DERYN LAKE OMICIDIO AL TRAMONTO (Death In The Setting Sun, 2004) Per la mia amata Amelia, con tutto l'affetto della nonn...
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DERYN LAKE OMICIDIO AL TRAMONTO (Death In The Setting Sun, 2004) Per la mia amata Amelia, con tutto l'affetto della nonna 1 Come molte stagioni destinate a farsi assai rigide, l'inverno del 1764 iniziò abbastanza moderatamente con serate miti, foglie cadenti e sprazzi di sole durante il giorno. Così un ottobre luminoso cedette il passo a un novembre nebbioso, anche se la nebbia di per sé era tiepida e vaporosa. Attorno all'inizio di dicembre, però, il vento cambiò improvvisamente direzione e prese a tirare da nord, portandosi dietro un sentore di neve, tanto che John Rawlings, dopo aver chiuso il suo negozio di Shug Lane, si trovò quasi a correre per combattere il freddo, mentre tornava a casa, in Nassau Street. Entrò velocemente nell'ingresso, soffiandosi sulle mani, ringraziò il domestico che lo aveva aiutato a togliersi mantello e tricorno e si diresse verso la biblioteca, dove sapeva che avrebbe trovato il fuoco acceso. La stanza era vuota, come si aspettava, ma nel camino ardeva una bella fiamma e John vi accostò le mani, prima di versarsi un bicchiere di sherry da una caraffa posata sul tavolino. Dopo aver bevuto un paio di sorsi, affrontò di nuovo il freddo e si affrettò a salire al piano di sopra, nella camera dei bambini, dove lo attendevano sua figlia Rose, di due anni e mezzo, e sua moglie Emilia. Si fermò sulla soglia e le osservò con affetto, mentre ancora non si erano accorte della sua presenza. Emilia manteneva quell'aspetto angelico che lo aveva tanto attratto: capelli biondi, occhi azzurri e un fisico snello che la maternità non aveva intaccato. Ora era incinta di tre mesi del suo secondo figlio, ma non si vedeva ancora nessun segno della gravidanza e, alla luce tremolante delle candele, appariva giovane e inalterata. Rose avvertì lo sguardo del padre e gli sorrise radiosa. I capelli della bambina erano di un rosso acceso e le incorniciavano il visetto con una serie di ricci. Illuminato da enormi occhi blu, ornati da ciglia scure che spiccavano sulla carnagione nivea, quel viso era straordinario, e un giorno sarebbe sbocciato in autentica bellezza. Emilia, vedendo la bambina sorridente, seguì il suo sguardo e scorse il
marito sulla soglia. Saltò subito in piedi. «John. Non sapevo che fossi tornato.» «Vi stavo guardando. Siete un bello spettacolo.» La moglie gli sorrise. «Unisciti a noi. Ci sei mancato. Lui entrò e Rose gli corse tra le braccia.» Come stai, ragazzina? «Benissimo, papà, grazie.» Anche nel parlare, come in tutto il resto, la bambina denotava una curiosa maturità che colpiva. John la prese in braccio e, tenendosela stretta, le affondò il naso tra i capelli. «Cosa c'è qui? Un topolino?» «Oh, tesoro, così la spaventi» protestò Emilia. Ma Rose stava ridendo e agitandosi tutta urlò: «Sì, sì, vuoi vederlo?» Lui frugò tra i riccioli, poi li rimise a posto rapidamente. «Non bisogna disturbarlo. Sta cenando.» La bambina scoppiò a ridere e John la posò delicatamente a terra. Si avvicinò a Emilia, le diede un bacio e la cinse con un braccio. «E tu come sei stata oggi, mia cara?» «Abbastanza bene. E tu?» «Be', non so se sto diventando vecchio, ma il mio nuovo apprendista mi sembra incredibilmente tardo di comprendonio.» «Perché, cos'ha fatto?» «Cosa non ha fatto, piuttosto. Avevo lasciato due pacchetti sul bancone, uno di radici di sassifraga, tritate fini, per un anziano signore con il mal di denti. L'altro era per un vecchietto che soffriva di emorroidi. Gli avevo preparato un'essenza con un infuso di fiori di tassobarbasso. In ogni modo, mentre io ero fuori a visitare un paziente, lui ha portato il pacchetto sbagliato al tizio sbagliato, non so se mi spiego.» Emilia ridacchiò e John la strinse più forte, pensando a quanto lei significasse per lui e a come stessero maturando insieme. «Riesci a immaginarti la confusione? Uno alle prese con le radici in polvere e l'altro che osserva inorridito l'olio. Per Dio, di questo passo la mia reputazione andrà a rotoli.» «Però è un ragazzo volenteroso.» «Sì» rispose John, pensieroso «questo è vero.» Si mise a riflettere, con lo sguardo perso nel vuoto, su quanto gli dispiacesse che Nicholas Dawkins, detto il Moscovita, l'avesse lasciato dopo essere diventato membro a pieno titolo dell'Emerita società degli speziali.
Be', forse "lasciato" non era proprio il termine giusto. Nicholas infatti si era trasferito a Kensington e si occupava del negozio in cui John e il suo padre adottivo, sir Gabriel Kent, avevano investito i loro soldi in parti uguali. E anche se Nicholas ancora non aveva preso moglie, John pensava che questo stato di cose non sarebbe durato a lungo, data l'inclinazione del Moscovita per l'altro sesso. Negli ultimi tempi lo speziale lavorava insieme a Gideon Purle, che, come aveva detto Emilia, era volenteroso, ma decisamente privo di talento. John sospirò. «Senza dubbio prima o poi imparerà.» «Come farai per lo sbaglio che ha commesso?» «Lo manderò a casa di quello con le emorroidi prima che provi a mettersi le radici di sassifraga sul...» «John! Non davanti alla bambina.» «Scusa. Mi ero dimenticato che era qui con noi.» Si chinò verso Rose, ma lei era già tutta intenta a giocare con un cavalluccio di legno e non l'aveva sentito. Fece un cenno col capo a Emilia e ammiccò. Lei sorrise divertita e lo redarguì: «Sei proprio incorreggibile. Andiamo, porto Rose dalla bambinaia così ce ne restiamo un po' da soli. Rose, da' la buonanotte a tuo padre.» La bambina si alzò in piedi. «Buonanotte, papà.» Lui si chinò di nuovo per darle un bacio e la strinse al petto mosso da un improvviso impulso, come se stessero per separarsi. Rose lo guardò con un accenno di perplessità e lo baciò, appoggiando le labbra fresche sulla sua guancia. «Pungi, papà.» John scoppiò a ridere, passandosi un dito sul mento. «Ho solo bisogno di rasarmi, Rose.» Per un istante ebbe una sorta di visione, vide l'immagine di se stesso con una barba di vari giorni e rabbrividì. Fortunatamente Emilia si era voltata e non se ne accorse ma John, rialzandosi, fu colto da un'improvvisa e inesplicabile tristezza. Si sforzò di scacciarla e di sorridere alla moglie. «Sei pronta?» «No, lasciami ancora qualche minuto. Tu scendi pure, ti raggiungo tra un attimo.» «Bene.» Lui scese le scale, dove si avvertiva a malapena il calore del fuoco che ardeva nell'ingresso, e si rifugiò in biblioteca. Si sentiva però ancora in preda alla melanconia, così, dopo aver finito il suo sherry, se ne versò un
altro e si sedette. Erano trascorsi due anni e mezzo dall'ultima volta che era stato chiamato ad aiutare sir John Fielding, il famoso magistrato meglio noto come il giudice cieco. Due anni e mezzo in cui Rose, da neonata, era diventata una magnifica bambina, già in grado di esprimersi con proprietà. Sir Gabriel Kent, il nonno, aveva adesso ottant'anni, e aveva festeggiato il suo compleanno l'estate precedente. Era tornato a Londra, nella casa di Nassau Street, e aveva invitato tutta la città a festeggiare, a giocare a carte e a danzare. Era stata una festa sontuosa e John era rimasto stupito nel vedere quanta gente importante era intervenuta per celebrare l'anziano gentiluomo, sempre elegantissimo nei suoi abiti rigorosamente bianchi e neri e con la parrucca a tre piani di foggia decisamente antiquata. Tra gli ospiti c'era anche Samuel Swann, l'amico d'infanzia di John: decisamente stava mettendo su peso, mentre la magrezza della moglie era fortunatamente mitigata dal fatto che era en ceinte. Lo speziale aveva dovuto ammettere che il fatto di aver sposato un'ereditiera aveva dato a Sam un'aria troppo compiaciuta, che lui trovava un po' irritante. Tutto era però stato dimenticato quando aveva guardato il viso aristocratico di sir Gabriel e lo aveva visto illuminarsi dal piacere. Tra gli alti ospiti c'erano anche sir John e lady Fielding, insieme alla loro figlia adottiva Mary Ann, e John si era divertito molto nel vedere che all'arrivo di lord Elibank, un vecchio amico di sir Gabriel, la ragazza aveva preso a pavoneggiarsi, gettando l'aristocratico in totale confusione. Lo speziale aveva pensato che tra loro ci doveva essere stato qualcosa, e che uno dei due era rimasto scottato. Eppure non poteva biasimare sua signoria: la signorina Fielding era veramente uno spettacolo. Per il resto del tempo la ragazza se n'era andata in giro ad attaccare discorso con gli ospiti più ricchi e ben introdotti. «Sta cercando un buon partito» aveva sussurrato John a Samuel, ed era rimasto sorpreso nel vedere che il suo amico arrossiva, il che provava che anche lui aveva un debole per la ragazza. La piccola tentatrice però non si era ancora sposata e, a quanto sapeva John, non aveva neppure ricevuto proposte serie. Nel caminetto rotolò via un ciocco e John si affrettò a metterne un altro, chiedendosi che cosa gli avesse provocato la tristezza di poco prima. L'immaginazione, si disse, anche se sapeva che quegli strani presentimenti di solito preludevano a una disgrazia. Di nuovo si sforzò di scacciare quella sensazione, rallegrandosi che Emilia fosse arrivata a tenergli compagnia.
Erano sposati da cinque anni, molto felicemente. Così felicemente che lui pensava di rado a Elizabeth di Lorenzi, una donna che aveva conosciuto in luna di miele e di cui avrebbe potuto innamorarsi se le circostanze fossero state diverse, e ancora meno a Coralie Clive, la sua amante di un tempo. In effetti, col passare degli anni, il suo amore per Emilia era cresciuto sempre più e ora poteva definirsi soddisfatto. Eppure in lui vi era qualcosa, una particolarità del suo carattere, che bramava avventura ed eccitazione. A tal punto che spesso si era trovato a invidiare coloro che sapevano accontentarsi di una vita regolare. Come Samuel Swann, per esempio. La sola idea però lo fece sorridere. Il caro Samuel, il più affabile di tutti i suoi amici, si avviava a diventare un pomposo uomo di mezza età, una strada sulla quale John non aveva nessuna intenzione di seguirlo. «A cosa stavi pensando?» chiese Emilia dalla soglia. «Stavi sorridendo.» «Mi era venuto in mente Samuel. Non ti sembra che sia cambiato?» «Be', sta invecchiando.» «Ovvio. Ma non intendevo quello. Sta diventando piuttosto imponente, non trovi?» Emilia ridacchiò. «Di sicuro sta diventando più grasso.» «E invece Jocasta è sempre così magra. A proposito, quando deve nascere loro figlio?» «Ai primi di gennaio, subito dopo Natale.» «Caro Sam. Era da tanto che voleva un figlio. Forse il suo arrivo lo farà tornare in sé.» Emilia avvicinò la poltrona alla sua. «Oh, andiamo, John, non sei gentile. Solo perché affronta la mezz'età in modo diverso da te non c'è bisogno di prenderlo in giro.» «Prenderlo in giro? Ma non lo sto affatto facendo. Ho solo detto che la sua improvvisa ricchezza e il suo nuovo status lo hanno reso un po' supponente.» Emilia scoppiò a ridere. «Forse anche tu avresti fatto così se avessi sposato una donna ricca.» John scosse il capo. «Mai. A me piace troppo l'avventura.» Poi si immusonì. «Ma sono davvero un uomo di mezz'età? Pensavo che ci si arrivasse dopo i quaranta.» Lei gli fece un gran sorriso. «Mio caro, tu non sarai mai un uomo di mezz'età. Possiedi uno spirito eternamente giovane. Penso che sia per via di tutte le avventure che hai affrontato in questi anni.»
«Davvero?» «Sì. E adesso ne senti la mancanza, vero? Sei un po' irrequieto, ultimamente.» John le prese la mano. «Tesoro, tu mi conosci bene come mio padre. Sì, desidero molto che John Fielding mi chiami. Ma è tutto tranquillo. D'altra parte l'ultimo caso, con tutti i morti che ci sono stati, mi è bastato per mesi.» «Vorrei sperarlo.» Emilia si alzò. «Andiamo, marito mio. La cena sarà servita da un momento all'altro. Passiamo in sala da pranzo.» «Non prima di darti un bacio.» «Se proprio insisti» disse Emilia, ma si guardò bene dall'allontanarsi da lui. La sala da pranzo era al pianterreno e loro vi si diressero tenendosi a braccetto. Si sedettero ai capi opposti della tavola e John, veramente affamato dopo tutta una giornata di lavoro con Gideon, divorò il pasto di tre portate senza conversare. Solo quando furono alla frutta e al formaggio Emilia riprese a parlare. «Mi sono dimenticata di dirti che questa mattina mi è arrivata una lettera da una ragazza con cui andavo a scuola.» «Oh, davvero?» disse John, sorseggiando il vino. «Sembra che abbia contattato mia madre per scoprire dove fossi finita ed è stata molto contenta di sapere che mi ero sposata.» «È da tempo che non vi vedete, dunque?» «Sì. Abbiamo preso strade diverse. Ma adesso che mi ha ritrovata vorrebbe rivedermi. Muore dalla voglia di conoscere Rose, e anche te, naturalmente.» «Naturalmente» ripeté John con espressione seria, e la moglie gli scoccò un'occhiataccia. «Vai avanti» la invitò lui. «Si chiama Priscilla Fleming e ha un anno meno di me. A quanto pare ha un'ottima posizione: è la dama di compagnia di una delle dame di corte della principessa Amelia.» «Un'ottima posizione davvero.» Amelia, la figlia di re Giorgio II, non si era sposata, ma si diceva che avesse relazioni con diversi pari del regno, e viveva nel lusso più sfrenato, trascorrendo l'inverno a Curzon Street e l'estate a Gunnersbury House. I suoi ricevimenti erano sfarzosi, e chi veniva invitato a uno di essi poteva ritenersi socialmente arrivato.
«Presso quale dama di corte presta servizio?» chiese John, interessato. «Lady Theydon. A quanto pare Priscilla è una sua lontana parente, cugina in terzo grado o qualcosa del genere. Quando la madre di Priscilla morì, poco dopo che lei lasciò la scuola, lady Theydon le scrisse e le offrì il posto, che lei ha subito accettato.» «Una bella occasione.» «Altroché! In ogni caso io le ho subito scritto e l'ho invitata a venire a trovarmi appena può. In questo momento si trova a Curzon Street, quindi non le va troppo male.» «No» rispose John, ma già aveva la mente altrove. Pensava a quanto ci avrebbe messo Gideon Purle a svegliarsi un po' nel lavoro. In effetti era così assorto che quando Emilia riprese a parlare quasi sobbalzò. «... puoi fare in modo di rientrare a casa presto, vero?» «Quando?» chiese lui, sforzandosi di tornare alla realtà. «Oh, John, non mi hai ascoltata. Ho detto che ho intenzione di invitare Priscilla a cena da noi martedì prossimo. Così potrà conoscere te e Rose.» «Un'ottima idea, mia cara. Fai pure.» Lei gli rivolse uno sguardo di rimprovero. «Non te ne importa nulla, vero?» «Ma certo che mi importa» rispose lui. Poi la guardò e continuò: «Sai bene che tutto quello che fai mi importa molto.» «Oh, John» rispose lei, con il suo sorriso speciale. Non appena posò gli occhi su di lei si rese conto che l'aveva già vista da qualche parte, anche se per il momento non ricordava dove. Mentre ci rimuginava sopra le fece il suo miglior inchino e le baciò la mano. Priscilla rispose con una piccola riverenza. Lui la osservò e per un istante ebbe l'impressione di una faccia porcina che lo fissava, ma quando la guardò di nuovo si rese conto che in realtà era un giudizio ingiusto. Erano gli occhi azzurri leggermente ravvicinati e il naso piatto a creare quell'effetto, però il resto del viso era abbastanza grazioso. La bella chioma bionda era trattenuta sotto un ampio cappello, mentre le ciglia che le ombreggiavano gli occhietti erano scure e folte. Il sorriso ampio metteva in evidenza i denti un po' separati. Eppure era così ben vestita, così elegante che aveva tutta l'aria di una donna affascinante. E ne era così convinta che anche John finì col crederci. «Signor Rawlings» disse con una voce ben modulata che nascondeva un vago accento «è veramente un piacere incontrarvi.»
E quando si mosse, dai suoi vestiti emanò un profumo che John trovò particolarmente attraente. «Il piacere è tutto mio, signorina Fleming» rispose lui. «Ma perdonatemi, ho l'impressione di avervi già vista da qualche parte.» Priscilla sorrise. «È così infatti. Sono stata varie volte nel vostro negozio, senza sapere chi foste.» «Ma certo, Shug Lane è a poca distanza da Curzon Street, dove mi pare che risiediate.» Priscilla continuava a sorridere. «Ah, mio caro signore, c'è una spiegazione molto semplice, anche se è di quelle che bisognerebbe tenere confidenziali. Il fatto è che la principessa ha provato il vostro elisir rinvigorente e adesso non ne può più fare a meno. Dato che sono tra i membri più umili del suo personale, tocca a me venire ad acquistarlo di tanto in tanto. Ecco la risposta.» «Ma quanto è piccolo il mondo» intervenne Emilia. «E pensare che hai visto così spesso John senza sapere chi fosse.» «Be', adesso lo so» disse Priscilla, scoppiando di nuovo a ridere. Era gioviale e, tutto sommato, piuttosto piacevole, a modo suo. John iniziò a prenderla in simpatia. Dopo aver scortato le due signore in biblioteca, versò loro dello sherry e le ascoltò chiacchierare. «La principessa ha acquistato Gunnersbury House tre anni fa, ma ha fatto molti restauri. È intervenuta su un ninfeo in giardino e l'ha trasformato in un locale per i bagni. È così bello, dovresti proprio vederlo.» Priscilla batté le mani. «Sì, carissima Emilia, devi venire a trovarmi là. Sarebbe anche un'occasione per vedere Gunnersbury Park, che è veramente splendido.» «Ma di sicuro non sarà possibile fino a primavera, vero?» intervenne John. Priscilla continuava a sorridere. «Ci andiamo spesso anche in inverno, per essere sicuri che i domestici facciano le cose come si deve. Ti inviterò quanto prima.» Poi si voltò verso John. «Verrete anche voi, vero?» «Certo, sempre che possa lasciare il negozio.» «Ma di sicuro la decisione spetta a voi. Il negozio è vostro, vero?» «Sì, signorina. Però in questo momento ho un nuovo apprendista che non può essere lasciato da solo. Devo vedere come se la cava.» «Oh, vi prego, prendetevi un giorno libero.» «Vedrò.» Priscilla si rivolse a Emilia. «Ma almeno tu devi venire, mia cara. Caspi-
ta, sono così contenta di averti ritrovata. Siamo state separate troppo a lungo.» «Sì, proprio così. Dimmi, Priscilla, hai qualcuno che ti fa la corte?» La sua amica esitò un brevissimo istante prima di rispondere. «Oh, sì, più di uno. La principessa Amelia riceve molte persone e tra i suoi ospiti ho conosciuto un paio di giovani gradevoli.» «Niente di serio però, mi sembra di capire.» «Proprio così. In fatto di amore sono una vera cacciatrice. Per me restare da sola è un dolore fisico, devo ammetterlo.» «Ma di sicuro non è che una fase» dichiarò John. Gli occhietti dardeggiarono nella sua direzione. «Ma certo. Quando incontrerò l'uomo giusto vi assicuro che mi sistemerò e diventerò una moglie esemplare.» Emilia scoppiò a ridere. «Non sei cambiata neanche un po', Priscilla. Ricordo che a scuola dicevi le stesse cose.» «Così vanno le cose. Ma adesso parliamo d'altro.» John rimase seduto in silenzio, lasciando conversare le due donne, cercando di rammentare quando aveva visto Priscilla Fleming per la prima volta. Ricordava vagamente di averla vista entrare nel suo negozio sei mesi prima, esitando sulla soglia. Poi, quando era uscito dal suo laboratorio, lei l'aveva guardato e gli aveva rivolto un gran sorriso. All'epoca gli era sembrato che volesse civettare, ma adesso si rendeva conto che quello era il suo comportamento abituale. In altre parole era una giovane sicura di sé, che non si faceva scrupoli quando trovava qualcosa che le intralciava la via. La osservò di nuovo, notando come fosse riuscita a volgere a suo favore anche gli aspetti meno gradevoli del suo aspetto. «... la tua bambina è adorabile» stava dicendo Priscilla. Emilia sorrise. «Sì, è in gamba. O almeno, noi pensiamo così.» Poi si sporse verso di lei e spiegò con aria confidenziale: «Adesso sono in attesa di un altro bambino.» «Davvero? E quando deve nascere?» «A giugno.» «Che cosa meravigliosa. Oh, mia cara Emilia, è così bello vederti felicemente accasata.» Poi si rivolse a John con uno sguardo ardente. «Vi ringrazio per aver reso così felice la mia amica, signor Rawlings. Voi dovete sicuramente essere un marito ideale.» «Non direi proprio» rispose con sincerità lo speziale, pensando a tutte le volte che aveva lasciato da sola la moglie per dare la caccia ai criminali.
«Sciocchezze» rispose allegra Priscilla. «Siete tutto quello che una donna può desiderare.» Stava civettando con lui, e John non poté fare a meno di rispondere. «Voi mi adulate, signorina Fleming. Vi assicuro che la realtà non è affatto così lusinghiera come voi immaginate. Non è vero, Emilia?» «No» rispose onestamente lei. «Sa essere veramente orribile quando si occupa di qualche losca faccenda e mi lascia sola.» Il viso porcino si accigliò. «Losca faccenda?» Emilia assunse immediatamente un'aria contrita, come se si rendesse conto di aver parlato troppo. Giunse al punto di rivolgersi a suo marito invitandolo a spiegare. «John?» «Di tanto in tanto do una mano a sir John Fielding» spiegò lui. L'effetto di questa notizia su Priscilla fu stupefacente. Batté le mani, le si imporporarono le guance e spalancò gli occhietti. «Ma io adoro questi misteri» affermò. «Lavorate sul serio con il giudice cieco?» «Qualche volta, sì.» «Dovete raccontarmi tutto. Non vedo l'ora di conoscere tutti i dettagli.» Fortunatamente in quel momento si aprì la porta e un domestico annunciò: «La cena è servita.» La signorina Fleming si alzò, togliendosi il cappello e mettendo in mostra la chioma bionda. «Accidenti, Emilia» disse «dovevo aspettarmelo che ti saresti trovata un marito così eccitante. Ti invidio, ti invidio proprio.» Emilia sorrise, anche se un po' nervosamente, notò John. «Sì, è bravo in molte cose.» Priscilla prese a braccetto lo speziale con atteggiamento familiare. «Dovete raccontarmi tutto a cena. Promesso?» «Sì, ve lo prometto» rispose John, e la scortò in sala da pranzo. 2 La cena andò bene. A tavola la conversazione si svolse soprattutto tra Emilia e la sua amica ritrovata. Alla fine a John sembrava quasi di conoscere la principessa Amelia e il suo entourage e di poter girare per Gunnersbury House senza guida, tanto vivamente Priscilla li aveva descritti. Di sicuro la loro ospite ci sapeva fare con le parole, e lo speziale pensò che potesse avere del talento come scrittrice. Glielo chiese, e Priscilla arrossì con modestia.
«Be', ho scritto un racconto o due per divertire le mie amiche. E quest'anno la principessa mi ha chiesto di organizzare la celebrazione di Natale.» «Oh, davvero? E come si svolgerà?» chiese John, interessato. Priscilla arrossì di nuovo. «È una recita in maschera e gli interpreti saranno membri della corte della principessa, insieme a un attore professionista.» «E l'attore da dove viene?» «Dal Teatro Reale di Drury Lane.» John ebbe un tuffo al cuore. La donna che una volta aveva amato alla follia, la celebre Coralie Clive, adesso lavorava come prima attrice proprio in quel teatro. Si affrettò a fare un'altra domanda per nascondere il proprio turbamento. «E dove avverrà la rappresentazione?» «Questa è una faccenda delicata. Vedete, io avevo pensato al salone principale di Gunnersbury House, che è l'ideale. In effetti avevo adattato la trama proprio a quel luogo. In origine doveva trattarsi di una rappresentazione estiva. Ma poi la principessa ha deciso che si doveva fare a Natale, e quindi a Curzon Street, che però non è adatta.» «E perché proprio lì?» chiese Emilia. «Perché la principessa Amelia trascorre l'inverno a Londra.» «E non si può persuaderla ad andare a Gunnersbury?» «Il palazzo sarà gelato, specialmente con il freddo che ha fatto negli ultimi tempi. Penso che sarebbe troppo laborioso spostare là la corte e riscaldare Gunnersbury.» «Però sarebbe un vero peccato rovinare la commedia. Magari potresti parlarle.» Priscilla abbassò lo sguardo, un gesto che per un attimo mise in evidenza i tratti porcini del suo viso. «Io non oso rivolgermi personalmente a sua altezza reale. Anche quando mi è stato chiesto di scrivere il testo per lo spettacolo sono stata avvicinata da lady Theydon.» «E allora lascia che sia lady Theydon a parlarle. Spiegale che secondo te la rappresentazione sarebbe rovinata se non venisse messa in scena nel luogo per il quale era stata concepita.» Priscilla sembrava dubbiosa. «La principessa Amelia è una donna molto ostinata. Una volta che ha preso una decisione, niente riesce a farle cambiare idea.» «Be', almeno potresti tentare.»
«Hai ragione. Ti prometto che chiederò a lady Theydon di intercedere per me» disse a Emilia. «Però, mia cara, dovunque si terrà la rappresentazione farò in modo che tu possa venire ad assistervi, e anche voi, naturalmente, John.» Già vedendosi pressato in mezzo alla folla, John iniziò a pensare a una scusa. Emilia invece si illuminò tutta. «Verrò senz'altro, grazie.» Priscilla lanciò a John un'occhiata civettuola. «Se verrete mi farete veramente piacere.» John si concentrò sul grappolo d'uva che stava piluccando, evitando così quello sguardo ardente. Mentre si stava preparando per andare a letto Emilia si lasciò sfuggire un sospiro e disse: «Povera Priscilla.» «Perché?» chiese John, sinceramente stupito. «Non è mica vero che ci tiene a rimanere nubile. Avrei fatto meglio a invitare un cavaliere per lei a cena. Le avrebbe fatto molto piacere.» «Ma chi? La maggior parte dei nostri amici sono sposati.» «Be', avrei potuto trovare qualcuno» rispose Emilia. Si infilò nel letto, tirandosi su le coperte. «Oh, che freddo! Sbrigati.» John la raggiunse con un balzo e l'attirò a sé. «Ti piace la tua nuova amica, vero?» «Non è nuova. L'ho frequentata per cinque anni. Comunque sì, mi piace. Perché me lo chiedi?» «Così» rispose lui, preparandosi a dormire. Il mattino seguente arrivò un messaggero con un gran mazzo di fiori e un bigliettino di ringraziamento di Priscilla. «Mi invita a prendere il tè a Curzon Street» disse Emilia a colazione, leggendolo. «E allora vacci, mia cara, e divertiti» rispose John, umettandosi le labbra e alzandosi. Emilia lo guardò. «Vai già al lavoro? Come mai così presto?» «Perché ho paura che Gideon non apra all'ora giusta. Finché non riesco a far entrare in quella testa dura che bisogna essere puntuali, devo essere lì a sorvegliarlo.» Emilia sospirò. «Oh, povero John. Spero che quel ragazzo si dia presto una svegliata.»
«Anch'io» ribatté suo marito. Qualche minuto dopo lo speziale uscì di casa, tutto avviluppato nel mantello e con il tricorno ben calcato in testa. Faceva veramente freddo. Si infilò le mani guantate in tasca, determinato ad arrivare a Shug Lane il più presto possibile. Mentre camminava si ritrovò a pensare alla sua ospite della sera prima. Doveva avere quasi trent'anni e, nonostante i lineamenti porcini, era sufficientemente graziosa da attirare l'attenzione di numerosi uomini. La sua affermazione di voler attendere l'uomo giusto era dunque probabilmente vera. John pensò che quell'uomo doveva però sbrigarsi ad arrivare, tanto più che Priscilla aveva detto di voler mettere su famiglia. Immerso in quei pensieri, svoltò in Shug Lane e si diresse verso il suo negozio. Rimase alquanto sorpreso nel vedere che Gideon era arrivato ed era tutto intento a fare le pulizie. «Buongiorno» lo salutò allegramente, bussando alla porta. Gideon alzò lo sguardo. «Buongiorno, maestro.» Mentre il ragazzo apriva la porta, John lo studiò. Era un ragazzo tarchiato sui sedici anni, coi capelli rossicci, gli occhi del colore dell'uva spina e un ampio sorriso. In effetti, nonostante tutto quello che combinava, era difficile prendersela con lui. Il modo in cui si spaventava e impallidiva, per poi sorridere nervosamente, riusciva sempre a disarmare John, per quanto furioso potesse essere. Una volta che era stato sul punto di picchiarlo, Gideon gli aveva rivolto quello sguardo intimorito e lo speziale aveva finito col far cadere la verga a terra. "Se risparmi la verga finisci col rovinare il ragazzo" aveva sentenziato Samuel, poco dopo l'assunzione di Gideon. "E tu quante volte batti il tuo apprendista?" "Una volta alla settimana, regolare come un orologio." "Non ci credo assolutamente" aveva risposto John, e Samuel aveva finito con l'ammettere che una volta all'anno era più vicino alla verità. Gideon rivolse un gran sorriso al suo maestro e disse: «Stavo proprio per togliere i teli di copertura.» «E allora procedi, ma, Gideon...» «Sì, maestro?» «Stai attento a non rompere nulla. Sollevali piano, fai il bravo.» «Benissimo.» L'apprendista prese ad alzare i teli con tanta delicatezza che pareva stesse maneggiando i gioielli della corona.
«Non così piano» proruppe John, irritato. «No, maestro» rispose Gideon dando uno strattone a quello successivo, e subito un alambicco cadde a terra, rompendosi in mille pezzi. Scuotendo la testa, John scomparve nel laboratorio a farsi una tazza di tè. La mattina trascorse come molte altre, con signore che entravano a chiedere rimedi per una gran varietà di disturbi, dall'emicrania al ciclo, anziani signori preoccupati per la renella o la gotta e giovani bellimbusti in cerca di preservativi di budello o di rimedi per lo scolo. John, rammentandosi del recente errore di Gideon, insistette per servire tutti personalmente. Aveva appena salutato una cliente abituale, una bella signora di una cinquantina d'anni ben portati, in cerca di qualcosa che potesse restituirle la giovinezza, quando la porta si aprì, facendo suonare la campanella. Sulla soglia si stagliava una figura elegante, vestita con un mantello verde bordato di nero, una giacca d'argento, calzoni verdi e calze della stessa sfumatura color smeraldo. L'uomo si inchinò e con un accento irlandese così marcato da parere quasi falso, salutò: «Buongiorno a voi. Avete per caso qualcosa che potrebbe essermi d'aiuto per un dolore all'ipocondrio? Mi sono ferito di recente e adesso mi fa un male del diavolo.» Gideon deglutì forte e fu lo speziale che disse: «Sedetevi, signore. Potete dirmi come vi siete procurato questa ferita?» L'irlandese si lasciò cadere sulla sedia lasciata libera dalla signora. «Certo, è successo sul palcoscenico. Vedete, ci stavamo battendo.» «Ah, immagino che si sia trattato di un combattimento simulato.» L'irlandese annuì. «Proprio così. Ma, siano benedetti tutti i santi del cielo, l'altro non ha fatto i movimenti giusti e non sono stato l'unico ad andarci di mezzo.» «Mi permettete di visitarvi? Potete venire nel retro, se preferite.» «Al diavolo il pudore. È solo il torace.» E così dicendo l'irlandese si tolse mantello e giacca, estrasse la camicia dai pantaloni e la tirò su, mettendo in mostra un torso muscoloso. Lo speziale premette e tastò delicatamente, provocando gemiti di varia intensità, e alla fine disse: «Mio caro signore, a mio parere avete una costola rotta.» «Buon Dio, gli torcerò il collo a quel tizio.» «Non è niente di cui preoccuparsi. Vi prescriverò un potente decotto di robbia. Allevierà sia le lesioni esterne che quelle interne.» «Ma la mia costola, cosa devo farci?»
«Niente» rispose tranquillamente John. «Guarirà da sé. Tuttavia vi sconsiglierei di continuare a combattere sul palcoscenico.» «Ah, per me sarebbe la fine. Sarò sincero con voi, speziale. Sono ai primi passi della carriera, anche se un giorno, badate bene, spero di interpretare i ruoli principali. Ora come ora, però, faccio solo la comparsa. Sono costretto a chiedere in tutti i teatri se hanno qualche ruolo per me. È una vita tremenda, credetemi.» Rivolse uno sguardo disperato a John, con i bei lineamenti così segnati dalla tristezza che lo speziale si sentì in dovere di consolarlo. «Mi è parso di capire che avete lavorato a Drury Lane.» «Proprio così, signore. Ero uno degli sgherri dei Capuleti fino a ieri sera.» La domanda successiva proruppe dalle labbra di John prima che questi riuscisse a rendersene conto. «Conoscete per caso la signorina Coralie Clive?» «Non le ho mai parlato, ma questo non mi ha impedito di adorarla da lontano. Lei appartiene all'empireo al quale aspiro.» «E allora perché non andate da David Garrick e gli spiegate che siete momentaneamente fuori combattimento? Potrà farvi interpretare un membro della folla per un po'.» «Si trova all'estero, al momento, e vi rimarrà per qualche tempo.» L'irlandese finì di risistemarsi la camicia e si rimise la giacca. «E adesso, signore, se mi date il decotto, me ne andrò.» John frugò sul bancone e scelse una bottiglia contenente un liquido rossastro. «Prendetelo due volte al giorno, ma non di sera, a meno che non abbiate voglia di usare il vaso da notte.» «Vi ringrazio, signore.» L'irlandese si frugò nelle tasche finché non scovò un cartoncino, che offrì con un gesto svolazzante. «Il mio biglietto da visita, signore.» «Vi ringrazio.» John, solennemente, gli porse il proprio. «Mi dovete uno scellino.» «Costoso, ma se funziona ne vale la pena. Buongiorno.» Si rimise il tricorno in testa e uscì, facendo di nuovo suonare la campanella. «Un bel tipo, maestro» commentò Gideon, osservando la sagoma che si allontanava nella vetrina. «Già.» John studiò il biglietto da visita, sul quale c'era scritto: "Michael O'Cal-
laghan, attore drammatico". Sotto la scritta in grassetto era stampato un indirizzo di Fleet Street. John immaginò che si trattasse di un posto piuttosto malfamato. "Non riesco a immaginarmelo sullo stesso palcoscenico con Coralie" disse tra sé e sé, poi venne preso da una sensazione di fastidio per aver pensato a una cosa del genere. Il giorno seguente trovò Emilia in preda a un notevole nervosismo. «John, prima che tu vada a lavorare devi darmi un consiglio su come vestirmi» annunciò a colazione. Lui sollevò gli occhi dal giornale. «Su come devi vestirti?» chiese. «Sì. È oggi che devo andare a prendere il tè con Priscilla. E devo essere alla moda. Nel caso mi imbatta nella principessa Amelia.» «Perché? Lei si veste all'ultimo grido?» «Non ne ho idea, ma bisogna essere preparati. Sai, adesso è tornato lo strascico. Pensi che il mio vestito aperto con lo strascico sia adatto? Sempre che riesca a entrarci.» John le sorrise, pensando a come le si addicesse quell'entusiasmo. Sembrava più giovane di quel che era. In effetti quando la guardò gli sembrò quasi una ragazzina. «Andiamo di sopra e diamo un'occhiata alle cose che hai selezionato» disse masticando un pezzo di carne. «Oh, bene» esclamò lei battendo le mani, poi si mise letteralmente a correre su per le scale, precedendolo. Sul letto erano stesi alcuni dei suoi vestiti preferiti e prima ancora che John potesse dire una parola Emilia si era liberata della camicia da notte e si era infilata il primo. Dopo che li ebbe provati tutti quanti decisero per un abito di seta pesante, ricamato con pizzi e fiori, che terminava con un piccolo strascico, secondo gli ultimi dettami della moda. Il busto sotto doveva però essere allacciato molto stretto. «Fiuuu!» esclamò Emilia, trattenendo il fiato. «Non andrai molto lontana, stretta così» commentò John, notando le guance arrossate. «E nemmeno ne ho l'intenzione. Mi sento come un'ostrica schiacciata dal suo guscio.» «Be', fai un bel respiro e poi allenta il busto.» «Sì, speziale» disse lei con una smorfia. John sentì un improvviso moto di affetto nei confronti della moglie e le
si avvicinò. «Divertiti» le augurò, «e ricordati che sarai una delle donne più belle là dentro. Non hai bisogno di darti tanto da fare.» «Ma a me piace» rispose Emilia, e lo baciò su una guancia. Lui rispose con un vero bacio, un bacio che li lasciò entrambi eccitati, tanto che lui dovette fare uno sforzo notevole per andarsene di lì e uscire al freddo, diretto a Shug Lane. Comunque ci riuscì. Rallentò il passo solo quando notò Gideon, che correva a perdifiato e con il vestito in disordine, ma comunque davanti a lui. 3 Al termine della giornata di lavoro, sapendo che Emilia sarebbe tornata tardi, John decise di passare dal sarto, un uomo che godeva della sua massima stima. Erano ormai molti anni che si serviva sempre dello stesso artigiano, che si chiamava Josiah Bentham. Si diresse così verso Ludgate Hill, dove Josiah abitava, subito dopo il negozio di un mercante di tessuti con cui il suo laboratorio era collegato. Di solito, naturalmente, era il signor Bentham che veniva da lui in casa, ma questa volta, su insistenza di John, era il cliente che si recava dal sarto. Dopo aver noleggiato una carrozza, John fece il tragitto tutto contento. Non che avesse bisogno di un completo nuovo, e neppure di abiti da lavoro, i suoi armadi erano pieni di vestiti. Però la moda stava cambiando. Le giacche adesso si portavano più corte dietro e i panciotti avevano dei piccoli risvolti. In effetti aveva proprio bisogno di parlare un po' di moda con un esperto e, se necessario, avrebbe fatto modificare da Josiah qualcuno dei suoi abiti. La sera era veramente fredda, l'aria era gelida e la luna era coperta da un tenue strato di nubi. Mentre la carrozza procedeva lungo lo Strand, John si stupì nel vedere in giro poche prostitute. Evidentemente preferivano perdere una notte di guadagni piuttosto che sfidare i rigori dell'inverno. La carrozza risalì Ludgate Hill e si fermò davanti al negozio di tessuti. John pagò il cocchiere e bussò alla porta. Gli aprì un ragazzo che si inchinò e gli disse: «Il signor Josiah la aspetta di sopra, signore.» John salì le scale e si ritrovò in un locale dove ferveva l'attività. Nonostante l'ora tarda, tagliatori e cucitori lavoravano alacremente su un assortimento di vestiti, mentre il sarto in persona, con il metro attorno al collo, si spostava qua e là sovrintendendo a ogni lavoro. Non appena udì che John era entrato, si voltò e gli rivolse un profondo inchino.
«Signor Rawlings, che piacere. Spero che non abbiate corso dei rischi venendo qui.» «No, ho preso una carrozza.» «Meno male. È un tragitto troppo lungo da fare a piedi, specialmente in una serata gelida come questa.» Poi, dopo una pausa, aggiunse: «Vi prego di scusarmi un istante» e corse da uno dei suoi aiutanti. John si guardò attorno. La stanza era piuttosto lunga, probabilmente si estendeva per tutto il perimetro del negozio di tessuti al piano di sotto, e aveva le pareti di legno. C'era un grande caminetto con un fuoco che emanava un bel tepore. Nell'angolo opposto della sala, però, dove se ne stava seduto il ragazzo che era venuto ad aprire insieme a un paio di altri, si sentiva una corrente che pareva provenire direttamente dall'oceano. Tuttavia, fu l'attività della sala che John trovò affascinante. Tutti quanti, infatti, giovani e vecchi, lavoravano senza posa per terminare gli indumenti stesi sui tavoli che avevano davanti. Sembravano tanti folletti al lavoro e sul volto stanco dello speziale si fece strada un sorriso. Su un tavolo vicino al fuoco erano stati disposti del cibo e alcune bottiglie di vino. Il signor Bentham, senza neppure chiedere se il suo ospite ne gradisse, riempì un bicchiere. Porgendolo a John, disse: «E adesso, signor Rawlings, parliamo di moda.» John si sedette. «Quali sono le ultime tendenze, signor Bentham?» Il sarto, che non aveva versato nulla per sé, congiunse le punte delle dita. «Be', come avrete senza dubbio osservato, le cuciture laterali delle giacche si stanno spostando all'indietro, e i bottoni sui fianchi sono adesso più vicini. L'effetto, naturalmente, è quello di rendere più affusolata la figura. Le giacche svasate, ahimè, sono ormai tramontate.» «Accidenti» esclamò John allarmato, visto che aveva parecchie di quelle giacche nei suoi armadi. «I vostri capi, naturalmente, possono essere modificati.» «Grazie al cielo. E che altro succede?» «Be', i colletti rigidi hanno preso il posto della cravatta. Vedo però che questo lo avete già notato» dichiarò, dando un'occhiata d'approvazione al collo dello speziale. «Sì, e che altro?» «I tacchi si stanno abbassando.» Si fermò un'altra volta per tornare a riempire il bicchiere di John. «E adesso, signore, lasciate che vi mostri il tessuto più fine che ho avuto il piacere di maneggiare da molti anni a que-
sta parte.» Batté le mani e immediatamente uno dei ragazzi in fondo si alzò in piedi. «Jarman» ordinò il sarto «portami un campione di "Mezzanotte a Venezia".» «Sì, signore» e il ragazzo corse in mezzo ai mucchi di vestiti e ne prese uno che portò con reverenza al suo maestro. Effettivamente era molto fine, color blu notte con delle piccole stelle d'argento. John la toccò e ne saggiò la qualità tra le dita. «Viene da Venezia?» chiese. «Proprio così, signore, proprio così. È l'ultimo grido in fatto di tessuti. Riuscite a immaginarvelo con un panciotto d'argento ricamato a fiori blu scuro, in contrasto?» «Disgraziatamente sì» rispose lo speziale con un filo di voce. Josiah gli scoccò un'occhiata tentatrice. «La cosa non vi alletta?» «Non direi. Sono un padre di famiglia, adesso.» «Naturalmente, naturalmente. Adesso ditemi: quando posso venire a ritirare le vostre giacche svasate?» «Domani, magari.» «Domani alle sei?» «Sarebbe magnifico. E ora potete mandare uno dei vostri apprendisti a chiamarmi una carrozza?» «Naturalmente, signore. Subito. Prendete ancora un po' di vino.» Erano passate da poco le sette e mezzo quando John si mise in viaggio verso casa. Londra era gelida e vi era ben poca gente in giro. Guardando dal finestrino, lo speziale vide che le strade erano quasi deserte. Poi vi fu un intoppo nel traffico quando la carrozza arrivò all'altezza del Teatro Reale, dove due persone stavano ancora entrando. Lui si mise a guardare con attenzione. Gli sembrò infatti di riconoscere una di esse e quando il volto giunse in piena luce ne fu certo. Si trattava di Priscilla Fleming. Ma fu sul suo accompagnatore che si appuntò il suo sguardo. Costui non era altri che l'irlandese che poco prima, quello stesso giorno, era entrato nel suo negozio. Michael O'Callaghan quella sera, stranamente, stava accompagnando a teatro una giovane di un certo rango. «Priscilla ti ha mai parlato di un certo Michael?» chiese a Emilia, che sedeva davanti a lui nello studio, intenta a leggere un libro. Lei alzò gli occhi. «No, non mi pare. Ha un cognome?» «Michael O'Callaghan. È un attore irlandese che è venuto nel mio nego-
zio oggi. Si era leggermente infortunato in un combattimento sul palcoscenico, ma la faceva più grossa di quanto non fosse. In ogni modo li ho visti entrare insieme al Teatro Reale.» Emilia lo guardò. «Che strano. Quando l'ho lasciata mi ha detto che sarebbe andata a letto presto, perché si sentiva stanca.» «Evidentemente si è ripresa» commentò seccamente John. «Evidentemente» rispose Emilia, rivolgendogli il sorriso che il marito adorava. «Sembra che le piaccia molto la gente di teatro, e quindi probabilmente pensava che il rischio valesse la candela.» «Non avrei pensato che fosse il suo tipo, però.» «Perché?» «Perché quel tipo è male in arnese. Fa solo la comparsa. Sembra abbastanza ambizioso, ma per il momento non ha certo raggiunto grandi risultati.» «Forse è un suo ammiratore segreto.» «Ovviamente. Però mi sorprende che non te ne abbia parlato.» «Oh, ha così tante cose in testa» rispose lei, senza specificare. «Quella rappresentazione che vuole mettere in scena per la principessa è una vera impresa. Mi ha chiesto di recitare una parte.» «Davvero?» John abbassò il giornale e guardò sua moglie. «Sì. A quanto pare si terrà a Curzon Street perché la principessa vuole così. In ogni modo la povera Priscilla non ha abbastanza attrici giovani. Per farla breve, ne ha un bisogno disperato. E così mi ha chiesto di pensarci su.» «E lo farai?» «Sì, se non hai nulla in contrario.» «L'unica cosa che mi preoccupa è che sei incinta di tre mesi.» «Be', c'è ancora un po' di tempo prima che sia costretta a chiudermi in casa. Allora, posso?» «Mia cara, tu puoi fare quello che vuoi. Lo sapevi quando ti ho sposata. Non sono il tipo che segue le convenzioni e tu hai completa libertà... entro certi limiti, naturalmente.» Lei si alzò e andò da lui, gli si sedette in grembo e prese a dargli dei baci sugli occhi e sul naso. «E quali sarebbero questi limiti?» «Che tu continui ad amare me e a non farti fantasie su nessun altro.» Emilia gli mise le braccia attorno al collo. «E come potrei, quando tutto quello che ho sempre voluto è qui, adesso.»
Fu un momento indimenticabile, che non avrebbe mai scordato. «Dolcissima Emilia» le disse, dandole un bacio che esprimeva l'improvvisa, inesplicabile emozione che l'aveva sopraffatto. Svegliatosi improvvisamente nel cuore della notte, John si rese conto che stava sognando. Per l'esattezza aveva sognato la "Mezzanotte a Venezia". Doveva ammettere che si trattava della stoffa più bella che avesse mai visto da molti anni a quella parte, veramente un tessuto da sogno. E ora, pensò, aveva la scusa adatta per ordinare un abito di quella stoffa, tagliato secondo gli ultimi dettami della moda. Se Emilia avesse preso parte alla rappresentazione reale organizzata per la principessa Amelia, lui avrebbe dovuto assistervi. E cosa avrebbe potuto indossare di più adatto di un abito realizzato con quel divino tessuto? Con cautela, John accese la candela vicino al letto. Emilia si agitò ma non si svegliò. Lo speziale prese un foglio di carta e una penna che teneva a portata di mano sul comodino, e fece qualche somma. Poteva permetterselo appena appena, senza privare di nulla Rose e il bambino che stava per nascere. Però avrebbe dovuto lavorare sodo. E Gideon avrebbe dovuto fare la sua parte. Dopo aver deciso di far pubblicare un'inserzione su qualche giornale per dare impulso ai suoi affari, John abbozzò un annuncio. Alla fine spense la candela. Però il sonno non arrivava. Il ricordo del senso di disagio che l'aveva colto quando aveva tenuto stretta Emilia, insieme a un'inspiegabile inquietudine, lo tormentarono al punto che alla fine si alzò e scese di sotto in biblioteca. Persino quella vecchia stanza familiare sembrava spettrale al chiarore della luna che traspariva dalle imposte. John le aprì e guardò fuori in giardino. Rimase impietrito. C'era qualcuno là fuori, ne era sicuro. Guardò la sagoma che se ne stava immobile dietro gli alberi, a osservare la casa. John sentì il sangue gelarsi nelle vene. Quella figura era così irreale che sembrava un fantasma. Però lui doveva essersi mosso perché all'improvviso la sagoma, intabarrata in un mantello, tanto che era impossibile sapere se si trattasse di un uomo o di una donna, si diresse verso il retro del giardino e probabilmente scavalcò il muro da quella parte, verso Dolphin Yard, dove c'erano la stalla e la rimessa della carrozza. Lo speziale per un attimo prese in considerazione l'idea di uscire in strada e corrergli appresso, ma si rese subito conto che era impossibile. Non solo infatti era in camicia da notte, ma nel tempo che gli sarebbe occorso
per prendere la pistola avrebbe senz'altro finito per perdere le tracce dell'intruso. Immerso in quei pensieri tornò a letto, dopo aver controllato le serrature, ben determinato a non dire nulla a Emilia. 4 Per tutta la prima settimana di dicembre continuò a far freddo, poi, quella successiva, su Londra cadde la neve, che durò a lungo. John, dopo aver fatto aprire un passaggio davanti al numero due di Nassau Street, avanzò faticosamente lungo Gerrard Street diretto al lavoro, poi si trovò di fronte un altro cumulo di neve a Shug Lane. «Diamoci da fare, Gideon» gridò e si mise a spalare insieme al suo apprendista, finché non ebbero ripulito il vicolo per un bel tratto da entrambi i lati davanti al negozio. Poi, con le guance arrossate e soffiandosi sulle mani, maestro e apprendista si ritirarono nel laboratorio a prepararsi un tè. John guardava fuori con aria triste. Era tutto grigio e stava incominciando a cadere di nuovo qualche fiocco di neve. «Non credo che avremo molti clienti, oggi» disse. Ma aveva appena pronunciato quelle parole quando sulla soglia apparve un negoziante suo vicino, che entrò facendo suonare la campanella. «Buongiorno, signor Rawlings» disse, battendo i denti per il freddo. «Buongiorno, signor Colville.» «Avete qualcosa per il mio apprendista? Il ragazzo ha un bel raffreddore e oggi sembra del tutto privo di forze. A meno che non stia solo facendo scena, naturalmente.» «Verrò a vederlo appena avrò finito il tè. Ne volete una tazza?» «Sì, lo prendo volentieri, grazie.» Se ne andarono tutti e tre nel laboratorio e Gideon offrì la bevanda a Eustace Colville. Questi aveva il negozio proprio a fianco di quello di John, ma lo speziale cercava di non entrarci, dato che la tentazione di acquistare era troppo grande. Impilati in scaffali che arrivavano al soffitto, vi erano libri di tutti i tipi, dai testi antichi alle opere più recenti, dai pesanti atlanti geografici al più recente romanzo. Vi erano pure libri importati dal continente, destinati per lo più agli emigrati che vivevano a Londra, molti dei quali erano appunto clienti del signor Colville. Finito il tè, John indossò il mantello per fare i pochi passi che lo separavano dal negozio vicino, dove trovò l'apprendista in condizioni deplorevo-
li. Aveva gli occhi che lacrimavano, il naso otturato, e per di più aveva la febbre e le vie respiratorie piene di catarro. John si rivolse al libraio. «Questo ragazzo deve mettersi subito a letto. Ha una brutta influenza e deve assolutamente riposare.» Il signor Colville apparve un po' scoraggiato. «Ma io non posso lasciare il negozio per accompagnarlo.» «Manderò Gideon a procurarsi una portantina, se per voi va bene.» Eustace fece una smorfia ma accondiscese e, pochi minuti dopo, Mark, l'apprendista, con un aspetto terribile e due bottiglie di sciroppo in mano, era in viaggio. Gideon lo guardò allontanarsi. «Ho un po' di mal di gola, maestro.» «Bene, diamo un'occhiata» rispose John. Osservò per bene l'orifizio ma non trovò nulla che non andasse. Decise però di continuare il gioco. «Mmh. Bisogna stare in guardia. Ti prescrivo del succo di foglie di betulla. Ogni ora ti devi sciacquare la bocca e io poi controllerò. Eccotene un po'. Comincia subito.» Fece scorrere la mano sugli scaffali e porse allo sventurato la pozione amarissima. Sorrise quando dal retro udì Gideon che prima si apprestava a fare entusiasticamente i gargarismi per poi raschiarsi disperatamente la gola, dopo aver avvertito quel sapore tremendo. La previsione dello speziale che quel giorno ci sarebbero stati pochi clienti si rivelò esatta e alle tre chiuse il negozio e tornò a casa, con Gideon che gli trotterellava accanto. Come sempre, quando svoltò in Gerrard Street, si sentì rincuorato al pensiero che Emilia e Rose lo stavano aspettando, e che la casa sarebbe stata calda e accogliente. Eppure quel giorno sulla casa aleggiava una sensazione inquietante, dovuta alla strana figura che aveva visto in giardino. John era quasi convinto che si trattasse di un fantasma. Eppure quella sagoma era sembrata abbastanza umana quando era fuggita via spaventata verso Dolphin Yard. John rallentò il passo. Chi poteva essere, e cosa voleva? E aveva fatto bene a non dire niente a Emilia? Ma che cosa poteva capitarle di male? Era circondata dai domestici, e faceva la vita di una giovane madre, protetta e riverita. Lo speziale aveva riferito l'accaduto ad Axford, il sovrintendente della servitù, e aveva chiesto che controllasse tutte le serrature e i chiavistelli, la notte. Più di quello non si poteva fare, a meno di non riferire il fatto a sir John Fielding, che però aveva incombenze più serie di cui occuparsi.
«Va tutto bene, maestro?» domandò Gideon, senza fiato. «Sì, perché?» «Avete rallentato.» «Stavo solo riflettendo su una cosa» rispose e, mosso da un impulso improvviso, si confidò con il ragazzo. Gideon si ringalluzzì. «Volete che faccia la guardia, maestro? Posso stare lì tutta la notte con uno schioppo. Lo riempio di piombo quel bastardo, se torna a farsi rivedere.» John scoppiò a ridere. «È successo qualche giorno fa. Mi è solo tornato in mente.» Gideon sembrò deluso. «Sapete che sarei pronto a farlo, maestro.» John sorrise. «Apprezzo la tua lealtà. Forse potresti controllare le serrature. Axford dice che ci pensa lui, ma sarebbe prudente fare un ulteriore controllo.» L'apprendista assunse un'aria decisa. «Consideratelo fatto, maestro. Controllerò tutto ogni sera prima di andare a dormire. Che Dio protegga quell'uomo, se lo prendo.» «Non so se fosse un uomo.» «Ma di sicuro nessuna donna sarebbe venuta in giardino a quell'ora.» «E chi avrebbe dovuto fare una cosa del genere? È questo l'enigma. Cosa voleva?» «Mmh...» disse Gideon, fattosi improvvisamente pensieroso. Quando sentì il rumore dei passi di suo padre, Rose si alzò e corse alla porta. Lui la sollevò tra le braccia, desideroso di stringerla e di sentirne il profumo. Ad aprile avrebbe compiuto tre anni ma era già molto matura sia nel parlare che nel comportamento, e questo lo riempiva di orgoglio. La piccola ancora non sapeva che a giugno avrebbe avuto un fratellino o una sorellina e continuava a considerare John una sua proprietà personale. Per quanto volesse bene alla madre, la passione di Rose rimaneva il padre. «Papà, ho visto la signorina Priscilla.» «Davvero, tesoro? Quando?» «Quando sono uscita per la passeggiata. Passeggiava anche lei.» Li raggiunse Emilia, e John le diede un bacio appassionato. «Ho sentito che avete visto Priscilla.» «Sì. Ero fuori con il passeggino e ci siamo incontrate per caso. La poveretta ha quasi perso la testa per quella storia della rappresentazione.» John la seguì nel salottino, dove ardeva un bel fuoco nel camino.
«Cosa sta facendo di preciso?» «Be', è una specie di masque, con canzoni, danze e musica. Lei ha scritto il testo e adesso sta a noi metterlo in scena.» «E chi crede che vi assisterà?» «Tanto per incominciare le dame di corte della principessa, e cioè la contessa di Hampshire, lady Georgiana, che è l'unica giovane, quindi puoi capire la disperazione di Priscilla, poi lady Featherstonehaugh, lady Kemp e, naturalmente, lady Theydon. Gli uomini sono per lo più mariti e braccieri.» «Braccieri?» «Sì, quelli che danno il braccio alle signore, sai cosa intendo. Poi c'è quel giovane attore professionista.» «Lasciami indovinare. Michael O'Callaghan.» «Proprio lui. Le ho chiesto del Teatro Reale e lei ha ammesso che l'ha incontrato per fargli fare un'audizione.» «Oh, è così che si chiama, adesso.» «John, non essere maligno. Lei stava veramente cercando qualcuno.» «Ci scommetto.» Emilia gli lanciò un'occhiataccia. «Non capisco cosa ti prende.» Poi fece una pausa. «Priscilla non ti piace, vero?» Non poté mentire. «Non molto, no. Trovo che si preoccupi troppo di se stessa e delle sue vicende. Però questo è il mio giudizio. Quello che conta è che piaccia a te e che sia una tua buona amica.» «Sì, lo è» rispose Emilia, con un tono di sfida. «Mi sto divertendo molto a fare le prove per lo spettacolo.» «L'ha modificato per adattarlo al palazzo di Curzon Street?» «Sì, ma non verrà mai come a Gunnersbury House. Lei aveva progettato di farlo nel salone principale, che si trova al primo piano, e pare abbia delle magnifiche porte finestre. Avremmo potuto recitare davanti a esse con il pubblico seduto di fronte.» «Capisco, e non c'è nessun salone a Curzon Street?» «No. Per lo meno non così grande. Il pubblico dovrà starsene tutto pigiato.» John sospirò, di nuovo turbato all'idea di starsene pressato in mezzo alla folla. Si confortò però all'idea di poter sfoggiare il suo nuovo vestito, cha aveva già ordinato. Poi si sentì in colpa rammentando il piacere che l'impresa stava dando a sua moglie, e si rammaricò per il proprio egoismo, giusto dopo che aveva accusato Priscilla di essere così egocentrica.
Cinse Emilia con un braccio. «Andiamo a teatro questa sera?» Lei arrossì un po'. «Mio caro, Priscilla ha convocato noi giovani per una prova alle quattro. A quanto pare il signor O'Callaghan non può fino a quell'ora.» «Oh, capisco.» «La cosa ti dà fastidio? Potrei farla rinviare, immagino.» «Sciocchezze. Vai e divertiti. Io starò benissimo qui con Rose.» «Dici sul serio?» «Certo.» «E allora vado a cambiarmi. Priscilla è sempre così ben vestita e non mi va che pensi che io sia una sciattona.» Quando sua moglie lasciò la stanza, John sentì però un gran bisogno di uscire a fare quattro passi e si chiese se era il caso di passare al Pandemonium Club. Tuttavia si sentiva stanco e non era dell'umore giusto per le loro attività. Forse era la sera giusta per andare a trovare Samuel e Jocasta e vedere come se la cavavano. Poi però ebbe un'idea migliore. Sarebbe andato a fare visita a sir John Fielding, visto che a causa della sua menomazione era quasi sempre a casa. Sarebbe passato da lui a Bow Street per chiacchierare dei vecchi casi. Di nuovo tutto allegro, John salì a cambiarsi. Erano veramente passati dieci anni? John se lo chiedeva mentre la carrozza a noleggio lo conduceva a Bow Street. Dieci lunghi anni con quasi altrettanti casi di brutali omicidi da risolvere? Eppure era proprio così, ne era sicuro, dato che aveva terminato il suo apprendistato nel 1754 ed era passato un decennio dalla prima volta che era stato nella casa di Bow Street. Allora era un ragazzino spaventato, che era stato condotto là per essere interrogato dal tremendo giudice cieco. Adesso era uno speziale affermato ed era diventato un amico intimo della famiglia Fielding. Tante cose erano cambiate in quegli anni. Era stato proprio nel corso di quel primo caso che aveva conosciuto Coralie Clive. Lei gli aveva salvato la vita, e più tardi lui aveva salvato la sua, così in un certo senso loro due si appartenevano. Era stato quasi inevitabile che la donna divenisse la sua amante. Alla fine, però, lui si era stancato delle spietate ambizioni di Coralie e di punto in bianco aveva sposato Emilia Alleyn, e non se n'era mai pentito. Nell'abitacolo buio della carrozza John ripensò con trasporto a Elizabeth di Lorenzi e alla passione che aveva nutrito per lei, persino durante il suo viaggio di nozze. Una volta era stato sul punto di farla sua. Poi la promessa
matrimoniale lo aveva fermato, come avrebbe fatto anche in quel momento. In effetti era più innamorato di Emilia adesso di quando l'aveva sposata. Sapeva che molti di coloro che erano stati Costretti a fare matrimoni combinati dichiaravano che l'amore era andato via via crescendo, e avevano ragione. Lui e sua moglie erano sempre più uniti, col passare del tempo. Scrutando nell'oscurità, John vide la casa alta e stretta che si ergeva davanti a lui. Fece fermare la carrozza battendo sul tetto con il grosso bastone che aveva con sé e pagò il cocchiere. Poi guardò il salone al primo piano. Le tende erano tirate per la notte ma le luci erano accese. Sir John Fielding era in casa. Dopo aver salutato il galoppino che presidiava il Pubblico ufficio, John chiese se era possibile incontrare il grand'uomo senza appuntamento. «Direi di sì, signor Rawlings. Per voi è quasi sempre disponibile.» Fece un fischio in direzione delle scale e subito accorse un domestico: «Cosa succede?» «C'è il signor Rawlings. È passato a trovare sir John ma non ha un appuntamento.» Il domestico si affacciò. «Aspettate, signor Rawlings. Vado a riferire che siete qui.» L'uomo scomparve di nuovo e John rimase con il galoppino, che stava esaminando un grosso registro. «Fa molto freddo» provò ad attaccare discorso. «Sì, davvero molto. Non ci sono molti crimini in questo periodo.» «Intendete dire che i criminali se ne stanno in casa?» «Più o meno, signore.» Il domestico ricomparve. «Venite, signore, e benvenuto. Sir John vi riceverà.» Grato, John salì le scale che conducevano all'appartamento dove viveva la famiglia del giudice, sopra il tribunale e il Pubblico ufficio, e fu introdotto nel familiare salotto. Era un ambiente caldo e accogliente, con la luce del caminetto e delle candele che gettavano un bagliore chiaro sui mobili e le pareti. Ogni cosa però impallidiva al cospetto della figura che sedeva in poltrona accanto al fuoco. Smagliante nella fluente parrucca, con i nobili lineamenti che si stagliavano nella penombra e gli occhi coperti da una benda nera che li proteggeva dagli sguardi dei curiosi, sedeva il primo magistrato di Londra, sir John Fielding in persona. Quando il giudice si alzò, John fece un inchino.
«Signor Rawlings, che piacere. È passato parecchio tempo, vero? Mio caro amico, come state? E la vostra bella moglie?» «Stiamo tutti bene, sir John.» «Mi fa piacere sentirlo. Accomodatevi. Avete già cenato? Se non è così dovete fermarvi da noi, insisto.» «Molto gentile. Mi farebbe molto piacere.» «Nel frattempo bevete un po' di punch» e senza attendere risposta, il magistrato suonò un campanello. «E come stanno lady Fielding e Mary Ann?» «Entrambe bene, anche se la ragazza è tremenda. Arrivano qui più bellimbusti e pretendenti di quanti ne possiamo ospitare. Mezza città è innamorata di lei. Ma a lei non ne va bene neanche uno. Credo che cerchi qualcuno di alto rango.» "Proprio come pensavo" rifletté lo speziale. Si schiarì la gola. «In effetti è una vera bellezza.» «Il vecchio lord Elibank ha perso la testa per lei» continuò il giudice, con una risatina. «Accidenti, quel poveretto potrebbe essere suo nonno. Ma questo non gli ha impedito di venire a chiedere la sua mano, e col cappello in mano.» «E Mary Ann? Come gli ha risposto?» «Lo ha rifiutato sdegnosamente. Lui se n'è andato via zoppicando, con le pive nel sacco.» John pensò che ancora una volta aveva visto giusto, quando aveva notato il disagio di lord Elibank al compleanno di sir Gabriel. Il giudice sospirò. «Le figlie sono un vero grattacapo, vi assicuro.» John sorrise mestamente. «Immagino che capiterà anche a me.» «Sì. Be', speriamo che il prossimo sia un maschio.» «Mi piacerebbe, lo ammetto.» Si udì qualcuno bussare, poi la porta si aprì, facendo entrare Elizabeth Fielding, con in mano un vassoio sul quale campeggiava una caraffa di punch con due bicchieri. «Posso unirmi a voi?» chiese. John si alzò in piedi e si inchinò. «Ma con piacere, signora» rispose. «Stavate discutendo di qualcosa di importante?» Il giudice si voltò verso di lei. «Solo di figlie, mia cara.» Elizabeth fece una smorfia. «Le figlie! La nostra gattina è fuori con la sua cameriera, è andata a trovare un'amica. Prego solo che non ne combini qualcuna delle sue.» Sir John proruppe nella sua risata sonora. «Sarebbe come sperare che gli
asini volino. Ma cambiamo argomento. Finiremo per annoiare il nostro ospite. Che novità ci portate, signor Rawlings?» Pur senza averne l'intenzione, John finì col raccontare al magistrato dell'intruso in giardino. Sir John ascoltò in silenzio, così come sua moglie. Alla fine chiese: «E dunque questo figuro se ne è andato quando si è accorto che lo stavate osservando?» «Sì. Ma quello che non capisco è cosa stesse facendo. Perché se ne stava lì in silenzio a osservare la mia casa? Cosa sperava di guadagnarci?» «Forse era solo qualcuno che cercava un posto dove dormire» ipotizzò Elizabeth. Stranamente John trovò la cosa confortante. «Non ci avevo pensato» disse. «Sapete, magari avete ragione. E dunque non c'era nulla di sinistro.» Tuttavia, quando smontò dalla carrozza a noleggio, a Nassau Street, si guardò alle spalle, improvvisamente spaventato. C'era una carrozza che si avvicinava e quando svoltò in Gerrard Street John riconobbe la figura familiare di Irish Tom a cassetta. John aprì lo sportello e tirò giù la scaletta, guadagnandosi un magnifico sorriso da parte di Emilia. «Oh, John, non sapevo che fossi uscito. Ti sei divertito?» «Sì, ho cenato con il giudice e sua moglie. E tu? Com'è andata la prova?» «Magnificamente.» Lui avvertì il sentore d'alcol nel fiato della moglie e sorrise. «Però non indovineresti mai.» «Cosa?» «Lady Theydon ce l'ha fatta. Ha persuaso la principessa a lasciar rappresentare il masque a Gunnersbury House. La principessa passerà il Natale là e domani manderà dei domestici per far riscaldare la residenza.» John aprì la porta di casa, avvertendo il gradevole tepore che proveniva dall'ingresso. «Ma allora tu come farai? E Michael O'Callaghan?» Sul viso di Emilia comparve un'espressione lievemente preoccupata. «Ah, è a questo punto che entri in gioco tu.» «Io?» chiese John, aiutandola a togliersi il mantello. «Sì, tu.» Lui le prese la mano. «Vieni in biblioteca. Beviamo qualcosa prima di andare a dormire. Il vino, se bevuto con moderazione, fa bene alle donne in gravidanza.» Quando vide l'espressione colpevole di lei, lo speziale ridacchiò.
«Forse non dovrei. Ho già bevuto tre bicchieri, questa sera.» «Be', uno in più non ti farà male.» Riempì due bicchieri e poi ritornò alla poltrona della moglie vicino al caminetto. «E adesso, dimmi. Come rientro io in questo grande piano?» Emilia esitò, un po' nervosa. «Priscilla mi ha invitato a Gunnersbury. Sarà solo per quattro giorni, durante i quali faremo quante più prove possibili. Il signor O'Callaghan è stato invitato anche lui. Il quarto giorno reciteremo per la principessa. Oh, John, dimmi che ci posso andare.» «Be', certo che puoi. Ti sei già impegnata troppo per lasciar perdere tutto adesso. Quando sarà?» «Il signor O'Callaghan e io dobbiamo essere a Gunnersbury il 18. Faremo la recita per la principessa il 22 e poi tu e io potremo tornare insieme a casa per Natale.» Era così graziosa, con quell'espressione da ragazzina che l'aveva sempre attratto. «E quando si trasferirà a Gunnersbury tutta la corte?» «La settimana prossima. Quando i domestici avranno reso abitabile il palazzo.» «Comodo, arrivare quando tutto è caldo e a posto.» Emilia sorseggiò il suo vino. «Be', per te è sempre così.» John scoppiò a ridere. «Hai ragione, naturalmente. Conduco una vita molto comoda, grazie a te.» Rimase un istante in silenzio, bevendo il suo vino, poi disse: «Mi mancherai.» «Ma è solo per quattro giorni, John. Il quarto poi mi raggiungerai.» «Sì, saremo lontani solo quattro giorni» rispose lui fissando le fiamme. 5 Dopo che il suo annuncio pubblicitario era stato pubblicato sul "Daily Courant", i clienti di John erano aumentati. Da principio si fecero vive delle signore, interessate ai profumi, poi venne chiamato a visitare dei pazienti. Ogni volta che si allontanava dal negozio aveva paura di lasciare tutto nelle mani di Gideon. A questo punto, però, non c'era nient'altro da fare. Quando in seguito ci ripensò, lo speziale ebbe l'impressione di aver praticamente passato tutto il tempo fuori casa, nel corso della terza settimana di dicembre. Usciva prima dell'alba e tornava ben più tardi dell'ora di cena, qualche volta molto stanco, se era stato a visitare un paziente difficile, e vedeva poco sua figlia e sua moglie.
«Tesoro, non puoi andare avanti così» si lamentava Emilia. «Non sarà per molto, ti assicuro. È solo una fase di entusiasmo dopo l'annuncio sul giornale.» Sapevano però tutti e due che stava mentendo, che i suoi modi sapienti e l'efficacia delle sue medicine stavano finalmente facendo decollare la sua attività. «Se soltanto Nicholas fosse ancora con me» disse, sospirando. Ma era impossibile. Il Moscovita ora gestiva con successo un negozio a Kensington, e aveva lui stesso un apprendista. Quella via era preclusa. John continuò a lavorare, senza quasi accorgersi di che giorno fosse, fino a che Emilia disse: «Lo sai che domani parto per Gunnersbury?» «Cosa?» John, che stava rimuginando su una sua giovane paziente che aveva una grave forma di piorrea, fu riportato violentemente alla realtà. «Ho detto che sto per partire per Gunnersbury House» ripeté Emilia con una certa freddezza. «Mia cara, non ci pensavo proprio più. A dire il vero era assorto nei miei problemi. Scusami.» Lei si addolcì. «Oh, non sopporto di lasciarti in questo stato. Ma ho promesso di andarci e non posso abbandonare Priscilla. Capisci, vero?» All'improvviso, inspiegabilmente, lui si sentì molto triste. «Devi proprio andare?» si lasciò sfuggire prima di riuscire a controllarsi. «Oh, John! Certo che devo. Ho dato la mia parola. Irish Tom mi accompagnerà e poi tornerà qui da te, così potrà portarti là il 22. È tutto già sistemato.» Non c'era più nulla che lui potesse dire. «Molto bene» esclamò, alzando le mani. Lei gli andò vicino e gli accarezzò la fronte. «Tesoro, sei così sfinito. Mi mancherai, lo sai?» «Sì, lo so» rispose lui stancamente. «Andiamo a letto» disse lei. «Mi sembri sul punto di crollare.» «È così.» La seguì di sopra e poi a letto, dove cadde subito addormentato, mentre pensava che avrebbe dovuto dedicare più tempo alla sua famiglia e meno al lavoro. Si svegliò insolitamente presto e si mise a sedere sul letto, accendendo cautamente la candela. Era ancora buio e nella stanza faceva freddo. Vicino a lui Emilia dormiva, immersa nei suoi sogni. Appoggiandosi su un
gomito lo speziale si voltò a guardarla, studiandone il viso. Il sonno le aveva spianato le rughe, tanto che sembrava proprio una ragazzina, e a quello spettacolo gli si inumidirono gli occhi. Poi John si trovò a ripensare a Coralie Clive e a Elizabeth di Lorenzi, e si rese conto che non avrebbe potuto sposare nessuna delle due. Entrambe, ciascuna a suo modo, erano troppo indipendenti per la vita coniugale. Emilia, anche se all'epoca era stata considerata da qualcuno una strana scelta, si era invece rivelata una moglie ideale. Mentre la guardava dormire, John sentì di non aver mai provato nulla del genere: tenerezza, amore e un fortissimo desiderio di proteggerla da ogni male. Delicatamente si sporse in avanti e la baciò. Lei si agitò ma non si svegliò. Lui la baciò di nuovo e questa volta lei aprì gli occhi. Lui vi scorse un'ombra di paura, che presto si trasformò in tenerezza, non appena lo riconobbe. «John?» chiese. «Ti amo, Emilia, e ti amerò per sempre.» «Ti amo anch'io.» Lei gli mise le braccia attorno al collo e lo attirò a sé, e lui rispose con naturalezza: si tolse rapidamente la camicia da notte e fecero l'amore mentre spuntava l'alba. Più tardi, quella mattina, Emilia si mise in viaggio, con dietro un baule e una cappelliera. Irish Tom portò la carrozza fuori dalle scuderie, promettendo al suo datore di lavoro che sarebbe tornato il giorno dopo. «... con tutta questa neve, signore.» «Non c'è problema, fai con calma. E, Tom...» «Sì, signore?» «Non andare troppo veloce. La signora Rawlings si deve riguardare, lo sai.» «La tratterò come se fossero i gioielli della corona.» John si affacciò all'interno della carrozza, dove Emilia si stava sistemando per il viaggio. «Arrivederci, tesoro. Ci vediamo il 22.» «Arrivederci, Emilia.» Fu interrotto da qualcuno che gli toccava le gambe e vide che Rose era uscita al freddo, inseguita da una bambinaia preoccupata. «Va tutto bene, Polly. Vuole salutare la mamma.» «Ma fa freddo, signor Rawlings.» «La terrò calda io.»
Così dicendo prese in braccio Rose e la avvolse tra le falde della giacca. Da quella posizione lei si sporse all'interno della carrozza e diede il bacio di addio alla madre. Poi si divincolò dalla stretta di John e corse dalla bambinaia, che la riportò in casa. Lo speziale trattenne ancora un attimo la carrozza, prendendo la mano di Emilia e portandosela alla labbra. Poi la salutò, chiuse lo sportello e, dopo aver ricordato a Irish Tom di guidare con prudenza, rimase a guardare la carrozza finché non scomparve dalla vista, svoltando in Gerrard Street. Rientrò in casa, si infilò mantello e tricorno e partì per Shug Lane, avvertendo una strana sensazione di vuoto e, di nuovo, quella curiosa tristezza che negli ultimi tempi di tanto in tanto lo tormentava. Irish Tom tornò il giorno dopo in serata, imprecando come solo un irlandese sa fare. «Per Dio, signore, non vorrei proprio rifare un altro viaggio del genere.» «Be', dovrai rifarlo tra un giorno.» L'irlandese fece una smorfia. «Vi consiglio di partire domani e di passare la notte da sir Gabriel. Il buio arriva presto ed è impossibile viaggiare veloci in queste condizioni. Se volete arrivare in orario non avete altra scelta.» «Ho il problema di lasciare il negozio, Tom. Gideon è inaffidabile.» «E allora chiudetelo, signor Rawlings. Non posso garantire di riuscire a portarvi là in tempo.» «Va bene, arriveremo a un compromesso. Chiuderò a mezzogiorno e partiremo per Kensington all'una. Che te ne pare?» «Direi che va bene, signore. E adesso, se volete scusarmi, vado a dormire.» E se ne andò, borbottando sui pericoli delle strade con quel tempo. Fedele alla sua parola, lo speziale chiuse il negozio di Shug Lane a mezzogiorno e cinque, in lieve ritardo per via di un bellimbusto che era venuto a chiedere la sua dose natalizia di pastiglie per lo stomaco, una pozione per il mal di testa, delle supposte e due preservativi del tipo economico, lavabile. Quando se ne fu andato, John rispedì Gideon dai suoi genitori, accese le luci nelle vetrine e tornò velocemente a Nassau Street a preparare un baule, infilandoci pure il suo abito nuovo, che gli era stato appena consegnato. All'una in punto apparve Irish Tom, con l'aria riposata e pronto per il viaggio. Dopo aver dato un rapido bacio a Rose, lo speziale montò in carrozza e si avviarono lungo le strade innevate.
Fu un viaggio poco allegro, con John che si avvolse nella coperta di pelliccia per evitare il freddo pungente. Anche solo per arrivare fino a Kensington ci volle parecchio, a causa delle condizioni del tempo. Quando al tramonto raggiunsero Hyde Park stava suonando una campana per avvertire i viaggiatori di riunirsi per attraversare la campagna. Irish Tom fermò la carrozza e scese a parlare con gli altri cocchieri. Alla fine si unirono sei veicoli, compresa la diligenza postale. Ripartirono lentamente in convoglio, in numero sufficiente per scoraggiare i briganti. Una volta al sicuro, Tom provò a prendere la vecchia King's Road per Kensington, ma dato che era impraticabile per la neve tornò indietro e imboccò la strada principale. Quando raggiunsero la loro meta era buio, e quindi si diressero immediatamente a Church Lane, dove risiedeva sir Gabriel Kent, il padre adottivo di John. Fermo davanti al portone, mentre Irish Tom provvedeva ai bagagli, John rammentò la prima volta che aveva incontrato quel grand'uomo. Lui aveva tre anni e mendicava per le strade di Londra con sua madre, Phyllida Fleet. Ancora adesso riusciva a ricordare il dolore dell'attimo in cui le ruote della carrozza li avevano schiacciati e il momento in cui sir Gabriel li aveva fatti salire in carrozza e se li era portati a casa, in Nassau Street. Da quel momento la vita di John Rawlings era cambiata radicalmente. Allora non sapeva che sir Gabriel Kent si sarebbe innamorato di sua madre e l'avrebbe sposata, né che lui sarebbe stato adottato legalmente, avendo così l'opportunità di iniziare l'apprendistato da speziale e fare carriera. Adesso era lì, nel ritiro di campagna di sir Gabriel, giunto senza preavviso ma sicuro che sarebbe stato accolto con gioia non appena avesse messo piede in casa. John suonò il campanello e udì i passi di qualcuno che veniva ad aprire. Temendo di non essere riconosciuto dal domestico, lo speziale urlò: «Sono io, John Rawlings. È in casa sir Gabriel?» Poi si bloccò, stupito nel vedere proprio suo padre sulla soglia, con in mano un candeliere. Si guardarono l'un l'altro per un secondo. John notò come fosse sempre elegante l'ottuagenario, con la sua vestaglia e il turbante da casa, come sempre in bianco e nero. «Padre» disse John con un gran sorriso, stringendolo in un caloroso abbraccio. «Ragazzo mio» rispose sir Gabriel, tenendo alto il candeliere. «Che gioia inaspettata. Sei solo?» «Sì. Sto andando a prendere Emilia. Posso entrare?»
«Ma certo. Ti fermi qui per la notte?» «Pensavo di sì. Sempre che la camera sia libera e che voi non aspettiate altri ospiti» aggiunse. La porta si spalancò, immettendolo nella luce e nel calore dell'interno. Con un gemito di piacere, John entrò nella sua seconda casa. Poco dopo sedeva in soggiorno, davanti a una cena sostanziosa. Sir Gabriel aveva pranzato alle quattro, secondo la vecchia scuola, e poi si era preparato per una serata di lettura, dopo aver congedato il domestico. «E dove andrai domani, di preciso?» si informò. «A Gunnersbury House. La residenza estiva della principessa Amelia, che contrariamente alle sue abitudini ha deciso di passare il Natale lì.» «Ah, sì, sono stato da lei un paio di volte a giocare a carte.» John lo osservò. «Ci siete stato?» «Sì, e in ghingheri, potrei aggiungere. La principessa è un tipo strano: una volta era piccola ed elegante, ma adesso sta ingrassando. Comunque, è una giocatrice inveterata e non c'è nulla che le piaccia di più che organizzare dei ricevimenti per giocare a carte. Horace Walpole vi si reca regolarmente.» «E suo nipote, il re?» «Ci va qualche volta, credo.» «Ma non per giocare.» «Certo che no» rispose ridendo sir Gabriel. «E come mai siete stato invitato solo due volte? Non avrete per caso commesso un faux-pas?» «Mio caro ragazzo, come puoi anche solo pensare una cosa così indelicata? A dire il vero il viaggio è piuttosto lungo e, onestamente, adesso che non ho più la carrozza non me la sento. Quando viene invitato il marchese di Kensington, se ho un invito anch'io per quella stessa sera, lo accompagno volentieri.» «E Walpole?» «Sai quanto gli piaccia fare vita di società. Però persino per lui è una bella fatica. Una volta ha dovuto mandare di corsa qualcuno a Londra per farsi portare un abito e una spada per poter figurare degnamente.» «Be', io incontrerò la principessa domani.» «Probabilmente ti prenderà in simpatia e ti aggiungerà alla sua lista di persone da invitare.» «Ne dubito. Un oscuro speziale difficilmente è ammesso a quelle vette.» John rimase in silenzio per un attimo, poi posò la mano sul braccio del pa-
dre. «Avete detto di essere rimasto senza carrozza. Vi dispiace?» «Oh, no. Il fatto è che Kensington è così piccola che la si può girare tutta a piedi. Il che va anche a beneficio della mia salute. Sto molto meglio adesso di quando stavo in città, sai. Posso anche avere ottant'anni, ma mi sento in grado di arrivare a cento.» «Almeno» rispose John, poi impulsivamente abbracciò sir Gabriel. «Siete veramente straordinario.» L'anziano scoppiò a ridere. «Ragazzo mio, tu mi aduli, come sempre.» «Dico solo la verità» ribatté John, con sincerità, e diede un bacio al padre. Il mattino seguente, rinfrancato dopo una bella nottata di sonno, ripartì per la propria destinazione. Seguirono le strade principali, che erano state in parte liberate dalla neve. Dopo essersi lasciati Kensington alle spalle procedettero in aperta campagna, oltrepassarono alcuni villaggi e si fermarono a riposare in una locanda nei pressi del campo di battaglia di Turnham Green. Poi proseguirono, assillati dalla neve onnipresente e dalla minaccia di nuove nevicate. Alle due svoltarono da Brentford Lane varcando un monumentale cancello e, dopo aver percorso un breve viale, davanti a loro si stagliò una residenza palladiana, il cui profilo elegante sembrava ancora più bello in quella giornata invernale. Era un magnifico palazzo, pensò John, che ammirava molto quello stile. Dopo aver ordinato a Irish Tom di fermare la carrozza, lo speziale uscì per rimirarlo meglio. L'edificio era a pianta squadrata, con un lungo balcone sorretto da colonne al primo piano, dove spiccava un'enorme finestra ad arco circondata da altre quattro, due per lato. Sopra le colonne vi era un imponente frontone scolpito, sul quale erano raffigurate delle ghirlande con un disco al centro. La grande finestra ad arco sovrastava il portone d'ingresso, al quale si accedeva attraverso una breve rampa di scale, che dava un tocco di raffinatezza all'insieme. In breve, pensò John, era proprio il tipo di casa che avrebbe voluto avere ma che non poteva permettersi. Risalito in carrozza, diede ordine a Irish Tom di portarlo fino al palazzo e poi di ritirarsi nella rimessa. Ai piedi della scalinata vi era un domestico. Dopo che John gli ebbe riferito il suo nome l'uomo abbassò la scaletta e l'aiutò a scendere, poi spiegò a Irish Tom dove si trovavano le stalle. In cima alle scale un altro domestico prese il mantello e il cappello di John e lo accompagnò in bagno, gesto che
lui trovò molto gentile. Dopo essersi servito della ritirata, lo speziale uscì, pronto per lo spettacolo. Davanti a lui si innalzava un grande scalone, che in cima si divideva in due. Diverse persone eleganti vi si muovevano con contegno, attente a fare bella figura. John seguì due signore che salivano davanti a lui. Entrambe indossavano delle elaborate parrucche incipriate e portavano degli occhialetti, cosa che dava l'impressione che fossero identiche. E in effetti l'illusione era supportata anche dal resto del loro aspetto, dato che entrambe avevano il doppio mento, erano rugose e gesticolavano quando parlavano. «Ah, mia cara» disse la più sfacciata delle due, guardandosi attorno e notando l'uomo attraente che le seguiva a pochi passi di distanza. «Ma quando la finirà questa tremenda neve? Vorrei proprio saperlo.» «Qualcuno potrebbe trovarla molto pittoresca» ribatté l'altra. «Pittoresca un accidenti!» esclamò la prima con foga. «C'è da stupirsi che sia venuto qualcuno. Solamente i più assidui sono accorsi.» Sorrise a John, che rispose con un inchino compito e sorrise a sua volta. La prima donna si produsse in un accenno di riverenza. «Siete qui per la nostra recita, signore?» «Proprio così. Permettete di presentarmi. Mi chiamo Rawlings, John Rawlings, signora.» Lei gli porse la mano. «E io sono Frances Featherstonehaugh. Lady Featherstonehaugh. Sono una delle dame di corte della principessa.» Lui le fece il baciamano, riuscendo a mostrare un certo rispetto. Lady Featherstonehaugh sembrò apprezzarlo. Si presentò, per non essere da meno, anche la più mansueta. «E io sono lady Kemp.» John le prese la mano e la baciò con ugual fervore. «Conoscete la principessa Amelia?» disse lady Featherstonehaugh. «Non ancora, temo. Mia moglie è un'amica di Priscilla Fleming e ha una parte nella recita. È Emilia Rawlings, la conoscete?» Lady Featherstonehaugh fece una risata e sul viso le si formò una ragnatela di rughe. «L'ho vista, credo, ma non le ho parlato. Molto graziosa.» «Sì, molto.» «E da dove siete partito questa mattina, giovanotto?» chiese lady Kemp. «Da Kensington. Ho una piccola casa di campagna che divido con mio padre.» «E chi sarebbe?» «Sir Gabriel Kent.»
Le due dame si scambiarono uno sguardo poi sorrisero entrambe, rafforzando l'impressione di essere identiche. Era l'immaginazione di John o la menzione del nome di suo padre lo aveva fatto salire di grado nella considerazione delle due donne? Lo speziale continuò a seguirle a un paio di gradini di distanza. In cima allo scalone le due dame presero la rampa di sinistra e quindi imboccarono un breve corridoio, tutto decorato di blu. Poi entrarono in un salone nel quale si era già radunata una piccola folla. John, felicissimo di indossare il suo nuovo abito realizzato con il prodigioso tessuto "Mezzanotte a Venezia", osservò la scena con il suo monocolo. Erano tutti elegantissimi, uomini e donne. Non aveva mai visto un simile assembramento di persone così ben vestite né di gioielli così appariscenti. John riconobbe il principe di Meclemburgo, lord Clanbrassil, lord e lady Southampton e lord Pelham. Rendendosi conto di essere in una compagnia tanto distinta, assunse un'espressione disinvolta e stava proprio per mescolarsi agli altri ospiti quando sentì qualcuno che gli premeva il gomito. Vide che si trattava di lady Kemp. «Mio caro signor Rawlings, permettetemi di presentarvi.» «Ne sarò onorato, milady.» Lei si rivolse a un gruppo di signore di mezz'età che stavano osservando John con vari gradi di sospettosità. «Milady, posso presentarvi il signor Rawlings?» disse lady Kemp a una di esse, presumibilmente la più anziana. La donna, che aveva un'espressione dolente, come se le facessero male i piedi, fece un cenno col capo. «La contessa di Hampshire, il signor Rawlings.» «Piacere» disse lei con tono affettato e una traccia di accento. «Il piacere è mio, milady.» Mentre si inchinava, John si chiese quali potessero essere le sue origini. Da giovane doveva essere stata bellissima, gli occhi lo erano ancora. Improvvisamente ebbe l'impressione che quella donna dovesse aver calcato il palcoscenico. Non ebbe però il tempo di studiarla più a fondo, dato che lo stavano presentando a un'altra dama, di cui aveva già sentito il nome. «Lady Theydon, posso presentarvi il signor John Rawlings?» «Potete» rispose una voce stentorea. John alzò lo sguardo dopo un profondo inchino e si trovò a osservare uno dei visi più ottusi che avesse mai visto: due grossi occhi bovini castani in un faccione molle e bianchiccio. All'improvviso la donna sorrise e il
faccione si riempì tutto di pieghe, a eccezione degli occhi che continuarono a mantenere lo stesso sguardo fisso. «Come state?» continuò, e mentre parlava lo speziale notò le labbra molli, irrorate di saliva. «Onoratissimo, milady» riuscì solo a rispondere. L'altro membro del gruppo era lady Featherstonehaugh, che gli rivolse un sorrisetto. «Stiamo tutte aspettando la principessa Amelia, poi potremo andare a bere qualcosa prima dell'inizio della recita. Spero che rimarrete a palazzo questa notte. Intraprendere subito il viaggio di ritorno sarebbe un incubo.» «Non so ancora che tipo di disposizioni sono state date, milady. Però vi assicuro che preferirei non viaggiare dopo il tramonto.» «Molto saggio. Qui attorno le strade sono piene di briganti.» Smise di parlare e guardò la porta, dalla quale erano sbucati due domestici in livrea. «Sta arrivando la principessa» aggiunse sottovoce. John si inchinò insieme a tutto il gruppo, poi si rialzò, ma non ebbe il coraggio di adoperare il suo monocolo. La principessa un tempo doveva essere stata bella, ma adesso era grassa e aveva un portamento goffo. Diversi menti le pendevano sotto il viso, mentre gli occhi, che un tempo erano magnifici, adesso erano segnati e gonfi. Eppure vi era ancora una scintilla in lei, un'aria maestosa. Sembrava anche abbastanza gentile, sempre che non fosse solo un'illusione. Indossava un abito elaborato di seta lilla, ricamato con una miriade di fiori d'argento, e quando avanzò al centro della sala era tutta rilucente. John sapeva che un tempo era stata scelta come sposa da Federico II di Prussia, noto come Federico il Grande. Però, nonostante Federico tenesse molto a lei, e intrattenesse una fitta corrispondenza con Amelia e sua madre, il tirannico padre di lui, che detestava il figlio, aveva rifiutato di dare il proprio consenso al matrimonio. Alla fine Federico era stato costretto a sposare una principessa tedesca, Elisabetta-Cristina, ma non l'aveva mai amata e non ne aveva avuto un erede. La principessa Amelia non si era mai sposata ma aveva avuto diverse relazioni, la più importante delle quali con il duca di Grafton. Questi, pur essendo sposato, aveva due amanti contemporaneamente: una era la principessa, l'altra la moglie del conte di Burlington. Tutte queste donne dovettero però consumarlo, perché morì qualche anno dopo, nel 1757. Guardandola adesso, lo speziale ripensò al suo passato e non poté trattenere un sorriso. La principessa batté le mani. «Brava gente» disse, con un accento deci-
samente inglese, nonostante le sue origini tedesche «la recita incomincerà tra poco. Nel frattempo, godetevi la serata.» E così dicendo indietreggiò sorridendo, evidentemente lieta di avere la casa piena di gente. Alcuni domestici iniziarono a passare tra gli ospiti con dei vassoi e John si servì di una coppa di champagne, dando un'occhiata furtiva all'orologio che sir Gabriel gli aveva donato per il suo ventunesimo compleanno. Erano le due e mezzo, e la recita sarebbe incominciata alle tre. «È così piena di vita» commentò lady Theydon, con le labbra umide piegate in un sorriso. «Come ho recentemente detto a mio marito, dovremmo tutti prendere la principessa a esempio per invecchiare. È sempre così vivace e gioiosa. Non siete d'accordo, signore?» Ci fu un coro di sì. «È stato difficile convincerla a venire a Gunnersbury per Natale, ma ce l'ho fatta, con il mio caro marito. E certo converrete che è bellissimo qui, così romantico, sotto la neve. Non credete?» Di nuovo un coro di approvazioni. John, dopo essersi scusato, si avvicinò alla finestra che dava sul balcone che aveva visto da sotto. Il sole era molto basso e conferiva alla neve un bagliore dorato. I grandi alberi del parco ostentavano le loro sfarzose decorazioni bianche, mentre i giardini veri e propri, che dovevano essere splendidi, erano sepolti sotto la coltre candida. Il cielo era grigio, e quasi si mimetizzava con il resto del paesaggio. Anche i due laghetti artificiali, per armonizzarsi con il colore dominante, erano gelati, così che i cigni e le anatre erano stati costretti a cercare rifugio sulla terra. Era una vista meravigliosa e lo speziale ancora una volta tornò a sognare di poter permettersi qualcosa del genere, un giorno. Rimase a lungo a osservare, finché non fu riportato alla realtà da un domestico che annunciava: «Vostra altezza. Milord, milady, signore e signori, vogliate gentilmente prendere posto. La recita di Natale sta per cominciare.» Con un sorriso, John abbassò il monocolo ed entrò nel grande salone, sedendosi su una poltroncina dorata. Si udì un vero e proprio coro di colpi di tosse e poi la piccola orchestra, composta da un violino, una viola, un violoncello e un flauto, iniziò a suonare, con il violinista che dirigeva con l'archetto. Durante questa ouverture la gente continuò a chiacchierare, un'abitudine che John non approvava, dato che lui preferiva ascoltare la musica. Comunque finì tutto rapidamen-
te e apparve l'avvenente signor O'Callaghan, con addosso una calzamaglia e una camicia drappeggiata. «La recita di Natale» annunciò con la sua bella voce. Le signore applaudirono estasiate. Lo spettacolo era incominciato. 6 Dopo aver pronunciato quelle poche parole Michael O'Callaghan uscì, e sulla scena irruppero alcuni bambini vestiti da fiocchi di neve. Cantarono un'allegra canzoncina, un po' stonata, poi volteggiarono attorno allo spazio che era stato scelto come palcoscenico davanti alla grande porta finestra. John si ritrovò a guardare di nuovo il paesaggio fuori, colpito dalle ombre che si allungavano, disegnando oscure pozze misteriose tra gli alberi. La scena successiva riportò la sua attenzione alla recita, dato che era comparsa Emilia insieme all'irlandese, e stava declamando il suo amore per lui. Lei era bellissima, pensò, con il visetto accentuato dal trucco teatrale. Ed era anche una brava attrice, scandiva bene le parole e ricordava tutte le battute. Michael, dal canto suo, sfoggiava effettivamente una bella voce da attore, ma continuava ad avere il suo accento irlandese, il che, dovette ammettere John, aggiungeva fascino alla sua recitazione. Era molto attraente, pensò lo speziale, con i lineamenti marcati e i lunghi capelli neri che, in contrasto con la moda delle parrucche incipriate, portava legati dietro, e quegli sconvolgenti occhi verdi. Sarebbe andato bene nella parte di un brigante, forse dello stesso Macheath. A questo pensiero John rabbrividì, ricordando il caso dell'Opera del mendicante e le sue nefaste conseguenze. La recita procedeva, con una trama basata sul classico triangolo tra Emilia, Michael O'Callaghan e Priscilla. I bambini che avevano fatto i fiocchi di neve ricomparvero, questa volta vestiti da cupidi in calzamaglia rosa e camiciole dorate, scagliando frecce immaginarie con archi d'oro. Era tutto giocoso e piacevole ma a John la sceneggiatura non interessava poi troppo, anche se non sarebbe stato il caso di andarlo a dire a Emilia. La storia sembrava ruotare attorno a un ceppo natalizio portato a casa la vigilia di Natale, e al fatto che nessuno riuscisse a trovare un frammento di quello dell'anno precedente per accenderlo. Superficiale ma gradevole, concluse. Non ci fu intervallo, dato che la recita durava solo un'ora. Nel corso della rappresentazione diverse persone lasciarono il salone, senza dubbio per andare ai servizi. Erano però tutti presenti quando la recita si avviò alla
conclusione, con la principessa Amelia che annuiva e sorrideva, chiaramente divertita dallo spettacolo. Arrivò il momento del finale. Priscilla entrò in scena con un mantello rosso vivo, un colore così acceso che quasi faceva male agli occhi, e trionfò su Emilia, che fu mandata via, tutta triste e a capo chino. L'irlandese cantò il proprio amore con una piacevole voce da baritono, i bambini danzarono, poi tutti i membri del cast tornarono in scena e interpretarono una scenetta comica. Tra loro anche lady Georgiana, che nella recita aveva avuto un ruolo minore. John applaudì furiosamente, pensando che sua moglie era la più graziosa del gruppo, anche se immediatamente dopo di lei veniva lady Georgiana, che era davvero bella. Bionda e con gli occhi azzurri, non molto diversa da Emilia come tipologia, aveva un'aria aristocratica, con la figura perfetta e il portamento eretto. Seguendo una moda personalissima aveva un ricciolo biondo, uno solo, che le cadeva sulla spalla sinistra, cosa che secondo John accresceva ulteriormente il suo fascino. Mentre prendeva il suo arco la dama notò lo sguardo dello speziale fisso su di lei e arrossì, e lui trovò delizioso quell'atteggiamento. La principessa Amelia si alzò e si rivolse a tutti gli attori. «Milady, signore e signori, vi prego di raggiungerci non appena sarete pronti. Verranno serviti dei rinfreschi. Io mi ritirerò per qualche minuto. Signore, seguitemi per favore.» Lady Theydon, lady Kemp e lady Featherstonehaugh si alzarono immediatamente dalle loro poltrone e si avvicinarono alla principessa. La contessa di Hampshire, come senza dubbio si addiceva al suo status, si fermò leggermente discosta, per mantenere le distanze. Non appena si furono radunate, la principessa uscì dalla stanza, sorridendo a tutti, seguita dal quartetto. A John quello spettacolo richiamò alla mente le celebri quattro Marie che servivano Maria Stuarda, regina di Scozia. Apparvero dei domestici con i vassoi. John prese un'altra coppa di champagne e si avvicinò alla grande finestra, guardando fuori in giardino. Da quel punto poteva spaziare in lungo e in largo con la vista, fino a dove gli alberi si infittivano, a una certa distanza dal palazzo. Sotto di lui tutto era immobile e il sole, rosso sangue, si stava abbassando rapidamente. John si allontanò dalla finestra, ma mentre lo faceva scorse Priscilla con il suo mantello rosso che scendeva le scale e attraversava lo spiazzo dirigendosi verso i laghetti e la macchia di alberi. Chiedendosi cosa stesse facendo, John tornò a osservare. Non c'era nient'altro che si muovesse. Avvertì,
più che vedere, qualcuno che si inchinava davanti a lui e un po' a disagio si voltò. «Dell'altro champagne, signore?» Era un domestico, un tipo dalla carnagione scura e segnata dal vaiolo con in testa una parrucca incipriata che contrastava singolarmente col suo viso. «Vi ringrazio» prese un altro bicchiere e tornò a guardare fuori. Di nuovo nessun movimento. Arrivò Michael O'Callaghan, ansimante. Nonostante la giornata fredda, aveva la fronte imperlata di sudore. «Oh, siete voi, signor Rawlings» disse senza preamboli. «La vostra deliziosa moglie mi ha raccontato della straordinaria coincidenza. Io che entro nel vostro negozio e tutto il resto. A proposito, il mio ipocondrio ha tratto molto giovamento dalla vostra medicina.» «Sono lieto di sentirlo. Tornerete a Drury Lane?» L'attore sorrise, sfoggiando una dentatura bianchissima. «Se mi vorranno ancora, senz'altro. Non è comunque che si siano dimostrati troppo comprensivi per la mia ferita.» Fu impossibile proseguire la conversazione a causa dei bambini, che arrivarono in gruppo, tutti e sei, strillando come scimmiette. John li indicò con un cenno del capo. «Chi sono?» «L'onore è toccato ai servitori reali. Sono stati delle piccole pesti durante le prove.» L'attore si deterse la fronte, ancora umida di sudore, anche se ormai il respiro era tornato normale. «Cos'hanno fatto?» «Le solite cose che fanno i bambini, chiasso e roba del genere. Eravamo in otto in famiglia e onestamente non posso dire che l'esperienza mi abbia fatto apprezzare i bambini.» «Non vi piacciono?» L'attore allargò le braccia, con un'espressione comica. «O li amo o li odio, non so se mi spiego.» Si udì qualcuno che entrava e lo speziale vide che si trattava di lady Georgiana, con il viso fresco e il ricciolo ancora in evidenza. «Magnifica donna» commentò. «Peccato che non abbia avuto una parte più importante.» «Ah, non è molto in gamba come attrice. È molto bella, d'accordo, ma non è fatta per il palcoscenico. Priscilla all'inizio voleva darle la parte che
poi ha interpretato vostra moglie. Ma Georgiana non era molto adatta, e così è intervenuta Emilia.» «Divertendosi moltissimo» aggiunse John con un sorriso. Lady Georgiana si stava guardando attorno nella sala e rivolse una piccola riverenza allo speziale e all'attore. Poi mutò espressione, facendosi seria, Lentamente, muovendosi con grazia, si avvicinò a un uomo alto e magro, elegantissimo, che la salutò con un inchino e le baciò la mano. John non poté evitare di notare la freddezza con cui lei reagì a quel contatto. La principessa Amelia e le sue dame fecero ritorno, sempre procedendo secondo l'ordine stabilito, notò divertito John. Comunque all'improvviso i ranghi si ruppero e ciascuna di loro andò a raggiungere le persone che conosceva. La principessa andò dritta dal principe di Meclemburgo. Lo speziale ebbe l'impressione che ci fosse qualcosa tra loro, specialmente quando vide il modo in cui il principe baciò la mano della principessa. Si sentì un brusio alla porta e fece il suo ingresso Priscilla. Era attraente, se non fosse che la poveretta era tutta intirizzita dal freddo. Tuttavia, dopo essere andata dalla principessa e aver ricevuto un bacio reale, si diresse verso John e Michael. «Oh, mio caro signor Rawlings, vi ho visto in mezzo al pubblico. Sono così contenta che siate riuscito a raggiungerci. Temevo che questo tempo avesse reso impraticabili le strade.» John le prese la mano, era ghiacciata. «No, mia cara signora, ce l'ho fatta, in due tappe. Comunque la recita è riuscita benissimo.» «L'importante era questo» rispose lei, gaia. Poi si rivolse all'irlandese. «Siete stato molto bravo.» «Vi ringrazio. Ma lo siete stata anche voi.» Lei prese una coppa di champagne da un vassoio. «Be', adesso è tutto finito, grazie a Dio.» Poi si rivolse a John. «Adesso possiamo tornare alla nostra vita normale.» «Sì. A proposito, dov'è Emilia?» «Non so come mai non sia ancora qui. L'ultima volta che l'ho vista era nella camera che abbiamo usato per cambiarci. Ha detto che non ci avrebbe messo molto.» Lo speziale fu sopraffatto dall'istinto di protezione. Pensò che là moglie, incinta di quattordici settimane, potesse essere svenuta all'improvviso e fosse rimasta là sola e senza aiuto. «Credo che andrò a cercarla» disse. «Potete dirmi dove si trova lo spogliatoio?»
Priscilla gli rivolse un gran sorriso. «È ai piedi dello scalone principale, sulla sinistra. Sono due stanze, a dire il vero, una era occupata dai bambini.» «Vi ringrazio. Vogliate scusarmi.» John si allontanò con un inchino. Si affrettò verso il magnifico scalone ed entrò nella stanza, piena di costumi abbandonati qua e là, evidentemente tolti in fretta e furia dato che tutti volevano correre al rinfresco. «Emilia» chiamò. Non ci fu risposta. Temendo che avesse perso i sensi, lo speziale frugò dappertutto, arrivando addirittura a sollevare i vestiti ammucchiati per guardare sotto. Non c'era alcuna traccia di sua moglie. Corse nell'altra stanza ma anche qui le ricerche furono infruttuose. Fu assalito dal panico e tornò di corsa nell'ingresso, senza sapere bene cosa fare. Il portone era chiuso, ma John pensò che se Emilia si fosse sentita male sarebbe uscita a prendere un po' d'aria. Con le mani che iniziavano a tremare, aprì la porta. Fuori il sole era quasi tramontato, dando alla neve un colore sanguigno. Il cuore di John prese a battere all'impazzata. Chiamò ancora una volta: «Emilia!» Di nuovo nessuna risposta, e improvvisamente lo speziale si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Scese di corsa la scala, che adesso era ghiacciata, e si diresse verso gli alberi. E fu allora che la vide. Là, nella neve, con il mantello rosso spiegato attorno a lei, vi era Priscilla. Eppure non poteva essere: aveva appena lasciato Priscilla in mezzo al tepore e all'allegria del salone. «Oddio, no!» urlò e corse nella neve verso la figura distesa supina, così pallida e immobile in quel tramonto sanguigno. La prese tra le braccia tirandole via il cappuccio per poterla vedere in viso. Era Emilia, tutta coperta di sangue: si stava dissanguando nella neve, con il coltello che aveva posto fine alla sua vita ancora piantato nel ventre. «Oh, tesoro, parlami» la pregò. Lei aprì gli occhi e lo guardò, riconoscendolo. Le sue labbra si mossero per dire qualcosa ma lui non comprese le parole. Poi chiuse di nuovo gli occhi e, con un sospiro, la testa le cadde di lato. Emilia gli era morta tra le braccia mentre lui la guardava, impotente. John si inginocchiò stringendosela al cuore. Pensò, fuori di sé, che era stato un cattivo marito, che non era stato all'altezza delle aspettative di lei. Gli tornò tutto in mente con tremenda chiarezza, rivide il loro primo incontro, e com'era giovane e bella. Ripensò con vergogna a quando era stato sul
punto di tradirla. Ricordò che non era in casa quando Rose era nata. Alla fine arrivarono le lacrime e pianse a lungo, tenendosela stretta, lasciando che il sangue di lei lo ricoprisse. Se ne stava lì seduto al buio, stringendo la moglie morta, quando avvertì dei rumori. Dal palazzo era uscita una squadra per cercarli. Vide delle torce tenute in alto e della gente che veniva verso di loro. Non si mosse, rimase dove si trovava senza spostarsi. Si chinò sul corpo di Emilia, come se istintivamente volesse proteggere quanto rimaneva di lei, preservarla dagli sguardi e dalla curiosità degli astanti. Eppure non c'era niente da fare, La folla con le torce si avvicinava sempre più. Si fermarono a pochi metri da lui, mettendosi a semicerchio. John ebbe l'impressione di trovarsi in mezzo a un rito pagano, che prevedeva un sacrificio umano. Lentamente, molto lentamente si alzò. Si accorse di avere il coltello in mano. Doveva averlo estratto dal ventre di Emilia senza neppure rendersene conto. Guardandosi attorno notò in mezzo alla folla il viso di lady Theydon, che lo fissava con gli occhi sbarrati. Vide la lingua di lei che saettava come quella di un serpente e umettava le labbra. Poi la donna emise un urlo. «Assassino, assassino» gridò. «Cos'avete fatto?» John provò a parlare, ma dalle labbra non gli uscì alcun suono. Rimase dov'era, aprendo e chiudendo la bocca in silenzio. Poi, improvvisamente, si rese conto dell'aspetto terribile che doveva avere, tutto ricoperto del sangue di Emilia, con l'arma del delitto in mano. Alla fine riuscì a parlare. «L'ho trovata così, credetemi.» Lady Theydon lo guardò con un viso inespressivo. «Be', io non vi credo. Io credo che l'abbiate uccisa voi.» Un mormorio serpeggiò in mezzo alla folla. John udì Michael O'Callaghan che diceva: «Oh, no, non è possibile» poi vide due domestici grandi e grossi che venivano verso di lui. Lo speziale rimase impietrito dov'era, gridando: «No, vi giuro che sono innocente.» Poi il viso scuro del domestico butterato si fermò a pochi centimetri dal suo naso. «Devo chiedervi di venire con me, signore» disse l'uomo. E una mano pesante si posò sulla sua spalla. 7
Non avrebbe voluto staccarsi dal corpo della moglie, avrebbe desiderato rimanere con lei, ma non aveva scelta. Lo afferrarono per le braccia, uno per parte, e lo spinsero nel palazzo, piuttosto rudemente. Una volta all'interno andò subito ai servizi e vomitò violentemente, poi venne chiuso a chiave in una stanzetta. Non c'erano mobili, tranne una sedia su cui lo speziale si lasciò cadere, senza più forza nelle gambe. Non si rese conto di quanto tempo rimase lì seduto, ma nel cuore della notte si udì qualcuno che grattava alla porta. Gli avevano lasciato mezza candela e un secchio per liberarsi, nient'altro. A quel rumore furtivo John si riprese e vide che la candela si era quasi consumata, allora la spense con un soffio per conservarla. Così rimase seduto al buio, in ascolto. Di nuovo si udì grattare, e poi qualcuno lo chiamò sottovoce: «John.» Perse la testa, pensò di essersi sbagliato, che Emilia non era morta ed era lì fuori che cercava di comunicare con lui. Corse alla porta e cercò di aprirla. «Emilia?» riuscì a chiedere, con voce gracchiante. Ci fu un istante di silenzio, quindi si udì un sussurro. «Sono Priscilla. John, Emilia è morta.» «Lo so, lo so» sussurrò lui. Scoppiò di nuovo in lacrime e pianse come se avesse il cuore spezzato, ed era vero. Si udì il rumore di una chiave nella serratura, e al chiaro di luna che trapelava da una finestra munita di inferriate, vide la porta che si apriva e una donna che entrava nella stanza. Lei gli corse incontro e lo abbracciò. «Su, su» disse lei. John però non riusciva a trattenersi, piangeva come un ragazzino, senza riuscire a smettere. Alla fine si calmò, anche se il suo corpo continuava a essere scosso dai singhiozzi. «Non l'ho uccisa io» riuscì a mormorare. «Lo so che non siete stato voi» rispose lei. «John, ascoltatemi.» «Cosa?» «Emilia ha preso il mio mantello rosso. Ero io la vittima designata, non capite?» «Mio Dio» esclamò John, crollando all'indietro sulla sedia. «Oh, mio Dio.» L'idea che sua moglie fosse morta perché aveva indossato l'indumento di un'altra lo colpì violentemente, anche se non riusciva a capire bene. «Ma perché ha preso il vostro mantello?» chiese. «Lo sa il cielo. Magari ha deciso di fare un giro nel parco e non ha trova-
to il suo. Non so il perché. So solo che l'assassino ce l'aveva con me.» Priscilla rabbrividì violentemente, aveva il viso teso e sofferente. «Ma chi è che vorrebbe uccidervi?» «Oh, non posso parlare. Ma vi assicuro che ci sono diverse persone.» John si alzò e le posò le mani sulle spalle. «Cosa vogliono farmi?» «Vi terranno qui finché non vi potranno consegnare ai galoppini del giudice. Domani qualcuno andrà ad avvertire sir John Fielding.» «Almeno sarò trattato bene.» «Ma comunque vi arresteranno.» «Perché?» «Perché la principessa Amelia vi crede colpevole. Sir John non può opporsi a un ordine reale.» «Ma non potreste parlare in mia difesa? Raccontare del mantello?» «Certo che lo farò. Ma è una questione di prove. Dovete ammettere che sembravate voi il colpevole.» John sospirò. «Avete ragione» poi cambiò tono. «Dove si trova Emilia?» «L'hanno portata nel palazzo. È in una stanza qui vicino.» «Posso vederla?» Priscilla esitò. «Sono riuscita a trovare una chiave che si adatta alla serratura, ma devo proprio farvi entrare?» «In nome del cielo, Priscilla, lo sapete che non sono stato io» replicò lui irosamente. Lei cedette. «Sì. Venite.» Lo speziale azionò l'acciarino e riaccese la candela, poi la porse a lei. Uscirono dalla stanza in silenzio e si trovarono in un corridoio di mattoni. Evidentemente lo avevano portato nelle cantine, e lì si doveva trovare anche sua moglie. Lei era stata deposta in un'altra piccola stanza di mattoni, del tutto priva di finestre. Avevano allestito un catafalco di fortuna con tre grosse assi sorrette da un cavalletto. L'avevano coperta con un lenzuolo sul quale stava seccandosi una piccola macchia di sangue. Con mano tremante John lo scostò e la guardò in viso. Così, senza alcuna traccia visibile di violenza, sembrava che dormisse. Il viso però aveva perduto tutto il suo colore ed era di un candore niveo, sul quale risaltavano nettamente le ciglia scure. Lo speziale si voltò verso Priscilla. «Lasciateci un minuto da soli, per favore. Vi prego.» Lei, un po' riluttante, posò la candela e uscì. «Rimarrò qui fuori» disse.
Senza sapere bene il perché, John rimosse del tutto il lenzuolo e gli apparve il corpo martoriato di Emilia. Resistendo all'impulso di mettersi a urlare, lo speziale esaminò le ferite. L'assassino l'aveva afferrata da dietro e le aveva sferrato tre colpi terribili al ventre, poi l'aveva lasciata morire dissanguata. Almeno a questa conclusione giunse John, giudicando dalla posizione dei tagli. «Tesoro» sussurrò al cadavere della moglie. «Troverò chi è stato a farti questo e lo ucciderò a mani nude. Te lo prometto.» Gli sembrò che alla luce vacillante delle candele lei facesse un sorriso. John si chinò e le baciò la mano, rendendosi conto di quanto fosse diventata fredda e rigida. Poi rimise a posto il lenzuolo, baciandola sulla bocca, prima di coprirle il viso. Priscilla non era fuori dalla porta, anzi, non si vedeva da nessuna parte. Con la candela in mano John percorse il corridoio, cercandola. E fu allora che comprese. Forse si era dileguata apposta, per dargli la possibilità di fuggire. Guardò l'orologio e vide che erano le due del mattino. Tutto il personale della casa, ad eccezione di coloro che facevano il servizio di notte, doveva essere a dormire. Sentendosi stremato, John si sedette su uno sgabello e rifletté su cosa fare. Se rimaneva lì sarebbe stato consegnato ai galoppini, che lo avrebbero tradotto a Bow Street e affidato a sir John. Se fosse scappato avrebbe potuto andare da sir Gabriel e spiegargli cos'era successo, e quindi consegnarsi a sir John, preferibilmente insieme a Priscilla, che poteva spiegargli la storia del mantello e dello scambio di persona. In breve sembrava che ci fosse poco da scegliere. Chiaramente la cosa migliore era cogliere l'occasione di fuggire finché ne aveva la possibilità. John avanzò furtivamente nel corridoio con il cuore in subbuglio e, proprio dove si aspettava, trovò una porta. Era chiusa con due chiavistelli e una serratura, ma le chiavi erano appese lì vicino. Quasi incapace di controllarsi, alzò una mano e fece scorrere il chiavistello di sopra, che cigolò e stridette. Si bloccò, respirando a rantoli, e rimase in ascolto. Non udì nulla. A questo punto era sicuro che Priscilla gli stava dando la possibilità di scappare. Si chinò e azionò il chiavistello di sotto. Anche questo cigolò ma si aprì. Ora gli rimaneva solo la serratura. Afferrando la chiave con entrambe le mani, John la fece girare e la porta si aprì. La ventata di aria fresca gli tolse quel poco di fiato che gli rimaneva, tanto che restò boccheggiando sulla soglia, con i pensieri che gli vorticavano in testa. Andare a chiamare Irish Tom, che senza dubbio dormiva nel-
le scuderie, sarebbe stato pura follia. Come faceva a presentarsi là con il vestito tutto sporco di sangue? Ma in quel momento, come in risposta alle sue preghiere, vide in lontananza una carrozza che lo attendeva vicino ai cancelli. Era la sua. John vi si diresse barcollando e crollò fra le braccia del robusto irlandese. «Sapevo che sareste scappato, signore» sussurrò il cocchiere. «Hai saputo quello che è successo?» chiese John mentre Irish Tom lo portava a braccia alla carrozza. «Sì, signor Rawlings. Le faccio le mie condoglianze.» «L'hanno uccisa per sbaglio, Tom. La povera Emilia portava un mantello rosso ed è stata quella la sua rovina.» Scoppiò di nuovo a piangere, anche se ormai non gli rimanevano più lacrime. Irish Tom lo avvolse con delicatezza nella coperta di pelliccia, quindi montò a cassetta. «Dove andiamo, signore?» chiese. «Da sir Gabriel» rispose John, poi il movimento della carrozza lo fece sprofondare in un sonno profondo. Si svegliò nella fredda luce dell'alba e scorse un paesaggio desolato. Tom aveva fatto del suo meglio sulle strade ghiacciate, ma i cavalli erano stanchi e non erano andati molto al di là di Turnham Green. «Mi sto dirigendo alla locanda, dove potremo mangiare qualcosa» spiegò Irish Tom, nel suo leggero accento irlandese. John si sporse dal finestrino. Non aveva il cappello e neanche il mantello e il suo magnifico abito era tutto macchiato di sangue. «Ma cosa mi posso mettere addosso?» «C'è una borsa sul sedile davanti al vostro» rispose Irish Tom. «Di chi è?» «Non lo so. L'ho rubata da un'altra carrozza prima di venire ad attendervi.» John scosse il capo ma aprì la borsa e trovò un abito, che evidentemente apparteneva a una persona più bassa di lui. Lo tirò fuori, si spogliò, cosa non facile in una carrozza in movimento, e lo indossò. Era di lana pettinata verde scura, veramente un bel vestito. I pantaloni gli arrivavano a malapena sotto il ginocchio e le calze non erano abbastanza lunghe, ma almeno era pulito e serviva allo scopo. Con un sospiro John indossò il mantello, il tricorno non c'era, e intanto pensava a Emilia. Pochi minuti dopo giunsero alla locanda dove avevano sostato anche
all'andata. Irish Tom si fermò nel cortile, balzò a terra e aiutò John a smontare. Lo speziale, che si sentiva debole come un bambino, si appoggiò con gratitudine al suo braccio, che lo sostenne fino all'interno del locale. Una volta dentro, nonostante l'ora mattutina, Irish Tom ordinò un brandy per il suo padrone e una birra piccola per sé. Poi si sedette in silenzio e aspettò che fosse John a parlare. Il cocchiere non aveva mai visto lo speziale così malridotto. Aveva perso da tempo la parrucca e i capelli castano chiaro gli pendevano scomposti attorno alle orecchie. Sembrava che si fosse rimpicciolito, ma Tom pensò che desse quell'impressione solo perché camminava tutto ingobbito, come se non fosse in grado di affrontare i pericoli del mondo. «L'hanno uccisa per sbaglio» ripeté infine John. E in quel mentre gli tornò chiaramente alla memoria il momento in cui aveva guardato dalla finestra e aveva visto Emilia che attraversava il giardino avvolta nel mantello rosso. Allora aveva pensato che fosse Priscilla, ma adesso si domandò dove stesse andando sua moglie così di fretta, al crepuscolo. «Raccontatemi tutto, signore» rispose tranquillamente Irish Tom, e John pensò che non si era mai reso conto che quel robusto irlandese potesse essere così delicato e sensibile. «L'ho vista, Tom, l'ho proprio vista. Stava attraversando il giardino con quel mantello rosso. Solo che non avevo capito che fosse Emilia. Pensavo che fosse Priscilla. Era lei che indossava quel mantello durante la recita. Mi chiedo dove stesse andando, cosa stesse facendo, e per conto di chi.» «Magari stava solo facendo una passeggiata, signore. Quattro passi in giardino.» John provò a richiamare alla memoria l'immagine di Emilia quando l'aveva scorta. No, si stava proprio dirigendo rapidamente da qualche parte, non sembrava affatto che stesse facendo una passeggiata. «No, Tom. Aveva qualcosa da fare. Ma cosa diavolo poteva essere?» «Forse la signorina Fleming lo sa.» John scosse la testa. «Non credo.» Rimase seduto in silenzio. «Consegneranno presto la salma?» chiese. «Non saprei, signore. Immagino di sì, però.» Lo speziale si prese il capo tra le mani. «Buon Dio, che pasticcio! Devo dire a Rose che non rivedrà mai più sua madre. Annunciare a tutti che mia moglie è morta e che io sono accusato di averla uccisa.» «Più presto andrete da sir Gabriel meglio sarà, signore. Adesso però
mangiate, sta arrivando una bella colazione. Una volta che ci saremo rifocillati potremo ripartire.» John però assaggiò appena il suo pasto e lasciò quasi tutto nel piatto. Il cocchiere lo guardò con aria disperata. «Dovete mantenervi in forze, signor Rawlings. Come farete altrimenti a scoprire la verità?» Il suo padrone tuttavia non accolse l'esortazione, e toccò all'irlandese rendere giustizia all'abbondante pasto che avevano servito loro. John si tastò le tasche. «Ho lasciato i soldi nel vestito, in carrozza. Puoi andarmeli a prendere?» «Certo, signore.» Quando Irish Tom si alzò, John ordinò un altro brandy e si sedette vicino al caminetto, a pensare. Non avevano ucciso solo Emilia, ma anche il suo bambino non ancora nato. Non riusciva a concepire che sua moglie, quella creatura innocente, fosse stata massacrata. Eppure la cosa non aveva turbato Priscilla, la quale, a quanto pareva, nascondeva dei segreti che potevano esserle fatali. "Dovrà testimoniare a mio favore" pensò lo speziale. Poi, improvvisamente, si rese conto di come dovesse apparire il caso agli altri. Lo avevano trovato con le mani lorde di sangue, con in mano il coltello con cui Emilia era stata assassinata. C'era poco da meravigliarsi se lady Theydon, quella donna ributtante, lo aveva accusato di essere l'assassino. Le sue speranze di riabilitare il proprio nome erano legate a quello che Priscilla avrebbe potuto riferire a suo favore a sir John Fielding. Il cocchiere ritornò e pagò il conto con i soldi di John. «Faremmo meglio a metterci in viaggio, signore. Non mi sentirò tranquillo finché non vi avrò portato da sir Gabriel.» John si alzò in piedi, ma ancora una volta le gambe non lo sorressero, e così Irish Tom dovette portarlo di peso alla carrozza. Mentre uscivano dalla locanda lo speziale era consapevole degli sguardi incuriositi della cameriera, che li aveva seguiti fino al portone per dare un'ultima occhiata. Fortuna volle che quando la carrozza si fermò davanti alla casa di Church Lane sir Gabriel fosse proprio sul punto di uscire. Quel giorno, quasi come se avesse avuto una premonizione, era vestito tutto di nero, con solo le balze bianche della camicia a ravvivare l'insieme. Il suo sorriso di benvenuto si spense all'improvviso quando vide in che stato si trovava John, che uscì faticosamente dalla carrozza con il viso pallido e gli occhi gonfi.
«Mio caro ragazzo, cosa ti è successo?» gridò. Poi corse ad aiutare Irish Tom a portare dentro John. Lì, il senso di sollievo che gli dava la vicinanza di suo padre fece scoppiare di nuovo a piangere lo speziale, e fu quindi il cocchiere che dovette spiegare il motivo del ritorno improvviso del suo padrone. Non aveva mai visto sir Gabriel impallidire, pensò John, ma adesso la pelle del padre si fece come di pergamena e i suoi occhi dorati si riempirono di lacrime. Era uno spettacolo molto triste, ma dopo che si fu asciugato gli occhi con il fazzoletto, sir Gabriel riacquistò il suo fare pratico. «Adesso, ragazzo mio» disse con fermezza «per prima cosa devi andarti a riposare. Poi, domani mattina presto, tornerai in città per consegnarti a sir John Fielding. Quel grand'uomo ti tratterà nel miglior modo possibile.» «Ma padre» replicò lui, così esausto dopo tanto piangere che quasi non riusciva a concentrarsi. «Devo convincere Priscilla a venire con me.» «E allora scrivile un biglietto e io lo porterò con me quando andrò dalla principessa Amelia.» «Ma quando...?» «Figlio mio, qualcuno deve ben andare a prendere la salma di Emilia per il funerale. Senza dubbio il coroner sarà stato informato questa mattina e sono sicuro che la rilascerà il più presto possibile. La seppelliremo qui a Kensington, dove tu e io potremo occuparci della tomba.» «Oh, mio Dio» rispose debolmente John. «Come farò a pensare a Rose, adesso che non ha più una madre.» «Rose verrà a stare qui con me per ora. Fino a quando questa storia non sarà finita.» «Padre» chiese serio John «pensate che sir John mi terrà in custodia?» «Penso che non avrà altra scelta» rispose sir Gabriel con uguale serietà. «E allora mi aspetta un futuro ben triste.» «Fino a quando la signorina Priscilla non parlerà, sì. Adesso scrivile un biglietto. Devo partire entro un'ora altrimenti non riuscirò ad arrivare a Gunnersbury House prima che faccia notte.» Un quarto d'ora dopo era tutto fatto e John salì al piano di sopra per andare in camera sua. Trovò uno scialle di Emilia posato sul letto e quando lo raccolse e se lo portò alle guance avvertì ancora il suo profumo. Stringendoselo tra le braccia, si sdraiò sul letto. Non riuscì però a prendere sonno, dato che nel suo cervello continuavano a vorticare le immagini della sera precedente. Alla fine si alzò e scese di sotto, ma trovò la casa vuota. Sir Gabriel e Irish Tom erano partiti per Gunnersbury. John se ne andò nel
suo laboratorio sul retro della casa e si preparò una dose di sciroppo ricavato dal papavero da oppio. Poi si sedette su una poltrona e finalmente cadde in un sonno profondo. Fu svegliato da un rumore. Mentre si sforzava di scuotersi dal torpore, si accorse che c'era qualcuno che bussava insistentemente alla porta. La casa era immersa nel buio, ma proprio in quel momento la pendola di sir Gabriel, quella che si era portata dietro da Nassau Street quando si era trasferito a Kensington, suonò la marcia dei granatieri che segnalava la mezz'ora. John si alzò e andò a cercare le candele, le trovò a tastoni e accese l'acciarino. Con in mano un candeliere si diresse verso il portone. Una figura si stagliava contro il cielo illuminato dalla luna, resa ancora più scura dalla notte gelida che l'avvolgeva. John distinse a malapena un mantello maschile ma nient'altro. «Chi è?» chiese. «Che Dio vi benedica, non mi riconoscete?» «No, mi dispiace, mi sono appena svegliato. Chi siete?» «Sono io, signor Rawlings» e l'uomo si fece avanti alla luce. Era Joe Jago. 8 Con enorme sollievo John si fece da parte per permettere a Joe Jago di entrare. Poi, mentre l'altro si accomodava, lo speziale andò ad accendere tutte le candele. Poco dopo arrivarono un domestico e il cuoco di sir Gabriel, che erano stati a fare la spesa, e incominciarono a preparare la cena, tanto che ben presto nell'aria si diffuse un piacevole profumo di arrosto. Mezz'ora più tardi lo speziale, dopo essersi lavato, rasato e cambiato, con un abito che aveva lasciato a Kensington, scese di sotto a salutare il suo ospite, che nel frattempo aveva bevuto mezza bottiglia di vino. «Ebbene, signore» lo esortò Joe «volete raccontarmi quello che è successo?» «Sapete che Emilia è morta?» «Sì, è venuto oggi un messaggero a cavallo da Gunnersbury Park. Era partito all'alba ed è riuscito ad arrivare poco dopo mezzogiorno. Come abbia fatto, con le strade in quelle condizioni, proprio non lo so. In ogni modo, signor Rawlings, lasciate che vi dica quanto sono addolorato. Le parole non sono sufficienti a esprimere quello che provo. Vostra moglie era una
donna meravigliosa, oltre che bellissima. Dovete essere distrutto.» «A essere sincero, Joe, ancora non me ne rendo conto. Mi guardo attorno aspettandomi di vederla, che si apra una porta e lei arrivi da un momento all'altro.» «Succederà ancora a lungo. Vi volterete per dirle qualcosa e vi renderete conto che lei non c'è più.» John sentì di nuovo le lacrime pungergli gli occhi, ma questa volta si sforzò di trattenerle. «Sarà molto dura per Rose.» «Amico mio» rispose Joe con affetto «lei è la figlia di suo padre. Ce la farà.» «Joe, siete qui per arrestarmi?» chiese John, venendo al dunque. «Be', signore, abbiamo già ricevuto delle dichiarazioni giurate, anche se per il momento solo scritte, in cui si dice che siete stato colto sul fatto. La più importante è quella della principessa in persona.» «Ma lei non era presente.» «A quanto pare sì. Era nascosta in mezzo alla sue dame di corte, ma comunque si trovava lì.» John cercò di rammentare il momento in cui lady Theydon lo aveva accusato e dovette ammettere che dietro di lei vi erano diverse figure che non aveva identificato. Una di loro poteva benissimo essere stata la principessa. «E dunque cosa ne sarà di me?» «Ecco, il punto è proprio questo.» «Cosa volete dire?» «Signor Rawlings, mi addolora chiedervelo, ma ditemelo chiaramente. Siete voi il responsabile di questo delitto?» «No, Joe, vi giuro che non sono stato io. In realtà Priscilla crede che l'assassino ce l'avesse con lei e che ci sia stato uno scambio di persona.» E raccontò tutta la storia all'assistente del giudice, senza tralasciare alcun dettaglio. Joe ascoltò in silenzio, bevendo il suo vino e fumando la pipa. Alla fine disse: «E così lei ritiene che Emilia sia uscita prendendo in prestito il primo mantello che ha trovato, e sia andata incontro alla morte.» «Sì.» «E voi dite che è stata Priscilla a lasciarvi fuggire?» «Deve averlo fatto deliberatamente, Joe. A meno che qualcuno non l'abbia chiamata. Non penso però che fosse possibile, a quell'ora della notte.» «E qual è la posizione della signorina Fleming nell'entourage di casa
reale?» «È la dama di compagnia di lady Theydon, che a sua volta è la dama di compagnia della principessa.» «Capisco. E andava a scuola con...» Joe si schiarì la voce «... la signora Rawlings.» «Sì. Ma Joe, lei è convinta che ci sia qualcuno che vuole la sua morte. È lei che dovreste interrogare.» L'assistente parlò in mezzo agli sbuffi di fumo. «Signor Rawlings, noi ci conosciamo da molto tempo, ormai. E per questo motivo sto per fare una cosa che mi potrebbe costare il lavoro, se mai venisse scoperta.» John si coprì di sudore a quelle parole, che avevano un suono sinistro. «Quando è arrivato il messaggero, questo pomeriggio, ci ha raccontato che eravate fuggito. Sir John e io abbiamo subito pensato che foste da sir Gabriel. Per questo mi ha mandato qui con la mia carrozza, per riportarvi a Londra. Vi dirò chiaramente, amico mio, che sarete rinchiuso a Newgate. Nemmeno il giudice può agire contro il volere della principessa. D'altra parte, signor Rawlings...» «Sì?» «Vi sto consigliando di andarvene via subito.» Rivoli di sudore avevano preso a scorrere giù per la schiena a John. «Cosa volete dire?» chiese, quasi senza voce. «Quello che ho detto, signore. Se dico a sir John che sono arrivato a Kensington troppo tardi, quando l'uccellino aveva già lasciato il nido, per così dire, nessuno, tranne voi e me, potrebbe dichiarare il contrario.» Lo speziale si portò alle labbra il bicchiere di vino con la mano che tremava. «Ma Joe, non posso lasciare che corriate un rischio del genere per me. Per voi sarebbe la fine se qualcuno lo scoprisse.» «Sì» rispose l'assistente del giudice, senza tergiversare. «Allora, signore, vi ho fatto un'offerta leale. Che cosa mi dite?» «Che non posso permettervi di agire così.» «Siete un vecchio amico e credo a quanto mi dite. Newgate è un posto terribile, persino se potete permettervi di pagare il pizzo. Non è fatto per gente come voi. E adesso andatevene, per amor di Dio, prima che cambi idea.» «Ma dove?» «Il più lontano possibile. Avete degli amici nel Devon. Perché non andate là?» «Ma, e il funerale di Emilia? Chi porterà Rose a Kensington? Chi si
prenderà cura di lei?» Joe allontanò il fumo con un gesto della mano e guardò John dritto negli occhi. «Signor Rawlings, non avete molta scelta. Andare o rimanere. Newgate o il Devon? Cosa scegliete?» «E chi darà la caccia all'assassino di Emilia, mentre io non ci sarò?» «Me ne occuperò io. Lo troverò, non abbiate paura.» «Ma cosa farò io? Il Devon è un altro mondo, così lontano da qui.» «Potete rimanere in contatto con me tramite la posta. Vi darò il mio indirizzo privato di Seven Dials. Speditemi le vostre lettere lì, e lì soltanto. Non dovete contattare Bow Street.» Di nuovo gli occhi dello speziale si riempirono di lacrime, questa volta di sollievo per l'opportunità che gli stava dando. «Joe, come potrò mai ringraziarvi? State rischiando tutto per me.» «Quello che sto facendo va contro i miei principi. Ma cosa conta in confronto alla nostra amicizia?» John singhiozzò. «Un giorno o l'altro potrei chiedervi di restituire il favore» continuò Joe Jago, serio. Cenarono insieme, dato che era troppo tardi e Joe non poteva ripartire. John, rendendosi conto che non aveva mangiato nulla dal mattino, si sforzò di mandare giù qualcosa. Però di nuovo davanti agli occhi gli comparve l'immagine del sole che tramontava sulla neve tingendo ogni cosa di una sfumatura sanguigna, e di una figura rossa che giaceva immobile, e non riuscì più a mangiare nulla. Jago invece divorò tutto e poi si servì di nuovo. John studiò il suo viso rugoso, i luminosi occhi azzurri, i riccioli rossi (l'assistente del giudice si era da tempo tolto la parrucca), pensando ai rischi che quell'uomo stava correndo per lui e sentì che non aveva mai avuto un amico più fedele. A un certo punto, quando i loro sguardi si incrociarono, lo speziale mormorò: «Grazie» ma Joe si limitò a sorridere e ad annuire. Terminata la cena, John propose a Joe di fermarsi per la notte, però lui rifiutò. «No, signore, ho già prenotato una stanza alla Vacca Mora, ma grazie lo stesso. Se fossi arrivato qui e avessi scoperto che ve n'eravate già andato avrei fatto così. E quindi è quello che farò.» «Ne siete certo?» «Certissimo. E ora, signor Rawlings, sapete che il postale da Londra per
Exeter ferma a Brentford domani notte?» «No, non lo sapevo.» «Vi suggerisco di prenderlo. Come farete ad arrivare a Brentford non lo so. Vi darei volentieri un passaggio ma non vorrei arrivare troppo in ritardo. Sir John sta aspettando il mio rapporto.» «Joe, siete sicuro di voler fare così? Non sarebbe più facile se venissi con voi?» «Sarebbe più facile, senza dubbio, amico mio. Ma la vita è piena di sfide, e questa è la più grande che io abbia mai affrontato. Andate nel Devon, e in fretta. Lasciate a me il compito di risolvere il caso.» «Mi perderò il funerale di Emilia.» «Il suo funerale si svolgerà nel vostro cuore, signor Rawlings» rispose Joe con semplicità. Colpito dalle sue parole, John rimase in silenzio, chiedendosi se a qualcun altro fosse mai capitato di sentirsi così male come si sentiva lui in quel momento. Al centro dei suoi pensieri c'era soprattutto la sua povera figlioletta. La bambina sarebbe rimasta non solo senza madre, ma anche senza padre. Accarezzò l'idea pazzesca di andarsela a prendere, di portarla con sé, Sapeva però che accompagnarsi a un uomo ricercato per omicidio sarebbe stato troppo rischioso per lei. Nonostante sentisse moltissimo la mancanza di Rose, era certo che la bambina sarebbe stata più serena con sir Gabriel. Eppure il pensiero di lei gli suscitò una fortissima emozione e di nuovo gli occhi gli si riempirono di lacrime. Nonostante ne avesse così bisogno, non riuscì a dormire, e dunque si alzò alle cinque. Si lavò e si fece di nuovo la barba. Lasciò lì il vestito troppo piccolo, mentre quello di gala, sporco di sangue, era rimasto nella carrozza. Preparò solo una piccola borsa, avuta in prestito da sir Gabriel. Mentre attendeva l'arrivo di Joe si recò nel suo laboratorio e prese con sé anche alcune bottiglie di medicinali e qualche pillola. Puntualmente, alle cinque e mezzo, quando c'era ancora buio, Joe arrivò con la carrozza di Bow Street, guidando lui stesso un paio di robusti cavalli. «Pronto?» «Pronto.» E John salì a bordo, domandandosi quando avrebbe rivisto la casa di Kensington. La notte precedente, prima di andare a letto, aveva scritto una lunga lettera a sir Gabriel, in cui gli aveva fatto diverse richieste. Per prima
cosa di andare a prendere Rose a Nassau Street, poi di fare in modo che Emilia ricevesse una degna sepoltura, e infine di chiudere il negozio di Kensington e di chiedere a Nicholas Dawkins di occuparsi di quello di Shug Lane. "Mio caro padre" terminava la lettera "Joe Jago mi ha offerto la possibilità di fuggire nel Devon. Mi metterò in contatto con voi appena arriverò. Il vostro affezionato figlio, John Rawlings. P.S. Distruggete questa lettera dopo che l'avrete letta." Poi lui e Joe erano partiti sotto le stelle, rendendosi conto, mentre avanzavano nell'aria gelida, che era la vigilia di Natale. «Buon Natale, Joe» disse amaramente John. «Questo sarà il Natale più triste della vostra vita. Ma a quest'epoca, l'anno prossimo sarà tutto risolto.» «Cosa intendete?» «Che il colpevole sarà morto e voi potrete trascorrere la festa con la vostra bambina e sir Gabriel.» «Sapevate che Emilia era incinta quando è morta?» «Sì, me l'ha riferito sir John. Che tragedia.» «Già» rispose lo speziale. Joe lo fece scendere in fondo a Kensington Hight Street e poco dopo John riuscì a farsi dare un passaggio da un contadino con un carretto che portava alcune pecore in campagna. La prima parte del viaggio terminò in una fattoria vicino al fiume. John rimase ad aspettare dieci minuti e poi comparve un nuovo carrettiere, questa volta con un carro coperto. In questo modo raggiunse la locanda dei Tre Piccioni a Brentford che ormai stava calando la notte. Il postale, quando alla fine arrivò, con un'ora di ritardo, era zeppo di gente che cercava disperatamente di arrivare a Exeter per le vacanze di Natale. Fortunatamente per John c'era ancora un posto dietro, in mezzo ai bagagli, ma divenne quasi blu per il freddo. La prima sosta fu a Thatcham, quasi sei ore dopo; si fermarono appena venti minuti, poi proseguirono per Marlborough, e ci vollero altre tre ore per arrivarci. Fu il viaggio più spaventoso che John avesse mai fatto. Il tempo era orribile e a un certo punto rimasero bloccati nella neve e tutti i passeggeri dovettero scendere mentre il postiglione e l'uomo di scorta facevano avanzare i cavalli tirandoli. Di conseguenza la diligenza accumulò nuovo ritardo e John e gli altri viaggiatori trascorsero il Natale a lamentarsi dei loro guai.
In seguito si chiese come fosse riuscito a mantenere la calma quel giorno. Probabilmente le lagnanze dei suoi compagni di viaggio lo aiutarono a concentrarsi su qualcosa che non fosse la morte di sua moglie. Ascoltando le loro proteste o i vari menu natalizi, ed evitando allo stesso tempo di rispondere alle domande dirette a lui, non solo gli parve che il tempo trascorresse più in fretta, ma si tenne pure occupato. C'erano altri quattro viaggiatori nel bagagliaio, tutti seduti sui bauli, scomodi quanto mai, e tra loro nacque uno strano cameratismo, frutto della disperazione, tanto che quando alla fine smontarono, il mattino del giorno dopo Natale, si accordarono per rincontrarsi. Si trovavano davanti alla Mezza Luna, dove John aveva trascorso parte della sua luna di miele. La vista di quell'edificio, tutto buio e sprangato, gli fece tornare in mente Emilia, a tal punto che avrebbe potuto giurare di sentirla vicino a lui, nella strada senza luci. Riusciva quasi a percepirne il profumo. Poi passarono degli ubriachi, barcollando, e l'illusione scomparve. Non sapendo bene cosa fare, John si diresse verso la casa di sir Clovelly Lovell. Aveva un po' di denaro con sé. Non una fortuna, ma era tutto quello che era riuscito a racimolare al ritorno da Gunnersbury House. Avrebbe potuto permettersi la locanda per una settimana, forse. John però proseguì, spinto dal desiderio di parlare, di raccontare a sir Clovelly cosa gli era successo. Superò la cattedrale e si diresse a Close. Quando arrivò non riusciva a credere ai propri occhi. La casa infatti era tutta illuminata e dall'interno proveniva il suono di risate. Incoraggiato dalla cosa, John suonò il campanello. Venne ad aprire un domestico, che lo guardò con sospetto: «Sì, signore?» «È in casa sir Clovelly Lovell?» «Non saprei, signore. Chi devo dire che lo cerca?» «Potete dirgli che mi chiamo Rawlings. Lui si ricorderà sicuramente di me.» «Molto bene, signore. Se non vi spiace, attendete qui.» Non l'aveva neppure fatto entrare nell'ingresso, pensò lo speziale, sentendosi ancora una volta un miserabile. Si udì del trambusto in casa e poi arrivò sir Clovelly in persona, il passo malfermo e l'aria alticcia. «Cosa c'è, Whistler?» domandò. «Una persona che dice di conoscervi, sir Clovelly» si scusò il domestico.
«Di conoscermi? Chi...» Ma in quel momento John, mal rasato e tutto stazzonato, si affacciò nell'ingresso. I numerosi doppi menti di sir Clovelly si agitarono mentre l'espressione del suo viso passava dall'ira alla sorpresa, e infine alla gioia. «Rawlings!» esclamò. «Mio caro amico. Che cosa vi porta di nuovo nel Devon? Che bello rivedervi. Entrate, entrate.» John mosse un passo all'interno e il calore e l'atmosfera della casa gli fecero girare la testa. Barcollò un po', appoggiandosi al domestico. «Va tutto bene, vecchio mio?» Sir Clovelly lo fissò preoccupato, con il suo faccione da luna piena. «È che ho fatto un viaggio piuttosto faticoso» rispose lo speziale, sforzandosi di sorridere. Si lasciò cadere su una delle sedie dell'ingresso e si prese la testa tra le mani. Subito sir Clovelly, che aveva acquistato parecchio peso dall'ultima volta che l'aveva visto, ordinò di portargli del vino. «Ragazzo mio, vedo che siete esausto. Dove alloggiate? O arrivate adesso?» «Sono arrivato ora. Ho viaggiato sul postale, nel bagagliaio. Come potete immaginare, faceva molto freddo.» «E cos'è successo alla vostra carrozza?» «L'ho prestata a mio padre.» «Il caro sir Gabriel» esclamò con calore sir Clovelly. «Come sta?» «In gamba come sempre. Gli anni non lasciano alcun segno su di lui.» Arrivò il vino per John, che svuotò il bicchiere. Poi si rivolse a sir Clovelly. «Devo chiedervi un grosso favore. Dato che è così tardi (la diligenza era molto in ritardo per colpa della neve), mi chiedevo se poteste ospitarmi per questa notte. Domani mattina andrò a cercarmi un alloggio ma adesso sto per crollare.» «Ma certo, amico mio. Potrete raccontarmi tutto domani. Ho degli amici qui, che sono venuti per giocare a whist, ma non rimarranno ancora a lungo. Per inciso, nel caso sir Gabriel si fosse dimenticato di dirvelo, ho perso mia moglie di recente. Se ne è andata dolcemente.» John annuì. «Anche Emilia è morta. Pochi giorni fa. È stata la cosa più dolorosa che mi sia mai capitata. Mi manca molto, sapete.» 9 Da principio non sapeva bene quanto potesse rivelare a sir Clovelly, ma
il calore e la simpatia di quell'ometto tarchiato lo spinsero a raccontargli tutta la storia nei particolari, compresi l'offerta che gli era stata fatta da Jago e il viaggio in diligenza verso Exeter, nel più triste giorno di Natale della sua vita. «E sì che il servizio di diligenza per Exeter viene molto pubblicizzato per la sua velocità» aveva commentato sir Clovelly, sospirando sopra le salsicce. «Non vi dà fastidio, amico mio, fare colazione con un latitante?» chiese John, ignorando l'ultimo commento. «Non direi, caro ragazzo.» Sir Clovelly si fece pensieroso. «Cosa farà sir John Fielding, adesso?» «Non ha altra scelta che far affiggere dei manifesti in cui si dice che sono ricercato. Dopo tutto la principessa Amelia in persona giura che sono colpevole. È ovvio che devono dare l'allarme.» «Sì, ma quanto forte? Il punto è questo.» Gli allegri occhietti da topo di sir Clovelly si fecero seri. «Ascoltate, vecchio mio, voi potete stare da me quanto volete. Non mettetevi a cercare una locanda. Sono tutte piene per le feste di Natale. Sentitevi libero di andare e venire come vi pare e consideratela la vostra seconda casa.» John posò coltello e forchetta. «No, signore, non potrei. Passerò più inosservato in una locanda. Inoltre se vi fossero recriminazioni non voglio coinvolgervi. Vi ringrazio di cuore per la vostra offerta, ma devo rifiutare.» «Oh. Speravo di avere compagnia.» «Verrò a trovarvi spesso.» «E allora dovrò accontentarmi.» Sir Clovelly aveva l'aria preoccupata, il che voleva dire che il mento e gli occhi in pratica scomparivano in mezzo alle pieghe di carne. «Caro amico, come occuperete le vostre giornate? Se steste da me sareste al centro della vita sociale.» Poi si corresse. «Anche se adesso che siete in lutto probabilmente non avrete molta voglia di giocare a carte o cose del genere.» John sorrise. «Per essere sincero, caro amico, vorrei apparire poco in giro nei prossimi giorni. La mia situazione è tale che non mi sento molto portato alla vita di società.» Rivolse uno sguardo di simpatia a quell'ometto, lieto del fatto che lui e sir Gabriel fossero diventati amici. Si sentiva molto rinvigorito, dato che finalmente era riuscito a dormire per diverse ore. Appena aveva toccato il guanciale con la testa era piombato nel sonno e aveva continuato a dormire, senza sogni che lo tormentasse-
ro, fino alle undici. Adesso se ne stava seduto a tavola a cincischiare il cibo, ancora incapace di mangiare come si deve, sempre assillato dall'immagine della neve color rosso sangue con la figura solitaria che vi giaceva sopra immobile. «Una vicenda terribile» affermò sir Clovelly, servendosi di pane tostato e marmellata. John prese in mano un grappolo d'uva. «Pensate che io avessi il diritto di fuggire?» «Mi sembra che abbiate avuto poco da scegliere. Venire sbattuto a Newgate non è uno scherzo.» «Joe dice che anche col pizzo sarebbe molto dura.» «Cos'è il "pizzo"?» chiese sir Clovelly tagliandosi una fetta di torta, probabilmente per riempire qualche angolino negletto del suo corpo. «La mancia per il carceriere. Più alto è il pizzo, migliore è il trattamento. Ma penso che comunque non sia una passeggiata.» «Dev'essere un'esperienza durissima, a dir poco.» «Tuttavia penso ancora che dovrei tornare.» Sir Clovelly lo fissò stupito. «Perché? A che scopo?» «Per trovare l'assassino di Emilia. So che Joe Jago lo sta cercando ma per lui non sarà facile. Io forse potrei operare in incognito.» «E come fareste?» «Magari camuffandomi potrei nascondermi a casa di qualche amico, e poi andare a cercare il bastardo che l'ha uccisa.» Sir Clovelly ridacchiò. «E come fareste a camuffarvi, di grazia? Avete un viso molto riconoscibile, giovanotto.» «Non so come. Magari travestendomi da curato o qualcosa del genere.» A quelle parole sir Clovelly scoppiò a ridere di gusto e John se ne rimase lì seduto tristemente, mentre il suo amico si sganasciava. Alla fine le risate cessarono e l'ometto si asciugò gli occhi con il fazzoletto. «Scusatemi, ragazzo mio» disse. «È solo che l'idea di voi travestito da curato...» Fece una nuova risatina soffocata. «Io però non dovrei ridere, date le circostanze. Per via del rispetto e di tutto il resto.» John annuì. «Non c'è bisogno, sir Clovelly. Lo so che siete addolorato per Emilia. Il fatto è che voi non la vedevate da anni, mentre sono stato io...» La voce gli si smorzò e di nuovo rivide la figura della donna morente, al tramonto. Gli occhi di sir Clovelly si fecero umidi.
«... a trovarla. Ho visto che mi riconosceva prima di... prima di...» John bevette in un sorso la sua tazza di tè, incapace di continuare. Sir Clovelly si alzò dal tavolo e andò vicino a John, posando una mano sulla spalla dello speziale. «Su, ragazzo mio. Fate pure. Perché non piangete?» Ma non appena scoppiò in lacrime, John si disse con decisione che quella doveva essere l'ultima volta, che non doveva più indulgere al pianto, non era giusto per coloro che erano rimasti in vita. Riprese il controllo di sé e alzò lo sguardo su quel faccione gioviale che lo fissava preoccupato. «Scusatemi, signore. Vi prometto che non accadrà più.» «A me andrebbe di bere un brandy» disse il suo ospite. «E penso che ne abbiate bisogno anche voi.» John annuì. «Vi ringrazio di essere così paziente.» Sir Clovelly andò alla credenza, un bel mobile di noce lucido, e riempì due bicchieri. John rimase sbalordito nel vedere la dose di liquore che gli aveva servito, ma lo prese lo stesso. «Vi farà bene» disse l'ometto. «Bevetelo tutto, da bravo ragazzo.» Lo speziale decise di essere audace e lo tracannò tutto d'un colpo, dopo di che, stranamente, si sentì un po' sollevato. Sir Clovelly portò la caraffa sul tavolo e tornò a riempire il bicchiere di John. «Ho visto una vostra amica l'altro giorno» disse il suo ospite. «Ah. Chi?» «La marchesa di Lorenzi. Elizabeth.» Solo a sentire il suo nome lo speziale si sentì avvampare. Ma come poteva? si rimproverò. Eppure, persino con Emilia morta così di recente, e anche se non vedeva la marchesa da quattro anni, la notizia gli fece effetto e se ne vergognò. Sir Clovelly però non doveva essersene accorto, perché continuò a parlare. «Abita da sola in quel suo grande palazzo che dà sul fiume Exe. Sir Randolph Howarth di recente le ha fatto la corte e tutti noi eravamo convinti che sarebbe finita con un matrimonio, ma a quanto pare lei l'ha rifiutato. Lui era veramente sconvolto ed è partito per l'estero.» "Perché dovrei essere contento se è ancora da sola?" si chiese lo speziale, depresso. "Che differenza fa per me? Io sono un uomo sposato..." Poi si bloccò e rimase a bocca aperta per lo stupore, rendendosi conto che Emilia non c'era più e che era di nuovo libero. «...Naturalmente» stava continuando sir Clovelly, «lei si conserva bene, glielo devo riconoscere. Ha quarantasei anni o giù di lì, ma ne dimostra
dieci di meno. Immagino che sia dovuto al fatto che è magra.» Si palpò lo stomaco pingue e ridacchiò. «Portatele i miei saluti, se doveste rivederla» disse John, con voce tesa. «Ho un'idea migliore» suggerì l'ometto. «Andremo a trovarla. Dopo tutto siamo ancora nel periodo delle feste, Natale e tutto il resto. Faccio preparare subito la carrozza.» E prima che lo speziale potesse dire qualcosa era già corso a suonare il campanello. «Ma non ho niente da mettermi» protestò lo speziale. «Ho solo il vestito che ho indosso.» «Andrà benissimo» disse sir Clovelly. «Dopo tutto non è che dovete far colpo su di lei.» Nonostante quelle rassicurazioni, mentre uscivano da Exeter per risalire il corso dell'Exe, John si sentiva a disagio nel suo abito di lana grigio. C'era un freddo che gelava le ossa, ma lì nel Devon la neve aveva iniziato a sciogliersi, e ne rimaneva qualche mucchietto simile a lana negli angoli dei campi. Quando la carrozza iniziò a inerpicarsi lungo la salita, apparve il palazzo. Non era per nulla cambiato nei quattro anni che erano trascorsi dall'ultima volta che John l'aveva visto. Oltrepassarono la casetta del portiere, mentre il postiglione salutava il custode con la frusta, e continuarono a salire lungo il viale. Sentirono un rumore di zoccoli in lontananza e comparve un cavaliere in sella a un cavallo nero. Stava andando a una velocità incredibile, pensò John. Poi il suo cuore prese a martellare. Si era reso conto che era proprio lei. Montava vestita da uomo, agile ed eccitante come l'ultima volta che l'aveva vista. Gli si contorse lo stomaco, e lui ancora una volta si vergognò. Aveva amato Emilia con tutto il cuore, non c'erano dubbi, ma Elizabeth di Lorenzi esercitava ancora lo stesso potere su di lui. Sentendo un indurimento al basso ventre, John si voltò con decisione verso il palazzo. Lei si accorse di avere dei visitatori, fece girare il cavallo e si avviò al piccolo galoppo verso casa, salutando con un cenno. «Ah, ecco Elizabeth» disse sir Clovelly. Si sporse dal finestrino e rispose al saluto. Riconosciutolo, la marchesa gli fece cenno di entrare e si diresse alle stalle. Pochi minuti dopo vennero fatti entrare nell'enorme salone d'ingresso, dipinto di rosa, con Britannia che agitava la lancia sopra le loro teste. John si guardò attorno, rammentando ogni dettaglio e sforzandosi di apparire calmo. Si udì un rumore dietro di loro e, voltandosi, videro che Elizabeth di Lo-
renzi era entrata da un ingresso laterale. I due uomini si inchinarono, John profondamente, sir Clovelly quanto glielo consentì il suo pancione prominente. Lo speziale notò che lei trasalì e poi fece una risatina. Sperando che il rossore sul proprio viso potesse essere addebitato al profondo inchino, John si raddrizzò. Elizabeth era ancora più attraente dell'ultima volta. La cavalcata le aveva colorito il viso, e questo, insieme alla lussureggiante capigliatura corvina, contribuiva a creare un effetto formidabile. Lui avvertì su di sé lo sguardo degli occhi scuri di lei e rimpianse amaramente di indossare quell'abito da tutti i giorni. Si schiarì la voce, ma fu sir Clovelly a parlare. «Perdonate l'intrusione, signora, ma ho pensato che dato che è Natale bisogna andare a far visita ai vicini. A dire il vero, il signor Rawlings ha avuto di recente una tremenda esperienza e pensavo che gli facesse bene venire a trovarvi.» La cicatrice sul viso di Elizabeth, che andava da sotto l'occhio allo zigomo e che fino a quel momento non si notava, divenne improvvisamente evidente mentre lei impallidiva. John incrociò il suo sguardo e comprese che aveva già intuito qualcosa di ciò che gli era capitato. «Vi prego, venite» li invitò. «È sempre un piacere vedervi, sir Clovelly. Signor Rawlings, sono spiacente di apprendere che avete avuto dei dispiaceri. Potete parlarmene, se volete, mentre beviamo qualcosa.» Lui si inchinò di nuovo. «Vi ringrazio, signora.» Elizabeth fece strada, con i due uomini che la seguivano a rispettosa distanza, verso il salotto blu, dove si sedette su un piccolo sofà. Sir Clovelly ne occupò un altro, mentre John si accomodò su una poltrona di fronte a lei. Entrarono dei domestici portando vino e cibarie: carne, prosciutto, pollo, formaggio e frutta. «Un semplice spuntino» spiegò lei. «Mi piacerebbe molto, però, che pranzaste con me. Ci sono degli altri ospiti, ma credo che non vi dispiacerà la loro compagnia.» Sir Clovelly si voltò a guardare John e lo interrogò silenziosamente. Lo speziale annuì. «Accettiamo con piacere, signora, con vero piacere» rispose l'ometto. Elizabeth congedò i domestici, poi si alzò e prese la caraffa del vino. Ne versò tre bicchieri, passandone uno a sir Clovelly e l'altro a John. Poi tornò a sedersi. «Raccontatemi la vostra storia, signor Rawlings.»
«Mia moglie è stata contattata di recente da una sua vecchia compagna di scuola, Priscilla Fleming. Questa l'ha invitata a prendere parte a una rappresentazione, una recita di Natale, che aveva scritto lei stessa. Priscilla è un membro minore della corte della principessa Amelia e la recita era appunto stata allestita per la corte. In ogni modo, la principessa ha deciso di trascorrere il Natale a Gunnersbury House, fuori Londra, ed Emilia si è recata lì.» John si interruppe, rendendosi conto che la marchesa lo stava osservando con attenzione. «Mi sembrate invecchiato dall'ultima volta che vi ho visto» affermò la donna con la sua solita franchezza. Lui fece un sorrisetto. «È perché sono più vecchio. Ho trentadue anni adesso.» «E io ne ho quarantasette.» Parlavano come se sir Clovelly non ci fosse e John, rendendosene conto, si affrettò a continuare. «La rappresentazione ha avuto luogo il 22. Durante la recita Priscilla indossava un mantello rosso. Più tardi ho visto una donna, che allora presi per la signorina Fleming, che si dirigeva velocemente verso gli alberi davanti alla casa. Lo spettacolo era finito, ma non c'era traccia di Emilia.» Notò che il respiro della marchesa si era fatto più rapido. «Così sono andato a cercarla.» «E l'avete trovata?» «L'ho trovata, con indosso il mantello rosso, morente in mezzo alla neve. L'avevano pugnalata diverse volte al ventre, e poi è spirata.» «Ma è spaventoso!» Elizabeth boccheggiò, portandosi una mano alla gola. «Mi è morta tra le braccia, e io sono rimasto lì seduto con lei, non so per quanto tempo. Poi sono arrivate delle persone da Gunnersbury Park e mi hanno accusato di averla uccisa. Mi hanno rinchiuso, ma Priscilla durante la notte mi ha lasciato scappare. Sono andato a Kensington, dove è arrivato Joe Jago con l'ordine di riportarmi a Londra. Ma lui pure mi ha detto di fuggire via così sono venuto nell'unico posto dove sapevo di avere degli amici. Ed è per questo che sono qui.» Aveva parlato con calma, controllando la voce, raccontando la vicenda con tutta la chiarezza e il distacco che gli era possibile in quelle circostanze. Per tutto il tempo, però, aveva avvertito su di sé lo sguardo di Elizabeth, che aveva assorbito ogni particolare di quello che diceva, dedicandogli tutta la sua attenzione.
Ci fu un istante di silenzio, al termine del quale lei prese la parola. «John, accettate le mie sincere condoglianze. A nessuno dovrebbe accadere una cosa così tremenda. Io non ho mai conosciuto Emilia, ma a quanto mi avete detto doveva essere una cara e degna persona. Sono veramente addolorata.» Lui la guardò negli occhi, cosa che fino a quel momento aveva cercato di evitare. «Vi ringrazio» si limitò a dire. Sir Clovelly Lovell tossicchiò. «Be' ora forse potremmo parlare di cose più allegre.» «Sarà difficile» ribatté Elizabeth, alzandosi in piedi. «Quando avremo terminato il nostro spuntino perché voi e io non ce ne andiamo a fare una cavalcata, John? Voi, caro sir Clovelly, potete rimanere qui e riposare fino al ricevimento di questa sera.» Poi si rivolse allo speziale. «Per favore, ditemi di sì.» All'improvviso a John il pensiero di montare un veloce destriero cavalcando sulle colline sembrò la cosa più desiderabile del mondo. «Mi piacerebbe» rispose. «Voi non avete nulla in contrario, sir Clovelly?» «Niente affatto, caro ragazzo. Vi farà bene. Io nel frattempo mi farò un sonnellino. Mi piace dormire un po' dopo un buon pasto.» Intrecciò le mani sul ventre e chiuse gli occhi. «Siete sicuro di non voler mangiare qualcos'altro, sir Clovelly?» Lui riaprì gli occhi. «Magari un'altra di queste deliziose polpette.» Elizabeth incrociò lo sguardo di John e gli ammiccò. Normalmente lui avrebbe risposto allo stesso modo, ma quel giorno non era in vena di frivolezze e si limitò a sorridere, poi si rese conto che era la prima volta che lo faceva da quando aveva trovato Emilia morente. Lei si versò un altro bicchiere di vino. «John, ne volete ancora un po'?» A un tratto lui si trovò a desiderare di essere ubriaco, di perdersi nel caldo abbraccio dell'alcol. Annuì. «Sì, lo voglio.» Poi, rendendosi conto di quanto fosse stato rude, aggiunse: «Grazie.» Tracannò tutto il vino e le porse di nuovo il bicchiere per farselo riempire, ma Elizabeth scosse la testa. «No, aspettate fino al ritorno. Voglio che siate in voi per controllare il cavallo, questo pomeriggio.» Lui annuì, posò il bicchiere e si alzò. «Allora andiamo finché c'è luce.» «Sì.» Si voltarono a guardare sir Clovelly che si era addormentato, ancora masticando, così lasciarono la stanza in silenzio e, dopo aver dato disposizio-
ni ai domestici, si diressero alle scuderie. Uno stalliere condusse fuori due cavalli, uno nero come la pece, quasi uguale a quello che Elizabeth aveva cavalcato prima, e l'altro sauro. «Ho pensato che per voi andasse bene Jet» disse lei. Poi si lasciò aiutare a salire in sella, dove montò come un uomo, sempre in abiti maschili e deliziosamente ignara di quanto fosse attraente vestita così. John lanciò uno sguardo d'approvazione alla cavalcatura. «Ha temperamento?» «Quanto voi» rispose lei, ed era già partita. John la guardò allontanarsi, poi balzò in sella e si mosse rumorosamente sul selciato, assaporando la prima, esaltante ventata d'aria fresca quando il suo cavallo acquistò velocità e partì al galoppo. 10 Fu una delle cavalcate più eccitanti che John avesse mai fatto. Si lanciò a tutta velocità in mezzo alle felci all'inseguimento della marchesa, che lo precedeva di trecento metri, senza mai voltarsi per vedere se lui la stesse raggiungendo. Lei sembrava essere tutt'uno col cavallo, completamente a proprio agio in sella come se stesse camminando in casa sua. Per quanto John si sforzasse di incitare il cavallo, quella tentatrice lo precedeva sempre con lo stesso vantaggio. Per un istante dimenticò le tremende circostanze che lo avevano portato nel Devon e si godette la vista della vasta distesa del cielo sopra la brughiera. Si era dimenticato quanto fossero intensi i colori del cielo nel Devon. Quel giorno era azzurro, di una lucentezza che indicava che si era nel cuore dell'inverno, con la sfera dorata del sole pronta a iniziare la sua discesa verso l'orizzonte. Improvvisamente nella sua mente ricomparve l'immagine del rosso sulla neve e con un tremendo sforzo la cacciò. Elizabeth galoppava davanti, apparentemente indifferente alla sua presenza. «Marchesa» la chiamò e alla fine lei si girò, gli rivolse un sorriso incantatore, e riprese la sua fuga selvaggia. Attorno a lui il mondo sembrava enorme: il fiume Exe, un piccolo serpente in lontananza, i pascoli verdi, ondulati e sinuosi come il corpo di una donna, e una manciata di case, minuscole a quella distanza. Gli venne voglia di urlare per la crudeltà della morte di Emilia, quando aveva ancora tutta la vita da vivere, e così tanti magnifici posti da esplorare. Ancora una volta gli spuntarono le lacrime ma lui si sforzò di tenerle a bada. Aveva
smesso di piangere. Non avrebbe più pianto fino a quando quello spietato assassino, che aveva distrutto quanto aveva di più caro, non fosse morto. Quel pensiero lo lasciò senza fiato e tirò le redini per riprendere a respirare. Erano passati quattro anni da quando aveva percorso quel sentiero, ma era sicuro che stavano avvicinandosi al terreno abbandonato sul quale sorgeva Wildtor Grange. Ricordava bene le visite che aveva fatto a quel luogo. Emilia era sempre venuta con lui, eccetto una volta, una notte, quando lui ed Elizabeth erano rimasti insieme da soli. Poteva vederla davanti a sé che si slanciava in mezzo agli alberi, sempre senza voltarsi. Scese al galoppo dalla collina dietro di lei, ansioso di raggiungerla e timoroso di perdersi, ora che si trovava in mezzo al bosco. Sbucò invece dall'altra parte del bosco senza problemi, anche perché sembrava che il suo cavallo conoscesse la strada. Di fronte a lui, rimpiccioliti dalla distanza, i ruderi di Wildtor Grange si stagliavano contro il sole che tramontava. Com'era strano legare il cavallo a un albero ed entrare a piedi in mezzo a quelle rovine desolate. Gli sembrò quasi di tornare indietro nel tempo. Gli agenti atmosferici e le stagioni avevano prodotto nuovi danni dalla sua ultima visita e lui alzò lo sguardo verso la cadente ala orientale, dove, secondo la leggenda, una volta veniva tenuta prigioniera lady Thorne. Passando da una finestra priva di vetri, John entrò in quella tenebrosa dimora piena di ricordi. Si era dimenticato dell'enorme ingresso, con tutte quelle spettrali sale che vi si affacciavano. Alzando gli occhi John osservò la monumentale scalinata che si ergeva come una specie di animale mostruoso fino ai piani superiori. Continuando a osservarla lo speziale si fece avanti e posò il piede sul primo scalino. Gli vennero in mente dei ricordi di tempi più felici. Di Emilia che camminava al suo fianco, salendo spaventata insieme a lui, di come si fossero nascosti nell'armadio dell'appartamento di Elizabeth e poi lui si fosse trovato a fare il guardone mentre la marchesa si spogliava e, nonostante tutte le circostanze avverse, avesse ammirato il corpo muscoloso di lei. Adesso, con passo esitante, John proseguì in un silenzio di tomba fino al luogo dove la donna abitava. Mentre procedeva cercò di riordinare i suoi pensieri su di lei. Anche se l'aveva attratto al punto che era stato quasi in procinto di tradire Emilia, era tutto finito. Adesso non voleva niente del genere. Eppure, nonostante tutto,
continuava a trovarla tremendamente attraente e aveva un disperato bisogno della sua amicizia. In effetti pensava che Elizabeth di Lorenzi, senza saperselo spiegare, fosse per lui qualcosa di speciale. I suoi passi echeggiavano mentre costeggiava le pareti spoglie dell'ala orientale, superando la sinistra serie di sale con i mobili coperti da drappi bianchi. L'atmosfera era soffocante, orribile, quasi tangibilmente opprimente. Ancora una volta si chiese come potesse qualcuno vivere in quel posto, finché, raggiunta la porta in fondo, la aprì e si trovò in un ambiente accogliente e sontuoso, e si rese conto che la marchesa aveva avuto ragione a scegliere quei ruderi per farne il proprio alloggio segreto. C'era un fuoco che ardeva ed Elizabeth aveva aperto una bottiglia di vino e acceso le candele, sparse un po' dovunque nella stanza. Quando John entrò, lei alzò lo sguardo. «Ce ne avete messo di tempo» disse con un sorriso. «Sì, direi di sì» ammise lui, sentendosi improvvisamente molto fiacco. «Posso sedere?» «Ma certo. Bevete un bicchiere di vino.» Glielo aveva già versato e lo speziale si accomodò sulla poltrona vicino al camino, prese il bicchiere e lo sollevò. «A voi, Elizabeth. Grazie per la vostra amicizia.» Lei si lasciò cadere sulla poltrona davanti alla sua. «Così avete una figlia. Com'è?» «Bella, intelligente, simpatica. In effetti è il sogno di ogni genitore. Sapete che sono dovuto fuggire via da Kensington. Ho dovuto lasciare a mio padre l'incarico di andare a prendere Rose e di dirle che non rivedrà mai più sua madre. Io non ho neppure potuto salutarla.» Elizabeth lo guardò tranquilla. «Senza dubbio avrete modo di spiegarle tutto quando la rivedrete.» «Sì, ma quando avverrà?» «Questo dipende da voi.» John vuotò il bicchiere e lo porse per farselo riempire nuovamente. «Cosa volete dire?» «Quello che ho detto. Se vi fermerete nel Devon sarete il benvenuto, lo sapete, ma io penso che dovreste ritornare a Londra.» «Per essere arrestato?» «Non necessariamente.» Tutto il vino che aveva bevuto nel corso della giornata stava incominciando a fare effetto sullo speziale, che si appoggiò allo schienale della
poltrona. Osservando Elizabeth, notò che dalla coda in cui aveva raccolto i capelli per cavalcare era sfuggito un ciuffo scuro, e le disse: «Siete sempre stupenda, sapete.» Lei gli rivolse un sorriso cinico. «Lieta di sentirlo, ma abbiamo cose più importanti di cui parlare. Se voi ritornaste e trovaste alloggio da qualche parte nei pressi di Gunnersbury House di sicuro riuscireste a scoprire qualcosa di più sull'omicidio di Emilia.» «Ma non posso tornare là, mi riconoscerebbero subito.» Elizabeth rimase in silenzio a fissare le fiamme del fuoco, che aveva preso bene e adesso stava iniziando a scaldare. «Ci vuole qualcuno che vi aiuti» disse alla fine. Lo speziale si irrigidì, domandandosi se stava interpretando nella maniera giusta quello che lei intendeva. «Volete dire voi?» chiese. I magnifici occhi color topazio di lei dardeggiarono. «Naturalmente» rispose. «A chi altro potrei riferirmi?» Lui si drizzò, stupito da quella proposta. «Intendete dire che sareste pronta a tornare là con me, un ricercato, a fare domande?» «Sì» rispose lei con semplicità. «Ma perché?» Lei si alzò con un certo nervosismo e si mise a camminare per la stanza, esaminando le candele. «Perché siamo amici.» «Ma questo va molto al di là degli obblighi dell'amicizia.» Lei si fermò e si voltò verso di lui. «Davvero? Non credo. Vi ho detto che ho ucciso l'uomo che mi inseguiva. È così che mi sono fatta questa...» Le sue dita sfiorarono la linea della cicatrice che le solcava la guancia. «Una donna capace di questo è anche in grado di fare qualche domanda per aiutare un amico.» «Sì, ma...» Lei alzò una mano e John si zittì. «Accettate e basta. Adesso, signor Rawlings, vi suggerisco di rimanervene qui nel Devon a riprendere le forze fino all'Epifania. Subito dopo, partiremo con la mia carrozza e ci fermeremo a Brentford, che credo sia vicino a Gunnersbury. Io andrò a cercare lavoro nelle vicinanze, o magari proprio a Gunnersbury House. Dopo di che ci consulteremo.» Lui le rivolse uno sguardo inespressivo, felice che qualcuno avesse temporaneamente assunto il controllo della sua vita. Per una volta, infatti, non aveva nessuna voglia di fare piani o qualsiasi altra cosa che non fosse obbedire a degli ordini.
«Se pensate che sia la cosa migliore.» «Sì.» Lei sorrise tra sé. «Che strano vedervi così acquiescente.» «Non ho l'energia per fare altro.» Elizabeth si piazzò di fronte a lui, si chinò in avanti e gli carezzò lievemente i capelli con la mano. «Il tempo guarisce tutto» disse, poi all'improvviso si voltò e andò alla finestra. «Sta incominciando a nevicare» notò. «È tempo di andarsene.» Lui mise il parafuoco davanti al camino e si voltò verso Elizabeth, intenta a spegnere le candele. «Possiamo portare una di queste di sotto?» «Perché? Non avrete paura del buio?» «In questa casa» ammise John «francamente ne sono terrificato.» Quando tornarono a casa trovarono sir Clovelly sveglio, che guardava fuori dalla finestra con aria scontenta. «Pensavo che vi foste persi» disse e scoppiò in una risatina stizzosa. Elizabeth di Lorenzi gli rispose con grande diplomazia. «Oh, mio caro, dovete scusarci per il ritardo. A dire il vero i cavalli si sono allontanati più di quanto pensavamo. Vi prego di perdonarmi per non essere stata qui a offrirvi qualcosa. Ma rimedierò subito. Un po' di sherry magari, per rinfrancarvi prima della serata?» Lui si rianimò. «Sì, accetto volentieri. Signor Rawlings, vi unite a me?» «Quando mi sarò lavato senz'altro. In questo momento mi sento un po' indisposto.» «John, adoperate pure i servizi e quello che volete. Posso offrirvi l'appartamento nell'ala occidentale?» «Temo di avere con me solo l'abito che ho indosso. Ho lasciato tutto il mio guardaroba a Londra.» «State benissimo così. Però se volete cambiarvi per cena posso procurarvi un abito.» «Sul serio?» chiese John, stupito. «Sul serio» ribatté la marchesa con decisione, scoraggiando ogni domanda sul proprietario dell'abito. Lui si inchinò alla superiore forza di volontà della donna e disse: «Mi farebbe piacere cambiarmi, marchesa. Se volete scusarmi, sir Clovelly» e lasciò la stanza per salire al piano di sopra. Stranamente si trattava di una parte della casa che non aveva mai visto e ne apprezzò la tranquillità e la magnificenza dell'arredamento. Il domestico
che l'aveva accompagnato si inchinò davanti a una delle porte. «L'appartamento è questo, signore.» Entrando John vide che tutto era realizzato in varie tonalità di verde. Osservò l'elegante tappezzeria, così delicata che non riusciva a capire se il motivo fosse grigio o di una tonalità più scura di verde. Il letto aveva una testiera dorata riccamente intagliata e due comodini ai lati. Lo speziale ipotizzò che fosse stato disegnato da Chippendale. Dovunque guardasse, scopriva un lusso non ostentato e ogni momento di più si rendeva conto che Elizabeth doveva essere una donna molto ricca. Andò al lavamani e si guardò nello specchio. Era senza parrucca, e i capelli gli crescevano disordinatamente in tutte le direzioni. Soprattutto, però, notò il viso. Sembrava fuori di sé. Aveva un'aria sofferente, con gli occhi spiritati e la bocca contorta in una strana smorfia. Ed era anche magro e sciupato, come se da quando aveva trovato Emilia morente avesse perso metà del suo peso. Senza molto entusiasmo, prese il pennello e il rasoio che la sua ospite gli aveva fatto trovare e si insaponò il mento. Si udì bussare ed entrò un domestico che portava un abito. Anche quello era verde scuro, con le brache di velluto e la giacca di satin. Non era all'ultima moda, ma se non altro gli andava bene. Grato, John lo indossò e uscì nel corridoio. Elizabeth stava scendendo le scale davanti a lui con indosso un abito cremisi. Accortasi della sua presenza, si voltò e sorrise. «Ah, il vestito vi sta a pennello.» «Vi ringrazio.» «Era di mio figlio. Aveva più o meno la vostra corporatura.» Anche lei aveva conosciuto le sofferenze della perdita, e per due volte nella vita, ricordò lo speziale, inchinandosi e offrendole il braccio. «Posso accompagnarvi di sotto, signora?» «Sì, signore.» E scesero insieme a cena. 11 Con un acciottolio di ruote sul selciato la carrozza di lady Elizabeth di Lorenzi si fermò davanti alla locanda dei Tre Piccioni a Brentford. Il cocchiere tirò le redini e fece arrestare la pariglia di cavalli che li aveva portati fin lì dal Devon, poi saltò giù da cassetta. «Va bene qui, milady?»
Lei si sporse dal finestrino facendo ondeggiare le piume del cappello. «Andrà benissimo, grazie.» «Bene, milady» e così dicendo Ruckley tirò giù la scaletta per permettere a Elizabeth di scendere. Venne immediatamente seguita da John Rawlings, che aveva un'aria un po' meno sparuta di quando era arrivato nel Devon, anche se era sempre magro e con il viso scavato. Insieme i due entrarono nel locale buio e rumoroso, mentre il cocchiere conduceva gli animali nelle stalle. Ci avevano messo otto giorni ad arrivare, con i cavalli che facevano circa trenta chilometri al giorno. Ogni notte si fermavano in una locanda, dove gli animali riposavano e venivano nutriti. Poi al mattino ripartivano. Era stato una specie di tormento, ma John si era fatto forza pensando che a ogni tappa si stava avvicinando all'assassino di Emilia. Era però ormai a corto di denaro e con un'espressione di scusa si rivolse alla marchesa. «Mi dispiace molto chiedervelo, ma potreste prestarmi qualcosa per pagare il conto?» «Ma certo. Domani ci troveremo un lavoro. Me li potrete restituire quando li avrete guadagnati.» Lui apprezzò la sua franchezza, ma si limitò a dire grazie. Erano diventati molto formali l'uno con l'altra, in parte per sopravvivere a tutte quelle ore insieme sballottati dentro una carrozza, in parte per altre insondabili ragioni che John non riusciva a spiegare. Il fatto però rimaneva. Sotto certi aspetti adesso conosceva la marchesa meglio di prima, per altri lei rimaneva una completa estranea. Il padrone della locanda, il classico uomo di campagna dal viso rubizzo, si affrettò ad andare loro incontro. «Buongiorno, signori. In cosa posso esservi d'aiuto?» «Vorremmo due camere per noi e una terza per il mio cocchiere. È possibile?» «Ma certo, signora. Se volete seguirmi.» Le si rivolse a John: «Ho bisogno di bere qualcosa.» E poi, volgendosi nuovamente al locandiere: «Portate per favore il nostro bagaglio in camera, noi saliremo più tardi. Immagino che il mio cocchiere se ne andrà subito nelle cucine. Trattatelo bene.» Dopo di che entrò in una delle sale private a disposizione dei viaggiatori che era chiamata l'Unicorno. Una volta dentro, si tolse il cappello e la massa dei capelli le ricadde sulle spalle. «Che viaggio» disse lei, sventagliandosi con l'ala del cappello. «Pensavo
che non ce l'avremmo mai fatta.» John ridacchiò. «È che avete insistito per tenere sempre gli stessi cavalli.» «Per quello e anche per il fatto che diventa buio così presto. Ih ogni modo i miei animali sono troppo belli per lasciarli. Non sono dei vecchi brocchi di campagna, dovreste saperlo.» «Tutto quello che possedete è degno di nota» rispose John. Lei gli lanciò uno sguardo enigmatico e cambiò discorso. «Avete scritto a vostro padre? E a Joe Jago?» «Certamente. Ho riferito loro che stavo tornando a Londra e che avrei presto fornito loro l'indirizzo dove potevano trovarmi.» «Bene.» Venne un cameriere a prendere le ordinazioni, così rimasero in silenzio finché non furono di nuovo soli. Poi lo speziale sospirò. «Immagino che il funerale di Emilia ci sia già stato. Mi chiedo dove riposi ora.» «Nel cimitero di St Mary a Kensington, ne sono sicura. Potrete andarla a trovare, John.» Lui fece un sorriso triste. «Raccontatemi della morte di vostro marito. Come vi siete sentita?» Lei posò il cappello. «Ve l'ho già raccontato. Luciano è morto per strada, con la spada in pugno. Io non ero con lui. Non c'era nessuno con lui, tranne il suo assassino, l'uomo che mi stava seguendo da mesi. Ma il mio caso non era come il vostro. Io sapevo chi era stato. Così ho scovato il mio inseguitore e l'ho ucciso. Poi sono fuggita e sono tornata in Inghilterra.» «Ucciderò chiunque abbia ucciso Emilia, quando lo scoverò.» «Sì e avete tutto il diritto di farlo. Ma siate attento. Prima dovete farlo confessare davanti a dei testimoni attendibili, oppure finirete sul patibolo a Tyburn.» Si portò la mano alla gola e tirò fuori la lingua, uno spettacolo così divertente che John fece una delle sue rare risate. «Mi spiace, ma eravate così buffa.» «È bello sentirvi ridere ancora» rispose Elizabeth. «Non lo fate molto spesso, di questi tempi.» «Mi spiace. Temo di essere stato un compagno di viaggio piuttosto sgradevole.» «No, voi non lo siete mai. Nonostante tutti i vostri problemi e le sofferenze, possedete sempre quella gaiezza di spirito che è una parte essenziale
della vostra personalità.» «Mi fa piacere.» Si udì un colpo alla porta ed entrò il cameriere con una bottiglia di vino delle Canarie. John riempì due bicchieri, poi sollevò il suo. «A voi, Elizabeth. Grazie per tutto quello che state facendo.» Lei lo guardò tranquilla. «Non siate precipitoso, amico mio. Potrete fare il brindisi quando avremo raggiunto il nostro obiettivo.» Lo speziale annuì, avvilito. «Molto bene. Al nostro successo.» «Beviamo a quello.» La marchesa svuotò il bicchiere. «Adesso, John, mi avete parlato di un travestimento. A cosa pensavate?» «Non so. Avevo in mente un qualche abito da lavoro. Non saprei esattamente.» «Mmh.» Elizabeth ci pensò su. «Che tipo di lavoro sperate di trovare?» «Di nuovo non saprei. Forse da bracciante. Come vi ho detto, non potrò entrare a palazzo, così dovrò accontentarmi di qualche lavoro nelle vicinanze.» «Ci sono molte fattorie nei dintorni. Forse potreste provare lì. I capelli rossi!» «Che intendete?» «Se riuscissi a trovare un po' di henna potrei provare a schiarirvi i capelli. Dovrebbe funzionare.» «Sì, ci sto. Pensate che possa camuffarmi a sufficienza?» «Sì, se è abbastanza chiaro. Dovreste diventare proprio color carota. Dov'è che possiamo comprarne?» John sorrise. «Potreste provare dallo speziale di qui.» Elizabeth ci pensò su. «Manderò il cocchiere. Non voglio farmi vedere in giro. Probabilmente il personale del palazzo frequenta i negozi e il mercato. Vedete, io ho intenzione di infiltrarmi proprio a Gunnersbury House. Mi troverò un posto da domestica.» John rimase scioccato. «Ma non potete.» La marchesa scosse la testa. «Vi sbagliate. Sono stata povera in canna, in vita mia, e ho dovuto lavorare sodo. Non ho paura di mettermi a strofinare pavimenti.» Lo speziale era senza parole, in muta ammirazione di quella donna. «E allora finiamo questa bottiglia e poi andrò a cercare Ruckley e gli dirò di passare dallo speziale. Lo rimanderò comunque a casa domani.» «Ma come farete senza la carrozza?» «Camminerò» rispose semplicemente Elizabeth, e gli sorrise da sopra il
bicchiere. Quella sera John si tinse i capelli, tenendovi applicata a lungo la pasta di henna. Quando alla fine si sciacquò, i suoi riccioli, normalmente color cannella, si erano schiariti di diverse tonalità e adesso erano del colore del rame. Si guardò di sbieco nello specchio. «Non credo che qualcuno mi riconoscerà.» «L'idea era proprio questa» rispose Elizabeth. Si trovavano in camera di lei, chini sopra la catinella, dove l'acqua aveva assunto un colorito sanguigno. Vedendola John all'improvviso rammentò le ferite di Emilia, ma si sforzò di scacciare quel pensiero. Però qualcosa nei suoi modi dovette tradirlo, perché Elizabeth si affrettò a dire: «Svuoterò questa roba nel secchio e lo porterò giù. Non voglio che alla cameriera vengano gli incubi.» E prima che lui potesse controbattere, aveva versato fuori l'acqua, ripulito la bacinella e, sollevandosi la gonna, era uscita con il secchio. Mentre attendeva che i capelli si asciugassero, John si sedette davanti allo specchio e incominciò a preparare un piano d'azione. C'erano diverse fattorie attorno alla proprietà di Gunnersbury House. Durante il suo viaggio fatale ne aveva intraviste due, anche se non ne conosceva i nomi. Gli sarebbe andato bene trovare lavoro in una di quelle. Però era il periodo dell'anno in cui i fattori lasciavano a casa la gente, piuttosto che assumerne. I lavori estemporanei, come la fienagione o la raccolta delle mele, erano strettamente stagionali. Eppure sperava di essere tanto fortunato da trovare qualcosa, se lo augurava per sé e per Elizabeth. Vide che i capelli si erano asciugati. Erano ancora più chiari di quanto pensasse. In effetti, alla luce del tramonto sembrava che avessero preso fuoco. Dopo averli pettinati in avanti sulla fronte, lo speziale si guardò allo specchio. Con gli occhi seminascosti dai riccioli, solo il naso e la bocca erano visibili, e quelli difficilmente lo avrebbero tradito. Bisognava osservarlo molto da vicino per riconoscerlo. Soddisfatto, John attese il ritorno di Elizabeth. Il mattino seguente si alzarono presto per accomiatarsi da Ruckley, che si avviò in carrozza lungo la strada che percorreva la diligenza per Exeter. Mentre facevano colazione la sguattera non fece che guardare i capelli di John. Alla fine pagarono il conto e lasciarono i Tre Piccioni, incamminandosi verso Gunnersbury House. Elizabeth era irriconoscibile. Si era scurita la pelle e aveva sciolto i lun-
ghi capelli bruni, in modo da sembrare una contadina. Indossava un abito scuro, rammendato qua e là, un camiciotto bianco e uno scialle rosso. Ai piedi aveva un vecchio paio di scarpe rosse. «Leggetemi la mano» la invitò John, impulsivamente. «È questo che sembro? Una zingara?» «Potreste esserlo.» «Farò meglio a schiarire la pelle, altrimenti non mi daranno lavoro.» «Potete lavarvi in qualche pozza qui attorno. È pieno di sorgenti lungo la strada.» Si stavano avvicinando a Butts, un agglomerato di casette di mattoni, al centro delle quali si trovava un mercato. C'erano bancarelle che vendevano un po' di tutto, dai guanti ai barilotti di vino. In aggiunta, i fattori locali avevano portato i loro prodotti da smerciare: galline, anatre e persino pecore, insieme alle verdure invernali e alle uova. John non poté non notare, con un certo divertimento, che Elizabeth aveva adottato il passo di una popolana e camminava ancheggiando. Passarono vicino a banchetti dove erano in vendita vestiti fatti in casa, tessuti dalle donne mentre i loro uomini lavoravano nei campi. Elizabeth si fermò e prese un giubbotto di pelo di montone. «Penso che dovreste indossare questo...» incominciò a dire, ma si interruppe quando un robusto giovanotto, che stava anche lui guardando i capi in vendita, venne improvvisamente afferrato da dietro e sollevato di peso. «Ehi!» protestò l'uomo. «Ti conosco» fu la risposta. «Sei Tom Thatcher, e sei un ladro.» «Non è vero» rispose il primo, ma non poté dire altro perché improvvisamente gli arrivò un pugno in bocca, che gli fece sputare un dente marcio. Quasi subito scoppiò il finimondo. John tentò di allontanarsi, trascinandosi dietro Elizabeth, ma non ne ebbe la possibilità. Tutti quanti i braccianti avevano preso a fare a pugni, e lui, volente o nolente, fu costretto a difendersi. Un giovane gigante dalla zazzera bionda gli mollò un gancio, lo speziale lo schivò e abbatté il suo aggressore con un pugno allo stomaco che lo fece piegare in due. Brutalmente afferrato al collo da dietro, John si voltò per vedere con chi doveva battersi ora. Era un uomo sulla cinquantina, con il volto segnato di chi vive all'aria aperta. Ma prima che potessero mettersi a lottare, il nuovo arrivato fu abbattuto da un colpo di mazzuolo in testa e cadde a terra malamente. Dato che si trovava proprio in mezzo alla mischia, John lo afferrò per le braccia e riuscì a trascinarlo tra due bancarelle, dove non potevano fargli del male.
Elizabeth nel frattempo si era arrampicata su una bancarella abbandonata e osservava la rissa con interesse. «C'è una banda al lavoro» gridò a John. «Li ho visti che facevano man bassa sulle bancarelle.» E in effetti c'erano uomini e donne che si stavano infilando degli oggetti nelle tasche con grande destrezza. Evidentemente lo scontro era stato provocato ad arte per poter compiere i furti. Lo speziale si chinò allora sul suo paziente, che aveva ripreso conoscenza e stava incominciando a sudare per il dolore. «La mia gamba» gemeva. «Penso che sia rotta. Portatemi da un dottore.» John stava per dire: "Sono uno speziale", ma poi ci ripensò e fece: «Io me ne intendo un po'.» Tra gli urli di dolore dell'uomo, gli raddrizzò la gamba. Era evidente che era rotta in due punti, sotto l'anca e alla caviglia. Si rivolse a Elizabeth. «Portatemi un bastone lungo, più in fretta che potete.» Lei si alzò e sparì in mezzo alle bancarelle, tornando alla fine con un bastone da pastore che era riuscita a procurarsi in qualche modo. «Questo va bene?» «Benissimo. Possiamo tagliare il gancio dopo. E adesso, mia cara, potete sacrificare una sottana?» Ma non ebbe neppure bisogno di dirlo. Elizabeth se n'era già tolta una e la stava riducendo a strisce. Sforzandosi di fare del proprio meglio, John steccò la gamba rotta con il bastone. La rissa, intanto, stava terminando. La banda di ladri probabilmente era riuscita a sgraffignare tutto quello che si poteva portar via. Per di più qualcuno aveva avuto il buon senso di fischiare per far uscire la gente dalle case. Ormai stava tornando l'ordine e la girandola di pugni era alla fine. Cautamente John alzò la testa e vide solo ferite superficiali in giro. Diversi infortunati erano seduti a terra e si tenevano il capo. Si voltò verso l'uomo di cui si era preso cura. «Ho fatto quello che potevo per voi. Adesso, però, come farete a tornare a casa?» L'uomo, che aveva tenuto le labbra serrate, adesso le aprì. I suoi occhi, vividi come raggi di sole e azzurri come nontiscordardimé, fissarono quelli di John. «Vi ringrazio, amico mio» disse ansimando. «Sono venuto qui con il carro. È quello marrone con il cavallo pezzato legato a un albero.» «Vado a prenderlo io» disse John. «Dove siete diretto?»
«Sono Hugh Bellow di Bellow Farm. Si trova dall'altra parte di Gunnersbury House, l'abitazione più vicina. La conoscete?» «No, ma la troverò. E adesso proviamo ad alzarvi!» Con l'aiuto del guantaio, dalla cui bancarella era partita la rissa, riuscirono a mettere in piedi Hugh, che lanciava qualche piccolo urlo di dolore di tanto in tanto, ma per lo più si morse le labbra, poi lo issarono sul carro e lo fecero sedere con la gamba tesa. «Solo un minuto, prendo il bagaglio» disse John. Saltò giù e raccolse due piccoli fagotti. Nel suo aveva infilato le medicine, dato che non concepiva l'idea di viaggiare senza alcune cose essenziali a portata di mano. Lo aprì e tirò fuori una bottiglietta piena di un liquido biancastro, il succo di papavero da oppio già pronto. Con attenzione ne versò una dose. «Ecco qui, bevete.» Hugh lo guardò sospettoso. «Cosa sarebbe?» «Vi allevierà il dolore. Credetemi.» Il fattore la buttò giù. «Siete uno strano bracciante.» «Ha studiato con uno speziale per un po', signore» intervenne Elizabeth. «Quindi sa cosa fare in queste situazioni.» Hugh la guardò. «Siete sua moglie, giovane signora?» Uno splendido sorriso illuminò gli occhi di Elizabeth. «Vi ringrazio!» «Di cosa?» chiese Hugh, perplesso. «Di avermi chiamato giovane signora» rispose lei, e improvvisamente scoppiò in una risata che si trasformò in una canzone. Aveva una voce profonda, bella e intonata. Lo speziale pensò a Emilia, che aveva una voce dolce e gentile, così diversa da quella di Elizabeth. La limpidezza della voce della moglie, così acuta e giovanile, aveva sempre fatto presa sulle corde del suo cuore. Quello che stava ascoltando era invece il canto sensuale di una sirena. Fu un sollievo lasciare il villaggio di Brentford e inoltrarsi in aperta campagna. John, con le redini tenute lente in mano, si sentiva rilassato e si augurò di poter ricordare quel momento, con Elizabeth che cantava spensierata e Hugh Bellow appisolato per via dell'oppio. Mentre il cavallo avanzava tranquillamente in Brentford Road, John si girò a guardare verso Gunnersbury Lane. Alla sua sinistra si ergeva Gunnersbury House con accanto, chiaramente visibile, la scura macchia di alberi dove si era consumata la tragedia che gli aveva sconvolto la vita. Si voltò indietro e vide che Hugh continuava a dormire, mentre Elizabeth,
rendendosi conto di quanto fossero vicini, aveva improvvisamente smesso di cantare. «Ecco» sussurrò lui «tra quegli alberi. È là che l'ho trovata moribonda.» La sua voce suonò stridula, e se ne accorse persino lui. Elizabeth guardò il punto che lui le indicava. «L'assassino doveva nascondersi in mezzo al fogliame.» «Sì.» Vi fu un sussulto nella sua voce, ma riuscì a dominarsi. «Se vi alzate riuscirete a scorgere il profilo della casa.» «Mmh. Così è lì che lavorerò.» «Come fate a dirlo, Elizabeth? Magari la corte è tornata a Londra e il palazzo è chiuso. Come potete esserne così sicura?» «Perché sono determinata» rispose. «Cercano sempre gente per le mansioni più umili. E voi?» «Chiederò a Hugh Bellow di raccomandarmi a qualcuno quando si sveglia.» «Mi chiedo dove sia la sua fattoria.» «Se non mi sbaglio è quella a sinistra.» John guardò oltre i campi dove, sulle rive di un ruscello, si intravedeva una fattoria con pecore e vacche che pascolavano. «Penso che abbiate ragione. Fatemi scendere in cima alla strada e andrò direttamente a palazzo. Ci incontreremo qui questa sera alle sette. Non discutiamone adesso.» Anche se a John non piaceva l'idea di lasciarla andare, aveva ben poco da scegliere. Fermò il carro e la guardò allontanarsi, agile e aggraziata. «Non dimenticatevi di lavarvi la faccia» le urlò. «Lo farò, non preoccupatevi.» Si diresse velocemente verso la residenza, salutando con la mano finché non sparì. John svoltò a destra, dando le spalle a Gunnersbury House, e procedette lungo Brentford Lane. Il torrente era solcato da un rozzo ponticello. John vi passò sopra per poi girare di nuovo a destra, seguendo il sentiero che portava alla fattoria. Sulla porta di casa apparve una donna, che osservò sospettosamente lo straniero che guidava il carro. Poi vide Hugh Bellow sdraiato dietro e gli corse subito incontro. «Hugh» gridò spaventata. «Va tutto bene, amore?» «Il signor Bellow si è rotto una gamba, signora» spiegò educatamente John. «L'ho portato a casa dal mercato.» Lei però era già corsa via urlando: «Jake, vieni qui ad aiutare tuo padre.»
Lentamente, John smontò dal carro e, voltatosi indietro, guardò tra gli alberi. In distanza si intravedeva il tetto di Gunnersbury House. Quello sarebbe stato un posto di osservazione ideale. Poi tornò a voltarsi verso la donnetta che si affaccendava a dare ordini, senza però ottenere molti risultati. «Signora» disse John, facendole un inchino compito «permettetemi di presentarmi.» 12 Era sera, il periodo più tranquillo della giornata. Jacob Bellow, che a quanto pareva era il factotum della fattoria, per quel giorno aveva terminato e adesso se ne stava seduto nel cantuccio presso il focolare, a tracannare un grosso boccale di birra. Quasi non aveva rivolto la parola a John e lo speziale era arrivato alla conclusione che doveva sentirsi minacciato dalla sua presenza. Non che lui avesse molto tempo per preoccuparsi di una cosa simile, dato che per tutto il pomeriggio si era preso cura di Hugh Bellow. Aveva sistemato la gamba su un'asse, questa volta se n'era procurata una di lunghezza e larghezza giusta. Aveva anche adoperato delle vere bende per fasciare per bene l'arto danneggiato, non troppo stretto per non bloccare la circolazione. Nel frattempo Hester Bellow era rimasta a guardare, e alla fine aveva chiesto: «Siete un dottore?» Rendendosi conto che doveva stare attento, John aveva sospirato e aveva risposto: «No, signora. Ho fatto semplicemente da assistente a uno speziale per un anno.» «Be', direi che avete imparato un bel po' di cose. Avete un garbo... Siete così delicato e allo stesso tempo così deciso.» John si era alzato. «Grazie, signora, faccio del mio meglio.» «Nessun medico avrebbe potuto fare di più. Ma dove alloggiate signor Rawlings? A Brentford?» «No, a dire il vero sto cercando un posto dove stare, e anche un lavoro. Ero nel Devon ma sono tornato qui nel sud per essere più vicino a mio padre.» «E dov'è che abita?» «A Kensington, signora.» La signora Bellow lo aveva osservato pensierosa. «Be', ci farebbero comodo un paio di braccia in più, adesso che Hugh deve starsene a letto.» Lo speziale dentro di sé si rallegrò, pur cercando di mantenere un'espres-
sione distaccata. «Mi piacerebbe molto, signora. Mi darebbe modo di rimettermi in sesto finché non trovo qualcosa di più stabile.» «Be', allora siamo d'accordo. Sempre che Hugh non abbia nulla da obiettare. Ma non credo proprio.» «Aspetterò allora una conferma per domani.» Prima di sistemare la gamba, infatti, lo speziale gli aveva dato un'altra dose di oppio per alleviare il dolore. Per il momento era stato invitato a fermarsi per la notte e sedeva davanti al fuoco di fronte a Jacob Bellow, bevendo un grosso bicchiere di vino di sambuco fatto in casa e osservando l'uomo che, al contrario dei suoi genitori, chiaramente non gradiva affatto la sua presenza in casa propria. «È stata una bella giornata» provò a dire John. «Ah» rispose Jake. «Grazie a Dio la neve se ne è andata.» «Sì.» «Sono passato da queste parti a Natale. Il tempo era pessimo.» «Già.» John decise di rischiare. «Signor Bellow, se volete che rimanga zitto posso benissimo farlo. È solo che pensavo che potevamo essere un po' più amichevoli.» Jake per la prima volta si girò a guardarlo. «Perché?» «Perché forse potremmo lavorare insieme, per un po' di tempo.» «Forse.» Calò il silenzio e John, che era tornato a fissare il fuoco, si sentì squadrato attentamente. Lanciò un'occhiata a Jacob. Era un giovane basso e tozzo, con i capelli biondi come suo padre e gli occhi grigi e cattivi. Per un istante gli fece venire in mente Priscilla Fleming. Non che ci fosse una qualche somiglianza tra i due, però fissavano la gente allo stesso modo. Ma mentre lei era pallida, Jacob aveva una carnagione colorita, con i pomelli rossi sulle guance, prodotti senza dubbio dal lavoro all'aria aperta. In breve, era piuttosto brutto e aveva un carattere che si addiceva alle sue fattezze. Incrociando il suo sguardo, John gli fece un sorriso, che l'altro non contraccambiò. Pensando che il modo migliore di trattare un individuo così taciturno fosse quello di ignorarlo, lo speziale finì il suo bicchiere e si alzò. «Penso che andrò a prendere una boccata d'aria.» «Fate pure» disse Jacob, e si accese una pipa dal cannello lungo, dalla quale iniziò a tirare gran boccate.
Rendendosi conto di essere stato congedato, John uscì e consultò il suo orologio. Fuori era buio ma la luce che proveniva dalla porta gli permise di vedere che erano le sei e mezzo. Se si metteva subito in marcia sarebbe riuscito ampiamente ad arrivare in tempo per il suo appuntamento con Elizabeth. Dopo aver atteso qualche istante per far abituare gli occhi all'oscurità, lo speziale si infilò un vecchio mantello che trovò appeso a un chiodo e si mise in cammino. Gli ci vollero dieci minuti per arrivare in cima al viale e per tutto il tempo fu guidato dal mormorio dell'impetuoso ruscello, che sembrava lì per tenergli compagnia. Girò a sinistra e attraversò il ponticello, dirigendosi verso il palazzo lungo Brentford Lane. A un certo punto, però, sentì distintamente un rumore di zoccoli e ruote e si gettò a terra dietro la siepe. Gli passò davanti una carrozza, che avanzava lentamente sulla strada dissestata. John ne spiò l'interno e riconobbe tre donne: lady Kemp e lady Featherstonehaugh, sempre incredibilmente simili, insieme alla sgradevole lady Theydon. La corte dunque non era tornata a Londra ma era ancora riunita a Gunnersbury. Augurandosi che Elizabeth avesse raggiunto il suo obiettivo e si fosse fatta assegnare un lavoro a palazzo, John proseguì con circospezione. Lei sbucò fuori dalle tenebre come un'ombra, sussurrando il suo nome. «John?» «Sì, sono io.» Elizabeth andò subito al sodo, secondo la sua abitudine, una delle caratteristiche che John ammirava di più in lei. «Avete trovato un lavoro da Bellow?» «Sì, penso che mi offriranno qualcosa, visto che lui è infortunato. C'è però un figlio scontroso che non mi sopporta.» Lei sorrise nell'oscurità. «C'è sempre qualcuno.» «E voi? Cos'avete fatto?» «Vi avevo detto che ci sarei riuscita. Devo pulire le cucine e svuotare i vasi da notte. Ma almeno sono là dentro.» Le afferrò il braccio. «Siete sicura di farcela?» La donna annuì e lui cambiò discorso. «Presumo che la corte sia ancora lì.» «Sì. Pare che la principessa sia rimasta troppo turbata dall'omicidio per affrontare il trambusto del trasferimento. La poveretta si è presa l'influenza e adesso si sta rimettendo lentamente. Naturalmente stanno aspettando che lei migliori prima di far fagotto e tornare a Londra.» «Capisco, eppure...»
John non terminò la frase. Si udì infatti il rumore di un'altra carrozza. Senza dire una parola, si rituffò dietro la siepe, trascinandosi dietro Elizabeth. Era una delle attrici che avevano preso parte alla recita di Natale, anche se relegata in un ruolo minore. Delicata come una nuvola di primavera, di quelle pronte a gettare lo scompiglio sulla terra, lady Georgiana aveva la fronte aggrottata ed era girata per guardare fuori, evitando lo sguardo dell'altro passeggero. Anche se non lo vide, John capì di chi si trattava. Era quell'uomo alto e magro, più anziano di lei, che le aveva baciato la mano. «Ci ha visti» commentò Elizabeth, alzandosi. «Chi è, lo sapete?» «Lady Georgiana Hope. Aveva una parte nella recita a cui ha partecipato Emilia.» «E l'uomo che è con lei?» «Non lo so. Ma a giudicare dal suo aspetto è qualcuno che la concupisce.» «E lui ha a che fare con la corte?» John scosse la testa. «Anche a questo non so rispondere.» «Lo scoprirò io» rispose Elizabeth in quel suo modo volitivo che una volta, in un'altra vita, aveva così affascinato John. Si voltò verso di lei, osservandola al chiaro di luna. Si era lavata il viso e adesso non aveva più alcun tipo di belletto. Era uno spettacolo impressionante, con quella vistosa cicatrice illuminata dalla luna, eppure, allo stesso tempo, era splendida. In altre circostanze il cuore di John si sarebbe messo a battere all'impazzata, ma adesso si sentiva svuotato di ogni sentimento, incapace di provare qualsiasi emozione. Elizabeth, guardandolo con un mezzo sorriso, sembrò rendersene conto e si voltò. «Ve ne state andando» disse John, ed era un'affermazione, non una domanda. «Sì, non ho nient'altro da riferire. Ci incontreremo domani sera alla stessa ora.» «Ma non nello stesso posto. Incontriamoci sotto il ponte. Saremo più appartati là.» Lei sorrise. «Lontani dalla gente che sbircia dalle carrozze.» «Precisamente.» Lui le afferrò una mano. «Elizabeth, grazie per tutto quello che state facendo. Questo va molto al di là dell'amicizia.» «Sciocchezze. Mi stavo annoiando terribilmente. Almeno adesso ho uno scopo da raggiungere.» «Che comprende svuotare i vasi da notte e accendere i camini?»
Un sorriso le illuminò il viso. «E strofinare i pavimenti delle cucine, non dimenticate.» «Non lo dimenticherò mai» rispose lui. «Buonanotte» replicò lei, e se ne andò. John si mise a camminare al buio, pensando che a meno di un chilometro di lì sua moglie aveva esalato l'ultimo respiro. All'improvviso provò il dilaniante desiderio di rivedere Rose, la bambina alla quale lei aveva dato la luce. Pensando che il giorno dopo doveva assolutamente scrivere a sir Gabriel, John tornò alla fattoria e se ne andò direttamente nella sua camera. Si alzò un'ora prima dell'alba, rabbrividendo al freddo e al buio. Spedito nei campi da quel musone di Jacob Bellow, si occupò delle vacche e delle pecore, riempiendo le loro mangiatoie e controllando la scorta d'acqua, poi tornò alla fattoria a fare colazione proprio quando il sole cominciava a rischiarare i pascoli. Era un'alba come non ne aveva mai viste. Il cielo si tinse di rosa per qualche minuto prima che spuntasse il sole, e a quel punto ogni cosa assunse quella splendida tonalità rosata. Lo speziale ne fu estasiato e lasciò che i suoi occhi assorbissero tutto quel colore, rimpiangendo per la millesima volta che Emilia non fosse con luì, a godersi un simile spettacolo. Poi si bloccò, perplesso. Là in fondo, nel campo più distante, una sagoma scura si stagliava contro il sole nascente e guardava in direzione di Gunnersbury House. «Emilia» gridò, ma non riuscì a emettere che un suono stridulo. Lei fece per girarsi, come se avesse sentito qualcosa. Poi gli diede di nuovo le spalle e si incamminò lentamente verso il palazzo. «Emilia, aspetta» gridò ancora lui, e per un attimo chiuse gli occhi. Quando li riaprì lei non c'era più: sparita. Rabbrividendo violentemente, non solo per il freddo, John Rawlings tornò alla fattoria. «Hugh ha detto che è d'accordo che rimaniate fino a quando non si sarà rimesso in piedi» annunciò Hester Bellow, mentre tagliava spesse fette di pane e le posava sul piatto dello speziale. «Vi sono molto grato» borbottò John masticando un pezzo di formaggio. «Magari più tardi potete andare a vedere come sta» continuò lei, tagliando del prosciutto e aggiungendolo alla colazione di John. «Naturalmente. Con piacere.»
Jacob lo guardò storto. «Bisogna tagliare le canne sulla riva del fiume oggi. Appena avrete visitato mio padre potete incominciare.» «Sì, signore» rispose umilmente John. Hester protestò. «Jake, lascia che questo poveretto finisca la sua colazione in pace. È nei campi dalle cinque.» «Dalle cinque!» sbuffò Jacob. «Nella stagione degli agnelli io mi alzo alle tre.» «Be', non ci siamo ancora» ribatté lei, e aggiunse altre due fette di carne nel piatto già strapieno dello speziale. «Per favore, signora Bellow, ne ho più che abbastanza. Non datemene altre, vi prego.» Da quando Emilia era morta il suo appetito era molto diminuito. Era vero che adesso stava mangiando un po' di più, ma quella montagna di cibo lo faceva quasi star male, tanto che, con grande dispetto di Jacob, dovette lasciarne intatta una buona parte. In effetti fu quasi un sollievo salire di sopra per andare a trovare il suo datore di lavoro. Hugh se ne stava a letto, con la gamba steccata fuori dalle coperte. «Be' signore, come state questa mattina?» chiese allegramente lo speziale. «Molto meglio, grazie a voi. Avete fatto un ottimo lavoro. Non credo che sarà necessario chiamare un medico, dopo tutto.» «Penso che dovreste, invece. Potrà prescrivervi delle altre medicine. Ne ho portato con me una scorta molto limitata.» Hugh aveva un'aria pensierosa. «Ci sono delle cose che non capisco. Ditemi, giovanotto, avete passato solo un anno con uno speziale? E come mai avete interrotto l'apprendistato?» John esitò, pensando che a quel punto mentire sarebbe stato pericoloso. «Signore, vi ho mentito. Io sono effettivamente uno speziale ma, per ragioni che non vi posso rivelare per il momento, ho lasciato il mio negozio.» Hugh si fece ancora più serio, e alla fine chiese: «Ditemi, avete qualcosa a che fare con quanto è successo di recente a palazzo?» John si sedette pesantemente sul bordo del letto ma non disse nulla. «Abbiamo sentito che la moglie di un giovane speziale è stata assassinata e che è stato lui a ucciderla.» «Allora vi hanno riferito male, signore. Non sono stato io. Amavo mia moglie con tutta l'anima. L'ho trovata moribonda e mi sono accasciato accanto a lei. Alcune persone sono uscite dal palazzo e mi hanno accusato
dell'omicidio, ma sono riuscito a scappare. Adesso sono tornato per trovare l'assassino di mia moglie e consegnarlo alle autorità.» Pensò che fosse meglio tenere per sé la sua intenzione di uccidere il responsabile, quando l'avesse scoperto. Hugh rimase ad ascoltare in silenzio. Alla fine disse: «Vi credo e mi fido di voi. Dunque giova a entrambi che lavoriate qui per qualche tempo.» «Proprio così, signor Bellow.» «Be', potete andare a palazzo anche subito, se volete. Consegniamo uova, pane e latte tutti i giorni. Dite a Jacob che vi ho detto io di andarci.» «Ma se mi riconoscono?» «Prendete un grosso cappello e calcatevelo bene in testa. Nessuno vi collegherà a quel rispettabile gentiluomo che dovevate essere. Adesso andate a caricare il carro.» Quanto era strano tornare di nuovo a Gunnersbury House, pensò John procedendo al trotto lungo Brentford Lane. Ripensò alla sua fuga, in cui era stato chiaramente aiutato da Priscilla, per non parlare di Irish Tom. In che condizioni miserabili si trovava allora, un disgraziato capace solo di piangere. Ma ora era intenzionato a non versare più una lacrima finché quella triste faccenda non si fosse conclusa. Era infatti sicuro che là da qualche parte, all'interno del palazzo, si celasse l'assassino di Emilia, tutto fiero del suo apparente trionfo. «Aspetta e vedrai» disse John, per poi rendersi conto di aver parlato ad alta voce. Alla sua sinistra, oltre il viale, c'erano gli orti e i frutteti. Tutto sembrava così nero e spoglio in quella stagione. In effetti, a parte un gruppetto malandato di cavoli invernali non c'era nulla di colorato. Alla sua destra però si ergevano le grandi colonne di Gunnersbury House. Temendo di poter essere riconosciuto anche a quella distanza, John si calcò bene il cappello in testa e guidò il carro fino alle cucine, dove smontò. Uscì uno sguattero. «Salve. Hai portato le cose che abbiamo ordinato dalla fattoria?» «Sì. Scusate se sono un po' in ritardo, ma il signor Bellow ha avuto un incidente e ho dovuto prendere io il suo posto.» Lo sguattero si voltò e urlò: «Signore, venite, per favore. Il signor Bellow ha avuto un incidente.» Apparve un uomo più vecchio, che stava asciugandosi le mani con uno strofinaccio. «Cos'è successo?»
«Il signor Bellow si è rotto una gamba» rispose John, porgendo all'uomo un cestino che conteneva quattro dozzine di uova. «Caspita! E com'è successo?» «È rimasto coinvolto in una rissa a Brentford ieri. Io sono il nuovo bracciante. Mi chiamo Will. Dove volete che metta il pane?» «Sul tavolo di cucina, lontano dagli occhi del cuoco. Non sopporta che la principessa Amelia preferisca il pane della signora Bellow al suo. È geloso.» Per la prima volta dall'omicidio di Emilia, John entrò a Gunnersbury House, portando un grosso cestino pieno di pagnotte appena sfornate, avvolte in panni e ancora calde. Stava appunto posandolo sul tavolo quando udì del trambusto fuori dalla porta e si fermò per dare un'occhiata. Una donna arrivò di corsa in cucina e prese subito a inveire contro tutti i presenti. «Pigri buoni a nulla. La principessa è di sopra che chiede la sua colazione e voi dite che il pane non è ancora arrivato.» «Eccolo, signora» borbottò John, tirandosi ancora più giù il cappello. «Era ora. Sapete che chiede sempre un paio di fette di pane con il tè.» La donna si interruppe. «Oh, tu non sei Bellow.» «No, signora. Il padrone è indisposto. Sono il nuovo aiuto.» La donna si avvicinò. «Capisco. E quanto ci metterà Bellow a rimettersi in piedi?» «Un mese buono. Si è rotto una gamba.» John si sforzava di adoperare un'inflessione campagnola, sperando di camuffare la sua voce. Da sotto la tesa del cappello, che le regole della buona educazione avrebbero imposto di togliere, osservò la donna, rendendosi conto, turbato, che la conosceva. La cosa divenne evidentissima quando notò gli occhietti porcini. Stava parlando con Priscilla. «Spero che questo non significhi che d'ora in avanti consegnerai tutto in ritardo.» «Al contrario, signora. D'ora in poi farò le consegne anche prima di lui.» Si accorse che lei lo stava squadrando da capo a piedi. «Ti ha mai detto nessuno che è buona educazione levarsi il cappello quando si entra in casa?» «No, signora.» «Be', è così. E quindi fallo.» "Oddio" pensò John "mi riconoscerà di sicuro." Fece l'unica cosa che gli rimaneva da fare: se ne andò.
«Qualcuno mi dà una mano con i bidoni del latte? Non vorrei far aspettare la principessa.» E prima che qualcuno potesse fiatare, aveva già varcato la porta, tornando dal carro. Dietro di sé udì la donna che diceva: «Che sfacciato. Chiederò che mandino qualcun altro in futuro.» Lui però stava già scaricando un bidone dal carro, con l'aiuto dello sguattero. La donna uscì dalla cucina con un fruscio di vestiti, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata indagatrice a John. Sperando che Priscilla non l'avesse riconosciuto, lo speziale si affrettò a scaricare il latte. 13 Era già tardi quando John Rawlings riuscì a sgattaiolare via dalla fattoria, lasciando Jacob e sua madre a sonnecchiare davanti al fuoco. Tirò fuori l'orologio e quando si accorse che erano già le sette e mezzo si mise a correre nella notte argentata. C'era un'aria gelida, le stelle brillavano luminose sopra di lui e i campi erano coperti di bianco. Pensò alle povere bestie, ammassate strette per tenersi caldo, e si augurò che sopravvivessero fino al mattino. La cosa che lo preoccupava di più era che Elizabeth fosse già arrivata al ponte e stesse tremando al gelo. Quando però giunse lì non c'era nessuno. Evidentemente la donna non era riuscita a venire, come avevano concordato. Lui la chiamò e attraversò il ponte per controllare l'altra sponda, ma nessuno rispose ai suoi richiami. Stava proprio per tornarsene alla fattoria quando sentì un suono di passi leggeri. Pensando che fosse la marchesa chiamò sottovoce: «Elizabeth» e sentì che i passi si arrestavano all'improvviso. Insospettito, John si acquattò dietro un albero, riuscendo a nascondersi appena in tempo. La luna fece capolino da dietro una nuvoletta e inondò tutta la zona con la sua luce. E lui al chiarore della luna riconobbe lady Georgiana Hope, nonostante fosse tutta avviluppata in un lungo mantello foderato di pelliccia con il cappuccio tirato sul viso, ma non tanto da nasconderglielo. «Michael?» chiese lei, incerta. John non rispose, indeciso sul da farsi. Ma rimase in attesa solo un secondo, perché subito dopo sentì degli altri passi e comparve un uomo. «Tesoro» gridò il nuovo venuto, abbracciando la ragazza e baciandola con ardore sulle labbra. "Caspita!" pensò lo speziale. "Non può essere Michael O'Callaghan!" E
invece era proprio lui. I due amanti si fermarono per riprendere fiato e John udì l'irlandese che diceva: «Oh, carissima, come mi sei mancata.» «Anche tu» rispose lei, e John non poté fare a meno di sorridere sentendo i loro accenti così diversi: quello di Michael, che veniva dritto dritto dagli acquitrini d'Irlanda, e quello di lei, così incredibilmente tipico del ceto elevato inglese. «Quando potremo stare finalmente insieme?» chiese lui. «Mi avevi giurato che sarebbe accaduto presto, ricordi?» «Certo che ricordo. Ma bisogna sempre tener conto di Conrad. Devo progettare bene la mia fuga.» Ecco dunque spiegato il ribrezzo che provava per quell'uomo alto dall'aspetto sinistro. Ma chi era? Il padre, il marito, forse? Fu lei stessa a spiegarlo. «Lo odio, lo odio veramente. Se solo avessi avuto la forza di rifiutarlo. Ma mio padre lo voleva così tanto.» «Un aristocratico decaduto può essere molto pericoloso» commentò Michael, come se ne avesse conosciuti a dozzine. «E quando hanno figlie in età da marito....» La voce di lady Georgiana si affievolì. Quella di Michael assunse invece quel timbro roco che John trovava così affascinante. «Non ci sarà certo molto da scialare con me, amore. Non avrò niente da offrirti finché non divento un vero attore. Per un anno o due dovremo vivere in ristrettezze.» «Oh, amore mio. Non desidero altro che vivere con te. Lo sai.» Quante volte le ragazze pensavano cose del genere, rifletté cinicamente lo speziale. Gli venne in mente il detto: quando la povertà entra dalla finestra, l'amore fugge via dalla porta, e fece un sorrisetto amaro. Ci fu una pausa nella conversazione mentre i due si scambiavano alcuni baci appassionati. Alla fine lei disse: «Amore, devo andare. Conrad sta giocando a carte con la principessa, ma non oso assentarmi troppo a lungo.» «Oh, tesoro. Lasciarti è un dolore fisico.» «Lo so.» «Verrò con te fino al cancello.» «No, non farlo. Potrebbero vederti.» «A domani, allora?» Lady Georgiana piagnucolò. «Non lo so. Dipende da quello che fa Con-
rad.» «Al diavolo Conrad! In ogni modo io mi fermerò a Brentford fino alla fine della settimana. Poi devo tornare a Londra. Sarò qui ogni sera fino a venerdì. Che tu venga o no.» L'uomo si voltò, con aria sostenuta, e incominciò ad attraversare il ponte. Come John si attendeva, lady Georgiana gli corse dietro. «Michael, carissimo, io ti amo. È solo che devo assecondare Conrad finché non torniamo in città e non mettiamo in atto il nostro piano. Mi perdoni?» La bellissima voce di lui si fece commossa. «Non hai nulla da farti perdonare, angelo mio. Cerca solo di venire qui tutte le sere.» «Lo farò, oh, lo farò» rispose lei, e ci furono altri baci. Alla fine però si separarono e John uscì dal suo nascondiglio. Non era l'unico ad aggirarsi in incognito attorno a Gunnersbury House. Anche l'attore irlandese nascondeva qualcosa, e poteva pure essere lui l'assassino di Emilia, anche se avrebbe dovuto essere stato un fulmine per farlo. Lo speziale attese altri cinque minuti, in caso Elizabeth fosse in ritardo, poi decise che faceva troppo freddo e si avviò di corsa verso Bellow Farm. Hester lo stava aspettando ancora alzata, con le guance arrossate. «È venuto il dottor Rice. Doveva passare prima ma ha avuto un incidente. Comunque ha detto che chiunque avesse fasciato la gamba di Hugh era un professionista e che eravamo stati fortunati ad averlo qui.» «Bene.» Lo speziale si sedette sulla sedia davanti a quella della donna e allungò le mani verso le fiamme. «Gradite un bicchiere di vino caldo? Fa freddo per andare a passeggiare fuori di notte.» «È una delle mie manie, temo. Sì, lo gradirei molto. Signora Bellow...» «Sì?» «Pensate che le pecore e le vacche riusciranno a sopravvivere con questo freddo? Non dovrebbero starsene al riparo?» «Sì, dovrebbero. Ma chi ce le porta? Jake è già andato a dormire.» «Le raduno io, intanto che voi scaldate il vino.» E prima che lei potesse controbattere, si alzò, si infilò un cappello e uscì. Fuori dalla fattoria milioni di stelle scintillanti brillavano sopra di lui. John si diresse nei campi dove erano radunate le pecore e le mucche, il cui fiato si condensava all'aria gelida. Per prima cosa riunì le pecore, due dozzine al massimo, e le condusse nell'ovile, poi tornò dalle vacche. Quando fu di nuovo nei campi guardò nel punto dove la mattina gli era
parso di veder camminare Emilia. Ora non c'era altro che bianco, con gli alberi che si stagliavano come neri scheletri in tutto quel candore. Di cosa si era trattato? Era veramente un fantasma o ci doveva essere qualche altra spiegazione terrena? Mentre si poneva queste domande lo speziale riunì le vacche da latte e le condusse alla stalla. Nei giorni successivi John lavorò sodo e alla fine si sentì indolenzito in ogni parte del corpo. Muscoli che non aveva mai usato si erano trovati improvvisamente chiamati in gioco e la sera lui era così stanco che crollava sul letto e piombava in un sonno senza sogni, per poi alzarsi quando era ancora buio per andare a mungere le vacche. Dalla sera in cui aveva visto lady Georgiana e Michael non era più tornato al ponte, e neppure gli avevano più concesso il privilegio di portare le provviste a palazzo. Quel giorno, però, Jacob doveva andare al mercato a Brentford, così John e Ben, il ragazzo che aiutava nella fattoria, caricarono il carro piccolo, dato che Jacob aveva preso quello grande, e poi lui si diresse verso le cucine di Gunnersbury House. Non appena varcò il cancello rallentò il passo, nella speranza di poter scorgere qualcosa, qualsiasi cosa. E quel giorno fu accontentato. La principessa Amelia, in compagnia delle sue dame di corte, era infatti uscita a prendere aria. Camminava appoggiandosi a un bastone ed era molto pallida. John si augurò che si fermasse un'altra settimana in campagna, prima di tornare a Curzon Street. Dato che teneva gli occhi fissi su di lei non vide l'ostacolo sulla sua strada e si accorse che c'era qualcosa che non andava solo quando sentì una ruota che si scheggiava. Imprecando tra sé, fermò il pony e saltò giù. Una grossa lastra di pietra era caduta dal tetto finendo sul viale, pronta a colpire la prima persona che fosse passata. Furioso, John afferrò il pony per le redini e lo condusse fino alle cucine. Apparve il solito sguattero. «Salve, Will.» John aveva infatti deciso di farsi chiamare con quel nome per sicurezza. «Sono contento di rivederti.» «Grazie. Senti, quando avremo scaricato le provviste dovrei trovare qualcuno che mi aiuti a riparare il carro. Una dannata lastra di pietra è finita in mezzo alla strada e mi ha rotto due raggi della ruota.» «Vai alle stalle. Laggiù ti daranno una mano.» «Bene. Senti, sai niente della nuova domestica?» Lo speziale fece l'aria di chi la sapeva lunga e ammiccò. Lo sguattero si eccitò all'idea di venire a conoscenza di qualche succoso pettegolezzo.
«Intendi dire Lizzie? Quella carina con tutti quei capelli?» «Già, proprio lei. Te lo dico chiaramente. Mi piace un sacco.» «Non sei l'unico. Anche se non so come fa, sfregiata com'è.» «Come fa a far cosa?» chiese John, interessato. «Tutti gli uomini le sbavano dietro.» «Oh» lo speziale si sentì un po' infastidito. «Capisco.» «Comunque verrà presto qui in cucina. Ha già acceso i camini e svuotato i buglioli e quindi adesso si riposa un attimo. Intanto scarichiamo le provviste.» John era tutto curvo sotto un bidone del latte quando scorse i piedi di Elizabeth che gli venivano incontro. Con un rantolo si raddrizzò, posando il suo carico sul pavimento. «Buongiorno, mastro Will» lo salutò lei, rivolgendogli un sorriso che si poteva solo definire impudente. «'Giorno, signorina Lizzie» rispose lui. Elizabeth abbassò la voce. «Mi spiace di non essere venuta al ponte l'altra notte. Sono rimasta a raccogliere informazioni. Ci sono venuta la notte scorsa, ma voi non c'eravate.» John si spostò nel vano della porta, indicandole di fare altrettanto. Dopo essersi guardato attorno, per accertarsi che nessuno potesse udirli, disse: «Cosa avete scoperto?» «Ve lo dirò in breve. Lady Theydon è sempre lì che confabula di nascosto con la sua dama di compagnia, la signorina Priscilla.» «E cosa confabulano?» «Questo non lo so. Ma c'è qualcosa nei loro modi che mi fa nascere dei sospetti.» «Sospetti su che cosa?» Elizabeth scosse la testa. «Non so neanche questo. So solo che sembrano stranamente intime.» «E che altro?» chiese John. «C'è un domestico qui, magari lo avete notato, ha il viso olivastro, butterato dal vaiolo.» «So di chi parlate. È lui che mi ha arrestato dopo l'omicidio di Emilia.» «È stato lui, per Dio! Be', si chiama Benedict e giurerei che qualcuno lo sta pagando per fare la spia.» «In che senso?» «Nel senso che me lo trovo sempre tra i piedi, a origliare alle porte e a frugare nelle camere quando i proprietari non ci sono, insomma fa tutto
quello che faccio io per voi.» Rendendosi conto di essere osservato, John afferrò una delle mani di Elizabeth e rimase scioccato nell'accorgersi di quanto fosse diventata ruvida. Nello stesso momento lei disse: «Avete i calli alle mani.» «Attenta» sussurrò John «la cuoca ci osserva. Fate finta di amoreggiare.» Lei gli rivolse un magnifico sorriso e gli andò più vicina. «Questa sera al ponte» sussurrò. «A questa sera, dolcezza» rispose ad alta voce John, baciandole la mano. Tutto il personale di cucina commentò la scena con un coro di "Oooh" ed Elizabeth se ne andò via sussiegosa con la scopa al fianco. «Secondo me presto pregherà con le ginocchia all'insù» commentò qualcuno. John ignorò l'insinuazione e tornò a caricarsi in spalla il bidone di latte. Quando ebbe finito di scaricare le provviste non aveva più nessuna scusa per rimanersene lì e quindi se ne andò alle stalle con il pony e il carro. In effetti era completamente immerso nei suoi pensieri, quando dai rumori dietro di lui si rese conto di essere seguito. Voltandosi John vide che Benedict gli stava venendo dietro. Tirandosi giù il cappello e sperando che i capelli tinti lo camuffassero a sufficienza, John proseguì per la sua strada. «Ehi, voi» lo chiamò il domestico. Voltandosi lentamente, John chiese: «Vi rivolgete a me, signore?» «Sì.» «Cosa volete?» «Mi chiedevo perché state andando alle stalle. Cosa ci dovete fare lì?» «Be' se vi chinate vedrete che ho due raggi della ruota rotti. Mi hanno detto che alle stalle posso trovare qualcuno che mi aiuti.» Benedict osservò le ruote. «Penso che fareste meglio ad andare dal fabbro» rispose. John si tolse per un attimo il cappello e si grattò i riccioli rossi finché non gli si drizzarono tutti in testa, poi se lo rimise e disse: «Non so se ce la faccio ad arrivare fin là, senza una riparazione di fortuna.» Benedict era chiaramente irritato. «Oh, va bene, se insistete.» Si avvicinò a John, cosa che lo speziale trovò alquanto sgradevole. «Siete nuovo della fattoria?» chiese. «Non mi sembra di conoscervi.» «Oh, sì. Sono venuto ad aiutare il signor Bellow, che è caduto e si è rotto una gamba. Lui mi ha messo a lavorare sotto il signor Jacob.» Per tutta la durata della conversazione John aveva continuato a rimanere
voltato verso il cavallo. Adesso, però, si girò e guardò Benedict in faccia. Lui sussultò come se avesse l'impressione di riconoscerlo. Poi però sembrò scacciare quella sensazione. «E com'è che anche voi andavate alle stalle?» chiese lo speziale. «Pensate agli affari vostri, brav'uomo» ribatté l'altro, andandosene. «Bastardo» imprecò John tra sé. Le stalle si trovavano sulla sinistra del palazzo ed erano costituite da una grossa rimessa per le carrozze e da una lunga serie di ampi box per i cavalli. Entrato nella rimessa, John si fermò e si guardò attorno. Nell'aria si sentiva odore di fieno, proveniente dall'edificio accanto. Lo speziale inalò quell'aroma e poi, ricordandosi perché si trovava lì, gridò: «Salve, c'è qualcuno?» Non rispose nessuno. Lui prese a gironzolare nella rimessa, esaminando l'elegante fattura delle carrozze, la lucentezza delle carrozzerie, gli sportelli decorati da artisti di grido. Poi udì un rumore sulla soglia e si voltò a vedere chi fosse. C'era un uomo che si stava pulendo le mani con uno straccio, osservando l'interno per capire chi ci fosse. Aveva il sole alle spalle, e quindi per lo speziale era difficile riconoscerlo. Eppure vi era qualcosa di familiare nella sua postura, nel modo in cui inclinava la testa, su cui spiccava una capigliatura di un rosso brillante come quello dei capelli tinti dello speziale. «Salve» disse. John rimase inchiodato dove si trovava, poi fece qualche passo avanti e alla fine si mise a correre. «Joe...» urlò. «Joe, amico mio, siete veramente voi?» 14 Continuò a gridare mentre gli correva incontro, ma Joe Jago lo zittì tappandogli la bocca con la mano. «Per amor del cielo, calmatevi. Volete che tutti quanti sappiano chi sono?» John scosse la testa, borbottò «No» e alla fine la mano gli venne tolta dalla bocca. «Joe» disse con un sussurro «siete veramente voi? Cosa ci fate qui?» L'assistente del giudice si guardò prudentemente attorno, poi condusse John in fondo alla rimessa, portandosi l'indice alle labbra per ingiungergli di fare silenzio. Lo speziale pensò che il braccio destro di sir John si stava
mettendo veramente nei guai in nome della loro vecchia amicizia e lo guardò con riconoscenza. Era proprio come se lo ricordava: il viso grinzoso, i lunghi capelli rossi, gli occhi azzurri con una ragnatela di piccole rughe attorno. Eppure, Joe aveva sempre un'aria giovanile e risoluta, anche grazie al fisico snello e robusto. Arrivati al muro in fondo Joe indicò allo speziale di sedersi e dopo essersi guardato ancora in giro per qualche secondo, andò a mettersi vicino a lui. «Adesso tenete la voce bassa. I muri hanno le orecchie, specialmente qui attorno.» «Ma Joe, come mai siete qui?» «Mi sono fatto assumere come stalliere, e potete pure lasciar perdere quell'espressione stupita. Vi siete dimenticato che me la cavo piuttosto bene con i cavalli?» A John tornò subito in mente il modo in cui Joe si era occupato delle cavalcature quando erano nel Surrey, impegnati nel caso della Valle delle Ombre. «No, siete sempre stato un portento con i cavalli, ma...» «Lasciate che vi racconti tutta la storia. Voi statevene qui seduto tranquillo. D'accordo?» John annuì. «Quando sono tornato a Londra sono andato subito dal giudice e gli ho raccontato che eravate partito e che non ero riuscito a trovarvi.» «E vi ha creduto?» Joe fece una risatina. «E chi può dirlo? Forse sì, o forse no. Era Natale, ed era troppo tardi per fare qualcosa. In ogni modo, finite le feste mi ha convocato nel suo studio e abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Il punto è che voi siete ancora ricercato.» «Sono usciti i manifesti?» «Sì. Io però ho chiesto al giudice se credeva alla vostra colpevolezza. "Assolutamente no, Jago" mi ha risposto. "Quel giovanotto non ucciderebbe mai nessuno. Se non fosse per il fatto che è stata la principessa Amelia a richiederne l'arresto cercherei altrove l'assassino." Ed è stato allora, signor Rawlings, che abbiamo elaborato questo piano.» «Quale piano?» «Be', signore, sapete che i galoppini qualche volta si mettono in borghese quando vanno a teatro e così via.»
«Sì.» «Ecco, ho pensato che avrei dovuto agire in incognito. Avevamo dei contatti con il personale delle scuderie e abbiamo persuaso uno dei mozzi di stalla ad assentarsi per un po', dandomi l'opportunità di prendere il suo posto. Così, invece di andarmene in vacanza, sono venuto a lavorare qui. Ma voi, signore? Non siete andato nel Devon?» John annuì. «In effetti ci sono andato. Ma come facevo a rimanerci sapendo che l'assassino di Emilia era ancora in libertà? Sono tornato qui e ho avuto tanta fortuna da trovare lavoro a Bellow Farm.» «E lady Elizabeth?» Con quei due occhi azzurri che lo fissavano in quel modo, John, senza nessuna reale ragione, si sentì un po' a disagio. «È venuta con me e si è fatta assumere come l'ultima delle domestiche, non so se capite. In altre parole svolge i lavori più umili.» «Ma una persona del suo rango li deve trovare insopportabili.» «Immagino di sì, ma non si lamenta. La marchesa è una donna molto forte, Joe.» «Credo proprio di sì.» Joe all'improvviso si mise all'erta. «Sta arrivando qualcuno. Ricordate, voi non mi conoscete, né io conosco voi» mormorò. Poi ad alta voce: «E adesso diamo un'occhiata a quella vostra ruota» aggiunse. «Sì, è stata una vera scalogna che si siano rotti i raggi. Qualcuno però dovrebbe andare a dare un'occhiata a quel tetto. Dev'essere conciato male se una lastra di pietra si stacca in quel modo.» «Sì, certo, signor... come avete detto che vi chiamate?» «Sono Will Miller.» John gli porse la mano. Joe gliela strinse. «Piacere di conoscervi.» Mentre conversavano si erano avvicinati alla porta della rimessa e ora videro Benedict, immobile, che li osservava. «In che modo posso esservi d'aiuto?» chiese gentilmente Joe. «Tornando al vostro lavoro, ecco come. Non siete pagato per starvene a chiacchierare con ogni bracciante che arriva.» «E voi cosa ci fate qui, signor Benedict, se posso chiedervelo?» «Sono venuto a portarvi un messaggio di lord Hope. Dovete sellare la giumenta per lady Georgiana. Desidera fare una cavalcata.» Gli occhi di Joe si indurirono. «Darò solo un'occhiata alla ruota di quest'uomo e quindi sellerò la cavalcatura di sua signoria.» «Questo tipo non rientra nei nostri programmi. È meglio che se ne torni
a Bellow Farm come può. Possono ripararlo là.» «Dubito che ce la farà ad arrivare così lontano.» replicò Joe, sempre con lo stesso tono cortese. E con ciò uscì dalla rimessa e andò a vedere il carro di John. Dieci minuti dopo era tutto fatto. I due raggi rotti erano stati riparati con una corda legata stretta, in modo che potessero almeno permettergli di tornare alla fattoria senza andare in pezzi. Dopo aver ringraziato Joe e averlo salutato cordialmente, lo speziale saltò sul carro e afferrò le redini. Ma non aveva percorso neppure duecento metri lungo il viale quando una figura familiare gli attraversò la strada e gli fece imperiosamente cenno di fermarsi. Di malavoglia, John arrestò il pony. «Hai fatto le consegne?» chiese Priscilla Fleming. «Sì, signora» rispose John, nascondendosi il più possibile sotto il cappello. Lei lo guardò. «Ti ho già visto da qualche parte. Come hai detto che ti chiami?» «Will Miller, signora. Posso andare ora?» «No, non puoi. Ho un sassolino nella scarpa, aiutami a toglierlo.» John rimase a bocca aperta, offeso dai suoi modi perentori ma incapace di resisterle. Poi, lentamente e controvoglia, scese dal carro. Lei si appoggiò alla ruota e sollevò il piede destro, osservando lo speziale che si era chinato davanti a lei. «Avanti, toglimi la scarpa.» Lui lo fece e vide che c'era sul serio un sassolino. Capovolse la scarpa e lo fece uscire. Alzò il capo per guardare Priscilla e lei gli afferrò il cappello e glielo tolse, guardandolo con stupore. «John» sussurrò. «John Rawlings. Così siete tornato. Lo sapevo che l'avreste fatto.» «Priscilla» rispose lui sottovoce «per l'amor di Dio, parlate piano. Sono qui in incognito, come sapete. Bisogna che nessuno scopra la mia vera identità.» Lei arrossì e spalancò gli occhi, e per un istante sembrò bellissima. «Mi sembrava di avervi riconosciuto l'altro giorno, nelle cucine» sussurrò lei «ma recitavate così bene che non ne ero sicura. Oh, mio caro, ditemi tutto.» «Qui siamo troppo in vista. Dove possiamo parlare in privato?» «Incontriamoci questa notte al tempio.» John scosse la testa. «Dov'è?»
«Sul lato occidentale del palazzo, vicino al laghetto circolare. Venite alle nove. Entrate da Brentford Lane e poi girate a destra. Vi aspetterò.» Alzò la voce e disse in tono teatrale: «Grazie brav'uomo.» Dopo di che si incamminò nel viale con aria sussiegosa. John si mise a pensare furiosamente. Se l'aveva riconosciuto lei, perché non poteva riuscirci anche qualcun altro? Forse doveva camuffarsi di più. Alla fine però mise da parte l'idea. I capelli tinti e un cappello informe dovevano bastare. Doveva essere il più discreto possibile, non c'era altro da fare. Per il resto della giornata fu occupatissimo. Jacob era tornato dal mercato di pessimo umore e gli diede un milione di cose da fare. Lo speziale si mise al lavoro di buona lena, ben sapendo che quelle occupazioni sarebbero servite a far passare il tempo più velocemente. E in effetti quando alla fine si guardò attorno si era già fatto buio ed era l'ora di cena. Entrò in cucina e, dopo essersi lavato, salì di sopra a vedere come stava Hugh Bellow. L'infortunato era comodamente seduto a letto, intento a leggersi il giornale. L'uomo osservò John fissandolo da sopra le lenti degli occhiali. «Si invita chiunque abbia informazioni relative al recente omicidio di Gunnersbury Park a contattare sir John Fielding a Bow Street.» John si sedette sul bordo del letto. «Ci siamo, allora.» «Sì. Ditemi, giovanotto. Avete già qualche sospetto?» «Sospetto di tutti e di nessuno, se mi capite. Vi prego comunque di non rivelare il mio segreto ad anima viva.» John si fermò, poi aggiunse chiaro e tondo: «Neppure a vostro figlio.» Lui lo guardò. «Non andate d'accordo, eh?» «Diciamo che lo trovo un pochino ostile.» Il fattore ridacchiò. «Non è la persona più piacevole del mondo, lo ammetto. Ma dietro quei suoi modi burberi ha un cuore d'oro. Una volta che diventa amico di qualcuno lo rimane per sempre.» «Be', forse abbiamo incominciato con il piede sbagliato, ma vi prometto che farò del mio meglio per cambiare le cose.» Hugh annuì. «È ora che riprenda il controllo. Quanto ci metterò a tornare a camminare?» «Appena vi avrò preparato una stampella potete provarci. Cercherò di trovare un po' di tempo domani.» «Avrete tutto il tempo che vi serve. Sono ancora io il padrone qui, e dirò
a Jacob che dovete lavorare per me.» John si alzò. «Benissimo, signor Bellow. Però non mettetemi nei guai, per favore.» «Farò del mio meglio per addolcire un po' quel bruto.» Senza troppa speranza, John scese di sotto, dove il profumo della cena preparata da Hester gli stuzzicò le narici. Jacob non pronunciò una parola per tutto il pasto, ma ingurgitò il cibo il più in fretta possibile. Bevve pure diverse pinte di birra fatta in casa, asciugandosi la bocca con il dorso della mano e facendo un gran rutto alla fine. Poi si alzò. «Me ne vado a Brentford» annunciò. Gli altri due lo guardarono stupiti. «Ma ci sei stato questa mattina» disse Hester. «E adesso ci ritorno. Ho degli affari da concludere.» «Copritevi bene» disse John. «Sarà un'altra notte gelida.» «Quando vorrò il vostro consiglio ve lo chiederò» rispose sgarbatamente Jacob e uscì dalla cucina sbattendo la porta. Hester guardò John con un sorriso triste. «E immagino che voi uscirete per le vostre passeggiate notturne, Will.» «Non sono uscito per due sere, e quindi questa volta devo proprio andare.» «Vi incontrate con qualcuno?» chiese Hester con un'improvvisa intuizione. «Qualche volta sì e qualche volta no» rispose con sincerità John. Quando uscì di casa vide Jacob che saliva sul carro piccolo. Gli corse incontro per dirgli che i raggi della ruota erano tenuti insieme solo con della corda e che sarebbe stato rischioso adoperarlo, ma non appena lo vide avvicinarsi, Jacob frustò il pony e partì così veloce che lo speziale non riuscì a raggiungerlo. «Trattalo bene, testa di cavolo» gli urlò dietro John, ma la sua voce echeggiò invano nella notte gelida. Questa volta Elizabeth arrivò contemporaneamente a lui, con addosso solo uno scialle per proteggersi dal freddo. «Mia cara, gelerete.» E lo speziale si tolse il mantello e glielo mise attorno alle spalle. Lei gli rivolse uno sguardo di gratitudine mescolata a un'altra emozione che lui non riuscì a decifrare. Quando però la guardò di nuovo quell'espressione era svanita e lui pensò che si fosse trattato solo della sua imma-
ginazione. «Elizabeth» disse, trascinandola verso il ponticello, così da poter parlare in privato. «Come state? Il lavoro è troppo pesante?» «Lo detesto» ammise lei «ma continuerò finché potrò rendermi utile.» «A quanto pare avete fatto colpo su tutti gli uomini, a sentire lo sguattero.» «Ho bisogno di essere in buoni rapporti con tutti, se voglio davvero scoprire qualcosa» rispose lei, un po' seccamente. «Ma certo» rispose John in tono diplomatico. Ci fu un momento di silenzio, poi lui disse: «Be', io non ho fatto nessun passo avanti, ma almeno adesso abbiamo un amico a palazzo.» «E di chi si tratta?» «Joe Jago è qui.» E con calma le raccontò gli ultimi sviluppi. «E la signorina Fleming?» chiese Elizabeth. «Ho visto che le parlavate nel viale.» John esitò un istante, poi disse: «Ahimè, mi ha riconosciuto, nonostante i capelli tinti.» Elizabeth fece una risatina sardonica. «Be', lei vi conosceva meglio degli altri, no?» Lo speziale si sentì stranamente confortato da quell'osservazione. In effetti più ci pensava più gli sembrava evidente che fosse per quello che Priscilla l'aveva subito riconosciuto. «Avete ragione, naturalmente. La signorina Fleming mi ha incontrato diverse volte.» «Non mi avete detto che era lei che veniva nel vostro negozio a procurarsi alcuni farmaci per la principessa?» «Sì, è così.» «E allora vedete?» Lei lo guardò dritto negli occhi. «John, pensate che io vi possa aiutare? Sto trovandovi delle informazioni utili?» «Ma certo. Può sembrare che non stia succedendo nulla, ma tutto quello che scoprite contribuisce a formare un certo quadro.» «Ma non c'è nessun quadro» affermò Elizabeth. «Non siete più vicino a scoprire chi è stato a uccidere Emilia di quando siete venuto qui la prima volta.» John rimase in silenzio, a riflettere su quanto aveva detto Elizabeth. Era vero. Non aveva fatto alcun passo avanti. In effetti, se non fosse stato per l'arrivo di Joe Jago avrebbe considerato la situazione senza speranza. «Avete ragione» disse con un sussulto nella voce. «Non ho idea di chi
abbia assassinato mia moglie e onestamente non vedo come possa riuscire a scoprirlo.» «E se vi consultaste con sir John Fielding?» «Questo è fuori discussione. Verrei subito arrestato. Ma, Elizabeth...» «Sì?» «Dovete contattare Joe Jago per conto mio. Trovate una scusa per andarlo a trovare tutti i giorni, in segreto se necessario. Poi riferitemi tutto quello che ha da dire.» «Lo farò.» «Brava.» Lui la prese a braccetto e per un momento furono molto vicini, quasi abbracciati. All'improvviso gli tornò in mente in modo doloroso Emilia, tanto che sospirò forte. Elizabeth lo guardò senza dire nulla, poi lentamente si sciolse dalla sua stretta e si incamminò verso Gunnersbury House. John, in silenzio, si mise a seguirla. «State sbagliando strada» sussurrò lei. «No, ho dimenticato di dirvi che devo incontrare Priscilla al tempio alle nove.» «Ma è troppo presto.» «Intanto darò un'occhiata in giro.» «Non fatevi scoprire, fate attenzione.» «State tranquilla.» Si separarono al cancello. Lei si diresse a sinistra verso il palazzo, mentre John sgattaiolò furtivamente nel boschetto sulla destra. Era buio pesto, la luna era oscurata da nuvole vaganti. Lo speziale, camminando tra gli alberi, avvertì una fitta di paura. Da qualche parte, in agguato attorno al palazzo, c'era un maniaco omicida armato di coltello. E a giudicare dalla totale gratuità dell'omicidio di Emilia, si sarebbe detto che l'assassino colpisse a caso. A meno che, naturalmente, non avesse in mente di uccidere Priscilla. John ripensò alla conversazione che aveva avuto con lei, quando gli aveva rivelato che c'erano delle persone che la volevano morta. Adesso era determinato a farsi dire la verità. Lei avrebbe dovuto spiegargli tutto e fargli i nomi. All'improvviso John si bloccò, profondamente colpito dallo spettacolo che gli si parava davanti. La luna era appena sbucata dalle nuvole e illuminava una lastra di acqua blu che scintillava sotto i suoi raggi. In questa strana luce soffusa il paesaggio si era magicamente trasformato e guardando il tempio gli sembrò
l'edificio più perfetto e suggestivo che avesse mai visto. Sorgeva vicino al laghetto, e gettava un riflesso color malva sullo specchio d'acqua artificiale, creando increspature profonde e misteriose sotto la superficie. Lentamente e in silenzio, John si avvicinò a quello stravagante edificio. Era una struttura rettangolare classica, con quattro colonne doriche sovrastate da un frontone ligneo imbiancato, decorato con teste di bue e ghirlande. Al centro del colonnato c'era una porta, ed era aperta. «Priscilla» chiamò John in un sussurro. Non udì nessuna risposta. Suo malgrado sentì il respiro accelerare e diventare faticoso. Sforzandosi di mantenere la calma, lo speziale avanzò furtivamente verso la porta. L'interno era avvolto nelle tenebre e John rimase immobile sulla soglia, aspettando che gli occhi si abituassero all'oscurità. Un fauno che suonava uno zufolo lo fissava con aria truce e John fece un balzo indietro, trasalendo. Poi vide degli aranci e un cigno calmo e sereno e comprese che si trattava solo di decorazioni, uno spettacolo che sarebbe apparso normalissimo di giorno. Di Priscilla Fleming però non c'era traccia. La chiamò ancora una volta sottovoce, poi una mano gli sfiorò una caviglia. Facendo un salto indietro, lo speziale guardò ai suoi piedi e lì, immobile, giaceva la ragazza che doveva incontrare. Sembrava proprio morta. 15 Lo speziale rimase impietrito, incapace di distinguere quello che vedeva. Poi la luna si fece largo tra le nuvole e lui si rese conto che Priscilla giaceva immobile sul pavimento, apparentemente priva di vita. Eppure non si vedeva traccia di sangue, e neppure di lotta. Riavutosi dal colpo, John si accucciò e le auscultò il polso, e con suo enorme sollievo lo avvertì. Frugandosi in tasca trovò la sua boccetta dei sali e gliela mise sotto il naso. Priscilla ebbe un singulto, le sue palpebre tremolarono e poi si sollevarono. Fissò John con uno sguardo vacuo e poi nei suoi occhi comparve un guizzo di terrore. Cercò di scostarsi da lui. «Lasciami, farabutto» urlò. «Priscilla, calmatevi. Sono John Rawlings. Eravamo d'accordo di incontrarci qui, ricordate?» La luna scomparve di nuovo e tutto quello che lui poté vedere fu una sagoma tremante che improvvisamente si fece più grande.
«Oh, John, siete davvero voi?» chiese lei rauca. «Pensavo che fosse il mio aggressore.» «Sì, sono io, Priscilla. Cos e successo?» Al buio vide che lei stava cercando di rimettersi in piedi e andò ad aiutarla, afferrandola sotto le braccia e sostenendola quando barcollò. Nell'aria c'era un vago odore nauseante che colpì le narici dello speziale. «Oh, John, John» singhiozzò lei. «È stato terribile. Vi stavo aspettando, da sola al buio. Poi dalla porta è entrato un uomo. Pensavo che foste voi e vi... gli sono andata incontro. Lui mi ha messo le mani attorno alla gola e ha stretto finché non ho perso conoscenza. Dovete averlo disturbato. Dov'è adesso?» «Non mi è passato accanto nessuno. Oddio! Forse si trova ancora qui.» Per tutta risposta Priscilla emise un urlo tremendo che fece fare un gran salto a John. «Darò un'occhiata» disse lui, facendole cenno di stare ferma. «Verrò con voi, mi sentirò più sicura che a stare qui da sola.» A fianco della porta d'entrata John aveva notato una scala a chiocciola. Lui e Priscilla salirono di sopra, nel sottotetto. Al buio, probabilmente anche perché era spaventata, lei gli afferrò la mano, tenendogliela stretta. «Chi c'è?» chiese a bassa voce lui, fissando gli oscuri recessi della soffitta. Non si udì alcuna risposta e nel buio non si mosse nulla. Poi la luna ricomparve ancora una volta e lui poté vedere che a parte due vecchi mobili coperti da lenzuola bianche, la soffitta era vuota. «E in cantina?» chiese lui. «Faremo meglio ad andare a vedere» rispose Priscilla spaventata. Discesero silenziosamente la scala a chiocciola che metteva in comunicazione i tre livelli dell'edificio e andarono nello scantinato. Anche lì però non c'era nessuno. Chiunque avesse aggredito Priscilla o era fuggito prima che lo speziale arrivasse al tempio o era sgusciato via mentre perlustravano la soffitta. «Non è qui» disse John quando tornarono alla porta. «Forse ha pensato che fossi morta.» «È possibile. Adesso fatemi dare un'occhiata alla vostra gola.» Avevano lasciato il tempio e adesso erano vicino al laghetto. Le nubi che avevano fatto da schermo alla luna si erano finalmente dileguate e ci si vedeva chiaramente. «Ve ne sarei grata» rispose lei, sbottonandosi il mantello al collo.
Forse era la luce incerta della luna, o forse i suoi occhi non erano più quelli di un tempo, ma lo speziale non riuscì a scorgere che qualche graffio. A quanto pareva chiunque l'avesse aggredita era stato disturbato ed era fuggito via prima del suo arrivo. La ragazza comunque era ancora molto scossa dalla brutta avventura e si appiccicò a John mentre tornavano insieme a palazzo. «Mi avete salvato la vita» sussurrò lei. «Non mi pare» rispose lui, con sincerità. «Sì, invece. Ascoltate. Conosco un posto dove potremmo incontrarci regolarmente.» «Va bene, ditemi.» «Nel parco ci sono delle rovine. Non ci va nessuno dopo il tramonto. Sono sicura che andrà benissimo per i nostri incontri.» «Priscilla, io veramente vorrei entrare a palazzo. Ma come diavolo faccio senza essere riconosciuto? Devo assolutamente incontrare gente, e parlare con loro. Ma non appena mi vedranno mi riconosceranno.» «Ne dubito. L'ultima volta che vi hanno visto eravate elegantissimo, parlavate bene e portavate la parrucca. Adesso avete i capelli tinti, indossate abiti da lavoro e vi esprimete come un contadino. Potrebbero al massimo pensare che assomigliate all'uomo che hanno conosciuto, ma non credo che nessuno vi collegherà a lui.» «E quindi potreste farmi entrare di nascosto?» Priscilla gli si avvicinò e di nuovo quell'odore nauseante si diffuse nell'aria. «Sì, perché no? Venite, lo faremo subito. Racconterò che mi hanno aggredita e vi presenterò a lady Theydon come l'uomo accorso a salvarmi mentre passava davanti al tempio.» «E cosa stavo facendo?» «Solo il cielo lo sa. Controllavate che non ci fossero bracconieri.» «Bracconieri?» «Potremmo dire che siete una specie di giardiniere. Vi va bene?» «Sì. Andiamo subito.» Mentre parlavano si erano avvicinati al palazzo e Priscilla entrò da una porta laterale, che immetteva in un piccolo ingresso con una scala. Obbedendo alle sue indicazioni lo speziale la seguì di sopra e si trovò su un pianerottolo sul quale si affacciavano diverse porte. Priscilla si avvicinò a una di esse e bussò. «Avanti» disse una voce stentorea. Seguendo la signorina Fleming, John entrò e rimase a testa bassa, aspet-
tando di vedere cosa sarebbe successo. «Mia cara» continuò la voce, che doveva provenire da qualcuno disteso sul letto «mi sembrate sconvolta. Cosa vi è successo?» «Oh, lady Theydon, mi hanno aggredita.» «Aggredita? Ma come è possibile? È inconcepibile che accadano cose del genere qui a palazzo. Non oso neppure pensare a ciò che direbbe mio marito. Dov'è che vi hanno colpita?» «Al tempio.» «No, sciocca, intendo in quale parte del corpo.» «La gola. Hanno cercato di strangolarmi e penso che sarei morta se non fossi stata salvata da...» esitò un istante «...Will, il giardiniere.» Si udì un fruscio e quindi lady Theydon si mise a sedere sul letto. «Caspita, ragazza, fatemi vedere.» John si azzardò ad alzare un po' lo sguardo e vide che lady Theydon aveva costretto Priscilla a sedersi e le stava esaminando il collo, con quei sinistri occhi scuri. «Oh, mio Dio, una cosa del genere basta per mandare qualcuno al cimitero. Raccontatemi esattamente cosa è successo.» «Volevo fare una passeggiata in giardino prima di andare a dormire. Stavo camminando vicino al laghetto circolare e sono entrata un istante nel tempio. L'ultima cosa che ricordo è che ha fatto irruzione un uomo e che ha cercato di strangolarmi. Sono svenuta e sono stata soccorsa da Will, che aveva udito le mie grida ed è intervenuto immediatamente.» Era una grossa distorsione della verità, ma quella versione andava bene quanto un'altra. «Sia ringraziato il cielo.» Lady Theydon alzò gli occhi in direzione di John, prendendo gli occhialini che le pendevano al collo appesi a una catenella. «Fatevi avanti, brav'uomo» disse, con la voce che adoperava per dare ordini ai ceti inferiori. John lo fece con riluttanza, assumendo quella che sperava fosse una postura da giardiniere, strascicando i piedi e cercando disperatamente di sembrare impacciato. «Avete visto qualcuno?» continuò lady Theydon. «No, signora» rispose con un accento da contadino. «Ho solo sentito la signorina Priscilla che gridava e sono corso ad aiutarla. Non ho visto passare nessuno.» «Pensate che quel pazzo, quello che sir John Fielding non è riuscito a catturare, possa essere tornato qui?»
«Non so, milady» rispose nervosamente Priscilla. «Perché dovrebbe essere lui?» «E perché no?» ribatté lady Theydon tutta infervorata. «Penso che sia meglio raccontare tutto alla principessa.» «Oh, no, milady, vi prego. È stata così male, e notizie del genere la farebbero peggiorare. Probabilmente non ha niente a che fare con quell'altro sventurato incidente.» «Incidente?» esclamò lady Theydon indignatissima. «Definite incidente quello spaventoso omicidio? Io non riesco più a dormire con quel folle in libertà.» Priscilla fece una risatina nervosa e John tossicchiò. «Però avete ragione per quanto riguarda la principessa. Per il momento non diciamo niente.» Poi si voltò verso John, che in quel momento desiderò che il pavimento si aprisse depositandolo vicino alla porta secondaria dalla quale era entrato. «Non avete visto nessuno?» «No, signora» borbottò lui. «Be', tenete gli occhi aperti. State attento a tutti i tipi sospetti che si aggirano da queste parti. In particolare cercate di stare in guardia se vedete un giovanotto ben piantato che veste troppo elegantemente per la sua condizione. Dice di essere uno speziale e quindi deve intendersene di medicina. Avete capito?» «Sì, signora.» «Molto bene, potete andare. Priscilla, voi andate subito a letto.» «Sì, lady Theydon.» Lei fece una riverenza e John si piegò in un rozzo inchino. Usciti dalla stanza, lui si diresse verso le scale, lei verso una porta che dava sul corridoio. «Questa è la mia camera da letto, se mi volete» sussurrò. John la guardò, chiedendosi se aveva capito bene. Priscilla però gli mandò solo un bacio e svanì in camera sua. Lo speziale esitò, incerto se dare ancora un'occhiata in giro per vedere chi altri c'era lì attorno. Ma, prima che potesse decidere, la porta sul retro si riaprì e comparve la contessa di Hampshire con un giovanotto. Lei si guardò attorno furtivamente e si portò un dito alle labbra, facendo cenno di fare silenzio. Dal loro atteggiamento John dedusse che ci fosse qualcosa di poco chiaro e si acquattò dietro una colonna. «Vieni, bel ragazzo» disse la donna. «Andiamo.»
«Certo» rispose il giovane, che doveva avere al massimo venticinque anni e chiaramente nutriva grandi speranze. «La mia camera si trova nell'ala ovest ma questo è l'ingresso che adoperiamo per i nostri piccoli segreti» spiegò smancerosa la contessa di Hampshire. «Signora, non ce la faccio più a controllarmi» rispose il suo amante, baciandola su quella boccuccia sgradevole. Nel suo nascondiglio, John sobbalzò. «No, non ci riesco proprio» continuò il giovanotto, infilandole una mano nella scollatura dell'abito. «Quanta fretta» disse lei, colpendolo in modo leggero con il ventaglio, visibilmente compiaciuta. «Posso prendervi qui, sulle scale?» «Oh, no, proprio no. Dobbiamo essere discreti a tutti i costi. Adesso sbrighiamoci, andiamo» e togliendogli la mano, molto lentamente, notò John, corse via nel corridoio, con il suo bello che la seguiva, e svanirono. Lo speziale, sospirando, scese le scale e uscì nella notte gelida. Quando raggiunse la piccola struttura di legno che chiamavano Ponte dei Bellow, John notò il carro ribaltato su un fianco, semimmerso nelle acque del torrente. Doveva esserci arrivato a Brentford, ma al ritorno la ruota aveva ceduto, almeno a giudicare dalla posizione del carro, che era rivolto verso la fattoria e non verso il villaggio. «Jacob?» provò a chiamare. L'unica risposta fu un forte gemito. Maledicendo la sorte, lo speziale si immerse nell'acqua gelata per poter guardare dentro al carro. Jacob, che chiaramente doveva aver bevuto parecchio, aveva battuto la testa, infatti gli sanguinava abbondantemente, e adesso giaceva in un mucchio informe sul ripiano del carro. «Avevo cercato di avvertirvi» disse John, ma per tutta risposta l'altro provò debolmente a sferrargli un pugno. «Quasi quasi mi piacerebbe lasciarvi qui» continuò, ma la sua etica professionale era troppo forte, così si arrampicò sul carro e provò a sollevare di peso l'uomo ubriaco. Jacob però era più pesante di quanto sembrasse. Per quanto ci provasse, lo speziale non riuscì ad alzarlo. Dovette accontentarsi di ripulire la ferita e di bendarla con una striscia di stoffa strappata dalla camicia di Jacob. Poi lo lasciò a dormire seduto, dopo averlo avvolto in una vecchia coperta. Il pony era spaventato e tremava dal freddo, dato
che era rimasto a lungo nell'acqua. John lo staccò dal carro e lo ricondusse alla fattoria, dove lo sistemò nella stalla e gli diede del fieno. Quando entrò in casa e si avviò in punta di piedi in camera sua erano le undici. Lo speziale si spogliò rapidamente e andò a letto, ma per qualche motivo non riusciva ad addormentarsi. Sentiva vagamente che c'era qualcosa che lo preoccupava, ma non riusciva a mettere a fuoco di cosa si trattasse. Alla fine scivolò nel sonno, ma solo per fare dei brutti sogni e risvegliarsi, triste e ansioso, nelle tenebre delle ore che precedono l'alba. Appena ci fu luce si alzò e uscì di soppiatto di casa. Tornato sul luogo dell'incidente, vide che Jacob dormiva ancora, anche se non così profondamente come la notte prima. John riempì di acqua gelata il secchio che aveva portato con sé e, con grande soddisfazione, lo rovesciò sulla testa di Jacob. «Cosa? Bastardo! Dio onnipotente...» «Piantatela» lo interruppe John. «Vi sono corso dietro per avvisarvi che il carro aveva una ruota danneggiata, ma voi siete partito a tutta velocità. Siete voi l'unico da biasimare.» «Voi, miserabile...» incominciò Jake cercando di rimettersi in piedi, appoggiandosi al bordo del carro per non cadere. «State attento alla testa» continuò lo speziale. «Avete un bel bernoccolo. E adesso volete che vi aiuti o no?» «No» rispose Jake. «Ce la faccio da solo.» Drizzandosi faticosamente in equilibrio precario sul pianale del carro scavalcò il bordo e atterrò nell'acqua gelata immergendosi fino alla cintola. John rimase sulla riva con le braccia conserte, mentre Jake, imprecando e bestemmiando come uno scaricatore di porto, usciva dall'acqua e si inerpicava sulla riva, all'asciutto. Giunto in cima, il figlio del fattore si fermò a lanciargli un'occhiata feroce. «Ho visto qualcosa di interessante a Brentford ieri sera» disse, A John vacillò il cuore. Sapeva bene a cosa si riferiva: i manifesti dei ricercati erano arrivati al villaggio. «Ah, sì? E cosa?» chiese, sforzandosi di sembrare disinvolto. «Era un manifesto. Stanno ricercando un uomo che sembra proprio voi. Me lo sono copiato.» Tirò fuori di tasca un foglietto fradicio. «Cosa dice?» Faticosamente Jake cominciò a leggere. «"Si ricerca John Rawlings, altezza un metro e settanta, di professione speziale. Ricercato per l'omicidio di sua moglie, avvenuto a Gunnersbury House lo scorso Natale. Ricom-
pensa di una ghinea per ogni informazione che possa condurre al suo arresto."» Scoppiò in un'aspra risata. «Siete voi, vero, William Miller?» «Sì» ammise John alla fine. «Che cosa avete intenzione di fare?» Jacob lo guardò con aria furba. «Be', dipende.» «Se pensate di ricattarmi, scordatevelo. Piuttosto vado a consegnarmi. Se pensate di dirlo a vostro padre, lui lo sa già. Non dimenticate, mio caro signore, che senza i miei servigi siete a corto di personale.» «I braccianti sono facili da trovare» ribatté Jacob. «Può anche darsi. Ma dove ne trovate uno che si prenda cura del signor Bellow come faccio io? Inoltre cosa sperate di guadagnarci tradendomi?» «Una ghinea, ecco cosa.» «Torniamo alla fattoria e ne discuteremo» replicò John con calma, e si incamminò. Dietro di lui sentiva il figlio del fattore che camminava gemendo e pensò che doveva avere la testa che girava come una trottola. Si voltò e sorrise. «Mi fate veramente pena, Jacob.» «Ve la do io la pena, brutto bastardo.» Raggiunsero la fattoria e John salì subito di sopra, in camera di Hugh Bellow. Lo speziale si sbrigò a mettere la stanza in ordine, togliendo di mezzo il vaso da notte e trovando a Hugh un cuscino ben gonfio, prima che si sentissero i passi di Jacob su per le scale. John si rivolse al fattore. «Signore, vostro figlio ha visto un manifesto in cui si offre una ghinea in cambio di informazioni che portino al mio arresto. Vi propongo un patto: me ne andrò da questa casa e non vi creerò più difficoltà, ma vi prego di trattenerlo per un giorno.» Hugh rimase a bocca aperta. «Cos'è questa storia, Jake?» «Non è una cosa che vi riguardi» borbottò lui. Il fattore si mise a sedere sul letto. «Tanto per cominciare il signor Rawlings è stato onesto con me. È vero che l'hanno trovato vicino al cadavere di sua moglie, ma mi ha detto che non è stato lui a ucciderla e che è tornato per scoprire chi è stato. E a me sembra credibile: per quale altro motivo se ne starebbe in un posto così pericoloso per lui? Se fosse lui l'assassino adesso sarebbe all'altro capo del paese.» L'ovvia verità di quelle affermazioni dovette toccare qualche corda e Jacob annuì lentamente col capo ferito. «E quindi se lo tradisci assaggerai la mia cinghia, per Dio!» Jacob aveva un'espressione minacciosa ma non disse nulla e John pensò che doveva provare ad alleggerire l'atmosfera.
«Sentite, me ne andrò. Datemi solo qualche ora di vantaggio.» «Voi non ve ne andate per nulla» affermò con decisione Hugh. «Anche con la stampella, che mi avevate promesso di fare oggi, non sarò in grado di lavorare nella fattoria ancora per un po'. Non potete piantarmi in asso adesso, John.» Jacob rivolse al padre uno sguardo eloquente. «Se si mette a farvi una stampella non potrà aiutarmi a recuperare il carro.» E con quelle parole se ne andò sbattendo la porta. Hugh guardò lo speziale. «Non vi tradirà. Sa che lo scorticherei vivo.» «Vi ringrazio, signore. Mi auguro che abbiate ragione.» Ma quando John seguì Jake di sotto ebbe la netta impressione che le cose non fossero così semplici. 16 Più tardi, quel giorno, arrivò la risposta alla lettera che aveva scritto a sir Gabriel Kent. Fortunatamente John, che stava cercando un pezzo di legno adatto per fabbricare la stampella, scorse il ragazzo della posta che arrivava sul sentiero e lo intercettò. Riuscì così a sgusciare dietro il boschetto e a leggere la corrispondenza in pace. Caro figlio, mi fa molto piacere che tu abbia trovato lavoro così vicino a Gunnersbury House. Ho anche appreso che persone di tua conoscenza ti sono accanto. Non farò i loro nomi per paura che questa lettera possa cadere in mani sbagliate. Tua figlia fiorisce come la rosa che le dà il nome e sembra felice con suo nonno, anche se mi chiede spesso di tutti e due i suoi genitori. Non le ho detto nulla di quanto è successo. Questo compito lo lascio a te, per quando ritornerai. Rimango sempre, mio caro John, il tuo affezionato padre G. Kent Post scriptum. Ho saputo che Jocasta e Samuel Swann hanno avuto il loro bambino. John rilesse la lettera diverse volte, poi la nascose in una tasca della
giacca e riprese a modellare la stampella. Un'ora dopo l'aveva terminata e impiegò il resto della giornata a insegnare a Hugh come usarla, concludendo alla fine che al fattore ne sarebbe occorsa un'altra per stare più facilmente in equilibrio. Si era già fatto tardi e John sì rese conto che quel giorno non aveva incontrato nessuno di Gunnersbury House, dato che Jacob aveva deciso che quella mattina le consegne le doveva fare il ragazzo. John pertanto decise che ci sarebbe andato dopo cena, per cercare di rintracciare Joe Jago. Così, finito di mangiare, indossò il mantello e uscì. Aveva trovato pure il tempo di fasciare la testa a Jake, nonostante le rumorose proteste del figlio del fattore. «Non ho bisogno di aiuto. Sparite.» «Dato che me lo chiedete così gentilmente lo farò. Ma scriverò un biglietto al dottore per fargli sapere che c'è bisogno di lui a Bellow Farm, con urgenza. Scegliete voi.» Aveva iniziato ad allontanarsi, ma Jacob lo aveva richiamato. «Will, potete dare un'occhiata voi. Non voglio nessun vecchio rimbambito di medico qui.» Il taglio era profondo, un brutto squarcio che avrebbe avuto bisogno di qualche punto. Lo speziale lo aveva pulito, frizionandolo con un infuso di foglie di felce che teneva nel proprio bagaglio, e lo aveva rifasciato con una benda pulita. «Dovrò medicarvi tutti i giorni per una settimana.» «D'accordo» aveva risposto Jacob. E John aveva pensato che era la cosa più gentile che gli avesse mai detto. Mentre si dirigeva verso il ponte si chiese se Jacob sarebbe andato dal funzionario di polizia di Brentford a denunciarlo. Forse l'avrebbe fatto di nascosto. Comunque non era il caso di preoccuparsi, adesso. Aveva cose più importanti a cui pensare, la prima delle quali era trovare l'assassino di Emilia. Passò mentalmente in rassegna le varie possibilità. Avrebbe potuto essere uno qualunque degli interpreti o degli spettatori della recita, ad eccezione della principessa Amelia. E perché lei no? Il fatto che avesse sangue reale nelle vene non la esonerava dai sospetti. Provò a ricordare. Dove si trovavano gli altri? Ma per quanto si sforzasse non riusciva a rammentare. Durante la recita c'erano tutti, naturalmente, ma dopo c'era stata una gran confusione. Tutti i presenti si erano sparpagliati qua e là. Nonostante per lui fosse molto doloroso, John si costrinse a ripensare
all'ultima volta che aveva visto Emilia viva. Aveva guardato fuori dalla finestra e aveva visto una figura avvolta in un mantello rosso che si dirigeva velocemente verso gli alberi. Al momento aveva pensato che si trattasse di Priscilla, ma quell'idea era svanita ben presto. L'unica persona che era rimasta nella sala mentre lui la guardava era quell'odioso domestico butterato, Benedict. Lui, almeno, poteva essere escluso. Aveva già attraversato il ponte e si era ormai incamminato verso la casa quando udì dei passi e immediatamente si immobilizzò dietro un albero. Con suo grande stupore vide che si trattava di lady Theydon e Michael O'Callaghan, una coppia che avrebbe definito alquanto improbabile, se mai gliel'avessero chiesto. «... ma Michael, vi ho già prestato cinque sterline» stava dicendo la donna. «Ma amabilissima signora, li ho spesi per stare qui a Brentford, e ora devo tornare a Londra con le tasche vuote.» «La risposta è no.» «Ma cara, dolcissima...» «Basta con queste smancerie. Le ho sentite fin troppo spesso. Dovete cavarvela da solo, adesso.» Michael replicò con quella voce rauca che John tanto ammirava. «Vi giuro su quanto ho di più sacro che vi restituirò tutto fino all'ultimo penny, che Dio mi sia testimone.» «Avete vissuto come un signorotto per riuscire a sperperare tutto così. Lo so cosa avete in mente, Michael. Volete conquistare lady Georgiana e la inondate di pizzi e falpalà. Be', lei è una donna sposata, mio caro. E rimarrà tale.» «Non finché avrò fiato in corpo. Vi giuro che l'avrò.» «E lord Hope? Pensate che accetti di ritirarsi nell'ombra?» «No, ma Georgiana e io abbiamo un piano.» «Quale?» La magnifica voce dell'irlandese si abbassò di un'ottava. «Questo sarebbe fare la spia, milady. Per ora posso solo dire che il nostro futuro è già tracciato.» «Io credo che siate due pazzi. Non voglio più avere nulla a che fare con questa storia. E voi non avrete altro denaro. Buonanotte, signore.» Se n'era appena andata quando Michael incominciò a imprecare. «Oh, che miserabile vecchia cagna!» John sbucò fuori dal suo nascondiglio. «Buonasera a voi, signore.»
L'attore sobbalzò. «Oh, non vi avevo visto. Buonasera. Ci conosciamo?» John rischiò: «No, signore, anche se vi ho visto da queste parti.» «Davvero? È strano, dato che alloggio a Brentford.» «Ah» rispose John con l'accento più campagnolo che gli riuscì. «Vi ho visto di notte con una bellissima signora, qui al ponte.» Michael gli rivolse uno sguardo fiammeggiante. «Siete dunque un guardone?» John si inchinò. «Oh, no, signore. Dovevo solo fare dei lavori qui nella fattoria, c'era da controllare il bestiame e così via. Non ho potuto fare a meno di notarla. Era bellissima.» L'irlandese si rilassò. «Sì, lo è, e anche di più. Siete mai stato innamorato, brav'uomo?» «Sì, lo sono stato, e molto» rispose lo speziale. «E cos'è successo?» «Lei è morta» rispose amaro John. Per tutta risposta l'irlandese gli immobilizzò le braccia dietro la schiena e con un colpo deciso gli fece cadere il cappello. «Lo sapevo che eravate voi, anche se ammetto che per un attimo mi avete ingannato. Per Dio, ho catturato il ricercato. Perché diavolo siete tornato?» «Per trovare l'assassino di Emilia e ucciderlo» rispose schietto John. «E quindi sostenete di essere innocente?» «Certo che sono innocente. Perché diavolo avrei dovuto uccidere la donna che amavo? Era un brava moglie e una brava madre, e per di più stava aspettando il nostro secondo figlio. Basterebbe la logica per dimostrare la mia innocenza.» Michael lo guardò con l'aria di chi la sapeva lunga. «A dire il vero, vecchio mio, non ho mai pensato che foste stato voi. Oh, lo so che sembrava così, quando vi abbiamo trovato tutto sporco di sangue e con il coltello in mano. Ma a giudicare da quello che sapevo di voi ho sempre pensato che foste innocente.» «Be', avevate ragione.» «L'istinto irlandese.» L'attore si guardò attorno. «Fa freddo. Non credete che sarebbe meglio se veniste a Brentford con me a bere qualcosa?» «Direi di sì. Ma come ci arrivo?» «C'è un mezzo di trasporto che mi aspetta dall'altra parte del ponte. Se volete essere così gentile da dividerlo con me mi piacerebbe sentire la vostra versione della storia.»
Attraversarono il ponte e dall'altra parte effettivamente c'era un uomo con un carro. «Non è proprio una carrozza, ma è quanto di meglio offriva il villaggio» spiegò l'irlandese con una smorfia. Sedettero uno davanti all'altro e parlarono poco, finché il carro non arrivò davanti alla locanda del Leone Rosso. John si guardò attorno per vedere se c'erano i manifesti dei ricercati ma non ne trovò. «Io alloggio qui, per ora» annunciò fiero Michael O'Callaghan, e fece strada all'interno. A giudicare da come venne accolto era chiaro che era già entrato nelle grazie della maggior parte dei clienti abituali. Tanto che solo dopo aver scambiato un bel po' di saluti lui e John poterono andare a sedersi in un tavolo appartato. «E adesso raccontatemi tutto» lo invitò l'irlandese, scolando un bicchiere di vino tutto d'un colpo. John lo fece, senza tralasciare alcun dettaglio, compreso l'incidente che era capitato a Hugh Bellow alla fiera. «Siete stato fortunato a trovare quel lavoro.» «Sì, lo so. Anche se devo ammettere che non ho mai lavorato così tanto in vita mia. Quello che però mi preoccupa, Michael, è il fatto di non poter entrare a palazzo, o almeno non agevolmente. Come diavolo faccio a cercare l'assassino se me ne sto così a distanza?» L'attore rimase seduto in silenzio, tirò fuori una pipa e l'accese. «Avete pensato a un travestimento?» chiese alla fine. «Be', mi sono tinto i capelli.» «Sì, ma quello da solo non basta. Sono i vostri occhi che vi tradiscono. Dovreste nasconderli in qualche modo.» «Forse dovrei portare una benda nera come il giudice cieco.» Michael si tolse la pipa di bocca e puntò il cannello verso John. «Aspettate, ho un'idea. Che ne dite di un occhio bendato e di un'andatura zoppicante? Potreste passare per un veterano dell'ultima guerra. Poi non vi serve altro che qualcuno che vi presenti a corte e siete a posto.» Priscilla, pensò John. Lei poteva benissimo farlo passare per un amico. «Dovrei sembrare più vecchio?» chiese. «No, si può essere feriti da giovani come da vecchi.» Lo speziale rimase in silenzio per qualche minuto, giocherellando con il suo bicchiere. Poi disse: «Lo farò, per Dio.» «E i Bellow, padre e figlio?»
«Chiederò loro qualche giorno libero.» «E se rifiutano?» «Allora dovrò ripensarci. Non posso lasciarli nei guai in un momento del genere. Speriamo che mi lascino andare.» L'irlandese si sporse in avanti. «A dire il vero io sono cresciuto in una fattoria.» «Davvero?» chiese John, che stava già indovinando dove voleva andare a parare. «Sì, finché non è fallita. In ogni modo non mi dispiacerebbe una settimana di lavoro. Il fatto è che ho solo quanto basta per pagare il conto qui e poi non ho più un soldo. Mi farebbe comodo qualche scellino. Che ne dite? Potete chiedere loro se mi danno il vostro lavoro?» «Non preferireste tornare a Londra a recitare?» Michael O'Callaghan sospirò. «Finché la mia amata non ritorna in città preferisco rimanere qui, anche a costo di mettermi a fare i lavori più umili.» Lo disse con un'enfasi così teatrale che lo speziale scoppiò a ridere. «D'accordo. Venite alla fattoria domani mattina. Lo proporrò a Hugh Bellow.» «Siete un vero gentiluomo, signore.» «Ma certo» rispose John, scoppiando di nuovo a ridere. Alle prime luci dell'alba lo speziale si svegliò e andò a mungere le vacche, poi le lasciò uscire al pascolo. Come sempre si mise a guardare nel punto dove gli era apparsa Emilia, o qualcuno che le assomigliava moltissimo, ma non c'era nessuno e, per quanto rimanesse a osservare per diversi minuti, non accadde nulla, così tornò alla fattoria. Fu allora che John vide una figura familiare che avanzava sul sentiero portandosi dietro una borsa, e lo salutò festante. Michael O'Callaghan aveva mantenuto fede alla sua parte del patto e stava arrivando a Bellow Farm di buon mattino. Dopo aver fatto accomodare l'attore in cucina, John salì di sopra per sistemare la cosa con Hugh e rimase sorpreso nel vedere che l'uomo girava per la stanza con le stampelle. «Questa sì che è una sorpresa, signore.» «Dopo tutto il massimo che mi può capitare è cadere.» «Giusto. Ho però un favore da chiedervi.» E John gli spiegò tutto, omettendo solo la parte relativa al suo travestimento e il fatto che O'Callaghan fosse un attore, una professione molto
malvista dalla gente di campagna. «E pensate veramente che una settimana vi basti per scoprire chi ha commesso il delitto?» «Dovrà bastare. Anche perché credo che la principessa si rimetterà presto e farà ritorno a Londra per il resto della stagione.» «Probabilmente avete ragione. È raro che venga qui in questo periodo dell'anno.» Un'ora dopo era tutto sistemato e Hugh aveva stretto la mano a Michael O'Callaghan. John impacchettò le sue poche cose e in compagnia del ragazzo della fattoria si recò a palazzo con le provviste. Invece di andare alle cucine scese però nelle vicinanze della scuderia, e andò a cercare Joe Jago. Trovò il suo vecchio amico che strigliava un grosso stallone sauro. «Buongiorno, Joe» sussurrò John. «Buongiorno a voi» rispose allegramente Joe. «Bell'animale quello di cui vi occupate.» «Sissignore. È Eclipse, la cavalcatura personale della principessa.» John abbassò ancora la voce. «Joe, vi devo parlare.» «Andate dove abbiamo parlato l'ultima volta e portatevi dietro la vostra roba. Aspettatemi là. Ci metterò una decina di minuti.» Camminando con fare indifferente e guardandosi bene attorno per essere sicuro che nessuno lo stesse osservando, John si recò nel luogo dell'appuntamento e si sedette sul pavimento di pietra, chiudendo gli occhi. Immediatamente gli apparvero delle visioni spiacevoli: Emilia che giaceva morta, il sangue scarlatto sulla neve bianca, le tremende ferite al ventre, lei che lo riconosceva prima di morire. Aprì le labbra, accorgendosi che stava per rimettersi a piangere. Ancora una volta riuscì però a dominarsi. Aveva giurato a se stesso che non lo avrebbe più fatto finché quella storia non fosse finita ed era determinato a rispettare l'impegno. Sentì dei passi e alzando lo sguardo vide Joe che gli si avvicinava con un filo di paglia tra i denti, sorridendo beatamente. «Allora, signore. Ci sono novità?» «Sì» rispose John, e gli raccontò del suo piano di introdursi a palazzo e, si augurava, di rimanervi. «Se non vi ospitano potete venire a stare nel mio alloggio sopra le stalle» affermò in tono pratico l'assistente del giudice. «Vi ringrazio, Joe. E voi cos'avete scoperto?» «Parecchio. Intanto una cosa che senza dubbio vi divertirà: Benedict, il domestico, ha completamente perso la testa per lady Elizabeth.»
Anche se si unì alla risata di Joe, John in cuor suo si irritò. «E lei lo ricambia?» chiese quando si furono zittiti. «No, ma gli dà corda perché pensa di poter ricavare qualcosa da lui.» «Oh, bene» commentò John, che in realtà era tutt'altro che contento. «Poi lady Georgiana e Michael O'Callaghan stanno progettando di fuggire insieme.» «Sì, me l'ha raccontato lui.» «Lady Theydon ha un ruolo interessante in questa storia. Sembra quasi una mamma che disapprova l'operato di un figlio discolo.» «E Priscilla? Si è più saputo nulla del suo aggressore?» «Nulla. È una faccenda molto strana.» «Deve trattarsi della stessa persona che ha ucciso Emilia, il che prova che Priscilla ha ragione. Era a lei che miravano.» «Sì» osservò Joe. «A meno che...» «Cosa?» «Niente, stavo solo riflettendo ad alta voce.» «Per favore, ditemelo.» «No, non posso. Era solo una vaga idea.» E lo speziale dovette accontentarsi. «Ma c'è qualcuno di cui sospettate?» Joe ci pensò su. «Hanno tutti qualcosa da nascondere, come accade spesso alle persone dell'alta società. Ed è per questo che sospetto di tutti, anche se non ho niente di concreto in mano contro di loro. È difficile perché al massimo posso raccogliere qualche pettegolezzo qui nelle scuderie, ma non posso entrare a palazzo a parlare con le persone coinvolte.» «Proprio quello che pensavo io. Ma ora, grazie all'astuto suggerimento di Michael O'Callaghan, avrò la possibilità di farlo.» «Sarebbe certamente un grosso vantaggio, se ci riusciste.» «Per prima cosa devo trovare un vestito adatto e rintracciare Priscilla. Dipende tutto da lei.» «Non tutto, signore. Toccherà a voi prendere l'iniziativa e fare tutto il lavoro di deduzione. La signorina Fleming potrà solo darvi una mano al principio.» «Avete ragione. Tutto dipenderà da come mi muoverò.» Si separarono. Joe ritornò ai suoi compiti e John si mise a perlustrare il parco. Tenendosi il più lontano possibile dal palazzo, cercò di ricostruire i movimenti di Emilia prima di morire. Osservò i laghetti, i giardini, la scalinata che portava alla casa. Da dove si trovava, il laghetto circolare e il tempio erano a sinistra del
palazzo, anche se a una certa distanza. A destra c'era un edificio che John prese per una grotta artificiale. Si trovava più o meno di fronte al punto in cui Emilia era stata ferita a morte. Stringendo i denti e sperando di non venire scoperto, John si inoltrò tra gli alberi per individuare il punto esatto. Lo trovò. C'era ancora del sangue sul terreno, anche se ormai si era essiccato e formava solo una macchia rossastra. Le felci però si erano spezzate là dove era caduta e John, chinandosi come aveva fatto quella notte fatale, riuscì a immaginarsela lì sdraiata. Poi notò un piccolo frammento di tessuto impigliato in un ramo. Lo raccolse delicatamente e vide che era rosso vivo. Era un pezzetto del mantello che indossava. Eppure si trovava in una strana posizione. Piuttosto in alto, come se lei se ne fosse stata in piedi in silenzio in mezzo agli alberi. Per la millesima volta lo speziale si chiese perché fosse andata in giardino, cosa dovesse fare e per conto di chi. Che potesse trattarsi di qualcosa per sé non gli era mai venuto in mente, anche se adesso, seduto per terra, prese in considerazione quell'ipotesi e ci rifletté sopra. Poi all'improvviso sentì un'inconfondibile rumore di passi che si avvicinavano e si nascose. Acquattato quasi nel luogo dove Emilia aveva esalato l'ultimo respiro, John rimase in attesa. 17 Il rumore di passi si fece più vicino, cessò per un istante, poi proseguì. John, dalla sua posizione prona, sbirciò tra gli alberi e rimase colpito nello scorgere la lunga sagoma malinconica di lord Hope che usciva dal bosco e si dirigeva verso la grotta artificiale. Dopo essersi guardato attorno per controllare che nessuno lo stesse osservando, sua signoria entrò nella costruzione e sparì. John si alzò, spazzandosi via le foglie secche dagli abiti. Controllò che il frammento di tessuto rosso fosse al sicuro in tasca, poi uscì dal boschetto e attraversò i giardini. Rendendosi conto di essere perfettamente visibile da chiunque guardasse dalle finestre, si calcò per bene il cappello in testa e si mise a camminare con calma. Alla sua destra c'era la grotta artificiale, che lo incuriosiva molto, dato che non l'aveva mai vista. Entrarci però sarebbe stato alquanto rischioso. Lord Hope era ancora dentro, probabilmente occupato in qualche faccenda personale. John pensò che magari avesse appuntamento con qualcuno, sicuramente per discutere di qualcosa. Resistendo alla curiosità John prose-
guì verso l'entrata laterale di Gunnersbury House. Adesso era veramente su un terreno pericoloso. Fino a quel momento avrebbe potuto far finta di essere un giardiniere, ma una volta all'interno non aveva più scuse. Sperando di non venire scoperto, John si intrufolò all'interno e salì le scale. Dalla camera di lady Theydon provenivano delle voci. «Mie care signore» stava dicendo la nobildonna con il suo solito tono autoritario «prendiamo ancora un po' di tè.» «Grazie, milady, molto volentieri.» A John sembrò di riconoscere la voce di lady Kemp. «Anche per me.» Questa era senz'altro lady Featherstonehaugh. Così stava offrendo alle sue compagne il tè del mattino, si disse lo speziale. E in quell'istante fu colpito da un pensiero devastante: la sua vita non sarebbe mai più tornata normale e mai più il destino gli avrebbe riservato il noioso avvicendarsi delle cose di tutti i giorni. Per un istante rimase immobile, inorridito, sorprendendosi ancora una volta a sperare che Emilia potesse essere lì ad attenderlo, nella camera di Priscilla, che tutto potesse tornare come prima. Poi si riprese e proseguì il suo cammino. Dopo aver bussato piano piano alla porta, aspettò che Priscilla venisse ad aprire. Ma non si udì nulla. Lo speziale bussò di nuovo, un pochino più forte, ma anche questa volta non ci fu risposta. Cautamente afferrò la maniglia e l'abbassò. La porta si aprì e John guardò dentro. Dell'occupante della stanza non c'era traccia. Fece appello al suo coraggio ed entrò. Notò subito che c'era una porta che immetteva nell'appartamento di lady Theydon e subito si ritrasse, nascondendosi dietro le cortine del letto. Si rese però conto di quanto fosse ridicola la sua posizione. Doveva assolutamente vedere Priscilla e mettere in atto il suo piano. Se non l'avesse fatto non avrebbe mai potuto scoprire chi aveva pugnalato Emilia e avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni da latitante, lontano da tutte le persone che amava. Dal suo nascondiglio poteva ascoltare il cicaleccio del ricevimento che continuava, e udì pure dei passi rapidi sulle scale. Un istante più tardi la porta si aprì e apparve Priscilla, tutta ansimante e con gli abiti in disordine. Una volta dentro, si appoggiò alla porta, sventagliandosi con la mano. «Priscilla» la chiamò John da dietro le cortine. Lei emise un forte strillo, poi si voltò verso il letto, pallidissima. «Sono io» disse lui, uscendo allo scoperto. «Per favore, non spaventatevi. L'attore irlandese e io abbiamo formulato un piano.»
«Oh, mio caro, che impressione vedervi qui» disse lei, lasciandosi cadere su una sedia. «Mi avete fatto prendere uno di quegli spaventi!» John indicò con lo sguardo la porta che conduceva all'appartamento di lady Theydon. «Mi sono nascosto per via di quella. Temevo che potesse entrare qualcuno.» Per tutta risposta Priscilla si avviò in punta di piedi alla porta e diede un giro di chiave. «Qualche volta lo faccio quando voglio starmene da sola» spiegò con un risolino. Era piuttosto attraente con le guance un po' arrossate per lo spavento. In effetti era più carina di quanto John si ricordasse. «È troppo presto per uno sherry?» chiese lei con un sorriso. «Non è mai troppo presto» rispose lui, uscendo da dietro le cortine e facendole un inchino. Lei gliene versò un bicchiere da una caraffa di cristallo e glielo porse. «E adesso raccontatemi.» John bevve un sorso, poi le spiegò la sua idea, aggiungendo: «E così tutto dipende dal fatto che riusciate a introdurmi a corte.» «Dobbiamo sbrigarci. La principessa Amelia ha annunciato che chiuderà tutto la settimana prossima.» «Il tempismo è fondamentale, allora. Posso andare a Brentford e tornare qui con un carro?» «Sarebbe un arrivo decisamente sottotono. Sarebbe meglio che arrivaste a cavallo. Ma come farete con gli abiti?» «Speravo che poteste aiutarmi voi.» Priscilla ci pensò un po' su, mordicchiandosi le labbra. «Immagino che potremmo prendere qualcosa a prestito dal principe di Meclemburgo: lascia qui i suoi abiti per non portarseli all'estero.» «Ma lui è più robusto di me.» «Non ha importanza. Sono brava con ago e filo. D'ora in poi voi sarete il colonnello Richard Melville, congedato per invalidità dall'esercito, veterano del recente conflitto.» «E perché sono qui?» «Siete venuto a consegnarmi un messaggio. Adesso, come ho detto, vi suggerisco di noleggiare un cavallo. Non sarà come una carrozza, ma a Brentford c'è una stalla dove noleggiano dei cavalli passabili. Servirebbe a dare l'impressione giusta.» John sollevò il bicchiere. «Vi ringrazio, Priscilla. Emilia mi aveva detto che buona amica eravate per lei. Adesso vedo che è proprio vero.»
Lei arrossì. «Grazie. Dove devo lasciare gli abiti, quando li avrò accomodati?» «Nelle scuderie di Gunnersbury House, infilateli in un borsa e nascondetela nel fienile. Ci andrò di nascosto e mi cambierò. Poi verrò a palazzo. Il resto spetta a voi.» «Potete fidarvi di me, John. Sapete che non vi abbandonerò.» Si sporse verso di lui. «E sappiate che sarò una buona amica per voi quanto lo ero per Emilia.» Allungò una mano e toccò quella di John, che, istintivamente, la afferrò. Agendo di nuovo senza pensare se la portò alle labbra. Avvertì un leggero movimento da parte della donna e la osservò. Priscilla si era voltata di lato, tenendo il braccio teso, e John notò che aveva un'espressione strana, indecifrabile, sul viso. Poi lei tornò a guardarlo e per un secondo lui le lesse sul viso una gioia assoluta che scomparve rapidamente com'era arrivata. In effetti fu tutto così fulmineo che quando ci ripensò John si chiese se l'aveva vista sul serio. Lei tornò a riempire entrambi i bicchieri. «A un successo immediato» disse. «Sì» rispose preoccupato John. «Con la principessa che presto se ne andrà devo veramente trovare l'assassino in fretta.» Alle sette e mezzo precise un attempato cavallo nero, il meglio che offrisse la stalla di Brentford, giunse trotterellando davanti al portone di Gunnersbury House, e il suo cavaliere smontò. Arrivò di corsa uno stalliere che, quando vide il cavallerizzo, un tipo attraente, tutto impettito ed elegantissimo, deturpato però da una benda che gli copriva un occhio, rimase a bocca aperta. «Buonasera, signore» disse Joe Jago. «Buonasera, brav'uomo» rispose John Rawlings. «Avete intenzione di riprendere l'animale questa sera, signore?» «Sinceramente spero di no» rispose John sottovoce. Suonò il campanello del portone e il domestico venuto ad aprire, dopo averlo condotto in una sala, portò una lettera su un vassoio alla signorina Fleming, che in quel momento si trovava nel salotto con la principessa. Poco dopo lei arrivò, con un'aria tutta agitata. «Oh, mio caro colonnello» disse. «Che sorpresa. Non avevo idea che vi trovaste da queste parti.» «Signora, ho fatto un lungo viaggio» rispose il visitatore. «Mi trovavo a
Bath, sapete, quando ho ricevuto una lettera della mia anziana madre in cui era contenuto un messaggio per voi. Allora ho preso una diligenza, poi un'altra e infine ho noleggiato un cavallo a Brentford. In ogni modo ora sono arrivato, e devo ammettere che ho pure un certo appetito.» «Mio caro signore, provvederemo subito. Devo però confessarvi che in questo momento siamo nel panico. Un membro della corte è scomparso e stiamo organizzando le ricerche.» «Scomparso?» ripeté John, sinceramente perplesso. «Di chi si tratta?» «Di lord Hope. Non si è fatto vedere a pranzo ed è per questo che ci siamo allarmati. La principessa non è quindi dell'umore giusto per ricevere un ospite, temo.» In quel momento si sentì un urlo lacerante e nel salone comparve lady Georgiana, visibilmente scossa. «Dobbiamo trovarlo» annunciò a tutti. «Dobbiamo trovare Conrad.» Si rivolse al nuovo arrivato. «Oh, per favore, ci aiuti, signore» lo implorò. Rammentandosi della scena a cui aveva assistito al ponte tra lei e Michael O'Callaghan, John pensò che era una delle migliori attrici che avesse mai visto, a dispetto delle ironiche osservazioni sulle sue capacità che aveva fatto l'irlandese. Lui le rivolse un profondo inchino. «Signora, qualsiasi cosa desideriate. Sono a vostra completa disposizione.» Lei rimase colpita, suo malgrado. «Priscilla, per favore, presentatemi a questo gentiluomo.» «Lady Georgiana, questo è il colonnello Richard Melville, mio cugino» disse lei con una riverenza. «Colonnello Melville, lady Georgiana Hope.» John si inchinò e le baciò la mano. «Onoratissimo, milady» disse. Gli piaceva interpretare il ruolo dell'ufficiale. Gli dava l'opportunità di fare sfoggio di buone maniere. Aveva inoltre deciso che il colonnello Melville era il tipo che faceva colpo sulle signore e quindi doveva recitare quella parte. «Il colonnello Melville mi ha portato un messaggio da parte di sua madre» spiegò Priscilla. Lady Georgiana gli rivolse uno sguardo ammaliante. «Che momento avete scelto per arrivare, signore, qui è tutto sottosopra. Vedete, mio marito esce spesso durante il giorno, per andare a caccia e cose del genere, oggi però non è tornato. Sono tremendamente preoccupata per lui.» Come no, pensò John, ma continuò a sorridere. «Farò quello che posso per aiutarvi, milady. Ma prima, per cortesia, do-
vrei venir presentato alla principessa. Sempre che possa ricevermi, naturalmente.» «Permettete che sia io a presentarvi, signore. È vero che in questo momento è piuttosto agitata, ma sono sicura che le farà ugualmente piacere.» John le rivolse un inchino un po' rigido. «Ne sarò onoratissimo, milady. Grazie di cuore.» «Ma figuratevi. Vado subito da lei.» E lady Georgiana, che si era subito ricomposta, si voltò e svanì in qualche sancta sanctorum. Nel silenzio che seguì John e Priscilla si scambiarono uno sguardo. «Grazie per l'abito» sussurrò lui. «È un miracolo che vi vada bene. Lui è molto più grasso di voi. Ne ho adattati anche degli altri e questa notte li porterò nella vostra stanza.» «Sempre che la principessa mi inviti a restare. Non ebbero però tempo di continuare. Infatti era ritornata lady Georgiana, pallida ma determinata.» «Se volete essere così gentile da seguirmi, colonnello Melville, sua altezza reale vi riceverà subito.» John, all'improvviso nervoso, la seguì fuori dalla stanza, zoppicando leggermente per dare un tocco di autenticità alla recita del colonnello invalido. Quella sera la principessa indossava uno scintillante abito d'argento con una collana di grossi diamanti, ma chiaramente il suo umore non si intonava al vestito. Diede un'occhiata distratta a lady Georgiana, John e Priscilla che erano entrati nel salone, già preparato per il gioco delle carte, con diversi tavolini piazzati qua e là. Sembrava decisamente accigliata. John notò un lampo nei suoi occhi e temette di essere stato riconosciuto, poi però l'espressione cambiò e la principessa si limitò a rivolgergli un'occhiata annoiata. «Altezza, posso presentarvi il colonnello Richard Melville, un cugino di Priscilla Fleming?» John si piegò nel più elaborato inchino del suo repertorio. «Vostra altezza reale» disse, in tono riverente. «Cosa vi porta a Gunnersbury, colonnello Melville?» chiese la principessa con un leggero accento tedesco. «Avevo un messaggio di mia madre da consegnare alla signorina Fleming, vostra altezza. Era abbastanza urgente da giustificare la mia partenza improvvisa.» «Giocate a carte?» chiese lei inaspettatamente.
«Un po', vostra altezza.» «Bene. Ditemi, avete prestato servizio di recente?» «Sono stato ferito nella battaglia di Torgau, vostra altezza» improvvisò lo speziale «dopo di che sono tornato in patria e per il resto della guerra mi sono stati assegnati incarichi amministrativi.» Era una storia credibile e la principessa Amelia evidentemente l'accettò, dato che annuì diverse volte. «Eccellente. Mi piacciono gli uomini d'arme. Dove alloggerete?» «Probabilmente a Brentford, vostra altezza. Non ho ancora prenotato da nessuna parte.» «Allora permettetemi di ospitarvi per questa notte. A condizione che aiutiate a cercare lord Hope. Oggi è andato a caccia e non è ancora tornato. Ma forse lady Georgiana ve l'ha già detto?» «Sì, vostra altezza, e stavo appunto per offrire i miei servigi.» «Mettetevi all'opera, dunque. Poi, quando l'avrete ritrovato, potrete tornare a raccontarmi qualcosa della guerra. Mi interessa moltissimo.» «Ai vostri ordini, altezza» e John si inchinò profondamente ancora una volta. Quando furono usciti Priscilla lo afferrò per il braccio. «Ben fatto» affermò. «Almeno questa notte posso restare» mormorò John. «Da questa parte, signori» gridò un uomo che John non conosceva. «Dividiamoci in squadre.» Un gruppo di uomini, per lo più domestici muniti di torce, era in attesa, insieme a uno o due ospiti. A John tornò in mente il drappello che era uscito a cercare lui e strinse i denti, sforzandosi di pensare a come si sarebbe comportato il colonnello Melville. «Dove intendete cercare?» chiese, abbassando leggermente la voce. «È proprio questo il punto, signore» rispose lo sconosciuto, che John ipotizzò fosse il maggiordomo della principessa. «Dove? Lord Hope cavalcava per ore. Potrebbe essere caduto e giacere a terra ovunque.» «Be', allora proporrei che qualcuno venga con me a perlustrare i dintorni, mentre voi e gli altri uscite a cercarlo a cavallo.» Si udì un coro di consensi e un altro ospite si fece avanti. «Buona idea. Io prenderò con me un gruppo a cavallo e mi dirigerò a est. Voialtri potete andare nella direzione opposta.» Si diressero quasi tutti verso le stalle, mentre John si ritrovò con cinque o sei uomini, tra i quali, notò preoccupato, vi era l'odioso Benedict.
«Bene. Dividiamoci in gruppetti di due e frughiamo dappertutto. Voi due perlustrate i boschi, voi andate nella zona del tempio e del laghetto circolare. Voi e io» disse afferrando un anziano domestico per il braccio «cercheremo nella zona orientale della proprietà.» Si misero in marcia. Il domestico portava una torcia accesa e John, sempre zoppicando leggermente, lo seguiva. Guardando accuratamente dappertutto setacciarono ogni angolo del giardino, finché non raggiunsero il muro meridionale del terrapieno. Lì c'era la grotta artificiale. Senza illuminazione quel luogo aveva assunto un aspetto tenebroso e John all'improvviso rammentò che quella mattina aveva visto lord Hope che entrava proprio lì dentro. «Cerchiamo là» ordinò. «Sono un po' malfermo sulle gambe, signore» confidò l'anziano domestico. «Eccovi la torcia. Mi scusate se non vi accompagno?» «Ma certo brav'uomo» rispose John con la voce da colonnello, e si addentrò al buio. La torcia proiettava sulle pareti ombre inquietanti che danzavano e si ingigantivano quando John l'alzava di più sopra la testa per vederci meglio. Ai suoi piedi si stendeva una vasca lastricata nella quale si poteva fare il bagno. L'acqua che la riempiva zampillava gorgogliando da una cascatella artificiale. Doveva esserci un tubo di scolo nascosto da qualche parte, dato che poteva sentire a distanza l'acqua che defluiva sotto la superficie. Eppure non furono questi particolari che attirarono l'attenzione di John ma qualcosa di più sinistro. A galla nella vasca, immerso a faccia in giù, con il mantello spiegato attorno a lui come un grottesco paio d'ali, vi era l'uomo che cercava. Aveva trovato lord Hope, ed era morto. 18 Lasciandolo esattamente dove si trovava, John uscì dalla grotta e spiegò calmo: «Ho trovato sua signoria, morto. Temo che dovrete reggermi la torcia mentre lo esamino.» «Esaminarlo, signore? Ma di certo...» «Noi militari siamo abituati a queste cose» asserì con fermezza lo speziale. «Adesso andiamo, brav'uomo, fatevi forza.» Rientrò nella grotta, con il domestico che lo seguiva a distanza, tenendo la torcia con la mano tremante. Inginocchiatosi vicino alla vasca, John tentò di sollevare il corpo, ma non aveva tenuto conto del peso dell'acqua.
«Potete darmi una mano?» chiese. «Oh, signore, le gambe non mi reggono. Faccio solo lavori leggeri a palazzo» si lamentò il poveraccio. «Va bene. Rimanete qui a fare la guardia al cadavere. Vado a cercare aiuto.» «Ma, signore...» «Niente discussioni. Vi ordino di rimanere al vostro posto» ribatté John in tono militaresco, e corse via. Una volta fuori si incamminò più in fretta che poté verso il palazzo, giusto in tempo per incontrare Benedict che entrava. «L'ho trovato» disse ansimando. «Dovete venire con me ad aiutarmi.» Benedict si fermò e lo guardò in faccia. «Vi conosco, signore?» «Magari ci siamo già visti da qualche parte» rispose John «ma non è importante. Lord Hope è là disteso a faccia in giù nell'acqua. Venite ad aiutarmi o no?» Il domestico fece un sorriso sarcastico e disse: «Ma certo, signore» poi seguì John, che tornò alla grotta zoppicando vistosamente. Lo spettacolo che li attendeva sarebbe sembrato divertente, in altre circostanze. L'anziano domestico, che evidentemente si era avvicinato di qualche passo per guardare più da vicino, aveva perso l'equilibrio ed era finito nella vasca sopra lord Hope. Adesso era lì che si dibatteva urlando e rischiando di annegare. Fortunatamente Benedict aveva portato una torcia con sé e la fissò a un anello nel muro, posto probabilmente lì a beneficio di coloro che desideravano fare il bagno di notte. Poi si inginocchiò, e lui e John sollevarono il vecchio, tirandolo fuori dall'acqua. Nel farlo lo speziale lo afferrò poco cerimoniosamente per il cavallo dei pantaloni. «Tornatevene subito a palazzo e mettetevi qualcosa di asciutto, prima di prendervi un accidenti» gli disse Benedict. Il vecchio continuava a battere i denti, ma annuì e uscì dalla grotta senza voltarsi. «Bene» commentò John. «E adesso pensiamo a questo poveraccio.» Insieme afferrarono il mantello del morto, che si sollevò come un'onda nelle loro mani. Tastando sotto, lo speziale riuscì ad afferrare la giacca dell'uomo e diede un tremendo strattone che lo fece parzialmente ruotare nell'acqua. John osservò quel viso pallido e ghignante, con le labbra contratte in una tremenda smorfia. «Forza, Benedict. Tiriamo forte.» Riuscirono così a trascinarlo fuori dall'acqua. John osservò lord Hope e
vide che era più bianco di un cencio e aveva le labbra viola. Inginocchiatosi vicino al corpo, lo speziale scostò il mantello e la giacca e capì subito cos'aveva provocato la morte dell'uomo. Era stato pugnalato al ventre e poi gettato nella vasca e annegato. A differenza di quanto era accaduto con Emilia, il coltello non c'era più. Per il resto l'avevano ucciso nello stesso modo. A quanto pareva l'assassino di Emilia aveva colpito di nuovo. Si rialzò e guardò Benedict negli occhi. «Vi lascio qui a guardia del corpo. Potete rimanere fuori, se preferite. Io torno a palazzo a dare la notizia. Sarebbe meglio chiamare un dottore.» «Molto bene» replicò il domestico, poi aggiunse: «...signore.» Pochi minuti dopo John si trovò al centro di una scena dominata da una forma controllata di caos. Il resoconto isterico del vecchio domestico tornato a palazzo tutto bagnato era stato sufficiente. Lady Georgiana si era esibita in uno spettacolare svenimento, mentre le dame di compagnia della principessa Amelia erano tutte intente al loro compito, che era quello di bere brandy, naturalmente a scopi medicinali. Senza pensarci, John si accostò a sua maestà e andò a tastare il polso della dama svenuta, e solo allora si ricordò chi era adesso. «Perdonatemi, vostra altezza. È l'abitudine. Nell'esercito siamo soliti comportarci così.» «Oh, davvero? Raccontatemi» disse la principessa tutta interessata, poi però aggrottò la fronte. «Ma non è il momento, vero? Con il povero lord Hope annegato.» John si schiarì la voce. «Temo che la situazione sia un pochino peggiore di così, vostra altezza. Lord Hope è stato pugnalato prima di cadere nella vasca. A dirla tutta, c'è un assassino in agguato da qualche parte, là fuori.» La principessa si portò una mano alla gola. «Oh, mein Gott! Che cosa terribile. E quindi l'assassino della povera signora Rawlings è tornato.» «Lo sapevo» si intromise lady Theydon. «Lo sapevo che quel pazzo sarebbe tornato a colpire di nuovo. Nessuno di noi sarà più al sicuro nel proprio letto, nessuno.» Roteò gli occhi bovini nel faccione flaccido e sospirò drammaticamente. «Tornerò a Londra domani» affermò la principessa. «Johnson, predisponete tutto.» «Benissimo, vostra altezza» rispose il tizio che John aveva pensato fosse il maggiordomo della principessa. Lo speziale ci rimase malissimo. Se l'intera corte se ne fosse andata non
avrebbe più potuto scoprire nulla. Tentò il tutto per tutto. «Pensate che sia saggio, vostra altezza?» chiese. «Saggio?» Nella confusione l'accento tedesco si era fatto più evidente. «Saggio? Certo. Perché no?» «Penso che ci vorrà un po' di tempo in più per esaminare le prove e sistemare tutto. Credete che ventiquattrore in più farebbero molta differenza?» «Farebbero tutta la differenza del mondo!» ribatté lei, piccata. Lady Georgiana si riprese dal suo svenimento. «Oh, vostra altezza» implorò «vi prego di permettermi di rimanere. Devo restare con il povero Conrad finché non sarà deposto nella tomba.» «E qualcuno poi dovrebbe andare ad avvertire sir John Fielding» aggiunse John. Lady Kemp e lady Featherstonehaugh all'unisono fecero un'esclamazione di disprezzo. «Bah! È stato proprio di grande aiuto. Ha fatto affiggere qualche manifesto e basta. Se fosse stato più efficiente, lord Hope sarebbe ancora vivo.» Lady Georgiana roteò gli occhi. «Oh, mi sento di nuovo svenire.» John non riuscì a trattenersi. Tirò fuori la boccetta dei sali dalla tasca dei pantaloni del principe di Meclemburgo e glieli fece annusare. Lady Georgiana aprì un occhio e lo osservò sospettosa. «Cosa state facendo?» «Sali per gli svenimenti, milady. Non falliscono mai.» Lei lo squadrò per bene in viso. «Ma ci conosciamo, signore?» «Potremmo esserci già incontrati a Londra, lady Georgiana. È possibile, anzi probabile.» «Sì, dev'essere così.» La dama si mise a sedere e si rivolse alla principessa Amelia. «Oh, vostra altezza. Vi prego di lasciarci rimanere qui ancora un altro giorno, per riprenderci.» «Nel frattempo suggerisco di chiamare un medico» affermò John. «Lord Hope deve venire esaminato prima di essere spostato.» La contessa di Hampshire, che si era allontanata, ritornò con una fruttiera piena d'uva. John, dopo averla osservata per un po', decise che doveva proprio essere stata un'attrice. Cercò di rammentarsi se suo marito fosse ancora vivo e dato che non l'aveva mai sentita definire vedova immaginò di sì. «Mi sembra che siano di ritorno i vari gruppi. Mi chiedo cosa penseranno gli altri gentiluomini» disse Priscilla.
A quanto pareva la principessa aveva altri due ospiti maschili a palazzo. Uno era un bell'uomo avanti con gli anni, con degli occhi luminosi; l'altro era un tipo che a John non andava molto a genio, dato che era giovane, irruente e pieno di sé. Quando appresero che lord Hope era stato ritrovato, chiesero a John di descrivere la scena, cosa che lui fece con la maggior precisione possibile. L'uomo più giovane, che si rivelò essere l'onorevole Gerald Naill, terzogenito del conte di Grimsdale, affermò: «Devo andare subito a dare un'occhiata. Accidenti, che sorpresa. Il vecchio Hope morto, eh? Tuoni e fulmini, a chi toccherà adesso?» «Vi consiglierei di non andare, signore» ribatté John. «Potreste confondere le tracce. Adesso che ci penso, Benedict è rimasto là da solo.» Si rivolse alla principessa. «Vostra altezza, posso suggerirvi di inviare un altro domestico a fare la guardia finché non arriva il medico? È piuttosto sinistro là sotto.» L'onorevole Gerald, che era comodamente adagiato sulla sua poltrona, si mise a sedere eretto. «Scusatemi, signore, ma cosa vi dà il diritto di dare ordini?» «Il diritto, signore, mi è dato dal mio grado. Colonnello Melville, già della Guardia di sua maestà.» Non appena lo ebbe detto, John si augurò che nessuno gli facesse domande. «Oh.» Il giovane sembrava mortificato. «Capisco. Be', mi offro come volontario per fare la guardia.» A quello non ci si poteva opporre e John lo guardò allontanarsi con un certo sollievo. Poi tornò a rivolgersi alla principessa. «E adesso, vostra altezza, bisogna assolutamente mandare a chiamare un medico.» L'ospite più anziano fece un profondo inchino e disse: «Vostra altezza, io sono un medico, anche se mi sono ritirato dalla professione da qualche anno. Mi permettete di esaminare la salma?» «Ma certo, voi siete un medico» esclamò la principessa, battendo le mani. «Mi era completamente sfuggito di mente con tutta questa confusione, dottor Peter Phipps. Anzi, ve ne prego, andate a dare un'occhiata, mio caro. Questo ci risparmierà molte pene. Poi, se dite che il povero lord Hope può venire spostato, lo trasferiremo al fresco in una cantina.» A queste ultime affermazioni lady Georgiana scoppiò a piangere, singhiozzando: «Oh, il mio povero marito. Oh, che destino crudele. Cosa farò adesso?»
John, che stava iniziando a stancarsi di quelle scene, fu tentato di risponderle: "Mandate a chiamare Michael, ecco cosa" ma tenne per sé quel consiglio. Invece si rivolse al dottor Phipps. «Posso accompagnarvi?» «Ma certo, vecchio mio. Andiamo.» Anche quella sera faceva piuttosto freddo e lo speziale e il dottore, quando uscirono dalla porta che dava sul giardino, rabbrividirono. «Che voi sappiate, c'era qualcuno che poteva desiderare la morte di lord Hope?» chiese il dottor Phipps mentre si avviavano verso la grotta. John, ripensando alla relazione tra lady Georgiana e Michael, scelse accuratamente le parole. «Non penso che fosse universalmente benvoluto.» «E questo cosa significa?» «Non saprei con certezza. Ma è stato aggredito a tradimento, come potrete vedere.» L'interno della grotta era pieno di ombre che nelle tenebre assumevano forme spaventose. John si divertì nel vedere che il figlio del conte era uscito e stava inghiottendo aria fresca come se fosse acqua. «Avete toccato nulla?» chiese con un tono imperioso. «No, ma giurerei che si sia mosso. Mi ha spaventato moltissimo.» Il dottor Phipps fece un sorrisetto ed entrò, seguito a ruota da John. Il cadavere era dove l'aveva lasciato, con la testa da una parte. Le labbra tirate mettevano in mostra un ghigno spaventoso, chiaramente visibile alla luce della torcia. John si inginocchiò cauto vicino alla salma e la voltò. Il medico si accovacciò vicino a lui. «Pugnalato al ventre, e a tradimento.» «Poi l'hanno spinto nella vasca per finirlo.» «Un delitto atroce.» «Sono tutti atroci i delitti» rispose John con un sorriso tetro. «Sembra che ne abbiate visti parecchi.» «Ho passato la vita nell'esercito» spiegò John. «Certo. Be', diamo un'occhiata in giro, prima di andarcene?» «Senz'altro. Prendo la torcia.» Esaminarono le pareti attorno alla vasca meglio che poterono alla luce incerta della torcia, e notarono una macchia di sangue sul muro. «Dunque è qui che l'hanno pugnalato» affermò il dottor Phipps. Tastò delicatamente il cadavere. «È rigido adesso, ma questo freddo avrà senz'altro contribuito.» «Sì» rifletté John. «Ci vogliono almeno dodici ore per il rigor mortis.
Dal che possiamo dedurre che è morto questa mattina presto.» Il dottor Phipps gli lanciò una strana occhiata ma non disse nulla. «Ditemi dell'altro omicidio avvenuto qui. È stato poco prima di Natale, vero?» «Sì. Credo che ci sia un collegamento tra i due.» «Ah, sì? E come mai?» «Ho questa impressione, ecco tutto» rispose lo speziale. «Allora c'è un pericoloso assassino in libertà» affermò il medico. Tornarono a palazzo in silenzio, lasciando l'onorevole Gerald a fare la guardia all'entrata della grotta. Il giovane era troppo spaventato per entrare, però era lo stesso intenzionato a mostrarsi coraggioso. Mezz'ora dopo era tutto finito. Lord Hope era stato riportato a palazzo su una barella improvvisata e adesso si trovava nella stessa cantina in cui John aveva visto per l'ultima volta Emilia. Le dame erano rimaste alzate, ad eccezione di lady Georgiana che si era ritirata nel suo appartamento a piangere lacrime di coccodrillo. Era stata preparata una tavola con una cena leggera alla quale parteciparono i tre uomini. La principessa Amelia sedeva a capotavola, un pochino alticcia, notò John. «Oh, poveri i miei ospiti» disse. «Cosa avete dovuto passare. Ma noi non ce l'avremmo mai fatta senza l'aiuto di questi prodi gentiluomini. Vi ringrazio di cuore tutti e tre.» Gerald, che si era completamente ripreso e adesso era in vena di gloriarsi, sollevò il bicchiere. «Vostra altezza, grazie per l'ospitalità. La serata è stata veramente molto strana, ma mettendo per il momento da parte l'orrore e la repulsione che noi tutti proviamo in questa terribile circostanza, vorrei fare un brindisi in onore della più grande principessa d'Inghilterra. La principessa Amelia.» Tutti quanti ripeterono il suo nome e brindarono, anche se in maniera più sobria del consueto, notò John. «Cosa avete deciso a proposito della partenza, vostra altezza?» chiese. «Ho deciso che partiremo dopodomani. Domani io e le mie dame dobbiamo riposare. Questa vicenda è stata un colpo terribile per i nostri nervi.» «Avete informato sir John Fielding di quanto è successo?» «Abbiamo mandato un messaggero a cavallo. Mi aspetto che domani giungano i galoppini. In parte è per questo che ho deciso di rimanere.» Lo speziale si scoraggiò. Era inevitabile che i galoppini del giudice venissero informati, ma ciò significava che lui doveva sparire prima che arri-
vassero. Decise che quella notte non sarebbe andato a letto ma avrebbe passato il tempo a cercare indizi e a parlare con quanta più gente fosse riuscito a trovare. Non ce ne sarebbe stata però molta, a giudicare dagli sbadigli soffocati. «Cosa ne sarà dei resti di lord Hope?» chiese, rendendosi conto che aveva tirato fuori un argomento poco adatto a tavola. Lady Theydon lo fissò con uno sguardo vitreo. «Rimarranno qui finché lady Georgiana non li farà rimuovere.» «O fino a quando i galoppini non li consegneranno al coroner.» Calò un silenzio di tomba, e John continuò: «Qualcuno l'ha comunicato alla famiglia di lady Georgiana?» La principessa Amelia sospirò. «Lady Kemp, provvedete voi, per favore.» «Ma certamente, vostra altezza. Abitano in Irlanda, vero?» «Sì. Il padre di lady Georgiana era quel pari del regno diventato povero, il conte di Galloway. Il titolo adesso è stato ereditato dal fratello, credo.» Irlanda, rifletté John. Era possibile che lady Georgiana e Michael si conoscessero da tempo? Che lui l'avesse corteggiata prima che lei sposasse l'uomo che giaceva morto in cantina? In ogni modo adesso avevano la strada libera. L'orologio sulla mensola del caminetto suonò le dieci e la principessa si alzò, al che tutti la imitarono. «Me ne vado a letto» annunciò. «Signore, venite con me; signori, arrivederci a domani mattina.» Le quattro dame la seguirono fuori dalla stanza e ancora una volta allo speziale vennero in mente le quattro Marie che facevano compagnia a Maria Stuarda. Priscilla, dopo aver rivolto un sorriso a tutti, uscì dietro le altre. John si rivolse ai due uomini. «Signori, se volete scusarmi. Ho fatto un lungo viaggio oggi e mi sento piuttosto stanco.» «Ma certo» rispose il dottor Phipps. «Mi ritirerò anch'io per la notte non appena avrò finito il mio porto.» L'onorevole Gerald, al quale era tornato un po' di colore sulle gote, disse: «Io rimarrò alzato ancora un po'. Sono troppo agitato per andare a letto subito. Farò un giro in giardino, prima.» «Fa molto freddo» lo mise in guardia il dottore. «Starò benissimo, non preoccupatevi.» John li lasciò a discutere e, accompagnato da un domestico con un can-
deliere, salì nella camera al primo piano che gli era stata assegnata. Una volta lì però bevve un bicchiere d'acqua per schiarirsi le idee e, quando fu tutto silenzioso, ridiscese piano le scale. Per prima cosa doveva trovare Elizabeth e avvertirla della sua presenza. La scala che imboccò non era tuttavia quella appartata usata da Priscilla. In effetti lo speziale, imprecando, si trovò proprio nel salone principale. In fondo c'era un domestico che lo guardò. «Posso aiutarvi, signore?» John sfoggiò la sua espressione più gioviale. «Non conosco questa casa» spiegò «e pensavo di orizzontarmi un po' nei dintorni prima di andare a dormire. Potete dirmi dove si trovano le cucine?» «Non c'è nessuno lì adesso, signore. Posso procurarvi qualcosa?» «No, va tutto bene. Buonanotte.» «Buonanotte, signore.» Sgradevolmente conscio dello sguardo incuriosito dell'uomo, John girò a destra, attraversando una dozzina di eleganti stanze, su cui la sua candela proiettava ombre misteriose, finché non trovò quello che stava cercando. Sul retro della casa, nascosta dietro una porta, vi era una stretta scala a chiocciola. Gli scalini erano così angusti che si chiese come facessero i domestici ad andare su e giù con i vassoi di cibo e l'occorrente per le pulizie. Incominciò a salire, posando i piedi sul lato esterno dei gradini, ruotando più volte su se stesso prima di giungere all'ultimo piano. Doveva essere lì che dormiva la marchesa. Era assolutamente necessario che le parlasse quella notte, visto che per una volta si trovavano sotto lo stesso tetto. Quando fu quasi in cima, lo speziale considerò la possibilità che Elizabeth dividesse la camera con altre domestiche. In quel caso si sarebbe introdotto furtivamente e l'avrebbe svegliata, decise. Era un piano tutt'altro che facile da mettere in pratica, ma non gli venne in mente niente di meglio. Alla fine, ansimando, raggiunse il terzo piano. Qui si trovava un lungo ballatoio con delle porte su ciascun lato. Cautamente John ne aprì una. Dal russare rumoroso che proveniva dall'interno capì che si trattava di una delle stanze degli uomini. Dopo averla chiusa delicatamente, provò ad aprirne piano diverse altre e scoprì che le donne dormivano a sinistra e gli uomini a destra. Si fermò a riflettere. Se entrava in una delle camere ed Elizabeth non si trovava lì avrebbe svegliato tutti i domestici che dormivano su quel piano. In qualche modo doveva riuscire a capire in quale stanza si trovava. Si ri-
cordò di aver notato dal di fuori che in fondo all'ultimo piano c'era una minuscola finestrella, che chiaramente si apriva su una minuscola cameretta. Di sicuro i membri meno importanti del personale dovevano essere confinati in quello spazio angusto. Lentamente aprì la porta in fondo al corridoio. Capì dal respiro che lì dentro doveva dormirci un ragazzo e richiuse la porta. Percorrendo il corridoio in punta di piedi provò all'altra estremità e questa volta fu ricompensato. Dalla finestra priva di tende penetrava un raggio di luna e a quella luce poté distinguere Elizabeth. I suoi capelli neri erano sparsi sul cuscino e il viso aveva il pallore della morte in quella luce ultraterrena. Avvicinatosi al letto, per farlo gli bastò un passo, le mise una mano sulla bocca e delicatamente le toccò una spalla. Lei si svegliò immediatamente, non terrorizzata ma calma. Con le dita lui sentì che sorrideva. «John» disse, con la voce soffocata. Lui tolse la mano e lei si mise a sedere, con il viso velato dai riccioli scuri. «Mio caro, come state?» continuò, poi, gettandogli le braccia attorno al collo, lo baciò. Per un istante John dimenticò ogni cosa e rispose al bacio, cercando la lingua di lei con la sua. Poi si ricordò del volto di Emilia morente e delicatamente si sciolse dall'abbraccio. «Sto bene, ma ho molte cose da dirvi.» E lì, alla luce della luna, le raccontò tutto, persino di quando l'onorevole Gerald si era spaventato tanto a entrare nella grotta. «L'ho già conosciuto. Ma il vostro travestimento da colonnello Melville? Funziona?» John si sollevò la benda dall'occhio. «A quanto pare questa è di enorme aiuto. Ci sono delle persone che credono di avermi già incontrato, però non ne sono del tutto certe.» «Ma voi dite che la principessa riparte dopodomani?» «Sì, questa è la sua intenzione. Devo agire in fretta.» «Sì, senza dubbio. Posso fare qualcosa per aiutarvi?» «Solamente stare nelle vicinanze e accorrere se c'è bisogno.» Lei tornò ad appoggiare il capo sul cuscino. «Non preoccupatevi. Vi sarò vicina» rispose con il suo sorriso enigmatico. «Sapete che Benedict ha perso la testa per me.» «Sì, Joe Jago me l'ha riferito.» «Ma è una passione non corrisposta.»
«Vorrei sperarlo, ammaliatrice.» Lei lo guardò con i suoi occhi neri. «Chi pensate che sia l'autore di quest'ultimo omicidio?» «Lo stesso che ha ucciso Emilia. Le ferite erano quasi identiche.» «Allora dobbiamo scoprire chi è stato nella grotta oggi.» «È proprio quello che intendo fare» affermò John con decisione. 19 La lasciò cinque minuti dopo, in preda alla sensazione che l'attrazione che esercitava su di lui stesse ritornando. Anzi, probabilmente non se n'era mai andata, ma era stata solo attenuata dal dolore di aver perduto Emilia in quel modo. Mentre ridiscendeva la scala a chiocciola, John ripensò alla singolare e sinistra bellezza di Elizabeth e rimpianse di non poter rimanere più a lungo con lei, almeno quella notte. Poi tornò a concentrarsi sul proprio compito. C'erano così tante cose da fare e così poco tempo per farle. Non doveva perdere neppure un minuto. Eppure, quando raggiunse l'ultimo scalino emise un profondo sospiro di rimpianto per le cose che sarebbero potute succedere e non erano successe. Uscito dal palazzo da una porta laterale, John si diresse verso le scuderie, pensando che avrebbe dovuto svegliare Joe Jago. Nell'edificio però si vedeva una luce, e con sua grande sorpresa trovò l'assistente del giudice che sonnecchiava semisdraiato su una balla di fieno. Aveva gli occhi chiusi ma evidentemente doveva essere sveglio, perché chiese: «Siete voi, signor Rawlings?» «Sì. Come avete fatto ad accorgervene?» «Dall'andatura, signore.» Joe aprì un occhio. Divertito, John si sedette vicino a lui. «Vi ho visto andar via con il gruppo a cavallo.» «Sì, e quando siamo tornati voi l'avevate già trovato nella grotta.» «Volevo parlarvi di questo.» Joe aprì l'altro occhio e si mise a sedere. «Me l'aspettavo che sareste venuto. Ditemi, signore, si tratta dello stesso assassino?» «Senza dubbio. È stato pugnalato al ventre e quindi spinto nella vasca. Io l'avevo visto entrare nella grotta attorno alle undici, questa mattina. È possibile che sia stato ucciso allora e che sia rimasto là tutto il giorno?» «Possibilissimo. Rammentate che l'acqua nella vasca è fredda e che la principessa la adopera più che altro in estate. È molto probabile che duran-
te il giorno nessuno si sia recato là.» «E allora lui potrebbe esserci andato per incontrare il suo assassino.» Joe tirò fuori una matita di tasca. «Dobbiamo fare una lista di tutte le persone presenti sia a Natale che questa mattina. Dunque, cominciando da quelle più altolocate, c'è la principessa Amelia.» «Oh, lei non sarà stata di sicuro.» «Questo lo dite voi. Chi può assicurarci che non sia un'assassina?» John fece una smorfia. «Continuate.» «Poi ci sono lady Georgiana Hope, la contessa di Hampshire, lady Theydon, lady Featherstonehaugh, lady Kemp e la signorina Fleming. Qualche uomo?» «Michael O'Callaghan. Potrebbe essere tornato dalla fattoria ed essersi nascosto nella grotta. Lui aveva un valido motivo.» «E Benedict?» «Anche se non mi piace per nulla, direi di no» affermò John. «Mi stava servendo da bere quando ho visto Emilia dalla finestra. A proposito, ho trovato un frammento di tessuto rosso sulla scena del delitto, in alto.» «Come sarebbe a dire in alto?» «Impigliato in un ramo a una certa altezza. Come se qualcuno fosse restato lì in piedi in attesa tra gli alberi. Non penserete che...» la voce gli si smorzò, come se all'improvviso fosse rimasto colpito da qualcosa. «Che ci fossero due persone con il mantello rosso?» chiese Joe. Lo speziale si voltò verso di lui. «È possibile?» «Certo. Quale travestimento sarebbe stato più facile che vestirsi come la vittima?» John si incupì. «E allora la persona che ho visto correre verso gli alberi potrebbe non essere stata Emilia?» «Chi può dirlo? E adesso...» continuò l'altro, fregandosi le mani «chi altro dobbiamo inserire nella lista?» «Non mi viene in mente nessuno. Joe, sapete che Michael O'Callaghan e lady Georgiana Hope stanno progettando di scappare insieme?» «Sì. Che sciocchi. Questo però avrebbe fornito a entrambi un buon motivo.» «Senza dubbio. Ma perché uccidere Priscilla, la prima volta? Dato che era a lei che l'assassino mirava.» «Mmh.» Joe si accarezzò il mento. «Cosa volete dire?» «Niente, solo mmh.»
«Be', domani dovrò interrogare le signore, in un modo o nell'altro scoprirò cosa stavano facendo all'ora dei delitti.» Poi all'improvviso fu colpito da un pensiero e afferrò Joe per un braccio. «Dimenticavo. Domani dovrebbero arrivare i galoppini. Mi arresteranno.» «No, signore, non credo.» «Cosa intendete?» Joe arrossì un po'. «Signor Rawlings, non sono stato del tutto franco con voi.» Lo speziale lo guardò, perplesso. «Non capisco.» «Ho scritto a sir John, subito dopo che siete arrivato qui, e l'ho pregato di concedervi del tempo per risolvere l'omicidio. Lui vi ha accordato tre settimane, prima di procedere all'arresto. Avete ancora una settimana.» John non sapeva se ridere o piangere. «Volete dire che il mio sotterfugio non è servito a nulla?» «Oh, no. Siete riuscito a farvi riammettere a Gunnersbury House. Siete sul punto di risolvere il mistero...» «Si spera.» «Come stavo dicendo, siete sul punto di risolvere l'intera faccenda. Tutto quello che vi serve è un'altra settimana.» «Ma la principessa ha intenzione di fare i bagagli e di partire dopodomani.» «Forse si può persuaderla a rimanere.» «Ma come?» «Lasciate fare a me» rispose Joe, toccandosi il naso con un dito. La sensazione di stanchezza era ormai svanita. Dopo aver lasciato le scuderie, tuffandosi nel freddo della notte, John si sentiva più vigile e sveglio che mai. Decise di dare un'altra occhiata alla grotta e, augurandosi che avessero lasciato sul posto qualche torcia, si diresse là. Nonostante il freddo, nella notte echeggiavano vari rumori. Nell'erba si sentiva il fruscio prodotto da qualche animaletto e in lontananza il verso di un gufo. Poi all'improvviso si udì il rumore di passi di qualcuno che si avvicinava sul prato ghiacciato. Per qualche strana ragione a John si gelò il sangue nelle vene, tanto che corse a nascondersi vicino alla grotta, dove rimase in attesa che la figura si avvicinasse. Indossava un mantello e a quella distanza era difficile distinguere se si trattasse di un uomo o di una donna. Quando però si avvicinò si accorse che era una donna e che stava venendo verso il suo nascondiglio. Nell'o-
scurità, lo speziale riconobbe il volto cupo di lady Theydon. La dama si fermò all'entrata della grotta e si guardò attorno. Si trovava a pochi centimetri di distanza da John, che avrebbe facilmente potuto allungare un braccio e toccarla. Lui però rimase immobile. «C'è nessuno?» chiese lei nervosamente, con la voce tremante. Lo speziale non mosse un muscolo, nonostante sentisse l'impulso fortissimo di tossire. Lei si guardò attorno un momento, quindi decise che la via era libera e si avviò verso la scena del delitto, dalla quale proveniva un vago bagliore. Morendo dalla voglia di vedere cosa faceva, John mosse un passo, poi un altro ancora, finché fu in grado di sbirciare all'interno. La dama stava cercando qualcosa, era chiaro. Guardava in su e in giù lungo le pareti, poi si chinava sulla vasca, scrutando freneticamente. Ma qualsiasi cosa cercasse, la sua ricerca fu infruttuosa. Dopo aver dato un'ultima occhiata si avviò verso l'uscita. Lo speziale indietreggiò, ma non abbastanza rapidamente. Lei aveva visto qualcosa. «Chi c'è?» gridò. Lui però si era già allontanato, fuggendo di corsa su per l'altura che si trovava sul retro del giardino e poi verso il tempio e il laghetto circolare. Lei lo aveva scorto, di questo era certo, ma non sapeva se l'avesse riconosciuto o meno. Di sicuro aveva avuto troppa paura per inseguirlo. Guardandosi alle spalle, lo speziale rallentò. Faceva così freddo che il laghetto era ghiacciato e John guardò con commiserazione il gruppetto di anatre e i due cigni solitari che dormivano con aria sconsolata a riva. All'improvvisò sentì la mancanza di Rose. Quanto gli sarebbe piaciuto mostrarle spettacoli come quelli. Non voleva più perdersi nulla della sua crescita. Entro la fine della settimana avrebbe assolutamente dovuto smascherare il feroce assassino. Con quel pensiero in mente, John tornò a Gunnersbury House e al suo comodo letto. Si alzò alle sei del mattino e, dopo essersi lavato e vestito, tornò alla grotta. Era una di quelle mattinate nebbiose con uno spesso strato di ghiaccio e un sole rossastro che si intravedeva in mezzo ai vapori. Determinato a trovare quello che lady Theydon aveva tanto affannosamente cercato, John entrò in quel luogo di morte e si guardò attorno. La torcia appesa al muro si era ormai da tempo consumata e sul luogo aleggiava un'aria di desolazione, con la scarsa luce mattutina che illumina-
va a malapena gli anfratti della grotta. Dato che non aveva idea di cosa stesse cercando, lo speziale iniziò col ripetere le ricerche della notte precedente. Le pareti non rivelarono altro che la macchia di sangue che aveva già notato, e quindi, un po' deluso, rivolse la sua attenzione alla vasca. Era piuttosto piccola e veniva costantemente riempita dall'acqua che proveniva dalla cascatella artificiale, alimentata da una tubatura nascosta. John immerse cautamente una mano nell'acqua, ma la tolse subito. Era gelida e solo un fanatico avrebbe fatto il bagno lì dentro di sua volontà. Si chiese se la principessa Amelia desse mai ordine di organizzare una catena di cameriere con dei bollitori per scaldarla, poi, proprio quand'era sul punto di andarsene, notò qualcosa che brillava sul fondo della vasca. Rimboccando le maniche della giacca del principe di Meclemburgo, John immerse il braccio nell'acqua gelida e tirò fuori un orecchino. Era piuttosto piccolo, modellato in un forma rotonda attorno a una pietra centrale, probabilmente un topazio. Tenendolo alla luce lo speziale si rese conto dalla brillantezza che non si trattava di un gioiello da poco e che doveva appartenere a una dama di rango. Questo lasciava aperta la scelta tra tutte le dame del palazzo, pensò. Sospirando se lo infilò in tasca e uscì. La colazione venne servita alle otto e John, dirigendosi verso la sala da pranzo, si trovò dietro a lady Kemp e lady Featherstonehaugh. Ricordandosi della prima volta che era stato a palazzo, quando era salito sullo scalone con loro e si era presentato, si assicurò di avere la benda ben sistemata sull'occhio. «Buongiorno, signore.» Loro si voltarono simultaneamente per rivolgergli una riverenza. «Buongiorno, colonnello Melville.» «Avete dormito bene?» chiese John, inchinandosi. «Benissimo» rispose lady Kemp, invece lady Featherstonehaugh affermò: «No, io no. Non ho potuto chiudere occhio con tutti quei dannati bisbigli.» «Bisbigli, mia cara?» chiese lady Kemp. «Sì, un baccano dell'accidenti. Nel corridoio, davanti alla mia camera. Hanno continuato per un bel po'. Alla fine mi sono alzata e sono andata a protestare, ma era troppo tardi. Se n'erano già andati.» «Chi erano? Lo sai?» «Da principio pensavo che fosse la contessa di Hampshire con uno dei suoi giovani ganzi. Però le voci non sembravano le loro. Ma non vale la
pena di discuterne. Chiunque fosse è scappato prima che riuscissi a vederlo.» Quando furono a tavola si accorse stupito che c'erano solo loro tre. «Mi chiedo dove siano gli altri» disse. «Il dottore è andato a cavallo, il giovane Naill è ancora a letto. In quanto alle altre dame, immagino che ci raggiungeranno presto.» Così quindi gli si offriva un'opportunità. Con quello che sperava fosse un sorriso irresistibile, lo speziale si rivolse a entrambe. «Ditemi, signore, qual è stata l'esperienza più spaventosa della vostra vita?» Lady Kemp rispose subito: «Oh, senza dubbio l'omicidio di quella giovane, a Natale. Non dimenticherò mai quello spettacolo. Lei giaceva lì, dissanguata, e suo marito la teneva tra le braccia. Sembrava veramente un pazzo, poveretto.» «Perché dite così?» chiese meccanicamente lo speziale. Per fortuna lei lo fraintese e rispose: «Era tutto così spaventoso. Mi ricordo benissimo di quel giorno. Eravamo tutti eccitati per la recita. Gli attori erano già arrivati da Londra, e devo dire che quel Michael O'Callaghan mi ha veramente colpito. Ha una così bella voce, sapete. Ho fatto i miei complimenti a Priscilla per averlo scovato, ma lei mi ha risposto che lo conosceva da tempo.» «Vieni al punto, mia cara» la invitò lady Featherstonehaugh. «Lo sto facendo» replicò lady Kemp con dignità. «Come dicevo, il marito della giovane che poi è morta era riuscito ad arrivare qui nonostante ci fosse un tempo terribile. In ogni modo deve averla seguita nel boschetto per ucciderla, dato che è là che l'abbiamo trovato. Al momento però mi è sembrato strano che avesse fatto una cosa del genere in pubblico. Voglio dire, perché non ucciderla a casa?» Lady Featherstonehaugh sbuffò. «Probabilmente hanno avuto un litigio e lui l'ha colpita in un impeto di rabbia.» «Be', io invece non sono così sicura che sia stato lui. Magari l'ha trovata ferita a morte ed è rimasto lì con lei, distrutto dal dolore.» «Ditemi» intervenne John, augurandosi di non avere un'aria troppo inquisitoria «voi siete uscita a prendere aria, dopo la recita?» Lady Kemp lo osservò perplessa. «No, non mi pare, perché?» «Ma sì, mia cara» tuonò lady Featherstonehaugh. «Mi ricordo benissimo che ti sei scusata e hai lasciato il salone.» Poi si rivolse a John. «Anch'io ho fatto una passeggiata attorno al laghetto circolare, molto veloce perché
faceva freddo. Sapete, ho visto un uomo che orinava dietro un albero. Una cosa davvero sconveniente.» «Certo» concordò lady Kemp. «E chi era?» «Non ne sono sicura, ho subito distolto lo sguardo. Però mi sembrava che fosse il signor O'Callaghan.» Lady Kemp arrossì. «Immagino che dovesse ritornare di corsa.» «Non credo proprio. La recita era finita. Perché non poteva andare ai servizi come tutti gli altri?» «Forse erano occupati» disse John. Così dunque entrambe le dame erano uscite dal palazzo, e pure Michael. Questo significava che tutti e tre avrebbero potuto correre nei boschi, con un mantello rosso addosso, e uccidere Emilia. Ma perché avrebbero dovuto? Sempre che Priscilla avesse ragione a sostenere che in realtà fosse lei il bersaglio designato. John pensò che a quel punto avrebbe dovuto fare una lunga chiacchierata con quella ragazza. Si aprì la porta ed entrò lady Theydon. A John sembrò che avesse un'aria molto preoccupata. «Sono in ritardo?» chiese. «Un pochino» rispose lady Kemp «ma non ha importanza. Avete dormito bene, mia cara?» «Come una bambina» rispose l'altra, e John la guardò a bocca aperta, pensando che mentiva con la disinvoltura di un'imbrogliona di professione. «E dove sono le altre dame?» chiese lui. Lei gli puntò addosso i suoi grandi occhi bovini e incominciò a spiegare con voce cupa: «La principessa è a letto e fa colazione quando le pare. Penso che lady Georgiana possa essere scusata per via della tremenda tragedia. Però la signorina Fleming dovrebbe essere qui a prendere gli ordini per oggi. È veramente molto negligente ad arrivare in ritardo.» Come se le avessero dato l'imbeccata, la porta si aprì all'improvviso e fece il suo ingresso Priscilla, con un aspetto lievemente trasandato. «Perdonatemi, milady» si scusò con lady Theydon, piegandosi in una riverenza. «Non riuscivo a svegliarmi.» «Quei dannati bisbigli vi hanno tenuta sveglia?» chiese lady Featherstonehaugh. «Bisbigli? No, non ne ho sentiti.» «E allora tutto quello che posso dire è che siete stata fortunata.» «E dov'è la contessa?» «A letto con il suo ultimo amante, sono pronta a scommetterci.» Igno-
rando gli inviti a tacere delle altre, lady Featherstonehaugh continuò. «Sua grazia ha sposato un uomo molto vecchio che aveva il ghiribizzo di sposare una famosa attrice. Lei, per inciso, è la sua terza moglie. Le altre due sono morte.» «Di noia?» chiese lady Kemp soavemente. Lady Featherstonehaugh si limitò a sbuffare ma non rispose. John si congratulò tra sé per aver visto giusto sulla contessa di Hampshire. Poi fece un'espressione interessata. «Così il vecchio conte è ancora vivo, vero?» «Ha circa ottant'anni e una gamba sola, ma è ancora vivo, sì.» A questo punto intervenne Priscilla. «Se potete fare a meno di me per mezz'ora, mi piacerebbe mostrare il parco al colonnello. Non lo vedo da parecchio e vorrei cogliere l'occasione per farmi aggiornare sugli ultimi pettegolezzi di famiglia.» Gli occhi bovini si posarono di nuovo sullo speziale e per un orribile momento lui pensò di essere stato riconosciuto. Dopo averlo squadrato, però, lei distolse lo sguardo e si servì di una generosa porzione di uova. «Va bene. Però prima aspettatemi nelle mie stanze, Priscilla.» «Sì, lady Theydon.» Che relazione c'era esattamente tra quelle due? si chiese John. E come mai nessuna della altre dame di compagnia della principessa aveva dei domestici personali? Deciso a ottenere molte risposte nel corso della passeggiata, lo speziale si alzò. «Signore, se volete scusarmi, ho della corrispondenza da sbrigare.» La signorina Fleming gli lanciò un'occhiata espressiva. «Alle undici vi aspetto all'entrata principale, colonnello.» «Ci sarò» rispose lui, poi salutò tutte le signore con un inchino prima di allontanarsi. Una volta fuori si diresse velocemente verso le scuderie, dove trovò Joe Jago intento a strigliare Eclipse. «Amico mio, siete sicuro che i galoppini non mi arresteranno?» «Certo, signor Rawlings.» «Ma, e sir John? Il suo dovere non sarebbe quello di mettermi dietro le sbarre?» «Può anche essere. Ma dato che è un vecchio amico è pronto a lasciarvi un certo margine di tempo a disposizione.» «Io però sono stato in libertà anche troppo a lungo, a detta di tutti.»
Joe smise di strigliare. «Ma voi da che parte state?» John scoppiò a ridere, suo malgrado. «Avete ragione, come sempre. Come riuscirete però a persuadere la principessa a rimanere qui ancora qualche giorno?» «Ah, il problema è questo, adesso.» «Avete un piano?» «Penso che il qui presente Eclipse potrà fornirci la risposta.» John lo guardò senza capire, e Joe spiegò: «La principessa adora questo animale. Se si dovesse prendere un raffreddore, credo che rimarrebbe qui finché non guarisce.» «Ma come farete a simulare la malattia? Il cavallo mi sembra piuttosto in salute.» «Be', ci vuole un esperto per sapere se un cavallo è indisposto.» «Ah, capisco.» «Il poveretto questa mattina ha rifiutato il cibo.» «Che peccato.» «Proprio un peccato, sì» disse Joe, spostandosi verso le zampe posteriori dell'animale. «Proprio un vero peccato» ripeté ammiccando. 20 Priscilla, che si era risistemata di tutto punto dopo essere apparsa scarmigliata a colazione, adesso era veramente graziosa e lo stava aspettando vicino al portone. Salutò John con una piccola riverenza, poi lo prese amichevolmente a braccetto. «Non vedevo l'ora di trovarmi da sola con voi» gli sussurrò. John, un po' perplesso per il calore di quella accoglienza, non sapeva bene come rispondere. Alla fine disse: «Temo di avere da rivolgervi molte domande che necessitano di risposte veritiere.» Lei lo guardò. «Sono sempre stata sincera con voi.» «Benissimo. Allontaniamoci dal palazzo.» Si incamminarono inoltrandosi nel parco, in cerca di qualche angolo appartato dove nessuno avrebbe potuto sentirli. Poi Priscilla gli lanciò una lunga occhiata, gli premette il braccio e disse: «Ebbene?» «Sentite, mia cara, devo sapere come mai ci sono persone che vogliono farvi del male. La notte in cui è morta Emilia mi avete detto che l'assassino cercava voi. Adesso dovete spiegarmi come mai.» Priscilla distolse lo sguardo. «Ho giurato che non l'avrei rivelato ad ani-
ma viva.» «Ma vi rendete conto di quanto sia disperata la situazione?» «Sì.» «E allora vi prego.» «Bene.» Fece una pausa e poi riprese. «Bisogna tornare al periodo in cui l'attuale re era ancora principe di Galles.» «Me ne ricordo benissimo.» «Rammentate che c'erano delle persone che speravano che sposasse un'inglese?» «Ricordo che era innamorato di lady Sarah Lennox, certo.» Priscilla sbuffò. «Parlo del periodo precedente all'entrata in scena di quella donna. Quando il principe aveva diciott'anni.» «Vi riferite a quelle voci su Hannah Lightfoot?» «No.» Lei si fermò e gli lanciò una lunga occhiata. «Ero io la sua amante segreta.» John la guardò, sbalordito. «Voi?» «Vi sorprende?» «Sì. Come è successo?» «Ci siamo conosciuti al ballo organizzato da Elizabeth Chudleigh. Io c'ero andata con lady Theydon. Io non ero nessuno. Ricordo che indossavo un abito smesso di lady Theydon, dato che non avevo niente di adatto da mettere. In ogni modo, stranamente, in mezzo a quella folla elegantissima, mi ha notata. Ha ballato con me. E prima di lasciarmi mi ha messo in mano un biglietto con il quale mi faceva sapere che voleva rivedermi.» John era veramente attonito. Com'era possibile che tra tutte le bellezze presenti il principe fosse andato a scegliere proprio Priscilla? «Ma non è tutto» continuò lei, abbassando gli occhi e distogliendo lo sguardo. «Sì?» disse John, impaziente di sentire cosa avesse da dire. «Ci siamo rivisti e siamo diventati amanti. Avevamo entrambi diciott'anni ed è stata la relazione più appassionata che si possa immaginare. Oh, John, quanto ero ingenua. All'epoca sognavo di diventare regina. Ma no, anche se lui mi adorava, sua madre e il suo amante, lord Bute, si sono intromessi. Hanno fatto in modo di separarci. Che il diavolo li porti.» Lo speziale restò seduto senza parlare, sopraffatto da quello che aveva appena appreso. A dire il vero aveva sentito delle voci secondo le quali il re, all'epoca principe, aveva perso la verginità con una ragazza quacchera che si chiamava Hannah Lightfoot, e che in seguito si era innamorato di
Sarah Lennox, però poi aveva finito per fare il suo dovere sposando quella brutta piccola regina, ma quella storia era veramente incredibile. «E finì tutto lì?» chiese. Lei si voltò verso di lui, pallidissima. «No» rispose. «Vi dirò perché degli assassini mi danno la caccia. Vedete, John, sei mesi dopo che il principe e io ci siamo lasciati, ho dato alla luce un bambino.» «Il re ha un figlio illegittimo!» esclamò lo speziale. «Io so solo che ne ha avuto almeno uno» affermò amaramente Priscilla. «E cosa ne è stato?» «Appena nato è stato affidato a una famiglia, povera creatura. Io non l'ho mai visto. Poi, all'età di sei mesi, è morto.» Si bloccò per poi continuare sottovoce. «Sono andata al suo funerale. C'era un uomo vestito tutto di nero alla cerimonia. Non so chi fosse. Non l'avevo mai visto prima né l'ho più rivisto in seguito. Ma da allora hanno incominciato a capitarmi alcune cose.» «Cosa?» «Un carro ha tentato di travolgermi; qualcuno mi ha spinto giù da una scogliera. Cose del genere.» «Ma siete sopravvissuta.» «Ovviamente, dato che sono qui. Però adesso capite perché ci sono delle persone potenti che mi vogliono morta?» «No, a essere sincero no.» Priscilla gli si fece più vicina, guardandolo in viso. «Perché sono l'unica persona in vita, a parte i membri della corte reale, che sappia del piccolo George.» Dopo quelle parole iniziarono a tremarle le labbra e si mise a piangere silenziosamente. Senza volerlo, John si sentì obbligato a cingerle le spalle con un braccio. «Oh» singhiozzò lei «è così bello che sia riuscita a raccontare a qualcuno del mio peccato. Eppure a quel tempo non mi sembrava affatto di fare qualcosa di male. Io amavo sul serio George, ed ero così felice di essere la madre del suo bambino. Ma adesso il mio segreto si è fatto pericoloso. Oh, John, capite adesso perché Emilia doveva morire?» A lui parve di sì, anche se a dire il vero non riusciva del tutto a seguire il suo ragionamento. Molti sovrani avevano avuto figli illegittimi in passato e sicuramente altri ne avrebbero avuti in futuro. E allora perché in quel caso si stavano dando tanto da fare per eliminare tutte le tracce? Comunque, a dispetto di quanto potesse pensare lui, la povera ragazza adesso piangeva
copiosamente e lui si sentì in dovere di fare del suo meglio per consolarla. «Andiamo, Priscilla» provò a confortarla, tirando fuori la sua boccetta dei sali. «Sono sicuro che andrà tutto bene.» Lei prese la bottiglietta e inalò profondamente i vapori. «Ora che ci siete voi, sì» rispose. Lo speziale si sentì vagamente a disagio ma non disse nulla, notando quanto si fossero gonfiati rapidamente gli occhi di lei, e sentendosi un insensibile per essersi messo a esaminarla così da vicino. Priscilla gli sorrise tra le lacrime. «Giuratemi che non lo direte a nessuno, soprattutto a lady Theydon.» «Ma di sicuro lei lo saprà già. Non mi avete detto che era presente al ballo in cui avete conosciuto sua maestà?» «Sì. Naturalmente lei sapeva che mi aveva corteggiata, i primi tempi, ma quando sono rimasta incinta me ne sono stata via per sei mesi. Sono andata a stare in campagna, da sola. Lei non ha mai saputo niente di questa storia.» «Capisco» lo speziale soppesò attentamente le parole. «Ditemi, qual è esattamente la vostra relazione con lady Theydon? In un certo senso sembrate molto vicine.» Priscilla si agitò tra le sue braccia. «Siete stato molto in gamba ad accorgervene. Lei è mia zia, la sorella di mia madre. È stata lei che mi ha allevato. Mia mamma è morta quando avevo dodici anni.» «Mentre eravate a scuola con Emilia?» Priscilla annuì. «Sì. Mi ricordo quando è arrivata la notizia. Emilia era stata così dolce e gentile.» Quelle parole turbarono John, che distolse lo sguardo. «Oh, mio caro, vi ho sconvolto?» chiese. «Non avrei voluto per nulla al mondo.» Lui la guardò. «No, sto bene. Vi ringrazio per avermi raccontato la vostra storia. C'è qualcos'altro che dovrei sapere?» «No, non mi viene in mente nient'altro.» «Ditemi ancora una cosa.» «Cosa?» «Conoscete Michael O'Callaghan da molto tempo?» «Sì. L'ho conosciuto diversi anni fa, anche se non lo rivedevo da parecchio.» «Oh, e dove l'avete conosciuto?» «In Irlanda» disse Priscilla. «Dove ero andata a partorire.»
Quando John e Priscilla rientrarono a palazzo erano già arrivati da Londra i galoppini, i quali si erano messi a interrogare tutti coloro che erano presenti il giorno in cui era morto lord Hope. Secondo i dati in loro possesso il colonnello Melville, il dottor Phipps e l'onorevole Gerald Naill erano arrivati troppo tardi per essere considerati sospetti. Ciò nonostante furono convocati lo stesso per stabilire a che ora erano giunti a Gunnersbury House. Gerald entrò per primo e quando uscì era pallidissimo. «Quei maledetti mi hanno fatto passare un brutto quarto d'ora» raccontò, piuttosto avvilito. «Sembravano non credere che sono venuto per giocare a carte con la principessa. Mi hanno chiesto se conoscevo lord Hope e ho dovuto ammettere che lo avevo incontrato una volta o due.» Il dottor Phipps si alzò. «Adesso tocca a me, direi.» Ma in quel momento il galoppino Nick Raven, che insieme a Richard Ham costituiva la colonna portante dell'unità mobile di sir John Fielding, sempre pronta a partire per qualsiasi località del regno con un preavviso di quindici minuti, si affacciò alla porta. «Il colonnello, per favore.» Sentendosi all'improvviso piuttosto nervoso, John entrò nella piccola anticamera che la principessa aveva concesso ai funzionari per gli interrogatori. Una volta dentro si fermò, in attesa di vedere come lo avrebbero salutato. Il galoppino Raven, dalla capigliatura nera come le penne di un corvo, l'uccello di cui portava il nome, lo fissò con uno sguardo da rapace. «Be', signor Rawlings, ci ritroviamo nel bel mezzo di un'indagine.» «Già.» John guardò Nick dritto negli occhi. «Non l'ho uccisa io, lo giuro.» Intervenne il galoppino Ham, un tipo grosso e sveglio. «Lo sappiamo che non siete stato voi. Perché avreste dovuto? Ma dobbiamo fare il nostro dovere. Un'altra settimana, è quello che vi concede sir John. Poi dobbiamo arrestarvi.» «Lo so.» John aveva l'aria avvilita. «Devo trovare il colpevole. Sono convinto che sia una delle dame di compagnia della principessa. A meno che non sia invece Michael O'Callaghan. Il problema è che sono molto confuso. E oggi ho sentito una strana storia.» Quelle parole gli erano uscite di bocca prima che avesse il tempo di pensare e se ne pentì subito. «Oh, quale storia?»
«Non posso riferirvela, temo. Mi è stata raccontata in via confidenziale.» «E ha qualcosa a che fare con questa faccenda?» «Potrebbe» affermò titubante John. «Forse.» «Be', allora speriamo che faccia scattare qualcosa nel vostro cervello, signore.» «Spero proprio che sia così» rispose John, lasciando la stanza. Seduto fuori, mentre il dottor Phipps veniva interrogato, ripensò alla strana vicenda che gli aveva raccontato Priscilla e decise che c'erano due possibilità. O alla corte della principessa Amelia si nascondeva un agente di coloro che volevano serbare il segreto reale, oppure avevano mandato qualcuno, che poi si era volatilizzato, per accertarsi che Priscilla fosse ridotta al silenzio. Ma in questo caso chi aveva ucciso lord Hope? Perplesso, lo speziale provò a usare la logica. Emilia era stata assassinata perché l'avevano confusa con Priscilla, la madre del figlio illegittimo di re Giorgio. Ma lord Hope, per quanto lui ne sapeva, non c'entrava niente con quella storia. E a quel punto allo speziale venne in mente un pensiero tremendo. E se invece si fosse sbagliato? Se ci fosse stato un folle assassino in libertà, pronto a colpire chi voleva? Se Emilia fosse stata fin dall'inizio la vittima designata? Allora non c'era bisogno di un movente per il delitto. L'assassino aveva colpito solo perché sospinto dalla sua follia omicida. In quel caso bisognava stare in guardia, perché c'era un pazzo in mezzo a loro. Un po' scosso da quelle idee, lo speziale si avviò verso l'uscita con l'intenzione di trovare Joe e discutere degli ultimi sviluppi della vicenda. Ma non aveva neppure raggiunto la porta che conduceva al giardino quando sentì qualcuno che gridava il nome del colonnello. Lentamente si girò e vide la contessa di Hampshire che lo salutava con la mano sbirciando da sopra il ventaglio, con cui si faceva aria energicamente, nonostante il freddo. John le fece un profondo inchino. «Mio caro colonnello» disse la dama, rimanendo seduta. «Stavo giusto pensando a voi.» «Davvero, milady?» «Sì, sul serio. Che sfortuna per voi arrivare in un momento così terribile. Mi domando cosa penserete di noi.» «Effettivamente è un terribile frangente, milady, tuttavia non credo che esista un momento adatto per un omicidio.» Lei gli fece cenno di sedersi vicino a sé. «Potete dedicarmi un momento? Vorrei chiedervi la vostra opinione su quello che sta accadendo.»
John le rivolse un altro inchino e si sedette. Lei gli si fece più vicina. «Ditemi, dunque» attaccò con una risatina acuta. Ai suoi tempi doveva essere stata una vera bellezza, non c'erano dubbi. Aveva dei tratti molto fini e degli occhi magnifici, non si faceva fatica a credere che un anziano aristocratico l'avesse voluta sposare. Sfortunatamente gli anni avevano lasciato il segno, e là dove un tempo c'era un piccolo mento vivace adesso ce n'era più di uno, sotto gli occhi c'erano delle grosse borse e quando sorrise John vide che stava iniziando a perdere i denti. Lo speziale pensò che doveva essere ormai sulla cinquantina. Lei lo incoraggiò con un sorriso. «Avanti.» John tossicchiò e cercò di mettersi nei panni del colonnello. «Be', milady, Il povero lord Hope è stato assassinato e noi tutti dobbiamo stare all'erta e tenere gli occhi aperti.» La contessa di Hampshire rabbrividì. «Pensate che l'assassino sia uno di noi?» John rifletté. «Si tratta certamente di qualcuno che in un modo o nell'altro ha a che fare con Gunnersbury House. Ditemi, in confidenza, contessa, voi avete qualche sospetto?» «Be', all'epoca del primo delitto pensavo che fosse andata come dicevano. Che fosse stato il marito. Ma adesso non vedo come sia possibile. Voglio dire, che collegamento ci poteva essere tra la piccola Emilia e lord Hope? A meno che, naturalmente...» «Cosa?» «A meno che non fossero amanti.» Quel commento fece infuriare John, che però riuscì a mantenere la calma. «Penso che si tratti di un'ipotesi azzardata, milady. Direi che l'unico collegamento tra quei due è il loro assassino» rispose con calma. 21 Fu un vero sollievo uscire da Gunnersbury House, la cui atmosfera all'improvviso si era fatta opprimente. Avviandosi risoluto verso le scuderie, John rimase piacevolmente sorpreso nello scorgere Elizabeth che veniva verso di lui. Quando furono vicini lei lo salutò con una riverenza. «Buongiorno, colonnello» disse con un sorriso. Alla luce del mattino la cicatrice spiccava evidente. «Buongiorno, mia cara» rispose lui, e abbassandosi la benda, le strizzò l'occhio.
Lei cambiò atteggiamento. «John, state attento, per amor del cielo. Potrebbero vederci.» «Allora incontriamoci al tempio tra dieci minuti. Io ci vado subito. Voi seguitemi.» E prima che lei potesse controbattere, si avviò verso il laghetto. Quel mattino faceva più caldo e il ghiaccio che aveva coperto il laghetto si era sciolto, lasciandolo di quel misterioso colore blu scuro che tanto l'aveva colpito la prima volta che l'aveva visto. Dato che aveva qualche minuto libero, girò attorno al piccolo specchio d'acqua, rallegrandosi nel vedere che le anatre e i cigni avevano ripreso a nuotare. Si ricordò della prima volta che aveva visto Emilia. Portava un grande cappello nero che quasi le nascondeva il colore dorato dei capelli. Sotto l'ampia tesa lei lo aveva guardato con quei suoi occhi bellissimi e John si era subito sentito attratto da lei. Un'attrazione che si era trasformata in amore, e che aveva portato alla nascita di Rose. John si fermò di scatto. Negli ultimi giorni quasi non aveva pensato a sua figlia e adesso provò un fortissimo desiderio di rivederla e di stringerla tra le braccia. Con la sua chioma di riccioli rossi e il suo corpicino flessuoso era la cosa più importante che gli era rimasta di Emilia. Doveva assolutamente risolvere il caso al più presto e tornare alla sua famiglia, ne avvertiva la necessità quasi come un dolore fisico, che gli fece accelerare il passo spingendolo a entrare quasi di corsa nel tempio. L'ultima volta c'era stato di notte, e si era dovuto fermare sulla soglia per abituare gli occhi all'oscurità. Adesso poté vedere che si trattava di una struttura rettangolare, simile a un padiglione estivo. A quanto pareva, però, erano state prese tutte le precauzioni per affrontare le stravaganze del clima inglese, dato che sulla parete di fronte a lui si trovava un camino. C'erano diverse statue attorno e John vide di nuovo il fauno, insieme a un cigno e a un pesce. Ripensò all'ultima volta che era stato lì e all'aggressione di Priscilla. Chiunque avesse commesso gli omicidi e l'agguato doveva essere estremamente abile, oppure completamente pazzo. O magari tutt'e due le cose? All'improvviso rabbrividì e si rallegrò nel sentire i passi lievi ma decisi di Elizabeth che entrava. «Ebbene?» chiese lei. «Ho interrogato diverse persone ma non ho fatto nessun progresso rispetto a ieri.» «Non vedo come avreste potuto scoprire qualcosa così. È chiaro che chiunque sia stato mente per proteggersi.»
«C'è una cosa, però» e John le raccontò di lady Theydon che si era messa inutilmente a cercare l'orecchino che in seguito aveva trovato lui. «Dov'è adesso?» chiese la marchesa. «Eccolo» disse John, tirandolo fuori di tasca. «E secondo voi è questo che cercava lady Theydon, ieri sera?» «Sì.» «E dunque è lei l'assassina?» «Di sicuro sta incominciando a sembrarlo.» Elizabeth rimase in silenzio, con gli occhi fissi sulle acque blu. «Non credo che conoscesse già Emilia, vero?» Anche John si mise a riflettere. «Non penso, ma non si può mai dire.» Si sedette su una sedia da giardino. «Oh, non posso permettermi di lasciar perdere questa faccenda. È il caso peggiore che io abbia mai affrontato.» Elizabeth gli andò vicino. «È perché state indagando sulla morte di vostra moglie. Ma adesso smettetela di rimuginare. Ci sono tante cose da fare. Dovete affrontare lady Theydon da sola.» «E poi?» «Provate a dirle che l'avete vista entrare nella grotta. Vediamo come reagisce.» John la guardò e sorrise. «La fate facile voi.» «Non c'è niente di difficile per voi» rispose lei, voltandosi e uscendo rapidamente dal tempio. Sospirando, John si alzò e si guardò attorno, rammentando che l'ultima volta che era stato lì aveva trovato Priscilla a terra, vittima di un'aggressione. Si chinò per esaminare il luogo dove giaceva, ma a parte una piccola area senza polvere non vi erano altre tracce. Scuotendo il capo, chiaramente frastornato, tirò di nuovo fuori l'orecchino e rimase a osservarlo tenendolo sul palmo della mano. Quando uscì dal padiglione e tornò indietro vide i galoppini che ripartivano con la loro carrozza, trainandosi dietro un piccolo carro coperto. Capì immediatamente di cosa si trattava. Conteneva i resti mortali di lord Hope da far esaminare dal coroner. A quella vista John aggrottò la fronte e si affrettò a tornare a palazzo. Mentre si avvicinava alla porta del giardino, questa si aprì e ne uscì la principessa Amelia, vestita con abiti pesanti per ripararsi dal freddo, accompagnata dalla contessa di Hampshire. «Ah, colonnello Melville» disse, senza preamboli «non potete neppure
immaginare che nuova disgrazia ci ha colpiti. Eclipse ha la tosse e deve starsene chiuso nel suo box. Non posso andarmene e lasciarlo in quelle condizioni. Così se volete rimanere ancora un giorno o due siete il benvenuto.» John si inchinò. «Vi sono molto grato, altezza. E voi come state?» «Malissimo, grazie. La salma di lord Hope è stata appena portata via da quei due rozzi funzionari del tribunale. Lady Georgiana ha avuto una crisi isterica perché il coroner non ha ancora dato il permesso per il funerale, e come se non bastasse il mio cavallo preferito è ammalato.» «Tempi duri, vostra altezza.» La principessa sospirò. «Non mi era mai capitato niente del genere in vita mia. A volte mi chiedo se qualcuno non abbia lanciato una maledizione sul palazzo.» «Oh, no di certo. Non su una casa cristiana come la vostra» rispose John, cercando di mostrarsi pio. «Spero che abbiate ragione, colonnello. E ora vado nelle stalle a vedere come sta Eclipse. Siete pronta, contessa?» «Sì, vostra altezza» rispose l'attrice con una rispettosa riverenza, e le due donne si allontanarono. Rimasto solo, John rientrò in fretta a palazzo, determinato a trovare lady Theydon e ad affrontare lo sgradevolissimo compito di interrogarla. Si diresse risoluto verso il suo appartamento e bussò alla porta con una sicurezza che era ben lungi dal provare. Poi rimase speranzoso in attesa, mentre attorno a lui tutto rimaneva immerso nel silenzio. Bussò di nuovo, ma anche questa volta non ci fu risposta. Appoggiando l'orecchio alla porta non sentì nessun rumore all'interno. Cautamente, quasi con timore, appoggiò la mano sulla maniglia e la girò. La porta si aprì subito, rivelando uno spazioso appartamento. John si guardò rapidamente attorno per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Quel posto era il non plus ultra della volgarità. L'arredamento era abbastanza di classe, ma deturpato da tutta la paccottiglia che lady Theydon aveva infilato dappertutto. Lo speziale osservò inorridito una dozzina di cagnetti finti, tutti con la lingua fuori, piazzati un po' dovunque su dei cuscini che portavano ricamate scritte come VIENI DA ME o PER SEMPRE TUO. Per di più la dama aveva chiaramente un debole per i fiocchi. Ce n'erano infatti praticamente ovunque, di ogni forma e colore. Sullo specchio, decorato con una coppia di amorini grassi che facevano a gara per arrivare per
primi in cima, vi erano dei grossi fiocchi blu che ondeggiavano lievemente, mossi da una leggera brezza. John si vide nello specchio, con le sopracciglia talmente sollevate che quasi toccavano l'attaccatura dei capelli, e per poco non scoppiò a ridere. Non era però il momento di mettersi a contemplare gli orrori di cui lady Theydon amava circondarsi, ma di cercare qualcosa che potesse collegarla alla morte di Emilia e di lord Hope. Anche se odiava fare una cosa simile, lo speziale si mise a perlustrare l'appartamento. C'era una stanza da letto, su cui si affacciava la camera principale e, dopo aver esitato per un istante, lo speziale decise di entrarvi. Aprì gli armadi e indietreggiò nel sentire l'odore che emanava dai vestiti. Lezzo di pelle unta, mescolato con il profumo che si metteva sempre lady Theydon, probabilmente perché si lavava poco e voleva nasconderlo. John si chiese se fosse mai andata alla grotta a gettarsi nell'acqua gelida. Gli pareva improbabile. Vi erano molti abiti, tutti pieni di fronzoli e di cattivo gusto. Lo speziale si chiese che tipo fosse il marito. L'aveva sentito menzionare ma non l'aveva mai visto, e immaginò che dovesse essere piuttosto anziano e preferisse starsene da solo nella sua proprietà, dovunque fosse. Fu allora che lo vide ed ebbe un tuffo al cuore. Posato per terra, seminascosto da un'orrenda sottogonna rosa, vi era un mantello rosso. Lo speziale lo raccolse e vide che ne mancava un lembo in alto, uno strappo che corrispondeva perfettamente al frammento di tessuto che aveva trovato. E in fondo vi erano delle macchie ormai secche, ma ancora riconoscibili, di un sinistro rosso scuro. Inalando profondamente, John si sforzò di riprendere il controllo del respiro, ma si accorse che stava ansimando come un bambino. Poi sentì qualcosa, dei passi in corridoio, che si dirigevano proprio verso l'appartamento che stava perquisendo. Si guardò freneticamente attorno mentre la porta del soggiorno si apriva. C'era una sola cosa da fare, nascondersi sotto il letto. Afferrò il mantello, chiuse l'armadio e così fece, rimanendo lì sdraiato a respirare la polvere di cui era ricoperto il pavimento. Era abbastanza sicuro che fosse proprio lady Theydon, dato che da uno stretto spiraglio sotto il copriletto poteva vedere le sue scarpe che andavano avanti e indietro. Poi si udì bussare alla porta e lui riconobbe che si trattava proprio di lei quando questa rispose con la sua voce stentorea: «Avanti.» La porta si aprì e qualcuno entrò in soggiorno. «Oh, siete voi» disse lady Theydon e, alzandosi dalla poltrona sulla qua-
le si era seduta, socchiuse la porta della camera da letto. Dal suo nascondiglio, John imprecò silenziosamente. Qualsiasi speranza di scoprire chi fosse il visitatore si era volatilizzata. Il nuovo venuto disse qualcosa e lui udì lady Theydon che replicava: «Sciocchezze, voi dovete rinsavire.» Ci furono delle proteste e John si sforzò inutilmente di drizzare le orecchie per capire se fosse un uomo o una donna. «Mi sono veramente stancata di voi» continuò la nobildonna. «Vi ho coperto e protetto ogni volta. Ho persino mentito ...» la voce si abbassò a tal punto che lo speziale, per quanto si sforzasse, non riuscì a capire le parole. L'altro alzò leggermente la voce, ma non abbastanza perché John lo sentisse. «Ne ho abbastanza dei vostri piani» rispose con foga lady Theydon, alzandosi in piedi e incominciando a camminare per la stanza. «Se non fosse per la....» La nobildonna si era spostata nell'altro angolo della stanza e proseguì là il suo discorso, impedendo così a John di seguirlo. Lo speziale imprecò nuovamente, certo che stessero dicendo qualcosa di vitale importanza. Poi all'improvviso si immobilizzò, perché la porta della camera da letto si era spalancata. «Sparite» ordinò lady Theydon dalla soglia. «Non sopporto neppure più la vostra vista.» Si udirono dei passi che attraversavano il soggiorno e un gran colpo quando la porta si aprì e si richiuse. Poi ci fu silenzio. «Oh, santo Iddio» esclamò lady Theydon tra sé. «Non mi meritavo di avere a che fare con una persona del genere.» John non poté fare a meno di pensare che con un gusto così orribile se lo meritava eccome. Lo speziale cominciava a sentire un certo bisogno urgente e si augurò che lady Theydon non si trattenesse a lungo. Come se lo avesse deciso il cielo, il campanello suonò all'improvviso, facendo sobbalzare John, e lady Theydon si alzò dalla poltrona sulla quale si era appena lasciata cadere con un sospiro. «Accidenti» esclamo. «È la principessa.» John sentì che si fermava davanti allo specchio, poi uscì pesantemente dalla stanza. Sgusciando fuori dal suo nascondiglio, lo speziale si spazzolò via la polvere dal vestito e si affrettò verso gli unici servizi igienici del palazzo. Quel pomeriggio, mentre il sole rosso sangue iniziava a scendere dietro
gli alberi, lo speziale si incamminò verso il Ponte dei Bellow per schiarirsi le idee. Ancora una volta ogni cosa era ricoperta di brina. I fili d'erba erano rigidi e secchi, gli alberi neri e spogli, il cielo velato da un manto ghiacciato sospeso immobile sul panorama. Solo il piccolo ruscello dei Bellow mormorava sulle pietre che giacevano sotto la superficie dell'acqua. A John sembrò che tutto il mondo fosse silenzioso, sotto l'incantesimo di quel freddissimo inverno, in attesa del ritorno della primavera. Stava proprio iniziando ad attraversare il ponte quando udì delle voci sommesse e si rese conto che si trattava di una conversazione intima. Istintivamente si bloccò. Era lady Georgiana che stava parlando, a voce tanto bassa che lo speziale non riuscì ad afferrare ciò che diceva. Però udì bene la risposta. La voce dell'attore giungeva forte e chiara. «Oh, tesoro, non riesco a credere che sia morto.» «Non ci riesci?» rispose lei, con un tono che sorprese John. «Certo è un tremendo shock, ma dobbiamo riconoscere che questa cosa ha rimosso un tremendo ostacolo per noi.» «È questo che pensavi di Conrad? Che fosse un ostacolo?» «Ma, tesoro, lo era.» «Michael» rispose lei con una voce gelida come la sera «Conrad è morto in maniera terribile, pugnalato al ventre da qualcuno che poi l'ha spinto nella vasca perché annegasse. Non voglio sentir parlare male di lui.» «Io non sto affatto parlando male di lui» affermò in tono disperato Michael O'Callaghan. «Sto solo dicendo che adesso abbiamo la strada spianata.» «Sì» rispose lei. «E ciò è molto sospetto.» «Ma cosa stai dicendo?» «Interpretalo come ti pare.» «No, aspetta un attimo» disse l'attore con voce tagliente «stai insinuando che io abbia avuto a che fare con questa storia?» «A buon intenditor...» rispose lei, e John avrebbe volentieri torto il collo a quella sciocca. «È un'accusa che mi offende» ribatté Michael. «Allora?» «Solo un secondo, milady. Posso assicurarti che non sapevo nulla della sua morte. Io ero qui alla fattoria, a lavorare.» «A quell'ora del mattino potevi benissimo essere nel campo più lontano» affermò lei. «E non se ne sarebbe accorto nessuno se te la svignavi per
mezz'ora.» Quell'osservazione colpì profondamente John, che incominciò a dubitare dell'appassionata furiosa autodifesa dell'irlandese. «Sappi, milady, che ho lavorato sodo tutta la mattina, per starti vicino, invece di dedicarmi alla mia professione sul palcoscenico.» «Questo è affar tuo.» «No, per Dio, non lo è. Abbiamo deciso tutti e due che saremmo rimasti insieme, a qualsiasi costo, a meno che la memoria non mi inganni. Ed è stato per questo che mi sono fermato qui e mi sono trovato un lavoro alla fattoria, e tu, per ripagarmi, mi accusi di omicidio. Be' buonasera a voi, milady. Ora che siete una ricca vedova immagino di non essere abbastanza per voi.» Queste parole furono seguite dai passi pesanti di Michael, che si allontanò camminando sullo strato di ghiaccio. Lady Georgiana, bisognava ammetterlo, si comportò con dignità e non gli corse dietro. Invece incominciò a tornare lentamente verso il palazzo. Comportandosi come se nulla fosse, John si mise a seguirla. Al rumore dei suoi passi lei si voltò con un piccolo urlo. «Oh, colonnello Melville, mi avete spaventata. Mi chiedevo chi fosse.» John le rivolse un elegante inchino. «Sono solo io, milady. Posso porgervi le mie più sincere condoglianze per la prematura morte di vostro marito?» Lei si voltò a guardarlo, osservandolo da vicino. «Siete sicuro che non ci siamo mai incontrati?» «Non si può mai essere sicuri di nulla in questa vita. Forse le nostre strade si sono già incrociate a Londra. Chi lo sa?» Lei si fermò e lo prese per un braccio. «Da quanto tempo eravate sul ponte?» «Se mi state chiedendo se ho sentito la vostra conversazione con Michael O'Callaghan, la risposta è sì.» «Capisco.» «Siete veramente sicura di voler rompere con lui? Non si tratta solo di un momento di confusione, che vi spinge ad avere dei dubbi?» «Siete molto presuntuoso, signore. Anzi, direi che siete proprio sfacciato.» «Scusatemi» disse John con sincerità. «Accetto le vostre scuse.» Ripresero a camminare in silenzio, poi lei disse: «Ho qualcosa da rivelarvi. Anzi, vorrei il vostro consiglio.» «Vi prego, continuate.»
«Voi dite che ho avuto torto a litigare con Michael O'Callaghan, ma il fatto è che non mi fido più di lui.» «E perché?» «Sapete che mio marito è stato assassinato nella grotta della principessa?» «Ricorderete che sono stato io a trovarlo.» «Ma certo. Be', quella mattina presto, molto presto, ho incontrato Michael proprio lì. Si è trattato di un incontro molto breve, ma il fatto è che io me ne sono andata per prima mentre lui è rimasto sul posto dicendo che mi avrebbe seguito dopo qualche minuto per evitare di destare sospetti.» Gli stava parlando in maniera molto schietta e John se ne chiese il perché. «Per venire al punto, colonnello, sarebbe stato facile per lui fermarsi lì e assassinare mio marito.» «Volete dire che loro due avevano un appuntamento?» Alla luce della luna che stava sorgendo lei lo guardò stupita. «Non mi era mai venuto in mente. Però, sì, potrebbe essere.» «Ma per quale motivo?» «Per parlare di me, naturalmente. Che altro?» 22 «Carte blanche!» annunciò trionfante la principessa Amelia, posando le carte. John, che in quella mano non era proprio riuscito a concentrarsi, si limitò a commentare: «Ben fatto, vostra altezza, ben fatto» per poi tornare a riflettere sugli avvenimenti che avevano avuto luogo quel giorno. Stavano giocando a picchetto e lo speziale stava facendo una ben misera figura, un po' perché continuava a rimuginare sulle informazioni che aveva raccolto, ma soprattutto perché la sua abilità di giocatore era a dir poco limitata. La principessa Amelia, che aveva insistito per giocare a carte prima di cena, disse: «Vado fiera della mia abilità, colonnello. In un momento più tranquillo vi avrei volentieri insegnato qualcosa.» «A vostra disposizione, altezza. A proposito, come sta Eclipse?» «Ha ancora un po' di tosse. Quel simpatico stalliere, Jago, conosce uno speciale linimento e lo sta adoperando.» Il terzo giocatore, l'onorevole Gerald Naill affermò: «Io do sempre ai
miei animali una buona dose di liquirizia. Di solito funziona.» «Il mio caro marito è un mago con tutti gli animali, ma in particolare con i cavalli» si intromise lady Theydon. «Li cura lui personalmente, sapete.» «Sì, ma ora non è qui, vero?» ribatté seccamente la principessa. «Dove si trova la vostra proprietà?» chiese John. «A Theydon Bois, nell'Essex. Naturalmente mio marito trascorre la maggior parte del suo tempo là. È più anziano di me e preferisce condurre una vita tranquilla.» John non poté fare a meno di sorridere a quell'affermazione. «Molto saggio» commentò. Lei gli scoccò un'occhiata, ma decise che non si trattava di un'affermazione offensiva e ritornò a dedicarsi alle carte. Lo speziale ne approfittò per riordinare i suoi pensieri. La conversazione con lady Georgiana era stata rivelatrice. A quanto pareva, era una di quelle giovani bellissime di sentimenti alquanto instabili. Prima era appassionatamente innamorata dell'attore irlandese, forse perché non poteva averlo, adesso ce l'aveva a morte con lui e lo considerava capace di uccidere. Ma era davvero così? Le tormentate accuse di lady Georgiana non potevano magari essere solo un modo per mascherare la propria colpevolezza? Magari lei era rimasta lì nascosta tra i cespugli in attesa che Michael se ne andasse e poi, quando lord Hope era arrivato, lo aveva seguito nella grotta e lo aveva ucciso. John tornò a ripensare alla recita e alla possibilità che fosse stata lei a uccidere Emilia. Come la maggior parte degli altri attori, lei si era assentata per un po' prima di ritornare nel salone dove si era svolto lo spettacolo. Avrebbe senza dubbio avuto il tempo di nascondersi nel boschetto con addosso il secondo mantello e di uccidere sua moglie. Poi tornò a concentrarsi su lady Theydon. Chiunque fosse stato a uccidere Emilia, lei era in combutta con l'assassino. Nascondendo il mantello si era resa complice. Quel giorno, però, si era stancata del gioco e si era ribellata contro il colpevole. Allo speziale tornò in mente quando si era nascosto sotto il letto, in mezzo alla polvere, e rimpianse di non essere riuscito a identificare la persona che parlava con la nobildonna. Quanto meno sapere se si trattava di un uomo o di una donna gli sarebbe stato di grande aiuto. A dire il vero l'unico uomo coinvolto nel caso era l'irlandese. Decise pertanto di fare un salto quanto prima a Bellow Farm per parlare con Michael.
Lady Theydon giocò una carta e rimase in attesa della mossa dello speziale. Lui la guardò con aria assente e stava quasi per dire che si era distratto quando un domestico annunciò che la cena era servita. La principessa batté le mani. «Signore e signori, andiamo. Lasciate le carte come stanno. Potremo ritornare dopo ai nostri giochi.» John si alzò, molto sollevato, e si guardò attorno nella sala. L'unico ospite che mancava era lady Georgiana che, come ci si poteva aspettare, era tornata nella sua camera. Lady Featherstonehaugh e lady Kemp stavano giocando con il dottor Phipps e Priscilla Fleming. Quest'ultima appariva graziosissima in mezzo a quelle facce esangui. In effetti aveva risvegliato l'interesse del galante dottore, che le rivolgeva grandi attenzioni. Lei le accettava tutta eccitata, suscitando la stizza della contessa di Hampshire, che se ne stava seduta in disparte dando di tanto in tanto qualche punto a un ricamo. L'annuncio della principessa fu seguito da un esodo generale, con un unico scopo. La principessa Amelia si diresse verso gli unici servizi igienici del palazzo, gli altri si ritirarono nelle loro camere. Solo lo speziale, che non aveva bisogno di liberarsi, rimase al caldo nel salone, augurandosi per la centesima volta di essere un po' più vicino alla soluzione del crimine. A poco a poco i giocatori incominciarono a tornare, in attesa che la principessa li conducesse a cena. John non fu contento di vedere che tra i camerieri addetti a servire la cena c'era Benedict. Si aggiustò la benda sull'occhio e gli passò davanti avendo cura di seguire da vicino la principessa Amelia e offrendo il braccio a lady Featherstonehaugh. La dama si voltò verso di lui. «Sto giocando decisamente male questa sera» mormorò. Continuano a venirmi in mente pensieri macabri. «È così anche per me, milady» rispose John. «Faccio veramente fatica a concentrarmi.» Lei si accigliò. «Sto incominciando a chiedermi se questo luogo non sia maledetto.» «Di sicuro i recenti avvenimenti non sono stati molto allegri.» «È veramente un peccato per quel povero cavallo.» John la osservò senza capire. «Se non si fosse preso la tosse» continuò lei irritata «la principessa avrebbe già fatto i bagagli e se ne sarebbe andata.» «Naturalmente» assentì lo speziale, sentendosi un pochino in colpa. Si sedettero attorno alla lunga tavolata che, nonostante si trattasse di un pasto piuttosto semplice, era stracolma di piatti. John si trovò a sinistra
della principessa con un posto vuoto dall'altro lato, oltre il quale sedeva l'onorevole Gerald Naill. Osservando gli ospiti si rese conto che mancava lady Theydon. Sulla massiccia credenza vennero affettate e poi servite agli ospiti porzioni di cacciagione, maiale e roast-beef, insieme a fette di prosciutto e pasticci di carne. Vi era anche un piatto di lingua di bue disposta a semicerchio in mezzo all'insalata di sedano, indivia e cicoria, e a una varietà di pasticci di piccione, facilmente identificabili dalle zampette aguzze che spuntavano dalla crosta. La principessa aveva iniziato a rimpinzarsi, ma all'improvviso alzò gli occhi dal piatto strapieno e chiese: «Dov'è lady Theydon?» John guardò lo spazio vuoto al suo fianco e disse: «Probabilmente sta dando gli ultimi ritocchi alla sua toilette.» «Avrebbe già dovuto aver finito da un bel pezzo. Benedict, siate così gentile da andare a chiamarla.» «Sì, vostra altezza» rispose con un inchino il domestico, prima di incamminarsi. La contessa di Hampshire, che se n'era stata molto tranquilla, essendo stata esonerata dal giocare a carte, disse: «Forse sta consolando lady Georgiana.» La principessa Amelia sbuffò. «Ne dubito. Lady Georgiana si riprenderà in fretta dal suo lutto, state tranquilla. Una ragazza bella e sana come lei si metterà al più presto a cercarsi un nuovo marito.» Se fosse stato qualcun altro a fare quel commento ne sarebbe seguito un silenzio indignato, ma dato che proveniva da labbra reali tutti ridacchiarono educatamente. «Giustissimo, vostra altezza» aggiunse il dottor Phipps. «Nessuno dovrebbe vivere da solo troppo a lungo. Un anno è il massimo del tempo che una donna dovrebbe passare da vedova.» Calò un silenzio piuttosto imbarazzato, nel corso del quale la principessa, che non si era mai sposata, ripensò sicuramente ai suoi numerosi amanti, il più trasgressivo dei quali era stato l'ammogliato duca di Grafton. Il dottore comunque non si accorse di nulla e continuò tutto soddisfatto a dare l'assalto al suo pasticcio di piccione. Nessun altro prese la parola e in quella pausa della conversazione si udì, in lontananza, un certo trambusto. Qualcuno stava correndo e si sentì un urlo. Tutti i commensali alzarono lo sguardo. «Cosa sta succedendo?» chiese la principessa quando la porta si spalan-
cò e apparve Benedict, pallido e stravolto. «Perdonatemi, vostra altezza» disse ansimando «ma ritengo che qualcuno dovrebbe venire subito.» «Ma cos'è successo?» chiese John. «Si tratta di lady Theydon, signore. È... è morta.» Il dottor Phipps e lo speziale si scambiarono uno sguardo e poi si alzarono contemporaneamente. John, rammentandosi all'ultimo momento che adesso era un colonnello, disse: «Posso accompagnarvi? Sapete, l'addestramento militare...» «Ma certo» rispose il dottore e tutti e due salirono di corsa le scale, seguiti dall'onorevole Gerald, che non era stato invitato ma non voleva perdersi nessun dettaglio truculento. Arrivati in gran fretta nel corridoio, John aprì per errore la porta sbagliata e per un istante i tre uomini ebbero una visione della Bella Addormentata. Lady Georgiana Hope era distesa sul suo letto, immersa nel sonno, con i capelli d'oro sparsi sulle spalle e il profilo d'angelo che si stagliava alla fievole luce delle candele. Il ritmo regolare con cui si alzava e abbassava il torace dimostrava che dormiva profondamente. John indugiò forse per un istante più del dovuto, poi richiuse la porta e il gruppo entrò nella stanza giusta. La scena che si presentò ai loro occhi era molto diversa da quella che avevano appena visto. Lady Theydon giaceva riversa sul pavimento, con un'espressione terrorizzata che le aveva contratto il volto in un grido silenzioso. Le braccia erano allargate e le gambe scomposte, come se avesse tentato di prendere a calci il suo aggressore. L'abito che indossava era tutto impregnato di sangue e il corpo era raggomitolato, come se avesse fatto un disperato tentativo di arrestare l'emorragia. Non ci poteva essere maggior contrasto con la compostezza del sonno di lady Georgiana. I grandi occhi castani erano spalancati e quando il dottor Phipps scostò il vestito per osservare le ferite John si avvicinò, per poi ricordarsi del suo ruolo. «Posso?» chiese al dottore, che annuì, troppo occupato per parlare. Intanto Gerald, dietro di loro, venne colto dai conati di vomito e lo speziale si girò furibondo. «Oh, per l'amor di Dio, andate a fare altrove quei versi disgustosi.» Gerald, che si era fatto color cenere, corse fuori premendosi una mano sulla bocca e l'altra sulle parti intime. Augurandosi che riuscisse a trovare
un vaso da notte in tempo, lo speziale tornò a rivolgere la propria attenzione alla vittima. Doveva essere morta da una ventina di minuti, mezz'ora al massimo, cioè proprio il lasso di tempo in cui tutti avevano lasciato il salone. Ripensandoci, John rammentò che erano usciti proprio tutti, persino il dottore. «Ebbene?» chiese. «È senza dubbio opera della stessa persona che ha ucciso lord Hope. Guardate, esattamente lo stesso modus operandi. Le ferite mortali sono state inflitte al ventre, e con una certa forza.» John si rammentò di quella mattina, quando si era nascosto sotto il letto della vittima. Ancora una volta imprecò tra sé per non essere riuscito a scoprire chi fosse il misterioso interlocutore della donna, perché doveva sicuramente essersi trattato dell'assassino. Tuttavia non poteva condividere quell'informazione con il dottor Phipps. «È stato un uomo a infliggere questi colpi?» chiese, poco speranzoso. Esattamente come si aspettava, il dottore rispose: «Potrebbe essere stata anche una donna. Una donna infuriata è in grado di sferrare dei bei colpi, credetemi.» «Oh, vi credo...» rispose lo speziale. «Vi credo senz'altro.» Il dottor Phipps si rialzò. «Volete dare un'occhiata?» «Sì, mi piacerebbe.» Le ferite erano profonde: l'arma aveva attraversato i tessuti degli abiti di lady Theydon ed era penetrata a fondo nella carne. Ce n'erano tre, una meno di quelle inflitte a lord Hope ma lo stesso numero di quelle sferrate a Emilia. Lo spettacolo di tutto quel sangue sconvolse John, che aveva ancora fin troppo vivido in mente il ricordo della morte della moglie. «Dobbiamo catturare questo criminale, e in fretta» affermò, rivolto al dottore. «Vi rendete conto che l'assassino potrebbe forse essersi sporcato di sangue?» «Sì, e questo restringerebbe il campo.» «Se non fosse per questo» disse il dottor Phipps, notando qualcosa per terra e raccogliendolo. John lo guardò. «Cos'è?» «Una specie di grembiule.» Il dottore glielo porse e John lo prese in mano. «L'assassino l'ha indossato sopra gli abiti?» «Così sembrerebbe. Guardate.» E il dottor Phipps gli indicò l'indumento
macchiato di sangue. Sembrava un mantello bianco con tanto di cappuccio. «Bontà divina» esclamò John. «Prima un mantello rosso e adesso questo. Quel bastardo pensa proprio a tutto.» «Ditemi, colonnello Melville, pensate che l'omicida sia uno del gruppo dei giocatori?» «Non è detto. C'è una scala secondaria che porta a questo piano. Molto utile per permettere agli amanti clandestini di entrare e uscire. L'assassino potrebbe essere passato di lì, aver compiuto l'omicidio ed essere fuggito via dopo essersi liberato della sua cappa.» «Non necessariamente. Il criminale, in questo preciso momento, potrebbe starsene tranquillamente seduto a tavola.» John annuì. «Sì, avete ragione. Potrebbe essere ancora lì in attesa di sapere cos'abbiamo scoperto.» Quando tornarono di sotto trovarono il salone in preda al caos. La contessa di Hampshire si era esibita in uno spettacolare svenimento e adesso giaceva con una posa di circostanza su un giaciglio di cuscini. Anche Priscilla l'aveva presa piuttosto male e stava piangendo disperata mentre ingurgitava del brandy, affidata alle cure di lady Kemp, che le dava dei buffetti sulla mano senza molto successo. L'onorevole Gerald, con un aspetto spaventoso, se ne stava in un angolo. Non era più verdastro come poco prima, ma continuava a stringersi il ventre. Benedict, pallidissimo, girava a vuoto con un vassoio, mentre la principessa e lady Featherstonehaugh, all'apparenza molto calme, trangugiavano dolci e bevevano madera. Il dottor Phipps andò dalla contessa di Hampshire per somministrarle i sali, mentre John si avvicinò a Priscilla e si sedette vicino a lei. Lei lo guardò tremebonda. «Lady Theydon è... è...» La voce le si smorzò e lei riprese a piangere. «Dovete farvi forza, Priscilla. Vostra zia è morta.» Per tutta risposta la ragazza mise le braccia attorno al collo dello speziale e prese a singhiozzare senza ritegno. Mentre se la teneva così vicino, in preda al pianto, John si chiese come mai rimanesse così distaccato. Poi si rammentò delle circostanze in cui si erano conosciuti. Emilia era viva, allora, e Priscilla era stata una sua grande amica, e quindi c'era poco da meravigliarsi se non riusciva a considerarla altrimenti. Eppure si era accorto che lei nutriva ben altri sentimenti per lui. Gli si era abbarbicata addosso come se la sua vita dipendesse da lui, e gli mormorava qualcosa di incomprensibile all'orecchio. Delicatamente lui
si sciolse dall'abbraccio. «Come vi sentite?» chiese. Lei aveva il viso rigato dalle lacrime. «Sto malissimo. Oh, John, che cosa tremenda! Povera zia Agnes.» Si rialzò sulla sedia. «Devo andare da lei.» «No, non credo che sia il caso.» Lei si alzò. «Ma io devo. Chi si occuperà di lei?» «Bisogna lasciarla stare per un po'. Fino a quando non saranno informati i galoppini.» «I galoppini?» Priscilla si allarmò. «Perché? Com'è morta mia zia?» Lo speziale si rese conto all'improvviso che nessuno aveva ancora riferito ai presenti in che modo era morta lady Theydon. «È stata pugnalata» rispose lui, con calma. Priscilla emise un urlo spaventoso. «Oh, no, non può essere!» Tutti quanti si voltarono, ad eccezione della contessa di Hampshire, che evidentemente ci aveva preso gusto a farsi curare dal dottor Phipps. La principessa Amelia fu la prima a parlare. «Signorina Fleming, controllatevi. Che cosa vi prende?» «Lady Theydon è stata assassinata» rispose drammaticamente Priscilla. La dama reale fissò lo speziale con uno sguardo da basilisco. «È vero?» domandò. «Verissimo» rispose John. «L'assassino della signora Rawlings e di lord Hope ha colpito ancora. Lady Theydon è morta pugnalata al ventre.» «Mi state dicendo che dunque non è stato il marito della signora Rawlings?» continuò la principessa. «Evidentemente no.» «E allora lo abbiamo trattato molto ingiustamente.» La principessa si alzò e si rivolse al dottore. «Dottor Phipps, cosa dobbiamo fare?» «Bisogna mandare di nuovo un messaggero a Bow Street. Non possiamo farne a meno.» «Che vita disgraziata!» rispose la principessa Amelia. «C'è mai stata una donna più sfortunata di me?» «Credo che lady Theydon avrebbe da ridire su questa affermazione» commentò John. Un'ora dopo era stata ristabilita una parvenza d'ordine. Benedict aveva temporaneamente chiuso a chiave la camera della donna assassinata e la chiave era stata affidata al maggiordomo. Le dame erano state scortate nel-
le loro camere, a eccezione di Priscilla, che aveva detto di essere troppo nervosa per dormire in una stanza comunicante con quella dove era avvenuto il delitto. Le era stata quindi assegnata una stanzetta nell'ala degli ospiti, e John ve l'accompagnò. Lei infilò il braccio sotto il suo e lo tenne stretto. «Oh, mio caro amico, non so cos'avrei fatto questa sera senza di voi.» «Ma io non ho fatto nulla» protestò lui. «Al contrario, siete stato la mia ancora di salvezza. Ve ne sarò sempre grata.» «Priscilla, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque.» Lei gli sorrise. «Ma è il modo in cui l'avete fatto che conta.» E con quell'osservazione lo lasciò andare, rimanendo davanti alla porta a guardarlo mentre tornava indietro nel corridoio. Adesso era seduto con il dottor Phipps a bere brandy, mentre la principessa Amelia sorseggiava del porto. «Ditemi, dottore, c'è un folle assassino tra noi?» chiese lei, con la sagoma massiccia che trasbordava dallo schienale della sedia. «Così sembrerebbe, vostra altezza.» «E i galoppini lo prenderanno e lo porteranno via?» «A meno che non lo troviamo prima noi» intervenne lo speziale. La principessa lo guardò interessata. «Pensate che ci sia questa possibilità?» «Senza dubbio.» «Vostra altezza, io vi consiglierei di prendere delle precauzioni fino a quando non sarà stato catturato il criminale» affermò Phipps. «Mettete delle guardie davanti alla porta quando dormite, vi prego.» La principessa Amelia aggrottò la fronte. «Lo farò senz'altro.» Poi scoppiò in una risata. «Che razza di enigma. Io ho sempre pensato che fosse il marito di quella povera ragazza, e adesso salta fuori che non è stato affatto lui.» John rabbrividì. Se lo avessero smascherato in quel momento sarebbe stato un bel pasticcio. Senza dubbio lo avrebbero accusato di aver commesso tutti e tre i delitti e arrestato. «Be', io ho intenzione di dormire con una pistola sotto il cuscino.» «Senti, senti» disse il dottore. Quell'ultimo commento fu seguito da un gemito soffocato e i tre si voltarono e videro che sulla soglia era ricomparso l'onorevole Gerald Naill. «Vostra altezza, sono uscito a prendere un po' d'aria e devo aver perso
conoscenza» spiegò. «Be', non fa niente. Venite a sedervi con noi.» «Se mi volete scusare, preferirei andare a letto.» «Vi mando un domestico per farvi luce.» «Vi ringrazio, vostra altezza.» La principessa si rivolse agli altri due ospiti. «Signori, vi propongo un brindisi. Che l'assassino possa essere scoperto al più presto. E auguriamoci che non colpisca di nuovo.» «Che non colpisca di nuovo» ripeté John, prima di scolare il suo brandy tutto d'un fiato. 23 Si svegliò all'improvviso e la sua mano era già sotto il cuscino ad afferrare la pistola prima ancora che avesse ripreso del tutto conoscenza. Nulla, silenzio assoluto. Lo speziale cominciava a pensare che fosse stata solo la sua immaginazione a destarlo quando sentì di nuovo un debole raspare alla porta e vide che la maniglia si muoveva. Lentamente si mise a sedere sul letto e accese una candela. La grande stanza si riempì di ombre scure e inquietanti, rendendolo ancora più nervoso. «Chi è?» chiese sottovoce. Non ci fu nessuna risposta, ma ancora una volta si udì raspare. Con la pelle d'oca lo speziale si alzò dal letto e, pistola in pugno, si avvicinò lentamente alla porta. Poi rimase lì al buio in ascolto. «Fatemi entrare» sussurrò una voce che non riconobbe. «Chi è?» chiese di nuovo lui. Si udì un leggero singhiozzo, poi una parola: «Priscilla.» Per il sollievo allo speziale vacillarono le gambe. All'inizio si sentì un po' infastidito per essere stato svegliato, poi provò un'improvvisa solidarietà per lei. Dopo tutto sua zia era stata uccisa solo poche ore prima. Ciò nonostante fu con una certa riluttanza che si decise a far scattare la serratura e aprire un po' la porta. Il viso di lei apparve nello spiraglio. «Oh, John, non riesco a dormire» sussurrò lei. «Sono così sconvolta. Povera zia Agnes. Cosa farò senza di lei?» «Sarà meglio che entriate» disse lui aprendo del tutto la porta. Lei entrò nella stanza, premendosi un fazzoletto sugli occhi. Nel tentativo di mantenere le distanze, John andò a prendere i sali sul tavolino da toi-
lette e glieli mise sotto il naso. Lei li aspirò delicatamente, poi gli rivolse uno sguardo nervoso. «Perdonatemi se sono venuta qui, ma non sapevo che altro fare. Oh, John, adesso che mia zia se n'è andata voi siete l'unico vero amico che mi resta.» Per qualche motivo lui si sentiva più che mai imbarazzato dalla situazione. «Oh, andiamo. E le altre dame? E lady Georgiana? Avete la stessa età.» «Lo so, ma io non ho assolutamente nulla da spartire con lei. Non faccio amicizia con le uxoricide.» John la guardò. «Cosa state dicendo?» «Che è stata lei a uccidere lord Hope. Aveva una relazione con Michael O'Callaghan. Lo sapevano tutti tranne quel poveraccio di Conrad. Volevano fuggire insieme e adesso che lord Hope è stato tolto di mezzo sono liberi di farlo.» «La state sul serio accusando di averlo ucciso?» «Sì» rispose Priscilla con un'aria di sfida. «Ma avete qualche prova?» Un'espressione indecifrabile si dipinse sul viso della giovane. «Sì, a dire il vero ce l'ho.» John crollò a sedere sul letto. «Perché non me l'avete detto prima?» Priscilla si sedette vicino a lui. «Perché volevo esserne sicura.» «E adesso lo siete?» Lei lo guardò con il viso rigato dalle lacrime. «Sì.» Poi abbassò la voce fino a un sussurro quasi impercettibile. «E non si tratta solo di quello, ha ucciso anche lady Theydon.» «Cosa? Ma lei dormiva. L'ho vista in camera sua.» «Sì, lo so che poteva benissimo ingannarvi recitando la parte della Bella Addormentata, ma quando sono salita prima di cena l'ho vista camminare lungo il corridoio. Se solo l'avessi fermata... ma lei sembrava così strana, come se fosse in un sogno. Adesso mi rendo conto che doveva essere diretta in camera di mia zia. Oh, Gesù.» Priscilla scoppiò di nuovo a piangere, appoggiandosi allo speziale. Un po' controvoglia lui le mise un braccio attorno alle spalle e lei gli si strinse addosso, riempiendogli le narici del suo strano odore. «Oh, John, cosa farei senza di voi?» Facendo finta di nulla, lui la guardò. «Ma la morte di Emilia? Cosa c'entra? Pensate che abbia ucciso anche mia moglie?»
«Posso solo presumere di sì. Non ho prove. Però l'ho vista entrare di soppiatto nella grotta la mattina in cui lord Hope è stato assassinato.» «L'avete vista uscire?» «Oh, sì. Mi sono nascosta dietro un albero. Lei è rimasta dentro per circa mezz'ora.» «Era sporca di sangue?» Priscilla aggrottò la fronte. «No, sono sicura di no. Ma come può essere?» «Forse si è lavata nella vasca.» «Forse ha persino fatto il bagno» rispose Priscilla con un verso a metà strada tra una risata e un singhiozzo. Una visione orribile si formò nella mente dello speziale. L'immagine di una donna astuta che faceva il bagno nuda nella vasca per togliersi di dosso tutte le tracce dell'omicidio, prima di lasciare la grotta con dentro il marito morto. «Grazie per avermelo riferito.» «Lei lo negherà, naturalmente. Ma la sua colpevolezza è evidente.» «In effetti sì. Ve l'ho già chiesto, ma ve lo chiederò ancora: perché non me l'avete detto subito?» «Perché volevo prenderla in trappola. Intendevo fare da esca. L'esca però ha finito col farla lady Theydon, che Dio abbia pietà di lei.» John si alzò. «Volete che vi accompagni in camera vostra?» «Oh, sì, per favore. Questi corridoi sono così bui e spaventosi di notte.» «Bene.» Lui afferrò il candeliere e si avviò alla porta, aspettandola. Lei si alzò lentamente dal letto e gli si avvicinò. «Grazie» disse. In quel momento, con i tratti addolciti dalla luce della candela e con indosso solo la camicia da notte, sembrava così giovane, vulnerabile e bisognosa di protezione. John si sentì davvero dispiaciuto per lei. «Non preoccupatevi, Priscilla» la rassicurò «sono sicuro che tutto si risolverà per il meglio per voi.» Lei gli rivolse un sorrisetto incerto. «Spero che abbiate ragione.» John si rese conto in quel momento che la ragazza doveva essere veramente innamorata di lui. C'era qualcosa nel modo in cui lo guardava, nei suoi atteggiamenti che lo rivelava chiaramente. Poi si chiese se Priscilla non avesse male interpretato il fatto che lady Georgiana fosse entrata nella grotta. Magari vi era andata solo per parlare con suo marito e non c'entrava nulla con il delitto, e quelle di Priscilla erano solo le farneticazioni di una
mente sconvolta dal dolore. Le afferrò il braccio e l'accompagnò lungo il corridoio. Dal piano di sotto proveniva il fievole bagliore delle candele, che però gettavano ben poca luce sulle scale, tanto che sul pianerottolo restavano grandi zone d'ombra. Oltrepassando la porta della camera di lady Theydon, John vide una luce e capì che qualcuno vi aveva lasciato delle candele accese. Il pensiero della salma che giaceva cerea e immobile, illuminata dalle candele, lo fece rabbrividire. Sarebbe stato ben felice quando avrebbe potuto lasciarsi per sempre alle spalle quella dimora maledetta, pensò. Come se gli leggesse nei pensieri Priscilla disse: «Penso che me ne andrò presto di qui. Non ho più motivo di rimanervi, ora che lady Theydon se n'è andata.» Lui le sorrise. «Sì, credo anch'io che sarebbe meglio per voi. Ma dove andrete?» Priscilla sospirò. «Non lo so. Magari troverò un posto da governante. Qualcosa del genere.» «Bene, ma non stateci a pensare, adesso. Avete subito un duro colpo. Dovete cercare di riposarvi.» «Farò del mio meglio.» Erano arrivati alla sua camera e Priscilla si fermò sulla porta. «Buonanotte, John, e grazie ancora.» Lui si inchinò. «Sono lieto di potervi essere stato d'aiuto.» E con quelle parole si voltò, ansioso di tornare nella relativa sicurezza della propria camera. Il resto della notte trascorse tranquillamente e John, con sua stessa sorpresa, cadde in un sonno profondo e senza sogni. Quando però si svegliò, la mattina seguente, fu colto come da un presentimento. Sapeva che doveva affrontare lady Georgiana e scoprire cosa ci facesse nella grotta, se era lì per uccidere o se c'era andata solo per parlare. Di conseguenza, appena si fu vestito uscì e si diresse alle stalle. Jago era già sveglio e al lavoro, fischiettando tra sé, con un filo di paglia tra i denti. Quando John si avvicinò lo salutò. «Buongiorno, signore. Ho sentito che sono successi dei guai a palazzo la notte scorsa.» «Vi riferite a lady Theydon?» Joe annuì. «L'hanno pugnalata al ventre dopo che tutti hanno smesso di giocare a carte.» E John raccontò all'assistente del giudice i dettagli, senza tralasciare nulla, neppure la visita notturna di Priscilla e le sue accuse contro lady Geor-
giana Hope. Quando ebbe finito di parlare, Joe lo guardò pensieroso. «Se fosse vero la vostra ricerca sarebbe finita.» «In effetti è così. Ma in qualche modo non ne sono convinto. Ho guardato in camera sua poco dopo l'omicidio e lei dormiva tranquillamente come una bambina. Naturalmente potrebbe trattarsi di una messa in scena, ma non penso.» «E non può essere che ci siano due assassini?» «Se è così, uno sta copiando molto abilmente l'altro.» «Sono già successe cose del genere in passato, signor Rawlings.» «Certo. Tuttavia non penso che sia così. Sono infatti convinto che sia opera di una sola persona, e che questa persona sia un po' squilibrata.» «Mmh.» Joe masticò il filo di paglia. «O è così, o si tratta di una persona molto scaltra.» «Forse tutte due le cose.» Jago annuì lentamente ma non disse nient'altro e John continuò: «Cosa mi consigliate di fare intanto con lady Georgiana?» «Io le chiederei cosa ci faceva nella grotta, oltre ad amoreggiare con Michael O'Callaghan. Parlatele in veste di colonnello, in maniera ufficiosa. Ditele che c'è un testimone che l'ha vista entrare e uscire.» «E se si rifiuta di rispondere?» «In questo caso dovrò abbandonare il travestimento da stalliere e presentarmi da lei nella mia veste di funzionario del tribunale. Non c'è altro da fare.» «Avete ragione. Joe, ditemi...» «Sì?» «Avete scoperto qualcosa stando qui nelle scuderie? Il vostro stratagemma è servito?» «Stranamente sì. È incredibile quante cose si apprendano stando in mezzo ai cavalli. La principessa viene a trovare Eclipse tutti i giorni e lo cavalca due volte la settimana. E con chi volete che parli qui, se non con il suo amico stalliere? Oh, sì, ho saputo un sacco di cose. E voi, signore? Come se la cava il colonnello Melville?» «Abbastanza bene. Finora non mi ha riconosciuto nessuno.» «Bene. Fate del vostro meglio con lady Georgiana. Ricordate che sono pronto ad aiutarvi se vi doveste trovare in difficoltà.» «Mi sembra un peccato rovinare la vostra copertura.» «Dovrò ben farlo un giorno o l'altro» rispose Joe. Era una mattina piacevole, il freddo non era più così pungente come nei
giorni precedenti, e John sentì che il suo morale si stava risollevando. Presto sarebbe arrivato marzo e con esso la primavera e nei giardini si avvertivano già i primi segnali del risveglio della terra. Stavano crescendo le prime gemme e si scorgevano piccole macchie di bucaneve tra gli alberi. Pensò ai magnifici panorami del Devon in primavera e si augurò di rivederli, cavalcando libero e selvaggio dietro al cavallo di Elizabeth. Sorrise tra sé. Se l'era sempre immaginata così, con lei che lo guidava verso nuove avventure e mai il contrario. E invece adesso era stata lei che l'aveva seguito a Gunnersbury e si era assunta l'incarico più umile nella gerarchia dei domestici. Era veramente una donna magnifica e lo speziale si chiese cosa si agitasse nel proprio cuore quando pensava a lei. Si infilò le mani in tasca e tastò l'orecchino. Lo tirò fuori e lo guardò. Gli venne in mente una cosa, ma per il momento l'accantonò. Poi, accelerando il passo, tornò a Gunnersbury House. All'interno del palazzo regnava un assoluto silenzio, con i domestici che parlavano sussurrando e tutti vestiti di nero. John pensò che si erano vestiti a lutto per lord Hope e che adesso la cosa proseguiva per lady Theydon. Sembrava comunque che almeno in parte quel silenzio fosse dovuto al fatto che la maggioranza degli ospiti erano usciti per fare una passeggiata in campagna e che il palazzo era praticamente deserto. Quando si informò su lady Georgiana gli venne risposto che stava prendendo aria in giardino per ordine del medico. Annuendo discretamente, John uscì di nuovo. La donna si era sistemata su una fila di cuscini posati su una sedia di metallo, in una postura che allo speziale fece venire in mente un poema che aveva letto una volta sulla melanconia: occhi abbassati, testa elegantemente appoggiata sulla mano, spalle cadenti. John si avvicinò tossicchiando. Lei alzò lo sguardo e gli rivolse un impercettibile sorriso. «Come state, colonnello?» «Molto bene, milady. Posso sedermi?» Lei non fece alcuno sforzo per muoversi, ma gli indicò la sedia davanti. «Certo. Non posso però promettervi una gran conversazione,» «Non ha importanza» rispose cordiale John. «Posso parlare io per tutti e due.» Lady Georgiana rivolse per un attimo gli occhi al cielo, ma gli indirizzò un sorriso esangue. Ci fu un istante di silenzio, poi lei disse: «Dovete scusarmi, colonnello
Melville, è che sono così triste.» «Ma adesso avete via libera» replicò lo speziale. Lei lo osservò perplessa. «Come dite?» «Ho detto che adesso non avete più ostacoli e potete sposare Michael O'Callaghan.» Lady Georgiana gli lanciò uno sguardo gelido. «Come vi permettete di dire una cosa del genere? Come vi ho detto l'altra sera, non mi fido più di lui.» «Come sapete, milady, sono Richard Melville e appartengo all'esercito di sua maestà. A volte però svolgo incarichi particolari per conto del governo.» John si sforzò di adottare un'espressione misteriosa. «E quindi vorrei parlarvi molto francamente, se posso.» Lei fece per alzarsi ma lo speziale disse: «Sarebbe meglio che rimaneste, lady Georgiana.» La nobildonna tornò a sedersi e lo guardò infuriata. «E allora?» «Si dà il caso che la vostra relazione con il signor O'Callaghan sia sulla bocca di tutti. Perciò mi vedo costretto a chiedervi perché siete ritornata nella grotta la mattina in cui è morto vostro marito, dopo la vostra conversazione con l'attore. E non ditemi che lord Hope non si trovava all'interno perché ho un testimone pronto ad affermare il contrario.» Lei lo guardò con occhi di ghiaccio. «E chi è questo testimone?» «Non mi è consentito rivelare questa informazione. Basti dire che è attendibile.» Lady Georgiana abbassò di nuovo lo sguardo, con le mani in grembo, chiaramente combattuta. Alla fine tornò a guardarlo. «Sono entrata nella grotta per incontrarmi con mio marito. Volevo chiedergli il divorzio.» John rimase sbalordito, sapendo quali enormi difficoltà si presentavano in un'impresa del genere. «Sì?» «Lui si è rifiutato di concedermelo. Ha detto che ero sua moglie e che dovevamo rimanere insieme fino alla morte. Abbiamo litigato. Il vostro testimone ve l'ha riferito?» Lo speziale scosse la testa. «Be', l'abbiamo fatto. In ogni modo io me ne sono andata via infuriata e l'ho lasciato lì a guardare la vasca. Questa è stata l'ultima volta che l'ho visto vivo.» Si agitò nervosa. «Non l'ho mai amato, sapete. È stato mio padre a combinare il matrimonio. A me non è mai importato di nessuno finché
non ho conosciuto Michael. E adesso non sono neppure sicura che mi piaccia lui.» «È un vero irresponsabile, però nutre la massima ammirazione per voi.» «Sì» lei se ne uscì con una risatina cinica. «Ne sono sicura, però questo non gli impedisce di essere un assassino.» Lo speziale andò al sodo. «Così mi state dicendo che avete litigato con vostro marito ma che lui era vivo quando l'avete lasciato?» «Vi sto dicendo la verità. Questo mi può anche mettere in cattiva luce ma è quello che è successo.» John si limitò ad annuire, congiungendo le punte delle dita. «Ditemi, cos'avete fatto quando avete lasciato la grotta?» «Sono tornata a palazzo e poi sono uscita a fare una passeggiata.» «Da sola?» «Sì, da sola. Volevo pensare al mio futuro, a quello che avremmo potuto fare.» Poi guardò John dritto negli occhi. «Ditemi, colonnello, pensate che Michael sia colpevole di omicidio?» «Non lo so» rispose lui con sincerità. «E io?» «Non so neanche questo.» Lei annuì. «Almeno voi siete sincero.» «Vorrei che tutti lo fossero stati.» John si mise una mano in tasca. «In ogni modo, è vostro questo?» Lei prese l'orecchino, tenendolo tra le lunghe dita pallide. «No. Dove lo avete trovato?» «Per terra» disse lui, pensando quanto fosse facile mentire per chi era ritenuto sincero. «Era nel prato.» Lady Georgiana lo guardò pensierosa. «Potrebbe essere della principessa, ma non ne sono sicura. Ha così tanti gioielli che è difficile distinguerli.» John si alzò, facendole capire che l'interrogatorio era finito, poi le baciò la mano. «Siete stata di grande aiuto, milady. Vi auguro una buona giornata.» «Buongiorno» rispose lei e stette a osservarlo mentre rientrava in casa schermandosi gli occhi con la mano. 24 Su Gunnersbury House era calata una cappa di tristezza. Anche se i vari
ospiti erano tornati dalla loro passeggiata, il palazzo era sempre così silenzioso che si sarebbe sentito cadere un ago. I domestici, con una fascia nera al braccio, parlavano sussurrando, mentre gli ospiti, che si stavano riunendo per il pranzo, erano un modello di rigorosa compostezza. Solo l'onorevole Gerald Naill, che doveva essere rimasto in casa a scolarsi quasi un'intera caraffa di sherry, si mostrava allegro con tutti quanti. «Come va, Melville?» salutò tutto gioioso. «Benissimo, grazie.» «Vi va di bere qualcosa con me?» «No, non ora, grazie. Devo darmi una rinfrescata per il pranzo» rispose lo speziale fuggendo su per le scale, verso la camera che gli era stata assegnata. Il corridoio era immerso in un profondo silenzio e in un'atmosfera terrificante. Persino in pieno giorno John si innervosì nel passare davanti alla camera dove giaceva la salma di lady Theydon, in attesa degli uomini di sir John Fielding. Appena giunse all'altezza della porta, i suoi passi rallentarono e lui si mise in ascolto, fermandosi fuori un momento. All'interno le candele dovevano essersi consumate, dato che non traspariva alcuna luce. Si sentiva però un debole rumore, come di qualcuno che spostasse degli oggetti per cercare qualcosa. A John si rizzarono i capelli in testa. Per un attimo si immaginò infatti che la defunta lady Theydon, con tanto di ferite sanguinanti, si fosse alzata per mettersi a cercare qualcuno dei suoi preziosi tesori da collezione. Poi si riprese e aprì un pochino la porta. Il cadavere giaceva sul letto dove era stato deposto, interamente coperto dal sudario. Non c'era quindi stata nessuna resurrezione, ma John non poté fare a meno di scostare il lenzuolo e guardare sotto. Vide con orrore che uno degli occhi del cadavere si era aperto e lo fissava con malignità. Si affrettò a rimettere a posto il sudario, lasciando ad ammiccare in pace la defunta. Ad aprire i cassetti, frugandovi dentro delicatamente, era stata la contessa di Hampshire. La nobildonna continuava a dare la schiena a John, che era entrato senza far rumore, e lo speziale stette a osservarla esterrefatto, notando la destrezza con la quale cercava in mezzo ai vestiti, finché alla fine non emise un piccolo grido di trionfo ed estrasse un astuccio da gioielli. Dopo averlo aperto, sempre dando le spalle allo speziale, tirò fuori un anello e se lo mise al dito, poi lo rigirò alla luce, tutta assorta in contemplazione. Da dove si trovava, lo speziale diede un colpo di tosse e la donna
si voltò, tenendosi una mano sul cuore. Lo guardò con un'espressione terrorizzata. «Oh, colonnello Melville» disse ansimando. «Pensavo...» «Che la defunta si fosse alzata? No, milady, sono solo io. Posso chiedervi cosa ci fate qui?» Lei si portò le mani alla gola. «Oh, sto per svenire, me lo sento. Aiutatemi, sto svenendo.» John la afferrò prima che cadesse, pensando tra sé che era veramente un'ottima attrice. Tuttavia si diede immediatamente da fare per farla rinvenire, tenendole i sali così vicino al naso che lei si mise a tossire violentemente, spalancando gli occhi. «Oh, caro signore» si lamentò fievolmente la donna «siate così gentile da riaccompagnarmi in camera mia.» John all'improvviso si infuriò, stufo di ricevere ordini da quelle sciocche donnicciole. Adesso aveva assolutamente bisogno di trovare l'assassino. Afferrò quindi la contessa per il braccio e la depose su una sedia. «Per prima cosa dovete dirmi cosa ci facevate qui» dichiarò con tono perentorio. Lei fece il broncio. «Sono venuta a prendere un anello che avevo prestato a...» la voce si ridusse a un sussurro «... lady Theydon.» «Ma perché proprio ora, con la salma qui in camera? Io credo invece che vi siate incapricciata di qualcosa di suo e abbiate deciso di prendervelo, senza farvi nessuno scrupolo nei riguardi della defunta.» L'attrice lo fissò irritata. «Se mi accusate di furto io vi accuserò dell'omicidio.» «Fatelo pure. Io sono stato l'unico a non lasciare il salone quando lady Theydon è stata assassinata. Sono rimasto là per tutto il tempo, dove i domestici potevano vedermi.» «Una bella storia» affermò lei beffarda. «Sono convinto che voi avevate l'abitudine di rubare anche prima di diventare un'attrice e che l'abbiate conservata» si arrischiò a dire John «e credo che siate qui a rubacchiare da qualche tempo e che vi eravate messa in testa di avere quell'anello a tutti i costi.» Lei fece uno sguardo malizioso. «E se anche fosse? Lady Theydon me l'avrebbe senz'altro lasciato se fosse vissuta abbastanza da fare testamento.» «E come sapete che non l'ha fatto? Senza dubbio i suoi avvocati a Londra sarebbero in grado di illuminarvi in proposito.»
In un batter d'occhio l'espressione arrogante della donna divenne supplice. «Oh, colonnello, vi prego di non rivelare la mia vergogna. È vero che volevo tanto quest'anello, guardate, eccolo qui al mio dito. Non vedete come mi sta bene? Ma non avrei mai ucciso per averlo, ve l'assicuro. Lady Theydon me l'aveva promesso sul serio, lo giuro.» Fino a quel momento a John non era mai venuto in mente che la contessa di Hampshire potesse arrivare a uccidere per mettere le mani su un gioiello luccicante, ma adesso l'idea si fece strada con forza. Aveva una strana luce selvaggia che le brillava negli occhi quando parlava di gioielli. L'espressione di una persona pronta a tutto per ottenere quello che desiderava. «Benissimo, non dirò a nessuno quello che avete fatto. Adesso rimettete a posto l'anello e scordiamoci della faccenda.» Lei se lo tolse malvolentieri, ma quando lo ripose lui scorse ancora quell'espressione insana nei suoi occhi. Dopo aver scortato la nobildonna in camera sua, John si diresse verso la propria. Si lavò il viso e le mani nell'acqua fredda e stava proprio per scendere a pranzo quando la porta si aprì. Lo speziale si voltò, sorpreso, e vide Elizabeth sulla soglia. «Mia cara, che ci fate qui?» chiese. Lei fece una smorfia. «Sto svuotando i buglioli.» «Be', qui non ce n'è.» «Prenderò l'acqua della bacinella.» «Ma certo.» La marchesa sollevò il catino e lo svuotò nel maleodorante secchio che aveva con sé. «Oddio Elizabeth» esclamò lui «non dovreste fare certe cose.» Lei fece spallucce. «Mio caro John, non avrei certo trovato un posto da cameriera, no? Ma temo di non esservi stata di grande aiuto, se non per scoprire qualcosa su Benedict.» John si animò. «So che ha perso la testa per voi, ma cos'avete scoperto?» «Che fa la spia per la principessa Amelia. Oh, sì, lo so che sembra inoffensiva, ma in realtà non sopporta che accada nulla che lei non sappia. Così ha incaricato Benedict di scoprire tutto quello che succede.» «E lui ci riesce?» «Di solito sì. Voi lo incuriosite, tra l'altro, anche se non ha ancora capito chi siete realmente. In ogni caso è sicuro che non siate chi dite di essere.» «Cosa glielo fa pensare?» «Dice che siete troppo salottiero per essere un militare.» «Che impudente. Vorrei che rivolgesse altrove le sue attenzioni.»
Elizabeth si voltò dall'altra parte. «Comunque vi sono stata ben poco d'aiuto, vero?» John rimase a osservarla di spalle, notando ancora una volta quanto fosse diritto ed energico il suo fisico mascolino, eccezion fatta per il seno sodo. E quando il suo sguardo si fermò sull'incavo dove il collo si univa alle spalle fu colto da una strana sensazione. Era una mescolanza di emozioni: dolore per aver perso Emilia, il normale desiderio di un uomo, il bisogno disperato di conforto fisico. Avvicinatosi a Elizabeth, la abbracciò e le baciò più volte il collo, in preda a una specie di disperazione. Lei si voltò e in quel momento lui la desiderò più di qualsiasi altra cosa al mondo. Appoggiò le labbra su quelle di lei e la baciò profondamente e a lungo. Poi non riuscì più a trattenersi e iniziò a sollevarle la gonna. Elizabeth aggrottò la fronte. «John? Che cosa state facendo?» chiese. «Ti voglio» rispose lui. Lei cambiò espressione. «No, John, non fino a quando non mi vorrai solo per me stessa.» «Cosa vuoi dire?» «È Emilia che ti manca, è lei che vuoi.» «No, non è vero!» «Temo che sia così, invece.» «Elizabeth, ti giuro...» «Non dire altro» rispose lei, mettendogli un dito sulle labbra. «Chiedimelo solo quando non sarai più triste.» «E tu acconsentirai?» Lei gli rivolse un sorriso seducente. «Aspetta e vedrai» disse e, dopo aver afferrato il suo lurido secchio, se ne andò. John rimase lì a guardare il punto in cui era stata, cercando di controllarsi, sperando assurdamente che lei ci ripensasse e tornasse. Ma dopo qualche minuto il suo respiro tornò normale, e lui capì che non sarebbe successo. Guardandosi allo specchio vide che aveva gli occhi colmi di desiderio, come il resto del suo corpo. Dopo essersi risistemato gli abiti e la benda sull'occhio, sospirando forte, John Rawlings ridiscese lentamente le scale. Per tutto il pranzo continuò a ripensare a Elizabeth. In effetti era così assorto nelle proprie meditazioni che a tavola parlò e mangiò pochissimo. Non c'erano tutti. La principessa aveva mangiato per conto suo e la contessa di Hampshire aveva deciso di rimanere nella sua stanza, e gli ospiti rimasti non erano dell'umore giusto per conversare. Mentre se ne stava seduto in silenzio, allo speziale venne in mente che i galoppini dell'unità
mobile del giudice sarebbero dovuti arrivare quel pomeriggio. Se era così doveva andarsene in fretta. Anche se era in buoni rapporti con Ham e Raven, sapeva bene che la loro pazienza doveva essere agli sgoccioli. Erano tenuti a fare un arresto. Di conseguenza, appena i dettami della buona educazione glielo consentirono, John si scusò e si alzò da tavola, indossò il mantello del principe di Meclemburgo e uscì. Era un bel pomeriggio e si diresse al tempio, determinato a dare un'altra occhiata in giro. Quando però si avvicinò alla porta udì due voci che sussurravano e si appiattì dietro una colonna, ascoltando attentamente cosa dicevano, per scoprire se parlavano di cose attinenti all'omicidio. «Mia cara» diceva lady Kemp «pensi che dovrei riferirlo a quei funzionari del tribunale?» «Be', questo sta a te e alla tua coscienza» rispose lady Featherstonehaugh. «Spiegati meglio, ti prego.» «Sto solo dicendo che così facendo potresti rimanere coinvolta.» «Capisco.» Ci fu un momento di silenzio, quindi lady Featherstonehaugh riprese: «Devi convenire che ci stiamo comportando in maniera decisamente strana.» «Sì, ma è così interessante. In ogni caso mi hai convinta. Non dirò nulla agli uomini di sir John Fielding.» «Be', io invece mi sono convinta che dovresti farlo.» «Oh, perbacco, mia cara, adesso sì che mi hai veramente confusa. Non so più cosa fare.» «Diglielo.» «Ci penserò. È il massimo che posso fare.» «Oh, caspita!» esclamò irritata lady Featherstonehaugh. John si allontanò chiedendosi di cosa diavolo stessero discutendo. Al momento quel dialogo non voleva dire nulla, ma forse a tempo debito si sarebbe potuto rivelare importante. In ogni caso era ora di andare a Bellow Farm a interrogare Michael O'Callaghan. Attraversò il parco di buon passo, non volendo passare dalla strada. Mentre procedeva in mezzo agli alberi sentì però una carrozza che svoltava sul viale e vide che erano arrivati i galoppini, portandosi dietro il carro per il trasporto delle salme. Il lugubre pensiero che anche lady Theydon fosse ora affidata alla giurisdizione del coroner lo colpì con forza. Nel punto in cui si trovava, il torrente segnava il confine tra il parco e la
fattoria e scendendo giù dalla riva, John lo attraversò saltando da una pietra all'altra per poi risalire dall'altra parte. Poi, dopo essersi scosso via l'acqua dalle scarpe, si tolse la benda dall'occhio e si diresse alla fattoria. Con suo grande stupore, vide Hugh Bellow in piedi che si muoveva faticosamente aiutandosi con le stampelle. Jake, intanto, con un'espressione stranamente allegra, mungeva le vacche. Di Michael O'Callaghan non c'era traccia. «Buongiorno, signore» salutò John. «È bello vedervi in piedi.» Hugh fece una smorfia. «Sono qui più a supervisionare che a lavorare. Ma almeno ho potuto dire addio al letto.» «Posso dare un'occhiata alla gamba?» «Ma certo. Entriamo?» «Volentieri.» Appena si mossero, Jacob alzò lo sguardo e rivolse un'occhiataccia allo speziale. John rispose con un cordiale cenno della mano e un inchino. Entrarono in cucina al caldo e Hugh andò zoppicando alla credenza e versò due pinte di birra da un recipiente di pietra. «È bello rivedervi, amico mio» disse di cuore. «Anch'io sono lieto di rivedere voi, Hugh. Ditemi, come se la cava il nuovo aiutante?» «Be', è un buon lavoratore, questo bisogna dirlo.» «Ma...?» «Ma di tanto in tanto svanisce misteriosamente. Jake non può essere dappertutto e io mi muovo a fatica, così lui ha abbastanza libertà e ne approfitta. Badate bene, per i pasti ritorna sempre. Non manca mai. E mangia come un cavallo.» «Dov'è adesso?» «Solo il cielo lo sa.» «Be', darò un'occhiata alla vostra gamba e poi andrò a cercarlo. Devo fargli qualche domanda.» Hugh si incupì. «Ho sentito che il palazzo è diventato un posto pericoloso. Ne sono morti altri due. Chi può essere il colpevole?» Lo speziale scosse la testa. «Non ne ho idea, temo. Eppure bisogna assolutamente risolvere questa faccenda. La principessa rimarrà a palazzo solo per un paio di giorni ancora, poi chiuderà tutto e sarà la fine.» «Volete dire che l'assassino rimarrà impunito?» «Sì» ammise John, ricordando i minuti che aveva trascorso sotto il letto di lady Theydon, senza riuscire a scoprire nulla sull'identità dell'assassino.
Dopo aver esaminato la ferita di Hugh, che stava guarendo lentamente ma senza problemi, John si mise a girovagare nell'ampia proprietà dei Bellow, chiedendosi dove si potesse essere cacciato Michael O'Callaghan. «Siete tornato per spiarci?» disse qualcuno alle sue spalle, e quando si voltò vide Jacob, con il secchio del latte in mano, che lo osservava con sospetto. «Al contrario» rispose gentilmente John. «Sono venuto a scambiare due parole con il nuovo bracciante.» Jake sbuffò. «Quello. Non vale più di voi. Siete buoni a nulla, voi di città. Tutti lavativi.» «Non è quello che mi ha riferito vostro padre.» Lo speziale fece una pausa e quindi riprese: «Sentite, Jacob, lo so che mi avete odiato fin da quando sono arrivato alla vostra fattoria, ma non ne avete veramente motivo. Non voglio certo rubarvi l'affetto di vostro padre, né usurpare la vostra posizione. E neppure Michael O'Callaghan. Siamo qui solo per dare una mano finché vostro padre è invalido. Tutto qui.» Jake fece uno sguardo cattivo. «Questo è quello che dite voi. Io penso che siate un assassino.» «E allora perché non andate dal funzionario di polizia di Brentford e mi consegnate a lui?» «Perché ho di meglio da fare.» «Sciocchezze. C'è pure una bella ricompensa. Andate e reclamatela.» «Per far infuriare mio padre? Non varrebbe quei soldi.» «Potreste farlo di nascosto. Che bisogno c'è di farlo sapere a vostro padre?» «Lo scoprirebbe lo stesso. Ha del sangue zingaro nelle vene e non gli sfugge nulla.» «È quello che servirebbe a me, un po' di chiaroveggenza. Caspita, che razza di intrico.» Jacob posò il secchio. «Vi dirò questo, John Rawlings, è così che vi chiamate, vero?» Lo speziale annuì. «Quell'irlandese trascorre metà del suo tempo nel parco di Gunnersbury House. Attraversa il torrente esattamente come fate voi, a giudicare dalle vostre scarpe.» John abbassò lo sguardo e vide che le sue scarpe erano tutte imbrattate del fango dell'argine. «E cosa ne deducete?» «Ne deduco che o è innamorato pazzo o è lui che ammazza la gente» rispose succintamente Jacob. Poi sputò per terra, raccolse il secchio ed entrò
in casa senza voltarsi. Mezz'ora dopo John se ne stava seduto su una balla di fieno a raccontare a Joe tutto ciò che era capitato quel giorno, a parte il suo interludio con Elizabeth. Anche se Joe era un ottimo amico, non poteva certo mettersi a discutere con lui degli strani sentimenti che lo agitavano quando si trovava con la marchesa. Quei sentimenti lo avevano assillato per tutto il giorno, e lui si era inutilmente sforzato di scacciarli. «E così che ne pensate della versione di lady Georgiana?» chiese Joe. John si mise a succhiare un filo di paglia. «Difficile a dirsi, ma onestamente tendo a crederle.» «È così, eh?» disse Joe, con gli occhi fissi nel vuoto. John si rese conto che stava riflettendo. Alla fine l'assistente del giudice chiese: «Ditemi, che tipo di donna è?» «In che senso?» «È una sciocchina o un tipo di carattere?» «Un po' tutte due le cose» rispose John. «È piuttosto volubile nelle sue opinioni, ma credo che sia più forte di quel che sembra.» «Quanto forte?» «Non saprei, Joe. A occhio e croce direi che lo è abbastanza: voglio dire, aveva in mente di scappare con Michael O'Callaghan mentre suo marito era vivo, e questo richiede un bel coraggio.» Gli occhi di Joe si fecero di nuovo distanti. «Credo che dovrei parlare con lei» disse. «Cambiando argomento, come sta Eclipse?» «Posso dichiararlo guarito.» «La principessa Amelia lo sa?» «Sì. Intende annunciare questa sera che entro due giorni farà i bagagli e lascerà il palazzo.» «Tuoni e fulmini!» esclamò John. «Non ce la faremo mai a catturare il colpevole in così poco tempo.» «È qui che credo vi sbagliate. Io sono convinto che l'assassino, o l'assassina, stia per colpire di nuovo.» «Davvero?» «Ne sono certo. Deve sentirsi molto al sicuro, dato che finora nessuno l'ha sospettato. Adesso direi che dovreste tornare a palazzo e stare in guardia. Tenete d'occhio tutto.» «Ma è un edificio enorme, Joe.»
«So che troverete un modo per farcela. Mi fido di voi.» «E voi? Cosa avete intenzione di fare?» «Io? Rivelerò chi sono veramente. Questa sera andrò a trovare la principessa.» «E cosa le direte?» «Per il momento non ne ho idea» rispose allegramente Joe. E con quelle parole l'assistente del giudice si alzò in piedi e fischiettando incominciò a lucidare le fibbie d'ottone di alcuni finimenti. 25 Dopo aver lasciato Joe nelle scuderie, John tornò a palazzo, al calar del sole. La neve non c'era più, ma per molti aspetti quel pomeriggio gli ricordava quello in cui era morta Emilia. Anche se non era altrettanto freddo c'erano così tante somiglianze che si arrestò e fece un paio di respiri profondi per calmarsi. Sperava solo che Joe avesse ragione, che l'assassino intendesse colpire ancora e che questa volta loro fossero sul posto per fermarlo. Poi ripensò a Elizabeth e per un istante fu davvero sincero con se stesso. Lui la desiderava enormemente, ma si rendeva bene conto che non era una donna con la quale poter pensare di costruire qualcosa di duraturo. Lui aveva amato Emilia e nessun'altra avrebbe potuto prendere il suo posto. Eppure, come un grande fiume, il suo amore si riversava negli affluenti, senza contare che, come il resto dell'umanità, anche lui aveva bisogno di compagnia. Era la trappola che finiva per catturare tutti gli esseri umani. Riprese a camminare e per un istante ebbe l'impressione che lei fosse tornata. Abbagliato dal sole morente che illuminava il laghetto circolare, intravide la sagoma di una donna che si stagliava scura in controluce. Era immobile e guardava nella sua direzione. John non poté trattenersi e si mise a correre verso di lei. Quando però si avvicinò, vide che si trattava di Priscilla, che gli sorrideva. Lei spalancò le braccia. «John, mio caro, sembrate agitato. Che vi succede?» Lui fu sul punto di dirle che quella situazione avrebbe fatto agitare chiunque, ma lasciò perdere. «Niente. Non vi avevo riconosciuta, ecco tutto.» Lei continuava a sorridere. «Andiamo, direi che ormai dovreste sapermi riconoscere.» «Avevo il sole negli occhi.»
«Oh, capisco.» Lei lo prese a braccetto. «John...» «Sì?» «Oh, niente. Non è il momento. Mi riaccompagnate a palazzo?» «Ma certo» rispose John e si diresse verso la residenza della principessa. Priscilla, che indossava un mantello con cappuccio grigio chiaro, doveva essersi accorta del suo umore perché parlò ben poco mentre camminavano affiancati. Alla fine però disse: «Immagino che non ci rivedremo più tra due giorni.» Lui la guardò stupito. «Perché?» «Perché Eclipse sta meglio e la principessa ha intenzione di chiudere il palazzo e di tornare a Londra. Dice che ne ha abbastanza di morte e disperazione e di sicuro non la si può biasimare. Io ritornerò con lei e poi dovrò trovarmi un impiego da qualche parte.» Lo guardò con quei suoi occhietti, aspettando che lui dicesse qualcosa, ma dal momento che John rimaneva in silenzio, riprese: «John, non avete bisogno di qualcuno che si prenda cura della piccola Rose?» Dunque era questo che aveva in mente. «Sapete bene che sono ancora ricercato per l'omicidio di mia moglie. Finché non verrò scagionato non sarò in condizione di assumere nessuno» si affrettò a risponderle. Priscilla rallentò il passo. «Penso che abbiate ragione, ma quando verrà riconosciuta la vostra innocenza, e succederà di certo, vi prego di ricordarvi di me.» Lui non sapeva bene come rispondere, e quindi non disse nulla. In cuor suo, però, sapeva bene che non l'avrebbe mai assunta, dato che si rendeva conto che era innamorata di lui e che probabilmente aveva in mente ben altro che prendersi cura di sua figlia. Tenendo lo sguardo fisso davanti a sé riprese a camminare. Quando entrò in casa avvertì una certa agitazione, che aveva notevolmente alleggerito l'atmosfera. La contessa di Hampshire era nell'ampio salone di ingresso che parlava tutta eccitata con il dottor Phipps, il quale la stava ad ascoltare educatamente. Quando John entrò con Priscilla si voltarono entrambi e lo sguardo della nobildonna gli fece capire che li considerava una coppia. A quel pensiero ebbe un tuffo al cuore. «Miei cari» disse immediatamente la contessa di Hampshire. «Non crederete a quello che è successo.» «Cosa, milady?» chiese Priscilla. «È arrivato qui lo stalliere delle scuderie, vestito tutto elegante, ed è sal-
tato fuori che lavora per sir John Fielding. In questo momento si trova con la principessa.» «Caspita! Ne siete sicura?» «Assolutamente. Sembra che lei gli abbia concesso un'udienza, visto che era stato tanto bravo con Eclipse. A quanto pare sa tutto anche sui cavalli. Un vero jolly.» «Più che altro un vero spione» commentò Priscilla piccata. «Era qui per sorvegliarci.» «Ci sta aiutando a trovare l'assassino» ribatté seccamente John. Priscilla si strusciò contro di lui. «Naturalmente avete ragione, colonnello. È solo che il fatto che si sia presentato in incognito mi sembra un gesto così invadente.» «Non sono d'accordo» affermò lui, guardandola in faccia e, come aveva previsto, lei abbassò gli occhi. Arrivò Gerald Naill dai giardini, con il viso tutto arrossato. «Sembra che lo stalliere fosse un uomo di sir John, perbacco. Mi chiedo chi stia per arrestare.» «Cosa vi fa pensare che stia per arrestare qualcuno?» chiese il dottor Phipps. «Non saprei» rispose Gerald con espressione furbesca. «Però qualcuno sta per cadere nella rete, me lo sento.» «Non ne sono così certa» disse la contessa di Hampshire. Poi dovette rammentarsi dell'incidente dell'anello, perché cambiò espressione e guardò John turbata. Lui non sapeva cosa dire e incominciò nervosamente a spostare il peso da un piede all'altro, finché si aprì la porta del salone rosso e comparve un domestico. «Colonnello Melville, sareste così gentile da raggiungere sua altezza?» E così si era arrivati al dunque, pensò lo speziale. Che lui lo volesse o meno, la sua identità stava per essere svelata. «Ma certo» rispose ad alta voce. Salutò con un inchino i presenti e seguì con incedere marziale il domestico nel salotto privato della principessa. Era una sala in cui non era mai entrato e rimase colpito dal suo splendore. Le pareti erano rivestite da una magnifica carta da parati rosso e oro, e l'effetto era completato dalle belle tende di un rosa delicato, ornate da fiori rosso scuro. Sopra il camino di marmo, in una cornice dorata, vi era un bellissimo quadro con una scena classica. Ma a dominare su tutto vi era uno spettacolare lampadario di cristallo, che in quel momento stava per es-
sere acceso da un domestico. John rivolse un profondo inchino alla principessa e lei lo invitò ad accomodarsi. Lui si sedette in silenzio e attese che qualcuno parlasse. Joe Jago, elegantissimo nell'abito blu con i ricami d'argento, attese finché il domestico non ebbe lasciato la stanza, poi si rivolse a John. «Signor Rawlings, potete palesarvi a sua altezza. Le ho parlato in via confidenziale e lei ha perdonato il vostro travestimento.» Un po' insicuro, John si tolse lentamente la benda e la parrucca. Poi si alzò, mentre la principessa lo osservava. «Così sembrerebbe che non siete stato voi a uccidere vostra moglie» disse lei alla fine. «No, vostra altezza, non sono stato io.» «E perché allora vi hanno trovato con il coltello in mano?» «Non sapevo nemmeno di averlo. Tutto quello che so è che l'ho trovata morente e che me la sono stretta al cuore. Non mi sono accorto del tempo che passava. In effetti non mi sono accorto di nulla finché non sono venuti a cercarmi.» «Avevate un'aria colpevole.» «Posso assicurarvi, vostra altezza, che non sono stato io a commettere quel delitto e neppure gli altri. Mi sono travestito da colonnello Melville perché volevo disperatamente introdurmi a palazzo per poter trovare l'assassino.» «Dice il vero, vostra altezza» affermò Joe. «Conosco il signor Rawlings da molti anni e garantisco per lui con la mia stessa vita.» John rimase così colpito da quella dichiarazione che gli si riempirono gli occhi di lacrime, tanto che fu costretto a voltarsi e a tamponarli con il fazzoletto. Quando si fu ricomposto tornò a girarsi verso la principessa, pensando che doveva esserle sembrato un autentico idiota. I capelli rossi gli erano cresciuti, tanto che adesso, senza parrucca, la sua testa assomigliava a un sole raggiante disegnato da un bambino. Per di più era sicuro di avere delle striature di sporco sul viso. Deglutendo, cercò di sorridere. Lei gli rivolse uno sguardo sorprendentemente gentile. «E così, a quanto parrebbe, mi sono sbagliata su di voi.» «Sì, vostra altezza.» «E chi credete che sia l'autore di questi crimini?» John alzò le spalle. «Altezza, non ne ho idea. Direi che si tratta di qualche membro della vostra corte.» «Cosa ve lo fa pensare? Non potrebbe essere una persona venuta da fuo-
ri?» «Ma che motivo avrebbe avuto? Di sicuro si tratta di qualcuno che si trova qui.» E improvvisamente John, quasi senza volere, si mise a raccontarle di quando si era nascosto in camera di lady Theydon e della conversazione che aveva origliato. La principessa Amelia ascoltò in silenzio e alla fine disse: «Questo sembrerebbe provare la vostra storia, ma non è detto.» «Cosa intendete, vostra altezza?» chiese Joe. «È possibile che il suo interlocutore non appartenesse all'entourage del palazzo.» «In effetti è possibile, anche se poco probabile» ribatté Joe. «Io convengo con il signor Rawlings. L'assassino deve essere qualcuno del palazzo.» «A meno che, naturalmente, non si tratti di Michael O'Callaghan.» «Ma di sicuro lui se ne sarà andato, ormai» intervenne la principessa. «No, vostra altezza» affermò cautamente John. «Si trova ancora da queste parti. Lavora a Bellow Farm, per essere precisi.» «Oh, che canaglia. Immagino che non voglia allontanarsi dalla sua bella.» Poi, con un'espressione ambigua, continuò: «La morte di lord Hope senza dubbio ha spianato la strada a quei due infelici amanti.» «Senza dubbio» rispose Joe. «Devo però riferirvi, altezza, che la signorina Fleming è convinta che l'assassino cercasse lei e non la signora Rawlings.» «Oh, e come mai?» John e Joe si scambiarono un'occhiata, rendendosi conto che stavano procedendo su un terreno pericoloso. «Ebbene, perché?» chiese di nuovo la principessa con enfasi. Joe si schiarì la voce. «Lei ci ha riferito una storia piuttosto strana, vostra altezza. Dichiara di aver dato alla luce un figlio illegittimo di vostro nipote, il re, e che da quando il bambino è morto delle persone hanno cercato di ucciderla.» La principessa li guardò sbalordita. «Ma che razza di sciocchezze. Mio nipote era del tutto innocente fino a quando non è caduto nelle grinfie di Sarah Lennox. Sua madre però ha posto fine a quel complotto organizzato dalla famiglia Fox, e adesso il re è felicemente sposato.» John pensò che se la storia che gli aveva raccontato Priscilla aveva qualche fondamento di verità doveva essersi svolta nel più assoluto riserbo. Sembrava che Joe avesse avuto la stessa idea, perché disse: «In effetti, vostra altezza, non si sa cosa pensare.»
La principessa sbuffò. «Si crede vero ciò che si desidera, immagino.» «Dunque non abbiamo nessun sospetto su chi abbia commesso i delitti?» chiese John. «Non ancora» rispose Joe. «Ma li avremo ben presto, credetemi.» Dato che si sentiva proprio uno straccio, John se ne andò in camera sua e si lavò il viso, rammentandosi di come, in un'occasione del genere, fosse entrata a sorpresa Elizabeth. Adesso si vergognava un po' per il modo in cui l'aveva trattata. Si sedette sul letto e ripensò a lei, a quando l'aveva vista la prima volta, vestita da uomo. Tuttavia, nonostante la sua corporatura mascolina, Elizabeth era una vera donna, una donna che bramava l'amore. Un amore che un giorno lui le avrebbe dato, lo sapeva. Si chiese allora se stesse incominciando a riprendersi dalla morte di Emilia, ma si rese conto che, come per qualsiasi altro uomo al suo posto, era il desiderio fisico che rendeva la marchesa tanto attraente per lui. Ma si trattava solo di questo? Ripensando a tutto quello che c'era stato tra loro, John capì che era proprio lei a essere così importante per lui. Si sdraiò sul letto e chiuse gli occhi, e probabilmente si appisolò, dato che quando guardò l'orologio era passata un'ora. Chiedendosi a che punto fosse Joe Jago, John indossò un abito da sera del principe, adattato per lui da Priscilla, e scese al piano di sotto. Probabilmente dovevano essere andati tutti a cambiarsi per la cena, poiché in giro non c'era nessuno. John vagabondò per le grandi sale, salendo le scale ed entrando persino nel salone dove Emilia aveva partecipato alla recita. Dappertutto scorse solo i domestici. «Sapete per caso dov'è il signor Jago?» chiese a uno di essi. «Si è recato da lady Georgiana, signore. È da circa un'ora che si trova con lei.» «Caspita. Ah, bene, vi ringrazio.» Si voltò per ridiscendere le scale, quando improvvisamente si spalancò una porta e nel corridoio apparve, tutta agitata, la nobildonna, che si mise a correre verso John. «Salvatemi» lo pregò, ansimante. «Da cosa, milady?» «Da quell'uomo spaventoso. Mi ha interrogata e adesso ha intenzione di procedere all'arresto.» Lui la fissò senza capire. «L'arresto di chi?»
«Ma il mio, naturalmente.» Era troppo tardi. Joe stava già arrivando nel corridoio e afferrò lady Georgiana. «Milady» disse «vi arresto per l'omicidio della signora Rawlings, di vostro marito lord Hope e di lady Theydon. Vi consiglio di venire con me senza opporre resistenza.» «Ma, Joe...» incominciò John. L'assistente del giudice gli rivolse uno sguardo minaccioso che lo faceva assomigliare a qualche mitica raffigurazione della vendetta. «Si è scoperto tutto perché milady ha perso un orecchino nel corso dell'omicidio del marito. Un orecchino che è ancora in vostro possesso, credo.» «Sì» rispose a mezza voce lo speziale. «Siate così gentile da andarlo a prendere.» John li guardò, domandandosi se un gioiello così semplice potesse appartenere a una donna del genere. Poi andò in camera sua e prese l'orecchino dal cassetto dove l'aveva nascosto. Quando tornò lady Georgiana era scesa di sotto, scortata da Jago. «Ebbene, siate così gentile da mostrarlo a milady.» Riluttante, John lo tirò fuori di tasca e lo fece vedere a lady Georgiana. Lei lo guardò e poi disse: «No, non è mio. Ve l'ho già detto. Non so di chi sia.» «Lo racconterete a sir John Fielding» affermò Joe. «E adesso, avete intenzione di fare una scenata o vi comporterete bene?» Lei lo guardò con disprezzo, poi, a testa alta, si lasciò condurre fuori dal palazzo. Mezz'ora dopo fu servita la cena, un po' più tardi del solito, dato che erano già le sei e mezzo. La notizia dell'arresto di lady Georgiana si era già diffusa nella casa come un'epidemia e tutti quanti erano eccitati per quella storia. La principessa Amelia aprì la discussione annunciando senza mezzi termini: «Se il signor Jago crede che sia lei, deve essere per forza così. Quell'uomo è del tutto affidabile. Dopo tutto ricordiamoci che cosa ha fatto per Eclipse.» «Sì, ma le donne sono diverse dai cavalli, vostra altezza» ribatté l'onorevole Gerald Naill, ricevendo una serie di occhiatacce dagli altri commensali. La principessa sbuffò sprezzante. «Lo so bene, signor Naill. È all'integri-
tà di Jago che mi riferivo.» «Naturalmente» rispose lui, accorgendosi che era meglio non esporsi. Priscilla, con le guance arrossate, dichiarò: «È però difficile pensare una cosa del genere di lady Georgiana.» «Che ci si creda o no, è ciò che è successo.» «Ci sono molte altre cose a cui non si può credere» commentò la principessa Amelia, fissando Priscilla. John decise che era il momento di intervenire. «Jago doveva avere delle buone ragioni per arrestare lady Georgiana. Non è uno che prende le cose alla leggera.» «Ma, colonnello...» «Permettetemi di interrompervi» intervenne la principessa con voce squillante. «Il colonnello è solo una mascheratura. È al signor Rawlings che vi state rivolgendo. È arrivato a palazzo così travestito per trovare l'assassino di sua moglie. E nessuno di voi l'ha riconosciuto» terminò. «Nemmeno voi, vostra altezza» fece notare lady Featherstonehaugh. La principessa la guardò in cagnesco e lady Kemp ridacchiò. John si tolse la benda dall'occhio e la parrucca e si alzò per rivolgere un inchino ai presenti, che gli fecero un piccolo applauso. «Sono veramente dispiaciuto per aver dovuto ricorrere a questi mezzi, ma non c'era altro modo per introdurmi a palazzo.» Fu allora che un pensiero lo colpì con tanta forza che si sedette rapidamente, continuando a sorridere suo malgrado, mentre con la mente si trovava a chilometri di distanza. Si rammentò di una cosa successa tanto tempo prima. Di una notte in cui una figura silenziosa si era introdotta nel suo giardino ed era rimasta a osservare la sua casa. Un figura minacciosa che era sparita rapidamente quando si era resa conto di essere stata scoperta. «Come hanno portato via lady Georgiana?» chiese la contessa di Hampshire. «Sono arrivati quegli orrendi galoppini con la carrozza e hanno portato via lei e il signor Jago. Mio Dio, pensare che la spediranno a Newgate!» John avrebbe potuto rispondere che immaginava che l'avrebbero rinchiusa in una delle celle del tribunale a Bow Street, ma preferì non intervenire. Priscilla incrociò il suo sguardo e gli sorrise calorosamente. «Io naturalmente l'ho sempre saputo che si trattava del signor Rawlings. Ho corso il rischio e, a quanto pare, ho avuto ragione.» «Be', sembravate proprio colpevole, signore» disse lady Featherstonehaugh.
«Come ho assicurato alla principessa Amelia, però, non lo ero.» Mentre parlavano, all'improvviso sentirono un gran fracasso in lontananza, come se qualcuno stesse imprecando a gran voce. Lo strepito si fece sempre più forte. «Cosa succede adesso?» chiese il dottor Phipps, che era rimasto in silenzio ad ascoltare. «Io davvero non....» Ma la principessa non poté proseguire. La porta della sala da pranzo si spalancò e apparve Michael O'Callaghan con tre domestici avvinghiati addosso che cercavano di buttarlo per terra. «Cosa le è successo?» urlò, ormai in ginocchio. «Cosa ne avete fatto di lei, in nome di Dio?» John si alzò e gli andò vicino, mentre i domestici alla fine riuscivano a stenderlo a terra. «È stata arrestata» gli spiegò. «Per gli omicidi?» «Per che altro?» «Ma io vi giuro su Gesù, Giuseppe e Maria che non è stata lei.» «Come fate a esserne così sicuro?» «Ve lo dico io il perché. Perché sono stato io a commetterli. Dovevano portare via me.» La contessa di Hampshire fece un urlo e svenne, cadendo molto appropriatamente tra le braccia del dottore. La principessa Amelia si alzò in piedi. «Signor Rawlings, portate questo zoticone di irlandese in anticamera e interrogatelo. Sembra che ci sia stato un errore giudiziario.» 26 Entrando in anticamera John si trovò davanti a un vero e proprio campo di battaglia. Michael O'Callaghan si stava dibattendo sul pavimento in lotta con quattro domestici, a due dei quali era caduta la parrucca, mettendo in evidenza le teste rasate. Il terzo aveva un labbro sanguinante, mentre il quarto si teneva avvinghiato alla gamba dell'irlandese come un terrier a un ratto. Lo speziale si fermò un istante, rendendosi conto di quanto fosse forte Michael, poi gridò: «Fermatevi. Fermatevi, ho detto.» E i cinque si bloccarono per guardarlo. «Dite a questi bastardi di lasciarmi, John» strillò l'attore.
«Fate come dice» ordinò lo speziale. «Penso che con me si comporterà come si deve. Almeno spero.» «Certo che lo farò» dichiarò Michael, rialzandosi. Raccolse le parrucche e le porse ai domestici rivolgendo loro un inchino. Quelli le afferrarono e se le rimisero in testa alla meno peggio. Poi, circondato dai loro sguardi malevoli, l'irlandese crollò su una sedia. John si sedette di fronte a lui. «Cosa vi spinge a confessare i delitti?» chiese. «Lo state facendo per salvare lady Georgiana?» «No, lo faccio perché sono stato io.» «Davvero? E perché avete ucciso Emilia, se posso chiedervelo?» «Oh, si è trattato di un errore. In realtà volevo colpire Priscilla.» «Senza dubbio siete un agente dei servizi segreti e volevate toglierla di mezzo per eliminare ogni traccia dello scandalo.» Michael rimase a bocca aperta, quindi si riprese e affermò: «Sì, è così.» John annuì e tamburellò con le dita, un gesto che aveva mutuato da sir Gabriel. Poi scoppiò a ridere. «Ci vuole un bel po' di immaginazione, vero? A inventarsi quella storia, voglio dire.» Michael annuì. «Certo.» Era chiaro che Michael non sapeva di cosa si stesse parlando, ma continuava coraggiosamente a ostinarsi. «E così voi siete al corrente di tutto?» «No, non di tutto.» «Ma l'ordine di eliminare Priscilla è venuto dai servizi segreti. Non vi sentivate in colpa, dato che era stata lei a offrirvi il lavoro? Dopo tutto era stata gentile con voi.» Michael O'Callaghan sembrava tremendamente a disagio. «Dovevo fare il mio dovere.» «Davvero? Dite sul serio, Michael? Adesso perché non mi raccontate cos'è successo veramente? Andiamo, ditemi la verità una volta tanto.» All'improvviso l'attore sembrò esausto, come se tutta un tratto avvertisse il peso degli sforzi che aveva fatto. «Mi avete raccontato una caterva di bugie, vero? Be', ci vuol altro per far uscire la vostra amata di galera. Non sapete nulla dello scandalo nel passato di Priscilla? Se ne sapete qualcosa, sarei lieto di sentirvene parlare.» L'irlandese abbassò la testa. «Non so nulla, a dire il vero.» «Naturalmente» affermò lo speziale, e O'Callaghan scrollò il capo come un cane bagnato e restò in silenzio. «Bene, passiamo all'omicidio di lord Hope. Come avete fatto a commet-
terlo?» «Oh, è stato facile. Sono scappato via di nascosto da Bellow Farm, ho sorpreso quel bruto nella grotta e poi me la sono di nuovo svignata.» «Perdendo nel frattempo un orecchino, ovvio. No, Michael, non va bene. State a sentire...» lo speziale si sporse verso di lui e gli parlò con franchezza. «So bene che siete pronto a sacrificarvi per lady Georgiana, e penso che sia veramente un bel gesto da parte vostra. Però credetemi. La vostra storia è piena di buchi come un colabrodo. Dovete inventarvi qualcosa di meglio, se volete convincere sir John Fielding.» «Che vada al diavolo» rispose stancamente l'attore. «E andate al diavolo anche voi, John Rawlings. Pensavo che foste mio amico.» La stanchezza dell'irlandese sembrò contagiare anche John, che disse: «Michael, io sono vostro amico, sul serio. Ma se lady Georgiana avesse veramente commesso quei tre omicidi la vorreste ancora come moglie e madre dei vostri figli?» «Sì. No. Non ne sono sicuro.» «Statemi a sentire. Io non sono certo che sia stata lei. Sono infatti dell'idea che l'assassino sia ancora in libertà.» Michael rialzò la testa. «Dite sul serio? O sono solo parole?» «Dico sul serio.» «Ma di certo i funzionari del tribunale non avrebbero commesso un errore del genere.» «Conosco l'uomo che l'ha arrestata. È una delle persone migliori che abbia mai avuto la fortuna di incontrare. Credo però che questa volta possa aver preso un abbaglio.» L'attore lo guardò a lungo. «Ma in questo caso...» «In questo caso la vostra irruzione qui e la vostra confessione sono inutili. Quello che dobbiamo fare è prendere in trappola il vero assassino, e dobbiamo farlo al più presto.» «Come posso aiutarvi?» «Ecco come...» E lì nell'anticamera, parlando in tutta calma, John Rawlings descrisse il suo piano all'attore. Quando tornò a tavola, scoprì che la maggior parte degli altri commensali erano andati a giocare a carte. Rimpiangendo vivamente di non aver ereditato neppure un quarto dell'abilità di giocatore del suo padre adottivo, John accettò volentieri di bere un bicchiere di porto con il dottor Phipps.
Il medico era molto provato da tutto quello che era successo. «Vi dirò francamente, colonnello, oh, scusate, signor Rawlings, che sarò felicissimo di lasciare questa casa.» «Quando avete intenzione di andarvene?» «Domani mattina. Ogni tanto esercito ancora la professione, e persino il paziente più insopportabile mi sembrerà un sogno dopo quello che è successo qui. Sapete, ancora non riesco a convincermi che la colpevole sia lady Georgiana. Dopo tutto, però, nella vita accadono cose ancora più strane.» John annuì mentre la sua mente prendeva diversi sentieri. E se Michael O'Callaghan avesse messo in scena il più grande bluff della sua vita confessando degli omicidi che aveva veramente commesso? Se lady Georgiana, quella gelida bellezza, fosse stata veramente colpevole? E se invece, come sospettava John, l'assassino se ne stava ancora in agguato a Gunnersbury House, pronto a colpire di nuovo? Si accorse che il dottore aveva ripreso a parlare. «Lady Theydon è stata portata via?» «Oh, sì. I galoppini l'hanno portata all'obitorio di Brentford. Toccherà al coroner dare il permesso per la sepoltura.» «Che razza di fine. Cos'avrà fatto di male quella povera donna?» «Ha aiutato le persone sbagliate, ecco cosa,» «Che volete dire?» «Non ne sono sicuro» rispose John. «È questo il problema. Ancora non ne sono sicuro.» «Bevete ancora un bicchiere di questo eccellente porto. Rinvigorisce la mente.» «Non dovrei, ma vi ringrazio, signore» rispose lo speziale, allungando il bicchiere. Si udì bussare al portone e il dottore si rivolse esasperato a John. «Oh, speriamo che non ci siano altri guai in arrivo. Quell'esagitato di irlandese è stato più che sufficiente per questa sera. A proposito, che ne è stato di lui?» «L'ho rimandato a Bellow Farm. Non ha ucciso nessuno. Ha confessato solo per cercare di salvare la sua innamorata.» «Volete dire che lady Georgiana aveva una relazione con lui?» «Temo di sì.» Il medico assunse un'espressione che voleva dire "è impossibile scandalizzare un dottore". In altre circostanze John l'avrebbe trovato divertente,
ma quella sera era a corto di senso dell'umorismo. Ci fu un momento di silenzio, che venne interrotto da un leggero bussare alla porta della stanza. «Avanti» disse il dottor Phipps. Fece il suo ingresso un domestico con una lettera su un vassoio. «Un messaggero ha recapitato questa per il signor Rawlings.» Lo speziale la guardò. «Chi può averla mandata?» Ma non appena vi posò gli occhi sopra riconobbe la scrittura. Era una lettera di Joe Jago. Diceva semplicemente: Gentile amico, non ho molto da dirvi, vi pregherei soltanto di sorvegliare continuamente la grotta. Sono convinto che tutto si risolverà lì. State in guardia. Il vostro umile servitore La firma "J. Jago" era seguita da uno svolazzo, e l'indirizzo riportato era quello del Leone Rosso di Brentford. John la rilesse e si sentì rincuorato. Se la sua interpretazione era corretta, l'arresto di lady Georgiana era stato solo uno stratagemma e l'assassino era ancora libero. Tornò a passare in rassegna i sospetti. La principessa stessa non poteva essere esclusa, anche se faticava a credere che una donna così sovrappeso avrebbe potuto dileguarsi velocemente in mezzo agli alberi con addosso il mantello rosso oppure affrontare lord Hope nella grotta. D'altra parte erano già successe cose anche più strane e quindi non la si poteva scartare a priori. Poi veniva la contessa di Hampshire, con il suo debole per gli uomini più giovani. La sua passione per i gioielli l'aveva portata a uccidere per impossessarsene? Se aveva scambiato Emilia per Priscilla poteva essere stato per qualcosa che Priscilla indossava? Lo stesso lord Hope ostentava anelli, tabacchiere e spille. Poi rifletté su quelle due strane donne che erano lady Featherstonehaugh e lady Kemp. A cosa si dedicavano nel loro tempo libero? Poteva essere che collaborassero per commettere degli omicidi, fornendosi reciprocamente un alibi? Passò al vaglio questa ipotesi e trovò che aveva qualche fondamento. Infine giunse a Priscilla la quale, ne era certo, era innamoratissima di lui. A scoraggiare l'idea che fosse lei la colpevole c'era il fatto che non aveva un movente. Perché avrebbe dovuto uccidere una vecchia amica o lord
Hope? Lady Theydon chiaramente era stata eliminata perché si era rifiutata di aiutare ulteriormente l'assassino. Ma gli altri due? John mise da parte la signorina Fleming, dato che non aveva nessuna ragione per uccidere. A questo punto rimaneva solo l'enigmatico Michael O'Callaghan. L'irlandese aveva confessato gli omicidi, ma lo aveva fatto solo per difendere lady Georgiana Hope. Però poteva essersi trattato solo di un bluff, un bluff che aveva del tutto spiazzato John. Be', quasi del tutto. Anche se aveva incluso l'attore nel suo piano per scoprire l'assassino, non gli aveva detto tutto. «Erano notizie buone o cattive?» chiese il dottor Phipps. John tornò alla realtà. «Niente di importante.» Diede un'occhiata al bell'orologio che sir Gabriel gli aveva regalato per il suo ventunesimo compleanno. «Mmh. Sono quasi le otto. Vi dispiace se me ne vado a fare una passeggiata?» Il dottore buttò giù il suo porto. «Posso venire con voi? Mi farebbe piacere prendere una boccata d'aria.» Nel disperato tentativo di rimanere solo, John provò a fargli cambiare idea. «Fa ancora molto freddo.» «Oh, la cosa non mi preoccupa» rispose il medico. «Mi vesto sempre molto pesante.» Non ci fu niente da fare e i due, indossati i loro mantelli, uscirono dal palazzo. John aveva in mente di fare solo pochi passi e di tornare fuori più tardi, invece finì col dirigersi verso la grotta, seguito dal dottore. La primavera era decisamente alle porte, e il gelo di gennaio solo un ricordo. Faceva però ancora piuttosto freddo e lo speziale, avvicinandosi alla grotta, si sentì rabbrividire. «Vi ricordate dell'ultima volta che ci siamo venuti?» chiese John. Il dottor Phipps lo guardò con aria cupa. «Fin troppo bene. Che espressione tremenda aveva sul viso lord Hope.» Rammentando quella smorfia, con le labbra violacee tirate che scoprivano i denti in una parodia di sorriso, allo speziale venne di nuovo la pelle d'oca. «Poveraccio. Dovevano odiarlo veramente per fargli fare una fine del genere.» «Oppure era solo d'impiccio» ribatté il dottore. Anche se gli sarebbe piaciuto dare un'occhiata all'interno, dato che si erano portati dietro una lanterna, lo speziale lasciò perdere. Si affacciò solo per un istante per accertarsi che dentro non ci fosse nessuno. Nella grotta tutto era silenzioso e lui e il dottor Phipps continuarono la loro passeggiata
nel parco. Rientrarono un'ora dopo e scoprirono che la partita a carte si era interrotta e che la principessa Amelia si stava ritirando, salutata dagli inchini degli altri giocatori. Vedendo John, si diresse verso di lui. Lo speziale le rivolse un profondo inchino, chiedendosi cosa volesse. «Signor Rawlings, vorrei scambiare qualche parola con voi, per favore.» «Ma certo, vostra altezza.» E così, per la seconda volta quel giorno, si ritrovò nel salotto privato della principessa, questa volta da solo, se si escludeva lo stuolo dei domestici. «Verrò subito al punto» disse lei appena fu seduta. John si appollaiò cautamente sul bordo del sofà e sorrise in modo educato. «Penso che dovreste prendere in considerazione l'idea di risposarvi» disse lei. «Adesso che c'è stato un arresto e l'inchiesta si è conclusa, dovreste pensare a voi stesso.» «Ma vostra altezza, mia moglie è morta solo da due mesi.» «Dovreste considerare che avete una figlia, signor Rawlings. Non potete lasciarla senza una madre.» Chiedendosi come avesse fatto la principessa a sapere di Rose, John rispose: «Sono sicuro che mio padre e io sapremo allevarla nel migliore dei modi.» «Be', non sono della vostra opinione. Una bambina ha bisogno di una presenza femminile. Posso suggerirvi la signorina Fleming? Quella povera ragazza non può rimanere nella mia corte e penso che sarebbe una soluzione ideale.» John pensò a quanto dovesse essere bello dare ordini e venire obbediti immediatamente e immaginò che fosse un'abitudine reale comportarsi così. Gli venne pure in mente che se avesse rifiutato in modo categorico si sarebbe messo nei guai. Quindi diede una risposta evasiva. «Vostra altezza, prenderò in considerazione quanto mi avete proposto. Naturalmente il benessere di mia figlia viene prima di tutto.» «Bene. Sono contenta di vedere che avete giudizio. So che Priscilla è ansiosa di parlarvi. Vi suggerisco di chiederla in moglie.» Se proprio avesse dovuto chiedere in moglie qualcuno, pensò lo speziale, la prescelta sarebbe stata Elizabeth. Tuttavia sorrise e annuì, augurandosi disperatamente di potersene andare presto da Gunnersbury House, con tutti i suoi intrighi e le sue bugie. Dopo essersi accomiatato con uno spettacolare inchino, John scoprì che
la maggior parte degli ospiti presenti a palazzo erano già andati a letto, sicuramente spossati dagli ultimi avvenimenti. Ma mentre si dirigeva verso lo scalone vide che Priscilla era lì che indugiava, tutta graziosa nel suo abito azzurro. La raggiunse e le baciò la mano, e lei gli rivolse un sorriso nervoso. «Oh, caro John, devo scusarmi per la principessa» abbassò la voce in un sussurro. «Lei è così romantica e solo il cielo sa cosa vi avrà raccontato.» «Be'...» «Sapete che il re Federico di Prussia, quando naturalmente era ancora un principe ereditario, si innamorò pazzamente di lei, e che per questo lei porta ancora un medaglione con il suo ritratto appeso al collo?» si affrettò a raccontare Priscilla. «Davvero?» «Oh, sì. È intenzionata a tenerlo finché non morirà, e poi, sono pronta a giurare, sarà sepolto insieme a lei. È la più fedele delle donne e crede che tutti dovrebbero essere come lei.» «Capisco.» Priscilla arrossì. «John, cosa vi ha detto?» Lui sospirò. «Mia cara, ha suggerito che voi e io dovremmo sposarci, ma...» Lei distolse lo sguardo. «Io penso che sia una buona idea, John. Sarebbe solo un accordo formale, naturalmente. Così voi non dovreste pagare una governante per vostra figlia, e col tempo magari potreste affezionarvi. Sono molto portata per l'economia domestica e sarei lieta di intrattenere i vostri amici. Oh, anima mia, penso che sarei un'ottima moglie per voi.» Per un fugace istante John pensò che sarebbe stata effettivamente la soluzione a tutti i suoi problemi. Subito dopo, però, gli vennero in mente le corse selvagge nelle campagne del Devon con al suo fianco una donna bruna che cavalcava e sparava meglio di lui, e si rese conto che sapeva quale direzione voleva che prendesse il suo futuro. «Priscilla, è troppo presto per decidere» le spiegò gentilmente. «Ma perché?» insistette lei. «Di sicuro Rose ha bisogno di una madre.» In quel momento lui si rese conto che voleva che anche sua figlia crescendo diventasse una donna straordinaria, una donna che sapesse prendere da sé le proprie decisioni ed essere indipendente. Non una donna che si limitasse a essere dolce e accondiscendente come la povera signorina Fleming. «Rose starà benissimo con mio padre, per il momento. Farà di tutto per
allevarla nel miglior modo possibile.» Gli occhietti di Priscilla si chiusero e il suo viso si accartocciò in una maschera tragica. Si avvinghiò a John, crollandogli tra le braccia. «Oh, perché, perché? Io ti amo, John. Ti amo da tanto. Oh, ti prego, amore mio. Anche solo un matrimonio di convenienza. Lo so che col tempo inizierai ad amarmi anche tu. Ne sono sicura.» Lui la costrinse a guardarlo in viso. «Priscilla, no. Io non potrei mai amarti. Amo ancora Emilia. Lo capisci?» «No» gemette lei «non ci riesco.» Lui rimase lì impotente, desiderando essere altrove, poi si rese conto che qualcuno li guardava. Dalle tenebre era appena sbucata Elizabeth di Lorenzi. 27 Elizabeth sorrise nell'oscurità e salutò rispettosamente con una riverenza. «Perdonatemi, signori, non sapevo che foste qui.» «Cosa ci fai al piano di sopra?» la redarguì Priscilla. «Il tuo posto è in cucina.» «Sono venuta ad accendere le candele, signorina.» «Ma lo dovrebbe fare uno dei domestici.» «I domestici non stanno molto bene. Sono ancora malconci per la baruffa con Michael O'Callaghan, signorina Fleming. Mi sono offerta di sostituirli per questa sera.» «Oh, va bene. Fa' pure allora.» Nell'oscurità John avvertì l'acredine del sorriso di Elizabeth. «Benissimo, signorina.» «Grazie, Elizabeth» intervenne John. «Sei stata molto gentile a prendere il loro posto.» Priscilla si irrigidì tra le sue braccia. «Oh, mio caro, all'improvviso mi sento molto stanca. Devo andare subito a letto. Mi accompagnereste in camera mia?» «Penso che andrò a fare quattro passi in giardino. Potreste farvi accompagnare dalla serva.» Elizabeth fece un'altra riverenza, «Se la signorina vuole seguirmi.» Priscilla Fleming li guardò con aria sconfitta. A questo punto, infatti, non poteva fare altro che accettare. «Bene. Lizzie, va' avanti con il candeliere. Io ti seguo.» Poi si voltò ver-
so John. «Buonanotte, mio caro. Promettetemi di ripensare a quanto vi ho detto.» «Lo farò. Buonanotte.» Lui la osservò salire i gradini, notando quanto sembrasse bassa vicino a Elizabeth. In cima alle scale Priscilla si voltò un'ultima volta per rivolgergli un sorriso incerto e un cenno con la mano, poi svanì. Felice di essersene liberato, John indossò il mantello del principe, che era appeso vicino al portone, e uscì. Aveva intenzione di rimanere di guardia alla grotta tutta la notte. Aveva rimandato indietro Michael, cosa che gli poteva forse tornare utile per una certa idea che aveva in mente. E quindi, dato che non poteva contare sull'aiuto di nessuno, toccava a lui montare la guardia. Raggiunta velocemente la grotta, John si sistemò dietro un cespuglio e si sedette su un cuscino che si era portato dietro dal palazzo. Doveva essersi assopito, nonostante la posizione scomoda, dato che fu destato dal risolino di un ubriaco, e dal rumore di qualcuno che inciampava. Vincendo la tentazione di correre ad aiutarlo, John rimase dove si trovava, a spiare. C'erano due belle di notte, almeno a giudicare dall'aspetto appariscente, che camminavano in giardino, tenendosi a braccetto e ridendo. Non appena le vide, a John parvero stranamente familiari. Le osservò con attenzione alla luce della luna e riconobbe, sotto lo spesso strato di trucco, i lineamenti di lady Kemp. Al suo fianco, barcollando un po' sui tacchi assurdamente alti, veniva lady Featherstonehaugh. Lo speziale si divertì tanto a quello spettacolo che scoppiò a ridere. Lady Kemp si bloccò di colpo. «Che cos'era?» «Cos'era cosa?» «Quel rumore. Mi è sembrato di sentire qualcuno che rideva.» «Io non ho sentito niente.» «Non hai sentito perché sei ubriaca, baldracca.» «Baldracca sarai tu!» Avvicinarono le teste e scoppiarono in una risata stridula, poi si incamminarono di nuovo a passo barcollante verso la porta laterale. Dunque era quello il loro sordido segreto, pensò John. Quando calava il buio si vestivano da prostitute e uscivano, probabilmente dirette vero la periferia di Brentford in cerca di qualche avventura piccante. Be', buona fortuna, augurò loro John, a meno che nella loro ricerca di avventure eccitanti non si fossero dedicate pure all'omicidio. Rimettendosi in piedi per sgran-
chirsi, lo speziale ripensò al frammento di conversazione che gli era capitato di sentire. All'epoca le due donne avevano vagamente accennato a qualcosa che avevano visto. Decise pertanto che il giorno dopo le avrebbe interrogate. Probabilmente si addormentò di nuovo, perché quando aprì gli occhi nel cielo si scorgevano le prime luci dell'alba. Avvertì un crampo insopportabile a una gamba e si alzò, incapace di controllarsi, saltellando e massaggiandosi l'arto. Poi gli si rizzarono i capelli in testa e si accucciò nuovamente, osservando quello che aveva scorto tra i rami. C'era qualcuno che stava attraversando il giardino. Una figura che si muoveva lentamente, quasi fluttuando. Era completamente avvolta in un lungo mantello verde con il cappuccio alzato e calato sul viso, così a John, da dove si trovava, sembrava senza volto. Nonostante tutto quello che sapeva sui fantasmi, che a dire il vero non era molto, John fu colto dal terrore. La figura si avvicinò e, dopo essersi guardata alle spalle per assicurarsi che nessuno la stesse seguendo, entrò nella grotta. Per qualche istante John rimase impietrito dove si trovava, troppo spaventato per muoversi o dire qualcosa. Poi, con un enorme sforzo, si costrinse a superare lo spazio che lo separava dalla grotta e a entrare. All'interno era buio pesto, ma il misterioso incappucciato doveva tenere nascosta tra le pieghe del mantello una lanterna, dato che quando John si affacciò nell'oscurità venne azionato un acciarino e si fece luce. Lui rimase a osservare dall'imboccatura, mentre la figura incappucciata incominciava a tastare lungo i muri e negli anfratti della grotta. Poi, dopo essersi inginocchiata, stese un braccio e lo tuffò nelle acque scure della vasca. John si infilò una mano in tasca e tirò fuori l'orecchino che aveva preso dal cassetto, tenendolo nel palmo della mano aperta, tanto che il gioiello colse un raggio di luce della lanterna e brillò debolmente. «Cercate questo?» chiese tranquillo. L'altro si voltò di colpo, spaventato, con il respiro mozzo. Poi si tirò via il cappuccio e fece un sorriso tormentato. «John» disse. Era Priscilla. Lui percorse i pochi passi di distanza che li separavano e le afferrò con forza il braccio. «John, mio caro, cosa ci fate qui?»
«Potrei farvi la stessa domanda.» «Io? Oh, sono venuta a farmi un bagno mattutino.» «Nella vasca dove lord Hope ha esalato l'ultimo respiro? Non penso, Priscilla. Io sono convinto che cercavate questo.» E le tese la mano su cui brillava l'orecchino. Lei lo osservò freddamente. «Oh, sì. Sapevo di averlo perso da qualche parte. Era qui dentro?» «Sapete benissimo dov'era. Perché cercate di negarlo? Siete stata molto abile a nascondere le vostre tracce, ma adesso è tutto finito.» Lei provò di nuovo timidamente a sorridere. «Oh, John, tesoro, perché siete così arrabbiato? Lo so che sto trasgredendo agli ordini della principessa di non adoperare la vasca, ma volevo tanto fare un bagno.» «Smettetela con i vostri giochetti, Priscilla. Perché non confessate?» Per tutta risposta lei distolse lo sguardo e quando tornò a guardarlo aveva gli occhi che ardevano. «Oh, voi siete così perbene, vero? Non avete mai desiderato qualcosa al punto di essere disposto a uccidere per averla?» «No, mai.» «Vi compatisco. Oh, amore mio, se solo mi amaste anche la decima parte di quanto vi amo io! Insieme conquisteremmo il mondo, voi e io. Sapete quando mi sono innamorata di voi?» Lui scosse la testa in silenzio, per paura che lei smettesse di parlare. «È stato quando sono venuta nel vostro negozio di Shug Lane con una ricetta del medico per la principessa Amelia. Voi non ve ne ricordate, vero? Ma io sì, ho ancora tutto scolpito in mente.» Priscilla chiuse gli occhi. «Riesco a rivedere anche il minimo dettaglio. Che cosa indossavate, il modo in cui mi avete guardata. Ed è stato allora che ho saputo che qualsiasi cosa fosse successa un giorno sareste diventato mio marito.» «Ma io ero già sposato.» «Sì, lo venni a sapere. Feci delle ricerche su di voi e scoprii di essere stata a scuola con Emilia Rawlings, nata Alleyn. Così le scrissi e lei mi invitò subito. Ma anche se non l'avessi conosciuta avrei trovato un modo per essere ammessa in casa vostra. Io vi amo sul serio, capite?» John la guardò agghiacciato, limitandosi a scuotere il capo. «L'avete uccisa voi?» Ancora una volta Priscilla gli rivolse il suo sorriso spettrale. «L'ho tolta di mezzo, ecco tutto.» «Ma come avete fatto a convincerla ad andare nel bosco, da sola e al buio?» Priscilla aveva un'aria tutta compiaciuta e John si sentì pizzicare le mani.
Moriva dalla voglia di cancellarle quel sorriso dalla faccia. «Le ho detto che c'eravate voi. Le ho raccontato che eravate sgusciato fuori alla fine dello spettacolo e che avevate una sorpresa per lei. Solo che non era la sorpresa che lei si aspettava» ridacchiò Priscilla. Lui aveva giurato di uccidere la persona che aveva aggredito sua moglie ma rimase dove si trovava, a bocca aperta, incapace di muovere un muscolo. «Ma perché lord Hope?» chiese. Lei gli andò più vicina. «Vi ricordate che vi ho raccontato del bambino che ho dato alla luce?» John annuì. «Be', era tutto vero, solo che il padre non era il re.» «Volete dire che lord Hope...?» «Sì, lui. Era lui il padre del bambino.» «E l'aggressione al tempio? Vi siete semplicemente gettata a terra stringendovi la gola, non è vero, creatura malvagia?» «Oh, sì» rispose candida Priscilla. «Dovevo farlo. Se sapessi quanto desideravo che tu mi toccassi. Ero disposta a fare qualsiasi cosa per farmi abbracciare da te. Oh, amore, stai aggrottando la fronte. Non rabbuiarti.» John la ignorò. «E lady Theydon?» «Lei si rifiutava di proteggermi ancora. Una notte me l'ha sussurrato, poi mi ha minacciato in camera sua. Doveva sparire prima che mi tradisse, cosa che avrebbe fatto ben presto.» «Povera donna» commentò John. «Sono convinto che avrebbe serbato il vostro segreto fino alla fine dei suoi giorni.» «Come la metti giù bene, amore mio. Molto divertente. Ma adesso che conosci la mia piccola bugia, cosa devo fare di te?» «Priscilla Fleming, io vi arresto per l'omicidio di Emilia Rawlings.» «Ma io ho ucciso per te, John. Tutto quello che ho fatto, l'ho fatto perché ti amo. Sposami e dimentichiamoci di tutti questi incidenti.» «Incidenti, li chiamate! Avete tolto la vita a degli innocenti. Avete avuto un figlio da lord Hope anni fa, perché l'avete ucciso adesso? Lady Theydon vi ha coperto meglio che ha potuto. Ma è l'omicidio della donna che si considerava vostra amica, della donna che adoravo, che è assolutamente imperdonabile. Siete un mostro, non una donna. Altro che amarvi, io vi odio.» Priscilla lo guardò con un'espressione così triste che per un attimo si sentì dispiaciuto per lei, rendendosi conto che era pazza e che lui non avrebbe potuto dire o fare nulla che potesse penetrare nella sua mente ottenebrata.
«Oh, tesoro» sospirò lei, poi, veloce come un lampo, estrasse una pistola a due colpi dal mantello che l'avvolgeva tutta. «Priscilla, cerca di ragionare» provò a dirle John. «Se mi spari ti prenderanno subito. Hai già ucciso abbastanza. Posa la pistola.» «Ma tu non mi ami, me l'hai appena detto. E conosci tutti i miei segreti. Devo ucciderti.» Dietro di lei, all'entrata della grotta, John avvertì un leggero movimento. Si sforzò di non guardare da quella parte, temendo che lei potesse voltarsi e scorgere la persona che stava arrivando. «Be', se devo morire, morirò» disse lui, cercando di guadagnare tempo. Lei si avvicinò, a tal punto che lui poté guardarla in quegli occhietti azzurri. Vi scorse la follia, ma anche una grande tenerezza e, soprattutto, una profondissima tristezza. «Lascia che ti tenga mentre muori, amore mio» sussurrò lei, alzando il cane della pistola. Il movimento furtivo all'ingresso si fece precipitoso e si udì qualcuno che urlava: «No, signorina Priscilla, per amor di Dio» per poi scagliarsi su di lei gettandola a terra, in modo che il colpo partì verso il soffitto. John istintivamente si gettò a terra, da dove vide tutto da una prospettiva distorta. Per terra, a dibattersi come due animali in lotta, c'erano Benedict e la ragazza che aveva appena cercato di sparargli. Rendendosi conto che adesso era il domestico a essere in pericolo, John si cercò in tasca la pistola, ma scoprì che non c'era più. Si guardò allora disperatamente attorno in cerca di un'arma. Scorse un pezzo di legno, lo raccolse e si levò in piedi brandendolo verso i due che lottavano. «Priscilla Fleming...» gridò. Lei lo guardò e disse: «Perché non potevi amarmi, John?» Poi, puntandosi la pistola alla testa, sparò l'ultimo colpo e crollò tra le braccia di Benedict. 28 Aveva giurato di uccidere l'assassino di Emilia e di ballare sulla sua tomba, ma adesso, di fronte a quello spettacolo, non poté fare altro che rimanere a guardare ciò che rimaneva della testa di Priscilla e piangere senza ritegno. Versò tutte le lacrime che aveva coraggiosamente trattenuto così a lungo. Si sedette sul pavimento della grotta e singhiozzò. Nel frattempo Benedict si districò dall'abbraccio della defunta e si rimise in piedi.
«Andiamo, non prendetevela così.» John lo guardò, scuotendo la testa e mormorando: «Mi spiace, non posso farci niente.» «È meglio che usciamo di qui.» Lo speziale si volse a dare un'occhiata e fu colto da un conato di vomito. Il cranio di Priscilla era esploso in mille pezzi: in parte erano sparpagliati e in parte galleggiavano sull'acqua della vasca. Rialzatosi, John si avviò barcollando verso l'ingresso e respirò l'aria fresca del mattino per calmarsi, poi, quasi meccanicamente, prese i suoi sali e inspirò a fondo. Benedict lo raggiunse all'entrata. «Andiamo, signore. Ritorniamo a palazzo.» John provò a camminare, ma si sentiva le gambe così deboli che dovette appoggiarsi al domestico. «Vi devo le mie scuse. Non mi siete mai piaciuto, che sciocco sono stato.» «È comprensibile, signor Rawlings. Sono la spia della principessa, un incarico ufficioso, capirete. Per lavoro mi impiccio dei fatti di tutti, non so se mi spiego.» «Sì. Ma che bisogno c'è che qualcuno faccia un lavoro del genere?» «Non saprei. Forse a sua altezza piace sentirsi sicura, per potersi dedicare ai piaceri della vita.» «Sì» rispose lo speziale. «Immagino abbiate ragione.» «Però è una brava donna, signore, per quanto da giovane fosse piuttosto disinvolta nel concedere il suo affetto.» «Immagino che sia così per tutti» rispose John, cercando di sorridere. E così, sorretto da Benedict, tornò a palazzo e alle spiegazioni che lo attendevano. Quasi come se si trattasse di un'occasione di stato, la principessa Amelia si era fatta trovare circondata dalle sue dame di compagnia. Attorno a lei erano infatti sedute la contessa di Hampshire, lady Featherstonehaugh e lady Kemp. Tutte insieme suscitavano però meno impressione di quando del gruppo faceva parte anche lady Theydon e sembravano le quattro Marie, aveva pensato John. Lo speziale aveva raccontato la sua storia dall'inizio, omettendo per diplomazia qualche dettaglio sulle abitudini private delle dame. Benedict, che ovviamente era un domestico molto benvoluto, aveva aggiunto le informazioni che mancavano.
«E lady Georgiana?» chiese la principessa Amelia. «Che ne sarà di lei?» «Sono dell'opinione che lei e Joe Jago fossero d'accordo nell'agire in quel modo.» «Volete dire che il suo arresto è stato una specie di messa in scena?» «Sì. Jago aveva passato diverso tempo da solo con lei e penso che l'abbia convinta a cooperare. Probabilmente in questo momento lady Georgiana si trova in qualche lussuosa locanda di Londra.» «E cosa farà in futuro?» «Questa, vostra altezza» rispose John «è una cosa che dovranno decidere lei e Michael O'Callaghan.» «Che è poi il cugino di Priscilla Fleming» intervenne Benedict. «C'erano tre sorelle in Irlanda. Una fece molta strada e sposò lord Theydon, le altre due rimasero povere e non lasciarono l'isola. O'Callaghan è il figlio di una e la signorina Fleming dell'altra.» «E pensare che quella sventurata ha ucciso sua zia. Che scellerata!» «Era pazza, vostra altezza.» «Ovviamente, ma recitava bene.» Lo speziale guardò il domestico. «Sì, recitava veramente molto bene» affermò. 29 Il giorno seguente la principessa Amelia chiuse il palazzo e partì per Londra. I galoppini erano venuti a prelevare la salma di Priscilla, e la principessa, che era una donna dallo stomaco forte e dal cuore saldo, ordinò di far ampliare la grotta e di prepararla per l'estate. «Non ci posso fare nulla se vi sono stati commessi dei delitti» dichiarò. «A me piace e basta.» John intanto era tornato a Bellow Farm per salutare e controllare come stava Hugh. E soprattutto per parlare a Michael O'Callaghan. Trovò l'irlandese nel fienile, che preparava la sua borsa per tornare a Londra. «E così è stata Priscilla» commentò l'attore. «È sempre stata una ragazza strana, anche da bambina. Eravamo cugini, sapete.» «Sì, me l'ha riferito Benedict.» «Per qualche ragione non ha mai voluto renderlo pubblico. Probabilmente pensava che avere un cugino spiantato come me avrebbe potuto danneggiarla in società.» «Ditemi, Michael, aveva avuto un figlio?»
«Oh, sì, aveva dato alla luce un figlio illegittimo.» «E chi era il padre? Lo sapete?» «Era solo un ragazzo del posto, un tale su cui lei aveva messo le grinfie.» «Non il re? E nemmeno lord Hope?» Michael scoppiò a ridere. «No, né l'uno né l'altro. Ve l'ha detto lei che era stato uno di loro?» «Sì, l'ha detto di entrambi. Ma allora perché ha ucciso sua signoria?» «Probabilmente per facilitarmi le cose» rispose Michael con una smorfia. «Però, cribbio, me le ha rese molto più difficili. Devo andare a Londra e rimettermi a corteggiare Georgiana.» «Vi auguro buona fortuna. Pensate che possa tornare con voi?» «A essere sincero, non ne ho idea.» L'irlandese si gettò la borsa su una spalla e gli porse la mano. «Arrivederci, signore. È stato un piacere fare la vostra conoscenza.» E con quelle parole si incamminò sul viale, uscendo dalla vita di John. Guardandolo allontanarsi lo speziale sorrise, e poi andò a trovare Hugh Bellow. «Allora, Will, o dovrei chiamarvi John? La gamba sta tornando a posto, non credete?» chiese Hugh. «Va molto bene. Non avete quasi più bisogno di un aiutante.» «Tra una settimana potrò mettermi a camminare con un bastone. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto.» «Sono contento di esservi stato di aiuto.» «Oh, a proposito, Jake mi ha chiesto di salutarvi. È al mercato di Brentford.» «È un po' più contento, adesso?» «Sì. Sembra che stia corteggiando una bella vedova.» «Gli faccio i miei migliori auguri.» Hugh si schiarì la gola. «E così è stata una delle dame a commettere gli omicidi.» «Sì. Sapete, mi aveva raccontato di essere stata aggredita e io avevo subito avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di strano. In seguito sono tornato sul posto e mi sono reso conto che le cose non stavano come diceva. Se solo avessi agito subito...» «È quello che si dice sempre, John. Io sono sicuro che avete fatto tutto il possibile.»
Dopo quella conversazione lo speziale uscì nei campi e si mise a guardare nel punto in cui aveva visto Emilia che camminava, ma non c'era nulla. Qualsiasi cosa fosse stata, adesso non c'era più. Sapeva che non l'avrebbe mai più rivista. Prese la diligenza per Kensington e così, un po' trasandato, arrivò a casa di suo padre. Mentre era ancora in strada il suo cuore quasi si arrestò. Infatti aveva visto sir Gabriel, alto ed elegante come sempre, mano nella mano con Rose. Per un istante John rimase immobile a guardarli, deliziandosi alla vista dei magnifici capelli rossi e del grazioso visino della sua piccina. Poi si mise a correre, abbracciando sir Gabriel e sollevando e facendo roteare in aria sua figlia. Alla fine entrarono in casa. «E così, mio caro, sei tornato da noi. Ho sempre saputo che ce l'avresti fatta.» «Sì, l'assassina è morta.» «E tu sapevi già che era lei?» «No. Mi ha tenuto sulla corda fino all'ultimo.» «Probabilmente era innamorata da tempo di te.» John scoppiò a ridere. «Non cesserete mai di stupirmi. Sapete che si era addirittura intrufolata nel mio giardino nel cuore della notte?» «Scellerata. Be', adesso non c'è più ed è tutto finito.» Lo speziale si versò un bel bicchiere di vino. «Adesso ditemi di Shug Lane. Chi è che si sta occupando del negozio?» «Nicholas Dawkins, naturalmente. Insieme a Gideon Purle. Ho dato il negozio di Kensington in gestione a uno speziale di qui e ho lasciato che Nick tornasse a Londra, come desiderava. Così, figlio mio, se vuoi startene via per un po', sei liberissimo di farlo.» John sorrise. «Vorrei portare Rose con me. Lei e io dobbiamo tornare a conoscerci.» «Un'ottima idea. E dove pensavi di andartene?» «Nel Devon» rispose John, senza esitazione. «E come sta Elizabeth?» «Le devo moltissimo. Si è sobbarcata i lavori più umili per aiutarmi. Quando la principessa se n'è andata ha affittato una carrozza ed è ripartita per l'ovest, dove aspetta il mio arrivo.» «E allora devi raggiungerla, figlio mio» affermò sir Gabriel. John si alzò e baciò il padre adottivo sulla guancia, pensando che aveva avuto veramente un gran colpo di fortuna quando quel grand'uomo aveva
deciso di ammetterlo a far parte della sua famiglia. C'era una cosa che doveva fare prima di partire per l'ovest. Da solo, senza neppure Rose a tenergli compagnia, John se ne andò al cimitero di Kensington e posò un mazzolino di fiori di campo sulla tomba della moglie. Sir Gabriel aveva fatto le cose in grande. Sulla pietra tombale di marmo erano state incise le parole: EMILIA, ADORATA MOGLIE DI JOHN RAWLINGS. 1738-1764. RIPOSA CON GLI ANGELI. In cima alla lapide vi era il bassorilievo del viso di un angelo che assomigliava molto a Emilia. John si inginocchiò sulla tomba e le parlò. «Avevo giurato di ucciderla con le mie mani, ma non ho potuto, amore mio. Sai, era quella povera pazza di Priscilla, mi capisci, vero?» Non ci fu risposta, ma lui si sentì stranamente in pace. «Porterò Rose nel Devon» le disse. E questa volta la brezza sussurrò: «Bene.» E adesso stava cavalcando, con la figlia seduta davanti a lui, e ripensava a quanto era successo. Di fronte a loro si estendeva la natura selvaggia del Devon, la vasta estensione del cielo, le zolle incolte smosse dagli zoccoli del cavallo. Rose si voltò verso di lui. «A cosa pensi, papà?» «Pensavo a tua madre e a quanto amava questo posto.» «Non la vedremo più, vero?» «No, non in questa vita.» «Mi manca.» «Anche a me» rispose John. Poi alzò lo sguardo e vide in lontananza un cavallo nero con una donna in sella. Aveva i capelli sciolti e cavalcava con sicurezza. Comprese che si trattava di Elizabeth. John alzò la mano in un gesto di saluto e urlò: «Salve!» La sua voce echeggiò sulle colline. «John» rispose lei. Lui e Rose le andarono incontro al trotto, mentre la donna si avvicinava al galoppo. Poi, quando furono a pochi metri, lei rivolse loro uno sguardo divertito e disse: «Prendimi.» Girò il cavallo e partì a folle velocità. «Tienti stretta, tesoro» disse John alla figlia. E così, con Rose che lo stringeva e il cuore che batteva forte, partì al ga-
loppo in quella landa selvaggia che gli si spalancava davanti. Nota storica John Rawlings, speziale, è realmente esistito, così come sir John Fielding, il giudice cieco. John nacque attorno al 1731, anche se la sua discendenza rimane avvolta nel mistero. Divenne libero professionista dell'Emerita società degli speziali il 13 marzo 1755. In quell'occasione diede come indirizzo Nassau Street 2, Soho. Sir John fu nominato cavaliere nel 1761, a quarant'anni. Il suo impegno nell'aiutare suo fratello Henry, il famoso romanziere, a fondare il corpo dei galoppini, più tardi conosciuti come i galoppini di Bow Street, è così noto che non ha bisogno di spiegazioni. La principessa Amelia, figlia del re Giorgio II, nacque nel 1710 ad Hannover. Nel 1761 acquistò Gunnersbury House, una villa palladiana edificata nel 1663. Avrebbe dovuto sposare Federico il Grande, con cui mantenne una corrispondenza fino al matrimonio di lui, avvenuto nel 1733. Quando la principessa morì portava ancora sul petto un medaglione con la miniatura di Federico. Fu però anche l'amante del duca di Grafton e, pare, del duca di Newcastle. Le sue feste a Gunnersbury House divennero leggendarie e Horace Walpole vi si recava spesso. Qualche tempo dopo la sua morte, avvenuta nel 1786, il palazzo venne demolito e la proprietà divisa in lotti e venduta. Così Gunnersbury alla fine passò nelle mani dei Rothschild. Secondo gli storici locali, Bollo Lane è situata sul territorio di Bellow Brook, e Bollo Bridge Road si trova là dove un tempo c'era il vecchio ponticello di legno. Ringraziamenti I miei ringraziamenti vanno in primo luogo a Beryl Cross, che mi ha fatto conoscere Gunnersbury Park e mi ha mostrato i due edifici che sorgono ancora attorno al laghetto circolare: il tempio e la palazzina dei bagni. La residenza della principessa Amelia è stata abbattuta molti anni fa, ma la famiglia Rothschild ha costruito sul posto due palazzi che trovo magnifici, e mi auguro che anche altri condividano la mia opinione. Inoltre sono grata a Keith Gotch, che adesso si è ritirato in pensione nel Devon ma che è ancora un grande esperto di cadaveri. Il suo aiuto per quanto riguarda la vittima annegata è stato come al solito impagabile. Vorrei anche ringraziare il mio editor, David Shelley, sempre pronto a farsi una risata, e il mio agente,
Vanessa Holt. Infine Henry, Elliott e Fintan, le cui visite mi allietano la giornata, e Susan Carnaby e John Elnaugh, che hanno illuminato la mia esistenza. FINE