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GILES BLUNT TEMPESTA DI GHIACCIO (The Delicate Storm, 2003) a Janna È così che queste pedine remote Fanno breccia nel desiderio umano, Frantumando un fragile paradiso. DONALD LORJMER, The Delicate Storm 1 Prima arrivò il caldo. Capodanno era passato da tre settimane quando il termometro fece quello che non fa mai a gennaio ad Algonquin Bay: superò lo zero. Nel giro di poche ore le strade diventarono nere e lucide per la neve liquefatta. Non c'era un barlume di sole. La cappa di nubi sopra il campanile della cattedrale aveva tutta l'aria di volerci restare. I giorni caldi si susseguirono in un crepuscolo opprimente che durava dall'ora di colazione fino al tardo pomeriggio, e tutti brontolavano di continuo contro l'effetto serra. Poi arrivò la nebbia. All'inizio si insinuarono sottili filamenti nei boschi che circondavano Algonquin Bay. Sabato pomeriggio densi banchi si estesero lungo la statale, e l'ampia distesa del lago Nipissing si ridusse a una forma indistinta prima di svanire del tutto. Poco per volta la nebbia filtrò in paese, andando a premere contro negozi e chiese. Una per una le case di mattoni rossi si ritirarono dietro quel sipario grigio sporco. Il lunedì mattina Ivan Bergeron non riusciva a vedersi nemmeno le mani. S'era alzato tardi, dopo avere bevuto più birra di quanto fosse consigliabile mentre guardava la partita di hockey, e adesso stava cercando di arrivare al garage di casa sua, a meno di venti passi eppure totalmente nascosto dalla nebbia. Quella roba gli si appiccicava alle mani e alla faccia come una ragnatela, la sentiva strisciare fra le dita. Come se non bastasse, giocava strani scherzi con i rumori. Il bagliore giallo dei fari delle auto passava lentissimo, seguito, dopo una pausa sinistra, dal fruscio delle gomme sulla strada bagnata.
Da qualche parte il cane stava abbaiando. Shep era un bastardino tranquillo che di solito si faceva i fatti suoi. E invece per qualche strano motivo, forse per la nebbia, era uscito ad abbaiare come un pazzo per i boschi. Quel baccano era come un chiodo che trafiggeva il cranio appesantito di Bergeron. «Shep! Vieni qui, Shep!» Attese nella penombra per qualche secondo, ma il cane non arrivò. Bergeron aprì la porta del garage per iniziare a lavorare sulla motoslitta scalcagnata che aveva promesso di aggiustare entro giovedì. Il suo proprietario si sarebbe rifatto vivo a mezzogiorno, e il mezzo era ancora lì smontato in officina. Quando accese la radio le voci della CBC riempirono la rimessa. Di solito quando faceva abbastanza caldo lavorava con la porta aperta, però oggi si sentiva oppresso dalla nebbia che gravava nel vialetto come una creatura da incubo. Stava per chiudere la porta quando i latrati del cane si fecero più forti, come se arrivassero dal cortile sul retro. «Shep!» Bergeron scrutò la nebbia, una mano tesa in avanti come un cieco. «Shep! Per l'amor di Dio, smettila!» Il latrare diventò un ringhio interrotto da guaiti. Il corpo smisurato di Bergeron fu attraversato da un brivido di inquietudine. L'ultima volta che era successa una cosa del genere il cane stava giocando con un serpente. «Shep, stai buono. Arrivo.» Adesso avanzava a piccoli passi, come un ginnasta sulla trave, strizzando gli occhi nella nebbia. «Shep?» Lo scorse a un paio di metri, abbassato sulle zampe anteriori per afferrare un oggetto per terra. Bergeron lo agguantò per il collare. «Buono.» Il cane guaì e gli leccò la mano. Bergeron si chinò a guardare. «Oh, Cristo.» Era bianco come il ventre di un pesce, con ciuffi di peli su un lato. Dalla parte del polso la carne aveva ancora il segno a zigzag di un orologio dal cinturino metallico. Anche se non c'era più la mano, la cosa nel cortile di Bergeron era senz'ombra di dubbio un braccio. Se Ray Choquette non avesse deciso di andare in pensione, John Cardinal non sarebbe stato seduto in sala d'attesa assieme a suo padre quando invece avrebbe dovuto essere in centrale a rispondere al telefono oppure,
meglio ancora, in giro a rendere difficile la vita ai cattivi di Algonquin Bay. E invece no. Era incastrato con il genitore ad aspettare un dottore che nessuno di loro due conosceva. Anzi, una dottoressa, come se Stan Cardinal fosse disponibile a seguire i consigli di una donna. Ray Choquette, vorrei tirarti il collo, pigro ed egoista, pensò. Il Cardinal più anziano aveva ottantatré anni... ma solo all'anagrafe. I peli dell'avambraccio erano diventati bianchi e aveva gli occhi acquosi del vecchio, ma sotto altri aspetti, almeno secondo suo figlio, aveva ancora quattro anni. «Quanto pensa di farci aspettare?» chiese Stan per la terza volta. «Sono seduto qui da tre quarti d'ora. Non ha rispetto per il tempo delle persone? Come fa a essere un buon medico?» «Papà, è come tutti gli altri. Un buon medico è sempre impegnato.» «Che stupidaggini. È solo avidità. Cento percento avidità capitalista allo stato puro. Sai, io mi accontentavo di trentacinquemila dollari all'anno in ferrovia. Dovevamo sudare sette camicie per portare a casa una cifra del genere, ma tenevamo duro, per Dio. Però nessuno studia medicina per guadagnare trentacinquemila dollari.» Ecco, ci siamo. Tirata numero 27D, pensò Cardinal. Sembrava quasi che il cervello di suo padre fosse fatto come una serie di audiocassette. «E poi c'è il governo che tira la cinghia, così diventano tutti avvocati o agenti di borsa per fare un sacco di soldi e noi restiamo senza un dottore» proseguì Stan. «Vai a lamentarti con Geoff Mantis, è lui che ha tagliato la mutua.» «Ti farebbero aspettare comunque anche se fossero in tanti. È una questione di classe sociale. Non solo devono esistere ma bisogna anche salvaguardarle, le classi. Facendoti aspettare ti dimostrano che loro sono importanti e tu no.» «Papà, c'è carenza di dottori. È per questo che ci tocca aspettare.» «Vorrei sapere quale ragazza può passare la giornata a guardare nella gola e su per il culo della gente! Io non lo farei mai.» «Signor Cardinal!» Stan si alzò con difficoltà. La giovane segretaria sbucò da dietro la scrivania con un fascicolo in mano. «Ha bisogno di una mano?» «Sto bene, sto bene.» Stan si girò verso il figlio. «Entri?» «Non sono tenuto a venire con te» rispose Cardinal. «No, vieni, voglio che senta anche tu. Se ritieni che io non possa più
guidare voglio almeno che senta la verità.» La segretaria aprì la porta dello studio per farli entrare. «Signor Cardinal? Winter Cates.» La dottoressa non poteva avere più di trent'anni, eppure si alzò e venne a stringere la mano con la brusca efficienza di una vecchia professionista. Aveva una bella pelle chiara in netto contrasto con i capelli corvini. Le sopracciglia scure erano aggrottate in un'espressione perplessa indirizzata al Cardinal più giovane. «Sono suo figlio. Mi ha chiesto di accompagnarlo.» «È convinto che non posso guidare, però so che adesso i piedi vanno meglio e voglio che lo senta dalla bocca della verità» spiegò Stan. «A proposito, quanti anni ha?» «Trentadue. E lei?» Stan lanciò un gridolino sorpreso. «Ho ottantatré anni.» La dottoressa Cates indicò una sedia di fronte alla scrivania. «Grazie, preferisco stare in piedi.» Rimasero tutti e tre impalati in mezzo allo studio mentre la dottoressa sfogliava la cartella di Stan. I capelli della donna erano trattenuti da un fermaglio senza il quale sarebbero schizzati da tutte le parti, neri e ribelli. Winter Cates emanava un'aura di incredibile vitalità, tenuta appena a freno dall'atteggiamento professionale. «Bene, vedo che è stato sempre in salute fino a poco tempo fa» disse alla fine. «Mai fumato. Mai bevuto più di una birra a cena.» «Anche furbo, allora.» «Alcuni non sarebbero d'accordo.» Stan scoccò un'occhiata al figlio che questi ignorò. «E soffre di diabete che tiene sotto controllo con i farmaci. Si fa i controlli da solo?» «Certo. Non mi diverte punzecchiarmi il dito ogni cinque minuti ma lo faccio lo stesso. Lo zucchero nel sangue è nella norma. Se vuole verificare.» «Lo farò.» Stan guardò il figlio come per dire "Visto com'è maleducata? Dio, quante maleducata..." «E il dottor Choquette segnala una grave neuropatia ai piedi.» «Adesso sto meglio.» «Aveva problemi alla deambulazione, persino a stare in piedi. Quindi era esclusa la possibilità di guidare.»
«Non è esatto. I piedi sembravano... non direi addormentati... però mi parevano avvolti nella spugna. Non mi impacciavano più di tanto.» Per favore, non permettergli di guidare, si ammazzerà o farà fuori qualcun altro e non voglio ricevere quella telefonata, stava intanto pensando Cardinal. La dottoressa Cates guidò Stan verso una porta sulla destra. «Si sieda in ambulatorio e si tolga scarpe, calzini e camicia.» «Camicia?» «Voglio auscultarle il cuore. Il dottor Choquette ha notato un'aritmia per cui le ha prescritto una visita da un cardiologo. È stato sei mesi fa ma non vedo alcun referto.» «Be', sa, non ci sono mai andato.» «Male.» La voce della dottoressa era diventata appena più dura. «Lui aveva da fare, io avevo da fare, sa com'è. Non è mai venuto il momento adatto.» «In famiglia avete una storia di cardiopatie, signor Cardinal, non può prenderla sottogamba.» La dottoressa si girò verso il figlio. Aveva quello sguardo glaciale che Cardinal trovava sensuale in una donna, senza dubbio perché non intendeva esserlo. «Sarebbe meglio se aspettasse fuori.» «Va bene.» Cardinal si sedette. Dopo un colpetto alla porta la segretaria entrò nello studio. «Scusate. Ce Craig Simmons. Insiste che le riferisca che sta aspettando.» «Melissa, sono con un paziente e ho visite prenotate per tutta la giornata. Non può farsi vivo di punto in bianco.» «Lo so, gliel'ho detto almeno cinquanta volte ma non mi dà retta.» «Bene. Digli che gli concedo cinque minuti dopo questo paziente, però che sia l'ultima volta... Scusatemi» disse la dottoressa Cates quando la segretaria uscì, gli occhi scuri non più tanto glaciali. «Certe persone non si danno mai per vinte.» Entrò in ambulatorio e chiuse la porta. Cardinal sentiva le voci all'interno ma non cosa si dicevano. Nell'attesa si guardò intorno nello studio. Ai tempi di Ray Choquette era tutto cromature e plastica, adesso vedeva poltrone di pelle, un ventilatore a pale al soffitto e due librerie con le ante di vetro piene di manuali di medicina. Un folto tappeto persiano regalava all'ambiente un aspetto caldo e invitante, più da studio di casa che da ufficio. Quindici minuti dopo la dottoressa usciva dall'ambulatorio, seguita dal vecchio con un'espressione battagliera in viso.
Estrasse il taccuino, parlando mentre scriveva: «Le faccio due ricette. La prima per un diuretico che le terrà pulito il torace, l'altra per fluidificare il sangue e abbassare la pressione.» Strappò i fogli e li porse a Stan. «Chiamo io il cardiologo, così saremo sicuri che ci andrà. La mia assistente la chiamerà per comunicarle l'orario.» «E per guidare?» chiese Cardinal. La dottoressa fece segno di no. Una ciocca nera si liberò dal fermaglio, arricciandosi attorno al collo. «Niente auto.» A parere di Stan quella donna aveva passato il segno. «Accidenti, cosa penserebbe lei se dovesse chiamare qualcuno ogni volta che vuole uscire? A trent'anni che ne sa della vita? Che ne sa di cosa posso o non posso sentire, ai piedi o in qualsiasi altro posto? Guidavo da vent'anni quando lei è nata. Mai avuto un incidente. Mai una multa. E adesso mi dice che non posso guidare? Che dovrei fare? Chiamare lui ogni cinque minuti?» «So che è spiacevole, signor Cardinal, e ha ragione. Non mi piacerebbe affatto. Però non deve dimenticare un paio di cose.» «Certo, adesso mi dice anche cosa devo pensare.» «Mi lasci finire.» «Che ha detto?» «Ho detto mi lasci finire.» Brava, si disse Cardinal. Un sacco di gente si lasciava mettere i piedi in testa dalle sfuriate di Stan, compreso suo figlio talvolta, invece quella donna non mollava la presa. «Non deve dimenticare un paio di cose. Primo: la neuropatia può migliorare. Lei tiene sotto controllo la glicemia, e non può fare nulla di più utile. Altri tre o quattro mesi possono cambiare molte cose. Secondo: tutti dipendono dagli altri. Dobbiamo imparare tutti quanti a chiedere.» «Per Dio, è come essere paralizzati.» «Non mi sembra la fine del mondo. A essere sincera sono più preoccupata per il suo cuore. Sento parecchio liquido nel torace. Prima pensiamo a quello e poi alla guida, d'accordo?» Quando Cardinal e suo padre uscirono in sala d'attesa, un uomo scattò dalla sedia e passò loro accanto. Aveva un'aria familiare con quella combinazione di capelli biondi e fisico palestrato, ma entrò nello studio chiudendo la porta prima che Cardinal riuscisse a riconoscerlo. Cardinal attese che la segretaria spiegasse la ricetta a suo padre. Nel frattempo dallo studio arrivavano rumori di litigio. «La dottoressa Cates riceve molti pazienti del genere?» chiese alla se-
gretaria. «Non è un paziente. È... mah, non saprei come definirlo.» «Possiamo andare? Che tu ci creda o no, non voglio passare il resto dei miei giorni in un ambulatorio» protestò Stan. Lungo la Algonquin Cardinal fu costretto a procedere a passo d'uomo. La nebbia che avvolgeva la regione da qualche giorno diventava impenetrabile in fondo ad Airport Hill. Era la fine di gennaio ma faceva caldo come ad aprile. Di solito in questa stagione ci si aspettava cieli limpidi e temperature polari. Invece sembrava che la nebbia fosse diventata una costante. «Naturalmente non esiste l'effetto serra» disse Cardinal, tanto per scuotere il padre dal malumore. «Aveva un tono quando mi parlava, come se fossi un bambino di sei anni» si lamentò Stan. «Diceva la verità. E dire la verità a qualcuno è una forma di rispetto.» «Come se tu non avessi di meglio da fare che scarrozzarmi in giro.» «Non fai che dirmi che il mio lavoro fa schifo.» «Certo. Cosa ti spinge a passare le giornate a dare la caccia agli svitati e ai vagabondi? Ai mariti tanto sbronzi da non tenersi in piedi? Sappiamo tutti e due che la gente si fa beccare solo perché è stupida... Dove stai andando, John? Quello è il mio vialetto.» «Scusa. Non vedo nulla con questa nebbia.» «Guarda, quello è lo scoiattolo.» Stan Cardinal teneva in giardino un enorme scoiattolo di rame, una banderuola antiquata recuperata anni prima e che la nebbia trasformava in un'apparizione da incubo. Suo figlio fece inversione con prudenza e infilò il vialetto. «Se mi chiami domani andiamo dal cardiologo. Se per caso io non posso, Catherine sarà felice di... Scusa.» Il cellulare stava trillando. «Cardinal, dove si trova?» Era Mary Flower, il sergente di turno. «Abbiamo un 10-47 tra Main e MacPherson e ci servono tutti gli uomini disponibili.» «Arrivo.» Chiuse il telefonino. «Devo scappare. Chiama Catherine più tardi per dirle a che ora domani» aggiunse rivolto a Stan. «Emergenza, eh? Un'altra lite in famiglia, immagino.» «In realtà si tratta di una rapina in banca.»
La Federal Trust era in pieno centro, sulla Main, una bassa struttura in pietra a vista che non faceva il minimo sforzo per confondersi con gli edifici secolari che la circondavano. Non era la sua banca, ma ricordava di esserci entrato con suo padre da bambino. Quando accostò di fronte all'ingresso, c'erano già tre volanti parcheggiate ad angolature improbabili rispetto al marciapiede. Ken Szelagy, grosso come un grizzly, un ungherese pazzo come lui stesso si definiva, era fermo sulla porta e stava parlando al cellulare, ma sollevò una mano appena vide arrivare Cardinal. «L'amico è sparito da un pezzo. In questo momento stiamo cercando di ottenere i nastri della sorveglianza. Sarà divertente cercarlo in questo pagliaio, eh?» «Qualche ferito?» «No. Solo qualche crisi di nervi.» «C'è anche Delorme?» «Già. Ha preso in mano la situazione.» Lise Delorme, oltre a essere un agente investigativo di prima classe, aveva un modo di fare talmente calmo e ragionevole da essere di grande aiuto nei rapporti con il pubblico. Aveva anche notevoli doti fisiche, per quanto in quel frangente contasse maggiormente il carattere. Cardinal aveva gestito parecchie rapine in banca, e di solito erano situazioni al limite della crisi isterica. Invece Delorme era riuscita a far sedere di nuovo gli impiegati alla loro scrivania in attesa di essere interrogati. Cardinal la trovò che discuteva con il direttore in un ufficio oltre una parete a vetri. Il direttore non aveva visto niente ma li accompagnò dalla giovane cassiera che dieci minuti prima stava guardando dritto dentro la canna di una pistola. Cardinal lasciò che fosse la collega a fare le domande. «Aveva una sciarpa sulla faccia. Una sciarpa scozzese, come i banditi dei film western. È successo tutto così in fretta» raccontò la cassiera. «E la voce? Come le è sembrata?» chiese Delorme. «Non l'ho mai sentita. Non ha detto una parola, almeno non mi pare. È rimasto lì a guardarmi un attimo, poi ha fatto scivolare un biglietto sul banco. È stato spaventoso.» «Ce l'ha ancora il biglietto?» La ragazza fece segno di no. «Se l'è portato via.» Cardinal si guardò intorno. Per terra vide un foglietto appallottolato. Lo raccolse e l'aprì tenendolo per i bordi per non rovinare le impronte digitali. Da un lato era battuto a macchina, dall'altro si leggeva, scritto sgrammaticato a matita: "Non dire niente o ti sparo. Non premere allarmi o ti sparo.
Passami tutti i soldi nel cassetto". «Ho svuotato la cassa e ho infilato i soldi in una busta. Dovremmo comportarci così in situazioni del genere. Lui ha infilato i soldi nello zainetto.» «Di che colore era?» «Rosso.» «È sicura che non abbia detto una parola? Capisco che è successo tutto molto in fretta, però ci ripensi un attimo» insistette Delorme. «Ha detto "Fallo", qualcosa del genere. E anche "Sbrigati".» «Aveva un accento particolare? Inglese? Francocanadese?» Delorme aveva un lieve accento francocanadese del quale Cardinal si accorgeva solo quando era arrabbiata. «Avevo tanta paura che mi sparasse che non ci ho fatto caso.» «Dio» fece Cardinal, osservando l'altro lato del biglietto. «È il Podam.» Si staccò dal banco, facendo segno a Delorme di seguirlo. «Che cavolo è un Podam?» domandò lei. Aveva lavorato alle Indagini speciali per sei anni prima di passare alle Indagini criminali, e la sua conoscenza della fauna locale era piena di lacune. «Podam sta per Più Ottuso Delinquente Al Mondo. Robert Henry Hewitt.» «Mi stai dicendo che sai che è stato lui?» Cardinal le porse il biglietto. «Tienilo per il bordo, così.» Quando Delorme guardò entrambe le facciate rimase senza fiato. «È un vecchio mandato di cattura. Scrive il biglietto per una rapina sul retro di un mandato intestato a lui? Non ci credo.» «Non vinci il titolo di Più Ottuso Delinquente Al Mondo se non ti impegni fino in fondo. Robert Henry Hewitt è un fuoriclasse, e guarda caso so dove abita.» «Anch'io. È scritto sul mandato.» Robert Henry Hewitt abitava nel seminterrato di una casetta fatiscente incassata in una parete di roccia alle spalle delle scuole medie riservate agli indiani ojibwa. Cardinal fermò l'auto in un mulinello di nebbia. Da quel punto scorgeva soltanto la fila di bidoni ammaccati in fondo al vicolo. «Sembra che siamo arrivati prima noi.» «Se non è ancora rientrato, cosa ti fa credere che verrà?» Cardinal si strinse nelle spalle. «È l'azione più stupida che mi viene in mente.» «Che auto guida?»
«Una Toyota arancione decisamente malridotta. Persino i finestrini sono arrugginiti.» Sentirono arrivare la macchina ancor prima di vederla, in una sequenza disincarnata di effetti sonori meccanici stile Uomo di latta. Poi l'automezzo li superò sferragliante, grattando il marciapiede con il tubo di scappamento penzoloni mentre entrava nel vicolo. «Apri lo sportello. Tieniti pronta a muoverti» disse Cardinal. «Ma è armato. Non dovremmo chiedere rinforzi?» Delorme lo squadrò con i suoi occhi limpidi. Cardinal pensava a quegli occhi sin troppo spesso. «Tecnicamente sì. Ma d'altra parte conosco Robert. Non rischiamo molto.» L'unica luce posteriore della Toyota si spense. Cardinal e Delorme scesero dall'auto lasciando aperti gli sportelli per non fare rumore e si avvicinarono alla Toyota con passi prudenti sull'asfalto bagnato. Il guidatore, un ometto con i capelli crespi rossicci e una sciarpa scozzese attorno al collo, scese, aprì il bagagliaio, estrasse un sacchetto di plastica del FoodMart rigonfio e uno zainetto rosso che si mise su una spalla, e infine chiuse con il gomito. «Robert Henry Hewitt!» L'ometto lasciò cadere zaino e spesa per tagliare la corda, ma Cardinal l'afferrò al volo per il giubbotto. I due crollarono al suolo in un groviglio di braccia e gambe. Alla fine Cardinal sollevò l'avversario di peso, e il più grande ladro di Algonquin Bay si trovò steso a faccia in giù sopra il bagagliaio della Toyota, a gambe divaricate. «Appena muove un dito stendilo» disse Cardinal mentre lo perquisiva. Da una tasca del giubbotto estrasse una pistola. «Dio mio, un'arma.» «È solo un giocattolo. Non volevo far male a nessuno» si giustificò Hewitt. «Dove non volevi far male a nessuno?» «Alla banca, santo Dio.» «Robert, cosa ti dico ogni volta che ci vediamo?» Il Podam si girò a guardare, e quando riconobbe Cardinal sorrise, mostrando alcuni incisivi ridotti in uno stato pietoso. «Ciao! Come va? Stavo appunto pensando a te.» «Robert, cosa ti dico ogni volta che ci vediamo?» Il Podam rifletté un istante. «Mi dici di stare alla larga dai guai.» «Sergente Delorme, nessuno mi dà mai retta. È un vero problema. Con-
trolla lo zaino. Direi che abbiamo una prova» disse Cardinal. Delorme estrasse dallo zainetto una busta gonfia con "Federal Trust" stampato in un angolo. L'aprì per mostrare a Cardinal il contenuto. Il suo partner lanciò un fischio. «Robert, che colpo. A quanto pare ti sei fatto qualche decina di dollari.» 2 Appena il Podam fu rinchiuso in una cella, Cardinal tornò alla scrivania per battere i suoi rapporti supplementari. Il bottino del Podam era irrisorio. Se l'avesse sottratto a un registratore di cassa se la sarebbe cavata con la libertà vigilata, ma Cardinal sapeva che la pubblica accusa avrebbe insistito per incriminarlo per rapina a mano armata, perciò stilò il rapporto di conseguenza. Aveva quasi finito quando il sergente di turno Mary Flower lo chiamò. «Ehi, Cardinal, le consiglio di venire a fare due chiacchiere con il Podam.» Era ferma sulla soglia della porta che conduceva alle celle. «Il Podam? È importante?» «Dice che ha delle informazioni su un omicidio.» Cardinal guardò Delorme a qualche scrivania di distanza. La collega levò gli occhi al cielo. «Sai che è di sicuro una balla?» chiese Cardinal. Flower si strinse nelle spalle. «Lo dica a lui, non a me.» Cardinal e Delorme tornarono nell'area di detenzione, composta da otto celle disposte a L tra l'area registrazione e il garage. Il Podam era rinchiuso nella penultima, l'unica occupata al momento. «Non canto gratis» disse subito, cercando di atteggiarsi a duro anche se sembrava disperato con quegli occhi da cane bastonato e la felpa puzzolente. «Io vorrei fare un patto. Tipo che esco su cauzione.» «Non la vedo tanto facile. Dipende da quello che hai da dirci. Non posso promettere niente» replicò Cardinal. «Però potresti mettere una parola buona per me. Dirgli che ho fatto il mio dovere di cittadino. Che ho dato una mano alla polizia.» «Se ci dai informazioni utili racconterò al procuratore che sei stato collaborativo.» «E anche dispiaciuto. Gli dirai che mi dispiace tanto per la banca. No so cosa mi è preso.» «Glielo dirò. Cos'hai da darci, Robert?»
«Cioè, sai che ci sto male, soprattutto visto che mi dici sempre di stare lontano dai guai, e te ne sono grato. Non voglio che creda che non ti do retta. Io ti ascolto, solo che mi dimentico. Sai, mi viene in mente un'idea e comincia a frullare come una centrifuga.» «Robert?» «Sì?» «Dicci cos'hai.» «Va bene. Il giorno prima che facessi finta di rubare in banca...» «Hai rubato dei soldi. Questo non è fare finta» precisò Delorme. «Va bene, va bene. Il giorno prima. Sono a Toronto dalla mia ragazza.» Cardinal prese un appunto mentale di fare un controllo su quella ragazza appena avesse trovato il tempo. Doveva essere una pazza o una santa. «Sono a Toronto dalla mia ragazza e decido di andare in un bar. Sai, una serata per conto mio. Così vado sulla Spadina... hai presente il Penny Wheel?» «Fin troppo bene.» Prima di Algonquin Bay Cardinal aveva lavorato per dieci anni nella polizia di Toronto. Ogni sbirro della città conosceva il Penny Wheel, un seminterrato umido sulla Spadina, il genere di locale in plastica rossa che soltanto un criminale può apprezzare. La cosa notevole era che, a differenza di tutto il resto della città, questo specifico ritrovo era riuscito a rimanere immutato negli anni. «Allora, sono al Penny Wheel quando chi ti vedo se non Thierry Ferand? Conosci Thierry, una specie di trapper e cazzate del genere?» «Conosco Thierry.» Ferand era un cacciatore di pelli del posto. Un paio di volte all'anno usciva dai suoi boschi per vendere la mercanzia all'asta delle pellicce e ogni volta veniva arrestato per ubriachezza molesta e schiamazzi, spesso per lesioni di vario grado. Si diceva in giro che ogni tanto facesse qualche lavoretto per la versione locale di Cosa nostra, ma non era mai stato provato nulla a suo carico. Era un piccoletto, ma cattivissimo e imprevedibile. Quando era arrabbiato, sulla sua manina lurida spuntava immancabile un tirapugni. «Be', io e Thierry ci conosciamo da una vita.» «Dai tempi del carcere di Kingston, se ricordo bene.» «Come fai a saperlo? Voi ragazzi siete incredibili. Insomma, vedo Thierry seduto da solo in un angolino così vado a farci due chiacchiere. Thierry è sbronzo marcio, totalmente andato, e inizia a dire certe cose.» Il Podam si avvicinò alle sbarre della cella per guardare in corridoio, quindi aggiunse con il tono di chi riferisce informazioni di importanza nazionale:
«Cose grosse». «Tipo?» «Oh, poca roba. Un piccolo omicidio. Saresti interessato?» Robert Henry Hewitt, qualsiasi altra cosa potesse essere nella vita, era sicuramente il peggior attore del mondo. Cardinal faticò a restare serio. Aveva persino paura di girarsi verso Delorme per evitare che scoppiassero entrambi a ridere. «Certo, Robert. Gli omicidi ci interessano sempre.» «E dirai alla pubblica accusa che vi ho dato una mano?» «Basta, me ne vado.» Cardinal si avviò verso l'uscita. «Aspetta! Aspetta! D'accordo! Te lo dico. Sei un testone. Ho conosciuto tizi più calmi al fresco.» Quasi per togliersi dalla testa l'impazienza di Cardinal, il Podam si infilò un dito in un orecchio e iniziò a trivellare. «Allora, come dicevo: Thierry è ubriaco fradicio e inizia a parlarmi di questa storia che gli fa accapponare la pelle. Finisce la decima birra circa e si china sul tavolo per dirmi cos'è capitato a un suo amico. Un certo Paul Bressard. Un altro trapper. Per farla breve, Paul Bressard s'è fatto ammazzare. Da un tale di città a cui doveva dei soldi. Forse la mafia, un padrino o simili. Hai mai noleggiato il film?» «Robert, possiamo restare in argomento?» In effetti Bressard era stato incriminato anni prima per lesioni aggravate dopo aver quasi ammazzato un tale che doveva dei soldi a Leon Petrucci. Forse era stato il suono agghiacciante della registrazione del sintetizzatore vocale di Petrucci (lascito del suo amore per i sigari cubani) mentre annunciava a Bressard che sarebbe stato pagato profumatamente se "spiegava la loro posizione", fatto sta che la giuria se l'era fatta sotto e sia Bressard che Petrucci non avevano scontato un giorno di galera. In effetti era possibile che i suoi legami con la mafia si fossero ritorti contro Bressard. «Ora ti spiego. Questo tale, un tipaccio, viene qui ad Algonquin Bay dalla città per far fuori Bressard, e Thierry sostiene di sapere dove il cadavere.» Cardinal si girò verso Delorme. «Abbiamo ricevuto una denuncia di persona scomparsa per Paul Bressard?» «Non che io sappia. Vado a controllare.» «Allora, Robert, dove sarebbe il cadavere?» «Devo saperlo prima che mi aiutiate?» «Diciamo che migliorerebbe la tua situazione. Intanto dicci, come fa Thierry Ferand a sapere dove si trova il presunto cadavere?»
«Non lo so! Non gliel'ho chiesto!» Il Podam inclinò la testa da un lato come il cane della RCA e si grattò la testa. «Mah, forse me l'ha anche detto però me lo sono scordato. Pure io mi sono scolato qualche birretta. Però vi sto parlando di un omicidio di cui non sapevate nulla, no? La Corona comincerà a indagare, no?» «Controllerò, e spero per te che non sia una perdita di tempo» disse Cardinal. «Non farei mai una cosa del genere.» 3 Cardinal passò davanti alla casa di suo padre alla periferia nord di Algonquin Bay, poi svoltò in Ojibwa Road. C'erano solo tre edifici in quella strada, due villini decrepiti e la bifamiliare in mattoni a vista di Bressard. Persino nella nebbia sembrava una casetta borghese come tante altre, non aveva nulla che potesse rivelare al passante che il proprietario viveva come avevano fatto generazioni di suoi antenati, prendendo in trappola gli animali da pelliccia. Quanto a Paul Bressard, che stava uscendo di casa quando Cardinal infilò il vialetto, era tutta un'altra storia. Non aveva per nulla l'aria del borghese. I cacciatori di pelli sono una razza a parte, con una tendenza all'eccentricità, per non dire al selvatico, che li fa spiccare nei luoghi conservatori come Algonquin Bay. E persino all'interno di questo gruppo bizzarro Bressard non poteva passare inosservato. Il trapper stava scendendo gli scalini con il suo cappello di castoro a tesa larga e un cappotto di procione lungo fino ai piedi, anche se era troppo caldo per entrambi i capi, i baffoni scendevano oltre il mento e gli occhi infossati erano talmente scuri da sembrare quasi neri. In quel momento li aveva inchiodati su Cardinal. Quando lo riconobbe gli rivolse un sorrisone che avrebbe reso invidioso un divo del cinema. «Adesso lavori per la Protezione ambientale? Mi vuoi inchiodare per bracconaggio?» «No, avevo solo sentito dire che eri morto e volevo scoprire se era vero.» Bressard si fece serio. Le sopracciglia grosse come la coda di uno scoiattolo si toccarono a metà fronte. «Non vorrei allarmarti, solo che gira una voce secondo la quale saresti deceduto. Mi sa che è l'inizio di una leggenda metropolitana» aggiunse
Cardinal. Bressard ammiccò esattamente due volte mentre metabolizzava l'informazione, poi fece balenare di nuovo il sorriso da divo del cinema. «Sei venuto sin qui per controllare se stavo bene? Sono commosso, amico. Davvero. E come sarei morto?» «Si dice che uno da fuori città, forse uno di quei turisti schifosi che porti a caccia, ti avrebbe ammazzato e sepolto nella foresta.» «Be', non si vedono molti turisti in questa stagione. E come puoi vedere sono ancora vivo.» «Lo vedo. Non sei nemmeno scomparso. Che delusione.» Bressard scoppiò a ridere. «Sono voci che girano attorno ai grandi. Almeno adesso puoi dire di avere qualcosa in comune con Paul McCartney» continuò Cardinal. «Stai scherzando? Sono molto più in forma di lui. E canto anche meglio.» Bressard salì sulla sua Ford Explorer e abbassò il finestrino. «Dovresti venire al Chinook la sera del karaoke. Mi chiederai l'autografo.» Cardinal lo seguì con lo sguardo mentre si avviava verso il paese, oltre il limite del bosco da cui ricavava di che vivere. All'incrocio tra Algonquin e lo svincolo della statale 11 fu bloccato da un incidente. Il rimorchio di un autoarticolato era finito nella corsia opposta. Non c'erano vittime ma il traffico era rallentato mentre spostavano il mezzo. Nell'attesa Cardinal ascoltò il notiziario. Il segretario provinciale del National Democratic Party spiegava la piattaforma del partito per le prossime elezioni: riforma della sanità, sussidi per le madri lavoratrici e aumento del salario minimo. Purtroppo quel tipo non gli piaceva, anche se era d'accordo con tutto quello che diceva. Poi venne la replica del primo ministro Geoff Mantis che tacciava l'avversario di essere "paladino della spesa e delle tasse". Nessun dubbio: quelli che scrivevano gli slogan dei conservatori erano più in gamba. Purtroppo erano convinti che il governo non dovesse fare alcunché per nessuno. Chiudi gli ospedali, sbarra le scuole e voilà, sono tutti contenti. Poi venne il meteo. Prevedevano che la nebbia sarebbe rimasta in gran parte dell'Ontario settentrionale, con qualche goccia di pioggia. Un esperto spiegava come mai quello strano clima caldo non era per forza indizio dell'effetto serra ma più probabilmente un'anomalia statistica. Il cellulare di Cardinal suonò. «Cardinal.»
Era Mary Flower e sembrava su di giri. «Cardinal, deve andare subito in Sackville Road, allo Skyway Service Centre. Delorme è già per strada.» «Perché? Che succede?» «Hanno trovato un cadavere. Quasi.» Cardinal tornò indietro verso Sackville Road, in direzione ovest. In quel settore della città la nebbia era più rada, poco più che una foschia. Alla fine arrivò a un distributore di benzina in disarmo, Skyway Service Centre, Riparazioni fuoribordo & motoslitte. I gusci ammaccati delle motoslitte erano ammassati contro un lato della palazzina come una catasta di legna multicolore. Quando scese dall'auto vide Lise Delorme che accostava subito dietro. «Lise, possiamo essere sinceramente grati al Podam. Potremmo chiedere al giudice di rincarare di una settimana la pena che prevede di appioppargli.» «Paul Bressard non è morto?» «Non solo non è morto, ma è in ottima forma.» «Be', questo invece dovrebbe essere un po' più interessante.» Un omone in tuta lercia uscì dal garage. Era largo di spalle e stretto ai fianchi, e un tempo doveva avere avuto un aspetto temibile. Però adesso la salopette era tesa sulla pancia come se avesse un pallone da basket nascosto sotto la pettorina. Il viso era mascherato da un folto barbone da boscaiolo dei cartoni animati, nero con qualche traccia di grigio. Ivan Bergeron era la metà dei fratelli Bergeron, due gemelli monozigoti che avevano dominato gli sport di squadra al liceo locale nei sei anni in cui l'avevano frequentato. Questo succedeva un po' prima dell'arrivo di Cardinal, che però ricordava ancora Ivan e suo fratello Carl come una coppia ottima e affiatata nelle squadre di hockey e football quando lui frequentava il primo anno. «Spiegaci cos'hai trovato, poi andiamo a dare un'occhiata» disse Cardinal. «Sono in officina che provo a resuscitare uno Ski-Doo del '74 che doveva essere gettato nella discarica vent'anni fa quando il cane comincia ad abbaiare. Di solito è molto tranquillo e invece stavolta s'è messo ad abbaiare come un pazzo. Gli grido di stare zitto, però lui insiste. Alla fine esco, e lo trovo nel cortile di dietro e... Ma perché non venite a vedere? Faccio strada» spiegò Bergeron. Dietro l'angolo, una casetta a due piani se ne stava accasciata contro il garage come se fosse svenuta. Bergeron li accompagnò sul retro. «Proprio
lì» disse indicando con la mano. «Ho portato quello stupido cane dritto in casa appena ho capito cos'era. Si aspettava che gli dicessi bravo o qualcosa del genere, e invece non riuscivo a credere ai miei occhi.» «Che ora era?» «Non saprei. Le dieci?» «E ci hai chiamato solo adesso?» «Be', perché dovrei sapere come devo comportarmi? Non mi sembrava un'emergenza. A essere sincero, non voglio nemmeno pensarci.» Cardinal aveva visto tante cose sgradevoli nei suoi vent'anni da sbirro, però mai un braccio umano totalmente staccato dal suo proprietario. S'erano fermati a circa tre metri di distanza. Ivan Bergeron non sembrava intenzionato a procedere oltre, rimase a qualche passo di distanza a gambe larghe e braccia conserte sulla pancia. Cardinal e Delorme si avvicinarono alla cosa. «Spero che ve lo porterete via.» «Non subito. Sei certo che sia stato il cane a portarlo qui? Non l'hai visto con i tuoi occhi, no? Sei uscito e l'hai visto che gli abbaiava contro?» domandò Cardinal. «Deve averlo tirato fuori dal cespuglio. Prima di tornare ci stava ronzando attorno da un po'.» Lo stomaco di Cardinal stava facendo strane capriole. C'era un non so che di sgradevole in un pezzo di corpo umano così fuori posto. Il braccio era posato su una crosta sudicia di neve, pallidissimo a parte i peli neri più folti presso il gomito, più radi verso il polso. Si notavano solchi profondi da artiglio ma pochissimo sangue. «Sembra che qualcuno abbia litigato con un orso» commentò Cardinal. «Un orso? Non sono in letargo in questo, periodo dell'anno?» chiese Delorme. «Possono confondersi se c'è qualche giornata più calda. È normale che si sveglino. E quando capita tendono a essere nervosetti. Sarà divertente identificare l'amico.» «Guarda quel pelo sull'avambraccio. È grigio» disse Delorme indicando. «Già. Dovremo cercare un uomo maturo tra le persone scomparse. Intanto vediamo di scoprire quel che resta del tipo.» «Vi portate via quella roba, vero? Non lavoro molto bene con un braccio nel prato» insistette Bergeron. Alla fine Ivan Bergeron fu costretto a lavorare con un braccio nel prato
per l'intero pomeriggio. Cardinal chiamò in centrale per farsi mandare tutti gli agenti liberi che Mary Flower poteva trovare, poi telefonò alla polizia provinciale dell'Ontario per ottenere anche da loro trenta uomini. Alla fine sentì il capo dei pompieri chiedendo altri trenta vigili di rinforzo che, soprattutto, erano accompagnati da tre cani da cadaveri; nulla a che vedere con i dalmata solitamente associati con le stazioni dei pompieri, ma pastori tedeschi addestrati a trovare i corpi negli edifici bruciati in cui è troppo pericoloso entrare per un uomo. Nel giro di un'ora Cardinal aveva una squadra di agenti rimpolpata da vigili del fuoco e poliziotti della OPP, la polizia provinciale, impegnata a battere la foresta, un piccolo esercito di uomini e donne in uniforme blu che avanzava adagio tra pini e betulle luccicanti. Nessuno fiatava. Sembrava un film con l'audio azzerato. Attraversarono la boscaglia fradicia, dove la terra emanava intensi odori di resina e foglie marcie. Dopo una decina di minuti l'agente Larry Burke fece la scoperta successiva, stavolta una gamba. Ancora una volta Cardinal provò quella strana sensazione allo stomaco. Avevano di fronte una gamba umana strappata all'altezza dell'anca, intera dalla parte del piede, con squarci tremendi nella carne della coscia. «Gesù» fece Delorme. «Sicuramente un orso. Guarda là. E là. Deve avere denti grandi come la tua mano.» Cardinal stava indicando le ferite. La nebbia rallentò la procedura. Ci vollero altre due ore prima di trovare gli altri pezzi del corpo: la seconda gamba parzialmente divorata e una parte inferiore del torace tanto masticata da essere riconoscibile a stento. Un cane da cadavere aveva ringhiato contro il tronco di un albero caduto sotto cui l'avevano trovato. Forse l'orso o gli orsi l'avevano nascosto in quel punto per finirselo in un secondo tempo. Poi Cardinal trovò un pezzo di orecchio e di scalpo con un paio di occhiali da aviatore ancora attaccati. «Ti sembra casuale questa distribuzione? O pensi che sia stato qualcuno a spargere i pezzi?» chiese a Paul Arsenault, che stava fotografando gli occhiali. «Intendi qualcuno che non è un orso?» «Qualcuno che non è un orso.» Arsenault era accovacciato e si stava masticando la punta di un baffo. «Se c'è uno schema, non credo che lo decifreremo dal basso. Servono foto dall'alto.»
«La nebbia si sta diradando, ma non si vede ancora niente attraverso gli alberi. Nemmeno usando contrassegni rossi.» Arsenault iniziò a masticare l'altro baffo. «Potremmo sganciare i palloni a elio. La scorsa settimana abbiamo festeggiato il compleanno di mia figlia e a casa ne abbiamo ancora un sacco.» Fu subito inviato a casa di Arsenault un agente che tornò venti minuti dopo con i palloncini. A ogni pallone attaccarono una trentina di metri di lenza legata a un peso posato accanto a ogni reperto, poi la OPP scattò le foto all'alto. Cardinal e Delorme erano appena tornati allo Skyway Service Centre per riorganizzare le forze impegnate nella ricerca quando videro arrivare una Lexus nera che Cardinal riconobbe all'istante, accasciandosi impercettibilmente. Il dottor Alex Barnhouse era il genere di fastidio di cui un'indagine non aveva bisogno. Certo, ottimo coroner, ma irritante, e non solo per Cardinal. Il medico legale abbassò il finestrino. «Diamoci una mossa, va bene? Non ho tutto il giorno da sprecare.» Cardinal lo salutò allegro. «Salve, dottore! Come va?» «Possiamo sbrigarci, per favore?» «Non è una giornata stupenda? Guardi che alberi! Che nebbia! Sembra uscita da una favola, non trova?» «Non riesco a pensare a nulla di più inutile.» «Ha ragione. Parcheggi la sua bella Buick, così cominciamo.» Barnhouse scese di macchina con la valigetta. «Che Dio ci aiuti quando la polizia locale non sa distinguere una Buick da una Lexus.» «Sei davvero fetente» sussurrò Delorme mentre andavano verso il cortile sul retro. «Quell'uomo tende a portare allo scoperto il mio lato immaturo.» Barnhouse esaminò il braccio mozzato, poi seguì gli altri nel bosco, sempre con la valigetta nera in mano. Le altre parti le degnò appena di un'occhiata, poi disse: «Agente Cardinal, è mia opinione professionale che un maschio non identificato abbia incontrato la propria sorte in modo innaturale. Un indicatore è la mancanza di vestiti presso il corpo. Un altro la scarsa presenza di sangue. Data la gravità delle ferite inferte da uno o più animali, questi alberi e le foglie dovrebbero essere coperti di sangue, e invece non lo sono.» «Però può semplicemente significare che gli orsi l'hanno ucciso altrove e
hanno sparso i pezzi dappertutto.» Barnhouse scosse il capo. «L'hanno mangiato, ma non l'hanno ammazzato. Lo si capisce dalle ossa più grandi. Ritengo che alcune ferite non siano state inflitte da un animale bensì da uno o più uomini con un'ascia o altro oggetto affilato. Le ossa sembrano tranciate, non strappate. Comunque non sono esperto in materia e immagino che vi avvarrete dei servigi del Centro di medicina legale di Toronto.» «Che tempi ci dà per la morte?» «Santo cielo, amico, come faccio a dare una data? Non abbiamo nemmeno lo stomaco per valutarne il contenuto.» «Allora, questa storia dell'ascia? Sono stati colpi inferti dopo o prima della morte?» «Dopo. Non c'è sangue sulle ossa, il che significa che il suo cuore s'era fermato prima che lo facessero a pezzi. E di questo siamo tutti grati, ne sono convinto.» Barnhouse scribacchiò un modulo, poi strappò il foglio dal blocco e lo diede a Cardinal. «Salutatemi il Centro di medicina legale. Ora, se qualcuno è tanto gentile da mostrarmi da che parte posso tornare, vi saluto tutti.» Cardinal fece segno a Larry Burke. «Di qua, dottore» disse Burke, poi i due si allontanarono nella nebbiolina. «Ormai avrei dovuto farci il callo» si lamentò Delorme. Il walkie-talkie di Cardinal lanciò un sibilo, poi una voce disse qualcosa di incomprensibile. «Cardinal. Può ripetere?» «Ho detto che abbiamo trovato una struttura. Mi sa che vorrai darci un'occhiata.» Era la voce di Arsenault. «Dove sei?» «A valle rispetto all'officina. Segui il torrente verso ovest.» Delorme si voltò verso il bosco, ridotto a un reticolo bigiolino. «Ovest? Sarebbe bello se ci fosse un sentiero.» Trovarono il ruscello e lo seguirono, e alla fine sentirono le voci e scorsero il vago profilo di una capanna. Arsenault era inginocchiato accanto a un cespuglio e stava usando un coltellino e una provetta. «Cos'hai trovato?» gli chiese Cardinal. «Tracce di vernice. Qualcuno è passato in macchina da qui di recente.» Arsenault indicò con il pollice una traccia appena accennata di pneumati-
co. «Potrebbero averlo scaricato lì. Cioè, prima che lo trovassero gli orsi.» Cardinal guardò meglio le tracce. «Credi di poterne ricavare un calco?» «No. Troppe foglie.» «L'immaginavo. Cos'è, un vecchio sentiero di taglialegna?» «Sì. Deve risalire a ottant'anni fa. Però si vede che è stato usato. Probabilmente dal proprietario di questo rudere.» Bob Collingwood, il collega di Arsenault, era all'interno della baracca. «Puah, che puzza» disse Delorme. La baracca, una decina di metri quadri in tutto, era di tronchi appena sgrossati che riuscivano a fare poco per tenere fuori il freddo e nulla per tenere fuori l'umidità. Dentro c'erano un frigo, una branda arrugginita, un banco di metallo con due lavelli e un'antiquata stufa a legna di ghisa con lo sportello penzolante da un cardine rotto. Il tugurio sapeva di decomposizione, muffa e legno marcio. «Non c'era lucchetto. La porta era aperta» disse Arsenault, fermo alle spalle di Delorme. «Non la usavano da un bel po'» replicò lei mostrando le gigantesche ragnatele attorno all'entrata. «È una capanna da trapper?» «Totalmente illegale, è ovvio» aggiunse Cardinal. «Le costruiscono dove cavolo gli pare. Il problema è di quale trapper. Devono esserci almeno una decina di signori che si guadagnano il pane da queste parti.» Collingwood era giovane, con le orecchie a sventola, pignolo e laconico. Cardinal poteva contare su una mano sola il numero di frasi compiute che erano uscite da quelle labbra nel corso di tutta la sua carriera visto che era solito parlare per fonemi puri, quando si scomodava a farlo. Adesso stava indicando in silenzio i lavelli, del genere con un manico di pompa al posto del rubinetto. Collingwood infilò nello scarico un dito coperto da un guanto di lattice, tirandolo indietro macchiato. «È ruggine o sangue?» chiese Cardinal. «Sangue.» «Quindi potrebbe essere stato ammazzato qua dentro. Però potrebbe anche essere solo sangue di animale.» Delorme s'era inginocchiata di fronte alla stufa. «Sembra che abbiano tentato di bruciarci dentro dei vestiti. Collingwood, hai un telo?» Collingwood aprì una valigetta di cuoio contenente tutti i ferri del mestiere, poi insieme aprirono un sottile telo di plastica su cui i reperti potevano spiccare meglio e usarono un paio di pinze per estrarre dalla stufa la massa annerita. Erano un paio di jeans, ridotti a poco più della cintola, un
colletto di camicia, parecchi bottoni, buona parte di un paio di scarpe e una massa bruciata di materiale non identificabile. Collingwood estrasse dalla borsa uno strumento per misurare le suole delle scarpe. «Quarantaquattro.» «Va bene. Ci serve la taglia della vita e anche del colletto, se ne resta abbastanza per prendere le misure» disse Cardinal. Delorme stava smuovendo delicatamente il materiale bruciato con le pinze. «Cos'è questo?» disse a se stessa più che agli altri. Aveva sollevato un piccolo grumo di metallo fuso, che posò sul telo. Su un lato era più lucido e recava ancora parte della figura incisa di un animale. «Sembra una strolaga» disse guardando gli altri due. Cardinal si chinò sulla sua spalla per vedere meglio. «Credo di sapere di cosa si tratta.» 4 La riva nord del lago Nipissing è uno dei luoghi più piacevoli dell'Ontario, ma Lakeshore Drive, la strada che corre lungo la parte superiore della baia che dà il nome ad Algonquin Bay, sembra essere stata progettata all'unico fine di tenere nascosto questo fatto alla popolazione, fungendo da tempo immemorabile da calamita per ogni tipo di pugni nell'occhio. Sul quel lato del lago si possono trovare fast-food, pompe di benzina e motel dal nome stuzzicante ma privi di fascino, di fronte, concessionari di auto e centri commerciali. Loon Lodge era al confine occidentale di tanta bruttezza. Non era un vero "lodge", un padiglione, bensì una decina di minuscole capanne bianche con le imposte verdi e tende in stile rustico, essendo stato costruito negli anni cinquanta, prima che venisse di moda lo stile capanne di tronchi. Molti abitanti di Algonquin sono convinti che questi esercizi siano chiusi in inverno, ma in realtà hanno due fonti di reddito stagionale, quella dei pescatori nel ghiaccio, dei dentisti e degli assicuratori che si concedono qualche giorno di ferie per andare al nord con gli amici a sbronzarsi a morte, e quella di chi cerca un posto economico in cui vivere, e fuori stagione non c'è nulla di più economico di una capanna in Lakeshore Drive. Cardinal era stato qualche volta al Loon Lodge, il "padiglione delle strolaghe". Ogni tanto un suo ospite spaccava la faccia alla moglie, oppure era la consorte a stancarsi delle sbronze del marito e gli infilava un coltello da
cucina tra le costole. Talvolta vi si insediava qualche spacciatore, ma poi in estate vi alloggiavano soltanto americani abbronzati, famiglie senza troppi soldi che approfittavano della relativa debolezza del dollaro canadese. Cardinal e Delorme erano entrati nella prima capanna di assicelle bianche del Loon Lodge, quella indicata da un cartello come UFFICIO, quattro volte più grande delle altre unità, in cui abitava il proprietario con moglie e figli. Si chiamava Wallace e assomigliava a un uovo, il volto paffuto dall'espressione dolente come se soffrisse di un perenne mal di denti. Un bimbo di quattro anni, altrettanto ovoidale e sconsolato, stava guardando i cartoni animati nella stanza accanto. L'odore della cena aleggiava nell'aria, ricordando di colpo a Cardinal che non aveva pranzato. Wallace estrasse il registro degli ospiti, trovò il nome e girò il libro sul banco. «Howard Matlock, 91a Est 312, New York» lesse Delorme ad alta voce. «Vorrei non averlo mai incontrato. La settimana scorsa è andata davvero a rilento, così sono stato felice di vederlo arrivare, anche se voleva fermarsi solo un paio di giorni» spiegò Wallace. «Ford Escort» lesse Delorme mentre copiava il numero di targa. «Già. Rossa. Però non la vedo da un paio di giorni.» «Quando è arrivato?» chiese Cardinal. «Giovedì, mi pare. Sì, giovedì. Avevo appena cacciato un paio di indiani che volevano una camera. Mi dispiace ma non m'interessa quanti bungalow liberi ho, io a quelli non affitto. Sono stanco di ripulire vomito e sangue. Ho una reputazione da mantenere.» «Deve solo sperare che nessuno la denunci per discriminazione razziale» disse Delorme. «La gente non sa come sono gli indiani. Se ne metti insieme due o tre con una bottiglia di liquore ti ritrovi un'unità inaffittabile.» «E adesso cos'ha, invece?» «Avete detto che avete trovato questa chiave su un cadavere?» Wallace indicò la massa fusa dentro il sacchetto che Cardinal aveva posato sul banco. «Più o meno.» «Immagino di avere un conto non pagato e un affittuario non più vivo.» Wallace scosse la testa, imprecando sottovoce. «Avete idea di quanto ci vuole per avviare un posto come Loon Lodge? La reputazione non te la procuri in un giorno.»
«Ne sono sicuro» disse Cardinal. «Il signor Matlock le ha spiegato come mai è venuto ad Algonquin Bay?» «Insomma, succede una storia del genere e tutti i tuoi sforzi, tutti quei tocchi in più che rendono un motel speciale, un posto dove la gente vuole tornare, finiscono in nulla. Tanto vale staccare l'insegna e dichiarare fallimento.» Cardinal si stava chiedendo come aveva fatto un pessimista come Wallace a tirare fuori abbastanza ottimismo per aprire un motel, ma preferì attenersi alla domanda iniziale. «Il signor Matlock ha spiegato perché è venuto ad Algonquin Bay?» «Mi ha parlato di pesca nel ghiaccio.» «È un po' presto per la pesca nel ghiaccio. A parte l'ondata di caldo.» «È esattamente quel che gli ho detto. Non si esce sul lago per altre due settimane almeno, anche senza questa ondata di caldo. Lui ha detto che lo sapeva ma stava solo controllando il posto per una comitiva che prevedeva di salire quassù verso fine febbraio.» «Da New York?» chiese Delorme. «Mi sembra un bel viaggio solo per venire a fare i sopralluoghi di una battuta di pesca.» Wallace si strinse nelle spalle. «Questi americani.» Staccò una chiave dal pannello dietro il banco, poi fece strada oltre parecchie capanne. «Non mi è mai sembrato un gran che come sport. I pesci sono storditi dal freddo e hanno fame. Dov'è l'abilità? Stare seduti sopra un buco in una baracca schifosa» disse Delorme al collega. «Dimentichi la birra.» «Oh, non dimenticate la birra» intervenne Wallace. «Non immaginate la quantità di casse che si portano dietro. In ogni unità tengo una slitta che in teoria serve per i bambini. Ma vedete forse qua in giro delle colline per scendere con lo slittino? Le usano per portare al lago le casse da ventiquattro.» «Ha detto che Matlock è arrivato giovedì. Quando si è accorto che l'auto era sparita?» «Mi pare sabato. Due giorni fa. Esatto. Perché gli ho chiesto di spostarla venerdì sera. Aveva parcheggiato nel posto della 4. Non che la 4 fosse occupata. Comunque sabato mattina non c'era più. È stato questo a insospettirmi. L'auto non c'è più e non vedo uscire fumo dal camino. Stamattina sono andato a bussare, non ho trovato nessuno e mi sono detto che gli avrei concesso qualche ora prima di cominciare a sospettare di essere stato
fregato.» «Ha fatto qualche telefonata? Lo saprebbe se ne avesse fatte?» chiese Cardinal. «Lo saprei se avesse fatto interurbane, ma non ce n'erano. Invece non controllo le chiamate locali.» «Grazie, signor Wallace, proseguiamo da soli.» «Fate pure.» Wallace gli aprì la porta. «Se dentro ci sono soldi, devo avere centoquaranta dollari.» L'interno dei bungalow del Loon Lodge non era cambiato dall'ultima volta che Cardinal ne aveva ispezionato uno. Letto matrimoniale in una rientranza, divano a fiori e un cucinino in un angolo con un piccolo frigo, piastra elettrica, lavello di alluminio. Gli tornò in mente un incidente del passato, una donna esagitata che gli lanciava addosso una padella piena d'olio perché era venuto ad arrestare il marito. Vide accanto a una finestra un tavolo coperto con una cerata gialla, con sopra una copia del New York Times. Data di cinque giorni prima, forse acquistata in aereo. Il letto (coperta di ciniglia lisa con lo stesso emblema del Loon Lodge riportato sull'anello della chiave) era in ordine, e accanto si vedeva una valigetta con le ruote contenente abbastanza vestiti per un fine settimana e un tascabile di Tom Clancy. «Ecco il portafoglio» disse Delorme mentre lo recuperava da sotto il tavolo, rischiando di rovesciare una lampada (disegno di strolaga sul paralume). «Ecco un primo problema. L'auto è sparita. Chi è che esce in macchina senza il portafoglio? Devi portarti dietro la patente, no?» «Forse l'assassino è venuto a bussare.» «Possibile. E lui perde il portafoglio nella colluttazione, anche se qui non rimane segno di lotta.» Delorme aprì il portafoglio. «Comunque penso che possiamo escludere la rapina come movente. Qui ci sono ottantasette dollari, tutti americani. Forse è uscito a comprare le sigarette e non aveva bisogno del portafoglio.» «Ne aveva ancora.» Cardinal indicò un pacchetto mezzo pieno di Marlboro sul comodino. «Howard Matlock è autorizzato a praticare l'attività di commercialista nello stato di New York» lesse Delorme con tono formale da un biglietto da visita.
«Pescatori nel ghiaccio... puoi scommettere che sono tutti commercialisti.» «È anche iscritto alla biblioteca pubblica di New York, a Blockbuster e ha una patente di New York.» La mostrò a Cardinal. Il morto che lo fissava dalla foto tessera portava gli stessi occhiali trovati nel bosco. Si guardarono attorno. «A parte il portafoglio per terra, sembra tutto in ordine. E aveva ancora in tasca la chiave della stanza ma non quella dell'auto. Il che mi fa pensare che l'assassino o gli assassini se ne siano andati con la sua macchina» concluse Cardinal. «Se devi rubare una macchina, perché una Ford Escort? E se stai coprendo un furto, mi sembra un tantino eccessivo fare a pezzi un cadavere nella foresta.» «Forse in auto c'era qualcosa di incriminante.» Passarono in rassegna il contenuto della valigia: tre camicie, tre paia di mutande, tre paia di calzini, due dei quali bucati. «Pensavo che i commercialisti guadagnassero un sacco di soldi, invece sembra che l'amico se la passasse malaccio» commentò Delorme. Sullo scaffale del bagno trovarono una scatola di antiacidi e confezioni da viaggio di lassativo e antidiarroico. «Bravo boy-scout, preparato a tutto» aggiunse. «A parte la caccia e la pesca, come noterai. Niente canna, niente mulinello, niente ami. Nulla. Lo so che stava solo facendo un giro preliminare, però...» «Forse li teneva in macchina. Quando la troveremo...» Erano fermi uno di fronte all'altro in mezzo al bungalow. In attesa di un'idea. Di una teoria, pensò Cardinal. «Che strano. Da quanto ne sappiamo, Howard Matlock, commercialista in vacanza, è venuto da queste parti per la pesca nel ghiaccio. Esce per fare un giro, senza portafoglio, e si fa ammazzare. Forse qualcuno ha tentato di derubarlo e l'ha ammazzato in preda alla rabbia vedendo che era privo di portafoglio» disse Delorme. «Grazie, agente. Questo spiega tutto. È chiaro che possiamo dichiarare risolto il caso.» «Lo ammetto, c'è qualche falla.» «Secondo me siamo tutti e due convinti che la versione della pesca nel ghiaccio non regge. E...»
«E cosa? Mi sembri preoccupato.» «Ho un brutto presentimento. Il mio guru nella polizia di Toronto diceva sempre che ci vogliono tre cose per risolvere un caso in cui il colpevole non è subito ovvio: talento, perseveranza e fortuna. Se manca una delle tre non lo porti in fondo. Dammi pure del presuntuoso ma non sono preoccupato per le prime due.» «Dai, Cardinal. Abbiamo appena iniziato.» «Lo so. Il problema è che, se non crediamo che Matlock sia venuto in perlustrazione per la pesca nel ghiaccio, allora non abbiamo la minima idea di cosa sia venuto a fare da queste parti, o chi sia venuto a trovare, per non parlare di chi desiderasse ammazzarlo.» Diramarono una segnalazione per la Ford Escort rossa di Matlock, noleggiata al banco Avis dell'aeroporto Pearson di Toronto. Le ricerche nei boschi proseguirono fino a sera. Tutte le parti di cadavere trovate furono raccolte e inviate al Centro di medicina legale di Toronto. Le foto aeree furono sviluppate e affisse alla bacheca della sala identificazioni. I palloni scintillavano tra alberi e nebbia, ma non si notava alcuno schema logico nella loro distribuzione. Tornato alla scrivania, Cardinal passò due ore buone a scrivere i rapporti di giornata e a pregare perché gli venisse un'idea decente su come procedere. Era stanco e affamato e non vedeva l'ora di tornare da Catherine, però non voleva rincasare sentendo che il caso era in un vicolo cieco. Doveva stare un po' da solo, lontano dai rapporti e dal baccano dei colleghi che urlavano, a riflettere su Howard Matlock e chiedersi come mai quell'americano era finito ad Algonquin Bay. Giù al lago la nebbia era ancora fitta, impigliata come ovatta grigia tra capanne e alberi. L'insegna delle camere libere al Loon Lodge brillava di un rosso smorto. Il parcheggio era deserto. Cardinal aprì il bungalow affittato a Howard Matlock e sgusciò sotto il nastro giallo. Una volta all'interno fece scattare l'interruttore ma la luce non si accese. Il proprietario doveva avere staccato la luce fino all'arrivo del successivo inquilino pagante. E non c'era nemmeno il riscaldamento. Accese la torcia elettrica e la puntò sul letto, sulla sedia, sul comodino. La Scientifica era stata tanto impegnata nel bosco che qua dentro avrebbe finito domani nella migliore delle ipotesi. Gli effetti personali di Matlock erano ancora lì, perfino il pacchetto a metà di Marlboro accanto alla lampada con la strolaga.
Nel buio e nel silenzio Cardinal tentò ancora una volta di visualizzare cos'era successo lì dentro. Immaginò l'americano seduto sulla poltroncina bianca di vimini a guardare il piccolo televisore mentre bussavano alla porta. Ma chi poteva essere venuto a trovarlo, e ammazzarlo, e portarlo via nella sua auto? Qualcuno che l'aveva seguito da New York? Cardinal era seduto sul bordo del letto. Cercare di sbrogliare questo caso era come cercare di afferrare il fumo. Metà delle volte, almeno in un posto grande come Algonquin Bay, era lo stesso omicida a chiamare la polizia sul luogo del delitto. E invece questo era un vero mistero in cui non aveva nemmeno una pista. Un cittadino americano era venuto in città e, se non era stato seguito, era riuscito in poco tempo a far arrabbiare qualcuno quel tanto da finire ammazzato. E l'altro non l'aveva solo ammazzato ma l'aveva gettato in pasto agli orsi. Perché? Sentiva che una teoria iniziava a prendere forma, ma non riusciva ad afferrarla. Guardò la porta dell'armadio a muro. Poche ore prima era aperta, ma adesso era chiusa, coperta di polvere dove avevano cercato le impronte. Si alzò per andare ad aprirla. Prima che si fosse spalancata del tutto una mano scattò dall'oscurità, serrandoglisi attorno alla gola, e un pugno gli affondò nella pancia, costringendolo a piegarsi in due. Cardinal barcollò all'indietro con il fiato mozzo. Un calcio esperto gli sfilò le gambe da sotto il corpo, poi finì faccia a terra, un braccio bloccato dietro la schiena. La fredda canna di una pistola era premuta contro la nuca. La sua Beretta ancora nella fondina affondava dolorosamente nel costato. «Non sei armato, vero?» Era una voce giovane, maschile, sconosciuta. Forse un bianco WASP. «No.» «E questa?» L'altro sollevò la giacca e gli prese la Beretta. «Stai commettendo un errore» riuscì a dire Cardinal prima che l'altro gli abbassasse la testa. Una mano sfilò il portafoglio dalla tasca interna. «Sei uno sbirro?» «Nel tempo libero. Quando non mi faccio picchiare nei motel.» Il peso sulla schiena si spostò. «Non posso credere che sia entrato come se niente fosse. Da solo? In piena notte? Potevo essere chiunque.» «In effetti volevo farti qualche domanda in proposito.» «Va bene. Senti cosa facciamo. Ti lascio andare. Mi tengo la tua pistola ma ti lascio andare. Comportiamoci da persone civili. Non tentare niente se non vuoi che ti stenda di nuovo.»
«D'accordo.» «Adesso ti alzi e ti piazzi mani contro il muro. Io intanto vado alla porta.» Lo sconosciuto gli si tolse di dosso. Cardinal prese un respiro profondo prima di alzarsi e scrollarsi. Cristo, che vergogna. Dietro la .38 canna corta che aveva puntata addosso scorse il più giovane pistolero che avesse mai visto, capelli biondi cortissimi, una peluria chiara sulle guance e sul mento. Indossava una giacca pied-de-poule, come se cercasse di atteggiarsi da persona più matura. Lo sconosciuto aprì un poco la porta per guardare nel parcheggio. «Sei venuto sul serio da solo.» Ogni volta che parlava nella sua bocca brillavano troppi denti. «Bene, girati e mettiti con le mani contro la parete. Conosci la posizione, gambe larghe, in punta di piedi.» La .38 scintillò nella luce che arrivava dalla finestra. Cardinal obbedì, mettendosi a fissare la parete. «Cos'hai, diciott'anni?» chiese. «Acqua. E poi abbiamo cose più importanti di cui discutere.» Il ragazzo lo perquisì, cercando una fondina da caviglia. «Tanto per cominciare, come risolviamo la faccenda?» «Cosa intendi parlando al plurale? Sei tu che hai aggredito un funzionario di polizia. Ho la sensazione che, a meno di non essere una Giubba rossa, tu non abbia la licenza per quella .38, piccolo.» «E tu sei un poliziotto che s'è appena fatto disarmare. Non credo che desideri che la voce giri in paese, vero?» «Sarebbe imbarazzante. Ridammela così mi sparo subito.» «Che cosa sai di Howard Matlock?» «Ti ha mandato Malcolm Musgrave? Agisce sempre per vie traverse, persino per essere una Giubba rossa.» «Ti ho fatto una domanda. Cosa sai di Howard Matlock?» insistette il ragazzo. «È americano. È commercialista. È morto. Come mai sei tanto interessato?» «Ho io le pistole, quindi è giusto che sia io a fare le domande. Perché sei tornato qua? Dovreste avere finito con la scena del crimine.» «Senti, è chiaro che sei della polizia a cavallo. Perché non mi dici chi sei e cosa vuoi?» «Ti ho chiesto perché sei tornato in questa capanna.» «Evidentemente per la stessa ragione che ha portato te, per scoprire altre cose su Howard Matlock. Quando un turista arriva nella mia città e finisce
in pasto agli orsi mi suona male. Solo che forse non era nemmeno un turista, e questo mi suona ancora peggio. Sono tornato perché ci sono tante cose ancora poco chiare. Perché al momento non ho una pista. Adesso, se non ti dispiace, vorrei continuare a lavorare.» Cardinal aspettò un istante, con le orecchie tese. Nessun rumore dalla porta. Si girò. La stanza era deserta. La sua Beretta era appoggiata sul tavolo del cucinino, meno il caricatore. Arrivò troppo tardi sulla soglia. Bestemmiò sottovoce. Sarebbe stato difficile spiegare il caricatore mancante. Accostò la porta del guardaroba e diede un'ultima occhiata al bungalow prima di chiudere a chiave. Doveva ammettere che quel ragazzo era in gamba. L'aveva colto di sorpresa, gli aveva sfilato la pistola e s'era dileguato manco fosse fatto di nebbia. Mentre tornava al parcheggio pensò se fosse il caso di segnalare un bianco biondo. Prima di salire in macchina trovò il caricatore posato sul tettuccio dalla parte del guidatore. Quando rientrò a casa, Catherine era seduta nella posizione del loto, perfettamente immobile. Una candela guizzava nell'aria smossa dall'entrata di Cardinal. Un filo di fumo saliva a spirale da un bastoncino d'incenso posato sopra il televisore. «Sei in ritardo» disse sua moglie. «C'è odore di Oriente.» Cardinal faceva sempre qualche commento sull'incenso, che Catherine ignorava. «Come sta la mia santona?» «Sembro più un Budda che una santona. Non mi libererò mai dei chili presi in ospedale.» «Non sei sovrappeso.» «Tutto quel pane e patate che mi hanno fatto ingozzare. Non entro più nei vestiti.» Era vero che Catherine aveva messo su qualche chilo durante la degenza all'ospedale psichiatrico dell'Ontario, come sempre, ma nel complesso Cardinal pensava che avesse un bell'aspetto. Era un po' più pesante sui fianchi, forse aveva un po' di pancetta, ma per essere una donna con una figlia ventiseienne era ancora splendida. Catherine si lasciò sfuggire un lungo sospiro mentre scioglieva le gambe. Cardinal era lieto di vedere che faceva yoga, anche a tarda ora. Non aveva mai crisi quando si prendeva cura di se stessa. «Ha chiamato tuo padre. Domattina ha appuntamento con il cardiologo. Lo accompagno io.» «Ottimo. Il suo nuovo dottore ci sa fare.»
«Mi sembri alterato. Tutto bene?» «Una brutta giornata al lavoro. Niente di grave.» «Hai voglia di parlarne?» «No.» Non ne aveva mai voglia. Nessuno degli agenti investigativi della squadra parlava con la moglie di quello che succedeva al lavoro. Una volta un amico aveva detto a Cardinal che era solo un esempio di cavalleria inutile, e forse aveva ragione, però lui non viveva con una maniacodepressiva. Cardinal non voleva aggravare il fardello della moglie, e poi in quel momento era troppo imbarazzato per la pistola sottratta. Si lasciò andare sul divano, annusando l'odore di legno di sandalo. Catherine gli aveva garantito che dava vibrazioni altissime. La casa era piacevolmente silenziosa. Il suo rifugio. Le ultime braci nel camino proiettavano un bagliore caldo. «È arrivato questo per te» disse Catherine, porgendogli una busta quadrata. «Una calligrafia molto disordinata.» E senza mittente, notò lui. La strappò, estraendo un biglietto ornato con un grande cuore rosso stampato sul davanti, a rilievo, "Sono passati dodici anni, tesoro...", e dentro "... però ti amo ancora come quando ci siamo incontrati!" Subito sotto una mano aveva scritto "A presto". Ovviamente non era firmato, come sempre, ma Cardinal sapeva da chi proveniva. Dodici anni prima aveva contribuito a far finire al fresco un tale che sarebbe uscito tra pochi mesi. Però il messaggio cruciale non era contenuto nel biglietto, bensì sulla busta, scritto fra le righe dell'indirizzo di casa sua: Sappiamo dove abiti. Catherine stava dicendo qualcosa che non inquadrava. Stava pensando ai fatti di più di dieci anni prima, il più grosso errore della sua carriera, anzi, della sua vita. Quel momento aveva gettato un'ombra su tutto, e anche se aveva tentato di correggerlo adesso stava portando una minaccia fin dentro casa sua. Sì, fin dentro al suo rifugio, tutt'altro che inespugnabile tra la fragilità emotiva di sua moglie e le esigenze della professione. «Scusami. Stavi dicendo?» chiese. «Ho detto che ha chiamato Kelly. Sei sicuro di star bene? Cos'era quel biglietto?» Cardinal se lo ficcò in tasca. «Nulla. Robaccia. Buffo come Kelly chiami sempre quando non ci sono. Deve aver messo casa nostra sotto sorveglianza.» «Non devi dire una cosa del genere, John. Ha chiesto di te. Non credo che Kelly sia capace di legarsela al dito. Almeno con te.»
«Sicuro.» «Ha trovato un nuovo alloggio. Divide un appartamento nell'East Village. Dice che è fetente ma vivibile.» «Dio solo sa perché ci tenga a vivere a New York. Io non ci abiterei per nulla al mondo. Mi è bastata Toronto.» Cardinal andò in bagno a farsi la doccia più calda che riusciva a sopportare, poi la portò pian piano sul freddo. Il morso dell'acqua lo rimise parzialmente in forma, tuttavia continuò a pensare ai fatti di dodici anni prima. Aveva varcato una linea, e quando cercava di tornare all'ultimo momento in cui era stato il suo vero io, il suo sé integro, scopriva che non si trattava di una linea ma di un baratro. Si costrinse a pensare al presente, alla farsa del Loon Lodge. Poco prima di venire aggredito stava iniziando a formulare una teoria. Poi, mentre si asciugava, si ricordò. Riguardava il Podam. Si avvolse nell'accappatoio e andò in soggiorno a telefonare. «Delorme? Sono Cardinal.» «Cardinal, lo sai che ora è? Che tu ci creda o meno, ho una vita privata.» «Non è vero. Stavo pensando al Podam. Ci ha detto che Paul Bressard si è fatto ammazzare e seppellire nella foresta.» «Il Podam è un ritardato. Lo sanno tutti che è scemo. Mi stupisce che tu perda tempo a controllare la sua favoletta.» «Però guarda cos'abbiamo adesso. Un americano sbranato nella foresta, giusto? Vicino a una vecchia capanna di trapper, giusto? E Paul Bressard è un trapper.» «Giusto. E il Podam ha detto che Paul Bressard è stato ammazzato, ma si sbagliava.» «E perché? Perché è il più ottuso criminale al mondo. E come mai? Perché ha bevuto troppo la sera che ha sentito la storia. Però immagina che abbia capito al contrario. Immagina che Paul Bressard abbia ammazzato un turista e l'abbia abbandonato nella foresta. Avrebbe più senso, no? Forse l'ha ammazzato involontariamente e ha cercato di nascondere il misfatto.» «Io non credo che gettare un tale in pasto agli orsi sia involontario. Anche solo per insabbiare.» «Però è il genere di trovata che verrebbe in mente a un trapper. Uno che sa esattamente dove sono gli orsi.» «Credo. Sì, forse hai ragione.» «Lo dici solo per accorciare la telefonata?» «No. Però mi sembrava avessi già parlato con Bressard.»
«Infatti. E me parso innocentissimo. Però in quel momento stavo solo controllando se era ancora vivo.» «Forse dovremmo parlarci di nuovo. Oh, scusa... tu e Malcolm Musgrave. Matlock era americano. Significa che dobbiamo collaborare con la polizia a cavallo.» «Non ricordarmelo.» Cardinal andò in bagno ad asciugarsi i capelli. Adesso almeno aveva un'idea. Una direzione. Quando tornò in camera, Catherine era già sotto le coperte, profondamente addormentata. Poco lontano era appoggiato un volumone della biblioteca, New York e i newyorchesi, aperto su una foto dell'East Village. Cardinal si infilò nel letto accanto alla moglie e spense la luce. Rimase in ascolto del ritmo del suo respiro, il rumore della pace, dell'amore e della sicurezza. E poi gli tornò in mente il biglietto d'auguri. 5 Il sergente investigativo Daniel Chouinard stava ancora tentando di sbarazzarsi del fantasma del suo predecessore alla guida delle Indagini criminali. Il sergente Dyson, oltre a essere un corrotto, era un uomo incredibilmente ordinato, perciò Chouinard si sforzava in tutti i modi di tenere il suo ufficio in uno stato di disordine permanente. Dalle finestre pendevano ad angoli allarmanti veneziane male installate, manuali di legge formavano torri precarie sul pavimento e gli scaffali improvvisavano una tettoia contro il muro. La sua scrivania ospitava un martello, una collezione di cacciaviti e un blocco formato protocollo su cui il sergente era solito prendere appunti illeggibili. Quando si era liberato il posto di sergente investigativo, in un primo momento era stato offerto a Cardinal, uno degli agenti investigativi più anziani, uno che aveva risolto alcuni dei casi più seri nella storia di Algonquin Bay. Invece Cardinal aveva rinunciato anche se avrebbe significato uno stipendio più alto e orari regolari. In quei giorni stava per dare le dimissioni (Delorme l'aveva fermato in extremis) e sentiva di non meritarsi la promozione. E poi c'era l'incontestabile dettaglio che diventare capo della squadra avrebbe significato finire dietro una scrivania. Non ci si vedeva. Stare per strada, trattare con la gente era la cosa più bella del lavoro di polizia, la sola che lo faceva sentire utile. L'unico fattore che l'aveva fatto esitare era stato il timore che offrissero
il posto a Ian McLeod. McLeod, in ferie in quel momento, aveva un talento così spiccato nel seminare zizzania che l'avrebbe trasformato presto in una calamità naturale. Alla fine il capo Kendall aveva offerto l'incarico a Daniel Chouinard, che era stato agente investigativo tanto a lungo da comprendere le esigenze delle Indagini criminali, aveva patito assieme agli altri sotto il tallone dell'imprevedibile Dyson e possedeva solide doti organizzative, ma soprattutto conosceva abbastanza bene tutti gli otto agenti investigativi da capire i punti forti che potevano compensare quelli deboli. Quando aveva saputo della promozione McLeod aveva dichiarato che era solo perché Chouinard era francocanadese e la sua nomina faceva apparire fortemente bilingue un dipartimento che non lo era affatto. Però nessun altro aveva motivo di sentirsi in conflitto con Daniel Chouinard. Il peggio che potevano dire di lui era che era moscio, soprattutto per essere un francocanadese. Era talmente noioso che potevi descriverlo davvero soltanto con le sue carenze, come la mancanza di senso dell'ironia e dell'umorismo in genere. Non portava rancori, non aveva ambizioni politiche né gravi problemi psicologici. Non aveva nemmeno l'accento francese. Nonostante l'ufficio in disordine, il nuovo sergente investigativo era soltanto, be', ragionevole. Talvolta in modo insopportabile. «Permettetemi di riassumere» disse. Delorme e Cardinal erano in piedi in posizione di riposo, dato che le sedie di Chouinard erano coperte da pile di piastrelle insonorizzanti. «Abbiamo trovato nei boschi un maschio americano sulla sessantina che è stato mangiato da un orso.» «Ucciso da persone sconosciute e poi mangiato da un orso» lo corresse Delorme. «Il fatto che sia americano significa che dobbiamo passarlo alle Giubbe rosse, tutto quanto è internazionale è roba loro. Il che significa che lavoreremo con Malcolm Musgrave. Perciò non credo che avremo bisogno di Delorme per ora.» «In realtà Delorme è la persona più indicata per lavorare con Musgrave» obiettò Cardinal. «Hanno già collaborato e vanno d'accordo. Faciliterà le operazioni.» «Forse. Però non voglio troppi cuochi in cucina.» «Sergente, voglio esserci. Sarei felice di lavorare con Musgrave» intervenne Delorme. «Scusa, Cardinal, ma tu sei il più alto in grado e dovresti essere tu a coordinare con lo stimato sergente.» «A essere sincero non ritengo consigliabile che io lavori con Musgrave
in questo momento.» «Perché? Ce l'ha con te? Perché una Giubba rossa di stanza a Sudbury dovrebbe essere incazzata con un agente di Algonquin Bay?» «Dimentica che un anno fa mi ha messo contro l'intero dipartimento.» «Oh, non è giusto» eccepì Chouinard con il suo solito fare assennato. «Aveva ottimi motivi per sospettare che ci fosse una fuga di notizie nel nostro dipartimento e aveva ragione. Solo che ha sospettato la persona sbagliata.» «Una stupidaggine. Chissà perché mi ha tanto scocciato.» Tuttavia quello che lo scocciava di più in quel momento era che un giovane poliziotto a cavallo gli aveva sfilato la pistola la sera prima. Chouinard rimase in silenzio qualche istante, muovendo appena il viso molliccio come se stesse risolvendo più equazioni in contemporanea, quindi, quasi che i calcoli fossero diventati un problema fisico, ruotò sulla poltroncina girevole e trasferì parecchi manuali giuridici da un davanzale a un altro, controllando attentamente il dorso di ciascuno prima di appoggiarlo. Quando si voltò di nuovo, sembrava più allegro. «Insomma, non corre buon sangue fra te e la polizia a cavallo» disse. «Che peccato. Però il fatto è che non può esserci occasione migliore per appianare le cose con i nostri colleghi in rosso. Quindi tu lavorerai con le Giubbe, e ricordati di dargli tutto, capito? E in men che non si dica diventerai amicone di Musgrave. Farà bene al caso e anche agli interessi a lungo termine del dipartimento.» «Sergente, non mi pare abbia capito quanto sono gravi i problemi di comunicazione tra Musgrave e me.» «Ragione in più. Hai un problema, perciò sei la persona più indicata per risolverlo, no?» Anche se in teoria doveva essere in cima alla sua scaletta di impegni, Cardinal lasciò in sospeso la telefonata a Musgrave, e invece chiamò il Centro di medicina legale di Toronto per parlare con Vlatko Setevic del settore Chimica. C'erano due cose su cui potevi contare con Vlatko. Era un maniaco del lavoro, il primo ad arrivare in ufficio, l'ultimo a uscire, felice solo quando aveva sgombrato la scrivania. La seconda caratteristica era l'umore imprevedibile. Viveva in Canada dagli anni sessanta ed era sempre parso abbastanza equilibrato fino a quando la Iugoslavia si era frantumata durante gli anni novanta. Da quel momento il suo carattere era diventato tempestoso e incostante. Certe volte riusciva a essere divertente, certe altre
un vero bastardo, e non sapevi mai cosa aspettarti. Cardinal gli chiese del campione di vernice che gli avevano mandato, tenendosi stretto in attesa della sfuriata in arrivo. «Campione di vernice? Mai ricevuto. Non da Algonquin Bay.» «È meglio che lo trovi se no sono casini grossi. Mi stai dicendo che non avete mai...» Una risata slava esplose nella linea con Toronto. «Rilassati, agente, stavo solo scherzando. Ce l'ho proprio qui il tuo prezioso campione.» «Molto divertente, Vlatko. Con un senso dell'umorismo del genere dovresti andare in televisione.» «Voi del nord siete sempre tanto tesi. Fate un po' di yoga, diventerete più centrati, più calmi, tutt'uno con l'universo.» «Parli come mia moglie. Cos'hai da dirci?» «Colpo di fortuna. La vernice corrisponde al cosiddetto marrone noce che la Ford ha iniziato a usare sulle sue Explorer dall'anno scorso. Un nuovo modello. Devi cercare una Explorer di quest'anno, con un brutto graffio.» «Vlatko, mi scaldi il cuore. Continua.» «D'altra parte sei anche sfortunato. Soltanto in Canada ne hanno vendute trentacinquemila, una più una meno.» «Fammi indovinare. È il colore più diffuso?» «Certo. Color noce.» Solo quando non poté più farne a meno Cardinal telefonò al distaccamento di Sudbury. Il civile che rispose gli disse che Musgrave era fuori città. Cardinal agganciò sollevato, solo per sentire subito uno squillo. Era Musgrave. «Noi due dobbiamo parlare» disse il sergente della polizia a cavallo saltando i preliminari. «Di un certo Howard Matlock.» Si scoprì così che Musgrave si trovava già ad Algonquin Bay, presso l'edificio federale a pochi isolati da lì, sulla MacPherson. Un tempo la polizia a cavallo vi teneva un distaccamento, ma anche le Giubbe rosse vivevano nell'era dei tagli di bilancio come chiunque altro e adesso la loro sede più vicina era a Sudbury, a centoventi chilometri di distanza. Cardinal arrivò al palazzo federale e parcheggiò in uno spazio riservato ai veicoli delle Poste. Trovò Musgrave in un ufficio arredato soltanto da una scrivania di metallo, un telefono e tre seggiole di plastica. Il sergente aveva l'atteggiamento di sicurezza dell'uomo che può contare sul fatto di essere sempre il maschio più grosso e cattivo nella stanza. Era
fatto a V e sembrava ricavato da uno strato di roccia del precambriano. Cardinal sospettava che se gli avesse lanciato contro una pietra c'erano buone probabilità che questa finisse in mille pezzi. «Siediti» disse Musgrave indicando le seggiole. «Voglio che tu sappia che non serbo rancore per l'anno scorso.» «Fantastico. Visto che mi hai quasi fatto cacciare.» «Cerca di essere obiettivo. Stavo solo seguendo il regolamento.» «Sai che ti dico del regolamento?» Cardinal si era preparato il discorsino in macchina. «L'omicidio di un cittadino straniero su suolo canadese potrà ricadere sotto la giurisdizione della polizia a cavallo, però non ti dà carta bianca per pestare i piedi a un'inchiesta locale. Se vuoi esaminare una scena del crimine nel mio distretto, devi chiedermelo. Se vuoi informazioni sul caso, chiedile a me. Non mandarmi i tuoi tirapiedi non annunciati, altrimenti la prossima volta li sbatto in prigione.» Musgrave lo scrutò con il suo gelido sguardo azzurro. «Non ho la benché minima idea di cosa tu stia dicendo.» «Ti credo.» «Senti, Cardinal, ho un cittadino americano morto. Un americano. Come hai detto tu, è materia nostra. Quanto avevi intenzione di aspettare prima di dirmelo?» «Se fosse stato a me decidere, mai. Sei una persona sgradevole. Ma visto che la legge è quel che è, ti avevo chiamato stamattina prima che mi telefonassi tu.» «Allora come mai l'ho appreso dalla nostra divisione di Ottawa?» Musgrave gli lanciò una copia del fax. Era una voce minuscola in un elenco sterminato. Howard Matlock, americano, trovato assassinato ad Algonquin Bay. Cardinal fissò la pagina. Come aveva fatto la sede centrale della polizia a cavallo a essere informata tanto in fretta? E se il ragazzo che gli aveva sottratto la pistola non era di Musgrave, chi era allora? Bussarono alla porta. Musgrave indicò con il capo. «Una persona che voglio farti conoscere.» Cardinal staccò gli occhi dal fax. «Agente investigativo John Cardinal, Calvin Squier. L'agente Cardinal è della polizia di Algonquin Bay. Il signor Squier è un agente del CSIS.» Il biondino sulla soglia, in giacca sportiva e cravatta, sembrava un adolescente che provava i vestiti del padre. Nulla in lui faceva sospettare che fosse in grado di sfilare la pistola a un poliziotto in un bungalow.
«Piacere di conoscerla» disse, allungando una mano pallida. «Altrettanto» riuscì a dire Cardinal, sentendo il rossore affiorare da sotto il colletto per risalire la gola. «Ha fatto un gran lavoro con il Windigo. L'ho letto stamattina» disse Squier. «È del CSIS?» «Canadian Security Intelligence Service» confermò Musgrave. «So cosa significa, grazie.» «Esatto. Sto con loro da cinque anni.» «Devono averla assunta da bambino.» Cardinal si accomodò sulla sedia celeste che scricchiolava come una scarpa nuova, poi si rivolse a Musgrave. «Allora?» «Ti spiega tutto lui.» Squier aprì la valigetta e posò un portatile argentato sulla scrivania, aprendolo in modo che lo schermo fosse visibile a tutti e premendo un pulsante. Il computer prese vita con uno scampanellio. Poi il giovane estrasse di tasca un oggettino grande quanto uno stick di rossetto e lo puntò. Apparve un grafico che mostrava la struttura di comando del NORAD, la difesa aerospaziale nordamericana. «Come saprete, il NORAD è una struttura congiunta tra Canada e Stati Uniti nata durante la guerra fredda per salvarci dai russi.» Quando Squier premette il telecomando apparve il grafico delle installazioni congiunte di comando. «Ogni paese ha costruito quello che viene chiamato un ambiente sotterraneo, in pratica una palazzina di tre piani dentro una montagna. Gli americani hanno la loro nel Colorado, a Cheyenne Mountain, noi la nostra ad Algonquin Bay, presso il Trout Lake.» «Sono cresciuto qui. Non ho bisogno di sentirmelo dire» protestò Cardinal. «Se vuole pazientare, preferisco essere scrupoloso. E poi il sergente Musgrave non è cresciuto da queste parti.» «Il sergente Musgrave vorrebbe continuare. Facciamo finta che conosciamo a menadito la base CADS» disse la Giubba rossa. «D'accordo. La guerra fredda sarà anche finita, ma il sistema canadese di difesa aerea, il CADS, è tuttora in piedi. In quella montagna ci sono ancora centocinquanta persone con gli occhi incollati in permanenza sugli schermi radar. E quegli schermi mostrano ancora ogni oggetto che entra nello spazio aereo canadese.» «Ho sentito dire che vogliono chiuderlo. Algonquin Bay non ha più
nemmeno la base aerea» disse Cardinal. «Potranno spostarlo, però, mi creda, non lo chiuderanno mai.» Furono interrotti da un cicalio soffocato. «Ho dimenticato di cambiare schermata.» Squier puntò il telecomando verso lo schermo per passare su una lettura radar. Alcuni oggetti bianchi a forma di aereo pulsarono nell'angolo in alto a destra. «Il sistema CADS segue il traffico commerciale. Questa è solo una simulazione, è chiaro, per mostrare il traffico normale. Con la fine della guerra fredda la base ha trovato nuove finalità. Tengono d'occhio i voli dei narcotrafficanti, per esempio. Di recente abbiamo dato una mano a bloccare venti milioni di dollari in eroina semplicemente passando la segnalazione di un Cessna sospetto a una squadra antidroga della RCMP.» Un clic del telecomando e lo schermo cambiò di nuovo. Un oggetto che non sembrava un aereo spuntò dal bordo sinistro, in alto. Era rosso e a un certo punto iniziò a lampeggiare lanciando un bip rauco. «Dopo l'11 settembre la parte più importante del mandato del CADS, almeno per quanto riguarda la mia struttura, è l'antiterrorismo. Questo oggetto potrebbe essere qualsiasi cosa, da un velivolo dirottato a un missile sfuggito al controllo. Ecco cos'abbiamo adesso sullo schermo.» «Simulato, è ovvio» precisò Musgrave. «Certo. Non esiste che io me ne vada in giro con una vera schermata CADS. Immagino vi chiederete come mai sono qui, quindi vengo al sodo. Venerdì mattina il CSIS ha ricevuto una telefonata dalla base CADS. La loro unità di sorveglianza ha beccato un tale con un binocolo in cima alla collina. In apparenza non faceva nulla. Quando l'hanno interrogato ha detto che era solo un turista che faceva birdwatching. Non indossava il turbante e non avevano nulla per fermarlo o anche per chiamare voi.» Squier rivolse un cenno a Cardinal. «E così hanno controllato i documenti e gli hanno detto soltanto di sloggiare, poi ci hanno passato la notizia. Procedura di routine. Abbiamo controllato questo Howard Matlock ma non risultava nulla su di lui. Poi, sto parlando della stessa giornata, il tipo si rifà vivo in piena notte. La sorveglianza del turno di notte lo becca lungo il perimetro con quel binocolo inchiodato alla faccia.» «Lungo il perimetro. Se era una spia doveva essere la peggiore del mondo. Sono stato alla base e non c'è assolutamente nulla da vedere fino a tre chilometri nel cuore della montagna. Laggiù è solo alberi e roccia, punto» disse Cardinal. «Esatto. Ma forse il suo obiettivo non era l'installazione in sé e per sé ma la sorveglianza. Forse voleva controllare quanto era efficace proprio fa-
cendosi beccare. Chi lo sa? Il guaio è che la sorveglianza ha scazzato. Di brutto. Si sono dimenticati di controllare sul registro in cui avevano già preso nota del tizio, perciò non sapevano che era lo stesso. Incredibile ma vero, l'hanno lasciato andare. Quando hanno capito l'errore commesso era troppo tardi. Ci hanno richiamati, e da quelle parti c'erano molte facce imbarazzate.» Squier spense lo schermo con il telecomando e chiuse il portatile. «Il mio superiore mi ha chiamato alle sei del mattino per dire che dovevo prendere il volo delle sette per Algonquin Bay. La sorveglianza aveva comunque preso nota della targa dell'auto di Matlock, noleggiata all'aeroporto di Toronto, e del suo recapito presso il Loon Lodge. Purtroppo sono arrivato tardi. Non c'era, poi tutto d'un tratto siete arrivati voi al suo bungalow.» «Cosa avrebbe fatto se l'avesse trovato?» «L'avrei seguito, è evidente. Non io direttamente, per queste cose usiamo intermediari.» «Sì. Usiamo i poliziotti» aggiunse Musgrave. «Peccato non averlo trovato prima che si facesse ammazzare. Personalmente sospetto che non sia nulla di grave, non ci sono legami con al Qaeda o simili. Però il fatto di non avere controllato e che sia morto dopo due tentativi contro la sorveglianza della base CADS... be', fa scattare qualche allarme. E così siamo entrati in ballo noi.» «Mah, forse potremmo coinvolgere la polizia dell'Ontario» propose Cardinal. «Oh, non credo che la OPP abbia giurisdizione.» «Stava scherzando» spiegò Musgrave. «Oppure le dame di san Vincenzo. E anche la Confraternita degli Alci. Insomma, ormai abbiamo abbastanza gente per una squadra di curling» proseguì Cardinal. «Sì, immaginavo che non vi sarebbe piaciuto» disse Squier. «Il vostro territorio, menate del genere. Volevo solo farvi sapere che sono qui, che il CSIS è qui per darvi ogni possibile assistenza. Vorrà vedere i miei documenti.» Estrasse una tessera con foto. «Può chiamare questo numero per conferma.» «Credimi, ho già provveduto» disse Musgrave a Cardinal. «È quel che dice e le cose stanno così. Fai pure le tue chiamate, ma dopo. Perché non ci spieghi a che punto siete con le indagini?» Cardinal pensò se fosse il caso di chiamare Chouinard per scatenare un
casino ma aveva il forte sospetto che non avrebbe ricavato nulla. Tra l'altro era grato che Squier avesse finto di non averlo mai incontrato prima. «C'è poco da dire. La Scientifica non ha molto su cui lavorare, un braccio, un orecchio, pezzi di gamba e di bacino. È stato ammazzato e poi fatto a pezzi e lasciato agli orsi. Matlock ha detto al proprietario del Loon Lodge di essere venuto in avanscoperta in previsione di una battuta di pesca nel ghiaccio. Non c'erano altri ospiti e finora l'unica pista è una traccia di vernice trovata nel punto in cui è stato fatto a pezzi. Stiamo cercando una Ford Explorer ultimo modello, color noce. Sul Lode di stasera uscirà un annuncio in cui chiediamo aiuto a chi ha eventualmente parlato con questo Matlock.» «Dimmelo se sono maleducato. Avete esaminato la sua auto? Il CSIS sostiene che ha noleggiato una Escort rossa» intervenne Musgrave. «La stiamo cercando. Abbiamo finito? Vorrei procedere con le indagini.» «E il lato americano? Come ci comportiamo?» chiese Squier. Musgrave si mise a osservare dalla finestra fuligginosa il traffico sulla MacPherson, come se la domanda non avesse alcun interesse per lui. «La prima cosa da fare a New York è informare i familiari, se ne ha, e interrogarli» rispose Cardinal. «Dovremo fare le solite domande, se aveva nemici, litigi recenti, eccetera...» «Posso pensarci io» propose Squier con buona volontà infantile. «Lasciatelo a me. Tanto devo gestire un sacco di roba americana, i contatti con l'FBI e compagnia bella.» Musgrave si voltò, rivolgendosi al giovane. «Ci faccia un favore. Lo affidi a un'ex Giubba rossa. Cosa ne sapete voi sbarbatelli dei servizi segreti delle indagini per un omicidio? O sulle indagini in genere?» «Quasi tutti i pezzi grossi del CSIS sono ex Giubbe rosse dei bei tempi dei servizi di sicurezza, però nella truppa ne abbiamo pochi. E francamente non credo che il mio superiore voglia affidargli questo caso.» «Voi stronzetti con il computer e il cellulare credete di essere i padroni dell'universo, vero?» «Sergente Musgrave, sicuramente saprà che le ex Giubbe rosse del CSIS non sono mai state investigatori criminali ma agenti di sicurezza come me.» «Davvero? E sono sicuro saprà, o saprebbe se si premurasse di controllare, che un sacco di loro hanno fatto dieci o quindici anni nella divisione criminale prima di finire alla sicurezza. Purtroppo, quando i giornali hanno
fatto partire la caccia alla Giubba rossa, è scattata l'operazione di facciata, così Ottawa ha approvato una nuova legge e abracadabra: voi coglioni fate esattamente quello che faceva la polizia a cavallo, solo che adesso è legale. Oh, certo, povero me, che peccato, spero che non le dispiaccia... e hanno cacciato un sacco di bravi ragazzi.» Nella voce di Musgrave si percepiva un tremolio che tradiva emozioni più complesse della rabbia. Cardinal non l'aveva mai visto tanto alterato, ed era stupito nel provare l'accenno di una vaga forma di simpatia nei confronti di quell'uomo. Squier, stizzito, fece per replicare, poi parve ricredersi e riprese da capo. «Non posso cambiare il passato e, che ci creda o meno, non sono qui per causare guai. Però ci serve la vostra collaborazione e io non sono uno che chiede. Se volete litigare rivolgetevi al mio superiore a Toronto o alla sede CSIS di Ottawa. Avete il numero. Quando sarete pronti a collaborare chiamatemi. Sono all'Hilltop Motel.» Poi infilò il portatile sottobraccio e uscì dall'ufficio. Cardinal emise un fischio sommesso. «Dio mio, qualcuno mi spari» disse Musgrave. 6 Cardinal andò al Trianon Hotel, lungo lo svincolo. Ammesso che ad Algonquin Bay potesse esistere il locale adatto per un pranzo di lavoro, questo era il Trianon (comunque nessuno avrebbe dato al cibo più di un paio di stelle) semplicemente perché era di gran lunga il più caro tra i pochi esercizi di classe in città. Tuttavia, doveva ammettere che il Trianon aveva un certo fascino da Vecchio continente difficile da trovare ad Algonquin Bay. Quando fece il suo ingresso lo trovò scintillante di argenti, lampadari e candelabri. Poteva permettersi di venire in quel locale solo nelle occasioni speciali, l'ultima delle quali era stata la laurea di Kelly. «Quale tavolo?» chiese il direttore di sala, cercando di imitare la puzza sotto il naso tipica dei parigini. «Devo vedere R.J. Kendall.» Il capocameriere lo guidò lungo l'affollata sala da pranzo. Cardinal riconobbe un viceprocuratore e salutò con un cenno un giudice provinciale. Kendall, il capo della polizia, era nascosto in una saletta comoda che Cardinal non aveva mai visto.
«Il nostro uomo del Windigo» disse vedendolo entrare. Il viso del capo era rubizzo non per aver bevuto bensì per la pressione arteriosa alle stelle. «Conosce Paul Laroche? Della Immobiliare Laroche?» «Certo. Nel senso che so chi è» disse Cardinal, stringendo la mano dell'uomo che si era alzato per salutarlo. Laroche non era più alto di lui ma dava l'impressione di essere enorme, torace massiccio, spalle ampie, un uomo che sapeva difendersi. La sua stretta di mano era forte senza essere esagerata. «Ci siamo visti al circolo?» chiese. «Il Blue Heron Club. Paul è il proprietario» spiegò R.J. «Assieme a qualche socio. Gioca a golf?» «No, non ho abbastanza pazienza. Mi interessa solo far finire la palla in buca» rispose Cardinal. «Allora non è un golfista. Quindi che fa? Caccia? Scia?» «Nulla di tutto questo. In estate vado in barca. Guardare le partite di hockey è il massimo di sport che pratico. A meno che non consideri sport la falegnameria.» Laroche sorrise. Aveva alcuni fili di grigio tra i capelli scuri, tagliati corti in modo da esaltare la forma elegante del cranio. Indossava un bel completo gessato che doveva essere costato quattro volte più del miglior abito di Cardinal. Sembrava un banchiere. «Ha detto che è un tipo impaziente. E dire che pensavo che la pazienza fosse una virtù necessaria nel suo lavoro» precisò mentre si sedeva. «L'agente investigativo Cardinal è uno dei nostri campioni. Ricordi il caso Windigo?» intervenne R.J. «Davvero? Roba grossa. Due serial killer in un colpo solo. Che trionfo. E deve aver salvato un sacco di vite.» «Mi hanno aiutato. È stata Lise Delorme a...» Laroche sollevò una mano. «Lise Delorme. Conosco questo nome...» «Be', è finita spesso sui giornali con la storia del Windigo. Ha...» «No. È quella che ha fatto cadere il sindaco Wells.» «Esatto. Quella volta ha fatto un grande favore alla città.» «Crede?» «Scusatemi, signori, non voglio essere maleducato ma faremmo meglio a ordinare. Che c'è di buono, Paul?» li interruppe il capo della polizia. «Vi consiglio il cervo glassato con sciroppo d'acero. Però dovete lasciare scegliere il vino a me.» Il Trianon riesce quasi sempre a scimmiottare l'eleganza europea, ma il
suo punto debole è il servizio. Invece di essere professionisti stagionati, i camerieri sono fanciulle piacenti ma non obbligatoriamente preparate. Laroche si dimostrò gentile ma reciso con la creatura lentigginosa dalle gambe storte che li stava servendo. Ovviamente gli immobili erano un settore redditizio. Tutto in Laroche emanava soldi come il corpo di un atleta irradia salute. Quell'uomo brillava, dai gemelli d'oro che risplendevano sulla perfezione immacolata dei polsini francesi fino alla perfetta sfumatura di abbronzatura del viso, secondo Cardinal una tintarella da sciatore. Dopo avere ordinato, Kendall disse: «Agente Cardinal, non deve contraddire Paul in politica, è una delle eminenze grigie del primo ministro Mantis». «Certo. È il responsabile della sua campagna locale» disse Cardinal. «Ed è appunto il motivo di questo incontro. Questo fine settimana i conservatori organizzano una grossa raccolta fondi e Paul chiede una maggiore presenza di poliziotti.» «In borghese? Non dovrebbe parlarne con Chouinard?» «Sono già d'accordo. Stiamo pensando anche a due agenti investigativi, Delorme e lei.» «Non sarà troppo oneroso» si inserì Laroche. «La serata si terrà al nostro nuovo circolo dello sci, l'Highlands, e sarà una cena elegante, glielo garantisco. A parte stare attenti agli individui sospetti, credo che ve la spasserete.» «Ci vogliono più di due agenti per coprire una serata del genere.» «Naturalmente abbiamo la nostra sorveglianza. Staranno alle porte e dietro le quinte. Però, francamente, sulla scia dell'11 settembre, non credo possa bastare un servizio privato. Mi sentirei molto più tranquillo se avessi un paio di professionisti tra i tavoli. Il primo ministro Mantis è una figura eminente.» «Avremo anche tre o quattro agenti all'esterno» aggiunse R.J. «Lo faremo anche per liberali e NDP?» domandò Cardinal a Kendall. «Certo. Se ce lo chiedono.» «Non credo. La loro popolarità politica è tanto bassa ultimamente che una raccolta fondi sarebbe un tonfo. Del resto noi siamo l'unico partito con un premier provinciale candidato» precisò Laroche. Quando arrivò, il cervo si dimostrò il migliore che Cardinal avesse mai mangiato. Era tentato di annaffiarlo con il Bordeaux, il capo non avrebbe certo protestato, però nel pomeriggio voleva essere lucido.
Mentre discutevano i vari aspetti della sicurezza della serata, cercò di non far trasparire l'impazienza che provava. Un servizio di sorveglianza era l'ultima cosa a cui voleva pensare mentre indagava su un omicidio. Laroche aveva portato una piantina del nuovo circolo, perciò discussero su dove appostare il personale di sicurezza all'interno, gli agenti all'esterno e i due agenti investigativi tra gli ospiti. Durante il caffè Laroche disse a Cardinal: «Allora mi pare di capire che non è affatto dispiaciuto per quanto è accaduto al sindaco Wells. Sa, è stato un grande sindaco». «Sì... se dimentichiamo i brogli elettorali. Non crede che se lo sia meritato?» Laroche squadrò il poliziotto, concedendosi un po' di tempo prima di rispondere. «Nella nostra società la gente ha deciso che i brogli sono un crimine. E questo lo rende un crimine. In altri posti non lo sono oppure non gli si dà molto peso. Non sono intrinsecamente malvagi. E non bisogna dimenticare tutte le cose positive che il sindaco Wells ha fatto per la città.» «Ha costruito l'aeroporto. Il sovrappasso. Poi ha fregato alle elezioni.» «Non facciamone un Richard Nixon» disse Kendall. «C'è del buono e del cattivo in ogni uomo, non trova?» disse Laroche. «Per esempio, lei ha salvato la città da una serie di omicidi ma sono disposto a scommettere che nel suo passato ci sono stati episodi che sembrerebbero meno eroici se finissero sulla prima pagina del Toronto Star.» «Ha ragione.» Cardinal ripensò al biglietto d'auguri. Sappiamo dove abiti. «E Wells aveva carattere. La gente tende a dimenticare quanto è importante in un capo. È per questo che io non potrei mai ricoprire una carica pubblica anche se mi piacerebbe. Sono troppo anonimo.» «Invece a me sembra che non passi inosservato. Ci siamo appena conosciuti e mi ha già favorevolmente impressionato. Siamo già a metà dell'opera, no?» Laroche rise, mostrando i denti perfetti. «Sono uno da dietro le quinte fatto e finito, agente. Mi dia un candidato come Geoff Mantis e farò tutto il possibile perché venga eletto. Riscuoto crediti, faccio pressione, dica lei. Però candidarmi? Non esiste.» Laroche parlava come se stesse esponendo una tesi in un seminario, con voce molto educata. Cardinal si chiese se avesse mai vissuto all'estero. In quel momento Laroche gli strinse lievemente un braccio. «Mi perdoni la
franchezza. Mi sto ponendo molte domande, probabilmente per via delle elezioni imminenti.» «Geoff Mantis ce la farà anche stavolta?» «Certo, farò in modo che succeda.» Dopo l'interno lussuoso del Trianon, il parcheggio parve ancora più freddo e umido. Le luci dell'auto scivolavano attraverso la nebbia lungo lo svincolo. C'era aria di pioggia. Laroche si mise al volante di una Lincoln Navigator parcheggiata presso l'entrata del ristorante, abbassò il finestrino e disse: «R.J., dimenticavo di chiedere. Come procedono le indagini sul cadavere nella foresta?». Kendall si strinse nelle spalle. «È il caso dell'agente Cardinal. Abbiamo qualche pista. Facciamo progressi. Vero, agente?» «Non quanti vorrei. Però ho questa sensazione tutte le volte.» «Non si preoccupi. Se devo basarmi sul caso Windigo, risolverà presto anche questo.» Laroche si allontanò nella nebbia, mettendo la freccia in direzione della città. «Simpatico» disse Cardinal. «Ricco. Mica male per uno che è cresciuto in orfanotrofio. Insomma, gestisce la campagna del premier.» «Io non ho votato Mantis.» «Per fortuna tanti altri sono stati più intelligenti» concluse Kendall. Mentre tornava in centro Cardinal chiamò suo padre al cellulare. «Aspetta un attimo. Sto tirando fuori dal forno i biscotti al cioccolato.» Da quando sua moglie era morta, dieci anni prima, Stan aveva cominciato a interessarsi alla cucina. Cardinal era ancora sconvolto ogni volta che vedeva suo padre, il tosto, muscoloso Stan Cardinal dagli avambracci possenti e dal petto erculeo, in grembiule che si toglieva la farina dalle mani. I biscotti erano la sua specialità. «Sei andato dal cardiologo?» «Mi ha accompagnato Catherine stamattina. La dottoressa Cates mi dà sui nervi, ma sa il fatto suo, devo ammetterlo.» «E il cardiologo che dice?» «Mi ha prenotato una serie di esami in ospedale. Ritiene che abbia un'insufficienza cardiaca.» «Cosa? Papà, perché non ci hai pensato sei mesi fa?» «John, non è grave. Si tratta solo di qualche esame. E mi ha dato tonnellate di farmaci. Mi sa che stanno già funzionando.»
«Però hai il cuore malato. Vorrei che tu non vivessi in un posto così sperduto.» «Sciocchezze. Sono venuto ad abitare qui solo perché tu non stessi in pensiero per me. Perché cavolo pensi che mi sia preso un bungalow? Non ci sono scale su cui rompermi l'osso del collo, ecco perché. Questo è uno dei posti più facili da tenere puliti e in ordine. Ho pace e silenzio e aria pulita. Ho lo stereo e il videoregistratore e il miglior microonde in commercio. Qui vivo come un re, te l'assicuro.» «Be', se la nebbia peggiora forse accetterai di venire a stare da noi finché dura.» «Lascia perdere, John.» Cardinal svoltò sulla MacPherson, costeggiando un cantiere ingombro. «Al notiziario hanno detto che avete trovato un cadavere sbranato nei boschi. Mi sembra un tantino più interessante della solita merda» disse Stan. Fantastico, ci siamo, pensò Cardinal. «Quegli straccioni delle roulotte che si sparano addosso di continuo. Spacciatori. Rapinatori. Ubriaconi. Non so perché non ti sei scelto un lavoro più decente. Eppure avevi un titolo di studio. Io e la mamma abbiamo mandato te e tuo fratello all'università. Potevi fare il lavoro che volevi.» «Papà, è esattamente quello che ho fatto. Ho scelto la professione che volevo. Un lavoro che incide sulla vita della gente. Molti miei colleghi non sono andati all'università, ma non significa che sono stupidi. Guarda quelli con cui lavoravi tu.» «Coglioni, tutti quanti! A parte Mark McCabe. Mark era il tipo più sveglio che ho mai conosciuto. Aveva letto più libri di tanti professori universitari. Faceva divisioni complicate a mente. Però era un sindacalista fin nel midollo. E sono stati quelli come te, i tuoi colleghi tanto intelligenti, che hanno pensato bene di sfondargli la testa perché aveva indetto uno sciopero contro i grassi fetenti che governano questo paese. Quando quel manganello si è abbattuto sulla sua testa... l'ho sentito, eccome. Sembrava una tavola di legno che cade sul cemento. Ha spaccato la testa di Mark, che nei tre anni successivi non ha fatto molto altro che sbavare e poi è morto. Un gran brav'uomo.» La linea tacque. Cardinal sentì Stan tirare su con il naso, e capì che stava piangendo. Suo padre, che per gran parte della sua lunga esistenza aveva mostrato poche emozioni oltre l'irritazione, adesso diventava piagnucoloso quando parlava del passato. Non sembrava autocommiserazione, era un
dolore più profondo, più duraturo. Le lacrime sarebbero scese per un minuto, poi sarebbero sparite di colpo. «Stai bene, papà?» Una sonora sniffata all'altro capo del filo. «La nebbia sta diventando pioggia. Forse in primavera pianterò qualche zinnia» disse Stan. 7 «Senti, ne ho già parlato con il mio comandante regionale. Non lavorerò con quel babbeo computerizzato del CSIS» disse Musgrave. «Squier non mi è parso tanto male» ribatté Cardinal. «Non hai mai lavorato con i servizi segreti, eh?» «No.» «Povero scemo. E intanto ho perso quarantacinque minuti della mia vita» disse Musgrave consultando l'orologio. «Spiegami meglio cosa stiamo facendo da queste parti.» Erano a bordo di un'auto priva di contrassegni parcheggiata sulla Main East. Finalmente la nebbia s'era condensata in una vera pioggia che stava tamburellando sul tettuccio. Nel momento stesso in cui Cardinal aveva terminato la conversazione con suo padre il cellulare gli era suonato in mano. Era Arsenault che voleva comunicargli che avevano identificato l'impronta trovata nella capanna da trapper: Paul Bressard. Cardinal era andato dritto a casa del cacciatore di pelli. La moglie di Bressard, che puzzava di whisky già all'una e mezzo del pomeriggio, gli aveva detto che Paul doveva essere alla sala biliardi di Duane. Cardinal non aveva spiegato che era uno sbirro, né la donna era abbastanza sobria per capirlo. E così adesso era seduto con Musgrave su un'auto civetta sulla Main East a sorvegliare l'ingresso diroccato del Duane's Billiard Emporium. «Duane è un classico ritrovo dei malviventi che non sono mai passati al giro grosso. Motociclisti che non hanno superato l'esame di ammissione ai Satan's Choice, italiani troppo scemi anche per la mafia» spiegò Cardinal. «E la signora ti ha dato questa informazione? Come mai, ha un debole per te?» «In whisky veritas.» «In whisky minchiate, piuttosto.» «Dimmi una cosa, Musgrave. Tua moglie sa sempre dove ti trovi?» «Potrei riempire una montagna di CD-ROM con quello che non sa. Con
lei è un punto d'onore.» «Bene. Diamogli un'altra mezz'ora.» Rimasero altri dieci minuti ad ascoltare la pioggia che batteva, poi videro spuntare la Explorer. «È quello con i baffi?» «È lui. L'altro è Thierry Ferand, trapper anche lui.» Bressard parcheggiò a mezzo isolato, poi tornò ingobbito sotto la pioggia assieme a Ferand verso la sala biliardi. Ferand era grosso la metà dell'amico, ed era costretto a trotterellargli accanto come un barboncino. «Bressard è un vero elegantone. Guarda che cappotto» commentò Musgrave. «Deve solo sperare che gli animalisti non arrivino mai ad Algonquin Bay.» I due trapper entrarono. Cardinal e Musgrave scesero dalla macchina per andare a esaminare la Explorer. I due sportelli dal lato del passeggero erano sfregiati da un graffio irregolare. «Dovremmo farci lavorare i tecnici della scientifica, però così su due piedi sembra fresco. Non trovi?» chiese Cardinal. «Sì. Credi che sarà un problema?» «Bressard? Impossibile. Ci seguirà senza ribellarsi.» Musgrave scoppiò a ridere. «Cristo, Cardinal, non ti facevo tanto ottimista.» Mentre imboccavano le scale buie che scendevano nel locale di Duane, Cardinal disse: «Stai attento a Ferand. È piccolo, ma è cattivissimo e adora i tirapugni.» «Me lo lavoro io.» Musgrave si sollevò la cintura. «I piccoletti sono sempre i più fetenti.» Quando Cardinal era ragazzo la sala biliardi era una specie di società segreta. Assieme agli amici giocava partite interminabili di snooker, boston, high-low, fumando una Players e una du Maurier dopo l'altra come un gangster degli anni trenta, e il fumo restava sospeso come un cumulonembo sopra un panorama di feltro verde. Perciò rimase sorpreso quando entrando da Duane scoprì che l'aria era trasparente. Anche i giocatori di biliardo erano diventati più attenti alla salute. Duane era dietro il banco dal quale serviva gli hamburger peggiori della città al doppio del prezzo corrente. Era un ciccione ambiguo che emanava un'aura di marciume anche senza essere mai stato accusato di nulla a parte qualche multa.
Quasi tutta la clientela era attorno ai vent'anni, tutti maschi, tutti che provavano a vari livelli di credibilità a sembrare duri. Con una sola occhiata Cardinal riconobbe due spacciatori e un ladro d'auto. Bressard e Ferand avevano iniziato una partita in un biliardo d'angolo. Il primo, chino per tirare un colpo, guardò Cardinal da sopra la stecca senza alzarsi mentre i due poliziotti si avvicinavano. Ferand stava bevendo una Dr Pepper e se ne versò buona parte sulla camicia quando li vide. Cardinal l'aveva arrestato un paio di volte per aggressione, anche se una sola volta si era arrivati a incriminarlo. Il piccolo trapper bestemmiò, ripose la stecca nella rastrelliera e afferrò il soprabito. «Tranquillo, Thierry, dobbiamo solo parlare con il tuo amico» disse Cardinal, mostrando il distintivo. «Non mi dire. Sei venuto a verificare che non sono morto» borbottò Bressard. «Oh, no, lo vedo da solo che non sei morto, Paul. Ho solo bisogno di una mano per chiarire alcune banalità della storia che ti ho citato ieri.» «Che hai da guardare?» chiese Ferand. Musgrave era fermo davanti all'uscita di servizio, le braccia incrociate sul petto massiccio, e guardava Ferand con un sorrisino ironico, una tensione appena impercettibile dell'angolo della bocca. «Sai, c'è sempre questa faccenda di un omicidio nella foresta» proseguì Cardinal rivolto a Bressard. «Adesso abbiamo perfino un cadavere, ovviamente non il tuo, ma forse l'hai già sentito dai notiziari.» «E allora?» «Be', sei l'unica persona il cui nome sia saltato fuori. Perciò speravo che ci avresti accompagnato in centrale per aiutarci a chiarire.» «Che cazzo hai da guardare? Sei frocio?» esclamò Ferand. Musgrave restò piantato come una sfinge sulla porta, sempre con il suo sorriso da Monna Lisa indirizzato a Ferand. «Digli che la smetta di guardarmi.» «Chiudi il becco, Thierry. Sta solo cercando di farti saltare i nervi. E tu gli dai corda» disse Bressard. «Allora, Paul? Se vieni in centro con noi ci facciamo una chiacchierata per capire come mai è saltato fuori il tuo nome. Sono sicuro che non è nulla che non...» Una forma piccola e indistinta sfrecciò in direzione di Musgrave. Prima che Cardinal potesse girarsi, la forma rimbalzò all'indietro, andando ad atterrare sul biliardo. Le palle schizzarono dappertutto, la lampada appesa al
soffitto iniziò a oscillare follemente. Qualcosa d'oro o d'ottone brillò in mano a Ferand steso a lamentarsi sul tavolo, poi scivolò a terra con un rumore metallico. «Aggressione a un agente di polizia. È anche più scemo di quel che sembra» disse Musgrave. 8 Ferand fu registrato e sbattuto in cella non appena il Podam fu per prudenza trasferito in carcere, nel caso Ferand si fosse ricordato con chi aveva parlato dell'omicidio. Musgrave era favorevole a torchiare Bressard, motivo per cui Cardinal preferiva condurre da solo l'interrogatorio. La Giubba rossa si strinse nelle spalle. «Torno a Sudbury. Fammi sapere cos'ha da dire l'habitant.» Cardinal fece accomodare Bressard nella stanza per gli interrogatori. Il trapper stravaccato sulla sedia stava cercando di sembrare calmo, però non faceva che giocherellare con la cannuccia della lattina di Coca. Cardinal tentò di sembrare incalzante ma abbastanza amichevole, come se fosse un collega che tenta di risolvere una strana catena di incidenti insieme al partner. «Paul, spero che tu sia in grado di darmi una mano perché devo ammettere che qui si mette male. Come mai abbiamo trovato un cadavere vicino alla tua vecchia capanna nei boschi? Puoi aiutarmi a spiegarlo?» Bressard bevve un sorso di Coca, osservò per un attimo la parete, poi tornò a rigirare la cannuccia. «A proposito, sappiamo che è stato fatto a pezzi nella tua capanna. Non ci sono dubbi. C'è sangue in tutti gli angoli e una lunga sfilza di prove.» Bressard prese un respiro profondo, sospirò e scosse il capo. «Vedi, sarei propenso a credere che tu non c'entri. Forse qualcuno ha litigato e si è sbarazzato del corpo nel tuo tratto di bosco. Però c'è una cosa che mi dà da pensare, e spero tu sia in grado di spiegarla.» Fece una pausa, ma Bressard non lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Paul, dimmi solo una cosa. Come ti sei procurato quel graffio dal lato del passeggero?» Nessuna risposta. «Paul, ti conviene rispondere perché il nostro tecnico e il Centro di medicina legale e la Ford sono concordi nel sostenere che la vernice che abbiamo trovato su un tronco nel bosco corrisponde alla tua Explorer.»
Bressard succhiò la cannuccia della Coca fino a farla gorgogliare. «Paul, penserai che non so niente di te, ma in realtà ho una mezza idea di come fai a campare. Primo: la caccia per le pelli. Hai anni buoni e anni cattivi, come tutti. Secondo: i lavoretti per Leon Petrucci.» L'angolo della bocca di Bressard si sollevò come l'inizio di un sorriso, ma il trapper non abboccò all'amo. «Leon Petrucci. È acqua passata, diciamo, ma sappiamo che a suo tempo hai lavorato per lui. Terzo: il lavoro come guida. So che buona parte del tuo reddito la ricavi accompagnando i cacciatori novellini nei boschi per trovare un orso o due a cui sparare. E sappiamo anche che non ti basi sulla fortuna. Se piazzi qualche bistecca sulla pista nel momento giusto dell'anno un orso lo trovi per forza, soprattutto se sai dove vivono, cosa che sono sicuro un professionista come te saprà. «Howard Matlock ha detto a quelli del Loon Lodge di essere interessato alla pesca nel ghiaccio e non ha portato fucili o coltelli. Non ha mostrato il minimo interesse per la caccia. Non vorrei sembrare maleducato, ma come ha fatto a finire sbranato dagli orsi vicino alla tua vecchia capanna, Paul?» Bressard fece un rutto soffocato, raccolse la lattina e iniziò a leggere la parte in francese dell'etichetta. Cardinal faceva quel mestiere da abbastanza tempo per capire che non stava approdando a nulla. Un altro tentativo, si disse. Un solo tentativo e poi basta. «Hai litigato per qualcosa. Forse è stato lui ad aggredirti. Forse gli hai sparato per sbaglio, non faccio nemmeno finta di sapere come, e poi hai deciso di sbarazzarti del corpo. Devo ammettere che sei stato originale. Ma comunque sia andata, a meno che tu non mi dia una spiegazione qualsiasi, ci sono buone probabilità che punterò sull'omicidio di secondo grado. Ci vorrà del tempo per mettere in piedi la causa, ma intanto siamo partiti con il piede giusto.» Bressard posò la Coca sul tavolo, girandola adagio. Cardinal afferrò la lattina e la gettò nel cestino, dove atterrò con grande fracasso. «D'accordo, io sto cercando di aiutarti, invece ti stai scavando la fossa da solo» disse alzandosi in piedi. «A meno che non mi dia un motivo contrario, ti incrimineremo per omicidio. La Corona ha già pronte le carte. Sta solo aspettando di sentire quanto collabori.» Bressard non mosse un muscolo. «Santo Dio, andiamo» disse Cardinal. Allungò la mano verso il gomito di Bressard, ma prima che potesse afferrarlo il trapper volse verso di lui gli occhi tristi e disse: «Ho un grosso
problema». Era un eufemismo da primato mondiale, secondo Cardinal, che però non lo fece notare, ma si sedette di nuovo, rispondendo soltanto con un: «Dimmi». «Se non canto voi raccogliete i pezzi sparsi che avete e mi sbattete all'ergastolo... forse.» «Paul, l'hai gettato in pasto agli orsi. Non credo che qui ci siano molti forse.» «Però avrei una domanda da fare.» «Spara.» «Cosa potete offrire in tema di protezione dei testimoni? Otterrei un nuovo nome e una casa?» Cardinal sospirò. Da quando il Canada aveva avviato nel 1996 il programma di protezione dei testimoni, ogni malavitoso con un rapporto anche solo minimo con la criminalità organizzata sognava di potersi riciclare nelle vesti di informatore, nel caso in cui la sua gang fosse sgominata, in cambio di una nuova identità e di un simpatico villino su un lago sperduto. «Paul, non ho controllo sulla protezione testimoni. Decide la polizia a cavallo chi ha i requisiti, e attualmente anche loro sono a corto di soldi. Io non mi aspetterei troppo.» «Allora perché diavolo dovrei darti Petrucci?» «Stai dicendo che hai fatto fuori quel tizio per Leon Petrucci?» «Io non ho ammazzato nessuno. Sto solo facendo una domanda. Se finisco in prigione almeno mi salvo la pelle. Con Petrucci, finisco in fondo al lago Trout.» «Quindi sei disposto a pagare per lui? Vuoi scontare la pena al suo posto? Paul, sei molto più altruista di quanto pensassi. Pochi sacrificherebbero la vita intera per uno come Petrucci. Sei davvero molto premuroso, e mi chiedo quanto te ne sarà grato.» «Cardinal, continua pure a blaterare. Tu non hai niente da perdere, io tutto.» «Ti sbagli su Petrucci. Io non sono uno specialista della criminalità organizzata, grazie a Dio a quella pensano le Giubbe rosse, però una cosa posso dirtela: Leon Petrucci non è Vito Corleone. Ha un vago, e sottolineo vago, rapporto con la famiglia Carbone di Hamilton che lo sostiene in alcune attività da queste parti in cambio di una percentuale, ma non è disposta a stendere la gente per lui, e non credo che gli mancherà molto se finisce dentro.»
«Allora io cosa ci ricavo se canto?» «Concentrati su quello che succederà se non lo fai. Finirai dentro per omicidio. Un omicidio che affermi di non avere commesso. Se ci aiuti a inchiodare Leon Petrucci, sarai sempre complice, ma chiederò alla pubblica accusa di ridurre l'imputazione a occultamento di cadavere o cosa diavolo dice il codice.» «Occultamento? Cristo, non sono un pervertito.» «Significa solo che l'hai nascosto. L'hai dato in pasto agli orsi, no?» «Va bene, l'ho dato agli orsi, però non voglio che si dica che l'ho occultato.» «A seconda di quello che ci dai su Petrucci, sono disposto a chiedere alla Corona di proporre la custodia cautelare. E parlerò con Musgrave riguardo la protezione testimoni.» Bressard abbassò lo sguardo imprecando. «Come dicevo, io non ho ammazzato nessuno. Domenica, alle nove del mattino, io e mia moglie stiamo facendo colazione quando suona il campanello. Mia moglie va ad aprire ma non vede nessuno, solo una grossa busta infilata nella buca delle lettere, con su scritto che è riservata a me, nient'altro. Quando l'apro ci trovo cinquemila dollari in contanti e un biglietto.» «Cosa diceva?» «"Nella tua capanna troverai una fornitura fresca di esche. Ci saranno altri cinquemila quando gli orsi avranno la loro cena."» «Era firmato?» «Solo P. Iniziale di Petrucci. Gli tocca scrivere tutto, non ha più la laringe.» «Lo so. Era a macchina o scritto a mano?» «Battuto a macchina. Stavo per gettarlo ma non si sa mai come si mettono le cose. Ho pensato che forse mi sarebbe venuto utile.» Bressard tolse di tasca il portafoglio. «Aspetta. Non toccarlo più del necessario. Fallo cadere sul tavolo.» Bressard rovesciò il portafoglio in modo che un foglietto ripiegato cadesse sul ripiano assieme a qualche moneta e a una mezza dozzina di biglietti della lotteria. Con attenzione, usando solo le unghie, Cardinal aprì il foglietto senza spianarlo. Le parole erano più o meno quelle riferite da Bressard: "C'è una nuova provvista di esche nella tua vecchia capanna. E arriveranno altri cinquemila quando gli orsi avranno la loro cena". Era firmato solo "P." Sembrava una stampata di computer. Quindi non si poteva risalire a una
macchina da scrivere. «Potrebbe essere di chiunque. E l'ultima volta che ho sentito parlare di lui, Leon Petrucci si era trasferito a Toronto per essere più vicino all'ospedale Mount Sinai» osservò Cardinal. «Certo. E tu credi che intralci gli affari? Non sono molti quelli che possono infilare cinque cucuzze nella cassetta delle lettere e hanno un morto del cazzo da eliminare. Te l'ho detto. Petrucci non parla. Non ha la laringe. Da chi cavolo credi che venga?» «Come faccio a sapere che non l'hai scritto tu per pararti il culo?» «Cristo, Cardinal, sei sospettoso da far schifo.» «Sono pagato per farlo.» «Come fai a stare al mondo? Ad attraversare un incrocio? Cioè, come fai a sapere che la strada non franerà quando ci posi il piede sopra? A certe cose devi credere, se capisci cosa intendo, altrimenti non ha senso vivere.» «Va bene. Allora tu cos'hai fatto?» «Sono andato alla capanna, quella vecchia che non uso da sette od otto anni. A proposito. È così che ho conosciuto Petrucci, l'ho portato a caccia di orsi una decina d'anni fa. Insomma, trovo questo grande fagotto per terra davanti al capanno. Tipo sacca da viaggio. E ho capito subito cosa c'era dentro, non ho nemmeno avuto bisogno di aprirla. È un morto. È la prima volta che so di sicuro che è un cadavere. Secondo te cosa dovevo fare, chiamare l'ufficio d'igiene?» «Potevi chiamare la polizia.» «È chiaro che conosci bene Leon Petrucci. E poi mi sono detto che il tizio era morto, e io non facevo male a nessuno.» «Sappiamo già che hai portato il corpo dentro la capanna. Ferand ti ha aiutato?» «No.» «Era coinvolto anche lui? Non ci guadagni niente se ti ha aiutato e non ce lo dici.» «Thierry non c'entra niente. Gliene ho parlato solo dopo.» Infatti quelli dell'identificazione non avevano trovato prove che potessero collegare Ferand al delitto. «Hai fatto a pezzi il corpo da solo o ti hanno dato una mano?» «Da solo. È uscito parecchio sangue. A essere sincero la prima cosa che ho fatto quando sono entrato è stato vomitare. Non capisco, ho visto milioni di animali morti, non mi dà fastidio, però c'è un non so che in una persona morta, anche se non la conosci. Capisci cosa intendo?»
«Oh, sì.» «Comunque non volevo sporcarmi tutto di sangue. Ho raccolto i pezzi in un fagotto e ho attaccato una corda per trascinarlo fino alla pista degli orsi. Sapevo che erano svegli e sarebbero stati affamati. Non pensavo sarebbe rimasto molto del tizio.» «Era nudo quando l'hai trovato?» «No, l'ho spogliato io. Non volevo segarlo attraverso i vestiti e non credevo nemmeno che gli orsi sarebbero stati interessati al poliestere.» «Abbiamo trovato del materiale nella stufa. C'era qualcos'altro assieme al corpo, documenti o effetti personali che hai conservato?» «Non ho tenuto nulla. Non c'era niente da tenere. Ho buttato tutto nella stufa.» «Hai riconosciuto la vittima?» «Mai visto prima.» «Francamente sono ancora lontano dal bermi la storia del padrino. Sai perché Petrucci voleva far fuori quel tipo?» «No, e non ero interessato a chiederglielo.» «Paul, hai un buon lavoro. Una moglie. Una bella casa. Perché fai una cosa del genere a uno che non conosci nemmeno?» «Perché?» Bressard iniziò a fissare la parete opposta della stanza per gli interrogatori. Dopo qualche secondo di riflessione si voltò verso Cardinal. «Per due motivi. Primo: Leon Petrucci. Secondo: Leon Petrucci. Cosa credi che avrebbe fatto se gli dicevo grazie ma non posso? Credi che me l'avrebbe fatta passare liscia? Non direi.» «E poi c'erano i diecimila.» «Cinque. Gli altri li sto ancora aspettando.» Cardinal fece firmare a Bressard una breve dichiarazione, quindi lo riportò in cella. Nel pomeriggio sarebbe stato incriminato ufficialmente e sarebbe uscito su cauzione, in modo che potesse essere sorvegliato. Cardinal telefonò a Musgrave, che era ancora per strada. «Credi sia stata la mafia?» chiese la Giubba rossa. «Il biglietto significa che l'ordine è arrivato da Petrucci?» «Be', Bressard ha già lavorato per Petrucci. Credo sia successo quando tu non c'eri ancora, circa otto anni fa.» «Già, in quel periodo ero a Montreal.» «Bressard ha conciato per le feste un tale per ordine di Petrucci. Non siamo mai riusciti a inchiodare il don perché Bressard aveva troppa fifa per
tirarlo in ballo, però mentre conducevamo le indagini preliminari molti protagonisti hanno citato il padrino. E uno di loro aveva un biglietto firmato "P." Sapevamo che Petrucci s'era fatto asportare la laringe anni prima e che di solito scriveva biglietti. Però Bressard potrebbe mentire su tutta la linea.» «A ogni modo, mi stupisce che tu sia riuscito a farlo cantare. Però sai bene che Leon Petrucci s'è trasferito a Toronto.» «Sì, l'ho sentito dire.» «Quindi è solo plausibile. Sai che ti dico? Perché non lasci che mi lavori io la parte Petrucci? Ci metto sopra qualcuno del nostro distaccamento di Toronto. Hanno a che fare tutti i giorni con la criminalità organizzata.» «Ci sto.» Musgrave bestemmiò. «Che c'è? Tutto bene?» «Un maledetto camionista mi ha appena tagliato la strada. La polizia non c'è mai quando ne avresti bisogno.» 9 La procura della Corona era in Macintosh Street in un palazzo di cemento brutto e opprimente che ospitava anche gli uffici locali del ministero della Comunità e dei Servizi sociali. Si trovava dritto di fronte alla sede dell'Algonquin Lode, perciò estremamente comodo quando Reginald Rose, il procuratore della Corona, desiderava esternare le sue opinioni, il che capitava spesso. Tutto in Reginald Rose era lungo. Era alto e magro, con una lieve gobbetta che gli regalava un'aria da studioso. Aveva anche lunghe dita che maneggiavano con grazia documenti e reperti e talvolta il nodo della cravatta. Rose era fanatico di cravatte rosse, camicie bianche inamidate e bretelle rosse che lo facevano sembrare una bandiera canadese nuova di zecca quando non indossava il solito blazer blu. In quel momento si stava rivolgendo a un gruppetto riunito attorno a un lungo tavolo di quercia, a parere di Cardinal una congrega eterogenea. A parte l'allampanato Rose c'erano Robert Henry Hewitt, alias il Podam, il quale tendeva ad afflosciarsi sul tavolo come un ghiro. Bob Brackett, avvocato d'ufficio, in apparenza un uomo grassottello dall'aria innocua, in realtà penalista micidiale, e infine lo stesso Cardinal, sicuro di apparire sulle spine quanto si sentiva realmente perché, pur avendo di solito perfettamen-
te chiaro da quale parte schierarsi, in quel momento covava qualche dubbio. «Vi dico subito che non sono favorevole a un patteggiamento in questo caso» disse Rose. «Perché dovrei? Stando alle prove, e ne abbiamo una montagna, Robert Henry Hewitt è colpevole di rapina a mano armata. E non soltanto un po', ma assolutamente, sicuramente, schifosamente colpevole. Abbiamo la sua ammissione di colpa...» «Come no? Ottenuta in assenza del suo legale.» «Mi lasci finire, signor Brackett. Abbiamo l'ammissione di colpa del suo cliente. Abbiamo i contanti nel suo zaino. Abbiamo la sciarpa scozzese che s'era messo sulla faccia. Abbiamo il biglietto della rapina scritto con uno stile agghiacciante ma inconfondibile, e per giunta sul retro di un precedente mandato di cattura, che per pura combinazione ci fornisce nome e indirizzo. Perché dovremmo patteggiare?» Bob Brackett si piegò sul tavolone. Era vestito con un gessato impeccabile, come sempre del resto, anche perché regalava linee rette a una figura per il resto ricchissima di curve. Bisogna ammettere che il gessato non era insolito nella professione forense, mentre lo era l'anello d'oro che pendeva dal lobo sinistro di Bob Brackett, un ciccione pelato sulla cinquantina abbondante. Non s'era mai sposato, e in un posto piccolo come Algonquin Bay ciò bastava a innescare pettegolezzi. Se aggiungiamo un orecchino d'oro le dicerie crescevano ulteriormente. Non che contasse più di tanto: per quanto riguardava i suoi clienti, Bob Brackett poteva anche presentarsi vestito in tutù fino a quando lo avevano nel loro angolo. «Su, signor Rose, non avete un minimo d'orgoglio nel vostro lavoro? Sta cercando una vittoria con tanta disperazione da essere costretto a incastrare un giovane mentalmente svantaggiato e sbatterlo al fresco per una quindicina d'anni?» domandò con voce dolce, ragionevole, amichevole. «Se ammette la colpa... chiederò dieci anni.» Brackett si girò verso Cardinal, pronto a riferire sul caso Matlock e sul contributo del Podam. Purtroppo l'avvocato aveva altro in mente. «Agente Cardinal, se non sbaglio alla centrale di polizia il mio cliente è noto con un soprannome.» Cardinal tossì, in parte per la sorpresa, in parte per guadagnare tempo. «Non credo che serva entrare nello specifico. Pensavo che avremmo...» «Avete o non avete un soprannome per il mio cliente alla centrale?» La voce di Brackett non deviò dall'intonazione tipica della richiesta educata. «L'agente Cardinal non è sul banco dei testimoni. Non deve controinter-
rogarlo» disse Rose. «Non è un controinterrogatorio. Se ne accorgerà quando lo controinterrogherò sul serio. Sto solo facendo una semplice domanda.» «Abbiamo soprannomi per tanti nostri clienti, ma non sono di pubblico dominio» rispose Cardinal. «Non sono interessato agli altri clienti, come li definisce lei. La prego, qual è il soprannome del mio patrocinato?» «Podam.» «Podam. Che strano nome. E cosa significherebbe?» «Preferirei non dirlo in presenza di Robert.» Brackett sorrise. Un sorriso di grande magnanimità che non cedeva un millimetro di terreno. «Agente, aspettiamo ancora la sua risposta.» «Sta per Più Ottuso Delinquente Al Mondo. Scusa, Robert.» «Non c'è problema.» Hewitt era accasciato sul tavolo, il mento posato sulle mani giunte. Mentre pronunciava queste parole la sua testa ballonzolò. «Il più ottuso delinquente al mondo. E come mai lo chiamate in quel modo?» La faccia rotonda di Brackett era priva di malizia, tipo "lo chiedo tanto per sapere". «Pensavo che ne avremmo parlato solo noi tre.» «Oh, no, non è mai stato in discussione. La prego, ci spieghi perché chiamate il mio cliente "il più ottuso delinquente al mondo"» insistette Brackett. «Perché non è soltanto incapace, ma commette errori stupidi.» «Be', certo, il signor Rose avrà il biglietto della rapina come Reperto A.» Rose batté sul taccuino con la gomma della matita. «Il suo cliente è già stato trovato in precedenti processi abbastanza capace di intendere e di volere da poter contribuire alla propria difesa e da capire la natura dei propri crimini. Crede che questo possa cambiare di colpo?» Il sorriso di Brackett era angelico. «Signor Rose, com'è accanito nella persecuzione dei ritardati. Forse preferirà spedire il mio cliente negli Stati Uniti. Laggiù li sbattono sulla sedia elettrica.» «Da quanto mi risulta non per una rapina.» «Posso continuare?» «Magari.» «Agente Cardinal, nonostante i limiti intellettuali del mio cliente, mi pare che di recente sia stato di grande aiuto alla polizia. Sbaglio?» Finalmente, pensò Cardinal. «Non è stato precisissimo nei dettagli. Ci ha
riferito una conversazione con un noto pregiudicato, Thierry Ferand, il quale gli avrebbe detto che un uomo venuto dal sud avrebbe ammazzato Paul Bressard sbarazzandosi del cadavere nella foresta.» Il procuratore gettò la penna sul taccuino con tanta forza da farla rimbalzare per terra. «Paul Bressard è vivo e vegeto. L'ho visto stamattina. Santo cielo, è inconfondibile con quel cappotto di procione.» «Come dicevo, Robert si sbagliava nei dettagli.» «Dettagli? Era un'affermazione totalmente infondata.» Brackett alzò le mani paffute. «Basta. Potremmo sospendere, per favore, e passare alla parte delle informazioni del signor Hewitt che si è dimostrata corretta?» «Mah, una volta che abbiamo capito che aveva solo fatto confusione con i nomi, s'è scoperto che aveva ragione. Cioè, Paul Bressard non è stato ucciso e sepolto nella foresta, bensì ha ammesso di aver scaricato un cadavere nella foresta. E il cadavere è effettivamente quello di una persona arrivata dal sud, un americano, Howard Matlock. Come potete vedere, Robert ha solo invertito i ruoli.» «Grazie, agente, è stato straordinariamente utile.» Brackett si tolse gli occhiali e li pulì con il retro della cravatta, un altro gesto che doveva sottolineare la sua cristallina bonomia. «Sarebbe altrettanto corretto dire che non avrebbe mai saputo di questo omicidio senza l'aiuto del mio cliente?» «Non è esatto. È vero che ce ne ha parlato prima che lo scoprissimo da soli, ma poco dopo siamo stati informati dalla persona che ha trovato il corpo, almeno in parte. Però è stato Robert a fare il nome di Paul Bressard, rendendolo sospetto prima del dovuto. Insomma, sì, direi che è stato molto utile e collaborativo.» «Grazie, agente.» Brackett si girò verso il procuratore. «Perciò, signor Rose, sembra che la procura possa scegliere se incriminare un giovane mentalmente svantaggiato oppure offrire un patteggiamento a un cittadino estremamente utile.» Rose si rivolse a Cardinal. «Avete un sospetto nel caso Matlock?» «Parecchi individui, ma non posso dire che sarà un arresto imminente.» Rose sollevò le braccia in direzione di Brackett in un gesto di impotenza. «Vede quanto è stato utile?» «Signor Rose, non facciamo i bambini. Non sono venuto qua per far perdere tempo a lei o a un ufficiale di polizia. La procura della Corona vuole o no incoraggiare la collaborazione degli imputati?» «Se si dichiara colpevole di rapina a mano armata sconta dieci anni.»
«Dieci anni per una pistola giocattolo e un quoziente d'intelligenza di 78? Preferisco correre il rischio al processo.» Brackett gettò gli incartamenti nella valigetta che chiuse di scatto. «Ammette il porto d'arma nascosta, anche se è un regalo visto che stiamo parlando di un giocattolo. Due anni, non un giorno di più.» Rose scosse il capo. «Restiamo con i piedi per terra. Rapina, sei anni.» Brackett si girò verso il suo cliente scuotendogli delicatamente una spalla. «Robert?» Hewitt si drizzò, battendo le palpebre. «Oh, salve. Stavo riposando.» «La Corona ti offre sei anni. Con la buona condotta sarai fuori in quattro.» «Va bene. Mi sembra buono. Ehi, ho fatto un sogno pazzesco.» Prima di uscire Cardinal dovette sopportare una miniramanzina di Rose sulle responsabilità che la polizia condivideva con la pubblica accusa affinché i criminali venissero puniti. «Il dipartimento di polizia non è posto per anime belle. Se vuole mettersi nei loro panni si dia al volontariato.» Nel parcheggio Bob Brackett agitò le dita grassocce per salutare Cardinal. Due poliziotti in uniforme stavano facendo salire Robert Henry Hewitt sul retro di una volante. «Rose le ha fatto la paternale?» «Più o meno.» «Al poveretto dispiace mollare un caso tanto facile. L'autostima di certe persone dipende da quanti anni fanno scontare alla gente. Che tristezza.» La volante si fermò alla loro altezza e la recluta alla guida disse: «Il cliente vorrebbe parlarle». «Che c'è, Robert?» «Volevo ringraziarti. Grazie, grazie, grazie, agente Cardinal. Il signor Brackett dice che mi hai fatto risparmiare dieci anni di vita. Non lo dimenticherò mai. Mai.» «Robert, la maniera migliore per ringraziarmi è stare fuori dai guai.» «Oh, lo farò. Sarò tanto bravo che mi rimanderanno subito a casa. Davvero, grazie, grazie, grazie.» L'ultima immagine che Cardinal poté godere di Robert Henry Hewitt fu lui girato sul sedile posteriore dell'autopattuglia che continuava a ringraziarlo mentre il veicolo si immetteva sulla Macintosh per dirigersi a nord, nel suo viaggio di ritorno verso il carcere di Algonquin Bay. 10
Lise Delorme era scocciata per essere stata esclusa dal caso Matlock. Cardinal aveva ragione: lei aveva già lavorato con Musgrave ed erano andati d'amore e d'accordo, anche se quell'uomo era un incubo maschilista. E invece no, Chouinard voleva Cardinal sul caso Matlock, e Cardinal doveva essere, il che significava che mentre lui sarebbe stato impegnato nell'indagine più succulenta da un anno a questa parte, Delorme sarebbe rimasta a gestire la robetta di tutti i giorni denunciata per telefono. Stava mangiando alla scrivania quando chiamarono dal Saint Francis Hospital per un caso di persona scomparsa. Appuntò i particolari e promise che sarebbe arrivata in venti minuti. Persone scomparse. Il problema delle persone scomparse è che di solito non sono affatto scomparse. Non gli adulti. Quasi sempre sono solo individui nauseati, dal compagno, dal lavoro, dalla vita, e hanno deciso di tagliare la corda. Un periodo sabbatico non annunciato. Però in questa "perscomp" c'erano alcuni dettagli che imponevano un'indagine immediata, anche se il soggetto, una single sulla trentina, era sparito da meno di ventiquattrore. «Sto cercando la dottoressa Nita Perry. Me la può chiamare?» chiese all'infermiera al banco. Andò ad aspettare nel solarium. Sul televisore nell'angolo Geoffrey Mantis, il premier dell'Ontario, stava spiegando perché gli insegnanti dovevano lavorare di più. «Certo, come se tu lavorassi di più» disse Delorme allo schermo. Mantis non sembrava fare altro che votarsi aumenti di paga e andare in vacanza. Prima del suo avvento Delorme non aveva mai pensato al golf come a uno sport che puoi giocare tutto l'anno. Comunque aveva imparato a tenere per sé le sue opinioni in ufficio. Una riserva di conservatori, a parte Cardinal. Da quanto le risultava, loro due erano gli unici sbirri del corpo che non consideravano Mantis un eroe locale. Una giovane in camice usa e getta arrivò nel solarium. Era piccolina, di cinque centimetri buoni più bassa di Delorme, e teneva i capelli rossi scostati dal viso con due forcine dall'aria austera. «Ho pochi secondi. Sto entrando in sala operatoria» si scusò la dottoressa Perry. «È chirurgo?» chiese Delorme. «Anestesista. Non possono cominciare senza di me.» «Ha segnalato lei la scomparsa della dottoressa Winter Cates?» «Esatto. Ho la foto che mi ha chiesto. Sono riuscita a sottrarla alla sorveglianza.»
La fotografia mostrava una bella donna sui trent'anni, con capelli scuri e ricci e un sorriso sghembo che le regalava un'aria sardonica. «Non le rende giustizia, mi creda.» «Quando è stata l'ultima volta che ha sentito la dottoressa Cates?» «Ieri sera, verso le undici e mezzo. L'ho chiamata per dirle che trasmettevano Interceptor sul tardi. È una patita di Mel Gibson... be', lo siamo tutte e due. Però per la serata aveva affittato una cassetta. Mi sembrava a posto. Senza un pensiero al mondo.» «Mi sembra un'ora tarda per chiamare qualcuno. Anche se è una buona amica.» «Oh, no, Winter è un animale notturno, come me. Non la chiamo certo all'una di notte, ma un po' prima sì. Chiacchieriamo spesso alla sera. Stavamo scherzando sulla "visitina alla nonna", il nostro modo di dire per quando guardiamo la tele ingozzandoci di Biscotti della Nonna. Winter aveva appena aperto il pacchetto quando ho chiamato.» «Quand'è che ha cominciato a preoccuparsi?» «Stamattina. Avevamo un'operazione alle otto e non si è fatta viva. Sarebbe strano per chiunque, ma soprattutto per una coscienziosa come Winter. È affidabile, a differenza di tanti altri.» Un'ombra attraversò gli occhi azzurrissimi della dottoressa Perry, come se stesse ricordando l'esercito di persone di cui non poteva fidarsi. «Sa, siamo buone amiche Winter e io. Intime. Non è assolutamente da lei non avvertirmi. Ho telefonato un paio di volte ma non mi ha richiamato. Non ha nemmeno sentito i messaggi, da quanto posso capire. Anche questo non è da lei.» «Ha provato a rintracciarla?» «Dopo l'intervento l'ho chiamata in ambulatorio, ma la sua assistente non l'aveva vista. E ho telefonato ai suoi. Abitano a Sudbury, e spesso Winter va a trovarli nei fine settimana, ma nemmeno loro l'avevano sentita. Non sapevo chi altri contattare. È qui in città da appena sei mesi, non conosce molta gente. Stavo per richiamarla in ambulatorio, ma non volevo scocciare.» «In realtà la sua assistente ci ha chiamato poco dopo la sua telefonata.» «Oh, no.» La dottoressa Perry si coprì la bocca con una mano. «Non facciamoci prendere dal panico. Fin qui non abbiamo motivo di temere disgrazie.» «Le spiego cos'è che mi preoccupa sul serio. Sono passata da casa sua all'ora di pranzo e ho visto la sua auto. Se non è in casa dov'è andata? E come ci è arrivata? E perché non ha avvertito nessuno?»
«Ha motivo di sospettare che qualcuno voglia farle del male? Aveva nemici, che lei sappia?» «Non posso credere che qualcuno abbia voglia di fare del male a Winter. Non ha un nemico al mondo. È la persona più carina che si può sperare di incontrare. Brillante, divertente, affidabile, un ottimo medico. Lo chieda a quelli che lavorano con lei. Non c'è nessuno che preferirebbero avere in sala operatoria al suo posto.» «Parleremo con gli altri colleghi» garantì Delorme. «Fidanzati? Che lei sappia vede qualcuno?» La dottoressa Perry abbassò gli occhi, rimettendo a posto con un gesto distratto il berretto da chirurgo che aveva iniziato a scivolare. «Winter ha un ex fidanzato, un tipo un po'... problematico. Di Sudbury. Craig Vattelapesca. L'ho visto solo una volta e non credo che mi abbia detto come fa di cognome. Ero a casa di Winter una sera, stavamo uscendo per andare a cena fuori e poi al cinema, quando è capitato questo Craig. Winter gli ha detto che non poteva vederlo in quel momento perché stava uscendo. Lui allora si è proposto di accompagnarci. È stata dura liberarsene.» «Le è parso pericoloso?» «Oh, no. Ho solo trovato un tantino strano che si presentasse così all'improvviso. Winter ha spiegato che era tipico di lui. Sembra che gli abbia detto da un pezzo che è tutto finito ma lui fa finta di niente. La aspettava a Sudbury dopo la laurea, ma lei non aveva la minima voglia di tornare.» «Per colpa di quell'uomo?» chiese Delorme. «Non saprei. Non voglio farlo passare per il cattivo del caso. Penso più che altro che Winter non volesse restare in un piccolo paese. Sono sicura che mi capisce.» In realtà Delorme non aveva mai desiderato vivere in un altro posto che non fosse il paese natio. Anche quando era andata all'università a Ottawa, e poi all'accademia di polizia ad Aylmer, aveva sentito la mancanza di Algonquin Bay. C'era qualcosa nel vivere nel posto che ti ha formato, in quella sensazione di agio e continuità, che nessun'altra città per quanto affascinante o cosmopolita poteva rimpiazzare. Però sapeva che tante persone non la pensavano alla stessa maniera. «La dottoressa Cates ha problemi con altre persone? Le ha raccontato qualcosa?» «Be', aveva un litigio in corso con il dottor Choquette, ma nulla di serio.» «Che genere di litigio? E per cosa?»
«Winter ha rilevato l'ambulatorio di Ray Choquette quando è andato in pensione, e ci sono state delle incomprensioni sul contratto.» «Le ha venduto l'attività?» «No, non si vende un'attività medica, non nell'Ontario. Doveva riguardare le attrezzature o roba del genere. Comunque era turbata.» La dottoressa Perry si alzò dopo avere consultato l'orologio. «Devo andare. Senta, Winter è una brava persona. Davvero speciale. Rende felice la gente. Non so come reagirei se le fosse successo qualcosa.» «Non sono passate nemmeno ventiquattrore. Non saltiamo troppo in fretta alle conclusioni» disse Delorme nel suo miglior tono conciliante. La dottoressa Cates abitava in un appartamento del Twickenham Mews, un lussuoso residence in fondo a una stradina alle spalle dell'Algonquin Mall. Delorme ricordava ancora la fila di villini intonacati che erano stati rasi al suolo una decina d'anni prima per far spazio al nuovo complesso. Con i suoi mattoni a vista e le rifiniture di cedro, il Twickenham Mews era uno dei punti più piacevoli del quartiere. Aveva un'aria accogliente, per essere un condominio, e invogliava a entrare, soprattutto adesso che la nebbia si era di nuovo trasformata in pioggia. Delorme suonò il campanello della custode, tale signora Yvonne Lefebvre. Era una donna segaligna, sui quarant'anni, gli occhi rossi e un fazzoletto perennemente accostato al viso. «Allergie. Inverno, estate, primavera e autunno. Non so se è questione di muffe, so solo che non mi lasciano mai in pace» si giustificò, concludendo con uno starnuto. Appena Delorme ebbe spiegato chi era e perché si trovava lì, la signora Lefebvre impiegò due minuti d'orologio, fermandosi due volte per starnutire e soffiarsi il naso, per compiere il tragitto fino in fondo al corridoio, pescare un mazzo di chiavi e tornare da Delorme alla porta, un'escursione che la lasciò stremata, accasciata contro la parete. «Come fa a gestire un intero palazzo da sola?» le chiese Delorme. «Oh, non sono io, cara. È mio fratello che segue le riparazioni e la manutenzione. Io riscuoto solo l'affitto. Senta, le dispiace se non salgo di sopra con lei? Non mi sento esattamente in forma smagliante.» «Mi deve scusare ma preferirei che venisse con me. Se la dottoressa Cates torna e manca qualcosa non voglio che sospetti che l'ha preso la polizia.» Attraversare l'atrio, entrare in ascensore e arrivare all'appartamento della dottoressa durò cinque volte il normale, e per quasi tutto il tragitto la si-
gnora Lefebvre si concesse parecchie soste appoggiandosi alle varie pareti. «Che auto guida la dottoressa Cates?» «Una PT Cruiser. Di solito non le distinguo una dall'altra, solo che la sua è tanto carina che gliel'ho chiesto un giorno mentre scaricava i sacchetti della spesa. È ancora nel suo spazio sul retro.» La signora Lefebvre, ansimante e rossa in viso, si appoggiò allo stipite mentre apriva l'appartamento, poi si accasciò su una seggiola di legno nell'ingresso. «Io mi fermo qui. Mi avverta quando ha finito.» Appena entrò Delorme notò che le luci erano accese. E che le tende non erano tirate. Una vetrata si affacciava sul lago Nipissing, una cupa presenza grigia sotto la pioggia. L'appartamento aveva un'aria di comodo disordine. I mobili erano nuovi, in uno stile rustico che Delorme aveva visto soprattutto nei cataloghi. Un tappeto multicolore era raccolto in fondo al divano, e sul tavolino erano accatastate varie videocassette di film. Le riviste, New Yorker, Maclean's, Scientific American, traboccavano da una cesta. Gli scaffali erano stracolmi, soprattutto di gialli tascabili incastrati a tutte le angolazioni. Tazze di caffè ancora semipiene e bicchieri di vino erano sparsi ovunque, assieme a oggetti incongrui, un ferro da stiro sul tavolino, una racchetta da squash in zona pranzo, un reggiseno appeso allo schienale di una sedia. Non è proprio una maniaca dell'ordine, si disse Delorme. Ma l'essenziale era che non si notava nulla di rotto o rovesciato, nessun segno di colluttazione. Avanzò adagio nel soggiorno, con le mani in tasca per evitare di toccare alcunché, fermandosi presso il tavolino. Mel Gibson la guardò dalla copertina di una cassetta: Ipotesi di complotto. C'erano due telecomandi sul divano, uno per il televisore e uno per il videoregistratore. Lo schermo della tv era spento, ma la spia di stand-by era accesa. Sul tavolino vide un piatto di biscotti, due per l'esattezza, accanto a una tazza di tè quasi piena. In cucina, nel lavello c'era una montagna pericolante di pentole e padelle. Delorme sollevò il coperchio di una piccola teiera marrone. Era piena a metà. Accanto vide un pacchetto di Biscotti della Nonna, con i primi quattro mancanti. Anche lei aveva un rituale identico: video, bicchiere di latte, biscottini, il sonnifero perfetto. A quanto pareva la dottoressa era a metà spuntino quando qualcuno o qualcosa l'aveva chiamata. Un paziente? Un parente? Un fidanzato? «Ha visto sconosciuti nel palazzo negli ultimi giorni?»
«No, il solito. Non che io tenga l'elenco. Anzi, sono la persona meno ficcanaso che ci sia. Per non parlare del fatto che il mio alloggio è a metà edificio e non si affaccia sul davanti o sul parcheggio.» «Chi erano i visitatori regolari della dottoressa Cates?» La signora Lefebvre tirò sul con il naso e si asciugò gli occhi. «Non saprei dire. Abita qui solo da pochi mesi. Paga l'affitto con puntualità, non si lamenta. A me interessa solo quello. Non equivochi, io li seguo gli inquilini. Però di solito conosco solo quelli al mio piano. Sa, ci sbatti contro quando prendono la posta eccetera.» «L'ha mai vista con qualcuno?» «Una volta sono venuti a trovarla i suoi genitori. E l'ho vista un paio di volte con una donna dai capelli rossi.» «Piccolina? Occhi chiari?» «Possibile.» Doveva essere la dottoressa Perry. «L'ha mai vista con un uomo?» «Adesso che me ne parla sì. Non alto. Capelli cortissimi e molto educato. Mi ha tenuto aperta la porta. Me lo ricordo bene perché mi sono detta: "Tesoro, sposatelo". È tanto carina che mi domandavo come mai non aveva un amico. Certo, i dottori sono molto impegnati...» Delorme scivolò in camera da letto. Vide un telefono sul comodino e una segreteria che lampeggiava il numero quattro in rosso. Premette il pulsante di avvio con la punta di una biro. La voce asmatica di un computer annunciò il primo messaggio, 10.15 di quel mattino stesso, seguita dalla voce della dottoressa Perry che chiedeva a Winter dov'era finita e come mai non s'era presentata in sala operatoria. Secondo messaggio, sempre della Perry. Terzo messaggio, una certa Melissa, forse l'assistente della dottoressa Cates, che voleva sapere dov'era finita perché la sala d'aspetto si stava riempiendo. Anche il quarto messaggio era di Melissa. Delorme premette il pulsante per sentire i vecchi messaggi. Non erano segnalati data né orario. La voce di un giovanotto: "Winter, sono io. Mi dispiace per l'altro giorno, ero sconvolto. Devo vederti. Non posso andare avanti mese per mese come te. La parte peggiore sono i fine settimana. Ti prego, chiamami... Dio, sembra quasi che stia implorando. Sto implorando. Ti prego chiamami. Ti amo". Messaggio seguente, la stessa voce: "Winter, lo so che ci sei. So che filtri le chiamate. Perché non mi richiami? Sai, certe volte ricevo venti o tren-
ta chiamate in un pomeriggio, molte da sconosciuti, e rispondo a tutte. Mi tratti peggio di come io tratto gli estranei. Non tratterei nessuno come tu tratti me". Terzo messaggio. Adesso nella voce si sentiva una nota di disperazione: "Winter, non so che dire. Sto impazzendo. Sto andando fuori di testa. Non so che fare. Non riesco a mangiare, a pensare, a stento respiro. Ecco che effetto mi fai. Io... io non so che dire. Ti prego, chiamami. Sul cellulare". La dottoressa Perry aveva citato il nome dell'ex ragazzo, Craig qualcosa. «Mi sembra che Craig stia esagerando. Mi sembra che abbia perduto qualche rotella» disse Delorme tra sé e sé. Ma perché una donna conserva questi messaggi? Perché non li cancella? Li tiene come prova di un qualche genere di molestie? Di solito capita che semplicemente non ci si pensa. Il letto era un unico groviglio di trapunta, cuscini e coperta. Delorme li scostò con cautela. Nessun segno di attività sessuale. Andò al guardaroba. La dottoressa non sembrava una fanatica della moda. Metà dei capi appesi alle grucce erano jeans, e gli scaffali erano pieni di felpe. C'era un piacevole sentore di profumo delicato e cuoio da scarpe. Da sotto le felpe estrasse una foto incorniciata: una versione più giovane della dottoressa Cates tra le braccia di un giovane. Lei era elegante, ma fu quanto indossava il giovanotto a lasciare senza fiato Delorme: il colletto alto, le spalline, la giacca di serge rossa. Delorme tornò in soggiorno per mostrare la foto alla signora Lefebvre. «È lui che ha visto con la dottoressa Cates?» «Accidenti.» Poi la custode si concesse una pausa per soffiarsi il naso. «Certo che è lui. Però non avrei mai pensato che era della polizia a cavallo.» 11 L'Healing Arts Building è una scatola di mattoni gialli come andavano di moda negli anni sessanta, piazzata in cima ad Algonquin Avenue poco oltre lo svincolo della statale 11. L'esercizio più importante del piano terreno è lo Shoppers Drug Mart, attorniato da una lavanderia a gettone, un lavasecco e parecchi altri piccoli negozi. Sopra ci sono cinque piani di medici, dentisti e chiropratici. Delorme era entrata spesso in quel palazzo da ragazzina. I suoi la portavano da un dentista che in seguito, quando le avevano sostituito le ottura-
zioni, aveva giudicato l'incompetenza fatta persona. Il tabellone del palazzo indicava la dottoressa Cates al primo piano. Il cartello attaccato alla porta diceva: CHIUSO PER EMERGENZA. PREGO TELEFONARE PER SPOSTARE L'APPUNTAMENTO. Delorme bussò con decisione, e fu fatta entrare da una donna di bassa statura con i capelli biondi corti come quelli di un ragazzo e cinque orecchini per lobo. Era Melissa Gale, l'infermiera della dottoressa Cates. «È l'agente che ha telefonato?» La voce flautata della giovane aveva un vago vibrato. «Sì, sono l'agente investigativo Delorme.» «Entri così chiudo la porta. Non ce la faccio ad affrontare altri pazienti. È dall'ora di pranzo che mi tocca rimandarli indietro.» «A che ora doveva venire la dottoressa Cates?» «Il suo primo appuntamento era alle undici. Alle undici e mezzo ho iniziato a preoccuparmi. Deve sapere che non è mai in ritardo. Ho chiamato un paio di volte a casa sua, e perfino in ospedale. Quando hanno detto che non s'era vista nemmeno lì sono andata nel panico. E vi ho telefonato.» «Ieri l'ha vista?» «Sì. È stata qui tutto il giorno. Abbiamo finito verso le sette.» «È l'ultima volta che l'ha sentita?» «Ieri sera. Sì.» «Com'era? Le sembrava preoccupata o particolarmente tesa?» «Affatto. Winter è una persona molto solare. La gente combina cose che mi fanno venire voglia di urlare per la rabbia e invece lei non batte ciglio. Mi sembrava a posto. Un comportamento del genere non è da lei. Non so dove possa essere finita.» «Ci sono state telefonate fuori dalla norma?» La signorina Gale inclinò la testa di lato per riflettere un istante. «Nessuna.» «E stamattina, quando ha aperto? Ha trovato messaggi che sembravano...» «Ce n'era una mezza dozzina. Sa com'è, persone che chiamano per prendere appuntamento o per sapere i risultati degli esami, cose del genere.» Delorme si guardò attorno. La sala d'attesa era piccola e anonima, appena ingentilita da un vecchio divano di pelle e da qualche grande pianta in vaso. Le sedie vuote sembravano in ordine, le riviste erano allineate sui tavolini. «Quando ha aperto ha notato qualcosa di strano nell'ambulatorio? Qualcosa fuori posto?»
«No, era come al solito. Ho chiuso io ieri sera, e quando sono tornata stamattina ogni cosa era esattamente come l'avevo lasciata.» Delorme indicò con la testa il computer dell'assistente. Un modulo di assicurazione tremolava sullo schermo. «E il computer? Qualche mail strana?» «Nulla. Solo le solite cose del settore, promozioni delle case farmaceutiche e delle assicurazioni. Riceviamo tonnellate di spazzatura.» «Le dispiace se guardo in giro?» «No. Di qua, prego.» Accanto alla sala d'attesa c'era uno studio: grande scrivania di quercia, librerie con vetrine e un tappeto orientale. Delorme esaminò il ripiano della scrivania: telefono, bloc notes, un blocco di carta protocollo, penna e matita, schedario, nessuna fotografia. Tanto ordine sembrava in netto contrasto con il disordine dell'appartamento della dottoressa Cates. «La scrivania è sempre così ordinata?» Indicò i blocchi per gli appunti. «Nemmeno uno scritto? Una lista di cose da fare?» «Winter è il genere di persona che non torna a casa fino a quando ha rimesso tutto in ordine. Ogni mattina vuole cominciare da capo, perciò quando chiudiamo il posto è più o meno in questo stato.» La porta che dava sull'ambulatorio adiacente era aperta. «Adesso che ci penso, c'era una cosa insolita. In ambulatorio» disse la signorina Gale. «Mi faccia vedere. Però non tocchi niente.» «Oh, Dio. È un'indagine per omicidio?» «Solo per precauzione.» L'assistente l'accompagnò in ambulatorio, che sembrava quello di qualsiasi dottore: neon accecanti, contenitori di ovatta e abbassalingua, un manifesto nutrizionale appeso alla parete, uno anatomico su un'altra e un piccolo orologio di ottone con la targhetta PROZAC. Melissa Gale indicò il lettino. «Vede il lenzuolino di carta? Dopo ogni paziente Winter lo srotola, strappa l'ultimo pezzo e lo getta nella pattumiera. Così ogni nuovo paziente ha un telo pulito.» «Come adesso» fece notare Delorme. «Non era così quando sono arrivata. Era accartocciato e mezzo strappato. Così l'ho srotolato e l'ho staccato per metterlo nel bidone.» «Questo?» Delorme indicò una pattumiera aperta sotto il banco. «Sì. È quello.» «E non c'era altro fuori posto?» Delorme indicò i contenitori con l'ovatta
e gli abbassalingua. «Mah, solo piccole cose. Ho trovato sul banco un rotolo di garza che di solito sta nell'armadietto, e un flacone di disinfettante.» «E non c'erano quando ha chiuso ieri sera?» La donna fece una piccola smorfia. «Sa, non ne sono sicura al cento percento. I lunedì sono lunghi e certe volte non vedo l'ora di uscire. Mi dispiace.» Delorme si avvicinò a un bidoncino cromato e premette il pedale. «Quando lo svuotate?» «Ogni sera. Certe volte anche durante il giorno.» «E la roba che c'è dentro adesso?» «Non dovrebbe esserci niente.» La signorina Gale si avvicinò per guardare. Il bidone conteneva un incarto per fasciature. «Non c'era ieri sera, ne sono sicura.» «Quanto sicura? Ricorda di averlo vuotato ieri sera?» «Sì. Stavo portando fuori proprio quello quando Winter mi ha salutato.» «E se un paziente ha avuto un'emergenza sul tardi? Mettiamo a mezzanotte. Che succede in questi casi?» «Intende se hanno telefonato a Winter? Lei gli avrebbe consigliato di andare al pronto soccorso. Uno studio medico non è attrezzato per le emergenze.» «Mettiamo che qualcuno l'abbia chiamata dicendo che era a corto di medicinali, qualcosa del genere.» «Non l'avrebbero comunque chiamata a casa perché non figura sull'elenco. E anche se fossero riusciti a telefonarle la segreteria gli avrebbe consigliato di andare al pronto soccorso.» «Va bene. Torniamo in sala d'aspetto. Non voglio toccare troppe cose.» «Quindi sospetta che le sia successo qualcosa.» «Potrebbe essere un'inezia, però chiederò ai nostri tecnici della Scientifica di venire a dare un'occhiata. C'è un altro ufficio dove può aspettare il loro arrivo?» «Certo, posso andare dal dottor Bisson qui accanto.» Delorme uscì con lei in corridoio e la guardò mentre chiudeva a chiave. «Che lei sappia, qualche paziente ce l'aveva con la dottoressa Cates?» «Oh, ci sono sempre pazienti contrariati. Non ha idea di quanti svitati ci sono in giro. Winter dice che sono persone sole che appena ottengono l'attenzione di qualcuno non riescono più a smettere, anche se significa commettere qualche stupidaggine. Sa, prendono il doppio delle medicine che
dovrebbero assumere, poi si arrabbiano se il dottore non vuole scrivere un'altra ricetta dopo cinque giorni. Oppure vogliono che la dottoressa firmi un certificato di malattia fasullo. Ho visto uno perdere le staffe per una storia del genere, s'è messo a urlare e battere i pugni sulla scrivania, e ha perfino rovesciato una pianta con un calcio. Temevo che saremmo state costrette a chiamare la polizia.» «Come si chiama?» «Glenn Freemont.» La mano di Melissa Gale salì alla bocca. «Oh, adesso finisco nei guai per averglielo detto. Questa è roba riservata.» «Quando è successo?» «Un paio di settimane fa. Posso controllare.» «C'era qualcun altro che dava qualche grattacapo alla dottoressa? Un amico? Un parente?» «Be', ha un ex fidanzato. Craig Simmons. Non è violento o che, da quanto ne so, però chiama di continuo. Quasi sempre devo dirgli che Winter è con un paziente e lo richiamerà. Però lei non trova sempre il tempo per telefonargli e allora lui si arrabbia. Certe volte viene perfino qui in ambulatorio. È successo ieri, in effetti. Winter era imbufalita. Li ho sentiti che urlavano.» Delorme le mostrò la foto della dottoressa Cates con la giovane Giubba rossa. «È lui?» «Esatto. Però non sapevo che fosse nella polizia a cavallo. Sembra un attore.» «Come mai lo pensa?» «Non saprei. È piccolino, ma palestrato come gli attori di oggi. E così sopra le righe.» Delorme lasciò Melissa nello studio medico adiacente dicendole di aspettare lì la Scientifica, poi chiamò Arsenault e Collingwood con il cellulare e scese in macchina a fare altre due chiamate. La prima ai genitori della dottoressa Cates, durante la quale ripeté che era solo una telefonata di routine, non c'erano indizi di un delitto. Si dimostrò brusca e puntuale: c'era qualcuno che loro figlia poteva andare a trovare all'improvviso? (Nessuno.) Aveva amici o frequentatori sospetti? (Sì, Craig Simmons.) Cercò di rinfrancarli, ma i signori Cates sapevano perfettamente che un poliziotto non li avrebbe mai chiamati se non ci fosse stato motivo per temere qualcosa, e quando Delorme appese sembravano entrambi sconvolti. La telefonata successiva fu a Malcolm Musgrave. Il quale le disse: «Craig Simmons è uno dei migliori sbirri che ho mai
visto, e sono in questo mestiere da una vita». «Non lo metto in dubbio, però qui ho una dottoressa scomparsa e ho motivo di credere che Simmons fosse irritato con lei.» Il tono di Musgrave mutò. «Non sarà Winter Cates?» «Sì. Perché? Eravate già in pensiero?» «No, però Simmons parla di lei da una vita. Quando è arrivato al nostro distaccamento pensavo che stessero per sposarsi, ma non ci ho messo molto a capire che se lo stava solo sognando. Appena li vedi insieme capisci che Craig per lei è solo un amico, o al massimo un fratello.» «Mentre per lui...?» «Non è né amica né sorella.» «Allora mi dà l'indirizzo?» «Sì, glielo do. Però adesso non è in casa, è nella villetta di famiglia a Mattawa. Un posto incredibile... sembra una casa di bambola. Però si pesca alla grande.» «Che ci fa da quelle parti in pieno inverno?» «È soprattutto in questa stagione che i ladri ti si infilano nella casa delle vacanze. Ha da scrivere?» Musgrave le diede indicazioni precise. «Mi stia a sentire. Con Simmons ha scelto la preda sbagliata. Vada a Mattawa se questo sazia la sua curiosità, lo interroghi finché vuole, però prima lo elimina dalla sua lista meglio è» concluse. La vecchia cittadina di Mattawa è a una sessantina di chilometri a est di Algonquin Bay, al confluire dei fiumi Mattawa e Ottawa. Questa posizione privilegiata ne ha fatto un incrocio di importanza fondamentale per i viaggi in canoa ai tempi di Samuel de Champlain, e tale è rimasto. Le gare di canoa di luglio sono un evento molto atteso e quanto ai pesci, il persico salta praticamente fuori dall'acqua chiedendo di essere portato a casa. È una piccola comunità, per lo più impegnata con le migliaia di turisti che arrivano in estate a godersi i fiumi, le colline alte e le capanne di tronchi annidate tra ruscelli e foreste. La patria dei bungalow. Delorme non era molto sensibile al panorama, però doveva ammettere una certa atmosfera in quel paesaggio. Le colline verdeggianti si profilavano attraverso la pioggia, e il sentore dei pini invadeva l'abitacolo della macchina. Lembi di nebbia penzolavano dagli alberi accanto alla carreggiata, e la statale luccicava come un nastro di seta nera. Durante il viaggio ascoltò i notiziari. Il nuovo sindaco stava parlando del
carnevale anche se mancava ancora un mese e l'ondata di caldo aveva sciolto tutta la neve. Geoff Mantis si scagliava contro la proposta dei liberali di alzare la tassa sui capital gains, dopodiché veniva un profilo del nuovo segretario del Parti Québécois, assieme a un'analisi grossolana del "problema francofono". Da quanto lei poteva ricordare, il Québec era sempre stato il più grosso problema della nazione e giornali e teste d'uovo non la smettevano un attimo di discutere di questa onnipresente perturbazione, la delicata tempesta dei rapporti anglo-francesi. «Non deve entrare in città, ma girare a destra sulla LaFramboise. Poco dopo il concessionario Chevrolet» le aveva consigliato Musgrave. «Sempre ammesso che riesca a vederlo» si disse Delorme. Lo vide spuntare meno di un chilometro dopo, sulla destra. Dopo la svolta passò davanti a un deposito legname, a un deposito rivestimenti edili e a un canile, brutti posti resi ancora più squallidi dalla pioggia. Un'officina sulla sinistra, poi il cartello malconcio per Sandy Point con una freccia. Delorme strizzò gli occhi nella pioggia, cercando di scorgere i villini tra gli alberi. Qualche minuto dopo arrivò a quella che sembrava la fine della strada e si fermò. Pochi metri più in là vide una cassetta delle lettere contrassegnata "Simmons". Fece avanzare l'auto verso il vialetto. In fondo alla discesa c'era una Jeep Wrangler. Prese nota del numero di targa. La jeep era parcheggiata accanto a una villetta che sembrava uscita dalla fiaba di Hansel e Gretel, una miniatura vittoriana in marzapane fatta per lo più di rivestimento di materia plastica color malva. Il tetto spiovente brillava per la condensa, e la metà superiore di ogni finestra era di vetro colorato. Il camino esalava pittoreschi ghirigori di fumo. Delorme salì sulla veranda lillà di legno intagliato a svolazzi. Quando Musgrave l'aveva definita una casa di bambola era stato preciso al millimetro. C'erano perfino il ferro battuto per pulirsi gli stivali in cima ai gradini e sulla porta un battente di ottone a forma di testa di leone. Quando l'uscio si aprì le si parò davanti un giovane in jeans e maglietta. Muscoloso, come aveva detto Melissa, uno che passava parecchio tempo in palestra. «Posso aiutarla?» Aveva i capelli più lunghi che nella foto, una frangia color grano spiovente sulla fronte. E sembrava parecchio più piccolo senza l'uniforme della polizia a cavallo. Però, nonostante l'abbigliamento casual, era pulito e in ordine: i jeans e la maglietta erano stirati.
«Craig Simmons?» Delorme mostrò il distintivo. «Sono l'agente Lise Delorme, polizia di Algonquin Bay.» «Mi sembra un po' fuori dalla sua giurisdizione.» «Le dispiace se entro un minuto? Qui fuori è un tantino umido.» Simmons spalancò la porta. L'Ontario settentrionale ospita due scuole di pensiero di proprietari di villette. La prima le usa come una specie di solaio da riempire di scarti, divani sfondati, poltrone graffiate dai gatti, vecchi videoregistratori e qualsiasi oggetto indesiderato nella prima casa. La seconda scuola considera il villino una seconda casa e fa di tutto per renderlo grazioso, comodo e invitante, spesso investendoci più soldi che nella prima abitazione. A queste due tendenze Delorme ne aggiunse una terza: gli abitanti del regno della fantasia. Casa Simmons era dedicata alla rievocazione di un'era vittoriana mai esistita, incarnata nei candelieri d'ottone, negli armadi con le vetrine incise, nei pizzi alle finestre. Ammiccava e brillava ovunque, dai paralume di perline, dalla zuccheriera d'argento e dalla pendola in ritardo di una buona mezz'ora. Sopra un massiccio tavolo da pranzo di quercia, una fotografia scolorita della regina Vittoria rimuginava in una cornice di vetro molato. «È la villetta di mia madre» spiegò Simmons, indicando il ciarpame. «Un giorno, lo giuro, cambio tutto. Si accomodi.» Indicò una serie di sedie da pranzo, ciascuna ornata di balze barocche. Delorme decise di non perdere tempo con le ciance. «Caporale Simmons, so che è del distaccamento di Sudbury della RCMP. Che ci fa qui a Mattawa in questa stagione?» «La polizia dell'Ontario mi ha telefonato per avvertirmi di un'effrazione. Qui capitano di frequente.» «Il posto mi sembra in perfetto ordine.» «Sono entrati nella rimessa delle barche e si sono presi un paio di fuoribordo 95 Merc.» «E dov'era ieri sera?» «Ieri sera? Sempre qua. Perché?» «Sempre qua? E cosa faceva? «Ho imbiancato in camera da letto. Mi sono detto che visto che ero qui potevo fare qualcosa. Ho lavorato quasi tutta la sera, poi ho guardato la fine della partita di hockey. Riguarda un'indagine?» «Chi ha vinto?» chiese Delorme. In quanto poliziotto a cavallo, il caporale era senza dubbio più abituato a
fare domande che a rispondere. In quel caso parve scosso dalla richiesta. Aprì la bocca un attimo, poi la chiuse e infine distolse lo sguardo. «La partita. Ha detto che ha guardato la partita di hockey» aggiunse Delorme. «Ha vinto Detroit. 5 a 4.» Esatto, Delorme ne era al corrente, però sembrava il classico alibi preconfezionato. «Sicuro di non essere andato a far visita a Winter Cates?» «Winter? No. L'avevo vista in giornata.» «Lo so. E avete litigato.» «Abbiamo discusso. Senta, agente, sta ficcando il naso nella mia vita privata. Come fa a sapere di me e Winter? Di cosa si tratta?» «Almeno un testimone afferma che le vostre voci erano alterate. Arrabbiate. Mi sta dicendo che non è vero?» «Winter era scocciata perché ero capitato in ambulatorio.» «Però doveva, vero? Winter non le ha lasciato scelta, non rispondeva alle sue chiamate.» Il volto di Simmons cambiò, passò dalla rabbia incipiente al timore. «È successo qualcosa a Winter? È ferita?» «Me lo dica lei, signor Simmons.» «Non so di cosa sta parlando. Mi dica, Winter sta bene?» «Winter Cates non è più stata vista dopo ieri sera. Non in ospedale, non dai pazienti, non dai genitori.» «Sa, è medico. Potrebbe essere stata chiamata per un'urgenza.» «Che urgenza poteva essere? L'auto è ancora a casa sua.» Simmons parve trasalire mentre incamerava l'informazione. «"Mi fai sentire come se ti stessi implorando. Mi tratti peggio di come io tratto gli estranei"» citò Delorme a braccio. «Parole forti, non trova?» La faccia di Simmons era diventata paonazza, e Delorme sospettava che non fosse a causa dell'imbarazzo. «Sta alludendo che avrei fatto del male a Winter?» «Dov'è finita, caporale Simmons? Sospetto che si sia fatto vivo un'altra volta senza annunciarsi. Pare sia una sua abitudine. Winter non rispondeva alle telefonate, l'ha cacciata dall'ambulatorio e lei voleva farsi ascoltare. Per Winter è una storia finita ma lei non l'accetta.» «Ma chi crede di essere? Non sa niente di me.» «Dov'è, signor Simmons?» Simmons era basso e doveva avere passato a stento i limiti di altezza della polizia a cavallo, eppure afferrò il bordo del tavolo di quercia e lo ri-
baltò di colpo con tanta violenza da mandarlo ad atterrare non su un lato ma capovolto, con i piedi a zampa di leone che artigliavano l'aria. «Tranquillo. Risponda alla domanda, piuttosto» disse Delorme, più scossa di quel che si sforzava di lasciar trasparire. «Chi crede di essere?» ripeté Simmons. «Una troietta mangiarane appena arrivata dalla fattoria. È così che ha avuto il posto, no? I vecchi posti riservati per il bilinguismo? Mi dica una cosa: come andava nel combattimento corpo a corpo ad Aylmer?» «Signor Simmons, non siamo qui per parlare di me. È la sua ragazza che è scomparsa. Ex ragazza. E lei non ha un alibi.» La verità era che Delorme era stata bocciata nel corpo a corpo, e anche la seconda volta era passata per un pelo. In seguito aveva passato un bel po' di ore con un allenatore personale, però non era ansiosa di battersi con una Giubba rossa infuriata. Si chiese se fosse il caso di estrarre la pistola. Simmons stava recitando? Oppure era davvero uscito di senno? «Caporale Simmons, basta un semplice sì o un no. Sa dove Winter in questo momento?» Simmons si avvicinò di un passo. «Risponda alla domanda. La smetta con questa commedia da macho.» «Forse sono una persona emotiva.» La voce della Giubba rossa si era fatta molto riflessiva. «Una persona passionale.» «Forse anche violenta. Forse un omicida» aggiunse Delorme. Simmons la fulminò con lo sguardo, poi scosse il capo. «Non sa niente di me. E a essere sincero sono piuttosto disgustato che non conceda il beneficio del dubbio a un collega.» Andò alla porta e la tenne aperta. «Non ho la minima idea di dove possa essere Winter. Questa risposta potrà anche non piacerle però è la verità, agente. Se è veramente scomparsa, allora sono molto più preoccupato di quanto mai potrà esserlo lei. E se ha altre domande da farmi, dovrà aspettare il mio avvocato.» «Caporale, abbiamo sentito i suoi messaggi nella segreteria telefonica di Winter. È un amore non corrisposto, a cui dobbiamo aggiungere il suo temperamento irascibile e il suo alibi non confermato. Se la dottoressa Cates non salta fuori molto presto, avrà davvero bisogno di un avvocato.» Simmons spalancò ancora di più la porta. Delorme indicò con il capo il tavolo rovesciato. «Potrebbe essere il momento adatto per cambiare anche i mobili.» Tornata in macchina pensò che Melissa Gale aveva ragione: l'amico era
un attore. Oh, come sono duro. Passionale. Ma fammi il piacere. Mentre tornava verso la statale, con la foresta verde opaco che le sfrecciava accanto, tra le colline sfumate dalla pioggia, ebbe qualche ripensamento. E se Simmons era un pazzo genuino? Cambiava forse qualcosa? Se stava facendo la scena, sembrava quasi che volesse coprire una coscienza sporca. Se invece era sincero, allora questo lo rendeva capace di... be', sperava che in seguito non si scoprisse che si trattava di omicidio. 12 La mattina seguente Delorme riferì a Cardinal della dottoressa scomparsa. Erano nella sala della squadra e stavano bevendo il caffè arrivato dal Tim Hortons. «Non può essere sparita da molto. L'ho vista lunedì» disse Cardinal. «Conosci Winter Cates? Se me l'avessi detto ieri.» «Non me l'hai chiesto. Spero che non le sia successo nulla di grave.» «Purtroppo non sta andando bene. È scomparsa da quasi trentasei ore ma l'auto è ancora a casa sua.» Cardinal ripensò ai modi spicci della donna, a come aveva trattato suo padre, severa ma amichevole. Ricordò gli occhi scuri, i capelli domati a stento. «L'ho vista per la prima volta lunedì quando ha visitato mio padre. Però c'era un tale in studio, un giovanotto biondo che sembrava in lite con lei.» «Craig Simmons. L'ho già sentito. È un ex, oltre a essere una Giubba rossa.» Cardinal fece schioccare le dita. «Ecco dove l'avevo visto. Lavora per Musgrave, vero? Che cosa ha detto?» «Diciamo che se la Cates non si rifà viva torno subito a fare due chiacchiere con il caporale Simmons. Quel ragazzo ha un pessimo carattere e nessun alibi.» Delorme posò il caffè, poi andò a bussare alla porta dell'ufficio di Chouinard. Squillò il telefono. Quando Cardinal rispose, la voce all'altro capo del filo cancellò qualsiasi preoccupazione di sorta per la dottoressa scomparsa. Pochi uomini sono in grado di dire con esattezza la cosa peggiore che hanno mai fatto, invece Cardinal lo sapeva alla perfezione. Era successo quasi tredici anni prima, durante il suo ultimo anno alla Antinarcotici di Toronto. La sua squadra aveva fatto una retata a casa di uno dei tre mag-
giori narcotrafficanti dell'Ontario, un porco violento che rispondeva al nome di Rick Bouchard. Mentre i colleghi di Cardinal avevano il loro da fare con Bouchard e scagnozzi, compreso l'elfo malefico Kiki B., Cardinal era incappato dentro il guardaroba della camera da letto in una borsa grigia da ginnastica piena di contanti. A sua imperitura vergogna se n'era andato con duecento testoni. Gli altri cinquecento erano serviti come prova, e contante e droga erano bastati a far condannare tutti i fermati. Adesso aveva Kiki B. al telefono. «Spero che tu abbia ricevuto la cartolina di Rick. Non voglio che pensi che ci siamo scordati di te.» «Kiki, te lo dico una volta sola: se tu, o qualcuno collegato a te, si fa vivo a casa mia, ve la faccio pagare per il resto dei vostri giorni. Capito?» «Dodici anni, Cardinal. Capisci questo? Bouchard è rinchiuso a Kingston Pen da dodici anni. Ha altri sei mesi da scontare, poi esce e vuole i suoi soldi sull'unghia. La considera una specie di liquidazione che gli hai tenuto da parte.» «Digli di non aspettarsi interessi. Ultimamente la Borsa è andata a rilento.» «Vuole i suoi duecento, Cardinal. Sa che li hai presi tu e li rivuole se non desideri fare testamento.» «Non ho tutti quei soldi, Kiki. Sarà difficile fartelo entrare in testa ma è la verità.» Cardinal desiderava sentirsi calmo quanto sembrava. «Ah-ah. Cos'hai fatto, li hai dati in beneficenza?» «Hai mai sentito parlare della Sunrise?» «La Sunrise Foundation? Li hai dati ai tossici? Oh, ragazzi, Rick apprezzerà la tua ironia, Cardinal. Si scompiscerà dalle risate.» Era effettivamente vero che gli ultimi soldi erano finiti lì, però prima Cardinal li aveva usati per le spese ospedaliere di Catherine negli Stati Uniti, dove i genitori di lei avevano insistito per mandarla a curarsi, e per far studiare Kelly a Yale. Aveva confessato la faccenda alla moglie e alla figlia solo l'anno prima, quando non ce l'aveva più fatta a convivere con la cattiva coscienza. Privata del contributo alle rette scolastiche, Kelly era stata costretta a lasciare gli studi prima dell'ultimo semestre, e Cardinal era sicuro che sua figlia non gliel'aveva mai perdonato. Lui aveva persino tentato di dare le dimissioni dal corpo, ma Delorme aveva intercettato la sua lettera prima che arrivasse nelle mani del capo della polizia. "Sei un bravo sbirro. Perché danneggiare il dipartimento andandotene?" gli aveva detto. In quei giorni Cardinal era in ospedale con due ferite da arma da fuoco e
non aveva avuto la forza di insistere. «Kiki, perché non ti trovi un nuovo datore di lavoro? Scriviti un curriculum. Non sei più tanto giovane.» «Cardinal, è l'ultimo avvertimento. Secondo te Bouchard dovrebbe uscire di galera al verde? Non gli andrà giù.» «No che non l'accetterà. In tal caso...» «D'accordo, ho tentato di aiutarti. Se non vuoi starmi ad ascoltare è un tuo problema. E non credere che Bouchard non possa sistemarti anche stando in prigione. Può. La prossima volta non sarà un biglietto o una telefonata.» Cardinal appese. Rimase per un po' a guardare la sua mano posata sopra la scrivania. Tremava. Poi si sentì crescere in corpo la vergogna perché stava mettendo a repentaglio casa sua per qualcosa che aveva fatto, anche se tanto tempo prima. Per la millesima volta maledisse la propria stupidità. L'interfono ronzò. Era Mary Flower che l'avvertiva dell'arrivo di Calvin Squier. Cardinal uscì dalla sala. «È fantastico rivederti, John. Come va?» disse Squier, allungando la mano. Soltanto gli americani stringono tanto la mano, pensò Cardinal. Gli americani, i truffatori e Calvin Squier dei servizi segreti canadesi. «È già tornato da New York? Ma se è partito appena ieri.» «Non vedevo l'ora di tornare. New York non è una città in cui amo fermarmi.» Cardinal lo accompagnò nella sala delle Indagini criminali. Era un passo avanti considerevole rispetto alla centrale precedente con i suoi schedari ammaccati e la puzza di fumo e sudore e altri odori meno gradevoli. Eppure Cardinal era sicuro che Squier, con il suo sorriso da boy scout e i troppi denti, lavorasse nel più splendido ufficio che il bilancio federale potesse permettersi, il tutto a suon di fondi neri. «Ehi, che bel posticino che avete» disse Squier. Abbracciò con un gesto le scrivanie e i divisori, la parete a vetrate, i pannelli di plastica mezzo scollati sul soffitto. Delorme, che stava arrivando da chissà dove, li guardò per un attimo, poi andò alla sua scrivania. Squier si girò ad ammirarla. Cardinal andò a recuperare una sedia nel cubicolo di McLeod, che era ancora in vacanza in Florida. «Si sieda.» «Dicevo di New York. Troppo grande, troppo sporca e troppo schifosamente americana. Capisco che c'è stato l'11 settembre, però non sono passato nemmeno vicino alla zona. Non ci sono alberi in quella città. Niente
verde. Niente aria. Ammetto che è impressionante da vedere. È Toronto moltiplicata per cento. Mai stato da quelle parti?» Cardinal scosse il capo. «Ha parlato con i familiari di Matlock?» Squier annuì. «Con la moglie. Era sconvolta, ovviamente.» «Cos'ha scoperto?» «Secondo lei Howard Matlock non aveva un nemico al mondo.» «Le ha detto questo?» «Oh, non solo la moglie. Ho parlato con i vicini, con la parrocchia, con un paio di clienti. Come ricorderai, era un commercialista iscritto all'albo. I suoi clienti avevano da dire solo cose positive su di lui: pignolo, ti faceva risparmiare soldi però era onesto. Purtroppo non corrisponde a quanto ha detto l'FBI.» «Davvero? Cos'hanno detto i federali?» «Stavano seguendo da vicino un'organizzazione locale antigovernativa, la WARR, che sta per Waco e Ruby Ridge, due posti in cui i federali hanno ucciso altri cittadini americani. Per farla breve, la WARR è una cricca di bianchi incazzati la cui massima priorità sembra essere, come dicono loro, "accecare il nemico". Vogliono sabotare la capacità americana di sorvegliare la popolazione. Spediscono pacchi bomba alla NSA, roba del genere.» «Il che spiegherebbe l'interesse per la base CADS, ma non chi l'ha ammazzato.» «Il Bureau ha fatto risalire fino a Matlock un ordigno esplosivo inviato alla sua sede di Washington. Fortunatamente non è esploso. Comunque Matlock sembrava alquanto interessato a dissociarsi, e pare che i suoi compari siano venuti a saperlo.» «In parole povere, un movente solido per un omicidio.» Un trapano ad alta velocità si mise in azione al piano di sopra, tanto che dovettero urlare per farsi sentire. «Molto solido.» «E la moglie? È anche lei militante del gruppo di invasati?» «No, era un hobby personale di Matlock, a quanto risulta.» «Andavano d'accordo?» «Nella media, direi. I genitori di lui sono morti, però ho parlato con la famiglia della moglie, e dicono che avevano alti e bassi come tutti, però nessuna crisi o liti vere e proprie. I vicini non li hanno mai sentiti urlare o cose del genere. Ehi, credi che la moglie lo volesse morto?» Quando il trapano si fermò la pace improvvisa parve eccessiva.
«So solo quello che mi racconta lei.» «Be', posso dirti che non aveva una grossa assicurazione sulla vita, se è a questo che stavi pensando. È la prima cosa che ho controllato. Del resto trovo più promettente la pista WARR, non trovi?» «Forse. Però mi dica una cosa, Squier: perché dovevano ammazzarlo in Canada?» «Perché sarebbe stato molto più difficile ricollegarlo a loro. Ti prego, diamoci del tu.» «Però preferisco Squier a Calvin. Ha una sonorità da torneo medievale.» Squier lo guardò pensieroso, poi si inclinò in avanti sulla sedia e disse in tono confidenziale: «Non sarai ancora arrabbiato per l'altra sera, vero? Sono più giovane di te di una ventina d'anni e avevo il vantaggio della sorpresa, alla grande.» «Squier, nessuno ti ha mai detto che parli troppo?» L'altro annuì. «Me l'hanno detto. Se devo essere onesto, non mi giova.» «In effetti» confermò solenne Cardinal. «La lingua lunga può far danni.» Squier si guardò attorno nella sala della squadra Indagini criminali, posando gli occhi un po' troppo a lungo su Delorme. «E tu e Musgrave avete fatto progressi?» Cardinal gli riferì la versione di Bressard completa di orsi. Il giovane prese nota su un palmare con una matitina di metallo. «E chi l'avrebbe pagato per sbarazzarsi del corpo?» «Un gangster, Leon Petrucci.» Squier trascrisse il nome sul palmare. «Perché un mafioso locale doveva interessarsi a un terrorista americano? Non capisco.» «Nemmeno io. Mi hai chiesto a che punto eravamo arrivati. A questo.» «Immagino sarebbe stato più facile mettere un contratto sulla sua testa.» «Petrucci non è Al Capone. Mi stupirebbe se l'avessero mai sentito nominare negli Stati Uniti.» «Comunque sia, forse non ti resterà molto altro da indagare. Tutte le risposte arriveranno da parte americana e dalla pista del WARR. Non preoccuparti, ti terrò aggiornato.» Squier infilò il palmare in una custodia di pelle che mise in tasca. «Fammi sapere se c'è altro che posso fare per te. Ho già sentito il Centro di medicina legale sulla procedura per rimandare i resti negli Stati Uniti. Intanto puoi trovarmi all'Hilltop.» «Vedo che non sei rimasto con le mani in mano. Fammelo sapere se posso restituirti il favore.» «Contaci, John.» Squier sottolineò il sorriso smagliante con il gesto del
pollice all'insù. «Potresti portarlo in banca.» Mentre Cardinal lo accompagnava verso l'uscita aggiunse: «Era quella Lise Delorme? Quella donna un paio di scrivanie più in là?». «L'agente investigativo Delorme. Squier, quella ti spezza un braccio.» «Perché? Non ha la fede.» «È una ragazza molto seria.» «Be', anch'io, John. Anch'io.» Lasciato Squier, Cardinal tornò alla sua scrivania per comporre il numero delle informazioni abbonati di New York, dal quale ottenne il recapito telefonico di Howard Matlock, 312 91a Est. Cominciò a pensare a cosa dire alla povera vedova, nel caso fosse in casa. «Pronto?» Aveva risposto un uomo. «Pronto, casa di Howard Matlock?» «Sì.» Un parente venuto a consolare la moglie, pensò Cardinal. Poi la voce aggiunse: «Sono io». Il sergente Daniel Chouinard stava cercando qualcosa sotto una pila di scaffali ancora da montare, perciò sbatté la testa quando Cardinal gli annunciò che voleva andare a New York. «Non c'è alcun bisogno di andarci. Ci sta andando il CSIS.» «È già tornato. Calvin Squier mi ha appena esposto una teoria molto plausibile per l'omicidio di Howard Matlock. Secondo lui l'hanno beccato mentre spiava la base CADS.» «Certo. Allora?» «Ho appena telefonato alla base. Il capo della sorveglianza non ha mai sentito parlare di un Howard Matlock. Non gli risultano segnalazioni di un incidente del genere.» «Mah, forse il CSIS gli ha detto di restare abbottonato per qualche oscura ragione.» «Calvin Squier si è anche dimenticato un altro piccolo particolare.» Cardinal riferì la telefonata a New York. «Mi stai dicendo che Howard Matlock è vivo?» «Howard Matlock è vivo e non ha mai sentito parlare di Algonquin Bay.» «Quindi non abbiamo la minima idea di chi possa essere il morto.» «Nemmeno uno straccio.» Chouinard recuperò un Walkman Sony da sotto gli scaffali e lo lasciò
cadere nella sua cartella. «D'accordo, andrai a New York. Non si discute. Non prevedo problemi a convincere R.J.» 13 Cardinal prese il volo da Algonquin Bay quel mattino stesso. Compreso uno scalo di un'ora a Toronto, riuscì ad atterrare a New York due ore più tardi. Sul taxi che lo portava dal LaGuardia percepì vagamente l'immensità della metropoli, la grandezza brutale del suo panorama, le abitudini allarmanti dei suoi tassisti, tuttavia rimase concentrato sul da farsi, deciso a non prestare a New York più attenzione dello stretto necessario. Howard Matlock, quello vero, non aveva mai sentito nominare il Loon Lodge, come del resto non aveva mai sentito nominare Algonquin Bay. Anzi, non aveva più posato piede su suolo canadese dal 1996, quando aveva passato una settimana a Québec (tanto affascinante! tanto europea! tanto a buon mercato per un americano!), né dimostrava il minimo interesse per la pesca attraverso il ghiaccio. Le uniche cose giuste tra quelle che risultavano a Cardinal riguardo Howard Matlock erano nome, indirizzo e professione. Matlock abitava al primo piano di una palazzina nell'Upper East Side di Manhattan. «Un po' troppo upper, a nord, per essere alla moda, ma fino a quando non farò il primo milione dovrà bastare» disse a Cardinal sulla porta. Era un uomo snello sulla cinquantina suonata con i capelli cortissimi per nasconderne la scarsità. Il suo primo milione non sembrava imminente. L'appartamento era un bilocale parcamente arredato in vetro e cromo. Sembrava più un ufficio che un'abitazione. «Ovviamente questa sua visita speciale richiede un caffè. Ne vuole?» chiese. Cardinal accettò. Poi, mentre Matlock era impegnato nel cucinino, chiamò Malcolm Musgrave. L'aveva aggiornato la sera prima sull'inchiesta simulata di Squier. Musgrave aveva risposto con l'eloquio tipico. «Quella merdina. Inchiodiamolo subito.» A quel punto Cardinal gli aveva chiesto di sfruttare le sue conoscenze tra i dinosauri delle Giubbe rosse attualmente in forza al CSIS per scoprire il vero nome e indirizzo di "Matlock". Era chiaro che i servizi segreti na-
scondevano quelle informazioni per motivi noti soltanto a loro. «C'è uno dei nostri che ci lavora da ieri sera. Dammi un'altra ora» gli stava dicendo adesso Musgrave. Mentre Cardinal appendeva, Matlock gli portò una tazza di caffè fumante con un piatto di biscotti e un tovagliolino infilato ordinatamente sotto un cucchiaio. «Non è una Giubba rossa, vero?» «No, sono della polizia di Algonquin Bay.» «Ho un amico che morirebbe d'invidia se gli dicessi che ho conosciuto una Giubba rossa. Ne assaggi uno, li ho fatti con le mie mani.» Erano all'avena e uvetta. «Eccezionale. Dovrebbe produrli in serie.» «Lo so, ci ho pensato. Peccato che odio la produzione in serie.» «Senta, Howard, può controllare nel portafoglio per vedere se le manca un documento o una carta di credito?» «Ho controllato mentre lei era al telefono. Non manca niente. Non ho la patente. Sa, a Manhattan non guida nessuno. Ma le carte di credito? No, no, no. Ho un rapporto molto intimo con le mie carte di credito.» Quindi o il morto si era procurato documenti nuovi usando i dati di Matlock oppure era in grado di ottenere dei falsi. Contraffazioni eccellenti. «L'uomo che ha sfruttato la sua identità ha scelto lei perché era più o meno della sua stessa età. Le viene in mente nessuno che abbia potuto accedere nell'ultimo anno ai suoi dati personali?» «Be', tutti quelli che si fanno fare da me la dichiarazione dei redditi hanno accesso al mio numero della previdenza sociale riportato in fondo al modulo. Però ho un sacco di clienti.» «Avrà la loro data di nascita. Può controllare in archivio i maschi che hanno tre anni in più o in meno di lei?» «Stia comodo mentre do un'occhiata al database. Mangi pure qualche altro biscotto.» Qualche minuto dopo Howard Matlock era di nuovo sulla soglia con una stampata in una mano e un biscottino nell'altra. «Ho tre clienti di quasi sessant'anni, nome, indirizzo e numero di telefono, però non glieli vorrei dare. Sarebbe poco corretto.» «Non ho giurisdizione a New York e non posso costringerla a darmeli, e del resto è assai improbabile che chi le ha rubato l'identità le abbia dato il vero nome e indirizzo. Li conosce tutti e tre, sono vecchi clienti?» «Due sì. Uno è un produttore di documentari, l'altro un ricercatore di location per gli esterni dei film. I miei clienti sono quasi tutti artisti. En-
trambi vengono da me da più di dieci anni.» «E il terzo?» «Be', dipende» disse Matlock con un sorriso. «Ha qualche impegno per cena?» Cardinal non seppe cosa rispondere mentre sentiva il rossore risalire la linea della mandibola. «Questi canadesi. Non conosce anima viva in città e le sto offrendo la possibilità di cenare in un ristorante chic con un affascinante professionista come me. Dio, amico, ho cinquantotto anni, sono innocuo.» «È molto gentile, però ho pochissimo tempo» riuscì a balbettare Cardinal. «Oh, be', io ci ho provato.» «Me lo vuol dare quel nome?» «È stato solo un trucchetto ridicolo, temo. Erano solo due.» Cardinal si fermò in uno Starbucks presso la fermata della metropolitana dell'86a per chiamare Musgrave al cellulare. «Ho un vecchio amico al CSIS di Ottawa» gli disse la Giubba rossa. «Deve avere circa sessantacinque anni e lavora da una vita nella sicurezza. Un mangiarane, Tourelle. Se non fosse stato per la commissione McDonald sarebbe ispettore da anni, invece adesso deve lottare per conservare un cubicolo nella madre di tutte le burocrazie. Comunque zio Tourelle ha una bella storiellina da raccontarci. Il CSIS, come forse saprai, sorveglia i principali aeroporti e ha un ufficio fisso al Pearson, come la dogana o l'Immigrazione.» «In quanti sono, un paio?» «Diciamo sei. Tourelle non sa se è stata una soffiata. Penso di sì, altrimenti sarebbe stata una coincidenza bestiale. Insomma, stavano guardando i felici passeggeri che sbarcavano da un volo per New York quando hanno fatto bloccare dall'Immigrazione il sedicente Matlock per un minuto. L'amico non ha smesso un attimo di protestare, doveva prendere una coincidenza, le solite menate. Per farla breve, ignorano la patente che hanno in mano ma non le impronte.» «Il CSIS le aveva in archivio?» «I dati criminali li ottengono da noi o dalle polizie locali come la tua. Però hanno i loro fascicoli. Non si tratta di fedine penali perché di solito sono sospettati, non si tratta di reati veri. In fondo stiamo parlando di sicurezza, di paranoia, di marcio, no?»
«E hanno trovato le sue impronte.» «Eccome se le hanno trovate. Nome: Miles Shackley. Professione attuale: sconosciuta. Professione precedente... tienti stretto: agente della CIA nel Québec.» «Dove nel Québec? Quando? Quanto tempo fa?» «Tourelle parla di trent'anni fa. Be', per la precisione nel 1970. Montreal.» «Trentatré anni fa. Quindi la sua precedente occupazione non ha nulla a che vedere con il suo assassinio ad Algonquin Bay?» «Forse no.» «Quando ha lasciato la CIA?» «Nel 1971, secondo il fascicolo.» Cardinal provò un'improvvisa sensazione di disfatta. «Sembra proprio un vicolo cieco.» «Sono d'accordo con te. Trent'anni sono tanti. Ti conviene che la fortuna giri, d'ora in poi.» «Ma perché Squier ha mentito sul nome? Perché i servizi segreti volevano tenere segreta l'identità di Shackley?» «Perché Calvin Squier è un fessacchiotto pretenzioso con il computer portatile. Perché lavora per la più inutile agenzia del pianeta. Non saprei. Tourelle ha potuto dirmi solo quello che ha ricavato dall'intestazione, non è stato autorizzato ad accedere al vero dossier che ti dice l'affiliazione, la localizzazione, l'ultima data di attività conosciuta e quello che Tourelle chiama il livello di temperatura. Miles Shackley era codice rosso. Ecco perché controllavano ogni sua mossa. Tourelle non sa perché fosse codice rosso né ha l'autorizzazione dall'alto per scoprirlo. Però si sta dando da fare. Credimi, non gli dispiacerebbe fregare uno di questi dementi con il palmare.» «Quindi credi che sia stato il CSIS ad ammazzare il nostro amico?» «Il CSIS lavora nel ramo incompetenza, non in quello omicidi. Anche se volesse far fuori qualcuno non userebbe un agente come Squier, un loro dipendente. Quelli vogliono almeno tre gradi di separazione. No, io credo che abbiano seguito Shackley fin qua, ed essendo quel che sono se lo sono visto ammazzare e gettare agli orsi sotto il naso da qualcun altro.» «Allora perché non sfruttare quelli come noi che indagano sull'omicidio? Perché depistarci?» «Ottima domanda, e propongo di porla a Portatile alla prima occasione.» «Shackley aveva una fedina penale?»
«Cardinal, cosa credi che faccia per vivere? Ho sentito i miei contatti statunitensi. Ti faccio sapere appena ho qualche risposta.» «Grazie.» «Intanto che tu allarghi i tuoi orizzonti culturali nella capitale del degrado globale, io sono riuscito a procurarmi un'informazione utile.» «Il vero indirizzo di Shackley?» «Tombola. New York, al 514 della 6a Est.» Cardinal prese appunti. «Fantastico. Ho già parlato con la polizia locale e non sembra che gli interessi quel che combino.» «Stai attento con quelli. Sono gelosi del loro orticello.» «Naturalmente sono stato un amore.» «Cardinal, ho già lavorato con te. Non sei affatto un amore.» Hector Robles, il custode del 514 sulla 6a Est, era un ispanico quarantenne assai amichevole che sembrava sapere poco o nulla del signor Shackley. Continuò a parlare mentre salivano lungo una tromba delle scale vertiginosa, fermandosi ogni tanto per sottolineare un dettaglio con un dito teso o con un colpo di taglio della mano. «Sa, non si lamenta mai, non come certa gente. Cioè, si lamenta di continuo, del quartiere, dei teppisti, del rumore, dell'edilizia. Si lamenta della città, però mai del palazzo. Non mi dava problemi, così non gli prestavo molta attenzione. Amico, c'è gente che ha un problema ogni cinque minuti, il rubinetto, il water, l'intonaco, come se fossi il loro domestico personale.» «Andava d'accordo con i vicini? Si sono mai lamentati di lui?» «Non esattamente. Però ha litigato un paio di volte, non con i vicini, con i ragazzi delle consegne. Sa, ogni volta che fanno una consegna infilano i menu sotto tutte le porte del palazzo. Non piace a nessuno, ma Shackley ci diventa letteralmente pazzo. Ha affisso un cartello sulla porta che dice "niente menu", però quasi tutti i fattorini non parlano inglese. E i ristoranti per cui lavorano li spingono a farlo. Fatto sta che un paio di volte è uscito di corsa incazzato, rosso in faccia, a gridare come un pazzo a quei cinesini. Li ha presi a spintoni, sa. Io gli ho detto che non si fa così. Non tollero violenze nel mio palazzo.» «E lui cos'ha risposto?» «Di farmi gli affari miei. Ero imbufalito. Però il giorno dopo è venuto a scusarsi, dicendo che non ne può più dei menu per terra e della cartaccia per strada. Lo sanno tutti che è un problema, ma lui esagera. La seconda volta non l'ho visto con i miei occhi, ma un altro inquilino mi ha racconta-
to che ha inseguito il ragazzo all'esterno e ha iniziato a tirargli pugni e a strozzarlo. Se l'avessi visto avrei chiamato la polizia. A proposito, cos'è successo al signor Shackley?» «È stato divorato dagli orsi.» «Sta scherzando? Qui a New York?» «In Canada. Non tema, qui siete al sicuro.» «Orsi. Madonna, e io che pensavo fossero pericolosi gli scarafaggi.» «Abitava qua da molto?» «Abitava già qui quando ho iniziato a lavorare, e ci sono da dodici anni.» Intanto erano arrivati al secondo piano. Cardinal seguì Robles fino in fondo al corridoio. Il custode estrasse le chiavi di tasca senza smettere di camminare, controllandole con occhio miope. Sulla porta del 3B campeggiava un cartello di mezzo metro quadro scritto a mano che intimava "niente menu". Quando finalmente Robles trovò la chiave giusta poté aprire la porta. «Se ha bisogno sa dove trovarmi.» Cardinal spalancò la porta e si fermò sulla soglia. L'aria puzzava di moquette sporca. Tutti i posti abbandonati da una persona appena deceduta hanno un'atmosfera triste, disperata. Cardinal era stato in tanti posti del genere, e nessuno l'aveva mai messo di buon umore, ma il monolocale di Shackley era uno dei luoghi più deprimenti che avesse mai visto. Esaminò la modesta scrivania di pino ridipinto su cui erano posati un telefono, una tazza crepata piena di penne e matite e un calendario dove era cerchiato il giovedì precedente, il giorno in cui Shackley era partito per Toronto. Lo scrittoio, anzi, l'intera stanza, era in ordine ma sporco. Sotto le scarpe si sentiva scricchiolare il terriccio. C'era però un tratto di scrivania pulito vicino alla lampada, grande quanto un portatile. O Shackley se l'era portato dietro e poi era sparito oppure Squier era già passato di lì. Aprì il cassetto di mezzo dello scrittoio: altre penne e matite e cartoleria. In un cassetto laterale trovò solo buste, un rotolo di francobolli e un bloc notes quasi finito. Lo sollevò alla luce ma non notò tracce di scrittura sulla prima pagina. Il cestino sotto la scrivania era vuoto. Sollevò la lampada, il telefono, la tazza delle penne. Nulla. Anche una ricerca sotto la scrivania e i cassetti non fruttò nulla. Una veloce perquisizione in bagno e nella credenza del cucinino fu altrettanto deludente. Sembrava che Shackley si nutrisse solo di cereali. La credenza ne conteneva quattro scatole diverse con gli angoli smangiucchiati dai topi.
Di rado Cardinal aveva incontrato una vita così grigia. Certo, poteva essere voluto, la copertura di cui si legge sempre nei romanzi di spionaggio, però non credeva fosse quello il caso: la disperazione era troppo palpabile. Rimase immobile ad ascoltare. Passi di un inquilino al piano di sopra, forse tacchi a spillo. In corridoio Van Morrison a tutto volume. Più in là abbaiava un cane. Andò allo schedario. Due cassetti semivuoti. Qualche fascicolo: tasse (dichiarazioni non curate da Howard Matlock, come notò), moduli della previdenza sociale, banca. L'unica fonte di reddito di Shackley sembrava la pensione sociale, qualche centinaio di dollari al mese. Bollette: tv via cavo, elettricità, telefono. Estrasse le ultime tre bollette telefoniche. Riportavano chiamate a tre diversi numeri con il prefisso di Montreal, il vecchio territorio di caccia di Shackley. Le infilò nella valigetta. Passò l'ora seguente a frugare in ogni libro, foglio e lettera che trovò. Nulla. Aprì il televisore, la radio e controllò persino il frigo. Poi si fermò in mezzo alla stanza per cercare di individuare l'elemento fuori posto. Ci volle un po' ma alla fine il suo sguardo si posò sulla griglia dell'aerazione. Era un rettangolino poco sopra la stufa che a differenza di tutto il resto sembrava immacolato. In un palazzo vetusto come quello si sarebbe aspettato invece un pozzetto di ventilazione in condizioni penose. Trovato un cacciavite, staccò la griglia dalla parete. E quando venne via si portò dietro una busta di plastica trasparente attaccata a un corto tratto di lenza. Conteneva una busta più piccola da cui Cardinal estrasse un rotolo di negativi. Accese la lampada sulla scrivania per guardare i fotogrammi alla luce. Non si capiva granché a parte che si trattava di un gruppo di persone, tre uomini e una donna. Infilò i negativi nella valigetta assieme alle bollette telefoniche. Poi uscì e si fermò in piena Sesta strada. Aveva finito molto prima del previsto. Pensò se fosse il caso di chiamare Kelly, aveva perfino il telefonino in mano, pronto a fare il numero. Aveva fatto soffrire sua figlia con la sua crisi di coscienza dell'anno prima. Era convinto di aver preso la decisione giusta scegliendo di non tenere il resto dei soldi di Bouchard, però era stata Kelly a pagarne lo scotto. L'idea di starle seduto di fronte in un silenzio opprimente gli spezzava il cuore. Invece chiamò Catherine. Era stato come un segugio in caccia fin dal mattino, ma il suono della voce della moglie risvegliò in lui un sentimento più tenero. E la tenerezza evocò la paura. «Catherine, non vorrei allarmarti però sarebbe meglio se tenessi gli oc-
chi aperti attorno a casa. E nella nostra strada. È successo qualcosa di insolito?» «Tipo? Cosa intendi?» «Non so, strane telefonate. Gente che riattaccava senza dire nulla.» «No, niente del genere. Perché?» «Nulla. È il passato che riaffiora. Dovremo stare attenti per un po'.» «John, abbiamo ben altro di cui preoccuparci. Vengo a prenderti in aeroporto.» «Perché? Che succede?» «Sono appena tornata dall'ospedale. Tuo padre è in rianimazione.» 14 Quando Cardinal decollò da New York, Lise Delorme aveva appena finito di progettare e scrivere i volantini di segnalazione per una persona scomparsa con la foto della dottoressa Cates e la scritta "Avete visto questa donna?" In basso era riportato il numero di telefono di Delorme. Szelagy stava passando la mattinata a interrogare i vicini della dottoressa al Twickenham. Delorme lasciò i volantini sulla scrivania del collega, poi andò alla sezione identificazioni. Fra tutte le stanze della centrale era quella che stava patendo di più nella fase di transizione. Il soffitto era sparito, e gli agenti avevano improvvisato alcune tende di plastica sopra scrivanie e schedari per proteggere i loro macchinari. Purtroppo la plastica impediva ogni genere di circolazione d'aria e non teneva fuori il baccano dei lavori. «Come fate a lavorare qua dentro? Non c'è aria» disse Delorme ad Arsenault, cercando di sovrastare il rumore di un trapano. «Aria? Ho i timpani sfondati e tu ti preoccupi dell'aria?» si lamentò Arsenault. Collingwood guardò un attimo Delorme, poi tornò al suo computer, imperturbabile come un bonzo. Delorme e Arsenault uscirono in corridoio. «Trovato qualcosa nello studio della dottoressa Cates?» «È uno studio medico, tenuto pulito. Spero non ti aspettassi un miliardo di impronte o roba simile.» «Ne basterebbe una.» «Be', ne abbiamo anche di più, però sono quasi tutte della dottoressa e della segretaria. Stiamo controllando le altre ma per adesso non c'è nulla.»
«E l'incarto della medicazione?» «Impronte della dottoressa. Nient'altro.» «Paul, mi spezzi il cuore. La carta sul lettino? La segretaria giura che lunedì sera è stata cambiata, ma l'ha trovata usata il martedì mattina.» «Purtroppo non c'erano capelli e fibre. Però abbiamo trovato tracce di sangue. AB negativo.» «È raro, vero?» «Piuttosto raro. L'abbiamo mandato al Centro di medicina legale per il DNA, però sai com'è la procedura, ci vorrà un po'.» Delorme guidò sotto la pioggerella ghiacciata fino al domicilio del dottor Raymond Choquette. Ray Choquette aveva praticato ad Algonquin Bay per trentacinque anni e abitava in una villetta di tre piani in pietra a vista sulla Baxter, una piccola laterale in salita a meno di quattro incroci dal Saint Francis Hospital. Delorme poteva citare a memoria almeno tre medici che vivevano sulla Baxter. I suoi genitori la portavano da un certo dottor Renaud che abitava in quella strada. Era un vecchio brontolone, uno specialista della gola che portava sempre la lampada riflettente sulla fronte e minacciava di continuo di asportarle le tonsille ma era morto prima di riuscirci. Presso l'ingresso di servizio di casa Choquette vide una Toyota RAV4 che con l'abbassarsi della temperatura s'era coperta di una leggera patina di ghiaccio. Delorme parcheggiò in coda, notando la targa prima di scendere dall'auto. Quando Choquette aprì il portone sotto il portico lei gli mostrò il distintivo e si presentò in francese. «È fortunata ad avermi trovato» rispose Choquette in inglese. «Domani a quest'ora io e mia moglie saremo a Portorico.» Era un uomo alto di meno di sessant'anni, con una carnagione rubizza che lo faceva sembrare simpatico (Delorme sospettava non lo fosse affatto) e un naso lungo e dritto che lo faceva sembrare snob, e Delorme era certa che lo fosse. Lei continuò in inglese. «Dottor Choquette, conosce una certa Winter Cates?» «Certo. Sta rilevando la mia attività. Ha rilevato, per la precisione. Ci sono problemi? Non mi dica che hanno rubato di nuovo e...» «Temo che sia scomparsa.» «Scomparsa? Che significa? Non si è presentata in ambulatorio?» «Non l'hanno vista e non l'hanno sentita dalla tarda serata di lunedì
quando era a casa a guardare la tv. Ieri mattina ha saltato un intervento in cui doveva assistere e non si è nemmeno presentata in ambulatorio nell'orario di apertura.» «Forse ha avuto un incidente. Tutta questa pioggia che diventa ghiaccio.» «È scomparsa la dottoressa Cates ma non la sua auto.» «Oh cielo. Sembra preoccupante. Ne è sicura? L'ho vista solo pochi giorni fa.» «Le dispiace se entro per farle qualche domanda?» Il volto paonazzo del dottor Choquette si afflosciò un tantino, ma riuscì ugualmente a sembrare entusiasta. «Ma certo. Venga, venga. Se posso fare qualcosa...» La guidò in una saletta della televisione, una stanzetta piccola, accogliente, piena di scaffali sovraccarichi di libri in inglese. Delorme ebbe l'improvvisa sensazione che Choquette fosse uno di quei francocanadesi dell'Ontario, rari di questi tempi, che si aggrappano alla cultura anglofona dimenticando le loro origini. Molti scaffali ospitavano video e trofei di golf. Sembrava che Choquette fosse un frequentatore regolare dei tornei locali. C'erano coppe grandi e piccole, omini dorati che brandivano mazze, placche, targhe, tazze e ammennicoli dei vari campi in cui aveva giocato. Una fotografia appesa alla parete mostrava Choquette in pantaloni scozzesi e cardigan giallo accanto a un famoso golfista. Delorme non capiva se era Jack Nicklaus oppure l'altro. A parte Tiger Woods tutti i golfisti per lei si somigliavano, tanti tizi in pantaloni ridicoli. «Spero che non le sia successo niente. Mi auguro che non sia nulla di grave» continuava a ripetere Choquette. «Ha detto di averla vista di recente. Quando, esattamente?» «Al Wal-Mart. Sì, al Wal-Mart, ed era giovedì.» «Le è parsa particolarmente tesa?» «Per nulla. Winter è una ragazza allegra. Coraggiosa, direi. Sa, una che non si fa abbattere.» «Sa di qualche nemico? Una persona di cui aveva paura? Che le dava grattacapi?» «Winter? Non riesco a immaginare che potesse avere un nemico al mondo. È qui da appena sei mesi e ha più amici in ospedale di quanti me ne sono fatti io in sei anni. E le rivelerò un segreto: adora assistere.» «Assistere?» «In sala operatoria. Ha fatto subito capire che le piaceva lavorare come
assistente nelle operazioni, ed è una cosa rara.» «Perché?» «Perché?» Choquette guardò Delorme come se fosse una ritardata. «Perché non si guadagna, ecco perché. Il governo dell'Ontario nella sua infinita saggezza ha strutturato gli emolumenti in modo tale che un medico generico guadagna molto di più visitando i pazienti in ambulatorio che non partecipando a un'operazione. Se passi due ore in sala operatoria guadagni quanto visitando due o tre pazienti. Ovviamente in due ore puoi visitarne molti di più. Di questi tempi il giuramento d'Ippocrate equivale a un voto di povertà. Sa quanto mi pagano se le sistemo un braccio rotto? Meno della metà di quanto chiede un veterinario per steccare il suo cane. Per favore. Non mi faccia parlare di questo argomento. Sappia soltanto che Winter Cates è molto amata nell'ambiente medico. Si dà poche arie e ha un grande senso dell'umorismo. Mi creda, il senso dell'umorismo è molto apprezzato in sala operatoria.» «Anche nella polizia» disse Delorme. Altre domande le fecero scoprire che la dottoressa Winter Cates aveva fatto un tirocinio in Pediatria e svolto un internato al Toronto General. «È una donna piuttosto attraente. Sa nulla della sua vita amorosa?» chiese Delorme. «Non ne so niente. Ho avuto l'impressione che avesse qualcuno a Sudbury, però oltre questo non posso esserle di aiuto. La dottoressa Cates ama il suo lavoro e con lei parlo solo di medicina.» «E le ha venduto il suo ambulatorio, se non sbaglio.» «Venduto? No, non si può vendere la pratica, almeno non in questa provincia. No, no. L'ho conosciuta al General di Toronto quando faceva l'internato e come tutti sono rimasto affascinato. Mi ha confidato che le sarebbe piaciuto trasferirsi ad Algonquin Bay, e ci ho pensato su un po'. Stavo programmando di andare in pensione da almeno un decennio. Alla fine le ho offerto di prenderla come socia per sei mesi prima di andarmene. Ed è andata così.» «Dottor Choquette, quando ha acquistato i biglietti per Portorico?» «Mesi fa. Non vedo cosa c'entrino i miei biglietti.» «Posso vederli, per favore?» Il dottore si alzò ancora più paonazzo in volto. Delorme capì che si sforzava di non esplodere mentre usciva dalla stanza. Tornò qualche secondo dopo con i biglietti e li consegnò senza dire una parola. Due andata e ritorno per Portorico, acquistati in novembre, permanenza di una settimana.
«Grazie.» Delorme li restituì. «Dove andrete a stare?» «In un complesso delizioso chiamato Palmas del Mar, sulla costa sud. Lo conosce?» «No.» Non essendo interessata alle vacanze caraibiche Delorme non sapeva nemmeno dove fosse Portorico, a parte che stava al largo della Florida. «Un posto magnifico. Perfetto, spiaggia piccola ma compensata da uno dei più bei percorsi da golf che abbia mai visto.» «E può dirmi dove si trovava lunedì sera? Verso mezzanotte?» «Giocavo a bridge con qualche amico. Abbiamo una partita fissa al lunedì sera... Non sospetterà mica che abbia qualcosa a che vedere con il fatto? Se scompare una giovane dottoressa io che c'entro, per l'amor di Dio?» Delorme non si affrettò a rispondere mentre osservava la vena che pulsava su una tempia di Choquette. «Ha un accordo economico con la dottoressa Cates. D'accordo, non le ha venduto l'attività, però c'è uno studio pieno di materiali. Mi pare di capire che avete avuto qualche dissapore su quanto andava incluso nel trasferimento della pratica. E lei si è arrabbiato.» «Oh bella.» Il dottor Choquette incrociò le braccia, squadrando Delorme. «Mi piacerebbe sapere chi gliel'ha detto.» «La dottoressa Cates si rifiuta di pagare quello che vale il materiale a suo parere?» «Temo non sia nulla di tanto melodrammatico. Avrei dovuto fare ricorso a un avvocato come faccio di solito in tutte le trattative d'affari, ma per qualche strano motivo non è successo in questo caso. Forse perché Winter è tanto... mah, tanto simpatica, diciamo. Stiamo ancora discutendo sul deprezzamento. Sa quanto viene un lettino nuovo? Io pensavo avessimo deciso una cifra a metà fra quel che otterrei se mettessi in vendita l'attrezzatura e quello che Winter pagherebbe se la comprasse nuova. Evidentemente mi sbagliavo. Insomma, lo chieda a lei se pensa che stia mentendo.» «Purtroppo la dottoressa Cates non è disponibile. Di che cifra si trattava?» «Non certo una fortuna. Un paio di migliaia di dollari. È più una questione di principio. Senta, dovrà restituire da ottanta a centomila dollari di mutuo universitario, e ogni centesimo pesa. Senza dubbio avrà pensato che c'eravamo accordati sulla cifra più bassa, però era solo un pio desiderio. E poi non è questa gran cifra. Adesso, se non ha altre domande da farmi...» «Nessun'altra domanda. Però mi servono i nomi dei suoi compagni di
bridge.» Prossima fermata: Glenn Freemont, paziente maleducato. Freemont venne ad aprire in accappatoio, un capo che sembrava essere appartenuto a parecchi proprietari, almeno uno dei quali ci era morto dentro. Era sulla trentina, con i capelli più unti che Delorme avesse mai visto. «Signor Freemont, sto indagando sulla scomparsa della dottoressa Winter Cates» disse dopo essersi presentata. «Posso entrare a farle qualche domanda?» L'ingresso del seminterrato di Freemont era sprovvisto di tettoia, e lei non aveva l'ombrello. Alcune gocce gelate di pioggia le stavano scivolando lungo il collo. «Perché?» Freemont era appoggiato allo stipite, come per bloccare ogni mossa. «Lei è paziente della dottoressa. Dovrei farle qualche domanda.» «Ha un milione di pazienti. Perché viene proprio da me?» «Signor Freemont, preferisce un esame approfondito delle sue indennità per infortunio? Potrei fare una telefonata su due piedi.» «Faccia pure. Tanto quegli stronzi mi hanno silurato. Ho un gran male alla schiena. Non ce l'avevo prima e invece ce l'ho adesso perché porto bidoni di vernice tutto il giorno su e giù per due rampe di scale. Ci provi qualche volta. Vediamo se le piace.» «Ha avuto una crisi di rabbia nello studio della dottoressa Cates. È successo perché non voleva certificare le sue affermazioni?» «Non è stata una crisi di rabbia. Abbiamo solo avuto una discussione.» «Secondo i testimoni lei ha sferrato un pugno sulla scrivania e ha rovesciato una pianta.» «Mi ha dato del bugiardo. Io non accetto queste stronzate. Da nessuno.» «Può dirmi dov'era lunedì sera? Verso mezzanotte.» «Lunedì sera? Sì, posso dirle dov'ero lunedì sera. Ero a Toronto.» «Come mai?» Freemont infilò l'indice nella guancia destra e la scostò dai denti. Un barlume di rosa attraversato da neri punti di sutura. «Intervento alle gengive. Martedì mattina presto. Sono arrivato il giorno prima per pernottare in albergo. Aspetti.» Freemont chiuse la porta. Delorme sollevò il cappuccio del parka. La pioggia si spiaccicò sul nylon. Sulle pozze ai suoi piedi si stava formando una pellicola di ghiaccio. Due minuti dopo Freemont tornò con una serie di fogli che le consegnò
uno per uno. «Ricevuta del Colony Hotel. Ricevuta della stazione di servizio sulla Spadina. Ricevuta del periodontista. Indossa un camice nero e si fa pagare una fortuna.» «Tiene sempre le ricevute con tanta cura?» chiese Delorme, appuntando nome e telefono del periodontista. «Solo quando prevedo di farmi rimborsare dal servizio sanitario.» «Sarà dura. La provincia non copre le cure odontoiatriche.» Freemont le strappò di mano le ricevute. «Questo dimostra quanto poco ne sa.» «Grazie, signor Freemont. Apprezzo molto la sua collaborazione.» «Oh, no. Grazie a lei, agente. Buona giornata.» Prima che Delorme arrivasse alla macchina sentì Freemont gridare da dietro la porta chiusa: «Troia!». Sia l'albergo che il periodontista confermarono la versione di Freemont. Delorme fece le telefonate di rito appena tornata in centrale, poi prese appunti sui colloqui svolti e consegnò a Szelagy i nomi dei compagni di bridge di Choquette per un controllo. Pranzò alla sua scrivania mentre contemplava la pila di volantini da cui la fissava il bel viso della dottoressa Cates. I muratori stavano martellando e trapanando al piano di sopra, rendendo difficile anche solo pensare. Guardò il parcheggio fuori dalla finestra. Aveva smesso di piovere, ed era diventata una giornata di sole. Persino gli oggetti più prosaici, gli alberi, i pali del telefono e le cassette delle lettere con la loro patina di ghiaccio, scintillavano come frammenti di una visione mistica. Mentre Delorme osservava il paesaggio, l'azzurro profondo del cielo parve lampeggiare sopra i tetti. Il telefono squillò. «Delorme, Indagini criminali.» Era un certo Ted Pascoe, un venditore di macchine fotografiche presso la Milton's Photo, fratello minore di un certo Frank Pascoe che Delorme aveva pizzicato per una truffa con carta di credito. Ted Pascoe era talmente affannato che si capiva a stento quanto diceva, qualcosa a proposito di un cadavere nella foresta. «Piano, signor Pascoe, piano. Dove si trova?» «Uhm, nella cabina fuori dalla North Wind Tavern. Ha presente il bar oltre l'Algonquin Mall?» Delorme lo conosceva alla perfezione. Un tempo stava con un ragazzo
che adorava la sua birra inglese. Andavano alla North Wind praticamente tutti i venerdì sera per mangiare pesce e patatine. Purtroppo era il momento più eccitante di quella storia d'amore. «Stavo scattando foto sulla collina verso Four Mile Bay. Ho preso il fuoristrada per andare a cercare una bella inquadratura, sa com'è. E ho trovato un corpo. Una donna. Sembrava morta assiderata.» «C'era qualcuno con lei?» «No, preferisco essere solo quando fotografo. Non sopporto che ci sia qualcuno che batte il piede mentre aspetta. Fai tutto più in fretta, non aggiusti l'inquadratura, non provi tutte le angolazioni. Non è molto...» «Com'è la strada? Un furgone ci può arrivare?» «No, no. È terreno da fuoristrada.» «D'accordo, signor Pascoe, resti lì dov'è. Non dica a nessuno cos'ha scoperto. Arriviamo tra pochi minuti.» Delorme andò a bussare da Daniel Chouinard ed entrò senza aspettare il permesso. Il sergente la ascoltò attentamente mentre lei riassumeva la telefonata. «Potrebbe essere la sua dottoressa scomparsa» disse alla fine. «Ci sono buone probabilità.» «Le servirà aiuto. Peccato che McLeod sia in ferie. Prenda Szelagy. E anche quelli dell'Identificazione.» Chouinard chiamò un interno. «Arsenault, smetti di leggere le pagine sportive. Tu e Collingwood avete un lavoro vero che vi attende. E usate la Land Rover. Sembra che il furgone della Scientifica non serva.» Dopo aver appeso disse: «Cosa aspetti? In marcia». «Non ho ancora avvertito il coroner.» «Ci penso io. Tu muoviti.» Poi Chouinard aggiunse pensieroso: «Un altro cadavere nei boschi. Vorrei tanto venire con te». «Peccato. Adesso è un pezzo grosso.» «Lo so.» Il sergente sospirò mentre gettava un mozzicone di matita nel cestino. «Che peccato.» Ken Szelagy aveva la tendenza a chiacchierare. Quando salirono in macchina fu quasi come se avessero premuto l'interruttore a una bambola parlante: sua moglie, i bambini, l'hockey. Delorme riuscì a deviarlo brevemente sull'argomento dei vicini della dottoressa Cates. «Attualmente molti sono via, alle Bahamas o altrove, quindi non c'era molta gente da sentire. È il classico condominio dove nessuno si conosce. Potresti morirci dentro che nemmeno se ne accorgerebbero. Insomma, nes-
suno ha visto o sentito nulla di insolito lunedì sera o martedì mattina. O stavano guardando la televisione oppure erano a letto, e non hanno sentito un accidente.» «Che strano» disse Delorme. «Se l'hanno rapita qualcuno dovrebbe aver sentito i rumori.» «Potrebbe essere uscita spontaneamente. Non lo sappiamo ancora. Potrebbe essere andata con qualcuno che conosceva, poi è successo un incidente e questo spiega perché nessuno l'ha più vista.» Szelagy cambiò di nuovo argomento iniziando a parlare della sua famiglia. Delorme cominciò a rimpiangere Cardinal, un individuo silenzioso quanto lei. Poi Szelagy passò ai cognati, al mutuo, ai massimali dell'assicurazione dell'auto. Era una forza della natura. «Szelagy!» «Sì?» «Stai buono, per l'amor di Dio.» «Facevo solo per tenere compagnia. Non sono mica come te.» Il fatto era che quanto a simpatia nessuno nel corpo poteva competere con Szelagy, il classico bravo ragazzo alla mano, e Delorme si sentiva in colpa a prendersela con lui. Pertanto percorse i cinque isolati successivi in un silenzio colpevole. «Scusa» disse al semaforo seguente. «Solo che stavo pensando alla dottoressa Cates.» «Non me la sono presa» la rassicurò lui, iniziando subito dopo a elencare i vantaggi del gatto delle nevi che aveva appena comprato per i figli. Davvero, quei nuovi Bombardier erano come schegge, veramente diabolici. Proseguirono lungo la Sumner e poi oltre lo svincolo fino alla statale 63. Il ghiaccio brillava sopra ogni tetto, ogni filo, ogni ramo. Il cielo era di un celeste purissimo. Il sole si rifrangeva sugli alberi e sulle case in accecanti raggi bianchi, se si guardava da vicino, mentre in lontananza ricordava più che altro il bagliore argenteo dei lustrini. Con la statale sgombra dal ghiaccio arrivarono alla North Wind Tavern in meno di venti minuti. Ted Pascoe era appoggiato alla sua Jeep Wrangler a fumare una sigaretta. «Non fumo più» disse al loro arrivo. «Ho smesso due anni fa, però questa cosa mi ha sconvolto. Non ho mai visto un morto... be', mio padre, ma era diverso. Sto tremando.» Allungò una mano tremolante per dimostrarlo. Delorme gli presentò Szelagy, poi chiese a Pascoe a che ora aveva trova-
to il corpo. «Circa tre quarti d'ora fa. Sono venuto subito qui a telefonare.» Indicò la cabina. «Ed era solo?» «Soltanto io e la macchina fotografica. Non capita spesso di avere un ghiaccio del genere. Volevo uscire prima che si sciogliesse. L'ho trovata su un viottolo di taglialegna a meno di un chilometro a est di qui.» Quando Arsenault e Collingwood arrivarono su una Land Rover, Delorme fece loro segno di pazientare un minuto. «Signor Pascoe, perché non ci accompagna sul posto mentre i tecnici ci seguono?» Vedendo una Lexus uscire dalla statale Delorme imprecò tra sé e sé. Il ruolo di coroner era coperto da parecchi medici a turno, era una vera jella beccare due volte di fila Barnhouse. «Dottore, salga con Arsenault e Collingwood. Non credo che la sua bella macchina possa arrivare dove stiamo andando.» «Fantastico, una meraviglia» disse il medico senza la minima punta di ironia. Tuttavia scese di macchina con la valigetta nera in mano. Nella regione di Algonquin Bay non si tagliava più un albero da mezzo secolo, ma ciò nonostante i vecchi sentieri non erano scomparsi. Dopo essere stati dimenticati per decenni, la mania dei fuoristrada li aveva resi di nuovo transitabili. La recente ondata di caldo aveva ridotto la neve nel bosco a pochi centimetri e il ghiaccio in superficie era solo una crosta sottile, garantendo così una tenuta di strada migliore che nelle vie urbane. Da quelle parti gli alberi erano soltanto pini dai rami inclinati, anche se il fusto, selezionato per millenni per quell'ambiente, restava perfettamente eretto. Dai carapaci ghiacciati partivano lampi di luce vividi come laser. «Qui è dove sono sceso. Non volevo rischiare di aggirare quello» spiegò Pascoe, indicando un albero caduto che bloccava la strada. Smontarono dall'auto mentre aspettavano Arsenault e Collingwood. Delorme domandò: «È tornato con l'auto per la stessa strada?». «Sì.» L'uomo indicò le impronte sulla neve. «Ecco le mie tracce. Non ne ho notate altre, però non facevo molta attenzione.» Delorme e Szelagy fecero strada, con Pascoe in scia, seguito da Arsenault, Collingwood e il dottor Barnhouse. Stavano camminando da meno di cinque minuti quando Pascoe disse da dietro: «Là davanti. Poco oltre quel ceppo. Ci sono quasi inciampato sopra». Avendo lavorato alle Indagini speciali per sei anni Delorme non era stata costretta a trovarsi di fronte a cadaveri. In precedenza, come semplice a-
gente, aveva ovviamente visto le solite vittime di incidenti stradali o annegamenti. Le varie scene, come molti luoghi di morte, avevano un'aria di disperazione, anche se la vittima era morta in un salotto allegramente arredato. Certe volte le situazioni erano volgari: uomini che si erano impiccati nudi, con immagini pornografiche sparpagliate attorno ai piedi. Certe volte erano terrorizzanti: un incendio, con i segni della ferocia del fuoco in ogni angolo. Certe volte erano inquietanti: il pozzo di una miniera abbandonata nel pieno di una notte d'inverno. Tuttavia Delorme non aveva mai visto in tutti quegli anni da poliziotta una scena tanto affascinante. Assieme a Szelagy e agli altri si fermò ai margini di un paesaggio che sembrava tratto da un racconto di fate. Tutto attorno a loro la foresta brillava come se gli alberi fossero fatti di pietre preziose. L'unico rumore era il crepitio dei rami e in lontananza il ronzio di un gatto delle nevi. Il sole si rifletteva su ogni superficie, regalando al panorama un aspetto da fiaba più che da tragedia, forse uno di quei racconti in cui le statue prendono vita. Purtroppo la figura che avevano di fronte non sarebbe mai tornata in vita. La donna morta era distesa sul fianco sinistro in posizione di riposo, un ginocchio e un braccio piegati come per bilanciarsi. Non c'erano segni evidenti di violenza, tagli o lividi. Fotografata da lontano sarebbe potuta sembrare addormentata. Però non c'è nulla di tanto immobile quanto un cadavere, ed è impossibile scambiarlo per qualcos'altro. Questo era nudo, coperto da una patina di ghiaccio. Persino i lunghi capelli neri che scendevano a ciuffi sul viso erano imprigionati nel ghiaccio. Sembrava preda di un incantesimo, vittima di un mago geloso, di una strega malvagia. «Non serve a nulla stare qua a bocca aperta» fece notare Barnhouse. «Si chiama valutazione della scena. Forse lei preferisce calpestare le prove, ma noi prima scattiamo qualche foto» ribatté Delorme. «Invece no.» Barnhouse non amava essere contraddetto, e se poi il rimprovero veniva da una donna aveva un effetto visibile sulla sua pressione arteriosa, facendo scattare la balbuzie. «Invece no. Sono il coroner e qui sono io il responsabile.» «A meno che non si sia accertato un reato.» «Che è quanto intendo fare se solo mi lasciaste lavorare.» «La vittima è nuda in mezzo a una foresta ghiacciata. Per quanto mi riguarda è già stato accertato il crimine.» Szelagy le lanciò un'occhiata che le consigliava di andarci piano, perciò Delorme cominciò a contare mentalmente fino a dieci. «Non sapevo che fosse una patologa diplomata. Forse non vi serve un
coroner» insistette Barnhouse. «Dottore, lei ci serve per darle un'occhiata, però ci lasci scattare qualche foto prima di distruggere gli eventuali indizi.» «Piazziamo la videocamera qui. In grandangolo» disse Arsenault. Collingwood era già partito armato di macchina fotografica e metro verso le impronte che portavano alla radura. A quanto pareva ce n'era solo una serie. Si girò verso Pascoe. «Scusi, potrebbe sollevare un piede?» L'altro obbedì goffamente, appoggiandosi a un albero. Collingwood scattò un paio di immagini ai suoi scarponi da trekking. Arsenault fotografò il cadavere, poi Delorme, Szelagy e il coroner si avvicinarono. Barnhouse aveva in mano un miniregistratore in cui borbottò mentre era chino sul cadavere: donna normonutrita, sulla trentina, chiazze attorno alla gola che indicano strangolamento. «Ecco i vestiti» disse Delorme. Erano gettati da una parte, congelati in una specie di natura morta. La patina di ghiaccio impediva un esame più accurato, però si notavano i bottoni strappati, il collo deformato di un maglione. «Sembra che sia stata ammazzata qua» osservò Szelagy. «Forse. Però guardate i lividi» aggiunse Barnhouse, indicando con un indice guantato la parte inferiore violacea della gamba e del braccio. «Il sangue si sposta secondo la gravità, in questo caso sul retro delle spalle e delle gambe. Non è morta in questa posizione. Potrebbe essere stata uccisa qui per essere poi spostata dopo la morte, oppure è stata uccisa altrove e portata qui.» «Ma i vestiti...» fece per obiettare Delorme. «Senza dubbio ci sarà una spiegazione, però non credo che sarà di ordine medico.» «Può darci una idea approssimativa dell'ora della morte?» «È coperta di ghiaccio, quindi doveva essere già qui mentre pioveva, prima che ghiacciasse. D'altro canto noto uno scarsissimo deterioramento. Quindi non è rimasta esposta a lungo durante l'ondata di caldo. Perciò direi che è stata scaricata nelle ultime ore di lunedì, al massimo martedì mattina. Però con gli effetti del congelamento sarà dura stabilire l'ora del decesso senza altre indicazioni. Adesso datemi una mano, vorrei girare il corpo.» Delorme infilò una mano guantata sotto il ginocchio esteso e lo sollevò. La patina di ghiaccio sulle membra si sgretolò rumorosamente e cadde a terra. I capelli scuri rimasero irrigiditi su buona parte dei lineamenti del viso.
«I lividi nell'area vaginale indicano un possibile stupro. Noto anche contusioni evidenti attorno alla gola. È possibile che si tratti di strangolamento. Dovranno aprirla per cercare emorragie petecchiali ai polmoni. Adesso ti guardiamo in faccia.» I capelli rigidi scricchiolarono quando Barnhouse li scostò. «Oddio, ma la conosco.» «Mi sa che possiamo evitare di affiggere i volantini» disse Szelagy. Delorme osservò i lineamenti congelati, la pellicola lattiginosa sugli occhi semiaperti, pensando a tutti i pazienti che la giovane dottoressa Cates avrebbe potuto aiutare, forse migliaia, se soltanto le avessero concesso di vivere. Si chiese quale persona poteva essere capace di fare una cosa del genere. E intanto la sua mente anticipò le cose da fare, la prima delle quali era informare i genitori della vittima. Si girò verso Barnhouse. «Sappiamo che la dottoressa Cates era a casa alle 23.30 di lunedì. Un'amica le ha parlato. Però sappiamo dalla segreteria telefonica che non ha risposto nelle prime ore di martedì.» «Coincide con quello che ho davanti. Di sicuro il patologo vi dirà qualcosa di più.» «Quanto crede che ci metterà il Centro di medicina legale?» «Siete fortunati. Avete mai lavorato con il dottor Lortie?» «No.» «È uno dei loro migliori patologi e guarda caso è qui in città per valutare le strutture regionali. Non credo che avrò problemi ad affidargli questo caso. Con la scusa di risparmiare il denaro dei contribuenti.» «Ci risparmierebbe un sacco di tempo» disse Delorme. «È il minimo che posso fare per lei» concluse Barnhouse, indicando con la testa la vittima. Rimasero in silenzio. L'unico rumore che arrivò dai boschi scintillanti fu il crepitio dei rami. 15 Mentre la squadra per le identificazioni era al lavoro nella foresta, Delorme si recò a Sudbury, circa centoventi chilometri a ovest di Algonquin Bay. I riflessi del ghiaccio rendevano più vivaci i pali del telefono, i fili curvi, le rocce spigolose che le sfrecciavano accanto, eppure stava pensando soprattutto allo spettacolo che aveva visto nella foresta. Un crimine passionale? Forse Craig Simmons era finalmente esploso nella furia dell'innamorato respinto. Di sicuro nella vita della dottoressa
Cates non c'erano altre persone sospettabili per questo genere di delitto. Un tale sostiene che era a casa a guardare la partita di hockey ma non può dimostrarlo. Bene, in assenza di prove contrarie che cosa fai? L'alibi di Choquette doveva ancora essere controllato, ma il bravo dottore era piuttosto in basso nella lista dei sospetti di Delorme. E due cadaveri trovati nei boschi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro? Se escludeva Craig Simmons, era costretta a sospettare che la Cates fosse in qualche modo collegata con l'americano morto. Nel qual caso, perché uno veniva gettato in pasto agli orsi e l'altra no? Per il momento doveva pensare ai genitori della vittima. Li aveva già avvertiti per telefono, ma era essenziale incontrarli di persona. Parlare con i parenti in lutto era l'aspetto peggiore del lavoro alla Indagini criminali, l'unico che le faceva rimpiangere la relativa asetticità delle Indagini speciali. La pulizia emotiva. Almeno alla Speciali, dove aveva gestito qualche caso importante, non doveva comunicare a nessuno che la figlia era morta. Non doveva stare impalata in una stanza colma di dolore. Mezz'ora dopo, era esattamente quello che stava facendo. Sul ripiano del caminetto che aveva davanti era posata una foto di Winter Cates, con un sorriso che prometteva felicità e successo. La madre, una donna grassottella di oltre sessant'anni ma con qualcosa del volto vellutato della figlia nella fotografia, era ingobbita in una poltrona in un angolo, il fazzoletto appallottolato in mano. Il padre, un signore tarchiato dalla barba bianca e dai capelli canuti pettinati con la frangetta, docente di letteratura inglese alla Laurentian University, sembrava un senatore romano. «Quel Craig Simmons» disse il professor Cates. «Ho capito sin dal primo momento che non era a posto. Tutti e due l'abbiamo capito. Winter aveva solo sedici anni quando l'ha conosciuto, ed era bello, atletico e giocava a football e aveva tutte quelle doti che le sedicenni sono convinte che contino. Però qualsiasi adulto poteva capire che aveva qualcosa di strano. Era troppo carico. Troppo infatuato. Stava letteralmente aggrappato a Winter tutto il tempo. Se per esempio erano fermi lì nell'ingresso lui le stringeva il gomito come un vecchietto.» «E la fissava di continuo» intervenne con voce pacata la signora Cates. Aveva gli occhi arrossati, anche se al momento non stava piangendo. «La fissava in una maniera innaturale. Appena Winter apriva bocca lui le pendeva dalle labbra. La fissava come se ogni sua parola fosse questione di vita o di morte.» «Winter era una bambina» disse il marito. «Non capiva cosa stava suc-
cedendo. Immagino lo trovasse solo molto romantico. Però chiunque abbia un minimo di esperienza sa riconoscere un'ossessione quando ce l'ha di fronte. La cosa vergognosa è che oggigiorno sembra l'unica forma di amore che meriti attenzione. Nei libri e al cinema, intendo. Nelle canzoni. Nessuno ha più il diritto di amare tranquillamente. No, no, dev'essere sempre uno Sturm und Drang.» Secondo l'esperienza di Delorme l'amore era sempre questione di Sturm und Drang, però non era intenzionata a mettersi a discutere di passioni con il professor Cates. «Craig Simmons non ha mai amato nessuno che non fosse se stesso» proseguì Cates. «È come quel pervertito ossessionato che ha sparato a John Lennon. O come quei maniaci che non sopportano di essere respinti perché in realtà non amano nessun altro. I sentimenti dell'altro non contano. Crede che gli importasse un fico secco se Winter era felice? No. Quando ne abbiamo parlato con lei la settimana scorsa ci ha confessato che era stufa marcia di quell'uomo. Non gli rivolgeva più la parola e non accettava le sue chiamate. Vede, con i Craig Simmons di tutto il mondo è sempre Io, Io, Io. Con la I maiuscola. Non esiste altro. E quando qualcosa come un no secco li costringe ad ammettere che in realtà non sono i padroni dell'universo, per loro significa una specie di azzeramento che richiede una reazione. Ed è appunto quanto ha fatto quel bastardo.» La voce del professore si stava facendo sempre più accalorata. La moglie allungò una mano per sfiorargli un polso, ma lui non se ne accorse nemmeno. «Quell'idiota ha assassinato mia figlia e voglio giustizia, agente Delorme. Voglio vedere quel lurido assassino marcire in galera per il resto dei suoi giorni. Immagino che l'abbia violentata.» Le sopracciglia si inarcarono come se fosse una domanda retorica. Delorme aveva previsto quella domanda, eppure si fece trovare impreparata. «Temo che sia possibile.» Il professor Cates si girò dall'altra parte come se gli avessero sparato, poi crollò sul divano e si rannicchiò su se stesso. La signora Cates andò a sedersi accanto al marito, posandogli una mano sulla schiena. «La cosa buffa di Craig Simmons...» disse la donna con un filo di voce. «Tutto quello che ha detto mio marito è vero. Craig si comportava in quel modo. Eppure ho sempre avuto la sensazione che l'avesse imparato.» «Be', sì» aggiunse il professore. «L'ha imparato dai film, dai genitori, dalla sua infanzia, da Dio solo sa dove... e chi se ne frega?»
«Non è questo che intendevo. Volevo dire che l'ha imparato come un attore impara la sua parte. Come se avesse letto come ci si deve comportare e lui, accidenti, si comportava proprio così. Intuivi che Craig capiva che era poco adatto alla situazione, però lo faceva lo stesso... ed era davvero inquietante.» «Simmons ha mai minacciato vostra figlia?» La signora Cates levò gli occhi al soffitto, cercando di frenare le lacrime. «Mai. Mai una volta.» Il professor Cates si drizzò talmente in fretta che in circostanze diverse sarebbe stato uno spettacolo esilarante. «Cosa dici? Quel ragazzo si presentava a tutte le ore senza essere invitato. Arrivava qua per accompagnarla a scuola, il che sarebbe andato anche bene se fossero stati ancora insieme, invece lei aveva rotto. Mi diceva "Papà, rieccolo" e io dovevo uscire a intimargli di girare al largo. Però era tutto inutile. Lui ritornava puntuale una settimana dopo.» «Caro, non credo che fosse a questo che alludeva l'agente Delorme.» «Quante volte ha telefonato senza motivo? Cento? Mille?» «È vero, chiamava di continuo» confermò la signora. «All'inizio ci stavo male per lui. Sembrava tanto disperato.» «Non cominciare a compatire quel verme. Non osare nemmeno.» «No, caro, sto solo raccontando com'è andata. Non ha mai minacciato di fare del male a Winter. Voleva solo parlare con lei. Vederla. Come può immaginare, era eccessivo per una sedicenne.» «Certe volte lo trovavi lì fuori. Seduto in macchina.» Il professore indicò in strada. «Però sono passati anni in cui lui non le ha mai dato fastidio, sbaglio? Quando era al college?» chiese Delorme. «Esatto» rispose la signora Cates. «Non s'è mai lamentata di lui per tutto il tempo che è stata a Ottawa. Attenzione, in quel periodo lui è stato soprattutto all'ovest. Venne in licenza solo un paio di volte. Prima era al centro di addestramento della polizia a cavallo di Regina, poi è stato assegnato su al nord. Trovo inquietante che uno come Craig Simmons faccia il poliziotto. E armato, perfino.» «Winter ha accettato di rivederlo da amica? Una volta che si è laureata?» «Si sentiva dispiaciuta per lui» rispose il professore. «Dio solo sa perché. Io non ci riesco. Però deve tenere presente una cosa. Winter voleva aprire un ambulatorio a Sudbury e non l'ha fatto solo perché là c'era lui. Purtroppo Algonquin Bay non era abbastanza lontana. Forse nessun posto
poteva esserlo.» Delorme si trattenne un altro quarto d'ora senza ottenere altre informazioni. Il professor Cates la seguì sul portico. Le luci della periferia brillavano tutto attorno a loro. «Quando crede che l'arresteranno?» chiese il professore. «Non abbiamo ancora prove sufficienti.» «Però sapete che è stato lui, vero?» «Non abbiamo un sospetto sicuro, al momento. Il comportamento del signor Simmons sarà anche stato inquietante, ma non lo rende colpevole.» Il professore la squadrò dalla testa ai piedi come se dovesse valutare un'interrogazione. Delorme vide un'insufficienza in arrivo. «Mi dica una cosa. A che serve l'organizzazione per cui lavora se non può sbattere in galera un individuo del genere?» Il dolore dei Cates le rimase aggrappato addosso fino a casa. Cercò di immaginare cosa significasse la perdita di una figlia ma sapeva già di non esserne capace. Il viso della giovane dottoressa le stava sospeso davanti agli occhi. Si ripromise ancora una volta di beccare la persona che le aveva rubato il futuro. I suoi pensieri tornarono allora all'ossessivo caporale Simmons, ricordandole così un ossessivo ex fidanzato, René. Ogni tanto si faceva vivo per telefono, di solito verso le due di notte, ed era sempre ubriaco e stucchevole e pronto a uccidersi. Una volta si era presentato alla porta di casa sua quando lei era con un altro uomo. Loro due erano lì che si baciavano sul divano quando era suonato il campanello. René, barcollante in cima ai gradini, stava prendendo a pugni la controporta di rete. Il suo nuovo ragazzo era diventato estremamente nervoso e non si era mai più fatto vivo. L'ultima volta che Delorme aveva avuto notizie di René risultava residente a Vancouver, e volesse il cielo che ci restasse. Il problema era che non c'erano molti uomini ideali ad Algonquin Bay e lei non voleva farsi coinvolgere sentimentalmente con un collega. Sarebbe stato carino se uno come Cardinal (non Cardinal in carne e ossa, ovviamente) si fosse presentato alla sua porta. Cardinal era la persona meno ossessiva che avesse mai conosciuto. A proposito di costanza, caro professore. Nessuno poteva affermare che Cardinal fosse un uomo felice (era sempre cupo, forse persino depresso) però parlava di sua moglie solo con affetto. Non accennava mai alla sua malattia, mai. Eppure doveva essere una donna piena di problemi. Secondo McLeod, Cardinal aveva praticamente cresciuto la figlia da solo. In realtà era un collega difficile, commetteva er-
rori (bastava pensare a quella sfortunata storia con Bouchard), però potevi affidare la pelle a uno come lui, e non ti avrebbe mai deluso. Fu costretta a frenare per colpa di un camion che si era immesso in carreggiata presso Sturgeon Falls. Buon Dio, si chiese, perché penso a Cardinal? Lui di sicuro non pensa mai a me. Accese la radio. L'annunciatore la informò che un altro ordigno artigianale era esploso davanti a un ristorante di Montreal, gentile omaggio della Lega di autodifesa francese in segno di protesta contro l'insegna in inglese del locale. Passò su una stazione pop francese (Celine Dion si lamentava del perduto amore) e decise di bandire Cardinal dai propri pensieri. Quando tornò in centrale telefonò all'ufficio del coroner presso l'Ontario Hospital. Parlò prima con Barnhouse, il quale le passò il patologo in visita, il dottor Alain Lortie, che sembrava giovane ma molto sicuro di sé. «Non c'è alcun dubbio, quella donna è morta strangolata. Abbiamo riscontrato emorragie nei polmoni e agli occhi, per non parlare dell'osso ioide fratturato. Direi che è stata una persona robusta a ucciderla.» «E quanto allo stupro, dottore? Abbiamo trovato i vestiti a pochi passi, tutti strappati.» «I vestiti strappati potrebbero indicare violenza sessuale. I lividi vaginali, ne abbiamo alcuni, sono di solito un ulteriore indizio. Però tenderei a ignorare i vestiti perché il livore e il livello dell'attività degli insetti indicano che è stata uccisa altrove. In questo periodo dell'anno non ci sono mosche all'aperto, perciò dev'essere stata uccisa in un interno. Quindi i vestiti strappati vengono dopo. Non ho trovato sperma sopra o dentro