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IRIS JOHANSEN OCCHI INNOCENTI (The Killing Game, 1999) Ancora una volta, i miei più sinceri ringraziamenti a N. Eileen Barrow del Laboratorio FACES della Louisiana State University, per aver accolto come sempre le mie bizzarre domande con gentilezza, calore e senso dell'umorismo. Un grazie di cuore anche all'ingegnere Jarod Carson del Fire and Emergency Services di Cobb County per avermi concesso così generosamente il suo tempo e il suo aiuto. UNO Talladega Falls, Georgia 20 gennaio, 6.35 Lo scheletro era rimasto sottoterra molto tempo. Joe Quinn ne aveva visti abbastanza per capirlo a prima vista. Ma quanto tempo? Si rivolse allo sceriffo Bosworth. «Chi lo ha trovato?» «Due autostoppisti. Ci hanno inciampato la notte scorsa. Le piogge degli ultimi giorni lo hanno disseppellito. Tutta l'acqua che è venuta giù ha fatto smottare mezza montagna nelle cascate. Cristo, queste gole si sono fatte i gargarismi...» Socchiuse gli occhi, scrutando la faccia di Joe. «Deve essersi precipitato qui da Atlanta non appena lo ha saputo.» «Già.» «Pensa che sia connesso con qualche caso del dipartimento di Atlanta?» «Forse.» Joe rifletté per un momento. «No. Questo è un adulto.» «Sta cercando un bambino?» «Sì.» Ogni giorno. Ogni notte. Sempre. «Il rapporto iniziale non specificava se fosse un adulto o un bambino.» Bosworth si stizzì. «E allora? Non sono abituato a stendere rapporti di questo genere. Qui da noi la criminalità è quasi inesistente. Non come ad Atlanta.» «Ne sapeva abbastanza da riconoscere almeno i segni di possibili ferite da arma da taglio sulla cassa toracica. Ma devo ammettere che i nostri problemi sono piuttosto differenti. Quanti sono gli abitanti qui?» «Non venga in casa mia a criticarmi, Quinn. Abbiamo un corpo di poli-
zia efficiente. Non ci serve nessun poliziotto di città che ficchi il naso nella nostra giurisdizione.» Ho commesso uno sbaglio, pensò stancamente Joe. Non dormiva da quasi ventiquattr'ore, ma questa non era una buona ragione. Era sempre un errore criticare la polizia locale, anche avendone motivo. Bosworth probabilmente era un poliziotto scrupoloso, ed era stato cortese finché Joe non aveva fatto illazioni sul modo in cui svolgeva il suo lavoro. «Mi spiace. Non intendevo offenderla.» «Be', io mi sono offeso. Lei non ha idea di quali siano i nostri problemi qui. Lo sa quanti turisti abbiamo ogni anno? E quanti si perdono o si fanno male su queste montagne? Non avremo omicidi e trafficanti di droga, ma ci prendiamo cura di ciascuno dei nostri cittadini, oltre a tutti quegli escursionisti della domenica che arrivano da Atlanta e si accampano nei nostri parchi e cadono nei crepacci o combinano disastri...» «Okay, okay.» Joe alzò una mano in segno di resa. «Ho già detto che mi dispiace. Non volevo minimizzare i vostri problemi. Credo di essere un po' invidioso.» Il suo sguardo vagò verso le montagne e le cascate. Anche con gli uomini di Bosworth che si aggiravano tutt'intorno, perlustrando e isolando l'area, il paesaggio era incredibilmente bello. «Mi piacerebbe vivere qui. Sarebbe magnifico svegliarsi ogni mattina in mezzo a tutta questa pace.» Bosworth si ammansì un po'. «Sì, è un vero paradiso. Gli indiani chiamavano le cascate 'il posto della luce di luna scrosciante'. E non inciampiamo in uno scheletro a ogni piè sospinto. Questo deve essere uno dei vostri. Non è un'usanza locale ammazzarsi l'un l'altro e nascondere i cadaveri sottoterra.» «Forse. È un bel traffico trasportare un corpo fin qui, ma potrebbe valerne la pena. In un posto selvaggio come questo, non verrebbe scoperto tanto facilmente.» Bosworth annuì. «Diamine, non fosse stato per le piogge e la colata di fango, avremmo potuto non trovarlo per venti o trent'anni.» «Chi lo sa, magari è già rimasto là sotto altrettanto a lungo. Be', ora tolgo il disturbo. Immagino che il vostro medico legale vorrà avere il campo libero per esaminare le ossa...» «Abbiamo un coroner. È della locale impresa di pompe funebri», disse Bosworth. «Ma Pauley è sempre pronto a chiedere aiuto, se ne ha bisogno», si affrettò ad aggiungere. «Ne avrà. Fossi in lei, inoltrerei una richiesta formale al nostro diparti-
mento di patologia. Solitamente sono disponibili a prestare la loro collaborazione.» «Potrebbe farlo lei?» «Purtroppo non mi è possibile. Sarei lieto di metterci una buona parola, ma non mi trovo qui in veste ufficiale.» Bosworth si accigliò. «Questo non lo aveva detto. Si è presentato qui sventolando il suo distintivo e ha cominciato a farmi domande...» All'improvviso i suoi occhi si dilatarono. «Ma... mìo Dio, lei è Quinn.» «Non era certo un segreto. Mi sono presentato, no?» «Ma non avevo collegato. Sono anni che sento parlare di lei. L'uomo degli scheletri. Tre anni fa era a Coweta County a esaminarne due. Poi c'è stato quello rinvenuto nelle paludi vicino a Valdosta, e lei era anche lì. E poi quello dalle parti di Chattanooga...» «Le voci corrono, eh?» Joe sorrise sardonicamente. «Credevo che aveste qualcosa di meglio di cui parlare. Allora? Le storie sul mio conto fanno di me una specie di leggenda metropolitana?» «No, solo una curiosità. Sta cercando quei bambini, vero? Quelli che Fraser ha ucciso e non ha mai rivelato dove aveva seppellito. È successo quasi dieci anni fa. Credevo che ormai avesse rinunciato.» «I loro genitori non hanno rinunciato. Rivogliono i loro figli per potergli dare una degna sepoltura.» Joe abbassò lo sguardo sullo scheletro. «La maggior parte delle vittime appartiene a qualcuno, da qualche parte.» «Già.» Bosworth scosse la testa. «Bambini. Non riuscirò mai a capire perché qualcuno possa voler uccidere un bambino. Mi dà la nausea.» «Anche a me.» «Io ho tre figli. Non riesco nemmeno a immaginare che cosa possano provare quei genitori. Dio, spero di non doverlo mai scoprire.» Bosworth rimase per un momento in silenzio. «Quei casi devono essere stati chiusi con l'esecuzione di Fraser. È ammirevole che lei continui a cercare quei bambini nel suo tempo libero.» Una bambina. La bambina di Eve. «Non è ammirevole. È solo qualcosa che devo fare. Grazie per il suo tempo, sceriffo. Mi chiami, se posso fare da tramite tra il vostro coroner e il dipartimento di Atlanta.» «Lo apprezzerei molto.» Joe si avviò giù per il pendio, poi si fermò. Al diavolo la delicatezza. Lo sceriffo non era chiaramente all'altezza della situazione. Quando fosse entrato in scena qualcuno di competente, con ogni probabilità sarebbe stato ormai troppo tardi per salvare un qualunque indizio. «Potrei dare un paio
di suggerimenti?» Bosworth lo sbirciò guardingo. «Faccia venire qualcuno a fotografare il corpo e l'intera scena del ritrovamento.» «Stavo per farlo.» «Lo faccia subito. So che i suoi ragazzi stanno facendo del loro meglio per individuare eventuali tracce, ma probabilmente ne stanno distruggendo più di quante ne trovino. Andrebbe usato un metal detector, nel caso ci sia qualche indizio coperto dal fango. E chiami un archeologo forense per dissotterrare lo scheletro, e un entomologo che esamini larve o insetti morti. Probabilmente è troppo tardi per l'entomologo, ma non si sa mai.» «Non disponiamo di questi esperti.» «Potete ingaggiarli da un'università. La metterà al riparo da possibili figuracce in seguito.» Bosworth ci pensò un attimo, poi disse lentamente: «Forse lo farò». «Veda lei.» Joe proseguì giù per la collina, verso la sua auto parcheggiata sulla strada ghiaiosa sottostante. Un altro buco nell'acqua. Era prevedibile, del resto. Ma aveva voluto controllare. Doveva verificare ogni possibilità. Un giorno sarebbe stato fortunato e avrebbe trovato Bonnie. Doveva trovarla per forza. Non aveva altra scelta. Bosworth seguì Quinn con lo sguardo mentre si allontanava giù per il pendio. Non era poi malaccio quel tipo. Un tantino troppo freddo e controllato, ma forse era inevitabile, avendo costantemente a che fare con tutta quella gentaglia in città. Grazie al cielo, lui non doveva preoccuparsi di pazzi criminali nella sua giurisdizione. Solo brava gente che cercava di vivere dignitosamente. L'uomo degli scheletri. Non aveva detto la verità. Quinn era più una leggenda che una curiosità. Un tempo era un agente dell'FBI, ma aveva lasciato il Bureau dopo l'esecuzione di Fraser. Adesso era un detective del dipartimento di Atlanta. Un buon poliziotto, si diceva. Duro come l'acciaio, inflessibile, incorruttibile. Di quei tempi era difficile per i poliziotti di città non cedere alle tentazioni. Questa era una delle ragioni per cui Bosworth restava a Rabun County. Non voleva dover mai sperimentare il cinismo e la disillusione che aveva scorto nel volto di Quinn. Non doveva avere ancora quarant'anni, ma sembrava reduce da un viaggio all'inferno. Bosworth abbassò lo sguardo sullo scheletro. Quello era il genere di co-
se che Quinn si trovava ad affrontare quotidianamente. Cristo, andava persino a cercarsele! Be', si accomodasse pure, pensò. Bosworth sarebbe stato lieto di sbarazzarsi dello scheletro. Non era giusto che la sua gente fosse trascinata in quel brutto... Il suo walkie-talkie crepitò. Premette il tasto di risposta. «Bosworth.» «Quinn!» Joe lanciò un'occhiata a Bosworth, in cima alla collina. «Che c'è?» «Torni quassù. Il mio vice mi ha appena comunicato che i miei uomini hanno trovato altri corpi sul crinale opposto.» Esitò e si corresse: «Scheletri, voglio dire». Joe si irrigidì. «Quanti?» La faccia grassoccia di Bosworth era impallidita nella luce del primo mattino, e sembrava stordito. «Otto, finora. Pare che uno sia di un bambino.» Avevano trovato i corpi di Talladega. Dom spense il televisore e si allungò sulla poltrona a considerare le implicazioni. Per quel che ne sapeva, quella era la prima volta che qualcuna delle sue prede veniva scoperta. Era sempre stato molto attento e metodico, senza mai esimersi dal prendersi un po' di disturbo in più in nome della prudenza. In quel caso, se n'era preso un bel po'. Quelle erano state tutte uccisioni fatte ad Atlanta, e aveva trasportato i corpi fino a quello che allora era stato il suo cimitero preferito. Adesso erano stati trovati, non grazie a diligenti ricerche, ma per un capriccio della natura. O forse un intervento divino? Qualunque fanatico religioso avrebbe detto che la mano di Dio aveva portato allo scoperto quei corpi per consegnarlo alla giustizia. Sorrise. Andassero tutti a farsi fottere, quei dannati bigotti, unti del Signore. Se c'era un Dio, non vedeva l'ora di affrontarlo. Poteva essere giusto la sfida di cui aveva bisogno in quel momento. Gli scheletri di Talladega non rappresentavano una grande minaccia. All'epoca di quegli omicidi, aveva ormai acquisito abbastanza esperienza per non lasciare il minimo indizio. E se anche aveva commesso qualche errore, la pioggia e il fango dovevano averlo cancellato. All'inizio non era stato così accorto. Il brivido era stato troppo intenso, la
paura troppo vivida. Aveva addirittura scelto le sue vittime a caso per rendere l'impresa più incerta. Aveva superato da tempo quella fase di sciocca temerarietà. Ma ultimamente era stato così metodico che l'emozione stava svanendo. E se veniva a mancare quella, veniva meno anche la ragione per cui vivere. Si affrettò a troncare quel pensiero. Aveva già dibattuto a fondo l'argomento. Doveva semplicemente ricordare che la soddisfazione derivava dall'atto di uccidere. Qualunque altra cosa era un beneficio accessorio. Se aveva bisogno di una sfida, avrebbe scelto una preda più difficile, qualcuno con dei legami, qualcuno amato e stimato, del quale si sarebbe sentita la mancanza. Quanto alla scoperta dei corpi di Talladega, doveva considerarla niente più che un interessante sviluppo, qualcosa a cui assistere con divertita curiosità mentre la legge si arrabattava per mettere insieme le tessere del mosaico. Chi erano le vittime che aveva sotterrato a Talladega? Ricordava vagamente una prostituta bionda, un barbone di colore, un ragazzino che si vendeva sui marciapiedi... e la bambina. Buffo, fino a quel momento si era completamente dimenticato della bambina. Dipartimento di patologia Atlanta Cinque giorni dopo «Sette o otto anni, femmina, probabilmente caucasica.» Ned Basil, il medico legale, alzò gli occhi dal rapporto sulla sua scrivania inviatogli dal dottor Phil Comden, un antropologo forense della Georgia State University. «È tutto quel che sappiamo, Quinn.» «Da quanto tempo era sottoterra?» «È difficile stabilirlo con precisione. Si suppone tra gli otto e i dodici anni.» «Allora dovremo cercare di saperne di più.» «Senti, non è un nostro problema. Gli scheletri sono stati trovati al Rabun County. Il capo ha già fatto uno strappo concedendo che un antropologo forense esaminasse quelle ossa.» «Voglio che richiedi una ricostruzione facciale.» Basil se lo aspettava. Aveva dato per scontata la richiesta non appena
avevano portato lo scheletro della bambina. «L'ho già detto, non è un nostro problema.» «Farò in modo che lo sia. A Talladega sono stati trovati nove scheletri. Io sto chiedendo la ricostruzione per uno solo.» «Il capo non vorrà saperne. La Maxwell non ha nessuna intenzione di essere coinvolta in questa grana. Ti ha permesso di portare qui lo scheletro della piccola soltanto perché sapeva che tutte le associazioni per i bambini scomparsi le sarebbero saltate addosso se non avesse dato almeno un contributo simbolico.» «Io ho bisogno di più di un contributo simbolico. Devo sapere chi è questa bambina.» «Non mi hai sentito? Te lo puoi scordare. Perché non ti metti l'anima in pace?» «Ho bisogno di sapere chi è.» Cristo, Quinn era un vero mastino. Basil si era già imbattuto in lui altre volte, e il detective lo aveva sempre interessato. In superficie appariva tranquillo, rilassato, quasi indolente, ma Basil era consapevole della sua intelligenza acuta e vigile. Aveva sentito dire da qualche parte che Quinn era un ex SEAL, l'ufficio per i sistemi informativi di difesa, e non stentava a crederlo. «Niente richiesta, Quinn.» «Cambia idea.» Lui scosse la testa. «Hai mai fatto qualcosa di sbagliato, Basil?» domandò Quinn con voce bassa e insinuante. «Qualcosa che non vorresti si venisse mai a sapere?» «Dove vuoi arrivare?» «Se così fosse, scaverò finché lo avrò trovato.» «Mi stai minacciando?» «Sì. Ti offrirei del denaro, ma non penso che lo accetteresti. Sei piuttosto onesto... per quel che ne so. Ma tutti hanno qualcosa da nascondere. Riuscirò a scovarlo e me ne servirò.» «Che figlio di puttana...» «Fammi quella richiesta, Basil.» «Non ho mai fatto niente che...» «Mai mentito sulla dichiarazione dei redditi? Mai tralasciato una pratica importante perché avevi troppo lavoro?» Dannazione, tutti mentivano sulla dichiarazione dei redditi. Ma un dipendente statale poteva essere licenziato in tronco per questo. D'altra parte, come avrebbe fatto Quinn a scoprire...
Ci sarebbe riuscito, in un modo o nell'altro. Le labbra di Basil si contrassero in una smorfia. «Vuoi che richieda anche lo scultore forense, suppongo.» «Sì.» «Eve Duncan.» «Indovinato.» «Non ci vuole molta immaginazione. Qui al dipartimento lo sanno tutti che è sua figlia la bambina che hai continuato a cercare per tutti questi anni. Al capo non piacerà neanche questo. La Duncan è troppo in vista dopo quel caso di copertura politica a cui ha lavorato. Con lei di mezzo i giornalisti darebbero l'arrembaggio al dipartimento.» «È stato oltre un anno fa. Ormai Eve non fa più notizia. Sistemerò tutto io.» «Ma lei non è da qualche parte nel Sud Pacifico adesso?» «Tornerà.» Basil non aveva alcun dubbio che sarebbe tornata. Chiunque al dipartimento di polizia di Atlanta conosceva la storia di Eve Duncan. Figlia illegittima di una tossicodipendente, si era tirata fuori dal ghetto con le sue sole forze, lottando contro enormi difficoltà. Aveva quasi terminato il college e si stava avviando a una vita decente, quando era stata colpita dalla più crudele delle mazzate. Sua figlia, Bonnie, era stata uccisa da un serial killer e il suo corpo non era mai stato trovato. Fraser, il suo assassino, era stato giustiziato senza che avesse rivelato il luogo di nessuno dei corpi dei dodici bambini di cui aveva confessato l'omicidio. Da allora Eve si era dedicata alla ricerca di altri bambini scomparsi, vivi o morti. Aveva ripreso gli studi, conseguendo una laurea in belle arti presso la Georgia State, ed era diventata un'ottima scultrice forense. Si era specializzata in invecchiamento progressivo e sovrapposizione, guadagnandosi una reputazione superlativa. «Cos'è quella faccia perplessa?» domandò Quinn. «Lo sai perfettamente che lei è la migliore.» Basil non poteva certo negarlo. La Duncan aveva collaborato con il dipartimento in diverse occasioni. «Non si tratta di lei. È tutto quello che si tira appresso. La stampa...» «Ho già detto che di questo mi occuperò io. Richiedila allora.» «Ci penserò.» Quinn scosse la testa. «Subito.» «Il dipartimento non si farà carico delle sue spese di viaggio.»
«Pagherò io. Tu pensa solo alla richiesta.» «Stai facendo un po' troppa pressione per i miei gusti, Quinn.» «È tra le cose che mi riescono meglio.» Le sue labbra si incurvarono in un sorriso sardonico. «Non preoccuparti, non ti resterà nemmeno il segno.» Basil non ne era molto sicuro. «È una perdita di tempo. La Maxwell non accetterà mai.» «Sì che accetterà. Le dirò che in caso contrario consegnerò alla stampa la tua richiesta. O lascia che Eve lavori sul teschio con la massima discrezione, o dovrà spiegare ai media perché non sta facendo tutto il possibile per risolvere l'assassinio della bambina.» «Ti ritroverai con il culo per terra.» «Correrò il rischio.» Era evidente che Quinn non avrebbe esitato davanti a niente pur di averla vinta in quella faccenda. «Okay, lo farò. Sarà un piacere vederti sbattere fuori a calci.» «Bene.» Quinn si diresse alla porta. «Tornerò tra un'ora a prendere la richiesta.» «Sto andando a pranzo. Facciamo tra due ore.» Una vittoria minore, ma meglio di niente. «Pensi che sia la figlia della Duncan, vero?» «Non lo so. Può darsi.» «E vuoi che sia proprio lei a lavorare sul teschio? Che bastardo. E se fosse davvero Bonnie Duncan? Che effetto credi farà a sua madre?» La sola risposta fu la porta che si chiudeva alle spalle di Quinn. Un'isola a sud di Tahiti Tre giorni dopo Lui stava arrivando. Il cuore le batteva forte e rapido nel petto. Era troppo eccitata. Eve Duncan trasse un profondo respiro guardando l'elicottero posarsi sulla pista. Santo cielo, si sarebbe detto che stesse aspettando l'arcangelo Gabriele. Era soltanto Joe. Soltanto? Il suo amico, il suo compagno nei giorni dell'incubo che l'aveva quasi distrutta, una delle ancore della sua esistenza. E non lo vedeva da oltre un anno. Dannazione, aveva tutto il diritto di essere eccitata. Il portellone si era aperto e lui stava scendendo dal velivolo. Cristo, che aria stanca aveva, pensò. Il suo volto era quasi sempre privo di espressione
e, per chiunque non vi avesse familiarità, impossibile da decifrare. Ma lei lo conosceva bene. Da un migliaio di situazioni differenti aveva memorizzato ogni sguardo, ogni contrazione delle labbra, i piccoli segni segreti che dicevano tanto a chi sapeva coglierli. C'erano nuove linee profonde incise ai lati della sua bocca, e la faccia squadrata appariva un po' pallida. Ma i suoi occhi erano gli stessi. E il sorriso che lo illuminò quando la vide... «Joe...» Corse a gettarglisi tra le braccia. Sicurezza. Familiarità. Vicinanza. Più nessun problema al mondo. Lui la tenne stretta per un momento, poi la scostò da sé e le sfioro il naso con un bacio. «Hai un po' di lentiggini. Stai usando la crema solare?» Protettivo. Autoritario. Premuroso. Due minuti, ed erano di nuovo allo stesso punto di quando lei se n'era andata mesi prima. Lei gli sorrise e si aggiustò gli occhiali dalla sottile montatura di metallo. «Certo che la uso, ma è difficile non prendere un po' di sole, da queste parti.» Joe la squadrò dalla testa ai piedi. «Sembri un rastrellaspiagge, con quelle bragone», commentò. «Rilassata, però», aggiunse, inclinando la testa. «Non del tutto distesa, ma nemmeno un fascio di nervi come l'ultima volta che ti ho visto. Logan deve essersi preso buona cura di te.» Lei annuì. «Sì, è stato molto gentile.» «E che altro?» «Non essere così impiccione. Non sono affari tuoi.» «Il che significa che ci vai a letto.» «Non ho detto questo. Ma anche se fosse?» «Niente. Eri ridotta piuttosto male dopo quello che hai passato con quell'ultima ricostruzione. È del tutto naturale che ti sia avvicinata a Logan. Un miliardario che ti porta via dai giornalisti nella sua isola privata nel Sud Pacifico... Sarei sorpreso se non gli fossi caduta nel letto, e ancora più sorpreso se lui non avesse fatto in modo di fartici cadere.» «Io non cado nel letto di nessuno. Faccio le mie scelte.» Eve scrollò la testa. «Ora basta con le stoccate contro Logan. Sembrate sempre due pitbull quando siete insieme.» Lo guidò verso la jeep. «E sarai suo ospite qui, per cui potresti quanto meno comportarti civilmente.» «Forse.» «Joe.» Lui sorrise. «Ci proverò.» Eve tirò un sospiro di sollievo. «Hai visto mia madre, prima di partire?» «Sì. Ti manda i suoi saluti. Le manchi.»
«Non molto, credo. È troppo presa da Ron. Ti ha detto che si sposeranno entro qualche mese?» Lui annuì. «Che effetto ti fa?» «Che effetto vuoi che mi faccia? Non potrei essere più felice per lei. Ron è una brava persona, e mamma si merita un buon rapporto stabile. Ha avuto una vita dura.» Questo era un eufemismo. Sua madre era cresciuta nel ghetto, si era fatta di crack per anni, e a quindici anni aveva portato Eve in quello stesso mondo da incubo. «È un bene che abbia un uomo accanto. Ha sempre avuto molto bisogno di qualcuno vicino, e io ero troppo occupata per dedicarle tutta l'attenzione che le sarebbe servita.» «Hai fatto del tuo meglio. Sei sempre stata più una madre che una figlia con lei.» «Per molto tempo sono stata troppo amareggiata per esserle di reale aiuto. Soltanto dopo che è arrivata Bonnie siamo riuscite a superare le nostre divergenze.» Bonnie. La nascita di sua figlia aveva cambiato ogni cosa, trasformando l'intero mondo di Eve, e chiunque ne facesse parte. «Adesso sarà tutto più facile per mamma.» «E tu? Lei è tutto quel che hai.» Eve mise in moto la jeep. «Ho il mio lavoro.» Gli rivolse un sorriso. «E ho te... quando non mi stai sbraitando contro.» «Noto con piacere che non hai detto Logan.» «Stavi cercando di farmi cadere in trappola? Ti informo che tengo molto a Logan.» «Ma non ti ha legata a sé a doppio filo.» Joe annuì con soddisfazione. «Ero certo che non ci sarebbe riuscito.» «Se non la smetti di parlare di lui ti scarico qui e ti faccio tornare a Tahiti in autostop.» «Sarebbe un po' dura. Non approdano barche su quest'isola.» «Appunto.» «Te ne approfitti perché sono in posizione di svantaggio.» Certo che se ne approfittava. Avere Joe in svantaggio era un evento raro. «Come sta Diane?» «Bene.» Tacque un istante. «Non la vedo molto, ultimamente.» «La moglie di un poliziotto fa una vita d'inferno. Un altro caso difficile?» «Decisamente.» Joe volse lo sguardo verso il mare. «Ma non l'avrei vista comunque. Il nostro divorzio è definitivo da tre mesi.» «Che cosa?» La notizia la scosse come un piccolo sisma. «Perché non
me l'hai detto?» «Non c'era molto da dire. Diane non si è mai veramente abituata a essere la moglie di un poliziotto. Sarà più felice così.» «Perché mamma non mi ha detto niente?» «Gliel'ho chiesto io. Ti saresti preoccupata, e dovevi pensare solo a rilassarti.» «Oh, Dio, mi dispiace, Joe.» Eve rimase in silenzio per un momento. «È stata colpa mia?» «Come avrebbe potuto essere colpa tua?» «Tu eri mio amico, mi hai aiutata. Santo cielo, ti hanno perfino sparato a causa mia. Avresti potuto morire. So che lei era arrabbiata con me.» Lui non negò. «Sarebbe successo in ogni caso. Non avremmo mai dovuto sposarci. È stato un errore.» Cambiò discorso. «Che tipo di lavoro stai facendo da quando sei qui?» Lo guardò frustrata. Il divorzio doveva averlo ferito, e avrebbe voluto aiutarlo. Ma lui era sempre stato riluttante a parlare del suo matrimonio. Forse sarebbe riuscita a tirargli fuori qualcosa più tardi. «Non ho avuto molto lavoro. Perlopiù sovrapposizioni e invecchiamenti. Più alcune ricostruzioni che mi sono state affidate dal dipartimento di polizia di Los Angeles.» Fece una smorfia. «Ho scoperto piuttosto in fretta che in genere preferiscono scultori forensi dello stesso continente. Qui sono abbastanza inaccessibile. Ho addirittura fatto un po' di semplice scultura tanto per tenermi occupata.» «Soddisfacente?» «In un certo senso. Non so... è strano.» «Molti troverebbero strano lavorare sui teschi. Che ne pensa Logan?» «Che la normale scultura sia salutare per me. E probabilmente ha ragione, però... mi sembra che manchi qualcosa.» «Uno scopo.» Non la sorprese che Joe comprendesse. Lui capiva tutto di lei. «Si tratta dei bambini scomparsi. Non mi sento in pace con me stessa sapendo che non sto facendo tutto quel che posso per riportarli a casa. Logan dice che ho bisogno di prendere le distanze. Pensa che dovrei mollare, che questa è la peggiore carriera possibile per me.» «E tu che gli dici?» «Di pensare agli affari suoi.» Eve fece una smorfia. «Esattamente come lo dico a te. Vorrei che entrambi vi rendeste conto che farò quel che voglio, indipendentemente da quel che voi possiate pensarne.»
Joe rise. «Su questo non ho mai avuto alcun dubbio. E nemmeno Logan, suppongo. Mi mostrerai le tue sculture? Non ho mai visto una tua opera che non fosse un teschio.» «Più tardi, magari.» Eve gli lanciò un'occhiata tagliente. «Se farai il bravo con Logan.» Svoltò nel viale che conduceva alla grande casa colonica bianca. «È stato fantastico con me. Non ti permetterò di abusare della sua ospitalità.» «Bella casa. Dove lavori?» «Logan ha fatto costruire un laboratorio apposta per me, sulla spiaggia, accanto alla casa. E adesso smettila di cambiare argomento. Sarai carino con lui?» «Sei molto protettiva. Se ben ricordo, Logan è perfettamente in grado di badare a se stesso.» «Io difendo sempre i miei amici.» «Solo amici?» Joe socchiuse gli occhi, scrutando la sua faccia. «Non amanti?» Lei distolse lo sguardo. «Anche gli amanti possono essere amici. E piantala di sondare.» «Ti metto a disagio? O forse sei già a disagio per conto tuo? Logan ti sta troppo addosso?» «No, tu mi stai troppo addosso.» Eve parcheggiò davanti alla casa e saltò giù dalla macchina. «Fatti in là.» «Non c'è problema. Tanto, credo di avere già la risposta che cercavo.» Prese la sua valigia dal sedile posteriore. «Sarò meno ruvido dopo aver fatto una doccia. Vuoi che affronti subito Logan, o mi mostri dove riposare le mie stanche membra?» Meno ruvido era decisamente meglio. «Puoi raggiungerci per la cena.» «Se ci si aspetta che mi presenti a tavola tutto in ghingheri, dovrai mandarmi a mangiare in cucina. Ho portato con me solo questa valigia.» «Sei matto? Lo sai che io non bado a queste cose. Mi cambio un paio di volte al giorno soltanto perché qui fa caldo.» «Non si può mai dire. Adesso che frequenti il jet-set...» «Logan non fa vita mondana. Non qui sull'isola, almeno. Viviamo in modo semplice, come ero abituata ad Atlanta.» «Molto astuto da parte di Logan, farti sentire a casa tua.» «È uno che lavora sodo, tanto qui quanto negli States, e gli piace rilassarsi, quando ne ha l'opportunità.» Eve si fermò davanti alla porta d'ingresso. «Come mai sei venuto qui, Joe? Sei in vacanza?»
«No, non esattamente.» «Che cosa intendi?» «Be', il dipartimento in effetti mi deve qualche settimana. Ho fatto un bel po' di straordinari, mentre tu ti crogiolavi nella beatitudine di questo paradiso tropicale.» «Allora perché dici che non sei 'esattamente' qui in vacanza? Come mai questa visita?» «Avevo voglia di vederti.» «No, sul serio. Perché sei venuto?» Joe sorrise. «Per riportarti a casa, Eve.» Logan era in piedi davanti alla finestra quando Eve entrò nello studio. Si volse lentamente. «Lui dov'è?» «L'ho accompagnato alla sua camera. Lo vedrai a cena. Lo so che non ne vedi l'ora.» «Bastardo.» Eve sospirò. Era irritante essere costretta a mediare tra due uomini che le erano cari. «Avrei potuto incontrarlo a Tahiti. Mi avevi promesso che saresti stato carino con lui.» «Purché lui sì comporti bene con me.» Logan le tese la mano. «Vieni qui, ho bisogno di toccarti.» Lei attraversò la stanza e gli prese la mano. «Perché?» Non le rispose. «Sappiamo entrambi perché è qui. Ti ha già parlato?» «Ha detto solo che è venuto per portarmi a casa.» Logan imprecò. «E tu che gli hai risposto?» «Non ho risposto.» «Dannazione, non te ne puoi andare adesso. Ripiomberesti in quell'abisso buio dove ti ho trovata.» «Non era così buio. Avevo il mio lavoro. Tu questo non lo hai mai capito, Logan.» «Capisco che sto per perderti.» La sua mano si strinse su quella di lei. «Sei stata felice qui, non è vero? Sei stata bene con me?» «Sì.» «Allora non lasciare che succeda. Non ascoltare quel dannato pifferaio magico.» Eve lo guardò impotente. Santo cielo, non voleva ferirlo. Il duro, brillante, carismatico John Logan, magnate dell'industria informatica e gigante degli affari. Non si sarebbe mai sognata che potesse essere così vulnerabi-
le. «La mia permanenza qui non doveva essere una soluzione definitiva.» «Io voglio che lo sia. Non ho mai desiderato niente di diverso.» «Non me lo hai mai detto.» «Perché dovevo camminare sulle uova, o saresti scappata. Comunque, te lo sto dicendo adesso.» Eve avrebbe preferito che non lo avesse fatto. Le rendeva tutto più difficile. «Ne parleremo più tardi.» «Hai già preso la tua decisione.» «No.» Si era abituata a quel posto splendido e tranquillo. E si era abituata a Logan. Quelli erano stati giorni di tenerezza, affetto e pace. Era vero, si sentiva irrequieta, ma forse con il tempo... «Non sono sicura.» «Ci penserà lui a convincerti.» «Prendo autonomamente le mie decisioni. Joe non mi farà nessuna pressione.» «No, è troppo furbo per farlo. Ti conosce troppo bene. Questo non significa che non userà ogni mezzo a sua disposizione per farti tornare indietro. Non starlo a sentire.» «Devo starlo a sentire. È il mio migliore amico.» «Davvero?» Le sfiorò dolcemente la guancia. «Allora perché vuole trascinarti in un mondo che ti distruggerà? Quanto a lungo credi di poter resistere tra teschi e omicidi senza crollare?» «Qualcuno deve farlo. Ci sono tanti genitori che altrimenti continuerebbero a cercare i loro bambini, senza potersi mettere l'anima in pace.» «Allora lascia che lo faccia qualcun altro. Tu sei troppo coinvolta.» «A causa di Bonnie? Lei non fa che rendermi più brava in quello che faccio. Mi spinge a dare il massimo per aiutare quei genitori che come me vogliono riportare a casa i loro figli.» «Fa di te una maniaca del lavoro.» Lei fece una smorfia. «Non su quest'isola. Non ho abbastanza da fare.» «È questo il problema? Possiamo tornare negli Stati Uniti. Andremo a stare a casa mia a Monterey.» «Ne parleremo più tardi», ripeté Eve. «Va bene.» Lui la baciò con intensità e dolcezza. «Volevo soltanto mettere a segno i miei punti prima che Quinn scenda in campo. Hai delle alternative. Se quelle che ti ho proposto non ti piacciono, ne troveremo altre.» Lo abbracciò. «Ci vediamo a cena.» «Pensaci, Eve.»
Lei annuì e uscì dalla stanza. Come avrebbe potuto non pensarci? Teneva molto a Logan. Lo amava? Che cos'era esattamente l'amore? Eve non sapeva molto dell'amore uomo-donna. Una volta aveva creduto di amare il padre di Bonnie; in seguito aveva identificato i suoi sentimenti per lui come passione e bisogno di conforto in un mondo aspro e duro. Aveva avuto qualche altra relazione, ma erano state esperienze marginali, rapidamente eclissate dal suo lavoro. Con Logan era diverso: lui non si sarebbe adattato a un ruolo di secondo piano, né si sarebbe lasciato mettere in ombra da qualcuno o qualcosa senza combattere. Sapeva suscitare in lei la passione, ed era gentile e premuroso. Sarebbe stata triste se fosse scomparso dalla sua vita. Sì, poteva sicuramente essere amore. Ma non voleva analizzare niente, per il momento. Ci avrebbe pensato dopo aver parlato con Joe. Adesso sarebbe andata giù al laboratorio a lavorare un po' all'invecchiamento progressivo sulla foto di Libby Crandall, che era stata rapita all'età di otto anni dal padre. Eve si incamminò lungo il corridoio verso la porta a vetri che conduceva al suo laboratorio. Quanto sole. Tutto era luminoso, vivido e pulito su quell'isola. Era così che Logan voleva farla vivere, sempre alla luce del sole, lontano dalle tenebre. Perché non permetterglielo? Lasciar svanire il dolore, lasciar sfumare il ricordo di Bonnie. Lasciare che qualcun altro aiutasse tutti i bambini scomparsi là fuori. Impensabile. Non avrebbe mai potuto. Bonnie e i bambini perduti erano intessuti nella trama della sua vita e dei suoi sogni. Costituivano una gran parte di quel che lei era, forse la parte migliore. Logan la conosceva così bene, sembrava impossibile che non fosse mai riuscito ad accettare la verità su di lei. Che lei apparteneva alle tenebre. Phoenix, Arizona Tenebre. Dom aveva sempre amato la notte. Non per l'avvolgente protezione del buio, ma per l'eccitazione dell'ignoto. Niente appariva lo stesso di notte, eppure per lui tutto diveniva talmente più chiaro. Non c'era qualcosa di Saint-Exupéry al riguardo? Ah, sì, ora ricordava... Quando l'analisi distruttiva del giorno è terminata, e tutto ciò che è veramente importante diventa di nuovo intero e solido. Quando l'uomo ri-
compone il suo io frammentato e sviluppa la calma di un albero. Lui non era mai frammentato, ma la notte lo faceva davvero sentire calmo e forte. Presto la calma sarebbe svanita, ma la forza avrebbe cantato in lui come un coro di mille voci. Un coro. Sorrise rendendosi conto di come i pensieri si concatenassero. Si raddrizzò al posto di guida della sua auto. Lei stava uscendo di casa. L'aveva scelta con cura per la difficoltà dell'impresa; era sicuro che sarebbe stata più stimolante dell'ultima preda. Debby Jordan, bionda, trentun anni, sposata, madre di due bambini. Era tesoriera alle Poste, aveva una bella voce da soprano, e faceva parte del coro della chiesa metodista di Hill Street. Adesso stava appunto andando alle prove del coro. Non ci sarebbe mai arrivata. DUE Joe e Logan furono garbati durante la cena, ma Eve poteva avvertire la tensione fra di loro. Come la innervosiva. A lei piaceva che tutto fosse schietto e chiaro. Invece con loro era come stare a guardare due iceberg in rotta di collisione, senza mai sapere quando si sarebbero scontrati, perché il grosso era sotto la superficie. Non poteva sopportarlo. Al diavolo il dessert. Si alzò di scatto. «Vieni, Joe. Andiamo a fare due passi.» «Io non sono invitato?» borbottò Logan. «Questo non è molto gentile. E non abbiamo nemmeno finito la cena.» «Io ho finito.» Joe si alzò e gettò il tovagliolo sul tavolo. «E no, tu non sei invitato.» «Oh, be', tanto mi sarei solo annoiato. Credo di sapere già che cosa dirai a Eve.» Logan si appoggiò contro lo schienale della sedia. «Accomodati pure. Fa' quello che sei venuto a fare. Io le parlerò quando ritorna.» «Altro che annoiarti.» Joe si avviò a grandi passi verso la porta. «Te la stai facendo addosso per la paura.» Eve si affrettò a seguirlo lungo il corridoio. «Dannazione, dovevi proprio dirlo?» «Sì.» Lui sorrise. «Con tutta quella melassa a cena, stavo rischiando l'indigestione.» «Sei in casa sua.» «Un'altra cosa che mi dà il mal di pancia.» Si diresse verso la porta a ve-
tri. «Scendiamo in spiaggia.» Anche lei aveva voglia di uscire. La tensione in casa era così alta che non riusciva a respirare. Appena ebbero raggiunto la terrazza scalciò via i sandali e guardò Joe togliersi scarpe e calze e arrotolare i calzoni. Le fece tornare in mente l'ultima volta che lo aveva visto alla guida del suo fuoribordo, a torso nudo, i pantaloni kaki arrotolati sui polpacci, mentre si girava ridendo verso lei e Diane sfrecciando a zig-zag attraverso il lago. «Hai ancora la tua casa sul lago?» Lui annuì. «Sì, ma la casa di Buckhead è andata a Diane.» «Dove abiti, adesso?» «Un appartamento vicino alla Centrale.» La seguì giù per il sentiero che scendeva alla spiaggia. «Per me va benissimo. Non ci sto molto, comunque.» «Posso immaginare.» I piedi di Eve affondavano nella sabbia fresca e soffice. Così andava già meglio. Il suono della risacca le distendeva i nervi, e anche stare sola con Joe aveva un effetto calmante. Si conoscevano così bene che era quasi come essere sola con se stessa. Be', non proprio. Joe non le permetteva mai di dimenticare chi e che cosa lui fosse. Ma loro due si amalgamavano perfettamente. «Non ti stai prendendo cura di te. Hai l'aria stanca.» «È stata una settimana pesante.» Si mise al passo con lei e camminarono in silenzio per qualche momento. «Tua madre ti ha detto di Talladega?» «Che?» «No. Lo immaginavo. È su tutti i giornali, ma evidentemente non ha voluto dirti niente che avrebbe potuto strapparti da qui.» Eve si irrigidì. «Che cos'è successo?» «Sono stati trovati nove scheletri sul dirupo vicino alle cascate. Uno è di una bambina. Caucasica.» «Una bambina... di che età?» «Sette o otto anni.» Fece un respiro profondo. «Per quanto tempo è rimasta sepolta?» «A una prima stima, tra gli otto e i dodici anni.» Joe tacque un istante. «Potrebbe non essere Bonnie, Eve. Gli altri scheletri sono di adulti, e per quel che ne sappiamo, Fraser ha ucciso soltanto bambini.» «Per quel che ne sappiamo. Ma ci sono parecchie cose che quel bastardo non ci ha detto.» La sua voce era incrinata. «Ha detto di averla seppellita, e poi non ha voluto dirci dove. Stava lì e sorrideva, il maledetto...»
«Calma.» Joe le prese la mano e la strinse dolcemente. «Stai tranquilla, Eve.» «Non dirmi di stare tranquilla. Bonnie potrebbe essere stata trovata, e ti aspetti che io non mi agiti?» «Non voglio che ti faccia illusioni. La bambina potrebbe essere più grande. Il tempo che è rimasta sottoterra potrebbe essere di più o di meno.» «Ma potrebbe essere lei.» «È una possibilità.» Eve chiuse gli occhi. Bonnie. «Potrei portarla a casa», bisbigliò. «Potrei portare a casa la mia bambina.» «Eve, tu non stai ascoltando. È tutt'altro che una cosa sicura.» «Sì che sto ascoltando. E so bene che non c'è alcuna certezza.» Ma era più vicina di quanto ci fosse mai arrivata in tutti quegli anni. Poteva essere Bonnie. «Possiamo controllare la dentatura?» Lui scosse la testa. «Niente denti in nessuno dei teschi.» «Cosa?» «Si suppone che l'assassino abbia strappato i denti per impedire l'identificazione.» Eve trasalì. Mossa astuta. Brutale, ma intelligente. Fraser era stato entrambe le cose. «Resta sempre il DNA. Siete riusciti a prelevare abbastanza campioni da esaminare?» «Ne abbiamo preso un po' dal midollo osseo. Il laboratorio lo sta già analizzando. Ma lo sai, potrebbe volerci un pezzo per i risultati.» «Perché non ci serviamo dello stesso laboratorio privato dell'ultima volta?» «Teller non esegue più profili di DNA. Non è stato contento di tutta la pubblicità che ha avuto il suo laboratorio dopo il lavoro che ha fatto per noi.» «Quanto tempo, allora?» «Quattro settimane come minimo.» «No. Diventerei pazza. Devo sapere.» Trasse un respiro profondo. «Mi lasceranno ricostruire la faccia?» «Sei sicura di volerlo fare?» «Certo che lo voglio.» Vedere il viso di Bonnie prendere vita sotto le sue mani... «Potrebbe essere traumatico per te.» «Non m'importa.»
«A me sì», ribatté lui brusco. «Non mi piace vederti sanguinare.» «Non sanguinerò.» «Come no. Stai già sanguinando adesso.» «Devo farlo, Joe.» «Lo so.» Volse lo sguardo verso il mare. «È per questo che sono venuto.» «Puoi fare in modo che me lo lascino fare?» «Ho già sistemato tutto.» «Grazie a Dio.» «Potrebbe essere il più grosso sbaglio che io abbia mai fatto.» «No, era la cosa giusta. Hai fatto una buona azione.» «Stronzate.» Joe si avviò di nuovo verso la casa. «Probabilmente è stata la cosa più egoista che io abbia fatto in vita mia.» «Che cosa sai degli omicidi?» «Ti darò tutti i dettagli in aereo. Ho due biglietti per un volo da Tahiti domani pomeriggio. È troppo presto?» «No.» Logan. Doveva dirlo a Logan. «Farò i bagagli stanotte.» «Dopo averne parlato con Logan.» «Sì.» «Potrei dirglielo io.» «Non essere stupido. Logan ha quantomeno il diritto di saperlo da me.» «Scusa. È che sei un po' sovreccitata. Volevo solo...» «Che parola leziosa. Le eroine dei romanzi rosa sono sovreccitate. Scarlett O'Hara poteva essere sovreccitata. Io non sono sovreccitata.» Joe sorrise. «Bene, vedo che stai già meglio.» Meglio? Il pensiero spiacevole di dover andare da Logan e informarlo della sua partenza aveva momentaneamente tolto di mezzo ogni altra emozione, ma appena avesse assolto quel compito ingrato e fosse rimasta sola, il dolore sarebbe tornato a investirla come un fiume in piena. Ma venisse pure. Lo avrebbe affrontato, come aveva fatto per anni. Non la spaventava più, ormai. Avrebbe potuto affrontare qualunque cosa, adesso che aveva una possibilità di riportare Bonnie a casa. Phoenix Dom sistemò la candela nella mano di Debby Jordan e fece rotolare la donna nella fossa che aveva scavato per lei.
L'aveva fatta soffrire. Credeva di essersi evoluto al di là del bisogno primitivo di infliggere dolore alla vittima. Ma mentre la stava uccidendo si era improvvisamente reso conto di non provare abbastanza emozione ed era stato colto dal panico. Si era accanito sulla sua vittima in un accesso di frenetica frustrazione. Se il piacere di uccidere se ne fosse andato, che cosa gli sarebbe rimasto? Come avrebbe potuto continuare a vivere? Doveva placare il panico. Sarebbe andato tutto bene. Aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato, e il problema non era insolubile. Doveva soltanto trovare il modo di ridare freschezza e impulso all'uccisione. Debby Jordan non era un presagio dell'abisso di noia in cui aveva il terrore di sprofondare. Non importava che avesse infierito su di lei. Dannazione, lo aveva fatto soffrire. Eve guardò pensierosa la risacca che lambiva dolcemente la spiaggia. Era corsa fuori dopo aver parlato con Logan, ore prima, e da allora era seduta in riva al mare, cercando di recuperare la sua compostezza. C'era già abbastanza dolore inflitto da estranei al mondo; perché aveva dovuto ferire qualcuno a cui voleva bene? «Glielo hai detto?» Girò la testa e vide Joe sulla spiaggia, a qualche metro da lei. «Sì.» «Che cosa ha detto?» «Non molto. Non dopo che gli ho spiegato che potrebbe essere Bonnie.» Sorrise tristemente. «Ha detto che hai giocato l'unica carta che non aveva modo di battere.» «Ha ragione.» Joe si sedette accanto a lei. «Bonnie è sempre il fattore decisivo nella vita di tutti noi.» «Solo nella mia. Tu nemmeno la conoscevi, Joe.» «La conosco. Mi hai parlato tanto di lei che è come se fosse mia figlia.» «Davvero? Ti ho detto quanto amasse la vita? Ogni mattino saltava nel mio letto e mi chiedeva che cosa avremmo fatto di bello, che cosa avremmo visto quel giorno. Irradiava amore. Io sono cresciuta annaspando nell'amarezza e nella miseria, e mi chiedevo sempre perché mi fosse stata donata una bambina come Bonnie. Non la meritavo.» «Sì che la meritavi.» «Ho cercato di meritarla dopo che è arrivata.» Si sforzò di sorridere. «Scusa. Hai ragione. Non dovrei addossarti questo peso.» «Non è un peso.»
«Lo è eccome. Dovrebbe essere la mia croce personale.» «Impossibile. Quando soffri, chiunque intorno a te lo sente.» Joe raccolse una manciata di sabbia e la lasciò scorrere lentamente fra le dita. «Bonnie è ancora qui. Per tutti noi.» «Per te, Joe?» «Certo. Come potrebbe essere diversamente? Siamo stati insieme per molto tempo.» Fin da quando era precipitata nell'incubo, dopo la scomparsa di Bonnie. Lui allora era un agente dell'FBI, più giovane, meno cinico, capace di rimanere scioccato davanti all'orrore. Aveva tentato di darle conforto, ma niente al mondo avrebbe potuto consolarla in quel periodo terrificante. Eppure in qualche modo era stato capace di tirarla fuori per i capelli da una depressione quasi fatale, finché era riuscita a rimettersi in piedi. Eve fece una smorfia. «Non so perché sei ancora qui. Sono una pessima amica. Non penso mai ad altro che al mio lavoro. E sono egoista da fare schifo. Sono talmente ripiegata su me stessa che non mi sono nemmeno accorta che tu e Diane avevate problemi. Come fai a sopportarmi?» «A volte me lo chiedo anch'io.» Joe inclinò la testa, come se ci stesse riflettendo. «Suppongo di essermi abituato a te. È troppo faticoso farsi nuovi amici, così immagino che dovrò tenermi te.» «Meno male.» Piegò le ginocchia e le cinse con le braccia. «L'ho ferito, Joe.» «Logan è tosto. Assimilerà il colpo. E comunque sapeva che non gli davi nessuna garanzia per il futuro, quando ti ha attirata qui.» «Non mi ha attirata da nessuna parte. Voleva soltanto aiutarmi.» «Sarà...» Joe si alzò e la prese per mano, tirandola in piedi. «Andiamo, ti riaccompagno a casa. Sei stata già qua fuori abbastanza.» «Come fai a saperlo?» «Ti ho vista uscire di corsa. Stavo aspettando sulla terrazza.» «Tutto questo tempo?» Lui sorrise. «Non avevo impegni urgenti. Ho immaginato che avessi bisogno di stare un po' da sola, ma adesso dovresti andare a dormire.» Era rimasto lì nell'oscurità, silenzioso, forte, attendendo pazientemente finché avrebbe potuto esserle di aiuto. Eve a un tratto si sentì più forte, più ottimista. «Se vuoi mi puoi accompagnare al laboratorio, piuttosto. Ho del lavoro da fare, e poi dovrò preparare i bagagli.» «Serve una mano?» Scosse la testa. «Posso fare da sola.» Si incamminò verso la piccola co-
struzione a un centinaio di metri. «Stavo soltanto rimandando il momento.» «Ripensamenti?» «No, lo sai.» Aprì la porta del laboratorio e accese la luce. «Ma pensieri tristi. Rimorsi.» Andò al computer sulla scrivania. «Va', ora. Devo finire questo invecchiamento. La madre di Libby ha già aspettato troppo. Ormai ha quasi perso la speranza.» «Bel posticino.» Lo sguardo di Joe vagò per la stanza, dal divano color crema ravvivato da cuscini arancio e oro alle fotografie incorniciate sui ripiani della libreria. «Gli hai dato la tua impronta. Dov'è la scultura a cui stavi lavorando?» Lei fece un cenno in direzione del piedistallo accanto alla grande finestra panoramica. «Il tuo busto non è ancora finito, ma ce n'è uno di mamma nell'armadio vicino alla porta.» «Il mio busto?» Joe guardò e sgranò gli occhi. «Ma... cielo, sono proprio io!» «Non sentirti troppo lusingato. Non avevo modelli a disposizione, e conosco la tua faccia quasi quanto la mia.» «Cristo, lo vedo bene.» Toccò il naso. «Non credevo che qualcuno avesse mai notato questa piccola gobbetta. Un ricordo di quando giocavo a football.» «Avresti dovuto prendertene cura per tempo.» «Ma poi sarei stato troppo perfetto», scherzò lui. Poi si fece serio. «Mi sarei aspettato che ne avessi fatto uno di Bonnie.» «Ho provato. Non ci sono riuscita. Stavo lì a fissare la creta come un'ebete.» Eve si aggiustò gli occhiali sul naso e richiamò la fotografia di Libby sul monitor. «Forse più avanti.» «Però pensi di poter ricostruire il teschio della bambina?» Stava bene attento a non riferirsi al teschio come a quello di Bonnie, notò Eve. «Devo farlo. Sono in grado di fare qualunque cosa occorra. Va' via, Joe. Adesso devo lavorare.» Lui si diresse verso la porta. «Cerca di dormire un po'.» «Quando avrò finito la progressione.» Tirò fuori le fotografie della madre di Libby e della nonna materna. Studiarle. Non pensare a Bonnie. Non pensare a Logan. Libby meritava la sua totale attenzione. Doveva invecchiare la bambina dagli otto ai quindici anni. Non sarebbe stato facile. Era necessario escludere ogni altra cosa. Mettere da parte Bonnie.
«Peccato che tu non abbia il tempo di finire Joe», disse Bonnie. Eve si girò sul divano e vide Bonnie intenta a osservare il busto di sotto in su. Era uguale a tutte le altre volte che l'aveva rivista, in jeans e maglietta, i riccioli rossi scompigliati, ma appariva più piccola del solito vicino al piedistallo. «Ho un lavoro più importante da fare, adesso.» Bonnie arricciò il naso lanciandole un'occhiata al di sopra di una spalla. «Già, pensi di avermi trovata. Quante volte devo dirtelo che non sono più là? Quello è solo un mucchio di ossa.» «Le tue ossa?» «Che ne so? Non ricordo più niente di tutta quella storia. Non vorrai che me ne ricordi, no?» «Dio, no di certo.» Eve fece una pausa. «Ma penso che tu sappia dove ti ha seppellita. Perché non me lo dici? Voglio solo riportarti a casa.» «Perché voglio che tu dimentichi il modo in cui sono morta.» Bonnie andò alla finestra e guardò verso il mare aperto. «Voglio che tu mi ricordi come quando ero con te, e come sono adesso.» «Un sogno.» «Un fantasma», la corresse Bonnie. «Un giorno riuscirò pure a convincerti...» «E allora mi rinchiuderanno in manicomio.» Bonnie ridacchiò. «Figurati. Joe non lo permetterebbe mai.» Eve sorrise e annuì. «Farebbe il diavolo a quattro. Preferirei evitare, se non ti dispiace.» «No, non mi dispiace. Anzi, probabilmente è meglio che tu non dica a nessuno di me.» Inclinò la testa. «È carino avere questi momenti tutti per noi. Come un segreto molto speciale. Ricordi i nostri segreti? Come quella volta che abbiamo fatto una sorpresa alla nonna per il suo compleanno. L'abbiamo fatta salire in macchina senza dirle niente e siamo andate ai giardini di Callaway. I fiori erano così belli quella primavera. Ci sei più andata?» Bonnie che correva per il parco, il viso acceso dalla gioia e l'eccitazione... «No.» «Smettila.» Bonnie si accigliò. «I fiori sono ancora belli, il cielo è ancora azzurro. Goditeli.» «Sissignora.» «Lo dici, ma non lo pensi.» Tornò a volgere lo sguardo al mare. «Sei
contenta di lasciare l'isola, vero?» «Ho un lavoro da fare.» «Te ne saresti andata presto comunque.» «Non necessariamente. Sono stata bene qui. Mi piace tutta questa luce, questa tranquillità.» «E ti piace Logan. Non avresti voluto ferirlo, eh?» «No, ma l'ho fatto.» «Gli dispiacerà vederti andare via, ma se la caverà.» Si interruppe. «Sapevo che Joe sarebbe venuto a prenderti, ma non immaginavo... non mi convince questa storia, mamma.» «A te non è mai andata l'idea che ti cercassi.» «No, ma... è che ho una brutta sensazione. C'è un'oscurità che non mi piace.» «Hai paura che non reggerò a lavorare sul tuo teschio.» «Non ti farà bene di sicuro, ma non si tratta di questo...» Bonnie si strinse nelle spalle. «Tanto andrai comunque. Sei così testarda.» Si appoggiò contro la parete. «Torna a dormire. Hai ancora tutti quei bagagli da fare. A proposito, l'invecchiamento ti è riuscito molto bene.» «Grazie», disse sarcasticamente Eve. «Se non è autocompiacimento questo...» «Non posso mai farti un complimento», si lamentò Bonnie. «Pensi sempre che ti stai lodando da sola.» «Dal momento che sei un sogno, è la conclusione logica.» Eve rimase in silenzio per un momento. «Sembra che il padre di Libby fosse un uomo violento. L'ha rapita per vendetta. È ancora viva? Non è lì con te?» Bonnie inarcò le sopracciglia. «Nei tuoi sogni o dall'altra parte? Devi deciderti, mamma, delle due l'una...» «Lascia perdere.» Un sorrìso illuminò il viso della bambina. «Non è qui con me. Hai la possibilità di riportarla a casa.» «Lo sapevo.» Eve si girò sul fianco e chiuse gli occhi. «Non avrei fatto tutto quel lavoro, se non avessi saputo che c'erano buone probabilità.» «Una supposizione logica?» «Esattamente.» «Non intuizione?» «Spiacente, detesto far scoppiare la tua bolla di sapone, ma questi sogni sono le mie uniche concessioni all'irrazionalità.» Tacque per qualche i-
stante. «Tu verrai con me?» «Io sono sempre con te.» Un silenzio. Poi ancora la voce di Bonnie, esitante: «Ma potrebbe essermi difficile raggiungerti. L'oscurità...» «Sei tu quello scheletro, piccola?» bisbigliò Eve. «Ti prego, dimmelo.» «Non sono sicura. Non riesco a capire se l'oscurità è per te o per me...» Quando Eve si svegliò, una tenue luce rischiarava appena l'orizzonte. Rimase sdraiata per altri venti minuti, guardando l'alba tingere di rosa l'oceano. Strano, non si sentiva riposata come accadeva dopo aver sognato Bonnie. Era un po' a disagio. Uno psichiatra avrebbe detto che i sogni erano una catarsi, un modo di gestire la sua perdita senza diventare pazza e probabilmente avrebbe avuto ragione. I sogni erano iniziati circa un anno dopo l'esecuzione di Fraser, e il loro effetto era positivo. Quindi, non aveva nessuna intenzione di andare da qualche strizzacervelli per cercare di liberarsene. Un ricordo d'amore non aveva mai fatto male a nessuno. Si alzò dal divano. Era ora di smettere di rimuginare e darsi una mossa. Doveva fare i bagagli e incontrare Joe alla villa alle otto. E dare un ultimo saluto a Logan. «A vederti si direbbe che tu stia andando a fare visita a un amico morente.» Logan stava scendendo le scale quando Eve raggiunse il corridoio. «Sei pronta?» «Sì.» «Dov'è Quinn?» «Mi sta aspettando sulla jeep. Logan, non avrei mai...» «Lo so.» Fece segno con una mano di lasciar perdere, come se non avesse molta importanza. «Su, andiamo.» «Vieni con noi?» «Non fare quella faccia preoccupata. Ti accompagno solo fino all'eliporto.» La prese per il gomito e la condusse verso la porta. «Non intendo fare la parte dell'amante abbandonato. Troppo patetico per i miei gusti. Per cui, ti butto fuori a calci dalla mia isola. Non tornare mai più.» Sorrise sardonicamente. «A meno che sia domani, o tra un mese, o un anno. Pensandoci, potrei accettarti se torni indietro di corsa entro il prossimo decennio. Altrimenti, scordatelo.» Eve sorrise sollevata. «Grazie, Logan.» «Per renderti le cose facili? Diavolo, per niente al mondo rovinerei il tuo ricordo del tempo che abbiamo passato qui. Siamo stati troppo bene insie-
me.» Aprì la porta d'ingresso. «Tu sei una donna speciale, Eve. Non voglio perderti. Se non mi vuoi come amante, sarò tuo amico. Mi ci vorrà un po' per adattarmi, ma succederà. Farò in modo che succeda.» Eve si protese a dargli un bacio sulla guancia. «Sei già mio amico. Ero ridotta uno straccio quando mi hai portata qui con te. Nessuno avrebbe potuto essere più generoso, o fare per me più di quanto tu hai fatto in quest'ultimo anno.» Lui abbassò gli occhi a guardarla e sorrise. «Non mi sono arreso, sai. Voglio molto, molto di più. Questa è solo la prima fase di un attacco a sorpresa.» «Tu non ti arrendi mai. Questa è una delle cose che trovo così meravigliose in te.» «Vedi, già apprezzi le mie specchiate qualità. Intendo specularci su e andare oltre.» La sospinse verso la jeep, dove Joe stava aspettando. «Muoviamoci, o perderai il tuo elicottero.» L'elicottero era già pronto sulla pista quando Joe fermò la jeep nell'eliporto. «Posso parlarti un momento, Quinn?» domandò educatamente Logan. Joe se lo aspettava. «Sali a bordo e allacciati la cintura, Eve. Ti raggiungo subito.» Lei rivolse a entrambi uno sguardo ammonitore, ma non si intromise. Logan aspettò che lei fosse sull'elicottero, poi chiese: «Non è Bonnie, vero?» «Potrebbe essere.» «Che gran figlio di puttana.» Joe non reagì. «Lo sai quanto la farà soffrire questo?» «Sì.» «Ma non ti importa. Volevi farla tornare indietro e hai usato Bonnie per riuscirci.» «Non mi avrebbe certo ringraziato se non le avessi detto dello scheletro.» «Potrei romperti il collo.» «Lo so. Ma non sarebbe un'iniziativa intelligente. Sei stato molto abile a far sentire Eve traboccante di gratitudine e triste. L'ultima cosa che vuoi è farla partire con l'amaro in bocca. Ti renderebbe molto più difficile giocare sui sensi di colpa per farla tornare indietro.»
Logan trasse un respiro profondo. «Rientrerò al mio ufficio di Monterey la prossima settimana.» «Immaginavo che sarebbe stata questa la tua prossima mossa.» «Ti terrò d'occhio. Non potrai battere ciglio senza che io non lo sappia. Se questa ricostruzione le nuoce in qualsiasi modo, ti distruggerò.» «Perfetto. Hai finito adesso?» Logan avviò la jeep. «Ho appena cominciato.» Joe lo guardò uscire dall'eliporto. Logan era un coriaceo bastardo, ma teneva sinceramente a Eve. Aveva molte qualità che Joe ammirava - intelligenza, franchezza, lealtà. Se la situazione fosse stata differente, se non avesse rappresentato un ostacolo, avrebbe potuto piacergli. Purtroppo, Logan era un ostacolo, e Joe aveva imparato quando era nei corpi speciali dei marine che c'erano tre possibili modi per superare un ostacolo. Potevi saltarlo. Potevi aggirarlo. O potevi schiacciarlo fino a distruggerlo. L'aereo da Tahiti aveva appena preso quota quando Eve chiese a Joe di Talladega. «Voglio sapere tutto.» Storse la bocca. «E non dirmi ancora che sono sovreccitata, o ti do un pugno.» «No, credo che in futuro eviterò quella parola», mormorò Joe. «Hai detto che non c'erano altri scheletri di bambini?» «A meno che ne siano stati trovati altri durante la mia assenza. Ma ne dubito. Avevano perlustrato la zona piuttosto accuratamente.» Eve rabbrividì. Nove vite stroncate. Nove esseri umani abbandonati a marcire sottoterra. «Siete stati in grado di identificarne qualcuno?» «Non ancora. Non sappiamo nemmeno se sono nativi di Rabon County. Stiamo spulciando i registri delle persone scomparse in tutto lo Stato. Poi vedremo se qualcuno dei profili del DNA corrisponde. Sembra improbabile che i nove corpi siano stati sotterrati tutti in una volta. Sembra che qualcuno stesse usando il crinale come suo cimitero personale.» «Fraser», mormorò Eve. «Otto adulti, una bambina», le ricordò Joe. «Fraser ha confessato di avere ucciso dodici bambini. Non ha mai accennato a nessun adulto, e una volta arrestato non vedo che cosa avesse da perdere.» «Questo non significa niente. Chi diavolo sa che cosa può aver fatto? Non ha mai detto un accidente che potesse aiutare i genitori a trovare quei bambini. Voleva che soffrissimo. Voleva che il mondo intero soffrisse.» «È un po' azzardato. Devi essere preparata a scoprire che si tratta di un
altro assassino.» «Lo sono. Nessun indizio?» «La cassa toracica di tre vittime mostrava segni di ferite da coltello, che probabilmente sono state la causa della morte. Delle altre non siamo sicuri. Ma l'assassino potrebbe avere lasciato una firma. C'erano residui di cera nella mano destra di tutti gli scheletri.» «Cera? Che tipo di cera?» «La stanno analizzando.» «Dovrebbero aver finito, ormai. Perché stanno procedendo così a rilento?» «Politica. Il sindaco non vuole un altro serial killer che faccia fare brutta figura ad Atlanta, e il capo della polizia non vuole essere sotto tiro. La città ha già avuto Wayne Williams e Fraser. La Maxwell preferirebbe lasciare questo caso a Rabun County. Sfortunatamente, lì non dispongono delle nostre strutture, e deve offrire almeno una limitata assistenza. Anche l'FBI sta dando una mano. Ha già mandato a Talladega degli esperti di scienze comportamentali a esaminare il luogo e gli scheletri.» «Allora come hai ottenuto l'autorizzazione a farmi eseguire la ricostruzione?» «Be', a dire il vero, ho dovuto torcere qualche braccio. Il capo ha paura che i media si scateneranno, se si verrà a sapere che sei stata tirata in ballo.» «Dio, spero proprio di no.» Era scappata in un altro continente per sottrarsi alla pubblicità, e adesso rischiava di trovarsi di nuovo ad affrontarla. «Li terremo alla larga. Ti ho preparato un laboratorio nella casa sul lago.» «Ci troveranno lo stesso. Le notizie trapelano sempre.» Lui sorrise. «Ho qualche idea su come raggirarli. Fidati.» Non poteva fare altro. Si mise comoda sul sedile e cercò di rilassarsi. Sarebbe stato un lungo volo, e aveva bisogno di riposare per essere pronta al lavoro che l'aspettava. Ridare vita al teschio di una bambina. Bonnie? «Andiamo.» Joe la prese per un braccio appena superata la dogana. «Non possiamo farci vedere nell'area di attesa. C'è una folla di giornalisti là fuori.» Sorrise al funzionario doganale in giacca rossa accanto a lui. «Giusto, Don?»
«Abbastanza da crearvi problemi. Da questa parte.» Li guidò verso un'uscita di emergenza. «Un inserviente porterà le vostre valigie.» «Dove stiamo andando?» domandò Eve mentre scendevano dalle scale. «L'entrata del personale», rispose Joe. «Sbucheremo fuori del Terminal Nord. Ho pensato che potesse esserci stata una fuga di notizie e ho chiamato Don perché ci aiutasse.» L'uomo li fece passare per un lungo corridoio, e si ritrovarono in strada di fronte al terminal. «Grazie, Don.» «Di niente.» Don fece un cenno all'inserviente che era appena uscito dalla porta. «E comunque ti dovevo un favore, Joe.» Eve aspettò che Don fosse scomparso nuovamente all'interno del terminal. «Okay, adesso che siamo lontani da... Che stai facendo?» Joe si era piazzato in mezzo alla strada. «Chiamo il tuo taxi personale.» Un'auto grigia si fermò davanti a loro. C'era una donna al volante. «Mamma?» Sandra Duncan sorrise. «Mi sembra di essere un agente segreto o qualcosa del genere. C'erano giornalisti alla dogana?» «Così mi è stato detto», rispose Joe, mentre aiutava il facchino a caricare le valigie nel bagagliaio. «Ho immaginato che vi avrebbero aspettati al varco, quando ho visto il giornale stamattina.» Joe diede la mancia all'inserviente. Eve salì davanti, e Joe prese posto sul sedile posteriore. «È stato Joe a chiamarti?» domandò Eve mentre sua madre guidava verso l'uscita dell'aeroporto. Sandra le sorrise. «Qualcuno doveva pur farlo, visto che mia figlia non ha ritenuto opportuno avvertirmi.» «Ti avrei chiamata una volta sistemati.» «Ma così potrò averti per me finché arriveremo da Joe.» Rivolse alla figlia un'occhiata critica. «Ti trovo bene. Credo che tu abbia anche messo su qualche etto.» «Può darsi.» «E hai le lentiggini.» «Me lo ha già detto Joe.» «Avresti dovuto usare la tua crema solare.» «Joe mi ha già detto anche questo.» «Joe ha buon senso.» «Tu hai un aspetto splendido.» Era la verità. Sua madre appariva giovane, elegante, radiosa di salute e vitalità. «Come sta Ron?»
«Bene, direi.» I suoi occhi luccicarono. «Lui si lamenta che gli farò venire l'infarto, con i ritmi che lo costringo a tenere. Ma che diavolo, la vita è troppo breve per non godersela.» «Come va il tuo lavoro?» «Non c'è male.» «Oggi è un giorno feriale. Non sei andata al lavoro a causa mia?» «Già, ma sono stati ben contenti che mi levassi di torno. Dopo l'articolo sul giornale di stamattina, i reporter avrebbero invaso il tribunale se mi fossi fatta viva.» «Mi spiace, mamma.» «Non importa. Sono il miglior cronista giudiziario che abbiano, e lo sanno. Appena questo clamore si sarà placato, tornerà tutto come prima.» Lanciò un'occhiata a Joe. «Si va direttamente da te, o vuoi fermarti prima da qualche parte?» Joe scosse la testa. «No, ma dovresti girare un po' per la città, tanto per assicurarci che nessuno ci segue.» «Giusto.» Sandra guardò la figlia, facendosi seria. «Joe dice che non ci sono grandi speranze, Eve. Potrebbe non essere Bonnie.» «Una misera probabilità è meglio di niente.» Eve sorrise. «E non preoccuparti, mamma. Andrà tutto bene. Qualunque cosa accada, posso gestirla.» «Lo sai che non approvo questo tuo accanimento. Devi lasciar perdere, prima di finire per annientarti. Anch'io amavo Bonnie, ma ho dovuto scendere a patti con la realtà.» Quel che Sandra aveva fatto era scendere a patti con la sua visione della realtà, ed era ovvio che l'operazione stava riuscendo felicemente. Be', tanto meglio per lei. Eve ignorò una piccola trafittura d'invidia e replicò: «Io non sto sfuggendo la realtà. Sto solo cercando di trovare mia figlia e darle riposo». Sandra sospirò. «Okay, fa' quello che devi. Chiamami, se posso esserti di aiuto.» «Sai che lo farò.» Sandra era corrucciata, così Eve tese una mano a darle una stretta affettuosa al braccio. «Non sarà così tremendo. La ricostruzione richiederà soltanto pochi giorni, e allora saprò.» Sandra fece una smorfia. «Pochi giorni a volte possono sembrare un secolo.» Eve Duncan.
Dom studiò la sua fotografia sul giornale. Riccioli castani con riflessi ramati incorniciavano un viso più affascinante che grazioso. Occhi nocciola guardavano il mondo da dietro occhiali tondi cerchiati d'oro. Ricordava di aver visto quell'immagine sul giornale l'anno prima e aver notato quanto apparisse diversa dalla donna disperata al processo Fraser. La Eve Duncan di adesso sembrava più forte, più sicura. Una donna la cui determinazione poteva smuovere montagne e rovesciare governi. E ora stava rivolgendo quella determinazione nella sua direzione. Naturalmente, lei non sapeva che quella era la sua direzione. Voleva soltanto trovare sua figlia, il che la rendeva altrettanto vulnerabile di quanto era stata tutti quegli anni prima. Già allora Dom l'aveva presa in considerazione come una possibile vittima, ma aveva scartato l'idea quasi immediatamente a causa della notorietà che le aveva dato il processo Fraser. Lei era troppo in vista, e c'erano stati altri bersagli soddisfacenti e molto meno rischiosi. Ma la soddisfazione stava venendo meno. Adesso avrebbe potuto porre rimedio a questo inconveniente, pensò con sollievo. Eve Duncan era sufficientemente forte da rappresentare una sfida liberatoria. Avrebbe proceduto con estrema accortezza con lei, intridendo ogni istante di ogni possibile stilla di emozione, facendo in modo che la tensione montasse lentamente, così che l'esplosione finale sarebbe stata abbastanza potente da spazzare via ogni detrito di abitudinarietà che si era accumulato in lui. Credeva fermamente nel fato, e stava cominciando a pensare che Eve Duncan fosse stata inviata in quel luogo e in quel momento apposta per lui. Era una fortuna che avesse ignorato la tentazione la prima volta che lei era passata nella sua vita. Allora sarebbe stata soltanto una preda ordinaria, non più importante di qualunque altra. Adesso avrebbe potuto essere la sua salvezza. TRE «Carino.» Lo sguardo di Sandra vagò dalla casetta rustica al pontile sul lago. «Mi piace qui, Joe.» «Allora perché non ci sei mai venuta, tutte le volte che ti ho invitato?» Joe cominciò a scaricare i bagagli. «Lo sai che sono nata e cresciuta in città.» Sandra fece un sospiro. «Ma credo che potrei adattarmi. Eve avrebbe dovuto dirmi di questo splendido
paesaggio.» «L'ho fatto», replicò Eve. «Eri tu che non volevi saperne.» «Be', è un tantino isolato. Non ci sono altre case sul lago?» «No. Joe ha comprato il lago e i terreni circostanti, e non ha intenzione di venderne nemmeno un acro.» Sandra gli sorrise. «Che egoista.» «Sono geloso della mia pnvacy. Paccio già abbastanza bagni di folla in città, e quando sono qui voglio starmene in santa pace. La proprietà è intestata alla mia fiduciaria, e nessuno sa che ho questo rifugio.» Chiuse il cofano e sorrise a Eve. «Eccetto pochi e selezionati amici.» «Be', almeno la casa sembra ospitale», commentò Sandra. A Eve era sempre piaciuta quella casetta piccola e accogliente, con la sua struttura a forma di A, le tante finestre che lasciavano entrare la luce del sole e incorniciavano il panorama. «Vieni a vedere l'interno.» «Devo tornare in città. Ron si preoccupa se non arrivo per cena.» «Potresti telefonargli.» Sandra scosse la testa. «Ehi, non sono mica stupida. Non voglio che si abitui a mangiare da solo. Ti chiamerò domani, così parleremo un po'.» Le diede un lungo abbraccio. «Bentornata a casa, piccola. Mi sei mancata.» Fece un passo indietro e si rivolse a Joe: «Ti serve uno strappo in città?» «Ho qui una jeep, userò quella. Grazie di tutto, Sandra.» «Figurati.» Sandra risalì al posto di guida e avviò il motore. «A presto.» Eve guardò la macchina allontanarsi lungo la strada ghiaiosa, poi aiutò Joe a portare le valigie su per gli scalini del portico. «Sai, non riesco proprio a capirvi, voi due», disse lui, scuotendo la testa. «Vi siete appena riviste dopo più di un anno, e lei scappa via per cenare con il suo fidanzato mentre tu non fai una piega...» «Non occorre che tu capisca. Basta che ci capiamo io e lei.» Il loro rapporto sarebbe risultato incomprensibile a chiunque non fosse stato presente durante gli anni infernali della sua infanzia. Le cicatrici c'erano ancora, e non se ne sarebbero mai andate, ma lei e Sandra ci avevano costruito sopra, creando un tipo di legame che andasse bene per entrambe. «Mamma non aveva mai avuto una relazione stabile prima d'ora. Ha il diritto di salvaguardarla. Ron l'ha davvero presa al laccio, eh?» «Già.» Joe infilò la chiave nella serratura. «Ma non sembra che la cosa le dispiaccia.» «Direi anch'io.» Eve tacque un momento. «Sarà strano stare qui senza Diane.»
«Perché? Sei venuta anche prima che mi sposassi. A Diane questo posto non è mai veramente piaciuto. Preferiva la civiltà.» Eve rivolse lo sguardo attorno e ricordò come il retriever di Joe fosse solito correrle festosamente incontro. «Dov'è George? Lo hai lasciato nell'appartamento in città?» «No, lo ha tenuto Diane. Io non sono mai a casa. Starà meglio con lei.» «Dev'essere stata dura.» «Sì, decisamente. Amo molto quel cane.» Aprì la porta e indicò un angolo della stanza. «Buon Dio.» Videocamere, un computer, un banco di lavoro e un piedistallo. «Dove hai preso tutto questo?» «Ho fatto un'incursione nel tuo laboratorio in città. La compagnia assicurativa ha rimpiazzato la tua attrezzatura dopo che è stata distrutta l'anno scorso. Credo di non aver dimenticato niente.» «Credo anch'io.» Eve entrò e contemplò il suo operato. «In effetti, direi che hai soddisfatto ogni mia esigenza.» «Lo scopo della mia vita», disse lui a voce bassa. «Ho anche fatto una buona scorta di provviste. Certo che fa un bel freddo qua dentro.» Andò al camino e si inginocchiò davanti ai ciocchi accatastati. «Accenderò il fuoco prima di andare.» «Non resti?» Joe scosse la testa. «I giornalisti ti stanno cercando. Sarà difficile che ti rintraccino qui, ma non impossibile. Dovrò trovare il modo di metterli su una falsa pista.» Fece una pausa. «E dirò a Sandra di non venire qui finché non hai finito il lavoro. C'è il rischio che la seguano. Qualunque contatto tu voglia tenere, fallo per telefono, d'accordo?» «Okay.» Joe aveva parlato di tutto, fuorché della cosa più importante. «E quando avrò il teschio?» «Domani. Lo ha ancora il dottor Comden, l'antropologo che ha steso il rapporto. Domani mattina mi farò dare l'autorizzazione al dipartimento, passerò a ritirarlo alla clinica universitaria e te lo porterò nel pomeriggio. Se ci fosse qualche cambiamento di programma, te lo farò sapere.» Andò verso la porta. «Nel frattempo, cerca di dormire. Hai sonnecchiato non più di un'ora durante il viaggio.» «D'accordo», assentì lei, poi aggiunse deliberatamente: «Prima però voglio chiamare Logan e dirgli che siamo arrivati senza problemi.» «Non si aspetta di ricevere tue notizie.» «No, ma gli farà piacere. Non intendo chiuderlo fuori dalla mia vita sol-
tanto perché non siamo più insieme. Non se lo merita.» Joe scrollò le spalle. «E io non intendo stare a discutere con te. Solo, non lasciare che ti metta in agitazione. Hai bisogno di riposare.» «Ricevuto.» «Sto parlando sul serio. Né tu né io sappiamo come reagirai quando vedrai il teschio di quella bambina. La stanchezza non ti sarà certo di aiuto. Non voglio vederti crollare.» «Non crollerò.» «Cerca di dormire», ripeté lui, poi la porta si chiuse alle sue spalle. Era sola. La luce del sole che si rifletteva sul lago sembrava all'improvviso più debole, più fredda. Sulla riva opposta, le ombre dei pini si fondevano in una coltre scura. Eve rabbrividì, poi si avvicinò al camino e protese le mani verso il fuoco, lasciando che il confortevole calore scacciasse il gelo che l'aveva assalita. Immaginazione. Tutto era esattamente come prima che sua madre e Joe se ne andassero. Non era più abituata a stare sola, tutto qui. Sull'isola era rimasta raramente in solitudine. Anche quando lei stava lavorando, Logan non era mai a più di cinque minuti di distanza... No, non era questo. Il senso di gelo non era causato dalla solitudine, ma dall'angoscia e dal nervosismo. Non era più sicura di Joe, di come avrebbe reagito trovandosi quel teschio tra le mani. Se sarebbe riuscita a escludere l'orrore ed essere totalmente professionale. Ma doveva farcela. Lo doveva a Bonnie. O chiunque fosse la bambina. Non doveva pensare a lei come Bonnie, o le sue mani e la sua mente avrebbero potuto giocarle degli scherzi. Doveva guardare il teschio con assoluto distacco. Ma quando mai era stata in grado di farlo? Si domandò con amarezza. Ogni ricostruzione che avesse a che fare con un bambino scomparso le lacerava il cuore, lasciandola emotivamente prosciugata. Ma stavolta doveva controllare ogni emozione. Era assolutamente necessario che non permettesse a se stessa di cadere in quel pozzo oscuro. Doveva tenersi occupata. Non pensare a quello che l'aspettava. Prese il telefono e compose il numero del cellulare di Logan. Nessuna risposta. Lasciò un messaggio sulla segreteria. «Ciao, Logan, volevo solo dirti che sono a casa di Joe. È tutto okay, e domani avrò il teschio. Spero che tu stia bene. Abbi cura di te.» Non essere riuscita a mettersi in contatto con lui la fece sentire ancora
più isolata. Quella vita sicura e sana con Logan sembrava già così lontana, e si stava facendo ogni secondo più distante. Per l'amor del cielo, doveva reagire. Sarebbe andata a fare una camminata lungo il lago, finché non si fosse stancata abbastanza da poter dormire. Tutti i vestiti nelle sue valigie erano estivi, così andò in camera di Joe e trovò un paio di jeans e una camicia di flanella. Si mise le scarpe da tennis e prese la giacca a vento di Joe. Un momento dopo era fuori della porta e scendeva gli scalini. Era sola. Dom guardò Eve Duncan percorrere a passo svelto il sentiero che scendeva al lago. Teneva le mani affondate nelle tasche del giubbetto e aveva il viso leggermente corrucciato. Era più alta di come la ricordasse, ma appariva molto fragile nel largo giubbotto. Tuttavia, non era fragile. Poteva vederlo dal modo in cui si muoveva, dall'atteggiamento volitivo del mento. La forza era spesso più dello spirito che del corpo. Dom aveva avuto prede che avrebbero dovuto soccombere immediatamente, e invece avevano lottato con ferocia. Lei sarebbe stata una di quelle. Tutti quei sotterfugi all'aeroporto erano stati interessanti, ma lui aveva troppa esperienza nei pedinamenti per lasciarsi abbindolare. Aveva imparato da tempo che bisognava stare un passo avanti se si voleva raccogliere la ricompensa ambita. E quella ricompensa era quasi nelle sue mani. Adesso che sapeva dove si trovava Eve Duncan, poteva dare inizio al gioco. Georgia State University «Buongiorno, Joe. Potrei parlarti un minuto?» Joe si irrigidì riconoscendo l'uomo alto appoggiato contro il muro della facoltà di scienze. «Non rispondo a nessuna domanda, Mark.» Mark Grunard gli andò incontro con un sorriso accattivante. «Ho detto parlare, non intervistarti. Certo, se proprio tu sentissi il bisogno di confidarti con qualcuno...» «Che ci fai qui?» «Non è stato difficile immaginare che saresti venuto a prendere il teschio. Ringrazio solo che i miei colleghi giornalisti siano troppo occupati a cercare di rintracciare Eve Duncan. Almeno ti ho tutto per me.»
Joe maledisse mentalmente il dipartimento di polizia di Atlanta per aver divulgato dove si trovasse lo scheletro. «Non farti illusioni. Puoi scordarti il tuo articolo, Mark.» «Ti dispiace se ti accompagno fino all'ufficio del dottor Comden? Toglierò il disturbo appena arrivati al laboratorio. Ho una proposta da farti.» «Che stai combinando, Mark?» «Qualcosa di vantaggioso per entrambi.» Si mise al passo con Joe. «Allora, vuoi ascoltarmi?» Joe lo squadrò. Mark Grunard lo aveva sempre colpito come un professionista serio che univa l'onestà all'acume. «Ti ascolto.» «È qui per la bambina?» Il dottor Phil Comden si alzò dalla scrivania e strìnse la mano a Joe. «Mi spiace che il mio rapporto sia stato così poco esauriente.» Si avviò verso la porta in fondo al corridoio. «Ho letto che Eve Duncan è incaricata di eseguire la ricostruzione.» «Infatti.» «Ma la ricostruzione facciale non ha nessun valore in tribunale. Dovreste aspettare il DNA.» «Ci vuole troppo tempo.» «Sì, lo immagino.» Guidò Joe nel laboratorio e verso una fila di cassetti simili a quelli usati negli obitori. «Vuole soltanto il teschio?» «Sì. Il resto può restituirlo al dipartimento di patologia.» «La Duncan pensa che sia sua figlia?» «Pensa che possa essere possibile.» «Tremendo.» Impugnò la maniglia ed estrasse il cassetto. «Sa, quando si lavora su uno di questi poveri bambini non si può fare a meno di pensare a come... Merda!» Joe lo spinse da parte e guardò nel cassetto. Eve rispose al telefono al primo squillo. «È sparito», disse Joe con asprezza. «Cosa?» «Lo scheletro. È sparito.» Eve fu paralizzata dallo sgomento. «Com'è possibile?» «Che diavolo ne so? Il dottor Comden dice che la notte scorsa lo scheletro era nel cassetto quando ha lasciato il laboratorio. E oggi a mezzogiorno non c'era più.» Lei cercò di immaginare una spiegazione. «Non potrebbe averlo ritirato
il dipartimento di patologia?» «Il dottor Comden avrebbe dovuto firmare la consegna.» «Forse c'è stata una qualche irregolarità e lo hanno preso senza...» «Ho chiamato Basil. Nessuno è stato autorizzato a ritirare lo scheletro.» Era attonita. «Qualcuno deve pur...» «Sto cercando di scoprire dov'è l'inghippo. Solo non volevo lasciarti ad aspettare inutilmente. Ti chiamerò appena so qualcosa.» «È... perduta di nuovo?» «La troverò.» Joe tacque un istante. «Potrebbe essere uno scherzo macabro. Sai come possono essere i ragazzi del college.» «Pensi che uno degli studenti abbia rubato lo scheletro?» «È la supposizione del dottor Comden.» Eve chiuse gli occhi. «Oh, mio Dio.» «Lo recupereremo, Eve. Sto interrogando chiunque fosse nei dintorni del laboratorio tra ieri sera e oggi.» «Okay», mormorò con voce spenta. «Ti chiamo appena so qualcosa», ripeté Joe, poi chiuse la comunicazione. Eve mise giù il ricevitore. Non doveva agitarsi. Joe avrebbe trovato lo scheletro. Probabilmente aveva ragione il dottor Comden. Doveva essere qualche ragazzo che aveva trovato spassoso giocare un tiro del genere... Squillò il telefono. Di nuovo Joe? «Pronto?» «Era una bella bambina, vero?» «Cosa...?» «Dovevi essere molto fiera della tua Bonnie.» Eve si sentì gelare. «Chi è?» «Ho avuto qualche difficoltà a ricordarmi di lei. Ce ne sono state così tante. Eppure lei avrebbe dovuto restarmi impressa. Era speciale. Ha lottato per la sua vita. Lo sai che i bambini si ribellano di rado? Di solito subiscono passivamente. È per questo che non li scelgo più tanto spesso. È come uccidere un uccello.» «Chi parla?» «Qualche schiamazzo ed è tutto finito. Bonnie non era così.» «Bugiardo figlio di puttana», ringhiò Eve. «Che razza di psicopatico sei?» «Non del solito tipo, te lo assicuro. Non come Fraser. Ho anch'io un ego, ma non mi attribuisco mai le uccisioni di qualcun altro.»
Fu come un pugno allo stomaco. «È Fraser che ha ucciso mia figlia.» «Davvero? Allora perché non ha detto dov'era il suo corpo? E dov'erano tutti gli altri?» «Perché era crudele.» «Perché non lo sapeva.» «Lo sapeva. Voleva soltanto farci soffrire.» «Questo è vero. Ma voleva anche accrescere la sua notorietà confessando omicidi sui quali non aveva diritti da accampare. All'inizio la cosa mi ha irritato, poi ha cominciato a divertirmi. Ho anche parlato con lui mentre era in carcere. Gli avevo lasciato un messaggio dicendo che ero un giornalista, e lui non si è lasciato scappare l'occasione. Quando mi ha richiamato, gli ho fornito qualche altro dettaglio da dare in pasto alla polizia.» «È stato preso nell'atto di uccidere Teddy Simes.» «Non ho detto che fosse del tutto senza colpe. In effetti, ne aveva altri quattro da rivendicare, oltre al piccolo Simes. Ma il resto era roba mia.» Fece una pausa. «Inclusa Bonnie Duncan.» Eve tremava talmente che riusciva a stento a tenere in mano il ricevitore. Doveva controllarsi. Quella era senz'altro la telefonata di un mitomane. Uno sciacallo. Un pervertito che si divertiva a farle del male. Aveva ricevuto alcune chiamate di quel genere durante il processo Fraser. Ma quell'uomo sembrava così calmo, così sicuro, quasi indifferente. Lo avrebbe lasciato parlare, portandolo a contraddirsi in modo che si sbugiardasse da solo. «Hai detto che non ti piace uccidere i bambini.» «Allora ero in una fase di sperimentazione. Volevo vedere se valesse la pena dedicarmici con assiduità. Bonnie mi aveva quasi convinto di sì, ma i due successivi sono stati una delusione tremenda.» «Perché mi hai chiamato?» «Perché noi due abbiamo qualcosa che ci lega, non credi? Abbiamo Bonnie.» «Fottuto bugiardo.» «O piuttosto, diciamo che io ho Bonnie. La sto guardando proprio adesso. Certo, era molto più carina quando l'ho messa sotto terra. È triste che noi tutti alla fine dobbiamo ridurci a niente più che un'accozzaglia di ossa.» «La stai... guardando?» «Mi sembra ancora di vederla mentre camminava verso di me nel parco, al picnic della scuola. Stava mangiando un cono di gelato alla fragola, e i
suoi capelli rossi brillavano al sole. Era così piena di vita. Non ho potuto resistere.» Buio. Non svenire, pensò Eve. «Tu possiedi quella stessa scintilla. Ma sei molto, molto più forte.» «Adesso riattacco.» «Sì, capisco. Sei sotto choc. Ma sono certo che ti riprenderai presto. Mi terrò in contatto.» «Maledetto... Perché?» Lui rimase in silenzio per un momento. «Perché è necessario, Eve. Dopo questa piccola chiacchierata, ne sono ancora più convinto di prima. Ho bisogno di te. Posso sentire le tue emozioni come il crescere della marea. È... eccitante.» «Non risponderò al telefono.» «Sì che risponderai. Perché c'è sempre una possibilità che tu possa riaverla indietro.» «Stai mentendo. Se hai ucciso quegli altri bambini, perché hai seppellito soltanto Bonnie con tatti quegli adulti?» «Sono certo che devo averne seppelliti più di quanti ne abbiano trovati. Ricordo vagamente almeno altri due bambini. Vediamo... Sì, due ragazzini più grandi di Bonnie. Dieci o dodici anni. Di' che provino a cercare nella gola stessa. Lo smottamento potrebbe averli trascinati giù.» La linea rimase muta. Eve si lasciò scivolare lungo la parete fino al pavimento. Freddo. Freddo glaciale. Oh, Dio. Oh, Dio. Doveva fare qualcosa. Non poteva restarsene lì rannicchiata a terra in preda all'orrore. Joe. Doveva chiamare Joe. Compose il numero, cercando di frenare il tremito della mano. «Torna qui», disse quando lui rispose. «Torna qui, Joe.» «Eve? Che diavolo succede?» «Torna qui, Joe.» C'era qualcos'altro che doveva dirgli. «Talladega. Di' che... che cerchino nella gola. Due... due bambini.» Riagganciò e si appoggiò contro la parete. Non pensare, si disse. Chiuditi in un bozzolo di torpore fino all'arrivo di Joe. Non svenire. Non lasciarti sfuggire l'urlo che ti sta montando dentro. Lascia tutto in sospeso. Aspetta Joe.
Era ancora seduta per terra quando Joe arrivò, un'ora più tardi. Attraversò la stanza a lunghi passi, andando a inginocchiarsi al suo fianco. «Stai male? Sei ferita?» «No.» «Allora perché diavolo mi hai spaventato a morte?» le domandò brusco. «Mi è quasi venuto un infarto. Cristo, sei gelata.» «Choc. Lui ha detto che... che ero sotto choc.» «Chi ha detto che eri sotto choc?» «La telefonata... Credevo fosse uno sciacallo, come quelli che mi chiamavano dopo che Bonnie...» Dovette interrompersi. «Ma non era uno dei soliti maniaci. Hai chiamato Talladega?» «Sì.» Le prese l'altra mano e cominciò a massaggiarla. «Raccontami tutto.» «Ha detto che aveva lì le ossa di Bonnie.» Non più irrigidita nella sua corazza di pietrosa insensibilità, Eve cominciò a tremare violentemente. «Ha detto che non era carina come quando l'ha...» «Stai calma.» Joe prese un plaid da una sedia e glielo mise intorno alle spalle, poi andò nel cucinotto a preparare del caffè istantaneo. «Respira profondamente, okay?» «Okay.» Chiuse gli occhi. Respira profondamente. Butta fuori il dolore. Butta fuori l'orrore. Fuori, fuori tutto, prima che ti squarci il petto. «Apri gli occhi.» Joe era seduto sul divano accanto a lei. «Tieni, bevi questo.» Caffè. Caldo. Troppo dolce. Lui la guardò bere metà della tazza. «Va meglio?» Eve annuì a scatti. «Adesso dimmi. Con calma, senza sforzarti. Se hai bisogno di fermarti, fallo.» Dovette interrompersi per tre volte prima di arrivare alla fine. Poi Joe rimase in silenzio per qualche istante, pensieroso. «È tutto? Sicura che non c'è altro?» «Non ti sembra abbastanza?» ribatté lei con voce rotta. «Cristo, sì.» Accennò alla tazza. «Finisci il tuo caffè.» «È freddo.» «Te ne preparo un altro.» Si alzò e tornò nel cucinotto. «È lui che ha ucciso Bonnie, Joe.» «Adesso sei troppo scossa per valutare lucidamente quella telefonata. Prenditi un po' di tempo per ragionarci su.»
Lei scosse la testa. «È stato lui. Sapeva del gelato.» Joe si girò a guardarla interrogativamente. «Il gelato?» «Ha detto che Bonnie stava mangiando un cono di gelato alla fragola quel giorno al parco.» «Questo dettaglio non è mai stato dato alla stampa», mormorò Joe. «Però Fraser ha anche descritto com'era vestita, e sapeva della voglia che aveva sulla schiena.» Eve si premette le dita sulle tempie pulsanti. Joe aveva ragione. Per questo erano stati così sicuri che l'avesse uccisa Fraser. «Ha detto di avere indotto Fraser a richiamarlo spacciandosi per un giornalista e avergli fornito dei particolari. È possibile?» Joe ci pensò un attimo. «Sì, è possibile. Fraser rilasciava interviste a chiunque stesse ad ascoltarlo. Faceva disperare il suo difensore. E nessuno avrebbe conosciuto il contenuto della loro conversazione, dal momento che in Georgia c'è una legge contro le registrazioni non autorizzate. E comunque, a chi sarebbe venuto in mente di registrare la telefonata? Fraser aveva già confessato gli omicidi. Ormai era un caso risolto.» «Nessuno dei corpi che ha detto di aver sotterrato era stato trovato.» «Ma avevano abbastanza contro Fraser per mandarlo sulla sedia elettrica. Le indagini erano chiuse.» «Già. E adesso salta fuori un altro che potrebbe essere il vero assassino di Bonnie e di quegli altri bambini.» «Perché sapeva del gelato? D'accordo, non può averlo letto sui giornali. Ma è passato tanto tempo. Il gelataio che le aveva venduto il cono potrebbe averlo raccontato in giro. La polizia gli aveva raccomandato di non parlarne con nessuno, ma forse dopo l'esecuzione di Fxaser ha pensato che non avesse più importanza.» «Okay, è possibile. Ma se non fosse così? Se non fosse stato Fraser a uccidere Bonnie?» «Eve...» «Se invece fosse stato quel bastardo della telefonata a ucciderla? Ha rubato le sue ossa dal laboratorio. Perché lo avrebbe fatto, se non...» «Ssh.» Joe le diede la tazza di caffè e si mise di nuovo a sedere accanto a lei. «Non conosco la risposta a nessuna di queste domande. Sto solo facendo l'avvocato del diavolo perché possiamo dare un giudizio equilibrato.» «Perché dovremmo essere equilibrati? Quel figlio di puttana che l'ha uccisa non lo è di sicuro. Avresti dovuto sentirlo. Ci godeva a farmi soffrire. Continuava a rigirare il coltello nella piaga...»
«Okay, parliamo di questo tizio. Com'era la voce? Sembrava giovane o vecchio?» «Non saprei. Suonava come se stesse parlando dal fondo di un pozzo.» «Distorsore meccanico», disse Joe. «Che puoi dirmi del modo di parlare? Aveva un qualche accento? Che tipo di linguaggio usava?» Eve cercò di ricordare. Era difficile separare la forma dalla sostanza delle parole che le avevano inferto così tanto dolore. «Nessun accento particolare. E si esprimeva con proprietà... penso fosse istruito.» Scosse la testa, desolata. «Non lo so. Non ho avuto la freddezza di analizzare niente. La prossima volta proverò a fare di meglio.» «Se ci sarà una prossima volta.» «Ci sarà. Era eccitato. Ha detto esattamente così. Perché dovrebbe chiamarmi una volta e poi lasciar perdere?» Fece per bere un sorso di caffè, ma si fermò. «Il tuo numero di qui non è in elenco. Come ha fatto a trovarlo?» Joe aggrottò la fronte. «Mi preoccupa di più che abbia trovato te.» «Una felice intuizione?» «Può darsi.» Joe fece una pausa. «Dobbiamo comunque considerare anche l'ipotesi che sia uno studente burlone che ti sta giocando uno scherzo di pessimo gusto.» Eve scosse la testa. «Okay, escludiamolo pure. Resta sempre la possibilità che sia l'assassino di quella gente a Talladega, ma non abbia ucciso Bonnie e voglia prendersene il credito, come accusa Fraser di aver fatto. O sia semplicemente uno di quei maniaci che confessano qualunque delitto senza avere niente a che fare con nessuno di essi.» «Questo lo sapremo presto», mormorò Eve. «Se trovano quei due bambini a Talladega...» «Li stanno già cercando. Mi sono messo in contatto con Robert Spiro subito dopo che mi hai chiamato.» «Chi è questo Robert Spiro?» «Un agente della sezione scienze comportamentali dell'FBI. Fa parte della squadra mandata a Talladega. Un tipo in gamba.» «Lo conosci?» «Quando ero al Bureau era anche lui nella sezione investigativa. È passato a occuparsi dei profili psicologici un anno dopo che ho dato le dimissioni. Ha detto che mi chiamerà subito se trovano qualcosa.» «No.» Eve posò la tazza e gettò da parte il plaid. «Devo andare a Talladega.»
«Hai bisogno di riposare.» «Stronzate. Si sono lasciati sfuggire quei corpi una volta, ma non lascerò che facciano di nuovo lo stesso errore.» Si alzò in piedi. Gesù, aveva le gambe molli. Niente di grave. Un po' di movimento avrebbe migliorato la situazione. «Posso prendere la jeep?» «Solo se prendi anche me con lei.» Joe si infilò il giubbotto. «E se aspetti che abbia preparato abbastanza caffè da riempire un thermos. Fa freddo fuori. Non siamo a Tahiti, qui.» «E hai paura che io sia ancora sotto choc.» Lui le sorrise andando verso il cucinotto. «No, sei quasi tornata normale.» Non si sentiva affatto normale. Dentro tremava ancora, e le sembrava di avere tutti i nervi scoperti. Joe probabilmente lo sapeva, ma aveva avuto il tatto di fare finta di niente. Doveva fare finta di niente anche lei. Una cosa alla volta. In primo luogo, scoprire se quel bastardo aveva mentito su Talladega. In tal caso, poteva aver mentito anche su Bonnie. Ma se invece avesse detto la verità? Quando giunsero alle cascate di Talladega era mezzanotte passata, ma i fasci di luce dei riflettori e le lanterne che costellavano le creste circostanti rischiaravano la zona a giorno. «Vuoi aspettare qui?» domandò Joe scendendo dalla jeep. Lei stava fissando una cresta rocciosa. «È lassù che li hanno trovati?» «Il primo scheletro è stato scoperto sul crinale successivo, gli altri lì. La bambina era la più vicina alla gola.» Joe evitò di guardarla. «È solo una buca nel terreno. Non c'è più niente là.» Ma una bambina era stata seppellita in quel punto per tutti quegli anni. Una bambina che poteva essere Bonnie. «Devo vederlo.» «Lo immaginavo.» «Allora perché hai chiesto se volevo aspettare qui?» Eve scese dalla macchina e si incamminò. «Il mio istinto protettivo.» Joe accese la torcia elettrica e la seguì. «Ormai dovrei saperlo che con te è fatica sprecata.» «Infatti.» C'era stata una gelata quella sera, e il terreno scricchiolava sotto i suoi piedi. Stava camminando sulle orme dell'assassino mentre portava le sue vittime alle loro tombe? Poteva sentire il fragore della cascata. Poi, raggiungendo la cima, la vide riversarsi attraverso la gola in una lunga striscia argentea. Fatti forza, Eve.
Non voltare la testa, pensò. Non ancora. «Alla tua sinistra», disse quietamente Joe. Trasse un respiro profondo e strappò lo sguardo dalla cascata. Vide del nastro giallo e poi... la fossa. Piccola. Così piccola. «Tutto okay?» Joe l'aveva presa per un gomito, pronto a darle sostegno. No, non era affatto tutto okay. «Era sepolta qui?» «Pensiamo di sì. È qui che è stata trovata, e siamo abbastanza sicuri che lo smottamento di fango l'abbia soltanto scoperta.» «Era qui. È stata qui, per tutto questo tempo...» «Potrebbe non essere Bonnie.» «Lo so», replicò Eve con voce atona. «Smettila di ricordarmelo.» «Devo farlo. Non posso permetterti di dimenticarlo.» Il dolore era troppo forte. Doveva arginarlo. «È bello, qui.» «Bellissimo. Lo sceriffo dice che gli indiani chiamavano le cascate 'il posto della luce di luna scrosciante'.» Eve sospirò. «Ma lui non li ha sotterrati qui perché era bello. Voleva nasconderli dove non potessero essere trovati e portati a casa dalle persone che li amavano.» «Non credi di essere stata qui abbastanza?» «Dammi un minuto ancora.» «Tutto quello che vuoi.» «Dio, spero che non l'abbia fatta soffrire», disse lei in un bisbiglio tremante. «Spero che sia finito tutto in fretta.» «Basta così.» Joe la sospinse via dalla fossa. «Mi spiace, pensavo di poterlo sopportare, ma non ci riesco. Devo portarti via da...» «Fermi dove siete. Non muovete un muscolo.» Un uomo alto e magro stava camminando verso di loro lungo il ciglio del dirupo. Teneva una torcia in una mano e una pistola nell'altra. «Identificatevi.» «Spiro?» Joe si mise davanti a Eve. «Sono Joe Quinn.» «Che ci fai qui?» lo apostrofò brusco Robert Spiro. «È un buon modo per farsi sparare. Stiamo presidiando la zona.» «L'FBI? Pensavo che foste qui soltanto come consulenti.» «Inizialmente, sì. Ma adesso abbiamo preso in mano noi le indagini. Lo sceriffo Bosworth non ha fatto obiezioni. È stato ben contento di scaricarci il caso.» «Pensate che l'assassino possa farsi vivo? È per questo che state sorve-
gliando le fosse?» Spiro la sbirciò. «E lei chi è?» Joe fece le presentazioni: «Eve Duncan. L'agente Robert Spiro». «Oh, lieto di conoscerla, signora Duncan.» Spiro ripose la pistola nella fondina e sollevò la lanterna per guardarla in faccia. «Spiacente di averla spaventata, ma Quinn avrebbe dovuto avvertirmi del vostro arrivo.» Spiro era vicino alla cinquantina, con occhi scuri e infossati e capelli castani che recedevano marcatamente verso la sommità del cranio, accentuando la fronte spaziosa. Profondi solchi mettevano tra parentesi una bocca dalla piega amara, e l'espressione complessiva del suo volto era quanto di più cinico e disilluso Eve avesse mai visto. «Pensate che tornerà?» ripeté. «So che non è insolito che un serial killer ritorni dove ha nascosto le sue vittime.» «Sì, anche i più scaltri non sanno resistere a quell'ultimo brivido», rispose Spiro. Poi si rivolse a Joe: «Non abbiamo ancora trovato niente. Sei sicuro che l'informazione sia fondata?» «Sì, è fondata. Vi fermerete finché fa giorno?» «No. Lo sceriffo Bosworth ha detto che i suoi uomini conoscono la gola come le loro tasche.» Guardò di nuovo Eve. «Fa freddo vicino alla cascata. Le conviene andarsene.» «Aspetterò che abbiate trovato i bambini.» «Si accomodi. Ma l'avverto, potrebbe essere una lunga attesa.» Spostò lo sguardo su Joe. «Ho bisogno di parlare con te a proposito di quella 'fondata' informazione. Facciamo due passi?» «Non lascerò Eve da sola.» «Charlie!» chiamò Spiro da sopra una spalla, e un attimo dopo apparve un uomo con una torcia. «Joe Quinn, Eve Duncan... l'agente Charles Cather. Charlie, accompagna la signora Duncan alla sua macchina e resta con lei fino al ritorno di Quinn.» Charles Cather annuì. «Venga con me, signora Duncan.» «Non ci metterò molto, Eve.» Joe si rivolse a Spiro. «Se dobbiamo camminare, andiamo alla base operativa.» «Come vuoi.» Spiro si avviò lungo il crinale. Eve li guardò allontanarsi. La stavano tagliando fuori, ed era tentata di seguirli. «Signora Duncan?» la sollecitò con garbo Charles Cather. «Starà più comoda in macchina. Deve aver freddo qua fuori.» Eve abbassò gli occhi alla buca nel terreno. Sì, aveva freddo. Si sentiva
gelata, stanca e vuota. La vista di quella fossa l'aveva straziata, e aveva bisogno di un po' di tempo per riprendersi. Inoltre, Joe non avrebbe permesso che fosse lasciata da parte a lungo. Si incamminò giù per il versante. «Venga, ho del caffè caldo nella jeep.» «Potrei averne un'altra tazza?» Charlie Cather si allungò sul sedile accanto al posto di guida. «Sono intirizzito. Spiro dice che ho bisogno di temprarmi, ma vorrei vedere lui, se fosse nato e cresciuto nel sud della Georgia.» Eve gli versò dell'altro caffè. «Georgia? Dove, di preciso?» «Valdosta. C'è stata?» «No, ma ho sentito parlare dell'università. Andava mai a Pensacola? Io ci portavo sempre mia figlia in vacanza.» «Come no. Ogni volta che potevo. Bella spiaggia.» «Sì. L'agente Spiro da dove viene?» «New Jersey, credo. Non è uno che parla molto.» Fece una smorfia. «Non con me, almeno. Io sono un novellino, e lui è al Bureau da una vita.» «Joe sembra rispettarlo.» «Oh, anch'io, se è per quello. Spiro è un ottimo agente.» «Ma non le piace?» «Non ho detto questo.» Esitò. «Spiro si occupa di profili psicologici da quasi dieci anni. Uno non può uscirne indenne.» «In che senso?» «Nel senso che... ti logora. Gli specialisti in profili di solito socializzano soltanto tra di loro. Immagino che un uomo che scruta mostri tutti i sacrosanti giorni, alla lunga finisca per avere difficoltà a parlare con chi non fa altrettanto.» «Lei non si occupa di profili?» Lui scosse la testa. «Non ancora. Mi hanno appena preso in squadra, e sono ancora in addestramento. Sono qui a fare il galoppino per Spiro.» Bevve un sorso di caffè e aggiunse in tono sommesso: «Ho visto la sua foto sul giornale». «Sì?» «Mi dispiace se è la sua bambina quella che hanno trovato lassù.» «So da tanto tempo che non c'era nessuna speranza. Voglio solo portare Bonnie a casa e seppellirla degnamente.» Charlie annuì. «Mio padre è stato dato per morto in Vietnam, ma non hanno mai trovato il suo corpo. Io ero ancora un bambino, ma mi ango-
sciava saperlo lì sperduto da qualche parte, abbandonato nella giungla. Non mi sembrava giusto.» «No, non lo è.» Eve distolse lo sguardo. «E mia figlia non era nemmeno in guerra.» «No? A me sembra che ci siano guerre dappertutto. Non si può nemmeno mandare un bambino a scuola senza preoccuparsi che un suo compagno possa arrivare in classe armato di mitra. Bisogna fare qualcosa. È per questo che sono entrato nell'FBI.» Eve sorrise. «Sono certa che lei farà trionfare il Bene, Charlie.» Lui contrasse un angolo della bocca in un'espressione autoironica. «Suonava piuttosto infantile, vero? Mi rendo conto di essere un ingenuo, in confronto a Spiro. A volte ho la sensazione che mi consideri un bambino dell'asilo. È abbastanza demoralizzante.» Eve non stentava a crederlo. Supponeva che una persona dovesse invecchiare in fretta, facendo un lavoro come quello di Spiro. «Lei è sposato, Charlie?» «Sì, dall'anno scorso. Mia moglie si chiama Martha Ann.» A un tratto un sorriso gli illuminò il volto. «È incinta.» «Congratulazioni.» «Avremmo dovuto avere il buon senso di aspettare, ma eravamo entrambi impazienti di avere un bambino. Ce la caveremo.» «Ne sono sicura.» Si sentiva meglio. La vita non era fatta solo di mostri e tombe. C'erano persone come Charlie e Martha Ann e il bambino in arrivo. «Vuole ancora del caffè?» «Meglio di no. Le ho quasi svuotato il thermos...» «Tira giù il vetro.» Era Joe, la faccia premuta contro il cristallo appannato. Eve abbassò il finestrino. «Li hanno trovati», annunciò Joe. «O almeno, hanno trovato delle ossa. Le stanno portando alla base operativa.» Eve saltò giù dalla jeep. «Bambini?» «Non lo so.» «Due?» «Ci sono due teschi.» «Intatti?» Joe annuì. «Allora potrò dire qualcosa a un primo esame. Andiamo.» «C'è modo di dissuaderti?»
Lei si stava già inerpicando. «Accompagnami.» La barella era appesa con un'imbracatura a una carrucola, e la stavano issando lentamente verso il ciglio della gola. Eve fissò i due fagotti avvolti in una coperta. «Avete cercato di tenere i corpi separati?» domandò a Spiro. «Abbiamo fatto il possibile. Non giurerei che le ossa non siano mischiate. Sembra che gli scheletri siano stati trascinati giù dal fango.» La barella raggiunse la sommità della scarpata e venne deposta a terra. Spiro vi si inginocchiò accanto e scostò i lembi di una coperta. «Che ne pensa?» «Datemi un po' più di luce.» Eve si inginocchiò al suo fianco. Così tante ossa. Scheggiate, rotte. Come le ossa di un animale dopo che i carnivori... Controllati, pensò. Sii professionale. Il teschio. Lo prese tra le mani e lo esaminò. Niente denti. Joe le aveva detto che gli altri teschi erano stati privati dei denti. Ignora la terrificante immagine dell'assassino che li strappa, si disse. Concentrati. «È un bambino. Maschio, preadolescente. Razza caucasica.» «Ne è sicura?» chiese Spiro. «No. L'antropologia non è la mia specialità, ma potrei scommetterci. Ho fatto centinaia di ricostruzioni su bambini di questa età.» Posò delicatamente il teschio e aprì l'altra coperta. Conteneva meno ossa, e il teschio sembrava fissarla. Portami a casa. Dimenticato. Troppi dimenticati. «Qualcosa che non va?» domandò Spiro. «Lasciala in pace, Spiro», disse Joe. «No, niente.» Un mondo capace di distruggere bambini, ecco cosa non andava. «Lo stavo solo studiando.» Prese in mano il teschio. «Anche questo un maschio, preadolescente, caucasico. Forse un po' più grande dell'altro.» Posò il teschio e si alzò. «Dovrete rivolgervi a un antropologo forense per la conferma.» Si rivolse a Joe: «Sono pronta per andare.» «Alleluja.» «Aspetti», la trattenne Spiro. «Joe mi ha detto della telefonata. Ho bisogno di parlare con lei.» «Allora vieni a trovarla a casa mia.» Joe la stava già sospingendo giù per la china. «Noi ce ne andiamo.» «Devo parlarle subito.»
Joe gli lanciò un'occhiata. «Non insistere», lo ammonì a voce bassa. «Non te lo permetterò, Spiro.» L'agente esitò. «Immagino di poter aspettare. Dio sa se non ho già abbastanza da fare qui.» Eve salì in macchina lasciando il posto di guida a Joe. «Non c'era bisogno di farne una questione. Potevo benissimo parlargli adesso.» «Sì, certo.» Joe premette sull'acceleratore. «E avresti potuto restare lassù a fissare quelle ossa. O magari tornartene a contemplare la fossa di quella bambina. E quand'è che ti metterai a saltare grattacieli d'un balzo? Non hai bisogno di sottoporti ad altre torture per dimostrare di essere una donna eccezionale.» Eve abbandonò il capo contro il poggiatesta. Dio, com'era stanca. «Non sto cercando di dimostrare un bel niente.» Lui rimase in silenzio per un momento. «Lo so. Sarebbe più facile, se fosse così.» «Era vero. C'erano altri due bambini lassù. Potrebbe aver detto la verità anche su Bonnie.» «Una verità non ne garantisce un'altra.» «Ma rende più plausibile quel che mi ha detto.» Un altro silenzio. «Sì.» «E se è vero, è rimasto per tutto questo tempo libero. Libero di camminare, respirare, godersi la vita. Quando Fraser è stato giustiziato, almeno avevo la consolazione di pensare che l'assassino di Bonnie era stato punito. Ma era tutta una menzogna.» «Stai saltando alle conclusioni.» Ma lei aveva la terribile sensazione che questa volta non si sbagliava. «C'erano due ragazzini preadolescenti che Fraser aveva confessato di avere ucciso. John Devon e Billy Thompkins.» «Sì, ricordo.» «Ci basta identificarne solo uno per stabilire un nesso tra Fraser e quello della telefonata. Devi convincere Spiro a darmi uno di quei teschi da ricostruire.» «Potrebbero esserci intoppi burocratici. L'FBI ha il suo modo di fare le cose.» «Tu conosci Spiro. Eri nell'FBI. Puoi trovare il modo di aggirare gli ostacoli.» «Ci proverò.»
«Fallo.» Eve sorrise senza traccia di allegria. «Altrimenti vi ritroverete con un altro scheletro scomparso. Se non posso avere Bonnie, avrò uno di quei bambini, in una maniera o nell'altra.» «Stai già pensando a lei come Bonnie.» «In qualche modo devo chiamarla.» «Nella lista di Fraser c'era un'altra bambina all'incirca della sua età.» «Doreen Parker.» Eve chiuse gli occhi. «Accidenti a te, Joe.» «Ci tieni troppo. Non voglio doverti raccogliere con il cucchiaino, se poi non è lei.» «Tu pensa a farmi avere un teschio.» Joe imprecò sottovoce per la frustrazione. «Vedrò di procurartelo. Spiro dovrebbe essere grato di qualunque aiuto su questo caso.» «Allora guadagniamoci la sua riconoscenza. Avremo bisogno di lui. Ne sa parecchio di mostri.» «Anche tu.» Solo un mostro. Quello che aveva dominato la sua vita da quando Bonnie era scomparsa. Aveva dato al mostro il nome di Fraser, e adesso scopriva che poteva non chiamarsi nemmeno così. «Non abbastanza. Ma dovrò imparare.» «Sei proprio sicura che si metterà ancora in contatto con te?» «Mi chiamerà.» Eve sorrise amaramente. «Come ha detto, tra noi c'è un legame.» QUATTRO «Tu va' a dormire», disse Joe mentre entravano in casa. «Io chiamo Spiro per la richiesta del teschio.» Eve diede un'occhiata all'orologio. Erano quasi le quattro del mattino. «Non credo che sarà di umore molto accomodante se lo svegli.» «Dubito che stia dormendo. Quando sta seguendo un caso parte alla carica e non si ferma finché non lo ha risolto. È molto motivato.» «Bene.» Eve si diresse alla sua camera da letto. «Io credo fermamente nell'essere motivati.» «Ma non mi dire», borbottò Joe, andando al telefono sul tavolino. «Su, vatti a riposare. Vedrò di rimediarti il tuo teschio.» «Grazie, Joe.» Eve si chiuse la porta alle spalle e passò nella stanza da bagno. Una doccia e subito a letto. Non pensare a Bonnie. Non pensare a quei due bambini. Non cercare di trarre conclusioni. Tutto questo poteva
aspettare finché non si fosse ritemprata e ripresa dall'orrore e dallo choc. Il giorno dopo avrebbe tentato di mettere insieme i pezzi. «Hai un aspetto spaventoso», commentò Joe. «Non sei riuscita a dormire?» «Qualche oretta. Il mio cervello non voleva smettere di macchinare. Spiro mi darà un teschio?» «Non si è compromesso. Ha detto che ne discuteremo dopo che avrà parlato con te.» «Verrà qui?» «Questo pomeriggio alle tre.» Joe guardò l'orologio. «Cioè tra mezz'ora. Hai giusto il tempo di fare colazione... o pranzare, a tua scelta.» «Mi basta un sandwich.» Eve andò al frigorifero. «Non riesco a scaldarmi. Ho preso in prestito un'altra delle tue camicie di flanella.» «Ho notato. Sta meglio a te.» Joe si sedette al bancone e la guardò preparare un sandwich con prosciutto e formaggio. «Sai, mi sembra così naturale vederti girare per casa mia e usare le mie cose. Nel corso degli anni mi sono abituato ad averti intorno. Non so... ci sto comodo.» Lei annuì, comprendendo perfettamente quel che intendeva dire. La vicinanza di Joe era confortevole come la sensazione della sua camicia morbida e calda sulla sua pelle. «C'è qualcosa che devo dirti.» Joe scosse la testa quando lei alzò lo sguardo, allarmata. «No, niente di terribile. Ma è bene che tu lo sappia.» «Che sappia cosa?» «Mark Grunard ha scoperto dove stai.» Eve corrugò la fronte. «Mark Grunard?» «Giornalista televisivo. Deve aver passato giorni a scavare negli archivi per trovare questa casa. Mai sentito nominare?» Lei assentì lentamente. «Lavora per Channel Three. Cronaca nera. Me lo ricordo dal processo Fraser.» Fece una smorfia. «Per quanto mi riesca di ricordare qualcuno o qualcosa che non fosse Fraser.» «Ti avevo detto che avrei dovuto trovare il modo di depistare i reporter. Da solo non ci sarei riuscito, così ho concluso un accordo con Grunard.» «Che genere di accordo?» «Ieri sera durante il notiziario delle sei ha fatto un servizio sullo stato delle tue ricerche. Ha mostrato una fotografia di questo cottage, esprimendo il suo disappunto che non fosse questo il tuo nascondiglio, e ha aggiunto che però ha avuto un'informazione secondo la quale ti troveresti su una
casa galleggiante al largo della Florida. Subito dopo essere andato in onda è saltato su un aereo per Jacksonville, e sarei pronto a scommettere che metà dei reporter della città lo abbia seguito.» «E che cosa hai dovuto promettergli?» «Un'esclusiva. Manterrà il silenzio finché saremo pronti a rilasciargli un'intervista. Ma nel frattempo dovrai incontrarlo un paio di volte.» «Quando?» «La prima abbastanza presto. Ha già pagato la sua prima rata, e vorrà qualcosa in cambio. Hai qualcosa contro Grunard?» Lei cercò di ricordare Mark Grunard più chiaramente. Più vecchio di loro, con le tempie brizzolate e il calore di Peter Jennings. «No, direi di no.» Sorrise. «Che cosa avresti fatto se ti avessi detto che non lo sopporto?» «Lo avrei scaricato.» Joe le strizzò l'occhio. «Ma mi rende la vita più facile non dover tornare sulla parola data. Dai, finisci il tuo sandwich.» «Sto mangiando.» Addentò un altro boccone. «Che cosa ti ha indotto a scegliere Grunard? Lo conosci bene?» «Abbastanza. Di tanto in tanto beviamo qualcosa insieme da Manuel's. Ma a dire il vero è stato lui a scegliere me. Ieri mattina l'ho trovato che piantonava la Georgia State quando sono passato a prendere il teschio, e mi ha fatto una proposta che non potevo rifiutare.» «Pensi che possiamo fidarci di lui?» «Non dobbiamo fidarci di lui. Finché pensa di avere il suo tornaconto, ti garantisco che seminerà specchietti per le allodole per tutto il Sud.» «Immagino che non ci si possa aspettare più di...» Qualcuno bussò alla porta. «Spiro.» Joe andò ad aprire. «Accidenti, ti avevo detto di finire quel sandwich.» «Dittatore.» Eve spinse via il piatto mentre Joe faceva entrare Robert Spiro. «Signora Duncan...» L'agente dell'FBI la salutò con un educato cenno del capo, poi si rivolse a Joe: «È tutta la mattina che respingo gli assalti dei giornalisti. Vogliono che spieghi come facevo a sapere che c'erano altri due scheletri in quella gola.» «E tu che gli hai detto?» «Che sono un sensitivo», rispose in tono agro. «Tanto, nonostante tutti i nostri sforzi per far capire che stendere i profili psicologici dei serial killer è una specialità del tutto scientifica, la gente crede ancora che ci sia qualcosa di inquietante nella nostra unità.» Spiro volse lo sguardo a Eve. «Ha
qualcosa da aggiungere a quanto mi ha detto Quinn?» Eve guardò interrogativamente Joe. Lui scosse la testa. «Gli ho detto tutto.» «Allora non c'è altro», disse Eve. «Eccetto che chiamerà ancora.» «Forse.» «Sicuramente. E vorrei che foste pronti. Può far mettere il telefono sotto controllo?» «Non ci ha già pensato Joe?» «Sono stato un tantino occupato la notte scorsa», fece notare lui, asciutto. «Inoltre, convincere il mio dipartimento a intercettare le chiamate non sarà semplice, visto che la polizia di Atlanta sta facendo di tutto per evitare di essere coinvolta.» «Una battaglia persa in partenza, se quei due bambini sono chi noi pensiamo», commentò Spiro. «Lasci che me ne accerti», intervenne Eve. «Mi dia un teschio.» Spiro rimase in silenzio. «Me lo dia.» «Potrebbe essere pericoloso coinvolgerla ulteriormente.» «Non potrei essere più coinvolta di così.» «Sì, potrebbe, se quell'uomo che l'ha chiamata è veramente l'assassino di quei poveracci a Talladega. Per il momento lui la vede come una vittima passiva, e prova un meraviglioso senso di potere. Per lui questo potrebbe anche essere sufficiente. Ma se appena passa all'azione contro di lui, potrebbe arrabbiarsi e volere a tutti i costi riaffermare la sua supremazia.» «Non gli basta, mi creda.» Eve lo guardò dritto negli occhi. «E io non sarò una vittima passiva. Quel figlio di puttana ha le ossa di Bon... di quella bambina. L'ha uccisa lui.» «È possibile.» «È molto probabile. Sapeva di quei due ragazzini. Potete prelevare abbastanza DNA per le analisi?» «Ci stiamo provando. Le ossa sono piuttosto malridotte e...» «E poi si perderà ancora un sacco di tempo aspettando che i campioni vengano analizzati. Datemi un teschio.» Spiro inarcò le sopracciglia e guardò Joe. «Ostinata.» «Non immagini quanto. Ti conviene accontentarla.» «Ne sarai tu responsabile, Quinn? Non scherzo, quando dico che qualunque iniziativa potrebbe scatenare l'aggressività dell'assassino.» «Io sono la sola responsabile di me stessa», ribatté Eve. «Datemi un te-
schio.» Spiro sorrise debolmente. «Sarei tentato di farlo, se non sapessi quanto...» Il telefono squillò. Joe scattò verso l'apparecchio vicino alla porta. «Aspetta», lo fermò Spiro, poi fece un cenno a Eve. «Risponda lei. C'è un'altra derivazione?» «In cucina», disse Joe. Spiro corse all'altro apparecchio, ed Eve sollevò la cornetta al suo segnale. «Pronto?» «Ascolta attentamente.» La voce era inconfondibile. «Immagino che a quest'ora avrai il telefono sotto controllo, e non starò a lungo in linea. D'ora in avanti ti chiamerò al tuo telefono cellulare.» Ridacchiò sommessamente. «Ti è piaciuta la gita a Talladega? Notte freddina, vero?» Chiuse la comunicazione. Eve mise giù lentamente la cornetta e si volse verso Spiro. «Usava un distorsore vocale», osservò l'agente. «La voce suonava così anche l'altra volta?» «Sì.» «Interessante.» «Sapeva che sono stata a Talladega. Deve averci seguiti.» «Oppure sta bluffando.» Lei rabbrividì. «No, non credo.» «Nemmeno io. Le darò il suo teschio. A questo punto non farà nessuna differenza. Attuerà il suo scenario, indipendentemente da quel che facciamo.» «Come fai a dirlo?» chiese Joe. «Ci sono due tipi di serial killer. Quello disorganizzato e quello organizzato. Il killer disorganizzato è spontaneo, improvvisa, spesso lascia indizi per noncuranza. Talladega presenta alcuni dei segni che contraddistinguono un killer organizzato. Corpi nascosti e trasportati. Arma del delitto e tracce assenti. Probabilmente troveremo altre indicazioni andando avanti. L'uomo che le telefona prende precauzioni per evitare il riconoscimento. Non c'è niente di avventato nel suo modo di agire, il che rientra nello schema abituale.» «Qual è lo schema abituale?» domandò Eve. «Intelligenza media o superiore alla media, conoscenza delle procedure di polizia, eventualmente persino attinenza con la polizia. Possiede una
macchina in buone condizioni, viaggia frequentemente, di norma commette i delitti al di fuori della sua zona di residenza. È inserito socialmente, ha buone capacità verbali che utilizza per...» «Può bastare.» Eve scosse la testa. «Lei mi scoraggiava dal trarre conclusioni, ma era convinto fin dall'inizio che quest'uomo sia il mostro di Talledega, non è così?» «Il mio lavoro è smontare qualunque congettura e analizzarla sotto ogni possibile aspetto.» Spiro si diresse alla porta. «Quando richiamerà, si scriva tutto non appena riattacca. Le telefonate sui cellulari sono difficili da rintracciare, ma farò mettere sotto controllo il telefono di casa. Potrebbe decidere di chiamare su quella linea, se non riesce a raggiungerla sul suo cellulare.» «Come può trovare il numero del mio cellulare? Non mi spiego nemmeno come faccia a sapere che ne ho uno. Ma del resto, anche il numero di Joe qui al lago non è in elenco.» «Un modo c'è sempre, se si è abbastanza determinati e abbastanza svegli. Come ho già detto, una delle caratteristiche del serial killer organizzato è un quoziente di intelligenza medio-alto. Ma lei ha ragione. Una delle prime cose che farò sarà controllare con le compagnie telefoniche se è stata individuata qualche infiltrazione nelle loro banche dati.» Si fermò sulla soglia. «Ho un teschio in macchina. Vieni fuori a prenderlo, Joe.» «Che cosa deve dire a Joe che non vuole che io senta?» Spiro esitò. «Che manderò Charlie a sorvegliare la casa mentre lei lavora al teschio. Devo tornare a Talladega per incontrarmi con Spalding della squadra speciale dell'FBI che si occupa di serial killer che uccidono bambini e spiegare perché gli sto pestando i piedi dandole un teschio. Potrebbero avere già un loro scultore forense di fiducia.» «Non ho bisogno di Charlie. C'è qui Joe.» «Un po' di protezione in più non guasta. E un bel po' sarebbe meglio ancora. Cercherò di provvedere al più presto. Un altro segno distintivo del serial killer organizzato è che studia la sua vittima. Però la vittima rimane quasi sempre un estraneo. Mi sconcerta un po' che stia cercando di stabilire un legame intimo con lei.» «Sarà senz'altro dolente di scombinare il suo bel profilo», commentò ironicamente Eve. «Può darsi che non giocherà secondo le sue regole.» Spiro assunse un'espressione torva. «Non se lo auguri. La prevedibilità delle sue mosse potrebbe essere la nostra unica possibilità di prenderlo.» «Quando arriverà Charlie?»
«Tra un paio d'ore. Perché?» «Voglio che Joe torni ad Atlanta a prendermi le fotografie di quei due bambini. Mi servono per il confronto una volta finita la ricostruzione.» Spiro scosse la testa. «Meglio che Joe rimanga qui. Mi farò faxare le fotografie a Talladega dal Bureau e gliele porterò io stesso.» «Grazie.» «Non mi ringrazi. Dovrei consigliarle di lasciare questo posto e andare in città. È troppo isolata qui.» «Ho bisogno dell'isolamento per lavorare su quel teschio.» «E io ho bisogno di mettere le mani su quel killer.» Scrollò le spalle. «Per cui, immagino di essere disposto a rischiare la sua pelle per prenderlo.» «Carino», osservò Joe. Spiro si girò di scatto verso di lui, perdendo improvvisamente le staffe. «Non ci provare, Joe. Vi ho avvertiti entrambi dei pericoli di lavorare su quel teschio, e non avete voluto sentire ragioni. Adesso non biasimarmi se faccio tutto quel che posso per prendere quel bastardo. Ho appena passato una settimana a guardare quelle nove fosse. Dio sa quanta altra gente ha ucciso. Hai idea di quanti serial killer ci sono là fuori? Probabilmente ne prendiamo uno su trenta. Quelli stupidi. Quelli che fanno errori. Quelli furbi se ne vanno in giro liberi di continuare a uccidere, e questo qui è uno di loro. Ma stavolta abbiamo una possibilità. Non so perché, ma ci sta offrendo una chance, e dannazione, puoi stare certo che la prenderò al volo!» «Okay, okay.» Joe alzò le mani in segno di resa. «Ma non aspettarti che ti permetta di usare Eve come esca.» «Scusatemi.» Spiro lottò per riguadagnare il controllo di se stesso. «Non volevo... Forse ho bisogno di una vacanza.» «Non mi stupirebbe, con il lavoro che fai», disse Joe. «Cristo, sono ancora in buono stato, in confronto a tanti altri. Metà dei miei colleghi hanno bisogno di terapia. Comunque, mi raccomando: prudenza. Non mi piace questa storia. C'è qualcosa...» Scosse la testa. «Vieni a prenderti il tuo dannato teschio.» Eve andò alla finestra e osservò Spiro aprire il bagagliaio della sua auto, tirarne fuori un piccolo involto di stoffa e consegnarlo a Joe. Come avvertendo il suo sguardo su di sé, l'agente alzò la testa e le sorrise sardonicamente. La salutò con un cenno della mano e chiuse il cofano. Che cosa aveva detto Charlie di lui? Un uomo che scruta mostri.
Lei sapeva bene come questo potesse spingere verso l'orlo del precipizio, e non per sentito dire. Joe rientrò in casa e chiuse la porta. «Be', ci sei riuscita. Suppongo che tu voglia cominciare subito.» Eve annuì. «Mettilo sul piedistallo. Fa' attenzione. Non so fino a che punto possa essere danneggiato.» Joe liberò il teschio dal pezzo di stoffa e lo sistemò al suo posto. «È il bambino più piccolo», osservò Eve. «Qual è il suo nome?» «John Devon. Se è una delle vittime di Fras...» «Adesso basta con i se, Joe. So che cosa cerchi di fare, ma serve solo a deconcentrarmi.» Si avvicinò di più al piedistallo e fissò il piccolo, fragile teschio. Povero bambino. «John Devon», bisbigliò. Portami a casa. Si aggiustò gli occhiali sul naso e andò al suo banco di lavoro. «Si sta facendo buio. Vuoi accendere le luci? Devo cominciare le misurazioni.» Spiro arrivò al cottage poco prima di mezzogiorno. «Ho le foto», annunciò sventolando una busta marrone. «Vuole vederle?» «No.» Eve si pulì le mani in un panno. «Non guardo mai le fotografie prima di aver finito. Potrebbero influenzarmi.» Spiro osservò il teschio con sguardo critico. «Per il momento non vedo alcuna somiglianza con nessuno dei due bambini. Più che altro mi ricorda una vittima della tortura dell'Inquisizione spagnola, con quegli stecchini che spuntano fuori da tutte le parti. Che cosa sono?» «Indicatori di profondità. Misuro il teschio e taglio ogni indicatore alla lunghezza giusta e poi lo incollo sulla faccia nel suo punto specifico. Ci sono oltre venti punti del cranio di cui si conosce lo spessore dei tessuti.» «E poi?» «Prendo strisce di plastilina e le applico tra gli indicatori, creando il giusto spessore. Terminata questa operazione, comincio il processo di riempimento e livellamento.» «È incredibile che lei riesca a ricostruire una fisionomia con un così basso margine di errore soltanto in base a delle misurazioni.» «Le misurazioni ti portano solo fino a un certo punto. Poi devono subentrare la tecnica e l'istinto.» Spiro sorrise. «Sono certo che lei sia ben provvista di entrambe le cose.» Si volse verso di lei, facendosi serio. «Ha ricevuto altre telefonate?» «No.»
Lui girò lo sguardo attorno. «Dov'è Quinn?» «Qua fuori da qualche parte.» «Non avrebbe dovuto lasciarla sola.» «Non si è allontanato da me per più di cinque minuti nelle ultime ventiquattr'ore. Gli ho detto di andare a farsi un giro.» «Non avrebbe dovuto darle ascolto. Non è...» «Che fine ha fatto Charlie?» lo interruppe Eve. «È da ieri sera che Joe cerca di rintracciarlo. Ha chiamato a Talladega, e gli hanno detto che era partito per venire da noi, ma qui non si è visto.» «L'ho mandato a Quantico a fare rapporto su Talladega. Sarà qui stasera. Mi spiace che sia stata in ansia. Sapevo che c'era Quinn a farle la guardia, e ho fatto venire un'auto a pattugliare la zona.» «Io avevo troppo da fare per essere in ansia. È Joe che si è innervosito. Ma avrei pensato che facesse lei stesso i suoi rapporti.» «L'anzianità di servizio presenta alcuni vantaggi. Cerco di evitare Quantico, se posso. Preferisco stare sul campo.» Sorrise. «E Quinn solitamente è più che all'altezza della situazione. All'FBI è dispiaciuto molto perderlo.» Il suo sguardo tornò a posarsi sul teschio. «Per quando pensa di finire?» «Domani, forse. Non so.» «Sembra stanca.» «Non più di tanto.» Eve si tolse gli occhiali e si fregò le palpebre arrossate. «Mi bruciano solo un po' gli occhi. È un lavoro che affatica la vista.» «Non ce la farà prima di domani?» Lo guardò sorpresa. «Ho dovuto insistere perché mi lasciasse fare la ricostruzione, e adesso mi mette fretta?» «Devo sapere se è John Devon. Almeno avrò qualcosa da cui partire», borbottò. «È una gran brutta gatta da pelare, e ho una sensazione...» «Una di quelle 'inquietanti' percezioni da agente speciale della sezione profili?» «Okay, di tanto in tanto mi capita di avere dei presentimenti. Non c'è niente di occulto in questo.» «Immagino di no.» Spiro andò alla finestra e guardò fuori. «Questo killer mi preoccupa parecchio. Quei corpi sono stati sotterrati diversi anni fa, e già allora era molto accorto. Che cosa ha fatto in questi anni? Che cosa ha fatto prima di Talladega? Da quanto tempo va avanti?» Eve scosse la testa. «Sa, mi sono chiesto spesso che cosa possa diventare un serial killer se
gli si permette di andare avanti per molto tempo. Si evolve? Quante volte si può uccidere prima di trasformarsi da mostro in supermostro?» «Supermostro? Sembra qualcosa uscito dai fumetti.» «Non credo che lo troverebbe comico, se mai dovesse trovarsi ad affrontarlo.» «Intende dire che un serial killer con gli anni diventa più scaltro?» «Più scaltro, più esperto, più arrogante, più determinato, più incallito.» «Ha mai avuto a che fare con uno di questi supermostri?» «Non che io sappia.» Si girò verso di lei. «Ma del resto, un supermostro non si mimetizzerebbe con l'ambiente circostante? Lo si potrebbe incontrare per strada senza sospettare minimamente di lui. Bundy, se lo si fosse lasciato continuare abbastanza a lungo, avrebbe potuto diventare un supermostro. Ne aveva i requisiti di base, ma era troppo incauto.» «Come può essere così clinico?» «Se si lascia spazio alle emozioni, si finisce immediatamente in svantaggio. L'uomo che le ha telefonato non esiterebbe a reprimere le proprie emozioni, se lo intralciassero. Ma prenderebbe le sue. Fa parte del gioco di potere.» Scosse la testa. «Non gli lasci sentire la sua paura. Se ne nutrirebbe.» «Io non ho paura di lui.» Spiro la studiò per un momento. «Credo che stia dicendo la verità. Perché non ha paura? Dovrebbe averne. Tutti hanno paura di morire.» Eve non rispose. «Ma forse lei no», disse lentamente Spiro. «Ho lo stesso istinto di conservazione che hanno tutti.» «Lo spero per lei.» Contrasse le labbra in un'espressione dura «Mi dia retta, non sottovaluti quest'uomo. Sa troppo. Potrebbe essere chiunque. Potrebbe essere un dipendente della compagnia telefonica o il poliziotto che la ferma per eccesso di velocità o un avvocato con accesso agli archivi del tribunale. Ed è in circolazione da molto tempo, non lo dimentichi.» «E come potrei?» Eve spostò lo sguardo al teschio. «Adesso devo tornare al lavoro.» «Immagino che questa sia la mia battuta di uscita.» Spiro si diresse alla porta. «Mi faccia sapere quando ha finito.» «Lo farò.» Cominciò a unire gli indicatori, estraniandosi istantaneamente dal resto del mondo. Joe Quinn stava aspettando accanto alla macchina di Spiro. «Vieni, vo-
glio mostrarti qualcosa.» «Non pensavo che ti saresti allontanato.» Spiro lo seguì oltre l'angolo della casa. «Non avresti dovuto lasciarla sola.» «Non l'ho lasciata sola. Non ho mai perso di vista la casa.» Lasciò il vialetto, addentrandosi tra i cespugli, e si inginocchiò a terra. «Vedi questi segni? Qualcuno è stato qui.» «Quella non è un'impronta di piede.» «No, ha cancellato le sue orme. Ma l'erba è schiacciata. Ha cercato di rialzarla alla meno peggio, ma doveva avere fretta.» «Ottimo lavoro.» Spiro avrebbe dovuto sapere che a Quinn non sarebbe sfuggita nessuna anomalia. Era dotato di notevole perspicacia, e questo, unito al suo addestramento nei corpi speciali dei marines, faceva di lui un detective formidabile. «Pensi che fosse il nostro uomo?» «Non immagino chi altri avrebbe cercato di cancellare le proprie tracce.» «La sta spiando?» Quinn alzò la testa, lo sguardo rivolto al bosco. «Non adesso. Non c'è nessuno qua attorno.» «Ne avvertiresti la presenza?» domandò ironicamente Spiro. «Hai percezioni extrasensoriali?» «Qualcosa del genere.» Joe storse la bocca in un mezzo sorriso. «Forse è il mio sangue cherokee. Mio nonno era un meticcio.» O forse era di nuovo il suo addestramento nei corpi speciali. Cercare e distruggere. «Dovevi aspettarti di trovare qualcosa, o non saresti uscito a cercare in giro.» «È stato feroce con lei. Voleva farla soffrire. Ho pensato che forse avrebbe voluto vedere il suo dolore.» Si alzò e fece un passo indietro. «O forse voleva accertarsi di sapere dove fosse. In ogni caso, è venuto. Manda qui una squadra della scientifica a vedere se riescono a rilevare qualcosa.» «Senti, siamo già presi fin sopra i capelli a Talladega. Fa' venire qualcuno dei tuoi.» «La polizia di Atlanta non muoverà un dito fino a quando non sarà inevitabile il suo coinvolgimento, e questo sarà soltanto quando Eve avrà terminato la ricostruzione. A quel punto non oserà tirarsi indietro, data la notorietà di Eve.» «Ma fino ad allora, immagino che dovrai appoggiarti a me. Nel qual caso, ti consiglierei di chiedere per favore, invece di ordinare.» «Per favore», sibilò Joe a denti stretti. Spiro sorrise. «Hai ceduto troppo facilmente. Avrei fatto venire comun-
que una squadra.» «Bastardo.» «Avevi bisogno di abbassare un po' la cresta.» Distolse lo sguardo. «Charlie sarà qui prima di notte. Ho saputo che eri preoccupato.» Joe lo fissò socchiudendo gli occhi. «Volevi che mi preoccupassi. Quando non sono riuscito a mettermi in contatto con Cather, ho chiamato te, ma al cellulare non rispondevi. Allora ho telefonato al comando operativo, e lo sceriffo Bosworth ha detto che eri troppo occupato per prendere la chiamata.» «Aveva ragione. È venuto fuori che non era stata scattata nessuna fotografia aerea della zona per vedere se c'era uno schema nella disposizione delle fosse. Ho avuto parecchio da fare a coordinare l'operazione.» «Tanto da non avere il tempo per una telefonata di due minuti? No, tu volevi farmi sudare.» «Quando si è in tensione si è più vigili. E più sei all'erta, meglio è.» «A proposito, non sono affatto convinto che Cather sia l'uomo giusto per fare la guardia a Eve.» «Non è un agente ordinario, se è questo che intendi. Non è cinico, ed è entusiasta più che metodico. Ho dovuto penare per farlo accettare nell'unità, ma questo non significa che non sia pienamente qualificato. E un occhio fresco vede cose che sfuggono a uno che ne ha già viste troppe. Farà un buon lavoro. A ogni modo, ho dato ordine che altri tre agenti facciano servizio di sorveglianza e pattuglino i boschi intorno alla casa. Faranno rapporto a Charlie. Soddisfatto?» «Cristo, no.» «Già, tu vuoi un battaglione.» «Meno uomini ci sono di guardia, più è probabile che quel maniaco venga a fare visita a Eve.» Spiro lo guardò dritto negli occhi. «Esatto. Fornirò abbastanza uomini per provvedere alla sua sicurezza, ma non voglio scoraggiare il nostro uomo.» «Preferisci metterla in pericolo?» «Non essere ridicolo. Lei è preziosa. Potrebbe essere la nostra unica pista.» «Rispondimi.» «Io questo qui devo prenderlo, Quinn. Non posso rischiare di farmelo sfuggire. Ridi pure, ma dopo questi giorni a Talladega a fissare quelle fosse, a volte sento...» Si interruppe. «È mio.»
«Ed Eve?» «È una sola donna. Non abbiamo idea di quante altre persone potrà uccidere, se non lo fermiamo adesso.» «Sei un bastardo.» «Sì, ma se vuoi quell'assassino, io sono la tua carta migliore. Andrò avanti finché non lo avrò preso.» Fece per andarsene, ma si fermò. «Sai, non mi piace l'atteggiamento di Eve Duncan.» «Problemi tuoi. Si sta facendo un culo così per arrivare a un'identificazione di quel teschio.» «No, non era questo che...» La fronte di Spiro si corrugò. «Non ha paura di lui. Non gli piacerà questo. Lo renderà furioso e più determinato a spezzarla. Se non riesce a raggiungere lei, cercherà di colpirla attraverso persone che le sono vicine.» «Ieri sera mi sono attaccato al telefono finché sono riuscito a estorcere una sorveglianza di ventiquattr'ore su ventiquattro per la madre di Eve.» «Bene.» «Ma non l'ho detto a Eve, come non le dirò che qualcuno è stato qui a spiare. Ha già abbastanza di che preoccuparsi. Per cui, fa' in modo che i tuoi ragazzi della scientifica non si muovano come elefanti. Anche se dubito che si accorgerebbe di qualcosa, presa com'è dal suo lavoro.» «Sei molto protettivo.» «Sì, molto. E farai bene a ricordartelo, Spiro, perché se quel maledetto arriva fino a lei per colpa tua, Eve non sarà l'unica vittima.» Charlie Cather arrivò al cottage quattro ore dopo. «Chiedo scusa per il ritardo.» Fece una smorfia. «Avrei dovuto essere qui un'ora fa, ma sono rimasto più del previsto a Quantico. Speravo di avere qualcosa dal VICAP prima di andarmene, ma non avevano ancora finito.» Eve alzò gli occhi dal teschio. «VICAP?» «Violent Criminal Apprehension Program. È una banca dati nazionale che ci permette di individuare analogie tra crimini efferati. Si inseriscono nel computer tutti i dati disponibili su un delitto, e il programma svolge una ricerca su tutte le analogie rintracciabili in delitti commessi durante un dato periodo.» «Non sapevo che Spiro avesse autorizzato questa ricerca», disse Joe. «Oh, lo ha fatto, e stiamo trasmettendo al VICAP i rapporti sui corpi di Talladega per restringere il campo. Stavano aspettando l'ultimo, ma è andato perso tra le varie scartoffie. L'ho ritrovato solo appena prima di la-
sciare Talladega, così l'ho portato io stesso a Quantico.» «E quale lasso di tempo avete dato al computer?» domandò Eve. «Trent'anni, per sicurezza.» Lei lo fissò sconcertata. Trent'anni? Charlie si rivolse a Joe: «Ho detto di chiamarmi qui quando hanno i risultati. Io sarò fuori in macchina. Mi avverte se si fanno vivi?» «Perché non aspetta qui?» propose Eve. Charlie scosse la testa. «Spiro mi ha detto di stare di guardia fuori. Non apprezzerebbe che me ne stia qui a scaldarmi le chiappe.» Poi sorrise come se avesse fatto una marachella. «Avrei potuto farmi chiamare sul mio cellulare, ma ho pensato che non sarebbe stato male avere una scusa per venire dentro a scongelarmi.» Si avvicinò al piedistallo. «Ne ha fatti di progressi. Quanto ci vorrà ancora?» Eve si strinse nelle spalle. «Dipende da come va.» «A Quantico fanno tante elaborazioni grafiche al computer, ma questo è. come dire... personale.» «Sì.» «Sembra così fragile. Povero bambino. Dio, mi fa star male. Non so come lei faccia a sopportarlo.» «Esattamente come lei sopporta quello che fa. È il mio lavoro.» «C'è da avere paura a mettere al mondo un bambino, eh? Sa, tanti miei colleghi non lasciano incustoditi i loro figli un solo istante. Hanno visto troppo di quello che succede per sentirsi sicuri. Probabilmente per me sarà lo stesso, quando il mio bambino...» «La verrò a chiamare quando arriva la sua telefonata», lo interruppe Joe. «Adesso Eve deve tornare al lavoro.» Eve capì perché lo avesse liquidato così bruscamente. Le parole di Charlie erano fuori luogo, e Joe si era immediatamente frapposto tra lei e il dolore che avrebbero potuto causarle. «Sì, certo.» Charlie si affrettò a togliere il disturbo. «Ci vediamo più tardi.» «Non era necessario che lo buttassi fuori», disse Eve. «Era in buona fede.» «Parla troppo.» «È solo giovane. A me piace.» Tornò al piedistallo. «Probabilmente faranno un buco nell'acqua coi VICAP. Quel bastardo l'ha fatta franca per dieci anni come minimo.» «Allora è ora che lo prendano.»
Joe si sedette sul divano e prese il libro che stava leggendo. «Ti concedo un'altra ora, poi ti fermi per la cena. Niente discussioni.» «Vedremo.» «Niente discussioni.» Eve gli lanciò un'occhiata. Irradiava un'aura che faceva pensare alla quintessenza dell'inamovibilità. Oh, al diavolo. Qualcosa di inamovibile poteva essere di grande conforto in un mondo così volubile. «Okay. Niente discussioni.» Logan chiamò mentre Eve stava cenando. «Ho ricevuto i tuoi due messaggi. Stavo correndo per l'isola, chiudendo bottega. Domani parto per Monterey.» «Non mi hai detto che avresti lasciato l'isola.» «Non è la stessa cosa, senza di te. È ora di tornare al mondo reale.» Fece una pausa. «Stai lavorando sul teschio?» «Non quello della bambina. Un ragazzino che abbiamo trovato.» «Ma eri partita apposta per... Perché diavolo sei ancora lì?» «Sono successe delle cose.» «Non mi stai dicendo tutto. Cristo, non mi stai dicendo niente.» Eve sapeva dannatamente bene che se gli avesse spiegato quello che stava succedendo si sarebbe precipitato lì. «Avrò il teschio della bambina, ma prima devo finire questo.» Silenzio. «Non mi piace. Tu mi stai nascondendo qualcosa. Partirò per Monterey questa sera stessa. Ti chiamo appena arrivo.» «Logan, è meraviglioso che tu mi voglia aiutare, ma stavolta non puoi fare niente.» «Vedremo.» E con questo chiuse la comunicazione. «Sta venendo qui?» domandò Joe. «No, se posso evitarlo. Non lo voglio vicino a quell'assassino.» Joe la guardò accigliato. «Sei un po' più protettiva di quanto vorrei.» «Spiacente per te. Logan è un uomo eccezionale e un mio caro amico. Si tende a essere protettivi verso i propri amici.» Incontrò deliberatamente il suo sguardo. «Non è vero, Joe?» Lui fece una smorfia. «Touché.» Poi cambiò discorso: «Vuoi un dessert? Abbiamo del gelato...» Quella sera alle otto Eve ricevette un'altra chiamata al suo cellulare.
Si irrigidì. Il suo telefono, non quello di casa. Poteva essere sua madre. Poteva essere di nuovo Logan. Non era detto che fosse quel mostro. Joe prese il telefono dal tavolino dove lei lo aveva posato dopo la conversazione con Logan. «Vuoi che risponda io?» Lei scosse la testa. «Dammelo.» Premette il tasto. «Pronto?» «Bonnie sta aspettando che tu venga a prenderla.» La sua mano si contrasse sul telefono. «Stronzate.» «Tutti questi anni passati a cercarla, e c'eri arrivata così vicina. È un peccato che tu debba soccombere proprio adesso. Hai già finito con il teschio del ragazzino?» «Come fai a sapere che sto...» «Oh, ti tengo d'occhio, sai. Dopo tutto, sono direttamente interessato. Non hai avvertito la mia presenza dietro di te, il mio sguardo che scruta oltre le tue spalle mentre lavori sul teschio?» «No.» «Dovresti. Te ne accorgerai. Qual è dei due marmocchi?» «Perché dovrei dirtelo?» «Non ha importanza, in realtà. Me li ricordo solo vagamente. Erano soltanto due di quegli uccellini spauriti. Non come la tua Bonnie. Lei non era mai...» «Bastardo. Probabilmente tu non hai il fegato di uccidere nessuno. Ti nascondi nell'ombra, facendo telefonate anonime, minacciando, cercando di...» «È questo che ti indispettisce? L'anonimato? Puoi chiamarmi Dom, se ti va. Ma che differenza può fare un nome? Una rosa ha sempre lo stesso profumo, comunque la si chiami...» «L'unica cosa che mi indispettisce è che pensi di potermi terrorizzare con questi penosi giochetti.» «E adesso stai cercando di indispettire me.» Rise compiaciuto. «E credo che tu ci stia riuscendo. È così corroborante. Non fa che dimostrare che ho avuto ragione a sceglierti.» «Hai molestato anche quei poveretti di Talladega prima di ucciderli?» «No. Sarebbe stato imprudente, e non ero ancora a quel punto.» «E adesso invece sì?» «Sono al punto in cui mi sento propenso a correre qualche rischio per rendere la vita più interessante. Era destino che accadesse, prima o poi.» «Perché io?» «Perché ho bisogno di qualcosa che mi purifichi. Nell'attimo stesso in
cui ho visto la tua fotografia sul giornale, ho capito che tu eri quello che ci voleva. Ho guardato la tua faccia e ho sentito tutta l'emozione e il tormento che sono compressi dentro di te. Si tratta solo di far lievitare queste emozioni finché saranno incontenibili.» Fece una pausa. «Ti immagini che esplosione sarà per entrambi?» «Sei pazzo.» «Sì, è senz'altro possibile. Secondo i tuoi canoni, almeno. La scienza ha studiato con tale zelo la mente dell'assassino. Le cause, i segni premonitori, il modo in cui giustifichiamo il fatto di uccidere.» «Tu come lo giustifichi?» «Non lo faccio. Il piacere è una motivazione sufficiente. Recentemente ho sentito che l'omicidio per puro piacere ha avuto un incremento del venticinque per cento negli ultimi dieci anni. Io ho cominciato molto prima. Sembra che la società si stia finalmente mettendo al passo con me, non credi? Forse tra non molto essere pazzi sarà la norma, Eve.» «Stronzate.» «Allora perché lasciarmi continuare a uccidere? Hai mai considerato che forse non abbiamo mai realmente perso i nostri istinti primordiali? Gli impulsi sanguinari, la ricerca del potere tramite quel finale atto di violenza. Forse in fondo al vostro cuore tutti voi vorreste essere come me. Hai mai desiderato provare l'ebbrezza di cacciare, di catturare una preda?» «No.» «Allora per te sarà una scoperta. Chiedi a Quinn che effetto fa. Lui è un cacciatore. Ne ha l'istinto. Chiedigli se il cuore gli batte più forte quando sta per uccidere.» «Joe non è come te. Nessuno è come te.» «Grazie. Lo prendo come un complimento. Ma adesso credo sia ora di salutarci. Volevo solo tenermi in contatto con te. È importante che noi due abbiamo modo di conoscerci. Tu non sei il tipo che ha paura dell'ignoto.» «Io non ho paura di te.» «Ne avrai. Ma è chiaro che dovrò impegnarmi un po' di più. Non c'è problema. Non volevo che fosse facile.» Tacque un istante. «Bonnie sente la tua mancanza. Voi due dovreste proprio riunirvi.» Eve rimase con il telefono muto in mano, trafitta da un dolore lancinante. Maledetto. Non si era fatto sfuggire l'occasione di assestarle un'ultima stoccata. Premette il tasto di fine chiamata e guardò Joe. «Voleva soltanto fare conversazione. Il bastardo vuole che io abbia paura di lui.» «Allora fingi di averne. Non sfidarlo.»
«Si fotta.» Joe sorrise debolmente. «Io ci ho provato. Hai scoperto qualcosa che può esserci utile?» «Ha detto di chiamarlo Dom. Uccide da più di dieci anni e lo fa per puro piacere. È analitico su se stesso e il mondo in generale. E intelligente come supponevamo.» Si volse di nuovo verso il piedistallo. «Potresti prendere nota e chiamare Spiro per riferirgli tutto? Io devo tornare al lavoro.» «Non sarebbe il caso che ti prendessi una pausa?» «No, non lo è», ribatté lei con fierezza. «Non lascerò che quel bastardo disturbi la mia concentrazione. Vuole controllarmi, e mi venga un colpo se glielo permetterò. Non gli darò niente di quello che vuole.» Stette di fronte al teschio, sforzandosi di reprimere il leggero tremito delle mani. Era ora di passare alla fase finale. Doveva essere fredda e distaccata. Non hai avvertito la mia presenza dietro di te, il mio sguardo che scruta oltre le tue spalle mentre lavori sul teschio? Si ripeté mentalmente. Se avesse lasciato che Dom la influenzasse accendendo la sua immaginazione, sarebbe stata una vittoria per lui. Doveva escluderlo. Pensare al bambino, non al mostro che lo aveva ucciso. Riportarlo a casa. Cominciò lentamente a modellare la faccia con tocchi accurati ma decisi. Lei era più forte di quanto Dom avesse creduto. Si sentì percorrere da un fremito di eccitazione. Lo avrebbe tenuto in tensione, fatto spasimare per ogni briciolo di emozione che fosse riuscito a estorcerle. Non era una sorpresa, in realtà. C'era preparato. E ne era compiaciuto. Sarebbe stato costretto a scavare più a fondo per trovare il modo di scuoterla. Aveva già un'idea. Avviò la macchina, uscì dal parcheggio del fast food e ripartì per Atlanta. CINQUE 5.40 Finito. Mancano solo gli occhi.
Prese la custodia dal banco di lavoro. Il marrone è il colore di occhi più comune, e generalmente si serviva di occhi marroni nelle ricostruzioni. Inserì i globi oculari di vetro nelle orbite e fece un passo indietro. Sei tu, John Devon? Ho fatto abbastanza un buon lavoro per riportarti a casa? «Vuoi la foto, adesso?» domandò quietamente Joe. Eve era vagamente consapevole che Joe era rimasto seduto sul divano tutta la notte ad aspettare. «Sì.» Joe si alzò e aprì la busta marrone sul tavolino. Scartò una fotografia e portò l'altra a Eve. «Credo sia questa che vuoi.» Lei fissò la foto senza toccarla. Joe si sbagliava. Non la voleva. Prendila. Portalo a casa. Allungò una mano a prendere la foto. Avrebbe dovuto mettere gli occhi azzurri, realizzò distrattamente. Tutto il resto coincideva. «È lui. È John Devon.» «Sì.» Joe le tolse di mano la foto e la gettò sul tavolo da lavoro. «Chiamerò Spiro appena sarai andata a letto.» «Lo chiamo io.» «Non fare storie.» Joe la sospinse verso il corridoio. «Ho detto che lo chiamerò io. Tu hai già fatto la tua parte.» Sì, aveva fatto la sua parte. John Devon era stato trovato, e questo significava... «Smettila di pensare», disse Joe in tono brusco facendola sedere sul letto. «Sapevo che avrebbe cominciato a roderti non appena avessi finito. Ma, dannazione, adesso devi riposare.» Scomparve nel bagno e ritornò con un asciugamano bagnato. Si sedette accanto a lei e le ripulì le mani dalla creta, poi la fece stendere e la coprì con una trapunta. «Temevo che fosse lui», bisbigliò Eve. «Da una parte volevo che fosse John Devon, ma allo stesso tempo ne avevo paura.» Joe le strinse le mani tra le sue. «Se quel mostro ha detto la verità su John Devon, è probabile che l'abbia detta anche su Bonnie», continuò Eve. «Il fatto che Dom abbia ucciso uno dei bambini che Fraser aveva confessato di avere assassinato non significa necessariamente che li abbia uccisi tutti», obiettò stancamente Joe. «Ma adesso ci sono maggiori probabilità che sia stato lui a ucciderla.» Joe scrollò la testa. «Non so, Eve. Non so proprio.»
«E potrebbe averla ancora. Quella bambina potrebbe essere la mia Bonnie. Non basta che l'abbia uccisa; se la tiene come una specie di trofeo.» «La sta tenendo come esca.» «Odio il pensiero di quel mostro con lei. Non lo sopporto!» «Ssh. Non pensarci.» «E come dovrei fare, secondo te?» «Cristo, che ne so? Fallo e basta.» Joe tacque un momento. «Così gli stai dando quello che lui vuole. Controllo su di te. Sai come sarebbe felice di saperti qui a soffrire per qualcosa che ha fatto. Mettiti a dormire e frega quel figlio di puttana.» Aveva ragione, stava facendo esattamente quello che Dom voleva. «Mi spiace di essere crollata in questo modo. Devo essere stanca.» «Ma che strano. Mi domando come mai.» «Devi telefonare a Spiro.» «Può aspettare. Starò qui finché non ti sarai addormentata.» «Non hai dormito nemmeno tu.» «E tu che ne sai? Dubito che ti sia accorta della mia presenza su questo pianeta, mentre lavoravi su quel teschio.» «Questo non è vero.» «No?» «Io so sempre che ci sei. È come...» Era difficile da spiegare. «È come avere una vecchia quercia nel tuo giardino. Anche se non ci fai caso, non dimentichi mai veramente che è lì.» «Credo di essere stato insultato. Un albero? Mi stai forse dando della testa di legno?» No davvero. Se lui era come un albero, era per la sua solidità, la sua forza, e dava protezione. «Perspicace, per una testa di legno.» Eve si rese conto che stava sorridendo, quando solo un momento prima sprofondava nel dolore. Joe riusciva sempre a farla sentire meglio. «Sto bene. Non occorre che tu rimanga con me.» «Io dico di sì. Devi essere isterica, per paragonarmi a una quercia. E vecchia, per di più. L'unico modo che hai per liberarti di me è addormentarti.» Si sentiva già scivolare nel sonno. Poteva lasciar andare tutto, per il momento. Era al sicuro. Joe era lì a ricacciare indietro l'oscurità. «Mi fa venire in mente quando eravamo a Cumberland Island dopo che Fraser è stato giustiziato. Ricordi? Mi tenevi le mani, proprio come adesso, e mi facevi parlare, parlare...»
«Adesso sto cercando di farti stare zitta. Dormi.» Eve rimase in silenzio per un momento. «Sta cominciando a spaventarmi, Joe.» «Non hai niente da temere. Io non permetterò che ti succeda nulla.» «Non pensavo che avrei avuto paura. All'inizio provavo soltanto rabbia. Ma lui è furbo, e uccidermi non è la sua maggiore priorità. Vuole farmi soffrire. Ne ha bisogno.» «Sì.» Un pensiero esplose all'improvviso nella sua mente. «Mamma.» «È sotto sorveglianza. Mi sono assicurato che non possa raggiungerla.» Un'ondata di sollievo. «Davvero?» «Era la mossa più logica. Non male per una testa di legno, no?» «No, niente male.» Se sua madre era protetta, Dom era impossibilitato a usare un'arma primaria contro di lei. Non avrebbe potuto colpire Eve tramite qualcuno che amava. No, non era esattamente vero. Aveva ancora Bonnie. Ma Bonnie era morta. Il pensiero che l'avesse con sé la faceva inorridire, ma lui non poteva più fare del male a sua figlia. Eve sarebbe stata la sola a soffrirne, e non gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere il suo dolore. «Va tutto bene. Te l'ho detto, tua madre è al sicuro. Non hai motivo di essere in ansia.» Sì, era in ansia. E naturalmente Joe lo aveva percepito. Ma non per sua madre. Se lui diceva che non correva alcun pericolo, poteva contarci. Era solo che... Inutile stare lì ad arrovellarsi. Meglio farsi una buona dormita, e al suo risveglio avrebbero trovato il modo di prendere il bastardo e riportare Bonnie a casa. Lui non era invincibile. Aveva fatto uno sbaglio mettendosi in contatto con Eve. Non aveva modo di farle realmente del male. Non c'era motivo perché si sentisse ansiosa. Si chiamava Jane MacGuire e aveva dieci anni. Dom l'aveva notata alcuni giorni prima gironzolando in macchina tra i casermoni popolari della periferia. Inizialmente era stato attratto dai suoi riccioli rossi, poi dalla sua aria fiera e indipendente. Camminava lungo la strada come sfidando il mondo a intralciarle il passo. Altro che docile uccellino. Troppo insolente per fare breccia nel cuore di Eve Duncan? Sua figlia era stata completamente diversa. Ma del resto, Bonnie Duncan non era ve-
nuta su passando da un affidatario all'altro come Jane MacGuire. Non aveva avuto alcun bisogno di imparare a cavarsela in mezzo alla strada. Seguì la bambina guidando a passo d'uomo. Era diretta da qualche parte. Aveva una meta. All'improvviso la vide infilarsi in un vicolo. Doveva andarle dietro e rischiare che lei lo vedesse? Il rischio non era poi così alto. Come sempre quando era a caccia, aveva preso la precauzione di un travestimento. Parcheggiò l'auto e scese. La prospettiva era troppo promettente. Doveva essere sicuro. Figlio di puttana. Il maniaco la stava seguendo di nuovo. Be', facesse pure, pensò Jane, imbronciata. Era soltanto uno dei soliti vecchi sporcaccioni che si aggiravano intorno al cortile della scuola e scappavano a tutta velocità appena lei chiamava a gran voce la maestra. Lei conosceva quel vicolo come le sue tasche, e di sicuro correva più forte di lui; se avesse avuto bisogno di scappare, lo avrebbe seminato senza difficoltà. Non era la prima volta che lui la seguiva. Lo aveva notato anche il giorno prima, e si era tenuta su strade frequentate. Ma oggi non poteva farlo. «Sono qui, Jane.» Vide Mike rannicchiato dentro una grossa scatola di cartone appoggiata contro il muro di mattoni. Sembrava infreddolito. Probabilmente aveva dormito nello scatolone quella notte. Lo faceva sempre, quando suo padre veniva a casa. Sfortunatamente, stavolta il bastardo aveva avuto la bella idea di tornare all'ovile proprio in gennaio, con quel freddo cane. Infilò una mano nella tasca del giubbetto e ne tirò fuori il sandwich stantio che aveva rubato dal frigorifero di Fay quel mattmo. «Colazione. Non è un granché, ma non sono riuscita a rimediare niente di meglio.» Guardò Mike ingollarlo avidamente, poi si lanciò un'occhiata alle spalle. Il maniaco si era acquattato all'ombra di un cassonetto della spazzatura. Il posto giusto per lui. «Vieni, è ora di andare a scuola», disse a Mike. «Io non ci vado.» «Non dire cavolate. Vuoi crescere scemo come tuo padre?» «Non ci vado.» Jane giocò la sua carta vincente: «Là almeno fa caldo». Mike ci pensò su per un momento, poi si alzò in piedi. «Magari ci vengo, giusto per oggi.»
Sapeva che avrebbe ceduto. Il freddo e la pancia vuota non erano una buona compagnia. Lei stessa aveva passato parecchie notti in un vicolo quando stava con i Carboni, la famiglia che l'aveva presa in affido prima di Fay. Era allora che aveva scoperto che se piantava abbastanza grane, nemmeno il sussidio della previdenza sociale avrebbe convinto gli affidatari a tenersela. Gli assistenti sociali erano sempre pronti a procurare un altro minore, se uno non funzionava. Con Fay andava molto meglio. Lei era sempre stanca e spesso brontolona, ma a volte Jane pensava che col tempo avrebbe potuto arrivare a piacerle... se ci fosse rimasta sufficientemente a lungo. Sbirciò di nuovo verso il maniaco. Era ancora nascosto dietro il cassonetto. «Credo che faresti meglio a metterti a dormire da qualche altra parte, stanotte. C'è un buon posto vicino alla Union Mission. Ti farò vedere dov'è.» «Okay. Tu vai a scuola, adesso?» domandò Mike. «Magari ti accompagno.» Si sentiva solo. Aveva appena sei anni e non aveva ancora imparato a ignorare il senso di vuoto. «Certo. Perché no?» Gli sorrise. Dom non era stato sicuro finché non l'aveva vista sorridere. Il sorriso era dolce e pieno di calore, tanto più accattivante per il contrasto con la durezza e l'aria sprezzante che la ragazzina ostentava di solito. Senza quella venatura di tenerezza non sarebbe stato certo che facesse al caso suo. Ma adesso ne era convinto. La piccola Jane MacGuire era perfetta. «Siamo certi che sia il piccolo Devon?» Spiro non perse tempo in convenevoli quando Joe gli aprì la porta del cottage, nel tardo pomeriggio. «La somiglianza è notevole.» Joe indicò il piedistallo. «La foto è sul tavolo di Eve. Guarda tu stesso.» Spiro attraversò la stanza. «Dov'è la signora Duncan?» «Sta ancora dormendo.» «Svegliala. Ho bisogno di parlarle.» «Puoi scordartelo. È esausta. Parla con me, se vuoi.» «Devo...» Spiro fischiò fra i denti confrontando la ricostruzione con la fotografia. «Accidenti, è in gamba.» «Sì, lo è.»
Lasciò ricadere la foto sul piano di lavoro. «Avrei quasi preferito che non fosse lui. Sai che cosa significa questo?» «Sì, e lo sa anche Eve.» «Sarò costretto a usarla, Qumn.» «Nessuno userà Eve.» «A meno che lei voglia essere usata», disse Eve dalla porta. Si era appena alzata dal letto, aveva i capelli scompigliati, gli abiti stropicciati. «E il fatto che sia John Devon non fa molta differenza per lei, Spiro. Avrebbe cercato di usarmi comunque.» Spiro guardò assorto il teschio. «Potrebbe aver detto la verità sul fatto che Fraser si è accreditato indebitamente i suoi delitti.» «Alcuni dei suoi delitti», lo corresse Joe. «Tutto quello che abbiamo sono i due bambini.» «Non sono abbastanza?» Spiro tornò a guardare Eve. «Mi aiuterà?» «No, aiuterò me stessa. Lei e Joe pensate a tenere al sicuro mia madre, e io mi lascerò usare come esca.» «Non se ne parla nemmeno», si intromise Joe. Lei lo ignorò, continuando a rivolgersi a Spiro. «Dom mi sta spiando, vero?» «Glielo ha detto Quinn?» «No, ma sapeva che siamo stati a Talladega.» Lanciò un'occhiata tagliente a Joe. «Che altro c'è?» «Qualcuno è stato qui fuori a curiosare. Ieri ho chiesto a Spiro di far venire una squadra della scientifica a perlustrare i cespugli dove si era appostato a guardare la casa.» «Grazie di avermelo detto.» «Te lo sto dicendo adesso. Prima eri un tantino indaffarata.» Sorrise. «Non credo che tornerà, con Charlie e gli altri di guardia all'esterno e me dentro casa.» «Non esserne tanto sicuro. È annoiato, o non avrebbe corso tutti questi rischi.» Il sorriso gli si smorzò sulle labbra. «Pensi che sia così sbalestrato?» «Credo che sia disperato per qualche ragione. Ma non penso che cercherà di uccidermi, per ora. Non prima di avere ottenuto quello che vuole.» «E quando lo farà, noi saremo qui», disse Spiro. «Davvero?» replicò lei, scettica. «Perché dovrebbe attaccare, sapendo che c'è il rischio che venga preso? Se è intelligente come lei ritiene, troverà il modo di arrivare a me eludendo tutti voi. La sua squadra ha trovato
qualche indizio tra il materiale raccolto ieri?» «Stiamo ancora vagliando...» Spiro scosse la testa. «No, non crediamo ci sia niente.» Eve aggrottò la fronte. «Non mi sembra ci sia altro da aggiungere.» «E lei che cosa suggerisce?» «Di attaccare noi per primi, invece di aspettare che sia lui a farlo.» «Per lei è molto più sicuro...» Qualcuno bussò alla porta. Charlie entrò con un sorriso di scusa. «Spiacente di disturbarvi, ma mi chiedevo se fosse arrivata la mia telefonata. Ci stanno mettendo molto di più di quanto mi aspettassi.» «Qui non ha chiamato nessuno», rispose Joe. «Perché non lo chiedi a me?» lo apostrofò seccamente Spiro. «Non ti è venuto in mente che come tuo superiore, era con me che si sarebbero messi in contatto?» Charlie lo guardò con cautela. «Lo hanno fatto?» «Ieri sera. Mi manderanno per fax il rapporto completo a Talladega. Erano sorpresi che io non sapessi niente della tua richiesta di chiamare te direttamente.» Charlie fece una smorfia. «Chiedo scusa. Temo di essere stato troppo zelante.» «Be', meglio l'eccesso di zelo dell'indolenza.» «Hanno riscontrato analogie con altri casi?» domandò Joe. «Sì, qualcosa. Tre mesi fa sono stati rinvenuti due scheletri a San Luz, un sobborgo di Phoenix. Niente denti. Residui di cera nella mano destra.» «Bambini?» chiese Eve. Spiro scosse la testa. «Adulti. Un uomo e una donna.» «Arizona», ripeté Joe. «Un bel po' di strada da qui.» «Chi dice che Dom sia uno del posto?» obiettò Spiro. «Era qui dieci anni fa», fece notare Eve. «È qui adesso.» «Questa è una società mobile, e i serial killer organizzati risultano essere particolarmente mobili.» Spiro si avviò verso la porta. «A ogni modo, manderò un uomo a Phoenix per vedere se riesce a saperne qualcosa di più dalla polizia locale. Probabilmente a questo punto dovremo organizzare una task force interstatale.» «Potrei andarci io?» si fece avanti Charlie. «No, non puoi», rifiutò recisamente Spiro. «Tu resti qui a sorvegliare la signora Duncan. Voglio che tu non perda di vista la casa un solo istante, e
assicurati che gli altri di guardia al perimetro facciano il loro dovere.» «Eve», disse lei in tono spiccio. «Le formalità mi sembrano piuttosto fuori luogo, date le circostanze.» «Bene.» Spiro sorrise. «Immagino che tu abbia ragione, Eve. Noi tutti potremmo diventare più intimi di quanto vorremmo, prima che questa storia sia finita. Ora vi saluto. Vi farò sapere se ci sono novità.» Si soffermò sulla soglia. «Resta dentro, Eve. Evidentemente io nutro più fiducia di te nei miei ragazzi e nel tuo amico Quinn.» Appena la porta si fu richiusa alle spalle di Spiro, Charlie sorrise. «Sarà meglio che io vada fuori. Spiro non è sembrato molto contento che io abbia cercato di scavalcarlo. Mi ci vorrà un po' di servilismo e ligia obbedienza per redimermi.» Eve ricambiò il sorriso, poi andò a farsi una doccia. Phoenix. Due corpi. Undici a Talladega. Due a Phoenix. Quante altre persone aveva ucciso Dom? Come poteva un uomo uccidere così tanta gente e rimanere umano? pensò Eve. Lo era, umano? Quanto male poteva commettere un individuo senza che la sua natura degenerasse in... Aveva freddo, stava cominciando a tremare. Doveva smetterla. Non aveva importanza che razza di mostro Dom fosse diventato. Tutto quello che contava era prenderlo e impedirgli di uccidere ancora. Aprì il rubinetto della doccia, lasciando che l'acqua calda scivolasse sul suo corpo. Ma non servì a scacciare il gelo che l'aveva assalita. «Per l'amor del cielo, Joe, smettila di andare avanti e indietro come una belva in gabbia. È mezzanotte passata. Perché non vai a letto?» «Vacci tu. Io sono un po' teso, se permetti.» «Devi proprio essere così ringhioso?» «Sì, devo proprio. È una delle poche cose che mi sono concesse. Maledizione, non c'è molto altro che...» Si interruppe. «Scusa. Forse sto diventando claustrofobico, stando qui ad aspettare che succeda qualcosa.» Lei era nella stessa situazione, e non si sentiva incline a tollerare con magnanimità gli scatti di nervi di Joe. «Se non vuoi andare a dormire, renditi utile e vai a portare una tazza di caffè a Charlie.» «Vedrò se ne ho voglia.» Eve tirò un profondo sospiro quando la porta di casa si chiuse dietro di
lui qualche minuto più tardi. Non aveva mai visto Joe così teso. Era da quel pomeriggio che... Il suo telefono suonò. «Ti ho svegliata?» Dom. Il cuore prese a martellarle nel petto. «No. Non stavo dormendo.» «Oh, sì, devi esserti messa a dormire dopo aver finito di lavorare sul piccolo Johnny Devon. Era lui, vero?» «Ti ho già detto che da me non saprai niente.» «Sprezzante. Questo significa che avevo visto giusto. Sapevo che avresti fatto un buon lavoro. Hai ragione a esserne orgogliosa: sei un'artista, nel tuo campo.» «Perché mi hai chiamata?» «È importante che noi approfondiamo la nostra conoscenza. Sono certo che è quello che ti ha detto l'agente Spiro. Fa' uscire allo scoperto il bastardo. Scopri tutto quello che puoi per il profilo dell'FBI. È esatto?» «Qualcosa del genere.» «Collaborerò. Ma devi darmi qualcosa anche tu. Voglio un tuo profilo, Eve.» «Sembra che tu sappia già molte cose sul mìo conto.» «Non abbastanza. Per esempio, tu credi nella reincarnazione?» «Cosa?» «Reincarnazione. Milioni di persone ci credono, sai. Una fede così consolante.» Ridacchiò. «Purché non si ritorni come uno scarafaggio.» «Di che vai farneticando?» «Ma non penso che Dio lascerebbe che la tua piccola Bonnie si reincarni in uno scarafaggio, ti pare?» «Chiudi quella dannata bocca.» «Fa male, vero? Quasi quasi inorridisco anch'io. La graziosa piccola Bonnie...» Sì, aveva accusato il colpo. La bizzarra idea l'aveva trafitta come una stilettata. Che stupida a permettergli di ferirla. E più stupida ancora a fargli capire di esserci riuscito. «Non mi fa né caldo né freddo. Io non credo nella reincarnazione.» «Dovresti ripensarci. Come dicevo, può essere di grande conforto. Io ci sto riflettendo parecchio, ultimamente. Hai familiarità con la Bibbia?» «Un po'.» «Non è la mia lettura favorita, ma devo ammettere che contiene alcune trovale davvero indovinate. C'è un versetto che ho trovato particolarmente
ameno. Genesi 2,22.» «Non ho idea di che si tratti.» «Te lo dirò io. Ma prima va' fuori a prendere il mio omaggio.» «Omaggio?» «L'ho lasciato all'estremità sinistra della veranda. Non ho potuto venire a portarlo proprio davanti all'ingresso, con quell'agente dell'FBI piantato lì a farti la guardia.» Eve si inumidì le labbra. «Che cos'è?» «Vallo a prendere, Eve. Io resto in linea.» «Sarei un'idiota a uscire soltanto perché mi dici di farlo. Potresti essere là ad aspettarmi.» «Lo sai che non è così. Sai che non ti torcerò un capello... per ora.» Poi aggiunse: «Ma non prometto che non farò niente al tuo amico Quinn, se lo chiami. È una cosa solo fra noi due. Va' a prendere il regalo». Eve andò verso la porta. «Lo stai facendo?» «Sì.» «Bene. Adesso, vediamo. Dicono che le anime delle vittime della violenza siano inquiete e ritornino sulla terra appena possibile. Quindi Bonnie dovrebbe essersi reincarnata immediatamente.» «Scemenze.» «L'ho uccisa dieci anni fa, giusto? Questo significa che stiamo cercando una bambina o un bambino di dieci anni.» Sogghignò. «Dato che abbiamo escluso gli scarafaggi. Sei già alla porta?» «Sì.» «Da' un'occhiata fuori dalla finestra, e probabilmente vedrai il tuo valoroso guardiano seduto nella sua macchina vicino al lago. Era là quando ho lasciato il tuo pacchetto poche ore fa.» Guardò dalla finestra. Charlie era accanto alla macchina a parlare con Joe. «Sei già sul portico?» «No.» «Hai paura di me, Eve? Non sei curiosa di sapere che cosa c'è nel pacchetto?» «Non ho paura di te.» Aprì la porta. Aveva indosso soltanto una vecchia T-shirt, e il vento freddo le sferzò le gambe nude. «Sono sul portico. Dov'è il dannato pacchetto?» «Lo vedrai.»
Guardò a sinistra. Proprio sul bordo del portico c'era una piccola scatola di cartone. «Quinn direbbe che sei pazza ad avvicinartici. Potrebbe essere una bomba, o magari ho messo un qualche gas o veleno nella scatola. Ma tu sai che per adesso mi servi viva e vegeta.» Sì, lo sapeva. Andò verso la scatola. «O forse non è così. In questo momento potrei essere in agguato nell'ombra del portico. Vedi qualche ombra sospetta, Eve?» «No. Dove sei?» «E già, là fuori è così buio che non si vedono ombre, vero?» Eve si fermò davanti alla scatola. «Eve?» Joe si era voltato verso la casa e l'aveva vista. «Oppure potrei essere sulla mia auto, a miglia di distanza. Quale pensi sia l'ipotesi giusta?» Eve si inginocchiò accanto alla scatola. «Eve!» Aprì la scatola. Dentro luccicava qualcosa di solido e biancastro. La voce di Dom le bisbigliò insinuante all'orecchio: «'Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.' Genesi 2,22». «Che diavolo stai facendo?» Joe era accanto a lei, e cercava di allontanarla dalla scatola. Lo spinse via. «Lasciami stare.» «Io e Dio abbiamo molto in comune. Se credi nella reincarnazione, allora uccidendo Bonnie io, come Dio, ho creato un nuovo essere umano. Anche se non l'ho precisamente creata dalla costola di Bonnie, ho pensato che avresti apprezzato la simbologia.» Fece una pausa. «A proposito, il suo nome è Jane.» Chiuse la comunicazione. Il telefono le cadde di mano. Rimase lì impietrita a fissare dentro alla scatola. «Non toccare niente», disse Joe. «Chiamo Spiro per dirgli di mandare subito qui una squadra.» Charlie corse giù per gli scalini verso la sua macchina. «Dom?» chiese Joe. Lei annuì. «Ti ha detto che cos'è?» Annuì di nuovo. Così piccola...
Allungò una mano e la sfiorò con un dito. Liscia... Le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance. «Eve.» «È Bonnie. È una costola di Bonnie.» «Merda.» Joe la prese in braccio e la portò in casa. «Figlio di puttana. Bastardo.» «Bonnie.» «Ssh.» Si sedette sul divano e la cullò. «Dannazione, perché non mi hai chiamato?» «La costola di Bonnie.» «Potrebbe essere un osso d'animale.» Lei scosse la testa. «Bonnie.» «Ascoltami, voleva soltanto ferirti.» E c'era riuscito. Dio, come c'era riuscito. Il dolore era devastante. Solo la notte prima si era detta che Dom non aveva alcuna reale arma contro di lei, che poteva mantenere il controllo... Dannazione, non riusciva a smettere di piangere. Non riusciva a impedirsi di pensare a quel piccolo frammento di Bonnie in quella scatola. «Portala dentro.» «Cosa?» «Fa... fa freddo là fuori.» «Eve», obiettò con gentilezza Joe, «è una prova. Non possiamo...» «Credi che abbia lasciato qualche indizio? Valla a prendere.» «Anche se fosse Bonnie, non può sentire...» «So di non essere ragionevole. Ma non voglio che stia fuori al freddo, se posso evitarlo. Mi... mi fa male. Portala dentro.» Joe borbottò un'imprecazione e si alzò. Un momento dopo rientrò con la scatola. «Ti proibisco di guardarla di nuovo.» Attraversò la stanza e infilò la scatola in un cassetto del tavolo da lavoro di Eve. «E andrà in laboratorio per le analisi.» «Okay.» «E smettila di piangere, dannazione.» Lei annuì. «Oh, merda.» Joe si lasciò cadere di fianco a lei e la prese tra le braccia. «Mi stai uccidendo. Ti prego. Smetti di piangere.» «Mi spiace. Ci sto provando. È stato lo choc. Non mi aspettavo...» Deglutì a fatica. «Ha ottenuto da me la reazione che voleva, vero?»
«Che cosa ha detto?» Eve scosse la testa. «Non adesso. Dammi un minuto ancora.» Le sue braccia si strinsero intorno a lei. «Prenditi tutto il tempo che ti serve. Ti ho già dato dieci anni. Te ne darò altri dieci, se ne hai bisogno.» Di che stava parlando? Lei non li aveva, dieci anni. Poteva non avere più tempo del tutto. Affondò la testa contro la spalla di Joe, cercando la forza per superare l'orrore della scatola e affrontare un orrore ancora più grande. «Ha detto che...» Non poté andare avanti. Non ce la faceva ancora. Il suo nome è Jane, ripeté tra sé. «Tutte stronzate», tagliò corto Joe. «Reincarnazione... figuriamoci.» «Ti è sembrato che lui ci credesse?» Spiro domandò a Eve. «Non realmente.» Eve fece un sorriso agro. «Ma di certo gli piacerebbe che ci credessi io. Per lui sarebbe molto più divertente.» «Sa che sei troppo intelligente per abboccare a simili stupidaggini», commentò Joe. «Sa anche quanto tengo ai bambini.» Eve intrecciò nervosamente le mani sulle ginocchia. «E delle ossa non sono abbastanza per lui. Se avesse scelto la sua prossima vittima? E se volesse fare in modo che io sia coinvolta nell'uccisione, che ne sia la causa?» «Brillante», mormorò Spiro. «Bello essere così distaccati», commentò Eve con voce incrinata. «Personalmente non trovo molto da ammirare in quel bastardo.» «Non lo ammiro, sto solo prendendo atto delle sue capacità», replicò lui. «E comunque, queste sono soltanto tue supposizioni.» «Si è preso parecchio disturbo per portarmi quella scatola.» «E ti ha arrecato parecchio dolore. Potrebbe considerarlo una ricompensa sufficiente.» Eve scosse la testa. «È solo la sua mossa di apertura. Mi ha colpita con Bonnie. Mi ha colpita con la minaccia di uccidere un'altra bambina. E ha cercato di collegare le due nella mia mente.» «E c'è riuscito?» indagò Spiro. «Naturalmente no.» Spiro socchiuse gli occhi, scrutando la sua faccia. «Nemmeno un po'?» Lei abbassò lo sguardo. «Non gli permetterei mai di farmi questo.» «Spero di no.» «Dobbiamo trovarla. Dobbiamo trovare quella bambina.» «Potrebbe non esistere neppure», ipotizzò Joe.
«Esiste.» «In tal caso, lui potrebbe averla già uccisa.» Eve scosse la testa. Si rifiutava di pensarlo. «Non credo.» «Vedrò di affrettare le analisi del contenuto di quella scatola», disse Spiro. Poi si rivolse a Joe: «Voglio sapere come ha fatto Dom ad avvicinarsi tanto alla casa.» «Non credi che io mi sia posto la stessa domanda un milione di volte? Non avrebbe dovuto succedere. Eve ha bisogno di maggiore sorveglianza.» «Il problema qui è la possibilità di accesso dal lago. Niente impedisce che qualcuno si addentri con una canoa in uno dei tanti corsi d'acqua che si diramano nell'entroterra e si spinga fin qui. Dovrei predisporre una catena di agenti di due miglia per isolare la casa, e questo ovviamente non è fattibile.» «Almeno manda qui un furgone attrezzato per le intercettazioni telefoniche e rintraccia le sue chiamate a Eve.» «No», disse Eve. Entrambi la guardarono. «Se scopre che stiamo cercando di rintracciare le sue telefonate, potrebbe non chiamare più. E io devo parlare con lui.» Joe bestemmiò sottovoce. «Lo sai che devo farlo, Joe.» «Già. Sei caduta dritta nella sua rete.» «E se non richiama?» le chiese Spiro. «Richiamerà. Presto.» Eve alzò la testa. «Vuole che io sappia chi è la bambina.» «Lo sai chi è. Ti ha già detto il suo nome e la sua età.» «Quello era solo per stuzzicarmi. Abbastanza per farmi preoccupare, ma non per identificarla. E noi la dobbiamo trovare. Dobbiamo.» «Allora è tua responsabilità convincere Dom a darti ulteriori informazioni», disse Spiro. Sua responsabilità. Era quello che Dom voleva. Che lei si sentisse responsabile della vita di quella bambina. Che cercasse di salvare una ragazzina che nemmeno conosceva. Il suo nome è Jane, ripeté tra sé. E aveva appena dieci anni. Troppo giovane per sapersi difendere dal mostro che la insidiava. Soltanto una bambina, ignara e impotente...
Il pugno di Jane colpì in pieno il naso di Chang, facendone uscire un fiotto di sangue. «Ridammela.» Chang strillò portandosi una mano al naso. «Fay! Janie mi ha picchiato! Non le avevo fatto niente, e Janie mi ha dato un pugno!» «Jane, smettila», ammonì Fay dalla cucina. «E tu, Chang, ti ho detto mille volte che non si fa la spia.» «Ridammela», intimò Jane digrignando i denti. «Ladra», la accusò Chang, indietreggiando. «Adesso glielo dico a Fay, così ti fa mettere in prigione.» «Ridammela, ho detto», lo incalzò Jane. Gli assestò un pugno nello stomaco e agguantò la mela che gli era sfuggita di mano. Poi si affrettò a guadagnare la porta. «Ferma lì, Jane.» Si bloccò sui suoi passi, sospirando. Che scarogna. Ancora pochi secondi e ce l'avrebbe fatta. «Ha rubato una mela dal frigo! Sono due giorni che sgraffigna roba.» Chang sorrise malignamente. «La farai arrestare, Fay?» «Che tipo di roba?» domandò Fay. «Da mangiare. Ieri l'ho vista mettersi un sandwich nello zaino prima di andare a scuola.» «È vero, Jane?» Non rispose. «E mi ha picchiato.» «Falla finita, Chang. Santo cielo, sei una spanna più alto di lei.» «Tu dici sempre che non devo fare a botte», protestò Chang, imbronciato. «Ti dico sempre anche che non devi fare la spia, ma tu vai avanti.» Fay tirò fuori da una tasca un fazzoletto di carta e glielo porse. «Su, ora muovetevi, o farete tardi a scuola.» Chang si pulì il naso. «Ieri Jane è arrivata in ritardo.» «Jane non è mai in ritardo a scuola.» «Ieri sì.» Incontrò lo sguardo minaccioso di Jane e arretrò verso la porta. «Chiedilo a lei», disse prima di schizzare fuori di casa. Rimasta sola con Jane, Fay incrociò le braccia sul petto. «Allora?» «Sono arrivata tardi.» «Perché?» «Avevo qualcosa da fare.»
«Cosa?» Jane rimase in silenzio. «È vero che porti via di nascosto roba da mangiare?» «Qualcosina.» «Lo sai che faccio i salti mortali per farmi bastare i soldi per sfamare voi tre.» «Vorrà dire che domani non mangerò.» «Ci mancherebbe solo questo. Già mangi come un uccellino. Sono Chang e Raoul che hanno sempre fame. Il che mi porta a chiedermi come mai rubacchi roba da mangiare, quando a cena devo forzarti a mandare giù qualcosa.» Jane non rispose. «Quando ero in quarta elementare c'era un bullo che ogni giorno mi costringeva a dargli il mio pranzo. Capirei, se...» «Nessuno mi costringe a farlo.» Fay sorrise debolmente. «E se qualcuno ci provasse, lo prenderesti a pugni sul naso.» Jane annuì. «Se hai un problema, io potrei aiutarti, se me ne parlassi.» «Non ho nessun problema.» «E in ogni caso non me lo diresti. Chissà perché mi ostino a provarci.» Fay si scostò una ciocca di capelli dalla fronte con un gesto stanco. «Va', ora. Stai facendo tardi.» Jane esitò. Adesso le sarebbe stato più difficile procurarsi del cibo. Poteva fidarsi di Fay? «Posso tenere la mela?» «Se mi dici perché.» «Qualcuno ne ha bisogno.» «Chi?» «Un mio amico. Non può andare a casa sua perché c'è suo padre.» «Chi è?» «Potrei portarlo qui?» «Un bambino? Jane, lo sai che non posso accogliere altri bambini. Ma se il tuo amico ha problemi a casa, possiamo parlarne con i servizi sociali e vedere se hanno modo di intercedere con i suoi genitori.» Doveva immaginarlo che Fay non avrebbe capito. «Non combineranno niente. Andranno da loro, faranno un rapporto, e per lui sarà peggio di prima.» «Dimmi chi è questo tuo amico.»
Jane si avviò verso la porta. «Jane, io voglio aiutarti. Fidati di me. Finirai per metterti in qualche guaio.» «Non preoccuparti, non andrò più a scuola in ritardo.» «Non è quello che intendevo.» Fay la guardò impotente. «Io voglio essere tua amica. Perché non mi permetti di avvicinarmi? Perché ti tieni sempre tutto dentro?» «Posso avere la mela?» «Non dovrei... Oh, va bene, prendila. Ma non voglio che tu picchi ancora Chang.» «Okay.» Jane aprì la porta e corse giù per le scale. Le dispiaceva aver fatto rimanere male Fay. Per un momento aveva pensato che lei avrebbe capito, che l'avrebbe aiutata. Eppure lo sapeva bene che non si poteva mai contare sull'aiuto di nessuno. Bisognava cavarsela da sé. Ma Fay era già meglio di tanti altri. Se non altro, non le aveva fatto restituire la mela. Certo che dal suo frigorifero di cibo per Mike non ne sarebbe più uscito. Avrebbe dovuto trovarlo da qualche altra parte. Cominciò a pensare a come avrebbe potuto fare. SEI Dom tenne Eve con il fiato sospeso per oltre quarantott'ore prima di farsi di nuovo vivo. «Ti è piaciuto il mio regalino?» le domandò. «L'ho odiato, come puoi immaginare.» «Ma come puoi odiare la carne della tua carne, il sangue del tuo sangue? Ops... che lapsus. Né carne, né sangue. Forse avrei dovuto dire ossa delle tue ossa.» «Lei chi è?» «Te l'ho detto, è la tua Bonnie.» «No, sai di chi parlo. Chi è questa Jane?» «Be', potrebbe essere sempre la tua Bonnie. Hai riflettuto sulla possibilità che...» «Come si chiama di cognome?» «Non è carina come lei, ma ha gli stessi capelli rossi. Sfortunatamente in questo giro le è andata peggio di quando era la tua Bonnie. Quattro famiglie affidatarie diverse.» Schioccò la lingua con rammarico. «Triste, vero?»
«Dov'è?» «Riconosceresti il posto.» Si sentì gelare il sangue. Una tomba? «È viva?» «Naturalmente.» «L'hai con te?» «No, finora mi sono limitato a osservarla. La trovo molto interessante. Intrigherà anche te, Eve.» «Dimmi il suo nome completo. Dannazione, lo so che vuoi farmi sapere chi è.» «Ma dovrai guadagnartelo. Fa parte del gioco. Non cercare di mettere di mezzo la polizia, o sarò molto scontento. Sono certo che il tuo istinto materno ti condurrà fino alla piccola Jane. Trovala, Eve, prima che mi spazientisca.» Fine della comunicazione. «Niente da fare?» domandò Joe. Eve si alzò. «Si va ad Atlanta.» «Che diavolo significa?» «Ha detto che avrei riconosciuto il posto in cui si trova la bambina. E io conosco Atlanta meglio di qualunque altro posto. Hai contatti con qualcuno dell'assistenza ai minori?» Lui scosse la testa. «Conosci nessun altro che possa aiutarci? Ha detto che è stata in affido presso quattro famiglie diverse. Dovrà esserci un registro.» «Possiamo provare con Mark Grunard. Non conosco nessuno più bravo di lui a scovare informazioni, e ha contatti dappertutto.» «Lo chiameresti?» «Ascolta, adesso il dipartimento di Atlanta ci aiuterà. Non hanno scelta, dopo l'identificazione di Devon.» «Lui non vuole che metta in mezzo la polizia. Vuole che la trovi io. Per lui è una specie di gioco.» «E tu non assecondarlo. Non dargli quello che vuole.» «Per poi vedermi recapitare la testa di Jane in una scatola?» ribatté Eve con voce malferma. «Non posso correre questo rischio. La devo trovare, e in fretta.» «E va bene.» Joe andò al telefono. «Metti in borsa spazzolino da denti e un cambio d'abiti. Io chiamo Mark.» «Fissa un appuntamento con lui. Dom deve vedermi impegnata nella sua
ricerca. Mi terrà sicuramente d'occhio.» «Non c'è problema. Te l'ho detto che ho promesso a Mark che lo avresti visto al più presto. Gli dirò di incontrarci nel mio appartamento in città.» L'appartamento di Joe era in un grattacielo di lusso di fronte a Piedmont Park. Scese con la macchina nel garage sotterraneo protetto da un cancello elettronico, poi salirono in ascensore al settimo piano. «Era ora, Joe», lo apostrofò Mark con un sorriso. «Stavo cominciando a mettere le radici. Nessuno ti ha detto che non si deve far aspettare le persone importanti?» Tese la mano a Eve. «Lieto di rivederla, signora Duncan. Anche se vorrei fosse in circostanze migliori.» «Anch'io.» Gli strinse la mano. Era quasi uguale a come lo ricordava alto, atletico, con un sorriso affascinante. Forse sulla cinquantina, mostrava i suoi anni con qualche ruga d'espressione in più intorno agli occhi azzurri. «Ma sono contenta che abbia accettato di aiutarci.» «Sarei un idiota a farmi scappare un colpaccio come questo. Non capita spesso l'opportunità di un'esclusiva che potrebbe fruttare un Emmy.» «E i tuoi colleghi?» domandò Joe. «Saremo in salvo qui?» «Credo di sì. Nel notiziario di ieri sera li ho depistati verso Daytona Beach.» Si fece serio. «Ho parlato del nostro problema a Barbara Eisley. È a capo dei servizi per la famiglia. Non sarà facile. Dice che tutti gli schedari sono riservati.» Burocrati, pensò Eve frustrata. Una bambina poteva finire ammazzata mentre loro perdevano tempo a preoccuparsi di prassi e regolamenti. «Non c'è modo di persuaderla?» «Barbara Eisley è un osso duro. Sarebbe un ottimo sergente istruttore. Non potete ottenere un ordine del tribunale?» «Non possiamo passare per i canali ufficiali. Eve ha paura che se lo facessimo, Dom passerebbe all'azione contro la bambina», replicò Joe. «Barbara Eisley deve assolutamente aiutarci», disse Eve. «Ho detto che non sarà facile, non che è impossibile», intervenne Grunard. «Dovremo solo usare un po' di diplomazia.» «Potrei vedere la signora Eisley?» Grunard annuì. «Immaginavo che avrebbe voluto incontrarla di persona. Stasera usciremo con lei a cena.» Alzò una mano, prevenendo le proteste di Joe. «Lo so, Eve non può andare in locali dove sarebbe riconosciuta. Un mio amico ha un ristorante italiano appena fuori città. Ottima pastasciutta e privacy garantita. Affare fatto?»
«Okay.» Joe aprì la porta del suo appartamento. «Passaci a prendere alle sei dall'altra parte della strada, nel parco.» «Ci sarò.» Prima di seguire Joe in casa, Eve si soffermò a guardare Grunard allontanarsi verso l'ascensore. «Ispira fiducia», commentò. «È per questo che è così popolare.» Joe richiuse la porta a chiave ed Eve rivolse lo sguardo all'appartamento. «Gesù, avresti potuto fare di meglio, Joe. Sembra una camera d'albergo.» «Te l'ho detto che praticamente vengo qui soltanto a dormire.» Andò verso la cucina. «Preparo del caffè e un paio di sandwich. Dubito che mangeremo molto a quella cena con Barbara Eisley.» Eve lo seguì di là. Dubitava di poter mangiare molto anche adesso, ma doveva sforzarsi. Aveva bisogno di tutte le sue energie. «Può darsi che io abbia già incontrato la Eisley in passato.» «Quando?» «Tanti anni fa. Quando ero bambina. C'era un'operatrice sociale...» Scosse la testa. «Ma forse mi confondo.» «Non ricordi?» «Ho rimosso tante cose di quel periodo.» Fece una smorfia. «Non erano esattamente bei tempi. Mamma e io ci spostavamo di continuo da un posto all'altro, e ogni mese gli assistenti sociali minacciavano di togliermi a mia madre e affidarmi a dei tutori se lei non avesse chiuso con il crack.» Aprì lo sportello del frigorifero. «Joe, qui dentro è tutto andato a male.» «Allora farò dei toast.» «Se il pane non è ammuffito.» «Non essere così pessimista.» Aprì la cassetta del pane. «È solo un po' stantio.» Infilò le fette nel tostapane sopra il bancone. «Considerando quello che hai passato da bambina, forse saresti stata meglio se ti avessero davvero data in affidamento a qualcuno.» «Forse. Ma io non volevo. Potevano esserci momenti in cui la odiavo, ma lei era mia madre. Per un bambino, la sua famiglia sembra sempre la migliore.» Prese il burro dal frigorifero. «È per questo che è così difficile togliere i bambini maltrattati ai genitori. Vogliono credere che tutto si sistemerà.» «E a volte non è così.» Evidentemente non per questa Jane, se è passata per quattro affidatari.» Andò alla finestra e guardò in strada. «Tu non immagini quanto sia dura
per i bambini, là fuori.» «Me ne rendo conto. Sono un poliziotto. L'ho visto.» «Ma non ci sei passato.» Gli sorrise da sopra una spalla. «Tu sei un figlio di papà.» «Non prendermi in giro. Non ho proprio potuto evitarlo. Io ci ho provato a farmi abbandonare dai miei genitori, ma non hanno voluto. Invece mi hanno mandato ad Harvard.» Accese la macchina del caffè. «E avrebbe potuto andarmi anche peggio; stavano infatti pensando di farmi studiare a Oxford.» «Che terribile fato.» Eve tornò a guardare fuori dalla finestra. «Tu non parli mai dei tuoi genitori. Sono morti quando eri al college, no?» Lui annuì. «Un incidente nautico al largo di Newport.» «Perché non parli mai di loro?» «Non c'è niente da dire.» Eve si girò verso di lui. «Accidenti, Joe, non sei spuntato ad Atlanta già adulto. Ho tentato dozzine di volte di farmi raccontare qualcosa della tua famiglia e di come sei cresciuto. Perché continui a svicolare?» «Non è importante.» «Lo è non meno di come sono cresciuta io.» Joe sorrise. «Non per me.» «Guarda che in questa amicizia siamo soci al cinquanta per cento. Tu sai tutto di me. Smettila di tagliarmi fuori.» «Non vedo l'utilità di rivangare il passato.» «Come diavolo posso conoscerti davvero se non vuoi parlare con me?» «Non essere assurda. Mi conosci anche troppo.» Rise sommessamente. «Santo cielo, siamo amici da più di dieci anni.» Stava di nuovo eludendo il discorso. «Joe.» «Vuoi sapere dei miei genitori? Non li conoscevo molto bene. Hanno smesso di essere interessati a me all'incirca quando io ho smesso di essere un adorabile cucciolotto.» Prese due tazze da un armadietto. «Non che possa biasimarli. Non sono mai stato un bambino facile. Avevo troppe pretese.» «Non riesco a immaginarti pretendere niente da nessuno. Tu fai affidamento solo su te stesso.» «Immaginalo. Accettalo.» Versò il caffè nelle tazze. «Sono tuttora troppo esigente. Ho solo imparato a camuffarlo. Siediti e mangia il tuo toast.» «Da me non esigi mai niente.» «Esigo la tua amicizia. Esigo la tua compagnia. Soprattutto, esigo che tu
resti viva.» «Queste sono le pretese meno egoistiche che si possano avanzare.» «Non crederci. Probabilmente sono l'uomo più egoista che tu abbia mai incontrato.» Eve sorrise e scosse la testa. «Lo escludo.» «Sono lieto di avertela fatta. Ma un giorno ti renderai conto di come ti ho ingannata per tutti questi anni. Voi monelli del ghetto non dovreste mai fidarvi di noi figli di papà ricchi e viziati.» «Hai spostato un'altra volta il discorso su di me. Perché continui a farlo?» «Parlare di me mi annoia.» Sbadigliò. «Nel caso tu non lo abbia notato, sono un tipo piuttosto scialbo.» «Come no.» «E va bene, modestia a parte, ammetto di essere straordinariamente brillante. Ma il mio retroterra è alquanto banale.» Si sedette di fronte a Eve. «Ora, dimmi di Barbara Eisley. Che cosa ricordi di lei?» Ostinato bastardo, non le avrebbe detto niente di più neanche a tirarglielo fuori con le tenaglie. Non le restò che arrendersi, come tutte le altre volte. «Te l'ho detto, non sono sicura di averla conosciuta. Ne ho viste talmente tante di assistenti sociali. E come potevano mollavano l'incarico a qualcun altro. Non avevano tutti i torti: Techwood non era il più sicuro dei quartieri.» «Pensaci.» «Prepotente.» Okay, basta evitare di pensare all'angolo di inferno dove era cresciuta. Lasciò che i ricordi le rifluissero alla memoria. Sporcizia. Fame. Topi. Odore di paura, di sesso, di droga. «Potrebbe essere stata una delle operatrici sociali. Ricordo una donna intorno alla quarantina. Pensavo che fosse vecchia. Io avrò avuto nove o dieci anni...» «Comprensiva?» «Non saprei. Può darsi. Ero troppo sulla difensiva per giudicare. Ero arrabbiata con mamma e il mondo intero.» «Allora potresti avere difficoltà a legare con lei stasera.» «Non occorre che io leghi con lei. Devo solo convincerla ad aprire i suoi schedari e aiutarci a trovare quella bambina. Non c'è tempo da perdere.» «Tranquilla.» La mano di Joe si posò sulle sue intrecciate sopra il tavolo. «In un modo o nell'altro, stasera avremo le informazioni che ci servono.» Eve si sforzò di sorridere. «Suppongo che se lei non collabora andrai a fare lo 007 nel suo ufficio.»
«Non è escluso.» Parlava seriamente. Il suo sorriso svanì. «No, Joe. Non voglio che ti metta nei guai.» «Ehi, se sei in gamba non ti beccano, e se non ti beccano non sei nei guai.» «Un po' semplicistico.» «Tutto dovrebbe essere altrettanto semplice a questo mondo. Mi pare che la vita di una bambina valga bene qualche rischio. Se sarai abbastanza persuasiva, non sarà necessario che io mi improvvisi scassinatore. Chissà, Barbara Eisley potrebbe non essere tosta come sostiene Mark. Magari è un agnellino...» «Cristo, no», disse recisamente Barbara Eisley. «Non mostro quei fascicoli a chiunque. Mi manca appena un anno alla pensione, e non intendo giocarmela.» Barbara Eisley poteva essere tutto fuorché un agnellino, pensò Eve scoraggiata. Fin dal momento in cui Grunard aveva fatto le presentazioni era stata sfuggente come un'anguilla, e quando, ormai arrivati al dessert, Joe l'aveva finalmente messa alle strette, aveva reagito con la grinta di un pitbull. «Andiamo, Barbara», le sorrise amabilmente Grunard. «Lo sai che nessuno farà saltare la tua pensione per una piccola infrazione intesa a salvare la vita di una bambina. E poi, ormai sei un'istituzione intoccabile.» «Balle. Non sono abbastanza diplomatica per il sindaco o il consiglio comunale. Stanno aspettando solo l'occasione di darmi un calcio nel sedere. Il solo motivo per cui ho resistito tanto a lungo al mio posto è che sono a conoscenza di un paio di scheletri nell'armadio di qualche politico.» Gli piantò in faccia uno sguardo di accusa. «E tu hai fatto il mio nome a proposito di quel caso di abuso su un minore due anni fa. Ha fatto apparire negligente il mio ufficio.» «Ma ha dato il via a una riforma estensiva. Era quello che volevi, no?» «Già. E mi sono cacciata in un bel vespaio. Avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Non corro più rischi del genere, adesso. Faccio tutto secondo le regole. Se oggi vi aiuto in questa faccenda, domani troveranno il modo di usarlo contro di me. Non voglio ritrovarmi senza pensione. Ho visitato troppi vecchi che si arrabattano per sopravvivere in qualche alloggio popolare. Non finirò così anch'io.» «Allora perché hai accettato l'invito di Mark?» domandò Joe.
«Una cena gratis non si rifiuta mai. E poi ero curiosa.» Si girò verso Eve. «Ho letto di te sui giornali, ma tante volte quello che raccontano i media è aria fritta. Volevo vedere con i miei occhi com'eri diventata. Non so se ti ricordi di me.» «Credo di sì. Ma sei cambiata.» «Anche tu.» Studiò la sua faccia. «Eri una tipa piuttosto dura. Ricordo di aver cercato di parlare con te una volta, ma tu stavi lì a fissarmi con aria truce e non dicevi una parola. Pensavo che nel giro di pochi anni saresti finita sul marciapiede a battere, o a spacciare. Mi sarebbe piaciuto fare un altro tentativo con te, ma avevo troppi casi da seguire. Ci sono sempre troppi casi», aggiunse con amarezza. «Troppi bambini in difficoltà. E la maggior parte delle volte non riusciamo ad aiutarli. Li portiamo via ai genitori, e subito dopo il tribunale glieli restituisce.» «Ma qualche volta il tuo intervento deve essere stato determinante.» «Immagino di sì.» «Stavolta lo sarebbe. Potresti salvare una bambina.» «Procuratevi un ordine del tribunale. Se è così importante, non dovrebbe esserci alcun problema a ottenerlo.» «Non possiamo farlo. Ti ho già spiegato che le vie ufficiali mi sono precluse.» Barbara Eisley rimase in silenzio. «D'accordo, non ci darai accesso all'archivio, ma forse ricordi qualcosa di questa bambina», disse Joe. Un'espressione indecifrabile le attraversò il volto. «Non mi occupo più personalmente dei casi. Sono troppo presa con le scartoffie.» Eve si protese in avanti. «Però ricordi qualcosa, vero?» La Eisley tacque per un momento. «Due anni fa ho dovuto autorizzare l'allontanamento di una bambina dalla coppia a cui l'avevamo affidata. Dicevano che era aggressiva e disobbediente, e dovetti convocarla per un colloquio. Lei si rifiutò di parlare con me, ma vidi che era piena di lividi. Controllai il suo libretto sanitario, e venne fuori che nell'ultimo anno era stata due volte in ospedale per fratture. Revocai immediatamente l'affido e depennai la coppia dalla nostra lista.» Sorrise. «Ricordo di aver pensato che la piccola doveva avere del fegato. Quei due bastardi la pestavano, ma lei continuava a dargli del filo da torcere.» «L'avete data in affidamento a un'altra famiglia?» «Per forza. La maggior parte dei nostri affidatari è brava gente. Poi capita che ci scappi un errore di valutazione. Noi possiamo solo fare del nostro
meglio.» «Dimmi come si chiama.» La Eisley scosse la testa. «Non senza un ordine del tribunale. Poniamo che io mi sbagli...» «E se invece avessi ragione? La bambina potrebbe morire, maledizione.» «Ho passato tutta la vita a cercare di aiutare bambini. Adesso devo pensare a me stessa.» «Ti prego.» Lei scosse di nuovo la testa. «Ho lavorato troppo. Lavoro troppo tuttora.» Accennò alla valigetta accanto alla sua sedia. «Uno penserebbe che nella mia posizione non mi tocchi portarmi ancora il lavoro a casa, invece ho un dischetto di computer zeppo di pratiche di vecchi casi da riesaminare...» Eve sentì accendersi una fiammella di speranza. «Mi spiace.» «Ci sono pro e contro in ogni cosa.» Si alzò. «Bene, è stata una serata interessante. Desolata di non potervi aiutare.» Sorrise. «Credo di dover andare alla toilette. Immagino che quando tornerò ve ne sarete già andati.» Il suo sguardo si concentrò su Eve. «Spero che trovi la bambina. Sai, mi è appena venuto in mente che mi ricordava un po' te. Mi fissava con quei suoi grandi occhi nocciola e io pensavo che sarebbe partita all'attacco da un momento all'altro. Il tuo stesso caratterino... Qualcosa non va?» Eve fece segno di no. Barbara Eisley si rivolse a Mark: «Grazie per la cena. Ma sappi che non ti ho ancora perdonato per avermi citata in quella storia.» Girò sui tacchi e si allontanò fra i tavoli verso i servizi. «Dio, ti ringrazio.» Eve provò la serratura della valigetta. Non era chiusa a chiave, e dentro c'era soltanto un dischetto in una tasca laterale. Si affrettò a infilarselo in borsa. «Vuole che lo prendiamo.» «Lo rubiamo, vorrai dire», borbottò Joe gettando qualche banconota sul tavolo. «Il che le salva la faccia.» Eve si rivolse a Mark: «Hai un PC portatile con te?» «Sempre. Nel bagagliaio della mia macchina. Possiamo leggere il dischetto appena arriviamo al parcheggio.» «Bene. Domani dovrai fare un salto nell'ufficio di Barbara e lasciarglielo sulla scrivania. Non voglio metterla nei pasticci.» Si alzò. «Andiamo, prima che torni. Potrebbe cambiare idea.» «Non credo», commentò Joe. «È piuttosto evidente che hai fatto colpo
su di lei quando eri bambina.» «Oppure è Jane che l'ha colpita.» Eve si avviò verso l'uscita. «O forse è semplicemente una donna che cerca di fare la cosa giusta in un mondo sbagliato.» C'erano ventisette file sul dischetto. Mark impiegò venti minuti per passare in rassegna i primi sedici. «Jane MacGuire», lesse dallo schermo del computer. «L'età è giusta. Quattro famiglie affidatarie. La descrizione fisica corrisponde. Capelli rossi, occhi nocciola.» «Puoi stamparlo?» Mark collegò una stampante al portatile. «Attualmente vive con una tale Fay Sugarton che ha in affido anche altri due bambini, Chang Ito, di dodici anni, e Raoul Jones, di tredici.» «L'indirizzo?» «1248 di Luther Street.» Staccò il foglio e lo consegnò a Eve. «Vuoi che guardi sulla cartina stradale?» Eve fece segno di no. «So dov'è.» Dom aveva detto che avrebbe riconosciuto il posto. «È nel mio vecchio quartiere. Andiamo.» «Vuoi andare da lei adesso?» obiettò Joe. «È quasi mezzanotte. Dubito che questa Fay Sugarton la prenderà bene se tre tizi mai visti né conosciuti la tirano giù dal letto.» «Non m'importa come la prende. Non voglio...» «E che cosa conti di dirle?» «Tu cosa credi? Le dirò di Dom e le chiederò di lasciarci Jane in custodia finché il pericolo sarà passato.» «Non sarà facile convincerla, se tiene un minimo alla bambina.» «Allora dovrai aiutarmi. Non possiamo lasciarla in un posto dove...» «Avrai bisogno della collaborazione di Fay Sugarton», le fece notare pacatamente Joe. «Non ti conviene partire con il piede sbagliato.» Okay, ragioniamo con calma, si disse Eve. Dom aveva ordito quel piano elaborato perché voleva che lei prendesse contatto con Jane MacGuire. Probabilmente non avrebbe fatto alcuna mossa contro di lei finché... Probabilmente? Dio, voleva rischiare la vita di una bambina in base a un calcolo di probabilità? Lui poteva essere in quella casa di Luther Street in quello stesso momento. «Voglio andarci stanotte.» «Sarebbe meglio...» cominciò Mark. Eve lo interruppe. «Voglio solo accertarmi che sia tutto a posto. Non ir-
romperò in casa svegliando tutti.» Mark si arrese impotente e avviò il motore. «Come vuoi.» La casa di Luther Street era piccola, e la vernice grigia dei gradini del portico era scrostata, ma per il resto appariva dignitosa e ben tenuta. Allegre piante finte pendevano da cesti di plastica sulla veranda. «Soddisfatta?» domandò Mark. La strada era deserta. Tutto sembrava tranquillo. Eve non era soddisfatta, ma sì sentiva un po' meglio. «Immagino di sì.» «Bene. Allora riaccompagno te e Joe all'appartamento e poi torno a sorvegliare la casa.» «No. Io resto qui.» «Me lo aspettavo.» Joe tirò fuori il suo telefono. «Chiamo la centrale. Farò venire una macchina senza insegne che stia di guardia qua fuori per tutta la notte, e darò istruzioni all'agente di intervenire immediatamente appena nota qualcosa fuori dell'ordinario. Va bene?» «Resterò qui anch'io», aggiunse Mark. Eve li guardò indecisa, poi aprì la portiera. «Okay. Se vedi o senti qualcosa, chiamaci subito.» «Volete andare a piedi? Lasciate che vi accompagni.» «Prenderemo un taxi.» «E dove lo trovate, da queste parti?» «Vorrà dire che cammineremo fin dove potremo trovarne uno. Non voglio che tu ti muova di qui.» Mark guardò Joe. «Vuoi dirle per favore che non è il caso che vada a spasso in questi paraggi? È una zona pericolosa.» «Jane MacGuire va in giro per questo quartiere ogni giorno della sua vita», ribatté Eve, «e riesce a cavarsela.» Proprio come lei era riuscita a cavarsela tanti anni prima. Gesù, all'improvviso il passato era così vivido. «L'auto sarà qui tra cinque minuti.» Joe aveva finito la sua telefonata e lui ed Eve scesero dalla macchina. «Non preoccuparti, baderò io a lei», disse a Mark. «O forse lascerò che sia lei a badare a me. Questo è il suo territorio.» «Torneremo domani mattina alle otto.» Eve si incamminò lungo la strada. Niente cambiava realmente da quelle parti. L'erba che cresceva nelle crepe del marciapiede, le sconcezze scritte con il gesso sul cemento. «E come si torna alla civiltà da qui?» chiese Joe, mettendosi al passo con lei.
«Questa è la civiltà, caro il mio figlio di papà. La vera giungla è quattro isolati più a sud. Noterai che mi sto dirigendo a nord.» «E tu dove vivevi?» «A sud. Tu sei uno sbirro. Dovresti avere familiarità con questa zona.» «Non certo a piedi. Quelli sparano ai poliziotti... quando non si stanno ammazzando tra di loro.» «'Quelli.' I fantomatici 'quelli.' Non siamo tutti criminali quaggiù. Dobbiamo vivere e sopravvivere proprio come chiunque altro. Perché diavolo devi...» «Frena. Sai benissimo a chi mi riferivo. Perché mi salti addosso?» Aveva ragione. «Scusa. Lasciamo perdere.» «Non credo che dovremmo lasciar perdere. Stavi parlando come se vivessi ancora in una di quelle case di Luther Street.» «Non sono mai stata tanto fortunata da vivere in Luther Street. Te l'ho detto, questi sono i quartieri alti.» «Sai che cosa intendo dire.» Sì, lo sapeva. «Non sono più stata da queste parti da quando ci siamo trasferite dopo la nascita di Bonnie. Non pensavo che avrei reagito così.» «Così come?» «Mi sentivo come la bambina di tanti anni fa.» Abbozzò un sorriso agro. «Ero all'attacco.» «È come Barbara Eisley ha descritto Jane MacGuire.» «Forse ha il diritto di voler colpire per prima.» «Non metto in dubbio che abbia le sue buone ragioni. Ti sto solo suggerendo di analizzare l'effetto che ti ha fatto tornare qui. Sei di nuovo tu contro il mondo. O forse», aggiunse deliberatamente, «tu e Jane MacGuire contro il mondo.» «Sciocchezze. Non ho nemmeno mai incontrato quella bambina.» «Forse non dovresti incontrarla. Perché non lasci che vada soltanto io da lei domani mattina?» Si girò a guardarlo bellicosamente. «Che stai dicendo?» «Perché Dom ha scelto qualcuno di questo quartiere? Perché ti ha fatta tornare qui? Prova a pensarci.» Eve camminò in silenzio per qualche momento. «Vuole che mi identifichi con lei», mormorò. Cristo, si stava già identificando con la bambina. Lei e Jane avevano camminato per le stesse strade, patito abbandono e stenti, combattuto con la solitudine e il dolore. «Mi sta attirando in trappola. Quelle chiacchiere sulla reincarnazione, la scelta di Jane MacGuire.
Non gli basta uccidere una bambina e addossarmene la responsabilità. Vuole che io sia emotivamente coinvolta con lei.» «È quello che penso anch'io.» Bastardo. «Vuole che mi senta come se stesse uccidendo di nuovo mia figlia.» Serrò rabbiosamente i pugni. «Vuole uccidere Bonnie un'altra volta.» «Ed è per questo che non dovresti avvicinarti a Jane MacGuire. Stai già sviluppando un attaccamento prima ancora di averla incontrata.» «Posso tenerla a distanza.» «Come no.» «Non sarà così difficile, Joe. Non se è com'ero io alla sua età. Non ero esattamente avvicinabile.» «Io ti avrei avvicinata.» «E io ti avrei sputato in un occhio.» «Non è una buona idea che tu la veda.» «Devo farlo.» «Lo so», disse cupamente Joe. «Lui non ti ha lasciato via di uscita.» Nessuna via di uscita. Ma sì, doveva pur esserci una via d'uscita. Si era aperta un varco attraverso la miseria per scappare dal ghetto. Si era aperta un varco nelle tenebre per ritrovare l'equilibrio dopo che Bonnie era stata uccisa. Non avrebbe permesso a quel figlio di puttana di metterla in trappola adesso. Joe si sbagliava. Lei amava i bambini, ma non era una sprovveduta. Poteva salvare la vita a Jane MacGuire e battere il mostro. Tutto quel che doveva fare era tenere le distanze da una ragazzina che per lei era una perfetta estranea. Ma Dom non avrebbe tenuto le distanze da Jane. La sua ombra già incombeva su di lei. Be', niente paura. Domani lei e Joe avrebbero parlato con Fay Sugarton. E Jane MacGuire stava dormendo pacificamente, con la polizia e Mark a vigilare la casa. Quella notte la ragazzina sarebbe stata al sicuro. Forse. «Perché sei ancora qui, Mike?» Jane si accovacciò vicino alla grossa scatola di cartone. «Ti avevo detto di andare nel vicolo vicino alla missione.» «Sto bene qui.» «È più sicuro dove c'è gente.»
«Qui è più vicino a casa.» Mike allungò la mano con impazienza verso il sacchetto di carta che lei gli stava porgendo. «Hamburger?» «Spaghetti.» «Preferisco gli hamburger.» «Devi accontentarti di quel che riesco a trovare.» Quel che riusciva a sgraffignare, più che altro. Be', però non era esattamente rubare, no? Cusanelli's dava sempre gli avanzi all'Esercito della Salvezza invece di buttarli nella spazzatura. Che male c'era se prendeva qualcosa anche lei? «Adesso mangia, e poi va' alla missione.» Mike aveva già dato l'assalto agli spaghetti. «Perché sei venuta così tardi?» «Ho dovuto aspettare la chiusura del ristorante.» Si alzò. «Devo tornare a casa.» «Già?» Sembrava deluso. «Se non avessi perso tempo per andarti a cercare alla missione, avrei potuto fermarmi qualche minuto. Adesso è troppo tardi.» «Dicevi che Fay ha il sonno pesante e non si sarebbe svegliata.» Forse. «Ma devo entrare dalla finestra della cucina, e Raoul e Chang dormono nella stanza di fianco.» «Non voglio metterti nei guai.» Però si sentiva solo e voleva che lei restasse. Jane sospirò e si rimise a sedere. «Solo finché hai finito di mangiare.» Si appoggiò con la schiena contro il muro di mattoni. «Però devi andare nel vicolo della missione. Non è bene che tu stia da solo. Ci sono in giro maniaci di tutti i tipi che potrebbero farti del male.» «Io scappo sempre, come mi hai detto tu.» «Ma qui non c'è nessuno che può sentirti se gridi.» «Non ti preoccupare. Non ho paura.» Sapeva che non sarebbe riuscita a fargli capire. Per lui la paura era dove viveva suo padre. Qualunque altro posto era sicuro in confronto. Be', forse poteva restare lì ancora per quella notte. Era un paio di giorni che non vedeva in giro quel maniaco. «Di solito quanto si ferma tuo padre, quando torna a casa?» «Una settimana o due.» «Una settimana è già passata. Magari se n'è andato.» Mike scosse la testa. «Sono andato a vedere ieri dopo la scuola. Era sul portico con mamma. Non credo che mi abbia visto.» «E tua mamma?»
«Penso di sì, ma ha fatto finta di niente.» Abbassò lo sguardo sugli spaghetti. «Non è colpa sua. Ha paura anche lei.» «Già.» «Si sistemerà tutto quando se ne sarà andato di nuovo.» Non si sarebbe sistemato niente. La madre di Mike era una prostituta e lo lasciava quasi sempre a casa da solo, eppure lui continuava a difenderla. Jane non finiva mai di stupirsi di come i bambini fossero incapaci di vedere i propri genitori per quello che realmente erano. «Hai finito con quegli spaghetti?» «Non ancora.» Gliene restava solo un boccone, ma tirava per le lunghe perché non voleva che lei se ne andasse. «Raccontami ancora quelle storie delle stelle.» «Potresti saperle anche tu, se imparassi a leggere. È tutto in quel libro di leggende nella biblioteca della scuola. Devi imparare a leggere, Mike, e non puoi imparare se non vai a scuola.» «Ho saltato un giorno soltanto questa settimana. Dimmi di quel tipo sul cavallo.» Adesso avrebbe proprio dovuto andare. Le sarebbe rimasta appena qualche ora di sonno prima che Fay la svegliasse per andare a scuola. E il giorno prima il signor Brett l'aveva sgridata per essersi addormentata durante la terza ora. Mike si rannicchiò più vicino. Si sentiva solo e forse aveva più paura di quanta ammettesse. «Oh, e va bene. Resto ancora un po'. Ma solo se mi prometti che non verrai più qui.» «Promesso.» Jane piegò la testa all'indietro. Le erano sempre piaciute le stelle. Ricordava che quando stava con i Carboni passava ore a guardare fuori dalla finestra e per dimenticare la paura cercava di individuare figure nel cielo. Quando poi aveva trovato quel libro in biblioteca era stato ancora meglio. Libri e stelle. L'avevano aiutata; forse avrebbero aiutato anche Mike. Quella notte il cielo era limpido, e le stelle sembravano più brillanti del solito. Così lucenti, così lontane dallo squallore di quel vicolo «Il tipo sul cavallo è Sagittario, ma in realtà non è su un cavallo. È metà cavallo, metà uomo. Vedi quella fila di stelle? È la corda tesa del suo arco...»
SETTE «Che cosa?» Fay Sugarton fissò i tre visitatori. «Jane?» «È in pericolo», ripeté Eve, seduta sul divano con Joe e Mark. «Mi creda, la prego.» «Perché dovrei? Solo perché ha l'età giusta, i capelli rossi ed è stata in affidamento in quattro case diverse? Avete appena ammesso voi stessi che praticamente avete tirato fuori il suo nome da un cilindro!» «Corrispondeva al profilo», disse Joe. «Avete controllato i registri della contea, oltre a quelli della città?» «Riteniamo che Dom abbia scelto una bambina della zona.» «Forse. E forse no. Potrebbero esserci altre bambine nella contea che corrispondono al profilo. Non avete svolto ricerche approfondite.» Fay incrociò le braccia sul petto. «E non siete nemmeno sicuri che questo tizio non sia uno svitato che si diverte a fare scherzi macabri.» «Sapeva dei due bambini a Talladega», fece notare Eve. «Questo non significa che abbia preso di mira Jane.» «Vorrebbe correre il rischio?» «Naturalmente no.» Fay la fissò con durezza. «Ma non intendo permettervi di portarmi via Jane a meno che non sia convinta che è necessario. È stata sballottata da una casa all'altra da quando aveva due anni. Adesso è sotto la mia responsabilità. Non lascerò che venga strappata a un'altra casa e terrorizzata.» «Non saremo noi a terrorizzarla.» «Portatemi delle prove; spiegatemi come la proteggerete, e io la lascerò andare.» Eve trasse un profondo respiro. «Le prove potrebbero arrivare troppo tardi.» «Voi non vi rendete conto di quanto sia traumatizzata questa bambina. Voglio avere una possibilità di guadagnarmi la sua fiducia.» Guardò minacciosamente Mark Grunard. «E se lei solo si prova a mandare questa storia in TV, farò causa all'emittente.» Mark alzò le mani. «Io sono qui solo in qualità di osservatore. Ma fossi in lei», aggiunse, «non rifiuterei il nostro aiuto. Qui nessuno vuole fare alcun male alla bambina, eccetto questo Dom. Noi stiamo cercando di salvarla, signora Sugarton.» Fay esitò, poi scosse la testa. «Portatemi le prove e io ve la lascerò prendere.»
«Sta mettendo a repentaglio la vita della bambina», disse Eve con severità. Fay le rivolse uno sguardo penetrante. «Non credo proprio che lascerete che le succeda qualcosa, anche se resta con me. Scommetto che la state già facendo sorvegliare.» «Potrebbe non essere abbastanza. Bisogna nasconderla in un posto sicuro.» «Non mi sembra che lei si stia nascondendo.» «È una mia scelta. Per una bambina è diverso.» Fay fece una smorfia. «Lei non conosce Jane.» «Ma è solo una bambina, dannazione.» «Una bambina che è stata maltrattata e trascurata per la maggior parte della sua vita. Già così non ha una grande opinione degli adulti, e voi volete che le dica che qualcuno sta cercando di ucciderla per il puro gusto di farlo?» «Che tipo di prove vuole?» intervenne Joe. «Mi sembra che siate stati troppo precipitosi. Voglio che quelli dell'assistenza all'infanzia consultino tutti i loro schedari, e si accertino che nell'intera contea Jane sia l'unica che corrisponde al profilo. E voglio che quell'agente dell'FBI, Spiro, venga qui a parlare con me. Dell'FBI mi fido.» Lanciò un'occhiata a Joe. «Senza offesa, ma i miei ragazzi hanno avuto problemi con la polizia locale, e non mi piace che vi siate presentati con uno della TV.» Eve consultò Joe con uno sguardo. Se Dom non voleva che la polizia fosse coinvolta, non sarebbe stato contento di vedere lì l'FBI. «Sembra che non abbiamo scelta. Se non altro, abbiamo individuato la bambina. Adesso non siamo del tutto impotenti.» Eve tornò a rivolgersi a Fay. «Allora è deciso. Parlerà con Robert Spiro. La prego, gli dia ascolto. Le abbiamo già spiegato che i Servizi famigliari ci stanno facendo grosse difficoltà.» «Prometto di ascoltarlo. Niente di più.» Si alzò. «Ora, se volete scusarmi, avrei le faccende di casa da sbrigare, e poi devo andare al supermercato.» Guardò Eve. «Mi spiace, ma devo essere sicura. Jane è una bambina problematica. Questo potrebbe troncare ogni mia possibilità di avvicinarmi a lei.» «Per l'amor del cielo, ci aiuti.» «Farò quel che posso. Adesso Jane si trova alla Crawford Middle School, sulla Tredicesima.» Fay andò a rovistare in un cassetto della credenza,
ne tirò fuori una fotografia e la porse a Eve. «Questa è una foto che le hanno fatto a scuola lo scorso anno. Esce alle tre e torna a casa a piedi. È a soli quattro isolati da qui. Tenetela d'occhio, ma non voglio che parliate con lei.» Le sue labbra si irrigidirono in una piega decisa. «Se la spaventate, vi scotenno.» «Grazie.» Eve si infilò la fotografia nella borsa. «Ma sta facendo un errore.» Fay scrollò le spalle. «Ne ho fatti tanti, ma posso solo fare del mio meglio. Ho avuto dodici bambini in affido negli ultimi sei anni, e penso che molti di loro siano migliorati stando con me.» Andò ad aprire la porta. «Arrivederci. Tornate con delle prove e vedremo di trovare una soluzione.» «Bel caratterino, la signora», commentò Mark Grunard una volta in strada. «Non sembrava particolarmente impressionata dalla mia indubbia fama e il mio noto carisma.» «A me piace.» Eve corrugò le sopracciglia. «Anche se avrei voglia di torcerle il collo. Perché non ha voluto darci retta?» «È convinta di fare quello che è meglio per la bambina», disse Joe. «E non è disposta a prendere per buona la parola di nessuno senza prima averci riflettuto bene.» «Allora che si fa adesso?» domandò Mark. «Tu va' a casa e fatti una dormita», gli disse Joe. «Sei stato sveglio tutta la notte. Noi chiamiamo Spiro per chiedergli di andare a parlare con Fay Sugarton.» Guardò Eve. «E suppongo che il programma del pomeriggio sia montare la guardia davanti alla scuola e assicurarci che Jane arrivi a casa sana e salva, giusto?» Eve si avviò verso la macchina. «Esattamente.» «Sono bloccato qui a Talladega», disse Spiro. «Non posso venire subito.» «Non può essere così importante», insistette Eve. «Abbiamo bisogno di te.» Lui sospirò. «È importante, purtroppo. Abbiamo trovato un altro scheletro sull'argine opposto. Stanno rivoltando tutta l'area intorno alle cascate per vedere se ce n'è ancora qualcuno.» «Dio.» Con quello facevano dodici. Quanti altri? «Vedrò di fare una scappata lì stasera, anche se non potrò trattenermi molto. Va bene?»
«Deve andare bene per forza, se proprio non puoi venire prima.» Joe le prese di mano il telefono. «Per ora non abbiamo in programma di tornare al cottage. Manda qui Charlie, nel caso debba lasciare sola Eve per qualche motivo.» Stette in ascolto per qualche istante. «No, non vogliamo che vada Charlie a parlare con Fay Sugarton. Ci serve qualcuno che abbia abbastanza presenza e autorità da impressionarla. Semmai Spalding... Ah, è tornato a Quantico? Be', allora dovrai venire tu stesso. Non m'importa se suona come un ordine. Lo è.» Troncò la conversazione. «Non sei stato molto diplomatico», lo rimproverò Eve. «Sta facendo il possibile per aiutarci.» «Finché gli serve per catturare Dom.» «Catturare assassini è il suo lavoro.» «Non proprio. Lui si occupa di profili. Dovrebbe analizzare e stendere relazioni, non partecipare attivamente alla caccia.» La piega della sua bocca si indurì. «Ma adesso vuole quel bastardo quasi quanto noi.» «Dovremmo essergli grati per questo.» «Lo sono.» Joe assunse un'aria accigliata. «Qualche volta. Quando non antepone gli interessi del Bureau alla sicurezza di...» «Smettila, Joe.» Lui sospirò. «Okay, Spiro sta solo facendo il suo lavoro. Immagino di essere un po' troppo teso.» Non era l'unico. Anche lei aveva i nervi a fior di pelle. Joe avviò la macchina. «Andiamo. Ci prendiamo un hamburger e poi si va a scuola.» «Mio Dio, mi ero dimenticato quanto corrono i bambini quando escono da scuola.» Joe rise divertito. «Sembrano un'orda di bufali alla carica. Andavi anche tu a questa scuola?» «No, non c'era ancora ai miei tempi.» Eve cercò con lo sguardo tra la folla di ragazzini. «Non vedo nessuna testa rossa. Dov'è?» «A proposito, com'è che non hai dato nemmeno un'occhiata alla fotografia?» «Già... mi era scappato di mente.» «Sicura?» Eve lo guardò di traverso. «Ovvio che ne sono sicura. Smettila di leggere significati in ogni minima cosa. È stata una semplice dimenticanza.» «Non c'è mai niente di semplice, se si tratta di te. Su, è ora di guardare quella foto.»
«Ehi, dammi almeno il tempo di prenderla!» La tirò fuori di malavoglia dalla borsa. Coraggio. È solo una qualsiasi bambina. Non ha niente a che vedere con Bonnie... «Accidenti, che grinta», commentò Joe. La bambina della foto aveva corti riccioli rossi intorno a un faccino spigoloso e corrucciato. L'unica cosa che avesse di bello erano i grandi occhi nocciola, ma anche quelli erano troppo torvi per risultare attraenti. «Evidentemente non era del parere di farsi fotografare.» «Allora deve avere carattere. Nemmeno a me piaceva essere fotografata.» Lo sguardo di Joe si spostò su di lei. «Sei sollevata. Avevi paura che potesse somigliare a Bonnie.» «Sembra che Dom non abbia molto occhio. Lei e Bonnie non hanno niente in comune.» Bonnie era così graziosa, dolce e allegra da incantare chiunque la vedesse. Non come Jane MacGuire, che sembrava pronta ad azzannare qualunque incauto le si avvicinasse. «E se credeva che mi sarei identificata con lei, è solo un'ulteriore prova di quanto sia pazzo. Come vedi, non avevi motivo di preoccuparti, Joe.» «Speriamo.» Joe si irrigidì al posto di guida. «Eccola. È appena uscita dal portone principale.» Jane MacGuire era piccola per i suoi dieci anni, vestita in jeans, T-shirt e scarpe da tennis. Aveva uno zainetto verde in spalla e andava dritta per la sua strada, senza guardare né a destra né a sinistra. Non un sorriso o un saluto a nessuno. Non si attardò un istante a parlare con qualche amico, come faceva Bonnie. Lei era così socievole e solare... Era ingiusta a fare paragoni. Bonnie era sempre stata circondata di amore e fiducia. Jane MacGuire aveva ogni diritto di essere chiusa e ostile. Ma, Dio, era così contenta che la bambina non ricordasse minimamente Bonnie. «È arrivata in strada. Metti in moto.» Il maniaco aveva una macchina diversa. Più grande. Più nuova. Grigia e non blu. O forse era un altro maniaco, si disse Jane. Il mondo ne era pieno. Allungò il passo, poi con uno scatto improvviso girò dietro l'angolo della scuola. Attese. La macchina grigia svoltò lentamente l'angolo. Jane si irrigidì. Sembrava proprio che la stesse seguendo...
Un uomo e una donna? Forse non erano maniaci, pensò. O forse sì. Meglio non correre rischi. Si arrampicò sulla rete di filo di ferro, attraversò in volata il cortile della scuola e scavalcò la recinzione dall'altra parte. Via di corsa dal cancelletto secondario che dava sul vicolo. Lanciò una rapida occhiata indietro. Nessuna macchina in vista. Meglio continuare a correre. Il cuore le batteva troppo forte. Doveva dominarsi. Mai lasciarsi spaventare dai maniaci. Era quello che volevano. Farti paura. Farti del male. Guai a permetterglielo. Due isolati ancora e sarebbe stata a casa di Fay. Forse le avrebbe detto dei maniaci. Fay era come gli insegnanti a scuola. Purché capisse il pericolo, avrebbe fatto quel che poteva per aiutare. Era solo quando non capiva che... Jane sbucò dal vicolo sulla strada. La casa era dritta davanti a lei. Mezzo isolato. Gettò uno sguardo alle sue spalle, e il cuore le balzò in gola. La macchina grigia. Stava girando l'angolo. Non era riuscita a seminarli. Si slanciò a precipizio verso la casa di Fay. Da Fay sarebbe stata al sicuro. Lei avrebbe chiamato i poliziotti e forse quelli si sarebbero presi la briga di venire. E in ogni caso, almeno non sarebbe stata sola. Ci sarebbe stata Fay. Corse su per gli scalini, spalancò la porta e la sbatté dietro le spalle. Era salva. Forse era stata una stupida a spaventarsi. Forse non lo avrebbe detto a Fay. Questo sì che sarebbe stato stupido, concluse tra sé. Glielo avrebbe detto eccome! «Fay!» Nessuna risposta. La casa era silenziosa. Fay doveva essere in cucina. Si faceva sempre trovare in casa quando i ragazzi tornavano da scuola. Sì, Fay era in cucina. Jane era sicura di aver sentito un piccolo rumore proveniente da quella parte. Ma perché non aveva risposto? Attraversò lentamente il soggiorno per andare a vedere. «Fay?»
«Fay Sugarton non sarà per niente contenta.» Joe parcheggiò di fronte alla casa. «Non vuole che parliamo con la bambina.» «Non so che farci. Dannazione, l'abbiamo spaventata. Non voglio che abbia gli incubi per colpa nostra.» Eve aprì la portiera. «Bel segugio che sei. Ti avevo detto di fare in modo che non si accorgesse di essere seguita.» «È sveglia.» Joe scese dall'auto. «Sembrava quasi che se lo aspettasse.» Eve gli lanciò un'occhiata. «Pensi che sappia di essere sorvegliata?» «Pare che avremo l'opportunità di chiederlo a lei direttamente.» Joe salì gli scalini e suonò il campanello. «Sempre che Fay Sugarton ci lasci entrare.» «Non ha scelta. Lei tiene alla bambina. E non è che vogliamo dire a Jane di... Perché non viene alla porta?» Joe suonò di nuovo. «Ha detto che doveva andare a fare la spesa. Forse non è in casa e la bambina è troppo spaventata per rispondere.» «Ha avuto ore per tornare dal supermercato.» Eve provò ad aprire la porta. «È chiusa dall'interno.» «La bambina.» Esitò. «Almeno spero... Oh, al diavolo.» Diede una spallata alla porta e irruppe in casa. «Sarà illegale ma... Merda!» Si accasciò a terra, colpito alle ginocchia da una mazza da baseball. Jane si lanciò all'attacco di Eve, colpendola alla cassa toracica con la mazza. Il dolore fu lancinante. Eve riuscì a malapena a schivare il secondo colpo, diretto alla sua testa. «Carogne», singhiozzò Jane, il viso inondato di lacrime. «Fottuti bastardi.» Roteò di nuovo la mazza. «Vi ammazzo, maledetti...» Joe, ancora in ginocchio, abbrancò la bambina, trascinandola a terra. «Non farle del male», scongiurò Eve. «Non farle del male? È tanto se non finisco sulla sedia a rotelle.» Si mise a cavalcioni sulla bambina, cercando di tenerla ferma. «E ha cercato di fracassarti il cranio.» «È spaventata. Abbiamo fatto irruzione in casa sua. Avrà creduto...» Sangue. La bambina era coperta di sangue. Le guance, la bocca, le mani... «Oh, mio Dio, Joe, è ferita. È stato lui!» Si gettò in ginocchio accanto a lei e le scostò i capelli dalla faccia. Jane le affondò i denti nella mano. Joe le aprì a forza le mascelle e liberò la mano di Eve. «Sta buona, dannazione!» Prese il mento di Jane in una mano, impedendole di aprire la
bocca, e la fissò negli occhi. «Non vogliamo farti alcun male. Siamo qui per aiutarti. Dov'è la signora Sugarton?» Jane lo guardò con odio. «Polizia. Detective Quinn.» Tirò fuori il distintivo dalla tasca e glielo mostrò. «Siamo qui per aiutarti», ripeté. La bambina si calmò un poco. «Dove sei ferita?» le domandò Eve. Jane stava ancora guardando Joe in cagnesco. «Levati di dosso.» «Lasciala andare, Joe.» «Potrebbe essere un errore.» Joe si alzò e agguantò la mazza da baseball. Jane si sollevò lentamente a sedere. «Stupidi poliziotti buoni a niente. Perché non siete arnvati prima?» Le lacrime avevano ripreso a scorrerle lungo le guance. «Non ci siete mai quando serve. Che vi pagano a fare? Stupidi buoni a niente...» «Adesso sono qui, no? Dove sei ferita?» «Non io. Lei.» Eve si irrigidì. «La signora Sugarton?» «Fay.» Jane guardò verso la cucina. «Fay.» «Gesù.» Eve balzò in piedi e corse di là. Sangue. E ancora sangue. Sul tavolo di formica. Sulla sedia rovesciata. Sulle mattonelle del pavimento dove Fay Sugarton giaceva inerte, gli occhi vitrei, la gola squarciata. Joe fu al fianco di Eve in un istante. «Non ti muovere. Potrebbero esserci tracce. Non dobbiamo toccare niente.» «È morta», mormorò Eve, stordita. «Sì.» Joe la prese per le spalle, la fece girare su se stessa e la spinse verso il soggiorno. «Chiamo subito la centrale. Tu torna di là a occuparti della bambina. Chiedile se ha visto qualcuno.» Eve non riusciva a staccare lo sguardo da quegli occhi sbarrati fissi su di lei. «Dom», esalò. «È stato Dom.» «Vai.» Lei annuì e uscì lentamente dalla cucina. Jane era rannicchiata contro la parete, le ginocchia strette nelle braccia. «È morta, vero?»
«Sì.» Eve si lasciò cadere sul pavimento accanto a lei. «Hai visto qualcuno?» «Ho cercato di aiutarla. Perdeva sangue. Ho provato a fermarlo... ma non ci sono riuscita. Non ci sono riuscita. A scuola mi hanno insegnato che se succede un incidente, per prima cosa bisogna fermare il sangue. Io ci ho provato. Ma non riuscivo a fermarlo. Continuava a uscire...» Eve avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé, ma poteva quasi vedere il muro che la bambina si era eretta intorno. «Non è stata colpa tua. Sono sicura che era già morta.» «Forse no. Forse l'avrei potuta aiutare se fossi stata più brava. Dovevo stare più attenta alla lezione. Non pensavo... non sapevo...» Eve non poteva più sopportarlo. Alzò una mano a toccarle cautamente una spalla. Jane si ritrasse bruscamente. «Chi sei tu?» le domandò con asprezza. «Sei anche tu della polizia? Non potevate arrivare prima? Non potevate impedirlo?» «Non sono della polizia, ma devo sapere che cosa è successo. Hai visto...» Oh, al diavolo. La bambina non era in condizioni di essere interrogata. «Che ne dici se usciamo sul portico ad aspettare che arrivi la polizia?» Sulle prime pensò che la bambina non avrebbe accettato il suggerimento, ma poi Jane si alzò e uscì a grandi passi dalla casa, andando a sedersi sugli scalini del portico. Eve le si sedette accanto. «Mi chiamo Eve Duncan. Il detective in casa è Joe Quinn.» La bambina fissava dritto davanti a sé. «Tu sei Jane MacGuire, vero?» Non rispose. «Se non vuoi parlare, lo capisco. Dovevi essere molto affezionata alla signora Sugarton.» «Non m'importava un bel niente di lei. Abitavo da lei e basta.» «Non penso che sia vero, ma non è il caso di parlarne adesso. Possiamo anche non parlare del tutto. Pensavo solo che magari ti farebbe sentire un po' meglio se io non fossi proprio un'estranea.» «Parlare non serve a niente. Sei lo stesso un'estranea.» E la bambina avrebbe fatto di tutto perché lo restasse, pensò Eve. Aveva smesso di piangere, ma era rigida come un palo, e il muro di sfiducia era più alto che mai. E chi avrebbe potuto biasimarla? Un'altra bambina al po-
sto suo avrebbe avuto una crisi isterica. Probabilmente sarebbe stata una reazione più salutare della totale chiusura. «Nemmeno io ho molta voglia di parlare. Ce ne staremo soltanto qui sedute ad aspettare, okay?» Jane non la guardò. «Okay.» Solo allora Eve si rese conto che la bambina era ancora tutta imbrattata di sangue. Avrebbe dovuto fare qualcosa... Non ora. Nessuna delle due si sentiva di fare niente, per il momento. Appoggiò la testa alla colonna della balaustra al suo fianco. Non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi senza vita di Fay Sugarton. Era una brava donna, non meritava di... «Prima ho detto una bugia.» Jane stava ancora fissando il vuoto davanti a sé. «Io... mi piaceva, Fay.» «Anche a me.» Jane si richiuse nel suo silenzio. Barbara Eisley parcheggiò lungo il marciapiede contemporaneamente all'autopattuglia della polizia. Gli agenti si riversarono in casa, ma lei si fermò davanti a Jane. Il suo atteggiamento era sorprendentemente gentile quando parlò alla bambina. «Ti ricordi di me, Jane? Sono la signora Eisley.» Jane la fissò senza espressione. «Mi ricordo.» «Non puoi più restare qui.» «Lo so.» «Sono venuta a prenderti. Dove sono Chang e Raoul?» «A scuola. Avevano l'allenamento di basket.» «Manderò qualcuno a prenderli.» Le tese la mano. «Vieni con me. Ti daremo una ripulita e poi parleremo.» «Non voglio parlare.» Jane si alzò e andò alla macchina. «Dove la porterà?» domandò Eve. «In una nostra casa di accoglienza.» «È un posto sicuro?» «C'è il servizio di vigilanza, e sarà in mezzo ad altri bambini.» «Credo che dovreste lasciarcela...» «Non se ne parla nemmeno», tagliò corto la Eisley in un tono tanto duro quanto prima era stato gentile. «È sotto la mia responsabilità, e voi le starete bene alla larga. Non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere in questa storiaccia. I giornali e i politici mi si abbatteranno addosso come una tonnellata di mattoni.»
«Dobbiamo metterla in salvo. La signora Sugarton non era l'obiettivo. Probabilmente si è solo trovata di mezzo.» «E voi non siete stati in grado di proteggerla, giusto?» Gli occhi di Barbara Eisley sembrarono trapanarla. «Fay Sugarton era un'ottima persona, una donna straordinaria che ha aiutato dozzine di bambini. E adesso sarebbe ancora viva se io non vi avessi dato quel...» «E Jane potrebbe essere morta.» «Avrei dovuto starne fuori, ed è quello che farò d'ora in avanti. State lontani da me, e soprattutto state lontani da Jane MacGuire.» Girò sui tacchi e marciò verso la macchina. Eve guardò impotente l'auto allontanarsi. Jane era seduta eretta sul sedile anteriore, ma appariva terribilmente piccola e fragile. «Era l'unica cosa da fare.» Si girò e vide Joe fermo sulla soglia. «Speravo che avremmo potuto portarla via prima che si facesse vivo qualcuno dei Servizi famigliari.» Lui scosse la testa. «Ho chiamato io la Eisley.» Eve scosse la testa. «Cosa?» «Bisogna sempre richiedere l'intervento del centro per la tutela dei minori in casi come questo. Serve a proteggere i bambini dalla stampa e dagli interrogatori della polizia. Faranno in modo che Jane sia lasciata in pace. Nella loro casa di accoglienza sarà al sicuro, e noi potremo comunque tenerla d'occhio.» Eve non ne era convinta. «Avrei preferito che...» «Potrebbe essere testimone oculare in un caso di omicidio, Eve. Ti ha detto qualcosa?» Lei scosse la testa. «Allora dovrò fare un salto da lei stasera.» «Devi proprio...» Ovvio che doveva proprio. Jane poteva aver visto qualcosa. «Non so se la Eisley ti lascerà parlare con lui. Ha il dente avvelenato con noi.» «A volte aiuta avere un distintivo.» Le tese la mano per aiutarla ad alzarsi. «Vieni, ti porto a casa. La scientifica sarà qui da un momento all'altro. Io dovrò tornare, ma non c'è bisogno che tu stia qui.» «Aspetterò che tu abbia finito.» «Non se ne parla. Potrebbero volerci ore, e la scientifica arriverà con dietro un codazzo di giornalisti.» La spinse con gentilezza giù per gli scalini. «Ho chiamato Charlie. Ti sta già aspettando nell'atrio del palazzo. Resterà con te fino al mio ritorno.» Le aprì la portiera della macchina. «Ap-
pena a casa, chiama Spiro e Mark per informarli di quel che è successo.» Eve annuì. «E magari chiamerò anche la Eisley per vedere se riesco a convincerla a riparlarne.» «Non è il momento, Eve. Lasciala sbollire.» Lei scosse la testa. Non riusciva a dimenticare quell'ultima immagine di Jane MacGuire, seduta dritta come una bacchetta, timorosa di cadere a pezzi se solo si fosse lasciata andare. Ma la sua corazza non le sarebbe servita a niente contro Dom. Quanto gli era andata vicino in quella cucina? Al pensiero la prese il panico. Calma. Il pericolo immediato per Jane era passato. Passato un corno. «Chiamerò Barbara Eisley appena metto piede in casa.» «No», disse freddamente Barbara Eisley. «Non me lo faccia ripetere ancora, signora Duncan. Jane resta sotto la nostra custodia. Provi ad avvicinarsi e la faccio sbattere in galera.» «Lei non capisce. Dom ha ucciso Fay Sugarton in pieno giorno. È riuscito a entrare in casa e l'ha sgozzata proprio lì nella sua cucina. Che cosa gli impedirà di fare lo stesso a Jane nella vostra casa di accoglienza?» «Il fatto che ogni giorno dobbiamo tenere a bada genitori violenti e madri fatte di crack e di eroina che vogliono riprendersi i loro figli. Sappiamo quello che facciamo. L'ubicazione della struttura è un segreto d'ufficio. E se Dom dovesse scoprire dove si trova, nessuno può eludere la sorveglianza.» «Voi non avete mai avuto a che fare con...» «Addio, signora Duncan.» «Aspetti. Come sta Jane?» «Non bene. Ma si riprenderà. La farò vedere da un nostro psicologo domani mattina.» Chiuse la comunicazione. Eve ricordava bene quegli psicologi. Se ne stavano lì seduti a cercare di carpirle qualcosa con le loro domande, e poi tentavano di dissimulare il loro risentimento quando si rendevano conto che non avrebbero cavato un ragno dal buco. Jane li avrebbe masticati e risputati, proprio come aveva sempre fatto lei da bambina. «Niente da fare?» Eve si volse verso Charlie, seduto dall'altra parte della stanza. «No. Ritenterò domani mattina.»
«Non si può dire che ti manchi la tenacia.» «È l'unica arma che posso usare con la Eisley. A volte funziona. A volte no.» Dio, sperava tanto che quella volta funzionasse. «Hai saputo niente dall'agente che Spiro ha mandato a Phoenix?» «Non molto, solo che la polizia locale sta collaborando. Vorrei che Spiro avesse mandato me.» Le sorrise. «Non che la sua compagnia mi sia sgradita, anzi. È solo che sono entrato nell'FBI per fare qualcosa di più impegnativo che il servizio di sorveglianza. Anche se va detto che la sorvegliata in questione mi sta facendo correre per tutta la Georgia.» «Mi spiace. Ti va un caffè? Ho paura che in frigo non ci sia niente di commestibile.» «Ho visto un ristorante thailandese dietro l'angolo che fa consegne a domicilio.» Charlie tirò fuori il suo telefono. «Cosa vuoi?» Non aveva fame, ma supponeva che avrebbe dovuto mangiare qualcosa. «Boh, nidi di rondine in qualche maniera. E ordina anche qualcosa da tenere in frigo per Joe. Non si ferma mai per mangiare.» Prese la borsa e andò verso la camera da letto. «Devo chiamare Spiro.» «Non occorre. L'ho già fatto io, appena Joe mi ha telefonato. Ha bestemmiato come uno scaricatore di porto e ha detto che sarebbe arrivato subito.» Eve chiuse la porta della stanza e vi si appoggiò contro. Restava ancora da informare Mark, ma aveva bisogno di un po' di tempo per riprendersi. Era ancora sconvolta per Fay Sugarton. Barbara Eisley non aveva tutti i torti a essere arrabbiata. Andò alla finestra e guardò il parcheggio dall'altra parte della strada. Si stava già facendo buio, e i lampioni gettavano chiazze di luce tra gli alberi. Le ombre della sera sembravano minacciose. Sei là fuori, Dom? Stai guardando, bastardo? pensò. Il suo cellulare suonò. Joe? Spiro? Lo tirò fuori dalla borsa. «Sì?» «Hai fatto amicizia con la piccola Jane?» «Figlio di puttana.» «Mi è dispiaciuto non poter restare per assistere al vostro incontro, ma andavo un tantino di fretta. Non ho nemmeno avuto modo di vedere la bambina da vicino.» «Così invece hai ucciso Fay Sugarton.» «Non 'invece.' Mi fai sembrare un pasticcione. Non avevo nessuna in-
tenzione di uccidere la bambina, per il momento. Il mio bersaglio era proprio Fay Sugarton.» «Dio santo, perché?» «Tu e Jane non avreste potuto legare finché c'era la Sugarton di mezzo. Per cui, era necessario che uscisse di scena. Allora, ti è piaciuta la ragazzina?» «No. Ha cercato di spaccarmi la testa con una mazza da baseball.» «Non ti scoraggerai per così poco. Probabilmente ammiri il suo spirito. Non credo che avrei potuto scegliere meglio.» «Ti sbagli, è stata una scelta pessima. Lei non ha niente a che vedere con Bonnie.» «Ti conquisterà, vedrai.» «Non ne avrà modo. Non è con me.» «Lo so. I servizi sociali. Un contrattempo molto spiacevole. Dobbiamo fare qualcosa per rimediare, non credi? Valla a prendere, Eve. Lei deve stare con te.» «È impossibile. Mi arresteranno, se solo mi avvicino.» «Forse non mi sono spiegato. O la porti via da quella casa di accoglienza, o ci vado io. Ti do ventiquattr'ore di tempo.» Eve sentì crescere il panico. «Non so nemmeno dove sia.» «Cercala. Datti da fare. I contatti non ti mancano. C'è sempre un modo. Io lo troverei.» «Il posto è sorvegliato. Non riusciresti mai ad avvicinarti a lei. Ti prenderebbero.» «Certo che ci riuscirei. Basterebbe un momento di distrazione di un guardiano.» «Avvertirò la polizia appena metti giù.» «Sarebbe come firmare la condanna a morte di Jane. Sai che non mi arrenderei mai. Se non trovo il modo di farlo adesso, aspetterò. Una settimana, un mese, un anno. È sorprendente come il passare del tempo mi renda tutto più facile. La gente dimentica, abbassa la guardia... e tu non saresti abbastanza vicina a lei per fermarmi. Ventiquattr'ore, Eve.» Riattaccò. Era completamente pazzo, pensò Eve. La Eisley aveva assicurato che nessuno avrebbe potuto penetrare nella casa di accoglienza. Ma lei stessa ne aveva dubitato. Basterebbe un momento di distrazione di un guardiano, ripeté tra sé. Non era quello che Eve aveva temuto fin dal primo istante? Non era per questo che aveva insistito perché la Eisley le lasciasse prendere Jane?
La paura le serrò la gola. Dom avrebbe trovato il modo di arrivare a Jane. Cristo, l'avrebbe uccisa, se lei non l'avesse portata via di lì. E aveva soltanto ventiquattr'ore. Joe. Doveva chiamare Joe. Cominciò a comporre il suo numero, poi ci ripensò. Che cosa stava facendo? Voleva davvero chiedergli di giocarsi il lavoro aiutandola a rapire una bambina sotto il naso dei sevizi sociali? Ma aveva bisogno di lui. E con questo? Non poteva essere così egoista. Avrebbe dovuto arrangiarsi da sola. Ma come? Non sapeva nemmeno dove fosse Jane. I contatti non ti mancano. Un modo si trova sempre. Io lo troverei. Risuonarono nella sua testa le parole di Dom. Compose un altro numero di telefono. Mark Grunard rispose al secondo squillo. Non era di buon umore. «Carino da parte vostra avermi informato subito di Fay Sugarton. Sono arrivato a casa sua insieme a metà dei giornalisti della città.» «Avevo intenzione di chiamarti, ma sono successe delle cose.» «Non mi pare che fosse questo il nostro accordo.» «Non accadrà più.» «Ci puoi giurare. Io mi chiamo fuori. Tu e Joe avreste dovuto...» «Ho bisogno del tuo aiuto. Dom ha telefonato di nuovo.» Silenzio. «E...?» «I servizi sociali hanno preso in custodia la bambina, e lui invece vuole che stia con me. Mi ha dato ventiquattr'ore di tempo per portarla via dalla casa di accoglienza dove la tengono.» «E che succede se non lo fai?» «Tu cosa credi? Succede che è morta, dannazione.» «Gli sarebbe difficile arrivare fino a lei, se è in una struttura protetta.» «Ma non impossibile. Non posso correre il rischio.» «Che ne pensa Joe?» «Niente. Non intendo dirglielo. Joe deve restarne fuori.» Mark fischiò tra i denti. «Non gli piacerà.» «Ha già fatto abbastanza. Non lo farò mettere in croce per avermi aiutata.» «Ma dal momento che a me ne stai parlando, deduco che sei pronta a sacrificare la mia umile persona.» «Tu hai meno da perdere e più da guadagnare.» «Che genere di aiuto vuoi da me?»
«Ho bisogno di sapere dove si trova Jane. Ne hai idea?» «Forse.» «Che significa, forse?» «Senti, l'ubicazione di quella struttura è una specie di segreto militare.» «Ma tu sai dov'è?» «Be', una volta ho seguito Barbara Eisley mentre portava là un bambino che doveva testimoniare in un grosso processo.» Dom poteva benissimo avere avuto la stessa idea. «Era una grande casa d'epoca in Delaney Street che un tempo era usata come convalescenziario», continuò Mark. «Ma questo è stato due anni fa. Potrebbero aver cambiato posto.» «Tenteremo. La Eisley ha parlato di un servizio di vigilanza.» «Una guardia giurata di ronda. Suppongo che mi chiederai di creare un diversivo che ne distolga l'attenzione.» «Esatto.» «E una volta che avrai preso la ragazzina? Dove conti di portarla?» «Non lo so ancora. Ci penserò. Allora, posso contare su di te?» «Mi stai chiedendo di giocarmi il culo.» «Farò in modo che ne valga la pena.» «Sì, lo farai.» Il tono di Mark si indurì. «Perché io ti seguirò passo per passo.» «Non posso...» Eve sospirò. «E va bene, troveremo una soluzione. Vieni a prendermi. Ti aspetto al parco dall'altra parte della strada.» «Non prima di mezzanotte.» «Mark, sono appena le cinque e mezzo. Voglio tirare fuori di lì Jane al più presto.» «Okay, alle undici. È la mia ultima offerta. Se non ti va bene, dovrai andarci da sola. Io non mi avvicinerò a quella casa finché non sono tutti a dormire.» Cinque ore e mezzo. Come avrebbe potuto aspettare per tutto quel tempo? Era già un fascio di nervi adesso. Okay, calma. Dom le aveva dato ventiquattr'ore. «D'accordo. Mangio qualcosa, poi dirò a Charlie che vado a letto. La cucina è comunicante con una lavanderia che ha una porta sul corridoio. Vedrò di svignarmela da lì. Sii puntuale, mi raccomando.» Chiuse la comunicazione. Era andata. Grunard era stato un osso più duro del previsto, ma non poteva biasimarlo. Gli stava chiedendo molto, e quasi nessuno era disposto a dare senza volere niente in cambio. Eccetto Joe.
Ma stavolta non poteva averlo al suo fianco. «Vieni», la chiamò Charlie attraverso la porta della camera da letto. «È arrivata la cena.» Eve si fece forza. Non le restava che andare a mangiare e aspettare, sperando che Joe non tornasse prima che lei riuscisse a sgattaiolare fuori. OTTO «Ti va di parlare?» «No.» Jane fissò dritto davanti a sé, sperando che se ne andasse. La direttrice della casa sembrava un grasso uccello appollaiato sul divano, e la sua voce zuccherosa le dava sui nervi. Probabilmente era animata dalle migliori intenzioni, ma Jane ne aveva abbastanza. «Vorrei andare a letto, signora...» come accidenti aveva detto di chiamarsi? «...signora Morse.» «Dormirai meglio, se ne parli con qualcuno.» Parlare di sangue. Parlare di Fay. Perché i grandi pensavano sempre che bisognasse discutere di ogni cosa? Lei non voleva pensare a Fay. Non voleva pensarci mai più. Voleva soltanto chiudere la porta a tutto quel dolore. Però prima c'era una cosa che aveva bisogno di sapere. «Chi l'ha uccisa?» «Qui sei al sicuro, cara», disse con dolcezza la signora Morse. Non era quello che aveva chiesto, e in più era una bugia. Nessuno era al sicuro da nessuna parte. «Chi ha ucciso Fay?» «Non lo sappiamo ancora.» «La polizia deve averne un'idea. È stata una banda di teppisti? È stato rubato qualcosa?» «È meglio che non ci pensi, per il momento. Ne parleremo domani.» La direttrice allungò una mano per accarezzarle i capelli. «Ma adesso sarebbe davvero importante che noi due parlassimo di quello che senti.» Jane si scostò prima che la donna potesse toccarla. «Non sento proprio niente. Non m'importa che Fay sia morta. Per quel che mi riguarda può morire ammazzata anche lei. Basta che mi lasci in pace.» «Capisco.» Jane serrò i denti fino a farli stridere. Che cosa poteva dire per togliersi dai piedi quella donna? Diceva di capire, ma non capiva un corno. Non c'era nessuno che capisse. Eccetto forse quella Eve. Lei non aveva cercato di forzarla a parlare. Era stata seduta accanto a lei in silenzio, e in qualche modo aveva sentito... Che scemenza. Erano state insieme soltanto pochi minuti. Se Jane avesse
avuto modo di conoscerla, si sarebbe resa conto che Eve era né più né meno come tutti gli altri. «C'è qualcosa che posso fare per te?» domandò la signora Morse. Fammi uscire di qui, pensò la piccola. Non sprecò nemmeno il fiato per dirlo. Era già stata in quel posto. L'avrebbero tenuta rinchiusa lì dentro finché non le avessero trovato un'altra casa. E intanto Mike sarebbe rimasto abbandonato a se stesso, senza nessuno a portargli da mangiare e a badare che non gli succedesse niente. Adesso era là fuori al buio tutto solo, ignaro che lei non avrebbe più potuto aiutarlo. Sangue. Gli occhi di Fay che la fissavano mentre lei cercava di fermare il sangue. Cattiveria. Quanta cattiveria c'era là fuori. Mike. «Stai tremando», notò la signora Morse. «Mia povera bambina, perché non...» «Non sto tremando!» ringhiò Jane, scattando in piedi. «Ho freddo. Tenete il riscaldamento troppo basso in questo fottutissimo posto.» «Qui non si usa questo tipo di linguaggio, cara.» «Allora buttami fuori, brutta vacca.» Le piantò in faccia uno sguardo truce. «Odio questo posto. E odio te. Entrerò nella tua stanza e ti taglierò la gola, come ha fatto quel bastardo con Fay.» La donna si alzò e indietreggiò cautamente, come Jane aveva previsto. Di quei tempi le minacce di violenza fisica venivano prese con serietà dagli assistenti sociali, anche quando provenivano da una bambina come lei. «Questo non era necessario», disse la signora Morse. «Va' a letto, cara. Discuteremo il tuo problema domani.» Jane corse via dal salotto, salì le scale di volata, oltrepassò il poliziotto di guardia davanti alla sua camera e sbatté la porta dietro le spalle. Questa volta le avevano dato una stanzetta tutta per lei, anche se probabilmente l'avrebbero messa insieme ad altri una volta che avessero ritenuto superato lo choc della morte di Fay. Di solito ogni camera era occupata da tre o anche quattro bambini. E non avevano nemmeno mai piazzato una guardia davanti alla sua porta, prima d'ora. Doveva avere qualcosa a che fare con quello che era successo a Fay. Si sentiva mancare l'aria. Andò alla finestra e guardò il cortile sottostante. Quei cespugli di rose avevano bisogno di una buona spuntata. Fay le
aveva fatto potare le sue rose, il precedente autunno. Diceva che così in primavera sarebbero rifiorite più belle e forti. Jane non ci credeva molto, ma era curiosa di vedere se... Fay. Non doveva pensarci. Non c'era più. Non c'era niente che lei potesse fare, ormai. Capitolo chiuso. Doveva pensare a Mike, piuttosto. Alle strade e ai maniaci che avrebbero potuto fargli del male. Lui poteva ancora essere aiutato. Ma non finché fosse rimasta lì. La grande casa di mattoni a due piani in Delaney Street era arretrata rispetto alla strada e circondata da praticelli stentati e aiuole trascurate. Era stata costruita negli anni Venti e mostrava tutti i suoi anni. «Posso chiederti come intendi fare?» domandò con garbo Mark parcheggiando in una viuzza laterale. «Ammesso che tu riesca a entrare, mi interesserebbe sapere come conti di localizzare la bambina e portarla fuori senza farti sparare dalla guardia.» Interesserebbe saperlo anche a me, pensò Eve. «Hai qualche idea di dove possano tenerla?» «Be', il bambino di quel processo lo tenevano in una stanza al piano di sopra, sul lato a sud. La prima finestra sul retro.» «Da solo?» Mark annuì. «Era un caso speciale.» Avevano riservato lo stesso trattamento a Jane? Poteva solo incrociare le dita. «Vado sul retro a vedere se trovo il modo di entrare di là.» Scese dalla macchina. «Tu sta' sul davanti a farmi da palo. Se passa la guardia, distraila.» «Come bere un bicchier d'acqua», commentò sarcasticamente Mark. «Non hai qualcosa di più difficile da farmi fare? Non è che...» «Giù!» Eve si rituffò in macchina e fece abbassare Mark sul sedile. «Un'autopattuglia.» La macchina della polizia di Atlanta passò lentamente davanti alla casa di accoglienza, illuminandone con il riflettore la facciata e il terreno circostante. Eve trattenne il respiro, quasi aspettandosi che si fermasse. Li avevano visti? L'autopattuglia proseguì e svoltò l'angolo.
«Scampato pericolo... credo.» Mark alzò la testa. «Potevamo immaginare che i servizi sociali avrebbero richiesto un'ulteriore sorveglianza.» «Speriamo che ci sia ancora una sola guardia all'esterno.» Eve scese di nuovo dalla macchina. «E che quell'autopattuglia non ripassi troppo presto.» Stava già costeggiando il vialetto e attraversando il prato. Agire. Non pensare. Pregare soltanto. Arrivò sul retro dell'edificio e alzò lo sguardo al piano superiore. La prima finestra verso sud. La stanza era buia e la finestra chiusa. Un tubo di scarico arrugginito correva lungo lo spigolo della casa, ma era ad almeno un metro dalla finestra. Come diavolo avrebbe fatto a... Cos'era stato? Si gettò un'occhiata alle spalle. Le era sembrato di sentire un rumore... C'era qualcuno lì nell'ombra? No, non c'era niente. Doveva essere stata la sua immaginazione. Si girò di nuovo verso la casa. Per prima cosa doveva trovare il modo di arrivare al piano di sopra. Poi avrebbe dovuto entrare nella stanza senza spaventare Jane. Più esaminava la situazione, più si scoraggiava. Avrebbe fatto meglio a cercare di entrare al pianoterra e poi... La finestra si stava aprendo. Eve si irrigidì. Jane si affacciò e guardò direttamente verso Eve. Poteva riconoscerla? Sì, la luna era abbastanza luminosa da permetterlo. Ma questo non garantiva niente. Chiunque doveva sembrarle una minaccia in quel momento. La fissò a lungo, poi si portò l'indice alle labbra, facendole segno di stare zitta. Il gesto era stato cospiratorio; loro due contro il mondo. Eve non sapeva a cosa dovesse quel colpo di fortuna, ma non se lo sarebbe fatto scappare. Jane buttò un lenzuolo annodato oltre il davanzale e cominciò a calarsi giù, agile come una scimmia. Ma dall'estremità a terra restava ancora un bel salto. Come avrebbe fatto a... «Prendimi», ordinò a Eve. «Non è così facile. Se ti manco ti romperai...» «Non mancarmi.» Mollò la presa e si lasciò cadere tra le braccia di Eve. Il peso della bambina la gettò a terra. «Togliti di dosso!» protestò Jane in un bisbiglio. Eve rotolò di fianco e si mise faticosamente a sedere. «Scusa. Mi hai
quasi rotto le costole.» Jane scattò in piedi come una molla e corse via lungo il fianco dell'edificio. «Merda.» Eve si alzò e le corse appresso. «Hai perso qualcosa?» Mark teneva stretta la bambina in una morsa ferrea. Jane scalciò all'indietro, assestandogli un colpo a uno stinco. «Ahi... se non stai ferma ti tiro il collo, piccolo demonio.» «Non farle male.» Eve si inginocchiò davanti alla bambina. «Stiamo cercando di aiutarti, Jane. Non avere paura.» «Io non ho paura. E non ho bisogno del vostro aiuto.» «Hai avuto bisogno che ci fossi io là sotto a prenderti.» «Era troppo alto per saltare. Non volevo rompermi una gamba.» Eve fece una smorfia. «Molto meglio rompere la schiena a me.» Jane la fissò negli occhi con calma. «Perché no? Non m'importa niente di te.» «Ma non devi pensare che io sia un pericolo per te, dal momento che non hai gridato quando mi hai vista.» «Mi serviva qualcuno. Sapevo che il lenzuolo non sarebbe arrivato giù fino a terra.» «Ma sai che non sono una nemica, giusto?» «Forse. Non so.» La guardò con un'espressione interrogativa. «Perché sei venuta?» Eve esitò. Non voleva spaventare la bambina, ma intuiva che non si sarebbe bevuta una bugia «Ero in pensiero per te.» «Perché?» «Te lo spiegherò più tardi. Adesso non c'è tempo.» Jane sbirciò dietro di sé. «Questo non è il piedipiatti.» «No, lui è Mark Grunard, un giornalista.» «Ah. Vuole scrivere di Fay.» «Sì.» «Dobbiamo andarcene da qui, Eve.» La voce di Mark era impaziente. «Finora non mi sono imbattuto nella guardia, ma di sicuro finirà il suo giro da un momento all'altro. E non sappiamo quando ripasserà l'autopattuglia.» Eve era ansiosa di andarsene quanto lui, ma non voleva trascinare via Jane urlante e scalciante. «Verrai con noi, Jane?» domandò. «Credimi, vogliamo solo che tu sia al sicuro.» Jane non rispose. «Stavi comunque scappando, no? Ti prometto che ti nasconderemo in un
posto dove non ti troveranno.» «Lasciami.» Jane cercò di divincolarsi. Mark scosse la testa. «Già, così scappi di nuovo.» «Lasciala andare, Mark. Deve essere una sua scelta.» Mark allentò la presa e la bambina sgusciò via dalle sue braccia. Jane guardò Eve per qualche istante, poi disse: «Verrò con te. Dov'è la tua macchina?» Erano a non più di quattro isolati quando Jane disse a Mark: «Stai andando nella direzione sbagliata.» «Come, la direzione sbagliata?» «Voglio andare in Luther Street.» La casa di Fay. «Non puoi tornare là», replicò con gentilezza Eve. «Fay non c'è più, Jane.» «Questo lo so anch'io. Mi credi stupida? È morta. L'avranno portata all'obitorio. Ma io devo andare lo stesso in Luther Street.» «Hai lasciato là qualcosa?» «Sì.» «A casa di Fay c'è la polizia. Non ti lasceranno entrare e ti riporteranno dritta ai servizi sociali.» «Voi portatemi in Luther Street, okay?» «Jane, ascoltami. La casa è sotto...» «Non voglio andare a casa. Basta che mi lasciate al vicolo due isolati prima.» «Quello dove ti sei infilata questo pomeriggio quando hai visto la nostra macchina?» Jane annuì. «Perché?» «Ci voglio andare.» «Hai lasciato qualcosa nel vicolo?» domandò Mark, guardandola nello specchietto retrovisore. «Perché dovrei dirtelo? Così poi lo spiattelli in TV?» ribatté Jane con asprezza. «Non sono affari tuoi.» «Si dà il caso che tu al momento sia affar mio», la informò seccamente Mark. «Eve mi ha promesso un'esclusiva se l'avessi aiutata a tirarti fuori di lì. Lo sai qual è la pena per rapimento di minore? Sto rischiando di andare in prigione e buttare nel cesso la mia carriera. Per cui, fa' poco la strafottente, ragazzina.» Jane lo ignorò e si rivolse a Eve: «Potrebbero metterti in prigione? Per-
ché lo hai fatto, allora?» «Ero preoccupata per te. Pensavo che potessi essere in pericolo.» «Come Fay?» Cristo, che poteva dirle, adesso? La verità. «Come Fay.» «Sai chi è stato?» Eve annuì. «Chi?» «Non so il suo vero nome. Si fa chiamare Dom.» «Perché l'ha uccisa? Fay non ha mai fatto male a nessuno.» «Non è sano di mente. Gli piace fare del male agli altri. So che è terribile, ma al mondo esistono anche persone così.» «Lo so. I maniaci. Ce ne sono tanti in giro.» Eve si irrigidì. «Davvero? Ne hai visto qualcuno ultimamente?» «Forse.» Jane lanciò un'occhiata a Mark. «Basta guardare il telegiornale. In TV li fanno vedere in continuazione i maniaci.» «È il mio lavoro», disse Mark. «Hai visto qualcuno che ti ha spaventato, negli ultimi tempi?» insistette Eve. «Non mi ha spaventata. Era solo un altro di quelli che gironzolano intorno al cortile della scuola.» «Ti ha seguita?» «Qualche volta.» «Santo cielo, perché non lo hai detto a qualcuno?» Jane guardò fuori dal finestrino. «Voglio andare in Luther Street. Subito.» «Che aspetto aveva?» le domandò Mark. «Grande. Svelto. Non l'ho visto bene. Adesso portatemi in Luther Street, oppure fatemi scendere.» Mark guardò Eve inarcando le sopracciglia. «Che si fa?» «Portaci al vicolo, ma passa da Market Street, invece che dalla Luther. Non possiamo nschiare che qualcuno ci veda dalla casa.» «Quinn, vuoi dire.» Mark svoltò a sinistra al primo incrocio. «Già.» A meno che Joe fosse già tornato all'appartamento e avesse scoperto che se n'era andata. «Presto», fece fretta Jane. C'era tanta tensione nella sua voce che Eve si girò a guardarla sorpresa. «Saremo lì tra poco, Jane.» «Ma si può sapere che cosa c'è di tanto importante in quel vicolo?» chie-
se Mark a voce bassa. Jane non rispose, ma Eve la vide serrare i pugni e all'improvviso si sentì gelare il sangue. «Accelera, Mark.» «Sono già al limite di velocità.» «Allora superalo.» «Considerando quello che abbiamo fatto, non è molto astuto rischiare...» «Fallo.» Mark non replicò e schiacciò l'acceleratore. «Grazie», borbottò Jane, senza guardare Eve. «Che cosa c'è in quel vicolo, Jane?» «Mike», bisbigliò lei. «Il maniaco lo ha visto. Gli ho detto di andare alla Union Mission, ma probabilmente è tornato là. È più vicino a sua mamma.» «Chi è Mike?» «È troppo piccolo. Io ho provato a... I bambini sono tonti, quando sono così piccoli. Non sanno...» «Dei maniaci, Jane?» «Suo padre è un disgraziato, ma non come...» Jane prese fiato. «Tu pensi che quel maniaco che mi seguiva sia questo Dom che ha ucciso Fay, vero?» «Non ne sono sicura.» «Però lo pensi.» «Credo sia possibile.» «Figlio di puttana.» Gli occhi di Jane erano lucidi di lacrime. «Schifoso figlio di puttana.» «Già.» «Avrei dovuto dirlo a Fay. Pensavo che fosse uno dei soliti maniaci che danno fastidio ai bambini. Non immaginavo che...» «Non è stata colpa tua.» Lei scosse la testa. «Avrei dovuto dirglielo.» «Okay, forse avresti dovuto. Ma tutti facciamo cose che poi ci rimproveriamo. E non potevi sapere che le avrebbe fatto del male.» Jane chiuse gli occhi. «Dovevo dirglielo.» Eve smise di obiettare. Lei stessa aveva avuto la sua buona razione di sensi di colpa e rimorsi dopo che Bonnie le era stata sfrappata. Jane però aveva soltanto dieci anni. Nessun bambino avrebbe dovuto portarsi addosso un simile peso. Ma quando mai la vita era giusta? «Quanti anni ha Mike?»
«Sei.» Eve sentì una stretta al cuore. Il bersaglio era Jane, non quel bambino, ma questo avrebbe forse contato qualcosa per Dom? Una vittima in più non sarebbe stata niente per lui. «Fay non me lo ha lasciato portare a casa con me. Voleva chiamare gli assistenti sociali, ma io sapevo che lo avrebbero soltanto rimandato da suo padre. Mike ha paura di lui.» Jane riaprì gli occhi. «Ho cercato di proteggerlo. Ma il maniaco mi ha vista con lui. Sa che è da solo.» «Andrà tutto bene, vedrai.» Eve le toccò una spalla. Jane era rigida come un palo, ma almeno non si ritrasse. «Sono sicura che Dom si tiene ben lontano da Luther Street, con tutta la polizia che c'è lì attorno.» «Hai detto che è pazzo.» «Non quando si tratta della sua sicurezza. Sono certa che troveremo Mike sano e salvo.» Sperava che fosse la verità. «E dopo provvederò io a farlo stare al sicuro.» «Non può tornare da suo padre.» «Provvederò a metterlo al sicuro», ripeté Eve. «Lo prometti?» Buon Dio, in che casino si stava cacciando? Un rapimento non era sufficiente? «Promesso. Tu però devi promettermi che farai come dico, in modo che possa occuparmi della tua sicurezza.» «Io non sono come Mike. Posso badare a me stessa.» «Una promessa per una promessa, Jane.» «E va bene. Basta che non salti fuori con qualche scemenza.» Eve tirò un sospiro di sollievo. «Cercherò di evitarlo, ma sono certa che nel caso me lo farai notare.» «Puoi scommetterci.» Mark imboccò il vicolo, fermandosi proprio all'inizio. «Spegni i fari», sibilò Jane. «Vuoi spaventarlo?» Saltò giù dalla macchina e corse via. «Jane!» Eve si affrettò a scendere e la inseguì nell'oscurità del vicolo. Proprio allora il cellulare nella sua borsa si mise a suonare. Lo ignorò. In quel momento non poteva affrontare né Joe né Dom. Ma avrebbe potuto trovarsi ad affrontare Dom in carne e ossa, pensò a un tratto. Lui poteva aver previsto che Jane sarebbe venuta nel vìcolo. Poteva essere in agguato nel buio. Nessuna risposta.
Joe sentì l'ansia attanagliargli lo stomaco. Eve teneva sempre il cellulare acceso. Se anche stava dormendo, la suoneria l'avrebbe svegliata. E sconvolta com'era, dubitava che si fosse addormentata. E dove diavolo era Charlie Cather? Chiamò il telefono dell'appartamento. Charlie rispose al secondo squillo con voce assonnata. «Tutto a posto?» domandò Joe. «Regolare. Eve è andata a dormire un paio d'ore fa.» Joe non era ancora tranquillo. Perché non aveva risposto al telefono? «Sta bene?» «Be', sì. Era più silenziosa del solito, ma questo direi che è normale. È molto preoccupata per la bambina.» «Già.» «L'agente Spiro è arrivato?» «È sulla scena del delitto. Io adesso sono alla centrale. Devo battere i maledetti rapporti.» «Hai tutta la mia comprensione. Odio le scartoffie.» Eve avrebbe dovuto rispondere al cellulare, continuava a pensare Joe. «Va' a darle un'occhiata.» «Cosa?» «Eve, dannazione. Va' a vedere.» «Vuoi che la svegli?» «Se devi, svegliala. Basta che vai a controllare.» «Non sarà contenta se... Okay, vado.» Joe attese. Forse si stava agitando per niente. Era improbabile che Dom tentasse una mossa contro di lei lì nell'appartamento. E poi, non rientrava nel suo schema di gioco. Sarebbe stato troppo semplice. Stava usando Jane MacGuire come esca per attirarla nella sua rete. E in quella rete era già caduta una donna. Per tutto il pomeriggio e fino a notte fonda Joe si era dovuto occupare del suo assassinio. Ogni volta che aveva posato lo sguardo sul cadavere di Fay Sugarton non era riuscito a pensare che a Eve. Ma del resto, quando mai non pensava a Eve? «Non c'è.» Joe chiuse gli occhi. Cristo, lo sapeva. «Ti giuro, Joe, qui non è entrato nessuno. Non mi sono mai allontanato, e ho controllato che fosse tutto chiuso dopo che Eve è andata a letto.» «Ha ricevuto qualche telefonata?»
«Non all'apparecchio di casa. E non ho sentito suonare il suo cellulare.» «Puoi non essertene accorto, se lei era in un'altra stanza.» Dom l'aveva chiamata. Joe ne aveva una certezza viscerale. Dom l'aveva chiamata e lei aveva lasciato l'appartamento. Per incontrarlo? No, non avrebbe accettato di farlo. Sarebbe stato stupido, e Eve non era mai stupida. Per attirarla fuori dall'appartamento Dom doveva avere usato una minaccia che lei non avrebbe ignorato. Jane MacGuire. Merda. Chiuse la comunicazione e cercò sulla sua agendina il numero del cercapersone di Barbara Eisley. Era l'unico modo per ottenere l'indirizzo della casa di accoglienza a quell'ora. La Eisley richiamò in meno di un minuto. Ma Joe ne impiegò almeno dieci per convincerla a dargli l'indirizzo. La rabbia e la paura crescevano in lui di attimo in attimo. Voleva strangolare Eve. Lo aveva tagliato fuori un'altra volta. Tutti quegli anni che le stava vicino, e lei gli voltava le spalle così. Rimpiangeva di averla mai incontrata, quella stronza. Chi aveva bisogno di quel tipo di tormento nella propria vita? Per metà del tempo aveva voglia di afferrarla per le spalle e scuoterla, e l'altra metà di prenderla tra le braccia e lenire il suo dolore. Lei si credeva forte abbastanza per affrontare qualunque cosa, ma non poteva misurarsi con Dom. Non farlo, Eve, pensò. Non correre verso di lui. Aspettami. Eve correva. Il vicolo puzzava di fritto e spazzatura. Buio. Un suono sulla sinistra. Il cuore le balzò in gola. Dom? No, solo un gatto. Dov'era Jane? «Jane? Riesci a vederla, Mark?» «Sono qui», chiamò Jane. Lo scatolone di un frigorifero contro il muro di mattoni.
«Mike sta bene.» Jane uscì carponi dallo scatolone, trascinando con sé un bambino. «È solo spaventato. Dice che stanotte continuava a sentire grattare sul cartone. Probabilmente topi. È affamato. Non è che hai qualcosa da mangiare in borsa?» «Temo di no.» «Chi sono?» Mike stava fissando Eve e Mark con diffidenza. «Assistenti sociali?» «Non ti farei mai questo», lo rassicurò Jane. «Ma non puoi più restare qui. C'è gente cattiva che gira qua intorno.» «Io sto bene.» «Starai meglio dove ti porterà Eve. Prendi la tua roba.» Mike esitò. «Ci sarà da mangiare in abbondanza.» «Okay.» Mike si infilò di nuovo nella scatola. «Dove lo porterai?» domandò Jane. «Immagino che lui vorrà saperlo.» Avrebbe voluto saperlo anche Eve. «Devo pensarci.» «Non ai servizi sociali.» «No.» «E nemmeno da suo padre.» «Okay, Jane, ho afferrato il concetto.» «Hai promesso.» Eve trasalì. C'era qualcosa di umido che luccicava sul cartone della scatola. «Manterrò la promessa.» Mike tornò fuori con una sacca. «Potrò avere le patatine fritte?» «Vedrò cosa posso fare.» Eve si rivolse a Mark: «Portali alla macchina, vuoi?» Jane la guardò. Mark inarcò le sopracciglia. «Tu non vieni?» «Tra un minuto.» Lui annuì e condusse via i bambini. Eve allungò cautamente una mano a toccare la macchia scura sulla scatola. Non era fresca come aveva pensato, i polpastrelli si erano sporcati appena. La mano le tremava mentre tirava fuori una torcia tascabile dalla borsa. La sostanza rimasta sulle sue dita era di un rosso scuro, quasi ruggine. Sangue. Stanotte continuava a sentire grattare sul cartone, pensò. Puntò il fascio di luce sulla scatola.
«Sei stata brava, Eve. Un piccolo premio...» Sentì un'ondata di nausea rendendosi conto di quanto Dom fosse stato vicino al piccolo Mike. Un premio? La vita di Mike era il suo premio? No. I puntini di sospensione alla fine della frase andavano in giù. C'era qualcosa di bianco per terra. Eve si inginocchiò lentamente e illuminò con la torcia il piccolo oggetto. Un osso. Piccolo, delicato. L'osso del dito di un bambino. Bonnie? Si sentì sul punto di svenire, e dovette appoggiarsi allo scatolone per non cadere a terra. Resisti, si disse. Lui vuole farti crollare. Oh, Dio, Bonnie... Non toccare. Non toccare niente, si disse. Forse stavolta ha fatto un errore. Stava facendo progressi. Non ce l'aveva fatta a lasciare dov'era la costola che Dom aveva depositato sul portico. Ma adesso sì. Era in grado di lasciare quel fragile ossicino nel vicolo, se questo significava una possibilità di prendere il bastardo. Si rimise affannosamente in piedi e spense la torcia. Combatti il dolore. Cammina. Non pensare all'osso. Non pensare a Bonnie, si ripeteva fra sé. Non poteva più fare niente per sua figlia, ma avrebbe potuto salvare Jane e Mike. Sei lì, Dom? Avanti, mostrami sangue. Mostrami le ossa di mia figlia. Tutto quello che fai mi rende più forte. Non ti lascerò vincere, stavolta. NOVE L'uomo aveva la gola squarciata. «Figlio di puttana.» Joe alzò gli occhi e vide la donna ferma a pochi passi da lui. Barbara Eisley si avvicinò di più e abbassò lo sguardo al corpo che era stato fatto rotolare tra i cespugli lungo il perimetro del giardino della casa di accoglienza. «La guardia giurata?»
«Che ci fa lei qui?» «Dove dovrei essere, secondo lei? Mi sveglia in piena notte e mi dice che sta venendo qui a disturbare la mia gente, e si aspetta che me ne torni tranquilla a dormire?» Lanciò uno sguardo verso la casa alle sue spalle, dove ogni luce era accesa. «Questa struttura è sotto la mia responsabilità. Dov'è Jane MacGuire?» «Non lo so.» «Mi hanno detto che non è nella sua camera. La guardia è morta. Potrebbe essere morta anche lei?» «Potrebbe.» Joe diede alla Eisley il tempo di trasalire. Poi aggiunse: «Ma io non credo. C'era un lenzuolo annodato che penzolava dalla sua finestra». «Quindi si è calata giù... ed è caduta dritta nelle mani di un assassino.» «Forse no.» Lo sguardo della Eisley scandagliò la faccia di Joe. «Eve Duncan.» Imprecò sottovoce. «Le avevo detto di stare lontana dalla bambina.» «E lei le aveva detto che Jane era in pericolo, ma non ha voluto ascoltarla. Le conviene pregare che Eve sia riuscita a raggiungerla prima dell'uomo che ha ucciso la vostra guardia.» Joe si alzò in piedi. «Non lasci che nessuno tocchi niente o calpesti questa zona prima dell'arrivo della scientifica.» «Dove sta andando?» «A cercare Jane MacGuire.» «Se l'ha presa Eve Duncan, è rapimento.» Fece una pausa studiata. «Ma considerate le circostanze attenuanti, se la riporta indietro entro ventiquattr'ore potrei convincere il dipartimento a non sporgere denuncia.» «Le riferirò la sua generosa offerta. Ammesso che si metta in contatto con me.» «Lei deve sapere dov'è. Quella bambina va ritrovata.» C'era un accenno di panico nella sua voce. «Voi due siete amici, no?» «Così credevo.» Joe sentì lo sguardo della Eisley seguirlo mentre camminava verso la sua macchina. Siete amici, no? Amici. Per tutti quegli anni si era sforzato di accontentarsi di un rapporto di quel tipo, e adesso lei prendeva le distanze anche da quello. E nel peggiore momento possibile. Al diavolo l'amicizia. Al diavolo la speranza. Non me ne importa un ac-
cidente. Basta che mi chiami, pensò. Ho bisogno di sapere che quel bastardo non ti si è avvicinato. Mark parcheggiò di fronte a un palazzo di Peachtree. «Chi abita qui?» «Mia madre e il suo fidanzato», rispose Eve. «Non riesco a pensare a nessun altro che possa essere disposto a occuparsi di Mike.» Jane alzò lo sguardo al condominio di tredici piani. «Tua madre?» disse in tono dubbioso. «In un modo o nell'altro è riuscita a tirarmi su. Credo che possiamo affidarle Mike.» «Vedremo.» Eve sospirò, esasperata. Non solo avrebbe dovuto convincere Sandra ad aiutarla, ma sua madre doveva anche conquistarsi il beneplacito di Jane. «Qui sarà al sicuro, Jane. Il palazzo ha un servizio di vigilanza, e il mio amico Joe ha provveduto a fornire ulteriore sorveglianza per mia madre. Mike sarà nutrito e protetto. Che cosa puoi chiedere di più?» Jane non rispose, ma si avviò verso l'entrata, seguita docilmente da Mike. Eve guardò Mark. «Vieni?» «Credo proprio di no. È l'una passata. Preferirei affrontare il nostro serial killer, piuttosto di tirare giù dal letto tua madre e il suo amico e cercare di convincerli a trasformarsi all'istante in genitori adottivi. Aspetterò qui.» «Codardo.» Lui sorrise. «Già.» Eve si avviò appresso ai bambini. Nemmeno lei era entusiasta della prospettiva. Conosceva a malapena Ron Fitzgerald. Lo aveva incontrato una sola volta prima di partire per Tahiti. Era sembrato gradevole, brillante e sinceramente devoto a sua madre. Ma non aveva nessun obbligo nei confronti di Eve. La cosa migliore era affrontare lui per primo. Anche se detestava imporsi a sua madre, non dubitava che lei sarebbe stata pronta ad aiutarla. Era solo che non voleva fare niente che potesse compromettere una relazione alla quale Sandra teneva molto. Le avrebbe chiesto di portare i bambini in cucina e mettere insieme qualcosa da mangiare, e poi avrebbe esposto la situazione a Ron, facendo appello al suo buon cuore.
«No», rispose Ron, chiaro e tondo. «Non permetterò che Sandra venga immischiata in nessuna attività illegale. Porta i bambini alla polizia.» «Non posso farlo. Ti ho già spiegato...» Eve si interruppe e fece un respiro profondo. «Non ti sto chiedendo di ospitare Jane. Questo potrebbe mettervi entrambi in pericolo. Ma Dom non è interessato a Mike, o lo avrebbe ucciso quando ne aveva l'opportunità. Ho solo bisogno che qualcuno si prenda cura di lui finché riuscirò a tirarmi fuori da questo pasticcio.» «È scappato di casa. Ci possono essere serie ripercussioni per non averlo riportato ai genitori.» «Santo cielo, a quanto dice Jane è stato in mezzo alla strada per giorni, e nessuno ha denunciato la sua scomparsa. Pensi che ai suoi genitori importi qualcosa di lui?» «È contro la legge.» E chi poteva saperlo meglio di un avvocato? «Ho bisogno di aiuto, Ron.» «Questo mi pare evidente, ma io devo pensare a Sandra. Mi piacerebbe poterti aiutare, ma...» «Lo faremo.» Sandra era ferma sulla soglia. «Smettila di essere così una chioccia, Ron.» Lui si girò a guardarla sorpreso. «Da quanto sei lì?» «Abbastanza.» Andò verso di loro. «Pensi che Eve sarebbe venuta qui se avesse avuto altra scelta?» «Lascia che me ne occupi io, Sandra.» Lei scosse la testa. «Quel povero bambino ha una paura dannata. Non lo rispediremo dai suoi genitori. E certamente non intendo voltare le spalle a Eve quando ha bisogno di me. L'ho fatto troppe volte quando era piccola.» Sospirò. «Ma naturalmente, non è tua figlia. Posso prendere Mike e portarlo a casa mia.» Ron si fece scuro in volto. «Come no.» «Lo farò, credimi.» Il tono di Sandra era calmo ma fermo. «Noi due siamo stati molto felici insieme, ma nella mia vita non ci sei solo tu, Ron.» «Ospitare un minore scappato di casa è illegale, e non ti permetterò di...» «Ti ho mai detto quante volte Eve è scappata quando io mi facevo di crack?» Guardò Eve. «Non lo fa per durezza d'animo. È solo che non c'è mai passato.» «Non voglio crearti problemi, mamma.» «Se dare rifugio a un bambino può mettere in crisi il mio rapporto con Ron, vuol dire che non vale la pena di portarlo avanti.» Si rivolse di nuovo
a Ron. «È così?» Lui la fissò per un momento, poi sorrise debolmente. «Questo è un colpo basso, Sandra.» Si strinse nelle spalle. «Okay, hai vinto. Diremo ai vicini che è il figlio di mio fratello venuto in visita da Charlotte.» Eve si sentì sollevata da un grande peso. «Grazie.» «Sei sempre così ostinata a voler fare tutto da sola, senza lasciarti mai aiutare da nessuno. È bello poter fare qualcosa per te, una volta tanto.» Eve lanciò un'occhiata guardinga a Ron. «Sta bene. Non mi piace, ma sta bene.» Passò un braccio intorno alla vita di Sandra. «Ma sta' lontana da lei finché questo bastardo non sarà dietro le sbarre. Mi hai capito bene? Non permetterò che Sandra sia messa in pericolo.» «Non intendevo niente di diverso. Tieni il tuo telefonino acceso. Chiamerò regolarmente per assicurarmi che sia tutto a posto.» Si alzò. «Il tempo di prendere Jane e me ne vado.» «Sono pronta.» Jane era sulla soglia della stanza. «Mike sta mangiando un'altra frittella, signora Duncan. Sarà meglio che lo fermi, o stanotte avrà il mal di pancia.» «Un'altra? Santo cielo, ne ha già spazzate sei!» Sandra si affrettò verso la cucina. Jane venne avanti. «Andiamo, Eve? Ho spiegato a Mike che devo lasciarlo qui, ma se ha il tempo di pensarci su potrebbe piantare una grana.» Guardò Ron. «Lo tratti bene. Potrebbe avere paura di lei, all'inizio. È un armadio come suo padre.» «Avrò cura di lui.» Jane lo studiò per un momento. «Non vuole farlo.» Si rivolse a Eve: «Forse non dovremmo...» «Ho detto che avrò cura di lui», ribadì stizzosamente Ron. «Non occorre che mi faccia piacere. L'ho promesso e lo farò.» Jane sembrava ancora poco convinta. «Andiamo, Jane», tagliò corto Eve, spingendola verso la porta. «Se la sbrigheranno meglio da soli.» «Non sono sicura che...» Oh, Cristo. «Mike starà benissimo.» La fece uscire in corridoio e chiuse la porta alle loro spalle. «Mamma si occuperà di lui.» «Non se la cava tanto bene ai fornelli. Le frittelle erano una pappetta.» «Cucinare non è il suo forte. Ma è una cara persona. Ti piacerebbe, se avessi modo di conoscerla.»
«Non ho detto che non mi piace. Mi ricorda un po' Fay.» «E Fay era molto protettiva, no?» Jane si incupì di nuovo. «Non è lei il problema. È di lui che non mi fido.» «Ron? È un brav'uomo. Non farà alcun male a Mike.» Eve ne aveva avuto un'impressione migliore la prima volta che lo aveva incontrato. Ma nessuno era perfetto, e avrebbe dovuto essere contenta che fosse protettivo nei confronti di Sandra. «Credi che lo avrei lasciato lì, se non fossi stata sicura?» «Immagino di no», borbottò Jane. «Dove andiamo, adesso?» «Da qualche parte fuori città. Cercheremo un motel dove fermarci a dormire. Sono stanca. Tu no?» «Sì.» Jane era visibilmente esausta. La sua faccia era pallida e tirata, ma nonostante tutto aveva tenuto duro finché Mike era stato sistemato. «Perché?» mormorò mentre scendevano con l'ascensore. «Perché sta succedendo tutto questo?» «Te lo dirò, ma non ora. Fidati di me.» «Perché dovrei?» Già. Perché avrebbe dovuto fidarsi di qualcuno, dopo quello che aveva passato nelle ultime ventiquattr'ore? «Non lo so. Ma credo che al momento tu non abbia alternative migliori.» «E questo dovrebbe bastarmi?» La frustrazione rese Eve irascibile. «Be', è tutto quello che avrai da me. È tutto quello che posso darti.» «Non c'è bisogno che adesso ti arrabbi.» «Sì, invece. Mi arrabbio eccome. Ho già un diavolo per capello, e mi ci manca solo che...» Si morse il labbro inferiore. «Scusa. È che mi si stanno accumulando addosso troppe cose.» Jane rimase in silenzio finché raggiunsero l'uscita del palazzo. «Non c'è problema. Almeno sei onesta. Detesto quelle melense assistenti sociali che mi sbrodolano addosso.» Anche Eve da bambina le aveva detestate, ma adesso, da adulta, si sentì in dovere di difenderle. «Vogliono solo fare il loro...» Oh, che diavolo. Era troppo stanca per le ipocrisie. «Ti prometto che non sbrodolerò mai.» Aprì la portiera posteriore della macchina. «Salta su. Dobbiamo filarcela.» Mark lanciò loro un'occhiata oltre la spalla. «Vedo che abbiamo perso uno dei nostri orfanelli.»
«Mamma si occuperà di lui.» «Allora, dove si va adesso?» «Via di qui. Alla svelta. Una delle prime cose che farà la polizia sarà venire a parlare con mia madre. Siamo stati fortunati ad arrivare prima di loro. Va' da qualche parte fuori città. Un motel.» «Qualche preferenza?» Scosse la testa. «Va tutto bene. Basta che sia un posto sicuro.» «Al sicuro da Dom o da Joe Quinn?» Joe. Mark socchiuse gli occhi, scrutandola nello specchietto retrovisore. «Joe ti troverà, Eve.» Su questo non aveva dubbi. Era solo una questione di tempo. Quindi, doveva sfruttare al massimo il suo vantaggio. «Con Joe me la vedrò più tardi.» Mark fischiò fra i denti. «Meglio tu che io.» Ma per quanto lei volesse rimandare il più possibile il confronto, doveva chiamare Joe almeno un'ultima volta. Doveva dirgli della scritta sulla scatola di cartone e l'osso. Forse Dom aveva lasciato qualche indizio. Non aveva commesso alcun errore rilevabile, finora. Ma non stava dando segni di avventatezza, ultimamente? Soltanto ore dopo avere ucciso Fay Sugarton, aveva rischiato di farsi sorprendere a lasciare quell'osso a pochi isolati dalla scena del delitto. Forse non era invulnerabile. Forse stavolta aveva lasciato una traccia che avrebbe permesso di risalire alla sua identità. Per cui, si disse, chiama Joe, incassa la sfuriata, e dagli l'informazione. Mark Grunard guidò fino a un motel vicino a Ellijay, in Georgia. Prese una stanza singola per sé e una doppia per Eve e Jane. «Come la signora ha richiesto.» Porse a Eve una chiave. «Ci vediamo domani mattina.» «Grazie, Mark.» «Di che? Mi piacerebbe poter dire che sto facendo tutto questo per salvare la bambina, ma in realtà sono interessato solo al servizio.» «Grazie comunque.» Eve sospinse Jane dentro la camera e chiuse a chiave la porta alle loro spalle. «Va' in bagno a darti una lavata.» Cristo, che freddo faceva là dentro. Alzò il termostato. «Per stanotte puoi dormire con la tua biancheria. Domani ti prenderò qualcos'altro da metterti.» Jane sbadigliò. «Okay.»
Appena fu sicura che Jane fosse nel mondo dei sogni nel letto accanto al suo, Eve compose il numero del cellulare di Joe. «Joe?» «Si può sapere dove diavolo sei?» «È tutto a posto. E ho con me Jane MaeGuire, sana e salva.» «Ti ho dato la caccia per tutta la città. Sandra non ha voluto dirmi un accidente.» «La polizia le sta dando noia?» «Puoi giurarci. Che ti credevi?» «Aiutala, Joe.» «Per quel che posso. Non è lei che vogliono. Dove sei?» Eve non rispose alla domanda. «Ti ho chiamato solo per dirti che potrebbe esserci qualcosa di utile nel vicolo che dà su Luther Street. Dom ha lasciato un messaggio scritto con il sangue su uno scatolone, e l'osso di un dito di bambino per terra.» «Il messaggio diceva chi è il bambino?» «No.» Bonnie. Rimuovere. Non pensare a Bonnie. «E non so nemmeno di chi possa essere il sangue.» «Lo so io. La guardia privata della casa di accoglienza da dove hai fatto sparire la ragazzina.» «Cristo.» Rabbrividì al pensiero che Dom si stesse già preparando a colpire Jane. «A che ora è successo?» «Non lo sappiamo ancora. Stanotte faceva freddo. L'ora della morte può essere difficile da determinare quando il corpo è rimasto esposto a basse temperature. L'ultima volta che lo hanno visto è stata intorno alle nove meno un quarto.» Quindi poteva essere morto in serata, ore prima che lei arrivasse sul posto. La sinistra sensazione che aveva avuto stando sotto la finestra di Jane poteva essere davvero stata frutto della sua immaginazione. «Il che fa di te un'indiziata di omicidio, oltre che una rapitrice.» «Come sarebbe a dire, indiziata di omicidio?» «Eri sulla scena del delitto. Anche se non credo che qualcuno sospetterà seriamente di te.» «Molto consolante.» «Ma sarai considerata quanto meno una testimone da interrogare. E in ogni caso sei ricercata per rapimento.»
«Dovevo portare Jane via di lì a qualunque costo. Dom mi ha detto che se non lo avessi fatto ci sarebbe andato lui.» «Immaginavo qualcosa del genere.» La voce di Joe era inespressiva. «Sarebbe stato gentile da parte tua parlarne prima con me.» Freddo e distaccato. Doveva essere veramente furioso con lei. «Dovevo farlo da sola.» «Oh, davvero? Se ben ricordo, c'ero dentro fino al collo in questa storia. Come mai questa improvvisa estromissione?» «Lo sai benissimo. Dovevo portare via Jane a costo di infrangere la legge. E tu sei un poliziotto.» «Credi che questo mi avrebbe impedito di aiutarti? Per te avrei fatto anche questo, dannazione.» «Lo so.» Eve deglutì, tentando di mandare giù il nodo che le stringeva la gola. «Non potevo permetterlo.» «Non potevi...» Joe dovette fermarsi per moderare il tono di voce. «Chi diavolo ti ha dato il diritto di prendere decisioni al posto mio?» «Me lo sono presa.» «E hai pensato bene di tagliarmi fuori.» «Esatto. E fammi il favore di restarne fuori, Joe.» «Ah, no. Ti ho permesso troppe volte di spingermi ai margini. E fin qui, pazienza. Ma essere escluso del tutto, questo non posso accettarlo.» «Che amica sarei se ti permettessi di...» «Al diavolo l'amicizia.» La sua voce era arrochita da una violenza repressa a stento. «Ne ho fino alla nausea. Sono stufo marcio di starmene in disparte e farmi trattare come un vecchio cane fedele che chiede solo una carezza sulla testa ogni tanto.» Eve era allibita. «Joe.» «Tu mi usi e mi accantoni a tuo piacimento, Eve.» «Non è affatto vero.» «È verissimo, invece. E il bello è che tu nemmeno te ne accorgi. Filtri tutto quel che ti arriva dall'esterno, e quello che non respingi lo rigiri come ti fa comodo. Tra poco metterai giù il telefono e non guarderai al di là di quello che vuoi vedere.» «Non ti ho mai dato per scontato», ribatté lei con voce malferma. «E non ti ho mai trattato come niente di diverso che un carissimo amico.» «Allora perché mi hai tenuto all'oscuro? Perché non mi dici dove ti trovi?» Joe fece un respiro profondo, poi la sua voce si abbassò a un tono persuasivo. «Ultima possibilità. Lascia che adesso ti raggiunga. Poi mi tirerò
indietro. Potrai tornare a nascondere la testa sotto la sabbia e non...» «Non posso. Tu non mi puoi aiutare. Non questa volta.» Lui non parlò per un momento, e in quel silenzio Eve avvertì il ribollire delle sue emozioni. «La scelta è tua. Sai, sono quasi sollevato. Ma ti troverò. Non mi lascerò mettere da parte in questo modo. E di sicuro non starò ad aspettare che quel figlio di puttana ti faccia fuori!» «Non voglio che mi cerchi. E se mi telefoni non ti risponderò. È chiaro?» «Ti troverò.» Chiuse la comunicazione. Eve premette il tasto di fine chiamata, profondamente scossa. Joe era uno dei capisaldi della sua esistenza, e adesso si sentiva mancare il terreno sotto i piedi. Lo aveva visto altre volte in collera, ma stavolta era differente. L'aveva attaccata. Le aveva detto cose terribili e ingiuste. Lei non lo aveva mai dato per scontato. Né aveva mai pensato di escluderlo dalla sua vita. Era semplicemente inconcepibile. Perché non riusciva a capire che stava facendo solo quello che era meglio per lui? Soffoca il dolore. Mettiti a dormire. Cerca di dimenticare. Spense la lampada sul comodino. Ti troverò. Quelle sue ultime parole erano suonate come una minaccia. L'intimidatorio Joe con cui aveva parlato quella notte era il tenace e duro detective Quinn, l'ex Navy Seal - spietato, inesorabile, letale... Ma no, che cosa andava a pensare. Joe non l'avrebbe mai minacciata. Joe era più affezionato di un fratello, più protettivo di un padre. Mi tratti come un vecchio cane fedele che chiede solo una carezza sulla testa di tanto in tanto, le avevo detto Joe. Non poteva permettersi di pensare a Joe. Nella sua vita c'era già abbastanza trambusto. Mi usi e mi accantoni a tuo piacimento. Be', per il momento lo avrebbe accantonato, e per Dio, non si sarebbe sentita minimamente in colpa. Chiuse gli occhi, ignorando il bruciore dietro le sue palpebre. Aveva bisogno di dormire. Domani avrebbe trovato il modo di mettere Jane in salvo da Dom. Era molto più urgente dell'orgoglio ferito e della mancanza di comprensione di Joe. Quello era un problema che poteva aspettare. Adesso era Jane l'importante. Sono stufo marcio di starmene in disparte. Santo cielo, non era che ritenesse Joe meno importante...
Basta pensare a lui. Il significato implicito di quelle parole era troppo destabilizzante, come un vulcano prossimo all'eruzione. Aveva sempre saputo che era lì, ma aveva scelto di non vederlo. E non poteva permettersi di vederlo proprio adesso. Si rigirò nel letto, imponendosi di dormire. Ti troverò... La suoneria del suo telefono la riscosse dal sonno. Joe? Non avrebbe risposto. Non se la sentiva di affrontare altre discussioni o... Il telefono continuava a suonare. Accidenti. Doveva rispondere, o Jane si sarebbe svegliata. «Pronto?» disse in un bisbiglio. «Sei stata nel vicolo dietro Luther Street?» Dom. «Sì.» «Allora devi avere la nostra dolce Jane. Immaginavo che avrebbe insistito per correre in aiuto del suo amichetto. Sembra essergli molto affezionata. È il genere di cosa che avresti fatto anche tu da bambina, vero? Ho già accennato a quanto vi somigliate voi due?» «Hai ucciso il guardiano.» «Ho voluto darti un piccolo aiuto. Ti avrebbe intralciata. Come hai fatto a tirarla fuori? La grondaia? L'avevo presa in considerazione, ma...» «Perché mi hai chiamata?» «Mi piace sentire la tua voce. Hai idea di quanto sei tesa e traboccante di emozione? Posso sentirne ogni sfumatura. È molto eccitante.» «Adesso riattacco.» «Allora immagino sia meglio venire subito al dunque. Rimanere ad Atlanta è troppo pericoloso per entrambi. Potrebbero arrestarti per rapimento, e questo scombinerebbe tutto. Non avresti la possibilità di legare con Jane e io dovrei tagliarle la gola. Sono certo che le assicureresti la massima protezione, quindi dovrebbe essere un'impresa piuttosto impegnativa.» La sua mano si contrasse sul telefono. «Se io venissi arrestata, non avresti motivo di uccidere Jane. Il tuo scenario sarebbe rovinato.» «Ma ho dato la mia parola», replicò Dom in tono amabile. «Io mantengo sempre quel che prometto. Quindi dovrai stare molto attenta a non farti prendere, ti pare? È per questo che voglio che tu lasci Atlanta.» «Hai paura che potrei trovarti, se restassi qui?» «Al contrario. Mi piace alimentare le tue speranze. L'idea che tu mi stia
cercando è meravigliosamente stimolante. Era da tanto che non provavo una simile eccitazione. Ero sempre così preoccupato di compiere delitti perfetti e insolubili da non rendermi conto di avere bisogno di una certa misura di interazione.» «Non l'avrai se io sarò nascosta da qualche parte.» «Non voglio che ti nasconda. Solo che lasci Atlanta. Credo sia ora che tu faccia un viaggetto a Phoenix. Mi è sempre piaciuta quella città.» «Infatti hai ucciso anche là.» «Così lo sai.» «L'FBI è a conoscenza di due omicidi che hai commesso a Phoenix anni fa. Evidentemente non sei in gamba come credevi. Ti prenderemo, Dom.» «Non riuscirete a risalire a me da quei delitti. Non troverete alcun indizio utile. Sono stato molto accurato, e in ogni caso ormai il tempo avrebbe cancellato qualunque traccia che potrei aver lasciato. È solo negli ultimi tempi che la noia potrebbe avermi indotto a fare un errore. L'unica vostra possibilità di identificarmi sarebbe trovare una vittima recente.» «Di che stai parlando?» «Mi sembra appropriato che tu trovi la donna che ha fatto incrociare le nostre strade. Non era una persona molto interessante, ma ucciderla mi ha messo davanti al fatto che qualcosa non andava, e grazie a lei sono arrivato fino a te. Si può dire che mi abbia mostrato la luce. E poi a mia volta ho mostrato la luce a lei.» «A Phoenix?» «Ah, cominci a sembrare interessata.» «Qual era il suo nome?» «Non me lo ricordo. Non aveva importanza.» «Quando è stato?» «Cinque o sei mesi fa, mi pare. Non ricordo di preciso. C'era stato un delitto precedente che mi aveva fatto intravedere il mio problema, ma è stata lei a illuminarmi la via. È importante che qualcuno ci illumini la via da seguire, non credi? Trovala, Eve, e arriverai a me.» «Dimmi dov'è.» «Lo sai che non funziona così. Sarebbe troppo facile.» Dom fece una pausa. «Aveva una bellissima voce, a quanto si diceva. Un soprano.» «Era una cantante?» «Va' a Phoenix. E porta Jane con te. Attaccati a lei, accudiscila... falle da madre. Hai trovato l'ossicino?» «Va' all'inferno.»
Dom rise. «Presto avrai la serie completa, e dovrò cominciare daccapo. Non trovi che Jane abbia un'interessante struttura ossea?» Calma. Lui voleva flagellarla con le sue parole per strapparle una reazione. «Sparpaglia pure in giro tutte le ossa che vuoi. Non sono di Bonnie.» «Ottima recitazione. Sembrava quasi che lo pensassi davvero. Va' a Phoenix, Eve.» «Perché mai dovrei fare quello che vuoi?» «Phoenix. È la mia ultima parola.» E infatti interruppe la conversazione. L'ultima parola. Quante ultime parole aveva sentito negli anni quel figlio di puttana? Quante grida, quante suppliche? La donna di Phoenix lo aveva implorato, prima che la uccidesse? «Era lui, vero?» domandò la voce di Jane nell'oscurità. Oh, merda. «Era l'uomo che ha ucciso Fay. Perché ti ha chiamato?» «È una lunga storia, Jane.» «Prima ti ho sentita, quando dicevi che vuole uccidere anche me. Ma perché? Né io né Fay gli abbiamo fatto niente.» «Te l'ho detto, non è sano di mente.» «Voglio sapere cosa sta succedendo.» Il tono di Jane non ammetteva repliche. «Devi dirmelo, Eve.» Eve esitò. Fin dove poteva arrivare a spiegare senza terrorizzare la povera bambina? «Dimmelo.» Non era il momento di essere pietosa e rassicurante. Jane aveva bisogno di conoscere il pericolo che la minacciava, e sapere da dove veniva. Se avesse messo Bonnie in guardia dalle bestie che c'erano in giro, forse sarebbe stata ancora viva. «Okay.» Accese la luce. «Ti dirò tutto, Jane.» Spiro raggiunse Joe, che era rimasto ad aspettare vicino alla sua macchina, all'imbocco del vicolo. «Non ha scritto con il dito. Era sperare troppo. Abbiamo trovato un bastoncino con un'estremità sporca di sangue accanto alla scatola. Sicuramente troveremo particelle di legno nel sangue sul cartone. Cercheremo residui di fibre sullo stecco, dato che con ogni probabilità portava dei guanti. Ma che diavolo ci faceva qui Dom?» «Non ne ho idea.» Lo sguardo di Joe rimase fisso sui quattro agenti ancora indaffarati intorno allo scatolone. «Eve non era in vena di confidenze.
Mi ha solo informato della scritta e dell'osso.» «Sarà stata parecchio scossa.» «Senza dubbio.» Joe rimontò in macchina. «Quanto impiegherete per le analisi?» «Un paio di giorni.» «Scommetto quello che vuoi che il sangue è della guardia.» Avviò il motore. «Fammi sapere appena hai i risultati.» «Lei dov'è, Joe?» «Non lo so.» «Il sequestro di persona è un reato serio.» «Lo so bene.» Joe alzò lo sguardo a incontrare quello di Spiro. «E tu sai bene che aveva i suoi buoni motivi per portare via la bambina.» «Non sta a me giudicare. A questo penserà il tribunale. Il mio compito è prenderla.» «Il tuo compito è prendere Dom. Santo cielo, vedi di riordinare le tue priorità.» Spiro abbozzò un sorriso. «Le mie priorità sono in perfetto ordine. Voglio Eve per arrivare a Dom.» Socchiuse gli occhi, scrutando Joe in volto. «Dov'è?» «Te l'ho già detto, non lo so.» Inarcò le sopracciglia, sorpreso. «Mio Dio, forse non lo sai davvero.» «Ma intendo scoprirlo.» Joe distolse lo sguardo e borbottò stentatamente: «Apprezzerei qualunque informazione tu possa darmi». «Povero Joe, ti è costato, eh? Devi essere disperato.» «La devo trovare.» «Mi stavo chiedendo come mai non avessi cercato di convincere il tuo dipartimento a ritirare il mandato di cattura contro di lei. Ora capisco: vuoi che sia ritrovata a ogni costo, anche se significasse che verrà sbattuta in prigione.» «Mi avvertirai, se dovessi scoprire qualcosa?» «Forse. Anche se non confido che ricambieresti il favore.» Joe ingranò la marcia. «Non esserne troppo sicuro. Ovunque sia Eve, c'è anche Dom. Potrei avere bisogno del tuo aiuto.» Spiro era ancora lì impalato quando Joe si allontanò in macchina. Appariva più inasprito e stanco che mai nella luce impietosa dei fari. Lo avrebbe informato se avesse avuto notizie di Eve? Joe non ci contava. Bene, aveva fatto tutto quel che poteva lì. Adesso era ora di accantonare i sentimenti e cominciare a pensare.
E poi mettersi a caccia. «Non ha senso», disse Jane. «Non ho niente a che fare con te. Come con Fay.» «Lo so.» «Odio tutto questo. Ti odio.» Eve trasalì. Avrebbe dovuto aspettarsi quella reazione. «Non ti biasimo. Ma resta il fatto che Dom è un pericolo per te. Devi permettermi di aiutarti.» «Io non devo fare un bel niente.» «D'accordo, non sei obbligata a fare come dico io. Puoi scappare, e forse Dom non ti troverebbe. O puoi metterti nelle mani dei servizi sociali e farti proteggere dalla polizia. Però mi hai detto che della polizia non ti fidi.» Jane la guardò torvo. «Oppure puoi venire con me e collaborare a tenerti in salvo.» «Non voglio andare da nessuna parte con te.» Jane si imbronciò. «Andrai a Phoenix, vero? Farai quello che vuole lui.» «Non mi pare di avere molta scelta. Bisogna prenderlo, Jane.» «Sì.» Jane era lì nel suo letto rigida come un palo. «Ha ucciso Fay. Lei non gli aveva fatto niente, e l'ha uccisa. Lo odio, quel brutto figlio di puttana.» «Anch'io. Questo almeno lo abbiamo in comune.» «Pensa davvero che io sia tua figlia? Dev'essere proprio matto da legare.» «Credo che voglia semplicemente che io ti consideri mia figlia.» Jane rimase in silenzio per un momento. «Bonnie mi somigliava?» «No. Lei era più piccola. Più morbida, più sognante. Tu sei più simile a me da ragazzina.» «Io non ho niente a che vedere con te.» «Come ti pare. Ma lui vuole che noi due stiamo insieme, e credo che finché resti con me non ti succederà niente. Cosa decidi di fare, Jane?» La bambina si girò dall'altra parte. Non insistere. Lasciala riflettere. È intelligente, pensò. Eve spense la luce. «Fammi sapere domani, okay?» Nessuna risposta. Che cosa avrebbe fatto se Jane avesse rifiutato di andare con lei? Era un'eventualità che la spaventava a morte. Avrebbe affrontato la situazione una volta che si fosse presentata.
Nascondere la testa sotto la sabbia... E non avrebbe pensato a Joe e alle sue parole ingiuste. Le bruciavano troppo. Joe... «Che cosa intendevi per più morbida?» «Cosa?» «Tua figlia.» «La amavo tanto. Volevo che per lei tutto fosse dolce e solare. Ultimamente sto pensando che forse se le avessi mostrato... Oh, lasciamo perdere.» «Stai dicendo che sei stata una stupida. Come me a non parlare con Fay.» «In sostanza, sì.» Un altro silenzio. «Non penso che tu ne faccia tante, di stupidaggini.» «Una è abbastanza.» «Già.» Cristo, stava dicendo tutte le cose più sbagliate. Jane si sentiva già fin troppo in colpa. «Tu non hai niente a che fare con la morte di Fay, Jane. Se c'è qualcuno che può esserne ritenuto responsabile, a parte Dom, sono io. Lascia almeno che faccia in modo che non succeda niente a te.» Passò qualche minuto. Meglio cercare di dormire. Jane non aveva nessuna intenzione di darle una risposta. «Verrò con te.» Eve tirò un profondo sospiro di sollievo. «Bene.» «Non perché voglio stare con te», si affrettò ad aggiungere Jane. «Di te non m'importa niente. Per quel che mi riguarda potrebbe anche ucciderti. Ma odio quel bastardo. Mi fa troppa rabbia quello che ha fatto a Fay, e quello che vuole fare a me. Vorrei che qualcuno la tagliasse a lui la gola!» «Posso capirlo.» Era vero. Poteva comprendere la rabbia e l'impotenza che Jane stava provando come se fossero le sue proprie emozioni... Come se Jane fosse la sua bambina. Respinse istantaneamente l'idea. Quella crescente empatia, quel senso di vicinanza, era ciò che Dom voleva. Non gliel'avrebbe data vinta. Doveva tenere Jane a distanza. Non sarebbe stato difficile. Jane era così dura e ruvida, e non voleva avere niente a che fare con Eve. Eppure con Mike non era stata né dura né ruvida. Per un momento le a-
veva perfino ricordato un po' Bonnie, con quel sorriso così tenero e luminoso... Sciocchezze, pensò. Bonnie e Jane non avevano niente in comune, grazie al cielo. Quindi, basta pensare all'una o all'altra. Doveva ragionare piuttosto su come tenere Jane al sicuro una volta a Phoenix. E smettere di lasciare sempre la prima mossa a Dom. Era ora di prendere in pugno la situazione e passare all'attacco. Il suo telefono suonò di nuovo. Chi diavolo era ancora? «Phoenix, eh?» Mark lanciò un'occhiata pensierosa attraverso la vetrina del McDonald's al tavolo dove Jane era seduta a mangiare. «Un bel rischio.» «Restare qui sarebbe un rischio maggiore», replicò Eve. «Come conti di proteggere la bambina?» «Ho in mente qualcosa.» «E non vuoi parlarmene?» Lei fece segno di no con la testa. «Ne deduco che non vuoi che venga con te.» Eve scosse di nuovo la testa. «Mi hai già aiutata abbastanza.» «Per un motivo preciso. Voglio la mia esclusiva, Eve. Me la devi.» «Ti terrò al corrente degli sviluppi.» «Devo crederci?» «Non ti volterò le spalle.» Mark la studiò per un momento. «Okay, mi voglio fidare. Come arriverai a Phoenix?» «In aereo. A proposito, volevo chiederti di prestarmi la tua auto per andare fino a Birmingham. Te la lascerò all'aeroporto.» «Come speri di imbarcarti senza essere riconosciuta? Ormai bisogna esibire i documenti anche per andare al gabinetto.» «Mi arrangerò.» «Potrei portarti a Phoenix con la macchina.» «Non mi sembra una buona idea.» «Be', io ci ho provato.» Lanciò di nuovo uno sguardo verso Jane. «Non ti creerà problemi?» «Questo è da vedere. Ce l'ha con il mondo intero, me compresa. Da quando ci siamo alzate avrà spiccicato sì e no due parole. Ma almeno ci si può ragionare.» Eve gli tese la mano. «Grazie di tutto, Mark.»
Lui le strinse la mano, poi le lasciò cadere sul palmo le chiavi della macchina. «Sei in debito con me, non dimenticarlo.» «Avrai il tuo scoop.» Mark la guardò avviarsi per raggiungere Jane. «Eve.» Lei gli lanciò un'occhiata interrogativa da sopra una spalla. «Mi sembri un po' troppo sicura di te, stamattina.» Eve fece una smorfia. «Magari fosse vero.» Lui la scrutò intensamente. «Eri molto meno baldanzosa, stanotte.» «Alla luce del giorno tutto appare più facile.» «Non necessariamente. Io dico che hai un asso nella manica di cui non vuoi parlarmi.» Eve gli rivolse un cenno di saluto. «Arrivederci, Mark. Mi terrò in contatto.» Mark si sbagliava. Non si sentiva affatto sicura di sé; anzi, era spaventata e confusa. Quel che lui aveva scambiato per sicurezza era soltanto un fioco barlume di speranza. Ma era sempre meglio di niente. Lui era ad aspettarla all'aeroporto di Birmingham. «Sei un'idiota.» Logan la strinse a sé e la baciò con veemenza. «E Joe è un pazzo criminale a permetterti di cacciarti in un guaio simile.» «Joe non c'entra.» Eve si sciolse dal suo abbraccio e lo guardò, traendo un profondo senso di conforto dalla sua presenza. Era così caro, forte, familiare. «Lui non ne sa niente.» «Oh, lo hai tenuto fuori per proteggerlo, il buon figlio di puttana.» «Non parliamo di Joe.» Fece segno a Jane di scendere dalla macchina. «Hai portato i documenti?» Logan le porse un borsello di pelle. «Contanti, certificati di nascita falsi, due carte di credito e una patente di guida.» «È un delinquente?» domandò Jane. Logan la guardò senza scomporsi. «Dipende a chi lo chiedi.» «Per strada vendono documenti falsi a chiunque li voglia.» «Io non vendo, compro. E dovresti essere contenta che sia riuscito a comprarli in così poco tempo.» «Questo è John Logan, Jane. Non è un malavitoso, è un uomo d'affari molto rispettato.» «È quello che hai detto ci avrebbe aiutate?» «Non potremmo salire su nessun aereo senza dei documenti falsi.»
«Vi ho preparato un posto dove stare a Phoenix. È ai margini della città. Due dei migliori uomini del servizio di sicurezza della mia compagnia saranno là a tenervi d'occhio.» Logan prese Eve per un gomito. «Su, andiamo.» «Ci salutiamo qui, Logan. Non voglio essere vista con te.» «Non ti libererai di me prima di essere a Phoenix. C'è un jet privato che ci aspetta. Così non correrai il rischio di essere riconosciuta.» «No.» Eve puntò i piedi. «È vero che ieri notte quando mi hai telefonato ho accettato la tua offerta di aiutarmi, ma non voglio che tu faccia più di così.» «Troppo tardi.» Logan le sorrise. «Ormai sono entrato nella parte. Stammi a guardare.» «No, non ti starò a guardare. Non voglio prendermi la responsabilità di coinvolgere qualcun altro in questa faccenda.» Il suo sorriso svanì. «Ascoltami bene, io non ti mollo nei guai. Avresti dovuto chiamarmi subito, invece di lasciare che mi arrivassero notizie di seconda mano da uno dei miei contatti ad Atlanta.» «Contatti? Mi stavi facendo sorvegliare, Logan?» «Ho solo ritenuto opportuno tenere d'occhio la situazione. Non ero sicuro di quello che Joe avrebbe potuto fare per tenerti qui.» «Joe è mio amico, e ha fatto...» «Okay.» Alzò una mano per fermarla. «È già una bella soddisfazione che tu abbia scelto di farti aiutare da me invece che da lui. Peccato che non lo vedrò. Mi sarebbe piaciuto fargli sbattere la faccia contro il muro.» «Lui ha più di te da perdere. Lui è un poliziotto, e tu...» «Solo un qualsiasi volgare capitalista.» Logan la sospinse verso l'uscita del parcheggio. «Con abbastanza denaro per coprire le proprie tracce. Per cui usami, maledizione.» Si girò a guardare Jane, che si era messa al passo con loro. «Dico bene, ragazzina?» Lei lo studiò. «Sì. Usalo, Eve.» Logan sembrò un po' sorpreso. «Tosta la piccola.» «Io non uso le persone», disse Eve. «Se posso evitarlo.» «Perché no?» ribatté Jane. «È quello che vuole. E potrebbe farci comodo.» «Idee chiare e ottime capacità decisionali», commentò Logan. «Perché non partecipi al mio programma di formazione dei quadri dirigenti? Ho molti dipendenti che...» «Dovrebbe essere un complimento?» Jane lo liquidò con un'occhiata di
disgusto. «Usalo, Eve.» «La bambina è palesemente del parere che io non meriti altro», borbottò Logan. «Usami, Eve.» «Lascerò che ci porti fino a Phoenix», acconsentì Eve. «Ma poi sparisci, chiaro?» «Ne discuteremo una volta a Phoenix.» DIECI Era quasi buio quando Logan fermò la macchina davanti al villino di mattoni rossi vicino a Scottsdale. Eve riuscì a intravedere a malapena uno scorcio della casa oltre la fitta macchia di alberi e gli elaborati cancelli in stile spagnolo. Logan scese dall'auto, digitò un codice sulla piccola tastiera su uno dei pilastri laterali, e i cancelli si aprirono. Poi rimontò al posto di guida. «Ci sono due telecomandi in un cassetto dell'anticamera», disse a Eve. «Usate quelli, così non avrete bisogno di scendere dalla macchina. A nord della casa c'è una piccola villa dove alloggiano i due uomini della sicurezza, Herb Booker e Juan Lopez. Faranno regolarmente giri di ispezione, ma non vi disturberanno, a meno che premiate un pulsante di allarme.» «E dov'è il pulsante di allarme?» «Cucina, bagno principale, camera da letto e soggiorno, vicino ai telefoni. Ovunque siate, ne avrete sempre uno a pochi passi.» «Sembra che tu sia piuttosto pratico del posto.» «Uso questa casa quando vengo qui per affari. Qualche misura di sicurezza non guasta mai.» «Sei sicura che non sìa un gangster?» domandò Jane a Eve. «Incantevole», commentò Logan, divertito. «Sì, sono sicura.» Eve scese dall'auto. «È come un politico. Loro devono sempre avere intorno qualcuno che li protegga.» «Ohibò», disse Logan, aprendo la porta d'ingresso. «Sapendo come la pensi sui politici, preferirei quasi che mi paragonassi a un gangster. Perché non riesco a convincerti che esistono anche politici onesti e validi?» «Siamo sempre stati d'accordo sull'essere in disaccordo.» Eve fece entrare Jane, poi si volse verso Logan. «Grazie. Ora va'.» «Ci sono due stanze per gli ospiti.» «Va', ti ho detto.» «Io vado a vedere se trovo da preparare un sandwich», annunciò Jane,
allontanandosi lungo il corridoio in cerca della cucina. «Visto? Non può sopportare di vedermi buttare fuori. Credo di piacerle. Ragazza in gamba.» «Solo tu puoi interpretare l'indifferenza come simpatia.» Eve incrociò le braccia sul petto. «Va'.» «Non le sono indifferente. Andremmo d'accordo, una volta che ci fossimo abituati l'uno all'altra. Mi ricorda un po' te al nostro primo incontro.» «Non ha niente a che vedere con me.» Lui emise un fischio sommesso. «Evidentemente ho detto la cosa sbagliata.» «Va', Logan. Ti prego.» Le sorrise, accarezzandole la guancia con un dito. «Sto andando. Mi lusinga che tu tenga tanto a proteggermi.» Joe era stato tutt'altro che lusingato. Era stato furioso e totalmente irragionevole, accidenti a lui. «C'è qualcos'altro che posso fare per te?» «Suppongo ci sia un computer con un'ampia gamma di programmi di ricerca.» «Ci mancherebbe altro. Io fabbrico computer. Lo studio è anche fornito di un'eccellente biblioteca.» «Allora non ho bisogno di altro.» «Troverai vestiti per entrambe nelle due camere da letto principali. Non sono sicuro che quelli di Jane siano della misura giusta. È un po' piccolina per avere dieci anni.» «È grande abbastanza da far sentire la sua presenza.» «L'ho notato.» Logan si chinò a baciarla. «Allora, io vado. Se avessi bisogno di me, sono al Camelback Inn.» «Dannazione, Logan, io intendevo dire che dovevi tornartene a Monterey!» «Lo so.» Si avviò giù per gli scalini. «Ti lascio quest'auto a noleggio. Io passerò al villino e mi farò dare uno strappo fino all'albergo da uno dei ragazzi.» «Stammi a sentire, Logan. Ho già preso più di quanto avrei dovuto da te. Mi sentirò in colpa da morire se tu dovessi metterti nei guai per me.» «Bene. Il senso di colpa può essere molto utile nelle mani di un uomo scaltro, e dimostra che tieni a me.» «Su questo non c'è mai stato alcun dubbio, e lo sai bene. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dovrei essere un robot per non tenere
a te.» Lui le scoccò un sorriso. «È su questo che speculo.» «Logan.» «No, Eve. Puoi impedirmi di vivere sotto il tuo stesso tetto, ma non di essere nelle vicinanze.» Le strizzò l'occhio. «E poi, sto pregustando il momento in cui Joe scoprirà che sono io quello che ti sta aiutando.» Prima che lei potesse rispondere, era scomparso dietro l'angolo della casa. Probabilmente non avrebbe mai dovuto permettergli di aiutarla. Logan non conosceva il significato di un coinvolgimento limitato. No, questo non era del tutto vero. Era stato molto attento a rispettare i paletti che lei aveva posto alla loro relazione. Non era mai stato troppo invadente o impulsivo. Considerato il suo carattere forte doveva essere stato molto difficile per lui, e questo glielo faceva apprezzare ancora di più. Almeno, stavolta Eve aveva riportato una vittoria parziale. Con Logan era già un grande successo. Si sarebbe preoccupata più avanti di convincerlo a partire. Adesso aveva del lavoro da fare. Ma per prima cosa, doveva chiamare sua madre per sentire come andava. Andò al tavolino dell'anticamera e compose il numero del suo cellulare. Sandra rispose al terzo squillo. «Tutto bene?» domandò Eve. «Sì e no. Il tuo serial killer non si è fatto vivo, ma Ron è stato lui stesso sul punto di strangolare Mike. Non penso che qualcuno gli abbia mai fatto fare un bagno prima d'ora. Era così indignato che voleva tornarsene in mezzo alla strada.» «Oh, no.» «Non preoccuparti, sono arrivati a un accordo. Sai, a Ron piacciono le sfide. Lo ha corrotto con la promessa di portare a casa una cena da McDonald's ogni giorno che lui fa il bagno.» Ridacchiò. «Mike non se l'è fatto dire due volte. Penso di doverlo prendere come un insulto.» «A tutti i bambini piace la roba di McDonald's.» «Non cercare di risparmiare i miei sentimenti. Sappiamo entrambe che come cuoca sono un disastro. Tu come stai?» «Bene. Ti darò un colpo di telefono a giorni alterni. Se dovesse esserci qualche problema, o anche soltanto l'ombra, chiamami tu.» «Lo farò.» Sandra tacque un istante. «Joe non ha idea di dove tu sia o cosa stia facendo.» «Ho ritenuto che fosse meglio così.»
«È teso come una molla. Non l'ho mai visto in uno stato simile.» «Non dirgli niente.» «È nostro amico, Eve. Mi sentirei più tranquilla se lui fosse con te. Perché non posso...» «No, mamma.» «Okay.» Sospirò. «Ma non mi darà pace.» «Sei un osso duro. Puoi tenerlo a bada.» «Lui è più duro di me. C'è di buono che gli sono simpatica, quindi non dovrebbe cercare di estorcermi informazioni con la forza. Almeno a me puoi dirlo dove ti trovi?» «Phoenix.» «Ma non vuoi che lo dica a Joe.» «No, per favore.» «È uno sbaglio.» «Devo salutarti, mamma. Abbi cura di te.» «Tu abbi cura di te.» Eve mise giù lentamente il telefono. Joe era a caccia - la cosa in cui riusciva meglio. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? «Vuoi un sandwich al tacchino?» Jane era in piedi alle sue spalle. «Ne ho fatti due.» «Grazie.» Non aveva fame, ma era il primo segnale di apertura da parte di Jane da quando aveva accettato di venire con lei a Phoenix. «Volentieri.» La seguì lungo il corridoio verso la cucina. «Temo che dovremo arrangiarci, per quel che riguarda il mangiare. Devo confessare che non sono una gran cuoca.» «Sarai comunque meglio di tua madre.» Jane saltò su uno sgabello davanti al bancone della cucina. «Non contarci. Non ho molta esperienza in materia.» Mangiarono per un po' in silenzio. Poi, inaspettatamente, Jane disse: «Posso pensarci io. In una delle case dove sono stata ero quasi sempre io a far da mangiare.» «È stato dai Carboni? La signora Eisley ha detto che te la passavi male da loro.» «Me la sono cavata.» Jane finì il suo sandwich. «Ti aiuto a riordinare?» «No, lascia. È talmente poca roba. Senti, Logan ha detto che c'è una buona biblioteca. Non so se ci sarà qualcosa che può andarti di leggere, ma...» «Libri?» Jane si illuminò. «Ci sono libri qui?»
«Così dice Logan.» Jane si affrettò a dissimulare il guizzo di eccitazione dietro un'aria annoiata. «Magari ci darò un'occhiata. Tanto, immagino che non ci sia nient'altro da fare.» Scivolò giù dallo sgabello, portò il suo piatto al lavandino e aprì l'acqua. «Logan è cotto di te. Ci vai a letto?» Eve trasalì. Santo cielo, era una bambina di appena dieci anni... No, si corresse, aveva dieci anni, ma non era una bambina. Probabilmente ne aveva viste di più lei nella sua breve vita di una donna di trenta. «Non sono affari tuoi.» «Sta facendo tanto per noi. Mi domandavo solo se dovevi ripagarlo.» Sesso in cambio di favori, o di denaro. Un altro aspetto della vita sulla strada. Il contatto quotidiano con la prostituzione aveva fatto parte dell'infanzia di Eve, e naturalmente anche Jane vi era stata esposta. «No. Logan è mio amico, e gli amici non chiedono di essere pagati. È una brava persona», aggiunse con un sorriso, «e non è un gangster.» «Non lo pensavo sul serio. Volevo solo vedere se riuscivo a farlo incazzare.» «Jane.» «Non ha fatto una piega. È bello tosto. Dov'è questa libreria?» «Non ne ho idea.» «Vado a vedere», disse, avviandosi alla porta. «Se non ti dispiace, portati i libri in un'altra stanza, dopo averli scelti. Ho bisogno di lavorare al computer.» «Perché?» «Devo vedere se riesco ad accedere ai numeri arretrati del quotidiano locale.» «Ah, per trovare quella donna ammazzata?» Eve annuì. «Non ho molto su cui basarmi. Dom è stato bene attento a non darmi troppi spunti. So solo che l'omicidio dovrebbe risalire a cinque o sei mesi fa, che la vittima era una cantante e che il suo corpo non è stato trovato. Per cui, devo cercare notizie di una donna scomparsa, non di un assassinio.» «Okay. Non ti starò tra i piedi.» Eve la guardò dileguarsi lungo il corridoio. Doveva essere un'avida lettrice, a giudicare dalla sua impazienza di trovare la libreria. Be', almeno non avrebbe dovuto preoccuparsi di intrattenerla. Quanto a lei, si sarebbe fatta una doccia, messa comoda in jeans e camicia e poi subito al lavoro.
«Ti va un po' di caffè?» Jane posò il bricco e una tazza sulla scrivania. «È piuttosto forte. So farlo solo così.» «Va benissimo.» Eve si appoggiò contro lo schienale della sedia e si sfregò gli occhi. «Non eri tenuta a farlo.» «Se avessi dovuto, non lo avrei fatto.» Jane andò a raggomitolarsi su una poltrona di pelle dall'altra parte della stanza. «Non trovi niente, eh?» «Sono già andata indietro di sette mesi. Sto cominciando a chiedermi se Dom non mi abbia raccontato una balla.» Si versò del caffè. «È mezzanotte passata. Non dovresti essere a letto?» «Perché?» «Non sei stanca?» Jane alzò il mento. «E tu, allora?» Eve lo era, eccome. Decisamente troppo per le sfide. «Io sì, molto. Se vuoi continuare tu qui, io andrei volentieri a dormire.» «Posso provarci. Però a scuola usiamo i Macintosh. Che computer è quello?» «Un Logan.» Eve si stupiva sempre di quanto i bambini delle nuove generazioni fossero più avanti rispetto a com'era lei alla stessa età. «Logan?» «John Logan fa computer.» «Come Bill Gates?» «Be', in un certo senso. Ma hardware, non software. Ed è molto diverso. Hai trovato qualcosa da leggere?» Jane annuì. «Un libro su degli scienziati che stanno cercando di localizzare Troia. Non è male.» Esitò un attimo. «E un libro sulla scultura forense. Mi hai detto che è quello che fai per vivere. È tuo?» «No. Logan mi aveva assunta per lavorare a un caso, e a lui piace essere ben documentato sugli argomenti che deve trattare.» «Le illustrazioni fanno impressione.» «Sì, non sono molto allegre.» «Puoi davvero fare quelle cose?» «Posso davvero.» «Perché?» «È il mio lavoro. E a volte riesco ad aiutare delle persone ad accettare il fatto di avere perso dei loro cari.» «Dovrebbero semplicemente andare avanti e non pensarci.» «È quello che fai tu?» «Certo. Perché no?» Jane la fissò con aria di sfida. «Non ho più pensato
a Fay da quando quello l'ha uccisa. Perché dovrei? Ormai è morta.» Eve la guardò scetticamente. «È vero. Ho pensato a quella carogna che l'ha uccisa, ma non a lei.» Si alzò di scatto dalla poltrona. «Be', io vado a letto.» Eve la guardò uscire a grandi passi dalla stanza. Così colma di dolore. Che cosa ci sarebbe voluto per indurre una bambina così traumatizzata ad abbassare le barriere difensive che si era innalzata intorno? Ma lei non doveva nemmeno provare a superarle. Sarebbe stato assolutamente sconsiderato da parte sua, date le circostanze. La cosa più sicura da fare per entrambe era trovare la donna scomparsa. Ammesso che Dom l'avesse veramente uccisa. Come aveva detto a Jane, non escludeva che lui avesse mentito per indurla a lasciare Atlanta. Ma perché attirarla proprio a Phoenix? Le aveva detto che quella città gli piaceva. Forse c'era qualcosa nell'atmosfera del luogo che aveva fatto scattare... Smettila di analizzare e torna al lavoro, si disse. Non era stato pubblicato niente di utile sul giornale nel periodo indicato da Dom. Forse doveva andare più indietro. O al contrario, controllare i numeri recenti... Lesse: 30 gennaio. Meno di un mese prima. Debby Jordan era poco più che trentenne, sposata, madre di due bambini. Era scomparsa mentre andava alle prove del coro in cui cantava. Aveva una bellissima voce, a quanto si diceva. Un soprano... Eve lesse il primo servizio sulla sparizione della Jordan e i vari successivi articoli di aggiornamento. Il marito aveva trovato la sua auto nel parcheggio della chiesa, quando era andato a cercarla non vedendola tornare a casa. Le indagini non stavano portando a niente. La chiesa aveva offerto un compenso di duemila dollari per qualunque informazione utile. Membri del coro intervistati parlavano del suo animo gentile e lodavano la bellezza della sua voce, 'un soprano dolce come il canto di un angelo'. Molte fotografie commoventi del marito e dei due bambini... Debby Jordan. Eve si lasciò andare contro lo schienale della sedia e chiuse gli occhi. Come doveva essersi divertito Dom a ostacolarla con suggerimenti fuorvianti. Mi hai reso le cose difficili, ma io l'ho trovata, Dom, figlio di puttana.
Era troppo nauseata per provare una qualsivoglia soddisfazione. Una donna che aveva ogni motivo per vivere era morta. Eve non poteva fare niente per rimediare alla sua morte. Ma poteva trovare chi l'aveva uccisa. Il primo passo era localizzare il corpo di Debby Jordan. Okay. Era precisamente quello che Dom voleva che lei facesse, quindi doveva averle dato qualche altro indizio. Pensa. Ricorda ogni parola che ha pronunciato a proposito di Debby Jordan, diceva a se stessa. Mi ha mostrato la luce, e poi a mia volta ho mostrato la luce a lei. È stata lei a illuminarmi la via. È importante che qualcuno ci illumini la via da seguire... Eve raddrizzò lentamente la schiena. Era possibile, se Dom non si stava prendendo gioco di lei. Gli indiani chiamavano le cascate "il posto della luce di luna scrosciante." Le cascate di Talladega. Che cosa aveva detto Charlie dei due omicidi di Phoenix? Due scheletri trovati tre mesi fa a San Luz. Luz. Luce, in spagnolo. Luce. Fece un respiro profondo. Ci sono, bastardo. Ci sono. Adesso dammi ancora un po' di tempo e troverò Debby Jordan. Si protese in avanti e avviò una ricerca su Internet. Poi digitò una parola sulla testiera. «Cadavere.» «Dove stiamo andando?» domandò Jane guardando dal finestrino della macchina il paesaggio brullo costellato di cactus. «Siamo nel deserto.» «Ci siamo quasi.» «Dove?» «Ti ho detto che ho bisogno di aiuto per trovare Debby Jordan, no? Qui c'è qualcuno che potrebbe darmelo.» Jane si lanciò un'occhiata alle spalle. «C'è una macchina che ci segue.» «Lo so. È uno degli uomini di Logan.» «Ah.» Jane tornò a guardare dal finestrino. «Che postaccio. Mi piace di più dove stiamo noi.» «Anche a me. Ma comincia a esserci un po' più di verde, via via che ci avviciniamo alle montagne.»
«Sarà.» Dov'era il bivio? Le indicazioni riportate su Internet erano precise, ma ancora non aveva visto nessun... Ah, eccolo là! Un cartello di legno con una freccia e un nome scritto con la vernice. PATRICK. Svoltò a sinistra su una strada accidentata. Ancora un miglio e avrebbe dovuto trovare il ranch. «Patrick?» «Sarah Patrick. È la persona che ci può aiutare. Addestra cani.» Un sorriso illuminò il volto di Jane. «Cani?» Era la prima volta che sorrideva da quando aveva lasciato il suo amico Mike. «Non aspettarti dei cucciolotti, Jane. Questi sono cani particolari. Per lo più vengono addestrati all'obbedienza, ma ho fatto delle ricerche su Sarah Patrick, e ho trovato alcune notizie interessanti sui giornali locali. Fa parte di una squadra di ricerca e soccorso formata da volontari, con base a Tucson, ed è anche affiliata all'ATF, l'ufficio investigativo sui crimini legati all'alcol e alle armi. Lei e il suo cane sono stati sul posto dell'attentato a Oklahoma City qualche anno fa, a Tegucigalpa dopo l'Uragano Mitch, e in Iran dopo il terremoto dello scorso anno.» «Che ci facevano lì?» «Cercavano sopravvissuti sepolti sotto le macerie.» Eve sospirò. «E in seguito hanno cercato i corpi dei morti. Evidentemente il cane della signora Patrick ha un ottimo fiuto.» «Sentiva l'odore dei corpi?» «È quello che sono addestrati a fare i cani da ricerca e soccorso. Il dipartimento di polizia di Atlanta occasionalmente si serve di speciali cani da cadavere.» «È questo che vuoi fargli fare? Trovare quella donna uccisa da Dom?» Eve annuì. «Guarda, ecco il ranch.» Se così lo si poteva definire. Una casetta di tronchi, diversi recinti spaziosi, e uno più grande con attrezzature che avrebbero potuto appartenere a un campo da gioco per bambini. Una vecchia jeep di un verde sbiadito era parcheggiata di fianco alla casa. «Niente cani», osservò Jane, delusa. «I recinti sono vuoti. Non deve essere molto brava, se nessuno le dà cani da addestrare.» Eve parcheggiò davanti alla casetta. «Non saltare a conclusioni affrettate. Forse è un momento di stanca. Ogni attività ha i suoi...»
La porta si spalancò e una donna in calzoncini kaki e camicia scozzese uscì dalla casa. «Vi siete perse?» «Sarah Patrick?» La donna annuì. «Non me lo dite. Ho vinto la lotteria. Dove sono i miei fiori e l'assegno con la sfilza di zeri?» Eve la guardò sorpresa. «No, eh?» Sarah Patrick sospirò. «Peccato. Be', tutto quel denaro probabilmente avrebbe potuto guastarmi. Però i fiori ci sarebbero voluti. Non riesco a far crescere niente qui. Il terreno è troppo sabbioso.» Sorridendo si avvicinò e guardò Jane attraverso il finestrino. «Ma i bambini fanno allegria quanto i fiori. Io mi chiamo Sarah, e tu?» «Jane.» «Fa caldo, oggi. Vieni dentro a bere un bicchiere di limonata, Jane.» Spostò lo sguardo a Eve. «L'invito si estende anche a lei, immagino. A meno che sia del fisco. Nel qual caso, le scaglierò contro il mio cane.» Eve sorrise. «Sono Eve Duncan, e sono qui per offrirle un lavoro. Come vede, è in salvo.» «Nessuno è mai in salvo dal fisco. Guadagno a malapena, abbastanza per mantenere me e Monty, ma sono una lavoratrice autonoma, quindi la mia dichiarazione dei redditi viene sempre passata ai raggi X. Non riescono mai a capire quando indico Monty come un dipendente.» Eve seguì Sarah Patrick in casa. «Monty?» «Eccolo.» La donna fece un cenno in direzione del caminetto. «Lui è Monty.» Un golden retriever allungato sul pavimento sollevò la testa, sbadigliò e agitò la coda. «Scansafatiche.» Sarah andò al frigorifero. «Siamo appena tornati da una corsa di cinque miglia, e io non sono in quello stato di prostrazione.» «Tu non hai tutto questo pelo», ribatté Jane indignata, inginocchiandosi accanto al cane. «Ha caldo, poverino.» Monty alzò il muso a guardarla con i suoi occhi tristi e poi le leccò la mano. Jane si stava sciogliendo, notò Eve con stupore. Si rivolse a Sarah: «È molto bello, ma posso capire perché il fisco abbia da ridire». Sarah sorrise. «Mi divertiva vedere se riuscivo a passarla liscia. È andato tutto bene, finché non sono incappata in una verifica.» Versò della limonata in due bicchieri. «Non penso che Jane voglia essere disturbata, per ora. Si sieda.» Andò ad appoggiarsi contro il lavello. «Sarò compassionevole
ed eviterò di starle sottovento. Non ho ancora avuto il tempo di fare la doccia.» In effetti, un lucido velo di sudore faceva brillare la sua faccia e le gambe abbronzate. Sarah Patrick era poco meno che trentenne, a occhio e croce, di statura media, con capelli corti e bruni e un fisico asciutto e scattante. Non si poteva dire che fosse bella in senso classico, ma i grandi e luminosi occhi scuri e la bocca ben disegnata la rendevano attraente. Quello che veramente colpiva in lei, comunque, era l'energia che sembrava sprizzare da ogni poro. «È sua figlia?» Sarah stava osservando Jane. «È molto amorevole. È una bella cosa.» Jane era veramente amorevole, constatò Eve. Chi avrebbe immaginato che la sua scorza potesse dissolversi davanti a un retriever? «No, non è mia figlia.» «Mi piacciono i bambini.» «Lei non ne ha?» Sarah fece segno di no. «Non ho nemmeno un marito. Grazie a Dio», aggiunse ammiccando. «Ho già abbastanza problemi.» «Vive qui da sola?» Eve chiese perplessa. «Ha un bel coraggio.» «Ci sono abituata. So badare a me stessa. E poi», lanciò uno sguardo al retriever, «ho un fantastico cane da guardia, nel caso non lo avesse notato.» Il 'cane da guardia' si era girato pancia all'aria, in posizione di totale sottomissione, e teneva la mano di Jane tra le zampe anteriori, uggiolando di contentezza e allungano il collo per mordicchiarle giocosamente il polso. «Sì, lo vedo», commentò Eve in tono perplesso. Sarah rise. «Ha per caso dei dubbi sul mio programma di addestramento? Monty non è un ottimo esempio. Ha qualche problema psicologico. Non gli è ben chiaro chi di noi due sia il cane.» «È adorabile.» Il volto di Sarah si addolcì. «Già.» Posò il bicchiere vuoto nel lavandino. «Chi le ha fatto il mio nome come addestratrice?» «L'ho trovato su Internet.» «Ah, sì. L'annuncio. Mi ero dimenticata di averlo messo. È stato anni fa, e nessuno ha mai risposto. Immagino che le indicazioni per arrivare qui siano un tantino scoraggianti.» Socchiuse gli occhi, scrutando Eve. «Come mai lei non si è scoraggiata?» «Ho bisogno di lei.»
«Ci sarà bene un addestratore di cani più vicino a dove abita.» «Ho bisogno di un cane da cadavere.» Sarah si irrigidì. «Avrei dovuto immaginarlo. È dell'ATF? L'ha mandata Madden?» «Niente ATF. Niente fisco. E non conosco nessun Madden.» «Questo è già un punto a suo favore. Vorrei non conoscerlo nemmeno io. A ogni modo, non sono interessata. Se lei è della polizia, posso darle il nominativo di molti altri che collaborano con le autorità.» «Io voglio lei. A quanto dicono i giornali, lei è la migliore in questo campo.» «Non io. È Monty il migliore.» «Be', non penso di poter prendere accordi con lui.» «Nemmeno con me.» «La prego. Dovrebbero volerci soltanto pochi giorni.» Sarah scosse la testa. «Non mi sembra che al momento abbia molto lavoro. Le pagherò più del suo compenso abituale.» «Ho detto di no.» «Perché?» «Non mi piace cercare cadaveri.» «Però lo fa.» Sarah distolse lo sguardo. «Sì. Lo faccio.» «Allora lo faccia per me.» «Credo sia ora che lei se ne vada.» Eve si alzò. «Per favore, ci pensi su. Ho bisogno di lei.» «Be', io non ho bisogno di questo lavoro.» Si volse verso Jane e il cane. «Forza, Monty, adesso finiscila di fare il buffone.» Schioccò le dita. Quel che accadde fu stupefacente. Monty si rigirò, scattò in piedi e fu al fianco di Sarah nello spazio di un secondo. Il suo atteggiamento era completamente mutato. Era attento, carico di energia, e guardava Sarah con totale concentrazione. «È molto obbediente», commentò Eve. «Non mi pare ci siano dubbi su chi è il cane e chi il padrone.» «Io non sono la sua padrona. Siamo soci. Monty mi obbedisce perché sa che ci sono situazioni in cui potremmo entrambi rimanere uccisi se non avesse fiducia in me.» Si avviò alla porta, tallonata da Monty. «Ora se ne vada, la prego. Non otterrà quello che vuole.»
«Mi dispiace che lei la pensi così. Vieni, Jane.» La bambina guardò Sarah corrucciata. «Non farlo correre quando fa caldo. Gli fa male.» «No, gli fa bene. Corriamo per cinque miglia due volte al giorno, pioggia o sole. Dobbiamo tenerci in forma ed essere allenati a tollerare qualunque condizione climatica. È importante per noi.» Jane allungò una mano verso il cane. «Ma non dovresti farlo stancare...» Monty si stava sottraendo alla sua carezza. «Perché fa così? Credevo di piacergli.» «Gli piaci. È solo che adesso è in modalità operativa.» «Andiamo, Jane.» Eve si diresse alla macchina. Jane la seguì malvolentieri, girando la testa a sbirciare Monty e Sarah. «Non mi piace così. Prima era diverso.» Erano stati entrambi diversi, prima che Eve accennasse alla ricerca di un cadavere. La donna e il cane fermi sulla soglia non erano gli stessi che le avevano accolte al loro arrivo. Adesso dal volto di Sarah non traspariva alcuna traccia di umorismo o calore. E Monty sembrava il famiglio di una strega, remoto e devoto a lei sola. Eve rivolse un ultimo appello a Sarah: «È molto importante. Ci pensi». Sarah scosse la testa. «Le spiace se le telefono per sapere se ha cambiato idea?» «È inutile.» Eve avviò il motore. «Aspetti.» Sarah guardò la faccia amareggiata di Jane, poi abbassò lo sguardo al cane. «Va' a salutare, Monty.» Schioccò le dita. Metamorfosi. Monty fu alla macchina in due balzi e si appoggiò con le zampe anteriori alla portiera dalla parte del passeggero, cercando di raggiungere Jane attraverso il finestrino abbassato. Jane aprì lo sportello e Monty le saltò praticamente in braccio, uggiolando e facendole le feste. Lei gli affondò la faccia tra il pelo del collo, abbracciandolo stretto. «Ora basta», disse Sarah. Monty diede un'ultima leccata a Jane e si ritrasse. Si mise docilmente a cuccia, ma la sua coda batteva a ritmo forsennato sul terreno. «Grazie», disse Eve. «Che posso farci? Quando si tratta di cani e bambini sono una babbea.» «Allora ascolti quello che ho da dirle. Potrebbe aiutare a...»
Sarah rientrò in casa e chiuse la porta. Eve strinse i denti per la frustrazione. Dannata testarda! «Ha lasciato Monty di fuori», disse Jane. «E se scappa e si perde?» «Non succederà.» Partendo, Eve guardò Monty nello specchietto retrovisore. Niente a che vedere con il famiglio di una strega adesso: era di nuovo il cane adorabile che aveva squagliato il riserbo di Jane. Lo vide voltarsi, andare alla porta e grattare con una zampa. Gli venne aperto immediatamente. «Sarah si prende buona cura di lui.» «Lo fa correre», borbottò Jane, accigliata. «Mi piace mica tanto, quella lì.» «A me sì. A volte quando si è troppo teneri si rischia di fare più male che bene.» «Ma lui è un cane. Non può capire.» Davvero non poteva? Eve ricordò la strana sensazione che aveva avuto quando Sarah aveva guardato Monty negli occhi invitandolo ad andare a salutare Jane. Era come se potessero leggersi nel pensiero a vicenda. L'aiutante di una strega... Sciocchezze. Il golden retriever non aveva niente di sinistro. Anche in modalità operativa, era parso distante, sì, ma non inquietante. «Ti piace? Anche se non vuole fare quello che le hai chiesto?» «Forse cambierà idea.» Jane le rivolse un'occhiata scettica. Nemmeno Eve ci contava molto. «Proverò a chiamarla più tardi.» Ma nel frattempo avrebbe cercato altre opzioni su Internet. Aveva il presentimento che far cambiare idea a Sarah Patrick fosse un'impresa pressoché impossibile. Il telefono stava suonando quando Eve entrò in casa. «L'hai ingaggiata?» domandò Logan non appena Eve ebbe risposto. «Mi hai fatta seguire.» «Non volevi protezione per la bambina?» «E mi par di capire che ti abbiano prontamente informato di dove sono stata.» «Sarah Patrick. Cane da cadavere. Buona mossa.» «Mi ha risposto picche.» «Le hai offerto abbastanza denaro?» «Non ci siamo spinte tanto avanti. Appena ho accennato a usare Monty come cane da cadavere è diventata un iceberg. Mi ha accusata di essere
dell'ATF, e mandata da un certo Madden, che evidentemente lei non ama molto.» «Vuoi che ti aiuti?» «No, voglio che tu stia fuori dai piedi. Se non posso avere Sarah, troverò qualcun altro.» «Però tu vuoi Sarah Patrick.» «Ovvio. È la migliore nel campo, ed è una che sta per i fatti suoi, quindi sarebbe meno probabile che possa avvertire la polizia. E vede gli agenti del fisco come il fumo negli occhi», aggiunse in tono agro, «il che dovrebbe essere un'ottima credenziale per te.» «Decisamente.» «Ma se non riesco a convincerla, ripiegherò su qualcuno che vada quasi altrettanto bene.» «Potrei provare a...» «No. Stanne fuori, Logan.» Riattaccò il telefono. «Non rivedremo più Monty?» domandò Jane. Santo cielo, sembrava quasi sul punto di mettersi a piangere. Jane ci aveva davvero lasciato il cuore su quel cane. «Domani tornerò alla carica», le promise. Jane fece del suo meglio per darsi un contegno. «Se vuoi. Per me fa lo stesso. Sì, è carino, ma non è che me ne importi.» Si allontanò lungo il corridoio. «Io vado a leggere il mio libro.» Altroché se gliene importava. Eve decise che avrebbe fatto di tutto per convincere Sarah Patrick, e se proprio non ci fosse stato verso, avrebbe trovato qualcun altro con un cane bravo e adorabile quanto Monty. Sì, come se fosse facile. Dannazione. Prese il telefono e chiamò il Servizio informazioni per avere il numero del Camelback Inn. UNDICI La notte nel deserto era gelida, il vento pungente le sferzava la faccia mentre correva. Monty correva al suo fianco, tenendosi al passo. Sarah poteva sentire il cuore pompare con forza il sangue attraverso le sue vene, i muscoli dei suoi polpacci flettersi e contrarsi ritmicamente. Monty cominciava a essere impaziente. Sarah ne aveva la netta perce-
zione. Non si sarebbe mai allontanato senza il suo permesso, ma avrebbe voluto correre avanti. A metà della salita, Sarah ruppe l'andatura. Monty si girò a guardarla. Lei rise sommessamente. «Su, va'. Fammi mangiare la polvere.» Monty scattò. Sarah guardò il bagliore argenteo della luna sul suo pelo dorato mentre correva su per la collina. Talmente bello... Gli scienziati ritenevano che i cani discendessero dai lupi, ma Sarah non associava mai Monty agli animali selvatici, eccetto in momenti come quello. La stava aspettando in cima all'altura. Sarah poteva quasi vedere la sua soddisfazione. Debole. «Ti ricordo che io ho due gambe, non quattro.» Si fermò, cercando di riprendere fiato. «E secondo me tu sei per metà caprone.» Scuse. Monty la raggiunse e le si appoggiò affettuosamente contro. Silenzio. Vento. Notte. Chiuse gli occhi, assaporando il momento. Dio, come stava bene. Monty uggiolò. Sarah aprì gli occhi e lo guardò. «Cosa c'è che non va?» Era intento a fissare la loro casa, miglia più giù. «Monty?» Si spostò più verso il ciglio, e allora vide anche lei. Luci. Una macchina si stava avvicinando alla casa. Si irrigidì. Di nuovo Eve Duncan? Le era sembrato di essere stata più che chiara il giorno prima. Ma Eve le aveva dato l'impressione di essere una persona notevolmente determinata. Forse aveva deciso di fare un altro tentativo. Avrebbe voluto restare lassù finché la donna si fosse stancata di aspettare e rassegnata a tornarsene a casa. Monty era di diverso parere. Si stava già avviando giù per il sentiero. «Ho per caso detto che si scende a valle?» La bambina. Monty amava i bambini, e ricordava la piccola Jane. E va bene. Affrontiamo Eve Duncan e sbarazziamocene una volta per tutte. Sarah cominciò a trotterellare appresso a Monty. «Aspettami, accidenti.»
La bambina... Non era la macchina di Eve Duncan. Madden? Sarah si fermò bruscamente, con il cuore che le batteva forte. «Monty.» Monty si fermò di colpo, improvvisamente allarmato dalla nota di panico che aveva avvertito nella sua voce. Girò la testa a guardarla. Paura? Sì, era proprio spaventata. La bambina... No? «No, non credo.» Che cosa doveva fare? Scappare? Affrontare Madden? Anche se lei e Monty fossero stati via da casa per giorni, lo avrebbero trovato ancora lì al loro ritorno. Sapeva per esperienza che quell'uomo aveva la tenacia di un bulldog. Tanto valeva andare a vedere che cosa volesse. Avrebbe sempre potuto sparire in seguito. Marciò verso casa, con Monty che le trottava ansiosamente al fianco. Chiedere aiuto? pensò. «No. Non c'è problema.» Monty mugolò. «Ho detto che non c'è problema, dannazione.» «Signora Patrick?» Un uomo stava aspettando davanti alla porta. «Potrei parlarle? Mi chiamo John Logan.» Non era Madden. Monty cominciò a scodinzolare avvertendo il suo sollievo. «Il solito ottimista», mormorò lei. «Potrebbe essere un esattore. E comunque mi puzza.» Sarah avanzò a grandi passi verso di lui. «Sono le nove passate, e Monty e io ci ritiriamo presto. Ripassi in un orario più decente.» «Ho fatto molta strada, e ho bisogno di parlarle adesso.» L'uomo sorrise. «Le assicuro che sono del tutto rispettabile.» Lo squadrò da capo a piedi. I suoi vestiti e le sue scarpe erano impeccabili. Proprio come l'abbigliamento di tanti trafficanti di droga. «Non mi piace che la gente si presenti qui a tarda sera.» «Eve mi aveva avvertito che lei è un tipo difficile.» Avrebbe dovuto immaginarlo. «Eve Duncan, eh? È lei che la manda?» «Non esattamente. Mi ha chiesto un piccolo aiuto, in effetti, ma venire qui è stata una mia idea.» Guardò Monty con ammirazione. «Bell'animale.»
Era lui stesso un bell'animale. Aveva l'eleganza felina di un coguaro. Ma i coguari potevano essere pericolosi. «Sì, lo è.» Aprì la porta. «Ed è stanco. Buonanotte, signor Logan.» «Aspetti.» Il suo sorriso svanì. «Potrei entrare? Sto aspettando una telefonata.» «Al mio telefono?» «Mi sono preso questa libertà. È da parte di qualcuno che lei conosce. Il senatore Todd Madden.» Sarah si sentì gelare. «Posso entrare?» Per tutta risposta, lei entrò in casa e si sbatté la porta alle spalle. Logan bussò. «Sarebbe molto meglio se io potessi parlarle prima che lo faccia lui. Mi dà l'impressione di un uomo che può essere molto sgradevole, se contrariato.» Madden era sempre sgradevole, come qualunque cosa avesse a che fare con lui. Meglio calmarsi e affrontare il problema. Aprì la porta. «Avanti.» Andò a sedersi sulla sedia a dondolo. «Venga al punto e poi se ne vada.» «Sarò più conciso che posso. Eve ha bisogno che lei trovi un corpo sotterrato da qualche parte in questa zona.» «Le dica di rivolgersi a qualcun altro.» Lui scosse la testa. «Vuole lei. Sa, non posso darle torto. Ho fatto svolgere qualche ricerca sul suo conto ai miei collaboratori, e devo dire che sono rimasto impressionato.» «Troppo buono.» «Quello che ha fatto a Oklahoma City è stato straordinario. E quel terremoto che lo scorso anno ha fatto duemila vittime in Iran... è riuscita a salvare ventisette persone rimaste sepolte tra le macerie.» «E a trovarne sessantotto morte.» «Ricorda il numero?» «Ricordo alcuni dei numeri. E ricordo tutte le facce.» «Eve non le farà guardare la faccia del cadavere.» «Ho sempre detestato la parola cadavere. È disumanizzante.» «Tutto quel che chiede a lei e Monty è localizzare il corpo. Poi potrà tornare a rintanarsi nella sua casetta nel deserto.» «Non è così semplice.» «Lei ha già collaborato con la polizia in ricerche di cadav... di corpi. Al dipartimento di Salt Lake City hanno un'altissima opinione di lei.»
«Yu-huu.» Logan sorrise. «Il sergente Levitz pensa che lei possa leggere nella mente del cane. Dice che il modo in cui voi due vi intendete ha del soprannaturale.» «Levitz farnetica. Chiunque abbia un cane le dirà che gli manca solo la parola. Quando si sta insieme a lungo come Monty e io, è del tutto normale che si impari a capirsi.» «Eppure, ammetterà che il vostro è un legame insolitamente forte.» Abbassò lo sguardo a Monty, accucciato ai piedi di Sarah. «Questo posso vederlo perfino io.» Lei non rispose. «E ne avete passate tante insieme.» «Troppe. Ci lasci in pace. Non cercheremo quel corpo.» Logan sospirò. «Temo che dovrò insistere. Abbiamo veramente bisogno di lei.» «Chi se ne frega.» Lui guardò l'orologio. «Madden è puntuale di solito? In tal caso, dovrebbe...» Fu interrotto dal suono del telefono. Sarah sollevò il ricevitore. «È lì?» domandò Madden. «Sì, è qui.» «È un uomo molto importante, Sarah. E con molti agganci in politica. Non voglio inimicarmelo, tanto più che accontentarlo ci costerebbe così poco.» «Parla per te.» «Di questo abbiamo discusso altre volte. Comunque, Logan mi ha assicurato che non dovrebbero volerci più di un giorno o due.» «È troppo. È troppo anche un'ora, se non è una questione di vita o di morte.» «Lo so che non ti piace cercare cadaveri, ma è necessario.» «Come fai a sapere che non è illegale?» Una pausa. «Logan è un rispettabile uomo d'affari.» Con agganci politici. La mano di Sarah si contrasse sulla cornetta. «Non voglio farlo, Madden.» «Ma lo farai.» La sua voce si abbassò a un mormorio suadente. «In caso contrario, sai quali sarebbero le conseguenze.» Figlio di puttana, pensò tra sé.
«Due giorni. Non un secondo di più.» «È tutto quello che ho promesso a Logan. Ci sentiamo, Sarah. Buona caccia.» Sarah sbatté giù il telefono e si rivolse a Logan. «Due giorni.» «Eve ne sarà felice.» «Non me ne importa un accidente se è felice. Vorrei che non avesse mai saputo niente di me. Le ho detto di no, e lei cosa fa? Chiama qualcuno che faccia il lavoro sporco al posto suo.» «Eve mi aveva chiesto soltanto di scoprire se c'era qualcosa che potesse offrirle per convincerla. Contattare Madden è stata una mia iniziativa. Non le ho nemmeno detto che lui era la chiave. Altrimenti non avrebbe voluto servirsene.» «Lei però non ha esitato a farlo.» «Io mi faccio molti meno scrupoli di Eve. Lei la voleva, e io ho fatto in modo che l'avesse.» Girò lo sguardo per la stanza. «Non ha un televisore o una radio?» «Non ne ho bisogno.» «Questo la tiene un tantino disinformata.» «Diciamo beatamente isolata dal mondo.» «Credo che dovrebbe sapere con chi ha a che fare.» Le porse una busta di carta marrone che aveva portato con sé. «Qui troverà un dossier su Eve Duncan e articoli di giornale su Talladega e l'omicidio di una guardia giurata. Non le spiegherà tutto, ma le darà un'idea della situazione. Ah, un'ultima cosa. Dopo essersi documentata, non le conviene andare alla polizia a spifferare dove trovare Eve Duncan. Questo mi farebbe arrabbiare, e dovrei richiamare Madden. Mi sono spiegato?» «Eve Duncan è ricercata dalla polizia?» «Legga il dossier.» Logan andò alla porta. «Riferirò a Eve che è lieta di esserle di aiuto.» Sarah imprecò. La piega della labbra di Logan si indurì. «Non le crei problemi. Tanto il lavoro dovrà farlo comunque, le piaccia o no.» Sarah guardò la porta chiudersi alle sue spalle. Le sue mani si serrarono con forza sui braccioli della sedia a dondolo. Tieni a freno la rabbia. Perdere il controllo non servirà a niente. Sono solo due giorni. Forse il corpo che avrebbe dovuto cercare non c'era nemmeno. Ma se c'era, Monty lo avrebbe trovato. Lui guaì e si alzò sulle quattro zampe, sollevando il muso a guardarla.
Si chinò ad abbracciarlo e nascose la faccia nel suo pelo. «Mi dispiace, amico», sussurrò con le lacrime agli occhi. «Dobbiamo farlo.» Quella sera stessa Eve ricevette una telefonata da Sarah Patrick. «Logan mi ha detto che ha accettato di aiutarmi. È stato molto gentile da parte sua.» «Voglio concludere questa storia il più presto possibile. Cominceremo le ricerche domani. Ha un'area indicativa?» «Forse. Non sono sicura. Può darsi che dovremo provare in un paio di...» «Ha a disposizione due giorni. Si regoli. E cerchi di procurarmi un capo di vestiario della vittima. A volte Monty è più sensibile all'odore che rimane sui vestiti che a un corpo.» «Potrebbe volerci un po'. Non so se...» «Questo è affar suo. Io le ho detto di cosa ho bisogno. Per me se non la troviamo è lo stesso. Anzi, è anche meglio. Quando ha quel che le ho chiesto mi chiami, e mi farò trovare sul posto.» Sarah troncò la conversazione. Eve ci mise qualche attimo a riprendersi dallo sconcerto. Poi chiamò Logan. «Che diavolo hai fatto a Sarah Patrick?» «L'ho convinta a lavorare per te.» «Come? Era fredda come il ghiaccio.» «Abbiamo raggiunto lo scopo, no? L'hai a tua disposizione per due giorni. Fanne buon uso.» Avrebbe dovuto immaginare che Logan non sarebbe andato tanto per il sottile. Non si era certo fatto scrupoli quando si era trattato di convincere Eve a lavorare per lui. «Vuole un indumento di Debby Jordan», disse stancamente. «Pensi di poterlo ottenere senza fare irruzione in casa sua e terrorizzare la sua famiglia?» «Troverò il modo. E non disturbarti a ringraziare per il mio aiuto con Sarah.» Eve provò un senso di vergogna. Perché stava biasimando Logan? Era stata lei a fare la telefonata che lo aveva messo in azione. Forse inconsciamente aveva perfino sperato che si spingesse ben oltre quel che gli chiedeva. «Scusa. È che sono un po' scoraggiata. Non so se Sarah riuscirà a trovare il corpo. Non so nemmeno con certezza dove è sepolto. Sto solo tirando a
indovinare.» «Vorrei venire con te, domani. È possibile?» «Hai già fatto troppo. Non voglio che ti faccia vedere in giro con me.» «Non esiste fare troppo.» «Dillo a Sarah Patrick. Mi concede solo due giorni.» «Cerca di farcela entro i suoi limiti. Preferirei non dover fare ulteriori pressioni. Mentre schivavo i suoi insulti sono anche riuscito a trovarla simpatica.» «Non credo che la cosa sia reciproca. Ho avuto l'impressione che preferirebbe seppellirci tutti e due, piuttosto che trovare Debby Jordan.» «Dal momento che non vuoi lasciarmi venire, dovrai vedertela tu con lei. Avrò il tuo capo di vestiario per domani mattina.» Era una maglia da baseball bianca con lo stemma degli Arizona Diamondback sul davanti. Sarah Patrick la prese senza guardarla. «È stata lavata dall'ultima volta che l'ha indossata?» «No, Logan dice che l'ha usata per dormire la notte prima della sua scomparsa.» «E come ha fatto ad averla?» «Non gliel'ho chiesto.» «Probabilmente l'ha rubata da una borsa di vestiti per i senza casa.» «Non è cattivo come lei pensa.» «Già, probabilmente è peggio.» «Mi ha sorpresa che lei volesse un suo indumento. È sotto terra da quasi un mese. L'odore non può essere...» «Avrei potuto usare una sostanza che simula l'odore di un corpo in decomposizione, ma Monty ne sarebbe stato turbato. In ogni caso, non garantisco il risultato. Ma ci proveremo.» Girò lo sguardo sulla campagna attorno a sé. «Perché siamo venute qui?» «Questo terreno fa parte del distretto di Desert Light.» «E allora?» «Sono stati trovati corpi in altre località nel cui nome figura la parola 'luce', sia in inglese sia in spagnolo. E nella nostra ultima conversazione Dom ha parlato più volte di luce. Credo che stesse cercando di dirmi qualcosa.» «Perché non le ha detto direttamente dove l'ha sotterrata, già che c'era?» «Non sarebbe stato abbastanza divertente per lui. Vuole farmi sudare.»
«Vuole far sudare me e Monty, intende dire.» «Lui non sa niente di voi.» Eve non era affatto sicura che fosse vero. Dom non l'aveva contattata da quando era arrivata a Phoenix, ma questo non significava che non fosse là a spiarla. «E lei vuole che io cerchi in questo campo soltanto a causa del nome del distretto di cui fa parte?» «È anche vicino alla chiesa dove Debby Jordan è scomparsa.» Sarah la guardò dubbiosa. «Okay, non è molto.» Eve contrasse le labbra. «Ma è tutto quello che ho.» «Come le pare. Se spreca i due giorni che le ho messo a disposizione facendomi cercare nel posto sbagliato, peggio per lei.» Prese una sacca di tela dalla sua jeep, poi guardò Jane, inginocchiata accanto a Monty. «Perché se l'è portata appresso?» «Dom vuole che stia con me, e non posso arrischiarmi a lasciarla sola. Non sarà d'intralcio.» «Non è di questo che mi preoccupo. Sembra una bambina sveglia. Ma Monty non potrà tenerle compagnia.» Si avvicinò con passo deciso verso Jane e le sorrise. «Spiacente, ma è ora che Monty si metta al lavoro.» Jane si alzò lentamente. «Posso venire con voi?» Sarah consultò Eve con un'occhiata. Jane era già lì. Sarebbe stato tanto peggio se avesse partecipato attivamente alle ricerche invece di restare ad aspettare in macchina? Almeno l'avrebbe tenuta occupata. Fece un breve cenno di assenso. Sarah tornò a rivolgersi a Jane. «Procediamo piuttosto svelti, e di solito faccio ripassare due volte Monty su ogni tratto di terreno per essere sicuri che non ci sia sfuggito niente.» «Vi starò dietro.» «Accomodati.» Sarah si chinò ad aprire la sacca di tela. Ne tirò fuori un guinzaglio e lo agganciò al collare di Monty. Il cane si immobilizzò. «Ha capito che sta succedendo qualcosa?» domandò Jane. Sarah annuì. «Ma non sa ancora che cosa. Gli ho messo il guinzaglio per mia comodità, così potrò controllare meglio il nostro percorso. Di solito non lo tengo mai al guinzaglio, eccetto quando siamo in un posto che non ci è familiare o quando serve a far sentire più tranquilli gli altri.» «Come, più tranquilli?» «È un cane di grossa taglia. Ci sono persone a cui non piacciono i cani
grossi.» «Non capiscono niente.» Sarah sorrise. «Sono d'accordo con te.» Infilò di nuovo la mano nella sacca e ne estrasse una cintura tecnica in denim con una moltitudine di tasche. Monty si irrigidì. «Adesso sa che siamo al lavoro.» Sarah si sistemò la cintura intorno alla vita. «È il suo segnale.» Monty alzò la testa, gli occhi intelligenti e brillanti di aspettativa. Sarah gli fece annusare la maglia da baseball. «Trovala, Monty.» Eve si appoggiò al parafango della sua macchina e guardò Sarah, Jane e Monty perlustrare il terreno palmo per palmo. Si muovevano in fretta, come aveva detto Sarah, ma l'area era estesa e ci sarebbe voluto tempo per coprirla tutta. Monty avanzava con la testa bassa, ogni muscolo teso, fiutando la terra. Per due volte si fermò, esitò, poi proseguì. Era già pomeriggio quando Sarah riportò Monty alla macchina. «Niente.» «Sicura?» domandò Eve con disappunto. «Ne è sicuro Monty. Per me è sufficiente.» «Perché si è fermato quelle due volte?» «Ha sentito qualcosa di morto.» Eve s'irrigidì. «Cosa?» «Niente di umano. Monty conosce la differenza.» Liberò il cane dal guinzaglio, si tolse la cintura, poi si rivolse a Jane: «Adesso è fuori servizio. Perché non vai a giocare un po' con lui? Gli farebbe piacere.» «Okay.» Jane non se lo fece dire due volte. Sarah la guardò scorrazzare per il campo, inseguita da Monty. «Jane gli piace.» «Lei ne è assolutamente innamorata.» «Ha buon gusto.» «Grazie per averla lasciata venire con voi. La vita l'ha bastonata di brutto. Per lei stare con Monty è terapeutico.» «Non vedo perché dovrei impedirglielo. Non è colpa di Jane se sono stata costretta a fare questa cosa.» Le piantò in faccia uno sguardo tagliente. «È sua.» Eve trasalì. «Ha ragione. Per cui, tanto vale che la metta sotto il torchio finché posso. Peggio di così non potrà pensare di me.»
«Ha in mente altri posti?» «Undici. Tutti con un nome che ha a che fare con la luce.» «Undici?» Eve tirò fuori la carta topografica della città e indicò le zone che aveva circolettato. «Forse dodici.» «Non ce la farà mai in due giorni.» «Cercheremo prima in quelli più vicini alla chiesa di Debby Jordan. L'efficienza di Monty ha limiti di tempo?» «Non direi. A Tegucigalpa abbiamo lavorato per settantadue ore di fila, facendo solo brevi pause. Ma ha visto quanto c'è voluto solo per scartare quest'area.» «Allora è meglio che ci muoviamo.» Eve ripiegò la cartina. «Moonlight Creek è a soli quindici minuti da qui. Dovremo controllare entrambe le rive del torrente.» «Richiederà anche di più di questo campo.» Eve salì sulla sua macchina. «Chiami Monty e Jane.» Sarah la fissò per un momento, poi le rivolse un sorriso agro. «Lei non sa proprio darsi per vinta, vero?» «E lei?» Sarah si volse e chiamò a gran voce: «Jane, riporta indietro il mio cane. Il lavoro ci aspetta.» Cercarono fin quasi a mezzanotte, ma riuscirono a cancellare dalla lista solo altri quattro posti. Ne restavano ancora sette. «Per oggi abbiamo chiuso.» Sarah tolse il guinzaglio a Monty. «Sono così stanca che non ci vedo più.» «Non occorre che lei ci veda. Basta che Monty annusi.» Sarah scrollò la testa. «Cristo, lei è una vera aguzzina.» «Devo esserlo.» Eve lanciò un'occhiata a Jane, addormentata sul sedile posteriore. Sarah seguì il suo sguardo. «Davvero quello uccide i bambini?» «Già.» «Bastardo.» «Soltanto un'altra ora.» Sarah fece di no col capo. «Non ci si vede. Potrei mettere in pericolo l'incolumità di Monty. Non ne ho il diritto.» «Ma ha detto che in Honduras avete lavorato molto più a lungo.» «Stavamo cercando di salvare delle vite, non di trovare morti.» Fece un
cenno a Monty, e lui saltò sulla jeep. «Per stanotte basta.» «Non abbiamo coperto tante località quanto speravo.» «L'avevo avvertita.» «Lo so. Volevo solo... Lei non mi dà abbastanza tempo.» «Peccato.» «Sì, è proprio un peccato.» Sarah salì sulla jeep. «Ricominceremo domani all'alba.» «All'alba?» «Non vuole una giornata piena?» «Certo che sì. Ma pensavo che lei...» «Monty e io non facciamo orario di ufficio. Le ho promesso due giorni, e li avrà.» Prima che Eve potesse replicare, la jeep di Sarah stava rombando lungo la strada. Salì sulla sua auto e partì verso casa. Sarah era dura, ma non coriacea come dava a vedere. Aveva lavorato instancabilmente, fino allo stremo, ed era pronta a riprendere dopo appena poche ore di sonno. Evidentemente aveva un debole per i bambini. Forse Eve avrebbe potuto persuaderla a concederle qualche giorno in più e... Il suo cellulare suonò. «Stai facendo gli straordinari», disse Dom. «Cominci a farti prendere dalla frenesia, Eve?» «Oh, Cristo. Mi hai svegliata.» «Non credo, a meno che stessi dormendo al volante.» Niente panico. Poteva aver tirato a indovinare. «Non chiamavi da un po'. Speravo di essermi liberata di te.» «Sono passati solo pochi giorni. È stato divertente guardarti annaspare per rintracciare il nostro amabile soprano.» «Stai bluffando. Non sai dove sono.» «In effetti, per un momento ti avevo persa di vista. Te ne sei andata da Atlanta in punta di piedi. Ma sapevo che era solo questione di tempo prima che tu scoprissi l'identità del mio soprano. Non dovevo fare altro che attenderti al varco davanti alla casa di Debby Jordan.» «Non sono mai andata a casa sua.» «Ma c'è andato uno degli uomini di Logan. È stato semplice risalire da lui a Logan e da Logan a te. È lui che ti ha aiutata a lasciare Atlanta?» «Non so di cosa tu stia parlando.» Dom rise piano. «Stai cercando di proteggerlo. Non ce l'ho con Logan.
Ha soltanto reso la situazione più interessante. Ma ammetto che sono rimasto un tantino perplesso quando non ti sei presentata sulla soglia del vedovo addolorato per interrogarlo tu stessa. Certo, avrei dovuto immaginare che non avresti fatto la cosa più ovvia. Usare Sarah Patrick è stato un colpo di genio. Peccato che tu sia andata nei posti sbagliati.» «La troverò.» «Non troppo presto, spero. Mi sto godendo la caccia.» «Dannazione, dimmi dov'è. Lo so che vuoi che io la trovi.» «Non ancora. Ogni giorno che passa sei più stanca, più tesa, più arrabbiata. Voglio vederti smaniare un altro po'.» «La troverò domani.» «Questo potrebbe contrariarmi. Mi piacerebbe che le ricerche andassero avanti almeno una settimana.» «Allora perché non la dissotterri e la nascondi da qualche altra parte?» «Lo sai che spostare un corpo è il peggior errore che un assassino possa fare. Rischierei di essere scoperto, lasciare tracce... qualunque cosa. No, penso che farei meglio a rallentarti. Ti ho detto quanto mi piaceva l'idea che tu portassi Jane con te ovunque andassi? È con te anche adesso, no?» Eve non rispose. «Ti stai attaccando a lei, vero? I bambini più grandicelli sono più interessanti. Ci si può parlare. Bonnie era ancora troppo piccola perché tu...» «Chiudi quella dannata bocca.» «Vedi come sei tesa? Questa caccia è tremendamente eccitante. Sto cominciando a chiedermi se la piccola Jane non sia di troppo. Ucciderla ti rallenterebbe, non credi?» «Mi fermerebbe del tutto.» «No, io penso che saresti abbastanza furiosa con me per continuare. La rabbia e il dolore vanno bene quasi quanto la paura.» Maledetto vampiro. «Adesso chiudo.» «Forse prenderò la piccola stanotte stessa.» La mano di Eve si contrasse sul telefono. «Sì, questo ti rallenterebbe senz'altro. Guarda nello specchietto retrovisore.» I fari di una macchina. «Mi vedi?» «Non sei tu. Uno degli uomini di Logan ci ha seguite tutto il giorno.» «Lo avete perso all'ultima fermata. Così mi sono sentito in dovere di scortarvi io stesso.»
«Stai mentendo.» «Quanto ti manca ad arrivare a casa?» Non rispose. «Faresti meglio ad affrettarti.» Eve premette il piede sull'acceleratore. «Sì, penso che sia ora di prendere Jane.» Era tutto un bluff... Oh, Dio, l'auto dietro di lei aveva aumentato la velocità. Il cuore le martellava nel petto tanto forte da farle male. Più veloce. Ancora dieci isolati. I fari si erano avvicinati? Sì. Fece la curva su due ruote. Sballottata sul sedile posteriore, Jane mormorò qualcosa nel sonno. «Ti ho mai detto come uccido i bambini? Lo faccio lentamente, perché ogni emozione che scaturisce da loro è così pura e schietta. Sono i soli che meritano il bianco. Paura e dolore non sono offuscati come negli adulti. Pensi che Jane sarà coraggiosa come Bonnie?» Voleva ucciderlo con le sue mani. Quattro isolati. «Sento il tuo respiro. Sei sconvolta.» La luce dei fari si rifletteva nello specchietto retrovisore, abbagliandola. Lasciò cadere il telefono sul sedile e schiacciò l'acceleratore a tavoletta. I cancelli erano davanti a lei. Presto, il telecomando. I cancelli si schiudevano troppo lentamente. L'altra macchina stava per raggiungerla. Passò tra i cancelli mentre ancora si stavano aprendo, rischiando di schiantarcisi contro. Le luci erano ancora lì. Il suo inseguitore aveva imboccato il viale d'accesso dietro di lei. Frenò bruscamente di fronte alla casa e si attaccò al clacson. Presto, venga qualcuno, prima che... Dei colpi concitati al finestrino. Una faccia premuta contro il vetro. «Signora Duncan, sta bene?» Herb Booker. Il retrovisore rifletteva ancora i fari della macchina ferma dietro la sua.
La portiera dalla parte del conducente era aperta. «Eve?» Jane si alzò a sedere, assonnata. «È tutto a posto.» Le sue mani stringevano ancora convulsamente il volante. «Quella è la sua macchina, Herb?» «Certo. Le sono stato dietro tutto il giorno. Qualcosa non va? Mi sono preoccupato quando si è messa a correre a quel modo.» Eve si portò lentamente il telefono all'orecchio. «Va' al diavolo.» «Stavo solo scherzando.» «Sembra distrutta.» Sarah scrutò la faccia di Eve. «Si sente bene?» «Ho dormito poco e male. Lei come va?» «Bene. Monty e io siamo abituati alle levatacce.» Eve tirò fuori la sua cartina. «Ieri abbiamo battuto la zona a sud della chiesa. Oggi direi di andare a ovest.» Indicò un punto sulla mappa. «Cominceremo da qui. Woodlight Reservoir.» «Ne è sicura? È un'area piuttosto estesa. Faccia bene i suoi calcoli. Oggi le do tempo fino a mezzanotte.» «Non cambierà idea?» «No.» Sarah si voltò e lanciò a Jane il guinzaglio di Monty. «Coraggio, ragazzina, il carrozzone riparte.» Eve la guardò esasperata. Dopo quel che era successo la notte prima, continuare a cercare sembrava anche a lei futile. Perché lo stavano facendo? Per intrattenere quel bastardo? No, lo stavano facendo per la stessa ragione che l'aveva spinta a cominciare. La possibilità che Dom avesse commesso un errore. Dio, fa che sia così. «Adesso dobbiamo fermarci», disse quietamente Sarah. «Mi spiace.» Eve serrò i pugni. «Non può essere già mezzanotte.» «È l'una e mezzo.» Sarah fece un cenno, e Monty saltò sulla jeep. «Immagino che dovrei ringraziarla per la dilazione», disse Eve in tono spento. «Preferirebbe sputarmi in un occhio.» «Questo non è vero.» Eve era frustrata, ma non poteva prendersela con Sarah. La donna aveva lavorato dal mattino all'alba fino a ora, con solo brevi pause per consentire a Monty di bere e riposare. «Vorrei soltanto che si convincesse a darmi almeno un altro giorno.» «Non posso farlo.» Sarah evitò di guardarla. «So che ha i suoi buoni mo-
tivi per cercare, ma io ho i miei per rifiutare. Le ho già dato due giorni, contro la mia volontà.» «Non è abbastanza.» «Per me è stato fin troppo. E le confesso che in questi due giorni non ho fatto che sperare di non trovare quella donna.» Scosse la testa. «Forse non mi sono nemmeno impegnata come avrei dovuto.» «Se ne inventi un'altra. So perfettamente che ce l'ha messa tutta.» «Si trovi qualcun altro.» «Sarebbe una perdita di tempo che non mi posso permettere.» «Non posso aiutarla.» Sarah avviò la Jeep. «Mi dispiace.» «Se le dispiacesse, mi aiuterebbe. Trovare corpi non è piacevole, ma...» «Piacevole?» La voce di Sarah era tanto tesa da sembrare sul punto di spezzarsi. «Lei non sa di che sta parlando.» «So che prendere Dom e proteggere Jane è più importante di qualunque obiezione lei possa avere a lavorare un altro giorno o due.» «Punti di vista. Io so solo che devo proteggere il mio mondo, così come lei sta proteggendo il suo. Mi spiace.» Eve guardò i fanalini posteriori della jeep scomparire in lontananza, ricacciando indietro le lacrime. Era solo un passeggero momento di sconforto. Colpa della stanchezza. Ma non si sarebbe arresa. Appena tornata a casa si sarebbe messa al computer e collegata di nuovo con Internet nella speranza di trovare un'altra Sarah Patrick. DODICI Monty uggiolò. «Falla finita.» Sarah premette l'acceleratore. «Tu non sai quando è meglio lasciar perdere.» Triste. «Non posso farci niente se è triste. Devo pensare a noi.» Sola. «Siamo tutti soli.» Non noi. Allungò una mano a grattargli le orecchie. «No, non noi», mormorò. Monty uggiolò di nuovo. «Ho detto di no.» La bambina. Il pensiero stava tormentando anche lei.
«Non sono affari nostri. Eve si occuperà di lei.» Triste. «Mettiti a dormire. Sono stanca delle tue lagne. Siamo stati fortunati, e non intendo tentare la sorte un giorno di più.» Monty si acquattò sul sedile appoggiando il muso sulle zampe. La bambina... «Lei dov'è, Mark?» domandò Joe. Ci fu un silenzio all'altro capo del filo. «Come hai fatto a rintracciarmi?» «Non è stato facile. Alla tua emittente sono stati molto riluttanti a darmi il tuo nuovo numero di telefono. Lo hai cambiato due giorni fa. Come mai?» «Ricevo molte chiamate importune, come tutti i giornalisti.» «E ti sei preso un permesso di due settimane.» «Ero stanco. Ho deciso di venire qua in Florida a crogiolarmi al sole.» «O forse sapevi che ti stavo cercando.» «Sinceramente, Joe, non mi prenderei tanto disturbo soltanto per evitarti.» «Io credo di sì. Dov'è Eve?» «Cosa ti fa supporre che lo sappia?» «Lei non aveva l'indirizzo della casa di accoglienza. Mi ci è voluto un quarto d'ora per estorcere l'informazione alla Eisley. Eppure Eve è andata dritta lì e ha portato via la bambina. Ho fatto due più due, e il risultato sei tu, Mark.» «Pensi che la Eisley l'avrebbe detto proprio a me?» «Io penso che tu sappia dov'è nascosto ogni scheletro di questa città.» «Che espressione infelice.» «Dov'è, Mark?» «Ho investito molto tempo e fatica in questo servizio, e non intendo mandarlo all'aria. Eve non vuole che tu sappia dov'è.» «La troverò.» «Buon per te. Ma non contare sul mio aiuto.» «O trovo lei, o trovo te. E allora credimi, preferirai che avessi trovato Eve.» «È una minaccia, Joe?» «Puoi scommetterci. Dov'è?» «Diciamo solo che sta seguendo la pista di Dom.» «Che pista?»
«Questo spetta a te scoprirlo, e a me saperlo», rispose Mark, sibillino. «Non mi piace essere minacciato, Joe.» Chiuse la comunicazione. Joe si abbandonò contro lo schienale della sedia, sentendosi gelare fino alle ossa. Cristo. Non lasciarti sopraffare dalla paura. Sta' addosso a Mark finché non gli avrai spremuto fino all'ultima informazione. Rifece il numero. L'importante era trovarla. Monty stava ululando. Sarah si alzò a sedere nel letto. Monty non ululava quasi mai. Accese la lampada sul comodino e gettò i piedi a terra. Un altro ululato, e poi di colpo silenzio. Oh, Dio. Fu fuori dalla porta di casa in un batter d'occhio. «Monty?» Nessun risposta. Rientrò ad accendere la luce del soggiorno, poi tornò fuori, lasciando la porta aperta. «Monty?» Non un suono. Serrò i pugni. «Monty, dove...» Qualcosa vicino alla sua ciotola dell'acqua. Una grossa bistecca sbocconcellata. Lei non dava mai carne rossa a Monty. «No.» Corse nell'oscurità, gridando: «Monty!» Inciampò in qualcosa di peloso. Qualcosa di inerte che... No. Ti prego, no. «Monty!» Il suono prolungato di un clacson lacerò il silenzio della notte. Chi diavolo stava strombazzando a quel modo? Eve si staccò dal computer e scattò in piedi. Il telefono sulla scrivania suonò. «Abbiamo un intruso al cancello», la informò Herb Booker. «Per favore, rimanga in casa finché avremo controllato.»
«Santa pazienza, sarà un ubriaco. Non riesco a immaginare nessuno di molto minaccioso che si annuncia svegliando l'intero vicinato.» «Resti dentro, per favore.» «Sveglierà Jane, accidenti a lui.» Si diresse alla porta. Il clacson stava ancora suonando quando Eve uscì sul viale d'accesso, marciando decisa verso l'uscita. Juan Lopez fu lì prima di lei. La jeep di Sarah Patrick era ferma fuori del cancello. «Fatemi entrare, dannazione.» «Apra», disse Eve a Lopez. «È tutto a posto.» Lui azionò il telecomando, e Sarah imboccò il viale, passandole davanti. Stava saltando giù dalla jeep parcheggiata davanti alla porta d'ingresso quando Eve la raggiunse. Le bastò un'occhiata per vedere che era sconvolta. «Cosa c'è che non va?» «Cosa c'è che va, vorrai dire!» sbottò Sarah. «Lurido figlio di puttana. Voglio ucciderlo con le mie mani!» «Dom?» «E chi se no? Non vedo chi altri...» Eve si sentì montare dentro l'ansia. «Sarah, dov'è Monty?» «Fetente bastardo...» «Sarah.» «Ha tentato di ucciderlo.» Le lacrime le scorrevano lungo le guance. «Ha tentato di uccidere Monty.» «Tentato?» «Mi ha spaventata a morte. Ho creduto che...» «Sarah, cos'è successo?» «Ha buttato una bistecca avvelenata vicino alla ciotola di Monty! Un coyote l'ha addentata, e l'ho trovato stecchito.» «Grazie a Dio non l'ha mangiata Monty.» «Difficilmente lo avrebbe fatto. Gli ho insegnato a non mangiare niente che non sia io a dargli. Ma non potevo essere sicura... e poi non rispondeva.» Si asciugò la faccia con il dorso della mano. «Merda.» Eve annuì. «Immagino come devi esserti sentita.» Aprì la porta. «Vieni dentro.» «Un attimo solo. Devo far scendere Monty.» Eve non lo vedeva. «Dov'è?» «Steso di dietro.» «Perché? Non sta bene? Non è che ha ingerito un po' di veleno?»
«No.» Sarah si inginocchiò di fianco alla jeep, e il suo tono si fece dolce e amorevole. «Su, piccolo. È ora di andare.» Monty mugolò. «Lo so. Ma adesso dobbiamo scendere e andare dentro.» Gli mise il guinzaglio. «Vieni, Monty.» Finalmente il cane si alzò e saltò giù dalla jeep. Con la coda fra le gambe, si avviò lentamente verso la porta. «Ma che cos'ha?» «Cosa vuoi che abbia? È triste. Ho fatto una fatica del diavolo a trascinarlo via da quel coyote morto. Doveva essere ancora vivo quando lo ha trovato. Monty ha difficoltà ad accettare la morte.» Si strinse nelle spalle. «Non ne abbiamo tutti?» «Stai dicendo che ha problemi psicologici?» Sarah le lanciò un'occhiataccia. «Che c'è di tanto strano?» Eve alzò una mano. «Assolutamente niente.» Bastava guardarlo per accorgersi che era profondamente in crisi. Teneva le orecchie basse, e la sua espressione era terribilmente addolorata. «Che cosa possiamo fare per lui?» «Gli passerà. Ha solo bisogno di tempo.» Condusse Monty dentro casa. «Va bene se lo porto in camera di Jane?» «Sta dormendo.» «Non la sveglierà.» «Ma come potrebbe giovargli?» «Nessuno è più vitale di un bambino. Starle vicino lo aiuterà.» «Terapia?» Sarah sporse in avanti il mento. «Jane non avrà niente in contrario. Stravede per Monty.» E chi avrebbe potuto resistergli? Quei suoi occhioni dolci erano così pieni di tristezza da stringerle il cuore. «Al piano di sopra. La prima porta.» «Grazie.» Eve la guardò guidare Monty su per le scale, poi andò in cucina a preparare un bricco di caffè. Il caffè era quasi pronto quando Sarah apparve sulla porta. «Sistemato?» Lei annuì. «Ma Jane si è svegliata. Mi spiace.» «Si riaddormenterà.» Sarah esitò. «È nel letto con lei. Ma è pulito», aggiunse in fretta. «L'ho
lavato subito dopo averlo portato via dal coyote.» «Latte o zucchero?» Fece segno di no. Eve le porse una tazza di caffè nero. «Non avere quell'aria colpevole. Non c'è problema.» «Sì che c'è. A me e Monty non piace dipendere da qualcun altro.» «Non penso che Monty ne farà un dramma.» «Hai ragione.» Sarah fece una smorfia. «Probabilmente è più elastico di me.» «Perché sei venuta qui, Sarah? Non credo che sia perché Monty aveva bisogno di sostegno psicologico.» «Ero furiosa.» La sua espressione si indurì. «Volevo fare a pezzi quel bastardo. Lo voglio ancora.» «Sei sicura che sia stato Dom?» «Tu no? Di sicuro non è stato qualche vicino a cui dava fastidio, visto che non ci sono altre abitazioni negli immediati paraggi, e lui non si allontana mai troppo da casa. Nessuno ha mai tentato di fargli del male, prima che cominciassimo a cercare Debby Jordan. Qualcuno vuole impedirti di trovarla.» «Solo rallentarmi. Dom si sta divertendo troppo per fermarmi del tutto. Evidentemente non sapeva che avevi rifiutato di aiutarmi ancora.» «Così ha cercato di uccidere Monty.» Eve annuì. Sarah serrò le dita sulla tazza. «Quel bastardo. Gli faccio vedere io con chi ha a che fare.» «Mi pareva di aver capito che non volessi più saperne niente.» «Non essere stupida. Ha tentato di uccidere il mio cane, e potrebbe riprovarci. L'unico modo di proteggere Monty è prendere quel figlio di puttana.» Bevve un altro sorso di caffè, poi posò la tazza. «È ora di andare a dormire. Ci restano solo poche ore di sonno. Dobbiamo essere fuori di qui all'alba.» «Dobbiamo?» «Resto qui. È più sicuro per Monty. Mi servirà una stanza. O altrimenti, posso andare a prendere il mio sacco a pelo. Sono abituata ad arrangiarmi.» «Posso darti la camera di fronte alla mia.» «Grazie. Vado a prendere la mia borsa e la roba di Monty dalla jeep.» Sarah uscì dalla cucina. «Tu va' a letto. Chiudo io.»
Eve la seguì con lo sguardo, sconcertata. Una Sarah Patrick arrabbiata e protettiva era chiaramente una forza della natura. Spense la luce e si avviò su per le scale. Be', era quello che voleva, no? Aveva tanto pregato Sarah di continuare ad aiutarla. Ma di certo non si sarebbe mai sognata di vederla piombare lì ad assumere il comando delle operazioni. Passando davanti alla camera di Jane, schiuse la porta e sbirciò dentro. Jane si era riaddormentata, con un braccio di traverso sul grosso cane. Ma sì, che diamine. Era perfettamente in grado di tenere testa a Sarah Patrick. La compagnia del cane era un bene per Jane. E l'attacco a Monty indicava quanto Dom fosse vicino: cominciava a stancarsi di stare dietro le quinte a guardare e aspettare. Richiuse la porta della stanza di Jane, reprimendo un brivido. Tutto sommato non le dispiaceva avere Sarah e Monty in casa con loro. «Va' a letto.» Sarah la oltrepassò lungo il corridoio. «Va' all'inferno.» Lei si fermò davanti alla porta della stanza degli ospiti. «Scusa. Sono abituata ad avere il controllo della situazione. E ultimamente mi sono sentita un po' troppo in balia degli eventi. Cercherò di trattenermi.» Eve le rivolse un esile sorriso. «Brava, fallo.» Sarebbe andato tutto bene. Lei e Sarah si sarebbero adattate l'una all'altra. Dopotutto, adesso avevano un obiettivo comune. Hai fatto un errore, Dom. Non sei perfetto, pensò. Se non ti fossi immischiato, Sarah avrebbe smesso di aiutarmi. Adesso ho un'alleata. Hai commesso un altro sbaglio con Debby Jordan? «Niente?» domandò Eve, delusa. «Nessuna traccia.» Fece un segnale a Monty, e lui saltò in macchina. «Gli era sembrato che ci fosse qualcosa sotto quell'albero caduto, ma poi ha cambiato idea.» «Non è il caso di controllare di nuovo? Monty dev'essere stanco quanto noi. Forse ha avuto un calo di concentrazione.» «Stanco o no, puoi stare certa che non le è passato sopra senza accorgersene.» «Ma sono già tre giorni...» «Se ti dico che non c'è, non c'è!» sbottò Sarah. Poi moderò il tono. «Scusa. È stata una lunga giornata.» Erano state tutte giornate lunghe. Dall'alba al tramonto, e a volte anche
oltre. Sarah aveva il diritto di essere nervosa. Mentre Eve stava in macchina a guardare, lei e Monty avevano cercato senza posa. C'era da chiedersi come avessero fatto a reggere. Sarah rimase in silenzio finché furono quasi a casa. «Quanti posti rimangono?» «Quattro.» «Non sono molti. Non può essere che Dom ti abbia mentito?» «È capace di tutto. Ma se non eravamo sulla pista giusta, perché ha cercato di uccidere Monty?» «Per rendere più credibile lo scenario?» «È possibile», ammise Eve. «Forse gli piace vedermi girare in tondo.» «Ma non lo credi.» «No, io penso che debba esserci uno sbocco. Lui cerca il brivido, gli alti e bassi. Speranza e delusione. Tensione e sfogo. Se trovassimo Debby Jordan, per lui sarebbe un'incredibile liberazione.» «Si direbbe che tu lo conosca piuttosto bene, il bastardo.» A volte Eve aveva la sensazione di conoscerlo davvero. Era sempre nella sua mente. E c'erano momenti in cui le sembrava che se si fosse voltata abbastanza rapidamente sarebbe riuscita a scorgerlo. Scherzi dell'immaginazione. Da quella notte in cui lui le aveva telefonato mentre era in macchina, Juan Lopez e Herb Booker erano stati più vigili che mai, e le avevano assicurato che nessuno la stava seguendo. Forse. Svoltò la curva e vide il familiare cancello di casa. «Domani la troveremo, me lo sento», disse a Sarah. «Sono sicura che...» «Attenta!» Eve frenò di colpo vedendo solo allora l'uomo sulla strada. «Cristo.» Lopez aveva bloccato la macchina dietro di lei e stava correndo verso l'uomo con la pistola spianata. «No!» Un istante dopo Lopez era riverso a terra. Dio mio, lo avrebbe ucciso. Eve saltò giù dalla macchina. «Eve, sei pazza?» gridò Sarah. «Fermati! Mi hai sentito? Fermati, dannazione. Lo stai ammazzando.» «Avrei giusto voglia di ammazzare qualcuno.» Joe lasciò la presa sul collo di Lopez e si alzò. «È stato un idiota a corrermi incontro a quel modo.»
«Stava cercando di proteggermi.» «Non ha fatto un buon lavoro. Logan sta sprecando il suo denaro.» «Juan sa fare benissimo il suo lavoro.» I cancelli si stavano aprendo e Herb Booker stava uscendo di corsa in strada. Joe ruotò su se stesso, immediatamente pronto sull'offensiva. Eve gli si parò davanti. «No, Herb, lo conosco. È tutto a posto.» Herb guardò il suo collega, che si stava lentamente rialzando da terra, e poi Joe. «A me non sembra.» «È un detective della polizia.» «Da quando gli sbirri usano tattiche da Rambo?» «Joe è un caso un po' particolare.» Si rivolse a Joe. «Va' su in casa.» Lui sorrise sardonicamente. «Non dirmi che mi fai addirittura entrare.» «Taci. Sono arrabbiatissima con te. Non c'era nessun bisogno di aggredire Juan.» «Aveva una pistola.» «E tu lo hai quasi ucciso.» Joe si strinse nelle spalle. «Come ho detto, ero di cattivo umore.» «Be', lo sono anch'io.» Risalì in macchina. «Nessuno ti ha invitato qui.» «Oh, questo lo so bene.» Joe si incamminò a grandi passi oltre i cancelli. «Chi diavolo è quello?» domandò Sarah. «Herb aveva ragione. Anche a me ha fatto venire in mente Rambo.» «Joe Quinn.» Eve mise in moto e imboccò il viale d'accesso. «Un vecchio amico.» «Sei sicura? Manda vibrazioni esplosive più che amichevoli.» «È in collera con me. Ma non più di quanto io lo sia con lui.» «Era da Fay», intervenne Jane dal sedile posteriore. «Mi è saltato addosso.» «Gli sei saltata addosso prima tu. Con una mazza da baseball.» «Lo stai difendendo», notò Sarah. «È l'abitudine.» Eve parcheggiò e scese dalla macchina. «Voi andate a letto. Mi occupo io di lui.» «Qualcuno dovrà pur farlo», mormorò Sarah. «Ma Monty e io siamo troppo stanchi per offrirci volontari, e Jane non ha la sua mazza da baseball.» Jane ridacchiò. «Monty può dormire con me stanotte, Sarah?» «No, stanotte no. Solo in occasioni speciali.» Sarah rivolse un breve cenno del capo a Joe, che stava aspettando vicino alla porta. «Comportati
bene con Eve, o te la vedrai con il mio cane.» Senza aspettare una risposta, fece entrare in casa Jane e Monty. «E lei chi sarebbe?» domandò Joe a Eve. «Sarah Patrick. Monty è il suo cane. Se sapevi dove stavo, mi sorprende che non sapessi anche di Sarah. Logan non ti ha detto che cosa stava succedendo?» «Stai scherzando.» La seguì in casa. «Logan non mi ha detto altro che l'essenziale: che stavi bene, che aveva messo due uomini a proteggerti, e che io potevo andare a buttarmi nel lago.» «E allora come mi hai trovata?» «Mark mi ha detto che eri diretta a Phoenix e che secondo lui avevi un asso nella manica. Ho immediatamente pensato a Logan. Mi sono messo a cercarlo e sono venuto a sapere che aveva lasciato Monterey e stava al Camelback Inn. Ho anche scoperto che ha questa casa, e mi è sembrato logico che avesse fornito a te e Jane un posto dove stare.» «Molto astuto.» «Non sarei sarcastica, se fossi in te.» Il suo tono si fece aspro. «Ti ho cercata come un matto, senza sapere se sarei riuscito a raggiungerti prima di Dom. È stato un inferno. Non so quanto autocontrollo possa essermi rimasto.» «Non molto, a giudicare dallo spettacolo che hai dato qua fuori.» «Ti ha turbata? Spiacente. Ma del resto, l'ho sempre saputo che la violenza ti sconvolge. Ce n'è stata troppa nella tua vita. Così tenevo a freno quella parte di me. Ma adesso mi sono stancato, Eve. Accertami come sono.» Girò lo sguardo attorno. «Bel posticino. Molto accogliente. Logan non ti ha fatto mancare niente.» «È stato di grande aiuto.» Joe socchiuse gli occhi. «Oh, davvero? E come? Tanta comprensione e chiacchieratine intime?» «Naturale che parlo con lui. Lo chiamo appena posso per informarlo di come stanno andando le cose. Secondo te avrei dovuto semplicemente dirgli tanti saluti e grazie, dopo che mi ha aiutata con Sarah e tutto il... Ma perché sto qui a giustificarmi? Non è niente che ti...» «C'è una sola cosa che voglio sapere. Dom ti ha contattata da quando sei qui?» «Sì.» Joe imprecò a mezza voce. «Ma come fa quel bastardo? Deve starti appiccicato come carta moschicida.»
«Perché ti sorprende? Ha un'esperienza decennale, e di sicuro conosce tutti i trucchi del mestiere. Per lui se ne andrebbe buona parte del divertimento, se non potesse tastarmi il polso.» Entrò in soggiorno e si girò a guardarlo in faccia. «Sono stanca, Joe. Di' quello che devi dirmi e lasciami andare a letto. Dobbiamo alzarci all'alba per riprendere le ricerche.» «Tutto qui?» «Tutto qui.» Eve stava perdendo la pazienza. «Dannazione, Joe, ti aspetti che ti chieda scusa per aver cercato di salvare il tuo lavoro? Lo farei di nuovo. Questo è un problema mio, non tuo.» «I tuoi problemi sono stati anche miei fin dal giorno che ti ho incontrata, e lo saranno fino al giorno che...» Scosse la testa. «Ti stai allontanando da me, Eve. Lo sento. Mi stai tagliando fuori. Per quanto pensi che io possa...» Fece due passi avanti e l'afferrò per le spalle. «Guardami. Per l'amor del cielo, guardami e vedimi per quello che sono, non come vuoi che io sia.» I suoi occhi... Eve si sentì mancare il respiro. «Sì.» La voce di Joe era vibrante, intensa. «Lasciami andare.» La sua suonò flebile alle sue stesse orecchie. Joe strinse più forte, poi lentamente lasciò la presa. «Non sono stupido. Dopo tutti questi anni, non sarò precipitoso proprio adesso. Ma mi hai tenuto alla catena per troppo tempo, facendo leva sulla pietà. Non ne posso più.» «Pietà? Io non ho mai voluto la tua pietà.» «Come avrei potuto non provare pietà? Mi tormentava, me la sentivo stridere sotto i denti. Mi faceva soffrire, ma era tutto quello che avevo. E ogni volta che pensavo di non poterla più sopportare per un altro minuto, tu mi facevi sanguinare di nuovo, ed ero in trappola.» Sostenne il suo sguardo. «Niente più pietà, Eve.» Lei indietreggiò. «Io vado a letto. Ne parleremo domani.» Joe scosse la testa. «No, non ce n'è bisogno. Adesso posso aspettare.» Lanciò un'occhiata al divano. «Mi accamperò qui.» «C'è ancora una stanza libera.» «Domani. Adesso scappa pure.» Sì, voleva davvero fuggire. Era confusa, agitata, e aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. E Joe, accidenti a lui, la conosceva così bene che probabilmente sapeva con esattezza quello che stava provando. «Ci vediamo domani.»
«Andrà tutto bene, Eve», le disse quietamente. Per la prima volta, un accenno di sorriso gli rischiarò il volto. «Non pensarci. Abituatici, convivici per un po'. Sono lo stesso uomo che conosci da dieci anni.» Ma era stato quasi uno sconosciuto in quei momenti, mentre la stava guardando in quel modo, mentre la stringeva... Quante volte l'aveva presa tra le braccia negli ultimi dieci anni? Amichevolmente, comprensivamente, placando il dolore, aiutandola a superare notti di tormento e solitudine. Mai così. «Buonanotte», mormorò, lasciando in fretta la stanza. Era assurdo, pensò spogliandosi e infilandosi nel letto. Non sarebbe mai dovuto succedere. Joe non avrebbe dovuto sentire niente del genere. Lei non avrebbe dovuto sentire niente del genere. I suoi seni erano tesi e dolenti contro il fresco del lenzuolo, e sentiva un inconfondibile formicolio tra le cosce. Oh, merda. Non per Joe. Non voleva sentire quel desiderio animalesco per Joe. Non aveva alcuna collocazione nel compartimento che gli aveva assegnato nella sua vita. Compartimento. Da dove era saltato fuori quel pensiero? Non potendo sopportare di perderlo, aveva relegato Joe nell'unica area della sua mente, del suo cuore, in cui le riusciva di accettare l'intimità? Possibile che fosse stata così incredibilmente egoista? Non poteva essere vero. Non avrebbe permesso che fosse vero. E tuttavia, quella notte al motel di Ellijay, non aveva forse saputo che c'era qualcosa d'altro fra loro, qualcosa a cui lei preferiva impedire di salire in superficie? Forse quella di stanotte era stata solo una momentanea aberrazione da parte di Joe. Forse domani sarebbe tornato quello di sempre. Ma lei? Sarebbe mai riuscita a guardarlo allo stesso modo di prima? Quando l'aveva fissata e toccata con quell'intensità, era come se si fosse trasformato davanti ai suoi occhi. Improvvisamente aveva preso coscienza di lui - il Joe Quinn fisico, sessuato. L'ampiezza delle sue spalle, il bacino stretto, la sua bocca... Aveva provato l'impulso di toccare quelle labbra. Calore. Formicolio. Desiderio. Basta pensare a lui in quella maniera. Doveva recuperare il proprio equilibrio, così da poter convincere Joe di quanto sarebbe stato distruttivo
prendere una nuova direzione. Doveva essere logica, fredda... Scombussolata com'era, non c'era verso che potesse essere logica o fredda. Accidenti a te, Joe. Il mattino dopo Joe, in jeans e felpa, i capelli ancora bagnati per la doccia, le andò incontro in corridoio quando scese al piano di sotto. «Il caffè è pronto. Sarah, Jane e Monty sono in cucina. Sei in ritardo.» Le sorrise. «Non hai dormito bene?» Eve s'irrigidì. «Ho dormito benissimo.» «Bugiarda.» Si avviò verso la cucina. «Sarah mi ha aggiornato sui vostri progressi... o per meglio dire, i vostri mancati progressi.» Eve notò con sollievo che il suo atteggiamento era disinvolto. Quello era il Joe che conosceva. Era come se la notte prima non fosse successo niente. «Abbiamo ancora una chance.» «Se Dom non ti ha mentito. E se anche trovassimo Debby Jordan, non fare troppo conto sulla possibilità che ci sia qualche indizio. Spiro dice che a Talladega non è stato rilevato niente di utile.» «E lo scatolone nel vicolo?» «Idem. Il sangue era della guardia giurata uccisa alla casa di accoglienza.» «E le due fosse di Phoenix?» «Spiro ha mandato qui Charlie a coadiuvare le indagini. Finora non è emerso niente.» «Questo non significa che non troveremo niente nemmeno noi.» «Non ti avrebbe detto di Debby Jordan, se esistesse una qualche possibilità che possa portare alla sua incriminazione.» «Sì, invece. È stanco di sentirsi al sicuro. Ha bisogno... non lo so di cosa ha bisogno, ma io ne faccio parte. E da quando è venuto qui ha commesso almeno un errore.» «Il cane di Sarah.» Eve annuì. «Se ha fatto uno sbaglio, potrebbe averne fatto un altro.» «E in caso contrario?» «Troveremo il modo di prenderlo. Non posso lasciare che questa storia vada avanti all'infinito. Non voglio essere costretta a nascondermi, né continuare a essere perseguitata da quel bastardo.» Fece una smorfia. «Non lo sopporto. Si sta cibando di me, Joe.» «Forse hai ragione. Forse Debby Jordan sarà la chiave.» La guardò. «Per
cui, facciamo colazione e muoviamoci.» «Hai intenzione di venire con noi?» «Lasci che venga la ragazzina. Perché non io?» «Jane deve stare con me.» Joe fece per aprire la porta della cucina, ma lei lo fermò. «Non voglio che venga anche tu, Joe.» «Vengo lo stesso. Non ti sbarazzerai di me un'altra volta.» «Ascolta, ho cercato di essere prudente. Non mi sono fatta notare. Ho lasciato che se la sbrigasse Sarah con le persone che venivano a fare domande mentre stavamo cercando. Ma c'è sempre la possibilità che la polizia mi trovi, e se dovesse accadere, non voglio che tu sia con me.» «In tal caso, potrei salvarmi in corner eseguendo un rapido arresto io stesso.» Le rivolse un sorriso sornione. «Ho forse dimenticato di dirtelo? Ho persuaso il capo del mio dipartimento che era sua intenzione mandarmi qui come contingente di Atlanta nella task force interstatale. Come vedi, se il mio lavoro ti preoccupa, è salvo.» «Non è affatto vero. Stai camminando sul filo, e non voglio che tu venga con...» «Ti stai ripetendo.» «E tu non stai ascoltando. Non ho bisogno del tuo aiuto.» Le puntò addosso uno sguardo tagliente. «L'aiuto di Logan lo hai accettato.» «Non volevo che mi aiutasse nemmeno lui.» «Ma gli hai ugualmente permesso di farlo.» «Era una cosa diversa.» «Sì, era diverso. Avrei voluto strangolarti quando mi hai piantato in asso e ti sei rivolta a lui.» Le sorrise. «Ma ora credo che sia un segno incoraggiante. Pensaci.» Eve non voleva pensarci. All'improvviso sentiva la stessa costrizione al petto, la stessa consapevolezza della vicinanza di Joe che aveva sperimentato la notte prima. Dannazione, non voleva sentirsi così con Joe. Lui era il suo migliore amico, quasi un fratello. «È tutto sbagliato. Stai rovinando tutto.» Le passò oltre, entrando in cucina. «Adattati.» «Calma, bello. Stai correndo troppo.» Sarah impugnò più saldamente il guinzaglio. Monty era teso e irrequieto da quando era arrivato in quel terreno alle spalle della scuola elementare di Dawn's Light.
Istinto o impazienza? Aveva cercato per giorni senza alcun risultato. Avrebbe avuto il diritto di essere spazientito. Lei lo era. Dovevano essere circa le sei. Stava cominciando a imbrunire, e gli alberi scheletriti sparsi qua e là gettavano ombre più lunghe sul terreno brullo. «Ci vorrà ancora molto?» Joe le diede una voce dalla macchina, parcheggiata al margine del campo. «Un altro quarto d'ora.» Sarah si fermò un momento, dando sia a lei sia a Monty l'opportunità di riprendere fiato, lo sguardo fisso su Joe e Eve. Era strano vederli insieme. Si capiva subito che erano vecchi amici; avevano la rassicurante abitudine di terminare l'uno le frasi dell'altro. E tuttavia c'era qualcosa di inquietante nella tensione fra loro. Le persone erano troppo complicate. I cani erano molto più semplici... il più delle volte. «Abbiamo quasi finito?» domandò Jane. «Tra poco.» Sarah si rimise in moto. «Perché non vai alla macchina a mangiarti un panino? Devi essere affamata.» Jane scosse la testa. «No, ti aspetto.» Sorrise incuriosita. «Monty ti sta tirando. Perché fa così?» «Che vuoi che ne sappia? Io sono solo il rimorchio.» Jane aggrottò le sopracciglia. «Che ti prende?» «Niente.» Sarah allungò il passo. «Torna alla macchina. Non puoi tenerci dietro.» «Vi ho sempre tenuto dietro.» «Ti ho detto di andare», disse in tono brusco. «Non abbiamo bisogno di te.» Jane si fermò, la fissò per un momento, poi girò sui talloni e marciò verso la macchina. C'era rimasta male. Sarah ne era dispiaciuta, ma in quel momento niente doveva distogliere la sua attenzione da Monty. Più in fretta. A sinistra. Più in fretta. Monty faceva forza contro il guinzaglio. Vicino. Ansia. Speranza. Trovato! Monty cominciò a scavare. «No, Monty.»
Trovato. Sarah non tentò più di fermarlo. Presto avrebbe capito. Il cane si impietrì. Morto? «Sì.» Indietreggiò. Morto. Stava uggiolando. Cristo, stava soffrendo. Sarah si lasciò cadere in ginocchio e lo abbracciò. Bambino? «Non penso.» Ma morto. «Ssh.» Lo cullò dolcemente, sentendo le lacrime affiorarle agli occhi. «Cosa c'è che non va? Sta male?» Eve era in piedi accanto a lei. «Sì.» Ed era colpa sua. Aveva cercato di non pensare a quel momento, ma sapeva che sarebbe arrivato. «Sta male.» «Dobbiamo portarlo da un veterinario?» Sarah scosse la testa. «Non servirebbe a niente.» Ti prego, smetti di piangere. Mi stai spezzando il cuore. Morto. «Cos'è successo?» Joe si inginocchiò accanto al cane. «Posso fare qualcosa? Ho fatto pratica di pronto soccorso...» «L'ha trovata.» «Qui? Debby Jordan?» «Immagino sia lei», replicò Sarah con voce atona. «È un essere umano, ed è morto.» Si rialzò in piedi. «Porto Monty alla macchina. Ormai ha fatto la sua parte.» Tirò gentilmente il guinzaglio. «Vieni, cucciolo.» Monty non si mosse. «Non puoi farci niente, Monty. È ora di andare.» Lui rimase dov'era, continuando a lamentarsi. «Posso essere di aiuto?» domandò quietamente Joe. «Non vuole lasciarla. Sa che è morta, ma si rifiuta di accettarlo.» Sarah si sforzò di rendere più ferma la propria voce. «Il dannato idiota non lo accetta mai.» «Allora è meglio che lo portiamo via da qui.» Joe prese in braccio il retriever. «Tranquillo, amico. Non ti faccio niente. Sarah vuole che torni alla macchina.» «Tu resta qui», disse Sarah a Eve, seguendo Joe. «È escluso che riporti
indietro Monty, se non ritroviamo il punto esatto.» Vedendo Joe arrivare con Monty tra le braccia, Jane gli corse incontro, allarmata. «Che cosa gli è successo?» «Niente.» Joe lo depositò con delicatezza sul sedile posteriore. «Non voleva tornare alla macchina.» «Perché?» Joe si rivolse a Sarah: «Devo tornare da Eve e segnare il posto. Posso andare tranquillo?» Lei annuì, poi salì in macchina accanto a Monty e gli sollevò la testa, adagiandosela in grembo. Jane la guardò attraverso la portiera aperta. «Sembra malato.» «Non è malato, è solo triste.» «Perché?» Il suo sguardo guizzò in direzione di Eve. «L'ha trovata?» «Ha trovato qualcuno.» Jane rabbrividì. «Sai, non pensavo che sarebbe successo davvero. Sapevo che era giusto cercarla, ma...» «Lo so.» Sarah tentò di sorridere. «Anch'io avevo sentimenti contrastanti al riguardo.» «Perché avevi paura di come avrebbe reagito Monty?» «Sapevo che avrebbe sofferto.» «È stato male altre volte?» «Tutte le volte. Quando siamo tornati da Tegucigalpa non ha voluto uscire di casa per un mese. Ha perso peso. Riuscivo a fatica a fargli mangiare qualcosa.» «Sarà così anche stavolta?» «Spero di no.» Accarezzò la testa di Monty. «Non avresti dovuto portarlo là.» «Ha salvato molte, molte vite. Avrei dovuto impedirgli di farlo?» Jane aggrottò la fronte. «Immagino di no. Ma non mi piace.» «Nemmeno a me.» «Tutti i cani sono come lui?» «I golden retriever sono cani meravigliosi per le famiglie e i disabili proprio per la loro bontà di carattere. Sono pieni di amore, e a Monty sembra esserne toccata una dose doppia.» Jane strinse i pugni per la rabbia impotente. «Odio vederlo soffrire così. Dimmi cosa posso fare per aiutarlo.» Sarah sapeva per esperienza che non esisteva alcun rimedio rapido. Ma la bambina stava soffrendo quasi quanto il cane, e sentirsi utile le avrebbe
fatto bene. «Vieni a sederti con noi e fagli un po' di coccole. Fagli sentire che sei qui.» «Lo farà stare meglio?» «Gli piacciono i bambini, e tu in modo particolare, Jane.» Jane si rannicchiò sul sedile accanto a Monty e cominciò ad accarezzarlo. «Sta ancora piangendo. Sei sicura che lo sto aiutando?» Sarah non era sicura di niente, eccetto che l'amore e la forza vitale di un bambino erano di per sé un miracolo. A lei stessa avrebbe potuto giovare un po' di quell'energia. «Insisti. Male non può fare.» Restarono in silenzio per qualche minuto, poi Jane bisbigliò: «Ma perché lo fai? Tu vuoi bene a Monty. Deve pesarti tantissimo.» «Non ci sono molti altri in grado di fare quello che facciamo noi.» Sarah si schiarì la voce. «Ma devo fare attenzione a come uso Monty. Ne sono responsabile. Tocca a me proteggere entrambi.» «Perché?» «Perché Monty è quello che è, e mi ama.» La sua mano si mosse carezzevole sulla testa del cane. Su, piccolo, non fare così. Mi sta uccidendo vederti soffrire. Dobbiamo superare anche questa. «E non mi dirà mai, mai di no.» Eve teneva lo sguardo fisso al suolo nel punto indicato da Sarah. Debby Jordan giaceva lì sotto. Il terreno era uniforme. Niente lasciava supporre che vi fosse stata scavata una fossa e seppellito un corpo. «Qui?» Joe sembrò materializzarsi al suo fianco, con in mano una bandierina rossa da segnalazione che doveva aver preso dal bagagliaio della macchina. «Non riesco a credere che Monty l'abbia trovata. Avevo quasi perso la speranza.» «Tu? Non ci credo.» Joe piantò la bandierina e si rialzò. «Dovrebbe bastare. Hai pensato a cosa dovremmo fare adesso?» «Non possiamo scavare noi stessi. Potremmo distruggere delle prove. La polizia locale?» «È una possibilità.» «O altrimenti potremmo chiamare Spiro.» «Sono ricercata per rapimento», obiettò Eve. «Non gli permetterò di separarmi da Jane.» «Si può sempre trovare un accordo.» Contrasse le labbra. «Che non preveda che tu faccia da esca.» «Non siamo nemmeno certi sia Debby Jordan la persona sotterrata qui.»
«Ma tu hai il presentimento che lo sia, vero?» «Sì, penso che sia lei. Dom voleva che la trovassi, e l'ho trovata. Ma voleva tirare per le lunghe. Probabilmente è stato troppo presto per lui. Bisogna vedere quale sarà la sua prossima mossa.» TREDICI «Come sta Monty?» si informò Joe quando Eve scese al piano di sotto quella sera. «Sarah è preoccupata. Dice che non ha nemmeno toccato la sua cena. Jane non gli si scolla di dosso.» Scosse la testa. «Pensavo che Monty sarebbe stato positivo per lei, ma non avevo messo in conto un simile imprevisto.» «Evidentemente le sta a cuore. È un buon segno, no? E provare della sincera compassione non ha mai fatto male a nessuno. C'è troppa indifferenza a questo mondo.» Joe non era stato indifferente. Eve ripensò alla tenerezza con cui avevo preso in braccio Monty per portarlo alla macchina. Era strano come potesse essere commovente la gentilezza in un uomo duro. «Sei riuscito a metterti in contatto con Spiro?» «Sì. Sta arrivando. Ha detto che sarebbe venuto comunque. Sembra che Charlie si sia imbattuto in qualcosa di molto interessante a proposito degli altri due casi.» «Di che si tratta?» «Non ha voluto sbottonarsi.» «Alla faccia della collaborazione.» «Glielo tireremo fuori. Al momento, crede che ci sta facendo un favore. Bisognerà spiegargli che le cose non stanno in questi termini.» Furono interrotti dal suono del telefono. Eve sussultò. «Rispondo io?» si offrì Joe. Non poteva essere Dom. Lui chiamava sempre sul cellulare. «No, lascia.» Sollevò la cornetta. «Pronto?» «Che piacere sentire la tua voce, Eve», disse Mark Grunard. «Anche se avrei voluto sentirla prima. Avevi promesso che ti saresti tenuta in contatto.» «Non ce n'era motivo. Non avevo novità da darti. Come hai scoperto dove sono?»
«Joe e io abbiamo fatto un accordo, e lui è di parola. È lì?» «Sì.» Passò il telefono a Joe. «Mark Grunard.» Si sedette e osservò la sua faccia mentre parlava con Mark. Nessuna espressione. La maschera di impassibilità era di nuovo ben salda al suo posto. «Sta arrivando», la informò Joe, riagganciando. «Vuole essere sul posto nel caso succeda qualcosa di interessante.» «Ha detto che avete fatto un accordo.» «Era l'unico modo che avevo per convincerlo a dirmi dove eri andata. L'ho chiamato dopo aver saputo di questa casa.» «Senza interpellarmi?» «Tu mi hai interpellato prima di tagliare la corda?» Abbassò la voce. «Avrei fatto un accordo con il diavolo in persona pur di trovarti, Eve. Devo dirti che cosa sarei disposto a fare pur di tenerti vicina?» Quelle parole la colsero di sorpresa, e l'impatto fu violento. «Non voglio...» «Sì, immaginavo che non avresti voluto saperlo.» Si volse e si diresse alla porta. «Lascerò perdere, per ora.» «Dove stai andando?» «Torno alla fossa di Debby Jordan. Non mi piace l'idea di lasciarla incustodita.» Eve sgranò gli occhi. «Pensi che possa tornare là?» «Se ti sta sorvegliando, sa che l'abbiamo localizzata.» «Non si proverà a spostare il corpo. Una volta mi ha detto che sarebbe stata una mossa stupida.» «Allora starò di guardia per niente. Poco male.» «Per quanto conti di restarci?» «Finché Spiro mi raggiungerà lì domani mattina. Non aspettarmi prima di...» «Vengo con te.» «Va' a dormire, non sei invitata.» Aprì la porta. «Tocca a me, Eve. Tu e Sarah avete già fatto la vostra parte.» «È un'idiozia andare là stanotte, se pensi che...» Stava parlando al vento. Se n'era già andato. Come osava metterla sottosopra e poi terrorizzarla tornando alla fossa di Debby Jordan? E come poteva pensare che sarebbe riuscita a dormire? Eve rifletteva. Sarebbe stata sveglia tutta la notte, immaginandolo da solo in quel campo...
E invece no. Avrebbe dormito. Non avrebbe pensato a lui. Che rischiasse pure di trovarsi a faccia a faccia con Dom. Gli sarebbe stato bene. Probabilmente gli sarebbe anche piaciuto affrontare quel figlio di puttana. Lo avrebbe massacrato a colpi di karate e se ne sarebbe andato come niente fosse. Il cuore le batteva forte. Calmati. Non pensare a lui. Va' a letto e dormi. Joe era seduto a una certa distanza dal posto della sepoltura. Poteva sentire il suo sguardo su di sé mentre gli si avvicinava, ma nell'oscurità non riusciva a vedere la sua espressione. Probabilmente non c'era nessuna espressione. In genere doveva cogliere ogni minimo fremito di ciglia o impercettibile contrazione della bocca per decifrare le sue emozioni. Ma stavolta non avrebbe dovuto aspettare molto prima che lui le esternasse chiaramente i suoi sentimenti. «Ti stavo aspettando.» Joe batté una mano sul terreno accanto a sé. «Siediti.» «Be', io non mi aspettavo di ritrovarmi qui.» Si mise a sedere e si cinse le ginocchia con le braccia. «Te lo avevo detto che non sarebbe venuto.» «Ma non potevi lasciarmi correre il rischio da solo.» «Sei mio amico... a volte.» «Sempre. Non avresti dovuto venire qui per conto tuo.» «E quando mai sono per conto mio? Uno degli uomini della sicurezza mi ha seguita.» «Il che è la sola ragione per cui provo una vaga gratitudine per Logan.» «È un uomo eccezionale.» «No comment.» Eve guardò in silenzio attraverso il campo in direzione della bandierina rossa piantata nel terreno. Sei là, Debby Jordan? Spero di sì. Almeno potremo riportarti a casa. «Aveva due figli, vero?» «Due bambini. Aveva tutto, a quanto dicono i giornali. Un buon matrimonio, una famiglia, amici. Era una brava persona con una vita onesta e soddisfacente. Poi un giorno è uscita di casa e non è più tornata. Senza un preavviso. Senza una ragione. Dom l'ha vista e l'ha voluta morta.» Scosse la testa. «È questa la cosa più agghiacciante. Puoi vivere la tua vita nel migliore, il più morale dei modi possibili, e non fa alcuna differenza. Un pazzo ti sceglie a caso e distrugge tutto. Non è giusto.»
«È per questo che tutti dobbiamo vivere ogni istante come se fosse l'ultimo, e non chiuderci in noi stessi.» Joe non stava più parlando di Debby Jordan. «Io non mi chiudo in me stessa», protestò Eve. «Semplicemente scelgo quello che voglio nella mia vita.» «Allora dovresti ampliare un po' la selezione. Così com'è, la tua vita mi sembra piuttosto misera.» «Io ne sono soddisfatta.» «Balle.» «Accidenti, perché vuoi cambiare tutto?» «Perché sono troppo egoista. Voglio di più.» «Io non posso... non voglio...» «Sesso?» Eve si irrigidì. Era precisamente l'argomento che non voleva fosse tirato in ballo. Santo cielo, lo aveva ricacciato indietro un centinaio di volte la notte prima, rigirandosi nel suo letto. «Io penso che tu lo voglia», continuò Joe, senza guardarla. «Hai avuto qualche avventuretta dopo la morte di Bonnie. Niente di serio. Non avresti mai permesso che lo fosse. Avrebbe interferito con il tuo lavoro.» Joe non aveva mai fatto alcun accenno a quelle sue fuggevoli relazioni. Non sapeva nemmeno che ne fosse a conoscenza. «Interferirebbe tuttora.» «Allora dovrai imparare a far coesistere le due cose.» Il suo tono era quasi casuale. «Perché io sono qui, e sono assolutamente serio. Ho guardato e aspettato. Ho imparato a controllare la gelosia, la rabbia e la disperazione. Non ho mai tentato di impedirti di andare verso altri uomini, perché sapevo che ogni passo ti portava più vicina alla guarigione. Ma avevi bisogno di qualcos'altro che non ero io. E ti ho accontentata.» «Joe...» «Tutto quello che ho fatto da quando ti ho incontrata è ruotato intorno a te. Sei diventata il centro della mia vita. Non so perché. Non l'ho mai voluto.» Finalmente volse la testa a guardarla. «Ma se riesci a vedere al di là di Bonnie e tutti quegli altri bambini scomparsi, ti accorgerai che anch'io sono molto vicino al tuo centro.» «Tu sei mio amico, Joe.» «Per sempre. Ma posso essere più di questo. Posso darti piacere fisico.» Esitò un istante. «E posso darti un bambino.» «No.» «Ti ho spaventata. Ti fa paura perfino pensarci, ma sarebbe la sola cura
davvero efficace per te. Santo cielo, non significherebbe tradire Bonnie.» Eve lo fissò con occhi colmi di dolore e sgomento. «Joe, non funzionerebbe.» «Funzionerà. Farò in modo che funzioni.» Le sorrise. «Il mio primo obiettivo è far sì che pensi a me come a un oggetto sessuale e non a un fratello. Devo dirti quanto sono bravo a letto?» Stava scherzando. Oppure no? Era talmente confusa che non si sentiva più sicura di niente con lui. «No, preferirei dimostrartelo.» Il suo sorriso svanì. «E so che questo non è né il posto né il momento. Anche se sembra che abbiamo passato buona parte dei nostri anni insieme in equilibrio sull'orlo di una tomba.» Alzò una mano a sfiorarle la guancia. «Dovresti pensare al fatto che quando ti guardo, il più delle volte non ti vedo come la mia vecchia amica. Ti vedo stesa su un letto, o sopra di me, o mentre posi le mani su...» Rovesciò all'indietro la testa e rise. «Hai gli occhi grandi come dischi volanti.» «Va' al diavolo, Joe.» Si sentiva la faccia in fiamme. «Farò finta di non aver sentito.» Ma sapeva già che non avrebbe potuto impedirsi di ricordare le sue parole. E lo sapeva anche lui. «Va tutto bene.» Stava ancora sorridendo quando le passò un braccio intorno alle spalle, stringendola contro di sé con fare protettivo. «Rilassati. Non mi dispiace essere soltanto una spalla a cui ti appoggi occasionalmente. Sto solo aprendo la nostra relazione a possibilità più interessanti.» Non avrebbe dovuto trarre conforto da lui. Non era giusto. E poi, le confondeva ancora di più le idee. Qual era esattamente il nocciolo della questione? Il sesso? L'amore? L'amicizia? Probabilmente avrebbe fatto meglio a tenere le distanze finché non fosse stata in grado di ragionare lucidamente. Tuttavia, erano stati seduti in quel modo tante di quelle volte, tenendosi abbracciati, condividendo pensieri e silenzi. Come avrebbe potuto respingerlo? Le avrebbe fatto troppo male. Sarebbe stato come strappare via una parte di se stessa. «Smettila di tormentarti», mormorò Joe. «Questa parte rimarrà sempre uguale. Non voglio toglierti niente. Sto solo cercando di dare a entrambi di più.» «Devi pensare che io sia una stronza egoista», disse con voce malferma. «Mi hai già dato così tanto. Mi hai salvato la vita, e hai salvato la mia sanità mentale. Ti darei qualunque cosa tu voglia, se non avessi paura che fini-
rei per farti del male. Il sesso non è niente. Ma tu chiederesti di più, e io non so destreggiarmi in un rapporto di coppia. Il ragazzo che mi ha messa incinta di Bonnie se l'è data a gambe appena gli ho detto che non avrei abortito. Non è stato molto edificante. Non so se saprei affrontare un impegno così gravoso.» «Certo che potresti. Tu puoi affrontare qualunque cosa.» «Tu dici? Allora com'è che non sono riuscita a portare avanti uno straccio di relazione?» «Perché non era con me.» All'improvviso le venne da ridere. «Che arrogante bastardo.» Lui sorrise. «È la pura e semplice verità.» Le fece appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla. «Su, adesso cerca di dormire un po'. Potresti essere tanto fortunata da sognarmi.» «Non ti darei mai questa soddisfazione. Il tuo ego è già abbondantemente fuori misura.» Un po' alla volta si rilassò. Strano, pensò scivolando nella sonnolenza, che le riuscisse di adagiarsi nuovamente nella familiare consuetudine di anni. Ma Joe sembrava avere la capacità di spostarsi da una dimensione all'altra con la massima disinvoltura, trasportandola con sé. «Non dovrei addormentarmi. Sono venuta qui nel caso Dom...» «Lo so. Non appena ti ho vista ho saputo di essere al sicuro.» «Spiritoso. Aspetta che corra fuori un'altra volta in piena notte per salvarti la cotenna.» «Lo rifaresti.» Sì, lo avrebbe fatto. Senza dubbio, e senza pensarci su. Perché l'idea che gli succedesse qualcosa era troppo spaventosa anche solo per prenderla in considerazione. Vivere senza Joe... Spiro li raggiunse alle dieci e un quarto del mattino seguente. «Ci si rivede, Eve. Ti sei data parecchio da fare dal nostro ultimo incontro.» Il suo sguardo andò alla bandierina rossa. «È lì?» Joe annuì. «È lì.» «Sarà meglio per tutti che quel cane da cadavere abbia un gran buon fiuto. Farò la figura dell'idiota se ha trovato una puzzola morta.» «Ha un ottimo fiuto», gli assicurò Eve. «Sarah dice che capisce la differenza.» «Sarah?» «Sarah Patrick, la sua addestratrice.»
«Ah, sì, Joe mi ha parlato di lei.» Spiro si rivolse a Joe. «E se non è Debby Jordan?» «Vorrà dire che ricominceremo a cercare.» «E io dovrei ignorare il fatto che so dove sono Eve e la bambina? Mi stai chiedendo molto. Potrei rimetterci il posto. Oltre a rischiare l'accusa di favoreggiamento.» «Smettila di ballarci intorno, Spiro. Se non avessi avuto intenzione di trattare, invece di venire avresti mandato un'autopattuglia della polizia di Phoenix a prenderci.» «Dimmi una ragione per cui non dovrei farlo.» «Il contributo non indifferente che stiamo dando alle indagini.» Spiro rimase in silenzio per un momento. «La bambina. Riconsegnatela ai servizi sociali, e forse possiamo...» «No», disse recisamente Eve. «Questo non è negoziabile.» Spiro si girò verso di lei. «Tutto è negoziabile.» «Non restituirò Jane. Ma ti renderò tutto molto più facile. Ti darò quello che vuoi.» «Non se ne parla nemmeno», intervenne Joe, perentorio. «Sta' calmo, Joe. Sapevo che si sarebbe arrivati a questo.» Guardò Spiro dritto negli occhi. «Ti do la mia parola che potrai usarmi come meglio credi. Ma solo se non c'è nessun altra soluzione.» «E questo chi dovrebbe deciderlo?» «Io.» «Così avresti tu il controllo. Non mi piace.» Eve fece un mezzo sorriso. «Ma lo accetterai. Dom è per te un'ossessione, Spiro. Lo vuoi quasi quanto me.» «Di più. Perché io so che cos'è e di cosa è capace. Tu lo vedi soltanto da un punto di vista personale.» «Hai ragione, il mio interesse non potrebbe essere più personale di così. Affare fatto?» Spiro esitò. «Affare fatto.» «Posso parlare, adesso?» domandò acidamente Joe. «Sembra che tagliarmi fuori sia diventata un'abitudine.» «Abbiamo bisogno di lui, Joe. Era l'unico modo per averlo dalla nostra parte.» «Avresti potuto lasciarmi prima tentare un'altra strada.» Guardò minacciosamente Spiro. «Ti conviene darti da fare per prendere quel bastardo, o potrei dichiarare nullo il vostro accordo. Nel modo più violento possibile.»
Spiro fece finta di non averlo sentito. I suoi occhi erano rivolti al punto contrassegnato dalla bandierina. «Chiamerò subito il dipartimento di polizia di Phoenix per procedere con gli scavi. Il che significa che non voglio nessuno di voi due nei paraggi. Racconterò di avere ricevuto una soffiata da uno dei miei informatori.» Volse lo sguardo a Eve. «Manderò da te uno dei miei uomini con l'attrezzatura per le intercettazioni telefoniche. Non ci spero molto, ma tentare non nuoce.» Si diresse alla macchina. «E adesso sparite.» «Quando ci farai sapere che cosa avete trovato?» domandò Eve. «Telefonerò stasera per un rapporto preliminare.» Lanciò un sorriso sardonico da sopra una spalla. «Tanto per assicurarvi che mi sto facendo un culo così. Okay?» «Okay.» Eve guardò Joe. «Ci vediamo a casa.» «Ci metterò un po'», disse lui. «Credo che farò un salto alla centrale di polizia per dare un'occhiata agli schedari e fare due chiacchiere con Charlie. Mi sento sul punto di esplodere. Ho bisogno di fare qualcosa.» La telefonata di Spiro arrivò alle nove meno un quarto di quella sera. «È Debby Jordan.» «Sicuro?» «È troppo presto per il DNA, ma l'impronta dei denti coincide.» «Vuoi dire che non glieli ha strappati?» «Sono rimasto sorpreso anch'io. Ma pensandoci, non è poi così strano. A giudicare da come l'ha massacrata, doveva essere completamente fuori di sé.» «Al punto da dimenticare qualcosa di importante come i denti?» «Ti sto solo riferendo quello che abbiamo trovato.» «C'era nient'altro?» «Sì. Una candela nella mano destra. Rosa pallido.» «Quando avrai il referto dell'autopsia?» «Domani, se va bene.» «Ti saluto, Spiro. Richiamami se ci sono novità.» «Oh, hai deciso che mi hai spremuto fino all'ultima goccia e puoi anche buttarmi via? Ti chiamerò domani.» Mise giù il telefono. Candele. Luce. Le ho mostrato la luce... aveva detto Dom. Che significato aveva per lui?
E i denti. Era difficile immaginare Dom farsi prendere dalla frenesia, freddo e meticoloso com'era. Tuttavia, aveva detto che Debby Jordan per lui era stata un punto di svolta. «Eve.» Jane era ferma sulla soglia dello studio. «Ciao. Come sta Monty?» «Boh. Bene, credo. Ho fame. Vuoi che faccia un sandwich anche a te?» C'era qualcosa che non andava. Sembrava troppo indifferente. E come mai si era allontanata da Monty? «Buona idea. Andiamo.» «Non c'è bisogno che venga anche tu. Te lo porto qui in studio.» Era preoccupata per Monty? Era spaventata? Era sempre difficile capire che cosa stesse provando Jane. Ma a suo modo stava cercando qualcosa a cui aggrapparsi, ed era importante che Eve fosse pronta a tenderle la mano. Si lasciò cadere sul divano e si stropicciò gli occhi. Troppe cose a cui pensare, troppi bisogni a cui far fronte... Smettila di commiserarti, si rimproverò. Almeno la situazione stava cominciando a sbloccarsi. «Dormi?» Riaprì gli occhi. Jane era davanti a lei con un vassoio. «No, stavo solo riposando gli occhi. Non ho dormito molto la notte scorsa.» Jane posò il vassoio sul tavolino. «Ho portato anche il mio sandwich, ma credo che tu non abbia voglia di compagnia.» Lei aveva bisogno di compagnia, ma non lo avrebbe mai ammesso. «Stavo giusto pensando che mi sentivo un po' sola. Siediti.» Jane andò a rannicchiarsi all'altra estremità del divano. «Non mangi?» le chiese Eve. «Sì, certo.» Prese il suo sandwich e cominciò a mangiucchiarne svogliatamente un angolo. «Ti senti spesso sola, eh?» «Capita.» «Ma hai tua madre, e Joe, e il signor Logan.» «Questo è vero.» Eve addentò il suo sandwich. «E tu non ti senti mai sola?» Jane alzò il mento. «Io? No davvero.» «Non ti manca nemmeno Mike? So che gli sei affezionata, e non è bello essere lontani dai propri amici. A volte la solitudine può tendere delle imboscate...» «Non a me. E poi Mike sta bene, no? Hai anche detto che tua madre sta cercando di farlo togliere a suo padre. Se ci riescono, è a posto. Tanto meglio per lui.»
Tentiamo un'altra strada, si disse Eve. «Sono sorpresa che tu non sia con Monty. Sono certa che ha bisogno di te.» Silenzio. «Non ha bisogno di me. Sarah ha detto che ero di aiuto, ma ha bisogno soltanto di lei. Non gliene importa niente che io ci sia.» Ah, ecco qual era il problema. «Io sono sicura di sì.» Jane scosse la testa. «È il suo cane. È attaccato a lei.» Distolse lo sguardo da Eve. «Volevo che si attaccasse a me. Pensavo che se lo avessi amato abbastanza, mi avrebbe voluto più bene che a Sarah.» Prese un tono di sfida. «Volevo portarglielo via.» «Capisco.» «Non mi fai la predica?» «No.» «Lo so che era una cosa brutta. Io... Sarah mi è simpatica. Però Monty mi piace tanto. Lo volevo tutto per me. Volevo qualcosa tutto per me.» «Monty ti è attaccato. Solo che è attaccato di più a Sarah. È naturale. Lei è entrata prima nella sua vita.» «Come Bonnie nella tua?» Eve rimase di stucco. «Pensavo che stessimo parlando di Monty. Come siamo arrivate a Bonnie?» «Lei era la tua bambina. È per questo che mi stai aiutando, vero? Lo fai per Bonnie, non per me.» «Bonnie è morta, Jane.» «Ma le sei ancora legata. Per te è sempre lei al primo posto.» Diede un morso al suo sandwich. «Non che m'importi. Perché dovrebbe? È solo che mi sembrava buffo.» Santo cielo, aveva gli occhi lucidi. «Jane.» «Per me fa lo stesso, davvero. Non ha nessuna importanza.» «Be', per me ce l'ha, invece.» Le si avvicinò e la prese tra le braccia. «Ti sto aiutando perché sei una persona molto speciale, e questa è l'unica ragione.» Jane era tra le sue braccia, rigida come un pezzo di legno. «E ti piaccio?» «Sì.» Cristo, aveva quasi dimenticato quanta tenerezza si provasse ad abbracciare un bambino. «Mi piaci molto.» «Anche tu mi piaci.» Jane si rilassò lentamente contro di lei. «È tutto okay. Lo so che non posso essere al primo posto, ma forse possiamo essere amiche. Tu non appartieni a qualcuno come Monty. Mi piacerebbe...» Poi
si interruppe. «Forse possiamo», disse Eve. Jane le stava spezzando il cuore. Così sulla difensiva, così resistente, eppure così bisognosa di affetto. «Non vedo perché no.» Jane rimase immobile contro di lei per un momento, poi la spinse via. «Bene. È tutto sistemato.» Si alzò e si affrettò verso la porta. «Porto qualcosa da mangiare a Monty e poi vado a letto.» Si era lasciata andare, e adesso, chiusa la parentesi, era impaziente di scappare da una situazione che doveva averla messa a disagio. Be', Eve non era altrettanto impacciata? Quegli ultimi minuti erano stati imbarazzanti tanto per lei quanto per Jane. Erano proprio una bella coppia, pensò con amarezza. «Mi pareva che avessi detto che Monty non ha bisogno di te.» «Di mangiare sì, però. Sarah dovrebbe lasciarlo solo per andare a prendergli il cibo, e questo lo rattristerebbe», rispose Jane prima di uscire dalla stanza. «Non è colpa sua se vuole più bene a lei che a me.» Adattarsi e accettare compromessi. La vita di Jane non era mai stata altro che questo, e aveva paura a chiedere qualcosa di più, rifletté Eve alzandosi dal divano. Ma quella sera aveva fatto un grande passo avanti. Aveva cominciato a riconoscere di avere bisogno di qualcuno, ed Eve era stata scelta per colmare il vuoto. Sorrise divertita avviandosi su per le scale. Jane non era l'unica a dover accettare compromessi. Anche lei si ritrovava a fare da ruota di scorta, in mancanza di un golden retriever. Soltanto quando fu a letto ed ebbe spento la luce realizzò il significato di quello che era successo. Dom aveva ottenuto quel che voleva. Jane si era insinuata sotto le difese di Eve e stava diventando importante per lei. Calma. Andava tutto bene. Jane non si era sovrapposta a Bonnie. Quel che Eve provava per lei era del tutto differente; Jane era più un'amica che una figlia. Ma per Dom poteva essere un legame abbastanza stretto per fare la sua mossa. Il pensiero le diede una scarica di panico. Non era troppo tardi. Poteva allontanare Jane e fingere di non avere mai condiviso quei momenti nello studio... No, questo era escluso. Non avrebbe mai potuto ferire Jane a quel modo.
Ma Dom non sapeva che qualcosa era cambiato tra loro. Sarebbe stato sufficiente che continuasse a ignorarlo. Eve doveva semplicemente fare attenzione a mostrarsi distante da Jane ogni volta che erano fuori di casa. Poteva nascondere la verità a Dom. «Ciao.» Joe entrò in cucina e si lasciò cadere su una sedia. «Mi ci vorrebbe proprio un buon caffè.» «È pronto. Sul bancone.» Eve si portò la tazza alle labbra. «Non sei rientrato stanotte.» «Come fai a saperlo?» Si alzò e si versò una tazza. «Controlli i miei movimenti? Ottimo.» Ho solo bussato alla tua porta, e quando non hai risposto ho guardato dentro. Avresti almeno potuto telefonare.» «Non volevo svegliarti.» Le sorrise. «Sembriamo una vecchia coppia sposata.» «Perché non sei tornato a casa?» «Sono andato con Charlie al suo albergo e ho bevuto un paio di bicchieri.» Fece una smorfia. «Be', diciamo qualche paio.» «Hai cercato di farlo ubriacare?» «No, solo di ammorbidirlo un po'. Charlie è piuttosto abbottonato, ultimamente. Spiro lo marca stretto, da quando ha provato a scavalcarlo con il rapporto del VICAP.» «Non voglio che tu lo metta nei guai. Avresti dovuto provare prima al dipartimento di polizia di Phoenix.» «L'ho fatto, ma mi sono trovato davanti un muro. La polizia locale è supremamente incazzata con Spiro per non aver voluto rivelare il nome dell'informatore che per la cronaca gli ha dato la soffiata su Debby Jordan.» «E tu che c'entri?» «Ritengono che io sia un po' troppo in buoni rapporti con Charlie e Spiro. Così mi tocca racimolare informazioni come posso da una parte o dall'altra.» «E sei riuscito a sapere qualcosa?» «Ho dovuto penare, ma alla fine Charlie ha vuotato il sacco su quello che ha appreso dalla polizia di Phoenix sui due omicidi.» «Candele?» «C'erano tracce di cera, ma non si tratta di questo. I cadaveri sono stati sotterrati molto tempo prima di quelli a Talladega.» «Quanto prima?»
«Tra i venticinque e i trent'anni.» «Mio Dio.» Il lasso di tempo era sconvolgente. Quanti morti, quante fosse, Dom? «E nessuno lo ha mai preso. Sembra impossibile.» «Come ha detto Spiro, probabilmente all'inizio è stato fortunato, e poi si è fatto furbo. Ma forse adesso la fortuna è girata dalla nostra parte. Questi omicidi possono essere tra i primi che ha commesso.» «Che differenza fa? Non possono essere rimaste prove, dopo tutto questo tempo.» «I corpi sono stati identificati.» «Come? I denti erano stati estratti.» «DNA. Ormai sono passati quasi tre mesi dal ritrovamento. I referti del laboratorio sono arrivati un paio di settimane fa.» Si accostò la tazza alle labbra e bevve un sorso. «La polizia ha spulciato i dati d'archivio dell'epoca e sono saltati fuori quattro possibili casi di persone scomparse. Sono andari a parlare con i parenti ancora in vita e hanno ristretto la rosa dei candidati a Jason ed Eliza Harding. Fratello e sorella, rispettivamente quindici e sedici anni. Scomparsi il 4 settembre 1970. Bravi ragazzi, anche se un tantino vivaci. Jason suonava la chitarra e parlava sempre di andarsene a San Francisco un giorno o l'altro. Quando sono scomparsi, il padre ha detto alla polizia di controllare a Haight-Ashbury o Los Angeles. C'era un ragazzo che in quel periodo frequentava Jason ed Eliza, un certo Kevin. Un tipo gradevole, ma il signor Harding stava cominciando a pensare che potesse avere una cattiva influenza sui suoi figli. Era arrivato in città qualche settimana prima insieme ai suoi due fratelli. Gli altri due erano tranquilli, quasi musoni, ma Kevin era loquace e brillante, tutto un fuoco d'artificio. Parlava in continuazione di gruppi musicali che stavano facendo fortuna nei locali della West Coast. Un autentico pifferaio magico.» «Dom?» «Il suo nome era Kevin Baldridge. Lui e i suoi fratelli scomparvero contemporaneamente a Jason ed Eliza.» «Riuscirono a rintracciarlo?» Joe scosse la testa. «Ma potrebbe esserci una sua fotografia.» «Oh, mio Dio.» «Aspetta a cantare vittoria. La signora Harding l'aveva offerta alla polizia, ma nel dossier non c'è. Comunque, Charlie ha localizzato gli Harding ad Azora, una cittadina a nord di Phoenix. Non credo sia una foto che una madre butterebbe via.» Joe aveva ragione, era presto per lasciarsi prendere dall'entusiasmo. Ma
come non essere eccitata? «Gli Harding sanno già che i corpi dei loro figli sono stati trovati?» «Non ancora. Charlie andrà da loro domani.» «Voglio esserci anch'io.» «Lo immaginavo. Purtroppo, non è del parere di farsi vedere in giro con una rapitrice. Ma mi sono fatto promettere che ti mostrerà la foto non appena sarà stata registrata come prova.» «Domani vedrò la faccia di Dom.» «Potrebbe non essere lui.» «È inutile che butti acqua sul fuoco.» Joe posò la tazza sul tavolo. «Mi faccio una doccia e vado a dormire un po'.» Si alzò. «E dopo ti porto fuori a pranzo.» «Cosa?» «Diventerai matta, se resti qui a girare i pollici aspettando che Spiro o Charlie si facciano vivi. A meno che tu abbia qualche altro cadavere da dissotterrare.» Si diresse alla porta. «Fatti trovare pronta per mezzogiorno.» Il solito prepotente. «Magari non ho voglia di uscire a pranzo. E magari non ti conviene farti vedere in giro con una rapitrice.» «Allora dammi buca. Porterò Monty. Ci avevo già pensato, ma temevo le reazioni di Sarah. La cucina messicana potrebbe essere un po' troppo piccante per lui.» Lo guardò uscire dalla cucina. Era la seconda volta in dodici ore che veniva scelta come ripiego al posto di quel cane. C'era di che farsi venire dei complessi. Ma almeno, l'atteggiamento di Joe era stato leggero. Non era proprio in vena di affrontare impegnative questioni personali al momento. Non che avrebbe avuto scelta, se Joe avesse deciso di... Oh, non voleva preoccuparsi di questo. Joe aveva ragione. Sarebbe impazzita se non si fosse tenuta occupata in qualche modo. «Potrei avere un po' di caffè?» Sarah era sulla soglia della cucina, con Monty al fianco. La donna appariva stanca e scossa quanto il cane. «Certo.» Eve scattò in piedi. «Siediti. Ti andrebbe qualcosa da mangiare? Non hai mandato giù un boccone da quando Monty ha trovato Debby Jordan.» «È lei?» Sarah si sedette al tavolo e Monty si allungò ai suoi piedi. «È stata identificata?» Eve annuì.
«Grazie al cielo.» Si chinò ad accarezzare la testa di Monty. «È finita, bello. Niente più ricerche.» «Uova?» «Solo cereali, grazie.» Eve le mise davanti la scatola di cereali, il latte e una scodella. «Monty ha mangiato?» «Qualcosina ieri sera. Sta migliorando.» Sarah versò del latte sui cereali. «È servito a qualcosa? Riusciranno a prendere Dom?» «C'è una pista che sembra promettente.» Le spiegò della fotografia. «Almeno non brancoliamo più nel buio.» Sarah rimase in silenzio per qualche istante. «Stavo pensando che potrei anche tornare a casa mia, a questo punto. Ormai le ricerche sono finite. Dom non ha più motivo di fare del male a Monty.» Doveva essere completamente fuori di sé. «Dom non deve necessariamente avere una ragione per uccidere. E poi lo hai contrariato trovando il corpo prima di quanto avrebbe voluto. Resta qui.» «Monty e io sappiamo badare a noi stessi. Eravamo soltanto stati colti di sorpresa.» Diede una grattatina alle orecchie del cane. «E ci piace avere il nostro spazio.» «Ti prego. Rimanete qui. Soltanto per qualche giorno ancora. C'è la possibilità che la situazione si risolva nel giro di poco tempo.» Giocò la sua ultima carta: «E Jane starebbe in pena per Monty, lo sai». «Sì, lo so.» Sarah capitolò. «E va bene, resteremo ancora un paio di giorni. Ma Monty si riprenderà più in fretta, una volta a casa.» E il benessere di Monty era chiaramente la chiave dell'esistenza di Sarah. «Grazie.» Sarah finì i suoi cereali e si alzò. «Porto Monty a fare una corsa qui intorno. Ha bisogno di esercizio.» Fece una smorfia. «E io pure. Nessuno dei due sopporta di stare chiuso in casa.» Su questo punto sembrava esserci consenso unanime. Tenersi occupati. Non pensare a Dom. Ingannare il tempo. «Io vado fuori a pranzo con Joe. Tu e Monty potreste tenere d'occhio Jane per me?» «Certo. Ma è più probabile che sia lei a tenere d'occhio me e Monty.» Sarah sorrise. «È una cara ragazzina. Mi mancherà.» Poi di colpo si fece seria. «Sembra impossibile che quel mostro voglia ucciderla.» «Ma è così.»
«Sì, lo so.» Andò verso la porta, seguita da Monty. «Ho imparato parecchio sui mostri, quando ero a Oklahoma City.» «Non so come tu sia riuscita a reggere.» «Sì che lo sai. Affronti un giorno alla volta. Un minuto alla volta. E cerchi di infilare tra uno e l'altro qualcosa che ti impedisca di impazzire.» «Vai a correre con il tuo cane.» Sarah sorrise debolmente. «O esci a pranzo con Joe. Qualunque cosa possa servire.» Eve annuì. «Qualunque cosa possa servire.» QUATTORDICI Logan chiamò Eve al suo cellulare mentre lei e Joe stavano andando a pranzo. «Hai trovato Debby Jordan.» «Sì.» «Avrei preferito saperlo da te, invece di doverlo leggere sui giornali.» «Te l'ho detto, volevo che ne stessi fuori.» E non solo lui, pensò con rammarico. Voleva salvaguardare le persone che le erano care, ma sembrava che non avesse avuto molto successo. «Quinn è ancora tuo ospite?» «Sì.» «Herb mi aveva avvertito che era lì. Speravo che lo avresti sbattuto fuori, ma pare che io sia l'unico escluso dal club.» «Mi libererò di lui appena possibile.» Lanciò un'occhiata eloquente a Joe. «Ma non è facile toglierselo di torno.» «Dillo a me. Avrei dovuto sapere che avrebbe scoperto della casa. È con te adesso?» «Sì.» «Dannazione, lascia che venga ad aiutarti.» «No, Logan.» Ci fu un breve, pesante silenzio. «Mi stai allontanando da te, Eve. Lo sento.» «Devo farlo.» Un altro silenzio. «Questo potrebbe significare molte cose, non credi?» «Significa esattamente quello che ho detto.» Logan imprecò tra i denti e chiuse la comunicazione. «È incazzato?» domandò Joe. «Sì.»
«Bene.» «Falla finita, Joe.» Eve si sentì salire le lacrime agli occhi. Forse sarebbe stato meglio se Logan fosse stato in collera con lei. Forse non lo aveva chiamato perché voleva che fosse lui ad allontanarsi. Logan aveva il suo orgoglio, e lei non voleva ferirlo. Mi stai allontanando da te, le aveva detto. Quelle parole avevano toccato un tasto dolente. Stava davvero distaccandosi da Logan? Quando era cominciato? Joe era rientrato nella sua vita e aveva messo tutto sottosopra. «Logan ha fatto tutto il possibile per facilitarmi le cose, eppure non ha interferito. Non come qualcuno di mia conoscenza.» «È stato questo il suo sbaglio. Con te ha sempre scelto l'approccio lento, civile.» «L'approccio intelligente.» Joe si limitò a sorridere. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. «Scusa. A dire il vero, mi sento piuttosto tenero nei confronti di Logan, e non dovrei criticarlo. Per anni ho fatto lo stesso errore. C'è una sola differenza fra noi.» Il suo tono improvvisamente non era più lieve. «Lui non ti vuole abbastanza. Non sei il suo centro. Non farebbe qualunque cosa per averti. È per questo che perderà.» Sterzò, varcando a passo d'uomo i cancelli dell'entrata di un piccolo e grazioso parco. «Ed è per questo che io vincerò.» Parcheggiò la macchina sul ciglio del viale d'accesso. «Adesso smettila di pensare e rilassati. Siamo arrivati.» Lei lo guardò perplessa. «Arrivati dove?» «Pranzo.» Joe fece un cenno con il capo in direzione del carretto di un venditore ambulante vicino al campo giochi poco più avanti. «Galindo's. Herb dice che fanno le migliori fajitas di tutta Phoenix.» Tirò fuori un paio di occhiali da sole dallo scomparto del cruscotto e prese un cappello di paglia nero dal sedile posteriore. «Mettiti questi. Sembrerai Madonna in incognito.» «Tu devi essere matto.» «Solo affamato. Ho pensato che sarebbe stato carino sederci su una di quelle panchine, mangiare e guardare la gente.» Scese dalla macchina. «È una giornata troppo bella per stare al chiuso.» Era davvero una bella giornata, ed Eve non aveva voglia di polemizzare con luì. Voleva rilassarsi e non pensare a Logan, e tanto meno a Dom. Ce ne sarebbe stato tempo domani. Domani avrebbero potuto avere la fotogra-
fia. Eve e Joe erano seduti sulla panchina di un parco a mangiare cibo messicano, come se non avessero una preoccupazione al mondo. Lei sorrideva mentre si protendeva verso Quinn a pulirgli un angolo della bocca. Oggi c'è una sottile differenza in tutto il suo atteggiamento, pensò Dom. Speranza? Era possibile. Aveva trovato Debby Jordan. Dom non aveva nessuna obiezione alla speranza. Avrebbe voluto tirare un po' più per le lunghe la ricerca, lasciare che la tensione crescesse, che il rapporto tra Eve e Jane MacGuire si facesse più profondo, ma l'ottimismo non era un problema. Più in alto si saliva, più dolorosa era la caduta. Forse era perfino meglio che avesse trovato la donna così presto. Da lì in poi le cose sarebbero andata avanti in fretta, e lui avrebbe camminato sul filo del rasoio. Il pensiero gli diede una scarica di eccitazione. Ma la cosa più appassionante era misurarsi con Eve Duncan. Lei si stava evolvendo, indurendo, trasformando proprio come lui si era trasformato. Era interessante vedere il suo cambiamento e sapere di esserne il responsabile. Quindi, sperasse pure. Per lui andava benissimo. Ma c'era qualcosa d'altro che ancora non riusciva a inquadrare. Doveva osservarla più attentamente. Il linguaggio del corpo era quasi sempre rivelatore. Se l'avesse studiata, avrebbe capito. Ormai cominciava a conoscerla piuttosto bene. Avrebbe capito. Sarah e Jane erano fuori della casa quando Eve e Joe tornarono. Appena Eve aprì la portiera, Monty le corse incontro scodinzolando, lei gli accarezzò affettuosamente la testa. «Mi sembra che stia meglio», osservò. «Sì, grazie a Dio.» Sarah fece un gesto e Monty tornò di corsa da lei. «Andato bene il pranzo?» «Benissimo», rispose Joe. «Fajitas e chili. Volevo portarne a casa un cartoccio per Monty, ma Eve mi ha convinto che non sarebbe stato saggio.» «Ti avrei ucciso. Come minimo gli sarebbe venuta una colica.» «Hai corso fino adesso?» «No. Jane e io abbiamo fatto un picnic.» Sorrise alla bambina. «Ha detto
che non si ricordava nemmeno più come fosse.» Jane alzò le spalle. «Niente di particolare. Solo un mucchio di formiche e terra nei panini.» Sarah scrollò la testa. «Sei tremenda.» «Be', credo che a Monty il picnic sia piaciuto.» «Grazie tante. Gli hai dato tutto il tuo roastbeef.» «E tu gli hai dato il permesso di prenderlo. Ne aveva bisogno, poverino. In questi giorni non ha mangiato quasi niente.» Jane si diresse verso la porta. «Vieni, Monty, ti do un po' d'acqua.» Monty non si mosse. Sarah fece un altro cenno con la mano, e il cane corse in casa appresso a Jane. «Grazie di averle tenuto compagnia», disse Eve. «Mi piace stare con Jane.» La sua fronte si increspò leggermente. «Vorrei solo... Non è facile per lei.» «Che cosa?» «Non posso spartire Monty con lei. Vorrebbe che le fosse devoto almeno quanto a me, ma questo non è possibile. Non è sicuro per lui dividere la sua fedeltà tra due persone. E del resto, stiamo insieme da troppo tempo. Il nostro legame tende a essere piuttosto esclusivo.» «Jane capisce che a volte è necessario accettare dei compromessi. Si sta già adattando.» «Un compromesso magari lo mandi giù, ma ti resta sullo stomaco.» «Sottoscrivo», borbottò Joe, avviandosi alla porta. «Do un colpo di telefono a Charlie Cather, poi vado alla Centrale. Ci vediamo stasera.» «Perché chiami Charlie? Non hai detto che non vuole che andiamo con lui?» «Tentare non nuoce.» Sarah lo seguì con lo sguardo. «Sei stata via un bel pezzo», disse a Eve. «Mi stavo chiedendo se non fosse il caso di venirti a cercare con Monty.» Lei le sorrise. «Non ho bisogno di protezione da Joe.» «No?» Eve la sbirciò inclinando la testa di lato. «Joe non ti piace?» «Non ho detto questo. Anzi. È stato carino con Monty, e in genere chiunque sia carino con Monty mi va a genio. Ma dovrebbe andare in giro con il cartello PERICOLO - ALTA TENSIONE. Mi sono imbattuta anch'io in qualche tipo del genere, e non c'è da scherzarci.» «Santo cielo, siamo solo andati a mangiare qualcosa. Che cosa c'è di tan-
to tragico?» «Be', bada a non restarci attaccata.» Sarah le scoccò un'occhiata maliziosa. «A meno che tu non lo voglia.» Prima che lei potesse replicare, alzò una mano e si affrettò verso la porta. «Non sono affari miei. Vado a vedere cosa stanno combinando Jane e Monty.» Eve la seguì lentamente in casa. Dalla cucina arrivavano le risate di Sarah e Jane. Joe doveva essere nello studio a fare la sua telefonata. Joe... A meno che tu non lo voglia... le risuonarono nella testa le parole di Sarah. Ovvio che non lo voleva. Quel che voleva era che tutto tornasse come prima. Sarebbe stato troppo rischioso per lei lasciarsi stornare da... Il telefono di casa squillò. «C'è un certo Grunard al cancello», le annunciò Herb Booker quando andò a rispondere. «Dice che lo state aspettando.» «Sì. Lo faccia passare.» Mise giù la cornetta con un senso di sollievo. L'arrivo di Mark Grunard riportava la sua mente a quello che era davvero importante. Aprì la porta prima ancora che lui suonasse il campanello. «Be', mi hai accolto meglio del previsto», commentò Mark. «Mi aspettavo di dover fare un'azione di sfondamento.» Eve gli sorrise. «Non avevo nessuna intenzione di tagliarti fuori. È solo che non avevo notizie importanti da darti.» «Sono un giornalista. Posso tirare fuori uno scoop anche da un salto dal droghiere.» «È ben questo che mi preoccupa», replicò lei ironica. «Vieni dentro.» Mark la seguì nel soggiorno. «Dov'è Quinn?» «Nello studio, credo. Stava per andare alla centrale.» «Bel posticino», osservò lui, guardandosi attorno. «Joe mi aveva detto che il tuo munifico mecenate si fa in quattro per te.» Eve lo guardò con freddezza. «Non so di chi parli.» Mark sogghignò. «Mi aveva detto anche che ti saresti arrabbiata se avessi tirato in ballo Logan.» «Logan non ha niente a che fare con questa storia. Lascialo fuori.» «Ti ho portato un bicchiere di latte, Eve.» Jane era sulla soglia del soggiorno. «La signora Carboni diceva che mette a posto lo stomaco quando si mangia piccante.» Ridacchiò. «Ogni tanto esageravo con il peperoncino nel sugo degli spaghetti, e poi le mettevo una purga nel latte. Chissà per-
ché non le faceva tanto bene.» «Rassicurante», disse Eve, prendendo il bicchiere. «Sta' tranquilla, a te non lo farei mai.» «Guarda, guarda», mormorò Mark. «Sembra che la nostra bamboccia si sia addolcita.» Jane gli scoccò un'occhiata glaciale. «O forse no. Ehilà, Jane. Come va?» «Non sono una bamboccia.» Gli voltò le spalle e se ne andò. Mark storse il naso. «Sembra che tu sia l'unica che lei sopporta.» «Ti avrei snobbato anch'io se mi avessi trattata con tanta condiscendenza. Sta reggendo meglio di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. È meravigliosa.» «Okay, okay.» Alzò le mani in segno di resa. «Vedo che voi due presentate un fronte compatto. Sarà meglio che vada a rifugiarmi da Quinn. È più sicuro. Dov'è lo studio?» «Seconda porta a sinistra», rispose seccamente. Uscendo dalla stanza, Mark si girò a lanciarle uno sguardo. «Dom ha fatto centro, eh? La bambina ti è entrata nel cuore.» Eve si sentì gelare il sangue. Il crescente legame tra lei e Jane era davvero così evidente che chiunque avrebbe potuto accorgersene? «Non dire sciocchezze. Ci siamo solo abituate l'una all'altra, tutto qui. Abbiamo dovuto, visto che abitiamo insieme.» Mark scosse la testa. «Allora sarà meglio che Dom non ti veda mai con lei. Potrebbe fare il mio stesso sbaglio.» Rimasta sola, Eve si ritrovò ad annaspare nell'angoscia. Non doveva lasciarsi prendere dal panico. Avrebbe trovato il modo di gestire la situazione. Ma adesso aveva bisogno di qualcosa che l'aiutasse a reagire alla paura e allo sconforto. Aveva bisogno di calore e vita e... Joe. No, non poteva correre da Joe. Jane e Sarah erano ancora in cucina. Sarebbe andata a sedersi con loro e le avrebbe ascoltate parlare e ridere. Avrebbe coccolato un po' Monty, e magari dato un colpo di telefono a sua madre. Si sarebbe tenuta occupata e sforzata di non pensare ad altro che alle cose belle e preziose della vita. E presto il gelo se ne sarebbe andato. La bambola dai capelli rossi fissava Eve con i suoi vitrei occhi castani. La sua gola era tagliata da un orecchio all'altro.
«Era sul viale d'accesso. Qualcuno deve averla lanciata dentro dal cancello», disse Herb Booker in tono sommesso. «La telecamera all'entrata ha smesso di funzionare, e quando Juan è andato a controllare ha trovato la bambola. L'obiettivo della telecamera era stato infranto. Probabilmente hanno sparato con un'arma di precisione a lunga portata, perché la telecamera non ha ripreso niente. Stavo per chiamare il signor Logan, ma ho pensato che prima fosse meglio avvertirla.» «Ha fatto bene», mormorò Eve, stordita. «Ero al cancello quando Quinn e Grunard se ne sono andati, e sono sicuro che non c'era.» Esitò. «Ha i capelli rossi.» «Lo vedo.» Bonnie. Jane. «È un brutto affare. Credo che bisognerebbe chiamare qualcuno.» «Me ne occuperò io.» «Mi scusi se insisto, ma potrebbe significare che la bambina è in...» «Ho detto che me ne occuperò io.» La mano di Eve si contrasse sulla bambola. «Vada pure, Herb.» «Non pensa che sarebbe meglio...» «Se ne vuole andare, sì o no?» Si interruppe e mitigò l'asprezza del suo tono. «Mi spiace. Sono sconvolta. La ringrazio del suo interessamento, ma ho bisogno di stare sola per riflettere su questa cosa. Non voglio che lei chiami nessuno, nemmeno il signor Logan. È chiaro?» «Chiaro.» Ma questo non significava che l'avrebbe assecondata. Perché avrebbe dovuto? Era Logan a pagare il suo stipendio. Eve cercò di arrivare a un compromesso: «Almeno, non fino a domani. D'accordo?» «E va bene. Stanotte Juan e io faremo buona guardia. Può stare tranquilla.» «Grazie.» Tranquilla? Dom era stato tanto vicino da gettarle una bambola sgozzata praticamente sullo zerbino di casa. Herb ancora non accennava a muoversi. «Arrivederci, Herb.» Eve andò in soggiorno, e un momento dopo sentì la porta di casa chiudersi. Si sedette sul divano, posò il cellulare acceso sul tavolino davanti a lei, e attese che lui chiamasse.
Era quasi mezzanotte quando il telefono trillò. «Solo un piccolo presente», disse Dom. «Cosa c'è che non va? Ti sei stancato di mandarmi ossa?» Ci fu un silenzio sorpreso. «Sei arrabbiata.» «Ci puoi giurare.» «Che interessante sviluppo.» «Cosa ti aspettavi, maledetto figlio di puttana? Che me ne stessi rannicchiata al buio a tremare?» «A dire il vero, non ci avevo pensato. Come ti stavo spiegando, intendevo solo ricordarti quello che è davvero importante nella tua vita, nell'eventualità che ti stesse sfuggendo.» «Importante? Saresti tu, per caso?» «Certo. Al momento non c'è nessuno più importante per te di quanto lo sia io.» «Va' al diavolo.» Cinque minuti dopo il telefono suonò di nuovo. Eve lo ignorò. Suonò altre quattro volte nell'ora successiva. Continuò a non rispondere. Erano le due di notte passate quando Joe tornò a casa. Entrando in soggiorno, trovò Eve ancora seduta sul divano, con la bambola tra le mani. Diede uno sguardo alla bambola, poi alla sua espressione. «Merda. Che diavolo è successo?» «Dom ha gettato questa dal cancello. Herb non te lo ha detto?» Fece segno di no. «Mi stavo chiedendo come mai fossero tutti e due al cancello quando sono arrivato. Ha chiamato?» «Sì.» Si lasciò cadere sulle ginocchia di fronte a lei. «Tremendo?» «Quel bastardo è sempre tremendo. È il suo mestiere.» Le tremava la voce. «Pensava che non gli stessi prestando abbastanza attenzione. Voleva ricordarmi che è ancora in circolazione.» Joe le scostò delicatamente i capelli dalla faccia. «Difficilmente potresti dimenticarlo.» «Non è abbastanza per lui. Vuole dominare la mia vita. Vuole essere la mia vita.» Abbassò lo sguardo alla bambola. «Mi ha sbattuto davanti questa mostruosità perché ricordassi Bonnie, Jane e tutti quegli altri...»
«Ssh.» Eve scattò in piedi. «Adesso non metterti a farmi le moine, Joe. Mi stai trattando come la vittima che lui vuole io mi senta. Ma io mi rifiuto di essere una vittima. Non gli permetterò di gestire la mia vita.» «Calmati.» Si alzò anche lui. «Non sono io il nemico qui, Eve.» «Lo so.» Fece un passo verso di lui e appoggiò la testa sulla sua spalla. «Stringimi.» Joe la prese cautamente tra le braccia. «No, dannazione.» Gli si premette contro. «Stringimi.» Lui si immobilizzò. «Stiamo parlando di quello che io penso?» «Non voglio pensare a lui. Non voglio pensare alla morte. È questo che vuole che io faccia. Ma io voglio vivere.» «Quindi, sesso uguale vita?» «Non sono la stessa cosa? Se no, non so cosa sia tutto il baccano che se fa.» «Il sesso può essere una parte importante della vita.» «Non gli permetterò di farmi questo. Non mi lascerò manovrare come un burattino. Farò quello che mi pare e piace.» «È toccante con quanta tenerezza stai dichiarando i tuoi sentimenti per me.» «Credi che non sappia che è sbagliato nei tuoi confronti? Ma tu lo vuoi. Sei stato tu a dirmelo. O hai cambiato idea?» «Cristo, no. Ma non era questo che avevo in mente.» «Non era nemmeno quello che avevo in mente io. Ma non darò a Dom la soddisfazione di...» Oh, accidenti, cosa stava facendo? Quello era Joe. Dov'erano finiti tutti i suoi buoni propositi? All'improvviso le lacrime presero a scorrerle lungo le guance. «Mi dispiace. Dimentica quello che ho detto. Non so cosa mi abbia preso. Avevo completamente perso la testa. Mi devi perdonare. Quel maledetto mi ha talmente...» Il trillo del telefono la interruppe. «Non rispondere. È lui. Gli ho chiuso il telefono in faccia e continua a richiamare.» «Spegnilo.» «Così saprà di aver vinto.» «Sei sicura che sia lui?» «È Dom. L'ho fatto arrabbiare. Non stava ottenendo quello che voleva da me.» Prese il telefono e lo infilò nella borsa per attutirne il suono. «Si aspettava una soddisfazione maggiore da quella bambola. Puoi anche darla
a Spiro», aggiunse, porgendogliela. «Vedi se riesce a ricavarne qualcosa.» «Lo farò.» Lo sguardo di Joe si concentrò sul viso di lei. «Ti senti bene?» «Momento di follia a parte, sono in gran forma», dichiarò, ma il tremore della sua voce la smentì. Girò sui tacchi. «Io vado a dormire. Ci vediamo domani.» «D'accordo.» Quando si fu fatta la doccia e messa a letto, il telefono aveva smesso di suonare. Forse Dom si era arreso. Grazie a Dio non immaginava il danno che aveva quasi fatto. No, che lei aveva quasi fatto. Doveva assumersi la responsabilità delle proprie azioni. La rabbia e la frustrazione erano soltanto scuse. Allungò una mano e spense la luce. «Non avresti dovuto farlo. Volevo vederti.» La sagoma di Joe era incorniciata nel vano della porta, una figura scura stagliata contro la luce del corridoio. Una figura inequivocabilmente nuda. «No», bisbigliò Eve. «Troppo tardi.» Andò verso di lei. «Sono stato invitato.» «Te l'ho già detto. È stato un errore. Mi dispiace.» «A me no. Prima mi hai colto alla sprovvista, e hai ferito il mio ego. Ma appena ho avuto il tempo di chiarirmi le idee, mi sono reso conto che era un'opportunità da non perdere.» «Non avevo intenzione di ferire il tuo ego. Non intendo ferirti in alcun modo, Joe. È per questo che non può succedere.» «Tu vuoi che succeda.» «No.» «Dom può aver fatto scattare la molla, ma dovevi averlo già in mente, altrimenti non sarebbe saltato fuori.» «Ovvio che ci stavo pensando. Hai provveduto tu a questo. Sono umana, accidenti.» «E io conto di approfittarne. È stata una notte di rivelazioni. Hai addirittura detto che vuoi vivere. Non te l'avevo mai sentito dire, in tanti anni.» Sollevò la coperta. «Fammi posto.» La sua coscia nuda toccò quelle di lei. Eve si scostò. «È uno sbaglio, Joe.» La sua mano le si posò sul seno. «Niente affatto.» Le mancava il fiato. «Ti prego.»
La sua mano era tra le sue cosce. «Lo sai che non ti ho mai veramente baciata?» Eve inarcò la schiena quando la sua mano la trovò. «Non mi stai baciando neanche adesso.» «Arriverò anche a questo. Arriverò a tutto... Mio Dio, sei già pronta per me. Credevo di dover...» Il telefono suonò. Joe imprecò sottovoce. «Spegnilo», bisbigliò Eve. Lui fece per uscire da letto, poi ci ripensò. «No.» Le rotolò sopra. «Ti prometto che non lo sentirai per un pezzo.» Eve gemette quando lui la penetrò. Il telefono stava suonando. Lui si muoveva velocemente, con forza. Il telefono... La sollevò, spingendo più a fondo, più in fretta. Il telefono stava ancora suonando? Non sentiva più niente eccetto il battito del cuore di Joe contro il suo orecchio. «Perché non hai spento il telefono?» domandò Eve, assonnata. «Secondo te?» Le baciò il seno. «Ero occupato. Forse non volevo prendermene il tempo.» «Dimmelo.» «Ego. Volevo essere per te più importante di Dom. Volevo batterlo.» Le baciò il naso. «Mi avevi un po' offeso.» «Non abbastanza da fermarti.» «Ci sarebbe voluta una catastrofe di prima grandezza per fermarmi. Dom non è all'altezza.» «Sì che lo è.» «Non ha vinto, giusto? Per cui è eliminato.» Per il momento. «Smettila di pensare a lui.» Allungò la mano al comodino, accese la luce e spense il telefono. «Voglio guardarti.» Eve arrossì. «Santo cielo, Joe, dammi la coperta.» «Ho aspettato troppo a lungo di vederti così. Lasciami avere le mie soddisfazioni.» Non quando lei aveva la sensazione di fondere ovunque si posasse lo sguardo di Joe. «Spegni la luce. Per favore.»
«Non prima di...» Vide la sua espressione e spense la luce. «Magari più tardi?» «Forse.» «Dimenticavo che non hai troppa pratica di questo sport.» La trasse più vicina a sé. «Ma ti è piaciuto? Ti piaccio?» Lei non parlò. Joe rimase in silenzio per un momento. «Dopo dieci anni penso di meritarmi di sentirmelo dire.» Dieci anni. Sentì le lacrime salirle agli occhi. «Se non avessi paura che saresti completamente impossibile, ti direi che sei stato bravino.» «Bravino?» «Molto bravo.» «Di più.» «Uno stallone. Un portento. Brad Pitt, Keanu Reeves e Casanova messi insieme. Non so come Diane abbia potuto lasciarti andare.» «È una donna intelligente. Sapeva di meritare più di quanto potessi darle. Il nostro matrimonio è stato un errore fin dall'inizio.» Eve si sollevò su un gomito per guardarlo in faccia. «Perché l'hai sposata, Joe?» «Ti spaventeresti se te lo dicessi.» «Figurati.» Silenzio. «Perché, Joe?» «Per te. L'ho sposata per te.» «Cosa?» «Eri troppo isolata. Ho pensato che avessi bisogno di un'amica.» «Stai scherzando, vero?» «Te l'avevo detto che ti saresti spaventata.» «Gli uomini non si sposano per procurare...» «Io l'ho fatto», replicò lui con semplicità. Eve lo fissò attonita. «Tu eri il centro della mia esistenza. Tutto ruotava intorno a te. Era un periodo della mia vita in cui avevo quasi abbandonato la speranza di poter mai essere qualcosa di più per te. Ho pensato di scegliermi una donna che potesse darti la compagnia di cui avevi bisogno. A Diane piacevano le belle cose che potevo darle, e da parte mia ho fatto un onesto tentativo di far funzionare il nostro matrimonio.» Fece una pausa. «Non è andata come speravo.»
«È davvero spaventoso.» «Le ossessioni lo sono sempre.» Le mise un dito sul labbro inferiore. «Tu dovresti saperlo, amore mio.» Eve si irrigidì. «Amore», ripeté deliberatamente. «Abituatici.» «Io non sono tenuta ad abituarmi a niente.» «No, ma potresti anche farlo. Sarà più semplice per tutti e due.» Tacque qualche secondo. «Non avere paura di amarmi, Eve. Non sono un bambino indifeso che può esserti strappato. Sono abbastanza duro e cattivo da sopravvivere per un'altra cinquantina d'anni.» «Non ho paura.» «Eccome se ne hai.» Abbassò la testa fino a sfiorarle le labbra con le sue. «Ma non fa niente. Non pretendo che tu dica che mi ami. Posso aspettare.» «Io non ti amo. Non nel modo che vuoi tu.» «Io penso di sì.» Le labbra di Joe si mossero lievi e carezzevoli sulle sue. «Ma anche se così non fosse, va bene lo stesso.» «No, non va bene. È tutto sbagliato. Sono psicologicamente sconvolta. Nessuno dovrebbe saperlo meglio di te. Dovresti trovarti una donna che...» «Tu sei sconvolta? Sono io quello che da dieci anni è perseguitato da un'ossessione.» «Non è la stessa cosa. Io non posso...» «Ssh.» Si spostò di nuovo sopra di lei. «Non pensare. Lascia che tutto vada a posto. Lasciati andare...» Quando si svegliò lui se n'era andato. Vuoto. Solitudine. Che stupida. Si stava comportando come se non avesse mai dormito prima con un uomo. Sesso, piacere, distacco - era questo lo schema che voleva seguissero le sue relazioni. Niente strascichi che potessero interferire con il suo lavoro. «Ora di alzarsi.» Joe aprì la porta e andò verso il letto. «È quasi mezzogiorno. Ho chiamato Charlie. Sta tornando da Azora, e ha la fotografia.» Eve si alzò di scatto a sedere. «Sei sicuro che potremo vederla?» «Puoi chiederlo tu stessa a Spiro. Sta arrivando.» «Perché?» «Per prendere la bambola.»
Già. La bambola. «Lo hai chiamato stamattina?» «Appena mi sono alzato. Ho detto ai ragazzi della sicurezza di lasciarlo passare.» Andò all'armadio. «Fila a fare la doccia. Ti prendo io i vestiti. Cosa vuoi mettere?» «Qualunque cosa. Jeans... una camicia.» Sgattaiolò in bagno e si infilò sotto la doccia. Joe non avrebbe potuto essere più freddo e spiccio di così. Era come se fra loro non fosse successo niente. Non che lei avesse qualcosa in contrario. Si sarebbe sentita in imbarazzo se si fosse comportato diversamente. Quella notte era stata troppo... Scosse la testa. Non voleva ricordare quanto fossero state cariche di erotismo quelle ore con Joe. «Forza, devi fare colazione prima che arrivi Spiro.» Joe era oltre il vetro del box doccia. «Sbrigati.» «Mi sto sbrigando.» Eve aprì la porta e lui l'avvolse in un enorme telo di spugna, cominciando ad asciugarla. Lei fece per levarglielo di mano. «Santo cielo, posso farlo anche da sola.» «Lo so», lasciò cadere lo sguardo sui suoi seni, «ma mi fa piacere.» Piacere. Sentì un'ondata di calore. «Ti ho portato quella camicia blu scozzese. Mi piaci in blu. Va bene?» «Immagino di sì.» Doveva farlo smettere. Sentire le sue mani scorrere pigramente sul suo corpo attraverso il morbido telo da bagno era incredibilmente eccitante. Per qualche assurda ragione l'atto sembrava intimo quanto il sesso. Si inumidì le labbra. «Non mi avevi mai detto che ti piace il blu.» «Non ti ho mai detto tante cose.» Chinò la testa a baciarle l'incavo di una spalla. «Ma intendo recuperare il tempo perduto. Vuoi tornare a letto e ascoltare la storia della mia vita?» Sì, voleva tornare a letto. «Se mi prometti di raccontarmela davvero. Non ho mai avuto molto successo nei miei tentativi di strapparti qualche confidenza.» Lui rise. «Non ne avrai nemmeno stavolta. Non abbiamo tempo.» Fece un passo indietro e le lasciò il telo. «Vestiti. Ti aspetto di là.» «Adesso mi dici di vestirmi? Si può sapere perché diavolo sei venuto qui a farmi...» «Volevo essere sicuro che sapessi che non ti avrei permesso di liquidar-
mi come l'avventura di una notte.» Le sorrise. «Non potrai concentrarti su di me per un po', ma ti starò sempre intorno. Non dimenticarlo.» Eve guardò la porta chiudersi dietro di lui. Come pensava che avrebbe potuto concentrarsi su qualcosa che non fosse lui? Aveva riportato la sensualità nella sua vita. Si stava comportando come una specie di ninfomane. Non si sarebbe lasciata controllare dal proprio corpo, né da Joe Quinn. Avrebbe dimenticato tutto fuorché quello che era importante. Ci sarebbe solo voluta un po' di volontà e determinazione. Gettò in un angolo il telo di spugna e cominciò a vestirsi. Quando Eve uscì dal bagno, Joe era seduto sulla poltroncina di fianco al letto. Scandagliò con lo sguardo il suo volto, poi annuì lentamente. «Mi aspettavo questa reazione. Non c'è problema.» Si alzò in piedi. «Scendiamo a fare colazione.» Si era armata per la battaglia, ed era frustrante vederlo defilarsi prima ancora che potesse dire una parola. «Non ho fame.» «Benissimo, allora puoi guardarmi mangiare.» Tese la mano verso di lei. Eve ci mise un momento ad accorgersi che le stava porgendo il suo cellulare. «Ma prima riaccendi il telefono. Dom potrebbe chiamare, e dovrai parlargli.» Lei lo guardò sorpresa. «È ora di tornare ad affrontarlo», disse in tono pacato. «Sì, voglio proteggerti, ma non ti posso proteggere da qualcuno che non vedo. Dobbiamo farlo uscire allo scoperto.» «È quello che ti dico da tempo.» «Avevo troppa paura per te per darti ascolto. Adesso ho troppa paura per non farlo. Tu non vuoi fermarti, quindi non mi fermerò nemmeno io. Dobbiamo andare fino in fondo. Accendi il telefono.» Eve premette il tasto d'accensione. Il telefono rimase silenzioso. Joe sorrise. «Niente male come anticlimax. Credo che entrambi ci aspettassimo un tremendo clamore di cimbali.» La sospinse con gentilezza verso la porta. «Coraggio, mettiamoci in moto.» Spiro li stava aspettando in soggiorno quando scesero al piano di sotto. «Dov'è la bambola?» «L'ho messa in una scatola e nascosta dietro i libri.» Joe si diresse alla libreria dall'altra parte della stanza. «Non volevo che capitasse sotto gli oc-
chi di Jane.» «Non credo che avrebbe battuto ciglio», commentò ironicamente Spiro, guardando Eve. «La tua Jane mi ha fatto il terzo grado prima di lasciarmi entrare. Ha perfino chiamato i due mastini là fuori per accertarsi che non avessi in qualche modo scavalcato la recinzione elettrificata.» «Dov'è?» «Dopo avermi lasciato accomodare malvolentieri, ha detto che sarebbe andata in cucina a prepararti la colazione.» Prese la scatola e diede un'occhiata alla bambola. «Orribile. Deve averti spaventata.» «No. Mi ha fatto infuriare.» «Dom si è fatto sentire dopo questa sorpresina?» «Sì. Gli ho chiuso il telefono in faccia.» Spiro inarcò le sopracciglia. «Potrebbe non essere stata una mossa molto saggia.» «Sono stanca di essere cauta e riflessiva. Che mi dici della fotografia? Posso vederla?» «Non prima che sia stata registrata.» «Posso averne un duplicato?» «Non prima che sia stata registrata.» Eve stava esaurendo la pazienza. «Ci sono novità su quel Kevin Baldridge?» Spiro sorrise. «A quanto dice Charlie, la signora Harding ricorda molto bene Kevin e i suoi fratelli. Lui era restio a parlare del posto da dove venivano, ma uno degli altri due aveva menzionato Dillard, una piccola cittadina nel nord dell'Arizona.» Si alzò. «Ci farò un salto oggi.» «Potremmo venire anche noi?» Si strinse nelle spalle. «Immagino che non possa nuocere. E se Dom è Kevin Baldridge, vederti invadere il suo territorio potrebbe spingerlo ad agire.» Lanciò un'occhiata a Joe. «Sono sorpreso che questo non abbia suscitato alcuna reazione da parte tua. Nessuna obiezione? Nessuna accusa di voler strumentalizzare Eve?» Joe ignorò il sarcasmo della sua voce. «Quando si parte?» «Nel pomeriggio. Prima devo tornare alla centrale, aspettare che torni Charlie e provvedere a far registrare la fotografia.» Tacque un momento. «Stamattina Mark Grunard è venuto a trovarmi al mio albergo. Ha detto che state ancora collaborando con lui, e gli ho dovuto spiegare che questo non significa che io sia disposto a fare altrettanto. Come sapete, non ho mai approvato che abbiate voluto coinvolgerlo. Vorrei che vi fosse ben
chiaro che non lo voglio tra i piedi. Non fatevi venire in mente di tirarvelo appresso a Dillard.» In quel momento, Jane si affacciò alla porta del soggiorno. «Vieni, Eve. Ti ho preparato delle uova con il bacon.» «Arrivo tra un attimo.» Jane indirizzò un'occhiata gelida a Spiro. «Può parlarti anche mentre mangi. Si raffredderà tutto, se non vieni subito.» «Dio non voglia che io interferisca con il tuo nutrimento.» Spiro rivolse un inchino beffardo a Jane. «Sarà lieta di sapere che me ne stavo giusto andando, signorina.» «Un momento.» Spiro si girò a guardare interrogativamente Eve. «Per quanto staremo via?» «Qualche ora, un giorno. Non so di preciso. Appena tornato da Azora, Charlie si metterà al telefono a farci un po' di lavoro preparatorio. Bisogna vedere quanto riesce a spianarci la strada.» «Porteremo Jane con noi.» Spiro scosse la testa. «Per carità. Sto già rischiando abbastanza, senza bisogno di farmi vedere in giro con la vittima di un rapimento.» «Lei deve venire con me.» «Mi sembra molto ben protetta qui.» «Non mi farei problemi a lasciarla a casa se si trattasse solo di poche ore, ma non sappiamo quando torneremo.» «È prudente portarla con noi?» «Dom vuole che stiamo insieme.» Lo sguardo di Spiro andò da Eve a Jane. «Ma tu vuoi che ti veda con lei? Mi sembra evidente che siete in ottimi rapporti.» Jane si fece avanti. «Se Eve mi vuole, io vado con lei. E poi non sono stata rapita. Come fai a essere così stupido?» «Sarà un dono di natura.» Spiro guardò di nuovo Eve. «Lo sconsiglio vivamente.» «Baderò io a Eve e Jane», intervenne Joe. «Tu pensa a rintracciare Kevin Baldridge.» Spiro scrollò la testa. «È un errore.» Aprì la porta. «Passerò a prendervi oggi pomeriggio alle quattro.» Era davvero un errore? Si domandò Eve. Non voleva che Dom vedesse lei e Jane insieme, ma che poteva fare? Era responsabile di Jane. Non poteva lasciarla sola per ore, o magari giorni. Non se lo sarebbe mai perdona-
to se le fosse successo qualcosa, e aveva già il suo fardello di rimorso. Guardò Joe. «Devo portarla.» «Certo che vengo anch'io», disse Jane. «Non ci faremo dire da quello lì che cosa dobbiamo fare. Adesso, vieni a fare questa benedetta colazione. E dopo magari potresti dirmi dove devo venire.» QUINDICI Il piccolo aereo atterrò nel minuscolo aeroporto a nord di Dillard alle otto e mezzo di quella sera. C'era stata una recente nevicata sulla cittadina di montagna, e l'aria era gelida. L'aeroporto aveva soltanto due piste, e piuttosto sconnesse. Un unico taxi era parcheggiato all'uscita del terminal. Durante il tragitto in taxi, Spiro ricevette una telefonata da Charlie. Alla fine della conversazione non sembrava molto contento. «Niente dati anagrafici del nostro Kevin», annunciò. «L'archivio del municipio è stato distrutto da un incendio sei anni fa. E non risulta nessun Baldridge iscritto alla scuola locale.» «Forse andavano a scuola in una città vicina.» «Stiamo controllando Jamison. È a trenta miglia da qui.» Guardò fuori dal finestrino. «Ma le scuole sono chiuse fino a domani mattina. Dovremo passare la notte in albergo... ma Charlie dice che non ce n'è nemmeno uno. Penso che la popolazione di Dillard consti di poco più di quattromila anime.» «Seimila e cinquecento», precisò il tassista. Spiro tirò fuori di tasca il suo taccuino. «Charlie mi ha segnalato una pensioncina... dalla signora Tolvey, in Pine Street.» Eve passò un braccio intorno alle spalle di Jane, che le si era appoggiata contro. «Qualunque posto va bene, purché ci sia un letto.» «Vi troverete benissimo», assicurò il tassista. «Sono vent'anni che la signora Tolvey manda avanti quel posto, e tutti sono sempre rimasti contenti. Tiene tutto pulito come uno specchio, e serve una prima colazione magnifica.» «Vent'anni», ripeté Joe, lanciando un'occhiata a Spiro. «Ma guarda un po' che coincidenza.» «Charlie è in gamba. Le probabilità sono un po' scarse, ma non si sa mai, potrebbe anche venirne fuori qualcosa.» La pensione era una grande casa grigia con un dondolo di legno sull'ampia veranda illuminata da un lampioncino di fianco alla porta.
«Voi cominciate pure a entrare», disse il tassista scendendo dalla macchina. «Prendo io il bagaglio.» «Un momento», disse Spiro. «Avete un bar qui?» «Sta scherzando? Quattro», rispose l'uomo, tirando fuori le borse da viaggio dal cofano. «Vuole andare prima a bere qualcosa?» «Ce n'è uno frequentato abitualmente dalla gente del posto?» «Certo. Sulla Terza Strada.» «Mi porti lì.» Si girò a guardare Eve. «Voglio vedere se riesco a scoprire qualcosa prima di domani. Prendetemi voi la stanza, e dite alla signora Tolvey che arriverò tra qualche ora.» Poi si rivolse a Joe: «Parli tu con la signora Tolvey?» «Contaci.» Il taxi stava ripartendo quando la signora Tolvey si presentò alla porta in vestaglia di ciniglia verde pallido. Aveva una sessantina d'anni, corti capelli ricci e scuri, e un sorriso gioviale. «Vi ho sentiti arrivare. Sono Nancy Tolvey. Vi serve una stanza?» «Tre.» Joe prese le borse ed entrò. «Una doppia per la signora Duncan e la bambina, e una singola accanto per me. Più un'altra per un amico che ci raggiungerà più tardi. Registriamo anche lui.» «Non c'è problema. Ma non abbiamo camere doppie. Va bene una matrimoniale?» Eve annuì. «Se vuole accompagnarle alla loro camera», Joe accennò a Eve e Jane, «io aspetterò qui per firmare.» Eve prese la sua borsa e quella di Jane, e Nancy Tolvey fece strada al piano di sopra. La camera che mostrò a Eve era pulita e luminosa, con le pareti tappezzate a tralci d'edera verde chiaro su fondo crema. «I servizi sono in comune. In fondo al corridoio.» «Hai capito, Jane? Comincia a fare la doccia. Ti porto il pigiama appena l'avrò tirato fuori dalla valigia.» «Okay.» Jane sbadigliò. «Non so perché ho così sonno.» «L'altitudine», disse Nancy Tolvey. «Non siete di queste parti, vero?» «Veniamo da Phoenix.» La donna annuì. «Ci sono stata, una volta. Troppo caldo. Non potrei mai abituarmi a un clima del genere, dopo aver vissuto qui per tutta la mia vita.» Tutta la sua vita...
Joe aveva detto a Spiro che avrebbe parlato con Nancy Tolvey, ma Eve non vedeva perché non farlo lei stessa. «Stiamo cercando di rintracciare una famiglia che abitava qui molto tempo fa. I Baldridge. Li ha mai sentiti nominare?» «Baldridge?» La signora Tolvey rimase in silenzio per un momento, poi scosse la testa. «Non mi pare. Non ricordo nessuno con quel nome, qui a Dillard.» Si avviò verso le scale. «Vi porterò su degli altri asciugamani.» Era comunque valsa la pena tentare, pensò Eve. Forse avrebbero scoperto qualcosa l'indomani. Nancy Tolvey sembrava turbata quando tornò di sotto. «Qualcosa non va?» le domandò Joe. Lei si sedette all'antiquato scrittoio. «Non è niente.» Aprì il registro. «Firmi qui, per favore. Nome, indirizzo, numero della patente di guida.» Aveva ancora la fronte aggrottata mentre lo guardava scrivere i dati. «Condividerà il bagno con i suoi amici. Non abbiamo...» Abbassò le palpebre. «Le candele...» «Credevo ci fosse l'elettricità», disse Joe, asciutto. La donna spalancò di colpo gli occhi. «No, non intendevo questo. È che la signora Duncan mi ha chiesto della famiglia Baldridge, e io le ho detto di non ricordare nessuno con quel nome nei dintorni.» Joe si irrigidì. «Non è così?» «Non potrò mai dimenticarmene, temo.» Sorrise amaramente. «E non parlarne non servirà a scacciare i brutti ricordi. L'ho fatto per anni, e non funziona.» «I Baldridge vivevano qui in città?» Fece segno di no. «Stavano più su, verso nord.» «Vicino a Jamison?» «No, la tenda era su tra le montagne.» «La tenda?» «Il vecchio Baldridge era un evangelista. Sa, uno di quei predicatori esaltati... Aveva un grande tendone su un altopiano in mezzo alle montagne, dove teneva i suoi infervorati sermoni.» Fece una smorfia. «Da ragazza ero un po'... be', diciamo un po' vivace. Mio padre pensava che bisognasse salvare la mia anima, e quando ha saputo del reverendo Baldridge, una notte mi ha portata su alla tenda. Mi creda, è stato sconvolgente. Il reverendo mi ha spaventata a morte.» «Perché?»
«Sembrava l'impersonificazione della morte. Faccia bianca, capelli grigi bisunti e certi occhi...» «Che età aveva?» «Sui sessant'anni, forse. A me sembrava vecchissimo. Avevo soltanto quindici anni, allora.» Quindi il predicatore non poteva essere Dom, pensò Joe. «Si mise a urlarmi contro, accusandomi di essere una sgualdrina. Mi agitava davanti quella candela rossa, e strepitava che sarei andata all'inferno...» «Una candela rossa, ha detto?» «L'intera tenda era piena di candele. Non c'era elettricità. Solo grandi candelabri di ferro carichi di candele. E tutti quelli che entravano ne ricevevano una. Bianca per i bambini, rosa o rossa per gli altri.» Scrollò la testa. «Non ho mai perdonato mio padre per avermi portata là e lasciato che Baldridge mi trascinasse all'altare e sbraitasse davanti a tutti che ero una peccatrice, neanche avessi ammazzato qualcuno.» «Posso capire perché non riesca a dimenticare.» «Mi misi a piangere, diedi uno strattone al reverendo e scappai via dalla tenda. Mio padre mi venne dietro e cercò di farmi tornare, ma non volevo saperne, e alla fine dovette arrendersi. Sei settimane dopo mi sposai, pur di andarmene da casa.» «Chi altro c'era nella tenda quella notte?» «Non so. C'era talmente tanta gente. Perché lo sta cercando? Non sarà un suo parente?» «No. In effetti, non stiamo cercando proprio lui. Abbiamo bisogno di rintracciare un suo familiare.» «Non so niente della sua famiglia. Dovrà chiedere a qualcun altro.» «Saprebbe indicarmi qualcuno a cui potrei rivolgermi?» «Mio padre aveva saputo del reverendo alla chiesa battista di Bloom Street. Magari là può trovare qualcuno che sa dirle qualcosa.» «Lei non ha più sentito parlare del reverendo da allora?» «Per carità. Non ne voglio sapere più niente finché campo.» Fece un sorriso amaro. «Buffo come le cose che ti succedono quando sei molto giovane lascino i segni più profondi, vero?» «Forse non è così buffo.» Nancy Tolvey si alzò. «Stavo per portare di sopra degli asciugamani. La sua stanza è la prima in cima alle scale, accanto a quella della signora Duncan e la bambina.»
Joe la guardò allontanarsi lungo il corridoio. Aveva mietuto un buon raccolto senza muovere un dito. «Un predicatore», ripeté Eve. «Il padre di Dom?» «O il nonno. Ha detto che era intorno ai sessant'anni», disse Joe. «Chiunque sopra i trenta sembra decrepito a una quindicenne.» «Vero.» «Le candele avevano un qualche significato per il predicatore. Lo stato di grazia del suo gregge?» «Più probabilmente il livello di peccato.» «E per Dom? Il suo movente non è un fanatismo religioso portato agli estremi. Uccide per puro piacere, e ne è pienamente consapevole.» «Ma come dice Nancy Tolvey, certe cose che accadono quando si è molto giovani possono segnare indelebilmente una persona.» «E cosa può essergli successo per trasformarlo in un pluriomicida?» «Chi lo sa? Domani andremo alla chiesa battista e vedremo di scoprire qualcos'altro.» «Il padre di Dom potrebbe essere ancora vivo?» «Può anche darsi, ma avrebbe una bella età.» Chinò la testa a sfiorarle il naso con un bacio. «Va' a dormire. Io aspetto che torni Spiro per dirgli quello che abbiamo saputo.» «È più di quanto mi aspettassi.» Eve ebbe un fremito di eccitazione. Si stavano avvicinando. Dom non era più un completo enigma. «E domani ne sapremo di più.» «Non alimentare troppo le tue speranze.» «Non essere sciocco. Ovvio che le alimenterò.» Joe sorrise. «Non dovrei smorzare i tuoi entusiasmi. La speranza è molto salutare per te.» «Smettila di parlarmi come se io fossi una fuori di testa e tu il mio psicanalista.» «Scusa. Mi sono abituato ad analizzare ogni tua mossa, a forza di starmene in contemplazione ascetica nel mio angolino.» «Contemplativo e ascetico, tu? Non sai nemmeno cosa vuol dire.» Si affrettò a distogliere lo sguardo da lui. «Jane è a letto. Potresti tenerla d'occhio mentre faccio la doccia?» «Non mi allontanerò di un passo dalla tua porta.» Eve avvertì il suo sguardo su di sé mentre camminava lungo il corridoio. Si sentiva le ginocchia molli. Da quando erano partiti, Joe era rientrato nel
ruolo del vecchio amico. Non aveva detto niente di personale fino ad allora, e le sue parole erano bastate a farle riaffluire alla mente i turbinosi ricordi della notte prima. Era molto destabilizzante accorgersi che i suoi sentimenti per Joe riuscivano quasi a prevalere sull'eccitazione per quello che avevano scoperto a proposito di Dom. Joe stava aspettando di sotto quando Eve e Jane scesero il mattino seguente. «Temo che dovremo saltare la rinomata colazione della signora Tolvey. Ho fatto venire un taxi. Dobbiamo andare da Spiro.» «Non è qui?» «No. Mi ha telefonato verso le tre. Al bar qualcuno gli ha parlato del reverendo Baldridge, ed è stato su tutta la notte a seguire la traccia.» «Gli hai detto che dovremmo andare alla chiesa battista?» Joe annuì. «Dice che non è più necessario. Dopo aver saputo della tenda, è andato dritto dal reverendo Piper, che è il pastore della chiesa battista, e lo ha tirato giù dal letto.» Si strinse nelle spalle quando lei lo fissò sorpresa. «Nessuno ha mai detto che Spiro non sia privo di scrupoli quando fiuta una pista.» «Ha scoperto qualcosa?» «Ha trovato il posto dove il reverendo teneva i suoi sermoni. È a un bel po' di strada. Spiro ci aspetta lì.» La figura solitaria di Spiro, ritto in cima a un'altura, si stagliava contro il paesaggio smorto. Chiazze di neve erano sparse qua e là sul terreno, e nuvole grigie gravavano sulle montagne in lontananza. L'autista parcheggiò ai piedi della collina. «Manda via il taxi, Joe», risuonò la voce di Spiro. «Vi riporto indietro io. Ho confiscato la macchina del reverendo Piper.» Sorrise sardonicamente facendo un cenno in direzione della Ford marrone parcheggiata a poca distanza. «A volte torna comodo essere dell'FBI.» Jane corse su per il pendio e girò lo sguardo attorno. Il terreno era completamente spoglio; brandelli di tessuto bruciacchiato penzolavano dai numerosi pali anneriti infissi nel suolo. «Un incendio?» «Sì», rispose Spiro. Eve sentì improvvisamente freddo. «Che cosa è successo qui?» «Vuoi mandare la bambina in macchina?» le domandò Spiro.
Lei guardò la bambina che gironzolava attorno un po' più in là. «No, non voglio escluderla. Jane ha il diritto di sapere tutto quel che sappiamo noi.» «E noi cosa sappiamo?» chiese Joe, raggiungendoli. «Quando è successo questo?» «Ventinove anni fa.» «Un incidente?» «Si presumeva che lo fosse stato. Tutti sapevano delle candele. La tenda era destinata a incendiarsi, prima o poi.» «Ci furono vittime?» «Non venne rinvenuto alcun corpo. I sermoni si tenevano il venerdì, il sabato e la domenica. Il fuoco doveva essere divampato nei primi giorni della settimana, perché quando cominciò ad arrivare gente il posto era esattamente come lo vedete adesso.» «Furono svolte delle indagini?» «Naturalmente. Ma del reverendo Baldridge non c'era traccia. Conclusero che doveva essersene andato da qualche altra parte. In genere gli evangelisti non si fermano stabilmente in un posto, e tra l'altro lui non era in buoni rapporti con le autorità locali. Era stato avvertito npetutamente della pericolosità di tutte quelle candele.» «Si era veramente trasferito?» «Questo dovremo scoprirlo, giusto?» Spiro si guardò attorno. «Cristo, questo posto è veramente tetro.» Eve era del tutto d'accordo. «Se l'incendio è stato così tanto tempo fa, perché l'erba non è ricresciuta?» «Che altro hai scoperto?» domandò Joe. «Si sa qualcosa della sua famiglia? Che cosa ti ha detto il reverendo Piper di Kevin Baldridge9» «Non ricorda nessun Kevin. Suo padre era il pastore della chiesa battista di Bloom Street all'epoca in cui il reverendo Baldridge predicava qui. Lui era solo un ragazzo quando suo padre lo portava quassù a sentire i sermoni. Una volta ha incontrato la signora Baldridge, ma gli unici figli che ricorda sono Ezekiel e Jacob. Non ha mai conosciuto Kevin.» «Ma noi sappiamo che c'è un Kevin. La signora Harding lo ha conosciuto.» «Se era qui, lo tenevano defilato.» Spiro scrollò la testa. «Ma il perché è un mistero. Pare che il vecchio Baldridge mettesse in batteria l'intera famiglia per le funzioni, chi a distribuire le candele, chi a passare con il piattino per le offerte...» «Non mi piace qui.» Jane si era messa al fianco di Eve. «Quando ce ne
andiamo?» Eve si accorse che anche lei percepiva qualcosa di sinistro in quel luogo. «Tra poco. Vuoi aspettarci in macchina?» Jane scosse la testa e le si fece più vicina. «Ti aspetto.» «Possiamo anche andare», disse Spiro. «Non abbiamo altro da fare qui. Direi di ripartire subito per Phoenix. Farò venire una squadra a setacciare il posto.» «Dopo tre decenni e un incendio?» «Nessuno ha mai cercato corpi sotterrati in quest'area.» «Tu non pensi che il reverendo Baldridge se ne sia semplicemente andato via, vero?» «Devo indagare ogni possibilità. Sembra che il vecchio fosse un tipo alquanto sgradevole.» «Già.» Lo sguardo di Joe vagò per il terreno riarso. «I fanatici solitamente causano molto dolore.» «Be', se Kevin Baldridge è Dom, ha fatto ben più della sua parte.» Spiro si avviò giù per la collina. «Tale il padre, tale il figlio.» «Forse non è Kevin.» Eve si incamminò dietro a Spiro. «Forse è uno degli altri fratelli.» «Ma dov'era Kevin quando si tenevano le funzioni?» replicò Spiro. «Mi sa tanto di ribellione contro il vecchio.» Si gettò un'occhiata alle spalle. «Che stai facendo, Quinn?» Joe si era accovacciato a raspare il terreno morbido con una mano. «Sto solo controllando una cosa.» Si avvicinò una manciata di terra alla bocca e la toccò con la punta della lingua. «Sale.» Eve si fermò di colpo. «Cosa?» «Prima ti chiedevi giustamente come mai non fosse ricresciuto niente.» Joe si rialzò, pulendosi le mani. «Qualcuno ha cosparso la terra di sale o prima o dopo l'incendio. Voleva che in questo posto non vivesse mai più niente.» Era già buio quando atterrarono a Phoenix. Spiro li lasciò all'aeroporto e Joe, Eve e Jane arrivarono alla villetta di Logan alle nove passate. Con grande sorpresa di Eve, il padrone di casa era seduto sul divano a giocare a carte con Sarah. «Era ora.» Vedendoli entrare nel soggiorno, Logan mise giù le carte e si alzò. «Perché diavolo non mi hai detto che andavi fuori città?» «Meno male che siete tornati», disse Sarah. «Sono ore che è piantato qui
a far ammattire me e Monty. Non voleva saperne di andarsene, e poi ha preteso che lo intrattenessi. E come se non bastasse, si arrabbia quando perde.» Logan la guardò torvo. «Hai barato.» «Sono semplicemente più brava di te a giocare a poker. Cosa credi che facciano le squadre di soccorritori tra un'uscita e l'altra?» Si alzò in piedi. «È tutto tuo, Eve. Monty e io siamo stanchi di sorbirci le sue paturnie.» «Io non ho le paturnie.» Sarah non commentò. «Vieni, Jane. Sembri stanca quanto me. Il viaggio è stato pesante?» «Siamo stati in un posto orribile. Mi vengono i brividi solo a pensarci.» Jane si chinò ad accarezzare Monty. «Andiamo, bello. Si va a letto.» Il retriever si stiracchiò, poi uscì dalla stanza dietro a Sarah e Jane. Logan seguì Sarah con lo sguardo. «Ce l'ha ancora con me.» «Non più di tanto, se ha accettato di giocare a carte con te», osservò Joe. «Soltanto perché voleva darmi una stangata.» Logan si girò verso Eve e partì all'attacco. «Non ti è venuto in mente che mi sarei preoccupato quando Booker mi ha detto che eri andata via?» «Ero di fretta. Spiro aveva una pista. Onestamente, non ci ho pensato.» Avrebbe dovuto avvertirlo, pensò con rammarico. «Mi dispiace, Logan.» «Lasciala in pace.» Joe le si mise dietro, posandole le mani sulle spalle. «Ha già abbastanza problemi, le manca solo di dover cercare di rabbonirti.» «Lascia stare, Joe. Ha ragione. Si è fatto in quattro per aiutarmi. Non avrei dovuto farlo stare in pensiero.» «La tensione non mi spaventa, quando posso prendere di petto un problema. Quello che non sopporto è essere escluso da...» Logan si interruppe di colpo, fissando Eve, e poi Joe in piedi alle sue spalle. «È finita, vero? Ce l'ha fatta.» «Di che stai parlando?» «Ha vinto lui. Alla fine ha ottenuto quello che voleva. Dio, non potrebbe essere più chiaro di così.» Sorrise senza allegria. «Avrei dovuto sapere che stavo combattendo una battaglia già persa. Potrei contrappormi a Quinn, ma non posso contrastare te, Eve. E appena lui è apparso sull'isola, tu hai voluto seguirlo a casa.» «A causa di Bonnie.» «Forse.» Logan li guardò a lungo. «Abbi cura di lei, Quinn.» «Non c'è bisogno che sia tu a dirmelo.»
«Sì, invece. Perché il mio è un avvertimento, non una raccomandazione. Eve, se posso fare qualcosa per te, chiamami.» «Non avrà bisogno di te», intervenne Joe. «Non si sa mai.» Eve non poteva sopportarlo. Non lo avrebbe lasciato andare via così. «Joe, voglio parlare con Logan da sola.» Joe non accennò a muoversi. «Joe.» «Okay.» Lasciò la stanza. «Perché ho la sensazione che stia in agguato in corridoio?» disse Logan. «Probabilmente perché è così.» Eve tentò un sorriso. «Dovresti prenderlo come un complimento.» «Ah, sì?» «Sa quanto conti per me. Quanto conterai sempre.» «Non abbastanza, evidentemente.» «Che cos'è abbastanza? Sto male quando tu stai male. Sono felice quando sei felice. Se avrai bisogno di me, io ci sarò sempre. Questo non è abbastanza?» «È molto. Non soddisfacente quanto quello che avrei voluto, ma mi accontenterò.» Tacque un istante. «Giusto per curiosità, come c'è riuscito Quinn?» «Non lo so», rispose con franchezza. «Io non volevo. Mi mette a disagio. È come essere presi in un vortice. È successo e basta.» «Niente 'succede e basta' con Quinn. Quell'uomo è una forza della natura. Ho sempre saputo che ti stava aspettando al varco.» «Io no.» «Lo so. Speravo di riuscire ad accalappiarti prima che lui facesse la sua mossa, ma mi è andata male.» La guardò per un lungo momento, poi le diede un rapido bacio. «Ma è stato un bell'anno, vero?» «Il massimo.» «Non il massimo, o adesso non saremmo a questo punto, ma certamente da non dimenticare.» La prese per un braccio e uscì con lei in corridoio, dove Joe stava aspettando vicino alle scale. «Ehilà, Quinn. Che sorpresa.» «Non credo.» «Non c'è bisogno che ti comporti come se io volessi rapirla. Non è nel mio stile.» Le sue labbra si contrassero. «Anche se mi piacerebbe romperti il collo.» Joe scosse la testa. «Ma non lo farai. È questa la differenza tra noi due.
Sei duro, ma non hai mai raggiunto il punto di non ritorno con Eve. Mi domando se tu lo abbia mai raggiunto con qualcuno.» Logan fece un passo verso di lui e disse a bassa voce: «Sono tentato di dimostrarti che ti sbagli.» «Logan», intervenne Eve. Non pensava che le avrebbe dato ascolto. Ma poi voltò le spalle a Joe e aprì la porta. «Ci sentiamo, Eve, okay? Non tagliarmi fuori del tutto.» «Non potrei mai.» Gli era troppo affezionata. Lo baciò sulla guancia. «Sul serio.» «Ricordati di averlo detto.» La porta si chiuse dietro di lui. Joe fischiettò fra i denti. «Non mi suona molto bene. Significa che sarò costretto a frequentarlo?» «Non sei costretto a fare un bel niente. Ma è mio amico, dannazione. E lo sarà sempre.» «Temevo proprio che fosse quello che intendevi. Dovrò trovare il modo di...» Si interruppe. «Sei un po' sconvolta, vero? Okay, chiudo il becco e ti lascio sola.» «Questa sì che sarebbe una novità.» «Sei molto sconvolta.» Joe si accigliò. «E io sono maledettamente geloso.» Eve usò la parola che Joe una volta aveva usato con lei. «Adattati.» Lui sorrise. «Lo farò.» «Io non ti ho promesso niente, Joe. Non penso ancora che noi...» «È ora che io vada», la interruppe. «Cominci a essere introspettiva, e questo potrebbe essere pericoloso. Andrò alla centrale a vedere per quella foto.» Esitò un attimo. «Stanotte potrei non rientrare. Credo che ti farebbe bene stare un po' da sola.» Eve provò un misto di sollievo e disappunto. «Non c'è bisogno che tu vada in esilio. Se non ti voglio nel mio letto posso sempre dirti di no.» «Sto cercando di esibire il mio lato sensibile.» Si chinò a baciarla brevemente e con intensità. «Dormi bene. Ci vediamo domani.» Difficilmente avrebbe dormito bene, pensò Eve salendo le scale. Per tutto il viaggio di ritorno da Dillard non era riuscita a togliersi dalla mente l'immagine di quella collina riarsa e sterile. Che cosa aveva provocato in Dom tanto odio da voler devastare il posto a quel modo? Aveva ucciso e massacrato la terra così come aveva fatto con le sue vittime. E poi si era trovata davanti Logan e lo aveva ferito. Per la seconda volta. Ma lei non aveva mai immaginato che la natura dei suoi sentimenti per
Joe potesse mutare. Se fosse stata furba, si sarebbe tenuta a distanza da Joe e concentrata unicamente sul suo lavoro. Non si era mai sentita così insicura ed emotiva quando si dedicava al lavoro con tutta se stessa. Aveva uno scopo, e le dava soddisfazione fare qualcosa per i bambini perduti. Sì, era quella la cosa intelligente da fare. Pensare solo al lavoro. Chiudere fuori Joe... «Non funzionerà, mamma.» Bonnie era seduta sulla poltroncina accanto al suo letto. «Joe non ti permetterà di farlo. E comunque, è troppo tardi.» «Io posso fare quello che mi pare.» Eve si tirò un po' più su contro il cuscino. «Joe sta interferendo con la mia vita.» «Anche io. Eppure non mi scacci.» «Non si può scacciare i propri sogni.» «Hai sempre una risposta a tutto, vero? La ragione per cui non mi scacci è che mi ami.» «Oh, sì», bisbigliò Eve. «Ed è per la stessa ragione che non puoi scacciare Joe.» «Quella è una cosa diversa.» «Verissimo. Joe è vivo.» «Gli farei del male.» «Sei soltanto depressa a causa di Logan. Ma non dovresti. Era destino che succedesse. Ricordi che una volta ti ho detto che l'amore spesso comincia in un modo e poi diventa qualcos'altro? Non devi per forza perdere Logan, e non perderai Joe.» «Balle. Puoi perdere le persone che ami di più al mondo in qualunque momento. Proprio come io ho perso te.» «Sciocchezze. Allora come mai sono qui a parlarti?» «Perché sono suonata come una campana. Un altro motivo per cui dovrei stare lontana da Joe.» «Non ho intenzione di discutere con te. Sei in gamba, e farai la cosa giusta.» Bonnie si allungò sulla poltroncina. «Voglio solo starmene qui seduta e godermi la tua compagnia. È tanto che volevo stare un po' con te.» «Allora perché non sei venuta prima?» «Non riuscivo ad avvicinarmi. È stata dura, stavolta. Così tanta oscurità... Nient'altro che oscurità intorno a lui, mamma.» «È un uomo terribile.» Eve si bagnò le labbra. «È stato lui, Bonnie?» «Non riesco a vedere con tutto quel buio. Forse non voglio vedere.»
«Io voglio vedere. Devo vedere.» Bonnie annuì. «Per proteggere Jane. Mi piace, Jane.» «Anche a me. Ma devo farlo anche per te, piccola.» «Lo so. Ma adesso propendi più verso i vivi. Ed è giusto che sia così.» Eve rimase in silenzio per un momento. «Ha cercato di dirmi che Jane è la tua reincarnazione. Non è una scemenza colossale?» «Direi proprio di sì. Come potrei essermi reincarnata, se sono qui a parlare con te?» Sorrise. «E tu sai che lei non è affatto come me.» «Sì, lo so.» «Non ti piacerebbe che fosse come me, mamma. Ciascuno di noi ha la sua individualità, il suo particolare animo. È questo che ci rende così speciali e meravigliosi.» «Dom non è meraviglioso.» «No. Lui è contorto e orribile.» Bonnie si accigliò. «Ho una gran paura per te. Continua ad avvicinarsi...» «Lascia che venga. Lo sto aspettando.» «Ssh, non agitarti. Non parliamo più di Dom, per stanotte. Perché non mi racconti di Monty? Mi sono sempre piaciuti i cani.» «Lo so. Ti volevo regalare un cucciolo per Natale, l'anno che...» «E da allora ti tormenta il rimorso di non avermene preso uno prima. Non è proprio il caso, mamma. Io ero felice. Ma dovresti imparare qualcosa da questo fatto. Vivi ogni momento. Non rimandare niente a domani.» «Smettila di farmi prediche, accidenti.» Bonnie fece una risata argentina. «Scusa. Dai, parlami di Monty.» «Non so molto di lui, a dire il vero. Appartiene a Sarah ed è un cane da soccorso, specializzato nella ricerca di cadaveri. Jane lo adora, e non perde occasione di...» Mark Grunard stava aspettando nell'atrio quando Joe entrò nell'albergo di Charlie Cather. «Chi si vede. Tornato dalla montagna?» «Che ci fai tu qui?» «Cather ha promesso di bere qualcosa con me. Dovrebbe scendere da un momento all'altro. Combinato qualcosa a Dillard?» «Non risulta nessun Kevin Baldridge iscritto alla scuola locale, quindi stiamo controllando in una città vicina. È venuto fuori che suo padre era un predicatore itinerante.»
«Accidenti. Speravo che ci fossero foto dell'archivio scolastico da confrontare con quella della signora Harding.» «Lo speravamo anche noi.» Joe si mise a sedere. «Spiro non è contento che tu ronzi intorno a Cather.» «Desolato. Non ho ottenuto niente da lui, così ho dovuto puntare su Cather. È un bersaglio molto più facile.» «È più duro di quanto pensi.» «Ma non ha l'esperienza di Spiro, e potrebbe lasciarsi sfuggire qualcosa.» Gli rivolse un'occhiata arguta. «Ti ha detto niente della fotografia? È per questo che sei qui?» Perché era lì? Era stato alla centrale per la fotografia, e gli avevano detto che i duplicati non erano pronti. La polizia di Phoenix stava ancora facendo ostruzione per ripicca alla reticenza di Spiro. Ma anche se Joe fosse riuscito a persuadere Charlie a descrivere la foto, dubitava che sarebbe stato di aiuto. Doveva ammetterlo, la vera ragione per cui adesso si trovava lì era un'altra. Aveva sentito il bisogno di allontanarsi da Eve. Il suo impulso era stato di farle pressione invece di attendere pazientemente, e sarebbe stata una mossa stupida. Eve era affezionata a Logan, e Joe avrebbe dovuto ringraziare che quel confronto non l'avesse sconvolta più di così. Ma era tutt'altro che contento, ed era stufo marcio di pazientare. Le era arrivato troppo vicino per fare un passo indietro proprio adesso. «Nessuno mi ha detto niente», rispose a Mark. «Hai già visto Charlie dopo che è tornato con la foto?» «Ieri sera alla centrale.» Corrugò la fronte. «C'è qualcosa che lo preoccupa. Cerca di nasconderlo, ma non gli riesce bene.» «Forse Spiro gli ha fatto un'alzata perché ti sta dando confidenza.» «Forse. Ma non l'ho notato finché è stato dagli Harding a prendere quella foto. Sono contento che tu sia qui. Lo prenderemo in mezzo e gli tireremo fuori che cosa lo impensierisce.» Si alzò. «Eccolo che arriva.» Cather sorrideva mentre camminava verso di loro. «Non mi aspettavo di trovarti qui, Joe. Spiro ha detto che sei appena tornato da Dillard. Cos'è questa? Una cospirazione?» Al diavolo l'idea di prenderlo in mezzo. Se Charlie avesse buttato là qualcosa, sarebbe stato pronto a raccogliere. Ma non avrebbe cercato di spremergli niente. Joe si alzò in piedi. «Indovinato. E tu sei il bersaglio.» Il sorriso di Cather svanì. «Non posso parlare della foto finché non sarò autorizzato da Spiro. Non gli pesterò di nuovo i piedi per nessun motivo.»
Grunard aveva ragione, c'era qualcosa che lo turbava. Ma forse risentiva semplicemente della pressione. «Se non puoi, non puoi. E visto che non possiamo corromperti, immagino che dovrai pagare tu da bere.» Si diresse al bar. «Come sta tua moglie?» Eve stava dormendo quando Dom la chiamò. Era quasi mattino. Il suono della sua voce la scosse terribilmente, mandando in frantumi la serenità che solitamente provava dopo aver sognato Bonnie. «Ti sei data da fare. Ti sono piaciuti i luoghi della mia infanzia?» «Come fai a sapere che sono stata là?» «Ascolto. Osservo. Non avverti la mia presenza vigile, Eve?» «No, io ti ignoro... Kevin.» Lui rise sommessamente. «Preferisco Dom. Kevin non esiste più. Sapessi quante trasformazioni ho attuato da allora. Quanto all'ignorarmi... sì, ho notato che ultimamente stai cercando di non prestarmi attenzione. Sulle prime questo mi ha fatto arrabbiare. Ma poi mi è passata. È servito solo a stimolare il mio appetito.» «Kevin doveva essere un odioso piccolo bastardo. Che ne è stato dei tuoi genitori?» «Quello che tu pensi ne sia stato.» «Li hai uccisi.» «Era inevitabile. Mio padre vedeva in me Satana fin da quando ero solo un bambino. Mi faceva stare ritto in piedi con una candela nera in ogni mano e poi mi picchiava finché cadevo in ginocchio. Quando aveva finito di battermi, strofinava sale sulle ferite. Forse aveva ragione a vedere in me il maligno. Tu pensi che si nasca con in noi i germi del male?» «Tu di sicuro.» «Ma pensi anche che io sia pazzo. Mio padre era pazzo e lo definivano un santo. La linea è così sottile, vero?» «Ezekiel e Jacob lo ritenevano pazzo?» «No, loro erano abbagliati e intimoriti da lui, come tutti gli altri. Ma io ho cercato di aprire loro gli occhi. Li ho portati con me quando sono scappato. Mi sentivo solo allora, e avevo bisogno di qualcuno vicino.» «E li hai portati a Phoenix.» «Volevamo andare in California. Avevo convinto i fratelli Harding a venire con noi. Ma all'ultimo momento Ezekiel e Jacob hanno avuto paura. Una notte hanno fatto fagotto e se ne sono tornati di corsa all'ovile. Andai su tutte le furie.»
«E uccidesti gli Harding.» «Fu un'esperienza trascendentale. Il punto culminante della mia vita. Finalmente sapevo quello che ero e che cosa ero destinato a fare. Tornai alla tenda sulla collina e li macellai tutti.» «Anche tua madre?» «Lei stava lì a guardare senza muovere un dito quando mio padre mi percuoteva. La passività la rendeva forse meno crudele?» «E i tuoi fratelli?» «Avevano fatto la loro scelta quando tornarono da lui. Io dovevo ricominciare da zero.» «Dove sono i corpi?» «Non li troverai. Ho sparpagliato i loro pezzi per metà dell'Arizona e il New Mexico, e non immagini con quanto gusto.» «E hai cosparso di sale il terreno dove era piantata la tenda.» «Un atto simbolico un po' melodrammatico, ma all'epoca ero soltanto un ragazzo.» «Come lasciare una candela nella mano delle tue vittime. Ma adesso non sei più un ragazzo.» «È difficile cancellare gli insegnamenti dell'infanzia. O forse, parte della mia soddisfazione deriva dal mostrare a mio padre che uso faccio delle sue preziose candele.» «Tuo padre è morto.» «Era convinto che sarebbe andato in paradiso, quindi dovrebbe guardarmi da lassù. Oppure pensi che la sua anima sia andata a pezzi insieme al suo corpo? Me lo sono domandato tante volte.» Fece un pausa. «Tu credi che l'anima di Bonnie sia andata distrutta?» Eve si morse con forza il labbro inferiore. «No.» «Be', lo scoprirai presto. Non ho ancora deciso quale candela usare per te. È una decisione tremenda. Per Jane bianca, naturalmente, ma il tuo colore deve riflettere...» Eve chiuse la comunicazione. Dom era in vena di confidenze, e forse avrebbe dovuto dargli corda, ma non riusciva più a resistere. La stava trascinando nell'oscurità che lo circondava. L'orrore era ancora più intollerabile, in contrasto con il meraviglioso sogno di Bonnie al quale l'aveva strappata. In quel momento sembrava che il male fosse preponderante e lei non avesse armi per combatterlo. E continuava ad aumentare ancora e ancora... Dovresti imparare qualcosa da questo. Vivi ogni momento. Non riman-
dare niente a domani. Le parole di Bonnie le echeggiarono nelle mente. Vivi ogni momento... Eve udì Joe entrare in casa due ore più tardi. Uscì dalla sua camera e lo attese in cima alle scale. Lui si bloccò vedendola. «Tutto bene?» «No. Ha chiamato Dom. Niente è mai a posto quando lo sento.» «Che cosa ti ha detto?» «Veleno. Orrore. Ti dirò più tardi.» Gli tese la mano. «Vieni a letto.» Joe salì lentamente le scale finché le fu di fronte. «Questo significa che mi perdoni di non essermi disperato per Logan?» «Non è mai stata una questione di perdono.» Lui le prese la mano. «Hai scoperto di non poter vivere senza di me nel tuo letto?» «Vuoi piantarla di scherzare?» «E chi scherza?» Alzò una mano ad accarezzarle la guancia. «Sto sondando. Ho la sensazione che qui stia succedendo qualcosa di molto importante. Come mai, Eve?» Lei deglutì per allentare il nodo alla gola. «Non ho mai regalato un cagnolino a Bonnie. Lo voleva tanto, e io rimandavo. E poi è stato troppo tardi.» Joe inarcò le sopracciglia. «E qual è il nesso? Accogliermi nel tuo letto equivale a darmi un cagnolino?» «Il cagnolino non è per te, Joe. È per me. I miei scopi sono puramente egoistici. Ti voglio vicino. Voglio che mi parli. Voglio che tu faccia l'amore con me.» Lo guardò negli occhi con un sorriso tremulo. «E non intendo rimandare. Non aspetterò che sia troppo tardi. Vuoi venire a letto e stare con me, Joe Quinn?» «Oh, sì.» Le passò un braccio intorno alla vita. La sua voce suonò malferma quanto quella di lei. «Ci puoi contare.» SEDICI Quando Spiro chiamò nel pomeriggio, Eve gli riferì quel che Dom le aveva detto della sua infanzia. «I tecnici che tengono sotto controllo il telefono hanno rintracciato la chiamata?» «No, dannazione, si è smagnetizzato il nastro. Ma quello che ti ha detto
Dom collima con il poco che abbiamo scoperto», replicò Spiro. «Abbiamo appurato che i fratelli Baldridge non sono mai andati a scuola né a Jamison né da nessun'altra parte. Sono saltati fuori un paio di rapporti di un ufficiale andato dal reverendo Baldridge a chiedere come mai i ragazzi non frequentassero la scuola. Lui dichiarò che i suoi figli venivano istruiti a casa. Riteneva che presso una scuola pubblica non avrebbero ricevuto un'educazione abbastanza pia.» «Nient'altro?» «Una cosa ancora. I rapporti riguardavano soltanto Ezekiel e Jacob. Nessun accenno a Kevin.» «Se non assisteva alle funzioni, forse non sapevano della sua esistenza.» «A giudicare dalla devastazione di quella collina, direi che volesse rendere nota la sua presenza.» «Non necessariamente. È andato avanti per anni senza mai dare segno di avere bisogno di un riconoscimento pubblico dei suoi atti. È cambiato solo di recente.» «A quel tempo era appena agli inizi. Non aveva ancora imparato. Non si era evoluto.» Sospirò. «Ma anche se adesso è differente, avrà ancora caratteristiche che corrispondono al consueto schema dell'omicida organizzato.» «Intelligenza al di sopra della media, per dirne una», disse Eve. «Ma tutte queste chiacchiere non ci porteranno a niente. Abbiamo bisogno di sapere che aspetto ha. Dov'è la sua fotografia?» «Non farti troppe illusioni. La foto potrebbe non essere la soluzione.» «Che cosa intendi?» «Esattamente quello che ho detto.» «In teoria dovremmo lavorare insieme. Smettila di essere evasivo. Vuota il sacco.» Spiro rimase in silenzio. Dannazione, quanto era caparbio. FBI in tutto e per tutto. Cominciava a essere stanca di tirargli fuori le informazioni con le tenaglie. Avevano fatto un patto, ma era chiaro che su questo punto era inutile insistere. Okay, lo avrebbe messo alle corde almeno sul tempo. «Quando?» «Presto.» «Quando?» «Dio, sei ostinata. Domani, forse.» Mise giù il telefono.
Non ebbero una copia della fotografia se non due giorni dopo, quando Spiro si presentò alla villetta e porse a Eve una busta dodici per diciotto. «Ecco qui. Ma ti avverto che rimarrai delusa.» «Perché?» «Guardala.» Joe si mise al suo fianco mentre lei apriva la busta e ne tirava fuori la foto. Era stata scattata in un grande cortile. In primo piano c'erano due ragazzi ancora adolescenti seduti a un tavolo da picnic. Un terzo, sullo sfondo, stava scendendo gli scalini di un portico. «A quanto dice la signora Harding, il ragazzo sugli scalini è Kevin Baldridge», li informò Spiro. «I due al tavolo sono Ezekiel e Jacob.» Dannazione, Kevin non solo era lontano, ma la foto era stata leggermente sovraesposta, e poiché lui era in movimento, la sua figura appariva sfuocata e completamente irriconoscibile. «Non c'è da stupirsi che la polizia non l'abbia presa dagli Harding a suo tempo», commentò Eve. «Kevin è solo una forma indistinta. Potrebbe essere chiunque. Joe mi ha detto che Charlie sembrava preoccupato a proposito di questa fotografia. Ora mi spiego perché.» Guardò Spiro. «La tecnologia in campo fotografico ha fatto passi da gigante negli ultimi venticinque anni. Probabilmente allora non avevano modo di lavorare sulla definizione di questa foto, ma adesso potete farlo, vero?» «Lo spero. Ne ho mandato un'altra copia a Quantico. Ma mi domandavo se non volessi fare un tentativo tu stessa. Anche tu lavori sulle fotografie.» «La mia specializzazione è l'invecchiamento, ed è una cosa completamente diversa da quello che ci serve.» «Oh.» Spiro sembrò deluso. «Peccato.» Sì, proprio un peccato, pensò Eve, frustrata. «Non c'è niente che tu possa fare?» insistette Spiro. Eve ci pensò su. «Forse.» Si alzò e prese una guida telefonica. «Se in città c'è un laboratorio fotografico che esegue correzioni globali.» «Sarebbe a dire?» «Pulizia delle immagini e altri tipi di... Ecco qua.» Aveva trovato uno spazio pubblicitario. «Pixmore. Adesso bisogna vedere se hanno l'apparecchiatura e gli esperti per fare il lavoro.» «Foto di moda e pubblicitarie?» Joe stava sbirciando oltre la sua spalla l'inserzione, sulla quale campeggiava il primo piano di una bella donna. «Non mi sembra propriamente scientifico.»
«Come pensi che facciano soldi i laboratori di questo genere? Ritoccano le fotografie, eliminando qualunque difetto, dai brufoli alle rughe, alla ricrescita dei capelli tinti.» Guardò di nuovo la foto dei Baldridge. «Potrebbero fare al caso nostro. Per le correzioni in genere preferiscono lavorare su diapositive, ma un tentativo si può fare.» Ripose la foto nella busta. «Solitamente questi posti sono sovraccarichi di lavoro. Sarebbe opportuno che ci fosse l'FBI a spalleggiarmi, o potrebbero farmi aspettare settimane.» Spiro annuì. «Dirò a Charlie di farsi trovare là. Quanto dovrebbe volerci?» Eve alzò le spalle. «Non saprei. Forse ventiquattr'ore. Dipende da quanto è bravo il tecnico, e quanti straordinari è disposto a fare.» «Chiederò a Charlie di stargli alle costole finché ha finito.» «Bene.» Eve si avviò alla porta. «Questo probabilmente sarà di aiuto.» «Ti accompagno», disse Joe. «Non è necessario.» Joe non era dello stesso parere. «Sembra che al momento io non riesca a dare nessun altro contributo. Ho bisogno di sentirmi necessario.» Il laboratorio Pixmore si trovava a mezz'ora di strada a nord di Phoenix, appollaiato in cima a una serpeggiante strada di montagna. L'edificio a un solo piano era tutto pietra e vetro scintillante al sole. Charlie Cather, come stabilito, si incontrò con Joe ed Eve nel parcheggio. «Mi rincuora che pensiate si possa tirare fuori qualcosa di buono da quella foto.» Scrollò la testa. «Ci sono rimasto malissimo quando l'ho vista.» Indicò con un cenno del capo l'auto che stava entrando nel parcheggio. «Arriva Grunard.» «Che ci fa qui?» si stupì Eve. «Era con me all'albergo quando Spiro ha telefonato.» Charlie fece un sorrisetto di sopportazione. «È un vero tormentone, ma non è un cattivo diavolo.» «Spiro non ne sarà contento.» «Gli ho spiegato che non me lo sarei più scrollato di dosso se lo avessi lasciato del tutto a bocca asciutta. Ha detto di dargli pure un antipasto, ma non il piatto forte. Se ne andrà prima che comincino a lavorare sulla foto.» Mark stava andando verso di loro, sorridendo. «Non guardare, ma l'amico sembra pronto per il dessert», commentò causticamente Joe.
«Non potete farmi avere il negativo?» Il nome del tecnico era Billy Sung. Aveva meno di venticinque anni, e non era decisamente ottimista. «Io non faccio miracoli, sapete.» «Niente negativo», rispose Eve. «Il suo capo dice che lei è il migliore tecnico che abbia. Sono certa che non avrà alcun problema.» «Non cerchi di lisciarmi. Ne avrò eccome di problemi. Questa stampa presenta parecchi errori. Uno solo sarebbe facile da correggere, ma non tutti. Vi ci vuole una di quelle compagnie di elaborazione digitale delle immagini di Los Angeles, o un laboratorio di ricerca universitaria per poter dare definizione a questi pixel. Pixmore non ha la strumentazione adeguata.» «Nessuna possibilità?» Sung aggrottò la fronte. «Forse. Un mio professore del college riceve finanziamenti governativi come ricercatore, e dispone di apparecchiature più che moderne. Di solito me le lascia usare.» «Lei è uno studente?» «Sì. Mi serve la laurea per poter entrare in uno di quei megalaboratori della West Coast. Devo competere con le orde di giovani rampanti sfornati dalle università più prestigiose. Quelle compagnie sono assolutamente all'avanguardia. È incredibile quel che riescono a fare con i sistemi di elaborazione grafica digitalizzati.» Guardò di nuovo la fotografia. «Ma io me la cavo fin troppo bene, considerati i mezzi con cui lavoro.» «Ne sono sicura», disse Eve. «Chi è questo professore, e dove ha il laboratorio?» «Professor Dunkeil. Ralph Dunkeil. Il suo laboratorio è a cinque minuti da qui, in Blue Mountain Drive.» «Ne avrei bisogno per domani.» Lui scosse la testa. «La prego. E molto importante per me.» Sung la fissò per un paio di secondi, poi annuì lentamente. «Se riuscite ad avere il nullaosta di Grisby. Non gli farà piacere che io pianti lì tutto il resto.» «Il suo capo ha già dato l'okay», lo rassicurò Charlie. «Lei è nostro per trentasei ore.» «Mi sa tanto di lavoro da schiavi.» Sung sogghignò. «Ma in fondo ci sono abituato, con quel negriero di Grisby. Lo scorso trimestre ho dovuto minacciare di andarmene per costringerlo ad accordarmi un permesso per dare gli esami.»
«Le sarei grata se cercasse di fare in fretta», disse Eve. «Mi chiamerà appena ha finito?» «Ti chiamerò io, Eve», assicurò Charlie. «Andrò con il signor Sung per aiutarlo.» Sung gli rivolse un'occhiata gelida. «Non ho bisogno del suo aiuto. Il governo si impiccia già troppo degli affari nostri. FBI, CIA, fisco. Ci manca solo di sentirmi il suo fiato sul collo.» «Ehi, amico, io sto soltanto facendo il mio lavoro.» «Sì, certo», sbuffò Sung, sedendosi al suo banco di lavoro. «L'ho già sentita questa. È sempre seguita dallo schiocco della frusta.» «Forse potrei venire io con lei, invece», suggerì Mark Grunard con un sorriso suadente. «Ha qualcosa in contrario a un po' di pubblicità? Potrebbe aiutarla a ottenere quel posto in California.» Sung sembrò interessato. «Niente da fare», troncò recisamente Charlie. «Ti avevo detto che tu non puoi restare, Grunard.» «Ma forse il nostro amico preferisce la mia compagnia alla tua.» Charlie puntò il pollice in direzione della porta. «Fuori.» Grunard sospirò. «Magari potrei ripassare quando avrà finito il lavoro, signor Sung.» Gli porse un biglietto da visita. «Mi chiami.» «I risultati sono confidenziali, signor Sung», ammonì Charlie appena Grunard ebbe lasciato il laboratorio. «Già.» Sung guardò pensosamente il cartoncino prima di infilarselo in tasca. «Lo erano anche i test atomici che nel Nevada hanno fatto venire il cancro a tutti.» «Per favore, mi chiami appena possibile, signor Sung», disse Eve. «È davvero molto importante per me.» «Le farò sapere.» «Che ne pensi? Sarà in grado di farlo?» domandò Joe, mentre lui ed Eve salivano in macchina. «Forse. Sembra sveglio.» Eve si allungò sul sedile. «E penso che le sfide non gli dispiacciano. Ma temo che darà del filo da torcere al povero Charlie. Sung è palesemente poco disposto a tollerare ingerenze da parte di funzionari governativi di qualunque genere.» «Forse dovresti presentarlo a Sarah. Allora, che si fa adesso?» «Si va a casa e si aspetta.» «Non sarà facile.»
«No.» Ultimamente sembrava non facessero altro che starsene seduti ad aspettare. «Ma almeno Spiro ci ha dato una possibilità di sveltire le cose.» «Sta correndo un grosso rischio collaborando con noi. Non vede l'ora che sia finita.» «Anch'io, Joe.» Eve chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. «Anch'io.» Erano quasi le tre di notte, e le luci ancora brillavano nel laboratorio di Blue Mountain Drive. Eve doveva essere felice di avere trovato qualcuno abbastanza appassionato al proprio lavoro da darsi tanto da fare con la fotografia, pensò Dom. La passione poteva essere pericolosa. Ma poteva essere anche eccitante. Ogni mossa di Eve alzava un po' di più la posta. Probabilmente avrebbe dovuto togliere di mezzo quella foto tanti anni prima. Ma non l'aveva ritenuta abbastanza importante, e se n'era andato lasciandosela alle spalle. Quello che stava succedendo nel laboratorio, però, era senz'altro importante. Il tempo cambiava ogni cosa. Tecnologia, morale, concetto di bene e male. Chi avrebbe immaginato quanto sarebbero cambiati i suoi bisogni? Le sue priorità erano molto differenti adesso, o non si sarebbe trovato là fuori a fissare le finestre del laboratorio. Che cosa stava succedendo là dentro? Si stavano avvicinando? Sentì l'eccitazione contrargli i muscoli. Avanti, Eve. Avvicinati di più. Fa' di tutto per trovarmi... «Altro caffè?» domandò Charlie. Billy Sung regolò il computer. «Non adesso.» «Hai saltato la cena. Potrei uscire a prendere qualcosa in un fast food.» «No.» Si stava avvicinando. Alla faccia di quei buffoni di Los Angeles con tutte le loro apparecchiature ultrasofisticate. Lui non era certo da meno. Solo qualche altro aggiustamento e avrebbe potuto... «Ce la stai facendo?» «Puoi scommetterci.» Si sfregò gli occhi e tornò a protendersi in avanti verso l'immagine sullo schermo. «Non ero sicuro di farcela, ma riuscirò a...» Si irrigidì. «Mio Dio.» «Ce l'hai?» «Zitto un attimo. Devo controllare una cosa.» Ingrandì l'immagine. Diventava sempre più evidente. Non poteva esserci alcun errore.
Il telefono sul comodino di Eve suonò. «Stiamo venendo da te», disse Charlie. «Cosa?» «Sung vuole vederti subito. Non sta più nella pelle.» Eve si alzò a sedere. «Ce l'ha fatta?» «Non ancora, ma sta per tagliare il traguardo. Dice che deve portarti immediatamente la foto, e continua a borbottare strane cose a proposito di profili-colore e curve cromatiche. Non me la lascia vedere mentre ci lavora, ma ne prenderò possesso non appena avrà terminato.» «Perché tanta segretezza?» «Rivolgiti al sottoscritto», rispose acidamente Charlie. «Evidentemente pensa che io sia il braccio destro del Grande Fratello. Ha fatto una telefonata e poi ha detto che appena finito viene da te. Sembra ritenere che questa sia una cosa solo tra te e lui, ma è un caso dell'FBI, e non può certo... Ehi, dove diavolo stai andando?» Tornò a parlare al telefono, concitato. «Devo andare. Sung deve aver finito. È appena schizzato alla porta. Saremo lì tra una mezz'ora.» Attaccò. «C'è riuscito?» domandò Joe. «Così pare. Charlie non ha ancora visto la foto. Dice che Sung vuole parlare con me.» Eve mise giù il ricevitore e si alzò dal letto. «Saranno qui tra mezz'ora. Vado a vestirmi.» Joe si sollevò a sedere. «Perché vuole parlare con te?» «Te l'ho detto, i funzionari governativi gli stanno sullo stomaco.» «Tanto da tirarti giù dal letto nel cuore della notte?» Eve si diresse verso il bagno. «Per quel che mi riguarda, Sung può anche venire di sopra e infilarsi nel letto con noi, purché mi porti quella foto.» «Avrei qualche obiezione», replicò Joe. «A scanso di equivoci, aspettiamolo di sotto.» «Che fine hanno fatto?» Eve guardò ancora una volta l'orologio. «Sono passati quarantacinque minuti.» «Forse sono dovuti tornare al laboratorio per qualche motivo.» «E Charlie non ci avrebbe avvertiti?» «Qualche problema con la macchina?» «Smettila di essere rassicurante. Hai il numero del cellulare di Charlie?» Joe annuì e prese il suo telefono. «Non risponde.» Se lo mise in tasca. «È ora di andare a cercarli.»
«No, tu resta qui. Metti che le mie stronzate rassicuranti si rivelino fondate. Uno di noi dev'essere a casa, se arrivano. Nel caso, dammi un colpo di telefono, e torno indietro di corsa.» Aveva ragione lui. Doveva restare. Ma, accidenti, sarebbe impazzita stando lì a fremere nell'attesa. Il telefono di Eve suonò cinque minuti più tardi. «C'è stato un incidente», disse Joe. «Una macchina è andata fuori strada ed è finita giù per la scarpata.» La mano di Eve si contrasse sul telefono. «Sono loro?» «Non lo so.» Joe esitò. «L'auto è piuttosto malridotta. Ha fatto un salto di almeno trenta metri.» Eve chiuse gli occhi. «Cristo.» «I medici e la squadra di soccorso stanno scendendo per vedere se ci sono superstiti. Non sarà semplice. Il dirupo è molto scosceso.» «Come può essere sopravvissuto qualcuno, dopo un salto del genere?» «È possibile. La macchina non è ancora esplosa. Ora devo andare. Ti richiamo più tardi. Vado giù con i soccorritori.» La macchina non è ancora esplosa, ripensò Eve. Eve sentì una stilettata di paura. «Lascia che facciano il loro lavoro, Joe. Stanne fuori.» «Charlie Cather mi piace.» Chiuse la comunicazione. Anche a lei Charlie piaceva, ma il pensiero che Joe si avvicinasse a quella macchina la terrorizzava. Richiamò Joe. Non le rispose. Stava già scendendo nel dirupo. Corse alla porta. I lampeggianti rossi di ambulanze, camion dei pompieri e una mezza dozzina di auto della polizia punteggiavano l'autostrada. Una lampada al quarzo era puntata nel burrone. Nastro giallo sbarrava la corsia di destra. Eve posteggiò sul margine della carreggiata e saltò giù dalla macchina. Si fece largo nella folla, ma dannazione, non riusciva a vedere niente. «Eve.» Spiro stava andando verso di lei. Fece un cenno a un poliziotto. «La signora è con me. La lasci passare.» Eve passò sotto il nastro e corse sul ciglio della scarpata. Spiro la seguì. «Non dovresti essere qui, Eve. Che ti è venuto in mente? Questo posto pullula di polizia e...»
«Non m'importa. Dov'è la squadra di soccorso?» Spiro indicò la linea di luci in movimento in fondo al precipizio. «Sono quasi alla macchina.» Quale macchina? Sembrava solo un groviglio di lamiere contorte. «Joe è laggiù.» «Lo so, mi ha telefonato. Ma stava già scendendo quando sono arrivato.» «Qualcuno sa che cosa è successo?» Lui scosse la testa. «Non c'è nessun testimone. Non sappiamo ancora se sono stati sbattuti fuori strada, o se i freni siano stati manomessi. Non siamo nemmeno sicuri che sia l'auto a nolo di Charlie. I soccorritori ci comunicheranno via radio il numero di targa, se riescono a prenderlo.» «Ma tu pensi che lo sia?» «Tu no?» «Sì.» Le luci adesso erano quasi alla macchina. «Hai idea di quanto ci vorrà?» «Dipende da quello che troveranno laggiù.» Scrollò la testa. «Ma devo avvertirti. Hanno riferito che si sente già odore di benzina. E peggio ancora, intorno alla macchina ci sarà una nube di vapori di combustibile. Basterebbe solo una scintilla.» Eve si irrigidì. «Allora digli di andarsene da lì.» «È loro dovere cercare di soccorrere chiunque sia nella macchina.» «Ma non è loro dovere saltare per aria. Ho visto morti bruciati e...» «Lo so», la interruppe pacatamente Spiro. «Nessuno vuole che succeda, Eve. Il caposquadra richiamerà indietro gli uomini se la situazione diventa troppo pericolosa.» «Joe non ascolterà. Non accetterà ordini da nessuno. Farà l'impossibile per tirarli fuori da quella macchina.» Cristo, avrebbe voluto essere laggiù lei stessa per poter fare qualcosa. «Stai calma, Eve. La squadra di soccorso non commetterà alcun errore che possa essere fatale. Scollegheranno la batteria e stabilizzeranno il veicolo. E per evitare scintille useranno strumenti adatti durante il taglio delle lamiere.» Le luci si stavano muovendo intorno alla carcassa della macchina. Passarono dieci minuti. Quindici. «Perché non tornano ancora?» domandò a Spiro. «Non puoi scoprire cosa sta succedendo?»
«Ci proverò.» Spirò andò al comando operativo e tornò pochi minuti dopo. «Hanno tirato fuori un uomo. Non sono riusciti a stabilirlo con certezza, ma ritengono che l'altro sia morto. Il caposquadra ha deciso di tornare su.» «Perché?» Spiro esitò. «Il cofano della macchina è completamente accartocciato. Non sono riusciti a scollegare la batteria. Hanno spento il motore, ma qualunque cosa potrebbe provocare un'esplosione. La marmitta catalitica, il circuito elettrico...» «Stanno risalendo tutti?» «Guarda tu stessa.» Le luci là sotto si stavano muovendo più in fretta, allontanandosi dal rottame. Fa' che Joe sia uno di loro..., pensò Eve. Il suo sguardo tornò alla macchina. Una luce brillava ancora nel mezzo del groviglio di metallo. «Joe.» Lo sapeva. Idiota. Dannato idiota. «Mio Dio, è pazzo», mormorò Spiro. Joe, vattene da lì. Ti prego. Passò un minuto. Un altro. Non restare. Non restare. La macchina esplose in una palla di fuoco. Eve strillò. Joe. Corse verso la scarpata. Spiro la trattenne. Cercò di divincolarsi. «Lasciami andare.» «Non puoi aiutarlo. E c'è la possibilità che non si sia fatto niente.» Niente? Aveva visto quella luce dentro la macchina quando era esplosa. «Io vado laggiù.» «Scordatelo.» Spiro la strinse forte per le braccia. «Stanotte si sono già fatte male troppe persone. Non starò a guardarti rotolare giù per la scarpata.» Eve gli sferrò una ginocchiata all'inguine e lui allentò la presa. Scappò via, ma due agenti della stradale la bloccarono, inchiodandola a terra. Si dibatté disperatamente, tirando calci e pugni. Joe!
Buio. «Figlio di puttana. Dovevi proprio colpirla?» «Non sono stato io», disse Spiro. «È stato uno della polizia stradale di Phoenix. Stavano cercando di impedirle di andare ad ammazzarsi giù per la montagna. Non ha niente di grave. È solo stordita.» «Avresti potuto fermarli.» Joe. Quella era la voce di Joe. Eve spalancò gli occhi. Joe, in ginocchio accanto a lei. La faccia di Joe, sporca di grasso, con un taglio sullo zigomo... Ma era vivo. Oh, Dio, era vivo. «Come ti senti?» Joe era accigliato. «Ti hanno fatto male?» Vivo. Eve scosse la testa. «Non è vero. Perché stai piangendo, allora?» Non se n'era nemmeno accorta. «Non lo so.» Si alzò a sedere e si asciugò le guance. «Sto bene.» «No, non stai bene. Rimettiti giù.» «Finiscila, Joe.» Stava battendo i denti. «Ho detto che sto bene. Di sicuro non grazie a te. Dio, come hai potuto fare una cosa così stupida? Pensavo che fossi morto, pezzo d'idiota. Ho visto la luce nella macchina subito prima che esplodesse.» «Ho dovuto liberarmi della torcia per tirarmi fuori di lì.» Adesso basta tremare. Lui era vivo. «Non avresti dovuto andare laggiù.» «Lo so», disse lui in tono stanco. «Il capo della squadra è infuriato con me. Ma dovevo andare a vedere.» Guardò Spiro. «Mi dispiace, era proprio Charlie. Immaginavo che fosse morto, ma dovevo esserne sicuro.» «E lo era?» Joe annuì. Spiro ebbe un sussulto. «E Billy Sung era ancora vivo quando lo hanno estratto dalla macchina, ma è morto prima che arrivassimo su.» Morti. Entrambi morti. Il buon Charlie Cather e Billy Sung, con tutti i suoi progetti di conquistare il mondo. Anche Joe avrebbe potuto morire. Joe... «Eve?» Joe la stava guardando preoccupato. «Ti ho sentito. Sono morti. Tutti e due morti.» Si strinse nelle braccia, ma non riusciva a smettere di tremare. «Ti ho sentito.» «Hai freddo.» Fece per abbracciarla.
«Non mi toccare! Sto benissimo.» Si accorse che stava alzando la voce, e dovette interrompersi per moderare il tono. «Io non ero laggiù. Non sono stata così disgraziata da...» «Vieni.» Joe le prese la mano per aiutarla ad alzarsi. «Ti porto a casa.» Eve ritrasse bruscamente la mano e si alzò da sola. «Sì, portala a casa», gli disse Spiro. «Quegli agenti per il momento sono concentrati sull'incidente, ma c'è sempre un mandato di cattura per lei. Io adesso devo fare una telefonata.» Fece una smorfia. «Anche se ne farei volentieri a meno.» La moglie di Charlie, pensò Eve, annichilita. Charlie non era sopravvissuto, e Joe si era salvato per miracolo. Oh, Dio, le veniva da vomitare. «È incinta. Non puoi mandare qualcuno a dirglielo di persona?» «Qualche nostro alto funzionario andrà a farle le condoglianze, ma il compito più ingrato tocca a me.» «Passa da noi quando hai finito qui», disse Joe. «Abbiamo qualcosa di cui parlare.» Aprì il giubbotto. Dalla cintola dei suoi jeans spuntava una busta lacera di formato dodici per diciotto. «La fotografia?» «Non ho ancora avuto modo di guardarla. L'ho trovata incastrata sotto la leva del cambio. Non ho potuto andare tanto per il sottile, e si è strappato un pezzo.» Spiro tese la mano. «Dammela.» Joe scosse la testa. «L'avrai dopo che l'avremo vista, e adesso non è il momento. Devo portare Eve a casa. È troppo sconvolta.» «Neanche per sogno. Dovrei essere morta per aspettare a vedere la faccia di quell'assassino.» Cercò di frenare il tremito delle mani mentre prendeva la busta. Estrasse la foto, e l'impazienza si trasformò in disappunto. «No.» Mancava un terzo della fotografia. Il terzo con Kevin Baldridge che scendeva gli scalini del portico. Due uomini avevano perso la vita. E tutto per niente. Spiro imprecò. «Non poteva strapparsi l'altra metà?» «È la legge di Murphy», disse Joe. «Questa è solo una stampa, Eve. Puoi fare qualcosa?» Si sforzò di riflettere. «Forse. Sung potrebbe aver fatto delle copie o salvato il suo lavoro nel computer.» Joe guardò Spiro. «Procuraci il permesso di entrare in quel laboratorio di Blue Mountain Drive.»
Spiro annuì. «Ci troviamo là tra due ore.» «Ci saremo», assicurò Eve. «Vieni.» Joe tentò di passarle un braccio intorno alla vita. «Andiamo a casa.» «Non ho bisogno della tua assistenza.» Spinse via la mano di Joe e si avviò verso la macchina. Un piede davanti all'altro. Non guardarlo. Mantieni il controllo o ti disintegrerai in un milione di pezzi. «Ci vediamo a casa.» «Io vengo con te. Santo cielo, hai appena preso una botta in testa.» «Questo non significa che non sia in grado di...» «Non ti permetterò di guidare.» «E cosa conti di fare con la tua macchina? Piantarla qui?» «Chi se ne frega della macchina.» Le aprì la portiera. «No. Non ho...» «Bisogno del mio aiuto», terminò Joe al suo posto. «Ma non guidi lo stesso. Sali.» Joe l'affrontò non appena furono in soggiorno. «Insomma, si può sapere che diavolo hai?» «Non ho proprio niente.» Eccetto che sentiva di stare per esplodere. Avrebbe voluto urlare, prenderlo a pugni. Idiota. Dannatissimo idiota. «Niente, eh? Stai tremando come una che ha la malaria.» «Sto benissimo.» Non avrebbe retto ancora per molto. «Vatti a lavare la faccia», disse irosamente. «Sei tutto sporco di grasso. E le mani, e quel...» «Spiacente che ti offenda.» «Sì, mi offende.» Una singola luce tra i rottami, e poi il mondo che esplodeva. «Non lo sopporto.» «Non c'è bisogno che mi mangi vivo.» «Invece sì.» Si girò dall'altra parte, la schiena rigida. «Vattene.» «Voltati. Voglio guardarti in faccia.» Lei non si mosse. «Va' a lavarti. Dobbiamo andare a quel laboratorio per vedere se si riesce a ottenere un'altra copia.» «Tu non dovresti andare da nessuna parte, nelle tue condizioni.» «Non ho niente che non va.» «Allora guardami.» «Non voglio guardarti. Voglio andare a vedere quella fotografia. È importante, dannazione.» «Pensi che non lo sappia? Ma qui sta succedendo qualcos'altro, e po-
trebbe essere più importante di qualsiasi fotografia.» La stanza sembrò ondeggiare, esplodere sotto i suoi piedi. Come era esplosa la macchina. Tieni duro. Non crollare, si disse Eve. Di cosa stavano parlando? Sì, la fotografia. «Non può esserci niente di più importante. Due uomini sono morti a causa di quella fotografia.» «E me ne dispiace terribilmente, ma non è colpa mia.» La costrinse a voltarsi verso di lui. «Ho fatto tutto quel che ho potuto per aiutare...» «Lo so bene! Andare a cacciarti in quel... Stupido... incosciente...» Si aprirono le cateratte, e le lacrime tornarono a inondarle le guance. «Charlie era già morto, dannazione.» «Io questo non lo sapevo.» «Avresti potuto morire.» «Non sono morto.» «Non per mancanza d'impegno.» «Vuoi smetterla di piangere, per favore?» «No.» «Allora, se mi è concesso, vorrei farti notare che sei irragionevole.» «Va' al diavolo.» Andò alla finestra e fissò l'oscurità.» «Eve.» Poteva sentire il suo sguardo su di sé. «Lasciami in pace.» «Vuoi spiegarmi perché sei così arrabbiata con me?» Non rispose. «Dimmelo.» Eve si girò di scatto, gli occhi fiammeggianti. «Ma certo, tu sei troppo cattivo per finire ammazzato. Sarai qui per un'altra cinquantina d'anni. Non devo avere paura, no?» Joe impietrì. «Oh, merda.» «Avresti potuto morire stanotte.» Le parole le uscirono di bocca inciampando una nell'altra. «Non ne avevi il diritto! Arrivi come un tornado e metti scompiglio nella mia vita, mi fai provare cose che non volevo provare, mi dici che devo fidarmi, e poi come se niente fosse vai e cerchi di ammazzarti in... Non mi toccare!» Si ritrasse di scatto al suo tentativo di avvicinarsi. «Charlie Cather e Billy Sung sono morti stanotte, e riesco a pensarci a malapena. Non m'importa della fotografia. Non m'importa di Dom. Hai idea di come mi faccia sentire questo?» «So come fa sentire me.» «Sei fiero di te? Mi hai mentito. Mi avevi promesso che...»
Joe la stava abbracciando, premendole la faccia contro la sua spalla. «Adesso smetti di tremare. È tutto finito.» «Non è finito proprio niente. Non finirà mai. Continuerai a fare cose completamente folli e inconsulte, perché hai un ego tanto smisurato da crederti immortale, da illuderti che a te non può succedere niente anche se...» Il suo intero corpo era scosso da violenti brividi. «Non posso sopportarlo!» «Nemmeno io. Adesso sei tu a sconvolgermi.» «Non avresti dovuto farlo. Non avresti dovuto!» Joe la sollevò da terra e la portò al divano. «Ssh. Farò tutto quello che mi dici, basta che smetti di tremare.» Si sedette tenendola ancora tra le braccia. «Credevo di essere pronto a tutto, ma mi sbagliavo. Non ero preparato a questo. Per te è sempre venuta prima Bonnie. Non ho mai pensato...» «Perché non riesci a vedere oltre la punta del tuo naso.» Lui rimase in silenzio per un momento. «Stai dicendo che mi ami?» «Non ti sto dicendo un bel niente, razza di bastardo.» «È un po' difficile da distinguere, mimetizzato tra un insulto e l'altro, ma io penso sia proprio quello che stai dicendo. Be'... mi rincuora.» «A me no.» «Lo so. Ti spaventa.» La stava cullando avanti e indietro. «Se solo smetti di tremare, ti prometto che farò del mio meglio per vìvere in eterno.» Nessuno viveva in eterno. Il cuore di Joe batteva forte e regolare contro il suo orecchio, ma avrebbe potuto fermarsi quella notte. Le sue mani gli si strinsero sulle spalle. «Idiota.» «Ssh.» «Lo farai ancora. Lo so. Sei un poliziotto.» Joe non disse niente. Anche lei si fece silenziosa. Rimase per lunghi istanti rannicchiata contro di lui, ascoltando il battito del suo cuore. Amante. Migliore amico. Centro. Un po' alla volta smise di tremare. Joe le premette dolcemente le labbra sulle tempie. «Un giorno mi dirai che mi ami?» «Probabilmente no.» Le sue braccia si strinsero intorno a lui. «Non te lo meriti.» «Vero.» Ancora un momento di silenzio. «Non correrò rischi inutili, Eve. Non ho mai desiderato vivere quanto in questo momento. Okay?»
«Deve andare bene per forza, no? Lo devo accettare. È la vita.» «Sì, è la vita. Bentornata.» Le scostò i capelli dalla faccia. «Sei un disastro. Ti ho sporcata tutta di grasso.» «Verrà via.» Ma ciò che era successo quella notte non avrebbe mai potuto essere cancellato. Le sue ultime barriere difensive erano crollate una a una, ed era stata costretta ad affrontare i suoi veri sentimenti per Joe. Ma erano troppo intensi, quasi intollerabili. Si sciolse dall'abbraccio e si alzò lentamente. «Dobbiamo prepararci per andare al laboratorio. Io mi do una sistemata nel bagno qui sotto. Tu va' di sopra a cambiarti. Quei vestiti sono conciati da buttar via.» «Agli ordini.» Lo guardò lasciare la stanza, riluttante a perderlo di vista. Doveva riprendere il controllo di se stessa. C'erano altre cose al mondo di cui preoccuparsi oltre a Joe Quinn. Quella notte erano morti due uomini. Probabilmente uccisi da Dom, pensò Eve. Era sempre più vicino. Ma lo era anche lei. Non ci hai ancora sconfitti, Dom. Troverò lo stesso il modo di vedere la tua faccia. DICIASSETTE Eve e Joe stavano aspettando dall'altra parte della strada quando Spiro arrivò al laboratorio di Blue Mountain Drive. «Il professor Dunkeil ci aspetta dentro. È sconvolto per Sung.» Spiro osservò la faccia di Eve. «Hai già un aspetto migliore.» «Sto bene. Hai parlato con la moglie di Cather?» «Sì.» S'incupì in volto. «Non molto a lungo, però. È crollata. È ancora una bambina lei stessa.» «So che eri molto vicino a Charlie.» «Avrei potuto esserlo di più. Pensavo di doverlo indurire.» Scrollò la testa. «Prendere Dom sta diventando una questione molto personale per me.» Eve si avviò attraverso la strada. «Benvenuto nel club.» Mentre Joe suonava il campanello del laboratorio, sentì che la tensione cresceva in lei. Fa' che quei due ragazzi non siano morti inutilmente. Fa' che stavolta Dom non la spunti.
L'immagine di Kevin Baldridge era ancora sfuocata. Sullo schermo del computer la figura era quasi spettrale, come un cadavere che fluttuasse in un mare di luce. Ma la sua faccia era abbastanza nitida. Eve si sentì mancare il respiro. «Eve?» «Dimmi che sono pazza, Joe.» Joe guardò lo schermo e imprecò sottovoce. Spiro trattenne il fiato. «Grunard.» Più giovane, più magro, ma il sorriso affascinante e un po' scanzonato era lo stesso. Eve si afflosciò sulla sedia. La testa le vorticava. «No.» «Ha l'età giusta. È stato vicino a te fin dall'inizio», osservò lentamente Spiro. Così vicino. «Quel guardiano alla casa di accoglienza...» Eve rabbrividì. «Gli avevo detto di distrarlo se lo avesse incrociato.» Joe si rivolse a Spiro. «Si sente sicuro. Devi prenderlo prima che scopra quello che è successo qui stanotte.» «Potrebbe saperlo già.» Spiro tirò fuori il suo telefono e compose un numero. «Si è fatto qualche amico alla centrale, in questi ultimi giorni.» Eve ripensò al profilo del tipico serial killer che Spiro le aveva delineato. Conoscenza delle procedure di polizia, eventualmente perfino attinenza con la polizia... Joe le aveva detto che Grunard bazzicava il bar frequentato da tutti i detective della polizia di Atlanta. E un giornalista poteva spostarsi da un posto all'altro senza destare sospetti. Aveva contatti e fonti di informazione che gli consentivano di conoscere fatti ignoti ad altri. Mark aveva ritardato il momento di andare a prelevare Jane dalla casa di accoglienza fino alle undici, prendendosi tutto il tempo per uccidere la guardia giurata e raggiungere il vicolo dove stava Mike. E non avrebbe avuto difficoltà a ottenere accesso a Fraser tutti quegli anni prima. «Al suo albergo non risponde.» Spiro stava chiamando un altro numero. «Mando lì qualcuno.» Grunard. Dom. Aveva insistito per restare al laboratorio il giorno prima. E aveva dato a Sung il suo biglietto da visita, dicendogli di chiamarlo. Spiro aveva terminato la sua telefonata e si stava dirigendo alla porta.
«Inizierò subito a controllare il passato di Grunard, anche se non so fino a che punto possa essere utile. Chissà quante volte si sarà reinventato. Voi tornate a casa e restateci.» Grunard. Per tutto il tragitto fino a casa, Eve non riuscì a smettere di pensare a lui. Faceva fatica a sovrapporlo a Dom, eppure tutto quadrava. Aveva avuto Dom vicino per tutto quel tempo, senza mai sospettare lontanamente di lui. Dio, si era perfino sentita in colpa per non averlo tenuto maggiormente informato. Era paradossale. Grunard era addirittura arrivato ad avvertirla di non permettere a Dom di vederla insieme a Jane... Il pensiero la colpì come un pugno allo stomaco. «Jane.» Aveva lasciato Jane da sola. «Merda.» Joe schiacciò l'acceleratore. «Non ti agitare. Siamo a solo un isolato da casa.» Sfrecciarono attraverso i cancelli e risalirono il viale d'accesso a tutta velocità. Eve saltò giù dalla macchina e si precipitò in casa. «Eve!» Joe le corse appresso. Jane era al sicuro. Jane aveva due guardie del corpo a proteggerla, oltre a Sarah e Monty. Ma Dom era arrivato sino al portico della casa sul lago di Joe. Fece le scale due gradini alla volta. Spalancò la porta della stanza di Jane. Il letto era in disordine, le coperte tirate indietro. Jane non c'era. «Proviamo da Sarah», disse Joe alle sue spalle. Sarah si sollevò sui gomiti nel letto, intontita dal sonno bruscamente interrotto dalla loro irruzione nella sua camera. «Che succede?» «Jane. Non troviamo...» Eve si sedette sul letto, tirando un gran sospiro di sollievo. «Grazie a Dio.» Jane era rannicchiata accanto a Monty su una coperta ai piedi del letto di Sarah. «È venuta un paio d'ore fa», spiegò Sarah. «Ha detto che aveva fatto un brutto sogno su Monty e ha chiesto di restare. Va bene, no?» Eve annuì, cercando di placare il battito forsennato del suo cuore. «Benissimo. Ero solo spaventata. Mi spiace di averti svegliata.» «Non c'è problema.» Eve e Joe uscirono. «Dio, che paura ho avuto», mormorò lei. «A chi lo dici.» Joe le passò un braccio intorno alle spalle. «Vieni, an-
diamo a farci un bel caffè forte. Mi ci vuole qualcosa per riprendermi.» Sarah entrò in cucina quasi un'ora dopo. «Okay. Mi dite che sta succedendo?» Sbadigliò. «Ho cercato di riaddormentarmi, ma non ci riuscivo perché continuavo a pensare.» «Non volevamo disturbarti.» Joe le versò una tazza di caffè. «Be', di sicuro non avete disturbato Jane e Monty. Non hanno fatto una piega.» Bevve un sorso di caffè. «Beati loro. Il sonno degli innocenti. Allora, perché avevate paura per Jane?» Sarah aveva finito la seconda tazza di caffè quando ebbero terminato il resoconto della nottata. «Insomma, è quasi finita.» «Non finché lui non sarà morto o almeno dietro le sbarre», disse Eve. «Ma adesso avete una faccia e un nome. Se sfugge all'FBI, potete rivolgervi a qualche trasmissione televisiva. C'è sempre qualcuno che scova gli assassini.» «Lo fai sembrare molto semplice», commentò ironicamente Joe. «Io ho una natura molto semplice.» Sarah sorrise. «Deriva della vita con i cani. Tutto è o bianco o nero, e raggiungi il tuo obiettivo per la via più diretta possibile. È per questo che opero nel campo dei soccorsi invece di lavorare nella polizia come te, Joe. Non potrei sopportare...» Suonò il telefono. Eve rispose dalla derivazione della cucina. «Devi andartene subito da lì», disse Spiro. «Di' a Joe di portare via te e Jane.» «Perché? Dom?» «No, di Dom non c'è traccia. Ma da un momento all'altro ti troverai la polizia di Phoenix alla porta di casa.» «Perché? Sono stata riconosciuta sul posto dell'incidente?» «No. Hanno ricevuto una telefonata anonima. Secondo te chi può essere stato tanto gentile da informarli?» «Grunard.» «Già. Evidentemente vuole farti saltare fuori dalla tua fortezza.» Eve si sforzò di riflettere. «Ma se mi mettono in prigione, non avrebbe modo di...» «Jane non sarà in prigione. La ridaranno immediatamente in custodia ai servizi sociali di Atlanta.» E così sarebbero tornati al punto di partenza. «Quanto tempo abbiamo?» «Zero. Sloggiate, e di corsa.» Eve riagganciò. «La polizia di Phoenix sta venendo qui. Hanno avuto
una soffiata su Jane.» Guardò Sarah. «È meglio che tu e Monty ve la filiate. Chiama Logan e digli quello che è successo. Sarah infilò la porta. «Vado.» «Joe, caccia qualcosa in una valigia. Io vado a prendere Jane.» Riuscirono ad arrivare soltanto fino al cancello. Stavano aspettando che si aprisse quando videro i lampeggianti delle auto della polizia imboccare la strada privata che portava alla villetta. Joe imprecò fra i denti. «Vattene», gli disse Eve, perentoria. «Cosa?» «Scendi e nasconditi tra i cespugli. Siamo Jane ed io quello che vogliono.» «E io dovrei piantarti in asso?» «Io sarò in prigione. Dovrai essere tu a tenere d'occhio Jane.» Joe imprecò ma saltò giù dalla macchina e si gettò nella siepe lungo il vialetto d'accesso della casa. Eve sgusciò al posto di guida e uscì dal cancello. I lampeggianti le ferirono gli occhi mentre l'auto della polizia le tagliava la strada. «Bene, ci hai cacciati proprio in un bel pasticcio», commentò Logan. «E quella divisa da galeotta non ti dona affatto.» «Non avresti dovuto venire qui.» Eve si protese a guardarlo attraverso il vetro. «E nei pasticci ci sono io, non tu.» «Errore. Ti stanno trattando bene?» «Come qualsiasi delinquente. Sono qui da appena ventiquattr'ore, ma è già abbastanza per ripromettermi che in futuro mi guarderò bene anche soltanto dall'attraversare la strada fuori delle strisce pedonali. In compenso, c'è molto tempo per pensare.» Si tormentò nervosamente le mani. «Suppongo sia quel che Grunard voleva: dimostrarmi che anche se è in fuga può ugualmente colpirmi. Voleva che mi sentissi impotente e mi domandassi che cosa stesse succedendo a Jane. Ha funzionato. La notte scorsa ho creduto di impazzire. Sarah ti ha telefonato?» Lui annuì. «Mi ha ordinato di rendermi utile e pagarti la cauzione.» «Si tratta di rapimento, Logan. Non ci sarà cauzione che possa tirarmi fuori di qui.» «Non è detto. Ci sono le circostanze attenuanti. Barbara Eisley non in-
tende infierire, e tu di norma non sei un soggetto particolarmente pericoloso.» Esitò un istante. «Però sarebbe meglio che ti decidessi a dire dov'è Quinn. Vogliono interrogarlo a proposito del suo coinvolgimento con te.» «Non so dove sia.» «E se lo sapessi non lo diresti.» Si alzò. «Suppongo non mi resti altro che vedere se c'è qualche giudice in questa città o ad Atlanta che posso influenzare.» «Logan, dov'è Jane?» «Per il momento l'hanno in custodia i Servizi famigliari locali. La rimanderanno ad Atlanta appena un operatore sociale verrà a prenderla. Spiro mi ha detto di informarti che la sta facendo sorvegliare.» «Non sarà sufficiente.» «Grunard è latitante.» «Non andrà lontano. Ormai è a un passo dalla conclusione del suo gioco. Se abbandonasse del tutto il campo, significherebbe che ha perso. E questo non potrebbe mai accettarlo.» Tacque un istante. «Se non può arrivare a me, ucciderà Jane. È la mossa più logica, dal suo punto di vista. Vuole entrambe, ma prenderà lei, perché sa che per me sarà un colpo terribile.» «Sei sicura che sappia quanto ti ci sei affezionata?» «Oh, sì.» Eve sorrise senza allegria. «Il bastardo mi ha perfino avvertita di non lasciare mai che Dom ci vedesse insieme.» «Magnifico.» Logan la scrutò socchiudendo gli occhi. «Sarei quasi tentato di lasciarti qui per un po'. Almeno sei al sicuro.» «E Jane diventa il bersaglio.» La voce di Eve vibrava di disperazione. «Se puoi tirarmi fuori di qui, Logan, fallo. Non so tra quanto colpirà.» «Non voglio che tu...» «Ti prego.» Logan borbottò tra sé e si alzò bruscamente. «Vedrò che cosa posso fare. Non so se ci riuscirò per oggi. Potrebbero volerci altre ventiquattr'ore.» Si alzò anche Eve, e la guardia si fece avanti per riaccompagnarla in cella. «Fa' presto.» Altre ventiquattr'ore. Quelle parole le riecheggiarono nella mente mentre percorreva il lungo corridoio. L'idea di essere bloccata là dentro l'angosciava. Quanto avrebbe aspettato Grunard ad agire? Forse sarebbe andato tutto bene. C'era Joe a vigilare su Jane. L'avrebbe tenuta d'occhio lui.
Ma Grunard avrebbe tenuto d'occhio Joe. Avrebbe saputo che stava vigilando su Jane. Il che significava che avrebbe cercato di togliere di mezzo lui, come prima cosa. Il pensiero scatenò in lei un'ondata di puro terrore. Non correrò rischi inutili. Non ho mai desiderato vivere quanto adesso. Le tornarono alla mente le parole di Joe. Ma lei stessa lo aveva esposto a un terribile rischio. Aveva fatto di lui un bersaglio. Quando la porta della sua cella si chiuse dietro di lei fu sul punto di perdere il controllo dei nervi. Era intrappolata là dentro, impossibilitata a fare qualsiasi cosa. Doveva calmarsi. Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Lasciandosi prendere dal panico avrebbe soltanto fatto il gioco di Grunard. Probabilmente in quello stesso momento lui gongolava immaginandosela nella sua cella, pascendosi della sua paura e della sua frustrazione. Non dargli quello che vuole. Lui vuole panico. Dagli freddezza. Vuole emotività. Dagli logica. Ventiquattr'ore. Doveva impiegare quel tempo pensando a Grunard, ripercorrendo ogni istante, ogni conversazione delle ultime settimane. Cercare una pista che portasse a lui, un punto debole da sfruttare. Esaminarlo come se fosse un cranio su cui lavorare, prenderne le misure con metodo, e poi ricostruirlo usando tutte le sue risorse - intelligenza, talento e istinto. Si sedette sulla branda, appoggiando la testa contro il muro. Sta' lontano dalle persone che amo, Dom, pensò Eve. Immaginami tremebonda e disperata nella mia cella. Assapora l'illusione di avermi piegata. Intanto io avrò il tempo di riflettere, e forse troverò il modo di batterti al tuo maledetto gioco. Venne rilasciata dietro pagamento della cauzione all'una e quarantacinque del pomeriggio seguente. Logan era ad aspettarla all'uscita del carcere. «La buona notizia è che con ogni probabilità tutte le accuse contro di te verranno lasciate cadere», le annunciò. «Spiro sta facendo discretamente pressione sulla Eisley. E quella cattiva», aggiunse, «è che finché non sarai prosciolta non potrai avvicinarti a Jane. Una delle condizioni poste per la tua libertà provvisoria è che non ti faccia vedere nel raggio di cinquanta isolati da lei. Se dovessi violare la diffida, ti rispediranno dritta in gabbia.» «Me lo aspettavo. Hai sue notizie?»
«Ho messo un uomo a sorvegliare la struttura dove la tengono.» La prese per un braccio, scortandola giù per le scale. «Oggi arriverà un operatore dei servizi sociali di Atlanta per riportarla indietro.» «Quando?» «In serata. Non so di preciso.» «Allora partiranno probabilmente domani mattina.» Logan inarcò le sopracciglia aprendole la portiera. «Sembri molto calma.» «È solo apparenza», ammise Eve, salendo in macchina. «Me la sto facendo addosso per la paura.» «Ad ogni modo, sei diversa da ieri.» Girò intorno alla macchina per salire al posto di guida. Eve tirò fuori il telefono e fece il numero del cellulare di Joe. Dio, che bello sentire la sua voce. «Sono fuori.» «Grazie a Dio.» «Tieniti pronto. Succederà qualcosa molto presto.» «Non c'è bisogno di dirlo. Con te di nuovo in circolazione, è scontato.» «Ti richiamo.» «Quinn?» chiese Logan. Eve annuì mettendo via il telefono. Lui sorrise sardonicamente. «Non avevi detto di non sapere dove fosse?» «Infatti. E non ce l'ho ancora. So soltanto che sta vigilando su Jane.» Logan lasciò cadere l'argomento. «Dove vuoi andare?» «A casa. Ho del lavoro da fare.» «Lavoro?» «Un paio di telefonate urgenti, e poi devo mettermi al computer.» «Non starai pensando di ingaggiare un killer per fare secco Grunard, spero.» Scosse la testa. «L'idea ha le sue attrattive, ma non è quello che avevo in mente.» «Mi è concesso essere di aiuto?» «Puoi scommetterci.» Sarah Patrick andò incontro a Eve all'ingresso della villetta. «Bentornata a casa.» Lanciò un'occhiata a Logan. «Vedo che una volta tanto ne hai fatta una giusta.»
«Non avrei mai osato deludere le tue aspettative. Ho troppa paura di Monty.» Logan si rivolse a Eve. «Avrai quello che ti serve tra un paio d'ore. Okay?» Lei annuì. «Grazie, Logan. Sono in debito.» «Tra amici non si è mai in debito.» Le sorrise. «Ricordatene.» «Va bene se almeno ti sono grata?» «Stessa risposta.» Si diresse alla porta. Ma lei era in debito, pensò Eve, andando nello studio. E lo sarebbe stata ancora di più se fosse tornato con le informazioni che gli aveva chiesto di procurarle. Sarah la seguì. «Sembri un tantino scossa. C'è qualcosa che posso fare?» «Potresti chiamare i servizi sociali per accertarti che Jane stia bene.» Sarah annuì. «Sto telefonando un paio di volte al giorno. Ho chiesto di poterla andare a trovare con Monty, ma non ce lo permettono.» «Peccato. Vedere Monty le avrebbe tirato un po' su il morale.» «Credo anch'io. Hai pranzato?» Eve fece segno di no. «Ma non ho fame. Ho del lavoro da fare.» «Davvero?» Sarah studiò la sua espressione. «Sei eccitata.» «Logan ha detto che sembravo molto calma.» «In superficie. Ma sotto ribolli come un vulcano. Vuoi parlarmene?» Eve scosse la testa. «Penso di avere trovato un modo per arrivare a Dom.» Fatto. Eve spinse indietro la sedia dal computer e si coprì gli occhi con la mano tremante. Ci sono, Dom. Ci sono. Il suo telefono suonò. Era Joe. «Jane è appena salita su un'auto della polizia con due agenti e James Parkinson, l'operatore dei servizi sociali di Atlanta. Stanno andando all'aeroporto. Li seguo.» «Non pensavo che sarebbero partiti stasera.» «Nemmeno io. Parkinson è entrato e uscito nel giro di un quarto d'ora. Ti richiamo dall'aeroporto.» Eve si sforzò di essere razionale. Era logico che l'operatore sociale volesse portare Jane via da Phoenix al più presto, adesso che lei era tornata in libertà. Ma Jane era più vulnerabile all'esterno e per strada. Un ammasso di lamiere contorte in fondo a una scarpata.
Non poteva succedere due volte. E poi, Joe teneva gli occhi aperti. Ma anche Dom. James Parkinson. Richiamò Joe. «Come fai a sapere che James Parkinson è l'operatore sociale?» «Ho sentito con la mia radio le comunicazioni tra l'autopattuglia e la Centrale.» «Che aspetto ha questo Parkinson?» «Nero, robusto, faccia grassoccia. E ha dovuto esibire i documenti sia all'amministrazione dei servizi sociali sia ai due agenti di scorta.» «Procurarsi dei documenti non è difficile, e Grunard ha avuto tempo per prepararsi.» Ma nonostante tutto si sentiva un po' più tranquilla. «Sta' molto attento, Joe.» «Sai che lo farò.» «Allora, signorina, contenta di tornare a casa?» L'agente Rivera si girò a lanciare un'occhiata a Jane da sopra una spalla. Jane non rispose. «Ho una figlia che ha più o meno la tua età. È nella squadra di softball.» Jane guardò fuori dal finestrino, ignorando sia Parkinson sia i due agenti. Non aveva detto una parola da quando era salita in macchina. Povera bambina, pensò Rivera. Spostò lo sguardo su Parkinson. «Starà bene?» Parkinson annuì, e il bianco dei suoi denti balenò sulla sua faccia scura in un largo sorriso. «Benissimo.» Jane all'improvviso ebbe un sussulto e si girò di scatto a guardare Parkinson. «Su, tesoro, non avere paura.» Parkinson le mise una mano sulla spalla. Jane si irrigidì, poi si accasciò di lato. «Che le succede?» si allarmò Rivera. «Fermati, Ken.» «Oh, no, Ken, non farlo», disse Parkinson, mellifluo. Poi sparò alla testa a Rivera. Merda. Le mani di Joe si contrassero sul volante. C'era qualcosa che non andava. L'auto della polizia stava serpeggiando per le strade della città, cambiando continuamente direzione. Ma che diavolo...?
Aveva ignorato il semaforo rosso della ferrovia, sfrecciando attraverso i binari un attimo prima che arrivasse il treno, lasciando Joe bloccato dall'altra parte. Mentre aspettava che il treno passasse, chiamò via radio la centrale per chiedere rinforzi. «Non m'importa chi viene. Mandate chi vi pare, basta che si sbrighi!» Non stava concludendo niente. Chiuse gli occhi, esasperato. «Okay. Se non volete fermare l'autopattuglia, inseguite me. Sono Joe Quinn.» Diede gas, preparandosi a scattare non appena l'ultimo vagone fosse passato. Gli ci vollero dieci minuti per rintracciare l'auto della polizia. Ma fu seminato un'altra volta nel traffico vicino allo stadio. Eccola lì. Stava svoltando a sinistra due isolati più avanti. La perse di nuovo. Stavolta ci mise cinque minuti a ritrovarla. Era abbandonata sul ciglio di una strada deserta. «L'ho presa, Eve.» Dom. «Stai mentendo. Jane sta andando all'aeroporto.» «Non più. Tra poco riceverai una telefonata. Volevo solo farti sapere che il gioco è quasi finito. È ora che io riscuota la vincita.» «Non ti credo.» «Sì, mi credi. Lo capisco dalla tua voce.» «Fammi parlare con lei.» «L'angioletto è nel mondo dei sogni. L'ho drogata. Una punturina e via. Un trucco vecchiotto, ma sempre efficace. Mi ero travestito a regola d'arte, ma deve aver riconosciuto la mia voce. Del resto, abbiamo un bel viaggetto da fare, e ho bisogno che se ne stia tranquilla.» Lasciò cadere un breve silenzio. «Devo dirti che cosa le farò prima di ucciderla, Eve?» «No.» Chiuse gli occhi. «Non farle del male.» «Non ancora. Non ci sarebbe da divertirsi molto, al momento. Non può sentire niente.» Eve avvampò di rabbia. «Questo ti ha fatto infuriare, vero? Posso quasi sentire le ondate di emozione arrivare fino a me attraverso il telefono. È una piacevole sensazione, ma non dovresti essere così arrendevole.» «Tu non vuoi Jane. Vuoi me.»
«È vero. Voglio che tu muoia per prima, sapendo che cosa c'è in serbo per lei. Vieni a prenderla.» «Dove stai andando.» «Un posto che certamente ricorderai. Cenere alla cenere. Sale al sale. Ho pensato che fosse appropriato. È lì che ho ucciso le mie vittime più gratificanti. Ma non temere, non ti farò a pezzi come ho fatto con loro. Ti rispetto troppo.» «Jane sarà lì?» «Mi credi uno stupido? Potresti prepararmi una trappola.» «Non verrò su quella collina finché non sarò sicura che Jane è viva. Voglio sentire la sua voce.» «La sentirai. Trovati là domani sera alle nove.» Eve rimase con il telefono muto in mano. Cristo. Era stata sul punto di cantare vittoria, e all'ultimo momento Dom le aveva sfilato il tappeto da sotto i piedi. Un attimo dopo arrivò la telefonata di Joe. «L'ha presa. Ho trovato l'auto della polizia abbandonata con a bordo i due agenti morti, e Jane non c'era più.» «Lo so. Dom mi ha già chiamata.» «Merda. Ho fallito.» «Non è colpa tua», gli disse con voce spenta. «Era travestito. Non lo aveva riconosciuto nemmeno Jane.» «È viva?» «Lui dice di sì. Per ora.» «Non ti muovere. Sto arrivando.» Tra poco Joe sarebbe stato lì e l'avrebbe aiutata a sostenere la paura. Non doveva affrontare tutto questo da sola... Sì, invece. Aveva saputo fin dall'inizio che avrebbe dovuto affrontare Dom da sola. Lui contava di attirarla dritta nella sua trappola e uccidere lei e Jane. Avrebbe fatto a pezzi Joe se appena si fosse fatto vedere nelle vicinanze. Bene. Allora manda all'aria il suo piano, pensò. Cattura il cacciatore prima che la trappola scatti. «Sarah! Puoi venire qui?» Sarah si affacciò alla porta. «Che c'è?» Eve alzò un dito. «Un minuto.» Fece il numero del cellulare di Spiro. Le rispose al terzo squillo.
«Dom ha preso Jane, e so dov'è diretto. Incontriamoci lì.» Dovette interrompersi per riprendere il controllo della voce. «Volevi usarmi come esca, no? Perfetto. Troviamo il modo di farlo.» DICIOTTO La notte dopo 20.45 Candele. Dappertutto. Candelabri carichi di ceri le cui fiammelle guizzavano al vento. Lanterne. Lampade a olio. Eve posteggiò la macchina ai piedi della collina e alzò lo sguardo all'inquietante messinscena. È il tuo modo di darmi il benvenuto, Dom? Sei là? pensò Eve. Fece il numero di Spiro. «Dove sei?» «Siamo su una piazzola lungo la strada per Jamison, a un paio di miglia da lì. Non potevamo avvicinarci di più senza rischiare che ci vedesse. Da quella collina si ha un'ottima visuale dei dintorni.» «Lo so. Riesci a vedere le candele?» «Sì. Ricordati di attivare il segnale radio appena stabilisci che Dom è lì. Interverremo subito.» «Non muovetevi finché non sarò sicura che Jane sia viva. Dom dovrebbe chiamarmi tra poco.» «Resta chiusa in macchina nel frattempo. Almeno lì sei al riparo. Hai un'arma?» «Una pistola.» «Te l'ha data Quinn?» «No. Te l'ho detto, non volevo che Joe sapesse niente di questo. Sarah ne aveva una e me l'ha prestata. Ce l'ho in tasca» «Quinn avrebbe potuto farci comodo.» «A rischio di farlo ammazzare da Dom? No, ha già fatto fin troppo per me.» «Dovevo immaginare che il tuo istinto protettivo avrebbe avuto la meglio. Non esitare a usare quella pistola.» Eve rimase seduta in macchina a fissare le fiammelle sull'altura. Cinque minuti.
Sette. Il telefono suonò. «Stai ammirando le mie candele?» chiese Dom. «Voglio parlare con Jane.» «Dubiti di me? Ti ho detto che volevo morissi prima tu.» «Fammi parlare con lei.» «Oh, e va bene.» «Eve, non fare quello che dice!» gridò Jane al telefono. «È un bastardo schifoso e...» Dom le portò via il telefono. «Ti basta? È tutto quello che avrai. Sono stato molto paziente con Jane da quando si è svegliata, ma sta davvero cominciando a seccarmi.» «Mi basta.» «Allora sii mia gradita ospite. Accomodati pure di sopra, io ti raggiungerò tra dieci minuti.» Eve chiuse la comunicazione e compose rapidamente il numero di Sarah. «Dieci minuti a piedi da qui.» «È un'area piuttosto estesa.» «Trovala. Se riesce a uccidermi e scappa, non puoi lasciare che torni da Jane.» «Faremo del nostro meglio.» Nove minuti. Resta chiusa in macchina più a lungo che puoi. Sentiti al sicuro ancora per un po'. Aspetta e guarda le luci tremolanti sulla collina. Sarah indossò la sua cintura tecnica e Monty si mise immediatamente in tensione. «Proprio così, amico. È ora di darci da fare.» Gli fece annusare la T-shirt di Jane. «Trovala.» Si avviò a passo svelto giù per il sentiero. Aveva già valutato la configurazione del terreno, individuando le due possibilità più logiche. Dom non avrebbe di sicuro tenuto Jane allo scoperto. Quindi, il tratto di bosco vicino ai piedi delle montagne a ovest. O il dirupo coperto di arbusti a est. Ciascuno dei due posti distava dieci minuti a piedi dalla collina. Quale direzione scegliere? Avrebbe preso la decisione quando fosse stata più vicina. Pregando che fosse quella giusta.
Monty stava allungando il passo, quasi correndo. Bambina... Dieci minuti. Eve aprì la portiera e scese dalla macchina. Era una notte senza luna, e nell'aria gelida si avvertiva una promessa di neve. Il freddo le penetrava fin nelle ossa, tagliente come un coltello. Si incamminò su per il pendio. Candele. Fiamme. Sei già lì, Dom? Raggiunse la sommità della collina. Nessuno. Solo candele, fiamme e ombre sfuggenti sul terreno desolato. La miriade di luci rischiarava il luogo molto meno di quanto le fosse parso da sotto. Nell'angolo opposto l'oscurità si infittiva in una profonda pozza di buio. Eve si inoltrò nel circolo di luce. Lui la stava osservando, o era solo la sua immaginazione? Si girò di scatto. Nessuno. Oppure era là? Qualcosa tra quelle ombre... Esitò, poi si allontanò dalla luce, andando verso la chiazza di tenebre. «Dom? Mi volevi qui. Vieni a prendermi.» Non un suono. Era il momento di decidere. Sarah si fermò a riprendere fiato. Il bosco o il dirupo? Monty aveva già fatto la sua scelta. Stava correndo verso il folto degli alberi. Si fermò, annusò il terreno e ripartì. Aveva fiutato l'odore di Jane. La macchia scura nell'ombra prendeva sempre maggiore consistenza. Non era una figura eretta. Qualcosa a terra... Eve si avvicinò di più. Ancora non riusciva a distinguerne la forma. Qualche passo ancora. Stava cominciando ad assumere un vago contorno. L'aveva quasi raggiunta. Un corpo? Oh, Dio.
Jane? Eve strillò. L'uomo giaceva a terra con le braccia aperte e le gambe divaricate, i polsi e le caviglie legati a quattro paletti infissi nel terreno, gli occhi sbarrati, i lineamenti contratti da un silenzioso urlo di terrore. Mark Grunard. «È così che ho messo al patibolo mio padre.» Si girò di scatto e vide Spiro alle sue spalle. Lui le sorrise. «Un piccolo omaggio di benvenuto. Doveva essere la bambina, ma sapevo che non saresti venuta se non avessi avuto la speranza di poterla salvare.» «Tu...» bisbigliò Eve. «Dom?» «Naturalmente.» Un uomo che scruta i mostri, pensò Eve. Ma era lui stesso un mostro. «Dio, che idiota sono stata. Non c'è nessuna trappola. Nessuna squadra dell'FBI che interverrà a salvarmi all'ultimo momento.» «Sfortunatamente no.» Si fece più vicino e fu quasi inghiottito dall'oscurità. «Non mettere la mani in tasca. Ho in mano un coltello e posso colpirti prima che tu riesca a prendere la pistola, ma non vorrei che finisse tutto così in fretta. È stato uno scontro superbo, e voglio assaporare la mia vittoria.» «Non hai ancora vinto.» «È questo che ammiro in te. Non ti arrendi mai. Ma dovresti essere più generosa. Ho studiato ogni mossa e condotto il gioco con molta destrezza, devi riconoscerlo. Meritavo di vincere.» «Sì, sei stato abile. Hai incastrato Grunard alla perfezione. Mi hai perfino illustrato le caratteristiche del serial killer in modo che in seguito io potessi collegarle a Grunard. Non mi è mai venuto in mente che potessero adattarsi anche a te. Anzi, ti calzavano addirittura meglio. Se Grunard aveva contatti con la polizia, tu sei un agente speciale dell'FBI. Hai detto che preferivi lavorare sul campo piuttosto che in ufficio. Il che significa che ti si poteva contattare solo al tuo cellulare e nessuno sapeva realmente dove ti trovassi a una data ora. Potevi dire di essere a Talladega quando eri ad Atlanta.» «Sì, il cellulare è una delle cose più utili mai inventate, a mio avviso. Sai, entrare nell'FBI è stata una sfida davvero impegnativa. Controlli approfonditi da cui doveva emergere un passato impeccabile, test psicologici
dai quali dovevo risultare perfettamente equilibrato. Mi sono preparato per quasi due anni prima di presentare la mia domanda. Predisporre i colloqui con persone appartenenti al mio presunto passato è stata la cosa più difficile. Ho dovuto giocare d'astuzia, corrompere e manipolare psicologicamente con una maestria che ti colmerebbe di ammirazione.» «Non credo proprio.» «Ma ne è valsa la pena. Chi sarebbe stato in una posizione migliore per nascondere e alterare le prove? Ovunque e in qualunque momento saltasse fuori qualcuna delle mie vittime, io ero pronto ad affossare le indagini.» «Ma dal rapporto del VICAP è emerso il nesso con l'assassinio dei fratelli Harding.» «Prima che avessi modo di sviare la ricerca. Un contrattempo alquanto irritante.» «E allora perché hai fatto in modo che io trovassi Debby Jordan?» «Sono un fatalista. Avevo visto che tutto mi stava riconducendo alle mie radici. Ti ho voluta qui per aiutarmi a ricominciare daccapo, per farmi rivivere quell'esaltante sensazione di potere.» Le sorrise. «Ha funzionato. Quando ho ucciso Grunard, è stato quasi come ai vecchi tempi. Ma non eri tu. Con te sarà molto meglio.» «Avevi programmato fin dall'inizio di uccidere Grunard?» «Dopo avere esaminato la situazione e tutte le possibilità, mi sono reso conto che uccidendo Grunard avrei conseguito un duplice risultato: creare una falsa pista e rendere il nostro gioco più complesso. Come potevo resistere? Sarebbe diventato Dom e scomparso.» Scrollò la testa. «Ma questa complicazione potrebbe costringermi a trasferirmi e reinventarmi. Grunard aveva una reputazione molto solida. Potrebbero sorgere problemi.» Si strinse nelle spalle. «Non importa. Avrò ampio preavviso, e mi sono già preparato una nuova identità nel Montana. Potrebbe anche essere positivo per me. Essere Robert Spiro mi rendeva tutto troppo facile. Uccidere, insabbiare tutto... Probabilmente, almeno in parte, era proprio questa la causa della mia insoddisfazione degli ultimi tempi.» «Te ne andrai da un'altra parte e continuerai a uccidere.» La voce di Eve tremava. «Ancora e ancora.» «Naturale. È la mia vocazione.» «Quanti morti hai già sulla coscienza?» «Non ricordo di preciso. Nei primi anni il piacere era tale che ero come ubriaco. Uscivo tutte le notti. In seguito l'entusiasmo si è affievolito. Più di trent'anni... un migliaio? Non lo so. Forse di più.»
«Mio Dio.» «Ma non temere. Tu non sarai come gli altri. Mi ricorderò di te.» «Jane non ti serve più. Lasciala andare.» «Sai bene che non lo farò. Conosce la mia faccia, e la piccola strega cercherebbe di nuocermi in ogni modo possibile. È uguale a te.» «Ma ti sei sbagliato sulla sua somiglianza con Bonnie.» «Però l'effetto scenico è stato piuttosto interessante, non trovi? È servito a creare un po' di atmosfera per coinvolgerti emotivamente nel gioco. Le ossa, e poi la dolce piccola Jane.» «Di chi erano le ossa?» Lui rimase in silenzio. «Dimmelo. Erano le ossa di Bonnie?» «Potrei lasciarti morire senza saperlo. Ma allora non ti renderesti conto di quanto sono stato ingegnoso... di come ti ho magistralmente ingannata.» «Quindi non erano di Bonnie.» Lui scosse la testa. «Doreen Parker.» «Allora tutto quello che mi hai detto della tua conversazione con Fraser era falso.» «Non interamente. Ho davvero parlato con lui. È stato molto semplice per me, essendo un agente dell'FBI. Era un mitomane e stava rivendicando alcune delle mie uccisioni. Abbiamo fatto una bella chiacchierata, e gli ho detto di starsene al suo posto. Dato che aveva il buon senso di ammirarmi immensamente, è stato molto accomodante.» «Sapevi del gelato. Lo hai scoperto dai verbali della polizia?» «No, te l'ho detto che Fraser e io abbiamo conversato piacevolmente. Mi ha raccontato tante cose su Bonnie. Vuoi sapere come lo ha fatto?» Eve serrò i pugni, cercando di resistere alle ondate di dolore che la stavano travolgerlo. «No.» «Codarda.» Spiro socchiuse gli occhi, scrutandola. «Ma vuoi sapere dove è seppellita, vero? Hai sempre voluto trovarla.» «Voglio riportarla a casa.» «Troppo tardi. Morirai senza averla trovata. Questo ti fa soffrire terribilmente, vero? Bonnie è sepolta tutta sola nel Parco Nazionale di Chattahoochee, e tu sarai sepolta qui, a centinaia di miglia da lei. Non è straziante?» «Sì.» «Lo so. Posso sentire il tuo dolore.» «E ti piace, bastardo.»
«Devo spremere tutto quel che posso dal momento. Finirà tutto troppo presto.» Si interruppe un istante. «Non mi hai chiesto di che colore ti darò la candela.» «Non m'importa.» «Sarà nera. Era il colore delle mie candele, e ho deciso di condividerlo con te. Non lo avevo mai fatto prima. Dovresti sentirti onorata. Le candele sono vicino alla testa di Grunard. Prendile, Eve. Accendile.» Eve non si mosse. «Prendile, o ti prometto che renderò le cose molto difficili per Jane prima di darle la sua candela.» Eve ebbe ancora un attimo di esitazione, poi si avvicinò a Grunard. Come doveva aver sofferto quel poveretto. La sua espressione... «Prendile e torna indietro.» Spiro era ancora immerso nell'ombra. Non ci sarebbe stata alcuna chance se fosse rimasto celato dall'oscurità. Eve raccolse le candele nere. «Ora vieni verso di me.» Si avviò lentamente. Un passo. Due. Tre. «Muoviti. Comincio a essere molto impaziente di...» Eve gli scagliò le candele in faccia. «Eve!» Si mise a correre. Fuori dall'ombra, verso il centro dello spiazzo illuminato dalle candele. «Fermati. Il gioco è finito, Eve.» Si gettò uno sguardo dietro le spalle. La stava inseguendo. Su, corri. Stava guadagnando terreno. Più svelto. Forza. Fuori dall'oscurità. Nella luce. Lo sparo squarciò la notte. Spiro sussultò, incespicò, si accasciò sulle ginocchia. Il coltello gli sfuggì dalla mano. Abbassò uno sguardo incredulo al sangue che gli sgorgava fuori dal pet-
to. «Eve?» Lei si voltò a guardarlo. «Adesso il gioco è finito, figlio di puttana.» Lui si toccò il petto e ritrasse la mano. Era imbrattata di sangue. «Chi...» «Joe.» «No. Ho controllato prima di accendere le candele. Non c'era un posto dove potesse nascondersi...» «È stato un tiratore scelto nei SEAL. Una volta mi ha detto di essere in grado di centrare un bersaglio a un chilometro di distanza. Quell'albero laggiù è a nemmeno cinquecento metri. Ero sicura che ti avrebbe colpito se fosse riuscito a vederti, Spiro.» Lui sgranò gli occhi. «Tu sapevi...» Crollò al suolo. Eve si avvicinò e gli si inginocchiò accanto. «Dov'è Jane?» «Fottiti.» «Stai per morire, Spiro. Che differenza può fare?» «Sì... fa differenza. Come... come hai capito...» «Hai fatto quella telefonata anonima e mi hai mandata in prigione. Sono rimasta rinchiusa là dentro quarantott'ore. Per le prime ventiquattro ho dato la testa al muro. Ti sarebbe piaciuto vedermi. Poi mi sono resa conto che ti stavo lasciando vmcere. Così ho passato la seconda notte a pensare. Volevo trovare il modo di rintracciare Grunard. Ho cercato di dissociarmi da me stessa come faccio quando lavoro su uno dei miei teschi, ed esaminare dal di fuori fatti ed eventi. Ho iniziato con qualcosa che mi aveva turbato di primo acchito, ma avevo tralasciato quando ho visto la foto. Charlie ha detto che Sung era eccitato e parlava di profili e curve cromatiche e che ha fatto una telefonata prima di dire che aveva bisogno di vedermi. Poteva aver telefonato a Grunard, ma se lo aveva riconosciuto come l'assassino, perché chiamarlo? No, doveva essere qualcun altro. Così ho chiesto a Logan di controllare il tabulato delle telefonate partite dal laboratorio e scoprire con chi avesse parlato Sung: È venuto fuori che aveva chiamato la Multiplex, una delle maggiori compagnie di elaborazione digitale di immagini della West Coast. Sung voleva verificare quello che aveva riscontrato esaminando la fotografia. Era piena notte, ma in laboratori di quel livello c'è sempre qualcuno in servizio. Avevi mandato la foto alla Multiplex per far sostituire la faccia di Kevin Baldridge con quella di Grunard così che io potessi 'smascherarlo'. Era per questo che tergiversavi a darci la foto.» «Ha funzionato.» «Ma non avevi calcolato quanto fosse abile Sung. I laboratori d'avan-
guardia come la Multiplex creano i propri software, e la variazione del profilo della curva cromatica è come una firma. Sung ha riconosciuto quel particolare profilo e ha capito che la fotografia era stata ritoccata. La Multiplex avrebbe potuto non essere disposta a fornire informazioni su quello specifico lavoro, ma non c'era ragione per non confermare gli aspetti tecnici generali del software. Charlie ti ha telefonato dal laboratorio dopo aver chiamato me?» «Naturale. Lo avevo addestrato bene.» «E così lo hai ucciso. Che cosa avresti fatto se Joe non fosse sceso nella scarpata a recuperare la foto? Sarebbe venuta fuori l'altra fotografia che dicevi di aver mandato a Quantico?» Spiro non rispose. Respirava a fatica. «Ma erano tutte supposizioni, e dovevo verificarne la fondatezza. Alla Multiplex non hanno voluto dirmi niente. Probabilmente avevi dato istruzioni perché il lavoro rimanesse segreto, e tutti obbediscono all'FBI. Così ho preso la foto e ci ho lavorato un po' su io stessa. Non avevo né gli strumenti né l'esperienza per fare quello che aveva fatto Sung, per cui ho eseguito una fusione digitale delle facce dei tuoi fratelli.» Sorrise acidamente. «E, sorpresa delle sorprese, chi ne salta fuori? Nientemeno che Robert Spiro.» «Impossibile. Noi tre non ci somigliavamo per niente.» «Hai ragione, e questo è stato un bene. Avevo molte più probabilità di ottenere una fisionomia ben distinta che se ci fosse stata una somiglianza marcata. Mi servo spesso dei tratti di familiari più anziani per l'invecchiamento progressivo dei bambini. Quando studiavo al National Center for Missing Children, spesso giocavo a fondere insieme diversi membri di una famiglia per vedere che cosa ne risultava. Anche quando l'aspetto dei singoli individui era totalmente diverso, era sorprendente come le somiglianze emergessero una volta combinati tra loro. La faccia che ho ottenuto fondendo quelle dei tuoi fratelli non era esattamente la tua, ma ci si avvicinava abbastanza, e ancora di più dopo che ho invecchiato l'immagine. E questo mi ha indotta a riesaminare tutto quello che era successo.» «Io... non ho fatto errori. Ne sono certo.» «È vero, sei stato praticamente perfetto. Ma eri sempre lì accanto a me, o sullo sfondo.» «Lo era anche Grunard.» «Infatti. E per un po' mi sono arenata su quella conversazione telefonica che ho avuto con Dom mentre tu eri accanto a me, nella stessa stanza, alla
casa sul lago di Joe. Ma poi mi sono resa conto che non era stata esattamente una conversazione. Dom aveva fatto solo una breve comunicazione e riattaccato subito. Un messaggio registrato fatto partire con un timer. Un alibi efficace.» Scosse la testa. «Mi si sono chiarite molte cose, una volta capito che tu eri Dom. Tutte le volte che ci hai messo il bastone tra le ruote. Perché avremmo dovuto insospettirci? Tu eri Spiro dell'FBI.» «Sei molto fiera di te, vero?» Spiro la guardò con malignità. «Non hai ancora vinto. Io non morirò. Mi sento ogni momento più forte. Sopravviverò, e mi daranno l'infermità mentale.» «No, non te la caverai.» Alzò gli occhi e vide Joe in piedi accanto a Eve, intento a fissarlo. «Se c'è anche una sola possibilità che tu viva, ti pianterò un altro proiettile in corpo prima che arrivi la polizia», disse Joe. «Saresti già morto, se non avessi deciso di non arrischiarmi a spararti alla testa. Eri troppo vicino a lei.» «Più vicino di te. Più vicino di chiunque altro. Eve si dimenticherà di te, ma non potrà mai dimenticare me.» Rivolse lo sguardo a Eve. «La bambina morirà. L'ho nascosta bene, e quassù di notte si gela. Non indossa niente di abbastanza caldo, ed è legata. Non la troverai in tempo.» Eve cercò di soffocare il panico. «Ti sbagli. Sarah e Monty la stanno già cercando. La troveranno.» «E se io avessi lasciato una falsa pista? Sapevo che hai Sarah e Monty a disposizione. Ormai dovresti conoscermi: non lascio mai niente al caso. Ah, sono riuscito ancora a spaventarti. Non sei così...» «Ti dispiacerebbe scendere dalla collina e aspettare in macchina?» chiese Joe a Eve. «Credo sia ora di dire addio al bastardo.» «Non te lo permetterà. È ancora troppo tenera.» Spiro si sollevò faticosamente sui gomiti. «La bambina morirà, ma io vivrò per sempre. Vivrò...» Un fiotto di sangue gli sgorgò dal petto. «Ferma l'emorragia, Eve. Lo sai che non puoi lasciarmi morire.» «Crepa.» Eve si alzò e si rivolse a Joe. «Dobbiamo chiamare la polizia locale e poi dare un colpo di telefono a Sarah per sentire se ha trovato Jane.» «Ti raggiungo tra un attimo», le disse Joe. «No.» Abbassò lo sguardo a Spiro. «Non voglio che sia una cosa rapida. Lascia che il bastardo muoia dissanguato.» Gli voltò le spalle e se ne andò. «Eve!»
Continuò a camminare guardando dritto davanti a sé, ignorando l'invocazione incredula e terrorizzata di Spiro. «Non l'abbiamo ancora trovata, Eve», disse Sarah. «La temperatura sta scendendo.» «Lo so. Il bastardo potrebbe avere lasciato una falsa pista, o forse anche più d'una.» «Vuole che Jane muoia.» «Monty sta prendendo un'altra direzione. Devo andare.» Eve guardò Joe, scoraggiata. «Li sta facendo girare in tondo,» Rabbrividì a un'improvvisa raffica di vento tanto tagliente da insinuarsi sotto il giaccone. «Dobbiamo essere vicini allo zero. Se l'ha legata, Jane non può nemmeno muoversi per scaldarsi.» Un'altra falsa pista. Quante ne aveva disseminate intorno il bastardo? Si domandò Sarah, frustrata. Bambina? Monty era disorientato. Continuava a fiutare tracce che non lo portavano a niente. Poi a un tratto smise di correre di qua e di là, si girò verso est e s'immobilizzò. Bambina? «Che c'è, Monty?» Il cane alzò la testa, come in ascolto. Gesù, stava tremando, e il pelo gli si era rizzato sulla schiena. Che diavolo stava succedendo? Altra bambina. Si mise a correre all'impazzata verso est. Altra bambina. Altra bambina. Altra bambina... «L'abbiamo trovata», annunciò Sarah. «Era sotto uno sperone di roccia giù per il dirupo. Per poco non ci sfuggiva.» «Sta bene?» «È intirizzita, ma non presenta sintomi di ipotermia. Le ho dato la mia giacca a vento, e Monty le si è accovacciato contro per scaldarla. Appena avrò ripreso fiato ci mettiamo in marcia.» «Vi raggiungiamo lì.» «No, non voglio farla stare ancora qui al freddo. E camminare le riattiverà la circolazione.» Eve diede la notizia a Joe, che stava venendo giù dal pendio. «Sta bene!»
«Dio, ti ringrazio.» Lanciò uno sguardo indietro verso la sommità della collina. «Peccato che Spiro non sia ancora vivo per poterci godere il suo smacco.» «Lo hai...» «Io non c'entro. Era già morto quando sono salito a controllare.» «Non ti avrei biasimato, se lo avessi finito. Lo avrei ucciso io stessa piuttosto di rischiare che se la cavasse con l'infermità mentale.» «Accidenti, sei veramente cambiata.» «Sì, sono cambiata.» Alzò lo sguardo alla collina ancora illuminata dalle candele. Dom l'aveva cambiata. Ma non come lui avrebbe voluto. Fino all'ultimo aveva pensato di poterla trascinare a fondo, farla morire dentro. Non si era reso conto che invece la sua reazione era stata aggrapparsi alla vita. Come avrebbe detestato saperlo. «Arriva la polizia.» Lo sguardo di Joe era rivolto alle luci di due autopattuglie che stavano risalendo la strada verso di loro. «Avremo un po' di spiegazioni da dare.» «Sì.» La mano di Eve cercò quella di Joe. La sua presa era calda, forte, salda come roccia. Vedi che cosa mi hai dato, Dom? Vita. Amore. Luce dove c'era oscurità, pensò Eve. Brucia all'inferno, bastardo. Si avviarono giù per la strada, tenendosi per mano. «Non c'è problema», disse Eve, fiduciosa. «Insieme riusciremo a superare anche questo.» EPILOGO «Faresti meglio a rientrare. Sarà anche marzo, ma l'aria che tira dal lago è ancora fredda.» Eve si girò e vide Bonnie seduta sugli scalini del portico, appoggiata contro la ringhiera. «Non ho freddo. Chi è la madre qui?» Bonnie ridacchiò. «Mi sto rifacendo di tutte le volte che mi hai detto cose del genere.» «Bambina ingrata.» «Già.» Si schermò gli occhi con una mano scrutando la barca sull'acqua. «Joe ha dato a Jane il suo maglione. Le sta un po' grandmo. Perché non sei andata a pescare con loro?» «Mi sentivo un po' pigra.» «E volevi dare a Joe l'opportunità di legare con Jane.»
«Se conoscevi già la risposta, perché lo hai chiesto?» «Non dovresti preoccuparti. Jane gli piace. È solo che ha qualche difficoltà a lasciare entrare qualcun altro nella sua vita. Gli ci vorrà un po' di tempo per abituarsi.» «Non sono preoccupata.» Eve appoggiò la testa contro la ringhiera. «Sai, piccola, credo proprio di essermi riappacificata con la vita.» «Era ora. Ce n'è voluta di pazienza con te.» Volse di nuovo lo sguardo alla barca. «Non hai ancora detto di me a Joe.» «Lo farò presto.» «Hai paura che ti prenderà per matta? Dovresti sapere che non è così.» «Forse voglio soltanto tenerti tutta per me ancora per un po'. È così grave?» «Non per me.» «O forse ho paura che se ne parlo a qualcuno, tu non tornerai più.» «Questa è una vera scemenza. Perché dovrei mollarti proprio adesso? Mi piace vederti felice.» Eve si sentì pervasa di una grande dolcezza. Era come se là quiete dorata del lago le fluisse dentro. «Ti troveremo, Bonnie. Sarah si è offerta di venire qui con Monty il mese prossimo e setacciare il parco di Chattahoochee. Ti riporteremo a casa, piccola.» «Lo sai che per me non ha mai significato niente, ma l'importante è che tu sia contenta.» Si chinò in avanti, cingendosi le ginocchia con le braccia. «Mi piace Monty. È tanto carino, e anche sveglio.» «Come fai a sapere che è sveglio?» Bonnie non rispose. «Sarah ha detto che gli è successo qualcosa di strano quella notte sulle montagne.» Lo sguardo di Bonnie vagò distrattamente verso la barca. «Davvero?» «Non è che tu ne sai qualcosa, per caso?» «Non essere sciocca, mamma. Come vuoi che possa entrarci io?» Il sorriso canzonatorio che Bonnie le rivolse era insieme malizioso e traboccante di amore. «Lo sai che sono soltanto un sogno.» FINE