» disse il capo della giunta «vorrei consigliarvi di annullare tutte le vostre comparse in pubblico almeno fino ad aprile.» «Ecco, non credo di potermi estraniare completamente dalla vita pubblica» disse il sindaco, conscio che quello era anno di elezioni. «Limitate almeno nel numero e nel tempo le vostre comparse in pubblico» disse il capo della giunta, ricordando che si era in anno di elezioni e ricordando inoltre di essere sulla stessa barca del sindaco. «Voi, Slim, cosa ne pensate?» domandò JMV al Commissario di Polizia. Il Commissario, un metro e novantatré di altezza e novanta chili abbondanti di peso, si mosse sulla poltrona di pelle davanti alla scrivania del sindaco, e disse: «Vi appiccicherò addosso poliziotti fitti come mosche.» Similitudine non particolarmente felice, ma che rendeva bene l'idea. «Potete contare su quanti uomini volete dalla mia Squadra» disse il Procuratore Distrettuale, memore che solo due giorni prima due dei suoi agenti più fidati erano volati fin su nella Scuola di polizia celeste. «Consiglio che vi sottoponiate a un completo esame clinico non appena finita questa riunione» disse il responsabile della salute pubblica. «Perché?» domandò il sindaco. «Perché non si può escludere la possibilità che siate già stato avvelenato,
signor sindaco.» «Questo mi sembra un po' troppo cervellotico» disse JMV. «Signor sindaco, un accumulo di piccole dosi di veleno somministrate lungo un certo periodo possono provocare la morte. Dal momento che abbiamo a che fare con un uomo che ha evidentemente elaborato un piano a lunga scadenza...» «Sì, certo, mi sottoporrò a un controllo quando vorrete» disse JMV. «Chissà che non riusciate a liberarmi anche dal raffreddore, già che ci siete» disse, in tono pieno di fascino, e sorrise, affascinante. «Signor sindaco» disse il presidente del Consiglio municipale «suggerisco di fare ispezionare subito con la massima cura tutte le macchine ufficiali. Vi ricordo, signore, la bomba messa...» «Sì, provvederemo subito» si affrettò a dire il Procuratore Distrettuale. «Signor sindaco» disse il capo ufficio stampa del sindaco «vorrei suggerire di non dare nessun annuncio sui vostri spostamenti e sui vostri impegni pubblici, discorsi, eccetera, finché questa faccenda non sarà chiusa.» «Sì, è una buona idea» disse JMV «comunque, in nessun caso intendo allontanarmi troppo da casa, vero Stan?» disse, e rivolse un sorriso affascinante al Procuratore Distrettuale. «No, signore, io vi consiglio di diventare un assoluto casalingo almeno per un paio di mesi» disse il Procuratore Distrettuale. «Naturalmente non è da escludere che ci sia una bomba proprio in questo ufficio» disse il Commissario di Polizia, assai poco diplomatico, provocando un improvviso mutismo in tutti. Nel silenzio si sentì forte il ticchettio dell'orologio appeso al muro. Alquanto irritante. «Bene» disse JMV «forse dovremmo perquisire gli uffici, oltre alla mia casa. Se vogliamo fare le cose come vanno fatte, bisogna prendere ogni precauzione.» «Sì, signore» disse il Procuratore Distrettuale. «E naturalmente dovremo fare tutto quanto è in nostro potere per individuare quest'uomo, questo Sordo.» «Sì, signore, stiamo già facendo tutto quanto è in nostro potere» disse, convinto, il Commissario di Polizia. «E che cosa state facendo?» domandò il sindaco nel suo modo affascinante. «Ecco, signore, quell'uomo dovrà commettere un errore» disse il Commissario. «E se non lo commette?»
«Deve farlo, signore.» «Ma in attesa di questo errore» domandò JMV «avete almeno qualche traccia?» «Il nostro lavoro è tutto una combinazione di fatti e particolari apparentemente non collegati e che a un tratto si fondono» disse il Commissario, poi gli venne il sospetto di non essere stato chiaro. «Nel nostro lavoro sono infiniti i fatti casuali, e questi casi fortuiti costituiscono un fattore che contribuisce all'arresto del criminale. Faccio un esempio. Fra... eh... sei o sette mesi, arrestiamo un uomo accusato di rapina, e durante l'interrogatorio scopriamo che ha commesso un omicidio nel corso di un'altra rapina avvenuta... eh... quattro o cinque mesi prima.» «Be'» disse il sindaco «spero che non si debba aspettare che tra sei o sette mesi il nostro uomo si faccia prendere mentre commette un altro delitto.» «Non era mia intenzione dimostrare tanto pessimismo» disse il Commissario. «Volevo semplicemente spiegare, signor sindaco, che nel lavoro della polizia, passato, presente e futuro si incastrano l'uno nell'altro. Ho piena fiducia che entro un periodo ragionevolmente breve metteremo le mani sul nostro uomo.» «Prima che mi uccida, oso sperare» disse JMV, e fece un sorriso affascinante. «Allora» disse «se non c'è altro, possiamo rendere subito operanti le precauzioni stabilite. Caro Herb, sarò felice di vedere il vostro medico, se volete farlo entrare.» «Intanto io mi metterò in contatto con la Squadra Artificieri» disse il Commissario. «Sì, mi sembra la prima cosa da fare» disse il sindaco, alzandosi. «Signori, grazie per la vostra presenza e i vostri preziosi consigli, sono certo che tutto finirà bene.» «Entro due o tre minuti, arriveranno i miei uomini» promise il Procuratore Distrettuale. «Grazie, Stan» disse il sindaco. «Apprezzo molto la vostra premura.» Gli uomini sfilarono dall'ufficio del sindaco, rassicurandolo ancora, uno per uno, che gli sarebbe stata data la massima protezione. Il sindaco li ringraziò tutti, individualmente e graziosamente, e poi si sedette nella grande poltrona di pelle dietro la scrivania, a guardare l'orologio che ticchettava alla parete. Fuori era cominciato a nevicare. Dapprima fu una neve rada e leggera.
Scendeva pigra e incerta dal cielo, spruzzando strade e marciapiedi di una sottile polvere volatile. Per le otto di sera, quando l'agente Richard Genero venne dimesso dal Buena Vista, la nevicata si era fatta più decisa, ma ancora non presentava un ostacolo al traffico soprattutto per chi, come il padre di Genero, avesse messo alla macchina gli pneumatici da neve. Il viaggio fino a casa fu un po' rumoroso ma senza storia. La madre di Genero prese a far pressione sul figlio perché parlasse col capitano, e il padre di Genero prese a dirle di stare zitta. In quanto a Genero, si sentiva forte e risanato, ed era ansioso di tornare al lavoro. Sapeva già che avrebbe ricominciato il servizio col turno dalle quattro a mezzanotte del giorno dopo; aveva anche saputo che il capitano Frick, in considerazione della recente ferita, non intendeva assegnarlo al servizio di ronda a piedi almeno per un paio di settimane. Genero avrebbe fatto i suoi turni con una delle autoradio. E Genero la considerava una promozione. Per modo di dire. La neve continuava a cadere. XIII Venerdì. Continuava a nevicare. La città era ridotta a un'autentica tundra, impossibile aver mai visto tanta neve a meno di non essere nati e cresciuti in Alaska, e anche in questo caso non era detto. C'era neve dappertutto. Neve sui tetti e sui muri e marciapiedi e strade e bidoni della spazzatura e macchine e vasi di fiori e anche sulla gente. Ragazzi, che nevicata! Peggio della tormenta dell' '88, dicevano quelli che non ricordavano la tormenta dell' '88. Il sindaco James Martin Vale, come se non avesse già abbastanza grattacapi, dovette accordarsi con l'ufficio responsabile per l'assunzione di 1200 dipendenti temporanei per spalare e portar via e buttare la neve nel River Dix, lavoro che sarebbe costato, secondo i calcoli, cinquecentottantamilaquattrocento dollari, e sarebbe durato quasi un'intera settimana, ammesso che non si rimettesse a nevicare. Gli uomini cominciarono a lavorare non appena la neve smise di cadere. La nevicata finì soltanto alle tre e mezzo del pomeriggio, un quarto d'ora prima che Genero cominciasse a girare con l'autopattuglia, un'ora e mezzo prima che Willis e Carell prendessero il loro posto nella retrobottega della sartoria. L'amministrazione aveva calcolato di far uscire gli spalatori in tre turni successivi e senza intervallo, ma non avevano messo in preventivo il freddo infernale che seguì la bufera di neve e abbassò il rendimento degli
spalatori, un'ondata di freddo paralizzante che arrivava dal Canada o da qualche altro posto del genere. In realtà, a nessuno importava niente di sapere da dove arrivava, tutti avrebbero voluto soltanto che avesse continuato ad andare, preferibilmente sul mare, o giù alle Bermude, o anche fino in Florida. Ma perché non se ne andava incontro all'uragano Julia? pensavano tutti. Quel giorno Julia non ricevette nessuna ondata di gelo. Il freddo afferrò la città e la congelò. A mezzogiorno erano diventati operativi i provvedimenti d'emergenza per i casi di nevicate eccezionali, e alle quattro la città pareva deserta. Molti uffici erano chiusi per il forzato arresto del traffico privato e lo scarso passaggio dei mezzi pubblici. Era stato soppresso il parcheggio a lati alterni ma gli incroci erano bloccati da macchine rimaste in difficoltà, e che formavano montagnole coperte di neve, simili a igloo su una distesa artica. Gli spalatori combattevano contro il freddo e la neve, si radunavano ogni tanto attorno ai fuochi di carbone accesi in vecchi bidoni di benzina, e poi riprendevano le loro pale mentre i camion in attesa del carico facevano girare i motori al minimo, e i tubi di scappamento buttavano nuvole di vapore bianco nell'aria gelida del crepuscolo. I fanali vennero accesi alle cinque e proiettarono cerchi ben definiti di luce giallastra sulla immobile distesa bianca. Un forte vento continuo si incanalava nelle strade e nei viali, e il cielo plumbeo diventava più scuro, ancora più scuro, e nero. Seduto impigrito e caldo nella retrobottega di John il Sarto, a giocare a scacchi con Hal Willis, col risultato di perdere sei partite una dopo l'altra, perché saltò fuori che Willis, da studente, aveva fatto parte del circolo di scacchisti, un gruppo di giocatori scelti che si era autobattezzato "I rossi e i neri", seduto lì, dicevamo, Carell si chiedeva come sarebbe tornato a casa dopo il tentativo di La Bresca e Calucci. Cominciava a dubitare che i due sarebbero comparsi. Come ragionassero i criminali, ecco, questa era una cosa che Carell non capiva, però era tentato di prospettare la teoria che nessun farabutto con un minimo di buon senso avrebbe affrontato la neve e il gelo che c'erano fuori quella sera. Sarebbe stato diverso se la riuscita del colpo fosse dipesa da un fattore limitato a quel giorno preciso, come per esempio la rapina di dieci milioni di dollari in lingotti d'oro trasportati da un posto all'altro in un'ora ben precisa di un giorno ben stabilito, il che avrebbe richiesto audacia pazzesca combinata a tempestività assoluta, ma in quel colpo da quattro soldi non entrava un tale
elemento variabile. I due uomini avevano preso di mira il negozio, e avevano scoperto che tutti i venerdì, dopo la chiusura, John il Sarto portava a casa una cassetta di metallo con gli incassi della settimana. Indubbiamente il Sarto faceva la stessa cosa ogni venerdì sera da almeno settemila anni, e avrebbe continuato a farla per altri mille. Quindi, se non facevano il colpo quel particolare venerdì, cosa pensavano che avrebbe fatto, John, a maggio, quando gli alberi mettono le gemme e gli uccelli cantano, e si può commettere un piccolo crimine senza dover affrontare il pericolo di un congelamento? Ma supponendo che quei due tentassero quella sera, pensava Carell, mentre Willis gli metteva in crisi re e regina, supponendo che tentassero, e supponendo che lui e Willis si comportassero come ci si aspettava, li prendessero, e poi chiamassero una macchina della Squadra, munita di catene, come avrebbe fatto lui a tornare a casa sua da sua moglie e dai bambini, dopo che La Bresca e Calucci fossero stati regolarmente incriminati e messi in cella? La sua macchina aveva gli pneumatici da neve, ma non le catene, e lui dubitava assai che degli pneumatici da neve, anche i migliori, riuscissero a cavarsela sul ghiaccio che c'era là fuori. Naturalmente c'era la possibilità che il capitano Frick permettesse a una delle autoradio di accompagnarlo a casa, nel quartiere di Riverhead, ma l'uso di macchine dell'amministrazione per il trasporto di dipendenti dell'amministrazione non era visto di buon occhio, soprattutto in periodo di battaglia, quando i sordi si affannavano ad ammazzare i funzionari dell'amministrazione pubblica. «Scappa con quel re» disse Willis. Carell sbuffò, e scappò con quel re. Riguardò l'orologio. Erano le sette e venti. Se La Bresca e Calucci agivano secondo il programma, doveva passare ancora poco più di mezz'ora. Nella stanza che Pete Calucci aveva affittato sulla 16a Strada Nord, lui e La Bresca si stavano armando. John il Sarto aveva settant'anni, era un vecchio un po' curvo, coi capelli tutti grigi e gli occhi indeboliti, ma quella sera loro non volevano avere sorprese. La rivoltella di Calucci era una Colt calibro 45, pesava un chilo e due etti, e aveva la capacità di otto colpi, sette più uno in canna. La Bresca era armato con una Walther P-38 comperata da un ricettatore di Bream Street, con otto colpi nel caricatore più uno in canna. Tutte e due le rivoltelle erano automatiche. La Walther era classificata di media potenza, mentre la Colt era un'arma pesante e più potente. Entrambe erano più che sufficienti a lasciare John il Sarto stecchito senza
rimedio se il vecchio faceva troppe storie. Nessuno dei due uomini aveva un fodero. Calucci infilò la Colt nella tasca destra del pesante cappotto. La Bresca sistemò la Walther nella cinta dei pantaloni. Si erano accordati di usare le rivoltelle soltanto se John il Sarto si metteva a gridare. Secondo il piano, dovevano arrivare al negozio alle otto meno dieci, cogliere il vecchio di sorpresa, lasciarlo legato e imbavagliato nella retrobottega e poi tornare nella stanza di Calucci. Il negozio era a soli cinque minuti da lì, ma a causa della neve alta, e dato che nessuno dei due aveva la macchina, i due uscirono alle 7,25. Avevano un aspetto molto minaccioso, e si sentivano potenti, con le loro grosse rivoltelle. Peccato che non ci fosse in giro nessuno a vedere quanto sembravano minacciosi e quanto si sentivano potenti. Al riparo nel caldo confortevole dell'autoradio, l'agente di pattuglia Richard Genero osservava le strade deserte e spazzate dal vento, sentiva il fruscio secco delle catene applicate alle ruote posteriori e ascoltava il dialogo continuo della radio a onde corte. L'uomo al volante dell'autoradio era una montagna di peli di nome Phillips, che da quando era cominciato il loro turno alle 3,45 del pomeriggio non aveva smesso un momento di protestare. Adesso erano le 7,30, Phillips si lamentava ancora, raccontando a Genero che aveva fatto servizio continuo per tutta la settimana, senza un minuto di pausa, e uno deve essere matto per mettersi a fare il poliziotto, e alla destra di Phillips la radio continuava il suo monotono dialogo: "Macchina ventuno, ordine tredici... Qui macchina ventuno, ricevuto, provvediamo... Macchina ventotto, ordine...". «Mi fa pensare al Natale» disse Genero. «Sì, bel Natale!» disse Phillips. «Lo sai che il giorno di Natale io ho lavorato?» «Volevo dire, per tutta la neve, tutto bianco.» «Già, tutto bianco» disse Phillips. «Sai che bello!» Genero incrociò le braccia infilando le mani guantate sotto le ascelle. Phillips continuò a parlare. La radio ronzava e gracidava. Le catene risuonavano come campanelli da slitta. Genero si sentiva insonnolito. Qualcosa disturbava il Sordo. No, non era la fitta nevicata che aveva indubbiamente sepolto il tombino numero M3860, a quarantadue metri a sinistra del marciapiede sinistro di
Harris Street, in mezzo a Faxon Drive, no, non era per questo. Lui era preparato all'eventualità di condizioni atmosferiche inclementi, e nel portabagagli della berlina nera che aspettava giù da basso c'erano le pale da neve. La neve avrebbe richiesto semplicemente un po' di lavoro per arrivare al tombino, e il Sordo poteva permettersi un'ora di più per il contrattempo, no, non si trattava della neve. Non si trattava assolutamente della neve. «Cosa c'è?» mormorò Buck. Indossava la divisa di sergente della polizia, e si sentiva strano dentro l'uniforme blu. «Non lo so» rispose Ahmad. «Guarda come continua a camminare avanti e indietro.» Effettivamente il Sordo camminava avanti e indietro. Continuava a passare e ripassare davanti alla scrivania in fondo alla stanza, con addosso la tuta blu da elettricista. Non che parlasse da solo, ma certo scuoteva la testa come un vecchio perso nel pensiero dello stato miserevole in cui è ridotto il mondo. Alla fine, forse reso audace dalle decorazioni al merito appuntate sul petto, Buck gli si avvicinò e disse: «Che cosa ti preoccupa?». «L'Ottantasettesimo» rispose subito il Sordo. «Cosa?» «L'Ottantasettesimo» ripeté, irritato. «Che importanza ha se uccidiamo il sindaco? Non capisci?» «No.» «Loro non ne hanno contraccolpi» disse il Sordo. «Noi uccidiamo JMV, e chi ne porta le conseguenze, sai dirmelo?» «Chi?» domandò Buck. «Non l'Ottantasettesimo, questo è certo.» «Senti» disse Buck, cortesemente «è meglio metterci in moto. Dobbiamo scavare fino al tombino, dobbiamo...» «Dunque, JMV muore, e con questo?» disse il Sordo. «Il denaro non è tutto nella vita. E qui, dov'è il piacere?» Buck lo guardò. «Dov'è il piacere?» ripeté il Sordo. «Se JMV...» S'interruppe di colpo, gli occhi spalancati. «JMV» disse ancora, a voce bassissima. «JMV!» gridò, eccitatissimo, e andò alla scrivania, e aprì il cassetto centrale, e prese la guida telefonica di Isola. Con gesti rapidi cominciò a sfogliare verso la fine del volume. «Cosa sta facendo?» mormorò Ahmad. «Non lo so» mormorò Buck. «Guardate qui!» gridò il Sordo. «Ce ne sono a centinaia, a migliaia!»
«Migliaia di cosa?» domandò Buck. Il Sordo non rispose. Chino sulla guida continuava a voltare le pagine, studiandole, voltandone ancora. «Ci siamo» mormorò «no, questo non va bene... vediamo... qui ce n'è un altro... no. no... un momento... ah, bene... no, questo è in centro... vediamo... vediamo... qui... no...» Borbottava a mezza voce, continuando a voltare le pagine, e alla fine urlò: «Culver Avenue! Questo va bene, questo è perfetto!». Prese una matita, scrisse in fretta qualcosa sul blocco d'appunti della scrivania, strappò la pagina e se la ficcò nella tasca della tuta. «Andiamo» disse. «Sei pronto?» domandò Buck. «Sono pronto» disse il Sordo, e prese la scatola del voltimetro. «Abbiamo promesso di uccidere JMV, vero?» domandò. «Promesso chiaro e tondo.» «Bene» disse lui, sorridendo. «Ne uccideremo due, di JMV, e uno sarà nel territorio dell'Ottantasettesimo Distretto!» Euforico, li precedette fuori dell'appartamento. I due ragazzi stavano girando per le strade dall'ora di cena. Avevano mangiato in una tavola calda di Ansley Avenue, poi si erano fermati a comperare una latta di benzina da due litri in una stazione di servizio all'angolo di Ansley Avenue con la Quinta Strada. Il più alto dei due, quello che portava la latta di benzina, aveva freddo. Continuava a dire all'altro, il più piccolo, quanto aveva freddo. Il più piccolo gli disse che in una sera così tutti avevano freddo, che cosa si aspettava di avere, in una serata come quella? Il più alto disse che lui voleva andare a casa. Disse che in una serata come quella, comunque, non avrebbero trovato nessuno, quindi che scopo c'era a girare per le strade in quel modo, col freddo che faceva? Disse che gli si stavano gelando i piedi. Anche le mani erano gelate. «Perché non te la porti un po' tu, questa latta fottuta?» disse. Il più piccolo gli disse di piantarla. Il più piccolo disse che la serata era perfetta per quello che dovevano fare, perché magari ne avrebbero trovati due arrotolati insieme nello stesso vicolo, abbastanza logico, no? Il più alto disse che avrebbe voluto essere arrotolato lui da qualche parte. Rimasero sull'angolo della strada a discutere per qualche minuto, gridando a turno, e alla fine il più alto accettò di continuare ancora per dieci
minuti, ma non uno di più. Il più piccolo disse facciamo mezz'ora, ci siamo impegnati a fare pulizia, e il più alto disse che no, dieci minuti e non di più, e il più piccolo disse sei un idiota fottuto, ti sto dicendo che è la serata buona, e il più alto disse che cosa ne pensava lui della serata, e poi si spaventò ancora e disse okay, ma soltanto mezz'ora, sul serio, Jimmy, ho freddo, proprio freddo, davvero. «Cos'è, stai per metterti a piangere?» disse Jimmy. «Ho freddo» disse l'altro, «ecco tutto.» «Allora rimoviamoci» disse Jimmy, «vedrai che troveremo qualcuno e faremo un bel fuoco, eh? Un bel fuoco caldo.» I due ragazzi si sorrisero. Poi svoltarono l'angolo, e si avviarono verso Culver Avenue, mentre la macchina 17, con a bordo Phillips e Genero, passava rumorosa sugli pneumatici incatenati che tintinnavano come la sonagliera di una slitta. Difficile dire chi fu più sorpreso, se i poliziotti o i ladri. Il Commissario di Polizia aveva detto al sindaco JMV che "nel lavoro della polizia, passato, presente e futuro si incastrano l'uno all'altro", ma si può onestamente presumere che non aveva in mente un qualche complicato pensiero filosofico. Ecco, lui probabilmente non stava riflettendo sulla differenza tra illusione e realtà, o sui risvolti di uno stato di sogno e di vita quotidiana. Ecco, lui probabilmente non intendeva dare una spiegazione sulla continuità del tempo o le sue pieghe, o sugli universi paralleli o i mondi coesistenti. Lui aveva voluto semplicemente dire che nel lavoro della polizia entrano un sacco di fatti accidentali, e che se non fosse per questi fatti accidentali un'infinità di casi non verrebbero mai risolti. Insomma, aveva pensato di dire al sindaco JMV che qualche volta i poliziotti sono fortunati. La sera del quindici marzo, esattamente alle otto meno dieci, Willis e Carell furono molto fortunati. Loro stavano tenendo d'occhio la parte del negozio che dava sulla strada, perché Dominick Di Filippi, che in vita sua non aveva mai fatto la spia a nessuno, aveva detto che il piano prevedeva l'ingresso nel negozio alle otto meno dieci, appena prima che John il Sarto abbassasse le tende della vetrina. La Bresca avrebbe abbassato lui le tende al posto del vecchio, aveva anche detto Di Filippi, e poi avrebbe chiuso la porta, e intanto Calucci, minacciando John il Sarto con la rivoltella, doveva farlo andare nella retrobottega. Nell'ardente esposizione del progetto fatta da Di Filippi era stata messa parecchio in risalto, o almeno questa era
stata l'impressione, l'importanza della parte frontale del negozio. E così, tutti avevano immaginato, e chi non l'avrebbe?, che La Bresca e Calucci sarebbero arrivati dall'ingresso frontale: porta aperta, dlin-dlen del campanello in alto, rivoltelle puntate contro John il Sarto, e avanti con il loro sporco lavoro. Che la polizia sapesse che c'era anche una porta posteriore è assai dubbio. Esattamente alle sette e cinquanta, in perfetto orario, presero a calci quella seconda porta, la presero a calci rumorosamente ed efficacemente, senza preoccuparsi di spaventare John il Sarto, sapendo che, spaventato o no, lui si sarebbe precipitato nella retrobottega per vedere che cosa succedeva. La prima cosa che videro furono i due tipi che giocavano a scacchi. La prima cosa che La Bresca disse fu: «La madama!». Sapeva che quello piccolo era un poliziotto perché era stato interrogato da lui più di una volta. Non sapeva chi fosse l'altro, ma pensò che se si vede un topo, probabilmente ce ne sono cinquanta, e se si vede un poliziotto probabilmente ce ne sono mille, quindi il negozio era probabilmente pieno di poliziotti... e a questo punto la tenda schizzò all'indietro, e la porta anteriore del negozio venne spalancata. Fu anche a questo punto che cominciò tutto un accavallarsi di confusione, col passato presente e futuro tutti mescolati insieme così che per dieci secondi fu come se sette film venissero proiettati insieme sullo stesso schermo e nemmeno tanto grande. Anche più tardi, molto più tardi, Carell non riuscì a rimettere bene ogni pezzo al suo posto, perché tutto accadde troppo in fretta e troppo fortunosamente, e lui e Willis c'entrarono molto poco con tutto quello che accadde. Il primo fatto ovvio che si fece strada, su lungo la spina dorsale di Carell fin dentro la testa, fu che lui e Willis erano stati presi in contropiede. Si alzò rovesciando la sedia all'indietro, urlò: «Hal, attento alle spalle!» tuffò la mano verso il fodero, ma sapeva che erano stati presi in contropiede, che davanti a loro c'erano le bocche delle canne di due pistole di grosso calibro e che gli altri li avrebbero fatti secchi sul posto. Sentì uno dei due uomini gridare: «La madama!» e poi vide le due rivoltelle alzarsi contemporaneamente, e nello spazio di un secondo, troppi ultimi pensieri gli si affollarono nella testa. Willis girò su se stesso rovesciando sul pavimento scacchiera e scacchi, estrasse la rivoltella, e improvvisamente John il Sarto buttò indietro la tenda che separava il negozio dal retro, e in quello stesso momento la porta anteriore del negozio si spalancò.
Più tardi, John il Sarto disse che era corso verso il retro per vedere cos'era stato a fare rumore, aveva aperto la tenda, e poi si era girato di scatto per vedere quello che Carell poté vedere soltanto dopo: tre uomini sulla porta del suo negozio, tutti e tre con la pistola in pugno. Fu questa scena che La Bresca e Calucci videro bene dalla tenda aperta sul negozio. E se si erano accorti istantaneamente di aver preso in contropiede i poliziotti del retro, adesso però individuarono la minaccia degli altri tre poliziotti che stavano nel negozio, tutti e tre con la pistola in mano e lo sguardo omicida. I tre uomini non erano poliziotti, ma La Bresca e Calucci non lo sapevano. Il sergente fermo sulla porta gridò: «La madama!» intendendo esprimere l'idea che La Bresca e Calucci fossero poliziotti, ma La Bresca e Calucci pensarono semplicemente che volesse annunciare il proprio arrivo. Così cominciarono a sparare. I tre uomini sulla porta, pensando a loro volta di essere finiti in una trappola della polizia, aprirono il fuoco contemporaneamente. John il Sarto si buttò a terra. Carell e Willis, che sapevano riconoscere un poco salutare fuoco incrociato quando ci si trovavano in mezzo, cercarono di appiattirsi il più possibile contro la parete. Nel processo di appiattimento, Willis scivolò su un pezzo degli scacchi, e finì per terra, con le pallottole che gli fischiavano sopra la testa. Adesso Carell aveva in pugno la rivoltella. La alzò mirando alla porta del negozio, perché aveva visto bene uno dei tre uomini che da là sparavano nella retrobottega, e per quanto l'uomo non portasse il suo apparecchio acustico, era alto e biondo, e Carell lo riconobbe immediatamente. Prese la mira con attenzione, deciso a fare centro. Quando partì il colpo, la rivoltella gli saltò nella mano. Vide il Sordo afferrarsi la spalla, e poi voltarsi barcollando verso la porta aperta. Qualcuno gridò dietro di lui e Carell si girò e vide La Bresca cadere sulla macchina stiratrice, versando sangue sull'imbottitura bianca, e poi altri quattro colpi esplosero nel piccolo negozio, e qualcuno gemette, e il ritmo degli spari aumentò, perché Willis si era alzato e sparava, e poi più niente tranne il fumo, il fumo denso che stagna a strati nell'aria, il tremendo puzzo di cordite che bruciava le narici, e il mormorio di John il Sarto che disteso per terra pregava in italiano. «Fuori!» gridò Carell, e saltò il banco che divideva il negozio, scivolò in una pozza di sangue, ma riprese l'equilibrio e corse fuori nella neve, senza cappotto. Nessuno in vista. Il freddo era feroce. Gli addentò subito la mano nuda che stringeva la pistola e parve saldar-
gli la carne al metallo. Una traccia di sangue partiva dal negozio e segnava la neve bianca, allontanandosi all'infinito nella città. Carell cominciò a seguire la traccia. Il Sordo correva il più in fretta possibile, ma il dolore alla spalla era insopportabile. Non riusciva a capire quello che era successo. Possibile che l'avessero immaginato? No, non avrebbero potuto. Eppure erano là ad aspettare. Ma in che modo avevano saputo? Come potevano averlo saputo loro, quando lui stesso, fino a un quarto d'ora prima, non lo sapeva? Nella guida telefonica di Isola c'erano almeno venticinque pagine dedicate alla lettera "V", con circa cinquecento nomi per pagina, per un totale di 12.500 nomi, più o meno. Non aveva contato quanti erano i nomi di battesimo che cominciavano con la lettera "J", ma aveva avuto l'impressione che fossero venti o trenta per pagina, e alla fine lui aveva controllato undici nomi con le iniziali JMV, le stesse iniziali del nome del sindaco, James Martin Vale, prima di arrivare a quello di Culver Avenue. Come potevano averlo saputo? Come potevano aver messo il dito proprio sul negozio di John Mario Vicenzo, il suo tocco finale, un JMV abitante nella zona dell'87°? Era impossibile, pensò. Non ho lasciato niente al caso, doveva funzionare, dovevo riuscire a eliminarli tutti e due, non c'erano carte coperte sul tavolo, avrebbe dovuto funzionare. Sul tavolo c'erano ancora un paio di carte coperte. «Guarda là» disse Jimmy. Il ragazzo più alto, quello che portava la latta di benzina, alzò la testa, strinse gli occhi contro il vento, e poi abbassò immediatamente la faccia sotto l'assalto di una raffica più forte. Aveva visto un uomo alto e biondo barcollare sul marciapiede al centro della strada bianca di neve. «Ubriaco come un porco» disse Jimmy. «Occupiamoci di lui, Baby.» Quello chiamato Baby approvò con la testa, senza parlare. Corsero in fretta verso l'angolo della strada. Lì il vento era più violento, e appena svoltarono nel viale li colpì con forza. Il vagabondo non c'era più. «L'abbiamo perso» disse Baby. Gli battevano i denti, e lui voleva andare a casa. «È entrato in uno di questi portoni» disse Jimmy. «Andiamo, Baby, è venuto il nostro momento.»
Dal sedile dell'autoradio, attraverso un pezzetto di parabrezza non gelato, Genero poteva vedere il viale deserto spazzato dal vento, e mulinelli di neve sollevarsi a ogni raffica, e le insegne appese ai sostegni metallici sbattere rumorosamente. Il vento si accaniva sui finestrini della macchina. Nessuno sul viale. La neve copriva la strada da un marciapiede all'altro; dietro le finestre chiuse, le luci delle case brillavano come fuochi accesi a dare calore in una notte della preistoria. «E quello cos'è? disse improvvisamente. «Cos'è cosa?» domandò Phillips. «Là avanti. Quei due.» «Eh?» disse Phillips. «Stanno provando tutti i portoni» disse Genero. «Accosta.» «Eh?» «Accosta e spegni il motore!» Li sentiva parlare, fuori, sul marciapiede, sentiva le loro voci avvicinarsi, avvicinarsi di più. Era là, nell'atrio, con la spalla che continuava a sanguinare, conscio che doveva salire tutte quelle scale e arrivare sul tetto, passare dal tetto di quella casa a quello della casa accanto, saltare da un tetto all'altro anche tutta notte, se occorreva, ma prima doveva riposarsi, solo riposare, solo riposare un po', riposare prima che aprissero la porta e lo trovassero, ma come l'avevano trovato così in fretta? C'erano poliziotti dappertutto in quella maledetta città? C'erano troppe cose che lui non capiva. Ascoltò le voci avvicinarsi ancora, e poi vide la maniglia abbassarsi. «Fermi dove siete!» gridò Genero. I ragazzi si voltarono di scatto. «La madama!» gridò Baby, e lasciò cadere la latta di benzina, e cominciò a correre. Genero sparò un colpo in aria, e poi, un po' in ritardo, gridò: «Polizia! Fermo o sparo!» e poi sparò un secondo colpo d'avvertimento. Più avanti, dove l'autoradio s'era fermata, Phillips stava aprendo la portiera dalla parte del volante e estraendo la rivoltella. Genero sparò ancora, sorpreso nel vedere il ragazzo in fuga cadere sulla neve. L'ho preso, pensò, e poi si voltò in tempo per vedere l'altro ragazzo scappare nella direzione opposta. "Gesù Santo, ho sventato una rapina o qualcosa di simile" pensò. «Alt!» gridò. «Fermo!» e sparò in aria, e vide il ragazzo svoltare l'angolo,
e subito si buttò all'inseguimento. Inseguì Jimmy per tre isolati, nella neve, affondando in mucchi alti fino al ginocchio, scivolando nei punti ghiacciati, col vento costantemente avverso, e alla fine gli arrivò addosso nel momento in cui stava scalando il muretto di un vicolo. «Fermo dove sei, ragazzo» disse Genero «o ti infilo una pallottola nel sedere!» A cavallo del muro, Jimmy esitò, incerto se buttare le gambe dall'altra parte, o tornare giù prima che quel bastardo dal grilletto facile attuasse la sua minaccia. Sospirando, si lasciò cadere ai piedi di Genero. «Qualche guaio, agente?» domandò. «Guaio è la parola giusta» disse Genero. «Mani in alto!» Phillips arrivò ansimando proprio in quel momento. Si accostò a Genero, e da quello scimmione che era lo scostò, poi spinse il ragazzo contro il muro e lo perquisì. Genero fu abbastanza furbo da manovrare in modo che le manette messe al ragazzo fossero le sue, anche se per riuscirci dovette superare un momento che parve una gara di destrezza e rapidità tra lui e Phillips. Ma quando ebbero portato il ragazzo indietro fino alla macchina, quando furono andati a controllare che quell'altro fosse ancora vivo, come in realtà era anche se per poco, quando ebbero individuato il portone che i ragazzi stavano cercando di aprire, quando ebbero finalmente aperto quella porta e illuminato l'atrio con le loro torce elettriche, tutto quello che videro fu una pozza di sangue sul pavimento. Il sangue continuava su per le scale. Seguirono le gocce rosse fino all'ultimo piano e poi diritto alla porta che dava sul tetto. Genero fece un passo fuori e diresse il raggio della torcia sulla neve. Macchie di sangue e orme continuavano a zig-zag sino al limite del tetto, e da lì proseguivano sul tetto vicino, e da lì per il resto della città, e forse per il resto del mondo. Due isolati più avanti, trovarono Steve Carell che vagava senza cappotto nella neve come il dottor Zivago. XIV Ripulire il negozio del Sarto fu un'impresa macabra.
La Bresca e Calucci erano morti. E anche quello grande e grosso, chiamato Buck, era morto. Ahmad era vivo e respirava quando lo caricarono sull'ambulanza, ma si era preso due pallottole nel petto dalla 45 di Calucci e una terza nello stomaco dalla Walther di La Bresca. Perdeva sangue e sputava sangue e aveva i brividi e gemeva, e loro dubitarono assai che arrivasse vivo all'ospedale. Anche Carell aveva i brividi. Era in piedi vicino al calorifero, nel negozio del Sarto, avvolto nel cappotto, coi denti che gli battevano, e stava chiedendo a John il Sarto quanto c'era nella cassetta metallica che doveva portare a casa. «Duecentotré dollari» disse John il Sarto. Ahmad sapeva come si chiamava il Sordo. «Timpano» disse, e l'infermiera gli asciugò il sangue dalle labbra. «Mort Timpano.» «Questo non è il suo vero nome» gli disse Willis. «Non lo conoscete con un altro nome?» «Timpano» ripeté Ahmad. «C'è qualcuno che sa il suo vero nome?» «Timpano» ripeté Ahmad. «C'era qualcun altro oltre a voi tre?» «La ragazza» disse Ahmad. «Quale ragazza?» «Rochelle» disse lui. «Rochelle e poi?» Ahmad scosse la testa. «Dove possiamo trovarla?» «Tre... tre... otto... Ha... Ha... Ha...» disse, e morì. Non era morto ridendo. Era morto tentando di dire numero 338, Harborside. In una tasca dei pantaloni di Buck trovarono una lettera indirizzata a lui in Harborside Oval, numero 338. Il suo nome completo era Andrew Buckley, e la lettera era indirizzata a lui "presso il signor Mort Timpano". Carell e Willis fecero irruzione nell'appartamento, e trovarono la ragazza in pigiama, seduta al piano a suonare "Heart and Soul". Aspettarono che si vestisse, e poi la portarono giù alla Squadra, dove l'interrogarono per mezz'ora alla presenza di un legale. La ragazza disse di chiamarsi Rochelle Newell e che conosceva il Sordo da poco, solo due o tre mesi. Lei insistette che l'uomo si chiamava Mort Timpano.
«Questo non è il suo nome» disse Carell. «Sì, che è il suo nome.» «Voi come lo chiamavate?» «Mort» disse la ragazza. «Come lo chiamavate quando eravate a letto?» domandò Willis di colpo, sperando di prenderla di sorpresa. «Tesoro» rispose la ragazza. Jimmy non smetteva di ridere. Gli avevano appena detto che il suo amico Baby era morto, e ciononostante lui non smetteva di ridere. «Ti rendi conto del guaio in cui ti sei messo, figliolo?» domandò Meyer. «No, quale guaio?» disse Jimmy, e rise. «Verrai accusato di omicidio.» «Non regge mica» disse Jimmy, e rise. «Reggerà, figliolo» disse Meyer. «Abbiamo la confessione in extremis del tuo amico, ed è stata ricevuta alla presenza di un legale, e qui fuori c'è un poliziotto che avete tentato di uccidere e che vi identificherà tutti e due. Reggerà, credimi.» «Ma va là, che non reggerà» disse Jimmy, e continuò a ridere. Meyer sospettò che fosse pazzo. Meyer sospettò che fosse pazzo anche Rollie Chabrier. Chabrier telefonò poco prima di mezzanotte. «Un po' tardi, no?» disse Meyer. «Stavo proprio per andarmene a casa.» «Io invece sto ancora lavorando in questo maledetto ufficio» disse Chabrier. «Voi avete una vita facile.» «Be', perché questa telefonata?» disse Meyer. «Per il libro» disse Chabrier. «Ah, sì?» «Non volevi il mio parere?» «Certo che volevo il tuo parere. Perché altro avrei dovuto consultarti?» «Ecco. Il mio parere è quello di non pensarci più.» «Bel parere!» «Steve Carell ha mai avuto un libro intitolato col suo nome?» «No, ma...» «E Bert Kling?» «No.»
«E Cotton Hawes? O Hal Willis? O Arthur Brown? O...» «Senti, Rollie...» «Dovresti sentirti lusingato» disse Chabrier. «Nemmeno io ho mai avuto un libro intitolato a me.» «Sì, ma...» «Sai quante persone aspettano tutta la vita senza riuscire ad avere un libro intitolato a loro?» «No, quante?» «Milioni! Dovresti sentirti lusingato.» «Tu dici?» «Certo. Ti hanno intitolato un libro! Sei famoso!» «Ah, sì?» «Famosissimo. Finché durerà il mondo, la gente entrerà nelle biblioteche e nelle librerie di tutte le città della terra, e vedrà il tuo nome sulla copertina di un libro. Ci pensi, Meyer? Su un libro. "Meyer Meyer"» disse Chabrier, con enfasi, e a Meyer parve quasi di vederlo allargare le braccia a indicare un'enorme scritta luminosa. «Dio Santo, Meyer, dovresti essere ai sette cieli!» «Ah, sì?» disse Meyer. «Ti invidio, sai? Sinceramente, onestamente, devo riconoscere che ti invidio.» «Senti, senti» disse Meyer. «Grazie. Grazie infinite, Rollie. Davvero. Grazie infinite.» «Non c'è di che» disse Chabrier, e riattaccò. Meyer andò nella toilette a guardarsi nello specchio. Alle 2 del mattino, Andy Parker arrivò in sala-agenti con la prima edizione dei quotidiani. «Vuoi leggere come siamo bravi?» disse, e lasciò cadere i giornali sulla scrivania di Kling. Kling guardò i titoli. «Sicuro!» disse Parker. «Abbiamo sventato tutta una vasta congiura. Nessuno può superare questa Squadra, amico.» Kling approvò con un cenno, preoccupato. «Adesso tutti possono stare tranquilli» disse Parker. «I giornali spiegano tutto del progetto e dicono come si è stretta la rete, e perché nessuno di quei cento presi di mira abbia più motivo di preoccuparsi. E tutto per merito dei brillanti leoni dell'Ottantasettesimo.» Una pausa, poi disse: «Scom-
metto che Genero ci guadagna una promozione. Il suo nome è su tutti i giornali». Kling approvò con un cenno, senza parlare. Stava rimuginando sugli ultimi sviluppi del Grande Giallo della salaagenti. A quanto pareva, il ventilatore rubato era comparso in un negozio di pegni del centro. Sulla base del ventilatore c'era un'impronta di vernice verde. «Chi credi che sia...» cominciò, ma Parker si era già allungato nella sua poltrona girevole, le gambe sulla scrivania e un giornale sulla faccia. FINE