Suzanne Carey
Una Questione Di Famiglia Sweel Bride of Revenge © 1998 Collezione Harmony N° 1498
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Suzanne Carey
Una Questione Di Famiglia Sweel Bride of Revenge © 1998 Collezione Harmony N° 1498
1 «Eccolo... vedete con chi abbiamo a che fare?» Stephanie Braet buttò una copia della rivista Worldview in grembo a Nora, mentre la maggiore delle tre sorelle, Darien, mandava giù a fatica un sorso di caffè e corrugava la fronte. Ogni mese, la rivista Worldview pubblicava il profilo di qualche personalità particolarmente in vista nel mondo degli affari e dell'economia mondiale. Quel numero, che risaliva al mese precedente, presentava nelle pagine centrali un esteso e dettagliato servizio su un certo Nels S. Amundsen, multimiliardario e finanziere di fama internazionale. Era lui, l'uomo che Stephanie e le sue sorelle dovevano affrontare. Amundsen si era candidato per acquistare la catena di grandi magazzini che era il vanto della famiglia Braet da almeno un paio di generazioni, e loro dovevano assolutamente impedirglielo. Anche per il bene della cara zia Maggie. Naturalmente, ognuna delle ragazze conosceva il suo nome da tempo, ma nessuna l'aveva mai incontrato di persona. Nora, venticinque anni e una gran cascata di capelli color rosso bruno, sospirò e incrociò davanti a sé le lunghe gambe che avevano contribuito a renderla celebre sulle passerelle di New York e d'Europa. Prese il giornale tra le mani, e osservò la fotografia con attenzione. Vide un uomo con i capelli castani e l'aspetto perfettamente curato, i lineamenti occidentali e solo qualcosa di vagamente asiatico negli enigmatici occhi grigi dal taglio a mandorla. La corporatura era quella alta e possente di qualcuno dei suoi antichi antenati scandinavi. L'uomo aveva la bocca piegata in un leggero sorriso, che suggeriva sensualità e determinazione. Nell'insieme, dimostrava un po' meno dei suoi trentaquattro anni, ma aveva tutta l'aria di sapere perfettamente il fatto suo. Dunque, ecco il nuovo potenziale acquirente del pacchetto di maggioranza della Braet & Company. E dire, pensò Nora, che erano Suzanne Carey
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persino parenti! A pensarci bene, quell'acquisto così sbandierato sui mass media era proprio quel che sembrava: una vendetta. Nels J. Amundsen intendeva prendersi una crudele rivincita sui discendenti americani di suo nonno Jerrold Braet, i quali non avevano mai voluto aver niente a che fare con il ramo giapponese della famiglia. Jerrold, infatti, durante la Grande Guerra aveva sposato in seconde nozze una giovanissima esponente della migliore nobiltà nipponica, e dal loro matrimonio era nata una bambina, Aiko. La bambina era cresciuta, si era sposata e aveva avuto un figlio, Nels J. Amundsen. Fu naturale che gli eredi americani avessero gridato allo scandalo, pensò Nora. Dopotutto, cinquantasette anni prima, Jerrold aveva lasciato dietro di sé una moglie, Katharine Wells Braet, e quattro figli. Ma ormai era passato tanto tempo. A chi poteva interessare ancora, quella vecchia storia? Nora distolse gli occhi dalla foto e incominciò a leggere l'articolo. Il giornalista presentava Amundsen come una specie di cavaliere senza macchia e senza paura, assurto agli onori della cronaca dopo aver vissuto in Giappone come una specie di parente fuori casta proprio per via della sua genealogia mista. L'iniziale S. sta per Seiji, specificava l'articolo. È il nome giapponese che Amundsen preferisce usare, tranne quando firma i documenti ufficiali. Qualcuno l'ha anche soprannominato il Falco per l'abitudine di allevare falchi nella sua splendida residenza di campagna, in Giappone; ma anche, e soprattutto, per via delle spiccate attitudini predatrici in campo finanziario. Tutti i suoi avversari sanno che Nels Seiji Amundsen difficilmente desiste da un obiettivo prefissato e, come ogni bravo falconiere, è tenace e incredibilmente persistente. L'articolo continuava sullo stesso tono per parecchie righe, prima di passare ad altri aspetti, ancora più personali. Nonostante sia cresciuto in Giappone, Seiji Amundsen è un apolide con ascendenze danesi, norvegesi, nipponiche e americane. Insomma, un vero cittadino del mondo, allevato da una madre per metà giapponese e per metà americana, e dal padre, Peter Amundsen, ricchissimo armatore con sangue danese e norvegese nelle vene. Quest'ultimo aveva eletto il Giappone a propria residenza dopo aver sposato Aiko Braet, figlia di Yukiko Kurosawa, una giovane della migliore aristocrazia nipponica che durante la Seconda Guerra Mondiale fece Suzanne Carey
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scandalo sposando un ricco americano divorziato, Jerrold Braet, proprietario di una sconfinata catena di grandi magazzini. Difficile giudicare le storie d'amore altrui, pensò Nora. Certo, la bisnonna Katharine aveva sofferto molto per l'intera faccenda, ma non era questa una ragione sufficiente perché i Braet continuassero il loro ostinato ostracismo nei confronti di Aiko e di suo figlio. Che cosa c'entravano loro, con le scelte del vecchio Jerrold? Dopo le scuole superiori in Giappone, continuava l'articolo, Amundsen ha conseguito la laurea in Inghilterra e il master negli Stati Uniti, presso il prestigioso Istituto Superiore di Economia di Harvard. Di lui si dice che, per quanto possa dimostrarsi cordiale e amichevole, il fatto di crescere come un ainoko, termine che in giapponese significa mezzosangue, gli abbia indurito il cuore. E per quanto sia ricco e potente, in realtà non ha radici in nessuna parte del mondo. Doveva essere un uomo molto solo, pensò Nora in un moto di compassione. E, suo malgrado, provò per lui un'inattesa e istintiva simpatia. Si riscosse subito. Simpatia? Per lui? Diavolo, doveva ricordarsi che quell'uomo stava scippando la compagnia alla povera zia Maggie! Naturalmente, non dipendeva da lui che la Braet & Company versasse in gravi difficoltà finanziarie. Le spese di rinnovamento degli Anni Ottanta avevano ridotto al minimo gli utili, per parecchi anni a seguire. Alla testa della compagnia, la zia Maggie Braet aveva lottato a lungo per ridare solvibilità all'azienda, ma negli ultimi tempi, purtroppo, si era ammalata. Il verdetto era stato terribile: cancro. Le ragazze erano certe che, se avesse perso la direzione della compagnia, di sicuro Maggie Braet non avrebbe avuto più alcun buon motivo per opporsi al male che rischiava di divorarla. Ecco perché erano lì: per salvare la compagnia e lei. Se solo ci fosse stato un modo... Se un modo c'era, di sicuro l'avrebbe trovato, pensò Nora con decisione. Negli occhi verdi le brillò una determinazione degna del famoso Seiji Amundsen. «Insomma, ragazze, qualcuna ha una proposta concreta, per caso?» chiese alle sorelle. Per un attimo, né Darien né Stephanie ebbero il coraggio di aprire la bocca. Suzanne Carey
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Avevano scelto di riunirsi proprio lì, a Seattle, nel grande appartamento della zia Maggie affacciato sul lago. In confronto, la casa di Darien vicino all'ospedale era troppo piccola, e il cottage di Stephanie, a ridosso delle cascate di Snoqualmie, era troppo lontano. La stessa zia Maggie aveva fornito a ognuna le chiavi, da tempo. Guardando in giù, dall'ampia terrazza al quinto piano, di solito lo spettacolo era incantevole. Quel giorno, invece, le barche a vela dondolavano sull'acqua sotto un cielo color piombo, e il morale delle ragazze sembrava ancora più cupo. «Ti abbiamo chiesto di venire fin qui da New York proprio perché non sappiamo che cosa fare» rispose alla fine Darien. «Magari, se ci mettiamo d'impegno tutt'e tre, riusciamo a trovare una soluzione.» Sospirò con aria dubbiosa, e passò le dita sul bordo della semplice maglietta celeste che aveva indossato quella mattina sotto il camice, nel Pronto Soccorso dell'ospedale, dove svolgeva il tirocinio medico. «Sempre che tu non voglia prendere in considerazione l'idea di Stephanie, naturalmente.» Sembrava che lei l'avesse già accantonata. «Quale idea?» chiese Nora preparandosi al peggio. Stephanie era l'artista di famiglia. Da sempre possedeva una natura ribelle e anticonformista e ora, a ventitré anni, viveva in una casa di tronchi a due passi dalle cascate, insieme all'ultimo fidanzato. Aveva sempre una soluzione per rutto. Peccato che, alla luce dei fatti, le sue soluzioni si dimostrassero spesso assolutamente fallimentari. «Insomma, se volete la mia opinione, Amundsen non mi sembra poi tanto male.» Stephanie raccolse sotto di sé le gambe sul divano e prese un'aria fiduciosa. «Vedi, Nora, con la tua fama di modella e il tuo aspetto favoloso, sono sicura che non ti sarebbe difficile arrivare a un accordo con lui. Potresti chiedergli un incontro, e convincerlo in qualche modo a rinunciare all'acquisto. Magari, se tu gli spiegassi che la zia Maggie è stata praticamente una madre per tutte noi, e che in questo momento perdere la Braet & Company la ucciderebbe.» Darien osservava senza reagire le sue reazioni. Nora si insospettì. «Perché proprio io?» chiese a Stephanie. «Che cosa vi fa credere che ascolterà sicuramente me? Probabilmente Amundsen vede come fumo negli occhi chiunque si chiami Braet.» «Gli piacciono le donne occidentali» sospirò Stephanie. «Specialmente quelle affascinanti e in vista, le donne trofeo, come te. Ci scommetto che Suzanne Carey
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potresti farne il tuo schiavo. Il suo orgoglio ferito sarebbe immensamente lusingato se tu...» Nora arrossì. «Insomma dovrei vendermi, secondo te?» esclamò quasi sdegnata. «Ma per chi mi hai preso? Per una che salta da un letto all'altro per sport?» «Oh, per favore! Adesso non metterti a fare la moralista!» Darien inorridì. «Stephanie, Nora per favore! Litigare non servirà a niente. Sono sicura che, se ne parleremo con calma, ci verrà qualche altra idea.» Sfortunatamente, non fu così. Nelle ore successive non vennero a capo di nulla, e per Nora era assolutamente indispensabile rientrare a New York entro la mattina del giorno successivo. Tutti l'attendevano per la più grande kermesse dell'anno: la grande collezione primaverile di Evelyn Montoya. «Torno in ospedale, da zia Maggie» annunciò all'improvviso in tono risoluto, quindi si alzò in piedi. «Voglio passare più tempo possibile con lei, prima di ripartire.» Si addolcì guardando Darien. «Ne riparleremo ancora, se vuoi. Più tardi, questa sera. O magari in settimana.» Nora entrò nella stanzetta privata dell'ospedale e si sentì stringere il cuore. La zia Maggie stava appoggiata allo schienale reclinabile del letto, tra le lenzuola immacolate, il dorso della mano attaccato al tubicino di una flebo. Lei, che non aveva mai avuto paura di niente, in quel momento sembrava terribilmente fragile e indifesa. Eppure sorrise, guardandola entrare. «Oh, Nora, sei tornata! Che piacere rivederti.» Gli occhi azzurri apparivano stanchi, e cerchiati da occhiaie profonde. Nora sorrise e si sedette sul bordo del letto, a dispetto del regolamento ospedaliero. «Lo sai che mi è sempre piaciuto fermarmi a scambiare quattro chiacchiere con te.» Le prese delicatamente la mano per massaggiargliela. «Vorrei solo poter fare qualcosa di più.» «Qui mi curano benissimo, tesoro» ribatté subito la zia Maggie, ritrovando per incanto la sua famosa tempra battagliera. «Vedrai, tornerò al timone della Braet prima che tu te l'aspetti. Non sono certo il tipo che si fa spaventare da un branco di cellule impazzite!» Era la Braet & Company a darle forza, pensò Nora. Che cosa ne sarebbe stato di lei, se fosse passata di mano? Doveva assolutamente fare qualcosa! Suzanne Carey
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Rimase con la zia Maggie più a lungo che poté, poi la salutò con un bacio sulla fronte e tornò nel grande appartamento affacciato sul lago. Telefonò a Darien la mattina successiva dall'aeroporto, dopo una notte agitata e insonne. «Non ho intenzione di vendermi come ha suggerito Stephanie ieri» mise subito in chiaro, con voce ferma, «ma sento che devo assolutamente incontrare Seiji Amundsen.» Il silenzio di Darien, dall'altra parte del filo, sembrò quasi un assenso. «Ho letto sul Worldview» continuò lei, «che parteciperà a un'importante riunione finanziaria a New York, la prossima settimana.» La sua voce tradì un attimo di esitazione. Poi: «Cercherò di mettermi in contatto con lui, e di fare appello al suo senso di umanità» promise. Ammesso che ce l'abbia, aggiunse fra sé. L'aereo decollò in perfetto orario da Seattle, alle 6 e 20 minuti del mattino. Guadagnò altitudine e bucò la coltre spessa di nuvole, fino a innalzarsi in un cielo completamente azzurro. Nora sospirò, guardando fuori. Che cosa sarebbe successo, se Seiji Amundsen non avesse voluto ascoltarla? In quel momento, a Kyoto, erano le 11 e 20 di sera. L'oggetto delle riflessioni di Nora, Seiji Amundsen, se ne stava immerso nell'acqua tiepida di una delle caratteristiche vasche giapponesi da bagno, in legno, intento a portarsi alle labbra un bicchierino di sake. Non c'era niente di meglio, per rilassarsi dopo una pesante giornata di lavoro, che un bagno caldo e un buon massaggio. La giovane domestica che l'aveva lavato raccolse il sapone e le spazzole e uscì dalla stanza con gli occhi bassi. Lui allungò una mano e prese la copia di una rivista di moda americana che si era fatta procurare da un fedele collaboratore. In copertina e all'interno era ritratta Nora Braet. Seiji esaminò le fotografie a colori con grande attenzione. L'immagine che usciva di prepotenza era quella di una giovane donna piena di vita, affascinante e terribilmente sexy. Una creatura dalle gambe chilometriche, e dal seno generoso, che si indovinava senza veli sotto l'elegante giacca. Avere una creatura del genere tra le braccia era una prospettiva niente affatto sgradevole, pensò. Lasciò correre la mente e immaginò di coprire di Suzanne Carey
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baci la sua candida pelle, di tuffare le dita tra i suoi profumati capelli rossi. Poi buttò da parte il giornale e chiuse gli occhi, per abbandonarsi al suo sogno ad occhi aperti e lasciarsi sommergere dal desiderio. Dunque la voleva. Quello sarebbe stato il suo modo di vendicare le umiliazioni sopportate dal ramo femminile della sua famiglia. Poi, dopo averla sedotta l'avrebbe abbandonata, per concentrare le energie nello smantellamento della Braet & Company. Eppure, qualcosa gli diceva che lei non sarebbe stata una preda facile. Persino quelle foto la facevano sembrare in qualche modo irraggiungibile... Sia come sia, pensò infine Seiji. Lui e Nora Braet erano in guerra, e dal momento che non avrebbero mai potuto essere altro che nemici, tanto valeva combattere contro un avversario che gli desse del filo da torcere. Quando uscì dalla vasca era già mezzanotte e stava ancora pensando a lei. Si asciugò e indossò il tradizionale kimono, poi dallo studio telefonò a New York e chiese a un suo fidato collaboratore di organizzargli un incontro. Dopo quaranta minuti di volo, Nora accettò dalla hostess un succo di pompelmo e un panino dolce. Intanto, si arrovellava per trovare il modo di incontrare Seiji Amundsen.
2 «Nora, girati per favore. No, così non va. Devi ritoccare il trucco!» La Collezione Primaverile di Evelyn Montoya stava per essere presentata nello scenario di uno dei più lussuosi hotel di New York, ma dietro le quinte della sfilata regnava il caos più assoluto. Nora eseguì quello che le era stato ordinato, e rimase perfettamente immobile mentre il visagista Antonio Vargas, un maestro nel suo campo, le ritoccava il blush sulle guance, il mascara e il rossetto color fucsia. Sarebbe stata la prima a sfilare in passerella, tra due ali compatte di esperti di moda e di cineoperatori televisivi, mescolati ai facoltosi clienti della Maison Montoya. La reazione del pubblico alla sua presenza, e al prezioso abito in tessuto bouclé color fucsia e nero, avrebbe inevitabilmente dato l'impronta all'intera serata. Quindi, tutto in lei doveva Suzanne Carey
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essere perfetto, dall'andatura al vestito, dai capelli al sorriso. Come sempre in quei momenti, fu la grande capacità di concentrazione ad aiutarla. Nora dimenticò il caos dei camerini, la tensione crescente degli stilisti e la tensione palpabile delle altre modelle. Dimenticò anche Seiji Amundsen e tutti gli infruttuosi tentativi di entrare in contatto con il suo ufficio, quel pomeriggio. A quanto sembrava, nessuno era in grado di fissarle un incontro con quell'uomo impegnatissimo e introvabile. E intanto, la Braet & Company languiva, e languiva anche la zia Maggie, nel suo letto d'ospedale. Intorno a lei fervevano mille preparativi. Nora non se ne curò: era già entrata in quel particolare stato d'animo che la faceva apparire eterea e sognante, lontana e bellissima, proprio come il pubblico era abituato a vederla sulle copertine di tutte le migliori riviste di moda. L'unico contributo personale alla concitazione del momento fu il rapido controllo dei vestiti, allineati sulla sua rastrelliera personale. Tutto, accessori compresi, era pronto per i cambi successivi. Il momento di rientrare in passerella arrivò all'improvviso. «Ragazze, tutte in fila!» ordinò in un soffio il direttore di scena, mentre il parrucchiere dava gli ultimi ritocchi alla complicata acconciatura di Nora. «Isabel sta per incominciare.» Isabel Klein era il braccio destro della grande stilista Montoya. Ex attrice di teatro dalla voce suadente e dall'indubbio fascino, presentava da sempre la sfilata e consentiva così a Evelyn Montoya di rimanere dietro le quinte, dove si sentiva molto più a proprio agio, e di arrivare in scena solo alla fine, per ricevere il meritato applauso. Mentre Nora prendeva posto alla testa della fila, Isabel salutò il pubblico e fece una breve introduzione. «Gentile pubblico, quest'anno il tema della nostra sfilata è pieno di energia e di ritmo! Influenza Latina! Potevate immaginare niente di più coinvolgente e gioioso?» In quel preciso istante l'orchestra attaccò un indiavolato ritmo brasiliano. Al cenno del direttore di scena Nora uscì in passerella, con le splendide gambe rese ancora più chilometriche dai tacchi vertiginosi. Era perfettamente consapevole delle esclamazioni di ammirazione che si levarono dalla folla, ma per lei, abbagliata dalla luce dei riflettori, il pubblico non era altro che un mare di facce indistinte.
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A Seiji Amundsen, seduto in prima fila grazie al provvidenziale intervento di uno dei suoi più intraprendenti collaboratori, Nora Braet sembrò straordinariamente sicura di sé, sexy e distaccata. Aveva un'andatura sciolta e perfettamente ritmata, come se per lei muoversi al ritmo dei balli latini fosse un'abitudine, oltre che un piacere. I capelli rossi raccolti sulla testa creavano un contrasto netto e inconsueto con l'abito nero e fucsia. Tutto, in lei, parlava di passione. Un fatto insolito e raro, pensò Seiji, in un'epoca di modelle magrissime e quasi asessuate. Eppure, per quanto bellissima e sexy, Nora sembrava anche lontana ed elusiva. Guardandola, si percepiva immediatamente l'impressione di un carattere indipendente e di una mente libera e vivace. Quando la vide uscire di scena, subito sostituita da altre modelle in abiti da "party metropolitano", come li definì Isabel, lui si ritrovò a tamburellare con le dita sul bracciolo della poltrona, aspettando con impazienza che ritornasse. Di sicuro avrebbe riportato con sé il sole dei mari del sud, di sicuro i suoi abiti sarebbero stati pieni di fuoco e di colore. Non rimase deluso. Pochi minuti più tardi, Nora era già di ritorno con un nuovo make-up e una nuova acconciatura, fasciata da quello che la presentatrice definì "un abito da occasione speciale". Era color blu elettrico, molto aderente e completato da una splendida cappa blu notte. Mentre Nora, con una rapida piroetta, si liberava della cappa e si avviava all'uscita, Seiji sperimentò all'improvviso una fitta incontrollabile di desiderio. Per un attimo immaginò come sarebbe stato inebriante tenere fra le braccia quella creatura da favola, e spogliarla senza fretta. Ridicolo, pensò con un sussulto. Loro due alla fine sarebbero rimasti nemici, arroccati sui versanti opposti dello steccato che divideva i due clan avversari dei Braet. Il suo era un piano preciso, sedurre Nora Braet e umiliare con lei tutto il ramo americano della famiglia, prima di impossessarsi del loro fiore all'occhiello, la Braet & Company. Non gli venne neanche in mente che, bellissima e corteggiata come doveva essere, lei potesse respingerlo. E neanche che potesse cedergli solo per salvare l'impero economico della sua famiglia. Pur di ottenere soddisfazione varrà la pena anche di essere nemici per sempre, pensò Seiji socchiudendo gli occhi. Sua nonna e sua madre erano state umiliate, molti anni prima, quindi adesso era venuto il momento di saldare il conto. Suzanne Carey
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Il fatto che Nora Braet l'avesse cercato con insistenza, quel pomeriggio come aveva saputo dalla sua segretaria personale - gli aveva fornito la scusa ideale per presentarsi alla sfilata di Evelyn Montoya. L'incontro sarebbe sembrato un semplice atto di cortesia. Poi, agli abiti da pomeriggio seguirono i costumi da bagno e quindi una serie mozzafiato di abiti da sera. Ancora una volta fu Nora a guidare il gruppo, fasciata in uno stupefacente e sinuoso abito color rosso fiamma. Adesso, i capelli le scendevano in onde morbide oltre le spalle. Al momento di girarsi, all'estremità della passerella, Nora alzò le braccia e raccolse i capelli sulla sommità della testa, per mettere in evidenza la profonda e sensualissima scollatura sulla schiena. Poi rivolse al pubblico uno dei suoi seducenti sorrisi, e il pubblico rispose con uno scrosciante applauso. Ai modelli da sera seguirono gli abiti da sposa, ma Nora non compariva, e Seiji incominciò a sentirsi stranamente inquieto. Forse lei era scivolata via alla chetichella per presentarsi a chissà quale altro appuntamento. Forse Karyn Zens non era riuscita a parlarle. Eppure, pensò ricominciando a tamburellare con le dita sul bracciolo della poltroncina, dalle sue fonti non risultava che Nora avesse un fidanzato. Forse, non l'aveva in quel periodo. Dietro le quinte, in quel preciso istante, una delle sarte smaniava sottovoce, perché la spallina sinistra del vestito di Nora si era strappata all'improvviso e bisognava ripararla in fretta. I minuti passavano, e non si poteva certo permettere che l'abito conclusivo della sfilata, il pezzo forte di Evelyn Montoya, finisse per risultare penalizzato. Nora trattenne il fiato e cercò di non lasciarsi prendere dal panico. Una spallina è un inconveniente tutt'altro che piacevole, per una professionista in passerella. Intanto che la sarta lavorava velocissima con ago e filo, i parrucchieri si affannavano a completare l'acconciatura, complicata e voluminosa, qualcosa che solo Nora, con la sua classe, poteva permettersi. Alla fine tutto andò miracolosamente a posto, inclusi il velo e il trucco, e Isabel Klein poté annunciare l'ultimo pezzo della collezione. Il direttore di scena incoraggiò Nora con un bacio sulle dita e una piccola spinta. Le luci si abbassarono. Nora uscì sulla passerella, mentre l'orchestra intonava la più classica Suzanne Carey
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delle marce nuziali, e avanzò al centro dell'occhio di bue luminoso, con la grazia eterea e altera di una regina o di una dea. Un incredibile applauso la sommerse. Se mai dovrò sposarmi, giuro che lo farò in jeans! pensava Nora in quel preciso momento. Per lei un abito da sposa era ordinaria amministrazione. Seiji la guardò avanzare e trattenne il fiato. Aveva un vestito dalle spalline sottilissime, in satin candido. Il tessuto le fasciava il seno e la vita sottilissima, le scivolava sui fianchi e finiva poi per perdersi sul retro in uno strascico appena accennato, che Nora gestiva con infinita sicurezza. Un corto ma ricco velo di tulle candido le scaturiva da una minuscola acconciatura sulla sommità della testa, incrostata di perle e zirconi. La sua vaporosa abbondanza creava un contrasto vivido con la linea particolarmente essenziale e rigorosa dell'abito. Per la prima volta nella sua vita, Seiji capì l'orgoglio e l'emozione di certi uomini al momento di portare all'altare la loro sposa. Non tanto per la sicurezza di possedere un fiore raro, ma per la gioia di sapere che quel fiore era disposto a donarsi. Tra di loro non sarebbe mai successo niente del genere, naturalmente. Tanto per incominciare, lui non intendeva affatto sposarsi, meno che mai con una Braet del ramo americano. Niente matrimonio, niente amore. Niente di niente. Il suo intuito gli diceva, però, che lei sarebbe stata una degna avversaria nella battaglia di astuzia e seduzione che intendeva mettere in atto. La sfilata si concluse con un applauso fragoroso. Finalmente sulla passerella comparve anche Evelyn Montoya, i suoi piccoli inconfondibili occhiali bianchi calati sul naso. Si inchinò e dimostrò di gradire molto l'entusiasmo del pubblico. I suoi sforzi erano stati apprezzati. Nora e le altre rimasero in ostaggio sulla passerella, mentre la stilista ringraziava a uno a uno i collaboratori, le sarte, i parrucchieri, i truccatori, e chiunque avesse in qualche modo avuto un ruolo nella preparazione della sfilata. La platea continuò ad applaudire con convinzione, finché lo spettacolo fu ufficialmente concluso. Nora tirò un sospiro di sollievo. Andò di corsa a svestirsi e spazzolò in fretta i capelli. Era già in pantaloni e maglietta quando, sulla porta del camerino, comparve Karyn Zens, la sua agente. Lei la fissò sorpresa. «Karyn! Che cosa ci fai qui? Credevo che per Suzanne Carey
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stasera avessi altri programmi.» «Ho dovuto cancellarli» rispose Karyn senza fornirle altri particolari. Era minuta ed energica, perpetuamente in lotta contro il tempo. «Sei stata splendida stasera, Nora» assicurò con un sorriso. «Come sempre, del resto. A proposito...» Esitò. «Ho bisogno che tu mi faccia un grosso favore. C'è una persona tra il pubblico, un tale di riguardo. Ecco, vorrebbe conoscerti.» Nora alzò gli occhi al cielo. «Un'altra volta!» Karyn scrollò la testa con energia. «Ti assicuro che questo è diverso, Nora. E poi, sono in debito con un suo amico. Fallo per me, ti prego!» Nora ebbe la rapida visione di un maturo industriale grasso e calvo, con tre paia di mani e una moglie che sicuramente non lo capiva. L'idea di mantenere viva la conversazione con un tipo del genere, invece di andarsi a stendere sul comodo divano di casa, davanti alla televisione o con il thriller che aveva incominciato a leggere due sere prima, era proprio l'ultima cosa che desiderava per quella sera. Tuttavia, Karyn sembrava molto seria nella sua implorante richiesta. Ed era assai raro che venisse a chiederle un favore. Nora finì per capitolare. «E va bene» acconsentì buttandosi una giacca sulle spalle. «Solo per questa volta, verrò a salutare il tipo di riguardo, come lo chiami tu. Ma cerchiamo di liberarci in fretta!» «Vieni vestita così?» esclamò Karyn inorridita. «Non puoi farti prestare un vestito un po' più adatto alla circostanza?» Un abito nero in jersey, con il taglio diritto e lo scollo a barchetta, preso in prestito dalla Maison Evelyn Montoya con il consenso di Isabel Klein, le sembrò abbastanza appropriato, a patto che fosse accompagnato da un paio di scarpe con il tacco a spillo. «Grazie, Isabel.» Nora ringraziò in fretta. «Te lo riporto non appena mi libero. Nel giro di qualche minuto, spero. Ti lascio in custodia la mia borsa.» Nella grande sala dove si era svolta la sfilata ormai era rimasta poca gente. Mentre seguiva Karyn verso le prime file della platea, Nora rispose con grazia a sorrisi e saluti. Firmò anche qualche autografo, uno dei quali per una dodicenne allampanata che sognava di prendere il suo posto fra qualche anno. Distratta da quel curioso incontro, non ebbe nemmeno il tempo di informarsi sull'identità dello sconosciuto ammiratore che l'aspettava. Poi Karyn li presentò, e fu troppo tardi per informarsi. Suzanne Carey
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Non può essere! pensò Nora sentendo una morsa soffocante allo stomaco. Di sicuro si sarebbe svegliata e avrebbe scoperto che quello che aveva vissuto era tutto un sogno. Si stava specchiando in un paio di occhi grigi come un mare in tempesta, occhi che l'avevano già affascinata dalle pagine di un giornale. In ogni caso, la presentazione che era appena avvenuta non lasciava alcun dubbio. L'uomo che aveva chiesto di conoscerla era lui, Seiji Amundsen. Per tutto il pomeriggio aveva cercato il modo di incontrarlo senza successo, e adesso Karyn gliel'aveva servito su un piatto d'argento. Nonostante Nora vantasse nove centimetri di tacchi a spillo, Seiji era più alto di lei, quindi uno e novanta o forse di più. E le fotografie non gli rendevano giustizia. Tutto in lui, dall'arco delle sopracciglia al taglio deciso delle labbra, irradiava sicurezza e sex appeal. Aveva una selva di folti capelli castani e la pelle leggermente abbronzata. I suoi occhi la esaminarono da capo a piedi, e lei sussultò di imbarazzo rendendosi conto di aver appena fatto altrettanto. Lui le prese la mano e abbozzò un lieve inchino. Le sue dita erano forti e calde. «Piacere» disse Nora in un soffio. «Il piacere è tutto mio, signorina Braet» dichiarò Seiji Amundsen, un sorriso enigmatico e appena accennato sulle labbra. «Oltretutto, se non sbaglio, siamo anche lontani parenti.» Nora cercò di mascherare il nervosismo che stava provando. «No, non sbaglia.» Sorrise anche lei, e si sforzò di sembrare naturale. Un'impresa quasi disperata, almeno in quell'istante. Lui continuò a tenerle la mano tra le proprie. E Karyn, intanto, li fissava sorpresa. In tanti anni che conosceva Nora Braet, pensò, non le era mai capitato di vederle dedicare tanta confidenza a qualcuno. Sicuramente tra quei due stava succedendo qualcosa di strano. Qualcosa che lei non riusciva affatto a comprendere. Alla fine, Nora si riscosse e ritrasse in fretta il braccio. «Il signor Amundsen e io abbiamo un nonno in comune» spiegò rivolta alla sua agente. «Si chiamava Jerrold Braet ed ebbe due mogli, perciò siamo secondi cugini?» chiese conferma a Seiji con lo sguardo. Lui annuì di rimando. «In ogni caso, per quello che ne so io, nessuno del ramo Suzanne Carey
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americano ha mai incontrato i parenti del ramo giapponese.» Era andata dritta al cuore del problema con straordinaria chiarezza, pensò lui. O forse, aveva solo cercato un modo sottile per rimetterlo al proprio posto. «Una mancanza alla quale rimediamo in questo momento, non le pare?» replicò con un sorriso accattivante. Era più che mai deciso a vincere la sua ipotetica avversione, a conquistarla, a sedurla con il proprio fascino, a segnare il primo punto in quella battaglia che sognava ormai da anni. Pochi minuti più tardi aveva già trovato il modo di invitarle fuori a cena entrambe. Perché, spiegò, era solo e a disagio in una città come New York, e la compagnia di due incantevoli signore gli avrebbe fatto bene. Karyn era abbastanza perspicace per capire che la compagnia alla quale il signor Amundsen ambiva non era certo la sua. Sicché prese come pretesto un altro precedente impegno e rivolse a Nora un'occhiata supplichevole. Lei esitò. Sarebbe stata un'ottima occasione per parlare del futuro della Braet & Company, ma qualcosa in quell'uomo la spaventava e nello stesso tempo la attirava più di quanto lei stessa non osasse ammettere. Di sicuro, era assurdo pensare che faticasse a trovare compagnia. «Potrei accettare io» accettò alla fine. «A patto che lei si offra di riaccompagnarmi a casa, dopo.» «Sarà certamente un piacere» replicò l'affascinante nipote giapponese di Jerrold Braet. Nora fece un passo indietro. «Allora» mormorò, «se vuole scusarmi, vado a prendere la... ehm... la mia borsa.» Mentre la riaccompagnava di nuovo nei camerini, Karyn continuava a ringraziarla. «Non è solo un favore che faccio a te» le assicurò Nora, con grande sincerità. «Ho tentato per tutto il pomeriggio di mettermi in contatto con Seiji Amundsen. Credimi, sei tu che mi hai fatto un enorme favore.» Guardò con aria critica la sua borsa da lavoro. Di colpo le sembrò del tutto inadatta a un invito a cena. «Isabel, per favore, puoi tenermela fino a domani e prestarmi una delle tue borsette da sera?» Con un piccolo sorriso complice, l'assistente di Evelyn Montoya le offrì un minuscolo borsellino in moiré nero, dove lei trasferì in fretta il portafoglio, le chiavi e il lucidalabbra. Quando ritornò nella sala della sfilata, erano rimasti solo Seiji e gli inservienti. Suzanne Carey
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Lui la seguì con lo sguardo mentre si avvicinava e le offrì il braccio senza parlare. Poi le rivolse uno dei suoi enigmatici sorrisi e la guidò con passo sicuro verso l'uscita. Una lussuosa limousine nera li aspettava accostata al marciapiede. L'autista giapponese in uniforme blu si toccò il cappello in segno di deferente saluto, senza mostrare la minima curiosità. Li lasciò entrare, poi richiuse la portiera e si mise al volante. Nel giro di qualche secondo si trovarono immersi nel caotico traffico notturno di New York. Il profumo del dopobarba di Seiji aleggiava appena nell'aria. Nora respirò a fondo e cercò di non far caso al senso di inquietudine e di emozione che provava. Nonostante vivesse ormai da qualche anno nel mondo dorato ed effimero della moda, il suo personale codice di comportamento era sempre rimasto piuttosto rigoroso. Niente cenette con ammiratori sconosciuti, niente fidanzati usa-e-getta, niente love story ad uso e consumo dei paparazzi. In pratica, una vita mondana inesistente e una vita sentimentale ancora in bianco. «Dove siamo diretti?» chiese un attimo dopo incuriosita. «In un posto dove si possa cenare, e magari anche ballare» rispose lui senza incertezze. «Ha... hai qualche preferenza?» Dunque, se erano parenti, potevano anche abolire i toni formali. Nora sorrise e scrollò la testa. «No, grazie. Nessuna preferenza particolare.» Lui aprì con un pulsante il vetro scorrevole che separava l'autista dai viaggiatori, e pronunciò una serie di parole in giapponese, seguite dal nome di un albergo dell'East Side, il migliore, a cinque stelle, famoso per il superbo ristorante francese, gli spettacoli di cabaret e una rinomata orchestra dal vivo. Mentre si appoggiava di nuovo all'indietro, dopo aver richiuso il vetro, le sfiorò il ginocchio con il proprio. Nora deglutì a vuoto. Era un velato tentativo di seduzione? Assurdo, pensò. Stephanie aveva prospettato il quadro esattamente opposto: che fosse lei a tentare di sedurre Seiji... Eppure, poteva darsi che proprio l'affascinante signor Amundsen mirava a mettere anche lei nella bacheca dei suoi trofei, insieme alla Braet & Company. Se il piano era questo, le conveniva mettere subito le carte in tavola già nel corso della cena, per evitare spiacevoli malintesi. All'interno della limousine, il silenzio diventò improvvisamente pesante. Suzanne Carey
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Nora pensò che doveva dire qualcosa, anche solo per alleggerire la tensione. «Lo sai? Non sembra affatto che tu abbia origini giapponesi» incominciò per pentirsi immediatamente delle proprie parole. Lui rispose con garbo studiato. «Come probabilmente avrai saputo» le fece notare con la sua voce profonda e vellutata, «sono una specie di incrocio etnico.» E termine aveva in sé qualcosa di vagamente negativo. Nora non seppe più come replicare. Con immenso sollievo scoprì che il viaggio era finito, perché la limousine si era fermata e dai vetri si distingueva l'insegna luminosa del ristorante. Seiji Amundsen l'aiutò a scendere e lei si augurò che non si fosse offeso. L'atrio dell'albergo era un tripudio di marmi, cristalli e legni intarsiati. Dall'atrio, sulla destra, si passava nel ristorante in puro stile francese, a partire dal nome: Le verger des pèches, il frutteto delle pesche. A quell'ora, le nove di un giorno feriale, il locale sembrava un'oasi di tranquillità. Poca gente, atmosfera lussuosa e ovattata, camerieri impeccabili e dal passo felpato. Gli ambienti erano stati ristrutturati da poche settimane, e Nora non aveva ancora avuto il piacere di ammirarli. La prima cosa che la colpì, entrando, fu il grande affresco sulla parete centrale, a imitazione del celebre Déjeuner sur l'Herbe di Manet. Solo che lì, nell'affresco, c'erano solo giovani donne nude, con l'espressione sognante e la pelle color pesca. La direzione aveva scelto la stessa inquietante sfumatura anche per le tovaglie, e i fiori del delicato bouquet che ornava ciascun tavolo. Alla luce delle candele, l'effetto era insieme sensuale e suggestivo. Fu subito chiaro che il tavolo era prenotato e che il maitre li stava aspettando. A Nora sembrò un particolare altamente sospetto. «Ti piace?» chiese Seiji sottovoce, mentre il maìtre li accompagnava al tavolo. Nora lo guardò. «Sì, certo» rispose imperturbabile. La professione le aveva insegnato a non lasciar mai trasparire le emozioni: una modella non può aver paura, avvertire imbarazzo o provare noia. «Se mi guardo un po' intorno, è solo perché il locale è stato rimodernato da poco e io non l'avevo ancora visto.» Si sedettero, e arrivò subito un cameriere. Poiché Nora ordinò champagne con estrema sicurezza, Seiji arrivò alla rapida conclusione che Suzanne Carey
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probabilmente lei conosceva molti più locali di quanti non volesse ammettere. Di sicuro, aveva ai propri ordini schiere di corteggiatori, disposti ad accompagnarla ovunque desiderasse andare. Per rompere il ghiaccio, le suggerì un brindisi ai futuri ottimi rapporti tra le loro famiglie. Nora non capì bene che cosa intendesse. Per parecchi secondi le sembrò che su di loro incombesse il fantasma di un argomento difficile e sgradito, quello del trattamento inflitto dai Braet americani alla nonna e alla madre di Seiji. Un prologo davvero pessimo per il discorso che intendeva affrontare lei, riguardante il futuro della Braet & Company. Per fortuna, le cose iniziarono ad andare un po' meglio dopo le Coquilles St. Jacques e la Sole à la Normande con gamberi e funghi. Seiji le chiese del suo lavoro, e rispose con estrema cortesia a tutte le domande che lei gli pose su viaggi e imprese finanziarie internazionali. Era inutile negarlo: si sentivano tutti e due terribilmente attratti l'uno dall'altro, ma entrambi avevano anche la precisa consapevolezza di essere avversari smaliziati in un'immaginaria partita a scacchi ancora tutta da decidere. Dopo il dessert, si spostarono nella sala del Cabaret, dove un duo di tromba e piano scaldava l'atmosfera con un repertorio jazz a cavallo tra gli anni Quaranta e i Cinquanta. Seiji ordinò un sake per sé e un cognac per lei. Poi la invitò a ballare. Nora entrò nel cerchio delle sue braccia sentendosi come in uno stato di trance. Non aveva mai sperimentato niente di simile, niente di più dolce che essere tenuta stretta da quell'uomo straordinario di cui conosceva l'esistenza da anni e che solo adesso aveva potuto incontrare. Era come se l'oceano che li aveva tenuti separati fino a quel momento fosse sparito all'improvviso, per incanto, insieme alle barriere culturali e ai rancori delle loro due famiglie. Non voglio provare niente del genere per lui, si ribellò Nora. Innamorarsi di Seiji era pura follia. Avrebbe intralciato i suoi piani, l'avrebbe costretta a muoversi in una posizione di svantaggio al momento di trattare il futuro della Braet & Company. Eppure, quando Seiji le appoggiò la guancia sui capelli, lei non poté fare a meno di stringersi ancora di più tra le sue braccia. Lui, di solito freddo e calcolatore, rimase all'improvviso folgorato da un Suzanne Carey
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pensiero impossibile e ridicolo. Se avessero avuto un figlio, sarebbe stato bellissimo. Quando alla fine si offrì di accompagnarla a casa, Nora realizzò con un sussulto di non aver ancora accennato il discorso sulla Braet & Company. Ballare tra le braccia di Seiji le aveva cancellato dalla mente qualunque altro pensiero... Doveva proprio essere impazzita! Ormai, se voleva parlargli, non le restava che invitarlo a salire nel suo appartamento, rischiando il più ovvio dei malintesi. All'improvviso la limousine si fermò. Seiji scese e le porse la mano, che lei accettò sforzandosi di ricacciare indietro il nervosismo latente. «Vuoi salire un attimo?» chiese Nora cercando di assumere un tono naturale. «Ti offro un caffè, oppure un drink.» Lui si mostrò tutt'altro che sorpreso. Sembrava quasi che se lo aspettasse, come una cosa naturale. «Volentieri» accettò senza difficoltà. Parlava lentamente, quasi scandendo ogni singola sillaba. «Ma non posso fermarmi a lungo. Domani mattina presto ho una riunione importante.» In ascensore si scambiarono appena qualche parola. Seiji pregustava già la vittoria e Nora cercava mentalmente il modo per affrontare l'argomento che più le interessava. Prima gli avrebbe offerto qualcosa da bere, poi l'avrebbe fatto sedere in una delle due comode poltrone vicino alla vetrata, davanti al magico spettacolo di una New York notturna, vista dall'alto. In quella cornice gli avrebbe finalmente parlato della zia Maggie che era gravemente malata e della sua determinazione ad aiutarla in qualsiasi modo a combattere il male. Di sicuro, lui le avrebbe espresso la propria simpatia, come del resto avrebbe fatto chiunque, e a quel punto lei gli avrebbe spiegato che, per la zia Maggie, la Braet & Company era ormai l'unica ragione di vita. Magari, insieme potevano trovare una soluzione meno drastica della vendita. Inutile dire che lei era dispostissima a scusarsi pubblicamente per come il ramo americano dei Braet aveva trattato la sua famiglia nel corso degli anni. Non arrivarono mai al mobile bar. E neanche alle poltrone davanti alla vetrata. Appena richiusa la porta dell'appartamento Seiji si avvicinò e le mise le mani sulle spalle, senza parlare. Nora lo guardò affascinata. Sentiva il calore delle sue dita attraverso la stoffa leggera del vestito, non desiderava altro che lui abbassasse il viso per baciarla. Suzanne Carey
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Era bellissima e desiderabile, pensò Seiji. Poi, senza più riflettere, si chinò per cercare le sue labbra e stringerla a sé. L'intensità di quel bacio lasciò entrambi senza fiato. Erano fatti l'uno per l'altro, pensò Nora. In quel momento desiderava quell'uomo più di quanto avesse mai voluto nessun altro. E desiderava donargli tutta se stessa. All'improvviso si rese conto di che cosa stava succedendo. Era sul punto di offrire se stessa senza chiedere niente in cambio, indipendentemente dalla zia Maggie e da tutto il resto. Con sua immensa sorpresa, fu lui a ritrarsi. Ora che aveva pregustato la vittoria, poteva permettersi il lusso di aspettare. Non intendeva portare a termine il suo piano di seduzione quella sera stessa. «Scusa, ma si è fatto tardi» annunciò dopo aver ripreso fiato. «Devo essere perfettamente lucido, domani mattina. Spero che capirai.» Lei si impose di rimandare gli interrogativi a più tardi. «Oh, certo» ribatté in fretta. «Anch'io, in mattinata, ho un servizio fotografico molto importante.» Le belle labbra di Seiji si curvarono in un breve e quasi impercettibile sorriso. «Dunque, sembra proprio che abbiamo gli stessi problemi» osservò ironico. Un pensiero attraversò in un lampo la mente di Nora. Se lo lascio andare via senza parlargli della Braet & Company potrebbe non capitarmi un'altra occasione. Tuttavia c'era qualcosa di ancora più sconcertante: lei desiderava rivederlo per sé. Seguì un impulso improvviso. «Quanto ti fermerai a New York?» chiese. La domanda restò per un attimo sospesa nell'aria. «Fino a metà settimana» rispose finalmente Seiji, dissimulando a stento la soddisfazione. «Credi che potremmo rivederci?» Nora si sentì serrare la gola dall'emozione. Annuì, senza parlare. «Allora ti chiamo io.» Non era una promessa vera e propria, ma lei si sentì subito sollevata. Prese un foglio dal blocco di appunti sulla mensola dell'ingresso e scrisse in fretta il numero del suo cellulare. «Puoi trovarmi qui, quando vuoi.»
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Di una cosa era assolutamente certa, pensò Nora mentre si struccava e si infilava sotto la doccia. Anche Seiji Amundsen, come lei, quella sera aveva desiderato molto più di un bacio. Il fuoco della passione era divampato improvviso, minacciando di travolgerla. Se alla fine non era successo niente, lei non aveva alcun merito. Ci siamo appena conosciuti, pensò lasciando che l'acqua le scorresse sul viso, sulla schiena e le spalle. Lo conosco da non più di tre ore. E lui è una minaccia vivente per la Braet & Company. Si può sapere che cosa diavolo mi ha preso? Doveva riflettere, si disse. E analizzare con molta calma le cose. Tanto per incominciare: perché Seiji Amundsen si era disturbato a cercarla? Per semplice cortesia oppure per raggiungere un secondo fine, magari subdolo? Considerata la sua fama di falco in affari, forse aveva in mente un piano. Forse era stato così machiavellico da proporsi di sedurla per pura vendetta? Proprio come, per vendetta, intendeva acquistare la Braet & Company? Nora rabbrividì sotto l'acqua tiepida della doccia. Ridicolo, pensò. La gente civile non si comporta in questo modo, e lui quella sera si era dimostrato un campione di civiltà, nonostante l'aria da predatore. Uscì e si avvolse in un lenzuolo da bagno. Si asciugò e allungò la mano verso la camicia da notte, appesa alla maniglia della porta. Poi ci ripensò. Per una notte, aveva voglia di sentire sulla pelle il fresco delle lenzuola, e sognare. Chiuse gli occhi e rivide il bel viso di Seiji, il naso leggermente aquilino e gli occhi dal vago taglio orientale. Era stata l'intensità del suo sguardo ad affascinarla. Non poteva fare a meno di immaginarlo come un moderno samurai, un guerriero al quale non difettavano il coraggio e la tenacia, per qualunque battaglia. Era scontato che avrebbe avuto la meglio in qualunque trattativa, anche con lei. Nora aprì gli occhi e tornò bruscamente alla realtà. Che sciocca! Probabilmente non l'avrebbe più rivisto, pensò infilandosi a letto. Magari, Seiji aveva buttato il suo numero di telefono nel primo cestino che aveva trovato in albergo, e lei avrebbe dovuto rendere conto a Stephanie e Darien della serata passata in compagnia del nemico, senza nemmeno affrontare Suzanne Carey
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l'argomento della Braet & Company. Stava per addormentarsi, quando il telefono sul comodino prese a squillare. «Pronto?» rispose con voce assonnata. Steso sull'enorme letto della sua suite d'albergo, Seiji si tormentò al pensiero di lei sotto le lenzuola: vestita come? Già, ma c'era ben di più in Nora Braet che un corpo perfetto. C'era quel misto di sensualità e innocenza che avrebbe fatto perdere la testa a qualunque uomo. «Non ti ho svegliata, vero?» domandò. Dall'altra parte del filo, Nora sussultò. Seiji! «N... no» assicurò mettendosi seduta. Tenne la cornetta all'orecchio e si coprì il seno con il lenzuolo. «Ero al punto in cui la realtà si confonde con l'immaginazione.» Non era solo bella. Aveva una mente brillante, e sapeva esprimersi. Per un attimo, Seiji rimpianse di non essere rimasto con lei. Forse avrebbe fatto meglio a dimenticare i suoi piani e a lasciare via libera al desiderio. «Ti ho chiamato perché...» Perché all'improvviso morivo dal desiderio di sentire la tua voce. No. «Mi hanno invitato a passare il fine settimana sull'isola di Martha's Vineyard, a casa di amici. Mi chiedevo se avevi voglia di accompagnarmi. Potremmo girare un po' l'isola e iniziare a conoscerci.» Lei accettò, anche a costo di annullare una sessione fotografica importante. Si giustificò pensando che, vista la posta in gioco, non aveva altra scelta. Più tardi, però, quando rimase a lungo a fissare il soffitto, più che al futuro della Braet & Company pensò all'unico inebriante bacio che si erano scambiati. Il venerdì di quella stessa settimana si annunciò come una splendida giornata di sole. In maglia a righe bianca e blu, minigonna e cardigan, Nora lanciò un'ultima occhiata allo specchio prima di uscire di casa, poi infilò gli occhiali e prese la borsa. Come d'accordo, Seiji la passò a prendere poco dopo le nove, con la limousine guidata dal solito autista giapponese. Scese dall'auto per prenderle la borsa e, invece del tradizionale inchino appena accennato, la salutò con un casto bacio. Per tutta reazione, lei incominciò a chiedersi in quale razza di situazione si fosse cacciata. Ma si accomodò sui morbidi sedili imbottiti, pronta per le quattro ore di viaggio sulla statale Novantacinque che doveva portarli a Suzanne Carey
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Woods Hole, nel Massachussetts, da dove partiva il traghetto. Seduto accanto a lei, Seiji fece subito di tutto per metterla a proprio agio. Le versò una tazza di tè fumante proveniente da un thermos, quindi le indicò una copia del Times sul sedile posteriore. «Spero che vorrai scusarmi» le spiegò con un sorriso, «ma ho alcuni contratti da rivedere, mentre viaggiamo. È il prezzo che devo pagare per ritagliarmi un fine settimana di vacanza.» «Non preoccuparti per me» rispose lei con un sorriso. Che altro doveva dirgli? Che voleva parlargli della Braet & Company e della zia Maggie subito, senza perdere un altro secondo? Forse lui lo sapeva già. Il tè aveva un aroma forte e particolare, ma molto gradevole. Nora si tuffò nella lettura del giornale, sforzandosi di non pensare ad altro. Incominciò dalla prima pagina e proseguì con metodo fino a quella dedicata all'economia. La sua attenzione venne attratta da un articolo che parlava dell'assorbimento della Braet & Company da parte dell'Amundsen International. Secondo il giornalista che scriveva, Seiji si era già impadronito di almeno il trentotto per cento delle quote di partecipazione. Lei rabbrividì. La situazione era peggiore di quanto avesse pensato, e forse Seiji le aveva offerto il giornale solo per metterle sotto gli occhi la cruda verità. Alzò gli occhi per guardarlo, tuttavia quello che vide la sconcertò. In quel momento, lui la stava osservando con un'espressione sorniona che presto si trasformò in un sorriso. «Una bella donna che si preoccupa di leggere le pagine economiche... Che spettacolo affascinante!» Il sorriso divenne leggermente ironico. «Sì, lo so. C'è un articolo sulla Braet & Company che ti piacerebbe discutere con me. Ne sarò felice, ma non ora. Adesso, che cosa ne dici di goderci la vacanza e di cercare di conoscerci meglio?» Una prospettiva niente male, pensò lei. Tuttavia lei non voleva provare sensi di colpa. «Hai ragione» ammise senza incertezze. «Voglio parlare con te della Braet & Company. Scegli tu il momento.» Seiji ammirò la sua franchezza. Ripose i contratti nella ventiquattr'ore e versò per entrambi una nuova tazza di tè. Poi, con grande naturalezza, iniziò a parlarle di sé e della sua infanzia in Giappone. Raccontò con una punta di nostalgia di come, a cinque anni, fosse rimasto affascinato da un'eccezionale eclissi di luna. Poi, con gli occhi che Suzanne Carey
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brillavano, parlò di un vecchio samurai che l'aveva introdotto all'arte della falconeria. «Quando avevo nove anni, mio padre ci portò tutti in Danimarca, per la prima volta» spiegò. «Non riuscivo a credere che la gente potesse vivere in maniera tanto diversa dalla mia, e mangiare cibi così strani per me.» Sollecitata, anche Nora finì per lasciarsi andare ai ricordi. Emerse l'immagine di una piccola peste che a sette anni si arrampicava sugli alberi di ciliegie nel frutteto della nonna e organizzava sfilate di moda con le sorelle usando i fondi di magazzino procurati dalla zia Maggie. Una piccola peste che poi era cresciuta, era arrivata seconda al concorso per la reginetta della scuola, e prima in assoluto al torneo di latino dell'ultimo anno. «Perché non hai sfruttato la tua predisposizione per le lingue?» le chiese lui. «Lo trovavi noioso, rispetto alla prospettiva di fare la modella?» Nora si strinse nelle spalle. «No, non noioso. Solo diverso. Le sfilate rendono meglio delle traduzioni, se si ha la fortuna di essere considerate brave. Magari mi dedicherò alle lingue quando smetterò di sfilare. È per questo che io ho continuato a pagare l'iscrizione dell'università.» Seiji le sfiorò il ginocchio con il proprio, facendola trasalire. «Quali lingue hai studiato?» «Francese e spagnolo.» Lei si scostò senza farsi accorgere. «E anche un po' di tedesco.» «Niente giapponese?» Nora scrollò la testa e lo guardò negli occhi. «Da quando Jerrold Braet si è stabilito là, nessuno della famiglia è mai andato a visitare il Giappone. Io ho semplicemente pensato che, come lingua, non offriva particolari opportunità.» Lui non commentò nulla e passò ad altri argomenti, più innocui. Per tutto il tempo del viaggio in traghetto da Cape Cod all'isola di Martha's Vineyard, quarantacinque minuti circa, rimasero appoggiati al parapetto uno vicino all'altro. Nora aveva riparato i capelli con un foulard, e Seiji le teneva un braccio sulle spalle. Il profumo della salsedine si mescolava a quello del suo dopobarba, creando una miscela inebriante. Sbarcarono a Oak Bluffs, un piccolo villaggio in stile New England, ricco di ristoranti caratteristici, boutiques per turisti e casette d'epoca. Da lì la limousine prese la strada verso sud, che portava a Vineyard Sound, una zona ricca di splendide ville affacciate sul mare e immerse nel verde. Suzanne Carey
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In breve arrivarono a un'insegna di legno che annunciava la villa dei McEwen. Il paesaggio lasciava chiaramente intendere che l'oceano non era lontano. Sotto gli alberi piegati dal vento comparve la sagoma di una grande costruzione bassa e allargata, candida ed elegantissima. «I McEwen sono miei soci in affari» spiegò Seiji mentre l'auto andava a fermarsi proprio davanti all'ingresso. «Hanno voluto riunire qui alcuni amici per il fine settimana. Non saremo i soli ospiti.» La padrona di casa, Pam McEwen, era una donna magra e bionda, con i lineamenti aristocratici e l'aria di essere cresciuta in mezzo al lusso. Li accolse con grande entusiasmo. «Siete arrivati appena in tempo per la battuta di pesca!» esclamò. Abbracciò Seiji e strinse calorosamente la mano a Nora. «Sono già tutti in spiaggia. Telefonerò per avvertire che state arrivando. Intanto, se volete andarvi a cambiare, dirò ai domestici di portare i vostri bagagli in camera.» Vista dall'interno, la casa sembrava ancora più immensa, e Nora ebbe la felice conferma che a lei e Seiji erano state assegnate due stanze separate. Si cambiò in cinque minuti, sostituendo la minigonna con un paio di pantaloni bianchi, e i sandali con le scarpe da ginnastica. Diede una rapida occhiata allo specchio, mise un velo di lucidalabbra e uscì. Trovò Seiji che l'aspettava nell'atrio, con un paio di pantaloni chiari e una polo nera che metteva in risalto le sue braccia forti e abbronzate. Il maglione, nero e allacciato attorno al collo, regalava al suo viso un'aria scura e misteriosa. Lo yacht dei McEwen, un cabinato di trenta metri, era ormeggiato al porto di Menemsha. Loro e Pam McEwen furono gli ultimi a salire a bordo. Gli ormeggi vennero mollati subito, perché gli ospiti erano ansiosi di iniziare la loro battuta di pesca; al timone si mise Charlie McEwen in persona, con l'aria animata e un cappello da capitano in testa. Mentre lo steward serviva da bere agli ospiti, lo yacht descrisse un'ampia curva, uscì dal porto e sbucò finalmente in mare aperto. Nora trattenne il fiato, mentre il vento le spingeva i capelli sul viso. Nella fretta aveva dimenticato il foulard e ora non le rimaneva altro da fare che ripararsi alla meno peggio. Mentre qualcuno osservava divertito, Seiji la costrinse delicatamente a girarsi e incominciò a raccogliere i suoi folti e bellissimi capelli rossi in una morbida treccia. Le sue mani si muovevano con delicatezza e agilità come se si Suzanne Carey
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conoscessero da sempre, come se fossero amanti, come se la loro intimità non fosse un segreto per nessuno. Un punto in più verso il traguardo della seduzione, rifletté Seiji sospirando. Con quei capelli morbidi tra le dita, per un attimo si era sentito sommergere da qualcosa che non aveva proprio niente a che vedere con il calcolo o la sete di vendetta. All'improvviso sentì la voglia irrefrenabile di spingersi più in là. «Con il riflesso dell'acqua, e una pelle chiara come la tua, è facile scottarsi» osservò. «Ho portato un tubetto di crema. Vuoi che te ne metta un po'?» Bella scusa. Aveva una gran voglia di toccarla, sentire la sua pelle sotto le dita, accarezzarla. Lei lo capì perfettamente, si intuiva dal suo sguardo. Ma non si oppose. Spostò la treccia e lasciò che Seiji le stendesse la crema protettiva dietro la nuca, sul collo e sul viso. L'attrazione che li legava divenne rapidamente una onda capace di travolgerla. Nora non si fece illusioni: aveva la precisa sensazione che lui stesse tessendo lentamente una trappola sapiente, ma lei non aveva né la volontà né la forza per sottrarsi. L'arrivo dello yacht nel punto in cui era stato segnalato via radio un branco di tonni, rappresentò un sospirato momento di tregua. «Sono tonni bluefin» spiegò Seiji mentre venivano calate le reti. «A volte pesano anche più di trecento chili. A Tokyo, un pesce di quelle dimensioni costa fino a quattordicimila dollari; viene servito crudo, a fettine, nei sushi bar.» I mari dell'isola erano ricchi anche di pesci spada, branzini, merluzzi, naselli e storioni. E siccome per pescare nell'oceano non era necessaria una licenza, anche Seiji e Nora potevano prendere una canna da pesca e tentare la fortuna. Lui le insegnò a infilare l'esca nell'amo e aspettò che lanciasse la lenza in un mare limpido e luminoso come un diamante, poi si scostò di qualche passo sul ponte, e preparò la propria canna. Gli altri ospiti, tre uomini e due donne, li avevano già preceduti. Fu tutto merito della classica fortuna del principiante, come Nora spiegò più tardi. Infatti, lei non era mai stata a una battuta di pesca in vita sua. La spiegazione riscosse parecchie risatine compiaciute e occhiate incredule da parte dei presenti. Pensassero pure quel che volevano: in ogni caso una ventina di minuti Suzanne Carey
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più tardi, l'esca di Nora sprofondò di colpo, la lenza si tese e lei capì che qualcosa aveva abboccato. «È un tonno! Non lasciargli tutta la lenza, altrimenti lo perderai!» le gridò Seiji. Buttò la canna e corse ad aiutarla. «Tienilo forte. Fagli sentire chi comanda.» Non aveva alcuna intenzione di cedere, pensò Nora, tuttavia la battaglia con il tonno sembrò protrarsi all'infinito. L'animale cercava disperatamente di trovare riparo in profondità e non si arrendeva. Seiji, alle sue spalle, le spiegava di momento in momento che cosa fare. Per tutto il tempo, finché non riuscì a tirare il tonno a bordo, Nora ebbe la limpida percezione inquietante della sua vicinanza. Qualcuno suggerì una fotografia, con il tonno in primo piano. «Complimenti!» sussurrò Seiji, chinandosi su di lei a beneficio del fotografo. «Hai un'impostazione da professionista.» Ma Nora sembrava persa dietro a chissà quale riflessione. Strano, pensò Seiji sorpreso. In realtà ne intuì il significato qualche attimo dopo. «Me lo dia, signorina Braet. Vado a metterlo in ghiaccio» si offrì uno dei presenti. «Se vuole, posso darle l'indirizzo di un bravo imbalsamatore. Starà benissimo, sopra al camino del suo salotto.» Nora inorridì. Poi lasciò tutti di stucco con la richiesta più inaspettata che avessero mai sentito. «Per favore toglietegli l'amo dalla bocca e ributtatelo in mare.» «Può valere anche duemila cinquecento dollari» le ricordò Seiji in tono allusivo. «Il prezzo di un abito firmato.» Per chi l'aveva presa? Per una sciocca che badava solo alle apparenze e al denaro? Lei scrollò la testa. «Il denaro non è tutto» ribatté senza esitazioni. «E ho già l'armadio pieno di vestiti. Per favore, ributtatelo in acqua, intanto che è ancora vivo.» Ma una battuta di pesca è una battuta di pesca, e furono in pochi a seguire il suo esempio. Quando attraccarono al molo, tre ore più tardi, molti reggevano tra le mani il loro personale trofeo. Si ritrovarono tutti nella grande sala da pranzo dei McEwen, verso l'ora di cena, gli uomini in giacca e cravatta e le donne in abito da sera. Nora scese le scale e trovò Seiji ad aspettarla. Dato che il clima lo permetteva, il buffet sarebbe stato servito in terrazza. «Sei incantevole» si complimentò lui offrendole il braccio. Lo era Suzanne Carey
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davvero, con un abito di seta a fiori che ondeggiava a ogni passo. Si unirono agli altri ospiti che bevevano champagne e brindavano ai loro successi ittici. Seiji non si allontanò mai troppo da Nora, e al suo fianco lei si sentiva sicura e a proprio agio anche in quella grande casa piena di perfetti sconosciuti. Perché allora, si chiese, tutta quella sicurezza l'abbandonava quando si trattava di parlare con lui della Braet & Company? Lunedì mattina Seiji sarebbe ripartito per Vancouver e quindi per Kyoto. Forse non avrebbero più avuto altre occasioni per parlare. Eppure, anche lei preferiva rimandare il momento del confronto. Era più rilassante stare così, vicini ma in mezzo alla gente, partecipare a risate e chiacchiere e studiarsi senza parere. Dopo cena, qualcuno accese uno stereo per diffondere della musica di sottofondo. A ovest, il sole scendeva basso sull'orizzonte e il cielo era un trionfo di sfumature rosse, arancio e viola. La temperatura andava rapidamente abbassandosi, e molti gradirono l'idea di muoversi un po'. Nora non rimase affatto sorpresa quando Seiji le tese le mani, per invitarla in pista. Come già la prima volta, ballare con lui si rivelò un'esperienza sexy e inebriante. Seiji le teneva le mani alla vita e la bocca a pochi centimetri dal viso. Aveva un'aria intensa, e particolarmente seria. Qualunque cosa mi chiedesse, in questo momento, non saprei dirgli di no, si rese conto Nora, il cuore che le batteva a mille. Tuttavia non voleva correre rischi. Per questo, un po' più tardi declinò con gentilezza l'invito a scendere con lui sulla spiaggia per una passeggiata in riva al mare. Troppo pericoloso, troppo romantico, troppo tutto. In realtà non si fidava di se stessa. «Preferisco andare a dormire, grazie» dichiarò con un timido sorriso. «Il viaggio e la battuta di pesca mi hanno tolto energie. Scusami.» Allora Seiji non provò neppure a insistere. L'accompagnò educatamente fino alla porta della camera, dove le pose un lievissimo bacio della buonanotte sulla guancia. Una volta in camera, però, a dispetto della stanchezza Nora capì subito che il sonno avrebbe tardato a venire. Non servirono a niente le tecniche di rilassamento imparate in palestra, e neanche la vecchia e tradizionale pratica del conteggio delle pecore. Un Suzanne Carey
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pensiero insistente non la lasciava dormire: dall'altra parte del muro c'era Seiji Amundsen, magari già addormentato. Che fare? Non poteva certo permettersi una notte in bianco, se l'indomani voleva essere lucida per discutere con lui del futuro della Braet & Company. Di solito l'unico rimedio per alleggerire la tensione era sempre stato un po' di moto fisico. E i McEwen avevano messo a disposizione degli amici la loro piscina riscaldata, in fondo al giardino. Uno degli ospiti aveva detto di esserci stato, prima di cena. Senza perdere tempo, dato che era già scoccata l'una, Nora indossò il due pezzi in stile Anni Cinquanta che aveva portato per l'occasione e si riparò dal freddo della notte con l'accappatoio di spugna messo a disposizione dalla padrona di casa. Poi schiuse la porta e fece capolino in corridoio. La casa sembrava immersa nel silenzio, perché probabilmente tutti dormivano. Lei incominciò a scendere le scale, attenta a non fare rumore. Non poteva certo immaginare la sorpresa alla quale andava incontro. Dopo averla accompagnata alla porta e salutata, anche Seiji aveva avuto i suoi stessi problemi di insonnia. In verità era rimasto quasi un'ora seduto sul terrazzo della propria camera, completamente vestito, ad aspettare che, in virtù di chissà quale miracolo, lei lo raggiungesse. Ma ormai era chiaro che Nora Braet non dispensava i propri favori con leggerezza. Stranamente, considerato il mondo nel quale viveva, sembrava quasi una donna all'antica. In ogni caso, lui aveva un irrefrenabile bisogno di scaricare la tensione. Niente di meglio di una buona nuotata, pensò. Così si diresse verso la piscina dei McEwen senza neanche preoccuparsi di prendere il costume. Era già a mollo nell'acqua da cinque minuti buoni, quando per un attimo gli sembrò di avere le allucinazioni. All'estremità opposta della piscina c'era Nora. Lui la vide abbandonare l'accappatoio su una sdraio e dirigersi senza esitazioni verso il bordo. Una cosa era certa: lei non gli avrebbe mai perdonato un agguato. «Ben arrivata!» la salutò allora, abbastanza forte perché lei lo sentisse. Sorrise, vedendola trasalire. «Tuffati, l'acqua è splendida. Ma devo avvertirti di un problemino: io non ho il costume.» Oh, no! Nora guardò verso la casa, immersa nel buio. Poi decise di fare buon viso a cattivo gioco. «Non fa niente» assicurò sforzandosi di Suzanne Carey
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nascondere il profondo imbarazzo che invece stava provando. «A patto che tu prometta di mantenere le distanze.» In quelle condizioni, però, era difficile non lasciar correre l'immaginazione. Nora si tuffò, percorse due vasche e si arrese all'evidenza. La tensione, invece di scaricarsi, cresceva pericolosamente. Si arrampicò sulla scaletta d'uscita. «Credo proprio che sia ora di andare a dormire.» Con suo immenso sconcerto, Seiji la seguì. I raggi della luna illuminavano la sua pelle bagnata, il fisico asciutto, le spalle possenti. Nora rifiutò di spingere lo sguardo più in basso. «Seiji, io...» Lui si avvicinò fino a metterle l'accappatoio sulle spalle, per ripararla dall'aria fredda della notte. Che gesto assurdo visto che moriva dal desiderio di spogliarla, di accarezzarla dappertutto, di conoscere ogni centimetro della sua pelle. Quasi senza accorgersene, infilò le mani sotto l'accappatoio e, con un gesto discreto ma deciso, le slacciò il gancio del reggiseno. La parte superiore del costume cadde a terra, ma Nora non riuscì a muoversi. «Hai un corpo bellissimo» sussurrò lui incominciando ad accarezzarla e a stringerla contro di sé. Una mare di sensazioni completamente nuove e straordinarie la travolse. Doveva fermarlo, subito! pensò Nora. E fermare se stessa. «Noi... noi dobbiamo parlare» gli ricordò all'improvviso, cercando di scostarsi. «Adesso?» chiese Seiji, la voce densa di incredulità. «Adesso non è il momento di parlare. Io muoio dalla voglia di baciarti, Nora.» Chinò il viso e si impadronì con quel bacio di tutti i suoi pensieri. La travolse con un turbine di sensazioni così intense da farle dimenticare ogni cosa, Braet & Company compresa. In qualche modo, la forza della passione li fece vacillare. Urtarono una delle sdraio, che andò a sbattere contro il muro e provocò un rumore sordo che fece sussultare entrambi. Una luce si accese al primo piano. Entro pochi secondi, qualcuno avrebbe sbirciato dalla finestra. E li avrebbe visti così! Nora si divincolò in fretta. Non sapeva dove fosse finita la parte sopra del costume, ma non le importava. Corse senza voltarsi indietro verso la Suzanne Carey
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casa, pregando il cielo di non incontrare nessuno.
4 Il mattino seguente, quando la cameriera si presentò per prepararle il bagno, Nora prese la scusa di un mal di testa per avvertire che non sarebbe scesa per colazione. Anzi, se i padroni di casa non si offendevano, preferiva che andassero a pescare senza di lei. «Porga le mie più sincere scuse, ma purtroppo ho avuto una settimana terribilmente pesante» aggiunse. «Sarò felice di unirmi al resto della compagnia per la cena.» Sentiva un immenso bisogno di stare sola e di riflettere con calma su quello che era successo. Aveva appena aperto il rubinetto della doccia, quando qualcuno bussò alla porta. Sarà Seiji, ipotizzò giurando di indovinare. Lei si infilò sotto l'acqua e non rispose. Attese che tutti, compreso lui, se ne fossero andati. Poi, in maglietta rosa e jeans bianchi, uscì in corridoio. Finalmente sola! Forse... In realtà la sua vera intenzione era quella di cercare una bicicletta a noleggio per fare un giro in paese. Niente di meglio che un po' di moto e una bella colazione, per riordinare le idee. A stomaco pieno si ragiona sempre meglio. Scese con grande cautela le scale e trovò senza fatica il garage. Un'autorimessa per sei auto che era impossibile non notare, con un parco biciclette di tutto rispetto. Ne aveva già scelta una ed era impegnata a cercare un lucchetto, quando una voce vellutata e profonda la fece trasalire. «Disturbo, se ti seguo?» Seiji! Era a due passi da lei e la stava fissando, la bocca curvata in un piccolo sorriso ironico. Naturalmente si offrì di accompagnarla in paese e la invitò a mangiare un gelato. «Poi, se vorrai, potremo parlare di tutto quello che ti sta a cuore» suggerì. Tra le biciclette a disposizione, c'era anche un tandem. E alla fine, per quanto incredibile, Nora si ritrovò a pedalare dietro di lui sulla strada che aveva percorso solo il giorno prima in senso inverso, seduta nella sua grande limousine. Suzanne Carey
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Arrivati in paese, legarono il tandem a un palo della luce, vicino a un chiosco di gelati con vista sul porto. E siccome il tempo era splendido, scelsero un tavolino all'aperto. «Qualche gusto in particolare?» le chiese Seiji. Qualche minuto più tardi era già di ritorno con due coni di medie dimensioni, cioccolato per sé e sorbetto di cocco e ananas per Nora. Lei, intanto, cercava vanamente le parole per introdurre il discorso. Un'impresa quasi disperata, perché l'unica cosa a cui riusciva a pensare erano le carezze della sera prima e quel lungo appassionato bacio pelle a pelle. «Avrai già immaginato che voglio parlarti del tentativo di assorbire la Braet & Company» disse prendendo finalmente coraggio. «Però non è come pensi. Voglio dire, non si tratta di questioni economiche anche se ho le mie quote di partecipazione nella società. Le mie sono preoccupazioni affettive e riguardano il direttore generale della compagnia, mia zia Maggie.» Alzò gli occhi. Seiji la guardava in silenzio, restando in ascolto. «Mia zia è una persona magnifica» continuò Nora. «Si è occupata di me e delle mie sorelle fin dal giorno in cui nostra madre è morta in un incidente stradale, più di dieci anni fa.» Lentamente, mentre parlava, la voce diventava più salda e sicura. «Sono certa che mia zia ti piacerebbe. È una donna piena di energia e di iniziativa. Purtroppo, negli ultimi due anni ha subito una serie di batoste dure da sopportare: il secondo divorzio, i problemi con la compagnia. E adesso, anche il cancro. Si sta curando, ma le speranze di uscirne sono poche.» Cercò di non lasciarsi prendere dall'emozione. «Molto dipende da lei, dalla sua volontà di reagire alla malattia in realtà io ho una gran paura che, se perderà la Braet & Company, non avrà più niente per cui lottare. Si lascerà andare, e la malattia completerà il fallimento.» Lui capì subito che era sincera. Non si diventa nessuno, nel mondo degli affari, senza saper distinguere un bluff dalla verità nuda e cruda. Ma, allo stesso modo, un uomo d'affari in genere non ascolta suppliche. E non c'erano dubbi: Nora Braet lo stava supplicando. Dunque, pensò, l'aveva in pugno. Seiji socchiuse gli occhi e ammirò la sua grande compostezza. «Mi dispiace molto per tua zia» replicò. Una frase di circostanza, se ne rese conto appena l'ebbe pronunciata. Del resto, non la conosceva neppure. «Tuttavia, comprenderai anche tu che non posso fare molto per lei. Suzanne Carey
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L'assorbimento della Braet & Company da parte della mia compagnia è ormai un processo avviato.» Lei ricacciò in gola l'umiliazione. Seiji Amundsen era l'uomo più insensibile e odioso che lei avesse mai incontrato. Tentare di arrivare al suo cuore era come cercare di sfondare con la testa una parete di granito. Tuttavia, lei non si era ancora arresa. «Per favore, Seiji, sforzati di capire. Mia zia non ha figli, la Braet & Company è la sua creatura, in un certo senso. Morirà, se tu gliela togli.» Un miracolo vivente, pensò lui. Non aveva mai visto nessuno chiedere così senza umiliarsi, con grandissima tenacia ma nessun cedimento all'arroganza. In ogni caso, era lui ad avere in mano le chiavi della partita, ed era deciso a giocare duro. «Credimi, non ho niente contro di te personalmente» assicurò in tono neutro. «Del resto, io e te ci siamo appena conosciuti. E comunque, grazie a tutta la pubblicità che si è fatta sui giornali in questi ultimi giorni, le quote di partecipazione della Braet & Company andranno alle stelle. Tu e le tue sorelle potrete vendere a me e fare un affare, se volete.» A spese della vita di zia Maggie. Nora ribollì di indignazione e capì che rischiava di compromettere tutta la discussione, se non manteneva il controllo delle proprie reazioni. «Credo che non venderemo mai, neanche tra un milione di anni» dichiarò, la sua voce leggermente più morbida. «Piuttosto, io darei la mia quota a lei, se potesse servire a qualche cosa. Ha già la mia procura, in ogni caso.» Decise di ripetersi, a scanso di equivoci. «Te l'ho già detto: sono assolutamente convinta che, se la compagnia verrà assorbita, mia zia ne morirà entro pochi mesi. Tu, invece, potresti scegliere almeno mille altri investimenti.» Nel frattempo, il contenuto del cono si era liquefatto. Nora lo buttò nel cestino, poi si rimise seduta, senza parlare, gli occhi fissi sul suo interlocutore. «Per essere onesto» ribatté lui dopo un attimo di silenzio, «non vedo perché dovrei avere riguardi per qualcuno della tua famiglia. Il modo in cui i Braet hanno trattato mia nonna e mia madre è stato a dir poco deprecabile.» Lei fu sul punto di ammettere che aveva ragione. Ma, come tutti sanno, la verità ha spesso due facce. Anche la sua bisnonna Katharine, secondo le storie che si tramandavano in famiglia, era rimasta ferita e umiliata Suzanne Carey
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dall'abbandono del marito. Dunque, che senso aveva scusarsi? In più, era sicura che lui avrebbe rispedito al mittente ogni scusa, per quanto plausibile fosse. «La zia Maggie, di persona, non ha mai fatto niente contro tua madre e neanche contro tua nonna, immagino» gli fece presente. «L'antagonismo tra la mia famiglia e la tua è nato quando lei era ancora troppo piccola. La sua colpa che è anche la mia, credo, è stata solo quella di non fare niente per rimediare.» Seiji la guardò in silenzio. Doveva riconoscere che c'era un fondo di ragione, in quel che diceva. Nora intravide uno spiraglio e pensò che la tattica migliore, in casi del genere, era di battere il ferro finché era caldo. «Se c'è un modo per convincerti, qualcosa che magari io possa fare come ad esempio chiedere alla mia famiglia a presentare pubblicamente delle scuse...» Lasciò volutamente la frase in sospeso, per tenere aperte altre possibilità. Seiji incrociò le dita sul tavolo. Secondo le informazioni arrivate a lui, buona parte della famiglia Braet alla quale lei apparteneva sarebbe stata pronta a sacrificare la Braet & Company, e anche la vita della povera zia Maggie, di fronte alla prospettiva di vendere e arricchirsi senza fatica. Se non fosse stata una questione d'orgoglio, avrebbero persino riconosciuto che lui stava facendo loro un favore. Ma Nora sembrava diversa... Era chiaro che le sue preoccupazioni per la zia erano autentiche. Addirittura, aveva la generosità di anteporre il suo interesse al proprio. Mi sto lasciando incantare da un paio di occhi verdi, pensò con rabbia. Il cuore tenero era un grave handicap in affari. «Potresti riscaldarmi il letto per una notte» suggerì con durezza. Se ne pentì subito, se non altro perché una notte non sarebbe certamente bastata a placare la sua voglia di lei. «Potresti diventare la mia amante» si corresse, «e rimanerlo finché non ci saremo stancati.» Nora si irrigidì. Per un attimo non riuscì a credere che lui avesse potuto essere tanto esplicito. La sua amante. Solo per vendetta, per umiliare con lei tutti i Braet. Seiji Amundsen la desiderava, probabilmente, ma non sarebbe mai arrivato ad amarla. «Non posso accettare» replicò, con decisione. Lui si inalberò. «E perché?» domandò con voce tagliente. «Forse Suzanne Carey
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giudichi inadeguati i miei antenati nipponici?» «Niente affatto» replicò lei, sollevando il mento e ricacciando indietro il nodo che aveva in gola. «Ti trovo attraente, simpatico e molto sexy.» In tutta la sua vita, non aveva mai avuto paura di dire ciò che pensava. «È solo che...» Lui la guardò e attese. «...Non ho l'abitudine di passare da un letto all'altro» concluse Nora, non senza difficoltà. «Lo so, anche le mie sorelle lo giudicherebbero ridicolo, ma voglio che, se e quando mi sposerò, mio marito sia il primo uomo della mia vita.» Quindi era vergine. Anche il cioccolato di Seiji si era ormai liquefatto. Una macchia marrone si allargava sulla tovaglia del tavolino, ma lui non se ne accorse. Esistevano ancora donne del genere al mondo? Belle, intelligenti e insieme capaci di aspettare il proprio momento senza bruciarsi? «Qualcuno all'orizzonte?» le chiese. Ebbe una gran voglia di sentirsi rispondere di no. «Al momento, no. Ma chi può dirlo...» Potevo amare te, pensò Nora con una punta di malinconia. Ma intuì immediatamente che era ormai un sogno impossibile. Loro due sarebbero andati ognuno per la propria strada, senza più incontrarsi. La zia Maggie sarebbe morta. Un giorno, sfogliando un giornale per caso, avrebbe visto Seiji Amundsen sposato con qualcun'altra. Fine della storia. Pedalarono fino a casa, scambiandosi solo poche parole. «Se vuoi, possiamo partire domattina presto, prima che gli altri si sveglino» propose Seiji, dopo aver appeso il tandem al gancio. Il suo piano era fallito e non aveva neppure voglia di studiarne un altro. «Sì, grazie» accettò Nora. Non sapeva ancora con che coraggio avrebbe affrontato le sue sorelle. La cena si rivelò una sorta di supplizio, com'era prevedibile. Lei non riusciva neanche a guardare Seiji in faccia, e di sicuro tutti i presenti se ne accorsero. Lui, invece, non l'abbandonava con lo sguardo neanche per un istante, il che non contribuiva di certo a migliorare le cose. Non gli era capitato spesso di vedersi rifiutato da una donna, pensò Seiji. Forse era per questo che si tormentava nel tentativo di trovare una soluzione. Voleva Nora Braet per sé, il desiderio era ormai un dolore sordo Suzanne Carey
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che lo consumava minuto dopo minuto. Finalmente il giorno dopo, mentre erano già in limousine diretti a New York, gli balenò nella mente un'idea. Un'idea così pazzesca che riaccese di colpo in lui l'eccitazione e il gusto del rischio. «Se vuoi davvero salvare la Braet & Company ho un'altra proposta da sottoporti» annunciò a Nora, che leggeva un giornale seduta più in là sul sedile. A lei venne la pelle d'oca. «Invece di diventare la mia amante, potresti sposarmi» disse Seiji, con voce perfettamente controllata. «Ti basterà consumare il matrimonio una volta perché l'unione sia ufficiale, e poi vivere con me per un anno, prima del divorzio. Dopo la prima volta, comportarci o no come marito e moglie sarà a tua assoluta discrezione.» Nora lo fissò senza parlare. «Se accetterai, farò in modo che tua zia rimanga direttrice generale della compagnia» aggiunse Seiji con dolcezza. «Le mie quote di partecipazione della Braet & Company rimarranno a te come buonuscita per il divorzio, a patto che vengano rispettate tutte le mie condizioni. Naturalmente, non ti verrà pagato nessun altro alimento.» Con ogni probabilità, avrebbe dovuto dire addio alla sua carriera di modella. Nel mondo della moda si faceva in fretta a dimenticare una faccia ma questo era un piccolo prezzo da pagare, per la salute della zia Maggie. Siccome non era una sprovveduta, Nora aveva già messo a frutto i suoi guadagni con investimenti oculati e sicuri. E a venticinque anni, uno in più di quanti ne aveva ora, non sarebbe stato difficile ripartire da zero e inventarsi un lavoro. Il problema, piuttosto, era un altro. Poteva davvero sposare Seiji Amundsen sapendo che lui era spinto solo dal desiderio e non dall'amore? Avendo la certezza che quello che gli interessava davvero non era tanto lei, ma la vendetta nei confronti del clan dei Braet? Di fronte al suo silenzio, lui piegò le labbra in un sorriso amaro. «La mia non è una proposta altruistica» spiegò, con una punta di sarcasmo. «So bene che questo matrimonio susciterà molti "mal di pancia", ma...» Ecco che cosa sarebbe stata, pensò lei. Un trofeo. Uno strumento per vendicarsi delle umiliazioni subite. «Naturalmente...» continuò lui, «dovrai sospendere la carriera e chiudere il tuo appartamento di New York. Vivrai a Kyoto, con Suzanne Carey
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mia madre. Dovrai comportarti come una perfetta moglie giapponese, indipendentemente da quello che succederà nella nostra camera da letto. Mi preparerai il tè, il pranzo... e dormirai nel mio letto tutte le volte che vorrò.» Lei sentì lo stomaco diventare un nodo contorto. «Non capisco» obiettò timidamente. «Si può dormire con qualcuno anche senza fare del sesso, no?» ribatté lui. «Ti ripeto le mie condizioni, magari non sono stato chiaro: consumeremo il matrimonio una sola volta, quando e dove vorrò io, e resteremo sposati un anno. Non pretenderò altro. In cambio, avrai le mie quote di partecipazione della Braet & Company. Prendere o lasciare. Lascerò New York per Vancouver domattina intorno alle undici. Fammi sapere entro quell'ora che cosa avrai deciso.» Insomma, per decidere le aveva dato meno di ventiquattr'ore. Quando arrivarono al suo appartamento era quasi mezzogiorno. Seiji scese sul marciapiede per salutarla e le fece portare la borsa dall'autista fino in casa. Dall'alto lei seguì con gli occhi la limousine che si immetteva di nuovo nel traffico caotico della città, finché non girò l'angolo della strada e non scomparve dalla vista. Era stato il fine settimana più incredibile di tutta la sua vita. Se l'avesse raccontato, l'avrebbero scambiata per una pazza. Nora si allontanò dalla finestra e pensò che, di sicuro, se avesse respinto la proposta di Seiji non l'avrebbe mai più rivisto. Ho proprio bisogno di bere qualcosa, si disse. Preparò uno scotch con ghiaccio, ne bevve un sorso e finì per versarlo nel lavandino. Doveva mantenersi lucida, per riflettere. I liquori non sarebbero serviti, era meglio un buon infuso di erbe con tanto miele. E un bel paio di jeans per mettersi comoda sul divano. Invece di mettersi comoda, però, finì per camminare avanti e indietro per il salotto, dicendosi che era uno spreco passare così la domenica pomeriggio. Guarda in quali condizioni l'aveva ridotta Seiji Amundsen. Certo, se lui fosse stato lì, magari la faccenda non sarebbe più sembrata tanto male. Possibile che avesse perso la testa per lui? No, certo. Era un'idea assurda. Lo conosceva da troppo poco tempo. E comunque, adesso il problema era un altro. Avrebbe davvero avuto il coraggio di abbandonare tutto e tutti per un anno e vivere in Giappone con Suzanne Carey
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lui? In Giappone, oltre tutto nella casa di sua madre. Magari lei l'avrebbe odiata ancora prima di conoscerla, per il solo fatto che era una Braet. Eppure, sotto molti aspetti, l'offerta di Seiji presentava dei vantaggi: le avrebbe permesso di salvare la Braet & Company senza perdere rispettabilità, e soprattutto le avrebbe consentito di aiutare la zia Maggie. Le avrebbe schiuso le porte di un mondo misterioso e sconosciuto. E anche di conoscere meglio Seiji, magari gelando una volta per tutte l'attrazione che provava per lui. Naturalmente, il clan dei Braet l'avrebbe presa malissimo. Stephen Braet, suo padre, l'avrebbe considerata una traditrice. Ma siccome lui e la nuova moglie Alison non si erano degnati di fare neppure una visita di cortesia alla zia Maggie, in ospedale, la loro opinione non contava granché. Il nonno Lawrence si sarebbe divertito insieme al cugino Elwin a parlare male di lei nei salotti della buona società, e la prozia Enid, zitella e puritana, si sarebbe riferita alla povera Nora come a una donna perduta, destinata al fuoco di un'eterna dannazione. In fondo, del loro giudizio le importava ben poco. Lei doveva pensare a come uscire viva da quell'avventura, senza troppi traumi o ferite a livello psicologico. E a come evitare di innamorarsi di Seiji Amundsen. Lui ne avrebbe sicuramente approfittato. Con espressione risoluta, Nora si sedette sul divano, prese il telefono e compose il numero di sua sorella Darien. Per una volta, non rispose la segreteria telefonica. «Ciao, Darien. Come sta la zia Maggie?» «Difficile dirlo» rispose Darien, che si era fermata a salutarla alla fine del proprio turno in rianimazione. «A me sembra stazionaria. Tu, piuttosto, hai qualche novità?» Nora esitò, ma solo per un attimo. «Promettimi che non dirai niente a Stephi. Voglio essere io a darle la notizia, a modo mio.» «Quale notizia?» Darien aveva già captato la strana nota di inquietudine nella sua voce. Lei prese fiato. «Ho parlato con Seiji Amundsen» annunciò. «Ha accettato di cedermi le quote di partecipazione della Braet & Company. Saranno mie tra un anno, se le condizioni del nostro accordo verranno rispettate. Nel frattempo, la compagnia non correrà alcun pericolo.» «Sia ringraziato il cielo! Oh, Nora! La zia Maggie ne sarà così Suzanne Carey
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contenta.» Dopo il primo attimo di entusiasmo Darien mise lentamente a fuoco le parole che aveva appena sentito. «Ma... di quale accordo stai parlando? E perché, poi, fra un annoi Non capisco...» Lei cercò di presentare la prospettiva sotto l'aspetto migliore. «In cambio delle quote, Seiji Amundsen mi aveva proposto di diventare amanti. Ma tu sai come la penso: ho rifiutato in modo categorico. La sua controfferta è stata il matrimonio.» Dall'altra parte del filo ci fu un lungo attimo di silenzio. Poi «Nora! Ma... non vorrai accettare, mi auguro!» Darien sembrava sconvolta. «L'alternativa è lasciare la zia Maggie senza un filo di speranza» ribatté lei, con grande determinazione. «Oppure diventare la sua amante e non avere nemmeno la garanzia di una fede al dito, nel caso lui dovesse stancarsi di me. Immagino che dovrò anche essergli grata perché accetta di farmi diventare "una donna onesta", come si suol dire!» Nora attese fino all'ultimo momento, come se quella scelta potesse in qualche modo rendere le cose più facili. Infine prese coraggio e chiamò Seiji. Lui, che aveva ormai perso ogni speranza di sentirla, stava infilando le camicie fresche di bucato nella sua lussuosa valigia di pelle color cuoio, preparandosi a partire per l'aeroporto. Sentì il telefono squillare e prese al volo la cornetta. «Sì?» rispose, con un pizzico di impazienza. «Sono Nora» disse lei, e anche quelle due semplici parole le uscirono a fatica. Possibile? Seiji alzò la guardia e si preparò al peggio. Dopotutto, non era detto che lei avesse chiamato per accettare. «Posso fare qualcosa per te?» domandò. Silenzio. «Ecco io avrei deciso di... di accettare la tua offerta» annunciò Nora in un soffio, prima di poterci ripensare all'ultimo momento. Lui si sentì di colpo soddisfatto e confuso. Fino a quel momento, non si era reso conto di tenere così tanto a tutta la faccenda. «Mo ichido yutay kudasai?» chiese alzando inavvertitamente il timbro della voce. Qualche secondo più tardi, si rese conto di aver parlato in giapponese e quindi ripeté la domanda in inglese. «Puoi ripetere, prego? Ho paura di non aver capito bene.» Faceva di tutto per renderle le cose ancora più difficili, pensò lei. E Suzanne Carey
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divenne ancora più tesa. «Hai capito benissimo: accetto la tua proposta di matrimonio. Non ho scelta, se voglio aiutare mia zia.» Bel colpo, pensò lui, con un sorriso amaro. Aveva trasformato un'autentica, profonda attrazione in un matrimonio di convenienza. Forse, prima o poi se ne sarebbe pentito. Scacciò quella riflessione inopportuna dalla mente e le chiese di raggiungerlo a Vancouver entro la fine della settimana. «Ho un grande appartamento con vista sul porto» spiegò. «Se per te non è troppo presto, potremmo partire per il Giappone già questa domenica.» Era chiaro che si aspettava una risposta immediata. Nora mormorò timidamente che forse poteva farcela. Aveva una voce strana e metallica, che sembrava quasi provenire da un altro pianeta. Non che fosse difficile capirla, pensò Seiji. Ma non era disposto a lasciarla andare, adesso che l'aveva in pugno. «Dirò al mio avvocato di preparare un accordo prematrimoniale e di spedirlo al tuo via fax» concluse assumendo di nuovo il tono sbrigativo tipico dell'uomo d'affari. «Se ci sarà qualche punto di disaccordo sono sicuro che troveremo un compromesso.» Nora impiegò i primi tre giorni della settimana a disdire gli impegni di lavoro, con grande costernazione della sua agente, e a svuotare l'appartamento per darlo in affitto mentre lei viveva dall'altra parte del mondo. Impacchettò i libri, i soprammobili e gli effetti personali, e li affidò a un magazzino, fino al suo ritorno. Poi, il giovedì mattina, prese l'aereo e lasciò New York, per andare a passare un po' di tempo a Seattle con la zia Maggie, prima di lasciare il paese. Non portava con sé molto bagaglio: solo due borse da viaggio leggere. Merito di un'idea geniale, quella di spedire il grosso del suo guardaroba direttamente all'aeroporto internazionale di Kansai, in Giappone. Seiji era già stato avvisato e uno dei suoi domestici sarebbe andato a prelevare i quattro bauli in arrivo direttamente dagli Stati Uniti. In aereo parecchi passeggeri la riconobbero ma nessuno la disturbò. A lei sembrava quasi di viaggiare in una specie di limbo sconosciuto, sospesa tra la vita che aveva vissuto fino a quel momento, e un'altra di cui non sapeva ancora nulla. Guardò il tranquillo paesaggio del Montana scorrere sotto di sé, e per un attimo sperò che dietro alla passione e alla tenace volontà di vendetta di Suzanne Carey
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Seiji, si celasse anche qualcos'altro, magari un'inaspettata capacità di amare come lei desiderava essere amata. Quando arrivò in ospedale, dopo aver lasciato le borse da viaggio nel grande appartamento di Seattle in cui solo pochi giorni prima si era incontrata con le sue sorelle, trovò la zia Maggie che l'aspettava seduta sul letto. Era debole e aveva perso ancora peso, ma sosteneva di sentirsi un po' meglio. «Sembra che possa tirare avanti ancora un po'» disse con un piccolo sorriso ironico, dopo averla baciata e abbracciata. Indicò con un cenno un vaso di rose sul tavolino della camera. «Guarda, non sono incantevoli? Me le ha portate Darien. È proprio un angelo.» Nora annuì e sorrise. Stava facendo la cosa giusta, pensò. Ora ne era proprio sicura. «Anch'io ho un regalo per te, zia Maggie» annunciò. «Qualcosa che, spero, ti tirerà presto fuori di qui. È un regalo che non si vede, quindi non ho potuto impacchettarlo.» Le labbra della zia Maggie si piegarono in un piccolo sorriso divertito. «Non tenermi sulle spine, bambina. Di che cosa si tratta?» «Sono riuscita a mettere le mani su un consistente pacchetto di quote della Braet & Company. Potrò acquistarle a un prezzo più che vantaggioso e, insieme a quelle che possediamo, metteranno finalmente la compagnia al sicuro.» Sua zia la guardò in silenzio, sbalordita. «Nora, ma... parli sul serio?» Lei sorrise, felice. Era il primo vero sorriso da quando Seiji le aveva presentato la sua sconcertante proposta. «Sì, zia. Adesso devi solo metterti tranquilla e cercare di riprenderti in fretta. Quando sarai guarita, il tuo ufficio sarà ancora lì ad aspettarti.» La zia Maggie le tese le braccia e la strinse forte a sé. «Oh, bambina. Tuo padre non ti merita» esclamò scrollando la testa. «E forse non ti merito neanch'io!» Poi, si riprese dalla sorpresa, e chiese di conoscere tutti i particolari. «C'entra un uomo...» confessò Nora. «Oh, oh!» Gli occhi della zia Maggie si illuminarono di tenera malizia. Era indispensabile raccontarle almeno una parte della verità, pensò lei, pur con grande cautela. «Prima di tutto, devo avvisarti che starò lontana per un po'. Vado in Giappone per lavoro.» Sul viso dell'ammalata passò un'ombra. «E in Giappone ci sarà anche il Suzanne Carey
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lui di questa storia.» Nora fu costretta a rivelare chi era, anche perché la zia Maggie l'avrebbe scoperto comunque, prima o poi. Naturalmente si guardò bene dall'esporre i termini reali dell'accordo, e lasciò piuttosto intendere che lei e Seiji Amundsen si erano conosciuti a una sfilata e che per entrambi era stato il classico colpo di fulmine. Con l'abituale spirito, Maggie andò subito al cuore del problema. Quali sarebbero state le reazioni degli altri membri della famiglia Braet? «Se fossi in te» suggerì con un pizzico di divertita ironia, «non riferirei niente a tuo padre prima di aver lasciato il paese.» Nora rise e alzò gli occhi al cielo. «Infatti! Non ho proprio intenzione di dirgli niente!» «Era ora che qualcuno riallacciasse i contatti con i Braet d'oltre oceano!» esclamò Maggie Braet, con sua immensa sorpresa. «È il tipo di progetto a cui magari si pensa per anni e che poi non si trova mai l'occasione giusta per metterlo in pratica.» Nora tornò a trovarla quella sera, e anche la mattina del giorno successivo. Il momento dell'addio fu commovente per entrambe, ma si salutarono con abbracci e grandi sorrisi per non cedere alle lacrime. «Cerca di tornare per Natale, tesoro» chiese Maggie Braet, con un sospiro. «E porta con te il signor Amundsen. Sono certa che la sua presenza renderà molto più movimentate tutte le celebrazioni familiari.» Nel corso della sua breve permanenza a Seattle, Nora trovò anche il modo di fare colazione con Darien nel loro ristorante tailandese preferito, e di telefonare nel cottage di Snoqualmie dove viveva Stephanie. Fece giurare alla sorella minore che avrebbe mantenuto il segreto, poi le svelò la verità su quello che stava per succedere. Stephanie rimase straordinariamente colpita. Per poco non l'accusò di aver preso i suoi consigli troppo alla lettera. «Mi auguro che terrai queste informazioni per te» ripeté Nora con enfasi. «Ho detto alla zia Maggie solo quello che era possibile dirle, considerate le sue condizioni. Non voglio che venga a conoscenza di nessun altro particolare. Sono stata abbastanza chiara?» Il sabato di quella settimana, Nora ritardò il più possibile l'incontro con Seiji. Invece di scegliere il volo diretto per Vancouver, prese il traghetto da Seattle a Victoria, e da lì un altro traghetto per raggiungere la capitale della Columbia Britannica attraverso la Baia di Swartz, impiegando mezza Suzanne Carey
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giornata in più. Per quanto si sforzasse di rimanere calma, dal parapetto dell'imbarcazione guardò sfilare le foreste spesse dell'isola di Vancouver, e sentì crescere dentro di sé l'inquietudine. Per quanto tempo avrebbe saputo resistere, in un paese sconosciuto, al fianco di un uomo come Seiji Amundsen?
5 Un tizio in uniforme, con il proprio nome scritto a lettere cubitali su un cartello di cartone, venne a prenderla allo sbarco sud in un posto chiamato Tsawwassen. Si inchinò in maniera fin troppo ossequiosa appena lei si avvicinò. «Signorina Braet?» domandò con pesante inflessione giapponese. Lei faticò a non inchinarsi a sua volta. «Sono io» rispose in tono informale. «Mi occuperò io del suo bagaglio, prego.» Lasciarono rapidamente la zona del porto, a bordo di una limousine simile a quella di New York. Nora notò un paio di occhiali da sole, quasi sicuramente dimenticati da un uomo, e parecchie riviste in giapponese. Seiji doveva averle consultate di recente. Come preannunciato, l'edificio in cui lui aveva il suo appartamento, godeva di una splendida vista sul porto e sugli impianti sportivi della Società di Canottaggio. Dopo aver parcheggiato nel garage sotterraneo, l'autista caricò lei e le borse su un modernissimo ascensore in mogano e acciaio. Qualche secondo dopo, l'ascensore li aveva già sbarcati all'ultimo piano, e l'autista aprì la porta di casa con una tessera magnetica. Lei fece appena in tempo a notare l'eleganza semplice ed essenziale dell'arredamento, i divani candidi, la collezione di kimono appesa alla parete, poi il suo sguardo corse a Seiji. Era fermo davanti a una grande vetrata, scalzo, con la schiena rivolta alla porta e lo sguardo perso sulla superficie azzurra del mare. Sebbene la porta si fosse aperta senza il minimo rumore, lui sembrò avvertire all'istante la loro presenza. Si girò. I suoi occhi erano tempestosi e indecifrabili proprio come Nora li Suzanne Carey
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ricordava. Gli occhi di un rapace che studia la sua preda. Questa volta la preda era lei. Nora attese, con il cuore in gola, che lui attraversasse la stanza per venirla a salutare... con un bacio? L'autista, con grande discrezione, si era già eclissato. Un bacio, certo. Niente affatto tenero. Il bacio prepotente e deciso di chi reclama una proprietà di diritto. E insieme al bacio, un abbraccio. È così bella, con i capelli pieni di luce e le guance animate. Bella, distaccata e vagamente ribelle. Non le avrebbe mai donato il proprio cuore, pensò Seiji mentre la teneva stretta. Ma non vedeva l'ora di amarla. Un'ondata di desiderio travolse Nora. Si sentiva come cera pronta ad essere plasmata dalle sue mani. Nonostante tutto, nonostante quel patto scellerato che li obbligava a un prossimo matrimonio di convenienza, lei avrebbe dato qualunque cosa pur di riuscire a farsi amare da un uomo come lui. Fuori, le ombre della sera si addensavano sui grattacieli della città. Seiji si scostò di scatto, così in fretta che lei quasi barcollò. All'improvviso fu come se quella breve parentesi di passione non fosse mai avvenuta. «Sarai stanca per il viaggio» commentò lui, con uno dei suoi più enigmatici sorrisi. «Vieni, ti offro qualcosa da bere in terrazza. Se vuoi, possiamo anche cenare all'aperto. Stasera c'è la luna piena, e sono in programma i fuochi d'artificio per la visita di non so più quale altezza reale britannica.» Lei si sfilò rapidamente le scarpe, per rispetto verso le usanze giapponesi, e lo seguì sul terrazzo. Guardò in basso e trattenne il fiato, perché la vista sul porto era davvero spettacolare. La barche si preparavano per la notte, qua e là incominciava ad accendersi qualche luce, e si rispecchiava danzando sull'acqua. In quel momento la conversazione languiva un po'. Cenarono bevendo birra giapponese e mangiando teppanyari, una pietanza preparata sulla griglia dallo stesso autista giapponese che era andato a prendere Nora al traghetto. Lei impugnò i bastoncini e riuscì presto a usarli a una velocità più che dignitosa. Intanto, nel cielo, la luna diventava sempre più rotonda e luminosa. Il domestico cambiò i piatti e servì una piccola selezione di dolci, mentre loro si limitavano a scambiarsi poche parole e a porsi Suzanne Carey
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privatamente mille interrogativi. «Lo sai?» La voce profonda di Seiji spezzò il silenzio. «In Giappone, ammirare la luna piena è un passatempo molto popolare.» Lei sussultò. «Sì, me l'hai raccontato mentre eravamo in viaggio per Martha's Vineyard» gli ricordò. «Oh!» Seiji si scusò con un sorriso per essersene dimenticato. «Ti porterò presto nella mia tenuta di campagna, dove allevo i falchi. Magari inviteremo qualche amico. Guardare la luna da là è uno spettacolo indimenticabile.» Una scia luminosa solcò il cielo, e dal porto si levarono alte grida di gioia. Lo spettacolo di fuochi d'artificio era incominciato. Il tempo parve fermarsi all'improvviso, mentre il cielo veniva illuminato da cascate e girandole multicolori, oltre che da gigantesche fontane che si disintegravano per lasciare il posto a enormi fiori. Nora trattenne il fiato, senza riuscire a staccare gli occhi dal cielo, e poi all'improvviso lo spettacolo finì, la luna tornò a splendere solitaria nel cielo, le luci si spensero e la gente si disperse. «Forse è ora che ci auguriamo buonanotte» suggerì Seiji, e la sua voce era stranamente dolce. Si alzò e le tese la mano. «Ci farà bene una buona notte di riposo.» «Credo proprio che tu abbia ragione» approvò lei alzandosi. Seiji l'accompagnò fino alla camera degli ospiti e si inchinò, come per assicurarle che non avrebbe in alcun modo forzato le cose. «Abbiamo un oceano da attraversare domani» le ricordò. «Ti auguro di dormire bene.» Nonostante la comodità del grande letto degli ospiti, Nora passò una notte insonne. Erano quasi le quattro quando finalmente sprofondò nel sonno, e di conseguenza si svegliò appena prima delle nove. Ebbe quasi la tentazione di andare in camicia da notte in cucina, per prepararsi una buona tazza di caffè. Invece, fece subito una doccia, indossò il comodo tailleur che aveva scelto per il viaggio e si truccò. Ormai incominciava a rendersene conto: vivere con Seiji sarebbe stata una continua gara di strategia, un test di volontà e di determinazione. E lei non era affatto disposta alla resa. Peccato... Quando uscì dalla sua stanza, animata da propositi energici e battaglieri, trovò solo il domestico giapponese. Seiji era impegnato a Suzanne Carey
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lavorare in ufficio. Manovrava il fax e rispondeva al telefono, distribuendo ordini a metà del pianeta. Lei riuscì solo a intravvederlo attraverso una porta socchiusa. Erano già le nove e trenta. «Buongiorno, signorina Braet» la salutò formalmente il domestico. «Il signor Amundsen è impegnato in questo momento. Posso servirle la colazione? Partiremo per l'aeroporto tra un'ora.» Dopo il decollo, le sarebbe stato impossibile tirarsi indietro, pensò lei. Mangiò un toast, bevve il succo d'arancia e telefonò alla zia Maggie. Con grande dolcezza, le promise che non avrebbe mai fatto mancare sue notizie. «Pronta?» chiese Seiji quando finalmente uscì dallo studio, impeccabile in giacca e cravatta color grigio fumo. Pronta per raggiungere l'aeroporto, si capisce, ma soprattutto pronta a cambiare vita, a lasciare il suo mondo, a mettere in gioco tutto ciò che era stata fino a quel momento. Nora annuì, risoluta. Grazie ai biglietti di prima classe, evitarono le lunghe file di passeggeri in attesa e passarono direttamente al check-in. Il controllo dei bagagli portò via parecchio tempo e, quando raggiunsero il cancello di partenza, l'altoparlante aveva già annunciato l'imbarco. I sedili di pelle della prima classe erano spaziosi e confortevoli. L'hostess sorrise, parlò brevemente con Seiji in giapponese, e aiutò entrambi a sistemare il bagaglio a mano nello scompartimento sopra la loro testa. In meno di mezz'ora l'aereo si riempì. La partenza si avvicinava, e Nora si tormentò al pensiero di rimanere per tanto tempo lontana dalla zia Maggie. L'aereo imboccò la pista, i motori rombarono alla massima potenza, tutti allacciarono le cinture di sicurezza e finalmente si trovarono su, in alto nel cielo, sopra lo scalo sud di Tsawwassen, il braccio di mare che divideva il Canada dall'isola di Vancouver. Il muso dell'aereo puntava verso l'Oceano Pacifico. Ormai sono anch'io in mare aperto, pensò Nora. Senza più legami. In sospeso tra due continenti e due vite diverse. Seiji la osservava con discrezione. Indovinava il tumulto di emozioni che si agitava dentro di lei, e rispettava il suo silenzio. Il tempo trascorse lento. Dai finestrini dell'aereo non si vedevano altro Suzanne Carey
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che nuvole e mare. Seiji studiava certi suoi documenti e sembrava completamente assorto nel lavoro. Nora, per distrarsi, incominciò a sfogliare distrattamente una guida turistica di Kyoto, fingendo di essere la classica americana in vacanza, invece che una prossima novella sposa destinata a un matrimonio che assomigliava piuttosto a un salto nel buio. Alla fine, preferì alzarsi e rovistare nella borsa da viaggio per cercare un libro. Due giorni prima, d'impulso, aveva comperato in una libreria di Seattle, la traduzione inglese di un classico della letteratura giapponese, scritto da una giovane donna dell'undicesimo secolo: La favola di Gengi. Il romanzo era sempre stato uno dei preferiti di Seiji. «È meglio in lingua originale» disse a Nora con voce vellutata, distogliendo per un attimo l'attenzione dalle sue carte. Si spostò sul sedile e le sfiorò inavvertitamente il gomito. Il contatto la fece trasalire, come sempre le succedeva in quei momenti. «Forse te ne sarai accorto, ma non conosco una sola parola di giapponese» gli fece presente lei, con un sorriso gentile ma imbarazzato. «Temo che imparare gli ideogrammi sia troppo complicato, e questo è il massimo che posso fare, almeno per il momento.» Venne servita la cena e proiettato un film americano con i sottotitoli in giapponese. Le luci all'interno dell'aereo si abbassarono per permettere ai passeggeri di riposare. Presto il cambio di fuso orario avrebbe sconvolto i ritmi di sonno e di veglia di ciascuno. Per sottrarsi alla conversazione, Nora finse quasi subito di dormire. Non si accorse nemmeno quando scivolò nel sonno per davvero. Aveva l'aria innocente e indifesa di una tredicenne, pensò Seiji guardandola dormire. Così, addormentata, era lontana anni luce dalla giovane donna affascinante che seduceva New York e l'America dalle passerelle dell'alta moda o dalle copertine dei giornali. D'un tratto, ebbe una gran voglia di conoscere tutto di lei: quello che pensava e che sentiva. Quel che stava sognando in quel momento. Nonostante avesse vissuto molte avventure, mai nessuna donna aveva suscitato in lui desideri così imperiosi e profondi. Per la prima volta, Seiji pensò di aver commesso un errore a proposito della Braet & Company. Forse, sarebbe stato meglio dimostrarsi generoso e rinunciare all'assorbimento senza chiedere nulla in cambio, in nome della famosa zia Maggie. In quel modo avrebbe potuto corteggiare Nora nel modo più tradizionale e tutto sarebbe stato infinitamente più semplice. Suzanne Carey
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Peccato. Ormai era tardi per rimediare. Grazie all'influenza e alle conoscenze di Seiji, le formalità all'aeroporto di Kansai vennero sbrigate senza alcun ritardo. All'uscita li aspettava un'altra limousine, tirata perfettamente a lucido. L'autista si inchinò e prese i bagagli. Poi, senza perdere tempo, imboccò la grande superstrada a sei corsie che portava dall'aeroporto a Kyoto. Nora, che non era mai stata in Giappone, osservò avidamente gli immensi cantieri navali di Osaka, le montagne in lontananza, la selva di cartelloni pubblicitari e le insegne di sale da gioco per il pachinko che, come le spiegò Seiji, era la versione giapponese del flipper. Poco oltre strada si susseguivano file ininterrotte di piccole case bianche, con il tetto in tegole oppure in lega leggera, tutte con orto e giardino, perfettamente curate. Quando raggiunsero la periferia di Kyoto, Seiji ordinò all'autista di attraversare la città. Usò il cellulare per avvertire sua madre del loro imminente arrivo. Già da diversi giorni, disse, l'aveva messa al corrente del loro prossimo matrimonio. In realtà, conoscendo la sua giustificata avversione per il ramo americano dei Braet, le aveva spiegato ben poco. Tanto per incominciare, non le aveva detto che l'unione era destinata a essere temporanea. E nemmeno che si trattava di un accordo quasi commerciale, una specie di patto con il diavolo che era stato lui stesso a dettare. Nora aveva sempre immaginato Kyoto come l'emblema della cultura giapponese, ma la città, con le sue costruzioni modernissime e senz'anima, i grattacieli di cemento e le strade tutte uguali, si rivelò una delusione. Solo le insegne di certi negozi esoterici, che promettevano mille tesori all'interno, suscitarono la sua curiosità. E, insieme ai negozi, una gran profusione di templi e santuari che chiedevano solo di essere esplorati. Uno in particolare, il famoso Sacrario di Heian, comparve all'improvviso sulla strada davanti a loro. Nora trattenne il fiato, affascinata, ammirandone la sagoma massiccia e multicolore che trasmetteva forza e serenità. Presto la limousine lasciò il centro per inoltrarsi nella parte settentrionale della città, verdeggiante ed esclusiva, dove Seiji aveva la sua casa. «Kyoto è molto cambiata dai tempi in cui era giovane mia madre» Suzanne Carey
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ammise lui. «Ma sono rimasti, qua e là, ancora degli angoli molto caratteristici. Sono sicuro che ti piacerà vivere qui.» Lo spero proprio, pensò lei. Magari non sarebbe stato così sgradevole neanche strofinargli la schiena di tanto in tanto, come era costume delle brave mogli giapponesi. Magari con il tempo sarebbe riuscita a dominare l'attrazione che sentiva per lui. Nel frattempo, basta sedute con le sedute di trucco alle cinque della mattina, basta posare seminuda con abiti di design che nessuna donna intelligente si sarebbe mai sognata di indossare per andare al lavoro. Solo riposo e un po' di turismo in città. La casa di Seiji coniugava, come per miracolo, lo stile moderno con quello più tradizionale dell'architettura giapponese. Sorgeva in alto sulle colline che circondavano il famoso Tempio di Kinkakuji, lontana dalle vie congestionate della città, straordinaria nella sua semplicità. Il tetto fortemente inclinato, in tegole di maiolica azzurra, risplendeva catturando i raggi del sole. Le pareti erano dello stesso colore grigioverde dei cipressi, e suggerivano pace, tranquillità e riposo. Qua e là, qualche squarcio nella cortina di pini, aceri e bambù lasciava intravedere vasti spazi verdi, eleganti e curati. Nell'insieme, sembrava un posto incantevole. Con una piccola manovra, la limousine imboccò un lindo viale di pietra, fiancheggiato da querce e statue. «Mia madre ha fatto aprire l'entrata di rappresentanza in onore del nostro arrivo» spiegò Seiji. «C'è anche un altro ingresso, per l'uso di tutti i giorni, da quella parte.» Lo indicò. Lei non fece commenti. «Come devo chiamare tua madre?» chiese, invece, un po' a disagio. Non sapeva quale tipo di accoglienza aspettarsi. «Chiamala signora Amundsen. Andrà benissimo» spiegò Seiji. Mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un piccolo astuccio di velluto blu. «Prima che entriamo vorrei che tu accettassi questo...» Ne tolse un anello in oro bianco con uno squisito diamante solitario dal taglio ovale. Glielo infilò all'anulare della mano sinistra. «Potrai tenerlo, se le condizioni del nostro patto verranno rispettate.» L'aveva forse presa per un'avventuriera? pensò Nora con irritazione. Per un attimo fu quasi tentata di restituire l'anello, ma all'improvviso la limousine si era fermata davanti a una sontuosa scalinata di marmo. Non era certamente quello il momento di mettersi a discutere. Lui, che l'aveva osservata senza farsi accorgere, l'aiutò a scendere dall'auto, trattenne a stento un sorriso e le fece strada su per le scale. «Questa è una kutsunugi-ishi ovvero pie-tra-dove-si-tolgono-le-scarpe» Suzanne Carey
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spiegò indicando una grossa lastra di granito, dal taglio volutamente irregolare, posta proprio davanti alla porta di ingresso della casa. La porta era schermata da pannelli scorrevoli, in quel momento parzialmente aperti. «La nostra è una casa tradizionale, nel senso che tutti i pavimenti sono ricoperti da morbidi tatami. All'interno si cammina scalzi.» Chissà perché, l'idea di incontrare Aiko Braet Amundsen camminando scalza sul tatami sembrò a Nora vagamente imbarazzante. Ma, del resto, non poteva essere molto peggio che affrontare schiere di fotografi ipercritici sotto le luci dei riflettori. Ancora una volta, la professionalità l'avrebbe aiutata. «Sono anch'io molto felice di conoscerla» mormorò di rimando alla futura suocera, che si era inchinata per rivolgerle una breve e distaccata frase di saluto. Aiko parlava un buon inglese dalla pesante inflessione orientale. Era piccola e con i capelli grigi, il viso impassibile e l'espressione distaccata. Indossava un sobrio kimono ricamato e un paio di tabi, le tipiche calze giapponesi da casa, con l'alluce separato dal resto delle dita. Nonostante fosse figlia di Jerrold Braet, non gli assomigliava affatto. Guardandola, Nora intuì che per quanto disposta ad assecondare i desideri del figlio, Aiko non avrebbe perso occasione per dimostrarle la propria ostilità. Le venne in mente una frase che aveva letto da qualche parte. In Giappone, la moglie deve curare e assecondare la madre del proprio marito, ed essere pronta a soddisfare ogni suo ordine. Non sarebbe stato facile, pensò lei. Si rifugiò per un breve riposo nella camera che le era stata assegnata. Entro poche ore avrebbe dovuto pronunciare la promessa di matrimonio, e solo il pensiero della zia Maggie, insieme a un'assurda, irragionevole riluttanza a separarsi da Seiji, le impedirono di chiamare un taxi per farsi riportare subito all'aeroporto. Qualche ora più tardi, Seiji, sua madre e lei consumarono un leggero pasto serale, l'ishikari nabe, preparato sul momento da una domestica inginocchiata davanti a un tavolino basso. Loro, intanto, aspettavano seduti su grandi cuscini che ricoprivano il pavimento. Il piatto, a base di salmone, funghi, tofu e altri ingredienti che Nora non riconobbe, venne cotto e amalgamato in una casseruola di ceramica con l'aggiunta di brodo di alghe e miso, direttamente su un fornello da tavolo. Per quanto incredibile, Nora lo trovò molto gradevole. Non si poté dire altrettanto della conversazione in genere, che risultò Suzanne Carey
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terribilmente stentata nonostante gli sforzi di Seiji. Sebbene fuori facesse ormai fresco, vennero tirati da parte gli shoji, che erano pannelli traslucidi posti a riparo della parete centrale. Nora poté così ammirare il giardino perfettamente curato, con al centro uno stagno coperto di ninfee e circondato di bambù. Seiji l'accompagnò a visitarlo, una volta conclusa la cena. Oltre lo stagno c'era una piccola scala che si inerpicava tra le rocce, fino a uno spiazzo ombreggiato dai salici. Un posto che il crepuscolo rendeva ancora più incantevole, con le luci di Kyoto che lentamente si accendevano, sotto di loro. Il posto ideale per un bacio, pensò Nora. Romantico e lontano dal mondo. Invece Seiji si scostò e annunciò che era venuto il momento di rientrare. Con il cambio di fuso orario la giornata era stata interminabile. Ora non vedeva l'ora di un buon bagno e del meritato riposo. Un buon bagno. Nora trasalì. Sapeva bene che cosa voleva dire: una vasca piena di sali profumati e una domestica che gli massaggiava la schiena. Avvertì all'improvviso una strana fitta di gelosia. Non era niente di fronte all'imbarazzo di poco dopo, quando Aiko Braet venne di persona a bussare alla porta della sua camera per annunciare che Seiji e la domestica la stavano aspettando nella sala da bagno. «Non capisco...» obiettò Nora, con lo stomaco improvvisamente contratto. «Mio figlio vuole che tu assista... e impari come una moglie deve lavare un uomo» la informò impassibile la sua futura suocera.
6 Qualcuno le aveva lasciato ben disteso sul letto un impalpabile yukata blu con dei crisantemi bianchi ricamati in rilievo. Nora esitò e alla fine decise di indossarlo. Non sapeva bene che cosa ci si attendesse da lei ma, pur di non mandare a monte il patto, era decisa ad assecondare Seiji fin dove fosse possibile. Qualche minuto più tardi era già ferma davanti alla porta scorrevole che Aiko le aveva indicato con un cenno. Vinse la riluttanza e bussò piano. Suzanne Carey
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Dall'interno, una voce femminile mormorò in giapponese qualcosa che lei non comprese. Un invito a entrare, forse. Nora fece scorrere la porta e oltrepassò con espressione incerta la soglia. Si trovò in una grande stanza da bagno, rivestita in legno di cedro e maioliche decorate. Il bagno personale di Seiji, senza dubbio, adiacente alla sua camera da letto. La tradizionale vasca di legno di cedro sembrava spaziosa abbastanza per ospitare più di una persona. Su un lato della stanza i fusuma, o pannelli interni, erano stati lasciati aperti per mostrare il grande letto tradizionale appoggiato direttamente sul pavimento e gli shoji che dividevano la camera dal giardino. Aiko si era sbagliata. Seiji non c'era. Al suo posto, Nora vide la domestica che aveva servito la cena, inginocchiata in silenzio sul pavimento, di fianco alla vasca. Aveva accanto a sé un secchio fumante di acqua calda e insaponata, un vassoio di spugne e di spazzole in fibra naturale e una pila di asciugamani candidi. Sentendosi osservata, la ragazza abbassò timidamente lo sguardo. Secondo la guida turistica che Nora aveva acquistato a Seattle insieme alla Favola di Gengi, il bagno in compagnia era una vecchia tradizione, in Giappone. Davanti alla sua mente sorsero le immagini di Seiji nudo in piscina, a casa dei McEwen, con le spalle bagnate che luccicavano, sotto i raggi compiacenti della luna. Lui scelse quel preciso istante per arrivare, da chissà quale altra stanza di quella inquietante casa dalle pareti mobili, che assomigliava quasi a un labirinto. Si inchinò come se la situazione, dal suo punto di vista, fosse del tutto naturale. Soppresse un sorriso maligno e si liberò con un gesto del proprio yukata color arancio. Sotto, non indossava niente. Nora trattenne il fiato, per la sorpresa mescolata all'imbarazzo. Tuttavia s'impose di non distogliere lo sguardo. Una donna forte e risoluta, pensò Seiji. Una di quelle persone che, se prendono un impegno, poi non si tirano indietro. Una donna capace di aprire la mente a nuove culture e nuove abitudini... Una donna bellissima, anche in una situazione un po' imbarazzante. Si sedette su uno sgabello di fianco alla vasca, passò sulla faccia l'asciugamano che la domestica gli porgeva, intriso di vapore umido, e poi le fece cenno di incominciare. Naturalmente, per quello che lo riguardava, farsi lavare da Michiko, non aveva nessun significato erotico. Equivaleva a Suzanne Carey
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farsi preparare una tisana o un caffè. La giovane donna incominciò con lo shampoo e poi passò a strofinargli con metodo le spalle e la schiena. Seiji teneva gli occhi socchiusi e osservava Nora di sottecchi. Lei assisteva impassibile, la stessa espressione distaccata di quando avanzava sulla passerella di una sfilata. Dalla schiena, Michiko passò al torace e poi più giù... Finalmente arrivò alle gambe. Poi, con il braccio della doccia, passò al risciacquo. L'acqua grondò sul pavimento di maioliche e si perse in tre piccole griglie di scarico. Chiaramente rilassato dal massaggio e dal risciacquo, Seiji si alzò e fece un cenno alla domestica di ritirarsi. Michiko radunò in fretta la sua batteria di spugne e spazzole e si affrettò a obbedirgli. Nora non si mosse. «Ti sei fatta un'idea più precisa?» chiese Seiji, con un'occhiata maligna. Lei sostenne lo sguardo. «Non mi sembra una faccenda complicata» dichiarò. «È un po' come fare il bagno ai bambini.» «Oh, certo...» Nora trattenne l'indignazione. Era un odioso maschilista, un vigliacco che approfittava della situazione, solo perché lei non poteva ribellarsi. «Posso andare, adesso?» E al diavolo il patto! «Tra un attimo» mormorò lui. Da parecchi giorni, ormai, lui non faceva che sognare l'impossibile. Che tra loro ci fosse qualcosa di più di un semplice patto di convenienza perché l'idea della vendetta gli era diventata improvvisamente stretta. Seiji si avvicinò alla vasca ed entrò. Poi si sedette, con l'acqua fino al collo, e sospirò soddisfatto. «Puoi venire a tenermi compagnia, se lo desideri» suggerì, sornione. «A patto che ti faccia prima lavare da me.» Lei lo fulminò con lo sguardo. «Ho accettato di sposarti, e una buona moglie fa il bagno al marito dopo il matrimonio» gli ricordò avviandosi alla porta. «Se, invece, vuoi fare il bagno con qualcuno, temo proprio che dovrai trovarti un'amante.» Nonostante tutte le ansie della giornata, Nora dormì bene. Il letto sul pavimento era un po' duro ma comodo, e quando aprì gli occhi il mattino successivo, a Kyoto erano le dieci. Non si era mai svegliata tanto tardi di sicuro, Seiji e sua madre avrebbero pensato che era la solita americana pigra e viziata, che non si era mai preoccupata di lavorare per vivere. Si infilò in fretta sotto la doccia e ringraziò mentalmente il cielo che il suo fosse un bagno di stampo occidentale. Forse, Seiji era già andato in ufficio e quindi lei non avrebbe dovuto incontrarlo. Suzanne Carey
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Indossò in fretta un paio di pantaloni e una maglietta bianca, poi andò a fare capolino in soggiorno, che nella versione giapponese si chiamava zashiki. Aiko Braet, inginocchiata su un cuscino davanti a una piccola scrivania portatile, alzò gli occhi dall'ideogramma che stava disegnando e la guardò. «Ti sei alzata tardi» commentò in tono critico, nel suo buon inglese dalle pesanti inflessioni orientali. «A quest'ora, i domestici non possono interrompere le loro faccende per prepararti la colazione. Ordinerò un sencha.» Dietro sua richiesta, venne rapidamente servita una tazza di tè. Nora lo sorseggiò senza fretta. «Seiji è già andato a lavorare?» domandò in tono distaccato. Aiko la compatì con lo sguardo. «Non ti ha avvertita? È partito stamattina per Singapore. Rimarrà là per affari fino alla fine della settimana.» Dunque, era partito senza neanche salutarla! Come dire che non gli importava proprio niente di come lei si sarebbe trovata in quella casa. Con sua madre. Ebbene, gli avrebbe dimostrato che sapeva cavarsela benissimo anche senza di lui, pensò Nora. Anzi, senza vederlo stava persino meglio. E allora, perché d'un tratto di sentiva persa? Era ancora troppo presto per telefonare al medico di zia Maggie a Seattle. Laggiù, chissà che ora era. Per ingannare il tempo, Nora uscì in giardino e imboccò il sentiero che aveva percorso con Seiji solo il giorno prima. Il canto dei pettirossi e il gorgoglio dell'acqua, insieme al fruscio dei bambù e dei rami mossi dal vento, non bastarono per rincuorarla. L'accordo con Seiji non prevedeva che si tenessero compagnia. Dunque, doveva assolutamente trovarsi qualche cosa da fare. A pranzo, mentre condivideva con lei un pasto frugale a base di tè, riso e pesce bollito, Aiko le riferì un messaggio del figlio. «Prima di partire, Seiji mi ha chiesto di insegnarti tutto quello che deve sapere una buona moglie giapponese.» Era chiaro che anche quella condizione rientrava nel patto. Tanto per incominciare, scoprì Nora, una buona moglie lavava il marito tutte le sere, e non solo ogni tanto. Al mattino gli serviva il tè e lo aiutava a vestirsi. Alla sera gli versava il sake e gli preparava il pacchetto del pranzo, il bento. In altre parole, era sempre al suo servizio. Suzanne Carey
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«Naturalmente, qui da noi cucinano i domestici.» continuò Aiko lasciando chiaramente intendere che il ramo giapponese dei Braet era facoltoso almeno come quello americano. «Se preferisci, però, posso insegnarti a preparare qualche tipico piatto giapponese.» Aiko non immaginava neanche lontanamente che tipo di matrimonio fosse destinato a essere il loro, pensò Nora. Altrimenti non le avrebbe detto neanche l'ora, figurarsi insegnarle i piatti tipici giapponesi. La voce della futura suocera la riportò alla realtà. «Credi che qualcuno dei tuoi parenti vorrà intervenire alla cerimonia di nozze?» Domanda spinosa, pensò Nora. I Braet americani consideravano quel matrimonio una vera e propria calamità, indipendentemente dalle ragioni che avevano spinto lei ad accettarlo. «La zia Maggie verrebbe senz'altro, se stesse bene fisicamente...» rispose con un sospiro. «Appena le ho annunciato che avrei sposato Seiji Amundsen, è stata felice. Secondo lei, era ora che i due rami della nostra famiglia si riunissero. Quanto a mio padre e alle mie sorelle...» si strinse nelle spalle. «Non credo di poter contare su di loro.» Aiko annuì, come se non si fosse aspettata niente di meglio. «Domani verrà il sarto a prenderti le misure per il kimono e a portare alcuni campioni di stoffa» annunciò. «Avrai bisogno di un abito per la cerimonia nuziale, e di altri per le occasioni speciali. Sono sicura che ti ci abituerai. Ho notato che Seiji ti ha avvertito di togliere le scarpe quando entri a casa. Converrà ordinare anche delle pantofole adatte.» Intanto, però, lui non si preoccupava neppure di telefonarle! Passò la serata e venne il giorno dopo. Arrivò il sarto, che le sparse sete e broccati per tutto lo zashiki, parlando con Aiko in giapponese. «Dice che sei alta. Che faresti sfigurare la maggior parte degli uomini giapponesi.» Aiko guardò la futura nuora e scrollò la testa. «Ho scelto questa seta bianca per il tuo kimono nuziale» spiegò indicando un tessuto ricamato e pesantissimo. «Verrà rifinito in rosso. Per le occasioni speciali andranno bene il broccato azzurro, quello dorato e quello verde con i crisantemi.» In pratica, lei non aveva diritto di scelta, e forse neanche di replica. Nora decise di tentare. «Condivido pienamente la sua scelta, signora Amundsen» dichiarò in tono gentile. «In più, vorrei un abito in seta verde acqua, quella con i falchi in rilievo. Dato l'interesse di Seiji per la Suzanne Carey
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falconeria, sono sicura che approverà. Naturalmente, provvederò a pagarlo io.» Aiko assunse immediatamente un'aria offesa. «Seiji mi ha avvertito che penserà lui a tutte le tue necessità, dal momento che tuo padre non intende interessarsi ai preparativi del matrimonio. Aggiungerò il vestito verde acqua alla lista. E adesso, per favore, se vuoi alzarti in piedi e stare ferma, il signor Yamamoto ti prenderà le misure.» Più tardi, quella stessa sera, Aiko la convocò al tavolo dove avevano cenato la sera prima, e con la silenziosa collaborazione di Michiko, tentò di darle la prima lezione di cucina. Ma Nora non aveva mai tentato niente di più complicato di un hamburger, sicché il hai to yasai no yose-nabe, uno dei piatti favoriti di Seiji, le risultò una impresa quasi titanica. In pratica si trattava di preparare dei piccoli involtini di cavolo con un ripieno di tofu, noci di ginko, molluschi e funghi, e amalgamare tutto l'insieme in un fornellino da tavolo. Le sue scarse attitudini di cuoca suscitarono di nuovo la commiserazione di Aiko. Solo nella sua camera di un lussuoso albergo di Singapore, Seiji spinse lo sguardo verso il mare e rimase per un attimo soprappensiero. Forse, la sera prima aveva preteso troppo da Nora Braet. Forse, era stato un errore partire senza nemmeno salutarla, e lasciarla così presto da sola con sua madre. Magari, lei adesso si sentiva abbandonata, confusa e... D'impulso, Seiji impugnò il telefono e compose il numero di casa. Rispose Aiko, che gli riferì della visita del sarto e della quasi assoluta inettitudine della sua futura sposa in campo culinario. Per tutta risposta, lui chiese di parlarle. «Ciao, Nora. Come stai?» le domandò quando finalmente sentì la sua voce. «Ti trovi bene con mia madre?» «Benissimo» gli assicurò lei, in tono allegro e rilassato. Lui, che conosceva bene sua madre, non le credette nella maniera più assoluta. Rimase a lungo alzato a guardare fuori dalla vetrata. E il giorno successivo, di buon mattino, chiamò la segretaria personale. «Desidero che riveda tutta la mia agenda di impegni» le ordinò in un tono che non ammetteva repliche. «Organizzi le cose come vuole, ma tenga presente che io tornerò a Kyoto con tre giorni di anticipo.»
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7 Due giorni più tardi, Aiko soffrì di un terribile mal di testa e dispensò Nora dalla quotidiana lezione di cucina e attività casalinghe. Lei colse subito la palla al balzo e, aiutandosi con i gesti e un buon vocabolario, chiese a Michiko di chiamarle un taxi. Moriva dalla voglia di visitare Kyoto, e di sicuro non l'avrebbe fatto dalla limousine di Seiji, con un autista pronto a riferire ad Aiko ogni sua mossa. Meglio farsi portare alla prima fermata dell'autobus e organizzarsi per conto proprio. L'abbonamento giornaliero ai mezzi pubblici le costò seicento yen e le permise di incominciare subito le sue perlustrazioni, seguendo l'ispirazione del momento. Tanto per incominciare, visitò il Tempio di Ryo-an-ji, con il suo austero giardino roccioso. Poi passò al Museo delle Arti e dei Mestieri di Kyoto, e concluse con una sosta a Nishijin, l'antico quartiere tessile della città. Alla fine si incamminò verso la fermata dell'autobus per rientrare prima che Aiko incominciasse a preoccuparsi. Percorrendo Mishikikaji Street, però, fu subito attratta dalle bancarelle di un mercato all'aperto. Forse non ci avrebbe fatto caso, se non avesse avuto fame. La frutta e la verdura esposte avevano un'aria davvero invitante. Mentre si dirigeva da quella parte Nora pensò che, in fondo, New York e Kyoto quasi si somigliavano. In ciascuna delle due c'erano angoli pieni di vita, per chi aveva voglia di distrarsi. Dai forni lungo la strada arrivava il profumo del pane appena cotto, che subito si mescolava a quello dei crisantemi del banco dei fiori. Libera di andare e fare ciò che voleva, Nora decise di concedersi un chilo di pesche dalla buccia vellutata e un cartoccio di grosse ciliegie nere. A volte, per rifarsi il morale basta poco, pensò. Stava già per andarsene quando notò una signora sulla cinquantina, di aspetto occidentale, che parlava fluentemente in giapponese con uno dei venditori ambulanti. Nora attese che finisse, poi si avvicinò. «Non ho potuto fare a meno di ascoltarla. Ammiro molto la sua capacità di esprimersi così bene in giapponese» le disse. «Sembra che sia una lingua molto difficile.» La donna, che si presentò con il nome di Rosemary Pennington e spiegò Suzanne Carey
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di essere la moglie di un diplomatico britannico, mise subito in relazione il viso della giovane donna che aveva davanti con le immagini di un servizio di moda sull'ultimo numero di Vogue. «Lei è la famosa modella, vero?» indovinò con un sorriso. «Ero sicura di averla riconosciuta. Allora, mia cara, che cosa mi stava dicendo? Ah, sì il giapponese. Non è così difficile, sa? Bisogna solo attenersi alla fonetica e non provare nemmeno a scriverlo.» Continuò spiegando che lei era stata obbligata a . impararlo, se non altro per dirigere la casa e per sostenere un minimo di conversazione nelle cene diplomatiche o negli eventi mondani in genere. «Sa che cosa le dico? Alla fine, invece di trovarlo un compito noioso, ho iniziato ad appassionarmi alla lingua e a volerla conoscere sempre meglio.» Annuì, e le sorrise. «Se vuole, posso fornirle il nome delle mia scuola. È molto ben organizzata. Le insegneranno a esprimersi e a comprendere le risposte basilari in poche settimane.» Tolse dalla borsa un taccuino, scrisse il nome e l'indirizzo della scuola su un foglietto, e poi lo consegnò a Nora. «Posso chiederle come mai si trova qui a Kyoto? Per impegni di lavoro?» Nora sorrise e scosse la testa. «No, io... sono qui per sposarmi» rispose con semplicità. Gli occhi azzurri di Rosemary Pennington scintillarono di curiosità. «Con qualcuno di qui? Magari qualcuno che conosco?» Nora esitò, perché considerate le circostanze non aveva voglia di farsi molta pubblicità. Alla fine fece il nome di Nels S. Amundsen. «Non intenderà Seiji Amundsen, mia cara?» esclamò l'altra, al colmo della sorpresa. Lei annuì. «È un uomo dalla personalità straordinaria, vero?» La signora Pennington guardò anche lei con aperta ammirazione, e non trascurò di complimentarsi per lo splendido anello di fidanzamento che portava al dito. «Ci siamo incontrati molte volte alle feste mondane. Dicono che sia ricco come Creso, e che tutte le donne vadano pazze per lui.» Non faticava a crederlo, pensò Nora. E faticò ancora meno quando, arrivata a casa, scoprì che Seiji era tornato da Singapore. Indossava un elegante abito grigio da lavoro, con una camicia impeccabile e la cravatta di seta; sembrava capace di riempire tutta la stanza con la sola presenza. Ma camminava su e giù per lo zashiki con aria inquieta, e si voltò di scatto Suzanne Carey
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sentendola entrare. «Dove sei stata?» l'aggredì senza nascondere la collera che aveva covato fino a quel momento. «Pensavo che...» «Che avessi deciso di scappare con un altro non appena tu voltavi le spalle?» Nora fronteggiò il suo sguardo, con gli occhi verdi accesi dall'indignazione. Lui si sentì di colpo uno sciocco, una sensazione che non capitava spesso. La guardò, in silenzio, sforzandosi di controllare l'irritazione. «Se tu mi conoscessi un po' meglio» continuò Nora con voce vibrante, «sapresti che io so stare ai patti, anche se costa fatica. Ho accettato di sposarti per salvare la Braet & Company e dare alla zia Maggie una ragione di vita. Il nostro accordo è ancora valido, mi pare. E adesso, solo perché lo decido liberamente, ti informo che sono stata solo un po' in giro a visitare la città. Visto che probabilmente dovrò vivere a Kyoto per un anno, volevo incominciare a conoscerla.» Le implicazioni erano chiare: senza la zia Maggie, il loro accordo sarebbe saltato. Non le importava della Braet & Company, e neanche dei dividendi azionari. Seiji si odiò, perché all'improvviso provava un senso profondo di vuoto all'idea che lei potesse decidere di andarsene. L'irritazione lo portò a stringere i tempi. «Ho deciso di anticipare la nostra cerimonia di nozze a venerdì prossimo» annunciò con voce perfettamente controllata, come se fosse una scelta maturata almeno da qualche giorno, invece che da pochi secondi. «Avremo pochi invitati, e mia madre mi ha appena riferito che il tuo kimono sarà pronto a giorni. Sicché non dovrebbero esserci problemi per nessuno.» Per lei sì, pensò Nora rivolgendogli un'occhiata risentita. Lui e sua madre decidevano tutto senza neanche consultarla, come se fosse stata un pezzo di arredamento da spostare di qua e di là sul fatami. Ma... per chi l'avevano presa? Lei aveva solo accettato di sposare Seiji e di vivere con lui per un anno, non di diventare la sua schiava! «Come vuoi» gli rispose quindi Nora in tono gelido. «Sicuramente ti renderai conto che desidero liberarmi dei miei obblighi nel più breve tempo possibile.» A cena, quella sera, l'atmosfera era pesante come il piombo. Nora rifiutò ostinatamente di incontrare gli occhi di Seiji o di sua madre, parlò solo quando era direttamente interpellata e rispose in tono sempre conciso. Aiko la guardava perplessa. Ma... quale tipo di matrimonio era mai quello? Suzanne Carey
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Invitata da Seiji a unirsi a lui e a sua madre per una passeggiata in giardino, Nora rifiutò con decisa gentilezza. «Grazie, ma stasera ho deciso di ritirarmi presto, se non ci sono obiezioni.» Quindi lo sfidò con lo sguardo a proibirglielo. Per un attimo lui temette che Nora arrivasse a rivelare i termini del loro accordo, perciò non osò insistere. Maledizione! pensò. Non era certo diventato quel che era lasciando che fossero gli altri a stabilire le regole del gioco! E le regole le aveva stabilite lui: il matrimonio e poi una lunga notte d'amore... Lunga... quanto? Le notti d'amore, comunque, finiscono. All'improvviso l'idea che tra loro non ci fosse altro che una notte gli creava un profondo senso di frustrazione. Desiderava dormire con lei un giorno dopo l'altro, accarezzarla, assaporare i suoi baci, sentire che anche lei lo voleva. Un'idea incominciò a farsi lentamente strada nella sua mente. Forse c'era un modo per tenerla comunque legata a sé. Ma a quel punto doveva assolutamente rivedere la sua tattica. Dopo quel burrascoso giorno di rientro sembrò che la situazione, tra Nora e Seiji, andasse gradualmente meglio. Lei, che si era psicologicamente preparata ad altre sedute di lavaggio o a qualche piccolo braccio di ferro sulle questioni via via connesse al matrimonio, apprezzò il cambiamento ma incominciò a sospettare che Seiji stesse architettando qualcosa. Magari si era solo proposto di aspettare che lei abbassasse la guardia. Oppure, faceva come con i falchi: allentava gradatamente il laccio per abituarla a ritornare comunque da lui. Ma lei non era affatto disposta a farsi addomesticare. Soprattutto non era disposta a dare il suo amore senza essere amata di ritorno. E su una cosa non c'erano dubbi: il cuore di Seiji era assolutamente al di fuori della sua portata. Arrivò il giorno del loro matrimonio, un venerdì fresco e luminoso, con l'aria profumata di muschio e terra bagnata. Prima di colazione, per non svegliare Darien proprio nel cuore della notte, Nora telefonò a Seattle per ricevere le ultime notizie dall'ospedale. La zia Maggie faceva grandi progressi, annunciò sua sorella. Persino i medici che l'avevano in cura sembravano più ottimisti. «Ieri l'ho portata a casa dall'ospedale» raccontò, «e ho preso accordi con Suzanne Carey
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tre infermiere per i turni di assistenza. Naturalmente, dovrà fare altri cicli di chemioterapia, ma ha spirito da vendere. E questo è un ottimo segno.» Nora sorrise e pensò che, per fortuna, venire fin lì era servito a qualcosa. «Come va la Braet & Company?» si informò. Capì che Darien alzava le spalle. «Come al solito, immagino. Naturalmente, la zia Maggie non vede l'ora di tornare dietro la sua scrivania e dare una bella sterzata. Ma dimmi di te, piuttosto... come stai? Sei sempre sicura di voler andare fino in fondo?» Lei pensò a Seiji e sentì la testa riempirsi di dubbi. Non era solo il famoso patto a tenerla lì, c'era dell'altro. Qualcosa che, però, non voleva ammettere nemmeno a se stessa. «Ho forse un'altra scelta?» rispose quindi con un pizzico di sarcasmo. Dall'altra parte del filo, Darien rimase per un attimo in silenzio. «Sei sempre stata una "dura dal cuore tenero"» disse poi con dolcezza. «Personalmente, anche se voglio bene alla zia Maggie, non sarei mai riuscita a fare quello che hai fatto tu.» Fece una pausa. «Quando hai detto che sarà, il matrimonio?» Non l'aveva detto affatto, pensò lei. Cercò di parlarne con naturalezza. «È previsto per stasera.» Alle diciotto, ora di Kyoto. Darien non riuscì a mascherare la sorpresa. «Ma che cosa è successo? Credevo che...» «Seiji ha deciso di anticipare la data» la interruppe lei in tono deciso. «Ho accettato perché, in fondo, un anno passa in fretta. Prima iniziamo e prima finisce questo incubo.» Sua sorella sospirò, dall'altra parte dell'oceano. «Non vedo l'ora che tu torni a casa, Nora. Non puoi immaginare come mi sento in colpa, per averti permesso di trattare con quell'uomo. L'unica consolazione è che la zia sta decisamente meglio, da quando le hai assicurato che la compagnia è praticamente salva.» Nora rimase quasi tutto il giorno da sola. Mangiò poco e si tormentò all'idea della cerimonia e del dopo. Vagabondò in giardino e rimase a lungo seduta sulla panchina di legno che si affacciava verso Kyoto. Fin da ragazzina, pensò, aveva sognato uno scenario ben diverso per il suo matrimonio. Aveva immaginato una cerimonia piena di amici e di allegria, la sua famiglia in festa, e soprattutto... un uomo al suo fianco, un uomo che l'amasse con tutto il Suzanne Carey
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cuore. Invece, quella sera avrebbe sposato Seiji Amundsen davanti a pochi invitati sconosciuti. Ma l'amore, in quelle nozze, non c'entrava affatto. Venne l'ora della vestizione. Ine, che a cinquant'anni era la domestica più anziana della casa, venne spedita in camera di Nora per la vestizione. Michiko, la cuoca Shigeko e Yoshio, il figlio dell'autista, furono invece dirottati in giardino, a occuparsi dei fiori e a predisporre il rinfresco. Per Nora, indossare le sottovesti tradizionali, e tutti i vari strati del kimono nuziale che Ine le passava a uno a uno, fu una specie di incubo dal quale sperò di risvegliarsi al più presto. Si sottopose con altrettanta, infinita pazienza anche alla preparazione dell'acconciatura. Ine la pettinò, poi le fermò i capelli con dei pettini speciali e con una fascia ricamata a mano, detta kakushi, che si intonava perfettamente al kimono. Intanto, a lei sembrava di vivere una dimensione irreale. Non era più una sposa in trepidante attesa anzi, non lo era mai stata. Era solo una straniera in terra straniera. Una donna sull'orlo del baratro. «Tu molto bella, Nora-san. Seiji-san sarà davvero felice.» Ine si complimentò, nel suo inglese stentato che risaliva ai tempi in cui aveva servito il vecchio Jerrold Braet. Poi porse a Nora uno specchio. Lei fissò a lungo la propria immagine, e non la riconobbe. «Grazie di tutto» sussurrò sentendosi in preda al panico. «Che cosa devo fare, adesso?» L'anziana domestica le rivolse un sorriso sincero e rassicurante. Normale per una sposa avere mille dubbi e paure, pensò. «Tu devi aspettare qui» rispose. «Torno quando è l'ora. Ecco il tuo ventaglio nuziale. Si chiama sensu e la sposa, quando esce, deve tenerlo davanti al viso.» Nora annuì. Il suo ruolo nella cerimonia, apprese, era di stare al fianco di Seiji mentre il sacerdote Shinto li sposava. Non doveva dire niente, la sua presenza era già un segnale di consenso. Nel caso qualcuno degli ospiti, in seguito, le rivolgesse la parola bastava imparare a memoria una semplice frase in lingua, che nella traduzione suonava così: scusate, non parlo giapponese. Ferma in mezzo alla stanza, in piedi per non gualcire il vestito, Nora rimase a lungo sola e in balia dei propri pensieri. A poco a poco, avvertì il rumore degli ospiti che arrivavano. La conversazione si alzò di tono, poi Suzanne Carey
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qualcuno incominciò a suonare il biwa, uno strumento a corda giapponese simile al mandolino. Da un momento all'altro, Ine sarebbe tornata a chiamarla. Nora si inumidì le labbra. Trasalì di colpo, udendo la porta che si schiudeva. «È ora, Nora-san» annunciò Ine raggiante. «Sei-ji-san ti aspetta.» Il cerimoniale prevedeva che lei seguisse Ine nello zashiki e procedesse poi al fianco di Seiji, camminando con gli occhi abbassati e a piccoli passi, cosa che non le era affatto abituale, considerata la professione che svolgeva. «Pensa a come cammina Cio-Cio-San nella Butterfly e avrai un quadro esatto di quello che devi fare» le aveva spiegato Seiji con una luce maligna negli occhi. Il sacerdote Shinto, che era incaricato di sposarli, sarebbe stato ad aspettarli in fondo alla stanza, la schiena rivolta allo shoji centrale, aperto sul giardino. Gli invitati, che per quanto le avevano detto si contavano comunque sulle dita delle mani, durante la cerimonia non sarebbero nemmeno entrati nel loro campo visivo. Un anno passa in fretta, tentò di ripetersi Nora, mentre si avviava. Quella sarebbe stata la notte più lunga della sua vita, ma entro domani il peggio sarebbe passato. Avrebbe potuto dedicarsi a esplorare Kyoto e le sue meraviglie, intanto che il tempo faceva il suo corso. Con un battito di ciglia appena percettibile, Nora fece il suo ingresso nello zashiki. Notò l'occhiata di lieve disapprovazione di sua suocera Aiko, l'aria festosa dei domestici, l'incuriosita perplessità dei pochi invitati. Tutti gli uomini, a parte Seiji, indossavano abiti scuri. Lui, invece, era stretto in un sontuoso kimono nero da cerimonia, con dei piccoli disegni geometrici in rilievo e un paio di pantaloni neri coordinati. Nora, che l'aveva sempre visto in abiti occidentali, trovò che quel tipo di abbigliamento esaltasse il suo fascino esotico e lo rendesse ancora più pericoloso, almeno dal suo punto di vista: la forza fisica, il carattere, la costituzione da guerriero e i modi di un principe... A dispetto della situazione, non poté non pensare che non aveva mai conosciuto un uomo più attraente di lui. Era da se stessa che doveva difendersi. Doveva alzare la guardia e impedirsi di amarlo. Era maledettamente sbagliato e pericoloso innamorarsi di qualcuno che cercava solo la vendetta. Mentre la guardava avanzare con passo misurato, Seiji iniziò a Suzanne Carey
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comprendere pienamente quale situazione assurda e grottesca avesse creato per se stesso. Nora era davvero bellissima: i suoi splendidi capelli rossi creavano un contrasto spettacolare con gli indumenti tradizionali giapponesi che aveva indossato per il matrimonio. Non sapeva come diavolo fosse successo, ma ora che stava per sposarla e che si avvicinava il momento di farla sua, lui si ritrovava a desiderare soprattutto il suo cuore. Quel cuore così impulsivo e generoso che l'aveva portata fino a lì, in Giappone, solo per amore di una anziana zia ammalata. Quel cuore di cui lui non possedeva di certo la chiave. Rimase impassibile e si guardò bene dal tradirsi. L'ultima cosa che voleva era che Nora capisse i suoi sentimenti o la sua amarezza. Diamine, si sarebbe attenuto al piano, e... al diavolo tutto il resto! Nora gli arrivò vicino. Si inchinarono l'un l'altro, come prevedeva il cerimoniale, e poi si inchinarono di nuovo insieme per rendere omaggio al sacerdote che celebrava il matrimonio. Anche il sacerdote si inchinò, poi con voce monocorde incominciò a recitare le formule di rito, per un tempo incalcolabile. Nora, che non capiva una sola parola, si sforzò di resistere. Poiché mangiava poco da giorni - quello, in particolare, non aveva toccato cibo, a un certo punto incominciò a sentirsi girare la testa. Le ronzarono le orecchie, e vacillò. Seiji fu subito pronto a sostenerla. Il suo sguardo preoccupato parlava chiaro: va tutto bene? Lei annuì e si sforzò di riprendersi. All'improvviso il fiume di parole che li aveva tenuti inchiodati lì si arrestò. Nora capì che erano ormai marito e moglie. Una piccola fede di platino andò ad aggiungersi all'anello di fidanzamento che Seiji le aveva infilato al dito il giorno del loro arrivo. Tutti si inchinarono di nuovo, poi gli sposi si rivolsero agli invitati. Da ogni parte si levarono congratulazioni e auguri di una lunga e serena vita insieme. Nora non risparmiò sorrisi e saluti, mentre il nuovo marito la presentava agli astanti, proprio come in un matrimonio normale. Come in un matrimonio normale, il sake scorreva a fiumi, e qualcuno stappò una bottiglia di champagne gelato. «Non bere alcool finché non avrai mangiato qualcosa» le intimò Seiji parlandole tra i denti. La prese sottobraccio e la guidò senza perdere tempo verso il tavolo dove, su una serie di preziosi vassoi laccati, erano stati Suzanne Carey
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serviti gli antipasti tipici della cucina giapponese. Per Nora, il primo impulso fu di opporsi, perché sapeva decidere da sola. E non sopportava che fosse lui a ordinarle ogni cosa. A onor del vero, il consiglio sembrava sensato, e le sue energie erano ridotte ormai allo stremo. Così ingoiò in fretta una frittella di riso dolce in salsa rossa, e la trovò così gradevole da insistere più volte nella scelta. Con lo stomaco un po' meno vuoto, oltre alle forze ritrovò un po' di ottimismo. Sopravviverò a tutto questo, pensò sfoderando il suo celebre sorriso per rispondere ai brindisi degli invitati. Fra dieci anni, ripensandoci, mi sembrerà che sia stato tutto un sogno. Verso le dieci, trascorso un lasso di tempo considerato ragionevole, gli invitati incominciarono a presentare le loro congratulazioni conclusive, e ad accomiatarsi. Unendosi ai due sposi per i saluti finali, Aiko fece osservare in inglese a un amico di Seiji che adesso, finalmente, aveva una nuora disposta a curarsi di lei quando fosse diventata più vecchia. «Dubitavo che sarebbe mai successo» aggiunse con una piccola risata che di allegro aveva assai poco. Fece qualche altra osservazione dello stesso tipo anche più tardi, mentre divideva con gli sposi un ultimo tè caldo, prima di andare a dormire. «Non lasciarti intimidire da mia madre» disse inaspettatamente Seiji a Nora, quando alla fine rimasero soli. «Ti ha accettato come nuora perché non poteva fare altrimenti, secondo le rigide regole con cui è stata educata.» In Giappone, una donna non poteva mai opporsi a un uomo della famiglia, neanche nel caso di suo figlio. «Purtroppo, devi capire che i Braet del ramo americano l'hanno sempre umiliata, e lei nutre del risentimento nei loro confronti.» Lo stesso risentimento che nutriva anche lui? Nora non seppe che cosa rispondere. Ma lei, si disse, stava già pagando un prezzo per quel risentimento. A chi spettava decidere quando il conto fosse finalmente pari? «Mi sembra di capire che non le hai detto niente del nostro patto» osservò in tono gelido. Per tutta risposta, lui scrollò le spalle. Intanto, nella grande casa era sceso il silenzio. I domestici si erano ritirati lasciando, per illuminare la casa, una lunga teoria di antiche lampade a olio disposte qua e là. La loro luce fluttuante si rifletteva negli occhi di Seiji, che la guardava, dall'altra parte del tavolo. Suzanne Carey
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Non passerà molto tempo, pensò Nora, prima che suggerisca di andare in camera. Si sentì all'improvviso terribilmente scomoda nel suo pesante abito nuziale, troppo sontuoso e troppo elaborato. Lui si sarebbe spogliato, avrebbe spogliato lei e poi... Non sembrava che Seiji avesse fretta. «Che cosa ne dici di una passeggiata in giardino, prima di ritirarci?» propose. Per tutta risposta, lei si alzò in piedi. Si fermarono sull'engawa, una piattaforma di legno che faceva da portico, appena oltre lo shoji, e si appoggiarono alla balaustra, per ammirare la luna. Era al primo quarto, poco più di una falce pallida. L'aria della notte era diventata ormai fredda e pungente. Gli alberi, i bambù e le rocce del giardino sembravano soltanto sagome scure. «Qualche rimpianto?» chiese Seiji con dolcezza, mettendole le mani sulle spalle. Lei accettò il gesto senza protestare. «Rifarei anche adesso la stessa scelta, se è questo che vuoi sapere» rispose senza incertezze. «Però non significa che...» Lui non le lasciò il tempo di finire la frase. All'improvviso sentì il cuore gonfiarsi per un'irragionevole gioia. Rifarei anche adesso la stessa scelta. Abbassò il viso e reclamò le sue labbra.
8 Per la prima volta, Seiji non pensò a niente se non al desiderio che aveva di lei. Fu un bacio che non lasciava scampo e che pretendeva tutto. Un bacio ardente, tempestoso e senza freni. Ma anche, Nora l'avvertì con chiarezza, un gesto dolcissimo e generoso. Farò tutto per te, sembrava sottintendere. Soddisferò ogni tuo desiderio. Che il cielo mi aiuti! pensò lei. Quasi incominciava a rimpiangere il fatto che dopo quella notte non ci sarebbe stato altro. Seiji si scostò all'improvviso. La guardò per un attimo in silenzio. «Credo di aver cambiato idea, a proposito della passeggiata» disse. «Purtroppo si sta facendo tardi.» Lei si lasciò condurre fino al suo bagno privato. Qualcuno dei domestici li aveva preceduti, perché dalla vasca di cedro si alzava il profumo Suzanne Carey
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dell'acqua di rose e il vassoio delle spugne era già pronto, vicino allo sgabello sul quale Michiko aveva lavato il padrone, giorni prima. Adesso quel compito spettava a Nora. «Michiko ti ha messo gli indumenti personali in quel cassetto» spiegò Seiji, indicandolo. «Il tuo bellissimo kimono non può bagnarsi.» Mentre parlava incominciò lentamente a spogliarsi, appese i vestiti a un attaccapanni sul muro e si sedette sullo sgabello. Lei gli voltò le spalle e tolse il kimono. All'improvviso, un pensiero le attraversò la mente. Se Aiko e i domestici non sapevano nulla del patto, allora si sarebbero aspettati che loro dormissero nello stesso letto. Da quella sera in poi. Dormire insieme? Nello stesso letto? Era una possibilità che in tutti quei giorni non l'aveva mai sfiorata. Lei aveva sempre immaginato una stanza personale, dove dormire da sola, da dove partire alla mattina per le sue escursioni in città. Del resto, tra loro era prevista una sola notte di nozze. Indossò una leggerissima camicia di seta, poi ritornò verso lo sgabello e, con aria risoluta, prese dalla vasca un secchio d'acqua calda. Lo rovesciò sulla testa e sulle spalle di Seiji, quasi senza guardare, poi iniziò a frizionargli i capelli con lo shampoo e a massaggiargli con grande energia il cuoio capelluto. L'operazione non aveva proprio niente a che fare con quella eseguita normalmente da Michiko. Ma Seiji non si sognò neppure di protestare. Alzò una mano e le accarezzò un fianco. «Lo sai che è molto piacevole essere toccato così... da te» dichiarò con voce profonda e vellutata. Tracciò con l'indice una linea immaginaria lungo la sua gamba destra. Nora si scostò e gli versò in fretta un altro secchio d'acqua sulla testa. «Chiudi gli occhi, altrimenti ti entra il sapone» lo avvertì sperando di distrarre anche se stessa da quell'argomento così delicato. Se gli era già entrato, Seiji non lo disse. «In certe zone remote dell'interno» spiegò con le ciglia bagnate e gli occhi leggermente arrossati, «c'è gente così povera che si può permettere solo una vasca di acqua calda ogni sera, anche se magari la famiglia è composta di cinque o sei persone. Naturalmente, il primo bagno spetta all'uomo di casa, e tutti gli altri devono via via accontentarsi dell'acqua rimasta. Sai chi è di solito l'ultima persona della scala gerarchica? La nuora.» Suzanne Carey
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Lei finì di insaponargli la schiena e inarcò un sopracciglio in segno di disgusto. «Non mi sembra una soluzione molto igienica» commentò. «E neanche particolarmente democratica.» Lui trattenne a stento un sorriso. «Per tua fortuna, io posso permettermi tutte le vasche di acqua che voglio. E siccome sono un uomo democratico, dividerò volentieri la mia acqua con te. Naturalmente, anche tu prima dovrai lavarti, è la tradizione. Di solito, il marito non si presta a insaponare la moglie, ma io sono di larghe vedute. Ti aiuterò... volentieri.» «Ci devo pensare» rispose Nora deglutendo a stento per l'imbarazzo che le dava anche solo pensare una situazione così intima. Chiuse gli occhi e passò a lavargli il ventre. Poi più giù. Seiji lottò disperatamente con se stesso e la voglia di amarla che sentiva crescergli dentro. Aveva un piano e voleva seguirlo scrupolosamente. Forse, c'era ancora un modo per tenere quella meravigliosa giovane donna legata a sé. Il cuore in gola e il volto in fiamme, Nora passò a lavargli le gambe. Poi si alzò e per l'ultima volta gli lasciò scorrere un secchio di acqua sulla testa. La schiuma scomparve lentamente giù nelle griglie di scarico, e lei intanto si era bagnata la camicia di seta. Gli occhi di Seiji divennero due fessure sottili. Si alzò e non fece nessun tentativo di avvicinarsi. Invece, ripeté la sua offerta. Spogliarsi e farsi lavare da lui? La notte era appena incominciata, pensò Nora. E all'improvviso le venne in mente che, magari, era un bene far passare il tempo così... Aveva sempre rifiutato le foto di nudo che qualche giornale più o meno scandalistico le aveva offerto, ma si spogliò e si sedette senza parlare. Era così bella che Seiji si sentì mancare il fiato, tuttavia riuscì a controllarsi. Prese un secchio d'acqua dalla vasca e glielo versò sulle spalle. Sarebbe stato un supremo test di volontà, si disse; un modo per mettere alla prova la forza del samurai che si era tramandata fino a lui dagli antenati giapponesi. Con gesti calmi e metodici, Seiji Amundsen si dedicò al compito più arduo di tutta la sua vita: resistere al fascino di Nora Braet. Senza nervosismi o cedimenti, arrivò alla fine e gli sembrò di avere scalato la più alta cima del Giappone. «Adesso ci possiamo immergere...» annunciò a Nora, dopo averla risciacquata. Suzanne Carey
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Lei trasalì e lo guardò perplessa. Lo vide entrare nell'acqua, sedersi a una delle estremità della vasca e farle cenno di accomodarsi all'estremità opposta. Che male c'era ad assecondarlo? Rimasero lì, a rilassarsi, con gli occhi chiusi e l'acqua fino al collo. Rilassarsi, magari era un eufemismo. Seiji si sforzava di non cedere alla tensione, Nora stava sulle spine perché non poteva sapere che cosa l'aspettasse. Una specie di sottile tortura. A poco a poco, l'acqua si raffreddò. «Credo che sia ora di asciugarci e di andare a letto» annunciò Seiji riaprendo gli occhi. Quelli di Nora sembravano verdi come i mari del Sud. I lenzuoli da bagno erano candidi, immensi e morbidissimi; inoltre erano stati profumati di magnolia e verbena. Nora si avvolse e si sforzò di non badare a Seiji che faceva altrettanto poco più in là, poi entrambi li abbandonarono sullo sgabello, per ritirarsi in camera. Seiji richiuse con calma i due fusuma sulla soglia della stanza, spense quasi tutte le lampade a olio tranne una, e le indicò con un cenno il grande futon sul pavimento. Era venuto il momento di pagare il conto, pensò Nora con il cuore pesante come un macigno. Avrebbe voluto che fosse tutto diverso, tra loro. Seiji aspettò che si sdraiasse e si stese accanto a lei. Il profumo dei suoi capelli di oro rosso sparsi sul cuscino rischiò per un attimo di annebbiargli la mente. Almeno un bacio, contrattò con se stesso. Un bacio e una carezza, su quel corpo perfetto. Con dolcezza, la girò verso di sé e le accarezzò un fianco. Cercò le sue labbra e non poté rinunciare alla gioia di un lungo bacio appassionato. Poi, con uno sforzo immenso, si staccò da lei e spense anche l'ultima lampada. «C'è qualcosa che non va?» chiese Nora abbastanza disorientata. «Questa sera temo di non essere troppo in vena, tesoro» replicò lui, e quasi gli venne da ridere. «Ho un po' di mal di testa.» Una scusa fin troppo classica, ridicola oltre che facilmente smascherabile. Cielo, avrebbe anche potuto pensare a qualcosa di meglio? Le girò la schiena e finse di mettersi immediatamente a dormire. Lei rimase lì, a fissare il soffitto nel buio. Non aveva mai provato, in tutta la sua vita, un senso di frustrazione più grande. Era forse un altro modo, ancora più sottile, di vendicarsi dei Braet? Un'umiliazione supplementare? Un modo per confonderla e spingerla a fuggire senza tenere fede al patto? Suzanne Carey
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Qualunque fosse il motivo, quella notte Nora dormì poco e male. Si svegliò alle tre, e ancora alle quattro e poi quando suonò la sveglia di Seiji, intorno alle sei e trenta. Si rialzò a sedere di scatto, con il lenzuolo stretto al seno, perché era la prima volta che si risvegliava accanto a un uomo Non lo vide, perché non c'era. Ricomparve dopo qualche secondo, da una porta laterale, perfettamente vestito, in camicia di sartoria e cravatta di foggia italiana. La guardò dall'alto, con la solita espressione impenetrabile. «Gli uomini d'affari devono alzarsi presto, per battere la concorrenza» sentenziò con l'aria del professore rivolto a uno studente poco preparato. Lei controllò per la seconda volta l'orologio digitale sul comodino. Le sei e quaranta. «Vai a lavorare anche oggi?» domandò incredula. Lui si strinse nelle spalle. «Perché non dovrei?» Era chiaro come il sole che l'idea della luna di miele non rientrava nella sua ottica. Meglio, provò a convincersi Nora. Fino a prova contraria, non erano certo freschi sposi di stampo tradizionale. «Per fortuna» gli ricordò con un sorriso, «le modelle che prendono congedo per un anno dal lavoro non hanno bisogno di alzarsi così presto.» Sulle belle labbra di Seiji danzò un breve sorriso maligno. «Se ti riferisci a te stessa, sbagli» replicò. «In Giappone, le donne sposate hanno molti compiti e responsabilità. Prima di tutto, in casa mia sei tenuta a fare colazione con me e con mia madre alle sette del mattino; per quell'ora devi già aver preparato il bento, che è il mio pacco pranzo.» Nora sentì squillare un campanello d'allarme nella mente. L'accordo parlava chiaro: se voleva vantare diritti sulle azioni della Braet & Company, lei doveva dimostrarsi all'altezza dei propri compiti. Dunque, aveva esattamente tredici minuti per assolvere a questi compiti entro l'orario fissato. Buttò indietro la trapunta e fulminò Seiji con lo sguardo. Poi prese dall'attaccapanni a parete uno yukata, lo indossò e strinse con forza la cintura all'altezza delle vita. «Lato sinistro sopra e lato destro sotto» la istruì Seiji trattenendo a stento un sorriso. «Il contrario si usa solo per le cerimonie funebri.» Nora alzò gli occhi al cielo e pensò che a volte le usanze giapponesi erano proprio una seccatura. Corresse l'errore stilistico e corse in cucina, dove Shigeko stava preparando prugne sciroppate, cereali, uova e tè per la Suzanne Carey
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loro colazione. Anche lei, come Michiko, non parlava una sola parola di inglese. «Bento?» chiese Nora. Shigeko sorrise e le porse il tradizionale contenitore per il pranzo, una scatola laccata, con gli spigoli arrotondati e un doppio scomparto, il coperchio con la chiusura a tenuta stagna, e la maniglia. Non avendo la minima idea di che cosa metterci dentro, Nora, andò a sbirciare in dispensa. Le scritte in giapponese su scatole e buste non l'aiutarono affatto, senza contare che lei, di cucina, si intendeva il minimo necessario per non morire di fame. Gli unici alimenti che riconobbe, dalle illustrazioni, furono i cracker di riso, un pacchetto di croissant, una scatola di sardine e qualcosa che sembrava una lattina di passata di pomodoro. Ormai in preda alla disperazione, prese i croissant e li farcì alla meglio con sardine e pasta di pomodoro. Aggiunse qualche cracker di riso e una banana, e chiuse il tutto nella scatola. Presentò il frutto dei suoi sforzi a Seiji al momento della colazione, ma senza guardarlo negli occhi perché era sicura che stesse ridendo di lei. In realtà, mentre parlava con sua madre lui la guardava di sottecchi e pensava a tutt'altro. Nel corso di quella lunga notte insonne era stato tentato mille volte di svegliarla con un bacio, e mille volte si era trattenuto. Voleva stupirla e sconcertarla, provocarla con poche sapienti carezze e spingerla a desiderarlo pazzamente. Così l'unica notte di piacere prevista nel loro patto, avrebbe anche potuto non restare isolata. Sarebbe stata un'attesa lunga, pensò. E avrebbe logorato anche lui. I giorni e le notti trascorsero senza incidenti e senza novità. Shigeko tornò ben presto a preparare il bento per il padrone. Nora continuò a stare sulle spine quando rimaneva da sola con Seiji, ma per quanto lui rifiutasse di lasciarle indossare una camicia da notte, sul futon non cercava mai di avvicinarsi. Un pomeriggio, con la confusione e la frustrazione alle stelle, Nora camminò a lungo su e giù per il giardino nel tentativo di trovare una soluzione. Non ne poteva più, di quella specie di spada di Damocle che le pendeva sulla testa senza mai decidersi a cadere. L'inaspettata freddezza di Seiji, poi, la stava facendo impazzire. Forse valeva la pena che fosse lei a compiere il primo passo. Suzanne Carey
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In realtà non ne ebbe il tempo. Quella sera, all'improvviso, a una settimana esatta dal giorno delle nozze, lui annunciò che doveva partire per un nuovo viaggio d'affari a cavallo tra Cina e Vietnam. Con immensa costernazione di Nora, dopo la cena Seiji la salutò con un lungo bacio appassionato davanti alla limousine che lo stava portando in aeroporto.
9 Nora decise che, al punto in cui stavano le cose, tanto valeva mettere a frutto il tempo in cui lui sarebbe rimasto assente. Così, si iscrisse a un corso di giapponese full-immersion nella scuola di lingue raccomandata da Rosemary Pennington. Sei ore al giorno per cinque giorni alla settimana, uniti alla sua naturale predisposizione per le lingue, diedero presto i primi frutti. Nel giro di un paio di settimane, fu in grado di formulare brevi frasi, di chiedere indicazioni pratiche e di capire la maggior parte delle risposte. Pian piano, incominciò a cogliere il senso di quel che si dicevano Aiko e i domestici. Una soddisfazione che tenne rigorosamente segreta. Nel tempo che le restò libero, incominciò a girare per i negozi e a comperare piccoli regali per le sorelle, i parenti e gli amici, in previsione del prossimo Natale. Continuò a esplorare la città, visitando templi e musei, ma chissà perché continuò a rimandare la visita al Tempio di Kinkakuji, che era praticamente il simbolo della città. Magari un giorno, quando Seiji fosse tornato, l'avrebbe convinto ad accompagnarla. Come già era successo la volta precedente, lui arrivò senza preavviso, qualche giorno prima del previsto. Di ritorno dalle sue lezioni, un pomeriggio Nora lo ritrovò seduto a chiacchierare con sua madre, più affascinante e sexy che mai. Lei, in pantaloni verdi e maglione dello stesso colore, i capelli sciolti che le disegnavano un'aureola color rame intorno al viso, rimase con le scarpe in mano a guardarlo come se fosse stato un'apparizione. Questa volta, lui non andò in collera perché non l'aveva trovata lì ad aspettarlo, come una brava moglie giapponese. Ma non riuscì a trattenere la più classica delle domande: «Dove sei stata?» Nora non volle parlargli subito della scuola. «A fare un po' di spese» Suzanne Carey
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mentì restando sul vago e coprendo con una maschera di indifferenza la gioia che provava nel rivederlo. Aiko corrugò la fronte, in segno di evidente disapprovazione, mentre Seiji socchiuse gli occhi. «Non vedo nessun acquisto, qui» osservò alzandosi. Indossava uno yukata e un paio di pantaloni da casa. Sembrava più alto e imponente che mai. Lei si strinse nelle spalle. «Si vede che è molto difficile accontentarmi» rispose prontamente. Un'allusione? pensò Seiji. E ad un tratto ebbe voglia di dimostrarle che sarebbe bastato molto poco per lasciar divampare la passione, tra di loro. Notte dopo notte, in quelle lunghissime settimane di lontananza, l'aveva desiderata accanto a sé. Per quanto incredibile, aveva rifiutato qualsiasi altra compagnia femminile. Non voleva nessuna, non desiderava che lei. Anche Nora, ne era sicuro, lo desiderava. E allora decise d'impulso, contravvenendo completamente al piano. Aveva aspettato anche troppo. «Vieni con me...» le ordinò avvicinandosi e prendendola per mano. «Voglio discutere una cosa con te, in privato.» Lei si sentì travolgere da un'ondata fredda e calda insieme. Sparire così, in camera da letto, in pieno giorno... Che cosa avrebbe pensato Aiko? «Non possiamo discuterne in giardino?» protestò timidamente Nora. Avrebbe fatto meglio a risparmiare il fiato. Seiji si richiuse il fusuma dietro le spalle e la tirò fino al letto, che era ancora incassato nella parete, perché nessuno aveva saputo del suo arrivo fino a un'ora prima. «Sono stanco di viaggiare» dichiarò, mentre armeggiava per estrarre il telaio di legno. «Voglio sdraiarmi a riposare vicino a mia moglie. Sono un uomo sposato. È un mio diritto, oltre che un privilegio.» Lei si liberò con uno strattone. «Tu non hai una moglie» gli ricordò mentre lui raddrizzava in fretta il materasso. «Il nostro matrimonio non è valido, perché non è stato consumato. Quindi, io non ho alcun obbligo verso di te.» Il futon era finalmente a posto. Seiji la prese per le spalle. «Se è questo il problema, lo risolviamo subito» dichiarò senza mezzi termini. Le slacciò il cardigan e le sfilò la T-shirt dalla testa. Poi, con un movimento rapido, le slacciò il reggiseno e la prese tra le braccia. Le baciò la gola, e il collo, stringendola a sé, mentre Nora bruciava di desiderio e fremeva sotto le sue carezze sempre più audaci. Lei gli mise le braccia al collo. Amami, Seiji. Ti ho desiderato fin da Suzanne Carey
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quando ti ho visto per la prima volta a New York. «Voglio spogliarti, Nora.» Finalmente era il tono di un amante, quello, non di un padrone dispotico. «Voglio che ti spogli anche tu» sussurrò lei, e gli slacciò in fretta la cintura dello yukata. I vestiti caddero sul pavimento, e con loro anche le ultime barriere che li dividevano. Insieme, preda e predatore si lasciarono travolgere dalla passione, mentre fuori calava la sera e le ombre si allungavano in giardino. La vendetta che Seiji aveva rincorso per tanto tempo perse qualunque valore di fronte alla pelle candida di Nora che spiccava sulla coperta amaranto del futon. Per la prima volta nella sua vita, lui desiderò una donna non solo per il suo corpo ma per l'emozione che sapeva creargli nel cuore. E quella donna era Nora Braet, con il suo incantevole sorriso e la mente libera, il carattere indipendente e lo spirito ribelle. Fu attento e generoso, dolce e sicuro come solo un uomo forte sa e vuole essere con la donna che gli ha toccato il cuore. Aspettò che fosse Nora a chiedergli, in un soffio, di farla sua, perché voleva che fosse per lei una prima volta speciale. «Ti voglio, Seiji» Nora gli accarezzò la schiena e si inarcò sotto di lui, fremendo di impazienza. «Oh, ti prego...» Piano, senza fretta, lui prese la sua verginità e rimase per qualche secondo immobile. Poi, ragionare gli divenne impossibile. La sentì ondulare i fianchi sotto i suoi e si lasciò travolgere dalla voglia di portarla con sé, su in alto, fino al limite dell'umana coscienza. Quando Nora si svegliò, la stanza era totalmente immersa nel buio. L'orologio digitale sul comodino segnava le venti e qualche minuto, ben oltre il rigido orario di cena che si osservava in casa Amundsen. Dunque Aiko aveva cenato da sola, senza mandare nessuno a chiamarli. Sul futon accanto a lei, Seiji era ancora addormentato. Il suo respiro era tranquillo e regolare, le ciglia che gli ombreggiavano le guance sembravano quelle di un ragazzino. Anche la sua energia, e la sua baldanza nel fare l'amore erano quelle genuine di un giovane, pensò Nora. E di colpo le venne in mente che, proprio come due ragazzi alla prima volta, non si erano preoccupati di prendere precauzioni. Potrei avere in grembo suo figlio. La possibilità le provocò emozione e Suzanne Carey
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uno strano senso di panico. Un bambino avrebbe cementato quei rapporti che loro avevano voluto solo temporanei. Che scegliessero o no di rimanere insieme, sarebbero stati per sempre legati l'uno all'altra. La prospettiva la elettrizzò. Purtroppo, questo significava una cosa sola: si era innamorata di lui. Per quanto tempo si può amare un uomo che non ti ricambia? «Tutto bene?» All'improvviso la voce di Seiji la riportò alla realtà. Lui si era svegliato, la guardava attraverso gli occhi socchiusi e sembrava leggerle nel profondo dell'anima. Nora annuì, senza parlare. «È tardi e... non abbiamo cenato.» Seiji si sollevò su un gomito e le sorrise. «Vuoi che chieda a Shigeko di prepararci qualcosa? Potremmo farci servire la cena qui in camera.» Un modo per dirle che non era ancora sazio di lei. Era rischioso, certo, ma all'improvviso Nora desiderò di restare al gioco. «Ottima idea» rispose convinta. E fu felice che lui si chinasse per baciarla. Non lo ritrovò al suo fianco, la mattina successiva, quando si svegliò. Avevano fatto l'amore anche dopo aver svuotato il vassoio di riso e pesce in gelatina servito da Shigeko per cena. Poi, finalmente, si erano addormentati uno nelle braccia dell'altro. Per un attimo Nora pensò di vederlo un'altra volta già vestito e sbarbato, pronto per andare in ufficio. Invece ricomparve con un asciugamano sulle spalle e i capelli bagnati. Aveva appena fatto la doccia. «Torni già al lavoro?» chiese Nora sorpresa. «Pensavo che non ti aspettassero in ufficio fino a lunedì prossimo.» Lui si strinse nelle spalle. «Il dovere mi chiama. E... tu? Hai dormito bene?» Nora sorrise e annuì. Non ricordava di aver mai dormito meglio. «Ne sono felice» ribatté Seiji, con un'occhiata maliziosa. «Anche se il nostro patto non lo prevede, sarò felice di ripetere l'esperienza quando vorrai.» Nora arrossì e si tirò la trapunta fino al mento. Poi, lasciò che si vestisse. Dopo che lui fu uscito, andò a sua volta a infilarsi sotto la doccia. Lo raggiunse al tavolo della colazione, una decina di minuti più tardi, mentre era impegnato a chiacchierare con sua madre. Nora si inchinò e si sedette su un cuscino. Efficiente come sempre, Michiko le servì il latte Suzanne Carey
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scremato, il caffè, la frutta e i cereali che lei preferiva al riso. Nora ringraziò e scambiò un'occhiata con Seiji, prima di abbassare gli occhi. Normalmente, in sua presenza, madre e figlio si parlavano in inglese, ma quel giorno, per distrazione, Aiko pose una domanda in giapponese, circa un problema domestico, e Seiji rispose nella stessa lingua. Poi Aiko guardò Nora, e cambiò in fretta argomento. Dall'atteggiamento era chiaro che parlava di lei. «Viviamo nella stessa casa ormai da più di un mese e non la conosco.» Sembrava quasi che avesse ripreso un discorso lasciato interrotto solo poco prima. «E una buona moglie? Sei felice, con lei?» La risposta di Seiji fu secca e concisa e Nora, che aveva ancora una conoscenza della lingua piuttosto limitata, non riuscì a comprenderla. Un attimo dopo vide che lui si alzava in piedi e decise di lasciar perdere la colazione, si inchinò in fretta alla suocera e lo accompagnò fuori. La limousine era parcheggiata davanti all'ingresso, con il motore già acceso. «Tua madre ti ha chiesto di noi, vero?» gli domandò, mentre lui si chinava per infilare le scarpe, sulla soglia. Seiji sollevò lo sguardo, sorpreso. «Come lo sai?» «Ho preso lezioni di giapponese. Ma non ho ben capito. Che cosa le hai risposto?» Gli occhi grigi scintillarono, divertiti e maliziosi. «Che la situazione è perfettamente sotto controllo.» Per entrambi la giornata sembrò fin troppo lunga. Seiji sul lavoro non vedeva l'ora di tornare a casa. Nora, a lezione di giapponese, guardava nel vuoto e pensava alla notte appena trascorsa. Si ritrovarono a cena, e istintivamente non aspettarono altro che appartarsi. Faceva insolitamente caldo, ma i domestici avevano lasciato la trapunta a capo del letto. A chi mai poteva venire voglia di usarla? Nora guardò il futon con aria critica, mentre aspettava che Seiji uscisse dal bagno. Poi decise di dare un tocco personale alla stanza. Prese dal suo baule americano una coppia di lenzuola di lino, a righe sottili, e rivestì rapidamente il letto. «Dove le hai prese?» chiese Seiji sorpreso, quando le vide. «Alla Braet & Company» rispose lei infilandosi rapidamente al di sotto. «Prima di lasciare gli Stati Uniti, ho chiesto a una delle assistenti di mia Suzanne Carey
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zia di prepararmi un corredo di biancheria occidentale.» Suo marito la guardò con espressione divertita e incredula. «Guarda che abbiamo le lenzuola anche qui in Giappone» la informò.
10 Nora si diede mentalmente della sciocca. Era naturale che avessero le lenzuola anche in Giappone, pensò. Solo perché Seiji e sua madre sembravano così legati alla tradizione, con i loro fatami, i cuscini sul pavimento e le stanze spoglie, non significava che anche gli altri giapponesi si comportassero allo stesso modo. Magari era solo un modo per enfatizzare la distanza che separava i Braet d'oltreoceano dagli altri. Ma lei continuò a rispettare la tradizione e a lavare Seiji sera dopo sera, prima di andare a dormire, e a stringersi a lui sotto le lenzuola anche se non era previsto dal patto. Una mattina di un giorno feriale, con sua sorpresa, lui si alzò dal futon che dividevano ormai quasi da due mesi e decise di lasciar perdere la giacca, la cravatta e tutto il resto. Prese un maglione bianco e un paio di jeans dal suo tansu, il grosso baule in fondo al letto, e li infilò. Come aveva sperato, Nora lo guardò con una espressione interrogativa. «Non mi chiedi come mai?» la stuzzicò lui. Lei si sollevò dal letto e si appoggiò al gomito. «D'accordo. Te lo chiedo: come mai?» «Pensavo che potevamo fare un giro insieme fino al Tempio di Kinkakuji. Sempre che tu sia disposta a saltare per un giorno le tue lezioni di giapponese. La giornata è ideale, visto che è calda e senza vento.» D'un tratto non gli bastava più che dormissero insieme, e dividessero colazione e cena. Voleva chiacchierare con lei, ridere, giocare, scoprire insieme mille cose. Nora rimase per un attimo senza fiato per la sorpresa. Seiji si era offerto di farle da guida. Voleva che passassero del tempo insieme. «Molto volentieri» rispose ritrovando finalmente la parola. «Allora, che cosa ne dici di alzarti e di far fuori la tua solita zuppa di cereali americani? Ho in mente alcuni cambiamenti in giardino, e vorrei la tua opinione in proposito.» Lei buttò da parte la trapunta e pescò nel baule i mocassini, i jeans e un Suzanne Carey
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maglione fatto a mano. L'idea di discutere con lui del giardino la riempiva di entusiasmo: amava le piante e i fiori, e aveva un sogno nel cassetto da sempre: coltivare orchidee. Un pensiero improvviso la sconcertò. Sistemare giardini e coltivare piante richiedeva tempo, anche anni. Che senso aveva discutere di qualcosa, se poi non sarebbe stata lì per vederne i risultati? Quando finalmente arrivarono a sedersi sui cuscini dello zashiki, Aiko aveva già finito la sua colazione. Augurò a entrambi una buona giornata e si ritirò in un altro settore della casa per discutere di qualcosa con i domestici. Erano più adatti i rododendri o le azalee? Il salice piangente o l'ulivo? Mentre camminavano in giardino, Seiji le pose mille domande, come ad esempio se preferisse la sagoma contorta del pino nero del Giappone, o il tronco forte ed eretto del cedro. Secondo lei, valeva la pena di piantare una aiuola di iris proprio vicino allo stagno, per fare in modo che si specchiassero nell'acqua? Magari, con qualche grosso masso disposto in modo accurato, si poteva ottenere una piccola cascata. Discussioni e progetti occuparono buona parte della mattina. Seiji appuntò i commenti di Nora e le proprie riflessioni su un piccolo taccuino che poi cacciò nella tasca posteriore dei jeans. «Magari, visitando Kinkakuji, ci verrà qualche altra idea» commentò. «Prima, però, ti porto a pranzo. Cerca di non mettermi in imbarazzo ordinando sardine e salsa di pomodoro, però...» Il suo primo bento non aveva riscosso grande successo, ricordò lei. Ne risero insieme e le sembrò di vivere un sogno, perché per un'intera giornata avrebbe avuto tutto per sé l'affascinante proprietario della Amundsen International. In fondo, era un po' come se lui le stesse facendo la corte. Il ristorante che aveva scelto, un locale caratteristico alla periferia settentrionale della città, sorgeva accanto a un piccolo e fragoroso corso d'acqua che correva esattamente all'opposto, nella planimetria cittadina, rispetto al tempio che volevano visitare. Naturalmente, con un'autista a loro completa disposizione, le distanze perdevano qualunque significato. Kinkakuji li accolse con il suo sontuoso abito autunnale di aceri dalle foglie gialle, arancio e porpora, in evidente ma piacevole contrasto con una distesa di pini verde scuro. Il vento spazzava le foglie sul viale e le distribuiva sulle rive del lago. Suzanne Carey
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Il tempio in sé, una struttura a tre ordini, in stile pagoda, brillava sotto il sole e rifletteva nell'acqua il suo delicato rivestimento di scaglie dorate. Nora guardò affascinata gli angoli dei tetti rivoltati in su e le sembrarono quasi vele, pronte per chissà quale viaggio. Il tempio non era più l'originale, spiegò Seiji. Nel 1955 un monaco buddista, in preda alla follia, aveva dato fuoco all'antica costruzione seicentesca, sorta sulle rovine di un gruppo di ville aristocratiche del tredicesimo secolo. «È stato ricostruito controllando ogni particolare sulle fotografie, e ti assicuro che è bello proprio come l'originale» assicurò scostandole dal viso una ciocca di capelli. «L'episodio è stato poi trasformato in un romanzo da Yukio Mishima. Sarei felice di prestartelo, ma ne possiedo solo una copia in caratteri kanji.» Continuarono a camminare a lungo nel parco, e alla fine arrivarono a un piccolo ponte dal quale s'intravedeva la lunga e tortuosa strada che avevano appena percorso. Seiji si fermò vicino al parapetto e la tenne vicino a sé. Ancora una volta, mentre il silenzio diventava all'improvviso carico di sottintesi, era così vicino da sfiorarle con le labbra i lunghi capelli rossi. «Ho una gran voglia di baciarti» confessò alla fine, con voce vellutata. «Me lo permetti? Le condizioni del patto sono state soddisfatte, lo so, e io non posso più vantare diritti.» Quella improvvisa ammissione le andò diritta al cuore. Nora gli mise le mani sul petto, in un gesto di assoluta fiducia. «Sicuramente, da un po' di tempo avrai capito che la mia risposta è sì» sussurrò. Il lungo bacio che si scambiarono, per la gioia di tre ragazzini che passavano di lì, era così profondo e appassionato che Nora si sentì all'improvviso come svuotata. Vorrei potergli dare tutta me stessa senza riserve, pensò. Vorrei perdermi completamente in lui e che per lui fosse lo stesso. Ma non era né il momento né il luogo per confessargli niente del genere. Seiji la guardò senza smettere di tenerla stretta tra le braccia. «Mi sono preso la libertà di organizzare un fine settimana in compagnia, nella mia tenuta di campagna ai piedi delle Alpi Giapponesi» annunciò alla fine. «Ci sarà la luna piena e faremo una serata di osservazione. Lassù, il panorama è superbo. Spero che vorrai accompagnarmi. Se accetti, partiremo dopodomani e staremo via almeno per tre giorni.» Suzanne Carey
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Nora si sentì allargare il cuore per la gioia. Avrebbe incontrato i suoi amici, e passato del tempo con lui lontano da Aiko. L'avrebbe visto all'opera con i falchi, e insieme avrebbero partecipato al più classico dei passatempi giapponesi: ammirare la luna piena recitando poesie. In un certo senso, sarebbe stata la luna di miele che non si erano mai concessi. «Mi sembra un'idea meravigliosa» mormorò sinceramente soddisfatta. «Non vedo l'ora.» E rifiutò con ostinazione di pensare che in un anno potevano cambiare molte cose. Ritornarono a casa, in limousine, tenendosi per mano. Persino l'autista Harumi, probabilmente, l'aveva notato. Aiko avrebbe saputo presto che tra loro stava cambiando qualcosa; magari non conosceva in dettaglio le condizioni del loro patto, ma avrebbe percepito la differenza. Quella sera, nella vasca profumata di cedro, la passione divampò di nuovo, violenta come un temporale estivo. E sul futon, alla luce gialla e fluttuante della lampada a olio, Seiji riprese dolcemente ad accarezzare Nora, come se non riuscisse più a saziarsi di lei. Potrei continuare ad amarlo per tutta la notte, pensò lei. E ricordò, con una fitta al cuore, che il loro matrimonio non era per sempre. Uniti all'improvviso da una specie di segreta complicità, sabato mattina Nora e Seiji partirono per la grande tenuta di campagna degli Amundsen. Era quasi l'alba e il cielo sopra Kyoto incominciava a tingersi di rosa. Nora si portò la mano alle labbra per coprire uno sbadiglio, e il diamante dell'anello di fidanzamento brillò catturando i primi raggi del sole. A poco a poco, la limousine si lasciò alle spalle la città e al paesaggio urbano si sostituì una distesa di campi e fattorie, piccoli villaggi e orti, minuscole case di culto e boschi. L'autostrada era fiancheggiata dai pali di una potente linea telefonica e dal corso di un minuscolo torrente. Da lontanissime che erano, le montagne sembrarono diventare sempre più vicine. Una lunga serie di tornanti, su una strada sterrata che si arrampicava sui fianchi delle colline, li portò finalmente all'ingresso della tenuta estiva di Seiji. La costruzione principale aveva le pareti spesse, di legno, come le ryokan o "taverne del pellegrino" dei racconti dell'Ottocento, con il tetto ripido e ricoperto di tegole. In lontananza, oltre un vasto prato, Suzanne Carey
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s'intravedevano le casette e i ripari costruiti per soddisfare la grande passione del padrone di casa: la falconeria. «La casa era praticamente in sfacelo, quando l'ho comperata» spiegò Seiji. «Anni e anni di incuria avevano fatto crollare il tetto, e sotto le travi vivevano intere colonie di pipistrelli. Il pavimento della cucina, poi, era sepolto sotto strati di carbone e cenere.» Adesso, all'interno della casa il pavimento era in legno, ricoperto di tappeti orientali e di mobili scelti con cura. Si respirava un'aria di pacata tranquillità, di spazio senza limite. Devono essere i soffitti alti, pensò Nora ammirata. Le stanze sembravano immense, oltre che invase di luce. «Vieni. Ti faccio vedere la veranda.» Seiji la prese per mano intanto che Harumi si occupava di disfare le valigie. Harumi, che nella residenza di campagna diventava anche cuoco e domestico tuttofare, ebbe appena il tempo di rifornire la cucina con le provviste portate da Kyoto e di preparare un pasto leggero, prima che iniziassero ad arrivare gli ospiti. Avvolta in un maglioncino d'angora color prugna e in una minigonna di panno dello stesso colore, Nora rimase ferma al fianco di Seiji per dare loro il benvenuto. Lui aveva un'aria incredibilmente soddisfatta, come se sposandola avesse messo a segno il colpo migliore di tutta la sua vita. La presentò con palese orgoglio agli ospiti, quattro uomini e tre donne, tutti più piccoli di statura rispetto a lui, tutti con marcati lineamenti giapponesi. Nora conobbe così l'amministratore delegato di una famosa multinazionale, con la moglie pittrice, entrambi sulla cinquantina, e poi Kawai e Haruko Nakanishi, poco più che trentenni, che lavoravano per Seiji all'Amundsen International ed erano freschi sposi. Gli altri due uomini, amici di Seiji, non erano ancora sposati e uno dei due aveva portato con sé la cugina, una certa Tamao. La donna era carina e sofisticata, trentenne e single. Risultò subito chiaro che lei e Seiji si conoscevano molto bene. «Ho visto le sue fotografie in non so più quante riviste di moda» commentò Tamao, quando lui le presentò Nora. Lei, invece, spiegò con un pizzico di sussiego, lavorava come broker al Nikkei Stock Exchange. Il pranzo venne servito in terrazza, ed ebbe un finale a sorpresa. A un'ora già fissata in precedenza, per la gioia degli ospiti, il falconiere di Seiji e il Suzanne Carey
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suo assistente, che vivevano entrambi nella tenuta, portarono un paio di esemplari incappucciati in una terrazza dietro la casa. Lì, mentre tutti guardavano ammirati, incominciarono a dare una dimostrazione delle capacità dei falchi addestrati. Gli uccelli, uno grosso e uno più piccolo, erano legati alle mani guantate del falconiere mediante delle cinghie sottili, che loro portavano fissate alla caviglia. Su queste cinghie erano cuciti dei minuscoli campanellini. «Se uno dei falchi scappa, si perde o magari rimane ferito, i campanellini ci aiutano a ritrovarlo» spiegò Seiji. «Sono femmine?» chiese Nora, incuriosita. «Sì, sono femmine» confermò lui. Sorrise. «Le femmine sono le cacciatrici più feroci e attente perché, in natura, hanno i piccoli da proteggere.» Il più grosso dei due esemplari, continuò a spiegare, era un astore, la razza di falchi più popolare in Giappone. A differenza di quello più piccolo, che era uno sparviero acquistato negli Stati Uniti, l'astore sapeva sorvegliare la brughiera volando a bassa quota alla ricerca della preda. «Mentre lo sparviero resta in attesa in alto, sfruttando le correnti, per calarsi poi in picchiata quando il cacciatore e il suo cane hanno già stanato la preda.» La spiegazione arrivò da Tamao, che in quel modo rese noto a tutti come lei avesse avuto in proposito informazioni di prima mano. Seiji mascherò in fretta l'irritazione. «Appunto» confermò prima di indossare il guanto che il falconiere gli porgeva. «È la prima volta che mia moglie Nora viene qui, e io tengo molto a farle vedere come sono stati allevati questi animali.» Mise l'astore sul guanto e gli tolse il cappuccio. Nora ammutolì guardando quei terribili occhi rossi che per un attimo sembrarono mettere a fuoco proprio lei. «Non c'è il rischio che possa assalire qualcuno?» domandò, preoccupata. Seiji scrollò la testa. «Il falco ha paura degli estranei, come tutti gli animali. E poi, durante l'addestramento, ha imparato a distinguere le sue prede, e a non aggredire mai l'uomo. Potrebbe farlo solo in un caso: per difendere il proprio nido.» Guardò con orgoglio l'esemplare che teneva appollaiato sul braccio. «Questi sono falchi addestrati con cura, e sanno che se si comportano bene riceveranno un buon pasto. Ogni volta che obbediscono a un ordine, fin dall'inizio dell'addestramento, ricevono in premio un pezzo di carne; è un incentivo sufficiente, credimi. Ora Suzanne Carey
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guardate.» Seiji staccò la cinghia dal guanto e lanciò il falco in alto, nell'aria. Lo lasciò volare libero finché non fu che un puntino minuscolo nel cielo. Poi lo chiamò con un fischio. «Allora è la fame a riportarlo da te» ipotizzò Nora. Seiji si strinse nelle spalle. «La fame, certo, ma anche l'abitudine. La maggior parte dei falconieri sostiene che la mente di questi uccelli è un mistero. Io, invece, sono del parere che si riesce a stabilire un rapporto con loro solo se hanno ben chiaro chi comanda.» Il falco ritornò e alcuni degli ospiti chiesero di provare il guanto. Volevano provare l'emozione di tenere il falco sulla mano. Nora salì fino alla terrazza superiore per godersi lo spettacolo dall'alto. Con suo grande imbarazzo, invece, Tamao la seguì. Incominciò con qualche generica osservazione a proposito del tempo, poi passò a una serie di pettegolezzi sul cugino che l'aveva portata lì. Alla fine, come Nora sospettava fin dall'inizio, arrivò all'argomento che più le interessava. «Lo so che non è educato né carino chiedertelo, mia cara, ma... il tuo matrimonio con Seiji è stato forse combinato?» domandò in buon inglese. Lei la guardò sconcertata. «Non so di che cosa parli» replicò. E, comunque, non aveva alcuna intenzione di discutere di una faccenda tanto privata con un'estranea. Purtroppo, ci voleva ben altro, per far desistere Tamao. «Gira voce» insistette la giovane donna, «che la tua famiglia abbia organizzato le nozze solo per salvare la catena di grandi magazzini Braet dal fallimento Capirai anche tu che l'ipotesi ha incuriosito tutti.» Per quello che la riguardava, potevano pure macerarsi nella loro curiosità, pensò Nora. «Se proprio vuoi sapere come sono andate le cose» replicò gentile, «ti assicuro che è stato tutto molto più semplice. Seiji mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato. Tutto qui.» «Sono sicura che Haruko Nakanishi ne sarà molto colpita» assicurò la sua interlocutrice, con un mezzo sorriso. «Immagino che lo saprai: era l'amante di Seiji, prima di sposare Kawai, la scorsa primavera.» Lasciò abilmente sottintendere che c'era stato uno strascico, a quella storia, e che probabilmente Haruko e Seiji erano ancora amici intimi. A Nora sembrò di aver appena ricevuto un pugno in pieno stomaco, comunque tentò di reagire. «E tu?» chiese con invidiabile presenza di Suzanne Carey
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spirito. «Anche tu sei stata la sua amante?» Tanta inaspettata franchezza lasciò per un attimo senza fiato Tamao, che alla fine annuì. «Io c'ero prima di Haruko» confermò con un pizzico di amarezza. Seiji scelse proprio quel momento così imbarazzante per ricomparire. Voleva persuadere Nora a infilare un guanto e a lanciare uno dei falchi. «Non c'è bisogno di partecipare a niente di particolarmente cruento, se non vuoi.» Lei accettò, se non altro per nascondere l'inquietudine che le parole di Tamao avevano provocato. Scoprì che non era difficile. Lo sparviero si posò sulla sua mano senza difficoltà e poi tornò subito, al suo richiamo. Era ansioso di divorare il boccone di carne che lei gli porgeva. I frutti dell'addestramento di Seiji erano gli stessi anche con lei, pensò Nora con un sussulto. Non avrebbe mai sopportato di vivere per sempre in Giappone, ma ormai non riusciva neanche a immaginare una vita negli Stati Uniti, lontana da lui. Qualunque cosa avesse deciso, alla fine di quell'anno vissuto a Kyoto, la scelta le avrebbe lacerato il cuore. Nel frattempo, si rese conto che suo marito fremeva perché gli uomini presenti non avevano occhi che per lei. La grazia e l'abilità dimostrate nel tenere il falco, insieme al fatto che lei parlava ormai parecchie parole di giapponese, li avevano rapidamente conquistati. Per tutto il pomeriggio e la sera, pur senza diventare ossessivo, Seiji la volle vicino a sé. Magari il loro non era iniziato come un matrimonio d'amore, pensò Nora, ma era inutile tormentarsi pensando a Tamao, Haruko e a chi c'era stato prima di loro. Seiji era lì al suo fianco e non sembrava volesse cercare altro. La seduta di osservazione della luna non sarebbe incominciata che più tardi, con il buio completo. Nel frattempo, e grazie alla visita di un'anziana donna del paese, carica di provviste, Harumi servì una cena leggera, a base di primizie locali: insalata di montagna, pesci di fiume e fritto misto di verdure. Innaffiarono le pietanze con la deliziosa birra di Sapporo, e Seiji brindò più volte agli amici e all'amicizia. Per Nora, fu un sollievo scoprire che non tutti gli ospiti sarebbero rimasti a osservare la luna e a recitare le rituali poesie haiku. Dal momento che la casa di Seiji era troppo piccola per ospitare tutti i presenti, i Nakanishi, Tamao e suo cugino sarebbero ripartiti per Kyoto quella sera stessa. La strada era lunga e per arrivare a casa a un ora decente avrebbero Suzanne Carey
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dovuto partire prima del levarsi della luna. Si salutarono appena finita la cena. Gli ospiti si inchinarono e ringraziarono per la deliziosa giornata trascorsa insieme. Senza la presenza inquietante di Tamao e Haruko, Nora si sentì subito più rilassata e serena. Finalmente, la luna si levò alta nel cielo e andò a specchiarsi nello stagno. A quel punto, indossarono i kimono, portarono i cuscini nel patio e si sedettero a semicerchio, con il viso rivolto verso l'acqua. Harumi distribuì il sake in piccole ciotole e da qualche parte risuonò il grido di una civetta. L'aria della notte era fresca e, sulla superficie dell'acqua, il brusio degli insetti sembrava una lieve e incessante musica. Per qualche minuto, nessuno parlò. La luna splendeva, immensa e argentata, stendendo i suoi raggi sullo stagno e sulle umide terre circostanti. Alla fine, Seiji chiese a Masamitsu Iriyama, il cinquantenne amministratore delegato di una multinazionale, di dare il via alla recitazione degli haiku. Masamitsu accettò l'onore con un inchino, poi infilò gli occhiali e scelse da un libro i brevi versi del maestro giapponese Basho. L'haiku, con un'insolita connessione analogica, paragonava il chiaro di luna autunnale a un bruco al lavoro nell'interno di una castagna. Dopo un breve silenzio, la moglie di Masamitsu prese a sua volta la parola, e recitò una poesia di Issa, nella quale si parlava di un serpente, che in silenzio, sotto la luna, cambiava pelle. L'ultimo ospite, Toru Tanizaki, era un giovane architetto di talento al quale Seiji aveva affidato di recente la progettazione e la supervisione della sede della Amundsen International in Danimarca. Scelse un haiku di Buson che, in toni leggeri, faceva notare come un pruno in fiore potesse essere scambiato, al chiaro di luna, per un albero coperto di neve. Sebbene il giapponese di Nora stesse migliorando di giorno in giorno, non era comunque sufficiente a farle comprendere pienamente le sottigliezze di una composizione lirica. Per questo, dopo ogni brano, Seiji si preoccupava di riferirle sottovoce la traduzione. Per lei, era comunque facile apprezzare la semplice linearità di una idea poetica racchiusa in tre righe, il gusto del paradosso negli accostamenti e la dolce malinconia evocata dalla luna. Guardò Seiji e pensò che, come il chiaro di luna, anche il loro matrimonio sarebbe presto finito. Solo poco tempo prima le era sembrato che quell'anno non dovesse Suzanne Carey
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passare mai. Ora aveva una profonda paura di non riuscire a trattenere il tempo. Prima di potersene rendere conto sarebbe stata di ritorno a New York. Divorziata. La ruota avrebbe seguito il suo giro e lei avrebbe sentito nel petto il cuore pesante come un macigno. Mi ero ripromessa di non amarlo, pensò. Perché lui non ricambierà mai il mio amore, lui... Purtroppo adesso era troppo tardi. Toccò a Seiji recitare il suo haiku alla luna. Con immensa sorpresa di Nora, lo compose personalmente, seguendo l'estro del momento. Il freddo respiro della luna genera brividi d'argento sul lago, e come vecchia dama, mi sfiora. Recitò in inglese, espressamente per lei. Il rispetto delle usanze giapponesi impedì a Nora di chiedere subito spiegazioni. Ricacciò indietro la curiosità e aspettò che fossero gli altri, per primi, a mostrare il loro apprezzamento. «Non sapevo che fossi anche poeta, oltre che uomo d'affari» sussurrò poi, infilando la sua mano in quella di Seiji. «Mi è piaciuta molto, ma sono curiosa. Non posso evitare di chiedermi chi sia l'antica dama.» Una figura immaginaria? Una passata amante? «Pensavo a mia nonna, Yukiko Braet» rispose lui, sottovoce. «Vorrei tanto che fosse qui. Conoscerti l'avrebbe ripagata delle umiliazioni che ha dovuto sopportare. Era una donna molto più dolce e sensibile di mia madre. Sono sicuro che vi sareste piaciute.» Qualche tempo più tardi, dopo che anche Nora ebbe recitato il breve haiku che aveva imparato a memoria per l'occasione, lei e Seiji si alzarono in piedi, augurarono agli ospiti la buonanotte e quindi si ritirarono nella suite. Harumi aveva già riempito la vasca di cedro, profumando l'acqua con erbe e sali aromatici. Seiji si spogliò e prese Nora tra le braccia, con gli occhi appannati dal desiderio. «Vieni qui...» sussurrò accarezzandole la pelle di seta. «Non vedevo l'ora di rimanere finalmente da solo con te. Voglio che questa notte non finisca mai.» La luna arrivò all'apice del cielo e tramontò senza che loro si fossero ancora saziati l'uno dell'altra.
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11 Si addormentarono sfiniti e al mattino Harumi, per svegliarli, dovette bussare più volte sul telaio di legno del fusuma, chiamandoli per nome. Gli ospiti erano già alzati, spiegò, e aspettavano la colazione. Senza contare che lui, Seiji-san, aveva detto espressamente di voler ritornare a Kyoto entro il primo pomeriggio per prepararsi al suo viaggio a Taipei. Finalmente più lucido, Seiji si rialzò a sedere di scatto e buttò indietro la trapunta. «Tra pochi minuti siamo pronti» promise in giapponese, la lingua che Harumi aveva usato per chiamarlo. Nora si stropicciò gli occhi. Non aveva compreso tutte le parole, ma solo il senso generale della conversazione... e il breve accenno a un altro viaggio d'affari. Prima c'era stato Singapore, poi la Cina e il Vietnam, adesso Taipei. «Quando parti?» domandò a Seiji, incapace di nascondere un certo disappunto. «Domani.» Lui la guardò con espressione dubbiosa. «Mi chiedevo se... per caso avresti voglia di accompagnarmi.» Lei sentì l'entusiasmo lievitare piano e quindi traboccare. «Seiji parli seriamente?» domandò. Lui sorrise, divertito. «Io parlo sempre seriamente.» «Allora, la risposta è sì! Verrò volentieri con te.» «Bene. Allora è deciso» confermò lui suggellando la decisione con un lungo bacio. Raggiunsero gli ospiti al tavolo della colazione solo mezz'ora più tardi. Nora sorrise a tutti, raggiante. Non sapeva come sarebbe finito il loro matrimonio, e neppure se Seiji l'amasse, ma non ricordava di essere mai stata più felice in tutta la sua vita. Anche Seiji si sentiva all'improvviso in un particolare stato di grazia. «Non capisco come si faccia a mangiare cereali tutte le mattine, invece di fare una colazione come si deve» scherzò prendendo in giro sua moglie e guardandola con dolcezza. «Niente zuppa di miso, niente riso. Come si può sperare di fare un bel bambino pieno di salute, in queste condizioni?» La frase suscitò l'ilarità dei presenti e risvegliò un piccolo campanello d'allarme nella mente di Nora. Ma la conversazione la distrasse, obbligandola subito a pensare ad altro. La colazione finì e gli ospiti incominciarono ad accomiatarsi. In breve, Suzanne Carey
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anche Seiji e Nora furono pronti per partire. Harumi caricò i bagagli in macchina, chiuse la casa e si sedette al volante. Partirono per Kyoto, con un tempo ottimo e il traffico regolare. Nora guardò la piccola casa dal tetto a punta che scompariva in lontananza e sentì un'improvvisa inquietudine stringerle il cuore, perché quando la felicità è troppo intensa sembra sempre che il dolore stia lì in agguato. Nel tempo necessario per arrivare a Kyoto fece tre piacevoli scoperte. Primo, la limousine aveva i vetri oscurabili: bastava un pulsante, e nessuno era più in grado di vedere l'interno, neanche dal sedile di guida. Secondo, anche un lungo viaggio in auto poteva rivelarsi pieno di sorprese. Terzo, a lei e Seiji bastava guardarsi negli occhi per accendere il desiderio... Capirono che qualcosa non andava nel preciso istante in cui la limousine si fermò davanti alla scalinata dell'ingresso di casa. Avvertita del loro arrivo dal guardiano del cancello, Aiko li aspettava sulla soglia con espressione visibilmente preoccupata. «Ho cercato di rintracciarvi, ma il vostro cellulare era sempre spento» disse al figlio in giapponese. E lanciò un'occhiata in direzione di Nora. «Ha chiamato la sorella di tua moglie. Mi ha chiesto di riferirle che le condizioni della zia sono peggiorate. Hanno dovuto riportarla in ospedale.» Lui divenne serio all'improvviso. Mise un braccio intorno alle spalle di Nora e tradusse lentamente le parole di sua madre, nel caso lei non le avesse capite. Ma Nora non aveva bisogno di spiegazioni. Il suo viso era già rigato di lacrime. «Non può morire non adesso che la Braet & Company è salva!» Lui sentì il cuore diventare di piombo. Erano giorni che non pensava più alla Braet & Company e all'accordo matrimoniale che avevano stipulato. Il solo pensiero che il loro fosse ancora un legame temporaneo lo riempiva di angoscia e di frustrazione. In ogni caso, non fece commenti. «Chi era, delle due sorelle?» chiese invece alla madre, in inglese. «Darien o Stephanie?» «La prima» rispose Aiko, «se non ricordo male.» Si rivolse direttamente a Nora. «Mi dispiace di essere stata io a doverti dare questa brutta notizia. Tua sorella mi ha spiegato che andava subito in ospedale, e che l'avresti trovata nella stanza di tua zia o al Pronto Soccorso. Mi è sembrato di capire che è di turno lì.» Suzanne Carey
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Passato il primo attimo di sconcerto, Nora si girò verso Seiji. «Devo andare da lei» gli disse con occhi che supplicavano comprensione. Lui non avanzò alcuna obiezione. «Chiama subito Darien» suggerì invece. «Io, intanto, userò il cellulare per prenotarti il volo aereo.» Non viene con me, pensò lei. Forse non verrà mai. Significava che ormai la separazione sarebbe stata permanente? Lui sembrò leggerle nel pensiero. «Vorrei accompagnarti, ma devo prima sistemare le cose a Taipei» spiegò scrollando la testa. «Se riesco, ti raggiungerò entro mercoledì sera.» Che altro poteva fare, pensò Nora, se non accontentarsi di quella promessa? «Grazie, Seiji. Ti terrò comunque informato su quello che succede.» Il pensiero della zia Maggie, che lottava in un letto di ospedale, la faceva star male. Doveva andare da lei, al più presto! Nora si affrettò a salire i gradini. «Scusatemi, io dovrei usare il telefono...» La maggiore delle sorelle Braet confermò i suoi peggiori sospetti. La forte fibra della zia Maggie era ormai allo stremo, i dottori non avevano lasciato speranze. «Prendo il primo aereo» promise Nora, le lacrime agli occhi. «Non sopporto l'idea che se ne vada senza di me. Per favore, Darien, dille che arrivo. Proprio in questo momento, Seiji mi sta prenotando il volo.» Rimasero d'accordo che lei avrebbe richiamato per comunicare il numero del volo e l'orario di arrivo a Seattle. «Ma se la zia sta male» raccomandò Nora, «non preoccupatevi di venirmi a prendere. So ancora come si noleggia un taxi.» Seiji la raggiunse. «C'è un posto sul volo di stasera dall'aeroporto Narita di Tokyo» annunciò. «Dobbiamo fare molto in fretta. Ho già ordinato ad Harumi di scaldare la macchina. Praticamente hai poco di più di cinque minuti per buttare quel che ti serve in valigia.» Lui la accompagnò in aeroporto con la limousine. Le fece appoggiare la testa sulla sua spalla e la tenne per mano, mentre Harumi superava se stesso macinando chilometri su chilometri. Al suo arrivo in Giappone solo due mesi prima, pensò Nora, Seiji era stato l'avversario di una immaginaria partita a scacchi, che metteva in palio vendetta, ricompensa e passione. Ora i miei sentimenti per lui sono diventati così complessi, e profondi. Darei qualunque cosa perché venisse Suzanne Carey
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con me e restasse al mio fianco, per consolarmi quando avrò paura. Ormai era chiaro, senza ombra di dubbio: amava Seiji con tutto il cuore. Restare sposata con lui sarebbe stata una gioia, e non le sarebbe pesato affatto allevare tanti piccoli Amundsen bilingui, al di qua o al di là dell'oceano. Tra loro, però, non c'era stata alcuna discussione che riguardasse il futuro, e i giorni di quel futuro erano solo pagine bianche sul calendario. Dunque, neanche lei poteva azzardare previsioni. Non poteva nemmeno sapere che, mentre la limousine correva veloce, Seiji la teneva per mano e aveva la mente oppressa da pensieri e insicurezze molto simili ai suoi. Magari, non mi vorrà al suo fianco, quando si troverà di nuovo a casa, circondata dal clan dei Braet. Loro lo consideravano un usurpatore, il frutto di una passione insana tra un uomo di cinquant'anni e una ragazzina di ventidue, una passione che aveva spezzato il cuore della bisnonna Katharine. Sarebbero stati tutti felicissimi se Nora avesse chiesto il divorzio. Del resto, che senso aveva il loro patto senza la zia Maggie? Nessuno. Ma io vorrei un matrimonio vero, con lei. Vorrei una famiglia e dei bambini. Incominciava proprio a sospettare che fosse amore, quello con la A maiuscola, che gli faceva circolare in fretta il sangue come se avesse la febbre, e che lo rendeva così riluttante a lasciarla andare, da sola sull'aereo, lontana da lui. Harumi polverizzò qualsiasi record, tanto che arrivarono all'aeroporto addirittura in anticipo. Dopo il check-in rimasero seduti nella sala d'attesa, abbracciati e in silenzio. Nessuno dei due sapeva che cosa dire, o forse le cose da dire erano troppe e loro non sapevano da dove iniziare. Nonostante il dolore per la zia Maggie e l'ansia di rivederla, Nora non sopportava l'idea di lasciare Seiji. Le cose, tra loro, negli ultimi tempi erano molto migliorate, anche se lui non aveva mai detto espressamente di amarla. Dopo il primo incontro al mercato di Mishikikaji, Nora aveva rivisto Rosemary Pennington qualche altra volta, alla scuola o per pranzo. All'improvviso, lì nella sala d'aspetto dell'aeroporto, le tornò in mente qualcosa sulla cultura locale che l'amica le aveva raccontato. In Giappone ai bambini, specialmente quelli maschi, si insegna molto presto a nascondere le emozioni e a mantenere un contegno, qualunque Suzanne Carey
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cosa succeda. Un giapponese deve sempre dimostrare un eccellente autocontrollo, e sotto tutti quegli strati di difesa, spesso nutre dei sentimenti che non sa neppure riconoscere. Sebbene Seiji avesse sangue giapponese solo per un quarto, aveva passato in Giappone quasi tutta l'infanzia, quindi la sua educazione emotiva era dipesa soprattutto da Aiko. Il padre, sempre in viaggio e impegnato con il lavoro, aveva senz'altro brillato soprattutto per la sua assenza. Magari ha incominciato ad amarmi ma non lo sa, pensò Nora. Magari ha solo bisogno di tempo per scoprirlo. Peccato che di tempo loro non ne avessero quasi più. Rischiavano di rimanere per sempre sulle sponde opposte dell'Oceano, senza riuscire a ritrovarsi. All'improvviso venne annunciato il volo. Poiché aveva un posto in business class, Nora fu tra le prime a essere chiamata. Seiji l'accompagnò fino al cancello dove bisognava mostrare la carta d'imbarco. Aspettò che avesse solo una persona davanti a sé, prima di salutarla con un abbraccio. «Fai buon viaggio» le augurò in tono serio, baciandola sulla fronte. «Ti chiamerò domani sera tardi, a casa di tua sorella Darien. O a casa della zia Maggie, se non mi risponde nessuno. Ho tutti e due i numeri memorizzati sul cellulare. Se mi vuoi vicino, posso partire per Seattle mercoledì sera. Devi solo farmelo sapere.» Qualche secondo più tardi la lasciò andare. Lei salì sulla scaletta come un automa. A metà strada si fermò per guardarsi indietro. Seiji era ancora là, in piedi dove l'aveva lasciato, e la guardava con un'espressione impossibile da decifrare. Quando l'aereo atterrò a Seattle, il mattino seguente, il cielo era coperto e minacciava pioggia. Stephanie non c'era e Nora prese al volo un taxi per farsi portare in ospedale. Grazie al cielo, aveva portato con sé pochissimo bagaglio. Alla zia Maggie era stata assegnata una stanza singola nel reparto di medicina interna. Era l'ombra di se stessa. Aveva perso ancora peso, sembrava invecchiata di vent'anni e aveva due occhi immensi nel volto color cenere. «Nora, tesoro...» mormorò in un soffio vedendola entrare. «È così bello averti finalmente qui! Dovevo proprio ammalarmi di nuovo, per vederti tornare dal Giappone.» Suzanne Carey
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Lei si sentì stringere il cuore. «Zia Maggie, lo sai che sarei tornata comunque!» L'abbracciò facendo attenzione a non urtare il tubicino della flebo. Le sembrò fragile e indifesa come mai. «Siediti qui vicino e raccontami, bambina. Voglio sapere tutto.» Maggie Braet batté con la mano sulla coperta del letto. «Forza, parlami dei tuoi impegni di lavoro in Giappone, e anche del romanzo d'amore con il signor Amundsen. Non tralasciare nessun particolare.» Nonostante la malattia, la zia non era cambiata. Sempre affettuosa, allegra e interessata a tutto quello che succedeva nella vita delle adorate nipoti. Invece di sedersi sul letto, Nora prese una sedia. Le sembrava, in quel modo, di toglierle meno spazio, aria, o comodità. Inventò impegni di lavoro a Kyoto che non erano mai esistiti, poi passò a descrivere Seiji. Era un uomo forte e ardente, spiegò, del quale si era profondamente innamorata. «Ti prego, zia Maggie. Non riferire niente a papà» aggiunse come quando, da ragazzina, le chiedeva di aiutarla a nascondere qualche marachella. «Io e Seiji ci siamo sposati ufficialmente.» Mostrò l'anello di fidanzamento e la fede nuziale che portava al dito. La zia Maggie li guardò, ammirata. «Mia cara! Sono così felice per te! Non vedo l'ora di conoscere quest'uomo così speciale. Quando verrà qui?» Nora non aveva fatto che pensarci per tutto il viaggio. Naturalmente, desiderava con tutto il cuore di avere Seiji al proprio fianco. Solo lui avrebbe saputo tenerla stretta, consolarla, placare l'immenso dolore che stava provando. Eppure, pensò, farlo venire a Seattle poteva rivelarsi una pessima idea. Quasi tutto il clan dei Braet avrebbe boicottato la sua presenza, e una lite in famiglia, in quel momento, era proprio l'ultima cosa di cui la zia Maggie aveva bisogno. «Si è offerto di raggiungermi mercoledì sera» rispose. «Devo solo dire una parola, ma ho paura che la sua presenza qui possa creare problemi.» Nonostante la gravità delle sue condizioni fisiche, zia Maggie sfoderò l'energia dei bei tempi. Non accettava scuse, replicò. Desiderava incontrare Seiji il più presto possibile. Voleva ben vedere chi avrebbe avuto il coraggio di opporsi. «Se aspettiamo ancora» aggiunse, «potrei non essere più qui a dargli il benvenuto in famiglia... Anche se a ben vedere in famiglia c'è già, dato che siamo lontani parenti.» Suzanne Carey
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Nora ricacciò indietro la commozione. «Magari potrebbe venire a Natale, come avevi suggerito tu, una volta. Manca meno di un mese. Nel frattempo potrai riprenderti e...» «Guardiamo in faccia la realtà, tesoro» obiettò la zia Maggie con dolcezza. «Non sono più nelle condizioni di fare programmi a lunga scadenza. Se vuoi che conosca tuo marito, fallo venire qui al più presto.» Quella sera, quando si lasciò cadere su uno dei divani della zia Maggie nel grande appartamento affacciato sul lago, Nora si sentiva profondamente stanca e depressa. Lo spettacolo delle barche a vela che incrociavano al largo non poté in alcun modo sollevarle il morale. L'unico che avrebbe potuto farla stare meglio era Seiji. All'improvviso il telefono prese a squillare e lei sussultò, pensando a un'emergenza in ospedale. Darien le aveva dato il cambio accanto alla zia e aveva promesso di avvertirla se ci fosse stato bisogno di lei. «Pronto?» rispose sollevando di scatto il ricevitore. «Ciao, Nora. Sono Seiji.» Seiji. Dio, come avrebbe voluto averlo lì e stringerlo tra le braccia... «Sono ancora a Taipei. Come sta la zia Maggie?» Nora, per un attimo non riuscì a rispondere. «Male» confessò poi. «Ho parlato con Darien e mi ha confermato che purtroppo non ci sono più speranze.» «Posso fare qualcosa?» chiese lui sincero. «No, ma grazie per averlo chiesto.» «Ascolta...» Seiji cercò un modo per confortarla, nonostante la distanza. «Ho già prenotato il volo per Seattle, domani sera. Quando arrivo, prendo un taxi e mi faccio portare direttamente in ospedale.» Aveva mantenuto la sua promessa. Un'onda di sollievo sommerse Nora. «Chiamami qui, oppure sul cellulare» lo istruì. Ad un tratto, grazie alla prospettiva del suo arrivo, le sembrava di essere mille volte più forte. «Posso usare la macchina di mia zia, per venire a prenderti in aeroporto.» Invece, Seiji era ancora in volo sul Pacifico quando una crisi cardiaca peggiore delle altre si portò via la zia Maggie all'improvviso. Erano quasi le quattro del mattino, a Seattle. C'era Nora con lei, sola perché Darien e Stephanie erano appena andate a casa a recuperare qualche ora di sonno. Pianse tutte le sue lacrime, e Suzanne Carey
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vegliò a lungo la donna che era stata per lei una madre, un esempio e un porto sicuro. Poi, col cuore gonfio di tristezza, uscì dall'ospedale e raggiunse il parcheggio. Seiji. Doveva andare da lui. Per nascondersi tra le sue braccia e aspettare che il dolore allentasse piano piano la morsa. Attraversò la città come in trance, e in meno di mezzora raggiunse il terminal degli arrivi internazionali. Lui fu il primo a sbucare dalla dogana. Gli bastò guardarla da lontano per intuire cosa fosse successo. «Vieni qui» la invitò in tono dolce. Lasciò cadere la borsa da viaggio e la strinse forte tra le braccia. La presenza di Seiji aiutò Nora a superare i due terribili giorni che precedettero il funerale. Solo lui riuscì a trasmetterle la forza e la sicurezza necessarie, in un momento in cui tutto sembrava crollarle addosso. Rimasero nell'appartamento sul lago della zia Maggie, e non fu necessario preoccuparsi delle reazioni del resto della famiglia alla presenza di Seiji perché non comparve nessuno, a parte Darien e Stephanie. Le sorelle di Nora accolsero il cognato con guardinga simpatia, e lui cercò di non essere di alcun intralcio per loro, in un momento così delicato. Seguiva gli affari dal cellulare privato, usava il fax solo per il minimo indispensabile, e si offriva di svolgere piccole incombenze familiari ogni volta che era libero. Fino alla tristissima cerimonia del funerale, lui si rivelò un sostegno sicuro oltre che l'unica spalla su cui piangere. La tenne per mano durante l'orazione funebre e la riparò con l'ombrello, nel piccolo cimitero pieno di verde e di fiori dove la zia Maggie venne sepolta. La cerimonia fu semplice ma toccante, e fu seguita da molti amici e dipendenti della Braet & Company. Naturalmente, Seiji era consapevole dell'aperta ostilità di molti dei Braet, che si erano finalmente degnati di comparire, a partire da Stephen Braet, il padre di Nora. Come cambiano le cose... pensò appoggiando un braccio sulle spalle della moglie con fare protettivo. Prima di incontrare lei, non avrebbe mai tollerato sgarbi da parte di nessuno. Tantomeno da qualcuno dei Braet americani. Ora, per amore suo, era persino disposto a chiudere un occhio e a mettersi l'orgoglio in tasca. Dopo il patto iniziale avevano compiuto tutti e due molta strada, si disse. Suzanne Carey
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Eppure... un pensiero improvviso gli gelò il sangue. Era pur sempre possibile che adesso, uscita di scena la zia Maggie, Nora si dichiarasse libera da qualunque impegno nei suoi confronti. Il pacchetto di azioni della Braet & Company non le era mai interessato e, se avesse deciso di rientrare nel giro della moda, i fotografi e gli sponsor l'avrebbero accolta a braccia aperte. Il solo pensiero gli procurò una dolorosa fitta allo stomaco. Seiji guardò l'anziano sacerdote cattolico che concludeva la cerimonia con una benedizione e per un attimo pensò che, forse, per lui il peggio non era ancora passato. Poco lontano, Stephen Braet trangugiò un sorso di bourbon dalla fiaschetta d'argento, che portava sempre con sé, e guardò dalla sua parte. Mentre l'assemblea si disperdeva e tutti si avviavano alle macchine, lui bisbigliò qualcosa e la seconda moglie lo tirò per un lembo della giacca come per calmarlo. Stephen Braet si impuntò. «No!» ringhiò con la voce chiaramente impastata dall'alcool. «Non lo voglio qui, quel bastardo giapponese che ha rovinato Nora!» Tutti i presenti non poterono evitare di sentire quell'ultimo insulto. Seiji si irrigidì all'istante, mentre un'ira gelida e devastante lo sommerse. Probabilmente avrebbe detto o fatto qualcosa di terribile, se Nora non gli avesse messo una mano sul braccio. «Non rispondere a certe stupide provocazioni, Seiji. Ti prego. Fallo per me, oltre che per rispetto nei confronti della zia Maggie. Ti giuro che non gli rivolgerò mai più la parola finché non si sarà scusato pubblicamente con te. Portami a casa della zia Maggie, per favore. Non voglio vedere nessuno.» Per quanto incredibile, Nora l'aveva preferito a suo padre e a tutto il clan dei Braet. La constatazione lasciò per un attimo Seiji senza fiato. È un buon segno? Il nostro matrimonio durerà? Quando arrivarono in casa, il telefono stava squillando. Nora lo prese, lo avvolse in uno strofinaccio da cucina e lo cacciò in un cassetto. Poi, andò in camera a cambiarsi. Quando tornò, indossava una delle vestaglie preferite di sua zia, fatta a kimono. «Il Giappone le piaceva. Stuzzicava la sua fantasia.» Nora sospirò. «Sono sicura che, se avesse potuto, sarebbe venuta a trovarci.» Suzanne Carey
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Lui, che intanto aveva acceso il fuoco nel camino, si sedette sul divano e le tese le braccia. Era esattamente quello che lei desiderava di più in quel momento. «Mi mancherà moltissimo» disse con labbra tremanti. Un attimo dopo stava già piangendo tutte le sue lacrime, che gli bagnavano il colletto della camicia. Come spiegò l'avvocato, Nora era stata prescelta come curatrice testamentaria dalla zia Maggie in persona. «Sarà un problema, se torna subito in Giappone» commentò il giorno seguente al telefono, illustrandole la situazione. «Avrò bisogno della sua presenza qui a Seattle almeno per qualche giorno. Sua zia ha stilato un testamento per i titoli, le proprietà e le azioni ma, per quanto ne so, non ha lasciato alcuna indicazione circa i beni mobili personali.» Maggie Braet aveva collezionato praticamente di tutto: quadri di valore e mobili d'antiquariato, oggetti di artigianato giapponese, gioielli e libri. Parte delle collezioni giacevano presso depositi e magazzini privati. Ci vorranno giorni, se non addirittura settimane, pensò Nora scoraggiata. Come poteva pretendere che Seiji rimanesse lì con lei? I suoi affari non potevano aspettare. Doveva andare a Tokyo, e poi a Hong-Kong per lavoro e... Non voglio che lui si senta obbligato a restare qui per me. Gliene parlò apertamente, insistendo perché tornasse in Giappone quello stesso lunedì. «Ti raggiungerò appena mi sarà possibile» gli promise, le labbra a un centimetro dalle sue. Lui fu sul punto di protestare ma si trattenne. Cacciò dalla mente il pensiero che, una volta sola, Nora avrebbe passato più tempo con le sue sorelle e magari si sarebbe dimenticata di lui. Alla fine, con molta riluttanza, accettò. Due giorni dopo, all'aeroporto Sea-Tac, si scambiarono tanti baci di fuoco ma nessuna promessa. Seduto sul sedile con la cintura allacciata, al momento del decollo, Seiji si chiese se partendo non avesse commesso un imperdonabile errore. Per colpa di quel lontano patto iniziale, lui e Nora non avevano mai parlato d'amore. Certo, ormai era più che sicuro dei propri sentimenti ma non li aveva Suzanne Carey
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mai espressi a Nora, né lei non gli aveva mai parlato dei propri. Ora che non sussisteva più alcun motivo per mantenere fede al patto, non gli restava che una sola speranza. Che Nora tornasse da lui, solo perché lo amava. Bloccata a Seattle per via del testamento, nelle tre settimane successive, Nora non fece che sperare di liberarsi in fretta per prenotare il primo volo per il Giappone. La vita senza Seiji le sembrava vuota e insostenibile. Solo con lui sentiva di poter ritrovare la felicità perduta. Poi, una mattina, le venne recapitato un minuscolo pacco. Un regalo di Seiji! pensò ritrovando all'improvviso tutto il suo entusiasmo. Tuttavia si sbagliava. Al posto di un regalo, trovò una piccola cassetta video amatoriale, e quando riuscì a visionarla scoprì che... Seiji teneva per mano Haruko Nakanishi nei giardini del Tempio di Kinkakuji. Alla cassetta era allegato un biglietto. Ho pensato che dovessi saperlo. Loro continuano a vedersi. La calligrafia era arrotondata e infantile, e la carta sembrava pergamena di riso. Lei capì subito chi potesse averla mandata: la cara Tamao. Non si soffermò a ragionare sulle probabilità che si trattasse di una menzogna. Sentì soltanto un dolore profondo e inconsolabile. Seiji la tradiva. Ma... com'era possibile? Le telefonava ogni giorno, si comportava come se gli importasse solo di lei su tutto il pianeta terra... Un pensiero le attraversò la mente. Suo padre era stato e continuava a essere un marito sciagurato e infedele. Per non parlare di quel Jerrold Braet che aveva spezzato il cuore della bisnonna Katharine. No! Lei, Nora Braet, non intendeva confermare la malsana "tradizione" familiare. Così, mezz'ora più tardi, era già nell'ufficio dell'avvocato. Appoggiò con rabbia la videocassetta sulla scrivania e annunciò che intendeva chiedere il divorzio. «La colpa è sua. Mi ha tradito» urlò con un lampo di collera nei bellissimi occhi verdi. «Includa anche un duplicato del nastro come prova. Questa è la copia firmata del nostro contratto di matrimonio. Gli dica di tenersi pure le sue quote di partecipazione della Braet & Company, perché io non so proprio che cosa farmene!»
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Due giorni dopo, Nora era già a New York, dove affittò una stanza in albergo in attesa di riprendersi il suo appartamento. Invece di guarire le sue ferite, l'azione legale contro Seiji la fece sentire anche peggio. Era come se all'improvviso non ci fosse più niente o nessuno al mondo in grado di risvegliare il suo interesse. Di colpo, anche il suo corpo sembrava cambiato: aveva la nausea, lo stomaco perennemente sottosopra. Per la disperazione prese appuntamento con il dottore. Fu solo in ambulatorio, quando il medico le chiese la data dell'ultimo ciclo, che intuì finalmente la verità. Lei aspettava un bambino.
12 Nora era al sesto mese di gravidanza, e fisicamente stava benissimo. Peccato che il morale, invece, non avesse proprio niente di smagliante. Sì, certo, l'idea del bambino la emozionava e la riempiva di dolci aspettative, ma il cuore era ancora gonfio di dolore per il tradimento dell'uomo che amava. Con sua immensa sorpresa, Seiji non aveva fatto nulla per opporsi alla lettera dell'avvocato: nessuna telefonata, nessuna richiesta formale di rispettare i termini del tacito contratto, nessuna esplosione di sdegno né proteste di innocenza. Niente di niente, nemmeno il più piccolo tentativo di riconciliazione. Da parte sua, Nora non aveva sollecitato altre azioni legali. Del resto, per suo figlio sarebbe stato meglio venire al mondo nella cornice di un matrimonio ancora valido. Non si faceva certo illusioni sulla futura durata di quel matrimonio, ma in ogni caso preferiva che per il momento lui non fosse al corrente della gravidanza. L'ultima cosa che voleva era una battaglia legale per la custodia del bambino. Seiji era un uomo abituato da sempre a vincere qualunque conflitto e sarebbe stato un avversario micidiale. Di quel genere di battaglie legali, Nora e le sue sorelle avevano purtroppo esperienze di prima mano. I loro genitori, dopo la separazione, avevano lottato senza esclusione di colpi per ottenere l'affidamento delle figlie. Suzanne Carey
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Seiji Amudsen viveva ormai sprofondato in una cappa grigia di infelicità. Senza Nora, gli sembrava che la vita avesse perso colore. Niente, nemmeno i più sospirati trionfi finanziari, riuscivano a rischiarare il suo umore. La collera incandescente esplosa all'arrivo della lettera dell'avvocato e del relativo nastro video con tanto di infantile biglietto di accompagnamento, si era ormai placata. Lui non aveva dato un seguito alla richiesta di divorzio da parte di Nora, e lei non aveva intrapreso altri passi. Un interrogativo lo tormentava. Chi mai aveva potuto inviare quel nastro? Chi si era preso il simpatico disturbo di documentare la sua passeggiata con Haruko nel giardino del Tempio di Kinkakuji, risalente a più di un anno e mezzo prima? La principale indiziata era, naturalmente, Tamao. Era stata lei a rodersi di gelosia quando lui aveva incominciato a uscire con Haruko. Ma, interrogata in proposito, Tamao aveva negato. In ogni caso, quel nastro non provava assolutamente niente, e a Seiji sembrava ridicolo che Nora non l'avesse capito. Forse, dopo la morte della zia Maggie, aveva semplicemente pensato che il loro accordo non aveva più valore. E lui? Lui aveva troppo orgoglio per andarla a cercare. Con un sospiro, Seiji sprofondò ancora di più nell'acqua profumata della vasca. Buffa la vita... pensò. Aveva convinto Nora a sposarlo solo per umiliare la sua famiglia, e invece si era innamorato di lei. Per la prima volta nella sua vita, da quando Nora se n'era andata, non aveva più desiderato un'altra donna. Dopo l'ennesimo, lungo sospiro di malinconia, Seiji tastò il bordo della vasca alla ricerca del telecomando, trovandolo. Con un lieve fruscio, il grande teleschermo digitale si accese, sul canale della CNN. Comparvero le immagini della sfilata di moda di una nota stilista statunitense. Seiji fece per cambiare canale, ma vide all'improvviso un profilo che gli tolse il fiato. Nora stava avanzando sulla passerella con la sua consueta camminata elegante e sciolta. Stava sorridendo con espressione professionale. E indossava con la solita classe un abito... un abito premaman! In un lampo, Seiji fu subito certo che non si trattasse di un trucco. Lei aspetta... mio figlio, nostro figlio! Abbandonò il telecomando e uscì Suzanne Carey
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immediatamente dalla schiuma profumata, dalla vasca, dal bagno. Si sarebbe opposto al divorzio con tutte le forze. Lui l'amava, accidenti. Avrebbero cresciuto insieme il loro bambino. Raggiunse il telefono e compose il numero dell'ufficio. Nel solito tono che non ammetteva repliche, chiese di prenotare a suo nome il primo volo per New York. Appena atterrato a New York, due giorni dopo, per prima cosa telefonò all'agente di Nora, che però si rifiutò categoricamente di fornirgli il proprio indirizzo. Seiji dovette ricorrere a tutta la propria forza di persuasione per strapparle almeno un'informazione utile: in quel momento Nora girava un servizio di moda. Riuscì a farsi dire dove. Quando arrivò sul posto, in uno studio fotografico al terzo piano di un grattacielo di Manhattan, trovò l'ufficio della segretaria deserto. Un fatto normale, visto che era l'ora di pranzo. Si diresse senza esitazioni verso la sala di posa. L'ambiente era buio, ad eccezione di una serie di fari molto luminosi, che circondavano Nora come un alone. Lei sorrideva e si sollevava i capelli con le mani, offrendo all'obiettivo il suo splendido corpo arrotondato dalla gravidanza e rivestito da un fluttuante abito di seta verde acido. Nascosto nell'ombra, Seiji sentì il cuore battere forte. Era così bella e radiosa, e straordinaria! Anche di più di come la ricordasse, ora che aspettava il loro bambino. Come potrò mai convincerla che sono pronto a tutto, pur di renderla felice? Forse, pensò, era necessaria un po' di strategia. Mosse qualche passo indietro, nell'ombra, e uscì dalla sala di posa. Poi raggiunse in fretta il telefono e chiese dell'ufficio telegrammi. La seduta di posa continuò per un'altra mezz'ora senza che succedesse altro. Ci fu una pausa, durante la quale Nora ne approfittò per bere. Poi, arrivò di corsa un fattorino con un telegramma in mano. Lui osservò la scena nell'oscurità. Trattenne il fiato, mentre Nora lacerava la busta e leggeva il messaggio contenuto all'interno. Sono qui, in studio. Seiji. Lei alzò gli occhi di scatto e frugò l'oscurità. Possibile? Seiji era lì, a New York, in quella stessa stanza. Ma dove? Di sicuro a quel punto aveva scoperto del bambino. Era venuto per parlare del divorzio, oppure per Suzanne Carey
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tentare una riconciliazione? Lei si sentì fermare il cuore. Uscì come un automa dal cerchio di luce dei riflettori, come se fosse stata inesorabilmente attratta da una calamita. Il fotografo si preoccupò. «Nora, va tutto bene? Ancora due scatti e poi finiamo... Nora, dove vai?» Lei lo ignorò. Aveva finalmente visto Seiji. Gli si avvicinò ancora. Poi esitò. Era così bella e desiderabile che lui si sentì mancare il fiato. Cercò le parole giuste per dirle l'amore, l'emozione, l'infinita tenerezza che provava. Riuscì solo a tenderle le braccia. «Vieni qui» sussurrò. Lei non se lo fece ripetere. Più tardi avrebbero parlato e chiarito ogni cosa. Più tardi, dopo... Possibile che per chiarire tutto bastasse un bacio? Stretta a lui Nora non ebbe più il minimo dubbio. Non c'era nessun'altra donna, nella vita di Seiji. Che sciocca era stata, a farsi ingannare dalla subdola gelosia di Tamao! Il suo bacio era appassionato e dolcissimo, parlava di un amore grande come la terra, e della voglia di essere per lei un porto sicuro, nei mari tempestosi della vita. Nora provò l'immenso desiderio di perdersi tra le sue braccia, ma perdersi non era la parola giusta, perché Seiji era il sole, e la luna e l'intera adunata delle costellazioni celesti. Finalmente, lui si scostò per guardarla negli occhi. Occhi verdi e profondi come l'oceano. All'improvviso sentì una gran voglia di rassicurarla. «Non c'è mai stata nessun'altra, da quando sei entrata nella mia vita» le disse. «Ti amo, Nora. Ti amo moltissimo. E amo già anche il nostro bambino.» «Anch'io ti amo, Seiji» sussurrò lei, con le guance rigate da lacrime di felicità. Si baciarono di nuovo, con infinita emozione. Li interruppe il fotografo, anima gentile, per suggerire la pausa pranzo. «Ti aspetto qui alle due, Nora. Se non puoi adesso, pazienza.» Sembrava rassegnato, di fronte alla chiara dimostrazione che lei, quel giorno, avesse altro da fare. Un minuto più tardi, Nora e Seiji camminavano abbracciati sul marciapiede, in mezzo al viavai ininterrotto della Grande Mela. «Non riesco a credere che tu sia venuto a cercarmi, soprattutto dopo aver Suzanne Carey
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ricevuto la lettera dell'avvocato e tutto il resto...» rifletté Nora a voce alta. «Che cosa ti ha spinto a venire?» «Ti ho visto in televisione» rispose lui, con la massima sincerità. «Indossavi un abito premaman, e ho capito che aspettavi... nostro figlio.» Sarebbe stato lecito chiederselo: era venuto solo per il bambino? Ma Nora cacciò senza esitazioni quel pensiero sgradevole dalla mente. Lei sentiva con certezza che Seiji ricambiava il suo amore, non aveva più ragione di dubitarne. E proprio in quel momento sentì il bambino muoversi. Seguendo il primo impulso, prese la mano di Seiji e se la mise sul ventre. A lui brillarono gli occhi. «Un calcio con i fiocchi!» commentò. «Hm... ho paura che sarà un terremoto.» «Già... come suo padre» rise lei. «Proveremo a metterne al mondo uno più calmo, la prossima volta.» Seiji la strinse tra le braccia e non poté non ricordare, con infinita tenerezza, la loro prima volta. «Temo che dovrò aspettare un po', prima di poter...» disse con un pizzico di rimpianto. Sul viso di Nora comparve il sorriso che lui non avrebbe mai dimenticato. «Ma io posso sempre toccare te...» replicò con un lampo malizioso negli occhi. «Andiamo a casa mia. O prendiamo una stanza in albergo. Non vedo l'ora di restare un po' da sola con te...» FINE
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