Renee Roszel Wilson
Un Uomo Diverso A Bride for Ransom © 1993 COLLEZIONE HARMONY N. 1123 del 22/12/1995
1 L'uomo respo...
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Renee Roszel Wilson
Un Uomo Diverso A Bride for Ransom © 1993 COLLEZIONE HARMONY N. 1123 del 22/12/1995
1 L'uomo responsabile di tutti i problemi di Sara si trovava a pochi metri di distanza da lei. Era fermo sul ciglio di una scogliera a fissare il mare e le volgeva le ampie spalle, messe in evidenza dal pullover verde a collo alto. La ragazza non poté fare a meno di notare che sembrava perfettamente a suo agio in quell'ambiente selvaggio e incontaminato. Che razza di persona poteva essere un individuo che aveva convinto per corrispondenza con false lusinghe una ragazzina di sedici anni a diventare sua moglie? Sara si era ripromessa di affrontare l'uomo che aveva indotto sua sorella a scappare di casa, rimanendo calma e razionale. Ma l'angoscia che aveva provato durante i giorni precedenti rendeva quel proposito un compito troppo al di sopra delle sue forze. Naturalmente era furiosa con Lynn perché era fuggita di nascosto. Più che una sorella, quella ragazzina era una figlia per lei, dal momento che se n'era occupata da quando aveva otto anni. Pregò mentalmente che Lynn fosse sana e salva. Non appena l'avesse rivista, l'avrebbe stretta tra le braccia e poi le avrebbe spezzato quel piccolo collo coperto di lentiggini! La preoccupazione di Sara per la sorella si era un po' affievolita nell'ultimo tratto del suo lungo viaggio dal Kansas fino a quella remota isola dell'arcipelago Pribilof, situata nel Mare di Bering. A giudicare dal ritratto che le aveva fatto di lui il vecchio pilota del servizio postale che l'aveva trasportata fino a St. Catherine Island, Ransom Shepard era semplicemente un appassionato osservatore di uccelli marini e non un corruttore di ragazzine innocenti. Doveva essere occhialuto, con le gambe storte e di umore irascibile, aveva pensato Sara. Proprio il tipo d'uomo che poteva cercare una moglie per corrispondenza. Ma quella figura muscolosa ferma a qualche metro da lei fece rinascere di colpo tutti i suoi timori. Doveva essere alto più di un metro e ottanta ed era dotato di un fisico Renee Roszel Wilson
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perfetto, si disse stringendo quasi con disperazione il manico del suo borsone da viaggio. Aveva l'aria di uno che sapeva quello che voleva ed era abituato a ottenerlo. Mentre si avvicinava all'estraneo che aveva approfittato dell'innocenza di sua sorella, Sara lottò per tenere a freno la collera. Anche se aveva i capelli rossi, si vantava di essere dotata di un carattere calmo e riflessivo. Dagli la possibilità di spiegarsi, continuò a ripetersi, incurante dell'aria frizzante che saliva dal mare, delle grida dei gabbiani che si tuffavano in acqua e dei bellissimi fiori selvatici dai colori vividi che le sfioravano l'orlo dei jeans. Quando era ormai solo a qualche passo da lui, l'uomo sembrò percepire la sua presenza e si voltò. Il vento doveva avergli scompigliato i capelli, perché alcuni riccioli neri ribelli gli ricadevano sulla fronte ampia. La sua espressione era remota e impenetrabile. Sara non poté fare a meno di notare che era assai attraente. Gli occhi grigi avevano dei riflessi argentei e il naso diritto e regolare gli conferiva un'aria quasi aristocratica. Ma fu la bocca ad attirare la sua attenzione. Era un capolavoro di perfezione. Le labbra né troppo grandi né troppo piene avevano un taglio decisamente sensuale. Sara guardò quel perfetto esempio di virilità e rabbrividì, temendo per la sorte della sorella. Quale terribile difetto poteva avere un uomo così attraente per non riuscire a trovare una donna che fosse felice di sposarlo? Perché era stato costretto a mettere un annuncio su una rivista per trovare una moglie? Quegli interrogativi ebbero un effetto devastante sul suo già fragile autocontrollo. «Lei è Ransom Shepard?» si trovò a domandare in tono rauco. Più che una richiesta era un'accusa. L'uomo la scrutò incuriosito per qualche istante prima di annuire. Sara lasciò cadere a terra il borsone, poi senza riflettere alzò una mano e lo colpì su una guancia con quanta forza aveva in corpo. «Mi piacerebbe vederla dietro le sbarre!» gridò dando sfogo a tutta la rabbia che aveva accumulato nei giorni precedenti. Una vocina in fondo alla sua mente le rammentò che buona parte della colpa era anche di sua sorella. Ma Lynn non era presente e poi aveva solo sedici anni, mentre quell'uomo era di sicuro sui trentacinque. Era troppo maturo e troppo... Era troppo e basta! Doveva avere molta esperienza con le donne e questo fatto la spaventava. Lui indietreggiò di un passo e sembrò sul punto di dire qualcosa. Il suo sguardo si incupì ma non sembrò particolarmente preoccupato per il modo Renee Roszel Wilson
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in cui lei lo aveva assalito. Probabilmente era un vero bruto ed essere schiaffeggiato da una donna non era un'esperienza nuova per lui, si disse Sara. Forse era quello il motivo che lo aveva spinto a cercare una moglie per corrispondenza. Quel pensiero le fece venire voglia di colpirlo di nuovo. Questa volta si ritrovò il polso bloccato da una morsa d'acciaio. «È permesso un solo schiaffo alla volta, signorina» la ammonì lui. «Prima di essere colpito ancora, vorrei sapere a che cosa devo l'onore.» Sara cercò di liberarsi da quella stretta potente. «La accontento subito» ribatté indignata. «Lei è un individuo spregevole!» L'uomo si soffermò a considerarla per qualche istante, poi la lasciò andare. «Questo trattamento è riservato a me in particolare, oppure ce l'ha con tutti gli uomini?» commentò con una smorfia ironica. La sua aria sprezzante non fece che alimentare la collera di Sara. «Non prova nemmeno un po' di vergogna?» lo accusò guardandolo dritto negli occhi. «Crede davvero che adescare un'innocente ragazzina di sedici anni per... per i suoi scopi lussuriosi sia uno scherzo?» Un lampo di sorpresa illuminò lo sguardo dell'uomo, ma subito dopo la sua espressione tornò insondabile. «E così la sua visita ha a che fare con la nostra piccola Lynn» commentò incrociando le braccia sul petto. Lei fece altrettanto cercando di ostentare una sicurezza che non provava. «Proprio così» replicò spavalda. «E non c'è cosa che desidererei di più di vederla dietro le sbarre. Lei è un... un...» «Un individuo spregevole?» le suggerì lui. Sara lo guardò di sottecchi lottando per ricacciare indietro le lacrime. «Sono felice che trovi la situazione così divertente.» «Ascolti.» Il suo tono era calmo e controllato. «Lei è chiaramente esausta. Perciò non mi offenderò...» «Si offenda pure quanto vuole» sibilò lei rifiutando la sua offerta di pace. L'espressione dell'uomo si indurì. Era chiaro che stava tentando di dominare la collera. Sara era cosciente di aver reagito in maniera esagerata, ma non era riuscita a controllarsi. Aveva perso i genitori in un incidente d'auto quando aveva diciassette anni e durante tutta la settimana precedente era stata tormentata dall'angoscia di aver perduto anche Lynn. «Dov'è Lynn Eller?» lo assalì cercando di ignorare il tremito che l'aveva assalita. Renee Roszel Wilson
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«Non ne ho la minima idea» replicò lui freddo. Sara trasalì. Non aveva nemmeno pensato a una simile possibilità. St. Catherine Island era un'isola di poco più di venti chilometri quadrati, popolata da volpi artiche, renne e uccelli marini. Non c'erano molti posti dove Lynn sarebbe potuta fuggire. «È scappata? Se le ha fatto del male, io...» «Lo so.» L'uomo annuì con aria cupa. «Mi manderà dietro le sbarre.» Girò il capo e le indicò la spiaggia che si snodava ai piedi della scogliera. «È andata a fare una passeggiata. Doveva tornare più di un'ora fa. Evidentemente ha cambiato idea.» Sara scrutò la striscia di sabbia di origine vulcanica lambita dall'acqua color cobalto. «Allora... allora la vada a cercare! Non le è passato per la testa che potrebbe essere annegata?» gli domandò angosciata. Lui si voltò a guardare il mare. «Nessuna persona sana di mente si avvicinerebbe all'acqua con questo tempo. Come probabilmente avrà notato, la temperatura è di appena dieci gradi. Ma devo ammettere che quando si tratta di quella ragazzina non metterei la mano sul fuoco» aggiunse in tono lievemente seccato. «Comunque Taggart è insieme a lei. Lui è un buon nuotatore.» «Taggart?» Sara era allibita. «Santo cielo! È sua moglie e nonostante ciò lei le permette di andare in giro con un altro?» L'uomo la scrutò, inarcando un sopracciglio con aria dubbiosa. «Mia cara signorina, lei ha una mente piuttosto contorta. Si dà il caso che Taggart abbia quattordici anni e sia mio...» «Non mi interessano i dettagli» lo interruppe lei con foga. «Tutta questa faccenda della moglie per corrispondenza è così assurda e...» Si fermò di colpo afferrando solo in quel momento il senso delle sue parole. «Il suo cosa?» «Mio figlio» concluse lui con un ghigno sarcastico. «Ammetto che Tag non è un angelo, ma non credo che violenterebbe Lynn.» Le rivolse un'occhiata penetrante. «Immagino che lei sia una sua parente» commentò. Il suo tono ironico la infastidì più del dovuto. «Mi chiamo Sara Eller. Per lei la signorina Eller» rispose in tono pungente. «Sono la sorella di Lynn e potrei aggiungere, anche la sua tutrice.» «Mi perdoni, signorina Eller. Ma a giudicare dai risultati, si direbbe che non ha fatto un buon lavoro con lei.» Quelle parole la colpirono con maggiore violenza di uno schiaffo, anche Renee Roszel Wilson
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se doveva ammettere che lui aveva ragione. Non era stata una buona tutrice per Lynn. A sua discolpa poteva solo dire che, quando aveva dovuto assumersi quella responsabilità, lei stessa era poco più di una bambina. E poi le voleva bene. Lynn era tutto quello che le era rimasto. Forse aveva commesso degli errori, ma aveva sempre fatto del suo meglio per educarli. «Come osa rimproverare me?» lo accusò, ferita nell'orgoglio. «Lei ha indotto una ragazza minorenne a scappare di casa promettendole un ricco matrimonio e una vita senza problemi.» «Sua sorella è venuta qui di sua volontà. Inoltre mi ha raccontato di non avere una casa e nemmeno una famiglia. Chi è da biasimare per un tale comportamento, signorina Eller?» replicò lui gentilmente. Sara indietreggiò come se fosse stata colpita in pieno petto. Lynn non poteva averle fatto questo, dopo tutti gli anni in cui lei aveva lavorato per assicurare un tetto sopra le loro teste. Forse era stata troppo protettiva nei suoi confronti, ma quella era stata la sua unica colpa. «Bugiardo! Lynn non può aver detto una cosa del genere» gridò rifiutandosi di credere che la persona che le era più cara al mondo potesse essere stata tanto crudele con lei. L'uomo si limitò a guardare il cielo senza fare commenti, ma la sua espressione si era incupita. «Sta per piovere, signorina Eller. Le spiacerebbe continuare a insultarmi quando saremo al riparo?» «Non metterei piede in casa sua nemmeno se fossi inseguita da tutti i cani dell'inferno. Trovi Lynn e così potremo andarcene.» «E dove, se è lecito?» «Come sarebbe dove? Torneremo a St. Paul con quel relitto di aereo del servizio postale e poi prenderemo il primo volo disponibile per Anchorage, per tornare nel Kansas, naturalmente.» Sul viso dell'uomo comparve un ghigno ironico. «Quel relitto di aereo è già ripartito. Crede forse che la pista d'atterraggio di St. Catherine sia un aeroporto internazionale?» «Di che cosa sta parlando?» ansimò Sara, colpita da uno strano presentimento. «Temo che quei cani dell'inferno avranno cominciato a morderla prima che riesca a prendere quel volo. Il vecchio Krukoff effettua un solo volo settimanale fino a St. Catherine per portare la posta, le provviste e trasportare i visitatori occasionali, ogni mercoledì. Se non farà cattivo tempo, Renee Roszel Wilson
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dovrebbe tornare la prossima settimana.» «Una settimana?» gli fece eco Sara, incredula. «O anche di più, se l'aereo si rompe» aggiunse lui. «Il che accade molto spesso.» Lei lottò per non lasciarsi sopraffare dalla disperazione. «Allora non ha nessun senso continuare a discutere» disse, chiamando a raccolta quello che rimaneva del suo coraggio. «Mi indichi la pensione più vicina» aggiunse sperando che il poco denaro che aveva le sarebbe bastato. Ma l'uomo non rispondeva, e così Sara gli indirizzò un'occhiata interrogativa. «Preferisce un cottage sul mare o forse sarebbe meglio una suite al St. Catherine Hilton?» Il suo tono era chiaramente divertito. Nella mente della ragazza si fece strada un cupo presentimento. «Mi sta dicendo che non ci sono alberghi sull'isola?» «Quei cani infernali non l'hanno ancora morsa?» «Di sicuro troveremo qualcuno in grado di ospitarci» replicò lei ignorando il suo sarcasmo. «Questa è un'isola piuttosto piccola, signorina Eller» le rammentò lui. «La gente del villaggio conduce una vita modesta e non ha una casa grande.» Sara era a corto di idee. «Non potrei stare da lei, signor Shepard» ammise alla fine decidendo di essere brutalmente sincera. «Devo sottrarre Lynn alla sua... influenza. Se è stato costretto a cercar moglie per corrispondenza, lei deve avere un caratteraccio e io non ho nessuna voglia di subire le sue angherie.» Per un lungo momento l'uomo si limitò a fissarla con un'espressione indecifrabile. Poi un sorriso ironico gli piegò gli angoli della bocca. «In difesa di quelli che cercano moglie per corrispondenza, ha preso in considerazione il fatto che ci sono più uomini che donne in Alaska?» disse. «Per una ragazza irruente e indisponente come lei trovare un compagno non troppo esigente potrebbe rappresentare un vero colpo di fortuna.» Sara trasalì, mentre le sue guance diventavano di fuoco per l'umiliazione. «Io... io non sono irruente e indisponente!» «No?» Sul viso dell'uomo comparve un'espressione scettica e quasi divertita. «Mi ha schiaffeggiato e poi mi ha chiamato verme spregevole...» «Individuo spregevole» lo corresse lei sfidandolo. «Forse questo la sorprenderà, signorina Eller. Ma la maggior parte degli uomini non considera un appellativo del genere come un complimento.» Una goccia gelida colpì una palpebra di Sara facendola sussultare, e Renee Roszel Wilson
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presto cominciò a piovere. Abbozzando un inutile gesto per ripararsi dal temporale in arrivo, la ragazza alzò le mani sopra la testa e guardò angosciata Ransom Shepard. Naturalmente l'uomo aveva ragione. Si era comportata in modo abominevole. «Forse ho esagerato, ma provi a considerare la situazione dal mio punto di vista. Mia sorella ha solo sedici anni e lei è... Santo cielo, lei ha un figlio che ha quasi la stessa età di Lynn. Per una settimana sono impazzita dalla preoccupazione per la sua sorte. Come avrei dovuto comportarmi?» I lineamenti dell'uomo si distesero lievemente. «Capisco.» Con un movimento del capo le indicò la sua abitazione. «Dovremmo entrare» le suggerì. Lei fissò l'edificio solido e squadrato che si scorgeva poco lontano. Le mura di cemento erano nascoste da assi di legno sovrapposte: uno stile che era caratteristico di quelle isole. Sul davanti un portico ampio e coperto riparava la porta d'ingresso. La casa emanava un senso di protezione e in quel momento costitutiva un richiamo quasi irresistibile. Sara si morse un labbro, indecisa. Sapeva che avrebbe dovuto accettare la sua offerta, ma c'era qualcosa che la tratteneva. L'uomo afferrò il suo borsone e la prese per un braccio inducendola ad allontanarsi dalla scogliera. «Sta piovendo, signorina Eller. Se rimane ancora qualche minuto sotto la pioggia con quella giacca leggera, si prenderà una polmonite. Perché non entriamo e aspettiamo in casa il ritorno della sua sorellina?» La guardò di sottecchi e colse la sua espressione esitante. «Dovrebbe avere il buonsenso di tornare, visto che piove, non crede?» Quanto buonsenso può avere una ragazza che si è messa in una situazione così intricata?, si chiese Sara angosciata. Ma l'orgoglio le impedì di comunicargli i propri dubbi sul comportamento della sorella e la preoccupazione per il benessere di Lynn ebbe ancora una volta il sopravvento. «Siete sposati?» domandò. Lui le diede un'occhiata penetrante, ma non rispose. «Lo siete?» Nel frattempo avevano raggiunto l'abitazione e i loro passi echeggiarono con un rumore sordo mentre correvano per trovare riparo sotto il portico. «Lei che cosa pensa?» borbottò l'uomo allarmandola ancora di più. Davanti alla porta, finalmente Sara riuscì a liberarsi dalla stretta delle sue dita. «Non è il momento per gli indovinelli» ribatté fronteggiandolo. Lui girò la maniglia e le fece cenno di entrare. Poi, vedendo che lei si Renee Roszel Wilson
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ostinava a restare immobile, scosse la testa e sospirò. «No. Non siamo sposati. Questo la tranquillizza?» «Sara?» chiamò una voce esitante poco lontano. Sara voltò la testa di scatto e scorse Lynn che si era fermata a qualche metro dal portico. «Sei tu, Sara?» ripeté la ragazza. Questa volta la voce era carica di preoccupazione. Un ragazzo allampanato dai capelli neri, più alto di Lynn, si era fermato accanto a lei. Entrambi indossavano jeans e giacca a vento. Erano tutti e due bagnati fradici e le loro scarpe da ginnastica erano coperte di fango. «A quanto pare, è ancora viva» commentò seccamente Ransom. «Oh, no!» gemette Lynn cominciando a indietreggiare. «Lynn!» gridò Sara, immensamente sollevata nel vedere che sua sorella stava bene. Scese di corsa gli scalini del portico e la afferrò per le spalle. «Lynn, tesoro!» Le si riempirono gli occhi di lacrime e le tremò la voce per l'emozione. «Mi hai fatto prendere un tremendo spavento. Dovrei strangolarti!» Sentendo che Lynn si irrigidiva e cercava di liberarsi, allentò la stretta e si limitò a tirarla sotto il portico. Il ragazzo le seguì. Una volta al riparo, Sara rivolse alla sorella un'occhiata carica di apprensione. I capelli le pendevano sulle spalle in modo disordinato. Entrambe erano rosse. Ma mentre lei aveva ricevuto in dono una folta e lucente capigliatura dai riflessi color mogano, i capelli di Lynn erano troppo sottili ed erano quasi di color carota. L'unica caratteristica fisica che condivideva con la sorella erano gli occhi nocciola, che in quel momento lasciavano trapelare un'espressione piuttosto preoccupata. «Stai bene, Lynn?» le chiese Sara sforzandosi di mantenere la voce ferma. «Quest'uomo ti ha fatto del male?» Lynn si limitò a fissarla senza rispondere. Quel silenzio ostinato ebbe il potere di esasperarla. «Come sei potuta scappare in quel modo?» la accusò, non riuscendo più a trattenersi. «Come hai potuto rubare la mia carta di credito e contraffare il mio nome?» Nella foga la stretta della sua mano sul braccio della sorella si era fatta più forte. «È stato grazie alla carta di credito che ho saputo dov'eri andata. Infatti, quando ho telefonato, la banca mi ha informato che avevi comprato un biglietto aereo per Anchorage e St. Catherine. Perché...?» Sara era così amareggiata che non riuscì a continuare. L'ultima cosa che voleva era scoppiare in lacrime davanti a quel deplorevole individuo, ma le Renee Roszel Wilson
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sue emozioni rischiavano di sopraffarla. Si morse un labbro per frenare il tremito che l'aveva afferrata. «Perché non lasciamo le signore da sole per qualche minuto, Tag?» disse Ransom facendo un cenno al ragazzo perché lo precedesse in casa. Tag assomigliava vagamente al padre se si eccettuavano gli occhi che erano verdi, notò Sara distrattamente. Con un gesto noncurante Tag fece quello che lui gli aveva chiesto. «Ti ha... fatto del male?» mormorò Sara con voce rotta, non appena sentì lo scatto della serratura della porta che si chiudeva. Lynn fece una smorfia e assunse un atteggiamento guardingo. «Chi?» «Ransom Shepard!» sibilò Sara stupendosi della veemenza delle sue parole. «Rance?» chiese Lynn incredula. «Perché avrebbe dovuto farmi del male? È un tipo a posto.» Sara alzò gli occhi al cielo. «Risparmiami le battute. Ti ha... ti ha messo le mani addosso? Voglio dire... Ha cercato di baciarti o altro?» Quando finalmente comprese a che cosa si riferiva, Lynn sgranò gli occhi. «Ah, quello!» «Sì, quello» ripeté Sara temendo il peggio. Ma la risata di Lynn la lasciò interdetta. «A dire il vero, è una storia proprio divertente.» «Non vedo l'ora di farmi una bella risata» borbottò Sara a labbra strette. «Aiutami.» Lynn si irrigidì e si ritrasse. «Non voglio litigare con te. Se hai intenzione di sgridarmi, me ne andrò.» «Dopo tutto quello che mi hai fatto passare, non credi che io meriti una spiegazione? Non voglio litigare. Voglio capire.» La ragazza scrollò le spalle. «È una lunga storia.» «Non c'è nessun problema. Sono stata informata che ho una settimana di tempo per ascoltarla.» «Già. Anch'io ho perso l'aereo.» «Tu hai perso l'aereo?» le chiese Sara. «Che cosa vuoi dire? Quale aereo?» «Quello per St. Paul.» Lynn scrollò le spalle ancora una volta. «Ransom pensava che dovessi tornare da dove ero venuta.» Sara corrugò la fronte, sconcertata da quella rivelazione. «Davvero?» «Sì. In realtà lui non stava cercando una moglie. L'inserzione era stata Renee Roszel Wilson
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un'idea di Tag.» «Tag cercava moglie? Ma ha solo quattordici anni.» Lynn scosse la testa e i suoi capelli bagnati spruzzarono il viso di Sara. «No, no. Tag cercava una moglie per Rance. Da quando la madre di Tag è morta, Rance è davvero intrattabile e Tag pensava che una nuova moglie potesse sistemare le cose. E forse lo avrebbe lasciato vivere a casa, invece di rimandarlo in collegio.» Alzò le sopracciglia con aria rassegnata. «Però Rance non ha nessuna intenzione di risposarsi. Ho sentito che diceva a Tag di non aver mai voluto un'altra donna.» Sospirò. «Credo che amasse moltissimo sua moglie. Ma come ti ho detto, Rance è un tipo a posto. Non si è mai arrabbiato con me e non ci fa fare niente che non vogliamo. Così ho deciso di non tornare a casa e sono rimasta qui.» «E lui te lo ha permesso?» le chiese Sara inorridita. «Non posso credere che una persona adulta approverebbe un tale comportamento.» Si strinse le braccia attorno al corpo cercando di reprimere un brivido. Ma non avrebbe saputo dire se a causarlo fossero stati i suoi abiti bagnati, il sollievo di aver trovato sua sorella sana e salva, oppure l'irritazione nei confronti di Ransom Shepard perché non aveva ritenuto necessario farle sapere dove si trovava Lynn. «Non puoi biasimare Rance, cara sorella. Gli ho detto che ero di Detroit.» Lynn fece un sorriso imbarazzato. «Peccato che quando ha chiamato la polizia di Detroit non sia riuscito a scoprire nulla.» Sara spalancò la bocca per lo stupore. «Tu... tu hai mentito!» Con una leggerezza incredibile Lynn ridacchiò. «E ho anche... Ma non importa. Tu hai freddo. Entriamo» le suggerì dandole un colpetto sul braccio. La delusione per la totale assenza di rimorso da parte di Lynn fece riaffiorare la collera di Sara. «Come hai potuto farlo? Come hai potuto farmi passare una settimana d'inferno? Non sapevi che sarei impazzita per la preoccupazione? Hai agito in modo del tutto irresponsabile» gridò quasi, afferrando Lynn per le spalle. «E ho dovuto usare tutti i nostri risparmi per arrivare fin qui. Che cosa ti ha spinto a commettere questa bravata?» L'espressione di Lynn si fece cupa e ostinata. «Non gridare con me. Rance non lo fa. Lui sa che sono cresciuta e mi lascia prendere da sola le mie decisioni.» «Considerando quali sono state le tue ultime scelte, non credo che sia una buona idea» Renee Roszel Wilson
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Lynn si liberò dalla stretta della sorella. «Non mi importa niente di quello che pensi» affermò seccamente. «Ho impiegato due giorni per arrivare qui dormendo in aeroporto e mettendomi in lista d'attesa, ma ce l'ho fatta da sola. Perciò, lasciami stare. Non sono più una bambina.» «Ascolta me, ragazzina. Forse non sono tua madre, ma poiché negli ultimi otto anni sono stata io a darti da mangiare e a vestirti, credo che tu mi debba del rispetto.» «Questo è un tuo problema.» Sara la fissò stupita. «Come hai fatto a diventare così impertinente?» sussurrò. «Non posso credere di averti allevata tanto male.» «Ormai sono cresciuta e non ho più bisogno di te» ribatté Lynn, asciutta. «Perciò, perché non te ne torni nel Kansas e mi lasci in pace?» Senza aggiungere altro scavalcò il borsone di Sara che Ransom aveva depositato sotto il portico ed entrò in casa. Il ticchettio della pioggia contro le tavole di legno che ricoprivano i muri della casa attutiva qualsiasi altro rumore. Anche se ormai era la metà di giugno, in Alaska faceva ancora piuttosto freddo e Sara si ritrovò a battere i denti senza poter fare nulla per fermarli. Lanciò uno sguardo alla porta che non era chiusa, ma solo accostata. Sembrava quasi un invito a entrare. Sapeva che non aveva altra scelta e che avrebbe dovuto farlo. Ma prima aveva bisogno di un po' di tempo per calmarsi, se non voleva strangolare Lynn. Inoltre non moriva dalla voglia di ritrovarsi a faccia a faccia con Ransom Shepard. Era stata ingiusta nei suoi confronti e l'idea di dover trascorrere la settimana seguente con lui la riempiva di imbarazzo. Si sedette sul borsone e rimase a fissare la pioggia che cadeva copiosa. L'immagine inquietante di Ransom Shepard si materializzò nella sua mente procurandole un brivido gelido lungo la schiena.
2 Accovacciata sul suo borsone, Sara continuò a fissare il paesaggio attraverso la cortina di pioggia battente, mentre il freddo le penetrava fin nelle ossa. I colori vividi dei fiori e dell'erba, che la pioggia aveva reso ancora più brillanti, le strapparono un debole sorriso. St. Catherine Island aveva l'aspetto di una terra ancora intatta, dagli immensi prati verdi cosparsi di fiori colorati. Anche se era completamente priva di alberi, sembrava un Renee Roszel Wilson
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autentico paradiso terrestre. La porta d'ingresso cigolò alle sue spalle. Immediatamente Sara si irrigidì e si passò una mano tra i capelli. Fino a quel mattino erano stati lisci, ma l'umidità li aveva fatti arricciare e adesso una nuvola di riccioli rossi le incorniciava il viso. «Io... io entrerò tra un minuto» mormorò, troppo imbarazzata per voltarsi e scoprire di chi si trattava. Ma qualcuno le tirò i capelli facendola sobbalzare e prima che potesse girarsi sentì un altro strattone. Questa volta era abbastanza forte da farle male. «Ehi! So di essere stata piuttosto indisponente poco fa, ma non merito di essere maltrattata» protestò voltandosi ad affrontare il suo assalitore. Ma in quel momento incontrò un paio di occhi dorati, piantati su un affilato muso nocciola. Qualunque cosa fosse, era tutta zampe ed era alta almeno un metro. Lei la fissò, paralizzata dal terrore, e prima che potesse muoversi, quell'essere digrignò una fila di denti bianchissimi a un palmo dal suo naso ed emise un verso acuto. Per lo spavento lei perse l'equilibrio e cadde all'indietro atterrando sulla schiena. Credendosi persa, gettò un urlo e si portò le mani al viso per proteggersi dall'attacco. Ma invece di scagliarsi su di lei, quel mostro allampanato indietreggiò e scomparve in casa. Sara rimase immobile con gli occhi sgranati. «Che... che cos'era?» balbettò. «Era Boo» rispose una voce profonda dalla porta. Lei si spostò per osservare la sagoma di Ransom che torreggiava su di lei, mentre una smorfia che assomigliava a un sorriso gli curvava le labbra. «Boo è uno dei nostri animali domestici.» Sara respirò a fatica. «Accidenti che animale domestico!» esclamò debolmente. «Stava per sbranarmi. Che cos'era?» «Una piccola renna, orfana di madre. Temo che lei l'abbia spaventata, signorina Eller.» «Io l'ho spaventata?» gli fece eco lei, incredula. «Mi ha dato un morso sui capelli, signor Shepard. È stato quel mostro a ringhiare e ad attaccarmi, non io.» «Sta bene?» si informò lui gentilmente. Sara si tirò su appoggiandosi sui gomiti. «Me la caverò. Come fa a tenere in casa una bestia così pericolosa?» Ransom ridacchiò. «Ha solo due mesi. Non avrei cuore di scacciarla, Renee Roszel Wilson
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così come non lo farei con lei.» Non sapendo che cosa rispondergli e non potendo fare altro, Sara si limitò a fulminarlo con lo sguardo. Lui la osservò con apparente noncuranza. «Sta comoda?» le chiese alla fine. «Perché? Non sembro a mio agio?» Era distesa sul pavimento del portico e ormai non riusciva più a controllare il tremito che l'aveva afferrata a causa del freddo e della paura. Ransom Shepard sarebbe dovuto essere uno stupido per non accorgersi che si trovava in condizioni miserevoli. Lo sguardo di lui si illuminò di una strana luce. Sembrava divertito da qualcosa. «Vuole che la aiuti ad alzarsi?» «Non si scomodi» borbottò Sara lottando per mettersi a sedere. Che ridesse pure di lei se lo divertiva. Sarebbe sopravvissuta. Aveva superato prove ben peggiori di quella. «A essere onesta, credo di averne avuto abbastanza della vita all'aria aperta, per oggi» ammise con un gemito. «È mezzogiorno.» «Non me lo ricordi. Sto morendo di fame.» Strofinandosi il fianco ammaccato cercò di alzarsi, e subito una mano le venne in aiuto sorreggendola per un gomito. «Noi abbiamo del cibo.» «Ma avete anche una renna decisa a mangiarmi per pranzo.» «In realtà sono due.» «In casa sua vivono due renne?» Sara era così sbalordita che scoppiò quasi a ridere. «Decisamente qui non siamo nel Kansas.» «Baby e Boo sono miti come agnellini. Non c'è da essere spaventati.» «Non ho mai affermato di essere spaventata» borbottò lei, anche se nient'affatto convinta. «Davvero? Allora presumo che quel grido che ho sentito fosse solo un modo per scaricare la sua collera.» Sara notò un lampo divertito in quegli occhi grigi e si arrese. «Va bene. Ha ragione. Ma prima di entrare voglio chiarire una cosa lontano dalle orecchie dei ragazzi.» Ransom Shepard chinò il capo. «La ascolto.» Lei si schiarì nervosamente la gola. «Per prima cosa voglio scusarmi per il modo in cui mi sono comportata prima. Avevo frainteso alcune cose.» Lui annuì. «È tutto dimenticato. E poi?» Renee Roszel Wilson
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Prima di continuare Sara si morse nervosamente un labbro. «Non mi fraintenda, signor Shepard. So che Lynn le ha mentito e le ha detto che veniva da Detroit. Ma sono convinta che, se lei si fosse impegnato sul serio, avrebbe potuto scoprire la sua identità, per esempio attraverso la sua carta di credito. Perciò mi sarà molto difficile perdonarla per questa leggerezza.» L'aria divertita scomparve di colpo dallo sguardo dell'uomo, sostituita da un'espressione impenetrabile. «Forse sarà un duro colpo per lei, signorina Eller. Ma io non cerco il suo perdono.» Lei provò un'improvvisa irritazione per quel totale disinteresse. Non sopportava la gente che non aveva il minimo senso di responsabilità. «Volevo dire che lei non mi piace e non credo che cambierà idea, signor Shepard» ribatté glaciale. «Ma suppongo che questo non le interessi più di tanto.» «Congratulazioni, signorina Eller. Sta imparando» replicò lui con un sorriso gelido. «A ogni modo, se riesce a trovare quella carta di credito, sono pronto a mangiarla» aggiunse in un tono duro e quasi crudele. «Credo che Lynn l'abbia gettata in mare prima di arrivare qui.» «Mi sta dicendo che l'ha cercata?» gli domandò incredula. «La sua cara sorellina è un ragazza piena di risorse e ha fatto in modo di assicurarsi che nessuno potesse seguire le sue tracce. E' soddisfatta adesso?» Sara rimase in silenzio e ricordò che Lynn stava per confessarle qualcosa a proposito della carta di credito. Poi però si era interrotta senza finire la frase. Era consapevole di dovere ancora delle scuse a Shepard, ma le parole sembravano non volerle uscire dalle labbra. «Scuse accettate» borbottò lui come se le avesse letto nel pensiero. Con il viso in fiamme per la mortificazione, lei lo precedette in casa. Sapeva di non avere scelta nella sua situazione, a meno di non rimanere all'aperto e morire assiderata. Ma dopo aver fatto qualche passo si fermò di colpo, provando ripugnanza per quello che vedeva. Il soggiorno era in un disordine spaventoso, come se non fosse stato pulito da molti giorni, e la confusione e la trascuratezza sembravano regnare sovrani. La stanza una volta doveva essere stata bella e arredata con buon gusto. Alle pareti, ricoperte in legno, erano appesi pregevoli manufatti di artigianato locale e un grande fuoco ardeva allegramente in un massiccio Renee Roszel Wilson
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camino situato sul lato opposto del soggiorno. Ma sui mobili di legno intarsiato e sulle sedie ricoperte in pelle erano ammucchiati giornali e biancheria sporca. Come se non bastasse, una renna allampanata dormiva raggomitolata all'estremità del divano emettendo dei versi che assomigliavano ai grugniti di un maiale. Sull'altra estremità gli occhi liquidi di Boo stavano studiando la nuova entrata con fare accorto. Sara spalancò gli occhi incredula. «Quegli... animali sono sdraiati sul divano!» esclamò. «Su quest'isola lasciate che il bestiame dorma nel soggiorno?» «No. Credo che Tag e io siamo gli unici a farlo» rispose lui in tono beffardo. Lei si guardò attorno non riuscendo a credere a quello che vedeva. «Santo cielo! Voi vivete come dei maiali.» Solo troppo tardi si rese conto di avere espresso il proprio pensiero ad alta voce. «Temo di non aver capito, signorina Eller» commentò Ransom Shepard, ma la sua espressione lasciava intendere che aveva sentito ogni parola. Sara arrossì. «Non intendevo offenderla. Ma non ho mai visto un posto come questo.» Spalancò le braccia in un gesto impotente. «Quello che vede è ciò che posso offrirle. Comunque sua sorella sembra trovarsi a suo agio in quest'ambiente.» «Sono certa di sì» ammise Sara scuotendo la testa. «So... so che non sono affari miei, ma questo modo di vivere è disgustoso.» «Ha assolutamente ragione» concordò lui tranquillo. Sara lo scrutò di sottecchi. «Sono felice che sia d'accordo con me.» «Lo sono.» L'uomo annuì. «Comunque non sono affari suoi.» Sempre più perplessa, lei non poté fare altro che contemplare quella totale rovina. Un rumore attirò la sua attenzione e girando lo sguardo si rese conto che proveniva dalla porta aperta della cucina. Lynn e Tag sembravano indaffarati a fare qualcosa, ma di sicuro non a rigovernare. Sara si avvicinò cautamente e ancora una volta rimase senza parole. Sul ripiano del lavello erano ammucchiate diverse pile di piatti, sporchi e pieni di avanzi ormai ammuffiti. Il disordine che regnava sul tavolo era indescrivibile. «Che accidenti sta succedendo qui?» chiese, non riuscendo a credere ai propri occhi. «Che cosa state facendo?» Lynn guardò la sorella con aperta ostilità. «Stiamo pranzando.» Sara li fissò sconcertata. Erano seduti davanti a due barattoli di latta Renee Roszel Wilson
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aperti ed entrambi vi intingevano le mani mangiando ora da una ora dall'altra lattina. «Che cos'è?» chiese temendo quasi la risposta. «Salmone e pesche» rispose Tag accennando un sorriso. «Credo che non ci siamo presentati. Io sono Tag Shepard» disse. Sara fece un cenno esitante col capo. «Salve, Tag» disse debolmente. Poi tornò a concentrare l'attenzione su Lynn. «Che cosa ti è passato per la mente? Questo... questo è un incubo! Ti rendi conto che mi ci vorranno anni per rimettere insieme i soldi che hai speso per venire qui? E a fare cosa? A mangiare cibo in scatola e a vivere come una selvaggia. E alla scuola per infermiere non pensi? Adesso non potrai più andarci, se prima non lavorerai un paio d'anni dopo il liceo. Che cosa ti ha spinto a commettere una simile pazzia?» Lynn smise di masticare e allontanò la lattina. «Vuoi sapere perché sono scappata?» gridò in tono di aperta ribellione. «Perché volevo sposare un uomo ricco e vivere lontano da te e dal Kansas?» Sara annuì, anche se non era sicura di volerlo sentire. Non in quel momento e in presenza di estranei. Ma aveva passato troppi giorni nell'angoscia e ora doveva sapere perché Lynn era scappata. «Sì, voglio capire» mormorò, interrompendosi per impedire che il tremolio della voce tradisse la sua ansia. «Allora ti accontenterò.» Lo sguardo di Lynn era duro e ostinato. «Perché non voglio finire come te. Non voglio diventare una nullità! Non prendere in giro te stessa. Credi davvero che, anche se lavorassimo tutte e due, riusciremmo a mettere da parte i soldi per pagare la scuola per infermiere? Sono scappata perché non voglio finire povera e stressata. Tu hai venticinque anni e ne dimostri dieci di più. Sei sempre sfinita. Non hai una vita...» «Lynn!» Lo sguardo di tutti si puntò su Ransom. L'uomo aveva pronunciato quel nome con insolita asprezza, poi però era rimasto in silenzio. «Che cosa?» chiese Lynn smorzando appena il tono petulante. Un sorriso curvò le labbra dell'uomo, ma gli occhi rimasero seri. Sara ebbe l'impressione che stesse facendo ricorso a tutto il suo autocontrollo. Aveva anche avuto la sensazione che stesse per rimproverare sua sorella, ma che poi ci avesse ripensato. Quando parlò, l'asprezza di poco prima era scomparsa dalla sua voce. «La pioggia è cessata. Perché voi ragazzi non svegliate Baby e portate fuori lei e Boo?» Renee Roszel Wilson
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Sara continuò a osservarlo. Adesso sembrava calmo e noncurante. Forse si era immaginata ogni cosa, pensò perplessa. «Va bene, Rance.» Lynn lanciò alla sorella un'occhiata piena di rancore, poi si rivolse a Tag. «Dove andiamo?» «Prendiamo il mio berretto e andiamo alla spiaggia. Forse troveremo quel delfino, Potluck. Gli piace rubare il mio cappello da baseball e portarlo fino alla baia del leone marino. Così faremo fare a Baby e Boo una bella corsa.» Lynn sorrise. «Grandioso» commentò. «Dov'è il mio berretto?» chiese Tag rivolto al padre. Ransom scrollò le spalle con un gesto volutamente indifferente. «Non lo so, ragazzo.» «Credo di averlo visto sporgere dal barattolo dei biscotti» disse Lynn. Recuperarono il copricapo e fecero per uscire dalla cucina. «Che cosa vi piacerebbe per cena, ragazzi?» domandò Ransom fermandoli sulla soglia. Le espressioni dei due si illuminarono. «Pollo fritto» rispose Tag. «Spaghetti» gridò Lynn dando una gomitata a Tag. «Piacciono anche a te» gli sussurrò poi. «Allora vada per gli spaghetti» concordò il ragazzo. «Mi sembra una buona idea.» Ransom indicò la cucina con un ampio gesto. «Troverete tutti gli ingredienti nella dispensa» aggiunse. Immediatamente la luce scomparve dai loro sguardi speranzosi. «Ci fai sempre decidere quello che dovremo cucinare da soli» brontolò Tag ficcandosi il berretto fin sulla fronte. «In questo modo mangiate esattamente quello che volete» ribatté Ransom allegramente. «Ci vediamo più tardi.» «A dopo» borbottarono i due uscendo dalla cucina. Sara notò a malapena che se n'erano andati. Le crudeli parole di Lynn l'avevano ferita profondamente. Fissò il pavimento sperando che Ransom non si accorgesse del suo dolore. «Non pensava davvero quello che ha detto» la consolò lui in tono inaspettatamente gentile. «I ragazzi sanno essere molto egoisti, a volte.» La nota di pietà che indovinò nella sua voce le riuscì insopportabile. «Lei non è meglio di loro» lo accusò lanciandogli un'occhiata velenosa. «Non ha assolutamente il senso della responsabilità. Come può permettere a quei due di vivere in questo modo?» Renee Roszel Wilson
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Un'ombra attraversò lo sguardo dell'uomo, ma fu subito sostituita da un sorriso beffardo e ostile. «Noi abbiamo poche regole fondamentali qui, signorina Eller. Se hai fame preparati da mangiare da solo e se vuoi vestiti puliti, lavali. Ha capito?» «Ho capito» ribatté lei usando il suo stesso tono distaccato. «Bene. Adesso devo sbrigare una faccenda.» Mentre lui usciva dalla cucina, Sara si sentì mancare. In che guaio le aveva cacciate la follia di Lynn? Quella casa era un incubo e ci sarebbero voluti secoli per renderla abitabile. Si tirò su le maniche e cominciò a raccogliere i piatti. «Che cosa crede di fare?» La voce proveniva dal soggiorno. «Lavo i piatti.» «Non si azzardi a toccarli.» «Io mi rifiuto di vivere come una profuga.» Ransom ricomparve sulla porta. La sua fronte corrucciata aveva un cipiglio severo. «Non è mia abitudine dare spiegazioni alle persone che conosco a malapena. Deve bastarle sapere che ho delle buone ragioni per agire così.» «Buone ragioni!» esclamò Sara. «Sarei felice di sentire quali sono queste buone ragioni per vivere in una stalla.» «Lei rimarrà qui solo una settimana. Non si intrometta. Tocchi uno solo di quei piatti e dormirà sulla spiaggia.» «Almeno è pulito.» «E di notte si rischia quasi di congelare» aggiunse lui in tono privo di espressione. «Non glielo ripeterò ancora. Lasci stare la mia casa e le mie cose.» Sara lo fulminò con lo sguardo sentendosi completamente impotente. «Lei è pazzo!» «Le mie condizioni mentali non sono affar suo, come non lo sono le condizioni della mia casa. Lei e Lynn siete ospiti indesiderati. Lo tenga bene a mente» la ammonì Ransom con l'intenzione di metter fine alla discussione. Sara non aveva mai incontrato un uomo con cui fosse tanto difficile discutere. Ma doveva ammettere che aveva ragione. Quella era casa sua e lui aveva tutti i diritti di vivere in mezzo alla sporcizia. Sentendosi sconfitta, si appoggiò contro il tavolo ingombro di piatti, bicchieri e contenitori di ogni tipo. Una lattina si rovesciò e cadde a terra rotolando Renee Roszel Wilson
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sul pavimento in cotto. Esasperata, lei imprecò sottovoce. «Che linguaggio!» commentò lui dall'altra stanza. Il viso di Sara diventò paonazzo. Non credeva che lui l'avesse sentita. «Spero che la farà felice sapere che può indurre una persona a usare certi epiteti» replicò ad alta voce. «Ne sono davvero estasiato.» Un colpo secco alla porta la avverti che il padrone di casa era uscito. Sara passò il pomeriggio cercando di evitare Ransom Shepard come la peste. Lo aveva intravisto tornare dalla sua commissione. Guidava una jeep rossa piena zeppa di scatoloni e si era diretto verso un garage sul retro della casa che quando era arrivata non aveva notato. Tag le aveva detto che era andato a prendere le provviste e il carburante per il generatore, arrivati con l'aereo che aveva trasportato anche lei. Erano quasi le cinque ed era nuvoloso. Una nebbiolina piuttosto noiosa stava salendo dal mare e Sara, che era uscita a fare una passeggiata, si strinse le braccia attorno al corpo. Anche se aveva preso in prestito una vecchia giacca a vento da uomo dal guardaroba dell'ingresso, sentiva ancora che l'umidità le penetrava nelle ossa. Guardò verso la casa facendo una smorfia. L'ultima cosa che voleva era tornare tra quel sudiciume e passare ancora del tempo con quell'uomo oltremodo irritante. «Salve.» Sara sussultò accorgendosi che l'oggetto dei suoi pensieri si era materializzato davanti a lei. «Va tutto bene?» le chiese Ransom come se fossero vecchi amici. Sara lo fissò incredula. Come poteva andare tutto bene? Infilò le mani in tasca e scrollò le spalle avvilita. «È sicuro che non ci sia un altro modo per andarsene da quest'isola?» gli chiese tornando a guardare il mare. «Ci ho lavorato per tutto il pomeriggio. Sfortunatamente abbiamo avuto un altro corto circuito alla stazione radio via satellite.» Lei gli rivolse un'occhiata dubbiosa. «Significa che i marziani sono sul piede di guerra?» Lui abbozzò un sorriso. «Bella battuta. Significa che non potremo comunicare fino a quando non avremo il pezzo di ricambio. E non possiamo ordinare il pezzo di ricambio fino a quando il vecchio Krukoff non tornerà qui, mercoledì prossimo.» «Grandioso» borbottò Sara. Renee Roszel Wilson
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«Lo so che non è felice di questa situazione» disse Ransom. «Ma non crede che, se ci fosse stato un modo per farla andare via dall'isola, lo avrei trovato?» Lei studiò la sua espressione seria, poi annuì scoraggiata. «Potremmo stabilire una tregua» propose lui porgendole una mano. Colta di sorpresa, Sara lo guardò di sottecchi, poi con riluttanza strinse quella dita sorprendentemente calde. Di colpo provò l'irragionevole sensazione di fare qualcosa di proibito e si affrettò a ritirare la mano. «Mi dispiace per tutto» mormorò con voce rauca. «Il modo in cui vive la sua vita non è affar mio.» Ransom la scrutò attentamente. «Dice sul serio?» «Sì. Mi dispiace.» Sara percepì che l'atteggiamento dell'uomo si era ammorbidito e decise di provare a cercare un compromesso. «Però non potremmo fare una giornata dedicata alle pulizie? Renderebbe il posto vivibile e aiuterebbe i ragazzi a sviluppare un senso di responsabilità verso...» «Questa giornata dedicata alle pulizie ha funzionato per lei e per Lynn?» Sara distolse lo sguardo, imbarazzata. «Non troppo bene. Ho cercato di convincerla ad aiutarmi, ma lei sa come sono i ragazzi.» «Sì, lo so» le assicurò lui con un tono che all'improvviso era diventato glaciale. «E apprezzerei molto se lei mi permettesse di condurre la mia vita a modo mio.» «Ma lei non...» «Non corrispondo alla sua idea di un buon genitore?» Sara considerò la sua espressione gelida. «A che serve? Sa già come la penso.» «Perciò siamo di nuovo al punto di partenza.» «Suppongo di sì.» Ransom non ribatté e così Sara cominciò ad allontanarsi in direzione della spiaggia. Ma aveva fatto solo pochi passi, quando la voce di lui la costrinse a fermarsi. «Servirebbe a qualcosa se le dicessi che sto usando un tipo di psicologia alla rovescia con i ragazzi? Cerco di rendere la loro vita il più miserevole possibile, in modo tale che prima o poi saranno costretti ad assumersi qualche responsabilità.» Lei si girò quel tanto che bastava per rispondergli. «Dal momento che mi sembrano in una condizione molto più che miserevole, direi che mi sta Renee Roszel Wilson
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prendendo in giro.» Ransom inarcò un sopracciglio con aria mesta. «A quanto pare, non riesco a dargliela a bere.» Irritata da quel tono ironico, lei riprese a camminare nella nebbia. «Che cosa è successo ai suoi capelli, signorina Eller?» le chiese lui ad alta voce. «Non erano ricci quando è arrivata. Diventano così con l'umidità?» Sara si voltò di scatto. «Perché? Non sono abbastanza scompigliati per i suoi gusti?» Ransom ridacchiò. «A dire la verità, sì.» Lei si diede della stupida per essere caduta dritta nella sua trappola. «Vedo che è di ottimo umore.» «Non proprio. Ma i capelli in quel modo mi piacciono» affermò lui voltandole le spalle. Sara afferrò l'estremità di un ricciolo e lo tirò allungandolo davanti agli occhi con fare perplesso. Quando la lasciò andare, la ciocca tornò ad arricciarsi e le ricadde sulla fronte. Dunque gli piacevano così? Voleva solo essere sarcastico, decise. Non poteva parlare sul serio. Lo osservò allontanarsi con le mani infilate nelle tasche del suo giubbotto di pelle. Era un uomo eccentrico, un pazzo con cui nessuna donna sana di mente avrebbe voluto avere a che fare. «Sei un pazzo, Ransom Shepard» mormorò mentre lo osservava sparire nella nebbia. Forse è pazzo, ma per sfortuna questo non gli impedisce di essere dannatamente affascinante, le ricordò una vocina.
3 Erano passate le dieci e fuori era ancora giorno. Alcune ore prima Sara aveva liberato un angolo del divano e aveva passato la sera a sfogliare i giornali. Improvvisamente un rumore catturò la sua attenzione. Alzò lo sguardo e vide Ransom che portava una coppia di lanterne a kerosene. «C'è pericolo che vada via la luce?» gli chiese, avendo deciso di onorare la tregua e di essere un'ospite educata per quanto possibile, considerate le circostanze. Lui la guardò con un'espressione quasi divertita. «A dire il vero, sì. Tutte le sere alle dieci spengo il generatore per risparmiare carburante.» Notò il piccolo nido accogliente che si era ricavata sul divano ma non fece Renee Roszel Wilson
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commenti. «Generalmente noi andiamo a letto alle dieci. Anche se il sole non tramonta prima di mezzanotte e mezzo, sorge alle quattro.» Lei posò il giornale in grembo e guardò nella sua direzione. «Io faccio la cameriera nel Kansas. Di giorno lavoro in un piccolo ristorante e la sera in un club. Comunque non stacco mai prima delle due e credo che avrò qualche difficoltà ad andare a letto così presto.» «Io non credo» la contraddisse lui. «Nel Kansas adesso è già l'una di notte.» Sara abbassò le palpebre ma non riuscì a soffocare uno sbadiglio. «Pensavo che la mia stanchezza fosse dovuta alla tensione.» Il suo sorriso amichevole la sorprese. «No. È piuttosto tardi anche per lei.» Le porse una delle lampade. «Tenga. Le servirà in caso debba alzarsi di notte. Non è buio a lungo, ma con le tende abbassate è piuttosto scuro.» Lei si alzò e prese la lanterna, poi si guardò attorno. Il fuoco si stava spegnendo e di Lynn e Tag non c'era nessuna traccia. «Dove sono i ragazzi?» chiese quasi a se stessa. «Probabilmente dal dottor Stepetin. Lui ha un televisore.» «E il dottore non spegne il suo generatore?» «Il resto dell'isola è servito da un unico generatore che rimane sempre in funzione.» «A che ora torneranno?» «Quando ne avranno voglia.» Sara provò l'impulso di dire che non approvava quel modo di comportarsi, però rimase in silenzio. Tuttavia Lynn era sua sorella e decise di ricordarglielo. «Mi rendo conto che lei ha le sue regole qui, tuttavia mi piacerebbe che mi lasciasse fare a modo mio con Lynn, anche se siamo sotto il suo tetto.» «Se ricorda, è scappata proprio perché si è ribellata alle sue regole. Vuole che fugga al Polo Nord?» Quella brutale franchezza la colpì come uno schiaffo e le fece venire le lacrime agli occhi. Forse era più stanca di quanto pensasse. Si solito non bastava un rimprovero a farla cadere nella più nera disperazione. «Non ho intenzione di discutere, signor Shepard» mormorò. «Voglio semplicemente andare a letto.» L'espressione dell'uomo si incupì e Sara ebbe l'impressione che la sua irritazione fosse rivolta più a se stesso che a lei. Senza ulteriori commenti Ransom andò a staccare il generatore, poi la Renee Roszel Wilson
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condusse nella zona notte e le indicò una porta in fondo al corridoio. «Quella è la stanza di Lynn. Non ci sono altre camere libere, perciò temo che dovrà dormire con sua sorella.» «Non c'è nessun problema» mormorò lei. «Il bagno è lì accanto. Ha qualcosa per dormire?» le chiese cogliendola di sorpresa. Non avendo molto spazio nel suo borsone, Sara vi aveva infilato solo un pigiama di cotone. Non aveva immaginato di dover rimanere una settimana in una remota isola vicina alle regioni artiche. «Mi arrangerò.» «Anche se la casa è riscaldata, di notte fa freddo. Le troverò qualcosa di adatto.» Andò nella sua stanza e dopo poco tornò con una camicia di flanella da uomo appesa a una gruccia. Sembrava fresca di bucato. Sara la prese e la esaminò attentamente alla tenue luce della lampada. Non solo era pulita e stirata, ma era protetta anche da un copriabito di plastica. Non aveva mai visto un indumento di flanella trattato con tale cura. «Capisco che voglia sbarazzarsene. Per uno che vive nel disordine e nella sporcizia dev'essere una vera e propria onta possedere un capo così pulito» disse con l'intenzione di prenderlo in giro. L'espressione di Ransom si incupì. «Prego, signorina Eller.» Con un cenno brusco del capo le voltò le spalle. «Dorma bene.» «Mi dispiace» si affrettò a scusarsi lei, al colmo della confusione. «Non intendevo...» Ma prima che potesse finire la frase, lui si era chiuso la porta della camera alle spalle. Piena di vergogna, Sara si morse un labbro e rimase ferma in mezzo al corridoio a fissare la camicia. Il suo stomaco brontolò. Non aveva mangiato niente per cena, dissuasa dallo squallore della cucina. Lynn e Tag avevano aperto una scatola di salmone e una di fagioli optando per un altro pasto senza problemi. Sara aveva provato un senso di nausea e si era rifugiata nel soggiorno a leggere. Doveva essersi appisolata, perché la prima cosa di cui si ricordava era Ransom che entrava nella stanza con le lanterne. Un rumore che proveniva dal portico attirò la sua attenzione. La porta si aprì e subito dopo sentì le risate familiari di Lynn e Tag che rientravano. Sara si diresse verso il soggiorno. «Sei ancora in piedi?» le chiese Lynn quando la vide. «Sto andando a letto» rispose lei cercando di mantenere il suo tono il più cordiale possibile. «E tu?» Renee Roszel Wilson
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Lynn annuì. «Anch'io. Ci vediamo domani mattina» disse rivolta a Tag. Il ragazzo recuperò l'altra lanterna che Ransom aveva lasciato sopra un mobile e fece un cenno di saluto. «Buonanotte.» Una volta chiuse nella loro camera, Sara si appollaiò su un angolo di uno dei lettini. Era ingombro di vestiti sporchi, scarpe spaiate e pile di giornali. L'altro letto era un groviglio di lenzuola e coperte. Chiaramente era quello che sua sorella aveva usato durante la settimana passata. Lynn si accucciò vicino a Sara. «Non potevo dirtelo in presenza di Tag, ma credo che Rance sia pazzo» le sussurrò con aria cospiratoria. Sara rivolse un'occhiata preoccupata alla sorella. «Pazzo?» Posò la lanterna sul comodino e abbassò la voce. «Che cosa vuoi dire?» Lynn si comportava come se stesse per farle un'incredibile rivelazione. «Dovresti vedere il suo spogliatoio!» sussurrò. Sara era sempre più perplessa. «Che cosa c'è che non va nel suo spogliatoio?» «È immacolato» le confidò Lynn. «Voglio dire che è tutto pulito e in ordine. I suoi abiti sono stirati e appesi meticolosamente. Sembra uno di quegli spogliatoi che si vedono sulle pubblicità dei giornali.» «Pulito?» Ripeté Sara incredula. «Tu credi che sia pazzo perché il suo spogliatoio è immacolato?» Lynn si lasciò cadere all'indietro sul letto e si tirò su appoggiandosi ai gomiti. «Il resto della casa è piuttosto sporco. Mi sembra strano che uno sia tanto disordinato fuori dello spogliatoio e preciso solo lì dentro.» «È piuttosto insolito» ammise Sara chiedendosi il motivo di quello strano comportamento. «Ma non credo che ci sia niente di cui preoccuparsi.» Guardò la sorella con fermezza. «La pulizia non è mai stata considerata un crimine, Lynn.» Lynn fece una smorfia disgustata. «Sarà così. Pensavo solo che dovessi saperlo.» «Grazie per l'avvertimento.» Sara le indicò il groviglio di vestiti gettati sul letto. «Sono davvero stanca e voglio andare a dormire. Potresti trovare un altro posto per sistemare la tua roba?» Con un gemito teatrale Lynn afferrò abiti, scarpe e giornali e li depositò sul pavimento. «Contenta?» le chiese poi con un sogghigno. Sara trattenne la risposta irritata che le era salita alle labbra e contò fino a dieci per calmarsi. Non era il momento di rimettersi a discutere. «Diciamo che sono contenta che tu ti senta a tuo agio» si limitò a replicare. Renee Roszel Wilson
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La ragazzina non riuscì a trattenere un moto di stupore. Di sicuro si aspettava un rimprovero. Con un'espressione visibilmente rilassata e quasi soddisfatta si allungò sopra le coperte spiegazzate del suo letto. «Lo sai?» disse. «In fondo non mi è dispiaciuto così tanto vederti.» «Queste sono proprio le parole che una sorella ama sentirsi rivolgere» rispose Sara con un sorriso confuso mentre cominciava a prepararsi per la notte. La camicia di Ransom era morbida e calda contro la sua pelle e conservava una debole traccia di colonia maschile, notò mentre arrotolava le maniche troppo lunghe. Improvvisamente Sara provò un senso di colpevole piacere nel sentirsi circondata da quel profumo maschile. Ma subito dopo scosse la testa, irritata con se stessa. Doveva essere più esausta di quanto non si fosse aspettata. Quell'uomo non meritava la sua considerazione. Quando tornò dal bagno, Lynn era già sotto le coperte. «Che cosa farai domani?» le domandò la ragazza mentre Sara stava per infilarsi a letto. «Per prima cosa laverò.» «Ottima idea! Ho quasi finito i vestiti.» Sara esaminò la sagoma distesa nell'oscurità provando un moto d'irritazione per l'atteggiamento indolente ed egoista della sorella. «Sei fuori strada, signorina. Se vuoi vestiti puliti, dovrai lavarteli da sola» ribatté in tono piatto. Si rese conto che stava facendo esattamente il gioco irresponsabile di Ransom Shepard e quel pensiero la angosciò. Ma si trattava davvero di un comportamento irresponsabile? Sarebbe davvero riuscito a rendere le vite dei ragazzi così miserevoli da costringerli ad assumersi le loro responsabilità? Era un'idea assurda, ma... «Nessuno fa niente per niente da queste parti» si lamentò Lynn interrompendo il corso dei suoi pensieri. «Benvenuta nel mondo reale, tesoro.» Non appena quelle parole le furono uscite di bocca, si rese conto che le sue labbra si erano piegate in un sorriso ironico. Stava iniziando anche ad assumere gli atteggiamenti di Ransom Shepard. Che strana ironia! Lei e Ransom erano diversi tra loro come... come l'amore e l'odio. O forse no? Continuò a fissare l'oscurità chiedendosi se potesse esserci del metodo nel comportamento folle di quell'uomo. Renee Roszel Wilson
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Ransom non aveva scherzato, la sera prima. L'alba arrivava molto presto a giugno nel Mare di Bering. Un raggio di luce che aveva trovato uno spiraglio tra le tende tirate colpì Sara proprio sul viso. La ragazza socchiuse gli occhi e scrutò l'orologio sbattendo le palpebre per lo stupore. Erano appena le quattro e mezzo e il sole era già alto nel cielo. Calcolando che nel Kansas sarebbero state le sette e mezzo, sbadigliò e dopo essersi stirata si sedette sul letto. Lynn dormiva profondamente. Con un profondo sospiro Sara cercò il dentifricio e lo spazzolino da denti nel suo borsone e si diresse verso il bagno. Quando raggiunse la sua destinazione, notò che la porta era chiusa e si fermò indecisa. Probabilmente era occupato. Mentre alzava il pugno per bussare, la porta si aprì di colpo e lei si trovò a faccia a faccia con Ransom. L'uomo indossava un accappatoio blu che gli lasciava scoperte le gambe muscolose. Lo sguardo di Sara fu attirato dai polpacci solidi e tesi. «Buongiorno» la salutò lui con una nota divertita nella voce profonda. «Non mi aspettavo di vederla in piedi così presto.» Sara si affrettò ad alzare la testa. I capelli umidi gli si arricciavano sulla fronte, gli occhi grigi luccicavano e le labbra socchiuse lasciavano intravedere i denti bianchissimi. «Grandioso. Lei è un tipo mattiniero. Proprio ciò di cui avevo bisogno» commentò soffocando uno sbadiglio. «E lei è intrattabile se prima non ha bevuto il suo caffè.» Sapendo che era la verità, Sara scrollò le spalle con noncuranza. «Vedo che la camicia le sta perfettamente» commentò Ransom con una sottile ironia nella voce. «Se questo significa che la mattina sembro una strega, la avverto che sono capace di offendermi a morte. Naturalmente me la prendo anche per il cinguettio degli uccellini, se prima non ho preso il mio caffè.» Questa volta il sorriso di Ransom era genuino. «Vuol dire che cercherò di non trovarle dei difetti prima di colazione. A dire il vero, stavo ironizzando sulla taglia della camicia. E' piuttosto ampia.» Sapendo di avere l'aria di una monella con quell'indumento di parecchie taglie più grande della sua, Sara gettò un'occhiata assonnata al suo abbigliamento. Una delle maniche si era srotolata e le nascondeva completamente la mano con cui teneva il dentifricio e lo spazzolino. «Non sia sciocco» borbottò. «La mia fata madrina non avrebbe saputo fare di Renee Roszel Wilson
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meglio.» «Davvero?» domandò lui. «Ha una fata madrina?» «Certo che ho una fata madrina. Altrimenti come avrei fatto a venire al ballo?» Lo sguardo scintillante di Ransom si fece più attento. «E dov'è il principe azzurro, se posso chiederlo?» «Suppongo che sia nascosto da qualche parte sotto la sporcizia.» «Mi offende che non mi abbia preso in considerazione, principessa.» L'espressione dei suoi occhi era diventata ammiccante. Stava forse cercando di metterla in difficoltà? «A che proposito?» ribatté evasiva cercando di nascondere la sua inquietudine. Quell'uomo emanava un tale magnetismo che lei trovava difficile evitare di arrossire ogni volta che si trovava in sua presenza. «Come principe azzurro, naturalmente. O non sono il suo tipo?» la stuzzicò in tono insinuante. «Io preferisco gli uomini vestiti» rispose piuttosto bruscamente Sara, sentendosi sempre più a disagio. La risata dell'uomo aveva un suono aspro. «Non è un modo di pensare piuttosto antiquato per una donna degli anni Novanta?» Evitando quello sguardo indagatore, lei decise che era meglio lasciar cadere l'argomento. «Ha terminato là dentro?» gli chiese. «Perdoni le mie chiacchiere oziose.» Ransom si fece da parte cedendole il passo con un gesto galante. «E' tutto suo, signorina Eller. Gradisce del caffè?» L'espressione di Sara si illuminò. «Non so che cosa darei per averne una tazza.» Subito dopo corrugò la fronte, perplessa. Aveva captato una nota stonata nel tono di lui. Era derisione? Naturalmente! Sollevò il mento con orgoglio. «Lei non ha nessuna intenzione di portarmelo, vero?» «Sfortunatamente le regole lo vietano. Che cosa direbbero i ragazzi se scoprissero che faccio dei favoritismi?» Lei lo scrutò attentamente chiedendosi a che gioco stesse giocando. «Se può farla sentire meglio, penso che sia una brontolona affascinante» aggiunse lui inaspettatamente. A quel complimento inaspettato Sara sentì un fremito percorrerle la schiena. Poi si rese conto che con quella enorme camicia e i capelli arruffati non poteva essere assolutamente affascinante. «A ogni modo è probabile che il mio caffè sia migliore del suo» borbottò, irritata con se Renee Roszel Wilson
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stessa per la sua reazione da scolaretta. Ransom inarcò un sopracciglio. «Lo crede davvero?» «Lo so. Nel mio non navigherebbero di sicuro dei vecchi calzini.» Lui scoppiò a ridere. «Touché, signorina Eller. Il barattolo del caffè è sullo scaffale vicino alla caffettiera. Sono impaziente di averne un saggio.» «Non farò il caffè per lei» replicò Sara. «Anch'io so seguire le regole.» Ransom strinse le labbra e il suo sguardo, diventato improvvisamente serio, si fissò in quello di lei. «Sa seguire tutte le regole o solo quelle che le fanno comodo?» «Io... io... Di che cosa sta parlando?» La bocca di lui si piegò in una smorfia ironica. «Di niente. Non importa.» Quell'attento scrutinio che non accennava a terminare la innervosì a tal punto che, nel tentativo di porvi fine, si rifugiò nel bagno. Non appena si trovò al sicuro dietro la porta chiusa, provò l'irresistibile desiderio di fargli una domanda che la tormentava ogni volta che lo sguardo di Ransom si posava su di lei. «Si tratta solo di me oppure odia tutte le donne, signor Shepard?» lo sfidò facendo capolino con la testa. Lui si voltò di scatto con lo sguardo fiammeggiante e sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi ci ripensò e sparì nella sua camera. Sara strinse le labbra, indispettita. A quanto pareva, per Ransom Shepard allontanarsi da lei stava diventando un'abitudine. Ransom partì presto quel mattino per andare a osservare i gabbiani. Girando per casa senza un'occupazione precisa, Sara trovò gettati qua e là parecchi suoi vestiti che Lynn aveva portato con sé, naturalmente senza chiederle il permesso. Così si mise al lavoro e lavò tutti quegli indumenti, insieme con gli abiti che aveva indossato per il viaggio. Almeno avrebbe avuto qualcosa da mettersi, si disse. Girovagare senza nient'altro addosso che la camicia di flanella di Ransom era piuttosto imbarazzante, ma poiché lui non c'era non provava alcuna vergogna. Quando ebbe finito, stirò una camicia e un paio si jeans appena tirati fuori dall'asciugatrice e se li infilò, poi si diresse in cucina. Lynn e Tag stavano aprendo un'altra scatoletta di salmone. «Non avevo idea che il salmone ti piacesse tanto» disse rivolta a Lynn. «È buono» commentò sua sorella senza interrompere quello che stava facendo. Renee Roszel Wilson
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«Buono?» intervenne Tag in tono di finto rimprovero. «Osi dire che il salmone di mio padre è solo buono?» Lynn ridacchiò divertita gettando il coperchio del barattolo sul pavimento. «Scusami, avevo dimenticato. Io amo il Bering Sea Salmon più del gelato e dello sciroppo di cioccolato!» Entrambi scoppiarono a ridere di gusto, mentre Sara li guardava confusa. «Di che cosa state parlando?» chiese quando ebbero terminato di sghignazzare. «Della società di mio padre» le spiegò Tag. «Noi possediamo gli stabilimenti che inscatolano il Bering Sea Salmon» aggiunse con malcelato orgoglio. Sara rimase a bocca aperta e ancora una volta i suoi occhi caddero sulla rovina in cui quel magnate del salmone e suo figlio vivevano. «Non può essere» mormorò. «Invece sì» insistette Lynn prendendo una fetta di salmone dalla scatoletta e depositandola nella sua bocca. «Hanno quattro stabilimenti e la sede principale si trova ad Anchorage.» Sara si rivolse a Tag. «E' vero?» Il ragazzo annuì mentre mangiava anche lui un pezzo di salmone. «E allora perché vivete qui?» «Questa è la casa estiva di Ransom» le spiegò Lynn. «Sì. I miei nonni paterni erano di qui.» Tag sorrise. «Questa era la casa di famiglia. Venivamo sempre qui durante le vacanze e papà si divertiva a osservare gli uccelli. Tutto questo prima che morisse la mamma. Erano cinque anni che non tornavamo sull'isola.» Distolse lo sguardo, imbarazzato. «Papà è stato molto impegnato con la società. Ma quest'estate mi ha fatto uscire dalla scuola privata dove vivo e siamo venuti qui.» Sorrise timidamente. «Avevo fatto il diavolo a quattro a scuola.» Lynn gli diede una gomitata. «È una novità?» «Ehi!» ribatté Tag. «Senti chi parla. Non mi sembra che il tuo comportamento sia stato ineccepibile.» Ridacchiando, continuarono a mangiare salmone mentre Sara rifletteva su quello che aveva sentito. «Quando è morta tua madre, Tag?» gli chiese, non del tutto sicura che fosse una domanda da fare. Ma la curiosità ebbe il sopravvento. Tag si fece serio. «Quando avevo nove anni. E' successo in un incidente d'auto.» Renee Roszel Wilson
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Sara trasalì e guardò i due ragazzi. Anche Lynn era diventata seria di colpo. Anche i loro genitori erano morti in un incidente d'auto. Probabilmente sua sorella e Tag erano diventati grandi amici anche a causa di quelle disgrazie. «Quale scuola frequenti?» chiese cercando di alleggerire l'atmosfera. Tag fece una smorfia di disgusto. «La prigione di Kirkwood Boys a Seattle.» «Prigione?» ripeté Sara. «Mi sembri piuttosto giovane per stare in prigione.» «A dire il vero loro la chiamano Accademia, ma per me è una prigione.» Sara fece cenno di aver capito. «Se può farti sentire meglio, non c'è molta gente della tua età che vada matta per la scuola.» «Sì, ma io devo rimanerci tutto l'anno. Papà non vuole che torni a casa nemmeno per Natale o...» «Non credo che alle nostre ospiti interessi conoscere la storia della nostra famiglia, Taggart» lo interruppe una voce autoritaria da dietro le spalle di Sara. Lei si voltò di scatto e vide Ransom fermo sotto l'arco della porta con un'aria quasi combattiva. I suoi lineamenti erano duri e affascinanti nello stesso tempo. Indossava un maglione girocollo di cotone azzurro che addolciva il colore dei suoi occhi grigi. Aveva un binocolo appeso al collo e portava un taccuino. «È caldo fuori» disse in tono più gentile. «Voi due dovreste approfittare della clemenza del tempo e uscire.» «Prendiamo qualche scatoletta e facciamo un picnic» fu pronta a suggerire Lynn. «Io porterò l'apriscatole. Tu prendi la roba da mangiare.» Un minuto più tardi i due ragazzi erano usciti, lasciando Ransom e Sara a faccia a faccia. «Tag mi ha detto che lei è il proprietario della Bering Sea Salmon» azzardò lei quando il silenzio cominciò a farsi insopportabile. Tag e Lynn avevano lasciato la porta aperta e dall'esterno proveniva una fresca brezza che recava con sé l'odore del mare. Vedendo che lui continuava a rimanere in silenzio, Sara respirò profondamente, sperando che l'aria salmastra le calmasse i nervi scossi. Non riusciva a capire perché la sola presenza di quell'uomo la rendesse così nervosa. «Non importa. Non sono affari miei» mormorò abbassando lo sguardo. Stava per uscire dalla cucina, quando il suono della voce di lui la fece fermare di colpo. «Non è un segreto» disse Ransom. «Non è una storia così interessante, signorina Eller.» Le passò di fianco e uscì dalla cucina. Renee Roszel Wilson
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Sara prese una scatoletta di salmone da sopra il tavolo e osservò l'etichetta dorata. Quella era la marca migliore sul mercato e anche una delle più vendute. Ransom Shepard doveva essere miliardario. Mentre posava la lattina, le tornarono in mente le sue parole. Non è una storia così interessante, signorina Eller. Si sbagliava. Quell'uomo era un mistero che lei avrebbe voluto assolutamente risolvere e quella consapevolezza le provocò una sottile inquietudine. Non sapendo che cosa fare, si diresse in soggiorno. Guardandosi attorno, notò un'altra delle sue camicie gettata con noncuranza sullo scaffale di un'antica vetrina di quercia. Con un sospiro di esasperazione si avvicinò per prenderla, chiedendosi quanti altri suoi vestiti Lynn avesse sparpagliato per la casa. Sara tirò la camicia per una manica e solo in quel momento si accorse che nascondeva la fotografia di una donna. Distrattamente prese in mano la cornice d'argento e si avvicinò alla finestra che dava sul mare. La donna dimostrava venticinque anni, ma la sua pettinatura era ormai fuori moda. I capelli castani incorniciavano l'ovale perfetto del viso su cui spiccavano due splendidi occhi blu e delle labbra morbide e piene. Anche se non poteva dirsi una vera bellezza, aveva un'espressione interessante. Sara immaginò che doveva trattarsi della moglie di Ransom e incomprensibilmente provò un senso di antipatia verso quella foto. «Che cosa sta facendo?» La sorpresa nel sentire quella dura voce maschile alle sue spalle fu talmente grande che Sara lasciò cadere la cornice. Il vetro si frantumò e lei al colmo della confusione si chinò con l'intenzione di raccogliere i pezzi. «Vada via da lì» le ordinò lui afferrandola per un braccio e tirandola in piedi. «Lo farò io.» «Mi... mi dispiace» balbettò Sara arrossendo per l'imbarazzo. «Ricomprerò il...» Ma non riuscì a continuare perché la voce la tradì. «Lasci stare» borbottò Ransom mentre raccoglieva i pezzi di vetro disseminati per terra usando la cornice come contenitore. Poi dopo averle lanciato uno sguardo enigmatico uscì dalla stanza e scomparve lungo il corridoio portando la preziosa foto al sicuro nella sua camera da letto. Il dolore per la perdita della moglie si era rivelato in tutta la sua evidenza nelle violente emozioni che Sara aveva potuto leggere sul suo volto... Sentendosi depressa lei raccolse la camicia che aveva lasciato cadere sul Renee Roszel Wilson
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pavimento e decise che sarebbe stato saggio per lei stare il più possibile lontana da Ransom Shepard. Temeva che quei sei giorni che le rimanevano da trascorrere sull'isola potessero rivelarsi i più difficili della sua vita.
4 Tag aveva detto a Sara che, secondo un'antica leggenda, l'arcipelago delle isole Pribilof era il luogo di nascita dei venti e mentre camminava a fatica lungo la spiaggia battuta dalle onde spumeggianti lei ne comprese il motivo. Si arrampicò sul pendio roccioso che conduceva all'abitazione di Ransom Shepard stringendosi attorno alla gola i lembi della giacca a vento. Il cielo era nuvoloso e l'aria umida e pregna della salsedine marina. Quando era uscito, quella mattina, per andare a osservare i gabbiani che costruivano i loro nidi nei luoghi più riparati della scogliera, Ransom indossava solo un maglione girocollo. Sara lo aveva osservato allontanarsi con una punta di apprensione e non aveva potuto fare a meno di ripensare alla tensione dei tre giorni precedenti. Non avrebbe saputo dire che cosa lo tormentasse. Quando era con i ragazzi sembrava a suo agio e scherzava volentieri con loro. Tuttavia nei momenti in cui era ignaro di essere osservato, lo aveva sorpreso a fissare Tag con un'espressione seria e triste nello stesso tempo. Ormai Sara era sicura che c'era qualcosa tra padre e figlio e quel pensiero continuava a tormentarla. Ma era chiaro che Ransom non aveva nessuna intenzione di confidarsi con lei. Anzi, ormai era certa che provasse una profonda avversione nei suoi confronti. Ogni volta che entrava in una stanza e la vedeva, si irrigidiva e assumeva un'espressione guardinga. Infilando le mani in tasca, Sara si chiese per la millesima volta che cosa poteva aver fatto per attirarsi tanta antipatia. Lui le aveva ordinato di non intralciare il suo esperimento psicologico con i ragazzi e lei aveva obbedito, anche se la casa sembrava ormai completamente in rovina. Che altro voleva da lei?, si chiese sospirando con aria abbattuta. Almeno su una cosa erano d'accordo. Nessuno dei due voleva passare insieme all'altro un minuto più del necessario. Un movimento vicino alla casa catturò la sua attenzione. Guardando più attentamente, si accorse che un uomo stava lottando contro il vento per arrivare sotto il portico. Indossava un elegante completo grigio e portava in Renee Roszel Wilson
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mano una ventiquattrore. Sara aguzzò lo sguardo per osservarlo meglio, colpita dall'insolito abbigliamento. C'era qualcosa di strano in lui. Nessuno su St. Catherine Island indossava abitualmente giacca e cravatta. Anche lo sconosciuto doveva essersi accorto di lei, perché si fermò ad aspettarla. Era piuttosto attraente, pensò Sara avvicinandosi. Sembrava avere circa trentacinque anni e tutto in lui, dai capelli castani pettinati all'indietro, agli occhiali profilati in metallo, gli conferiva l'aspetto di un uomo di successo. «Salve» la salutò lo sconosciuto con un cenno della mano. «Sto cercando Ransom Shepard. Lei è una vicina di casa?» Sara scosse la testa con un cenno di diniego. «No. Io... io sono un'ospite di Ransom.» L'uomo inarcò un sopracciglio con aria stupita, poi la sua espressione si distese in un sorriso. Sembrava piacevolmente sorpreso. «Davvero? Non sapevo che avesse ospiti.» «Si è trattato di... una decisione improvvisa» si limitò a rispondere lei, non volendo entrare nei dettagli. Lui le tese la mano. «Mi chiamo Isaac Dorfman. Sono l'avvocato di Ransom.» «Piacere, Sara Eller» rispose lei ricambiando la stretta di mano. «Ransom non è in casa. È in una delle sue postazioni sulla scogliera a osservare i gabbiani e...» «Dannazione. Non ho molto tempo» la interruppe lui guardando l'orologio d'oro che portava al polso. «Potrebbe indicarmi in quale direzione...?» «Dorfman!» La voce proveniva dalle loro spalle. «Avevo proprio voglia di vedere la tua brutta faccia.» Sara e Isaac si voltarono verso la figura che si stava avvicinando con il suo caratteristico passo sicuro e dinoccolato. Notando la sua espressione contenta, Sara restò quasi senza fiato. Non aveva mai visto quel sorriso che probabilmente riservava solo agli amici e ancora una volta fu profondamente colpita dal suo fascino virile. Isaac strinse con calore la mano che Ransom gli tendeva. «Anche se ormai ti ho visto decine di volte con quel binocolo e quel taccuino, mi riesce ancora difficile credere che una persona così inflessibile nei consigli d'amministrazione passi le vacanze a contare gli uccelli. Come stanno i signori Gabbiani e i loro bambini?» Renee Roszel Wilson
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«Sei insopportabile, Dorf. Ricordami di licenziarti, più tardi» disse Ransom con allegria forzata. «Ma in questo momento sono felicissimo di vederti.» L'avvocato lo guardò con un sorriso incuriosito. «Pensavo che mi avresti staccato la testa con un morso per essere venuto a seccarti qui, specialmente di sabato.» Lui lanciò uno sguardo significativo a Sara e scosse il capo. «Sei fortunato. Ho bisogno di te. Sei venuto con l'aereo della società, vero?» Sara trattenne il respiro. Come aveva fatto a non pensarci prima? Quell'avvocato rappresentava il biglietto di ritorno a casa per lei e Lynn! Dorfman rivolse un sorrisetto compiaciuto al suo capo. «Ho pensato che fosse meglio venire in aereo. Arrivare fin qui a piedi mi avrebbe fatto bagnare le scarpe.» Gli mostrò la valigetta ventiquattrore. «Finalmente ho convinto Wallingford ad accettare le nostre condizioni. Ma i documenti devono essere firmati e arrivare sulla sua scrivania per le sei di oggi pomeriggio.» «Abbiamo ottenuto tutti gli undici milioni di dollari?» Dorfman scoppiò a ridere. «Ha gridato, protestato e pestato i piedi, ma alla fine ha acconsentito.» Sara era sbalordita. Stavano parlando di milioni di dollari come se si trattasse di noccioline! E la cosa più sorprendente era la reazione piuttosto tiepida di Ransom. Aveva appena guadagnato una cifra astronomica e aveva ricevuto la notizia senza batter ciglio. Che cosa ci voleva per smuoverlo? «E' questo che mi piace di te» disse Isaac. «Il tuo entusiasmo. Io non faccio che spremere queste povere meningi di avvocato per farti guadagnare sempre più soldi, e tu mi ricambi con un sorriso stirato. Sono undici milioni di dollari, vecchio mio!» • «Grandioso» commentò Ransom in tono assente. «Andiamo a firmare questi documenti. Poi ho un paio di passeggeri da farti portare ad Anchorage.» «Passeggeri?» chiese Isaac con aria perplessa. Ransom gli indicò Sara che inconsapevolmente aveva cominciato ad arretrare. «Io vado a preparare i bagagli» mormorò lei. «E congratulazioni per i suoi milioni di dollari» aggiunse. Ransom si limitò ad annuire. «Mi basterà un quarto d'ora» aggiunse Sara rendendosi conto che lui non avrebbe fatto nessun commento. Mentre si allontanava, non poté fare a meno di sentire le parole di Isaac. Renee Roszel Wilson
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«Non dirmi che uno dei passeggeri è quella rossa strepitosa! Non è possibile che io sia così fortunato. Suppongo che sia già impegnata.» A giudicare dal suo tono, era chiaro che l'avvocato stava chiedendo se lei e Ransom avevano una relazione. Quell'idea le sembrò talmente assurda da farle mettere un piede in fallo. Si riprese prontamente appoggiandosi a terra con una mano e si rialzò augurandosi che i due uomini non avessero notato il piccolo incidente. «Si è fatta male?» le chiese Ransom alzando la voce preoccupato. Lei sarebbe voluta diventare invisibile per la vergogna. Se n'erano accorti. «Sì... Cioè, no. Sto bene» mormorò evitando accuratamente di incontrare il suo sguardo e avviandosi verso il portico. Lui tornò a rivolgere la sua attenzione all'amico. Evidentemente gli stava raccontando qualcosa di piuttosto divertente, perché Isaac scoppiò in una sonora risata. «Tu che cosa? Una moglie per corrispondenza?» esclamò l'avvocato, incredulo. Sara si morse le labbra. Ransom stava spiegando all'amico il motivo della sua presenza e di quella di sua sorella sull'isola. Arrossendo per l'umiliazione si rifugiò sotto il portico, con il desiderio di mettere fine il più presto possibile a quella mortificante esperienza. Si fermò ad afferrare un paio di scarpe di Lynn piene di fango che erano state abbandonate lungo il muro laterale e mentre pensava a un modo per pulirle, captò di nuovo un brandello di conversazione tra Isaac e Ransom. «Sei sicuro che voglia andare a casa, oppure è quello che vuoi tu?» stava chiedendo Isaac, questa volta in tono serio. Parlavano ancora di lei, dedusse Sara affrettandosi a entrare in casa e precedendoli nel soggiorno per dirigersi verso la sua camera. «Se vuoi la mia opinione, io credo che sia ora che nella tua vita entri un po' di dolcezza. Lo so, lo so» obiettò l'uomo, come se Ransom avesse cercato di interromperlo. «Vuoi dirmi che sei troppo occupato. Ma nessun uomo può vivere limitandosi ad accumulare miliardi, capo. Nemmeno tu. Tu hai bisogno di una donna.» I due uomini avevano appena fatto il loro ingresso nel soggiorno, quando Sara udì la voce stupefatta di Isaac. «Che accidenti è successo qui? Buon Dio, Rance! Questo posto sembra un...» «Sta' zitto» lo ammonì Ransom con un sussurro aspro. «Altrimenti sarò costretto a...» «Lo so, mi licenzierai» ribatté Isaac. Ma un attimo dopo si sentì un'altra esclamazione sbalordita. «Che cosa sono quelle bestie sdraiate sul divano? Che accidenti fanno dei vitelli nel tuo...?» Renee Roszel Wilson
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«Sono renne, ragazzo di città. Non ti hanno insegnato niente i dieci anni passati lontano da New York?» «Renne?» ripeté Isaac. «Ma certo. Tutti tengono una coppia di renne sul divano. Dove hai messo gli elefanti? Io preferisco che i miei stiano nelle stanze esposte a sud.» «Apri quella maledetta valigetta prima che te la faccia inghiottire» borbottò Ransom. «Tag è in cucina.» «Perché? Tag non sa che tieni degli animali in salotto?» «Non sono dell'umore adatto per i tuoi scherzi. Allora, questi contratti?» Il tono di Ransom indicava che la sua pazienza era al limite. Sara non era riuscita a fare a meno di ascoltare la conversazione. E così Isaac non era abituato alla vista della casa del suo capo ridotta come una discarica di rifiuti. Cominciava a credere che Ransom stesse davvero usando una sua personale psicologia sui ragazzi, che però non sembrava avere successo. Cinque minuti più tardi aveva riempito una delle valige di Lynn con i propri indumenti e aveva iniziato a preparare l'altra, gettandovi alla rinfusa gli abiti della sorella, che erano troppo spiegazzati per poterli piegare razionalmente. Una parte di lei non vedeva l'ora di andarsene, mentre un'altra era dispiaciuta per il modo in cui Ransom le aveva quasi ordinato di partire. Era fin troppo chiaro che non vedeva l'ora di liberarsi delle ingombranti sorelle Eller. «E va bene, signor Undici milioni di dollari» borbottò mentre lottava per chiudere il borsone. «Non vedo l'ora di andarmene. Non avevi bisogno di ordinarmi di partire. Non sarei rimasta nemmeno se mi avessi pregato, neanche se mi avessi offerto tutti gli undici milioni di dollari!» «Mi stava dicendo qualcosa, signorina Eller?» La testa di Sara si sollevò di scatto. Ransom era appoggiato allo stipite della porta e la sua espressione era chiusa e insondabile come sempre. «Canticchiavo» borbottò lei a denti stretti. «Che cosa vuole?» «Tag è andato a chiamare Lynn» le comunicò lui incrociando le braccia sul petto. A giudicare dal suo tono scettico, non aveva creduto alla sua scusa. «Sarà qui tra un minuto per aiutarla.» «Ho quasi finito. Nessun problema.» Senza sapere bene perché, si alzò per guardarlo negli occhi. «Se mai deciderà di smettere di osservare gli uccelli, potrebbe provare a origliare. Dovrebbe mettere a frutto quel modo Renee Roszel Wilson
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furtivo che ha di sorprendere la gente inconsapevole.» «Posso darle anch'io un consiglio?» replicò lui non raccogliendo il suo insulto. «Non faccia troppo per Lynn. Lei non la apprezzerebbe per questo.» «Davvero?» contrattaccò Sara in tono sarcastico. «Suppongo che lei conosca tutte le risposte, signor Psicologia alla rovescia. Se vuole scusarmi... Devo andare in bagno a prendere i nostri oggetti da toeletta.» Il suo sguardo penetrante era difficile da ignorare. Dopo un lungo istante in cui la tensione si fece palpabile, Ransom si voltò e si allontanò senza una parola, lasciandola in piedi in mezzo alla stanza a lottare per riuscire a recuperare il proprio autocontrollo. Non riusciva a credere che bastasse un suo sguardo per confonderla e innervosirla. Nessun uomo le aveva mai fatto quell'effetto. Qualche minuto più tardi si diresse in soggiorno tenendo una valigia per ciascuna mano, ma rimase esitante sulla porta non volendo interrompere la conversazione dei due uomini. «Come vanno le cose?» stava chiedendo Ransom. L'avvocato si chinò a chiudere la valigetta con i documenti. «Bene come sempre, tenendo conto naturalmente che non c'è il grande capo.» «Bene.» «Posso chiederti come vanno qui?» gli chiese Isaac, perplesso. «A giudicare dal tuo umore e dalle condizioni di questo posto, direi che qualcuno ha bisogno di farsi visitare la testa dura.» «Va tutto secondo i piani» rispose Ransom. Sara lo osservò prendere sottobraccio Isaac e accompagnarlo verso la porta principale. «Quali piani?» protestò Isaac. «Non scherzare, Rance. Che cosa sta succedendo?» Sara notò che l'espressione di Ransom si era fatta seria. «Tu sai perché sono qui. Sto facendo del mio meglio» replicò. Isaac posò una mano sulla spalla dell'amico. «So anche quanto sia stato difficile per te dopo che tua moglie è morta.» «Non sono dell'umore adatto per i ricordi, se non ti dispiace.» Isaac lasciò ricadere la mano. Aveva un'espressione preoccupata. «Secondo me, il tuo umore è pessimo. C'è qualcos'altro che ti preoccupa, oltre a Tag.» «Noi siamo pronte» intervenne Sara, decidendo che era meglio annunciare la propria presenza. Ma era curiosa di sapere qualcosa sulla Renee Roszel Wilson
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moglie di Ransom e si chiese che cosa stesse per dire Isaac. Comunque non erano affari suoi, concluse. Ransom si voltò a guardarla. «Anche lei è piuttosto furtiva, signorina Eller. Non l'ho sentita entrare.» Sara impallidì, ma non ebbe il tempo di ribattere. Isaac si precipitò a prenderle le valigie. «Sono troppo pesanti per una persona esile come lei» disse. Lei ringraziò l'avvocato con un sorriso amichevole. Era simpatico e le piaceva, nonostante fosse amico di Ransom. «Grazie, signor Dorfman.» «Mi chiami Isaac.» «Dorf condurrà lei e Lynn ad Anchorage» lo interruppe Ransom bruscamente. «Mettile sul primo aereo per il Kansas» aggiunse poi rivolto all'amico. «Con piacere» rispose l'avvocato, raggiante come uno scolaretto. «Credo che fareste meglio ad andare» ricordò loro Ransom in tono sbrigativo. «Dov'è Lynn?» chiese Sara. «Fuori con Tag a salutare Boo e Baby.» I ragazzi si abbracciarono, mentre Sara si rifiutò di guardare in direzione di Ransom. Il suo orgoglio ferito glielo impediva. «Arrivederci, Tag. Scrivi spesso.» «Devo proprio andare, Rance?» piagnucolò Lynn con aria patetica. «Non puoi rimanere qui, Lynn» le spiegò Ransom tranquillamente attirando lo sguardo di Sara. «Tua sorella è la tua famiglia.» La ragazza lanciò un'occhiata indignata in direzione di Sara. «Lei è la mia carceriera» dichiarò poi. «Io voglio rimanere qui insieme con te e Tag.» Per un istante un'espressione infastidita comparve sul viso di Ransom, ma quando parlò il tuo tono era calmo. «Nessuno ottiene tutto quello che vorrebbe, Lynn. Nessuno.» Poi si voltò verso Sara. Dopo un lungo e attento esame un sorriso gli curvò gli angoli della bocca. «Quanto a lei, signorina Eller, i suoi capelli mi piacciono.» Lei rimase a bocca aperta per lo stupore. Non aveva saputo resistere senza lanciarle un'ultima frecciata ironica. «Bene. Di sicuro per questa notizia valeva la pena di arrivare fin qui» commentò freddamente scuotendo la testa con un gesto di sfida. «A ogni modo, la ripagherò del costo dei biglietti» aggiunse. Renee Roszel Wilson
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«Lasci perdere. Non ha i soldi.» Sara colse una nota d'impazienza nella voce di Ransom e dall'ostinazione nello sguardo di lui comprese che non le avrebbe mai permesso di farlo. «Le manderò il denaro» ripeté. Il suo sorriso ironico le disse che, anche se gli avesse mandato tutti gli assegni del mondo, lui non li avrebbe incassati. «Arrivederci, signorina Eller. Ciao, Lynn.» Fece loro un breve cenno di saluto e poi si rivolse a Isaac in tono di congedo. «Non sprecare quegli undici milioni di dollari, Dorf, altrimenti...» «Lo so. Mi licenzierai e mi ritroverò in mezzo a una strada.» L'uomo sorrise, ma era chiaro che lo scambio di battute tra lei e Ransom lo aveva fatto sentire a disagio. Sara provò un moto di simpatia per lui. «Fareste meglio ad andare» li spronò Ransom rimanendo serio. Isaac lanciò un'occhiata interrogativa al suo capo. «Penserò a tutto io» mormorò poi. «Li accompagno all'aereo, papà» disse Tag mettendo un braccio attorno alle spalle di Lynn. Ransom si limitò a fare un cenno con la testa voltando le spalle a Sara. Era evidente che voleva evitare qualsiasi ulteriore saluto, pensò lei seguendo Isaac. Dopotutto, non c'era nient'altro da dire. Sara rimase ferma sul terreno a osservare l'aereo che decollava sentendo un nodo stringerle lo stomaco. Il pilota era stato irremovibile. Aveva detto che poteva prendere solo un altro passeggero a bordo a causa di qualche stupida regola sulla portata massima consentita dalla legge. Che cosa doveva fare? Non poteva partire e lasciare Lynn con il rischio di non rivederla più. Non poteva nemmeno rimanere e mandare via Lynn da sola. Naturalmente Isaac si era mostrato molto dispiaciuto di doverle lasciare a terra. Ma lui doveva andare via. C'erano undici milioni di dollari in ballo e non poteva rischiare di perderli, per non diventare il primo ex avvocato costretto a fare il comico per vivere, aveva aggiunto. Perciò Sara e Lynn non avevano avuto altra scelta che restare. Mentre tornavano verso la casa, i ragazzi corsero via ridendo e scherzando, eccitati da quel rinvio. Sara sospettava che Ransom stesse appostato a guardare i gabbiani nel sito più vicino di osservazione e, decidendo di non rimandare oltre Renee Roszel Wilson
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l'inevitabile, andò a cercarlo per comunicargli la cattiva notizia. Costeggiò la scogliera per un centinaio di metri e alla fine lo vide. Stava in piedi con le mani sui fianchi, rivolto verso il mare. Non sembrava interessato ai gabbiani. Sembrava piuttosto perso nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso verso il punto in cui era scomparso l'aereo. Forse voleva accertarsi della loro partenza, pensò Sara amaramente. «Signor Shepard?» provò a chiamarlo, ma la sua voce la tradì. Si schiarì la gola e tentò di nuovo, questa volta con successo. Lui si voltò di scatto come se avesse riconosciuto la sua voce e non riuscisse a credere alle proprie orecchie. Lei si morse un labbro ed evitò accuratamente di guardarlo negli occhi. «Che accidenti...?» Sara sollevò il mento sfidandolo a non gridare. «La cosa mi piace meno che a lei. Ma sembra che ci siano delle regole per cui i piccoli aeroplani non possono trasportare più di tre persone, compreso il pilota.» Ransom si limitò a fissarla senza parlare per un lungo momento con un'espressione indecifrabile. «Non ha niente da dire?» lo provocò Sara. Le labbra dell'uomo si piegarono in un sorriso sprezzante. «E così lei e sua sorella costituivate un peso eccessivo per la portata dell'aereo» commentò freddamente mentre i suoi occhi brillavano di una luce divertita. «A quanto pare, vi ingozzate parecchio nel Kansas.» Sara arrossì violentemente. Anche lei sapeva essere sarcastica se voleva. «Ha mai pensato di andare all'inferno?» Ransom si voltò a guardare il mare e chiuse le mani a pugno. Immediatamente la luce che gli illuminava gli occhi si spense. Adesso erano grigi come il piombo, mentre l'espressione del suo viso era insolitamente tormentata. Sara ebbe la strana sensazione che se avesse risposto alla sua domanda avrebbe detto: «Ci sono già stato». La ragazza provò una fitta di rimorso. Lui stava ancora soffrendo per la morte della moglie e lei aveva riaperto una ferita dolorosa del suo passato. «Sono stata priva di tatto» mormorò fissando la linea rigida delle sue spalle. «In mia difesa posso solo dire che i suoi insulti sono difficili da ignorare, signor Shepard.» Dopo quella che sembrò un'eternità, finalmente lui scosse la testa. «Lei ha ragione. Le sto procurando parecchi problemi, signorina Eller. Sono io Renee Roszel Wilson
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quello che dovrebbe scusarsi» disse in tono piatto. Si voltò e i loro occhi si incontrarono. Il rimorso sincero che Sara lesse in quello sguardo la colpì profondamente. Ma poi, con suo profondo stupore, in quegli occhi tormentati lesse anche qualche altra cosa. Era qualcosa che assomigliava moltissimo al desiderio e quella consapevolezza le procurò un fremito. Era possibile che Ransom Shepard fosse attratto da lei come lei lo era da lui? Perplessa e confusa, Sara giocò con la cerniera della giacca a vento evitando accuratamente di guardarlo. «Non ne parliamo più, signor Shepard» disse sforzandosi di usare un tono disinvolto. «A ogni modo, si libererà presto di noi. Isaac mi ha assicurato che avrebbe fatto quanto in suo potere per essere d'aiuto.» «Ha detto che avrebbe rimandato l'aereo?» le chiese Ransom in tono tranquillo. «Non esattamente.» Sara ricominciò a tremare, anche se non avrebbe saputo dire se era per il lampo di passione che aveva colto nei suoi occhi o per i gelidi spruzzi che provenivano dal mare. «Ma sono sicura che lo farà. Lei non crede?» L'espressione del viso di Ransom era ironica e triste nello stesso tempo. «Temo di no» mormorò. «Isaac ha un'idea distorta della lealtà. Ha detto che avrebbe fatto di tutto per aiutare, non che avrebbe rimandato indietro l'aereo.» Lei era confusa. «Che cosa significa?» Cogliendola di sorpresa, Ransom la prese per un braccio. «Torniamo in casa. Almeno smetterà di battere i denti.» «Ma che cosa intendeva quando ha detto che il suo avvocato ha un'idea distorta della lealtà?» ripeté lei cercando di non balbettare. Lui ridacchiò, ma la sua espressione era ironica. «Poco fa Dorfman mi ha detto che secondo lui avevo bisogno di una donna» le spiegò. «Credo che abbia scelto lei come probabile candidata.» «Me?» Sara si fermò di colpo e lo fissò. «Spero che non si aspetti che io e lei...» «Immagino che si aspetti esattamente questo.» Quella rivelazione non sarebbe potuta essere più sorprendente per Sara. Le tremarono le labbra e non riuscì a reprimere un sussulto. «Vedo che l'idea la attrae» replicò lui con pesante ironia. «Il suo pallore è rivelatore, signorina Eller. Sono davvero lusingato.» Lei lo fissò senza sapere che cosa dire. Renee Roszel Wilson
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«L'idea è stata di Dorfman, non mia» le ricordò Ransom. Sara liberò il braccio dalla sua stretta e indietreggiò. «La avverto, signor Shepard. Se proverà anche solo a toccarmi con un dito, se ne pentirà. Ho frequentato un corso di arti marziali e so come difendermi.» Si voltò bruscamente con l'intenzione di allontanarsi, ma una morsa d'acciaio le bloccò il gomito, tanto che inciampò e dovette fermarsi. «Sono certo che saprebbe come difendersi, Sara. Non ne ho il minimo dubbio» disse Ransom costringendola a guardarlo. Poi ricominciò a condurla verso la casa. «Spero che non le dispiaccia se la chiamo Sara e le do del tu» aggiunse con la mascella contratta. Lei si irrigidì. «Invece mi dispiace. Mi dispiace moltissimo.» «Bene» replicò lui con un'indifferenza quasi palpabile. «E fino a quando non arriverà quel maledetto aereo, chiamami pure Rance.»
5 Per tutto il tragitto Ransom la trascinò quasi, tirandola per il gomito. Era visibilmente irritato e Sara rabbrividì notando la collera che gli offuscava lo sguardo. «Buon Dio!» borbottò, arrabbiato. «La prossima volta che metto le mani su Dorfman lo strozzo.» «Non puoi essere sicuro che non rimanderà indietro l'aereo» protestò Sara con il fiato corto. Ransom imprecò a bassa voce. «No? L'ultima volta che ho controllato, l'aereo della società poteva comodamente trasportare sei passeggeri. È stato Dorfman a istruire il pilota con tutte quelle sciocchezze. Credi a me. Isaac vuole che mi trovi una donna e pensa che un'incantevole testolina rossa come la tua sia perfetta per lo scopo.» Sara fissò il suo profilo spigoloso sentendosi bruciare le guance per l'imbarazzo. L'aveva definita incantevole testolina rossa, si disse cercando di non dar peso al complimento, ma non ci riuscì. Non appena ebbero raggiunto il portico, lui la lasciò andare. Lei si voltò di scatto a fronteggiarlo. «Non sono mai stata trattata così crudelmente da...» Si fermò quasi senza fiato. Lui incrociò le mani sul petto. «Da un uomo?» terminò per lei in tono irritato. Ma subito dopo fece un respiro profondo e assunse un'espressione pentita. «Al diavolo! Perdonami, Sara. Non reagisco molto bene quando Renee Roszel Wilson
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vengo raggirato.» «Non sono stata io a raggirarti» gli ricordò lei. «E non vedo come puoi essere sicuro che l'aereo non tornerà indietro. Mi rifiuto di credere che il tuo avvocato abbia mentito.» «La prossima volta che vedo Dorfman lo uccido» borbottò Ransom, seccato. «Poi lo licenzierò.» «Sapeva che lo avresti detto» ribatté lei corrugando la fronte per ricordare le esatte parole di Isaac. «"Sarò il primo brillante ex avvocato costretto a fare il comico per vivere", sono le sue esatte parole.» Un moto di sorpresa addolcì l'espressione severa di Ransom. Poi lentamente sul suo viso comparve una espressione divertita che in breve si trasformò in una genuina risata lasciando Sara stupefatta. Il calore di quell'inaspettata allegria le penetrò nelle ossa riscaldandola. L'innegabile fascino che emanava da quell'uomo esercitava un effetto sorprendente su di lei, nonostante lo detestasse con tutte le sue forze. «Che cosa c'è di così divertente?» chiese con un filo di voce cercando di scacciare quell'idea assurda. «Non riesco mai a rimanere infuriato con quel ragazzo» rispose lui mentre un lampo di divertita esasperazione gli illuminava lo sguardo. Sara arricciò il naso incredula. «È per questo che lo licenzi ogni quindici minuti?» Il tono di Ransom diventò affettuoso. «Isaac è un buon amico. Le sue intenzioni sono ottime, anche se traviate. Per me è come un fratello. Più di...» Si interruppe di colpo e la sua espressione si indurì. Sara rimase profondamente turbata vedendo che gli luccicavano gli occhi. Lui sbatté le palpebre e poi accennò un sorriso e in un attimo qualsiasi traccia della sua angoscia era sparita. «Diciamo solo che l'impiego di Dorf è salvo.» La scoperta della lacerante tristezza che si nascondeva nell'animo di Ransom aveva scosso profondamente Sara. Lui si era ripreso in fretta, ma lei non poté fare a meno di chiedersi che cosa fosse stato sul punto di dire. «Tu hai un fratello?» gli chiese chiamando a raccolta tutto il proprio coraggio. La linea della bocca di Ransom si indurì. «No, Sara. Non ho fratelli» rispose in tono basso e tagliente. Poi si girò ed entrò in casa. Il giorno successivo era sereno e la temperatura si era alzata. Spirava una brezza tiepida e Sara scoprì che il tepore del sole sulla pelle rappresentava Renee Roszel Wilson
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una piacevole novità. I ragazzi erano andati a giocare con il loro amico delfino e Ransom era già al suo posto di osservazione. Dopo aver camminato a lungo, Sara tornò in casa bruciando dalla voglia di fare qualcosa. Devo pulire questo posto, altrimenti mi metterò a gridare, si disse pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo. Nei giorni passati aveva sistemato con discrezione un angolo del soggiorno doveva andava a rifugiarsi la sera e così decise che vi avrebbe passato l'aspirapolvere. Non le importava se qualcuno avrebbe disapprovato o se avrebbe dovuto affrontare la collera di Ransom. Ma dopo venti minuti stava per rinunciare. Aveva cercato in tutta la casa senza riuscire a trovare l'aspirapolvere. Forse era nello spogliatoio di Ransom, pensò. Dopo qualche esitazione si avventurò nella sua camera da letto provando un vago senso di colpa per quell'invasione. La stanza era più o meno nelle stesse condizioni delle altre, ma guardandosi attorno Sara si rese conto che doveva essere stata una bella camera, con i mobili di legno chiaro che le conferivano un'aria calda e ospitale. La porta dello spogliatoio era chiusa. Sara girò il pomello con trepidazione e di colpo un altro mondo le si spalancò davanti agli occhi. Lynn aveva ragione. Il loro ospite teneva uno spogliatoio immacolato. Allora era vero. Ransom non era una persona sudicia e disordinata per natura. Le sue scarpe erano allineate con precisione militare su diversi scaffali. Sulle aste di ferro situate sopra questi erano appese in ordine meticoloso le camicie, divise a seconda del tipo di tessuto. Dall'altro lato dello spogliatoio parecchie paia di pantaloni pendevano in ordine perfetto, mentre alcuni scaffali ospitavano maglioni di tutti i tipi, accuratamente piegati. Nessuno poteva avere una cura così meticolosa per le proprie cose ed essere nello stesso tempo la persona disordinata e trascurata che voleva sembrare. Ormai Sara era certa che sotto quella facciata noncurante Ransom fosse un uomo affettuoso ed equilibrato che stava facendo del suo meglio per allevare quel figlio ribelle. Non era tipo da lasciar trapelare il suo dolore e le sue preoccupazioni, perciò doveva avere sopportato in silenzio la tristezza e la solitudine. Erano cinque anni che aveva volontariamente tagliato ogni rapporto con gli altri, anche con suo tiglio. Tag era stato molto chiaro su quel punto. Suo padre non aveva nessuna intenzione di Renee Roszel Wilson
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iniziare un'altra relazione. Sara chiuse gli occhi sentendosi assalire da una profonda tristezza. Ma capiva e rispettava il suo dolore. Se solo si fosse fidato di lei abbastanza da... «Che cosa stai facendo?» Lei aprì gli occhi e voltandosi di scatto vide Ransom fermo sulla porta dello spogliatoio. Lui la stava fissando come se l'avesse sorpresa a rubargli il portafoglio. «Io... io stavo cercando l'aspirapolvere» balbettò sentendosi la gola arida. Non era sicura che fosse la scusa migliore, considerando quali erano le regole che vigevano in quella casa. Nello sguardo di lui si leggeva una chiara disapprovazione. «E' in cantina. A che cosa ti serve?» «Volevo gettarlo nel lavello» rispose irritata nel sentirsi trattata come una bambina disubbidiente. «Sono convinta che se lo facciamo sparire potremmo anche comparire sul Guinness dei primati per la casa più disgustosa.» «A volte sai essere divertente come Dorfman» ribatté lui asciutto. Sara si rese conto che non sarebbe andato su tutte le furie, perciò decise di provare a parlargli seriamente. «Non sarei dovuta essere così aspra con te, Ransom» iniziò indirizzandogli un'occhiata titubante. «Solo che tu mi fai...» Si fermò esitante. «Quello che voglio dirti è che adesso ti credo.» Gli indicò la stanza con un gesto della mano. «Il tuo spogliatoio è così... così diverso dal resto della casa. Ora mi rendo conto che parlavi sul serio quando mi hai detto della psicologia alla rovescia che intendevi usare con i ragazzi. Ti devo delle scuse.» Sorprendendola ancora una volta, Ransom non accennò ad alcuna reazione. «Tu non mi devi niente, Sara» si limitò a dire valutandola attentamente. Poi uscì dal suo campo visivo. «Ma non usare quell'aspirapolvere. Sono stato chiaro?» aggiunse dall'altra stanza a voce abbastanza alta perché lei potesse sentirlo. Ma questa volta Sara non aveva nessuna intenzione di cedere, perciò lo seguì fino nel soggiorno. «Non credi che dovresti provare con un'altra tattica?» lo incalzò con aria risoluta. «È chiaro che il tuo esperimento non funziona. La casa sta andando in rovina.» Lui continuò a dirigersi verso la porta d'ingresso. «Grazie per il tuo incoraggiamento» osservò senza voltarsi. «Significa che non sei disposto a discuterne?» si lamentò Sara, contrariata. Renee Roszel Wilson
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«Proprio così.» «E pensare che ti ho anche fatto le mie scuse!» gridò lei al colmo dell'esasperazione. «Non hai mai sentito parlare dell'esistenza della comunicazione, Ransom Shepard?» «Ne ho sentito parlare, Sara» rispose lui. «Il problema è che tu non sembri accettare quello che cerco di comunicarti.» La porta si chiuse sbattendo dietro le sue spalle. Trenta minuti più tardi Sara era seduta sulla punta della scogliera nel tentativo di calmarsi. L'aria frizzante era piena di suoni e di odori che provenivano dal mare. Quel posto magnifico era in grado di suscitare sensazioni forti e uniche. Ma chi voleva viverci doveva possedere un'energia e una volontà non comuni. Nessun fiore di serra sarebbe sopravvissuto su quell'isola battuta dai venti. La figura decisa e risoluta di Ransom si materializzò nella sua mente come se fosse stata evocata dalle sue riflessioni. Scossa da quell'intrusione inaspettata, Sara si concentrò sui vividi colori dei fiori che spuntavano tra le rocce, nel tentativo di dimenticare l'oggetto dei suoi pensieri. Ma presto si rese conto che i suoi sforzi erano inutili. Dal volo dei gabbiani al profumo dei fiori, tutto sembrava congiurare per ricordarle Ransom. «Maledizione!» esclamò a voce alta. «Sei presuntuoso e prepotente e io ti odio con tutta me stessa.» «Perché ho la sensazione che ti stessi riferendo a me?» chiese una voce profonda e divertita alle sue spalle. Sara girò la testa. L'uomo che stava maledicendo era in piedi dietro di lei e i suoi occhi sprizzavano buonumore. Sara si chiese se fosse consapevole del prepotente fascino che sprigionava da tutta la sua persona. «Che intendevi fare arrivandomi alle spalle con il tuo solito fare furtivo?» gli domandò con un sussurro soffocato. «Volevo offrirti un penny per i tuoi pensieri, ma ho cambiato idea. Non sono masochista fino a questo punto» rispose Ransom allegro, come se non avesse notato il suo tono velenoso. Sara lo considerò con fare accorto. «Perché improvvisamente sei così di buonumore?» «La vita è troppo breve. Ho deciso di accettare le tue scuse.» Lei cercò di assumere un atteggiamento noncurante. «Stavo trattenendo il respiro in attesa del tuo perdono.» Gli voltò le spalle e si circondò le Renee Roszel Wilson
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ginocchia con le braccia, decisa a ignorare le sue gambe muscolose, i suoi fianchi asciutti e il suo torace possente. Ma Ransom si sedette vicino a lei e Sara dovette fare ricorso a tutta la propria forza di volontà per non guardare nella sua direzione. «Sono sfato piuttosto brusco con te, prima» ammise lui tranquillamente. Sara sbirciò furtivamente nella sua direzione. Era difficile continuare a ignorarlo, adesso che finalmente sembrava avere l'intenzione di lasciar perdere il sarcasmo e parlare seriamente. «È vero» concordò. Un lento sorriso curvò le labbra di Ransom. «Vuoi accettare le mie scuse?» Lei corrugò la fronte cercando di reagire alla sensualità che emanava da lui. «Non credevo che ti interessasse la mia opinione.» I suoi occhi ipnotici tennero incatenati quelli di lei per un lungo istante prima di rompere il contatto e tornare a fissare il mare. «Sto cercando di ignorarla.» Sara osservò il suo profilo. Quei lineamenti decisi sprigionavano la stessa forza e la stessa vitalità che sembrava scaturire dall'isola. «Perché?» gli chiese lottando per imprimere alla propria voce una sicurezza che era ben lungi dal provare. Ransom scrutò le acque agitate ma non sembrò notare nulla in particolare. «Ho le mie ragioni» rispose in uno strano tono. Sara aspettò pazientemente che lui continuasse, ma il silenzio che era caduto tra loro stava diventando insopportabile. «Sei un uomo piuttosto chiuso, vero?» «Ti ho già detto una volta che la mia storia non è molto interessante.» «A me interessa» mormorò Sara e quelle parole le scaturirono dal cuore. Quando Ransom si voltò a osservarla, lei notò che la brezza gli aveva scompigliato i capelli facendogli ricadere una ciocca sulla fronte. All'improvviso provò un irresistibile desiderio di ravviarla e dovette ricorrere al proprio autocontrollo per reprimere quell'impulso. «Non interessartene» la mise in guardia lui continuando a scrutarla attentamente. Sara provò un senso di sgomento. Nonostante la palese reticenza di Ransom, c'era qualcosa in lui che la spingeva a cercare di sapere di più della sua vita, di sua moglie, del suo dolore. «Amavi molto tua moglie?» gli domandò ignorando i suoi avvertimenti. L'espressione dell'uomo si indurì. Lui la studiò per un attimo, protetto Renee Roszel Wilson
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dalle lunghe ciglia, e poi tornò a fissare le onde che si frangevano sugli scogli scomponendosi in miriadi di gocce che brillavano al sole. Durante quell'interminabile silenzio la sua mascella contratta era la sola indicazione del tumulto interiore che lo agitava. Poi, quando lei ormai pensava che non le avrebbe più risposto, Ransom cominciò a parlare. «Sì» ammise. «Amavo mia moglie. L'ho amata fino al giorno in cui è morta. Ti soddisfa questa risposta?» aggiunse guardandola dritto negli occhi. Sara avvertì un nodo serrarle la gola e improvvisamente si sentì molto triste. Lo aveva quasi costretto a fare quell'ammissione e ora si rendeva conto che sapere quanto fosse profondo il suo amore per la moglie le era insopportabile. Mordendosi un labbro, concentrò la sua attenzione sui fili d'erba che le solleticavano le caviglie. «Mi... mi dispiace» mormorò dopo un attimo carico di tensione. «Non sono affari miei.» «E' vero» convenne lui aspro. «A ogni modo, perché ti interessa tanto?» Lei si limitò a scuotere il capo. La sua voce avrebbe tradito delle emozioni che non voleva rivelare. «Credo di saperlo. Anzi, lo sappiamo entrambi» mormorò Ransom mentre il suo tono si addolciva. «Tu sei una donna molto attraente, Sara. Credo che tu sappia che desidero fare l'amore con te dal primo momento in cui ti ho vista.» Sara alzò la testa di scatto. Non erano le parole che si aspettava di sentirsi dire, ma ebbero ugualmente un effetto devastante su di lei. L'espressione dell'uomo si fece cinica. «Sei impallidita. La sola idea di fare l'amore con me ti disgusta a tal punto?» Lei rimase immobile e in silenzio mentre il suo cuore batteva all'impazzata. Temeva che qualsiasi tentativo di negare avrebbe potuto rivelare i suoi veri sentimenti. «Per essere onesto, Sara, io vorrei infischiarmene della tua opinione e del tuo corpo, ma non ci riesco.» La sua voce profonda e seducente la stuzzicò dolcemente. «E credo che, se sei onesta con te stessa, anche tu ti renderai conto di avere la stessa reazione nei miei confronti.» «Io...» Le parole di Sara si persero in un sospiro. Le era difficile formulare dei pensieri coerenti quando era così vicina a lui. I suoi occhi avevano il potere di incantarla e la sua bocca costituiva una tentazione irresistibile. Continuò a fissarlo come paralizzata, mentre l'espressione di Ransom si Renee Roszel Wilson
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incupiva per il desiderio. «Dannazione, Sara» borbottò. L'istante successivo lui la stava baciando, mentre le sue mani grandi e forti la spingevano contro il soffice tappeto erboso. La sensazione deliziosa del peso del suo corpo si aggiunse a quella delle labbra morbide ma esigenti che premevano contro la sua bocca. Era stata baciata altre volte, ma mai con tale perizia. Ransom le morse dolcemente le labbra tormentandole e stuzzicandole con la punta della lingua. Quasi inconsapevole delle proprie azioni, Sara alzò le braccia per circondargli il collo e sospirando aprì le labbra in un timido invito. Lui gemette, chiaramente deliziato dalla sua resa e il suo bacio si fece più profondo. Quell'uomo era un mago, pensò confusamente lei. L'aveva portata sull'orlo della resa completa senza bisogno di pronunciare una sola parola gentile. Gli era bastato prenderla tra le braccia per farle perdere del tutto il suo buonsenso. Eppure l'aveva avvertita. Era stata lasciata sull'isola perché lui aveva bisogno di una donna e in quel momento per lui rappresentava solo il mezzo per soddisfare i suoi bisogni troppo a lungo repressi. Con un grido soffocato Sara sciolse le braccia dalla loro stretta possessiva e gli premette le mani contro il petto. «No» protestò, ma senza infondere grande convinzione nella sua voce. «Smettila.» Ransom rimase sdraiato su di lei sostenendosi su un gomito. La sua espressione era calma, ma la luce che illuminava il suo sguardo costituiva un'attrazione irresistibile per lei. Era evidente che anche lui aveva provato il suo stesso coinvolgimento e non voleva che quel breve interludio finisse così bruscamente. «Sara» mormorò con voce roca coprendole una mano con la propria. Mentre con l'ultimo barlume di lucidità cercava di liberarsi, Sara fu colpita da una verità sconvolgente. Lei voleva fare l'amore con quell'uomo. C'era qualcosa in lui che riusciva a toccare le corde più segrete del suo essere. Ma il suo istinto la avvertì che avrebbe commesso un terribile sbaglio, perché ora sapeva che Ransom aveva amato profondamente la moglie e che soffriva ancora per la sua perdita. «Un piacevole passatempo» mormorò sentendosi mancare il respiro. «È questo quello che dovrei essere per te?» Adesso l'espressione di lui si era incupita. «Sì. Renderebbe tutto più Renee Roszel Wilson
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semplice» borbottò. Quella aperta franchezza la fece indietreggiare. «E tu pensi... Davvero credi che avrei fatto l'amore con te qui sull'erba?» domandò sgomenta. Visibilmente contrariato, Ransom si mise a sedere e si passò una mano tra i capelli. «Non ci ho riflettuto, Sara» ammise. «E' semplicemente successo. Come un fulmine a ciel sereno, imprevedibile e bellissimo.» E' pericoloso, aggiunse lei tra sé e sé. Il pulsare ritmico di un muscolo sul mento di Ransom tradì la frustrazione che lui doveva provare. «Accidenti a me» imprecò spazientito. «Devo ammettere che Dorfman aveva ragione. Sono stato per troppo tempo senza una donna.» Poi fece scivolare lo sguardo su di lei con aria critica. «Ma a giudicare da quello che è accaduto un minuto fa, scommetterei che nemmeno tu eri indifferente ai miei baci.» Sara si sentì stringere il cuore da una morsa e sperò che la sua angoscia non trapelasse. «Non dev'essere facile portarsi appresso una presunzione così gigantesca come la tua» lo accusò. Lo sguardo di Ransom si indurì. «Non si tratta di presunzione, Sara. E' la pura verità. E tu lo sai, dannazione! Il modo in cui mi guardavi era inequivocabile.» Sara non credeva alle proprie orecchie. «E pensare che meno di un'ora fa avrei giurato che tu fossi un gentiluomo» sibilò scuotendo furiosamente la testa. «Anche i gentiluomini hanno dei bisogni» ribatté lui. «Non ho una donna da molto tempo e non sono più capace di provare sentimenti come l'amore, ma questo non significa che non abbia le esigenze di qualsiasi essere umano. Perciò, Sara, se non hai abbastanza coraggio da dare seguito con i fatti ai tuoi sguardi provocanti, allora sta' lontana da me.» Lei lo fissò inorridita. Non gli aveva mai lanciato degli sguardi provocanti! «Io non...» protestò al colmo dell'indignazione. Lui inarcò un sopracciglio con fare sprezzante. «Puoi mentire con me, se proprio devi, ma non farlo con te stessa.» Le sue guance bruciarono per la mortificazione. Aveva fantasticato su di lui, ma non credeva di avergli trasmesso così chiaramente i propri desideri. «Stai dicendo che...?» Dovette fermarsi e schiarirsi la voce. «Stai dicendo che sono stata io a chiederti di baciarmi e che è stata colpa mia?» Ransom piegò le labbra in una smorfia sarcastica, poi si voltò a scrutare il mare e allungò le gambe davanti a sé. «Va' a casa, Sara» le ordinò in Renee Roszel Wilson
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tono gelido. «Va' a casa prima che faccia qualcosa di cui possa pentirmi.» «Che cosa vuoi fare? Mi vuoi picchiare?» Lui la guardò con intenzione. «Voglio fare l'amore con te.» Sara ansimò come se le mancasse l'aria. Una risata ironica le rimbombò nelle orecchie. «Niente paura. Non ti assalirò, Sara. Io non voglio una relazione e tu non vuoi sentirti usata. Perciò non c'è nessun motivo per iniziare qualcosa di cui entrambi ci pentiremmo.» Anche se la temperatura era piuttosto mite, Sara sentì improvvisamente molto freddo e cominciò a tremare. Si chiuse la giacca a vento sul petto e si allontanò da lui senza sapere dove andava. Sarebbe dovuta essere felice che Ransom avesse deciso di ignorarla. Era stata lei a metter fine a quel bacio. E allora perché provava quella sensazione di vuoto?
6 Sara alzò la testa di scatto. Incuriosita da uno strano rumore che proveniva dalla cucina, decise di andare a vedere di che cosa si trattava. Se non fosse stato impossibile, avrebbe giurato che qualcuno stava lavando i piatti. Era martedì mattina e dopo quel bacio sulla scogliera i rapporti tra lei e Ransom erano stati improntati a una fredda e cortese civiltà. In quel momento non era sicura di dove lui fosse, ma di certo non era in casa. Perciò in cucina doveva esserci qualcun altro. Arrivando sulla porta, vide Tag e Lynn in piedi vicino al lavello. Tag era intento a versare del detersivo in polvere nel lavandino che si stava riempiendo d'acqua, mentre Lynn armeggiava con un libro. «Che cosa succede qui?» chiese Sara. I due si girarono all'unisono con un'espressione mortalmente seria. Tag scrollò le spalle. «Siamo stufi di salmone e fagioli.» Lynn tornò a guardare il libro e poi si rivolse a Tag. «Pensi che abbiamo abbastanza farina per le frittelle?» «Ne abbiamo a tonnellate.» «Allora che ne dici di frittelle e pancetta?» «Per me va bene. Ma forse è meglio che prima laviamo i piatti e poi cerchiamo tutti gli ingredienti.» Renee Roszel Wilson
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Lynn prese una pila di piatti sporchi e li depose nel lavello. Apparentemente dimentichi della presenza di Sara, i due continuarono a lavare e asciugare. Paralizzata dallo stupore, lei rimase a osservarli per parecchi minuti. «Volete che vi aiuti?» si decise a chiedere alla fine. Lynn le lanciò un'occhiata fugace da sopra una spalla. «Già, sicuro. Quando mai mi hai aiutato, di recente?» borbottò. Sara increspò le labbra. Era vero. Aveva seguito le regole di Ransom, anche se contro la propria volontà. «Hai ragione.» Si voltò per nascondere un sorriso. «Godetevi le vostre frittelle.» «Non certo grazie a te» si lamentò Lynn. Ancora stupefatta per il miracolo a cui aveva assistito in cucina, Sara prese la giacca appesa nell'entrata e uscì. Stava passeggiando senza meta da qualche minuto, quando si rese conto che doveva dirlo a Ransom. Cercò di convincersi che non era perché voleva vederlo, ma solo perché trovava giusto che sapesse quello che stava accadendo in casa. Si diresse verso uno dei punti di osservazione dove lui andava più spesso, riflettendo sul fatto che la sua insolita psicologia aveva funzionato. Scrutò l'orizzonte e finalmente lo vide, disteso pancia a terra, mentre osservava con il binocolo gli scogli sotto di lui. Sara arrivò al suo fianco e si lasciò cadere in ginocchio quasi sul ciglio della scogliera. «Ransom...» «Zitta» sussurrò lui. Le afferrò un braccio per impedirle di muoversi, senza smettere di osservare un punto non meglio identificato tra le rocce. Lo sguardo di Sara fu attirato dalla mano di lui stretta attorno al suo polso. «Non vorrai rovinare l'atmosfera?» aggiunse Ransom con un tono di voce appena comprensibile. Lei aggrottò la fronte desiderando chiedergli a quale atmosfera si riferisse, ma rimase in silenzio. Mentre i minuti passavano, cercò di ignorare il calore di quelle dita calde, ma non ci riuscì e il suo respiro si fece irregolare. Vedendo che Ransom non accennava a lasciarla, dopo un lungo momento si liberò da quella stretta e respirò a fondo nel tentativo di calmarsi. Finalmente lui si rotolò su un fianco e la guardò con un'espressione seria ma non arrabbiata. «Che cosa c'è?» Lei scrutò le scogliere. «Quale atmosfera?» gli chiese morendo dalla voglia di soddisfare la propria curiosità. Renee Roszel Wilson
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Ransom inarcò un sopracciglio. «Non sei romantica, Sara? Dopo tutto, questa è la stagione degli accoppiamenti.» Quelle parole ebbero su di lei l'effetto di una doccia gelida. Provò un profondo imbarazzo e sentì che le si imporporavano le guance. Ma si rifiutò di lasciarsi confondere. «Ero venuta a dirti qualcosa, Ransom.» Lui tirò su una gamba e si circondò il ginocchio con un braccio muscoloso. «Dimmi pure.» La scrutò con quegli straordinari occhi dai riflessi argentei e Sara si lasciò catturare dall'intensità di quello sguardo dimenticando l'importante informazione che era venuta a dargli. Aprì la bocca un paio di volte ma non riuscì a trovare le parole. Ransom abbozzò un sorriso. «Questo è davvero interessante. Forse però è meglio che tu ti fermi e riprenda fiato.» Al colmo della confusione, lei si alzò in piedi per sottrarsi a quello strano incantesimo. «Sono sicura che penserai che sono pazza, ma...» «Papà» chiamò una voce distante. Sara si voltò e vide Tag che correva verso di loro. Percepì un movimento alle sue spalle e comprese che anche Ransom doveva essersi alzato. Quando il ragazzo li raggiunse, era trafelato. «C'è qualche problema?» gli domandò il padre. Tag fece un cenno di diniego. «No. Ma io e Lynn stiamo facendo delle frittelle e ci chiedevamo se ti andava di assaggiarle.» Sara rimase stupita da quella dimostrazione di generosità e osservò Ransom, curiosa di vedere quale sarebbe stata là sua reazione. In apparenza lui era calmo, ma in fondo ai suoi occhi riconobbe quella familiare animosità che compariva sempre quando si trattava di Tag. Lui annuì. «L'idea è allettante. Ne mangerei volentieri qualcuna.» «Va bene tra dieci minuti?» chiese Tag. Il padre annuì accennando a un sorriso che però non aveva quasi niente di spontaneo. «Perfetto.» Tag si voltò per andarsene, ma poi sembrò ripensarci e tornò a girarsi con un'espressione imbarazzata. «Papà?» lo chiamò non riuscendo a nascondere il nervosismo. «Sì?» «E per la cena?» Ransom fece un gesto noncurante. «Che cosa?» «Forse...» Il ragazzo si guardò i piedi e Sara provò un moto di simpatia Renee Roszel Wilson
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per lui. Qualsiasi cosa avesse fatto di sbagliato, stava cercando di farsi perdonare. Perciò pregò con tutto il cuore che quella conversazione segnasse la fine della silenziosa contesa tra padre e figlio. «Io e Lynn pensavamo che forse, se noi prepariamo il pranzo, tu potresti cucinare qualcosa per cena» proseguì Tag. Sara osservò Ransom che scrutava il figlio con espressione seria. «Quanto tempo fa ti ho chiesto di dipingere il portico?» gli chiese alla fine. Il ragazzo sembrò afflosciarsi. «Tre settimane fa.» «Già» convenne Ransom annuendo. «E quando pensi che mi potrebbe andare di preparare la cena?» «Tre settimane...» La risposta di Tag si esaurì in un sospiro rassegnato. «Credo proprio di sì» osservò Ransom. «Non vedo l'ora di assaggiare quelle frittelle. Grazie.» Tag annuì avvilito. «Non sono molto... molto rotonde.» «Ma sono sicuro che saranno buone» lo rassicurò il padre in tono più gentile. Tag fece per andarsene, poi di nuovo sembrò ripensarci. «E se dipingessi il portico dopo pranzo?» propose con una smorfia, come se quella richiesta gli costasse un'immensa fatica. «Solo se vuoi farlo» commentò Ransom mostrando un tiepido interesse. «Lo farò. Abbiamo lavato i piatti e Lynn farà il bucato.» Le sopracciglia di Ransom si inarcarono con aria lievemente sorpresa. «Ah sì? Perché?» Tag scosse la testa. «Tu e Sara non ci lasciate usare i vostri asciugamani puliti e poi abbiamo finito la biancheria intima. Perbacco, papà! Non siamo degli animali. Non vogliamo puzzare.» Un lampo di divertimento piegò le labbra di Ransom. «Faresti meglio a tornare a controllare quelle frittelle» gli suggerì facendo un gesto in direzione della casa. «Sara e io abbiamo fame. Non è vero?» domandò rivolgendosi a lei. Sara non si aspettava di essere inclusa nella conversazione, perciò passò qualche secondo prima che si rendesse conto che lui aspettava una risposta. «Ah, sì.» L'espressione di Tag era ancora abbattuta. «Ci vediamo dopo.» Il ragazzo cominciò a camminare, ma fu fermato dalla voce di suo padre. «Ascolta, Tag. Per qualche strana ragione mi è appena venuta voglia di preparare la cena. Preferisci del pollo arrosto o bistecche di halibut?» Renee Roszel Wilson
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Tag ruotò su se stesso con gli occhi verdi che brillavano per la sorpresa e la contentezza. «Pollo arrosto.» Ransom sorrise. «Va bene. Vada per il pollo.» Tag si allontanò, visibilmente soddisfatto. Sara lo osservò per qualche istante correre senza fretta, prima di tornare a rivolgersi al suo ospite. Quando lo fece, si accorse sorpresa che lui la stava guardando. «Era questo quello che volevi dirmi?» le chiese. Lei si limitò ad annuire. Un lampo di ironico divertimento attraversò lo sguardo dell'uomo. «Grazie per l'informazione.» Le passò di fianco e fece per allontanarsi. Sara percepì una punta di sufficienza nel suo tono e si accigliò. «E va bene. Tu avevi ragione e io avevo torto» ammise. «Spero che sarai felice.» «La felicità è sempre relativa.» Lei era esasperata dai suoi continui commenti enigmatici. «Che cos'è che ti rende felice?» «Stai scrivendo la mia biografia, Sara?» replicò lui in tono piatto. «Tu non ti fidi di nessuno, vero?» Lui si spostò per poterla guardare negli occhi, mentre i suoi lineamenti si indurivano. «Hai quasi indovinato.» Il suo tono era vagamente minaccioso. «Ma non hai ancora colpito nel segno.» «Ammetto di non sapere niente della tua vita, ma so che c'è qualcosa che non va tra te e Tag e mi piacerebbe aiutarti, se tu me lo permettessi» insistette lei. Di colpo la distanza tra loro sembrò farsi incolmabile. «Hai ragione, Sara. Non sai niente della mia vita. Stanne fuori» la avvertì. «Quelle frittelle ormai saranno pronte» le ricordò indicando la casa. «Sarà meglio che andiamo.» Otto ore più tardi Sara non riusciva ancora a capacitarsi per il cambiamento che era avvenuto nella cucina. Sembrava che tutti quei giorni passati nella sporcizia e mangiando sempre le stesse cose avessero suscitato nei ragazzi un insopprimibile desiderio per l'ordine e la pulizia. Le pareti interne del portico brillavano per la mano fresca di vernice e il pavimento di mattonelle blu della cucina era stato strofinato fino a farlo brillare. La confusione era sparita e la casa profumava di detersivo al pino. Era chiaro che Tag e Lynn avrebbero fatto qualsiasi cosa per mangiare del pollo arrosto. Se solo lo avesse saputo anni prima!, pensò con un Renee Roszel Wilson
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sospiro. Mentre la sorella trasportava in lavanderia un altro secchio di abiti sporchi, Sara sorrise di nascosto. «Come va?» le chiese. «Bene» borbottò Lynn in tono piuttosto sostenuto. «Pensavo di preparare un dolce di burro d'arachidi per dessert» disse Sara sapendo che la sorella amava moltissimo quella sua specialità. Il viso della ragazza si illuminò per l'eccitazione. «Dici davvero?» Sara sorrise. «Certo. Non ci vorrà molto.» «Oh!» esclamò Lynn. «Pollo arrosto e dolce di burro d'arachidi. Sono così felice che potrei baciare una moffetta.» Sara fece una smorfia schifata ma non riuscì a impedirsi di scoppiare a ridere. Era molto tempo che non si divertiva così tanto. Dopo un istante si rese conto che anche Lynn stava ridendo istericamente e comprese che finalmente erano riuscite a parlarsi senza rancore. Sara riconosceva di essersi comportata in modo troppo protettivo con la sorella minore. Lynn desiderava una maggiore libertà e solo ora lei si rendeva conto che non era più una ragazzina e aveva il diritto di esprimere la propria opinione sul suo futuro. Forse frequentare la scuola per infermiere non era il massimo delle sue aspirazioni, ma lei non le aveva mai chiesto che cosa le sarebbe piaciuto fare, rifletté con aria colpevole. Un rumore alle spalle attirò la sua attenzione e con le lacrime agli occhi per il gran ridere si girò a vedere di chi si trattava. La vista di Ransom fermo sulla porta le bloccò il respiro. Lui avanzò nella stanza e Sara notò che i suoi occhi magnetici sorridevano. «Che cosa mai sta succedendo qui?» chiese. «Ho detto che ero così felice che avrei baciato una moffetta e Sara lo ha trovato divertente» lo informò Lynn con una risatina. Lo sguardo di Ransom si spostò da Lynn a Sara con aria d'approvazione. «Non avrei mai sospettato che trovassi tanto divertenti le moffette» commentò. Il sorriso di lei si affievolì sotto il suo attento scrutinio. «Io...» Ma per quanto si sforzasse non trovò niente da dire. «Sara farà un dolce di burro d'arachidi» si intromise Lynn. «Devi fidarti se ti dico che, fino a quando non lo hai provato, non hai cominciato a vivere.» Ransom considerò Sara con un'espressione estremamente seria. «Bene» Renee Roszel Wilson
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mormorò tranquillamente. «A quanto pare la mia vita comincerà stasera.» La nebbia non accennò ad alzarsi da St. Catherine Island per tutta la giornata di mercoledì. Sara si recò sullo spiazzo che serviva da pista d'atterraggio e sperò fino all'ultimo che il vecchio aereo del servizio postale arrivasse ugualmente, ma ignorava che l'anziano pilota non consegnava mai la posta se pioveva, nevischiava o c'era nebbia. Non aveva messo in conto di dover passare un'altra settimana insieme a Ransom su quella minuscola isola. Come avrebbe fatto a sopravvivere altri sette giorni?, si chiese angosciata. La prima volta che aveva incontrato Ransom avrebbe voluto gettarlo in pasto ai pesci, ma da quando lui l'aveva baciata le cose erano cambiate. Non sapeva per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a sfuggire alla sottile trappola del suo fascino. La sera precedente, durante la cena, lui si era rivelato una compagnia piacevole e affascinante. Aveva trascorso una bella serata ridendo e chiacchierando amabilmente con lui e aveva scoperto di essere sempre più attratta da quell'uomo intelligente e complesso. Sarebbe riuscita a resistergli per altri lunghissimi sette giorni? Dalla nebbia spuntò la sagoma di una figura alta e atletica con due spalle possenti. Non c'era alcun dubbio che si trattasse di Ransom, pensò Sara osservandolo avvicinarsi con il suo caratteristico passo felino. Reprimendo un involontario brivido di eccitazione fece un passo indietro. «Ti sei arresa?» si informò lui. Lei spalancò gli occhi. Arresa a cosa?, ribatté mentalmente mentre si immaginava stretta tra le sue braccia. «Se ti riferisci all'aeroplano, suppongo che ormai non ci siano più speranze» affermò debolmente. «A che altro avrei dovuto riferirmi?» le chiese Ransom avvicinandosi ancora di più. I loro sguardi si incrociarono e Sara sentì un brivido percorrerle la spina dorsale. Lui era ancora più attraente di come lo ricordava, pensò notando gli umidi riccioli neri che gli ricadevano sulla fronte. «A... a niente. Proprio... proprio a niente» balbettò. Il suo viso era vicinissimo e lei ebbe la sensazione che lui stesse per baciarla. Con un sussulto indietreggiò di un passo e lo guardò con espressione implorante. Non dovevano farlo! Lei non doveva farlo! «No...» sussurrò. Ma il suo corpo sembrava attirato da quello di lui come da una calamita. Renee Roszel Wilson
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«No?» ripeté lui. «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere indossare questa giacca a vento. La tua non è abbastanza pesante per queste temperature.» Sara sbatté le palpebre sorpresa, rendendosi conto solo in quel momento che Ransom le stava appoggiando la giacca sulle spalle. Temendo il suo tocco, lei gliela strappò quasi dalle mani e la indossò. «Grazie» mormorò infilando le mani che tremavano dentro le tasche. La bocca dell'uomo si piegò in una smorfia ironica. «E io che pensavo che ieri sera avessimo fatto dei progressi.» Naturalmente lui aveva ragione. Sara si stava comportando come una scolaretta spaventata e non era da lei. «È vero» gli assicurò riguadagnando la calma. «Sono solo preoccupata per il mio lavoro. Temo di averlo perso» mentì. «Mi dispiace che i telefoni non funzionino, Sara. E mi dispiace che Dorf non abbia rimandato l'aereo a prenderti» le disse. «Mi dispiace molto più di quanto tu non creda.» Il suo tono malinconico era sincero. Per una volta non c'era nessuna ironia nella sua voce. Mentre la prendeva per un gomito e la conduceva via dalla pista d'atterraggio, lei gli diede un'occhiata furtiva e si accorse che lui la stava scrutando con un'espressione meditabonda.
7 «Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia?» le chiese Ransom mentre si dirigevano verso casa. Un tremito le corse lungo la schiena. Passeggiare insieme a lui era l'ultima cosa che Sara desiderava. Lei voleva andarsene. Doveva andarsene! Ma sapeva che ritornando su quell'argomento non avrebbe fatto che provocare i commenti sarcastici di Ransom. «Con questa nebbia potremmo andare dritti verso l'oceano e affogare» mormorò lasciando capire che quella proposta non era in cima alla lista dei suoi desideri. La sua risata era stranamente piena di calore. «Il tuo entusiasmo è contagioso, Sara.» Ransom cambiò direzione e la indusse a seguirlo. «Fidati di me. Non finiremo in mare.» «Pensavo che volessi che ti stessi lontana.» Un istante dopo si morse le labbra. Quelle parole le erano uscite di bocca senza che riuscisse a trattenerle e non avevano niente a che fare con la nebbia e la difficoltà di Renee Roszel Wilson
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vedere dove andavano. Sara trattenne il respiro e pregò che lui evitasse di fare commenti. Ransom fece una risata priva di allegria. «Vedo che ti ricordi» mormorò. «Le mie parole ritornano a perseguitarmi.» Con un gesto che la sorprese, le prese la mano e se la infilò sotto il gomito. «Tienti stretta a me. Il sentiero fino alla spiaggia è piuttosto accidentato.» Sara avrebbe voluto scappare, invece fece quello che lui le aveva chiesto. Anche il semplice contatto con il suo maglione provocava in lei delle sensazioni a cui non osava dare un nome. Camminarono in silenzio fino alla scogliera. Poi Ransom si fermò di colpo. «Prendi la mia mano e seguimi» le disse. Si diresse lungo il sentiero che scendeva fino alla spiaggia e Sara si aggrappò alle sue dita con la consapevolezza che senza il suo aiuto sarebbe sicuramente caduta. «Devo lasciarti per un minuto» la avvertì Ransom dopo qualche passo. «Afferrati a quello spuntone fino a quando non trovo un appoggio più sicuro.» Lei fece quello che lui le aveva chiesto e lo osservò scendere con cautela fino a una cornice di roccia circa un metro più sotto. Non appena si fu sistemato, allungò le braccia e la afferrò per la vita. «Lasciati andare, adesso. Non stiamo giocando al tiro alla fune» le disse vedendo che era ancora aggrappata saldamente allo spuntone di roccia. Sentendosi piuttosto stupida, Sara lasciò la presa. Rimase sospesa tra le sue braccia per un secondo appena prima che Ransom la depositasse sulla sporgenza accanto a lui, ma la sensazione del contatto di quelle dita forti e calde sui suoi fianchi durò ancora per un tempo che le sembrò interminabile. Sara trattenne il respiro e rabbrividì. Finalmente Ransom la lasciò. «Va tutto bene?» le chiese. Lei sussultò. «Io... Certo. Possiamo proseguire.» Lui la prese per mano con gentile autorità e questa volta Sara si trovò ad assaporare fino in fondo la sensazione che il tocco delle sue dita suscitava in lei. Ransom possedeva la capacità di turbarla profondamente senza ricorrere a nessun tentativo calcolato di seduzione. Il suo corpo reagiva con gioia a quella vicinanza e le sue labbra fremevano come se fossero appena state baciate. Avrebbe voluto sentire quelle dita accarezzarle la pelle, accenderle il sangue nelle vene, esplorare i più recessi segreti del suo Renee Roszel Wilson
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corpo che non aveva concesso a nessun altro uomo... «Che cosa?» Era talmente assorta nei suoi pensieri che quasi gridò quando sentì un tocco bruciante sulla guancia. «Ho detto che siamo arrivati sulla spiaggia e puoi lasciare la mia mano» ripeté Ransom con aria incuriosita. «A che cosa pensavi, Sara? Sei sicura di stare bene?» «Io... Certo che sto bene. Solo che nel Kansas non siamo abituati a camminare tra le rocce. Ero... ero concentrata su dove mettevo i piedi per cercare di non cadere» mentì sperando che la sua scusa sembrasse plausibile. «Capisco» disse lui in tono dubbioso. «Allora adesso puoi smettere di concentrarti.» La pressione delle dita le disse che era ancora aggrappata alla sua mano e così si affrettò ad allentare la stretta. «Allora, da quale parte vuoi che andiamo?» le chiese Ransom. Lei scrutò attraverso la cortina di nebbia che la circondava e scrollò le spalle con noncuranza. «Che differenza fa?» Non era dell'umore adatto per poter pensare a sciocchezze come la direzione da prendere. «Mi piace questo modo di comportarsi» commentò lui. «Ho la sensazione che una settimana fa avresti risposto in modo diverso.» Sara voltò il viso per fronteggiarlo. «È un insulto?» Lui scrollò le spalle con noncuranza. «In un certo senso.» La prese per mano e gentilmente la guidò lungo la spiaggia. «Soffriamo entrambi della stessa malattia, Sara» disse. Lei gli rivolse un'occhiata sospettosa. «E quale sarebbe?» «Entrambi siamo...» «Non osare affermare che soffro di mancanza d'amore» protestò liberando la mano dalla sua stretta. Ransom le rivolse un'occhiata canzonatoria. «Intendevo solo dire che siamo entrambi ostinati e vogliamo avere l'ultima parola. Non avevo nessuna intenzione di insinuare che soffri di mancanza d'amore. Come potrei sapere una cosa così personale?» Il suo candore le fece provare il desiderio di farsi piccola piccola e sparire. Certo che non poteva saperlo, a meno che non avesse dei poteri sovrumani. Si sottrasse a quello sguardo indagatore, terrorizzata che lui potesse indovinare la solitudine delle sue giornate. «Sara» la chiamò lui piano. Scambiando il suo tono comprensivo per una forma di pietà, lei gli Renee Roszel Wilson
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piantò in faccia un paio d'occhi accusatori. «Ancora un'altra cosa. Quando ho parlato di mancanza d'amore, mi riferivo a te.» La ragione le diceva che sarebbe stato meglio non affrontare quell'argomento, ma non poteva lasciargli pensare nemmeno per un istante che non fosse una donna completamente realizzata, anche se era la verità. «Sei stato tu stesso a dirlo. Tu hai bisogno di una donna. Io non sono più una bambina e so perfettamente che... che gli uomini si fanno dominare dai loro ormoni. So...» «Che cosa sai, Sara?» borbottò Ransom stizzito mentre le sue lunghe dita le afferravano il polso. Sara spalancò gli occhi. Fino a quando non aveva sentito il tocco di quelle mani, non si era resa conto che teneva gli occhi chiusi nello sforzo di trattenere le lacrime. «Dimmi che cosa sai» ripeté lui, roco. «Che soffro per mancanza d'amore? Che la mia frustrazione è talmente grande da indurmi a gettarti per terra e abusare di te qui sulla spiaggia? È questo che pensi?» Sara si irrigidì vedendo che faceva un passo verso di lei e non riuscì a trattenere un brivido di apprensione. I suoi occhi grigi emanavano un freddo bagliore e per la prima volta lei si rese conto di essere del tutto impotente davanti alla forza di quella gelida collera. «Io... io...» balbettò. «Mi stai facendo male, Ransom...» Non era del tutto vero. In realtà lui le stringeva il polso teneramente. «Tu non conosci il significato della sofferenza, tesoro» le sussurrò Ransom lasciando trapelare un pesante rancore dalla sua voce. Con un'imprecazione soffocata le piegò il braccio dietro la schiena e la fece inarcare contro di lui. Al contatto con il suo corpo Sara sperimentò una strana e dolce tortura. Il suo odore virile le penetrò attraverso le narici annebbiandole la mente. «Dannazione, Sara» sibilò lui a fatica, in tono controllato. «Sto facendo del mio meglio per ignorare quella seducente innocenza di cui sembri andare fiera.» «Che... che cosa vuoi dire?» balbettò Sara confusa. «Lo ammetto. Sei bella. Più bella di qualsiasi altra donna in cui mi sono imbattuto in questi ultimi cinque anni.» Fece una smorfia sprezzante. Lei non era in grado di formulare nessuna frase coerente, perciò si limitò a rimanere in silenzio. «Dorf aveva ragione. Ho bisogno del conforto del corpo di una donna» ammise roco. «Non ho una relazione dalla morte di mia moglie.» Si fermò Renee Roszel Wilson
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e Sara percepì la tensione che lo attanagliava e il battito accelerato del suo cuore. «Il problema è che io non voglio un'altra donna nella mia vita, a eccezione di chi è disposta a offrirmi un po' di calore a letto. Dal momento che tu hai accettato di venire a passeggiare da sola con me sulla spiaggia, ho pensato che avessi cambiato idea. Hai deciso di offrirmi quel tipo di calore che cerco e non chiedere nient'altro in cambio oltre alla soddisfazione sessuale?» Chinò impercettibilmente la testa e la sua bocca si socchiuse in un muto invito. «Puoi rispondermi di sì, Sara?» le domandò. Lei si inumidì le labbra aride e fissò come ipnotizzata quella bocca che si avvicinava sempre di più. Ascoltò il suo cuore che batteva come impazzito contro le costole e si rese conto che lui doveva essere consapevole del suo desiderio di essere baciata. Ma il timore ebbe il sopravvento. Se glielo avesse permesso, sarebbe stata perduta per sempre. «Allora?» la incalzò lui con un sorriso pigro e sensuale che le accese ancora di più i sensi. «Dimmi di sì» la blandì tormentandole le labbra con il suo alito caldo. Una voce che proveniva dai più intimi recessi del suo animo rispose con trasporto a quella richiesta e solo troppo tardi Sara comprese di aver formulato a voce alta quella risposta appassionata. «Io... io volevo dire no!» balbettò sgomenta. «Lo so quello che volevi dire» le assicurò lui in tono gelido. «E poiché sono così affamato d'amore, potrei accettare la tua offerta. È sorprendente quello che può rivelare la nebbia, Sara... tesoro mio.» Il sarcasmo contenuto in quell'appellativo affettuoso era così tagliente da farla sussultare. «Tienti sulla destra, lungo la spiaggia. La casa non è lontana» aggiunse Ransom in tono ingannevolmente distaccato. «Così non potrai accusarmi di non essere un gentiluomo.» Si staccò bruscamente da lei facendola vacillare. Quando Sara riacquistò l'equilibrio, era sparito tra la nebbia. Il giorno seguente pioveva, ma la nebbia era scomparsa. Non appena la pioggia cessò, Sara sgattaiolò fuori di casa per evitare di dover incontrare Ransom. Dopo la tensione che si era creata la sera precedente durante la cena, non aveva nessuna voglia di ripetere così presto l'esperienza. Passeggiava da qualche tempo lungo la spiaggia, quando udì una voce Renee Roszel Wilson
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che la chiamava. «Ehi, laggiù!» Sara alzò la testa e vide una figura femminile dai lunghi capelli neri che le faceva cenno con una mano. Sara si affrettò a risalire dalla spiaggia e si trovò a faccia a faccia con una sorridente giovane donna. Aveva il viso rotondo illuminato da grandi occhi neri e i capelli lisci le arrivavano fin quasi alla vita. Un bambino di circa due anni sedeva su un ciuffo d'erba accanto a una cesta vuota. Quando il piccolo vide Sara, afferrò la cesta e gliela porse ridendo. «Salve!» la salutò la donna tendendole la mano. «Io sono Lilly Merculieff. So che ci vedremo tra un paio di giorni all'Halibut Festival, ma non potevo aspettare.» Fece un gesto in direzione del villaggio. «Io abito in paese e poiché Rance è andato a pescare con mio marito Dan, ho pensato che forse avrebbe gradito un po' di compagnia. Le va di venire con me a raccogliere bacche?» Scrollò le spalle e sorrise. «È un compito che da queste parti tocca alle donne, mentre gli uomini vanno a pescare.» Sara sorrise, felice di avere qualcosa da fare che la aiutasse a non pensare a Ransom. «Mi piacerebbe aiutarla» disse. «Io sono Sara Eller. Ma chiamami pure Sara. Che cos'è l'Halibut Festival?» «Ransom non te lo ha detto?» Lilly abbracciò il figlio che aveva posato la cesta. «Si terrà questo fine settimana. È la celebrazione dell'inizio dell'estate. Parteciperanno tutti.» Le indicò la cesta. «Ti dispiace portare questa? Danny è diventato piuttosto pesante.» «Assolutamente no» rispose Sara sollevando il cesto da terra. Era eccitata all'idea di partecipare a una festa tipica dell'isola. Sperava solo che Ransom intendesse invitare anche lei e sua sorella. Ma da come stavano le cose, non ne era sicura. «Volevo conoscerti» disse Lilly mentre si dirigevano verso la scogliera. «Ho visto Lynn un paio di volte al villaggio. È una ragazza piuttosto scatenata, no?» Sara scoppiò a ridere. «A dire il vero, un po' troppo scatenata.» «Guarda!» esclamò Lilly facendo un cenno con il braccio. «Laggiù ci sono i nostri uomini. È quella barca rossa.» Li chiamò e fece un gesto di saluto con la mano. Entrambi gli uomini alzarono la testa e ricambiarono il saluto. Sara non sapeva che cosa fare, così si limitò ad alzare il braccio in una muta risposta. «E' bello vedere Dan e Rance di nuovo insieme» commentò Lilly. «Dan Renee Roszel Wilson
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era il migliore amico di Rance quando gli Shepard venivano a passare le vacanze sull'isola tutte le estati. Era molto tempo che non si faceva vedere da queste parti.» La donna sospirò pensierosa e Sara si sentì in dovere di dire qualcosa. «Credo che la morte della moglie sia stato un duro colpo per lui.» Lilly annuì solennemente. «Sì. Erano così felici. Non ho mai visto un uomo prendere sul serio la vita matrimoniale come faceva Rance. Lui adorava Jill.» Dunque sua moglie si chiamava Jill. Lilly si fermò come se si fosse resa conto di aver parlato a sproposito. «Scusami. Ma naturalmente tu sai dell'incidente.» Sara annuì e l'espressione di Lilly si illuminò. «A ogni modo, siamo tutti contenti che finalmente sia uscito dalla sua depressione per la morte di Jill. Poi adesso con te qui e tutto il resto...» Sara la guardò senza capire. «Voglio dire che, quando abbiamo saputo che eri venuta qui a passare un po' di tempo con lui, siamo stati contenti che avesse trovato qualcuno. Ecco tutto.» «Credo che ci sia un equivoco, Lilly» si sentì in dovere di spiegare Sara. «Io non sono venuta qui a trovare Ransom. Non sapevo nemmeno chi fosse, prima di arrivare sull'isola. Mia sorella è scappata di casa ed è venuta fino a qui in risposta a un annuncio di matrimonio per corrispondenza. E' stata un'idea di Tag. E dal momento che i telefoni non funzionano e l'aereo di Krukoff non ha effettuato il suo viaggio settimanale a causa della nebbia, siamo bloccate qui.» Lilly era sbalordita. «Stai scherzando!» I suoi occhi neri erano sgranati per la sorpresa. «Tag ha messo un annuncio per cercare una nuova madre?» Scrutò l'espressione di Sara e poi sorrise di nuovo, questa volta con simpatia. «Povero ragazzo. Non sono mai riuscita a capire perché Rance lo abbia mandato in collegio. Mi sarei aspettata che dopo la morte della moglie volesse il figlio vicino.» Considerò con uno sguardo tenero il figlioletto. «Io so che lo farei. Qualsiasi madre lo farebbe.» Sara annuì con aria grave. «C'è qualcosa che non va tra loro. Ma non riesco a capire di cosa si tratti.» «Già» convenne Lilly tristemente. «Quando Dan gli ha chiesto se voleva che Tag andasse a pesca con loro, Rance ha risposto con un secco no.» Mentre seguiva Lilly, Sara ripensò alle parole della donna. Lui adorava Renee Roszel Wilson
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Jill. Non c'era da meravigliarsi se non voleva nessun'altra donna nella sua vita. Aveva sofferto troppo per rischiare di essere ferito ancora. Persa nei suoi pensieri, sospirò tristemente. «Ti piace Ransom, vero?» le chiese gentilmente Lilly udendo il suo sospiro. Stupita per quell'affermazione che aveva colto nel segno, Sara arrossì. «Quasi non lo conosco» ribatté troppo precipitosamente. Lilly sorrise. «Ti auguro buona fortuna» le disse gentilmente. «Rance è un uomo troppo in gamba per sprecare la sua vita nel rimpianto.» Imbarazzata, Sara decise che era meglio cambiare argomento. «Dove si trovano queste bacche?» si affrettò a chiedere. «Tra il muschio» rispose Lilly indicandole un punto lontano lungo la scogliera. «Bisogna camminare ancora parecchio.» «Avete delle bacche che crescono sul muschio?» Sara era sbalordita. «Già. Sono piccole e nere, ma sono saporitissime. Servono per fare delle buonissime marmellate.» Sara scosse la testa incredula. «Aspetta che lo dica alla gente del Kansas!» Lilly scoppiò a ridere divertita. «Se vuoi, ti darò la mia ricetta preferita per fare la marmellata.» La guardò con intenzione. «A Rance piace moltissimo la marmellata di bacche.» Sara sorrise confusa. «Grazie. Mi piace cucinare.» Dubitava che il dolore di Ransom per la morte di sua moglie potesse essere lenito da un barattolo di marmellata semplicemente perché era stata preparata da una donna che si era infatuata di lui, ma decise di tenere quel pensiero per sé.
8 Il mattino successivo Sara decise di uscire per un'escursione senza una meta particolare. Dopo qualche minuto si trovò a costeggiare una tranquilla laguna situata tra la casa degli Shepard e il villaggio. Ransom era uscito molto presto e lei non aveva idea di dove fosse andato. Era certa che stesse cercando di evitarla, così come lei faceva con lui. Una brezza pungente portava l'odore del mare verso l'interno. Sara guardò davanti a sé e vide una volpe artica comparire su una collinetta a un centinaio di metri di distanza. L'animale sembrò fiutare qualcosa nell'aria e in quel momento al suo fianco si materializzò un'altra volpe. Renee Roszel Wilson
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Da quando era sull'isola, a Sara era capitato altre volte di vedere quegli animali non molto grandi e dall'aspetto piuttosto innocuo. Ma erano pur sempre creature selvatiche e non si poteva sapere come reagivano quando erano affamate. Mentre rifletteva, incerta sul da farsi, comparve un'altra volpe e subito dopo un'altra ancora. Sara non sapeva molto sulle loro abitudini, tranne che erano sempre in cerca di cibo. Sperava solo che gli esseri umani non fossero compresi tra le loro prede. Gli animali si avvicinarono pericolosamente, Sara lanciò un'occhiata al pendio alle sue spalle. Era troppo ripido perché potesse correre più veloce delle volpi e sperare di sfuggire ai loro denti aguzzi. Le volpi adesso erano vicinissime, perciò, non sapendo che cosa fare, cominciò a indietreggiare con cautela. Ma per sua sfortuna posò un piede su una pietra umida e scivolò cadendo all'indietro e battendo l'anca contro uno spuntone di roccia. Soffocando un gemito di dolore, aspettò disperata che accadesse l'inevitabile. In un lampo due delle volpi più grandi le furono addosso e con un grido Sara si portò le mani alla faccia per proteggersi. Sentì che uno degli animali azzannava la sua giacca a vento e gridò di nuovo, cercando di rialzarsi prima che i loro denti lacerassero il nylon e trovassero la sua carne. Un attimo dopo fu sollevata in piedi da qualcuno che l'aveva afferrata saldamente per un gomito. Quando si rese conto che si trattava di Ransom, si aggrappò a lui con la forza della disperazione. «Corri, Ransom! Stanno per mangiarmi viva» lo incitò in preda a un panico indescrivibile. Lui le passò un braccio attorno alla vita, ma le volpi continuavano a morderle il giaccone e così lei gli allacciò le gambe attorno ai fianchi per sfuggire ai loro attacchi. «Corri!» lo implorò. «Attaccheranno anche te.» «Non posso correre in questa posizione» rispose lui tranquillamente. «Ma puoi provarci» lo supplicò. «Le nostre vite dipendono da questo!» «Resisti un momento.» Il suo tono era tra il preoccupato e il divertito. «Devo lasciarti andare con una mano.» Lei gli nascose il viso nell'incavo della gola e si aggrappò a lui come se ne andasse della propria vita. Notò vagamente che Ransom faceva scivolare la mano nella tasca della sua giacca a vento e tirava fuori qualcosa. Dopo un minuto le volpi smisero di azzannarle i vestiti e i loro latrati cessarono. Renee Roszel Wilson
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«Sara» mormorò lui mentre il suo braccio tornava a circondarle la vita. «Credo che adesso vivrai.» «Hai sparato loro con un silenziatore?» gli chiese lei perplessa. Come aveva fatto a liberarsi di loro senza nessuna apparente violenza? «Perché dovrei ucciderle? Sono adorabili.» «Adorabili?» Al ricordo dei loro denti aguzzi a un centimetro dalla sua faccia si aggrappò ancora più forte a lui. «Suppongo che per te sia normale essere inseguito da un branco di belve affamate.» Ransom ridacchiò divertito. «Sara» disse, «per favore, togli quelle gambe dai miei fianchi.» «Sei sicuro che non ci sia più pericolo?» chiese lei con fare circospetto. Lui si schiarì la gola. «Per quello che riguarda le volpi, sì.» La sua voce era insolitamente rauca. Sempre tenendosi aggrappata con le braccia, Sara posò lentamente le gambe a terra e sbirciò attorno a sé. C'erano sette volpi ai loro piedi e tutte stavano mangiando qualcosa che non riuscì a distinguere. Paralizzata dalla paura, non poté fare altro che fissarle. Lui sogghignò. «Che cosa c'è di così divertente?» ribatté Sara indignata. «Io stavo per essere uccisa da questi animali selvaggi e tu lo trovi divertente?» Ransom si portò una mano davanti alla bocca e il sorriso scomparve, anche se lei avrebbe giurato che faceva fatica a mantenersi serio. «Mi odi così tanto da essere contento se vengo sbranata viva?» Lui chinò la testa nella sua direzione. «La giacca a vento che indossi non è quella che ti avevo prestato io.» Sara lo fissò irritata. «No. Si era sporcata di fango e l'ho messa in lavatrice. Questa l'ho presa nell'atrio. Perché?» «Perché è una delle mie giacche a vento e le volpi la riconoscono.» «E così stavano cercando di uccidere te? Non posso dire di essere sorpresa.» Adesso l'espressione di Ransom era apertamente divertita. «Vedo che hai del risentimento nei miei confronti» commentò ironico. «Tengo un sacchetto di carne essiccata nella tasca di quella giacca per nutrire le volpi quando mi capita di incontrarle. Quei poveri animali stavano semplicemente cercando il loro cibo, non la tua gola.» Cibo? Con fare dubbioso Sara guardò nella tasca e trovò un sacchetto pieno di pezzetti di carne essiccata, a conferma che quello che lui le aveva Renee Roszel Wilson
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detto era vero. Lui si schiarì la gola. «A quanto pare, le rosse bisbetiche sono una preda più appetibile degli uomini con i capelli neri. A me non è mai capitato di essere assalito in quel modo.» Lei corrugò la fronte, perplessa. Nessuna delle volpi l'aveva assalita. Poi comprese il senso di quelle parole e le sue guance si imporporarono per la mortificazione. Era stata lei ad assalire letteralmente Ransom! «Sei incorreggibile» lo accusò voltandosi per andarsene. In quel momento notò che una delle volpi stava trascinandosi dietro un sacco di tela. «Che cos'è?» domandò incuriosita. «Pane» rispose Ransom. Sara si voltò a guardarlo di malavoglia. «Pane?» Lui fece un gesto noncurante. «Questa mattina al villaggio si teneva la vendita mensile del pane. Quella era la mia scorta per questo mese.» Lei guardò quel sacco che veniva trascinato via e provò una fitta di rimorso. «Lo hai lasciato per salvare me?» Ransom annuì. «Non c'è problema. Il mese prossimo ci sarà un'altra vendita. Naturalmente allora io non sarò qui.» Sara notò il suo tono malinconico e si scoprì a sorridere. Così quell'uomo aveva una debolezza. «Bene, bene. Al magnate del salmone piace il pane fresco» lo stuzzicò, felice di avere per una volta il coltello dalla parte del manico. Il sorriso fanciullesco che piegò le labbra di Ransom era incredibilmente affascinante. «Sì. Mi piace il pane fatto in casa, appena sfornato.» Sara lo scrutò pensierosa. «Farò io il pane. E Lilly mi ha dato la ricetta per la marmellata di bacche.» Ransom la guardò incuriosito. «Davvero?» chiese. «Suppongo che tutto questo abbia un prezzo.» «Sì.» Gli si avvicinò e si fermò davanti a lui sostenendo il suo sguardo con un'espressione decisa. «Io cuocerò il pane e farò la marmellata, ma tu devi smetterla di prenderti gioco di me.» «Io?» La sua faccia sorridente era l'immagine dell'innocenza. «Questo è proprio quello che intendevo!» «Non lo so, Sara. Mi chiedi troppo. Ci sono così poche distrazioni sull'isola.» Sara gli appoggiò le mani al torace per dare maggiore risalto alle proprie parole. «E devi smetterla di parlare come se avessimo una relazione.» Renee Roszel Wilson
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L'aveva detto senza riflettere, ma subito dopo si sarebbe volentieri rimangiata quelle parole. Comunque ormai il guaio era fatto e così aspettò con trepidazione la sua reazione costringendosi a non abbassare gli occhi. Lui non disse niente per un lungo momento e la sua espressione continuò a essere indecifrabile. Il nervosismo di Sara aveva ormai raggiunto il punto di rottura, ma si rifiutava di essere lei la prima a cedere e a distogliere lo sguardo. Improvvisamente Ransom la attirò tra le braccia e reclamò le sue labbra mentre la attirava a sé. Il suo bacio fu violento e gentile nello stesso tempo e le procurò una miriade di deliziose sensazioni. Colta di sorpresa dalla reazione del suo corpo, Sara rispose con trasporto. Proprio mentre si arrendeva e gli circondava il collo con le braccia aprendo le labbra in un muto invito, Ransom la allontanò da sé, lasciandola confusa e tremante per il desiderio insoddisfatto. «Per la cronaca, Sara» borbottò con la voce impastata di desiderio, «io non mi lascio comprare facilmente.» Lei vacillò confusa, e quando finalmente riuscì di nuovo a formulare dei pensieri coerenti, lui si era già allontanato con il suo passo veloce e dinoccolato. Con la mente ancora intorpidita, Sara lo guardò sparire dietro la collinetta. Ormai era chiaro che Ransom stava combattendo una dura lotta tra il desiderio che provava per lei e il senso di lealtà nei confronti della memoria della moglie. Sfortunatamente per lei, su quel campo di battaglia era il suo cuore a venire calpestato. «L'Halibut Festival?» gridò Tag. «Oggi?» Corse da suo padre che stava riempiendo di riso una casseruola già foderata con la crosta per il pasticcio. «Non stai scherzando, vero?» L'esclamazione di Tag attirò l'attenzione di Sara che stava passando nel soggiorno. Incuriosita, tornò verso la porta della cucina. «Pensavo di avertelo accennato» stava dicendo Ransom. «Diamine, no.» Tag era al settimo cielo. «Ehi, Lynn. Hai sentito?» «Ho sentito» rispose la ragazza riponendo le stoviglie della colazione in un pensile sopra il lavello. «Santo cielo! Credo che ti abbiano sentito anche in Africa. Smettila di gridare.» Tag ridacchiò. «Ma si tratta di una grande festa. Ci saranno un sacco di cibo, tanti giochi e musica.» Sara si appoggiò contro lo stipite della porta, mentre Tag porgeva a Renee Roszel Wilson
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Lynn un piatto appena asciugato. «E papà sta facendo il pasticcio di pesce» aggiunse. Lynn si avvicinò al tavolo per osservare che cosa stesse facendo Ransom. «Dall'odore si direbbe proprio così» brontolò. «So che adesso puzza» ammise Tag. «Ma quando è cotto è buonissimo.» «Grazie per la fiducia, Taggart» disse Ransom mentre iniziava a disporre dei pezzi di halibut sopra il riso già cotto. «Ma sono anni che non preparo questa ricetta di mia madre e, per quanto ne so, potrebbe avere il sapore di un paio di calzini da ginnastica sporchi.» I due ragazzi scoppiarono a ridere e Ransom si unì a loro mostrando di divertirsi un mondo. Sara avvertì una fitta di dolore. Lui non le aveva più sorriso dal giorno prima, quando l'aveva salvata dalle volpi. Supponendo che non avesse nessuna intenzione di invitarla al festival, infilò le mani in tasca e si diresse nella lavanderia dove aveva portato i suoi indumenti sporchi. Stava dividendo i panni bianchi da quelli colorati, quando percepì una presenza alle spalle. Voltandosi, scoprì che si trattava di Ransom. Non era accigliato, ma non sembrava neanche il più felice degli uomini. «Salve» mormorò. Lei annuì con aria sostenuta, ma il fremito delle sue dita la tradì e lei si lasciò sfuggire dalle mani una canotta di seta. Sia lei che Ransom guardarono l'indumento fluttuare e cadere a terra. Mortificata, Sara si chinò a raccoglierlo, ma lui fece altrettanto e le loro mani si toccarono. Mentre recuperava l'equilibrio, lei notò con disappunto che la canotta pendeva dalle lunghe dita abbronzate di Ransom. L'espressione dell'uomo era chiusa e indecifrabile. Con imbarazzata rapidità, Sara recuperò l'indumento e lo infilò nella lavatrice. «Sara» mormorò lui. «Che cosa?» replicò lei usando un tono più aspro di quello che avrebbe voluto. «Per questo pomeriggio.» Lei si affaccendò a riempire un misurino di detersivo. «Se ti riferisci al festival, ho sentito. Va' e divertiti. Non preoccuparti per me.» Seguì un lungo silenzio. Sara infilò quasi tutti i suoi indumenti nella lavatrice senza preoccuparsi dei colori e dell'eventuale risultato. Voleva solo che Ransom se ne andasse: almeno sarebbe stata in grado di pensare Renee Roszel Wilson
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con chiarezza. «Io farò un pasticcio di pesce» le comunicò lui tranquillamente. «Spero che vi divertirete entrambi» mormorò lei senza alzare la testa. Ransom non disse nulla, ma non accennò ad andarsene. Alla fine, incapace di sopportare la tensione che la sua presenza le procurava, Sara si voltò ad affrontarlo. «Che cosa stai cercando di fare?» gli domandò. «Vuoi farmi impazzire? Se devi dirmi qualcosa, fallo! Altrimenti vattene.» Il lieve sorriso che comparve sul viso di Ransom era venato di tristezza. «Volevo sapere se avresti cotto un po' di pane per il festival. Ogni abitante dell'isola porta qualcosa. Non dovrai trascorrere nemmeno un minuto con me» aggiunse solennemente. «Sono sicuro che i giovani isolani saranno felicissimi di tenerti compagnia.» Per un istante Sara credette di scorgere uno strano struggimento nella sua espressione. Ma forse lo aveva solo immaginato. «Sara?» la chiamò lui dolcemente. «Sì. Certo che farò il pane» affermò vivacemente. «Quando dovrebbe essere pronto?» «Il festival inizia all'una. La spiaggia non è lontana. Andremo a piedi.» Senza aggiungere altro, uscì dalla stanza. All'una in punto Sara sfornò il pane fragrante. Poi, dopo avere riposto in una cesta il suo contributo al festival, raggiunse gli altri sotto il portico. Lynn e Tag corsero avanti, impazienti di arrivare al più presto alla festa. Il cielo si era coperto e stava salendo la nebbia: un tempo che si accordava perfettamente con l'umore di Sara. Oppressi da un pesante silenzio, lei e Ransom si diressero verso la spiaggia. Dopo dieci minuti scorsero dei falò sulla rena. «Siamo quasi arrivati» disse Ransom. «Che cosa bruciano, considerando che non ci sono alberi sull'isola?» «Sterpaglie e cassette da imballaggio. Qualsiasi pezzo di legno che si trova in giro.» Si interruppe per qualche istante. «Si dice che su St. Catherine Island si trovi una bella donna dietro ciascun albero» le spiegò poi. «E così ogni uomo del villaggio cercherà di tagliare l'ultimo albero e bruciarlo per trovarne una. È una tradizione locale.» «E tu perché non hai partecipato?» «Perché io non sto cercando una bella donna.» Sara rimase inspiegabilmente delusa da quella risposta. Forse, Renee Roszel Wilson
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inconsciamente, si era aspettata che lui le dicesse che non aveva bisogno di partecipare perché era già in compagna di una bellissima donna. Doveva essere impazzita, decise. Quell'uomo non era interessato a lei. Probabilmente pensava che potesse essere una piacevole compagna a letto, ma niente di più. Ransom sembrò percepire la sua delusione. «Che cosa avresti voluto che dicessi?» le chiese. «Lo sai di essere bella. Non hai bisogno di sentirtelo ripetere da un uomo.» Sara strinse convulsamente le dita attorno al manico del cesto e continuò a fissare la scena che si svolgeva davanti ai loro occhi. Davvero Ransom pensava che lei fosse bella? Avrebbe voluto saltare e gridare per la contentezza, ma non poteva farlo. «Se ricordi, non sono stata io a sollevare l'argomento» si limitò a commentare. Il pomeriggio passò velocemente tra tornei di pallavolo, corse nei sacchi e assaggi di tutte le specialità dell'isola preparate appositamente per la festa. Alle nove Sara era talmente sazia che quasi non riusciva più a muoversi, ma doveva ammettere che era molto tempo che non si divertiva così. Si lasciò cadere su una sedia pieghevole accanto a Lilly e ai suoi amici e osservò i ragazzi che si dimenavano al suono di una scatenata musica da discoteca. «Non sembrano tante scimmie?» osservò Lilly cercando di tenere a freno il bambino che si agitava in braccio a lei. Sara scosse la testa. «Non si può certo dire che sia un ballo seducente. Si contorcono come se avessero il mal di pancia.» Quell'idea le fece scoppiare a ridere. «Che cosa c'è di così divertente?» Sara alzò la testa, e quando vide Ransom in piedi vicino alla sedia tornò immediatamente seria. «Niente. Stavamo osservando i ragazzi che si muovono come se fossimo ancora nella preistoria.» In quel momento l'orchestra cambiò ritmo e attaccò a suonare una canzone tradizionale. «Meno male!» esclamò Lilly sollevata. «Finalmente anche noi anziani possiamo divertirci.» Si alzò sollevando il bambino tra le braccia e fece un sorriso radioso in direzione di Ransom. «È bello rivederti da queste parti, Rance.» Poi rivolse un'occhiata ammiccante a Sara. «Divertiti» le augurò allontanandosi. Renee Roszel Wilson
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Ransom sorrise alla donna e occupò il posto che aveva lasciato libero. «Ti diverti?» le chiese. Sara annuì. «La gente dell'isola è molto simpatica.» «Anche loro sembrano trovarti simpatica.» Lei concentrò la propria attenzione sul gruppo di persone che si era avvicinato all'orchestra e aveva intonato una canzone muovendosi al ritmo trascinante dei tamburi. Per quanto si sforzasse, Sara non riuscì a capire di che lingua si trattava. «È una vecchia canzone in lingua aleutina, di buon auspicio per la pesca» le spiegò a bassa voce Ransom. Sconcertata da quella vicinanza, lei si allontanò di qualche centimetro. «È molto bella» disse. «Anche tu parli l'aleutino?» gli chiese poi con genuino interesse. «Certo.» Lui si schiarì la gola e disse qualcosa in una lingua che lei non comprese, poi le rivolse un sorriso che fece battere il suo cuore all'impazzata. «Che cosa hai detto?» Ma non era sicura di volerlo sapere. «Ho detto che le azioni telefoniche saliranno di un punto.» «Non è vero» lo contraddisse lei, dubbiosa. «E va bene. Il mio aleutino è un po' arrugginito. Forse ti ho chiesto se vuoi ballare.» «Non è molto lusinghiero per una ragazza sentirsi dire da qualcuno che non è sicuro se l'ha invitata a ballare, oppure le ha comunicato le quotazioni del mercato borsistico.» «Non credevo che volessi essere adulata da me» mormorò lui. «Io...» La voce la tradì. Gli occhi grigi di Ransom brillavano così intensamente che Sara perse la capacità di protestare. Ransom la prese per mano e la condusse al centro della porzione di spiaggia utilizzata come pista da ballo. In quel momento la canzone in lingua aleutina terminò e l'orchestra attaccò un lento. Lui la strinse a sé mettendole un braccio attorno alla vita e immediatamente Sara sentì che il suo cuore accelerava i battiti. «A dire il vero, il senso delle mie parole in aleutino era che la nebbia si sta alzando e stasera ci saranno le stelle» le mormorò in un orecchio mentre i loro corpi si stringevano maggiormente l'uno all'altro. Stupita, lei alzò gli occhi e si rese conto che aveva ragione. Prima della fine della festa sarebbe caduta l'oscurità e la notte sarebbe stata illuminata Renee Roszel Wilson
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da miriadi di stelle. Stretta nell'abbraccio di Ransom, Sara represse un brivido. Non era il freddo a farla tremare ma la consapevolezza che le sarebbe stato impossibile resistere al fascino di quell'uomo sotto un manto di stelle.
9 Quella serata si trasformò per Sara nel peggiore degli incubi e nello stesso tempo nel più magico dei sogni. Danzava con gli occhi chiusi assaporando il piacere di essere tra le braccia di Ransom. Poteva sentire quel corpo agile e muscoloso muoversi contro il suo, mentre il profumo muschiato della sua pelle le penetrava attraverso le narici annebbiandole la mente. Persa in quelle sensazioni, Sara decise di abbandonare per una volta il suo atteggiamento guardingo e diffidente e di fidarsi di lui lasciandosi sedurre dal suo fascino. Appoggiò la guancia contro la morbida flanella della sua camicia con un sospiro soddisfatto. Una vocina dentro di lei le sussurrava che stava commettendo una pazzia, ma si rifiutò di ascoltarla, mentre il calore di quelle dita agili che erano scese ad accarezzarle i fianchi spazzava via ogni sua residua resistenza. «Sara» mormorò Ransom vicino al suo orecchio. «Sì?» rispose lei con un flebile sospiro rifiutandosi di aprire gli occhi e rompere l'incantesimo. «Sei bellissima.» Un bruciante desiderio le serpeggiò nel corpo. Allarmata dalla violenza di quella reazione, Sara spalancò gli occhi per scrutare l'espressione di lui. «Che... che cosa hai detto?» balbettò. Ransom la stava considerando con una tenerezza che non gli aveva mai visto. Con l'ultimo barlume di lucidità rimastale, lei si rese conto che non erano più sulla pista da ballo ma si trovavano dietro il palco dell'orchestra, protetti dall'oscurità. La folla sembrava lontanissima e anche la musica era solo un piacevole sottofondo. Sentì un delizioso formicolio sulla pelle e comprese che stava per essere baciata. Trattenne il respiro e lo fissò con gli occhi sgranati come quelli di una bambina, temendo che Ransom fosse solo un'allucinazione e svanisse nella notte. Lui non parlò, ma continuò a tenere lo sguardo incatenato ai suoi occhi Renee Roszel Wilson
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che avevano la lucentezza dell'argento e da cui trapelava un desiderio intenso e primordiale che toglieva il respiro. Sara non riuscì più a resistere e, spinta da un impulso irrazionale, gli gettò le braccia al collo e alzò le labbra in una muta implorazione. Per un attimo i lineamenti di Ransom sembrarono stravolti da un'emozione sconosciuta. Poi lanciando un'imprecazione subito soffocata lui la attirò a sé con un gesto quasi brutale e le schiacciò le labbra con le proprie. La dolce violenza di quel bacio la fece trasalire, ma non indietreggiò accettando la sua rabbia e il suo desiderio. Dopo un momento le labbra dell'uomo divennero gentili e invitanti e Sara rispose a quella richiesta con tutta la passione di cui era capace. Ma presto, troppo presto, Ransom si staccò da lei con un gemito. Sara sbatté le palpebre, confusa. Non voleva che lui smettesse. «No...» si lamentò alzando impulsivamente la bocca a incontrare quella di lui. Ransom le mise le mani sulle spalle e la allontanò gentilmente. «Non possiamo, Sara.» Lei provò un profondo senso di frustrazione e alzò la testa per incontrare il suo sguardo. In quegli occhi grigi, appannati da un violento desiderio, colse un'espressione tormentata che le impedì di dar voce al bisogno di essere stretta ancora tra quelle braccia forti e rassicuranti. All'improvviso comprese la ragione di quell'espressione colpevole e gli accarezzò teneramente una guancia provando un moto di compassione. «Non devi sentirti come se avessi tradito tua moglie, Ransom. Comprendo i tuoi sentimenti, ma è normale che...» «So che stai cercando di aiutarmi» la interruppe lui con voce strozzata. «Ma non si tratta di questo.» Increspò le labbra. «Se solo fosse tutto chiaro.» Sara indietreggiò di un passo. «Mi dispiace...» cominciò, pensando perplessa alla sua enigmatica affermazione. Solo un attimo prima era stretta tra le sue braccia e ora Ransom la stava guardando come una nemica. «Ti prego» lo implorò. «Dimmi che cosa ho fatto di sbagliato.» «Niente» replicò lui, roco. «Sono stato io a sbagliare fin dall'inizio.» Le voltò le spalle. «Perdona la mia debolezza» borbottò. «Non accadrà più.» Ancora una volta Sara rimase a guardarlo mentre si allontanava da lei, provando una frustrante sensazione di impotenza. Il freddo della sera le penetrò nelle ossa facendola tremare. Doveva affrontare la desolante realtà, Renee Roszel Wilson
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si disse mentre la musica cessava di suonare. Ora che aveva sperimentato i baci di Ransom, sapeva che non sarebbe più riuscita a dimenticarli. Si lasciò cadere sulla sabbia e si strinse le braccia attorno al corpo, mentre le ultime parole di Ransom continuavano a martellarle nella testa. Non accadrà più. Non accadrà più... Erano le sei del pomeriggio e Sara stava preparando il pollo al curry per cena. Per tutto il giorno lei e Ransom si erano trincerati dietro un comportamento cortese a beneficio dei ragazzi. Ma adesso che Tag e Lynn erano usciti per andare al villaggio a trovare alcuni loro amici, l'atmosfera si era fatta quasi irrespirabile. Ransom era seduto sul divano del soggiorno con i piedi appoggiati su un basso tavolino e una rivista in mano. Ma a giudicare dalla velocità con cui sfogliava le pagine, non doveva prestare molta attenzione a quello che leggeva. «Ti piace il curry?» gli chiese lei a voce alta in tono piuttosto sostenuto. «No» replicò lui asciutto. Allora gli avrebbe dimostrato che non gliene importava niente dei suoi gusti, si disse Sara provando una certa soddisfazione nell'aggiungere ancora un po' di spezie al pollo. «Presumo che mangeremo curry, per cena» osservò Ransom seccamente continuando a sfogliare le pagine. «Proprio così.» Sara sentì che lui lasciava cadere il giornale sul tavolo e si dirigeva verso la cucina e, decisa a ignorarlo, cominciò a tagliare una cipolla. Il ricordo della sera precedente le bruciava ancora. «Ti ho detto che mi dispiace, Sara. Che altro posso fare?» dichiarò Ransom in tono palesemente irritato. Lei continuò a tritare la cipolla stringendo le labbra per impedirsi di mandarlo al diavolo. «Non mi rispondi nemmeno?» Sara sbatté il coltello sul tagliere e gli lanciò un'occhiata velenosa. «Non tentarmi, signor Shepard. Mi costringeresti a dire qualcosa di cui potrei pentirmi.» «Ho sbagliato a baciarti, Sara» affermò lui in tono di rammarico. «Ma dannazione! Tu sei una donna molto sensuale.» Lei tornò a occuparsi della cipolla fingendo disinteresse. Ma tutti i suoi Renee Roszel Wilson
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cinque sensi erano in attesa delle sue parole. «Le tue labbra hanno un sapore meraviglioso e sono furioso con me stesso per non aver saputo resistere» continuò lui. «Non ho in mente di...» Si interruppe e imprecò. «Ti chiedo perdono, Sara. Altro non posso dirti.» Solo quando sentì il rumore dei suoi passi che si allontanavano rapidamente, Sara si accorse di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo. Almeno Ransom aveva avuto il buongusto di non rammentarle che era stata lei a gettarsi tra le sue braccia, la sera precedente. A quel ricordo provò una fitta di umiliazione e si aggrappò disperatamente al bordo del lavello, odiandosi per la propria stupidità. Due ore più tardi sedevano tutti e quattro attorno al tavolo della cucina e mangiavano in silenzio. Sara notò che Tag lanciava continuamente delle occhiate nervose a suo padre, come se fosse indeciso se parlargli o no di qualcosa. «Tag, tu e Lynn siete stranamente silenziosi questa sera» disse, cercando di alleggerire l'atmosfera. «C'è qualcosa che non va?» Notando l'imbarazzo del ragazzo e l'occhiata comprensiva che gli lanciò Lynn, sperò di non aver detto qualcosa di sbagliato. «Ascolta, papà» cominciò Tag timidamente. «Questo pomeriggio parlavo con i ragazzi del villaggio... Pensavo che forse potrei andare a scuola ad Anchorage, il prossimo anno, invece di tornare a Seattle. E quest'estate, quando tu tornerai al lavoro, potrei vivere con te e...» «Non credo proprio, Tag» lo interruppe l'uomo mentre la sua espressione si incupiva. «L'accademia di Seattle è un istituto eccellente e io voglio che tu continui a frequentarla.» Tag arrossì. «Ma io odio quella scuola. Voglio tornare a casa e vivere con te.» Un lampo di collera illuminò lo sguardo di Ransom che si alzò bruscamente da tavola. «Non intendo discutere più di questo argomento, Taggart. La questione è chiusa.» La sua improvvisa partenza fu seguita da un silenzio carico di tensione. Sara provava dispiacere per il ragazzo, ma non trovò niente da dire. Tag stava facendo uno sforzo enorme per non scoppiare in lacrime. «Perché...?» cominciò con voce rotta, poi si fermò per schiarirsi la gola. «Perché non riesce a volermi bene?» Sembrava così infelice che Sara non resistette e corse a inginocchiarsi vicino a lui stringendolo tra le braccia. «Tuo padre ti vuole bene, Tag. Solo Renee Roszel Wilson
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che non riesce ancora a superare la morte di tua madre. Ma tu sei suo figlio e non può non amarti.» Il ragazzo si liberò dal suo abbraccio con uno strattone. «Lui mi odia!» gridò mentre le lacrime gli solcavano copiose le guance. «Lo so che mi odia!» Corse via facendo cadere la sedia all'indietro e dopo un istante la porta d'ingresso si chiuse alle sue spalle. Anche Lynn si alzò. «Credo che farei meglio ad andare da lui» disse con un sospiro. Sara annuì. «Probabilmente adesso ha bisogno di un amico.» Sulla porta della cucina Lynn si fermò e si rivolse alla sorella. «Tag era davvero spaventato all'idea di parlare con suo padre» le confidò. «Non capisco perché Rance si comporti così. E tu?» La ragazza uscì senza aspettare una risposta, ma lei non avrebbe saputo che cosa dirle. C'era qualcosa di stonato in tutta quella situazione. Ransom era una persona cordiale e responsabile. Allora perché si comportava in quel modo con suo figlio? Forse Tag gli ricordava troppo sua moglie, ma non era certo una scusa valida per allontanarlo da casa e rinchiuderlo in collegio. Era ancora intenta a fare congetture, quando il suono distante di una campana che non aveva mai udito prima la scosse dai suoi pensieri. Chiedendosi allarmata che cosa potesse significare, si diresse alla porta d'ingresso. Mentre scendeva i gradini del portico, udì un rumore di passi alle sue spalle e istintivamente si fece da una parte per far passare Ransom che uscì di casa come un fulmine e si diresse correndo verso il villaggio. «Che cosa sta succedendo?» chiese Sara ad alta voce. «C'è un'emergenza. Una barca di pescatori è in difficoltà» le gridò lui di rimando. «Posso fare qualcosa?» domandò. Ma era troppo tardi. Ormai Ransom non poteva più sentirla. Mentre si stava infilando la giacca a vento, arrivarono di corsa Lynn e Tag. «Noi andiamo ad aiutare» le disse Tag trafelato. «Ci vediamo più tardi.» «Vengo anch'io» ribatté Sara.«Forse posso essere d'aiuto.» Quando arrivarono al porticciolo, il molo brulicava di gente. Un gruppo di uomini e di ragazzi stava spingendo in mare la lancia di salvataggio, mentre Ransom scioglieva le corde. Non appena il motore della barca entrò in moto, diversi ragazzi saltarono Renee Roszel Wilson
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a bordo. Anche Tag stava per fare la stessa cosa, ma suo padre glielo impedì. Sara non era abbastanza vicina da capire quello che si stavano dicendo, ma non le riuscì difficile immaginarlo. Colse solo poche parole. «Ma, papà, tutti i ragazzi della mia età vanno ad aiutare.» «Tu non vivi qui» rispose l'uomo, serio. «Questi ragazzi sono cresciuti a stretto contatto con il mare. Adesso non ho tempo di discutere con te, Tag. Tu rimarrai a terra.» Non appena Ransom saltò a bordo, l'imbarcazione si allontanò. Sara rimase a osservare Tag che si portava le mani sulla faccia nel tentativo di nascondere la vergogna per il rimprovero ricevuto in pubblico dal padre. Qualche secondo più tardi cominciò a cadere una pioggia sferzante. Sara scoprì che uno dei due uomini dispersi in mare era Dan, il marito di Lilly. La donna si rifiutò di andare a mettersi al riparo e così Sara rimase con lei sul molo a fissare il mare in tempesta senza sapere che cosa dire. Dopo un tempo che le sembrò eterno, vide una sagoma emergere dalla nebbia. «E la barca?» gridò. Con lo sguardo consumato dall'angoscia, Lilly si limitò ad annuire. Quando la lancia finalmente attraccò, due uomini scesero a terra trasportando un ferito. «Dan non c'è» mormorò Lilly stoicamente. Aveva ragione. Si trattava dell'altro giovane disperso che soffriva di ipotermia e aveva una ferita sulla testa, ma era vivo. Subito dopo averlo lasciato alle cure del medico, la barca riguadagnò il mare. Lilly abbassò il capo e chiuse gli occhi. Con un nodo alla gola, Sara abbracciò la donna e cercò di consolarla. «Lo troveranno. Non preoccuparti, lo troveranno.» Ma entrambe sapevano che il tempo era il peggiore nemico per Dan. Pochi minuti più tardi Sara vide arrivare Lynn di corsa. Era l'immagine della disperazione e si stava affrettando verso di loro. «Dov'è Tag?» chiese senza fiato. «L'ho cercato dappertutto.» «Pensavo che fosse con te» le rispose la sorella. «No. Lui mi ha detto che aveva qualcosa da fare. Sara, ho paura che...» «Hai paura di cosa?» la incalzò Sara scuotendola per le spalle? «Che cosa sai?» Lynn si mise a piangere e singhiozzando spiegò: «C'era quella barca a remi e... e Tag ha detto che lui doveva aiutare e adesso... adesso la Renee Roszel Wilson
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barca...» «Non c'è più» concluse Sara, mentre un brivido di terrore le serpeggiava lungo la schiena.
10 La tempesta imperversava, ma Sara e Lilly non si lasciarono convincere a muoversi dal loro posto d'osservazione. Il marito di Lilly e Tag erano dispersi in quel mare in burrasca. Avvolte in una coperta e protette dalla tela cerata che qualcuno aveva messo sulle loro spalle, le due donne non riuscivano a staccare lo sguardo dall'acqua scura. Sara lottava contro l'impulso di scoppiare in lacrime, mentre Lilly piangeva in silenzio temendo il peggio. Dan era in acqua da più di un'ora e il maggiore pericolo era che il freddo gli intorpidisse le membra al punto da impedirgli di rimanere a galla. E quanto a Tag, Sara non poteva nemmeno pensare che non fosse al sicuro sopra la sua barca, anche se le condizioni del tempo erano proibitive. Doveva avere fiducia e credere che sarebbe ritornato sano e salvo. Era ancora un ragazzo e desiderava solo essere amato e accettato da suo padre. Improvvisamente Lilly corse più vicino all'acqua trascinando Sara con lei. «La barca!» esclamò con un grido disperato. Adesso anche Sara riusciva a scorgere le fioche luci della lancia di salvataggio che si stavano avvicinando al porticciolo. Sistemò la tela cerata sulle spalle di Lilly, combattuta tra il timore e la speranza. Ransom fu il primo a saltare giù dalla barca e scorgendo Lilly si affrettò a stringerle le mani tra le sue. Sara era alle spalle della giovane donna e quando notò la sua aria esausta rimase sconvolta. Era bagnato fino alle ossa e aveva i capelli appiccicati alla fronte. Una cicatrice profonda gli solcava la guancia. Lilly non disse nulla e dopo un lungo momento Ransom la strinse gentilmente tra le braccia. «Continueremo a cercarlo. Non ci arrenderemo» le promise nel tentativo di consolarla, ma nella sua voce si indovinavano rabbia e frustrazione. «Siamo dovuti tornare per fare benzina e per farci dare il cambio» le spiegò. «Gli uomini sono esausti. Ma adesso va' a riposarti un po'» la sollecitò abbracciandola brevemente. Pat, la vicina di Lilly che aveva dato riparo anche a Lynn, si offrì di Renee Roszel Wilson
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prepararle qualcosa da mangiare e dopo qualche insistenza la giovane donna acconsentì a farsi portare in casa. Sara sapeva che era arrivato il momento di dire a Ransom di Tag. «Ransom...» lo chiamò in tono esitante e pieno di timore. Lui si voltò verso di lei e, accorgendosi dell'ansia che trapelava dalla sua espressione, la scrutò con aria perplessa. «Che cosa c'è?» le domandò. «Si tratta di Tag» rispose Sara lottando per non farsi sopraffare dall'angoscia. «Che cosa gli è successo?» La sua voce era innaturalmente calma. «Lui... lui voleva essere d'aiuto» balbettò lei, consapevole dell'effetto devastante che le sue parole avrebbero prodotto sull'animo di Ransom. «Che cosa ha fatto?» la incalzò lui vedendo che non proseguiva. «Ha preso una barca ed è uscito in mare. Quasi un'ora fa...» Ransom rabbrividì e fece un respiro aspro. «Signore, no» gemette. Voltandosi di scatto, si diresse verso la lancia. Sara allungò un braccio e gli afferrò una mano. «Ransom, non puoi andare adesso. Sei bagnato fino alle ossa e la tua guancia sta sanguinando.» «Al diavolo!» imprecò lui. «Io devo andare. Lui è mio...» Gli mancò la voce e vacillò come se fosse stato colpito da un pugno allo stomaco. Barcollando lievemente, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Era esausto. Sara intrecciò le sue dita con quelle di lui. «Non stai bene» lo ammonì. «Sei infreddolito e sei ferito. Devi andare a casa e infilarti dei vestiti asciutti. Io ti medicherò quel taglio. Sono certa che per allora avranno trovato sia Dan che Tag. Altrimenti...» Distolse lo sguardo dai suoi occhi pieni di dolore, rifiutandosi di pensare a quella possibilità. «Altrimenti potrai tornare a cercarli tu stesso» si affrettò ad aggiungere. Ransom osservò gli uomini che avevano dato il cambio ai soccorritori salire sulla lancia. «Andrò a cambiarmi, ma non perdiamo tempo» si arrese alla fine. Una volta a casa, entrambi indossarono abiti asciutti e poi Sara andò a prendere la cassetta del pronto soccorso. «Lascia che ti medichi quel taglio, Ransom» lo pregò entrando in cucina. Lui stava preparando il caffè. «Pensavo di portare del caffè caldo giù al porto» disse con aria stanca. Lei si sedette. «Buona idea. Ma perché prima di andare non ne bevi una Renee Roszel Wilson
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tazza? Ti aiuterà a riscaldarti.» Ransom si voltò e la guardò dritto negli occhi. Aveva i lineamenti tirati e l'espressione tormentata. «Se Tag muore, non credo che riuscirò più a riscaldarmi» mormorò. Sara non riuscì a sostenere quello sguardo pieno di dolore e abbassò la testa, osservandosi le mani strette in grembo. «Fammi medicare la ferita» ripeté schiarendosi la gola. «Hanno detto che avrebbero suonato la campana, nel caso la lancia di salvataggio tornasse prima del tuo ritorno al molo.» «Medica questo dannato taglio, se proprio ci tieni» borbottò lui con impazienza. Dopo aver disinfettato la ferita, Sara applicò un cerotto. «Ecco. Così dovrebbe andar bene. Non credo che avrai bisogno di punti.» «Hai un tocco leggero, Sara» riconobbe Ransom. Ma il suo tono era ancora duro. «Io... ho sempre voluto fare l'infermiera.» «Dannazione! Diventa infermiera, allora. La vita è troppo breve» dichiarò battendo i pugni sul tavolo e alzandosi in piedi. «Accidenti a me!» imprecò. «Che cosa ho fatto?» Con quel grido di dolore uscì dalla stanza. Sconvolta da quella violenta reazione, Sara si affrettò a seguirlo, convinta che si fosse diretto al molo. Ma quando entrò in soggiorno, lui era appoggiato alla mensola di pietra del camino. L'angoscia dipinta su quel viso forte e coraggioso le straziò il cuore. Mentre le lacrime le solcavano le guance, si avvicinò a lui e gli passò teneramente un braccio attorno alla vita. «Non è colpa tua, Ransom.» I muscoli dell'uomo si tesero sotto le dita di Sara. «Vorrei che fosse così.» «So che tu e Tag avete avuto una discussione sul molo» gli disse lei, cercando di placare il suo tormento. «So che stai pensando che se non fossi stato così duro con lui...» Ransom le afferrò le spalle senza tanti complimenti. «No, Sara, no!» la contraddisse. «Non è a questo che stavo pensando.» Anche se non aveva mai alzato la voce, da ogni parola trapelava il disgusto che provava per se stesso. «Sto pensando che ho cercato di odiare quel ragazzo per cinque anni e ora che devo affrontare il fatto che potrebbe...» Gli si spezzò la voce. «Che potrebbe essere morto, scopro che non posso farlo. Io lo amo, dannazione. Ed è troppo tardi per dirglielo.» Renee Roszel Wilson
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«Odio?» gli fece eco lei, incredula. Ransom le lasciò le braccia. «Non è una bella parola, vero?» Lei fece cenno di no con la testa. Lui piegò le labbra in una smorfia che voleva assomigliare a un sorriso. «Dolce Sara. Dolce, responsabile Sara che vorrebbe essere un'infermiera. Lei non può capire perché un uomo vorrebbe odiare suo figlio.» Si diresse verso il divano e vi si lasciò cadere di peso, passandosi distrattamente una mano tra i capelli. «All'inferno! Perché non smette di piovere?» gemette. «Sono passati solo pochi minuti da quando siamo qui» gli ricordò lei. «Ci vorranno almeno altri cinque minuti prima che il caffè sia pronto. Cerca di rilassarti.» Si sedette accanto a lui, non sapendo bene come comportarsi. «Io credo che tu abbia bisogno di parlare, Ransom» lo incalzò. «C'è qualcosa che ti sta divorando da troppo tempo. Parlane, ti prego.» Lui la guardò di sottecchi. Nei suoi occhi Sara scorse l'ombra di un'immensa tristezza e in qualche modo comprese che quella sera lui le avrebbe raccontato qualcosa che teneva chiuso nel cuore da anni. «Sfogati con me» lo implorò prendendogli una mano tra le sue. Ransom chiuse gli occhi per quella che a Sara sembrò un'eternità. Ma doveva rispettare i suoi tempi, si disse, anche se aveva un nodo allo stomaco. Finalmente lui la guardò dritto negli occhi. «Una volta ti ho detto che non avevo fratelli» cominciò in tono privo di espressione. «Ma non era la verità. Avevo un fratello, che adesso è morto.» Sara si costrinse a non fargli domande. Doveva essere lui a raccontarle tutta la storia. «Si chiamava Morgan e aveva tre anni più di me. Quando frequentava l'università, era uscito qualche volta con Jill, ma poi sposò un'altra ragazza.» Ransom si sottrasse al suo sguardo e sembrò tornare indietro nel tempo. «A me Jill era sempre piaciuta. Un giorno ci siamo imbattuti l'uno nell'altro al campus universitario e da quel momento è accaduto tutto in fretta. Dopo appena un mese eravamo sposati e lei rimase subito incinta.» Si fermò per un momento prima di continuare. «Ebbe una gravidanza difficile. Tag nacque prematuro e il dottore disse che lei non avrebbe potuto avere altri figli. Ma a me non importava. Mi bastavano Taggart e Jill.» Renee Roszel Wilson
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Sara sapeva che era stato un marito e un padre felice. Allora perché le sue parole erano così amare? «Una sera di cinque anni fa tomai a casa dal lavoro e trovai un biglietto di Jill che mi informava di essere scappata con Morgan. Mi spiegava anche che il matrimonio di mio fratello l'aveva fatta andare su tutte le furie e, sapendo che io avevo un debole per lei, aveva deciso di vendicarsi.» La mano di Ransom si strinse attorno a quella di Sara con un'intensità che la fece trasalire. «Jill fu molto brava a tessere le sue trame» disse lui serio. «Non ebbi mai il minimo sospetto che volesse tornare con Morgan, fino a quando lui finalmente lasciò la moglie e loro due scapparono insieme.» Ransom fissò gli occhi sgranati di Sara e le rivolse un sorriso privo di umorismo. «Probabilmente ormai avrai indovinato il seguito. Jill e Morgan rimasero uccisi in un incidente d'auto provocato dal ghiaccio sull'autostrada, nei pressi di Anchorage. Ma il colpo di grazia era scritto nell'ultima frase del biglietto e io avrei preferito diventare cieco piuttosto che leggere quelle terribili parole.» Ransom sottrasse la mano alla sua stretta e quando se la passò sulla bocca lei si accorse che gli tremavano le dita. Quello che stava per dirle era rimasto sepolto fino a quel momento nella parte più recondita della sua anima. Sara desiderava più di ogni altra cosa prenderlo tra le braccia, ma si tenne a distanza. Lascialo parlare!, le suggerì una vocina nella sua mente. Lascia che dica quello che lo tormenta. Solo così potrà liberarsene. Quando Ransom si voltò a guardarla, la sua espressione era mortalmente seria. «Jill aveva scritto che il figlio che adoravo non era mio... era di Morgan.» Sara represse a stento il desiderio di gridare tutta la propria rabbia nei confronti della donna che lo aveva ferito in modo così orribile. Doveva dare a Ransom il tempo di terminare il suo racconto. «Jill mi confessò che era rimasta incinta del bambino di mio fratello, ma lui si era rifiutato di lasciare la moglie per lei. Perciò aveva deciso di vendicarsi di lui sposando me.» Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro. «Non credevo che ci fosse qualcuno capace di comportarsi in modo tanto crudele» mormorò Sara. «Nemmeno io» mormorò lui con lo sguardo pieno di dolore. «Potrebbe aver mentito» suggerì lei speranzosa. Renee Roszel Wilson
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«Anch'io l'ho sperato. Sul momento mi rifiutai di crederle, ma gli esami del sangue provarono che aveva ragione.» Fissò un punto immaginario sulla parete. «Tag non è mio figlio.» Sara provò un'infinita angoscia per lui. Si sarebbe picchiata per averlo accusato di non essere un padre responsabile. «E così lo hai mandato via e hai cercato di odiarlo, a causa di quello che ti aveva fatto sua madre. Ma non potevi odiare un bambino innocente, vero?» Io incalzò gentilmente. Ransom fissò il soffitto. «Ci ho provato con tutte le mie forze. L'ho mandato a scuola in un altro stato, non sono mai andato a trovarlo e mi sono tuffato anima e corpo nel lavoro.» Fece una risata aspra, ma i suoi occhi luccicavano di dolore. «Ho lavorato giorno e notte e sono diventato maledettamente ricco, ma anche maledettamente miserabile.» «Come mai hai deciso di venire qui con lui, quest'estate?» Ransom si strinse nelle spalle con un gesto impotente. «Tag soffriva. Io lo sapevo ma cercavo di non curarmene. Ha creato parecchi problemi a scuola e i suoi voti erano pessimi.» Un'ombra di tristezza gli velò lo sguardo. «Tag non ha nessun altro. Quando la scuola mi ha avvertito che, se non avesse rigato dritto lo avrebbero espulso, l'ho portato qui con me, non sapendo che aveva progettato di trovarmi una moglie. Immagino che pensasse che, se mi fossi risposato, le cose sarebbero tornate come prima.» «Povero ragazzo» mormorò Sara cercando di controllare la collera che provava nei confronti di Jill. L'incredibile egoismo di quella donna aveva rovinato la vita di due persone meravigliose. «Mi dispiace tanto, Ransom. Io ti ho accusato di non essere un buon padre e tu invece stavi cercando di aiutare il ragazzo, anche se...» Un singhiozzo le impedì di continuare. «Mi dispiace tanto.» «Non potevi saperlo» disse lui. I loro sguardi si incontrarono e prima di capire che cosa stesse succedendo Sara si trovò tra le braccia di Ransom, mentre le labbra di lui si posavano gentilmente sulle sue. Non fu un bacio appassionato come quello che si erano scambiati sulla spiaggia, ma l'infinita tenerezza di Ransom risvegliò in lei un sentimento così forte che non poteva essere altro che amore. Quella consapevolezza le fece battere il cuore all'impazzata. «Sono felice che tu mi abbia raccontato tutto» sussurrò trepidante quando le loro labbra si divisero. Ransom si staccò da lei, anche se con riluttanza. «Non piove più» Renee Roszel Wilson
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mormorò alzandosi in piedi con un'espressione grave. «È ora che torni al molo.» Sara annuì, desiderando con tutta se stessa di non avere mai conosciuto quel lato vulnerabile di Ransom. Adesso sapeva di essere perdutamente innamorata di lui e di non avere speranza di essere ricambiata. Ma non era quello il momento di torturarsi, si disse alzandosi in piedi, decisa a concentrarsi sul presente. Era in gioco la vita di due persone e quella era l'unica cosa che importasse. «Vado a mettere il caffè in un thermos e...» In quel momento un rumore all'ingresso li fece voltare di scatto. «Tag!» esclamarono entrambi. Il ragazzo era appoggiato allo stipite della porta, fradicio e tremante per il freddo. Aveva le mani strette a pugno e Sara notò che erano insanguinate. Tutti e due si precipitarono ad aiutarlo e lo condussero verso il divano. Ma lui cercò di liberarsi. «No. Ho bisogno di aiuto nella baia...» «La baia?» ripeté Ransom. «D... Dan...» Quella risposta balbettante alimentò un filo di speranza nella mente di Sara. «Hai trovato Dan e ora è in una baia sulla tua barca?» Tag annuì. «Di quale baia si tratta, Tag?» lo incalzò Ransom. «Del... del leone...» «La baia del leone marino?» Tag annuì di nuovo, sorridendo debolmente. Ransom fissava il ragazzo con un'espressione stupita, ma il suo sguardo era pieno d'amore e d'orgoglio. Sembrava incredibile, ma quell'esile ragazzo aveva salvato Dan da morte sicura. Sara vide scorrere sul viso di Ransom una gamma infinita di emozioni. Poi, dopo una breve esitazione, l'uomo afferrò il ragazzo e lo strinse in un forte abbraccio. Il luccichio nei suoi espressivi occhi grigi valeva più di qualsiasi discorso. «Grazie a Dio, figliolo.» Pronunciò quella parola con fare incerto, come se dovesse abituarsi all'idea. «Figliolo» mormorò con un gemito, «pensavo che fossi...» Con un movimento incerto il ragazzo sollevò le braccia per circondare il corpo del padre. «Scusami, papà, ma dovevo farlo.» Ransom si allontanò mentre il sollievo addolciva i suoi lineamenti tesi. Renee Roszel Wilson
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«Non parlare adesso.» Gli sorrise. «Riposa e sta' al caldo. Io troverò Dan. Sara...» «Vado ad avvertire Lilly e a chiamare il dottor Stepetin» disse lei afferrando una giacca a vento asciutta nell'ingresso e correndo verso il portico. Mentre si vestiva, sentì che Tag insisteva. «Devo venire, papà. Devo...» «Vedo che hai ereditato la mia testardaggine, Taggart» lo interruppe Ransom. «Andiamo.» La sua voce era piena d'orgoglio. Mentre sparivano nell'oscurità, Sara si rese conto che la frattura che si era creata tra loro era ormai sanata e ringraziò il cielo di aver potuto assistere a quel prezioso momento che avrebbe ricordato per sempre, anche quando Ransom e Tag avessero dimenticato la sua esistenza. Quel pensiero le fece passare di colpo l'euforia. Ransom e Tag l'avrebbero dimenticata perché l'uomo che amava non avrebbe imparato a fidarsi di nuovo di una donna, non senza prima combattere una lunga battaglia. Ma per allora lei non avrebbe più fatto parte della sua vita, perché entro tre giorni avrebbe lasciato per sempre St. Catherine Island. Rattristata da quel pensiero, uscì sotto la pioggia.
11 La notizia del miracoloso salvataggio di Dan da parte di un ragazzo di quattordici anni fece il giro dell'isola e in breve tempo Tag diventò l'eroe locale. Come raccontò più tardi, aveva scorto qualcosa di bianco e si era avvicinato. Così si era reso conto che si trattava di un contenitore di plastica a cui Dan stava aggrappato. Poi lo aveva aiutato a salire sulla barca e lo aveva fatto stendere sul fondo coprendolo con una coperta e una tela cerata che vi aveva precedentemente caricato. Ma la tempesta era talmente violenta che non era riuscito a vedere da che parte si trovava la spiaggia. Era stato a quel punto che gli era venuto in aiuto il suo amico delfino. Il cetaceo si era avvicinato all'imbarcazione con l'intenzione di giocare e così Tag aveva pensato di tirargli il suo cappello da baseball e poi di seguirlo fino alla baia dove l'animale era solito portarlo. In seguito a quell'episodio, Ransom e Tag diventarono quasi inseparabili, come se dovessero recuperare il tempo perduto. Sara fu Renee Roszel Wilson
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contentissima quando Tag le annunciò trionfante che l'autunno successivo sarebbe andato a scuola ad Anchorage e da quel momento in poi sarebbe vissuto insieme con suo padre. Ransom aveva cambiato completamente atteggiamento nei confronti del figlio, ma con Sara si limitava a un gentile e cortese distacco. Ma quando lei catturava il suo sguardo, vi poteva scorgere un senso di rimpianto e di turbamento. Era evidente che lui non si sarebbe più fidato di una donna al punto di donarle il suo cuore e Sara non poteva biasimarlo per questo. Ma non poteva nemmeno più nascondere il suo amore per lui, un sentimento così forte da trapelare dalla sua voce, dai suoi gesti, da ogni sguardo. Sara guardò l'orologio. Erano le undici di mercoledì mattina ed entro qualche minuto sarebbe arrivato l'aereo del servizio postale. Non c'era vento e il cielo era sereno. Sembrava che tutto cospirasse con Ransom per farla partire da St. Catherine Island. Si asciugò furtivamente una lacrima e tirò fuori dal forno l'ultimo filone di pane. «C'è un profumo delizioso in tutta la casa» commentò Ransom arrivando silenziosamente alle sue spalle. Lei chiuse gli occhi assaporando il suono della sua voce. «Grazie» mormorò. «Non dovevi preparare il pane, Sara» disse lui in tono asciutto. «Era il minimo che potessi fare» mormorò lei con voce strozzata, provando un incredibile senso di privazione. Tutto il suo essere gridava il suo desiderio di amare quell'uomo, di sposarlo e di portare in grembo i suoi figli. Ransom si era rivelato un uomo tenero e per la prima volta nella sua vita lei si era sentita completamente donna. Tuttavia adesso la trattava come se fosse un'anziana governante, con freddo rispetto ma senza nessuna familiarità. . «Hai fatto i bagagli?» le domandò lui interrompendo i suoi sogni a occhi aperti. «Sono pronti da ore» rispose Sara, cercando di non mostrare il suo dolore per quell'atteggiamento formale e distaccato. Sapeva che se ne sarebbe pentita, ma non resistette alla tentazione di voltarsi. Ransom era alto e attraente da mozzare il respiro e i suoi capelli neri erano scompigliati quel tanto che bastava per rendere il suo viso incredibilmente giovane. Quando i loro sguardi si incontrarono, Ransom socchiuse le palpebre e Renee Roszel Wilson
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strinse le labbra. Sara non avrebbe saputo dire se quell'espressione dura indicasse fastidio o pietà, ma provò un profondo sgomento. «Porterò le tue valige all'aereo» si offrì lui. «Credo che sia ora di andare» le suggerì poi con espressione impassibile. Come odiava tutto questo!, si disse Sara. Avrebbe voluto correre tra le sue braccia e chiedergli che cosa aveva fatto di così imperdonabile per meritarsi quel tipo di trattamento. Il suo solo peccato era stato quello di ascoltarlo, preoccuparsi per lui e amarlo. Le mancava incredibilmente quella calda ironia nei suoi occhi grigi, che fino a qualche giorno prima l'aveva fatta tanto infuriare. «Non è necessario che tu venga fino alla pista d'atterraggio» si lasciò sfuggire d'impulso, senza riflettere, ostentando un'indifferenza che non provava. «Un padrone di casa che si rispetti non abbandona i suoi ospiti» replicò Ransom asciutto. «Mi sembrava che i nostri rapporti fossero andati oltre le semplici convenzioni sociali, Ransom» lo sfidò Sara, incapace di fermarsi. «Fa' quello che ti senti di fare, per l'amor del cielo!» Per un istante il suo viso assunse un'espressione tormentata, ma subito dopo tornò a essere calmo e impenetrabile. «Forse hai ragione, Sara» osservò seccamente. «Allora ti saluto.» Un gelido timore la attanagliò. Quella era la fine. Non lo avrebbe visto mai più. Ma non voleva fargli capire quanto fosse disperata, perciò con uno sforzo nascose la sua disperazione dietro una fredda cortesia. «Arrivederci. Grazie per l'ospitalità.» Tese meccanicamente la mano. «Pensavo che fossimo andati oltre le semplici convenzioni sociali» osservò lui lanciandole un'occhiata insolente. Con insultante lentezza infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Quell'ultimo rifiuto era decisamente troppo. Ransom non voleva neppure stringerle la mano in un gesto amichevole. Sara arrossì violentemente. Come poteva essere così freddo e indifferente? Doveva andarsene prima di scoppiare a piangere davanti a lui e rendersi ancora più ridicola di quanto non avesse già fatto. Al colmo della disperazione, uscì di corsa dalla cucina e dalla vita di Ransom Shepard. Il gelo pungente del primo giorno di febbraio rendeva frizzante l'aria del Renee Roszel Wilson
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Kansas. Mentre aspettava l'autobus, Sara aspirò la fredda fragranza di pino. Quella sera Lynn avrebbe lavorato fino alle nove nella boutique dove faceva la commessa dopo la scuola, perciò la casa sarebbe stata vuota e solitaria. Rimase immobile sotto l'insegna del ristorante dove lavorava come cameriera e rabbrividendo si strinse nel vecchio cappotto di lana. Le spiaceva di non essere riuscita a iscriversi alla scuola per infermiere per quel trimestre, ma le finanze erano modeste e doveva lavorare. Comunque aveva deciso di seguire il consiglio di Ransom. Allora diventa un'infermiera, dannazione!, le aveva gridato. Così aveva superato l'esame preliminare e appena possibile avrebbe cominciato a frequentare i corsi. Sarebbe stata dura studiare e lavorare, ma almeno l'avrebbe aiutata a non pensare a un certo uomo che aveva lasciato in Alaska. Udì il rumore dell'autobus che arrivava e si avvicinò al marciapiede ripensando alla sera precedente. Lynn aveva ricevuto un'altra lettera di Tag. Lui le scriveva che la scuola andava bene e che era entrato a far parte della squadra di baseball. Secondo la lettera, Ransom era un suo tifoso scatenato e non si perdeva una partita. Le porte dell'autobus si aprirono scacciando dalla sua mente il viso di Ransom. Trovò un posto vicino a Erma Drope, un'anziana signora che conosceva tutti i pettegolezzi della cittadina. Ma a Sara era simpatica e la salutò con un sorriso. «Come va, tesoro?» le chiese la donna. «Mi vuoi dire perché non ti si vede mai in compagnia di qualche bel giovane?» Sara si sentì morire, ma cercò di assumere un'aria noncurante. «Sono troppo occupata con il mio lavoro.» «Sciocchezze. Quando avevo la tua età trovavo sempre il tempo per divertirmi, anche se lavoravo tutto il giorno.» La scrutò attentamente. «Tu non parli mai di te, ma ho sentito dire che il giugno scorso in Alaska hai incontrato un uomo molto affascinante.» Sara impallidì. Doveva essere stata Lynn a raccontare in giro la loro visita a St. Catherine Island. «Io... abbiamo incontrato molte persone simpatiche» rispose impacciata. «Ma io mi riferivo a un uomo in particolare, molto attraente e anche molto ricco. Tua sorella ha detto che, se avesse avuto qualche anno di più, avrebbe cercato di farlo innamorare e di farsi sposare.» Sara chiuse gli occhi. In tutti quei mesi aveva cercato di relegare in Renee Roszel Wilson
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fondo al cuore l'impossibile sogno a occhi aperti di sposare Ransom. Ma all'improvviso quel desiderio tornò a tormentarla in tutta la sua dolorosa intensità. La voce di Erma era venata di curiosità. «Perciò, visto che tu sei più grande di lei, pensavo che tra voi potesse esserci stato un romanzetto, se capisci quello che intendo» continuò imperterrita la donna. Decisa a metter fine a quella conversazione, Sara le rivolse un sorriso educato. «Temo di non essere quella donna di mondo che credi, Emma. Non c'è nient'altro da dire.» Sperò che con ciò l'argomento fosse chiuso. Non aveva certo intenzione di rivelarle che si era disperatamente innamorata di Ransom e che lui le aveva rubato il cuore per sempre. L'autobus si fermò per far scendere alcuni passeggeri. Sara guardò l'orologio. Entro dieci minuti sarebbe arrivata. «Bene, bene...» Erma le diede un pizzicotto alle costole. «Guarda che attraente sconosciuto. Chissà se gli piacciono le vecchie signore.» Confusa, Sara seguì lo sguardo della donna per scoprire chi stesse fissando con tanto interesse. Una figura maschile, dopo aver pagato il biglietto, si stava avvicinando lungo il corridoio. I suoi occhi grigi incrociarono quelli di lei e poco mancò che Sara cadesse a terra per lo stupore. L'uomo non diede segno di averla riconosciuta, perché si sedette e guardò l'orologio. Sara pensò che la sua fantasia le stesse giocando un brutto scherzo. Sapeva che non c'era nessun motivo al mondo perché Ransom Shepard potesse trovarsi su un autobus ad Andover, nel Kansas. Eppure quell'uomo che indossava un impeccabile e costoso cappotto di vigogna sopra un maglione nero a collo alto e un paio di pantaloni di sartoria, anch'essi neri, assomigliava esattamente a Ransom. «Mi scusi» mormorò una voce profonda. Sara si voltò di fianco e si trovò a pochi centimetri dal suo viso. Il profumo della sua colonia le penetrò nelle narici e il suo corpo reagì involontariamente a quel ricordo. Lei trattenne il respiro chiedendosi se stava sognando o se Ransom Shepard, l'uomo che amava con tutta se stessa, era davvero al suo fianco. «Sono appena arrivato in città» continuò lui. «Quest'autobus va a McCloud Street?» Sara non poté fare altro che annuire. «Perché?» si intromise immediatamente Erma. «Ha dei parenti da quelle Renee Roszel Wilson
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parti?» «Non ancora» rispose lui spostando lo sguardo sull'anziana signora. «Vede, c'è una giovane donna che vive in quella via. E stasera intendo chiederle di sposarmi.» I suoi occhi magnetici tornarono a posarsi su Sara e sorrisero lievemente notando la sua sorpresa. «Naturalmente so di non meritarla.» «Chi? Di chi si tratta?» lo incalzò Erma, eccitata. Lui continuò a guardare Sara e questa volta le sue parole erano rivolte a lei e a nessun altro. «Ho lasciato che se ne andasse lontano da me, la scorsa estate, e da quel momento non sono più stato lo stesso uomo. Non che mi importi molto, ma i miei affari ne hanno risentito e ho perso il sonno.» Sara lo fissò, colpita profondamente dalla sincerità che avvertì nelle sue parole. «Questa... questa è una vergogna» mormorò. Ransom le prese una mano tra le sue. «Capisci, il mio era un problema di fiducia» le disse. Lo so, pensò lei, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Lui non sembrò preoccupato di quel silenzio. «Ho avuto molto tempo per pensare» proseguì sorridendo. «E ho deciso che tu sei la persona di cui ho bisogno per aiutarmi a risolvere questo problema.» «Si tratta di Sara!» esclamò Erma con aria trionfante. «È qui per chiedere a Sara di sposarlo.» L'anziana donna si portò le mani al petto. «Potrei morire adesso!» mormorò soddisfatta. Ransom si guardò attorno e sorridendo scrutò gli involontari ma incuriositi testimoni della sua proposta. Poi fece alzare Sara in piedi e la prese tra le braccia. «Lynn ha scritto che hai iniziato a frequentare la scuola, ma che questo semestre non ti sei potuta iscrivere regolarmente» disse in tono rauco. «Anche ad Anchorage abbiamo delle buone scuole, Sara. E anche lì c'è bisogno di brave infermiere» aggiunse dolcemente mentre i suoi occhi brillavano. Ransom si fece serio e scrutò il suo viso pallido. «Ma tu non hai ancora risposto alla mia domanda, Sara. Vuoi sposarmi?» Sara si sforzò di aprir bocca per parlare, ma l'emozione glielo impedì. «Non dire di no» la pregò lui dolcemente. «Mi rendo conto di essermi comportato in modo orribile con te durante quegli ultimi giorni, ma avevo paura che, se solo ti avessi toccata, poi non sarei più stato capace di lasciarti andar via e così sarei ricaduto nella stessa trappola in cui mi ero trovato con Jill. Non volevo dare a nessun'altra donna tanto potere su di Renee Roszel Wilson
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me.» L'onestà della sua confessione andò dritta al cuore di Sara. «Ti... ti capisco, Ransom» balbettò. Lui la strinse ancora di più a sé. «Tu sei una donna generosa, Sara» le sussurrò in modo che solo lei potesse udirlo. «E io ti amo per questo. Quando mi hai lasciato, mi sono reso conto che amavo tutto di te.» La passione che lesse nei suoi occhi l'avrebbe fatta vacillare, se non fosse stata stretta tra le sue braccia. «Ti amo, Ransom» mormorò smarrita. «Ti amo da morire.» Nello sguardo di Ransom comparve un evidente sollievo. «Non hai ancora risposto alla mia domanda.» Sara arrossì sentendosi al settimo cielo. «Sì, oh, sì. Ti sposerò.» Lui la fissò per un momento, poi si chinò a baciarla al colmo della felicità. I passeggeri dell'autobus proruppero in un applauso e lei al colmo dell'imbarazzo si staccò da Ransom. «Questa è la tua fermata, Sara» le annunciò l'autista. «E tanti auguri!» Erano passate due settimane da quando Ransom era andato ad Andover a prendere Sara e sua sorella. Quella stessa sera erano partiti per Anchorage. Come Sara aveva scoperto più tardi, Lynn era d'accordo con Ransom ed era uscita prima dal lavoro per preparare i loro bagagli. Durante quelle due settimane avevano deciso che si sarebbero sposati a St. Catherine Island, dove si erano incontrati, e finalmente quel momento tanto atteso era arrivato. Era il giorno di San Valentino e Sara aveva trascorso le prime ore del mattino a casa di Lilly, con Pat e Lynn che l'avevano aiutata a indossare il tradizionale abito da sposa dell'isola. Era un bellissimo costume fatto interamente di pelle e profilato di pelliccia e lei si sentiva orgogliosa di indossare un vestito che le spose di quell'arcipelago usavano da generazioni. Mentre il corteo nuziale procedeva verso la chiesa, l'oscurità tipica dei mesi invernali a quelle latitudini si era attenuata per lasciare il posto a un'alba priva di nubi che aveva tinto il mare e il cielo di rosa. Sara si guardò attorno, sicura di non avere mai visto un giorno più bello e un posto più incantevole di quello. Renee Roszel Wilson
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Sulla porta della chiesa le si fece incontro un sorridente Isaac Dorfman. «Non sapevo che ci fossi anche tu, Isaac» disse lei, stupita. L'uomo la abbracciò e la baciò su una guancia. «Come potevo mancare?» Le strizzò l'occhio. «Sono io il responsabile di tutto questo, ricordi?» «Ricordo.» Sara arrossì violentemente. «Come potrò mai ripagarti?» «Permettendomi di accompagnarti all'altare e dando il mio nome ai tuoi bambini.» Lei scoppiò a ridere. «Puoi contarci.» Isaac fece un cenno in direzione della chiesa. «Sarà meglio che ci muoviamo. Laggiù c'è qualcuno che è piuttosto ansioso di vedere la sua sposa e oggi non ho nessuna voglia di essere licenziato.» La prese per mano e la condusse verso l'altare. Presto la chiesa si riempì e Isaac in silenzio depose la mano di Sara in quella più grande e più calda del suo capo e amico. Lei alzò gli occhi e accanto a sé vide Ransom, bellissimo nell'abito da cerimonia che aveva ereditato da suo padre. In quegli occhi grigi lesse che il suo amore era forte e tenace e quella consapevolezza la fece quasi piangere per la gioia. Il rito si svolse secondo le tradizioni dell'isola. La cerimonia fu intensa e commovente e quando finalmente il sacerdote li dichiarò marito e moglie, Ransom la prese tra le braccia e la baciò teneramente. Sospirando di felicità, Sara si aggrappò a lui con la consapevolezza che adesso erano davvero una sola persona. Finalmente Ransom la lasciò, ma non prima di averle depositato un tenero bacio sul naso. Accarezzandola con lo sguardo, la prese per mano e la condusse verso la porta della chiesa, dove trovarono ad aspettarli le facce sorridenti degli abitanti dell'isola. Dopo aver stretto centinaia di mani e ricevuto i più calorosi auguri di eterna felicità, Sara si voltò verso il marito. «Che cosa succede adesso?» Lui la prese tra le braccia. «Ci sarà una grande festa alla locanda, non appena sarà pronto da mangiare.» Lei sospirò appoggiando una guancia contro il suo petto. «Non credo che riuscirei a mangiare niente.» Ransom sorrise e dopo averle circondato le spalle con un braccio si diresse verso la sua casa. «Probabilmente questo è un bene, perché noi non siamo invitati» le mormorò con un sussurro roco. «Tu e io avremo altro da fare.» Renee Roszel Wilson
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Sara rise deliziata. «Oh, Ransom. Questo è il più bel giorno di San Valentino della mia vita.» «Sono contento» mormorò lui mordicchiandole un orecchio. «Ed è appena iniziato...» FINE
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