LYNDA LA PLANTE SANGUE FREDDO (Cold Blood, 1996) Per Liz Thorburn RINGRAZIAMENTI I miei più sinceri ringraziamenti vanno...
28 downloads
1325 Views
2MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
LYNDA LA PLANTE SANGUE FREDDO (Cold Blood, 1996) Per Liz Thorburn RINGRAZIAMENTI I miei più sinceri ringraziamenti vanno a Suzanne Boaboneau, Arabella Stein, Philippa McEwan, la vera Lorraine Page che mi ha prestato il suo nome, Susanna Porter e Harold Evans della Random House, Gill Coleridge, Esther Newberg, Peter Benedek, Hazel Orme. Uno speciale ringraziamento ad Alice Asquith, ricercatrice della La Piante Productions e a Vaughan Kinghan, editor della La Piante Productions. Ringrazio il Dipartimento di Polizia e l'Ufficio della Sceriffo di Pasadena, a tutti un grazie sincero. Per il loro contributo ringrazio: Eliot Hoffman, Arthur Q. Davis, Clara Earthly, Geoffrey Smith, Paul Lovell, la Sacerdotessa Chawani, Brandi Kelly, il Museo Voodoo, Yosha Goldstein, la New American Media, il Sergente Barry Fletcher e il Tenente Sam Fredella del Dipartimento di Polizia di New Orleans, John Gagliano, l'Ufficio del Coroner di New Orleans, il dottor Munroe Samuels, Tyler Bridges, Arthur Hardy, la guida del Marcii Gras, Luke Delpip, lo Zulù Social Aid And Pleasure Club, Warren Green, il krewe NOMTOC, Ed Renwick, l'Istituto di Politica di New Orleans, John Maloney, l'aeroporto Lakefront, il dottor Ragas, l'Università di New Orleans, Kim Brown, la Housing Authority di New Orleans, Kara Ke Bodeaux, la Camera di Commercio di New Orleans, Wayne Everard, la Biblioteca Pubblica di New Orleans, Jerry Romig, la Clinica Universitaria di New Orleans, Rodney e Frances Smith, il Soniat House Hotel, Norman e Sandra King, Betty Baggert, la Longue Vue House, Wade Henderson, la 6 WDSU Television, Courtney Marsiglia, il WVUE TV Channel 8, la Alcolisti Anonimi, l'Ufficio del Coroner della Contea di Los Angeles e il Times-Picayune. E un ringraziamento particolare va alla coraggiosa signora che mi ha fatto dono di questa storia. NOTA
Mojo è una parola africana che indica un feticcio o un oggetto sacro che può essere usato sia per fare del bene che per fare del male. Gris-gris, che in francese significa «grigio-grigio», è il nome che a New Orleans si dà alla combinazione di mojo «neri» e mojo «bianchi», fatti da un seguace del voodoo per raggiungere un determinato fine - proteggere la vita della persona a cui viene dato il talismano, proteggere dalle malattie e allontanare le influenze negative dei nemici per evitare la sfortuna nell'amore e nella vita. Un gris-gris personale dev'essere tenuto segreto e perderà il suo potere se sarà visto o toccato da qualcuno che non sia il legittimo proprietario. Per questa ragione, solitamente i gris-gris vengono tenuti a stretto contatto col corpo, sul fianco destro dagli uomini, sul fianco sinistro dalle donne. CAPITOLO 1 Anna Louise Caley rimase sotto la doccia per più di mezz'ora, strofinandosi con forza, per essere sicura che ogni centimetro del suo corpo perfetto fosse pulito. Poteva cancellare dalla sua mente ciò che aveva fatto - era facile - ma era l'abuso che aveva inflitto al suo corpo a preoccuparla, così si esaminò con cura, felice nel notare che non c'erano lividi o altri segni che rivelassero ciò che aveva fatto la notte prima. Con un semplice asciugamano avvolto attorno al corpo, si controllò ancora una volta, toccando e premendo la sua carne finché non fu soddisfatta, quindi si cosparse di olio e borotalco e si vestì. Calze da tennis bianche, mutandine di cotone bianche, un abito da tennis bianco e, infine, scarpe bianche da tennis immacolate. Le allacciò, poi scelse una delle racchette professionali dalla fila e aprì la lampo del copriracchetta, controllando con il palmo della mano che le corde fossero tese, prima di riporla nella custodia. Si controllò i capelli e si mise una fascia elastica bianca attorno alla fronte per impedire che i suoi lunghi capelli biondi le ricadessero sul viso. Anna Louise lasciò la sua stanza in perfetto ordine. Mise l'asciugamano che aveva usato nel cesto della biancheria insieme ai vestiti sporchi della notte precedente. Era contenta di non essere una teen-ager qualsiasi, era orgogliosa di essere così meticolosamente pulita e rimase per un attimo ad ammirare la sua stanza immacolata prima di recarsi al campo da tennis. Attraversò la cucina, ancora vuota alle sei e trenta del mattino, anche se di lì a poco qualcuno della servitù avrebbe cominciato a preparare la colazione, e uscì. Un giardiniere aveva già acceso gli annaffiatoi automatici e si ap-
prestava a raccogliere le foglie morte che potevano essere cadute durante la notte. Non alzò lo sguardo quando Anna Louise gli passò accanto. La ragazza andò allo spogliatoio dove prese un grande cesto di palle da tennis prima di dirigersi al campo. Per prima cosa controllò la rete, per assicurarsi che fosse esattamente all'altezza giusta, poi mise le palle nella macchina automatica per l'allenamento che programmò per una certa velocità e una certa direzione. Tolse con cura la racchetta dalla custodia e accese la macchina, pronta a sfidarla - a sfidare se stessa. Si fermò sulla linea di servizio, i piedi ben piantati a terra, in attesa della prima palla, e cominciò a esercitarsi con il suo rovescio a due mani. Era una giocatrice precisa, veloce, meticolosa e molto potente e colpì palla dopo palla finché non fu coperta di sudore per la fatica, ogni rovescio accompagnato da un basso grugnito di soddisfazione. Si distrasse per un attimo e perse la palla successiva, che la colpì con forza al centro del petto. Qualcuno stava ridendo. Anna Louise riconobbe le due voci, quella alta e sonora e quella bassa e dolce. La macchina continuò a lanciare palle, ma Anna Louise le ignorò, lasciò il campo e si incamminò verso la casa, attraverso il boschetto dove sapeva che non sarebbe stata né vista né sentita. Più tardi, la macchina stava lanciando le ultime palle, ma ora Anna Louise le colpiva furiosamente, mandandole lontano dall'altra parte del campo. Tilda Brown, la sua più cara amica, aprì il cancello del campo. Tilda era bionda e carina, proprio come Anna Louise, e indossava un completo da tennis bianco molto simile al suo, ma Anna Louise non smise di giocare nemmeno per un attimo, come se non l'avesse neanche riconosciuta. «Ciao, Anna!», la salutò Tilda. «Scusa per il ritardo, ma ho un terribile mal di testa. Forse non giocherò stamattina, non mi sento affatto bene», continuò, facendo una smorfia. Anna Louise non rispose, ma spense la macchina e prese il cesto per raccogliere le palle. Continuando a lamentarsi per il mal di testa, Tilda mise qualche palla sulla sua racchetta e le portò fino al cesto. «Hai sentito cosa ho detto? Non me la sento di giocare». Anna Louise sorrise. «Ahh, ma ti stavo aspettando. Voglio mostrarti il mio rovescio, è davvero molto migliorato». «È sempre stato buono», replicò Tilda. «Sì, ma adesso è ancora meglio», disse Anna Louise con noncuranza.
«Forse più tardi!». Tilda portò il cesto fino alla macchina e vi fece rotolare dentro le palle. «Penserò io a riempirtela». Anna Louise si fermò sulla linea di servizio, fece rimbalzare una palla per un attimo, poi prese la mira. La palla colpì Tilda sulla schiena, violentemente, e la ragazza si voltò, senza fiato. Il dolore fu così intenso e improvviso che non riuscì a parlare, e la palla successiva la colpì allo stomaco, facendola barcollare all'indietro. «Smettila, Anna, SMETTILA, MI HA FATTO MALE... MI HAI FATTO MALE». Anna Louise si avvicinò. «Con Polar baci meglio.». Tilda era spaventata e in lacrime; le faceva molto male la pancia e le sembrava di avere la schiena in fiamme. Anna Louise stava palleggiando di nuovo, pronta a colpirla un'altra volta. Tilda si chinò per proteggersi, quando la terza palla sfrecciò verso di lei. «Cosa stai facendo? SMETTILA!», gridò. Anna Louise sogghignò, prendendo una quarta palla. «Non mi sfuggirai, Tilda Brown». Lanciò in aria la palla come per battere un servizio. Tilda arretrò nuovamente e andò a sbattere contro la macchina d'allenamento, accendendola involontariamente con il braccio. La macchina cominciò a sputare palle velocissime verso Anna Louise, che rideva colpendole con la sua racchetta, con dritti e rovesci aggraziati e precisi, scagliando ogni palla crudelmente verso Tilda, che gridò e corse da una parte all'altra del campo finché non si rannicchiò singhiozzando dietro la rete. Ma persino dietro quella protezione, le palle le colpivano le braccia e le gambe, e Anna Louise cominciò a prendere di mira anche il volto di Tilda. «Smettila, ti prego, smettila», singhiozzò Tilda, alzando lo sguardo per vedere Anna Louise in piedi davanti a lei. «Sta' lontana da lui, Tilda, è mio. Se ti vedo ancora con lui te ne farò pentire. Ti farò più male di qualsiasi palla da tennis, ti farò così male, Tilda Brown, che rimpiangerai di essere nata...». Tilda stava piangendo come una bambina, terrorizzata sia dalle minacce verbali di Anna Louise che dalla sua violenza, e singhiozzò sollevata quando riconobbe la figura che stava venendo verso di loro. Anche Anna Louise lo vide e diede a Tilda un ultimo rapido colpo sul lato della testa, poi abbassò la racchetta e sorrise dolcemente, il suo atteggiamento repentinamente cambiato.
«Ciao, tesoro». Robert Caley sorrise a sua figlia, poi si accorse di Tilda. «Che cosa è successo?». Anna Louise prese suo padre sottobraccio. «È stata colpa mia. Sai com'è il mio servizio, papà, la povera piccola Tilda ci si è trovata davanti... E forse la colpa è anche tua per avermi insegnato a servire così forte, ma non volevo colpirla, penso solo che non sia alla mia altezza». Robert Caley teneva un braccio attorno alla vita di sua figlia. Allungò una mano verso Tilda, preoccupato. «Va tutto bene, cara?». Tilda non lo guardò negli occhi ma si tenne una mano sulla testa, sentendo il bernoccolo che si stava già gonfiando dove Anna Louise l'aveva colpita. «Voglio andare a casa, signor Caley, oggi», disse con voce bassa ma ferma. «Fa così solo perché ha perso la partita», disse Anna Louise petulante. Cercò di tenere il braccio di suo padre per impedirgli di seguire Tilda, ma lui si allontanò e lei si sentì ribollire di rabbia, vedendolo accompagnare la sua amica fino a casa. Scagliò la racchetta sul campo di terra battuta, poi la esaminò temendo di aver danneggiato una delle sue preferite. Tra le corde era rimasta impigliata una ciocca dei lunghi capelli biondi di Tilda. Tilda aveva fatto le valige e si rifiutò di parlare con Anna Louise attraverso la porta chiusa a chiave della sua camera da letto. Le disse solo che aveva intenzione di andarsene a casa immediatamente. Anna Louise cercò di blandirla, le disse che le dispiaceva, che non avrebbe voluto comportarsi così male, ma Tilda si rifiutò di aprirle. Anna Louise temeva che Tilda potesse dire qualcosa a sua madre e cominciava a pensare che sarebbe stato meglio se se ne fosse andata al più presto. «D'accordo, vattene, Tilda Brown, non me ne importa niente», disse con rabbia, ma era abbastanza preoccupata per decidere di andare da sua madre. Tilda avrebbe sicuramente voluto salutarla e molto probabilmente le avrebbe raccontato qualcosa. Anna bussò alla porta della camera di sua madre; era spesso chiusa la mattina, dato che Elizabeth Caley odiava essere vista senza i suoi colori di guerra, persino da sua figlia. Anna Louise bussò di nuovo, poi entrò: le tende erano tirate e la stanza era immersa nell'oscurità. Chiamò sua madre e non ottenendo alcuna risposta, si chiese se Elizabeth stesse ancora dormendo o, peggio ancora, se fosse scesa e avesse già visto Tilda. Attraversò velocemente il salottino di sua madre, dirigendosi verso la camera da letto. «Mamma», sussurrò, poi premette l'orecchio contro la porta e rimase ad
ascoltare. «Sei sveglia, mamma? Sono io, Anna Louise». Spinse la porta della camera da letto e guardò dentro, i suoi occhi che si adattavano all'oscurità della stanza, poi chiamò di nuovo sua madre dolcemente, ma si accorse che il letto era vuoto. Sapeva che se c'era una cosa che sua madre detestava più di essere sorpresa senza trucco era essere svegliata. Soffriva di una terribile insonnia e i suoi sonni erano preziosi, raramente naturali. Anna Louise guardò la porta del bagno e sentì il suono morbido dell'acqua che riempiva la vasca. Stava per andarsene, quando notò la luce fioca e tremolante di una candela sul comodino di sua madre. Attraversò la stanza per vedere meglio, senza aspettarsi di trovare niente di più. Il gris-gris era stato consacrato, dato che era posto su una vecchia Bibbia dalla copertina consunta. Intorno al libro, nei quattro punti cardinali, si trovavano i simboli dei quattro elementi: a sinistra un piccolo sacchetto di cotone bianco pieno di sale, a destra una bottiglietta verde piena d'acqua, sopra una candela blu che si scioglieva lentamente nel suo portacandele, e sotto alcuni grani d'incenso profumato. Anna Louise sentì un brivido di disagio accarezzarle la nuca, quando aprì il sacchettino e ne guardò il contenuto, senza sapere cosa significasse e che cosa volesse dire aver visto e toccato un gris-gris consacrato. Affascinata, prese la vecchia Bibbia e l'aprì alla prima pagina: con una calligrafia antiquata era stata scritta una dedica ormai sbiadita a Elizabeth Seal, il nome da ragazza di sua madre. Anna Louise ripose il libro con cura, sfogliando le pagine sottilissime per assicurarsi che fosse nella stessa posizione in cui l'aveva trovato. Tornata nella sua stanza, si annusò le dita e decìse che sapevano di muffa, quindi riempì d'acqua calda il catino di porcellana e si lavò le mani col sapone. Se le stava asciugando quando sentì che sua madre la stava chiamando, e tornò da lei. «Tilda vuole andare a casa oggi», disse Elizabeth, giocherellando con un cucchiaino d'argento sul vassoio della colazione. «Ma mi sembra sciocco, dato che ce ne andremo tutti domani». Anna Louise sedette sul bordo del letto di sua madre, notando che il comodino ora era sgombro. «Oh, abbiamo avuto una discussione, ma si sistemerà tutto». Era ansiosa di cambiare argomento, quindi chiese preoccupata: «Come ti senti oggi?». «Bene, tesoro. Ora vai a parlare con la tua amica, è stupido che se ne vada, dato che torneremo tutti a New Orleans domani». «Okay, faremo la pace. Vuoi che ti porti via il vassoio?».
«Mmmm, forse dormirò un po', ho avuto una nottataccia. Bacio bacio?». Anna Louise si sporse per baciare la madre sulla guancia, poi prese il vassoio della colazione, uscì e si richiuse la porta alle spalle. Tilda se n'era già andata quando Anna Louise arrivò in cucina con il vassoio di sua madre. Era preoccupata: avrebbe dovuto fare la pace con lei, comprarle qualcosa di costoso. Si aggirò per la cucina dove Berenice, la governante, aveva appena preparato dei muffin ai mirtilli, e cominciò a sbocconcellarne alcuni, ripensando allo strano odore stantio della Bibbia che aveva visto al piano di sopra. «Tilda mi ha raccontato una cosa strana, una cosa che ha visto...», cominciò con noncuranza. Berenice stava svuotando la lavastoviglie. Non prestava molta attenzione alla figlia dei suoi datori di lavoro e l'ascoltava distrattamente mentre impilava i piatti puliti nei pensili della cucina. Versò un bicchiere di latte per Anna Louise e l'appoggiò accanto a lei. «La signorina Tilda era molto agitata per qualcosa, piangeva come una fontana. Abbiamo pensato che forse aveva ricevuto una brutta notizia». Berenice continuò a sistemare le stoviglie pulite. «Cosa vuol dire se ci sono una Bibbia, una candela blu e degli strani sacchettini di sale e d'incenso, sai, come quei gris-gris che vendono a New Orleans?». La governante richiuse l'armadietto con un colpo secco. «È meglio che non lo sappia, signorina Anna Louise, e la smetta di mangiucchiare tutti i muffin. Se ne vuole uno, allora lo prenda». «Cosa vuol dire?». Berenice ora stava mettendo le posate nel cassetto, strofinandole prima con un asciugamano pulito. «Be', dipende dal modo in cui la croce è appoggiata sulla Bibbia». «Ah, allora sai cosa vuol dire?». «Tutto quello che so è che se lei e la signorina Tilda state curiosando in giro, dovreste smetterla di fare sciocchezze. Questo è voodoo, e nessuno dovrebbe giocare con cose che non capisce perché il male sa come entrare nelle persone, come un grande serpente nero. Ti si siede sulla pancia e non sai mai quando si muoverà e sputerà... e se tocchi il gris-gris di un'altra persona, allora sei in guai seri». Anna Louise prese un grosso pezzo di muffin e se lo mise in bocca. «Non crederai davvero a tutte quelle storie ridicole?». Bevve un sorso di latte che le andò di traverso. Cominciò a tossire e a
boccheggiare, il muffin incastrato in fondo alla gola. Cercò di prendere fiato, gli occhi che le piangevano e le guance arrossate. Non riusciva a respirare - le sembrava che la stessero strangolando e Berenice dovette colpirla con forza al centro della schiena. Anna Louise era scossa da conati di vomito e si aggrappò al bordo del tavolo. Alla fine riuscì a sputare il boccone e a riprendere a respirare. La governante prese della carta da cucina per pulire. «Vede cosa le dicevo del serpente? È arrivato e ha sibilato proprio adesso, e l'ha quasi soffocata, perciò mi dia retta e la smetta di curiosare in giro». Ma quando si voltò Anna Louise era già scomparsa, così andò nell'atrio e la vide salire le scale di corsa. «Tutto bene, signorina Anna Louise?». La ragazza si sporse a guardarla, appoggiandosi al corrimano e sussurrò: «Era nella stanza di mia madre. Non è stata Tilda a vederlo, sono stata io!». All'improvviso scoppiò a ridere e riprese a salire le scale, senza vedere la paura sul volto di Berenice. La donna si fece scivolare una mano sotto l'uniforme e controllò il suo gris-gris. Era al sicuro, infilato nella sottoveste a sinistra proprio sotto il cuore. Tornò in cucina: quella sciocca bambina viziata non aveva idea di ciò che succedeva in casa. E Berenice sperava con tutto il cuore che non lo avrebbe mai scoperto. Pulì il tavolo e finì di mettere via i piatti, quindi gettò nella spazzatura tutti i muffin al mirtillo appena sfornati. Ne avrebbe fatti altri, nel caso che una goccia di veleno del serpente che aveva sibilato dalla bocca di Anna Louise Caley li avesse contaminati: c'erano rischi che non era proprio il caso di correre. Il pomeriggio seguente, accompagnata dai suoi genitori, Anna Louise tornò in aereo a New Orleans da Los Angeles. Era il 15 febbraio e il 16 febbraio Anna Louise venne ufficialmente dichiarata scomparsa. La polizia cercò di rintracciarla sia a Los Angeles che a New Orleans e dal momento che gli sforzi degli agenti si rivelarono inutili, i genitori della ragazza si rivolsero a degli investigatori privati. Le settimane divennero mesi - non furono scoperti né un cadavere né un biglietto con la richiesta di un riscatto, e nonostante l'intervento delle migliori agenzie investigative private, non si trovò alcuna traccia della ragazza. A nove mesi dalla sua scomparsa, Anna Louise Caley non faceva più notizia ed era diventata soltanto un altro numero in una statistica, un'altra
fotografia nei fascicoli delle persone scomparse. Erano trascorsi undici mesi e, dal momento che non avevano ottenuto alcuna nuova informazione, i genitori di Anna Louise dovettero affrontare la terribile eventualità che la figlia fosse stata assassinata. Ormai c'erano più di quindici agenzie private coinvolte nel caso, e il Mississippi era stato dragato e gli elicotteri avevano perlustrato le paludi della Louisiana. La Agnews Investigations, e altre tre agenzie meno note, erano ancora impegnate nelle indagini: i Caley avevano speso milioni di dollari ma non avevano ottenuto alcuna spiegazione, alcun sospetto, alcun risultato. Tutto ciò che riuscirono a ottenere fu un doloroso periodo di attesa, nella speranza che fosse trovato un segno che la loro bellissima Anna Louise era ancora viva. Tutte le agenzie investigative coinvolte avevano guadagnato un sacco di soldi e alcune si erano persino scambiate informazioni l'una con l'altra, ma la miniera Anna Louise Caley stava per esaurirsi. Gli investigatori privati guadagnavano sempre meno - era un lavoro duro in cui i contatti e le raccomandazioni erano una necessità, cosa che la Page Investigazioni, una piccola compagnia privata, aveva imparato a proprie spese. Persino raggiungere il gradino più basso di una scala così competitiva si era dimostrato impossibile, e per Lorraine Page quel tentativo era stato un disastro finanziario: ora la sua agenzia era virtualmente fallita. Benché Lorraine fosse un ex tenente di polizia, il suo passato di alcolizzata e di agente che aveva ucciso un ragazzo disarmato mentre era ubriaca in servizio le aveva alienato le simpatie della fratellanza degli investigatori privati, ed era stata esclusa - proprio come era stata cacciata dal Dipartimento di Polizia di Los Angeles. La parte più difficile era stata spiegare a Rosie, l'assistente che Lorraine definiva scherzosamente la sua socia, che a sua volta era un'ex alcolizzata, che gli affari stavano andando a rotoli. La cara Rosie che sperava ancora, Rosie che continuava a sostenere che gli affari sarebbero decollati - ma non c'erano mai stati affari. Non c'era modo di decollare: era stata una scommessa, un sogno forse, ma ora era tutto finito. Lorraine teneva il ricevitore con una mano e ascoltava distrattamente, chiedendosi se quella sarebbe stata la sera giusta per parlare con Rosie sapeva che avrebbe dovuto farlo presto. Interruppe due volte il suo interlocutore - un uomo dalla voce profonda che parlava confusamente della morte della moglie - per dirgli quanto le dispiaceva. Rosie, una donna grassa dal volto gentile e aperto, stava leggendo l'oroscopo, una tazza di caffè e due dolci all'arancia e cioccolato davanti a lei.
Aveva lanciato un'occhiata a Lorraine quando il telefono si era messo a squillare nell'ufficio silenzioso, e aveva sospirato nel sentirle dire, con voce fin troppo allegra: «Ciao, Bill, come va la vita?». Rosie stava provando una nuova dieta: un pasto a base di proteine, uno a base di carboidrati, frutta quaranta minuti prima o dopo ciascun pasto, e niente grassi o fritti. Era riuscita a seguirla per un mese e perdere qualche chilo l'aveva fatta sentire meglio, ma quel giorno aveva ceduto alla tentazione dei dolci e si odiava a ogni boccone. Eppure, era uno di quei giorni in cui non riusciva ad affrontare un altro petto di pollo senza patatine fritte, o un'altra insalata senza condimento. Un intero mese senza pane fresco e burro di noccioline per Rosie era stato una vera agonia. Alla fine, Lorraine riuscì a riappendere. «Era Bill Rooney», mormorò, accendendosi una sigaretta. «Sua moglie è morta». «Non sapevo che fosse sposato», disse Rosie, sollevando lo sguardo dalla rivista. «Non credo che lo fosse», disse Lorraine, contando i mozziconi nel posacenere. Sospirò, appoggiandosi allo schienale della poltrona. Voltando leggermente la testa, poteva vedere la scritta dorata che campeggiava sulla porta dell'ufficio - «Agenzia Investigativa Page». Sulla scrivania c'era una pila di biglietti da visita su cui campeggiava la stessa scritta. Era una farsa. «Be', la fine di un'altra incredibile giornata di iperattività». Rosie diede un morso al dolce, osservando la sveglia digitale che aveva avuto in omaggio quando aveva comprato delle padelle antiaderenti per corrispondenza. Erano quasi le sei. Senza accorgersi di avere la guancia destra sporca di cioccolato, lanciò un'occhiata a Lorraine che stava fumando quella che doveva essere la trentesima sigaretta della giornata. I suoi occhi scrutavano con distacco il piccolo ufficio dalle pareti bianche. Rosie odiava quei suoi sguardi assenti. A volte, i silenzi di Lorraine si protraevano per più di un'ora e in quei momenti Rosie non riusciva a immaginare a che cosa stesse pensando la sua amica. Sperava che Lorraine non stesse covando uno dei suoi momenti di umore nero. «Dovresti darci un taglio», disse con la bocca piena. «Anche tu», ribatté Lorraine, lanciando un'occhiata al cestino della carta straccia pieno degli involucri argentati dei dolci di Rosie. «Io non fumo, è per questo che ho così bisogno di zuccheri. Sai, è uno dei problemi dell'alcolismo, aver continuamente bisogno di zuccheri».
Lorraine allontanò la poltroncina di seconda mano su cui era seduta dalla scrivania vuota. «Davvero? Be', questo sì che è interessante. E cosa mi dici degli hamburger e delle patatine fritte?». «Cristo santo, non cominciare! Tu e il tuo riso integrale e le tue vitamine mi fate venire da vomitare». «Potrebbe anche farti bene!». Rosie sistemò il grosso fondoschiena sulla poltroncina, l'offerta speciale del mese trovata su un catalogo. «Bene, allora, è così che la pensi». «Già, direi proprio di sì, Rosie». Per Lorraine era difficile spiegarle che ogni giorno si sentiva sempre più isolata, perché fisicamente non lo era affatto: Rosie e Bill Rooney erano sempre con lei. Non le mancava qualcuno con cui parlare, con cui interagire - ma era così che si sentiva. Era come se la sua mente si stesse atrofizzando. Lorraine si sentiva svuotata, letargica; certe volte aveva voglia di piangere per quella sensazione di assoluta solitudine che la invadeva. O forse era solo mancanza d'amore? Qualunque cosa fosse si stava rivelando sempre più distruttiva, e lei si sentiva risucchiare da quella corrente sotterranea. Lorraine chiuse le vecchie veneziane che non riuscivano a coprire per intero le finestre. Guardò la sua grassa compagna di stanza mentre spegneva la sigaretta. Non aveva nemmeno una casa tutta per sé, ma divideva con Rosie un piccolo appartamento in un quartiere degradato di Orange Grove. Aveva trentasette anni; e ne aveva persi quasi sei in un mare di droga e dipendenza da alcool. E talvolta, soprattutto in momenti come quelli, aveva la sensazione che tutto fosse solo una perdita di tempo: non sarebbe mai riuscita a ricominciare a svolgere l'unico lavoro che conosceva o che aveva conosciuto quando era stata un poliziotto. Le due donne si erano conosciute quando Lorraine era in convalescenza da un incidente d'auto che le era stato quasi fatale. In realtà non era stata la macchina a portarla a un passo dalla morte, ma l'alcool e l'abuso di sé. Ormai era sobria da quasi due anni e stava cercando di rimettere insieme i cocci della sua vita. In qualità di ex tenente della Squadra Omicidi di Pasadena, non aveva solo esperienza sul campo ma anche come detective, e ai suoi tempi era stata davvero in gamba. «Era stata» erano le parole chiave: quando il bere si era impossessato della sua vita, Lorraine aveva perso il marito che aveva amato e le due figlie che aveva adorato. «A cosa stai pensando?», le domandò Rosie, fingendo di interessarsi alla
rivista. «A niente», rispose Lorraine, anche se era evidente che non era così. Si domandava se fosse il caso di tentare un'altra riconciliazione con le figlie. Ma, come le capitava sempre ogni volta che pensava a loro, decise che sarebbe stato meglio non interferire con la loro nuova vita, una vita di cui lei non aveva fatto parte per troppi, troppi anni. Inoltre, il suo ex marito si era risposato e le ragazze chiamavano «mamma» la sua nuova moglie. Non volevano nemmeno vederla. Rosie tornò a studiare la rivista. I lunghi sospiri di Lorraine le dicevano che stava per succedere qualcosa, ma non disse niente, e continuò a sfogliare le pagine finché non trovò un articolo su una nuova dieta che assicurava una rapida perdita di peso grazie a «bevande dimagranti» a prezzo speciale. Ma dal momento che aveva già tentato molte diete e molte bevande dimagranti senza ottenere alcun risultato, preferì passare a un articolo sul lavoro a maglia. «Questa è una farsa, lo sappiamo benissimo tutte e due. Voglio dire, non so cos'altro potremmo fare. Quante altre inserzioni potremo permetterci se non troviamo un cliente prima della fine della settimana?». Ecco, ci siamo, pensò Rosie, accigliandosi. «Lo dici tutte le settimane». Odiava Lorraine quando parlava in quel modo, in parte perché sapeva che tutto ciò che la sua amica diceva era vero, ma anche perché quei discorsi le mettevano paura. Paura che Lorrame se ne andasse, paura che senza l'aiuto di Lorraine avrebbe ricominciato a bere, paura che anche Lorraine ricominciasse. «Dobbiamo affrontare la realtà». Lorraine scosse il pacchetto vuoto, sperando di trovarvi un'ultima sigaretta. Ma non ce n'erano, così guardò di nuovo i mozziconi nel posacenere. «Sì, lo so, lo so, ma dobbiamo tenere duro. Lo sanno tutti, ci vuole tempo perché una nuova attività riesca a ingranare, ce l'ha detto anche Bill Rooney». Lorraine sembrava distratta, come se non la stesse ascoltando, mentre rovistava nella borsa in cerca di qualche spicciolo. «Voglio dire, domani potremmo anche trovare un caso e quello che hai appena detto non avrebbe più alcun senso», continuò Rosie, un po' troppo allegramente. «Cosa?», chiese Lorraine con aria di sfida. «Non avrebbe più alcun senso», ripeté Rosie in tono piatto. «Davvero? Be', ormai è un mese che continui a dirmelo e avremo rice-
vuto sì e no una telefonata. Se anche trovassimo un caso riusciremmo a malapena a pagare i tuoi dolci e le mie sigarette, per non parlare dell'affitto di questo posto e del tuo appartamento, quindi datti una svegliata Rosie. Cazzo, ho bisogno di una sigaretta». Lorraine si diresse all'appendiabiti vicino alla porta del bagno e prese l'impermeabile. «Forse tra poco smetterà di piovere». Lorraine si infilò l'impermeabile. «Oh certo, e se il sole tornerà a splendere andrà tutto bene, vero?». «Forse». «Sei una stupida ottimista». «Cosa?». «Un'ottimista, Rosie. Anche se ci fosse un sole così caldo da sciogliere i marciapiedi, non ci sarebbe di alcun aiuto. Due cani randagi, un vecchio nonno rimbambito scomparso, due settimane in un grande magazzino per rimpiazzare la detective andata in vacanza, cinque macchine da rintracciare, quattro stupidi controlli e una donna che sospetta che suo marito abbia una storia con la segretaria, e dato che la donna era grassa come te e la segretaria sembrava Julia Roberts non ci è voluto molto a capire come stavano le cose, e questo... e questo è quanto, Rosie, è tutto il lavoro che abbiamo avuto negli ultimi nove mesi». «Perché devi sempre prendere tutto come se fosse una questione personale? Se consideri l'aspetto positivo della cosa, sei sobria da più di nove mesi, e se devo dirti come la penso, sono proprio convinta che ce la faremo. Questo è solo un brutto periodo. Passerà». Lorraine strinse i denti. «No, non passerà, Rosie. Non passerà. Siamo al verde e cercare nel posacenere una cicca da accendere non era esattamente quello che avevo in mente per il futuro. Perciò potremmo anche ammetterlo, affrontare la realtà prima che ci ritroviamo indebitate fino al collo». «Ma noi stiamo già affrontando la realtà», ribatté Rosie ostinatamente. Lorraine chiuse gli occhi, come se stesse parlando con un bambino, la sua voce fastidiosamente indulgente. «No, non la stiamo affrontando. Il fatto è che questa è stata un'idea del cazzo fin dall'inizio, e a essere sincera non sono particolarmente orgogliosa per essere rimasta sobria. La verità è che in questo momento avrei solo voglia di andare a prendermi una sbronza e l'unica cosa che me lo impedisce è che non ho abbastanza soldi». «Non che questo ti abbia mai fermata», replicò bruscamente Rosie. Gli occhi di Lorraine sembravano due pezzi di ghiaccio. «Cosa vorresti
dire? Cosa stai insinuando, Rosie? Coraggio, sputa il rospo, vorresti che uscissi e mi facessi scopare da qualcuno per tenere aperto questo posto? È questo che pensi che dovrei fare?». Rosie arrossì e distolse lo sguardo. Detestava Lorraine quando si comportava così, poteva diventare così gelida, così inavvicinabile, così assolutamente odiosa. Ma ora, a differenza delle altre occasioni in cui avevano litigato riguardo all'agenzia, non ci furono altre battute sarcastiche, solo un silenzio minaccioso. Lorraine si stava guardando nel piccolo specchio incollato dietro la porta. Aveva bisogno di un nuovo taglio di capelli e di rifare i colpi di sole. Si sporse in avanti, accigliandosi, mentre osservava la cicatrice che partiva dall'occhio sinistro e scendeva fino alla mascella; avrebbe dovuto sistemare quello sfregio, ma la chirurgia estetica era troppo costosa. Si allontanò, soppesando il proprio riflesso con occhio critico. Considerando gli abusi che aveva inflitto al suo corpo e al suo organismo, aveva ancora una pelle chiara e luminosa ma attorno agli occhi aveva rughe sottili che si stavano facendo sempre più evidenti. In ogni caso, non le piacque ciò che vide, e richiuse la porta con un calcio. Lorraine prese il borsone da palestra e spense le luci principali dell'ufficio. La sua ombra si allungò su una parete mentre si chinava per prendere la borsetta. Il chiarore fioco dello schermo del word processor di Rosie mise in risalto i lineamenti cesellati del viso di Lorraine. Era chiaro che non si vedeva con gli stessi occhi con cui la vedeva Rosie, perché era ancora una donna molto attraente. Forse non era eterea come la considerava l'amica, ma per la sua età, dopo tutto quello che aveva passato, Lorraine Page era ancora bellissima. E più si rimetteva in forma fisicamente, più la sua bellezza naturale tornava a splendere. La dieta rigidissima e la palestra che frequentava quasi ossessivamente avevano dimostrato che una donna che aveva perso sei anni nell'oblio dell'alcool e che era diventata un'ubriacona senza speranza, scheletrica e malata, poteva passare per un'atleta. La sole cose che l'ex tenente Lorraine Page non poteva riprendersi erano la sua carriera e la sua famiglia. Non parlava mai né del marito né delle figlie, né a Rosie né alle riunioni degli Alcolisti Anonimi, durante le quali l'amica versava lacrime copiose sul suo passato e sul desiderio di rivedere suo figlio. Rosie prese un profondo respiro; forse come lei stessa aveva insinuato, il fallimento della loro attività avrebbe riunito Lorraine e la bottiglia, e distrutto per sempre la sua vita. Quindi Rosie era del tutto impreparata per
ciò che Lorraine le disse, mentre indugiava sulla porta dell'ufficio, pronta ad andarsene. Lorraine giocherellò con la porta spingendola leggermente con il piede. «Volevo dirtelo, il grande magazzino mi ha offerto un posto a tempo pieno come detective. Ti ricordi quel lavoro di due settimane? Be', a quanto pare la loro detective ha fatto una vacanza veramente straordinaria ed è tornata incinta». «Cosa?». «Quindi, se chiudiamo alla fine della settimana, avremo abbastanza per pagare almeno l'affitto dell'appartamento». «E la Page Investigazioni?», domandò Rosie mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Come ti ho già detto, è finita. Alla fine della settimana chiudiamo bottega». «E io?». Lorraine non riuscì a guardare l'amica, continuò a giocherellare con la porta. «Be', immagino che dovrai affrontare il mondo, Rosie, e trovarti un lavoro. Non dovrebbe essere molto difficile, sai usare il word processor e...». Rosie si voltò, gli occhi umidi, e Lorraine si sentì orribile. Si avvicinò e mise un braccio attorno alle spalle dell'amica. «Mi dispiace, a volte apro bocca e dico cose che non vorrei dire. Quello che stavo cercando di spiegarti è che... tu puoi rifarti una vita, Rosie, e forse anch'io posso, ma non facendo quello che stiamo facendo ora, okay?». Rosie annuì e si cercò in tasca un fazzoletto di carta. Lorraine esitò, conscia del fatto che restare con Rosie avrebbe significato tornare sugli stessi vecchi argomenti, ma venne salvata dallo squillo del telefono. Rosie rispose, sperando contro ogni logica che si trattasse di lavoro, ma non riuscì nemmeno a dire «Page Investigazioni». In ogni caso non aveva importanza - era solo il suo sponsor, Jake, che voleva sapere se quella sera sarebbe andata alla riunione degli AA. Rosie fece a malapena in tempo a rispondere di sì, che Lorraine se n'era già andata. «Stai bene, Rosie?», chiese la voce rauca e amichevole di Jake. «No, chiudiamo bottega. Possiamo vederci prima della riunione?». Jake rispose di sì e Rosie riappese, sentendo le lacrime che tornavano a riempirle gli occhi. Sarebbe mai finita? Poteva davvero rifarsi una vita come aveva detto Lorraine? Ma senza Lorraine, Rosie sapeva di non avere speranze. Certo, sapeva usare un word processor, ma non era abbastanza
sicura di sé per affrontare il mondo. Era quella la differenza tra loro - Rosie aveva bisogno di Lorraine, e senza di lei il mondo la spaventava a morte. O forse non era il mondo, ma solo la sua stessa debolezza, la scarsa stima che aveva di sé. Vedendo la scatola dei dolci vuota le venne voglia di piangere - non riusciva nemmeno a seguire una dieta! Come avrebbe fatto senza Lorraine? Facendosi un drink, ecco come, e quel pensiero la fece sentire ancora peggio. Aveva disperatamente bisogno di andare a quella riunione. Lorraine andò al corso di sollevamento pesi. Si spinse al limite, decisa ad arrivare a casa così sfinita che si sarebbe addormentata immediatamente. Cercò di non pensare all'espressione addolorata di Rosie. In realtà era altrettanto triste per il fallimento dell'agenzia ma, a differenza dell'amica, sapeva di non potersi permettere di crollare. Se doveva tentare un'altra strada, allora avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere. Lorraine sapeva di non potersi assumere la responsabilità di Rosie, e se voleva sopravvivere avrebbe dovuto pensare prima a se stessa altrimenti sarebbe affondata. Non aveva scherzato quando aveva detto di aver voglia di bere. Era vero. Ma non aveva intenzione di farlo, be', non quella sera almeno. Ormai sapeva che quella «sete» non finiva mai, non si placava mai. Era, e sarebbe sempre stata, una battaglia incessante, per il resto della sua vita. Una parte di lei voleva lottare ma a volte, solo a volte, le sembrava terribilmente inutile. Rosie piangeva a dirotto, seduta accanto al suo caro amico Jake Valsack, che le teneva la mano. «Be', forse ha ragione, Rosie. Se non funziona su nessun fronte, soprattutto dal punto di vista economico, che senso ha insistere?». Rosie si soffiò il naso. «Me l'ha detto così, di punto in bianco, ma doveva sapere ormai da un bel pezzo di quell'offerta di lavoro. Sai, è incinta». «Chi, Lorraine?». «NO! Quella dannata stronza della detective dei grandi magazzini!». Jake inarcò le sopracciglia spesse e folte. Non era semplice seguire i discorsi di Rosie ma gli sembrava di capire che il punto fosse che Lorraine aveva un lavoro e Rosie no, e che la loro cosiddetta agenzia investigativa era fallita. «Voglio dire, come ha potuto farmi questo, Jake? Ho ridipinto l'ufficio e abbiamo scelto insieme tutti quei mobili... So che non è molto, ma ci era-
vamo fatte mettere il telefono, io stavo pagando il word processor, un fax e... sono stata io a trovare le scrivanie, sai, e gli altri mobili. Ci sono voluti dei mesi. Come ha potuto farmi questo?». «Rosie, l'ha fatto perché non avevate lavoro, giusto? Dico bene?». «Non è questo il punto», disse lei ostinata. Jake lanciò un'occhiata all'orologio; la riunione stava per cominciare. Rosie, lo sapeva ormai da tempo, ne. avrebbe avuto ancora per un po', e qualsiasi cosa le avesse detto, lei non gli avrebbe prestato attenzione e avrebbe continuato a ripetere le stesse cose. «E cosa mi dici di quell'ex capitano, Rooney? Non mi avevi detto che vi avrebbe trovato del lavoro?». Rosie si soffiò il naso. «Oh, lui! Beve come una spugna e gli è appena morta la moglie». «Oh, mi dispiace. Non lo conosco, ma come se la sta cavando?», chiese Jake, cercando di cambiare argomento. Rosie continuò come se non ci fosse stata alcuna interruzione. «Voglio dire, se non tieni duro, sai, se non ci provi nemmeno... abbiamo comprato tutto l'arredamento e io ho fatto i chilometri per andare alle vendite di beneficenza...». Jake le strinse la mano con forza. «Rosie, tesoro, forse Lorraine ci ha provato veramente ed è arrivata alla conclusione che non poteva funzionare. Non ha funzionato». «Non ha mai dato una possibilità al nostro lavoro», ribatté Rosie seccamente. Jake sospirò, frustrato. Avrebbe dovuto presiedere la riunione di quella sera e ormai erano arrivati quasi tutti. «Rosie, devo andare, adesso. Che ne dici se ne parliamo più tardi?». «Ho bisogno di parlarne adesso, Jake». Lui cercò di controllarsi. «Rosie, ne stiamo parlando da più di un'ora ma tu continui a non voler guardare in faccia la realtà». «La realtà è, Jake, che lei mi ha scaricata. Avremmo potuto accettare il lavoro in eccesso di qualche altra agenzia». «No, tesoro, il fatto è che Lorraine ha ragione. Voglio dire, pensaci un attimo. Conosci la sua storia. Era uno sbirro che si sbronzava sul lavoro, è stata sbattuta fuori perché ha sparato a un ragazzino, Cristo santo. Hai mai pensato che forse, solo forse, nessuna delle altre agenzie correrebbe il rischio di farsi cambiare la carta igienica da un'ex drogata ed ex alcolizzata, meno che mai di affidarle i suoi casi in eccesso? Sanno di lei, quindi anche
se si trattasse di rintracciare delle auto rubate...». «Cosa che abbiamo fatto, ne abbiamo ritrovate tre». Jake si passò una mano tra i capelli radi; Rosie si rifiutava di ascoltarlo. «Adesso devo andare, quindi entra, asciugati gli occhi, soffiati il naso e andiamo. Hai bisogno di stabilizzarti». «Ho bisogno di bere, Jake». Lui chiuse gli occhi. Sarebbe stata una notte lunga, molto lunga. Stavano per tornare la punto di partenza, quando qualcuno bussò al finestrino della sua vecchia Pontiac. «Jake, sono io, ho dato il benvenuto a tutti perché non credo che verrà più nessun altro stasera. Ho già servito il caffè. Manchi solo tu». La donna dal volto sottile che indossava un abito di sartoria molto costoso si allontanò dall'auto. Phyllis Collins non guardò nemmeno Rosie, che si stava soffiando il naso rumorosamente. «Okay, Phyllis, arrivo subito». Jake scese dall'auto, poi si chinò verso Rosie. «Andiamo, Rosie». «No, non ci vengo». Jake fece un cenno a Phyllis. «Fammi un favore. Rosie ha bisogno di un po' di incoraggiamento stasera. Vi conoscete, vero?». Phyllis annuì e lanciò uno sguardo verso il sedile del passeggero. «Buonasera». Rosie non la degnò di uno sguardo e continuò a rovistare nella borsa in cerca di un fazzoletto pulito. Jake alzò gli occhi al cielo e Phyllis gli rivolse un sorriso rassicurante. «Vai pure, starò io con lei. Coraggio, non puoi farli aspettare ancora». Phyllis si sporse dentro la macchina. «Ci siamo viste qualche volta, sono Phyllis Collins». Rosie la fulminò con lo sguardo. Non ricordava di aver mai incontrato quella donna e non aveva intenzione di scendere dall'auto. «Jake non può mancare, presiede lui la riunione stasera. Ti dispiace se mi siedo qui con te?». Rosie scrollò le spalle, distolse lo sguardo ma non impedì a Phyllis di salire in auto. Se non altro, c'era qualcuno a cui poteva raccontare quello che era successo; se avesse potuto l'avrebbe detto a tutti tanto si sentiva a pezzi. «Sono appena stata scaricata». «Oh, mi dispiace, eravate sposati da tanto?». «Sono stata scaricata dalla mia socia in affari. Mi sono fatta un culo così
per lei e stasera mi ha detto che aveva trovato un altro lavoro, così di punto in bianco». Phyllis annuì, un'espressione preoccupata sul volto sottile e aperto. «Oh cara, non c'è da meravigliarsi se sei così a terra». Lorraine si passò l'asciugamano freddo sul volto sudato. Il calore nella sauna era davvero intenso e lei sapeva di poter resistere solo qualche minuto. Era sdraiata nuda sulla panca più alta, mentre altre due donne occupavano quelle più in basso, sotto di lei. Nessuna di loro parlava. Lorraine si stava chiedendo se Rosie stesse bene ma era quasi certa che in compagnia di Jake non avrebbe potuto commettere sciocchezze. Decise di liberarsi degli spiccioli che le appesantivano la borsa e di comprare una bottiglia di sidro analcolico per -tirare su il morale all'amica. Sembrava champagne e sapeva di piscio di moscerino, ma Rosie lo adorava. «Mi scusi», mormorò Lorraine scendendo dalla panca. Una delle due donne si sollevò appoggiandosi su un gomito per farla passare e rimase così a osservare la donna alta che usciva dalla sauna. Le invidiò il corpo bellissimo, snello e tonico, e poi notò le cicatrici che ricoprivano le braccia di Lorraine, i piccoli segni frastagliati del rasoio e quelli scuri e circolari delle bruciature. Quella stessa donna notò Lorraine anche nello spogliatoio, mentre si asciugava i lunghi capelli biondi e serici, spazzolandoli con cura. «Vorrei poterlo fare anch'io». Lorraine si voltò, leggermente sorpresa, chiedendosi se la donna stesse parlando con lei. «Risparmierei una fortuna dal parrucchiere. Non riesco mai a sistemarmeli, dietro». Lorraine spense l'asciugacapelli. «Oh, basta un po' pratica», disse gentilmente e riprese a spazzolarsi. Quando uscì dalla cabina, la donna stava parlando a bassa voce con un'amica. Entrambe avevano diversi chili di troppo ed erano avvolte negli asciugamani bianchi della palestra. «Era un tenente di polizia, beveva in servizio, così mi hanno detto. Conosce l'istruttore e lui ma ha raccontato che...». Lorraine sbatté la porta della cabina e le due donne si voltarono di scatto come criceti spaventati. Le sarebbe piaciuto dire loro dove potevano infilarsi l'asciugacapelli, ma non disse niente. Tutta la tensione che aveva scaricato con gli esercizi e con la sauna era tornata a impossessarsi del suo corpo. Quando raggiunse la reception della palestra, era tesa e infuriata.
Arthur, l'istruttore, le sorrise amichevolmente e la salutò: «Buonanotte!». Lorraine continuò a camminare. Bell'amico si era rivelato. Decise che non sarebbe più tornata. Sapeva soltanto che avrebbe fatto meglio a tornare subito a casa senza fermarsi a comprare il sidro per Rosie, perché la voglia di un vero drink stava cominciando a diventare incontrollabile. Phyllis e Rosie sedevano in un piccolo caffè, sul tavolino tre bottiglie vuote di Evian. Solo che non era Rosie che stava parlando dei suoi problemi e delle sue delusioni, ma Phyllis che aveva catturato l'attenzione della sua interlocutrice. «Penso di essere rimasta perché era tutto così orribile e continuavo a ripetermi 'Quando sarà tutto finito me ne andrò.' Ma non è finita, forse non lo sarà mai. A volte è così difficile starle vicino che ho l'impressione di non poterla più sopportare. È così esigente, per lei devo esserci a qualsiasi ora del giorno e della notte. Se si sveglia alle quattro del mattino, non può disturbarsi a usare l'interfono, e così si mette a urlare il mio nome. A volte mi sveglio in un bagno di sudore perché penso di averla sentita strillare e altre volte, quando sta male perché ha preso troppe pillole per dormire, mi irrigidisco per la paura e non riesco fare altro che controllarle il polso per sentire se il suo cuore batte ancora. È un momento terribile per tutti, un'autentica tragedia...». Rosie prese un profondo respiro. «Andavo sempre a vedere tutti i suoi film». Phyllis le versò l'ultimo bicchiere di Evian. «"Andavo", infatti. Credo che siano almeno quindici anni che non fa un film». Rosie si sporse verso Phyllis. «Perché, perché sopporti tutto questo? È lo stipendio? Oh, scusa, non volevo essere indiscreta, non devi rispondermi, mi dispiace». Phyllis strinse le labbra, di colpo sulla difensiva. «No, no, non è lo stipendio, credimi, e ultimamente non viaggiamo più come una volta. Non esce quasi più di casa». Rosie annuì. «Già, dev'essere terribile». «Sì, terribile, ogni volta che squilla il telefono. Non che sia lei a rispondere, si limita a urlarmi di farlo, e così la tensione cresce, sempre di più, e spero che ci sia qualche novità e ho paura che ci siano brutte notizie... Era una così bella ragazza». Phyllis cominciò a tirare su col naso, e aprì la bor-
setta per prendere un fazzolettino di pizzo. Rosie notò che la borsa era di pelle scamosciata e per tracolla aveva una catena dorata con una striscia di pelle. Doveva essere molto costosa. «Mi dispiace, scusami, ma non ho molti amici, nessuno con cui possa parlare veramente. È per questo che venire alle riunioni degli AA significa tanto per me, sai. E Jake è una cara persona, un uomo davvero fantastico». «Oh già, lo so, è un dono del cielo anche per me. Ti andrebbe un altro bicchiere d'acqua, Phyllis? O magari qualcosa di più forte, come del succo di mele?». Lorraine stava aspettando Rosie per scusarsi con lei, quando sentì dei passi pesanti sulla scale che conducevano all'appartamento. «Rosie?». Jake fece capolino dalla porta. «No, sono io. Rosie non c'è?». «No». «Farò un giro in macchina per vedere se riesco a trovarla. Ha preso molto male la notizia della chiusura dell'agenzia». Lorraine si accese una sigaretta. «Già, be', nemmeno io sono proprio dell'umore di festeggiare, Jake, ma almeno una delle due deve portare a casa i soldi dell'affitto». «Hai ragione, hai ragione. Allora, tu resta qui, io faccio un giro». «È venuta alla riunione?», domandò Lorraine con una punta di preoccupazione nella voce. «È rimasta fuori, l'ho lasciata con Phyllis come-cavolo-si-chiama. Spero solo che quelle due non siano là fuori da qualche parte a sbronzarsi. Ci vediamo». Trasalì quando, poco dopo che Jake se n'era andato, sentì un urlo che proveniva dalla strada seguito dai passi di Rosie sulle scale. Il piccolo appartamento, che aveva solo una camera da letto, un bagno minuscolo e un soggiorno con un angolo cucina, si trovava al secondo piano di una vecchia casa di Marengo Avenue. L'appartamento al piano di sotto era occupato da una famiglia ispanica sempre più numerosa. Fortunatamente, facevano molto più rumore loro e tenevano la radio e la televisione a volume così alto che quasi non si riusciva a sentire la propria voce; chiunque altro si fosse trovato costretto a vivere sotto il tuono dei passi di Rosie si sarebbe ritrovato con un esaurimento nervoso. «Ehi! Non puoi immaginare cosa sto per raccontarti». Rosie aveva salito
le scale di corsa e aveva le guance arrossate per lo sforzo. Respirava affannosamente. «Rosie, quanti te ne sei fatti?». «Ho più acqua minerale in corpo di quanta ce ne sia nell'acquedotto cittadino». Rosie scalciò via le scarpe, si tolse la giacca e gettò la borsa sul divano. Poi, tenendo le mani sui fianchi, le rivolse un sorriso raggiante che andava da un orecchio all'altro. «Penso che ci sia capitato un colpo di fortuna». «Vuoi un po' di caffè?». «No, siediti e ascoltami. Coraggio, siediti. Okay, allora, hai mai sentito parlare di una famosa star del cinema di nome Elizabeth Seal?». «No». Rosie alzò gli occhi al cielo. «Ma certo che sì, Foglia d'acero, te lo ricordi sicuramente. E certamente ti ricordi di La palude e La maschera di Vanessa, vero?». «No». «Cristo santo, l'abbiamo visto alla TV. Elizabeth Seal è famosa, avrai capito di chi sto parlando, tardi anni Settanta, anni Ottanta, era... grandiosa!». «E avresti bevuto acqua in sua compagnia?». Rosie si lasciò cadere sul divano-letto che cigolò minacciosamente. «Non essere sciocca, ti pare che Elizabeth Seal possa frequentare posti come il Joe's Diner? È una grande stella del cinema! Hai mai sentito il nome Caley? Elizabeth Caley? È il suo nome da sposata». «No». «Cristo santo, non ti credo. Elizabeth e Robert Caley sono stati sulle prime pagine di tutti i giornali, be', circa un anno fa. Ne hanno parlato tutti, anche alla TV, perché è gente famosa. La figlia dei Caley è scomparsa, mi ascolti? Anna Louise Caley, aveva diciotto anni ed è scomparsa». Lorraine stava cercando di ricordare quei nomi, ma aveva un vuoto di memoria. Non che fosse una novità per lei: c'erano stati mesi, persino anni, in cui non era riuscita a ricordare nemmeno il proprio nome, meno che mai quello di altre persone. Rosie sorseggiò il caffè. Era così eccitata che stava sudando, i suoi occhi luccicavano come quelli di una bambina. «È scomparsa senza lasciare tracce. I genitori si sono rivolti alla polizia, a medium, a parapsicologi, e hanno offerto una grossa ricompensa. Ma non hanno mai ricevuto telefonate, richieste di riscatto, biglietti, niente. Come se la ragazza fosse scom-
parsa nel nulla. I poliziotti pensano che sia stata rapita ma che qualcosa sia andato storto e che i rapitori l'abbiano uccisa... Pensano che sia stata scaricata da qualche parte e...». Mezz'ora più tardi, Lorraine sedeva tenendosi la testa tra le mani, ancora incerta del motivo per cui Rosie era così eccitata. «Voglio dire, Rosie, se, come ti ha detto questa Phyllis, i Caley si sono già rivolti alle migliori agenzie investigative, perché dovrebbero venire da noi?». «Perché nessuno è riuscito a trovare la ragazza e loro stanno ancora spendendo migliaia di dollari per scoprire che fine ha fatto. Sono immensamente ricchi, Lorraine, e continuano a sborsare denaro per ritrovare la figlia». Lorraine sollevò la mano. «Un attimo, Rosie, per favore, ascoltami. Se i... Caley, giusto? hanno già cercato negli ultimi... quanto hai detto?». «Undici mesi o giù di lì, è successo a New Orleans durante il Mardi Gras», disse Rosie con entusiasmo. «Cosa? A New Orleans? Dici sul serio?». «Già, cosa credi, che mi sia inventata tutto?». Lorraine sospirò. «Rosie, se è successo giù a New Orleans, non mi sembra probabile che assumano qualche cazzo di investigatore privato di Los Angeles, giusto?». «Sbagliato, Phyllis mi ha detto che ne hanno già assunti. Anche i poliziotti di qui si sono interessati al caso, sai?». Lorraine alzò gli occhi al cielo. «Ma se i Caley hanno speso tutti questi soldi senza ottenere risultati, cosa ti fa credere che abbiano voglia di sborsarne altri, per esempio a noi? Sarebbe questo il motivo per cui sei così isterica, vero?». «Non sono isterica, Cristo santo». «Okay, ma i fatti sono fatti, Rosie. Perché pensi che potrebbero essere interessati all'Agenzia Investigativa Page, vale a dire noi due? Il fatto che la segretaria di famiglia frequenti le riunioni degli AA insieme a te non è quella che definirei una presentazione coi fiocchi». Rosie gridò: «Mi sono guardata bene dal dirle che anche tu eri un'ubriacona, ho inventato, ho detto che eri una delle migliori in questo campo. Ho persino detto che Rooney fa parte della nostra squadra, che è un ex capitano della polizia, eccetera, eccetera. Phyllis è rimasta molto colpita, davvero molto colpita». «Sul serio?». Il sarcasmo era sprecato con Rosie. «Già, proprio così. Le ho dato il no-
stro biglietto da visita e lei mi ha detto che ne avrebbe parlato con la signora Caley». «Oh, e quando le avrà parlato, che succederà?». «Ascolta, si fidano molto di lei, lavora per loro da anni, okay? E sa che Elizabeth Caley è disperata, che sta impazzendo perché vuole sapere che cosa è successo a sua figlia e che è pronta a pagare qualsiasi cifra per scoprirlo». «E tu hai dato il nostro biglietto da visita a questa gente?». «Sì! E non sono stupida, sai, solo perché prima ero tutta agitata. Avevo accennato al fatto che la mia socia se n'era andata, ma appena ho capito che c'era in ballo qualcosa di grosso, mi sono inventata che dovevi seguire un grosso caso di omicidio, e non ho detto che volevi andare a lavorare come detective di un grande magazzino. Non sono stupida, so cosa dire quando è il caso. Le ho detto che sei molto richiesta». «Quanto dovremo aspettare perché ci richiami?». Il telefono cominciò a squillare. Lorraine spense la sigaretta e indicò l'apparecchio con un cenno del capo. «Dev'essere Jake. Era preoccupato per te. È uscito a cercarti, perciò rispondi tu». Rosie agguantò il ricevitore. Ma non era Jake, era Phyllis e voleva altre informazioni sulla Page Investigazioni da mandare al più presto possibile alla signora Caley. Rosie riagganciò, un sorrisetto sulle labbra. «Visto? Le ha parlato di noi, proprio come ti avevo detto». Il mattino seguente, dopo una frettolosa seduta di lavoro al word processor, avevano messo insieme quello che sembrava un fascicolo ragionevole: avevano inserito tutte le note di merito che Lorraine aveva ricevuto come tenente di polizia e avevano elencato i casi a cui aveva lavorato. Inoltre avevano indicato come detective della Page Investigazioni l'ex capitano William Rooney del Distretto di Pasadena, un uomo di grande esperienza e professionalità, andato in pensione di recente. Rosie uscì per portare il fascicolo appena stampato a Beverly Hills, dove vivevano i Caley. Lorraine rimase seduta nell'ufficio vuoto a rimuginare sugli ultimi avvenimenti. Di lì a un paio di giorni avrebbe dovuto dare una risposta per il lavoro ai grandi magazzini e non vedeva alcun buon motivo per trattenersi ancora lì. Forse Rosie non aveva tutti i torti, forse sarebbero riuscite a guadagnare qualche bigliettone, ma comunque ne dubitava. Il campanello dell'ufficio suonò mentre Bill Rooney entrava. «Ciao, mi hai chiamato, vero? Sai, mi trovavo da queste parti, così...». La sua voce
sembrava forzatamente allegra. «Oh, ti trovavi da queste parti? In che bar, Bill?». Rooney le mostrò il medio lasciandosi cadere sulla poltroncina girevole di Rosie. Non si era rasato e sembrava reduce da una sbronza, il suo volto ampio e florido e il suo naso a patata avevano una sfumatura violacea. Aveva il colletto della camicia sollevato da una parte e la cravatta macchiata di unto; la parte posteriore dei pantaloni era lisa e lucida e il suo completo aveva un aspetto stazzonato, come se fosse stato indossato troppo spesso. «Sembri in gran forma», disse Lorraine sorridendo. «Già, sto benone. Le cose mi vanno a meraviglia. Ho buttato metà della mia liquidazione in un'agenzia di investigazioni private che non ha mai ingranato. Non sono mai stato un uomo d'affari, non sono mai stato bravo con i soldi, e il bastardo che mi ha venduto il locale deve avermi visto arrivare - deve aver visto la scritta "coglione" che ho stampata sulla fronte. Ho preso un computer che non è compatibile con nessuno, meno che mai con me stesso, un telefono assurdo che funziona solo quando ha voglia e un'auto che ho avuto per mezz'ora prima di perderla. Non avevo ancora sistemato le pratiche dell'assicurazione, quindi non ho copertura e adesso non posso nemmeno rivendere l'attrezzatura al prezzo che l'ho pagata. Quindi non ho casi in eccesso da passarti, mi sto guardando in giro ma non mi sembra che ci sia molto lavoro. E tu, come te la passi?». Si guardò attorno e sorrise. «Vedo che anche qui l'attività ferve, non riesco quasi a sentire la mia voce per via di tutti questi telefoni che non la smettono di suonare!». «Molto spiritoso, considerando il tuo fiasco». Lorraine prese due tazze pulite e preparò del caffè. Rooney aveva sorvolato sul fatto che non era stato in condizioni di gestire un'agenzia - soprattutto con la morte di sua moglie. Lorraine era dispiaciuta per lui dal momento che, nonostante i suoi modi sgarbati, probabilmente si sentiva solo. Lo vide con la coda dell'occhio sporgersi sulla scrivania di Rosie e prendere il nuovo fascicolo dell'Agenzia Investigativa Page. «Che lettura interessante. Mi piace il modo in cui sei riuscita a omettere i tuoi anni perduti, tesoro. Leggendo questa roba sembra quasi che tu abbia lasciato la polizia piena di medaglie e riconoscimenti invece di essere stata cacciata a calci nel culo». «Già, anche la parte su di te non è male». Lorraine sbatté le tazze sul tavolo. Rooney scoppiò a ridere quando lesse la parte che lo riguardava, poi ri-
chiuse il fascicolo. «Ti ho detto che Ellen è morta?». «Sì, mi dispiace». «Già, sono andato a prendere la sua urna. Ho detto al tizio, come faccio a essere sicuro che queste sono davvero le ceneri di mia moglie? Voglio dire, so che è l'urna che ho ordinato ma avreste potuto metterci dentro qualsiasi schifezza». Rooney scosse la testa e continuò. «"È sua moglie, signor Rooney, vede c'è il suo nome sull'urna!" Che assurdità, tutta una vita che finisce chiusa dentro un barattolo di ottone grande così». Indicò la misura con le mani, poi si massaggiò il viso. «Ellen era in cucina, stava preparando da mangiare. La radio era accesa, teneva sempre la radio accesa, mi faceva impazzire. E poi è caduta, ho sentito una specie di tonfo». Lorraine versò l'acqua nella caffettiera elettrica. Rooney non sembrava parlare con lei o prestarle particolare attenzione. «Era a terra, sul pavimento, con un cucchiaio di legno ancora in mano e aveva una strana espressione di sorpresa sul viso. Era morta». «Mi dispiace, Bill». Lorraine si appoggiò contro la porta del ripostiglio. «Già, dispiace anche a me. Voglio dire, so che non dev'essere stato facile vivere con me. Non mi sono ancora occupato dei suoi vestiti, ho dovuto trasferirmi nella camera degli ospiti. Ho sempre l'impressione che da un momento all'altro mi chiami per dirmi che la cena è in tavola. Non so cosa fare della mia vita, Lorraine, sto impazzendo. La casa è troppo silenziosa, mi manca persino quella sua maledetta radio». «Li vedi ancora i ragazzi della centrale?». «No. Per un po' ci siamo frequentati ma sai com'è, una volta che sei fuori diventi un estraneo. Non ti senti più a tuo agio nei vecchi bar dove andavi a bere, e loro parlano di questo o di quel caso e se devo essere sincero è tutto troppo high-tech oggigiorno, sai, tutto è computerizzato e sta nascendo un tipo diverso di sbirro». Lorraine si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla robusta e Rooney gliela strinse per un attimo. «Non ti sto disturbando, vero?». Era dispiaciuta per Rooney e così gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. «Come hai detto tu, non siamo esattamente sommersi dal lavoro. Mi dispiace che non abbia funzionato neanche per te». Rosie entrò trafelata. «Che casa, sembra un palazzo, non ho mai visto niente di simile... giardinieri e camerieri, e il giardino è uno spettacolo, felci e fiori e piscine, due piscine e campi da tennis e... Ciao, Bill, come stai? Mi è spiaciuto davvero
molto per tua moglie». Rooney si alzò in piedi. «Grazie». «Hai mai sentito parlare di una stella del cinema di nome Elizabeth Seal?». Rooney annuì. «Certo, mi faceva impazzire». Rosie si voltò a guardare Lorraine. «Visto? Ti avevo detto che era famosa? Be', è proprio da lì che vengo, dalla casa di Elizabeth Seal, una specie di palazzo». Lorraine porse il caffè a Rooney e indicò a Rosie una tazza. «Ne prendo un po'», disse Rosie togliendosi la giacca leggera. «Hanno persino un maggiordomo inglese, non scherzo, e una governante. Mi hanno fatto aspettare nell'atrio finché Phyllis non mi ha raggiunta. È un atrio gigantesco, ci si potrebbe andare coi rollerblade. Sono pieni di soldi, puzzano di soldi, hanno quadri che valgono miliardi. Queste vecchie star del cinema sanno davvero godersi la vita». Lorraine le versò del caffè. «Phyllis ti ha detto niente riguardo al fatto che potremmo lavorare per loro?». «Nah, ha soltanto preso la busta, mi ha ringraziata e ha detto che ci vedremo dopodomani. Non mi ha nemmeno offerto un bicchiere d'acqua. A essere sincera mi sembrava molto tesa. Continuava a guardarsi alle spalle... Forse avremmo dovuto mandare un corriere». «Elizabeth Seal, mi ricordo di lei», disse Rooney chiudendo gli occhi. «È originaria di New Orleans e ha recitato in un film intitolato La palude o qualcosa del genere, un bel po' di tempo fa. Era davvero sexy...». Rosie annuì e si mise a elencare la filmografia completa di Elizabeth Seal. Lorraine si sedette alla scrivania con la sua tazza di caffè. Rooney si accigliò ascoltando Rosie, poi annuì. «Certo, certo, adesso mi ricordo, era su tutti i giornali un po' di tempo fa per una storia che riguardava una ragazza - una ragazza rapita, giusto?». Rooney si stava grattando il naso, cercando di ricordare ciò che aveva letto. «Te l'avevo detto che era su tutti i giornali, vero?». Rosie era raggiante. «Si trattava di sua figlia, il corpo non è mai stato trovato», disse Rooney con aria assorta. «Esatto, e la stanno ancora cercando. Non è successo qui a Hollywood, ma a New Orleans. È là che è scomparsa, vero?». «Sì, è svanita nel nulla», puntualizzò Rosie. «Era là con i suoi genitori per il Mardi Gras. È uscita e nessuno l'ha più vista».
Rooney si mordicchiò il labbro inferiore, poi guardò Lorraine. «Credo che sia stato un mio amico, Jim Sharkey, a occuparsi del caso qui a Los Angeles...». «Lorraine non sapeva nemmeno chi è Elizabeth Seal», lo interruppe Rosie. Il telefono si mise a squillare e Rooney trasalì dal momento che si era seduto sul bordo della scrivania vicino all'apparecchio. Fu Rosie a rispondere con aria di superiorità. «Page Investigazioni». Subito incominciò a gesticolare rivolta a Lorraine, indicandole la sua scrivania e il suo telefono. «Vuole attendere un momento in linea, vedo se la signora Page è libera». Rosie coprì il microfono con una mano e prese un profondo respiro. «Elizabeth Caley sulla uno!». CAPITOLO 2 Lorraine controllò il proprio aspetto. Le sue scarpe marrone chiaro erano malconce così se le tolse e Rosie cominciò a lucidarle con una spazzola. Rooney l'avrebbe accompagnata in auto alla residenza dei Caley, non solo per farle risparmiare i soldi del taxi ma perché, dal momento che era un ex capitano della Squadra Omicidi di Pasadena, la sua presenza avrebbe accresciuto la credibilità dell'Agenzia Investigativa Page. Rooney era entusiasta all'idea di poter riempire le sue giornate vuote e aveva recuperato qualche vecchio numero dei giornali che si erano occupati del caso della giovane Caley. Aveva sfruttato alcuni contatti che aveva ancora alla polizia per cercare di ottenere ulteriori dettagli dagli agenti che si erano occupati della sparizione. Jim Sharkey, che aveva coordinato le indagini a Los Angeles, non era stato di grande aiuto; Rooney sapeva che avrebbe dovuto almeno offrirgli una cena e portarlo in qualche locale in città per ottenere da lui delle informazioni decenti. Ma Rooney aveva già fatto qualche indagine sugli investigatori privati che la famiglia Caley aveva assunto in precedenza - ed erano tantissimi. Lorraine si rifiutò categoricamente di permettergli di cominciare a chiedere informazioni a quelle agenzie, perché aveva la sensazione che sarebbe stata soltanto una perdita di tempo. Non avevano risorse finanziarie da sprecare; non avevano risorse finanziarie, punto. Si guardò un'ultima volta allo specchio. Rosie finì di lucidarle le scarpe, e proprio in quel momento sentirono un colpo di clacson provenire dalla strada. Era Rooney che era venuto a prendere Lorraine.
L'ex poliziotto aveva fatto del suo meglio, notò sollevata Lorraine: la camicia sembrava appena uscita dalla confezione e la cravatta era sporca solo di cenere di sigaretta. «Rosie non viene con noi?», domandò lui mentre le apriva la portiera della Hyundai. «No, meglio non esagerare. Ci andiamo solo tu e io». «Bene. Sono andato a vedere il posto ieri sera: è davvero incredibile. Si trova a circa un chilometro dal Bel Air Hotel. In effetti, è così sfarzoso che per un attimo ho pensato che fosse un grande albergo». «Già», disse Lorraine. «Allora, come pensi che dovremmo comportarci?». Rooney guidava con cautela. Portava gli occhiali scuri perché il sole di metà gennaio era così caldo e abbagliante che sembrava di essere in estate. «Lascia parlare loro, noi restiamo seduti e li ascoltiamo. Non dobbiamo metterla giù dura, be', non subito. Non sembrare troppo buona. Non vogliamo dare l'impressione di essere disperati». Lorraine annuì, guardando fuori dal finestrino. «Che idea ti sei fatta del caso?», le chiese lui con noncuranza. Lorraine si appoggiò contro lo schienale del sedile, gli occhi chiusi. «Be', da quello che ho letto sui giornali che hai portato credo che si tratti di un rapimento andato male - nessun biglietto, nessuna richiesta di riscatto... Probabilmente, la ragazza è morta già da molto tempo. E tu che idea ti sei fatto del caso?». Rooney imboccò l'Autostrada per San Diego, la 405, poi sul Sunset Boulevard svoltò in direzione di Beverly Hills. «Be', da quanto ho capito, la ragazza non era tipo da fare cose strane. Conosceva la zona, c'era stata diverse volte, i suoi genitori avevano delle case da quelle parti. Forse se n'è andata di sua spontanea volontà, ma era Mardi Gras, quindi chissà... Se otterremo questo caso, scopriremo molte cose su New Orleans. Da qui non si può fare molto, gli agenti di Los Angeles hanno semplicemente raccolto le dichiarazioni dei familiari e dei dipendenti». «E hanno scoperto qualcosa?». «Per quanto ne so, non hanno scoperto un cazzo». «Nessuna richiesta di riscatto», ripeté Lorraine tra sé e sé. Rimase immersa nei suoi pensieri per un'altra decina di minuti, poi aprì gli occhi. «Ti ricordi di quel caso, nel 1986, di quella ragazzina scomparsa e ritrovata diciotto mesi più tardi che faceva la ballerina a Las Vegas? La famiglia era
convinta che l'avrebbero trovata morta ma la trovarono che indossava un perizoma e qualche lustrino sulle sue nuove tette siliconate». Rooney scosse la testa. «No, non me lo ricordo». Si fermò a un semaforo rosso, poi svoltò a Beverly Hills. Lorraine si accese una sigaretta con l'accendino dell'auto. «Il motivo per cui me lo ricordo è il tempo che ci è voluto per rintracciarla. Diciotto mesi. Se vogliono che lavoriamo su questo caso, dobbiamo ricordarci che ci vuole del tempo per rintracciare chiunque, che sia vivo o morto», disse Lorraine pensierosa. Rooney allungò una mano per aprire lo scomparto portaoggetti, prese una busta e la porse a Lorraine. «Sono una specie di direttive generali sulle spese. Me le ha date un mio amico un po' di tempo fa, sai, quando pensavo di fare l'investigatore privato. Sono informazioni utili. Se otteniamo il lavoro dobbiamo sapere quanto chiedere. Prova a darci un'occhiata». Lorraine scorse rapidamente le voci, poi rimise i fogli nella busta; aveva già un'idea piuttosto precisa di quanto chiedere, ma quella cifra non si avvicinava neanche lontanamente ai prezzi che facevano altre agenzie dotate di apparecchiature sofisticate che andavano dalle microspie alle camcorder ai database computerizzati. «Ci faremo pagare meno delle altre agenzie ma racconteremo le stesse palle che raccontano loro sulle apparecchiature tecnologiche. Non dobbiamo sembrare troppo a buon mercato». Lorraine ripose la busta e si affrettò a richiudere lo scomparto portaoggetti quando scorse una bottiglia di bourbon. «Giusto», grugnì Rooney, mentre passavano accanto ad alte siepi e a ville sfarzose protette da guardie private e cancelli elettronici. «Non ti sembra che queste case somiglino a delle prigioni?», le domandò e Lorraine fece una risatina. «No, niente affatto. Se fossi stato dentro, non diresti che queste ville sembrano delle prigioni». Raggiunsero una piccola rotonda con un cartello che indicava il Bel Air Hotel. Svoltarono a sinistra, oltrepassando il Bel Air, e continuarono a percorrere la strada silenziosa. Rooney rallentò. «È la prossima casa sulla sinistra». Notò che Lorraine raddrizzava la schiena e si sistemava la giacca. Aveva un aspetto favoloso e, in confronto al suo corpo massiccio e malsano, sembrava in gran forma. Incredibile, considerando il modo in cui si era punita. La sua resistenza continuava a sorprenderlo e lui l'ammirava molto. Non molto tempo prima,
era stata arrestata per ubriachezza molesta e vagabondaggio, ma aveva fatto molta strada da allora. Fermò l'auto davanti al cancello, abbassando il finestrino da cui entrò una folata di aria calda. «Cazzo, il tempo è davvero impazzito, un minuto prima sta piovendo a dirotto e un minuto dopo si muore dal caldo». Allungò una mano per premere il pulsante del citofono e annunciò il loro arrivo. Il cancello rimase chiuso per un paio di minuti, poi si aprì silenziosamente. Da dove si trovavano, non si poteva vedere la casa ma il giardino era ancora più esotico e rigoglioso di quanto aveva detto Rosie. Era come una gigantesca serra di felci e sempreverdi, palme di ogni forma e dimensione che costeggiavano il viale d'accesso ricoperto di ghiaia chiara. Oltrepassarono campi da tennis, prati curati alla perfezione e aiuole dai colori sgargianti, irrigate da annaffiatoi che le facevano fiorire in ogni stagione. I getti d'acqua che tracciavano nell'aria ampi archi davano al giardino un'atmosfera evanescente e surreale. Solo quando ebbero percorso una lunga curva nel viale, riuscirono a vedere la casa. La costruzione a tre piani in stile coloniale dalle colonne bianche sembrava uscita da Vìa col Vento - e ci si sarebbe aspettati di vedere da un momento all'altro Rossella O'Hara scendere di corsa la scalinata bianca dicendo «Perdindirindina!» Ma non c'era nessuna Rossella. Al suo posto un maggiordomo in uniforme attendeva impettito davanti alla porta principale riccamente intagliata. «Rosie aveva proprio ragione». Lorraine era senza parole. «Soldi», mormorò Rooney. Un domestico comparve dal nulla per aprire la portiera a Lorraine. Lei esitò per un attimo prima di scendere e notò che Rooney era già grondante di sudore quando cominciarono a salire la scalinata. «Buongiorno, volete seguirmi per favore, signori?», disse il maggiordomo con aria altezzosa. Era inglese, il suo volto gelido e privo di espressione. Il pavimento di marmo bianco dell'atrio era così lucido che scintillava. Il maggiordomo li condusse verso una porta a doppio battente dalle decorazioni dorate alta fino al soffitto. «La signora Caley vi raggiungerà subito», disse l'uomo facendoli accomodare nella stanza. Ovunque c'erano divani bianchi coperti da cuscini bianchi di seta e satiri, e tutto era bianco su bianco con ornamenti dorati. La carta da parati bianca di seta giapponese era decorata con sagome scintillanti di uccelli in volo, e tra gli immensi specchi appesi su tutte le pareti c'erano grandi dipinti a olio che ritraevano Elizabeth Caley in tutti i ruoli che aveva interpretato nei suoi film.
«Ah, me la ricordo in quello», mormorò Rooney, osservando un dipinto. «Si intitolava La palude e lei danzava con un grosso serpente». «I signori gradiscono qualcosa da bere?», domandò il maggiordomo, con aria seccata, come se avesse appena sentito un cattivo odore. Lorraine chiese un bicchier d'acqua. Rooney avrebbe voluto una birra ma scrollò le spalle. «Va benissimo anche per me, solo acqua». L'austero maggiordomo uscì dalla stanza e Lorraine e Rooney poterono osservare meglio il locale in cui si trovavano, quasi intimoriti all'idea di sedersi e rovinare l'immacolata perfezione dei cuscini. Rooney scelse una sedia Luigi XV, ma quando si fu accomodato, temette di essere troppo pesante per le gambe affusolate della sedia. Lorraine si guardò attorno, notando le molte fotografie racchiuse in bellissime cornici che ritraevano una giovane ragazza. Ne indicò una. «Questa dev'essere la figlia». Lanciò un'occhiata verso la porta, poi si avvicinò alla pareteper esaminare la fotografia con attenzione. La ragazza era straordinariamente bella, aveva lunghissimi capelli biondi, il nasino all'insù e occhi grandi e chiari. Lorraine si sedette al centro del grande divano, sprofondando così tanto da sentirsi in imbarazzo: il suo peso aveva disturbato la perfetta simmetria dei cuscini. «Non credo che sia il caso di fumare qui», disse tra sé e sé, osservando il tavolino da caffè dal ripiano di marmo su cui erano sistemati con cura soprammobili d'oro e di bronzo. Niente che somigliasse a un posacenere. Abbassò gli occhi, si guardò le scarpe, quasi invisibili nel folto tappeto bianco, e temette che la rapida lucidatura di Rosie potesse lasciare qualche macchia. Alzò lo sguardo quando sentì il tintinnio di cubetti di ghiaccio in un bicchiere. Una cameriera in uniforme nera e grembiule bianco entrò portando un vassoio con vari tipi di acqua ghiacciata - frizzante, naturale, con limone in alti bicchieri di cristallo e contenitori d'oro e d'argento. Lorraine quasi non riuscì a nascondere un sorriso quando Rooney borbottò un grazie e la sedia su cui era seduto scricchiolò minacciosamente. La cameriera porse a entrambi l'acqua che avevano scelto, poi posò il vassoio sul tavolino. Mentre lasciava la stanza, comparve Phyllis. «Non alzatevi, prego. Sono Phyllis Collins, l'amica di Rosie. Lei dev'essere Lorraine. Posso chiamarla, ehm... Lorraine?». Attraversò in fretta il salotto per stringerle la mano, poi si rivolse a Rooney. «E lei dev'essere William Rooney, Rosie mi ha detto tutto di lei. La prego, non si alzi, la si-
gnora Caley è stata avvertita del vostro arrivo e sarà da voi tra poco». Lorraine annuì. Rooney si sentiva sempre più a disagio, ma almeno non aveva più caldo. Anzi, nella stanza in cui si trovavano faceva quasi freddo. «Questo è stato un periodo molto difficile», disse Phyllis, fermandosi accanto alla sedia gemella di quella su cui sedeva Rooney. «Ci sarà anche lei mentre...». Lorraine non sapeva come descrivere l'incontro. «No, no, la signora Caley mi ha detto che voleva restare sola con voi. Sono solo la sua dama di compagnia. Dovrebbe scendere da un momento all'altro». Attesero per tre quarti d'ora. Parlarono dei film e dei dipinti di Elizabeth Caley e degli anni che Phyllis aveva trascorso in Inghilterra, ma ogni volta che Lorraine cercava di portare la conversazione sul motivo per cui erano lì, la donna si affrettava a cambiare argomento. Lorraine aveva bevuto due abbondanti bicchieri d'acqua e ne rifiutò un terzo perché sapeva che altrimenti avrebbe avuto bisogno del bagno. Rooney aveva mandato giù in poche sorsate il suo bicchiere e ora rimpiangeva di aver chiesto acqua gasata perché si sentiva lo stomaco pieno di gas. Un orologio batté le ore e tutti e tre guardarono la grande pendola di bronzo dorato che si trovava sulla mensola bianca del camino. «Immagino che queste siano fotografie della signorina Caley», disse Lorraine, indicando una delle cornici d'argento. Phyllis annuì e stava per dire qualcosa, quando nell'atrio risuonò il ticchettio di scarpe coi tacchi a spillo e il maggiordomo aprì la porta a doppio battente. «La signora Elizabeth Caley». Phyllis fece le presentazioni e Lorraine si alzò in piedi, i cuscini che si sparpagliavano attorno a lei. Rooney si alzò a sua volta, facendo cigolare la sedia, ma la signora Caley si limitò a fare un gesto con la mano verso di lui che tornò subito a sedersi. Elizabeth Caley sfiorò gentilmente la mano protesa di Lorraine, poi rivolse un sorriso cordiale a Rooney che arrossì immediatamente. Era perfettamente truccata, proprio come ci si sarebbe aspettati da una diva del cinema degli anni Cinquanta o Sessanta - capelli neri e lucidi erano pettinati all'indietro e raccolti da un semplice fermaglio di tartaruga per mettere in risalto il volto forte e bellissimo. Da lontano poteva sembrare ancora una donna di poco più di trent'anni, eppure aveva più di cinquantacinque anni e i molti lifting a cui si era sottoposta davano alla sua pelle un aspetto di fra-
gile falsità. La camicetta scollata color crema mostrava soltanto l'attaccatura dei seni quasi sicuramente rifatti, la semplice gonna nera e i collant chiari mettevano in risalto le bellissime gambe, e i sandali dai tacchi alti accentuavano la snellezza delle caviglie. Rooney era senza parole. Il cuore gli batteva forte nel petto e il profumo di Elizabeth Caley sembrava avvolgerlo completamente, un'intensa fragranza di magnolia che sembrava sottolineare il candore soffice della sua pelle. Era una donna ancora bellissima e sexy. Aveva labbra piene e rosse, in tinta con le unghie lunghe e curatissime, e all'anulare portava un anello con un diamante e uno smeraldo grandi come uova di un piccolo uccello. I suoi modi erano affascinanti, discreti. Si sedette su una piccola sedia dorata dallo schienale rigido e fece cenno a Phyllis che doveva andarsene con un movimento quasi impercettibile del capo. Phyllis si richiuse silenziosamente la porta alle spalle. «Mia figlia». La signora Caley indicò con un gesto aggraziato della mano una grande fotografia a colori su un tavolino di cristallo e Rooney e Lorraine si voltarono entrambi a guardare. I capelli di Anna Louise Caley erano chiari quanto quelli di sua madre erano scuri. I loro grandi occhi erano molto simili ma quelli di Elizabeth erano marrone scuro mentre quelli della figlia erano, a giudicare dalla fotografia, azzurro chiaro. Sulle sue labbra dolci e quasi infantili aleggiava un sorriso timido e misterioso. «È molto bella», disse Lorraine dolcemente. «Sì, davvero». Ma Rooney non riusciva a staccare gli occhi dalla signora Caley. Stava ripensando a tutti i suoi film e quasi dovette darsi un pizzicotto per rendersi conto che era davvero seduto a pochi passi da lei. «So che si è già rivolta a diverse agenzie investigative», esordì Lorraine, mentre la signora Caley fissava il vuoto con aria assente. «Quindi se dobbiamo riaprire il caso...». «Non è mai stato chiuso», disse la signora Caley a bassa voce. «Mi scusi, naturalmente non è mai stato chiuso, ma se la Page Investigazioni deve iniziare delle indagini sulla scomparsa di sua figlia, dovremo rivolgerle molte domande. Potrebbe essere doloroso per lei, ma forse riusciremo a scoprire...». La signora Caley chinò la testa. «Una traccia?». «Sì. Spesso quando un'agenzia come la mia affronta un caso partendo da zero, può scoprire qualcosa che ad altri può essere sfuggito o parso insigni-
ficante». La signora Caley annuì, osservando l'anello luccicante che portava al dito. «Il motivo per cui ho deciso di incontrarvi è che Phyllis mi ha spiegato che vi siete già occupati di altri casi simili in passato». Rooney si accigliò e rivolse a Lorraine uno sguardo interrogativo. Lei lo ignorò, chiedendosi che cosa si fosse inventata Rosie, e impiegò un attimo a trovare una risposta accettabile. Parlò con voce bassa e rassicurante. «Rintracciare una persona scomparsa può essere un'operazione lunga e costosa, e non possiamo garantire il successo della ricerca. Ma detto questo, con la mia esperienza di tenente al Dipartimento di Polizia di Pasadena e con la collaborazione del mio socio, il signor Rooney, ex capitano della squadra omicidi, possiamo assicurarle che...». «Non lascerete niente di intentato?». I grandi occhi di Elizabeth Caley si spostarono da Lorraine a Rooney e poi tornarono a fissarsi sull'anello. Fece una breve risata. «Mi hanno promesso la stessa cosa anche tutti gli altri, cara, e onestamente non mi interessa quanto può costarmi o quanto tempo ci vorrà. Voglio ritrovare mia figlia perché ogni giorno è come un incubo, ogni telefonata una speranza, e ogni notte...». Prese fiato e deglutì, e un attimo dopo aveva riacquistato la sua compostezza. Se quella era una prova d'attrice, i suoi film dovevano essere ottimi. «Non ho mai perso la speranza, anche se molti mi hanno lasciato intendere che dopo tanto tempo...». Prese un altro profondo respiro e si accarezzò il collo latteo con le dita affusolate. «Lei ha figli, signora Page?». «Sì, ho due figlie», rispose Lorraine a bassa voce. «Be', allora sono sicura che capisce che cosa significhi essere madre. Ogni sera faccio un segno nel mio diario, un altro giorno è passato, un'altra notte che mi aspetta senza il mio tesoro, e prego, ho pregato tanto. E ho pianto così tanto che credo di aver esaurito le lacrime». La donna fece un altro gesto lento e aggraziato per indicare la foto della figlia. «Fisso il suo viso e continuo a chiederle, dove sei? Oh tesoro, mia cara bambina, dove sei?». Rooney era quasi in lacrime. Lorraine si mostrava ragionevolmente commossa ma niente le toglieva dalla testa che la signora Caley stesse parlando, o recitando, come se fosse in un dei suoi film. Idea o convinzione che si rafforzò quando Elizabeth Caley si alzò in piedi di scatto e cominciò a camminare su e giù per la stanza, trasudando struggimento, mentre continuava ad andare avanti e indietro su quel tappeto più bianco del bianco, la voce ora leggermente più acuta.
«Era il quindici febbraio. Eravamo a New Orleans, ci andavamo sempre per il Mardi Gras. Anna Louise non è scesa per cena, ma eravamo arrivati solo da poche ore e abbiamo pensato che forse non aveva fame». Elizabeth Caley si diresse verso uno dei tavolini di cristallo occupati interamente da fotografie su fotografie della ragazza - come debuttante a un ballo del Mardi Gras, a una festa di compleanno a sorpresa, alla prima di un film. Per un attimo Elizabeth sembrò quasi danzare davanti a quelle immagini, poi accarezzò con la punta delle dita una piccola cornice dorata, le lacrime che cominciavano a rigarle le guance impeccabilmente truccate. «Non mi arrenderò, non posso arrendermi». Per poco Rooney non si inginocchiò davanti a lei, ormai diventato un suo fan per la vita. Lorraine sperava soltanto che la signora Caley la smettesse di recitare e cominciasse a parlare chiaro, in modo che potessero discutere di quanto tempo avevano per lavorare sul caso. Per tutto il monologo della diva, Lorraine aveva riflettuto su quanto denaro chiedere perché tutti e tre potessero lavorare al caso, compresi i pasti e le spese del viaggio e, dato che naturalmente avrebbero dovuto andare a New Orleans, l'albergo, il noleggio di un'auto, eccetera. Lorraine si schiarì la gola per attirare l'attenzione della signora Caley. «Signora Caley, se vuole che la Page Investigazioni cominci a lavorare, possiamo discutere per un attimo dell'aspetto finanziario...?». La donna si voltò di scatto a guardarla. «Naturalmente voglio che cominciate, perché pensa che vi abbia invitati qui? Voglio assumervi, voglio che troviate mia figlia, non sono stata sufficientemente chiara?». Lorraine si passò la lingua sulle labbra. «Bene, ma ci deve spiegare esattamente che genere di contratti ha stipulato con le altre agenzie, dal momento che gli investigatori privati sono molto territoriali e...». «Non hanno fatto niente! Sono passati undici mesi, undici mesi e non m'importa chi abbiamo assunto. Nessuno di loro ha trovato anche solo un indizio di dove si trovi mia figlia». Era una performance da premio Oscar, la voce sempre più alta ed emozionata. Prese una delle fotografie di sua figlia e se la strinse con forza al petto. «È una ragazza dolce e innocente, non è possibile che sia semplicemente scomparsa, dev'essere da qualche parte. Qualcuno mi sta facendo questo, mi si spezza il cuore». Lorraine guardò Rooney che ormai era ipnotizzato, e sperò che le venisse in aiuto. Era certa che la signora Caley stesse raggiungendo il culmine della sua interpretazione e che di lì a poco sarebbe crollata su di loro. A quel punto avrebbero dovuto tornare un'altra volta, forse più di una volta
prima di riuscire a ottenere un accordo scritto. Ma in quel momento, con sua grande sorpresa, la porta si spalancò. «Elizabeth, Elizabeth!». La signora Caley si voltò, tendendo la fotografia della figlia in un gesto teatrale di disperazione. «È viva, Robert, lo so, è viva. Non mi arrenderò, non mi arrenderò». Robert Caley non degnò Lorraine nemmeno di uno sguardo e fece un cenno a Phyllis che attendeva alle sue spalle sulla soglia. «Phyllis, accompagna Elizabeth in camera sua. Subito». «No, Robert, non voglio andare. Devo parlare con queste persone, loro ritroveranno Anna Louise». Anche Robert Caley sembrava una stella del cinema. Aveva il viso segnato da rughe profonde messe in risalto dalla bella abbronzatura, e i suoi folti capelli neri brizzolati sulle tempie gli davano un'aria austera che s'intonava perfettamente con l'acciaio della sua voce controllata e con i suoi penetranti occhi blu scuro. «Ti prego, Elizabeth, vai in camera tua. È inutile che ti agiti in questo modo, e che continui a tormentarti così». Con l'aria di una ragazzina dispettosa, Elizabeth rimise la foto al suo posto. Fece il broncio e disse con voce petulante: «Hanno ottime referenze, caro. Diamogli almeno una possibilità... diamo una possibilità ad Anna Louise». Robert Caley fissò il tappeto per un attimo e Lorraine si accorse che stava cercando disperatamente di controllare la propria rabbia. Poi l'uomo alzò lo sguardo e la fissò freddamente. «Mia moglie, come avrà notato, signora Page, è sconvolta. Penso che sia meglio che lei se ne vada. Al momento, ci sono anche troppe agenzie investigative, oltre alla polizia, che cercano di rintracciare mia figlia e non abbiamo bisogno di assumere nessun altro. Non sprechi il suo tempo». Elizabeth Caley affrontò suo marito, le mani strette al petto. «Voglio che comincino oggi pomeriggio, Robert, insisto. La signora Page ha due figlie, sa cosa prova una madre, e mi è stata caldamente raccomandata...». «Davvero? Io credo che l'unica cosa che interessi alla signora Page sia dissanguarti, Elizabeth. Questa cosa deve finire. Non ti permetterò di portare in casa nostra questa gente». Lorraine fece un passo avanti. «Mi scusi, signor Caley». Lui spostò quello sguardo freddo e arrogante nuovamente su di lei. «No, lei deve scusarmi, signora Page, perché non so che razza di storia
ha raccontato a mia moglie ma non credo assolutamente che lei sia qualificata per aiutarci a rintracciare mia figlia. Ne abbiamo abbastanza dei giornalisti, dei parassiti che si definiscono investigatori privati, gente a cui interessa solo quanto possono spremerci, gente che non è in grado di trovare Anna Louise meglio di...». «Mi scusi», ripeté Lorraine. «Non permetterò che mia moglie si affidi ad altri...». Lorraine lo interruppe di nuovo: «Altri cosa, signor Caley?». L'uomo trasse prese un profondo respiro, distolse lo sguardo per un attimo e infine tornò a fissare Lorraine. «Impostori, signora Page, e penso che lei sia il punto più basso che abbiamo toccato fino a questo momento. Vede, so tutto della sua agenzia, sempre che si possa definire in questo modo, e sono al corrente dei suoi trascorsi da ubriacona. È stata cacciata dalla polizia per aver sparato a un ragazzino innocente. Lei è un'alcolizzata priva di qualsiasi esperienza nel campo dell'investigazione privata. Quanto al fatto che anche lei è madre, so che non ha contatti con le sue figlie fin da quando ha divorziato. Forse le agenzie che abbiamo assunto non sono riuscite a rintracciare mia figlia ma sono state molto abili e molto veloci nel raccogliere informazioni su di lei. Quindi le sarei grato se se ne andasse da casa mia e non tornasse mai più». Lorraine si sentì sprofondare. Si voltò e prese la sua borsa. Rooney, che se n'era rimasto seduto, immerso nei suoi pensieri come un Buddha silenzioso, si fece avanti, con il volto arrossato. «Signor Caley, sono Bill Rooney, e prima che cominci con me, se ha fatto fare delle ricerche anche sul sottoscritto, saprà certamente che sono appena andato in pensione dalla polizia. Ho incominciato a lavorare con la signora Page...». «Andatevene, per favore». «Oh, me ne vado subito, signor Caley, ma non prima di aver messo in chiaro un paio di cose. La signora Page può anche essere stata un'alcolizzata, ma non lo è più. E ha pagato un prezzo molto alto. Ma ciò che sta facendo adesso è ciò che sa fare meglio, e io lo so bene perché ho lavorato con lei per molto tempo. Conosce la strada e ha più intuito di qualsiasi altro agente con cui abbia mai lavorato, ed è meglio di qualsiasi detective privato che possiate trovare a Los Angeles o in qualsiasi altro posto. Se vostra figlia è viva, lei la troverà e senza dissanguare né lei né sua moglie, perché prima di tutto Lorraine Page è una professionista. Grazie per l'ac-
qua minerale». Il volto di Rooney era ancora più rosso quando si voltò e tese la mano a Lorraine. Non ne aveva mai avuto così bisogno da quando aveva smesso di bere. Stavano per andarsene quando Elizabeth Caley afferrò il braccio di Lorraine. «No, per favore, non se ne vada...». Non stava recitando adesso, la giovinezza era scomparsa lasciandole il viso segnato dal dolore. «Ritrovi la mia bambina, la prego. Oh Dio, mi aiuti, la prego». Rooney cercò di trascinare Lorraine fuori da quella stanza, mentre la signora Caley si voltava implorante verso il marito. «Non mandarli via, non puoi mandarli via. Non farmi perdere la speranza, non farmi questo, ti scongiuro». Robert Caley si arrese. Aveva perso tutta la sua rabbia e ora sembrava solo molto stanco. Senza guardare né Rooney né Lorraine, disse: «Siete assunti per due settimane, tutte le spese pagate, qualsiasi cosa vi serva, qualunque sia la vostra tariffa. Se volete parlare con me, potete trovarmi al lavoro durante le ore di ufficio. Phyllis, per favore, porta Elizabeth in camera sua a riposarsi e poi prepara un contratto». Se ne andò senza aggiungere altro. Elizabeth Caley sospirò, appoggiandosi alla porta. «Sono troppo stanca per parlare adesso, dovrete tornare un'altra volta. Magari domani, ci penserà Phyllis». «Grazie, signora Caley», disse Lorraine. Elizabeth le fece cenno di avvicinarsi. Aveva riacquistato il controllo di sé, e ora sembrava quasi distaccata. «Voglio parlarle in privato. Vuole accompagnarmi in camera mia?». Rooney le osservò allontanarsi, poi rivolse un sorriso a Phyllis. Lei chiuse bruscamente la porta, chiaramente infuriata perché Rosie le aveva mentito. Fissò i suoi piccoli occhi gelidi su Rooney. «Allora, qual è la vostra tariffa, signor Rooney?». «Saremo in tre a lavorare a questo caso. Mille dollari la settimana». Phyllis annuì. «Tremila la settimana più le spese, che immagino saranno le stesse delle altre agenzie, dico bene?». Rooney per poco non rimase a bocca aperta; aveva pensato a mille dollari alla settimana per tutti e tre. «Mi serviranno le ricevute di tutte le vostre spese», tagliò corto Phyllis e cominciò a sfogliare un piccolo blocco per gli appunti. Rooney le sorrise, raggiante. «Gliele faremo avere, signorina Collins». Non riusciva a credere che fossero stati così fortunati.
Lorraine non entrò a vedere la camera da letto di Elizabeth Caley. Quando arrivarono alla porta, la donna l'attirò verso di sé. «Riuscirà a trovarla?». «Farò del mio meglio, signora Caley». Lei annuì, mordicchiandosi il labbro inferiore, poi le si avvicinò ancora di più. «Voglio darle un incentivo. Se riuscirà a trovarla, avrà una ricompensa di un milione di dollari». Lorraine sbatté le palpebre. «Un milione di dollari». «Sì. Voglio che ritrovi mia figlia, signora Page». Lorraine si voltò a guardare l'ampia scalinata poi, dopo un momento, cercando di mantenere la voce il più ferma possibile, ripeté: «Un milione di dollari?». La signora Caley annuì. Lorraine spostò il peso da un piede all'altro. Parlò a bassa voce, quasi quanto la signora Caley, ma non esitò. «Viva o morta, signora Caley?». «Se riuscirà a trovarla, viva o morta che sia, signora Page, riceverà un compenso di un milione di dollari». «Posso averlo per iscritto?». La morbida mano bianca dalle unghie rosso sangue strinse quella di Lorraine rapidamente ma con fermezza, e lei ancora una volta ebbe l'impressione che Elizabeth Caley fosse due persone allo stesso tempo; in pubblico, era la stella del cinema, l'attrice consumata, ma sotto quell'apparenza c'era qualcos'altro, qualcosa che non aveva notato prima. Elizabeth Caley era molto, molto spaventata. Da vicino, le pupille dei suoi occhi marroni erano incredibilmente dilatate, e Lorraine si rese conto che quella donna faceva uso di un qualche genere di droga. Solo quando ebbero oltrepassato il cancello della villa, Rooney si lasciò sfuggire un fischio. «Mille dollari a testa per due settimane, più tutte le spese. Biglietti d'aereo, alberghi, abbiamo carta bianca per tutto. Cazzo, Rosie aveva ragione, possiamo guadagnare un bel po' di soldi con questa storia». Lorraine gli lanciò un'occhiata obliqua, poi fissò la strada davanti a loro. «C'è anche una ricompensa», disse a bassa voce. Rooney sembrò sorpreso. «Se troviamo Anna Louise, la signora Caley ci darà un milione di dollari». Lui frenò bruscamente e lei dovette appoggiare le mani contro il cruscotto per non cadere dal sedile. «Cosa? Stai scherzando?».
«No, non sto scherzando. Ce lo metterà per iscritto». Si allacciò la cintura di sicurezza. «Che mi venga un colpo, un milione di dollari. Cristo santo». Lorraine fece un sorrisetto. «Viva o morta». «Oh cazzo». Scosse la testa incredulo. «Solo un'altra cosa, Bill, be' due in effetti. Grazie per quello che hai detto di me a quel bastardo di Caley». Rooney diede gas. «Non è niente, ho solo detto quello che pensavo, quel tizio mi aveva veramente fatto incazzare. E quale sarebbe l'altra cosa, come ci dividiamo il bottino?». Lorraine sorrise. «No, quello ce lo divideremo in tre parti uguali. È solo che sono io a dirigere questa indagine, Bill, non tu. Sono io che do gli ordini, capito?». Rooney annuì. «Certo, ho capito, il capo sei tu». «Sì, proprio così», disse a bassa voce, poi lanciò un urlo e diede un pugno sulla spalla robusta di Rooney. «Un milione di dollari!». CAPITOLO 3 Quello stesso pomeriggio, Lorraine, Rooney e Rosie cercarono di decidere come cominciare le indagini sulla scomparsa di Anna Louise Caley. Per prima cosa avrebbero chiesto ai Caley un anticipo sul pagamento. Rooney si sarebbe rivolto agli agenti che erano stati o erano tuttora coinvolti nelle indagini a Los Angeles. In quel modo, non sarebbero stati costretti a fare molte domande ai signori Caley, e prima di interrogarli Lorraine voleva raccogliere il maggior numero di informazioni possibile. Sarebbe stato necessario controllare tutti i giornali che avevano parlato della scomparsa della ragazza, recuperando alla biblioteca i vecchi numeri e fotocopiandoli. Non vedevano l'ora di cominciare. Un milione di dollari era un incentivo veramente straordinario. Quella sera Rooney si incontrò con il detective Jim Sharkey - la cui somiglianza con Dean Martin aveva dell'incredibile - per una cena a base di alcolici. All'inizio il detective si tenne sul vago; per come la vedeva lui, la polizia aveva fatto tutto il possibile. «L'opinione comune è, o era, che la ragazza sia stata rapita da sconosciuti, anche se non è mai stata inoltrata alcuna richiesta di riscatto. Ci sono stati altri casi simili che sono stati archiviati molto prima di questo». Rooney tirò su col naso. «Questo significa che spariscono un sacco di
ragazze senza lasciare traccia?». «Già, molte, Bill, e tu dovresti saperlo. Abbiamo un fascicolo che pesa una tonnellata sui ragazzi scomparsi, e stiamo cercando di controllarli tutti. Credimi, abbiamo passato tutto questo tempo a occuparci del caso Caley solo perché è gente molto influente. Comunque la ragazza è scomparsa a New Orleans e non abbiamo potuto fare granché da qui. Abbiamo persino mandato un paio di agenti a fare qualche indagine là, ma non hanno scoperto niente. Non erano ragazzini alle prime armi e ci hanno consigliato di lasciar perdere». «E voi avete rinunciato?». «Già, non abbiamo trovato niente a Los Angeles e abbiamo interrogato tutti gli amici della ragazza». «Faceva uso di droghe?». «No, era pulita. Sai, dal momento che dopo undici mesi non abbiamo trovato nemmeno il cadavere, alcuni dei nostri uomini hanno pensato che forse la ragazza se n'è semplicemente andata». Bill sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Avete scoperto qualcosa di scomodo sui genitori?». Sharkey gli rivolse uno sguardo interrogativo. «Cosa? Vuoi scherzare? Hanno assunto i migliori detective privati e se avessero qualcosa a che fare con la scomparsa della figlia, credimi, ce ne saremmo accorti. E quella stronza si è consumata gli occhi a forza di piangere». «Vuoi dire la signora Caley?». Sharkey annuì. «Dev'essere stata una gran bella donna anzi, lo è ancora. Gesù, che corpo! Ti dico la verità, Bill, non mi sono mai piaciute le donne più grandi di me ma, dannazione, le darei volentieri una bella ripassata, sul serio». Rooney annuì. Il fatto che da più di vent'anni nessuno dei due fosse stato con una donna senza doverla pagare non impediva al loro classico ego maschile di pensare che avrebbero potuto. Si scolarono qualche altra birra, poi passarono alla vodka. La cena era stata lunga. A mezzanotte chiamarono un taxi e tornarono al distretto di Sharkey, nei quartieri alti di Los Angeles. Sharkey reggeva bene l'alcool e anche se non era in servizio non volle che Rooney entrasse alla stazione di polizia con lui. Farsi vedere con l'ex capitano Bill Rooney che sembrava una distilleria ambulante, avrebbe potuto causargli dei problemi, soprattutto considerando ciò che aveva accettato di fare. Rooney attese in taxi. Ci volle quasi un'ora prima che Sharkey tornasse
da lui e gli porgesse uno spesso fascicolo pieno di informazioni fotocopiate sul caso. Era stata una serata costosa, pensò Rooney, mentre Sharkey intascava le banconote strizzandogli l'occhio. Aveva chiesto cinquecento dollari e la garanzia che non sarebbe mai stato fatto il suo nome, anche nel caso che qualcuno avesse chiesto loro come avevano ottenuto quelle informazioni. Rooney quasi non fece caso ai trentacinque dollari di taxi che dovette sborsare, tanto era ansioso di mostrare a Lorraine il suo bottino. Lorraine rimase a studiare il fascicolo per tutta la notte. A quanto pareva, Anna Louise Caley era una ragazzina socievole, benvoluta e viziata. Nessuno dei suoi compagni di scuola che erano stati interrogati aveva fatto un solo commento negativo su di lei. Sia gli studenti che gli insegnanti erano d'accordo nel definirla molto carina, persino bellissima; nessuno aveva fatto riferimento ai suoi risultati scolastici, ma Anna Louise Caley era molto apprezzata come giocatrice di tennis, nuotatrice, cavallerizza e atleta. Non aveva avuto un ragazzo fisso, ma Lorraine trascrisse i nomi dei ragazzi che avevano ammesso di essere usciti qualche volta con lei prima della sua scomparsa. Decise che avrebbe cominciato da loro. Nel fascicolo comparivano molti nomi di studentesse che avevano dichiarato di essere state le migliori amiche di Anna Louise. E Lorraine decise che le avrebbe interrogate subito dopo i ragazzi. Poi sarebbe passata agli allenatori e agli insegnanti del college. Sarebbe stata una corsa contro il tempo: dal momento che aveva soltanto due settimane, aveva deciso di dedicare due giorni e non di più alle ricerche a Los Angeles. Il mattino dopo, l'Agenzia Investigativa Page era in piena attività per la prima volta da quando aveva aperto. Il telefono squillava in continuazione e Rosie si affannava, cercando di rispondere a tutte le chiamate. Lorraine indicò un grande pannello di sughero su cui aveva appuntato la lista dei nomi delle persone che avrebbe interrogato, controllato o escluso dalle indagini se fosse stato il caso. «Okay, Rosie, prendi nota di tutti i nomi in ordine alfabetico degli studenti che dovrò sentire. Li cancelleremo man mano che li avrò interrogati e andremo avanti così». Rosie annuì. Era bello avere tanto da fare, finalmente. Il compito di Rooney era quello di scoprire se nelle altre agenzie assunte dai Caley lavorava qualche suo ex collega disposto a vendergli, come aveva fatto Sharkey, qualche informazione valida sul caso. Fece una lista delle agenzie e l'appuntò sul pannello di sughero. «Mio Dio, si occupano tutti dello stesso caso?», chiese Rosie.
«Già. I Caley stanno spendendo una montagna di soldi». Lorraine mordicchiò la matita, poi se la infilò tra i capelli. «Okay, allora faremo così: io mi occuperò dei ragazzi del college, tu Bill comincerai a vedere cosa riesci a scoprire sui Caley e cercherai di ricontattare i tuoi vecchi colleghi, se sarà necessario. Rosie, tu resterai qui a tenere il fortino, ti chiameremo appena scopriamo qualcosa. Ma la cosa più importante di tutte è mettersi al lavoro il più in fretta possibile... d'accordo?». Rooney annuì e Rosie gli porse un biglietto su cui aveva appuntato il numero del telefono dell'auto di Lorraine. «Così potremo tenerci costantemente in contatto», disse con un sorriso raggiante. Lorraine lanciò un'occhiata a Rooney e ammiccò. «È proprio questo il punto, Rosie!». Lorraine aveva noleggiato una Buick dell'88 che aveva visto giorni migliori, e si preparò alla noiosa e laboriosa serie di interrogatori che l'aspettava. Armata di una fotografia di Anna Louise, parlò con quindici studenti dell'UCLA. Affrontare ragazze giovani, piene di esuberanza e di voglia di parlare la stancò terribilmente, e il ritratto mentale che a poco a poco si stava facendo di Anna Louise era sostanzialmente lo stesso che emergeva dai fascicoli della polizia. Far sentire i ragazzi a loro agio era molto difficile e il suo sorriso si faceva sempre più forzato, ma Lorraine non si diede per vinta. A mezzogiorno, restavano soltanto due nomi sulla sua lista. Si recò ai campi da tennis del college per parlare con Angie Wellbeck, un'altra «migliore amica» di Anna Louise secondo il rapporto di Sharkey. Dopo Angie, avrebbe dovuto parlare anchecon uno dei ragazzi che erano usciti con Anna Louise, Tom Heller. Angie indossava pantaloncini da tennis, una T-shirt bianca, Reebock e calzini con dei ponpon sulle caviglie. Portava le racchette da tennis in una borsa sportiva bianca dall'aria molto professionale. Continuò a giocherellare con la tracolla del borsone, mentre rispondeva alle domande che Lorraine aveva già posto a tutti gli altri studenti - andava d'accordo con Anna Louise? Qualcuno l'aveva in antipatia? Qualcuno avrebbe potuto avercela con lei? Chi erano i suoi amici? prendeva droghe e beveva troppo? In sostanza, che tipo era la ragazza scomparsa? Angie sedeva su una panchina, lo sguardo basso, e Lorraine notò che aveva il viso spruzzato di lentiggini. «Era molto carina ed era sempre vestita alla moda, sa, se qualcosa era in, AL era sempre la prima a saperlo».
«AL?», domandò Lorraine, pur sapendo benissimo che si trattava di un nomignolo. L'aveva sentito anche troppe volte quel giorno. «Già, la chiamavano tutti AL. Sa, Anna Louise è un nome noioso. Non intendo dire che lei fosse noiosa, solo il suo nome». Angie non disse niente di negativo, per lei Anna Louise era assolutamente perfetta. Accennò soltanto al fatto che non era molto brillante negli studi, ma che era fantastica negli sport e molto competitiva. «Competitiva in che senso?», volle sapere Lorraine. «Be', le piaceva vincere, a tennis soprattutto. Giocavamo spesso insieme, a volte in doppio. Suo padre è un giocatore favoloso, le ha insegnato lui a giocare, se non sbaglio, dev'essere per questo che era così brava. Aveva un rovescio straordinario, molto potente, anche se il servizio non era il suo forte. Comunque era un'ottima tennista. Credo che si allenasse molto». «Si arrabbiava quando perdeva?». «Certo». «Diventava aggressiva?». «A volte sì». «Se la prendeva con qualcuno in particolare?». «No, sembrava che fosse più che altro arrabbiata con se stessa». «Cosa vuoi dire?». «Se non riusciva a prendere una volée, cominciava a insultarsi». «Ah! Quindi non l'hai mai vista litigare o alzare la voce con qualcuno?». «No, ma forse dovrebbe parlare con le altre. Voglio dire, io giocavo spesso con lei ma non ero l'unica. Era Tilda Brown quella che giocava sempre con lei. Era molto vicina ad AL, ma non è più tornata a scuola dopo la sua scomparsa anche se credo che questo lei lo sappia già». Lorraine annuì, sottolineando il nome di Tilda nel suo blocco degli appunti. «Avevate tutte lo stesso allenatore?». «Oh no, AL era molto ricca, sa, e il suo istruttore era un ex campione, un vero professionista. A chi non sarebbe piaciuto farsi allenare da lui?». La ragazza ridacchiò. «E questo era motivo di gelosia nei suoi confronti?». Lorraine ormai stava cominciando ad annoiare persino se stessa. «Sì, ma non aveva niente a che fare col tennis». Lorraine guardò Angie che stava giocherellando con la fascetta che si era tolta dalla fronte. «Cosa vuoi dire?». «Jeff Nathan, l'istruttore, è una specie di star del cinema. Credo che alle-
ni un sacco di gente famosa. Una volta sono andata a casa di AL e abbiapao giocato in doppio con Nathan e il signor Caley. È stata l'unica volta che l'ho incontrato». «L'istruttore?». «Sì e anche il padre di AL. È stato molto gentile». I compagni di tennis di Angie sembravano impazienti, così la ragazza chiese se poteva andare. Lorraine non aveva altro da chiederle. Come tutti gli studenti con cui aveva parlato, Angie non le aveva detto niente di fondamentale su Anna Louise ma anche lei, come altre tre ragazze, aveva nominato l'affascinante istruttore di tennis. «Tu eri la sua migliore amica?», chiese Lorraine mentre Angie si alzava, ansiosa di andarsene. La ragazza si voltò e sorrise. «Non so se ero la sua migliore amica, forse era Tilda, ma tutti le volevano bene - era una ragazza davvero adorabile». Il volto di Angie si adombrò per un attimo e la ragazza esitò, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Crede che le sia successo qualcosa di terribile?». Lorraine distolse lo sguardo mentre Angie le si avvicinava. «Qualcuno mi ha detto che potrebbe essere stata assassinata, è così?». «Non lo so davvero, ma grazie del tempo che mi hai dedicato». «Okay. Ora devo andare. Arrivederci». Angie raggiunse altre tre ragazze che indossavano completi da tennis molto simili. Si voltarono a guardarla e sorrisero. Lorraine rimase seduta per un attimo a osservare le ragazze che facevano gli esercizi di riscaldamento. Anche se non aveva mai giocato a tennis, a giudicare dalla forza con cui colpivano la palla, quelle ragazze dovevano essere ottime giocatrici. Così, se AL, come si diceva, era anche più brava di loro, doveva essere stata una tennista davvero straordinaria. «Avrebbe potuto intraprendere la carriera agonistica, se solo l'avesse voluto». Lorraine era nei pressi dei campi da squash e stava parlando con Tom Heller. Il ragazzo era alto almeno un metro e ottantacinque ed era bello in modo quasi banale. Quando Lorraine gli chiese se avesse giocato a tennis regolarmente con Anna Louise, lui scrollò le spalle. «Certe volte, durante i week-end, a casa sua. Suo padre è un grande giocatore». Lorraine annuì. «E cosa sai dirmi del suo allenatore...».
«Jeff Nathan? Certo, ho giocato anche con lui a casa di Anna Louise. Dà lezioni private». «Ti era simpatico?». Lui si accigliò. «Lo conoscevo a malapena». «E ad Anna Louise era simpatico?». «Non lo so». «Uscivi con lei, non è vero?». «Ci sono uscito solo qualche volta, non era niente di serio. Siamo stati a qualche festa sulla spiaggia, ma in realtà eravamo solo amici». «Hai fatto sesso con lei?». Il ragazzo arrossì. «No». «Sai se Anna Louise era sessualmente attiva?». «No, be', non più di chiunque altro». «Quanti ragazzi conosci che hanno avuto una relazione sessuale con Anna Louise?». Tom Heller arrossì di nuovo. «Come le ho già detto, non lo so. Siamo usciti insieme qualche volta ma niente di più». «E il suo allenatore? Che tu sappia, c'era qualcosa tra di loro?». Il ragazzo lanciò a Lorraine un'occhiata disgustata. «Non ne ho idea». D'improvviso l'aria di sufficienza del ragazzo le fece perdere la calma. «Senti, Tom, giusto? Allora, sto cercando di rintracciare Anna Louise, è scomparsa da undici mesi e potrebbe essere benissimo morta o magari potrebbe essere a Las Vegas a fare la ballerina. Sto solo cercando di fare il mio lavoro, d'accordo? Perciò se si scopava questo istruttore di tennis e magari tu, dal momento che eri suo amico potresti saperlo, ti sarei grata se mi dicessi...». «Non ne ho idea». «Sai dove posso trovare questo Nathan?». «Forse al Bel Air. È là che gioca». «Ti ringrazio molto, e scusa se ho interrotto la tua partita!». Era quasi l'ora di pranzo quando Lorraine chiamò l'ufficio dal telefono della macchina. «Allora, come va?». «Bene, sto aspettando che Bill telefoni per raccontarmi qualche novità», rispose Rosie. «Sto andando a parlare con l'insegnante di tennis. Tu cosa stai facendo?». Rosie fece una smorfia. «Un sacco di cose, devo prenotare l'hotel, i bi-
glietti aerei e...». Il secondo telefono incominciò a squillare sulla scrivania di Rosie. «Resta in linea, Lorraine, potrebbe essere Bill». Era proprio lui, che chiamava per informarla che non aveva scoperto molto dalle altre agenzie coinvolte nel caso Caley, ma che aveva intenzione di insistere. Rosie riferì tutto a Lorraine, che le disse di suggerire a Rooney di andare a sentire la medium a cui si erano rivolti i Caley. Rosie lo disse a Rooney e ascoltò la sua risposta, tenendo entrambi i ricevitori contro l'orecchio prima di tornare a rivolgersi a Lorraine. «Bill dice che sarà soltanto una stramaledetta perdita di tempo». Lorraine ribatté bruscamente: «Digli che lo è stato anche parlare con un branco di ragazzini fissati col tennis, ma prima di trasferirci a New Orleans dobbiamo seguire tutte le piste possibili anche qui, diglielo!». Rooney sentì le sue parole e scoppiò in una risata fragorosa e, senza smettere di ridere, disse a Rosie di dire a Lorraine che il capo era lei, ma quando lei cercò di farlo la linea era già caduta. Rosie riappese entrambi i ricevitori e cominciò a leggere il manuale del telefono per scoprire come collegare le due linee. Jeff Nathan aveva il genere di corpo muscoloso su cui le donne sono solite fantasticare. La sua T-shirt bianca e attillata e i suoi candidi pantaloncini mettevano in risalto un fisico atletico e abbronzato, molto attraente, ma quasi subito Lorraine si accorse che i suoi muscoli molto probabilmente servivano ad attirare uomini altrettanto atletici e abbronzati. «Lei è gay, signor Nathan?». «Caspita, lei è molto aggressiva». «No, non credo che questa sia una domanda aggressiva ma devo assolutamente conoscere la risposta. Vede, signor Nathan, sto cercando di ritrovare una ragazza scomparsa undici mesi fa e se voi avete avuto una relazione sessuale...». L'uomo sorrise, e abbandonò il suo atteggiamento da macho del tennis. «Sì, sono gay, signora Page», disse, guardando il biglietto da visita di Lorraine. «Grazie. Allora, mi parli un po' di Anna Louise Caley». «Be', ero il suo istruttore personale, e devo confessare che ho perso una buona fonte di reddito. Anna Louise avrebbe potuto giocare a livello agonistico, era molto coordinata, molto forte ma aveva un gravissimo difetto: se commetteva uno sbaglio, non riusciva a dimenticarsene. Se la prendeva a tal punto con se stessa che finiva per rovinare il resto della partita. Più si
arrabbiava, peggio giocava». Inclinò leggermente la testa di lato. «Vede, in realtà la conoscevo soltanto come allenatore, posso parlarle del modo in cui giocava ma non so niente della sua vita privata». «E cosa mi dice di suo padre?», domandò Lorraine. Nathan scrollò le spalle. «Un buon giocatore, potente ma non abbastanza veloce. Aspettava sempre che fosse la palla ad andare da lui, non sapeva usare il campo. Ad Anna Louise non interessava diventare una giocatrice professionista, l'unica cosa che voleva era battere suo padre ma non c'è mai riuscita anche se aveva tutte le doti per farcela». «Le ha mai fatto delle avance?», chiese Lorraine mentre si dirigevano verso il campo. Trovava il sorriso rifatto di Nathan davvero poco attraente ma si rendeva conto che per una ragazzina avrebbe potuto essere devastante. «Farmi delle avance? Mia cara, purtroppo questo è il motivo per cui la gente, be', in realtà le donne o le ragazze, continuano ad assumermi. Devo sembrare e comportarmi come uno stallone». «E lei lo era con Anna Louise?», tentò Lorraine un'ultima volta. «Ero cosa? Uno stallone? Oh, per cortesia...». Sul suo volto abbronzato comparve un'espressione divertita. «Quindi Anna Louise era infatuata di lei?». Lui sorrise, mostrando i suoi denti bianchissimi e perfetti. «Forse, ma le assicuro che non era nel mio interesse cercare di incoraggiarla in quel senso. Come le ho già detto, i Caley mi pagavano bene per allenare la ragazza e io sarei stato uno stupido a giocarmi così la mia generosa paga settimanale». «Settimanale?». «Già, anche se certe volte andavo a casa loro e Anna Louise non se la sentiva di giocare, i suoi genitori mi pagavano comunque». Nathan si voltò a salutare una donna bionda e minuta con indosso un completo da tennis bianco, che si trovava dall'altra parte del campo. «Devo andare, ma se avrà ancora bisogno di parlare con me sa dove trovarmi. Lei gioca?». Lorraine guardò la donna bionda che stava cercando inutilmente di mandare una palla al di là della rete. «Credo di essere brava più o meno come la signora!». Nathan scoppiò a ridere e in quel momento Lorraine provò simpatia per lui. «Grazie per il tempo che mi ha dedicato». Non aveva ottenuto molto, o almeno niente che non comparisse già nei documenti della polizia. Lo guardò giocare con la sua «studentessa», e osservandola meglio si accorse che la donna andava per la cinquantina. Po-
veretta, pensò, dev'essere infatuata di Jeff proprio come le altre. Ammirò i muscoli guizzanti dell'istruttore mentre portava un cesto pieno di palle da tennis al centro del campo. «Cominciamo a scaldarci con qualche colpo facile, d'accordo signora Fairley? Vediamo se ha fatto progressi». Lorraine tornò al parcheggio dove aveva lasciato la macchina ma ebbe il tempo di sentire la signora Fairley squittire molti «Oooppps» e «Oh, mi scusi...», mentre le palle che colpiva finivano immancabilmente contro la rete. Lorraine era assolutamente esausta e irritata quando lasciò il campus universitario. Forse era colpa della giovinezza degli studenti, della loro noncuranza, ma nessuno le aveva detto niente di davvero importante sulla ragazza scomparsa. L'unica cosa che aveva scoperta era che Anna Louise s'incazzava terribilmente quando mancava una volée. Lorraine chiamò Rosie in ufficio dal telefono della macchina. «Qualche novità?». «No, non ancora», rispose Rosie. «Rooney è andato da quella sensitiva?», volle sapere Lorraine. «Penso di sì, ma secondo lui è solo una perdita di tempo». «Già, okay. Io sto andando dai Caley. Non ho ancora scoperto niente di importante, quindi parlerò con i genitori. Ti chiamo quando ho finito». «Oh, credo che Rooney volesse essere presente all'incontro con i Caley, ricordi?». «Rosie, sono io che dirigo le indagini, non Bill Rooney». Rosie aveva appena riappeso quando Rooney entrò trafelato nell'ufficio. Lei gli sorrise. «Lorraine ha appena telefonato, sta andando dai Caley». «Cazzo, volevo esserci anch'io». «Lo so, gliel'ho detto, ma lei mi ha risposto che è lei che dirige le indagini, così...». Rooney lanciò il cappello sull'attaccapanni, mancandolo, poi si tolse la giacca. Aveva la camicia fradicia di sudore. «Be', io ho trovato un contatto. Un mio vecchio amico che era in polizia una decina di anni fa, adesso lavora con l'agenzia più importante a cui si sono rivolti i Caley, la Agnews. Per la verità, non credo che lavori ancora, ha una buona pensione d'invalidità. Povero bastardo, gli hanno riempito una gamba di piombo... Abbiamo appuntamento questa sera». «Come si chiama?».
«Nick Bartello». Rooney si accigliò. «È italiano, giusto?». «Già. Dubito che a Lorraine piacerà molto. Non se si conoscevano, erano in due dipartimenti diversi. Lui era all'antidroga, lei alla omicidi con me». «Perché dici che non le piacerà?». «Perché è tale e quale al suo vecchio partner, Lubrinski, lo stesso genere di uomo. Lui e Nick hanno lavorato insieme per qualche tempo, poi Lubrinski è passato alla mia squadra». «Chi sarebbe questo Lubrinski?». Rooney si accigliò. «Lorraine non te ne ha mai parlato?». «No». Rosie cominciò a preparare del caffè. «Lui e Lorraine lavoravano insieme alla vecchia stazione di polizia». «E allora perché non dovrebbe piacerle questo Nick? Se è un tuo amico forse può darci qualche informazione interessante». «Forse. Allora Lorraine non ti ha proprio mai parlato di Lubrinski?». Rosie tornò a sedersi alla scrivania ingombra. «No...». «È morto». «Be', forse è per questo». «Lubrinski era un vero duro, uno sbirro straordinario. Anzi, devo dirti, Rosie, che, quando lavoravamo in polizia, ho visto tanti bravi agenti crollare: alcuni sono morti, altri non ce l'hanno fatta, mentalmente intendo, ma Lubrinski è l'unico agente per cui abbia pianto quando ho saputo della sua morte. Non solo perché era un detective straordinario, ma anche perché era un amico. Era imbattibile quando facevamo a gara a chi beveva di più. Povero, pazzo figlio di puttana. Quando l'ho messo in coppia con Lorraine, ho immaginato che avrebbero fatto scintille insieme...». «E...?», domandò Rosie distrattamente. Ma quando si accorse che Rooney non le rispondeva, alzò lo sguardo. L'ex capitano stava fissando il vuoto. «Erano una coppia straordinaria, i migliori agenti che abbia mai avuto. Lui venne ferito durante una sparatoria, si beccò tre pallottole. Morì dissanguato in ambulanza. Lorraine aveva cercato di fermare l'emorragia, facendogli un laccio emostatico con i suoi collant... ma non funzionò. Morì prima di arrivare in ospedale. Lei non voleva lasciargli la mano. Un'infermiera mi disse che furono costretti a trascinarla via, mentre Lorraine continuava a ripetere che sarebbe guarito, che ce l'avrebbe fatta». Rosie inarcò le sopracciglia. «Be', non me ne ha mai fatto parola. Poi co-
s'è successo?». Rooney sospirò, agitandosi sulla sedia. «Lorraine chiese di tornare in servizio immediatamente. E più o meno sei settimane dopo uccise quel ragazzino...». Rosie sapeva del giovane a cui Lorraine aveva sparato per errore durante una retata antidroga. «Forse rivolgersi a questo Bartello non è una buona idea. Forse Lorraine non vuole ripensare al passato». «È stato molto tempo fa», disse Rooney, cercando di cambiare argomento. «E Nick è un tipo in gamba». Il telefono cominciò a squillare, e Rosie si distrasse. Mentre rispondeva, non sentì Rooney mormorare a bassa voce: «Penso che fosse innamorata di Lubrinski». Rosie coprì il ricevitore con una mano e con l'altra fece un cenno a Rooney. «È Nick Bartello». «Ehi, Nick, come stai? Allora hai avuto il mio messaggio. Allora possiamo vederci? Beviamo qualcosa insieme, ti va? Certo, dove sei?». Rooney scarabocchiò qualcosa sul blocco degli appunti di Lorraine. «Okay, sarò lì tra mezz'ora...». Riagganciò lentamente. «Okay, ora devo andare. Se Lorraine chiama dille che sono al Joe's Diner, voglio capire che intenzioni ha Nick». Prese la giacca. «Rosie, non dirle niente di Lubrinski. Come ti ho detto, è stato tanto tempo fa, e non voglio che Lorraine pensi che abbiamo spettegolato su di lei, okay?». Rosie annuì, distratta ancora una volta dallo squillo del telefono. Fece appena in tempo a sollevare il ricevitore, che Rooney era già uscito. Era Robert Caley che chiamava per avvertire Lorraine che sua moglie non si sentiva bene e che lui sarebbe stato a casa e non in ufficio come al solito. I suoi modi erano bruschi, freddi. Rosie pensò che doveva essere un uomo abituato a dare ordini. Telefonò a Lorraine che andò su tutte le furie quando le riferì il messaggio di Caley. Infatti proprio in quel momento si stava dirigendo al Watergarden di Santa Monica, dove si trovava l'ufficio di Robert Caley. Non menzionò Nick Bartello o Lubrinski, e mentre Lorraine riagganciava bruscamente, come aveva fatto Robert Caley, si chiese cosa le avesse detto Rooney di Lubrinski. Si rese conto, tutt'a un tratto, di quantopoco sapeva sul passato di Lorraine, e questa consapevolezza la fece sentire a disagio, forse anche perché significava che lei non conosceva davvero l'ex tenente Lorraine Page, la donna con la quale condivideva la casa. Lo stesso austero maggiordomo introdusse Lorraine nel salotto di Caley.
Lorraine non si sederra, ma si mise a osservare le fotografie di Anna Louise magnificamente incorniciate e disseminate in tutta la stanza. Fu una foto in particolare ad attirare la sua attenzione: Anna Louise in piedi tra Nathan e suo padre, che le circondava le spalle con un braccio, come se la stesse esibendo all'obiettivo, un'espressione di puro orgoglio paterno sul viso. Trascorsi dieci lunghi minuti. Lorraine studiò i grandi dipinti a olio che ritraevano Elizabeth Caley nei suoi vari ruoli cinematografici. Era una donna dalla bellezza davvero straordinaria. Si avvicinò al quadro che le aveva indicato Rooney, che mostrava Elizabeth, poco più che ventenne, nei panni di uno dei suoi primi personaggi. Portava vistosi cerchi d'oro alle orecchie e un turbante azzurro di seta, simile a quelli che erano solite indossare alcune donne di colore, intrecciato in una strana foggia che Lorraine non aveva mai visto prima, con il tessuto annodato in vari punti così da dare l'impressione che la donna indossasse una corona. Aveva le spalle nude, la pelle scurita artificialmente, ed era coperta soltanto da uno scialle dai colori sgargianti. Nella cornice dorata c'era una targa che diceva: «Marie Laveau, Regina di New Orleans». Guardando prima il ritratto di Elizabeth Caley e poi le fotografie di Anna Louise e suo padre, Lorraine non riusciva quasi a notare alcuna somiglianza. Ormai erano trascorsi venti minuti. Lorraine controllò l'orologio, poi la pendola sul camino. Erano quasi le cinque del pomeriggio. Stava per uscire dalla stanza quando il maggiordomo riapparve e, fermandosi sulla soglia, con un gesto le indicò di seguirlo, guardandosi bene dallo scusarsi per averla fatta aspettare così a lungo. Lorraine seguì la figura silenziosa e vestita di nero oltre l'ampia scalinata, lungo un corridoio che conduceva in una grande serra meravigliosamente illuminata dal sole. Doveva trattarsi di un'aggiunta alla villa, pensò lei. C'era una tale profusione di piante tropicali che sembrava di trovarsi in un gigantesco negozio di fiori, il profumo intenso della magnolia e del gelsomino aleggiavano nell'aria e la condensa appannava i pannelli di vetro più bassi. Si addentrarono in quella giungla e raggiunsero uno spiazzo ombreggiato da piante che si alzavano da grandi vasi dipinti di bianco. Un grande gazebo schermato da tende bianche dominava il fondo del giardino, e allegri cuscini giallo primula adornavano i mobili laccati di bianco. Al centro del gazebo si trovava un tavolo con del succo d'arancia ghiacciato, un cestello del ghiaccio con due bottiglie di Chablis e un vasto assortimento di bicchieri. «La signora Caley la raggiungerà tra poco». Il maggiordomo la invitò a
sedersi con un cenno e si fermò accanto al tavolo. «Posso offrirle del vino, del succo d'arancia o...». «Solo acqua», disse Lorraine seccamente, infastidita per quella lunga attesa. Si accomodò su una sedia di vimini bianca, spostando di lato il cuscino giallo, godendosi l'ombra proiettata dalle tende di mussola. Il maggiordomo le versò dell'acqua in un bicchiere pieno di ghiaccio e con delle pinze d'argento infilò una fetta di limone sul bordo del bicchiere. «Grazie». Lorraine prese il bicchiere e rimase a guardare il maggiordomo mentre stappava il vino, soppesava la bottiglia e l'avvolgeva in un tovagliolo immacolato prima di riporla nel cestello del ghiaccio. «Con permesso, signora Page». Fece due passi indietro prima di voltarsi e incamminarsi nuovamente verso la casa. Lorraine guardò l'orologio; era lì da più di un'ora e dal momento che aveva solo due settimane di tempo per risolvere il caso, ogni minuto era prezioso. Sorseggiò l'acqua ghiacciata e, scorgendo un grande posacenere di cristallo, si sporse in avanti per prenderlo. Esitò per un attimo, poi accese una sigaretta. Si guardò attorno e riuscì a vedere i campi da tennis in lontananza. Si alzò e si incamminò lungo lo stretto sentiero. Alla sua destra, c'erano due campi da tennis, alla sua sinistra, una grande piscina circondata da schiere di sdraio, ciascuna coperta da un asciugamano giallo chiaro e affiancata da un basso tavolino. Oltre la piscina, c'era una costruzione simile a una pagoda dove dovevano trovarsi le docce e gli spogliatoi. Un sentiero costeggiato da fontanelle d'acqua conduceva a un giardino in stile giapponese, o almeno così immaginò Lorraine, osservando gli innumerevoli alberi bonsai. La piscina e i campi da tennis erano deserti. A parte il cinguettio degli uccelli, tutto era immerso nel silenzio: un silenzio snervante. Controllò l'orologio ancora una volta e trasalì quando il signor Caley comparve dal nulla. «Mi spiace di averla fatta aspettare. La sua segretaria le ha detto che mia moglie è indisposta? È per questo che oggi sono qui e non in ufficio». Non attese alcuna risposta alle sue scuse. Era in piedi vicino al tavolo e si stava versando un bicchiere di vino. Ci fu un momento di esitazione e lei lo vide lanciare un'occhiata al suo bicchiere d'acqua. Non le offrì il vino, ma si riempì il bicchiere e si accomodò su una delle sedie di vimini dai cuscini gialli. Voltandosi, pre'se il cuscino e lo gettò sulla sedia accanto alla sua. Era vestito in modo informale, aveva pantaloni beige, una camicia di seta azzurra con le maniche rimboccate e mocassini. Robert Caley sollevò il bicchiere verso Lorraine come per brindare, ma lei non riuscì a cogliere l'espressione dei suoi occhi, nascosti da un paio di occhiali da sole dalla
montatura dorata. Tutto in Robert Caley era lussuoso, dagli abiti firmati all'orologio d'oro che portava al polso sinistro, al braccialetto d'oro attorno al polso destro. Non aveva la fede nuziale. «Ha un giardino bellissimo». «Mmm, troppo ordinato per i miei gusti, mi ricorda un set cinematografico. Tuttavia ha la sua utilità». Lorraine tornò a sedersi e avvicino a sé il suo bicchiere, sentendosi impacciata. «Mia moglie cerca di evitare il sole, la sua pelle è troppo pallida». A Robert Caley, invece, il sole doveva piacere molto; era uno di quegli uomini che dovevano essere abbronzati dodici mesi all'anno. Sembrava molto sicuro di sé e non tradiva la minima fretta di chiederle il motivo del loro incontro. Lorraine spense la sigaretta e sentì gli occhi di Caley che la scrutavano da dietro le lenti scure. Si schiarì la voce e accavallò le gambe, allungando una mano sotto la sedia per prendere la borsa. «Lei gioca a tennis, signora Page?». «No». Lui sorrise, sorseggiando il vino. «Come immaginavo. Però frequenta una palestra, giusto?». Lorraine odiava arrossire così finse di rovistare nella borsa in cerca del blocco degli appunti. «Sì, ma visto che i suoi controlli sono stati molto accurati, sono certa che sa che fino a poco tempo fa non ero esattamente nella mia forma migliore». Caley alzò nuovamente il bicchiere verso di lei. «Be', oggi mi sembra davvero in gran forma. È bionda naturale?». «Sì, ma ho fatto i colpi di sole». All'improvviso, Lorraine scoppiò a ridere perché quella conversazione era ridicola. Nessun uomo le aveva mai chiesto se era bionda naturale. «Anche mia figlia ha i capelli biondi, biondo cenere, ma credo che lei lo sappia, ha le fotografie». «Sì, ho ricevuto le foto, grazie. Volevo ringraziarla anche per aver mandato subito l'anticipo che le abbiamo chiesto». «Ah, è merito di Phyllis». Caley prese la bottiglia e si riempì nuovamente il bicchiere. «Vuole altra acqua?». Lorraine scosse la testa. «Credo di non andare molto a genio al suo maggiordomo. Mi fa venire in mente un personaggio di quella serie televisiva inglese che andava in onda molti anni fa».
Caley scoppiò a ridere, una risata piacevole, calda e profonda, e accavallò le gambe, appoggiandosi allo schienale della poltrona. «In effetti, ha ragione. Una volta faceva l'attore. Molti attori inglesi vengono qui a Hollywood in cerca di lavoro. E non trovandone, cercano di adattarsi, ma Peters ormai è con noi da molti anni. Credo che la sua interpretazione ormai sia quasi perfetta. Gli altri componenti della servitù vengono da casa, o meglio dalla vecchia casa di Elizabeth a New Orleans - Berenice è la nostra governante, Sylvana e Maria sono le cameriere e in più c'è Mario, l'autista. Credo che abbiamo anche circa quattro giardinieri che si occupano del giardino e della piscina». Lorraine prese qualche breve appunto sulla servitù. «Posso farle qualche domanda?». «Naturalmente, è per questo che è venuta qui. Dica pure». «Parlando con gli amici di sua figlia, ho scoperto che era molto benvoluta da tutti. In realtà, è piuttosto raro che quando...». «È molto benvoluta», la corresse lui, infastidito perché Lorraine aveva parlato di Anna Louise al passato. «Ho conosciuto il suo allenatore, Jeff Nathan». Caley annuì. «Sì, è un ottimo istruttore e Anna Louise è una tennista fantastica. Speravo che volesse intraprendere la carriera agonistica, è un'atleta nata». «E lei?». L'uomo si sporse in avanti. «Mi scusi?». «Anche lei è un atleta nato?». «Buon Dio, no, ma non siamo qui per parlare di me. Ha scoperto qualcosa di nuovo dalle persone con cui ha parlato?». «No, purtroppo no, credo proprio che io e i miei collaboratori dovremo recarci a New Orleans quando avremo finito le indagini qui a Los Angeles». Caley annuì, sorseggiando il vino. «So che ha già vissuto e rivissuto questa storia anche troppe volte, signor Caley, ma potrebbe raccontarmi esattamente che cos'è successo il giorno della scomparsa di sua figlia?». Robert Caley finì il suo bicchiere e si alzò. «Abbiamo fatto colazione. Mia moglie stava finendo di fare le valige, così c'eravamo soltanto Anna e io. Lei era di buon umore, non vedeva l'ora di partire. In genere andiamo a New Orleans durante le ultime settimane del Carnevale, ormai da molti anni. È solo dopo Pasqua che si sa quando ci sarà il Mardi Gras, e così può
cadere un qualsiasi martedì dall'inizio di febbraio in poi, fino al 9 marzo». Lorraine sorrise e consultò i suoi appunti. «Grazie. Così lo scorso anno siete partiti il quindici febbraio?». «Sì. Alle nove e mezza circa ho parlato con mia moglie che mi ha detto che lei e Anna sarebbero state pronte per mezzogiorno. Io dovevo occuparmi di alcuni affari in ufficio, e quando sono tornato, poco prima delle dodici, i bagagli erano già stati caricati sulla Limousine. Ho fatto una doccia e mi sono cambiato. Siamo partiti per l'aeroporto verso le dodici e trenta». La sua voce era priva di espressione, forse perché aveva raccontato quella storia troppe, troppe volte. Si mise le mani in tasca e raggiunse il limitare del gazebo, appoggiandosi a una delle colonne. «Ho un jet privato. Non l'ho guidato io perché dovevo controllare alcuni documenti durante il volo, così ci siamo serviti del mio pilota personale, Edward Hardy. Anna era seduta accanto a sua madre, e stava sfogliando delle riviste. A un certo punto ha chiesto a Elizabeth se poteva mandare Phyllis a comprarle un abito da sera che aveva visto nelle pagine di moda. Allora mia moglie ha chiamato Phyllis per mettersi d'accordo con lei, poco prima che atterrassimo. La mia auto era già pronta e siamo andati direttamente in hotel. Anna Louise era molto eccitata, come sempre, aveva in programma di vedere un'amica». Lorraine scorse i suoi appunti. «E quell'amica sarebbe Tilda Brown, giusto?». Caley annuì e Lorraine continuò: «E quindi siete andati subito in albergo?». «Sì, prenotiamo sempre due suite comunicanti per tutto il mese del Mardi Gras». «All'Hotel Cavagnal?». «Sì, in rue Chartres. È un vecchio albergo nel cuore del quartiere francese. Da una parte dà su un giardino, dall'altra direttamente sulla strada». «Perché preferite andare in albergo quando avete più di una casa in città?». «Be', durante il Carnevale è bello essere al centro dei festeggiamenti». Lorraine lo guardò poco convinta e Caley continuò tranquillamente, guardandola negli occhi. «A volte preferisco condurre i miei affari lontano dalle pareti domestiche». «Quindi siete arrivati al Cavagnal...». «Sì. La cameriera, si chiama Alphonsine, ha disfatto prima i bagagli di mia moglie, poi i miei e infine si è recata nella suite di Anna Louise. Ci
sono molti ricevimenti e molte feste a cui dobbiamo partecipare e Alphonsine si assicura che tutto sia pulito e stirato alla perfezione». Lorraine annuì, fece una breve pausa poi chiese: «Alphonsine vive a New Orleans?». «Sì, abbiamo dei domestici in una delle nostre casa là. Ci aiutano anche quando siamo in albergo, nel caso che abbiamo bisogno di qualcosa e tengono in ordine la casa, dal momento che, alla fine del Carnevale, ci spostiamo in una delle nostre residenze». Lorraine sfogliò gli appunti. Aveva annotato gli indirizzi di tutte le residenze dei Caley ed elencato i nomi di tutti i loro domestici. «Quindi a che ora...». Lui la interruppe. «Non appena siamo arrivati, Elizabeth si è fatta fare un massaggio e io sono rimasto nella suite per fare qualche telefonata di lavoro. Anna Louise ci ha raggiunti per il tè e abbiamo deciso di cenare presto al Cavagnal, dal momento che avevamo già molti inviti e... mia figlia ha un senso dell'umorismo molto pungente e ha cominciato a imitare delle vecchie signore che ci chiedevano dei cocktail. A un certo punto, Elizabeth si è irritata e le ha detto che dopo quella sera sarebbe stata libera di vedere tutti i suoi amici, ma che per il momento doveva comportarsi bene. Elizabeth è una celebrità e le piace essere al centro dell'attenzione durante questi eventi mondani, forse perché le sembra di rivivere i tempi in cui era davvero una star». «Anna Louise ha litigato con sua moglie?». «No, anzi, hanno cominciato a discutere degli abiti che avrebbero indossato, chiacchiere tra donne. Io sono andato a fare un tuffo in piscina, sono tornato verso le sette. Ho fatto una doccia e mi sono cambiato. Elizabeth si stava già vestendo, si era appena fatta acconciare i capelli. Si serviva sempre dello stesso parrucchiere, una persona che conosceva da molti anni». «Oscar Cloutier?». «Sì. Se ne è andato verso le sette e un quarto. Io e mia moglie siamo scesi al ristorante verso le sette e trenta. Abbiamo ordinato dello champagne. Alle sette e quarantacinque, Elizabeth mi ha chiesto di chiamare la stanza di Anna Louise, e così ho fatto. Non c'è stata risposta, quindi sono tornato al tavolo, immaginando che stesse scendendo proprio in quel momento». Lorraine scorse i suoi appunti. Robert Caley aveva ripetuto la sua dichiarazione originale quasi alla lettera, persino i dettagli sulla data del Marcii Gras. Continuò, raccontando che lui e sua moglie avevano cominciato a ordinare e che avevano ordinato persino gamberi alla griglia, il piatto pre-
ferito di Anna Louise della cucina di New Orleans. «Alle otto, dato che Anna Louise non era ancora scesa, ho chiesto al cameriere di chiamare nuovamente la sua stanza. Non rispondeva nessuno, così ho deciso di salire in camera sua. La porta era chiusa a chiave e ho usato la porta che divideva la nostra suite da quella di Anna Louise. Era tutto in ordine e il vestito che aveva detto di voler indossare era ancora steso sul suo letto. Ho controllato il bagno e la sala e ho visto la sua borsa, o meglio quella che aveva portato in aereo, così ho pensato che fosse in ritardo perché era andata a fare visita a qualcuno. Allora sono tornato al ristorante». «Ma le aveva chiesto di cenare con voi. In genere, era disubbidiente?». «Be', a volte prometteva di fare qualcosa che poi non faceva, come qualsiasi altra teen-ager». «Ma sua moglie aveva insistito perché fosse con voi proprio quella sera». «Sì, sì». «Le è sembrato che Anna Louise non ne avesse voglia? Mi ha detto che sua moglie l'aveva rimproverata per aver imitato alcune delle persone che vi avevano invitato da loro quella sera, giusto?». Caley sospirò, irritato. «Non ho detto che Elizabeth l'ha rimproverata, ho detto solo che si era irritata e non è stata una discussione seria». «Era già capitato che, mentre eravate a New Orleans, Anna Louise accettasse di cenare con voi per poi non presentarsi?». «Direi di sì, ma non saprei dirglielo con precisione. Anna Louise conosceva bene la città ed era consapevole dei pericoli a cui poteva andare incontro se si fosse avventurata da sola in certi quartieri. Siamo sempre stati molto categorici sul fatto che non doveva andare in giro da sola di notte. E non lo ha mai fatto, almeno che io sappia». «Conosce bene la città, quindi conosce anche il vecchio quartiere francese?». «Sì, naturalmente. Elizabeth è di New Orleans e Anna Louise ci vive per qualche mese all'anno fin da quando era bambina. Ha persino fatto il suo debutto in società a uno dei balli del Carnevale». «E così Anna Louise ha molte amicizie anche là?». «Sì, be', non molte perché è cresciuta qui, ma a New Orleans vive Tilda Brown, una sua grande amica, forse la sua migliore amica. Anche Tilda studiava all'UCLA ma è originaria di New Orleans, quindi hanno molte cose in comune».
«E lei ha immaginato che potesse essere andata a trovare Tilda?». «Sì, è quello che ho pensato». «Anche la signora Caley ha pensato che Anna Louise fosse da Tilda? Credevo che Tilda fosse stata qui da voi a Los Angeles poco prima che partiste per la Louisiana». Caley annuì, scrollando le spalle. «Avevano litigato per qualche ragione e Tilda era partita un giorno prima di noi. Una cosa davvero stupida, dal momento che l'avremmo accompagnata noi ma...». «Sa perché le ragazze avevano litigato?». «No, davvero non lo so». L'uomo sembrava irritato e batteva nervosamente la punta del piede a terra. Era chiaro che gli erano già state poste quelle domande. «Secondo le sue dichiarazioni precedenti, ha chiamato la signorina Brown solo molto più tardi quella sera». «Sì, è esatto». «Perché non si è messo in contatto con Tilda Brown immediatamente?». «Perché abbiamo finito di cenare e, come le ho già detto, avevamo degli inviti, degli impegni». «Così, pur avendo visto la borsa di sua figlia in camera...». Caley si voltò a guardare Lorraine. «Non abbiamo chiamato la famiglia della signorina Brown né nessun altro perché io e mia moglie non pensavamo che fosse successo niente di strano». «Come ha reagito sua moglie, quando ha scoperto che sua figlia non avrebbe cenato con voi?». L'uomo sospirò. «Elizabeth è leggermente più umorale di me. Era molto arrabbiata con Anna. Abbiamo lasciato l'albergo verso le dieci per recarci a casa di alcune persone che ci avevano invitato. Quando siamo tornati, era circa mezzanotte e un quarto e abbiamo cominciato a preoccuparci. Abbiamo chiamato a casa dei Brown. Tilda era già a letto, così abbiamo parlato con i suoi genitori che ci hanno detto che Anna non era stata lì e non aveva telefonato. Non l'avevano vista». «Posso chiederle se i suoi sono occhiali da vista?». «Come?». Lorraine lo fissò e Caley si tolse lentamente gli occhiali da sole. «La ringrazio». Lui si avvicinò per permetterle di guardarlo negli occhi e si appoggiò al tavolo. «Pensa che le stia nascondendo qualcosa?». «No, ma preferisco vedere...».
«Che cosa, il bianco dei miei occhi? Oppure lei e i suoi colleghi vi divertite a vedere il dolore della gente? Crede che non mi senta in colpa ogni volta che ripeto la mia testimonianza, signora Page? Crede che non pensi che se avessi agito prima forse sarebbe stato possibile rintracciare mia figlia? Be', io mi sento in colpa ogni istante di ogni giorno. Mia figlia è scomparsa da undici mesi, signora Page, e ogni telefonata, ogni lettera è una speranza, e ogni speranza mi fa battere più forte il cuore nel petto. Che cosa si aspettava da me, lacrime?». «Mi dispiace, ma devo farle queste domande». «Mi chieda quello che vuole e cercherò di rispondere, come ho già fatto con ogni altra agenzia a cui ci siamo rivolti. So che la polizia ha rinunciato, ma so anche che il caso è ancora aperto a New Orleans. Come crede che dovrei comportarmi? Rivoglio mia figlia, prego che sia ancora viva, che sia fuggita con qualche personaggio sgradevole e qualsiasi cosa abbia fatto la perdonerò, perché questo è l'inferno. Voglio soltanto rivederla, le voglio bene, sono fiero di lei e mi manca». Caley era arrabbiato e amareggiato e i suoi occhi erano pieni di lacrime. Lorraine non si era aspettata una reazione simile e si sentì disorientata. L'emozione e la dichiarazione d'amore per la figlia di Caley la misero a disagio. Quell'uomo, affascinante e. sofisticato, d'improvviso sembrava più vulnerabile di qualsiasi altro uomo Lorraine avesse mai conosciuto, perché non sembrava più in grado di controllarsi. Voltandosi dall'altra parte, Caley cominciò a piangere, singhiozzi bassi e dolorosi. «Mia figlia mi manca terribilmente, signora Page. Se passo vicino ai campi da tennis mi sembra di sentire la sua voce, la sua risata. Il semplice fatto di essere seduto in questo gazebo del cazzo mi fa male perché la sento ridere di questo posto e di quel ridicolo giardino giapponese che odiavamo entrambi. E poi devo ascoltare mia moglie che piange ogni notte, guardare il suo volto ogni volta che squilla il telefono. Questa casa è morta senza la nostra bambina». «Mi dispiace immensamente». «Non ho bisogno della sua comprensione, signora Page, ho bisogno che ritrovi mia figlia. O, peggio, ho bisogno di sapere che non tornerà più a casa e forse allora potrò ricominciare a vivere, in un modo o nell'altro». Il suo volto era rigato di lacrime. Caley si asciugò le guance con il dorso della mano e si rimise gli occhiali. «Mi scusi, se deve farmi domande, continui pure». Lorraine chiuse il blocco degli appunti. Tutto quello che Caley le aveva
raccontato era già nel rapporto, non aveva fornito nemmeno un dettaglio in più su ciò che era effettivamente accaduto ad Anna Louise. Lorraine prese la borsa dove ripose il blocco, ed esitò per un istante. «Ancora una cosa, signor Caley. Lei mi ha detto di aver fatto delle telefonate di lavoro dall'albergo, ai suoi soci in affari, presumo, e ho bisogno di sapere chi ha chiamato esattamente». «Le farò avere la lista al più presto». «Lei si occupa di proprietà immobiliari. Posso chiederle un elenco più approfondito delle sue transazioni di lavoro a New Orleans e qui a Los Angeles?». Lui distolse lo sguardo. «In nome di Dio, ma che cos'ha a che fare il mio lavoro con la scomparsa di mia figlia?». «Forse niente, ma potrebbe esserci un nesso, quindi le sarei molto grata se potesse fornirmi il maggior numero di informazioni...». «Le avrà. Ora, se vuole scusarmi...». «Sì, naturalmente. Ehm, solo un'altra cosa, so che sua moglie è indisposta, ma potrei parlare con Phyllis?». Caley annuì, si avvicinò a un citofono che Lorraine non aveva notato. Prese il ricevitore. «Phyllis, potresti venire in giardino per favore? La signora Page vorrebbe parlarti». Robert Caley prese la bottiglia di vino aperta e uscì, incamminandosi verso i campi da tennis, mentre Lorraine rimase seduta a guardarlo. Rosie stava cercando di decifrare la calligrafia illeggibile di Bill Rooney. «Non ci capisco niente, cosa c'è scritto qui?», domandò. Rooney sbadigliò. «È il nome della sensitiva assunta dai Caley. Non era in casa, sono tornato a controllare due volte. Le ho lasciato due messaggi». «Juda?», chiese Rosie? «Già, si chiama così. Se vuoi saperlo, continuo a pensare che sia una perdita di tempo. Vado a farmi un paio di drink con Nick Bartello, sembra che abbia trovato qualcosa, quindi se la nostra signora e padrona dovesse farsi viva, dille di chiamarmi a casa più tardi. Molto più tardi, conoscendo Nick». Rosie annuì e annotò il nome, il numero di telefono e l'indirizzo di Juda. «Devo andare a una riunione stasera, ma lascerò un messaggio a Lorraine sia qui che a casa». «Benissimo. Ci vediamo!». Mentre Rooney usciva, il telefono prese a squillare.
«C'è il signor Rooney?», domandò una voce dal marcato accento della Louisiana. «No, mi dispiace, al momento non è qui. Chi parla? Vuole lasciare un messaggio?». «Ho ricevuto due messaggi del signor Rooney. Sono Juda Salina. Sa per caso per quale motivo mi ha chiamata?». Rosie si sentì invadere dall'emozione, le sembrava di essere una vera detective. «Sì, stiamo indagando sul caso di Anna Louise Caley e...». La comunicazione venne interrotta. Rosie fissò il ricevitore, chiedendosi se per caso non avesse sbagliato qualcosa. Scrisse un appunto per Rooney e Lorraine, dicendo che la sensitiva aveva telefonato. Annotò anche l'ora e la data della chiamata. Si sentiva molto professionale. Phyllis giocherellò con il suo bicchiere d'acqua minerale. «Ha bisogno di pillole per dormire e certe volte non riesce ad alzarsi. Oggi è una di quelle giornate. Abbiamo chiamato il dottore ma lui le ha prescritto un sedativo diverso. È tutto molto triste, povera donna. Comunque farò in modo che riusciate a vedervi domani». «Grazie». Lorraine sorseggiò l'acqua, la fettina di limone che ora galleggiava sopra i cubetti di ghiaccio quasi sciolti. «Perciò, lei non ha visto niente di strano il giorno in cui la famiglia è partita per New Orleans?». «No, niente». «E Anna Louise era felice e spensierata, eccitata per il viaggio che stavano per fare?». «Sì, il più delle volte sembravano due amiche e non madre e figlia. Voglio dire, naturalmente ogni tanto litigavano, Anna Louise era molto testarda ma non teneva mai il broncio». «Il giorno in cui sono partiti, il quindici febbraio, lei ha ricevuto una telefonata dal jet privato dei Caley?». «Sì. Anna Louise aveva visto un abito su "Vogue" e voleva che glielo comprassi». «E lei lo ha fatto?». «Sì, certo». «La chiamava spesso per chiederle di comprarle qualcosa? Secondo il fascicolo, si trattava di un Valentino di chiffon nero da tremilacinquecento dollari. Questo fa pensare a una ragazzina piuttostoviziata». Phyllis strinse le labbra. «Si dà il caso che i Caley siano molto ricchi, si-
gnora Page, e le assicuro che un acquisto del genere non era affatto insolito per Anna Louise. Lei può anche pensare che fosse viziata ma era anche una delle ragazze più dolci e spontanee che abbia mai conosciuto». «Però era viziata». «Non più di qualsiasi altra figlia di genitori ricchi». Lorraine esitò, poi disse a bassa voce: «O di un genitore...». «Mi dispiace, non la capisco». «Certo che mi capisce invece. Mi sembra evidente che la maggior parte della ricchezza dei Caley venga da Elizabeth». «Il signor Caley è un uomo d'affari di grande successo». «Ma non lo era quando si sono sposati. Secondo un vecchio articolo che ho letto, non era affatto ricco all'epoca, e si sono conosciuti quando lui le ha mostrato una casa che lei voleva acquistare». Phyllis si irrigidì. «Temo di non poterla aiutare. Lavoro per i Caley da solo dieci anni e non so niente di quello che è successo in passato. So soltanto che il signor Caley lavora duramente». «Quali sono esattamente i suoi affari a New Orleans?». «Signora Page, io non mi occupo degli affari del signor Caley. Sono la segretaria e la dama di compagnia di Elizabeth Caley». «Ma lei si occupa anche della contabilità. Se non vado errata, è stata lei a darmi l'anticipo e sarà lei che pagherà le mie parcelle». «Sì, è stata la signora Caley a darmi questo incarico». «Non ne ha parlato con il signor Caley?». «Gli ho lasciato un appunto per metterlo al corrente di ciò che avevo fatto, come sempre». Lorraine non fece parola della ricompensa di un milione di dollari che la signora Caley le aveva promesso. Cominciava a sentirsi stanca; era stata una lunga giornata e doveva tornare a Pasadena. «La ringrazio. Oh, solo un'altra cosa - Tilda Brown, l'amica del cuore di Anna Louise, è stata ospite qui e doveva tornare a New Orleans con i Caley, ma se n'è andata un giorno prima. Sa dirmi per quale motivo?». Phyllis si alzò in piedi. «No, ma credo che avessero litigato per via di una partita a tennis. Giocavano continuamente. Mi sembra di ricordare che Tilda non rispettasse le regole e questo faceva infuriare Anna Louise». «Le ha mai sentite litigare?». «No. Ricordo solo che Tilda mi ha chiesto di prenotarle un biglietto. È stato Mario ad accompagnarla all'aeroporto». «La ringrazio, signorina Collins. Non si disturbi ad accompagnarmi, u-
scirò dal giardino». Phyllis annuì e disse che avrebbe avvertito l'addetto alla sicurezza di aprirle il cancello. «Avete una guardia ventiquattr'ore su ventiquattro?». «Sì, da quando Anna Louise è scomparsa siamo stati assediati dai giornalisti, e il signor Caley non voleva che la signora fosse disturbata in nessun modo. Per questo, adesso la proprietà è costantemente sorvegliata dalle guardie del servizio di sicurezza. All'inizio, si temeva che Anna Louise fosse stata rapita e quindi le guardie dovevano servire per tranquillizzarci». Lorraine stava per andarsene. Ma fatti pochi passi, si fermò. «Questa casa appartiene alla signora Caley?», domandò a Phyllis. «Sì, credo di sì». «E la villa di New Orleans?». «Sì, credo che la maggior parte delle proprietà appartenessero alla famiglia della signora». Lorraine esitò, chiedendosi se porre a Phyllis la domanda che aveva in mente oppure se aspettare fino a quando non avrebbe parlato direttamente con Elizabeth Caley. «Vuole sapere qualcos'altro?». «Ehm, sì, forse non ha nessuna importanza ma chi è il principale beneficiario del testamento della signora Caley?». Phyllis la fulminò con lo sguardo e Lorraine seppe di aver commesso un errore. «Probabilmente è una questione irrilevante per le indagini, ma deve capire che io...». Phyllis la interruppe. «Mi dispiace, non posso aiutarla». «D'accordo. A che ora posso chiamare domani mattina?». «Verso le undici». «Grazie, ci vediamo domani». «Va bene». Il volto affilato della donna sembrava ancora più scavato, mentre fissava Lorraine. «Vedo che è molto scrupolosa nelle sue ricerche». Non lo disse come se fosse un complimento, ma Lorraine sorrise ugualmente. «Credo che sia questo il punto, giusto? Deve capire, Phyllis - spero che non le dispiaccia se la chiamo Phyllis - che tutto ciò che mi dice è vincolato dal segreto professionale. Se c'è qualcosa che secondo lei potrebbe aiutare le indagini, qualsiasi cosa, spero che si sentirà libera di chiamarmi quando vuole».
La donna ebbe un impercettibile attimo di esitazione che si affrettò a nascondere dietro un sorriso amaro e forzato. «Prenda il vialetto di sinistra e arriverà di fronte alla casa. Arrivederci, signora Page». Seguendo il sentiero lastricato di pietre bianche, Lorraine passò accanto ai campi da tennis. Si fermò. Robert Caley sedeva su una panchina bianca, la bottiglia di vino tra le mani, come dimenticata, e sembrava fissare il campo da tennis vuoto. Lorraine riprese a camminare, oltrepassando la grande piscina, e vide una domestica che stava piegando gli asciugamani inutilizzati. All'improvviso, Lorraine sentì la voce di Robert Caley che la chiamava. Si voltò e vide che l'uomo era a pochi passi da lei. Aveva ancora gli occhiali da sole ma li tolse lentamente, guardandola. «Dovrò recarmi a New Orleans. Se dovesse andarci entro la fine della settimana, me lo faccia sapere. Potrebbe...». Le rivolse un sorriso da ragazzino. «Le sto offrendo un passaggio». Lorraine sorrise a sua volta. «Grazie, la chiamerò». L'uomo annuì e rimase a guardarla mentre si allontanava. Lorraine pensava che Robert Caley fosse un uomo molto attraente, e se n'era accorta quando si era sporto verso di lei nel gazebo. Ma doveva mettere da parte qualsiasi fantasia sessuale perché se avesse scoperto che l'uomo avrebbe tratto vantaggio dalla scomparsa o dalla morte della figlia, sarebbe entrato a far parte della lista dei sospetti. E ormai l'intuito le diceva che Anna Louise Caley era morta. CAPITOLO 4 «Rooney mi ha detto che gli ricordava un certo Lubrinski». Lorraine reagì guardando Rosie con gli occhi semichiusi, i capelli che le coprivano in parte la cicatrice sulla guancia. «Ah, ti ha detto così?». «Già, mi ha raccontato che è stato ferito durante una sparatoria. Ha un soprannome, Nick lo Zoppo». «Davvero?», disse Lorraine con noncuranza. «Allora chi era questo Lubrinski? E cos'è questa storia che avresti usato i tuoi collant come laccio emostatico, è successo davvero?». «Dovresti conoscere Rooney ormai, Rosie, dice un mucchio di stronzate. Avrebbe dovuto fare quello che gli avevo detto e mettersi in contatto con la medium. Abbiamo due settimane, Rosie, solo due settimane». «Ma tu hai detto a Bill di controllare tutte le agenzie e io non sto qui se-
duta con le mani in mano tutto il giorno, sai?». «Oh, sta' zitta. E se non devi fare la doccia, la faccio io. Prova a vedere se posso incontrarla stasera». Sotto il getto d'acqua della doccia, il viso rivolto all'insù, gli occhi chiusi, i ricordi tornarono a riempirle la mente. Il modo in cui Jack Lubrinski l'aveva guardata stringendole la mano negli ultimi spasmi di agonia. «Ce la farai», gli aveva detto, sapendo di mentire. «L'ambulanza arriverà tra un attimo, ma nel frattempo...». «Cazzo, se avessi saputo che dovevo farmi sparare per vederti nuda lo avrei fatto prima». «Sta' zitto, maniaco». Era morto tra le sue braccia quindici minuti dopo mentre l'ambulanza sfrecciava verso l'ospedale a sirene spiegate. Le stava tenendo la mano come un bambino, quando Lorraine aveva visto la luce abbandonare i suoi occhi. Avevano dovuto allontanarla con la forza. Lei si era rifiutata di lasciarlo andare, certa che ci fosse ancora una speranza, che Lubrinski potesse sopravvivere - ma inutilmente. Lubrinski, i capelli neri, gli occhi scuri, aveva lasciato un terribile vuoto dentro di lei. Era quello il motivo per cui voleva Robert Caley? Avrebbe continuato così per tutta la vita, a cercare Lubrinski in altri uomini? Era per questo che si sentiva attratta da Robert Caley, perché aveva i capelli scuri e gli occhi fieri e spaventati? Era questo che aveva visto quando si era tolto gli occhiali, paura e sofferenza. Lubrinski si era sempre nascosto dietro battute sarcastiche, dietro il suo atteggiamento da duro, anche mentre stava morendo; solo in quel momento, Lorraine aveva visto qualcosa negli occhi del compagno, qualcosa che le aveva stretto il cuore. Che cos'era? Perché l'attraeva? Quello che provava non era affatto una sorta d'istinto materno. Non voleva essere una madre per Robert Caley: voleva farsi scopare da lui, proprio come aveva voluto farsi scopare da Lubrinski. Ma all'epoca, era stata sposata, era madre di due figlie. Rimpiangeva di non avergli detto nemmeno una volta che lo amava. Chiuse gli occhi, li strinse forte, serrando i denti; non voleva piangere ora, era successo tanto tempo prima. Ma non riuscì a trattenere le lacrime perché per la prima volta stava ammettendo con se stessa di essere stata innamorata di Jack Lubrinski. Aveva fatto di tutto per negarlo, anche dopo la sua morte, ma ora, dopo tutti quegli anni, stava piangendo per lui, sussurrando tra sé e sé: «Ti amavo, Jack, e mi manchi ancora». Rosie scostò la tenda della doccia. «Ho chiamato la sensitiva. Ha detto
che non vuole vedere nessuno». Lorraine prese un asciugamano. «Vogliamo scommettere?». «Ci vai adesso?». «Già. Abbiamo due settimane, Rosie, solo due settimane». «Oh, posso venire con te». Lorraine stava per risponderle di no, ma l'entusiasmo quasi infantile dell'amica le fece cambiare idea. «Certo, perché no?». L'indirizzo era esatto e l'appartamento della sensitiva si trovava al piano terreno, in fondo a un corridoio. L'edificio era lussuoso, con tanto di citofoni, un moderno sistema di sicurezza e un parcheggio sotterraneo per gli inquilini. Lorraine era stata fortunata; aveva semplicemente seguito un'auto fino al parcheggio, salutando con la mano la donna al volante che non aveva idea che Lorraine non aveva alcun diritto di essere lì. «Tombola, eccoci qua. Possiamo fare una bella sorpresa alla signora Salina, sempre che non ci abbia viste arrivare con la sua sfera di cristallo», disse Lorraine, seguendo la donna nel parcheggio. «Imparo qualcosa di nuovo ogni giorno», disse Rosie, molto colpita, ma Lorraine si stava già affrettando a scendere dall'auto. Lorraine sorrise alla donna che stava posteggiando la sua convertibile Saab. «Buonasera». «Buonasera», rispose lei, incamminandosi verso l'ingresso privato, dopo aver messo in funzione l'antifurto dell'auto. Lorraine raggiunse velocemente la donna che stava digitando il codice di accesso per l'ascensore. «Il tempo è strano, oggi c'erano quasi venticinque gradi». Si lanciò un'occhiata alle spalle irritata nel notare che Rosie era appena scesa dalla macchina. La donna annuì, troppo impegnata a cercare le chiavi di casa per prestare attenzione a Lorraine. La porta dell'ascensore era ancora aperta e Lorraine vi spinse contro un piede per impedire che si richiudesse. «Anche lei ha problemi con l'aria condizionata?», domandò Lorraine, cercando di continuare la conversazione e lanciando un'occhiataccia a Rosie. «No, ma ho notato che oggi faceva molto più caldo». «Già, secondo le previsioni del tempo potremmo arrivare anche a trenta gradi tra non molto». Rosie entrò e la porta dell'ascensore si richiuse. L'ascensore del garage si fermò al pianterreno dove si trovavano altri a-
scensori. La donna si voltò a guardarle mentre Lorraine percorreva il corridoio con Rosie alle calcagna. Nessuna delle due sapeva che si stavano dirigendo proprio verso l'appartamento della signora Salina. «Sì, chi è?». Lorraine si avvicinò alla porta. «Mi chiamo Lorraine Page». «Che cosa vuole?». «Signora Salina, ho davvero bisogno di parlarle. Sono un detective privato e sto indagando sul...». «Non so come ha fatto a entrare ma le consiglio di andarsene immediatamente, se non vuole che chiami il servizio di sicurezza». «Faccia pure, signora Salina, ma sono certa che questo non piacerà affatto alla signora Caley». Seguì un lungo silenzio. Rosie rimaneva in disparte, sempre più colpita dalla sicurezza di Lorraine. Poi si sentì lo scatto di diverse serrature e la porta si aprì di qualche centimetro. «Devo uscire tra cinque minuti». «Bene, non ci vorrà molto. Posso entrare?». «Lei lavora con la polizia?». «No, tenga, questo è il mio biglietto da visita. Sono Lorraine Page, della Page Investigazioni, e questa è Rosie, la mia assistente». La signora Salina agguantò il biglietto da visita, poi la porta si aprì di qualche altro centimetro. «Cinque minuti». Rosie si accigliò - non le piaceva essere definita assistente, lei era socia dell'agenzia, ma non disse niente. La signora Salina le condusse lungo un corridoio buio e stretto. La sala aveva le pareti coperte da fotografie di celebrità famose e meno famose e da attestati per la lettura dei tarocchi, dei cristalli e della mano. Sembrava che la signora Salina si occupasse di tutti i fenomeni paranormali conosciuti e aveva certificati di ogni genere per dimostrarlo. Era molto interessante, pensò Rosie - non c'era da meravigliarsi che a Lorraine piacesse il suo lavoro, si incontravano le persone più strane. Fu solo quando arrivarono in un piccolo studio che riuscirono a vedere bene la donna. Aveva un'aria esotica, la pelle olivastra, folti capelli neri raccolti in uno chignon sulla nuca. Pesava almeno centoventi chili eppure, come molte donne grasse, si muoveva con grazia e leggerezza e aveva mani piccole e delicate. Doveva avere circa cinquant'anni, e i suoi scialli, braccialetti e pesanti collane dai colori sgargianti facevano pensare ai giorni dei «Figli dei Fiori». Invece il suo volto perfettamente truccato era un
capolavoro anni Novanta: ciglia finte applicate con cura, rossetto di un colore simile a quello della signora Caley, le labbra disegnate nello stesso modo. «Sedetevi», disse, prendendo posto in una poltrona dallo schienale rigido. «Come vi ho già detto ho solo cinque minuti. Perché volete parlare con me?». Aveva l'accento di New Orleans, non molto marcato ma facilmente riconoscibile per il suono musicale e leggermente strascicato della sua pronuncia. Fissò a lungo Rosie, che stava cercando di mimetizzarsi con la carta da parati, in precario equilibrio su uno sgabello. Aveva lasciato a Lorraine la poltrona, o meglio Lorraine vi aveva preso posto immediatamente: si comportava come se Rosie non esistesse. «Mi parli di Elizabeth Caley». «Mi dispiace, ma senza il permesso della signora Caley non posso farlo. Il mio lavoro è come quello di un prete o di un dottore, le consultazioni private dei miei clienti devono rimanere per l'appunto private». «Ma, come me, lei è stata assunta per rintracciare la figlia dei Caley». «Sì, è esatto». «Quante volte ha incontrato la madre di Anna Louise?». «Temo di non poterglielo dire». «Si è recata a New Orleans?». «Sì». Si alzò e si avvicinò a un secrétaire. Aprì un cassetto da cui prese una foto. «È una presenza molto forte». «Anna Louise?». «Oh sì. Questa foto mi è stata data dalla signora Caley». La mostrò a Lorraine che riconobbe il viso dolce, i lunghi capelli biondi. «È molto bella». Juda annuì, poi mostrò la fotografia anche a Rosie, che si sporse in avanti per osservarla meglio. «Sì, è molto carina», disse Rosie annuendo. Juda ripose la foto nel cassetto. «Certo che lo è, e direi anche che si trova a New Orleans». «Viva?», domandò Lorraine bruscamente. Juda chiuse il cassetto e rimase con le spalle rivolte a Lorraine. Poi si girò lentamente e, con gli occhi chiusi, si appoggiò al secrétaire. Rosie la osservò: in confronto a quelli della medium, i suoi problemi di peso erano irrilevanti. «Sono più che convinta che Anna Louise sia viva».
«Perché?». Le lunghe ciglia finte fremettero per un istante. «Perché? Come le ho già detto, sento la presenza di Anna Louise. La ragazza è viva, ne sono sicura». «Perché?», insistette Lorraine. La donna riaprì gli occhi. «Gliel'ho già detto: avverto la sua presenza». «Be', può anche essere così ma io non sono fortunata quanto lei, signora Salina. Il mio incarico è quello di ritrovarla, non sento alcuna presenza, non sono in contatto con nessun genere di... forze, per così dire». «Ma queste forze esistono, signora Page, sono molto potenti e le ripeto che la ragazza è viva. Prendo il mio lavoro molto seriamente e quando la sento, quando divento lei, Anna Louise non mi dice che ha freddo». Spostò gli occhi scuri nuovamente su Rosie che si sorprese a rabbrividire. Distolse lo sguardo mordendosi un labbro: c'era qualcosa di sgradevole in quella donna, in quella casa. «Allora, che cosa le dice Anna Louise?». Juda lanciò un'occhiata eloquente all'orologio, poi guardò Lorraine. «Signora Page, lei non mi paga mentre la signora Caley sì e le ho già detto tutto ciò che sono stata in grado di percepire e cioè che Anna Louise è viva». «Be', posso pagarla se è questo che vuole». Juda la fissò con aria ostile. «Ora devo andare. Se la signora Caley mi darà il permesso di parlarvi di Anna Louise, allora potrete richiamarmi. Ma al momento, posso dirvi soltanto che sento la presenza della ragazza, come un'aura di luce, ogni volta che guardo il suo viso angelico». «Be', se questa presenza dovesse indicarci dove si trova Anna Louise, parlerò con la signora Caley e tornerò da lei. Vede, io mi occupo di fatti, non di fantasie, e Anna Louise è scomparsa da quasi un anno. È un lasso di tempo molto lungo e io sono stata assunta per ritrovarla». «Ma immagino che verrà pagata». «Certo, proprio come lei». «No. Il signor Caley non permette più alla povera cara Elizabeth di venirmi a trovare». «Ha detto anche a lui che sua figlia era viva?». Juda attraversò la stanza e si fermò vicino alla porta. «Non tratto con il signor Caley ma conosco Elizabeth da molti anni». «La signora Caley si droga, non è vero?». Juda lanciò a Lorraine uno sguardo irritato. «Avevo detto cinque minuti
e adesso vi chiedo di andarvene. Ho accettato di parlare con voi solo perché mi avete dato a intendere che Elizabeth vi aveva chiesto di vedermi, ma ora credo che mi abbiate mentito, esattamente come tutti gli altri che sono venuti da me. Io sono assolutamente leale nei confronti dei miei clienti». «Chi sarebbero "gli altri", signora Salina?». Juda le rivolse uno sguardo indecifrabile: «Gli investigatori privati e i poliziotti. Non mi trattano con rispetto, signora Page, posso leggerglielo in faccia. Anche se non lo dicono, so esattamente cosa pensano della gente come me». Tornò al secrétaire e aprì un cassetto. «Ecco, tenete pure, ma andatevene». Juda porse a Lorraine un documento stampato al computer su una carta da quattro soldi, poi si voltò e si incamminò con aria impaziente lungo il corridoio. Lorraine diede il documento a Rosie e le fece cenno di seguirla. Juda le aspettava accanto alla porta d'ingresso aperta. «Buonasera, signora Page. Ehm, solo un'altra cosa, le dispiace avvicinarsi un momento?». Lorraine fece come le era stato chiesto e Juda scrutò il suo viso. Con una mano le accarezzò delicatamente la guancia sfregiata. «Cara, dovrebbe farla sistemare. Sarebbe davvero bellissima senza la cicatrice. Qual è il suo nome di battesimo?». «Lorraine». «È stato un piacere parlare con lei, Lorraine». Rosie stava cercando di uscire, infilandosi tra la medium e lo stipite, quando la donna si sporse in avanti. «Rosie. Lei si chiama Rosie e il suo spirito è gentile. Si prenda cura di se stessa, mia cara». Una dopo l'altra le serrature vennero richiuse. Era strano che la donna si chiudesse in casa visto che aveva tanta urgenza di uscire. Stava aspettando qualcuno, o aveva semplicemente mentito? Lorraine propendeva per la seconda ipotesi; Juda Salina non aveva alcuna intenzione di uscire di casa. Lorraine e Rosie dovettero attendere un quarto d'ora nel parcheggio sotterraneo prima che un inquilino scendesse e usasse il codice segreto per aprire il cancello. Parlarono di Juda e, proprio come Bill Rooney, arrivarono alla conclusione che quella donna era una mistificatrice che si prendeva gioco di persone disperate come Elizabeth Caley, spillando loro grosse somme di denaro. La sua pubblicità stampata al computer era scarna, non professionale e dichiarava che molte persone erano state salvate dai poteri
medianici di Juda Salina. Erano elencati anche un gran numero di casi in cui la polizia sarebbe stata aiutata dalla signora Salina. Erano tutte idiozie; quella donna diceva di avvertire la presenza di Anna Louise solo per potere continuare a spremere la signora Caley. Rosie lesse lo stampato e aggrottò le sopracciglia, voltando le pagine. «Spero che abbia ragione». «Su cosa? Sulla tua dolce anima?». «No, sul fatto che la ragazza sia viva. Lo spero sinceramente». Lorraine era sempre più convinta che Anna Louise fosse morta, tuttavia decise che Rooney avrebbe dovuto almeno controllare le indagini elencate nella pubblicità della sensitiva. Se non altro, aveva scoperto qualcosa di interessante: a Robert Caley non piaceva affatto Juda Salina. E Lorraine lo rispettava per questo. Juda si stava chiedendo se chiamare o meno la signora Caley. Non le piaceva il fatto che l'ennesimo investigatore privato fosse venuto a interrogarla, e a quanto pareva con il permesso della signora Caley. In realtà, la cosa che più la turbava era stata sentirsi dire da un anonimo impiegato di Robert Caley che non le era più permesso fare visita a sua moglie e che non le sarebbe stato pagato un centesimo di più. La disgrazia di quella famiglia le aveva fruttato molti soldi, persino un viaggio a casa. Ma ora era preoccupata. Ripensò a tutto ciò che le aveva detto Lorraine Page. Quella donna non le aveva chiesto niente di nuovo, giusto? Allora che cos'era, la cicatrice? Aveva la sensazione che le fosse stata inflitta da un uomo, ma il messaggio non era stato molto chiaro. Sospirò, sentendosi stanca, insicura se occuparsene o meno, visto che non era pagata. Nonostante l'indecisione, si alzò, chiuse le tende rosso scuro e spense le luci; il piccolo studio venne immerso nell'oscurità. Tornò a sedersi. Un osservatore esterno probabilmente avrebbe pensato che Juda si stava appisolando, le palpebre pesanti che suggerivano una terribile stanchezza. Gemette a bassa voce, come se stesse provando piacere sessuale, e sprofondò ancora di più nella poltrona. I suoi ampi seni si sollevavano e ricadevano al ritmo dei respiri lenti e profondi. «Sì, oh sì, sì», sussurrò, e le sue mani piccole e delicate si aggrapparono ai braccioli di legno della scomoda poltrona. Continuò a respirare profondamente e faticosamente. Si sentiva la testa leggera, stava cominciando a poco a poco a scivolare nella trance. L'oscurità filtrò nella consapevolezza di Juda. Niente per un attimo, poi incominciò come era sempre stato quando si era trovata in compagnia di Elizabeth Caley. All'inizio, il suono di
una musica distorta, poi una strada. Non riuscì a riconoscere la zona, stava accadendo con troppa rapidità. Juda non riusciva a controllare le sue visioni, ma ebbe la chiara sensazione che quel luogo fosse familiare. Proprio com'era accaduto le altre volte, la paura cominciò a serpeggiare dentro di lei, ancora più intensa ora. Boccheggiò, le mani che stringevano spasmodicamente i braccioli; dolore al centro del suo petto, come se un peso la stesse schiacciando, spingendole l'aria fuori dai polmoni. Prese ad agitare le mani; qualcuno o qualcosa era sopra di lei, un uomo, era un uomo e stava prendendo un coltello. Non riuscì a vedere il suo volto, ma sapeva che stava per tagliarle la gola. Il suo grido fendette il vuoto oscuro del panico, mentre lei si gettava in avanti e tornava in sé, confusa solo per pochi istanti prima di rendersi conto di essere al sicuro nel suo appartamento. Aveva le guance imperlate di sudore e si massaggiò, senza accorgersene, il collo e il petto, terrorizzata dalla sensazione di soffocamento, di qualcuno che cercava di strapparle la vita dal corpo. Ma non era lei, lo sapeva. Non era Juda Salina che veniva assassinata, era qualcuno il cui nome cominciava con la lettera L. L, quell'iniziale stava forse per Lorraine Page? Si sentiva sempre più tesa al pensiero di ciò che aveva appena vissuto per la seconda volta. Juda aveva ricevuto un messaggio molto simile quando era entrata in trance a casa della signora Caley, aveva percepito il nome di qualcuno, un nome che cominciava con la L. Sapeva di aver spaventato a morte Elizabeth Caley ma non aveva idea di che cosa significasse. Le capitava spesso, il messaggio indirizzato a un cliente che si confondeva con quello indirizzato a un altro cliente. Ma quella era stata una trance particolarmente violenta. Aveva immaginato che la lettera L stesse per Louise, Anna Louise, dal momento che si era sentita invadere da una sensazione di pericolo imminente e di morte. Aveva mentito alla signora Caley, aveva detto che aveva sentito chiaramente che sua figlia era viva, ma in realtà aveva percepito la morte molto vicino. Juda cercò di ricordare il giorno esatto in cui era andata a fare visita a Elizabeth Caley. Controllò nella sua agenda e guardò anche la pagina del giorno successivo. Lesse il messaggio scarabocchiato del segretario del signor Caley che la informava che le era proibito rivedere sua moglie. Erano gli unici appunti di quel giorno. Juda tamburellò con le dita dalle unghie smaltate sulle pagine bianche, poi si decise a comporre il numero della residenza dei Caley. Fu Phyllis a rispondere. «Salve, Phyllis, sono Juda...». «Non deve telefonare mai più qui, pensavo che il signor Caley glielo a-
vesse spiegato chiaramente. Non le permetterà più di parlare con Elizabeth». «Lo so. Ma era con lei che volevo parlare, Phyllis...». «Se si tratta di qualche altro pagamento, ho ricevuto istruzioni dal signor Caley...», disse Phyllis quasi bisbigliando. «No, non si tratta di questo. Ho solo bisogno di sapere una cosa. È venuta a farmi visita una donna che lavora per un'agenzia di investigazioni private». «Parla della signora Page?». «Già, Lorraine Page, giusto?». «Sì, si occupa del caso». «Quando l'hanno assunta di preciso?». «Martedì scorso, lo stesso giorno in cui è venuta a parlare con la signora Caley per l'ultima volta. So che era molto turbata quando se n'è andata e... pronto?». Juda restò in silenzio. Phyllis sembrava preoccupata. «Pronto? È ancora in linea? C'è qualcosa che non va, la signora Page ha detto qualcosa?». «No, no, avevo solo bisogno di saperlo per riordinare la mia agenda. Grazie, Phyllis, e per favore dica a Elizabeth che la penso tanto, che Anna Louise è sempre nei miei pensieri e che aspetto una sua telefonata. Arrivederci». Juda riappese prima che Phyllis potesse replicare. Poteva cercare di convincersi che fosse solo una coincidenza ma sapeva perfettamente che non era così. La sensazione che Anna Louise fosse morta già da molto tempo era più intensa che mai. Ma ciò che non era riuscita a capire fino a quel momento era il motivo per cui il messaggio di martedì sera era stato così forte da farla stare male fisicamente. Era comparso un legame con la lettera L, bruciante nella sua mente, circondata dal fuoco di un pericolo che stava per manifestarsi. Ora era certa che la L stesse per Lorraine Page e che ci fosse ben più che un pericolo imminente... era certa che quella donna sarebbe morta, proprio come aveva visto con tanta chiarezza nella sua seconda trance. Lorraine sarebbe morta con la gola tagliata. Lorraine aveva preso in prestito i bigodini riscaldati di Rosie per farsi la messa in piega. Indossava una camicetta di seta color crema, una gonna dritta e aderente con lo spacco su un lato e scarpe col tacco alto. Si mise sulle spalle una giacca di lino blu scuro e fece un paio di passi indietro per
ammirarsi allo specchio. Rosie era in cucina e stava mangiando una generosa ciotola di cereali. «Non so come tu riesca a trovare sempre le cose migliori anche alle svendite. Non c'è mai niente che mi vada bene. Stai molto bene». «Grazie, voglio essere elegante per l'incontro con Elizabeth Caley». «Mmm», mormorò Rosie, il mento sporco di latte. «Hai deciso di accettare l'offerta del marito? Viaggiare su un jet privato non dev'essere affatto male». Lorraine controllò la borsa e la ventiquattr'ore. «Non sono ancora pronta a lasciare Los Angeles, quindi vedremo. Nel frattempo, ho preparato una lista di cose che dovresti fare: prenotare l'aereo, l'albergo e cominciare a fare i bagagli. Chiamami sul telefono della macchina se hai bisogno di qualcosa, magari nel primo pomeriggio, e vedi che cos'hanno scoperto Rooney e il suo amico». «Okay». Rosie abbassò lo sguardo sulla lista compilata con cura. Poco dopo che Lorraine se ne fu andata, Rooney fermò bruscamente l'auto davanti a casa di Rosie e suonò il clacson. Se si trovava a passare da quelle parti, di solito le dava un passaggio fino all'ufficio. Rosie scese pesantemente i gradini di legno e attraversò la strada mentre lui le apriva la portiera. «Ti sei appena perso Veronica Lake, sta andando dai Caley. Ma ci ha dato un elenco di cose da fare e vuole sapere cosa state combinando tu e Nick Bartello». Rooney si sistemò gli occhiali da sole sul naso rosso e luccicante. «Ci siamo presi una sbornia colossale ma lui è conciato anche peggio di me». Rosie lo guardò meglio. «Gesù, ma si può sapere dove hai preso quegli occhiali?». «Li ho trovati in un cassetto, credo che fossero di mia moglie. Perché?». Rosie sogghignò. «Be', non pensavo che fossi il tipo d'uomo che porta degli occhiali con la montatura rosa, ma ti donano, sono in tinta con il tuo colorito». Rooney mise in moto, il ventre prominente che quasi sfiorava il volante. «Be', quando non mi serviranno più te li regalerò. Saranno in tinta con i tuoi capelli, di qualunque colore siano». «Ehi, sta zitto, è la permanente. Sono una rossa naturale e se vuoi posso provartelo». «Mio Dio, dovrei essere proprio sbronzo per accettare!».
Lorraine e il maggiordomo ebbero un altro formale scambio di inchini e battute prima che lui la conducesse nel salone. «Non dovrò aspettare molto, vero?», domandò lei. Il maggiordomo si lasciò sfuggire un sorrisetto. «La signora Caley la sta già aspettando, signora Page». In quel momento apparve Phyllis e le fece segno di seguirla al piano superiore. «Per favore, porti la colazione della signora Caley. Lei vuole qualcosa, signora Page?». «Oh, un caffè, grazie, nero e con del miele, se lo avete». Il maggiordomo annuì brevemente e s'incamminò lungo il corridoio che portava alle cucine, mentre Lorraine continuava a salire le scale. «Come si chiama?». «Peters, Reginald Peters». Phyllis bussò alla porta a doppio battente della signora Caley. «Avanti». Phyllis si fece da parte e Lorraine entrò nel salotto di Elizabeth Caley, e per poco non andò a sbattere contro la segretaria mentre si fermava di botto, sbalordita. La stanza era piena di grandi vasi di fiori profumati, sistemati su ogni superficie libera disponibile, e anche se le persiane erano chiuse sulle finestre aperte, le pareti color giallo chiaro, le tende e la moquette sembravano fondersi in un'unica tonalità come se la stanza fosse inondata dal sole. Tende di mussola bianca ondeggiavano dall'asta di ottone in contrasto con l'immobilità delle pesanti tende di seta dalle decorazioni dorate, drappeggiate ai lati delle finestre e legate da nappe con le frange. Elizabeth Caley era sdraiata su una chaise-longue di shantung di seta bianca, e indossava un fluente kimono verde scuro stampato a fiori gialli. I suoi capelli folti e nerissimi erano raccolti in una lunga treccia che le scendeva su una spalla. Attorno alla testa aveva un foulard bianco legato stretto. Si stava spalmando della crema sulle mani e quando vide Lorraine le rivolse un sorriso amichevole. «Venga, cara. Mi scuserà se non le stringo la mano ma mi sono appena fatta fare la manicure e la ragazza non usa mai abbastanza crema idratante. Si accomodi». Lorraine si guardò attorno. C'erano diverse poltrone ricoperte di shantung di seta gialla e prima che potesse decidere su quale prendere posto, Phyllis scelse per lei e spinse in avanti una poltrona dalle gambe affusolate.
«Grazie, Phyllis cara. Hai già detto a Peters di portare la colazione?». «Sì». «Bene, allora puoi lasciarci sole». Phyllis uscì dalla stanza e Lorraine si sedette, aprendo la sua valigetta e prendendo il blocco degli appunti. «Ha fatto qualcosa ai capelli?». Lorraine sorrise. «No, li ho solo lavati». «Lo fa da sola?». «Sì. Grazie per aver accettato di vedermi». In quel momento entrò Peters spingendo un carrello dorato con caffè, tè e acqua ghiacciata. Fermò il carrello accanto alla signora Caley, le porse un tovagliolo bianco perfettamente stirato e le versò una tazza di tè verde. Le tazze erano di fine porcellana. Versò anche il caffè per Lorraine e le indicò un piattino d'argento con il miele. La signora Caley si tirò su a sedere e fece un cenno con la mano. «Grazie, grazie, ti chiamerò se avremo bisogno di altro». «Molto bene, signora Caley». Si esibì nel suo solito mezzo inchino e uscì dalla stanza, richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. «Gradisce un croissant?». «No, grazie». Lorraine mise un cucchiaino di miele nel caffè, facendo attenzione a non sporcare il panno bianco che ricopriva il vassoio. Elizabeth Caley prese un croissant caldo con delle pinze d'argento e lo posò su un piatto. Poi, da un recipiente d'argento, prese un po' di marmellata. Lorraine si accorse che le mani lisce dalle unghie rosse e lunghe simili ad artigli della donna tremavano leggermente, e che aveva usato entrambe le mani per tenere la tazza e sorseggiare il tè. «Mi dispiace di non averla potuta ricevere ieri, ma sono sicura che Phyllis le avrà porto le mie scuse». «Certo». «Non so cosa farei senza Phyllis. È molto carina la sua camicetta». «Grazie». Lorraine appoggiò la tazza e il piattino sul bracciolo della poltrona, e si sistemò il blocco sulle gambe. «Mi dispiace doverle fare domande che avrà sentito chissà quante volte, ma è molto importante. Cercherò di non portarle via troppo tempo, perché sono sicura che sia doloroso per lei...». Elizabeth Caley annuì. Somigliava a Merle Oberon, la stessa fronte alta accentuata dal foulard, la stessa pelle perfetta. Il suo trucco, come ogni altra cosa in lei, era impeccabile, le labbra messe in risalto da un'ombra di
rossetto color fucsia scuro. Che la sua bellezza fosse stata restaurata dalla chirurgia estetica o meno era irrilevante: anche da vicino il suo volto sembrava del tutto privo di rughe. Accanto a lei, Lorraine si sentiva un disastro, proprio come si sarebbe sentita qualsiasi altra donna. Elizabeth Caley era una creatura fragile, femminile e perfetta che apparteneva a un'altra epoca. Non si sarebbe mai sognata di aprire una porta da sé - quella era una donna abituata ad avere uomini che si accapigliavano per arrivare per primi alla maniglia. «Potrebbe parlarmi del 15 febbraio, il giorno in cui siete partiti per New Orleans?». «Cosa intende dire?». «Be', so che lei e Anna Louise eravate insieme prima che suo marito tornasse dall'ufficio e...». «Oh, sì, capisco. Be', ho dovuto occuparmi dei bagagli, avevamo degli impegni, dei cocktail party, delle cene... Di solito è Peters a fare le valige per Robert, ma io sono molto particolare, uso sempre un tipo speciale di carta; mettendone un foglio tra gli indumenti, per evitare che si formino pieghe». «È stata lei a preparare le valige di sua figlia?». «Che Dio me ne scampi, no. Anna Louise è terribile e sa come si vestono le ragazze oggigiorno, jeans e T-shirt, altri jeans e altre T-shirt, e scarpe da tennis, naturalmente. Penso che chiunque abbia inventato quegli orribili indumenti dovrebbe essere fucilato. Anna Louise si limita a buttare gli abiti nelle valige, infatti abbiamo avuto una piccola discussione a riguardo perché avevo chiesto a Phyllis di assicurarsi che mia figlia portasse anche qualche vestito elegante. Comunque, è stata Phyllis ad aiutarla a fare i bagagli, se non ricordo male, e poi abbiamo fatto un brunch sulla terrazza, mentre aspettavamo Robert. Poi siamo andati all'aeroporto e...». La signora Caley aggrottò le sopracciglia. «Oh sì, sull'aereo, Anna Louise ha visto qualcosa su "Vogue" o su "Elle", un delizioso vestito nero da cocktail, e sono rimasta davvero sorpresa dal fatto che le piacesse così tanto. Quindi abbiamo chiamato casa per chiedere a Phyllis di andare a comprarglielo e di fare in modo che fosse consegnato per tempo a New Orleans». Si accigliò di nuovo, massaggiandosi la fronte con un dito. «Anna Louise era di ottimo umore, era entusiasta per quel viaggio e non vedeva l'ora di incontrarsi con i suoi amici, soprattutto con Tilda Brown, una ragazza davvero adorabile. Tilda era spesso nostra ospite, le siamo tutti molto affezionati».
«Tilda Brown avrebbe dovuto partire con voi per New Orleans ma...». «Oh sì, sì, sì. Ha detto che voleva partire prima e Phyllis l'ha aiutata con i preparativi. Non ho idea del perché, ma sa come sono le ragazze a quell'età, se la prendono per le sciocchezze più banali. Comunque, siamo partiti, siamo andati all'aeroporto e...». Lorraine l'ascoltò ripetere, proprio come aveva fatto il marito, quasi parola per parola la dichiarazione fatta alla polizia, dal momento in cui erano arrivati in albergo fino alla cena. «Non le viene in mente niente, per quanto insignificante, che potrebbe non aver raccontato alla polizia o agli altri detective?». «Mia cara, ho ripensato un'infinità di volte a quelle ore, le ho riviste nella mia mente come se fosse uno schermo cinematografico, cercando di trovare un indizio, ma non c'è nient'altro, assolutamente niente di nuovo che riesca a ricordare. È questo il motivo per cui è tutto così orribile, perché non riesco a pensare anche a una sola cosa che possa essere d'aiuto. Mia figlia era felice, allegra, eccitata per il Carnevale...». «Si era mai allontanata da sola prima?». «Naturalmente, ma mai senza dirci dove andava o chi avrebbe visto. È una ragazza intelligente, consapevole dei pericoli a cui poteva andare incontro trovandosi sola fuori la sera, soprattutto nel vecchio quartiere francese. Avevamo parlato di quanto fosse importante che ci facesse sempre sapere dove si trovava. Ovviamente, qualsiasi ragazza di Los Angeles è più che consapevole di quanto sia pericoloso accettare passaggi da sconosciuti o droghe...». «Sua figlia ha mai fatto uso di droghe?». «Mi scusi?». «Che lei sappia Anna Louise ha mai fatto uso di droghe, ha mai fumato della cannabis, per esempio?». «No, assolutamente no, non fuma nemmeno sigarette. E beve molto di rado, magari un bicchiere di champagne ma niente di più. Vede, mia figlia tiene molto alla sua salute e alla cura del suo corpo. Ama gli sport ed è chiaro che qualunque abuso di droghe o di alcol sarebbe inconcepibile per lei. Non mi fraintenda, so che non è perfetta. A volte si arrabbia per un nonnulla e si mette a fare delle scenate, proprio come qualunque altra ragazza della sua età». «Scenate?». «Be', non so se si possano definire esattamente così. Anna Louise è molto viziata, lo so, più da Robert che da me, e lo tiene in pugno, esattamente
come quando era una bambina. Mio marito l'adora ma sa anche essere molto deciso». «Anna Louise è la principale beneficiaria del suo testamento?». «Perché me lo chiede?». Lorraine scelse le parole con estrema cautela. «Be', non ci sono prove che sua figlia sia stata rapita, nessuna richiesta di riscatto, niente. Sto solo cercando di scoprire se esiste un movente...». Per un brevissimo istante, Lorraine vide la signora Caley esitare. «Sì, è tra i beneficiari del mio testamento, naturalmente». «È la maggiore beneficiaria?». «Sì, ma lo è anche del testamento di mio marito. Ha posto anche a lui questa domanda?». Lorraine tenne lo sguardo basso, come se stesse studiando i suoi appunti. «Sì». «Ah, capisco. Sì, be', se dovesse accadere qualcosa Anna Louise sarebbe automaticamente l'unica beneficiaria. E se, Dio non voglia, dovesse accadere qualcosa ad Anna, allora sarebbe Robert a ereditare e viceversa, naturalmente». Lorraine sollevò lo sguardo, preoccupata, perché ora non erano solo le mani di Elizabeth Caley a tremare, ma tutto il suo corpo. «Si sente bene?». «Cos'è successo a mia figlia?». «Non lo so, signora Caley, ma farò di tutto per scoprirlo». «Pensa che sia morta?». «Finché non ne saprò di più non potrò rispondere alla sua domanda». Elizabeth si alzò lentamente in piedi, reggendosi al bordo della chaiselongue. Lorraine la guardò attraversare la stanza appoggiandosi ai mobili, prima allo schienale di una sedia poi al ripiano di un cassettone. «Mi scusi, è solo un... La prego, prenda pure dell'altro caffè». Lorraine si alzò, pronta ad aiutarla, ma Elizabeth si aggrappò allo stipite della porta che conduceva alla camera da letto. Prima che Lorraine potesse raggiungerla, era già uscita e si era richiusa la porta alle spalle. Lorraine si versò un'altra tazza di caffè, poi notò una macchia scura di umidità sulla chaise-longue. Elizabeth Caley era incontinente? Cercò di ricordare il momento in cui aveva notato il suo tremore - era cominciato proprio quando le aveva chiesto del testamento? Phyllis entrò nella stanza, rivolse un brusco cenno col capo a Lorraine, mormorò «Mi scusi», e si affrettò a entrare nella camera da letto.
Lorraine attese circa una decina di minuti. Phyllis ricomparve, un sorriso incerto sulle labbra. «Vado a prendere dell'altro tè. Vuole ancora del caffè?». «No, grazie, basta così. Si sente bene la signora Caley?». «Sì, è solo che si stanca con estrema facilità, quindi spero che non si tratterrà ancora a lungo». Rapidamente Phyllis prese un cuscino da una delle poltrone e lo usò per coprire la macchia sulla chaise-longue. Poi spinse il carrello verso la porta. Stava per uscire quando dalla camera da letto una voce alta e acuta la chiamò. «Phyllis... Phyllis!». Lorraine guardò la donna rientrare frettolosamente nella camera da letto. La sentì sussurrare qualcosa ma non riuscì a distinguere le parole. In quel momento entrò Peters e, prima che Lorraine potesse dire qualcosa, il maggiordomo prese il carrello e lo spinse fuori dalla stanza. Si accorse che un luce sul telefono stava lampeggiando e sentì di nuovo la voce bassa di Phyllis. Questa volta Lorraine si avvicinò alla porta della camera da letto. «Penso che sia una buona idea. Posso chiederle di andarsene. Bene, sì, glielo dirò io». Lorraine fece a malapena in tempo a riprendere posto sulla poltrona prima che Phyllis rientrasse in salotto. «Peters ha portato via il carrello». «Signora Page, credo che sia meglio che se ne vada perché...». «Vattene, Phyllis». Elizabeth Caley adesso indossava un kimono diverso e si stava stringendo la cintura intorno alla vita. «Sarò io a dire alla signora Page quando andarsene. Vattene ora. E porta dell'altro tè per me e quello che stava bevendo alla signora Page». «No, sto bene così, la ringrazio. Comunque se è il caso che me ne vada...». «Assolutamente no. Vai, Phyllis, muoviti». La dama di compagnia sospirò e lasciò la stanza. «Certe volte è proprio una maledetta ficcanaso». Elizabeth si fermò accanto a un tavolo dal ripiano di cristallo coperto di soprammobili e fotografie. Aprì un portasigarette e prese una sigaretta lunga e sottile. Fece scattare la pietra focaia di un accendino di onice, scuotendolo. Lorraine prese il suo e stava per porgerlo alla signora Caley quando finalmente l'accendino di onice si accese. La donna aspirò una boccata di fumo e gettò l'accendino su una poltrona. La bellezza era scomparsa, il suo volto perfettamente truccato sembrava una maschera. «Non voglio che ficchi il naso nei miei affari!». La sua voce
era stridula e le sue mani, dalle unghie simili ad artigli, strinsero ancora di più la cintura del kimono. Con la sigaretta che le penzolava da un angolo della bocca color fucsia, sembrava una puttana da quattro soldi. «Signora Page, faccia quello per cui la pago. E ritirerò la mia offerta di un premio se tornerà dalla signora Salina. Juda non sa niente di mia figlia». Elizabeth prese un foglio di carta intestata, su cui aveva scarabocchiato poche righe dichiarando che s'impegnava a pagare il premio. «Come le ho già detto, avrà un milione di dollari se troverà mia figlia. Ma se parla ancora con Juda Salina, non le darò un centesimo. Capisce quello che le dico? Non le pagherò più niente». La voce della donna era cambiata. A poco a poco, le vocali allungate del suo accento della Louisiana stavano tornando a farsi sentire. Lorraine era affascinata e sapeva che nella sua camera da letto, Elizabeth Caley doveva aver preso della cocaina, delle anfetamine o un eccitante di qualche genere. Era iperattiva - nel modo in cui fumava, camminava, giocherellava con la cintura del kimono. «Ho bisogno di fidarmi di lei». Lorraine ripiegò il foglio. «Può fidarsi di me, signora Caley, glielo assicuro». «Okay, okay, d'accordo, benissimo. Sì, bene, ho bisogno di fidarmi, ho bisogno, mi capisce? Mi capisce?». «Certo», mentì Lorraine, anche se non la capiva, anche se non sapeva cosa stava succedendo, ma proprio quando avrebbe potuto cominciare a scoprirlo, i battenti della porta si aprirono e Robert Caley entrò. Non degnò Lorraine di uno sguardo e andò subito da sua moglie per abbracciarla. «Coraggio, vieni a stenderti, tesoro. Saluta la signora Page». Tenne le braccia strette attorno a Elizabeth, accompagnandola verso la camera da letto. «Penso che sia meglio che se ne vada, signora Page». Lorraine stava per salire in macchina, quando Robert Caley uscì dalla casa e le si avvicinò rapidamente. «Signora Page». Sulla guancia destra aveva un graffio più che evidente. «Sì?», disse lei con aria innocente. «Un attimo, per favore. Ehm, forse ieri non sono stato ehm... del tutto sincero». «Mi scusi?». «Le ho detto che mia moglie non poteva parlare con lei perché era indisposta, come avrebbe fatto un buon addetto alle pubbliche relazioni. Be', credo che abbia appena visto qual è il genere di indisposizione di mia mo-
glie...». Lorraine continuò a fissarlo fingendo di non capire. «Mi scusi?». Lui distolse lo sguardo, massaggiandosi le tempie. «La scomparsa di mia figlia ha turbato profondamente mia moglie. Non so cosa le abbia detto ma penso di doverla informare che talvolta è molto irrazionale e... Negli ultimi anni Elizabeth ha avuto un problema di droga dovuto principalmente a una vecchia ferita... Durante le riprese di Santa Maria, le è caduto addosso un pezzo della scenografia e ha riportato parecchie ferite. I dottori dello studio hanno fatto in modo che potesse tornare sul set già il giorno dopo, prescrivendole dei fortissimi antidolorifici e... ehm... mia moglie soffre ancora molto e nel corso degli anni...». Lorraine attese, osservandolo mentre cercava di scusare in ogni modo il comportamento di sua moglie. «Credo che sia una donna malata, e con la scomparsa di Anna Louise... Ciò che sto cercando di spiegarle è che Elizabeth soffre di una dipendenza da questi cosiddetti antidolorifici. Il problema è sotto controllo, ovviamente, ma in questo periodo li sta usando per il suo dolore psicologico, non solo fisico...». «Capisco». «Bene, perché non vorrei che fraintendesse o, peggio ancora, che ne parlasse con la stampa». «Non lo farei mai». «Bene, la ringrazio. Il fatto è che, con l'aiuto dei dottori, sono riuscito a tenere sotto controllo la sua dipendenza ma a volte, se non sono con lei...». Se stava mentendo era davvero bravo, perché sembrava sinceramente preoccupato per sua moglie. «Capisco perfettamente, signor Caley. Questo dev'essere un periodo molto difficile, non solo per sua moglie, e ovviamente tutto ciò che mi viene detto, tutto ciò che vedo, resterà rigorosamente tra di noi». Caley si voltò. «Signora Page, cerchi solo di scoprire se mia figlia è viva o morta perché il non sapere sta distruggendo me e sta uccidendo mia moglie». CAPITOLO 5 Rooney sedeva scompostamente sulla sedia di Lorraine dietro la scrivania. Quando suonò campanello, sia lui che Rosie si voltarono a guardare verso la porta. Nick Bartello era sulla soglia e stava osservando lo zerbino. Come al solito, aveva la barba lunga, mentre i suoi capelli neri, ricci e folti
gli arrivavano fino al colletto. Entrò nell'ufficio. La camicia di denim sgualcita e i jeans stazzonati non toglievano niente al suo fascino. Era uno di quegli uomini che bastava guardare per capire che avevano avuto una vita dura e intensa. Non zoppicava in modo molto evidente, si notava a malapena. «Ehi, Nick, come ti va la vita?», muggì Rooney. «Mi sento fottutamente a pezzi. Avete per caso una tazza di caffè?». «Certo, Nick. A proposito, questaè Rosie». «Ciao, Rosie». Bartello si lasciò cadere sulla sedia da cui lei si era appena alzata. «Ehi, amico, ci siamo presi una bella sbronza ieri sera, non è vero?». «Eccome, Nick, eccome». Rosie incominciò a preparare il caffè mentre Nick si toglieva dalla tasca un taccuino e alcuni pezzi di carta. «Okay, ecco come stanno le cose. I grandi capi dell'agenzia hanno gettato la spugna e mi hanno passato il caso, magari giusto per mettermelo nel culo. Come ti ho già detto ieri sera, se non arriverò a scoprire qualcosa, e finora non ho scoperto un cazzo, verrò licenziato. Inoltre proprio oggi, una decina di minuti fa, Robert Caley ha minacciato di mandarci a spasso se non riusciremo a ottenere qualche risultato». Rosie tornò alla scrivania. «Ho messo su il caffè». Nick le rivolse un sorriso abbagliante. «Grazie, dolcezza, fallo nero e forte». Si voltò di nuovo verso Rooney che sogghignò. «Nick viene pagato mille dollari la settimana più le spese, la Agnews ne guadagna circa cinquemila. Probabilmente hanno detto a Caley che siete in tre a indagare, giusto, Nick?». «Esatto, ma in realtà i pezzi grossi dell'agenzia si stanno occupando di un nuovo caso, stanno cercando l'ex marito di una qualche ricca stronza. Lo tireranno per le lunghe, così praticamente lavoro da solo sul caso Caley. L'agenzia non vuole perdere i suoi cinque bigliettoni alla settimana e io non voglio perdere il mio lavoro». Rooney gli lanciò un'occhiata obliqua. «Gli hai raccontato di noi?». Nick scrollò le spalle. «Non ho detto una sola parola. All'agenzia sanno che siete sul libro paga dei Caley e, ehi, Rosie, che fine ha fatto quel caffè? Quello che hai di fronte è un uomo disperato». Rooney sbuffò mentre Rosie controllava la macchina del caffè; era quasi pronto. Nick Bartello le piaceva, magari era un po' rude, ma c'era qualcosa
di adorabile in lui. E aveva un sorriso irresistibile. «Bill, io sono pronto a dividere i miei guadagni, dirami che cos'hai e io farò altrettanto». «Ma tu non hai un cazzo». «Esatto». Nick scoppiò a ridere. La sua risata era calda e accattivante come il suo sorriso. «E allora perché dovremmo metterci con te? Ce la caveremo benissimo da soli». «Be', forse ho scoperto qualcosa che non ho voluto riferire a quegli stronzi dei miei capi. Credevi che non sapessi a cosa miravi?». Rooney sbuffò di nuovo; nonostante il suo modo di fare rilassato e alla mano, Nick non era affatto uno stupido. «Dev'essere qualcosa di molto interessante, se vuoi metterti in società con noi». Nick Bartello si accarezzò la barba sul mento. «Be', forse ho qualcosa che vale abbastanza da convincervi a dividere il premio di un milione di dollari della signora Caley anche con me». Rosie si voltò di scatto a guardare Rooney; si era ubriacato così tanto da andarlo a raccontare a Bartello. Per un attimo lui ebbe la decenza di sembrare imbarazzato. Rosie sbatté la tazza di caffè sul tavolo. «Non credi che dovremmo discuterne con Lorraine?». Bartello scoppiò a ridere. «Senti, se Jack Lubrinski la stimava, allora vuol dire che è in gamba ed è okay per questo lavoro. È una forte bevitrice, giusto?». «Non più», disse Rosie ostile. «Okay, forse non lo è, ma quello che dico è: io vi do le mie informazioni e voi mi date una parte del milione di dollari. Io mando al diavolo il mio lavoro, e viviamo tutti felici e contenti, senza più ipoteche sulla casa e con un po' di soldi in banca». Rooney lanciò a Rosie un'occhiata accigliata poi tornò a guardare Bartello. «Okay, per me va bene, e anche Lorraine sarà d'accordo. Allora, che cos'hai?». «Credo che dovremmo aspettare Lorraine prima di continuare», si intromise Rosie, versando altro caffè. «Ehi, forza, avete soltanto due settimane», disse Nick. Rosie fissò Rooney sapendo che doveva aver raccontato ogni cosa a Nick. «Voi state indagando solo da un paio di giorni, mentre io sto lavorando
al caso da un bel po' di settimane e potrei farvi risparmiare un sacco di tempo prezioso». «Tu non hai nessuna informazione», disse Rooney con voce piatta. «Okay, voglio essere sincero. So qualcosa che non ti ho detto ieri sera, ma non ho nessuna intenzione di venirtela a raccontare se prima non ci stringiamo la mano». Rooney guardò Rosie che scrollò le spalle. «Okay, siamo d'accordo». I due uomini si strinsero la mano. Bartello sorseggiò il caffè, poi disse: «Okay, tanto per cominciare, so da fonte certa che Elizabeth Caley fa uso di droghe. Così, forse la scomparsa della sua preziosa figlioletta ha qualcosa a che fare con questo». «Cazzo, ma dici sul serio?», domandò Rooney. Nick bevve qualche altro sorso di caffè. «Certo che è vero, ha un vizietto che le costa circa tremila dollari la settimana. Sto controllando gli spacciatori, voglio dire, magari era indebitata fino al collo e sua figlia ci è andata di mezzo. Ho anche il nome del suo dottore. È molto amato dalle star, ma è anche conosciuto in altri ambienti per rilasciare ricette alquanto dubbie». «Si tratta di cocaina?». «A quanto pare la signora prende qualsiasi cosa su cui riesce a mettere le mani. È stata in due centri di riabilitazione, di quelli extralusso». Nick passò a Rooney le fotocopie di alcune cartelle cliniche graffettate insieme. «Le ho avute da un'adorabile infermiera per un centinaio di dollari. Se decidesse di venderle ai giornali scandalistici, quella deliziosa fanciulla potrebbe farci un bel po' di soldi». Rooney studiò il fascicolo medico di Elizabeth Caley. «Ma qui c'è scritto che la donna si chiama Maureen Sweeney...». «Già, be', non c'è da meravigliarsi che non ci sia il suo vero nome. È normale in questo genere di terapia». Rooney finì di leggere il documento poi lo passò a Rosie. «Tutto qui?». Nick si dondolò sulla sedia. «Be', per cominciare. E voi cosa avete?». «Lorraine è andata a parlare con una medium», disse Rosie e Rooney le diede un calcio sotto la scrivania. Nick la fissò. «Juda Salina?». Rosie sì accigliò. «Ehm, non ne sono sicura». Rooney si voltò a guardare Nick. «Sei riuscito a cavare qualcosa di interessante da quella donna?». Nick scosse la testa. «Nah, è un'imbrogliona». Rooney annuì. «Già, sono d'accordo. E per questo che non mi sono
nemmeno disturbato ad andarla a interrogare. Non capisco come mai a Lorraine interessi così tanto». «Allora, che altro avete?». Nick rimase un attimo in silenzio, vide Rooney lanciare uno sguardo a Rosie, e alzò gli occhi al cielo. «Cristo santo, non hai un cazzo nemmeno tu, razza di bastardo». «Rooney ha fatto cosa?», strillò Lorraine nel ricevitore del telefono dell'auto. «Cerca di calmarti adesso», disse Rosie con voce tremante. «Calmarmi! Ma sei impazzita? Mi dici che quello stupido ciccione bastardo ha coinvolto qualcun altro e non solo gli ha raccontato quello che sappiamo ma gli ha persino offerto una parte della ricompensa di un milione di dollari, e tu mi dici di calmarmi?!». «Si sono scambiati delle informazioni», balbettò Rosie. «Non me ne frega un cazzo di cosa si sono scambiati». «Ma le informazioni di Nick erano interessanti e...». Lorrame la interruppe. «Stronzate. Credi che non sapessi già che Elizabeth Caley è una drogata fuori di testa? Gesù Cristo, Rosie, l'ho capito la prima volta che siamo stati da lei». «Be', io non l'avevo capito». «Tu non l'hai mai vista di persona», replicò Lorraine bruscamente. «Be', in ogni caso è un problema che possiamo risolvere», disse Rosie, sempre più nervosa. «Oh, certamente. Quel bastardo lavora per la Agnews, dico bene? Giusto? E a voi non è venuto in mente che la prima cosa che farà sarà tornare alla sua agenzia e spifferare tutto quello che abbiamo scoperto?». «Non penso che lo farà», disse Rosie. «No, tu non pensi e basta, cosa che si può dire anche di quello stupidissimo figlio di puttana di Rooney. Come ha potuto fare una cosa simile?». Lorraine, in preda alla frustrazione, diede un pugno al cruscotto. «Dove sono adesso, Rooney e il suo amico Bartello?». «A casa». «Ci vediamo là». Rosie impiegò circa venti minuti a raggiungere l'incrocio di Orange Grove, poi si incamminò per Marengo Drive. Vide l'auto presa a nolo parcheggiata in divieto di sosta. Vide anche la macchina di Rooney dall'altra parte della strada. Rosie poteva sentirli discutere già dalla strada.
«Ti ho già detto, Bill, che sono io a dirigere il caso. Non tu. Io». «Okay, okay, mi dispiace, ma posso assicurarti che Nick non dirà una parola ai suoi capi». «Ah davvero? Lo sai per certo, ne sei assolutamente sicuro?». Ormai Lorraine stava urlando. «Cristo, conosco bene Nick Bartello, e ti dico che è un tipo a posto». «Oh, davvero?». «Si! E se provassi a calmarti solo per un secondo...». «Non dirmi di calmarmi, Bill, perché sono fuori di me!». Rosie entrò in casa ma né Rooney né Lorraine la degnarono di uno sguardo. Rooney aveva il volto arrossato e l'aria colpevole. «Nick arriverà da un momento all'altro così potremo risolvere questa faccenda». «Non ho nessuna intenzione di dividere il milione di dollari in quattro parti!». «Non dovremmo metterlo ai voti?», si intromise Rosie, rimpiangendo immediatamente di averlo fatto. Lorraine la fulminò con lo sguardo mentre si sbottonava la camicetta e si dirigeva verso la camera da letto. «Quand'è che voi due ve ne farete una ragione? Questo caso è mio, mio, quindi nessuna votazione del cazzo, sono io che prendo le decisioni!». Rosie stava facendo una dieta a base di pasta e insalata e, da quando avevano cominciato a lavorare al caso Caley, era riuscita a perdere due cliili. Era rimasta sorpresa per quel risultato e aveva deciso di dare un drastico taglio ai dolci fuori pasto. Quel nuovo regime senza grassi la faceva sentire molto meglio - fisicamente e mentalmente. «Che cos'è?», chiese Lorraine prendendo con la forchetta un pezzo di pasta a spirale. «Sono solo fusilli con aglio e sugo di pomodoro. Se non ti piacciono, ci penseremo io e Bill a finirli». Lorraine ne prese una forchettata e fece una smorfia. «Dio mio, ci sei andata pesante con l'aglio». «Se vuoi metterti ai fornelli, accomodati, la cucina è tutta tua», disse Rosie. «Allora, quando arriverà questo Nick?». «Tra non molto», rispose Rooney. Lorraine si alzò e andò a prendere il suo taccuino. «Okay, Juda Salina
non mi ha detto niente a parte il fatto che è stata assunta da Elizabeth Caley, non dal marito. Non mi ha raccontato molto perché ha detto che sarebbe sleale nei confronti della sua cliente e altre stronzate del genere, e la signora Caley ha minacciato di toglierci il premio se ci metteremo ancora il contatto con la Salina. Dovrò fare un'altra chiacchierata con la nostra Stella del Cinema che si fa di 'antidolorifici', se vogliamo chiamarli così. Robert Caley ha ammesso che sua moglie ha problemi di droga e ho avuto l'impressione che lei avesse paura che qualcuno, il marito o più probabilmente io, potesse scoprire che è una drogata. Ad ogni modo, Caley è stato piuttosto chiaro, ma al momento anche lui è un possibile sospetto. Il suo movente potrebbe essere il denaro. Senza sua figlia, non c'è praticamente più niente che lo separi dall'eredità. Questa è solo una supposizione perché la signora Caley mi ha detto che sia lei che il marito hanno scelto la figlia come prima beneficiaria, quindi chiunque dei due se ne andrà prima, l'altro diventerà immensamente più ricco». Sollevò lo sguardo su Rosie che le stava già portando via il piatto per prendersi i suoi avanzi. «Cazzo, Rosie, non ho ancora finito». «Scusa, pensavo che l'aglio...». «No, è squisita». Lorraine si riprese il piatto e mangiò un'altra forchettata di pasta. «Allora Caley è tra i sospettati?», domandò Rosie. «Ora come ora direi di sì, comunque dovrei controllare il suo conto in banca...». In quel momento, Nick Bartello fece capolino dalla porta. Doveva aver ascoltato gran parte della loro conversazione. «Io direi che il testamento è un buon movente. Elizabeth "ex star del cinema" Caley vale circa cinquantacinque milioni di dollari». Rooney si tolse il tovagliolo dal colletto della camicia e si alzò in piedi. «Ciao, Nick. Allora, per prima cosa le presentazioni. Lei è...». «Lorraine Page della Page Investigazioni», disse Nick sorridendo, la mano tesa verso Lorraine. Lei non gliela strinse, ma si limitò a sollevare il suo bicchiere d'acqua in segno di saluto. «E così lei è Nick Bartello». «Già, sono proprio io». «Ci siamo già incontrati?». Lorraine continuò a mangiare. «No, ma ho sentito parlare molto di lei». «Davvero?», disse Lorraine. Nick guardò Rooney, confuso dalla freddezza di Lorraine. Prese una se-
dia e Rosie gli versò un bicchiere d'acqua. «E che cosa si dice di lei, Nick?», chiese Lorraine in tono sarcastico. «O posso chiamarla semplicemente 'lo Zoppo'?». «Che sono un adorabile figlio di puttana, per esempio». Il sorriso che aveva fatto sciogliere Rosie non scalfì minimamente Lorraine. Aveva già incontrato anche troppi uomini come Nick Bartello, feriti in servizio o meno, e lui non zoppicava poi così tanto. «In che squadra era?». «Nella mia, be', ai tempi in cui lavoravo all'antidroga», rispose Rooney con voce piatta. «Davvero? E così lei e Bill siete vecchi amici». «Già, siamo così amici che mi sono fatto riempire una gamba di piombo grazie a questo simpatico bastardo che non mi aveva informato che lo strafatto di coca che dovevamo arrestare aveva un arsenale che avrebbe fatto impallidire l'esercito degli Stati Uniti». Lorraine annuì. «E quindi pensa che Bill sia in debito con lei». Nick Bartello smise improvvisamente di scherzare. «Per quello che è accaduto posso dare la colpa solo a me stesso, signora Page, e nessuno mi deve niente. Ho fatto solo il mio dovere e ho una pensione di invalidità che lo dimostra. Bill e io siamo solo vecchi amici». Rooney, sentendosi molto a disagio, pensò che avrebbe fatto meglio a parlare prima che fosse Nick a farlo. «Nick ha lavorato con Jack Lubrinski per qualche tempo. E quando ho cambiato squadra, ho portato Jack con me». «Già, grazie a Dio, era completamente fuori di testa». «Chissà che coppia eravate». Nick esitò. «Già, siamo stati incredibili, signora Page, per circa una decina di minuti». Lei distolse lo sguardo. «E così adesso lavora per l'Agenzia Investigativa Agnews. Lubrinski sarebbe molto fiero del suo avanzamento di carriera». «Certo, signora, lavoro per loro e so meglio di lei cosa ne penserebbe Jack. Da quello che ho sentito, ci andavate giù pesante con l'alcol». Si portò il bicchiere alle labbra, osservandola. Era una dura, questo doveva concederglielo, visto che non aveva fatto una piega nel sentire quella sua ultima osservazione. «Allora, ha parlato alla Agnews di noi?». «No». «Davvero? Dice sul serio? Non ha nemmeno accennato al fatto che ci è
stata offerta una ricompensa?». «No, e non ho intenzione di aprire bocca, soprattutto se avrò una fetta del malloppo». «Questo significa che glielo dirà o non glielo dirà, signor Bartello?». «Nick». «Okay, Nick, perché dovrei credere a una sola parola di quello che mi dici?». Lui posò lentamente il bicchiere sul tavolo. «Perché sono solo un loro dipendente e se ottenessi una parte di quel denaro potrei mandare affanculo la Agnews e tutti quelli che ci lavorano. Che problema hai? Vuoi un fottuto riassunto delle puntate precedenti? Bill non ti ha detto che abbiamo lavorato insieme?». «Sì, ma il fatto che tu abbia zoppicato un po' nell'ambiente non è un granché come curriculum». «Vaffanculo! Ehi, Billy, ma cos'è questa storia? Chi cazzo è questa stronza?». Era arrabbiato e teneva gli occhi fissi su Rooney. cercando di controllarsi. «È il capo, Nick». Bartello si voltò a guardare Lorraine. «Oh Dio, Dio, Dio, ci siamo proprio dati una ripulita, vero, signora Page?». «Oh Dio, Dio, Dio, signor Bartello, hai indovinato. Quindi perché non ci diamo un taglio con queste stronzate e non mi dai una buona ragione per cui dovresti guadagnarci anche tu se troviamo Anna. Louise Caley? Perché quello che hai detto a Bill riguardo alla signora Caley, io lo sapevo già, e sinceramente non lo ritengo abbastanza per darti una fetta della nostra possibile ricompensa». Nick si sporse verso di lei. «Forse, occhioni blu, so altre cose che potrebbero interessarvi». «Sono tutta orecchi ma dev'essere qualcosa di meglio di quello che abbiamo noi». Lui le rivolse il suo sorriso irresistibile e disse: «Oh, già, cosa dovrei fare? Applaudirvi per i vostri progressi? Fino a questo momento, avete scoperto soltanto stronzate...». «Non che tu ci abbia fornito niente di meglio», disse Lorraine, colpita da quel sorriso. Rooney e Rosie potevano quasi vedere le scintille che scoccavano tra Nick e Lorraine, mentre parlavano. Bartello si dondolò sulla sedia e da una tasca trasse un pacchetto stropicciato di Kool. Ne prese una, aprì l'accendino e lanciò uno sguardo obliquo
a Lorraine. «Pensate che Robert Caley sia uno dei sospetti più probabili? Be', potreste anche aver ragione. Per come la vedo io, con la figlia morta, finirà tutto in mano sua, giusto?». «Già, ma dovrebbe anche uccidere la vecchia stella del cinema per mettere le mani sui soldi». «Forse ha già pronto un piano». «Sì, forse». «Secondo te, un uomo che ha ucciso la sua stessa figlia non potrebbe fare altrettanto con la moglie? Le migliori agenzie investigative non sono state assunte dalla signora Caley ma dal marito, quindi lo stesso ragionamento lo si potrebbe applicare anche alla donna. Forse è lei che vuole i soldi del marito». Nick rimase in attesa della risposta di Lorraine. «Ma lui ne ha? Ho trovato dei vecchi articoli di giornale in cui si diceva che Caley era un semplice agente immobiliare quando si sono sposati». «Ma questo accadeva più di vent'anni fa. Adesso ha un grosso giro d'affari, ho controllato personalmente e quindi il denaro non gli manca. Qualcos'altro?». Rosie e Rooney erano tagliati fuori e potevano soltanto guardare Lorraine e Nick concentrandosi ora sull'uno ora sull'altra come se stessero assistendo a una partita a scacchi. «Se consideri Robert Caley un possibile sospetto, signora Page, ti trovi ancora in alto mare». «Perché?». «Perché se avessi fatto sparire mia figlia, non assumerei metà dei migliori detective privati di Los Angeles, compreso il sottoscritto... E se Caley è davvero il nostro uomo, ha assunto tutta la gente disponibile e anche di più solo perché è dannatamente sicuro di non aver lasciato alcuna prova. Mi segui?». «A dire il vero, no». Nick sorrise. «Oh, invece penso di sì, signora Page. Credo che tu mi abbia capito molto bene». La risata rauca di Lorraine lo colse con la guardia abbassata. Lorraine Page cominciava a piacergli ma non aveva alcuna intenzione di farglielo capire. Immaginava che si mangiasse uomini come ogni giorno a colazione. Rooney si accese una sigaretta. «Allora, siamo insieme in questo affare oppure no?». Nick guardò Lorraine, inclinando la testa di lato. «Sta alla signora deci-
dere». «Che cos'hai, Nick?», chiese Lorraine bruscamente. Lui si infilò una mano in tasca e ne estrasse un quarto di dollaro. «Lancia tu per chi deve cominciare prima». Lei prese la moneta. «Okay, testa o croce?». «Decidi tu». «Testa». Lanciò la moneta sul tavolo. «Okay, immagino che tocchi a me». Nick la guardò. Era consapevole di ogni curva del suo corpo mentre lei si alzava con movimenti sinuosi dalla sedia. Lorraine si accese una sigaretta e inspirò una lunga boccata. Gli piaceva come socchiudeva le labbra per lasciar scivolare fuori il fumo. «Penso che la ragazza sia morta, è tutto troppo tranquillo, sembra sparita nel nulla, e nessuno l'ha mai vista da allora. Certo, so di alcuni casi di persone scomparse ritrovate dopo molto più di undici mesi, tuttavia ho la sensazione che Anna Louise sia morta da molto tempo». Nick annuì. «Ma Bill ha detto che il premio di un milione di dollari è sempre valido, che la ragazza sia viva o morta, giusto?». Lorraine esitò per un attimo. «Questo significa che sei d'accordo con me?». «Certo, e anche Bill è della stessa opinione». Rooney guardò Lorraine. «Infatti, penso che la ragazza sia andata ormai». Nick alzò la mano. «La pupa è morta, su questo siamo tutti d'accordo?». «No», disse Rosie. «Io non sono sicura che sia morta, be', non lo sarò finché non avremo trovato delle prove. Potrebbe essere semplicemente scappata di casa. I ragazzi della sua età lo fanno spesso. Voglio dire, so di alcuni adolescenti che sono spariti e sono ricomparsi molti anni dopo, magari questo è uno di quei casi». Lorraine incrociò lo sguardo blu acceso di Nick Bartello e non ci fu bisogno di dire niente; entrambi erano convinti che Anna Louise fosse morta. «Già, forse hai ragione, Rosie». Lorraine continuò a guardare Nick. «Hai parlato con Juda Salina?». Bartello annuì. «Ce ne sono tante come lei, le basta una fottuta sfera di cristallo e una tenda. Dice un mucchio di stronzate e guadagna un sacco di soldi. La nostra città è piena di gente disperata. Credo che stia spremendo per bene Elizabeth Caley, queste star del cinema prima o poi si appassio-
nano a questa roba da psicopatici, sai com'è. E la faccenda del segreto professionale è solo un'altra cazzata, per non parlare poi del fatto che avrebbe collaborato con la polizia, ho controllato e non è vero niente. È più probabile che abbia letto una storia simile sul "National Enquirer". Dai rapporti della polizia risulta che non ha mai trovato niente di lontanamente utile, si è solo intromessa per farsi pubblicità». Rooney sentì di dover dire qualcosa. «Vuoi rivederla? La signora Caley te l'ha proibito». Guardò Nick. «Ha detto a Lorraine che avrebbe annullato la ricompensa...». Lorraine lo interruppe. «Dobbiamo andare a New Orleans. Robert Caley mi ha offerto di andare con lui sul suo jet privato. Ho deciso di accettare, così avrò un po' di tempo per parlargli». Nick sorrise. «Oh, a quanto pare stai puntando in alto». «Cosa vorresti dire?». Nick si passò una mano tra i capelli scarmigliati. «Senza offesa, ma Caley è un bell'uomo e... Ehi, stavo solo scherzando. Non hai scoperto nient'altro?». «Se tu e Bill ne avete parlato, scommetto che sai già praticamente tutto». «Già, ma tu che cosa stai nascondendo?». Lorraine scoppiò a ridere. «Chi ti dice che sto nascondendo qualcosa, Nick?». «L'intuito suppongo, tesoro. Tu hai la sensazione che la ragazza sia morta, quindi, dimmi, che altre sensazioni hai?». Lorraine tornò a sedersi, avvicinando la sedia a quella di lui. «Sta succedendo qualcosa di strano in quella reggia che i Caley chiamano casa. Elizabeth Caley ha paura, forse del marito, non lo so». «Ma tu hai intenzione di andare a New Orleans sul jet privato di Robert Caley?». «Ho intenzione di provare». Nick le sorrise nuovamente con aria d'intesa e Lorraine distolse lo sguardo. Lui le appoggiò una mano sul braccio. «Non preoccuparti, capisco che è un bell'uomo. Se fossi in te, cercherei di levargli i pantaloni». «Lasciami in pace, Cristo santo». «No, fa' quello che devi fare». «E questo cosa vorrebbe dire?», chiese Lorraine bruscamente. «Se può servirti a ottenere delle informazioni, scopatelo. Come ti ho detto, se fossi al tuo posto e se fossi una donna, probabilmente farei la stessa cosa, perché voi tre non avete molto su cui lavorare e nemmeno molto
tempo. Senza contare il fatto che potresti anche divertirti. Comunque, detto questo, forse ho...». «Hai cosa?», domandò Rooney, sporgendosi verso di lui. Nick si accese un'altra sigaretta con il mozzicone della precedente e si appoggiò allo schienale della sedia. «Okay, questo è proprio tutto? È tutto quello che avete? Bene, allora credo che sia il mio turno». «Infatti», disse Lorraine, infastidita ma anche leggermente imbarazzata dalle sue allusioni, perché era come se Nick Bartello le avesse letto nel pensiero. Lei era davvero attratta da Robert Caley. Ma Nick aveva toccato anche un altro tasto dolente - lei e la Page Investigazioni non avevano ancora scoperto un granché. Aveva qualche sospetto, ma non ne aveva mai parlato con nessuno. «Be', stiamo aspettando, signor Bartello», disse, inclinando la testa di lato per fargli il verso. «Sono certa che hai molto più di noi. Inoltre è già un bel po' che ti occupi di questo caso, quindi piantala con le cazzate». Nick aspirò una lunga boccata dalla sigaretta poi, lentamente, prese due fogli di carta spiegazzati dalla tasca posteriore dei jeans. Li lisciò con cura, senza fretta. Sembravano pagine strappate da un piccolo bloc-notes. «Devo controllare il mio archivio, per vedere se posso trovare qualche punto in comune con le vostre informazioni», sogghignò, indicando i fogli malconci. «Perché non cominci a parlarci della droga?», suggerì Rooney. Era stanco e aveva bisogno di un drink. «Okay. Circa dieci anni fa, ho arrestato un tizio, Gerry Fisher. Comunque, salta fuori che è il marito di una delle migliori agenti dell'antidroga, non era una che lavorava nella mia squadra, comunque mi hanno fatto capire che non dovevo essere troppo duro, sapete come vanno queste cose. Perciò lascio andare Fisher e lui è in debito con me, giusto? Comunque, diciotto mesi dopo, lo pizzico di nuovo e sta ancora vendendo droga e gli dico: "Questa volta ti sbatto dentro e non m'importa nemmeno se sei sposato con il Presidente." Fisher era una specie di mediatore. Aveva un grosso fornitore e vendeva la droga a un dottore dei quartieri alti, un certo Hayleden, che aveva un sacco di pazienti famosi che non si accontentavano dei soliti medicinali. Fisher non sapeva nemmeno per chi era la droga, prendeva gli ordini e consegnava tutto in ambulatorio. Anzi, in realtà, non vedeva Hayleden quasi mai. Io avevo deciso di occuparmi anche del dottore, ma è stato proprio allora che mi hanno riempito la gamba di piombo e così mi sono ritrovato fuori gioco. Quindi Fisher...».
Rooney lo interruppe, sbattendo un pugno sul tavolo. «Che cos'ha a che fare tutto questo con il caso? Arriva al punto, Nick!». «Okay, okay, hai ragione. Ora, ancora prima che cominciassi a lavorare al caso Caley, stavo tenendo d'occhio il figlio di un'altra stella del cinema. I suoi pensavano che si fosse messo a spacciare perché era fatto dalla mattina alla sera, e così si erano rivolti all'agenzia per farlo seguire e coglierlo in flagrante prima che lo facesse la polizia, e anche per dargli una bella strigliata. E, tombola!, mi rivolgo a Fisher che mi deve ancora un favore, giusto?, e lui mi spiega che questo ragazzo compra la roba da lui e poi la rivende agli studenti del college». «Anna Louise Caley?», domandò Lorraine, di colpo interessata. «No, aspetta un secondo. Io faccio quello che devo, seguo il ragazzo, eccetera eccetera, e faccio guadagnare all'agenzia un bel gruzzoletto. Fisher se la fa sotto perché teme che sarà arrestato, ma i familiari del ragazzo non ci pensano neanche a denunciarlo, vogliono soltanto rimettere in riga il loro ragazzo. E così Fisher mi dice che mi darà un sacco di informazioni su certa gente famosa se non mi rivolgo alla polizia. Io gli dico di andare affanculo e, per farla breve...». Lorraine, Rosie e Rooney gemettero esasperati, ma Nick alzò la mano. «Ehi, ehi, aspettate, ci sto arrivando. Quando mi affidano il caso Caley, decido di servirmi di Fisher e così gli chiedo se quel ragazzo vendeva anche ad Anna Louise. Lui mi dice di non averla mai sentita nominare e non la riconosce nemmeno dalla foto che gli mostro, così gli spiego che è la figlia di Elizabeth Caley, che un tempo si chiamava Elizabeth Seal ed era una stella del cinema». Nick guardò i suoi appunti, stringendo gli occhi. «Ed è qui che le cose cominciano a farsi interessanti. Fisher non vendeva roba ad Anna Louise ma a sua madre! È andata così, una notte Fisher riceve una chiamata di emergenza dal dottor Hayleden, che è a sciare ad Aspen o da qualche altra parte, che gli dice di portare la roba migliore che ha al suo ambulatorio il prima possibile, si occuperà un'infermiera del pagamento». Contò sulle dita. «La richiesta era di cocaina, anfetamine, un po' di crack e una montagna di tranquillanti - sonniferi, temazepam - ed è chiaro che qualcuno ha organizzato una bella festicciola. Così porta la roba all'ambulatorio, gli danno i suoi soldi come al solito e se ne torna in macchina. Poi si dice, perché non provare a scavalcare il dottore? E così Fisher aspetta e, un'ora e mezza dopo, arriva in auto una donna magra. La vede entrare nell'ambulatorio, uscire in fretta e furia e risalire in macchina. Lui la segue perché sa che l'ambu-
latorio è chiuso e perciò questa tizia dev'essere per forza la cliente, giusto? E lei lo porta dritto alla residenza dei Caley. Ferma la macchina davanti al cancello e Fisher decide di provarci. Raggiunge la donna e lei si mette a urlare e dice che non sa di cosa stia parlando, era solo andata a ritirare una ricetta e che se non se ne andrà al più presto, chiamerà la polizia. Il cancello si apre e la donna entra... Lui pensa di essersi sbagliato, ma riceve altre chiamate urgenti e rivede sempre la stessa donna, e così capisce che non si era affatto sbagliato. La ferma di nuovo e questa volta la donna è ancora più agitata ma lui riesce a calmarla e le spiega che non è un poliziotto, solo...». «Stai parlando di Phyllis Collins?», chiese Rosie. «Già, solo che adesso lei ha paura che Fisher racconti tutto di lei e della stella del cinema, e accetta di trattare direttamente con lui. Phyllis lo chiamerà, gli dirà di cosa ha bisogno e si incontreranno in un caffè o da qualche altra parte. Così il dottore perde la Caley e non solo, perché Fisher riesce a soffiargli qualche altro cliente. Poi Phyllis dice a Fisher che non comprerà più niente, che la signora Caley è in clinica per disintossicarsi, e la sua bella fonte di guadagno finisce giù per il cesso. Ma qualcuno in casa ha ancora un brutto vizio, un vizio da diverse migliaia di dollari la settimana, secondo Fisher». «Mio Dio, Elizabeth Caley?», mormorò Rosie. Nick scrollò le spalle. «E poi, ma questo potrebbe anche non c'entrare, il mio caro amico Fisher...». «Posso parlargli?», domandò Lorraine. «Sarà dura. È stato trovato morto tre settimane fa, è ancora all'obitorio, sai sono indietro col lavoro. Comunque probabilmente è stata un'overdose, aveva un ago piantato nel braccio». «Cazzo», disse Lorraine, versandosi dell'altro caffè. Nick spostò lo sguardo sulla seconda pagina spiegazzata. «Quindi, sappiamo che la segretaria faceva compere per sua maestà. Direi che è una buona pista da seguire, e faremmo meglio a interrogare Phyllis perché deve sapere molto più di quello che dice. Tu mi hai detto che pensi che la signora Caley si faccia ancora, quindi direi che ha un nuovo spacciatore o che è tornata a servirsi del dottor Hayleden. Tuttavia dobbiamo tenere presente che non possiamo agitare troppo le acque visto che è la signora Caley che ci sborserà il milione di dollari». «Questo Fisher ti ha mai detto di aver incontrato o venduto roba a Robert Caley?», domandò Rooney.
«No». Nick spense la sigaretta. «Tutto qui?», chiese Lorraine. Nick scrollò le spalle. «Dovremo lavorarci un po' Phyllis... potrebbe esserci un legame tra la droga e la sparizione della ragazza. Forse i fornitori di Fisher si sono incazzati o magari si è incazzato il dottore. Dovremo controllare tutte queste cose. Poi, e questa è una buona notizia...». Nick studiò i suoi appunti, mordicchiandosi un labbro e lanciando un'occhiata a Lorraine. «Ecco, Robert Caley. Sarà anche carino, tesoro, ma per me è il nostro sospetto numero uno, e se non lui i suoi soci». «A causa del testamento?», domandò Rooney. «Tanto per cominciare. Non sappiamo se ha intenzione di scaricare quella drogata di sua moglie ma, senza la ragazza e se Elizabeth Caley muore, lui diventerà molto ricco. E, credetemi, è una fottuta montagna di soldi. Stiamo parlando di più di cinquanta milioni di dollari. Solo la villa in cui vivono ne vale dodici, e hanno anche delle grosse proprietà a New Orleans». «Ma questa è solo una supposizione, dico bene?», chiese Lorraine. «Già, ma sono tutte supposizioni finché non otteniamo dei risultati. E quando prima ho detto che il nostro signor Caley non è certamente a corto di denaro, be', non era proprio la verità. Sapete di cosa si occupa?». «Di vendite immobiliari», disse Rooney impaziente. «Già, infatti. Fa affari sia qui che in Louisiana e guadagna un sacco di soldi». Nick fece una pausa a effetto. «O meglio, guadagnava». Rooney e Lorraine si scambiarono un'occhiata. Non avevano ancora controllato le finanze di Caley, così attesero mentre Nick consultava i suoi appunti. «Robert Caley e i suoi soci stanno cercando di aprire un casinò a New Orleans. Il gioco d'azzardo è un grosso affare e sono riusciti a convincere l'amministrazione cittadina dicendo che un posto del genere aiuterebbe l'economia e farebbe diminuire la disoccupazione. Ma per qualche motivo, adesso il loro progetto sta andando a puttane. Robert Caley non ha ancora ottenuto la licenza per il casinò e all'improvviso sono sorti ostacoli legali, architettonici e sociali di ogni tipo. Inoltre, i membri di un altro consorzio locale si sono fatti avanti e sostengono che la licenza per il casinò dovrebbe essere concessa a loro. La ragione per cui punterei su Caley come sospetto numero uno è che sta perdendo credibilità e se continueranno a esserci ritardi è molto probabile che i suoi soci si chiamino fuori dall'affare. Se non riuscirà a dare il via ai lavori per il casinò al più presto, finirà per
perdere milioni di dollari perché ha acquistato la proprietà su cui dovrebbe essere costruito». Nick rivolse al suo pubblico un sorriso raggiante; sapeva di aver aperto un vero e proprio vaso di Pandora. Continuò: «Quindi abbiamo alcune possibili spiegazioni. Primo, la ragazza scomparsa potrebbe essere stata rapita o comunque la sua sparizione potrebbe essere collegata a un trafficante di droga. Secondo, il suo rapimento è una minaccia per convincere Caley ad abbandonare l'affare del casinò, forse solo un avvertimento. Caley si è mischiato a gente pericolosa e, per quanto ho potuto capire, è stata sua moglie ad assumere gli investigatori, non lui...». «Caley non voleva che sua moglie si rivolgesse a noi ma ci ha fatto capire che il motivo era che ci considerava dei perdenti», disse Rooney finendo la sua tazza di caffè. «Lasciami finire, Bill. La mia teoria numero tre è che Caley ha bisogno di soldi per il casinò, un bisogno disperato. Sai com'è la politica laggiù - se Caley avesse abbastanza soldi per ungere le ruote giuste, non avrebbe più alcun problema. Così, si sbarazza della figlia, poi della moglie e cosa abbiamo? Abbiamo un uomo molto ricco e molto felice con una licenza per aprire un'attività che lo renderà ancora più ricco e ancora più felice». Nick ripiegò i suoi appunti e li rimise in tasca. «Be', questo è quello che ho. Posso darvi un consiglio? Penso che Lorraine, o persino Rosie, dovrebbe cercare di scoprire tutto quello che può da Phyllis Collins. Io mi occuperò del dottore e della droga e tu, Bill, vedi cosa riesci a scoprire sull'affare del casinò». «Per me va bene», disse Rooney, aggiustandosi la cravatta sudata attorno a un altrettanto sudato colletto. Nick si accese un'altra sigaretta, si alzò e si diresse verso la porta d'ingresso. «Grazie del caffè, Rosie. Ci vediamo, soci...». Esitò per un attimo, guardando Lorraine. «Visto che il Mister Ambiguità ti ha offerto un passaggio sul suo jet privato, ti consiglio di accettarlo perché, non so come la pensi tu, io sono convinto che Caley sia il nostro uomo». Rooney spinse indietro la sedia e si alzò. «Devo andare anch'io. Vedrò cosa riesco a scoprire al dipartimento. Teniamoci in contatto, d'accordo?». «Quasi non sto nella pelle», disse Rosie sorridendo. «Di cosa stai parlando?», chiese Lorraine, irritata. «Di New Orleans. Non ci sono mai stata. E con le spese pagate, potremo andare in un bell'hotel. Posso parlare io con Phyllis Collins, sarà alla riunione di domani sera».
«Ci vediamo», salutò Rooney, che era già arrivato alla porta. «Ciao», disse Nick. Lorraine alzò lo sguardo. «Solo un'altra cosa, signor Bartello. Questo caso è mio, sono io a dirigere lo spettacolo, quindi d'ora in poi non provare più a dirmi cosa devo fare». «Ehi, favoloso». Lorraine notò che Nick e Rooney si scambiavano un'occhiata d'intesa mentre se ne andavano e la cosa la mandò su tutte le furie. Si rimproverò per quell'uscita così fuori luogo. Avrebbe dovuto giocare molto meglio le sue carte. Mise i piatti sporchi nel lavello. «Forse è meglio che parli io con Phyllis, Rosie». Rosie fece scorrere l'acqua e non riuscì a nascondere la sua delusione. Lorraine le mise un braccio attorno alle spalle. «Puoi venire anche tu, se ti va, due teste sono meglio di una, okay, Rosie?». CAPITOLO 6 Lorraine imboccò l'autostrada: Rosie si era già messa in contatto con Phyllis Collins che aveva accettato di incontrarsi con Lorraine, ma non alla residenza dei Caley. Phyllis aveva proposto il bar del Plaza di Rodeo Drive, dal momento che doveva andare da quelle parti per fare compere da Georgette Klinger per conto della signora Caley. «E che cosa sarebbe?», chiese Lorraine. «Non so, forse una boutique. Non gliel'ho chiesto». «Okay, se hai bisogno di me, chiamami sul cellulare». «Va bene, passo e chiudo». Lorraine controllò l'ora, mentre posteggiava accanto a un parchimetro su Rodeo Drive. Era in anticipo di oltre un'ora e così decise di andare a tagliarsi i capelli. Scelse un parrucchiere a caso e chiese se potevano farle subito i capelli. «Okay, Lorraine, faremo di te una donna nuova». Lorraine guardò Noël, il pittoresco parrucchiere afroamericano, tagliare e spuntare, osservarla con occhio critico e poi tagliare e spuntare di nuovo. Notò che sulla mensola sotto lo specchio c'erano dei tubetti bianchi su cui spiccava il nome di Georgette Klinger. «Che cosa sono?». Noël sollevò lo sguardo. «Oh, quelli sono trattamenti molto costosi, li
vendono in un negozio poco più avanti. Alcune nostre clienti», fece un ampio gesto con le forbici, «hanno fiducia cieca in questi prodotti». Alle due e quarantacinque, Lorraine, armata del biglietto da visita di Noël, uscì dal parrucchiere. Mancavano ancora quindici minuti all'appuntamento con Phyllis, così si incamminò lungo Rodeo Drive fino a raggiungere il negozio di Georgette Klinger. Diede un'occhiata alla vetrina poi fece un passo indietro per ammirare la propria immagine riflessa. Era un bel taglio, sfumato sulla nuca e lungo davanti. Noël le aveva lasciato i capelli più lunghi da un lato, quello della cicatrice, e a Lorraine piaceva il modo in cui le nascondeva metà del viso quando si sporgeva in avanti. A dire il vero, le piaceva la sua nuova immagine. Era così intenta ad ammirarsi che non notò Phyllis che stava parcheggiando dall'altra parte della strada, non la vide raggiungere un'altra auto posteggiata, una lunga Lincoln verde metallizzata con i finestrini neri, e salire dietro. «Buongiorno, dovrei incontrare un'amica che deve comprare qualcosa per la signora Caley». La sicurezza di Lorraine nel suo nuovo look si incrinò leggermente quando vide l'elegante donna dal marcato accento francese dietro il bancone passarsi una mano tra i lunghissimi capelli biondi. «Sono davvero desolata, chi?». «La signora Elizabeth Caley». «No, mi spiace ma non aspetto nessuno, a meno che... un momento, per favore». Controllò in una grande agenda rilegata in pelle. Lorraine si mise a guardare le numerose creme e lozioni disposte ad arte sugli scaffali. «No, la signora Caley sta aspettando alcune delle nostre protezioni solari ma purtroppo non sono ancora arrivate, le avremo la prossima settimana. Sono desolata». Lorraine prese uno shampoo e un balsamo e le venne quasi un infarto quando vide il conto. Una seconda commessa emerse dal retro del negozio, ansiosa di venderle altri prodotti. «Questa signora è un'amica della signora Caley, mi ha detto che stava aspettando una consegna...». La seconda donna sorrise a Lorraine. «Ho chiamato due giorni fa per scusarmi per il ritardo. Le creme solari arriveranno verso la fine del mese». Lorraine prese il sacchetto di plastica bianca che conteneva i suoi acquisti e uscì dal negozio. Controllò l'ora, temendo di arrivare in ritardo all'appuntamento con Phyllis.
Il respiro pesante e il profumo dolciastro di Juda facevano venire la nausea a Phyllis; detestava profondamente quella donna. «Il marito della signora Caley è stato molto chiaro, non posso farci niente. Per favore, non telefoni più. La signora Caley ha detto che si metterà in contatto con lei più avanti». «Capisco, be', è lei che deve decidere. Ma non può continuare a prendere appuntamenti per poi cancellarli. Faccio di tutto per trovare del tempo per lei e ho molti altri clienti». Phyllis porse una busta alla donna. «Penso che questo sarà sufficiente...». Juda prese la busta. «Per favore, dica alla mia cara Elizabeth di non perdere la speranza. Avverto ancora la presenza di Anna Louise con grande intensità, le dica di non perdere la speranza». «Glielo dirò». Juda annuì e diede a Phyllis un piccolo pacchetto quadrato di carta marrone. Mentre Phyllis apriva la portiera, Juda le disse: «Se il signor Caley sta per partire, forse Elizabeth potrà vedermi». «Sono sicura che la signora Caley la chiamerà. Adesso devo andare...». Phyllis scese dall'auto. L'autista si voltò verso il sedile posteriore; aveva circa vent'anni, la carnagione olivastra e indossava una camicia bianca sbottonata sul collo. Guardò Juda aprire la busta e cominciare a contare i biglietti da cento dollari. «Dove andiamo adesso, zia Juda?». La medium alzò lo sguardo e si affrettò a riporre il denaro in una morbida borsa di pelle. «Riportami a casa, Raoul, poi va' a fare la spesa. E guarda la strada, altrimenti ti rispedisco a casa». Il ragazzo ridacchiò. «Nessuno riesce a fregarti, vero?». Juda si appoggiò allo schienale, guardando fuori dal finestrino scuro. «Puoi ben dirlo, caro. E quelli che ci provano finiscono sempre per pentirsene. Aspetta, fermati un attimo, ho appena visto una persona che conosco». Lorraine s'incamminò a passo sostenuto lungo Rodeo Drive, diretta al Plaza. Vide Phyllis scendere dalla Lincoln, la vide fermarsi sul bordo della strada ma, quando riuscì ad attraversare, era già più avanti di Lorraine. Lorraine immaginò che la Lincoln fosse della signora Caley, che l'autista avesse accompagnato Phyllis all'appuntamento e quindi non si soffermò a
osservarla. Ma Juda si porse in avanti mentre l'auto si immetteva nel traffico. Era sicura che la bionda fosse la donna che era andata a casa sua e, a quanto pareva, stava seguendo Phyllis. «Lorraine», mormorò Juda. «Come? Ci fermiamo o andiamo?». «Guida», disse Juda bruscamente. «È una tua cliente?», domandò Raoul. «No, è un'investigatrice privata». Ripeté il nome di Lorraine tra sé e sé, poi intrecciò le dita grasse e sudaticce cariche di anelli. Cominciò a respirare affannosamente. «Sei nei guai?». «Io no, ma quella donna lo sarà presto. Molto presto». Raoul smise di scherzare. Quando sua zia parlava in quel modo, quando i suoi occhi dalle lunga ciglia finte fissavano il vuoto come se stesse scrutando qualcosa di invisibile, lo spaventava ancora più di sua madre... Ma in fondo erano sorelle. Strinse con forza il volante, lanciando un'altra occhiata furtiva prima a Juda e poi allo specchietto retrovisore, cercando di vedere la donna di cui aveva parlato sua zia. Ma Lorraine era già scomparsa. Lorraine raggiunse Phyllis proprio mentre la donna prendeva posto a uno dei tavolini bianchi davanti alla caffetteria. «Mi scusi per il ritardo ma non conosco bene la zona», disse Lorraine con un sorriso. «Prende qualcosa?». «Sì, grazie, un cappuccino. Non deve al bancone, verrà il cameriere a prendere le ordinazioni». Phyllis parlava velocemente, in tono nervoso. Non poté fare a meno di notare il sacchetto di Georgette Klinger che aveva Lorraine. «Non credo che sia stata molto sincera con me, Phyllis». La donna arrossì e strinse le labbra. «Mi dispiace, ma non so di cosa stia parlando. Vedo che è stata dal parrucchiere». «Sì, ero in anticipo. Sono stata anche in questo negozio», le mostrò il sacchetto e sorrise. «Ah sì, dovevo ritirare dei prodotti per la signora Caley». «Ma non arriveranno prima della fine del mese, lo so». «Sì, davvero molto seccante, una perdita di tempo. Comunque, adesso possiamo parlare. Rosie mi ha detto che aveva una certa urgenza di vedermi».
Arrivò un cameriere e Lorraine ordinò due cappuccini. Phyllis prese a picchiettare nervosamente con un piede contro la gamba della sedia. «Ma lei sapeva già che la protezione solare della signora Caley non era arrivata. O ameno così mi hanno detto le commesse». «Santo cielo, ma perché glielo ha chiesto? Voglio dire, credo che tutto questo sia piuttosto inutile». «Può darsi, ma visto che ero là...». «Se per lei questo vuol dire non essere sinceri, be', allora mi dispiace. Avevo deciso di telefonare per sentire se per caso i prodotti non erano già arrivati. Dovevo comprare anche altre cose, quindi non le ho mentito e le confesso che trovo molto irritanti le sue insinuazioni. La signora Caley è molto sensibile al sole, la sua pelle ne soffre terribilmente...». Continuò a picchiettare con il piede, il tavolo tremolò leggermente, ma Phyllis non sembrò accorgersene. Continuava a guardarsi attorno, giocherellando con il colletto della sua camicetta. Lorraine non disse niente per qualche istante. A poco a poco il rossore scomparve dalle guance della donna. «Le sta molto bene questa nuova pettinatura. Un buon taglio è importante, non trova?». «Sì, sono stata fortunata. Sono andata da un parrucchiere qui su Rodeo Drive». «Da St. Julian?», chiese Phyllis. Il suo volto dal naso sottile e adunco ricordava a Lorraine quello di un uccello. «Dio, la sua curiosità la sta portando a indagare su cose alquanto stupide». «Mi scusi?». «Quello è il parrucchiere della signora Caley. Be', lo era, perché adesso lo fa venire a casa. Ma ci andava anche Anna Louise, curava molto i suoi capelli». «Davvero? Dev'essere una coincidenza, perché ho scelto a caso. Come le ho già detto, sono arrivata in anticipo». Il cameriere arrivò con i loro cappuccini e un piatto di biscotti e pasticcini, e Lorraine lo ringraziò con un sorriso. «Da quanto tempo, la signora Caley ha problemi di droga?». Phyllis arrossì di nuovo. Mescolò il cappuccino, continuando a picchiettare con il piede. «Non ho idea di cosa stia parlando». «Sì, invece, ed è per questo che volevo vederla». «Non riesco a capire come le medicine della signora Caley possano avere a che fare con il suo lavoro o con quello di Rosie».
«Medicine? Avanti, Phyllis, so benissimo che si fa di eccitanti, tranquillanti, cocaina, anfetamine, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Persino suo marito ha ammesso che...». «Il signor Caley gliel'ha detto?», domandò Phyllis, sbalordita. «Sì, anche se mi ha fatto capire che si trattava di semplici antidolorifici che la signora Caley aveva cominciato a prendere dopo un incidente. Ma le anfetamine, la cocaina e tutto il resto non sono esattamente antidolorifici, e l'ultima volta che l'ho vista doveva aver preso qualcosa. Mi sembrava molto agitata». «Penso che in simili, dolorosissime circostanze, signora Page, chiunque sarebbe agitato. Sua figlia è scomparsa, potrebbe anche essere morta...». «Sì, lo so, Phyllis. È per questo che sto indagando su ogni possibile movente». «Intende dire che sospetta della signora Caley?». «No, ma ho bisogno di sapere da chi compra la droga, perché potrebbe esserci un legame con la sparizione di Anna Louise». «Non c'è nessun legame, glielo assicuro». «Temo che non sia abbastanza, Phyllis. E se le interessa scoprire la verità, la smetta con i suoi stupidi giochetti. Potrebbe essere arrestata per spaccio di droga, lo sa vero? Vede, so come facevate una volta. Anche il nostro simpatico dottore potrebbe essere arrestato. So che andava a ritirare la droga nel suo ambulatorio, e so anche che in seguito la comprava direttamente da un uomo di nome Gerry Fisher». «Oh Dio!». Phyllis stava tremando ormai. «Ha detto al signor Caley che avevamo un appuntamento?». «No, questa è una conversazione privata tra me e lei, non ne farò parola con nessuno. Ma devo sapere se qualcuno per qualche ragione se l'è presa con la signora Caley o l'ha minacciata. Un vizio da tremila dollari la settimana può procurare grossi guai, mi capisce? E so che a un certo punto avete tagliato fuori il dottore e quindi lui ha perso il suo guadagno». «Non sono tremila...». «Avanti, Phyllis, cento dollari in più o in meno non fanno alcuna differenza». «Sono cinquemila...». «Cosa?». «A volte un po' meno, e naturalmente gran parte di quei soldi servono a mantenere... la segretezza. Voglio dire, se si venisse a sapere di questa storia, la signora Caley è molto famosa, si occupa di beneficenza e na-
turalmente bisogna pensare anche al signor Caley. Se fosse resa pubblica, per lui sarebbe la fine». «Il signor Caley fa uso di droghe?». «No, assolutamente no. Ha cercato in tutti i modi di convincere Elizabeth a smettere. È stata in molte cliniche per disintossicarsi ma ogni volta che esce... ricomincia tutto come prima, e da quando c'è stata questa tragedia, le cose sono ulteriormente peggiorate. Per gran parte del giorno, vive in uno stato di stordimento, poi quando torna a casa il signor Caley, comincia a imbottirsi di eccitanti, quindi non riesce a, dormire; è una specie di circolo vizioso. È un miracolo che non sia già morta con tutto quello che prende. Ha un fisico molto forte, che mette a dura prova, ma quando è necessario riesce ancora a recitare bene la sua parte. Nessuno se ne accorge, e anche questo è un problema. È molto astuta, molto subdola. Se qualcuno glielo chiede, è pronta a giurare sulla Bibbia di non aver preso niente». Lorraine finì il cappuccino, Phyllis invece non aveva praticamente toccato il suo. Non era più così agitata adesso, teneva le mani raccolte in grembo. «Non ho idea di come siamo riusciti a tenerlo segreto per tutto questo tempo, non lo so davvero, ma almeno adesso non devo più vedere quell'uomo orribile». «Chi è il suo spacciatore adesso, Phyllis?». «La prego, signora Page. Quando la signora Caley è entrata in clinica per disintossicarsi, ho detto a Fisher che non avevamo più bisogno dei suoi servigi. Poi quando Elizabeth ha ricominciato, mi sono rivolta al dottore ma solo per prendere qualcosa che l'aiutasse a dormire e a combattere l'ansia. Non usa più altre sostanze, glielo assicuro». Lorraine annuì. Aveva maledettamente bisogno di una sigaretta. «Quindi non si è mai messa in contatto con qualche altro spacciatore, si è rivolta esclusivamente al dottore?». «Sì». «Perciò nessun altro è al corrente di questa faccenda e nessuno vi sta facendo pressioni perché compriate da lui?». «No, almeno non che io sappia». «Il signor Caley sa che lei procura la roba a sua moglie, non è vero?». Phyllis si mordicchiò il labbro inferiore. «Sa degli antidolorifici». «Il signore e la signora Caley dormono insieme?». Phyllis sembrò shockata. «Non so cosa dirle, davvero». «Dormono nella stessa camera?».
«Hanno due appartamenti separati. Non so assolutamente che cosa facciano quando sono insieme. A mio avviso il signor Caley è molto paziente e premuroso. Trattare con la signora certe volte può essere molto difficile, glielo assicuro». «E Anna Louise?». «Scusi?». Lorraine sospirò. «Phyllis, Anna Louise sapeva della dipendenza di sua madre?». La donna distolse lo sguardo. «Forse. Be', sarebbe stato difficile non saperlo vivendo sotto lo stesso tetto. La signora Caley soffre di terribili sbalzi di umore e talvolta si comporta in maniera estremamente irrazionale». «Litigavano spesso?». Phyllis annuì. «Anna Louise faceva uso di droghe?». «No, no, le odiava, non fumava neppure e non beveva quasi mai. Anzi, certe volte sembrava più una madre che una figlia, ed è per questo che è la sua sparizione è così terribile per la signora Caley». Lorraine sbocconcellò un pasticcino. «Il giorno che sono partiti per New Orleans, in che condizioni era la signora Caley?». «Aveva... aveva preso qualcosa. Era molto tesa e con la scusa che odiava volare aveva preso qualcosa per calmarsi, ma era... credo che l'espressione esatta sia "fatta". Non riusciva a decidersi se partire o meno, continuava a cambiare idea, ma noi le avevamo preparato i bagagli e quando il signor Caley è tornato, ormai era riuscita a calmarsi». «Come stava Anna Louise?». «Be', non sopportava sua madre quando era in quelle condizioni e credo che a un certo punto abbia anche pensato di non partire. Ma quando il signor Caley è tornato a casa, hanno discusso per un po' e alla fine sono partiti tutti». «Perciò l'ultima volta che ha parlato con Anna Louise è stata quando ha ricevuto la sua chiamata dall'aereo?». «Sì, quella è stata l'ultima volta. Mi ha chiesto di andare a comprarle un vestito, ma credo che questo lei lo sappia già». «E sembrava che stesse bene, oppure era tesa?». «Sembrava rilassata e felice, così come la signora Caley». «Quindi ha parlato anche con la signora Caley?». «Sì, voleva assicurarsi che riuscissi a consegnare in tempo il vestito al pilota del jet privato che sarebbe tornato per portare l'abito a New Orle-
ans». All'improvviso Phyllis chinò il capo. «Era un abito bellissimo e... Anna Louise non ha mai potuto indossarlo. Lei crede che sia morta, non è vero?». Lorraine fece un cenno al cameriere. «Non posso ancora rispondere alla sua domanda. E lei?». «Mi scusi?». «Lei pensa che Anna Louise sia morta, Phyllis?». La donna annuì, torcendosi le mani. «Sì, non avrebbe mai fatto una cosa simile a sua madre e meno che mai a suo padre, era una ragazza molto giudiziosa. Sa, se ritardava, avvertiva sempre, e quando era in vacanza chiamava suo padre due o tre volte al giorno». Lorraine pagò il conto; con quella cifra avrebbe potuto tranquillamente pranzare in un ristorante di Orange Grove. Prese il sacchetto con i suoi acquisti e si alzò. Stava per andarsene, quando Phyllis parlò di nuovo. «Non era affatto facile quando i suoi amici si fermavano da noi». Sorseggiò il cappuccino ormai freddo e le rimase un po' di schiuma sul labbro superiore. «Era molto protettiva nei confronti di sua madre, e temeva che qualcuno potesse scoprire il suo segreto. La povera Anna Louise aveva paura per sua madre, che la storia arrivasse alla stampa. E adesso mi sembra così assurdo che ci sia proprio Anna Louise su tutte le prime pagine dei giornali. E sa qual è la cosa più incredibile, e allo stesso tempo più perversa di tutta questa faccenda? Dopo quindici anni, durante i quali nessuno ha più fatto lavorare la signora Caley, in cui non le è stata offerta neppure una parte in qualche film per la TV, cosa che lei odiava, all'improvviso ha cominciato a ricevere copioni dai più grandi studios di Hollywood. E un produttore, stento quasi a crederci, ha perfino proposto di realizzare un film ispirato alla scomparsa di Anna Louise, e voleva Elizabeth nel ruolo di se stessa. Disgustoso, assolutamente disgustoso. Quindi la sua dipendenza dalla droga è comprensibile, non le pare? Le dico questo anche se per me non è per niente facile». «Grazie per aver accettato di vedermi e per essere stata così sincera. Ovviamente tutto ciò che mi ha detto resterà strettamente riservato. E se c'è qualcosa, qualsiasi cosa, che secondo lei potrebbe aiutarmi nelle indagini, mi chiami. Oppure chiami Rosie». «Sì, sì, certamente e... be', grazie per il cappuccino». Lorraine lasciò il Plaza e si incamminò lungo Rodeo Drive. Phyllis la guardò allontanarsi mentre finiva il suo cappuccino. Era contenta che Lorraine fosse interessata solo al problema della droga. Aveva temuto che sa-
pesse di più e lei non poteva e non voleva parlare di Juda Salina. Non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Si asciugò le labbra con un tovagliolo e si guardò attorno. Solo quando fu certa che Lorraine fosse ormai lontana, Phyllis si alzò ed entrò nella caffetteria per fare una telefonata. Si guardò attorno con aria furtiva mentre componeva il numero, e attese. «Residenza Caley». «Peters, puoi controllare come sta la signora Caley? E potresti dirle che è andato tutto bene e che non deve preoccuparsi? Sarò a casa tra circa mezz'ora». Lorraine salì in auto. Faceva un caldo terribile, il sedile era bollente, così aprì tutti i finestrini. Il telefono della macchina cominciò a squillare. «Rosie, puoi chiamare Robert Caley? Probabilmente è in ufficio, quindi cercalo lì e chiedigli se posso andare da lui». «Scusa, aspetta un attimo». Rosie stava sgranocchiando una carota e aveva la bocca piena. Si affrettò a inghiottire il boccone. «Aspetta, c'è qui Bill che vuole parlarti. Intanto chiamo Caley, okay?». Rooney prese il ricevitore. «Ho fatto qualche indagine sull'affare del casinò». «Bene, cos'hai scoperto?». «Non molto ma non ho potuto fare di meglio. Caley è alla guida di un consorzio composto da lui, da un paio di ricconi del luogo e da gente poco pulita che possiede un casinò in un altro stato. Sono pronti a firmare un contratto da circa duecentocinquanta milioni di dollari». «Cosa?». «Già, un sacco di soldi, ma Caley si prenderà la maggior parte delle quote dal momento che è stato lui a versare il pagamento iniziale per il terreno, un grande appezzamento vicino al fiume. Oltre al casinò, il complesso dovrebbe comprendere un albergo e molti negozi di lusso». «Allora qual è il problema di Caley», lo interruppe Lorraine. «Be', ha un gran numero di piccole seccature. Primo, sono cinque anni che sta cercando di concludere questo accordo ma sfortunatamente la Louisiana non è stata molto veloce nel legalizzare il gioco d'azzardo, al contrario dei suoi vicini di casa, che si sono dati subito molto da fare - l'industria del gioco d'azzardo è già molto fiorente nel Mississippi e forse è la che resterà. Secondo, ci sono alcuni vecchi ricconi della città che sostengono che esistono leggi federali che impediscono la costruzione del casinò: sono solo un sacco di stronzate, ma potrebbero rallentare le cose ancora
per un po'. E, tienti forte, terzo, ci sono delle clausole fottutamente strane in questo statuto per il gioco d'azzardo - la città ha il diritto di scegliere chi dovrà sviluppare il casinò ma è lo stato a dire chi dovrà gestirlo. Tutti pensavano che sarebbero stati Caley e i suoi amici, non appena fossero riusciti a ottenere i vari permessi ma, ultimamente, molti si sono chiesti perché le cose vadano così a rilento. Altri tizi con un sacco di soldi di New Orleans hanno intuito che potrebbe essere qualcun altro a ottenere la licenza per dirigere lo spettacolo, e quindi hanno formato un consorzio rivale e l'hanno chiamato Doubloons. Uno dei sostenitori di Caley si è tirato indietro e non ci ripenserà finché non ci sarà la licenza, e anche l'altro potrebbe mollare». «Sai come si chiamano?». «Sì, uno Bodenhamer e l'altro Dulay. Sono proprietari di grosse compagnie, Bodenhamer di costruzioni, Dulay di liquori. E contano di fare guadagnare un sacco di soldi non solo con il gioco d'azzardo ma anche vendendo i loro prodotti, e finora hanno fatto in modo di non perdere neanche un centesimo. Caley è molto più coinvolto nell'affare, però». «Cosa vuoi dire?», chiese Lorraine, cercando di assimilare tutte quelle informazioni. «Caley ha tirato fuori i soldi per il terreno. Se non otterrà la licenza, si ritroverà con una proprietà inutile. Questo è tutto ma potrei scoprire molto di più a New Orleans». «Come mai non si parla di queste cose in nessuno dei rapporti che ti ha fotocopiato il tuo amico Sharkey?». «Non lo so, forse alla polizia, non hanno pensato che fosse importante». «Ah no? Be', io penso che lo sia. Per farla breve, mi stai dicendo che Robert Caley ha disperatamente bisogno di concludere l'accordo per il casinò?». «Proprio così. È stato al verde per anni - si è sbarazzato di molte proprietà sia a Los Angeles che in Louisiana. Se questo affare dovesse andare in porto, potrebbe guadagnare una montagna di quattrini. Quindi forse Nick aveva ragione a proposito di Caley. I suoi oppositori sono degli ossi duri, soprattutto quelli dell'altro consorzio, ma adesso la porta è aperta anche per altri». «Dobbiamo cercare di scoprire tutto il più in fretta possibile. Vedrò se Caley mi fornirà qualche altro dettaglio. Rosie è riuscita a mettersi in contatto con lui?». l'amica prese il telefono. «Sì, ti aspetta per le quattro e mezza. Ha già avvertito gli agenti della sicurezza».
Lorraine tenne il telefono tra il mento e la spalla, e mise in moto. «Okay, vado». Rosie riagganciò la cornetta e cominciò a prendere delle vaschette di alluminio dal sacchetto di un take-away, stendendo un giornale come tovaglia sulla scrivania di Lorraine. «È cibo giapponese, Bill, non fa ingrassare - ci sono gamberi, salmone e pesce, pesce crudo. La prima volta non piace mai molto, ma prova ad assaggiarlo con la salsa. In più abbiamo anche insalata e broccoli alla piastra.» «No, grazie, mi prenderò un hamburger». «Ma questo è molto meglio! Provalo, almeno». «No, grazie, preferisco aspettare». Rosie sistemò le vaschette, poi prese una forchettata di pesce e la offrì a Rooney. «Provalo, è buono, fa bene e, se posso dirtelo, non ti farebbe male perdere qualche chilo». Rooney fece una smorfia ma aprì la bocca e masticò, mentre Rosie lo osservava, in attesa. Rooney deglutì, annuendo. «Non male, è un po' come la cucina cinese, giusto?». Rosie preparò due piatti mentre Bill esaminava il contenuto delle altre vaschette, prendendo un gamberetto e sbocconcellandolo. «Niente riso? Non hai preso il riso?». «No, il riso contiene carboidrati e non puoi mescolarlo con le proteine. Stasera potremo mangiare un gigantesco piatto di pasta, una montagna di pasta, ma niente proteine». «Molto interessante. Dove hai imparato tutta questa roba?». «Da Lorraine». Bill si sedette davanti al suo piatto, infilandosi un tovagliolo di carta nel colletto della camicia. «Ne sa di cose, Lorraine». Rosie annuì, versando due bicchieri d'acqua naturale. «Mi sorprende sempre. È una donna strana. Non mi va di spettegolare alle sue spalle, ma certe volte si comporta come una vera stronza e altre volte invece è dolce come una bambina». Se Rooney non avesse avuto la bocca piena, l'avrebbe contraddetta con veemenza perché conosceva Lorraine Page da molti anni ma non aveva mai visto niente di dolce in lei. Comunque non disse niente e continuò a masticare all'unisono con Rosie. Anche se la roba che stava mangiando sapeva di gomma e avrebbe preferi-
to di gran lunga un hamburger gigante con bacon e salsiccia, era felice di non essere a casa da solo. Le patatine fritte poteva sempre comprarle per strada, ma non la compagnia di qualcuno. Un giovane con i capelli pettinati all'indietro, che indossava un elegante completo grigio e una cravatta a fiori, condusse Lorraine nell'ufficio di Robert Caley. Bussò all'immensa porta alta fino al soffitto, una luce verde lampeggiò sul pannello di un citofono, e cravatta a fiori aprì la porta. Infilò dentro la testa e disse: «È la signora Page, signor Caley». Poi si voltò con un sorriso finto più bianco del bianco. «Prego...». L'ufficio era ampio e aveva grandi finestre, le veneziane schermavano la luce del pomeriggio. La stanza era dominata da un'enorme scrivania nera dal ripiano di vetro nero. La moquette era grigia e folta, preziose stampe adornavano le pareti e alcune poltrone di soffice pelle formavano un semicerchio davanti al mostro nero. Non c'era traccia di archivi o schedari, ma una solitaria scultura di bronzo che sembrava rappresentare un uomo stilizzato che si protendeva verso il cielo, occupava un angolo della stanza. Robert Caley stava parlando a uno degli otto telefoni allineati sulla scrivania. Le dava le spalle e Lorraine riusciva a vedere solo l'alto schienale della sua poltrona. Il suo assistente le indicò una delle poltrone di pelle. «Va bene, al Bel Air, ci vediamo là». Caley si girò verso Lorraine e riappese. «Mi scusi un attimo, signora Page». Spostò lo sguardo sul suo assistente. «Sposta di un'ora l'appuntamento delle cinque, devo andare al Bel Air per un po'. Dulay è veramente incazzato, Mark, quindi vedi se riesci a farlo ragionare». «Sì, signore. Vuole qualcosa da bere?». «No, a meno che...». Caley tornò a guardare Lorraine. «Per me niente, grazie». Caley fece un breve cenno col capo e le porte vennero richiuse silenziosamente. «Voleva vedermi, signora Page?». Senza aspettare la risposta di Lorraine, indicò con il medio il telefono che aveva appena usato. «Quelli erano guai». «Mi dispiace, se questo non è il momento opportuno...». Caley sorrise senza allegria e si appoggiò sui gomiti, il mento tra le mani. «Non lo è, ma forse mi aiuterà a non pensare al fatto che sta andando tutto a rotoli. Vuole vedere una cosa?». Si alzò dalla poltrona e premette un pulsante su un lato della scrivania. Lorraine si voltò e vide che una sezione della parete grigia alla sua sinistra si stava spostando per rivelare il
grande progetto del casinò. «Questo è ciò che potrebbe portarmi alla rovina. Si avvicini, le faccio vedere». Le mostrò il casinò, gli alberghi, il centro commerciale e le parlò dei suoi progetti. «Non è male, vero? Visto che possiedo tutto il terreno, ovviamente potrei essere il maggior azionista. Ma non avevo previsto che lo stato ci avrebbe impiegato anni a decidere se il gioco d'azzardo faccia diventare ciechi e corrompa vedove e orfani oppure se l'industria del divertimento possa rappresentare una nuova via di sviluppo economico, far diminuire la disoccupazione e stimolare l'economia. In altri stati hanno già capito da un pezzo l'importanza di questo genere di imprese. Ho investito cinque anni della mia vita in questo progetto e i miei soci che, a differenza di me, non hanno ancora sborsato nemmeno un dollaro, stanno cominciando ad avere paura mentre altri tizi di New Orleans hanno deciso che vogliono una fetta della torta e si sono messi in società. Quindi...». Lorraine osservò il progetto. «Quindi se i suoi soci si chiamano fuori, a lei che cosa rimane?». «Un sacco di terra e neanche un soldo. Vede, ho bisogno di quei soci, senza il loro aiuto non potrei costruirmi nemmeno una baracca. Ecco in che casino mi trovo». Spense lo schermo, fece scivolare la parete al suo posto e ritornò alla scrivania. Lorraine si appoggiò allo schienale della poltrona. «I suoi soci hanno intenzione di scaricarla?». «Già, e uno di loro l'ha già praticamente fatto. Mi ha chiamato un'ora fa per chiedermi quando mi deciderò a darmi da fare, visto che è lui che fa da caddy al Governatore ogni week-end. Non c'è fa meravigliarsi quando si tratta con gente come Lloyd Dulay - il magnate dei liquori, nel caso non sapesse chi è. Se hai tutti quei miliardi, c'è un sacco di gente che ti propone affari di ogni genere. Questi ricchi bastardi sono sempre in cerca di qualcosa che li renda ancora più ricchi e non vogliono mai aspettare». «Le dispiace se fumo?», domandò Lorraine. «No, faccia pure». Robert Caley aprì un cassetto e prese una magnifica scatola d'oro e onice e la posò sul ripiano della scrivania. Lorraine prese una sigaretta e lui fece scattare l'accendino d'oro di Carrier che aveva preso dalla scatola, inspirando una boccata di fumo, Lorraine alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Caley. Si fissarono per un breve istante, poi richiuse la scatola. Spinse verso di lei un posacenere di vetro nero. «Devo bere qualcosa». Lei lo osservò attraversare la stanza fino a raggiungere un altro pannello
a scomparsa che nascondeva un mobile bar. Sentì il tintinnio del ghiaccio nel bicchiere e il cuore prese a batterle più velocemente. Caley aveva intenzione di offrirle un drink? E, cosa più importante, sarebbe stata in grado di rifiutare? Lorraine si trovava lì per una ragione ben precisa: scoprire se Caley era nei guai dal punto di vista finanziario come le aveva detto Rooney. L'uomo gliel'aveva già confermato senza che lei dovesse fare domande. Se non era un attore consumato che aveva intuito le sue intenzioni, forse era davvero onesto. L'aveva confusa e Lorraine non sapeva esattamente come continuare il loro colloquio. «Questo ufficio è un po' troppo opulento, vero?», ridacchiò Caley. «Quando l'ho preso, per un po' sono stato costretto a usare il bagno del piano di sotto perché non sapevo che pulsante premere per accedere al mio bagno personale. Un incubo del cazzo di grigio su grigio, comunque è solo in affitto». Posò sulla scrivania un alto bicchiere di cristallo con acqua minerale e limone. Per sé, invece, aveva preso un bicchiere piccolo e squadrato, pieno di brandy. «Grazie», mormorò Lorraine. I loro sguardi s'incontrarono di nuovo e questa volta lui sorrise. «Non avrà pensato che le offrissi qualcosa di alcolico, spero». «Per un attimo, sì». Caley stava cercando di disorientarla. «Non mi permetterei mai, sono al corrente del suo problema. In fondo vivo con una donna che ha ben più di un problema ma mi sembra che abbiamo già discusso della situazione di mia moglie». Lorraine annuì, chiedendosi se uno dei pannelli grigi nascondesse anche un letto a due piazze. Se così fosse stato e Caley gliel'avesse mostrato, non sapeva come avrebbe reagito. Quel giorno, era ancora più attraente, le piaceva tutto di lui: le mani forti e abbronzate, l'abbigliamento ben più informale di quello dell'assistente con la cravatta a fiori, dalla camicia senza collo con i primi due bottoni aperti ai mocassini. Tutto in lui sembrava informale, tranne gli occhi azzurri: pericolosi come il suo sorriso. «Dovrò andare a New Orleans, domani probabilmente. Vuole venire con me?». «Sì». Lorraine sorseggiò l'acqua ghiacciata. «Sono certo che vorrà vedere cosa riesce a trovare anche là». Fece un sorriso amaro. «Trovare è la parola d'ordine, anche per me. Infatti, devo assolutamente trovare un modo per uscire da questa situazione, o mi ritroverò al verde come non sono mai stato in vita mia».
«Ma senz'altro sua moglie ha un patrimonio considerevole e...». Lui la interruppe. «Signora Page, mi lasci mettere in chiaro una cosa. I soldi di mia moglie sono di mia moglie, i miei me li guadagno da solo. In banca abbiamo conti separati, li abbiamo sempre avuti e, nel caso non l'abbia ancora scoperto, ho firmato un accordo prematrimoniale. Ciò che è di mia moglie è di mia moglie e ciò che è mio è mio, per quello che vale». «Se sua moglie dovesse morire...», disse Lorraine in tono pacato. Lui la fulminò con lo sguardo. «Cosa?». «Lei è il suo erede, dico bene?». «No, signora Page, è mia figlia...». «Ma se Anna Louise fosse morta?», chiese Lorraine senza scomporsi. «Non ho mai pensato a una cosa simile. Cristo, ma è per questo che è venuta qui? Cosa cazzo crede che io sia? Stiamo parlando di mia figlia, pensa che l'abbia uccisa per avere i soldi di mia moglie? Pensa che abbia in mente di uccidere mia moglie, è questo? È questo che pensa?». Scosse la testa. «Gesù Cristo, è rivoltante». «Non sono qui per questo». «Bene, mi fa piacere perché, in caso contrario, l'avrei sbattuta fuori personalmente». «Signor Caley, sto cercando una spiegazione per la scomparsa di Anna Louise. E forse lei me ne ha appena data una». Lui la guardò con occhi pieni d'odio. «Pensa veramente che sarei capace di uccidere la mia stessa figlia?». «Io non la conosco, signor Caley, ma come detective devo prendere in considerazione tutte le possibilità. Da quanto ho potuto constatare e da quanto mi ha appena raccontato, mi sembra di capire che lei è la sola persona che potrebbe trarre benefici dalla morte di Anna Louise, per quanto sgradevole questo possa sembrarle». «E potrei trarre benefici ancora più consistenti se morisse anche mia moglie, giusto?». «Sì». «Quindi lei crede che stia organizzando l'omicidio di mia moglie? È di questo che è venuta a parlarmi? Vuole scoprire in che modo intendo assassinare mia moglie? Be', dato che lei è una specie di detective, con la sua esperienza potrebbe darmi qualche prezioso consiglio». «Signor Caley, non sono una "specie di detective"». «Non era un granché nemmeno come sbirro». Lorraine si alzò e si sporse verso di lui. «Lei non ha la più pallida idea di
com'ero e non sono disposta a farmi insultare da lei». «Ma lei può insultare me, giusto? Anna Louise è mia figlia, quindi esca dal mio ufficio e faccia quello per cui mia moglie l'ha assunta, perché io non ho ucciso mia figlia e non ho alcuna intenzione di assassinare mia moglie». Lorraine si schiarì la gola, cercando di sembrare il più possibile indifferente. «Forse potrebbe esserci un legame con uno dei suoi soci d'affari». Caley si appoggiò allo schienale e la fissò, poi girò sulla poltrona in modo che lei non potesse vederlo in viso. Parlò con voce più calma, più profonda: «Continui, signora Page...». «Be', lei è stato molto chiaro; sono in gioco dei guadagni enormi, ci sono due consorzi rivali e le cose sarebbero molto più semplici per i suoi concorrenti se, d'improvviso, lei perdesse interesse nel progetto. In più ci sono le case da gioco galleggianti - un casinò come il suo potrebbe diventare un rivale troppo scomodo per la loro attività, dico bene? Quindi c'è la possibilità che la sparizione di sua figlia possa far parte di un piano ben preciso». «Cosa intende dire?», chiese Caley bruscamente. «Be', qualcuno potrebbe averla rapita per convincerla ad abbandonare il progetto del casinò. Lei ha comprato il terreno e finora i suoi soci non hanno sganciato un centesimo...». Caley rimase in silenzio per un attimo, poi si girò lentamente sulla poltrona e la guardò. «Continui». «È soltanto una teoria, ma è possibile che qualcuno abbia pensato di usare Anna Louise per convincerla a ritirarsi. È mai stato avvicinato da qualcuno che le ha rivolto velate minacce o qualcosa di simile?». Caley la fissò, poi scrollò le spalle. «No, no, nessuno. Vuole dire che potrebbe essere stata rapita per ricattarmi?». Lei annuì. «Qualcuno si è offerto di acquistare il suo terreno?». Caley incominciò a giocherellare con il bicchiere vuoto, muovendolo lentamente sul ripiano della scrivania. «No, ma mi spieghi una cosa: perché, se quello che mi dice è vero, non abbiamo mai ricevuto alcuna richiesta di riscatto, perché non hanno mai cercato di mettersi in contatto con noi? Il consorzio Doubloons è così potente che mi sembra assurdo che possa ricorrere a uno stratagemma del genere». «I suoi concorrenti potrebbero aver assunto dei personaggi sgradevoli per prelevare sua figlia e tenerla prigioniera, ma qualcosa potrebbe essere andato storto».
«Intende dire che potrebbero averla uccisa?». Gli occhi di Caley erano colmi di una terribile sofferenza e Lorraine dovette distogliere lo sguardo. «È una possibilità, e spiegherebbe il motivo per cui non avete ricevuto richieste di riscatto o quant'altro. Inoltre tutto il clamore suscitato dal caso di sua figlia deve aver influenzato negativamente l'affare del casinò». Caley spinse indietro la poltrona e si alzò in piedi. «Ma i miei rivali sono abbastanza potenti da mettermi i bastoni tra le ruote anche senza rapire mia figlia, non ne avrebbero avuto alcun bisogno. E se perderò tutti i miei soci, allora...». «Ci aveva già pensato, vero?». Lui annuì, sospirando. «Sì, ma è un'ipotesi che ho scartato quasi subito perché, sinceramente, non li credo capaci di una bassezza simile». «Non ha idea delle bassezze che la gente è disposta a compiere, quando ci sono di mezzo milioni e milioni di dollari, signor Caley. Quindi se anche lei ha già preso in considerazione questa possibilità, sono sicura che capisce perché lo sto facendo anch'io e perché avrò bisogno di sapere tutto sulle persone coinvolte nell'affare, in particolar modo sui suoi concorrenti. Poi, eliminando...». «Non arriverà da nessuna parte "eliminando"». «Mi metta alla prova», lo sfidò Lorraine. «Okay, vuole parlare con i miei concorrenti?». «Ovviamente». «Be', signora Page, credo che si troverà a sbattere contro il muro di gomma che ha fermato tutti gli altri investigatori, ma lungi da me l'idea di dissuaderla. Anzi, farò tutto il possibile, proprio come ho fatto fin dall'inizio delle indagini. Ora, se vuole scusarmi...». «Anche gli altri agenti privati e la polizia di Los Angeles l'hanno interrogata su questa gente?». Caley si diresse a grandi passi verso la porta. «Naturalmente, e anche loro hanno sospettato di me». «Capisco». «No, signora Page, non credo che lei possa capire. Vede, dopo la nostra ultima chiacchierata, mi sarei aspettato che lei fosse convinta del fatto che non potrei mai torcere un capello a mia figlia e che non sono assolutamente il tipo d'uomo che potrebbe infliggere un simile tormento alla propria moglie. Lei non ha proposto nessuna nuova ipotesi, niente che non abbia già sentito. Ora mi perdoni, Mark le fornirà tutte le informazioni di cui ha
bisogno». Caley uscì richiudendosi la porta alle spalle. Pochi istanti dopo, comparve l'assistente con la cravatta a fiori. Aveva uno spesso fascicolo tra le mani. Attraversò l'ufficio e lo porse a Lorraine. «Il signor Caley mi ha chiesto di darle questi documenti, ma la prego di tenere presente che sono informazioni riservate. È libera di prendere tutti gli appunti che vuole ma nessuna parte del fascicolo può uscire da questo ufficio. La segretaria del signor Caley è a sua disposizione, nel caso avesse bisogno di qualche chiarimento...». Lorraine lo interruppe, prendendo il fascicolo. «Quindi posso restare qui?». «Sì, il signor Caley le consiglia di usare il suo ufficio di modo che, se avesse bisogno d'aiuto o di fotocopiare alcuni documenti, potrà rivolgersi a me o alla sua segretaria. Il fascicolo contiene dei progetti per lo sviluppo del casinò e...». Lei lo interruppe di nuovo, andando a sedersi alla scrivania di Robert Caley. «Benissimo, grazie. Mi scusi, temo di non aver capito bene il suo nome». «Mark Riley, sono l'assistente personale del signor Caley». Lorraine aprì il fascicolo. «Grazie, Mark. Sarebbe così gentile da mostrarmi quale pulsante devo premere per parlare con lei o...». «Margaret risponde alla linea cinque, io alla due». Lei sorrise. «Grazie infinite, Mark». L'assistente esitò, vicino alla porta socchiusa. «La lascio al suo lavoro». «Conosceva Anna Louise, Mark?». Il giovane sembrò sorpreso. «Sì, naturalmente». «Veniva qui spesso?». «No, solo qualche volta per pranzare con il signor Caley». «L'ha mai incontrata fuori dall'ufficio?». «No, la vedevo solo quando veniva a trovare il signor Caley». Lorraine restò sola nel grande, freddo ufficio, seduta sulla morbida poltrona di pelle di Robert Caley. Prese il suo taccuino dalla borsa ma non riuscì a trovare la penna, così abbassò lo sguardo sulle schiere di cassetti inseriti discretamente ai lati della scrivania. Non c'erano maniglie. Provò a spingerli, cercando di capire come si aprissero ma sembravano tutti chiusi a chiave. Si accigliò ed esaminò accuratamente il grande ripiano. Scoprì un piccolo quadrato perfettamente mimetizzato nel bordo della scrivania davanti a lei. Lo premette ma non accadde nulla. Poi si accorse di un piccolo
pulsante nero e lo premette: la sezione nascosta fuoriuscì. Il piccolo cassetto conteneva un gran numero di penne e matite, bloc-notes, memo e fermagli, suddivisi in compartimenti ordinati. C'erano anche due cornici rivolte a faccia in giù. Ne girò una, racchiudeva una foto di Anna Louise; nell'altra c'era una foto di Elizabeth Caley. Seduto alla sua scrivania, Mark Riley osservò Lorraine su un piccolo monitor. Si voltò a guardare una donna dai capelli scuri che stava battendo un documento al computer. «La signora Page ha già cominciato a curiosare». Margaret lo guardò. «Sì, l'ho notato, ma ho bloccato tutti i cassetti quindi non troverà altro». Mark controllò l'agenda. Non era segnato alcun appuntamento. «Con chi si vede adesso il signor Caley?». «Prova a indovinare», rispose Margaret, inarcando un sopracciglio. Saffron Dulay era in ritardo, come sempre, e Robert Caley controllò l'orologio per l'ennesima volta, perdendosi la sua entrata. Ma gli altri la notarono, eccome - era difficile che passasse inosservata. Saffron camminò con grazia tra i tavoli, seguendo il maître che si inchinò e le indicò il tavolo di Caley, sistemato in uno dei séparé del ristorante Bel Air. Saffron aveva un portamento regale ed era proprio così che la trattava il maître: come una regina. Caley si alzò e lei si sporse verso di lui per baciarlo sulla guancia. «Robert», disse lei con voce roca, «scusami per il ritardo». Lui le scostò la sedia per farla accomodare e lei si sedette in modo da avere una buona visuale della sala. Saffron conosceva tutti quelli che contavano. Era ricca, l'unica figlia del re degli alcolici, l'unica erede di un patrimonio che ammontava a miliardi e miliardi di dollari. Indossava la ricchezza con la nonchalance e la semplicità tipiche delle persone veramente ricche. Era alta quasi un metro e ottanta e l'essenzialità dell'abito a sottoveste bianco che indossava metteva in risalto la sua statura, mentre la sua abbronzatura era sottolineata da sottili sandali dorati e da orecchini di brillanti da un milione di dollari. Mentre si accomodava sul soffice cuscino della sedia, si tolse gli occhiali da sole con la montatura d'oro. «Ciao, come va?». Saffron era sulla sponda sbagliata dei quarant'anni, ma non era facile indovinare la sua età; la sua sicurezza, accresciuta dal suo immenso patrimonio e da una straordinaria perfezione fisica, la faceva sembrare molto più
giovane. Quattro matrimoni e un'infinita serie di amanti non erano riusciti a scalfire la sua aria da ragazzina innocente, che aveva perfezionato meglio di qualunque starlet di belle speranze con la metà dei suoi anni. «Ci sono novità sulla faccenda della tua piccola?», domandò con un marcato accento del sud. «No». Saffron gli accarezzò leggermente una mano. «Dev'essere molto dura per te». «Già, proprio così». La donna lasciò vagare lo sguardo tra gli altri tavoli, poi tornò a osservare Caley. «Scegli sempre questo posto». «Già, è all'aperto e posso fumare». Chiamò con un cenno il cameriere. «Ti ho già ordinato quello che prendi di solito - sempre che i tuoi gusti non siano cambiati dall'ultima volta». Lei scoppiò a ridere, mentre i suoi occhi tornavano a scrutare la sala, ma l'unica cosa a cui Robert Caley riusciva a pensare era Lorraine Page. Era bionda e quasi altrettanto alta, ma così imperfetta, così reale in confronto a Saffron. Non voleva più scoparsi Saffron, era stato tanto tempo fa. Gli era sempre piaciuta in passato, ma ora non più. Forse Lorraine lo attraeva perché era così diretta. Gli sarebbe piaciuto scoparsela e la sola idea lo fece sorridere. «Hai un sorriso dannatamente affascinante, Robert Caley», disse Saffron a bassa voce. «Be', grazie...». Lei appoggiò il mento sul palmo delle mani. «Che cosa vuoi, caro? Sei di nuovo a corto di soldi?». Il cameriere portò un cocktail dalle decorazioni elaborate per lei e un altro whisky per Caley. Lo irritava il fatto che Saffron avesse già capito perché le aveva chiesto di vederla, e ora era costretto a giocare a carte scoperte. Lei sorseggiò il cocktail, poi appoggiò il bicchiere sul tavolo; non ne avrebbe più bevuto nemmeno una goccia, com'era sua abitudine. «Non capirò mai perché non ti fai finanziare da tua moglie, in fondo è una stella del cinema». «Non voglio i soldi di mia moglie». «No, ma ne hai dannatamente bisogno e sei disposto a prenderli da chiunque altro». Si appoggiò allo schienale della sedia, concedendogli tutta la sua attenzione per la prima volta. Essendo ricca, sapeva come trattare
la gente che cercava di spillarle soldi, l'aveva imparato ormai da molto tempo. «Non voglio un centesimo da te, tesoro, ma ho bisogno che tu faccia quattro chiacchiere con il tuo paparino. Non c'è bisogno che ti spieghi i dettagli, sai benissimo che siamo in affari insieme, ma lui mi ha fatto capire che potrebbe anche chiamarsi fuori, e dato che so che sai farlo ragionare...». «Gli ho già parlato, tesoro, subito dopo che ci siamo sentiti. Sembra quasi che stiamo facendo un gioco telefonico - lui chiama te, tu chiami me, poi lui chiama me e così via... Avrà più di settant'anni, ma è un vecchio bastardo coriaceo. Vuole che torni a casa da lui, sai, vuole tenermi d'occhio e questo mi manda su tutte le furie. È da quando è morta la mamma che papà cerca di convincermi a tornare a casa, a trovare un brav'uomo che mi sposi e a mettergli al mondo un nipotino». «È comprensibile, sei la sua unica figlia. Allora, ti ha detto che intenzioni ha riguardo al progetto». «Perché non facciamo un giro mentre ne discutiamo?». Sorrise dolcemente, e senza aspettare la sua risposta gettò il tovagliolo sul tavolo. Caley la guardò alzarsi e finì il suo drink, ben sapendo che Saffron avrebbe passato almeno un quarto d'ora a passare da un tavolo all'altro per salutare amici e conoscenti. Pagò il conto, ben sapendo che stava per pagare un prezzo molto più alto. Mentre si dirigeva verso l'uscita, controllò l'orologio; mancavano solo quarantacinque minuti al suo prossimo appuntamento. L'autista non poteva vedere né sentire niente attraverso il pannello di vetro scuro. La limousine di Saffron aveva sedili molto grandi, un televisore, un mobile bar, un fax, un telefono e un computer. Caley sedeva di fronte a lei, che era sdraiata su un sedile coperto di morbidi cuscini e si stava scartando una caramella alla menta. «Ne vuoi una?». «No». «È senza calorie». Caley aprì il mobile bar e riempì un bicchiere di cristallo di acqua e cubetti di ghiaccio. Guardò Saffron, sollevando il bicchiere ma lei scosse la testa. «Devo tornare in ufficio per le sei». «Bene, ce la prenderemo comoda... proprio come piace a me».
Si abbassò una delle spalline dell'abito, poi l'altra e scivolò fuori dal vestito. Non indossava biancheria intima ed era completamente a suo agio, mentre ripiegava con cura il vestito e allargava le lunghe gambe abbronzate. Aveva solo i sottili sandali dorati ai piedi. Caley la fissò, sorseggiando l'acqua, poi svuotò il bicchiere e lasciò solo i cubetti di ghiaccio. Fece tintinnare il bicchiere per un attimo e lei ridacchiò. «Be', ne è passato di tempo dall'ultima volta che ho giocato con i cubetti di ghiaccio, e tu sai quanto mi piace...». Caley non si allentò nemmeno la cravatta né si tolse la giacca; non ce n'era bisogno. Saffron non voleva essere stretta tra le braccia e non avrebbe mai permesso che baci frenetici rovinassero il suo trucco impeccabile. Sapeva esattamente quello che voleva, e lo sapeva anche lui. Saffron cominciò ad accarezzarsi i seni finché i capezzoli non si indurirono. Lui le si inginocchiò tra le gambe. Con la mano destra, le sfregò un cubetto di ghiaccio sui capezzoli, facendola gemere, mentre con la sinistra cominciò ad accarezzarle lentamente le cosce, spostandosi a poco a poco verso l'inguine. La toccò con il pollice, esattamente dove le piaceva, e lei allargò ancora di più le gambe, tenendo gli occhi chiusi. «Oh, sì, sì, mi piace, mi piace». Caley le fece scivolare il cubetto dai seni lungo tutto il corpo, e lei rabbrividì. Quando le infilò il ghiaccio nella vagina, lei inarcò la schiena. Caley prese rapidamente gli altri cubetti che erano ancora nel bicchiere e glieli infilò uno dopo l'altro, finché non poté sentire il ghiaccio che sporgeva dalla sua carne. «Oh Dio, sì, sì...». Saffron si chinò in avanti, e si spinse tra le gambe la testa di Caley, che cominciò a succhiarle e a leccarle il clitoride. Lei venne quasi subito, lanciando un grido, ma continuò a tenere la testa di Caley premuta contro il suo corpo. «Voglio venire tre volte, fammi gridare tre volte, tesoro, fallo, fallo adesso». Nick entrò in ufficio mangiando un hamburger e, vedendolo, Rosie fece una smorfia. «Quella roba è piena di colesterolo, non ti fa affatto bene, Nick». «Lo so, ma mi piace». Si sedette sulla poltroncina di Lorraine e girò su se stesso, dando l'ultimo morso all'hamburger proprio mentre entrava Rooney. «Ti ho beccata, ti sei fatta un hamburger, sento ancora il profumo», disse a Rosie in tono accusatorio.
«Io no», replicò lei con aria supponente, «ma lui sì». Indicò Nick, che si stava pulendo la bocca sul polsino della camicia. «Che diavolo è questo posto? Una clinica della salute?». Rooney si sedette sul bordo della scrivania. Guardò Rosie sogghignando. «È solo una cosa tra me e lei. Allora hai trovato qualcosa oppure niente di niente?». Nick si frugò nelle tasche ed estrasse i suoi soliti foglietti di carta. «Mi sto occupando del dottore di Elizabeth Caley. Un mio amico sta chiedendo in giro e...». Rosie e Rooney attesero mentre Nick rovistava tra i foglietti spiegazzati. «La ragazza di Fisher sta facendo una chiacchierata con un mio amico dell'antidroga e...», continuò Nick. «E...?», lo esortò Rooney. Nick si passò una mano tra i capelli arruffati. «Dobbiamo muoverci in fretta, corre voce che il nostro dottor Hayleden sarà arrestato per spaccio, quindi mi piacerebbe arrivare a lui prima degli altri. Sarebbe carino che sua altezza reale venisse con me, così potrebbe vedere come lavora un vero professionista!». Rosie disse che avrebbe chiamato Lorraine sul portatile e stava per comporre il numero quando Nick la fermò. «Che cos'ha Lorraine, ha qualche problema con me?». Rooney scrollò le spalle, lanciando un'occhiata a Rosie. «No, perché lo vuoi sapere?». Nick inclinò la testa di lato. «Be', mi sto facendo un culo così per lei e vorrei essere fottuto». «Da Lorraine?», chiese Rosie. «Già, so che la innervosisce il fatto che lavori anch'io a questo caso, quindi... ve lo chiedo una volta per tutte: sono nella squadra o no?». «Certo che sì», rispose Rosie e Rooney batté un dito contro il petto di Nick. «Ascolta, ci dividiamo il milione in quattro e questo è quanto». Nick sogghignò. «D'accordo, avevo solo bisogno di una conferma... Lorraine si fotte qualcuno? Non dico metaforicamente. Me lo stavo chiedendo». Rooney scoppiò a ridere. «Non hai speranze con lei, Nick. Tu cosa dici, Rosie?». Lei si strinse nelle spalle. «Non saprei, ma vuoi che la chiami oppure no? In questo momento dev'essere nell'ufficio di Caley».
Nick sogghignò di nuovo. «Chiamala, ma non dirle niente - niente di personale, intendo». Lorraine rimase a prendere appunti seduta alla scrivania di Caley, osservata da Mark e Margaret sul monitor, e non chiese aiuto a nessuno dei due. Sedeva alla grande scrivania, e setacciava meticolosamente lo spesso fascicolo, ben sapendo che era già stato controllato da tutti gli altri investigatori, ma allo stesso tempo conscia del fatto di non potersi permettere di trascurare anche il minimo dettaglio. Alle sei aveva finito e aveva riempito per metà il suo taccuino. Si appoggiò allo schienale della grande poltrona di pelle. Le risorse finanziarie di Caley erano impiegate al massimo. Sembrava che tutti suoi soldi fossero investiti in proprietà di qualche genere, cosa che faceva di lui un uomo ricco ma con scarsa disponibilità di liquidi. Proprio come le aveva detto, aveva investito tutto nell'affare del casinò, e se le cose non fossero andate per il verso giusto, avrebbe dovuto pagare cifre astronomiche per il terreno. Se i suoi soci si fossero tirati indietro, avrebbe perso milioni di dollari e sarebbe stato costretto a vendere molte proprietà nel più breve tempo possibile per poter pagare i suoi debiti. Lorraine non aveva accesso alle informazioni riguardanti il patrimonio di Elizabeth Caley e, per quanto ne sapeva, i Caley non avevano conti in comune. Mark guardò il monitor e vide Lorraine alzarsi e stiracchiarsi, sbadigliando. La osservò richiudere il fascicolo e incominciare e radunare la sue cose. «Credo che abbia finito», disse a Margaret. La segretaria stava parlando con l'autista di Robert Caley, che era appena tornato in ufficio. «Spero che non farà tardi. Mario l'ha lasciato al Bel Air. Era con quella puttana di Saffron Dulay. Non so nemmeno perché continui a vederla». Mark scrollò le spalle, indicando il monitor. «Perché è fottutamente ricca, ecco perché Margaret! La signora Page se ne sta andando. Puoi mettere al massimo l'aria condizionata? Ha fumato tutto il tempo...». Mark era davanti alla porta dell'ufficio, quando Lorraine uscì portando con sé il fascicolo. «Ha finito?». «Sì, grazie. C'è il signor Caley?». «No, mi dispiace, aveva un appuntamento e ne ha un altro fissato per le sei. Ha bisogno di parlare con lui?». «Be', veramente no, lo ringrazi lei da parte mia». Porse il fascicolo all'assistente. «E, oh, solo un'altra cosa. La signora Caley non ha niente a che
fare con il lavoro che fate qui, dico bene?». «Esatto». «Capisco, e non ha finanziato nessuna delle agenzie immobiliari del signor Caley?». «Non che io sappia», rispose lui in tono aspro. «Non hanno interessi finanziari in comune?». «Se ne hanno, non ne sono mai stato informato». Mark andò a riporre il fascicolo in uno schedario. Lorraine lo seguì, fermandosi proprio alle sue spalle. «La signora Caley è molto ricca, indipendentemente dal marito, allora?». «Sì, credo di sì, ma io lavoro per il signor Caley. Non ho mai saputo niente delle finanze della signora Caley». «Ma sono sicura che lei abbia almeno una vaga idea dell'ammontare del suo patrimonio. Voglio dire, si tratta di qualche milione di dollari, di un milione o di molti milioni?». Disse in tono scherzoso, sorridendo, ma l'assistente non fece una piega. «Davvero non ne ho idea, forse dovrebbe parlarne con la signora Caley». Si voltò e vide Margaret che si avvicinava in compagnia di Mario. «Mario, saresti così gentile da accompagnare la signora Page all'ascensore? Provvederò io a informare il servizio di sicurezza che la signora se ne sta andando. Questo è Mario, l'autista del signor Caley, signora Page». Mario annuì e si diresse alla porta che tenne aperta per Lorraine. Scesero insieme in ascensore. «Pensavo che il signor Caley fosse ancora fuori». «Infatti è così, signora». «Lei lavora sia per il signore che per la signora Caley?». «Sì, signora, da otto anni ormai». L'accompagnò al banco della sicurezza e lei si tolse la tessera di riconoscimento e la consegnò alla guardia. Poi Mario le aprì la grande porta principale. Lorraine esitò. «Conosceva Anna Louise?». «Sì, signora, a volte l'accompagnavo insieme alla signora Caley». «L'accompagnava in qualche posto in particolare? In qualche posto insolito, soprattutto nel periodo precedente la sua scomparsa?». «No, signora, di solito le accompagnavo a fare compere, a volte a qualche evento mondano, ma la signorina Caley aveva la sua macchina. Era una ragazza molto carina, sempre gentile, e mi ha sempre trattato con rispetto».
«E la signora Caley?». «Mi perdoni?». Mario distolse lo sguardo. «La signora Caley la trattava con rispetto?». «Sì, signora». Le stava ancora tenendo la porta aperta ma Lorraine aveva la sensazione che l'autista non vedesse l'ora di liberarsi di lei. «Ha mai accompagnato la signora Caley dal suo dottore?». «No, signora». «Davvero? Quindi accompagnava di rado la signora Caley? Solo a fare compere e a qualche evento mondano?». «Sì, signora, esattamente». «Ha mai accompagnato la signora Caley a casa di una certa Juda Salina, sulla Doheny?». «Le ho accompagnate là qualche volta». «Le ha accompagnate?». «Ah, be', sì, la signorina Anna Louise è andata a trovare la signora Salina qualche volta. La signora Salina era solita venire a casa ma al signor Caley non faceva piacere, così hanno cominciato ad andare loro da lei». «Anna Louise è mai andata da sola da Juda Salina?». «Ehm, forse, una volta o due». «Nei giorni precedenti la sua scomparsa?». «La prego, non voglio mettermi nei guai. Il signor Caley non sapeva dove le portavo, non gli piaceva la signora Salina e io non credo a tutte quelle sciocchezze». «Quindi Anna Louise è stata dalla signora Salina poco prima che partissero per New Orleans?». L'uomo annuì. «Lei è di New Orleans, vero, Mario?». L'autista sembrava molto a disagio e aveva la fronte imperlata di sudore. «Sì, signora, molti dei dipendenti dei Caley lavoravano per la famiglia della signora Elizabeth, e a volte torniamo là insieme a loro, quando decidono di fermarsi per un po'». «Se avessi bisogno di parlare con lei, Mario...». «Può chiamarmi a casa o qui, signora Page. Vivo dai Caley, ho un appartamento sopra i garage». Mario si guardò attorno, poi prese da una tasca il suo biglietto da visita e vi annotò un numero di telefono. «È il mio cellulare, può trovarmi sempre se mi chiama a questo numero, ma voglio che sappia che non ho niente da dire sulla signora o sul signor Caley. Sono brave persone e io sono davvero
addolorato per la signorina Anna Louise, come tutti quelli che li conoscono». Lorraine mise in tasca il biglietto da visita e sorrise. «Sono sicura che questo è un momento molto difficile per tutti. Grazie, Mario». Uscì dall'edificio e si diresse al parcheggio. Vide una limousine bianca parcheggiata vicino al cancello. Robert Caley era chinato e sembrava che stesse parlando con qualcuno seduto sui sedili posteriori. Lorraine allungò il passo e tagliò attraverso il prato, passando sotto la sbarra bianca. Era a pochi passi da Robert Caley che sembrava furioso. «Ti sto solo chiedendo di convincerlo a concedermi ancora un po' di tempo. Credi essere molto furba, non è vero?». «Io? Tu credi di essere molto furbo, Caley, e hai quello che ti meriti. Che cosa vuoi che faccia? Vuoi che dica a mio padre che saresti disposto a fargli un pompino se fosse necessario?». «No, dirò a tuo padre che cosa sta combinando quella puttana del cazzo di sua figlia...». «Salve, me ne stavo andando», disse Lorraine, in piedi proprio alle sue spalle. Caley si voltò di scatto, la portiera della limousine socchiusa e Lorraine poté vedere Saffron, ancora nuda, sdraiata sui sedili posteriori. Caley sbatté la portiera, la limousine si allontanò e fece un'inversione a U. «Quello sì che era un appuntamento», disse Lorraine con un sorriso. Caley impiegò un attimo a ricomporsi. Scrollò le spalle e disse: «Già, ma certe volte i vecchi soci tirano un po' troppo la corda». Lorraine notò che un piccolo muscolo sulla mascella di Caley si contraeva nervosamente. Continuò a sorridere. «Grazie per avermi fatto usare il suo ufficio». «Sono a sua disposizione». Teneva le braccia lungo i fianchi e stringeva i pugni, e anche se Lorraine sapeva che Caley stava cercando di sembrare tranquillo, i suoi occhi lo tradivano. «Se vuole scusarmi, avrei un altro appuntamento». «Certo, se avessi bisogno di parlare ancora con lei...». Caley si stava già allontanando. «Sa dove trovarmi, signora Page». Lorraine si diresse verso macchina, l'agente di sicurezza si toccò il cappello in segno di saluto e si avvicinò. «Buonasera, signora Page». L'accompagnò all'auto e le aprì persino la portiera. Tutti sembravano anche troppo gentili in quel posto. «Devono esserci stati quasi quaranta gradi, oggi», disse l'agente per fare
conversazione in attesa della mancia. Lei gli allungò un biglietto da cinque dollari. «Era una bella limousine». «Quella bianca?». «Già, aveva una targa della Louisiana. Di chi è?». «L'ho vista spesso, ma non di recente, credo che sia di un socio del signor Caley». L'uomo le chiuse la portiera. Lorraine si chiese se dandogli altri cinque dollari avrebbe scoperto a chi apparteneva la limousine. Abbassò il finestrino, continuando a sorridere. L'agente sollevò la sbarra per permetterle di passare. Quando gli passò accanto, fermò l'auto e smise di sorridere. «Di chi è quella limousine, amico? Risparmiami la fatica di controllare in centrale. Sì, hai indovinato, sono uno sbirro. Siamo disponibili in una vasta gamma di forme e misure, adesso». L'uomo esitò. «È della signorina Saffron Dulay, la figlia di Lloyd Dulay. Il padre usa la sua limousine quando è qui a Los Angeles». «Grazie», disse Lorraine seccamente, e ingranò la marcia. Quindi era quello l'appuntamento di lavoro. Be', forse; Lloyd Dulay, come le aveva detto Robert Caley, era uno dei soci nell'affare del casinò, il magnate dei liquori. Lorraine stava tornando verso Hollywood quando ricevette una telefonata di Nick sul portatile. «Ciao, dolcezza. Se vogliamo parlare col dottore della Caley, dobbiamo sbrigarci. Ho saputo che stanno per arrestarlo, quindi incontriamoci appena possibile». «Okay, ci vediamo là. Devo solo fare un'altra telefonata». Compose il numero dell'ufficio. «Ciao, Bill, ci sono novità?». «No», rispose lui. «Come va?». «Ho passato un paio d'ore nell'ufficio di Caley, ho una serie di nomi che bisogna controllare. Caley mi ha permesso di dare un'occhiata al fascicolo del casinò e devo dirti che è una lettura molto interessante. Cerca di scoprire tutto quello che puoi sulla figlia di Lloyd Dulay. Vive a Hollywood, si chiama Saffron Dulay. Penso che Robert Caley abbia una storia con lei. Puoi occupartene tu?». «Certo. Ma, Lorraine...». Sapeva che Bill stava per ripeterle per l'ennesima volta che stavano
sprecando tempo lì a Los Angeles. «Devo andare adesso, ho un appuntamento con Nick». La comunicazione venne interrotta. Rosie si sporse sopra la spalla di Rooney e lesse i suoi appunti. «Chi sarebbe Saffron... com'è il cognome?». «Dulay. È la figlia di uno dei tizi dell'affare del casinò. Gente molto, molto ricca. Lorraine pensa che Caley se la scopi, quindi dovrò fare qualche ricerca su questa Saffron. Incomincerò a dare un'occhiata alla cronaca mondana e roba del genere». Rosie annuì. «Posso pensarci io, se ti va». «Okay, grazie. Che buon profumo hai, cos'è?». Rosie sorrise raggiante. «Gardenia». «Mi piace, è fresco». «Grazie». «Non c'è di che». Nick guardò Lorraine entrare nel parcheggio nei pressi dell'ambulatorio del dottore, su Santa Monica Boulevard, scendere dall'auto e dirigersi verso l'edificio. Gli piaceva il modo in cui camminava, con lunghe falcate disinvolte. Era una vera donna, così eccitante e femminile, pensò Nick tra sé e sé. Anche con i capelli spettinati e il vestito spiegazzato, gli sembrava bellissima. Gli erano sempre piaciute le donne alte e bionde. Non poté impedirsi di sorridere: era certo che Lorraine fosse fantastica anche a letto. «Cosa c'è di così divertente?», gli domandò lei in tono aspro. «Niente, ma sembra che tu abbia voglia di picchiare qualcuno. Siamo di buon umore, vedo». «Già», ma quando rispose stava sorridendo. Nick Bartello riusciva sempre a mettere la gente a proprio agio. Le rivolse il suo magnifico sorriso. «Okay, ecco come stanno le cose. Andiamo a sederci un attimo nella mia jeep? Sono nel parcheggio del palazzo dell'ambulatorio. A proposito, il dottore è dentro ma tra poco sarà dentro veramente». Raggiunsero una Cherokee che aveva visto giorni migliori; persino i sedili erano laceri e malconci. «Cristo santo, Nick, ma dove hai preso questo ferrovecchio?». «Il motore è una favola e non l'ho pagato molto. È il mio cane che ha fatto a pezzi i sedili». Fece un fischio e una strana testa pelosa sbucò dai sedili posteriori. «Lui è Tigre. Tigre, ti presento Lorraine Page della Page Investigazio-
ni». Il cane, in parte pastore tedesco in parte cane da pastore o forse wolfhound, aveva un'aria trasandata proprio come il suo padrone, e i suoi buffi occhi azzurri ricordavano in qualche modo quelli di Nick. «L'ho trovato in un bidone della spazzatura due anni fa. Come cane da guardia è fantastico ma fa un gran casino, quindi più o meno vive qui nella jeep». «Già, si vede». Lorraine guardò disgustata i sedili posteriori occupati, oltre che da Tigre, da una ciotola per il cibo, una per l'acqua e una vecchia coperta. Quando Lorraine salì in auto e chiuse la portiera, Tigre emise un ringhio basso e minaccioso. «Ehi, sta' buono, questa è la mia socia». Tigre si calmò immediatamente e appoggiò la testa sulla spalla di Nick, mentre lui prendeva una sigaretta da un pacchetto malridotto di Kool. «Ti ricordi di Fisher, quel tizio di cui ti ho parlato, il mio defunto informatore?». Lorraine annuì. «Be', ho fatto qualche ricerca e leggendo il rapporto dell'autopsia ho scoperto che non è morto per un'overdose di eroina ma per un'embolia causata da un'iniezione di temazepam. Mi sembra che tutto questo abbia senso, perché l'ultima volta che l'ho visto, mi ha detto che non si faceva più. Ma quando ho saputo della sua morte, ho pensato che avesse ricominciato. È facile che la gente come lui ci ricaschi. Sembra che il nostro dottore sia sul viale del tramonto ma continua a rifornire Elizabeth Caley di temazepam. Se vogliamo entrare là dentro, lascia parlare me. Non abbiamo molto tempo perché la ragazza di Fisher sta vuotando il sacco alla polizia, l'hanno arrestata un paio di giorni fa. Non provare nemmeno ad accusarmi di non aver fatto un cazzo, sto lavorando da questa mattina all'alba. Comunque sia, ho saputo che stanno per arrestare il dottore, quindi abbiamo bisogno di qualcosa che lo convinca a parlare e credo che la storia di Fisher andrà benissimo». «D'accordo, andiamo a fare quattro chiacchiere con il nostro uomo». L'ambulatorio sembrava un salone lussuoso: grandi divani, tende riccamente decorate e tavolini da caffè. Il dottor Hayleden, con i suoi occhiali senza montatura, il completo stirato di fresco e i capelli in perfetto ordine, sembrava una statua di cera. «Non posso discutere dei miei pazienti senza il loro consenso, a meno che non abbiate un ordine del tribunale».
Lorraine non disse niente e anche Nick rimase in silenzio. «Quindi credo che questo metta fine al nostro colloquio». «Non proprio», disse Nick con tono pacato. «Oh, invece penso proprio di sì. Vi presentate qui dicendo di essere degli investigatori privati, mi fate domande su una mia paziente, una paziente che i media conoscono fin troppo bene e vi aspettate che io...». «Diamoci un taglio con le stronzate», disse Nick senza scomporsi. «So benissimo che lei non prescrive soltanto antidolorifici a Elizabeth Caley, ma anche sonniferi e tranquillanti, giusto? E questo ormai da molto tempo... la sua paziente ha abbastanza roba per mettere a dormire anche un fottutissimo elefante». «Non mi piacciono le sue insinuazioni, signor Bartello». «Onestamente, Doc, non me ne frega un cazzo. Nessuno, nemmeno il peggior insonne della terra, ha bisogno della montagna di temazepam alla settimana che lei prescrive a Elizabeth Caley. Abbastanza da sciogliere le pastiglie e farselo in vena sei o sette volte al giorno. Ora, non stiamo parlando di normali ricette, voglio dire, una delle sue vale come duecento ricette normali. Lo so perché un mio amico, un certo signor Fisher, lavorava per lei. Lui e i suoi amici si introducevano nei magazzini delle industrie farmaceutiche di notte, prendevano tutto quello che potevano e lo portavano a lei. Io so che lei sa, Doc. Chiunque si spari tutta quella roba finirà per farsi venire una trombosi, proprio come il nostro amico Fisher. È morto, lo sapeva?». Hayleden lo fissò, cercando di nascondere il fatto che sapeva esattamente di cosa stava parlando. Ma l'avevano in pugno, Nick ne era certo. Il dottore aveva cominciato a sudare e aveva gli occhi sgranati per la paura. Lorraine diede un piccolo calcio alla caviglia di Nick - non era il caso di spaventare troppo il loro uomo. Lorraine si sporse in avanti. «Non siamo dell'antidroga, questa è un'indagine privata. Vogliamo solo sapere se Robert Caley è al corrente del problema di sua moglie». «Sul mio registro non c'è nessun paziente di nome Fisher». Hayleden ormai stava sudando copiosamente e i capelli gli ricadevano in ciocche disordinate sulla fronte. Aveva le labbra secche e continuava a inumidirsele con la punta della lingua. «Dovete capire, se un paziente fa un cattivo uso dei medicinali che gli sono stati prescritti, io non posso proprio farci niente». Nick si alzò. «Se un dottore continua a prescrivere sostanze di cui conosce benissimo i pericoli, prima o poi si ritroverà nella merda fino al col-
lo. Perché non risponde alla domanda e non la facciamo finita? Meglio ancora, perché non ci dice se Robert Caley è mai venuto di persona a ritirare le caramelline che piacciono tanto a sua moglie?». Quindici minuti dopo, Nick e Lorraine sapevano che Elizabeth Caley talvolta ordinava più di mille pastiglie alla settimana e che Hayleden, che non aveva mai incontrato Robert Caley, non aveva ragioni di credere che l'uomo fosse in qualche modo al corrente dell'abuso di droghe di sua moglie. Qualche volta era stata l'assistente personale della signora Caley a ritirare le pastiglie. Anna Louise Caley non aveva mai messo piede nello studio del dottore. Nick e Lorraine erano quasi arrivati a Pasadena quando la squadra antidroga della polizia di Los Angeles arrestò il dottor Hayleden. Era accusato di aver venduto ricette e sostanze illegali, ma probabilmente se la sarebbe cavata con poco, oltre a essere radiato dall'albo dei medici. Comunque, la gente come lui cadeva sempre in piedi e forse Hayleden avrebbe ricominciato altrove i suoi traffici. Elizabeth Caley, registrata sotto un altro nome, era solo una dei suoi numerosi clienti. Con ogni probabilità, il suo nome non sarebbe mai stato collegato a quel caso. Cenarono nell'appartamento di Rosie e Lorraine. Nick era ancora convinto che Robert Caley fosse il loro sospetto numero uno. Rooney e Rosie ascoltarono il resoconto di Nick e Lorraine. Di comune accordo, decisero che era arrivato il momento di spostare le indagini a New Orleans. Solo Lorraine non era del tutto convinta del fatto che Robert Caley fosse il loro maggior indiziato. Gli altri avevano la sensazione che si stesse accanendo inutilmente su Juda Salina, ma Lorraine voleva parlare ancora una volta con Phyllis e con i Caley, prima di partire. Nick alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Ma perché cazzo ci tieni tanto a buttare via il tempo così, tesoro? È stato Caley, ha un movente». Rooney annuì. «Già, però dobbiamo trovare le prove, Nick». Bartello prese un'altra forchettata di spaghetti e guardò Lorraine. «Dammi un buon motivo per cui non dovremmo cercare di metterlo alle corde, solo uno?». «Onestamente, non ne ho, è solo una sensazione». «Intendi dire che vuoi scoprire come ci si sente a togliergli i pantaloni?», disse Nick e scoppiò a ridere. Lorraine sbottò: «Vaffanculo, non è così. Sto solo dicendo che se fosse
coinvolto nella scomparsa di sua figlia, perché mi avrebbe permesso di vedere i suoi documenti privati? Perché mi avrebbe fornito il suo movente su un piatto d'argento? Secondo me, quell'uomo non ha niente da nascondere». Nick si versò un bicchiere dalla bottiglia di birra che si era comprato per strada perché sapeva che né Lorraine né Rosie bevevano. «Ehi! Aspetta un secondo. Di solito il colpevole cerca di fartelo capire prima che sia tu a scoprirlo, è così che funziona, lo sai benissimo, Lorraine. E poi lo hai sorpreso insieme a quella Saffron come-si-chlama. Dobbiamo incastrarlo in fretta perché se Elizabeth Caley finisce al creatore con tutta la roba che prende, non avremo il nostro milione di dollari». Lorraine era molto stanca. «Hai trovato qualcosa su Saffron Dulay, Rosie?». Rosie, più professionale che mai, aprì il suo taccuino. «Tanto per cominciare, ha avuto così tanti mariti che probabilmente anche lei ha perso il conto. È l'unica erede di una fortuna immensa e non fa niente per nasconderlo, anzi. Ho parlato con Melissa Dewhurst, quella giornalista che si occupa degli scandali di Hollywood, e non si è fatta pregare per raccontarmi tutto quello che sapeva. Saffron ha fatto causa alla sua rivista chiedendo un risarcimento altissimo perché Melissa aveva scritto un articolo in cui insinuava che fosse una ninfomane. Per di più, ha querelato anche un'altra rivista che avrebbe detto tra le righe che si era fatta rifare il seno. A giudicare dalle fotografie che mi sono fatta mandare, direi che si è fatta rifare ben più che le tette, è bellissima. E date un'occhiata al suo appartamento». Rosie mostrò loro una serie di fotografie prese da alcune riviste. Nick si sporse in avanti ed emise un fischio. «Ragazzi, è un vero schianto. Che corpo, ed è anche ricca. Lorraine, prova a immaginartela con i vestiti addosso. L'hai vista a culo nudo su una limousine davanti all'ufficio di Caley, giusto?». Rooney sgranò gli occhi. «Starai scherzando!». Lorraine si appoggiò allo schienale della sedia, spingendo via il suo piatto ancora quasi pieno. Dalla valigetta, prese gli appunti sul fascicolo di Caley e li mise sul tavolo. «Penso che dovreste darci un'occhiata. Cercate di non mangiarci sopra». Si alzò. «E cosa mi dici di Robert Caley», chiese Nick con voce tesa. «Sono su di lui quegli appunti. Leggili». Nick sbadigliò, strizzando l'occhio a Rooney. «Ti va un drink? Potremmo dare un'occhiata a questa roba in un bar».
Rooney richiuse il taccuino. «Per me va bene. Ci vediamo domani, Rosie, e grazie per gli spaghetti». Si sporse verso di lei e le diede un bacio sulla guancia. Rosie, colta di sorpresa, arrossì immediatamente. Nick le strizzò l'occhio, mentre teneva aperta la porta per Rooney. «Buonanotte, ci vediamo domani». Rosie cominciò a sparecchiare. Era bello avere degli uomini per casa, era una bella sensazione e, mentre passava davanti allo specchio con un pila di piatti sporchi da mettere nel lavello, si osservò per un attimo. Forse l'indomani sarebbe andata a farsi tagliare i capelli e avrebbe cominciato a truccarsi un po'. Il bacio che Rooney le aveva dato era stato molto importante per lei; era passato molto tempo dall'ultima volta che un uomo l'aveva baciata. Non che Bill l'avesse baciata sul serio, ma era stata una dimostrazione di affetto, un'altra cosa di cui Rosie sentiva la mancanza. Lorraine tornò a sedersi mentre Rosie finiva di rassettare. Sentì le risate di Rooney e Nick che si stavano allontanando. Si alzò e andò alla finestra, guardò fuori per un attimo poi si rivolse all'amica. «Buonanotte, Rosie, vai a letto adesso, è tardi e io sono a pezzi». «Buonanotte. Spegni il condizionatore altrimenti non riuscirai a dormire». Lorraine fece come le aveva detto Rosie, poi spense le luci e rimase vicino alla finestra nella semioscurità, con le braccia conserte, immersa nei suoi pensieri. Nick Bartello aveva virtualmente preso in mano le redini del caso, lo sapeva, e sapeva anche che avrebbe dovuto essere migliore di lui per dimostrare non solo a Rosie ma anche a Rooney che era ancora lei a comandare. Bartello era più avanti di lei ed era bravo, doveva riconoscerlo. Anche se il suo aspetto poteva trarre in inganno, Bartello era riuscito a trovare dei moventi, dei moventi validi per di più. Lorraine si domandò se non stesse per caso perdendo il suo tocco. L'attrazione fisica che provava per Caley aveva per caso influenzato la sua capacità di giudizio? Sospirando, si sdraiò sul divano-letto. Robert Caley era in grado di nascondere i veri motivi per cui sua figlia era stata rapita e forse assassinata? O forse, era Elizabeth Caley che cercava di nascondere non solo la sua dipendenza dalle droghe ma anche qualcosa di più sinistro? In quel caso, perché assumere tutti quegli investigatori privati? A meno che non fosse un suo vecchio ruolo che stava recitando anche nella vita. Lorraine sbadigliò. Aveva le palpebre pesanti di stanchezza. Comunque stessero le cose, era convinta che la chiave della scomparsa di Anna Louise
Caley fosse legata ai suoi genitori. La domanda era: a quale dei due? Avevano soltanto due settimane per ottenere quel milione di dollari e due giorni erano già trascorsi. Nella sua mente i volti divennero sfocati; un secondo prima Nick Bartello la stava chiamando, un secondo dopo era Lubrinski. Lorraine stava cercando di trascinare il corpo al sicuro, lontano dalla pioggia di pallottole, stava urlando, si sentiva pesante, gemeva e sanguinava. Il volto di Lubrinski divenne quello di Nick Bartello e poi di nuovo quello di Lubrinski, e nel sogno Lorraine stava piangendo. Non si era resa conto di aver cominciato a gridare e a piangere davvero e fu così che si svegliò: un secondo prima aprire gli occhi, l'uomo che stava cullando tra le braccia divenne Robert Caley. Si tirò su a sedere, tremando, cercando di riprendere fiato. Era immersa in un bagno di sudore e impiegò qualche istante a capire dove si trovava. Si lasciò ricadere sui cuscini, chiudendo gli occhi ma non riuscì a riprendere sonno. Non voleva fare ancora quell'incubo, non voleva tornare al ricordo di Jack Lubrinski che moriva tra le sue braccia. Aveva freddo, molto freddo. Nick Bartello somigliava così tanto a Lubrinski. Anche lui teneva sempre gli appunti nella tasca posteriore dei pantaloni, e le rubava le pagine del bloc-notes per scarabocchiarvi con la sua scrittura sottile e incomprensibile. Rosie l'aveva sentita gridare. Si era svegliata di soprassalto e si era avvicinata furtivamente alla porta. L'aprì e sbirciò nel soggiorno. Vide Lorraine rannicchiata su se stessa come una bambina, le mani intrecciate, strette spasmodicamente sotto il mento. «Va tutto bene, socia?», sussurrò. «Sì, ho solo fatto un brutto sogno. Ti ho svegliata?». «No, ci vediamo domani mattina». «Rosie, a te piace sempre lo stesso tipo di uomo?». Rosie si chinò sul divano e le accarezzò dolcemente i capelli. «Ascolta, non ho un uomo da così tanto tempo che sarei pronta ad accettare chiunque, alti, bassi, grassi, scheletrici, pelati, biondi o bruni. Forse rossi no però, non mi sono mai piaciuti gli uomini con i capelli rossi». Lorraine si voltò e le sorrise. Aveva un sorriso splendido e dolce, ed era un peccato che lo mostrasse così raramente. «A me sono sempre piaciuti gli uomini con i capelli scuri. Sai, forse è proprio di questo che ho bisogno». «Di cosa?». Rosie sembrava preoccupata.
«Di un uomo», rispose Lorraine. L'amica scoppiò a ridere. «Grazie a Dio, per un attimo ho avuto paura che dicessi che avevi bisogno di bere. Ma fa attenzione, l'esperienza mi ha insegnato che a te fanno male anche gli uomini». «Già, credo che tu abbia ragione». Il tocco gentile di Rosie la stava calmando, e Lorraine si addormentò senza rendersene conto. Rosie le rimboccò le coperte e rimase a osservarla finché non fu certa che l'amica fosse profondamente addormentata, osservando affascinata le lunghe mani di Lorraine rilassarsi. Erano momenti come quelli che rafforzavano la loro amicizia; era solo a Rosie che Lorraine si permetteva di mostrare la propria vulnerabilità. Rosie non aveva mai saputo quali fossero i sogni che tormentavano il sonno di Lorraine. Ma ora erano sempre meno frequenti, come i suoi dolci sorrisi. CAPITOLO 7 Lorraine arrivò alla residenza dei Caley alle undici meno due minuti, esattamente due minuti in anticipo sull'ora dell'appuntamento stabilita da Rosie e Phyllis, ma la signora Caley era con la sua estetista e chiese gentilmente a Lorraine di aspettare. Lei si infuriò e disse a Peters, l'arcigno maggiordomo, che non le era possibile aspettare dal momento che doveva fare altre cose molto urgenti. Alla fine, Elizabeth accettò di vederla anche se per lei non era il momento più adatto, e Lorraine venne accompagnata nel solarium. Elizabeth aveva sul viso una spessa maschera di bellezza, indossava un accappatoio e aveva un asciugamano attorno alla testa. Due giovani donne in uniforme bianca le stavano facendo la manicure e la pedicure. Erano nella piccola stanza dei massaggi, accanto alla palestra costruita sul retro della casa, dai lucidi pavimenti di legno di pino e dotata di pesi, cyclette, un sacco da allenamento e poltrone di pelle reclinabili. Da alcuni altoparlanti nascosti proveniva della musica classica e le veneziane erano chiuse sulle ampie finestre ad arco, per schermare la luce del mattino. «Signora Page, la ragazza ai miei piedi è Angela, e lei è Barbara». Le due belle ragazze dagli abiti immacolati sorrisero e continuarono a lavorare. «Si metta comoda, mia cara». Lorraine avvicinò una poltroncina e si sedette. «Grazie per aver accettato di vedermi, signora Caley».
Elizabeth stava sorseggiando il suo solito tè alla menta da una tazzina di porcellana che posò su un basso tavolino accanto a lei. «Mia cara, sono io che la pago, quindi se ha bisogno di chiedermi qualcosa, sarebbe piuttosto stupido da parte mia rifiutarmi di vederla, non le pare?». Si mise seduta e bevve un altro sorso di tè. «Ha qualche novità per me?». «No, non ancora, mi dispiace». Barbara mise l'ultimo strato di smalto rosso sangue sulle unghie della mano destra della signora Caley e si alzò. «Ho finito, signora». «Grazie, Barbara». «Solo un momento ancora, signora Caley, poi potrò toglierle la maschera», disse Angela massaggiandole i piedi delicati con un olio profumato. Lorraine non voleva parlarle prima che la maschera di bellezza le fosse tolta e la pelle le venisse pulita, tonificata e idratata. Ci volle molto tempo ed Elizabeth tenne gli occhi chiusi fino alla fine. Angela rivolse a Lorraine qualche sorriso discreto, poi sussurrò: «Si è addormentata». Lorraine sorrise con aria comprensiva anche se in realtà le sarebbe piaciuto dare una bella scrollata a Elizabeth Caley per svegliarla. Tuttavia, rimase seduta come una stupida mentre Angela si aggirava per la stanza, raccogliendo trucchi e creme di bellezza. Quando ebbe finito, la salutò agitando scioccamente la mano e uscì, richiudendosi la porta alle spalle senza far rumore. Elizabeth era immobile, la testa appoggiata allo schienale, e sembrava immersa in un sonno profondo. Lorraine la fissò prima irritata, poi provando una strana fascinazione: sul collo e sul viso della donna non c'era nemmeno una ruga, e anche ora che era completamente senza trucco, la sua pelle sembrava comunque perfetta. Le sue bellissime mani erano abbandonate sull'accappatoio bianco. All'improvviso, Lorraine si sentì stringere nella morsa del panico - era morta? Si alzò silenziosamente e si avvicinò alla donna, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo quando si accorse che respirava ancora, respiri lenti, regolari, profondi. Elizabeth Caley aveva un volto davvero perfetto: zigomi, naso, mento, labbra - che quella bellezza fosse artificiale o meno, non aveva alcuna importanza. Lorraine continuò a osservare la donna addormentata - era davvero possibile che assumesse simili quantità di droga? Non si vedevano segni di aghi, né sulle braccia pallide e snelle né tra le dita dei piedi. Poi vide un minuscolo livido e una puntura d'ago sul lato destro del collo, una
sola. Se Elizabeth Caley si iniettava qualche sostanza, probabilmente era molto abile e forse se le iniettava nell'inguine. Ma scostando l'accappatoio bianco, avrebbe rischiato di svegliarla e Dio solo sapeva come avrebbe potuto reagire. Lorraine controllò l'ora, poi uscì dalla stanza lasciando la signora Caley addormentata al suo concerto di Beethoven. Peters esitò ma Lorraine ribadì che era stata assunta dai signori Caley per rintracciare la ragazza e quindi era necessario che vedesse la stanza di Anna Louise. «Chieda il permesso al signor Caley, se vuole», disse impaziente al maggiordomo. «Temo che il signor Caley sia fuori a cena, questa sera». «Bene, allora dipende da lei, Peters. Credo che sia in grado di prendere una decisione... oppure no?». Non era una semplice stanza ma un vero e proprio appartamento, composto da una camera da letto, un salotto e un bagno che era più grande di tutto l'appartamento di Rosie. Sembrava la vetrina di un negozio: irreale, non vissuta, niente fuori posto. I mobili avevano tinte pastello, soprattutto rosa e bianco, e sul letto c'erano un gran numero di orsi di peluche bianchi, troppo immacolati per essere stati usati come giocattoli. Lorraine si guardò attorno senza fretta; nessuna ragazza normale avrebbe potuto vivere in quella stanza senza lasciare alcuna traccia di sé. Si sedette sul letto e scrutò ogni angolo, come sperando che la stanza stessa le rivelasse i suoi segreti. Si chiese dove avrebbe messo qualcosa che avesse desiderato nascondere. C'era per caso una cassaforte nascosta da qualche parte? Si aggirò per l'appartamento, i piedi che quasi scomparivano nella moquette folta e morbida color rosa pallido. Guardò sotto il letto e non trovò niente, cercò dietro le tende, sotto i cuscini e sotto gli orsacchiotti: niente. Entrò nel bagno e guardò dentro il grande armadietto, dentro la vaschetta del water: niente. Tornò nel grande guardaroba e cercò negli armadi: niente, nemmeno una vaga traccia di profumo sugli abiti appesi ordinatamente. Anche i vestiti sembravano, come tutto il resto, inutilizzati, mai indossati. Stava per ritornare dalla signora Caley quando qualcosa attirò la sua attenzione. Tutte le scatole di scarpe avevano una targhetta - sandali, pantofole, mocassini, marroni, nere, crema etc - tutte tranne una. Aveva la stessa targhetta ma nessuna descrizione. Lorraine la prese e scoprì che era una scatola di scarpe disegnate da un famoso stilista, il cartone ricoperto di seta bianca. Tolse il coperchio e sor-
rise. All'interno, c'erano pile di lettere, biglietti d'auguri, appunti e un biglietto di San Valentino. Finalmente era riuscita a scoprire qualcosa di interessante, qualcosa di potenzialmente utile. Aprì il biglietto di San Valentino. Alla mia unica e sola Valentina. Con amore, Polar. La maggior parte dei biglietti d'auguri erano di zii e zie di Anna Louise, di sua madre e di suo padre, ma cinque biglietti, che avevano accompagnato altrettanti mazzi di fiori, erano del ragazzo che si chiamava Polar. Lorraine rovistò nella scatola, leggendo le lettere. C'erano alcune poesie e un paio di inviti a feste del college. Non trovò nulla d'interessante finché non ebbe svuotato completamente la scatola - fu allora che vide i preservativi, tenuti insieme da un elastico. Anna Louise era ossessionata dall'ordine, poco ma sicuro. Poi trovò alcune scatole di fiammiferi, sempre tenute insieme da un elastico, non di qualche ristorante elegante ma del Viper Room, dell'On the Rox e dello Snake Pit tutti famosi night-club. Quando trovò le riviste pornografiche, si mise comoda, perché si trattava di materiale decisamente hardcore. Cominciò a sfogliarle e, attaccato con lo scotch a una delle pagine centrali, trovò un biglietto su cui era scritto in un ordinato stampatello: TI AMO, VOGLIO SCOPARTI, VOGLIO CHE TU MI VOGLIA, VOGLIO FARMELO METTERE NEL CULO DA TE, VOGLIO CHE MI LECCHI LA FICA FINO A FARMI GODERE E VOGLIO PRENDERTI IL CAZZO IN BOCCA. COLPISCIMI FORTE, TI PREGO, TI PREGO FAMMI MALE, E BACIAMI ANCORA. Lorraine si mise in tasca il biglietto; fu la sola cosa che portò via dalla stanza. Si era accertata, confrontando il biglietto con una delle poesie di Anna Louise, che quella calligrafia infantile fosse proprio la sua, e aveva riposto la «scatola da scarpe». Peters aspettava in fondo alle scale, quando Lorraine uscì dalla stanza e cominciò a scendere. «È una stanza bellissima». «Sì, bellissima davvero. La signora Caley sta ancora dormendo e non mi sembra il caso di svegliarla». «Tornerò domano mattina, verso le nove». «La signora Caley non si alza mai prima delle dieci e trenta».
Lorraine esitò per un attimo. «Sarò qui alle undici, allora. Buonasera». Una volta in auto, Lorraine telefonò a Nick. «Ciao, come va?». «Ti andrebbe di fare un giro per night?». «Cosa?». «Conosci un night-club chiamato Viper Room?». Nick scoppiò a ridere. «Tesoro, tu sei un tantino troppo vecchia e, anche se non sono nella posizione di dirtelo, non sei abbastanza famosa per quel locale. Non riusciresti a superare nemmeno il buttafuori». «Vogliamo scommettere? Vieni a prendermi da Rosie, verso le undici e mezza». Nick esitò. «Cazzo, Lorraine, io non so ballare. E mi ritrovo praticamente con una gamba e mezza. Cos'è questa storia? Hai trovato un'altra pupa che se la fa con Robert Caley?». «No, ho solo scoperto qualcosa su quel dolce angioletto di Anna Louise che, a quanto pare, se lo faceva mettere nel culo da un tìzio che si chiama Polar. Ci vediamo più tardi. Ah, Nick, ancora una cosa. Magari fatti un bagno e prova a raderti, okay?». Lorraine riappese, sentendosi soddisfatta. Forse aveva trovato qualcosa che nessun altro era riuscito a scoprire. Era su di giri e voleva tornare a casa al più presto, per poi recarsi alla riunione degli AA prima di incontrarsi con Nick per andare al Viper Room. Non aveva intenzione di rivedere Juda Salina, ma si fermò su Doheny Drive, controllando l'ora e rimase a riflettere per un attimo. Non riusciva a capire perché il suo istinto le diceva di indagare sulla medium, ma era così - forse perché Anna Louise era stata a farle visita, forse perché aveva intuito che Juda Salina sapeva molte cose della ragazza scomparsa anche se si guardava bene dall'ammetterlo. Se davvero aveva una sorta di legame spirituale con Anna Louise, forse conosceva l'identità di Polar... E dato che ormai era a due passi da casa sua, Lorraine si disse, perché no? Lorraine premette il pulsante del citofono nell'ingresso principale. Questa volta non aveva intenzione di provare a entrare senza permesso. Una voce annoiata chiese chi era. «Mi chiamo Lorraine Page, dovrei parlare con la signora Salina». «Sta dormendo adesso». «Allora la svegli, per favore, è molto importante». «Come ha detto che si chiama?». Il portone si aprì e Lorraine entrò, dirigendosi subito all'appartamento in
fondo allo stretto corridoio. Juda diede uno schiaffo a Raoul, che arretrò. «Non sapevo chi fosse e ci sono un sacco di fuori di testa che vengono qui e dicono che è importante. Credevo che fosse una cliente». Lei gli diede uno spintone. «Ti ho detto mille volte di controllare la mia agenda e di non lasciare entrare nessuno a meno che non te lo dica io. Adesso hai fatto entrare questa stronza ma io non ho intenzione di vederla». «Le ho detto che stavi dormendo e lei mi ha detto di svegliarti». «Bene, allora dille che mi sento poco bene e che non posso alzarmi dal letto né per lei né per nessun altro, hai capito?». Il campanello suonò e Juda si affrettò a tornare in camera da letto, sbattendosi al porta alle spalle. Raoul aprì la porta d'ingresso di qualche centimetro, senza togliere la catena. «Salve, sono Lorraine Page». «La signora non può vederla, non si sente bene». «Lei chi è?». «Raoul, sono il suo... autista». «D'accordo, Raoul, vai a dirle che se non mi concede almeno dieci minuti, andrò dall'amministratore di condominio e gli dirò che la signora Salina svolge un'attività illegale proprio qui, nel suo lussuoso palazzo. Adesso vai e assicurati che la signora Salina capisca che non ho alcuna intenzione di muovermi da qui». Esiliato in cucina, dietro la porta chiusa, Raoul mise il bollitore sul fuoco. Stava già cominciando a pentirsi di essere venuto a Los Angeles ma non poteva tornare a casa, non subito almeno, e in città non aveva un altro posto dove stare. Vivere con sua zia era orribile; solo sedendo nella minuscola cucina, riusciva a sfuggire all'enorme presenza di Juda, ma quella stanza era scura e claustrofobica e a Raoul non piaceva il buio, non gli piacevano le cose che accadevano nell'oscurità. Juda accese un bastoncino d'incenso. Lorraine sedeva sulla stessa poltrona su cui aveva preso posto la volta precedente. «Non vorrei sembrarle insistente, signora Salina, ma ci sono alcune domande che dovrei porle con una certa urgenza». «Non mi sento bene, ho una terribile emicrania», disse Juda. Aveva un abito gigantesco che le avvolgeva il corpo gigantesco, un paio di occhiali scuri e un turbante verde. Tenendola con i lunghi artigli rossi, portò la bacchetta d'incenso in giro per la stanza e il fumo fece lacrimare gli occhi a Lorraine.
«Se non sbaglio, mi aveva detto che Anna Louise non è mai venuta da lei». «Non ricordo nemmeno che me lo avesse chiesto». «La ragazza è venuta da lei il giorno prima di partire per New Orleans?». Juda sospirò. «Controllerò nella mia agenda ma, sa, come lo ho già detto devo rispettare la privacy dei miei clienti». Si alzò e si diresse a passi pesanti verso la porta. L'appartamento era così piccolo che non c'era alcun bisogno di gridare ma Juda lo fece comunque: «Raoul! Portami la mia agenda degli appuntamenti». Raoul comparve sulla soglia e diede a sua zia un libro dalla copertina di pelle rossa. «Va' in macchina, Raoul, ho un appuntamento tra quindici minuti. Parcheggia fuori e aspettami, su dai, muovi il culo». Juda richiuse la porta sbattendola e aprì il libro. «Signora Salina, non mi interessa vedere la sua agenda, voglio solo che mi dica se Anna Louise...». Juda le sbatté il libro sotto il naso. «Vede, signorina Page, lei mi ha minacciata dicendomi che mi denuncerà. Ora, qui c'è tutto, nero su bianco, tutti gli appuntamenti prima del quindici febbraio e come può vedere, Anna Louise non c'è, okay?». Lorraine si alzò sfogliando le pagine dell'agenda e vide che Juda aveva effettivamente un appuntamento quel pomeriggio con una cliente di nome Eunice Bourdenaux. «La ringrazio. Perché la signora Caley portava anche Anna Louise, leggeva le carte anche a lei?». «A volte Elizabeth aveva bisogno di aiuto, non si sentiva molto bene». «Lo so benissimo perché non si sentiva bene, era strafatta di droga, e quindi Anna Louise veniva per... per che cosa? Per aiutare sua madre a reggersi in piedi?». Juda scrollò le spalle. «Non so niente di nessuna droga, non so cosa stia cercando di insinuare e non so perché le interessi tanto. La ragazza veniva qui, se ne stava seduta in disparte e quando avevo finito con sua madre se ne andavano insieme». A volte le piaceva accentuare la sua cadenza del sud, mentre altre volte sembrava volerla nascondere, e ora parlava strascicando le parole, allungando le vocali. «Ha mai parlato con Anna Louise, voglio dire le ha mai letto la mano o i tarocchi, per esempio?». «Può darsi, non mi ricordo... La mia cliente era Elizabeth Caley». Lorraine emise un lungo sospiro: quella donna la stava davvero seccan-
do, con la sua voce cantilenante e i suoi grandi occhiali da sole. Accavallò le gambe, facendo dondolare il piede nervosamente. «Lei legge i tarocchi, legge la mano, vede l'aura della gente e, secondo tutti quei certificati che ha appesi alle pareti, sarebbe una medium... e, nonostante tutto questo, mi dice che non si ricorda? Ora, non credo in niente di tutto questo ma è soltanto una mia opinione». «Può avere tutte le opinioni che vuole, tesoro». «Ho letto il volantino che mi ha dato in cui dichiara di aver aiutato la polizia in diverse indagini. Ma alla polizia sostengono che lei non è mai stata di alcun aiuto. Ha semplicemente ottenuto molta pubblicità gratuita e, a giudicare dalla sua bella agenda rossa, direi che gliene serve ancora. Non è esattamente traboccante di appuntamenti, giusto?». Juda sorrise, le mani abbandonate sul ventre prominente. «Ora come ora, non sto lavorando molto perché ho deciso di andare in pensione». «Sempre che non eviti di trascrivere tutti i suoi appuntamenti. Quindi lasci che glielo chieda di nuovo, Anna Louise è mai venuta da lei da sola?». Juda continuò a sorridere e scrollò le spalle massicce. «No, non è mai venuta da sola. Come le ho già detto, è stata qui solo qualche volta insieme alla signora Caley». «Chi è il ragazzo che mi ha aperto la porta?». «Raoul? È mio nipote, mi prendo cura di lui, signorina Page, tutto qui. Non mi sembra che sia illegale». Lorraine si sporse in avanti. «Che cosa le ha chiesto Anna Louise? Era preoccupata per qualcosa? Era spaventata per qualcosa?». Juda sospirò ma non disse niente. Lorraine stava cominciando a infuriarsi con se stessa perché non riusciva a far parlare la medium. Decise di tentare una tattica diversa, di essere quasi supplichevole. «Sto cercando di trovare la ragazza, signora Salina, perciò se c'è qualcosa che le ha detto che potrebbe aiutarmi a capire il problema che forse la tormentava, magari una relazione...?». Juda distolse lo sguardo. «Si vedeva con qualcuno? Signora Salina, ci dia un taglio con questa storia della privacy dei clienti. La prego, Anna Louise è scomparsa da ben undici mesi». «Sono stata interrogata un'infinità di volte e se avessi saputo qualcosa, non crede che ne avrei parlato alla polizia o agli altri investigatori privati? Ma non so niente e ciò che vedevo per la signora Caley non ha nulla a che
fare con questa faccenda». «Okay. Allora mi dica che cosa vedeva per la signora Caley? La prego, mi dica almeno questo». Juda si inumidì le labbra. «Non vedevo niente di buono, vedevo una clinica di riabilitazione, problemi con il marito, una possibile ripresa della sua carriera e molta pubblicità, ma pubblicità negativa...». Lorraine avrebbe voluto strapparle gli occhiali scuri dal volto grasso ma sarebbe stato inutile e decise che era arrivato il momento di arrendersi. «Sa, la gente come lei mi fa venire da vomitare». «Mi sembrava che l'avesse già messo in chiaro l'ultima volta che è stata qui, cara. Ma se devo dirle la verità, la cosa non mi turba. Lei pensa di potersi introdurre in casa mia e di minacciarmi solo perché le danno un sacco di soldi per farlo. Lei non mi offre niente e se anche ci provasse, le risbatterei in faccia il suo denaro. Le consiglio di prendere qualche lezione di buone maniere perché è soltanto una stronza maleducata. Come le ho già detto, non ho niente da aggiungere a ciò che ho dichiarato alla polizia e a ciò che ho già detto a lei l'ultima volta che ha fatto irruzione in casa mia». Lorraine andò alla porta e l'aprì, pronta ad andarsene. «Vede ancora una grande aura luminosa attorno ad Anna Louise? Continua a dire a quella povera donna di non perdere la speranza? Be', io forse sarò insistente, vengo pagata per fare il mio lavoro, ma è infinitamente meglio che essere pagata per riempire la testa di stronzate a gente disperata che forse avrebbe solo bisogno di un buono strizzacervelli. Grazie di niente». Lorraine non aspettò che Juda le rispondesse e sbatté con forza la porta d'ingresso per far capire alla donna balena che se n'era andata. Juda rimase seduta in poltrona, artigliandosi le braccia con le dita. Poteva sentire chiaramente la presenza di Lorraine Page; in parte era ovvia, quella stronza era un ex sbirro ficcanaso. Ma l'altra parte la confondeva. All'inizio, era stata certa di aver avvertito qualcosa di orribile, di veramente orribile: era forse perché Lorraine Page era diversa da tutti gli altri detective privati che aveva incontrato? Dopotutto, quella donna stava scavando molto più a fondo. O forse era perché sapeva che qualcuno il cui nome iniziava con la lettera L stava per trovarsi in guai seri, come un orologio che smette di funzionare una volta per tutte? Juda aveva sentito nel momento in cui aveva visto Lorraine che qualcosa dentro quella donna stava per sfuggire a ogni controllo. Non aveva idea di cosa fosse esattamente, ma la inquietava e cominciava a spaventarla, perché sapeva che avrebbe dovuto spingersi ancora più in profondità e temeva
di essere risucchiata a sua volta dall'oscurità. Lorraine uscì dal palazzo. Il marciapiede sembrava quasi luccicare nella luce abbagliante del sole. Mentre si dirigeva alla sua Buick presa a nolo, una limousine uscì dal parcheggio della casa. Non riuscì a vedere l'autista oltre i finestrini anneriti, ma riconobbe la macchina. Il giorno prima, quando si era trovata con Phyllis, aveva pensato che la limousine fosse di Elizabeth Caley. Il finestrino del guidatore si abbassò e Lorraine capì di essersi sbagliata: Raoul, che indossava un paio di occhiali a specchio, la guardò sorridendo. «Ieri mattina, eri in Rodeo Drive con Phyllis Collins». Lui sembrò disorientato. «La dama di compagnia della signora Caley», disse Lorraine, avvicinandosi alla limousine. Raoul le rivolse un sorriso ancora più ampio. «Può darsi, ma per la verità, signora, sono in città da poco tempo e non ricordo molto bene le strade o chi accompagno...». Lorraine gli si avvicinò fino a vedere la proprio immagine riflessa nelle lenti a specchio. «Da quanto tempo stai da tua zia?». «Oh, da un po', forse qualche settimana». «Sei venuto qui da New Orleans?». «Sì, signora, proprio così. Là non riuscivo a trovare lavoro». «Conoscevi Anna Louise Caley?». Raoul spense il motore e tolse le chiavi dal quadro. «Chi?». «Anna Louise Caley, sai benissimo di chi sto parlando». Raoul mordicchiò il portachiavi di plastica a forma di scimmietta. «So chi è, be', voglio dire, ho letto di lei sui giornali, ma non l'ho mai incontrata. Ho visto le sue fotografie, me le ha fatte vedere mia zia, e mi ricordo che era molto carina». «Non l'hai mai incontrata a New Orleans?». «No, signora». Lorraine fece un passo indietro, certa che il ragazzo stesse mentendo. «Grazie per avermi fatta entrare». «Non c'è problema, buona giornata». Mentre Lorraine si incamminava verso la Buick, lui le gridò: «Ehi! Signorina! Ehi!». Lei si voltò e lo vide sporgersi fuori dal finestrino, i gomiti appoggiati sul bordo, il portachiavi ancora in bocca.
«Non dovrebbe essere così dura con mia zia». «Cosa?». «È il genere di persona che è meglio non avere contro, mi creda. Sia gentile con lei». «Perché?». «Perché forse ha visto cose brutte per lei, mia zia ha...». Si picchiettò con un dito il centro della fronte. «Se lei le creerà problemi, mia zia le farà accadere brutte cose, ha la vista, sa cosa intendo? Arrivederci, signora, e, me lo lasci dire, ha proprio delle belle gambe». Tornò a sedersi e dalla limousine cominciò a diffondersi una musica frastornante, una specie di reggae, finché il finestrino non si chiuse. Lorraine era a disagio - anche se quel giorno faceva un caldo terribile, d'improvviso si accorse di avere freddo. Stava rabbrividendo. Aprì la portiera e salì in macchina. Poteva ancora vedere la limousine parcheggiata davanti a lei. Era evidente che alla signora Juda Salina il denaro non mancava. Lorraine mise in moto e si allacciò al cintura di sicurezza. Rimase lì per altri cinque minuti ed era talmente assorta che trasalì quando il telefono si mise a squillare. «Ciao, sono io, volevo solo sentire come vanno le cose». Era Rosie. Lorraine continuò a tenere lo sguardo fisso sulla limousine. «C'è qui Rooney che vorrebbe dirti una cosa», continuò l'amica, in tono allegro. Rooney prese il ricevitore. «Dobbiamo andare a New Orleans il prima possibile, non voglio parlare con i miei informatori al telefono, faccia a faccia è molto meglio. Hai scoperto qualcosa?». «Voglio tutto quello che riesci a trovare da chiunque su quella puttana di Juda Salina, la cosiddetta medium». «Credo che abbiamo già tutto quello che si poteva scoprire. È una truffatrice, vero?». Lorraine vide Juda uscire dal palazzo e raggiungere l'auto che l'attendeva. «C'è un ragazzo che vive con lei adesso, suo nipote Raoul, viene da New Orleans e sembra un giovane Robert de Niro. Controlla anche lui, prova con lo stesso cognome. Se non funziona, prova con il numero di targa; quella grassona non sa guidare e la macchina ha una targa della Louisiana». Rooney annotò il numero. «Okay, ma lo sai che dobbiamo andare a New Orleans. Il tempo passa in fretta e noi abbiamo soltanto due settimane - e tre giorni se ne sono già andati».
«Lo so, lo so. Chiedi a Rosie se va alla riunione stasera e se ci sarà anche Phyllis... cazzo, resta in linea». Lorraine vide la limousine partire. Raoul diede un colpo di clacson immettendosi nel traffico. Lei lo seguì, evitando per un pelo di andare a sbattere contro un'altra auto. Fece un gesto di scusa con la mano, tenendo il telefono stretto tra la spalla e la mascella. «Ciao, sono io. Sono Rosie», gridò l'amica. «Vai alla riunione stasera?», le chiese Lorraine, cominciando a percorrere la Doheny. C'erano quattro auto tra lei e Raoul. «Sì, vuoi venire anche tu?». «Sì, se ci sarà anche Phyllis». «Credo di sì, c'è quasi sempre». «Okay, ci vediamo più tardi. Ora devo andare». Rosie riagganciò. «È fissata con questa Juda Salina. Non so perché, mi sembra una perdita di tempo. Voglio dire, sono stata là, l'ho incontrata anch'io e Nick ha fatto un controllo su di lei». «Anche tu pensi che sia un'imbrogliona?», le domandò Rooney. «Be', se devo essere sincera, non so cosa dirti. È un tipo strano, mi ha fatto venire i brividi perché avevo l'impressione che mi guardasse attraverso. Ha degli occhi inquietanti, molto scuri e profondi, o forse erano solo le ciglia finte». Ridacchiò. «Ho perso quasi due chili», disse Rooney. Rosie applaudì. «È fantastico. Anch'io ho perso un po' di peso, be', non tanto quanto vorrei. Mi trovi dimagrita?». Rooney la guardò a lungo e infine annuì ammirato. «C'è solo una cosa, Rosie - quando arriviamo a New Orleans, possiamo sospendere la dieta? Voglio dire, lì c'è la migliore cucina del mondo e non ho intenzione di perdermela per mangiare del pesce crudo. Forse ingrasseremo un po' ma...». Lei gli tese la mano. «Allora siamo d'accordo. Facciamo la dieta adesso ma non quando saremo a New Orleans». Si strinsero la mano e Rooney improvvisamente si sentì in imbarazzo. Non aveva mai avuto una conversazione così intima con una donna, nemmeno con la sua povera moglie, che era sta magra il giorno del matrimonio così come il giorno in cui era morta. «Posso dirti una cosa?», domandò esitante, e lei lo guardò. «Certo, dimmi pure». «Però non devi dirlo a Lorraine», aggiunse lui come un ragazzino. Rosie attese mentre Rooney si massaggiava le tempie.
«Forse è l'età». «Cosa?». Lui tossì, e prese a giocherellare con la cravatta. «Be', non fraintendermi, voglio dire, non mi sto tirando indietro in nessun modo ma...». Sospirò, incerto su ciò stava dicendo e su come dirlo. «È solo che non ho più l'energia di una volta, sai, l'adrenalina che ti tiene in piedi quando lavori a un caso. Un tempo mi sentivo pieno di energia, dalla punta dei piedi alla punta dei capelli. Non riuscivo a dormire, non riuscivo nemmeno a mangiare, certe volte, e so che non doveva essere facile vivere con me. Quante devo averne fatte passare alla mia povera Ellen, e continuo a pensare a lei, a pensare che disastro di marito devo essere stato. Non ha avuto una vita facile». Rooney sembrava così vulnerabile, ora che cercava di esprimere qualcosa che non riusciva a dire, e Rosie gli si avvicinò e lo abbracciò, cosa che lo mise ancora più a disagio. «Mi sento così in colpa per lei, Rosie, perché stava progettando un viaggio in camper per tutti gli Stati Uniti e...». Rosie non disse niente ma lo tenne stretto e gli massaggiò la schiena. Rooney si abbandonò contro di lei. «Mi dispiace, penserai che sono solo un vecchio stupido, ma Ellen era così buona, Rosie, non ha mai fatto male a una mosca». «Fa sempre bene sfogarsi un po', Bill. Vedrai che ora ti sentirai meglio, e non devi preoccuparti. Tu sei un uomo speciale. Troppe persone nascondono i loro sentimenti - lo so bene, io avevo nascosto i miei in una bottiglia. Ma ora sto meglio, molto meglio». Ci fu un momento di imbarazzo quando Rosie si allontanò da lui e Bill si soffiò rumorosamente il naso. «Lorraine sarà qui da un momento all'altro», disse Rosie per nascondere il fatto che anche lei era confusa. «Ti sarei grato se non le dicessi niente, non voglio che abbia la sensazione che non sto dando il massimo per questo caso». «Qui non è successo, vecchio mio». Rosie sorrise affettuosamente ma entrambi sapevano che era successo qualcosa. Forse avevano solo paura di ammetterlo, ma ormai tra di loro c'era un legame che li faceva sentire bene. Lorraine cercò di seguire Raoul ma dopo qualche tempo perse di vista la limousine. Forse il ragazzo sapeva che gli stava alle calcagna ma, a giudi-
care dal modo in cui guidava, sembrava che avesse solo una gran voglia di prendersi una multa. Erano parcheggiati di fronte alla chiesa dove si tenevano le riunioni degli AA. Erano quasi le otto. Lorraine guardò nello specchietto retrovisore. «Eccola che arriva. Okay, io scendo e tu mi aspetti in macchina». «Ma io voglio andare alla riunione». «D'accordo, ma puoi lasciarmi parlare con Phyllis da sola per cinque minuti?». Lorraine attraversò la strada e raggiunse Phyllis. Le sorrise e le strinse la mano. Poi, insieme, presero posto su una panchina davanti al sagrato della chiesa. Phyllis si stava torcendo le mani. «Davvero non riesco a capire qual è il problema, sono passata accanto all'auto, la signora Salina mi ha chiamata, così mi sono avvicinata e...». «Continua a vedere la signora Caley?». «Ehm, no, be', il signor Caley le ha proibito di venire a trovare sua moglie e così, no, non la vede più». «Robert Caley sa che Elizabeth si fa di temazepam... perché è questo che si inietta, non è vero?». Phyllis arrossì. «Lei non capisce». «Ci sto provando, Phyllis, ci sto provando davvero. Ha idea di quanto sia pericoloso? La signora Caley sa che con il temazepam potrebbe causarsi una trombosi e uccidersi?». Phyllis sembrava sull'orlo del pianto. Lorraine continuò. «Quella roba è letale, Phyllis, e se Elizabeth morisse in quel modo, lei sarebbe in parte responsabile. Le sta procurando la roba, lo ha ammesso, quindi perché non la smette di mentirmi? Robert Caley sa che cosa prende sua moglie?». Phyllis scosse la testa. «No, non ne ha idea. Vede, l'ultima volta che è uscita dalla clinica di riabilitazione, non prendeva più cocaina e non beveva più, ma poi con la tragedia di Anna Louise... non riusciva più a dormire ed era tormentata dall'ansia e...». «Il dottore le ha prescritto il temazepam». Phyllis annuì. «Soltanto una piccola dose, all'inizio, e poi ha cominciato a volerne sempre di più e...». Scoppiò in lacrime e prese da una manica un fazzolettino di pizzo. «Oh povera me, non riesco a farla smettere. E ha mi-
nacciato di licenziarmi se ne parlerò con il signor Caley, e mi licenzierà anche se non andrò a prenderle le sue pastiglie... mi trovo in una posizione terribile». «Be', la signora Caley si troverà presto a corto di temazepam, perché il dottor Hayleden è stato arrestato». «Oh Dio». Phyllis si asciugò gli occhi con il fazzoletto. «Già, oh Dio, ma credo che dovrebbe ringraziare Dio, Phyllis, perché senza quella roba probabilmente non morirà». Phyllis chiuse gli occhi e tirò su col naso, facendo una smorfia. «Oh, troverà qualcun altro o qualcos'altro. Non so per quanto riuscirà a resistere. E per questo che ho cominciato a bere, sa, la signora Caley mi ha portata all'esasperazione. Non dorme mai, non riesce a dormire se non prende qualcosa, e adesso ha anche un'ottima scusa. Non pensa ad altro che ad Anna Louise». «L'ha portata da Juda». «Sì, penso di sì, ma non ero con loro. La signora Caley non mi ha mai permesso di accompagnarla». «E i Caley hanno portato la signora Salina a New Orleans, giusto? Per cercare di rintracciare Anna Louise?». Phyllis annuì, mordendosi il sottile labbro inferiore. «Sì, Elizabeth ha insistito così tanto. Sa, la signora Salina era sicura che trovandosi nei posti dov'era stata Anna Louise, all'hotel per esempio, sarebbe riuscita a percepire l'aura della ragazza». «E...?». La donna scrollò le spalle. «Be', era sicura che la povera Anna Louise fosse viva e credo che sia rimasta per qualche altro giorno dopo che Elizabeth era tornata a Los Angeles, perché mi ricordo che il signor Caley ha mandato il suo jet privato a prenderla per riportarla qui». Lorraine annuì. «Perché le ha proibito di vedere Elizabeth?». Phyllis sospirò. «Il signor Caley era certo che quella donna fosse una ciarlatana e che stesse dando false speranze a Elizabeth; non gli è mai piaciuta, e si è arrabbiato molto quando ha scoperto che Elizabeth aveva portato Anna Louise a casa della signora Salina». «È stato allora che ha impedito a Juda di andare a trovare Elizabeth?». «No, questo è successo dopo il ritorno da New Orleans». «Ma Juda riusciva a tranquillizzare la signora Caley». «Sì, ci riusciva, ma dopo la sparizione è tutto cambiato. Elizabeth era distrutta e chiamava la signora Salina quando era in preda a crisi isteriche.
Le dava speranza, capisce... Il signor Caley lo faceva solo per il suo bene». Lorraine annuì, controllando l'orologio. «Perché Anna Louise andava dalla signora Salina?». «Non credo che fosse interessata alla magia e a quel genere di cose, il fatto è che certe volte la signora Caley faticava a reggersi in piedi. Credo comunque che il signor Caley ne avesse parlato con Anna Louise e che lei gli avesse promesso di non tornarci mai più...». «E ha mantenuto la promessa?». «Sì, sì, non avrebbe mai contrariato suo padre. Era una ragazza molto obbediente. E poi c'era la sua amica Tilda Brown, quindi aveva altre cose per la testa. Tilda si fermava spesso da noi, be', quasi tutti i weekend, visto che la sua famiglia era così lontana. Infatti Anna Louise non vedeva l'ora di andare a New Orleans anche perché...». Phyllis tacque all'improvviso, distogliendo lo sguardo da Lorraine. Era come se le fosse venuto in mente qualcosa e si fosse chiesta se parlarne o meno, cercò di nascondere l'esitazione, rimettendosi il fazzoletto nella manica. «Perché?», chiese Lorraine in tono pacato. «Ehm, in realtà non è niente, è solo che le ragazze avevano avuto una discussione, niente di serio, e Tilda aveva deciso di partire prima. Avrebbe dovuto fermarsi un altro giorno e partire insieme ai Caley ma, sa come sono le ragazze a quell'età. Credo che avessero litigato per via di una partita a tennis». «Dev'essere stato un litigio alquanto serio se se n'è andata così all'improvviso». «Direi di sì, ma sa come sono le adolescenti». «Ha mai incontrato Saffron Dulay? Credo che sia una buona amica del signor Caley». Phyllis guardò l'orologio e si alzò di scatto, lisciandosi la gonna. «No, non ho mai avuto il piacere di conoscerla. Vuole sapere altro? Sa, dovrei proprio andare». «No, direi di no. Grazie per il tempo che mi ha dedicato». Phyllis si passò una mano tra i capelli. «Mi dispiace se, be', so che lei pensa che non sia stata sempre sincera, ma capisce, signora Page, devo sempre fare molta attenzione. Ho firmato un accordo sulla privacy con la signora Caley, proprio come il resto del personale...». «Capisco, Phyllis». «Il fatto è che ho troppa paura di perdere il mio lavoro. Mi occupo di
mia madre e di mia zia, entrambe molto anziane. Vivono in Inghilterra e dipendono totalmente da me. I Caley sono stati così comprensivi con me anche per quanto riguarda il mio piccolo problema...». «Già, ne sono sicura, visto che il problema di Elizabeth Caley è tutt'altro che piccolo». Phyllis si lasciò sfuggire un risolino stridulo. Tese la mano a Lorraine, simile a un fragile artiglio che si strinse per un attimo e poi si ritirò. «Juda Salina veniva pagata molto?». «Signora Page, i soldi non sono certo una preoccupazione per Elizabeth Caley». «Ancora una cosa, Phyllis. Quanto tempo prima della scomparsa di Anna Louise, il signor Caley ha proibito alla moglie di vedere Juda Salina?». «Oh, qualche settimana prima. Poi, dopo la scomparsa di Anna Louise, il signor Caley ha permesso alla signora Salina di andare a fare visita a Elizabeth, ma dopo tre o quattro mesi ha cambiato idea. Ora la prego, dovrei davvero entrare. Buonasera». Detto questo, Phyllis si incamminò verso la chiesa. Lorraine si accigliò: perché Elizabeth Caley aveva scelto una donna così leziosa come dama di compagnia? Rosie sbatté la portiera della macchina e gridò: «Io entro, Lorraine! Lorraine!». Era ancora corrucciata quando Rosie la raggiunse. «Sai, credo che a Phyllis non piaccia affatto la signora Caley». «Vieni alla riunione?». Lorraine scosse la testa. «No, ma tu vai». Rosie sospirò irritata, guardando Lorraine che tornava alla macchina. «Forse dovresti venire». Lorraine si voltò di scatto. «Abbiamo solo due settimane, Rosie». «Lo so, ma come faccio a tornare a casa?». Lorraine sospirò, esasperata. «Chiedi a Phyllis di darti un passaggio». Rosie era stizzita: certe volte, non le piaceva il modo in cui Lorraine la trattava, e stava per dirglielo quando l'amica tornò da lei e l'abbracciò. «Scusami, non volevo essere così scontrosa... ma abbiamo poco tempo, Rosie, e penso di essere sulla strada giusta. Non ho ancora le idee chiare ma se non riesci a farti dare un passaggio, prendi un taxi, d'accordo?». Rosie le diede una pacca sulla spalla. «Non preoccuparti, tornerò a casa in un modo o nell'altro. Lo sai che Nick ha un debole per te?». «Cosa?».
Rosie le fece l'occhiolino. «Io non ti ho detto niente ma si è preso una bella cotta per te, perciò cerca di trattarlo bene». Lorraine scoppiò a ridere. A volte Rosie era così stupida. «No, Rosie, vuole soltanto una fetta del milione di dollari, è per i soldi che si è preso una cotta e forse ce la faremo. Ci vediamo più tardi». CAPITOLO 8 Erano le undici e trenta ed era già la terza notte di indagini. Lorraine non era così fiduciosa come aveva cercato di far credere a Rosie. Si osservò allo specchio con occhio critico: indossava un vestito nero corto, di seconda mano naturalmente, ma era di Donna Karan, e Lorraine sapeva che un tempo doveva essere stato costoso. Aveva anche acquistato, dalla figlia degli ispanici che vivevano al piano di sotto, un paio di scarpe rosse coi tacchi altissimi. I collant neri erano suoi. Si era lavata i capelli, ancora incerta del suo nuovo taglio, e si stava chiedendo se fosse il caso di mettersi ancora un po' di trucco, quando bussarono alla porta. Rosie si era fatta dare un passaggio dopo la riunione e sedeva davanti alla TV, mangiando dell'uva. «Avanti, è aperto». «Ciao, è già pronta?», disse Nick ad alta voce. Rosie annuì e usò il telecomando per spegnere la televisione. «Allora, com'è questo Viper Club?». Nick le si avvicinò. «Viper Room, non è un club, Rosie. È davvero pronta?». Rosie scrollò le spalle e proprio in quel momento Lorraine entrò in soggiorno. Nick cercò di non mostrarsi sorpreso ma lei era così diversa dal solito. «Oddio, ti sei messa in ghingheri, vedo». Lorraine lo squadrò. «Vorrei poter dire lo stesso di te. Sei rotolato giù dal letto per venire qui?». «Infatti. Allora sei sicura di voler andare?». «Credi che mi sia vestita così perché mi piace?». «Come sei sexy, credo che siano le scarpe. Ehi, devi essere almeno un metro e ottanta con quei tacchi». Lorraine si mise un paio di occhiali da sole e salutò Rosie. «Ci vediamo. Su, muoviti, Nick, si va». Lanciò un'occhiata alla sua giacca di jeans. «Cristo santo, ma sei pieno di peli di cane». «Lo credo bene, ho un cane. Notte, Rosie».
Nick guardò il biglietto che Lorraine aveva trovato nella camera da letto di Anna Louise. Non disse niente e lo restituì a Lorraine. Stentava ancora a credere a quanto fosse bella Lorraine quella sera, così bella che quando si sporse verso di lui, Nick ebbe un'erezione. Lo infastidiva il fatto che Lorraine riuscisse a farlo reagire in modo così fisico. «Voglio scoprire chi è questo Polar. Anna Louise aveva dei fiammiferi del Viper Room, quindi cominceremo da lì. Ne aveva anche altri dell'On the Rox e...». «Ascolta, non c'è bisogno di spiegarmi tutto, faremo le nostre indagini, okay?». Sembrava irritato, e lei non aveva il minimo sospetto che il vero motivo fosse che la trovava così attraente. Percorsero il Sunset Boulevard illuminato dai neon dei locali e affollato da aspiranti Hell's Angels sulle loro scintillanti moto cromate, prostitute, magnaccia e nottambuli seduti ai tavolini all'aperto di bar e caffè, fino a raggiungere un parcheggio deserto davanti a una bettola chiamata Alfredo's Live Striptease. «Siamo arrivati?», chiese Lorraine. «No, ma devo vedere un mio amico. Aspettami qui, torno tra un secondo». Nick scese dalla jeep ed entrò nel locale. Lorraine aspettò, con Tigre che le respirava sul collo. «A cuccia, palla di pelo puzzolente». Tigre sembrò seccato e si accucciò sui sedili posteriori emettendo un basso ringhio di disapprovazione. «Ehi, puoi venire a sederti qui vicino a me, se la cosa ti rende contento. Ma non provare a mordermi, capito?». Lorraine sentì il tonfo della coda del cane che batteva contro la scodella del cibo. Non ringhiava più ma aveva i denti scoperti e sembrava quasi che stesse sorridendo. Lorraine scoppiò a ridere. «Bravo ragazzo. Potremmo anche diventare amici, lo sai?». Proprio in quel momento, due biker ubriachi vestiti di pelle barcollarono fino alla jeep. Uno dei due si sporse attraverso il finestrino, sogghignando, e chiese: «Quanto vuoi, bella?». Tigre puntò alla giugulare, scattando in avanti velocemente, e il biker arretrò, terrorizzato. Lorraine accarezzò la grossa testa del cane. «Ben fatto, amico». «Ti ha già conquistata, vedo», disse Nick, salendo in macchina. Mise in moto. «Okay, ho sistemato tutto e forse riusciremo a entrare... Ma, senza
offesa, hai più di trent'anni e in quel locale le ragazze che ne hanno più di venti sono considerate delle nonnette. Quanto agli uomini, lì ne entrano di tutte le età, sempre che siano famosi e abbiano portafogli ben nutriti. Comunque, possiamo fare un tentativo». Si immisero nel traffico notturno e Lorraine chiese a Nick se conosceva qualche star del cinema che potesse farli entrare. Lui scoppiò e ridere, scuotendo la testa. «Nah! Guarda nella tasca del giubbotto, abbiamo un biglietto da visita molto più convincente». Lorraine gli infilò una mano nella tasca del giubbotto da cui estrasse una bustina di plastica. «Nick, a che gioco stai giocando?». «È cocaina, be', almeno in parte, il resto è detersivo. Al Viper, non sei nessuno se non hai qualcosa che vogliono quelli che sono qualcuno, mi segui?». «Vuoi dire che è questa roba che sei andato a prendere prima?». «No, be' sì, in un certo senso. Ti ricordi quando ti ho parlato di Fisher?». «Sì, ma...». «Ecco, Tony T. Loredo è il proprietario di quel locale. L'ho arrestato nell'ottantacinque ma lui mi deve un favore. Da quando è tornato a far parte della società civile, vende di tutto alla gente del cinema: carne giovane, ragazze, droga, qualunque cosa. Sarà lui il nostro biglietto da visita. Qualcosa in contrario?». Si fermarono davanti all'ingresso buio e anonimo del Viper Room; gli unici indizi che quello fosse un club erano i buttafuori fermi davanti alla porta e la lunga fila di limousine da cui scendevano clienti già ubriachi. Nick si sporse fuori dal finestrino e chiamò uno dei buttafuori. «Ehi, amico, posso parlarti un secondo?». Poi si rivolse e Lorraine. «Chinati in avanti, cerca di sembrare fatta o sbronza. Sbrigati!». Il buttafuori si avvicinò. «Tieniti a una certa distanza, ho un cane pazzo sui sedili posteriori e uno ancora più pazzo qui vicino a me... Ho della merce che Tony mi ha chiesto di consegnare». Il buttafuori fissò Lorraine poi Nick, che si tolse il sacchetto dal giubbotto per un attimo. L'altro arretrò annuendo, e fece segno a Nick di parcheggiare in fondo alla strada. «Fantastico, siamo dentro...». Non era così «fantastico», tutt'altro. L'ambiente principale del club era così buio che Lorraine non riusciva a vedere a un palmo dal naso e la musica era assordante. Cercò di distinguere qualcosa in quell'oscurità e vide una ragazza che indossava reggiseno nero, mutandine nere e calze a rete.
«Credi che fosse vestita quando è arrivata qui?», domandò a Nick ma lui si stava guardando in giro. Dopo un attimo, si voltò verso Lorraine e si avvicinò per parlarle all'orecchio. «Alla tua destra c'è un branco di supermodelle». Nick indicò un punto sopra di loro. «C'è una stanza con uno specchio segreto che dà sulla pista da ballo. So che a certe piace farsi scopare sopra tutti questi stronzi...». «Già, e forse anche ad Anna Louise piaceva. E adesso come ci muoviamo?». Nick scrollò le spalle. «Sinceramente, credo che stiamo solo sprecando tempo. Ammettiamolo, il biglietto che hai trovato nella camera della ragazza è un chiaro esempio di demenza giovanile, una ragazzina che si diverte a scrivere cose sporche. Non significa niente». «Ma potrebbe significare qualcosa se riuscissimo a rintracciare questo Polar». Nick fece un cenno al cameriere. Lorraine si accorse che Bartello era molto teso, continuava a guardarsi attorno, nervosamente. Si frugò nelle tasche e prese una fotografia di Anna Louise. «Hai del denaro con te? Qualche pezzo da cinquanta perché quelli da dieci qui non servono a niente». Lorraine aprì la borsa e Nick si sporse verso di lei e le sussurrò all'orecchio: «Tieni la testa giù e fa' finta di essere sbronza, tesoro». Lorraine alzò lo sguardo mentre il cameriere si avvicinava. «Amico, portaci una birra messicana e una Diet Coke. Ehi, aspetta un secondo». Il cameriere si chinò verso di lui. Nick gli mostrò la foto strizzandogli l'occhio. «Il mio amico Tony, Loredo T., vuole sapere se questa pupa è mai stata qui, gli deve dei soldi, capisci? Un sacco di soldi. E se potrai aiutarci, ci sarà anche un bel regalino per te...». Prese la bustina di plastica. «Questa vale quindici bigliettoni... È tutta tua. Prenditela pure comoda, ma devo sapere se la bambola veniva qua spesso». «Certo, una birra messicana e una Coca». Il cameriere prese la fotografia senza neanche guardarla e con un movimento rapido e aggraziato fece scomparire sotto il vassoio i due biglietti da cinquanta dollari. Lorraine sibilò: «Cento dollari, Nick, ma sei impazzito». Lui continuò a guardarsi attorno: sulla pista da ballo una ragazza si stava sballando ma nessuno sembrava prestarle attenzione. «Sono bruscolini, i ragazzi che vengono qui sono capaci di spendere dieci, quindicimila dollari in una notte. Devo andare un attimo in bagno, è un problema per te restare
da sola?». Lei distolse lo sguardo. «Sono stata in posti peggiori di questo». Nick si sporse verso di lei. «Questa sì che è classe, tesoro. Non ci metterò molto». Bartello scomparve per almeno venti minuti. Lorraine rimase a osservare i ragazzi che affollavano il locale. Alcuni sniffavano coca senza neanche provare a nasconderlo. Una ragazza era così fatta che sedeva con le gambe aperte, fissando il vuoto. I ragazzi che le passavano accanto la toccavano e la palpavano, e tutto quello che lei riusciva a fare era tenere la testa dritta. Lorraine si alzò e si incamminò verso la toilette. Venne urtata e spintonata e vide altre piste di coca e altre ragazzine seminude. Lorraine si sentiva vecchia; non che qualcuno si fosse preso il disturbo di guardarla, erano tutti troppo impegnati a farsi notare da una celebrità o dall'altra. Nick non era ancora ricomparso quando Lorraine tornò al loro tavolo, che ora era occupato da un ragazzo e una ragazza che stavano praticamente scopando sui divanetti. Lorraine prese il suo bicchiere e si voltò. Bevve una lunga sorsata e rimase sconvolta: non era solo Coca Cola, c'era anche del rum, molto, e Dio solo sapeva cos'altro. L'alcol le bruciò la gola come una palla di fuoco. Deglutì. Dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per posare il bicchiere, ma ci riuscì. Si allontanò e venne spinta contro un muro da un gruppo di ragazzi che stavano ballando. Premette la schiena contro la parete rivestita di pelle, mentre il panico cominciava a crescere dentro di lei. Pregò che Nick arrivasse al più presto. Aveva il vestito appiccicato alla pelle per il sudore, il caldo era insopportabile e la musica frastornante - ma nonostante tutto non riusciva a ignorare il bisogno che sentiva di finire il suo drink. «Dov'è il tuo amico?», sibilò il cameriere. Lorraine si voltò a guardarlo ma fu accecata dalle luci stroboscopiche della pista da ballo. «È in bagno? O è di sopra? Non mi guardare, fa' come se mi stessi ordinando qualcosa». Lei chiuse gli occhi, il sudore le scorreva lungo il corpo. Deglutì a stento, un gusto rancido e nauseante che le riempiva la bocca. Alle spalle del cameriere, apparve Nick. «Ehi, amico, al cesso c'è un tizio che si sta facendo una ragazza». «E allora? Ascolta, possiamo vederci sul retro tra dieci minuti, mi prendo una pausa, okay?». Nick annuì e, mentre il cameriere si allontanava, fece un sorriso ironico. «Era un vero spettacolo, là dentro». «Portami fuori di qui, Nick».
Lui scoppiò a ridere. «Cosa? Non dirmi che non ce la fai. Avevi detto che...». Ma poi capì che Lorraine era veramente nei guai e la prese sottobraccio, conducendola fino all'uscita, fuori nell'aria fresca della notte. Lorraine si appoggiò alla jeep. «Qualcuno ha corretto il mio drink o forse ho preso quello di qualcun altro... Mi dispiace, mi dispiace, stavo impazzendo là dentro». Era così vulnerabile, stava tremando incontrollabilmente, e Nick l'abbracciò aiutandola a salire in macchina. «Coraggio, va tutto bene... Vuoi un po' d'acqua?». Nick si allungò verso il sedile posteriore. Comparve la testa di Tigre e lui l'accarezzò brevemente, prima di aprire una bottiglia di Evian. «Questa sarebbe di Tigre ma credo che non gli dispiacerà offrirtene un po'». Lorraine bevve avidamente; era tiepida ma era liquida. Scoprire di essere ancora così dipendente l'aveva sconvolta. «Mi dispiace, mi dispiace tanto». Lui le accarezzò dolcemente una guancia. «Tesoro, non ti preoccupare, non avrei dovuto stare via tanto ma volevo guardarmi un po' attorno e...». Lei si girò dall'altra parte, stringendo con forza la bottiglia. «Oh, merda, Nick, ma non finirà mai? Erano mesi che non toccavo una goccia d'alcol, mesi...». Dallo scomparto portaoggetti, prese delle caramelle alla menta e ne scartò una. «Apri la bocca». Le mise in bocca la caramella. «Tu resta qui, non voglio perdere l'aggancio con quel tipo. Oltre tutto, ha i nostri cento dollari e potrebbe farsi molto male al naso con la roba che gli ho dato. Te la senti di restare sola?». Lei annuì, succhiando la caramella. «Certo, e poi c'è Tigre con me. Vai pure, sto bene adesso». Ma Lorraine non stava affatto bene. Cominciò a singhiozzare incontrollabilmente e continuò a succhiare la caramella, infuriata con se stessa. «Ho perso il controllo là dentro, Tigre», sussurrò. La spaventava la rapidità con cui il suo equilibrio si era incrinato, la consapevolezza che tutto ciò che era o credeva di essere poteva andare in frantumi così facilmente. Bastava un drink e la smania ricominciava. Nick era appoggiato contro un muro e dalla sua posizione poteva vedere il retro del Viper Room. Attese una decina di minuti. C'erano dei buttafuori anche lì, tra i bidoni della spazzatura perché i ragazzi cercavano di entrare anche dal retro. Stava cominciando a pensare di aver buttato via quei cento
dollari, quando finalmente arrivò il cameriere. Aveva una giacca di pelle borchiata gettata su una spalla e si era messo un paio di occhiali da sole. «Devo andare a controllare la moto, torno tra cinque minuti», disse ai buttafuori. Nick rimase seminascosto contro il muro finché il cameriere non lo raggiunse. Sembrava molto nervoso. «Ho la moto parcheggiata qui vicino, facciamo quattro passi?». «Certo, hai anche un nome?». «Frankie. Devi stare molto attento, se qualcuno ci vede scambiarci anche solo una sigaretta, siamo fottuti. Guadagno un sacco di soldi qui, amico, e non voglio perdere il lavoro». «Perfetto, non c'è problema, io non ti ho mai visto». La Harley del cameriere aveva più lucchetti e sistemi di allarme del caveau di una banca. Era lucidissima, uno spettacolo abbagliante di cromo su cromo. «Bella moto». «Già, adesso quei bastardi si servono dei camion per rubarle. Ce l'ho solo da qualche mese». «Come hai detto prima, guadagni un bel po' di soldi e forse ne guadagnerai ancora di più. Hai qualcosa per me?». «Questa è la ragazza scomparsa, giusto? Non voglio avere niente a che fare con gli sbirri...». «Cristo santo, non sono un poliziotto. Devo andare dalla famiglia della ragazza per conto di Tony, gli deve un sacco di soldi. Non me ne frega un cazzo di tutto il resto». «Non credo che nessuno abbia mai saputo chi fosse, ce ne sono un sacco qui come lei, capisci?». «Certo, voglio solo fare un buon affare e andarmene al più presto». Nick prese il sacchetto per fargli provare la roba e Frankie si guardò attorno con aria furtiva. Si tolse la giacca dalla spalla e gli mostrò un giornale dentro cui era nascosta una busta marrone. Nick strizzò l'occhio a Lorraine mentre saliva sulla jeep. Mise subito in moto. «Bisogna che ci allontaniamo al più presto dal mio nuovo amico Frankie». Partì a razzo, facendo stridere i pneumatici consunti. Si tolse la busta marrone dalla giacca e gliela porse. «Oh, mio Dio», disse Lorraine guardando la fotografia.
«Già, fa parte della collezione privata che hanno su in ufficio. Okay, lo ammetto, tu avevi ragione e io avevo torto». Nick abitava in una casa simile a quella di Rosie ma ancora più malconcia. Nell'appartamento regnava il caos più assoluto, il letto era sfatto e il lavandino traboccava di piatti sudici. «Immagino che a questo posto manchi il tocco femminile. Il guaio è che anche se mi porto un sacco di donne qua, nessuna si ferma mai abbastanza per passare l'aspirapolvere». Non si stava scusando, era chiaro che non gliene importava niente. Con la coda dell'occhio, Lorraine lo vide aprire il frigo e prendere una bottiglia di vodka ghiacciata. Si riempì un piccolo bicchiere, lo svuotò d'un fiato, e lo riempì altre due volte, e a ogni sorso emise un lungo e soddisfatto «Ahhhh». Lorraine avrebbe voluto disperatamente unirsi a lui, bere una bella vodka ghiacciata. Stava tremando. «Nick...», disse a bassa voce. «Sì? Ho messo su il caffè, non ci vorrà molto». Le si avvicinò e le accarezzò i capelli dolcemente. Era un gesto affettuoso e Lorraine dovette deglutire per ricacciare indietro i singhiozzi. «Come ti senti adesso?». «Sto bene». La voce di Lorraine era a malapena udibile e Nick si accovacciò davanti a lei. «Vuoi che parliamo un po'?». La voce di Lorraine era roca. «Voglio un drink, non riesco a pensare ad altro». «Certo, posso andare a versartene uno anche adesso, ma sarebbe stupido». Lorraine chinò la testa. «Versami da bere, Nick». Lui si alzò, le mani sui fianchi. «Vuoi un drink? Prenditelo! Alzi il culo da quella sedia e vai a prenderti la bottiglia nel freezer, fai pure». Lorraine si alzò lentamente, leccandosi le labbra, e andò al frigorifero. Allungò una mano e si voltò a guardare Nick. «Non ho intenzione di fermarti, sai meglio di me a cosa vai incontro». Lorraine appoggiò la fronte contro la superficie fresca del vecchio frigorifero e Bartello rimase a guardarla, in attesa. Lo eccitava il modo in cui Lorraine si premeva contro il frigorifero, lo stava baciando quasi come un amante perduto. Alla fine, Lorraine si allontanò e si voltò verso la macchinetta del caffè, torcendosi le mani. «Conoscevi bene Jack Lubrinski?». Lorraine aveva la voce rotta. Lo
guardò, la testa inclinata di lato, la cicatrice coperta da una ciocca di morbidi capelli biondi. «Era un buon poliziotto, un tipo fantastico.» Lei annuì e, quando si scostò i capelli dal viso, Nick vide la cicatrice che le sfregiava la guancia. L'azzurro dei suoi occhi era il più intenso che avesse mai visto. Lorraine guardava Nick ma sembrava non vederlo. «Mi manca». «Sì, lo so». All'improvviso, cominciò a scrutarlo, a osservare il suo viso. Nick arrossì. «Certe volte, me lo ricordi». Lui accese due sigarette e ne porse una a Lorraine. Lei gli accarezzò leggermente la mano, prima di prendere la sigaretta. Aspirò una profonda boccata. «Vedi, Nick, è come se una parte della mia mente si aprisse, all'improvviso, inaspettatamente, e io cado in preda al panico. Proprio quando penso di avere tutto sotto controllo, proprio quando penso di essermi rimessa in piedi...». Prese un'altra boccata dalla sigaretta. «Un drink corretto, solo un maledettissimo sorso e... niente ha più importanza». «Invece sì che ha importanza, altrimenti avresti aperto il frigo». «Già, non l'ho aperto, ma lo avrei fatto se fossi stata da sola. È questo che mi spaventa, Nick, questo e...». «E cosa?». Lei scrollò le spalle e sorseggiò il suo caffè. «Coraggio, puoi dirmelo». «Oh, le mie bambine, continuo a pensare a loro e a Michael». «Chi è Michael?». «Era mio marito». «Ah, be', abbiamo tutti i nostri fantasmi, Lorraine, i nostri scheletri nell'armadio. Dovresti smetterla di nasconderli e provare a parlarne di più». «Non ci riesco». Lorraine chinò la testa in avanti e si lasciò sfuggire un gemito. Nick avrebbe voluto stringerla tra le braccia, cullarla, baciarla, ma invece si alzò e si allontanò da lei. Non riusciva a dominare le emozioni che Lorraine suscitava in lui. Era passato molto tempo dall'ultima volta che si era innamorato. Ed era proprio questo che stava accadendo. Si stava innamorando di Lorraine. Si affrettò a cambiare discorso. «Okay, credo che dovremmo parlare un po' di quello che è successo sta-
sera, tesoro. È tardi e dobbiamo andare a New Orleans il più in fretta possibile». Lorraine tirò su col naso. «Sì, hai ragione. Sto bene, adesso». Si alzò, lisciandosi la gonna, e togliendosi la scarpe. «Dammi la fotografia, voglio darci un'altra occhiata. Questo Frankie non conosce nessun Polar?». «No» Nick raccolse la giacca che aveva lasciato cadere sul pavimento e le porse la busta. Lorraine la prese con mano ferma. Non tremava più, era di nuovo in sé. Lorraine si appoggiò al ripiano di formica della cucina e studiò la fotografia. Nick si fermò accanto a lei, molto vicino, ma non riuscì a toccarla, non come aveva fatto prima; ora Lorraine non aveva più bisogno né di lui né di bere. «Be', è fuori di testa, questo è certo, guarda i suoi occhi». «Ha un bel corpo», commentò lui a bassa voce. Anna Louise Caley era nuda, sdraiata su un tavolo ingombro di bottiglie e bicchieri. C'erano tre ragazzi di circa vent'anni e sembravano ubriachi. Erano mezzi nudi, avevano i pantaloni abbassati. I loro volti si vedevano chiaramente. Un ragazzo la stava scopando, un altro le stava leccando le tette e il terzo stava eiaculando su di lei, le gocce di sperma che luccicava sul ventre piatto e abbronzato di Anna Louise. Lei stava sorridendo, una mano stretta attorno al collo di una bottiglia di tequila. «Un'autentica verginella», disse Lorraine. Studiò la foto con più attenzione. «Credo proprio che uno di questi tre stronzi sia il ragazzo lentigginoso che ho interrogato all'UCLA, ne sono sicura». Nick si accese un'altra sigaretta e aspirò una lunga boccata. «Secondo Frankie, e tieni presente che ha cominciato a lavorare al club circa nel periodo in cui la foto è stata scattata, è venuta solo una o due volte in compagnia di un'altra ragazza bionda della stessa età. Andavano lì insieme, si sbronzavano e si facevano delle gran scopate. Frankie non ha riconosciuto nessuno dei ragazzi ma ha riconosciuto lei quando gli ho mostrato la nostra foto». «Sapeva anche chi era? La sua fotografia è stata in prima pagina su tutti i giornali, quindi perché non si è messo in contatto con la polizia?». «Ehi, il ragazzo ha paura di perdere il lavoro e non credere che sia l'unico che l'ha riconosciuta e che ha deciso di tenere la bocca chiusa». Lei si accigliò. «Ma, se queste cose accadono regolarmente, come ha fatto a ricordarsi di una ragazza che è stata lì solo un paio di volte? Tu mi hai
detto che stavano scopando nel bagno». «Be', innanzi tutto, una busta piena di coca che vale quindicimila dollari è un incentivo dannatamente buono, e poi quello che vediamo nella foto non è accaduto nel bagno ma in una stanza privata, molto tardi. Sai, c'erano solo i soliti clienti, le cosiddette star che vanno a fare sesso di gruppo e un paio di camerieri, e si dà il caso che Frankie fosse uno di questi. Mi ha detto che si ricordava di lei perché aveva pensato che forse sarebbe riuscito a farsela anche lui, ma poi lei si è addormentata...». «Ma questi stronzi non sono stelle del cinema, uno è un ragazzino del college». «Magari sono ricchi abbastanza, chi cazzo può saperlo?». Lorraine aggrottò la fronte. «Frankie ha anche una fotografia dell'amica di Anna Louise?». «No, è stata portata nella stanza di sopra e là hanno un altro cameriere». «Chi ha scattato questa foto?». «A quanto pare hanno delle macchine fotografiche nascoste dietro gli specchi. Fanno un sacco di foto, così tante che nessuno si accorgerà mai che ne manca una». Lorraine rimise la fotografia nella busta. «Be', adesso c'è qualcosa di cui posso parlare con i signori Caley, anche se non credo che ne saranno entusiasti». Fece per mettersi le scarpe ma ci ripensò. «Preferisco andare a piedi nudi, puoi darmi un passaggio fino a casa». «Certo». Sulla jeep, Lorraine accarezzò la testa di Tigre e il cane cercò di leccarle la faccia. «Credo che siamo diventati grandi amici, Nick, è proprio un bel tipo». «Già, puoi ben dirlo». Nick richiuse la portiera. «Sai, a mio avviso, questo nuovo indizio elimina Robert Caley. Credi che la foto possa essere stata usata a scopo di ricatto?». Nick ingranò la marcia. «Come ha detto Frankie, fanno una montagna di fotografie, ma credo che vengano usate soltanto per eccitare qualche ricco depravato. Ma forse non dovremmo escludere il ricatto». Quando si fermarono davanti a casa di Rosie, Lorraine scoppiò a ridere. «Ehi! Abbiamo fatto un grande passo avanti, stanotte, Nick. Domattina, parlerò con i Caley e magari cercherò di far parlare quel ragazzo, Tom Heller, e poi...». Gli diede un pugno scherzoso sul braccio. «New Orleans, aspettaci, stiamo arrivando! Oh, Nick, un milione di dollari! Sono sicura che ce la faremo, la troveremo e, come ha detto la signora Caley, che sia
viva o morta, saremo pagati lo stesso». Lorraine accarezzò la testa di Tigre. «'Notte, ci sentiamo domani. Oh, Nick, non ne parlerai alla Agnews, vero?». Lui sorrise. «No, ma ti dispiace molto se vado a ritirare il mio stipendio?». Lorraine scoppiò a ridere e lui rimase a guardarla mentre saliva le scale a piedi nudi, due gradini alla volta. Sembrava così piena di energia, di nuovo sicura di sé. Nick non poté fare a meno di notare che Lorraine aveva fatto in modo di tenersi la foto. Già, Lorraine Page era di nuovo al lavoro. Grattò Tigre dietro le orecchie. «Quella è una donna pericolosa, amico. Colpisce dritto al cuore, mi capisci?». Tigre gli leccò la faccia. «No, non penso che tu mi capisca». Tornato a casa, Nick finì la bottiglia di vodka e si abbandonò sul letto in disordine. Prese la chitarra, strinse alcune corde e cominciò a suonare. Gli era piaciuta quando si era mostrata vulnerabile, e gli era piaciuto potersi prendere cura di lei. Non gli capitava più da molto tempo e sapeva che Lorraine stava già diventando troppo importante per lui. «Oh, Lorraine, Lorraine, piena di dolore... Oh, Lorraine, lasciami...». Era un chitarrista migliore di quanto non volesse ammettere, ma come paroliere era un disastro, e lo sapeva. Così continuò a pizzicare pigramente le corde, ripetendo soltanto il suo nome... Lorraine. Lorraine era rannicchiata sul suo divano-letto e stava riflettendo sul modo migliore di giocarsi quella nuova carta con i Caley. Nick era lontano dai suoi pensieri, così come il bisogno di bere. La parte più indifesa di Lorraine era relegata in un angolo oscuro della sua mente, insieme a Jack Lubrinski, alle sue figlie e al suo ex marito. In realtà, la persona a cui stava pensando, quando finalmente si addormentò, era Robert Caley. Si chiese come avrebbe reagito nel vedere quella fotografia. In un certo senso, era sollevata al pensiero che quell'uomo non fosse più il sospetto principale delle loro indagini. Stava ancora riflettendo sul possibile coinvolgimento di Caley nella scomparsa di sua figlia e si stava chiedendo come si sarebbe sentita se fosse stata nuda accanto a lui quando, finalmente, si addormentò. CAPITOLO 9 Lorraine era in piedi davanti alla tabella del caso Caley appesa a una delle pareti dell'ufficio. «Quarto Giorno» era sottolineato in rosso. Erano le
sette e quindici del mattino e lei era in ufficio dalle sei. Aveva dormito solo poche ore ma non si sentiva stanca; anzi, era piena di energia. Sotto il suo nome, erano annotati quelli di Robert Caley, Elizabeth Caley, Tom Heller, il ragazzo del college, Noël, il parrucchiere rasta; quattro persone che intendeva interrogare di nuovo. Sotto «New Orleans» erano elencati i soci di Caley per il progetto del casinò, Tilda Brown, l'amica di Anna Louise, e tutto il personale dei Caley. Sotto i nomi di Nick e Rooney era segnato un unico compito: mettersi in contatto con gli agenti di New Orleans che avevano indagato sulla scomparsa della ragazza per avere un aggiornamento sul caso e qualche informazione sul passato di Juda Salina. Lorraine guardò Noël mentre le asciugava i capelli. «Vuoi la stessa messa in piega, giusto?». «Sì, esatto. A proposito, hai mai fatto i capelli ad Anna Louise Caley?». Il parrucchiere inclinò la testa di lato, allontanando il phon per un momento. «Sì». «Vai mai al Viper Room?». Lui tornò a concentrarsi sui suoi capelli. «Nah, ho cose più interessanti da fare nel mio tempo libero». «Anna Louise Caley ci andava». Noël scrutò il riflesso di Lorraine nello specchio. «Davvero? Non mi sembrava il tipo da frequentare certi locali». «Perché?». «Be', era sempre così carina, un po' timida anche. Ma era ossessionata dai suoi capelli, questo è sicuro». «Veniva sempre da sola?». Noël spense il phon e si appoggiò al ripiano sotto lo specchio. «Cosa sono tutte queste domande?». Lorraine osservò la propria immagine riflessa. «Sono stata assunta per rintracciare Anna Louise e tutti non fanno altro che ripetermi che era una ragazzina ricca, carina e dolce. Ma non penso che lo fosse veramente, anzi so che c'era una parte di lei che era tutt'altro che dolce e carina». «E tu credi che io ne sappia qualcosa?». «Può darsi. Sono un detective privato, Noël, non uno sbirro, quindi non essere così nervoso. Voglio mostrarti qualcosa». Lorraine prese la fotografia di Anna Louise. «Da' un'occhiata a questa». Noël guardò la foto, poi fischiò tra i denti e la osservò meglio. Borbottò
qualcosa tra sé e sé, poi restituì la foto a Lorraine che la ripose nella busta. Il parrucchiere riprese ad asciugarle i capelli. I suoi occhi incontrarono quelli di Lorraine per due volte ma non lui non disse niente. «Conosci qualcuno dei ragazzi della foto?». Lui annuì. «Vedi quel tizio in fondo al salone, quello che sta finendo una tinta? È quello che nella foto se la sta facendo. Si chiama Cal, Cal Thompson, un vero cazzetto moscio, se mi perdoni la battuta». Lorraine guardò lungo la schiera di poltroncine del salone. Cal le dava le spalle così non riuscì a vederlo bene in faccia. Attraversò il salone e si fermò alle spalle del ragazzo che stava sciacquando il pennello e la bacinella che aveva usato per la tinta. «Scusami, tu sei Cal, vero?». Lui si voltò. Era bello, aveva la tipica abbronzatura californiana e sembrava molto sicuro del proprio aspetto. «Ciao, posso parlarti un attimo?». Il ragazzo si accigliò, guardò la reception e poi di nuovo Lorraine. «In privato». Cal esitò. «Adesso sono impegnato, se vuole prendere un appuntamento...». Lorraine gli mostrò la fotografia. «Ascolta, vuoi che questo sia l'argomento principale del prossimo numero del "National Enquirer"? Se fossi in te, Cal, cercherei di liberarmi per qualche minuto». Cal la condusse in un séparé e chiuse la tenda. Lorraine si sedette e prese una sigaretta. «Lei è una giornalista?». «No. Siediti un attimo, Cal». Lui si sedette senza scomporsi, e spinse un posacenere verso Lorraine. «Che cosa vuole?». «Informazioni. Sono un investigatore privato. Guarda la foto, Cal. Lo stupro di gruppo è un reato, lo sapevi? E lei era solo una ragazzina, quindi ti consiglio di rispondere a qualche domanda. Non ci vorrà molto». «Senta, cazzo, non era minorenne. La guardi, si vede lontano un miglio che le piaceva». «Io direi che era fatta, invece. Lo sai chi è, vero?». Cal sospirò, distogliendo lo sguardo. «Certo, certo che lo so». Lorraine lasciò passare qualche istante; il ragazzo stava cominciando a perdere la calma. «Quindi sai anche che è scomparsa?». Lui annuì. «Già, ma io non c'entro niente. Voglio dire, è successo solo
quella volta. Eravamo su di giri e... tutto qui». «Tutto qui? Ci sono tre tizi che si scopano una ragazzina completamente fatta, e tu mi dici che è tutto qui? Sai come si chiamano gli altri?». «No». «Poi cos'è successo?». Cal scrollò le spalle. «Mi sono rimesso l'uccello nei pantaloni, ho bevuto qualche altro drink e me ne sono andato a casa. Lei se n'era già andata con la sua amica». «Chi era questa amica?». «Non lo so. È venuta qui al salone solo una volta». «Si chiamava Tilda Brown?». «Non saprei, ho molte clienti e alcune vengono qui senza appuntamento, quindi non sono nemmeno segnate sull'agenda. Ascolti, conoscevo Anna Louise ma non più di chiunque altro. Si sapeva che era una facile, era stata lì qualche altra volta e aveva fatto più o meno le stesse cose. Le piaceva». «Era sempre fatta?». «Non saprei, credo che fosse più che altro ubriaca, ma la gente là dentro prende un sacco di roba, ne gira di ogni genere, capisce?». «Ci sto provando, Cal. L'hai mai vista con qualcuno in particolare? Hai mai sentito nominare un certo Polar?». «No, l'ho vista solo quella volta al club e qualche altra volta qui al salone. Non è nemmeno una mia cliente». «L'hai vista lasciare il Viper Room, la notte in cui è stata scattata questa foto?». «Sì, lei e la sua amica. Noi siamo rimasti ancora un po'». «Noi?». «Sì, io e un paio di amici. Comunque era molto tardi e il locale era quasi vuoto, quindi dovevano essere le quattro o le cinque del mattino». Lorraine rimise via la foto. «Ti ricordi quando è stata scattata?». «Sì, perché era il compleanno della mia ragazza. Siamo stati al Viper a festeggiare e io sono rimasto là. Era il tredici febbraio dell'anno scorso. Senta, glielo dico sinceramente, ora sono sposato e non faccio più certe cose». Lorraine spense la sigaretta. «Ti ricordi come è tornata a casa? Mi hai detto che l'hai vista andarsene. Guidava lei, si è fatta accompagnare o ha preso un taxi?». «Cristo, era troppo fuori per guidare. Forse qualcuno le avrà dato uno strappo ma non lo so, onestamente non mi ricordo. Non ho fatto niente di
male, voglio dire, a lei piaceva». Lorraine si alzò. «Grazie. E, Cal, mi auguro che tu sia stato sincero con me perché altrimenti ci rivedremo molto presto». «Ciao, ti ricordi di me?». Tom Heller aveva appena finito di giocare a tennis ed era fradicio di sudore. Aveva una felpa bianca di cotone attorno alle spalle. Fissò Lorraine per un momento, poi prese un asciugamano immacolato dal borsone e se lo passò sul volto e sui capelli. «No, mi dispiace, ma non mi ricordo». Mentre lui riponeva le sue racchette nelle rispettive custodie, lei aprì la borsa. «Lorraine Page, della Page Investigazioni». Lui sollevò lo sguardo. «Oh, già, certo». «Mi hai detto di essere uscito con Anna Louise Caley». Lui chiuse il borsone e se lo mise su una spalla. «Infatti. Senta, dovrei proprio andare a fare una doccia». «Mi hai anche detto che il vostro era un rapporto puramente platonico, qualche picnic, qualche festa sulla spiaggia...». Il ragazzo fece per andarsene. «Aspetta un secondo». Tom Heller si fermò. «Mi hai mentito, la conoscevi molto bene, vero?». «Non più di chiunque altro». Lei gli sbatté la foto sul petto. «Non più di chiunque altro? Vuoi dire che tutti se la scopavano così? Da' un'occhiata, perché non era una festa sulla spiaggia o un barbecue tra ragazzini. È uno stupro di gruppo e tu, bellezza, le stai venendo sulla pancia. Sei tu, vero?». Il ragazzo guardò la fotografia e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. «Oh, merda». «Adesso ci sediamo su una panchina e facciamo quattro chiacchiere. Questa volta ti consiglio di dire la verità, altrimenti manderò una copia di questa foto ai tuoi genitori, al preside di questo posto... capito?». Mario stava lucidando la limousine dei Caley. Si voltò quando vide Lorraine che si avvicinava. Lei sorrise. «Sta facendo un ottimo lavoro, Mario. Si ricorda di me? Sono Lorraine Page». Mario annuì e continuò a lucidare la macchina. «Mi dica, la notte del tredici febbraio dello scorso anno, è andato a prendere Anna Louise al Viper Room?». «Cosa?».
Lorraine si appoggiò alla fiancata della limousine. «I Caley sono partiti per New Orleans due giorni dopo, il quindici, lo stesso giorno in cui è scomparsa Anna Louise. Dovrebbe ricordarsi di quello che ha fatto in quei giorni: se non erro è stato interrogato anche dalla polizia». L'uomo annuì nuovamente, senza smettere di lavorare. «Allora, il tredici febbraio dello scorso anno, lei ha...?». «Sì, signora, sono andato a prendere la signorina Caley e la sua amica e le ho riportate qui». «Erano completamente fatte?». «Non so, signora, sono solo andato a prenderle. Mi stavano aspettando sul bordo della strada». «I Caley sono al corrente di questo fatto?». «No, signora. Anna Louise mi ha chiamato sul cellulare, stavo dormendo. Erano quasi le cinque del mattino». «Perché non l'ha mai raccontato a nessuno?». Mario andò a bagnare il panno in un secchio pieno di acqua insaponata. «Non volevo guai, si stavano solo divertendo, come fanno tutti i ragazzi al giorno d'oggi. Le ho portate a casa, e nient'altro». «È mai passato a prendere Anna Louise a qualche altro club, prima di quella sera?». «No, signora. Mi ha chiesto di andarla a prendere a qualche festa, perché non voleva mai guidare quando non era completamente sobria. Eravamo d'accordo, in quel modo non correva rischi». «Con chi era di solito?». «Il più delle volte con la sua amica Tilda. Non usciva molto spesso, solo quando c'era la signorina Brown. Tutti dicevano che la signorina Brown era una brava ragazza ma io no. Credo che avesse una cattiva influenza sulla signorina Anna Louise, ma non l'ho mai detto a nessuno, non erano affari miei». «Conosce un ragazzo di nome Polar?». «No, signora. Ora, se vuole scusarmi, dovrei lavare i cerchioni». Lorraine si fece da parte. «Ha accompagnato lei Tilda Brown all'aeroporto?». «Sì». «E la ragazza le ha detto qualcosa?». «No, sapeva di non piacermi e non mi rivolgeva mai la parola. La signorina Tilda Brown è una ragazza antipatica e presuntuosa». Lorraine si voltò quando si sentì chiamare. Phyllis era in piedi sulla so-
glia di casa. Sembrava confusa. «Ma signora Page, le ho appena mandato il denaro. Non mi aspettavo di vederla. C'è qualche problema?». «No, devo solo parlare con la signora Caley prima di partire. È in casa, vero? Avevo appuntamento con lei alle undici ma ho avuto un contrattempo». Lorraine raggiunse Phyllis. «Dubito che vorrà riceverla, non mi ha parlato di nessun appuntamento e deve incontrarsi con il suo agente, quindi...». Phyllis entrò in casa, pronta a chiudere la porta d'ingresso, ma Lorraine la seguì. «Devo parlare con la signora Caley, è molto importante». «Non posso davvero disturbarla, si sta vestendo». «Sì che può, Phyllis, perché non me ne andrò di qui finché non le avrò parlato». «Mi dispiace, ma la signora non vuole vedere nessuno». «Non pensi che dovresti chiederlo a me, Phyllis?». Elizabeth Caley era in cima alle scale, impeccabile e disinvolta. «Posso concederle solo mezz'ora, signora Page». Elizabeth scese le scale e il suo profumo raggiunse Lorraine molto prima di lei. Lorraine seguì Elizabeth nel solarium. Le veneziane erano chiuse e l'intenso profumo dei gigli mescolato a quello di Elizabeth toglieva il fiato a Lorraine. Si sedettero a un tavolino bianco, su due morbide poltroncine circondate da una profusione di piante. «Andrò subito al punto». «Lo spero proprio, cara. Il mio agente sarà qui tra poco e a quanto pare mi hanno offerto del lavoro. Da quando è scomparsa Anna Louise, la stampa si è occupata così tanto di me, è davvero disgustoso. Sono convinta che un sacco di produttori a Hollywood credevano che fossi già morta. Naturalmente, non ho intenzione di tornare sul set ma il mio agente continua a insistere e devo almeno sentire che cosa mi hanno proposto. Non c'è niente di più triste del voler resuscitare una vecchia diva come me». Scoppiò a ridere. «Lei è bellissima», disse Lorraine, ed era sincera. Elizabeth non aveva un capello fuori posto, il suo trucco era perfetto e il semplice completo giallo chiaro con la gonna aderente metteva in risalto le gambe snelle e i piedi che calzavano sandali bianchi coi tacchi alti. Aveva una sottile cavigliera d'oro da cui pendeva un piccolo solitario, orecchini di brillanti e un grande anello di smeraldo e diamanti all'anulare. Accanto a lei, Lorraine si sentiva sciatta; la bellezza di Elizabeth Caley doveva essere costata un sac-
co di soldi e si vedeva. In quel momento, arrivò il maggiordomo portando tè e caffè. «Grazie, Peters», disse la signora Caley mentre si versava una tazza di tè verde. Guardò Lorraine. «Ha trovato qualcosa, vero?». Parlava a bassa voce, sembrava quasi spaventata. «Sì, è così». Elizabeth Caley chiuse gli occhi. «E non sono buone notizie, vero?». «No». «Be', mi dica subito tutto, signora Page, non mi tenga sulle spine». Lorraine aprì la sua valigetta. «Mi dispiace, ma quello che sto per mostrarle sarà molto doloroso per lei». Le diede la fotografia e attese, studiando con attenzione le reazioni della signora Caley. La donna sgranò gli occhi, deglutì una volta, due, e infine prese un profondo respiro. Restituì la fotografia a Lorraine. «Perché? Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Perché?». Le tremava la bocca e aveva la fronte corrugata. Sembrava che stesse cercando di non piangere in modo da non rovinarsi il trucco. «Chi sono quei ragazzi?». «Ne ho identificati due. Uno è un parrucchiere e l'altro è un compagno di college di Anna Louise». Elizabeth scosse la testa. «Dio mio, dovrebbero essere arrestati. Dov'è stata scattata quella fotografia?». «In un club. Si chiama Viper Room». «Non la mostri a Robert, la prego, gli risparmi quello spettacolo disgustoso o lui... li ucciderà. Non ci crederà mai, non ne aveva idea». «E lei ne aveva idea, signora Caley?». «Cosa? Mi sta chiedendo se sapevo che mia figlia dava spettacolo di sé in questo modo? Se sapevo che mia figlia si faceva sbattere come una puttana? No! Non lo sapevo! Ma, giuro su Dio che vorrei averlo saputo». Si strinse le mani con forza. «Che tipo di donna crede che io sia?». «Lei ha un problema di droga, lo so». «Mi scusi?». «Non faccia giochetti, signora Caley, so tutto del suo dottore. Ha davvero idea dei rischi che sta correndo?». «Chi glielo ha detto?». «L'ho scoperto, signora Caley, è il mio lavoro. Ma si rende conto degli enormi pericoli a cui si sta esponendo? Lei sta facendo un uso sconsiderato di temazepam».
«E lei non farebbe altrettanto, date le circostanze?», ribatté la donna seccamente. «La sua dipendenza potrebbe esserle fatale: deve farsi vedere da un medico il prima possibile. Credo che lei si inietti il temazepam e...». La signora Caley sbatté un pugno sul tavolo. «Phyllis! È stata Phyllis a dirglielo, vero?». «Il suo dottore è stato arrestato...». «Oh mio Dio. Glielo ha detto lui? Che cosa le ha raccontato?». Lorraine aprì il suo pacchetto di sigarette e ne offrì una a Elizabeth Caley, ma la donna lo scagliò via con un gesto della mano. «Lei è pagata per indagare sulla scomparsa di mia figlia, non sulla mia vita privata. Non ha alcun diritto di fare indagini su di me e...». Lorraine la interruppe, la voce ferma e controllata. «Sto cercando di rintracciare sua figlia. E direi che il suo problema di droga potrebbe essere una delle cause della sua scomparsa. Quindi glielo chiedo di nuovo, anche sua figlia faceva uso di droghe, signora Caley?». «No». «Era al corrente della sua dipendenza?». La donna sospirò con impazienza. «Sì, ma non avrebbe mai preso nessun genere di droga. Vedeva anche troppa angoscia, troppo dolore e troppa dipendenza in sua madre». «Sapeva che anche Tilda Brown frequentava quei locali insieme a sua figlia?». «Tilda era con Anna Louise?». «Credo di sì. Sapeva che avevano litigato il giorno prima che partiste per New Orleans?». «Non so per quale motivo avessero discusso, ma Tilda ha deciso di partire prima, una cosa davvero sciocca. Ho pensato che fosse meglio che risolvessero la cosa tra di loro». Lorraine non aveva intenzione di arrendersi tanto in fretta. Ritentò. «Ha degli spacciatori anche a New Orleans?». Capì di aver toccato un tasto dolente; il volto di Elizabeth Caley era imperlato di sudore e la donna era sempre più agitata. «Oh Dio, è terribile, Robert andrà su tutte le furie. Sa, sta per concludere un affare molto importante e...». «Ho solo bisogno di un nome, signora Caley, qualcuno a cui si rivolge quando è a New Orleans». «No, no, la prego, se dovesse sapersi in giro, se qualcuno là lo venisse a
sapere...». Stava andando in pezzi sotto gli occhi di Lorraine. Era sprofondata nella sedia e aveva cominciato a piangere. Si prese la testa tra le mani come se le facesse male, infilandosi le dita tra i capelli, rovinando il suo perfetto chignon. Continuava sudare copiosamente. Lorraine si sporse verso di lei e le mise una mano sulla spalla. «Le assicuro che sarò discreta, glielo prometto, ma ho bisogno di interrogare più persone possibili. Lei vuole che ritrovi sua figlia, non è vero?». «Sì, sì», mormorò la signora Caley. In quel momento, cominciò a tremare incontrollabilmente e urlò: «Phyllis, Phyllis, Phyllis!». La dama di compagnia arrivò di corsa proprio mentre Elizabeth Caley perdeva del tutto il controllo. Un fiotto di urina le bagnò le gambe, le membra e il capo scossi da spasmi sempre più violenti. «Va tutto bene, sono qui, sono qui, signora Caley, si stringa a me, andrà tutto bene, si stringa a me. Oh mio Dio, mi aiuti, Cristo santo, mi dia una mano, ha le convulsioni...». Peters comparve al suo fianco e insieme la portarono fuori dal solarium. Lorraine li seguì nell'atrio e rimase a guardare Peters che prendeva in braccio la signora Caley e la portava in camera sua. «La prego, resti dov'è», disse il maggiordomo rabbiosamente, rivolgendosi a Lorraine. «Sì, lasci stare», intervenne Phyllis. Lorraine sospirò irritata, ma sapeva di non poter fare niente. In quelle condizioni, la signora Caley non le sarebbe stata di alcun aiuto, quindi non aveva senso restare in quella casa. Tornò nel solarium a prendere la borsa e le sigarette. Una cameriera stava già ripulendo il tavolino. Lorraine prese la teiera, tolse il coperchio e ne annusò il contenuto; sapeva di menta e di qualcos'altro, di un'erba di qualche genere. Annusò di nuovo. «Mi scusi, signora Page, le dispiace se questa la prendo io?». Era l'odioso Peters. «Che diavolo c'è qui dentro?». «È soltanto una tisana, l'ha comprata la signora Caley». «Dove?». Peters prese il vassoio. «Al Natural Health Store, credo. Mi scusi, spero di non offenderla, ma perché non lascia in pace quella donna? È molto malata ed è terribile vederla così, proprio quando stava cominciando a ripren-
dersi e...». «Sì, fa molto Viale del Tramonto ma mi chiedo chi finirà annegata in piscina». Il maggiordomo le lanciò un'occhiata ostile e non fece nulla per nascondere il suo disprezzo. «Dovrebbe fare molta attenzione perché potrebbe toccare a lei». Detto questo, uscì. Lorraine stava per seguirlo, quando la cameriera si schiarì nervosamente la gola. Lorraine si voltò verso di lei. La ragazza lanciò un'occhiata furtiva a Peters che stava allontanandosi, e sussurrò a Lorraine: «Lo prende a casa, signora. Non è una tisana». «Mi scusi, che cos'ha detto?». La ragazza si morse il labbro inferiore e fece per andarsene, terrorizzata. «Aspetti un attimo. Stava parlando del tè». Phyllis entrò trafelata. «Torna dentro, Sylvana, sbrigati». La cameriera rivolse uno sguardo spaventato a Lorraine prima di obbedire. Lorraine si rivolse a Phyllis con aria preoccupata. «Come sta la signora Caley?». La donna scosse la testa e scrollò le spalle. «Con una bella dormita le passerà tutto». Lorraine la prese sottobraccio, mentre rientravano in casa. «Phyllis, dovrebbe convincere la signora Caley a farsi curare, e in fretta, altrimenti finirà per uccidersi». «Sì, lo so», sussurrò Phyllis, poi si fermò. «Che cosa le ha detto che l'ha sconvolta tanto?». «Le ho chiesto chi è il suo spacciatore a New Orleans». Phyllis chiuse gli occhi. «Oddio, è terribile, se il signor Caley dovesse scoprirlo... La prego, è davvero necessario che...». «Cristo santo, Phyllis, sto cercando di trovare sua figlia! Ora, se continua a nascondermi informazioni utili, a dirmi solo mezze verità...». Proprio quando Phyllis sembrava sul punto di confidarsi con Lorraine, arrivò Robert Caley. «Che cos'è successo qui? Phyllis, tu dovresti essere con Elizabeth. Voglio che tu stia con lei finché non arriva il dottore». «Mi dispiace, signor Caley, vado subito da sua moglie». «E resta con lei, se vomita potrebbe anche...». Robert Caley sospirò e attese che Phyllis se ne andasse. Poi guardò Lorraine. «Che cosa le ha detto? È in preda a una crisi isterica». «Sto cercando di fare ciò per cui vengo pagata, signor Caley, ma a quan-
to pare tutti quelli che lavorano qui sono troppo occupati a proteggere sua moglie per...». «Ma lei l'ha vista, non le sembra che abbia davvero bisogno di protezione?», ribatté lui bruscamente. «Sì, sono d'accordo, ma non credo che lei sappia fino a che punto sono gravi le condizioni di sua moglie, signor Caley». «Come si permette! L'ho fatta ricoverare in un centro di disintossicazione ma una volta fuori, ha ricominciato a prendere tutte le droghe su cui riesce a mettere le mani. Be', questa volta torna in clinica, che le piaccia o no...». «Quindi lei sa che cosa prende sua moglie?». «Qualsiasi cosa purché si possa sniffare, inghiottire o iniettare. Non ho modo di fermarla, a meno che non la faccia sorvegliare ventiquattr'ore su ventiquattro e, mi creda, ci ho provato». «In questo momento, signor Caley, sua moglie sta assumendo una sostanza che potrebbe ucciderla. Le dosi che si inietta potrebbero anche esserle fatali». Lui chiuse gli occhi. «Oh mio Dio, che cos'è... eroina?». «No, sono normali sonniferi». Caley sospirò, in preda alla frustrazione. «L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è che qualche stronzo venga a sapere delle condizioni di Elizabeth e venda la storia ai più merdosi giornali scandalistici del mondo. I miei concorrenti farebbero i salti di gioia: può scommettere che collegherebbero la scomparsa di Anna Louise con il problema di droga di mia moglie e...». «E se fosse davvero così?», lo interruppe Lorraine. Lui si accigliò guardandola. Lorraine era certa che Caley avesse appena scoperto di che tipo di droghe faceva uso sua moglie. «Lei sa chi le procurava la droga a New Orleans? Sua moglie ha un vizio costoso, signor Caley, quindi o si portava la roba da Los Angeles o l'acquistava là, è per questo che potrebbe esserci un legame». Lui si sedette, la testa tra le mani, i gomiti appoggiati sul tavolo. «Ne dubito, Elizabeth ha una rete molto ben organizzata di persone che, credo, potrebbero procurarle tutto ciò che vuole. Ed è pronta a pagare qualsiasi cifra, ne sono sicuro». «Conosce qualcuna di queste persone?». «So che il suo contatto principale è il suo stesso dottore. È una follia, una situazione da Comma 22. Se lo denuncio, ovviamente lui farà il nome
di mia moglie» Si alzò e si mise le mani in tasca. Sembrava sfinito. «Ho cacciato Juda Salina da casa nostra perché aveva una cattiva influenza su mia moglie e così Elizabeth ha cominciato ad andare da lei...». «Juda Salina procurava droga a sua moglie? Ne è certo?». Lui annuì. «Sì, più che certo, ma cosa posso fare? Se la denuncio, farà sicuramente il nome di mia moglie alla polizia». Lorraine si sporse verso di lui. «Temo che il dottor Hayleden non potrà esercitare per molto, molto tempo - è stato arrestato due giorni fa, ma dal momento che dubito che sua moglie abbia usato il suo vero nome, non credo che avrete pubblicità negativa di alcun genere. Be', lo spero per il bene di sua moglie e per il suo». «Grazie», disse lui a bassa voce, e sorrise. «Ho bisogno di un po' d'aria, andiamo in giardino». Camminarono in silenzio lungo lo stretto sentiero che attraversava i prati fioriti e curatissimi. Lorraine aveva la sensazione che Caley cominciasse a rilassarsi e lui le rivolse nuovamente quel suo sorriso gentile. «Posso farle una domanda personale, signor Caley?». «Chieda pure, signora Page. E se posso fare anch'io un commento personale... mi piace il suo nuovo taglio di capelli, le dona molto». Lorraine ignorò quel complimento. «Lei ama sua moglie?». Quella domanda lo colse alla sprovvista e attese qualche istante prima di rispondere, scuotendo la testa. «Naturalmente, ma forse dire che "mi prendo cura di lei" sarebbe una descrizione più precisa. Se non fosse per lei, sarei ancora un agente immobiliare di second'ordine. È questo che facevo quando l'ho incontrata, ero un agente immobiliare. Infatti stavo cercando di venderle una proprietà». «È stato fortunato», disse Lorraine, e d'improvviso i modi piacevoli di Robert Caley scomparvero. I suoi assunsero un'espressione dura e la sua voce divenne fredda. «No, signora Page, mi sono innamorato di una donna dolce e bellissima. Ora, a meno che non voglia discutere qualche altra questione personale, dovrei andare a vedere come sta mia moglie... Ah, ricorda che le avevo offerto un passaggio? Andrò a New Orleans questa sera. Se vuole venire con me, telefoni a Phyllis, manderò una macchina a prenderla». «Accetto volentieri ma preferisco andare da sola all'aeroporto». «Bene, Phyllis le spiegherà in quale hangar si trova il mio aereo. Va bene alle sei e mezza?».
«Grazie, ci sarò». «Ne sono sicuro, signora Page». Caley tornò verso casa, senza voltarsi indietro, e Lorraine rimase sola, irritata con se stessa. Non avrebbe dovuto chiedere a Caley se amava sua moglie; sapeva che non l'amava ma era convinta che le volesse bene. Stava salendo in macchina quando vide l'ambulanza della clinica privata imboccare il viale d'accesso. Rimase a guardare due infermieri che entravano di corsa in casa. C'era una terza auto parcheggiata nel viale, una Mercedes Benz scura. Dopo qualche minuto, i due infermieri riapparvero sulla scalinata, tenendo Elizabeth Caley tra di loro. La donna indossava un paio di occhiali scuri e aveva un foulard che le copriva la testa. Singhiozzava e aveva bisogno dell'aiuto di entrambi gli uomini per stare in piedi. Non tentò di resistere quando i due infermieri la fecero salire sull'ambulanza. Phyllis e Robert Caley uscirono a loro volta in compagnia di un uomo alto in completo grigio che portava una borsa da dottore. Quando i tre si voltarono a guardarla, Lorraine capì di non potersi trattenere oltre. «Ci vediamo dopo», salutò, e subito rimpianse di non essere riuscita a dire qualcosa di più appropriato - soprattutto quando passò accanto all'ambulanza e riuscì a scorgere Elizabeth Caley un attimo prima che le portiere venissero chiuse. Stava piangendo disperatamente e ripeteva il nome di sua figlia: «Anna Louise, Anna Louise...». CAPITOLO 10 Lorraine si era aspettata un piccolo aereo bimotore ma Robert Caley possedeva un moderno Citation Jet che lasciò a bocca aperta il tassista russo che l'aveva accompagnata all'hangar. Stava per prendere la sua valigia, quando un uomo biondo e abbronzato scese dalla scaletta dell'aeroplano. «Signora Page?». Il suo ampio sorriso sembrava innaturalmente bianco. «Sono Edward Hardy, il pilota del signor Caley. Prendo io la sua valigia. Il signor Caley ha avuto un contrattempo ma sarà qui tra poco. E comunque non è un problema perché non abbiamo ancora ottenuto l'autorizzazione al decollo». Lorraine salì sull'aereo ed Edward le fece cenno di accomodarsi su una morbida poltrona di pelle. Ripose la valigia di Lorraine in un comparto in fondo all'aereo, continuando a chiacchierare amabilmente. «Se ha bisogno del bagno, è qui, e subito dopo c'è la camera da letto».
Lei lo fissò ma si rese conto che non c'erano sottintesi di alcun genere. «Se ha bisogno di rinfrescarsi, faccia pure. Nel frattempo, posso offrirle qualcosa da bere. Abbiamo dello champagne, dello Chardonnay ghiacciato oppure un ottimo Merlot, se preferisce. Abbiamo gin, whisky, Martini, oppure posso prepararle un cocktail... tutto quello che vuole». Lorraine si sentiva terribilmente tesa e a disagio. «Solo acqua ghiacciata, per favore». Un minuscolo cinese comparve nell'abitacolo, portando un grande secchiello e un grande vassoio coperto con della carta stagnola. «Ehilà, come va? Yung Sin, questa è la signora Page». Lei sorrise quando il piccolo uomo incominciò ad apparecchiare la tavola, stendendo una tovaglia di lino, sistemando i tovaglioli, un vaso di fiori, le posate e i bicchieri di cristallo. «Le piace l'aragosta, signora Page?», le domandò. «Sì». «Queste arrivano direttamente dal Maine», disse disponendo i vari piatti sul tavolo. Lorraine prese una copia di «Vogue» e cominciò a sfogliarne le pagine patinate. Anna Louise si era seduta su quella stessa poltrona, leggendo una rivista simile. «Conosceva Anna Louise?», domandò, mentre Edward le riempiva nuovamente il bicchiere. «Sì, certo». «Ha pilotato lei l'aereo il quindici febbraio dello scorso anno?». «Sì». Lorraine sorrise e bevve un sorso d'acqua. «Anna Louise ha chiamato casa quel giorno?». «Sì. Abbiamo un telefono a bordo, vuole fare una telefonata?». «No, grazie. Com'era Anna Louise durante il volo?». «Non lo so, io ero in cabina di pilotaggio». «Ma sicuramente le avrà dato il benvenuto a bordo». «Certo, era come al solito, sa, carina, sempre molto gentile». «Da quanto tempo lavora per i Caley?». «Da circa otto anni». «Quindi conosceva piuttosto bene Anna Louise». Edward esitò. «Era la figlia del mio datore di lavoro, signora, era una brava ragazza ma non l'ho mai conosciuta veramente, non l'ho mai frequentata se è questo che vuole sapere».
«Lei è un bell'uomo, Edward». «Sono anche un uomo sposato, signora Page, e ho un figlio di due anni. Non farei mai niente che potesse mettere in pericolo il mio lavoro e il mio matrimonio e non mancherei mai di rispetto al signor Caley». «Va d'accordo con la signora Caley?». Edward stava cominciando a mostrarsi irritato per le sue domande. «La signora Caley è una delle donne più gentili che conosca. So che sta attraversando un periodo difficile, ma non sono affari miei. Quando è sull'aereo è sempre molto silenziosa, volare la innervosisce. Lei ha paura di volare, signora Page?». «No». «Infatti, lo immaginavo». Edward stava per allontanarsi quando lei sbatté la rivista sul tavolo. «Un secondo, Edward. Mettiamo in chiaro le cose. Sono stata assunta dai Caley per ritrovare Anna Louise, e quindi devo farle delle domande, che siano personali o meno. Non voglio offenderla ma la gente continua a dirmi che Anna Louise era una ragazza dolce e carina ma io so che non era né dolce né innocente, e che le piaceva farsi scopare». «Mi scusi, signora», Edward scese dall'aereo. Lorraine sospirò, sorpresa dal suo stesso scatto d'ira. Guardò fuori dal finestrino e vide che era arrivata la limousine. Edward era pronto a prendere i bagagli di Caley. I due uomini si salutarono amichevolmente. Caley salì sull'aereo, salutò Lorraine e mise un braccio attorno alle spalle di Edward. «Mi scusi per il ritardo. Ci saranno problemi per il decollo?». «No, ho appena ottenuto l'autorizzazione, possiamo partire anche subito». «Bene, allora andiamo». Caley si diresse verso la cabina di pilotaggio, poi si voltò. «Si allacci la cintura di sicurezza, signora Page. È solo una piccola precauzione. Sarò subito da lei». L'aereo decollò dolcemente e le posate sul tavolo vibrarono appena. Quando l'aereo cominciò a prendere quota, Caley tornò da lei. Si versò un bicchiere di whisky e controllò l'orologio. «Il volo dura poco più di tre ore. Il pranzo sarà pronto tra un'ora». «Benissimo, grazie». «Spero che le piaccia l'aragosta». «Mi piace molto». «Bene». Caley sorrise, prese alcuni documenti dalla ventiquattr'ore e si
sedette di fronte a lei. Lorraine continuò a sfogliare riviste, conscia della presenza di Caley e del fatto che non le prestava alcuna attenzione. Cominciava a innervosirsi. «Può fumare, se vuole», le disse lui con tono tranquillo. «No, grazie, sto benissimo così». «Mi perdoni, ma devo assolutamente leggere queste carte, mi dispiace». «Non deve scusarsi, sono io che devo ringraziarla per il passaggio». Lui non disse niente e si immerse nuovamente nella lettura. Mentre studiava i documenti, si tolse la giacca e la gettò su un'altra poltrona. Si sbottonò la camicia senza colletto, uno, due, tre bottoni, sempre continuando a leggere, e i polsini, poi si arrotolò le maniche fino ai gomiti. Caley si versò altri due whisky, andò a parlare un attimo con Edward e si spostò in un altro punto dell'aereo e parlò al telefono per quasi tre quarti d'ora, dando le spalle a Lorraine. Lei cercò di sentire quello che stava dicendo anche se lui teneva la voce molto bassa. Telefonò ai suoi soci, a Phyllis, alla clinica per avere informazioni sulle condizioni di Elizabeth, al personale di New Orleans e parlò a lungo con Mark, il suo assistente, e con Margaret, la sua segretaria. Ascoltò, imprecò sottovoce, sospirò e infine si alzò per riempirsi di nuovo il bicchiere. Si fermò vicino a Lorraine. «Vuole altra acqua?». «No, grazie, sto bene così». Caley sorrise ma era chiaro che stava pensando ad altro, così lei continuò a guardare le riviste. Ormai Lorraine aveva l'impressione che i servizi di moda usassero le stesse modelle con indosso gli stessi vestiti. Non alzò lo sguardo, quando Caley andò a sedersi davanti a lei. «Mi piace il suo completo». Lei lo guardò e arrossì. «È nuovo». «Ha appetito?». «Solo se ne ha anche lei. Ma se deve continuare a lavorare, la prego, non si faccia scrupoli». Ma lui aveva finito. Così la prese per mano e la condusse al tavolo, le scostò la poltroncina di pelle imbottita e accese le candele. Non parlarono per tutta la cena. Quando ebbero finito di mangiare, Caley preparò il caffè e Lorraine tornò a sedersi al suo posto. Non sapeva se fosse colpa dell'aria della cabina o della strana sensazione che provava, ma faceva fatica a respirare, perché voleva che Caley la toccasse. La stava facendo impazzire, non riusciva a pensare ad altro e provava una sofferenza quasi fisica per quel desiderio.
«Dovrei andare in bagno». Lui le indicò la parte posteriore della cabina, stringendo un sigaro tra i denti mentre versava il caffè. Poi aprì una bottiglia di brandy. Lorraine chiuse la porta della toilette e si lasciò sfuggire un gemito. Riuscì a calmarsi solo dopo essersi rinfrescata il viso con un po' d'acqua fredda. Le mani le tremavano e si sentiva come una sedicenne, spaventata all'idea di uscire e vederlo, spaventata al pensiero che lui potesse capire cosa provava. Sapeva che la camera da letto era vicina e, per un attimo, immaginò che lui la stesse aspettando proprio lì. Che cosa avrebbe fatto in quel caso? Era una follia. Tirò lo sciacquone, cercando di ricomporsi. Vide la propria immagine riflessa nello specchio sopra il lavandino - aveva le guance arrossate per l'acqua fredda e il mascara sbavato. Inumidì l'angolo di un fazzoletto di carta e cercò di risistemarsi il trucco. «Il completo sarà anche bello ma tu sei un disastro», si disse, costringendosi ad aprire la porta e a uscire. Il suo caffè era sul tavolo ma non c'era traccia di Robert Caley. Lorraine lanciò un'occhiata verso la porta chiusa della camera da letto. Era lì? La stava aspettando? Edward uscì dalla cabina di pilotaggio. «Vuole allacciarsi la cintura di sicurezza, signora Page? Atterreremo tra dieci minuti». Lei annuì e fece come le aveva detto il pilota. «Nel caso fosse preoccupata, non sarà il signor Caley a far atterrare l'aereo, mi ha detto di aver bevuto qualche bicchiere di troppo. Sta finendo di controllare alcuni documenti. Tornerà da lei tra poco». Lorraine notò che la valigetta di Caley era scomparsa e chiuse gli occhi, sollevata; ora che lui non le era vicino, si sentiva più tranquilla. Caley era sdraiato sul letto, il sigaro tra le dita. Aveva bevuto troppo, lo sapeva, ma non riusciva ad accettare la sua attrazione per Lorraine; lo faceva sentire come uno stupido adolescente. La immaginò entrare in camera, senza bisogno di dire una parola, e sdraiarsi accanto a lui. L'aereo stava cominciando a scendere. Si costrìnse a ricomporsi e a ignorare la strana sensazione che l'aveva invaso. Controllò l'orologio, si alzò, si fece la barba e indossò una camicia pulita. Tornò da Lorraine proprio mentre il carrello si abbassava. Si allacciò la cintura di sicurezza e appoggiò a terra la ventiquattr'ore che non aveva nemmeno aperto. Lorraine guardava fuori dal finestrino.
«Ho spento le candele». «Oh, grazie». Caley prese una delle riviste che si trovavano sul tavolo. L'aereo atterrò senza scosse. «Edward è un ottimo pilota», commentò. «Sì», disse Lorraine, ma lei e Caley evitarono di guardarsi. La lunga limousine li stava aspettando davanti all'aeroporto privato Lakefront. Oltre la strada asfaltata, le acque scure del grande lago salato si stendevano a perdita d'occhio. Caley le aprì la portiera e le chiese quale hotel avesse scelto. Lorraine si sedette il più lontano possibile da lui, e aprì la borsa per controllare gli appunti di Rosie. Avevano prenotato al St. Marie Guesthouse. L'autista attese finché Caley non gli disse di accompagnarli direttamente al suo albergo. «È lo stesso dove eravamo la sera in cui è scomparsa Anna Louise. Ho prenotato ancora entrambe le suite perché ho pensato che forse avrebbe voluto interrogare il personale, signora Page». Lei annuì e Caley si voltò a guardare fuori dal finestrino, in direzione di un vecchio battello a vapore che era stato trasformato in un casinò galleggiante sfavillante di luci. Erano i suoi concorrenti?, si chiese Lorraine. «Se vuole, può stare nella suite di Anna...». Lorraine si disse che era una follia, perché nonostante avesse paura di stargli accanto, adesso era quasi sul punto di accettare una suite nel suo stesso albergo. Caley continuò a guardare fuori dal finestrino e si chiese a che cazzo di gioco stesse giocando, perché anche se cercava di evitarla, le aveva chiesto di dormire nella suite accanto alla sua. Se Elizabeth lo avesse saputo, sarebbe andata su tutte le furie per la sua solita paura che un qualche scandalo potesse offuscare la sua fama nella sua città natale. «Forse no», disse lui a bassa voce. «Mi scusi, non voglio che si faccia un'idea sbagliata, è solo che...». «È solo che cosa, signor Caley?». Lui si voltò a guardarla, mentre la limousine imboccava l'interstatale che li avrebbe condotti in città; le case, quasi tutte in stile coloniale, sfoggiavano già le decorazioni per il carnevale, e sembravano piccole e ammassate nell'oscurità. New Orleans pareva minuscola in confronto a Los Angeles. «Sono due suite comunicanti», disse Caley, imbarazzato. «Sì, me l'aveva detto». Il cuore le batteva all'impazzata nel petto e sapeva che avrebbe dovuto rifiutare quell'offerta. Ma emise una breve risatina, cercando di scherzarci sopra. «Ha paura che possa piombare su di lei nel
cuore della notte?». Seguì un lungo silenzio forzato e Caley non distolse lo sguardo da Lorraine nemmeno per un secondo. «Non ho paura di quello che potrebbe fare lei, signora Page, ma di quello che potrei fare io». Ci fu un altro silenzio carico di tensione. Lorraine fece scivolare la mano sul sedile verso di lui. Non riusciva a parlare e quando sentì la mano di Caley sfiorare la sua, ebbe l'impressione di essere sul punto di esplodere. Avevano lasciato l'autostrada, ora, e si stavano avvicinando al vecchio quartiere francese. Lorraine fu felice di avere un pretesto per distogliere lo sguardo e finse di interessarsi alle antiche strade che stavano percorrendo. Pochi isolati più in là, si innalzavano le torri di cristallo di un quartiere degli affari simile a quelli di ogni altra città d'America, ma lì l'atmosfera era completamente diversa: in parte villaggio, in parte città cosmopolita. All'inizio, gli edifici le sembrarono bassi e scialbi, case a due piani dal tetto piatto per lo più, le facciate dai colori sbiaditi che forse un tempo erano stati brillanti - ocra, grigio chiaro, cenere di rosa, senape. Tutte avevano finiture eleganti e le porte e le persiane spesso erano dipinte di verde scuro che contrastava con i colori spenti delle facciate. Ma il particolare più caratteristico era il ferro battuto, lavorato magnificamente, che ornava balconi e verande, vialetti d'accesso e cassette per i fiori. Nei suoi giorni migliori, quel luogo doveva essere stato un vero spettacolo, pensò Lorraine, ma ora era un paesaggio trascurato di vernice sbiadita, legno scrostato e giardini incolti e abbandonati. Caley fece una smorfia irritata quando si addentrarono nella zona più affollata dove i palazzi erano addobbati con festoni e bandiere di Carnevale viola, rosse e verdi, con maschere e stelle filanti, e l'autista dovette procedere quasi a passo d'uomo per evitare i pedoni di ogni età e nazionalità che si ammassavano nelle strade. «Mi dispiace. Dobbiamo superare soltanto pochi isolati così. È una bolgia di turisti da queste parti». Lorraine sapeva che anche lui stava cercando di parlare del più e del meno per smorzare la tensione tra di loro e alzò lo sguardo sulla targa di una via quando svoltarono a sinistra: Bourbon Street. Più in là, notò le sagome al neon di ragazze nude e le insegne dei locali di striptease con la tripla X. La strada sembrava fatta esclusivamente di locali jazz, ristoranti ed empori che vendevano T-shirt, tazze, figurine, maschere di carnevale e cappelli cajun. La musica e il profumo del cibo speziato erano ovunque; la gente mangiava, beveva, cantava e chiedeva l'elemosina, i ragazzi facevano complimenti alle ragazze che passavano, le anziane turiste si tenevano
strette alle loro borse e ai loro compagni. Ma tutti erano fuori nella notte e nel quartiere: la cruda vitalità di quel luogo la colpì come una sorsata di whisky bevuta troppo in fretta e, d'improvviso, le strade che stavano percorrendo non le sembrarono più sbiadite e malconce. Sul marciapiede, un ragazzino di colore di circa dieci anni ballava incessantemente il tip-tap, battendo abilmente il tacco e la punta di metallo delle sue scarpe. Aveva un sorriso ampio e accattivante, ma Lorraine colse la saggezza nei suoi occhi, e di colpo percepì la potenza del passato. Quel luogo aveva conosciuto molte follie umane, ora lo sapeva: non c'era nulla che non potesse accadere lì. Ripresero velocità quando le strade divennero più tranquille e le gioiellerie, le gallerie d'arte e i negozi di antiquariato presero il posto degli empori e dei locali notturni. «Siamo quasi arrivati, signor Caley», annunciò l'autista, mentre si avvicinavano a un quartiere conservato perfettamente come un pezzo da museo, e Lorraine ritrasse la mano. Parcheggiarono davanti a un bellissimo edificio a tre piani con ampie verande e decorazioni di ferro battuto delicate come pizzi di un vestito d'altri tempi: non c'era nulla che lasciasse pensare che quello era un hotel, ma quando l'autista suonò il campanello delle grandi porte a doppio battente, comparve un giovanotto elegante che salutò affettuosamente Caley chiamandolo per nome. Li condusse attraverso una porte cochère ad arco in un delizioso giardino illuminato da lanterne, e Lorraine capì che stava entrando in un mondo che non aveva niente a che fare con le artistiche e fasulle trappole per turisti, e in cui ogni dettaglio era stato curato per comunicare tranquillità e armonia. Gli alberi emanavano una dolce fragranza d'erba, dapprima strana poi deliziosa e vivificante, felci, palme, limoni e piante rampicanti crescevano rigogliosi e lussureggianti, in modo apparentemente selvaggio, mentre si sentiva in sottofondo lo zampillio refrigerante di due fontane. Lorraine sapeva che quella studiata trascuratezza era frutto di un lungo e dispendioso lavoro: in quel giardino l'equilibrio era simile a una musica sublime. Il giovane li condusse in un ufficio piccolo e accogliente e Caley chiacchierò a lungo prima con lui e poi con il direttore, un uomo ancora più cortese e raffinato. Poi arrivò un inserviente a prendere i loro bagagli. Lorraine doveva riconoscere che il sud non aveva perso quasi nulla della sua antica grandeur. «Il tenente Page dovrà fare qualche domanda al personale», disse Caley e il direttore dell'hotel finalmente li accompagnò all'ascensore.
«Faremo tutto il possibile per aiutarla, deve soltanto chiedere». L'inserviente era già davanti all'ascensore, una delicata e luccicante gabbia di specchi. Anche in quello spazio ristretto, Lorraine e Robert Caley si tennero a distanza e rimasero in silenzio. Arrivati al terzo piano, Caley prese la chiave che l'inserviente gli porse, e fece strada. «Mostri al tenente Page la sua suite, per cortesia», disse senza voltarsi. «Certo, signore. Vuole seguirmi, signora?». Raggiunsero una semplice porta bianca: quell'hotel era chiaramente troppo esclusivo per contrassegnare le sue stanze con nomi o numeri. In fondo al corridoio, Robert Caley chiuse la porta della sua suite. «Spero che il soggiorno sarà di suo gradimento, signora». «Grazie infinite». Finalmente sola, Lorraine si guardò attorno: il soggiorno era ampio e arioso, illuminato da un grande lampadario di cristallo, e si accorse che il divano, il magnifico camino, gli specchi e i tappeti soffici e squisitamente decorati erano autentici pezzi d'antiquariato, completamente diversi dalle ostentate riproduzioni che aveva visto nei grandi alberghi in cui era stata in passato. La camera aveva un letto a baldacchino a due piazze, e l'ampio bagno aveva una porta-finestra schermata da ricche tende di mussola. Lorraine aprì la porta-finestra e uscì. Notò una scala a chiocciola, probabilmente un'uscita di emergenza, ricoperta di rampicanti che conduceva al balcone sottostante e al giardino. Per un attimo, si chiese se Anna Louise Caley fosse scesa di lì. In quel caso nessuno l'avrebbe vista andarsene, a meno che non fosse stato in giardino. Disfò la valigia, appese i suoi nuovi vestiti, chiedendosi se avrebbe dovuto mettersi in contatto con Rosie e con gli altri ora, ma sapeva che in quel caso avrebbe dovuto dare delle spiegazioni. Andò in bagno, posò i suoi cosmetici sul ripiano di marmo e decise di farsi un lungo bagno caldo. Nick Bartello bussò alla porta della camera di Rosie, proprio mentre Rooney compariva in fondo al corridoio. «Io ho cinque letti nella mia camera, tu quanti ne hai, Nick?». «Oh, solo un matrimoniale, un singolo e un lettino per bambini!». Rooney scrollò le spalle. «Be', comunque non siamo noi a pagare». Rosie aprì la porta e sorrise raggiante. «Ciao, entrate pure. Ho una grande camera con un bagno tutto per me, è bellissima». «Hai notizie di Lorraine?», domandò Nick, sedendosi sul divano, rico-
perto con la stessa stoffa ricamata e frangiata delle tende. Una vecchia TV era appollaiata su un cassettone finto antico; gli enormi paralumi di nylon erano pieni di polvere e la stanza sapeva di fumo e di deodorante per ambienti. «No, non ancora, ma ho chiamato a casa e in ufficio e non ha risposto nessuno, quindi starà arrivando». «Ho fame», disse Rooney di punto in bianco e Rosie sorrise di nuovo. «Perché non andiamo a mangiare e a fare un giro in città, magari nel quartiere francese? Voglio dire, è la nostra prima sera qui e possiamo rilassarci un po'». «Andiamo», disse Rooney che non vedeva l'ora di bersi una birra. Nick esitò per un attimo, poi scrollò le spalle. «Per me va benissimo, ma devi fare un salto alla polizia locale, Bill, per trovare qualcuno che ci possa dare qualche informazione». «Be', da quello che ho sentito dire, da queste parti i poliziotti sono disposti a fare qualsiasi cosa per qualche bigliettone extra». «Ehi, potremmo prendere il tram e fare un giro, a vedere i casinò galleggianti magari». Nick guardò Rooney mentre Rosie usciva dalla camera. «Quella stupida grassona pensa che siamo in vacanza». «Magari stasera potremmo fare i turisti... diavolo, perché no?». «D'accordo, amico, perché no?». Nick uscì dopo Rooney e Rosie chiuse la porta con un mucchio di guide turistiche sotto il braccio. «Ma sono già passati cinque giorni. Ce ne restano nove per risolvere il caso». «Non vedevo l'ora di essere qui», disse Rosie mentre scendevano le scale, oltrepassando quattro anziane signore dai capelli tinti che indossavano capelli di paglia con la scritta «Laissez les Bons Temps Rouler». «Ehi, Rosie, qui sì che c'è vita», disse Nick. «Ora non cominciare, Nick Bartello. Siamo stati fortunati a trovare posto in un hotel centrale come questo, visto che siamo sotto Carnevale». «Si vede che è Carnevale», commentò Nick, mentre altre donne rumorose e vestite in modo ridicolo incontravano la loro guida turistica alla reception. «Signore, siete pronte? Stasera visiteremo il famoso Museo Voodoo, per favore ricordatevi i vostri biglietti», gridò la guida dai capelli scuri. Rosie prese Rooney sottobraccio. «Ci voglio andare anch'io, al Museo Voodoo». «Sì, però prima mangiamo, d'accordo?», disse lui. Quella birra lo stava
chiamando a squarciagola. Lorraine si avvolse in una grande asciugamano dell'hotel e si asciugò i capelli, conscia del fatto che la porta che si apriva sull'altra suite continuava a rimanere chiusa. Intanto, Caley, con un asciugamano attorno alla vita, fece qualche telefonata, la prima delle quali al padre di Saffron Dulay per organizzare un incontro. Erano quasi le dieci e mezza ma Caley chiamò tutti i suoi soci per informarli che era in città e che aveva bisogno di vederli. In altre circostanze, avrebbe aspettato la mattina dopo ma ora aveva bisogno di tenere la mente occupata. La porta che collegava le due suite lo attraeva come una calamita. Lo aveva detto veramente, o aveva capito male? si chiese Lorraine. Aveva detto davvero di essere spaventato all'idea di ciò che avrebbe potuto fare? «Merda», mormorò, sapendo che era ridicolo. «Fai le valige e vattene di qui prima di fare qualcosa di cui potresti pentirti». Ma Lorraine non fece niente e si rammentò che avrebbe dovuto scendere alla reception e cominciare a fare qualche domanda. Quella era la stanza da cui era scomparsa Anna Louise Caley; il vestito che la ragazza aveva deciso di indossare era pronto e Caley aveva detto di aver visto la sua borsa in soggiorno. Da quale porta era entrato nella suite? Da quella comunicante? Aveva detto che non era chiusa? Non riusciva a ricordare. Finì di asciugarsi i capelli e decise che sarebbe andata a letto presto. Avrebbe cominciato a fare domande la mattina dopo. Lorraine aveva chiuso la porta-finestra e stava per infilarsi sotto le coperte quando qualcuno bussò alla porta principale. Il cuore prese a batterle forte nel petto, quando sentì la chiave girare nella serratura. La cameriera fece capolino dalla porta. «Oh, mi scusi, vuole che le prepari il letto per la notte, signora?». «No, grazie, ehm... aspetti un secondo. Entri pure». La cameriera fece un piccolo inchino a Lorraine mentre si dirigeva in camera. In una mano aveva due caramelle alla menta. «Posso chiederle una cosa?». Lorraine le sorrise dolcemente. «Certo, signora». «Si ricorda di Anna Louise Caley?». «Sì, signora, è stata qui molte volte». Lorraine le si avvicinò. «Lei stava lavorando la notte in cui la ragazza è scomparsa. Era il quindici febbraio dello scorso anno».
«Oh sì, signora». Lorraine guardò l'orologio. Erano le undici meno un quarto. «Ha preparato il letto ad Anna Louise?». «No, ho bussato ma non mi ha risposto nessuno». «Ma lei ha appena aperto la mia porta, quindi ovviamente ha le chiavi. Quando non ho risposto, lei è entrata ugualmente». «Ma lei non aveva appeso fuori dalla porta il cartello Non Disturbare». «E Anna Louise lo aveva appeso?». «Sì, signora, ma io ero passata prima di stasera. Abbiamo molto nuovi ospiti stasera e quindi sono in ritardo». «A che ora è venuta a bussare alla porta della signorina Caley?». La cameriera rifletté per un attimo. «Dovevano essere circa le otto e mezza». «Ed è tornata più tardi?». «No, signora, perché quando ho finito il mio turno c'era ancora il cartello appeso. Erano circa le dieci e mezza». «Grazie. Ehm, come si chiama?». «Ellie, signora, Ellie Paton». Lorraine le allungò un paio di dollari e si sedette sul letto. Se Anna Louise Caley era stata lì così spesso non poteva non conoscere le abitudini del personale, perciò era chiaro che non voleva essere disturbata o scoperta. «Buonanotte, signora, spero che il soggiorno sarà di suo gradimento». Ellie chiuse la porta silenziosamente e Lorraine rimase ad ascoltare, chiedendosi se la cameriera sarebbe passata anche da Robert Caley. Non sentì niente, così socchiuse la porta e uscì in corridoio. Appeso alla porta della suite di Caley era appeso il cartello Non Disturbare. Lorraine si tolse la vestaglia e scivolò tra le lenzuola fresche. Sul comodino, accanto al telefono, c'erano le due caramelle lasciate dalla cameriera. Erano quasi le undici e lei abbassò leggermente la luce del comodino. Dalla strada provenivano eco lontane: voci, musica, qualcuno che cantava. Lorraine rimase in attesa, chiedendosi cosa stesse facendo Caley. Dormire sarebbe stato molto difficile. Nick era esausto. Aveva bevuto troppo e il cibo piccante gli aveva fatto venire una sete tremenda. Inoltre, era infastidito dall'intesa che c'era tra Rosie e Rooney. Era difficile da credere, ma si comportavano come una coppia di adolescenti, assaggiando uno il cibo dell'altra e ordinando altri
piatti sempre più ridicoli. Il ristorante cajun era grande come un granaio ma caldo e affollatissimo, pieno di turisti che «compravano» l'atmosfera da camerieri troppo costosi, gente di fuori città che non vedeva l'ora di mangiare gamberetti carbonizzati e jambalaya su piatti di carta unti e aggiungere i loro biglietti da visita alle migliaia che erano già appesi alle pareti. Una band suonava musica zydeco rapida e rumorosa mentre il cantante si struggeva per la sua regina cajun e coppie di mezza età affollavano la pista da ballo come se fosse la prima volta che si toccavano dopo molti anni. Nick era terribilmente irritato. «Vi offendete se me ne vado? Ne ho fin sopra i capelli di questo posto». «Ah, no, ma non vuoi venire a vedere i casinò galleggianti?», gli chiese Rosie. «Un'altra volta. Credo che me andrò a dormire». Nick si mise una mano in tasca, ma Rosie lo fermò. «Va bene così, Nick, è tutto a carico dell'agenzia, ricordi?». Lui sogghignò e si alzò da tavola. «Ci vediamo domani mattina per una bella colazione a base di frittelle creole. Buonanotte». Uscì dal ristorante pronto a visitare qualche locale di striptease della vera New Orleans; il quartiere per i turisti era solo una farsa, solo un modo per spillare denaro e, a giudicare da quant'era affollato il ristorante, molti clienti sarebbero stati spennati a dovere e non si sarebbero nemmeno resi conto di ciò che accadeva nel mondo reale soltanto poche strade più in là. Lorraine scostò le coperte e, completamente nuda, si infilò la vestaglia. Sapeva che se si fosse fermata anche solo un istante, sarebbe tornata sui suoi passi, ma proprio in quel momento la porta comunicante si aprì. Non dissero una parola. Lui le fece scivolare le mani sotto la vestaglia aperta e l'attirò a sé. Lei gli appoggiò la testa sul petto, e sentì il cuore di Robert battere all'unisono con il suo. Lui la prese in braccio e la portò fino al letto, dove l'adagiò dolcemente. Lui si inginocchiò tra le sue gambe e prese ad accarezzargliele, poi prese a baciarle le cosce e il ventre. Lorraine gli si aprì completamente quando lui cominciò a leccarla e a baciarla fino a farla gemere. Fu sommersa da un'ondata di piacere e inarcò la schiena spingendosi verso la sua bocca. Solo quando Lorraine venne gemendo dolcemente, Caley si tolse l'asciugamano. Si sdraiò accanto a lei, e cominciò ad accarezzarla e a baciarla, lentamente, dolcemente. Si mise sopra di lei e le coprì il collo di baci fino a raggiungere le sue labbra e la sua lingua. Solo quando la passione raggiunse il culmine, Lorraine allungò una mano verso il
pene eretto di lui, che sembrava quasi in attesa del permesso di scoparla. Lorraine mormorò: «Sì... sì...». Caley era l'amante più esperto che avesse mai avuto. Non sembrava che stesse solo scopando, era affettuoso e forte, e Lorraine aveva la sensazione che volesse donarle piacere e nient'altro, farle raggiungere l'orgasmo, chiedendole dolcemente cosa le piaceva e cosa voleva che le piacesse. Lei glielo disse senza alcun imbarazzo; le sembrava di avere il controllo della situazione e allo stesso tempo di essere completamente in suo potere. Quando incominciò a fare davvero l'amore con lui e a rispondere alle sue carezze, lo sentì ritrarsi leggermente. «Lascia che sia io ad amarti ora...», mormorò Lorraine. Robert chiuse gli occhi mentre lei si metteva a cavalcioni su di lui, guardandolo. Avvicinò il viso a quello di lui. «Guardami, apri gli occhi... voglio che tu mi veda, voglio che tu mi conosca». Lui aprì gli occhi lentamente, l'amante esperto era scomparso e ora Lorraine vedeva soltanto un uomo vulnerabile, innocente, quasi spaventato. Gli accarezzò il viso. «Di cosa hai paura?». «Di te», rispose lui a bassa voce, perché nessuna delle innumerevoli donne con cui aveva scopato, donne come Saffron Dulay, lo aveva mai toccato profondamente come Lorraine. Non era abituato a ricevere piacere sessuale, solo a darlo, e non c'era trucco che non conoscesse. Ma quella notte non stava giocando. Lui e Lorraine erano solo due persone che provavano lo stesso desiderio, e più lei lo eccitava più lui si permetteva di sentirsi voluto. Il suo primo orgasmo lo lasciò senza fiato. I loro corpi luccicavano di sudore. Rimasero abbracciati, scivolando in un sonno esausto. Ma fecero ancora l'amore quella notte, come se non riuscissero a saziarsi l'uno dell'altra. L'alba era ancora lontana. «Sono felice con te, Lorraine Page», sussurrò lui. «E io sono felice con te, Robert Caley», rispose lei con un sorriso, appoggiandosi su un gomito e scrutando il suo viso bellissimo. «Era da tanto che non mi sentivo così». Lui rise dolcemente. «E io non credevo che avrei mai più potuto sentirmi così, amore mio». «Davvero?», chiese lei scherzosamente. Caley l'attirò a sé. «È come se per la prima volta fossi stato con una donna che non vuole fare stupidi giochetti perché...». La baciò sulle labbra. «Perché non ne abbiamo bisogno. E soprattutto perché io non voglio. Detto questo, qual era l'ultima posizione?».
Lei scoppiò a ridere, accarezzandogli il viso nella semioscurità. «Rinfrescami la memoria». Rooney guardò il grande casinò galleggiante, pieno di luci come un albero di Natale. Le lanterne del battello proiettavano riflessi dorati sulle acque scure del Mississippi. «Potremmo farci un salto una di queste sere», propose Rosie. «Non sarebbe male, non sono mai stato in un casinò». Continuarono a passeggiare. Si tenevano a braccetto e Rosie ora si sentiva completamente a suo agio. «Sai, secondo i giornali almeno due di questi casinò galleggianti sono andati in bancarotta. Infatti...». Rooney si fermò e si guardò attorno. «Non dovremmo essere lontani dal terreno su cui Caley vuole costruire il suo casinò». Rosie fece per tirare fuori dalla borsa la piantina della città, ma Bill le prese la mano e se la rimise sotto il braccio. «Cominceremo a lavorare domani, forse adesso dovremmo tornare in albergo». «Per me va bene». Lui sogghignò. «Mi sono divertito moltissimo stasera, Rosie. Il ristorante era fantastico, si respirava la vera aria del sud. Non so perché Niclc se ne sia andato così, razza di bastardo asociale». «Sono contenta che se ne sia andato», disse Rosie mentre riprendevano a camminare. «Anch'io», borbottò Rooney, stringendo ancora di più il braccio attorno a quello di Rosie. «E così una volta eri sposata, giusto?». «Sì, e avevo anche un figlio, ma è meglio che mi dimentichi di quella parte della mia vita. Non dico mio figlio ma, sai, Bill, sono stata un disastro come madre. Bevevo e loro si sono trasferiti in Florida, mio marito si è risposato, un po' come è successo a Lorraine con il suo ex, che si è risposato e ora le figlie hanno una nuova madre, proprio come mio figlio. Ma un giorno, be', spero che un giorno venga da me così potrò spiegargli che, nonostante tutto quello che ho fatto, non ho mai smesso di amarlo». «Mi sarebbe piaciuto avere un figlio», disse Rooney cupamente. «Magari potremmo tornare verso quei grandi alberghi, non dev'essere difficile trovare un taxi lì», disse Rosie, come se gli avesse letto nel pensiero. Fecero dietrofront e continuarono a camminare tranquillamente, senza fretta. «Ci pensi mai?», domandò Rooney.
«A cosa?». «A rifarti una famiglia». Lei si fermò e lo guardò. «Ci penso continuamente, Bill, ma ormai ho quarantadue anni...». Un taxi libero comparve in fondo alla strada e Rooney la interruppe per correre a fermarlo. «Come si chiama il nostro hotel, Rosie», le gridò lui. «St. Marie», rispose lei, mentre Rooney apriva la portiera del passeggero. Il tassista annuì, e stava per fare un'inversione a U quando Rooney gli chiese: «Siamo lontani dal vecchio Centro Congressi?». «No, saranno un paio di minuti». Rooney guardò Rosie. «Ti spiace se ci passiamo un attimo?». «Non c'è problema, Bill». «Ehi, amico, hai sentito parlare di un nuovo casinò che dovrebbero costruire da queste parti?», domandò Rooney al tassista. «So che ci stanno pensando. Questi ricconi continuano a dire che grazie a loro molta gente riuscirà a trovare lavoro ma secondo me sono tutte stronzate. Si servono sempre di gente che viene da fuori perché quelli di New Orleans non hanno abbastanza classe, è questo che dicono, non sono abbastanza intelligenti neanche per mescolare un mazzo di carte. Ma sono dei corrotti, tutta questa città è corrotta e so quello che dico, mio cugino è uno sbirro». «Ma non mi dire», fece Rooney sporgendosi in avanti. Nick si era allontanato più di quanto avrebbe voluto: aveva seguito la Dauphine per un po', felice di lasciarsi alle spalle le luci sfavillanti dei locali, poi aveva girato a sinistra in un punto imprecisato della strada. Il bar da quattro soldi che aveva scelto ora cominciava ad annoiarlo; un tempo doveva essere stato un locale di striptease e aveva ancora dei neon rosa che facevano sembrare più giovani le ragazze malridotte dalla carnagione grigiastra che si esibivano, e il palco era tappezzato di specchi. Dal soffitto pendevano vecchi cavi elettrici, le pareti erano ricoperte da poster malconci che dovevano risalire agli anni Settanta e persino la luce rossa non riusciva a nascondere la sporcizia e la trascuratezza di quel posto. Alcuni ragazzi stavano giocando al videopoker, mentre un attempato quartetto di musicisti jazz suonava con una vitalità sorprendente, sotto le vecchia sfera a specchi.
La musica non era male ma Nick ne aveva abbastanza, così fece cenno alla cameriera di portargli il conto. Due ragazzini cominciarono a insultare un vecchio di colore che sedeva al bancone del bar. Aveva suonato un pezzo con la band dimostrandosi un ottimo trombonista. Quando aveva suonato, il locale aveva preso vita. Uno dei ragazzi gli diede uno spintone e il vecchio barcollò pericolosamente sullo sgabello. Nick li tenne d'occhio mentre apriva il portafogli e pagava la cameriera che sembrava più interessata alla sua mancia che alle sorti del jazzista. Adesso i due ragazzi, entrambi di colore, stavano urlando. «Amico, noi ti abbiamo pagato, vogliamo la roba, sei in debito con noi». Il barman andò verso il telefono, osservando la scena con aria preoccupata. I ragazzi si misero a sbraitare ancora più forte. Nick era quasi arrivato alla porta quando comparve la pistola. Di colpo, il locale si fece silenzioso. Tutti rimasero immobili. «Ti faccio saltare quella cazzo di testa». La canna della pistola era premuta contro la fronte del musicista. Nick sapeva che l'unica cosa sensata da fare sarebbe stata andarsene. Ma quel vecchio trombonista gli faceva pena. «Ehi, moccioso, datti una calmata». Il ragazzo si voltò agitando la sua Magnum e, quando gli si avvicinò, Nick si accorse che era fatto e completamente fuori di testa. «Stai parlando con me, figlio di puttana? Non ti immischiare, non sono cazzi tuoi». Nick si avvicinò ancora di più. «Mi stai minacciando?». «Vuoi che ti faccia saltare in aria quella cazzo di testa, amico?». Nick si fermò proprio alle spalle del musicista, che stava tremando incontrollabilmente. «Ragazzo mio, ti consiglio di mettere via quel giocattolo e darti una calmata, perché stai rovinando l'atmosfera di questo allegro locale». «Sei uno sbirro?». «No, sono solo uno che sta cercando di divertirsi». Nick sorrise, poi si mosse. Fu veloce. Sferrò un pugno all'inguine del ragazzo, gli agguantò un braccio e glielo girò dietro la schiena con violenza. «Lascia la pistola...». L'arma cadde sul pavimento. Nick l'allontanò con un calcio ma nessuno si azzardò a toccarla. «Va' a prendere quella pistola del cazzo, amico», disse Nick al vecchio, che scese dallo sgabello, appoggiò il suo strumento sul bancone del bar, e si chinò a raccogliere la Magnum. «Okay, va tutto bene, adesso. Voi due bambini ve ne andate e cercate di
calmarvi». Nick allontanò il ragazzo con uno spintone, facendolo cadere lungo disteso sulla schiena. Il suo amico lo aiutò a rimettersi in piedi, e lui gridò fumante di rabbia: «Te la faccio pagare, figlio di puttana!». I due ragazzi corsero fuori continuando a urlare minacce, mentre Nick aiutava il vecchio musicista a sedersi sullo sgabello. «Tutto bene?». «Certo, fratello. Ti va una birra?». Nick non ne aveva voglia ma annuì comunque. Il barman fece sparire la pistola e mise una birra ghiacciata sul bancone. Il trombonista si voltò verso i suoi colleghi: «Allora, avete perso l'ispirazione?». La band ricominciò a suonare, e il bar si riempì nuovamente di musica e di chiacchiere. Il vecchio jazzista ordinò al barman di offrire da bere a tutti. Poi si voltò a guardare Nick e sorrise mettendo in mostra quattro denti d'oro, due sopra e due sotto. «Questo posto è mio, è il mio bar, tu chi cazzo sei?». «Nick, Nick Bartello». La mano nodosa del musicista strinse quella di Nick. «Io mi chiamo Fryer Jones. Hai fatto proprio un bel lavoro, sei uno sbirro?». «Lo ero, molto tempo fa». «Ah», disse Fryer e bevve una lunga sorsata di birra. «Qual era il problema?». Il vecchio gli indicò il suo trombone. «Niente di serio. Capita spesso, quando questi ragazzini si drogano perdono completamente la testa. Devo pagare certa gente per farmi proteggere e, come vedi, questo posto non è esattamente una miniera d'oro. Se chiediamo aiuto ai poliziotti, quelli ci spillano ancora più soldi. Certe volte lasciamo che facciano un po' di casino nel locale, la cosa non mi turba, ormai ho una certa età». Nick finì la sua birra e il barman gliene mise subito un'altra davanti. «E se si scaldano troppo, come fai a tenerli a bada?». Il vecchio ridacchiò. «Per uno che non è uno sbirro, fai proprio un sacco di domande. Che cazzo ci fai da queste parti?». «Sono stato assunto per rintracciare Anna Louise Caley». Fryer fece schioccare le labbra. «Ah, la piccola Caley, ne hanno parlato tutti i giornali». «Allora sai di cosa parlo». Nick non si sarebbe mai aspettato una risposta così diretta.
«Conosco sua madre, tutti conoscono Elizabeth Caley, amico. E se posso darti un consiglio...». «Certo che puoi», disse Nick. Cominciava a trovare simpatico quel vecchio musicista. «Leva le chiappe da questa città o ti fari molto male». «Perché?». «Come ti ho detto, sono già venuti in tanti prima di te». «In questo bar?». Fryer ridacchiò, scuotendo la testa. «No, amico, la città si sta arricchendo, parlo di milioni di dollari, ma saranno in pochi a metterci le mani sopra... e le acque stanno diventando sempre più torbide. Se cercherai di agitarle, ti ritroverai in guai seri, anzi forse ti sei già messo nei guai stasera. Quei due ragazzi... hanno delle amicizie pericolose». «Be', loro non mi sembravano tanto pericolosi». Nick finì la sua birra. «Niente è come sembra da queste parti, e io ti sto solo dando un consiglio da amico. Ora scusami, ma devo tornare dalla band. Mi piace tenermi in esercizio». Nick scese dallo sgabello mentre Fryer si toglieva una collana fatta di cuoio e piccole ossa di animali. «Tieni, fratello, mettitela. Aiuta a tenere lontano il male, queste cose funzionano, credimi. Buona fortuna». Fryer guardò Nick uscire dal locale, poi si voltò verso il barman sollevando un sopracciglio. «Pazzo, figlio di puttana», fece un cenno a un ragazzo che stava bevendo da solo in fondo al bar, che si alzò immediatamente e seguì Nick fuori dal locale. Il barman mise la bottiglia vuota di Nick in una cassa sotto il bancone. Accanto alla cassa, c'era un fucile a doppia canna: se Nick Bartello non fosse intervenuto per aiutare Fryer, quei due ragazzi avrebbero fatto una brutta fine. Ma lui non doveva saperlo, Fryer Jones era vecchio e aveva dovuto prendere diverse precauzioni per arrivare vivo a quell'età. Nel locale c'erano diversi uomini che sarebbero stati pronti a intervenire ma Fryer era solito occuparsi da solo di certe faccende e gli altri, salvo contrordini, lo lasciavano fare. «Sta cercando la piccola Caley», disse Fryer e si strofinò leggermente il trombone sul davanti della camicia sporca. Il barman lavò qualche bicchiere e osservò con distacco il locale che si stava riempiendo. Non succedeva quasi mai niente prima di mezzanotte, quando arrivavano molti habitué che lavoravano in altri club e ristoranti. Alcuni musicisti che avevano eseguito vecchie canzoni per tutta la sera, avevano bisogno di suonare libera-
mente e venivano a farlo al bar di Fryer Jones. Quelle sessioni erano quasi un rituale notturno e diverse puttane venivano a farsi qualche birra e a ballare prima di tornare a casa esauste. Fryer raggiunse il piccolo palco con le vecchie sedie di plastica e un microfono e un impianto di amplificazione del 1956. Diede qualche pacca sulle spalle agli altri musicisti, poi si fermò vicino a una ragazza nera che aveva i capelli raccolti in treccine decorate con perline di metallo. Aveva gli occhi chiusi, si faceva aria con un giornale arrotolato. Indossava un abito sottoveste di finto satin da quattro soldi, che aderiva al suo giovane corpo acerbo, mettendo in mostra invece di nascondere i suoi piccoli seni dai grandi capezzoli scuri. «Ciao, Sugar May, tua madre sa che stai fuori fino a tardi?». «Sì, lo sa, voglio fare la cantante, Fryer, e mia madre sa benissimo che sto sempre da queste parti. Non che le interessi». «Mmm, avevi detto che saresti andata a stare con tua zia a Los Angeles, che avevi bisogno di un paio di centoni, allora come mai non stai cantando in uno di quei club a Hollywood?». Sugar May scrollò le spalle. «Mio fratello Raoul si è preso i miei soldi, Fryer, e si prenderebbe ben altro se non tenessi le gambe ben chiuse. È via da qualche settimana, ormai. Allora, mi lasci cantare?». Fryer si guardò attorno, poi avvicinò il viso a quello di Sugar May, le afferrò le trecce e le tirò la testa all'indietro. «Di' a tua madre che se mi manda i suoi ragazzi per provare a spremermi, le ficcherò il trombone su per il culo. È stata una cosa molto stupida, mi hai sentito ragazzina?». «Non sapevo che sarebbero venuti i miei fratelli, Fryer, erano solo fatti». «Mi hanno insultato, mi hanno minacciato con una pistola davanti ai miei clienti, Sugar May, e uno dei due veniva da fuori». «Glielo dirò, Fryer, davvero, dicevo sul serio quando ti ho detto che voglio andare da zia Juda, non stavo mentendo». Fryer la lasciò andare. «Dille anche che il tizio che era qui sta cercando Anna Louise Caley e che ha l'aria di uno che non si arrende facilmente. Era qui, capito? Forse sa qualcosa. E adesso alza quel tuo bel culetto e vattene a casa». Sugar May si allontanò spaventata, i grandi occhi marroni sgranati, mentre il vecchio saliva sul palco. Non le andava più di cantare ma aveva una gran voglia di trovare quei due stupidi bastardi che si erano fatti vedere al locale quella sera e di raccontare tutto a sua madre.
Nick Bartello si lasciò cadere su uno dei molti letti della sua camera d'albergo, senza nemmeno svestirsi o togliersi l'amuleto di Fryer che aveva ancora attorno al collo. Gli piaceva quell'affare, gli ricordava i suoi giorni da hippie. Non si era accorto che era stato seguito fin dal momento in cui aveva lasciato il bar di Fryer. Edith Corbello, la sorella di Juda Salina, una donna che pesava più di novanta chili, stava dormendo davanti al televisore. Viveva in una vecchia casa a un piano, col tetto incurvato e la facciata rovinata e scrostata. C'era anche una piccola veranda dal pavimento sconnesso, ma Edith si sedeva fuori di rado - non era molto divertente guardare lo spiazzo desolato pieno di erbacce e spazzatura o il vecchio magazzino abbandonato che si poteva vedere in lontananza. Preferiva starsene in casa, a sognare. Si svegliò di soprassalto quando Sugar May la scosse. «Fryer è incazzato nero, mamma. Stasera Willy e Jesse sono stati al bar e lo hanno minacciato con una pistola. Mi ha detto che c'era anche un tizio che faceva domande su Anna Louise Caley e che aveva l'aria di essere un osso duro». Edith Corbello si alzò sui grandi piedi piatti, le caviglie gonfie che quasi le nascondevano i talloni. Indossava delle vecchie ciabatte sporche, l'unica cosa che riusciva a infilare ai piedi. «Devo dare una bella lezione a quei due. Questa volta non se la caveranno tanto facilmente». «Erano strafatti, mamma», aggiunse Sugar May, quasi allegramente, ed Edith le diede una sberla sulla testa. «E tu dovresti essere a letto a quest'ora, muoviti. Muoviti!». Edith ciabattò fino alla porta ed entrò nell'atrio immerso nell'oscurità. Oltrepassò la porta chiusa del suo «studio», e si diresse in cucina. La stanza era sudicia, le pareti erano sporche di unto, vecchi cartoni del takeaway, bottiglie di birra vuote e avanzi maleodoranti si erano accumulati sul pavimento. Mise in funzione il rumoroso ventilatore a pale del soffitto e spalancò la porta sul retro. Willy e Jesse erano stravaccati uno su un'amaca e l'altro sui sedili posteriori della carcassa di una vecchia auto. Edith si mosse velocemente nonostante la stazza. Prese una scopa che sbatté prima sulla testa di Jesse e che poi usò per far cadere Willy dall'amaca. «Vi darò una bella lezione, vi avevo avvertiti. Mi hanno detto che siete stati da Fryer e che non eravate armati solo delle vostre belle boccucce da idioti!». Edith calò nuovamente la scopa, colpendo Jesse in un occhio. Il ragazzo
lanciò un urlo di dolore, mentre Willy cercava di sfuggire alla furia di sua madre. Ma lei gli sbatté la scopa sulla testa e lui cadde in ginocchio tenendosi il capo tra le mani. Edith ansimava affannosamente e aveva agli occhi fuori dalle orbite, mentre il sudore le colava lungo il corpo. «Adesso voi due andate in cucina e cercate di renderla presentabile. Poi venite da me nello studio. Dovrete comportarvi bene con Fryer o, che Dio mi assista, vi farò mangiare le viscere da un serpente e sapete benissimo che non faccio mai minacce a vuoto. Muovetevi!». Si lasciò cadere su un sedile della vecchia auto e gettò via la scopa. Da quando Raoul se n'era andato, aveva dovuto sorbirsi quei due e ora ne aveva abbastanza. Certe volte si infuriava al pensiero di Juda. Mentre sua sorella faceva tutti quei soldi, lei viveva ancora in una baracca con quattro figli. Cominciava a rimpiangere di aver conosciuto quella ricca puttana di Elizabeth Caley. CAPITOLO 11 Lorraine fu svegliata dalla luce del sole che filtrava attraverso le morbide tende della suite. Per un attimo, non riuscì a ricordare dove si trovava ma poi vide Robert Caley. Si era già fatto la doccia e si era già rasato. «Che ore sono?», mormorò lei. «Le sette». Si avvicinò a un armadio, soltanto un asciugamano attorno alla vita, scelse una camicia, un completo e una cravatta, e li appoggiò su un'elegante sedia dallo schienale alto. Lorraine si tirò su a sedere e sbatté le palpebre. Lui si voltò e sorrise. «Se non fosse per quella cicatrice, quando dormi, sembreresti una bambina di dieci anni. Come diavolo te la sei fatta?». Lorraine si avvolse nelle lenzuola. «Oh, dev'essere stato in qualche bar. Farei meglio a tornare nella mia stanza, adesso». «Non c'è fretta. Vuoi che ordini la colazione». Lorraine lo guardò socchiudendo gli occhi. «Credi che sia una buona idea?». Lui scoppiò a ridere e lasciò cadere la salvietta per infilarsi gli slip; sembrava completamente a suo agio con il suo corpo. «Forse no, ma puoi ordinarla dalla tua stanza e poi potremmo fare colazione insieme». Lei lo guardò mentre si infilava i pantaloni. «Ho una riunione alle otto». Lorraine si sedette sul bordo del letto e lui le si avvicinò chinandosi per
baciarla sulla fronte. Poi fece scorrere dolcemente le dita sulle cicatrici che aveva sulla schiena e sulle braccia. «Com'è successo?». Lorraine si ritrasse. «Be', a un certo punto non mi importava più di vivere. Alcune me le sono fatte da sola, altre...». Robert le prese il viso tra le mani. «Qualunque cosa ti sia successa, tesoro, è finita. Ora sei con me». Lei lo guardò fisso, cercando di capire cosa stesse pensando. «Ma quelle cose sono successe, Robert, che mi piaccia o no sono stata un'ubriacona». Lui la baciò, tenendola stretta. «Ma ora non lo sei più, Sei la mia meravigliosa Lorraine e non dimenticherò tanto facilmente questa notte». «Neanch'io», replicò lei dolcemente, sperando che Robert tornasse a letto e ricominciasse a fare l'amore con lei. Per un attimo, ebbe l'impressione che anche lui lo volesse poi il telefono cominciò a squillare e lui andò a rispondere. «Ciao, Phyllis. No, no, sono già vestito. Come sta Elizabeth?». Lorraine raccolse la sua vestaglia dal pavimento e se la mise sulle spalle. Robert era voltato dall'altra parte. «Davvero? Bene. Allora, dille che le telefonerò più tardi». Si girò a guardare Lorraine mentre premeva il tasto della linea 2 per prendere un'altra chiamata. «Era Phyllis, mi ha detto che Elizabeth sta bene. Forse resterà in clinica per una settimana». Tornò alla sua chiamata, i suoi modi ora bruschi e professionali. «Quando? Era fissata per le otto di stamattina... cosa? Cazzo, okay, no, posso farcela. Richiamalo e digli che arrivo. Grazie, Mark». Riappese ed emise un lungo sospiro. «Lloyd Dulay vuole che ci vediamo a casa sua, quindi dovrò muovermi alla svelta. Mi lasci il numero del tuo hotel?». Lei annuì. Lui finì di vestirsi e si mise un paio di occhiali da sole. «Ci sentiamo dopo». Le diede un bacio sulla guancia e uscì. Tornata nella sua suite, Lorraine andò a sedersi sul balcone. Cosa diavolo credeva di fare? Doveva essere impazzita; nonostante ciò che era accaduto quella notte, non poteva fare a meno di sentirsi depressa e sfinita. Ordinò una caraffa di caffè nero, ne bevve tre tazze e fumò due sigarette prima di cominciare a prepararsi. Tornò nella suite di Robert Caley. Con sua grande sorpresa, la stanza era già stata pulita e il letto rifatto. Non c'era traccia della loro notte insieme: era come se non fosse mai accaduto niente. Andò allo scrittoio per lasciargli il numero di telefono del suo hotel, abbassò la ribaltina e fu allora che
vide alcuni documenti impilati ordinatamente e un fascicolo con la scritta «SVILUPPO CASINÒ» stampata sulla copertina. Si domandò se Caley se lo fosse dimenticato per la fretta; lo aprì e vide Centro Congressi Rivergate, il luogo dove avrebbe dovuto sorgere la casa da gioco, sottolineato tre volte. Lorraine prese il fascicolo e tornò nella sua camera. Cominciò a prendere appunti. Alcune di quelle informazioni erano sconcertanti. Oltre millesettecento metri quadrati dedicati al gioco d'azzardo, duecento tavoli, seimila slot machine e una proiezione di cinque milioni e mezzo di clienti l'anno. Una spesa complessiva di centosette milioni di dollari per gli stipendi. I finanziamenti elencati erano altrettanto incredibili: centosettanta milioni di capitale netto, quasi cinquecento milioni in obbligazioni, oltre centoquaranta milioni di credito bancario, e così via fino al totale che superava di molto gli ottocento milioni di dollari. Il documento elencava tutte le spese, comprese quelle per i parcheggi, l'attrezzatura e il materiale per il gioco, le tasse statali, le tasse comunali, gli interessi. Notò che il totale delle spese superava quasi il capitale a disposizione. Infine il margine di profitto dell'intera operazione era di circa centoventi milioni di dollari. Nelle pagine successive, c'era un resoconto dettagliato delle proposte di quello che probabilmente era il consorzio rivale, il Doubloons, costituito da nove cittadini ricchi della Louisiana che sembravano ansiosi di diventare ancora più ricchi: non c'era da meravigliarsi se Caley era così preoccupato riguardo la concessione. Lorraine notò che erano stati spesi più di quaranta milioni di dollari per ottenere la concessione in uso del terreno dove sarebbe stato costruito il casinò, e si chiese se fosse stato Caley a sborsare tutti quei soldi. In quel caso, non solo doveva essere molto ricco ma si stava veramente spingendo al limite delle sue possibilità. Lorraine riportò il fascicolo nella stanza di Caley e non riuscì a resistere alla tentazione di aprire tutti gli altri cassetti dello scrittoio. Trovò la sua licenza di agente immobiliare, l'indirizzo del suo ufficio di New Orleans, i progetti per lo sviluppo di nuovi hotel, soprattutto nella zona del lungofiume, e alcuni documenti che riguardavano un hotel di proprietà di Robert ed Elizabeth Caley. Anche se lui le aveva detto che sua moglie non aveva niente a che fare con i suoi affari, il nome di Elizabeth compariva su diversi atti di vendita. Ma la cosa che Lorraine trovò ancora più sconvolgente fu un documento a nome di Anna Louise Caley. Era chiuso con un sigillo di ceralacca e un nastro rosso e conteneva i dettagli sul fondo fiduciario di Anna Louise. Usando un tagliacarte riscaldato sull'accendino, Lorraine riu-
scì ad aprire il sigillo senza romperlo. Il pesante documento redatto su carta gialla era fragile e spiegazzato. Lorraine rimase senza fiato: nessuno le aveva mai parlato del fondo fiduciario per Anna Louise Caley che ammontava a quasi cento milioni di dollari. Quel denaro sarebbe stato amministrato da sua madre finché Anna Louise non avesse compiuto ventun anni e, in caso di morte della ragazza, sarebbe passato automaticamente a Elizabeth Caley. Rooney aveva indossato un completo che non metteva da tempo ed era rimasto sorpreso nello scoprire che gli andava ancora bene. I pochi chili che aveva perso lo facevano sentire meglio. «Oh, ma sei elegantissimo», commentò Rosie quando Bill la raggiunse al ristorante di fronte al St. Marie. Rooney arrossì. «Ti ricordi il nostro patto? Dieta sospesa mentre siamo qui». «Certo, sono assolutamente d'accordo. Finché non torniamo a Los Angeles possiamo mangiare tutto quello che vogliamo». Rooney applaudì sogghignando. «Magnifico, qui hanno dei pancake deliziosi. Nick e Lorraine arriveranno tra poco». Nick non aveva smaltito completamente la sbronza, indossava i vestiti con cui aveva dormito e aveva un paio di occhiali da sole. Ascoltò mentre Lorraine lo metteva a parte delle sue ultime scoperte. Guardando Rosie e Rooney che mangiavano pancake con sciroppo d'acero, Lorraine si rese conto di essere affamata. Non aveva mangiato niente da quando aveva cenato sull'aereo di Caley. Ordinò uova strapazzate e salmone affumicato, cosa che fece sentire Nick ancora peggio. «Come hai fatto a scoprire tutte queste cose?», le domandò Rooney con la bocca piena. «Sono stata nello stesso hotel, nella stessa stanza da cui è scomparsa Anna Louise. Quando sono andata a ringraziare il signor Caley, lui se n'era già andato». «E come hai fatto a entrare se lui non c'era?», volle sapere Nick. «C'è una porta comunicante tra le due suite e io avevo la chiave. Caley aveva appuntamento con Lloyd Dulay». Nick si versò un'altra tazza di caffè. «E così hai passato la notte nella stanza accanto a quella di Caley?». Lorraine annuì. «Già. Ho accettato la sua offerta per poter interrogare il personale, quindi piantala con le tue insinuazioni, Bartello. Cos'è questa schifezza che hai attorno al collo?».
«È un gris-gris». Si sporse verso Lorraine. «Che cos'hai sul collo, dolcezza? Sei stata morsa in quel bell'hotel?». Prima che Lorraine potesse rispondere, Nick si alzò e lei si tirò su il colletto della camicetta. «Mi ha punta una zanzara. Devo essere stata una vera delizia per quella piccola bastarda». «Ti do qualcosa da metterci sopra», disse Rosie. Aveva portato un kit di pronto soccorso che conteneva ogni medicinale possibile. «Non è niente, non ci pensare». Rooney si stava grattando la caviglia, sicuro di essere stato punto a sua volta. «Credo che quella piccola bastarda abbia appena preso anche me. Fa un caldo incredibile ed è solo gennaio. Dio solo sa come dev'essere da queste parti in piena estate». «Be', io spero che dovremo trattenerci solo pochi giorni», disse Lorraine, in tono scontroso dato che nessuno sembrava prestare molta attenzione a ciò che aveva scoperto. Anzi, sembravano accettare tutto come se fossero già sicuri della soluzione - Robert Caley era ancora il loro sospetto numero uno! «Devo andare adesso, ci vediamo più tardi nella mia stanza. Mi fa sentire come se fossi Biancaneve e, tra parentesi, Rosie, ha circa cinque letti». Rosie cominciava a essere infastidita da tutte le loro lamentele per le camere. «Ascolta, se pensi di poter trovare di meglio, fai pure, ma è Mardi Gras e non c'è un buco libero». «Non prendertela, dicevo così per dire». Rooney tirò su col naso. «Se ci troviamo a corto di soldi, possiamo sempre dormire tutti in un'unica stanza e magari subaffittare le altre. Vuoi ancora caffè?». Lorraine finì la sua tazza e annuì. «Torno subito». Andò in bagno e Rooney fece segno alla cameriera di portare un'altra caraffa di caffè fresco. «Dov'è Nick?». «Sarà andato a cambiarsi, non lo so», rispose Rosie, irritata. «Ma si può sapere cos'avete tutti stamattina?», chiese lui, disorientato. «Io ero assolutamente di ottimo umore quando sono scesa per fare colazione», ribatté Rosie bruscamente. «Non fare caso a Lorraine, dopotutto te l'abbiamo detto anche noi che avevamo abbastanza letti per farci dormire una squadra di basket». Rosie diede un pugno sul tavolo.
«Be', allora possiamo anche andarcene e uno di voi può cercare un'altra sistemazione per tutti e quattro. Ho passato un sacco di tempo a trovare un albergo decente, e nessuno mi ha nemmeno detto grazie, che schifo». Rooney le accarezzò la mano. «Andiamo, stavamo solo scherzando e poi, chissà, uno di noi potrebbe anche essere fortunato». «E questo che cosa significa?», ringhiò lei. «Potrebbe anche aver bisogno di più di un letto! Stavo solo scherzando, dolcezza». «Be', non lo trovo divertente, e mette in crisi la mia fiducia in me stessa. Tutti voi lavorate da tanto tempo in questo campo, ma io no e mi fate sentire inadeguata». «Mi dispiace, Rosie, ma sai, potresti anche considerarlo un complimento. Gli sbirri scherzano sempre tra di loro. Se ti trattassi in modo diverso, allora dovresti preoccuparti». Lei arrossì e d'improvviso sorrise. «Davvero?». «Certo. Allora, vuoi dell'altro caffè?». Rosie annuì. Si sentiva molto meglio ora, come sempre quando era con Rooney. Lui le stava restituendo la sicurezza in se stessa, soprattutto come donna, in modi che non avrebbe mai creduto possibili. All'inizio del secolo, la residenza dei Dulay, una costruzione in stile vittoriano con torri e torrette gotiche e un patio tra il moresco e lo spagnolo, poteva anche essere stata considerata un ibrido volgare e ostentato, ma era costata una fortuna e a Lloyd piaceva sottolineare il fatto che non c'era nulla di aristocratico nella sua famiglia: avevano avuto i soldi allora e li avevano adesso. Robert Caley percorse il lungo viale costeggiato da grandi querce secolari della proprietà di Lloyd e osservò i molti giardini voluti dai Dulay: quello formale e quello artificiosamente selvaggio, quello fiorito e quello ornato da fontane e giochi d'acqua. Lo sterminato terreno di Lloyd si trovava in una posizione straordinaria, tra il fiume e le rive del lago, che risplendeva come velluto verde anche quando le proprietà circostanti erano brulle e grigiastre. Suonò alla porta e una cameriera in uniforme lo condusse oltre l'atrio pieno di bronzi alti fino alla vita dei cani e dei cavalli preferiti dei Dulay, fino alla sala della colazione. Caley non finiva mai di
sorprendersi sia del pessimo gusto di Lloyd che della sfrontatezza con cui lo esibiva: le decorazioni di intonaco e legno che costellavano la casa erano spaventosamente pesanti e Lloyd aveva deciso di smorzare l'oscurità della sala della colazione dall'incombente soffitto a pannelli commissionando una serie di moderni murales in cui ninfe e satiri neoclassici facevano capolino da una fitta vegetazione. C'era qualcosa di lascivo in quelle immagini e Caley si domandò se la giovane dea creola, che indossava abiti da fanciulla francese e che stava servendo il caffè a Lloyd seduto al lungo tavolo di mogano, non fosse per caso stata la modella di uno dei nudi voluttuosi a cui somigliava in modo così sospetto. Il tavolo era apparecchiato per una sola persona: i grandi piatti georgiani chiusi da coperchi d'argento erano posti di fronte a una scultura astratta di perspex colorato che serviva da centrotavola. A Lloyd piaceva considerarsi un collezionista d'arte moderna ma il suo zelo riformatore non aveva ancora raggiunto i sessanta metri di lucido cinz con cui sua nonna aveva decorato le grandi finestre di quella stanza né l'immenso lampadario di cristallo in stile anglo-irlandese che pendeva dal soffitto arrivando quasi a sfiorare la scultura di plastica. L'effetto era a dir poco grottesco. «Solo caffè», disse Caley, e la bellissima cameriera annuì impercettibilmente. Aveva gli zigomi ampi e la pelle color caffelatte, il naso piccolo e delicato e gli occhi a mandorla. La pesante porta si spalancò e Lloyd Dulay fece il suo ingresso. Aveva i capelli bianchissimi pettinati all'indietro, era alto quasi un metro e novanta e, nonostante i suoi settant'anni, aveva ancora un'aria atletica. Era un uomo formidabile e quando era con lui Caley si sentiva in soggezione. «Siediti, ragazzo, mi dispiace per questo cambiamento dell'ultimo minuto ma stavo facendo una partita a golf che non potevo proprio interrompere. Ho fatto cinque birdie, cinque. Grazie, Imelda, tesoro». Dulay sfiorò la cameriera con la sua grande mano e lei sorrise, gli occhi bassi, splendida e quasi troppo timida. Caley sapeva che molto probabilmente quella ragazza era l'amante di Dulay che era celebre per tenerle «in casa», e forse in quel caso, voleva sfoggiarla ai suoi ospiti. «Come sta Elizabeth?», chiese Dulay, mettendosi sul piatto una generosa porzione di melone Charentais con mirtilli. «Sta bene, grazie. Tornerà a casa dalla clinica tra qualche giorno». «Lo spero sinceramente. Il Carnevale non sarebbe lo stesso senza di lei e quest'anno abbiamo organizzato cose molto divertenti». Lloyd cominciò a parlare delle grandi feste e dei balli in maschera che i
diversi krewe - così venivano chiamate le organizzazioni che si occupavano del Carnevale - stavano preparando, del nuovo Re del Carnevale e della giovane di buona famiglia che sarebbe stata presentata come sua Regina. Poi, sempre seduto sul suo trono, gli raccontò di quando sua figlia era stata presentata come fanciulla del Re, la sua voce che rimbombava nella grande stanza cavernosa. «Saffron era più bella che mai quel giorno. Credimi, Robert, quella ragazza avrebbe potuto scegliere qualunque uomo avesse voluto, li aveva tutti ai suoi piedi. Sai, le ho persino offerto, offerto, dieci milioni di dollari se fosse rimasta sposata abbastanza a lungo da darmi un erede. Questo è uno dei crucci della mia vita». Caley si mordicchiò il labbro inferiore. Non riusciva nemmeno a ricordare quante volte fosse stato in compagnia di quell'uomo volgare e prepotente, costringendosi ad ascoltare le sguaiate lodi di quella puttana di sua figlia. Certe volte si era persino domandato se, tra le righe, Dulay non avesse suggerito a Caley di scoparsi sua figlia - cosa che Robert e quasi chiunque altro aveva già fatto - ma non c'era modo di sapere se fosse o meno al corrente della reputazione di Saffron. Dulay era innamorato del suono della sua stessa voce, e non smise di parlare finché non ebbe finito di mangiare la frutta, il pasticcio di salsicce e i tipici biscotti del sud. Come se fosse stata chiamata telepaticamente, Imelda riapparve nella stanza e sparecchiò, e ancora una volta Caley vide la grande mano di Dulay accarezzare la cameriera. Era sicuro che se anche non aveva un erede legittimo, Dulay ne aveva diversi illegittimi. Si diceva che ne avesse circa dieci o undici. Dulay guardò la scatola dei sigari che Imelda gli stava porgendo. Ne scelse uno e lo annusò con il suo grande naso aquilino, poi lo porse alla cameriera che ne tagliò la punta. Poi Imelda gli portò un'antica bottiglia di profumo trasformata in accendino e se ne andò. Solo quando fu avvolto da un denso alone di fumo, Dulay fissò i suoi piccoli occhi blu ghiaccio su Caley. «Il sindaco si incontrerà con il governatore e con altri pezzi grossi a Baton Rouge questa settimana. Per come la vedo io, potrebbe anche risparmiarsi il viaggio - i veri problemi sono qui a New Orleans. Certa gente è refrattaria ai cambiamenti e li accetta soltanto quando se li trova sotto il naso, anche se sembra esserci qualcosa di vero in tutta quella storia della legge federale. O almeno è così che dice il mio avvocato». «Sono solo cazzate, Lloyd, e lo sai benissimo. Ci stanno provando».
«Robert, tu non mi stai ascoltando. È il ritardo. Non capisci che più andranno avanti a dirti che un giorno o l'altro ti concederanno l'autorizzazione, più le cose diventeranno difficili... e anche se cercherai di convincerli che non è con te che ce l'hanno, nessuno ti crederà». Caley si appoggiò allo schienale della sedia. Nonostante l'aria condizionata, era madido di sudore: sapeva che Dulay aveva sollevato quelle obiezioni soltanto per coprire la sua prossima mossa. «Allora hai deciso di tirarti indietro?», chiese nervosamente. «Diavolo, no, sono con te. Ma dovrai dimostrarmi che non ci sono solo io in questo affare». «In questo momento, Lloyd, sono io l'unico che c'è dentro fino al collo. È con i miei soldi che abbiamo preso il terreno. Fino ad ora tu non hai sborsato neanche un centesimo». Dulay lo fissò duramente, i suoi occhi sembrarono farsi ancora più piccoli. «No, Robert, tu hai il mio nome in questo progetto, mi capisci? E il mio nome, da queste parti, vuole dire molto». «Lo so, lo so... mi dispiace, ma in questo momento, Lloyd, mi stanno spremendo come un limone, lo sai». «Certo che lo so, a nessuno piace farsi prendere a calci nelle palle ma allo stesso tempo devi essere tu a fare la maggior parte del lavoro, a meno che non preferisca cedere qualche quota...». «Non ci penso neanche». «Forse non ora, forse nemmeno domani, ma credo che dovresti pensarci. Se finirai con il culo per terra, nessuno ti darà una mano a rialzarti, anche se la terra che hai comprato vale qualcosa». «Vale molto più di qualcosa, Lloyd». «Sicuro, ma potrebbe tenerti a galla se le cose non andassero per il verso giusto?». «Dipende da quanto tempo ci vorrà ancora. Che cosa ci fa il nostro amico Siphers a Baton Rouge». Lloyd scrollò le spalle. «Devono almeno fingere di discutere la proposta del Doubloons - devono stropicciare un po' le pagine del documento prima di buttarlo via». «Sei sicuro che il governatore lo farà?». Lloyd spinse indietro la sedia. «Più che sicuro. Questo è il tuo show, Robert. Sei tu quello che si è impegnato e si è imbarcato in un'impresa che tutti ritenevano impossibile. E i concorrenti che stanno cercando di soffiarci l'affare finiranno con un pugno di mosche».
«Allora, quando pensi che otterremo una risposta?». «Oh, da un momento all'altro, Robert, e tu sarai il primo a essere informato. Lo sai, il governatore è un mio buon amico», disse Dulay mellifluo. C'era qualcosa nei suoi modi che lo insospettiva, un'eccessiva gentilezza, ma Caley era troppo stanco per continuare a fargli domande. Così si alzò e si costrinse a sorridere. «Non vedo l'ora, Lloyd». «Puoi contarci», disse Dulay, e gli indicò la porta. La riunione era finita. Si fermò un attimo, mentre lo accompagnava nell'atrio dalle statue di bronzo. «Non hanno ancora trovato tua figlia?». Caley scosse la testa. «No, ma Elizabeth ha assunto un'altra agenzia e forse questa volta otterremo qualche risultato. Sembra gente molto in gamba». Lloyd sgranò gli occhi. «In gamba? Cristo santo, Robert, ma è tua figlia! Hai assunto della gente in gamba... Se si trattasse della mia bambina, non lascerei niente di intentato, mi rivolgerei ai migliori di tutti gli Stati Uniti». «Lo abbiamo già fatto», disse Caley con voce inespressiva. Dulay gli circondò le spalle con un braccio. Robert aveva la sensazione di essere schiacciato da un peso morto. «Sei sicuro di farcela? Col denaro, voglio dire». Caley annuì e l'uomo lo abbracciò. «Mi dispiace tanto per te e per la mia adorata Elizabeth, tutto questo dev'essere un inferno per lei». «Infatti». Caley voleva soltanto andarsene adesso ma Dulay continuava a tenerlo stretto. «Puoi contare su di me, Robert, parlo sul serio. Voi siete come una famiglia per me e il pensiero della tua bambina non mi fa dormire la notte. Queste agenzie, cosa credono che possa essere successo?». Caley si liberò dall'abbraccio. «Secondo loro potrebbe essere stata rapita, sai, dalla concorrenza, per impedirmi di aprire». «Stronzate, non è gente da fare questo tipo di giochetti. Gesù, conosco tutti i componenti del Doubloons, molti sono anche miei vecchi amici, e ti posso assicurare che sono tutti dei gentiluomini». «Perché non ti sei schierato dalla loro parte?», domandò Caley tranquillamente. Dulay scrollò le spalle e ricominciò a camminare. «Non me l'hanno chiesto... e mi piace che le cose mi vengano chieste. Non sono il tipo da correre dietro agli affari, sono loro che devono venire da me. Non mi impegno in niente se non mi si porta almeno un po' di rispetto». Guardò Ca-
ley dall'alto del suo metro e novanta. «Tu mi hai sempre rispettato, Robert, e questa è l'unica ragione per cui sono ancora con te in questo affare. Sei partito dal niente e questa è una cosa che ammiro. E poi voglio bene a tua moglie, ci conosciamo da tanto tempo e non vedo l'ora che arrivi qui a New Orleans. La mia casa è la vostra casa, lo sai, Robert». Caley si voltò a guardare la grande casa, simile a un gigantesco battello che navigava su un liscio oceano d'erba. Le parole vuote di Dulay gli riecheggiavano ancora nella mente. «La mia casa è la vostra casa, lo sai, Robert». Molto divertente. Era ovvio che Dulay voleva una fetta più grossa e stava aspettando come uno squalo il momento opportuno per proporgli una nuova ripartizione delle quote - sessanta per sé e quaranta per Caley. L'autista si diresse all'albergo. Caley chiuse gli occhi pensando a Lorraine e alla notte passata con lei. Non c'era da stupirsi che si sentisse così stanco. Ma voleva rivederla, aveva bisogno di vederla, perché si sentiva mancare la terra sotto i piedi. Nick tornò al tavolo di ferro battuto nero. Si era lavato, sbarbato e aveva messo dei vestiti puliti. Rooney stava prendendo appunti sul retro di una busta. «Dovrò andare a fare due chiacchiere con il fratello del tassista». «Davvero? Potresti aggiornarmi? Voglio dire, quale tassista e chi sarebbe questo fratello?». Rosie si sporse in avanti. «Siamo stati sul suo taxi ieri notte, Nick, e ci siamo fatti accompagnare nel posto dove Caley vorrebbe costruire il casinò. Quel tizio ha detto che suo cugino - non suo fratello, Bill - è uno sbirro e che tutti i poliziotti da queste parti sono corrotti». Lorraine sedeva, tenendo gli occhi chiusi, il viso rivolto verso il sole. «Okay, io invece tornerò nel bar dove sono stato ieri sera. Quel vecchio jazzista mi ha fatto capire che questa faccenda è piuttosto pericolosa». «Quale faccenda, esattamente?», chiese Lorraine senza muoversi di un millimetro. «Anna Louise Caley». Lorraine si voltò a guardarlo. «Continua». Nick scrollò le spalle. «Questo è tutto, mi ha soltanto detto di andarmene da New Orleans, e ora che ci penso la ragione non poteva "essere soltanto"...». Si sporse in avanti, accigliandosi. «...le 'acque torbide' di questa città - ha detto una cosa del genere... non so, ho la sensazione che sappia qualcosa. E tu, cos'hai deciso di fare?».
Lorraine sbadigliò. «Be', forse incomincerò a interrogare i soci d'affari di Caley e... ehm... come si chiama? L'amica di Anna Louise, insomma. Penso che avrò una giornata fin troppo piena». Controllò l'orologio. «Allora, che cosa ne dite se ci ritroviamo qui verso le sei?». Rosie guardò Rooney che stava ancora studiando i suoi appunti. «Se nessuno di voi ha qualcosa da farmi fare, andrei al Museo Voodoo». Rooney si infilò la busta in tasca e si alzò. «Vado a noleggiare un'auto, posso accompagnarti io, se vuoi, Rosie». «Oh, grazie. Ci vediamo dopo». Lorraine alzò una mano. «Aspetta un secondo, Rosie. Prima di andare, potresti prendermi appuntamento con i soci di Caley e con Tilda Brown?». Rosie annuì. «Certo, lo faccio subito. Tu pensa alla macchina, Bill, ci vediamo nella hall». Lorraine li guardò allontanarsi. «Stanno diventando molto amici, vero?». Nick si dondolò sulla sedia. «Già, è stato tremendo cenare con loro, ieri sera. Rooney che fa il timido e Rosie in preda all'entusiasmo non sono facili da sopportare, sai?». «Dici sul serio?», chiese Lorraine, scoppiando a ridere. «Già». Nick la guardò, desiderandola. L'istinto gli diceva che Lorraine aveva condiviso ben più della cena con Caley. «Cosa sei riuscita a scoprire dal personale dell'hotel di Caley?», le domandò. «Non molto. C'è solo una cosa che non era su nessuno dei rapporti che abbiamo letto: verso le otto, otto e mezza, la cameriera ha bussato alla porta della suite di Anna Louise. Ma nessuno ha risposto e così non ha potuto entrare a prepararle il letto perché fuori dalla porta era appeso il cartello Non Disturbare. Questo potrebbe significare che la ragazza se n'era già andata o...». «È una bella suite?». «Sì, molto bella». Lorraine avrebbe voluto togliergli gli occhiali, guardarlo negli occhi, perché le stava rivolgendo un sorrisetto veramente irritante. «Te lo sei scopato?». Lorraine prese la borsa e il taccuino. «Che genere di donna pensi che sia, Nick?». «Io correrei il rischio, ma dovrebbe proprio valerne la pena, giusto?». «Se lo dici tu».
Lei si alzò e quando passò accanto a Nick, lui le prese la mano. «Senza offesa». «Naturalmente, Nick. Però dacci un taglio con questa storia di me e di Caley, sta cominciando a darmi sui nervi». Lui si alzò e si avvicinò a Lorraine. «Comunque fa' attenzione. È ancora il nostro sospetto numero uno, giusto? E a maggior ragione adesso che hai scoperto la sua piccola eredità». Si tolse gli occhiali da sole. «È possibile che Caley abbia attinto al fondo fiduciario. Insomma, cento milioni di dollari fanno gola a chiunque, non ti pare?». Lorraine si sentiva confusa. «Già, ci ho pensato anch'io. Mi chiedo come potremmo scoprire se lo ha fatto veramente». Mentre entravano nella hall, Nick le circondò le spalle con un braccio. «Potresti semplicemente chiederglielo». Lei sospirò. «Già, ma se lo facessi lui capirebbe che ho frugato tra le sue carte. Non voglio spaventarlo, perché se abbiamo ragione...». «È davvero una brutta puntura di zanzara, sai? Dovresti metterci un antinfiammatorio». Infuriata, Lorraine si voltò a guardarlo e lui l'attirò a sé. «Non me le vendi queste cazzate, so benissimo che cos'è. Non me ne frega niente se te lo sei scopato oppure no, basta che tu non cominci a...». «A fare cosa?». «Ad affezionarti a lui. Perché non voglio vederti soffrire». Lorraine si appoggiò contro di lui, prendendolo del tutto alla sprovvista e Nick la strinse forte, per un attimo. «E inoltre devo ammettere che sono terribilmente geloso. Non che io pensi di avere anche un vago barlume di speranza con te, ma...». Lei gli sorrise. «Non si sa mai, Nick. Quelle poche volte che ti lavi e ti fai la barba, non sei affatto male. Solo che...». «Solo che non sono il tuo tipo?». Lorraine rise dolcemente. «Un tempo lo saresti stato, come lo era Lubrinski ma, Nick, stare con te sarebbe infernale per qualsiasi donna. Conosco i tipi come te, vi piace la caccia, ma quando avete raggiunto la preda, non vi interessa più, e passate alla preda successiva». «Vedo che hai fatto delle indagini su di me! Ma sai, io e Tigre stiamo cercando di sistemarci, una bella casetta con un giardino, così lui la pianterà di pisciare sui tappeti e così via, perciò con la donna giusta...». «Non sono io, Nick, stiamo solo perdendo tempo». Lorraine vide il dolore scurirgli il viso come un'ombra, ma un attimo dopo Nick le rivolse il suo solito sorriso irresistibile. Di punto in bianco, la
baciò sulle labbra, poi si allontanò con la sua solita andatura zoppicante, strascicando i suoi malconci stivali da cowboy. Mentre apriva la porta della sua stanza al St. Marie, Lorraine rimpianse di aver reagito così freddamente a ciò che le aveva detto Nick, perché lui, proprio come Jack, non era tipo da usare parole gentili molto facilmente. Da un certo punto di vista, si sentiva attratta da Nick, era difficile non esserlo, ma non avrebbe permesso che le cose tra loro si spingessero oltre perché quello che gli aveva detto era vero. Nick non si sarebbe mai sistemato benché dicesse di volerlo fare. Era e sarebbe sempre stato un uomo solitario, proprio come Jack. Si sedette sul letto e guardò la carta da parati consunta e le pale del ventilatore che cominciavano ad arrugginirsi; dopo la notte passata con Caley, le sembrava tutto molto deprimente e, anche se erano solo le undici del mattino, si sentiva già sfinita. L'orribile sensazione che Caley fosse implicato nella scomparsa di Anna Louise continuava a tormentarla, anche dopo la notte che avevano trascorso insieme - anche dopo quella notte bellissima e speciale, non riusciva a impedirsi di usare la logica. Era in grado di soffocare i sentimenti che provava per lui e soppesare i fatti in modo razionale. All'improvviso, qualcuno bussò. Rosie fece capolino dalla porta. Le porse un foglio di carta. «Ti ho preparato un elenco di quelli che sono riuscita a contattare per oggi e di quelli che magari riuscirai a interrogare domani. Ti ho trovato una macchina con autista a un prezzo molto conveniente. Ti servirà, perché alcune di queste persone abitano piuttosto lontano. La casa dei genitori di Tilda Brown è a più di trenta chilometri da New Orleans». Lorraine guardò gli appunti scritti a mano dall'amica. «Quindi Tilda Brown è la prima della lista, poi viene Lloyd Dulay, giusto? Benissimo, vediamo cosa riesco a scoprire». Il telefono si mise a squillare. Era Robert Caley. «Ciao, sei libera a pranzo?». «Ah, lo ero fino a dieci minuti fa ma ora sto uscendo». Lui sembrò deluso. «E se ci vedessimo a cena?». «Posso confermartelo più tardi?». «Sicuro. Sarò in albergo nel tardo pomeriggio, e forse passerò un attimo a casa. Dammi un colpo di telefono, okay?». «Perfetto». Ci fu un momento di silenzio. Entrambi avrebbero voluto dire qualcosa
di affettuoso, ma nessuno dei due ne ebbe il coraggio. Rosie rimase vicino a Lorraine, fingendo di controllare i suoi appunti. Si chiese chi fosse al telefono, perché Lorraine sembrava quasi timida ed era persino arrossita. «Ci sentiamo più tardi». «Certo, ti chiamo verso le sei», disse Lorraine e la comunicazione si interruppe. Riappese il ricevitore e guardò l'amica. «Allora, chi era?». «Robert Caley», rispose Lorraine con forzata noncuranza. «Oh, mi sembra che andiate molto d'accordo, dico bene?». «Be', l'idea è questa, Rosie: cerchi di andare d'accordo con qualcuno per ottenere più informazioni. Le persone parlano molto più liberamente se si sentono a loro agio». «Mmmm, certo, ne sono sicura. Allora, stasera esci con lui o ci troviamo per aggiornarci sul caso? Te lo chiedo solo perché dovrò dire qualcosa a Nick e Bill». Lorraine prese a spazzolarsi i capelli. «Gli ho soltanto detto che lo chiamerò, Rosie». «D'accordo, prenderò un appunto. Ci vediamo giù nella hall, okay?». «Benissimo, a più tardi». Rosie si avviò verso la porta. «Anche tu e Bill sembrate andare piuttosto d'accordo», disse Lorraine. Rosie stava già girando la maniglia, e di colpo sembrò mettersi sulla difensiva. «Sì, be', faccio del mio meglio per andare d'accordo con lui. Dopotutto siamo soci e, come hai detto tu, è molto meglio avere dei buoni rapporti con le persone con cui si lavora». «Ma Bill non è un sospetto», disse Lorraine divertita. «Forse no, ma dato che sto imparando questo mestiere, ho bisogno di un aiuto per tenere dietro a te che hai così tanta esperienza». «Questo è un colpo basso, Rosie». Lorraine scoppiò a ridere. «Be', non voleva esserlo, ma certe volte puoi diventare molto cattiva se anche commetto il minimo errore, quindi sto solo cercando di non sbagliare più». D'improvviso Lorraine sembrò preoccupata. «Dannazione, Rosie, mi conosci abbastanza da sapere che se me la prendo con te, puoi ribattere senza problemi». L'amica sorrise. «Già, be', certe volte ho la sensazione che tu non mi stimi per niente, ma terrò a mente quello che mi hai appena detto». Lorraine le si avvicinò e l'abbracciò: «Cerca solo di essere sempre one-
sta con me, Rosie. Cristo, commettiamo tutti degli errori». «No!», disse Rosie e sorrise ancora, fingendosi sbalordita, e la sua smorfia fece ridere Lorraine. «Sono felice che tu e il vecchio Rooney abbiate legato. È una brava persona, ed era anche un buon poliziotto. È un po' arrugginito adesso o forse semplicemente non ha più la grinta di una volta». Rosie arrossì leggermente. «Tu lo sottovaluti, Lorraine, esattamente come sottovaluti me. Bill e Nick stanno lavorando sodo, tutti noi stiamo lavorando sodo. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo, e facciamo tutti la nostra parte». Lorraine accettò di buon grado quella risposta, in un certo senso colpita dall'amica - non aveva mai visto Rosie così determinata. «Sì, scusami, hai ragione. Ci vediamo più tardi». Rosie aprì la porta. «Fa' attenzione, e cerca venire stasera. Siamo con te al cento per cento». La porta si richiuse e Lorraine aggrottò le sopracciglia. Rosie era cambiata ultimamente: forse era il fatto di lavorare con Bill o forse era la dieta che stava facendo, ma in ogni caso la sua sicurezza in se stessa stava crescendo. Lorraine si guardò allo specchio. «Forse», mormorò, «dovresti cominciare anche tu a darti da fare». Si toccò il segno che la bocca di Caley le aveva lasciato sul collo e non poté impedirsi di provare una sensazione di caldo che dal ventre si diffuse in tutto il corpo. Era molto, molto tempo che non era così felice. La residenza sul lago della famiglia di Tilda Brown era stata costruita negli anni Settanta, ed era un basso insieme di rettangoli e cubi bianchi con un vago accenno alle forme tradizionali rivisitate in chiave moderna: colonne squadrate e balconi appena abbozzati a meno di un metro e ottanta da terra facevano pensare a Lorraine alle ali di un uccello incapace di volare. Eppure era chiaro che non era la mancanza di denaro la causa di quella banalità geometrica. La ricchezza della famiglia Brown era più che evidente: una decappottabile europea e un favoloso fuoristrada erano parcheggiati nel viale d'accesso della villa, e un giardiniere stava lavorando alacremente. Il grande e curatissimo giardino digradava fino alla riva del lago e Lorraine disse all'autista, uno scontroso ragazzo di colore di circa vent'anni, di fermarsi a duecento metri dall'ingresso principale, in modo da poter raggiungere non vista il retro della casa. «Aspettami, okay?».
«Certo, signora, ha pagato per tutto il giorno». Mentre si avvicinava, Lorraine poté vedere un campo da tennis e una piscina e, accanto, un pavillon cubista. Una ragazza bionda era sdraiata su un lettino al bordo della piscina, e Lorraine si affrettò a tornare verso la parte anteriore della casa prima che la ragazza - Tilda, ne era quasi sicura - alzasse lo sguardo e la vedesse. Suonò il campanello, una cameriera che indossava un'uniforme rosa venne ad aprirle. «Si accomodi, signora Page. La signorina Brown è in piscina e mi ha detto di chiederle se gradisce qualcosa di fresco». «Grazie». Tilda Brown aveva un'abbronzatura dorata, perfetta e uniforme, i suoi capelli lunghi fino alla vita erano serici e ordinati e indossava un due pezzi a dir poco succinto. Già accaldata, Lorraine fu felice quando Tilda si alzò dal lettino e le propose di andare a parlare nel patio chiuso e con aria condizionata, vicino alla piscina. Tilda prese posto su una poltroncina di vimini dalla struttura in acciaio con i cuscini ricoperti di spandex rosa e fece cenno a Lorraine di accomodarsi. «Fa già così caldo», disse Tilda sorridendo. «Ma adesso ho i brividi perché credo di aver preso troppo sole. Le dispiace se vado a mettermi qualcosa?». Lorraine ricambiò il sorriso. Arrivò la cameriera portando della limonata fatta in casa e Lorraine aveva già quasi finito il suo bicchiere quando Tilda tornò da lei, avvolta in un lungo kimono di seta. Aveva dei grandi occhiali scuri dalla montatura bianca e spessa e profumava di fiori. Era nervosa, le mani le tremavano leggermente quando si versò un bicchiere di limonata. «Puoi parlarmi del tuo rapporto con Anna Louise?». «Certo, è la mia migliore amica. Siamo tutte e due di qui, voglio dire, non che lei viva a New Orleans tutto l'anno come la mia famiglia, ma ci siamo conosciute da bambine, sa, avremo avuto sei o sette anni. Poi non ci siamo viste per un lungo periodo, cinque anni, credo, ma poi io mi sono iscritta all'UCLA e ci siamo riviste, ed è stato come se non ci fossimo mai lasciate. Era bello il modo in cui mi accoglievano a casa sua, perché certe volte mi sento tanto sola». «Così voi due vi conoscevate molto bene?». «Sì, e mi manca molto». Lorraine chiese se poteva fumare e Tilda scrollò le spalle, porgendole un
piccolo posacenere cromato. «Avete avuto una discussione il giorno prima che Anna Louise partisse da Los Angeles», disse Lorraine accendendosi una sigaretta. «Discutevamo spesso, signora Page, anche se eravamo così amiche, non sempre eravamo d'accordo su tutto». La ragazza si passò una mano tra i capelli, le unghie laccate di rosa pallido in tinta con quelle dei piedi. Lorraine invidiava tutte le Tilda Brown del mondo per la loro capacità di non sudare mai. Con tutto il denaro che aveva la sua famiglia, Lorraine ne era certa, Tilda doveva aver avuto sempre tutto ciò che voleva. «Puoi spiegarmi il motivo della vostra discussione? Doveva essere il quattordici febbraio dello scorso anno». La ragazza aggrottò le sopracciglia. «Be', sa, Anna Louise era un'ottima tennista e io la facevo arrabbiare perché non ero alla sua altezza. Anche quando ci stavamo solo riscaldando, lei faceva delle schiacciate incredibili e io me la prendevo perché non eravamo in competizione. Ma per Anna Louise...», esitò. «Continua, Tilda». «Be', per Anna Louise tutto era una competizione e io mi sono semplicemente stancata. Le ho detto che non avevo più intenzione di giocare e lei mi ha fatto una scenata terribile. Mi creda, signora Page, si arrabbiava così tanto certe volte e diceva cose davvero orribili. Io mi sono stufata, così le ho detto che se non si fosse scusata con me, non sarei tornata a New Orleans con lei, mai e poi mai. Meglio viaggiare da sola che con qualcuno arrabbiato e ostile, com'era lei in quel momento con me. Be', Anna Louise si è rifiutata di scusarsi e io sono tornata in casa per dire a Phyllis che volevo andarmene immediatamente». «Così, di punto in bianco?». «Sì. Phyllis mi ha prenotato il biglietto aereo e Mario mi ha accompagnata all'aeroporto. Quando sono arrivata, ho chiamato i miei genitori, che sono venuti a prendermi. Ho detto loro che non avevo intenzione di parlarne ma che non volevo più vedere Anna Louise». Lorraine finì la sua limonata e Tilda le riempì subito il bicchiere. Alla fine, si tolse gli occhiali da sole. Lorraine voleva guardarla negli occhi per capire quanto potesse essere brava come bugiarda. «Da allora, non l'ho più vista. Mi sono sentita così in colpa. L'ultima volta che siamo state insieme, abbiamo litigato, ci siamo dette tutte quelle cose crudeli e se... se Anna Louise non dovesse tornare mai più, allora... È
sempre peggio, certe volte mi metto a piangere perché penso che avremmo fatto pace, ne sono sicura, facevamo sempre pace alla fine». «Quindi, non ti ha chiamato quando è arrivata qui in città con i suoi genitori». «No, ma vorrei tanto che l'avesse fatto». Lorraine sorseggiò la sua limonata ghiacciata, chiedendosi come procedere. Tilda sembrava sinceramente disperata per la sua amica e i suoi occhi blu-grigio si erano persino riempiti di lacrime. Tuttavia continuava a evitare lo sguardo di Lorraine ed era sempre più nervosa. «La sera in cui Anna Louise è arrivata a New Orleans, tu dov'eri?». «A casa, ho fatto le prove di alcuni abiti e ho cenato con mamma e papà prima di andare a letto, verso le dieci». «E Anna Louise non è mai venuta a trovarti, per fare pace con te?». «No, ma come le ho già detto, vorrei che lo avesse fatto. Adesso posso pregare che sia ancora viva perché vorrei essere io a chiederle scusa per quella sciocca discussione che abbiamo avuto... ed era davvero sciocca». «Conosci un ragazzo di nome Polar?». Tilda si accigliò. «Polar, come un orso polare? No, non conosco nessuno che si chiami così». «E Tom Heller?». «Oh, sì, lo conosco, andavamo insieme al college». La voce cantilenante della ragazza stava cominciando a irritare Lorraine. Aveva aspettato anche troppo. «Vai mai al Viper Room con Tom?». Tombola: Tilda arrossì. «Mi scusi?». «Il Viper Room...». La ragazza sgranò gli occhi da bambola e arrossì ancora di più, quando Lorraine le mostrò la foto di Anna Louise che veniva scopata dai tre ragazzi al Viper Room. «Oh mio Dio...». «Già, mio Dio. Questa è stata fatta la notte prima della vostra piccola discussione, giusto? Voi eravate di sopra, nella parte privata del locale». Tilda crollò in fretta. Chinò la testa e cominciò a singhiozzare, implorando Lorraine di non dire niente ai suoi genitori. Se la sua famiglia avesse scoperto una cosa del genere, si sarebbe trovata in guai seri. Lorraine prese un fazzolettino di carta da una scatola ricoperta con lo stesso tessuto sintetico dei cuscini e lo porse a Tilda. La ragazza si soffiò il naso. «Mi vergogno tanto». Continuò a singhiozzare per un po', poi cominciò a calmarsi. «Anna
Louise rubava delle pillole a sua madre. La prima volta che le abbiamo prese, ci siamo comportate soltanto in modo sciocco, ma poi lei ha cominciato a prenderle regolarmente, sa, e mi faceva bere la vodka, le piaceva molto la vodka. Poi andavamo nei locali e... Non ha idea di quanto mi vergogni...». «Non preoccuparti», disse Lorraine, incoraggiandola a parlare. «Non mi ricordo che cosa facevamo o che cosa facevo io, era come se staccassi la spina». «Ma vi facevate scopare tutte e due, vero?». Lei annuì, e le lacrime ripresero a scorrere. «Immagino di sì». «Tu e Anna Louise avete litigato la mattina dopo essere state al Viper Room, quindi non potevate essere ancora molto lucide. La "discussione" riguardava davvero il tennis o qualcosa di più importante?». Tilda sospirò. «Oh, è stato orribile, era una tale stronza in certe cose. Voleva che ci mettessimo d'accordo su cosa raccontare della notte prima per non far sapere niente ai suoi genitori. Eravamo giù al campo da tennis e, sì, ha ragione, non stavamo giocando. Io avevo un tremendo mal di testa, stavo male, e il signor Caley è passato a salutarci. Stava andando a lavorare. Quando mi ha chiesto come stavo, ho cominciato a piangere. So che quello che abbiamo fatto era sbagliato, ma Anna Louise certe volte era così insistente. Minacciava di raccontare tutto ai miei genitori se non avessi fatto ciò che voleva». Lorraine attese e la guardò asciugarsi le lacrime e appoggiarsi allo schienale della poltroncina. «Il signor Caley è stato così gentile, ma ha fatta sedere e mi ha chiesto se stavo bene, se mi era successo qualcosa. Mi ha persino dato il suo fazzoletto... e io ho pianto, ho pianto perché non potevo dirgli per cosa stavo piangendo. È rimasto con me e mi ha detto che se ero preoccupata per qualcosa potevo parlargliene, potevo chiamarlo. Era così in pena, così gentile e premuroso, più un amico che...». «Anche Anna Louise era con voi?». «Ehm, no. Era andata a mettersi il costume perché voleva fare un tuffo in piscina e...». «E...?». «Oh, il signor Caley se n'è andato. Mi ha dato un bacio sulla guancia e ha detto che doveva andare in ufficio. Poi lei mi ha aggredita». «Chi?». «Anna Louise, naturalmente. Ha incominciato a colpirmi e a prendermi
a calci, sembrava impazzita. Mi ha picchiata con la racchetta da tennis e poi mi ha buttata per terra e mi ha graffiato la faccia e mi ha tirato i capelli. Era su di me e mi spingeva la faccia a terra». «Pensava che avessi raccontato a suo padre quello che era successo al Viper Room? È per questo che ti ha aggredita?». «Sì, mi ha detto che mi aveva visto con suo padre. Non voleva ascoltarmi, diceva che me l'avrebbe fatta pagare. Allora l'ho colpita anch'io e lei mi ha sputato in faccia e mi ha detto che avrebbe raccontato tutto ai miei genitori, che avrebbe detto a tutti che ci stavo provando con suo padre. Io ero sconvolta... senza parole». «Ma il signor Caley si comportava solo in maniera gentile e paterna, giusto?». «Oh, sì, certo, naturalmente, ma Anna Louise era pazza di lui». «Aspetta, aspetta, cosa intendi con "pazza di lui"?». Tilda stringeva spasmodicamente il cuscino della poltrona. «Era ossessionata da suo padre, parlava di lui continuamente, diceva che nessun uomo era alla sua altezza e che...». Tilda distolse lo sguardo e arrossì nuovamente. «Continua, Tilda, cos'altro diceva». «Diceva che erano amanti, che erano innamorati». Per un attimo, Lorraine non seppe cosa dire tanto era rimasta sconvolta nell'udire quelle parole. «Ti ha veramente detto che aveva una relazione sessuale con suo padre?». «Sì, sì, è la verità». «E tu le hai creduto?». Tilda si torse le dita, giocherellando con un anello. «Dovevo andarmene, signora Page. Sono corsa in casa e ho chiesto a Phyllis di procurarmi un biglietto. Non volevo più vedere Anna Louise». Lorraine sentiva il cuore batterle furiosamente nel petto. «Non hai risposto alla mia domanda, Tilda. È molto importante. Robert Caley e sua figlia erano amanti?». Tilda si inumidì le labbra e parlò con voce forzata, a malapena udibile. «Non lo so, ma lui era solo molto gentile con me, e non mi ha mai fatto delle avance». «E le sue altre amiche?». «Ero io la sua unica vera amica. Non avrebbe potuto raccontare a nessun'altra certe cose, tutti pensavano che fosse così meravigliosa ma non la conoscevano veramente. E a nessuno piaceva andarla a trovare per via del-
la signora Caley, sa, era sempre sbronza, si comportava in modo strano e a volte era davvero imbarazzante». Lorraine si trattenne per un'altra mezz'ora, facendo ripetere a Tilda tutte le dichiarazioni che aveva rilasciato alla polizia e chiedendole il motivo per cui non aveva mai raccontato la verità circa il suo litigio con Anna Louise. Lorraine scoprì che la ragazza aveva taciuto per paura che si scoprisse che anche lei, come Anna Louise, aveva frequentato certi locali e si era ubriacata e drogata. Tilda non sembrava rendersi conto dell'importanza della possibile relazione sessuale tra Caley e sua figlia. Quando Lorraine insistette su quel punto, la ragazza scoppiò nuovamente in lacrime. «Anna Louise era solo infatuata del signor Caley o credi che ci fosse qualcosa di più di un normale rapporto padre/figlia tra di loro? Li hai mai visti insieme?». Tilda evitò lo sguardo di Lorraine e si morse il labbro inferiore. Lorraine le spiegò pazientemente che ciò che le aveva appena raccontato poteva essere il vero motivo della scomparsa di Anna Louise. Forse la ragazza era semplicemente scappata e aveva soltanto paura di ritornare. Ciò che Tilda le disse alla fine lasciò Lorraine completamente distrutta. «Mi ha detto che andavano a letto insieme, che lui aveva cominciato a farle prendere la pillola perché temeva che potesse rimanere incinta». Quando infine Lorraine se ne andò, Tilda era ridotta a uno straccio: il volto gonfio per il pianto, il naso arrossato e le labbra screpolate. Istintivamente Lorraine credeva a ciò che le aveva detto Tilda. La ragazza le avevo dato un'altra ragione per cui Robert Caley, più che mai ora, doveva essere considerato il sospetto numero uno. Lorraine aveva bisogno di bere, qualcosa di forte e, temendo di non riuscire a resistere, ordinò al suo autista di portarla immediatamente alla villa di Lloyd Dulay. Lo shock iniziale l'aveva fatta sprofondare in una spirale di emozioni violente. La notte che aveva passato con Caley la spingeva a non voler credere a ciò che aveva appena sentito, ma perché Tilda Brown avrebbe dovuto mentire? A poco a poco, la sensazione di essere stata tradita e presa in giro si trasformò in una rabbia bruciante. Robert Caley aveva un ottimo motivo per volersi liberare di sua figlia e lei aveva intenzione di dimostrarlo. Nick imprecò. Sapeva di essere sceso dal tram un paio di fermate prima di quella giusta. Consultò la cartina stradale, ignorando le mappe e le brochure che le aveva dato Rosie, piene di numeri di telefono di ristoranti, di posteggi di taxi e così via. Non gli piaceva portare con sé più del necessa-
rio o qualcosa che non potesse infilarsi in tasca. Era nei pressi del nuovo Centro Congressi sulla Lafayette e stava cercando l'Agenzia Investigativa Francis X. Roper. Sapeva che un suo vecchio amico lavorava per loro; era passato molto tempo, e Nick non vedeva Leroy Able da più di dieci anni, ma valeva la pena tentare. Nick rimase a bocca aperta quando trovò l'agenzia, un palazzo estremamente elegante. La segretaria, uno schianto di rossa che portava occhiali con la montatura verde, gli lanciò un'occhiata glaciale che avrebbe fermato il traffico durante l'ora di punta e gli disse seccamente che non conosceva nessun Leroy Able - riuscendo a far sembrare disgustoso persino un semplice nome. Quella era un'agenzia di alta classe che si occupava di casi di frode e che lavorava in collaborazione con la polizia. Sottolineò con una certa soddisfazione la parola 'polizia'. «Forse ha il suo nuovo indirizzo». «Guardi sulla guida telefonica». «Ne ha una?». Lei fece una smorfia e spinse sulla scrivania verso di lui il pesante volume giallo. Nick sfogliò le pagine, lanciando occhiate furtive alle pubblicità e ai poster dell'agenzia che erano appesi alle pareti - persone scomparse, sicurezza domestica, installazione di videocamere, servizi di sorveglianza. Ogni caso è sempre il più importante, affermava un poster. «Avete molto lavoro?», domandò mentre continuava a sfogliare le pagine della lettera A. La segretaria stava per ribattere quando il telefono cominciò a squillare. Rispose pronunciando bruscamente il nome dell'agenzia e rimase ad ascoltare tenendo d'occhio Nick. Poi, d'improvviso, la sua voce si raddolcì quando si rese conto che quello con cui stava parlando era un potenziale cliente. «Sì, signore, abbiamo uno staff a tempo pieno di sei investigatori molto esperti e il nostro equipaggiamento è all'avanguardia e include macchine fotografiche con potenti teleobiettivi e binocoli speciali. I nostri detective si tengono in contatto tra loro con radio e telefoni cellulari. Posso prenderle un appuntamento, attenda un attimo». Mentre la segretaria prendeva una grande agenda, Nick prese nota dell'indirizzo di Leroy Able. Ben presto avrebbe scoperto se il suo amico era ancora in affari o meno. Ringraziò la donna con gli occhiali verdi, che sembrò non accorgersi nemmeno della sua uscita di scena, e si incamminò verso Magazine Street. Quando trovò il palazzo di Able, controllò ben due volte perché il piano-
terra, a quanto pareva, era una palestra di boxe. Nick salì le scale e socchiuse la porta della palestra. «Scusate, qualcuno di voi conosce un certo Leroy Able?». «Ultimo piano», gridò un pugile tarchiato sulla cinquantina, che si stava allenando al sacco. Leroy aveva i piedi sulla scrivania e stava sfogliando pigramente il «Times-Picayune», una tazza di caffè che emanava l'inconfondibile profumo della cicoria di New Orleans di fronte a lui. «Salve, c'è Leroy Able?», disse Nick. Il giornale si abbassò lentamente. «Chi lo vuole?». «Cazzo, vecchio mio, sei tu, vero? Leroy?». L'uomo tolse lentamente i piedi che calzavano vecchi stivali da cow-boy dalla scrivania e fissò Nick per un attimo. «Sono Nick Bartello, della squadra antidroga della polizia di Los Angeles, non ci vediamo da almeno dieci anni, forse anche di più». «Oh davvero? Be', non ho buona memoria per le facce. Come hai detto che ti chiami?». «Cazzo, amico, sono Nick, Nick Bartello». «Oh, già, già, mi ricordo adesso. Siediti, vuoi un caffè?». Nick era confuso dall'accoglienza di Leroy che non sembrava averlo riconosciuto affatto. «Sono stato all'agenzia Roper, mi sembrava che mi avessi detto che lavoravi per loro». Leroy gli porse un bicchiere di carta pieno di caffè nero e si sedette sul bordo della scrivania. «Sai qual è una cosa che non sopporto? La gente che comincia a parlare con l'accento del sud quando è a New Orleans da solo dieci minuti. Che ci fai qui, Bartello, stai organizzando una rimpatriata?». Leroy gli arruffò i capelli e sogghignò. «Mi hai confuso per un attimo, amico. Non capita tutti i giorni di vedere un italoamericano con un grisgris attorno al collo». Nick scosse leggermente la collana di ossa e cuoio. «Sinceramente non so che cazzo sia questa roba, me l'ha data un tizio ieri sera in un bar di quart'ordine». Leroy osservò per un attimo il gris-gris, poi inarcò le sopracciglia. «Be', se vuoi saperlo, questa non è la solita roba che vendono ai turisti». Nick scrollò le spalle. «Allora, come va la vita?». Leroy tornò a sedersi sulla poltroncina girevole. «Ah, non c'è male, sto facendo un bel po' di grana, come puoi vedere dal mio sorriso smagliante». Nick si unì alla risata fragorosa di Leroy, che mise in mostra i suoi splendidi denti bianchi e incapsulati.
«Già, amico, ne è passato di tempo dalla squadra antidroga, ma almeno non ho una gamba piena di piombo e non prendo ordini da nessuno». «Allora, ti ricordi chi sono?», disse Nick prendendo la tazza di caffè. «Già, ma per un attimo ho temuto di doverti dei soldi. Non è così, vero?». Nick scosse la testa e si guardò attorno. L'ufficio di Leroy faceva pensare che gli affari gli andassero davvero bene. «Vuoi un lavoro», chiese Leroy notando le occhiate di Nick. «No, sto lavorando a un caso, è per questo che sono a New Orleans». «Oh, e di che si tratta?». «Di Anna Louise Caley, la ragazza scomparsa undici mesi fa». Leroy annuì. «Al caso hanno lavorato un sacco di investigatori privati ma io mi sono tenuto ben alla larga da quella storia». «Ma avrai pure sentito qualcosa». «Certo, come ti ho detto hanno fatto un sacco di indagini ma per quanto ne so non sono riusciti a scoprire assolutamente niente. Si diceva che la ragazza fosse semplicemente scappata - succede spesso da queste parti, soprattutto durante il Mardi Gras. I ragazzi vengono da queste parti, scopano, si fanno e poi se ne vanno, magari insieme ad altri spostati. Questa città li attira come una calamita». «Questa ragazza è diversa, è ricca sfondata». Leroy si appoggiò sui gomiti. «I ragazzi ricchi, Nick, sono esattamente come gli altri. Si fanno e scopano, il tutto condito con una bella spruzzata di pericolo, e poi tornano da mamma e papà che li aspettano a casa a braccia aperte». «Ma la ragazza è scomparsa da undici mesi». «Allora direi che è morta». Nick si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per l'ufficio. «Già, lo credo anch'io. Il punto è chi l'ha uccisa, e se lo scopro avrò una bella ricompensa». «Be', mi piacerebbe darti una mano, amico, ma come ti ho detto sto indagando su questo dentista...». Nick sorrise. «Perché non vuoi saperne di questa storia?». Leroy esitò e di colpo divenne serio. «Vuoi che ti dica la verità?». «Certo, qualunque cosa mi possa essere d'aiuto». Leroy si passò una mano tra i capelli grigi. «Okay, i Caley e la gente con cui ti stai immischiando sono molto ricchi. Elizabeth Caley è una grossa star da queste parti e quindi c'è stata un sacco
di gente che si è fatta avanti, raccontando delle storie del cazzo per accaparrarsi la ricompensa che avevano offerto. Mi sembra che fosse di venticinquemila bigliettoni. Allora incontri almeno venti persone che dicono di aver visto la ragazza, le paghi, fai indagini e poi scopri che sono tutte stronzate...». Leroy si dondolò sulla sedia. «Così i soldi finiscono e tu ti accorgi che hai sprecato metà della tua paga per informazioni che non servono a niente. Quindi per il momento preferisco occuparmi d'altro». Nick finì il suo caffè. «Che cosa sai dirmi di un vecchio jazzista nero di nome Fryer Jones?». Leroy lo guardò mentre Nick giocherellava con il gris-gris che aveva attorno al collo. «Me l'ha dato lui questo». «Fryer Jones?». «Già, ieri notte». «Dalle parti del quartiere francese è famoso. Tutti i ragazzini vogliono andare nel suo bar, suonare con lui e con gli altri vecchi musicisti - era un trombonista famoso una volta. Vanno nel suo locale, comprano droga e suonano un po'. Fryer usa i ragazzi come carta igienica ma gli sbirri lo lasciano fare. Finché tiene i suoi traffici lontano dai turisti, alla polizia non gliene frega niente di quello che fa». Leroy sfregò il pollice e l'indice per indicare il denaro, poi si appoggiò allo schienale della poltroncina. «Credo che Fryer sia molto ricco ormai. Non scherzo, ha quel bar da decenni, un sacco di ragazzine che battono per lui, e tutto nel nome del jazz, fratello! Ma se vuoi che ti dica come la penso, è solo un pezzo di merda, perché non è soltanto il blues che tiene la gente legata a quel buco di locale che ha... è anche quello che hai attorno al collo». Nick toccò l'amuleto. «Cosa?». Leroy scosse la testa. «Non lo sapevi, vero? Il gris-gris dovrebbe proteggere dai malefici voodoo e il vecchio Fryer ha diverse amicizie anche in quel campo. Credo che sia persino imparentato con una delle sorelle Salina». Nick si sporse in avanti. «Aspetta un attimo, hai detto Salina?». Leroy annuì. «Già. Una si chiama Juda, l'altra... cazzo, adesso non me lo ricordo, ma so che è sposata. Erano delle grandi sacerdotesse voodoo. Si dice che... cazzo, vorrei ricordarmi come si chiama, ma so che la sorella di Juda ha una figlia, Ruby, Ruby Corbello. Avrà circa diciotto anni, lavora in un salone di bellezza. Fa qualche lavoretto come modella e c'è una nuova krewe nera che vuole eleggerla regina del Carnevale». Nick si sistemò i pantaloni in vita. «Aspetta, aspetta, stai andando troppo in fretta per me, amico. C'è una Juda Salina a Los Angeles che legge i ta-
rocchi e altre cose del genere». «Fanno molto più che leggere Tarocchi, Nick. Se è la stessa Juda Salina imparentata con la famiglia Corbello, è una specie di autorità da queste parti... e non mi riferisco alle zone per turisti. Per quanto ne so, queste non sono ciarlatane, discendono delle grandi regine voodoo del secolo scorso e la gente ha una gran paura di loro. Come ti ho detto, i ragazzi non stanno con quella gente solo per la droga e per l'alcol, e se sei furbo, ti terrai ben lontano da Jones e da chiunque abbia a che fare con le sorelle Salina. Credimi, non riusciresti a convincermi a entrare nel loro locale, nemmeno se mi puntassi contro una pistola. E non andrei mai da Fryer se non avessi una ragione più che valida». Nick si sentiva a disagio e la gamba cominciava a fargli male, dopo tutta la strada che aveva fatto a piedi. Prese a massaggiarsela con il palmo della mano. «Ho salvato la vita a quello stronzo, quindi forse è in debito con me». Leroy si accese una sigaretta, soffiando il fumo fuori dalle narici mentre fissava Nick. «Fa' i bagagli e tornatene a casa, Bartello. Non t'immischiare con tutta questa merda. Come ti ho detto, ti troverai con un pugno di mosche». Nick scese faticosamente le scale e passò accanto alla palestra che riecheggiava dei grugniti dei ragazzi che si allenavano. Era strano, ed era sempre stato così, ma più lo, mettevano in guardia da qualcosa, più quel qualcosa lo riempiva di adrenalina. E comunque, non credeva nemmeno a una di quelle stronzate voodoo. CAPITOLO 12 Lorraine prese posto su un grande divano scivoloso, riccamente ricoperto con seta damascata vermiglia su cui spiccavano grandi gigli dorati, mentre Lloyd Dulay si accomodava su una poltrona identica davanti a lei. Lloyd aveva deciso di ricevere Lorraine nel salone per impressionarla con tutto lo splendore della sua casa: i miglioramenti che aveva apportato a quella stanza erano limitati a una parete completamente ricoperta di specchi in cui si riflettevano due poltroncine Hepplewhite come se si trovassero nella sala d'attesa di un aeroporto. La stanza era un tripudio di ghirigori e arabeschi dorati - le tende erano una cascata di tessuto color grano, legate da cordoni color cioccolato, e il caminetto, occupato da qualche ceppo ar-
tificiale, era ornato da fregi dorati e sormontato da un enorme specchio. L'affresco al centro del soffitto si estendeva per oltre due metri e riproduceva un intreccio di ghirlande di rose e spighe di grano. Un bellissimo lampadario pendeva dal soffitto come un gigantesco giglio dorato. Alle pareti, con nastri e fiocchi di taffetà, erano appesi un gran numero di quadri astratti, e ogni superficie disponibile del salone era ingombra di ninnoli, bibelot e ingombranti composizioni di fiori secchi e freschi. Lorraine trovava quel posto assolutamente detestabile, e si sentiva a disagio, la bocca arida e una terribile voglia di bere che la tormentava. Ma si costrinse a pensare ad altro. «Voleva vedermi per una questione privata, signora Page?». «Sì, signor Dulay». Lui annuì e guardò apertamente l'orologio. «Allora vada subito al punto, ho gente a pranzo». «Sto indagando sulla scomparsa di Anna Louise Caley». «Ah sì? Be', vorrei avere un milione di dollari per ogni cosiddetto investigatore privato con cui ho parlato. Sinceramente, non credo di poterle dire niente di più di quanto abbia già detto. Sono in affari con Robert Caley e conosco la sua adorabile moglie da più di trent'anni, quindi conosco la piccola Anna fin da quando era bambina». Lorraine disprezzava quell'uomo, la sua voce alta e i suoi modi condiscendenti e imperiosi. La sua grande villa la intimidiva perché era l'esatto riflesso di Dulay: grande, sguaiata e di cattivo gusto. Mancava solo un finto stemma nobiliare sulla porta con la scritta: «Ho miliardi di dollari, perciò vaffanculo». Lei continuò. «Tutte le persone con cui ho parlato mi hanno detto sempre la stessa cosa, che Anna Louise era ingenua, timida e bellissima. Lei cosa pensava della ragazza?». Dulay chiuse gli occhi. «Era proprio come ha detto lei, ma era anche affettuosa, dolce e aveva un sorriso che avrebbe potuto spezzare il cuore di qualsiasi uomo. Volevo bene a quella ragazzina, signora Page, le volevo davvero molto bene». «Anche Robert Caley voleva bene a sua figlia?». Per una frazione di secondo, Dulay sembrò disorientato. «Be', sì, era suo padre». Lorraine scrutò i piccoli occhi blu di Lloyd Dulay. «Cosa pensa di Robert Caley?». Lui scoppiò a ridere, ma Lorraine sapeva che quella domanda lo aveva
ulteriormente confuso. «Perché me lo chiede?». Lei sostenne il suo sguardo ostile e alla fine fu lui a distogliere gli occhi. «Forse se Caley si scopava sua figlia, la ragazza aveva le sue buone ragioni per scomparire!». Dulay si alzò di scatto. «Se lei fosse un uomo, l'avrei già stesa con un pugno». «Ma io non sono un uomo, sto solo indagando sulla scomparsa di una ragazza, signore». «Lasci che le dica una cosa, signora Page. Se pensassi anche solo per un momento che ciò che mi ha appena detto potesse essere vero, prenderei una pistola e sparerei io stesso a quel bastardo». «E se scoprisse che Anna Louise non era così dolce e così ingenua come credono tutti, come si sentirebbe?». «Non la seguo, signora Page». Lorraine prese la fotografia, estraendola lentamente dalla borsa, e Dulay la osservò insospettito. «Che cosa diavolo è questa cosa disgustosa?», domandò lui, avvicinando la foto al viso per vederla meglio. «Una fotografia», rispose lei dolcemente. «Questo lo so, donna, ma in nome di Dio, dove l'ha presa? Perché questa non è la ragazzina che conoscevo, questa è... Dio mio, mi si spezza il cuore». «Forse nemmeno Robert Caley è l'uomo che crede di conoscere, quindi cosa può dirmi di lui?». Dulay sembrava veramente scosso. «Elizabeth ha visto questa foto?». «Sì». «E Robert?». «No». Dulay scosse la grossa testa, accasciandosi sulla poltrona. «L'adoravo come una figlia. Dio mio, perché mai si è prestata a qualcosa di così disgustoso?». «Forse perché aveva subito degli abusi, perché era arrabbiata, non lo so. Io sono solo pagata per ritrovarla, viva o morta». «È morta?». Lorraine distolse lo sguardo. «Spero di no». Poteva sentire il ticchettio dell'orologio sulla mensola del camino. Dulay continuò a fissare la fotografia. A un certo punto, da una tasca prese un fazzoletto di seta stampata e si asciugò gli occhi.
«So che Anna Louise ha un consistente fondo fiduciario». Dulay alzò di scatto la testa, dimenticandosi all'istante della fotografia. «Signor Dulay, sto cercando una spiegazione per la scomparsa di Anna Louise. Ed è questo il motivo per cui le chiedo di parlarmi di Robert Caley. Il fondo fiduciario della ragazza ammonta a cento milioni di dollari». «Davvero?», chiese lui a bassa voce. «Sono anche al corrente che in questo momento, con l'affare del casinò, il signor Caley è al limite delle sue risorse finanziarie e...». «Signora Page, come le ho detto prima, se Robert Caley avesse torto anche solo un capello ad Anna, sarei il primo a prendere una pistola e a sparargli, non solo per me ma anche per Elizabeth. Detto questo, non credo nel modo più assoluto che quell'uomo che conosco da più di vent'anni potrebbe mai avere simili inclinazioni verso sua figlia. È un pensiero disgustoso, degradante e ingiusto. Robert non è certo un grand'uomo, ma è un gran lavoratore e ha guadagnato ogni centesimo che ha con il sudore della fronte. Io sono uno dei consulenti che si occupano del patrimonio e degli investimenti di Elizabeth e non solo, sono anche un amico di famiglia. Perciò voglio essere sicuro che lasci questa casa convinta che Robert Caley è un uomo assolutamente innocente». Lorraine rimise la fotografia nella busta. «È al corrente del fatto che Elizabeth Caley ha un serio problema di droga?». «No, e non ci crederò mai». Lloyd si alzò e fissò con aria arrogante gli specchi alle spalle di Lorraine, come in cerca di conferma nella propria immagine riflessa. Lo scopo della parete di specchi era più che evidente permetteva a Lloyd di godersi il proprio riflesso esattamente come si godeva il suono della propria voce. «Posso darle l'indirizzo della clinica in cui si trova in questo momento». Lorraine attese che Dulay tornasse a sedersi. L'espressione del suo interlocutore era preoccupata e confusa. «Mi dispiace se ciò di cui abbiamo parlato l'ha turbata, e ovviamente devo chiederle il massimo...». «Non rivelerei mai a nessuno ciò che lei mi ha detto, signora Page, quindi che Dio mi aiuti. Sono senza parole... sono sconvolto, perché se tutto questo è vero significa che coloro che più mi sono cari non sono altro che degli sporchi bugiardi». «Non necessariamente». Lorraine sorrise. «Cosa vuol dire?». Lorraine richiuse la valigetta. «Forse quelle persone hanno deciso di non farle sapere niente. Il mio compito è quello di scoprire la verità che si na-
sconde sotto le apparenze». «Signora Page, il suo compito non è quello di ritrovare Anna Louise?». Lei annuì e si diresse verso la porta. «Sì, signor Dulay, è così, ma se durante le indagini scopro delle discrepanze e delle dichiarazioni illogiche, non posso fare a meno di andare fino in fondo. Se lei non ha niente da aggiungere, se non può dire niente che possa essermi d'aiuto, allora la ringrazio per il tempo che mi ha dedicato». «Robert Caley è un brav'uomo», disse Dulay con un filo di voce. Lei si voltò. «Sì, penso che lo sia, ma devo essere sicura che non sia in alcun modo implicato nella scomparsa di sua figlia. Solo allora potrò eliminarlo dalla lista dei sospetti». Lui si alzò lentamente dalla poltrona e si avvicinò a Lorraine. «Allora è un sospetto, secondo lei?». «Tutti quelli che incontro sono sospetti finché non arrivo alla verità, signor Dulay. Se lei riuscisse a scoprire che il signor Caley ha attinto al fondo fiduciario di sua figlia, le sarei molto grata se me lo facesse sapere. Posso chiamarla?». Dulay acconsentì. Non la salutò e Lorraine si richiuse la porta alle spalle e trovò la strada da sola. Lui rimase seduto, come stordito, incredulo, sentendosi allo stesso tempo oltraggiato e tradito. In quel momento decise che avrebbe abbandonato l'affare del casinò. Voleva affrontare Robert Caley faccia a faccia, ma prima voleva scoprire se quel bastardo aveva preso anche un solo centesimo dal fondo fiduciario di Anna Louise. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto controllare, dopotutto quei cento milioni di dollari erano suoi. Lorraine si sentiva usata e allo stesso tempo disgustata da se stessa. Sapeva di essersi comportata in modo sbagliato e non professionale. Una parte di lei non capiva perché aveva voluto mettere Dulay a tal punto sotto pressione, ma forse era soltanto un modo contorto per prendersela con Robert Caley per quello che le aveva raccontato Tilda Brown. Odiava l'idea che fosse un sospetto, e sperava con tutte le sue forze che fosse innocente. Tuttavia era convinta che fosse colpevole - ma di cosa? Si rifiutava di credere che avesse assassinato sua figlia. Alla fine, Rosie trovò il Museo Voodoo sulla Dumaine ed entrò nervosamente nell'edificio. Nella piccola area della reception, c'erano otto persone, la maggior parte donne, intente a comprare polveri magiche, talisma-
ni, bamboline e candele, mentre aspettavano che iniziasse la visita guidata. Alle spalle della ragazza che serviva al banco, era appeso il ritratto di una donna in abiti ottocenteschi; aveva un foulard attorno alla testa e grandi cerchi d'oro alle orecchie, la pelle scura con riflessi dorati e occhi scuri e insondabili. Nonostante fosse solo un dipinto, il suo sguardo sembrava attraversare le barriere del tempo e la sua presenza dominava la stanza. Quando apparve la guida, per prima cosa indicò quel dipinto. «Questo, signore e signori, è un ritratto di Marie Laveau, la più potente regina voodoo che questa città abbia mai conosciuto. A quarant'anni veniva già chiamata la Papessa del Voodoo perché veniva consultata da nobili, da gente comune e persino da membri della famiglia reale ed era famosa in tutto il mondo. I suoi poteri erano leggendari e quando camminava per strada, la gente restava in silenzio e tutti prendevano in braccio i loro figli perché anche loro potessero vederla: era come se sapessero già che anche a un secolo dalla sua morte si sarebbe parlato ancora di lei. Presiedeva a cerimonie e rituali vicino al Bayou di St. John, e si diceva che fosse in grado di camminare sulle acqua. Poteva oscurare il sole ed evocare lo spirito della tempesta, ma anche quelli dell'amore e, naturalmente...». L'uomo fece una breve pausa e sorrise. «Anche della distruzione». Rosie alzò lo sguardo sugli occhi senza età della grande sacerdotessa. Era certa di aver già visto quel viso da qualche parte, ma non riusciva proprio a ricordare dove. I turisti si erano fatti silenziosi e la guida li condusse attraverso uno stretto corridoio dalle pareti ricoperte di ritratti di regine voodoo - ma nessuna di quelle donne aveva il magnetismo di Marie Laveau, nemmeno quelle che erano state le sue insegnanti e che poi erano state dimenticate. La guida si fermò davanti al ritratto di un'altra giovane donna nera che indossava un abito elegante d'altri tempi. Aveva i capelli scuri raccolti in una morbida crocchia e alcuni riccioli le incorniciavano il volto; i suoi occhi erano penetranti e crudeli. «Questa è la figlia di Marie, Marie II, se volete chiamarla così, e si dice che fosse attratta dalla parte oscura dei suoi poteri molto più della madre. Alcuni dissero di aver visto Marie Laveau nel 1918, 1919, ma è molto più probabile che si trattasse di Marie II, anche se c'è gente pronta a giurare che Marie madre non sia mai morta: andate a bussare alla sua tomba e lei vi ascolterà». «Marie Laveau aveva altri parenti... Voglio dire, ha avuto dei discendenti?», chiese qualcuno con interesse. La guida scoppiò a ridere. «Ci sono molti seguaci del voodoo che so-
stengono di avere un legame di sangue con Marie Laveau ma a reclamare con maggior forza l'eredità di Marie Laveau è senz'altro la famiglia Salina - due sorelle che praticavano entrambe il voodoo e se vi fermerete per il Carnevale, avrete l'opportunità di vedere la figlia di una delle due sorelle, Ruby Corbello, che sarà la regina di un nuovo krewe nero che è stato fondato proprio quest'anno». La guida li condusse fino a una sala in cui riecheggiava il ritmo stranamente tranquillizzante di un tamburo; il gruppo entrò esitante e si ritrovò circondato da una strana collezione di statue e maschere intagliate, alcune decorate con perline e gioielli e circondate da candele accese e piatti con offerte di vario genere. Un angolo della stanza era diviso dal resto da una vecchia ringhiera di ferro battuto di un cimitero, oltre la quale si trovavano lapidi e ossa umane e animali. Rosie rabbrividì anche se la guida stava spiegando che, per quella religione che praticava il culto degli antenati, la morte non doveva essere temuta ma onorata e celebrata per ottenere protezione. Indicò una teca di vetro che racchiudeva alcuni tamburi e altri strumenti sciamanici usati per facilitare il viaggio verso il mondo degli spiriti, e un'altra che conteneva una gran varietà di ossa, pelli essiccate e artigli di animali, ma anche radici, polveri, fagioli e pezzi di corteccia: ciascuno di quegli oggetti, spiegò la guida, era un mojo e quando venivano combinati da uno sciamano esperto formavano un gris-gris, un potente amuleto di protezione che spesso veniva portato al collo in un sacchettino chiuso con un sigillo. Un'altra parte della sala era occupata da un gran numero statue e bambole, per lo più modellate in modo rozzo con paglia o erba essiccata, legata attorno a due bastoncini incrociati e coperta da pezzi di stoffa, su cui erano dipinti piccoli teschi e volti feroci e inquietanti. La guida ne indicò alcune, dicendo che servivano per accrescere la fertilità. Delle altre, però, non spiegò nulla. Il dolce profumo dell'incenso li accolse quando entrarono nella sala successiva, in cui si trovavano maschere e statue dipinte con colori brillanti, che sembravano gioiose e rassicuranti in confronto alle ombre della stanza che avevano appena lasciato. Molti simboli e dipinti religiosi riccamente elaborati mettevano in evidenza influenze cristiane. Su un tavolo, coperto da un grande panno, erano disposte immagini di santi cattolici, altre statue, candele e una bottiglia di rum. A una parete della sala era appeso un dipinto della crocifissione sotto il quale si trovava un piccolo inginocchiatoio, e la guida spiegò che il voodoo non era un insieme di incantesimi maligni ma una religione che aveva rappresentato per gli schiavi di colore l'unico
legame con la loro cultura, e che li aveva aiutati a sopravvivere. Il voodoo credeva in un Dio immanente nell'intera creazione, e in seguito si era fuso facilmente col cristianesimo, e i Loà, gli spiriti individuali, erano stati associati agli angeli e ai santi. Marie Laveau stessa, continuò la guida, andava a messa regolarmente nella cattedrale di St. Louis, aveva amici tra gli uomini di chiesa e si era dedicata a numerose opere di carità tra i condannati e durante le epidemie di febbre. Tuttavia Rosie provò un brivido di disagio quando la guida indicò la piccola struttura di legno che ospitava un pitone che portava lo stesso nome del famoso serpente di Marie Laveau, Zombi, simbolo del ponte tra il piano spirituale e quello materiale, e alcuni membri del gruppo allungarono il collo per sbirciare nervosamente attraverso il vetro della teca. Il giro del museo era ufficialmente concluso e Rosie si avvicinò all'altare mentre gli altri si soffermavano a guardare il serpente o l'antico ceppo su cui i seguaci di Marie Laveau avevano posto preghiere e richieste. Notò altre quattro bambole inquietanti sistemate su una mensola sopra le candele. La presenza di un mondo che non comprendeva ma che era comunque vivo nella città in cui si trovava la riempiva di timore reverenziale e di fascinazione così, prima di andarsene, comprò alcuni souvenir e un opuscolo sulla vita di Marie Laveau. Quel volto bellissimo e imperioso cominciava a ossessionarla e provocava in lei un continuo déja-vu. Ma forse Marie Laveau, con quello sguardo misterioso e familiare al tempo stesso, suscitava in tutti coloro che la vedevano la sensazione di conoscerla da sempre. Madido di sudore, Rooney sedeva nell'auto che aveva noleggiato. Era parcheggiato davanti al luogo dell'appuntamento ormai da mezz'ora, ed era piuttosto a disagio perché si sentiva un pesce fuor d'acqua in quella zona malfamata del lungofiume. Stava per andarsene quando nello specchietto retrovisore vide l'auto della polizia che si avvicinava lentamente. Scosse la testa: in vita sua aveva conosciuto uomini, e in particolare poliziotti, di ogni forma e di ogni taglia, ma non ne aveva mai visto uno che somigliasse anche vagamente a Harris J. Harper. «Tu sei Rooney?», chiese Harper guardandolo. Da vicino, il suo volto era strano quanto il suo corpo flaccido e obeso. Doveva essere stato uno di quei bellissimi bambini con il nasino all'insù e gli occhi azzurri grandi e vivaci, perché anche se il resto del suo corpo era cresciuto, il volto era rimasto piccolo, mentre le guance gonfie e i suoi molti menti davano l'impressione che fosse senza collo.
Rooney annuì e Harper fece il giro dell'auto fino alla portiera del passeggero. Quando si sedette accanto a lui, per un attimo Rooney temette che le sospensioni della macchina avrebbero ceduto. «È da tanto che aspetti?». Rooney annuì. «Sì, sono qui dalle dieci ma non c'è problema». «Ti va una birra?». «Altroché». «Okay, capitano Rooney, seguimi, conosco un bar da queste parti, stammi dietro». «Grazie». Harper scese a fatica dall'auto, poi si chinò e si sporse nell'abitacolo per un attimo. «Ehm... sono cinquecento dollari, ti va bene?». Rooney esitò. «Spero che ne valga la pena, è un sacco di grana». Harper chiuse la portiera e diede una pacca sulla cappotte dell'auto. «Ne vale la pena, capitano, ne vale la pena». Rosie continuò: «Il voodoo è una religione seria come qualunque altra. Viene associato a un sacco di pratiche oscure ma non è questo il punto, è un modo per mettersi in contatto con aspetti positivi e spirituali dell'esistenza, ed è molto naturale, una parte molto fondamentale della vita di moka gente...». «Sono tutte stronzate», disse Nick sbadigliando. Rosie si sporse in avanti. «Non direi. Tutti pensano che il voodoo serva solo a lanciare maledizioni e a trasformare le presone in zombie, ma mi stai ascoltando, Nick?». «Già, sì, è entusiasmante, Rosie». «Trasformare qualcuno in uno zombie equivale a una sorta di punizione per crimini molto gravi come l'omicidio o...». Nick alzò gli occhi al cielo. «Ridateci la cara vecchia sedia elettrica». Rosie lo guardò irritata. «Non ti dirò niente se continui a fare l'idiota. Il sacerdote può somministrare un veleno che agisce sul sistema nervoso e che produce uno stato di morte apparente. Poi la persona a cui è stato dato il veleno viene "passata nel terreno", seppellita e in seguito riesumata. È per questo che i bianchi chiamano gli zombie morti viventi». Nick alzò lo sguardo e vide Lorraine che si dirigeva verso il loro tavolo. «Eccone uno che arriva». Rosie alzò lo sguardo a sua volta. «Come?».
«Uno zombie. È la nostra signora Page». Lorraine si sedette accanto a Nick e a Rosie nel giardino ombreggiato dell'hotel. «Ascoltate, forse dovremmo riconsiderare alcune cose. Sono stato a trovare un mio vecchio amico che lavorava con me nella squadra antidroga, Leroy Able. In realtà non lo vedevo da più di dieci anni, ma una volta andavamo d'accordo...». Nick finì la sua birra prima di continuare. «Okay, allora voi sapete che ci sono delle alte sacerdotesse nella chiesa voodoo, donne molto potenti, e, sono sicuro che vi farà piacere saperlo, la persona più potente nella gerarchia di questa religione è sempre una donna. Sono come regine da queste parti, Lorraine». «Io sono stata al Museo Voodoo», cominciò Rosie ma Lorraine la interruppe. Nessuno le aveva ancora dato il tempo di aprire bocca. «Cristo, Nick, ma che cos'ha a che fare questo con il nostro caso?». Lui ribatté bruscamente: «Ci sto arrivando, okay? Ci sono due sorelle che sono delle vere autorità in materia, con le loro pozioni o quel diavolo che fanno. Rosie ha preso un po' di roba al museo e ti consiglio di darci un'occhiata. Comunque, secondo Leroy, Juda Salina e sua sorella sono praticamente le guide spirituali più potenti della comunità voodoo». Lorraine era senza parole. Prese una lattina di Coca e la scosse - vuota. Cercò qualcos'altro da bere sul tavolino. La sete era cominciata. «Perché non me l'hai detto?», gli domandò Rosie. «Ci stavo arrivando». «La sorella di Juda Salina, Edith Corbello non è più così attiva come un tempo, ma vive ancora in una zona degradata di New Orleans. Ricordi che volevi un controllo su Raoul, be', è figlio di Edith Corbello e nipote di Juda Salina. Ci sono anche altri due ragazzi, Willy e Jesse, e due figlie, la più giovane, Sugar May, e Ruby Corbello, parrucchiera e aspirante modella che probabilmente sarà la regina del Carnevale di quest'anno». Ora Lorraine aveva davvero bisogno di un drink - aveva la bocca secca e le faceva male la testa. «Okay, cerchiamo di mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, Nick. Oh, per favore, potresti versarmi un po' d'acqua?». Rosie le versò un bicchiere d'acqua, la sua attenzione rivolta a Nick. «Dimentichiamoci di tutte queste cazzate voodoo e cerchiamo di concentrarci su Juda Salina. Era molto importante per Elizabeth Caley, si erano conosciute qui, e i Caley l'hanno persino portata qui per rintracciare Anna Louise». Nick accese una sigaretta e la passò a Lorraine, poi ne accese una per sé. Aveva notato il modo in cui Lorraine aveva bevuto avidamente l'acqua che Rosie le aveva porto e il tremore della sua mano stret-
ta attorno al bicchiere. «Per tutto questo tempo abbiamo cercato un motivo, una ragione, ma se fosse semplicemente un ricatto? Voglio dire, tu hai trovato quelle foto di Anna Louise e hai scoperto un sacco di cose su Elizabeth Caley...». «Aspetta un momento, Nick. Intendi dire che la spiegazione è un tentativo di ricatto andato per il verso sbagliato?». Lorraine si accigliò, massaggiandosi le tempie mentre cercava di assimilare tutte quelle informazioni. «Già, messo in atto da quella grassa puttana di Juda Salina. Ha abbastanza parenti da queste parti per spostare un cadavere senza difficoltà...». Lorraine aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. «Dovrei vedere questa... come si chiama? Corbello? Rosie, potresti darmi ancora un po' d'acqua?». Nick le prese la mano. «Un secondo, io non credo a tutte queste stronzate, d'accordo? E nemmeno il mio amico Leroy ci crede, ma è convinto che questa gente sia molto pericolosa, non per via degli incantesimi e cazzate varie ma perché possono uccidere qualcuno senza pensarci due volte. Leroy mi ha detto di fare molta attenzione perché hanno una specie di esercito. Suonano i loro cazzo di tamburi, e in un batter d'occhio sei scomparso». «Come Anna Louise?», disse Lorraine a bassa voce, allungando la mano per prendere il bicchiere. «Esattamente, ma questo mette Robert Caley in secondo piano, perché abbiamo qualcosa di esterno alla famiglia, qualcosa che forse ha più senso e che non ha niente a che fare con il casinò o il denaro...». «Droga?», domandò lei, finendo il bicchier d'acqua. «Può darsi. Sappiamo che Anna Louise si sbronzava e si faceva con la sua dolce amichetta Tilda. Forse la notte in cui è scomparsa è stata a casa della Corbello a comprare qualcosa. Diciamo che Juda Salina - sappiamo che la ragazza andava a trovarla - spacciava droga, non solo qui ma anche a Los Angeles». Lorraine si passò una mano tra i capelli. Erano umidi, era madida di sudore. «Cazzo, Nick, penso che tu abbia ragione, abbiamo seguito la pista sbagliata fin dall'inizio». Nick annuì. «Non penso che Elizabeth Caley sia coinvolta. Forse è solo un'ottima cliente e noi sappiamo che aveva bisogno della droga, quindi il collegamento con Juda Salina e la sua famiglia poteva essere questo». Rosie si alzò e si allontanò, ma Lorraine sembrò non accorgersene. «Dove stai andando?», le chiese Nick. «Vado a prendere qualcos'altro da bere, se siete d'accordo», rispose Ro-
sie senza neanche voltarsi. Nick spense la sigaretta e lanciò un'occhiata obliqua a Lorraine. «Cosa c'è che non va, dolcezza?». «Niente, Nick, forse sono solo stanca». Si mise a rovistare nella borsa in cerca di un'altra sigaretta: Nick ne prese una dal suo pacchetto stropicciato, l'accese e gliela passò come aveva fatto prima. «Odio questa marca, sembra di fumare qualcosa che è appena uscito dal frigorifero», disse lei e tuttavia aspirò una lunga boccata, picchiettando nervosamente con il piede contro la gamba del tavolino. Nick si comportava come se fosse tutto normale. «È stata una giornataccia, vero?». «Non più del solito». Allungò una mano verso la lattina di Coca di Rosie ma la rovesciò e il liquido scuro si versò sulla tovaglia. «Merda», ringhiò, cercando di asciugarla con un tovagliolo di carta, ma Nick le prese la mano. «Sei troppo stressata, cerca di rilassarti». Lorraine chinò la testa, stringendo la mano di Nick. «Certe volte voglio un drink così disperatamente, Nick, che mi sembra di impazzire. E in quei momenti non riesco a pensare o forse penso troppo...». Lui le scostò delicatamente una ciocca di capelli dalla guancia e le si avvicinò. «Tieni duro, Rosie arriverà con dell'altra Coca e io andrò a comprarti le tue sigarette». «Grazie». Le piaceva la forza della mano di Nick, non voleva lasciarla andare, ma quando alzò lo sguardo vide Rosie che stava tornando con dei sacchetti di patatine e dell'altra Coca. L'amica sbatté i suoi acquisti sul tavolo e gridò: «Ah, guardate cos'avete fatto al mio libro! Lo stavo leggendo e voi ci avete versato sopra birra e Coca! Non posso crederci!». Lorraine si sporse sul tavolo e prese il libricino dalla copertina blu e lo scosse. In quel momento, notò l'immagine di Marie Laveau. «Chi è?», chiese a Rosie. «È Marie Laveau, la più famosa regina voodoo di tutti i tempi». «Perché ho l'impressione che questo viso non mi sia nuovo?», disse Lorraine assorta. Rosie le tolse il libro di mano. «Be', ho avuto anch'io la stessa sensazione, è come se l'avessi già vista da qualche parte». «Il turbante, i vestiti... Ridammelo, Rosie». Lorraine si alzò in piedi e
cominciò a camminare avanti e indietro. «Cazzo! Non posso crederci, Rosie». «Ma di cosa stai parlando?». Lorraine buttò il libro sul tavolo. «Questa è Elizabeth Caley, ha questo dipinto nel salone della villa, è ispirato a un suo film». «No, ti sbagli. Questo è un ritratto di Marie Laveau, l'ho visto al Museo Voodoo, ma hai ragione, è la sua immagine sputata». «La palude», esclamò Lorraine, battendo le mani per congratularsi con se stessa. «Il film si intitolava La palude ed è stato il primo film di Elizabeth Seal, dico bene, Rosie?». «Forse c'è in videocassetta», suggerì l'amica. «Buona idea, vediamo di procurarcene una copia. Elizabeth Caley è un personaggio molto importante da queste parti, quindi non si sa mai. Brava, Rosie! Sei davvero in gamba». «Grazie», Rosie sorrise. «Dico sul serio, stai facendo un ottimo lavoro - sei già una vera detective!». Lorraine andò ad abbracciarla. Cominciava a sentirsi meglio. «Se per voi va bene, andrei a fare un sonnellino, sono davvero esausta. Magari mi farò una doccia». Rosie ripose il libricino nella borsa, mentre Lorraine toccava leggermente la spalla di Nick. «Sto bene, adesso», mormorò. «Non devi preoccuparti per me, Nick. Ho solo bisogno di un paio d'ore di riposo». Lui scrollò le spalle mentre lei si allontanava. «Che cos'aveva?», volle sapere Rosie. «Niente», rispose Nick. «Oh, davvero? Mi sembrava molto tesa. Forse dovrei andare a parlare un po' con lei, che ne pensi?». «Non è il caso, piuttosto vai a vedere se riesci a trovare quella videocassetta. Io resterò qui ad aspettare Bill». Rosie raccolse le sue cose e gli lanciò un'occhiataccia. «Forse preferisci andare tu a fare da baby-sitter a sua maestà? Mi sembrava che avesse bisogno di una spalla su cui piangere». «Be', io resto qui. E lasciami la Coca, okay?». Rimasto solo, Nick giocherellò con la lattina ghiacciata. Avrebbe voluto salire nella stanza di Lorraine e sdraiarsi accanto a lei - e non solo per confortarla come amico. Il Crawfish Bar si trovava in un vicolo lurido di uno dei peggiori quar-
tieri di New Orleans, in un edificio cadente con le finestre coperte da reti metalliche arrugginite. Un tempo era stato una drogheria e bisognava suonare il campanello per entrare: era evidente che i proprietari non volevano clienti occasionali. Il bar era quasi deserto e Rooney e Harper erano seduti su due sgabelli davanti al bancone. C'era un televisore acceso e il commento di una partita di basket copriva la loro conversazione. «Non sono sicuro che mi piaceranno», disse Rooney guardando la sua porzione di gamberi di fiume bolliti e l'orribile piatto di plastica nera, grande quasi quanto il coperchio di un bidone della spazzatura, che gli era stato dato per metterci le teste e i gusci. «Ma certo che ti piaceranno. Vengono chiamati anche "insetti del fango" perché vivono nelle correnti di acqua fresca del fiume e, credimi, amico, in questo posto servono i gamberi più freschi di tutta New Orleans», disse Harper, infilandosi un tovagliolo nel colletto della camicia. Rooney fissò dubbioso quelle piccole creature che somigliavano ad aragoste in miniatura. «Bene, allora, fai come me. Prima prendi la testa tra il pollice e l'indice, così...». Harper gli diede una dimostrazione pratica e Rooney lo imitò obbediente. Harper era più interessato al suo pranzo che alla conversazione, e gli disse che dovevano mangiare e finire le loro birre prima di dedicarsi agli affari. Passò più di mezz'ora prima che il poliziotto si decidesse a raccontargli qualcosa, e non aprì bocca finché i cinquecento dollari non furono al sicuro nel suo portafogli. «Allora, cosa vuoi sapere, Bill?». «Cosa avete scoperto sulla scomparsa di Anna Louise Caley?». Harper scrollò le spalle grasse. «Un cazzo di niente!» «È tutto quello che mi sai dire per cinquecento dollari?», chiese Rooney bruscamente. Harper si guardò attorno con aria furtiva. «Dipende da cos'altro vuoi sapere...». «Qualcosa di sporco su Robert Caley?». «Nossignore. È un uomo rispettabile, ha la sua brava licenza da agente immobiliare e ha dovuto aspettare un bel po' anche se è il marito di Elizabeth Seal. Non ha cercato di forzare le cose pagando qualcuno, si è comportato come un qualsiasi cittadino di New Orleans». «Ma lui non è esattamente un cittadino di New Orleans». «Stai scherzando? Hanno delle ville principesche qui, tre, forse anche quattro. Sono ricchi sfondati. Più o meno venticinque anni fa, correva voce
che lei, Elizabeth Seal, avesse una storia con un magnate di nome Lloyd Dulay, e sembra che lui abbia contribuito non poco al patrimonio della nostra star». «È uno dei soci di Caley nell'affare del casinò, vero?», domandò Rooney. «Esatto, ha un paio di pezzi grossi dalla sua parte. Secondo me, ce la faranno. È solo una questione di tempo». «Hai mai sentito niente riguardo a un possibile problema di droga di Elizabeth Caley?». «Cosa? Mi prendi in giro? Niente di niente». Rooney sospirò. «Allora, puoi darmi qualche dettaglio su come avete condotto le indagini? C'era una grossa ricompensa in ballo e faceva gola a parecchia gente». «Proprio così, ma quando abbiamo interrogato i cosiddetti testimoni oculari, ci siamo accorti che avevano detto solo un mucchio di stronzate e abbiamo anche scoperto che alcuni erano stati pagati da certi poliziotti che volevano mettere le mani sul malloppo...». «Cosa pensi che sia successo alla ragazza?». Harper si passò un fazzoletto sul volto sudato. «La ragazza ha incontrato uno spostato, hanno litigato e lui l'ha fatta fuori. C'è stato solo un arresto, un vecchio musicista jazz di nome Fryer Jones, un testimone l'ha visto parlare con la ragazza nel quartiere francese». Rooney si accigliò. «Avete fatto un arresto? Non ho letto niente a riguardo nei rapporti della polizia di Los Angeles». «Be', non c'è da meravigliarsi. Los Angeles è Los Angeles, qui siamo a New Orleans e le cose funzionano in modo un tantino diverso. Potresti anche non trovare niente su Fryer Jones nei nostri archivi». «Perché?». «Perché nessuno vuole mettersi contro quella vecchia carogna. È molto influente e c'è un sacco di gente superstiziosa da queste parti. Fryer è molto astuto, e sa fin troppo bene come sfruttare le persone a suo vantaggio». «Non ti seguo, che prove avevate contro di lui?». Harper scrollò le spalle. «Un tizio credeva di averlo visto parlare con Anna Louise Caley. Sai, il suo locale non è lontano dall'hotel dei Caley, non è nello stesso quartiere, ovviamente, ma è a dieci quindici minuti a piedi da lì. Non abbiamo trovato nessuno che potesse confermare quella dichiarazione e circa cinque mesi fa abbiamo ritrovato il testimone che galleggiava a faccia in giù nel fiume, quindi, come ti ho già detto...».
«Pensi che sia stato assassinato per la sua testimonianza contro Fryer?». «È possibile, ma tieni presente che era un drogato e quindi potrebbe essersi semplicemente fatto una dose di troppo ed essere caduto nel fiume». «Quindi le accuse sono cadute nel vuoto». «Infatti. Fryer ha negato di aver visto Anna Louise Caley e aveva almeno venti testimoni pronti a giurare che quella sera non aveva mai lasciato il suo locale. Siamo stati costretti a rilasciarlo». Harper controllò l'orologio. «Devo andare ora, sono di servizio». «Pensi che sarebbe disposto a parlare con me?». Harper si sistemò i pantaloni in vita. «Sta a te decidere, ma io non mi avvicinerei troppo al suo locale, se fossi in te. È un posto pericoloso. Noi non disturbiamo lui e lui non disturba noi e, credimi, è un uomo da cui è meglio stare alla larga perché, che tu ci creda o meno, quella merda voodoo può davvero fotterti il cervello, sai?». Dopo una doccia e due aspirine, Lorraine cominciava a sentirsi meglio. Si infilò l'accappatoio e controllò i messaggi che le erano stati lasciati. Robert Caley aveva chiamato quattro volte e Lloyd Dulay una. Fissò il nome di Caley. Avrebbe voluto chiamarlo ma, allo stesso tempo, aveva paura di sentire la sua voce, così telefonò a Lloyd Dulay che non era in casa. Stava per sdraiarsi sul letto quando bussarono alla porta. «Sono io, c'è anche Bill», disse Nick. Lorraine sospirò. Non aveva voglia di vederli ora. «Stavo per fare la doccia», mentì aprendo la porta. «Fai pure, ti raggiungo subito», sogghignò Nick. Rooney non sembrava affatto di buonumore. Era sudato e accaldato e gli facevano male i piedi. Si sedette su una sedia dallo schienale rigido, mentre Nick si sdraiò sul letto a una piazza. «Be', credo che potete aspettare finché non abbiamo discusso di alcune cose», disse Rooney irritato. «Allora, questo sbirro mi ha venduto delle informazioni molto interessanti». «Lo spero proprio, gli hai sganciato cinquecento dollari», disse Nick sbadigliando. Prese a massaggiarsi la gamba e il suo volto si contrasse in una smorfia. «Cristo, detesto New Orleans, c'è troppa umidità e la gamba mi sta facendo impazzire». Rooney sfogliò i suoi appunti. «Possiamo parlare di lavoro almeno per un momento?». Il telefonò cominciò a squillare. Lorraine guardò Nick. «Puoi rispondere
tu? Se è Robert Caley, non ci sono, e se è la reception puoi dire di non passarmi telefonate?». «Sicuro». Nick sollevò il ricevitore, felice del fatto che Lorraine non volesse parlare con Caley. «Camera della signora Page». «Ho parlato con questo sbirro», continuò Rooney, «e lui mi ha raccontato che hanno fatto un arresto». Nick fece un cenno a Lorraine. «Sì, gliela passo subito». Coprì il microfono con una mano. «Chi è?», sussurrò lei. «È la polizia, si tratta di Tilda Brown». Lorraine fece una smorfia e prese il ricevitore, sedendosi sul letto accanto a Nick. «Lorraine Page». Rimase ad ascoltare poi, all'improvviso, il suo corpo si tese. «Sì, oggi, sì. Mi scusi?». Rooney e Nick la stavano osservando: solo guardandola in faccia si capiva che era successo qualcosa. «Sì, naturalmente, sarò lì appena possibile. Oh, certo, allora vi aspetterò davanti all'hotel». Lorraine riappese. «Tilda Brown si è impiccata oggi pomeriggio. Vogliono interrogarmi, hanno trovato il mio biglietto da visita nella tasca del suo kimono, sanno che sono stata da lei stamattina». «Merda», mormorò Nick. Lorraine era sconvolta, si massaggiava la fronte con una mano. «Mandano un'auto di pattuglia a prendermi... Oh, cazzo, maledizione! Quella stupida, stupida ragazzina». Nick le prese la mano. «Coraggio, cerca di riprenderti. Se vuoi, vengo con te». Lei si allontanò da Nick. «No, no, resta pure qui. Cercate di mettere insieme le cose che abbiamo scoperto. Oh, Dio! Perché cazzo ha dovuto fare una cosa simile, perché?». «Andiamo, Lorraine, non sei responsabile per quello che ha fatto», intervenne Rooney. Lorraine si diresse verso il bagno poi si voltò. «No? L'ho davvero torchiata oggi, le ho persino mostrato quella cazzo di fotografia di Anna Louise e... e non sarei responsabile per quello che ha fatto? Chi vuoi prendere in giro?». Si richiuse la porta del bagno alle spalle, sbattendola. Nick guardò Rooney. «Andiamo in camera mia, ha bisogno di stare un po' da sola».
Rooney sospirò. «Okay, ma devo assolutamente bere una birra, questo caldo mi sta uccidendo». «Ti raggiungo subito». Nick attese che Rooney uscisse, poi andò alla porta del bagno; entrò senza bussare. Lorraine era in piedi e stava tremando. Le sue mani stringevano spasmodicamente il bordo del lavandino e aveva il volto inondato di lacrime. Non aveva nemmeno la forza di dirgli di andarsene e lui l'attirò a sé e la strinse forte. «Sshhh, resta qui, cerca di sfogarti. Ti sentirai molto meglio dopo, credimi, lo so». Lei si aggrappò a Nick e lui la prese in braccio e la portò in camera da letto. La fece sdraiare e, proprio come aveva immaginato non molto tempo prima, si sdraiò accanto a lei, tenendola stretta e baciandola dolcemente mentre piangeva. Lorraine aveva bisogno di lui, anche se non lo desiderava quanto lui desiderava lei, ma anche il semplice fatto di starle vicino alimentava la sua speranza. A un certo punto, Lorraine si sollevò su un gomito e lo guardò in faccia. «Sei una persona speciale, lo sai, Bartello?». «Già, me lo dicono spesso». Lei sorrise e Nick le asciugò le lacrime con un dito. «Brava ragazza. Allora, vuoi che venga con te?». «No, devo sistemare questa faccenda da sola, ho già commesso fin troppi sbagli, Nick». Di punto in bianco, gli prese il viso tra le mani e lo baciò sulla bocca, un bacio dolce e platonico che lo lasciò comunque senza fiato. Nick sapeva bene che non era il caso di forzare oltre le cose, ma quel bacio lo riempì di speranza. «Mi fai impazzire, signora Page, lo sai, vero?». Lei si allontanò da lui. Era tornata in sé e si stava già preparando ad affrontare la polizia. «Hai sentito quello che ti ho detto?». Lei si voltò e lo fissò con quello sguardo che lui adorava, la testa leggermente piegata di lato, i capelli che le ricadevano sulla guancia, nascondendole la cicatrice. «Non hai mai pensato, Nick, che forse non ne valgo la pena?». Lui scoppiò a ridere e si incamminò verso la porta. «Lascia che sia io a deciderlo!», le disse senza voltarsi e uscì. Quando Lorraine ebbe finito di vestirsi trovò altri due messaggi che erano stati infilati sotto la porta della sua camera: Lloyd Dulay che l'aveva ri-
chiamata e Robert Caley che diceva che aveva urgente bisogno di vederla e che Elizabeth sarebbe arrivata a New Orleans quella sera. Lorraine li raccolse prima di uscire. L'auto della polizia la stava già aspettando. «Sono venuta qui questa mattina», disse Rosie al giovane che sedeva dietro la cassa del Museo Voodoo: sembrava del tutto privo di grazia in confronto alla ragazza sorridente che aveva visto lì qualche ora prima. «Se è per qualcosa che ha perso, non abbiamo trovato niente oggi», le disse il ragazzo senza nemmeno alzare lo sguardo dal giornale. «No, non è per questo. Volevo qualche informazione su una videocassetta», insistette Rosie porgendogli il biglietto da visita dell'Agenzia Investigativa Page. «Questa non è una videoteca, signora». Non degnò di uno sguardo il biglietto da visita. «Lo so, ma si tratta di un film particolare, un vecchio film intitolato La palude, con Elizabeth Caley nel ruolo di Marie Laveau. Non l'ho trovato in nessuna delle videoteche dove sono stata. So che il film è stato girato, ho visto il ritratto di Elizabeth Seal nei panni di...». Il giornale si richiuse di colpo. «Credo che si stia sbagliando. Elizabeth Seal è bianca, Marie Laveau era di colore. Se le interessa un'altra visita guidata...». La fissò con occhi ostili cercando di spaventarla ma lei non si diede per vinta. «Nel cinema usano il trucco, sa e...». «E lei non mi ha ascoltato, signora. Devono averla informata male. Perciò, se non le interessa visitare il museo, le consiglio di andarsene». «Grazie, allora farò un altro giro». Il ragazzo accettò il denaro controvoglia e la ignorò quando lo oltrepassò, dicendogli che avrebbe aspettato la guida dentro. Rosie rimase per alcuni minuti nella stanza profumata e immersa nella penombra, ma non venne nessuno. Continuò ad aspettare, il cuore che le batteva forte nel petto. All'improvviso, sentì il morbido ritmo dei tamburi e si chiese se il ragazzo avesse acceso un registratore. Rosie s'incamminò lungo il corridoio, osservando i ritratti delle regine, ma nella sua mente non c'era che l'immagine di Marie Laveau, il volto radioso, gli strani, scurissimi occhi. Trasalì quando avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle. Non era il ragazzo ma un uomo di colore con i capelli brizzolati, alto e dall'aria austera. Indossava un elegante completo grigio, una camicia bian-
ca e una cravatta. In una mano, teneva il biglietto da visita di Lorraine. «Lei è la signora Lorraine Page?». La voce dell'uomo era bassa e profonda. «No, sono la sua assistente, be', in realtà sarei la sua socia, mi chiamo...». «Prego, mi segua», disse lui indicando la sala successiva. Rosie era così spaventata che stava andando in iperventilazione. Quel luogo era molto più buio di quella mattina e il rumore dei tamburi stava diventando sempre più snervante. «Di preciso, su cosa state indagando?». Rosie spostò il peso da un piede all'altro. «Be', è una questione molto delicata ma posso dirle che siamo stati assunti dai signori Caley». «Per quale motivo, di preciso?», chiese l'uomo, continuando a scrutare il viso di Rosie. «Ehm, avevano una figlia, si chiamava Anna Louise Caley ed è scomparsa qui undici mesi fa. Be', non proprio in questo posto ma dal suo albergo». «Mmm sì, mi sembra di ricordare di aver letto qualcosa a riguardo», tuonò la voce profonda dell'uomo. «Che cos'ha a che fare questo film con i... Caley, ha detto?». «Il fatto è che la signora Caley un tempo si chiamava Elizabeth Seal». «Ah sì, la star del cinema, era bellissima». Incoraggiata da quelle parole, Rosie si avvicinò all'uomo. «Il suo primo film si intitolava La palude e nella sua villa di Los Angeles c'è un dipinto in cui è praticamente identica a...». «Alla Regina Marie Laveau». «Sì. E noi, voglio dire la signora Page e io e il capitano Rooney, che lavora anche lui per l'agenzia, be', noi vorremmo vedere quel film». «Perché?». Rosie si inumidì le labbra. «Ehm, a essere sincera non lo so, è solo che stiamo cercando di ricostruire alcuni avvenimenti, capisce, ed è stata una coincidenza così incredibile vedere quel dipinto oggi... tutto qui». «Mmm, tutto qui. Ma, vede, non è così semplice». Lui si sporse in avanti e la luce delle candele illuminò i suoi lineamenti belli e regolari. «Lasci che le spieghi una cosa. La Regina Marie è una parte molto importante della nostra storia. Siamo fieri di lei, la veneriamo, ci ha portato speranza e fede quando ormai era tutto perduto. Ma questo film non ci rende orgogliosi. È stato un tradimento della nostra fede, un tipico
prodotto commerciale di Hollywood che ha distorto completamente i fatti. Abbiamo rinnegato quel film e nessuno a New Orleans o nello stato della Louisiana può ammetterne l'esistenza». «Allora questo film parla del voodoo?». Lui la fissò per un attimo poi scosse la testa sorridendo. «È stato un tentativo di ritrarre la nostra Regina in tutta la sua grandezza ma il risultato è stato soltanto un insulto alla sua memoria. Tanto per cominciare, hanno scelto una donna bianca per il ruolo della Regina Marie: forse Elizabeth Seal ha davvero sangue nero nelle vene ma si vergogna di ammetterlo, anche se da molti anni è un generosa sostenitrice della nostra causa». L'uomo si esibì in un inchino formale. «Ora, se vuole scusarmi». «Mi sta dicendo che Elizabeth Caley...». «Elizabeth Caley è una credente e una donna molto generosa e caritatevole. La prego, le porga le mie condoglianze per sua figlia. Buonasera». «Grazie mille», balbettò Rosie, non certa di aver sentito bene. Non si trattenne oltre. I tamburi battevano al ritmo del suo cuore e la spaventavano a morte. Lorraine sedeva nel caldo opprimente di un ufficio del dipartimento di polizia di New Orleans. Un agente stava trascrivendo la sua dichiarazione. Un sergente robusto sedeva dietro una scrivania disordinata, dondolandosi sulla sedia che cigolava sotto di lui. «Allora non è al corrente di alcuna ragione per cui la signorina Tilda Brown avrebbe dovuto commettere un atto così tragico?». «No. Come vi ho già detto, sono stata da lei per non più di tre quarti d'ora e le ho rivolto le stesse domande che le avete fatto voi circa la sparizione di Anna Louise Caley, e cioè se l'amica era andata a trovarla la notte in cui...». «La ragazza le è sembrata turbata o agitata?». «Sì, era la migliore amica di Anna Louise, è normale che fosse turbata». Aveva deciso di non fare parola della fotografia o delle insinuazioni di Tilda su Anna Louise e suo padre. «Be', è una vera tragedia, ma chi può dire cosa passa per la testa di una ragazzina?», disse il sergente e la sua sedia emise un cigolio minaccioso. «Sì, chi può dirlo?», ripeté Lorraine. Esitò per un attimo. «Siete sicuri che si sia trattato di suicidio? Ha lasciato un biglietto?». L'uomo si accigliò. «Non ci sono indizi che possano far pensare al coinvolgimento di qualcun altro».
«Allora c'era un biglietto?». Lui annuì. «Non posso rivelargliene il contenuto, dal momento che era indirizzato ai suoi genitori. Era la loro unica figlia». «Ma si è trattato di suicidio?». «Sì. La ragazza indossava solo un kimono di seta. Ha preso la cintura, l'ha legata all'asta delle tende, è salita su uno sgabello e lo ha allontanato con un calcio. Non c'erano segni di violenza visibili sul suo corpo, oltre a quelli lasciati dalla cintura, naturalmente. È stata la madre a trovarla, ora è sotto sedativi. Come le ho detto, era la loro unica figlia». Lorraine si fermò alla reception dell'albergo, disse di non passarle alcuna telefonata e che non voleva essere disturbata da nessuno, compresi i suoi colleghi. Erano stati infilati altri messaggi sotto la sua porta ma lei non li degnò di uno sguardo. Non aveva aperto nemmeno quelli che aveva portato con sé. Si sentiva sfinita e non voleva affrontare nessuno, non voleva parlare con nessuno, nemmeno con Robert Caley. Si considerava responsabile per la morte di Tilda Brown. Voleva ripensare a tutto ciò che aveva detto lei, a tutto ciò che aveva detto Tilda, perché forse tra quelle parole era celato il motivo per cui una bellissima diciottenne, che aveva tutta la vita davanti a sé, aveva scelto una fine così tragica. E forse c'era anche la spiegazione della scomparsa di Anna Louise Caley. CAPITOLO 13 Nick aveva bevuto ben più di qualche birra con Bill Rooney. Avevano confrontato i loro appunti, discusso delle nuove scoperte e Rosie li aveva raggiunti e aveva raccontato loro del suo incontro al museo. Avevano continuato a parlare dei nuovi sviluppi anche durante la cena in un bistrot poco lontano. Tutti e tre avevano la sensazione che Robert Caley non fosse più il loro sospetto numero uno e che avrebbero fatto meglio a concentrarsi sulla pista di Juda Salina, della droga e del voodoo, soprattutto ora che sapevano che Fryer Jones era stato interrogato dalla polizia sulla scomparsa di Anna Louise Caley. Erano le dieci passate quando tornarono in albergo. Rooney e Rosie erano stanchi mentre Nick era ancora pieno di energia; era sempre stato un nottambulo. Quando scoprirono che Lorraine era in camera sua e che aveva chiesto di non essere disturbata, Nick si irritò terribilmente mentre Ro-
sie e Rooney ne furono contenti. Nick salì nella sua stanza, camminò avanti e indietro per un po' e dopo aver bevuto un quarto della bottiglia di vodka che aveva comprato, decise di andare da Lorraine. Bussò alla sua porta e attese, poi si guardò a destra e a sinistra nel corridoio vuoto e prese la chiave della sua stanza. Era stato in molti alberghi e si chiedeva se anche lì, come capitava spesso, la sicurezza delle chiavi lasciasse molto a desiderare. Aveva ragione: la chiave entrava nella serratura perfettamente, e Nick aprì la porta di Lorraine. Rimase a guardarla, svitando lentamente il tappo della bottiglia e bevendo una lunga sorsata. Lei era sdraiata a pancia in giù, un braccio che penzolava oltre il bordo del letto, l'altro infilato sotto il cuscino e le lenzuola erano tirate indietro ben oltre la vita. Le si avvicinò silenziosamente e si sedette sull'altro letto per guardarla meglio. Avrebbe voluto sdraiarsi nudo accanto a lei - non aveva mai desiderato così tanto una donna in vita sua. Lorraine dormiva profondamente, le labbra leggermente socchiuse e persino nella semioscurità Nick poteva vedere le cicatrici che aveva sulle braccia e sulla schiena. L'alcol gli stava allentando sempre più i freni inibitori. Posò la bottiglia a terra accanto al letto e le fece scorrere dolcemente il palmo della mano lungo la curva della schiena: lei si mosse e aprì gli occhi. «Nick?», mormorò, ancora mezza addormentata. «Sì», disse lui a bassa voce. Lorraine si voltò e, senza fretta, si coprì i seni nudi con le lenzuola. «Come diavolo hai fatto a entrare?». Nick sorrise. «Oh, ho soffiato e soffiato finché la porta non è caduta». «Sei ubriaco», disse lei sbadigliando. «Non ancora, ma non potevo stare lontano da te». Lei si tirò su a sedere. «Devi andartene, Nick, questa è una follia». «Lo so ma come ti ho detto non riuscivo a stare lontano da te». Lei sospirò: quello era un problema di cui non aveva bisogno e cominciava a irritarla. «Ho bisogno di dormire, Nick». Lui si alzò e per un attimo le sembrò un ragazzino. «Lo so, mi dispiace, sono sempre stato uno stupido bastardo ma...». Lorraine si lasciò ricadere sul cuscino e lo guardò. «Ma cosa?». Nick si sistemò i jeans in vita, evitando il suo sguardo. «Ma cosa, Nick?». Lui rise dolcemente. «Pensi che potrei avere un bacio, solo uno? Poi me ne vado».
«Tu sei pazzo, lo sai, vero?». «Sì, ma non voglio altro... Be', questo non è esatto, vorrei molto di più ma forse questo non è il momento giusto per rotolarci sotto le lenzuola». «Devi andartene», ripeté lei, ma stava sorridendo. Non poteva farne a meno, Nick cominciava a piacerle veramente, lo sapeva e forse lo sapeva anche lui. «Vieni qui, Bartello, ma il patto è...». «Solo un bacio», disse lui, sedendosi accanto a lei sul letto e stringendola tra le braccia. Lorraine sollevò il viso e lo baciò sulle labbra, e quando il lenzuolo scivolò scoprendole il seno, lui si chinò a baciarle un capezzolo. «Basta così, Nick». Lui gemette, baciandole e leccandole il seno, poi la coprì di nuovo con il lenzuolo. «Buonanotte, principessa. Ti amo». Lei lo guardò zoppicare fino alla porta. Nick si voltò per lanciarle un'ultima occhiata e scomparve. Certe volte assomigliava così tanto a Jack Lubrinski che le veniva voglia di piangere, ma lui non era Jack, era Nick Bartello, e mentre tornava ad accoccolarsi tra le lenzuola, sentì il calore del suo amore e, anche se non voleva ammetterlo, si accorse che la faceva sentire bene. Tornato nella sua stanza, Nick non riuscì a prendere sonno. Alle undici era ancora sveglio e irrequieto, così decise di tornare al bar di Fryer. Magari sarebbe riuscito a scoprire qualcosa di nuovo. Era quasi mezzanotte quando attraversò l'atrio silenzioso. Come Rosie e Rooney, anche gli altri anziani ospiti dell'albergo, a quanto pareva, stavano già dormendo. Robert Caley era seduto e stava bevendo dello scotch. Aveva cominciato a bere verso le sette e ora era talmente ubriaco che si sentiva quasi sobrio. L'unica donna che avesse amato da molto tempo a quella parte non solo non rispondeva alle sue telefonate ma lo aveva tradito a tal punto che ora Caley non sapeva se uccidere lei o suicidarsi. Lloyd Dulay era letteralmente impazzito, lo aveva accusato di essersi scopato sua figlia e gli aveva detto con ben più di una punta di soddisfazione che il governatore lo aveva informato che gli sarebbe stato negato il permesso per aprire il casinò. Ben presto la notizia sarebbe stata resa pubblica ma il governatore pensava che fosse appropriata una più ampia distribuzione della proprietà e così Lloyd aveva accettato senza esitazioni di unirsi al Doubloons. Infine, aveva concluso cupamente Dulay, sapeva che Caley si era andato a cacciare in un guaio terribile e lo aveva avvertito: avesse usato anche un solo centesimo
del fondo fiduciario di sua figlia per tirarsene fuori, lo avrebbe trascinato in tribunale. «Ma chi ti ha raccontato tutte queste stronzate?», aveva replicato Caley rabbiosamente. Dulay aveva esitato per un attimo, poi lo aveva guardato dritto negli occhi. «Quella detective, Lorraine Page». Caley era sconvolto. Quelle accuse erano state come pugnalate al cuore. Perché, continuava a domandarsi, perché Lorraine si stava comportando così? Come poteva fare l'amore con lui una notte e cercare sistematicamente di distruggerlo il giorno successivo? Era stato quello il suo scopo fin dall'inizio? Non riusciva a crederci. L'alcol attenuava il dolore e più beveva più si convinceva che lei non poteva avergli fatto davvero una cosa del genere. Ma quando le sue telefonate restarono senza risposta, cominciò a infuriarsi con se stesso perché si era comportato come un vero idiota - in quella circostanza e forse in tutta la sua vita. La sua rabbia crebbe a dismisura quando ricevette un telegramma che lo informava che Elizabeth aveva lasciato la clinica e aveva ordinato a Edward di portarla a New Orleans. Caley telefonò a Phyllis e lei gli disse che Lloyd Dulay aveva chiamato per parlare con Elizabeth. Phyllis gli aveva dato il numero della clinica. A mezzanotte, Caley era ubriaco, ferito e rabbioso, e sull'orlo della bancarotta per di più. Ma continuò a telefonare a Lorraine, perché aveva bisogno di parlare con lei, per darle l'opportunità di fornirgli una spiegazione, perché non riusciva ancora a credere che potesse averlo tradito in quel modo. Non gli importava di nient'altro, né del denaro né di Anna Louise, solo di Lorraine, la donna di cui si era innamorato così totalmente e stupidamente, la donna che lo aveva usato. Anche quando gli telefonò Elizabeth, non provò nulla. Sua moglie sembrava calma e lontana, e arrabbiata. Si rifiutò di dirgli perché aveva lasciato la clinica e gli disse soltanto che non avrebbe soggiornato all'hotel ma che sarebbe andata direttamente nella loro casa nel Garden District. Caley sapeva che Dulay doveva averle detto qualcosa ma non aveva l'energia per discutere al telefono. Preferiva affrontare Elizabeth di persona. Le chiese comunque se Lorraine Page l'aveva chiamata in clinica. Elizabeth parve sorpresa. Poi Caley sentì la paura che cominciava a serpeggiare nella voce di sua moglie. «Ha scoperto qualcosa?». Lui sospirò, e aspirò una boccata di fumo. «Forse, ma non penso che ab-
bia a che fare con Anna Louise...». «E con cosa, allora?», domandò Elizabeth con voce incerta. «Sei tu quella che ha tanti segreti, Elizabeth. Io sono solo lo stupido bastardo che ha cercato di andare avanti nonostante tutto». Seguì una lunga pausa. «Pensi che dovremmo smettere di pagarla?». «Dovremmo? Dovremmo? Sei tu quella che ha dato il via a queste indagini, Elizabeth. Tu l'hai assunta e devi essere tu a licenziarla. Le avevi dato due settimane di tempo, giusto? Smetti di pagarla e basta». Ci fu un'altra lunga pausa e lui sentì il respiro affannoso di Elizabeth. Stava avendo un attacco di panico, lo sapeva, ma questa volta non gliene importava niente, questa volta non aveva intenzione di preoccuparsi per lei. «C'era una ricompensa», disse infine Elizabeth a bassa voce. «Cosa?», chiese lui, accendendosi un'altra sigaretta con il mozzicone di quella che aveva appena finito. «Di cosa stai parlando?». La sentì prendere un profondo respiro. «Non arrabbiarti, Robert, ma le ho offerto un milione di dollari se lei e i suoi colleghi fossero riusciti a trovare Anna Louise». Caley chiuse gli occhi. Elizabeth stava singhiozzando e anche lui aveva voglia di piangere. «Be', sono affari tuoi. Ci vediamo a casa». Riappese senza lasciarle il tempo di replicare, poi chiamò la reception e disse che non voleva essere disturbato. Caley si sdraiò sul letto, inspirò una lunga boccata dalla sigaretta e lasciò uscire il fumo lentamente dai polmoni. Un premio di un milione di dollari! Non c'era da stupirsi che avesse fatto l'amore con lui. Un uomo che si sentiva stupido e tradito, un uomo che si sentiva assolutamente inadeguato come si sentiva lui ora, era un uomo pericoloso, perché se Lorraine Page fosse entrata in quel momento l'avrebbe presa per la gola e l'avrebbe strangolata. Lorraine era immersa in un sonno profondo, esausto e senza sogni. Aveva spinto indietro le lenzuola e si era rannicchiata su se stessa, il suo corpo nudo luccicante di sudore. Ma niente riuscì a svegliarla, nemmeno la piccola luce rossa che pulsava sul suo telefono mentre giungevano le telefonate, una a mezzanotte, una a mezzanotte e un quarto e l'ultima all'una e un quarto. Juda Salina si svegliò, l'enorme corpo fradicio di sudore. Sentiva un'or-
ribile stretta alla gola e sapeva che ciò che aveva visto in trance qualche giorno prima ora stava per accadere. «Raoul», gracchiò, poi urlò: «Raoul vieni qui!». Il ragazzo comparve sulla soglia della camera da letto di sua zia, gli occhi assonnati. «Sì? Cosa vuoi?». «Dell'acqua, portami dell'acqua». Stava per accadere, stava accadendo in quel momento e lei non poteva fare niente per impedirlo. Avrebbe dovuto affrontare ciò che aveva visto, ciò che aveva percepito, e l'idea di essere esposta a un simile dolore la faceva infuriare. Ma quello era il potere che Dio le aveva dato e, per quanto potesse odiarlo, lo doveva accettare. Era il volere degli spiriti, lei era stata scelta e non poteva fare niente per evitarlo. Raoul le portò un bicchiere di acqua tiepida e lei lo bevve avidamente, le mani grasse che tremavano strette attorno al bicchiere. Lui rimase ad aspettare. «Stai male?». Juda scosse la testa e, con un sospiro, si lasciò ricadere sulla montagna di cuscini del suo letto. «No, non sto male. Partiamo domattina». «Vuoi altra acqua?». «No, ma resta un po' qui con me, parla con me». Raoul si sedette sul bordo del letto, la cintura della corta vestaglia di cotone legata stretta in vita. «A casa sono tutti in agitazione, mancano pochi giorni e Ruby ha i nervi a fior di pelle». Juda sospirò. «Hai parlato con tua madre?». Lui annuì. «Certo, mi ha detto che ha picchiato Jesse e Willy con una scopa, perché si erano fatti ed erano andati nel bar di Fryer, e che ha preso a sberle Sugar May che vuole fare la cantante e continua a bazzicare quel locale. Mamma è preoccupata, la stanno facendo impazzire». Juda annuì. «Ruby ha un volto bellissimo e un corpo favoloso, ma non penso che abbia la conoscenza, ed è per questo che credo che se la caverà benissimo. Ma quando torneremo a casa, dovrai fare un bel discorsetto ai tuoi fratelli, dovrai tenerli lontani da Fryer Jones. Altrimenti, si faranno molto male, e lo stesso vale per Sugar May». Lei chiuse gli occhi e Raoul si mordicchiò le unghie, picchiettando nervosamente con un piede contro una gamba del letto. «Tu non fai più uso di droghe, vero, Raoul?». «No, zia Juda, adesso lavoro per te». «Bravo ragazzo, la droga fa male. Smettila con quel piede, mi dà sui
nervi. Sei molto nervoso ultimamente, quindi se non riesci a dormire, beviti una tazza del tè che preparo per la signora Caley». «Quello farebbe addormentare anche un elefante», disse Raoul, continuando a mangiucchiarsi le unghie. «Be', ho dovuto aumentare le dosi nel corso degli anni...». Lui distese le gambe per un attimo e poi le accavallò di nuovo, ricominciando a battere con il piede. Non riusciva a smettere, il suo corpo era come percorso da spasmi e aveva bisogno di fare un tiro dalla sua pipa, aveva appena cominciato a fumare quando lei lo aveva chiamato. Se Juda lo avesse guardato meglio, si sarebbe accorta che il nipote aveva fatto un salto di qualità: non si limitava più alla marijuana, era passato al crack e lo fumava quasi tutte le notti. Non appena sua zia si addormentava, Raoul sgattaiolava fuori di casa e andava per locali. Faceva in modo di tornare prima che Juda si svegliasse, così che lei non potesse scoprire che era uscito a procurarsi la roba. Nick si diresse verso il locale di Fryer Jones, le mani in tasca, una sigaretta che gli penzolava da un angolo della bocca. Sentì il ritorno di fiamma dell'auto, simile a un colpo di pistola, e si chinò di scatto, si voltò e si accovacciò contro il muro. Quel rumore riecheggiò di nuovo e Nick sentì il baccano di una musica frastornante quando una vecchia Camaro comparve sulla strada. Willy era fatto, suo fratello Jesse si sporgeva dal finestrino e urlava: «Te l'avevo detto che era lui, te l'avevo detto, Willy! Accosta». Nick sospirò infastidito, nemmeno lontanamente preoccupato per i due ragazzi, tuttavia si tolse le mani di tasca e si guardò attorno, per decidere in che direzione incamminarsi e per vedere se ci fossero possibili testimoni di ciò che sapeva sarebbe successo. «Ehi! Tu, figlio di puttana!». La vecchia Camaro si fermò pochi metri davanti Nick. Lui si avvicinò ancora al muro, stringendo i pugni, pronto a stendere i due ragazzi. Se fosse stato necessario, non avrebbe esitato a prendere la .22 che teneva in uno degli stivali. Willy ingranò la retromarcia e la Camaro incominciò ad arretrare. Non avrebbe voluto salire sul marciapiede, ma aveva fatto male i suoi conti. Jesse si stava ancora sporgendo dal finestrino del passeggero, stava imprecando e insultando il tizio che li aveva riempiti di botte la notte precedente. Ma adesso era da solo, non c'era quel vecchio bastardo di Fryer Jones. Mentre Nick si scansava per evitare la macchina, la sua gamba cedette.
Cadde e riuscì a rialzarsi solo quando Jesse si avventò su di lui, urlando e assestandogli un ridicolo calcio in stile kung-fu. Nick gli afferrò il piede e lo torse, facendo perdere l'equilibrio a Jesse che cadde sulle mani e sulle ginocchia. «Muoviti, Willy, prendilo!». Willy si lanciò contro Nick, brandendo una mazza da baseball e lo colpì all'avambraccio mentre Nick si proteggeva il volto. La gamba cedette nuovamente e Jesse ebbe il tempo di rimettersi in piedi. Strappò la mazza da baseball al fratello e, insieme, si scagliarono su di lui. Nick si chinò e riuscì a sfuggire ai loro colpi. Si diresse verso un bar illuminato. Corse più in fretta che poté, rallentato dalla gamba dolente. Avrebbe voluto prendere la pistola ma per farlo avrebbe dovuto fermarsi. Aveva i ragazzi alle calcagna, Jesse roteava freneticamente la mazza da baseball sopra la testa. Colpì Nick a una spalla ma lui continuò a correre. Appena prima di raggiungere la relativa sicurezza del bar, inciampò di nuovo. Willy si spostò davanti a lui e Nick vide che aveva un coltello. Alzò le mani, ansimando, cercando di riprendere fiato. «Ehi! Coraggio, cerchiamo di ragionare, okay...?». Nick vide il vicolo dall'altra parte della strada e si tuffò tra i due ragazzi, ma Jesse ebbe il tempo di colpirlo un'altra volta, sulla testa, sopra l'orecchio sinistro. Nick vacillò. Poteva vedere l'insegna al neon di un negozio di liquori e cercò di raggiungerlo, sperando di trovare aiuto. Il respiro gli raschiava nel petto, il dolore lancinante alla gamba gli rendeva difficile fare qualsiasi movimento e gli faceva male la testa, ma riuscì a raggiungere l'ingresso del negozio. La porta era chiusa. Suonò il campanello e colpì la porta con un pugno. «Aprite, cazzo, aprite!». I due ragazzi stavano sogghignando, uno faceva dondolare la mazza da baseball, mentre l'altro giocherellava con il coltello. Lo avevano messo all'angolo; quello era un vicolo cieco e Nick non poteva andare da nessuna parte. Era in trappola. Raoul era ancora seduto sul letto di sua zia e gli spasmi stavano peggiorando. Aveva disperatamente bisogno di fumare. «Hai ancora bisogno che resti qui?». Juda non rispose. Lui si alzò e si avvicinò, sicuro che si fosse addormentata, ma lei si alzò di scatto a sedere, artigliandosi la gola, scossa da violenti conati di vomito. Terrorizzato, Raoul indietreggiò. Non che non aves-
se mai visto niente di simile, era capitato spesso anche a sua madre ed era una cosa che Raoul odiava, proprio come aveva sempre odiato la gente che frequentava la loro baracca di New Orleans, che urlava e gridava nello studio buio di sua madre, i bambini confinati nel cortile posteriore. Juda prese a contorcersi sul letto che cigolava e gemeva sotto il suo peso. A un certo punto, un lato del letto si sollevò letteralmente mentre lei rotolava dalla parte opposta. Fu allora che Raoul vide la scatola di legno, e la sua agitazione crebbe, terrorizzato dai grugniti e dai lamenti di sua zia. Juda aveva il grasso mento bagnato di saliva che le scorreva dagli angoli della bocca, ma il ragazzo non riusciva a pensare ad altro che alla scatola di legno, perché sapeva che cosa conteneva. Nick Bartello non poteva più scappare. Aveva cercato di prendere la .22 ma la mazza da baseball era calata di nuovo sul suo braccio, spezzandoglielo questa volta. Nick non poteva difendersi ma si ricordava i loro volti, così giovani, così arroganti come li aveva visti nel locale di Fryer la notte precedente. Quando si avventarono su di lui, Nick rispose ai loro colpi, pur sapendo che con la gamba ridotta in quel modo non aveva alcuna speranza. Era la fine. Si rannicchiò su se stesso mentre lo prendevano a calci, proteggendosi la testa con le mani. Poi uno dei due ragazzi si chinò su di lui e Nick vide la lama avvicinarsi, vide tutta la sua vita passargli davanti agli occhi. Il volto di Lorraine fu l'ultima immagine che gli attraversò la mente quando gli tagliarono la gola. Fryer Jones sedeva sul suo solito posto. Willy e Jesse Corbello entrarono nel locale e andarono a sedersi accanto a lui. Fryer prese il trombone quando Willy gettò la collana gris-gris sul bancone del bar. «È tua questa, Fryer?». Lui la prese e sentì il sangue ancora fresco sulle ossa bianche dell'amuleto. Sospirò. «Ragazzi, avete appena fatto qualcosa di molto cattivo, questo era mio e l'avevo regalato in buona fede». «Tu non ci hai dato quello che ci avevi promesso, vecchio bastardo, e tra l'altro, farai per noi quello che noi abbiamo fatto per te, okay? Siamo stati qui tutta la notte, non abbiamo mai lasciato il tuo locale», disse Jesse, sporgendosi sul bancone per prendersi una birra. Willy aprì il portafogli di Nick Bartello. «Chi cazzo se ne frega, comunque non ci ha visti nessuno. Siamo stati grandi. Ehi, offrici da bere, dobbiamo festeggiare». Fryer osservò i due ragazzi e fece schioccare le labbra. Stavano perden-
do il controllo e ben presto si sarebbero cacciati in guai seri, proprio come quel pazzo di Raoul. Guardò il gris-gris che aveva dato a quel povero bastardo, ci versò sopra la birra per pulirlo dal sangue, e infine se lo mise attorno al collo. «Credo che andrò a suonare un po'», disse a nessuno in particolare. Scese dallo sgabello e s'incamminò verso il palco. Mentre oltrepassava un gruppo di neri che giocavano a carte, mormorò: «Pestateli per bene, bisogna che qualcuno dia loro una lezione, stanno perdendo la testa». Willy e Jesse erano ancora seduti al bancone, e ridevano e scherzavano, bevendo le loro birre, sicuri che nessuno avrebbe osato toccarli. Dopotutto erano i ragazzi delle sorelle Salina. «Dov'è Nick?», chiese Lorraine quando si unì a Rosie e Rooney per la colazione. «Non lo so, ma siamo andati tutti a letto presto», disse Bill studiando il menu. «L'ho chiamato in camera ma non ha risposto». Lorraine si sedette e prese dalla borsa le buste bianche che contenevano i messaggi che aveva ricevuto. «Com'è andata ieri sera?», domandò Rosie, facendo un cenno al cameriere. Lorraine incominciò ad aprire le buste. «Non hanno ancora stabilito l'ora esatta del suicidio ma pensano che Tilda si sia impiccata due o tre ore dopo che me ne sono andata». C'erano quindici messaggi di Robert Caley che, tra le altre cose, la informava che sua moglie stava arrivando a New Orleans. Dulay aveva chiamato quattro volte e Nick due. Notò l'ora dell'ultima telefonata. «A quanto pare Nick si sta facendo una bella dormita, non è andato a letto poi tanto presto». Gettò il messaggio a Bill. Rosie stava leggendo il menu. Si voltò a guardare Rooney. «Forse dovremmo smetterla con tutti questi zuccheri. So che abbiamo fatto un patto ma, non so tu, io mi sentivo molto meglio quando cercavamo di non mangiare come dei maiali». Lui annuì. «Ordina tu per me, allora». «D'accordo. Potremmo prendere soltanto della frutta fresca». «Benissimo», disse Rooney e arrossì quando si accorse che Lorraine lo stava fissando con un sorrisetto sulle labbra. «Cosa c'è?», chiese lui sulla difensiva. «È bello vedervi andare così d'accordo». «Ho notato che anche tu e Nick state diventando grandi amici», inter-
venne Rosie, temendo che Lorraine disapprovasse la sua amicizia con Rooney o che pensasse che il suo comportamento non fosse abbastanza professionale. «Ehi, Rosie, rilassati. Hai ragione, mi trovo bene con Nick, è un tipo in gamba ma questo non vuol dire che ci sarà un doppio matrimonio o che...». Rooney si affrettò a interromperla: «E chi ha parlato di matrimonio? Io e Rosie stiamo solo facendo la stessa dieta». Rosie si nascose dietro il menu, per evitare che Bill si accorgesse quanto quell'ultima affermazione l'avesse ferita. «Allora», disse lei con voce inespressiva, «frutta per tutti, d'accordo?». Juda Salina si infilò sotto la doccia e gridò a Raoul di mettere il caffè sul fuoco e di preparare l'auto per andare all'aeroporto. Era stata una notte difficile ma era finita, la nube oscura che l'aveva avvolta ora non c'era più. Ma tornò quindici minuti più tardi quando Juda spalancò con un calcio la porta della cucina e si accorse che il caffè non era pronto e che Raoul aveva lasciato il suo sacco a pelo sul pavimento. E la nube divenne ancora più scura e incombente quando Juda tornò in camera da letto e si accorse che da sotto il letto sbucava la sua preziosissima scatola. Nonostante la sua mole, si inginocchiò agilmente e la prese. Non la teneva mai così vicina al bordo del letto, non era una stupida. Infatti, le piaceva sentirla attraverso il materasso quando dormiva in modo da essere sicura che nessuna gliela rubasse durante la notte. Cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo quando si rese conto che i suoi risparmi erano scomparsi, fino all'ultimo centesimo. Erano più di centocinquantamila dollari. Quei soldi dovevano servire per il carro di Carnevale di Ruby e per il suo vestito del Mardi Gras, per sua sorella e per i suoi nipoti. Tutti i suoi risparmi erano scomparsi. All'inizio, Edith Corbello pensò che la donna che stava strillando al telefono fosse solo una delle sue clienti; impiegò qualche istante a rendersi conto che si trattava di sua sorella. «Calmati, Juda, calmati, non capisco una parola di quello che stai dicendo». Alla fine Juda, ansimando, le raccontò che Raoul l'aveva derubata dei risparmi di tutta una vita; tutto ciò che aveva guadagnato così duramente per poter tornare a New Orleans e vivere agiatamente era scomparso.
«No, no, tesoro, sono certa che ti stai sbagliando». «Non mi sto sbagliando, si è preso persino la mia macchina, la mia macchina, Edith. Quello stronzetto si è preso anche la mia fottuta macchina». Juda si aggrappò al bordo del letto, cercando di riprendere fiato, l'immenso petto che si alzava e si abbassava affannosamente. «Non ho mai fatto magia nera, Edith, lo sai, ma, che Dio mi aiuti, per Raoul farò un'eccezione. Lo riempirò di serpenti che lo divoreranno vivo, rimpiangerà di essere nato!». Juda sbatté furiosamente la cornetta sulla forcella. Si lasciò cadere su una poltrona, si prese la testa tra le mani e pianse. Quante volte la signora Caley le aveva ripetuto di mettere i soldi in banca e lei si era sempre rifiutata? Tra le lacrime, imprecò contro Raoul. Non aveva nemmeno il denaro sufficiente per tornare a casa per il Carnevale, non avrebbe assistito all'incoronazione di Ruby. Alla fine, le lacrime e la rabbia si trasformarono in. una profonda disperazione. «Come ha potuto farmi questo?», si ripeté, alzando gli occhi al cielo. «Com'è possibile che gli spiriti parlino con me ma che non riesca a capire quando il sangue del mio sangue ruba ciò che è mio?». Si asciugò le guance con un fazzoletto e tirò su col naso, poi riprese il telefono. Forse lei l'avrebbe aiutata, come lei l'aveva aiutata per tutti quegli anni. Fu Phyllis a rispondere. Rimase sorpresa nel sentire la voce lamentosa all'altro capo del telefono. «Juda? Signora Salina, è lei?». «Sì, Phyllis. Mi è successa una cosa terribile e ho bisogno di parlare con la signora Caley». Phyllis strinse le labbra; sarebbe stato divertente. «Mi dispiace, signora Salina, ma la signora Caley non è in casa». «Può dirle di mettersi in contatto con me?». «Be', se dovesse telefonare, le dirò che ha chiamato». Phyllis era certa che quell'orribile creatura stesse piangendo e, ripensando a tutti gli anni in cui quella donna obesa l'aveva trattata come una pezza da piedi, provò un brivido di soddisfazione. «Sa, Phyllis, sono una buona amica della signora Caley da molto tempo, quindi la prego, le dica di chiamarmi. Questa volta sono io ad avere bisogno di lei, molto bisogno». «Come le ho detto, signora Salina, riferirò il suo messaggio alla signora Caley. Arrivederci».
Phyllis riappese proprio mentre Peters entrava nell'atrio. «Chi era?». Lei lo seguì nella sala della colazione. «Era quella maledetta grassona, Juda. Voleva parlare con la signora Caley. Le ho detto che le riferirò il messaggio ma, chissà perché, ho l'impressione che mi passerà di mente. L'ho sempre odiata, è una dannatissima sanguisuga e il signor Caley la disprezza quanto me». Phyllis si sedette di fronte a Peters e cominciarono a fare colazione. Lui guardò fuori dalla finestra. «È bello avere la casa tutta per noi, non è vero?». «Si sente bene, signora Caley?», chiese Edward ed Elizabeth lasciò cadere la rivista che stava leggendo. «Non dovrebbe essere ai comandi?». Lui sorrise. «Ho messo in funzione il pilota automatico, signora». Elizabeth distolse lo sguardo. «Lei è pagato per pilotare questo aeroplano, signor Hardy, non per inserire il pilota automatico. La prego di restare in cabina, sa quanto sono nervosa quando volo». Seduto in fondo all'aereo, Mario alzò lo sguardo dal suo libro. Edward gli lanciò un'occhiata prima di tornare in cabina di pilotaggio. «Le serve qualcosa, signora Caley?». «No, niente, grazie». Elizabeth raccolse la rivista, le pagine patinate che si confondevano davanti ai suoi occhi. Le modelle che indossavano quei vestiti eleganti non facevano altro che ricordarle l'ultimo viaggio con Anna Louise e le sembrò quasi di sentire la voce di sua figlia che diceva: «Mi piace questo, mamma, che cosa ne pensi?». Lei aveva risposto che lo trovava adorabile senza nemmeno guardarlo. La semplice vista di sua figlia l'aveva addolorata; era così giovane, così bella, e aveva tutta la vita davanti a sé. Era invidiosa della giovinezza e del talento sportivo di Anna Louise. Certe volte, somigliava talmente a suo padre che Elizabeth quasi non riusciva a guardare quei capelli biondi e quegli occhi azzurri e vivaci. Elizabeth sospirò. Il segreto delle origini di sua figlia non aveva più importanza ormai, nessuno se ne sarebbe curato. Ma quando aveva avuto l'età di Anna Louise, le sue origini avevano avuto una grande importanza per lei. Chiuse gli occhi e ripensò alla sua vita, sapendo che se avesse potuto tornare indietro, si sarebbe tenuta lontana dal cinema, o meglio, da quel
film. L'aveva distrutta, l'aveva resa dipendente da Juda Salina e dalla gente come lei, e lei non voleva altro che essere libera. Forse era quello il motivo per cui prendeva tante droghe, mettendo a repentaglio la sua vita. Voleva essere libera, voleva l'aria, la luce, il sole che non doveva mai toccare la sua pelle lattea - non perché rischiasse di scottarla ma perché la faceva diventare di un ricco color caffè. I bellissimi occhi a mandorla di Elizabeth si riempirono di lacrime che cominciarono a scorrerle lungo le guance. Si era servita spesso della capacità di piangere a comando nel corso della sua carriera cinematografica e ne era stata molto fiera, ma ora non c'erano ciak e non c'erano telecamere. Quelle lacrime erano per la sua esistenza vuota, sciocca e spaventata. Rooney, Rosie e Lorraine erano ormai le uniche persone rimaste nella sala della colazione. «Okay, diamoci da fare», disse Bill, spingendo indietro la sedia. Lorraine spense la sigaretta. «Prova a richiamare Nick, Rosie. Se non è ancora tornato, lasciagli un messaggio e digli dove saremo se avrà bisogno di contattarci». «Certo, ma tu fa' attenzione». Lorraine sorrise. «Sissignora». «Ascolta, per quanto riguarda quella videocassetta...». Lorraine si diresse verso l'uscita, un braccio attorno alle spalle di Rosie. «Cosa ne pensi di chiedere a Lloyd Dulay? Conosce Elizabeth da tanti anni e dal momento che hai appuntamento con lui, mi sono detta che...». «Ottima idea, Rosie, chiederò a lui». Rooney era al banco della reception. Si voltò a guardarle. «Quel bastardo non è in camera, è stato fuori tutta la notte». «Be', probabilmente è da qualche parte con una puttana», disse Lorraine, leggermente irritata, e si incamminò verso l'ascensore. Fu sorpresa dalla propria reazione: era gelosa, ma si affrettò a nasconderlo. Sorrise e disse a Rooney di lasciar tranquillo Nick, ma non troppo. Avevano ancora solo una settimana. Edith Corbello trovò Jesse accasciato sul sedile della vecchia auto. Era stato picchiato ferocemente, aveva il naso e il braccio destro rotti. Era pieno di lividi e piangeva per il dolore, ma quando lei gli chiese chi fosse stato a ridurlo così, il ragazzo le disse piagnucolando che era caduto dalle scale.
Edith aveva appena cominciato a ripulire suo figlio quando sentì la porta d'ingresso richiudersi e dei passi lungo il corridoio. «Sei tu, Willy? Alza le chiappe e vieni qui immediatamente!». Era convinta che Willy avesse picchiato suo fratello e quando il ragazzo entrò in cucina, ne fu sicura. Aveva entrambi gli occhi neri, gli sanguinava il naso e sulla fronte aveva un bernoccolo grosso come una noce di cocco. L'avrebbe preso volentieri a schiaffi ma Willy riusciva a malapena a reggersi in piedi. «Ne ho abbastanza di voi due, dovete smetterla di picchiarvi. Dovrò chiedere a Fryer di insegnarvi le buone maniere. Non ce la faccio più con voi due ed è ora che lui si prenda le sue responsabilità». «È stato Fryer a conciarci così», disse Willy e Jesse gli assestò un calcio così forte che il fratello cominciò a ululare per il dolore. Aveva talmente tanti lividi sul corpo che sarebbe stato impossibile non colpirne uno. «Mi stai dicendo che è stato quel bastardo? Davvero?». Jesse scosse la testa. «No, mamma, ci siamo picchiati io e Willy, sul serio, abbiamo cominciato a litigare e...». Edith ringhiò: «Adesso tu porti immediatamente tuo fratello in ospedale, siete ridotti da far schifo e vostra sorella sta per essere incoronata. Me ne lavo le mani di voi. Siete la mia vergogna, mi avete sentita? La mia vergogna!». Edith uscì come una furia. Aveva voglia di piangere. Con la storia di Raoul e Juda, la giornata era stata già abbastanza orribile ed erano solo le nove del mattino. Ma Edith sapeva che le cose sarebbero andate peggio, molto peggio, quando avrebbe detto a Ruby che non c'erano più i soldi per il suo vestito, che era quasi pronto. Ruby era sdraiata sul letto, nella camera più bella della piccola casa cadente, e aveva una maschera di bellezza sul viso. Il giorno successivo avrebbero dovuto fotografarla per una pubblicità del salone di bellezza dove lavorava. Non era molto ma era pur sempre un inizio. Quando Edith le raccontò cos'era successo, Ruby andò su tutte le furie e si alzò dal letto. «Mi stai dicendo che Raoul ha rubato tutti i soldi di zia Juda, è questo che mi stai dicendo?». «Questo è quello che mi ha raccontato Juda. Non ha nemmeno i soldi per prendere l'aero e venire qua per la parata». Ruby urlò, in preda alla rabbia; quell'imbecille strafatto di crack di suo fratello non poteva farle una cosa simile, diventare regina era l'unico modo che aveva per andarsene da quella maledetta casa e da tutti quelli che ci abitavano. Singhiozzò e graffiò le pareti con le unghie, le lacrime che scio-
glievano la maschera bianca, e alla fine si rannicchiò sfinita in un angolo come una bambina. «Oh, mamma, cosa facciamo adesso, cosa facciamo?». Al piano inferiore, Sugar May aveva ascoltato ogni cosa e sul suo volto si era dipinto un sorriso raggiante. Quella stronza di sua sorella aveva avuto ciò che si meritava. Ruby Corbello otteneva sempre ciò che voleva, non aveva mai dovuto indossare gli abiti smessi di qualcuno, come invece aveva fatto Sugar May. Felice e soddisfatta, uscì di casa proprio méntre un vecchio taxi giallo accostava per portare Jesse e Willy all'ospedale. Edith sedeva sul letto di sua figlia, prossima alle lacrime. Era distrutta. «Potesti provare a chiedere a Papà Leroy, Ruby». La ragazza scosse la testa. «Ha una moglie e due figli, e non ha soldi da sprecare. Non guadagna molto con il suo lavoro di detective. Sai benissimo chi è l'unica persona che ha un sacco di soldi». Edith scosse la testa. «Non voglio rivolgermi a Fryer, non gli chiederei nemmeno un centesimo». «Non parlavo di Fryer», disse Ruby bruscamente. «Perché non chiediamo a quella signora amica di zia Juda, quella che ha sborsato tutto quel denaro per tanti anni? Chiediamo direttamente a lei, è ricca, dico bene?». Edith scosse nuovamente la testa. «No, non possiamo sconfinare nel territorio di Juda, Ruby. È la signora Caley che le permette di guadagnare ed è tua zia che ci ha mantenuto per tutto questo tempo. Non le farei mai una cosa del genere». Ruby si alzò di scatto e si parò davanti a sua madre. «So che hai fatto certe cose per soldi, cose che sono contro i tuoi principi. Lo so, mamma». «Sta' zitta», disse Edith e le diede uno schiaffo di avvertimento. Ruby barcollò. «Ti ho vista, mamma, e ho visto Juda che veniva qui a prendere il suo cosiddetto tè. So tutto». Edith la colpì ancora. «Tu non hai visto nessuno, ragazzina, nessuno, mi hai sentita? Prova a dire una sola parola su questa storia e, ti avverto...». Ruby non si diede per vinta. «No, mamma, sono io che ti avverto perché il giorno di Carnevale sarà il giorno più bello di tutta la mia vita e non permetterò a nessuno di rovinarmelo». Ruby corse fuori dalla stanza ed Edith si coprì il viso con le mani. Sentì la porta d'ingresso che sbatteva e guardò fuori dalla finestra. Vide Ruby correre in mezzo alla strada, agitando le braccia. Aveva ancora sul viso la maschera di bellezza. Era una mattina terribile, le sembrava di aver perso il controllo di ogni cosa. E non era ancora finita.
Mentre scendeva le scale pesantemente, Sugar May le passò accanto cercando di schiacciare una mosca con un giornale arrotolato. «Sugar May, se è il giornale di oggi, lascia almeno che ci dia un'occhiata prima di farlo a pezzi». La ragazza gettò il giornale a sua madre. «Ho deciso di scappare, troverò Raoul e ci godremo insieme tutti i suoi milioni». Le fece una boccaccia, ed Edith la colpì in testa con il giornale. Sugar May scoppiò a ridere e corse vìa. A metà della prima pagina, c'era un articolo intitolato EX DEBUTTANTE SI TOGLIE LA VITA. Edith si sedette sulle scale, gli occhi sgranati mentre leggeva l'articolo sul suicidio di Tilda Brown. Aveva l'impressione di avere un cappio attorno al collo che si stringeva sempre di più, togliendole il respiro. Ruby si inginocchiò davanti all'alta tomba bianca del Primo Cimitero di St Louis. La ragazza aveva disegnato il vè-vè di Marie Laveau sul terreno, il complicato geroglifico che invocava lo spirito della Regina Voodoo. E ora ne stava disegnando un altro sul monumento funebre già coperto da centinaia di vè-vè. Ruby premette la mano contro il marmo bianco e bussò sulla tomba. Era talmente immersa nella preghiera rivolta allo spirito della sacerdotessa morta, concentrata con tutta se stessa, che non sentì nemmeno i passi di Leroy Able che si stava avvicinando. Lei aveva il volto ancora sporco di crema bianca e per un attimo Able pensò che fosse una donna appena uscita dalla tomba. Si fermò. «Ruby?». La ragazza si voltò. «Pensavo che non credessi a queste cose». Era stato un terribile dolore per Edith il fatto che la sua figlia maggiore non avesse tempo da dedicare alla sua eredità, che considerava soltanto un mucchio di sciocche superstizioni africane che l'avrebbero tenuta nel ghetto impedendole di trasferirsi a New York per diventare la nuova Veronica Webb. «Be'», borbottò Ruby imbarazzata per essere stata sorpresa in quel modo. «Non credo che mi farà male. È successa una cosa terribile. Raoul è scappato con i soldi del mio vestito che è già quasi pronto... Mi mancano solo due prove». «Vattene di qui, questo posto è pieno di turisti che vengono a vedere le tombe. Su, sbrigati». Ruby lasciò che Leroy la portasse via dalla tomba di Marie Laveau e lo
seguì fino a una parte meno frequentata del cimitero, dove si trovavano le semplici tombe di mattoni di gente troppo povera per potersi permettere qualcosa di meglio. Lui le offrì un fazzoletto e lei lo accettò, sedendosi a terra, pulendosi il viso e distendendo le lunghe gambe snelle. Era molto cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista, e il suo bellissimo volto ovale, i suoi profondi occhi neri e i suoi capelli lunghi fino alla vita somigliavano sempre più a quelli di una regina; avrebbe potuto essere la figlia o addirittura la reincarnazione di Marie Laveau. «Troveremo i soldi, Ruby, tutti contribuiranno per il tuo vestito, non devi preoccuparti. Il krewe non ti lascerà sola. Ti stai comportando da sciocca». Lei sospirò. «Può darsi, ma a casa le cose vanno male, Leroy, molto male, e i miei fratelli sono sempre più incasinati. Persino mia sorella è in cerca di guai, continua a frequentare quel bar di merda, come tutti quanti». Lui si chinò e le accarezzò i morbidi capelli. «Ma tu no, vero?». «No», rispose lei a bassa voce. «Perché sei diversa?». «Lo sai che sono diversa. Ho più opportunità davanti a me di tutto il mio quartiere, forse di tutta questa stramaledetta città, o meglio le avevo finché Raoul non ha mandato tutto a puttane. Ma farò tutto il possibile per trovare il denaro e godermi il mio giorno di gloria, ho persino detto a mia madre di chiamare...». La ragazza si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo. Leroy si accigliò. «Chiamare chi?». Lei scosse la testa. «Ti ho già detto anche troppo». «No, Ruby, non mi hai detto niente. A chi dovrebbe telefonare tua madre?». Ruby chinò il capo. «Alla signora Caley». Leroy si alzò in piedi. «Non pensarci nemmeno, capito? Da quando sua figlia è scomparsa, ci sono state inchieste della polizia, inchieste di investigatori privati e non è ancora finita. Non t'immischiare in questa storia. Parlo sul serio, Ruby». Lei alzò lo sguardo con aria di sfida. «Ma cosa ne sarà del mio vestito, Leroy? Se non la paghiamo, Alma Dicks non lo finirà». Lui l'aiutò ad alzarsi. Sembrava così leggera, così fragile. «Il tuo vestito sarà pronto per tempo, Ruby, e tu sarai la più bella regina del Mardi Gras che ci sia mai stata». La ragazza sorrise. «Vuoi vedere una cosa, Leroy?». Cominciò a muo-
versi sinuosamente. «So fare la danza dei serpenti, come mia madre». Fece ondeggiare le anche e roteò lentamente la testa, gli occhi socchiusi. Era flessuosa e ipnotica come un serpente e Leroy avrebbe voluto prenderla tra le braccia, ma Ruby continuò a danzare tra le alte tombe e ben presto scomparve. Era come se non fosse mai stata lì. Lui sospirò. Era molto cambiato da quando era tornato da Los Angeles. Non era solo la responsabilità di avere una moglie e dei figli; era tornato e aveva trovato le sue radici, aveva riscoperto se stesso e la sua fede, ma certe volte era difficile non ascoltare il vecchio Leroy che si sarebbe scopato qualsiasi cosa agitasse una gonna davanti a lui. E trovarsi di fronte a una bellezza come quella di Ruby Corbello senza toccarla aveva messo a dura prova la sua fede. Il cadavere nudo di Nick Bartello era all'obitorio, i suoi vestiti piegati e infilati in sacchetti di carta. Non avevano trovato i suoi documenti e, dal momento che aveva le tasche vuote, i poliziotti avevano deciso che doveva essersi trattato di un delitto a scopo di rapina anche se l'uomo non aveva l'aria del tipico turista ma somigliava più che altro agli sbandati che venivano per il Carnevale. C'erano tanti cadaveri senza nome che venivano trovati e mai identificati, e forse anche a quello di Nick sarebbe toccata la stessa sorte se non fosse stato per il tatuaggio che aveva sull'avambraccio sinistro: era uno scudo, il distintivo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Leroy Able era appena tornato al lavoro e alla sua immagine pubblica, quando il telefono squillò. Era la polizia. Il sergente gli chiese se fosse stato contattato da qualche suo vecchio amico e Leroy si accigliò, appoggiando i gomiti sulla scrivania. «No, perché lo vuoi sapere?». «Abbiamo trovato un cadavere questa mattina presto, e tu una volta non lavoravi al dipartimento di polizia di Los Angeles?». «Sì, perché?». «Be', questo tizio ha uno scudo tatuato e nessun altro segno di identificazione. Ha anche un paio di vecchie ferite di pallottole sulla gamba destra». Leroy esitò. «Vuoi che venga a dargli un'occhiata?». «L'abbiamo trovato in un vicolo a due isolati dal bar di Fryer, pensa un po'!». L'agente grasso gli fece strada. «Aveva la gola tagliata e lo avevano pestato per bene. Niente testimoni, niente di niente». L'agente scostò il lenzuolo dal volto di Nick e Leroy lo osservò. Prese un
profondo respiro. «No, mi dispiace, non l'ho mai visto in vita mia. Sai, questi vecchi hippie si riempiono di tatuaggi, quello scudo non significa un granché». Lorraine ebbe il tempo di osservare ogni soprammobile, ogni vassoio, ogni paralume dipinto a mano e ogni pappagallino di porcellana del gigantesco salone di Lloyd Dulay: l'aveva fatta aspettare per oltre un'ora e quando finalmente la raggiunse, porgendole la mano, lei era furiosa. «Mi scusi tanto, ma sono stato trattenuto all'aeroporto, dovevo vedere Elizabeth Caley. Ho anche dovuto accompagnarla casa e non mi è stato facile lasciarla». «Non c'è problema», disse lei freddamente. Lui si sedette sul divano porpora e oro, distendendo le lunghe gambe. «E non mi è stato facile nemmeno parlarle del fondo fiduciario di Anna Louise...». Lorraine lo fissò. «Davvero?». «Sì, è sceso a quarantadue milioni di dollari». Lei si schiarì la voce. «Robert Caley?». Dulay fece un ampio gesto con le mani. «Non potrebbe essere stato nessun altro. Lui sa che io so e ho abbandonato anche l'affare del casinò, quell'uomo è soltanto un miserabile ladro. Non ha negato niente e io avrei voluto spaccargli la faccia, cosa che avrebbe fatto molto volentieri anche lui quando gli ho detto che sapevo di lui e Anna. Lui mi ha giurato di non averla mai toccata. Non so dirle se fosse sincero o meno». Lorraine si inumidì le labbra. «Pensa che possa averla uccisa?». «Come?». «Se ciò che mi ha detto è vero e Robert Caley si è servito del fondo fiduciario di Anna Louise, pensa che possa essere implicato con la sua scomparsa?». «Non è esattamente quello che ha detto prima, signora Page». «Be', no, ma glielo sto chiedendo adesso». Lui si alzò, passandosi una mano tra i capelli candidi. «Non avrebbe avuto bisogno di uccidere sua figlia per nascondere ciò che aveva fatto e molto probabilmente Anna non lo avrebbe mai scoperto». «Se l'affare del casinò fosse andato in porto». «Esattamente». «E se le cose fossero andate storte?». Lui scrollò le spalle. «Non posso risponderle perché sinceramente non lo so».
«Può dirmi a quanto può ammontare il patrimonio di Elizabeth Caley?». Lloyd Dulay attraversò la stanza, camminando sull'inestimabile tappeto bessarabico e si fermò accanto alla finestra. «Ha sempre usato i migliori consulenti finanziari per investire il suo denaro, lo so perché sono uno di loro...». Continuò a darle le spalle. «Elizabeth aveva un'eredità molto sostanziosa quindi direi che il suo patrimonio si aggira attorno ai duecento milioni di dollari, forse anche di più». Lorraine sbatté le palpebre: non era pronta a sentir parlare di cifre del genere. Dulay si voltò a guardarla. «Sa, anche Robert aveva accesso a gran parte di quella fortuna ma, a quanto ne so, è un bastardo molto orgoglioso. Voleva farcela da solo. Naturalmente, lei l'ha sempre tirato fuori dai guai. Immagino che Elizabeth gli salverà il culo anche questa volta». «Ed è possibile?». «Che cosa?». «Che, come ha detto lei, Caley riesca a salvarsi il culo?». Lui la guardò come se fosse una bambina che aveva appena fatto una domanda molto stupida. «Be', sì e no. Da come tira il vento, direi che non gli daranno la licenza per il casinò, ma suppongo che chiunque altro la otterrà dovrà negoziare con lui per il terreno. Se Elizabeth gli darà una mano, forse lui non sarà costretto a svendere il suo terreno per rifarsi delle spese». Lorraine era stupita e distolse lo sguardo perché non voleva che Dulay si accorgesse della sua confusione. Ma lui non la stava guardando. Si era messo a giocherellare con la catena d'oro massiccio che sbucava dal suo gilet. «Sto per dirle una cosa che dovrà restare strettamente confidenziale, signora Page, e voglio che mi giuri che non ne farà mai parola con nessuno». Lei incrociò le braccia. «Be', non posso garantirglielo, se c'è qualche legame con qualche atto criminale...». «Non ce ne sono». «In questo caso, ha la mia parola, signor Dulay». Lui tornò a sedersi. «Se c'era qualcosa tra di loro, non era esattamente incesto». «Mi scusi?». «Le ho detto, signora Page, che non poteva essere incesto. Mi riferisco a ciò di cui mi ha parlato ieri, della possibilità che Caley avesse una relazione sessuale con Anna Louise».
«Non la seguo». «Anna Louise non è figlia di Robert Caley. È mia figlia, ed è per questo che ho potuto indagare sul fondo fiduciario, perché anche quel denaro è mio. Anna Louise è figlia mia, non di Robert Caley». «E Caley lo sa?». «Naturalmente». «E Anna Louise lo sapeva?». «No». Lorraine prese un profondo respiro. «Lei ha affrontato Robert Caley, gli ha chiesto spiegazioni sul fondo fiduciario e lui ha ammesso di essersene servito, ma mi ha detto di non essere sicuro sulla sua relazione con Anna Louise». «Se vuole che le racconti tutto parola per parola, gli ho detto che se aveva abusato di mia figlia, gli avrei sparato e lui mi ha detto, cito testualmente, che se avessi osato rivolgergli un'altra volta un'accusa così infamante, sarebbe stato lui a sparare a me!». «E lei gli ha creduto?», chiese Lorraine a bassa voce. «Sì, immagino di sì, perché sembrava molto scosso. Devo ammettere che non lo credevo capace di provare certe emozioni. Comunque, alla fine, era assolutamente furioso». Si sporse in avanti, i suoi occhi piccoli e duri fissi sul volto arrossato di Lorraine. «Le consiglio di controllare i fatti prima di gettare fango, signora Page». Lei si alzò. «Se qualcuno mi avesse messa al corrente dei fatti, non avrei dovuto farlo. Sto solo cercando di fare il mio lavoro, signor Dulay», replicò bruscamente. Lui si infilò le mani in tasca e quando lei si avviò verso la porta, la seguì. All'improvviso Lorraine si fermò. «Lei ha una videocassetta di un film della signora Caley intitolato La palude?». «Buon Dio, e a cosa le serve?». «Fa solo parte del mio lavoro, devo scoprire tutto quello che posso sui miei clienti». Dulay si avvicinò a un antico mobile di legno in un angolo della stanza e lo aprì: era lì che teneva la sua collezione di videocassette. «Elizabeth non ne sarà felice, è un film terribile, realizzato con quattro soldi, ma lei è bellissima». Le porse la videocassetta e Lorraine la mise in borsa. Stava tremando ed era infuriata con se stessa. Era saltata troppo rapida-
mente a conclusioni disgustose e se ne vergognava. Se nemmeno la sera prima era riuscita a rispondere alle telefonate di Caley, ora l'idea di affrontarlo la faceva arrossire. Così mise da parte quel pensiero, rifiutandosi di riflettere su ciò che avrebbe dovuto fare per porre rimedio al suo errore. Ordinò all'autista, lo stesso del giorno prima, di portarla a casa di Tilda Brown. «Bill, sto cominciando a preoccuparmi sul serio», disse Rosie mentre sedevano in un caffè del mercato francese. «Anch'io, questa faccenda mi puzza. Arrestano questo bastardo, un testimone dice di averlo visto parlare con Anna Louise Caley e...». «Non sto parlando di Fryer Jones», disse Rosie. Rooney guardò l'orologio. «Nick è sempre stato un gran figlio di puttana». Tuttavia, nemmeno lui era molto tranquillo. «Perché non ha ancora telefonato?». «Non lo so, okay?», replicò lui bruscamente, poi le prese la mano. «Scusami, mi dispiace. Ascolta, diamogli tempo fino all'una, quando Lorraine tornerà in albergo. Se per allora Nick non si sarà ancora fatto vedere, ci metteremo a cercarlo». «E dove? Questa è una grande città». Bill finì la sua terza tazza di café au lait. «Cominciamo dalla stazione di polizia, nel caso l'abbiano messo in gattabuia o...». «O cosa?». Lui si asciugò la bocca con il dorso della mano. «O all'obitorio, Rosie. Si comincia sempre dall'ipotesi peggiore. Ma se c'è una cosa di cui sono sicuro è che finché Nick non si sarà fatto vivo, non ho alcuna intenzione di avvicinarmi al locale di quel Fryer Jones, e spero sinceramente che Lorraine non prenda iniziative avventate senza informarci. Se guardi l'elenco dei cosiddetti testimoni oculari che hanno fornito un alibi inattaccabile a quel maledetto musicista, vedrai che metà sono parenti di Juda Salina, compreso Raoul Corbello». «Ho cercato di mettermi in contatto con Juda ma ha avuto il telefono occupato per quasi un'ora e quando l'ho trovato libero, non ha risposto nessuno». «E cosa mi dici di Edith Corbello?». Rosie arrossì leggermente. «Non è sull'elenco del telefono e stavo pensando a come recuperare il suo numero quando sei arrivato tu». Rooney si alzò. «Be', torniamo in albergo e tentiamo di nuovo. Finché
non torna Lorraine, non possiamo fare altro». La sorella della signora Brown, Helen Dubois, entrò nel salone, una stanza arredata con mobili moderni di acciaio e cristallo. Il pavimento era lucido come se fosse stato laccato e le pareti erano dipinte di beige e ocra per mettere in risalto una notevole collezione di arazzi e di arte tribale. In un paesaggio così austero, quella donna grassa e sconvolta sembrava quasi troppo umana e, in un certo senso, fuori posto. «Temo che i signori Brown non posano riceverla, signora Page. Sono ancora sotto shock e il medico ha somministrato dei sedativi a mia sorella». «Capisco, mi dispiace molto, la prego di porgere loro le mie più sincere condoglianze». Senza fretta, Lorraine prese la borsa e la valigetta. «La polizia mi ha chiamata per interrogarmi, sono stata qui ieri, per fare qualche domanda a Tilda». «Lo so». «Non posso fare a meno di pensare che forse ho detto qualcosa che ha turbato Tilda...». «Non credo che lo sapremo mai», disse tristemente la signora Dubois. «Ma la polizia dice che Tilda ha lasciato un biglietto». «Sì, ma non dà alcuna spiegazione». «Posso chiederle cosa c'era scritto?». Helen Dubois prese un fazzoletto e si asciugò le lacrime. «Diceva soltanto "Che Dio possa perdonare... Tilda"». Si diressero verso la porta d'ingresso e Lorraine osservò alcuni tappeti messicani e il giardino di piante grasse che si trovava nell'atrio. «Signora Dubois, sa perché sono venuta qui, perché sono venuta a parlare con Tilda?». «Sì, se non sbaglio voleva farle alcune domande su Anna Louise Caley». «Potrei vedere la stanza di Tilda?». «Perché?». Lorraine esitò, cercando di pensare al modo migliore per aggirare quella domanda. «Be', prima di tutto perché Anna Louise potrebbe essere ancora viva, è una possibilità da non escludere e so che lei e Tilda erano molto amiche. Dopo la tragedia di ieri, non voglio lasciare nulla di intentato nella mia ricerca. Allo stesso tempo, anche se non mi viene in mente niente, senza accorgermene, potrei aver detto qualcosa... Signora Dubois, sono tormentata dal senso di colpa e credo che se potessi restare un attimo in camera di Tilda e ripensare a ciò di cui abbiamo parlato, forse potrei sco-
prire perché lo ha fatto. Questa potrebbe essere una consolazione per i suoi poveri genitori». La signora Dubois esitò, lanciando un'occhiata alla grande scala di legno che portava al piano superiore. «Non saprei». «Ci sono ancora i sigilli della polizia?». «No, no, sono venuti a toglierli un paio d'ore fa». La camera da letto di Tilda somigliava molto a quella di Anna Louise era grande abbastanza da ospitare un divano turchese dalle gambe di metallo, una cassettiera, un grande specchio dalla cornice di metallo con decorazioni messicane e un letto enorme. Tutto li dentro era bianco, eccetto il divano, e la stanza sembrava stranamente spoglia, austera e priva di carattere. Sembrava uscita da una rivista di arredamento e niente faceva pensare che fosse stata la camera di un'adolescente. C'erano delle impronte sulla folta moquette bianca vicino alla finestra, lasciate molto probabilmente dai poliziotti e dagli infermieri che avevano portato via il cadavere, e alcune macchie a malapena visibili. Era probabile che, come accadeva spesso a coloro che si suicidavano impiccandosi, gli intestini di Tilda avessero ceduto e in seguito qualcuno aveva pulito la moquette. Non c'erano altri segni che potessero far pensare che fosse accaduto qualcosa di strano in quella stanza; l'asta della tenda a cui si era impiccata Tilda era ancora al suo posto e lo sgabello, coperto di tessuto bianco e decorato con bottoni argentati e luccicanti come lustrini, era di nuovo davanti allo specchio. La signora Dubois era in piedi sulla soglia e si asciugava gli occhi con il fazzoletto, cercando di trattenere i singhiozzi. «Non deve restare qui con me se non se la sente», disse Lorraine dolcemente. «Grazie». La donna fece per andarsene ma proprio in quel momento Lorraine vide l'orso bianco sui cuscini del letto. «Oh, un'ultima cosa, signora Dubois». Lorraine prese l'orsacchiotto, simile a quelli che aveva visto sul letto di Anna Louise. «Sa dove Tilda aveva preso quest'orso?». La signora Dubois deglutì, aggrottando le sopracciglia. «Il fatto è che Anna Louise ne aveva alcuni quasi identici e mi stavo chiedendo chi lo avesse regalato a Tilda». La donna scosse la testa. «Non lo so davvero, Tilda lo aveva da tempo, credo. È un orso polare, vero?».
«Polar», disse Lorraine tra sé e sé. «Infatti, è proprio così che lo chiamava, Polar». La signora Dubois ricominciò a piangere e se ne andò mentre Lorraine riponeva l'orso di peluche sul letto. Non appena fu sola, scostò le coperte e cercò sotto i cuscini, sotto le lenzuola e sotto il materasso, inginocchiandosi a terra per guardare sotto il pesante copriletto di cotone, ma non trovò niente, nemmeno sotto il letto. Lorraine si aggirò lentamente nella camera da letto immacolata, si sedette alla tavolo da toilette e aprì tutti i cassetti. In alcuni c'era della biancheria intima molto costosa e ripiegata ordinatamente, con un foglio di carta a separare i vari indumenti. Persino le calze sportive erano arrotolate perfettamente e allineate come palle da tennis. Negli armadi, Tilda aveva un guardaroba fornito quanto quello di Anna Louise e altrettante schiere di scatole di scarpe. Lorraine si chinò, domandandosi se sarebbe stata fortunata anche questa volta. Forse Tilda aveva nascosto qualcosa di personale con lo stesso sistema usato da Anna Louise. Tuttavia, non trovò altro che scarpe. Ripensò alla sua stanza da ragazza, piena di cianfrusaglie, di libri e di riviste, con cartoline incollate alla carta da parati sbiadita insieme a fotografie di cantanti rock e attori. Ma era chiaro che nelle camere di Anna Louise e di Tilda dominavano i gusti degli arredatori dei loro genitori. Le due ragazze sembravano non possedere alcun oggetto personale, a parte qualche malinconico animale di peluche. Persino l'assortimento di cosmetici e profumi sembrava più adatto a una donna matura: nel bagno immacolato di Tilda c'erano creme per pelli secche e contro le rughe, sieri e maschere esfolianti. Tutto lì dentro, persino lo spazzolino da denti, sembrava assolutamente nuovo. Lorraine sospirò. Una ragazza si era impiccata in quella stanza innocente, più bianca del bianco, ma non vi era alcuna traccia della tragedia, niente che potesse farle intuire che tipo di persona era stata Tilda Brown. Chiuse gli occhi, cercando di ricordare la loro conversazione. Secondo Tilda, Anna Louise era gelosa di tutte le persone a cui suo padre dimostrava affetto: era stato Robert Caley a regalare alle ragazze gli orsi polari bianchi? Era quello il motivo per cui Anna Louise aveva usato il nome Polar nei suoi messaggi segreti? Era stato lui a darle i biglietti di San Valentino e i regali di compleanno? Dietro quel nome si nascondeva Robert Caley? Lorraine prese una delle racchette da tennis allineate ordinatamente nell'armadio, in cui Tilda teneva l'attrezzatura sportiva e gli sci. Anche se Ro-
bert Caley si fosse davvero firmato Polar, che importanza poteva avere ormai? Sia che avesse davvero abusato di Anna Louise, sia che la ragazza fosse stata consenziente, non era comunque sangue del suo sangue. Lorraine si sporse in avanti e ripose la racchetta insieme alle altre. Ne osservò una che aveva la custodia leggermente gonfia su un lato - un paio di calze? Lorraine aprì la lampo, infilò la mano nella custodia e le sue dita toccarono un pacchetto. Lo prese: era fatto con carta di giornale, era lungo circa una ventina di centimetri ed era legato stretto con dello spago. Lorraine si sedette sullo sgabello del tavolo da toilette e sciolse con cura il nodo. Mise da parte lo spago e posò il pacchetto sul tavolo, spostando alcune spazzole dai manici di madreperla. Il foglio di giornale, notò Lorraine, aveva la data del quindici febbraio, ma mancava l'anno perché la carta era stata strappata. Era sporco, macchiato di qualcosa che sembrava terra, e l'inchiostro era sbavato. Aprì il pacchetto e per poco non lasciò cadere il contenuto, alzandosi di scatto dallo sgabello per l'orribile odore che emanava. Urina e feci umane erano state spalmate su una bambola, dal tronco e dagli arti fatti di lana imbottita e legata rozzamente. La bambola aveva un abito cucito a mano in maniera altrettanto approssimativa, ricavato da quello che sembrava il pezzo di una vecchia T-shirt. La testa era di plastica, simile a quella di una Barbie e sul volto era incollata una fotografia di Tilda. Nell'occhio sinistro della bambola era conficcato uno spillo da sarta, la punta che sbucava dalla parte posteriore della testa. Quando Lorraine la voltò, vide quelle che sembravano macchie di sangue secco e due o tre lunghi capelli biondi fissati insieme a un piccolo frammento di pelle al torso della bambola con qualche filo di lana. «Signora Page», la chiamò Helen Dubois e Lorraine si affrettò a infilare la bambola nella sua valigetta. La porta si aprì. «Credo che ora dovrebbe andare. I signori Brown hanno chiamato il cappellano per organizzare il funerale e...». «Naturalmente, me ne stavo andando». L'autista mise in moto non appena vide Lorraine uscire dalla casa. Lei salì sull'auto calda e dall'aria viziata, e abbassò il finestrino. Poteva sentire l'odore della bambola nella sua valigetta, così la spinse il più lontano possibile. Non voleva prenderla, non voleva toccarla ancora, senza avere a disposizione acqua e sapone. Tornata in albergo, per prima cosa si lavò le mani, ancora e ancora. Poi se le asciugò, le annusò e osservò il pacchetto.
«Lorraine? Ci sei?». Era Rosie. Lorraine aprì la porta, ma tornò subito vicino al letto. «Non crederete mai a quello che ho trovato a casa di Tilda Brown, puzza da morire e...». Rosie aveva gli occhi arrossati dal pianto, e stringeva un grande fazzoletto bianco. «Lorraine... Devo dirti una cosa». Capì che qualcosa non andava quando vide Rooney entrare dopo Rosie e chiudere silenziosamente la porta della stanza. «Cosa c'è? Cos'è successo?». Le tremavano le gambe. Rooney non avrebbe voluto dirglielo così bruscamente, ma non c'era altro modo. «Si tratta di Nick, Lorraine, è morto». Lei impallidì. Guardò Rosie, poi di nuovo Rooney, sperando che fosse una specie di scherzo ma le espressioni dipinte sui loro volti le dicevano che era tutto vero. A tastoni cercò il bordo del letto e si sedette, sforzandosi di rimanere calma. «Com'è successo?». Rooney aiutò Rosie a sedersi. «È stato assassinato, gli hanno tagliato la gola. I poliziotti l'hanno trovato in un vicolo questa mattina presto, era senza portafogli e non aveva documenti. L'hanno portato all'obitorio. Non hanno ancora fatto l'autopsia». Lui fece un gesto d'impotenza. «L'unico segno di identificazione era un tatuaggio del distintivo del Dipartimento di Polizia di Los Angeles che aveva sul braccio. Tanti se lo facevano fare quand'erano reclute». «Sì, lo so», disse lei con un filo di voce. «Ne aveva uno anche Jack Lubrinski, ma non sul braccio, su una natica». Le tremavano le labbra. Strinse i denti, aveva bisogno di restare da sola. «Potreste lasciarmi per qualche minuto, voglio stare da sola per un po'». Rooney annuì e prese Rosie sottobraccio. «Certo, chiamaci quando vuoi». Aveva capito che era meglio andarsene, ma Rosie sembrava volersi trattenere. «Andiamo, Rosie. Coraggio, tesoro». La spinse dolcemente verso la porta che richiuse alle loro spalle, lasciando Lorraine sola, immobile, i pugni stretti lungo i fianchi. Nel corridoio, Rosie si voltò a guardare Bill. «Dio, è una stronza dal cuore di ghiaccio, è riuscita persino a parlare di quel Lubrinski, voglio dire, Nick... Nick è...». Cominciò a singhiozzare e Rooney le mise un braccio attorno alle spalle, sostenendola mentre si incamminavano lungo il corridoio. «Sembrava che non gliene importasse niente», disse Rosie tra le lacrime,
ma Rooney sapeva che le cose stavano diversamente: era stato uno sbirro per troppo tempo per non riconoscere quell'espressione sul viso di qualcuno, spesso seguita da una battuta o da un commento banale, qualsiasi cosa pur di nascondere il dolore. Lorraine avrebbe pianto per Nick, lo sapeva, ma non davanti a loro. Avrebbe cercato di accettare la morte di Bartello a modo suo, nell'unico modo che anche Rooney conoscesse, in solitudine. Un poliziotto non mostrava mai il suo dolore. Lorraine si sciacquò il viso con dell'acqua gelata. Era sconvolta e le lacrime non avevano ancora cominciato a scorrere, incapace di accettare il fatto che non avrebbe mai più rivisto Nick. Sussurrò il suo nome, ancora e ancora, in tono quasi interrogativo mentre si asciugava il viso e tornava in camera. Guardò il letto dove stava dormendo quando lui era venuto a svegliarla la notte prima, e l'altro letto, dove si era seduto. Si sdraiò sul letto e si rannicchiò e allungò una mano come per toccarlo, come se lui fosse ancora là. «Nick?», sussurrò di nuovo. «Oh, Nick...», ripeté, e poi arrivarono le lacrime, il suo volto si contrasse in una smorfia come quello di una bambina piccola mentre piangeva per Nick Bartello, così pazzo e adorabile. Pianse tutte le lacrime che aveva, poi si sedette tenendosi la testa tra le mani, esausta. Fu allora che vide la bottiglia di vodka che Nick aveva lasciato lì la notte precedente. Era rotolata sotto il letto. Lorraine la fissò, incapace di distogliere lo sguardo. La bottiglia l'attirò come una calamita e, alla fine, s'inginocchio a terra per prenderla. La tenne tra le mani, la esaminò, quasi accarezzandola. Poi, lentamente, svitò il tappo. Solo un sorso: le sarebbe bastato a rimettersi in piedi e a tornare al lavoro. Solo un sorso e avrebbe rimesso via la bottiglia, ne era certa. CAPITOLO 14 Dopo l'autopsia, Rooney si occupò del trasporto del cadavere di Nick a Los Angeles. Aveva chiamato la sorella di Nick per informarla di quanto era successo e lei era stata silenziosa e fredda, ma aveva detto che avrebbe pensato lei al funerale e gli aveva dato un indirizzo di Los Angeles. Solo alla fine della telefonata, la donna gli chiese com'era stato ucciso e quando Rooney glielo disse, la voce le si incrinò per un attimo. «Lenny si cacciava sempre nei guai».
«Lenny?», ripeté Rooney confuso. «Sì, si chiamava Nick, ma noi in famiglia usavamo sempre il suo secondo nome, Lenny, Leonardo. Ehm, solo un'altra cosa, signor Rooney... non possiamo prenderci il suo cane». «Non c'è problema, me ne occuperò io». Non avevano altro da dirsi, così lui le porse le sue condoglianze e riagganciò. «Mi prenderò io cura di Tigre», disse Lorraine a bassa voce, Rooney annuì e poi le chiese di scusarlo un attimo. Lei sapeva che lui aveva bisogno di piangere, cosa che aveva fatto, appoggiandosi alla porta dell'ascensore. Era ritornato solo più tardi e aveva detto che era ora di andare al lavoro. Lorraine bevve un sorso di Coca da una lattina. Sembrava più preoccupata del lavoro che li aspettava che dell'omicidio di Nick, e la sua apparente mancanza di emozioni faceva sentire Rosie confusa e preoccupata. Rooney le aveva detto di lasciare in pace Lorraine, di non farle domande, ma Rosie non riusciva a smettere di guardarla: il volto dell'amica era pallidissimo e aveva gli occhi arrossati dal pianto ma, a parte questo, sembrava particolarmente su di giri. «Rosie, la vuoi piantare di fissarmi?», le disse bruscamente. «Sono solo preoccupata per te». «Sto bene, Rosie. Adesso possiamo tornare al motivo per cui siamo qui?». Parlarono dell'orribile bambola che Lorraine aveva trovato, e Rosie l'avvolse in due fogli di giornale e la ripose in un cassetto. Lorraine non se la sentiva di fare altre domande ma sapeva che avrebbe dovuto parlarne con Elizabeth e Robert Caley. Parlarono anche dell'importanza dell'arresto e del successivo rilascio di Fryer Jones e del suo possibile coinvolgimento nella scomparsa di Anna Louise, ma Rosie e Rooney non avevano alcuna intenzione di permettere a Lorraine di recarsi da sola nel locale del vecchio jazzista. Nick era stato assassinato a pochi isolati da lì e se c'era un legame di qualche genere, lo avrebbero scoperto. Bartello era stato stupido ad andarci da solo e quel pensiero li tormentava perché ora non potevano sapere dove fosse stato e con chi avesse parlato. Ma la rabbia che provavano non serviva affatto a lenire il dolore. Rosie fece una smorfia quando sentì il fetore che proveniva dalla valigetta di Lorraine, quando lei l'aprì per prendere la videocassetta de La palude. Si inginocchiò a terra e la inserì nel videoregistratore che era riuscita a farsi prestare da una ragazza della reception.
Lorraine tirò le tende e si sedette su un letto, mentre Rooney e Rosie presero posto sull'altro. Bill prese la mano di Rosie e le sussurrò: «Stai bene, tesoro?». Rosie annuì, e gli strinse a sua volta la mano. Lorraine si sentì esclusa ma cercò di non pensarci. Il film stava cominciando. Era sbiadito come certe vecchie pellicole girate in Technicolor negli anni Sessanta. Persino il vecchio logo della Columbia era mosso e il sonoro era pessimo. Quando comparve una scritta prima dei titoli di testa, tutti e tre si sporsero in avanti. «Questo film è basato su scrupolose ricerche sulla vita e l'epoca della Regina Voodoo Marie Laveau, che arrivò a New Orleans all'inizio del XIX secolo». Il film era tedioso e la trama si sviluppava con estrema lentezza. Comunque, la scarsa qualità dell'immagine non riusciva a offuscare la bellezza di Elizabeth Seal, e la sua danza con un serpente vivo era il punto più appassionante dei primi venti minuti. «Hanno fatto davvero un ottimo lavoro con il trucco, sembra proprio una donna di colore», mormorò Rosie. Il film continuò, la trama intricata e confusa. Anche se la storia abbracciava più di una generazione e tutti i personaggi invecchiavano e ingrigivano, la stella del film continuò ad avere l'aspetto di una ventenne fino alla fine. Anche quando venne adagiata nella sua bara, sembrava giovane e bellissima, mentre la vera Marie Laveau era morta a più di ottant'anni. Era davvero un tipico prodotto commerciale di Hollywood che aveva distorto completamente i fatti. Quando cominciarono a scorrere i titoli di coda, Rosie prese il telecomando e spense il videoregistratore, ma Lorraine gridò: «Aspetta, aspetta! Torna indietro, Rosie, FERMA!». Lessero l'ultima parte dell'elenco degli artisti che avevano collaborato alla lavorazione del film: nella sezione «DANZATRICI DEL RITUALE DEL SERPENTE», comparivano due nomi molto familiari, quelli di Juda e di Edith Salina, e in quella dei «SACERDOTI VOODOO» trovarono il nome di Fryer Jones. Rosie spense la TV e scostò le tende, mentre Lorraine prendeva una lattina di Coca e l'apriva, dirigendosi in bagno. Una volta chiusa la porta, versò parte della bibita nel water, e la sostituì con un po' della vodka della bottiglia di Nick prima di tornare in camera da letto. Si sedette bevendo una lunga sorsata, picchiettando nervosamente a terra con un piede. «Be', adesso sto bene. Voglio parlare con Elizabeth Caley oggi pomerig-
gio...». Rooney si lasciò sfuggire un sospiro. «Vuoi che venga con te?». «No. Dobbiamo rintracciare la sorella di Juda Salina. Mi avevi detto di aver trovato un indirizzo, Rosie, giusto?». «No, non ancora. Lo stavo cercando quando...». Stava per pronunciare il nome di Nick ma si fermò in tempo. «Non è sulla guida del telefono, comunque al museo ho trovato un elenco di veggenti ed esperti di voodoo. Potrebbe esserci anche lei, dovrò controllare». «Fallo, ma non andate dalla Corbello finché non sarò tornata. D'ora in avanti, staremo quasi sempre insieme, ci terremo sempre in contatto e al corrente di ogni spostamento». Rooney sembrava irritato, e Lorraine lo fissò. «Bill, ho gestito molto male la questione di Caley. Mentre interrogavo Lloyd Dulay, ho detto cose che non avrei dovuto dire senza aver prima controllato i fatti. Quindi dovrò andare da lui per scusarmi». «Okay, sai quello che fai». «Non sempre Bill, ero fuori strada con Caley». «Be', comunque hai ottenuto dei risultati». «Già, come no». Esitò per un attimo. «Nick è stato assassinato e Tilda Brown si è suicidata. Ho ottenuto questi fantastici risultati perché ero stanca e arrabbiata. Molto stanca visto che avevo passato la notte a scopare con Caley». «Dici sul serio? Sei stata a letto con Robert Caley?». «Sì, sì». «Non posso crederci», esclamò Rosie sbalordita. «Be', invece, è la verità ed è stata una mossa molto stupida ma...». Lorraine sorrise amaramente e si strinse nelle spalle in un gesto di scusa. «Non ho potuto farne a meno. Il giorno dopo ero così determinata a scoprire se era un sospetto o meno che sono stata dannatamente precipitosa». «Allora Nick aveva ragione. Ti aveva consigliato di scoparti Caley e in fondo hai ottenuto qualcosa». Lorraine distolse lo sguardo. «No, Bill, Nick aveva torto. Non ci sono andata a letto per avere delle informazioni ma perché lo volevo. Ora scusatemi, ho bisogno di farmi una doccia». Lorraine entrò in bagno e chiuse la porta, mentre Rosie raccoglieva i suoi appunti, il volto contratto dalla rabbia. Rooney prese la giacca e si diresse verso la porta. «È così allora», disse Rosie seccamente.
Lui si voltò, sorpreso. «Che cosa?». Rosie si mise le mani sui fianchi. «E lo accettiamo così, senza dire niente. Lorraine va a letto con il nostro cliente. Quel tizio ci ha assunti, Bill, e Lorraine se lo scopa. Oh, tutto questo è molto professionale, davvero un ottimo lavoro. Passa una notte di fuoco che la lascia sfinita e la sera dopo si addormenta presto. E nel frattempo Nick esce da solo e si fa ammazzare». «Rosie», cercò di zittirla Rooney, lanciando un'occhiata verso la porta del bagno. «Non m'interessa se mi sente, sono disgustata, disgustata!». «Non è il caso». Rooney aprì la porta e uscì in corridoio. «Andiamo, Rosie, è riuscita a trovare quell'informazione sul fondo fiduciario e probabilmente non ci sarebbe riuscita se non avesse aperto la porta comunicante». Si fermò e si voltò, un mezzo sorriso sulle labbra. «Noi non ne abbiamo una, vero?». «Come?». Lei richiuse la porta sbattendola e lo raggiunse davanti all'ascensore. «Cos'era, una specie di avance, Bill?», ringhiò. «Che diavolo, no. Era solo una battuta». Salì in ascensore. «Non ti farei mai una proposta indecente, Rosie, ti rispetto troppo». La porta dell'ascensore si chiuse e Rooney premette il pulsante del loro piano. Rimasero in silenzio anche quando la porta dell'ascensore si aprì e insieme si incamminarono lungo il corridoio verso le loro camere. La camera di Rosie era la più vicina e lei aveva deciso di entrare senza degnare Bill di uno sguardo, ma lui mise la grande mano sulla maniglia della porta. «Non ti farei mai una proposta indecente... a meno che non volessi». Lei lo guardò, cercando di impedirsi di sorridere. «È da molto tempo che nessuno mi fa proposte decenti o indecenti, Bill, ma in questo momento, con la morte di Nick, non penso di essere pronta per una cosa del genere». Entrò nella stanza e solo quando ebbe richiuso la porta, si concesse un sorrisetto. «Quel vecchio orso ha davvero i bollori per me», si disse felice. Lorraine si vestì con grande cura, tenendo acceso il ventilatore per non sudare. Aveva indossato uno dei suoi nuovi completi, una camicetta di seta, un paio di sandali con i tacchi alti e un filo di perle finte ma molto graziose. Prese la valigetta, che aveva lavato in modo da liberarla dal fetore della bambola. Alla reception incontrò Rooney che si voltò e le sorrise. «Come siamo
eleganti». «Grazie. Sei stato tu a sbattere la porta o è stata Rosie?». «Sono stato io, temevo che per colpa tua ci fossimo giocati il premio di un milione di dollari. La signora Caley sa che sei stata a letto con suo marito?». «Se lo ha scoperto, vedrò di sistemare le cose. Non voglio mettervi nei guai, Bill. So che quello che ho fatto è molto poco professionale e molto poco etico, ma almeno non ho mentito. E anche dirvi che mi dispiaceva di averlo fatto sarebbe stato una menzogna. Mi piaceva. Mi piaceva molto». Rooney distolse lo sguardo. «E Nick? Anche lui ti piaceva?». «Sai che è così». «Allora ci dividiamo il premio in tre, giusto?», domandò lui tristemente. «Immagino di sì. Che cos'hai lì?». Rooney teneva tra le mani un foglio di carta ripiegato. «È un elenco delle cose di Nick. I suoi vestiti, non aveva altro. Gli stivali da cow-boy, il portafogli e la patente non sono stati ritrovati». Lorraine sospirò. All'improvviso, si ricordò di un dettaglio. «E la collana? Quel gris-gris che aveva attorno al collo, c'è nell'elenco?». «No, ma non sappiamo se quella sera lo portava o se è stato rubato». «Be', controlla la sua stanza. Tornerò non appena avrò finito con i Caley». «Ti stanno aspettando?». «No, meglio sfruttare il fattore sorpresa! Chissà, potrebbero anche rifiutarsi di farmi entrare, ma ne dubito. Sono sicura che ormai hanno saputo di Tilda Brown, ne hanno parlato anche i giornali». Lorraine fece per andarsene ma si fermò. «Bill, il giornale con cui era avvolta quella bambolina voodoo riportava la data del 15i febbraio, ma non c'era l'anno. Potresti controllare le tipografie dei giornali per vedere se possono risalire all'anno in base agli artìcoli? Quella data mi sembra una coincidenza molto sospetta. Anna Louise è scomparsa il 15 febbraio, quindi se il giornale è dello scorso anno significa che Tilda Brown ha tenuto quella bambola per molto tempo». Uscì dall'albergo a grandi passi e salì in macchina. Rooney rimase a fissare il patetico elenco delle cose di Nick Bartello e per un attimo gli sembrò di sentire la voce del collega e la sua risata rauca: «Non esistono le coincidenze, Billy Boy. Non crederci mai, cerca soltanto di essere un bravo detective». Rooney sospirò, un groppo in gola. Non riusciva a ricordare se fosse sta-
to Nick o Jack Lubrinski a dirgli quelle parole. Erano stati così simili e ora erano morti entrambi. In quell'istante, Rooney si rese conto che anche lui un giorno sarebbe morto, ed ebbe paura; non aveva figli, non aveva una moglie, ma forse, solo forse, lo aspettava un futuro di sicurezza economica che andava ben oltre la sua magra pensione. E forse nel suo futuro c'era anche Rosie. Elizabeth scagliò un barattolo di crema per il collo della Lancaster contro suo marito, ma lo mancò di un paio di metri. Il barattolo andò in frantumi contro la parete della sua camera da letto della bellissima villa del Garden District in cui era cresciuta. «Come hai potuto, come hai potuto farmi questo?». Caley scansò le spazzole e lo specchio d'argento che seguirono il barattolo, e attese che Elizabeth si accasciasse sulla chaise-longue, il polso appoggiato contro la fronte in una posa teatrale. «Vattene via, ti odio!». Lui applaudì. «Bravissima, non hai mai meritato l'Oscar come in questo momento, Elizabeth». «Vaffanculo!», gridò lei. «Perché non cerchi di calmarti? Perché ti riduci sempre al punto di dover chiamare il tuo spacciatore per farti dare qualcosa che ti spedisca nell'oblio? Perché è questo che fai, non è vero?». Lei attraversò la stanza e lo fulminò con lo sguardo. «Dovrei calmarmi? Hai rubato, hai rubato, i soldi di tua figlia». «Ti correggo, lei non è mia figlia». «Ma sei stato pagato per trattarla come se lo fosse!». Elizabeth aveva il volto arrossato dalla rabbia, ma anche mentre pronunciava quelle parole rimpianse di averle dette perché vide l'espressione ferita di suo marito. Decise che sarebbe stato meglio passare alle lacrime. «Come hai potuto derubare Anna Louise, Robert? E perché? Sapevi benissimo che se avessi avuto bisogno di qualcosa avrei potuto aiutarti». Lui si lasciò cadere su una poltrona. «L'ho fatto perché non ne potevo più di chiederti soldi. Non ne potevo più di recitare sempre la stessa parte, di avere sempre bisogno di te per salvarmi il culo. Non volevo toccare un altro centesimo dei tuoi fottutissimi soldi. Volevo soltanto una possibilità di reggermi sulle mie gambe per provare che potevo farcela. Forse sarei riuscito a ritrovare la stima in me stesso. Tutto qui, non volevo rivolgermi a te».
Lei sorrise. «E come mai? Lo hai fatto negli ultimi vent'anni, e il denaro non mi manca, Cristo santo!». Robert era sfinito, non aveva più la forza di cercare di spiegarsi, ma dopo tutto glielo doveva. «Perché sapevo che l'affare sarebbe stato un successo. E sapevo che mi avrebbe reso indipendente. Ma non capisci? Una volta tanto avrei fatto qualcosa da solo, senza di te». Elizabeth fece una smorfia. «Ma non ce l'hai fatta. Non sei nemmeno riuscito a trovare i tuoi soci senza di me». Lui sospirò, scuotendo la testa amaramente e nella sua voce comparve una nota di sarcasmo: «Hai ragione, tutto ciò che sono lo devo a te, ti devo tutto. Che cosa vuoi che faccia, che ti baci i piedi? Dio Cristo, Elizabeth, ho vissuto in ginocchio anche per troppo tempo, mi sono sorbito fin troppo le tue stronzate, e adesso non ce la faccio più». «Le mie stronzate? Ma tu pensi che mi piaccia essere sposata a un fallito? Pensi che non mi sarebbe piaciuto di più vivere con qualcuno su cui poter fare affidamento? Qualcuno in grado di prendersi le sue responsabilità?». «Cosa? Cos'hai detto?». «Ho bisogno, ho sempre avuto bisogno di...». Robert riusciva a malapena a controllarsi ormai. «Da quando ho accettato di sposarti, non ho fatto altro che occuparmi di te e dei tuoi bisogni. E questo, come sai anche troppo bene, faceva parte dell'accordo, e insieme a te ho dovuto accettare le tue droghe, le tue sbronze e la figlia illegittima di Lloyd Dulay. Quindi non venirmi a parlare dei tuoi bisogni. Quando mai hai pensato ai miei?». D'un tratto, l'attirò a sé, spaventandola. «Sì, guardami, Elizabeth, guardami bene perché qualunque cifra io abbia ricevuto per sposarti, qualunque contratto tu mi abbia costretto a firmare per farmi tenere la bocca chiusa, era tutto per Anna Louise. Ma adesso lei è morta, così il contratto non ha più alcun valore». Lei cercò di divincolarsi ma lui le strinse i polsi e l'attirò nuovamente a sé. «Sì, morta, Anna Louise è morta, sei solo tu che ti rifiuti di accettarlo». «Non è morta, non è morta, come fai a dire una cosa simile? Non puoi esserne sicuro». Robert avrebbe voluto prenderla a schiaffi ma preferì lasciarla andare, allontanandosi il più possibile da lei. «È passato quasi un anno, Elizabeth, quindi se non è morta, in nome di Dio, dov'è?». Lei cominciò a piangere e lui fece per andarsene, ma si fermò quando la sentì strillare: «Juda mi ha detto di aver avvertito la sua presenza».
Robert si voltò di scatto. «Quella donna non è altro che una dannatissima sanguisuga». «Ce ne vuole una per riconoscerne un'altra, Robert». Lui la raggiunse con quattro ampie falcate e la colpi con il dorso della mano. Elizabeth barcollò, e lui la prese per i capelli, strattonandola. «Hai speso migliaia di dollari per quella fottutissima ciarlatana. Anche quando le ho impedito di venire in casa nostra, hai continuato a vederla, hai persino portato da lei Anna Louise, da quella viscida grassona che gratifica la tua vanità per ottenere quello che vuole. Be', quanto ti ha spillato con le sue "sensazioni medianiche" su Anna Louise? Quanto ti ha spillato, Elizabeth?». «Mai quanto riesci a spillarmi tu in una settimana. Juda e io...». «Per favore, dacci un taglio, non tirare fuori la vecchia storia della vostra amicizia perché l'ho sentita fino alla nausea. È una truffatrice e non ho la più pallida idea di come abbia fatto a tenerti in pugno per vent'anni. Magari con il ricatto». «Non essere ridicolo». «Ridicolo?». Lui si sedette scuotendo la testa. «Tu non hai una vita, Elizabeth. Passi i tuoi giorni e le tue notti annebbiata dall'alcol e dalle droghe, e Lorraine Page...». Esitò. Anche solo pronunciare il suo nome gli aveva provocato una fitta al cuore. «La signora Page mi ha detto che stai usando una droga che potrebbe causarti una trombosi. Ti ricordi che ti ho aiutato a salire sull'ambulanza, per salvarti la vita? Quante altre cliniche, Elizabeth, quante altre punizioni può sopportare il tuo corpo, quante altre volte potrai risistemarlo con la chirurgia? Be', non sono più affari miei». «Cosa vuoi dire?». Sembrava terrorizzata. «È finita, me ne vado. Voglio il divorzio», disse lui con voce calma e risoluta. «Ti farò arrestare per aver usato il fondo fiduciario di Anna Louise, Lloyd chiamerà la polizia». Robert Caley scoppiò a ridere. Si sentiva bene per la prima volta da molti giorni, forse da molti anni. «Davvero? Fai pure, e sai cosa farò io? Dirò a tutti che mi hai mentito, che Anna Louise non è mia figlia. Chiederò che facciano il test del DNA a Dulay e so che questa è la cosa che ti spaventa di più, Elizabeth, perché dovrebbero farlo anche a te. Getteremo la maschera, e se vuoi che finisca male, posso assicurarti che le cose andranno anche peggio di quanto tu possa aver mai immaginato. Renderò pubbliche
la tua dipendenza dalla droga e la tua amicizia con quella puttana obesa». «Smettila!». Lui sorrise, e cominciò a contare sulle dita. «Fornirò alla stampa tutti i dettagli di tutti i tuoi interventi di chirurgia estetica, dei lifting, delle liposuzioni e delle iniezioni di silicone. Potrai dire addio alla tua immagine di stella del cinema! In fondo, l'unico posto dove sei solo una stella è qui, è qui dentro perché là fuori, nel mondo reale, tutti si sono dimenticati di te quindici anni fa». «Smettila!». «No, Elizabeth, sei tu che devi smetterla e subito. Senza Anna Louise non ha più senso continuare con questa commedia. Rivolgiti pure ai tuoi avvocati ma non ci sarà battaglia». «Non farlo, Robert. Dico sul serio, non farlo o te ne farò pentire amaramente». «Davvero?». Se ne stava andando, un sorriso sulle labbra. «Tu me ne hai già fatto pentire, dal giorno in cui ci siamo sposati. Ora te la farò pagare per questo e per gli ultimi vent'anni. Ma stai tranquilla, del tuo enorme patrimonio ti resterà almeno la metà». «Ti avverto...», sibilò lei furiosamente. «No, sono io che avverto te perché questa volta parlo sul serio!». Lei lo fulminò con lo sguardo, la bocca ridotta a una sottile linea dura. «Fallo e io dirò a tutti che hai fatto sesso con tua figlia!». «Per questo ti meriteresti un pugno in faccia, Elizabeth, ma non ho intenzioni di colpirti ancora. Non potrai mai usare questa accusa contro di me perché, come ben sai, Anna Louise non era mia figlia». «Ma tu l'hai adottata». «Le ho dato il mio nome, le ho voluto bene come a una figlia e lei ha voluto bene a me. Questo non potrai mai togliermelo. Non puoi ferirmi in nessun modo. È finita. Addio». «Era una sgualdrina da quattro soldi, lo sapevi questo? La tua preziosa figlia che amavi così sinceramente era una puttana da quattro soldi». «Smettila, lasciala in pace». Elizabeth fece una smorfia. «Chiedi alla signora Page, chiedile di mostrarti la fotografia di Anna Louise che ha trovato». Lui uscì, si richiuse silenziosamente la porta alle spalle e lei rimase sola, accecata dalla furia. Avrebbe voluto urlargli contro, prenderlo a calci, a pugni, cavargli gli occhi dalle orbite, invece raggiunse la finestra e guardò fuori, le braccia strette contro il petto. La sua voce era a malapena udibile.
«Ti farò sanguinare, Robert Caley. Che Dio mi aiuti, renderò la tua vita un inferno, proprio come la mia». Lorraine stava guardando fuori dal finestrino dell'auto. Schiere di deliziose case coloniche che i primi americani arrivati a New Orleans avevano costruito nel Garden District quando il cotone, lo zucchero e gli schiavi avevano cominciato a renderli ricchi: strada dopo strada, quella zona era uno spettacolo di colonnati, di cancelli di ferro battuto, di alberi verdi e frondosi e di siepi ordinate. Gran parte della zona era stata costruita molti anni prima della Guerra Civile, ai tempi in cui le ricchezze naturali della regione avevano fatto prosperare New Orleans, e sembrava quasi che le magnifiche case in stile italiano e neoclassico fossero state costruite per dimostrare al mondo che il Sud era un vero e proprio impero. «Bel quartiere», disse l'autista. Stava cominciando a prendere confidenza con Lorraine; gli piaceva il fatto che lei non avesse mai sentito il bisogno di dargli ordini o di coinvolgerlo in qualche assurda conversazione. E apprezzava anche che quella donna non nascondesse mai i suoi stati d'animo. Certe volte la trovava davvero attraente, altre volte no. Quella sera, era davvero bella, sexy ed elegante. Quando raggiunsero la grande villa, che si trovava in una delle strade più esclusive del quartiere, l'autista si affrettò a scendere per aprirle la portiera. Lorraine gli fece cenno di attendere un istante, bevve un sorso dalla lattina di Coca che aveva portato con sé e infine l'appoggiò sul sedile posteriore. La bibita era mescolata alla vodka e in albergo Lorraine aveva già comprato un'altra bottiglia. «Okay, resta qui, amico, perché non so nemmeno se mi lasceranno entrare». Sollevò lo sguardo sulla grande casa bianca, incorniciata da due castagni dietro a un austero cancello dalle punte aguzze, e si sistemò la giacca. «D'accordo, signora, l'aspetto qui, sono al suo servizio». Lei si voltò e lo fissò per un momento. «Come ti chiami?». «Frankie, è il diminutivo di François». Lorraine gli diede una leggera pacca sulla spalla. «Tieni le dita incrociate per me, François». All'autista fece piacere che non l'avesse chiamato Frankie; François aveva un gran bel suono. Missy, una delle cameriere dei Caley, accompagnò Lorraine nel salone. «Vuole attendere un attimo? Devo informare la signora Elizabeth che lei
è qui. Credo che stia riposando». «Grazie, potrebbe dirle che si tratta di una questione molto importante?». Elizabeth riagganciò e sorrise; non aveva nemmeno dovuto cercare di convincere Juda, la medium aveva accettato immediatamente. Telefonò a Edward e gli ordinò di tornare subito a Los Angeles a prendere la signora Salina - era vitale che arrivasse a New Orleans prima possibile. Si sentiva più tranquilla ora - avrebbe rimesso Robert al suo posto, gliel'avrebbe fatta pagare. Sorrise alla propria immagine riflessa nello specchio dalla cornice dorata sopra lo scrittoio, sentendosi quasi brilla al pensiero della vendetta. Robert Caley non era più il truffatore da quattro soldi che aveva conosciuto vent'anni prima. Era un uomo molto attraente, e aveva abboccato molto più in fretta di quanto Elizabeth avesse creduto possibile. Avevano dovuto sbrigarsi perché lei era già incinta di tre mesi e né lei né Lloyd, che era già sposato, potevano permettersi un simile scandalo. Quando Caley aveva firmato gli accordi prematrimoniali e gli altri contratti che gli avevano fatto guadagnare una somma considerevole, Lloyd ed Elizabeth avevano brindato con dello champagne ghiacciato. «Caley è perfetto, Elizabeth», aveva detto Dulay in tono ammirato. «Be', non avevamo altra scelta». Lui si era sporto in avanti e le aveva accarezzato la pancia. «I truffatori sono facili da manovrare, ma non lasciargli mai prendere il controllo del patrimonio. A questo penserò io, e istituirò dei fondi fiduciari per te e per nostra figlia». «E se è un maschio, Lloyd, cosa facciamo?». «'Fanculo lo scandalo. Ti liberi di quell'imbecille, io divorzio e ci sposiamo appena possibile». Avevano brindato ancora. Avevano persino deciso di chiamarlo Louis se fosse stato un maschio. Elizabeth aveva pianto quando le avevano detto che era una bambina e il nome di Anna Louise era stato scelto in onore del figlio che Lloyd avrebbe voluto. Comunque, lui aveva tenuto fede alla sua parola e aveva assunto vari consulenti finanziari per gestire il patrimonio di Elizabeth e i fondi fiduciari. Ma le visite di Lloyd si erano fatte sempre più sporadiche e ormai Elizabeth lo vedeva solo una volta all'anno, durante il Mardi Gras. Anna Louise non aveva mai saputo chi fosse il suo vero padre perché Caley aveva rispettato i patti, l'aveva cresciuta come se fosse stata sua figlia e il suo nome compariva sul certificato di nascita.
Missy entrò timidamente nella camera di Elizabeth. «C'è una certa signora Page che chiede di vederla, ha detto che è molto importante, signora». Lei si accigliò, infastidita perché la cameriera aveva interrotto il suo sogno ad occhi aperti. Ma dopo un attimo, il senso di colpa s'impadronì di lei. «Scendo subito, Missy, devo solo incipriarmi il naso». Aprì uno dei cassetti dello scrittoio e fissò le numerose bottigliette di pillole che conteneva. Poi lo richiuse di colpo. «No, Elizabeth, non ricominciare», disse con forza alla sua immagine riflessa. «Mantieni la calma». Lorraine attendeva al piano inferiore, e stava ammirando il doppio salone arredato in modo discreto e squisito: non aveva niente a che vedere con il volgare esibizionismo della casa di Dulay. Se per la casa di Los Angeles, Elizabeth aveva ceduto al gusto hollywoodiano, in quella in cui Lorraine si trovava ora sembrava che poco o niente fosse cambiato dall'epoca d'oro dello stile colonico. Gli affreschi sul soffitto, dipinti poco dopo la costruzione della casa, erano ancora intatti, e i tappeti russi, il pianoforte, il carillon, le sedie e i tavoli delicatamente lavorati si inserivano perfettamente in quella magnifica cornice; e così le tende che scendevano dritte fino al pavimento non cercavano di competere con gli splendidi fregi d'intonaco che adornavano le pareti color blu Nilo. I due caminetti erano elegantemente disadorni; sopra uno era appeso un ritratto di famiglia, sopra l'altro un Corot. Dopo un quarto d'ora, Elizabeth Caley entrò nella stanza. Indossava un completo di seta color crema ed era particolarmente bella. «Signora Page. Mi scusi se l'ho fatta aspettare». Lorraine sorrise. «Non c'è problema, davvero». «Allora, cosa posso offrirle? Dello champagne, del vino o magari dell'autentico gin del Sud?». «Io non bevo, signora Caley». «Oh, be', le va un tè freddo?». «Sì, grazie». Elizabeth chiamò la cameriera, e andò a sedersi di fronte a Lorraine. «Voleva vedermi?». Gli occhi della donna erano attenti e vivaci e non aveva un capello fuori posto: Lorraine non l'aveva mai vista così sicura di sé. «La trovo molto bene», disse Lorraine in tono pacato. «La ringrazio, mi sento molto bene. Ah, ecco il tè».
Missy porse loro due calici pieni di tè al limone con fettine di limone e di lime. Era forte e rinfrescante. «Mmm, delizioso», disse Elizabeth, appoggiando il bicchiere. «Ha una sigaretta da offrirmi?». Lorraine prese il pacchetto e accese prima la sigaretta di Elizabeth poi la sua. «Ha scoperto qualcosa?». Sembrava quasi che stesse chiedendo al suo agente notizie di un contratto per un film, non mostrava la minima emozione. Riusciva a controllarsi perfettamente. «Be', ultimamente sono stata molto impegnata». Lorraine aprì il taccuino e prese la penna. «Sa dirmi chi è stato a regalare ad Anna Louise gli orsi di peluche che ho visto sul suo letto?». Elizabeth sgranò gli occhi per la sorpresa, ma sapeva benissimo che Lorraine non stava scherzando. «No, penso che Robert gliene abbia regalati tre o quattro. Lei lo chiamava Polar, perché a volte sa essere veramente gelido». «Ne ha regalato uno anche a Tilda Brown?». Di nuovo Elizabeth sembrò leggermente confusa da quella domanda. «Non ne ho la più pallida idea». Lorraine la guardò negli occhi. «Ha saputo di Tilda Brown?». «Sì, ho chiamato subito i suoi genitori appena sono arrivata. È stata davvero una terribile tragedia». «Ho interrogato Tilda Brown circa le sue dichiarazioni di un anno fa, ma mi ha confermato di non aver visto Anna Louise il giorno della sua scomparsa». Lorraine fece una pausa. Elizabeth sorseggiò il suo tè e si asciugò la bocca con un piccolo tovagliolo di lino bianco. «Conosce un uomo di nome Fryer Jones?». Elizabeth sbatté le palpebre, poi scosse la testa. «No, penso di no». «È stata l'unica persona arrestata dalla polizia, un testimone oculare ha detto di averlo visto la notte del quindici febbraio parlare con sua figlia, nei pressi del suo locale nel quartiere francese, non lontano dal vostro hotel». «Non sapevo nemmeno che avessero arrestato qualcuno». Sembrava sinceramente sorpresa. «Be', la notizia non è mai stata divulgata perché l'uomo è stato subito rilasciato. Molte persone hanno dichiarato che quella sera non ha mai lasciato il suo locale. I testimoni erano un certo Jesse Corbello, suo fratello
Willy, sua sorella Sugar May e...». Lorraine porse a Elizabeth l'elenco di nomi che Rooney aveva ricopiato dai fascicoli della polizia. «Conosce qualcuna di queste persone?». «No, mi dispiace». «Conosce Edith Corbello?». «No». Lorraine parve concentrarsi sul suo taccuino ma in realtà stava osservando Elizabeth che quasi non aveva degnato l'elenco di uno sguardo. «Però conosce Juda Salina». La signora Caley era sempre più tesa: piccoli segni di disagio tradivano il suo nervosismo. «Sa bene che la conosco». «È la sorella di Edith Corbello, erano conosciute anche come le sorelle Salina». Elizabeth sgranò gli occhi. «Oh certo, sì, adesso mi ricordo. Non l'ho mai conosciuta ma Juda la nominava spesso, credo che sia sposata con Fryer Jones». Lorraine alzò lo sguardo, presa alla sprovvista. Rimase in silenzio per un attimo prima di continuare: «Edith Corbello ha un altro figlio, Raoul, che lavorava per Juda a Los Angeles». «Non ricordo di averlo mai sentito nominare». «E ha anche un'altra figlia, Ruby Corbello. Ha diciotto anni e presto sarà incoronata». «Non come debuttante dell'anno, immagino!». «No, è la regina di un nuovo krewe nero, a quanto pare è un grande onore, una cerimonia importante». «Sì, sì, è così. Gradisce dell'altro tè?». «No, grazie». Lorraine prese il suo bicchiere, non aveva bevuto che pochi piccoli sorsi, e in quel momento notò che Elizabeth stava giocherellando con l'orlo della gonna. «E Lloyd Dulay? Lo conosce?». Elizabeth alzò la testa di scatto e fissò Lorraine con aria sorpresa. «Naturalmente. Lloyd è un caro, vecchio amico». «Ed è anche il padre di Anna Louise», replicò Lorraine in tono piatto. Elizabeth distolse lo sguardo, arrossendo. «Vedo che si è data molto da fare. Spero che sia stata altrettanto discreta, questa è una faccenda strettamente personale. Chi glielo ha detto, Lloyd o Robert?». «Rimarrà tra noi, signora Caley, glielo assicuro. È stato il signor Dulay a dirmelo». «Buon Dio!». Emise un lungo sospiro. «Sono molto stanca. Se non ha
altre domande, possiamo interrompere qui?». «Ho visto La palude, mi è piaciuto molto». Elizabeth scoppiò a ridere, in modo leggermente teatrale. «Oh santo cielo, e come ha fatto a trovarlo?». «Il signor Dulay è stato così gentile da prestarmi la videocassetta. Scorrendo i titoli di coda, ho notato che sia le sorelle Salina che Fryer Jones hanno lavorato nel film. Non avevano parti importanti, erano delle comparse». «Io non mi mischio con le comparse, signora Page». «Ma vedeva spesso Juda Salina». «Sì, ma non durante la lavorazione del film. Ci siamo incontrate qui a New Orleans qualche anno dopo e, se posso dirlo, non capisco cosa possa c'entrare quel vecchio film con la scomparsa di mia figlia. Santo cielo, avevo quasi la sua età quando l'ho interpretato e, mi creda, da allora ne è passato di tempo». «Lei crede nel voodoo, signora Caley?». Elizabeth fece un vago gesto con la mano. «Oh, in realtà non so proprio cosa risponderle, no, non lo so». «E sua figlia ci credeva?». «Sinceramente ne dubito, era una ragazza assennata». «Ma lo sono anche le migliaia di seguaci del voodoo che vivono qui. Sa se Tilda ci credeva?». «Tilda? Non ne ho idea, ma non si può mai sapere che cosa combinano queste ragazzine». «Non era più una ragazzina, aveva la stessa età di Anna, quasi diciannove anni...». Lorraine si chiese se fosse il caso di parlarle della bambola o meno. Sapeva che Elizabeth stava mentendo, il suo nervosismo era sempre più evidente: aveva smesso di giocherellare con l'orlo e aveva cominciato a graffiare con una lunga unghia scarlatta la seta cruda della gonna. Ci fu una lunga pausa, poi Lorraine tornò all'attacco. «Ho trovato una bambola nella custodia di una delle racchette di Tilda, una bambola fatta a mano, disgustosa e maleodorante, sporca di escrementi e di urina. Chi l'ha fatta voleva che assomigliasse a Tilda, attaccati alla testa della bambola c'erano persino una foto del volto di Tilda, alcuni capelli biondi della ragazza e quelle che potrebbero essere delle macchie di sangue. E per finire, aveva uno spillo conficcato nell'occhio sinistro». Ora Elizabeth Caley era immobile e teneva lo sguardo fisso sulla punta dei suoi sandali. Seguì un'altra lunga pausa, poi Lorraine continuò: «Per ri-
spettare il loro dolore, ho pensato che non fosse il caso di parlare di ciò che ho scoperto con i signori Brown, ma i miei colleghi proprio in questo momento stanno portando la bambola all'obitorio per controllare se il sangue e i capelli di Tilda corrispondono». «Questo non ha niente a che fare con Anna Louise», disse Elizabeth Caley seccamente. «Forse no, ma sa che cos'è quella bambola? Secondo un libro sulla cultura voodoo che ho consultato, si tratta di una terribile maledizione. È una bambola di morte, signora Caley». Lorraine prese a sfogliare uno dei libricini che Rosie aveva preso al museo. Trovò la pagina che stava cercando e lesse ad alta voce: «"Mettete i capelli della persona che volete colpire sulla testa della bambola, conficcate uno spillone nero nel punto in cui desiderate infliggere dolore", vede, c'è anche uno schema...». «No, non voglio vederlo, lo metta via, per favore». Lorraine richiuse il libro. «Tutto questo potrebbe non avere alcun legame con la scomparsa di Anna Louise, d'altronde devo...». «La smetta subito e, per l'amor del cielo, non mostri ai Brown quella cosa repellente. È incredibile che lei possa anche solo pensare che la povera, piccola Tilda abbia...». «Se fosse stata Tilda non avrebbe fatto una bambola di se stessa. Deve averla fatta qualcun altro per poi darla alla ragazza. Forse chi l'ha fatta è colpevole anche di omicidio!». «No, Tilda si è suicidata». «Lo so, signora Caley, ma era la migliore amica di Anna Louise e sto cercando di capire se si interessavano di queste cose, se andavano a riti e cerimonie». «No, assolutamente no. No». «Ma lei è molto vicina a Juda Salina, che un tempo era una grande sacerdotessa, proprio come la sorella. A quanto pare, Edith Corbello non è più attiva come un tempo ma dirige un gruppo di spiritismo e ha un'attività simile a quella della sorella a Los Angeles. Juda Salina non ha mai accennato a legami col voodoo, ma i suoi volantini dicono che si occupa di lettura delle carte, ipnotismo, spiritismo e... voodoo. Ho una copia di quel volantino, se vuole...». «No, non so niente di tutto questo». «Ma dato che Anna Louise è stata più volte dalla signora Salina, potrebbe anche averlo visto. Ed essendo giovane e impressionabile, potrebbe a-
ver cominciato a interessarsi di occultismo». Elizabeth spinse indietro la sedia che lasciò un segno profondo nel bellissimo tappeto antico. «Non mi piace ripetermi, signora Page, ma questa storia è durata anche troppo. Non voglio più discutere di questo argomento. Anzi, se lei è convinta che Anna Louise sia morta, non ha alcun senso che continui a cercarla». Anche Lorraine si alzò. «Non ha senso? Sto cercando di scoprire se sua figlia è stata assassinata e da chi. È scomparsa da ben undici mesi». «Questo lo so!». «Allora perché sostiene che seguire questa pista non ha alcun senso?». «Il voodoo non è una pista, signora Page, è uno stile di vita, e molto probabilmente lei non potrebbe mai comprenderne la complessità. È una cosa molto seria da queste parti, e non ha niente a che vedere, come lei invece ha insinuato, con l'occultismo e la magia nera. Il voodoo non viene usato per scagliare maledizioni o malefici, al contrario, viene praticato per difendersi dalle malattie e per evolversi spiritualmente». «Sto cercando di imparare, signora Caley, e se lei avesse qualche informazione da darmi, le sarei molto grata». «Che cosa vuole dire con informazioni? Non ho nessuna informazione, perché pensa che l'abbia assunta? E come l'ho assunta, signora Page, ora la licenzio. Naturalmente le rimborserò ogni spesa che ha dovuto affrontare fino ad oggi, ma non voglio più che prosegua con le sue indagini». «Mi dispiace, ma non posso più tirarmi indietro». «Oh sì, invece, è stata solo assunta, non c'è niente di personale che la leghi a questa storia». «Temo di sì. Vede, un mio collaboratore è stato assassinato mentre lavorava al caso, quindi ci sono motivi personali molto forti che mi spingono a cercare una conclusione». Elizabeth esitò per un attimo ma non le chiese niente dell'omicidio. «Mi sembra che abbia dimenticato quale dev'essere la conclusione, signora Page». «Niente affatto, è trovare sua figlia, viva o morta». «Ma lei non l'ha ancora trovata». «Ma ho ancora tempo. Mi resta una settimana, abbiamo un accordo». «Sono disposta a pagarla purché abbandoni le indagini. Phyllis le manderà un assegno. Ora, se vuole scusarmi...». «Un milione di dollari, signora Caley, può anche pagarmi per sciogliere il nostro accordo ma questa offerta rimane valida».
«Non sia sciocca, era solo verbale e...». «No, si sbaglia. Ne ho una copia scritta, un milione di dollari. Quindi non me ne andrei in ogni caso prima di aver tentato ogni strada possibile. Mi dispiace». Elizabeth stava stringendo i pugni rabbiosamente, il viso stravolto dalla furia. «Lei non sa a che cosa sta andando incontro». «Non lo si può mai sapere quando si lavora a un caso, signora Caley. È questo il motivo per cui il lavoro di detective è così interessante, i colpi di scena, sa». Elizabeth parlò con voce roca, minacciosa: «Sono sicura che l'aspettino altri colpi di scena, signora Page, e, mi creda, rimpiangerà di non essersene andata quando era ancora in tempo». Lorraine si sentì svuotata quando Elizabeth Caley uscì dalla stanza, il rumore dei suoi passi che riecheggiava nell'atrio dal pavimento di marmo bianco e nero. La sentì gridare: «Missy, la signora Page se ne sta andando, accompagnala alla porta!». La cameriera comparve sulla soglia. «Non ce n'è bisogno, so trovare l'uscita da sola». Lorraine ripose il taccuino nella valigetta. Quando sentì sbattere la porta, si voltò di scatto e si trovò di fronte a Robert Caley. «Hai avuto un bel coraggio a venire qui». Lei chiuse la valigetta con un colpo secco. Si rese conto che le tremavano le gambe. Cercò di riprendere il controllo e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Robert. «Ti devo delle scuse. Ho dette delle cose che non avrei dovuto dire senza averle prima verificate. Mi dispiace davvero». Lui si mise le mani in tasca. «Ti dispiace? Hai detto cose orribili di me ai miei soci, hai fatto insinuazioni disgustose e infamanti su di me e su mia figlia, hai letto dei documenti riservati che erano sulla mia scrivania e...». «Ti ho già detto che mi dispiace». «Non è abbastanza. Voglio che tu invii una lettera formale di ritrattazione a Lloyd Dulay». Lei arrossì e si rese conto che non riusciva a sostenere il suo sguardo. «Ma stavi usando il fondo fiduciario di Anna Louise illegalmente». «Tu non molli mai la presa, vero, Lorraine? Quel premio da un milione di dollari dev'essere stato un grosso incentivo per te». «Forse quanto lo era per te il fondo fiduciario di tua figlia». «Touché!».
Lorraine prese la valigetta. «Non sto cercando di vincere ai punti, Robert». «Ah no?». Lei sospirò. «No. Sto solo cercando di fare il mio lavoro, tutto qui». Lui era così furioso che avrebbe voluto strangolarla. «E il tuo lavoro comprende anche scoparsi qualcuno per ottenere informazioni come facevi una volta per procurarti i soldi di una bottiglia?». Lorraine avrebbe voluto dirgli che per lei quella notte era stata molto importante, avrebbe voluto lasciar cadere la valigetta e correre tra le sue braccia. Invece lo fissò senza tradire la minima emozione, così freddamente che fu lui a distogliere lo sguardo. «Sei stato tu a regalare ad Anna Louise i suoi orsi di peluche?». Lui scosse la testa, incredulo. «Cosa?». «Sul suo letto c'erano diversi orsi bianchi, sei stato tu a regalarglieli?». «Sì». «E il tuo soprannome era Polar?». «Sì, sì». «Hai regalato un orso bianco anche a Tilda Brown?». «No». «Ricordi quanti ne hai regalati a tua figlia?». Lui si sedette. Lorraine lo stava tempestando di domande come se fosse stato un sospetto appena arrestato dalla polizia. «È importante, Robert, quanti?». «Cinque, per il suo tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo compleanno. Poi ho pensato che non ci fosse più spazio per quei peluche, erano regali adatti più che altro a una bambina, anche se ci teneva dentro i suoi diari». «I suoi diari?». Lui si massaggiò le tempie. «Sì, gli orsi si possono aprire, hanno una specie di tasca segreta in cui Anna Louise teneva il suo diario dell'anno». Nella testa di Lorraine prese a suonare un campanello d'allarme. «La polizia li ha mai visti?». «No...». «Perché no?». «Perché non c'erano. Forse Anna Louise li aveva buttati via, non lo so». Il campanello d'allarme si spense. «Cazzo! Okay, ora prova a ricordare se, il quindici febbraio dell'anno scorso, Anna Louise aveva messo in valigia o aveva portato con sé uno di quegli orsi».
«Non ne ho idea». «È molto importante, Robert, cerca di ricordare». Lui scosse la testa e lei gli si avvicinò. «Quando sei andato in camera sua, in albergo, hai visto uno di quegli orsi bianchi?». Lui sospirò e lei si avvicinò ancora di più. «Chiudi gli occhi e rifletti, Robert. Mi hai detto che la sua borsa era nel salottino e che il suo abito nuovo era sul letto, quindi non puoi non aver guardato il letto». «Perché? Perché è così importante?». Lorraine ormai era così vicina che avrebbe potuto allungare una mano e toccarlo. «Quando sono stata nella camera da letto di Anna Louise a Los Angeles ho trovato quattro orsi sul suo letto. Quattro, Robert, non cinque, quattro». Lui allungò una mano senza guardarla e le accarezzò un polpaccio, così sottile che quasi avrebbe potuto richiudervi attorno le dita. «No, non c'era nessun peluche nella sua suite». L'attirò a sé, e le premette il volto sul grembo. «Perché non hai risposto alle mie telefonate, Lorraine, perché?». «Avrei voluto, Robert, ma mi sentivo troppo in colpa. Quel giorno mi sentivo strana, ed ero stanca per la notte che avevamo passato insieme. Così, quando Tilda ha fatto quell'insinuazione su te e Anna e Dulay mi ha parlato del fondo fiduciario... forse è stata la gelosia, forse è stata la rabbia, ma non ho scuse, non avrei dovuto dire quelle cose senza...». Poteva sentire il respiro di Robert, le sue labbra attraverso la gonna, ma c'era una parte della sua mente che era ancora freneticamente al lavoro. Era stata Phyllis a dirle di aver preparato le valige il giorno in cui erano partiti, o era stata Elizabeth? «Devo andare, Robert». Lui la lasciò e si abbandonò allo schienale della sedia, alzando lo sguardo su di lei. «Perché quell'orso è così importante?». Lei aveva raccolto la valigetta e si stava già dirigendo alla porta. «Tilda mi ha detto che Anna Louise non è stata a trovarla il giorno della sua scomparsa, ma se avesse mentito? Se l'orso fosse stato un regalo per fare la pace? Era per te che avevano litigato, Robert, lo sapevi? Tua figlia era gelosa delle attenzioni che avevi per Tilda». Lui si alzò, allargando le braccia. «Gelosa? Era gelosa della piccola Tilda?». «Quel giorno, prima di andare al lavoro, hai incontrato Tilda vicino al campo da tennis, ricordi? Le hai dato un bacio perché stava piangendo e Anna Louise ti ha visto».
«Era un bacio innocente, lo giuro su Dio!». «Io lo so, ma Anna Louise non lo sapeva, e penso che sia stata accecata dalla gelosia. È per questo che...». «Che Tilda è partita...». Lei annuì, poi guardò il telefono. «Posso fare una telefonata?». Non attese che lui le rispondesse, compose il numero della casa di Los Angeles dei Caley. Fu Phyllis a rispondere e, senza lasciarle il tempo di chiederle come stava, Lorraine le domandò se ricordava di aver visto Anna Louise fare le valige, il 15. Phyllis rimase in silenzio. «Phyllis, mi ha sentita?». «Sì, sto pensando. Vede, io non mi sono mai occupata dei bagagli, ma ricordo che la signora Caley mi ha chiesto di assicurarmi che Anna Louise avesse messo in valigia qualche vestito elegante, dal momento che sarebbe andata a molte feste e...». Lorraine la interruppe. «Ha visto che cosa c'era nelle sue valige?». «Be', sì, e anche la signora Caley. C'erano un mucchio di T-shirt e di scarpe da tennis». «Nient'altro?». «Credo di no. Più tardi la signora Caley e Anna hanno avuto una piccola discussione in proposito e la ragazza è andata a rifare le valige. Ma non so cosa avesse preso e non credo che lo sappia neppure la signora Caley. È molto importante?». Lorraine rispose di no e la ringraziò. Mentre riagganciava, Missy entrò nella sala. «Ho portato giù tutte le sue valige, signor Caley». Lorraine si accigliò. Quando Missy se ne andò, lui le spiegò che si sarebbe trasferito in albergo. «Posso chiamarti?». Lei gli si avvicinò e lo baciò. Robert l'abbracciò e si stavano ancora tenendo stretti quando Elizabeth Caley comparve sulla soglia. Lorraine si accorse che li aveva visti e si allontanò bruscamente. «Merda!». Robert vide Elizabeth voltarsi e salire di corsa le scale. «Va tutto bene, ho deciso di lasciarla, è la verità. Ne ho avuto abbastanza questa volta. Vieni, ti accompagno alla macchina. Torni in albergo?». «Hai deciso di lasciarla?». «Sì, avrei dovuto farlo molti anni fa». Robert la baciò ancora mentre saliva in macchina. «Potremmo cenare insieme, questa sera».
«Sì, mi piacerebbe». Lei gli sorrise, desiderando un altro bacio, ma lui le accarezzò una guancia. «Elizabeth mi ha parlato di una fotografia, di una foto di Anna Louise che le avresti mostrato. È vero?». «Sì, è stata scattata in un night club». «Ce l'hai qui con te? Vorrei vederla». Lei esitò. Aveva con sé la foto ma decise di non mostrargliela subito. «È meglio che ne parliamo stasera». Lui la baciò di nuovo, poi chiuse la portiera della macchina. Lorraine lo salutò attraverso il finestrino e lui rimase a guardare l'auto che si allontanava. François le lanciò un'occhiata nello specchietto retrovisore e sorrise. «Bene, vedo che l'hanno fatta entrare!». Lei scoppiò a ridere fragorosamente. Quella donna cominciava a piacergli. «Torniamo al St Marie?». Lei si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi. «No, da Tilda Brown». Si sentiva in colpa per essere così felice e non riusciva a smettere di sorridere. Robert Caley non era più un sospetto e per di più era libero adesso che aveva lasciato Elizabeth. Non vedeva l'ora di passare un'altra notte con lui. Lorraine finì la lattina Coca e vodka, continuando a ripetersi che aveva tutto sotto controllo: la smania era finita - non moriva più dalla voglia di bere, la sete era tornata normale. Era tutto sotto controllo. Da dietro le antiche tende di pizzo della sua camera da letto, Elizabeth Caley guardò l'auto allontanarsi. Non aveva idea di come gestire quella situazione e aveva disperatamente bisogno di vedere Juda. La sua vita stava andando in pezzi e le pillole nel cassetto l'attiravano come una calamita. Lorraine si sporse in avanti, mordicchiandosi il labbro inferiore, mentre sfogliava i primi appunti che aveva preso sul caso. Tutti le avevano detto che avevano trovato strano che Anna Louise avesse ordinato quel vestito visto su «Vogue» e che lo avesse voluto immediatamente a New Orleans. Aveva chiamato Phyllis dall'aereo per dirle di andarglielo a comprare. Quindi, forse non aveva rifatto le valige dopo aver parlato con Elizabeth ma aveva aggiunto solo l'orso di peluche. Lorraine sapeva che quelle supposizioni erano azzardate ma forse il fatto che la ragazza avesse insistito tanto per avere quell'abito aveva una spiegazione. Lorraine era così concentrata a raggiungere una conclusione razionale che fece esattamente ciò
che aveva promesso di non fare: si dimenticò di chiamare Rosie e Rooney per informarli che aveva lasciato la villa dei Caley e che si stava dirigendo a casa dei Brown. Chiese a François di fermarsi a un negozio di liquori, dove acquistò una confezione da sei di Coca e un'altra bottiglia di vodka. Andava tutto a meraviglia, si disse, nessuno l'avrebbe saputo e finché avesse continuato a bere dalla lattina, nessuno si sarebbe accorto di niente. La vodka l'aiutava a non pensare alla voce di Nick Bartello, al suo sorriso, l'aiutava a dimenticare. Ma, soprattutto, le dava la certezza di avere tutto sotto controllo. CAPITOLO 15 All'inizio, la signora Dubois si rifiutò di far entrare in casa Lorraine; erano in corso i preparativi del funerale di Tilda quindi non era il momento opportuno per parlare con i signori Brown. «Ho solo bisogno di tornare in camera di Tilda. La prego, signora Dubois, è molto importante, se non lo fosse non vi disturberei in un momento così triste. L'ultima volta che sono stata qui, credo di aver perso le chiavi, forse mi sono cadute dalla borsa. Ci vorrà solo un minuto». La signora Dubois acconsentì e chiese alla cameriera di accompagnare di sopra Lorraine. La ragazza rimase sulla soglia mentre Lorraine si aggirava per la stanza, impaziente di poter prendere l'orso di peluche che era ancora sul letto di Tilda. Quando la signora Dubois chiamò la cameriera, Lorraine rimase sola e prese subito il peluche. Era troppo leggero e sapeva benissimo che non poteva contenere nulla, ma trovò la cerniera lampo nascosta e controllò lo stesso. Era delusa, e non si scomodò nemmeno a fingere di aver cercato le sue chiavi quando la cameriera ritornò e bussò leggermente sulla porta aperta. «Grazie, ma non ho avuto fortuna!», disse Lorraine, avvicinandosi alla ragazza che sembrava molto nervosa. «Lei andava d'accordo con la signorina Tilda?». «Sì, certo, signora, ma era molto riservata. Rimettevo in ordine la sua stanza e stiravo i suoi vestiti. Non era capricciosa, non più almeno. La signora Dubois è molto impegnata, mi ha chiesto di accompagnarla alla porta». «Cosa vuol dire con "non più"?», domandò Lorraine, in tono amichevole, quasi con noncuranza.
«Be', la cameriera che c'era prima di me è stata licenziata perché non andavano d'accordo e la signora Brown mi ha dato istruzioni di non toccare mai gli oggetti personali della signorina Tilda. So che non le piaceva quando pulivo la sua stanza ma era molto precisa e ordinata». «Quando è stata licenziata la cameriera che c'era prima di lei?». «Oh, l'anno scorso. Lavoro qui da allora». Lorraine continuò a sorridere. «Si ricorda la data precisa?». La ragazza non vedeva l'ora che Lorraine se ne andasse, e continuava a guardare nervosamente le scale e l'atrio al piano di sotto. «Be', il mio colloquio è stato a metà febbraio. Ruby se n'era già andata allora». «Ruby?». Lorraine cominciò a scendere l'ampia scalinata insieme alla cameriera. «Sì, signora, la ragazza che c'era prima di me si chiamava Ruby Corbello. È andata a lavorare in un salone di bellezza». «Grazie mille». Lorraine era nuovamente su di giri e, con grande sollievo della giovane cameriera, uscì di corsa senza nemmeno chiedere di parlare con la signora Dubois. Lorraine sedeva nell'auto e stava pensando che non poteva trattarsi di una semplice coincidenza. Sospirò. Forse quella era la pista giusta. Controllò l'ora e disse a François di riportarla in albergo, rendendosi conto che era molto tardi e che si era del tutto dimenticata di mettersi in contatto con gli altri. Rosie e Rooney erano seduti a uno dei tavoli del giardino del St Marie e stavano bevendo del café au lait. «Non lo so, prima ci dice che dobbiamo tenerci sempre in contatto, poi se ne va per i fatti suoi. Voglio dire, dove diavolo è andata? La signora Caley ha detto che la lasciato la villa più di un'ora e mezzo fa», disse Rosie infastidita. Rooney guardò l'orologio e non disse niente. Aveva seguito le istruzioni di Lorraine, era stato alla stazione di polizia ma non avevano trovato traccia della collana sul cadavere e non era tra i suoi altri effetti personali. «Forse non l'aveva messa», disse. «Cosa?». «La collana».
«Se ricordo bene, direi che ce l'aveva l'ultima volta che l'abbiamo visto, sembrava che gli piacesse molto. Mi manca terribilmente, Bill». «Sì, anche a me. Era un bravo ragazzo». Bevvero il loro caffè in silenzio, poi Rosie prese il suo taccuino. «Che cosa facciamo con Edith Corbello? È un peccato perdere tempo. Ho trovato il suo indirizzo ma nessun numero di telefono, quindi dovremo andare là». Rooney spinse da parte la tazza. «Hai ragione, lascio i miei appunti a Lorraine sotto la porta e poi andiamo a trovare questa signora Corbello. Potremmo anche essere fortunati!». Quando rientrò in camera, Lorraine trovò le pagine strappate dal taccuino di Rooney sotto la porta. Si sedette sul letto e lesse gli appunti scarabocchiati. Non era stata trovata alcuna collana sul corpo di Nick Bartello. C'era anche un breve riassunto di ciò che i poliziotti avevano detto su Fryer Jones e il suo alibi. In fondo a una pagina, Rooney aveva aggiunto che il jazzista era sposato con Juda Salina. Altre coincidenze! Lorraine sottolineò il nome di Raoul, ripensando al suo incontro col ragazzo a Los Angeles. Ciò che Rooney non diceva nei suoi appunti era che lui e Rosie stavano andando a casa di Edith Corbello. Stava per farlo quando Rosie gli aveva detto che sarebbe stato meglio vedere cosa riuscivano a scoprire e parlarne più tardi con Lorraine. Lorraine rimase ad aspettare per un po', prese un sandwich e una Coca e si sedette in giardino. Rilesse gli appunti che aveva preso, chiedendosi quale sarebbe stata la prossima mossa. Decise di non seguire la pista di Ruby Corbello prima di aver parlato con Fryer Jones. François era preoccupato al pensiero che Lorraine volesse recarsi al bar di Fryer Jones. La guardò nello specchietto retrovisore, la vide versare altra vodka nella lattina di Coca, ma non sembrava affatto ubriaca. «Non sono una turista, François. Però tu aspettami fuori e se non mi vedi uscire dopo mezz'ora, vienimi a prendere! Dai, andiamo!». «D'accordo, subito». Il taxi si fermò davanti alla piccola casa cadente nel vecchio Irish Channel. «Siete sicuri che sia questo l'indirizzo?», chiese il tassista. «Sì, e se ci aspetta, ha un'altra corsa assicurata», disse Rooney porgendo
il denaro al tassista più un extra di dieci dollari. «Certo signore, vi aspetto qui fuori». Rooney e Rosie osservarono la malconcia porta d'ingresso, il vetro rotto sostituito da un pezzo di cartone. Anche gli ultimi quattro vetri di una porta finestra erano sostituiti da un vetro opaco che rendeva impossibile guardare dentro la casa. Rooney fece qualche passo lungo il vicolo che si trovava tra la casa di Edith Corbello e l'edificio accanto, e vide il cancello rotto che delimitava il cortile posteriore pieno di carcasse di auto, e notò un'amaca appesa tra due alberi spogli. In mezzo ai copertoni squarciati c'erano pezzi di ricambio arrugginiti e sacchi traboccanti di spazzatura. «Se questo è il posto giusto, lascia parlare me», disse Rooney risistemandosi i pantaloni in vita. «Me l'hai già detto tre volte», disse Rosie in tono petulante. «Okay, allora siamo d'accordo, niente interruzioni». Il campanello era rotto: Rooney bussò con forza alla porta d'ingresso che si aprì cigolando. Rimasero sulla veranda e attesero qualche istante prima di bussare ancora, scrutando l'atrio immerso nell'oscurità. «Ehi, che cosa volete?», gridò Sugar May dalla cucina. «Signora Corbello?». «Adesso è impegnata, avete un appuntamento?». Rooney guardò Rosie e le sussurrò: «Okay, adesso lasciami fare, vediamo cosa riusciamo a ottenere». Lei annuì e lui guardò Sugar May, rivolgendole un ampio sorriso. «Ehilà. Ci manda il signor Fryer Jones...». Sugar May fece una smorfia e si incamminò lungo il corridoio buio e sporco. «A mia madre non piace essere interrotta, sentiamo cosa dice». Sugar May indicò loro una stanza e sparì di nuovo in cucina. Rooney e Rosie si sedettero su un divano malandato che cigolò sotto di loro. Il tappeto era consunto, in un angolo c'era una montagnola di mozziconi di sigaretta e macchie di birra su ogni superficie disponibile. La porta era chiusa da una tenda di perline. «Che porcile», disse Rosie a bassa voce, poi trasalì quando sentì un urlo provenire dalla stanza in fondo al corridoio. Nella stanza c'era un tavolo coperto da un panno su cui erano posati uno specchio e una statua della Vergine. Alla parete dietro il tavolo, era appeso un ritratto di Marie Laveau. Davanti alla statua erano accese tre candele blu ed erano disposti un piatto pieno di pane e mele, un altro con erbe e oli profumati e alcune tazze piene di acqua piovana.
Edith aveva fatto sdraiare la ragazza sul letto e le aveva bagnato la testa con un infuso di erbe. Le premette le mani sulle tempie, gli occhi chiusi, cantando una litania per invocare i poteri di guarigione degli spiriti. La ragazza aveva l'impressione che il suo collo stesse per spezzarsi e il dolore era peggiore di quello dei tremendi mal di testa che la tormentavano ogni mese. Cercò di muovere la testa, ma Edith strinse ancora più forte. «Oh, sento una grande tensione. Molta tensione. Tirati su ora e china la testa in avanti così potrò sentirti il collo». La ragazza gemette ed Edith chiuse gli occhi, massaggiandole e impastandole le vertebre del collo finché non sentì un clic. Le girò di scatto la testa e si sentirono altri due clic molto più forti. Edith sorrise. «Sì, ecco fatto, ti senti meglio adesso, tesoro?». Rosie guardò Rooney mentre una morbida risata prendeva il posto dei lamenti, ma lui era immerso nella lettura di una vecchia rivista. «Senti qua. Il voodoo è arrivato insieme agli schiavi dall'Africa Occidentale nel XVI secolo e a New Orleans Marie Laveau è una specie di leggenda. Si dice che fosse la figlia di un ricco proprietario terriero e di una ragazza meticcia. Era in parte indiana e sposò Jacques Paris che scomparve misteriosamente dopo il matrimonio e lei cominciò a presentarsi come la Vedova Paris. Cristo santo! Marie Laveau aveva quindici figli e viveva in St Ann's Street, tra Rampart e Burgundy Street. Si dice che abbia eliminato tutte le altre regine con i suoi gris-gris, uccidendole con il voodoo. E a quanto pare, alcuni dottori di rispettabili scuole di medicina consultano sacerdoti voodoo per curare alcune malattie mentali, come la schizofrenia paranoide». Rooney stava per riprendere a leggere quando la porta in fondo al corridoio si aprì e anche se non riuscirono a vedere chi ne uscì, sentirono la voce roca e profonda di Edith Corbello. «Non preoccuparti per i soldi. Pensa a guarire e trovati un lavoro, poi torna a trovarmi, Tulla». Sugar May gridò dalla cucina: «Ehi, mamma! Ci sono dei clienti per te, mi hai sentita?». Edith Corbello entrò nella stanza e Bill e Rosie restarono a bocca aperta. Non si erano aspettati di vedere quella donna grassa e tarchiata, con un grembiule e delle vecchie pantofole, i capelli brizzolati che incorniciavano un volto rotondo e sudato. «Sì?».
Rooney si alzò. «Sono Bill Rooney e lei è la mia amica Rosie». Edith sospirò. «Mmm, e cosa volete?». «Possiamo parlare con lei? Lei è Edith Corbello?». «Esatto, ma non parlo mai con gente che non conosco. Chi vi ha mandati da me?». «Fryer Jones», rispose Rooney. Edith annuì e fece loro cenno di seguirla nello studio. «Venite pure ma ho un altro appuntamento tra un quarto d'ora». La stanza era oscurata da vecchie tende che coprivano le finestre e, oltre a un letto e un piccolo altare, c'erano un vecchio baule e alcune sedie. Anche nella semioscurità si poteva notare che era molto più pulita e ordinata del resto della casa. Le pareti erano coperte da quadri e maschere. «Accomodatevi», disse Edith, girando attorno alla scrivania. Aprì il baule, prese un mazzo di carte e una pila di volantini. «Questi sono i miei prezzi». Porse loro due volantini sbiaditi e stropicciati su cui erano elencati rituali, consulti e letture di tarocchi che avrebbero rivelato il futuro, bagni di guarigione e numerosi oli e rimedi a base di erbe per la salute e la vitalità. Tutti i trattamenti costavano tra i venti e cinquanta dollari. I prodotti che non erano compresi nel costo del consulto - erbe, tè, candele e incensi - erano sottolineati in rosso. Rooney aprì il portafogli ed estrasse due banconote da cinquanta dollari. «Volete una lettura?», chiese Edith, indicando il mazzo di tarocchi. Rooney si sporse verso Rosie e le prese la mano. «Abbiamo bisogno di un consiglio». «Siete venuti nel posto giusto, allora». Edith fissò Rooney, ma non toccò il denaro. «Be', vede, signora Corbello, io e Rosie... vorremo sposarci». Per poco Rosie non cadde dalla sedia e si voltò a guardarlo con gli occhi sgranati. Lui le diede un bacio schioccante sulla guancia. «Siamo innamorati», continuò lui. Rosie era senza parole: Bill non doveva più preoccuparsi che lei potesse interromperlo perché ciò che aveva appena detto l'aveva sconvolta. «Mmm». Edith intrecciò le mani sul ventre prominente, guardando prima Bill e poi Rosie, e infine sorrise, ma i suoi occhi rimasero cauti e sospettosi. «Molte persone vogliono sposarsi. Ma se lei vuole questa signora e questa signora vuole lei, qual è il problema?». «Sono già sposato».
«Chieda il divorzio». «Mia moglie non me lo concederà mai». «Ah, quindi ha una moglie difficile?». «Infatti». «Mmm, mmm, lo sono stata anch'io». Ridacchiò. Rooney lasciò andare la mano di Rosie. «Le ho offerto un accordo vantaggioso e lei lo ha rifiutato. Ora non vuole andarsene di casa e non abbiamo bambini. Si comporta così solo per farmi un dispetto». «È una situazione triste, i bambini trasformano la casa in un luogo vivo, anche se la conciano male». Ridacchiò nuovamente. Non era proprio ciò che Bill si era aspettato. Non c'era nulla di sinistro o di pittoresco lì, solo una donna grassa che, più che altro, sembrava divertita da lui. Stava ancora cercando di decidere come affrontare l'argomento che gli interessava, quando Edith si sporse verso di lui. «Lei non è impotente, vero?», gli chiese, e cominciò a mescolare i tarocchi con le grandi mani screpolate. «No, decisamente no. Ma con una moglie che non vuole concedermi il divorzio, mi sembra di esserlo. Devo aspettare, forse due anni, o anche più a lungo, e poi lei...». «Per quanto tempo è stato sposato con quest'altra donna?». «Ehm, per venticinque anni». «È un bel po' di tempo. Ed è stata una brava moglie?». «Sì». «Allora, adesso non è più brava, giusto? Perché non è più desiderata?». «Sì, esatto. Allora, stavamo pensando... Ci hanno detto che lei può aiutarci, è vero?». Edith annuì e soffocò uno sbadiglio, una mano posata sul mazzo di tarocchi che usava solo quando le si presentavano tipi come quelli, turisti bianchi. Rooney tossì; la stanza era insopportabilmente calda e claustrofobica. «Se questo voodoo funziona, come ci hanno detto, allora vorremmo chiederle di fare una cosa per noi. Vogliamo un rito voodoo». «Mmm, mmm». Edith fissò Rosie per un attimo, poi le chiese: «E lei non ha niente da dire?». «Sono d'accordo con Bill, lui parla a nome di entrambi», rispose Rosie dolcemente. «Davvero? Allora, Bill, che cosa vuole esattamente? Il voodoo può essere usato per un'infinità di scopi, vuole dirmi che cosa vuole da me di preci-
so?». «Voglio che mia moglie muoia, signora Corbello, può farlo? Può farci una di quelle bamboline voodoo che...». Edith sbatté le mani sul tavolo e rivolse loro un ampio sogghigno. «Vuole che le faccia una bambolina voodoo? Che faccia in modo che sua moglie abbia paura anche della sua stessa ombra? Che le faccia credere di essere maledetta? Che la faccia consumare dal terrore degli spiriti? Che le sue membra diventino rigide e i suoi pensieri folli fino a diventare simile a uno zombie? È questo che mi sta chiedendo?». Rosie cominciava ad avere paura e guardò Rooney. «Sì, anche se costasse molto più di cinquanta dollari, sono disposto a pagare qualsiasi cifra», rispose lui. Edith si appoggiò allo schienale della sedia, stringendosi gli avambracci con le grandi mani. «E lei pensa che io possa farlo?». «Può?», domandò Rosie. «Anche la signorina Rosie vuole questa bambolina?». Lei annuì e poi quasi cadde dalla sedia, quando Edith richiuse di colpo il baule, gettando le carte sul pavimento nudo. Per un attimo, sia lei che Rooney pensarono che Edith Corbello stesse entrando in trance. Ma lei si alzò in piedi, il suo corpo enorme che incombeva su di loro. «Fuori di qui, voi due, andatevene subito!». «Ma signora Corbello...», protestò Rooney. Edith gli si avvicinò puntandogli l'indice contro il petto. «Tu sai come mi chiamo ma non sai chi sono, e io non so chi sei tu. Porta i tuoi pensieri maligni fuori da casa mia e riprenditi i tuoi soldi!». Gli sbatté in faccia i due biglietti da cinquanta dollari e spalancò la porta. «Sugar May, Sugar May! Queste due persone se ne vanno e non torneranno mai più». Rosie e Rooney furono praticamente spinti fuori dalla porta d'ingresso dalla ragazza con le treccine. La porta rotta venne sbattuta con violenza e si riaprì cigolando. Non c'era da stupirsi che non avesse più il vetro. «Be', ho lasciato parlare te!», disse Rosie in tono accusatorio mentre percorrevano il vialetto. «Ci ho provato», borbottò lui. «Ci ho provato per via di quella bambolina che ha trovato Lorraine. Voglio dire, avremmo potuto farla parlare». «Avremmo potuto? Sei stato solo tu a parlare Bill Rooney e non ha funzionato!», disse Rosie guardandosi intorno in cerca del taxi. Era scomparso. Lei scrollò le spalle. «Ci siamo fatti fregare, Bill. Bella mancia che gli hai dato, dieci dollari», disse e lo prese a braccetto.
«Non fa niente, possiamo andare a piedi», disse lui, sentendosi stupido e inadeguato; aveva mandato tutto a puttane e cominciava a temere di aver perso il suo tocco. Quel pensiero lo spaventava. «Avremmo dovuto aspettare Lorraine», disse. «L'abbiamo aspettata ma lei non si è fatta vedere», replicò Rosie bruscamente. Era stufa di dover sempre aspettare Lorraine, tuttavia tornarono in albergo come due scolaretti che avevano combinato una marachella e che sapevano che sarebbero stati sgridati. Edith era al piano di sopra e stava osservando dalla finestra le due sagome tarchiate che si allontanavano lungo la strada. Era furiosa con Fryer. Non avrebbe mai dovuto mandarle gente simile. Aprì il cassetto del vecchio tavolo da toilette e prese il telefono. Lo nascondeva sempre perché lo odiava, perché detestava l'intrusione del suo squillo, soprattutto quando stava lavorando. Il telefono squillò in un angolo del vecchio bar, vicino alla porta che conduceva all'ufficio di Fryer. Fu il barman a rispondere. «Passami immediatamente quel bastardo», gridò Edith infuriata. «A quale bastardo si riferisce, signora?», le chiese lui sogghignando. «Zak, figlio di puttana, sono Edith e lo sai benissimo, perciò passamelo. Digli che non può mandarmi della gente di merda come quella che è venuta qui poco fa. Avevano la parola poliziotto stampata in fronte, e sapevo che lui non aveva una moglie, è già sotto due metri di terra. Avrebbe potuto causarmi un sacco di guai». Zak disse che sarebbe andato a controllare se Fryer era nel suo ufficio e appoggiò il ricevitore sul bancone. «Lo so che c'è, quel figlio di puttana non sposta mai il culo da lì!», gridò Edith. Zak salì una scala stretta e ripida, strascicando i piedi sulle assi nude. «Ehi, Fryer! C'è Edith al telefono, dice che hai mandato degli sbirri a casa sua». «Cosa?». «Ti sto solo dicendo quello che mi ha strillato lei. È veramente fuori di sé». La porta in cima alle scale si aprì di qualche centimetro. «Di' a quella grassona del cazzo che non le ho mandato proprio nessuno. Le cose che pensa sono ancora più stronze dei suoi figli». Zak scrollò le spalle mentre la porta si richiudeva e tornò al bar.
«Ciao, Edith», disse prendendo il ricevitore. «Fammi parlare con quel figlio di puttana», urlò lei. Zak prese un profondo respiro. «Fryer mi ha detto di dirti che non sprecherebbe mai il tuo tempo prezioso mandandoti qualcuno che non conosce o di cui non si fida come di un fratello. Non si sente molto bene in questo momento, ma ha detto che ti richiamerà più tardi. Se hai bisogno di lui, però, lascerà perdere qualunque cosa stia facendo e verrà subito da te perché sei molto, molto importante per lui». «Che Dio possa perdonarti per tutte queste menzogne, Zachary. Quel bastardo figlio di puttana probabilmente è sbronzo marcio». Detto questo riagganciò rabbiosamente. Zak scoppiò a ridere e poi si voltò proprio mentre la porta del bar si apriva. Lorraine Page sbatté le palpebre per abituarsi all'oscurità, poi si diresse verso il bancone camminando lentamente. Zak non le tolse gli occhi di dosso neanche per un secondo. Lei si sistemò la gonna e prese posto su uno sgabello. «Una Diet Coke, quando hai finito di controllare il prezzo del mio vestito», disse lei amabilmente, e prese un pacchetto di sigarette dalla borsa. «Hai da accendere?». Edith gettò il telefono nuovamente nel cassetto. Non pagava la bolletta da anni. I ragazzi avevano fatto qualcosa con i cavi telefonici davanti a casa, li avevano collegati alla linea di qualcun altro. Nessuno la chiamava mai, eccetto Juda. Nessuno prendeva mai appuntamento per telefono, perché il numero di Edith non era sulla guida e lei non pagava mai le tasse sui suoi magri guadagni. Gli espedienti di quel genere non la turbavano affatto. Ciò che la turbava invece erano due sconosciuti che venivano da lei, soprattutto quando puzzavano di poliziotto e chiedevano informazioni su lavori di magia nera. Ne aveva abbastanza di Fryer. Lo conosceva da molti anni e lui non aveva mai capito, non aveva mai creduto in lei. Era quello il suo problema: in pubblico, non era un credente ma in privato, in qualche occasione, lei lo aveva spaventato non poco, anche se Fryer non lo avrebbe mai ammesso. Juda aveva fatto un volo fantastico sull'aereo privato dei Caley e, all'aeroporto, c'era già una macchina ad aspettarla, che l'avrebbe condotta direttamente alla villa. Si chiese perché Elizabeth avesse così disperatamente bisogno di lei. L'idea di dover affrontare quella donna la faceva sentire già
stanca. Ma non aveva altra scelta, in un modo o nell'altro aveva sempre dovuto pagare per certi lussi. Missy aprì l'imponente porta d'ingresso. Sembrava spaventata. «Oh, signora Salina, come sono felice che sia qui. La signora Caley sta molto male. Piange, urla, mi ha tirato addosso un vassoio ed è terribilmente infuriata. Il signor Caley ha preso tutte le sue cose e se n'è andato, dice che non tornerà più». «Va bene, Missy, non ti preoccupare, prepararci del tè, quello che piace tanto alla signora Caley e portacelo di sopra». Juda salì lentamente la scala leggermente incurvata. Le facevano male le gambe e aveva i piedi gonfi. Si tenne alla balaustra, salendo faticosamente, gradino dopo gradino. «Ha delle medicine in camera da letto, Missy?». La cameriera alzò lo sguardo, spaventata. «Non so che cos'abbia lassù, signora Salina, ma si comporta come una pazza, parla con gente che non c'è e dice di avere delle cose dentro di lei. Mi ha fatto chiudere le persiane, poi me le ha fatte riaprire. Fa venire la pelle d'oca davvero». Juda sentì una serie di schianti, poi la voce rauca di Elizabeth che gridava: «Andatevene, state lontani da me, non mi toccate!». Juda prese un profondo respiro e aprì la porta. Elizabeth Caley era scarmigliata, i lunghi capelli neri sciolti mentre barcollava dal letto alla finestra allo scrittoio, la bellezza e la dignità della stanza che rendevano il suo comportamento ancora più grottesco. Sembrava quasi che danzasse, mentre cercava di controllare gli spasmi violenti che le scuotevano il corpo. Aveva un filo di saliva che le scendeva da un angolo della bocca, ma non appena vide Juda emise un sospiro di sollievo e aprì le braccia. «Grazie a Dio, Juda, aiutami. Ti prego, aiutami, sono venuti per me. Sono tornati, i serpenti sono di nuovo dentro di me». Ebbro di adrenalina, Robert Caley disfò le valige. L'aveva fatto, alla fine aveva fatto ciò che avrebbe dovuto fare molti anni prima. Chiamò Lorraine in albergo ma gli dissero che non era nella sua stanza, poi telefonò alla reception per assicurarsi che la suite accanto alla sua fosse ancora libera per lei. Chiamò Lloyd Dulay e gli chiese se potevano vedersi. Non aveva più alcuna intenzione di umiliarsi. Neanche il Doubloons aveva ottenuto la licenza per il casinò: era andata a un consorzio di un altro stato che era entrato in gioco all'insaputa di tutti. Era chiaro che il governatore doveva essersi fatto dei nuovi amici, ma non si era dimenticato di quelli
vecchi - oltre tutto il terreno era ancora di proprietà di Caley. Così il governatore aveva annunciato che Caley, il Doubloons e il nuovo gruppo avrebbero dovuto sedersi al tavolo delle trattative per raggiungere un accordo di collaborazione. Il futuro economico di Caley era assicurato. Il tono della voce di Caley convinse Dulay che era il caso di vederlo al più presto e fissarono un appuntamento per quella sera. Poi Caley telefonò all'altro socio per organizzare un incontro il giorno successivo. Era tranquillo e sicuro di sé: Lloyd Dulay non gli avrebbe più creato problemi. Era una bella sensazione. Ma la sola persona con cui voleva condividere la sua libertà ritrovata non era ancora tornata in albergo. Lasciò un messaggio al St Marie, in cui le diceva che aveva bisogno di vederla urgentemente e le comunicava il numero del suo cellulare. Avrebbe potuto chiamarlo a qualunque ora. Lorraine cominciava a sentirsi a disagio: erano entrati altri avventori e si erano seduti il più lontano possibile da lei. Aveva chiesto di parlare con Fryer ma il barman le aveva detto che stava riposando. Fumò quattro sigarette e divenne sempre più tesa e impaziente mentre lo aspettava. Osservò le file di bottiglie di liquore, aveva bisogno di un altro drink ma si costrinse a non bere, ripetendosi ancora e ancora che non ne aveva bisogno. Squillò il telefono e il barman rispose e disse al suo interlocutore di restare in linea, poi scomparve oltre una porta in fondo al bar. Lo sentì chiamare Fryer e gli rispose una voce roca e scontrosa: «Cazzo, amico, perché continui a svegliarmi? Digli di passare qui stanotte». Lorraine scese dallo sgabello e si avvicinò al barman. «Adesso è sveglio, vero? Bene, perché ho intenzione di andare su da lui, che ti piaccia o no». Zak prese il ricevitore continuando a fissare Lorraine. «Non lo faccia, signora». «Prova a fermarmi», replicò lei bruscamente e incominciò a salire le scale. Fryer Jones aveva un mal di testa infernale, molto più forte del solito, e si mise a sedere sul letto, furioso per quelle continue interruzioni. Si sporse in avanti prese una bottiglia di bourbon che aveva accanto al letto e bevve una lunga sorsata prima di tornare ad appoggiare la testa sui cuscini sudici e macchiati. La porta si aprì e Lorraine sbirciò nella stanza. «Signor Fryer? Mi chiamo Lorraine Page». «Cosa?», grugnì lui, poi si tirò su appoggiandosi su un gomito. Lorraine
entrò. Quasi non riusciva a vederlo in quella oscurità. Lui invece la vide bene e ciò che vide gli piacque. «Be', si accomodi, disse il ragno alla bella sgualdrinella con una valigetta in mano e tutto il resto». La stanza puzzava di urina, tabacco, alcol e sudore. Una tenda malconcia schermava la piccola finestra dietro il letto a una piazza di Fryer e su una poltrona che perdeva l'imbottitura erano ammucchiati vecchi spartiti ingialliti dal tempo. Le pareti erano coperte di poster, vecchie fotografie e maschere. Gli scaffali malandati erano ingombri di libri e riviste. «Vuole sedersi?», chiese Fryer grattandosi l'inguine. Era scalzo e indossava una camicia di denim aperta sul petto, la spessa cintura di cuoio dei suoi jeans sudici era slacciata e la lampo mezza aperta, tuttavia quell'uomo si comportava come se fosse stato seduto in un raffinato boudoir, e l'eleganza dei suoi gesti riusciva in qualche modo a sollevarlo dallo squallore che lo circondava. «Si sieda, signorina. Come ha detto che si chiama?». «Lorraine Page, signora Page». Gli porse il suo biglietto da visita e lanciò un'occhiata dubbiosa all'unica sedia che non fosse occupata da una montagna di cianfrusaglie. Era una sedia a dondolo coperta da uno scialle fatto all'uncinetto e scricchiolò minacciosamente sotto di lei. Dondolò all'indietro e i suoi piedi si staccarono da terra prima che potesse spingersi in avanti e appoggiare la sua ventiquattr'ore. «Signora Lorraine Page», disse lui a bassa voce, poi gettò via il biglietto. «Ah, una detective privata». «Esatto, signor Fryer. Sono stata assunta da Elizabeth e Robert Caley per rintracciare la figlia, Anna Louise». La sedia a dondolo scricchiolò di nuovo e Lorraine strinse i braccioli cercando di restare ferma. Non poté fare a meno di notare che uno dei poster, che si stava staccando dalla parete gonfia di umidità, era la locandina de La palude. Era una vistosa fotografia di Elizabeth Seal avvolta dalle spire di un serpente, le braccia protese verso il cielo. Lorraine aprì la valigetta e prese il taccuino. «Posso farle qualche domanda?». «Se a chiedermelo è una signora capace di entrare nella camera di un gentiluomo con tanta decisione, direi che non ho altra scelta. Perché non porta il suo bel culetto qui vicino a me?». «Sto benissimo qui, signor Fryer». Lui sorrise e ruggì una risata. «Ne sono sicuro, signora Page, ma non capisco come potrei esserle d'aiuto nelle sue indagini».
Si accorse che Lorraine stava fissando la vecchia locandina. «Ho fatto la comparsa in quel film, La palude, insieme alla sua datrice di lavoro, la signora Caley». «Sì, lo so. E lei è stato arrestato il sedici febbraio dello scorso anno ed è stato interrogato sulla scomparsa di Anna Louise, la figlia della signora Caley». «Sì, ma sono stato subito rilasciato. Tutti quelli che erano nel mio bar hanno dichiarato che sono rimasto qui per tutta la sera». «Sì, lo so, ma gran parte di quelle persone erano suoi parenti». Fryer appoggiò i piedi per terra e si sedette sul bordo del letto, guardandosi le dita dei piedi. «Davvero? Be', forse dovrebbe parlarne con la polizia, perché hanno una lista lunga quanto le sue bellissime gambe che dice che non c'erano solo miei parenti quella sera al bar, ma anche un sacco di amici». «Signor Fryer, ha visto Anna Louise Caley quella sera?». Lui prese una confezione di cartine e una borsa di tabacco. «No, ma qualche figlio di puttana dice di avermi visto parlare con quella povera bambina, e in questa città ce ne sono parecchi, signora Page. Di figli di puttana, voglio dire. Ma quando la polizia di questa deliziosa città ti mette dentro, non puoi dire niente, non hai scelta. Ti picchiano mentre ti portano in cella, ti picchiano in cella e ti picchiano un altro po' quando ti rilasciano. È quasi una tradizione qui a New Orleans». Mise del tabacco - o quello che sembrava tabacco - sulla cartina e si arrotolò una sigaretta. Gli occhi di Lorraine stavano cominciando ad abituarsi all'oscurità di quella stanza sudicia, e anche a quell'uomo; Fryer Jones aveva uno strano magnetismo. Sembrava che non gliene importasse niente che lei fosse là, era assolutamente rilassato e la sua voce roca e profonda aveva un certo fascino. «Ma lei è stato trattenuto fino al mattino dopo», insistette lei. «Sì, ma solo perché hanno dovuto controllare se stavo dicendo la verità, signora Page. E quella era la verità. Non ho mai visto la signorina Caley quella sera. Anzi, per la precisione, non la vedevo da molto, molto tempo. Forse da quattro o cinque anni». «Ma la conosceva?». «Certo, e conoscevo sua madre». «Ma la signora Caley dice di non conoscerla». «Be', lei non mi conosce, ma io ho sentito parlare di lei e forse lei ha sentito parlare di me. Questo non significa che siamo amici, giusto?».
Accese la sigaretta e prese tre profonde boccate, trattenendo il fumo nei polmoni per un attimo prima di soffiarlo fuori. Alla fine, con grande sorpresa di Lorraine, Fryer le porse la sigaretta. «Vuole fare un tiro?». «No, grazie». «Le va un drink?». Fryer sollevò la bottiglia di bourbon. «No, grazie, non bevo». Lui scoppiò a ridere, guardandola, e bevve tre lunghe sorsate prima di richiudere la bottiglia. Lorraine prese una sigaretta dalla borsa e, dato che aveva dimenticato l'accendino, dovette avvicinarsi a Fryer per farsela accendere. Il musicista accese un fiammifero e scrutò il viso di Lorraine. «Oh sì, ha anche dei begli occhi. Mi piace molto. Mi piace il modo in cui si comporta, signora Page, è una signora di classe, mmm, mmm». Lorraine tornò a sedersi sulla precaria sedia a dondolo. «Lei è stato sposato con Edith Corbello?». «Ci sono andato vicino. Ho sposato sua sorella, Juda Salina». Lorraine si mordicchiò il labbro inferiore. Lui inspirò un'altra boccata dallo spinello, lo sguardo irridente mentre lei cercava di pensare al modo migliore per chiedergli ciò che le interessava, leggermente confusa dal fatto che Elizabeth Caley le avesse fornito un'informazione sbagliata. «Quindi lei è sposato con Juda Salina?». «Sissignora. Ci siamo conosciuti sul set di quel film, i soldi migliori che abbia mai guadagnato in vita mia. Avevano assunto un sacco di gente di qui come comparse. Le riprese a New Orleans dovevano durare una settimana ma alla fine sono diventate due, poi tre, insomma ho lavorato per più di un mese. Ma ci pagavano, ci pagavano bene. Sono riuscito a comprarmi questo bar con quello che ho guadagnato. Mai guadagnato soldi così facili». Ridacchiò di nuovo. «E Juda è sua sorella?». Lui annuì, il volto oscurato dal fumo denso dello spinello. «Le sorelle Salina sono state assunte perché c'erano dei problemi, sa, per calmare le acque, in un certo senso. La situazione stava sfuggendo di mano a quelli della produzione, ma a me non importava niente, mi pagavano. Eravamo tutti senza lavoro». Si appoggiò sui cuscini, sorridendo. «Sa, è difficile crederci ora, ma quelle due sorelle erano bellissime, un vero spettacolo. Comunque la natura segue il suo corso, e sono diventate talmente grasse che è strano pensare che una volta erano una forza. Una forza bel-
lissima, sì, sì, non riuscivo a decidere quale scoparmi prima». Fissò con aria assente un punto del soffitto sudicio e scrostato, poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. «Anche Elizabeth Seal era bellissima», disse Lorraine a bassa voce. «No, Elizabeth Seal era solo molto carina. Mi era simpatica, ma qui tutti erano contro di lei, perché era bianca, perché era ricca e perché non era Marie Laveau. Non avrebbe mai potuto essere lei, pensavano. Marie Laveau è venerata come una dea da queste parti e scegliere una ragazzina bianca per interpretarla aveva suscitato l'ostilità della gente, molta ostilità». Si rannicchiò su un fianco. «E così la produzione chiama le sorelle Salina per placare gli animi, capisce, come consulenti spirituali, perché la gente di qui crede che siano lontane discendenti di Marie Laveau e se loro danno la loro benedizione, be', allora tutto è a posto». Fryer guardò il mozzicone dello spinello e lo lasciò cadere in un portacenere stracolmo accanto al letto. «Sono veramente fatto. È l'età, me ne basta sempre meno. È rimasto qualcosa da bere? Sì, penso di sì. Sicura di non volersi unire a me, signora Page?». Bevve di nuovo dalla bottiglia e riavvitò il tappo, quindi cominciò a prepararsi un altro spinello. «Sa perché Elizabeth Seal è pazza, signora Page?». Chiese, concentrando la sua attenzione sullo spinello. L'attenzione di Lorraine invece era concentrata sulla bottiglia: moriva dalla voglia di un drink adesso. «No, non lo so». «Vuole che glielo dica?». «Sì». «Allora venga a sedersi qui accanto al vecchio Fryer, forza». «Sto bene dove sono», disse lei. «Veramente? Be', come vuole, ma nessuna donna si è mai lamentata di me. Posso anche essere vecchio ma il mio serpente non perde mai un colpo». «Mi parli di Elizabeth Seal», lo interruppe lei. «Verrà a sedersi vicino a me?». Lorraine scrollò le spalle. Voleva farlo parlare non divagare. «Può darsi». «Ohhh, mi lasci pensare, Elizabeth Seal. Be', era una ragazza che aveva grandi speranze, grandi sogni e che aveva una paura terribile che il film non sarebbe mai stato completato. C'erano molti problemi, gente che arrivava sul set ubriaca e che faceva a botte. Poi Juda ha scoperto qualcosa su
Elizabeth, non so come, ma Juda riusciva sempre a scoprire tutto di tutti. Nessuno riusciva mai tenere nascosto qualcosa alle sorelle Salina». «Si spieghi meglio». «Diavolo, avevano messo delle bare e tenevano balli e cerimonie davanti alla sua roulotte, battendo sui tamburi per non lasciarla dormire. Stavano rendendo la sua vita un inferno con i loro canti e le loro maledizioni. Si diceva che avessero compiuto un qualche genere di sacrificio per impedirle di camminare, di parlare e di recitare quella sceneggiatura che per loro era soltanto un mucchio di merda. Poi, una notte, un gruppo di figli di puttana l'ha portata nella palude con la scusa che volevano mostrarle dei rituali segreti. Be', hanno fatto molto di più». «E cioè?». Fryer esitò, bevve un'altra sorsata di bourbon e Lorraine si accorse che stava cominciando a essere sbronzo oltre che fatto, perché quasi non riuscì a riavvitare il tappo della bottiglia. Dondolò avanti e indietro per un attimo, facendo schioccare le labbra. «L'avevano trasformata in uno zombie, capisce? L'avevano spaventata a tal punto che sembrava priva di vita, era rigida, fredda, aveva gli occhi vitrei. Io ero terrorizzato, lo erano tutti quelli che la vedevano, perché il loro compito era quello di occuparsi di lei. Non aveva più di quindici, forse sedici, e sembrava che non sarebbe più riuscita a lavorare. E... oh, già, doveva girare una scena molto importante e quelli della produzione erano isterici, non sapevano se chiamare un dottore per farla visitare». «Non la seguo». Fryer finì di arrotolare lo spinello. «Poi hanno chiamato le sorelle Salina, le hanno pagate un mucchio di soldi. La signora Seal è stata chiusa lì dentro con lei per due giorni. Poi Juda è andata a una riunione, be', una riunione di gente di colore, ci ha chiamati in una vecchia chiesa e hanno chiuso tutte le porte, e Juda è salita sul pulpito e si è messa a urlare, sembrava impazzita, e ha detto a tutti che avevano fatto una cosa cattiva, molto cattiva. Dice che Elizabeth Seal aveva tutto il diritto di essere Marie Laveau perché era nera come noi. E poi ci mostra un suo ritratto e la sua voce ritorna calma e dice...». Lorraine attese mentre Fryer accendeva lo spinello. «Guardate il volto della vostra Regina, guardatela e ditemi se non notate la somiglianza». Ridacchiò, tornando a rannicchiarsi. «Io mi sono detto, devo avere un po' di quella bellezza. Era così buona, così potente e riusciva a far star zitti tutti, a spaventare tutti. Dice che ogni maledizione sca-
gliata sulla porta di Elizabeth Seal tornerà indietro raddoppiata. Loro si sono messi a strillare e a urlare, così tanto che le finestre tremavano». «Ed era vero quello che aveva detto Juda?». Lui si voltò a guardarla, d'improvviso rabbioso. «Chi può dire cos'è la verità? Quelle due sorelle venivano pagate più di me, più di tutti gli altri a patto che riuscissero a far andare avanti la lavorazione del film. Io non so qual è la verità». Sospirò. «So soltanto che l'unica scena del film che vale qualcosa è quella in cui la ragazzina balla con il serpente. Non sembrava proprio una bianca, non si comportava da bianca e da quel momento in poi, Juda e sua sorella sono state con lei, nella sua grande roulotte, fino alla fine delle riprese». Fryer aprì di nuovo la bottiglia e bevve. I suoi grandi occhi neri erano ormai annebbiati. «Cosa pensa che sia successo ad Anna Louise Caley?». Lui alzò le mani. «Diavolo, non lo so, ma direi qualcosa di brutto. Una ragazza non scompare da queste parti a meno che non lo voglia lei o non sia successo qualcosa di brutto». Lorraine aprì la valigetta. «Voglio mostrarle una cosa». Lui si passò una mano tra i capelli e sogghignò. «Anch'io voglio mostrarle qualcosa, venga a sedersi vicino a me». Lorraine estrasse la bambola voodoo avvolta in un asciugamano. «L'ho trovata da Tilda Brown, era un'amica di Anna Louise. Sa cosa significa? Ma, soprattutto, sa chi potrebbe fare una cosa del genere?». Fryer fissò la bambola, appoggiata sull'asciugamano. Tirò su col naso e si mise a sedere. «Dove ha detto che l'ha presa?». «Da Tilda Brown, si è suicidata. Questa era nascosta in camera sua». Fryer tirò nuovamente su col naso, poi coprì la bambola. «Signora Page, io non sono un credente ma non scherzo con questo genere di cose. Se ne vada e la porti via con sé. Se ne vada, fuori, fuori!». Si alzò di scatto dal letto, spaventandola, puntandole un dito nodoso contro il petto. «Porti questa merda fuori di qui. Io non credo, signora Page, ma questo non significa che non abbia paura, capisce? Io lascio in pace loro e loro lasciano in pace me». «No, non capisco». Lui sogghignò. «No, e non mi aspetto che capisca, i bianchi non possono capire. Voi ci provate, vi sforzate di comprendere ma non ci riuscirete mai. Il nero è nero e il bianco è bianco. Se vuole un consiglio, si liberi di quella cosa, immediatamente, la bruci perché...».
«Perché, signor Fryer? Vuole dirmi che cos'è questa bambola?». «Ci vorrebbe una vita intera, tesoro». Lorraine prese la bambola, riavvolgendola con cura nell'asciugamano. «Io ho soltanto pochi giorni per rintracciare Anna Louise Caley. Ho bisogno di tutto l'aiuto possibile». Fryer indicò la bambola. «Qualcuno sta cercando di spaventare qualcuno. Chiunque abbia dato quella cosa alla ragazzina, voleva che soffrisse molto, così tanto che se l'avesse distrutta avrebbe solo peggiorato le cose. È una cosa molto, molto malvagia: è il terrore». Lorraine richiuse di scatto la valigetta. «E forse ha funzionato, perché una ragazza di diciotto anni si è tolta la vita». «Ho visto di peggio». «C'è qualcosa di peggio?». Fryer strappò la locandina dalla parete. «Quello che hanno fatto a Elizabeth Caley, rendendola schiava dei tamburi, schiava dei tamburi, capisce?». Si sedette sul letto e prese il suo trombone. «Sa, la vita è fatta di schiavitù. Io sono schiavo di questo strumento, e sono un uomo completo solo quando suono. Mi perdo, sentendo la musica, proprio come la piccola Elizabeth Caley sentiva la terra sotto i piedi e danzava in trance finche il sangue che aveva negato non cominciava a scorrere di nuovo, e sapeva ballare. Lei balla, signora Page?». «No, no, decisamente no». «Questo è molto triste. C'è una grande tristezza dentro di lei. La sento, signora Page, venga a sedersi vicino a me. Su, venga a bere qualcosa con me». Lei gli si avvicinò suo malgrado, attratta da lui e dalla bottiglia. Fryer svitò il tappo, ripulì il collo della bottiglia con una manica della camicia e gliela offrì. Non c'era più niente di sessuale nel suo atteggiamento, era solo gentile. Il bourbon le bruciò la gola, scaldandola, e Lorraine sorrise, bevendo un'altra sorsata. «Sa, quando portarono qui gli schiavi, li strapparono alle loro radici, alla loro religione. Seppellivano i loro morti in grandi fosse comuni, insieme ai cani e ai gatti. Erano confusi e spaventati, vedevano i loro cari che morivano di fame e di sete. Avevano paura perché credevano che se i morti affrontavano il loro ultimo viaggio senza alcun sostentamento, le loro anime avrebbero vagato in eterno sulla terra. E la superstizione, unita alla paura, è un'arma molto potente». Riavvitò il tappo e prese di nuovo il suo vecchio trombone.
«Dia quella cosa che ha portato qui a qualcuno che non ha paura, e la considererà soltanto una bambola puzzolente. Ma provi a darla a qualcuno che crede e diventerà una cosa terribile, una maledizione. Capisce quello che le dico?». Lorraine stava cercando di seguirlo, domandandosi se Tilda Brown conoscesse il significato di quell'oggetto orribile. «Pensa che possa essere stata Juda, o sua sorella, a fare questa bambola?». Fryer la fissò, e Lorraine dovette distogliere lo sguardo da quegli occhi scuri e imperscrutabili. «No, no, loro non abuserebbero mai di quello che considerano un dono degli spiriti, fanno solo lavori positivi, niente maledizioni». La toccò al centro della fronte. «Hanno la vista, proprio qui, possono vedere il passato e il futuro». «Ma lei non crede?», disse Lorraine a bassa voce. Lui chiuse gli occhi, accarezzando lentamente il trombone. «Le ho viste entrare in trance, scacciare il male, curare le malattie. Ma non ho mai voluto fare parte di tutto questo, perché non avrei potuto. Non sono come loro, la mia anima è giovane, la mia anima vive nella mia musica e io sono un uomo felice. Non ho mai voluto tutto quel dolore, non sarei mai riuscito ad affrontarlo». Si portò lo strumento alle labbra e vi soffiò dentro due volte, dolcemente. Poi alzò lo sguardo su Lorraine e sorrise, i suoi denti d'oro che luccicavano nella luce debole. «Trovi la persona che ha fatto quella bambola, signora Page, e avrà trovato il male, oppure resti qui con me a fare un po' di buona musica». Lorraine ricambiò il sorriso. Non aveva paura di lui, le piaceva e sembrava che Fryer lo sapesse perché scoppiò a ridere. «È questo il mio male, ho un debole per le signore. E, mi creda, ne ho avute tante e nessuna si è mai lamentata». Lei si alzò in piedi, unendosi alla sua risata. «Ne è proprio sicuro?». «No, non sono mai sicuro di niente tranne che di questo». Sollevò il trombone. Non la guardò andarsene, ma cominciò a lucidare lo strumento con un lembo della camicia, osservando il proprio volto riflesso nell'ottone. Sapeva di aver detto troppo ma gli capitava sempre quando era fatto. Appoggiò la testa al cuscino e si accigliò. Qualcosa gli stava solleticando il collo. Infilò la mano sotto il cuscino e sentì la collana. Non l'aveva più indossata da quando i ragazzi gliel'avevano riportata sporca di sangue. Lo aveva inquietato, forse lo aveva addirittura spaventato e così aveva deciso di non portarla più. Ma la voleva vicino
quando dormiva perché quei due ragazzini fuori di testa avrebbero potuto tagliarla a lui la gola. Era stata Juda a dargli quella collana. Lo aveva amato molto e non avrebbe mai voluto che gli capitasse qualcosa di male. Lo aveva persino messo in guardia dal male che lo aspettava e gli aveva detto di non togliersela mai. Finora era stato fortunato, a differenza di quel povero zoppo figlio di puttana. Quando tornò da François, ormai Lorraine faticava a reggersi in piedi, ma mentre si dirigevano all'albergo, bevve comunque un altro drink, dicendosi che avrebbe smaltito tutto con una bella dormita. Le sarebbe bastato un po' di caffè nero e sarebbe tornata come nuova. Si sentiva molto rilassata ora e sorrideva, ma quando arrivarono nei pressi dell'hotel il suo umore cominciò a cambiare. Scagliò la lattina di Coca fuori dal finestrino, imprecando e borbottando tra i denti. François la stava osservando nello specchietto retrovisore: continuava a passarsi le mani tra i capelli e ciondolava ogni volta che l'auto imboccava una curva. «Forse non dovrebbe più bere per stasera, signora Page». Lei si sporse in avanti, il volto contratto dalla rabbia. «Vaffanculo, chi cazzo credi di essere per potermi dire quello che devo fare? Guida la tua macchina del cazzo, è per questo che sei pagato, figlio di puttana». «Certo, signora, siamo quasi arrivati». La guardò barcollare verso l'entrata dell'hotel, la vide fermarsi, lisciarsi la gonna e mettersi gli occhiali da sole. Prese qualche profondo respiro poi, a testa alta e raddrizzando la schiena, si incamminò nel giardino e scomparve dietro le palme. Fu lì che trovò Rosie e Rooney. «Dove diavolo siete stati voi due?», chiese bruscamente. «Potremmo farti la stessa domanda», ribatté Rosie arrabbiata. Lorraine si sedette e si tolse le scarpe scalciandole via. «Ho lavorato, non ho fatto altro». «Be', si dà il caso che abbiamo lavorato anche noi», disse Rosie, dando un piccolo calcio a Rooney sotto il tavolo per spingerlo a dire qualcosa. Lorraine si prese la testa tra le mani e raccontò loro brevemente ciò che aveva fatto, poi si stiracchiò sbadigliando. «Fryer ha ragione, dobbiamo trovare la persona che ha fatto quella bambola». Fece un cenno alla cameriera. «Vuoi un'altra birra, Bill, o sei già abbastanza ubriaco?». Rooney distolse lo sguardo, infastidito da Lorraine, ma per niente ubria-
co. Rosie la osservava con attenzione. All'inizio, non ne era stata certa ma ora sì: sentiva puzza di alcol. Lorraine osservò il giardino da dietro gli occhiali scuri, la voce leggermente troppo alta. «Per prima cosa domani parlerò con Ruby Corbello. È stata licenziata dai Brown il giorno in cui Anna Louise è arrivata a New Orleans. Forse, e dico forse, è stata lei a prendere il diario dall'orso di peluche e credo che quel diario sia molto importante. Potrebbe non significare niente, ma potrebbe anche fornirci un indizio su chi le ha dato quella bambola. E dobbiamo anche scoprire quando le è stata data. Hai controllato la data del giornale, Bill?». Arrivò la cameriera e Rooney si sentì sollevato; non aveva ancora fatto quel controllo e, a giudicare dal suo umore, Lorraine non ne sarebbe stata per niente contenta. Lei ordinò un caffè nero e un sandwich. «Allora, Rosie, hai trovato l'indirizzo della Corbello?». Lorraine rimase ad ascoltare il racconto dell'amica e si accese una sigaretta, picchiettando con il piede contro una gamba del tavolo, sempre più arrabbiata, per ciò che Rosie e Rooney avevano combinato. «Non mi sembra di ricordare di avervi detto di andare da Edith Corbello o d'inventarvi qualche storia del cazzo su una bambolina. Gesù Cristo, è la cosa più imbecille che abbia mai sentito! Mi avete reso le cose molto difficili andando là. Perché? Che cosa ti ha spinto a farlo, Bill? Da te non me lo sarei mai aspettata. Dovresti essere un professionista, Cristo santo». «Vuoi dire come te?», chiese Rosie in tono calmo. «Cosa?». «Lo sento, Lorraine». Rooney si accigliò, spostando lo sguardo da Rosie a Lorraine. «Ho mangiato dei cioccolatini al liquore», Lorraine fece una risata stridula, priva di allegria. Sbirciò oltre il bordo delle lenti scure. «Hai fatto una stronzata, Bill». «Mi dispiace». Scrollò le spalle. «Non è abbastanza!», ringhiò Lorraine. Rosie cominciava davvero a essere stufa. «Ti abbiamo aspettata ma quando non ti abbiamo vista arrivare, come ci avevi promesso, abbiamo telefonato a casa dei Caley. Quando ci hanno detto che te n'eri andata da un pezzo, non sapevamo più cosa pensare. Quindi non incazzarti con noi, perché dovevi essere tu a venire in albergo a dirci cosa stavi facendo». «Vai a farti fottere, Rosie, stai cominciando a darmi sui nervi».
Rosie spinse indietro la sedia. «Forse è proprio quello che farò, e quando sarai di nuovo sobria magari potremo fare una chiacchierata come si deve, da professionisti». Si girò e se ne andò. Rooney la seguì con lo sguardo, poi si voltò verso Lorraine. «Sta dicendo un mucchio di stronzate, quindi, forza Bill, qual è il problema? Hai perso la lingua oltre che il tuo tocco?», gli domandò lei in tono sarcastico. Rosie la sentì e si voltò di scatto. «Lascialo in pace», disse con rabbia. «Oh, adesso sei tu che parli per Bill? Allora dimmi, Rosie, ha scoperto quello che doveva sul giornale in cui era avvolta la bambola?», strillò Lorraine. «Merda, sapevo che c'era qualcosa che non andava», mormorò Rooney a disagio, accorgendosi che la gente seduta agli altri tavoli stava cominciando a guardarli. Lorraine lo fissò. «Hai cercato il gris-gris in camera di Nick?». Rosie spostò lo sguardo da Rooney a Lorraine. «Dovremmo portarla in camera sua, Bill». «Ti ho fatto una domanda, testa di cazzo», sbraitò Lorraine. «Allora, l'hai trovato o no?». «No, non l'ho trovato». Lorraine sbatté un pugno sul tavolo. «E allora perché cazzo non ci vai adesso a cercarlo? Potrebbero dar via la camera anche domani, magari l'hanno già data a qualcuno, perciò vai alla reception a chiedere se hanno trovato qualcosa». Rooney si alzò. «D'accordo, quello che vuoi, ma abbassa la voce. Ci stanno guardando tutti». Rosie gli si avvicinò. «Non farti trattare così da lei, Bill, è sbronza. Non lo senti l'odore? Guardala!». Anche Lorraine si era alzata, facendo cadere la sedia. Si rivolse a Rooney: «Sono io che do gli ordini, Billy. Vi sarei grata se la smetteste di mandare sempre tutto quanto a puttane. D'ora in avanti farete solo quello che vi dirò io». Rooney si allontanò dal tavolino. Sembrava depresso e stanco, e Lorraine lo sapeva, ma lo lasciò andare. Non aveva ancora finito e non riusciva a trovare più le sue scarpe. Si rivolse a Rosie. «Sai, dovresti smetterla di giocare a fare la detective. Questo non è un gioco, è una cosa seria!». «Oh, davvero? È per questo che ti sei scopata Robert Caley? Ti sei comportata da vera professionista! Adesso cerca di darti una calmata e torna in
camera tua». «Almeno io ho scoperto qualcosa di utile, che è più di quanto si possa dire di voi due, che ve ne andate in giro a fare cazzate come un paio di dilettanti. Grazie a voi ci siamo giocati Edith Corbello». «Ma tu hai detto che Fryer Jones...». Lorraine colpì il ripiano del tavolino con il tacco di una delle sue scarpe. «Rosie, io non prendo per oro colato tutto quello che mi ha detto. È un vecchio bastardo strafatto di cui non mi fido nel modo più assoluto. Una cosa che invece prendo molto seriamente è il fatto che Rooney, il mio assistente, ha mandato tutto a puttane». Rosie fece una smorfia. Certe volte trovava Lorraine veramente odiosa, ma prima che potesse dire qualcosa, arrivò la cameriera col caffè. «Ti ha già scopata?», Rosie arrossì. «Oh, andiamo, cos'è questa storia, non fare la timida, Rosie. Se devo dirti la verità le occhiatine che vi scambiate e le pacche e le risatine stanno cominciando a darmi sui nervi». «Forse sei solo gelosa», sbottò Rosie, accorgendosi degli sguardi incuriositi degli altri ospiti dell'hotel, mentre Lorraine tornava a sedersi e prendeva la caraffa del caffè. «Dov'è il mio sandwich? Ho ordinato un sandwich prosciutto e formaggio». La cameriera strinse le labbra e le disse che glielo avrebbe portato subito. Lorraine si versò una tazza di caffè. «Io sarei gelosa, gelosa? Starai scherzando, Rosie, comunque non hai ancora risposto alla mia domanda. Ti ha già scopata? Ce la fa a scoparti?». Scoppiò a ridere. Zuccherò il caffè e quando si portò la tazza alle labbra, si macchiò la camicetta. Rosie si avvicinò. «Questi sono affari miei, non tuoi e dovresti scusarti con Bill per come l'hai trattato. Ti dirò di più, dovresti darti un'occhiata, Lorraine, perché sei solo un'insopportabile stronza ubriacona». Lo schiaffo fu così improvviso che Rosie per poco non perse l'equilibrio. Strinse il pugno per colpire Lorraine ma si trattenne. Le stavano guardando tutti. «Faresti meglio a scusarti immediatamente, perché io e Bill non abbiamo bisogno di te». «No, ma avete bisogno della vostra parte del milione di dollari per cui sono l'unica che sta lavorando. Comunque non preoccuparti, Rosie, lo divideremo in tre come stabilito. Se riusciremo a ottenerlo, naturalmente». Rosie non riuscì a trattenersi: diede un pugno a Lorraine sulla spalla. In
realtà avrebbe voluto colpirla in faccia ma la mancò. Lorraine cadde a terra, scivolando dalla sedia, ma Rosie non fece niente per aiutarla a rimettersi in piedi. «Sì, se. L'unica che ha incasinato tutto sei stata tu, perdendo la testa per Robert Caley». Lorraine si aggrappò al bordo del tavolino per tirarsi su: cominciava a sentirsi male. «Ma se anche non avremo il denaro, per me e Rooney non sarà un problema perché abbiamo qualcosa che credo che tu non avrai mai. Abbiamo deciso di sposarci, Lorraine». Rosie si allontanò, e Lorraine rimase aggrappata al bordo del tavolino. Tutto attorno a lei stava girando, era sfocato e confuso, e quando la cameriera arrivò con il suo sandwich, Lorraine si era addormentata. Rooney vide Rosie alla reception e la raggiunse. «L'ho portata in camera sua, voglio dire io e il fattorino. È completamente andata», le disse. Lei annuì e gli porse un foglio stampato. «Guarda, le ha fatte segnare sul conto. Bottiglie di vodka». «Cazzo», mormorò Rooney. «Dobbiamo rimetterla in piedi. Magari potremmo rivolgerci agli AA di New Orleans», disse Rosie impaziente, riversando su Bill la rabbia che provava nei confronti di Lorraine. «Perché le hai permesso di parlarti in quel modo?». «Be', in un certo senso, non aveva tutti i torti, e poi mi ero accorto che aveva qualcosa che non andava». «Ho sentito l'odore dell'alcol non appena si è seduta», disse Rosie, furiosa. «Be', direi che dovremmo lasciarla dormire ora. Quando si sarà ripresa, ne parleremo». «E se non riuscisse più a riprendersi?», ringhiò Rosie. Ora fu Bill a prendersela con lei. «Allora prenderò io in mano le redini del caso, parlo sul serio, perché ne ho avuto abbastanza delle sue stronzate. Io non sono disposto a perdere la mia fetta del milione di dollari, anche se lei ha deciso di rovinare tutto». Prima che Rosie avesse il tempo di scusarsi, Rooney uscì dall'albergo, sbattendo la porta a doppio battente. Lorraine era stata malissimo, aveva vomitato e ora aveva un mal di testa
spaventoso. Aveva bagnato un asciugamano e lo aveva riempito di ghiaccio e adesso era sdraiata sul letto, quasi incapace di sollevare la testa dal cuscino. Sospirò, non sapeva perché si era comportata in modo così crudele. Avrebbe dovuto scusarsi con Bill e Rosie. Ma non subito, era troppo stanca. Era troppo stanca anche per elaborare ciò che aveva scoperto quel giorno: avrebbe dovuto trovare chi aveva fatto quella bambola. In quel modo avrebbe automaticamente saputo chi l'aveva data a Tilda. Fece una smorfia quando sentì il rumore della porta che veniva spalancata. Era Rosie che entrò a grandi passi con un vassoio con diversi sandwich e una caraffa di caffè nero. «Devi tornare sobria», disse l'amica e cominciò a versare il caffè. «Ora ti farai una bella doccia, berrai tutto questo caffè, mangerai questi sandwich e mi accompagnerai a una riunione. Ho trovato un indirizzo e mi hanno detto che ce n'è una tra un'ora». Lorraine cominciò a piangere tirando su col naso e asciugandosi il viso. «Lasciami in pace, non mi sento bene, dev'essere qualcosa che ho mangiato». «Già, i cioccolatini al liquore. Mentire non serve a niente, Lorraine, so che eri sbronza marcia anzi, in realtà lo sa tutto l'albergo. Mi stupisce che non ci abbiano ancora chiesto di andarcene. Adesso, TIRATI SU». «No». Rosie la costrinse ad alzarsi in piedi e la spinse, ancora completamente vestita, sotto la doccia. Lorraine ululò quando il getto di acqua gelata la investì, urlando che avrebbe ucciso Rosie e che avrebbe tagliato le palle a Rooney con un coltello. Le sue minacce divennero ancora più assurde ma alla fine si arrese e la lasciò fare. Dopo la doccia, Rosie l'aiutò a mettersi in camicia da notte e la costrinse a finire i sandwich e il caffè. Permise a Lorraine di andare a dormire solo quando le ebbe promesso che sarebbe andata alla riunione il giorno dopo, ed ebbe giurato sulla Bibbia dell'hotel che non avrebbe toccato più una goccia d'alcol in vita sua e che avrebbe telefonato a lei o a Bill anche solo se quel pensiero l'avesse sfiorata. Lorraine non faceva che scusarsi e piangeva come una bambina messa in castigo. «Non volevo farlo, Rosie, lo giuro su Dio, non volevo. È solo che Fryer mi ha offerto da bere e pensavo che fosse Coca. Ti do la mia parola, non berrò mai più, ho solo bisogno di dormire, ti prego». Rosie sospirò, rimise in ordine la stanza e controllò che non ci fossero
altre bottiglie di alcolici. Quando ebbe finito, si accorse che Lorraine stava per addormentarsi, così si sedette vicino a lei sul bordo del letto per un attimo. «Dovrai anche scusarti con Bill, capito? Era molto affezionato a Nick e la sua morte l'ha sconvolto. Così, per prima cosa, domani mattina ti scuserai con lui - io sono abituata alle tue sfuriate ma lui no. Sei stata molto sgradevole con lui». «Mi dispiace». La voce di Lorraine sembrava quella di una bambina. «Già, vorrei anche ben vedere, con tutto quello che c'è in gioco». Rosie si alzò e Lorraine protese le braccia verso di lei. «Abbracciami, Rosie, per favore, mi sento così male per quello che ho fatto». Rosie la strinse e infine le rivolse un sorriso affettuoso, mentre le sprimacciava il cuscino. «Sai mettere a dura prova la pazienza dei tuoi amici, Lorraine Page». «Ma sono fortunata ad averli», rispose Lorraine a bassa voce. Rosie la lasciò sola, convinta che si fosse addormentata. Ma il sonno non venne e alla fine Lorraine si alzò e guardò i messaggi che aveva ricevuto molti erano di Robert Caley. Una parte di lei avrebbe voluto chiamarlo perché se lui le avesse chiesto di raggiungerlo, lei non avrebbe esitato. Non le bastava essere confortata da Rosie, da un'amica, voleva essere amata davvero da qualcuno - da Robert Caley. Perché Bill e Rosie potevano trovare conforto l'uno nell'altra e lei no? Tuttavia continuò a inventarsi sciocche scuse per non telefonare a Robert. Aprì la valigetta e prese l'asciugamano sudicio che conteneva l'orribile bambola. Qualcuno aveva attaccato sul volto di plastica la fotografia di Tilda Brown. Qualcuno aveva incollato alcuni capelli biondi al corpo di lana, che aveva ricoperto di urina ed escrementi. Qualcuno aveva preso uno spillo e lo aveva conficcato nel volto di Tilda Brown. Quel qualcuno doveva essere riuscito a sottrarre una fotografia. Quel qualcuno doveva sapere che la maledizione avrebbe terrorizzato chiunque credesse nella magia nera e nei suoi poteri distruttivi. Lorraine si chiese se quella persona potesse essere Elizabeth Caley o addirittura la ragazza scomparsa, Anna Louise. Poteva essere Juda o Edith o Ruby Corbello o persino, anche se non era pronta ad accettare quell'eventualità, Robert Caley. Il disagio non l'abbandonò nemmeno quando tornò a letto. Lo squillo del telefono la fece sobbalzare ma non rispose. Quando smise di suonare, chiamò la reception; Robert Caley aveva lasciato un altro messaggio.
Chiuse gli occhi e sentì ancora la calda ondata che l'aveva invasa quando lui l'aveva baciata di nuovo, quando le aveva detto che aveva deciso di lasciare sua moglie. Si stava innamorando di lui e quel fatto la spaventava. Non poteva fare a meno di ricordare la rivista pornografica e i biglietti di San Valentino che aveva trovato nella camera da letto di Anna Louise, tutti scritti da Caley che si era firmato «Polar». Chi aveva preso i diari, ammesso che fossero mai esistiti, dagli orsi di Anna Louise? Robert le aveva detto non erano mai stati trovati. Ma lui conosceva il loro nascondiglio, quindi sapeva che se Tilda aveva un diario probabilmente lo teneva nello stesso posto. Nella sua mente si rincorrevano dubbi e sospetti e, alla fine, si sentì così stanca che le venne di nuovo voglia di piangere. «Ti prego, fa' che non sia lui», sussurrò. CAPITOLO 16 Rooney dovette aspettare più di un'ora. I tipografi avevano preso i fogli di giornali avvolti alla bambolina voodoo per controllarli ed erano quasi le otto quando un uomo basso e dal volto rugoso con le mani sporche d'inchiostro e un grembiule emerse dal retro della tipografia con un foglio integro. «Sa che questo servizio ha un prezzo?». Rooney annuì. «Quanto le devo?». «Be', sono dovuto andare in archivio a controllare le fotografie... diciamo quindici dollari». Rooney sorrise, si era aspettato molto di più. «Certo, mi sembra giusto». Prese il denaro dal portafogli e lo porse al tipografo che lo intascò velocemente guardandosi attorno con aria furtiva: aveva controllato molti vecchi numeri dell'archivio e lo aveva fatto durante l'orario di lavoro. «Okay, questo numero del giornale è uscito il 15i febbraio dello scorso anno, l'ho capito dalle foto del casinò e...». Rooney lo interruppe, prendendo il foglio che l'uomo gli porgeva. «Non ho bisogno di sapere altro, grazie». Ùscì dalla tipografia e ripiegò accuratamente il foglio di giornale. Era una sera calda e afosa e Bill era madido di sudore. S'incamminò lungo la strada e quando vide arrivare un tram, salì e si sedette accanto all'uscita, sperando in un po' di aria fresca. Ma il caldo continuava a tormentarlo così si allentò la cravatta, cercando di capire se fosse l'afa a farlo sudare in quel modo o il fatto di aver deciso di chiedere a Rosie di sposarlo.
Dopo essersi fatto una doccia ed essersi sbarbato, bussò alla sua porta. Rosie venne ad aprire, il corpo avvolto da un grande asciugamano. «Com'è andata?». «Be', era la data che immaginavamo, il 15 febbraio dell'anno scorso. Posso entrare?». «Certo». Lei si fece da parte, sistemandosi l'asciugamano. «Ho appena fatto una doccia». Bill si sedette sul bordo di uno dei molti letti che c'erano nella stanza e attese che Rosie finisse di vestirsi. Si disse che era solo un vecchio stupido e cercò di non pensare a ciò che aveva deciso di chiederle. «Sei divorziata?», le domandò di punto in bianco, quando lei uscì dal bagno. Rosie sembrò sorpresa. «Sì, te l'ho detto, molti anni fa. Perché?». Bill prese un profondo respiro. «Per nessuna ragione in particolare», borbottò, spiegando il foglio di giornale e porgendolo a Rosie. «Stai mentendo, c'è una ragione», replicò lei osservando la pagina. «Quale?». «Vuoi sposarmi, Rosie?». «Puoi scommetterci». «Cosa?». Lei si sedette accanto a Bill e gli prese la mano. «Ti ho detto sì, voglio sposarti...». «Cazzo, davvero?». «Sì... la cosa ti preoccupa?». «Diavolo, no, è proprio quello che speravo sentirti dire». Ci fu un momento di silenzio poi si voltarono lentamente a guardarsi negli occhi. «Allora, siamo fidanzati?», chiese Rosie timidamente. «Be', immagino di sì», rispose lui in tono burbero. Era andato tutto come aveva sperato, solo un po' troppo in fretta! «Faremmo meglio a dirlo a Lorraine», disse Rosie, e Rooney esitò. «Forse dovremmo aspettare un attimo, per avere il tempo di abituarci all'idea, che ne dici?». Lei annuì, sorridendo. «Parlavo della data del giornale, Bill!». Lorraine stava dormendo profondamente quando Rooney la chiamò per dirle che la data del giornale coincideva con il giorno in cui Anna Louise era arrivata a New Orleans. Declinò l'invito a cenare con lui e Rosie dicen-
do che aveva bisogno di una notte di riposo. Erano le nove passate e Lorraine non riuscì a riprendere sonno. Pensò di andare da Robert Caley ma alla fine decise di lasciar perdere. Si rigirò tra le lenzuola, cercando di non pensare a lui, di riflettere su ciò che era successo quel giorno - tranne che sulla sua ricaduta nell'alcolismo, naturalmente. Si alzò, sentendosi inquieta e cominciò a camminare su e giù per la stanza. Giunse alla conclusione che c'era una sola persona che poteva aver odiato abbastanza Tilda Brown e quella persona era Anna Louise Caley. Ma come diavolo sarebbe riuscita a dimostrarlo, ora che entrambe le ragazze erano morte? Il suicidio di Tilda Brown non doveva avere la priorità nelle indagini sulla scomparsa di Anna Louise, a meno che i due avvenimento non fossero collegati. E l'intuito le diceva che esisteva un legame... ma quale? Aveva voglia di bere e perlustrò la stanza sperando che a Rosie fosse sfuggita almeno una bottiglia, cercando di convincersi che aveva la situazione sotto controllo e che il problema era stato causato dal bourbon bevuto al bar di Fryer e non dalla vodka diluita che aveva sorseggiato tutto il giorno. Sapeva che avrebbe dovuto essere più furba perché Rosie e Rooney le avrebbero tenuto gli occhi addosso. Non poteva telefonare alla reception per farsi mandare una bottiglia: era sicura che Rosie avesse già scoperto tutto e che avesse dato ordine di non mandarle niente in camera. E non aveva neanche la forza di uscire. Non si rendeva conto che l'energia non c'entrava niente ma che si stava spostando in un'altra fase della dipendenza - quella della paura. Era terrorizzata all'idea di lasciare la sua camera d'albergo e di affrontare Rosie e Rooney, e cominciava a temere di non essere più in grado di analizzare i fatti con lucidità. Più sfogliava i suoi appunti, più studiava i dettagli, più si sentiva insicura, e non sapeva quale avrebbe dovuto essere la prossima mossa. Solo più tardi, quando incominciarono i sudori, Lorraine si rese conto di aver bisogno di qualcosa per rimettersi in piedi: chiamò la reception e chiese di controllare se il suo autista, François, era davanti all'hotel e se potevano mandarlo su da lei. Lorraine dovette aspettare più di un'ora prima che riuscissero a rintracciare François, e che l'autista le portasse in camera la bottiglia che gli aveva chiesto di andarle a comprare. Lorraine chiamò la reception per farsi mandare una confezione da sei di Coca, ma non aprì subito la bottiglia. Il semplice fatto di averla era sufficiente: sarebbe stata bene ora. Ma non riuscì a prendere sonno e così si mise a riflettere sul caso. Alla
fine riuscì ad addormentarsi, pensando che il giorno dopo per prima cosa sarebbe andata a parlare con Ruby Corbello. Sarebbe andato tutto bene, si disse. Robert Caley lasciò la città quella notte e si diresse in macchina al casinò di Gulfport, nel Mississippi, dove lui e Dulay avevano spesso giocato nelle salette private. I giocatori incalliti raramente prestavano attenzione alle case da gioco galleggianti di New Orleans, ma quando avrebbe aperto il casinò di cui ben presto sarebbe stato socio, tutto sarebbe cambiato. Molte cose sarebbero cambiate d'ora in poi per lui. Alle nove e trenta, aveva già perso più di diecimila dollari ma non aveva importanza: stava per diventare ricco. Non c'erano limiti alla domanda per il gioco d'azzardo e Caley sapeva che non avrebbe mai più dovuto preoccuparsi dei soldi. Dulay arrivò alle dieci passate e a Caley fece piacere notare che sorrideva amichevolmente e falsamente, un sigaro stretto tra i denti. Nemmeno Dulay era riuscito a tagliarlo fuori: la proprietà del terreno che per poco non lo aveva rovinato gli aveva salvato la pelle. «Ehi, Robert, come stai?». Caley sorrise. «Bene, grazie, va tutto bene». «Be', sembra che siamo di nuovo in affari insieme... dopo l'annuncio, voglio dire». Persino i modi affettati di Dulay tradivano una traccia di imbarazzo. «Siamo tutti dalla stessa parte adesso... come doveva essere fin dall'inizio, eh, Robert?». Caley sorrise; quell'uomo era un serpente. Non c'era alcuna ragione per cui il Doubloons avrebbe dovuto essere coinvolto nell'accordo ma evidentemente fare da caddy per il governatore era un'attività che dava i suoi frutti. Eppure, gli piaceva sentirsi un vincente ed era sicuro che alla fine sarebbe stato lui ad avere in mano le carte migliori. «Sì, Lloyd», disse con una gentilezza altrettanto falsa. «Sembra di sì. Scusami ora, stavo giusto per andarmene». Controllò l'orologio chiedendosi se Lorraine l'avesse richiamato. Aveva voglia di vederla, voleva darle la notizia e festeggiare insieme a lei. Tornò a New Orleans pensando al nuovo mondo che avrebbero condiviso. La voleva quella notte, perché d'ora in avanti sarebbe stato tutto diverso - non dipendeva più da nessuno ora, era libero. Era stato in trappola per anni, prigioniero degli incubi segreti di Elizabeth, ma ora era finita. Per di più, non era mai riuscito a capire quegli incubi - né a preoccuparsene. Telefonò a Lorraine ma la receptionist gli disse che che avesse dato or-
dine di non mandarle niente in camera. E non aveva neanche la forza di uscire. Non si rendeva conto che l'energia non c'entrava niente ma che si stava spostando in un'altra fase della dipendenza - quella della paura. Era terrorizzata all'idea di lasciare la sua camera d'albergo e di affrontare Rosie e Rooney, e cominciava a temere di non essere più in grado di analizzare i fatti con lucidità. Più sfogliava i suoi appunti, più studiava i dettagli, più si sentiva insicura, e non sapeva quale avrebbe dovuto essere la prossima mossa. Solo più tardi, quando incominciarono i sudori, Lorraine si rese conto di aver bisogno di qualcosa per rimettersi in piedi: chiamò la reception e chiese di controllare se il suo autista, François, era davanti all'hotel e se potevano mandarlo su da lei. Lorraine dovette aspettare più di un'ora prima che riuscissero a rintracciare François, e che l'autista le portasse in camera la bottiglia che gli aveva chiesto di andarle a comprare. Lorraine chiamò la reception per farsi mandare una confezione da sei di Coca, ma non aprì subito la bottiglia. Il semplice fatto di averla era sufficiente: sarebbe stata bene ora. Ma non riuscì a prendere sonno e così si mise a riflettere sul caso. Alla fine riuscì ad addormentarsi, pensando che il giorno dopo per prima cosa sarebbe andata a parlare con Ruby Corbello. Sarebbe andato tutto bene, si disse. Robert Caley lasciò la città quella notte e si diresse in macchina al casinò di Gulfport, nel Mississippi, dove lui e Dulay avevano spesso giocato nelle salette private. I giocatori incalliti raramente prestavano attenzione alle case da gioco galleggianti di New Orleans, ma quando avrebbe aperto il casinò di cui ben presto sarebbe stato socio, tutto sarebbe cambiato. Molte cose sarebbero cambiate d'ora in poi per lui. Alle nove e trenta, aveva già perso più di diecimila dollari ma non aveva importanza: stava per diventare ricco. Non c'erano limiti alla domanda per il gioco d'azzardo e Caley sapeva che non avrebbe mai più dovuto preoccuparsi dei soldi. Dulay arrivò alle dieci passate e a Caley fece piacere notare che sorrideva amichevolmente e falsamente, un sigaro stretto tra i denti. Nemmeno Dulay era riuscito a tagliarlo fuori: la proprietà del terreno che per poco non lo aveva rovinato gli aveva salvato la pelle. «Ehi, Robert, come stai?». Caley sorrise. «Bene, grazie, va tutto bene». «Be', sembra che siamo di nuovo in affari insieme... dopo l'annuncio,
voglio dire». Persino i modi affettati di Dulay tradivano una traccia di imbarazzo. «Siamo tutti dalla stessa parte adesso... come doveva essere fin dall'inizio, eh, Robert?». Caley sorrise; quell'uomo era un serpente. Non c'era alcuna ragione per cui il Doubloons avrebbe dovuto essere coinvolto nell'accordo ma evidentemente fare da caddy per il governatore era un'attività che dava i suoi frutti. Eppure, gli piaceva sentirsi un vincente ed era sicuro che alla fine sarebbe stato lui ad avere in mano le carte migliori. «Sì, Lloyd», disse con una gentilezza altrettanto falsa. «Sembra di sì. Scusami ora, stavo giusto per andarmene». Controllò l'orologio chiedendosi se Lorraine l'avesse richiamato. Aveva voglia di vederla, voleva darle la notizia e festeggiare insieme a lei. Tornò a New Orleans pensando al nuovo mondo che avrebbero condiviso. La voleva quella notte, perché d'ora in avanti sarebbe stato tutto diverso - non dipendeva più da nessuno ora, era libero. Era stato in trappola per anni, prigioniero degli incubi segreti di Elizabeth, ma ora era finita. Per di più, non era mai riuscito a capire quegli incubi - né a preoccuparsene. Telefonò a Lorraine ma la receptionist gli disse che aveva dato ordine di non passarle telefonate, così le lasciò un messaggio per dirle che era tornato in albergo e che la suite era pronta per lei. Chiamò di nuovo a mezzanotte, ma si sentì dire la stessa cosa - la signora Page non voleva essere disturbata. Riappese, sentendosi confuso. Avrebbe aspettato che fosse Lorraine ad andare da lui, non l'avrebbe più chiamata. Il mattino seguente, di buon'ora, prima che Rosie e Rooney scendessero a fare colazione, Lorraine aveva già lasciato l'albergo. Si era vestita ed era uscita bevendo solo un paio di sorsi di vodka e mezza caraffa di caffè: stava tremando e aveva un terribile mal di testa ma almeno era riuscita a uscire dalla stanza. Rimase seduta in auto, guardando la casa dei Corbello attraverso il finestrino. «Aspettami qui, François». Dovette bussare tre volte prima che qualcuno venisse ad aprirle. «Salve, sto cercando Ruby Corbello». La ragazzina indossava un abito sottoveste inguinale e un paio di ciabatte. «E dell'organizzazione del Carnevale?». «No, ma ho bisogno di parlare con lei, e se è necessario sono disposta a pagare». Lorraine prese dal portafoglio un biglietto da venti dollari.
«Oggi pomeriggio deve farsi fotografare per una rivista. Non vuole vedere nessuno a meno che non sia della stampa». «Io sono una giornalista», mentì Lorraine. «È nella stanza sul retro». La ragazza schizzò fuori di casa, prendendo la banconota e lasciando la porta spalancata. «Ruby? Ruby?», chiamò Lorraine. «Chi la vuole?», rispose una voce acuta. «Sono dell'organizzazione dei giornalisti del Mardi Gras», rispose Lorraine. Ruby Corbello scese lentamente la stretta scala di legno. Era avvolta da un lenzuolo ed era straordinariamente bella. «Chi è lei?». «Mi chiamo Lorraine Page, posso parlarti un momento?». Ruby si appoggiò alla balaustra scendendo gli ultimi gradini. Di colpo aveva assunto un'aria maliziosa. «Non voglio farmi fotografare senza trucco». Lorraine guardò nella stanza che si apriva su un lato del corridoio. «Possiamo parlare?». Ruby annuì, sistemandosi il lenzuolo attorno al corpo. «Certo, ma niente fotografie finché non sono vestita». Lorraine aprì il taccuino. «Hai lavorato come cameriera per i signori Brown, vero?». «Uh uh, sì ma adesso non più, è storia antica». Lorraine sorrise. «Parlami di Tilda Brown». «La signorina Brown?», domandò Ruby, irritata. «Perché hai lasciato il tuo impiego dai Brown, Ruby?». Il volto perfetto di Ruby si contrasse in una smorfia. «Perché vuole saperlo? Hanno parlato male di me?». Lorraine sospirò. «Be', in un certo senso. E se devo tracciare un tuo profilo completo per la stampa...». «Non sono stata licenziata, niente del genere, me ne sono andata, perché quella ragazza era fuori di testa e io volevo dedicarmi alla mia carriera». «Parli di Tilda?». «Uh uh, non faceva altro che tormentarmi e rendeva la mia vita un inferno. Sua Altezza Reale si credeva così importante. Ma non lo era. Lo so, so tutto di Tilda Brown». «Sai che si è suicidata?».
«Uh uh, sì». «Perché pensi che si sia uccisa?». «Non lo so». «Conoscevi Anna Louise Caley?». «Mmm, l'ho vista qualche volta e lei e Tilda erano identiche. Anche lei credeva di essere chissà chi». «È mai venuta qui?». Ruby gettò indietro la testa e scoppiò a ridere. «Oddio, no, quelle ragazze bianche non avrebbero mai il coraggio di venire da queste parti». «La signora Caley è mai venuta qui?». Ruby sgranò gli occhi. «Vuole scherzare? La famosa Elizabeth Caley qui? Non ho mai sentito niente di più assurdo, signora». Lorraine si mordicchiò il labbro inferiore, chiedendosi come avrebbe dovuto giocare le sue carte. Ruby si passò una mano tra i lunghi e folti capelli con un gesto lento e teatrale, da diva consumata. «Mi hanno detto che sei stata licenziata dai Brown perché sei stata sorpresa a rubare». «COSA?». Ruby si alzò di scatto e cominciò ad aggirarsi nervosamente per la stanza chiedendole con insistenza chi le avesse raccontato una cosa simile. Poi si fermò davanti a Lorraine e si chinò verso di lei. «Chi ha osato dire questo di me?». «Non posso dirtelo, Ruby, ma devo farti anche queste domande perché se devi comparire sulla prima pagina del giornale, dobbiamo assicurarci che non ci siano ripercussioni spiacevoli. Tu sei una delle regine del Mardi Gras di quest'anno e sarai vista da tutta l'America». Ruby tornò a sedersi sulla poltrona. «Non ho fatto niente di male, niente di niente, e comunque l'ho trovato per caso. Lei mi trattava sempre così male». «Che cosa hai trovato?». «Il diario di Tilda. Era nascosto in uno stupido peluche che teneva sul letto, sa, un orso. Ho sentito che c'era dentro qualcosa e così ho dato un'occhiata». Lorraine si sentì percorrere da un fremito mentre si sporgeva in avanti. «Hai il diario di Tilda?». «Diavolo no, non ce l'ho». «Ma per un po' l'hai avuto». Ruby annuì, mordicchiando un lembo del lenzuolo. «Tilda mi urlava sempre dietro, mi accusava di un sacco di cose, di rubarle i gioielli e cose
del genere, ma io non le ho mai preso niente, lo giuro su tutti i santi, non ho mai rubato niente. Ma alla fine i suoi genitori mi hanno mandata via lo stesso. Ero così arrabbiata che sono salita in camera sua, non volevo rubare niente, solo metterle sottosopra la stanza, ed è stato allora che ho trovato il diario. Avevo deciso di restituirglielo». «Quando è successo questo esattamente Ruby?». «Il giorno che è tornata a casa». Lorraine prese un profondo respiro. «Sei stata licenziata il giorno in cui Tilda è tornata a casa, quindi doveva essere febbraio...». «Il 14, il giorno di San Valentino. Già, è stato allora che mi ha licenziata. Me lo ricordo perché quel giorno ho ricevuto tante valentine, ed Errol Bagley mi ha persino mandato un mazzo di fiori. Ma me ne sarei andata comunque. Penso che fosse invidiosa di me per tutte le valentine e i fiori che avevo ricevuto mentre lei non aveva ricevuto proprio niente». «Ruby, sei sicura che fosse il giorno prima che Anna Louise arrivasse a New Orleans?». «Io non so quando sia arrivata quell'altra, so soltanto che non lavoravo più per i signori Brown. Mi hanno dato il salario di una settimana! Una settimana! Avrebbero almeno dovuto darmi la paga di un mese». Lorraine chiese a Ruby da quanto tempo Tilda avesse l'orso di peluche ma la ragazza le rispose di non ricordare esattamente, sapeva soltanto che lo aveva da un bel po'. Quando le chiese che cosa ne avesse fatto del diario, Ruby fu evasiva, si appoggiò allo schienale della poltrona e ricominciò a mordicchiare l'orlo del lenzuolo. Evitò lo sguardo di Lorraine. «Lo hai letto, Ruby?». «Certo, quasi tutto». «Che cosa ne hai fatto?», le chiese nuovamente. Ruby sprofondò ancora di più nella poltrona. «Non ho fatto niente di male, niente di illegale e dovevamo dare un anticipo per il vestito per la cerimonia. Costa quasi mille dollari, credo che dovrebbe annotarselo questo». Lorraine fece uno scarabocchio sul suo taccuino e, per non far insospettire la ragazza, le fece qualche domanda sullo stile e sul taglio dell'abito. All'improvviso a Ruby tornò la voglia di parlare. «È di seta blu, con ricami dorati. Mi piacerebbe mostrarglielo ma è ancora dalla sarta». Lorraine sorrise, fingendosi interessata. «A quanto pare sarà proprio magnifico, Ruby».
«Sì, sì, lo è, e ho anche le scarpe coordinate». «Posso vedere il diario?». Ruby si stava aggirando per la stanza, tirandosi dietro il lenzuolo come se fosse stato uno strascico. «Oh mio Dio, perché continua a chiedermi di quel diario? Non ce l'ho». «Chi ce l'ha, Ruby?». La ragazza guardò fuori dalla finestra, poi si studiò con attenzione le unghie appena smaltate. «Non lo so, non so niente. Perché continua a chiedermi di quel diario? Lui mi aveva detto che nessuno l'avrebbe mai saputo, quindi si può sapere con chi ha parlato lei?». Lorraine sentì il sangue che le si gelava nelle vene, perché sapeva di chi stava parlando la ragazza. «Quanto te lo ha pagato Robert Caley?». «Duecento dollari», rispose Ruby a bassa voce. «Ti ricordi quando ti ha dato questi soldi?». Ruby annuì, poi sospirò. «Il giorno dopo sono stata nel suo albergo. Era appena arrivato e stava andando a nuotare. Mi sembra che fosse il giorno dopo che sono stata licenziata». Lorraine prese un profondo respiro. «Era il 15 febbraio dello scorso anno, vero?». Ruby annuì. «Come faceva il signor Caley a sapere dell'esistenza del diario?». La ragazza fece il broncio e fissò il vuoto. «Lo sapevi che Anna Louise è scomparsa quella stessa sera?». Lei annuì. «Lui mi ha detto di non dire niente a nessuno del fatto che l'avevo chiamato e io ho tenuto la bocca chiusa». «Lo hai chiamato in albergo?». «Già, infatti. Be', non proprio. C'è un fattorino che conosco lì, Errol, ha una cotta per me ed è stato lui a mandarmi quei bei fiori di cui le ho parlato. Comunque, gli ho chiesto di riferire un messaggio al signor Caley, di dirgli che lo aspettavo fuori e che avevo bisogno di parlargli di una questione molto urgente». «Che ore erano, Ruby?». «Oh, circa le sei. Vede, sapevo che sarebbero arrivati. Anche la signorina Tilda sarebbe dovuta tornare a New Orleans con loro ma è partita con un giorno d'anticipo». Lorraine aveva il mal di testa ma doveva concentrarsi per impedire a Ruby di divagare; stava cercando di assimilare tutte quelle informazioni e di metterle insieme, ma era un compito sfibrante. Trasse un profondo re-
spiro e sorrise di nuovo a Ruby che stava cominciando ad annoiarsi. «Perché ha pagato così tanto per avere il diario di Tilda Brown?». Ruby sbadigliò e si stiracchiò. «Be', immagino perché non voleva che sua moglie lo scoprisse». «Che cosa?». Ruby ridacchiò. «Lui e Sua Altezza Reale scopavano. Il signor Robert Caley si sbatteva la dolce signorina Tilda Brown, ecco cosa!». Si coprì la bocca con le mani e squittì una risata da ragazzina. Quella storia era così dannatamente buffa. Lorraine sedeva con la testa appoggiata allo schienale del sedile posteriore dell'auto. François la guardò, immaginando che fosse stata da Edith Corbello per una lettura di carte. «L'amore non va tanto bene, eh?». «No, François, non va affatto bene. Ti spiacerebbe fermarti al prossimo negozio di liquori?». Mentre l'auto si allontanava, Edith Corbello tornò a casa con due grandi e pesanti sacchetti di plastica della spesa. Era stata fuori a fare compere per la cena che voleva preparare per Juda. «Ruby? Juda è già arrivata? Ruby?». Ruby comparve in cima alle scale. «Se fosse qui, mamma, ti avrebbe risposto lei». «Non ha telefonato?», domandò Edith mentre entrava in cucina e posava a terra i sacchetti della spesa. «No, non ha telefonato ma sono appena stata intervistata da una giornalista che sta preparando un articolo su di me per la prima pagina». Edith si voltò mentre Ruby si fermava sulla soglia mettendosi in posa. «E tu ricevi una giornalista, mezza nuda, ragazza mia?». Ruby alzò gli occhi al cielo. Edith sospirò e cominciò a svuotare i sacchetti. «Se quelle sono le lenzuola pulite per il letto di zia Juda, toglitele immediatamente e vai a preparare la stanza di Jesse come ti avevo detto. Su, muoviti». Ruby se ne andò ed Edith continuò a riempire il frigorifero. Aveva caldo ed era esausta. Guardandosi attorno nella cucina sudicia, le venne voglia di piangere. Ci sarebbero volute ore per ripulire la casa. Juda era molto schizzinosa e, dal momento che era lei a mantenerli, Edith voleva sempre farle trovare la casa pulita e ordinata. Ma stava diventando sempre più difficile. Con i ragazzi che non combinavano altro che guai e con Ruby e Sugar
May che si guardavano bene dal darle una mano, la casa stava cadendo a pezzi. Ruby entrò in cucina proprio mentre sua madre si appisolava su una delle sedie. Diede un pugno sul tavolo, svegliandola di soprassalto. «Ho trovato questo sotto il cuscino di Jesse, mamma, è andato ancora a rubare. È il portafogli di un tizio, c'è la patente e...». Edith le strappò di mano il portafogli di pelle e lo aprì. «Se anche c'erano dei soldi, adesso è vuoto», disse Ruby. Edith osservò la vecchia carta d'identità con l'indirizzo di Nick Bartello, raggiunse a grandi passi la porta che dava sul retro e l'aprì con un calcio. Jesse era stravaccato sulla vecchia amaca logora e si stava scrivendo qualcosa sull'ingessatura con una penna a sfera. Edith lo sbatté giù a calci. «Porta il tuo culo in cucina, subito, e chiama anche quel buono a nulla di tuo fratello». «Ma perché? Che cos'ho fatto, mamma? Stavo solo dormendo, e tu mi hai quasi spaccato anche l'altro braccio, Cristo santo». Edith gli sbatté sotto il naso il portafogli rubato. «Vi avevo avvertiti, basta rubare, quindi ti consiglio di andare in cucina o chiamo gli sbirri». «L'ho solo trovato», disse Jesse arretrando. «Oh davvero? Allora non ti dispiacerà se chiamo la polizia, giusto? Giusto?». Gli diede un paio di ceffoni e lui scappò come un gatto spaventato, chiamando il fratello a gran voce. Ruby era furiosa, era sulla soglia con le mani sui fianchi. «Se si cacciano nei guai, mamma, finiranno sui giornali, proprio adesso che sto per essere incoronata, e non è giusto. Rovineranno tutto». Edith si voltò a guardarla, agitando l'indice. «Nessuno rovinerà la tua incoronazione, Ruby Corbello». «Basterà lei a rovinarla», disse Fryer, che in quel momento stava entrando dal cancello posteriore. L'uomo si avvicinò barcollando e si fermò a qualche passo da Edith. Ruby strillò: «Non ho mai fatto niente, Fryer Jones, e da che pulpito viene la predica visto che lasci che quella ragazzina di Sugar May venga a bere nel tuo bar. Il prossimo passo sarà conciarla come quelle puttane che lavorano per te». «Torna subito in casa!», tuonò Edith. «E finisci di pulire la stanza per Juda!». Una Ruby molto contrariata entrò in casa sbattendo la porta. Edith si sedette pesantemente sui gradini che conducevano alla porta sul retro e fissò il vecchio portafogli.
«Sono incontrollabili, Fryer. In giornate come questa mi stanco solo al pensiero di alzarmi». Fryer si appoggiò alla balaustra, guardando il viso di Edith. Le tolse di mano il portafogli e lo apri. «Questo è il guaio peggiore che ti sia mai capitato, Edith. I tuoi ragazzi hanno ammazzato questo tizio». «No, no, non farebbero mai una cosa del genere!», disse Edith con decisione. Fryer si lasciò cadere accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio. «Ma è la verità, tesoro, l'hanno ammazzato. Erano fatti, li ho visti al mio bar e Jesse aveva una pistola. Ne combinano di tutti i colori mentre dormi ma risolveremo tutto, lascia che ci pensi io». Edith annuì, Fryer l'aiutò ad alzarsi in piedi e insieme entrarono in cucina. Ruby stava buttando i piatti sporchi nel lavello. Fryer si aprì una birra e si sedette al tavolo. «Prima di tutto, bruciamo quel portafogli. Per quanto ne so, nessuno li ha visti e la polizia non sospetta niente. Dirò che sono stati nel mìo bar tutta la notte se gli sbirri dovessero venire a fare domande. Ho già dato loro una bella lezione, e ora credo che se ne meritino un'altra». Edith annuì mentre Fryer si sfilava la vecchia cinghia di cuoio dai pantaloni. Ruby fece scorrere dell'acqua tiepida nel lavandino. Le tubature cigolavano e gorgogliavano mentre la ragazza sciacquava svogliatamente i piatti cercando di non rovinarsi lo smalto delle unghie. Edith sembrava schiacciata dal peso di tutti i suoi guai, si faceva aria con un vecchio giornale e guardava fuori dalla finestra. «Stanno entrando dal cancello sul retro», disse con voce inespressiva. Fryer toccò il collo della bottiglia con la punta delle dita. «C'è una detective privata che se ne sta andando in giro a fare domande di ogni genere, è stata anche qui?». Edith scosse la testa. «Be', vi avverto, è stata assunta dai Caley per ritrovare la loro ragazza. È alta, bionda, piuttosto bella e ha una cicatrice su una guancia». Ruby fece cadere un piatto che andò in frantumi sul pavimento. Fryer si voltò e guardò la nipote con aria cupa. «Sai qualcosa di questa donna, Ruby? Si chiama Lorraine, Lorraine Page». Ruby si aggrappò al bordo del lavello. «No, non l'ho vista». Edith raccolse il piatto rotto e lo gettò nella spazzatura proprio mentre i due ragazzi entravano in cucina. «Bene, Edith, e tu, Ruby, lasciateci soli adesso».
Ruby era terrorizzata, mentre cercava di rifare il piccolo letto di Jesse. Dalla cucina provenivano schianti e urla. I suoi fratelli ululavano come cani. Andò avanti così per almeno quindici minuti. Edith aveva cominciato a passare l'aspirapolvere, un vecchio catafalco che spostava più polvere di quanta riuscisse a risucchiarne, ma se non altro il ronzio dell'elettrodomestico copriva le grida dei suoi ragazzi. Jesse e Willy si stavano asciugando le lacrime quando Fryer finalmente si rimise la cintura nei passanti dei pantaloni. «Terrò la bocca chiusa, ma dovrete pagarmi, è un patto ragazzi. D'ora in avanti lavorerete per me. Pulirete il mio bar e farete quello che vi dico, altrimenti porterò questo alla polizia». Fryer sollevò il portafogli di Nick Bartello. «Ma prima, comincerete dalla vostra cucina, voglio che questo posto luccichi e non voglio trovare una sola cosa fuori posto, mi avete sentito?». Annuirono, come bambini malinconici. «D'ora in avanti, lavorerete per me finché non vi dirò che siete liberi, e solo allora potrete andare a cercarvi un altro impiego». I due ragazzi cominciarono a portar fuori la spazzatura e Fryer si aprì un'altra bottiglia di birra. Aveva intenzione di bruciare comunque il portafogli, ma si sarebbe guardato bene dal dirlo ai ragazzi. Sugar May entrò in cucina, bevendo da un cartone di latte al cioccolato. Camminava barcollando su un paio di scarpe argentate coi tacchi alti. Ridacchiò quando vide i suoi fratelli che prendevano spazzole, secchi e spazzoloni. «Cosa c'è di così divertente, Sugar May?», domandò Fryer. Lei ridacchiò. «Li ho sentiti strillare come maiali al macello». «Oh, davvero? E tu dove sei stata stamattina?». Sugar May scrollò le spalle. «Oh, in giro». Fryer le guardò le scarpe. «Sei stata in giro con quelle?». Lei agitò le anche e finì il latte al cioccolato succhiando rumorosamente con la cannuccia prima di gettare il cartone nel punto in cui di solito c'erano i sacchetti della spazzatura. «Fammi vedere le tue scarpe nuove, Sugar May». Sugar May restò in bilico su un piede solo e appoggiò l'altro in grembo a Fryer. «Le hai rubate queste, Sugar?». «No, le ho comprate». «E dove hai trovato i soldi per comprarti delle scarpe di pelle?». «Me li ha dati una giornalista che è venuta a trovare Ruby, venti dollari,
te lo giuro su Dio». Fryer guardò la ragazzina pelle e ossa ancheggiare fino alla porta, le scarpe che facevano sembrare i suoi piedi grandi in modo ridicolo. «Quando è venuta questa giornalista?». «Stamattina. Chiedilo a Ruby, è la verità». Fryer finì la birra e puntò il collo della bottiglia verso Sugar May. «Va' ad aiutare tua madre a fare le pulizie, avrete ospiti, tua zia Juda viene per cena». «Io non metto mai in disordine, quindi perché dovrei aiutarla?», disse Sugar May facendo il broncio. Fryer la fissò. «Perché te lo dico io, e se non ti muovi subito, darò una bella lezione anche a te. È questo che vuoi?». Sugar May stava per rispondergli, ma qualcosa nel tono della sua voce le fece cambiare idea. In silenzio, la ragazza andò al lavello a finire il lavoro che Ruby aveva cominciato. Fryer raggiunse Edith che stava passando l'aspirapolvere nell'atrio. «Ruby è di sopra?». Lei annuì. «Non devi preoccuparti per i tuoi ragazzi, Edith, si comporteranno bene per un bel pezzo». Cominciò a salire lentamente le scale, poi si fermò appoggiandosi al corrimano e si voltò a guardare il corpo grasso e sudato di Edith. Era difficile credere che, come sua sorella Juda, un tempo fosse stata bella quanto Ruby. «È dura invecchiare, vero, Edith?». «Uh uh, soprattutto quando hai due figli disoccupati. E Ruby non mi è di grande aiuto». «Ma tu continui a lavorare, vero?». «Certo, ma sai, Fryer, metà dei poveretti che vengono qui non hanno nemmeno un vaso in cui pisciare. Se la passano male quanto noi». Fryer non se la passava male, aveva un sacco di soldi e odiava separarsene. Tuttavia si infilò una mano nella tasca dei vecchi jeans logori. «Edith, va' a comprare dei fiori freschi per Juda e magari un vestito nuovo per te». Gettò uno spesso rotolo di banconote giù per le scale e il denaro atterrò sul pavimento. Edith spense l'aspirapolvere. «Sei un brav'uomo, Fryer». Lui riprese a salire le scale. «No, Edith, non lo sono mai stato e non lo sarò mai, ma non sono nemmeno un bastardo». Ruby stava ripulendo svogliatamente il tavolo da toilette, felice di poter ammirare la propria immagine riflessa nello specchio. Quando Fryer entrò
chiudendosi la porta alle spalle e facendo scattare la serratura, lei gli lanciò un'occhiataccia. «Non ti sedere sul letto, l'ho appena rifatto», gli disse scontrosa. Fryer si sedette proprio al centro del letto, senza staccare gli occhi dal viso bello e arrabbiato della ragazza. «Hai ricevuto una visita stamattina, Ruby. Quella donna ha detto di essere una giornalista, vero?». «Uh uh, parlerà di me sui giornali». «Be', sì potresti finire sui giornali, Ruby, ma non per i motivi che immagini. Potrebbe esserci, per esempio, una grande foto del tuo arresto, magari mentre ti portano via in manette». Ruby fece per dire qualcosa ma poi ci ripensò e rimase in silenzio. Non aveva paura di Fryer Jones come i suoi fratelli; quell'uomo non era altro che un vecchio sporcaccione che la palpeggiava fin da quando era una bambina. «Allora, Ruby, vuoi dirmi quanto sei stata pagata per fare quella bambola?». Lei rimase a bocca aperta. «Non ho mai fatto niente». Fryer sorrise, appoggiandosi con i gomiti sul cuscino dalla federa bianca e pulita. «Sì, invece, bambina mia, faresti meglio a dirmi per chi l'hai fatta, non che non lo sappia già». «Se lo sai, perché me lo chiedi?». Lui si mise a sedere, il volto contratto dall'ira. «Perché hai giocato col fuoco, tesoro, e potresti anche pagarne le conseguenze. Raccontami, dall'inizio, che cos'hai combinato, Ruby Corbello... o preferisci che usi le maniere forti per farti parlare?». «Prova a toccarmi e te ne farò pentire». Fryer non poté impedirsi di scoppiare e ridere. Era così bella quando si arrabbiava, si eccitava anche solo a guardarla. Gli ricordava Juda, così focosa, gli stessi straordinari occhi color serpente. Distolse lo sguardo e sospirò, ma fu rapido ad alzarsi quando lei cercò di uscire dalla stanza. La trascinò sul letto tirandola per i capelli, la spinse con forza sul materasso e si chinò su di lei. «Ti sei sporcata le mani con la morte, Ruby». Lei lo guardò negli occhi, per nulla spaventata. Cominciò a sbottonarsi la camicetta di cotone bianco da quattro soldi, leccandosi le labbra. «Vuoi giocare con me, Fryer?». Lui le mise una mano sulla gola e premette con forza, facendola boc-
cheggiare. «No, Ruby, non voglio giocare, sono qui per salvare la tua anima, perciò di' a Fryer cos'hai combinato! E se proverai a mentirmi, ti tirerò il collo». Ruby si sdraiò su un fianco e Fryer attese. Non sembrava preoccupata per le sue minacce e cominciò ad arrotolarsi una ciocca di capelli attorno alle lunghe dita snelle. «Quella Tilda Brown mi ha accusata di frugare tra le sue cose personali, ma io non avevo fatto altro che lavorare come una schiava per lei e la sua famiglia. Non aveva nessun rispetto per me, così le ho detto che stava facendo la principessina con la persona sbagliata. Lei mi ha detto con quella sua vocetta insopportabile: "Oh, davvero? Be', sei licenziata, signorina Ruby Corbello"». Fryer sedeva sul letto con la testa leggermente china, e ascoltava la voce di Ruby, morbida e musicale. Lei gli si avvicinò e cominciò ad accarezzargli dolcemente la schiena. Gli disse, quasi scherzosamente che quando i genitori di Tilda avevano preso le parti della figlia e le avevano chiesto di andarsene, era montata su tutte le furie ed era andata in camera della ragazza. Non aveva intenzione di rubare nulla, voleva soltanto pisciare sui suoi bei vestiti bianchi e immacolati. Ridacchiò a quel pensiero. Ma poi, continuò, aveva trovato il diario di Tilda. Fryer ascoltò sbalordito il racconto di Ruby: aveva letto il diario e aveva capito subito che avrebbe potuto fruttarle del denaro, così si era messa in contatto con Errol, che lavorava all'hotel dei Caley, per organizzare un incontro privato con Robert Caley. Sospirò, dicendo che ora si rendeva conto che avrebbe potuto chiedere molto di più, ma che all'epoca duecento dollari le era sembrato un buon prezzo. «Avrei dovuto chiedergliene migliaia. Sono stata stupida. Mi ha pagata subito e mi ha detto di non parlarne con nessuno, di non dire a nessuno che ci eravamo incontrati e lui avrebbe tenuto la bocca chiusa». Fryer sentiva le dita di Ruby che continuavano ad accarezzarlo, facendogli inarcare la schiena. Lei ridacchiò. «Contìnua, Ruby». Lei gli spiegò che era andata dalla sarta e aveva chiesto dei ricami dorati per il suo vestito, ma la donna le aveva detto che duecento dollari sarebbero bastati solo per il corpetto. «Io volevo che l'abito fosse tutto ricamato d'oro, Fryer, volevo risplendere come il sole». Si allontanò e lui si voltò a guardarla. «Comunque Errol mi aveva mandato un delizioso mazzo di fiori per San Valentino, così sono tornata all'hotel per ringraziarlo ed eravamo in giardino quando ho sentito Anna
Louise Caley che mi chiamava dal piano di sopra. Voleva che salissi in camera sua, diceva che era urgente». Per un attimo, aveva temuto che Robert Caley potesse vederla, visto che gli aveva appena dato il diario di Tilda. Così Errol l'aveva fatta passare dall'entrata del personale, e lei era andata in camera di Anna Louise. «Ho commesso uno sbaglio, Fryer. Sai, pensavo che avesse visto il diario, e così le ho detto subito che non c'entravo niente, esattamente come avevo promesso al signor Caley. Ma lei ha dato fuori di testa, Fryer, scommetto che nemmeno tu hai mai visto una persona così infuriata in vita tua. Continuava a chiedermi che cosa c'era scritto sul diario e alla fine gliel'ho detto». Lui le accarezzò la guancia con il dorso della mano raggrinzita. «Continua, tesoro, che cos'hai fatto allora?». Lei gli leccò la punta delle dita e sorrise. «Voleva che facessi una bambolina voodoo, mi ha dato una fotografia e una busta con i capelli, la pelle e il sangue di Tilda. Ma non sono proprio sicura di cosa fossero, erano solo dei pezzetti di roba nera». Il cuore di Fryer batteva all'impazzata mentre Ruby gli raccontava con la sua voce cantilenante che era tornata a casa e aveva cominciato a preparare la bambolina. Ridacchiò come una bambina quando gli disse di averla sporcata di escrementi e urina prima di avvolgerla con un giornale e un pezzo di spago. «Anna Louise mi ha dato altri trecento dollari, Fryer, e io li ho messi da parte. Li ho usati per il mio vestito, per avere i ricami d'oro anche sulla gonna». «Come le hai fatto avere la bambola?». Ruby sorrise, e gli raccontò che Anna Louise aveva calato un pezzo di corda dal balcone a cui lei aveva legato la bambola e che la ragazza l'aveva tirata su. A quel punto, Ruby era tornata a casa e non ci aveva più pensato. Fryer aveva il mal di testa, si allontanò dal letto. Vide il riflesso di Ruby nello specchio: era appoggiata su un gomito, la minigonna le era salita fino all'inguine, la camicetta mezza aperta e le gambe larghe. «Non dovrai parlarne con anima viva, Ruby, mi hai capito? Mai». Lei inclinò la testa di lato. «Sei l'unico a cui l'ho raccontato, Fryer, non sono stupida. Ma vuoi sapere una cosa strana?». «Cosa?». Ruby si sedette sul bordo del letto e chinò la testa. «Be', Anna Louise era così piena d'odio, sembrava impazzita dalla rabbia. Ha detto che voleva
che Tilda Brown soffrisse, che soffrisse molto. Mentre stavo preparando la bambola, ho preso uno spillo dall'abito, ho chiuso gli occhi, ho accarezzato la testa di plastica con le dita e poi ho conficcato lo spillo. E intanto ho detto: "Questo le farà molto male." Anch'io volevo che soffrisse perché era stata molto cattiva con me. Mi aveva fatta licenziare. Così, ci ho messo anche un po' di mio». Fryer la fissò mentre Ruby sollevava la testa e si scostava i capelli dal viso. C'era una strana luce nei suoi occhi e lui ebbe la sensazione che fossero gli occhi di un serpente molto pericoloso. Lei sussurrò, sorridendo: «E poi si è impiccata. Non è divertente?». Fryer entrò in cucina dove i ragazzi erano impegnati a pulire il pavimento ed Edith stava preparando del pollo fritto. Sembrava tutto così normale, così domestico, così innocente. «Ora torno al mio locale, Edith. Salutami Juda». «Certamente, Fryer. Sugar May è andata a comprare un bel mazzo di fiori profumati per la sua stanza». «Benissimo». Edith si pulì le mani sul grembiule. «Vuoi venire al ballo con noi? Sarà una cosa molto speciale e Ruby sarà un vero sogno quando la incoroneranno». Lui annuì impercettibilmente perché conosceva il prezzo di quel sogno, e si sentiva molto a disagio. In passato, si era sentito a disagio vicino alle sorelle Salina, con tutte le loro pozioni e le loro visioni, con tutte quelle persone che andavano a trovarle per chiedere consiglio, che piangevano e si disperavano e le trattavano come regine, e in un certo senso lo erano state veramente. Ora Ruby era cresciuta e anche se Juda e Edith credevano che non ci fosse un'erede dei loro poteri, Fryer sapeva che le cose stavano diversamente. L'eredità di Marie Laveau avrebbe continuato a vivere. La prova era al piano di sopra nella piccola camera da letto, e la cosa lo inquietava, come sempre. «Tieni d'occhio Ruby, Edith. Credo che tu e Juda dovreste parlarle, dovreste spiegarle di non abusare di ciò che Dio le ha dato. Fatelo al più presto». Lei si accigliò, senza capire completamente il motivo per cui Fryer sembrava così preoccupato. «È solo una bella ragazza... Che cos'hai Fryer?». «Niente, tesoro, ma tieni d'occhio quella bambina. Forse è arrivato il momento che impari ad avere cuore, proprio come te». Se ne andò prima che Edith potesse fargli altre domande, e lei tornò ai
fornelli, il volto grasso e rotondo imperlato di sudore. Qualcuno bussò alla porta del retro e lei sbatté il cucchiaio di legno sul ripiano e andò ad aprire. La donna aveva un bambino piccolo tra le braccia. Guardò Edith, il viso stravolto dall'angoscia. «La prego, signora Corbello, mio figlio sta male, ha una specie di febbre». Edith accompagnò la donna spaventata nello studio. Stava per chiudere la porta ma esitò. Andò ai piedi delle scale e chiamò Ruby: «Tesoro, puoi scendere un attimo?». La ragazza comparve in cima alle scale. «Sono occupata, mi sto sistemando i capelli, mamma». «Be', ci penserai più tardi. Vieni giù nello studio». Ruby sbatté le palpebre; sua madre non le aveva mai chiesto di assisterla mentre lavorava. «Vuoi che stia lì con te?», domandò la ragazza. «Uh uh, scendi. Hanno portato un bambino malato». Il tono di Edith faceva capire che non avrebbe accettato un no come risposta. Ruby scese le scale, abbottonandosi la camicetta e lisciandosi la gonna, vagamente preoccupata. Edith sedeva al tavolo e la donna stava piangendo, mentre cullava il bambino tra le braccia. «Da quanto tempo non riesce più ad allattarlo?». «Giorni, signora Corbello. È molto debole e vomita tutta la notte. Adesso se ne sta lì, immobile. Gli ho anche comprato un biberon per cercare di dargli da mangiare ma non è servito a niente». Ruby guardò Edith prendere il bambino e spogliarlo, togliendogli prima la coperta che lo avvolgeva e poi i vestiti, mentre la madre continuava a piangere, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia. Edith disse a Ruby di mettersi accanto a lei. «Prendilo con dolcezza, Ruby, e fallo sdraiare sulla sua coperta». Edith uscì dallo studio ed entrò in cucina. Mise un recipiente pieno di latte sul fuoco ed esaminò il biberon, annusandolo. Poi mise a bollire dell'acqua per sterilizzare il biberon e la tettarella. Si voltò mentre Ruby la raggiungeva, tenendo il bambino tra le braccia, avvolto solo dalla coperta. «Mamma, questo piccolo è pieno di lividi sulla pancia e sulla schiena». «Lo so, dobbiamo convincerla a parlare e sentire quello che ha da dire. Useremo delle erbe e degli oli per guarirlo e per far abbassare la febbre. Avrò bisogno di un panno gelato e di acqua fresca». «Dovrebbe andare da un medico, mamma».
Edith controllò il latte sul fornello. «Non ha soldi e ha paura per ciò che ha fatto al bambino. Se un dottore dovesse vedere quei lividi l'arresterebbero. È per questo che è venuta da me. Perciò fa quello che ti dico, Ruby». Edith parlò dolcemente alla donna che continuava a singhiozzare, mentre Ruby si occupava del piccolo. Era ancora molto debole, ma gli unguenti gli abbassarono in fretta la temperatura. Alla fine, la madre ammise di aver picchiato il bambino dopo molte notti insonni per cercare di farlo smettere di piangere. Edith le esaminò i seni e le disse che non aveva più latte e che il bambino piangeva perché era affamato. Avrebbero dovuto insegnare al piccolo a nutrirsi con il biberon. Edith non rimproverò la donna, ma fu gentile e comprensiva. Ruby portò il biberon alle labbra del bambino, mentre la donna stringeva forte la mano di Edith che le stava dicendo che le avrebbe calmato la mente e sarebbe stata nuovamente in grado di prendersi cura di suo figlio. Prima le massaggiò delicatamente la testa e le spalle con le sue grandi mani fino a farle chiudere gli occhi, poi il collo e la schiena, con forza. Poi bevve un sorso di liquore da una tazza e Ruby rimase a bocca aperta quando Edith sputò il liquido in faccia alla donna. Ripeté quell'operazione per tre volte, prima di far sdraiare la madre del bambino sul letto in un angolo della stanza. Non appena la sua testa toccò il cuscino, la donna scivolò in un sonno profondo. Ruby abbassò lo sguardo sul bambino. Non disse niente ma Edith la vide scrutare a fondo negli occhi del piccolo. Era completamente diversa dalla ragazza arrogante che era di solito. E anche il bambino sembrava ricambiare lo sguardo di Ruby: era come se stesse traendo forza dai suoi occhi. All'improvviso, dischiuse le labbra e cominciò a poppare dal biberon. Ruby alzò lo sguardo su sua madre, sentendo i battiti del cuore del bambino, ed ebbe l'impressione di vederla davvero per la prima volta dopo tanti anni - non era una donna grassa e irritante ma una figura regale, che suscitava ammirazione, e la ragazza si sentì intimidita e imbarazzata. Non riuscì a trattenere le lacrime. Edith la baciò sulla fronte e raccolse una delle sue lacrime con un dito. Per un attimo sembrò scintillare come un cristallo. «Non vengono per le lacrime, Ruby, solo per il tuo amore e per un po' della tua forza. Io sto perdendo la mia ora ma...». «Sono forte, mamma, sono forte». Persino la sua voce sembrava diversa ora; più calma, più melodiosa. Edith annuì. «Lo so, Ruby. Purifica il tuo cuore, perché forse sei più for-
te di quanto immagini». Lorraine restò in silenzio durante il tragitto verso la casa di Elizabeth Caley. François aveva cercato di fare conversazione, ma dal momento che non aveva ottenuto risposta, si era limitato a guidare, guardandola nello specchietto retrovisore. Lorraine stringeva la bottiglia nascosta nel sacchetto di carta marrone. Lui l'aveva vista aprirla e richiuderla senza bere per ben due volte. Si comportava come se avesse appena ricevuto delle pessime notizie. Ed era proprio così. Lorraine aveva bisogno di tutto il suo autocontrollo per non andare subito ad affrontare Robert Caley, ma soprattutto per non bere. Aveva bisogno di altre prove della colpevolezza di Caley. Era tornato a essere il loro sospetto numero uno e questa volta Lorraine non si sarebbe lasciata confondere dai sentimenti. Voleva inchiodarlo. Lorraine entrò nell'atrio della villa di Elizabeth Caley. Juda Salina scese lentamente la lunga scalinata. Era stanca almeno quanto lo era sua sorella. «Be', questa volta ci è andata proprio vicino. Hanno dovuto farle una lavanda gastrica, adesso sta dormendo come una bambina». Lorraine attese che Juda si avvicinasse. «Sarebbe davvero un peccato se la sua gallina dalle uova d'oro morisse, vero?», disse in tono sarcastico. Juda le lanciò un'occhiata di rimprovero. «Mi fa sudare ogni singolo centesimo che mi dà, signora Page, mi creda». Si accomodarono nel salone e Missy portò loro del tè, poi le lasciò sole. Juda sorseggiò il tè; sembrava veramente esausta e lo spesso strato di trucco sul suo viso era sbavato e rovinato. «Non pensavo che l'avrei mai rivista». «Perché?», chiese Lorraine. «Per nessuna ragione particolare», rispose Juda e poi sorrise tra sé e sé. «I miei poteri si stanno affievolendo, talvolta confondo le sensazioni che ricevo. Conosce qualcuno il cui nome comincia con la lettera L?». «No». «Bene. Ho avuto una brutta premonizione su una persona e pensavo che fosse lei». Lorraine scrollò le spalle. «Be', come può vedere, signora Salina, sto bene. Dov'è Robert Caley?». «Non lo so, in albergo, credo. Gli ho lasciato dei messaggi ma non è venuto, quindi credo che non gliene importi più niente».
«Di Elizabeth?». «Uh uh, pensava che sarebbe venuto, sa, se gli avessi detto che stava veramente male, ma credo che Elizabeth abbia tirato troppo la corda questa volta». Juda strinse i braccioli della poltrona. «Sa, forse stenterà a crederci, ma la signora Caley è una donna molto dolce. È solo che ha dei demoni dentro di sé. Sono venticinque anni che cerco di aiutarla, ma i demoni sono così forti che certe volte la fanno impazzire, e ne ho paura persino io. Forse dovrebbe rivelare chi è veramente, ma non lo farà mai, quindi usa tutto quello che può per placare il dolore, per tenere lontani i demoni». Lorraine la fissò. «È lei che li tiene vivi, vero Juda? So la verità, so che ha troppa paura per ammettere di avere sangue nero nelle vene, ma non posso credere che sia tutto qui!». Juda sorrise. «Oh, vedo che ha parlato con Fryer, è l'unico che sia al corrente di questa storia. È così? È stata a trovare Fryer Jones?». Lorraine annuì. «Non so se sia al corrente del fatto che Anna Louise non era figlia di Robert Caley». «Oh, lo sa. Ma, signora Page, tenga presente che metà delle cose che le ha detto potrebbero essere frutto della sua fantasia. Il vecchio Fryer odia ammettere di non sapere qualcosa». «Signora Salina, lei ha ricattato o sta ricattando la signora Caley col suo segreto?». Juda fece una risatina, chiudendo gli occhi. «No, niente del genere, non mi abbasserei mai a fare una cosa simile». Lorraine inarcò un sopracciglio; se Ruby poteva aver spillato denaro a Robert Caley, era sicura che fossero state Juda o Edith a insegnarle quell'arte. «Lei non mi crede». «No, signora Salina, non le credo. Ho visto il suo appartamento e la sua limousine, vuole dirmi che se li è comprati con del duro e onesto lavoro?». Juda la fissò. «La signora Caley mi paga, lo ammetto, e mi paga bene, ma non è come crede lei, signora Page». «E allora com'è, Juda?». La donna sospirò e distolse lo sguardo. «La signora Caley è stata maledetta, molto tempo fa. Interpretando Marie Laveau in quel film, ha scoperto la fede e da quando ha incominciato a credere ha avuto bisogno di me. Questo è la sola cosa che sono stata per lei, qualcuno con cui parlare, qualcuno che conosceva i suoi segreti e sapeva come placare le sue paure. Elizabeth era ed è una donna molto spaventata».
«Davvero? E di cosa aveva paura?». Juda scrollò le spalle massicce, continuando a evitare lo sguardo di Lorraine. «E Anna Louise?». Juda bevve un sorso di tè. «Era ossessionata da suo padre, non c'è altro da aggiungere, lo voleva tutto per sé». «Lui la desiderava sessualmente?». Juda sorrise, scuotendo la testa. «No, cara, la ragazza era solo infatuata. Caley è un uomo molto bello e affascinante e Anna Louise stava solo attraversando una fase della sua giovane vita. Ma continuava a venire da me, mi implorava di aiutarla, mi chiedeva erbe, polveri d'amore e gris-gris. Io la lasciavo semplicemente parlare». «Le ha mai dato qualcuna delle cose che le chiedeva?». Juda distolse lo sguardo. «Devo guadagnarmi da vivere, ma non l'ho mai incoraggiata, le ho sempre detto che non avrebbe ottenuto niente di buono, che non era naturale che una ragazza amasse suo padre in quel modo». «Ma lui non era il suo vero padre, e lei lo sa. Gliel'ha mai detto?». La donna scosse la testa. «No, la ragazza non lo sapeva, quello era un grande segreto che tutti abbiamo mantenuto. Non potevo fare altro che dirle che ciò che voleva era impossibile, ma Anna Louise era come impazzita. Mi chiedeva di prepararle pozioni e altre cose di cui aveva letto su certi libri, era disposto a tutto pur di farlo innamorare di lei. Tenga presente che Anna Louise ha sempre passato molto tempo qui a New Orleans, fin da quando era una bambina, e certe volte restava qui per mesi e mesi. I componenti della servitù erano di colore e lei era intelligente, ascoltava tutto, aveva sempre voglia di imparare». Juda sospirò e chiuse gli occhi. «Io continuavo a ripeterle che ciò che voleva era sbagliato e che non avrebbe ottenuto niente di buono ma, sa, sembrava quasi che le piacesse quell'idea. Quella ragazzina aveva un lato oscuro. Odio parlarne adesso, ma certe volte aveva un'espressione dura e crudele. Era viziata, abituata ad avere tutto quello che voleva, ma la sola cosa che non poteva avere era suo padre sopra di lei! Era davvero disgustoso». «Che cosa pensa che le sia successo?». Juda aprì gli occhi e la fissò a lungo. «Cara, se lo sapessi, spetterebbe a me quel milione di dollari che le interessa tanto». «Come lo sa?». Juda sbuffò. «Ci sono poche cose che riguardano la signorina Elizabeth Seal di cui io non sia al corrente. La verità è che la sola cosa che so è che la ragazza è morta, da molto, molto tempo».
«Da undici mesi?». Juda annuì. «Sì, non c'è più da molto tempo, non sento più la sua presenza. Ecco, finalmente lo sa. Ma devo guadagnarmi da vivere, ho una famiglia numerosa da mantenere, e certe volte la signora Caley aveva bisogno di un po' di speranza». «Anche se era solo una menzogna?», chiese Lorraine freddamente. «Non volevo dirle che non percepivo più la presenza di sua figlia, perché sapevo che avrebbe ricominciato con la droga, peggio di prima. Cercavo soltanto di aiutarla a ritrovare il suo equilibrio». Lorraine si massaggiò le tempie. «Allora, lasci che glielo chieda ancora una volta, cosa pensa che sia successo ad Anna Louise?». «Mi hanno portata qui a New Orleans molto tempo dopo la sua scomparsa. Ormai era troppo tardi, non ho percepito niente». «E Ruby?». Juda le rivolse un sorriso tirato e Lorraine si rese conto che la donna era più tesa di quanto non volesse dare a vedere. «Be', Ruby è Ruby. È mia nipote. Cosa vuole sapere di lei?». «Lavorava per la famiglia di Tilda». «Mmm, mmm, sì, è vero. Sono stata io a trovarle quel posto. Anna Louise mi aveva detto che la sua amica aveva bisogno di una cameriera, così ho telefonato a Edith e Ruby ha chiamato i signori Brown. Sarà stato tre anni fa, ormai. È difficile trovare lavoro da queste parti, c'è molta disoccupazione». «Ma Tilda veniva da lei, vero? Insieme ad Anna Louise?». Juda strinse le labbra, il rossetto lucido e scarlatto che metteva in risalto le rughe che aveva attorno alla bocca, come crepe in un vaso di terracotta. «Una volta o due, le ho letto i tarocchi, la mano, ma niente di serio. Erano soltanto due ragazzine, non facevano niente di male. E mi hanno pagata cinquanta dollari!». «Tilda credeva in queste cose come Anna Louise, Juda? Voglio dire, erano molto amiche, forse pensavano che fosse divertente o interessante. Sono sempre venute insieme da lei?». La donna sospirò. «Una volta, la signorina Brown ha preso un appuntamento da sola, credo incoraggiata da Anna Louise. La piccola Tilda più che altro sembrava spaventata, e quando Anna Louise è venuta da me la volta successiva le ho detto di smetterla di inventarsi strane storie, perché la sua amica stava avendo orribili incubi per colpa sua. Deve capire, signora Page, che anche Tilda era nata qui, molto probabilmente era stata cre-
sciuta da governanti di colore, e i bambini tendono a distorcere le cose che sentono». Lorraine stava cominciando a innervosirsi. Si alzò e si mise a camminare su e giù per la sala. «Che tipo di incubi?». «Oh, non riusciva a dormire con la luce spenta, sciocchezze di questo genere. Per esempio, mi ha chiesto cosa doveva fare per togliersi il malocchio». «Chi era stato a farle il malocchio?». «Non lo so. Quando gliel'ho chiesto, lei mi ha risposto che lo aveva letto in un libro, nient'altro». «Anna Louise le ha mai chiesto di fare qualcosa di particolare per lei?». «Sì, gliel'ho già detto, incantesimi d'amore». «Non una bambola di morte? Un'immagine voodoo con l'immagine di Tilda?». Juda trasalì, torcendosi le mani in grembo. «No, no, io non scherzo con questo genere di cose, signora Page. Non avrei mai fatto niente del genere, per nessuna cifra». «Davvero? Proprio per nessuna cifra? Anna Louise era ricca, avrebbe potuto offrirle molto denaro?». Juda si alzò, infuriata, e si parò davanti a Lorraine, con le mani sui fianchi. «Non devo per forza stare qui ad ascoltarla. Dio mi è testimone, non abuserei mai dei miei poteri, né per una ragazzina né per chiunque altro. Non gioco con l'oscurità perché se lo facessi sprofonderei anch'io. Forse lei non vuole o non può capire che cosa sono, la mia è una vocazione. E non augurerei mai a nessuno di scoprire di avere un dono come il mio. Io aiuto la gente, non scherzo con il fuoco». Lorraine inarcò le sopracciglia. «Ne è sicura, Juda? Voglio dire, non mi sembra che le cose le vadano particolarmente male. E cosa mi dice di sua sorella, è un peso anche per lei avere questi poteri?». «Lei ci scherzi pure su, cara, non ci aspettiamo che voi bianchi riusciate a capire. Quando venite da noi, non è per il bene o per aiutare gli altri. Non è per diffondere felicità, amore e guarigione. Venite solo per il male. E l'unica occasione in cui volete credere è quando volete qualcosa da noi, è così da secoli». Lorraine fece una risatina irridente. «Andiamo, non siamo noi a tirare il collo alle galline e a bere sangue. Oppure sono i neonati che sacrificate durante le vostre allegre cerimonie in stile "ama il prossimo tuo"?».
Juda fece una smorfia, il suo volto scintillante come le sue labbra, il mascara nero che colava dalle ciglia finte. «Non riuscirà a farmi arrabbiare abbastanza da dire qualcosa che potrà usare contro di me, signora Page. Perché io non ho fatto niente». «Cosa? Non mi prenda in giro, ha nascosto delle prove, Juda. Ha dichiarato a me e alla polizia che Anna Louise e Tilda Brown non sono mai venute e farle visita. Ha ricattato Elizabeth Caley per anni. Può anche dirmi di non averlo fatto ma non le credo. Comunque, la sola cosa che sto cercando di fare è scoprire che cosa cazzo è successo ad Anna Louise, perché penso che sia stata lei a fare questa! E penso che l'abbia data a Tilda Brown». Lorraine aveva preso dalla valigetta la bambola avvolta nell'asciugamano dell'albergo e ora la stava porgendo a Juda. Respirando affannosamente, la donna spiegò l'asciugamano su un tavolino, e Lorraine si accorse che la sua parrucca nera si era spostata leggermente, lasciando intravvedere i corti capelli grigi. Juda era fradicia di sudore, e aveva i capelli bagnati appiccicati alla fronte e al collo. Aveva una V scura di sudore sulla schiena, le si erano gonfiate le caviglie e i piedi, che le scarpe scollate col tacco alto quasi non riuscivano a contenere. Lorraine la osservò esaminare la bambola, e notò che l'annusava, proprio come aveva fatto Fryer Jones. Alla fine la spinse da parte. «Questa non è stata fatta da un esperto di voodoo: da queste parti, quando si vuole fare della magia nera, ci si serve di altri metodi, le bambole si usano molto raramente. Questa è l'opera di un dilettante, è disgustosa. Lo spillo è un normale spillo da sarta, non del tipo giusto. Chiunque abbia fatto questa bambola non sapeva cosa stava facendo». Juda ricoprì la bambola con l'asciugamano. «Non l'ho fatta io, signora Page, e, onestamente, non conosco nessuno che possa averla fatta. Sto invecchiando e, come Edith, comincio a essere stanca delle trance e dei rituali. Bisogna farsi da parte per i giovani, io e Edith siamo solo due vecchie donne stanche ormai». «E Ruby? Anche lei ha dei poteri come quelli che lei dice di avere?». Juda ridacchiò. «Io dico di avere certi poteri, signora Page, e se solo lei provasse a scendere dal suo piedistallo, riuscirebbe a capire che li ho davvero. Il fatto è che la cosa la spaventa un po' troppo. C'è voluto molto tempo, ma anche lei sta cominciando a credere» «No, signora Salina, si sbaglia». Juda scosse la testa, prese un fazzolettino di carta dalla tasca e si asciugò
il viso. «In ogni caso non m'importa, ma forse dovrebbe chiederlo alla mia gallina dalle uova d'oro, come ha definito offensivamente la signora Caley, se la ricatto o meno. Glielo chieda, cara». «Forse lo farò». Juda si mise le mani sui fianchi larghi. «Non voglio tornare a Los Angeles, signora Page, voglio restare qui con la mia famiglia. Sono vecchia e stanca e non faccio che pregare che i nostri poteri abbandonino me e Edith, e penso che succederà presto. La piccola Ruby non ha la vista, e sa una cosa? Sono contenta per lei perché certe volte il dolore è insopportabile. Non diciamo quello che proviamo quando qualcuno vicino a noi piange, ma lo sappiamo sempre. La conoscenza è l'afflizione che ci perseguita dalla nascita». Si avvicinò a Lorraine e le prese il mento tra le dita, fissandola negli occhi. «Lei è una donna intelligente, signora Page, ha la vista acuta come quella di un falco, e non le sfugge niente. Ma mi basta guardarla per capire che sta soffrendo, proprio in questo momento, sta soffrendo per amore, ed è un dolore lacerante. È stata senza amore per tanto, tanto tempo e non lo troverà certo in fondo a una bottiglia». Lorraine arrossì e Juda rise dolcemente. «Ho ragione, vero? Ma sa cosa non capisco: perché non sono riuscita a prevedere che mio nipote mi avrebbe portato via tutti i miei risparmi? A cosa serve avere un dono quando posso avere visioni solo per quei poveri bastardi che vengono da me? Perché non posso prevedere le cose che mi riguardano? La vita non è facile». Lorraine si sedette e si sporse in avanti, incapace di impedirsi di chiedere: «Che cosa vede per me, Juda, nel mio futuro?». Juda scosse leggermente la testa. «Tesoro, le costerà cinquanta dollari». Lorraine fece per prendere il portafogli, ma Juda le appoggiò una mano sulla testa. «No... no. Deve andarsene, costruirsi un nuovo futuro da sola, cara, mi creda. Lei non vuole sapere cosa le riserva il destino. E d'altra parte io non ho l'energia per scoprirlo». Missy comparve sulla soglia. «Signora Salina, chiede di lei, vuole che resti qui, dice che non deve andarsene». Juda annuì e indicò la porta. «Io la sto tenendo viva, signora Page, e se mi paga per questo, chi sono io per non accettare? Ho una nipote che ha deciso di diventare regina indossando un abito favoloso e una sarta che chiede cifre indecenti, quindi se vuole salire da Elizabeth, faccia pure. Io
ho bisogno di darmi una rinfrescata». Lorraine la guardò uscire. Sembrava schiacciata, non solo dal suo peso, ma da qualcos'altro, una specie di tristezza. Poi si ricordò che Fryer le aveva detto che un tempo era stata una donna bellissima. Lorraine bussò alla porta della camera da letto di Elizabeth Caley. «Juda, sei tu?». Era la voce di una bambina spaventata, e quando Lorraine aprì la porta, vide che le persiane erano chiuse. Anche in quella semioscurità, il volto di Elizabeth sembrava bianco come un lenzuolo, così pallido che Lorraine si preoccupò. «Sono io, Lorraine Page, signora Caley. Si sente bene?». «Vada via, voglio Juda, ho bisogno di Juda. Non posso vedere nessun altro in questo momento. Vada via. Juda, Juda!». Elizabeth si rannicchiò attorno a un cuscino, la sua voce a malapena udibile. «Per favore, per favore, chiami Juda, ho bisogno di lei... sto male, sto molto male». Lorraine si avvicinò al letto, mentre Elizabeth gemeva e distendeva il corpo. Aveva i pugni stretti e stava emettendo dei suoni bassi e gutturali, mentre il corpo era scosso da un tremito incontrollabile. «Juda! Juda!», urlò, e i suoi occhi rotearono all'indietro finché fu visibile soltanto il bianco della cornee. Lorraine era spaventata, non sapeva cosa fare, ma in quel momento Juda entrò nella stanza. Ora indossava un ampio vestito che le arrivava fino ai piedi e un turbante di seta blu, ed era scalza. «Sono qui, tesoro, stai tranquilla, Juda è qui con te». Lorraine la guardò inumidire un asciugamano sotto l'acqua corrente del bagno e poi immergerlo in un secchiello del ghiaccio che si trovava accanto al letto. «Vuole chiedere qualcosa alla signora Caley? Faccia pure. Ha mai visto qualcuno comportarsi così? La guardi bene, signora Page, questi sono i suoi demoni». Lorraine guardò verso il letto. Elizabeth gemeva e si contorceva tra le lenzuola, ma Juda non sembrava minimamente preoccupata. «Sono trentacinque anni che sta così. Ha cominciato durante la lavorazione di quel film. Hanno lanciato una maledizione su questa povera bambina, le hanno fatto credere che lo spirito del serpente fosse dentro di lei, e certe volte non riesce a dominarsi. È per questo che adesso sta urlando. Non sono le droghe o l'alcol a farla comportare così ma le sue paure. Questo è ciò che il male può fare. È questo che si ottiene quando si gioca con
gli spiriti, signora Page. Questa povera donna è maledetta». «Non capisco», sussurrò Lorraine. «No, le persone come lei non capiscono mai. Ora, se non ha niente da chiederle, lasci che la calmi. È per questo che sono pagata, e lo faccio perché lei non può fidarsi di nessun altro». Lorraine lanciò un'ultima occhiata a Elizabeth Caley e uscì. Si richiuse la porta alle spalle, senza capire esattamente cosa stava succedendo. Ma voleva andarsene, perché vedere una persona così fuori controllo la snervava. Ma quando si sedette in auto, era ormai certa che Elizabeth Caley soffrisse di un qualche genere di epilessia. Juda sedeva vicino al letto di Elizabeth, intenta a bagnare l'asciugamano con cui le detergeva la fronte sudata. La bellezza di Elizabeth non finiva mai di sorprenderla e di toccarla nel profondo, proprio come i suoi demoni invece la sfibravano e la svuotavano di ogni energia. Tutte quelle terribili maledizioni scagliate sulla giovane Elizabeth Seal avevano creato un abisso di dolore e di paura dentro il quale era vissuta per tutti quegli anni e da cui non sarebbe mai riuscita a uscire. Juda sapeva che la sola cosa che poteva fare era calmarla e impedirle di sprofondare in uno stato di terrore che le avrebbe paralizzato la mente e il corpo. Ora stava lenendo la sua anima spaventata, le parlava dolcemente, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene. Juda sentiva il male, a volte lo aveva assorbito nel suo corpo, proprio come aveva sentito la solitudine di Lorraine Page. Guardandola in viso, aveva visto una profonda insicurezza e Juda aveva provato compassione per lei - non molta, ma un po'. «Juda», mormorò Elizabeth. «Sono qui, cara, come sempre, sono qui vicino a te, non ti lascerò». Elizabeth strinse spasmodicamente la mano di Juda, conficcandole le unghie nel palmo. Si contorse, scossa da violenti conati di vomito, ma non aveva niente da rigettare: era come se si stesse liberando di qualcosa che era dentro di lei. Aveva la bava alla bocca, il mento coperto di saliva e la lingua fuori. Ebbe un ultimo, terribile conato, poi rimase immobile e a poco a poco lasciò andare la mano di Juda. Era finita. Dieci minuti dopo, i suoi meravigliosi occhi si aprirono e la paura era scomparsa. Juda vide il suo sorriso di gratitudine, dolce e innocente. «Tutti mi lasciano, Juda, ma non tu. Ti voglio bene, Juda, ti voglio bene». Juda la baciò su una guancia perfetta. «Lo so, sei calma adesso, nessuno
ti farà del male Marie. La mia piccola Marie Laveau». Elizabeth chiuse gli occhi e sospirò. «Parlami ancora di lei. Parlami della sua forza». Juda sorrise. «Be', ricordi il giorno in cui ci siamo conosciute e c'era la scena del serpente, e tu mi hai detto: "Juda, non riuscirò mai a farmi toccare da quella cosa"? Io ti ho detto: "Coraggio, se ce l'ha fatta Marie Laveau, puoi farcela anche tu. Dovrai danzare con il serpente, innamorartene, sentire il suo corpo dentro il tuo" e tu hai detto...». «Danza come me, attraverso l'inferno». Juda la teneva tra le braccia, cullandola dolcemente. «Sì, tesoro, mi hai dimostrato che non avevi paura. Vuoi danzare adesso, cara, o sei troppo stanca?». Elizabeth scostò le lenzuola e, aiutata da Juda, si alzò in piedi, la camicia da notte di chiffon stropicciata che lasciava intravvedere il suo corpo stupendo, luccicante di sudore. «Voglio danzare, Juda». Non riusciva nemmeno a ricordare quante volte aveva assistito a quello spettacolo, ma lo guardò come se fosse la prima volta, sussurrando incoraggiante mentre Elizabeth inciampava e barcollava nella stanza, le braccia sinuose come serpenti e la sottile camicia da notte bianca che ondeggiava attorno al suo corpo. Juda aveva voglia di piangere, di piangere per l'esotica bellezza che un tempo era stata Elizabeth Caley, che per un momento aveva permesso al suo vero sangue di risplendere, trasformandosi sulla pellicola nella reincarnazione della più grande regina voodoo di tutti i tempi. Non solo Juda, ma anche molti altri avevano giurato di aver visto Marie Laveau tornare in vita per pochi brevi istanti durante quella scena straordinaria: la macchina da presa aveva continuato a riprendere, il regista non aveva detto niente, nessuno dei membri della troupe aveva parlato. Elizabeth Seal aveva danzato fino allo sfinimento. Ma non era finita, nemmeno quando Juda l'aveva aiutata a tornare alla sua roulotte. Non era uscita dalla trance e Juda non era stata capace di fermare gli uomini che erano arrivati per convincerla a passare una notte di dissolutezza in loro compagnia. Anche quando la troupe e il regista se n'erano andati, la «danza» era continuata finché quegli uomini non l'avevano portata nella palude. Avevano impedito a Juda di seguirli ed Elizabeth era stata portata indietro solo all'alba: era stata violentata più volte, il volto e l'abito coperti di sangue. Quali che fossero le cose terribili che Elizabeth Caley aveva dovuto subire, non si era
mai più ripresa e aveva vissuto e stava ancora vivendo nel terrore, e talvolta la sua mente la riportava indietro nel tempo, nel mondo oscuro di quella notte terribile. Elizabeth Caley credeva di essere stata maledetta per aver interpretato la famosa Marie Laveau, ma quando le era stata data l'opportunità di ammettere che aveva tutto il diritto di farlo, perché nelle sue vene scorreva sangue nero, lei si era rifiutata dichiarando pubblicamente che quelle insinuazioni non erano altro che volgari menzogne. Ancora oggi temeva che qualcuno potesse scoprire il suo segreto, ma dato che sia sua madre che suo padre erano morti poco dopo l'uscita del film, nessuno poteva tradirla, eccetto il sole. Elizabeth Caley non era allergica al sole, non bruciava la sua pelle candida, ma mostrava la sua eredità. Se la verità fosse stata rivelata ai tempi in cui Elizabeth era una star di Hollywood, nessuno l'avrebbe più fatta lavorare. La nascita di sua figlia, Anna Louise, aveva messo fine ai pettegolezzi - i capelli biondi e gli occhi azzurri della bambina avevano sepolto ancora più profondamente il segreto di Elizabeth, perché Anna Louise aveva preso dal suo vero padre, Lloyd Dulay. Biondo con gli occhi azzurri, era l'uomo che Elizabeth aveva amato per più di vent'anni, ma come ogni altra cosa nella sua triste vita, anche quell'amore aveva dovuto rimanere segreto. CAPITOLO 17 Rosie riagganciò e guardò Rooney. «La cameriera dei Caley ha detto che se n'è appena andata». Lui sospirò. «Be', forse ti stai preoccupando per niente, tesoro». «No, Bill, tu non sai com'era. Non puoi capire, Lorraine è un'alcolizzata - se beve un drink, non sarà certo l'ultimo». «Maledizione, ma si è alzata prima di noi. Forse è più resistente di quanto non creda». «Già, e forse la conosco meglio di quanto lei conosca se stessa, Billy, e se vuoi saperlo, è perché ho la sua stessa dipendenza. Molte volte ho pensato di potermi controllare, mi dicevo "solo un paio di drink, non mi faranno male" ma, credimi, fanno male eccome, e io sono preoccupata». «Le vuoi molto bene, vero?». Rosie lo guardò sorpresa. «Naturalmente. Voglio dire, litighiamo e ci insultiamo, ma in realtà lei è l'amica migliore che abbia mai avuto». «A me non sembra. Ha la lingua di una vipera, lo so perché mi ha sputa-
to addosso un bel po' di veleno». Rosie sospirò. «In ogni caso, Bill, è grazie a lei che siamo qui. Ed è grazie a lei che forse riusciremo a guadagnare una montagna di soldi. Me l'hai detto e ripetuto un sacco di volte, era la migliore, quando era sobria». «Lo so, e forse devo affrontare il fatto che non valgo quanto lei. Mi supera in tutto, riesce a trovare indizi di ogni genere ed è molto più veloce di me, e ultimamente sono stanco, sai? Non so se è per mancanza di incentivi, ma non sono un numero uno, non lo sono mai stato... fino ad ora non me n'ero mai reso conto». «Sì che lo eri e lo sei ancora - guarda come sei riuscito a far parlare quel poliziotto». Lui ridacchiò. «No, Rosie, io vengo dalla vecchia scuola, la mia è una specie in via d'estinzione, e sai una cosa? Ho sempre avuto paura di ammetterlo ma è la verità - ho passato tutta la vita in mezzo agli scarti dell'umanità e adesso mi piacerebbe passare gli anni che mi restano da vivere respirando un'aria migliore. Ci ho pensato molto». Di colpo Rosie si sentì terrorizzata: stava forse cercando di dirle che voleva vivere la sua nuova vita senza di lei? Aveva il cuore in gola. Lui continuò. «Forse non t'interessa ma, Rosie, se avremo quel denaro, credo che dovremmo divertirci, viaggiare, magari andare in Europa. Ho sempre desiderato vedere Vienna ... un'altra cosa che non avevo mai detto a nessuno». Rosie lo abbracciò forte. «Bill, andrei dovunque con te, a Vienna, in Cina...». «In Cina?», disse lui, guardandola negli occhi. «Già, ho sempre desiderato andarci, non chiedermi perché. Mi piacerebbe andare in qualche posto esotico, stimolante, sai?». Lui le sorrise raggiante. «Come la Cina. Ma prima non pensi che dovremmo comprare un anello, sai, per rendere il tutto più ufficiale?». Rosie traboccava di felicità e lo baciò appassionatamente. Erano al centro della hall e né lei né Rooney si curarono del gruppo di vecchie signore che stava passando loro accanto. Nessuno prestò loro attenzione - a New Orleans c'erano un sacco di cose più interessanti da vedere di una vecchia coppia che si baciava. Lorraine sedeva nell'auto parcheggiata davanti alla casa di Tilda Brown. Stava finendo la sua seconda lattina di vodka e Coca e stava pensando al modo migliore di muoversi in quella situazione: affrontare direttamente i genitori della ragazza o passare dalla porta posteriore e parlare con la ser-
vitù? Disse a François di fermarsi davanti al curatissimo viale d'accesso dei Brown e cercò di racimolare le forze per aprire la portiera, ma si sentiva stanca e svuotata. Robert Caley era di nuovo il primo nella lista dei sospettati e quel fatto la faceva soffrire. Ripensare a ciò che Nick aveva detto la faceva soffrire, la sua morte la faceva soffrire, tutto la faceva soffrire. Non riusciva a scendere dall'auto. «Va tutto bene, signora Page?». «No, François, per niente. Sto pensando a un bravo ragazzo che è morto, e a un altro che credevo fosse un bravo ragazzo ma mi sbagliavo. Se entro in quella casa, dovrò uscire con un risultato concreto, altrimenti non potrò entrarci mai più». François si voltò a guardarla. «Posso darle un consiglio?». Lorraine fece una risatina stanca. «Perché no?». «Be', il mio consiglio è di tornare domani. Non è forte abbastanza adesso, lo sento. Qualunque cosa debba scoprire in quella casa può aspettare». Lei sorrise, annuendo. «Già, hai ragione. Torneremo domani. E domani non berrò». Lui le rivolse il suo ampio sorriso fatto per metà di denti mancanti e per metà di denti d'oro. «D'accordo, signora Page». Juda era in cucina e anche solo il profumo del pollo fritto la faceva sentire meglio. La piccola casa era stata tirata a lucido, non ricordava di averla mai vista così pulita. Avevano portato le sue valige nella camera di uno dei ragazzi. Nell'aria c'era un delizioso profumo di fiori. Willy e Jesse, che indossavano i loro abiti migliori, e Sugar May, che indossava un vestito a fiori, stavano preparando la tavola. Edith si era cambiata ed era molto felice di vedere Juda. L'abbracciò affettuosamente, quasi dimentica della cosa terribile che aveva fatto Raoul. Non ne discussero subito perché la sarta di Ruby era arrivata per l'ultima prova e nella casa l'eccitazione era quasi palpabile. Dal salotto, Ruby strillò che nessuno doveva entrare prima che il vestito fosse pronto. Edith aprì una bottiglia di birra e ne versò un bicchiere a Juda. «Puoi fermarti un po'?». «Be', dipende. Devo essere a disposizione della signora Caley, sta di nuovo molto male, ma è resistente come un vecchio ronzino, quella donna. Sta così male, Edith, ma sono sicura che si riprenderà anche questa volta». Juda sorseggiò la birra. Edith prese una sedia e si accomodò di fronte alla
sorella. «Sai che c'è sempre un posto qui per te». «Lo spero bene, Edith, visto sono sempre stata io a pagare tutto!». All'improvviso, risuonò lo squillo attutito del telefono chiuso nel cassetto ed Edith guardò Juda, confusa. «È il telefono, rispondo io. Non so chi possa essere, tu sei l'unica persona che ha il numero». Edith aprì il cassetto e prese il telefono che stava ancora squillando. «Potrebbe essere Fryer, anche lui ha il numero». Rispose con aria quasi circospetta. «Pronto?». Sentì solo il fruscio della statica. «Chi parla, per favore?», chiese Edith nervosamente, sempre spaventata all'idea che un giorno o l'altro la compagnia dei telefoni potesse chiamarla. «Mamma? Chiamo da un cellulare», disse la voce di Raoul. Edith si lasciò cadere sulla sedia, cominciando a sudare. «Dove sei, ragazzo? Dove sei?». Raoul scoppiò a ridere e le disse che la stava chiamando dalla sua auto. «Voglio tornare a casa, mamma, ma solo se non comincerai a strillare e a lanciarmi maledizioni. So che ho fatto una cosa sbagliata, lo so, ma voglio tornare a casa per l'incoronazione della mia sorellina». Edith passò il ricevitore a Juda. «È Raoul, parlaci tu, non voglio avere niente a che fare con quel ladro buono a nulla». Juda agguantò il telefono. «È in auto, chiama da un cellulare», le spiegò Edith. «Sì, zia Juda, meno qualche dollaro, ma non ci penso neanche a tornare a casa se hai intenzione di farmi qualcosa di male. È stata una follia, ti restituirò fino all'ultimo centesimo. Voglio solo stare con la mia famiglia e avere il tuo perdono e vedere l'incoronazione di mia sorella». «Sei fatto?». «Diavolo, no, zia Juda, sono pulito, non mi drogo più, perché è colpa della droga se ho fatto una cosa orribile come rubare a te, sangue del mio sangue». Juda fece una smorfia. «Hai la lingua sciolta, ragazzo, ma adesso torna a casa. Portami i miei soldi e forse riusciremo a risolvere la faccenda in maniera civile, ma ti giuro su Dio che se scompari manderò il diavolo in persona a cercarti». «Tornerò a casa presto, zia Juda, ora devo andare». Juda riagganciò rabbiosamente il telefono. Avrebbe voluto dirgli che lo avrebbe frustato fino a farlo sanguinare, ma prima voleva che le restituisse
i suoi risparmi. Edith era pronta ad affrontare l'argomento, ma proprio in quell'istante Ruby si mise a strillare dicendo che dovevano andarla a vedere. Juda si alzò e Edith le prese la mano. «È cambiata, Juda, è successo così rapidamente. Vedrai, stenterai a riconoscerla. Non è più la ragazzina che hai visto l'ultima volta che sei stata qui». Juda finì la birra e appoggiò il bicchiere sul tavolo. «È una brava ragazza, Edith?». La sorella annuì e prese Juda sottobraccio. «Mi ricorda come eravamo noi una volta, Juda». Juda parlò a bassa voce, perché non voleva che Jesse e Willy la sentissero. I due ragazzi avevano paura persino di prendere una lattina di Coca dal frigo senza permesso. La lezione di Fryer li aveva convinti a comportarsi bene, almeno per un po'. «Fino a che punto, Edith?», domandò Juda. Edith la guardò negli occhi. «In tutto. Non l'avrei mai immaginato ma oggi mi ha aiutata e c'era qualcosa in lei, l'ho sentito chiaramente». Edith aprì la porta e Juda la seguì. Quando videro Ruby si presero per mano per l'emozione. Persino la vecchia sarta bisbetica era sull'orlo delle lacrime e sorrideva orgogliosa. Ruby si voltò lentamente a guardare la madre e la zia. C'era una sola luce accesa e la circondava come una soffice aura: i preziosi ricami d'oro dell'abito lo facevano quasi scintillare. Il corpetto attillato metteva in risalto la vita snella della ragazza mentre la scollatura squisitamente ricamata accentuava il colore ambrato della sua pelle. Il taglio era semplice e le lunghe maniche blu erano ornate da decine di piccoli bottoni dorati. L'abito aderiva ai fianchi di Ruby e si raccoglieva in un ricco falpalà: solo una ragazza con il fisico snello e perfetto poteva indossare un vestito come quello. La gonna arrivava fino a terra ed era ampia e fluente. «Guarda mamma, guarda». Ruby sorrise sollevando leggermente la gonna per mostrarle la fodera di seta e le sottogonne di tulle, e le scarpe dorate dal tacco alto che le mettevano in risalto le caviglie snelle e sottili. Ruby fece un giro su se stessa facendo frusciare le gonne e i ricami dorati scintillarono come la luce del sole sull'acqua. Edith si asciugò gli occhi umidi di lacrime. «C'è anche un mantello», gridò Ruby e fece un cenno alla sarta che spiegò un ampio mantello di seta blu con le stesse decorazioni dorate del vestito, e lo fissò sulle spalle di Ruby con due fermagli d'oro mentre la ragazza
si raccoglieva i lunghi capelli scuri in un morbido chignon. «Ecco, ragazza, mettiti questi prima di indossare il cappello», disse la sarta, togliendosi i cerchi d'oro che portava alle orecchie. «Provali, vediamo come stanno con i tuoi capelli». Ruby si mise gli orecchini, lo sguardo basso e quasi timido. «Oh Dio, Dio, Dio», sussurrò Juda. «Ti piaccio, zia Juda?», domandò la ragazza a bassa voce, e solo allora alzò gli occhi del colore della notte e incontrò quelli di Juda. Quelli erano occhi che racchiudevano segreti, che avrebbero scrutato negli incubi e nei sogni. Juda sussurrò, quasi intimidita dalla nipote: «Oh sì, mi piaci, mi piaci. Ora sei pronta a essere una vera regina, Ruby. C'è una luce nei tuoi occhi adesso bambina, riesci a sentirla? Non abusarne mai, tesoro, perché è molto preziosa». E poi quella luce scomparve: la sarta mise a Ruby il copricapo di piume di struzzo e la ragazza ricominciò a ridere e a mettersi in posa, come se fosse tornata a essere la giovane Regina del Carnevale. Ma Juda sapeva cosa aveva visto e guardò sua sorella. Non ebbero nemmeno bisogno di scambiarsi una parola - entrambe sapevano bene quanto il dono della vista fosse prezioso e sapevano anche che avrebbe reso a Ruby la vita molto difficile. Ma loro sarebbero state là per lei quando l'oscurità avrebbe cercato di farla sprofondare nell'oblio. Lorraine sedeva al tavolo da quattro soldi della sua camera d'albergo, e stava aggiornando le loro informazioni. Aveva trovato un biglietto di Rosie e Rooney che la informavano che sarebbero usciti a cena e la invitavano a unirsi a loro. Oltre al nome del ristorante, c'era anche il numero di telefono di un gruppo di AA e un P.S. di Rosie, sottolineato, in cui l'amica le diceva che se le era rimasto un minimo di buon senso, avrebbe fatto meglio ad andare alla riunione. Nonostante l'invito a raggiungerli al ristorante, il biglietto la fece sentire esclusa e colpevole per aver bevuto tutto il giorno, anche se aveva cercato di contenersi, in modo da essere sicura che nemmeno una persona che la conosceva bene come Rosie potesse accorgersene. Nascose le bottiglie che aveva comprato - con tutti quei letti aveva solo l'imbarazzo della scelta - poi ordinò dell'altra Coca, un hamburger e delle patatine fritte. Finì di ricopiare i suoi appunti, assicurandosi che fossero ordinati e leggibili. Niente avrebbe dovuto tradirla, nessuno avrebbe dovuto sospettare che aveva ricominciato a bere: non riusciva ad ammetterlo nemmeno a se stessa.
Era mezzanotte passata e Fryer si stava dondolando sulla sedia, spostando lo sguardo da Juda a Edith, un mezzo sorriso sulle labbra. Certe volte, arrivava a dimenticarsi quale delle due sorelle avesse sposato, e non era pronto a giurare di non averle sposate entrambe. Era stato con entrambe in più occasioni, e quello era il motivo per cui Eddie Corbello se n'era andato, e non sapeva quali dei figli di Edith in realtà fossero suoi. Non era affatto sicuro di aver davvero divorziato da Juda. Non aveva intenzione di rovinare il buonumore della loro riunione alcolica. Riempirono nuovamente i bicchieri. Stavano bevendo in onore della più potente regina voodoo di tutti i tempi, Marie Laveau, la cui luce risplendeva ora negli occhi di Ruby Corbello. Il vino cominciava a fare effetto, e le loro voci impastate dichiararono che nessuno avrebbe mai potuto distruggere il passato che apparteneva alla loro gente. Juda ed Edith brindarono ancora, mentre Fryer saltava in piedi; aveva bevuto abbastanza. «Buonanotte a tutti. Tenete d'occhio la piccola Ruby, e se dovesse cacciarsi nei guai, chiamatemi. Voi due streghe potrete anche non essere d'accordo ma ho un ruolo importante in questa famiglia». Uscì e s'incamminò lungo il vicolo tra le case fatiscenti, ansioso come sempre di andare nel suo locale a suonare. Pensava di aver coperto tutte le possibili tracce e Ruby e i ragazzi, che fossero figli suoi o meno, erano al sicuro adesso. Ben presto, le sue vecchie labbra screpolate avrebbero baciato la cosa più bella del mondo, il suo trombone. Lorraine continuò a sfogliare il suo taccuino, rileggendo gli appunti e trascrivendo nomi e date in un nuovo blocco, e solo dopo mezzanotte si lasciò cadere sul letto. Non aveva ricevuto telefonate da Robert Caley e comunque aveva dato ordine alla reception di dirgli che non era in camera, nel caso avesse chiamato. Aveva chiesto di essere svegliata alle sette del mattino e aveva fatto lasciare un messaggio a Rosie e a Rooney in cui fissava un incontro a colazione alle sette e trenta. Lorraine era così esausta che si addormentò non appena la sua testa toccò il cuscino, ma si svegliò molto prima delle sette. Quando chiamarono dalla reception si era già fatta la doccia e si era vestita. Controllò gli appunti ancora una volta, prima di scendere in sala da pranzo. Aveva bevuto solo un piccolo sorso dalla bottiglia, poi aveva compiuto il suo solito rituale, versando nel water parte della Coca e riempiendo la lattina di vodka. Niente nei suoi modi, ne era sicura, poteva tradirla.
Rooney e Rosie erano già seduti anche se erano solo le sette e venticinque. «'Giorno, grazie per esservi alzati così presto, avremo molto da fare oggi». «È per questo che siamo qui, svegli e pronti, in attesa dei tuoi ordini, capo», disse Rooney versandole una tazza di caffè. Lorraine appoggiò la Coca sul tavolo e aprì il taccuino, lasciando perdere i convenevoli e andando subito al punto. «Okay, avete trovato il gris-gris nella stanza di Nick?». «No, non c'era niente nella sua camera», rispose Bill, e Lorraine mordicchiò il cappuccio della biro. «Sei sicuro che lo avesse quando è uscito?». «No, perché non l'ho visto uscire quella sera, ma lo aveva portato tutto il giorno. Anzi, credo che non se lo fosse più tolto da quando Fryer Jones glielo aveva regalato». Lorraine prese un appunto e alzò lo sguardo su Rooney. «Parliamo del giornale. Hai la conferma scritta che fosse proprio quello del quindici febbraio dell'anno scorso?». Bill annuì e si tolse di tasca il foglio di giornale ripiegato. «Questo significa che la bambola è stata data a Tilda o quel giorno o il giorno successivo. Di solito la gente quando usa i giornali per impacchettare qualcosa, si serve di quello del giorno prima. Però non possiamo escludere che sia successo più tardi e che quel vecchio giornale fosse semplicemente rimasto in giro. Comunque, più o meno, sappiamo quando la bambola è stata data a Tilda Brown». «Mmm», disse Lorraine sorseggiando il caffè. Chiuse il taccuino e diede una rapida scorsa al menu, poi lo mise da parte. Non aveva fame, l'unica cosa che voleva era un sorso della sua lattina di Coca. Allungò una mano e la prese. Rosie lanciò una rapida occhiata a Rooney e poi di nuovo alla lattina. Quando Lorraine cominciò ad aggiornarli sugli sviluppi del giorno precedente, l'amica la interruppe. «Cosa? Tilda si scopava Robert Caley? Dici sul serio?». «Sì, be', lo aveva scritto nel suo diario, potrebbe anche essere stata solo una sua fantasia, ma ne dubito dal momento che Caley ha pagato Ruby Corbello per averlo. Ci dev'essere qualcosa di vero, e questo in parte spiegherebbe perché Anna Louise si era infuriata così tanto nel vedere il padre che baciava Tilda. Forse sapeva tutto. Mi sbagliavo riguardo all'orso di peluche, Tilda lo aveva da mesi o almeno così mi ha detto Ruby, e comunque
credo che non abbia importanza. Credo che quel diario sia stato distrutto». Rooney diede un'occhiata al menu, poi guardò Rosie. «Ordini tu? Niente di troppo calorico». Rosie annuì e fece un cenno alla cameriera. Ordinò altro caffè e frutta fresca. «Tu non mangi niente?», chiese Rosie, voltandosi a guardare Lorraine. «No, mi basta il caffè». Il piede di Lorraine continuava a battere leggermente contro la gamba del tavolo. Contò sulle dita ciò che aveva scoperto sul conto di Elizabeth Caley e sul coinvolgimento di Juda, interrompendosi di tanto in tanto per sorseggiare il caffè e la Coca. «Quella bambola è stata fatta da Ruby Corbello, da Juda o da Edith. O magari da Fryer Jones? È stato sicuramente uno di loro, ne sono certa, quella bambola doveva servire a spaventare a morte Tilda. Ma la ragazza non si è uccisa quando le è stata data la bambola, quindi che cosa l'ha spinta ad aspettare tanto tempo e perché non l'ha distrutta?». Bill si versò un'altra tazza di caffè. «Pensi che sia stata Anna Louise a darle la bambola?». Lorraine rispose bruscamente: «Sì, è ovvio. Il punto è quando e come l'ha avuta, e quando l'ha portata da Tilda?». Rooney si grattò una guancia. «Secondo me è stato la sera della sua scomparsa, forse pensava di poter tornare in hotel prima di cena, ma è successo qualcosa o mentre era dai Brown o mentre tornava in albergo». «Già, infatti», disse Lorraine annuendo, «ho ripensato un'infinità di volte a quello che ho detto a Tilda quando l'ho interrogata e non sono riuscita a ricordare niente che possa averla spinta a uccidersi, niente che mi possa essere di aiuto. La sola cosa che le ho detto era che la relazione sessuale di Anna Louise con il padre poteva essere il motivo della sua scomparsa. Ora sappiamo che non era Anna Louise ma Tilda ad avere una relazione con Caley, quindi la ragazza potrebbe aver pensato che avrei parlato con lui e che avrei scoperto tutto e per questo si è impiccata. Inoltre, il fatto che avevo la foto di Anna Louise al Viper Room potrebbe averla spaventata ulteriormente, perché nel biglietto che ha lasciato prima di suicidarsi c'era scritto una cosa tipo "Che Dio mi perdoni"...». La cameriera arrivò con la colazione: avvicinò un carrello e mise sul loro tavolo un'altra caraffa di caffè e una grande fruttiera. Per tutto il tempo, Lorraine continuò a picchiettare nervosamente contro la gamba del tavolo. «Interroga il fattorino dell'hotel di Caley, quell'Errol, prova a spaventar-
lo un po', Bill. È stato lui a far entrare Ruby Corbello, ha consegnato a Caley il messaggio della ragazza e non ne ha fatto parola né con me né con la polizia». Lorraine finì la lattina di Coca, poi mise altro zucchero nel caffè. «Non vuoi del miele?», domandò Rosie. «Possiamo chiederlo». «Lo zucchero va benissimo». Rosie la stava osservando con attenzione: poteva anche sbagliarsi ma qualcosa le diceva che Lorraine aveva ripreso a bere. L'amica guardò nel pacchetto di Marlboro Light, come se pensasse che fosse rimasta almeno una sigaretta, ma era vuoto e lo accartocciò e lo buttò via. «Vuoi un altro pacchetto?». «Più tardi», disse Lorraine nervosamente. «Okay, ecco cosa dobbiamo fare oggi. Stai lontano da Caley, Bill. Io non ho intenzione di avvicinarmi al suo hotel perché non voglio ancora affrontarlo! Quanto a te, Rosie, controlla tutte le società di taxi e cerca di scoprire le registrazioni delle corse della notte in cui Anna Louise è scomparsa». Rooney annuì poi guardò Rosie. «Sappiamo che li hanno già interrogati e che non hanno scoperto un cazzo, quindi questa volta faremo domande ben precise: abbiamo una data, il quindici febbraio, un orario, circa le sette, e un indirizzo, quello dei Brown. Forse uno dei tassisti si ricorderà di qualcosa se dirai che è stata ritrovata una borsa che nessuno è mai venuto a reclamare e che un tassista l'ha portata agli oggetti smarriti. È come cercare un ago in un pagliaio, ma vedi cosa riesci a trovare, Rosie. Di' che c'è una ricompensa in ballo, non so, inventati qualcosa ma non fare mai il nome di Anna Louise e non dire niente che abbia a che fare col caso». Rosie annuì: le piaceva quando Bill tornava a essere il vecchio capitano Rooney, anche se non lo conosceva bene ai tempi in cui lavorava ancora alla polizia. Lorraine aveva ripreso a sfogliare i suoi appunti ed era così concentrata che Rooney dovette darle di gomito per attirare la sua attenzione. «Forse dovrei andare alla polizia per scoprire se hanno perquisito il locale di Fryer in cerca della collana». «Già, buona idea. Se non l'hanno fatto, chiedi una perquisizione, o magari vai di persona e fatti accompagnare da un agente. Quel tizio a cui hai dato cinquecento dollari potrebbe esserti d'aiuto, se è il caso pagalo ancora. Ma non andarci da solo, Bill, è un quartiere pericoloso». «Ma tu ci sei andata!».
Lei annuì. «Già, lo so, ed è stata una mossa stupida, ma visto che sono un branco di sciovinisti bastardi, ne sono uscita viva. Invece un uomo potrebbe anche non farcela. C'è un barman che è infido come un serpente e fin troppo muscoloso, quindi fa come ti ho detto e non correre rischi inutili». Rosie sorrise e spinse indietro la sedia. «Vado a prenderti le sigarette. Ci metterò un attimo, le vendono alla reception». Lorraine alzò lo sguardo e sorrise. «Grazie, Rosie». Rooney cominciò a sbucciare una mela. «Allora, cos'altro c'è all'ordine del giorno? Voglio dire, io so che cosa devo fare oggi, ma tu?». Lorraine si accigliò. «Le indagini proseguono», continuò Bill, «ma... sai, per quanto riguarda la scomparsa di Anna Louise, non abbiamo fatto molti progressi, anche se abbiamo trovato un mucchio di indizi. Ci abbiamo messo molto ad arrivare fino a questo punto e ora il tempo stringe. Senza quel diario, senza una prova che ci fosse qualcosa di sessuale tra Caley e Tilda Brown, sarà soltanto la tua parola contro la sua. E non farà una gran figura sul rapporto che dovrai stilare. Che cosa scriverai, che hai avuto alcune informazioni scopandoti l'imputato?». Lorraine sospirò e distolse lo sguardo. «Certe volte colpisci sotto la cintola, Bill». «Sì, ma sai che ho ragione». Lorraine annuì. «Andiamo, Bill, non siamo messi poi così male, e forse avremo fortuna coi tassisti». Rooney masticò una fetta di mela. «Lo credi davvero? Be, da' un'occhiata ai vecchi rapporti sul caso, sono stati interrogati praticamente tutti i tassisti della città, hanno mostrato loro la foto di Anna Louise. Nessuno ha mai ammesso di averla fatta salire sul suo taxi, né di averla vista. Le indagini dei poliziotti e degli altri detective privati sono sempre iniziate da lì, sia a New Orleans che a Los Angeles. E non hanno trovato niente. Vuoi una fetta di mela?». Lorraine sorrise e aprì la bocca come un uccellino in un nido. «Certo, mi piace sbucciata, ha sempre un gusto diverso, vero?». Rosie aveva detto alla receptionist che doveva salire in camera di Lorraine a prendere una cosa, e dal momento che la ragazza sapeva che erano amiche, non aveva esitato a darle la chiave. Rosie fu veloce: conosceva i posti dove Lorraine era solita nascondere gli alcolici e non impiegò molto a trovare le bottiglie di vodka sotto i materassi. Le lasciò dove le aveva
trovate e uscì. «Un pacchetto di bastoncini cancerogeni», disse gettando le sigarette sul tavolo e osservò Lorraine prendere il suo taccuino e alzarsi, pronta ad andarsene. «Dovremmo parlare ancora un po'», disse Rosie in tono pacato. «Non ho altro da dire, Rosie, non abbiamo tutto questo tempo per starcene qui a discutere». «Hai bisogno di andare a una riunione, Lorraine». Rooney le accarezzò una mano. «Forse dovremmo lasciar perdere questo argomento per un po'». «Ma non possiamo, Bill. Vero, Lorraine?». «Certo che possiamo, invece. Al momento ho cose ben più importanti da fare, Rosie, e anche tu». Rosie prese la lattina vuota di Coca e l'annusò. «Forse riesci a ingannare Bill e forse riesci a ingannare anche te stessa, ma con me non funziona. Lo so, Lorraine e qui dentro, qui, Bill, annusa, qui dentro c'è stata della vodka. Una delle più sciocche leggende della storia è che la vodka non abbia odore... ma ne ha, credimi, ne ha». «Di cosa sta parlando?», chiese Rooney. «Diglielo, Lorraine, coraggio, perché non gli dici quanto hai dovuto bere per trovare la forza di venire a fare colazione stamattina? Non che tu abbia mangiato qualcosa». «Lasciami in pace, Rosie». L'amica sbatté la lattina sul tavolo. «Cristo santo, Lorraine, non fare l'idiota, non puoi farcela, magari ne sei convinta, ma non puoi». «Che cazzo sta succedendo?», domandò Rooney. «Diglielo, Lorraine, avanti, diglielo!». «Lasciami in pace», ringhiò Lorraine. «Non posso, la posta è troppo alta. Ha ricominciato a bere, Bill». Rooney si appoggiò allo schienale della sedia. «Oh, merda, ci mancava anche questa. Ma Cristo santo, Lorraine, sei impazzita?». Lorraine evitò lo sguardo di entrambi, mentre le sue mani cercavano invano di aprire il pacchetto di sigarette. «Ha delle bottiglie nascoste in camera», disse Rosie in tono inespressivo. «È la verità?, domandò Bill, la voce colma di tristezza. «Pensi che stia mentendo? Sono appena stata in camera sua», sibilò Rosie e Rooney la fissò per un lungo istante. «Rosie, fammi un favore, lasciaci soli un attimo, okay? Parlo sul serio,
aspettami nella hall». Lei fece una smorfia, poi spinse indietro la sedia. «D'accordo, ma non aspetterò a lungo. Come ha detto, il tempo stringe». Rooney accese la sigaretta di Lorraine con un fiammifero: lei inspirò una lunga boccata. «Ne hai bisogno fino a questo punto?». Lorraine soffiò fuori il fumo dalle narici. «Ne ho bisogno, Bill, ma ho la situazione sotto controllo, te lo assicuro. Ho solo bisogno di qualcosa per un po', poi ricomincerò ad andare a quelle cazzo di riunioni che a Rosie piacciono tanto». «Ne sei sicura?». Fece per prenderle la mano ma lei si ritrasse. Lorraine parlò con voce bassa e rauca: «Ti prego, non tirare fuori la storia di quel ragazzino a cui ho sparato, ti prego. Ne ho bisogno, ma è solo per adesso, solo per tenermi su. Senza, andrei in pezzi, perché dentro sto così male...». «È per Caley?». Lei annuì, poi sospirò. «Già, è per lui. Mi piaceva veramente, Billy, e in tutta onestà, avevo la sensazione che forse, dico forse, avrei avuto un po' di amore una volta tanto in vita mia. Poi c'era Nick... era una persona fantastica. Certe volte, ho l'impressione che se qualcuno è gentile con me, se mi vuole bene anche solo un po', non posso fare a meno di rovinare tutto, oppure tutto va in pezzi per qualche altra ragione, e io mi sento così sola...». «Sai», disse lui dolcemente, «sia io che Rosie ti vogliamo bene. Lei si preoccupa sinceramente per te, e vuole solo impedirti di farti del male». Lei gli rivolse quel sorriso dolce che le compariva sulle labbra così raramente. «Ti prometto che se mi lascerete tranquilla, finché non saranno finite le indagini, non vi darò problemi, starò bene. Anzi, cercherò di non toccare nemmeno una goccia, più di questo non posso dirti». Lui annuì. «Okay, ma se manderai tutto all'aria, allora...». Sospirò. «Non distruggerti, Lorraine, perché sei troppo brava, troppo intelligente e perché sei una detective diabolica, la migliore che abbia mai conosciuto». «Grazie. Adesso va' a parlare con Rosie, abbiamo molte cose da fare». Lui si chinò e la baciò sulla guancia. «Però devi promettermi che parlerai con noi se ne sentirai il bisogno, perché noi siamo qui per te». Lei lo guardò allontanarsi, commossa ma incapace di piangere. Ormai aveva esaurito tutte le sue lacrime.
Rooney raggiunse Rosie nella hall e Lorraine passò loro accanto camminando velocemente: sorrise ma non si fermò. «Che probabilità abbiamo che tu ci dica dove possiamo trovarti? Nel caso dovessimo scoprire qualcosa», sbottò Rosie e Lorraine si voltò. «Sto andando a casa dei Brown, poi tornerò qui ma non so quanto ci metterò». Uscì dall'hotel in tutta fretta e salì in auto. Rosie avrebbe voluta seguirla, ma Rooney la trattenne tenendola per un braccio. «Lasciala andare, Rosie, lasciala andare». Lei lo fulminò con lo sguardo. «Spero che tu sappia quello che stai facendo perché ha ricominciato a bere». «Lo so», disse lui tristemente, e le sollevò il mento per guardarla negli occhi. «Possiamo provare a prenderci cura di lei, ma non possiamo fermarla. Lorraine ha qualcosa dentro di sé che né tu né io abbiamo». «Oh, certo, be', lascia che ti dica una cosa...». «No», disse lui con fermezza, «lascia che ti dica io una cosa. Si sente più in colpa di quanto noi due potremo mai sentirci, e se ha bisogno dell'alcol per superare questo momento, allora dovremo lasciarla fare e prenderci cura di lei il più possibile - non ci resta molto tempo. Lorraine si rende conto di tutto, Rosie, credimi, lo sa, e io mi fido di lei». Rosie scrollò le spalle. «Okay, ma se continua così, potremo scordarci di Vienna e della Cina, perché ben presto non sarà più in grado di lavorare». Bill raddrizzò le spalle. «Ma noi sì, e abbiamo un sacco di cose da fare, quindi muoviamoci». Robert Caley cominciava ad arrabbiarsi per il silenzio di Lorraine, non ne capiva la ragione, non aveva senso. Poi, di colpo irrequieto, decise di provare a chiamarla ancora una volta. Mentre componeva il numero dell'albergo, sentì bussare alla porta. Andò ad aprire. Era il fattorino. «Sì?», chiese Caley bruscamente, attraverso lo spiraglio. Errol guardò lungo il corridoio, poi spostò di nuovo lo sguardo su Caley. «Che cosa vuoi?». «Ehm, posso entrare, signore? Il fatto è che è venuta della gente a farmi delle domande e non so proprio cosa rispondere». Caley sospirò e aprì la porta di qualche altro centimetro. «Di cosa si tratta?». Errol si tolse il minuscolo cappello. «Sono un amico di Ruby Corbello, signor Caley, sono stato io a portarle il messaggio quella sera, lo scorso
anno». «Non so di cosa stai parlando, quale messaggio, quale sera?». Errol spostò il peso da un piede all'altro. «La sera che è arrivato qui, signor Caley, Ruby mi ha dato un biglietto per lei e io gliel'ho portato e poi vi siete incontrati vicino alla piscina, signore». Caley trasse un profondo respiro, poi prese il portafogli. «No, non ricordo di aver mai parlato con te o con la signorina Corbello, anzi, non so proprio chi sia. Allora, quanto ti devo?». Errol si inumidì le labbra e sbirciò attraverso la porta semiaperta. «Vede, un tizio mi ha fermato mentre venivo qui al lavoro e mi ha fatto un sacco di domande. Io gli ho detto di non aver mai consegnato nessun biglietto e...». Gli occhi di Caley erano gelidi. «Infatti, e io non ho mai ricevuto niente quella sera. Ora, qui ci sono cento dollari, vattene e stammi alla larga se non vuoi perdere il lavoro. Per di più, quando apriranno il casinò, avrò bisogno di personale qualificato e con molta esperienza, mi capisci?». «Sì, signore, grazie, signore». Caley richiuse la porta con un calcio. Non era molto preoccupato. Se mai si fosse arrivati a tanto, sarebbe stata la sua parola contro quella del ragazzo. Tuttavia, sapeva che avrebbe dovuto far capire a Ruby Corbello che era meglio che tenesse la bocca chiusa. Non c'era più alcun diario, lo aveva distrutto immediatamente, ma Caley voleva essere assolutamente sicuro, soprattutto ora che le cose sembravano andare così bene. Caley non aveva mai pensato che potesse esserci un legame tra il diario di Tilda e la scomparsa di sua figlia. Ormai Anna Louise stava cominciando a sbiadire nella sua mente, non era mai stata la sua vera figlia in ogni caso, ma era stata utile. Lloyd Dulay non era stato affatto contento quando Caley gli aveva detto che, se non avesse formalmente ritirato le insinuazioni riguardo a una sua possibile relazione sessuale con Anna Louise, gli avrebbe fatto causa. In quel caso, era inevitabile che venisse alla luce la verità su chi fosse il vero padre di Anna Louise. Quelle di Caley erano solo minacce, ma Dulay le aveva prese molto seriamente. Gli aveva detto che se invece di ritrattare formalmente qualche stupida insinuazione avesse collaborato attivamente con lui nei nuovi negoziati per lo sviluppo del casinò, ne avrebbero giovato entrambi. Allo stesso tempo, qualunque diceria sarebbe stata dimenticata, perché un uomo come lui non sarebbe mai entrato in affari con qualcuno che era stato accusato di aver avuto una relazione con la propria figlia.
Infine aveva aggiunto che la cosa che più gli premeva era proteggere la povera Elizabeth da un orribile scandalo che avrebbe messo a dura prova i suoi nervi già fin troppo scossi. Dulay era stato più che disponibile, e Caley non aveva dovuto fare pressioni. Caley non usò la sua macchina, ma uscì dall'hotel, percorse qualche isolato e salì su un tram da cui scese dopo poche fermate e prese un taxi per recarsi a casa di Edith Corbello. Lorraine era a casa dei Brown. Avevano parlato per quasi mezz'ora, ed era stato un colloquio difficile e snervante. Non ricordavano l'ultima volta che avevano visto Tilda in compagnia di Anna Louise o di Robert Caley. Per quanto ne sapevano, Tilda non aveva mai avuto alcun problema. Era quello il motivo per cui era così difficile affrontare la sua morte. «Nel periodo in cui Anna Louise è scomparsa, non avete mai notato qualcosa di strano nel comportamento di Tilda? Voglio dire, era cambiata? Era nervosa o chiusa in se stessa?». La signora Brown era così pallida e distrutta che Lorraine si sentiva crudele a rivolgerle quelle domande. Continuava a piangere e si asciugava le lacrime con un fazzoletto, che spiegava per soffiarsi il naso e piegava per asciugarsi gli occhi. «Be', naturalmente era molto, molto turbata. Anna Louise era la sua migliore amica e Tilda non riusciva a darsi pace. Erano molto amiche fin da quando erano bambine e il fatto che avessero litigato il giorno prima ha reso le cose ancora più difficili per Tilda, perché non ha mai avuto l'opportunità di fare pace con Anna Louise. Era questa la cosa che la tormentava di più». Lorraine guardò il signor Brown che sedeva con la schiena rigida, un'espressione sofferente e allo steso tempo interrogativa sul volto. «Pensate che Tilda abbia compiuto quel gesto estremo perché era ancora turbata per Anna Louise?», domandò Lorraine, con la voce così bassa da sembrare, persino a lei, eccessivamente cospiratoria. «Non lo sappiamo, pensavamo che avesse superato tutto ma ovviamente non era così, ed è probabile che la sua visita, signora Page, l'abbia fatta sprofondare nella depressione. Non riusciamo proprio a capire perché lei sia venuta qui a parlare con Tilda». L'uomo guardò Lorraine con aria accusatoria. Stava cominciando ad agitarsi, stringeva i pugni e li rilassava, anche se cercava di nasconderli tra le cosce. «Siamo stati interrogati per molte settimane dopo la scomparsa di Anna Louise e la povera Tilda, oltre ad
aver perso la sua migliore amica, è stata interrogata più di chiunque altro. Che cosa le ha chiesto, signora Page? Perché non ci ha informati se ha notato che nostra figlia era agitata? Ci piacerebbe molto sapere, abbiamo bisogno di sapere perché la nostra unica figlia ha fatto una cosa così terribile. Ci ha spezzato il cuore». Lorraine mentì per un'altra mezz'ora, raccontando di domande che non aveva posto a Tilda durante il loro colloquio su Anna Louise. La tensione emotiva era tale che Lorraine aveva l'impressione che quell'uomo e quella donna la stessero prosciugando di tutta la sua energia. «Ho bisogno di vedere tutti gli amici che Tilda frequentava regolarmente, e devo sapere dove andava di solito. Devo ricostruire la vita della ragazza prima della tragedia». Il signore e la signora Brown parlottarono tra di loro a bassa voce e infine la donna annuì. Poi si scusò e lasciò la stanza. Il signor Brown sospirò e guardò verso la parete di vetro da cui si potevano vedere la piscina e il campo da tennis. «Abbiamo cercato di accettare quello che è successo, signora Page. Sappiamo che Tilda era tormentata da quanto era accaduto ad Anna Louise. I giornali si sono inventati di tutto: che è stata rapita, stuprata o persino, che Dio non voglia, assassinata. Di conseguenza, Tilda si era chiusa in se stessa nei mesi successivi alla scomparsa, ma sarà mia moglie a raccontarle i particolari». «La ringrazio». Lui si fissò la punta delle scarpe, poi si morse il labbro inferiore. «In ogni caso, non capisco il suo interesse nei confronti di Tilda. Credo che i signori Caley l'abbiano assunta per continuare le ricerche di Anna Louise, e mi sembra più che giusto. Ma non capisco perché dedichi tanto tempo a mia figlia. Anzi, in un certo senso, mi sento in colpa perché stiamo portando via tempo alle sue indagini per parlare di Tilda». Lorraine sorrise. «La prego, signor Brown, non dica così. Sono convinta che anche ciò che stiamo facendo adesso mi sarà d'aiuto. Vede, le due ragazze erano così amiche, e più cose scopro su Tilda, più cose scopro sulla povera Anna Louise». «Ah, sì, capisco, be'...». Lorraine aprì la valigetta e prese la bambola ancora avvolta nell'asciugamano. Lui non sembrava prestarle alcuna attenzione e continuava a guardare oltre la parete di vetro. Lorraine si avvicinò al tavolo accanto alla finestra e aprì l'asciugamano.
«Non volevo che sua moglie la vedesse, non è un bello spettacolo, ma credo che sia giusto mostrarla a lei». Lui la raggiunse al tavolo e quando vide la bambola trasalì. «Dio mio, dove l'ha trovata?». «Nella camera di Tilda, nascosta nella custodia di una racchetta». Lui allungò le mani tremanti, non per toccare la bambola ma per aggrapparsi al bordo del tavolo. «Era nella camera di mia figlia?», disse inorridito. «Sì. E come può vedere, c'è una foto di sua figlia sul volto, e...». Il signor Brown diede un pugno sul tavolo. «Dev'essere stato qualcuno della servitù, ma perché mai? Dio onnipotente, perché dovrebbero aver fatto una cosa simile? È disgustosa». «È una bambola voodoo, signor Brown». «So che cos'è», ribatté l'uomo bruscamente. «Così ora capisce perché sono qui. So che una ragazza che lavorava per voi, Ruby Corbello, è stata licenziata ed è possibile che sia stata lei a fare questa bambola per vendicarsi, per spaventare Tilda». «La farò arrestare». «Non ho le prove che sia stata proprio Ruby, signor Brown. Inoltre il giornale in cui era avvolta aveva la data del 15 febbraio dell'anno scorso, il giorno in cui Anna Louise è scomparsa, quindi sua figlia doveva averla da molto tempo». Il signor Brown non riusciva a distogliere lo sguardo dalla bambola. All'improvviso le sue spalle incominciarono a tremare, e l'uomo fu scosso da terribili singhiozzi senza lacrime. In quel momento entrò la signora Brown, che aveva in mano un foglio di carta viola. «Ho scritto i nomi di tutti gli amici di Tilda che mi sono venuti in mente». Il signor Brown cercò di dominarsi, ma era davvero troppo sconvolto. «Mi dispiace, mi dispiace molto, per favore mi scusi, mi dispiace». L'uomo si allontanò velocemente, mentre Lorraine si affrettava a nascondere la bambola. La signora Brown cercò di fermare il marito, ma lui uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. La signor Brown si avvicinò a Lorraine davanti alla finestra e sospirò. «Credo di sapere cosa l'ha turbato, giocavano là dentro per ore quando erano bambine, Tilda e Anna Louise. Credo che faremmo meglio ad abbatterla». Lorraine seguì lo sguardo della signora Brown, ma non vide altro che un
giardiniere intento a potare le siepi e una piccola costruzione bianca vicino ai cespugli. Anche da quella distanza, Lorraine riuscì a vedere che la porta era chiusa da un grosso lucchetto. «Mio marito ha costruito quella piccola casa dei giochi per Tilda e lei non ha mai voluto che venisse abbattuta. Diceva sempre che ci avrebbe portato a giocare i nostri nipotini quando si sarebbe sposata. Volevamo molto bene a nostra figlia, signora Page». «Sì, naturalmente, capisco». La donna porse a Lorraine il foglio viola che le aveva preparato. «Qui ci sono i nomi di alcuni suoi amici, più quello del pastore e del gruppo con cui andava in chiesa. Questo è il suo dottore e queste sono le ragazze con cui andava a cavallo. E questi sono i suoi amici del college. Ci sono gli indirizzi e i numeri di telefono, o almeno quelli che sono riuscita a ricordarmi. Quasi tutti sono venuti al suo funerale, be', non quelli del college». «Grazie, apprezzo molto il suo aiuto». «Non è più tornata a Los Angeles da quando Anna Louise è scomparsa, diceva che era troppo doloroso per lei. Diceva che voleva restare qui, nel caso che Anna Louise la chiamasse o cercasse di mettersi in contatto con lei». La signora Brown prese nuovamente il piccolo fazzoletto fradicio. «Stava andando così bene, al college, era un vero peccato che non volesse più tornarci, ma continuava a dire che non sarebbe riuscita a concentrarsi negli studi finché non avesse scoperto che cos'era successo ad Anna». Scrollò le spalle. «Mi dispiace, la scomparsa dell'amica deve averla sconvolta profondamente». La signora Brown annuì. «Sì, è stato terribile per tutti noi. Ora niente sarà più come prima». Lorraine si lasciò cadere sui sedili posteriori dell'auto e abbassò il finestrino. «Gesù Cristo, dicono che non sanno perché quella stupida ragazzina si è impiccata quando è così ovvio che stava diventando pazza in quella casa, perché la sua migliore amica era scomparsa e...». Lorraine si sporse in avanti. «Non è più tornata al college. È rimasta a casa per la maggior parte del tempo ed era nervosa e preoccupata. Aveva una fottutissima bambola di morte nella custodia della sua racchetta. Cazzo, devono essere stati veramente ciechi per non capire che Tilda aveva bisogno dell'aiuto di uno specialista! E per di più, quella poveretta si faceva scopare dal padre della
sua migliore amica. Non c'è da meravigliarsi che si sia impiccata. Credo che l'avrei fatto anch'io, fossi stata al suo posto». François non sapeva di cosa stesse parlando, ma annuì comunque. Rimase ad aspettare, mentre Lorraine leggeva ad alta voce i nomi dell'elenco della signora Brown. «Okay, François, per prima cosa voglio andare dal pastore. Poi andiamo dai primi due della lista». Gli passò il foglio di carta viola. «Sì, signora, vada per la chiesa. Il pastore Bellamy è un uomo davvero in gamba». «Lo conosci?». «No, signora, ma è molto noto da queste parti per i suoi fantastici sermoni». Lorraine sorrise. «Ma voi mentite tutti così, François?». «Cosa intende dire con 'voi', signora Lorraine?». Lei scoppiò a ridere. «Voi tassisti, François, voi tassisti. Cosa pensavi che volessi dire, voi neri?». Lui fece un ampio sogghigno, scoprendo le gengive rosa. «Non pensavo che una signora di classe come lei potesse fare un commento razzista come quello. Noi tassisti ascoltiamo e vediamo cose, signora Page, ma non diciamo niente». «A meno che non veniate pagati», mormorò lei. «Infatti», ridacchiò lui. Uscirono dal cancello principale. Lorraine stava ripensando al colloquio con i genitori di Tilda: era sicura che non fosse stata la vista della casa dei giochi a turbare così tanto il signor Brown, ma la bambola maleodorante che lei gli aveva mostrato. Sospirò. Forse non avrebbe dovuto farlo, non era servito a niente, solo ad accrescere la sofferenza dei signori Brown. Alle dieci e trenta ormai Rosie aveva deciso che la cifra che offriva non era sufficiente. La prima compagnia di taxi non sembrava neanche lontanamente interessata a una possibile ricompensa per qualcosa lasciato in un taxi, undici o forse dodici mesi prima, perché ci sarebbe voluto troppo tempo a controllare i vecchi registri. Rosie decise di cambiare tattica e prese un taxi fino all'Hotel Cavagnal. Domandò al tassista se si spartivano in qualche modo le zone della città, se andavano semplicemente in giro o se le prenotazioni avvenivano per telefono, e lui le disse che usavano tutti e tre i metodi, informazione che non le fu di grande aiuto. Non le fu di grande aiuto nemmeno il fatto che la città fosse sempre più affollata, ora che i
preparativi per il Mardi Gras stavano entrando nel vivo: bandiere che venivano appese, grandi composizioni floreali che venivano innaffiate e le vetrine di tutti i negozi che venivano decorate. I manifesti che reclamizzavano feste e concerti erano stati appiccicati su ogni superficie disponibile e le strade pulsavano di turisti venuti ad assistere alle prime parate. Rosie scese all'albergo ma non entrò nel giardino chiuso. Camminò per circa un isolato. Anna Louise non aveva chiamato un taxi dall'hotel, lo sapeva, quindi era possibile che avesse raggiunto il primo incrocio e ne avesse fermato uno. Rosie osservò tutti i taxi che percorrevano quella strada. Alcuni tassisti rallentarono e le chiesero se aveva bisogno di andare da qualche parte. Alla fine, ne fermò uno particolarmente insistente che le era passato accanto tre volte. «Sembra che si sia persa, signora», disse il tassista gentilmente. «No, non mi sono persa. Sto cercando un taxi, uno in particolare. Sono di una compagnia assicurativa e chiunque sia il tassista che lo guida potrebbe ricevere...». Esitò, chiedendosi quale cifra sarebbe stata un buon incentivo. Poi si fermò, ricordandosi che Lorraine aveva detto che Robert Caley aveva visto la borsa di sua figlia sul letto. Questo significava che la ragazza non aveva denaro con sé? In quel caso, forse qualcuno dell'albergo le aveva dato un passaggio. Rosie ringraziò il tassista e si guardò attorno in cerca di una cabina telefonica. Doveva parlare con Lorraine. La cercò dai Brown, ma le dissero che se n'era già andata. Chiamò in albergo ma non trovò né Rooney né Lorraine. Tornò al Cavagnal e rimase davanti all'hotel per un po', cercando di decidere cosa fare, osservando i due fattorini che stavano portando dentro i bagagli dei nuovi arrivati e fuori quelli degli ospiti che se ne stavano andando. Anche se era un piccolo hotel, l'attività ferveva. Sentì uno dei fattorini gridare qualcosa all'altro mentre lottava con un set di valige di Hermès. «Quelle vanno nella suite blu del secondo piano, Errol». Rosie si avvicinò velocemente a Errol, ormai fradicio di sudore, chiedendosi se Rooney lo avesse già interrogato. «Ciao, forse puoi essermi d'aiuto», disse con un sorriso amichevole. «Tutto quello che vuole, signora», disse il ragazzo facendo un piccolo inchino. Rosie gli disse di non essere un'ospite dell'hotel ma che aveva comunque bisogno di parlargli in privato, e che era disposta a pagare. Lo avrebbe aspettato, se fosse stato necessario.
Errol si sistemò il cappellino e si guardò attorno. «Be', di cosa vuole parlare?». Rosie tentò un approccio diretto. «Di Anna Louise Caley». Lui alzò gli occhi al cielo, poi scosse la testa. «Signora, sono stato interrogato su quella ragazza così tante volte che ormai ho perso il conto. Non so niente di niente, e questa è la verità». Rosie distolse lo sguardo, un trucco che aveva imparato da Lorraine. «Bene, è solo che avrei da offrire cinquecento dollari in contanti per qualche pìccola informazione». «Quanto piccola?», domandò Errol, ripensando a ciò che gli aveva detto Robert Caley, a ciò che gli aveva dato e a ciò che il futuro poteva riservargli. Ma arrivò un'altra auto e il ragazzo dovette tornare al lavoro. «Perché non torna tra quindici minuti? Ho una pausa». Robert Caley chiese al tassista di fermarsi a un centinaio di metri dalla casa di Ruby Corbello. Pagò la corsa e gli disse che se lo avesse aspettato, gli avrebbe dato il doppio di quella cifra. Poi s'incamminò verso la casa dei Corbello. «Oh, signor Caley!», esclamò Juda, e pronunciare quelle poche parole fu terribile perché aveva un mal di testa da doposbronza e quasi non riusciva ad alzare la testa. «Signora Salina», disse lui in tono tranquillo, nascondendo il fatto che vederla lì lo aveva sorpreso non poco. «Entri pure», grugnì Juda e lui si voltò a guardare per assicurarsi che non ci fosse nessuno in strada che potesse vederlo. Caley si sedette in cucina, rifiutando l'offerta di Juda di qualcosa da bere, mentre si domandava se fosse il caso di chiedere di Ruby o meno. «Mia sorella e mia nipote Ruby sono andate a visitare un bambino malato. Sono qui da sola e mi fa piacere perché finalmente potremo parlarci con franchezza». Lui annuì, chiedendosi che cosa sapesse quella donna e se avesse intenzione di ricattarlo come aveva fatto sua nipote. Quella situazione stava diventando davvero troppo pesante. Si allentò il nodo della cravatta. «So di non piacerle e di non esserle mai piaciuta», disse Juda, versandosi un bicchiere di birra. «Ma ora devo chiederle di aiutarmi». «Vuole che io l'aiuti?», domandò lui con un sorriso. «Sì, signore. Ho appena perso i risparmi di tutta una vita, me li ha rubati mio nipote e io sono tornata qui senza un soldo, proprio come quando me
n'ero andata vent'anni fa». Eccoci, pensò lui, domandandosi quanto denaro gli avrebbe chiesto. «Voglio restare qui, signor Caley, non voglio tornare a Los Angeles, questa è la mia casa». Lui guardò la vecchia carta da parati ammuffita. "Mi costerà parecchio", pensò, ma cercò di non farle capire che aveva capito. Assunse un'aria innocente. «Non posso più prendermi cura di sua moglie, signor Caley, mi svuota, usa tutte le mie energie, ma le voglio molto bene e non vorrei mai deluderla. Mi sento in colpa, mi sento responsabile per sua moglie, e questo è come un cappio che mi si stringe attorno al collo. Un tempo credevo che fosse tutta colpa mia, ma ora la penso diversamente». «Mi sta chiedendo del denaro, signora Salina?». «No, signore, niente denaro, non voglio i suoi soldi. Voglio che trovi qualcuno che si prenda cura della signora Caley, perché io sono troppo stanca e voglio restare qui, voglio venire a vivere qui con mia sorella. Venderò l'appartamento di Doheny Drive. Non voglio più tornare a Los Angeles, signor Caley». Lui si schiarì la gola e si passò un dito tra il collo e il colletto della camicia. «Non sono sicuro di aver capito esattamente cosa mi sta chiedendo, signora Salina». «No, forse non ha capito. A lei non è mai importato abbastanza, ma ormai dovrebbe sapere che Elizabeth fa quello che fa perché non riesce a impedirselo». «Ne sono sicuro», disse lui bruscamente, infastidito da Juda. Si sporse verso di lei. «Mia moglie beve e sì droga, punto e basta. Ha una personalità portata alle dipendenze». «No, signore, sua moglie ha una paura dentro di sé che cerca in ogni modo di annullare. Ora, che ci creda o no, e avrebbe tutti i diritti di non crederci, sua moglie ha bisogno di qualcuno che controlli i suoi demoni. Se nessuno l'aiuterà, perderà il lume della ragione». Lui sogghignò. «Perché, non l'ha ancora perso?». Juda si arrabbiò. «Le sto solo dicendo che si rifiuta di capire che sua moglie ha bisogno di aiuto, non di un aiuto medico ma di...». «Gente come lei?». Lei avvicinò il volto a quello di lui. «Lei cosa crede che io sia, signor Robert fottuto Caley?». Lui non si tirò indietro, anzi le si avvicinò ancora di più. «Non lo so, ma
so che ricatta mia moglie e la tiene schiava con il terrore». «Si sbaglia. Sono costretta a controllare il terrore, e quello che sto cercando di dirle è che non posso più farlo. Sono vecchia e stanca. Elizabeth è sua moglie, e lei l'ha ingannata e truffata in modi che non voglio neanche sapere, perché non sono affari miei. Il mio compito è quello di aiutare sua moglie ma, a differenza di lei, signor Caley, io le voglio veramente bene». «Davvero?». «Sì, signore, ma come le ho detto sono troppo vecchia ormai, e le sto chiedendo di tornare da lei. Troverò qualcuno che possa aiutarla nel modo giusto». «Vuole dire qualcuno che la riempia di droghe?». Juda si appoggiò allo schienale, scuotendo la testa. «No, signore, voglio dire qualcuno che l'aiuti spiritualmente, è questo l'unico aiuto che ho sempre dato a sua moglie». «Non tornerò mai da mia moglie, signora Salina». Juda lo fissò e d'improvviso sentì freddo, un freddo glaciale. Il gelo le si propagò dai grossi piedi gonfi attraverso tutto il corpo. «Allora perché è venuto qui, solo per dirmi questo?». Lui scrollò le spalle. Era venuto a parlare con Ruby, ma quella donna lo aveva irritato e ora voleva solo andarsene. Juda osservò il volto bello e regolare di Caley; si accorse della sua debolezza e sorrise. «Lei non avrà mai la donna che desidera, signor Caley, il suo cuore è reso gelido dall'avidità. Penso che dovrebbe andarsene, non voglio più avere niente a che fare con lei». Lui spinse indietro la sedia, pronto ad alzarsi, e proprio in quel momento arrivò Ruby. La ragazza lo guardò con noncuranza e andò a prendersi una birra nel frigo. «Oh, che mi venga un colpo se questo non è il signor Robert Caley», disse richiudendo il cassetto da cui aveva preso l'apribottiglie. «Vi conoscete?», chiese Juda sorpresa. «Certo, lui è il padre di Anna Louise, giusto?». Juda spostò lo sguardo da Caley a Ruby. La ragazza stappò la bottiglia e bevve una lunga sorsata. «Non ti ricordi, zia Juda? Lavoravo per Tilda Brown, era la migliore amica della figlia del signor Caley. Vero, signor Caley?». «Sì, infatti», rispose lui fissando Ruby. Non riusciva a capire quanto Juda sapesse di quella storia. In un istante, passò dall'irritazione alla paura. «Il signor Caley sta aprendo un grande casinò, zia Juda, diventerà molto,
molto ricco». Juda guardò prima la nipote poi Caley. Era confusa ma percepiva qualcosa: era come se Ruby lo tenesse in scacco in qualche modo. La ragazza si avvicinò a Caley ancheggiando, ma lui distolse lo sguardo. «Il signor Caley è un uomo molto sexy e gli piacciono giovani e fresche, circa della mia età, non è così, signor Caley?». Lui si alzò e si allontanò il più possibile da Ruby nella piccola cucina. Juda percepì l'odore della sua paura e afferrò la mano di Ruby che le stava passando accanto. «Signor Caley, le dispiacerebbe attendere nell'atrio? So che vuole parlare con mia nipote». Lui oltrepassò Juda e andò nell'atrio. Juda richiuse la porta della cucina con un calcio. «Cosa sta succedendo, Ruby?». La ragazza si sedette sul bordo del tavolo, sorseggiando la birra, e si divertì a raccontare a grandi linee ciò che aveva scoperto su Robert Caley leggendo il diario di Tilda. Di punto in bianco, Juda le sferrò un pugno facendola rotolare sul pavimento. La bottiglia di birra andò in mille pezzi e Ruby si mise in ginocchio faticosamente, terrorizzata, mentre Juda prendeva uno strofinaccio bagnato e cominciava a frustarla, così forte che la ragazza cominciò a piangere. Si coprì la testa, strillando, ma la zia cominciò a prenderla a schiaffi e a calci. Juda sembrava fuori di sé e continuò finché non le mancò il fiato e fu costretta a sedersi, esausta. Il suo respiro era raschiante e affannoso. «Hai fatto quella bambola per Anna Louise Caley, vero?». Ruby ricominciò a piangere, spaventata. «Non avresti mai dovuto farlo, Ruby, hai fatto una cosa terribile, hai evocato il male». «Lui è il male, lui si scopava quella ragazzina, Tilda Brown». Juda le diede un calcio così violento da piegarla in due. Poi fece scorrere l'acqua fredda e riempì un grande bicchiere fino all'orlo. Ruby non la vide riempirsi la bocca d'acqua, vide soltanto la gigantesca sagoma di Juda che si chinava su di lei. Quando le sputò in faccia l'acqua, Ruby cercò di ritrarsi ma Juda l'afferrò per i capelli e le premette con forza le mani sul cranio. «C'è il male dentro di te, ragazza, e io devo farlo uscire». Caley era in piedi nell'atrio freddo e umido, in attesa. Non poté fare a meno di sentire le grida e i singhiozzi di Ruby e la strana voce, stridula e
allo stesso tempo profonda, con cui Juda Salina pronunciava parole incomprensibili. Alla fine, Ruby uscì, i capelli bagnati, appiccicati al viso e gli occhi pieni di lacrime. «Signor Caley, la prego, non se ne vada». Si inginocchiò davanti a lui con le mani giunte. «Mi dispiace di essere venuta da lei a chiederle quel denaro, non avevo cattive intenzioni, non volevo fare del male a nessuno. Non le chiederò mai più niente, le do la mia parola. La prego, non dica niente di ciò che ho fatto, e io non dirò mai a nessuno che cosa c'era scritto nel diario di quella povera ragazza». Caley era confuso, quando Juda uscì dalla cucina. «Se ne vada da questa casa ora, signor Caley, Ruby non la disturberà più, ha cose più importanti da fare nella sua vita. Non vogliamo soldi da lei, non vogliamo niente da lei». «È la verità, Ruby?». La ragazza rimase in ginocchio, annuì e dopo qualche istante Caley se ne andò. Juda si fermò alle spalle di Ruby. «Non farai mai più qualcosa che possa causare tanto dolore, Ruby, hai capito?». «Sì, zia Juda», sussurrò. «Chiama a te il male e ti dominerà, mi capisci? Tu hai il potere, bambina mia, e non deve essere usato per l'oscurità, altrimenti l'oscurità penetrerà nella tua anima e ti renderà sua schiava. Hai capito?». Ruby annuì e vide sua zia inginocchiarsi faticosamente accanto a lei. «Chiedi perdono ora, Ruby». Lei strinse le mani ancora più forte. «Forse avremmo potuto fare molti soldi per aiutare tante, tante persone, zia Juda...». «Il denaro del demonio non serve a niente perché lui è astuto e vuole sempre essere ripagato. Non bisogna mai essere in debito con il diavolo. Ho visto cos'è successo a una donna che era in debito con lui e non voglio che ti capiti mai niente di simile. Tu hai un futuro radioso davanti a te ma devi obbedire agli spiriti e prenderti cura della nostra gente, proprio come la Regina Marie». Con la voce ridotta a un sussurro, Ruby disse che aveva paura. «Ne abbiamo tutti, tesoro, ogni anima vivente ha paura a un certo punto della sua vita, ma tu potrai guidare le persone attraverso la paura. Devi rispettare quel potere e non abusarne mai; amalo e farà cose meravigliose. Il signor Caley pagherà i suoi debiti, tu pensa solo ai tuoi, Ruby».
Errol si stava grattando la testa, il cappello da fattorino stretto in una mano. «Io amo Ruby Corbello, l'amo fin da quando eravamo al liceo, ma lei non sa nemmeno che esisto. Certe volte mi passa accanto mentre va al bar di Fryer Jones, con quella sua camminata sexy e mi sorride. So che non posso averla, lo so benissimo, ma questo non mi impedisce di avere un attacco di cuore ogni volta che la vedo. È questo l'effetto che mi fa Ruby, mi fa battere il cuore troppo, troppo forte». Rosie annuì. «So come ti senti, ho provato la stessa cosa per un persona, per molto tempo. E ti dirò, non credevo che avrebbe mai potuto amarmi, avevo troppa poca stima di me, ma sai, due sere fa, mi ha chiesto di sposarlo». «Mi prende in giro? Qualcuno vuole sposarla?». Era sbalordito, aveva gli occhi sgranati e chiaramente non si rendeva conto di averla insultata. Agli occhi di Errol, Rosie era talmente lontana dalla bellissima Ruby Corbello che faticava ad accettare il fatto che qualcuno potesse amare la donna grassa che sedeva accanto a lui. Rosie scoppiò a ridere, divertita. «È la verità». «Forse, signora Rosie, per lei è diverso, forse lei non capisce il desiderio». «Credimi, Errol, grassi, magri, belli o brutti, tutti trovano un compagno, che diventa la creatura più meravigliosa del mondo», gli disse Rosie allegramente. «Ma allora lei non capisce. Vede, Ruby Corbello è veramente la donna più perfetta che Dio abbia mai creato. È una dea». «È una dea che ha lavorato come cameriera per i signori Brown, finché non è stata licenziata perché aveva rubato. E attualmente è una dea che pulisce i pavimenti pieni di capelli di un salone di bellezza. È davvero una grande dea, Errol». Rosie fece una pausa. «Voglio sapere soltanto se in qualche modo hai aiutato Ruby Corbello a dare un pacchetto ad Anna Louise Caley, e se sai qual era il contenuto del pacchetto. Puoi essere sincero con me, la polizia non c'entra niente». Rooney tornò in albergo. Non era riuscito a mettersi in contatto con il poliziotto con cui aveva parlato perché era di pattuglia, ma gli avevano detto di richiamare dopo pranzo. Non aveva avuto fortuna nemmeno con il fattorino che gli aveva detto ben poco, quindi fino a quel momento era stata una mattina noiosa. Alla reception trovò un messaggio di Lorraine che voleva che lui la chiamasse in camera.
Rosie aprì la porta della camera di Lorraine. Sul viso aveva un'espressione soddisfatta e quindi Rooney immaginò che fosse riuscita a scoprire qualcosa, ma lei non disse nulla. Lorraine uscì dal bagno. Sembrava molto stanca. «Allora, comincio io. Finora la mattinata è stata piuttosto pesante e improduttiva. Il signor Brown è crollato quando ha visto la casa dei giochi che aveva costruito per sua figlia, dove Tilda gli aveva detto che avrebbe portato a giocare anche i suoi nipotini - e questo è stato il momento più entusiasmante. Per il resto non ho concluso quasi niente, ma ci sono ancora dei "cari" amici di Tilda con cui devo parlare. Spero che mi dicano qualcosa di più interessante di quello che mi ha detto il pastore locale, cito testualmente, "Tilda Brown era un esempio per ogni ragazza. Era gioiosa, piena di vita e pronta ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà." Secondo me gli è sfuggito il fatto che quella ragazza era così gioiosa che ha pensato bene di impiccarsi con la cintura del suo kimono. Solo Eddie Mellor, un ragazzo che fa parte del coro in cui cantava anche Tilda, mi ha detto che era cambiata negli ultimi sei mesi. Un tempo era molto amichevole ed estroversa, ma ultimamente non parlava quasi con nessuno e sembrava molto nervosa». Rooney si schiarì la gola. «Posso dire una cosa?». «Certo». «Be', siamo stati assunti per rintracciare Anna Louise Caley, e mi sembra che questa storia di Tilda Brown ti stia allontanando dal nostro obiettivo». «Stai dicendo che sto sprecando il mio tempo, è così, Bill?». «No, ma mi sembra che stiamo dando troppa importanza a questa storia, tutto qui». Rosie raccontò loro che era stata all'hotel di Caley e aveva interrogato Errol. «Anch'io l'ho interrogato», borbottò Rooney. «Lo so, speravo di incontrarti», gli disse Rosie raggiante. «È solo che ho ottenuto risultati migliori dei tuoi perché io ed Errol abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Ha ammesso di aver consegnato un biglietto a Caley, quindi quella storia del nuoto era una menzogna o forse l'ha usata soltanto per potersi incontrare con Ruby Corbello. Il ragazzo mi ha detto di aver parlato con Caley e che, quando Caley è tornato nella sua stanza, Anna Louise ha visto lui e Ruby che parlavano in giardino; ha invitato a Ruby di salire in camera sua ed Errol l'ha fatta passare dalla scala di servizio. Do-
vevano essere le sei. La ragazza è stata con Anna Louise solo per dieci minuti, poi se n'è andata. Errol ha detto che sembrava che avesse molta fretta. Una cosa che non sapevamo è che Errol ha rivisto Ruby Corbello più tardi quella sera, la sera della scomparsa di Anna Louise. Dovevano essere circa le sette e trenta, e questo vuol dire che Ruby è tornata in albergo». Lorraine sfogliò le pagine del suo vecchio taccuino. «I Caley hanno detto di essere scesi a cena verso quell'ora nel ristorante dell'albergo». Rosie annuì. «Ruby, mi ha raccontato Errol, si aggirava tra le palme in fondo al giardino. È innamorato di lei, quindi si è arrabbiato perché ha pensato che Ruby avesse un appuntamento con uno dei ragazzi che lavorano all'albergo. Allora l'ha seguita e ha visto Ruby che guardava in alto e Anna Louise che si sporgeva dal balcone della sua camera. Questo significa che era ancora in camera sua alle sette e trenta». «E poi?», domandò Lorraine impaziente. «Be', Errol non ha fatto in tempo ad arrivare al balcone, o meglio sotto il balcone, che le ragazze erano scomparse. Lui era di turno, così è tornato al lavoro». Lorraine sospirò. «Non c'è altro?». «No. Ora, e questa è solo una supposizione, anche Anna Louise potrebbe aver usato la scala di servizio, proprio come Ruby Corbello, per lasciare l'hotel. Questo spiegherebbe perché non è mai passata davanti al banco della reception e non ha mai preso l'ascensore. La scala porta proprio all'uscita posteriore dell'hotel, nel vicolo dove mettono l'immondizia, e forse c'era una macchina che l'aspettava là». «Mmm», disse Lorraine accigliata, mentre andava alla scrivania. «Devo sapere quanto tempo ci vuole per andare dall'hotel alla casa di Ruby Corbello». Rooney e Rosie si scambiarono un'occhiata. Lorraine cominciò a sfogliare le mappe e le guide di New Orleans, gettandole sul pavimento. Stava cercando una mappa della città su cui erano segnate le attrazioni per turisti. «Se Ruby Corbello ha lasciato l'albergo alle sei e un quarto ed è ritornata alle sette e trenta, significa che ha avuto più di un'ora per fare quella bambola, impacchettarla e portarla ad Anna Louise». «A meno che non l'abbia fatta al bar di Fryer Jones», disse Rooney. Lorraine trovò la mappa che stava cercando e cominciò a studiarla. Poi, tracciando la strada con un dito, picchiettò impaziente sul tavolo. «Forse ha preparato la bambola da Fryer Jones. Se non è così, deve aver
fatto una bella corsa fino a casa, a meno che...». «A meno che qualcuno non ce l'abbia accompagnata in macchina», suggerì Rosie. «Infatti». Lorraine, Rosie e Rooney erano nel vicolo davanti all'uscita di servizio dell'Hotel Cavagnal. Rosie avrebbe percorso la strada che conduceva al bar di Fryer, Rooney avrebbe fatto una corsa fino a casa dei Corbello. Entrambi posero a Lorraine la stessa domanda: «E tu cosa farai?». «Parlerò con gli agenti della sicurezza. Okay, controllate gli orologi e muovetevi». Sorrise e rimase a guardarli mentre si allontanavano di corsa come ragazzini a una gara sportiva. Notò che l'uscita di servizio era molto trafficata. Sgattaiolò dentro e percorse uno stretto corridoio. In fondo a destra, vide una piccola scala e salì i gradini fino a raggiungere una porta a cui era appeso un cartello: «PRIVATO - SOLO PERSONALE AUTORIZZATO». Lorraine aprì la porta, esattamente di fronte a lei c'era una guardia della sicurezza. L'uomo non aveva nemmeno sentito la porta che si richiudeva alle sue spalle, e Lorraine continuò a salire le scale fino a raggiungere il piano della suite di Robert Caley. Non aveva incontrato nessuno, non era stata fermata da nessuno, così fece dietrofront e tornò da dov'era venuta. Non vide nessuno nemmeno questa volta, ma quando aprì la porta per andarsene, una guardia della sicurezza si voltò, accigliandosi. «Lei è del personale?». «No, sono un'ospite», disse Lorraine bruscamente e diede il numero della suite che aveva usato. Lui alzò una mano, le chiese il suo nome e chiamò la reception. Quando gli fu confermato che la suite era stata prenotata per Lorraine Page dal signor Robert Caley, l'uomo le porse le sue scuse, ma l'avvertì di non usare la scala di servizio che era riservata al personale. «Sono molto colpita dal servizio di sicurezza dell'hotel», disse lei sorridendo. L'uomo annuì quasi impercettibilmente. «C'è sempre qualcuno che controlla questa uscita?». «Sì, signora». «Giorno e notte?». «Sì, signora». «Quanti agenti della sicurezza ci sono?».
«ire, signora, ci diamo il cambio». «Da quanto tempo lavora qui?». «Cinque anni». Lei annuì e continuò a sorridere. «Era qui quando Anna Louise Caley è scomparsa?». «Sì, signora». «Sono stata assunta dal signor Caley per ritrovare sua figlia. Ovviamente, lei è stato interrogato come la maggior parte del personale, credo». «Sì, signora». Lorraine si voltò a guardare la porta di servizio. «Forse la ragazza ha lasciato l'albergo passando di qui, ed è per questo che nessuno l'ha vista andarsene. Crede che sia possibile?». L'uomo scrollò le spalle, non volendo compromettersi. «Avrà pure fatto una pausa, quindi non potrebbe essere andata così?». «Immagino di sì. Come ha detto lei, facciamo delle pause, ma di solito cerchiamo di non lasciare l'uscita senza sorveglianza». Lei sorrise e si voltò a guardare il piccolo spiazzo. «Ci sono mai macchine parcheggiate qui?». «No, è proibito. Se qualcuno parcheggia qui chiamiamo un carro attrezzi e facciamo portare via la macchina». «Però ci si potrebbe fermare un attimo per venire a prendere qualcuno». «Già, venire a prendere qualcuno non è come parcheggiare, e alcune delle donne che lavorano qui preferiscono farsi venire a prendere. Ci sono un sacco di ubriachi nel quartiere francese». «Mi scusi, cos'ha detto?». «Che le donne preferiscono sentirsi al sicuro». «Usano una compagnia di taxi in particolare?». «Sì, la Gordon's Cabs, il personale usa la Gordon's Cabs». Lorraine annuì. «E gli ospiti no?». Lui sorrise. «No, signora, non sono auto di lusso. Sono solo due fratelli, uno lavora qui. Vuole il loro numero?». «Grazie», disse Lorraine gentilmente e gli porse una banconota da dieci dollari. Lui la intascò in fretta, prese una biro e scarabocchiò un numero di telefono dietro il biglietto da visita dell'hotel. «Grazie, tra non molto dovrebbero arrivare due miei amici. Sono una donna grassa e un uomo grande e grosso con la faccia rossa. Potrebbe dir loro di raggiungermi nella mia suite?». Lorraine uscì in strada e raggiunse l'ingresso principale dell'hotel. Era
stata una fortuna che Robert Caley avesse prenotato la suite per lei. Passò alla reception a prendere la chiave e chiese se il signor Caley era in camera. Si sentì molto sollevata quando le dissero che non c'era. Lorraine prese l'ascensore. La stanza era meravigliosamente fresca e lei si sedette sul letto e ordinò del tè e dei pasticcini, poi chiamò la Gordon's Cabs. Trovò la segreteria telefonica ma non lasciò alcun messaggio: avrebbe richiamato. Il suo sguardo continuava a tornare alla porta chiusa che univa le due suite. Il suo corpo ricordava la notte che aveva trascorso lì. Andò alla porta, camminando lentamente, sapendo che presto o tardi avrebbe dovuto affrontare Caley. La porta era chiusa e lei vi appoggiò contro il viso, sollevata. Tuttavia non poteva dimenticare la loro intimità, non poteva fingere che non fosse mai successo niente. Si era sentita talmente amata quella notte. In quel momento, un brivido di paura l'attraversò, mentre ripensava a quando Juda le aveva detto che era una donna senza amore e che lo era da molto tempo. Lorraine si sentì invadere da una grande tristezza. Quella non era stata una notte d'amore ma di passione, ed era sicura che Robert Caley l'avesse usata, che non avesse pensato ad altro che a coprire le proprie tracce, in modo da impedirle di scoprire la verità, di scoprire che lui aveva ucciso sua figlia. Si allontanò di scatto dalla porta. Prima l'aveva solo pensato, ma ora lo disse ad alta voce, guardando la porta che conduceva all'altra suite: «Ti inchioderò, Robert Caley». CAPITOLO 18 Rosie era tornata e stava ammirando la suite quando una cameriera arrivò con il tè che aveva ordinato Lorraine. «Mio Dio, com'è bello qui, potrei traslocare», disse Rosie con voce trasognata, guardando ogni cosa dal letto a baldacchino al magnifico bagno. Lorraine versò del tè per entrambe. «Quanto ci hai messo?». «A piedi ci sono arrivata in quarantacinque minuti. Se avessi corso avrei potuto metterci un po' meno. Il bar era già aperto e in piena attività, tra l'altro, la musica si sentiva anche dalla strada e c'era un gruppo di ragazzini che beveva birra davanti al locale. Questa città si sta riscaldando, e non parlo del tempo». Rooney arrivò solo venti minuti più tardi, sudato e accaldato. Si lasciò cadere sul letto con un gemito senza degnare la suite di uno sguardo. «Fa fottutamente caldo là fuori. Togli dieci minuti che ho passato per cercare un taxi, le strade sono affollate e non è ancora cominciato il Mardi
Gras. È pieno di clown che vanno in giro a distribuire volantini e di gente che suona per strada, ma direi che Ruby, con un po' di fortuna, avrebbe potuto andare a casa e tornare qui in poco meno di un'ora». «In questo caso non avrebbe avuto molto tempo per preparare la bambola», disse Lorraine cupamente. «Allora deve averla preparata da Fryer», disse Rosie, porgendo a Rooney una tazza di tè. «Dopotutto, non era fatta particolarmente bene», disse lui. Lorraine sospirò. «Sapete, ho la sensazione che manchi ancora qualche pezzo del puzzle». «Secondo te Anna Louise è stata a casa di Tilda, non è vero?», domandò Rooney, e lei annuì. «Ma non l'ha vista nessuno nemmeno là, e nessuno l'ha vista andarsene da qui, non è salita su nessun taxi e non aveva la borsa con sé». «Ci sarebbe una possibilità». «Quale?», chiese Rosie. «Una compagnia di taxi. Il personale dell'hotel usa questi due fratelli per delle corse notturne, ma non sono nemmeno sull'elenco, ho controllato. Credo che siano solo due tizi con un paio di macchine, probabilmente lavorano senza licenza. Potresti metterti in contatto con loro, Rosie? Magari incontrarli di persona. E quando hai finito il tuo tè, Bill, chiama quello sbirro e vai da Fryer. Trova la collana e cerca di scoprire se Ruby è stata là o meno la notte del quindici». Lorraine sbadigliò. Si sentiva stanca e depressa, e aveva l'impressione che stessero girando a vuoto. Non restava più molto tempo: avevano solo cinque giorni e lo sapevano. Bill e Rosie tornarono al lavoro senza lamentarsi. Lorraine non avrebbe voluto addormentarsi, voleva solo riflettere su tutto ciò che avevano scoperto fino a quel momento. Non sentì la chiave che girava nella serratura della porta comunicante. Si aprì così silenziosamente che Lorraine non si accorse che Robert Caley era entrato nella stanza. Lui le accarezzò la guancia con il dorso della mano e lei si svegliò di soprassalto. «Ciao! Stavo cominciando a pensare che non ti avrei più rivista». Lei si tirò su a sedere, arrossendo. «Non mi hai mai richiamato, sai quante volte ti ho cercata? Ormai la ragazza della reception mi conosce così bene che non devo nemmeno presentarmi».
«Mi dispiace ma sono stata molto presa». Lui si sedette su una poltrona di fronte al letto. Indossava una camicia bianca senza collo, un paio di jeans e i mocassini che le piacevano tanto. «Volevo portarti a vedere le case da gioco galleggianti, avrei voluto portarti in un sacco di posti». «Be', sono qui per lavoro, sai, Robert». «Oh. certo che lo so, ma se non vuoi più vedermi perché non me lo dici chiaro e tondo?». «Stanno accadendo molte cose». Lui inclinò la testa di lato. «Che ne dici di cenare insieme stasera?». «Non penso». Evitò di guardarlo. «Non pensi? Devo presumere che tu abbia già altri impegni? Cosa vuoi dire?». Lei si morse il labbro inferiore. Robert la fissò, cercando di capire cosa stesse pensando, poi si sporse in avanti. «Mi piacerebbe poter festeggiare con qualcuno». Lorraine alzò lo sguardo. «Festeggiare?». Lui annuì. «Lo sviluppo del casinò sta andando a gonfie vele. La licenza è stata concessa a un gruppo di fuori città, ma dal momento che il terreno è mio, sono comunque socio. Dulay ha cambiato squadra ma lui e i suoi nuòvi soci ormai mi mangiano in mano. Quindi tra poco cominceremo a fare veramente i soldi». «Come sta Elizabeth?», lo interruppe lei. «Non lo so. te l'ho detto l'ultima volta che ci siamo visti - l'ho lasciata. E da allora sono sempre stato qui, ad aspettarti». «Davvero?». Lorraine si sedette sul bordo del letto e appoggiò i piedi sul tappeto, fissandosi le dita. Prese un profondo respiro, e sollevò lo sguardo lentamente, incrociando quello di Robert. «Sei un ottimo bugiardo, signor Caley, uno dei migliori che abbia mai conosciuto». «Cosa?». «Mi hai sentita, sei un bugiardo». Lui si appoggiò allo schienale, allargando le braccia. «Su cosa avrei mentito?». Lei si alzò e andò al tavolo da toilette. Lui allungò una mano per toccarla ma lei si ritrasse. Cominciò a spazzolarsi i capelli, osservandolo nello specchio. «Su cosa avresti mentito? Be', su Ruby Corbello, tanto per cominciare». Lui si appoggiò nuovamente allo schienale della poltrona, ma continuò a
fissarla. «Ti ha fatto avere un messaggio, te l'ha consegnato Errol, il fattorino. Voleva che vi incontraste in piscina. Doveva essere la sera del quindici febbraio dello scorso anno, e nel caso tu abbia un vuoto di memoria, quella è stata la sera in cui tua figlia, o meglio, la tua figlia adottiva, è scomparsa». Lui distolse lo sguardo senza tradire alcuna emozione. «Ruby aveva un diario, vero? Il diario di Tilda Brown, e nel diario di quella ragazzina c'erano i dettagli della sua vita sessuale con te. Con te, signor Caley! Quindi quel bacio al campo da tennis non era così innocente come volevi farmi credere, vero?». Lui scrollò le spalle e si appoggiò su un gomito, la mano che gli copriva in parte il viso, ma i suoi occhi erano fermi e non cercò di evitare lo sguardo colmo di rabbia di Lorraine. «Che cos'hai da dire su questo?». «Non molto, Lorraine, ma se vuoi i dettagli, allora ascoltami. Tilda Brown non era minorenne, aveva diciotto anni. È stata lei a sedurmi, e dal momento che sei al corrente dei problemi fisici di mia moglie, per non dire delle sue condizioni mentali, è stato difficile per me ignorare una bella ragazza che veniva a trovarmi di notte in camera da letto. Così me la scopavo. A lei piaceva, a me piaceva, e non c'è altro da aggiungere». «Ma si è suicidata», disse bruscamente Lorraine. «Lo so, e sono profondamente dispiaciuto, ma non vedo come la mia relazione con lei possa avere a che fare con il suo tragico gesto». «Davvero?». «Davvero, ma sono sicuro che tu vedi un legame tra le due cose. Quindi, se hai qualcosa da dire, dilla». Lorraine buttò la spazzola sul tavolo da toilette. «Io direi che tua figlia era in competizione con Tilda per avere le tue attenzioni, e tu lo sapevi benissimo. Che cos'è successo, anche questo ha cominciato a eccitarti? Come tu mi hai fatto notare, Anna Louise non era tua figlia, quindi ti scopavi anche lei?». «No. Solo Tilda e qualche altra amica, vuoi i loro nomi?». Si alzò in piedi di scatto e solo ora Lorraine si rese conto di quanto fosse infuriato. «Ho mentito per proteggere Tilda. Era già profondamente sconvolta per la scomparsa di Anna Louise e io volevo proteggerla da altre inutili domande da parte della polizia o degli investigatori». «Volevi proteggere Tilda o te stesso?».
«Ha importanza?». Lorraine aprì la valigetta e prese l'asciugamano in cui era avvolta la bambola. «Dacci un'occhiata, Robert, credo che la tua piccola amica ricattatrice, Ruby Corbello, l'abbia fatta per tua figlia da dare alla sua amica Tilda. Avanti, Robert, guarda. Come hai detto tu, aveva diciotto anni, sapeva quello che faceva. Quello che non mi hai detto, però è da quanto tempo ci andavi a letto. Era un'amica d'infanzia di tua figlia, dopotutto». Lui le diede uno schiaffo e lei prese la spazzola e la usò per colpirlo sulla guancia. Lui arretrò. «Dio mio, hai un bel gancio sinistro, ma tu sei una dura, non è vero? Le tue cicatrici lo dimostrano. Puttana, ubriacona... Forse avrei dovuto chiederti di fare le analisi del sangue prima di scoparti». «Sei un bastardo!», ringhiò lei. «Ah sì? E tu cosa sei? Con una ragazza giovane come Tilda almeno non ho corso il rischio di prendermi qualche malattia». Lorraine gli sferrò un calcio all'inguine. Lui rimase senza fiato e si piegò in due, chinandosi in avanti. «Almeno io so badare a me stessa, signor Caley. Se mi fai qualcosa di male io ti restituirò la cortesia, e questa è una cosa che una ragazzina innocente non poteva certo fare. Adesso guarda la bambola». Lui aveva il viso distorto dal dolore ed era ancora chinato in avanti quando Lorraine aprì l'asciugamano per mostrargli la bambola voodoo. «Sai se è stata Ruby Corbello a prepararla per tua figlia?». «Che cosa cazzo ne so, è disgustosa!». «Anche tu. L'ho trovata in camera di Tilda, nascosta nella custodia di un racchetta». Lui si voltò per sedersi sul letto. «Anna Louise non avrebbe mai fatto una cosa così malata. Sua madre, forse. Anzi, se sai chi l'ha fatta, ne prenderò una per Elizabeth». «Pensi che sia divertente?». «No, non so più che cosa diavolo pensare, e in questo momento, con questo cazzo di dolore di cui devo ringraziare te, non mi è esattamente facile pensare. Si può sapere perché diavolo l'hai fatto?». Lorraine riavvolse la bambola nell'asciugamano. «L'hai passata liscia anche quando hai rubato dal fondo fiduciario. Sei un ladro, Robert Caley». Lui scoppiò a ridere. «Stronzate, restituirò ogni centesimo che ho preso. L'ho detto anche a Lloyd Dulay ma lui non voleva saperne, in fondo sono soldi suoi, Lorraine. Perciò chi sta rubando a chi?».
«Tu hai rubato l'innocenza di Tilda Brown». Robert gettò la testa all'indietro e rise. «Io? Non sei stata tu a dirmi che lei e Anna Louise si facevano sbattere in un club di Los Angeles? Lorraine, stai facendo di tutto per trovare qualcosa, qualsiasi cosa che dimostri che io sono... cosa?». «Un ladro». Lui rise di nuovo. «Lo ammetto. Okay, cos'altro? Oh, naturalmente, un molestatore di bambine, giusto, dimenticavo, c'è altro?». «Un assassino, forse». Lui si alzò in piedi, continuando a massaggiarsi in mezzo alle gambe. «Chi avrei assassinato, Lorraine? Anna Louise? È questo che stai cercando di dimostrare?». Lei incrociò le braccia sul petto. «Non ho ucciso mia figlia, non so per quale ragione avrebbe dovuto scomparire in quel modo se non per sfuggire a quella stronza di sua madre, proprio come sto facendo io adesso. Ammetto di aver sfruttato il fondo fiduciario di Anna Louise, ma era un mio diritto, avevo dato i migliori anni della mia vita a Elizabeth e a sua figlia. Mi sono occupato di quella bambina fin dal giorno in cui è nata, e ho dovuto sopportare quella puttana che mi concedeva il suo denaro come fossi stato uno della servitù. Sono stato io a far fruttare le sue proprietà - non valevano un cazzo quando le ho trovate e ora valgono milioni di dollari. Sono stato io a coprire la sua dipendenza dall'alcol, dalla droga, sono stato io che le ho salvato la vita non una ma Cristo sa quante volte, e in cambio non ho mai avuto nemmeno un briciolo di rispetto. Sono stato tempestato di domande e interrogato un'infinità di volte dai poliziotti e dalla gente come te, e alla fine l'unica cosa che gli interessava era il denaro. Ma tu, tu batti tutti. Vuoi così disperatamente quel milione di dollari che sei disposta a fare qualsiasi cosa, e so perché. Ti restano solo cinque giorni per risolvere il caso. Mi hai persino scopato per avere altre informazioni. Tu, tesoro, sei la peggiore di tutti. E adesso riprenditi quella cosa puzzolente e vattene di qui prima che ti sbatta fuori a calci, puttana!». Era così infuriato che stava ansimando, ma lei non arretrò. Anzi, gli sorrise. «Ce ne vuole una per riconoscerne un'altra, Robert». Lo colpì con un destro, lui vacillò e rispose con un pugno che la lasciò senza fiato e la fece barcollare all'indietro. Ma Lorraine si allontanò subito dalla parete, pronta ad attaccare di nuovo. Andò incontro al pugno di Caley che la colpì all'oc-
chio destro. Lui esitò, perché non voleva che la situazione degenerasse e quello fu il suo sbaglio. Lorraine gli assestò una ginocchiata all'inguine, poi lo colpì al volto con così tanta forza che le nocche le si spaccarono contro i denti di lui. Caley cadde in ginocchio, incapace di emettere un suono. Lorraine prese la valigetta, vi ripose la bambola e la richiuse con uno scatto. Gettò venti dollari sul corpo rannicchiato e ansimante di Caley. «Per il tè». Lorraine scosse la mano - le faceva molto più male dell'occhio. Mentre apriva la porta, il telefono si mise a squillare. Esitò per un attimo, poi andò a rispondere. Rosie era così eccitata che quasi non riusciva a parlare. «Siamo stati fortunati. Nicky Gordon ha caricato una ragazza davanti all'uscita di servizio dell'hotel, dove aveva appena accompagnato uno dei suoi soliti clienti». Lorraine la interruppe, in parte perché Robert si stava lentamente rimettendo in piedi e in parte perché era ansiosa di sapere il resto. «Dove l'ha portata?». «Da Tilda Brown». Rooney appoggiò delicatamente la bistecca sull'occhio di Lorraine che ora stava cominciando a gonfiarsi sul serio. «Ehi, se pensi che sia ridotta male dovresti vedere come ho conciato lui». Rosie le stava bendando la mano, la pelle sulle nocche spaccata. «Potresti esserti incrinata le nocche, Lorraine», disse. «Stronzate, sto benissimo». Lorraine si alzò faticosamente e andò allo specchio. Quando vide la propria immagine, per un attimo temette di svenire: l'occhio destro era chiuso e gonfio, circondato da un livido che si andava scurendo. «Be', sono un vero schianto... Cristo, non pensavo di essere ridotta così. Comunque, non sprechiamo altro tempo». Rosie aprì il suo taccuino. «La ragione per cui non ne ha mai parlato e non è mai stato interrogato è che pensava che la ragazza facesse parte del personale, e non l'ha riconosciuta perché aveva un foulard in testa e degli occhiali scuri. È uscita dal retro dell'hotel proprio mentre lui si fermava per lasciar scendere Mimi Lavette, una cameriera cinquantenne che quella sera aveva il turno di notte. Stava per fare un'inversione a U quando quella che pensiamo fosse Anna Louise lo ha chiamato, è salita e gli ha dato l'indiriz-
zo. E lei si è innervosita quando lei ha dovuto ricontrollarlo. Era molto teso quando ha parlato con me, credo per la cosiddetta ricompensa. Avevi ragione, è senza licenza e, a giudicare dalle condizioni della sua macchina, direi che non è nemmeno assicurato». Lorraine si premette la bistecca sull'occhio mentre il telefono cominciava a squillare. Fu Rosie a rispondere, disse di attendere un istante, e per un attimo Lorraine pensò che si trattasse di Robert Caley. Ma era quel poliziotto, Harris Harper. Non avrebbe potuto vedere Rooney fino alla mattina seguente. Lorraine propose di lasciar perdere il bar di Fryer per il momento. Tornare a casa di Tilda Brown era la cosa più importante adesso. Rooney e Lorraine salirono i gradini davanti all'ingresso di casa Brown e suonarono il campanello che riecheggiò nell'atrio buio della villa. Lorraine sbirciò attraverso il vetro della porta e Rooney suonò di nuovo. Una cameriera accese le luci dell'atrio e aprì la porta. «Ho urgenza di parlare con il signore o la signora Brown». «Temo che non siano in casa». «Quando torneranno?». «Sono fuori a cena con degli amici». Lorraine, Rooney e François rimasero seduti in macchina per più di un'ora. Alla fine videro i fari di un'auto che si avvicinava. «Eccoli, almeno spero». Guardarono la macchina che rallentava e svoltava a sinistra, imboccando il viale. Lorraine strinse la spalla di François. «Seguili, non possiamo rischiare che non ci diano il permesso di entrare». I signori Brown si voltarono confusi quando Lorraine scese dall'auto. «Signor Brown, Signora Brown, mi dispiace, ma ho bisogno di parlare con voi». Mezz'ora più tardi, i signori Brown erano ancora assolutamente sicuri che, la sera del 15 febbraio, Tilda fosse rimasta in camera sua a guardare la TV. Non aveva cenato con loro, ma si era fatta portare qualcosa in camera verso le sette e trenta. Alle dieci e trenta, erano saliti a darle la buonanotte. Non aveva lasciato la sua stanza, nessuno era passato a trovarla e nessuno le aveva telefonato. Avevano ripetuto quella dichiarazione un'infinità di volte e ora cominciavano a essere stanchi e irritati. «Potrei andare un attimo in camera di Tilda, per favore?».
Rooney e Lorraine si fermarono al centro della stanza della ragazza morta, mentre il signor Brown apriva la portafinestra del balcone dal parapetto di metallo. La madre di Tilda aveva ricominciato a piangere e il marito era arrabbiato per quella intrusione, ma Lorraine non aveva alcuna intenzione di andarsene. Rooney era imbarazzato e a disagio di fronte al loro dolore. Lorraine non aveva un bell'aspetto, l'occhio le si era gonfiato ulteriormente ed era ancora chiuso. «Forse dovremmo tornare domani mattina», disse lui a bassa voce. «No. Se il tassista ha detto la verità, Anna Louise è venuta qui quella notte». Lorraine andò sul balcone e indicò una stretta scala di metallo che conduceva al giardino. «Voi non avete un cane, vero?». «No». Lorraine osservò il giardino. «Quindi se qualcuno fosse venuto qui di notte e avesse attraversato il prato, avrebbe potuto salire senza difficoltà fino a questo balcone?». «Sì, immagino di sì, ma perché qualcuno dovrebbe fare una cosa simile?». «Per non essere visto, signor Brown. E se questo qualcuno conosceva la casa, sapeva anche qual era la finestra di Tilda». L'uomo strinse le labbra, pensieroso, poi si voltò di scatto a guardare Lorraine. «Esattamente, che cosa sta insinuando? Che mia figlia è stata in compagnia di qualcuno, qualcuno che non voleva che vedessimo?». «No, signor Brown, ma forse quel qualcuno non voleva essere visto. Potrebbe lasciarci soli per qualche minuto? Gliene sarei molto grata». I Brown lasciarono soli Rooney e Lorraine, ma era chiaro che non erano affatto contenti, e dissero che li avrebbero aspettati nel salone per una decina di minuti ma non di più. Non appena la porta si chiuse, Lorraine si voltò a guardare Bill. «Che ne pensi?». Lui si sedette sul letto della ragazza morta. «Non saprei, credo che Anna Louise sia venuta qui e se ne sia andata. Abbiamo ancora quattro ore da ricostruire, prima dell'ora in cui i Caley hanno chiamato la polizia, quindi Anna Louise dev'essersi incontrata con Tilda ma Dio solo sa che cosa le è successo». Lorraine prese l'orso bianco di peluche e lo gettò sul letto. «Se se n'è andata, non ha preso un taxi, non ci sono prove che l'abbia preso e il tassista che l'ha portata qui non è rimasto ad aspettarla. Bill, e se non se ne fosse mai andata da qui?».
«Cosa?». Lorraine tornò sul balcone e osservò il giardino. Alla sua destra poteva vedere la casa dei giochi, il luogo dove Tilda e Anna Louise avevano giocato insieme da bambine. La costruzione era chiusa adesso, e di colpo Lorraine capì. Fu attraversata da un brivido. «Non credo che se ne sia mai andata da qui». «Cosa?», ripeté Rooney. «Andiamo giù, Bill». I signori Brown sedevano nel salone chiusi in un silenzio composto ma ostile. Lorraine entrò e prima che potessero chiederle di andarsene, indicò la vetrata. «La casa dei giochi in giardino, ho notato che la porta era chiusa con un lucchetto, potreste spiegarmi perché?». La signora Brown si voltò a guardare il marito, confusa, ma lui per tutta risposta aggrottò le sopracciglia. «L'ha messo lei il lucchetto, signor Brown?». «Non che mi ricordi. L'hai messo tu, tesoro?». «No, pensavo che fossi stato tu. Forse è stata Tilda». Lui si alzò. «Non sono stato io. Cerco di non guardare mai la casa dei giochi, mi riporta alla mente troppi ricordi. Ne è sicura, signora Page? È chiusa con un lucchetto?». Lorraine scrollò le spalle. «Be', mi è sembrato di vedere una catena quando sono stata qui stamattina, ma potrei anche essermi sbagliata. Ha una torcia elettrica?». Rooney arrancò dietro Lorraine, mentre il signor Brown faceva strada con la torcia elettrica. «Vuoi dirmi cosa cazzo stiamo facendo, Lorraine?», sussurrò Bill. «Dimmelo tu. Tutte le altre case di questo quartiere hanno telecamere a circuito chiuso, ma i Brown no: lasciano i cancelli aperti e chiudono con un lucchetto la casa dei giochi di una ragazzina, non ha senso». Il fascio di luce della torcia illuminò il pesante lucchetto. «Forse il giardiniere ha cominciato a tenere qui i suoi attrezzi», suggerì il signor Brown. «Ha una tenaglia o qualcosa del genere che possiamo usare per tagliare la catena?». «Perché?», volle sapere Brown. Lorraine esitò. «Voglio vedere cosa c'è dentro».
Ci vollero altri dieci minuti per aprire uno degli anelli della spessa catena che chiudeva la porta. Lorraine aprì la porticina pensata per un bambino, e si chinò per entrare. «Potrebbe illuminare da questa parte, per favore?». C'erano due seggioline e un piccolo tavolo su cui si trovavano un servizio da tè e dei piatti di plastica. In un angolo c'era un minuscolo lettino su cui erano adagiate due bambole sotto una coperta. «Non c'è niente qui», disse Rooney. Lorraine si fece dare la torcia dal signor Brown e illuminò l'interno della casa dei giochi, poi notò il telo di plastica che copriva il pavimento. «Non senti uno strano odore, Bill?». Rooney annusò l'aria, sporgendosi dalla minuscola porta. «Odore di muffa, mi sembra». «Comincio ad avere freddo», disse il signor Brown, in piedi alle spalle di Rooney. Lorraine gli consigliò di tornare a casa e l'uomo, dopo un attimo di esitazione, si allontanò. «Muffa? Ne sei sicuro?». Rooney sospirò e si chinò per entrare. Annusò di nuovo. «Certo, muffa, o muschio forse, comunque mi sembra normale. Qui dentro deve fare un caldo d'inferno quando c'è il sole, con tutta questa plastica. Cosa stai facendo?». «Tieni questa dannata torcia, Bill, voglio togliere il telo». «Cristo santo, Lorraine, ma perché non torniamo domani mattina?». «Perché siamo qui adesso, quindi fa quello che ti dico». Rooney si mise carponi e illuminò con la torcia il pavimento, mentre Lorraine cominciava a sollevare il telo di plastica. Spinse da parte il tavolo e le sedie e, mettendosi a sua volta a quattro zampe, tolse la plastica. Si sedette sui talloni, allungò una mano per prendere dal tavolo uno dei piccoli piatti giocattolo. «Cos'hai intenzione di fare?». «Di scavare, che cosa credevi? Tieni bene quella luce, Cristo santo, non vedo niente». Rooney si accovacciò e la guardò scavare con il piatto. «Il terreno doveva essere secco qui dentro. Era febbraio, giusto? Perciò se qualcosa è stato sepolto sotto il telo di plastica, probabilmente è rimasto all'asciutto e tu stesso hai detto che senti puzza di muffa. Be', se un cadavere fosse stato nascosto qua dentro, dovremmo aspettarci molta muffa, un
odore simile a quello della muffa». Rooney tenne ancora un attimo la torcia, poi spostò il fascio di luce lungo il perimetro della casa dei giochi, lasciando Lorraine al buio. «Cosa fai?». «Voglio vedere se ci sono escrementi, perché se qui dentro ci fosse stato un cadavere, i topi sarebbero sicuramente riusciti a entrare. Ma non c'è niente, Lorraine. Tieni presente che ci sono molti procioni da queste parti, lo avrebbero fatto a pezzi questo posto». Lei continuò a scavare con il piatto di plastica, le mani e le unghie sporche di terra e Rooney tornò a farle luce, guardandola. Due centimetri, cinque centimetri, e Lorraine continuò a scavare, andando sempre più in profondità. La luce stava cominciando a indebolirsi. «Le batterie stanno finendo», disse lui. Lorraine si mise a scavare con le mani, ma a un certo punto si fermò. «C'è qualcosa qui, avvicinati. Più vicino, Cristo santo, non vedo niente. E non mi offenderei se mi dessi una mano, Bill, sai?». Lui arrancò verso di lei, il fascio di luce ormai ridotto a un vago alone giallo. «Che cos'è?». «Non lo so, non riesco a vedere, cazzo. Scava tu, io tengo la torcia». Lorraine si fece da parte e Rooney cominciò a scavare aiutandosi con una delle tazze di plastica. Senza volere, gettò una manciata di terra addosso a Lorraine e lei si ripulì distrattamente. «Cazzo! Hai ragione, c'è qualcosa qui sotto». Rooney scavò ancora per qualche minuto poi sbirciò nella buca. Si poteva vedere l'angolo di un sacco nero della spazzatura. Rooney si guardò la mano; era coperta di vermi, come il polsino della sua giacca. «Oh merda! Ce ne saranno a milioni, vermi del cazzo. Dammi la torcia, maledizione, non si vede un accidente». Lorraine gli passò la torcia e Bill la usò per illuminare il buco che aveva aperto senza accorgersene nel sacco di plastica. Sollevò lentamente un lembo dello squarcio e, nella luce giallastra, lui e Lorraine videro parte di un cranio, la pelle completamente in decomposizione, ma c'erano ancora alcuni lunghi capelli biondi e un fermacapelli. «Penso che abbiamo appena trovato Anna Louise Caley», disse Rooney a bassa voce. «E forse ci siamo appena guadagnati il nostro milione di dollari», aggiunse Lorraine. Rooney la guardò in viso, l'occhio destro nero e gonfio, la guancia sinistra sfregiata. Sembrava un pugile pronto ad affrontare il decimo round.
«Tu non ti arrendi facilmente, vero?». «No, ma sai, la vita non è facile. Almeno, la mia non lo è». Lorraine si alzò e rimase curva perché il tetto della casa dei giochi era troppo basso per lei. «È meglio che vada dai Brown adesso». Erano ancora lì all'alba. La polizia aveva chiuso la zona e acceso dei riflettori. Impiegarono due ore a recuperare il corpo. Il cadavere era avvolto da quattro strati di plastica nera, e chiuso da metri e metri di nastro isolante con cui era stato virtualmente mummificato. Non restavano che brandelli di abiti marciti. Il cadavere era stato sepolto per almeno un anno, a giudicare dallo stato di decomposizione. Le orbite e il cranio erano pieni di scarafaggi e di vermi. Non c'era alcun odore di morte perché tutti i gas erano evaporati, e la mummificazione del corpo sigillato nella plastica aveva fatto sì che tutti i tessuti fossero completamente disidratati. Non era rimasto molto per l'identificazione tranne le impronte dentali e i sottili capelli biondi lunghi fino alla vita. Sarebbe stato difficile anche determinare la causa della morte. Alle undici del mattino successivo, le impronte dei denti erano state spedite al laboratorio della scientifica di Los Angeles. Il corpo venne ufficialmente identificato alle dodici e trenta. Anna Louise Caley era morta circa undici mesi prima. Era stata uccisa da un unico colpo alla nuca, inferto probabilmente con uno strumento arrotondato dai bordi smussati. Alle dodici e quarantacinque, Elizabeth Caley venne informata che il cadavere di sua figlia era stato rinvenuto a casa di Tilda Brown. Le dissero anche che era stato scoperto da Lorraine Page e dal suo socio, il signor William Rooney. Alle due di quel pomeriggio, François accompagnò Lorraine alla villa dei Caley nel Garden District. «Vuole il suo premio?», le chiese Elizabeth freddamente. Sembrava elegante come sempre, e Lorraine fu colpita dalla resistenza di quella donna. «Farò battere a macchina tutti i rapporti e glieli manderò, o qui o a Los Angeles, come preferisce». «Com'è morta?», chiese Elizabeth, accendendosi una sigaretta. «È ancora difficile dirlo con precisione, ma aveva una profonda frattura alla base del cranio». Elizabeth inspirò una boccata di fumo. «I poliziotti mi hanno portato a casa un fermacapelli, mi hanno chiesto se era di Anna Louise. Non era suo, era mio».
Lorraine controllò le ricevute delle spese che Rosie aveva raccolto con un fermaglio. «Invierò a Phyllis i dettagli delle spese del viaggio a New Orleans, ma se vuole posso lasciarli direttamente a lei. Signora Caley?». Elizabeth stava guardando fuori dalla finestra. «Mandi tutto a Phyllis, ci penserà lei a pagarla». Lorraine ripose i documenti nella valigetta. «Chi l'ha uccisa, signora Page?», domandò Elizabeth a bassa voce. Lorraine esitò. «Questa è solo una supposizione, perché senza la dichiarazione di Tilda, ovviamente non sapremo mai che cosa sia successo veramente». «Lei cosa crede che sia accaduto?». «Be', sua figlia era molto gelosa di Tilda Brown. Sapeva che Tilda aveva una relazione con suo marito?». Elizabeth inarcò un sopracciglio sottile. «Be', suppongo che dovesse pur sfogarsi con qualcuno. Certamente non lo faceva con me». Lorraine distolse lo sguardo, la signora Caley la disgustava, non mostrava alcun segno di emozione, era calma, quasi sarcastica. «Continui, la prego. È per questo che la pago, quindi vorrei sentire cos'ha da dire». «A quanto pare, Anna Louise era molto gelosa perché era innamorata del padre adottivo. Il litigio tra le due ragazze prima che lasciaste Los Angeles era scoppiato perché Anna Louise aveva visto la sua amica baciare o abbracciare il signor Caley». «Quel miserabile bastardo», disse Elizabeth in tono amaro, spegnendo la sigaretta. Lorraine si inumidì le labbra. La testa le pulsava dolorosamente e l'occhio, anche se molto meno gonfio ora, le faceva ancora male; per di più era stata in piedi tutta la notte. «Continui, signora Page», disse Elizabeth seccamente. «Be', quando siete arrivati all'hotel, il pomeriggio del 15 febbraio, Tilda...». Elizabeth si voltò e riprese a guardare fuori dalla finestra, mentre Lorraine continuava. «So che suo marito si è incontrato con una certa Ruby Corbello, una ragazza che aveva lavorato come cameriera dai Brown. Ruby stava cercando di ricattarlo». «Cosa?». «Aveva trovato il diario di Tilda ed era disposta a darlo al signor Caley
in cambio di denaro. Il diario conteneva i dettagli della relazione di suo marito con Tilda». «Lei ha letto il diario?», domandò Elizabeth. «No, non l'ho letto. Non ho mai visto il diario, ma suo marito ha ammesso di essersi incontrato con la signorina Corbello e di averle dato duecento dollari in cambio del diario». Elizabeth scoppiò a ridere. «Che cifra misera, quella sciocca ragazzina avrebbe potuto chiedere molto di più». «Ruby Corbello è salita in camera di Anna Louise passando per la scala di servizio. Dopo dieci minuti ha lasciato l'hotel ma più tardi è stata vista di nuovo nel giardino, sotto il balcone di Anna Louise. Penso che sua figlia abbia chiesto a Ruby Corbello di fare una bambola per lei, una bambola voodoo che somigliasse a Tilda Brown. Potrebbe aver dato a Ruby una fotografia di Tilda da appiccicare al volto della bambola e del denaro. Ma la ragazza non ha ammesso di aver fatto la bambola e senza una dichiarazione di sua figlia, sarà difficile dimostrarlo». Elizabeth si accese un'altra sigaretta. Lorraine notò che le tremavano le mani, ma a parte questo la donna era impassibile. «Ho rintracciato una compagnia di taxi illegale di cui sono soliti servirsi i componenti del personale dell'albergo per tornare a casa la notte. Un tassista ricorda di aver accompagnato una giovane donna a casa di Tilda Brown la sera del quindici febbraio dello scorso anno». Lorraine allungò una mano per prendere il bicchiere di tè freddo che era stato servito quando lei era arrivata, e bevve qualche sorso. «Quella è stata l'ultima volta che qualcuno ha visto sua figlia. Credo che conoscesse così bene la casa di Tilda che non è entrata dalla porta d'ingresso ma è salita sul balcone che si trova al primo piano. A quel punto, deve aver visto Tilda. I genitori della ragazza hanno dichiarato che Tilda non ha mai lasciato la sua camera quella sera, quindi è probabile che si siano viste verso le sette e tre quarti». Elizabeth si sedette, si lisciò la gonna aderente con le mani e incrociò le caviglie. «Continui, la prego». Lorraine sospirò, la testa cominciava a farle veramente molto male adesso. «Come possiamo sapere che cosa è successo esattamente? Erano giovani, arrabbiate, gelose ed entrambe erano state in più occasioni da Juda Salina per farsi leggere i tarocchi o quant'altro. Entrambe le ragazze erano cresciute qui e, ovviamente, conoscevano l'esistenza del voodoo. Forse Anna Louise aveva scoperto questa religione anche grazie a lei, signora Caley».
«Grazie a me?», disse Elizabeth in tono tagliente. «Lei ha interpretato Marie Laveau e ha persino un quadro che la ritrae in quel ruolo, nella sua casa di Los Angeles. Quindi Anna Louise doveva conoscere la cultura voodoo. Forse entrambe le ragazze ne avevano paura, anche se non credo, ma penso che Anna Louise volesse spaventare Tilda, volesse terrorizzarla. Forse le ha mostrato la bambola e hanno iniziato a litigare, chissà, ma avevano già litigato in passato. Tra l'altro, quando ho interrogato Tilda, mi ha raccontato che Anna Louise l'aveva graffiata e presa a pugni. Quindi anche quella sera potrebbero essersi picchiate, e forse Tilda ha preso qualcosa, magari una racchetta da tennis, e ha colpito Anna Louise». Elizabeth rimase in silenzio, il capo chino, mentre Lorraine prendeva una sigaretta e l'accendeva. «Forse Anna Louise se ne stava andando, forse era voltata verso il balcone e Tilda l'ha colpita alle spalle. C'erano delle macchie sulla moquette in quel punto, ma dopo il suicidio di Tilda la moquette è stata pulita così non sapremo mai se c'era del sangue o meno». Elizabeth aveva lo sguardo perso nel vuoto. «Penso che Tilda sia scesa in cucina a prendere dei sacchi, perché il corpo è stato chiuso nella plastica poco dopo la morte. Poi ha usato rotoli e rotoli di nastro isolante per chiudere i sacchi attorno al corpo. Forse ha tenuto il cadavere nascosto in camera, forse ha aspettato il mattino dopo. Potrebbe averlo gettato dal balcone per poi trascinarlo fino alla casa dei giochi. Ha scavato una fossa dove ha sepolto Anna Louise, poi ha chiuso la porta con un lucchetto e...». «E ha lasciato la mia bambina a marcire», mormorò Elizabeth. «Sì. Tilda non è più tornata al college ma è rimasta con la sua famiglia. Le persone che ho interrogato mi hanno detto che stava diventando sempre più introversa e nervosa. Probabilmente viveva nel continuo terrore che qualcuno trovasse il corpo. Credo che la mia visita l'abbia spaventata moltissimo perché qualcuno stava facendo indagini anche dopo così tanto tempo. Credo di essere stata l'unica a scoprire che le ragazze conducevano una vita sessuale promiscua ma anche che erano gelose l'una dell'altra. Tilda era molto turbata quando l'ho interrogata ma non si è lasciata sfuggire nulla che facesse capire che era coinvolta nell'omicidio di Anna Louise». «Coinvolta? Dio mio, l'ha uccisa». «Era molto sotto pressione e tutta una serie di fattori esterni...». «La prego, non cerchi di scusare quella ragazza, ha assassinato mia fi-
glia». «Sì, è così». Elizabeth si alzò, e si lisciò nuovamente la gonna. «Allora è finita?». Lorraine si alzò a sua volta, barcollò leggermente, si sentiva debole e dovette appoggiarsi al bracciolo della poltrona. «Si sente bene?», le chiese Elizabeth, guardandola negli occhi forse per la prima dall'inizio della conversazione. «Sono molto stanca». «Che cos'ha fatto alla faccia?». «Oh, non è niente, sono andata a sbattere contro una porta. Ora vorrei andare, se non le dispiace». Elizabeth andò allo scrittoio e lo aprì. Si sedette su un'elegante sedia inglese e prese il libretto degli assegni. Lorraine si rimise la giacca e raccolse la valigetta. «Ha ancora la bambola, signora Page?». «Sì, sì, ce l'ho ancora». «Non l'ha data alla polizia?». «No». «Le dispiacerebbe lasciarla qui? Non credo che sia necessario che la veda qualcun'altro». Lorraine aprì nuovamente la valigetta. «Se posso chiederglielo, perché non l'ha data alla polizia?». «Be', è solo una prova circostanziale». «Dio mio, siamo proprio delle professioniste, vero?». Lorraine appoggiò la bambola ancora avvolta nell'asciugamano dell'hotel su un tavolino. Elizabeth staccò l'assegno e ci soffiò sopra per far asciugare l'inchiostro. Poi lo tese a Lorraine. «Il suo premio, signora Page». Lorraine fece qualche passo verso la signora Caley e prese l'assegno. Guardò la cifra: un milione di dollari. «Non è scoperto», disse Elizabeth richiudendo la ribaltina dello scrittoio. Poi, senza voltarsi, prese la bambola e andò alla porta. «La cameriera l'accompagnerà alla porta, signora Page. Grazie mille». Lorraine rimase in piedi a fissare l'assegno mentre il ticchettio dei tacchi di Elizabeth Caley svaniva in lontananza. Comparve Missy e fece segno a Lorraine di seguirla alla porta d'ingresso. Ormai Elizabeth era quasi in cima alla lunga scala ma non si voltò a guardare Lorraine che se ne andava.
Dalla finestra, Elizabeth seguì con lo sguardo l'auto di Lorraine che si allontanava, poi lasciò ricadere la tenda. Andò allo scrittoio. Il fermacapelli era ancora nel sacchetto di plastica trasparente della polizia e lei lo sfiorò con la punta di un dito, prima di prenderlo e di lasciarlo cadere nel cestino della carta straccia. Raggiunse il letto dove aveva posato la bambola e la tolse dall'asciugamano, fissando l'orribile testa di plastica con la foto di Tilda Brown, lo spillo conficcato nell'occhio sinistro. Prese la bambola e la portò al caminetto. Si chinò e la mise sulle sbarre della grata vuota, e svuotò un'intera bottiglietta di solvente per smalto prima di accendere un fiammifero e darle fuoco. Rimase a guardare le fiamme che presero ad ardere velocemente; l'ultima cosa che si annerì e si sciolse fu la piccola testa di plastica con la fotografia di Tilda Brown. Elizabeth attese finché della bambola non rimasero che le ceneri e l'odore acre della plastica bruciata. Poi andò a sedersi sul bordo del letto, prese la fotografia di Anna Louise e se la strinse al petto. Si sdraiò, stringendo la fotografia. Il suo volto era impassibile, ma a poco a poco le si riempirono gli occhi di lacrime, che le rigarono le guance e, alla fine, Elizabeth Caley cominciò a singhiozzare silenziosamente, ripetendo ancora e ancora il nome della figlia e sussurrando che le dispiaceva, le dispiaceva tanto. Robert Caley aveva chiesto di vedere il corpo o ciò che ne rimaneva, ma niente avrebbe potuto prepararlo allo spettacolo di quel cadavere annerito e in decomposizione. Rimase sconvolto e non riuscì a trattenersi che pochi istanti. Come sua moglie, anche lui pianse per Anna Louise. Anche lui invocò il suo perdono, sapendo di avere molte colpe. Stava per ottenere tutto ciò che aveva sempre sognato, e sarebbe diventato sicuramente un uomo molto ricco, ma adesso si sentiva svuotato, sfinito e provava vergogna per se stesso. Due ragazzine erano morte a causa della sua stupidità e del suo egoismo. La donna che avrebbe potuto amare lo aveva visto per quello che era veramente, e Caley sapeva che il danno era irreparabile. Ma gli bastava pensare a lei perché il suo sguardo andasse alla porta comunicante, e il suo cuore prese a battere più forte quando vide che si stava aprendo. «Mi scusi, signor Caley, ma il direttore vuole sapere se ha ancora bisogno di entrambe le suite perché...». «No, no, ho deciso di partire stasera». «Posso informare il direttore allora, signor Caley? Con il Carnevale che si sta avvicinando, lei capisce...».
«Sì, certo, grazie». La cameriera chiuse la porta e fece scattare la serratura. Caley cominciò a fare i bagagli, voleva andarsene il prima possibile. Il fattorino stava portando le sue valige alla macchina quando Saffron Dulay, a bordo della sua Rolls Cornicile decappottabile, si fermò davanti all'hotel. «Tesoro, non te ne andrai adesso, vero?». Caley la guardò scendere dall'auto e ancheggiare verso di lui, pronta ad abbracciarlo. La pelle dorata e i capelli dorati di Saffron gli ricordavano Anna Louise. «Papino, abbracciami, abbracciami forte, e dimmi che mi vuoi tanto, tanto, tanto bene». Piangendo, Caley strinse Saffron tra le braccia. «Shhh, tesoro, lo so, so che l'hanno trovata», tubò Saffron, accarezzandogli i capelli. Lui distolse lo sguardo, imbarazzato dalle lacrime che non riusciva a trattenere, ma lei lo attirò nuovamente a sé. «Non te ne andrai adesso, vero? Non ora che ho fatto tutta questa strada per vederti e che tu e papà siete di nuovo in affari insieme, dobbiamo festeggiare». Per Saffron, la morte di Anna Louise era già acqua passata, era già storia antica. Si accorse dell'esitazione di lui e si rivolse al fattorino. «Metti le valige del signor Caley nella mia macchina okay?». Rivolse a Caley quel suo ampio e gelido sorriso. «Ehi, ci divertiremo, è appena cominciato, è Mardi Gras!». Saffron tornò al posto di guida mentre il ragazzo metteva le valige nel bagagliaio. Lei inforcò gli occhiali da sole e mise in moto. «Papà mi ha detto che hai mollato quell'ubriacona con cui sei stato per più di vent'anni. È la verità, Robert?». Lui annuì, prendendo posto accanto a Saffron e, come lei, si mise gli occhiali da sole mentre l'auto si immetteva nel traffico. Si diressero verso l'Esplanade. Robert teneva un braccio abbandonato lungo il corpo, mentre con l'altra mano accarezzava il collo snello di Saffron. «Oh, sì, questo mi piace». Saffron scoppiò a ridere. Caley sorrise, un sorriso triste, perché sapeva che d'ora in avanti la sua vita sarebbe stata piena di tante Saffron. I soldi generano soldi, ma generano anche bastardi.
Lorraine stava guardando fuori dal finestrino dell'auto caldissima di François. Era sicura che Caley non l'avesse vista e ne era felice, non perché fosse ridotta proprio male, ma perché temeva che non sarebbe stata in grado di nascondere ciò che provava. Saffron stava ridendo e Robert Caley le accarezzava la nuca con una mano. Una coppia fantastica, apparentemente priva di rimorsi, di dolore, di sofferenza. Lorraine fu felice di vederli perché faticava a sopportare l'idea di essere stata così stupida da provare qualcosa per Robert, anche solo per un istante. Non ne valeva la pena, e qualunque cosa avesse provato per lui sarebbe svanita ben presto. Lo avrebbe dimenticato, proprio come avrebbe dimenticato la povera, sfortunata Anna Louise, il cui scheletro giaceva all'obitorio, coperto da un lenzuolo. Lorraine entrò proprio mentre Rosie stava chiudendo l'ultima valigia sul copriletto di nylon rosa. «Bene, e con questa i bagagli sono pronti. Quelli dell'hotel vogliono che ce ne andiamo il prima possibile, sono sommersi dalle prenotazioni». «Per quanto tempo avevi prenotato le stanze?». «Be' ho ottenuto un prezzo speciale assicurando loro che ce ne saremmo andati quando l'hotel avrebbe cominciato a riempirsi. Sai, il Mardi Gras è un evento». «Sì, lo sapevo», replicò Lorraine bruscamente. Rosie andò alla scrivania. «Avevo fatto anche un'altra prenotazione in un posto fuori città, nel caso avessimo dovuto trattenerci più a lungo, ma non ci serve più adesso, giusto?». Rooney entrò trafelato e lasciò cadere a terra le sue valige. «Allora, com'è andata?». «Ho l'assegno nel portafogli, un milione di dollari!». Rosie ululò al settimo cielo e Rooney batté il pugno chiuso contro il muro. «Sì, sì! Un fottutissimo milione di dollari!». Lorraine incrociò le braccia sul petto. «Allora ve ne andate tutti e due?». Rooney si accigliò. «Be', vieni via anche tu, giusto? Voglio dire, volevi restare per il Mardi Gras?». «No, l'idea di andarmene in giro per queste strade a farmi spintonare non mi entusiasma ma...». «Ma cosa?», chiese Rosie, aprendo il portafogli di Lorraine e prendendo l'assegno. «Ma, be', pensate che abbiamo davvero finito?». Rosie passò l'assegno a Bill.
«Vuoi dire che dobbiamo controllare che sia coperto?», disse lui, osservando l'assegno. Lorraine sembrava nervosa, spostava il peso da un piede all'altro. «Hanno già dato via la camera di Nick?». «Cosa?». «Ti ho chiesto se hanno dato a qualcuno la camera di Nick». «Be', sì, noi abbiamo smesso di pagarla», rispose Rosie che stava cominciando a insospettirsi. «Ha provveduto la sorella al funerale?». «Sì», rispose Rooney aggrottando la fronte. «Lo sai, te lo abbiamo detto. Ormai l'avranno sepolto». «Sepolto e dimenticato, così? Dimenticato come quel tragico scheletro all'obitorio? Be', per vostra informazione, io non ho dimenticato Nick Bartello, non l'ho dimenticato affatto». «Cazzo, Lorraine, nemmeno noi. Se stai pensando di dare alla sua famiglia parte del milione di dollari, io sono d'accordo», disse Rooney. «Non dobbiamo dare niente a nessuno», ribatté Lorraine, lasciandosi cadere su una sedia e sporgendosi in avanti, la testa tra le mani. «E allora cosa c'è?». Lei scosse la testa e si appoggiò allo schienale, chiudendo gli occhi. «C'è che qualche pezzo di merda ha ucciso Nick e se ne va in giro libero e non gliene frega niente a nessuno, ecco cosa c'è!». Rooney sospirò, aveva l'impressione che gli mancasse la terra sotto i piedi. «Lorraine, gli sbirri non hanno niente, noi non abbiamo niente. Che cosa vuoi che facciamo adesso, che restiamo qui e iniziamo un'altra indagine?». «Voglio che finiamo ciò che abbiamo cominciato, ti avevo detto di andare al bar di Fryer Jones, di farti aiutare da quel poliziotto a perquisire il locale, perché sono certa che qualche figlio di puttana abbia la collana di Nick. Qualche bastardo ha ucciso Nick Bartello e tutto quello che voglio è che controlliamo alcune cose prima di tornarcene a Los Angeles a goderci tutti quei soldi, okay?». Rooney sospirò, alzando le mani come per calmarla. «Okay, stai tranquilla. Chiamerò subito Harper, possiamo cominciare immediatamente. Ma, Lorraine, se non scopriremo niente, di' pure quello che vuoi, ma me ne andrò. E tu, Rosie?». Lei annuì. «Sì, verrò con te, Bill». Lorraine si alzò. «D'accordo, ma io credo che rimarrò finché non sarò si-
cura di aver fatto tutto il possibile. Allora, teniamo una stanza per tutti. Possiamo restare nella mia, non ho ancora fatto le valige». Lorraine entrò in bagno e si richiuse la porta alle spalle, sbattendola con forza, e Rosie sospirò. «Quando si comporta così, la prenderei a schiaffi, davvero. Voglio dire, come possiamo pensare di scoprire qualcosa se nemmeno la polizia ha trovato niente, eh? Come? È un'ossessiva». Rooney si massaggiò il mento. «Ma se non lo fosse, Rosie, non avremmo mai trovato Anna Louise Caley e non avremmo un assegno da un milione di dollari. Quindi, alziamo il culo e facciamo quello che ci dice Lorraine. Non vorrei che, all'improvviso, le saltasse in mente che ha diritto a una parte più grande del milione». «Ma non può fare una cosa del genere!». Rooney scosse l'assegno. «Questo è intestato a lei, Rosie. Dovrà metterlo sul suo conto e poi ci darà la nostra parte, quindi credo che sia meglio fare quello che ci dice». Lorraine si fece una doccia e si cambiò, ma non sì sentì molto rinfrescata o rinfrancata, solo rabbiosa. Sapeva che in parte era perché aveva visto Robert Caley. Si guardò allo specchio, come per rimproverarsi. «Ehi, vedi di calmarti. Ricordati che quell'uomo non merita un altro secondo del tuo tempo, quindi dacci un taglio». Rooney bussò alla porta e lei gli aprì. «C'è qualcuno qui con te?». «No, stavo solo pensando ad alta voce». «Oh, bene, il poliziotto è giù che ci aspetta, vuoi venire a parlarci?». «Certo». Rooney le tenne aperta la porta. Tutti i loro bagagli erano sparpagliati per la stanza. «Ti devo avvertire, Harper non è esattamente Burt Lancaster, ha un aspetto piuttosto insolito». «Oh davvero?». «Già, ha il collo largo quanto il culo!». Harper sedeva con Rosie al tavolino di plastica bianca e blu di un caffè da quattro soldi non lontano dall'hotel. L'insegna al neon del locale brillava debolmente nella luce del pomeriggio e i marciapiedi erano gremiti di gente. Harper stringeva una bottiglia di birra nella mano grassa e sudata, e sollevò appena il pesante fondoschiena, quando Lorraine li raggiunse. «Sono Lorraine Page».
«Ciao, come va?». «Bene, grazie per essere venuto». Lorraine lo squadrò attraverso le lenti scure. Rooney aveva ragione, quel tizio era a dir poco gigantesco. «Nessun problema, vuoi una birra o magari...». «Un caffè», disse lei accendendosi una sigaretta. «La città sta cominciando a scaldarsi. È un vero peccato che non vi fermiate per il Carnevale». Dopo poche boccate, Lorraine spense la sigaretta. «Okay, possiamo parlare di affari, adesso?». «Certo, spara pure». Lorraine parlò velocemente, riassumendo gli eventi che avevano portato alla morte di Nick Bartello e menzionando il fatto che il loro collega era stato al bar di Fryer Jones la sera precedente e che forse c'era tornato la notte in cui era stato ucciso. «Ascolta, so che era tuo amico, okay? Ma è stato un pazzo ad andare in quel quartiere di notte da solo. Ora, noi della polizia abbiamo fatto qualche indagine, abbiamo chiesto un po' giro, perché il cadavere è stato trovato vicino a quel bar, ma nessuno l'ha visto nel locale. E nessuno l'ha visto nemmeno nel vicolo». Lorraine si sporse in avanti. «Okay, allora mi stai dicendo che con il Mardi Gras alle porte, è normale che un povero figlio di puttana si ritrovi nella strada sbagliata, entri nel bar di Fryer, si beva qualche birra, esca e gli taglino la gola? E voi sbirri non avete altro da dire che è stato un povero pazzo ad andarsene da solo in quel quartiere? Avete forse appeso dei cartelli con scritto "Attenzione, da queste parti potreste finire ammazzati"?». Harper fece una smorfia, infastidito dal fatto che una donna gli stesse parlando con quel tono. Lorraine contò sulle dita: «Sappiamo che è stato là, sappiamo che ha fatto incazzare un paio di ragazzi che avevano una pistola e la stavano ficcando su per il culo a Fryer. Sappiamo che ha fatto fare una figura del cazzo a quei due. Sappiamo che Fryer Jones ha regalato a Nick una collana, un gris-gris, che non era sul suo cadavere quando è stato ritrovato, e sappiamo che erano scomparsi anche il suo portafogli e la sua patente. Li teneva in tasche separate». «Uh uh». Il volto grasso di Harper tremolò come gelatina. «Fryer Jones mi ha detto di aver conosciuto Nick e io voglio sapere chi c'era nel suo bar quella notte. Voglio sapere chi c'era la notte successiva -
in altre parole, voglio sapere se Nick Bartello è stato al bar di Fryer Jones e se è stato uno degli avventori a tagliargli la gola. Quindi, se questo significa che dobbiamo ottenere un mandato di perquisizione, se questo significa...». Il poliziotto scosse la testa. «Sei una signora molto impaziente, questo è sicuro». «Be', abbiamo la stanza solo per un'altra notte», disse lei con un sorriso teso. «Okay. Il quartiere in cui si è avventurato il tuo amico non è certo quello giusto per un bianco che ha voglia di andare a farsi una bevuta, a meno che sia lì per comprare della droga. Il tuo amico si drogava?». «No, non si drogava», ringhiò Rooney. «Okay, allora è stato solo un povero idiota. Comunque a noi della polizia non piace andare in bar come quello di Fryer Jones senza un motivo dannatamente buono. Non ci piace perché Fryer è un informatore». Lorraine si appoggiò allo schienale. «Davvero? È per questo che lo avete arrestato la notte della scomparsa di Anna Louise Caley?». «Sissignora, lo abbiamo arrestato e abbiamo dovuto far finta di trattenerlo per un po'. Volevamo chiedergli se aveva sentito qualcosa, se sapeva dove poteva essere finita la ragazza, perché non c'è niente di quello che succede in quella parte della città che Fryer non sappia. Ma siamo stati costretti a farlo sembrare un vero arresto perché, se si venisse a sapere che è un nostro informatore, il vecchio Fryer finirebbe con la gola tagliata come il tuo amico». Harper si appoggiò allo schienale della sedia e ruttò, poi si colpì il petto con il pugno chiuso. «Meglio non tenersi dentro le cose». Lorraine si accese un'altra sigaretta e osservò la strada, inspirando il fumo. «Okay, mettiamola così. Mi stai dicendo che non potete ottenere un mandato di perquisizione per il bar di Fryer e trascinare un paio di ragazzi alla stazione di polizia? È questo che mi stai dicendo?». «Immagino di sì. Non vogliamo agitare le acque». «Bene, quanto costerebbe agitarle?». «Come?». «Andiamo, hai capito benissimo, Ti sto chiedendo quanto mi costerebbe farmi accompagnare da quattro cinque di voi, armati di qualcosa di più pericoloso dei vostri manganelli di legno. Possono essere sbirri o sbirri che non si comportano da sbirri, mi segui?». Rosie sentì la birra analcolica gorgogliarle nello stomaco. Rooney si voltò a guardare la strada, ma aveva il volto teso e madido di sudore.
«Quanto?», chiese Harper. «Dimmelo tu», disse Lorraine dolcemente. Rooney lanciò un'occhiata a Rosie. Lei aveva il volto sudato e stava giocherellando nervosamente con l'orlo della tovaglia. Harper prese una goccia d'acqua che stava scorrendo lungo il collo della sua bottiglia gelata. Si leccò il dito. «Dove posso trovarvi oggi pomeriggio?». «In albergo, aspetteremo che ti faccia vivo tu». Il poliziotto spinse indietro la sedia. «Ci sentiamo. È stato bello parlare con voi. Signora Page, Bill e, Rosie, è stato un piacere conoscervi». S'incamminò ballonzolante lungo la strada, facendosi largo tra la folla che sembrava quasi scorrere attorno alla sua enorme circonferenza. Il suo collo gigantesco gli conferiva un'aria vagamente delinquenziale, accentuata dai sottili baffi neri sopra la bocca da bambino. «Quanto credi che vorrà?», domandò Rosie. Lorraine si alzò. «Cosa c'è, hai paura di separarti dal denaro che ti sei così duramente guadagnata, Rosie?». «No, sono solo cauta. E tu dovresti andare a depositare quell'assegno in banca prima di perderlo». Lorraine scoppiò a ridere e prese la borsa. «Certo, e immagino che vorrete subito la vostra parte, ma vi dispiace aspettare che l'abbia depositato sul mio conto?». Si allontanò e Rosie strinse la mano di Bill. «Quel tipo non mi è piaciuto per niente e anche Lorraine comincia a non piacermi». Rimasero a guardare Lorraine. Era in piedi sul marciapiede e si stava voltando lentamente verso di loro quando vide una Mustang rossa decappottabile percorrere lentamente la strada. Al volante c'era Raoul Corbello, una mano fuori dal finestrino e l'altra pigramente appoggiata sul volante bianco. Dallo stereo della macchina fuoriusciva un frastuono di musica rap, e gli occhi di Raoul, nascosti da un paio di occhiali a specchio, stavano studiando una giovane ragazza di colore che vendeva delle cartoline. La oltrepassò, poteva trovare di meglio e ora doveva andare al bar di suo zio, al bar di Fryer Jones. Raoul era fatto di crack e aveva bisogno di calmarsi, di rilassarsi per un po' prima di affrontare la sua famiglia e assistere all'incoronazione della bellissima Ruby. Era per questo che era tornato a casa: per il Mardi Gras. CAPITOLO 19
Raoul Corbello sgattaiolò nel bar di suo zio, e rimase vicino alla porta, proprio alla fine del lungo bancone di legno. Si appoggiò alla parete mentre il barman gli si avvicinava. «Una birra messicana e un bourbon con ghiaccio», disse, il colletto della camicia tirato su, gli occhi ancora coperti dalle lenti a specchio. «Certo, Raoul, ma prima vediamo i soldi». «Vaffanculo, Zachary Blubber». Ma sbatté venti dollari sul bancone. Zak stappò la birra, gliela mise davanti svogliatamente e andò a preparargli il bourbon. «Allora, come va a Los Angeles, amico? Li hai presi là quei vestiti favolosi?». Raoul scrollò le spalle. Tirò su col naso mentre Zak si appoggiava al bancone e spingeva il bicchiere verso di lui. «Okay, è tutto okay». «Hai l'aria di uno che ha bisogno di rilassarsi un po'». Raoul bevve il bourbon tutto d'un fiato poi prese la birra. «I tuoi fratelli sono nel retro a lavorare». «Zio Fryer è in giro?». «Sta dormendo, dorme sempre in questo periodo. Ieri sera è stato favoloso, ha suonato così tanto che alla fine aveva le labbra gonfie. Sarà anche vecchio ma sa veramente suonarlo, quel suo vecchio trombone malandato». Raoul si pulì il naso sulla manica della camicia. Da una tasca estrasse uno spesso rotolo di banconote e prese un altro biglietto da venti dollari. «Lo stesso di prima, e uno anche per te». Zak notò il denaro e si allontanò lentamente lungo il bancone. «Grazie, fratello, grazie». Raoul dovette aspettare che Zak servisse un paio di clienti. Stava cominciando ad avere i tremori e a chiedersi perché diavolo fosse tornato. A casa lo aspettava qualcosa di peggio dei tremori. L'idea di tornare dalla sua famiglia non gli sembrava più così brillante. Zak gli portò la birra e il bourbon, sollevò un bicchiere come per dirgli che anche lui aveva bevuto il suo drink e si mise a chiacchierare con due vecchi avventori seduti in fondo al bancone. «Zak, ehi, Zak, amico, vieni qua un secondo, okay?», disse Raoul ad alta voce e bevve una lunga sorsata di birra. «Che cosa vuoi?», disse Zak, gettando due vuoti in una cassa sotto il bancone. Pensava di conoscere già la risposta, così aprì un cassetto sotto il
registratore di cassa e ne estrasse un pacchetto. «È questa che vuoi, fratello?». Raoul coprì con la mano il sacchetto di plastica. Zak si sporse verso di lui e gli sussurrò che era roba buona fatta in casa, poteva stare tranquillo. «Hai anche delle cartine?», domandò Raoul, prendendo una banconota da cinquanta dollari. «Cazzo, amico, che cos'altro vuoi, che la fumi la posto tuo?». Si infilò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e prese un pacchetto di cartine sgualcito. I due ragazzi Corbello erano sudici dopo aver passato ore a impilare casse su casse, ed erano pronti a caricare sul camion quando Raoul uscì dal retro del locale. Willy e Jesse gridarono il suo nome e corsero ad abbracciarlo. Andarono a sedersi nel bagno esterno e Raoul rollò tre grossi spinelli, uno per ciascuno. «Com'è che siete qui a lavorare?», chiese Raoul. I due ragazzi erano imbarazzati, ma dopo poche tirate gli raccontarono che Fryer stava diventando cattivo. Gli dissero ridacchiando che zia Juda aveva intenzione di dargli una lezione coi fiocchi. Raoul rise insieme a loro, disse che non c'era problema e si mise a raccontare della sua Mustang, della droga e di come aveva rubato il denaro che zia Juda teneva sotto il letto. Avrebbe anche potuto picchiarlo ma non le avrebbe mai detto dove aveva nascosto quello che non aveva speso. Willy e Jesse erano pieni di ammirazione per il fratello maggiore e dopo qualche altra tirata cominciarono a vantarsi di aver fatto fuori un bianco del cazzo. Raoul rimase ad ascoltarli, le palpebre pesanti, senza credere a una sola parola di quello che gli stavano raccontando. In ogni caso non gl'importava. Rollarono altri tre spinelli, poi Raoul sì mise in piedi davanti alla tazza per orinare e dovette appoggiarsi alla parete della baracca per non cadere. «Ehi! Come sta Ruby?». «Oh, amico, è così impegnata con mamma e con Juda che non ha tempo per noi». «Si sta fissando anche lei con il voodoo?». I due ragazzi, che stavano scagliando bottiglie vuote contro una parete, non lo sentirono nemmeno. Fryer Jones guardò giù, attraverso la finestra sudicia della sua stanza, scostando le tende sbrindellate. Vide i suoi tre nipoti - che potevano anche essere suoi figli - e quello spettacolo non gli piacque per niente. Stavano urlando e rompendo bottiglie. Fryer si tirò su i
suoi vecchi jeans e si grattò a lungo in mezzo alle gambe prima di scendere. Aveva un doposbronza terribile. Era stata una bella nottata, anche troppo bella e lui non si era ancora ripreso. «Ehi, Zak, il solito, okay?», gridò dalle scale. Zak lo stava già aspettando con il suo solito bicchiere di whisky dozzinale. «Raoul è tornato», disse. Fryer mandò giù il bicchiere di whisky tutto d'un fiato, poi fece schioccare le labbra gonfie. «Già, l'ho visto, e devo dire che avevo già fin troppi parenti che mi rompevano le palle. Dammene un altro, ho bisogno di qualcosa che mi svegli per dare qualche cinghiata a quei testa di cazzo buoni a nulla». Lorraine si stava lavando i capelli: aveva dormito per qualche ora e adesso si sentiva se non al cento per cento, almeno decisamente meglio. Aveva smesso di bere, non beveva un goccio fin da quando era stata all'hotel di Caley, ma non si congratulava certo con se stessa. Sperava soltanto di riuscire a continuare così. I bagagli di Rosie e Bill erano sparsi per tutta la stanza, ma Lorraine non aveva idea di dove fossero finiti i suoi amici. Un attimo dopo, però, Rosie bussò alla porta. «Siamo noi, Lorraine!», gridò. «È aperto», rispose Lorraine continuando a strofinarsi i capelli bagnati. Rosie e Rooney entrarono e lui si lasciò cadere pesantemente sul letto - a differenza di Lorraine, non aveva recuperato il sonno perduto. Sbadigliò e appoggiò la testa sui cuscini. «Ho depositato l'assegno in banca, mi hanno detto che ci vorranno un paio di giorni per trasferire il denaro. Dove siete stai?». Lorraine si spazzolò i capelli e cominciò ad asciugarseli con il phon. «Con Harper», rispose Rosie. «Ha trovato cinque tìzi, con lui fanno sei, e poi ci siamo noi due. Non vuole che entri anche tu, Lorraine». «Io devo entrare. Ha ottenuto il mandato di perquisizione?». Bill scosse la testa. «Non me l'ha detto, ma ne dubito. Sono tutti ex poliziotti, ne vogliono duemila a testa». «Cosa?», disse Rosie, sbalordita. «Sì, ci costerà dodicimila dollari, speriamo che ne valga la pena», disse Rooney. Lorraine spense l'asciugacapelli. «E Nick Bartello è morto. Se fosse vivo, Bill, dovremmo dargli molto più di dodicimila dollari, quindi dacci un
taglio. E anche tu, Rosie». «Ma io non ho detto niente!». «È vero ma lo stavi pensando», ribatté Lorraine passandosi una mano tra i capelli. Erano ancora umidi, così ricominciò ad asciugarli, arricciandoli con la spazzola. Guardò Rosie e Rooney nello specchio: entrambi avevano un'aria esausta, Rosie stava sbadigliando e Rooney aveva gli occhi semichiusi. Nessuno aveva voglia di parlare. Rooney si addormentò e cominciò a russare rumorosamente. Lorraine finì di asciugarsi i capelli e andò in bagno a vestirsi. Quando uscì, anche Rosie era profondamente addormentata. Lorraine sorrise: certe volte quei due si comportavano come dei ragazzini, e l'idea di coinvolgerli nella perquisizione del bar di Fryer la preoccupava. Non voleva che succedesse loro qualcosa, proprio ora si erano finalmente trovati. Li guardò a lungo, poi si sedette per scrivere un biglietto. Lo lasciò sul petto massiccio di Rooney, fece le valige, le portò fuori e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle. Nessuno dei due si svegliò. Il biglietto diceva: «Non fermatevi per il Mardi Gras, ci vediamo nella mia nuova casa. Buona Fortuna. L». Lorraine lasciò le sue valige alla reception e uscì per pagare François. Anche dopo che gli ebbe dato il denaro, lui le chiese se aveva bisogno di essere accompagnata all'aeroporto, sorpreso che non volesse fermarsi per il Carnevale. «No, grazie, François. Stammi bene». Lorraine si allontanò e lui si mise a contare i soldi. Gli aveva lasciato una mancia di cinquanta dollari. François sogghignò felice. Lorraine si inoltrò nel quartiere francese. Era una sera calda e umida, e le strade erano affollate di turisti. Dovunque dominavano il viola, il verde e l'oro e il Carnevale era nell'aria, ma Lorraine non si sentiva affatto in vena di festeggiare. I sei uomini stavano aspettando a bordo di due auto di pattuglia in una strada laterale. Stavano fumando, portavano tutti gli occhiali da sole, e i finestrini erano abbassati. Lorraine si sedette accanto all'agente Harper e sorrise mentre le presentava gli uomini stipati sul sedile posteriore. «I soldi prima, signora Page». Lei aprì la borsa da cui estrasse una busta. «Dodicimila, giusto? Metà adesso e metà alla fine».
Harper si voltò a guardare gli agenti dietro di lui. Loro scrollarono le spalle. Il poliziotto scese e raggiunse l'altra auto, si chinò a parlare con gli altri e poco dopo ritornò da lei. «Okay, ma ti consiglio di non fare scherzi». Lorraine sorrise. «Pensi davvero che proverei a fregare voi ragazzi? Andiamo, sarebbe un rischio troppo grosso». Funzionò. Harper annuì e le sue grasse guance tremolarono. «Allora, come ci muoviamo?», chiese Lorraine in tono tranquillo. Rooney grugnì e si stiracchiò. Sollevò la testa. «Merda, ma che ore sono?». Rosie mormorò qualcosa mentre lui si alzava dal letto. Il biglietto scivolò a terra e Bill lo raccolse. La stanza era immersa nell'oscurità, così, per leggerlo, dovette accendere la lampada sul comodino. «Rosie, svegliati, tesoro. Rosie!». Lei sbatté le palpebre e deglutì, poi si alzò a sedere allarmata. «Se n'è andata. Da' un'occhiata a questo». Gli occhi di Rosie ci misero qualche istante ad abituarsi alla luce. Poi lesse il biglietto. «Cosa dobbiamo fare?». Rooney esitò, poi andò in bagno. «Controlla se c'è un volo, altrimenti restiamo qui». «La lasciamo qui?». «Controlla soltanto se c'è un volo, tesoro». Rooney si sciacquò il volto con l'acqua gelata e si asciugò con uno degli asciugamani umidi che aveva usato Lorraine. Profumava di shampoo e lui lo abbassò lentamente e si guardò allo specchio. Si sentiva vecchio e stanco, e si chiese cosa diavolo pensava di fare - fidanzarsi alla sua età. Le aveva chiesto davvero di trasferirsi da lui? Si sedette sul bordo della vasca da bagno, rimpiangendo di non essersi tolto le scarpe prima di addormentarsi; gli facevano male i piedi. Rosie gli gridò che c'era un volo di lì a un'ora e mezza. «Un secondo», replicò lui. Non sapeva cosa fare. Non aveva idea di cosa diavolo Lorraine avesse deciso con Harper, di quando avessero intenzione di farlo, e perché. Che cosa pensava di ottenere Lorraine? Sospirò. Quando tornò in camera, Rosie si stava spazzolando i capelli. «Ho dato il tuo numero di carta di credito, ti va bene?». Lo guardò attraversare la stanza e si voltò. «Bill? Vuoi partire o no?». «Ci sto pensando, Rosie».
Anche lei ci stava pensando, e gli fece quasi le stesse domande che si era appena posto lui. «Voglio dire, cosa si aspetta di scoprire?». «Non lo so, Rosie, forse qualcuno che sia abbastanza spaventato da ammettere di aver visto Nick, chi lo sa. Sta buttando via un sacco di soldi e non sono il solo a pensarla così». «Sì, sono d'accordo. Mi piaceva Nick, certo, gli ero affezionata, ma questo non ha senso, ti pare? Non sappiamo nemmeno se è stato nel locale di Fryer la notte in cui è stato ucciso. Se anche dovesse trovare il gris-gris, se anche l'assassino di Nick fosse stato abbastanza idiota da tenerselo, non si troverebbe in quel bar, giusto?». «Non lo so, Rosie», ribatté Bill molto più bruscamente di quanto avrebbe voluto. «Ascolta, se ti senti in colpa all'idea di partire, possiamo restare». «Non mi sento in colpa». «Bene, allora partiamo, okay?». Lui si sedette, dicendo che aveva bisogno di bere qualcosa. Rosie gettò la spazzola sul tavolo da toilette. «Non abbiamo tempo, Bill, il volo parte tra un'ora e mezza». «Me l'hai già detto, Rosie». «Allora te lo ripeto». Rooney era nella hall e Rosie stava pagando il conto. Dietro il banco della reception c'erano le valige di Lorraine. «Bill, se vuoi aspettare, faresti meglio a dirlo, perché c'è gente che vuole la camera. Questo significa che se ce ne andiamo qui ma rimaniamo in città, non avremo un posto dove stare stanotte. È Mardi Gras, Bill, tutti gli hotel sono al completo». Rooney prese una decisione. «Tu resta qui con le valige, io vado al bar di Fryer». «È l'aereo?». Lui si voltò a guardarla, irritato. «Scordati l'aereo, cazzo. Se saremo costretti ne noleggeremo uno privato, okay? Aspettami qui e basta». Rooney uscì. Rosie era prossima alle lacrime; non era mai stato arrabbiato con lei prima d'ora, non le si era mai rivolto in quel modo. Ma Rosie sapeva perché - Bill era preoccupato per Lorraine. Anche se si lamentava continuamente di lei, le voleva sinceramente bene. E anche per Rosie era così.
«Mi scusi, la signora Page lascia la stanza o no?». Rosie lanciò un'occhiataccia alla receptionist che si sentiva sempre più stanca. Era sempre così il Mardi Gras; lo odiava. «Sì, pago io per la signora Page, ma dovremmo lasciare qui le valige, se non le spiace». La ragazza sospirò: era sommersa dai bagagli degli ospiti dell'albergo. «Faccia pure, ma l'hotel declina ogni responsabilità». «Bene, allora porterò queste stramaledette valige fuori con me». Rooney cercò invano di prendere un taxi al volo. Il marciapiede era affollatissimo. Clown e giocolieri si aggiravano per le strade distribuendo volantini che annunciavano feste, danze e concerti, e la gente cominciava a calarsi nello spirito del Carnevale. Fuochi d'artificio rischiaravano il cielo scuro in ogni direzione, sibilando ed esplodendo. Una band di dixieland stava suonando o forse stava facendo le prove. Rooney aveva l'impressione di essere entrato in un Luna Park da cui non riusciva a uscire. Sgomitò tra la folla, lungo la strada, ancora in cerca di un taxi libero, mentre si sentiva invadere da una crescente sensazione di panico. Non sapeva perché si sentiva così - se per la sua vita personale o per Lorraine. O forse era il ricordo di Nick Bartello. In ogni caso, aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa di terribile, e il fatto di non avere il controllo della situazione lo faceva sentire ancora più frustrato. Lorraine era da qualche parte con dei perfetti sconosciuti, probabilmente gentaglia. Era sola, e lui non avrebbe dovuto permetterle di andare senza copertura. Era il suo compagno adesso, toccava a lui guardarle le spalle e non sarebbe più riuscito a vivere se le fosse capitato qualcosa, perché nonostante tutti i suoi errori, nonostante la sua testardaggine, le voleva bene, più di quanto avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere. E se c'era una cosa di cui Bill era sicuro, era che Lorraine era uno sbirro dannatamente in gamba, che fosse nella polizia o meno. Lorraine era una fuoriclasse. «Taxi!», gridò Bill. Rosie sedeva nel giardino dell'hotel. Non era l'unica persona con accanto una montagna di bagagli. C'erano ragazzi con gli zaini e famiglie, alcuni stavano mangiando un gelato, altri si stavano arrabbiando con i figli e il continuo rumore dei fuochi d'artificio le stava facendo venire un terribile mal di testa. François suonò il clacson e la salutò dalla macchina. Rosie balzò in piedi
e cominciò a sbracciarsi. Lui sogghignò poi si rese conto che lei gli stava facendo cenno di avvicinarsi. «Ci stanno tutti questi bagagli sulla sua macchina?». «Certo, vuole che l'accompagni all'aeroporto?». «Già, ma più tardi, prima deve portarmi al bar di Fryer Jones. Lorraine è là». François scese in un lampo, aprì il bagagliaio e cominciò a gettarci dentro le valige. Rooney stava sudando. Per poco non aveva fatto a pugni con un travestito che aveva cercato di soffiargli il taxi, ma lui (o lei) superava Rooney in altezza di almeno trenta centimetri, così Bill aveva desistito. Si voltò, sentendo che qualcuno lo stava chiamando a gran voce, si guardò intorno. Poi riconobbe la voce di Rosie e cominciò a farsi largo tra la folla, finché non la vide dall'altra parte della strada, a bordo dell'auto di François. Il suo senso di panico peggiorò quando, per poco, non fu investito da una bicicletta su cui quattro ragazzi stavano in precario equilibrio. «Che cos'è successo? Hai sentito Lorraine?». «No, sali e sta' zitto», gli ordinò lei. Rooney prese posto accanto a Rosie e lei disse a François di sbrigarsi. «Andiamo all'aeroporto?». «No», ringhiò Rosie. «Al bar di Fryer Jones, te l'ho già detto!». Bill le prese la mano e l'attirò a sé. «È la mia socia, Rosie». «È anche la mia socia, nel caso te lo fossi dimenticato». Altri fuochi d'artificio esplosero fragorosamente nel cielo sopra di loro. «Il Carnevale sta cominciando!», gridò François allegramente. «Dannazione, questa città sta diventando incandescente, non sentite l'energia che cresce intorno a voi? Questo posto è folle, amici, folle e selvaggio». Ruby mise le ciotole fumanti di stufato di gamberi sul giornale che serviva da tovaglia. Juda, Edith e Sugar May incominciarono subito a mangiare. Sul tavolo c'erano bottiglie di birra gelata e pane a volontà. Mangiarono voracemente, perché avevano lavorato tutto il giorno per preparare il carro di Carnevale. Erano arrivati cesti e cesti di fiori da sistemare attorno al trono per creare un mare di colori su cui la Regina avrebbe camminato quando sarebbe stata incoronata. Ruby era a piedi nudi e indossava soltanto una vecchia sottoveste. Aveva i capelli raccolti per tenerli lontani dal volto sudato. Erano tutte molto
stanche ma il mattino dopo si sarebbero svegliate presto e si sarebbero messe subito al lavoro. Ci volevano molto tempo e molta pazienza per preparare un carro, ma la fatica non faceva altro che accrescere l'eccitazione, era come essere ubriachi. Juda inzuppò il pane e lo succhiò; era bello essere di nuovo a casa, era bello essere di nuovo libera. Aveva deciso di non tornare a Los Angeles nemmeno se Elizabeth Caley le avesse offerto una fortuna. Non aveva intenzione di andarsene mai più da New Orleans. Prese un altro pezzo di pane e stava per inzupparlo nella scodella quando vide l'articolo sul giornale che usavano come tovaglia. «Ritrovato il corpo della figlia della star del cinema!». «Sposta il piatto, Sugar May». Juda girò leggermente il giornale e lo lesse. «L'hanno trovata, hanno appena trovato Anna Louise Caley». Tolse il foglio di giornale dal tavolo e scrollò via le briciole. «Oh mio Dio! Era sepolta in... oh mio Dio, oh mio Dio». Edith guardò la sorella. «Di cosa stai parlando, Juda?». Juda arrotolò il giornale e fissò Ruby. «Hanno trovato la povera piccola Anna Louise Caley sepolta in un giardino, in circostanze sospette, dicono». Ruby continuò a mangiare, succhiando rumorosamente il pane. «Dove, Juda?». Lei continuò a fissare Ruby. «Nel giardino della casa della signorina Tilda Brown. Tu lo sai chi è, vero Ruby?». La ragazza sollevò lo sguardo, i suoi occhi erano luminosi. Parlò con voce morbida, come se stesse facendo le fusa. «So chi è, zia Juda, si è stretta la cintura del kimono attorno al collo e si è impiccata». Sugar May si coprì la bocca con una mano e ridacchiò, e Juda la colpì sulla testa con il giornale. Edith, sempre più confusa, stava fissando la sorella che spinse lentamente indietro la sedia e si alzò. Non aveva la parrucca né le ciglia finte, solo un vecchio vestito. I suoi corti capelli grigi si stavano diradando in cima alla testa. Ruby cercò di fare finta di niente, continuando a mangiare, ma non alzò lo sguardo, incapace di affrontare la zia. Aveva paura di lei, soprattutto ora che il suo corpo enorme incombeva sul tavolo. «Ruby, ricordati quello che ti ho detto, gioca con il diavolo e lui verrà a reclamare la tua anima». «No, non verrà. E qualunque cosa io abbia fatto, se ne occuperà Fryer,
proprio come si sta occupando dei miei fratelli. Nessuno saprà mai niente». Edith era ancora disorientata e spostava lo sguardo da Juda a Ruby. «Di cosa state parlando, voi due?». Juda si avviò verso la porta. «Lei lo sa, Edith, Ruby lo sa, e Fryer non si è mai preso cura di nessuno tranne che di se stesso. È così che vive. Si è venduto al diavolo molto, molto tempo fa». Edith era davvero preoccupata ormai, e spinse via la scodella ancora mezza piena per seguire Juda. «Che cos'hai fatto?», sussurrò Sugar May. Ruby si era appena riempita la bocca d'acqua e si voltò verso la sorella. Sibilò come un serpente, spruzzandole in faccia l'acqua. «Ho solo usato i miei poteri, Sugar May, ho solo usato i miei poteri». Sugar May corse fuori, per raggiungere la madre e Ruby rimase sola. Dopo un attimo, prese la scodella di Edith e ne versò il contenuto nella sua. Continuò a mangiare, inzuppando il pane delicatamente. Non provava alcun rimorso, alcun senso di colpa per ciò che aveva fatto o per ciò a cui aveva dato inizio. Dopotutto, aveva dato loro solo quello che volevano. Elizabeth Caley sedeva al fianco di Lloyd Dulay, e sembrava composta e bellissima come sempre. Era vestita di nero, per rispetto a sua figlia, e tutti i presenti le avevano sussurrato le loro condoglianze. I Dulay erano da sempre una famiglia ricca e importante e tutta l'alta società di New Orleans aveva accettato l'invito per curiosità, per vedere il dolore della madre di Anna Louise. Elizabeth non aveva deluso le loro aspettative. Era composta e lontana, come congelata dalla sofferenza e dallo shock. Era la star di un nuovo film e recitò la sua parte alla perfezione. Sapeva che la separazione da Robert le sarebbe costata molto, ma non le importava. Aveva più soldi di quanti ne potesse spendere. Il denaro non era mai stato una priorità per Elizabeth, era cresciuta nella ricchezza, era sempre stata ricca e non aveva mai nemmeno pensato che potesse esistere un altro genere di vita. Sarebbe stata invitata a ogni ballo, a ogni festa esclusiva per il Mardi Gras, così com'era sempre stato fin da quando era bambina. Era famosa, ora più che mai, a causa della tragica morte di sua figlia. Era seduta accanto a Lloyd Dulay, l'uomo che aveva sempre amato. Era l'ospite d'onore, ma quella sera non era felice - quella sera non le importava più. Aveva deciso che non ci sarebbero stati più segreti, stava solo aspettando il momento giusto. Arrivò quando Lloyd si alzò in piedi e propose un brindisi alla salute di Eli-
zabeth Seal. Un basso mormorio riempì la sala, nessuno si aspettava un suo discorso ma Elizabeth si alzò in piedi come una regina. Sollevò impercettibilmente il bicchiere che teneva nella mano destra. «Molto tempo fa, mi venne affidato il ruolo principale in un film intitolato La palude. Avevo sedici anni ed ero molto eccitata all'idea di diventare una star. Non ero preoccupata al pensiero di dover interpretare la grande regina voodoo, Marie Laveau. Non m'interessava la cultura che Marie Laveau aveva donato al suo popolo, era solo un film, e io sarei diventata una star». Quella era la migliore interpretazione della sua vita e non aveva bisogno di alcuna sceneggiatura. Le sue parole sgorgarono spontaneamente, dai lunghi anni di tormento, dall'incubo della lavorazione del film durante la quale era stata rapita e stuprata, dalle maledizioni scritte sul suo corpo con il sangue. Raccontò della bambola che aveva trovato nella sua roulotte, una bambola con il suo volto, che condannava lei e i suoi discendenti a vivere nell'inferno dei morti viventi. E condannava lei, Elizabeth Seal, a trascorrere il resto dei suoi giorni sentendo il peso della bara della grande regina sul suo cuore. Gli invitati cominciavano a spaventarsi per la sua dichiarazione intensa e appassionata, e si inginocchiarono davanti a lei quando, alla fine, ammise: «Sono nera, e ho vissuto nascosta dietro una pelle bianca. Sono stata punita e maledetta per aver profanato l'immagine della grande dea del voodoo, la Regina Marie Laveau. Ogni figlio che avessi concepito, era condannato come me a vivere nella sua ombra». Era tutto così chiaro per Elizabeth Caley. Sapeva cosa fare, sapeva esattamente cosa dire e sapeva che l'impatto delle sue parole l'avrebbe fatta sentire forte come non si era mai sentita nella sua tragica esistenza. Aveva deciso di liberarsi, sarebbe stata libera. Non avrebbe più avuto bisogno di Juda, non avrebbe più avuto incubi, era tutto finito. Elizabeth stava ancora stringendo la foto di Anna Louise, e le droghe avevano distorto la sua mente a tal punto che credeva davvero di essere là, accanto a Lloyd Dulay e che tutto stesse accadendo veramente. Ma in realtà Dulay la stava attendendo impaziente al piano di sotto. All'improvviso Missy scese di corsa le scale, gridando spaventata che non riusciva più a svegliare la signora Caley - doveva essere successo qualcosa di terribile. Lloyd Dulay sentì il polso di Elizabeth: era molto debole. Lei aprì gli occhi solo una volta e gli sorrise, dicendogli che andava tutto bene, che era tutto finito adesso. Il vestito da sera nero di Elizabeth era già pronto sul
letto, così come le scarpe e la borsa di jais. Quando il dottore arrivò, Elizabeth era già morta. Sembrava calma, serena, un sorriso dolce e innocente sulle labbra. Dulay prese posto su una sedia accanto al letto. «Oh, Elizabeth, mia piccola regina». Harper guardò i suoi uomini. Stava ascoltando la radio e sudava. Poi la riagganciò sul cruscotto e disse: «Gli altri sono pronti sul retro, noi passiamo dall'ingresso principale, cerchiamo di muoverci più in fretta possibile, e nessuno spari a meno che... Be', lo abbiamo già fatto qualche volta, no? Andiamo». Si voltò a guardare Lorraine. «Stai indietro, una volta che avremo la situazione sotto controllo potrai entrare, ma aspetta che sia io a dirtelo. Muoviamoci!». Fryer Jones era seduto con Raoul in fondo al bancone del bar, e stava cercando di rimetterlo in sesto abbastanza da poterlo portare a casa ad affrontare Juda. Willy e Jesse erano sul retro, fatti e quasi privi di sensi tra le casse di birra che avrebbero dovuto spostare. Nel bar c'erano soltanto i soliti clienti, l'atmosfera non cominciava mai a riscaldarsi prima di mezzanotte. Sugar May era sgattaiolata dentro e si stava nascondendo in fondo al locale. Stava parlando con una delle prostitute e pensava che quella donna fosse un esempio da seguire, quando accadde. Fryer guardò sbalordito quei figli di puttana che stavano entrando dal retro e dalla porta principale. Persino Zak rimase a bocca aperta. Lì non c'erano retate da anni, pagavano un prezzo molto alto per evitarle, quindi nessuno sapeva esattamente cosa diavolo stava accadendo. Poi, nella confusione generale, quegli uomini cominciarono a gridare agli avventori di alzarsi e di mettersi contro il muro. Era una retata. Molti alzarono le mani, spaventati, e furono sbattuti contro il muro. Altri si nascosero sotto i tavolini. Fryer si voltò sul suo sgabello e urlò infuriato: «Cristo santo, ma cosa state facendo, brutti figli di puttana?». Gli sbirri presero a calci e a manganellate quelli che cercavano di scappare, buttarono per aria sedie e tavoli e continuarono a picchiare e a minacciare gli avventori. Un poliziotto aveva scaraventato a terra Willy e Jesse e li stava prendendo a calci, mentre loro, urlavano che non avevano fatto niente. E più gli sbirri si accanivano, più Fryer gridava oltraggiato. Raoul fu trascinato via per i capelli dal suo sgabello, ma nessuno toccò
Fryer. «Spero che abbiate una ragione fottutamente buona per questo, figli di puttana», urlò Fryer. Lorraine non riuscì più a trattenersi ed entrò nel bar. Era nel caos più totale, la gente urlava e piangeva rannicchiata a terra cercando di sfuggire ai colpi dei poliziotti. Lorraine gridò: «Questo è per Nick Bartello, per Nick Bartello!» . Fryer sbatté le palpebre sorpreso. «Gli hanno tagliato la gola in un vicolo, a un isolato da qui». Fryer scosse la testa e indicò Lorraine con un dito. «Sei una puttana fuori di testa, lo sai?». I poliziotti avevano cominciato ad ammucchiare la droga nascosta sotto il registratore di cassa sul bancone del bar. Altri due agenti stavano salendo le scale che conducevano alla stanza di Fryer. Rooney entrò mentre Fryer Jones sputava della birra in faccia a Lorraine. «Pagherai per questo, puttana. Nessuno può entrare qui e fare questo al mio bar, nessuno!». «Vogliamo scommettere, signor Jones? Lo abbiamo già fatto». Rooney si avvicinò e disse a uno dei poliziotti che stavano prendendo a calci un avventore nascosto tra due tavoli: «Sono con lei, sono con la signora Page». Lorraine si voltò e, quando vide Rooney, gli rivolse un breve sogghigno prima di tornare a occuparsi di Fryer. «Ce ne andremo tutti, Fryer, quando ci avrai detto chi ha tagliato la gola a Nick Bartello. Non vogliamo altro, non voglio altro, nessuna imputazione, capito? Nessuna imputazione, ma vogliamo sapere chi ha tagliato la gola al mio amico». Uno dei poliziotti, che era salito a perquisire la stanza di Fryer, riapparve sulla porta dietro il bancone. «Signora Page?». Lorraine si voltò e lui le fece cenno di avvicinarsi. Il poliziotto sbatté sul bancone il portafogli di Nick Bartello. Fryer rimase in silenzio per un attimo, poi sibilò un'imprecazione. Aveva sbagliato, avrebbe dovuto distruggere subito quel portafogli. Ma continuò a sorridere: «La pagherete cara, figli di puttana, la pagherete cara». Lorraine gli si avvicinò e allungò una mano verso di lui. Fryer aveva una collana, la stessa collana o una molto simile a quella che aveva portato Nick. «Questa è tua, Fryer?».
Lui la guardò e scoppiò a ridere. «Certo, tesoro, le facciamo per il museo, quante ne vuoi? Voi stronzi non avete nemmeno un mandato, vero?». Tornò anche l'altro poliziotto che era salito a perquisire la camera di Fryer. In mano, in un piccolo sacchetto di plastica, aveva la patente di Nick Bartello. Harper guardò il portafogli e la patente, poi spostò lo sguardo su Lorraine. «Queste sono del tuo amico?». Lorraine osservò la patente, infine rispose: «Sì, appartenevano a Nick Bartello». Harper alzò una mano. «Okay, fermi tutti, basta, calmatevi. Silenzio!». Si voltò a guardare Fryer Jones e prese le manette. «Okay, Fryer, questa volta hai fatto davvero il passo più lungo della gamba. Non te la caverai tanto facilmente». «Non ho mai visto questa roba in vita mia!», disse Fryer in tono tranquillo. Harper gli strattonò le mani dietro la schiena e fece scattare le manette. «Be', li avevi sotto il cuscino, Fryer, e probabilmente sono pieni delle tue impronte. Quindi adesso ce ne andiamo senza fare storie, okay?». Fryer Jones chinò la testa. Poteva vedere Raoul che tremava in un angolo, Jesse e Willy rannicchiati sotto un tavolo e Sugar May che piangeva con le prostitute. Fryer scese dal suo sgabello e, mentre lo spingevano via, si voltò a guardare Lorraine. «Hai il diavolo dentro di te, signora». Fryer Jones si appoggiò allo schienale dell'auto di pattuglia e chiuse gli occhi. Non avrebbe mai potuto denunciare quei ragazzi, forse uno di loro era persino sangue del suo sangue, così sospirò e chiese se qualcuno poteva portargli il suo trombone. Harper si voltò e lo fissò, perché aveva capito perfettamente che Fryer non aveva nulla a che fare con l'omicidio di quel Nick Bartello. Si sporse dal finestrino e gridò a uno dei suoi colleghi: «Prendi quel cazzo di trombone per questo povero vecchio bastardo». Lorraine era seduta nell'auto di François tra Rooney e Rosie, e stava piangendo. I suoi amici la strinsero forte, non c'era bisogno che dicesse niente. Avevano tutti le lacrime agli occhi quando François chiese loro se volevano ancora andare all'aeroporto. Arrivarono appena in tempo.
Fryer Jones suonò il suo trombone in cella finché gli altri detenuti non gli dissero di smetterla perché non riuscivano a dormire. Lui rimase in silenzio a fissare la piccola finestra della sua cella. Non avrebbe mai fatto i nomi dei ragazzi o di Ruby, di nessuno di loro. Forse, era tempo che si prendesse le sue responsabilità e che pagasse i suoi debiti, così confessò di aver ucciso Nick Bartello. Non chiese di parlare con un avvocato, l'unica telefonata che fece fu a Juda Salina. Lei andò a trovarlo, come Fryer aveva immaginato, con un turbante in testa e le ciglia finte. «Elizabeth Caley è morta». «Uh uh». «Hanno ritrovato il corpo di Anna Louise Caley». «Uh uh». Lei sospirò, evitando lo sguardo di Fryer. «Ruby è pronta a essere incoronata, non si sente in colpa, non prova alcun rimorso. Quella ragazza mi preoccupa - bisognerà darle una raddrizzata». «Uh uh». «Raoul è tornato, ma solo con la metà dei miei risparmi». «E io resterò in prigione per un omicidio che non ho commesso». Strinse le sbarre con una mano nodosa. «Lo faccio per te, Juda. Prendi il mio bar, fa' rigare dritto quei due ragazzi». Lei gli accarezzò la mano. «Perché lo stai facendo?». Lui le sorrise. «Perché un tempo eri giovane e bellissima, come Ruby, ma niente resta giovane e bellissimo, Juda, solo i ricordi. Abbi cura di te». Juda avrebbe voluto piangere, ma si allontanò in silenzio. Continuò a sentire Fryer che suonava il suo trombone anche molto tempo dopo che se ne fu andata, continuò a sentirlo anche nella sua piccola camera da letto a casa di Edith. La vita giocava strani scherzi, faceva sentire cose che non esistevano e faceva vedere cose che dovevano ancora accadere. La vita era piena di strane cose, specialmente a New Orleans e sempre prima del Mardi Gras. Rosie aveva preparato i bagagli e aveva raccolto tutte le sue cose in due grandi casse da imballaggio. Ora l'appartamento sembrava stranamente spoglio. «Be', ho preso proprio tutto», disse tristemente. Si guardò attorno ancora una volta - senza le sue cose, la casa sembrava più spaziosa. «Se decidi di restare, Lorraine, ti consiglio di comprare una nuova cucina». Lorraine sorrise. «Certo, Rosie, rimetterò a nuovo questo posto. Sarebbe
uno spreco di soldi trasferirsi altrove, qui starò benissimo». L'amica si morse il labbro inferiore. «Potrai sempre chiamarmi se avrai bisogno di qualcuno in ufficio, sai, anche solo per mezza giornata. Sarò sempre a tua...». «...disposizione. Sì, lo so, me lo avrai detto almeno quattro no, cinque volte, per la precisione. Ora, gli assegni, li hai presi?». «Certo», disse Rosie, dando un pacca sulla sua borsa. Lorraine sorrise. «Sai, non pensavo che avrei mai compilato assegni per una cifra del genere, e dal mio conto in banca, per di più. Siamo ricchi, Rosie, abbiamo più di un quarto di milione di dollari a testa. Allora, dimmi, sei felice?». Lei annuì. «Be', credo di potermi accontentare. Non so come andrà, ma almeno voglio provarci. E tu cerca di andare alle riunioni, d'accordo? Non vorrei vederti mandare in fumo quest'ultima opportunità, Lorraine». «Rosie, lo so che ci sono quasi ricaduta, ma ti prometto che non toccherò più una goccia d'alcol d'ora in poi, e se questo può farti piacere, ti do la mia parola che continuerò ad andare alle riunioni. Chiamerò Jack e gli chiederò di diventare il mio sponsor, che ne dici?». Rosie l'abbracciò forte e le diede un bacio sulla guancia. «Oh, maledizione, mi mancherai». Ma prima che Rosie potesse scoppiare a piangere, Rooney arrivò e suonò il clacson dalla strada. Rosie cominciò a portare giù le sue borse, le sue valige e i suoi scatoloni, e lui salì da Lorraine per salutarla. «Non so se funzionerà tra me e Rosie, Lorraine, ma almeno...». Lorraine scoppiò a ridere. «Vuoi provarci? E sai che ci sarà sempre un lavoro per te alla Page Investigazioni, l'ho detto anche a Rosie. Riaprirò l'ufficio lunedì mattina - ce l'hai il numero?». «Certo, grazie». Alla fine, arrivò davvero il momento di salutarsi; erano tutti molto imbarazzati. Non sapevano esattamente cosa dirsi, perché nonostante tutti i discorsi che avevano fatto sul lavoro, Lorraine sapeva che quella era la fine della loro collaborazione. Né Rosie né Rooney lo avevano detto esplicitamente, ma lei lo sapeva. Tutti loro lo sapevano. «Probabilmente faremo una lunga luna di miele», borbottò lui. «Mi sembra un'idea grandiosa, ma mi inviterete al matrimonio, vero?». «Diavolo, certo che ti inviteremo, non dire stupidaggini». Non c'era nient'altro da dire, ma era l'ultimo istante e loro vi si aggrappavano. Sembrava quasi che non sapessero come uscire dalla porta, così
Lorraine li accompagnò dicendo che non appena si fossero sistemati, avrebbero organizzato una grande cena per festeggiare, ma che fino ad allora dovevano levarsi dai piedi e lasciarla in pace. Rosie cominciò a piangere. Rooney le disse di precederlo in macchina, poi si voltò a guardare Lorraine, socchiudendo la porta. «Ascolta, se avrai bisogno di me, per qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, che so, se dovessi avere ancora problemi con l'alcol, non farti scrupoli. Chiamami, chiamaci, e verremo subito da te». Lorraine lo abbracciò forte. «Sto bene, Bill, ma grazie per quello che mi hai appena detto». Lui la strinse a sé ancora per qualche istante, poi si voltò bruscamente e uscì, quasi sbattendo la porta. Lorraine si lasciò cadere sul divano letto, nel quale, d'ora in avanti, non avrebbe più dovuto dormire. Avrebbe avuto la camera di Rosie tutta per sé e, d'improvviso, si sentì bene guardandosi attorno. La sua stanza. Il suo appartamento. Avrebbe cominciato a ristrutturarlo domani. Si sdraiò, pensando a colori, tende e decorazioni. Ma dopo un attimo si alzò di scatto, imprecando. Si era dimenticata di lui, presa dall'eccitazione del milione di dollari e del ritorno a casa, si era dimenticata di lui, si era dimenticata della sua promessa. Il canile stava per chiudere, quando arrivò. Aveva fatto una promessa e aveva intenzione di mantenerla, ma cominciò a dubitare quando la custode cominciò a dire che quel cane le aveva creato un sacco di problemi, fin dal giorno in cui glielo avevano portato. Aveva attaccato tutti gli inservienti e tutti gli altri cani, e ora lo stavano tenendo in isolamento. Tigre non l'accolse festosamente, rimase seduto in fondo alla gabbia di rete metallica, gli occhi blu piccoli, luccicanti e arrabbiati. «Ciao, ragazzo, purtroppo ci sono solo io. Nick non potrà venire a portarti a casa». Tigre non si mosse e scoprì i denti. «Ascolta, amico, devi decidere tu. Ma la scelta è tra me e l'iniezione letale, mi capisci?». I piccoli occhi blu la scrutarono, e lei si chinò. «Coraggio, Tigre, stanno chiudendo, e io sono molto stanca». Tigre si alzò in piedi lentamente, il capo chino mentre trotterellava verso di lei. Poi cominciò a scodinzolare lentamente con la lunga coda arruffata. «Okay, ragazzo, ce ne andiamo di qui».
FINE