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«Zenone ha enunciato una pos1z1one finale della filosofia; tuttavia nella storia della filosofia...
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«Zenone ha enunciato una pos1z1one finale della filosofia; tuttavia nella storia della filosofia si trova ali' inizio»: così scriveva Colli - e già queste parole fanno capire perché egli attribuisse a Zenone un 'importanza somma, come testimonia questo corso di lezioni. Discepolo di Parmenide, geniale ideatore dell'arte dialettica, Zenone è noto ai moderni per le sue famose aporie sulla divisibilità infinita (la dicotomia, la freccia, Achille e la tartaruga) - aporie sulle quali si sono misurati numerosi maestri della speculazione, da Kant a Russell, c che persino Aristotele dichiarava di non saper confutare facendo ricorso unicamente a criteri razionali e logici. In realtà Zenone, nell'intento di difendere Parmenide dalle accuse mosse dagli awersari del pensiero dell' «essere», mostra nei suoi argomenti «un istinto eccezionale al rigore dimostrativo», al punto che Colli attribuisce a lui- e non acl Aristotele -la scoperta del principio eli contraddizione, facendone così un pensatore cruciale della filosofia e della scienza moderne. Con questo volume ha inizio la pubblicazione di alcuni dei corsi sui primi pensa tori greci che Giorgio Colli (1917-1979) tenne presso l'Università eli Pisa fra gli anni Cinquanta c gli anni Settanta. Di Colli sono apparsi presso Adelphi Filosofia dell'espressione ( 1969), Dopo Nietzsche ( 1974), La nascita della filosofia ( 1975 ), i tre volumi della ,)'ajJienza greca (1977-1980), Scritti su Nietzsche ( 1980), I"a ragione errabonda ( 1982), Per una enciclopedia di autori classici ( 1983) e La natura ama nascondersi (1988).
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>, si riferirebbe allora all'" invenzione » della dialettica.
Venerdì 27 novembre 1964 «Aristotele dice che Zenone fu l'inventore della dialettica, come Empedocle della retorica,. Digressione sulla dialettica: è una parola molto usata anche nel linguaggio filosofico moderno, ma con riferimento a significati spesso diversi. In Kant ad esempio ha un significato negativo: la Critica della ragione pura è divisa in estetica, analitica e dialettica trascendentale, in cui si discute dell'uscir fuori da parte della ragione dal limite a lei concesso, cioè l'esperienza. In H e gel invece dialettica
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ha un significato altamente positivo: è il procedere stesso della ragione e della realtà. Tale termine all'origine della filosofia greca significa 8taAeKnKii 'tÉXVY\, «arte della discussione ». 10 Non interessa qui vedere il modo in cui si trasforma il significato della parola nella filosofia moderna; anche nella filosofia greca tuttavia il termine non ebbe sempre lo stesso significato. In Platone ad esempio la dialettica ha un senso positivo, tanto che i dialoghi della penultima fase della sua attività ( 1èeteto, Parmenide, Sofista, Filebo) sono comunemente chiamati «dialoghi dialettici>>: dialettica vi diventa sinonimo di filosofia teoretica; la teoria dell'ideaconcetto viene fuori dalla critica alla dialettica sofistica. Il risultato delle considerazioni di Aristotele sulla dialettica è negativo: la dialettica non riguarda la verità ma l'apparenza, si fonda su premesse che sono delle opinioni. Per Platone la dialettica diventa lo spunto della sua costruzione filosofica, mentre per Aristotele è una forma storica che va superata. Tali considerazioni sono sviluppate da Aristotele nei 1òpici- opera della prima maturità e quasi introduzione al suo pensiero- con l'osservazione di quello che storicamente era la dialettica nel secolo a lui precedente e con l'analisi teoretica della struttura della discussione.11 Attraverso l'analisi della struttura della discussione Aristotele arriva all'analisi della struttura della conoscenza deduttiva: nella discussione si pone inizialmente una tesi (per Aristotele essa è un'opinione); dalla posizione contraria assunta dall'interlocutore deriva al primo la necessità di dedurre, da princìpi che possono essere accolti dall'interlocutore, la validità della tesi medesima iniziale. Ugualmente l'interlocutore, da altri princìpi accettati dai due contendenti, cerca di dedurre l'antitesi. Tale studio analitico porta Aristotele a una trattazione generale del ragionamento umano, del logos, per esprimersi con una caratteristica parola aristotelica ( logos ha vari significati: e i concetti contrari di «simile e dissimile»), ma sono applicati con tale rigore e chiarezza di stnlt.tura che risulta evidente che Zenone avesse in mano uno strumento logico già conosciuto come principio logico, cioè estendibile a qualsiasi contenuto. Il principio di contraddizione nega che a uno stesso soggetto possano essere attribuiti due predicati contrastanti (tale è l'enunciazione aristotelica). Gli italiani «simile e dissimile» non sono proprio quali in greco OllOta e àv611ota in cui il prefisso è l'a privativo: dis- non è un prefisso privativo, ma peggiorativo. Ad esempio, «buono e non buono» sono una coppia di contraddittori in quanto in «non buono» sono inclusi tutti i predicati possibili. «Buono e cattivo» invece sono una coppia di contrari, essi appartengono allo stesso genere e oltre a questi due predicati restano fuori tutti gli altri predicati possibili, ad esempio bianco, simpatico, ecc. Bisogna distinguere tra coppie di contrari e coppie di contraddittori. Zenone applica all'ipotesi > e non può essere «_non è>>. Ciò suggerisce già il principio di contraddizione. E stato inoltre sostenuto da alcuni autori moderni che in questo passo si trovi in Pannenide l'enunciazione dd principio di identità. lo non lo credo: tale principio non fu noto, in quanto principio, alla filosofia greca, ma fu enunciato solo da Leibniz secondo la definizione:« c'è identità tra il soggetto e la somma dei suoi predicati >>: la somma dei predicati è la dcfinizione. 21 Certo in Aristotele esiste già questo principio anche se non nella fonnulazione kibniziana. La formulazione più usuale del principio, e cioè A = A, per i Greci non è un principio lo-
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gico ma una proprietà dell'essere. Parmenide perciò non lo formula né coscientemente né incoscientemente. Invece in Parmenide si può già trovare il principio di contraddizione, anche se non in una definizione rigorosa, mentre in Zenone tale principio è la premessa a tutto il suo filosofare. Può essere che lo avesse già trovato elaborato nella speculazione di Pam1enide, ma la continua e rigorosa utilizzazione che ne ha fatto è un suo merito originale. La dimostrazione per assurdo è lo strumento principe della dimostrazione indiretta. In Aristotele troviamo due princìpi di dimostrazione: la diretta e l'indiretta. L'esempio classico della dimostrazione diretta è la prima figura del sillogismo: «se A appartiene aB e B appartiene a C, A appartiene a C"· Tale dimostrazione ha la sua necessità in se stessa, procede da se stessa. Le altre dimostrazioni aristoteliche procedono per assurdo; sono le dimostrazioni indirette. Volendo dimostrare una tesi si suppone vera la proposizione contraddittoria: da questa supposta verità si deducono delle conclusioni assurde. L'assurdo deriva dall'aver accettato quella determinata ipotesi, quindi indirettamente si è dimostrata l'ipotesi contraddittoria, il che si voleva. Nel nostro caso abbiamo questo schema: ipotesi, iltç d val 'tÒ n:av, JCaÌ 'tOU'tou 'tEKilTJPta n:apÉXTlt JCaA.&ç 'tE KaÌ di· oòe òÈ a'Ò où 1tOAAa q:>T]crtV dvm, 'tEKiltlPl<X ÒÈ KaÌ aÙ'tÒç n:aj.mOÀÀ.a 1Cat n:a~LilE"(ÉOT] n:apÉXE't<Xl. 'tÒ o'Òv 'tÒV llfv EV q:>avm, 'tÒV ÒÈ 1111 n:oU&.; JCaì o'ihwç i:Ka'tEpov A.ÉyEt v wcr'tE llllòÈv 't& v aù't&v eipT)KÉval ùoJCetv crxeMv n A.Éyov'taç mù'ta, imf.p 1l11aç 'touç &A.A.ouç q:>ai VE'tal ili-l'i: v -rà EÌPTlllÉva dpficrOal'. 'N ai, q:>aval 'tÒV Zitvwva, c1 LcOKpan:ç, cru ò' o'Òv 'tilv aA.itOnav 'tOÙ ypallll<X'tOç OÙ n:av'taXOÙ llt0"0T)crat. !Cat 't Ot wcrn:ep "(E ai AaKal Val O"KUAaKeç di llE'tat'}eiç 'tE JCaÌ ÌXVEUHç 'tÙ AEXOÉV'ta. aAAÙ n:p&-rov llÈY wù'to A.avOavn, on ou n:anan:amv o1hw crellvuve'tal 'tÒ ypa~q..ta, WO"'t€ an:ep cru AÉyetç òtavoT)OÈv ypaq:>Tjval, -rouç àvOpron:ouç òf. èn:tJCpun:'tollevov &ç n llÉya Òtan:pa't'tO!lEVOV. fxAAÙ cru llfV fÌn:Eç 'tcOV O"Uil~E~T)lCO'tWV 'tt, ecrn òÈ 'tO ye ÙAT)t'}Èç ~oitOEta -ttç 'taù'ta ['tÙ ypa1111a-ta] -r&t Dap11eviòou A6ywt n:pòç 'touç Émxepoùnaç aÙ'tÒv KWilWtùeiv cix;, d v Écrn, n:oUà JCaÌ yeA.oi a cru11~ai vn n:&.crxn v 'tcO t A.oywt 1Cat ÉVaV'tta aÙ'tcOt. avnAÉyet ùil O'ÒV 'tOÙ'tO 'tÒ ypa!J.Ila n:pÒç -rouç -rà n:oA.A.à A.Éyov-raç, KaÌ àv'tan:oùiùwm -raù'tà KaÌ n:A.eiw,
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Per questo desiderio di vittoria lo scrissi da giovane e una volta scritto qualcuno me lo rubò, cosicché non fui costretto a decidere se dovevo o no diffonderlo in pubblico. Questo è stato il tuo errore, Socrate, di credere che fosse stato scritto non per il desiderio di vittoria di un giovane, ma per l'ambizione di un uomo maturo. Per il resto, come ti ho detto, non ne avevi reso male il carattere">>. Il passo presenta punti anche molto interessanti, con il giudizio di Platone sugli eleati. Egli ne ha sempre grandissimo rispetto, specie per Parrncnide, che solo - nei suoi dialoghi- si salva dall'ironia e che è ricono,sciuto comc diretto antecedente della teoria delle idee. E da notare come Socrate tratti il libro di Zenone con tono ironico: sembra che conduca una critica alle intenzioni espresse nel suo libro, mentre la difesa di Zenone è mite. Socrate dice: «In un certo modo (Zenone) ha scritto le stesse cose che hai scritto tu (Parmenide)». Non è solo un tratto del carattere socratico, vi è sotto l'atteggiamento generale dei filosofi greci nei riguardi delle opere scritte: scarsa considerazione di esse al confronto dell'insegnamento orale e dell'attività speculativa, politica ed educativa direttaY
Giovedì 21 gennaio 1965 Continuiamo la discussione sulla testimonianza platonica (Plat. Parm. 128 a-e; Al2 Unterstciner). Socrate con la sua abituale ironia attacca Zenone: non il suo metodo ma la sua presunta intenzione nello scrivere quel libro. La critica di Socrate è: '' in realtà Zenone afferma la tesi di Parmenide: non dice nulla di originale, anche se, a prima vista, sembra trattare di argomenti diversi. Tutte queste proposizioni sembra che siano state dette con una sopraffazione di tutti noi altri>>. Zenone risponde con moderazione: « Socrate » dice « ha capito il contenuto del mio libro, ma ha frainteso la mia intenzio-
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ne: non volevo fare un'opera "grandiosa" e originale. Il mio libro è invece un'opera giovan il~ ed è stato anzi pubblicato contro la mia stessa volontà. E nato come un "aiuto" alla tesi di Parmenide ». Platone, contrariamente a come si comporta d'abitudine nei riguardi dei suoi predecessori - anche grandi -, tratta gli eleati con evidente riverenza, e riconosce in essi una positiva maturità. Anche nelle risposte di Zenone a Socrate, non si vede nella rappresentazione platonica uno Zenone iroso, strenuo difensore del suo libro - si fa modesto anzi, e resta calmo, contro la malignità di Socrate giovane. 2H ... &ç n f.lÉya òtwrpa't'tOf.lEVov,