PATRICIA CORNWELL L'ISOLA DEI CANI (Isle Of Dogs, 2001) Alla mia amica ed editrice Phyllis Grann 1 Unica First aveva un ...
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PATRICIA CORNWELL L'ISOLA DEI CANI (Isle Of Dogs, 2001) Alla mia amica ed editrice Phyllis Grann 1 Unica First aveva un nome che le stava a pennello, o perlomeno così diceva sempre sua madre. Figlia unica, era anche unica nel suo genere: al mondo non c'era nessuno come lei. E per fortuna, sosteneva suo padre, il dottor Ulysses First, che non aveva mai capito da chi la figlia avesse ereditato la propria malvagità. Diciottenne, Unica era minuta, aveva lunghi capelli corvini, la pelle chiara come madreperla, le labbra grandi e rosee. Era convinta che i suoi occhi celesti avessero un certo potere ipnotico e che le bastasse guardare con intensità una persona per piegarla ai voleri del suo Scopo. Unica era capace di seguire le sue vittime per settimane, caricandosi spasmodicamente in attesa dell'atto finale, sfogo indispensabile e folle cui generalmente seguiva uno stato di black-out. «Mi scusi. Scusi, stava dormendo? Ho un guasto alla macchina!» Stava bussando sul finestrino di un autotreno fermo davanti al mercato ortofrutticolo appena fuori del centro di Richmond. «Ha per caso un cellulare?» Erano le quattro del mattino, era buio pesto e il parcheggio era male illuminato. Benché Moses Custer sapesse benissimo che era pericoloso stare lì da solo a quell'ora, aveva dimenticato la prudenza dopo un litigio con la moglie, in seguito al quale era uscito sbattendo la porta e aveva preso il camion, deciso a passare la notte per conto suo vicino alle bancarelle di frutta e verdura. Così imparava, quella strega. Siccome continuavano a bussargli sul finestrino, aprì la portiera. «Santo cielo, che cosa ci fa una ragazza tanto graziosa in un postaccio simile a quest'ora della notte?» domandò confuso e intontito guardando quel visino delicato che gli sorrideva angelico. «Stai per fare un'esperienza unica» gli rispose lei. Era la frase che pronunciava sempre prima di realizzare il suo Scopo. «Eh?» Moses non capiva. «Quale esperienza unica?» chiese all'angelo. La risposta gli arrivò sotto forma di un contingente di demoni, che lo presero a calci e pugni, strappandogli i capelli e i vestiti. In quell'inferno di
botte e di oscenità, Moses sentì bruciare le povere membra lacere, su cui i diavoli si accanirono finché, avendolo preso per morto, lo lasciarono riverso a terra e scapparono sul suo camion. Per un po', Moses osservò dall'alto il proprio corpo martoriato ed esanime sull'asfalto. Sotto la pioggia battente la pozza di sangue dietro la testa si stava allargando, uno stivale era stato scagliato lontano e il braccio sinistro era piegato in modo innaturale. Mentre Moses si guardava, una parte di lui, affranta, si sentiva pronta per l'Eternità, ma un'altra rimpiangeva la vita e se ne addolorava. «Ho la testa rotta» si lamentò, scoppiando in singhiozzi. Poi vide tutto nero. «Oh, la mia testa! Signore, non sono pronto! Non è ancora la mia ora!» L'oscurità si sciolse in una nebbia squarciata solo a tratti da luci intermittenti e sagome in movimento: c'erano pompieri, paramedici e poliziotti con le tute impermeabili gialle a bande fosforescenti. La pioggia era fredda e fitta, l'asfalto bagnato crepitava e si sentivano urla eccitate e incomprensibili. Moses aveva l'impressione che ce l'avessero con lui e si spaventò, sentendosi piccolo e vergognoso. Cercò di aprire gli occhi, ma era come se li avesse cuciti. «Che cosa è successo a quell'angelo?» continuava a borbottare. «Diceva che le si era guastata la macchina...» La macchina di Unica, invece, funzionava benissimo. Girò in centro per un paio d'ore ascoltando alla radio i notiziari che parlavano del furto di un autocarro davanti al mercato ortofrutticolo, presumibilmente commesso dalla stessa banda di pirati della strada che da qualche mese terrorizzava la Virginia. Unica era meno soddisfatta del solito, però. Avrebbe giurato che il vecchio camionista nero fosse morto e le dava fastidio che i suoi compiici avessero avuto troppa fretta di scappare, togliendole la possibilità di sfogarsi appieno. Fosse stato per lei, avrebbe completato l'opera, in modo che il camionista non aprisse mai più bocca. Non aveva paura che i poliziotti la notassero mentre guidava la sua Miata bianca a quell'ora improbabile. Se era Unica, lo era anche perché non sembrava quello che era né sembrava il tipo da fare quello che faceva. Era talmente certa della propria invincibilità che si fermò davanti al Fred's Mini Mart, dove era parcheggiata un'auto della polizia. Unica sapeva riconoscere lontano un miglio le auto della polizia, anche quando erano prive di contrassegni. Entrò nel supermarket e notò un bel ragazzo biondo alla cassa, in jeans e camicia di flanella, con un cartone di
latte in mano. Lo squadrò ben bene per vedere se aveva una pistola e si accorse del lieve rigonfiamento sulla schiena all'altezza della cintura. «Grazie, Fred» disse il poliziotto in borghese al cassiere. «Grazie a te, Andy. Era un po' che non ti vedevo. Sarà un anno che sei sparito dalla circolazione...» «Be', adesso sono tornato» replicò Andy mettendo in tasca il resto. «Mi raccomando, fa' attenzione: quella banda è davvero pericolosa. Hanno appena aggredito un altro camionista.» «Ma sì, l'ho sentito! L'hanno ridotto male? Ti stai occupando tu del caso?» «No, non ero in servizio. L'ho saputo dalla radio come te» rispose Andy, lievemente rammaricato. «Dicono che siano aggressioni a sfondo razziale, e secondo me hanno ragione» commentò Fred. «A quanto ho sentito, il capo della banda è bianco e finora le vittime sono tutte di colore, a parte la camionista aggredita qualche mese fa. Ma in fondo anche lei apparteneva a una minoranza, no? Voglio dire, non è che a me piacciano le lesbiche, però... Non so più dove ho letto che le hanno infilato un bastone su per... Oh!» Nel vedere Unica comparire come dal nulla davanti alla cassa con una confezione da sei bottiglie di Michelob, esclamò: «Mi scusi! Ha fatto tanto piano, signorina, che non mi sono nemmeno accorto che era entrata!». Unica sorrise. «Mi dà anche un pacchetto di Marlboro, per favore?» chiese con una vocina dolce. Era molto carina e ben vestita, tutta in nero, ma aveva un paio di anfibi sporchi e tutti graffiati e sembrava che avesse preso la pioggia. Andando verso la sua Caprice, Andy notò una Miata bianca nel parcheggio e poco dopo vide la ragazza graziosa ma con lo sguardo strano che ci saliva sopra. La Miata gli rimase dietro fino a quando Andy raggiunse il Fan District, ma quando lui rallentò per prenderle il numero di targa, svoltò in Strawberry Street. In preda a una strana sensazione che non riusciva a interpretare, Andy tornò a casa e si preparò una ciotola di cereali, continuando a sentirsi osservato. Unica era bravissima a pedinare la gente, poliziotti compresi. In piedi nell'ombra, dall'altra parte della strada, osservava Andy che passava da una stanza all'altra con la ciotola in mano. Lo vide scostare le tende e guardare fuori nella via deserta più di una volta. Puntò lo sguardo nella sua direzione e sentì il potere che aveva sulla sua mente. Era chiaro che il poliziotto biondo era a disagio e intuiva qualcosa, perché lo spirito di Unica vagava
per il mondo da parecchio: l'ultima volta si era incarnato in un nazista a Dachau, in Germania. Ma molto tempo prima era stato l'Avversario, con mille occhi in tutto il corpo. Questo l'aveva scoperto attraverso i tarocchi. Andy scostò di nuovo le tende, ormai talmente agitato da girare per casa con la pistola. Forse il suo nervosismo era dovuto al fatto che non aveva partecipato alle indagini sull'aggressione a Moses Custer. Lo deprimeva sapere che quel pover'uomo era stato preso a calci e pugni e poi lasciato lì sull'asfalto in fin di vita e lui non aveva fatto niente per aiutarlo perché l'aveva saputo troppo tardi. Oppure, semplicemente, era di cattivo umore per essere rimasto in piedi tutta la notte ed era emozionato ma anche spaventato da ciò che stava per succedere. Andy Brazil aspettava quel giorno da un anno intero. Dopo tante fatiche, stava finalmente per pubblicare in rete il primo di una lunga serie di articoli firmati Vigile Verità. Era un progetto molto ambizioso che Andy aveva sostenuto con determinazione sin dalla prima volta che ne aveva parlato al suo capo, nella sede della polizia di Stato della Virginia. "Vorrei che mi ascoltassi, prima di dirmi no" aveva esordito chiudendo la porta dell'ufficio del comandante Judy Hammer. "E devi giurarmi che non parlerai a nessuno di quello che sto per proporti." Judy Hammer si era alzata dalla scrivania ed era rimasta un attimo in silenzio. Con le bandiere della Virginia e degli Stati Uniti alle spalle e le mani in tasca sembrava il simbolo del potere. A poco più di cinquantacinque anni, era una bella donna e aveva uno sguardo così penetrante da sondare l'animo della gente e infiammare le folle. Il tailleur corto e aderente lasciava indovinare un fisico che Andy doveva stare attento a non ammirare troppo apertamente. "Va bene." Judy Hammer aveva cominciato a passeggiare avanti e indietro, com'era sua abitudine, riflettendo sul progetto che Andy aveva appena finito di esporle. "La mia prima reazione sarebbe di dirti no. Io credo che sarebbe un grosso errore interrompere così presto la tua carriera, Andy. Ti ricordo che hai lavorato nella polizia municipale soltanto un anno a Charlotte e un anno a Richmond e sei in quella di Stato da neanche sei mesi." "In questo periodo ho scritto centinaia di articoli per giornali e riviste locali" le ricordò. "Ed è la parte più importante del mio lavoro, o sbaglio? Non è mio compito specifico informare l'opinione pubblica dei problemi che la polizia affronta quotidianamente e di che cosa intende fare o non fare per risolverli? Mi sono sempre occupato prevalentemente di comunica-
zione, mi sembra. Be', adesso vorrei farlo in grande, rivolgermi a un pubblico più vasto." Andy aveva avuto un iter professionale alquanto bizzarro. Appena laureato, aveva fatto il giornalista ed era entrato nelle forze dell'ordine come volontario per assistere in prima persona agli eventi di cui scriveva sul giornale locale per il quale lavorava. A quei tempi viveva a Charlotte, nel North Carolina, e Judy Hammer era a capo del locale Dipartimento di polizia. Dopo un po' lo aveva assunto, ma Andy aveva continuato a scrivere editoriali e articoli di cronaca nera. Judy Hammer gli aveva dato questa opportunità senza precedenti perché era lei stessa in una situazione inusuale, in quanto il National Institute of Justice le aveva dato l'incarico di risanare i dipartimenti di polizia meno efficienti. Personalità anticonformista, aveva preso Andy sotto la propria ala protettrice e se lo era portato appresso a ogni trasferimento. Quando era andato a proporle il sito di Vigile Verità, osservandola passeggiare nervosamente avanti e indietro, Andy aveva intuito che il comandante aveva preso la sua protesta come una dimostrazione di scarsa gratitudine. "So che hai fatto molto per me" le aveva detto. "Non voglio voltarti le spalle e andarmene." "Non è questo che mi preoccupa" gli aveva risposto lei, con un tono che Andy aveva interpretato come un'evidente manifestazione del fatto che se anche se ne fosse andato veramente a lei non sarebbe importato un fico secco. "Non te ne pentirai" le aveva promesso. "Ho molte cose da dire. Non voglio limitarmi a riferire di scippi, rapine, multe per eccesso di velocità e statistiche varie. Voglio inserire il comportamento criminale in un contesto storico e antropologico. Ritengo che valga la pena farlo, visto che le cose vanno sempre peggio. Non potresti farmi avere una sovvenzione, una borsa di studio o qualche finanziamento, in maniera tale che io possa continuare ad arrivare alla fine del mese dedicandomi però alla ricerca e alla scrittura? A proposito, vorrei anche prendere lezioni di volo." "E perché mai?" "Penso che potrei fare molto di più, se avessi un brevetto di pilota di elicottero" aveva spiegato Andy. Judy Hammer lo aveva accontentato, forse intuendo che Andy sarebbe andato per la sua strada comunque, con o senza di lei. E così gli aveva dato il permesso di dedicarsi a un progetto speciale e segretissimo in rete, a condizione che restasse assolutamente anonimo, perché il governatore Be-
dford Crimm IV, anziano aristocratico, autocratico e antipaticissimo, non autorizzava la Hammer a divulgare alcuna informazione senza il suo previo consenso. Era pertanto indispensabile che gli scritti di Andy non potessero essere direttamente ricollegati alla polizia di Stato della Virginia, che però avrebbe dovuto essere dipinta in modo lusinghiero così da aumentarne la popolarità fra i cittadini. Un'altra condizione imposta da Judy Hammer era che Andy si rendesse disponibile per le emergenze. Se poi voleva prendere lezioni di volo, avrebbe dovuto organizzarsi da solo. Andy aveva azzardato: "Potrò contare su un rimborso delle spese di viaggio?". "Perché, dove pensi di andare?" "Devo condurre ricerche storiche e archeologiche." "Credevo che volessi inserire il comportamento criminale in un contesto storico e antropologico" gli aveva fatto notare la Hammer. "Che cosa c'entrano i viaggi e le lezioni di volo?" "Per raccontare i mali dell'America di oggi devo partire da quelli dei suoi albori" le aveva spiegato Andy. "E i piloti scarseggiano. Negli ultimi tre mesi se ne sono già andati in due." Andy si sedette al tavolo del salotto che aveva trasformato in studio, perennemente ingombro di carte, digitò la password e aprì un file. Dopo dodici mesi di faticose ricerche, lezioni di volo e addestramento a terra, non vedeva l'ora di lanciarsi all'inseguimento di qualche malfattore per terra e per aria e di indagare su qualche delitto. E non vedeva l'ora che la gente leggesse i suoi articoli. A volte fantasticava di sentir parlare di Vigile Verità e di quello che scriveva mentre lavorava, pilotava l'elicottero o interveniva sul luogo di qualche delitto, naturalmente da gente che non immaginava nemmeno lontanamente che Vigile Verità fosse fra loro in quel momento a raccogliere informazioni preziose. Solo Judy Hammer ne conosceva l'identità, ma sia lei che Andy avrebbero fatto di tutto perché non diventasse di dominio pubblico. Quando, per esempio, aveva fatto ricerche archeologiche in Inghilterra e in Argentina, Andy non si era mai presentato come giornalista o poliziotto, ma come semplice ventottenne in procinto di laurearsi in storia, criminologia e antropologia. Era stata la sua prima missione in incognito e si era sorpreso che nessuno si fosse mai dato la pena di controllare se risultava effettivamente iscritto a qualche università o se era davvero chi diceva di essere.
Sebbene non fosse un vanitoso, Andy sapeva di essere abbastanza dotato. Alto, biondo, con un bel fisico e lineamenti tanto delicati che da ragazzino i compagni di scuola, per rivalersi, lo chiamavano "femminuccia". Aveva occhi azzurrissimi che cambiavano a seconda dei pensieri o degli umori, come un cielo che si rischiara e si rannuvola. Molto espressivo, si capiva subito se era preoccupato, tranquillo o in preda a forti sentimenti. Intelligente e rapido, sapeva usare parole dure o scintillanti come argento a seconda dell'occasione. Non gli era stato mai difficile ottenere quello che voleva perché in genere risultava affascinante, e comunque non passava inosservato. Non aveva avuto una vita facile, tuttavia: suo padre era rimasto ucciso in uno scontro a fuoco quando lui era piccolo, lasciandolo solo con una madre alcolizzata che non aveva mai capito quanto era in gamba suo figlio e lo aveva tenuto prigioniero in un regno solitario di preoccupazioni e fantasie. Se non fosse stato abituato alla solitudine, Andy non sarebbe riuscito a sopportare l'isolamento dello studioso e del ricercatore. Ma ora che il mondo stava per leggere i risultati delle sue fatiche, si sentiva cupo e perturbato come la mattina fuori delle sue finestre. Nuvoloni gonfi incombevano sulla città. Quando un fulmine rischiarò l'alba plumbea, a Andy venne in mente che se fosse mancata la luce e il computer non fosse riuscito a partire, sarebbe stato un infausto presagio. A scuoterlo da quei tristi pensieri fu lo squillo del telefono. «Almeno sei sveglio» disse Judy Hammer senza nemmeno salutarlo. «Sono...» «Mi dispiace non aver saputo dell'aggressione al mercato ortofrutticolo» la interruppe Andy. «Credevo che nelle emergenze fosse necessaria la mia presenza.» «Non in questa» replicò la Hammer. «Il modus operandi è sempre lo stesso? Tagli e ferite dappertutto?» «Purtroppo, sì. Ha diverse ferite sul collo, presumibilmente provocate da una lama, nessuna letale» spiegò. «Evidentemente chi l'ha aggredito è scappato in tutta fretta e la vittima è riuscita a chiamare il pronto intervento. Ti ho telefonato perché sto aspettando Vigile Verità» gli disse. «Credevo che partisse alle sei e mezzo di stamattina. Sono già le sei e trentacinque.» Era il suo modo per dirgli: "In bocca al lupo". UNA BREVE SPIEGAZIONE
di Vigile Verità I primi anni di storia degli Stati Uniti d'America sono stati ricostruiti sulla base di testimonianze da noi ricevute sotto forma di lettere, cronache, resoconti di vita vissuta, mappe e pubblicazioni dell'inizio del diciassettesimo secolo. La maggior parte degli originali è andata perduta per sempre oppure vive nel silenzio di qualche collezione privata. Altri documenti storici, conservati a Richmond, purtroppo bruciarono durante la Guerra Civile, così che i nordisti potessero riscrivere la storia e convincere gli scolari di tutto il mondo che il nostro paese nacque a Plymouth, che è una palese menzogna. Questa e altre menzogne non devono sorprenderci. Molti di quelli che conosciamo come "fatti" sono in verità semplice propaganda a opera di persone piene di pregiudizi o comunque dotate di prospettive limitate. Voci passate di bocca in bocca, di articolo in articolo, di e-mail in e-mail, storie raccontate dai politici ai cittadini, dai testimoni ai giurati, arrivano a presentare una versione dei fatti enormemente distorta, quando non palesemente fasulla. Per questo, cari lettori, tengo a precisare che nelle mie dissertazioni mi baserò soltanto su ricerche condotte in prima persona e fatti inoppugnabili, e seguirò i principi della scienza e della medicina, notoriamente privi di immaginazione, personalità, ambizioni e rancori. Il DNA, per esempio, è assolutamente imparziale: a lui non importa niente se sei o non sei stato tu. Il DNA sa chi sei, sa chi sono i tuoi genitori e i tuoi figli, ma non ha opinioni in merito e se ne frega di te. Non vuole la tua amicizia né il tuo voto. Il DNA riconosce il tuo sperma, ma non ti giudica, e non ha il minimo interesse voyeuristico per il come e perché l'hai lasciato lì dove l'hai lasciato. Per questo io sono più disposto a credere al DNA che all'imputato e mi dispiace che il DNA sia troppo occupato a risolvere problemi giudiziari e di paternità contestata per potersi dedicare alla ricostruzione della storia degli Stati Uniti. Se il DNA avesse tempo, immagino che ci dimostrerebbe che tante nostre convinzioni sul passato sono errate, alcune in maniera molto grave. Siccome però il DNA non può affiancarmi nel mio lavoro, dovrò cercare di spiegarvi da solo che cosa ho scoperto sugli inizi dell'America moderna, nella speranza che possa servirci per capire chi siamo e perché la nostra società è quella che è. La storia comincia con un piccolo ma significativo episodio nel porto di Londra, il 20 dicembre del 1606, quanto trentasei marinai e centootto avventurieri dissero addio ai familiari e bevvero l'ultimo
boccale nelle birrerie dell'"Isle of Dogges", come viene indicata in una mappa di Londra del 1610. Scese le scale di Blackwall fino al molo, gli avventurieri, che volevano di più dalla vita e ambivano a oro e argento, salirono a bordo della Susan Constant, della Godspeed e della Discovery e incominciarono il loro storico viaggio alla volta del Nuovo Mondo rimanendo bloccati alla foce del Tamigi per sei settimane. Le cronache sostengono che il motivo di tanto ritardo fu la bonaccia o il vento contrario. Se qualcuno tra gli avventurieri e i marinai abbia guardato dalle navi le birrerie dell'Iste of Dogs con rimpianto e nostalgia a noi non è dato sapere, ma la matematica ci dimostra che nessuno degli imbarcati lasciò la nave. Durante il viaggio uno morì nei pressi dei Caraibi, forse per un colpo di calore, e il 14 maggio 1607, quando le tre navi attraccarono finalmente a Jamestown Island, sulla sponda settentrionale del James River, in Virginia, sbarcarono centosette coloni. Poco dopo tre di essi furono uccisi dagli indiani, e a luglio le navi ripartirono per l'Inghilterra per fare rifornimento, lasciando nel Nuovo Mondo centoquattro persone. Il loro numero scese rapidamente mentre i marinai e il capitano Newport tornavano in Inghilterra. Al loro arrivo, suppongo che si siano ristorati e abbiano fatto progetti per il futuro nelle birrerie dell'Isle of Dogs e al Sir Walter Raleigh House, mentre in Virginia i coloni aspettavano i rifornimenti e cercavano di stabilire relazioni pacifiche con gli indiani, o i selvaggi, come li chiamavano, scambiando con loro pezzetti di rame e altri gingilli per cibo e tabacco. Nessuno è ancora riuscito a dare una spiegazione esauriente del motivo per cui fra i coloni e gli indigeni i rapporti fossero tanto incostanti, ma immagino che la risposta sia da cercarsi nella natura dell'uomo, che aspira a dominare, si offende e tende a essere bigotto, egoista e avido, a ingannare il prossimo, ad aggredirlo e derubarlo. Nessuno ha mai spiegato nemmeno perché l'Isle of Dogs si chiamasse così, ma si sa che, nel periodo elisabettiano, marinai e pirati si ristoravano nelle locande dell'isola ogni volta che arrivavano da un lungo viaggio o prima di imbarcarsi in qualche nuova impresa. Affronterò quanto prima l'argomento pirati, perché certamente furono una presen'za importante all'inizio della storia americana e continuano a costituire un problema adesso, sulla strada e per mare, sebbene i loro mezzi di trasporto, armi ed equipaggiamenti si siano evoluti enormemente nel corso dei secoli. Purtroppo, però, i pirati moderni hanno la stessa persona-
lità e lo stesso modo di comportarsi di quelli vecchi. Restano spietati tagliagole convinti che solo i morti non parlano e, sulla base di questa loro convinzione, a ogni abbordaggio fanno una strage. Perché non crediate di essere esenti da simili difetti caratteriali, cari abitanti della Virginia, vi ricordo che la Chesapeake Bay un tempo era infestata dai pirati e Tangier Island commerciava apertamente con loro, oltre a ospitarli, tanto che la leggenda vuole che persino Barbanera in persona vi avesse risieduto. Ora che ho cominciato a dirvi la verità, cari lettori, spero che rifletterete sulla vostra vita e che da oggi stesso cercherete di mettere i bisogni e i sentimenti di almeno un'altra persona davanti ai vostri. Come allo specchio tutto sembra più vicino di quanto non sia, così nell'autostrada della vita il Passato non mantiene le distanze di sicurezza e viaggia a un passo da noi. Siamo ciò che eravamo, e più le cose cambiano meno cambiano, a meno che non cambiamo noi nel profondo del nostro essere. Mi raccomando, occhi aperti! 2 Il governatore Bedford Crimm IV non sapeva nulla del sito web di Vigile Verità finché il suo addetto stampa, Major Trader, non andò da lui all'una del pomeriggio e posò uno stampato della Breve spiegazione sulla sua antica scrivania di mogano. «Ne sa qualcosa, governatore?» gli domandò. Crimm prese il foglio e strizzò gli occhi. «Di che cosa si tratta, esattamente?» «Bella domanda» rispose Trader afflitto. «Ce lo aspettavamo, ma non potevamo né controllarlo né prevederne gli effetti, perché Vigile Verità è uno pseudonimo. E sembra impossibile rintracciare questo scriteriato su Internet.» «Capisco» borbottò il governatore guardando lo scritto senza vedere nulla. «Si tratta di un pubblico ufficiale? Oh, grazie» aggiunse, piacevolmente sorpreso che Trader gli servisse un pasticcino al cioccolato su un piattino di Wedgwood. «Freschi di stamattina e confezionati con il miglior cioccolato belga. Temo di averne mangiati un po' troppi.» «Sua moglie è un'ottima cuoca» osservò il governatore masticandone metà. «Scommetto che non usa miscele preconfezionate e fa tutto lei.» Mangiò il resto della pasta, non riuscendo a resistere alla tentazione del
cioccolato. «Certamente. La ricetta è tutta sua. Inventata di sana pianta.» Il governatore ci pensò su, pulendosi le dita in un fazzoletto. «Strana espressione, di sana pianta.» «Volevo dire che, oltre a preparare i dolci, sceglie gli ingredienti e...» «Okay, okay» tagliò corto il governatore, che voleva semplicemente esprimere una curiosità e non avere una risposta. «Passiamo a cose più importanti.» Stava perdendo la pazienza. «Certo» lo assecondò Trader. «Vigile Verità. Fra i vigili urbani non risulta alcun Verità e sembra che nessuno abbia mai sentito parlare di lui. Prima di pubblicare questo articolo in rete, tuttavia» disse indicando il foglio «il sito di Vigile Verità era stato abbondantemente pubblicizzato ed erano noti sia il giorno sia l'ora della pubblicazione del primo articolo. Chiunque sia l'autore, conosce abbastanza Internet da assicurarsi una buona visibilità.» Il governatore Crimm prese in mano la sua lente d'ingrandimento in avorio del diciannovesimo secolo, di fabbricazione inglese, e lesse lo stampato a sufficienza da interessarsi e offendersi lievemente. «È chiaro che questo Vigile Verità abita in Virginia o comunque della Virginia parla» continuò Trader indignato mentre il governatore continuava a leggere. «Ho raccolto in un file tutti i messaggi pubblicitari e i mailing che ha spedito e ho l'impressione che abbia accesso a tutti gli elenchi governativi del Commonwealth, ragion per cui sospetto che sia uno che opera dall'interno, un voltagabbana, un piantagrane.» «Be', mi fa piacere che dica che l'America è iniziata a Jamestown e non a Plymouth» osservò il governatore, la cui famiglia abitava in Virginia sin dai tempi della rivoluzione americana. «Mi ha sempre seccato che altri Stati si prendessero il merito di imprese nostre. Non sono d'accordo, invece, quando dice che non bisogna credere alla storia. Così dicendo pesta i piedi a diversa gente, non le pare? E cos'è questa storia dei pirati?» Posizionò la lente d'ingrandimento sul nome di Barbanera. «Un bel problema. Ha sentito i notiziari, stamattina?» «Sì, sì» rispose il governatore distratto. «Che cos'altro mi sa dire dell'aggressione?» «La vittima, Moses Custer, è stata picchiata selvaggiamente e non ricorda quasi nulla. Delirava a proposito di un'esperienza unica con un angelo che aveva un guasto alla macchina. Dopo essersi ripreso, alle domande degli investigatori ha riferito di un giovane bianco con i capelli da rasta che
imprecava nello scoprire che il camion era carico di zucche. Pare che lui e il resto della banda le abbiano scaricate di nascosto nel James River. Custer ha riportato ferite da arma da taglio molto simili a quelle delle altre vittime.» «Credevo che volessimo fare di tutto per far passare sotto silenzio la storia dei pirati» ricordò il governatore. «Non avevo chiesto al comandante Hammer di non rilasciare dichiarazioni alla stampa senza la mia approvazione?» «Infatti. E finora siamo riusciti a tenere nascosti alla stampa i particolari che potevano destare più sensazione.» «Non crede che Vigile Verità voglia divulgare il problema dei pirati su Internet, vero?» «Temo proprio di sì» fece Trader, come se lo sapesse per certo. «Dobbiamo aspettarci che il suo sito web dia la stura a una serie di proteste e lamentele perché, a quanto sembra, Vigile Verità è addentro alle cose. Non vorrei che incolpasse la sua amministrazione, se le cose dovessero peggiorare.» «Come se fosse la prima volta! Danno sempre la colpa a me di tutto!» si lamentò il governatore sentendo un brontolio nello stomaco e un torcersi di budella che potevano essere la premessa a qualcosa di assolutamente poco piacevole. La salute di Crimm non era più quella di una volta: gli capitava di stare male sempre più spesso. La sera prima aveva partecipato all'ennesima cena ufficiale, e visto che fra gli invitati c'erano alcuni dei suoi finanziatori più importanti, si era ritenuto indispensabile servire piatti e vini tipici della Virginia. Questo significava prosciutto di Smithfield con salsa di mele di Winchester, fagottini ripieni secondo la ricetta dell'anteguerra e vini nostrani. Tutta roba che il suo apparato gastrointestinale non sopportava, soprattutto le mele. E infatti Crimm aveva passato la mattinata alla ricerca di una toilette sicura e tranquilla finché a un certo punto aveva deciso di sospendere la riunione e si era ritirato nel proprio studio, che aveva pareti spesse e un bagno privato in cui poteva chiudersi senza che gli uomini della sua scorta si schierassero davanti alla porta. Come se non bastasse, i vini tipici della Virginia gli avevano fatto venire un insopportabile mal di testa. «Non capisco perché io debba servire alla mia tavola vini scadenti e soprattutto li debba bere» protestò amareggiato, continuando a leggere il saggio di Vigile Verità.
«Scusi, governatore, non capisco» chiese Trader confuso. «Di quali vini parla?» «Ah, già, lei non c'era, ieri sera» sospirò Crimm. «Avremmo dovuto servire vini francesi. Pensare che Thomas Jefferson amava tutto ciò che era francese, vini compresi. Potremmo rifarci a lui e rispolverare la tradizione di servire vino francese nella casa del governatore.» «Sa bene che una simile scelta verrebbe aspramente criticata» gli ricordò Trader. «Comunque, io sono d'accordo con lei sul fatto che i vini francesi siano molto migliori di quelli virginiani. Se la gente lo venisse a sapere, però, lei rischierebbe di perdere la reputazione. E a questo proposito vorrei tornare a Vigile Verità. Il suo articolo è solo l'inizio. Quello è una mina vagante: dobbiamo fermarlo, chiunque egli sia, o perlomeno ribattere.» Il governatore avrebbe preferito che Trader evitasse qualsiasi riferimento alle mine, vaganti o meno. Cercava di leggere e ascoltava solo distrattamente il suo addetto stampa, che era un impiccione e un seccatore. Crimm non sapeva perché lo aveva assunto. Per la verità, non sapeva nemmeno se l'aveva fatto. Ma certamente non gli andava più bene, se mai lo aveva apprezzato. Grasso e brutto, pensava solo a mangiare, raccontava un sacco di storie, parlava a vanvera e non diceva mai la verità. L'unico vantaggio della vista calante di Crimm era che vedeva a stento gente come Trader anche quando ce l'aveva davanti agli occhi. Ed era una benedizione, perché l'immagine di Trader con la sua ciccia molle, i vestiti di pessimo taglio e i riporti grigi e bisunti a coprire la testa pelata gli avrebbero sconvolto ulteriormente le budella. «"Come allo specchio tutto sembra più vicino di quanto non sia"» finì di leggere il governatore lentamente, scrutando da dietro la lente di ingrandimento «"così nell'autostrada della vita il Passato non mantiene le distanze di sicurezza e viaggia a un passo da noi..."» Alzò lo sguardo verso Trader e lo fissò a lungo. «È uno spunto piuttosto interessante...» «Veramente, io non capisco che cosa voglia dire.» Trader era irritato che il governatore prendesse in considerazione cose che lui, addetto stampa, non gli aveva segnalato. «Mi sembra un enigma» continuò il governatore incuriosito, spostando la lente sul foglio come se stesse scrutando una tavoletta ouija. «Ricorda l'Enigmista di Batman? Tutte quelle allusioni al dove, quando e come l'Enigmista stava per colpire che Batman e Robin si ingegnavano a interpretare? Io penso che questo Vigile Verità ci stia dando un indizio a proposito di qualcosa, magari la sua prossima mossa. O la mia prossima mossa. In-
somma, quando parla dell'autostrada della vita"...» «Ora che ci penso...» Trader colse la palla al balzo per riportare il discorso su cose maggiormente alla sua portata. «Nessuno più rispetta i limiti di velocità, governatore. Forse sarebbe opportuno coinvolgere l'elettorato sul problema, distogliendolo così dalla questione dei pirati.» «Forse è a questo che si riferisce Vigile Verità quando parla di "autostrada della vita"... Forse è proprio questa la soluzione dell'enigma!» Crimm era soddisfatto della propria deduzione. «Non sapevo però che i limiti di velocità non venissero più rispettati.» Infatti non era vero, ma Trader voleva che il governatore la smettesse di pensare agli enigmi, perché era solito fare dichiarazioni insensate e inopportune su tutto quello che catturava la sua attenzione, e alludere al fatto che nell'esercizio delle sue funzioni si faceva suggestionare dagli enigmi e da Batman sarebbe stato catastrofico. «I cittadini sostengono di essere costretti a superare il limite di velocità anche sulle corsie destinate ai veicoli lenti a causa dell'aggressività degli automobilisti che non rispettano le distanze di sicurezza e lampeggiano per incitarli ad andare più forte» si inventò Trader sul momento. «E non possiamo mettere vigili e autovelox ogni due o tre chilometri. Ma il problema va affrontato, perché si sta verificando un'escalation di incidenti dovuti alla reazione rabbiosa degli automobilisti vessati da chi vuole andare a duecento all'ora senza guardare chi c'è davanti.» «La gente non ha abbastanza paura: il problema è questo.» Il governatore ascoltava distratto, cercando di decifrare quel che diceva Vigile Verità riguardo al DNA. «Ha ragione nel sostenere che la tecnologia è più affidabile degli esseri umani. Forse dovremmo far credere ai cittadini che disponiamo di un sistema innovativo per cui siamo in grado di beccarli appena superano il limite di velocità, anche se non ci sono vigili in giro.» Il governatore si convinse che era proprio quello l'enigma che Vigile Verità aveva nascosto nelle sue pagine web. Era venuto il momento di far paura alla gente per costringerla a rispettare le leggi! Investigatori e procuratori lo facevano quotidianamente minacciando test del DNA, anche senza un campione su cui effettuare la prova o quando i risultati erano poco chiari. Perché allora non poteva farlo anche il governatore? Era stato fin troppo buono sino a quel punto. Era stufo di essere buono. A che cosa serviva? «Abbiamo tutti quegli elicotteri nuovi...» disse all'addetto stampa. «Usiamoli per far paura alla gente.»
«Come? Vuole appostare gli elicotteri sulle strade per multare chi supera il limite di velocità?» A Trader l'idea non piaceva affatto, soprattutto perché non era venuta in mente a lui. «No, no. Ma non vedo per quale motivo non potremmo usarli fingendo di avere computer supersofisticati in grado di rilevare dall'alto l'eccesso di velocità e segnalare via radio alle pattuglie a terra di multare chi sgarra.» Al governatore avevano ripreso ad agitarsi le budella, come se avessero fretta di andare da qualche parte. «Basta mettere dei cartelli sulle strade per avvertire che misuriamo elettronicamente la velocità di tutti i veicoli perché la gente rispetti i limiti. Anche se non ci sono né elicotteri né vigili in giro.» «Un bluff, insomma.» «Sì, certo. Bene, si occupi lei del progetto. Subito.» Il governatore aveva un bisogno urgente di chiudere quel colloquio. «Torni qui con una proposta, così prepariamo un comunicato stampa entro stasera.» «Non mi sembra giusto usare gli elicotteri per un semplice eccesso di velocità» lo avvertì Trader. «Temo che il suo indice di gradimento calerebbe rischiando di creare una situazione esplosiva...» Ma il governatore Crimm era già in una situazione esplosiva. Si alzò di scatto dalla poltroncina di pelle e ordinò a Trader di uscire. Poco dopo, seduto sul gabinetto con la porta chiusa e l'aeratore al massimo, si chiese chi era veramente Vigile Verità e se ci fosse il modo di influenzare quel che pubblicava sul suo sito. Pensò che in effetti gli sarebbe servito avere una persona colta e preparata che lo aiutasse a diffondere le sue opinioni e i suoi principi. Allungò la mano per prendere il cordless sulla mensola accanto alla carta igienica. «Chi parla?» domandò Crimm nel sentire rispondere un uomo. «Macovich, signore» rispose esitante uno dei componenti della sua scorta dal piano interrato della residenza. Thorlo Macovich riconobbe subito la voce del governatore e sperò che lui non riconoscesse la sua. Magari gli era andata bene e Crimm si era già dimenticato l'incidente del biliardo di due sere prima. Magari non aveva addirittura visto niente, dato che negli ultimi tempi la vista gli era calata ancora. Certo era che la figlia minore del governatore non avrebbe dimenticato. Thorlo Macovich non aveva mai visto nessuno fare una scena così per una partita di biliardo! Gli aveva gridato di tutto, gli aveva urlato di starsene nel seminterrato e non mettere mai più piede in casa del governatore, che oltre tutto gli avrebbe impedito di svolgere adeguatamente le sue
mansioni. «Vigile Verità...» cominciò a dire Crimm, piegato in due da una fitta. «Sta bene, signor governatore?» chiese Macovich, sorpreso e un po' allarmato. «Dio mio, che cos'è stato quel rumore?» «Lei sa chi è Vigile Verità?» Il governatore riusciva a malapena a parlare. «Nossignore, ma so che è sulla bocca di tutti. Che cosa le succede, sta facendo scoppiare le bolle di una busta imbottita? È sicuro che vada tutto bene? Oddio, ma lì c'è una sparatoria! Aspetti, governatore, arriviamo subito!» «No! Non se ne parla nemmeno!» lo fermò il governatore mentre l'aria si faceva dolorosamente strada nel suo intestino. «Scopra chi è Vigile Verità, piuttosto... Le affido questo compito, okay? E avverta in cucina che stasera voglio una cena leggera. Per l'amor del cielo, niente mele e niente prosciutto. Magari un po' di pesce.» «Nostrano, signore?» Macovich si sentì sollevato: era chiaro che il governatore non ricordava niente dell'incidente del biliardo. «Sì, purché non uova di cheppia.» «Non credo sia stagione, comunque. Posso prendere l'elicottero e procurarle qualche granchio azzurro fresco a Tangier Island, se le fa piacere» aggiunse Macovich controvoglia, perché odiava andare a Tangier Island. «O forse preferisce una trota.» «Perfetto!» esclamò il governatore, scosso da un'idea che aveva appena avuto e da quello che a Macovich sembrò lo scoppio di un pallone aerostatico. «Cominceremo da Tangier Island! Metteremo lì il primo autovelox. Ma lo sa che a Tangier Island fu ospitato persino Barbanera? Sono un branco di pirati, su quell'isola, glielo dico io. Be', adesso gliela faremo vedere.» «Non esistono limiti di velocità su Tangier Island» gli fece notare Macovich. «Anche perché la gente va in giro sui golf-cart. Oppure in barca. E ce l'hanno con il resto della Virginia. Posso chiederle perché voleva mettere un autovelox proprio lì?» «Be', dire autovelox è limitativo» replicò Crimm asciugandosi il viso sudato mentre la pancia gli continuava a rullare come un tamburo. «Lasci perdere il pesce. Lo prenderete domani, quando andrete a preparare tutto. Bisognerà tracciare dei segnali sull'asfalto, immagino. Senta, vada da Trader a farsi spiegare che cosa deve fare. Renderemo più sicura l'autostrada della vita, come ci ha sibillinamente esortato a fare il nostro Vigile Veri-
tà!» Macovich non ricordava alcuna esortazione sibillina da parte di Vigile Verità, né altro che potesse aver spinto il governatore a decidere di installare un autovelox su un'isola sperduta nella Chesapeake Bay che contava meno di settecento anime. E non aveva intenzione di farsi trascinare su un'isola dove non c'era nemmeno un afroamericano a pagarlo oro. La prima volta che c'era andato a prendere il pesce fresco per il governatore aveva avuto la netta sensazione che gli abitanti di Tangier Island non avessero mai visto un nero, a parte in TV o nei cataloghi che arrivavano con la posta via mare. Macovich uscì e si accese una Salem Light percorrendo Capital Square senza fretta, perché non aveva nessuna voglia di parlare con l'addetto stampa del governatore riguardo a nessun argomento. Non c'era da fidarsi del viscido Major Trader: lo sapevano tutti tranne il governatore. Per la miseria, si preoccupò dentro la sua nuvoletta di fumo, se avessero cominciato a prendersela con gli abitanti di Tangier Island, sarebbe scoppiato un bel casino. «Posso chiederle una cosa?» chiese Macovich una volta entrato nell'ufficio di Trader. «Lei è mai stato a Tangier Island? Ha mai incontrato qualcuno che ci abita?» «Non è il genere di luogo in cui mi reco abitualmente» rispose Trader, chino sulla tastiera, mangiando un hot dog con salsa piccante che gli aveva portato uno dei suoi assistenti. «Quante volte le devo dire di togliersi gli occhiali da sole quando si trova all'interno di un edificio o dopo il tramonto? Sto facendo di tutto per migliorare l'immagine delle forze dell'ordine...» Mangiò metà hot dog in un boccone, facendosi colare la senape sulla cravatta già sporca e assolutamente fuori moda. «Solo perché è in borghese e pilota un elicottero crede di potersene infischiare del protocollo e rovinare tutto il mio lavoro sulla vostra immagine?» «Be', non credo che sorvolare Tangier Island con i nostri grossi elicotteri per multare dei poveri disgraziati servirà molto a migliorarla» ribatté Macovich senza accennare a togliersi gli occhiali. «Ci si rivolteranno contro.» «Sarebbe un grave errore.» Trader si pulì le labbra con un fazzolettino unto e rifletté sulla strategia da adottare. Il governatore non lo aveva ancora informato che i primi autovelox sarebbero stati installati su Tangier Island; Macovich, però, questo non doveva saperlo. «Li arresteremo tutti quanti» dichiarò, come se avesse già meditato a lungo sulle conseguenze
che una ribellione sull'isola avrebbe potuto provocare. «Mi sembra davvero una splendida idea, signor Trader» si congratulò Macovich sarcastico. «Sbattiamoli tutti in galera, pescatori, donne, bambini! E vecchi, naturalmente. In giro c'è una banda di pirati della strada che aggredisce poveri camionisti innocenti e traffica droga con il Canada, ma la nostra priorità è impedire agli abitanti di Tangier Island di correre troppo sui loro golf-cart: mi sembra giusto.» Trader si leccò le dita e se le pulì sugli enormi calzoni. «Fossi in lei, cambierei tono» lo redarguì. «Soprattutto dopo che l'altra sera ha imbrogliato a biliardo. Ha proprio una bella faccia tosta, sa?» «Non ho imbrogliato!» urlò Macovich, talmente forte che gli altri impiegati allungarono la testa fuori dei loro uffici per vedere che cosa stava succedendo. «I familiari del governatore però ne sono convinti. È fortunato che il governatore ha cose più importanti a cui pensare» rispose Trader altezzoso. «Non mi piace dover essere io a ricordarle che non gode di molta popolarità nella famiglia Crimm, di questi tempi. Certamente non sarà né il primo né l'ultimo a essere escluso da una scorta e a ritrovarsi di pattuglia giorno e notte!» «Non credo che il comandante Hammer abbia intenzione di mandarmi a fare la ronda: chi porterà in giro in elicottero quel vecchio mezzo cieco e rimbambito, se non ci sono io?» «La prego di abbassare la voce» ordinò Trader alzandola a sua volta. Macovich si avvicinò alla sua scrivania in stile coloniale e fissò Trader con occhi di fuoco, da dietro gli occhiali scuri. «Caso mai se ne fosse dimenticato, siamo rimasti solo in due, perché la moglie del governatore ha fatto scappare tutti gli altri piloti!» Gli voltò le spalle e fece per uscire. «E la sa un'altra cosa, Trader? Non siamo più ai tempi di Rossella O'Hara. Uno di questi giorni si sveglierà e scoprirà che Via col vento è finito!» Unica First non aveva mai visto Via col vento, né aveva mai letto il romanzo, ma il titolo la ispirava. Sapeva infatti sciogliersi nel vento, scomparire senza lasciare traccia, dileguarsi in un soffio di brezza. Sin da bambina aveva imparato a riarrangiare le proprie molecole in maniera da diventare invisibile e superare la siepe dei vicini o entrare in casa loro. Seguì il lastricato di Shockhoe Slip e si infilò nel Tobacco Company, un ristorante di lusso ricavato in un vecchio magazzino di tabacco non lontano dal fiume. Si sedette vicino al pianoforte, ordinò una birra e si accese una siga-
retta, ripensando alla sera prima. Fare da specchietto per le allodole nella banda dei pirati della strada stava cominciando ad annoiarla, a dire il vero. Quegli sbandati con cui si era messa alcuni mesi prima erano limitati e sempre fuori di testa: il capo, in particolare, beveva e si faceva le canne dalla mattina alla sera. Ultimamente era sempre così suonato che Unica non ci andava nemmeno più a letto. Scosse la cenere e fece segno alla cameriera di portarle un'altra birra. Sentendosi osservata, si voltò e notò una donna seduta al banco, che la guardava. «Sei di qui?» le chiese. Il radar sessuale di Unica rilevò sia la sua forte energia sia lo sguardo acceso. «Vado e vengo» le rispose con un sorriso dolcissimo. «Oh.» La donna si alzò, affascinata dalla bellezza di Unica. «Posso sedermi vicino a te?» Posò la birra sul tavolino davanti a lei e si accomodò. «Mi chiamo V.V., e un po' mi fa impressione, da quando è saltato fuori Vigile Verità. Non ci crederai, ma un sacco di miei amici e conoscenti di colpo si sono messi in testa che V.V. sta per Vigile Verità e che il sito web è il mio e che non voglio dirlo a nessuno. Forse perché da ragazza scrivevo sul giornalino della scuola...» Unica la guardò negli occhi, bevendo un sorso di birra. «E comunque non sono io» continuò V.V. «Anche se mi dispiace, perché adesso non si parla d'altro. Chi sarà mai Vigile Verità? Qual è la verità sul conto di Vigile Verità? Manco fosse Robin Hood, eh? Tu hai dei sospetti? Senti, sai che hai dei capelli straordinari? Chissà quanto te li spazzoli...» «Figurati» rispose Unica, mentre V.V. si agitava sulla sedia, imbarazzata come uno scolaretto che si è preso una cotta. «Ho un guasto alla macchina. Mi potresti mica dare uno strappo?» «Ma certo!» esclamò V.V. «Nessun problema. Hai una voce così dolce. Mi dispiace che hai la macchina rotta. È proprio un casino quando resti a piedi, eh?» Senza smettere di blaterare, V.V. posò un biglietto da dieci dollari sul bancone e si rimise il giaccone di pelle da motociclista. Di solito non aveva tanto successo quando cercava di rimorchiare, ma era giusto che finalmente avesse un po' di fortuna. Faceva l'impiegata statale e doveva vestirsi da donna in carriera per andare in ufficio, dove nessuno sapeva la verità sul suo conto. L'unica chance che aveva per alleviare la solitudine era cambiare look e andare per bar la sera e nel weekend, il che era costoso e
poco produttivo. Quella sera, facendo salire Unica sulla sua vecchia Honda, le tremavano le mani. «Dove ti porto?» le chiese, immettendosi in Cary Street. «Andiamo verso il porto, oltre Canal Street. Mi piace tanto guardare il fiume... Potremmo fare due passi a Belle Island» rispose Unica con la sua vocina dolce, in preda a una rabbia atavica che le consumava la mente e ansiosa di realizzare lo Scopo. Pochi minuti dopo scese dalla Honda con V.V. e insieme osservarono l'acqua che scorreva, mentre la brezza già fresca di settembre le scompigliava i lunghi capelli neri. Non c'era nessuno in giro e Unica pensò che V.V. era davvero stupida ad allontanarsi con una perfetta sconosciuta e a dare per scontato che avesse le sue stesse inclinazioni e potesse essere interessata a lei. Ma erano tutti stupidi, peraltro. Prese V.V. per mano e la accompagnò verso il ponte che portava a Belle Island, dove i soldati dell'Unione erano stati imprigionati nel corso della Guerra Civile. L'isoletta era coperta di alberi e attraversata da sentieri e piste ciclabili. La trascinò dietro un albero e cominciò a baciarla e ad accarezzarla, fino ad accenderla di passione. «Voglio che tu faccia un'esperienza unica» le sussurrò, infilandole la lingua in bocca e tirando fuori dalla tasca un cutter. 3 Major Trader lavorava per Crimm ormai da tempo e aveva capito diverse cose: prima di tutto che il governatore era uno sconclusionato e quindi era facile convincerlo a sottoscrivere una politica o una proposta diversa da quella che aveva originariamente concepito, e in secondo luogo che, oltre a essere confusionario e mezzo cieco, era smemorato e distratto, soprattutto quando soffriva di problemi gastrointestinali. La terza cosa che Trader aveva ben chiara era che gli conveniva appropriarsi di tutte le buone idee e dare la colpa agli altri di tutte quelle cattive. Mentre era nel suo ufficio a guardare dalla finestra la nuvoletta di fumo intorno a Macovich che si allontanava nel parco ben curato del Campidoglio, Trader rifletté sulle posizioni recentemente assunte dal governatore e gli venne in mente che Crimm era stato attaccato in diverse occasioni sulla questione dei trasporti. Il traffico era congestionato, e soprattutto nel Nord della Virginia la gente era esasperata: strade e ponti erano in condizioni pessime, i treni spesso in ritardo e sovraffollati e nessuno voleva più viaggiare in aereo. E la colpa di tutto questo ricadeva sul governatore.
Sebbene non intendesse riconoscere a Macovich il merito di averlo avvertito, Trader era sicuro che installare degli autovelox su Tangier Island avrebbe scatenato le ire della popolazione ed era pertanto deciso a scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità in proposito. Prese un blocco per appunti e cominciò a riflettere sul nome da dare all'iniziativa. Pensò a Misurazione Elettronica della Velocità Dall'Alto, ma decise che MEVDA si prestava a spiacevoli associazioni. Meglio PAUVA, acronimo di Postazione Aerea per l'Uniformazione della Velocità degli Autoveicoli. PAUVA rifletteva il desiderio espresso dal governatore di spaventare la gente inducendola a rispettare i limiti di velocità, mentre il riferimento all'uniformazione indicava la volontà di considerare gli abitanti dell'isola esattamente come quelli del resto della Virginia. Che Vigile Verità accusasse pure gli abitanti di Tangier Island di essere dei pirati: il governatore Crimm avrebbe preso le distanze, trattandoli come tutti gli altri cittadini. Provò a chiamarlo sulla linea privata. «Sì?» rispose Crimm con voce sofferente. «Credo di aver trovato il nome giusto per l'iniziativa. Che ne dice di PAUVA?» Trader tamburellò con la penna sul bloc-notes. «Mi sembra che la connotazione sia proprio quella che lei cercava. Immagini la Virginia disseminata di segnali di PAUVA.» Crimm aveva le budella sottosopra, tremava e aveva i sudori freddi. Per quanto si sforzasse di ricordare gli argomenti discussi con Trader prima che gli venisse quel terribile attacco di colite, non riusciva a farsi venire in mente nulla, a parte gli enigmi di Vigile Verità. «Ma l'obiettivo è fargli paura e costringerlo a rivelare la propria identità?» Seduto sulla sua poltrona di pelle, prese la lente d'ingrandimento e scoprì una pila di carte di cui ignorava l'esistenza. «Ma da dove arrivano?» «I segnali di PAUVA?» Trader era confuso, come spesso gli succedeva quando parlava con il governatore. «Be', vedremo.» Era un modo di dire, naturalmente, perché non vedeva nulla. «Quello che non capisco è se il suo obiettivo è costringere questo Vigile Verità a uscire allo scoperto. In realtà, potrebbe benissimo essere una donna. Comunque, non mi sento bene e preferisco non stare troppo al telefono.» «Veramente io parlavo degli autovelox.» Trader non sopportava che il governatore lo liquidasse a quel modo. «Dobbiamo trovare un nome per il programma e io avevo pensato a PAUVA ...» «Ma è orribile!» Il governatore ricordò tutt'a un tratto il succo della con-
versazione avuta precedentemente con Trader. «Se lo chiamiamo PAUVA, tutti a Tangier Island capiranno che lo scopo è mettergli paura e intuiranno che non c'è niente dietro. Trovi un nome più burocratico, di più difficile interpretazione, che non possano non prendere sul serio.» «Be', io credo che si ribelleranno lo stesso, gliel'ho già detto.» Trader voleva mettere bene in chiaro la cosa: «Quando l'isola le si rivolterà contro, non dica che non l'avevo avvisata. Non se la prenda con me». «Se la cosa avrà ripercussioni sulla mia immagine, me la prenderò con lei eccome.» «Com'è giusto che sia» replicò Trader. «E il fatto che io preveda la possibilità di controversie non deve trattenerla dall'applicare la legge.» Trader sapeva essere assolutamente ambiguo e sibillino. «Secondo me, dovremmo mandare subito un elicottero sull'isola e fare una prova. Ne conviene?» «Dobbiamo mandarcelo comunque per il pesce. Tanto vale fare anche una prova.» «È esattamente quello che intendevo dire» concordò Trader. Trader riattaccò e scribacchiò sul blocco per un'ora, cercando varie combinazioni di parole senza senso, aiutandosi con un dizionario. Nel tardo pomeriggio elaborò VASCAR, che stava per Velocità Automaticamente Scannerizzata su Computer AeroRegionalizzato. Gli piaceva perché lasciava intendere l'assoluta oggettività di un dispositivo - un computer - capace di registrare automaticamente l'immagine di un veicolo calcolandone in maniera inconfutabile, dall'alto della sua imparzialità, la velocità media di percorrenza del tratto compreso fra A e B, dove A e B erano due strisce bianche e ben visibili tracciate sull'asfalto. Trader era sicuro che quella sigla fosse abbastanza incomprensibile e burocratica da mettere paura alla cittadinanza tutta. Ed era deciso a far sì che le inevitabili critiche e proteste venissero dirottate sulla polizia, che avrebbe sviluppato il programma, e non sul governatore o su di lui che l'avevano ideato. "Sono un genio" pensò tutto soddisfatto collegandosi a Internet con un nome falso. Aveva in mente un piano e molte cose da fare. Entrò nel sito di Vigile Verità con il cuore che gli batteva all'impazzata. Non c'era niente che lo emozionasse di più della propria astuzia e della propria abilità nel manipolare il prossimo. Voleva che la notizia del VASCAR corresse nel cyberspazio avvertendo tutto il mondo che la Virginia, da sempre sensibile ai problemi della circolazione stradale, con la scusa di regolamentare il traffico, avrebbe mobilitato potenti elicotteri al chiaro scopo di perseguita-
re un'isola abitata da miti pescatori, la maggior parte dei quali non possedeva nemmeno un'automobile. Voleva che tutti si indignassero e se la prendessero con il comandante della polizia Judy Hammer, distogliendo l'attenzione dalle responsabilità del governatore e di Trader. Judy Hammer era forestiera, non era nata in Virginia, e quindi era un ottimo parafulmine. A Trader era comunque antipatica. I predecessori della Hammer erano sempre stati dei veri uomini, tipi duri, discendenti dalle famiglie più antiche dello Stato, che rispettavano le gerarchie e trattavano con la dovuta considerazione l'addetto stampa del governatore, che in ultima analisi controllava ciò che il governatore pensava e ciò che l'opinione pubblica credeva. Judy Hammer invece era un disastro: era aperta, diretta, oppositiva, una donna che portava i pantaloni. Trader l'aveva conosciuta il giorno del colloquio, prima della nomina, e ricordava perfettamente che quell'arrogante non l'aveva degnato di uno sguardo e non si era lasciata sfuggire neppure un sorriso alle sue barzellette spinte. Dopo un attimo di riflessione, cominciò a battere sulla tastiera. Caro Vigile Verità, ho letto la sua Breve spiegazione con grande interesse e spero non le dispiaccia se a scriverle è un'anziana signorina che non si è mai sposata e vive da sola. Io ho il terrore di guidare, con tutti i matti e i pirati che ci sono in giro, ma francamente non credo che la soluzione sia mettere gli autovelox sugli elicotteri e prendersela con gli onesti cittadini! Temo che il VASCAR scatenerà un'altra guerra civile, e spero vorrà affrontare l'argomento in uno dei suoi prossimi articoli. Cordialmente, una mica Trader si accorse dell'errore di battitura soltanto dopo aver inviato l'email e ricevuto la risposta pochi minuti più tardi. Cara Una, grazie dell'interessamento. Mi dispiace che lei abbia paura a guidare e mi intristisce molto il pensiero che si senta sola. Mi scriva pure tutte le volte che vuole. A proposito, che cos'è il VASCAR? Vigile Verità
Trader decise che tanto valeva fingersi la signorina Una Mica, e con quel nome riscrisse a Vigile Verità. Caro Vigile Verità, sono così felice che lei abbia trovato il tempo di rispondere a una povera vecchietta... Il comandante Hammer sa che cos'è il VASCAR perché l'idea è stata sua. Mi sorprende che un vigile non abbia mai sentito parlare degli autovelox su Tangier Island. Credevo che alla Hammer l'idea fosse venuta leggendo la sua Breve spiegazione. Peraltro mi faceva piacere che l'avesse spinta a prendere posizione contro gente che un tempo faceva comunella con i pirati e che adesso spenna i turisti. Cordialmente, Una Mica Trader ridacchiò e si accinse a scrivere un messaggio a Judy Hammer, breve, conciso e accompagnato da un comunicato stampa da diffondere al più presto, per ordine del governatore. «Ma cosa diavolo è 'sta roba?» chiese Judy Hammer quando la sua segretaria, Windy Brees, le porse il fax del governatore che la informava del programma di monitoraggio stradale chiamato VASCAR. «Non ne ho la minima idea» replicò Windy. «Che razza di nome! Cioè, non vuol dire niente e nello stesso tempo suona come NASCAR. Scommetto che al governatore è sfuggito. È proprio vero che il diavolo fa le pentole ma non i cucchiai.» Judy Hammer lesse il fax diverse volte, non riuscendo a capacitarsi che Crimm avesse deciso un'azione che in realtà competeva a lei senza nemmeno interpellarla. «Ma che stupidaggine!» esclamò. «Non ho mai sentito niente di più strampalato che usare gli elicotteri per misurare la velocità dei veicoli! E dovremmo cominciare da Tangier Island, ma senza divulgare la notizia prima di aver tracciato opportune strisce fluorescenti sulle poche strade asfaltate che ci sono in quel posto dimenticato da Dio? Chiamami subito il governatore» ordinò a Windy. «Sarà in ufficio. Di' che è urgente.» Windy tornò alla sua scrivania e compose il numero sfiduciata: il governatore non prendeva mai le telefonate di Judy Hammer, non la richiamava e non la vedeva dal giorno della nomina. Windy aveva preso l'abitudine di
inventare scuse elaboratissime per giustificare la propria incapacità di mettere la Hammer in contatto con il governatore. "Una cosa è certa" diceva spesso ai colleghi quando uscivano a fumare o a prendere il caffè. "Non tutte le ciambelle vengono per nuocere." Con questo lasciava intendere che Judy Hammer aveva rapporti soddisfacenti con tutti tranne con il governatore, ma che in fondo in questo potevano esserci degli aspetti positivi. Amici e conoscenti avevano smesso da parecchio di correggere le infelici sintesi di Windy, e con il tempo avevano fatto l'abitudine alle sue storpiature, se non addirittura adottato alcuni dei suoi assurdi proverbi. La cosa faceva imbestialire Judy Hammer, che si scontrava costantemente con dipendenti che "menavano il can per l'aria" o sentenziavano che "fra moglie e marito il terzo gode". «Comandante Hammer?» disse Windy facendo capolino. «Mi scusi, ma il governatore al momento è in raggiungibile.» Judy Hammer alzò gli occhi dalle carte che stava visionando. «Dov'è?» «Non si sa, non è in ufficio. È in raggiungibile.» «Irraggiungibile, vuoi dire?» «Credo... sì.» Windy era agitata perché si era inventata tutto e si stava ingarbugliando. «Comunque, non può rispondere al telefono. Né a lei né a nessun altro.» «Figuriamoci! È con me che non vuole parlare!» La Hammer abbassò gli occhi sul fax, chiedendosi come gestire quell'ultima trovata, che forse era la più idiota e inutile di tutte. «So benissimo che Crimm non mi vuole parlare, Windy: non è il caso che tu cerchi di addolcirmi la pillola, capito?» «Be', non è gentile, da parte del governatore.» Si mise le mani sui fianchi. «Spero solo che lei non si arrabbi con me, però: non sparate sull'ambasciatore.» "Pianista!" pensò la Hammer irritata. Non sparate sul pianista. L'ambasciatore è quello che non porta pena. Decise che odiava cliché, frasi fatte e proverbi. «Sa, il mese scorso uscivo con uno che mi diceva che secondo lui il governatore l'ha messa a capo della polizia di Stato perché la gente lo accusava di non riuscire a risolvere il problema del traffico e lui aveva bisogno di una capra espiatoria» le confidò Windy. «Non credo che si debba fare delle colpe. Non deve prenderla come una cosa personale.» Judy Hammer non riusciva a capacitarsi di aver ereditato una segretaria tanto svampita. Ma licenziare un impiegato statale era un'impresa titanica. Va bene che il suo predecessore aveva chiesto il prepensionamento perché
soffriva di mal di cuore e aveva il morbo di Parkinson, ma che cosa mai gli era saltato in mente di assumere una come Windy Brees? Tanto per cominciare aveva un nome assurdo, e comunque doveva essergli stato chiaro fin dalla prima volta in cui aveva aperto bocca che era incompetente in maniera vergognosa, un'oca giuliva capace solo di truccarsi, sbattere le ciglia e sgranare gli occhi per sembrare carina, sottomessa e bisognosa di un uomo forte che si prendesse cura di lei. Erano le sei passate quando Judy Hammer chiuse la ventiquattrore e si avviò verso Church Hill. Attraversò la città meditando sul fatto che il VASCAR le avrebbe rovinato la carriera e affannandosi per cercare una soluzione. Era solo una coincidenza che nello stesso giorno Andy avesse aperto un sito il cui scopo era migliorare l'immagine delle forze dell'ordine e il governatore avesse lanciato un programma che ne avrebbe certamente infangato la reputazione? Era davvero un caso che Andy avesse accennato a Tangier Island come a un ex covo di pirati e il governatore se l'era presa con gli isolani? Per non parlare del fatto che la polizia di Stato aveva pochissimi piloti e lei intendeva utilizzarli per dare la caccia ai criminali e cercare coltivazioni di marijuana, non per misurare la velocità dei veicoli sulle strade. Più pensava a Andy, più le veniva la paranoia. Non avrebbe mai dovuto permettergli di pubblicare quegli articoli su Internet senza una sua supervisione. Non avrebbe mai dovuto cedere su quel punto. "Se è per farmeli rivedere da te, allora lascio perdere" le aveva detto Andy quando ne avevano discusso un anno prima. "Uno dei motivi per cui deve restare anonimo è che nessuno sa che cosa scrive Vigile Verità o esercita alcun controllo, altrimenti la verità va a farsi benedire. So benissimo che se tu leggessi gli articoli prima che io li metta sul sito cominceresti a preoccuparti di eventuali critiche, accuse e problemi politici. Purtroppo, i burocrati non pensano ad altro. Non che volessi darti del burocrate, naturalmente." "Certo che volevi darmi del burocrate" aveva replicato Judy Hammer, offesa. Ma forse Andy aveva ragione, pensò tristemente mentre percorreva East Broad Street verso il quartiere rinnovato di Church Hill. Forse si stava burocratizzando, stava dando troppo peso a quello che gli altri pensavano e dicevano di lei. Come aveva fatto a perdere la capacità di gestire reclami e richieste con fermezza e diplomazia?
Chiamò Andy dal cellulare. «Abbiamo una potenziale emergenza» lo avvertì. «Il governatore vuole piazzare degli autovelox su Tangier Island e sta per scoppiare un finimondo.» «Ho sentito» disse lui. «E come?» Judy Hammer era sbalordita. «Mi dispiace che tu non me ne abbia parlato prima» continuò Andy frustrato. Era seduto davanti al computer a leggere le centinaia di e-mail ricevute da Vigile Verità fino a quel momento. «Mi dispiace esserlo venuto a sapere dalla signorina Mica. A proposito, ho bisogno che mi affianchi qualcuno: non riesco a stare dietro alla posta» dichiarò, mentre il computer gli annunciava l'arrivo di quattro nuovi messaggi. «Il VASCAR non è stata un'idea mia!» replicò la Hammer. «E chi è la signorina Mica? In questo momento ci dovremmo occupare delle aggressioni ai camionisti, non dei limiti di velocità! Andy, senti, ho bisogno del tuo aiuto. Dobbiamo cercare di capire che cosa fare.» «C'è una sola cosa da fare» le rispose Andy digitando sulla tastiera. «Andare a Tangier Island, tracciare due strisce bianche per terra come per piazzare un autovelox e vedere che cosa succede. Meglio che vada io, così potrò usare Vigile Verità per ribattere alla negatività che verrà espressa nei confronti tuoi e della polizia. Dimostrerò all'opinione pubblica che il VASCAR è un'idiozia, così speriamo che il governatore lasci perdere tutto e ci lasci combattere la criminalità vera. Mi servono solo un paio di latte di pittura fluorescente ad asciugatura rapida, un pennello, un elicottero e un po' di tempo per rivedere il saggio sulle mummie che uscirà domani.» «Che cavolo c'entrano le mummie?» domandò Judy Hammer. MUMMIE di Vigile Verità Come molti, sono cresciuto pensando che le mummie fossero come appaiono nei film dell'orrore. Negli ultimi tempi, però, avendo svolto alcune ricerche archeologiche, ho constatato che sono tutt'altra cosa rispetto ai terrifici morti viventi avvolti nelle bende che si vedono al cinema. Innanzi tutto non sono pericolose, a parte la probabilità - minima, peraltro - che diffondano malattie contagiose. Naturalmente la polvere che le ricopre e l'aria malsana dei luoghi gelidi e lugubri in cui sono conservate possono scatenare nei soggetti predisposti un attacco di asma, così come è possibile che un esploratore si faccia male urtando contro un sarcofago al
buio, si perda in una piramide e muoia di fame e di sete, oppure incontri un profanatore di tombe e venga coinvolto in un alterco violento. Ma sono casi rari. Si definiscono mummie anche i cadaveri che, in condizioni di estremo freddo o aridità - tipicamente nelle cantine o nel deserto - invece di decomporsi, seccano e si preservano per decenni, se non addirittura per secoli. Sebbene non si tratti di mummie in senso stretto, ormai anche medici e antropologi in questi casi parlano di mummificazione. Peraltro è molto più gentile definirli mummie che cadaveri raggrinziti e incartapecoriti somiglianti a scheletri ricoperti di cuoio. La parola mummia deriva dall'arabo mumiyya, sostanza simile al bitume usata per imbalsamare, probabilmente dal persiano mum, cera, e per estensione indica qualsiasi persona o animale conservato con mezzi artificiali. Tuttavia, oggigiorno non è corretto chiamare mummia un corpo imbalsamato. Il motivo è semplice: i cadaveri imbalsamati con la formaldeide non sono necessariamente ben conservati. A distanza di un secolo, a seconda di dove è seppellito, un cadavere imbalsamato difficilmente sarà altrettanto ben conservato di una millenaria mummia egizia. Nella nostra società non usiamo riempire il ventre del cadavere con mirra pura tritata, cassia e altri aromi, né riempiamo gli arti di bitume o sottoponiamo il corpo a un "bagno di natron" per settanta giorni prima di avvolgerlo in bende di lino spalmate poi di gomma, che gli egizi usavano per lo più al posto della colla. Un corpo imbalsamato, di questi tempi, non viene posto in un sarcofago di legno appoggiato contro il muro di un sepolcro fresco e asciutto. Con ciò non voglio dire che non potete conservare i vostri cari in questo modo, sempre che riusciate a trovare degli scribi capaci di segnare sul corpo dove effettuare le incisioni per l'eviscerazione e dei parascisti in grado di praticarle con una pietra etiope ben affilata e disposti a vivere fuori città perché gli egizi non vedevano di buon occhio chi violava fisicamente i morti, nemmeno per mestiere, come ci spiega lo storico greco Erodoto. E se vogliamo parlare di prezzi, un'imbalsamazione di alto livello nell'antico Egitto costava un talento d'argento, cioè circa quattrocento dollari americani, a seconda del cambio e del tasso di inflazione. Non molto tempo fa il mio interesse per le mummie mi portò in Argentina, dove alcuni scienziati stavano compiendo una serie di prove: risonanza magnetica, TAC e prelievi di tessuto per l'esame del DNA. Contattai il "National Geographic" per chiedere l'autorizzazione a visitare le mummie
e ricevetti il permesso, a patto che non facessi anticipazioni di sorta prima della pubblicazione del loro servizio. Arrivai a Salta, una città nella regione nordoccidentale dell'Argentina diventata un centro di studi archeologici sulle civiltà precolombiane e inca, una mattina fresca e soleggiata. Lì mi unii agli archeologi che partecipavano alla spedizione su un vulcano andino al confine con il Cile, dove erano state portate alla luce tre mummie perfettamente conservate, risalenti a cinquecento anni prima. Si trattava di tre bambini inca che erano stati sacrificati agli dèi e seppelliti con oro, argento e vasellame pieno di cibo. Con una jeep percorremmo la strada sterrata che conduceva all'università cattolica, dove il piccolo edificio trasformato temporaneamente in laboratorio era protetto da guardie armate. I profanatori delle antiche tombe, come i pirati, restano una minaccia anche nella nostra società. Mentre osservavo gli archeologi che tiravano fuori dal congelatore il primo fagottino e lo posavano su un tavolo coperto di carta sterile mi resi conto che l'esame dei resti congelati di due bambine e un bambino inca uccisi mezzo millennio prima non era poi così diverso da quello che faccio io quando indago su un incidente d'auto o un crimine violento. La differenza principale è che nell'archeologia lo studio non è finalizzato al bisogno di assicurare i colpevoli alla giustizia, bensì al desiderio di interpretare un passato misterioso ed elusivo, che nel caso specifico riguardava un popolo che non aveva lingua scritta ma raccontava la propria storia attraverso l'arte e la tessitura. Confesso che non ero tanto interessato a malattie, dieta, usi e costumi, quanto ad accertare se, quando erano stati sepolti vivi, i bambini erano privi di conoscenza a causa dell'altitudine e delle bevande alcoliche che il rito prevedeva che assumessero, come la chicha, cioè una birra di granoturco. Volevo sapere che cosa avevano pensato i tre bambini quando erano stati vestiti con tuniche riccamente intessute, copricapi di piume e gioielli e portati in processione in cima al cerro Llullaillaco, alto 6739 metri. Mi auguravo che non fossero in grado di capire, quando erano stati avvolti in pesanti tessuti e chiusi in profondi sepolcri che gli Inca avevano poi riempito di rocce e terra nella speranza di compiacere i loro dèi. Ricordo bene le tre piccole vittime, specialmente il maschietto, che doveva avere più o meno otto anni quando era stato adornato di mocassini foderati di pelo e bracciali d'argento e mandato all'altro mondo con una fionda e due paia di sandali di scorta. La sua espressione era disperata e accusatoria, la posizione fetale, con le ginocchia al petto e le caviglie lega-
te. Sospetto che fosse sveglio e nient'affatto contento della parte che gli era stata affidata, e ho la sensazione che fosse cosciente quando era stato sepolto vivo e che avesse opposto resistenza. Le femmine, che dovevano avere rispettivamente otto e quattordici anni, non erano legate e avevano l'espressione tranquilla. Stranamente, tuttavia, una delle loro tombe era stata colpita da un fulmine e quando la piccola mummia era stata esposta all'aria nel laboratorio di Salta, avevo sentito odore di carne bruciata. Io penso che l'Onnipotente volesse segnalare agli Inca che a lui non faceva per niente piacere che si seppellissero vivi dei bambini. Le cose non cambiano, temo. Continuando le mie ricerche, approdai agli scavi di Jamestown e andai in pellegrinaggio fino in Gran Bretagna, cercando un collegamento fra i primi colonizzatori e gli avventurieri rimasti bloccati alla foce del Tamigi. Esplorai l'Isle of Dogs con il suo fango, le sue paludi, bar, parcheggi e il Millennium Dome, che si alza come un gigantesco uovo in camicia circondato da gru dorate, ma non trovai traccia né di John Smith né dei suoi compagni, né nessuno che ricordasse niente. Neanche nei pub e nelle locande che visitai trovai qualcuno anche solo lontanamente interessato al legame che esiste fra Tangier Island e l'Isle of Dogs, visto che Tangier Island fu scoperta dal capitano John Smith nel 1608. E mi avvicino a ciò che sto per dirvi, cari lettori, e che non è piacevole. Tangier Island è stata riscoperta, ma non dai turisti interessati ai pasticci di granchio. Pare che qualche potente abbia deciso di usarla per le sue trame politiche, e questo è ingiusto, al di là del suo passato piratesco. Adesso mi occuperò della faccenda nei particolari. Mi raccomando, occhi aperti! 4 Judy Hammer, frustrata e confusa, chiuse il sito di Vigile Verità. Ma che cosa pensava di fare Andy? Che cosa c'entravano le mummie e Jamestown con gli attuali problemi della criminalità in Virginia? Era una cosa sconcertante e destinata a causare soltanto problemi, pensò chiudendo un cassetto in malo modo e maledicendo il fatto che nessuno in quel posto sapesse fare un caffè decente. E come altro avrebbe dovuto sentirsi, dopo aver letto quell'articolo sulle mummie? Erano le otto appena passate e nella sede della polizia tutti stavano leggendo l'articolo di Vigile Verità o lo commentavano nei corridoi e negli uf-
fici. Judy Hammer era rimasta scioccata e si era innervosita quando, accendendo l'autoradio mentre andava a lavorare, aveva sentito che ne parlavano a Billy Bob In The Morning. "Sapete che cosa faremo? Lanceremo un concorso proprio qui, a Billy Bob In The Morning! Cari ascoltatori, aiutateci a scoprire chi è Vigile Verità! Vi piace l'idea? E chi azzeccherà la risposta potrà vincere un premio speciale. Ehi, è fantastico! Ecco che cominciano ad arrivare le prime telefonate! Pronto? Qui Billy Bob In The Morning, sei in diretta. Come ti chiami?" "Windy." Judy Hammer era rimasta di sasso nel sentire la vocina stridula della sua segretaria alla radio. Data la pessima qualità dell'audio, aveva dedotto che chiamava dal cellulare e che probabilmente era in macchina. "Allora, Windy. Chi è, secondo te, Vigile Verità?" "Secondo me è il governatore, che si avvale di un 'ghost de plume'." Judy Hammer sfogliava alcune carte sulla scrivania con le orecchie tese per non lasciarsi sfuggire l'arrivo della sua segretaria nell'ufficio vicino. Non appena la sentì aprire la porta e posare la borsetta sul tavolo, balzò in piedi e la aggredì. «Come hai potuto fare una simile stupidaggine?» le chiese. «E poi vorrei tanto sapere che diavolo è un "ghost de plume".» «Oh!» Windy era emozionata e al tempo stesso un po' titubante nel vedere il suo capo dare in escandescenze. «Mi ha sentito alla radio? Non si preoccupi, ho dato solo il mio nome di battesimo e non ho detto dove lavoravo. Non sa che cos'è un "ghost de plume"? Uno scrittore che scrive per conto di un altro e che pubblica con un nome che non è il suo.» «Confondi "ghost-writer" con "nom de plume"» sentenziò Judy Hammer con furia controllata, passeggiando avanti e indietro per l'ufficio di Windy prima di andare a chiudere la porta. «Come se non avessi già abbastanza problemi con il governatore! Ci mancava solo che tu chiamassi la radio per accusarlo di essere Vigile Verità!» «Ma lei come fa a essere tanto sicura che non lo è veramente?» chiese Windy ritoccandosi il rossetto. «Che io ne sia o non ne sia sicura non c'entra: questa è un'indiscrezione senza alcun fondamento, Windy.» «Secondo me, lei dice così perché sa chi è Vigile Verità» replicò la segretaria con aria civettuola, sbattendo le ciglia coperte di mascara. «Avanti, lo ammetta. Tanto lo so che lo sa. Mi dica, è carino? Quanti anni ha? È
single?» Fino a quel momento, Judy Hammer non si era posta il problema di cosa fare se la gente avesse cominciato a chiederle se sapeva chi era Vigile Verità. Mentire non era nel suo carattere, a meno che non fosse indispensabile per ottenere un arresto o una confessione, oppure quando aveva le valigie pronte prima di una vacanza e assicurava a Popeye che sarebbe tornata subito. Ma perché in quel momento le veniva in mente Popeye? Il suo boston terrier le era stato rubato quell'estate, eppure era come se ce l'avesse davanti... Le venne un groppo alla gola e dovette ritornare nel suo ufficio, chiudere la porta e concentrarsi sul proprio respiro per evitare di scoppiare in singhiozzi. «Hammer!» rispose brusca quando squillò il telefono. «Sono Andy.» Lo sentiva appena. Tirò su con il naso e cercò di darsi un contegno. «Sento malissimo» gli disse. «Sei sull'isola?» «Affermativo. Volevo solo informarti che siamo atterrati alle ore otto. Sono in Janders Road. Mi sembrava che andasse bene... non troppo trafficata... stupida... chi se ne frega.» «Andy, secondo me sei esaurito» replicò Judy Hammer. «Dobbiamo parlare dell'articolo di stamattina. Sono esterrefatta. Non può andare avanti così. Mi hai sentito, Andy? Pronto? Pronto?» La comunicazione era interrotta. «Maledizione!» imprecò Judy Hammer. Su Tangier Island non c'erano ripetitori ed erano pochi gli isolani che usavano il cellulare o Internet e leggevano Vigile Verità. Tuttavia, non era sfuggito a nessuno che un elicottero della polizia era arrivato dalla baia per fermarsi all'eliporto un'ora prima. Ginny Crockett, per esempio, da quando aveva sentito il rumore dell'elica non si era più allontanata dalla finestra. Si era distratta un attimo solo per dar da mangiare alla gatta, Sookie, e quando era tornata nel salotto della sua bella casetta color rosa aveva visto un vigile in divisa grigia e casco che dipingeva due strisce bianche sull'asfalto sconnesso di Janders Road. L'inspiegabile e minacciosa rigaccia partiva proprio davanti all'emporio, dall'altra parte dell'aiuola piena di erbacce, e andava verso il giardino di Ginny, dov'erano seppelliti tutti i suoi cari. Ginny sentiva gocciolare l'acqua nelle tre vasche di acciaio all'ombra dei meli vicino alla veranda, dove allevava i granchi azzurri. Quando cambiavano il guscio, guardavano i turisti con i loro occhietti telescopici pieni di
risentimento. Ormai, però, la stagione della muta era finita e Ginny per un quarto di dollaro faceva vedere ai turisti il grosso maschio che teneva in una delle vasche. Jimmy, così si chiamava, le aveva già fatto guadagnare venti dollari e cinquanta centesimi. Ginny si chiese se il vigile stesse solo facendo finta di lavorare per sorvegliarla. Si sentiva in difetto perché non aveva mai denunciato gli introiti di quell'innocente attività imprenditoriale e sapeva che il fisco era sempre alla caccia degli evasori. Gli abitanti di Tangier Island avevano capito nel corso degli anni che i turisti compravano qualsiasi cosa. Bastava mettere una cassetta di legno da qualche parte con un bel cartello in cui si diceva che cosa si vendeva e a quanto. Gli articoli più richiesti erano ricette e cartine fatte a mano e fotocopiate su carta colorata. Ginny uscì in giardino e si avvicinò per osservare il vigile che trafficava con pennello e pittura. A quanto capiva cercando di decifrare l'etichetta sulla latta, si trattava di pittura idrorepellente, ad asciugatura rapida, fosforescente. L'uomo era giovane e bello e si muoveva lentamente all'indietro come un granchio. Per la verità, non sembrava affatto divertirsi. «E che diamine!» protestò Ginny. «Non può osare far questo!» aggiunse a voce alta, esprimendosi con il linguaggio arcaico e involuto che si parlava sull'isola da quando, secoli prima, erano arrivati i primi emigranti dall'Inghilterra, che avevano sempre cercato di evitare di mescolarsi con gli altri virginiani. Andy la guardò da dietro le lenti scure e notò immediatamente che la donna aveva una pessima dentiera. Quando era entrato nell'emporio a comprare una bottiglia di acqua minerale, aveva incontrato due donne, anche loro con denti terribili. «Non avete un dentista, qui a Tangier?» domandò Andy alla vecchia che lo scrutava sospettosa dal suo giardino. «Viene tutti i lunedì dal continente» gli spiegò lei un po' sulle sue, perché il dentista era un argomento delicato e tutti i suoi vicini tendevano a negare l'evidenza. «Sempre lo stesso?» chiese Andy accucciato in mezzo alla strada, smettendo di pitturare per un momento. «Sì. Da tempi ormai immemorabili» rispose la donna sulla difensiva, con la bocca grinzosa e i denti finti troppo grossi per lei. «Ci sono un sacco di dentisti che non sanno fare il loro mestiere» osservò Andy gentilmente. «Sono appena arrivato, ma ho notato che molti di voi qui sull'isola avete problemi di denti. Mi rendo conto che non sono af-
fari miei, ma vi consiglierei di cercarvi un altro dentista o perlomeno controllare meglio cosa fa quello che avete.» Il commento e la dentatura perfetta di Andy costrinsero Ginny a pensare. C'era gente che esprimeva dubbi a mezza voce, c'era chi ne parlava male, ma in fondo tutti sapevano che era meglio così piuttosto che non avere un dentista. «Immagino che lei non legga gli articoli di Vigile Verità» continuò Andy riprendendo il suo lavoro. «Dice delle cose interessanti sul fatto che bisogna affrontare la realtà e cercare la verità. L'unico modo per conoscerla è guardare negli occhi quello che ci fa paura, che sia una mummia o un dentista che non sa fare il suo lavoro.» Ginny era nervosa e non sapeva che cosa pensare di quel bel vigile dai modi gentili. Non sembrava poi pericoloso come la sua divisa e il fatto che stesse pitturando la strada di fronte a casa sua la inducevano a credere. «Non negherà mica di aver dipinto una striscia sulla via che conduce alla mia casa!» esclamò la donna cambiando discorso. «Perché dovrei?» replicò Andy. «Fa parte di un nuovo sistema per il controllo elettronico della velocità voluto dal governatore.» Ginny, che non aveva mai sentito parlare di nulla del genere, andò su tutte le furie. C'erano meno di venti veicoli a benzina su tutta l'isola, la maggior parte dei quali erano vecchi camioncini arrugginiti che gli abitanti usavano per trasportare merci. In genere la gente andava a piedi, oppure si spostava a bordo di golf-cart, motorini, monopattini e biciclette. Tangier era lunga meno di sei chilometri, larga meno di due, e contava seicentocinquanta anime. Che cosa gliene poteva importare al governatore, se ogni tanto uno andava un po' troppo forte su un golf-cart? I ritmi sull'isola erano lentissimi, le strade sembravano mulattiere, erano quasi tutte sterrate e se uno prendeva male una curva finiva diritto nella palude. La velocità eccessiva non era un problema della comunità. Anzi, Ginny non aveva mai sentito che il sindaco o il consiglio comunale avessero affrontato il problema. «Con tutte le strade che ci sono sul continente proprio le nostre dovevate imbrattare? Non si ferma, giovanotto? Orsù, prima che se ne abbia a pentire!» Andy non capiva molto bene che cosa volesse dire la donna, ma intuiva che il tono era di minaccia. «Sto solo facendo il mio lavoro» replicò immergendo il pennello nella vernice. «Che cosa accade allorché ci si passa sopra?» chiese Ginny indicando la
striscia di pittura ancora fresca. «Per ora nulla» rispose Andy con tono un po' brusco, sperando che la donna protestasse e gli desse spunti interessanti per il suo prossimo articolo. «Ne devo pitturare un'altra a trecento metri da qui, in maniera tale che da un elicottero il VASCAR rilevi il tempo impiegato dagli autoveicoli per passare da una striscia all'altra e quindi ne calcoli esattamente la velocità.» «Perdinci! Il NASCAR? Qui a Tangier?» Ginny era assolutamente sbigottita. «VASCAR» precisò Andy, stupito che la gente potesse confondere il VASCAR con il NASCAR. «È un computer che registra le auto che superano il limite di velocità.» «E cosa gli fa?» Ginny continuava a non capire, anche perché si era distratta al pensiero della Winston Cup, con bolidi rombanti e fan ubriachi fradici. «Arriva un vigile e gli fa la multa.» «La muta?» chiese Ginny, immaginando il bel vigile che sgridava e strapazzava una povera donna in bicicletta minacciandola con il dito, spaventandola a morte e lasciandola senza parole. «La multa» ripeté Andy con fermezza. «Lei sa cos'è una multa?» Arrivò con il pennello in fondo alla strada, a pochi centimetri dalla catena che delimitava il giardino di Ginny e dalle lapidi consunte dei suoi cari, che si erano inclinate un po' da tutte le parti. «Una multa è una sanzione pecuniaria la cui entità varia a seconda della gravità del reato commesso. È pagabile presso qualsiasi sportello bancario o postale.» Andy sapeva che su Tangier Island non c'erano banche e per la vecchia che aveva davanti lo sportello era quella cosa che serviva a chiudere i pensili della cucina. «E questa quanto la farete pagare?» chiese Ginny, sempre più allarmata. Andy si alzò in piedi e si massaggiò la schiena dolorante cercando di interpretare la domanda della vecchia. Gli venne in mente che quando era entrato nell'emporio prima di mettersi al lavoro aveva sentito due isolane che parlavano sottovoce di farla pagare a qualcuno. Andy non aveva capito per cosa, ma aveva sentito che ce l'avevano con un ragazzo di nome Shores che abitava di fronte alla scuola. "Ha la lingua più lunga di un serpente a sonagli, ma al suo povero babbo non da certo aiuto!" "Dici bene, Hattie. Anche perché non fiocina neppure quando il mare è una tavola e non gli impara nulla, al suo figliolo." "Sempre con l'acqua alle caviglie sta. Ah, te lo dico io, Lula, quel Fonny Boy ha la testa più dura di un granchio impaz-
zito." A quanto aveva capito Andy, Hattie e Lula volevano farla pagare a un ragazzo che abitava sull'isola davanti alla scuola, tale Fonny Boy Shores, che non dava una mano in casa, parlava troppo, non studiava e passava il tempo sulla spiaggia invece di aiutare il povero padre. «Dipende da quanto supera il limite di velocità» rispose Andy alla vecchia signora. Non voleva lasciarle intendere che era assolutamente contrario a multare la gente sulla base di controlli effettuati da un elicottero. Elicotteri e aerei non avevano radar e non potevano leggere i numeri di targa. Immaginava già il pilota che calcolava eccessiva la velocità di una monovolume bianca diretta a nord e chiedeva a un collega a terra di andarla a multare, questo usciva sgommando da dietro i cespugli sulla mezzeria a sirene spiegate e si lanciava all'inseguimento di una delle tante monovolume bianche dirette verso nord. Insomma, un enorme spreco di carburante, tempo e denaro pubblico. «Trenta dollari di quota fissa, più tre dollari per ogni chilometro oltre il limite» riassunse Andy. «Scusi, lei come si chiama?» «E a lei cosa interessa?» fece Ginny facendo un passo indietro, sulla difensiva. «Si collega mai in rete?» La donna lo guardò ammutolita. «Non quella che si usa per pescare» precisò Andy leggermente frustrato e deluso. «Non avete PC, modem, e roba del genere da queste parti?» Lanciò un'occhiata alle casette allineate lungo la strada sconnessa e scorse alcuni golf-cart in lontananza. «Lasci perdere la rete» aggiunse. «Ma il suo nome mi interessa e, se me lo da, io potrei invitare Vigile Verità a esprimere le sue perplessità riguardo alla nuova iniziativa sul traffico del governatore.» Ginny era sgomenta. «Magari arriveranno più turisti interessati alle sue vasche di granchi» continuò Andy indicandole. «Venticinque centesimi oggi, venticinque domani... viene fuori una bella sommetta, no?» «Ma che dice! Va già bene se qualcuno ogni tanto mi allunga qualche spicciolo!» protestò Ginny, cercando di minimizzare le entrate che non dichiarava al fisco. «Di questa stagione non ci sono granchi in muta da mostrare per venticinque centesimi. Ho solo un maschio adulto in quella vasca lì. Jimmy è un bell'esemplare grande e grosso, ma è lento che non le
dico. Presto i forestieri andranno altrove e da me non verrà più nessuno.» «Non si può mai dire: la pubblicità è l'anima del commercio. Potrebbe migliorare di molto la situazione» la incoraggiò Andy, che voleva assolutamente sapere il nome di quella donna. «La gente leggerà del suo bel Jimmy e farà la fila per venirlo a vedere.» Ginny si arrese e declinò le proprie generalità, sia perché aveva intuito che il bel giovanotto non era un ispettore delle tasse, sia perché aveva altri interessi e perché effettivamente la sua attività le rendeva parecchio. Aveva notato che da un po' di tempo a quella parte la gente non ci pensava più due volte prima di spendere qualche centesimo. Anzi, sembrava che non vedesse l'ora di togliersi dalle tasche gli spiccioli. Non che a lei facessero piacere: al contrario. Tutti sull'isola cercavano di scaricare le monete ai vicini. Era un continuo passaggio di monetine, tanto che Ginny si piccava di saper riconoscere da dove venivano e capiva di essere stata imbrogliata quando andava a fare la spesa e le davano come resto le stesse identiche monetine da un cent che era appena riuscita a sbolognare. "Niente centesimi" diceva sempre a Daisy Eskridge, che faceva la cassiera nell'unico supermercato dell'isola. "Scusa, sai, non ce l'ho con te, ma in qualche modo bisogna che me ne liberi" le rispondeva Daisy quando Ginny protestava. "Pensa che Wheezy Parks è venuta a comperare farina e sapone e me ne ha rifilati più di quattrocento. Le ho detto che le facevo credito, piuttosto. Ma non ne ha voluto sapere: era decisa a sbarazzarsi della moneta. Se ti dico che non mi stavano nel cassetto ci credi, Ginny?" Anche lei era arrabbiata con Wheezy, che si rifiutava di comprare a credito ed era la peggior spacciatrice di spiccioli di tutta Tangier Island. Correva voce che Wheezy avesse la vergognosa abitudine di aprire i salvadanai per cambiare i suoi cent. Ma non bastava, evidentemente, perché coglieva sempre la palla al balzo per liberarsi delle monetine. E non si capiva come mai. Ma forse Wheezy possedeva più spiccioli di chiunque altro, sull'isola, e li teneva dentro delle calze sotto il letto. «Dunque, signora Crockett, se lei supera il limite di velocità di dieci chilometri orari deve pagare trenta dollari più trenta di quota fissa.» Il vigile le stava spiegando una procedura legale molto complicata e Ginny smise di pensare agli spiccioli e cercò di concentrarsi. «Se lo supera di quindici, la sanzione cessa di essere pecuniaria e può essere penale. Cioè rischia di finire in galera.» «Sant'Iddio! Non potete sbatterci in galera tutti quanti!» protestò Ginny.
Aveva ragione, ma solo fino a un certo punto. Anche perché sull'isola non c'erano né carceri né tribunali. Questo chiaramente voleva dire che chiunque fosse stato colto a superare il limite di velocità sarebbe stato deportato in Virginia. Una simile eventualità scatenò il terrore più primitivo sull'isola sin dal momento in cui Ginny corse giù per Janders Road ed entrò nello Spanky's Piace, dove Dipper Pruitt stava servendo il suo gelato alla vaniglia fatto in casa a tre silenziose turiste amish con la gonna alla caviglia e la testa coperta. «Ci sbatteranno nelle galere del continente!» esclamò Ginny. «E trasformeranno quest'isola in un circuito per le corse!» Le donne amish sorrisero timidamente, tirando fuori da minuscoli borsellini manciate e manciate di spiccioli, che posarono a uno a uno sul bancone senza far rumore. Ginny non vedeva spesso turisti della Pennsylvania e si stupiva sempre che si vestissero e si comportassero a quel modo, oltre che di quanto fossero pallidi. Stavano per ore e ore sui traghetti della Chesapeake Breeze e del Captain Eulice e passeggiavano per l'isola tutto il giorno senza abbronzarsi: non gli si arrossavano le guance nemmeno quando tirava vento o faceva freddo. Non si sedevano mai sui dondoli delle verande, non si appoggiavano alle lapidi, non sbirciavano nelle vasche dei granchi cercando di non pagare né facevano commenti sullo strano modo di parlare degli isolani. Ginny non aveva mai sentito un amish lamentarsi del fatto che su Tangier Island fossero proibiti gli alcolici o tutto chiudesse presto la sera per impedire alla gente di fare le ore piccole, bestemmiare e trascurare la famiglia. Se tutti i forestieri fossero stati come loro, Ginny e i suoi vicini non li avrebbero detestati tanto. «Accipicchia! E chi ci vuole sbattere in galera?» si informò Dipper risciacquando i cucchiai con cui aveva servito il gelato in una ciotola di acqua tiepida. «E perché mai?» «Perché corriamo troppo forte sui golf-cart» rispose Ginny mentre le donne amish si allontanavano nella mattina fresca e umida. «I vigili stanno tracciando strisce di pittura sulle strade per poi multarci dagli elicotteri. Così poi ci fanno sgomberare e useranno l'isola per le corse del NASCAR e fare soldi a palate!» Nel giro di un'ora l'intera flotta di pescherecci dell'isola fece ritorno da ruscelli, canali e mare aperto, con i motori che tossivano e sputacchiavano, tirati al massimo dai pescatori inferociti al pensiero della galera, del NASCAR e dei commenti offensivi del vigile sui denti degli isolani. Un aereo
che stava cercando di avvistare banchi di pesce fu distolto dalla sua attività e mandato in missione su Janders Road, che sorvolò a bassa quota facendo attenzione a non avvicinarsi troppo alle gru che si ergevano sul promontorio meridionale dell'isola, nei pressi dell'impianto di smaltimento dei rifiuti e della pista d'atterraggio. Per fortuna di Andy, la pittura asciugò rapidamente e quindi la folla di donne e bambini incattiviti che si era raccolta brandendo manichette e secchi d'acqua non gli rovinò il lavoro. Ma era preoccupato e temeva che, alla fine dei conti, aizzare gli abitanti dell'isola per poi riferire le loro reazioni nei suoi articoli non fosse stata una buona idea. Forse non avrebbe dovuto lasciare Macovich ad aspettarlo a bordo dell'elicottero. Forse avrebbe dovuto farsi accompagnare da qualcuno in quell'impresa pericolosa. Un po' in ansia, si sbrigò a finire la striscia che aveva cominciato a tracciare davanti all'ambulatorio medico intitolato a Gladstone, dove il dottor Sherman Faux stava trapanando l'ennesimo dente a Fonny Boy. 5 La giornata del governatore Crimm era cominciata male. Si era perso scendendo a fare colazione ed era finito in uno dei tanti salotti della sua residenza, dove aspettava pazientemente su una sedia con l'alto schienale ricurvo che Pony, il maggiordomo, gli servisse il caffè da un abat-jour nell'antico portacandele di porcellana sul cassettone Chippendale. Aveva lasciato in giro la sua lente di ingrandimento d'argento, che di solito teneva sulla mensola di marmo del caminetto della sua camera da letto. «Dove sono?» chiese, nel caso ci fosse qualcuno a sentirlo. «Non voglio prosciutto stamattina, ma un caffè lo prendo volentieri. Pony? Vieni subito qui! Come mai fa così freddo? C'è corrente.» «Oh, santo cielo!» esclamò la First Lady, Maude Crimm. «Bedford, sei tu?» «E chi, sennò?» tuonò il governatore. «Chi mi ha preso la lente d'ingrandimento? Secondo me lo fate apposta, così non vedo che cosa combinate.» «Come sei negativo, tesoro.» Il governatore sentì il profumo dolciastro della signora Crimm e udì lo strofinio delle sue pantofole sul tappeto. «Non devi pensare che complottiamo tutti alle tue spalle...» gli disse con la coda di paglia, baciandolo sulla testa pelata. La signora Crimm sapeva benissimo che il marito aveva ragione a essere sospettoso. Avendo la mania del collezionismo, approfittava del deterio-
ramento della vista del marito e di Internet per dare libero sfogo al suo vizio. Negli ultimi tempi si era appassionata ai poggiapentole, e nell'arco di due o tre mesi se ne era procurati diverse decine, con i manici intrecciati, in ghisa, in ottone, a forma di cherubino, di centrino, di tulipano, di grappolo d'uva e persino di pergamena con su scritto "Dio benedica questa casa". Quella stessa mattina, mentre il marito russava sonoramente nel letto digrignando i denti, lei si era messa al computer e ne aveva scovato uno in pelle, con tanto di stelletta e cordoncino dorato, che non riusciva a togliersi dalla testa. La sua filosofia in fatto di shopping le imponeva ogni tanto di resistere alla tentazione di acquistare un vestito o un poggiapentole e vedere se il desiderio di impossessarsene resisteva nel tempo. Se così era, lo comprava, sicura di aver fatto la cosa giusta. Poiché tuttavia suo marito non condivideva la stessa filosofia, Maude Crimm aveva imparato a nascondergli i propri acquisti, cosa che le risultava sempre più facile. Ciononostante, le peregrinazioni alla cieca del marito la preoccupavano grandemente: temeva infatti che un giorno o l'altro aprisse uno degli armadi della biancheria e inciampasse nel mucchio di antichi poggiapentole che vi accumulava. Le ci mancava solo un'altra delle sue sfuriate. Bedford Crimm non si era ancora ripreso dalla volta in cui Maude si era aggiudicata trentotto smoccolatoi di inizio Ottocento e una rarissima scatola di caramelle Monarch Teenie-Weenie, che si era fatta consegnare a domicilio. Non tutto insieme, naturalmente: Maude Crimm era abbastanza in gamba da non ordinare troppa roba in una sola volta e da dilazionare nel tempo le consegne della Federal Express. «Hai controllato nella Lafayette Room?» domandò la signora Crimm al marito. «A volte la lente finisce lì, sul comò Sheraton, accanto alla lampada a petrolio. Credo di averla vista vicino alla specchiera l'altro giorno, ora che ci penso.» «E perché mai dovrebbe essere finita laggiù?» domandò cupo il governatore. «Quella stanza viene usata soltanto per ospitare altri governatori ed ex presidenti. Me la volete nascondere, allora! Che cos'è che non vuoi farmi vedere, moglie mia?» chiese alzandosi dalla sedia. «Ma cosa dici, caro!» rispose lei guidandolo fuori del salotto. «Sai, volevo dirti che stamattina ho letto l'articolo di quel Vigile Verità. Tu l'hai letto?» cambiò discorso. «Di quale articolo parli?» Il governatore la seguiva, ma andò a sbattere contro il tavolino da tè nel soggiorno, facendo traballare pericolosamente
una fragilissima lampada di vetro. «L'hai stampato?» «Sì, certo» rispose grave Maude Crimm. «Visto che non trovi la lente, però, te lo dovrò leggere io. Ho paura che ti farà innervosire, Bedford, e che ti scatenerà un altro attacco sottomarino.» Al governatore non faceva piacere che la moglie parlasse dei suoi attacchi di colite in pubblico, per quanto alludendovi in maniera indiretta. «Chi è là?» chiese strizzando gli occhi, sperando che non l'avesse sentita nessuno. «Nessuno, caro: siamo soli. Ecco, ormai siamo quasi arrivati nella sala della colazione. A destra... Attento alla litografia. Oh! Non ti preoccupare, caro. La raddrizzo io.» Crimm la sentì che sistemava il quadro contro cui aveva appena battuto il naso. «Se ci finisco addosso un'altra volta...» minacciò entrando nella stanza e sedendosi al tavolo. «Che cos'è, comunque?» «Il trattato di William Penn con gli indiani.» La signora Crimm spiegò un tovagliolo di lino e lo legò al collo del marito per proteggergli la camicia bianca che era abbottonata male e non si accordava con le bretelle fantasia, il panciotto di velluto verde e la cravatta a righe. «Non siamo a Philadelphia e non capisco perché William Penn sia dovuto entrare nella residenza» disse il governatore. «Quando è successo?» Evidentemente si era scordato della fugace passione che la moglie aveva nutrito per le litografie, sempre che se ne fosse mai accorto prima. Crimm sospirò. In quel momento apparve Pony con la caffettiera in mano. «Buongiorno, signore» lo salutò, versandogli il caffè nella tazza. «Non è affatto un buon giorno, Pony. Proprio per niente. Sta andando tutto a rotoli.» «Ha proprio ragione, signore» concordò Pony comprensivo. «Devo dirle che pensavo anch'io che il mondo fosse già andato in malora, ma mi sbagliavo. Sì, perché va sempre peggio, su questo ha ragione. Viene voglia di correre in chiesa a pregare Dio Nostro Signore di liberarci dal male, rimettere i debiti a noi e ai nostri debitori e riportare un po' di educazione a questo mondo. Non ci siamo. Non ci siamo proprio. Si ricordano di quando l'altro giorno è venuta la ditta di catering esterno per l'organizzazione di quella cena?» continuò Pony. «Be', io stavo facendo il mio lavoro e preparavo il tè, quando ho sentito una delle signore che diceva all'altra: "Quasi quasi mi porto via una di queste tazzine con lo stemma del Commonwealth of Virginia. Tu che ne dici?". "Perché no?" le fa l'altra. "Le tasse le paghi,
vero?" "Certo che le pago!" risponde lei. "E poi questa roba è di tutti, mica della famiglia Crimm." "Parole sante. Appartiene alla cittadinanza." Così» proseguì Pony sempre più animato a mano a mano che continuava il racconto «si sono prese le tazzine, se le sono messe nella borsa e tanti saluti. Ci credete?» «Ma perché mai?...» La First Lady era scioccata e disgustata. «Perché non glielo hai impedito?, vorrei sapere. Spero solo che non abbiano preso quelle senza manico color madreperla, con il motivo floreale...» «Oh, no, signora» la rassicurò Pony. «Hanno preso quelle con il manico e lo stemma del Commonwealth in oro zecchino.» «Tanto per cominciare, non capisco perché servi il tè ai fornitori» lo redarguì la signora Crimm. «Nelle tazze con lo stemma in oro zecchino, poi... Quelle si usano per gli ospiti ufficiali, per i personaggi di riguardo. Roba da matti!» Lanciò un'occhiata al governatore in cerca di sostegno morale, ma lui aveva appena mancato il piattino e sporcato di caffè la tovaglia. «Dobbiamo smetterla di essere così generosi, Bedford. Fra un po' anche i tassisti ci verranno a chiedere di fare un giro per la nostra casa e di prendere il tè nei nostri servizi migliori!» «La casa non è nostra» le ricordò il governatore, i cui cupi pensieri si stavano ammassando come vicini antipatici in ascensore, prima che la porta della sua pazienza si chiudesse e il suo umore cominciasse a scendere. «Chiunque può bussare alla porta e chiedere di visitarla, a dire la verità. Questo non significa che dobbiamo occuparcene noi o che loro possono obbligarci a farlo. La gente non sa di averne il diritto e io non glielo vado certo a dire. Mi leggi quell'articolo, adesso, Maude?» Sperava ardentemente che contenesse un altro enigma in grado di farlo uscire dalla selva oscura in cui si era smarrito. «Mummie» esordì Maude Crimm leggendo lo stampato oltre gli occhiali da presbite. «Tu sai che io ho sempre avuto paura delle mummie. Non credevo che capitasse anche agli altri. Ma cos'è questa storia di Tangier Island? È la seconda volta che Vigile Verità ne parla. Perché tanta attenzione?» «Che cosa gradiscono con le uova?» chiese rispettosamente Pony. «Non sapevo che ci fossero uova per colazione» disse il governatore. «Gli ho detto di farle in camicia, non fritte» precisò Maude Crimm lisciandosi la vestaglia sulla grassa pancia. «Credevo che ti facessero piacere. Quando si teme un attacco sottomarino, è meglio evitare fritti e cibi pesanti.»
L'umore e i sottomarini del governatore Crimm stavano sprofondando negli abissi. Non stette più a sentire la moglie e cominciò a convincersi che nell'articolo di Vigile Verità si nascondesse un altro enigma. Ricordò tutt'a un tratto che una volta, da piccolo, si era impappinato e aveva chiamato sua madre "mummia". Lutilla Crimm aveva concepito il figlio primogenito in un quartiere esclusivo di Charlottesville, Farmington, durante una terribile bufera di neve. Crimm aveva sentito alcuni racconti su quella fatidica notte e gli pareva di ricordare che quando suo padre si arrabbiava con la moglie, sbuffava e raccomandava a lui di non farsi fregare dalle donne. "Le donne sono tutte bugiarde e ladre" gli diceva quando andavano a prendere i ceppi da mettere nella stufa o spalavano la neve davanti alla maestosa dimora di mattoni che si stagliava contro le montagne. "Fanno le sdolcinate e ti fanno credere di avere una voglia disperata di fare l'amore con te, ma poi, quando ti hanno preso al laccio e riempito di figlioli, indovina cosa fanno?" "Che cosa?" chiese una volta Bedford. Peraltro quella era, e sarebbe per sempre restata, una delle sue domande ricorrenti. "Te lo dico io che cosa!" sbraitò il padre. "Cominciano a dirti che va imbiancato il soffitto qua, che bisogna ristuccare là, che il lampadario di cristallo è pieno di ragnatele... E tutto mentre tu stai..." "Oh!" restò stupefatto Bedford, posando i ceppi nel secchio vicino alla stufa. "Mettiamola così" riprese suo padre mentre la moglie faceva il mezzo punto al piano superiore. "Metà di te è finito sprecato sul copriletto, figliolo mio. Forse è per questo che sei un mostriciattolo e non hai la vista buona." "Ma la mamma che cosa ti ha detto, esattamente?" Bedford voleva la verità. "Parlava del soffitto o delle ragnatele?" "No, di nessuno dei due. Quella sera, sul più bello, si è tirata su e ha dichiarato: 'Credo di non aver dato da mangiare al gatto'." "E invece gliene aveva dato?" Bedford rimase sconvolto e non avrebbe mai più potuto dimenticare che era colpa di un gatto se lui era basso, brutto e orbo come una talpa. "Perché alla mamma è venuto in mente il gatto proprio in quel preciso momento?" "È questo che dico, figliolo. Le donne pensano a tutto il possibile e immaginabile in quel preciso momento perché vogliono creare un diversivo." Infilò un ceppo nella stufa, facendo alzare una nuvola di scintille. "Tua
madre l'ha fatto apposta, a tirare fuori la storia del gatto." Da allora Bedford Crimm non soltanto aveva detestato i gatti, ma si era portato un macigno nel cuore e una profonda insicurezza nell'animo perché sua madre aveva voluto il coitus interruptus la notte in cui lui era stato concepito, disperdendo così gran parte della sua vitalità sul copriletto. Come poteva aver voluto bene a un figlio tanto poco desiderato? Bedford Crimm se lo chiese per l'ennesima volta giocherellando con un uovo in camicia che vedeva a malapena e cercando a tastoni il macinapepe. Non ascoltava nemmeno sua moglie, che stava parlando animatamente con Pony di gente colpita dai fulmini. Si era illuso di aver dimenticato la propria misera infanzia quando aveva fatto carriera in politica, ma adesso Vigile Verità aveva riportato a galla tutto il suo malessere. In preda alla collera e alla paranoia, Crimm sentì che i sottomarini nella sua pancia si stavano preparando a un attacco. Evidentemente Vigile Verità era al corrente della triste venuta al mondo del potente governatore della Virginia, che tuttavia non voleva assolutamente che venisse resa pubblica la verità sul suo concepimento. Ma come faceva a saperlo, Vigile Verità? Be', lui sapeva tutto. Anche di quella volta in cui Bedford aveva fatto arrabbiare la mamma chiamandola per errore "mummia". Altrimenti perché avrebbe scritto un articolo sulle mummie? «È uno scandalo!» protestò battendo il pugno sul tavolo e facendo cadere un candelabro d'argento sul piattino del burro. Nella sala della colazione scese un silenzio assoluto. Dopo un istante Maude Crimm, sorpresa, gli disse: «Per l'amor del cielo, Bedford! Meno male che la candela era spenta, altrimenti avresti rischiato di dare fuoco alla tavola. Il burro è infatti grasso animale, e come tale è infiammabile quanto la benzina!». «Be', non proprio» precisò Pony. «La benzina è più infiammabile. Ma è meglio non correre rischi comunque.» Prese il candelabro e lo pulì nel tovagliolo che teneva piegato sul braccio. «Non vogliamo che vada a fuoco la casa. Brucerebbe in un battibaleno, antica com'è.» «Stavamo parlando di fulmini che si abbattono su case e persone incenerendole all'istante e il candelabro è caduto sul burro» sussurrò la First Lady, come se in quella coincidenza ci fosse qualcosa di tremendamente inquietante. «Spero che non sia un segno del cielo.» «Ehm-ehm.» Pony fece schioccare la lingua e scosse la testa. «Lo spero anch'io. Ma il cielo non manda segnali.» «Cielo? Segnali?» Il governatore si riscosse dalle proprie elucubrazioni e
pensò al VASCAR, agli elicotteri e alla segnaletica che Major Trader voleva disseminare in tutto il Commonwealth. «Chiamami subito Trader» ordinò a Pony. «Digli che voglio essere informato al più presto su come vanno le cose a Tangier Island. Ormai le strisce per terra dovrebbero essere state tracciate. Ah, chiedi anche a Macovich se ha idea di chi possa essere questo Vigile Verità. Voglio stanarlo e metterlo a tacere prima che combini altri guai! Me ne infischio del primo emendamento, io!» Batté di nuovo il pugno sul tavolo, ma questa volta Pony fu svelto ad afferrare il candelabro prima che cadesse. V.V. non era stata assolutamente svelta, invece, e non aveva capito nulla. Unica era certa che, quando aveva riattraversato il ponte la sera prima e si era allontanata sulla sua Miata, la donna era morta stecchita. Ciò nonostante, aveva bisogno di andare a controllare. I ricordi di quello che era successo dopo che lei e V.V. erano arrivate sull'isola erano vaghi e intermittenti, ma a giudicare dal sangue che aveva sui vestiti quando era ritornata nel suo squallido appartamento in centro, si era fatta un'idea della lezione che aveva dato a quella donna brutta e presuntuosa, tanto sfacciata da credere che Unica avesse un interesse per lei o per quelle come lei. Parcheggiò nei pressi di Belle Island e si avviò in scarpe da tennis e Polaroid fingendo di andare a fare una bella passeggiata mattutina in mezzo alla natura. Alla luce del giorno, l'isola sembrava molto diversa e ci vollero venti minuti buoni perché Unica trovasse la casa diroccata dove aveva trascinato il cadavere nudo di V.V., anche perché l'ultima cosa che ricordava era di averle tagliato la gola da un orecchio all'altro. Nel vedere il corpo insanguinato e mutilato supino nel fango ebbe un sussulto e si sentì potente, emozionata ed eccitata sessualmente. V.V. aveva gli occhi semiaperti, spenti, e i capelli sporchi di sangue e di terra. Unica era disgustata al pensiero di averle sfiorato le labbra e di averla toccata. Si accucciò e scattò diverse polaroid da ogni angolazione, in maniera da imprimersi tutto nella mente senza correre il rischio di far sviluppare la pellicola in un negozio. Rimase lievemente sorpresa quando si protese in avanti per prendere qualche primo piano e sentì il profumo dell'acqua di colonia di V.V., che le fece riaffiorare alla memoria le sue grida e il gorgoglio di quando si era portata le mani al collo e lei l'aveva presa a calci nella testa prima di tagliarle i seni e inciderle il nome Vigile Verità sul ventre. Unica rimase favorevolmente colpita dalla propria bravura: scrivere il nome di Vigile Verità era stato un vero tocco di classe. V.V, che
tanto aveva desiderato essere Vigile Verità, ora lo era diventata. «Hai avuto quello che volevi» sussurrò al cadavere freddo e insanguinato prima di tornare al ponte. Era già in macchina da diverso tempo, quando i colleghi di V.V. cominciarono a chiamarla a casa per sapere come mai non si era presentata al lavoro quella mattina, e Unica stava passando davanti alla casetta a schiera del poliziotto biondo quando due signore che portavano a spasso i figli nel passeggino fecero il macabro ritrovamento nella casa diroccata di Belle Island. In quello stesso momento Pony fingeva di ritrovare la lente d'ingrandimento del governatore. Pony sapeva quanto si agitava il governatore se non trovava almeno una delle sue lenti e, sebbene la First Lady gli avesse raccomandato di fare in modo che Crimm brancolasse nel buio quando era a casa in maniera che non vedesse i poggiapentole, decise di andargli incontro. Si infilò la mano nella tasca della giacca bianca inamidata e tirò fuori una lente di ingrandimento d'argento, che posò senza far rumore nella fruttiera di peltro. «Oh, santi numi!» esclamò. «Guardi un po' cos'ho trovato! Ecco la sua lente di ingrandimento, signore. Perché mai l'aveva messa nella fruttiera?» Maude Crimm gli lanciò una delle occhiatacce che riservava a coloro che osavano sfidare le sue istruzioni. Poi incrociò l'occhio destro ingrandito di suo marito, che si guardava intorno. «Dove diamine sono le ragazze?» domandò questi, rendendosi conto che le figlie non erano sedute a tavola. «Ho detto loro che stamattina potevano dormire quanto volevano» rispose la moglie. «Ieri sera sono rimaste alzate a vedere la TV fino a tardi ed erano stanchissime. Ma che stranezza, che la tua lente fosse nella fruttiera! Bedford, devi stare più attento a dove metti la roba...» «D'ora in poi, non me ne separerò più» disse lui con un tono minaccioso, facendo irrigidire la moglie. «D'ora in poi intendo tenere d'occhio la situazione e non lasciarmi più sfuggire le cose di mano. Mi hai capito? Guarda che non sono mica nato ieri! Anzi. Sono nato nel 1929 e non sono uno sciocco.» Puntò l'indice grassoccio in direzione della moglie. «Tu mi nascondi qualcosa, Maude.» «Niente affatto» mentì lei, preoccupata per il poggiapentole che aveva scovato su Internet quella mattina. Il governatore spinse indietro la sedia e si alzò, con il tovagliolo ancora legato al collo a mo' di mantellina. Per la prima volta da quando era sposa-
to, gli venne il sospetto che la moglie lo tradisse. Poteva darsi benissimo che in quel preciso momento ci fosse un altro uomo in casa sua, e che fosse quella la ragione per cui gli avevano nascosto la lente di ingrandimento nella fruttiera. Pensò a quanti uomini avrebbero colto al volo l'occasione di portarsi a letto una First Lady, la sua First Lady, e gli si torsero le budella, minacciando un attacco sottomarino. «Ho capito tutto!» dichiarò sulla porta, mentre le figlie scendevano pesantemente le scale. Sì, aveva capito tutto. Ormai gli era chiaro come il sole: sua moglie aveva un altro, o forse più di uno. Mentre lui si torturava immaginandola impegnata in assurdi giochi di seduzione, lei si angustiava al pensiero dei poggiapentole nascosti nell'armadio della biancheria e stava per farsi prendere dal panico. Che il marito avesse davvero capito tutto? Nel frattempo, Pony decise che era venuto il momento di andare a preparare dell'altro caffè e si eclissò discretamente, mentre a Maude Crimm veniva da piangere e i passi pesanti delle figlie si avvicinavano alla porta. «Mi perdonerai mai, Bedford?» implorò Maude Crimm, tirando su con il naso. Il governatore scorse un angolo del tovagliolo che aveva ancora al collo e se lo tolse con un gesto di stizza. Le sue peggiori paure si era realizzate. «Dimmi solo una cosa» chiese alla moglie, mentre i sottomarini nel suo intestino caricavano i siluri. «Come hai fatto a trovarli? Sull'elenco telefonico? Alle feste?» «Alle feste mai.» Era sbigottita che suo marito la ritenesse capace di rubare poggiapentole alle feste. «Non mi abbasserei mai a tanto. Non ne ho bisogno, peraltro» aggiunse indignata. «Se proprio lo vuoi sapere, li ho trovati su Internet. Ormai, navigando in rete si trova qualsiasi cosa. La tentazione è stata troppo forte... Oh, Bedford, non riesco a trattenermi! Mi vergogno di me stessa, ma so che ci ricascherò. Be', in fondo non è poi così grave, come vizietto.» «Non è così grave?» si stupì Bedford con un filo di voce, mentre i sottomarini alzavano il periscopio alla ricerca del nemico, che in quel caso era la moglie infedele. «E Pony dev'essere tuo complice, vero? Quel mascalzone non può non sapere quello che fai, visto che ti sta appresso tutto il santo giorno. E dubito che arrivino di notte. Ti prego, dimmi che non è così! Se arrivassero nottetempo, mentre io dormo nel nostro letto, sarebbe ancor più vile e degradante, per me! Tornate subito di sopra!» ordinò poi alle figlie. «Io e vostra madre stiamo litigando e i genitori non devono liti-
gare davanti ai figli!» «No, di notte mai» giurò Maude Crimm mentre le figlie si allontanavano di nuovo strascicando i piedi. «Quando li trovo, li faccio arrivare la mattina dopo. Oh, caro, perdonami. Li ho nascosti nell'armadio della biancheria.» «Be', sta' tranquilla che d'ora in poi controllerò tutti gli armadi della biancheria, appena torno a casa!» tuonò il governatore. Lo avrebbe fatto anche subito, ma ormai l'attacco dei sottomarini nella sua pancia era cominciato e i primi siluri rischiavano di esplodere da un momento all'altro. «Basta che ne trovi uno, uno solo, e fra noi è finita. Dico sul serio.» «Ti prego, caro, non fare così» lo implorò Maude Crimm asciugandosi gli occhi e pensando a dove nascondere i poggiapentole che intendeva far sparire dagli armadi della biancheria non appena il marito fosse andato a lavorare. «Te lo prometto. Potrai controllare dappertutto, tesoro, non troverai altro che biancheria. Vedrai. Tutta la nostra bella biancheria, pulita, piegata e stirata.» Il governatore aveva i sudori freddi, sentendo la prima esplosione che riverberava nei suoi organi interni scatenando un'onda d'urto destinata a prorompere da un momento all'altro. Chiuse tutti i portelli sfinterici e corse agitato nella toilette più vicina. 6 Una volta alla settimana il dottor Faux prendeva il traghetto per Tangier Island, dove dedicava il proprio tempo e la propria professionalità a gente che non disponeva di medici, dentisti o veterinari. Il suo scopo nella vita, diceva spesso, era aiutare i più deboli, i pescatori e le loro famiglie, ignari delle manovre truffaldine che il dentista escogitava per imbrogliare il servizio sanitario della Virginia. Il dottor Faux era convinto che i dentisti non potessero fare altro che incrementare le loro entrate ai danni dello Stato e credeva sinceramente che sottoporre gli isolani a cure inutili o fasulle fosse giusto, alla luce dei sacrifici che faceva lui. Chi altri si sarebbe occupato di quell'isola dimenticata da Dio e dagli uomini, altrimenti? Nessuno, come ricordava a tutti quelli che curava o faceva finta di curare. Sistemò la lampada e spostò lo specchietto intorno ai molari di Fonny Boy. «Ahi, ahi, ahi» commentò il dottore decidendo che il dente che aveva appena otturato andava devitalizzato. «Ti ho sempre raccomandato di
smetterla con le bibite zuccherate. Quante ne bevi al giorno? Di' la verità.» Fonny Boy alzò cinque dita mentre il dottor Faux si voltava verso la finestra da dove vide donne e bambini che gettavano secchiate d'acqua su una misteriosa striscia di pittura sull'asfalto. «Troppe!» lo rimproverò. Fonny Boy aveva quattordici anni, era alto e allampanato, con i capelli spettinati e schiariti dal sole, e aveva la strana abitudine di girare per le spiagge con un bastone o una rete non per cercare granchi, ma tesori. «Evidentemente, hai i denti delicati» continuò il dottor Faux, ripetendo quel che diceva a tutti gli abitanti dell'isola. «Dovresti bere bibite senza zucchero e, ancora meglio, acqua.» Fonny Boy ci passava la vita dentro e circondato dall'acqua: per lui berla sarebbe stato come per un contadino mangiare la terra. «Non posso» replicò. Faceva fatica a parlare perché aveva le labbra e la lingua ingrossate dopo l'anestesia. «Sono talmente gonfio che rischio di soffocare.» «Hai mai provato a bere l'acqua minerale? Magari gassata o aromatizzata alla menta?» Il dottor Faux continuava a guardare fuori della finestra. «Perché quell'aereo sta volando qua sopra? E chi è quel vigile bagnato fradicio con una latta di pittura e una bottiglia di Evian che stanno rincorrendo giù per la strada? Be', già che ti ho fatto l'anestesia, tanto vale che ti regoli l'apparecchio.» Si fermò a scrivere una serie di codici e appunti sulla cartella di Fonny Boy, che era spessa come un libro. «No!» protestò il ragazzo. «Poi mi duole tutta la bocca. L'apparecchio va benissimo così, a parte gli elastici che saltano continuamente e senza motivo alcuno.» Fonny Boy non avrebbe voluto portare l'apparecchio. Così come non avrebbe voluto che il dottore gli estraesse quattro denti assolutamente sani nel corso di quell'ultimo anno. Fonny Boy odiava andare dal dentista e spesso si lamentava con i suoi genitori che il dottor Faux era un pirata. «Mi ha fatto vedere una foto della sua automobile» aveva detto a suo padre qualche giorno prima. «Una Merk nera, enorme. E pare che anche sua moglie ne abbia una, ma di colore diverso. Come può permettersi auto così costose se a noi non chiede mai denaro?» Era una domanda intelligente, ma nessuno prendeva mai sul serio Fonny Boy. I suoi vicini e gli insegnanti lo trovavano buffo e un po' strano, e si raccontavano l'uno con l'altro storielle sulle sue scorribande lungo la spiaggia alla ricerca di tesori nascosti e sul suo amore incontrollabile per la
musica. "Giuro" Fonny Boy aveva sentito dire da sua zia Ginny Crockett una domenica dopo la preghiera. "Crede che a furia di cavare sabbia troverà un baule pieno di monete d'argento. Ah! la sua povera madre è sempre lì a rabbuffarlo, e non mi sento di darle colpe. Ha fatto tutto quello che poteva per quel figliolo. E, comunque, se la smettesse di suonare quella sua armonica a bocca saremmo tutti più contenti." "Oh, Gesù, Giuseppe e Maria, se la porta dietro ovunque vada! Suona proprio una bella musica, te lo dico io" aveva esclamato l'amica di Ginny, intendendo esattamente il contrario perché nessuno sopportava gli scempi dissonanti che Fonny Boy produceva. "Suo padre dovrebbe dargliele di santa ragione, invece di andarne tanto fiero" replicò Ginny, che in quel caso invece intendeva dire proprio quello, perché il padre di Fonny Boy era convintissimo che suo figlio fosse l'invidia di tutta l'isola. «Appena toglieremo l'apparecchio» proseguì il dottor Faux infilandosi un nuovo paio di guanti che avrebbe poi fatturato per tre volte il suo valore «ti incapsulerò questi otto denti davanti. Adesso ti faccio il prelievo. Okay?» Il dottor Faux aveva scoperto che vendere sangue a sedicenti ricercatori che studiavano la mappa genetica delle popolazioni endogame rendeva molto bene. «No!» Fonny Boy saltò sulla poltrona aggrappandosi ai braccioli con tanta forza che gli sbiancarono le nocche delle dita. «Non ti preoccupare, Fonny Boy. Userò leghe pregiate e ti regalerò un sorriso da un milione di dollari!» In quel momento squillò il vecchio telefono nero dell'ambulatorio, che risaliva ai tempi in cui i fili del telefono erano rivestiti di stoffa. Non si sentiva niente. «Ambulatorio medico» rispose Faux. «Vorrei parlare con Fonny Boy» rispose una voce maschile scarsamente udibile fra i crepitii e i fischi della linea disturbata. «C'è?» «È lei, Hurricane?» chiese il dentista al padre del ragazzo, che veniva chiamato così a causa del suo caratteraccio. «Deve venire per il controllo e la pulizia dei denti. Così, intanto, le faccio un prelievino.» «Mi passi Fonny Boy, prima che vada in bestia!» «È per te» disse il dottor Faux al suo paziente. Fonny Boy si alzò dalla poltrona e prese in mano la cornetta, allontanando una mosca letargica. «Pronto?»
«Ascoltami bene, serra la porta a chiave!» intimò il padre di Fonny Boy con la massima urgenza. «Non lasciarlo uscire! In talune occasioni fare il bastian contrario è giusto, figlio mio. L'ostinazione, a volte, è l'unica arma che ci resta. Quel dentista t'ha massacrato di nuovo?» «Eh già, non mi ha fatto niente!» rispose Fonny Boy, intendendo naturalmente tutto il contrario, e cioè che il dentista gli aveva rovinato la bocca un'altra volta. «Sursum corda, sangue del mio sangue» cercò di risollevarlo il padre. «Gli daremo una dose della sua stessa medicina. Così imparerà a tormentarci e approfittare di noi. Stiamo uniti, ragazzo, e acqua in bocca. Tutto è bene quel che finisce bene.» «Che Dio ci benedica!» esclamò Fonny Boy chiudendo la porta con la chiave appesa dietro a un quadro di Gesù circondato da agnellini. Non aveva ben chiaro il motivo per cui bisognava tenere il dottor Faux prigioniero dentro il suo stesso ambulatorio, ma sapeva che quel macellaio se lo meritava. E, comunque, si sarebbe trattato di un piacevole diversivo rispetto al solito tran tran. Tangier Island era piuttosto noiosa per i giovani e Fonny Boy sognava di trovare un tesoro e di andarsene per sempre. Sbirciò fuori della finestra e vide un gruppo di pescatori che marciavano lungo la strada in formazione militare, alcuni armati di remi di legno e rastrelli per ostriche. «Si segga su quella poltrona e faccia attenzione a non cadere!» ordinò Fonny Boy al dentista. «Ti ci devi sedere tu, adesso» gli ricordò il medico. «Devo ancora toglierti il cotone di bocca. Quando abbiamo finito, se vuoi mi ci siedo io.» Il dottor Faux immaginava che fosse stata la lidocaina a mettere in agitazione Fonny Boy, aggravando un problema nervoso evidentemente già in atto. Nemmeno il più esperto dei dentisti sapeva valutare esattamente gli effetti di un determinato farmaco sui propri pazienti, e infatti il dottor Faux chiedeva sempre a tutti se erano allergici a qualche sostanza, prima di somministrarla. Gli abitanti di Tangier Island tendevano ad assumere talmente pochi analgesici, tranquillanti, anestetici e in generale sostanze psicotrope - a parte l'alcol, proibito del tutto - che erano perfetti per gli studi a doppio cieco con placebo e altre diavolerie farmaceutiche di cui alcune industrie, molto generose con chi si prestava a dare un contributo alle loro ricerche, avevano chiesto la registrazione. Il dottor Faux infilò le dita coperte dai guanti di lattice nella bocca di Fonny Boy, alla ricerca del tam-
poncino di cotone. «Non l'avrai di nuovo ingoiato, vero?» si preoccupò. «Sì» rispose il ragazzo. «Be', temo che per qualche giorno farai fatica ad andare in bagno. Senti, come mai hai chiuso la porta? E dove hai messo la chiave?» Fonny Boy si tastò le tasche per accertarsi di averla ancora. Non la trovò. Che fine aveva fatto? si chiese guardandosi intorno. In quel momento dalla strada si alzarono grida e voci rabbiose. Nell'eccitazione, Fonny Boy diede al dentista una gomitata, senza cattiveria ma abbastanza forte da fargli uscire il sangue dal naso. «Ahi!» gridò il dottor Faux per la sorpresa e il dolore. «Perché l'hai fatto?» domandò, mentre i pescatori dalla strada chiedevano a Fonny Boy di aprirgli la porta. «Non posso!» rispose loro il ragazzo. «Ho smarrito la chiave! Non ricordo più dove l'ho occultata!» «Perché mi hai dato una gomitata sul naso?» continuava a ripetere il dottor Faux sgomento, tamponandosi il sangue. Fonny Boy non lo sapeva, ma gli sembrava importante dare una dimostrazione di forza, e lo attirava l'idea che i pescatori pensassero che aveva dovuto ricorrere alla violenza per sottomettere il dentista. Certamente a suo padre avrebbe fatto piacere. Il problema era che si era scordato dove aveva messo la chiave. La confusione in strada stava crescendo. «Dovrete abbattere la porta!» gridò alla folla inferocita. I pescatori non ci pensarono su due volte e un attimo dopo presero possesso dell'ambulatorio medico brandendo remi e rastrelli. «Abbasso la Virginia! Abbasso la Virginia!» era il loro grido di battaglia. «Non tornerà sul continente, ha capito, dottor Faux? La terremo prigioniero!» «Le renderemo la pariglia!» «È vero! È vero!» «Allora, dottor Faux, come si sente adesso che c'è seduto lei, su quella poltrona?» «Diamogli una lezione!» «Gliel'ho già data io» intervenne Fonny Boy tutto fiero. «Gli ho mollato un colpo sul naso tanto forte che l'ho fatto cadere a gambe per aria!» si vantò. «Dovremmo togliergli i denti uno per uno! Con tutti quelli che ha tolto lui a noi!»
«Dovremmo buttarlo a mare, ecco cosa dovremmo fare! Gettarlo in pasto ai granchi!» «Sempre che non gli faccia troppo schifo, a quelle povere bestie!» «Proprio vero! Ributtante com'è!» «Un momento!» intervenne il dottor Faux gridando abbastanza forte da mettere temporaneamente a tacere i pescatori dalla poltrona su cui l'avevano sistemato. «Ho capito che ce l'avete con la Virginia. Quel che non capisco è perché ve la prendete con me, allora. Insomma, che cosa c'entro io con la Virginia?» «Ce l'abbiamo con la Virginia e tutti i suoi abitanti» decise qualcuno lì per lì. «E lei è il tipico virginiano che si approfitta di noi.» «Be', se proprio volete sequestrarmi, tanto vale che avvertiate il governatore del vostro piano criminoso» consigliò il dottor Faux con intento fraudolento. «Se nessuno lo sa, che senso ha tenermi prigioniero? Quanto alle accuse ingiuste e ingrate che mi avete fatto, vi ricordo che da anni io vengo su quest'isola a curarvi i denti senz'altra spinta che l'altruismo e che, se non fosse per me, non ci sarebbe nessuno a prendersi cura di voi.» «Meglio non avere nessuno, che avere lei.» «Senza di lei, mia moglie avrebbe ancora tutti i suoi denti. E l'unico mio su cui ha messo le mani soffre il caldo e il freddo.» «Non agiamo d'impulso» raccomandò uno dei pescatori appoggiando il remo alla parete. «Non vogliamo finire nei guai.» «Parole sagge!» intervenne il dentista. «State sbagliando. Siete arrabbiati con il governatore e su questo non posso darvi torto: vi sentite per l'ennesima volta perseguitati e discriminati. Io non so a che servano quelle strisce per terra, ma non credo che siano state fatte nel vostro interesse.» «Certo che no!» «Non ascoltatelo!» intervenne Fonny Boy. «Lui non abita sull'isola, eppure è qui proprio quando i vigili vengono a imbrattarci le strade. Vi siete chiesti perché? Perché è una spia!» «Che io sia dannato!» esclamò il padre di Fonny Boy, pieno di collera e risentimento. «Come t'è venuta l'idea che sia qui per spiarci, figlio mio?» «Spia i nostri metodi di pesca e poi va sparlando di noi e dei nostri granchi, pesci e molluschi. Non si diceva che volevano approvare una legge per impedirci di pescare?» dichiarò Fonny Boy senza lo straccio di una prova. «È stato lui a dirtelo?» domandò suo padre indicando il dentista con il mento. «Altroché!»
«Che cosa ti ha detto, esattamente?» Fonny Boy si arenò e non seppe far di meglio che stringersi nelle spalle. Ma ormai il seme del dubbio era stato piantato. «Non possiamo correre rischi» osservò uno dei pescatori. «Infatti.» «Proprio vero.» «Il governatore ha già ristretto tantissimo la pesca dei granchi. Se ora che inizia la stagione dei molluschi ci vieta pure quella, come faremo a tirare avanti? Come ci guadagneremo il pane?» «È una disdetta!» «È inammissibile!» «Propongo di consentirgli di fare una telefonata per spiegare le nostre intenzioni» disse il padre di Fonny Boy con tono collerico. «Chi gli facciamo chiamare?» «La polizia, direi. In fondo, a imbrattarci la strada è venuto un vigile. E probabilmente il dentista ci spia per conto del governatore, ma riferisce alla polizia.» Consegnarono il vecchio telefono nero al dottor Faux il quale, dopo aver chiamato il centralino ed essersi fatto passare una serie di interni, riuscì a mettersi in contatto con il comandante Judy Hammer. «Chi parla?» domandò Judy Hammer, sentendo un mormorio ostile di sottofondo. «Sono un dentista della Virginia» rispose Faux, pregando fra sé che la polizia non aprisse un'inchiesta sulla sua attività professionale. «Lavoro a Tangier Island, da dove la sto chiamando. Sono nei guai perché un vigile quest'oggi ha pitturato delle strisce in Janders Road e qui dicono che il governatore vuole togliere l'isola ai suoi abitanti per trasformarla in un circuito automobilistico.» «Mi scusi, ma non capisco di che cosa parla» replicò la Hammer. Era sul punto di sbattere il telefono in faccia a quello che le sembrava un invasato, ma all'ultimo momento decise di dargli retta. «Quelle strisce fanno parte del VASCAR, un piano lanciato dal governatore per far rispettare i limiti di velocità sulle nostre strade.» «Se non le togliete immediatamente e non sottoscrivete una dichiarazione in cui vi impegnate affinché né polizia statale né guardia costiera né altre forze dell'ordine vessino in maniera indebita gli abitanti di Tangier Island, questi mi terranno prigioniero contro la mia volontà!» «Mi scusi, ma lei chi è?» ripeté la Hammer, prendendo appunti.
«Mi hanno vietato di fare il mio nome» replicò l'uomo. «Abbasso la Virginia!» gridò una voce in sottofondo con un curioso accento. «Il governatore non è stato certamente eletto con i nostri voti!» «È questa la ricompensa per aver sempre vissuto onestamente di pesca e di mare? Strisce sulle nostre strade e un dentista buono solo a cavar denti a destra e a manca?» «Non ho cavato denti a destra e a manca!» obiettò il dentista tenendo una mano sulla cornetta. Ma la Hammer lo sentì lo stesso. «Basta così!» lo interruppe con tono autoritario. «Mi dite che cosa volete esattamente da me? Non capisco bene.» Seguì un silenzio. «Pronto?» «Siamo stufi di tutte queste interferenze» sentì che urlava qualcuno. «Dica di riferire al governatore che prima che arrivasse lui stavamo molto meglio e che vogliamo l'indipendenza dalla Virginia!» «Sì!» «Giusto! Non vogliamo più né i suoi balzelli né i suoi gendarmi! Vogliamo essere indipendenti!» «Niente più tributi! Neanche un soldo!» «E che nessuno ci venga più a dire quanto possiamo o non possiamo pescare!» «Giusto!» «Be', ha sentito?» fece il dentista alla Hammer. «Niente più restrizioni sulla pesca, tasse statali, polizia o interferenze indebite: Tangier Island vuole la secessione dalla Virginia.» Sottovoce, aggiunse con tono da cospiratore: «E cinquantamila dollari di riscatto per la mia liberazione, in banconote non contrassegnate da spedire per espresso alla casella postale numero trecentosedici di Reedville. La prego, li accontenti! Sono loro ostaggio e mi tengono chiuso nell'ambulatorio. Mi hanno picchiato, perdo sangue: la mia vita è in pericolo». Prima che Judy Hammer avesse il tempo di rispondere a quello che le sembrava un folle tentativo di estorsione, il dentista riattaccò. Judy Hammer cercò di mettersi in contatto con Andy senza riuscirci e gli lasciò un messaggio per spiegargli che cosa era successo. Concluse dicendo: «Il tuo saggio sulle mummie ha causato molti danni, malgrado non abbia appurato se sull'isola è stato letto. Di certo hai posto le basi perché gli abitanti di Tangier Island si sentissero perseguitati. Spero che tu faccia qualcosa per
rimediare al più presto, Andy. Per favore, richiamami appena possibile». Andy non ricevette il messaggio che quella sera tardi perché, dopo essere tornato a Richmond con Macovich, aveva organizzato in fretta e furia una piccola missione segreta per svolgere la quale aveva bisogno di un elicottero civile. Era tornato sull'isola a raccogliere informazioni e non era rientrato a casa che a mezzanotte. A quel punto aveva ascoltato la segreteria telefonica e richiamato subito Judy Hammer, che era già andata a letto. «Oh, mio Dio!» esclamò Andy. «Non ne sapevo assolutamente niente! Mi dispiace moltissimo...» «Dove sei stato tutto il giorno?» gli chiese lei assonnata. «Non te lo posso dire» rispose Andy. «Non ora, almeno. So che ti sembrerà brutto e scortese, ma ho svolto alcune ricerche e indagato su una questione che ora non è il momento di affrontare. Ti basti sapere che quando ho pensato a quali argomenti trattare sul mio sito, non avevo intenzione di parlare né di Tangier Island né delle frodi in campo medico, e che pertanto mi sono trovato costretto a documentarmi. Senti, adesso è meglio che chiudiamo, così mi metto a scrivere...» «Andy!» gridò la Hammer, ormai perfettamente sveglia e offesissima. «Non puoi tenermi dei segreti! Dove sei stato tutto il giorno? Non hai sentito le ultime notizie? No, certo, è chiaro» aggiunse con emozione. «Una donna è stata barbaramente uccisa su Belle Island e l'assassino le ha inciso il tuo nome sul ventre.» «Come sarebbe, le ha inciso il mio nome sul ventre?» «Vigile Verità.» «Le hanno inciso Vigile Verità sul ventre?» Andy era scioccato e stupefatto. «Ma che?... Ma chi?...» «Non so niente. Ma credo che sarebbe opportuno che tu la facessi finita con questa storia di Vigile Verità e tornassi a svolgere le tue normali mansioni, prima di combinare altri guai.» «Non puoi incolpare me delle follie di uno squilibrato! Per quanto mi dispiaccia per la povera vittima, non mi sento responsabile della sua morte, e comunque ti assicuro che farò il possibile per dare una mano. Ti ricordo, però, che avevamo fatto un patto e che tu hai preso un impegno nei miei confronti. Non ti scordare che un anno fa, quando abbiamo parlato di questa cosa, ti avevo avvertito che, se si dice la verità, le forze del male si risentono e colpiscono. Alla fine, però, la verità prevale.» «Oh, per l'amor del cielo!» esclamò la Hammer spazientita e irritata. «Non mi propinare la tua filosofia da strapazzo!»
«Mi hai ferito» rispose Andy, amareggiato e deluso, ma più determinato che mai. «Leggiti Vigile Verità domattina e poi ne parliamo.» BREVE STORIA DI TANGIER ISLAND di Vigile Verità Benché ora non ne sia molto contenta, Tangier Island fa parte del Commonwealth of Virginia e fu scoperta nel 1608 da John Smith e sette soldati, sei gentiluomini e un dottore che esploravano la Chesapeake Bay a bordo di una chiatta di tre tonnellate. Mentre cercavano porti e abitazioni, si imbatterono in un arcipelago che chiamarono Russell Isles. Quando attraversarono la baia verso la sponda orientale, incrociarono due indigeni tarchiati e alquanto poco cordiali, "selvaggi", come li definì Smith, che tenevano in mano lunghi bastoni con teste d'osso. «Chi siete e cosa volete?» gli domandarono arditamente i due indigeni nella lingua dei Powhatan, così chiamata perché era quella parlata dal grande capo Powhatan, padre di Pocahontas. Smith gli rispose in inglese, facendo molta impressione sui selvaggi. E qui voglio aprire una breve parentesi per sottolineare l'importanza della comunicazione, certamente un tema attuale, soprattutto alla luce di quello che è successo ieri sull'isola scoperta da John Smith nel lontano 1608, e cioè a Tangier. Nessun governo statale, nemmeno quello della Virginia, dovrebbe prendere iniziative e promulgare leggi che coinvolgono persone che parlano alla rovescia usando una serie di incomprensibili arcaismi. Se un uomo di Tangier dice, per esempio: "Bella, questa cosa" o "Non piove mica", a seconda del tono che usa intende che la cosa non gli piace e che sta piovendo a dirotto. Il professor David L. Shores, nato a Tangier Island, affronta l'argomento nel suo Tangier Island: l'isola, la gente, la lingua. Anticamente, quando un isolano intendeva il contrario di quello che stava dicendo, oltre che con il tono di voce lo segnalava con rafforzativi tipo: "No, figuriamoci". Se pertanto voleva dire che pioveva molto forte, diceva: "Non piove mica. No, figuriamoci". Ora non più. Solo chi conosce molto bene le inflessioni e le espressioni facciali degli abitanti dell'isola può capire che cosa intende veramente un pescatore quando dice: "No, non mi interessa mica andarci" oppure: "Piccolino, questo pesce, vero?". Pertanto il problema, come mi ha fatto notare una persona a me molto cara che d'ora in poi chiamerò il mio saggio confidente, è che quando una
donna di Tangier, riferendosi al progetto per il controllo della velocità VASCAR, esclama: "Che bellezza!" probabilmente intende esprimere tutto il proprio disappunto e la propria contrarietà. Alla luce di queste considerazioni, bisogna dedurre che la signora Ginny Crockett fosse molto irritata, nonostante alla polizia avesse detto il contrario. Ed è proprio qui che volevo arrivare. Il governatore dovrebbe astenersi dall'operare sull'isola senza prima aver acquisito una certa competenza nell'interpretazione della lingua ivi parlata. Peraltro non dovrebbe impiegarci molto, visto che la sua amministrazione ha dato prova in più di un'occasione di dire una cosa e poi fare il contrario, che è un'altra manifestazione dello stesso processo mentale. "Un'iniziativa davvero straordinaria" ho definito il progetto VASCAR parlando con il mio saggio confidente. "Sulla base dell'inflessione e del tono esageratamente stridulo con cui l'hai detto, oltre che dell'enfasi con cui hai pronunciato la parola 'davvero', alzando il mento e le sopracciglia, posso chiederti se intendevi dire esattamente il contrario?" mi ha domandato. "Volevo vedere se te ne accorgevi" gli ho risposto. "Non conta quello che si dice, ma come lo si dice." "Mi chiedo se anche John Smith abbia avuto lo stesso problema comunicando con i selvaggi" mi ha detto il mio saggio confidente. "E se questi già allora parlassero al contrario." "Be', allora sicuramente era più importante il tono che la sostanza" gli ho fatto notare. Dopo l'incontro con i selvaggi, Smith riprese il mare, seguendo la costa e le sue insenature finché un giorno, racconta Smith "vento fortissimo, pioggia, tuoni e saette ci assalirono e con grande periglio sfuggimmo alle spietate ire degli oceani". Dopo essersi salvati per un soffio, si rifugiarono in una delle isole che Smith aveva battezzato Russell Isles. Ripreso nuovamente il mare, furono investiti da un'altra tempesta, nel corso della quale persero l'albero maestro e le vele e rischiarono il naufragio. Per due giorni aspettarono che la tempesta si placasse e cercarono acqua potabile in un luogo inospitale che Smith chiamò Limbo Island. Finalmente riuscirono a riparare le vele usando le camicie che indossavano e fecero ritorno a Jamestown. Molti studiosi ritengono che Tangier Island fosse una delle Russell Isles. Tuttavia, dopo aver studiato diverse antiche mappe e una carta moderna, mi sono chiesto se Tangier non corrisponda in realtà all'antica Limbo e se questo non possa in qualche modo spiegare la tendenza dei suoi abitanti a
dire il contrario di quello che pensano o comunque a pensare il contrario di quello che dicono. Io non credo che gli storici possano escludere del tutto questa eventualità, che comunque io non sono in grado di dimostrare. Se guardate una carta di volo del settore di Washington, però, vedrete che Tangier e Limbo sono a pochi minuti di elicottero l'una dall'altra. Per approfondire la questione, ho deciso di recarmi a Jamestown in elicottero e da lì registrare le esatte coordinate del viaggio di Smith come se fosse stato Jamestown-Tangier e poi come se fosse stato JamestownLimbo. Va notato che le seguenti coordinate geografiche si riferiscono a quelle apparse sul mio GPS sorvolando Jamestown, Tangier e Limbo. Leggete i dati che seguono e io ve ne spiegherò il significato.
LATITUDINE LONGITUDINE
JAMESTOWN 37° 12,47 76° 46,66
TANGIER 37° 49,51 75° 59,87
LIMBO 37° 55,75 76° 01,58
Appare evidente che Tangier e Limbo non sono affatto distanti. Vorrei perciò che voi, cari lettori, immaginaste Smith e i suoi compagni in mezzo a una terribile tempesta con tuoni, fulmini e visibilità zero. Come poteva Smith essere così sicuro di non essersi rifugiato su Limbo Island ma su Tangier? Io sono abbastanza certo che se avessi volato in simili condizioni, magari dopo un sorso o due di Wild Turkey, sarei potuto benissimo finire su Limbo Island credendo di essere altrove. Che Tangier sia Limbo oppure no, non lo sapremo mai. Dubito che se John Smith fosse qui oggi ce lo potrebbe dire. Ma non ho dubbi che se visitasse Tangier adesso, si sentirebbe su Limbo. Se è davvero molto probabile che Tangier sia Limbo, personalmente mi rammarico che non abbia mantenuto quel nome. Credo che con quel nome si sarebbe potuta aggiudicare quella nicchia di mercato che comprende i turisti più incerti, quelli che preferiscono non prendere decisioni troppo compromettenti e restare temporaneamente senza fare nulla. E credo anche che il governatore della Virginia non si sarebbe scomodato a posizionare autovelox in un luogo chiamato Limbo, né che i suoi abitanti se la sarebbero presa tanto. Mi raccomando, occhi aperti! 7
Andy capiva quanto era spazientita Judy Hammer dal ritmo con cui tamburellava con le dita sul tavolo. Mentre Andy le parlava di Tangier Island e delle radici storiche dell'attuale sommossa dei pescatori - ignaro del fatto che i suoi stessi commenti sull'imperizia del dentista avevano acceso la loro sete di ribellione quanto le iniziative del governatore - Judy Hammer batteva sul tampone dell'inchiostro con ritmo forte e serrato. «La maggior parte degli abitanti di quell'isola non ha mai studiato storia e nemmeno sa chi è John Smith» ribatté Judy Hammer, seduta alla scrivania nel suo ufficio, da cui si godeva una splendida vista sulla rotonda davanti alla sede della polizia, con le sue alte bandiere. «Non credo che vadano sottovalutati» rispose Andy, sudatissimo e spaventato al pensiero di che cosa avrebbe detto il suo capo a proposito dell'ultimo articolo di Vigile Verità. «Volevo soltanto contestualizzare un po' la sommossa. Io credo infatti che gli isolani siano portati a pensare che tutti quelli che vengono da fuori sono bucanieri decisi a portar loro via l'isola e tutto quello che contiene, un po' come dovevano sentirsi i nativi quando gli inglesi arrivarono a Jamestown e cominciarono a costruire fortificazioni.» «Bucanieri?» «È così che chiamano i pirati a Tangier.» «Oddio!» gemette Judy Hammer. In quel momento entrò nel suo ufficio Windy Brees, truccatissima e con gli occhi sgranati. Aveva un plico dell'UPS fra le dita perfettamente curate, con le lunghe unghie laccate di rosso. «Accipicchia!» esclamò. «Provi un po' a indovinare che cosa è successo!» Judy Hammer andava in bestia quando la sua segretaria le faceva gli indovinelli. «Dimmelo tu, per favore» replicò spazientita. «Non so proprio come faremo a sbrogliare questa potassa!» esclamò Windy senza fiato. «È stata denunciata la scomparsa di un dentista che lavora a Tangier Island. Ieri è andato sull'isola come al solito. Quando la moglie non l'ha visto tornare con il solito traghetto, ha chiamato l'ambulatorio; le ha risposto un ragazzino che parlava in maniera incomprensibile e le ha spiegato che il dentista era stato preso in ostaggio e sarebbe stato rilasciato solo se il governatore avesse decretato l'indipendenza di Tangier Island. Be', insomma, una roba del genere.» «Sì, grazie, ne sono già al corrente. Pare che lo tengano prigioniero nell'ambulatorio» disse la Hammer.
«L'ambulatorio?» chiese Andy in preda a un orribile presentimento. «Così mi ha raccontato il dentista quando gli hanno permesso di fare una telefonata» spiegò Judy Hammer. «Non so come si chiama, però. Mi ha detto che gli era stato proibito di rivelarlo.» «Sherman Fox» intervenne Windy. «Anche se forse si scrive in maniera diversa.» Controllò gli appunti. «Sì, ecco, F-A-U-X.» «Non si legge Fox, ma Fo: la "x" non si pronuncia.» «Che spreco di tempo! Cosa si scrive a fare, se poi non si pronuncia?» commentò Windy un po' stupita. «Lasciamo perdere» si intromise Judy Hammer irritata. «Andy, quando ieri sei andato a dipingere le strisce sull'asfalto per l'autovelox hai visto il dentista?» «No» rispose Andy, omettendo di spiegare al suo capo che in seguito era tornato sull'isola in incognito e neanche quella volta aveva visto il dentista, anche se probabilmente ci era andato vicinissimo, essendo lui entrato nell'ambulatorio medico. In realtà era sua intenzione parlarle della missione segreta, ma voleva aspettare che fosse di umore migliore. «Un folto gruppo di pescatori marciava lungo Janders Road» aggiunse. «Non che la cosa mi sorprenda, visto che Tangier Island ha una lunga tradizione di isolamento e rancore. Per quanto io ammiri Thomas Jefferson, ritengo che non abbia contribuito a migliorare la situazione ordinando la requisizione di tutte le imbarcazioni dell'isola e il taglio dei rifornimenti durante la Rivoluzione. Li ha trattati come un paese nemico, non come suoi cittadini, come se Tangier Island non avesse fatto parte del Commonwealth che lui governava...» «Be', purtroppo Jefferson ormai non può più fare ammenda. Dobbiamo sbrigarcela da soli» lo interruppe la Hammer alzandosi dalla sedia. «E speriamo di fare meglio di lui» osservò Andy, che era riuscito a risalire sul Bell 407 solo per un soffio. I pescatori lo avevano inseguito giù per Janders Road, oltre una serie di ponti e di paludi fino all'eliporto, dove per fortuna il collega Macovich lo attendeva a bordo del velivolo con il motore già acceso. "Torneremo un'altra volta" aveva detto Andy all'agitatissimo Macovich quando si erano sollevati da terra in tutta fretta. "Ma sei fuori?" gli aveva gridato il collega nelle cuffie, mentre un sasso colpiva uno dei pattini. "Io qui non ci rimetto piede! Non vedi che ci stanno prendendo a sassate? E speriamo che non colpiscano le pale!"
Non accadde, perché i Bell 407 sono molto potenti e nel giro di pochissimo tempo si trovarono fuori della portata dei rivoltosi. "Be', il fatto è che non... che non ho finito" aveva cercato di spiegargli Andy, guardando il gruppo di pescatori furibondi che diventavano sempre più piccoli. "Non sei riuscito a pitturare due strisce per terra in tutto questo tempo? Be', pazienza. Se le terranno così come sono" aveva decretato Macovich. "Perché io qui non torno, se non per comprare i granchi al governatore. E se non è per comprare qualcosa, conviene che non ci torni neanche tu, a meno che tu non voglia finire in pasto ai pesci." "Non importa" aveva detto Andy. "Credo di aver scoperto una grave frode in campo sanitario, ma me ne occuperò personalmente." Andy era tornato su Tangier senza finire in pasto ai pesci, anche perché era stato abbastanza accorto da non riprendere lo stesso elicottero con la scritta POLIZIA DI STATO. Aveva chiesto a uno che conosceva, che lavorava al noleggio di Heloair, di prestargli un Long Ranger privo di contrassegni e... «Andy!» Judy Hammer smise per un istante di passeggiare e lo guardò con aria d'accusa. «Ci sei o non ci sei?» «Scusa» mormorò lui. «Stavo pensando che gli abitanti di Tangier esternano i loro veri sentimenti nei nostri confronti solo quando ci rifiutiamo di comprare il loro pesce e i loro souvenir. Pensa che ci hanno preso a sassate, quando siamo risaliti in elicottero.» «Che cosa terribile!» esclamò Windy con gli occhi fuori delle orbite. «Avete rischiato di morire? Voglio dire, prendere a sassate un elicottero è molto più grave che scandire slogan di protesta... non vi pare?» Le dispiaceva che Andy fosse tanto giovane e le sarebbe piaciuto che la invitasse a uscire con lui, una sera. «Non voglio andare su un'isola in cui la gente tira le pietre ai forestieri e parla alla rovescia.» «Vedo che hai letto Vigile Verità, stamattina» osservò ironica Judy Hammer, mentre Andy faceva finta di niente. «Non lo perderei per tutto il brodo del mondo!» sospirò Windy. «Mi dispiace solo che non metta la sua foto sul sito. Vorrei tanto sapere che faccia ha!» «Da scemo, probabilmente» disse Andy, fingendosi criticone e geloso di Vigile Verità. «Come tutti gli appassionati di computer, sarà uno incapace di vivere. Non capisco che cosa ci trovino tutti quanti. Non si sente parlare d'altro che di 'sto Vigile Verità... Manco fosse Elvis.»
«Be', no, io non credo che sia Elvis. E non credo più neanche che sia il governatore dietro un "nom de writer", a dire il vero» annunciò Windy. «Ho cambiato idea dopo aver letto l'articolo di stamattina. Se Vigile Verità fosse il governatore, non si criticherebbe da solo, no? Cioè, sarebbe veramente stupido far finta di essere un altro per poi darsi addosso quando invece...» «Che cos'altro sappiamo sul conto del dentista rapito?» la interruppe Judy Hammer, riprendendo a passeggiare nervosamente per trattenersi dall'impulso di tappare la bocca alla sua segretaria. «È nato a Reedville e lavora come volontario a Tangier Island da oltre dieci anni, malgrado lui lo tenga nascosto. O, almeno, così ha detto la moglie alla polizia quando ha fatto la denuncia di scomparsa» replicò Windy. «Perché i pazienti del suo studio privato non gradirebbero, se sapessero che ha fatto esperienza prevalentemente sull'isola. Comunque, se non altro, capisce come parlano e pensa come loro.» «Che ne sai tu di come pensa e di che cosa capisce?» Judy Hammer odiava le illazioni e ci si scontrava quotidianamente. «Si sa che chi va con lo zoppo ci lascia lo zampino...» sentenziò Windy. «Gli abitanti di Tangier Island pensano tutti allo stesso modo e lui, a furia di curargli i denti deve aver imparato a pensare come loro. La polizia di Reedville dice anche che il dottor Faux non ha un indirizzo ma solo una casella postale, e sua moglie sostiene di non avere sue foto, perché pare che il dottore odi farsi fotografare. Inoltre» aggiunse con un certo gusto «non ha il numero di previdenza sociale sulla patente di guida né altrove. Ai telefoni risponde la segreteria e quando va in ferie con la famiglia in luoghi esotici non dice mai a nessuno la destinazione.» «Converrà svolgere qualche indagine sul suo conto» suggerì Andy, come se gli fosse venuto in mente soltanto in quel momento. «Ho l'impressione che nasconda qualcosa. Che tenore di vita ha? E ricco?» «Ricchissimo» rispose Windy. «La polizia mi ha riferito che ha una casa enorme, automobili, scuole private...» «E come fa a sapere che ha una casa enorme, se non ha nemmeno l'indirizzo?» chiese Andy. «Be', Reedville è piccola e si conoscono tutti. A parte il fatto che una casa enorme come quella del dottor Faux, con vista sulla baia, spicca come un fulmine sui maccheroni.» «A me ha insospettito non poco che parlasse di un riscatto di cinquantamila dollari in contanti da spedire a una casella postale di Reedville» disse
la Hammer, senza smettere di camminare. «Un'altra delle richieste era la sospensione di tutte le restrizioni sulla pesca.» «Capisco» disse Andy. «Dunque, stanno cercando di farci togliere il bando sulle nuove licenze.» Judy Hammer sfogliò distrattamente i foglietti su cui la segretaria aveva preso nota delle telefonate, nella vana speranza di trovare un messaggio da parte del governatore. Purtroppo, però, Crimm non aveva neppure cercato di contattarla. Sembrava quasi ignorasse che lei stava tentando di parlargli da mesi. «Sono certo che si aspettano che togliamo gli autovelox e impediamo l'arrivo del NASCAR. Temono che vogliamo trasformare l'isola in un circuito da corsa» disse Andy alla Hammer. «Sì, ho capito. Ma che cosa glielo fa pensare?» chiese alzando la voce. «Su quell'isola centocinquantamila fan non ci starebbero nemmeno. Non c'è posto per le macchine, e sbarcare piloti, team e tutto l'ambaradan sull'isola sarebbe un disastro. Per non parlare del fatto che gli sponsor, che sono produttori di birra e tabacco, non accetterebbero mai di far svolgere una corsa dove alcol e sigarette sono considerati un peccato. E poi Tangier è appena sopra il livello del mare e il rischio di inondazioni è altissimo. Ma perché gli hai detto che il NASCAR era interessato all'isola, Andy?» «Non ho mai detto niente di simile. Io ho parlato del VASCAR, non del NASCAR, ma la signora deve aver fatto confusione. Mi sembra che alla gente di Tangier Island capiti spesso.» «Be', sono quasi certa che chiederanno l'abolizione della riserva naturale.» La angustiava che il governatore la evitasse a quel modo. «Non ci hanno mai perdonato di aver vietato la pesca in gran parte della Chesapeake Bay. Né mai lo faranno, temo.» Parlava, ma nello stesso tempo continuava a pensare al governatore e ad arrabbiarsi. Non aveva dubbi sul fatto che, se lei fosse stata più giovane o fosse stata un maschio, non avrebbe osato trattarla così. «Dovremmo revocare il divieto o limitarlo: insomma, fare qualcosa.» «Comandante Hammer?» si intromise di nuovo Windy. «Ho provato a chiamare il governatore appena sono arrivata, ma pare che sia di nuovo in riunione e non prenda telefonate da nessuno.» «Stronzate!» esclamò la Hammer. Le cadde l'occhio sul pacchetto marrone che Windy aveva in mano. «È per me? Da parte di chi?» «Sì, è per lei. Da parte di Major Trader. Vuole che glielo apra io?» «L'abbiamo esaminato ai raggi X?» chiese la Hammer.
«Sì, certo. L'apparenza vien mangiando: guardi, una scatola di cioccolatini!» esclamò Windy aprendo il pacchetto. Prese in mano un bigliettino e lesse: «"Con i miei migliori auguri, Bedford Crimm"». «Che strano!» osservò Andy, sapendo che il governatore Crimm trattava Judy Hammer dall'alto in basso. Come mai di punto in bianco si era messo a farle dei regali? «Meglio che li prenda io.» «Perché?» domandò Judy, perplessa. «Perché la cosa mi insospettisce e voglio saperne di più» rispose Andy. «Puoi andare, Windy» disse Judy Hammer, facendo segno alla segretaria di lasciare la stanza. «Riprova a chiamare il governatore e vedi se riesci a farmici parlare.» Windy si avviò delusa e rimpianse per l'ennesima volta che Judy Hammer non avesse più ritrovato il suo cane. Da quando aveva perso Popeye, il suo capo era sempre di cattivo umore. Appena prima che Windy uscisse, Andy le strizzò l'occhio per tirarla su di morale. «Agli abitanti di Tangier la riserva di pesca non interessa» disse infilando la scatola di cioccolatini nella ventiquattrore. «Non pescano da quelle parti.» Judy Hammer non sapeva niente né delle leggi che regolamentavano la pesca al largo di Tangier Island, né di dove andassero a pescare i suoi abitanti. Non erano questioni di competenza sua, ma della guardia costiera. La polizia di Stato si occupava dei pescatori solo se commettevano reati gravi, come erano l'insurrezione armata in Janders Road, il sequestro del dottor Faux e la minaccia di secessione. Decise di mettere da parte il malanimo nei confronti del governatore e concentrarsi sul proprio lavoro. «Spiegami questa storia della riserva naturale e dei divieti di pesca» disse a Andy, tornando a sedersi alla scrivania. «E dimmi perché gli isolani ce l'hanno tanto con la Virginia da volere la secessione.» Andy le spiegò che Tangier Island era diventata sempre più ostile nei confronti del Commonwealth da quando una recente assemblea generale aveva approvato una serie di progetti di legge che favorivano la popolazione ittica ai danni di quella umana. Le ricordò che in ogni caso i pesci erano più deboli dei pescatori e quindi andavano protetti, altrimenti si rischiava l'estinzione di alcune specie. «I pescatori interpellati nel gennaio scorso hanno ammesso che il numero di nasse necessario per prendere cento granchi azzurri è salito da dieci a cinquanta» continuò Andy. «L'anno scorso il pescato è stato inferiore a quindicimila tonnellate e la tendenza negativa continua.»
Buren Stringle, capo dell'Associazione dei pescatori di Tangier Island, nonché unico poliziotto in servizio sull'isola, si era sentito accusare di "sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali" e di "sovracapitalizzazione". Alla fine era stata approvata una legge che limitava il numero di nasse che ciascun pescatore poteva gettare nelle acque dello Stato ed era stata costituita una Lega per il granchio azzurro, che aveva chiesto e ottenuto ulteriori restrizioni, imponendo fra l'altro l'identificazione obbligatoria delle nasse in maniera da rendere possibile il rispetto della legge. L'area protetta era stata ulteriormente estesa, tanto da comprendere una superficie di quattrocentosessantacinque miglia quadrate per oltre dieci metri di profondità, dal confine con il Maryland fino all'imboccatura della Chesapeake Bay nei pressi di Virginia Beach. Questa astuta manovra politica permetteva a un milione di granchi di deporre le uova in luoghi sicuri. «In realtà, la riserva non ha alcun senso» riassunse Andy. «La parte di baia in cui è vietata la pesca corrisponde a un canale profondo in cui le nasse non verrebbero comunque calate. Questo i pescatori se lo sono intelligentemente tenuto per sé, e nel continente, come lo chiamano loro, forse sono io il solo a sapere che la gente di Tangier Island non è per nulla arrabbiata per l'istituzione di quella riserva. Se ne frega altamente. E i granchi continuano a deporre le uova dove le deponevano prima, incuranti delle aree protette e del tutto ignari del bailamme che c'è stato intorno a loro.» «Okay. Lasciamo perdere la riserva di pesca» decise Judy Hammer, lievemente delusa. «Cerchiamo di capire su che cosa possiamo fare leva, però. A quanto hai detto, alle autorità statali non interessa un accidente dei problemi dei pescatori e viceversa.» «Il disinteresse è la radice di tutti i problemi» commentò Andy. «Per favore, evitiamo questo inutile cinismo.» «Ci sarebbe bisogno di un po' dello spirito comunitario di una volta» disse Andy. «Che io posso incentivare attraverso Vigile Verità.» «Oh, no!» esclamò Judy Hammer. «Ti prego, basta!» «Davvero!» insistette lui. «Lasciami almeno provare. Vigile Verità può chiedere ai suoi lettori di darci una mano a risolvere i casi più urgenti.» «Compreso ritrovare Popeye!» intervenne Windy, improvvisamente sulla soglia. «Oh, non sarebbe meraviglioso se potessimo chiedere a Vigile Verità di aiutarci a ritrovare Popeye?» «Che cosa?» si scandalizzò Andy. «Come sarebbe, "ritrovare Popeye"?» Judy Hammer si rabbuiò. «Non si arrabbi, la prego!» la implorò Windy. «Lo so che lei pensa che
il silenzio è moro, ma io del resto sono bionda, no? E forse non è troppo tardi per trovare Popeye, anche se dal giorno in cui gliel'hanno portata via ormai sono passati dei mesi...» «Basta così, Windy!» si stizzì la Hammer. «Adesso, per favore, esci e chiudi la porta.» «Okay. Però gliela mando io, un'e-mail, a Vigile Verità per dirgli di Popeye...» Uscì e chiuse la porta. Judy Hammer sospirò. «Ma come hai potuto...» sussurrò Andy con un filo di voce, addolorato dalla scomparsa di Popeye e dal fatto che Judy Hammer non gliene avesse mai fatto parola. «Perché non me l'hai detto subito?» «Eri via, quando è successo, Andy» rispose lei con tono di sconfitta. «In una delle tue spedizioni. E, comunque, non so perché, ma non ho voglia di parlarne. Tanto, non c'è niente da fare. Aspetta un momento.» Alzò una mano. «Che cos'altro c'è adesso, Windy?» domandò alla segretaria, che aveva appena riaperto la porta. «C'è in linea l'agente investigativo Slipper.» «Grazie.» Aspettò che Windy avesse richiuso la porta e lanciò a Andy un'occhiataccia, tirando su la cornetta. «Parla Hammer.» Rimase in ascolto a lungo, prendendo appunti. Andy le lesse negli occhi che si trattava di una cosa seria e poco piacevole e che la Hammer era irrequieta. «Come le ho fatto notare già ieri» disse a un certo punto «nessuno sa chi sia. Tuttavia mi sembra azzardato dedurre che, siccome sul corpo della vittima era inciso il suo nome, l'assassino sia... Certo, certo. So che dovete seguire tutte le piste. Sì, le farò sapere. Sì, mi tenga informata.» Riattaccò e guardò Andy turbata e inquieta. «Era il poliziotto che si occupa dell'omicidio della donna ritrovata su Belle Island. È stata identificata.» «Chi è?» domandò Andy. «Vicky Vash, ventidue anni, bianca, soprannominata V.V. Pare fosse una dipendente statale e omosessuale non dichiarata, e che avesse l'abitudine di cercare compagnia nei bar...» «Vicky Vash?» domandò Andy. Judy Hammer spiegò che la polizia riteneva che fosse stata uccisa perché omosessuale, presumibilmente da un individuo di sesso maschile. Gli rivelò, inoltre, che sospettavano si trattasse dell'uomo che si firmava con lo pseudonimo di Vigile Verità. «Ma è una follia!» sbottò Andy a voce altissima. «Io ero... Be', insom-
ma. Non posso certo essere stato io!» «Lo so benissimo!» replicò Judy Hammer alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare avanti e indietro. «Oh, Gesù! Lo sapevo che avrei dovuto dirti di no! E guai a te se ti azzardi a pubblicare ancora...» «No!» la interruppe Andy. «Non puoi punire me per le azioni sconsiderate di qualcun altro.» Balzò in piedi e la prese per un braccio, con abbastanza forza da farla smettere di camminare e farla voltare dalla sua parte. «Ascolta.» Abbassò la voce. «Ti prego. Io... Senti, aggiusterò tutto. Farò qualcosa. Non ho mai sentito nominare questa Vicky Vash e non vedo che legami potesse avere con Vigile Verità o con gli argomenti di cui tratta... Spero solo che la polizia di Richmond non faccia la stupidaggine di rivelare certi particolari alla stampa.» Era fuori di sé. Se fosse stato costretto a rivelare la vera identità di Vigile Verità, non solo avrebbe dovuto gettare al vento un anno di lavoro, ma Judy Hammer sarebbe finita nei pasticci per aver permesso a uno dei suoi dipendenti di pubblicare articoli non precedentemente visionati da lei o dal governatore. «Forse posso rassicurare in qualche modo il governatore sul fatto che Vigile Verità non è un famigerato assassino» disse Andy ad alta voce. «E coinvolgerò i miei lettori in maniera che contribuiscano a risolvere il giallo e a catturare il responsabile dell'omicidio.» «Dobbiamo far sapere al governatore che la situazione su Tangier Island va affrontata con urgenza, non certo andargli a raccontare di un omicidio che non è neppure di nostra competenza!» ribatté Judy Hammer frustrata. «Vuoi che cerchi di rintracciarlo io?» suggerì Andy. In quel momento entrò Macovich, che sentì gli ultimi stralci della conversazione fra Andy e il comandante. «Il mercoledì sera cena sempre alla Ruth's Chris Steak House» dichiarò. «Andatelo a cercare!» ordinò Judy Hammer. Poi, rivolta a Macovich, aggiunse: «Sperando che non si ricordi di te e dell'incidente del biliardo. Mi raccomando, qualsiasi cosa succeda, d'ora in poi lascia perdere il biliardo». «Sì, sì» rispose Macovich scuotendo la testa. «Non si preoccupi. Non giocherò mai più con quella ragazza, cascasse il mondo.» «Né con lei né con nessun altro membro della famiglia Crimm» insistette Judy Hammer. Macovich si accigliò leggermente. «E se il governatore me lo ordinasse?»
«Tu lo lasci vincere.» «Be', non creda che sia facile, comandante Hammer. Non vede un tubo, e la maggior parte delle volte manca persino il pallino. Appena vede qualcosa di bianco, lo punta. L'ultima volta che ho giocato con lui, avevo posato sul bordo del tavolo un bicchiere di plastica e lui mi ha rovesciato tutto il caffè per terra.» «Non si posano bicchieri di plastica sui mobili della residenza, tanto per cominciare» lo ammonì la Hammer. «Non penso che il governatore se ne sia accorto» si giustificò Macovich. 8 Il dottor Faux era legato sulla poltrona e bendato con un fazzoletto che puzzava terribilmente di pesce. Non aveva paura, ma era inquieto e irritato. Più passava il tempo, più si affievolivano le speranze di ottenere un pronto rilascio e cinquantamila dollari in contanti. Non sapeva bene che intenzioni avessero i suoi rapitori, ma conosceva la gente di Tangier Island come tendenzialmente non violenta. Anzi, a quanto gli risultava, il peggior crimine mai commesso nella storia dell'isola era il furto di un salvadanaio dalla casa di Sallie Landon, avvenuto diversi anni prima. La donna vi conservava i risparmi di tutta la vita e ognuno dei suoi vicini ci metteva dentro qualcosa, in maniera tale che la poveretta non dipendesse solo dagli introiti delle ricette che vendeva da una cassetta di legno inchiodata a un palo del telefono vicino all'ufficio postale. Il colpevole non era mai stato identificato. I rapitori del dottor Faux lo avevano spostato dallo studio medico in un'altra stanza all'interno dell'ambulatorio, dalla cui finestra, evidentemente aperta, sentiva passare biciclette ed entrare aria umida e zanzare. Chiedere aiuto non sarebbe servito, dal momento che tutti gli abitanti dell'isola si erano coalizzati contro di lui. Per la prima volta in quasi mezzo secolo, il dottor Faux ebbe l'agio di riflettere sulla propria vita e sospirò ripensando alle occasioni perdute e a quando aveva deciso di non fare il missionario in Congo. Dio l'aveva chiamato, e lui in pratica gli aveva sbattuto giù il telefono in malo modo. Così, adesso, Dio lo puniva. Proprio così. Si trovava prigioniero su un'isola sperduta nell'oceano, e se non si fosse fatto venire in mente una soluzione efficace i giorni del bengodi per lui sarebbero finiti. «Scusami, Signore» pregò il dentista. «Avrei dovuto prevederlo. Mi sen-
to come Giona, che non voleva andare a Ninive e che tu, di conseguenza, facesti finire in bocca a un grosso pesce che lo risputò proprio a Ninive. Ti scongiuro, non farmi risvegliare in Congo, Signore. O nello Zaire, come si chiama adesso. È già abbastanza difficile qui dove mi trovo adesso.» Fonny Boy era seduto per terra con la schiena contro il muro nel magazzino dei medicinali. Aveva caldo, le punture degli insetti gli prudevano maledettamente ed era già stufo del suo turno di guardia, ma quando il dentista aveva cominciato a pregare ad alta voce, evidentemente ignaro della sua presenza, si era riscosso dalle sue fantasticherie in cui tirava su una nassa e trovava un forziere pieno d'oro e pietre preziose. La sua ossessione per i relitti in fondo al mare era probabilmente l'unico motivo per cui si alzava la mattina d'estate, quando non c'era scuola, e il sabato e la domenica, quando suo padre lo svegliava alle due e partivano per il molo sul golf-cart. Mentre mangiava pane e ostriche o pane e granchio per colazione, immaginava di tirare su una nassa per scoprire che era finita in un misterioso relitto ed era colma di monete d'oro e pietre preziose. Nei negozi di souvenir dell'isola si vendevano libri di leggende pubblicati a livello locale, che Fonny Boy leggeva avidamente, interessato com'era alle storie di tesori sepolti. La sua preferita raccontava che nel febbraio del 1926, per una strana combinazione di venti e bassa marea, nella baia era spuntata la chiglia di un antico relitto, che Fonny Boy era certo fosse una nave pirata perché, insieme a splendide porcellane e altri manufatti rivenduti prontamente dai pescatori a un antiquario di New York, era stata rinvenuta anche un'azza. Purtroppo la marea era salita rapidamente e il relitto non era stato mai più ritrovato. Ma Fonny Boy aveva tratto le sue conclusioni: se la nave dei bucanieri era sopravvissuta per secoli nella baia, altri venti o trent'anni non avrebbero fatto nessuna differenza. Da qualche parte doveva pur essere, anche se sfortunatamente nessuno ricordava con esattezza dove fosse stata avvistata in quel freddo inverno di tanti anni prima. L'altra possibilità che Fonny Boy aveva preso in considerazione era che si trattasse del relitto del galeone spagnolo che nel 1611 aveva attraccato a Old Point Comfort, l'odierna Hampton, in Virginia. Alcuni storici dicevano che l'avesse mandato re Filippo III di Spagna per spiare la gente di Jamestown e riferire a Sua Maestà, altri ritenevano che fosse arrivato in Virginia dal Vecchio Continente alla ricerca di un'altra nave affondata in quei mari. Ma perché gli spagnoli si sarebbero dati tanto disturbo, se sulla nave non vi fosse stato qualche tesoro? Fonny Boy di questo era sicuro: non c'e-
ra molto da scoprire sul conto delle colonie, dove gli inglesi si barricavano nel forte perché gli indiani erano lunatici e a volte portavano loro il mais mentre altre volte li attaccavano con archi e frecce. Fonny Boy si era documentato, in proposito. E stava dalla parte degli indiani, senza ombra di dubbio. S'immedesimava con loro e pensava che per i pellirosse i coloni dovevano essere come i forestieri che arrivavano a Tangier Island e che lui e gli altri isolani tolleravano a malapena, con diffidenza. Del resto, i forestieri avevano la cattiva abitudine di sentirsi superiori alla gente del posto. E perché, poi? In fondo erano loro ad aver bisogno dei taxi, a non sapere dove andare a mangiare o come coltivare il granoturco, per non parlare del fatto che dovevano pagare per vedere un granchio azzurro, nemmeno fossero animali esotici come i panda o gli anaconda. Il dottor Faux si era finalmente zittito e il sole lambiva la baia. Ristoranti e negozi di souvenir stavano chiudendo perché erano le sei. Malgrado il dentista non potesse vedere nulla perché era bendato con il fazzoletto che puzzava di pesce, capiva che era sera perché la temperatura stava rapidamente calando. Era chiaro che non lo avrebbero rilasciato fino al giorno dopo almeno. Nessuno, neppure la guardia costiera andava sull'isola dopo una certa ora, quando la nebbia che arrivava dal mare nascondeva la spiaggia e la pista di atterraggio. Solo le barche dei pescatori si muovevano liberamente anche in condizioni di scarsa visibilità, ma al dottor Faux non sarebbe servito a nulla, visto che sapeva per esperienza che gli isolani erano cocciuti come muli e non cambiavano facilmente idea. Non lo avrebbero lasciato tornare a casa né quella sera né, forse, mai. «Se mi tenete legato così, che cosa farete se vi verrà mal di denti?» chiese il dottor Faux ad alta voce, pensando di aver sentito qualcuno nella stanza pochi minuti prima. «Sei tu, Fonny Boy?» «Sì» rispose il ragazzo, incominciando a suonare l'armonica. «Vorrei sapere che cosa avete intenzione di fare, se non ti spiace» insistette il dentista. «Dipende dal governatore.» Fonny Boy riferì quello che si erano detti i pescatori dopo aver preso il dentista come ostaggio. «Se non farà togliere le strisce dalle nostre strade, per lei la speranza è al lumicino. Siamo stufi della Virginia e non ne possiamo più di essere trattati a codesto modo. Non accettiamo di venire sbattuti in gattabuia perché andiamo troppo forte sui golf-cart né che il NASCAR trasformi l'isola in un circuito per fare quattrini a palate. E inoltre abbiamo in animo di vendicarci per come ci ha ro-
vinato i denti fingendo di curarceli!» «NASCAR?» esclamò il dentista esterrefatto. «Sei mai stato a una corsa del NASCAR, Fonny Boy?» «Sì, certo!» esclamò il ragazzo alzando gli occhi al cielo e facendo una smorfia a indicare che voleva dire il contrario. «Be', non so se con questo vuoi dire che ci sei stato oppure no, ma ti assicuro che il NASCAR non verrà mai su quest'isola e che a Tangier Island non farebbero quattrini a palate né le corse automobilistiche né nessun altro.» «L'ha detto la polizia. E se il governatore non fa il suo dovere e non la smette di perseguitarci, formeremo una barriera di pescherecci intorno all'isola, bruceremo la bandiera della Virginia e ne innalzeremo una con un granchio azzurro sopra. E, comunque, lei sì che ne ha fatti di quattrini a Tangier Island!» «Volete davvero sventolare la bandiera con il granchio azzurro e bruciare quella della Virginia?» Il dottor Faux era sbalordito e deciso a non prendere in considerazione le accuse del ragazzo sulla sua disonestà. «Scoppierebbe un'altra guerra civile, mio caro. Non capisci che conseguenze terribili avrebbe un'azione tanto ostile?» «Capisco solo che non tollereremo altre ingiustizie» rispose Fonny Boy spaccone, con tono di sfida. «Be', ti dirò una cosa: vengo su quest'isola da tanti anni, ma non è un caso che non mi ci sia mai voluto trasferire» ammise il dottor Faux. «Se vuoi una chance nella tua vita, Fonny Boy, devi fare la cosa giusta. E, nel caso specifico, la cosa giusta è starmi a sentire.» «E perché dovrei?» replicò il ragazzo riprendendo a suonare l'armonica per non far capire che era interessato a sentire che cosa aveva da dirgli il dentista. «Perché potrebbe tornarti utile, ecco perché. Facendo la cosa giusta, potresti aprirti delle strade. La vita offre tante cose, Fonny Boy, ma se resti in questo posto, con la gente che mi ha chiuso qua dentro, rischi di finire nei guai e di passare il resto dei tuoi giorni su quest'isoletta a vendere granchi e souvenir ai turisti e a suonare l'armonica a bocca. Tu mi devi aiutare a scappare. Se mi darai una mano, potrei portarti a Reedville, farti lavorare nel mio studio e insegnarti a guidare un'auto come si deve.» «Dovrei portarla a terra per un pugno di spiccioli?» domandò Fonny Boy sarcastico, e si mise a zufolare una versione irriconoscibile di Yankee Doodle.
«Tu sai chi è un reclutatore?» gli chiese il dottor Faux con gentilezza. «Se non lo sai, te lo dico io. Potresti andare in giro a cercare bambini bisognosi di cure dentistiche che i genitori non possono permettersi e indirizzarli al mio studio di Reedville. Per ogni bambino ti darò dieci dollari. Ti farò prendere la patente, ti procurerò una macchina. E così non dovremo più tornare in questa isola misera e sperduta. Mai più.» Fonny Boy aveva bisogno di riflettere, e comunque era ora di tornare a casa per cena. Uscì dal magazzino dei medicinali e sbatté la porta in maniera che il dottor Faux capisse che se n'era andato. Evitò di dirgli che nel giro di poco tempo qualcuno gli avrebbe portato da mangiare e da bere e, con un lieve senso di colpa, montò in bicicletta e si allontanò fischiettando Yankee Doodle. Forse avrebbe dovuto essere più gentile con il dottor Faux e avvertirlo che la cena era in arrivo. Forse avrebbe dovuto cercare di comportarsi come gli avevano insegnato in chiesa, ma essere coinvolto in attività ribelli e paramilitari lo metteva in agitazione. Era irritabile e si sentiva in vena di trasgressione. Suonò l'armonica più forte che poté e pedalò più veloce del solito, accelerando al massimo per superare le due strisce pitturate di fresco in Janders Road. Correva nell'aria frizzante della sera, al chiarore della luna, e non riconobbe nemmeno la zia Ginny che stava andando all'ambulatorio sul golf-cart. «Ehi!» gli gridò questa quando si incrociarono. «Non si suona a quest'ora! Infastidisci i vicini!» Fonny Boy, per tutta risposta, aumentò ulteriormente il volume, rammaricandosi di aver di nuovo buttato giù il tamponano di cotone del dentista. L'ultima volta era rimasto stitico una settimana: il cotone gli si era spostato nella pancia con la lenta determinazione di un ghiacciaio ed era arrivato finalmente a destinazione mentre lui era in barca con suo padre e non c'era una toilette a pagarla oro. Quando Ginny entrò nel magazzino dei medicinali pochi minuti dopo con un piatto di pasticcio di granchio e una fetta di pane spalmata di margarina, trovò il dottor Faux intento a pregare. «E così sia, Signore. A dopo. Sei tu, Fonny Boy?» chiese il dentista speranzoso. «Signore abbi pietà di me, fa un freddo boia, qua dentro. Com'è che di colpo è venuto l'inverno?» «È il vento di mare. Le ho portato da bere e da mangiare.» «Devo andare in bagno.» Il dottor Faux era in imbarazzo a parlare così davanti a una signora, per quanto le avesse trapanato ed estratto denti per anni. Ginny gli diede il permesso di andarci, ma si fece promettere di tornare a
sedersi appena finito e di farsi rimettere la benda sugli occhi. «E come faccio a mangiare, legato e bendato?» protestò lui mentre Ginny gli toglieva il fazzoletto dagli occhi. Il dentista sbatté le palpebre nella fievole luce del magazzino. «Io resto qui in attesa. Ma si ricordi che non sono venuta qui per parlare con lei o per fare i suoi comodi, mi ha inteso?» Il senso era che lo avrebbe lasciato andare in bagno da solo, ma non si sarebbe prestata a concedergli altri favori, né tantomeno a dargli informazioni. Mentre il dentista si avviava, Ginny si sedette su uno scatolone di campioni gratuiti di sapone antibatterico a riflettere sugli autovelox, sulle corse automobilistiche e sui commenti del vigile di quella mattina riguardo alla dentatura degli abitanti dell'isola. Ne aveva parlato con alcune sue amiche da Spanky's e sparso la voce per l'isola lasciando messaggi davanti alle porte, nei negozi e nei ristoranti. Lo aveva detto persino ai comandanti dei traghetti, i quali le avevano promesso di riferire le ultime notizie riguardo al NASCAR e alle frodi dentistiche ai visitatori in gita turistica da Crisfield e Reedville. Il dottor Faux tornò sulla sedia e chiese a Ginny come andava la dentiera. «Come al solito» gli rispose lei. «Mi duole un po' dove mi ha tolto gli ultimi denti l'altra settimana. E ieri l'altro ho rigettato.» «Se soffre di nausea e vomito, avrà l'influenza» le disse il dottor Faux, in malafede. «Ho l'impressione che la dentiera nuova faccia un po' di rumore.» «Sì, quando la pasta non tiene più, balla.» «Se gliene serve un altro tubetto, lo prenda, già che è qui.» Il dottor Faux addentò famelico il pasticcio di granchio. «Sono nell'armadietto di mezzo dello studio.» Ginny lo guardò mangiare in preda a un risentimento profondo che sconfinava nell'odio. Era una donna dai solidi principi religiosi e sapeva che odiare era peccato, ma vedendo il dentista che mangiava, così ingordo e indifferente, non riusciva a provare nulla di diverso. «Ho sempre creduto che lei sapesse fare il suo mestiere» gli disse dopo un po'. «Ma adesso mi sono avveduta dell'errore e non mi fiderò più di un medico in vita mia. Abbiamo compreso tutti il suo inganno, sa? Mi sento così afflitta e sconsolata... Ci pensavo mentre rigovernavo prima di venire a portarle il desinare. Le abbiamo dato tutto ciò che potevamo, cibarie e buone parole, convinti com'eravamo che lei fosse qui per aiutarci. E lei ci
ha ripagati con codesta moneta! Ci ha rovinato la bocca a tutti quanti per vil denaro! Per prendere più soldi dallo Stato!» «Oh, signora mia, sa bene che non è così!» protestò il dottor Faux, cercando di blandirla. «Tanto per cominciare lo Stato non dà soldi ai medici senza prima verificare il loro operato. Sa benissimo che i controlli sono rigorosissimi. Non avrei potuto imbrogliare nessuno neanche se avessi voluto. E, comunque, giuro sulla Bibbia che non ho mai fatto niente di simile!» «Bando alle ciance!» dichiarò Ginny, che era veramente al limite. Che ardire! pensava amareggiata. Ma quando mai lo Stato aveva preso il traghetto per controllare come curava i denti il dottor Faux agli abitanti di Tangier Island, se quello che lui faceva era giusto o necessario? Cercò di scacciare l'odio dal proprio cuore ricordando che se non fosse stato per il dottor Faux lei non avrebbe avuto né dentiera né campioni gratuiti di pasta adesiva e collutorio. Forse sarebbe rimasta senza denti in assoluto, a parte quelli che il dottor Faux le aveva impunemente estratto con la scusa di un ascesso, problemi a una radice, smalto usurato, malocclusione e Dio sa cos'altro. "Non voglio odiare nessuno" pregò in silenzio. Ma la verità era più pesante di un macigno. La verità era che non si era mai accorta di avere problemi di denti tanto gravi, ma si era fidata del dottor Faux. La verità era che fino a qualche anno prima aveva denti sani e belli, e tutti si complimentavano per il suo bel sorriso. Ma se non aveva mai avuto una carie in vita sua! Com'è che, di punto in bianco, si ritrovava senza denti? Ripensandoci, mentre chiudeva a chiave l'ambulatorio e si avviava verso casa lungo la strada buia, ribolliva di rabbia. Quante volte il dottor Faux le aveva detto che gli abitanti di Tangier Island avevano i denti delicati perché si sposavano fra di loro? Quante volte aveva sentito di gente a cui erano saltate le otturazioni, era venuto un ascesso o si era rotta una corona senza nessun motivo? Sempre più agitata e amareggiata, attraversò la strada calpestando una delle strisce appena pitturate dal vigile. Avrebbero dovuto tenere il dottor Faux prigioniero finché non fossero caduti tutti i denti pure a lui, ecco cosa avrebbero dovuto fare. Mettergli una bella dentiera che faceva rumore, ballava e gli faceva male alle gengive. Una bella dentiera che gli impediva di mangiare un sacco di cose. E poi fargli vedere una succulenta pannocchia, in maniera che gli venisse la nostalgia dei bei tempi in cui poteva ancora sgranocchiarla. Che provasse un po' anche lui come ci si sentiva parlando al telefono e facendo clic-ciac come le nacchere!
«Oh, Ginny, cosa mai ti prende? Stai piangendo!» Appena Ginny entrò in casa sbattendo la porta, suo marito si rese conto che singhiozzava. «Rivoglio i miei denti!» gridò lei isterica. «Non ti ricordi dove li hai messi?» chiese lui premuroso, guardandosi intorno alla ricerca del barattolo di marmellata in cui la moglie metteva a bagno la dentiera. «Perdindirindina, Ginny!» esclamò poi inforcando le lenti bifocali. «Ce li hai in bocca, moglie mia!» NOTA STORICA di Vigile Verità A qualcuno potrà sembrare scorretto che io definisca questa digressione una nota, dal momento che non è preceduta da un numero né si trova a piè di pagina. Tuttavia, le note non sono esclusivamente chiose a margine di saggi, libri di testo o tesi di laurea, ma anche brevi spiegazioni di importanza minore. Per esempio, si può dire che fino a qualche anno fa Jamestown altro non era che una nota a piè di pagina nella storia degli Stati Uniti, dal momento che molti ritenevano che tutto avesse avuto inizio a Plymouth, motivo per cui celebriamo la festa del Ringraziamento. Sebbene i libri di scuola dedichino tuttora poco spazio a Jamestown, il ruolo che la storia ha riconosciuto alla prima colonia inglese l'ha in qualche modo emancipata dallo spazio a piè di pagina in cui era stata relegata. Mi ha dato somma gioia constatare che nel testo scolastico La nazione americana Jamestown viene citata sia a pagina 85 che a pagina 86. Purtroppo, però, l'edizione dell'Enciclopedia Britannica in mio possesso (del 1997), oltre a dedicarle soltanto un ottavo di pagina, induce il lettore a pensare che non offra nulla a parte le ricostruzioni delle navi con cui gli inglesi erano salpati dall'Isle of Dogs. Esse si trovano a circa un chilometro e mezzo di distanza dal forte originale e fanno parte del cosiddetto Jamestown Settlement, che mi duole ammettere essere anch'esso una ricostruzione. Vale comunque la pena di visitarlo, se siete abbastanza saggi da sapere che la prima colonia inglese in America non comprendeva costruzioni del ventesimo secolo, toilette, ristoranti, negozi di souvenir, parcheggi e traghetti. Visitando Jamestown ho trovato imbarazzante che vi siano numerosi segnali per il Jamestown Settlement e solo uno o due per gli scavi. Dunque, la scelta se visitare la vera Jamestown o quella ricostruita sta al visitatore,
e molti scelgono la seconda, probabilmente perché le comodità sono maggiori. Naturalmente, la ricostruzione partì quando ancora si credeva che la colonia originale non esistesse più, che fosse stata cancellata dall'erosione, e il governo della Virginia si ritenne in dovere di cercare di ricrearla. Il mio saggio confidente mi ha detto: "La gente accetta come verità ricostruzioni basate su prove non documentate". E io gli ho fatto l'esempio di Tangier Island e di come si è guadagnata il suo nome. Si dice che quando John Smith scoprì l'isola disabitata che adesso riteniamo fosse Tangier (anche se in realtà potrebbe essere Limbo), avesse pensato alla città di Tangeri, nella parte meridionale dello stretto di Gibilterra, e che l'avesse chiamata così per questo. A me sembra un falso, dal momento che non ravviso somiglianza alcuna fra Tangier e Tangeri. Mi chiedo anzi se Smith non intendesse il contrario di quello che diceva, sempre che lo abbia detto davvero. Probabilmente, dalla sua chiatta, a un certo punto intravide qualcosa. "Non è un'isola, quella laggiù?" potrebbe aver esclamato. "Ma che bella, sembra Tangeri!" Ma con la smorfia e l'inflessione tipica di chi dice una cosa intendendo l'inverso. La sua fu una battuta, insomma. Altre teorie vorrebbero che Tangier Island avesse preso il suo nome dalla famosa città marocchina perché alcuni soldati inglesi di stanza laggiù erano salpati per le Americhe con le loro spose more per stabilirsi su un'isola nella Chesapeake Bay, quando il governo di Sua Maestà aveva ritirato le truppe da Tangeri nel 1684. Tuttavia, a molti anni di distanza, alcuni mori residenti nella contea del Sussex, in Virginia, negarono qualsivoglia legame fra i loro antenati e Tangier Island. Dove sta la verità? In realtà non si hanno notizie certe sui primi abitanti dell'isola, benché le fonti attestino che i primi lotti di terreno furono assegnati già nel 1670 e la tradizione voglia che nel 1686 John Crockett si fosse stabilito sull'isola a coltivare patate, rape, pere e fichi, oltre che ad allevare bestiame e otto figlioli. L'isola cominciò a prosperare e attirò l'attenzione di entrambe le fazioni durante la Rivoluzione americana, quando gli inglesi chiesero rifornimenti agli isolani e il resto della Virginia per tutta risposta bloccò l'accesso all'isola ed espresse la propria contrarietà per bocca dell'allora governatore Thomas Jefferson. Nel frattempo imperversavano i pirati, che razziavano e radevano al suolo tutto quello che capitava loro a tiro, compresa la casa di un certo George Pruitt, terrorizzando gli isolani, troppo poco numerosi e armati per difendersi. Come se non bastasse, un ragazzo chiamato Joe Parks II fu rapito
dagli inglesi, coscritto e portato via, e tutti i giovani dell'isola furono costretti a nascondersi. Ai poveri abitanti di Tangier non restava che scegliere se trattare apertamente con il nemico o farsi radere al suolo le proprietà e sequestrare beni, terre e fanciulli. Cominciarono perciò a commerciare con gli inglesi, gli americani e i pirati, issando il vessillo di volta in volta più appropriato. Questa tecnica di sopravvivenza perdurò nei secoli e, a mio parere, spiega molto bene perché la gente di Tangier Island oggigiorno tollera i turisti propinando loro pasticci di granchio, souvenir, magliette, servizio taxi a bordo di golf-cart e disinformazione diffusa. Miei cari lettori, ho bisogno del vostro aiuto per applicare la Regola aurea. Vi prego, se avete ricevuto cure dentistiche che non vi convincono o che si sono rivelate inadeguate da un certo dottor Sherman Faux di Reedville, mandatemi un'e-mail al più presto. E se qualcuno di voi ha notizie a proposito di un boston terrier femmina di nome Popeye, me lo faccia sapere al più presto. Come il dentista, anche la cagnetta è stata rapita e presa in ostaggio. A differenza del dentista, però, Popeye non ha mai fatto del male a nessuno e non merita la propria triste sorte. Se pensate di avere informazioni su questi e altri crimini, e soprattutto sull'efferato omicidio di Vicky Vash, scrivetemi al più presto. Mi raccomando, occhi aperti! 9 Major Trader era chino sulla tastiera come un avvoltoio quando alle sette e tre minuti di mercoledì mattina comparve l'ultimo saggio di Vigile Verità. «Ma che sciocchezze sono queste?» si stupì ad alta voce, benché fosse solo. «Non si fa così, caro il mio Vigile Verità! Come ti permetti di infangare l'onorata storia del Commonwealth e di chiedere alla cittadinanza di farti la spia?» Addentò il krapfen che aveva in mano e si pulì le dita nel pigiama di flanella. Sua moglie, in cucina, ciabattava e sbatteva pentole e padelle. «Devi proprio fare tutto questo chiasso?» le gridò Trader dal suo studio, che era dalla parte opposta della casa. Trader e la moglie stavano per traslocare, essendo prossimi a vendere in modo fraudolento e oltremodo vantaggioso la villetta che avevano appena finito di costruire. Trader aveva un certo fiuto per gli investimenti e negli ultimi anni era diventato ricco. Operava con grande semplicità: acquistava
un lotto in un quartiere elegante in cui era possibile costruire esclusivamente per uso residenziale e non a fini speculativi, tirava su una villetta senza infamia e senza lode, ci viveva un anno e poi la vendeva con la scusa che nella sua posizione di consulente del governatore aveva bisogno di una privacy e una sicurezza che per un motivo o per l'altro quella casa non gli garantiva più e quindi era obbligato a trasferirsi. Che il suo fosse un gioco sporco era chiaro a tutti quanti, ma nessuno era mai riuscito a dimostrare il dolo, nonostante le villette che fino a quel momento aveva venduto con questa scusa fossero ormai dieci, e tutte praticamente identiche. Qualcuno aveva protestato, erano state scritte lettere a enti e associazioni e minacciate azioni legali, ma Trader ormai ci aveva fatto l'abitudine. Cambiare casa gli piaceva da matti, forse perché costituiva l'unico diversivo di una vita altrimenti vuota e ripetitiva. Per diversi mesi all'anno Trader metteva in croce la moglie con il trasloco e vessava gli operai che dovevano costruirgli e mettergli a posto la casa nuova, facendogli una fretta terribile e trattandoli malissimo. "Sbrigatevi, perdigiorno! Fra due settimane traslochiamo e qui è ancora tutto all'aria! Non mi fate imbestialire!" "C'è da fare tutto l'impianto elettrico..." "E quanto ci vuole per un impianto elettrico?" "Ma se non ha ancora nemmeno scelto la tinta delle pareti..." "Usi la stessa delle altre dieci case, no? Pareti avorio, moquette avorio... Non cambi niente che va bene così! Possibile che non abbia ancora capito?" strapazzava il capo dell'impresa per telefono. "Metta le stesse plafoniere in ottone, le stesse maniglie, lo stesso tutto!" Per Trader era vitale comandare a bacchetta, almeno nel proprio regno, anche perché il resto del tempo gli toccava leccare i piedi al governatore. Chi non ci passava, non aveva idea di quanto fosse difficile per il proprio ego. Faccia questo, faccia quello, riscriva questo paragrafo. Scusi, ho cambiato idea. No, alla stampa diciamo quest'altra cosa. Dov'è la mia lente di ingrandimento? Adesso per favore se ne vada, che non mi sento bene. Perlomeno, quel lavoro impegnativo e poco gratificante gli aveva insegnato l'importanza della manipolazione, della vendetta e della speculazione. Grazie a Internet, se i suoi ultimi investimenti fossero andati come sperava, Trader sarebbe diventato miliardario. «Major? Non mi hai detto che cosa vuoi per colazione! Salsiccia o bacon? Pane tostato o brioche? Cereali?» gli urlò la moglie dalla cucina, sbatacchiando pentole e coperchi.
«Si può sapere che cosa stai facendo? Suoni la batteria?» gridò Trader per tutta risposta. «Tutto. Voglio tutto quanto.» Grazie al cielo i bambini erano in collegio e Trader non doveva sorbirsi le loro vocine stridule e il loro baccano: gli bastava quello che faceva sua moglie. Anche in quella casa, come nelle altre dieci, le pareti erano sottili e si sentiva tutto da una stanza all'altra. Trader stava per compiere cinquant'anni e, se tutto andava secondo i suoi piani, sarebbe andato in pensione molto presto, per dedicarsi ai crimini informatici. Aggrottò la fronte pensoso leggendo l'ultimo saggio di Vigile Verità, quindi scrisse un messaggio provocatorio, rigorosamente anonimo. Caro Vigile Verità, forse perché il mio trisavolo era una spia confederata, credo di avere la delazione nel DNA. Scherzo, naturalmente, ma pensavo che lei avrebbe apprezzato la mia battuta sul DNA, visto che ne ha parlato nei suoi articoli. So per certo che il governatore non ha intenzione di multare gli eccessi di velocità su Tangier Island. Non è questo che gli interessa. Il vero obiettivo del progetto VASCAR è creare una situazione incresciosa di cui vengano incolpati altri. Sono certo che accennerà a questo importante fatto nei suoi prossimi articoli. E poi mi dispiace molto per Popeye. Non le è venuto il sospetto che forse la cagnetta è stata rapita per un motivo ben preciso? A proposito, c'è un compenso per chi passa informazioni riguardo al dottor Faux o altri? Cordiali saluti, D. latore Neanche questa volta Trader si accorse dell'errore di battitura e premette il tasto "Invio" senza rileggere il messaggio. Mentre nella casa si diffondeva odore di salsiccia e pancetta, Trader aspettò la risposta di Vigile Verità. «È pronto!» gli urlò la moglie dalla cucina nel momento stesso in cui il trillo del computer gli annunciava che era arrivata posta. Egregio signor Latore, credevo che la ricerca della verità fosse un'attività gratuita! Se sa qualcosa sul conto di Popeye, farebbe bene a dirmelo senza aspettarsi una ricompensa! Vigile Verità
«Bene, bene» borbottò Trader sogghignando. «Devo proprio averlo punto sul vivo.» «Hai detto qualcosa, Major?» strillò la moglie per farsi sentire nonostante lo scroscio dell'acqua nel lavello di acciaio. «Non stavo parlando con te!» tuonò lui scrivendo un altro messaggio. Caro Vigile Verità, credo di sapere chi è il proprietario della cagnetta scomparsa. E lei pensa che si sia trattato di una semplice coincidenza? Non si è reso conto che la signora in questione è antipatica a molti e non dovrebbe occupare la poltrona che le è stata affidata? Il suo non è un mestiere da donne. A proposito, è sull'elenco telefonico? Mi chiedo come facessero i rapitori a sapere dove abita. E comunque sì, ritengo che i cittadini andrebbero ricompensati per l'aiuto che forniscono alle forze dell'ordine. Cordiali saluti, D. latore Andy si infuriò e gli rispose all'istante. Egregio signor Latore, lei è ancora convinto che esistano mestieri da uomo e mestieri da donna? E comunque, se Popeye è stata vittima di un complotto politico, è pregato di dirmelo subito. Non voglio doverla ammonire nuovamente. Quanto all'indirizzo della proprietaria della cagnetta, non è affar suo. Per quel che concerne un'eventuale ricompensa per le informazioni che mi darà, vedremo se ci sarà spazio per una trattativa. Vigile Verità Andy mandò subito il messaggio e restò ad aspettare la risposta del signor D. Latore. Gli arrivò una grande quantità di e-mail, ma tutte di altri lettori. Evidentemente il signor Latore si era disconnesso, oppure lo stava provocando. Andy era furibondo. Non riusciva a smettere di pensare alle volte in cui si era messo a giocare con Popeye e la cagnetta gli aveva leccato le mani. Gli pareva ancora di sentire il suo bel pelo liscio, la morbidezza della sua pancia rosata, il ru-
more dei suoi passi sul parquet di casa Hammer. Prese un album di fotografie in cima a una pila di tomi. Voleva assolutamente ritrovare Popeye, fosse stata l'ultima cosa che faceva al mondo. Era preoccupato anche per Judy, dopo tutto. In effetti, il suo numero non figurava nell'elenco del telefono ed era molto attenta alla sua privacy. Solo colleghi di lavoro, polizia e alcuni vicini sapevano dove abitava. Inoltre, non parlava mai di Popeye né permetteva ai giornalisti di scattarle delle foto. Come facevano, dunque, i rapitori a sapere del cane? A meno che, come aveva suggerito il signor Latore, non fosse stata una ritorsione contro di lei. «Spero solo che sia ancora viva!» pregò Andy cercando la foto di Popeye che preferiva, in cui la cagnetta indossava un cappottino rosso. «Oh, fa' che non si sia scordata né di Judy né di me! Oh, Popeye, ti ritroveremo, te lo prometto! Aspetta e vedrai che cosa farò a quell'orribile creatura che ti ha rapito!» Passò la foto di Popeye allo scanner e un istante dopo la cagnetta apparve sullo schermo del suo computer. Andy entrò nel proprio sito e digitò la didascalia: "Cagnetta scomparsa. Avete visto Popeye? Lauta ricompensa a chi aiuterà a ritrovarla". Se il mondo era pieno di debosciati capaci di fare una buona azione solo per soldi, Andy sarebbe stato al loro gioco. All'ultimo momento decise di scrivere LAUTA, in maiuscolo. In men che non si dica, arrivarono decine di messaggi di millantatori a caccia di quattrini. Alcuni sostenevano di aver visto Popeye vagare ai margini della Downtown Expressway o in un vicoletto, oppure uggiolante sul sedile posteriore di un'automobile sospetta. Altri scrissero che, per un giusto prezzo, avrebbero fornito le coordinate di dove si trovava la cagnetta e perché. Numerosi furono anche i messaggi di solidarietà. Centinaia di lettori raccontarono tristi storie di animali perduti da piccoli. Vigile Verità non aveva mai ricevuto tanta posta da quando aveva aperto il sito, e Andy impiegò tutta la sera e il giorno dopo a cercare di rispondere a tutti, nella speranza che saltasse fuori qualcuno che dicesse: "Scusate tanto, ho preso il cane perché i miei figli desideravano tanto un cucciolo ma io non ho i soldi per comperarglielo. Diamoci un appuntamento e ve lo restituirò in cambio di una ricompensa". Oppure: "Sì, sono stato io. Una persona che odia il comandante Hammer mi ha parlato del cane e mi ha dato l'indirizzo e dei soldi perché io glielo portassi via. Adesso mi rendo conto che è stato un atto orribile e spietato da parte mia e sono pronto a rimediare, purché mi assicuriate che non verrò punito e riceverò la ricompensa".
Purtroppo non arrivarono messaggi sul conto di Vicky Vash, o V.V., a parte la breve nota di una persona che si firmava P.J., la quale sosteneva di aver giocato a softball nella stessa squadra della vittima e sapeva per certo che V.V. non si sarebbe mai appartata su Belle Island insieme a un uomo. «Ma hai perso la testa?» esclamò Judy Hammer al telefono alle sei del pomeriggio. «Pensavo che scrivessi articoli contro la criminalità... Già mi ero stupita che divagassi a proposito di mummie e pirati, ma che tu adesso faccia finta di essere la Protezione Animali mi sembra proprio il colmo!» «Devo togliere la foto di Popeye dal sito?» le domandò Andy. «Se vuoi, lo faccio subito. Non penso che sia sbagliato. Magari chi l'ha presa, allettato dalla prospettiva di ricevere una ricompensa, la restituirà.» «Non riesco a guardarla, con il cappottino rosso! Tutte le volte che mi collego con il tuo sito, io...» «Chi non riesce a guardare la foto di qualcuno che non c'è più non ha superato il lutto. Per questo non strappo mai le foto delle mie ex. Quando riesco a guardarle senza stare male, capisco che ho superato la perdita» spiegò Andy. «Be', allora lasciacela» disse la Hammer. «Prima o poi mi ci abituerò. E poi hai ragione, se c'è anche solo un briciolo di speranza, non dobbiamo lasciare nulla di intentato. Credevo che stasera stessi dietro al governatore.» Aveva ripreso un tono professionale. «Non credo che tu abbia fatto bene a criticarlo di nuovo nel tuo articolo. A proposito, chi è questo tuo saggio confidente che nomini così spesso?» «Tirare in ballo un'altra persona mi permette di ricorrere al dialogo» rispose Andy. «Be', non so chi sia quest'altra persona, ma mi sembrava che fossimo d'accordo sul fatto che nessuno dovesse sapere che sei Vigile Verità. Tanto più ora che è stato commesso questo orribile omicidio.» Judy Hammer era brusca. «Quindi, spero proprio che tu non abbia rivelato la tua identità a qualche tua confidente, che sia saggia o meno. Se l'hai fatto, credo di avere il diritto di saperlo. Non che io abbia il benché minimo interesse per la tua vita privata, s'intende. Spero solo che non sia Windy.» «Windy?» Andy si offese e spostò la cornetta sull'altro orecchio. «Mi dispiace che tu pensi che io abbia gusti simili.» Ormai la comunicazione era andata troppo per le lunghe, e Judy Hammer riattaccò senza nemmeno salutare. Andy mandò un'ultima e-mail, questa volta usando il proprio nome.
Gentile dottor Pond, ha forse i risultati di quegli esami tossicologici? Le ricordo che si tratta di un caso estremamente delicato, sul quale andrebbe mantenuto il massimo riserbo. Mi duole inoltre comunicarle che non mi è possibile annullarle la multa per guida pericolosa cui mi accennava. Ringraziandola anticipatamente, le porgo i miei migliori saluti. A. Brazil Spense il computer e si mise la divisa. Meno di un'ora dopo parcheggiò davanti alla Ruth's Chris Steak House nella parte meridionale della città, dove incontrò il collega Macovich, che aveva portato il governatore e famiglia a cena in elicottero. Si sedettero insieme nella macchina di Andy con gli occhi fissi sull'entrata del ristorante ad aspettare che il governatore uscisse. «Com'è portarli in giro in elicottero?» chiese Andy guardando lo scintillante Bell 430 grigio metallizzato con le strisce blu e il sigillo del Commonwealth sugli sportelli. «Be', non è poi questa meraviglia...» rispose Macovich. «Fortuna che quando sono andato a prenderli il governatore non mi ha riconosciuto, perché ero sicuro che quel cesso di sua figlia avrebbe tirato fuori il discorso del biliardo e prima o poi mi avrebbe messo di mezzo. Invece l'ho distratta con le merendine che tengo nel cassetto sotto il sedile dietro, sai? Spero che non dica niente nemmeno al ritorno.» Macovich si accese una Salem Light e si voltò, guardando Andy da dietro gli occhiali scuri. «Già che siamo qui seduti tranquilli, da soli, mi spieghi come hai fatto a cacciarti nei guai? Voglio dire, ci siamo chiesti tutti perché la Hammer ti ha sospeso dal servizio un anno intero.» «Come sarebbe "mi ha sospeso"?» chiese Andy sulla difensiva. «Porca miseria, lo dicono tutti. Gira voce che sei finito nei pasticci per qualcosa, oppure che hai litigato con il comandante.» «No, ho semplicemente preso il brevetto di pilota e seguito dei corsi.» «Senti, non mi verrai a raccontare che ci vogliono quaranta ore alla settimana per dodici mesi per prendere un brevetto di pilota! Un corso può durare due, tre settimane... Cos'hai fatto il resto del tempo? Sei andato a donne? Hai guardato la televisione?» «Perché no?»
«Non vuoi dirmi perché ti sei beccato una sospensione?» insistette Macovich. «No» rispose Andy immusonito, decidendo che era meglio che continuasse a girare la voce, piuttosto che Macovich o chi per lui venisse a sapere chi era Vigile Verità. «Porca miseria, non avrei mai creduto che fossi così incasinato... A vederti sembri l'uomo più felice della terra!» aggiunse Macovich con una punta di gelosia. «Abbiamo bisogno di nuovi piloti» cambiò discorso Andy. «Ormai siamo rimasti soltanto io e te.» Macovich seguì lo sguardo di Andy e osservò l'enorme elicottero. Gli stava venendo un terribile sospetto. «Scommetto che vorresti essere tu il pilota del governatore» lo accusò, emettendo una nuvola di fumo. «Be', perché no? A te una mano farebbe comodo» rispose Andy con nonchalance, decidendo in quel momento di parlarne con il governatore. «Sicuramente alla sua famiglia serve più di un pilota, e comunque tu come fai quando non puoi volare a vista?» continuò. «Trovo una scusa per non portarlo in elicottero» rispose Macovich. «Di solito gli racconto che ho un problema di manutenzione, oppure che non funziona il radar.» «Hai un quattro e trenta e vai in giro solo in condizioni di visibilità ottimali?» Andy non riusciva a capacitarsi. «Quell'elicottero è fatto apposta per volare in condizioni di scarsa visibilità! Perché, sennò, avrebbe in dotazione pilota automatico, IIDS e EPHIS? Per non parlare del rotore, che è straordinario! Cristo santo, puoi andare in volo rovesciato come con un F16! Non che sia raccomandabile, intendiamoci» aggiunse subito dopo Andy, visto che era proibito effettuare acrobazie con gli elicotteri. «Ma devo ammettere che sul simulatore a Fort Worth, quando ho fatto il corso di addestramento, ci ho provato. Sono sceso a un centinaio di nodi, l'ho puntato giù dritto a duemila piedi, ho spinto il ciclico tutto a destra e ho fatto una giravolta stupenda.» L'idea di volare a testa in giù a Macovich faceva talmente impressione che tirò un'altra boccata di fumo per calmarsi i nervi. «Sei matto» lo rimproverò. «Adesso capisco perché ti hanno sospeso. A meno che...» Tutt'a un tratto gli era venuta in mente una cosa. «Ameno che, invece di una sospensione, la Hammer non ti abbia dato un permesso. Perché ti occupassi di qualche progetto segreto. Porca miseria!»
«A proposito di segreti» disse Andy, cercando di deviare la conversazione da quell'argomento scottante «vorrei tanto sapere chi è Vigile Verità.» «Ah, be', non sei il solo» replicò Macovich. «Il governatore lo vuole scoprire a tutti i costi e mi ha ordinato di indagare. Anzi, se hai qualche idea, te ne sarei grato.» Andy non rispose. «E, comunque, incuriosisce anche me» continuò Macovich. «Come faceva a sapere di Tangier Island e di quello che ci siamo andati a fare? Ho letto il suo articolo: sembrava che fosse lì con noi, che avesse visto tutto...» Andy non replicò, perché non voleva dire bugie. Macovich si voltò dalla sua parte, colto da un altro sospetto improvviso. «Non sarai mica tu, eh?» gli chiese. «Guarda che se sei Vigile Verità, ti prometto che non lo dico a nessuno. A parte il governatore, naturalmente.» «Senti, se sapessi chi è Vigile Verità non pensi che andrei a dirglielo io, al governatore?» replicò Andy, aggirando la domanda del collega. «Be', certo, se lo sapessi glielo andresti a dire e ti prenderesti tutto il merito» rifletté Macovich. «Perché non dovrei?» «Ma, allora, secondo te chi è? A me è venuto il dubbio che sia Major Trader.» «Non credo proprio» ribatté Andy. «Trader è un bugiardo patentato. E capace solo di mentire. Come fa a essere lui Vigile Verità?» «È vero.» Macovich emise una nuvola di fumo. «Ed è vero anche che abbiamo pochi piloti.» «Perché se ne vanno tutti?» chiese Andy. Macovich non voleva dire una parola di più. Era già nei guai con la famiglia del governatore e non gli sembrava proprio il caso di peggiorare ulteriormente la situazione. Anche perché temeva che Andy potesse fargli le scarpe. Era in gamba, probabilmente più di quanto non fosse lui. Parlava bene, era colto e a volte usava paroloni che Macovich nemmeno capiva. «Scommetto che quando andavi a scuola eri un secchione» gli disse con tono invidioso e aggressivo. «E stavi sempre chiuso in biblioteca a studiare.» «No, non ho mai studiato tanto» replicò Andy, evitando di raccontare a Macovich che aveva saltato un anno di superiori da quanto era bravo e che andare a scuola gli era sempre piaciuto un sacco. «Mi sbrigavo a fare i
compiti per uscire.» «Sì, certo.» Macovich annuì, avvolto in una nuvola di fumo. Macovich aveva frequentato il primo anno di un istituto professionale con grande fatica, covando rancore nei confronti del padre, il quale avrebbe voluto far entrare il figlio maggiore alla Ethyl Corporation, dove si sarebbe guadagnato rispettabilmente da vivere fabbricando solventi. Macovich, però, aveva abbandonato la scuola ed era entrato nell'esercito, dove aveva imparato a pilotare gli elicotteri. Poi era entrato nelle forze dell'ordine. Un paio di mesi prima, un po' per ripicca, aveva regalato a suo padre una foto incorniciata del governatore e famiglia, con tanto di autografo. La signora Crimm si era graziosamente firmata "La First Lady, Maude Crimm". Lanciò il mozzicone, che cadde per terra descrivendo un ampio arco e continuando a brillare come un occhio rabbioso. «Gli parlo io, al governatore. Se gli dico che voglio un secondo pilota, sono sicuro che non troverà niente da ridire» si vantò Macovich, che non aveva la minima intenzione di spianare la strada a Andy, anzi, gli avrebbe volentieri messo i bastoni fra le ruote. «Sempre che non si ricordi di me, naturalmente. Se quella vipera della figlia decide di piantare una grana, mi conviene aspettare a chiederglielo. Di', quasi quasi me ne accendo un'altra, prima che tornino.» Per un istante l'atmosfera dentro la macchina si snebbiò abbastanza perché Andy si rendesse conto che Thorlo Macovich era il nero più grande e grosso che avesse mai conosciuto. «Non che al governatore dia fastidio il fumo» continuò Macovich accendendosi un'altra sigaretta al mentolo. «Ma alla First Lady sì. Porca miseria!» Scosse la testa. «Hai letto l'intervista che ha rilasciato l'altra domenica sul fumo passivo?» La nuvola di fumo azzurrino si allargò. «Cioè, manco glielo soffiassi direttamente nei polmoni!» «Ti conviene spegnerla» gli consigliò Andy. «Stanno uscendo dal ristorante.» 10 Il fumo più tossico di tutta la Virginia non proveniva dalle Salem Light di Thorlo Macovich, ma da un pirata della strada che si chiamava Smoke, malvagio sin dalla nascita. La sua fedina penale evidenziava un'escalation di reati: dalle assenze ingiustificate a scuola alle torture ai gatti, cui dava
fuoco, fino all'aggressione a mano armata e all'omicidio. Arrestato e condannato alcuni anni prima, era riuscito a evadere da un carcere di massima sicurezza improvvisando un cappio con le lenzuola e fingendo di essersi impiccato al letto di acciaio inossidabile. Quando la guardia carceraria A.P. Pinn aveva notato Smoke accasciato per terra con un cappio al collo, gli occhi fuori delle orbite e la lingua penzoloni, aveva spalancato la porta della cella ed era corso dentro per vedere se fosse ancora vivo. Smoke, che era tutt'altro che morto, era saltato su e lo aveva stordito colpendolo in piena faccia con il vassoio della colazione e fratturandogli il mento, quindi lo aveva rapidamente spogliato, si era infilato la sua divisa ed era uscito tranquillamente dal carcere. Pinn aveva deciso di scrivere un libro sulla sfortunata vicenda, che aveva intitolato TradiMento. Siccome non aveva avuto grande successo, Pinn aveva optato per una TV via cavo, in cui presentava uno show che si chiamava Testa a testa con Pinn. Smoke seguiva la trasmissione ogni settimana per essere sicuro che Pinn non divulgasse informazioni che potessero portare alla sua cattura o dare adito a sospetti sulla banda di pirati della strada che terrorizzava la Virginia e di cui lui era il capo. Da un certo punto di vista gli dispiaceva che Pinn non avesse mai parlato di lui se non in relazione all'evasione, e nessuno che non fosse mai stato stordito con una vassoiata poteva rendersi conto di quale trauma era. Lo show era iniziato e Smoke e la sua banda di pirati si raccolsero sul camper rubato parcheggiato in un boschetto di pini nella parte nord della città. Smoke puntò il telecomando e alzò il volume proprio mentre Pinn sorrideva alla telecamera e parlava con il reverendo Pontius Justice delle ronde che quest'ultimo aveva appena organizzato nei pressi del mercato ortofrutticolo. «Guarda quel cazzone» lo schernì Smoke ingollando una birra. «Ma chi si crede di essere?» Pinn indossava un completo doppiopetto nero, lucido, camicia nera e cravatta nera e con tutta probabilità si era sbiancato i denti. Quando ancora faceva la guardia carceraria, portava occhiali con le lenti azzurrate, ma adesso evidentemente era passato alle lenti a contatto, perché sbatteva le palpebre di continuo. «Ma quante arie! Penserà mica di essere alla consegna degli Oscar? E sul mento, dove l'ho colpito, gli è rimasta la cicatrice. La vedete?» «Quel segnetto? Ce l'ha sempre avuto! E anche il bozzo sulla testa» dis-
se Cat, che era il membro più anziano della banda dopo Smoke. «Solo che prima non si rasava a zero. Secondo me, si lucida la crapa pelata. Luccica che fa male a guardarla.» Strizzò gli occhi e posò la cenere nella lattina che aveva in mano. «E come se la lucida, secondo te?» chiese un altro membro della banda, Possum, che era mingherlino e pallidissimo, anche perché stava tutto il giorno a guardare la televisione con le luci spente. «Con la cera d'api o la brillantina? Ve lo ricordate il tipo che mi ha venduto la pistola? Gli ho chiesto come mai aveva la crapa così lucida e lui mi ha detto che ci si metteva sopra una brillantina speciale che si era comprato a New York. Venti verdoni, gli era costata. È uno stick, tipo deodorante, che ti passi sulla mano e poi ti spalmi sulla testa.» «Chi è che si spalma il deodorante sulla testa?» chiese Cuda, alias Barracuda, un altro membro della banda, fissando la testa pelata di Pinn. «Zitti!» Smoke alzò ancora il volume. Era agitato perché Pinn stava per arrivare all'argomento che gli interessava di più. "... nel suo libro TradiMento" diceva il reverendo Justice dalla sua poltrona davanti a una parete di compensato su cui erano disegnati maldestramente una libreria e un caminetto "lei sostiene la necessità di mantenere buoni rapporti con il vicinato. Dico bene?" "Sì, è così." "Se noi amiamo i nostri vicini, i rapporti di buon vicinato non potranno che migliorare." "Infatti. Credo di essermi espresso in questo modo." "Lei aveva già maturato questa convinzione prima di venire colpito a tradimento?" "Be', non ricordo. Può darsi." Pinn si raddrizzò sulla sedia e guardò dritto nella telecamera, giocherellando con la cravatta di raso che si era comprato da S&K per nove dollari e novantacinque centesimi. "So che quando mi sono precipitato a vedere se potevo salvare la vita a quel detenuto l'ho fatto per mantenere rapporti di buon vicinato anche sul posto di lavoro. Per tutta ricompensa mi sono trovato lungo disteso per terra, privo di sensi e di divisa." Quel ricordo gli scatenava ancora molta collera. Faceva fatica a mantenere l'espressione di pacata compostezza che si era imposto. "Vi rendete conto di che cosa vuol dire?" esclamò puntando il dito verso la telecamera e il suo pubblico. "Vi rendete conto di cosa si prova a essere colpiti a tradimento nell'esercizio delle proprie migliori intenzioni e a ritro-
varsi a faccia in giù, sul pavimento di una cella, nudi come vermi, con tutti che pensano chissà cosa nel vedervi lì con il sedere all'aria?" Il reverendo era sbiancato e sudava copiosamente sotto i riflettori. "Ed è proprio qui che vorrei sottolineare l'importanza del perdono" disse, cercando di interrompere quella rievocazione. "Ma che perdono e perdono!" sbottò Pinn. "Io quel criminale non lo perdonerò mai! Anzi, se mi capitasse sotto tiro gliela farei vedere io!" Lanciò un'occhiataccia alla telecamera, che arrivò dritta a Smoke. "Per questo vi chiedo, se mai vi capitasse di incontrare quell'essere abominevole, di chiamare il numero verde in sovrimpressione. Vi prometto che vi ricompenserò adeguatamente." Lesse il numero ad alta voce, per sicurezza. "Si fa chiamare Smoke ed è un ragazzo bianco con i capelli da rasta e una barbetta sparuta che sembra la coda di un opossum." «Chi? Cosa?» saltò su Possum gettando la lattina di birra vuota in direzione dello schermo. Smoke lo spinse giù dal divano e gli ordinò di fare silenzio. «Guarda che se spacchi il televisore io ti spacco la testa!» "'Non so come si vesta, perché l'ultima volta che l'ho visto portava la divisa arancione del carcere, ma è un ragazzo bianco di ventuno-ventidue anni, cattivo come la gramigna" continuò Pinn. "Vi garantisco che non mantiene rapporti di buon vicinato con nessuno, quello. Figurarsi! Ascoltatemi bene." Fissò negli occhi il suo pubblico senza volto. "Vorreste avere un essere così spregevole come vicino?" "No di certo! Staremo attenti" promise il reverendo Justice annuendo comprensivo e asciugandosi la faccia con un fazzoletto. "C'è molta gente cattiva a questo mondo. Basti pensare al recente caso di aggressione ai danni di Moses Custer, che oltre alle percosse ha subito anche il furto dell'autocarro e di un intero carico di zucche." "Una perdita non da poco!" osservò Pinn, momentaneamente distratto da quella triste vicenda. «E gli è andata bene che ha perso le zucche e non la zucca!» esclamò Smoke facendo lo spiritoso. «Quanto ci scommettete che Pinn è Vigile Verità? Che è lui a scrivere quelle cazzate su Internet?» "Per l'appunto!" esclamò il reverendo con un cenno di assenso. "Sono andato a trovarlo in ospedale" aggiunse poi con espressione compita. "Quel pover'uomo è davvero conciato male." "Che cosa gli hanno fatto?" Pinn era sulle spine, perché gli scocciava che i suoi ospiti tenessero banco al posto suo.
«Perché dici che è lui Vigile Verità?» domandò Possum, che era l'unico a capirci qualcosa di computer e pertanto era incaricato di leggere gli articoli di Vigile Verità tutte le mattine per controllare se c'era qualcosa che poteva interessare a Smoke. Possum era anche l'unico a sapersi collegare a Internet e quindi toccava a lui cercare autocarri in vendita, scoprire dov'erano parcheggiati, scovare articoli su fiere dell'autocarro, corse di autocarri, rivendite di accessori e ricambi per autocarri, mercati ortofrutticoli, pirateria, contrabbando e Canada. Possum navigava anche per suo interesse personale, collegandosi principalmente con il Bonanza Fan Club e seguendo le sue varie iniziative senza però parteciparvi mai. Inoltre, aveva il compito di leggere le e-mail che i contatti criminosi di Smoke gli mandavano, molte delle quali in forma anonima. "Il pover'uomo dormiva sul suo autocarro" raccontava il reverendo Justice "quando tutt'a un tratto gli si è parato davanti un angelo proponendogli un'esperienza unica. Dopo non ricorda più nulla, a parte dei demoni che lo sbattevano per terra, lo prendevano a calci e a pugni e lo ferivano con una lama." "Non aveva chiuso le portiere?" chiese Pinn con una punta di disapprovazione, avendo l'abitudine di attribuire sempre un po' di colpa anche alla vittima. A suo parere, Moses Custer in parte se l'era cercata: se avesse chiuso le portiere, nessun demone, pirata o altro avrebbe potuto tramortirlo e ridurlo in fin di vita. "Non credo. Ma questo non significa che la colpa di quanto è successo sia sua" sentenziò il reverendo lanciando a Pinn un'occhiata severa. «Se dice dov'è ricoverato possiamo andarci e finirlo» propose Cuda. «No, per me non è Pinn Vigile Verità» intervenne Possum. «A meno che non scriva molto meglio di come parla. Secondo me, Vigile Verità è veramente un vigile. Perché parla di pirati, di DNA e roba varia come uno che se ne intende. E speriamo che non gli venga in mente di venirci a cercare, perché mi sa che quando quello si mette in testa una cosa non gliela toglie più nessuno. E tu in prigione ci sei già stato una volta» disse guardando Smoke. «E hai un identikit. Forse ci conviene smettere di fare i pirati della strada e cercarci un lavoro da Foot Locker o Bojangles o...» «Ma sta' zitto!» gridò Smoke. In quel momento si aprì la porta di alluminio del camper ed entrò Unica con un sacco nero, di quelli per la spazzatura, pieno di roba. «Ho bisogno di soldi» disse a Smoke. «Me ne devi un bel po'.»
"Signore, signori, avete sentito?" diceva Pinn puntando di nuovo il dito verso la telecamera con lo sguardo acceso del fanatico. Era chiaro che non gliene importava niente di Moses Custer né di nessun altro. "Se vedete un ragazzo bianco sui ventuno-ventidue anni, con i capelli da rasta, chiamatemi immediatamente." «Hai visto che hai l'identikit?» esclamò Possum. «Ha detto niente della lesbica uccisa a Belle Island?» domandò Unica guardando lo schermo. «Quale lesbica?» chiese Smoke sbadigliando. «Lui no, ma ne parla Vigile Verità. Però non dice che è lesbica» rispose Possum. «Chiede a chi ne sa qualcosa di dargli una mano.» Unica trovò la cosa divertente. Chi poteva sapere qualcosa? Aveva procurato di rendersi invisibile quando era uscita dal bar insieme con V.V. e quindi era impossibile che qualcuno l'avesse notata o sapesse qualcosa su di lei o sull'omicidio da raccontare a Vigile Verità. Naturalmente rendersi invisibile aveva i suoi lati negativi, e Unica era convinta che il motivo per cui poi non ricordava quasi nulla dei suoi delitti fosse proprio che per perseguire il suo Scopo riorganizzava le proprie molecole. E le dispiaceva, perché rivivere l'esaltazione della crudeltà era la cosa più gratificante. "Telefonate, telefonate subito" esortava Pinn mentre il numero verde appariva in sovrimpressione. "Se ci fornirete informazioni corrette e utili all'arresto, vi ricompenseremo con cinquecento dollari. Ve lo assicura A.P. Pinn, di Testa a testa con Pinn. Buona serata a tutti" augurò infine con un gran sorriso. «Usciamo a vedere un po' cosa c'è in giro?» propose Cat, che si era annoiato a guardare lo show e non aveva voglia di sorbirsi anche il notiziario a seguire. «Tolgo la cerata dalla macchina e andiamo a caccia?» «Okay» rispose Cuda. «Tanto abbiamo quasi finito la birra e sono rimasto con una sola sigaretta. Dai, su» fece alzandosi e stiracchiandosi. «Magari troviamo quello stronzo di Custer e lo facciamo fuori in ospedale prima che apra bocca e ci metta nei casini.» «Non ci può mettere nei casini» intervenne Smoke irritato. «Non sa un cazzo di noi. Comunque, se lo ammazzavi, adesso eravamo più tranquilli» aggiunse rivolgendosi a Possum. La sera dell'aggressione, Possum aveva bevuto troppe birre e non era riuscito a prendere bene la mira. Anche se si guardava bene dal dirlo, non gli dispiaceva per niente che il proiettile avesse colpito Moses Custer a un piede scagliando via lo stivale. «Secondo me, dovremmo andarlo a cerca-
re» disse, anche se non era vero. «Così stavolta miro alla testa e la facciamo finita.» Fingeva di avere il sangue freddo di Smoke e per rendere più realistica la sceneggiata tirò fuori una nove millimetri dai pantaloni larghi e la puntò contro il televisore, come se fosse stato il letto d'ospedale del camionista. «Se t'azzardi a sparare al televisore, poi sparo io a te» salto su Smoke, strappandogli di mano la pistola e puntandogliela alla tempia. Possum deglutì, gli occhi sbarrati per la paura. «Ti prego, Smoke» implorò «non ho mica fatto niente! Scherzavo. Lo sai, no?». «Mi dai i soldi che mi devi?» insistette Unica con la sua vocina suadente ma una luce cattiva negli occhi, mentre il suo Scopo cominciava a prendere forma nell'Oscurità del suo intimo. Smoke la ignorò e con una risata sparò, aprendo un buco nel fondo del camper. Il bossolo rimbalzò contro il lampadario e cadde per terra. Smoke restituì la pistola a Possum. «O magari sparo a quel cane del cazzo che ti piace tanto. Anzi, ora che mi viene in mente, portalo un po' qui.» «No!» gridò Possum. «Ti prego, Smoke, lascialo stare! Guarda che non è vero che mi piace! È un cagnaccio stupido, ma ci serve, lo sai anche tu. E poi non vale la pena sprecare pallottole sparando a un cane.» «Tanto prima o poi gli sparo comunque» decretò Smoke. «Anzi, quasi quasi gli do fuoco. Prima, però, voglio prendere quella stronza della Hammer e fargliela vedere. A lei e a quel coglione di Andy Brazil che mi ha beccato l'ultima volta!» Possum tornò controvoglia nella sua stanza, dove rimase sconcertato nel vedere una foto di Popeye con un graziosissimo cappottino rosso sullo schermo del computer. La vera Popeye dormiva sul letto di Possum. Si accorse di essere ritratta sullo schermo di un computer non appena Possum la svegliò. «Merda!» sussurrò lui leggendo velocemente l'ultimo saggio di Vigile Verità. Poi uscì dal sito. «Non possiamo dirlo a Smoke!» avvisò Popeye prendendola in braccio. La cagnetta tremava di eccitazione e di paura. Evidentemente, Vigile Verità sapeva che Popeye era stata rapita ed era ancora viva, e stava chiedendo alla cittadinanza tutta di aiutarlo nelle ricerche! Naturalmente Popeye sapeva che Vigile Verità era Andy, perché l'aveva sentito parlare del sito con la sua padrona in diverse occasioni. Poi Andy era sparito e dopo poco era sparita anche lei. «Non gli lascerò farti del male» le sussurrava Possum in un orecchio. «Ma sta' attenta a Smoke, è cattivo. Tu lo sai che è cattivo. Dobbiamo stare
attenti che non venga a sapere che Vigile Verità ha offerto una lauta ricompensa a chi aiuterà a ritrovarti e ha mobilitato tutti i cittadini. Un po' come in Bonanza.» Popeye non aveva bisogno di sentirsi dire quanto era cattivo Smoke e avrebbe dato volentieri il suo scoiattolino di gomma per poter affondare i denti nella caviglia di quel mascalzone. Non si sarebbe mai più scordata di quando la sua padrona l'aveva lasciata un attimo sola fuori della porta per tornare in casa a controllare di aver spento i fornelli. Era successo tutto così in fretta... La sua padrona era corsa un momento in cucina lasciandola ad annusare l'erba davanti al marciapiede quando tutt'a un tratto, proprio davanti a lei, aveva inchiodato una Toyota Land Cruiser nera e Possum l'aveva chiamata per nome, porgendole un biscottino. "Popeye? Popeye? Vieni qui, carina" le aveva detto, come se fosse il ragazzo più dolce della terra. "Guarda qui che cosa ho per te..." Appena Popeye si era avvicinata, l'avevano presa di peso e buttata nel bagagliaio della Land Cruiser. Alla guida c'era quel mostro di malvagità, Smoke, che l'aveva portata sul camper, dove era rimasta rinchiusa da allora. Ogni notte sognava la sua padrona, che Smoke diceva essere morta. Per un po' Popeye non ci aveva creduto, ma adesso si era rassegnata alla possibilità che Judy Hammer non fosse più su questa terra perché altrimenti, dopo tutto quel tempo, l'avrebbe di sicuro ritrovata e avrebbe sbattuto quel pelandrone di Smoke al fresco per il resto della sua vita. Possum la portò in braccio nel salotto. Aveva imparato a nascondere un sacco di cose, compresi i suoi sentimenti. Faceva finta che gli scocciasse stare dietro a Popeye e non voleva che nessuno si accorgesse che invece lui e il cane erano diventati amici e che Popeye era forse l'unico affetto della sua vita, l'unica cosa al mondo che gli procurasse un po' di gioia, a parte le repliche di programmi vecchissimi che guardava in TV quando gli altri dormivano. Popeye si accoccolò in braccio a Possum e gli leccò la mano. «T'ho detto di tenere a posto quella linguaccia schifosa!» Possum faceva finta di sgridarla perché c'era Smoke. «Fra un po' scrivo alla Hammer e le dico che le ho ritrovato il cane» disse Smoke finendo di dare i soldi che doveva a Unica, la quale se ne andò subito dopo senza salutare. «Le do appuntamento in un posto e quando viene le sparo in testa. A lei e a Brazil.» «Bravo!» esclamò Cuda. «Non fai che ripeterlo, Smoke. E ogni volta ti faccio notare che se quella si porta appresso degli altri poliziotti tu lo prendi in quel posto. E anche che Brazil è più svelto. Se non ricordo male,
l'ultima volta ti ha beccato e ti ha sbattuto dentro. Mi sa che è più forte di te.» «Ma sei scemo? Non è per niente più forte di me! Sai cosa faccio io? Ammazzo tutti quelli che si presentano, anche te» urlò Smoke a Popeye. «Chiudi quel cane schifoso in camera tua, manda un'e-mail al Capitano Bonny e chiedigli quando diavolo ci muoviamo e usiamo il cane per beccare quegli stronzi» disse poi a Possum. «Sono stufo di aspettare!» gridò poi a tutti gli altri. «Va' a prendere la macchina!» ordinò a Cat. Possum entrò in Internet, andò su "Preferiti" e aprì il sito del Capitano Bonny, un egocentrico capace solo di autoincensarsi e farsi i propri interessi che sulla home page aveva messo addirittura l'immagine del feroce Barbanera. Possum cliccò su SCRIVICI e inviò il seguente messaggio, che era esattamente l'opposto di quello che voleva Smoke. Caro Capitano Bonny, noi pirati non siamo ancora pronti alla Grande Mossa. Le faremo sapere. Cordialmente, Pirata Possum Major Trader aveva appena finito di mangiare un banana split nello studio di casa sua, quando ricevette l'e-mail. Si stava irritando con il Pirata Possum e i suoi compari, chiunque essi fossero. Erano mesi che Trader gli passava informazioni riservate e confidenziali e faceva in modo che la stampa si occupasse di loro il meno possibile, ma fino a quel momento non aveva ricevuto niente in cambio. Avrebbe aspettato ancora che i pirati facessero quella che chiamavano la Grande Mossa e che lui sospettava essere un gran movimento di cocaina, eroina e armi attraverso il confine canadese, ma poi basta. Scrisse la risposta. Caro Pirata Possum, mi ha fatto molto piacere ricevere tue notizie, ma desidero ricordarti che quando ho orchestrato il sequestro del cane in maniera che voi poteste tendere un'imboscata alla sua proprietaria, c'eravamo messi d'accordo per una cifra. Sono stato paziente per mesi, ma adesso mi sono stancato e ho deciso che invece del cinquanta per cento del bottino voglio il sessanta, in contanti, e voglio che me lo consegnate dentro
una valigia impermeabile in un luogo di mia scelta. Ti avverto che se non rispetterete i patti, sarò costretto a usare la forza. A presto, Capitano Bonny 11 La porta nera del Ruth's Chris Steak House si aprì lentamente e il governatore Crimm uscì dall'ex casa colonica trasformata in ristorante insieme con la First Lady e la scorta. Le quattro figlie del governatore, tutte nubili e sotto i trent'anni, seguivano gli illustri genitori, anch'esse protette da guardie del corpo. Macovich gettò subito il mozzicone e scese dalla macchina mentre Andy si lisciava la divisa grigia, si sistemava la cravatta e controllava che bomboletta di lacrimogeno, manette, manganello, munizioni, pistola e fischietto fossero al loro posto. Gli venne in mente che forse non era il caso di parlare di Tangier Island e di Judy Hammer davanti a tante persone. Di sicuro la Hammer non avrebbe fatto bella figura se i suoi dipendenti fossero venuti a sapere che il governatore non rispondeva mai alle sue telefonate e si rifiutava di incontrarla. A giudicare da come camminava, peraltro, il governatore sembrava pure un po' brillo. «Senti, non vorrei che il governatore ti riconoscesse o che la figlia che hai fatto arrabbiare dicesse qualcosa» mormorò Andy mentre camminava di fianco a Macovich, guardando il gruppetto che si avvicinava. «Penso che mi convenga parlargli da solo. Oltre tutto, non sembra granché sobrio.» Macovich non aveva nessuna intenzione di aiutare Andy a parlare a tu per tu con il governatore, specie se questi aveva bevuto ed era più allegro e generoso del solito. Ci mancava solo che Andy diventasse il cocco del governatore, oltre a essere il cocco della Hammer. Macovich cercava da anni di farsi benvolere dal governatore o da qualcuno dei suoi familiari senza riuscirci. Dopo l'incidente del biliardo, poi, aveva perso ogni speranza. «No, no, non ti conviene» replicò per scoraggiarlo. «Specie se ha bevuto. Diventa cattivo, quando beve.» A Macovich un po' dispiaceva mentire e mettere i bastoni fra le ruote a un collega, ma lo riteneva assolutamente indispensabile. Negli ultimi tempi la sua carriera aveva subito una brusca frenata e temeva che, se non fosse stato attento a mantenere i propri privilegi, si sarebbe ritrovato a fare il
servizio di sicurezza in un centro commerciale o a portare in giro manager scorbutici e razzisti. Ma, con sua sorpresa e fastidio, Andy ignorò sia lui sia i suoi suggerimenti e andò incontro al governatore, stringendogli la mano. «Dunque, adesso mi protegge anche l'esercito» fece Crimm soddisfatto. Vedendo confusamente che la persona che gli aveva appena stretto la mano era un uomo alto e in divisa, aveva tratto la conclusione che fosse un militare dell'esercito o della guardia nazionale. «Bene.» Le sue tre figlie più grandi misero subito gli occhi sul bel giovanotto, mentre la quarta, con la faccia dell'adolescente incattivita con il mondo, masticava gomma. Il governatore Crimm sorrise, si tastò la giacca alla ricerca della lente di ingrandimento, che aveva attaccato a una catenella per evitare che finisse nuovamente nella fruttiera, e si guardò intorno per controllare chi aveva assistito alla sua cordiale stretta di mano con un giovane soldato. «Più protezione ho, meglio è» decretò il governatore. «Come ti chiami, soldato?» «Andy Brazil. Vorrei farle da pilota, governatore, se per lei va bene. Magari, quando ha un attimo di tempo, ne possiamo parlare.» «Immagino che tu voglia far parte della mia scorta.» Non era la prima volta che al governatore capitava di sentirsi rivolgere una simile richiesta: in genere i vigili ambivano a far parte della sua scorta, così come gli agenti federali ambivano a far parte dei servizi segreti. Era una questione di potere: più vicini erano al trono, più si sentivano forti. Gli pareva anche che Andy fosse un giovanotto aitante, con un bel fisico senza essere un armadio come quasi tutte le sue guardie del corpo. Al contrario di loro, doveva essere un ragazzo avveduto e non un marcantonio tutto muscoli. Se si fosse preso una delle sue figliole, avrebbe anche potuto essere un genero accettabile. Poi, un po' annebbiato dall'alcol, gli venne in mente che forse non era il caso di accogliere in casa un giovanotto tanto carino e affascinante, tenuto conto delle debolezze di sua moglie. Nonostante lei avesse giurato di avergli detto tutta la verità e avesse posato la mano sinistra sulla Bibbia di famiglia, Crimm aveva dei dubbi sul fatto che la First Lady non avesse continuato a nascondere i suoi amanti nell'armadio della biancheria. Il giorno prima aveva fatto un'improvvisata all'ora di pranzo e aveva scoperto Pony in ginocchio per terra, intento a pulire. "Che cosa fai?" gli aveva chiesto, cercando affannosamente la lente at-
taccata alla catenella. "Sto lucidando il fondo di questo armadio" gli aveva risposto Pony passando nervosamente lo straccio sui graffi lasciati sul legno di pino dai poggiapentole che la signora Crimm aveva ammucchiato lì dentro. "Era da un po' che volevo farlo, ma ho trovato il tempo solo adesso. Ho preparato la minestra di piselli, signore. Ne gradisce un piatto?" "Ci hai messo il prosciutto?" aveva chiesto il governatore esaminando i graffi sul fondo dell'armadio. "Come mai è così rovinato? Sembra che ci si sia nascosto qualcuno con gli scarponi chiodati o un paio di scarpe da tiptap." "Sarà stato l'aspirapolvere" aveva detto Pony evasivo, tentando di coprire il disastro. "Sapesse quante volte ho detto alle cameriere di non infilare l'aspirapolvere negli armadi... Sì, temo che nella minestra di piselli ci sia anche il prosciutto. Non sapevo che avrebbe pranzato a casa, signore, altrimenti non ci avrei messo né prosciutto né osso." Mentre Pony gli spiegava tutto questo, al governatore era parso di sentire dei passi affrettati e vagamente metallici lungo le scale. Era corso sulla porta, ma non era riuscito a vedere l'origine di quello strano rumore. Sospettava tuttavia che fosse un uomo con gli speroni o un'armatura che stava fuggendo. I timori riguardo all'infedeltà della moglie si risvegliarono: che facesse strani giochetti travestendo uomini sconosciuti scovati su Internet? La immaginò in pose erotiche, in compagnia di ammiratori giovani e virili completamente nudi a parte speroni o elmi piumati. Possibile che Maude amasse congiungersi con presunti cavalier serventi, magari ricorrendo a fruste e catene per aumentare i suoi piaceri perversi? Senz'altro, prima o poi si sarebbe stufata anche di loro, decise, e avrebbe cominciato a negare i suoi favori anche agli sconosciuti di Internet, come faceva con lui da diversi anni. Crimm meditò se Andy Brazil facesse parte del complotto. Chi gli assicurava che non fosse uno dei tanti che Maude aveva rimorchiato sulla rete e che gli avesse chiesto di fargli da pilota perché in realtà voleva farsi Maude? «Per entrare nella mia scorta devi far parte della polizia di Stato» gli fece notare il governatore con tono freddo e superiore. «Ne faccio parte, signore. E sono uno dei pochi con il brevetto di pilota» aggiunse poi, rivolgendosi alla First Lady. Brazil era una persona gentile e non amava escludere gli altri. «In effetti, da un po' di tempo a questa parte viene sempre lo stesso» osservò la signora Crimm irritata, lanciando un'occhiataccia a Macovich.
Ma dove erano finiti tutti i piloti? Ricordava che all'inizio dell'anno ne giravano parecchi. Probabilmente la colpa era di quella rompiscatole che era stata nominata comandante di polizia. Trader ne parlava malissimo. Com'è che si chiamava? Se solo le fosse venuto in mente il nome le avrebbe scritto esigendo un maggior numero di piloti, perché, come amava ripetere, la varietà è il sale della vita. Lo disse ad alta voce. «Mi scusi?» chiese Andy senza capire. «Volevo solo sapere se lei è d'accordo» disse la First Lady. Andy capì che lo stava mettendo alla prova e rispose: «In genere, sì. Ma non sempre. Per esempio, io non vario molto l'abbigliamento. Per andare a lavorare indosso sempre la divisa, che peraltro piace molto. Sono felice di portare la divisa. La varietà, per me, non è un imperativo». «Cosa?» si interessò il governatore, pensando alle ultime parole di sua moglie e avendole fraintese per via dei sospetti che nutriva sul suo conto. Possibile che Maude fosse tanto spudorata? La immaginò a letto con Andy, che non aveva indosso nulla tranne il cinturone di ordinanza. «La varietà non è affatto il sale della vita!» tuonò burbero. «A cosa serve cambiare quando ci si trova bene in un posto o con una persona? E cosa intendi per sale?» Scrutò la moglie attraverso la lente d'ingrandimento. «Calmati, caro» lo blandì lei, ricordandosi di aver nascosto alcuni poggiapentole fra il barattolo del sale grosso e quello del sale fino. Decise che sarebbe stato meglio evitare qualsiasi altra allusione al sale. «Ti avevo avvertito che la crema acida e il burro ti avrebbero fatto male. Lo sai che poi ti si scatenano i sottomarini nella pancia e diventi di cattivo umore!» Maude Crimm voleva a tutti i costi cambiare discorso. «Grassi animali e latticini non fanno che peggiorare la situazione. Il sale non ti fa male, ma le spezie sì. Devi evitarle a tutti i costi. Ma ora non parliamone più, perché a volte basta nominarle e ti si scatena l'attacco sottomarino, partono i siluri e Dio ce ne scampi! Senta, signor Brazil, sa che ha proprio un bel nome esotico? Da dove viene, dal Sudamerica? E conosce Costanza, Grazia e Fede?» La First Lady si bloccò prima di presentargli la quarta figlia, la più giovane e più brutta del gruppo. «E lei come si chiama?» chiese Andy all'esclusa, aspettandosi che avesse un nome tipo Gola o Accidia, dato il tenore degli altri nomi e la sua stazza. «Che cosa gliene frega?» fece lei brusca. Masticava chewing-gum e Andy si stupì della sua maleducazione e sfacciataggine. «L'ho vista arriva-
re» continuò accigliata. «Mi spiega perché gira in divisa su una macchina senza contrassegni? Si può essere più scemi?!» «Non sembra di qui» le disse Andy, sorvolando sulla sua sgarbataggine e focalizzandosi sul suo strano accento. Peraltro, non aveva intenzione di rivelare che Judy Hammer insisteva perché Andy guidasse un'auto normale, priva di contrassegni, per non attirare troppo l'attenzione. «Sono nata a Gundy, nelle miniere di carbone» rispose la figlia minore di Crimm. «Ma che cosa dici!» si scandalizzò la First Lady. «Quando ero incinta di lei mio marito era in piena campagna elettorale e ci trovavamo sul confine occidentale, dove sì, ci sono le miniere di carbone» spiegò a Andy mentre il governatore, attorniato dagli uomini della scorta, che ciondolavano tutto intorno al buio in attesa di ordini, cercava l'elicottero con l'aiuto della sua lente di ingrandimento. «Ma lei è nata in ospedale come le sue sorelle» aggiunse indignata, lanciando un'occhiataccia alla figlia, di cui Andy continuava a non sapere il nome. «Un altro pilota mi servirebbe, suppongo» bofonchiò il governatore, dispiacendosi di aver mangiato troppo e del fatto che sua moglie avesse parlato in pubblico dei suoi disturbi gastrointestinali. A volte, Bedford Crimm odiava la propria vita. In Virginia un governatore non poteva essere subito rieletto e quindi gli toccava sempre aspettare quattro anni prima di ricandidarsi. Erano vent'anni che si adattava alle regole assurde e antiquate di quello Stato: governava la Virginia per quattro anni, tornava nel settore privato per altri quattro e quindi si faceva rieleggere. La Casa Bianca, ormai, non era più alla sua portata. Aveva più di settant'anni, non reggeva più la vodka e le sue budella non erano più quelle di una volta. Gli uomini della scorta erano inquieti e si stava radunando una piccola folla. Andy sapeva che se avesse portato in giro il governatore in elicottero avrebbe avuto accesso a un sacco di informazioni che sarebbero potute servirgli per scrivere gli articoli di Vigile Verità. «Signor governatore» disse «sarebbe un vero onore per me pilotare l'elicottero per lei e la sua famiglia e, anche se non farò parte della sua scorta, cercherò comunque di proteggerla in ogni modo. Non avrebbe un istante da dedicarmi a tu per tu?» Macovich era furibondo, anche se nessuno se ne sarebbe mai accorto perché, come tutti quelli che lavorano nelle forze dell'ordine, era abituato a nascondere molto bene le proprie emozioni. La sua unica consolazione, nel vedere Andy che faceva di tutto per eclissarlo in quella splendida notte di
settembre, era che lui sapeva come si chiamava l'odiosa figlia minore del governatore. Eccome, se lo sapeva. Non le aveva mai rivolto la parola, nemmeno quando l'aveva stracciata a biliardo, ma la teneva d'occhio, da dietro i suoi occhiali scuri. Si chiamava Regina, ma siccome aveva l'erre moscia, pronunciava il suo nome "Vegina", con inevitabili fraintendimenti. E questo era uno dei suoi problemi. Gli altri erano la bruttezza e l'obesità. Inoltre, chiunque lavorasse per i Crimm sapeva che le inclinazioni di Regina non coincidevano con i continui tentativi della madre di accasare le insopportabili figliole. «Brazil non è un gran pilota» sussurrò Macovich alla First Lady, avendo stabilito che, nel caso specifico, per lui la miglior difesa era l'attacco. «Ma è single, e da un po' di tempo a questa parte soffre di solitudine.» «Poverino!» trillò la First Lady per tutta risposta. «Be', lo inviteremo a cena!» «Credo che apprezzerà molto, signora» disse Macovich, come se fosse stato molto gentile da parte della First Lady invitare un povero ragazzo che soffriva di solitudine. Macovich era contento che Andy Brazil non avesse idea di quello che lui stava ordendo alle sue spalle: quel ragazzo tanto bravo e tanto carino stava per finire a pezzi come lo spaventapasseri che le scimmie si erano portate via per ordine della perfida strega dell'Ovest. «Dovremmo andare, credo» decise il governatore mentre un siluro gli colpì la cistifellea provocandogli un travaso di bile. «Non mi sento molto bene. Non avrei dovuto mangiare quella torta al cioccolato belga che mi ha fatto recapitare al tavolo Trader» aggiunse. Andy rizzò le antenne. «Davvero, Maude, bisogna proprio che mi metta a dieta.» Macovich e la scorta accompagnarono il governatore e la sua famiglia all'elicottero, protetti dall'oscurità. Andy prese il cellulare per chiamare la Steak House e chiedere che gli avanzi della torta al cioccolato del governatore venissero immediatamente sigillati in un sacchetto di plastica. In quel momento gli venne in mente che aveva promesso a Judy Hammer di parlare al governatore della crisi di Tangier Island. Ma i motori dell'elicottero erano già su di giri e le quattro pale avevano cominciato a muoversi. «Governatore!» gridò, correndogli incontro. «Il comandante Hammer ha urgente bisogno di parlarle!» Il frastuono dell'elica cancellò le sue parole. «Sento odore di sigaretta!» si lamentò la First Lady tenendosi l'acconciatura, rigida di lacca, per timore che il vento gliela scompigliasse. «Non sono stato io!» risposero all'unisono tutti gli uomini della scorta.
Smoke e la sua banda stavano osservando la scena da dietro i cristalli fumé della Toyota Land Cruiser nera rubata a New York che dopo una serie di passaggi era finita in mano a Smoke, con targa nuova e numero di telaio cancellato. I pirati della strada stavano girando senza meta quando, passando davanti al Bellgrade Shopping Center, dove si trovava la Ruth's Chris Steak House, non avevano potuto fare a meno di notare l'enorme elicottero posato sull'erba. Nessuno di loro aveva mai visto una cosa del genere e, quando aveva cominciato ad alzarsi in volo scompigliando le fronde degli alberi peggio di un tornado, Smoke e compagnia erano rimasti a bocca aperta. «Porca troia!» esclamò Smoke. Era raro che esprimesse un'emozione diversa dalla collera. «Avete visto?» Cuda, Possum e Cat erano ammutoliti per lo stupore; il frastuono dell'elica li assordava e li riempiva di eccitazione. «Sarà difficile pilotare quei cosi?» chiese Smoke. «Ve lo immaginate che cosa potremmo fare con una roba così? Altro che quei cazzo di autocarri! Con quello potremmo portare la roba in metà tempo da qui al Canada e toglierci dai coglioni tutti gli intermediari. Non ci fermerebbe più nessuno!» L'elicottero prese quota illuminando l'erba che turbinava al di sotto. Dal finestrino Smoke intravide una delle figlie del governatore che si apriva un sacchetto di patatine. Poi notò un'altra persona che correva verso una macchina: Andy Brazil. Gli cominciò a ribollire il sangue al solo vederlo. Qualche anno prima lui e la Hammer lo avevano catturato e sbattuto in galera. Da allora non c'era stato giorno in cui Smoke non avesse fantasticato di avere in mano quei due per poterli sottoporre a qualche sadica tortura. «Bene, bene, bene» esclamò mentre l'elicottero si allontanava nel cielo buio. «Chi non muore si rivede. Forse mi conviene sparargli nelle cervella prima che lo perda di nuovo di vista.» «A chi?» chiese Cat, distogliendo lo sguardo dalle luci dell'elicottero per vedere dove erano fissi gli occhi assetati di vendetta di Smoke. Vide un poliziotto biondo che stava salendo in macchina. «Perché gli vorresti far saltare le cervella?» protestò Possum, mentre Smoke ingranava la marcia. «Con tutta 'sta polizia in giro, poi... Sei fuori? Se vuoi fare una cosa del genere, io scendo.» Possum era seduto davanti e, quando mise la mano sulla maniglia, Smoke gli mollò un manrovescio. Cuda e Cat si fecero piccoli piccoli sul sedile
posteriore e stettero zitti. Disprezzavano Smoke, ma non sapevano dove altro andare e ormai erano troppo inguaiati anche solo per pensarci. Tutti e due avevano fatto parte di altre gang di sbandati e Cat si diceva che fare il pirata con Smoke era come entrare nella mafia. Perciò, rimase in silenzio e immobile. Con Smoke non c'era da scherzare. Ormai la banda aveva alzato il tiro: basta con gli scippi, le rapine ai bancomat, le sparatorie nei drive-in. L'altro giorno Smoke li aveva portati al Cloverleaf Mall, aveva comprato Nike nuove per tutti e offerto pizza e patatine. Quindi, non era poi tanto male. Possum stava cercando di consolarsi come meglio poteva, ma era stufo di farsi trattare a pesci in faccia da Smoke e di preoccuparsi che facesse del male a Popeye. Quando era piccolo, suo padre lo menava spesso e faceva cose orribili a tavola, come piantare il coltello nel piano di legno o gettare la roba per terra. A suo padre piaceva sparare ai conigli e mandargli dietro i cani per vederli quando li facevano a pezzi. Possum a un certo punto aveva cominciato a stare sempre nel seminterrato e a marinare la scuola per guardare la tele a luci spente. Con l'andare del tempo aveva cominciato a salire in casa soltanto di notte, quando i suoi avevano ormai smesso di litigare ed erano andati a letto, per razziare il frigo e l'armadietto dei liquori. Non aveva mai fatto niente di male finché non si era reso conto che vedeva meglio al buio che durante il giorno, quando la luce lo abbagliava, e aveva cominciato ad avventurarsi fuori del seminterrato e a passeggiare lungo Northside's Chamberlayne Avenue di notte, per guardare sognante le automobili che sfrecciavano accanto a lui, piene di gente normale che andava e veniva come e quando gli pareva e non era costretta a starsene tutto il giorno nel seminterrato perché il loro padre di sopra spaccava tutto, picchiava la mamma e torturava gli animali. Una mattina verso le due, mentre girovagava nel parcheggio dell'Azalea Mall tenendo d'occhio quelli che andavano a prelevare i soldi al bancomat, caso mai qualcuno si dimenticasse di ritirare una banconota, aveva visto fermarsi una Land Cruiser. Si era messo a correre, ma Smoke correva più forte di lui e Possum si era ritrovato per terra, con un ragazzo bianco con i capelli da rasta che gli puntava una pistola alla testa e gli ordinava di salire in macchina. Da allora era diventato un pirata della strada e a volte provava nostalgia per il seminterrato e per sua madre. Una volta, soltanto una, l'aveva chiamata da una cabina telefonica. "Ho trovato un buon posto, ma'" le aveva detto. "Lavoro di notte. Non ti posso dire dove perché ho paura che venga papà. Lo sai anche tu com'è. Tu
tutto bene?" "Be', certe volte non va poi tanto male" gli aveva risposto lei con quel tono depresso e sconfitto che Possum conosceva bene, "Ti prego, torna a casa, Jerry" gli aveva detto poi, perché il vero nome di Possum era Jeremiah Little. "Mi manchi." "Non ti preoccupare." A parlare con la mamma in quella cabina piena di scritte oscene gli era venuto un nodo alla gola. "Metterò da parte i soldi, così poi io e te ce ne andremo a vivere in un bel motel dove lui non ci troverà mai." Il problema era che Smoke si teneva tutti i soldi. Dava denaro ai membri della banda solo quando ne avevano bisogno, impedendogli di accumulare risparmi. Possum aveva da mangiare a sazietà, tutto l'alcol e il fumo che voleva, scarpe da basket e jeans extralarge, cercapersone, cellulare, GPS manuale, una pistola e una stanza tutta sua nel camper. Ma Smoke non gli dava soldi da poter mettere da parte. Non gliene avrebbe dati mai. Era a questo che pensava, con la faccia che gli bruciava e il labbro sanguinante. Sentiva nostalgia per la mamma e rifletteva che Smoke era ancora peggio di suo padre. «Non puoi ammazzarlo adesso» cercò di farlo ragionare. «Meglio aspettare e fare la Grande Mossa. Poi gli facciamo saltare le cervella a tutti quanti, Popeye compresa.» Smoke svoltò in Huguenot Road e accelerò. «Non ti preoccupare, non voglio far fuori Brazil stasera, davanti a tutta la gente. Ma quando sarà il momento gliela farò vedere, a lui e a quella stronza della Hammer. Magari faccio azzannare Popeye da un pitbull e le lascio la carcassa davanti a casa.» «Sì, così poi non hai più un cazzo da usare contro di lei» ribatté Possum fingendo una freddezza che non provava. «Con il cane, le fai fare tutto quello che vuoi. Non darebbe qualsiasi cosa per riaverlo, secondo te? Giocati bene le tue carte e non essere impaziente. Quel cane ti può servire a fregare la Hammer e Brazil in un colpo solo. Scommetto che Brazil conosceva Popeye e che dispiace anche a lui che è sparita.» «Sì, così li freghiamo tutti e due. Cazzo, ci godo!» Smoke cercava di seguire l'elicottero, che stava scomparendo alla loro vista dietro ai grattacieli. «Poi li portiamo alla base» continuò, riferendosi al camper «così ho tutto il tempo di fargli sputare sangue, prima di sparargli in testa e buttarli nel fiume.» I pirati della strada sapevano che da bambino Smoke amava seppellire
vivi conigli e scoiattoli, schiacciare le rane, staccare le zampe agli uccellini e torturare in mille altri modi povere creature indifese. A Possum non era sfuggito che Smoke aveva dato a tutti i membri della banda un nome di animale: probabilmente era un modo per metterli al corrente di che cosa avrebbe fatto loro, se non avessero rigato dritto. «Sì, dài, incastriamoli» fece Possum, fingendosi più cattivo e duro di quello che era. «Ammazziamo anche qualcun altro» aggiunse. «E diciamo al Capitano Bonny che non gli diamo un soldo, e che se prova a fare il furbo gli spariamo e buttiamo nel fiume pure lui.» «Ma sta' zitto!» gli intimò Smoke mollandogli un ceffone sull'orecchio. «Devo scoprire dove lo lasciano, quell'elicottero, così glielo freghiamo. Si farà come con le macchine no?» «Figurati se si fa come con le macchine» osò Possum, nonostante il ceffone. «Ho visto un documentario su Discovery Channel: per metterli in moto premi un bottone poi alzi una levetta e sterzi con una manopola.» «Pilotare un elicottero non è mica come guidare un camion» sentenziò Cat. «Non credo che riusciremmo neanche a farlo alzare da terra.» «Trovatemi l'aeroporto della polizia di Stato» ordinò Smoke ai suoi. «Guardate dov'è sul GPS.» Unica non aveva bisogno di un GPS per orientarsi. E, comunque, non lo aveva. Smoke non le dava né armi né strumenti speciali, per quanto, se avesse voluto, sarebbe riuscita a farsi dare qualsiasi cosa da lui. Unica aveva le sue tecniche speciali, che irradiavano dall'Oscurità del suo intimo, dove albergava il nazista che era in lei. Mentre percorreva Strawberry Street a bordo della sua Miata, si sentì senza peso, a un palmo da terra. Stava fluttuando nella notte, i lunghi capelli al vento, l'aria fresca della sera sul viso bello e delicato. Parcheggiò poco distante dalla casa del poliziotto biondo, non sapendo che era l'Andy Brazil che Smoke aveva nominato poco prima. Quando Brazil e la Hammer avevano arrestato Smoke, Unica ancora non lo conosceva e quindi non li aveva mai visti. Se non fosse stata una creatura del Male, avrebbe considerato una strana coincidenza che il poliziotto da lei adocchiato fosse non soltanto il nemico numero uno di Smoke, ma anche Vigile Verità. Ma il fatto era che nella vita di Unica non esistevano né incidenti né coincidenze: a guidarla era lo Scopo, che le aveva ordinato di lasciare il sacco nero per la spazzatura davanti alla casa del poliziotto e appiccicargli una busta sul portone.
12 La casa di Judy Hammer sorgeva in cima a uno dei sette colli di Richmond, con una vista mozzafiato su tutta la città. Il comandante della polizia aveva impiegato molto tempo e fatica per restaurarla e arredarla con grande gusto. Stava facendo dei conti seduta al suo antico secretaire, ma ogni volta che alzava gli occhi verso la finestra vedeva le luci di Richmond e ricordava le responsabilità che si era assunta nei confronti degli abitanti della Virginia e di tutte le donne della nazione, per le quali era diventata un simbolo. Non è facile trovare un compagno quando si è più vicine ai sessanta che ai cinquanta e si porta una pistola nella borsa di Ferragamo, e Judy Hammer si sentiva sola e sconsolata. Vedere la foto di Popeye sul sito di Vigile Verità le aveva messo ansia. E sul lavoro era stata una giornata difficile. Una donna aveva deciso di fare causa a McDonald's sostenendo di essere rimasta intossicata per colpa di un hamburger, e un uomo che risultava non vedente era stato scoperto a fare il palo mentre il fratello rubava in un appartamento. Per non parlare dei viaggiatori cui era venuta una trombosi volando in classe economica e del James River, che era stato dragato perché un numero incredibile di indagati per i reati più diversi aveva dichiarato di aver gettato l'arma del delitto nel fiume. Era sorpresa di non aver più sentito Andy e temeva che il suo silenzio volesse dire che non era riuscito a parlare al governatore. Forse lui e Macovich non si erano trovati, o comunque non erano riusciti a combinare nulla. Mentre faceva queste riflessioni, squillò il telefono. «Sì, pronto?» rispose brusca, come se le desse fastidio che la gente si intromettesse nella sua vita privata. «Comandante Hammer?» disse la voce di Andy. «Dimmi, Andy.» Era in Broad Street, dove giovani dall'aria infelice osservavano con sospetto la sua automobile dagli angoli della strada, fra costruzioni fatiscenti. «Sono nei pressi di Church Hill» continuò senza smettere di guardarsi intorno. «Se non disturbo, potrei passare un attimo a casa tua e raccontarti com'è andata con il governatore» le propose. «Okay» rispose Judy e riattaccò senza neanche salutarlo. Era insofferente per natura alle perdite di tempo, e più invecchiava meno sopportava le comunicazioni a distanza sotto qualsiasi forma. Detestava il
telefono, odiava le segreterie telefoniche e ascoltava i messaggi il più velocemente possibile per poi cancellarli dalla propria vita, spesso prima ancora che finissero. Considerava i walkie-talkie una rottura e la posta elettronica una schiavitù, specie quando le piombavano dal cyberspazio messaggi urgenti di perfetti sconosciuti. Judy Hammer aveva soltanto voglia di pace e tranquillità. Era arrivata a un punto nella vita in cui la gente la stancava, visto che soltanto di rado le sembrava comunicare qualcosa di interessante. «Allora?» disse a Andy appena gli aprì la porta, prima ancora di farlo entrare. «Hai detto al governatore che a Tangier Island è stato sequestrato un dentista e che l'isola ha dichiarato guerra alla Virginia a causa degli autovelox, del NASCAR e di possibili frodi dentistiche?» «Non ne ho avuto il modo» ammise Andy riluttante, sedendosi sul divano. «Non credo che il governatore sia in grado di riconoscere le persone. Voglio dire, temo che abbia la vista molto corta. Mi ha scambiato per un militare e non aveva idea di chi fosse Macovich. Mi chiedo se l'origine dei suoi problemi non sia proprio la vista, Judy. Se non vede, vuol dire che ha buoni motivi per non poterti vedere, intendo.» Judy non ci aveva mai pensato. «È ridicolo!» replicò. «Con tutto il rispetto...» Il comandante della polizia alzò una mano per interromperlo. Quando qualcuno cominciava un discorso dicendo "Con tutto il rispetto" significava che stava per raccontare una panzana o per farla irritare. «Di' quello che devi dire e lascia stare il rispetto, per favore.» «Qualcuno dovrebbe invitarlo a fare qualcosa per la vista» suggerì Andy. «Magari tu.» «Se mai avrò occasione di parlargli, gli dirò questo e un sacco di altre cose!» esclamò lei impaziente. Andy la faceva sentire vecchia. Bastava la sua presenza a farle accusare il peso degli anni, per questo aveva cominciato a evitarlo e a trattarlo più freddamente di una volta. Judy era stata una bella donna per tutta la vita, ma da quando aveva compiuto cinquantacinque anni le era sembrato di trasformarsi in un ammasso di ciccia e di rughe: le si era incartapecorito il labbro superiore, aveva perso un sacco di capelli e le si erano avvizziti i seni. Invece, Andy di giorno in giorno diventava più bello. Non era giusto, pensava Judy. «Stai bene?» le chiese sollecito Andy. «Di colpo mi sembri di cattivo umore.»
«Parlare del governatore mi fa quest'effetto» rispose lei evasiva. Era un'ingiustizia, pensava. Gli uomini della sua età uscivano con ragazze dell'età di Andy, le quali non ritenevano che teste pelate, rughe, occhiali spessi, muscoli inflacciditi, Viagra, pompette e sonoro russare notturno fossero un handicap. Anzi. Proprio vero che le donne si fanno fare il lavaggio del cervello, si diceva. Le ragazze si vantano fra loro di uscire con uomini più vecchi! Pochi giorni prima Windy Brees era uscita a fumare nel parcheggio del commissariato, e quando Judy le era passata vicino, aveva sentito che parlava con un'amica di un certo signor Click. Lei aveva proseguito senza nemmeno guardarle, con la ventiquattrore in una mano e una serie di documenti nell'altra, facendo finta di non sentire, ma Windy aveva una voce che superava qualsiasi barriera architettonica. "Quanti anni ha questo signor Click?" le aveva chiesto la giovane amica, invidiosa. "Novantuno" aveva risposto pronta Windy. "Guarda, sono cotta. Aspetto tutto il giorno vicino al telefono." Alzò il cellulare e sospirò perché non squillava. "Ma è staccato!" le aveva fatto notare l'amica. "Devi accenderlo, altrimenti non squilla." Prese il proprio e le mostrò come fare. "Ooh!" aveva esclamato Windy, di nuovo speranzosa. "Chissà se lui il suo ce l'ha acceso... Perché quando lo chiamo mi risponde una voce che dice che non è al momento raggiungibile e io mi deprimo. Voglio dire, è da ieri sera che non lo sento..." «Sarà meglio che me ne occupi personalmente» decise Judy Hammer. «Non posso stare qui ad aspettare che il governatore si decida a incontrarmi, visto che quell'isola ha dichiarato guerra alla Virginia e preso in ostaggio un dentista. Non verrà fuori niente di buono da questa faccenda, Andy, te lo dico io. Dobbiamo intervenire immediatamente.» «Con tutto il rispetto» esordì Andy, ma fece subito marcia indietro. «Insomma, il governatore Crimm è un uomo orgoglioso, che ama il potere. Se tu lo scavalchi, non se lo dimenticherà e non te lo perdonerà. Non lo ammetterà mai, ma senz'altro resterà male se tu ti prenderai tutto il merito.» «E allora che cosa dobbiamo fare?» «Dammi altre quarantott'ore» buttò lì Andy. «Mi farò ricevere da lui e lo informerò di tutto quello che è successo.» Si fermò un istante a pensare a Popeye e alla casa di Judy Hammer, che sembrava vuota senza la cagnetta. «A proposito della foto di Popeye...»
«Visto che hai tirato fuori tu l'argomento» lo interruppe Judy «non pensi che avresti dovuto chiedermi il permesso, prima di metterla sul sito?» «Non voglio lasciare niente di intentato.» A Judy Hammer si riempirono gli occhi di lacrime, che prontamente ricacciò indietro. «So quanto ti manca» insistette Andy, commosso dal suo turbamento e deciso a farla parlare. «E so quanto non ti vada a genio che prenda delle iniziative senza chiederti il permesso, ma non sono più un pivello. Ormai so pensare con la mia testa e credo di sapere quello che faccio. Sembra che tu ce l'abbia con me, invece. Non apprezzi nessuno dei miei sforzi.» Judy Hammer non lo guardò, né rispose. «A dire il vero, sembri sempre infelice e arrabbiata con tutti.» Judy restò zitta e Andy fece per alzarsi. «Non volevo disturbare» disse, pur rendendosi conto che era dispiaciuta che lui se ne andasse. «Penso che sia meglio se vado, adesso.» «Già!» replicò lei, saltando su dalla sedia. «È molto tardi.» Lo accompagnò alla porta, come se non aspettasse altro che toglierselo dai piedi. Andy guardò l'ora. «Hai ragione. Meglio che vada. Devo finire l'articolo di domani.» «Posso chiederti l'argomento?» domandò Judy aprendo la porta e osservando le foglie ormai ingiallite degli alberi che si muovevano nel vento fresco della sera. «Ci saranno interventi da parte della tua misteriosa confidente?» «Non ho una confidente» replicò Andy con un tono brusco di cui si sorprese lui stesso. Scese la scala e andò verso la macchina. «Anche se vorrei tanto averla» continuò aprendo la portiera. «Devo ancora trovare qualcuno che io possa definire così.» Tornò a casa di umore nero e rimase stupito nel vedere un sacco della spazzatura sulla scala e una busta attaccata al portone. Insospettito, vide che non c'era scritto nulla. Era una normale busta bianca, di quelle che si trovano in qualsiasi cartoleria. Il sacco della spazzatura conteneva evidentemente qualcosa. Il suo istinto di poliziotto gli disse subito di non toccare niente. Prese il cellulare. «Agente investigativo, Slipper» gli rispose una voce dopo che il telefono ebbe squillato a lungo nella A Squad, la sezione del Dipartimento di polizia di Richmond che si occupava degli omicidi.
«Ciao, Joe. Sono io, Andy Brazil.» «Oh, ciao! Come ti va la vita? Ci manchi, brutto muso. Come si sta alla polizia di Stato?» «Senti, ti ho chiamato per chiederti un favore. Riesci mica a passare un momento a casa mia? Mi hanno lasciato sul portone uno strano sacco e non voglio toccare niente.» «Per la miseria! Vuoi che porti gli artificieri?» «No, almeno per ora non mi sembra il caso» rispose Andy. «Vieni prima tu a dare un'occhiata.» Si sedette sui gradini al buio, perché la lampada fuori non scattava a tempo e le luci dentro casa erano spente per risparmiare sulla bolletta. Il commissariato era in centro, ma non molto distante dal Fan District, dove abitava lui. L'agente investigativo Joe Slipper si presentò un quarto d'ora dopo e Andy si rese conto di quanto gli mancassero i vecchi colleghi del Dipartimento. «Mi fa proprio piacere vederti» disse a Slipper, un uomo basso e grasso che puzzava di acqua di colonia e amava gli abiti firmati che comprava a poco prezzo in una stockhouse vicino a casa sua. «Merda!» esclamò osservando il sacco della spazzatura e la busta bianca alla luce di una torcia. «È strano. Molto strano.» «Hai un paio di guanti?» domandò Andy. «Sì, certo.» Tirò fuori dalla tasca un paio di guanti da chirurgo. Andy se li infilò e staccò la busta dal portone. Siccome era chiusa, l'aprì con un coltellino. Dentro c'era una polaroid, e sia Andy sia Slipper rimasero stupefatti nel vedere che ritraeva il corpo nudo di Vicky Vash, sporco di sangue, a Belle Island. Slipper tastò il sacco con il piede. «Merda» ripeté. «Sembrano vestiti.» Aprì il sacco e ne estrasse guardingo una giacca nera di pelle da motociclista, un paio di jeans, slip, reggiseno e una maglietta con quello che sembrava il logo di una squadra di softball. Sembravano tutti tagliati con la lama di un rasoio ed erano impregnati di sangue secco. «Oh, signore!» disse Andy sudando freddo al pensiero del nome che era stato inciso sul ventre della donna. «Non so proprio come siano finiti qui.» Slipper tornò tristemente alla macchina, e senza parlare prese il nastro adesivo e alcuni sacchetti per metterci le prove. Chiuse tutto dentro i sacchetti e propose a Andy di parlare un po' di quello che era successo, non sapendo che Unica First era appostata nell'ombra dall'altra parte della strada e li stava guardando.
«Andiamo nella tua macchina?» propose Andy, che non voleva far entrare Slipper nel salotto in disordine e pieno di materiale su Jamestown, Isle of Dogs, pirati, mummie, foto di Popeye e tutto il resto. «Come vuoi» replicò Slipper lievemente confuso. «Perché, comunque? Mi stai nascondendo qualche donna?» «Magari!» rispose Andy. «È solo che ho lasciato un gran casino e non ho voglia di mettere in ordine adesso. Se preferisci entrare in casa, non è un problema, naturalmente. Anzi, magari vuoi perquisirla?» «Ma figurati, Andy!» disse Slipper. «Non ho nessun motivo per perquisirti la casa, nemmeno se mi dai tu il permesso. Dài, andiamo a sederci sulla carriola che mi passa il Dipartimento.» «Non ci capisco niente, Joe» continuava a ripetere Andy. «Be', io sì» disse Slipper mentre salivano sulla vecchia Ford LTD e chiudevano le portiere. «Sembra proprio che l'assassino ti abbia lasciato i vestiti della vittima sulla porta di casa. Ci sta prendendo in giro. Lo sai che sono intervenuto io sul luogo del delitto, vero? Perciò, so benissimo che quella foto è stata scattata prima che io arrivassi. Tanto per cominciare, quando siamo giunti sul posto dei vestiti non c'era traccia. Eppure abbiamo cercato su tutta l'isola.» Andy era agitato. L'assassino sapeva che lui era Vigile Verità? Era per questo che aveva inciso il suo nome sul ventre di quella poveretta e poi gli aveva lasciato i suoi vestiti sulla porta di casa? Ma chi poteva saperlo, a parte Judy Hammer? Non ci si raccapezzava e temeva che, se avesse rivelato il suo segreto a Slipper, l'investigatore l'avrebbe spifferato ai colleghi e la sua carriera letteraria sarebbe finita bruscamente. Per non parlare del fatto che anche Judy Hammer avrebbe rischiato il posto di lavoro. Ma il peggio era che Andy sarebbe stato sospettato dell'omicidio di Vicky Vash. «Oh, Signore!» sospirò, preoccupato. «Senti, Joe, prima di tutto ti devo dire che non c'entro niente con questo omicidio. Non avevo mai sentito nominare la vittima, prima che tu telefonassi alla Hammer oggi. Non l'avevo mai vista né conosciuta e ti assicuro che non l'ho ammazzata io, sempre che tu abbia dei sospetti. Anzi, se mai dimmelo chiaramente, Joe. Dobbiamo essere sinceri l'uno con l'altro.» «Hai ragione» replicò Slipper, guardando dal parabrezza la strada vuota e buia. Andy capì che lui era incerto e che, in effetti, nutriva qualche sospetto. «Tu che cosa sai di Vigile Verità?» gli chiese Joe. «So che il suo nome era inciso sul cadavere perché l'hai detto alla Ham-
mer e lei me l'ha riferito» rispose Andy. «E naturalmente conosco il suo sito, come tutti.» «Hai letto le cazzate che spara?» «Sì» rispose Andy. «Ma non vedo nessun collegamento fra le cose che scrive e Vicky Vash. E tu?» «No, neanche io» ammise Slipper. «Cioè, non vedo nessun collegamento fra Jamestown, le mummie e tutto il resto e l'omicidio di un'omosessuale. Però, visto che dobbiamo essere sinceri, ti devo confessare, Andy, che mezzo corpo di polizia pensa che tu sia gay. A te non è mai fregato niente se uno era gay o no, vero?» disse Slipper, guardandolo per la prima volta da quando erano saliti in macchina. «È vero, non me ne frega niente» rispose Andy. «Io ce l'ho solo con chi fa del male al prossimo.» «Proprio come pensavo» borbottò Slipper scrollando la testa confuso. «Ma perché l'assassino doveva lasciarti questa roba davanti a casa, mi chiedo? Non potrebbe essere qualcuno che tu hai arrestato o con cui hai avuto dei contatti quando eri nel Dipartimento di polizia di Richmond? Sei sull'elenco del telefono?» «No, Joe, non ci sono. Ti posso fare una domanda?» «Certo.» «Hai preso in considerazione l'ipotesi che Vigile Verità sia stato tirato in ballo non perché lo legge l'assassino ma perché lo leggeva la vittima, e l'assassino chissà come l'ha scoperto?» «Devo ammettere che questa eventualità non mi era neppure passata per l'anticamera del cervello» riconobbe Slipper interessato e speranzoso. «È un'intuizione geniale. Ci rifletterò e ci lavorerò sopra. Andrò a parlare con le sue colleghe...» «E con le ragazze della squadra di softball della maglietta» suggerì Andy. «Magari senza chiedere direttamente di Vigile Verità, visto che quel dettaglio è meglio che non venga reso noto, no?» «Ma certo! Solo l'assassino e il medico legale ne sono a conoscenza. Meglio che non lo si sappia in giro, nel caso arrestiamo qualcuno che lo confessi, ti pare?» «Infatti.» «Ma secondo te come posso fare a scoprire se la vittima aveva qualcosa a che fare con Vigile Verità, se non lo posso tirare in ballo?» «Non saprei, però potresti mandargli un'e-mail» disse Andy. «E come?»
«Be', sul sito c'è un indirizzo a cui puoi contattarlo. O contattarla, perché in fondo non sappiamo se è maschio o femmina. Supponendo che sia maschio, comunque, potresti scrivergli e chiedergli aiuto. Se lui ne parlasse sul suo sito, magari le amiche di Vicky gli scriverebbero dandogli informazioni preziose.» «Tipo?» Slipper era incerto. «Che cosa gli faresti scrivere sul sito?» «Mah, non saprei» temporeggiò Andy. «Qualcosa come: "La polizia sta cercando conoscenti di Vicky Vash che ci possano dire quali erano i suoi hobby, le sue passioni, che cosa leggeva e di chi o che cosa parlava più spesso negli ultimi tempi".» Slipper prese appunti e chiese a Andy di ripetere la dichiarazione. «E poi aggiungerei che i messaggi possono arrivare anche in forma anonima, nel caso la gente non si sentisse di esporsi» suggerì Andy. «E prometterei una ricompensa per informazioni particolarmente utili.» Slipper mise in moto e accese i fari. Intanto Unica era acquattata dietro un albero, al buio, e aveva riarrangiato le molecole in maniera da rendersi invisibile. Sentiva lo Scopo pulsarle dentro e fantasticava di comparire sulla porta del biondo poliziotto. "Mi si è guastata la macchina" gli avrebbe detto, seguendo le indicazioni del nazista che era in lei. "Posso fare una telefonata?" Il poliziotto l'avrebbe fatta accomodare e, non appena le avesse voltato le spalle anche solo per un momento, lei sarebbe diventata invisibile e gli sarebbe sgattaiolata alle spalle per tagliargli la gola, recidendogli in un colpo solo la trachea in maniera che non potesse gridare e soffocasse nel suo stesso sangue. Poi il nazista che era in lei le avrebbe ordinato di sfregiarlo, di cavargli gli occhi, di tagliargli la lingua, di incidergli una svastica sul ventre e di fotografare il risultato. Per ultimo, come al solito, gli avrebbe tolto ì vestiti, che poi avrebbe recapitato a casa della persona che il nazista avesse designato. «So che ci hai già pensato» disse Andy diplomatico «ma io manderei la busta in un laboratorio per l'esame del DNA. Ammesso e non concesso che l'assassino abbia leccato la busta per chiuderla, potresti ottenere il DNA e passarlo nei data base. Con un po' di fortuna, potresti identificarlo da questo. E fai analizzare anche il sangue sui vestiti, perché a volte l'assassino si taglia. Io porterei tutto quanto a Vander, che magari fra luminol e collanti vari trova qualche impronta latente sul sacco, sulla busta o sulla foto da mandare all'AFlS. E fai controllare che non ci siano fibre, peli o capelli sui vestiti e nel sacco. Ma prima di tutto, interpella la dottoressa Scarpetta.»
«Sì, sì» disse Slipper un po' scocciato, perché lui era della vecchia scuola e di tutte queste nuove tecniche investigative capiva quanto del videoregistratore acquistato di recente, che non aveva ancora imparato a far funzionare. «Sì, certo. Ci avevo già pensato.» 13 Thorlo Macovich aveva accompagnato la famiglia del governatore fino all'eliporto del centro e quindi era tornato nell'hangar della polizia di Stato. In quel momento si trovava in cima a una scala e puliva il vetro del Bell 430 dagli insetti schiacciati. Fare il pilota era un gran bel mestiere, pensava Macovich amareggiato. Davvero eccitante portare avanti e indietro il governatore, cieco come una talpa, e quel branco di boriosi dei suoi familiari. Mai che lo ringraziassero o lo lodassero! Ed era anche un po' che non gli aumentavano nemmeno lo stipendio. Non era giusto che Andy Brazil, dopo una sospensione dal servizio di un anno intero, ritornasse a lavorare come se niente fosse. Si augurò che Andy avesse quel che si meritava. E anche tutti gli altri. Quanto a sé, sperava che di punto in bianco succedesse qualcosa nella sua vita che magicamente gli cancellasse ogni debito e la fissa del sesso. La gente non si rendeva conto di che tormento è avere tra le gambe uno stallone indomito e focoso, sempre scalpitante, sempre a mordere il freno, anche quando dormiva. Il suo prode destriero, come lo chiamava Macovich, aveva cominciato a imbizzarrirsi quando era ancora in tenera età, e suo padre ridacchiava orgoglioso chiamandolo Purosangue, senza rendersi conto che per Thorlo era un problema e lo sarebbe stato ancora a lungo. Per lui era indispensabile avere una donna. E avere una donna costava, anche perché gliene servava una dalle voglie insaziabili e abbastanza esperta da restare in sella anche nelle galoppate più sfrenate. Trovare donne così non era facile. Macovich smise per un momento di togliere gli insetti morti dal vetro, distratto dall'arrivo di una Land Cruiser che si fermava proprio davanti all'hangar, dimostrando una notevole faccia tosta. Vide scendere un ragazzo bianco con i capelli da rasta, che si avviò verso l'elicottero come se l'accesso non fosse rigorosamente vietato ai non addetti ai lavori. «Guardi che non può entrare!» gli gridò Macovich. «Mi sono perso!» si giustificò il ragazzo. «Mi sa dire come faccio a raggiungere l'aeroporto civile? Ho un volo per Petersburg fra quindici minuti
e rischio di perderlo, se non arrivo al più presto.» «Non ci sono voli per Petersburg» replicò Macovich, intestardendosi su una macchia che non voleva venir via. «Petersburg è a cinquanta chilometri da qui. Che bisogno c'è di andarci in aereo? In macchina fa prima.» I pirati della banda avevano i finestrini abbassati e ascoltavano incuriositi chiedendosi che cosa avrebbe fatto a quel punto Smoke. Cat aveva paura che volesse rubare quell'elicottero, perché si rendeva conto che non sarebbero mai riusciti a pilotare un affare così e si sarebbero schiantati. Si vedeva persino dalla macchina che la console sembrava quella di un'astronave, con centinaia di interruttori, levette e pulsanti misteriosi. Diede una gomitata a Cuda. «Cosa facciamo se adesso spara al pilota e gli frega l'elicottero?» gli domandò. «Lo mettiamo su un autotreno e lo nascondiamo da qualche parte.» «E dove?» «Dentro a un container.» «Ma non ci sta!» «Magari se lo scoperchiamo sì. Certo che le pale altrimenti non ci entrano. Mai viste grandi così in vita mia.» «Prenda l'interstatale in direzione sud e vedrà che non può sbagliare» spiegò Macovich. «Non ci potrebbe portare lei, già che ci siamo? Mi faccia una cifra, così ci mettiamo d'accordo» fece Smoke indicando lo splendido elicottero. «Quanto ci vorrebbe?» «Una decina di minuti, se non c'è vento contrario. Ma non posso portarvici. Questo elicottero è a uso esclusivo del governatore e della sua famiglia.» «Be', mica glielo va a dire nessuno, no?» ribatté Smoke, che stava diventando sempre più aggressivo. Era ai piedi della scala e stava meditando se prenderla a calci e far cadere il pilota. «Nella cabina di pilotaggio c'è un indicatore che registra tutte le volte che si alza il collettivo» spiegò Macovich. «Domani, quando porto il governatore o sua moglie a fare una commissione, quell'indicatore lì segnerà che l'elicottero è stato in volo dieci minuti, è tornato a terra, ha ripreso il volo ed è tornato qui nell'hangar fra stasera, dopo che li ho riaccompagnati a casa, e domani mattina. Come spiego un viaggetto fino a Petersburg che il governatore non mi ha mai ordinato di fare?» «Magari non se ne accorge nemmeno.»
Era alquanto probabile, dopo tutta la vodka che si era bevuto, e Macovich era tentato di fare un piccolo strappo alla regola. Era stata una settimana dura e una serata particolarmente stressante, inoltre quel mese era già sicuro di non riuscire a pagare il conto della VISA. «Mi piacerebbe proprio farci un giro. Che cosa ne dice?» propose il ragazzo con i capelli da rasta. «Tanto, ormai è troppo tardi per andare a Petersburg.» «No, no.» Macovich scese e scrollò lo straccio, sparpagliando per terra centinaia di insetti minuscoli. «Non ora, perlomeno.» Smoke aveva la pistola infilata nei pantaloni, ma si rendeva conto che rubare un elicottero era più impegnativo che rubare un autotreno e quindi doveva cercare di essere paziente e di fare le cose per bene. Se avesse sparato troppo presto al pilota, senza avere la minima idea di come far volare quel mostro, avrebbe rischiato di farsi beccare nell'hangar della polizia con il libretto di istruzioni in mano. «Lei è istruttore?» chiese al pilota, cambiando approccio. «Sì.» Macovich aprì un comparto e ci buttò dentro lo straccio sporco. «Senta, se desse qualche lezione a uno dei miei ragazzi, io potrei pagarla molto bene. A condizione che non lo sappia nessuno, però.» Smoke aveva già deciso di mandarci Possum. Se poi quello scemo si fosse fatto beccare dalla polizia, Smoke l'avrebbe sostituito senza problemi con qualcun altro. Di tutta la banda, Possum era quello che gli stava più antipatico e non gliene sarebbe fregato un corno se avesse fatto una brutta fine. Certe volte rimpiangeva di averlo rapito davanti al bancomat dell'Azalea Mall. Diede al pilota dell'elicottero il numero del proprio cercapersone e gli raccomandò di fargli uno squillo se la sua proposta gli interessava, ma di non pensarci troppo, perché Smoke aveva da fare. Se poi il pilota era stufo del suo lavoro o insoddisfatto del suo stipendio, Smoke stava cercando qualcuno per il suo team. «Lei ha un team?» esclamò Macovich, talmente impressionato che smise per un momento quello che stava facendo e guardò Smoke ammirato. «Altroché.» «Che genere di team?» «Be', diciamo che anch'io sono un pilota, anche se di altro genere» rispose Smoke, cercando di pensare più velocemente possibile. Con tono più brusco aggiunse: «Per questo ho bisogno della massima riservatezza. Se viene fuori il mio nome, mi ritrovo addosso più fan che lei insetti sul suo elicottero. Guardi, a certi livelli la celebrità è una schiavitù».
«Scusi, ma lei corre nella Winston Cup? E che numero ha la sua auto?» Macovich non aveva mai visto piloti di NASCAR con i capelli da rasta, ma pensò che fosse un travestimento per evitare gli assalti dei fan. «Non glielo posso dire» rispose Smoke con tono da spaccone. «Ma se vuole far parte del team, mi dia un colpo di telefono.» Ciò detto, se ne andò con passo tranquillo. Mentre Macovich rifletteva su quell'opportunità che gli si era improvvisamente presentata, Andy beveva una birra nella sua casetta a schiera ai margini del Fan District, che lui considerava un quartiere di emarginati. Nonostante quel che dicevano i suoi vicini sul dondolo della veranda alla fine di una lunga giornata di lavoro, l'unico valore storico di quella parte della città era determinato dalla sua vecchiezza. Era un quartiere malandato, senza parcheggi, dove spesso gente appena uscita dal carcere o dall'ospedale entrava nella vita delle persone senza essere stata invitata. La minuscola casa di Andy, con un'unica camera da letto, era senza aria condizionata e aveva un impianto di riscaldamento difettoso, che spesso surriscaldava l'ambiente e faceva saltare l'impianto elettrico. Per Andy di solito era un problema, soprattutto quando aveva il computer acceso e rischiava di perdere il lavoro non salvato. Ma quella sera non aveva importanza. Quella sera un folle assassino aveva lasciato i vestiti insanguinati dell'ultima vittima davanti a casa sua e lui aspettava con ansia che Slipper mandasse l'e-mail che aveva promesso a Vigile Verità. Si alzò irritato, spingendo da una parte la sedia, e andò a prendersi un'altra birra nel frigo. Poi tornò al computer. Quando cominciò a scrivere non si fermò finché l'articolo non fu completato e pubblicato sul sito. Nel frattempo Slipper scrisse a Vigile Verità, Andy gli rispose e quindi si addormentò sulla tastiera. Quando il telefono lo svegliò, era ancora seduto davanti al computer, con la testa sul tavolo. «Oh, merda!» gemette. Si guardò intorno, assonnato e indolenzito. Il telefono, intanto, continuava a suonare. «Pronto?» rispose, sperando che fosse Judy Hammer che aveva letto il suo ultimo articolo e voleva complimentarsi. «Vorrei parlare con Andy Brazil» disse invece una voce vagamente familiare. «Chi lo desidera?» «Sono la signora Crimm.» «Buongiorno, signora!» esclamò Andy stupefatto. «Che sorpresa...»
«L'aspettiamo stasera alle sei per un aperitivo e una cenetta leggera. Va bene?» «Oggi è giovedì?» chiese Andy, che non capiva più niente. «Sì, credo di sì. Guardi, non lo so più neanch'io che giorno è. Ci trova nella casa giallina al centro di Capitol Square, in Ninth Street, appena prima dell'incrocio con Broad Street. Glielo dico perché so che si è trasferito da poco e che è stato sospeso dal servizio per un anno e quindi potrebbe non sapersi orientare ancora bene in città.» La First Lady porse quindi il cordless a Pony e sorrise soddisfatta alle figlie che la guardavano dall'antico tavolo della colazione. «Secondo me, prima ne dovevi parlare con papà.» Grazia fece cenno a Pony di portarle dell'altro burro. Il vento soffiava da nord e cominciavano a cadere grossi goccioloni. «Quel giovanotto gli è simpatico, me ne sono accorta subito» replicò la signora Crimm. «Vostro padre ha tante cose a cui pensare. Oh, mio Dio! Un momento fa c'era il sole e adesso piove!» «Guarda che papà si accorge di molte più cose di quanto tu non creda. E se di colpo si ritrova come pilota un ex poliziotto biondo che è stato sospeso, è probabile che si renda conto di non aver preso lui la decisione» le fece notare Fede mentre la pioggia batteva fragorosamente sul vecchio tetto d'ardesia. «Quale decisione?» domandò la First Lady. «Di averlo come pilota personale.» «Sciocchezze. Ci servono più piloti. Non so che cosa sia successo a quelli che avevamo prima, a meno che non siano tutti occupati con la storia degli autovelox. E avete sentito anche voi che ieri sera quel bel giovanotto ha detto di avere alcuni argomenti da discutere con vostro padre. Almeno vorrei sapere di che cosa si tratta!» Pony stava cercando la base del telefono. Non si trovava mai niente, in quella casa, quando c'erano i Crimm. Certi giorni si chiedeva se il direttore del carcere gli aveva fatto davvero un favore assegnandolo a maggiordomo del governatore. Gli altri detenuti che lavoravano nel giardino della residenza a rastrellare foglie secche e a pulire le automobili probabilmente si trovavano meglio. «Scusate se vi disturbo» li interruppe senza guardare nessuno negli occhi. «Non trovo più la base del cordless.» Costanza, Grazia, Fede e la First Lady si distrassero per un po' dalla colazione. Regina invece continuò imperterrita a mangiare. Era l'unica che
preferiva servirsi da sola: trovava che Pony ci mettesse troppo tempo a riempirle il piatto. Prese pane tostato, cereali, uova fritte, un'altra banana e il miele di ossidendro che il governatore del North Carolina aveva mandato in dono il Natale passato per ricordare subdolamente a tutta la famiglia Crimm che il cibo nel North Carolina era migliore che in Virginia. «Un momento fa era qui» disse Fede stizzita, con la faccia cavallina pallida e pressoché inespressiva, senza lo spesso strato di fondotinta e fard che si applicava di solito. I Crimm avevano imparato l'arte del cercare le cose in tutta la casa senza muoversi dalla loro sedia. Pony non aveva mai capito come facessero, ma del resto, se fosse stato un po' più intelligente, non sarebbe finito a star dietro ai Crimm in giacca bianca. «Scusi, signorina, qui dove?» domandò educatamente. «Dove l'ha visto lei l'ultima volta?» «Prova a chiamare, così quando squilla capiamo dov'è» suggerì Regina con la bocca piena. «Funziona se si perde il telefono, ma con la base no» intervenne Costanza, scocciata che la roba non se ne stesse al proprio posto. «In realtà squilla anche la base, come ha fatto saggiamente notare lei ieri» disse Pony rivolto alla First Lady, che pure non gli aveva fatto notare assolutamente niente. Trovata la soluzione, il problema rimase, visto che ai detenuti non era concesso conoscere il numero di telefono privato di casa Crimm. Se si voleva ritrovare la base del cordless, pertanto, era indispensabile che a comporre il numero fosse un membro della famiglia, cosa che però era assolutamente contraria al protocollo. Quel compito ricadeva infatti su uno stuolo di assistenti personali e/o amministrativi, impiegati di sesto livello, che a quell'ora non avevano ancora timbrato il cartellino. Il tavolo per la colazione del governatore divenne un tableau vivant delle donne di casa ferme nella loro indecisione, eccezion fatta per Regina, che continuava imperterrita a mangiare, incurante di protocollo e burocrazia. «Da' qua, Pony» disse a un certo punto, tendendo la mano. L'uomo girò intorno al tavolo e le posò il cordless accanto alla tovaglietta all'americana, da dietro, stando bene attento a non sfiorarla, come se le stesse servendo un dessert flambé. La ragazza digitò il numero segreto con le dita sporche di miele e un istante dopo la base del telefono cominciò a squillare da sotto la sua vestaglia, che aveva gettato sulla cassapanca di mogano.
«Pronto?» disse Regina, per assicurarsi di essere lei a chiamare. «Pronto?» riprovò, accavallando le gambe coperte dal pigiama di flanella che a Pony facevano venire in mente tronchi d'albero con pianelle di pelliccia piene di polvere al posto delle radici. «Forse dovrei chiedere di entrare nel servizio di sicurezza.» Restituì il telefono a Pony. «Già che mi sbatto tanto, almeno che mi paghino un regolare stipendio...» «Non penso che sarebbe possibile» puntualizzò sua madre, che era contraria. «Dovresti comunque avere una scorta, anche quando fai da scorta a noi.» «Vorrei tanto vedere dove sta scritto» polemizzò Regina. «Scommetto che la legge della Virginia non lo dice.» «Se permettete» intervenne Pony pulendo il telefono e posandolo sulla base «non credo che la legge della Virginia proibisca alla famiglia del governatore, o di qualsivoglia autorità, di proteggersi ed essere protetta al tempo stesso.» «Potresti chiederlo al bel pilota, Brazil. Spero proprio che riuscirà a dissuaderti lui» disse la First Lady a Regina. «Lavorare nei servizi di sicurezza e nelle forze dell'ordine è molto pericoloso e poco gratificante. A proposito di forze dell'ordine, qualcuno di voi ha letto Vigile Verità stamattina?» «Ci siamo appena alzate» le ricordò Costanza. «Oh, racconta una storia interessante e misteriosa: chi ha sparato a J.R.?» «Sta riscrivendo Dallas?» si stupì Fede. «È un serial vecchissimo!» «È un altro J.R.» spiegò la signora Crimm alle figliole. «Mi dispiace che Dallas sia finito, comunque. Vostro padre ci rimase malissimo e andò su tutte le furie quando smisero di trasmetterlo. Ormai in TV non c'è più niente che valga la pena guardare, a parte le televendite.» DUE PAROLE SULLE AQUILE di Vigile Verità È molto probabile che il giovane soprannominato J.R. dagli archeologi sia il primo bianco assassinato da un bianco nella storia d'America, anche se ai tempi della colonia di Jamestown, a rigore, l'America non si chiamava ancora così. Visitando gli scavi e osservando il calco in fibra di vetro dello scheletro di J.R., tuttavia, non si può non provare un moto di compassione per quel
giovane morto così lontano da casa, che rimase sotto la dura terra della Virginia per quattro secoli prima di essere scoperto per caso. J.R. sta per Jamestown Rediscovery, ed è la sigla data a ogni reperto trovato negli scavi, compresi i morti e le tombe in cui furono seppelliti. A tutt'oggi non sappiamo chi fu a sparare a J.R., né chi fu J.R. stesso. La scienza, però, ci ha permesso di scoprire alcune cose sul suo conto. Le prove al carbonio-14 hanno stabilito che morì nel 1607, probabilmente pochi mesi dopo che i primi colonizzatori erano sbarcati a Jamestown, per cui possiamo dedurre che fosse uno dei centootto inglesi salpati dall'Isle of Dogs e rimasti bloccati nel Tamigi. Gli antropologi ritengono che si trattasse di un uomo robusto, alto un metro e sessantacinque, con il mento sfuggente e la mascella piccola, di età compresa fra i diciassette e i venticinque anni, senza tracce di artrite e con i denti relativamente sani, a indicare che la sua dieta probabilmente non comprendeva zucchero. Le prove di datazione con radioisotopi di piombo, stronzio e ossigeno dimostrano che era originario dell'Inghilterra, probabilmente della zona a sudovest di Londra, o del Galles. J.R. ha una ferita da arma da fuoco alla gamba, provocata da una palla da moschetto calibro 60, che a quei tempi era considerata un'arma da combattimento. Dalle prove balistiche risulta che il colpo fu sparato da una distanza tale da escludere che la ferita fosse autoprocurata. J.R. morì per dissanguamento e fu seppellito senza sudario in una cassa di forma esagonale con i piedi rivolti a est, come voleva la tradizione cristiana. Se a sparargli fu uno dei suoi compagni, come io credo, sorge il problema del perché, risolvibile soltanto sulla base dei documenti storici. Scritti e reperti dello stesso periodo indurrebbero a pensare che i moventi dell'omicidio di J.R. potrebbero essere diversi. Il giovane potrebbe essere stato coinvolto in intrighi politici o difficoltà interne, forse non andava d'accordo con i compagni, oppure rubacchiava o si accaparrava più cibo degli altri. Potrebbe anche aver praticato il cannibalismo, come un colono che qualche tempo dopo fu condannato a morte dopo essere stato sorpreso a mettere sotto sale il cadavere della moglie. Ma J.R. potrebbe anche aver lottato con un indiano, che a un certo punto potrebbe essersi impossessato del suo moschetto e aver capito come funzionava. Più probabilmente, litigò con un compagno, anch'egli armato, che decise di sparargli a una gamba perché J.R. portava un elmetto o una corazza che gli proteggeva il petto, magari dopo aver scoperto che J.R. era una spia spagnola o un pirata.
Personalmente, io sospetto che J.R. fosse una spia o un pirata, oppure entrambe le cose. Comunque sia, non fece una bella morte perché, con ogni probabilità, fu cosciente quasi fino all'ultimo. Me lo immagino dentro il forte, sotto choc, che vedeva il sangue schizzare dall'arteria recisa mentre gli altri intorno a lui si affannavano con pezzuole, acqua e tutti gli unguenti e le medicine che avevano a disposizione. Forse qualcuno gli restò accanto per confortarlo mentre altri cercavano il suo assassino o gli gridavano di tutto. Chissà. Ma se vi immedesimate in questa tragedia, cari lettori, certamente vi porrete la stessa domanda che mi pongo io: perché non vi è traccia della morte di J.R. negli scritti di John Smith? Perché, a tutt'oggi, non è stato trovato alcun accenno al giovane morto per un colpo di moschetto, che si sia trattato di un incidente o di un omicidio volontario? Perché la storia non è altro che ciò che si vuole comunicare alle generazioni future. Quando John Smith scrisse le sue memorie, raccontando aneddoti a beneficio di re Giacomo e dei suoi amici in patria, ebbe il buonsenso di capire che i suoi finanziatori e i futuri coloni non avrebbero gradito sapere che a Jamestown si litigava, ci si sparava addosso, si diventava matti per l'acqua cattiva e per il costante assedio da parte degli indigeni, si faceva la fame al punto da ridursi a mangiare serpi, tartarughe e almeno un'aquila, come dimostrano i resti ritrovati negli scavi. L'inizio della storia americana non fu né eccitante né divertente né onorevole, e neppure patriottico, come ci è stato fatto credere, ma forse è servito di ispirazione agli autori di format televisivi come Survivors e Fantasy Island. Purtroppo le cose non sono molto cambiate. Basti guardare l'efferato omicidio di Vicky Vash. Non sappiamo chi l'abbia uccisa, ma vi chiedo, cari lettori, di avere abbastanza senso civico da scrivermi, se la conoscevate. Fatemi sapere come viveva Vicky, quali hobby aveva, quali erano i suoi interessi, che cosa leggeva, se usava Internet, se ultimamente parlava spesso di qualcuno o qualcosa. Mi raccomando, occhi aperti! 14 Il governatore Crimm stava leggendo l'ultimo articolo di Vigile Verità da almeno un'ora, affascinato, sconvolto e disgustato. Ripassava la sua lente di ingrandimento su ciascuna frase, mentre Major Trader gli parlava di questioni di Stato e gli offriva ciliegine ricoperte di cioccolato fatte in casa.
«L'Assemblea generale è alle porte» gli stava dicendo. «E noi non siamo ancora pronti.» «Lo dice sempre» osservò il governatore masticando. «Piuttosto, chi ha sparato a J.R.? L'abbiamo chiesto agli archeologi? Perché non siamo riusciti a farci dare una risposta? Che figura facciamo, se dimostriamo al mondo intero che non siamo capaci di risolvere un omicidio commesso quattrocento anni fa davanti a chissà quanti testimoni? Voglio che chiami Jamestown ed esiga che il caso venga risolto al più presto, così potremo indire una bella conferenza stampa e annunciare alla Virginia tutta che da noi nessun delitto resta insoluto!» «Che non tolleriamo la criminalità minorile!» aggiunse Trader, allargando il discorso. «Infatti.» Il governatore era d'accordo. «A mio parere dovremmo lasciar intendere che l'assassino era un pirata. Ci tornerebbe utile» aggiunse Trader. «Va bene un pirata qualsiasi. Tutti i pirati erano cattivi allora come lo sono adesso, quindi non cambia niente se dichiariamo che J.R. un giorno uscì dal forte per andare a prendere l'acqua al fiume, vide un galeone spagnolo con la bandiera dei pirati e ci lasciò le penne.» «Credevo che avessimo deciso di far passare il più possibile sotto silenzio i nostri problemi di pirateria.» «I pirati della strada sono un altro conto» rispose Trader gongolando al pensiero delle attività piratesche che lo avrebbero presto fatto diventare ricco. Crimm si bloccò con la lente di ingrandimento sulla parola cannibalismo. «Si immagina uno che mette il cadavere della moglie sotto sale?» esclamò disgustato, fantasticando di avere una fame spaventosa e di scoprire che la sua voluttuosa moglie era appena mancata. Pensò alla sua trippa nuda e si chiese come facesse uno a mangiarsi la moglie senza prima cuocerla almeno un pochino. Il problema era che, se avesse cercato di arrostirla, qualcuno avrebbe sicuramente visto il fumo o sentito l'odore e lo avrebbero impiccato all'albero più vicino. Che situazione orrenda! Al solo pensiero i sottomarini nella sua pancia lanciarono i primi siluri ingaggiando un terribile conflitto. «Era un delitto capitale, a quei tempi» osservò Trader, come leggendogli nel pensiero. «Le guide di Jamestown dicono che chi veniva sorpreso a mangiarsi la moglie o chiunque altro veniva catturato e impiccato al primo albero, per poi essere seppellito in tutta fretta in un luogo segreto, proba-
bilmente per evitare che qualcuno lo riesumasse e se lo divorasse.» «Mi chiedo se è tuttora un reato punibile con la morte. Se non lo è, dovrebbe esserlo» decretò Crimm, sentendo partire un altro siluro. «Dipende» commentò Trader immaginando sua moglie, che era grassa e noiosa, e chiedendosi quanta fame avrebbe dovuto avere lui per pensare anche solo per un istante a mangiarsela, supponendo che morisse all'improvviso, all'insaputa di tutti. «Per esempio, la legge della Virginia lo considera tale solo se associato a un altro reato grave» spiegò. «Se uno ammazza una donna, magari dopo averla violentata e derubata, e poi se la mangia, finisce certamente nel braccio della morte e quindi, a meno che lei non ne blocchi l'esecuzione e gli conceda la grazia, gli fanno l'iniezione letale.» «Io non blocco mai le esecuzioni» ribatté Crimm un po' seccato, riprendendo a leggere nonostante i siluri che i sottomarini nelle sue viscere continuavano a sganciare. «Anzi, voglio che scriva un bel comunicato stampa nel quale si annuncia al mondo intero che chiunque pratichi il cannibalismo sarà punito con la morte, sempre che commetta anche gli altri reati gravi che la legge prevede, s'intende. Non credo che abbiamo mai affrontato questo tema, che invece mi sembra molto importante. Potremmo scrivere una proposta di legge e portarla all'Assemblea generale.» Trader prendeva appunti con la matita. Si era abituato così, perché la maggior parte delle volte gli toccava cancellare tutto. «Potremmo dire che J.R. fu sorpreso mentre praticava il cannibalismo e portato davanti al plotone di esecuzione. Che cosa ne pensa?» Il governatore alzò lo sguardo verso Trader, che si vide davanti un occhio enorme e iniettato di sangue, opaco e vacuo. «Non mi risulta che i plotoni d'esecuzione abbiano mai sparato alle gambe» osservò l'addetto stampa. «Non credo che la gente se la berrebbe.» «Ma sì! Lo sanno tutti che quattrocento anni fa i fucili sparavano un po' dove volevano. Basta, adesso, cambiamo discorso.» «Sono d'accordo» disse Trader voltando pagina. «Che cosa intende fare a proposito del dentista sequestrato a Tangier Island? Sono certo che ha letto il giornale di stamattina o sentito il notiziario alla radio.» «Veramente non ancora.» Il governatore si mise una mano sulla pancia, temendo un'esplosione nucleare. «Pare che la polizia di Reedville abbia parlato con un giornalista. Purtroppo la vita del dentista sarebbe in pericolo perché gli abitanti di Tangier sono arrabbiati per via del VASCAR. La mia proposta è sospendere im-
mediatamente qualsiasi rilevazione di velocità finché la questione non si sarà risolta. L'avverto che ho chiamato il comandante Hammer per spiegarle le nefaste conseguenze che ha avuto la sua iniziativa di mandare un vigile a pitturare strisce fosforescenti sulle strade dell'isola. Naturalmente non mi è stata neanche a sentire. Come al solito.» «L'iniziativa era sua?» si meravigliò Crimm, che aveva un cerchio alla testa. «Ma certo! Non ricorda che l'altro giorno ne abbiamo parlato e io le ho fatto notare che mi sembrava l'ennesima sciocchezza tirata fuori dal comandante della polizia? Lei mi ha risposto di lasciarla fare, che l'importante era che la gente sapesse che era tutta colpa della Hammer e lei non c'entrava. Per questo l'ho lasciata andare avanti.» «Ha mai ritrovato il cane?» chiese il governatore, pulendo la lente d'ingrandimento con un panno speciale e pregando per una tregua fra i sottomarini della sua pancia. «Gira voce che siano stati i suoi nemici politici a rapirglielo» rispose Trader grave. «È un peccato che quella donna sia oggetto di tanta antipatia» replicò Crimm sbiancando e immobilizzandosi. «Quando l'ho nominata comandante della polizia non immaginavo che sarebbe finita nell'occhio del ciclone. Perché non la chiama e non la invita da me, così facciamo due chiacchiere? Non subito. Fra un po'.» «Glielo sconsiglio vivamente, governatore. Non dovrebbe incontrarla né subito né fra un po'» si affrettò a dire Trader. «Non vorrà che l'opinione pubblica faccia di ogni erba un fascio, no? La Hammer è un personaggio imbarazzante e lei dovrebbe prenderne le distanze.» «Però, mi dispiace per il suo cane. Spero che le sia arrivato il mio biglietto...» «Mi sono assicurato personalmente che lo ricevesse, governatore» mentì Trader, che aveva intercettato sia il biglietto in cui il governatore esprimeva alla Hammer il proprio rammarico per la perdita del cane sia i molti altri che lui le aveva scritto. «Se capitasse qualcosa a Frisky» continuò preoccupato Crimm «non so proprio come mi sentirei. Per non parlare di Maude e delle ragazze... Frisky è un amico fedele e ringrazio il cielo di avere una scorta che impedisce a criminali desiderosi di un riscatto o scontenti per qualche mia decisione impopolare di rapirlo o di fargli del male!» «Le sue decisioni non sono mai impopolari» disse Trader con enfasi.
«Per lo meno quelle di cui viene ritenuto responsabile.» «Verrò certamente ritenuto responsabile del recente omicidio della donna gay» sospirò Crimm, in preda a fitte lancinanti. «Le consiglio di alludere a un legame fra l'omicidio Vash e l'aggressione di Moses Custer, in maniera che se i due casi non vengono risolti la colpa ricada sulla Hammer» suggerì Trader compiaciuto e sicuro di sé. «L'ideale sarebbe riuscire a trovare un qualche collegamento anche con l'omicidio di J.R. a opera di un pirata, per darle la colpa anche della mancata risoluzione di quel caso.» Il governatore si alzò di scatto, non riuscendo più a trattenere la furia dei sottomarini che si davano battaglia nella sua pancia. «Se ne vada!» ordinò a Trader fra gli spasimi. «In questo momento non riesco a pensare ai pirati!» Possum invece ci pensava, eccome. Aveva in mente i pirati da quando aveva letto l'articolo di Vigile Verità quella mattina presto. Stava guardando la TV e rifletteva su una lacuna della banda di cui sperava di approfittare per salvare Popeye. Ogni pirata che si rispetti, da che mondo è mondo, sapeva che era indispensabile avere una serie di bandiere da innalzare sull'albero maestro per comunicare con le altre navi. Quella con il teschio e le tibie incrociate informava i malcapitati che i pirati stavano per lanciarsi all'arrembaggio e che gli conveniva arrendersi. Se la nave ignorava quel simbolo di morte, i pirati alzavano un'altra bandiera, questa volta rossa, a indicare che per loro non ci sarebbe stato scampo. Se neanche quell'avvertimento sortiva alcun risultato, dalle comunicazioni passavano ai fatti e caricavano i cannoni. I pirati moderni avevano dimenticato queste buone norme e non usavano più bandiere. Ormai, a bordo di motoscafi, attaccavano yacht e navi senza dare avvertimento alcuno prima di ricorrere a mitragliatori e mortai. Fuorilegge spietati, crudeli e sanguinari non credevano più nella necessità di offrire alle loro vittime la possibilità di arrendersi, troppo interessati a cibi in scatola, strumenti elettronici, tappeti, vestiti firmati, tabacco ed eventuali sostanze stupefacenti nascoste a bordo della nave assaltata. Quando la droga faceva parte del bottino, generalmente non sopravviveva nessuno a riferire l'accaduto alle autorità. Possum stava meditando che almeno i pirati della strada avrebbero potuto rifarsi alla tradizione delle bandiere. Era seduto sul letto con la luce spenta, nella camera del camper dal cui finestrino avrebbe potuto vedere
alcuni pini spelacchiati in fondo allo spiazzo, se non avesse tirato le tende. Non perdeva mai una puntata di Bonanza e fantasticava di avere un padre come Ben Cartwright e dei fratelli come Little Joe e Hoss. Immaginava di andare a cavallo per Ponderosa con una musica di chitarre e percussioni in sottofondo. "Dan da da dan da da dan da da dan da da DA!..." Il giorno prima aveva visto la sua puntata preferita, quella in cui la figlia di Little Joe viene rapita da un circo e legata nell'armadio della donna cannone, a poca distanza dai camerini delle bellezze d'Egitto e della donna barbuta. Little Joe convince Ercole ad aiutarlo e insieme picchiano i cattivi, fanno cadere di mano il coltello a quello che voleva pugnalare la donna cannone e alla fine lei lo bacia. Ah, quanto gli piaceva vedere Little Joe allontanarsi con il cappello da cowboy sulle spalle e il cinturone con le pistole sui fianchi... Che cosa non avrebbe dato per poter uscire da quella stanzetta schifosa e puzzolente e trovare ad aspettarlo Ben, Little Joe e Hoss, anziché Smoke e gli altri della banda... Per non parlare di Unica, a parte che negli ultimi tempi veniva al camper sempre più di rado. A volte gli salivano le lacrime agli occhi e doveva farsi forza per spegnere il televisore e uscire da quel mondo dorato in cui si rifugiava durante il giorno, quando gli altri ragazzi dormivano per smaltire la sbornia e le nefandezze della sera prima. Possum non aveva mai fatto del male a nessuno, prima che Smoke lo rapisse davanti al bancomat di Azalea Mall, e adesso era nei guai. Aveva sparato a quel povero camionista che si faceva i fatti suoi e dormiva sul suo autotreno aspettando che aprisse il mercato ortofrutticolo per scaricare le sue zucche. Non voleva addormentarsi, per paura di sognare quello che aveva fatto a quel poveretto e le zucche che rotolavano nel James River. I giornali avevano parlato per giorni delle zucche che galleggiavano sull'acqua, rimanendo incagliate fra gli scogli a centinaia. Naturalmente, la polizia aveva capito subito che dovevano essere quelle di Moses Custer e che qualcuno le aveva buttate giù dal Deep Water Terminal. Possum sperava solo che Custer non fosse morto né paralizzato. Si rendeva conto confusamente che il motivo per cui Smoke aveva insistito perché sparasse lui era che così non se ne sarebbe più potuto andare dalla banda senza rischiare la galera, se non addirittura l'iniezione letale. Quanto gli sarebbe piaciuto scrivere un'e-mail a Vigile Verità e chiedergli di andare a salvare lui e Popeye... Ma se Vigile Verità poi l'avesse denunciato alla polizia?
Popeye sarebbe potuta finire annegata in uno stagno e lui al riformatorio, fra gente peggiore di Smoke. Era buio e il silenzio era assoluto. Possum accarezzava Popeye pensando a come convincere Smoke a issare un pennone sul camper e sulla Land Cruiser. Perché Smoke non avrebbe dovuto accettare? Bastava che Possum facesse finta che l'idea era venuta a lui ed era davvero geniale. Il teschio con le tibie incrociate sarebbe stato troppo ovvio e Smoke non avrebbe di certo apprezzato, pensò Possum. Si avvicinò al computer per controllare il sito del Capitano Bonny e vedere se quel pirata aveva una bandiera e dove la metteva, ma si distrasse e cliccando su "Preferiti" si collegò inavvertitamente con il sito di Vigile Verità. Era uscito un altro articolo. «Ma guarda un po'!» esclamò rivolgendosi a Popeye, che sonnecchiava sul letto. «Due nella stessa mattina! Chissà cos'ha in mente Vigile Verità...» BREVE DIGRESSIONE di Vigile Verità La gente di Tangier Island è riservata e sensibile e poco conosce delle proprie origini perché, come spesso succede, quando uno comincia a mettere in giro voci e a raccontare storie, si dimentica come sono andate veramente le cose e inizia a credere nelle proprie bugie. Nel corso dei secoli la gente di Tangier Island ha mantenuto il massimo riserbo sulle proprie origini piratesche, preferendo credere alle leggende che si era inventata. Un pomeriggio sono andato sull'isola fingendomi un giornalista, ho girato un po' e ho parlato con una signora che era passata da Spanky's a bere qualcosa perché nel suo negozio di souvenir non c'era nessuno. «Immagino che sia stufa di tutti questi turisti che invadono l'isola» ho detto alla signora, che si chiamava Thelma Parks e immagino che così si chiami tuttora. «Non mi seccano affatto, quando mi lasciano in pace...» mi ha risposto, guardandomi con diffidenza. «E invece la disturbano?» «Macché. L'altro giorno mi sono venuti in bottega con la telecamera e mi volevano riprendere. A me non garbava, però.» «E glielo ha detto?» mi sono informato, prendendo appunti. «Macché.»
La signora Parks mi ha poi raccontato che da un po' di tempo si fa pagare un quarto di dollaro per ogni foto che scattano a lei o al suo negozio; questa entrata supplementare l'aiuta a meglio sopportare le orde di sconosciuti che sembrano trovare il suo negozio molto insolito e pittoresco, anche se lei non capisce perché. Nessuno dei piccoli soprammobili in plastica a forma di faro, granchio, nassa, aragosta, pesce, gozzo e così via è fatto a mano o negli USA, mi ha spiegato, e ha aggiunto che le aragoste sono rarissime nella Chesapeake Bay e molti sull'isola le hanno viste solo in televisione o nelle pubblicità dei ristoranti di pesce. Ho continuato le mie peregrinazioni e mi sono imbattuto in un ambulatorio medico, dove però non c'era nessun medico, dentista o infermiere, ma solo un ragazzo alto e magro, con gli occhi azzurri e una gran testa di capelli biondi. Seduto sulla poltrona del dentista con lo sguardo perso nel vuoto, sognava a occhi aperti e non si è accorto della mia presenza. Convinto che fosse un paziente lasciato momentaneamente solo dal dentista, sono rimasto lì ad aspettare, ignaro del fatto che in realtà il dentista era stato rapito dagli isolani. Infatti il sequestro non era stato ancora reso noto né era stata avanzata alcuna richiesta di riscatto. «Scusa?» ho chiesto educatamente. Il ragazzo non mi ha degnato di uno sguardo. «Sei sveglio?» ho insistito io. Evidentemente dormiva. «Volevo parlare con qualcuno dell'ambulatorio» ho detto. «Sto scrivendo un saggio sui rapporti esistenti fra l'inizio della storia americana e il suo stato attuale e ritengo che Tangier Island sia la chiave di tutto.» «Quella dell'ambulatorio ce l'ho io.» Ha sbattuto le palpebre e si è portato la mano sulla tasca. Accorgendosi che non mi conosceva, ha fatto un salto sulla poltrona ed è balzato in piedi. «Che cosa è venuto a fare qui lei? Credevo di aver serrato la porta!» È corso a tirare il chiavistello. Ho sentito un rumore confuso di passi in una stanza sul retro e poi lo stridore di una sedia trascinata per terra. «È il cane» mi ha detto il ragazzo facendo segno verso la fonte del rumore. «E come mai trascina le sedie?» l'ho provocato. «L'hai legato?» «Sì.» Altro rumore di sedia. «Si sentirà solo, oppure gli mancherà l'aria» dissi preoccupato all'idea che nell'ambulatorio medico ci fosse un cane legato. «Perché non lo fai u-
scire a prendere un po' d'aria? Così magari si tranquillizza.» «E che diamine!» ha esclamato allora bloccandomi la strada, mentre di là la sedia continuava a stridere paurosamente. «Morde. Per quello è legato. È il cane del dentista.» «E il dentista dov'è?» «È legato anche lui.» «Legato ad altri impegni, intendi dire? Be', sarà per un'altra volta» ho replicato. «E i tuoi denti? Vedo che hai l'apparecchio e che te ne mancano parecchi. Ho notato che ti saltano gli elastici tutte le volte che apri bocca.» «E che diamine!» Si è coperto la bocca con una mano, imbarazzato. «Quel dentista da strapazzo deve stare attento!» «Già che ne parliamo» ho detto avvicinandomi alla scrivania, su cui era posata una cartella clinica aperta «ti spiace se guardo che lavori ti ha fatto? Sempre che questa sia la tua cartella. Ti chiami Darren Shores?» «Sì, ma mi chiamano tutti Fonny Boy.» Fonny Boy e io abbiamo conversato a lungo. Sa molte cose dell'isola, essendo appassionato di storia della navigazione, soprattutto locale. Dopo un po' che chiacchieravamo e Fonny Boy aveva preso confidenza, è entrato nei particolari e mi ha raccontato di pirati e bucanieri. Pare che da quelle parti ce ne fossero tantissimi. In un'occasione le navi corsare al largo delle coste di Maryland, Virginia e North e South Carolina erano tante che città come Charleston rimasero bloccate: nessuno osava uscire dal porto per tema di venire aggredito da pirati che non esitavano a trucidare chiunque nei modi più brutali. Fonny Boy mi ha spiegato che Barbanera, il cui vero nome era Edward Drummon, era nato in Inghilterra, a Bristol, alla fine del diciassettesimo secolo. Quando aveva deciso di darsi alla pirateria, aveva assunto il nome di Edward Teach, che compare in diverse grafie nelle cronache di quel tempo. Dopo la guerra della regina Anna, Barbanera salpò alla volta della Giamaica per dare la caccia alle navi francesi e si diede da fare per conquistarsi la fama di uomo truce e spietato, in maniera che le navi si arrendessero senza opporre resistenza appena lo vedevano, ammesso che non lo avessero già fatto vedendo la sua bandiera. Si faceva lunghe treccine con la barba, cui poi dava fuoco, mi ha raccontato Fonny Boy, e girava con pistole, pugnali e un enorme coltellaccio legato in vita, più altre armi appese a una fascia legata sul petto. Ben presto, Barbanera e la sua flotta cominciarono a imperversare anche al largo della North Carolina e nella Chesapeake Bay. La gente di Tangier
Island issava la bandiera con il teschio ogni volta che veniva avvistata la sua nave e di tanto in tanto il famigerato pirata sbarcava sull'isola a bere rum e gozzovigliare. Quando c'era lui, gli isolani non chiudevano occhio, sperando che se ne andasse al più presto, e donne e bambini restavano barricati in casa, tanto che Barbanera cominciò a pensare che Tangier Island fosse un'isola di soli uomini e prese a visitarla sempre più raramente e per periodi più brevi. Secondo Fonny Boy e alcuni documenti poco credibili, Barbanera era curioso di sapere come aveva fatto un'isola abitata da soli uomini a sopravvivere negli anni. Non si sapeva che cosa gli fosse stato risposto finché non fu ritrovato un volume di tre secoli fa, che la leggenda vuole venisse proprio dalla nave di Barbanera, l'Adventure. Il tomo, che si trovava nella soffitta di un discendente di Alexander Spottswood, governatore della Virginia ai tempi delle scorribande del pirata, spiega come veniva spartito il bottino delle imprese piratesche e si descrive nei particolari la crudeltà di Barbanera, che pare amasse tagliare a pezzi la gente e levare al cielo il bicchiere di rum sfidando apertamente Dio. Fra le note scritte di suo pugno compaiono il luogo in cui aveva nascosto centoquaranta barili di cacao e una cassa di zucchero (un fienile nella North Carolina) e un riferimento alquanto misterioso a un tesoro nascosto in un posto che solo Barbanera e il diavolo in persona conoscevano e che a tutt'oggi non è mai stato trovato. Io credo che Tangier non sarebbe andata avanti per molto senza le donne e ho chiesto a Fonny Boy di spiegarmi che cosa era stato risposto a Barbanera. Al che, lui mi ha riferito un racconto che si tramanda di generazione in generazione. "Che tu sia maledetto se non mi dici il vero!" tuonò Barbanera, rivolgendosi a un astuto quanto menzognero isolano che si chiamava Job Wheeler, vedovo e senza figli, che la leggenda vuole avesse invitato il famigerato pirata nella propria dimora, in quella zona di Tangier che adesso è chiamata Job's Cove. "E come potrei non dirvi il vero?" replicò Job a Barbanera, che tracannava rum a tutto spiano e si dava fuoco alla barba. "Veniamo tutti dall'Inghilterra e siamo giunti su quest'isola attraverso il North Carolina." Gli raccontò questa bugia perché era sicuro che avrebbe attirato l'attenzione del pirata, che notoriamente era amico del governatore della Carolina, Charles Eden. Nella sua nefanda carriera, Barbanera aveva navigato tranquillamente lungo le coste di quello Stato e qualsiasi piano per sconfiggerlo era sempre stato sventato da qualche misteriosa lettera spedita da
lì, con sommo disgusto del governatore della Virginia, Spottswood, che non era mai stato amico di Barbanera e aveva sempre desiderato che la smettesse di imperversare per i mari o che morisse. "Com'è possibile?" domandò Barbanera insospettito in mezzo a una nuvola di fumo, strizzando un occhio con aria minacciosa. "Guarda che se non mi dici la verità ti faccio a pezzi e ti rispedisco all'inferno da dove vieni, bugiardo!" "Non sono bugiardo" spergiurò Job. "Vengo dal North Carolina, non dall'inferno, dove bruciano i tuoi amici e i tuoi parenti. Non molti sanno che noi che viviamo su questa bella isola veniamo di lì. Ma dovemmo fuggirvi per aver salva la vita, quando una terribile siccità ci rovinò il raccolto e ci seccò la lingua. Allora, senza né cibo né acqua, salimmo sulle nostre barche e giungemmo qui, senza lasciarci indietro nulla fuorché la scritta CROTOAN incisa su un cancello e la scritta CRO incisa su un tronco d'albero, perché tutti credessero che eravamo andati a vivere con i Crotan." Barbanera ricordò a Job che gli indiani di quella tribù si chiamavano Crotan e non Crotoan, al che lui replicò: "Sì, è vero. Ma non sono stato io a scriverlo, bensì uno molto meno istruito di me". «Stai forse dicendo che discendete dai cosiddetti "colonizzatori perduti", di cui si persero le tracce dopo che Sir Walter Raleigh li lasciò sulla Roanoke Island?» ho chiesto a Fonny Boy. «Si sa per certo che quando Sir Walter partì per il Nuovo Mondo l'8 maggio 1587 aveva intenzione di stabilirsi nella Chesapeake Bay, ma fu costretto da una terribile tempesta a scendere più a sud, sulla Roanoke Island. Dunque, i "colonizzatori perduti" non volevano andare nel North Carolina. Dovendo trasferirsi, pertanto, avrebbero scelto la loro destinazione originaria, tantopiù che Tangier Island era descritta come un'isola molto bella anche se priva di acqua potabile. «In ogni caso, cronologicamente parlando, ciò che Job disse a Barbanera non ha senso, perché i "colonizzatori perduti" si erano già persi ai tempi in cui Smith salpò per la Virginia e scoprì la vostra isola nel 1608. La tua storia non è credibile» ho detto a Fonny Boy. «Tieni conto che non è mai stato provato, perlomeno in maniera soddisfacente, che l'isola su cui sbarcò Smith non fosse Limbo anziché Tangier.» Fonny Boy si era di nuovo coricato sulla poltrona del dentista con aria assente. Mi è sembrato che avesse qualche tic nervoso. Il rumore di sedia trascinata per terra continuava e a un certo punto sentimmo persino un tonfo. Evidentemente il povero cane del dentista, a furia di tirare, aveva fatto cadere la sedia.
«Scusa, ma adesso devo andare» ho detto a Fonny Boy. «Vorrei scoprire ancora qualcosa a proposito della tua gente e come mai solo Job Wheeler e Barbanera conoscevano le verità e le bugie sulla storia di Tangier. E perché, quando Job Wheeler morì e Barbanera trovò la morte violenta che meritava, questi e altri segreti rimasero nascosti in un libro nella soffitta di Spottswood.» Fonny Boy era ormai in piena fase REM. Sembrava in trance, le mani strette sui braccioli della poltrona del dentista, come se stesse guardando un appassionante film di avventura. Ritenendo inutile cercare di comunicare ancora con lui, sono uscito, ho fermato un golf-cart e mi sono fatto portare all'eliporto, riflettendo su mille ipotesi e possibili versioni dei fatti, cui non riuscivo a dare né senso né forma perché non sono uno storico né uno scrittore di romanzi storici, per quanto ne conosca alcuni. Mentre tornavo a casa in elicottero, a tremilacinquecento piedi di quota per evitare la zona R-4006, per poi dirigermi a sud per evitare la zona R-6609, mi sono reso conto che dovevo assolutamente continuare le mie indagini storiche, per quanto difficili, sulle origini del nostro paese. «Attento a quell'uccello!» ha gridato il mio secondo, indicandomi un gabbiano che ci ha notato solo all'ultimo momento. «Accidenti, per un pelo!» ho esclamato, mentre il gabbiano si tuffava in picchiata per non farsi investire. «Speriamo che non si sia fatto niente.» Ho virato verso ovest e ho controllato che il gabbiano volasse tranquillamente, anche se mi sembrava che procedesse all'indietro perché noi andavamo molto più veloci di lui. P.S. Chiunque stia tenendo Popeye in ostaggio mi contatti prima che sia troppo tardi! E grazie a tutti per le informazioni che mi avete dato, fedeli lettori, a proposito di Vicky Vash. Mi raccomando, occhi aperti! 15 Non appena Windy Brees entrò nel suo ufficio, Judy Hammer capì che era successo qualcosa. «Dio del cielo, ha visto l'ultimo articolo apparso sul sito di Vigile Verità?» chiese Windy. «Sì, l'ho letto stamattina» rispose Judy Hammer. «No, no! Ne è uscito un altro. Non indovinerà mai di che cosa parla!»
«Come, ne è uscito un altro?» Judy Hammer era sbigottita, ma non voleva far capire che conosceva Vigile Verità e sapeva quando dovevano uscire i suoi articoli. «Interessante» borbottò. «Davo per scontato che ne uscisse uno al giorno.» «Be', invece no» disse Windy. «Evidentemente scrive moltissimo. Chissà se oltre che prolifico è anche fico! Mi chiedo quanti anni avrà. Non sarà giovanissimo, se sa tutte quelle cose di storia e di tutto il resto...» «Perché pensi che sia un uomo?» domandò Judy collegandosi al sito. «Be', prima di tutto perché è intelligente» rispose Windy. Judy fece segno a Windy di uscire e chiudere la porta, quindi cominciò a leggere. Poi chiamò Andy. «E che diamine!» imprecò stizzita, anche se a bassa voce. «Hai appena usato un'espressione tipica della gente di Tangier Island» le fece notare Andy. «Viene comunemente usata a significare fastidio e collera. Per esempio, se io ti chiedo se sei arrabbiata con me perché non ti ho parlato della mia missione segreta o se ti arrabbierai quando ti dirò che cosa mi hanno lasciato sulla porta di casa ieri sera e tu dici: "E che diamine!", quello che vuoi esprimere è che...» «Ti aspetto fra un quarto d'ora a...» lo interruppe Judy, pensando a dove dargli appuntamento. Non le veniva in mente nessun posto di Richmond in cui poter vedere Andy senza rischiare che qualcuno li riconoscesse. «Nel parcheggio di Ukrop!» decise, stizzita. «Quale Ukrop?» domandò Andy. «Ti spiegherò tutto.» «Sì, ma non ora. Non per telefono. Ukrop a Stoneypoint. Parleremo in macchina.» Major Trader aveva appena finito di leggere l'ultimo articolo di Vigile Verità e stava andando in gran fretta nell'ufficio del governatore, con il fiato corto. «Governatore!» esclamò entrando senza bussare. «Vigile Verità è stato a Tangier Island. Sostiene che a tenere in ostaggio il dentista è un ragazzo che si chiama Fonny Boy! Pare che sia un giornalista e vada in giro in incognito.» «Cosa?» domandò il governatore uscendo dal suo bagno privato e lisciandosi il panciotto scozzese per controllare che la cipolla appartenuta al suo trisavolo, prima che al suo bisnonno, a suo nonno e a suo padre, fosse ancora al suo posto. «Quello che tiene in ostaggio il dentista è un giornali-
sta? Un ragazzo? Possibile che non si capisca niente, quando parla lei? E quante volte le devo dire di bussare, prima di entrare nel mio studio?» «Il ragazzo si chiama Fonny Boy. Sembra che sia lui a tenere in ostaggio il dentista. Abbiamo una descrizione» replicò Trader affannato. «Il giornalista è Vigile Verità. Cioè, Vigile Verità ha fatto finta di essere un giornalista e si è recato sull'isola in incognito.» «Dicendo di chiamarsi Fonny Boy?» Crimm estrasse la propria lente di ingrandimento da sotto una pila di carte. «Lei dovrebbe essere il mio addetto stampa e invece massacra la lingua inglese. Santo cielo, non si capisce nulla, quando parla. Veramente. E senta, Trader, perché non porta i suoi vestiti in tintoria, una volta ogni tanto? Non le dice niente sua moglie?» Lo scrutò, con l'occhio ingigantito dalla lente di ingrandimento. «Ha una macchia di sugo sulla camicia e la cravatta troppo corta. Sembra Big Daddy dopo una notte di gozzoviglie. Guardi che uno di questi giorni io la licenzio, sa?» «Per favore!» implorò Trader. «Ambasciator non porta pena. Non sono io a divulgare su Internet tutti questi particolari imbarazzanti nonché riservati!» «Questo lo so.» Il governatore si sedette alla scrivania e fece segno a Trader di accomodarsi e abbassare la voce. «Non so chi sia Vigile Verità, ma almeno lui sa scrivere.» «Questa me la lego al dito» mormorò Trader. «Lei mi ha offeso, governatore. Mi deve delle scuse: ha ferito la mia sensibilità creativa.» «Di creativo lei ha solo l'abitudine di distorcere la realtà» ribatté il governatore. «E se non avessi cose più importanti a cui pensare, compresa la mia salute, la coglierei in castagna molto più spesso. Io so che lei mi mente.» «Come va la salute, governatore?» «Mi ha stampato quest'ultimo articolo di Vigile Verità?» Trader gli posò il foglio sul tavolo. Il governatore lesse in silenzio per qualche minuto, spostando la lente di parola in parola e borbottando fra sé. Passava dalla disapprovazione alla sorpresa, emettendo qualche grugnito di insofferenza ogni tanto. «C'è solo una cosa da fare» decretò a un certo punto con tono deciso. «Trovare il modo di incastrare questo Vigile Verità e assicurarlo alla giustizia.» «Perché, governatore? Che cosa ha fatto? Non mi sembra che ci siano gli estremi di un reato.»
«Non le sembra che ci siano gli estremi per accusarlo di alto tradimento o per indebita interferenza in affari di Stato? O di diffamazione nei confronti miei e della mia amministrazione? E comunque non mi piace questa sua ossessione per la pirateria, dopo che noi abbiamo fatto di tutto per farla passare sotto silenzio. Adesso tira addirittura in ballo Barbanera, come se non avessimo abbastanza problemi!» «Lo so, lo so.» Trader era d'accordo con il governatore e pensava soddisfatto al sito del Capitano Bonny. «Non desideriamo che la gente pensi che Barbanera era bene accetto in Virginia. Anzi, vogliamo convincerla che non c'è mai stato in assoluto. Dobbiamo sottolineare i rapporti fra Barbanera e il North Carolina e mettere in evidenza che il nostro governatore Spottswood faceva di tutto per...» «Lei sa che cosa penso io di Spottswood!» tuonò il governatore, con i sottomarini all'erta. «Non voglio attribuirgli altri meriti, capito? Devo convivere con i suoi presunti discendenti e sono stufo e arcistufo di essere invitato nella loro villa di campagna a mangiare maiale arrosto e uova di cheppia mentre tutti cantano le lodi del governatore Spottswood, che probabilmente nella realtà era un pallone gonfiato con la gotta e lo scolo.» Controllò l'ora sulla cipolla. «È tardi. Perché non viene a cena questa sera, così continuiamo la discussione e decidiamo che cosa fare?» Andy aveva già deciso che cosa fare, ma temeva che Judy Hammer fosse troppo furibonda per starlo a sentire. La vide scendere dalla macchina nel parcheggio di Ukrop e andargli incontro a grandi passi, con un diavolo per capello. «Devi spegnere subito quel sito!» gli ordinò aprendo la portiera della Caprice di Andy. «E che diamine, hai esagerato! Sei andato davvero a Tangier Island a indagare senza dirmelo? E che cosa ti hanno lasciato davanti a casa ieri sera, di tanto sconvolgente?» «Scusami. Ho sbagliato a non parlarti della mia missione segreta. Avevo paura che non mi lasciassi andare» rispose Andy con calma. «E comunque i siti non si spengono, si chiudono. Ma io non vorrei farlo e credo che neanche tu lo voglia veramente. Ormai la posta in gioco è troppo alta.» «In gioco c'è la mia carriera» ribatté lei. «Oltre che la vita e la reputazione di un dentista.» «Che è un mascalzone. Avresti dovuto vedere la cartella clinica di quel ragazzo! E Popeye dove la metti?» continuò Andy. Judy assunse un'espressione sofferente e non rispose.
«Credo che il suo sequestro fosse premeditato e quindi presumibilmente opera di persone che ce l'hanno con te» le disse Andy. «Mezzo mondo ce l'ha con me!» rispose Judy Hammer scoraggiata. «Non credo che sia stato un sequestro a scopo di estorsione» proseguì Andy. «Se avessero voluto dei soldi, a quest'ora te li avrebbero già chiesti. Io credo che chiunque sia stato a portare via Popeye abbia uno scopo recondito, e come Vigile Verità ho ricevuto alcune e-mail in proposito che potrebbero rivelarsi interessanti. Credo che se continuassi a pubblicare i miei articoli e a seguire tutte le piste, potremmo risolvere questo e molti altri casi. Giuro su Dio che, se Popeye è viva, la ritroverò!» «Non mi illudo» replicò Judy Hammer stoicamente. «Tu credi davvero che sia ancora viva?» «Me lo sento. E poi sì, le probabilità sono alte: i ladri di cani non rubano boston terrier che hanno le orecchie da pipistrello, gli occhi sporgenti e lievemente strabici e una coda a torciglione che non copre niente d'importante, se capisci che cosa voglio dire. Per non parlare del fatto che hanno il muso piatto e tendono a perdere il pelo. Sono intelligenti, certo, spesso più dei loro padroni. Non mi riferisco a te, naturalmente. Secondo me, un ladro di cani si orienta più verso labrador, collie, cocker e magari bassotti.» «Quindi, credi che Popeye sia stata rapita per scopi diversi, che noi non conosciamo?» dedusse la Hammer. «Sì.» Andy annuì e si accorse che a furia di parlare gli si erano appannati i finestrini. «Hai corso dei rischi inutili a farti passare per giornalista a Tangier Island» disse Judy dopo un momento di silenzio. «Senti, sulla base delle e-mail ricevute da Vigile Verità sapevo anche prima di andare a pitturare quelle strisce che era in atto un piano per distogliere l'attenzione dagli errori del governatore, che ultimamente è stato oggetto di pesanti critiche a causa di quel cretino di Major Trader, e mettere in cattiva luce noi. Trader è uno che non si fa scrupoli a manipolare il prossimo ed è un peccato che il governatore non lo veda. Purtroppo quell'uomo non vede più in là del proprio naso. Letteralmente. In questo ultimo anno sono venuto a sapere delle storie che hanno dell'incredibile.» «Per esempio?» chiese Judy Hammer interessata. «Per esempio che tutte le volte che va da lui, Trader porta a Crimm dei dolci, il governatore li assaggia e regolarmente ha un attacco di colite che lo lascia annichilito. Aggiungo che i dolci di Trader sono sempre a base di cioccolato.»
«Vorresti dire che...» «Sì, infatti, e intendo provarlo. Sto aspettando i risultati delle analisi sui cioccolatini che ti sono stati recapitati con gli omaggi del governatore e della torta che Trader gli aveva fatto mandare alla Steak House.» «Li hai mandati ad analizzare?» Judy Hammer era esterrefatta. «Certo. Sapevo che girava voce che Trader stesse lentamente avvelenando il governatore e so che Crimm non ti chiama mai. Perché avrebbe dovuto mandarti in ufficio una scatola di cioccolatini, allora? Secondo me sono anni che quel bastardo di Trader mette Ex-Lax nei dolci del governatore. C'è forse un modo migliore per manipolare una persona che somministrargli di nascosto un potente lassativo che lo fa piegare in due dai crampi e lo mette in imbarazzo quando dovrebbe prendere decisioni importanti, che nel caso di un governatore avviene tutti i giorni?» «È da criminali!» esclamò Judy Hammer disgustata, ricordando vagamente che, nel corso dei colloqui che aveva sostenuto prima di essere nominata comandante della polizia di Stato della Virginia, Trader le aveva offerto delle noccioline ricoperte di cioccolato in una ciotola d'argento, che lei aveva rifiutato semplicemente per motivi di dieta. «E c'è dell'altro» continuò Andy con aria preoccupata. «Ho fatto qualche indagine sul conto di Trader e ho scoperto alcune cosette interessanti. Prima di tutto, il cognome da ragazza di sua madre è Bonny.» «E allora?» «Adesso ti spiego.» La guardò negli occhi, mentre il sole cominciava a tramontare e la gente usciva dal grande magazzino di corsa, ignara dell'importante colloquio che si stava svolgendo lì accanto. «I Bonny sono originari di Tangier Island. La madre di Trader sposò un pescatore e diede alla luce il piccolo Major l'11 agosto 1951. Fu necessario l'intervento di un'ostetrica, e il parto fu complicato perché podalico, il che sembra coerente con la sua abitudine di dire le cose al contrario e di rovesciare moralità e decenza.» «Dunque, tu ritieni che l'idea di Trader di sperimentare il VASCAR sull'isola fosse diretta contro di me?» domandò Judy. «Sì, assolutamente. Una cosa è certa e cioè che Trader conosce quella gente e sa come la pensa, ma non ha fatto alcuno sforzo per intervenire. E questo perché ha i suoi buoni motivi.» «Ovvero?» «Gli antenati della famiglia Bonny erano pirati» rispose Andy. «Ma non è l'unica cosa brutta che ti devo dire» aggiunse. E le riferì del sacco con i
vestiti di Vicky Vash che gli avevano lasciato sotto casa e della busta con la polaroid attaccata alla porta. Judy Hammer ascoltò tutta la storia senza interrompere, cosa insolita. Era chiaramente scioccata e preoccupata. «Secondo alcune delle e-mail arrivate a Vigile Verità» continuò Andy «Vicky Vash si faceva chiamare V.V. e ultimamente gli amici la prendevano in giro dicendole che era Vigile Verità. Per via delle iniziali, intendo dire. A lei faceva piacere, e spesso affermava che le sarebbe piaciuto molto essere Vigile Verità, perché nonostante fosse dipendente statale, da ragazza sognava di fare la giornalista.» Si zittì, intristito al pensiero di quella poveretta che, lungi dal realizzare il sogno di diventare giornalista, ormai non ne avrebbe più realizzato nessuno. «Pensi che conoscesse il suo assassino? Che gli abbia parlato?» domandò la Hammer. «Che gli abbia raccontato che gli amici la prendevano in giro dicendo che era Vigile Verità e che a lei sarebbe tanto piaciuto che fosse vero? Che si siano incontrati, abbiano chiacchierato e fatto amicizia e lei si sia fidata abbastanza da andare via con lui?» «Sì, penso che sia andata proprio così» disse Andy. «L'unico punto sul quale ho dei dubbi è che si trattasse di un uomo. A quanto mi hanno scritto persone che la conoscevano bene, V.V. non si sarebbe mai lasciata corteggiare da un uomo, a parte sul posto di lavoro, dove nascondeva le proprie inclinazioni perché aveva un capo estremamente chiuso e bigotto. Pare avesse l'abitudine di uscire spesso la sera e nel weekend per cercare compagnia nei bar, vestita da dura. La sera della sua morte chiamò un'amica riferendole l'intenzione di andare al Tobacco Company, che è un locale elegante e generalmente ben frequentato. Quindi, suppongo che la persona con cui V.V. familiarizzò quella sera non fosse un tipo strano, tale da ispirare immediata sfiducia. E poi non è detto che abbia incontrato il suo assassino al Tobacco Company. Non sappiamo dove l'ha conosciuto, almeno finora. Attraverso Vigile Verità, comunque, ho trasmesso tutte queste informazioni all'agente investigativo Slipper. Speriamo che possa servire a qualcosa.» «Ma non si spiega come mai l'assassino abbia depositato i vestiti della vittima proprio davanti a casa tua, Andy» disse Judy spaventata. «Ho paura per la tua sicurezza, a essere sincera. Abbiamo a che fare con uno psicopatico pericoloso, che pare ti abbia preso di mira.» «Francamente io non credo che si tratti di un uomo, né che agisca da so-
lo» insistette Andy. «Ti ricordo che Moses Custer è stato ferito con un'arma da taglio.» «Pensi a una piratessa della strada che odia i neri e gli omosessuali?» chiese dubbiosa Judy Hammer. «Trovo assurdo che la gente spesso si rifiuti di credere che le donne sono violente e capaci di efferatezze quanto gli uomini» replicò Andy. «L'odio è odio. E credo che dovrei affrontare al più presto questo argomento sul sito di Vigile Verità.» Nel frattempo, sull'altra sponda del James River, Cat stava elaborando un piano. Aveva preso in prestito la Land Cruiser, che in quel momento era parcheggiata nell'hangar della polizia di Stato, fra altre due auto civili. Dopo ore e ore di attesa, vide spuntare nel cielo un Bell 430 e poco dopo Macovich atterrò, di ritorno da Tangier Island dove era andato a prendere il pesce fresco per il governatore. Macovich doveva ammettere che quella di Tangier era gente veramente strana. Avevano dichiarato guerra alla Virginia e issato una bandiera con l'effigie di un granchio, ma appena si erano resi conto che Macovich era lì per comprare, avevano subito cambiato bandiera ritornando al vessillo della Virginia e gli avevano fatto pagare la cena del governatore il doppio del solito. "Lei non sa niente del dentista che hanno rapito qui sull'isola?" aveva chiesto Macovich alla signora del negozio che gli dava il resto in monete da un cent, tanto per non lasciare niente di intentato. "Il dentista? È un po' che non lo vedo" gli aveva risposto quella. Macovich non le credette e non poté fare a meno di notare che aveva i denti incapsulati più brutti che avesse mai visto in vita sua. "Le ha incapsulato lui i denti?" le aveva domandato. "Sì, sì." La signora, che si chiamava Mattie Dize, gli aveva fatto un sorriso ingessato a trentadue denti mentre lui si infilava in tasca novantadue centesimi in monetine. "Be'" aveva osservato scuotendo la testa. "Sono contento che non è il mio dentista. Senta, signora, io credo che fareste bene a darvi una calmata tutti quanti e a lasciar tornare il dottore a casa sua. A che cosa vi serve tenerlo in ostaggio sull'isola? La Virginia non vuole avere problemi con voi." La signora Dize lo aveva guardato con diffidenza e si era morsa il labbro inferiore chiudendo la cassa.
"E neanche il governatore" aveva insistito Macovich, con i granchi vivi che rumoreggiavano nel secchio vicino a una bella trota che annaspava di qua e di là. "Vede, io potrei mettermi qui e spalancare tutte le porte finché non trovo il dentista e poi sbattervi dentro tutti quanti, ma non voglio. A parte il fatto che devo portare il pesce al governatore prima che muoia, perché la First Lady vuole solo pesce fresco da morire." Insomma, Macovich aveva cercato la mediazione, o almeno così pensava. Stava chiudendo l'elicottero nell'hangar quando notò un ragazzo dall'aria truce, con una tuta che gli parve di un team automobilistico, che parlava al cellulare. «È arrivato» stava dicendo Cat a Smoke. «Chi? Mi hai svegliato in pieno pomeriggio: spero che sia per dirmi qualcosa d'importante.» «Il poliziotto negro dell'elicottero. È appena arrivato.» «Davvero?» Smoke si svegliò del tutto. «Allora fatti dare una lezione di pilotaggio, già che sei lì. Com'è che Possum non c'è?» «Stava facendo qualcosa in camera sua.» «Io a quello lo prendo a calci in culo» promise Smoke girandosi dall'altra parte e rimettendosi a dormire. Cat si avviò verso l'elicottero con nonchalance, mentre Macovich riempiva il serbatoio di carburante con una manichetta attaccata a un'autocisterna Exxon su cui era scritto JET-A. Si infilò la giacca a vento con la scritta NASCAR e si calcò sulla fronte il berretto NASCAR, contento di essere andato a tutte le corse del Richmond International Race Track e di essersi procurato una serie di gadget, come tuta, giacca a vento, accendini, poster, tazze, penne e deodoranti per autovetture da appendere allo specchietto retrovisore. Adesso gli stavano tornando utili per il suo lavoro. Macovich guardò il ragazzo del NASCAR che gli stava andando incontro e provò una certa emozione. Quanto gli sarebbe piaciuto fare parte anche lui di un team! Quel ragazzo sembrava proprio un tipo giusto: aveva il passo deciso, era ben fatto e della statura ideale per pilotare una stock car. Notò che fumava Winston e portava gli occhiali scuri. Sicuramente avrà avuto una bella biondona tutto pepe che lo aspettava a casa. «Sono qui per conto del pilota del team, quello con cui ha parlato ieri sera» disse Cat tirando fuori un accendino colorato con la scritta "Winston Cup" e la firma di Jeff Burton. «Allora, cominciamo?» «Cominciamo cosa?» chiese Macovich guardando l'accendino con invidia e chiedendosi se il pilota bianco con i capelli da rasta che aveva cono-
sciuto la sera prima non fosse Jeff Burton in incognito. «Le lezioni di volo.» Cat giocherellò con l'accendino prendendo tempo, con la sigaretta dietro l'orecchio. Macovich si guardò intorno preoccupato e Cat aprì la cerniera lampo del taschino sulla manica della giacca a vento e prese un biglietto da cento dollari. Macovich lo guardò cercando di ricordare quando era stata l'ultima volta che aveva visto una banconota così. «Senta, prima mi faccia portare questo pesce a casa del governatore. Ci vediamo qui fra un'ora o due, quando comincia a scendere il sole.» «Ehi, un momento!» fece Cat allarmato. «Non voglio prendere lezioni di volo al buio!» «Lei forse non ha capito» ribatté Macovich con tono strafottente. «Con un elicottero così pilotare di giorno o di notte è la stessa cosa. La strumentazione è perfetta: ci sono pilota automatico, radar, segnalatore di perturbazioni e una serie di luci di atterraggio. Pensi che c'è anche il DVD, così il governatore e i suoi familiari possono guardare un film, mentre io li porto in giro.» Cat capì soltanto la parte del DVD. Stava cominciando a temere di essersi imbarcato in un'impresa più grande di lui, ma non voleva che il poliziotto nero se ne accorgesse. «Ah, sì?» fece. «Sarà. Ho visto elicotteri più grandi e più belli, per la verità. Secondo lei che cosa usano i piloti del NASCAR?» «Soprattutto Jet Ranger, e forse anche un 407» rispose Macovich, che lo sapeva per certo, dal momento che il governatore amava andare alle corse con la famiglia e a lui toccava portarceli e sorbirsi lo spettacolo assordante di macchine che giravano in tondo per tutta la serata. «Meglio che vada, prima che il pesce muoia» ripeté. «Torno prima che posso. Cento dollari per la prima lezione va bene, anche se di solito prendo di più. Voglio farle una cortesia perché intanto così fa una prova. Se poi decide di continuare, ci mettiamo d'accordo sul prezzo. Sa, queste macchine costano.» «Quanto vale un elicottero come questo?» chiese Cat interessato. «Mah, sui sei milioni» rispose Macovich chiudendo i portelloni. Possum invece non poteva chiudere la porta della camera perché non aveva la chiave, e di questo si rammaricava. Aveva paura che Smoke si arrabbiasse, sapendo che non era andato a prendere lezioni di volo. Mangiò un po' di pane e burro di arachidi nella stanza buia e continuò a fare schizzi di bandiere, guardando Bonanza e accarezzando Popeye.
«Quanto vorrei saperlo fare anch'io» disse a Popeye vedendo Hoss che piegava un ferro di cavallo a mani nude. Little Joe lo stava allenando per battersi contro il temibile Bear Cat Sampson che si esibiva nel Tweedy Circus, appena arrivato in città. Se Hoss avesse messo KO il lottatore - che non aveva mai subito una sconfitta nella storia del Tweedy Circus - nel giro di cinque minuti, lui e Little Joe avrebbero vinto cento dollari. Probabilmente a quell'epoca era una bella cifra, pensò Possum. Ormai con cento dollari si compravano a malapena un paio di scarpe da ginnastica decenti. Disegnò un ferro di cavallo sul suo album, poi provò a fare uno schizzo di Hoss che sollevava un carro pieno di sacchi di biada. Little Joe stava percuotendo la pancia di Hoss con una tavola di legno, ma lui aveva degli addominali talmente sviluppati che non sentiva male. Non erano cose che si potevano disegnare su una bandiera, Possum se ne rendeva conto. Provò la mappa di Ponderosa e sentì di essere sulla strada giusta. La porta si aprì e Smoke si piazzò sulla soglia con la faccia truce. Possum strizzò gli occhi, abbagliato dalla luce improvvisa. «Cosa cazzo stai combinando?» chiese Smoke arrabbiato. Sembrava avesse voglia di tirare giù dal letto sia Possum sia Popeye e di fargli del male. «Niente.» «Perché non sei andato all'hangar? Mi ha chiamato Cat e mi ha detto che eri qui a guardare la TV! Dovevi prenderle tu le lezioni di volo, non lui!» «Cat è più bravo di me» rispose Possum mite. «Tu dormivi e non volevamo svegliarti per dirtelo.» «Be', alza le chiappe, ora. Andiamo al Wal-Mart a prendere dei vestiti da NASCAR. D'ora in poi ci vestiamo solo così. Guai a te se ti becco con la tua solita maglia di Michael Jordan, capito? Andiamo alle corse» continuò poi. «Ce n'è una in città sabato sera, della Winston Series.» «Ma non abbiamo i biglietti!» esclamò Possum. «Come facciamo a procurarceli adesso? Sarà tutto esaurito. E non troveremo posteggio neanche a morire.» «Me ne fotto dei biglietti e del posteggio!» disse Smoke uscendo e sbattendo la porta. Hoss salì sul ring e prese due o tre ganci di quelli tosti, ma poi afferrò Bear Cat con una presa da lottatore e strinse fino a spezzargli due costole. «Lascialo, lascialo!» sussurrava Possum, benché avesse visto quella puntata talmente tante volte da sapere che Hoss non l'avrebbe mollato pri-
ma del gong, che Hoss e Little Joe avrebbero perso i cento dollari e sarebbero finiti a viaggiare con il circo finché Bear Cat non si fosse rimesso abbastanza da riprendere il suo lavoro. «Lascialo andare, Hoss!» Ben Cartwright e Little Joe facevano il tifo dalle tribune e Possum ricominciò a disegnare. Il NASCAR gli aveva fatto venire un'idea. Come sulle navi pirata, anche alle corse automobilistiche si usavano le bandiere per segnalazioni e penalità. Possum fece una bandierina a scacchi e sopra ci disegnò un teschio con le tibie incrociate, che colorò di rosso. "Merda" imprecò fra sé. "Non va bene neanche questa, Popeye." Provò con una doppia croce al posto degli scacchi, ma continuava a non essere soddisfatto, quindi fece una bandiera nera per segnalare la sosta ai box e sentì un brivido: forse era sulla strada giusta. Cancellò con la gomma alcune parti di nero, ricavando due orbite bianche e un ghigno che davano l'impressione di un teschio, e al posto delle tibie incrociate mise due code di opossum. Come tocco finale, infilò fra i denti del teschio una sigaretta e aggiunse qualche voluta di fumo. Il teschio che fuma, pensò, sempre più emozionato. Nel frattempo il Tweedy Circus, senza soldi, decideva di pagare Hoss e Little Joe con un elefante, che loro chiudevano nella stalla di Ponderosa. Ben Cartwright non era per niente contento quando, aprendo la porta della stalla, scopriva il nuovo arrivato. Possum pensò con tristezza alla GM Goodwrench Services Chevy nera con il numero tre di Dale Earnhardt e decise di dedicare la propria bandiera al pilota defunto. "Jolly Goodwrench", scrisse perciò in stampatello sotto al teschio con la sigaretta in bocca. «Guarda!» esclamò, entrando nella camera di Smoke con l'album in mano. «La prossima volta che entri qui senza chiedere il permesso ti sparo nei coglioni!» gli urlò Smoke per tutta risposta, tirandosi su a sedere nel letto e accendendosi una sigaretta. «Ho disegnato la nostra bandiera» spiegò Possum. «Adesso la faccio veramente, così la sventoliamo alle corse e tutti penseranno che è la nostra bandiera del NASCAR. Potremmo portare anche Popeye e dare appuntamento ai due sbirri, che ne dici? Penseranno che siamo del team e non indovineranno mai che siamo armati e gli vogliamo sparare addosso. Appena li abbiamo fatti fuori, arriva Cat con l'elicottero e ci porta via, così non ci prenderanno mai. Potremmo addirittura farci portare su Tangerine Island, visto che sono già nei casini, e nasconderci lì finché non si calmano un po' le acque. Che ne dici?»
Smoke aspirò il fumo e scosse una serie di lattine di birra per vedere se erano tutte vuote. «Vammi a prendere una birra» intimò a Possum. «Voglio che finisci quella bandiera per sabato. Poi chiama Cat sul cellulare e digli di fare in modo che sabato abbiamo quel cazzo di elicottero. E informi il negrone che gli dà lezioni che il famoso pilota del NASCAR e il suo team ne hanno bisogno per andare alla corsa e poi a un party su un'isola. Ci facciamo portare e appena arriviamo gli spariamo un colpo in testa e gli freghiamo l'elicottero.» 16 Il cancello nero di ferro battuto si aprì e il poliziotto alla guardiola squadrò Andy con aria severa. «Dove posso parcheggiare?» gli chiese Andy, vedendo che la rotonda era occupata dalle limousine e Suburban nere del governatore. «La lasci lì sull'erba» rispose la guardia. «Non posso» protestò Andy osservando il prato perfettamente curato e le siepi scolpite. «Non si preoccupi» lo rassicurò la guardia. «Tanto i detenuti domani lo rimettono a posto. Più gli si dà da fare, meglio è.» Pony osservava la scena dalla finestra. Era di cattivo umore. In quell'ultima ora l'aiutante di cucina gli aveva detto di tutto perché le figlie del governatore, e in particolar modo Regina, avevano protestato per la scelta di una cena leggera, che solitamente voleva dire pesce. Regina aveva la pessima abitudine di andare a curiosare in cucina e di guardare nelle pentole. Quando vide una trota e alcune dozzine di granchi azzurri a bagno dentro il lavandino, fece una scenata. «Io odio il pesce!» gridò, furibonda. «Lo sanno tutti che non mi piace!» «È stata sua madre a ordinare il menu» cercò di blandirla lo chef, Figgie. «Ci siamo limitati a seguire le sue indicazioni, signorina Virginia.» «Regina! Mi chiamo Regina!» Ma per via dell'erre moscia lo pronunciava "Vegina", e lo chef dovette mordersi la lingua per non dirle che aveva poco da vantarsi di portare un nome che rasentava l'osceno. Figgie si voltò dall'altra parte, vide la trota nel lavandino e si augurò che non ci mettesse tanto a morire. Aveva un amo in bocca e non si capiva come potesse continuare a dibattersi dopo tutto quel tempo. I granchi, dal canto loro, cercavano di arrampicarsi su per le pareti del lavello di acciaio inossidabile,
guardandolo con i loro occhietti telescopici pieni di paura e risentimento, e inevitabilmente scivolavano giù con un gran fracasso. Figgie non era capace di uccidere e odiava sopprimere qualsiasi vita, comprese quelle creature più piccole e meno dotate di lui che gli toccava servire in tavola. Preferiva cucinare animali già morti e se possibile preconfezionati. Era anche decisamente contrario a certe pratiche di allevamento del maiale, ma Regina mangiava prevalentemente carne di maiale. «Dov'è il prosciutto?» chiese la ragazza a voce alta e con tono arrogante. «Perché non fai i fagottini al prosciutto? Anche i fagottini al prosciutto sono una cena leggera, mi pare. Lo fai apposta a cucinare il pesce, perché sai che a me non piace. Lo vedi come ci guardano quei granchi? Mettili fuori della porta, che se ne tornino a casa loro.» «Sua madre non sarebbe molto contenta, se li lasciassi andare dalla porta di servizio.» «E chi se ne frega.» I granchi, che avevano sentito tutto, si arrampicarono l'uno sull'altro in maniera che quello in cima fosse abbastanza in alto da aggrapparsi al rubinetto con la chela. Subito dopo, però, si finsero morti nel vedere Major Trader che entrava nell'enorme cucina della residenza del governatore, dove nel corso degli ultimi lavori di ristrutturazione erano stati trovati migliaia di manufatti, compresi ossa di pesce e ami primitivi, punte di freccia e palle da schioppo. «Perché i granchi sono tutti accatastati a quel modo?» domandò, guardando nel lavandino. «Mi sembrano già morti. Sai benissimo che la First Lady vuole solo pesce fresco da morire, Fig.» Trader chiamava Figgie Fig. «Vuole che li butti in pentola vivi, vuole che sbatacchino contro il coperchio nell'acqua bollente, che muoiano appena prima che lei se li mangi. Ecco qua» disse poi posando una scatola di latta. «Mia moglie ha fatto dei biscotti per il governatore. Mi raccomando, non mangiateglieli voi.» Lo chef aveva la nausea, al pensiero di gettare quelle povere bestie ancora vive nell'acqua bollente. I granchi trattennero il fiato, paralizzati dal terrore, gli occhietti telescopici fissi su Trader. Nel corso dei secoli avevano sviluppato una vista molto acuta per difendersi dai nemici, e in particolare dai pescatori di Tangier Island. Gli isolani erano gente malefica, che passava tutta la giornata nella baia a bordo di barche piene di nasse che calavano in mare dopo averci messo dentro un po' di pesce marcio, ben sapendo che i granchi adorano il pesce marcio e comunque non hanno nient'altro da mangiare.
Succedeva così: un povero granchio innocente camminava sulla sabbia per gli affari suoi, quando a un certo punto scendeva una gabbia enorme, a mo' di ascensore, e si posava sul fondo del mare sollevando una nuvola di sabbia. Il granchio sentiva l'odore del pesce marcio e ne vedeva degli appetitosi pezzettini dondolare dentro la nassa. Ingolosito, chiamava amici e parenti: "E che diamine! Avete visto?". "È una trappola" lo avvertiva uno. "Fa' attenzione." "Perdindirindina! Ma io sono alquanto affamato" si lamentava il giovane granchio. "Sciocco! Non rammenti cosa ti ho insegnato? Se entri là dentro, perirai!" «Stammi bene a sentire» disse Trader ad alta voce. «Questi granchi sono già morti, e quando la First Lady se li vedrà arrivare nel piatto e se ne accorgerà non sarà per niente contenta. Allora ti licenzierà e i tuoi negretti resteranno senza un padre. Te ne rendi conto?» Da razzista impenitente qual era, Trader trovò molto buffa la battuta e scoppiò in una fragorosa risata. Che ridere! Diciassette piccoli negri senza un padre, futuri spacciatori, utenti in fila per il metadone, detenuti con permesso di lavoro esterno come il padre... Chissà, magari un giorno uno di loro sarebbe finito nelle cucine della residenza del governatore a servire granchi morti alla First Lady e rischiare il licenziamento. Nel riflettere con sadico compiacimento sulla circolarità del destino dei negri, Trader sorrise fra sé. Andy aveva già suonato il campanello tre volte. Pony sbirciava dalla finestra: era essenziale per un maggiordomo dare l'idea di essere molto occupato, e inoltre bisognava far vedere che la residenza era grandissima e ci voleva tempo per passare di sala in sala e percorrere i lunghi corridoi fino all'ingresso. «Arrivo!» gridò Pony mettendo le mani a coppa sulla bocca per far sembrare la voce più lontana. Andy bussò, battendo il pesante batacchio di ottone a forma di ananas, che in Virginia era simbolo di ospitalità. Pony fece una piccola corsa sul posto per far vedere che era affannato. «Arrivo» ripeté, questa volta senza mettersi le mani sulla bocca, come se nel frattempo si fosse avvicinato. Contò fino a dieci e poi aprì la porta. «Buonasera, sono ospite dei signori Crimm» esordì Andy stringendogli la mano, cosa di cui Pony si sorprese non poco.
«Oh» replicò, senza capire più nulla per un momento. Che ragazzo simpatico e educato... Guardava Pony in faccia, ma siccome lui non era abituato, si rifugiò negli automatismi del suo lavoro. «Chi devo annunciare?» Andy si presentò, provando una pena profonda e immediata per quell'uomo evidentemente disabituato a qualsiasi manifestazione di stima e di considerazione. «Mi piace molto la sua giacca» gli disse. «La stira spesso, vero? Sembra quasi che potrebbe stare in piedi anche senza lei dentro.» Lo disse come un complimento, e sorrise. «Mia moglie lavora nella lavanderia, vicino alle cucine. Me la stira lei e penso che abbia la mano un po' pesante con l'appretto» spiegò Pony orgoglioso. «Non ci vediamo mai, a parte quando lavoro, perché la sera io torno in carcere.» «Dev'essere dura.» «Non è giusto» ammise Pony. «Da sei mandati, tre dei quali di Crimm, i vari governatori mi promettono di farmi commutare la pena, ma poi si distraggono e se ne dimenticano. È il guaio di poter restare in carica soltanto quattro anni, se vuole che le dica come la penso. Si preoccupano solo di cosa viene dopo.» Andy entrò e Pony richiuse la porta. «Ha ragione» disse Andy. «Anche appena eletti si sentono il fiato sul collo, sapendo che hanno solo quattro anni, metà dei quali va in campagna elettorale o nella ricerca di un altro lavoro.» Pony annuì, incoraggiato dal fatto di aver trovato qualcuno che si rendeva conto di che cosa significasse lavorare nella residenza del governatore. «È venuto a trovare le ragazze? Non mi sembra il loro tipo.» «Non che io sappia» rispose Andy, improvvisamente sospettoso circa il vero motivo di quell'invito da parte della First Lady. Anche Regina era sospettosa. «Quei granchi non sono morti!» urlò. «Uno mi ha appena guardato. Gli ho visto muovere gli occhi. Come posso mangiare un essere con degli occhi così? Mi viene male solo a guardarli. Non gli si riempiono di sabbia o altro? Non hanno palpebre!» «Almeno possono nascondersi sotto la sabbia e scrutare il nemico» le spiegò Trader. «C'è un motivo per cui hanno occhi a periscopio come i sottomarini.» L'allusione ai sottomarini voleva essere una stoccata al governatore e ai suoi problemi gastrointestinali, naturalmente non davanti a lui. Trader era
rispettoso nei confronti del suo capo soltanto quando non poteva farne a meno, e in sua assenza aveva l'abitudine di trattare male i dipendenti e spadroneggiare a destra e a manca. «Portali al fiume e lasciali liberi» ordinò Regina allo chef. «Loro e la trota. Anche quella mi guarda male. Prima, però, toglile quell'amo dalla bocca. Se la ributti in acqua con quel coso, prima o poi rimarrà impigliata da qualche parte. E per stasera voglio fagottini al prosciutto con burro e salsa di menta, okay? E il resto della torta dov'è finito? Quella con le noci, dico.» Mentre parlava, aveva aperto il rubinetto facendo scorrere l'acqua sui granchi e sulla trota, risvegliandoli un po'. «Ecco, lì c'è il secchio con cui li hanno portati qui» disse. «Rimetticeli dentro. Non voglio più vedere un granchio o un pesce in questa casa, capito? E nemmeno carne di cervo. Oltre tutto, rischiamo che gli indiani avvelenino i cervi, prima di darceli da mangiare. Noi ce li troviamo davanti alla porta e ci rallegriamo, pensando che sia un bel regalo...» «Non bisogna chiamarli indiani, signorina. Meglio nativi americani. E, comunque, sono molto generosi a regalarci i cervi.» Lo chef non provava alcuna soggezione nei confronti di Regina, e oltre tutto si sentiva offeso. «Ma roba da matti!» esclamò la ragazza rabbuiandosi. «E voi negri come vi dovremmo chiamare?» «Be', certo non negri» rispose Figgie guardandola negli occhi, che gli ricordavano due chicchi di uva passa in una pagnotta lievitata ancora da cuocere. «Anzi, se lo rifarà, la denuncerò alla National Association for the Advancement of Colored People. Me ne infischio, se è la figlia del governatore.» «Togli di qui quegli orribili granchi. E subito!» strillò Regina. «Se no, muoiono e puzzano!» I granchi alzarono le chele in segno di vittoria quando lo chef li prese uno per uno e li mise nel secchio, insieme con la loro amica trota, cui tolse l'amo dalla bocca con un paio di cesoie. Pony non era altrettanto fortunato. Era stato preso all'amo tanti anni prima, ma nessuno l'aveva mai liberato. Che cosa non avrebbe dato perché lo chef portasse anche lui giù al fiume e lo lasciasse andare! Osservò Figgie che attraversava la sala da pranzo per uscire dalla porta di servizio con un secchio gocciolante d'acqua, mentre i granchi e la trota mettevano a punto un piano di fuga. Regina, che gli stava alle calcagna, si bloccò di scatto nel vedere Andy.
«Non faremo una cena leggera» lo informò. «Non c'è problema» rispose lui educatamente. «L'importante, per me, era parlare con suo padre. Ma ora mi sento come un pesce fuor d'acqua.» «Crede forse di essere spiritoso?» gli chiese maldisposta. Andy non aveva nessuna intenzione di essere spiritoso, ma Regina dava per scontato che fosse scortese con lei. I ragazzi tendevano a trattarla male, specie quelli belli. Andy notò il pesce che nuotava nel secchio fra i granchi e si rese conto della propria gaffe. «Mi scusi, non avevo visto la trota. Altrimenti non avrei mai usato quell'espressione infelice. Non volevo mancarle di rispetto. È solo che non vedo l'ora di parlare con il governatore.» «Se vuoi, possiamo darci del tu. Io sono Regina.» Che, con l'erre moscia, suonò in modo alquanto imbarazzante. Non essendo sicuro di aver capito bene e non volendo fare altre gaffe, Andy temporeggiò: «E non hai soprannomi, nomignoli?». «No, veramente no.» Era rimasta sorpresa dell'interesse che lui aveva mostrato nei suoi confronti e si dovette appoggiare alla lucida balaustra di mogano dello scalone che conduceva agli appartamenti privati del governatore, dove in quel momento Maude Crimm si stava dando la lacca, insoddisfatta dell'immagine che lo specchio le rimandava. Era stata una bella donna, da giovane. Quando lei e Bedford si erano conosciuti al ballo di Fabergé, lei era una ragazza snella ma con le curve al punto giusto, gli occhi di una sfumatura che dava sul viola e una splendida bocca. Ricordava che stava osservando il preziosissimo uovo tempestato di gemme che aveva scatenato la Rivoluzione russa e avvolto di mistero la principessa Anastasia quando Bedford Crimm IV, neoeletto senatore, era magicamente comparso al suo fianco e l'aveva osservata con un'antica lente di ingrandimento, soffermandosi su quelle parti che il vestito lasciava generosamente intravedere. «Davvero stravagante, non trova?» le aveva detto. «Chissà perché proprio le uova. Fra le tante cose che Fabergé poteva creare con metalli e pietre preziose, mi piacerebbe sapere perché ha scelto proprio l'uovo.» «Lei che cosa avrebbe scelto?» gli aveva chiesto Maude civettuola. Si era invaghita all'istante di Crimm e della sua mente curiosa. Quell'uomo in un attimo aveva messo in discussione una cosa che lei aveva sempre dato per scontata: con un certo imbarazzo, Maude aveva dovuto ammettere che in tanti anni non si era mai posta domande sulle collezioni
Fabergé. «Certamente non un uovo» aveva replicato Crimm con la sua bella voce forte e sicura di sé e un piacevole accento cantilenante del Sud. «Qualcosa di legato alla Guerra Civile, forse» continuò. «Cannoncini di oro rosa o bandiere confederate in platino, rubini, diamanti e zaffiri, le pietre preziose che dovrebbero adornare il suo bel collo, signorina.» Le aveva sfiorato il collo bianco e delicato con il dito grassoccio. «Una catenina lunga e sottile con un grosso brillante che le scenda sul petto» le disse, disegnando con il dito l'immaginario collier. «Talvolta invisibile, ma sempre presente e capace di solleticarla nei momenti più impensati.» «Ho sempre desiderato un grosso brillante!» aveva sussurrato lei, guardandosi intorno timorosa, nella speranza che nessuno facesse caso a loro. «Mi sembra che il suo sia bello grosso» gli aveva sussurrato poi, abbassando lo sguardo sul cavallo dei pantaloni dello smoking. «Modestia a parte, è discretamente brillante» aveva ridacchiato Bedford. «Sono un'appassionata collezionista, senatore Crimm» aveva detto lei. «Davvero?» «Oh, sì. E mi intendo anche di lenti di ingrandimento.» Voleva fare colpo su di lui. «Le usavano già nelle caverne di Creta e c'era un imperatore cinese che si serviva di un topazio per osservare le stelle migliaia di anni prima che nascesse Gesù. Incredibile, vero? Scommetto che lei non sa che lo stesso Nerone osservava i gladiatori attraverso uno smeraldo. Immagino che così il sole non gli desse fastidio. Quindi è giusto che lei, un uomo importante, usi strumenti ottici appropriati.» «Perché non ci chiudiamo nella toilette degli uomini e non approfondiamo l'argomento?» le aveva proposto Crimm. «Ma senatore!» Il no di Maude era in realtà un sì, anche se Bedford Crimm avrebbe scoperto che dopo le nozze i suoi sì sarebbero invece equivalsi a un no. «Allora in quella delle signore» aveva riprovato Crimm. Le belle donne lo avevano ignorato finché non aveva intrapreso la carriera politica, ma da quando era stato eletto senatore conquistarle era diventato straordinariamente semplice. Crimm era molto contento che il fatto di essere basso di statura, brutto e orbo come una talpa non fosse più un handicap. Anche le dimensioni del suo "brillante" ormai contavano poco. Erano passati i tempi in cui al Commonwealth Club i giovani rampanti si sedevano nudi intorno alla piscina a prendere decisioni politiche e discutere antipatici rilevamenti.
«Nemmeno mezzo carato» ricordava che aveva bisbigliato uno di loro una volta. Naturalmente lui, che era seduto sul trampolino, aveva sentito quel commento così privo di tatto. «Più delle dimensioni conta la qualità» aveva replicato. «E la durezza.» «I brillanti sono tutti duri» aveva osservato un altro signore, imprenditore citato nelle classifiche di "Fortune", che aveva appena trasferito la sede a Charlotte. Nella toilette delle signore, tuttavia, Crimm aveva scoperto che non tutti i brillanti sono duri. Era stato un angioma di Maude a fargli fare cilecca. Sembrava che la bella signorina si fosse appena seduta su una macchia di inchiostro. Il suo posteriore era così repellente che Crimm aveva avuto qualche remora a toccarlo. «Che cosa ti sei fatta?» aveva chiesto, rimettendosi il brillante nei pantaloni. «Niente» aveva risposto Maude, appoggiata contro la gelida parete di piastrelle. «Basta spegnere la luce, così non si vede. Certi uomini lo trovano attraente.» Poi aveva spento la luce e lo aveva baciato con passione, cercando il brillante che era appena sparito. «Dimmi delle volgarità» gli aveva sussurrato nell'orecchio. «Non lo ha mai fatto nessuno, ma io ho sempre desiderato che un uomo mi dicesse che porcherie vorrebbe farmi. Attento, mi stai sbattendo contro il muro. No, no, sul pavimento è peggio. Forse questo non è il posto più adatto. Non vorrei che mi restassero i lividi.» «Vuoi che entriamo in uno dei gabinetti?» Crimm era senza fiato. «Così, anche se entra qualcuno, non ci scopre. E se siamo troppo rumorosi possiamo sempre tirare l'acqua.» La passione si era spenta con il matrimonio. La vista di Bedford era peggiorata e da quando era stata concepita Regina lui e Maude non avevano più avuto rapporti, nonostante lei avesse fatto di tutto per rendersi desiderabile. In realtà il suo scopo era provocarlo e frustrarlo per mascherare le sue vere intenzioni, che erano un no. Maude non fantasticava un sì da troppo tempo, ma pensando a Andy Brazil le venne il desiderio di riprovare a dire sì intendendo veramente sì. Dopo tutto, suo marito era stato ingiusto con lei riguardo ai poggiapentole, costringendola a passare le giornate a spostarli da un nascondiglio all'altro. Risentita, pensò che avrebbe dovuto dargli un motivo più grave di preoccupazione. Magari tenersi quel Brazil per sé, e al diavolo le figliole. Se l'avesse sedotto, si sarebbe sentita meglio e forse, essendo più gratificata,
avrebbe fatto meno acquisti. Si diede un'altra passata di mascara nero per mettere in risalto i begli occhi viola. Si pitturò le labbra di un rosso sgargiante, ritoccò il fard e aggrottò la fronte per controllare l'effetto del Botox. «Oh, cielo!» esclamò vedendo un accenno di movimento sulla propria fronte. Il collagene si stava assottigliando, notò: sarebbe dovuta tornare dal chirurgo plastico. Tutti quegli aghi infilati nella carne, tutta quella sofferenza... Per cosa? Tanto non importava niente a nessuno. Nessuno la guardava più. Maude si tolse il reggiseno facendo un po' di contorsionismo per non togliersi anche la camicetta, come aveva imparato a fare allo Sweet Briar College. «Fatica sprecata!» borbottò fra sé spazientita, mentre i seni le scendevano alla vita. Sospirando, si rimise il reggiseno e al posto della camicetta indossò un golfino di cachemire che le andava troppo stretto anche quando l'aveva comprato, diverse taglie prima. «Ecco qua» disse al cane, Frisky, che dormiva sul letto. «Per essere una sessantenne sono ancora una bella donna, ti pare?» Frisky non batté ciglio. Era un vecchio labrador color cioccolato, stufo dei monologhi interminabili della First Lady. Erano nove anni che si pavoneggiava di fronte a lui, ma Frisky aveva l'impressione che fosse sempre più grassa. Con la faccia rigida e le labbra gonfie, poi, era ancora più racchia. No, non aveva nessuna voglia di aprire gli occhi e smettere di sognare di fare il raccattapalle a Wimbledon. Pregò in silenzio che la First Lady non insistesse. «Frisky! Frisky!» lo chiamò lei cercando di far schioccare le dita senza riuscirci. Si era appena data la crema e aveva le dita viscide. «Su, pigrone, andiamo. Abbiamo ospiti, stasera!» 17 I granchi e la trota stavano per subire un altro brusco cambiamento del loro destino. Major Trader si era offerto volontario di gettarli nel fiume perché aveva un piano segreto. Sperava infatti di trovare qualche pescatore a cui rivenderli e al tempo stesso cercare un posto adatto dove farsi lasciare dai pirati la valigetta impermeabile piena di contanti.
Era a bordo della sua automobile, con il secchio nel bagagliaio. Né i granchi né la trota vedevano nulla, perché era buio pesto, e si spaventavano a ogni curva, sobbalzo o frenata brusca. «Perdindirindina, non credo che costui possegga un GPS!» esclamò uno dei granchi, andando a sbattere contro il suo vicino. «Dev'essersi perduto.» «E come?» chiese la trota nuotando sopra i granchi, che si urtavano l'uno con l'altro a ogni tornante. «No, avrà problemi al motore.» «Avete mai viaggiato in automobile, voi?» «Io no» rispose la trota. «Ma ne ho viste tante fermarsi sul lungofiume. I pescatori arrivano sobbalzando su macchine, camion e golf-cart.» I granchi scivolarono tutti da una parte, ammucchiandosi l'uno sull'altro. «Ahi!» protestò uno di loro. «Che dolore! Toglimi quella chela dall'occhio, per l'amor del cielo!» «Ho fame!» «Qui pesce marcio non ce n'è. Porta pazienza.» Trader salì sul marciapiede e fermò la macchina vicino a Caesar Fender, che stava pescando senza prendere niente. «Ehi, stia un po' attento, brutto stronzo! Mi ha rovesciato la cassetta delle esche!» gridò Caesar alla limousine. «Ma chi si crede di essere? Non ho fatto niente, non ho neanche una macchina: chi le dà il diritto di venirmi addosso con gli abbaglianti accesi e farmi cadere tutto quanto per terra?» «Ho del pesce fresco degno del governatore» annunciò Trader. «Se vuole glielo vendo per cinquanta dollari. Scommetto che a casa ha un bel po' di bocche negre da sfamare, eh? E sono sicuro che non avete mai assaggiato granchi e trote...» Caesar Fender era scioccato dalla tracotanza di quel grassone. «Guardi che, anche se siamo neri di pelle, la bocca ce l'abbiamo rossa come voi» ribatté seccato. «Mi deve due dollari per la cassetta e altri settantacinque centesimi per gli ami che mi ha piegato e i galleggianti che ha rovinato. Se viene avanti anche solo di un centimetro e mi fa cadere i vermi nell'acqua, la prendo a calci nel culo.» «Provi soltanto a toccarmi e io la faccio arrestare e la sbatto dentro!» minacciò Trader. «Mi ha causato un danno. Mi deve ripagare!» «Stia attento a come parla. Lei non sa chi sono io» gridò Trader. «Me ne fotto di chi è lei» replicò l'uomo. Mentre i due litigavano, i granchi pensavano a come salvarsi la pelle. «Facciamo finta di essere morti» propose uno.
Trader aprì il bagagliaio e Caesar guardò dentro, arrabbiato ma anche curioso di vedere il pesce. La trota era a pancia in su, con gli occhi chiusi, e i granchi immobili, anch'essi a occhi chiusi. «Mi prende per il culo?» gridò Caesar a Trader. «Questi sono morti! Da quant'è che ce li ha nel bagagliaio, me lo dica un po'? Un mese? Ma roba da matti!» Con una smorfia di disgusto prese il secchio e lo tirò fuori. «Bianchi di merda. Voleva farmi credere che 'sta roba era fresca?» In quel preciso momento i granchi e la trota saltarono dal secchio come se avesse appena preso fuoco e si tuffarono nel James River. I granchi si acquattarono sul fondo un po' storditi a vedere che cosa succedeva e la trota restò lì vicino, nuotando pigramente. «Guardi come nuota!» esclamò Trader stizzito, indicando l'ombra della trota sul fondo. «Le sembrano morti da un mese? Mi ha buttato via il mio pesce fresco! Mi dia cinquanta dollari!» «Non ci penso nemmeno» rispose Caesar, raccogliendo la propria roba. Il DNA da pirata di Trader non poteva sopportare un simile affronto. In collera, mollò un pugno in un occhio al pescatore. Per tutta risposta, Caesar usò la canna da pesca come fosse una frusta e colpì una guancia di Trader con una coda di topo da trenta e alcuni piombini che Caesar vi aveva legato con i denti quando era arrivato in bicicletta un paio d'ore prima. I due se le diedero di santa ragione, rotolandosi a terra, gridando improperi e dicendosene di tutti i colori. Furioso e sanguinante, Trader a un certo punto scappò verso la macchina, che Caesar cominciò a prendere a calci, per poi rompere il parabrezza con la cassetta delle esche che Trader gli aveva rovesciato per terra poco prima. Imbestialito, senza fiato, Trader salì al posto di guida e cercò il lanciarazzi che teneva nascosto sotto il sedile davanti, tagliandosi con un frammento di vetro. Infilò un segnalatore luminoso da .12 nella canna della vecchia pistola che apparteneva alla sua piratesca famiglia dal lontano 1870 e scese dall'auto. Puntò l'arma contro Caesar che si difendeva tirando piombini e, quando uno di questi lo colpì sul naso, Trader premette il grilletto. Il segnalatore luminoso esplose con un boato che pareva quello di un missile e, colorando l'aria, colpì Caesar in pieno petto. I granchi e la trota osservarono sconvolti dall'orrore il povero pescatore che, avvolto dalle fiamme, correva per qualche metro per poi crollare a terra. Trader ripartì sgommando, con il bagagliaio ancora aperto e il parabrezza che sembrava una ragnatela di vetri rotti. Quando entrò zoppicando nella residenza del
governatore qualche minuto dopo, pallido e sanguinante, aveva i vestiti laceri e la cravatta strappata. Era agitato, paranoico e confuso. Anche Regina era confusa. Non aveva mai visto la madre truccata e profumata a quel modo. Se fosse stata coricata, avrebbe creduto che le pompe funebri l'avessero riempita troppo di formaldeide e di cotone e le avessero messo gli abiti di un'altra signora, più magra di lei e amante del rosa fucsia. «Che cosa ti è successo, mamma?» le chiese addentando un fagottino al prosciutto che aveva appena intinto nel burro e nella salsa di menta. La signora Crimm, lievemente in ritardo, si sedette a capotavola e alzò la forchetta per indicare che i convitati potevano cominciare a mangiare. «Come hai detto, scusa?» chiese poi a Regina, fulminandola con un'occhiata. «E perché hai cominciato a mangiare prima degli altri? Come se non ti avessi insegnato l'educazione...» Andy stava controllando il ripieno dei fagottini senza farsi notare, quando entrò Trader. Notò subito che l'addetto stampa del governatore era ferito e in stato di choc. Gli parve inoltre di sentire un lieve odore di bruciato e di polvere da sparo. «Che cosa è successo a lei, piuttosto» disse Andy all'addetto stampa. La signora Crìmm interpretò quell'intervento come una gentilezza nei suoi confronti: era chiaro che il bel giovanotto non trovava che le fosse successo niente di strano. La signora Crimm era una bella signora, quella sera come sempre. Era sciocco e démodé nascondere un bel fisico sotto vesti larghe e sformate, ed era giusto che chi se lo poteva ancora permettere lo sfoggiasse con eleganza e naturalezza. Era certa che da un momento all'altro Andy le avrebbe fatto piedino sotto il tavolo e dopo cena avrebbe trovato il modo di nascondersi con lei nella camera da letto principale. A quel punto lei avrebbe chiuso la porta e avrebbe detto sì, intendendo sì. Se il governatore fosse rientrato inaspettatamente, sarebbe bastato non fare troppo rumore e lui non avrebbe visto niente. «È stato coinvolto in una rissa o investito da una tromba d'aria?» insistette Andy. Trader diede una lunga e contorta spiegazione di quello che gli era successo, parlando veloce e mangiandosi le parole. «Ma cosa diamine dice?» chiese la First Lady a Andy più volte. «Non gli sarà venuto un accidente?» Sebbene la sua versione dei fatti fosse lunghissima e cambiasse di continuo, in sintesi Trader raccontò di essere arrivato al fiume intorno alle sette
di quella sera e di essersi imbattuto in un afroamericano che pescava accanto alla sua bicicletta. Trader lo aveva salutato cordialmente, avevano parlato del tempo e intanto aveva gettato nel fiume i granchi e la trota. «Non avrà gettato i granchi nel James River, vero signor Trader?» interruppe la signora Crimm. «Se non riusciranno a ritornare nella baia, sarebbe stato meglio sparargli...» Lui, nel frattempo, continuava il suo racconto. «A quanto pare, una sparatoria c'è stata» tradusse Andy cercando di dare un senso alle parole di Trader. «Dice che a un certo punto è arrivata una Lincoln targata New York e un giovane ispanico armato di una Sig-Sauer da nove millimetri ha sparato dal finestrino gridando oscenità. Sembra che abbia colpito il pescatore in pieno petto e da distanza ravvicinata e che questi abbia preso fuoco, forse per la presenza di polvere da sparo che potrebbe essersi incendiata a opera di un accendino Bic che il pescatore presumibilmente aveva nel taschino della camicia.» «Perché tutti questi condizionali? Non era lì anche lui?» chiese Regina, prendendo un altro fagottino. «Non ha neppure controllato se quel pover'uomo era ancora vivo? L'ha lasciato bruciare come se niente fosse? Perché non ha chiamato il pronto intervento o cercato di spegnere il fuoco?» Mentre si ingozzava, fissava Trader con sguardo duro. «È scappato via senza far niente? Ma che razza di uomo è?» «Quel pisciatore mi ha... addosso!...» Trader alzò la voce, senza rendersi conto che lo choc gli aveva riattivato il DNA piratesco. «La prego di moderare i termini» lo rimproverò la signora Crimm. «Siamo a tavola, dopo tutto!» «Me l'ha fatta... pisciatore... addosso... paura di avvicinarmi!» «Non posso sentire queste cose» decretò Regina tappandosi le orecchie. «Parli qualcun altro al posto suo, per cortesia. Andy, non potresti tradurre? Sta dicendo che qualcuno gli ha fatto la pipì addosso? E perché mai?» Sembrava incredula. «E sarebbe stato il pescatore o il ragazzo sulla Lincoln a pisciargli addosso?» «Regina!» intervenne la madre con tono di rimprovero. «Non si fanno certi discorsi a tavola!» Trader cercò di spiegare che aveva un problema di pronuncia con pesce e piscio, ma che si trattava soltanto di un dettaglio, perché c'era stata una sparatoria ed era addirittura morta una persona. Lievemente imbarazzati, tutti ripresero a mangiare e ad ascoltare il racconto di Trader. Questi, con l'aiuto di Andy che faceva da interprete, si dichiarò certo che l'ispanico a
bordo della Lincoln fosse quello che imperversava per le strade uccidendo a destra e a manca e che ben presto se la sarebbe presa con il governatore e la sua famiglia. Era per questo che Trader era scappato dal luogo del delitto: per salvaguardare la loro incolumità. «Ha gridato che odiava Crimm» insistette Trader. «Continuava a dire: "Morte ai Crimm".» «È sicuro che non dicesse "criminali"?» domandò Regina continuando a mangiare. «Papà è favorevole a mandare a morte i criminali. Non ha mai graziato un detenuto nel braccio della morte!» «Scusa, cara, ma non avrebbe senso» replicò la signora Crimm. «È evidente che il ragazzo ispanico è un criminale. Perché dovrebbe volere la morte sua e di quelli come lui?» «Che Dio mi fulmini se non dico il vero! Quel mascalzone si riferiva a voi!» gridò Trader lasciandosi trasportare dalla foga piratesca. «Sono sicuro che ha detto Crimm. Non criminali.» Fede era spaventata. «Dovremo barricarci in casa!» «E se fosse qui fuori?» chiese Costanza con gli occhi sbarrati, versandosi un altro bicchiere di vino. «Non ho mai sentito di nessuno che abbia preso fuoco per uno sparo» fece notare Andy a Trader. «È sicuro di aver visto fumo e fiamme e che gli abiti del malcapitato si siano incendiati? A quanto ho capito lei non è rimasto a lungo sul posto, visto che era terrorizzato e preoccupato per la famiglia Crimm. Io mi rendo conto che lei è sconvolto, ma ho difficoltà a credere alla sua storia.» Trader rispose in maniera alquanto condiscendente che l'autocombustione era un evento scientificamente accertato e da che mondo è mondo c'era gente che all'improvviso prendeva fuoco senza interventi esterni. «Controlli sull'enciclopedia, se non ci crede» concluse. Andy non ne aveva bisogno: conosceva il fenomeno e aveva sentito parlare di episodi in cui alcune persone avevano preso fuoco da sole, in maniera inspiegabile. «Be', vedremo che cosa dirà l'autopsia» replicò. «Secondo voi, quel pazzo voleva dare fuoco alla nostra casa?» chiese Costanza. «Ma perché ce l'ha tanto con noi?» Grazia non riusciva a farsene una ragione. «Che cosa gli abbiamo fatto? Abbiamo mai fatto del male agli ispanici? È vero che rappresentiamo anche noi una minoranza, essendo praticamente come la famiglia reale, ma finora il serial killer ha ucciso neri e
gay. Che cosa c'entriamo noi?» «Non conosciamo nessun ispanico» ricordò Fede ai familiari, guardandoli uno per uno con la sua faccia da cavallo. «E papà non ha alle dipendenze nessun ispanico. Non ne ha mai avuti. Perché gli ispanici dovrebbero odiarci, allora?» «Probabilmente proprio per quello» le fece notare Andy. «Quello cosa?» chiese Regina con la bocca piena. «Mi sono limitato a esprimere la possibilità che qualcuno nutra risentimento per il fatto che la pubblica amministrazione non rappresenta in eguale misura tutte le etnie» disse Andy diplomatico. «Il senso di esclusione fomenta sentimenti negativi che possono sfociare nella violenza.» «Ma Bedford non parla spagnolo!» spiegò la signora Crimm. «Non ne vede il motivo.» «Sono molte le cose che non vede, signora» replicò Andy sincero. Stava quasi per aggiungere "con il dovuto rispetto", ma si astenne, ricordando quanto dava fastidio a Judy Hammer. «Sono convinto che, se vedesse di più, la sua vita sarebbe migliore.» «È sempre stato così» rispose la First Lady. «Vede una Virginia virginea, dalla natura di virginiana verginità, votata a vette di... Oddio, temo di non ricordare il resto. Com'è che va avanti il discorso di vostro padre?» chiese alle figlie, che la guardavano annoiate. «È sempre lo stesso a ogni inaugurazione» osservò Regina disgustata. «Ripete lo stesso discorso da quando è stato eletto. Stupido era e stupido rimane.» Lanciò un'occhiata a Andy. «È fissato con la natura vergine della Virginia perché il North Carolina ha un'economia che tira molto di più e un sacco di imprese, banche e società si trasferiscono oltreconfine.» Allungò la mano per prendere il burro, ma il coltello d'argento le scivolò dalle dita unte e imburrate cadendo sul parquet di pino. Come per magia, apparve Pony, che lo raccolse e lo sostituì con un altro pulito. «Desidera altro, signorina Gina?» «Ma che bel soprannome» esclamò Andy. «Perché non ti fai chiamare Gina, invece che nell'altro modo?» «Non ci penso nemmeno: il mio nome mi piace molto. Non capisco perché facciate tutti una brutta faccia quando dico come mi chiamo. Ma forse è per questo che nessuno mi chiama mai per nome.» Le si riempirono gli occhi di lacrime. «Ogni volta che suona il telefono è per qualcun altro, oppure per capire dov'è la base del cordless. Non ho amici. Nessuno mi vuole bene» si lamentò Regina con la bocca piena. «E tutto perché sono nata in
una miniera di carbone!» «Non è vero!» protestò sua madre. «Be', perché sono stata concepita in una miniera di carbone» si corresse Regina, indiscreta. «So benissimo che tu e papà vi siete appartati in un cunicolo buio della miniera, senza niente addosso a parte il caschetto con la lampadina sopra. Potete immaginare come mi sento al pensiero che sono il frutto della fecondazione di un ovulo da parte di sperma macchiato di polvere nera!» Prese la bottiglia del vino, che le scivolò di mano, rotolò sul tavolo e quindi cadde per terra. Pony si chinò pazientemente per raccoglierla. «Ne ho le palle piene!» gridò Regina. «Ti pregherei di esprimerti in un altro modo» replicò la madre severa. «Dove hai imparato tutte queste parolacce? Da piccola non parlavi così. Io credo che il turpiloquio non si addica affatto a una signorina, e tantomeno alla figlia del governatore.» «Probabilmente in miniera parlavano anche peggio» disse Regina a Andy. Ormai sembravano aver dimenticato tutti la presenza di Trader. Lui, però, fece l'errore di intervenire, pensando da addetto stampa del governatore, ma esprimendosi come un pirata. «Potrebbe usare eufemismi e imprecazioni meno colorite, signorina, del tipo "Perbacco" o "Corpo di mille balene"!» «E perché mai dovrei usare quel gergo marinaresco?» Regina era furibonda e guardava Trader con occhi di fuoco. «Gergo da pisciatori» precisò Trader, sempre sotto choc. «Basta così!» intervenne Andy. «Nacqui anch'io isolano, come mio padre e mio nonno prima di me» continuò imperterrito Trader, asciugandosi il viso insanguinato con il tovagliolo di lino. «Temo che assistere a quell'omicidio mi abbia fatto saltare qualche rotella.» «Me ne frego se lei è isolano oppure no. La smetta di parlare come un marinaio inglese del Seicento. Neanche fosse un compagno di John Smith! A parte il fatto che non mi risulta che a quei tempi confondessero il pesce con il piscio. Dica, parlate tutti nello stesso modo sull'isola o qualcuno si salva?» Regina era brutale, ma anche curiosa. «Dopo tanti secoli, perché continuate a usare una lingua che non capisce più nessuno? Mamma, insisto perché papà licenzi quest'uomo. Non lo voglio più vedere in questa casa. Appena lo sento parlare, mi viene l'ulcera. Mi fa uscire dai gangheri, e io non posso uscire dai gangheri, perché sono già stufa e arcistufa di questa
vita schifosa, di non poter fare un passo senza quelli della scorta intorno! Voglio prendere la patente, guidare una macchina mia e andare dove cavolo mi pare senza gente fra i piedi!» «Per favore!» ordinò la First Lady. Pony udì dei passi e corse fuori. Si udì sbattere una porta e quindi una serie di borbottii dai quali si deduceva che Bedford Crimm non era di buon umore. «Sento odore di prosciutto!» protestò. «Credevo che stasera si mangiasse pesce! Non ho voglia di mangiare prosciutto. Dove sono finiti i granchi che avevo fatto arrivare in elicottero?» «Posso andare, signore?» chiese un uomo della scorta. «No!» intervenne Maude preoccupata, gridando dalla sala da pranzo. «Non lasciare andare via nessuno, caro! Abbiamo bisogno di maggiore sorveglianza, stasera!» Non era da Maude comportarsi a quel modo. La First Lady era nota per non gradire affatto girare sotto scorta. All'inizio la faceva sentire importante e ammirata girare accompagnata da squadre di splendidi fusti in divisa, pronti a esaudire ogni suo desiderio, ma con il tempo aveva cominciato a seccarsi. Avrebbe tanto voluto potersi sedere in giardino, farsi un bel bagno caldo e applicarsi una maschera facciale, guardare la televisione o fare acquisti su Internet senza che le telecamere a circuito chiuso riprendessero ogni suo più piccolo movimento. Stava diventando paranoica e si convinceva ogni giorno di più che le forze dell'ordine la tenevano costantemente sotto controllo e registravano tutto quello che faceva, compreso nascondere le sue collezioni di poggiapentole. «Che cosa succede?» chiese il governatore entrando nella sala da pranzo e strizzando gli occhi per cercare di vedere che cosa c'era in tavola nella scarsa luce prodotta dalle candele. «Prosciutto» borbottò seccato. «Non mi piace il prosciutto. Che fine hanno fatto i miei granchi?» Guardò tristemente la figlia minore. «Li abbiamo liberati» rispose lei sincera. «Me li sono fatti portare in elicottero e voi li avete lasciati andare?» «Anche la trota» ribadì lei, prendendo la salsa. «Mi scusi» intervenne Andy, deciso ad andare fino in fondo. «Sono successe alcune cose di cui credo lei debba essere al corrente. Un uomo di colore è stato ucciso mentre pescava nel fiume e il signor Trader sostiene che lei e la sua famiglia siete in pericolo. Pare infatti che abbia assistito all'omicidio e si dice convinto che l'assassino sia lo stesso che ha aggredito Moses Custer e ucciso Vicky Vash.»
Crimm cercò la lente di ingrandimento appesa alla catenella e, nello scrutare il proprio addetto stampa, ebbe un moto di sorpresa. «Santo cielo!» esclamò. «Non dovrebbe andare al pronto soccorso?» Trader aveva troppa paura di aprire bocca e si limitò a scuotere la testa. «Ma che cosa le è successo?» chiese Crimm. «Non vorrei sembrarle troppo duro, ma ritengo che sanguinare a tavola non sia molto igienico.» Trader si alzò, premendosi il tovagliolo sulla fronte, e restò zitto, in piedi sul tappeto persiano, a guardarsi intorno, cercando di sbrogliare i propri pensieri aggrovigliati e mettere a punto un piano. Tanto per cominciare, i difetti di pronuncia e l'eloquio antiquato potevano essere anche un vantaggio per lui, decise, perché in quel momento meno gli altri capivano quel che diceva meglio era. Mentire era più facile, e metterlo alle strette con domande serrate più difficile. Inoltre, se la cosa fosse finita in tribunale, la sua testimonianza non sarebbe stata considerata valida perché riportata da terzi. «È terribile!» dichiarò Fede, descrivendo ciò che era successo. «Quel mostro va in giro a dar fuoco alla gente e poi scappa. Pare che sia di New York, che parli spagnolo e che voglia incendiarci tutti quanti!» «Sapete che non mi piace» intervenne la signora Crimm «ma credo che sia indispensabile che la nostra casa sia protetta giorno e notte, finché questo criminale non sarà arrestato. Forse dovremmo chiedere aiuto anche alla guardia nazionale, caro.» Il governatore si sedette, incerto sul da farsi e perplesso sul fatto che nessuno gli avesse riferito l'accaduto per vie ufficiali. Tornare a casa e ricevere brutte notizie non faceva che inasprire gli scontri fra sottomarini all'interno delle sue viscere. «Volete spiegarmi come sono andate esattamente le cose?» domandò. Trader avrebbe voluto confondere le acque con altri dettagli fasulli, ma sapeva che il governatore avrebbe reagito malamente alla sua parlata incomprensibile e preferì ricorrere al linguaggio non verbale per esortare Andy a riferire l'accaduto a Crimm. Andy raccolse l'invito. «Che cosa suggerisce, lei?» gli chiese il governatore dopo aver ascoltato quella storia, che gli sembrava incredibile e assurda. «Sono d'accordo che non potete correre rischi e dovete aumentare la sorveglianza» rispose Andy. «Ma credo anche che si debba aprire un'inchiesta. Francamente, temo che ci siano elementi importanti che la testimonianza del signor Trader non chiarisce. Senza offesa» aggiunse rivolgendosi all'interessato «ma è possibile che ciò che lei dice di aver visto
non corrisponda a ciò che è realmente successo. Vorrei sapere due cose, per esempio: che fine ha fatto il secchio e se qualcun altro era presente alla sparatoria.» Trader rispose a gesti che il secchio era disperso e che gli unici altri testimoni erano i granchi e la trota, sicuro che questo avrebbe chiuso definitivamente la questione. «Il fatto che il secchio sia disperso indica che lei ha gettato nel fiume i granchi e la trota prima dell'alterco. Non credo che dopo aver assistito a una sparatoria e alla morte di una persona arsa viva lei avrebbe pensato di buttare il pesce nel fiume. Dico bene?» Trader scosse la testa, ripensando ai granchi e alla trota che saltavano dal secchio verso la libertà. Appena erano schizzati nel fiume lui e il pescatore avevano cominciato a litigare e a dirsene di tutti i colori. O lui o il pescatore dovevano aver posato il secchio per terra. A quel punto, la polizia doveva averlo senz'altro trovato e sequestrato come indizio. Trader non sapeva bene perché, ma temeva che il secchio potesse rivelarsi un elemento probante contro di lui. Il governatore si accese un sigaro cubano. «Mi dica» fece rivolto a Andy «pensa che rintracciare i granchi e la trota potrebbe essere utile alle indagini?» «Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito in vita mia!» saltò su Regina. «A cosa servirebbe, vorrei sapere. E come faremmo a riconoscerli?» «Attraverso l'analisi del DNA» rispose Andy. «Se hanno lasciato materiale cellulare nel secchio, anche in minima percentuale, potremmo agevolmente risalire a loro. Non ci rendiamo conto del materiale cellulare che lasciamo quotidianamente in giro. Basti pensare che ogni volta che ci freghiamo gli occhi, ci impiastricciamo le dita di cellule oculari che poi lasciamo su tutto ciò che tocchiamo. Ogni essere vivente è dotato di un DNA unico, diverso da quello di tutti gli altri. Eccezion fatta per i gemelli monovulari, naturalmente.» «Lei crede che i granchi abbiano lasciato cellule oculari nel secchio?» chiese il governatore affascinato. «Come fa a sapere tutte queste cose?» «Mi sono sempre interessato di scienze forensi e di criminologia, governatore. Mio padre era nella polizia di Charlotte.» «E adesso?» «È morto sul lavoro.» Il governatore rimase molto colpito. Aveva sempre desiderato un figlio
maschio, non andava d'accordo con le figlie e di rado apprezzava la loro compagnia. Aveva un gran bisogno di trovare una persona sensata, possibilmente non di sesso femminile, con cui parlare, e si era scordato i propri sospetti sul fatto che Andy e Maude avessero una relazione. «Vogliamo berci un goccio di brandy e fumarci un sigaro?» disse puntando la lente di ingrandimento su Andy. «Lei gioca a biliardo?» «Non molto spesso, signore» replicò Andy. «Ma cosa facciamo di quel mostro ancora latitante?» intervenne la signora Crimm preoccupata. «Bisogna riferire l'accaduto al capo della scorta» disse Crimm a Andy perché lo dicesse a Trader. «Devono rinforzare la sorveglianza e coinvolgere anche la guardia nazionale, per rintracciare l'automobile targata New York e intensificare i controlli in città.» «Che cosa ne dice di istituire posti di blocco ai caselli autostradali?» propose Andy. «Nel caso questo presunto serial killer ispanico cerchi di lasciare la città?» Lo disse con tono di assoluta incredulità, guardando Trader dritto negli occhi. L'addetto stampa del governatore abbassò lo sguardo. «Ottima idea!» concordò il governatore, sempre più favorevolmente colpito dal giovane. «Dobbiamo ritrovare i granchi e la trota. Dica a Trader di cercarli, visto che è stato l'ultimo a vederli.» «Perché non glielo dice lei, signore?» rispose Andy educatamente. «Può sentirla. È solo che non riesce a parlare. O perlomeno vuole farcelo credere. E, comunque, a mio parere converrebbe mandare una persona più obiettiva a cercare i testimoni.» Andy non aveva dubbi che, se Trader avesse trovato i granchi e la trota, avrebbe cercato di sopprimerli. Quel pirata grasso e mendace li avrebbe buttati in pentola e se li sarebbe mangiati, Andy ne era convinto. Immaginò la reazione del governatore all'articolo che intendeva mandare sul sito non appena avesse trovato un computer disponibile. Lanciò a Trader un'occhiata minacciosa. «Stia lontano dai granchi e dalla trota» lo ammonì. Aspettò che Trader se ne andasse zoppicando per prendere da parte la First Lady e parlarle a tu per tu. «Senta» le disse «mi dispiace disturbarla o infrangere la sua privacy, signora Crimm, ma ho l'impressione che questa serata durerà ancora a lungo e vorrei chiederle di usare il suo computer per qualche minuto: ho bisogno di controllare una cosa.»
«Ma certo!» rispose lei, che non vedeva l'ora di accompagnarlo nel proprio salottino privato, luogo dove trascorreva in segreto molte ore di grande serenità, seduta alla sua antica scrivania cinese, a fare acquisti su Internet. Con un brivido di eccitazione, gli fece strada su per la scala e lo invitò ad accomodarsi sulla sua poltroncina azzurra. «Vuole che resti e le faccia vedere come funziona?» gli domandò chinandosi e sfiorandogli la spalla con il petto prorompente. «No, grazie» rispose Andy, che evidentemente era allergico al profumo della First Lady perché cominciò a starnutire. «Anzi, è meglio che resti solo: devo collegarmi a un sito riservato della polizia.» Starnutì tre volte. «Che cosa fate lassù?» chiese il governatore ingelosito, ai piedi della scala. «Ma cosa diavolo sono andati a fare al piano di sopra? Chi è che starnutisce a questa maniera?» chiedeva a gran voce. La signora Crimm si sbavò appena il rossetto e scese fingendo di aggiustarsi i capelli. Andy si collegò al sito di Vigile Verità e pubblicò l'articolo che aveva finito di scrivere quella mattina. Con perfetto tempismo, si alzò dalla scrivania nel momento stesso in cui Regina entrava nel salottino senza bussare, chiedendogli che cosa stesse combinando. «La mamma è scesa tutta scarmigliata! Che cosa le hai fatto? Ringrazia che mio padre è orbo come una talpa e non si è accorto di niente.» «Non mi è parsa scarmigliata, quando è scesa» replicò Andy. «Non le ho fatto niente: mi ha mostrato dov'era il computer ed è andata via. E non mi è sembrata per niente diversa da com'era a tavola.» «E perché ti serviva il computer?» gli chiese la ragazza sospettosa. «Scommetto che sei Vigile Verità. Non è così?» «Che cosa te lo fa pensare?» domandò Andy. «Dimostrami che non lo sei!» «È difficile dimostrare di non essere qualcosa» rispose Andy, mentre Regina gli passava davanti per sedersi al computer. Si collegò al sito di Vigile Verità e proruppe in un'esclamazione sorpresa nel vedere un nuovo articolo. «Vedi?» intervenne subito Andy. «Spiegami come è possibile che Vigile Verità abbia scritto un nuovo articolo mentre era a cena a casa del governatore.» «Forse hai ragione» borbottò Regina, cominciando a leggere interessata. DUE PAROLE A PROPOSITO DI ANNE BONNY
LA PIRATESSA PIÙ FAMIGERATA DELLA STORIA (FIGURA DISCUSSA FRA GLI STUDIOSI DI PIRATERIA) di Vigile Verità Anne Bonny nacque l'8 marzo 1700 nella contea di Cork, in Irlanda, figlia illegittima di William Cormac, avvocato di successo, e della cameriera di sua moglie, il cui nome non è ricordato dagli storici. Quando venne scoperta la sua scandalosa tresca, Cormac fu costretto a fuggire dall'Irlanda con la sua nuova famiglia. Si stabilì a Charleston, nel South Carolina, dove senza dubbio conobbe Barbanera e diversi politici corrotti. Ben presto divenne un ricco mercante e si insediò in una casa coloniale appena fuori città. Non si sa molto di Anne bambina, a parte il fatto che era rossa di capelli, bellissima e dotata di un carattere estremamente focoso, tanto che nel corso di un litigio con una serva impugnò un coltello da cucina e la uccise. Quando raggiunse l'età in cui poté scegliersi gli abiti da sola, cominciò a vestirsi da uomo. Pare avesse diversi corteggiatori e che uno di essi, il quale aveva osato farle avance non gradite, avesse impiegato alcune settimane per riprendersi dalle percosse. (Apro una parentesi per segnalarvi, cari lettori, che sin dalla più tenera età Anne Bonny manifestò problemi psichici e relazionali - probabilmente in parte di origine genetica - che, sfortunatamente, si trasmisero di generazione in generazione ai suoi discendenti, uno dei quali occupa una posizione di rilievo all'interno dell'amministrazione dello Stato.) A sedici anni Anne si legò a un povero marinaio senza arte né parte, tale James Bonny detto Jim, il quale aveva deciso di impossessarsi della piantagione di Cormac e che il modo migliore per farlo era sposarne la figlia, nonostante le sue bizzarrie. Ma Cormac non approvò il matrimonio e alla giovane coppia, lungi dall'essere offerte le proprietà di famiglia, non venne neppure data ospitalità nella bella casa coloniale. Anne e Jim lasciarono pertanto Charleston e salparono alla volta di New Providence, nelle Bahamas, dove Anne divenne un'assidua frequentatrice di una taverna che si chiamava Covo dei Pirati ed era esattamente ciò che il nome lasciava intendere. Jim era un debole e un codardo che denunciava alle autorità i marinai che gli erano antipatici accusandoli ingiustamente di pirateria, e Anne, sempre più insoddisfatta e psicopatica, trascorreva le sue giornate nella taverna. Molti dei suoi rudi compagni di bevute erano ex pirati, stanchi e annoia-
ti, che la credevano un uomo. Un giorno Anne, tracannando rum, si lamentò dell'odiosa e malefica cognata del governatore giamaicano Lawes, che si era detta dispiaciuta di conoscerla. Non è chiaro se lo sgradevole commento fosse stato fatto ad Anne mentre era vestita da femmina o da maschio, ma è documentato che per tutta risposta Anne le aveva rotto due denti. Questo nel diciottesimo secolo era molto più grave che ai tempi nostri, dal momento che allora non esistevano dentisti o odontotecnici in grado di riparare al danno. «Glieli avrei dovuti rompere tutti quanti» si vantava Anne con gli ex pirati della taverna. «È poi avrei dovuto legarla nuda a un palo senza pane né acqua, perché se la mangiassero le formiche.» «Proprio così!» Il capitano Calico Jack aveva annuito soddisfatto. «Nuda completamente? Anche sotto?» «Sì, anche sotto» replicò Anne. «E lì sì che le avrebbero fatto male le punture degli insetti!» «Eh, già!» Anne e Calico divennero buoni amici e un giorno lei gli svelò la propria reale identità sbottonandosi la camicia da uomo. Calico si offrì di dare dei soldi a quello smidollato di suo marito e di portarla via, ma il perfido Jim andò a denunciarli al governatore del South Carolina, Rogers. Questi la condannò alla fustigazione e a tornare dal suo legittimo sposo, e così lei e Calico decisero di correre al porto, entrambi vestiti da uomo, rubare uno sloop e dedicarsi insieme alla pirateria. Nei mesi successivi assalirono molte navi e località sulla costa. Anne continuò a fingersi un maschio con tutti tranne che con Calico, ma un giorno catturarono un mercantile olandese e reclutarono alcuni dei suoi marinai, fra i quali c'era un giovane biondo e con gli occhi azzurri di grande bellezza. Anne se ne invaghì e svelò anche a lui il proprio segreto sbottonandosi la camicia. Il giovane olandese la imitò e Anne scoprì che si trattava in verità di Mary Read. Non sappiamo se la reazione delle due donne sia stata di dispiacere o soddisfazione, ma è certo che divennero una coppia formidabile di piratesse, svelte con lo stocco e la pistola e dotate di grande coraggio. Anne e Mary adoravano andare all'arrembaggio di ignari mercantili e divennero bucanieri rispettati e assetati di sangue che tiravano di spada con la stessa audacia di un uomo. Rimasero incinte nello stesso periodo e, siamo nel 1720, subirono una terribile sconfitta quando un pirata passato dalla parte della legge sorprese il loro vascello una notte che erano tutti ubria-
chi e solo Anne e Mary si difesero a colpi di cannone, mentre il loro equipaggio si nascondeva sotto coperta. «Se c'è un uomo fra voi, che esca e combatta da uomo» gridò Anne sguainando il coltellaccio e sparando. Gli uomini restarono fermi e zitti, con il risultato che furono tutti catturati e impiccati, a parte le due piratesse gravide, che furono chiuse in carcere. Mary morì di una misteriosa febbre in una minuscola cella umida, mentre pare che Anne fosse stata in seguito graziata, ma dopo l'arresto scomparve dai mari e dalle cronache storiche. Sulla base delle biografie scritte sul suo conto, ho elaborato una teoria su di lei, che ritengo più che credibile. È certo che non sarebbe stata riaccolta volentieri nelle Indie Occidentali e sembra alquanto improbabile che volesse tornare dal marito o unirsi di nuovo ai pirati. Io ritengo che abbia partorito e quindi deciso di venire a patti con la legge evitando però di fare una vita tradizionale. Per questo avrebbe dovuto scegliere un porto sicuro e che soddisfacesse il suo desiderio di avventura. Senz'altro sapeva che Barbanera e altri pirati frequentavano Tangier Island e intrattenevano commerci con gli isolani, e probabilmente Anne pensava che, se avesse continuato a vestirsi da uomo, sarebbe potuta passare per un pescatore e insegnare al figliolo l'arte della navigazione e della pesca. Ritengo che costui fosse maschio e sospetto che la sua stirpe abbia prodotto un attuale funzionario statale, uomo di un certo potere. Se il governatore leggerà questo articolo, lo esorto a ricordare quante volte un suo collaboratore sleale e spregevole gli ha offerto dei dolci, mangiati i quali è stato male. È vergognoso che questo mascalzone, di cui per ora preferisco tacere il nome, sia riuscito a fare carriera scampando a qualsiasi controllo precauzionale. Devo riconoscere che le verifiche sulle persone sono diventate uno strumento inaffidabile in quanto non rivelano le vere motivazioni del soggetto, che in questo caso, come in quello della sua antenata Anne Bonny, sono la sete di potere e di avventura, l'accesso al controllo militare e la conoscenza della legge al fine di infrangerla. Mi raccomando, occhi aperti! 18 I paramedici non tentarono neppure di rianimare Caesar Fender, corpo senza nome, semicarbonizzato e ancora fumante accanto a una cassetta da
pescatore. Le ustioni apparvero subito molto singolari, in quanto riguardavano soltanto il torace e non c'erano tracce di incendi o fuochi nelle vicinanze che potessero spiegarle. «È come se gli si fosse incendiato il cuore» dichiarò l'agente investigativo Slipper. «O i polmoni. Potrebbe essere un danno provocato dal fumo?» «Nel senso che si è acceso una sigaretta e gli hanno preso fuoco i polmoni?» chiese Treata Bibb, autista di ambulanze da quindici anni, che non aveva mai visto niente di simile. «Non credo proprio» si rispose poi da sola dopo un attimo di riflessione. «È alquanto improbabile. Non penso che questo poveretto sia morto perché fumava.» Si accucciò per controllare. «Guardate, ha un buco che lo attraversa dal petto fino alla schiena. Si vede l'asfalto al di là del cratere annerito.» Toccò la carne bruciata con le dita protette dai guanti. «Al centro del torace sono bruciate anche le ossa, mentre tutto il resto sembra normale.» Era stupita e turbata e si chiedeva chi poteva aver fatto una cosa del genere, come, e per quale motivo. Si stavano fermando le automobili e la gente si era allineata lungo la strada come per assistere a una parata. La polizia faticava a mantenere il controllo della folla di curiosi e di giornalisti, mentre si diffondeva la voce che un pescatore fosse scoppiato in una palla di fuoco nei pressi di Canal Street, molto vicino a Belle Island, dove era stato ritrovato il cadavere di Vicky Vash. «Cos'è successo?» chiese una casalinga di nome Barbie Fogg dal finestrino della sua monovolume. «Lo leggerà domani sui giornali» rispose un agente, facendole segno di circolare con la torcia elettrica. «Non compro il giornale.» Si riparò gli occhi per proteggersi dal fascio di luce e si domandò come mai quella sera tanti elicotteri sorvolavano la città. «Dev'essere scappato di prigione qualche pericoloso assassino» decise terrorizzata. Non le vennero i capelli dritti solo perché erano immobilizzati dalla lacca. «Magari è lo stesso che ha ammazzato quella poveraccia l'altro giorno! E io non so come fare a proteggere me e la mia famiglia, visto che non compro il giornale e lei non mi vuole dire niente! E poi vi chiedete come mai la gente non ama la polizia.» Si allontanò e al suo posto si fermò un'altra macchina, con a bordo una signora che, invecchiando, al buio vedeva sempre meno. «Mi scusi, la Downtown Expressway?» chiese all'agente con la torcia. «Canto in un coro e sono già in ritardo. Ma come mai c'è tutto questo ru-
more?» La signora, che si chiamava Lamonia, alzò gli occhi verso gli elicotteri che non riusciva a vedere. Per fortuna che l'udito era ancora acuto come un tempo. «Sembra che stia per scoppiare una guerra.» «Un piccolo incidente di cui ci stiamo occupando, signora. Niente di grave» le rispose l'agente. «La Downtown Expressway è da quella parte.» Gliela indicò con la torcia. «Giri a sinistra e prenda Eighth Street: non può sbagliare.» «Posso eccome» rispose Lamonia con voce rotta dal pianto, umiliata. «L'anno scorso sono finita contro il guardrail. A dire la verità, agente, non dovrei proprio guidare di notte. Di notte non ci vedo. Ma se manco alle prove mi cacciano anche dal coro, che è l'unico svago che mi è rimasto nella vita. Sa, mio marito è mancato due anni fa, e poi ho perso anche il gatto. L'ho investito facendo retromarcia.» «Vuole accostare un attimo, signora?» Lamonia guardò a sinistra e a destra e le parve di vedere una lucina come quella dell'oculista che le aveva fatto l'esame della vista la settimana prima. Le aveva fatto appoggiare il mento su una macchinetta e chiesto di schiacciare un pulsante ogni volta che vedeva una lucina. Lei aveva schiacciato a caso, sperando di fregarlo per l'ennesima volta. "Guardi che ho capito che sta barando" le aveva detto lo specialista, mettendole le gocce negli occhi. "Non è la prima né l'ultima che ci prova, mi creda." "E se ritentassimo con il laser?" Secondo l'oculista, però, non c'era più niente da fare. Lamonia riusciva a barcamenarsi perché aveva buona memoria, sapeva quanti gradini c'erano per arrivare alla porta di casa e dove erano i mobili, e riconosceva al tatto gonne e vestiti. Ma guidare di notte era diverso. Le strade erano sempre le stesse, ma non si poteva affidare alla memoria quando un'auto cambiava corsia, la macchina che aveva davanti frenava o un pedone decideva di attraversare. Lo stava spiegando al poliziotto, che nel frattempo, però, si era allontanato. «Se mi fa luce con la torcia, accosto» concluse Lamonia, mentre un altro elicottero si abbassava rombando e puntava le luci sul luogo del delitto. Intravedendo una luce, Lamonia si avvicinò, salendo sul marciapiede e passando con le ruote sopra qualcosa. «Oddio!» esclamò, colpendo una barella e mandandola diritta nel fiume.
Un istante dopo colpì l'ambulanza. «Si fermi! Si fermi!» le gridavano da fuori. Lamonia spinse sul pedale del freno, benché l'auto fosse già ferma. Confusa e spaventata, partì in retromarcia abbattendo il nastro che gli investigatori avevano sistemato tutto intorno al cadavere e investendo di nuovo qualcosa. «Si fermi! Si fermi!» sentì gridare con sempre maggiore urgenza. Hooter Shook capì che era successo qualcosa quando vide Thorlo Macovich armato di segnalatori luminosi e coni segnaletici. «Ehi! Non chiuderete al traffico tutte quelle strade, vero?» gli chiese, vedendolo sistemare i coni arancioni che le ricordavano i cappelli da fatina che metteva a carnevale da piccola. «Stiamo predisponendo un posto di blocco» le rispose Macovich, posizionando segnalatori luminosi lungo la 150 North, una strada a quattro corsie, molto trafficata. Hooter lo osservò con interesse e un pizzico di ansia mentre lui bloccava corsia dopo corsia, lasciando aperta soltanto quella del suo casello. Questo voleva dire che tutti i veicoli diretti verso nord avrebbero pagato a lei il pedaggio, mettendole i soldi nelle mani, che lei proteggeva con i guanti. Erano molti anni che faceva la casellante e ricordava i tempi in cui non occorreva ancora indossare guanti di lattice, che oltre tutto le si rompevano di continuo, visto che portava le unghie finte. Ormai gli operatori preferivano non entrare in contatto diretto con le dita della gente, benché fosse ovvio che banconote e monete erano molto più sporche di loro. I soldi passavano per le mani di milioni di persone, Hooter lo sapeva. Cadevano per terra e si strofinavano gli uni contro gli altri nell'oscurità di portafogli e borsellini. Le monete tintinnavano in tasche non lavate da tempo immemorabile e le banconote, di carta porosa, assorbivano i batteri come spugne; inoltre, nei locali a luci rosse, dove gli uomini le infilavano nei tanga delle ragazze, venivano a contatto con le parti del corpo maggiormente soggette a malattie. Hooter avrebbe potuto parlare per giorni e giorni delle schifezze con cui i soldi venivano a contatto quotidianamente: per questo metteva i guanti. Quando si era resa conto che ai suoi superiori non importava, aveva abbandonato quelli in lattice e ne aveva adottato un paio di cotone, che anche con le unghie finte si rompevano con meno facilità. L'unica cosa che la turbava era il timore che sporgere la mano guantata per prendere i soldi ri-
sultasse offensivo per gli automobilisti, che fosse un po' come dare dell'untore. Hooter si rendeva conto che a ogni turno di lavoro urtava la sensibilità di migliaia di persone, alle quali non aveva il tempo di spiegare che il ricorso all'uso dei guanti non riguardava loro personalmente ma esprimeva un bisogno di prevenire i danni derivanti dalla scarsa igiene dell'economia. «I germi sono dappertutto» borbottò Macovich con la sigarette in bocca, chiacchierando con Hooter davanti al casello. «Porca miseria! Mi ricordo di quando all'addestramento ci insegnavano le tecniche di pronto soccorso sui manichini. Non so mica se li pulivano tra un'esercitazione e l'altra, sa? Si immagina che schifo chiudere il naso e posare le labbra sulla bocca di un manichino di plastica? Ah, oggi come oggi, quando ci si trova a dover soccorrere una persona priva di sensi e sanguinante, consigliano di mettersi due paia di guanti e di posarle sulla faccia un nylon fatto apposta, con un buco per la bocca. Un po' come quelli che si mettono sulle toilette, ha presente? E c'è da sperare che non ti starnutisca addosso, non si metta a vomitare all'improvviso, non si muova tanto e soprattutto che non abbia l'AIDS.» «Scommetto che l'AIDS si piglia anche dai soldi» disse Hooter annuendo, cercando di portare il discorso su quello che interessava a lei. «Se due omosessuali si accoppiano nei giardini pubblici e poi magari si comprano un panino senza lavarsi le mani e pagano con una banconota da cinque dollari? La banconota sporca e infetta finisce nella cassa insieme a centinaia di altre banconote luride e poi in una banca, dove magari passa a un malato terminale di AIDS che va a incassare un assegno e che, a sua volta, la dà al cameriere di una bettola, che se la mette nella tasca sporca e viene qui a pagarci il pedaggio. Capisce?» «Ah, è sempre peggio!» esclamò Macovich schifato, ripromettendosi di non toccare mai più una banconota in vita sua. «Se continua così, ci toccherà andare in giro con i guanti mattino, pomeriggio e sera. Fortuna che noi vigili non prendiamo soldi in mano, quando facciamo le multe.» «Beati voi.» Macovich scese in mezzo alla corsia e alzò la torcia per farsi vedere dalla Pontiac Grand Prix che si stava avvicinando. Era un'auto vecchia, tutta ammaccata, e a Macovich balzò il cuore in gola nel vedere che era targata New York e aveva i bolli scaduti. Si avvicinò al conducente con la mano sul fianco, in prossimità della fondina. «Favorisca patente e libretto, per favore» disse al finestrino che si abbassava. Puntò la torcia sulla faccia spaventata di un ragazzo messicano che
sembrava troppo giovane per avere la patente e sicuramente non era in regola con il permesso di soggiorno. «Parli inglese?» «Sì» rispose il messicano, senza accennare a prendere né patente né libretto. «Gli chieda se oltre a parlarlo lo capisce anche» suggerì pratica Hooter dalla sua postazione di lavoro, dove c'erano soltanto uno sgabello, un estintore e la sua borsetta in finta pelle. Macovich seguì il suo consiglio. Il ragazzo si era girato da una parte per non farsi puntare la torcia negli occhi. «No» rispose, sempre più spaventato. «Come no?» fece Macovich aggrottando la fronte. «Se non capisci l'inglese, come hai fatto a capirmi poco fa?» «Creo que no.» «Cos'ha detto?» domandò Macovich girandosi verso Hooter, che si disponeva a uscire dalla sua postazione. «Visto che la corsia è bloccata, tanto vale che mi sgranchisca un po' le gambe» si giustificò aprendo la porta per raggiungerli. «Davvero ha detto questo?» chiese Macovich sbalordito. «Ha detto che voleva scendere dalla macchina? Mi sembra che non ne abbia affatto intenzione. Né di scendere né di collaborare.» Hooter non capì che cosa le diceva Macovich, intenta com'era ad abbottonarsi il cappotto e a cercare il rossetto in una delle tasche. Si incamminò, dondolando sui tacchi a spillo dei suoi stivaletti rossi in finta pelle. Hooter era conscia che con il suo lavoro era esposta allo sguardo degli altri e riteneva un preciso dovere di ogni casellante essere sempre in ordine. Pertanto seguiva la moda, si rinfrescava regolarmente il trucco e si sistemava più volte al giorno le treccine legate con perline colorate. «Con i vigili bisogna sempre collaborare, da' retta a me» disse al messicano dal finestrino aperto. «Ti conviene fare quello che ti dice lui, se vuoi evitare di cacciarti nei guai. Magari, in questo preciso momento stanno cercando qualcuno che potresti benissimo essere tu. Perciò, è meglio per tutti se collabori senza fare tante storie.» «Hooter, perché gli dice tutte queste cose?» le domandò Macovich in un orecchio, aspirando una zaffata di profumo. «Cos'ha addosso?» «Poison.» Era contenta che l'avesse notato. «Mi servo da Target.» «Come fa a sapere che sto cercando un individuo sospetto?» le bisbigliò di nuovo Macovich nel profumo. «Perché avreste istituito un posto di blocco, altrimenti?» replicò lei.
«Crede mica che sia nata ieri? Cosa vuole la polizia quando chiude tutte le corsie a parte la mia? Guardi che, modestamente, qui io sono il capoarea.» «Per carità, non era mia intenzione offenderla, signorina capoarea!» la prese bonariamente in giro Macovich. «Non faccia il furbo con me!» «Non mi permetterei mai di fare il furbo con una bella signorina come lei. Anzi, perché quando smontiamo non andiamo a bere qualcosa insieme?» Pensò con soddisfazione alla bella banconota da cento dollari che gli aveva allungato Cat dopo la breve lezione di volo. Il messicano era rigido, con gli occhi spalancati e una mano sulla fronte. Tremava tutto e stringeva il volante con tanta forza che aveva le nocche bianche. «Por favor» disse, implorando con lo sguardo prima Macovich e poi Hooter. «No buena armonia.» Cruz Morales capiva solo un po' di inglese e a New York si era abituato a usare le brevi frasi in spagnolo che tutti sapevano. Purtroppo, però, c'era un mare di incomprensione fra lui, il poliziotto e la casellante, e non poteva permettersi di fare errori. Aveva dodici anni, un passaporto falso ed era andato a Richmond a ritirare un pacco per i suoi fratelli. Sebbene non avesse curiosato nel vano della ruota di scorta, dove era stato fissato con cura, dal peso aveva dedotto che anche questa volta c'erano dentro delle pistole. «A quanto ho capito, ci ha chiesto un favore» tradusse Hooter a beneficio di Macovich. «Mi sembra troppo piccolo per poter fare del male a qualcuno.» Macovich fu colpito dal suo istinto materno e da un'altra zaffata di profumo. «Magari se gli offriamo qualcosa da bere, un caffè... So che i messicani cominciano a bere caffè da ragazzini.» L'incisivo d'oro della casellante sembrava l'unica luce che brillava nell'universo cupo e disperato di Cruz Morales. La guardò negli occhi e accennò appena un sorriso, perché gli battevano i denti dalla paura. «Vede» fece la donna a Macovich, dandogli una gomitata all'altezza della pistola. «Mi ha sorriso. Stiamo stabilendo un contatto.» Lanciò un'occhiata alla coda chilometrica che si era formata dietro la Pontiac, all'interminabile fila di luci rabbiose che aspettavano di stabilire un contatto con lei e per un attimo si sentì una diva del cinema. Colta da un impeto di simpatia e di affetto per quel ragazzino messicano tanto spaventato e lontano da casa, si chiese se avesse freddo, se fosse stanco o se avesse fame.
Si infilò una mano in tasca e fra rossetti e trucchi vari trovò un fazzoletto che le aveva dato un bel vigile biondo l'anno precedente, quando un uomo con un sacchetto di carta sulla faccia aveva cercato di rapinarla ma era andato a sbattere contro il casello. Poi Hooter cercò una penna, scrisse il suo numero di telefono di casa sul fazzoletto, e lo porse al messicano. «Per qualsiasi cosa tu avessi bisogno, chiamami» gli disse generosa. «So che cosa significa essere membro di una minoranza etnica e vedere che tutti pensano male di te quando non fai altro che il tuo lavoro, che sia maneggiare denaro sporco tutto il santo giorno o andare dove ti dicono ignaro del fatto che la revisione non è stata eseguita nei tempi di legge.» «Scendi!» intimò Macovich allo straniero senza permesso di soggiorno. «Scendi lentamente e con le mani alzate!» Cruz Morales pigiò sull'acceleratore e partì sgommando, facendo scattare tutti gli allarmi e le sirene del casello perché non aveva pagato il pedaggio. «Merda!» esclamò Macovich toccandosi il cinturone alla ricerca delle chiavi. Appena le trovò, saltò in macchina. Accese luci e sirene e si lanciò all'inseguimento a tutta velocità. Hooter, guardandolo, pensò a un albero di Natale stridente e scintillante. Tornò alla sua postazione di alluminio a prova di ladro e chiuse la porta. Mentre il fiume di auto cominciava ad avanzare lentamente verso di lei, Hooter si augurò che la gente non fosse troppo arrabbiata per lo spiacevole ritardo. «Cosa cazzo è successo?» le chiese il primo della fila dall'alto del suo autotreno. «Ancora un po' e mi trovavate morto stecchito.» «Chissà come ci sarebbe rimasta male la bella signora che senza dubbio la sta aspettando a casa!» Hooter sorrise, cercando di rallegrarlo. «Bello, l'adesivo con l'arcobaleno che ha sul cofano» aggiunse indicandolo. «Ne vedo sempre di più, in questi ultimi tempi. È un po' come se la gente avesse deciso di pensare positivo, di portare un messaggio di speranza. Quasi quasi me ne procuro uno anch'io e me lo attacco sul vetro del casello.» Il camionista si chinò e aprì il cassetto portaoggetti. «Ecco qua» le disse, porgendole una manciata di adesivi. «Accomodati, bella mia.» «Vede» disse Hooter alla signora alla guida dell'auto successiva. «Se si è gentili con gli altri, gli altri sono gentili con te. La gentilezza è contagiosa. Come i germi, però in positivo.» Tese la mano guantata e prese il biglietto da un dollaro che le porgeva Barbie Fogg. «Io so perché c'è questa coda» le disse Barbie. «Ha sentito di quel poveretto che è saltato in aria giù al fiume? Alla radio non parlano d'altro.»
«Oh!» Hooter le diede il resto. «Qui non ho la radio, anche perché non avrei tempo di ascoltarla. Mi dica, che cosa è successo?» Le auto in coda cominciarono a suonare il clacson trasformando l'interstatale in una sorta di stormo di oche canadesi. «L'ho chiesto a un poliziotto, ma non me l'ha voluto dire. Lo leggeremo sul giornale domattina» rispose Barbie. «A parte il fatto che io non lo compro e perciò non so mai che cosa succede.» «Lei passa di nuovo di qui, domani?» le chiese Hooter con aria di importanza. «Io leggo sempre il giornale, prima di venire a lavorare. Se vuole, le racconto tutto. Come si chiama?» Si presentarono e Hooter le regalò un adesivo con l'arcobaleno. «Lo appiccichi sulla macchina, così porterà il sorriso e la speranza ovunque lei vada» le promise Hooter. «Grazie!» esclamò Barbie, commossa «Lo faccio appena torno a casa.» 19 Il governatore Crimm passò il gesso sulla punta della sua stecca da biliardo preferita, la testa avvolta in una nuvola di fumo di sigaro. Strizzava gli occhi cercando di capire dov'erano le palle sul tavolo coperto di panno che Thomas Jefferson aveva portato lì dalla Francia, come sosteneva Maude quando l'aveva scoperto su Internet. A intervalli regolari uno degli uomini della scorta entrava nella sala del biliardo ad aggiornare il governatore sulla situazione. Le notizie erano molto poco incoraggianti. I posti di blocco istituiti ai caselli autostradali avevano intercettato un'unica auto con targa di New York e l'autista, ispanico, era fuggito. Fino a quel momento la polizia non era riuscita a raggiungerlo. L'ipotesi più accreditata era che si trattasse effettivamente dello spietato serial killer, che si era allontanato in direzione nord. Fra le altre inquietanti novità c'era l'ultimo articolo di Vigile Verità, che accusava Major Trader di essere un pirata, un bugiardo e un malandrino che stava attentando alla vita del governatore. Come se non bastasse, Regina si era spaparacchiata su una poltrona Chippendale a rimpinzarsi di gelato e biscotti fatti in casa rubati in cucina, masticava a bocca aperta e parlava ininterrottamente distraendo il governatore, che scrutava il tavolo con la lente di ingrandimento indeciso su quale palla fosse meglio colpire. «Bel colpo» si complimentò Andy, recuperando senza farsene accorgere la palla che era saltata giù dal tavolo e infilandola in buca.
«Ho l'impressione che lei mi stia lasciando vincere» mormorò il governatore passando di nuovo il gesso sulla punta della stecca. «Tutti ti lasciano vincere» intervenne Regina. «A parte me. Sono l'unica a giocare veramente.» Regina era una brava giocatrice di biliardo e quando suo padre non faceva il governatore e lei aveva l'agio di andare e venire come le pareva, era nota nei bar di Richmond per i suoi tiri a effetto particolarmente insidiosi. L'unica persona che l'avesse mai battuta senza barare era quel cretino di un pilota di elicotteri, Thorlo Macovich, che non mostrava il minimo rispetto verso i suoi superiori. «Prego» fece Andy, porgendo a Regina la sua stecca. «Stasera non sono in vena di giocare. Continua tu. Scusi se glielo chiedo» domandò poi al governatore, mentre Regina raccoglieva le palle «ma come è nata la collaborazione fra lei e Trader?» «Bella domanda» replicò il governatore. «La prima volta che sono stato eletto, Trader era agli ultimi gradini della gerarchia, ma lo notai perché si fermava sempre a dare una mano quando c'era bisogno e controllava i detenuti in servizio alla residenza, che non è un lavoro molto ambito.» Al primo tiro, Regina mandò quattro palle in buca. «Merda» si lamentò. «Non è serata.» Pony aveva appena fatto capolino sulla porta per vedere se i signori desideravano altro brandy e aveva sentito il commento del governatore a proposito dei detenuti, restandoci male. Gli dispiaceva che il governatore e la sua famiglia ritenessero che, solo perché uno era in prigione, doveva trattarsi di un essere abietto e inaffidabile. «Vuole che le porti un altro sigaro?» chiese al governatore Crimm con tono risentito, mentre Regina provava un tiro con la stecca dietro la schiena, mandando la palla contro altre due e imbucandole tutte e tre. «Devo ammettere che sono rimasto sconcertato nell'apprendere che forse mi sta avvelenando» aggiunse il governatore. «Se andiamo avanti così, dovremo ripristinare gli assaggiatori. Se mai dovrò averne uno, sceglierò lui. Così impara.» «Se lo trova» replicò Andy. «Io credo che si darà alla macchia, se non l'ha già fatto. Peccato che non abbiamo prove per inchiodarlo, altrimenti avremmo potuto arrestarlo prima che uscisse.» «Io ho l'impressione che Vigile Verità le prove le abbia» commentò Crimm con il tono di chi la sa lunga. «Dal che si deduce che potrebbe essere suo complice. Come farebbe un giornalista a sapere che Trader mi sta
avvelenando, se non ci fosse di mezzo anche lui?» Andy non aveva previsto quello sviluppo e si preoccupò. Se Judy Hammer fosse stata chiamata a testimoniare sotto giuramento avrebbe dovuto rivelare l'identità di Vigile Verità e Andy si sarebbe trovato in un mare di guai. Quasi Crimm gli avesse letto nel pensiero, aggiunse: «Devo parlare con il comandante Hammer e chiederle che cosa ne pensa». «Sono certo che le farebbe molto piacere parlare con lei, governatore» rispose Andy. «So che la cerca spesso e non riesce mai a trovarla.» «Non riesce mai a trovarmi?» si stupì Crimm, puntandogli addosso la sua lente di ingrandimento. «Io le ho scritto un sacco di volte. Non soltanto quando ho saputo del suo povero cagnolino, ma anche per invitarla a feste e ricevimenti ufficiali...» «Non credo che abbia mai ricevuto i suoi messaggi.» «Colpa di quell'impiccione di Trader, ci scommetto!» Crimm era furibondo. «Ho paura che le abbia mentito sin dal principio» concordò Andy. «Sì, grazie. Un sigaro nuovo è proprio quello che ci vuole» disse Crimm a Pony, che aspettava pazientemente una risposta sulla porta. Il governatore spense il sigaro che aveva in mano nella coppetta del gelato di Regina, prendendola per un posacenere. Si stava spazientendo, perché la figlia, poco sportivamente, continuava a mandare palle in buca. «Ecco perché preferisco non giocare con te!» le disse. «Va già bene se riesco a prendere la stecca in mano una volta. Potrei benissimo andare a fare un giro e tornare fra un po'. Senta» disse poi rivolgendosi a Andy «le affido un'indagine delicata e segretissima. Voglio che scopra al più presto chi è Vigile Verità e quali legami ha con Trader. Nel frattempo, guardi un po' se riesce a far tornare a casa il dentista e a capire che cos'hanno in mente gli abitanti di Tangier.» «Perché non mi affianchi a lui, così ci occupiamo di queste indagini segrete insieme, troviamo i colpevoli e li sbattiamo dentro?» propose Regina a suo padre, infilando in buca anche l'ultima palla, dopo una serie incredibile di sponde. «Così, già che c'è, mi insegna anche ad andare in elicottero.» «Forse la signorina Regina e il signor Andy dovrebbero indagare sulla strana morte di quel povero pescatore» suggerì Pony, ancora sulla soglia. «Ho sentito che si tratta di una faccenda complicata. Pare che un'anziana signora abbia investito il cadavere, una bicicletta e una cassetta da pescato-
re. Lo dicevano prima le sue guardie del corpo. Sembra che un criminale di origine sudamericana si sia dato alla fuga, probabilmente per continuare a uccidere neri nello stesso, terribile modo.» «Ovvero?» si incuriosì il governatore. «Autocombustione.» «Sarà. Comunque, dobbiamo aspettare che il dottor Sawamatsu gli faccia l'autopsia» fu la risposta di Crimm. Era stato lui ad assumere l'anatomopatologo, nel quale aveva la massima fiducia. Costui originariamente era arrivato a Richmond con l'intenzione di specializzarsi in ferite di arma da fuoco e poi tornare in Giappone, ma il suo paese era talmente sovraffollato e il trafficocosì caotico che aveva deciso di restare anche dopo la fine del periodo di internato. Un giorno il governatore, che voleva attirare capitali e turisti giapponesi, gli aveva telefonato. "Caro dottore, voglio essere franco con lei" gli aveva detto, sorprendendolo non poco. "Come sa, il capo dell'Istituto di medicina legale è una donna a me non particolarmente simpatica. Peraltro, il personale è tutto americano e io mi chiedevo se assumere un anatomopatologo giapponese non farebbe una qualche differenza." "Mi scusi, ma per chi?" "Per le imprese giapponesi piene di soldi che si guardano bene dall'aprire uno stabilimento in Virginia, o per i turisti giapponesi che non hanno ancora visitato Williamsburg, Jamestown, le grandi piantagioni del Sud e i molti parchi del Commonwealth. L'importante è che parlino inglese, ma mi sembra che lo sappiano tutti, no?" Il dottor Sawamatsu aveva cercato di riflettere più in fretta che poteva. Lavorare in America era la sua massima aspirazione, ma sapeva che, facendo il medico legale, non avrebbe potuto esercitare alcuna influenza sull'economia e il turismo giapponesi attraverso i propri pazienti. "Potrebbe fare una certa differenza, sì. Se si venisse a sapere che il medico dell'Istituto legale della Virginia che si occupa di qualche caso complicato di risonanza mondiale è asiatico" fu la cauta risposta di Sawamatsu. "Penso che i miei compatrioti farebbero di tutto per mostrare la loro gratitudine e i rapporti commerciali fra i due paesi migliorerebbero, specie se venissero incentivati da qualche sgravio fiscale." "Sgravi fiscali?" "Be', sì. Più sono, meglio è." "Che idea bizzarra!" osservò il governatore. Tuttavia, appena chiusa la
telefonata aveva comunicato al gabinetto la propria intenzione di esonerare da ogni tributo statale tutti i giapponesi, persone fisiche o giuridiche che fossero. Il risultato era stato sorprendente, perché nel giro di un anno l'afflusso turistico era aumentato in misura straordinaria. Ferrovie e compagnie di autopullman avevano raddoppiato il personale e i negozi di apparecchiature fotografiche erano spuntati come funghi. Il dottor Sawamatsu era diventato l'assistente del capo dell'Istituto di medicina legale e aveva ricevuto un biglietto di ringraziamento firmato dal governatore Crimm, che aveva incorniciato e appeso nel salotto di casa sua, accanto alla teca in cui conservava la sua collezione di arti artificiali, biglietti scritti da suicidi, lamiere contorte e armi proprie e improprie appartenuti a ex pazienti o relativi assassini. «Dobbiamo portare via il corpo prima che lo investa qualcun altro» disse Sawamatsu ai poliziotti, accucciato nel buio, infilandosi i guanti di lattice. «Dov'è il capo?» domandò l'agente investigativo Slipper, che non condivideva la stima nutrita dal governatore per il medico giapponese. «Come mai non è venuta la dottoressa Scarpetta? Di solito si occupa lei dei casi più complicati e più seguiti dai media.» «Era in tribunale a Halifax. Tornerà tardi» rispose Sawamatsu piccato. «Adesso, per piacere, cerchiamo di portare il cadavere in obitorio.» «Non credo che riusciremo a recuperare la barella che è finita nel fiume» ribatté Slipper, mortificato. «Facciamo intervenire i sommozzatori?» «No, non c'è tempo. Avvolgiamolo in un telo e trasportiamolo a bordo dell'ambulanza» ordinò Sawamatsu. «Lo esaminerò domani mattina. Qui non vedo un corno.» «Grazie al cielo non sono l'unica» intervenne Lamonia lamentosa. Era ammanettata, in piedi accanto alla sua Dodge Dart tutta ammaccata e non aveva ancora capito che cosa aveva fatto di tanto grave. Sembravano tutti arrabbiati con lei. Tutti tranne Trader, naturalmente, che osservava la scena dal parabrezza in frantumi della sua auto dopo aver perso un'ora a cercare dal ponte i granchi e la trota con una torcia elettrica. In realtà era profondamente grato a Lamonia per aver irrimediabilmente compromesso prove e indizi sul luogo del delitto. Guardò i medici e gli infermieri che coprivano il corpo del pescatore e lo caricavano sull'ambulanza, la cui targa era piegata e illeggibile, e si chiese come era potuto cadere in disgrazia così, dall'oggi al domani. La sua carriera, la sua vita, erano rovinate. A dire la verità, non erano
mai state un granché, questo Trader doveva ammetterlo. Se guardava nello specchietto retrovisore della sua esistenza, il volto che vi vedeva riflesso poteva essere il suo come quello di suo nonno da parte di madre, anch'egli chiamato Major. Nella famiglia di sua madre, infatti, tutti i maschi si chiamavano Major, sin dai tempi in cui Anne Bonny concepì un figlio con un pirata e gli diede il nome Major nella speranza che facesse strada nella vita. Tutti i Major si assomigliavano. Di costituzione robusta, tendenti alla pinguedine, avevano colorito rubizzo, occhi molto chiari e sfuggenti e una certa propensione alla calvizie. Da piccolo, Trader era piromane e aveva provocato diversi incendi senza mai farsi beccare, tant'è che a Tangier Island nessuno aveva mai capito che era stato lui ad appiccare il fuoco a una palafitta che poi si era scoperto ospitare un allevamento di crostacei. Erano morti migliaia di granchi, frutto di un anno di lavoro, con danni economici gravissimi. A peggiorare la situazione, le fiamme si erano estese e, prima che l'incendio venisse spento, avevano distrutto decine di imbarcazioni e lambito pericolosamente l'Hilda Crockett's Chesapeake House, ristorante noto per la sua cucina che, fra i piatti tipici della baia, vantava pasticcio di granchio, fritto misto di mare, pane fatto in casa e arrosto di prosciutto. Da ragazzo, Major Trader aveva preso l'abitudine di rubare il lanciarazzi di famiglia, che suo padre teneva nascosto, insieme a una fiaschetta di liquore, dentro ai suoi stivaloni di gomma. Facendo alcuni esperimenti con liquido per accendisigari, benzina e bourbon, si era allenato a colpire bottigliette di latte piene di liquido infiammabile poste a una certa distanza, facendole esplodere. Un po' come aveva fatto con il pescatore. Anche Pony da ragazzo era stato uno scavezzacollo, ma a differenza di Trader si era pentito e viveva roso dal rimorso, dalla vergogna e dal rimpianto. Stufi di guardare Regina giocare a biliardo mentre suo padre girovagava annoiato per la sala buttando la cenere del sigaro in tutto quello che assomigliava anche solo lontanamente a un posacenere, Pony e Andy uscirono in giardino, si sedettero su una panchina di pietra e si misero a chiacchierare. «Vuole che le vada a prendere qualcosa, signor Andy?» «No, grazie, molto gentile. Perché invece non si rilassa un attimo e mi parla un po' di lei? Anzi, mi tolga una curiosità: come mai si chiama Pony?»
«Veramente non mi chiamo io. Mi chiamano gli altri» rispose Pony sospirando. «Le spiace?» chiese poi tirando fuori dal taschino della giacca bianca un pacchetto di sigarette. «È tutta colpa di mio padre. Mia sorella maggiore diceva sempre che voleva un pony, ma siccome i miei non se lo potevano permettere, quando sono nato io mio padre mi ha messo il nome Pony e poi è andato da mia sorella e le ha detto: "Eccoti il tuo pony".» Andy non fece commenti, cercando di decidere se si trattava di una storia commovente o deprimente. «Non è un nome facile da portare, se vuole che le dica la verità» continuò Pony. «Si immagina le battute dei miei compagni di galera? Fortuna che nessuno ha mai osato provare a montarmi nelle docce...» Scosse la testa e, quando sorrise, Andy vide i suoi denti d'oro brillare nella notte. «Non dico che non le ho mai prese, ma mi difendo bene. Da ragazzo ho persino fatto un po' di boxe e di karate.» «Fra quanto dovrebbe uscire?» domandò Andy. «Un paio d'anni, a meno che il governatore non mi dia la buona condotta. Potrebbe benissimo, ma non lo fa. E sa perché? Perché lavoro bene e non mi vogliono sostituire. Con me si trovano bene. Però, se mi mettessi a lavorare male, mi rispedirebbero in cella. Insomma, non ho scampo.» Gettò la cenere. «Non avrei mai dovuto rubare quel pacchetto di sigarette.» Scosse di nuovo la testa e sospirò. «È finito in prigione per un pacchetto di sigarette?» chiese Andy incredulo. Pony annuì. «Sì, perché ero in libertà vigilata. E prima ero stato condannato perché avevo rubato una bottiglia di liquore di albicocche in un supermarket. Già. E così mi sono rovinato la vita cercando di rovinarmi la salute. È un male di famiglia.» «La tendenza a rubare?» «La tendenza ad autodistruggersi. E lei?» Era raro che a Andy chiedessero di parlare di sé. Inoltre era abbastanza riservato. «Mi parli di lei, signor Andy» lo incoraggiò Pony. «Ha una donna? È innamorato?» Andy infilò le mani nelle tasche della divisa invernale e si strinse nelle spalle per ripararsi dal freddo, insolito per quella stagione, mentre gli elicotteri continuavano a sorvolare la città. Le nuvole si erano allontanate e nel cielo brillava uno spicchio di luna che a Pony faceva venire in mente un sorriso dorato.
«Non più» rispose Andy. «Ho avuto una relazione un po' burrascosa con una donna che ho conosciuto a Charlotte, ma adesso è finita.» «Lei è rimasta a Charlotte?» «Non so dove sia, per la verità. Speravo che saremmo restati amici, ma lei non ha voluto. Non ho mai capito le donne» confessò Andy. «Dicono tutte che gli uomini non conoscono il valore dell'amicizia, ma ogni volta che ho provato a essere loro amico mi hanno sempre mandato a quel paese.» «Proprio vero.» Pony annuì lentamente. «Le donne non dicono mai quello che vogliono, non parlano mai chiaro e non ammettono nemmeno di volere qualcosa. Anzi, quando ti dicono che vogliono una cosa spesso vuol dire che non la vogliono o che ne vogliono un'altra. Cercano sempre di infinocchiarti. Mia moglie è un tesoro, quando non è troppo stanca dopo una giornata qui in lavanderia e non è troppo arrabbiata con me, che passo tutte le ferie e le vacanze in prigione. Secondo lei, sono io che non parlo chiaro. Forse dovrei dirle più spesso che le voglio bene o che la trovo molto carina. Oppure che mi dispiace di aver passato gli anni più belli della nostra vita in galera, che non è giusto nei suoi confronti e che quando è lontana mi manca da morire. Ma forse sono io che non voglio ammettere né con lei né con me stesso che mi sono rovinato la vita, che ho fallito. Mi capisce?» Tirò una boccata dalla sigaretta. «Ho paura che ormai sia troppo tardi, che non uscirò mai più perché il governatore si scorderà di rilasciarmi. E poi se ne scorderà il suo successore e il successore del successore. Fossi più furbo mi farei licenziare e poi intenterei una causa al governatore per discriminazione razziale, nella speranza che qualche avvocato di grido mi difenda per farsi pubblicità e controllando si accorga che dovrei essere già fuori, se non fosse che il computer della divisione penitenziaria ha combinato qualche pasticcio. Perché così io non ho i soldi per pagarmi un avvocato e senza un motivo non vedo perché uno dovrebbe difendermi gratis. Perciò ho l'impressione che la mia unica speranza sia fare qualcosa di male e farmi licenziare. Se faccio qualcosa di male, andrà tutto bene; se continuo a fare bene, continuerà ad andare tutto male.» «Capisco il suo scoraggiamento» disse Andy. «Ma non è il solo. Pensi a Vigile Verità: pur avendo fatto bene a raccontare la storia di Major Trader, adesso il governatore sospetta che abbia fatto qualcosa di male.» «Ha ragione. Mi piacerebbe conoscerlo, questo Vigile Verità» disse Pony sospirando. «Mi sembra una brava persona. Era ora che qualcuno dicesse la verità a proposito di Trader. Io ho sempre saputo che era una mela
bacata, capace solo di diffondere marciume. Già, vorrei proprio conoscerlo. Magari, lui sarebbe in grado di darmi una mano.» «Perché non chiama l'amministrazione del carcere e non chiede che controllino la sua pratica per vedere se ci sono stati errori?» chiese Andy. «Non posso fare telefonate private dalla casa del governatore. E, comunque, quando un detenuto chiama l'amministrazione non lo stanno nemmeno a sentire. Sa quanti ce ne sono che sostengono che sarebbero dovuti uscire prima, che sono vittime di errori? Perché dovrebbero dare retta proprio a me?» Regina si era nascosta dietro una siepe a origliare. Si era stufata di giocare a biliardo e aveva seguito Andy e Pony, ma adesso rimpiangeva di non essersi presa una giacca perché stava morendo dal freddo. Era curiosa e molto brava a spiare il prossimo. Tuttavia, quanto più ascoltava la conversazione fra Andy e Pony, tanto più si immedesimava e stava male. Quante volte si era sentita lei stessa frustrata nel tentativo di fare amicizia? Quante volte era stata lei stessa accusata ingiustamente? Scossa dai brividi, con il fiato che le si condensava davanti alla faccia, cominciò a sentirsi stringere lo stomaco e torcere le budella. Aveva la pancia gonfia e dura come un pallone. «Se fossi in lei» stava dicendo Andy a Pony «manderei un'e-mail a Vigile Verità chiedendogli di verificare se è giusto che lei sia ancora detenuto.» «Pensa che lui controllerebbe?» Pony vide muoversi una siepe e notò una nuvoletta di fumo che saliva dalle foglie. «Tentar non nuoce.» «Non ho accesso alla posta elettronica» rispose Pony, fissando il cespuglio preoccupato. Gli venne in mente la fine che aveva fatto il pescatore e fu preso dal panico. «Ho paura che quella siepe stia per scoppiare!» esclamò. In quel momento, nel giardino si sentì un boato. Andy si alzò di scatto dalla panchina e corse verso il cespuglio incriminato, che fumava e puzzava in maniera insopportabile. Regina sbucò dal suo nascondiglio. «Che cosa fai qui?» chiese Andy. «Mi stavo impratichendo di tecniche investigative» rispose lei, tenendosi la pancia. «Perché si è nascosta dietro una siepe e sembra sul punto di scoppiare, signorina?» chiese Pony, con le gambe che gli tremavano ancora dalla paura. «Santo cielo, per un attimo ho pensato che quel folle avesse piazzato una bomba nel giardino e stessimo per saltare in aria tutti quanti!»
«Sarà meglio che vada» disse Andy. «Passami a prendere domani mattina presto, così cominciamo le indagini» disse Regina. Anche quando non stava bene, si permetteva di dare ordini come se fosse un comandante. «Ti aspetto.» «Impossibile» rispose Andy. «Domani mattina presto devo andare a parlare con l'anatomopatologo incaricato di eseguire l'autopsia dell'uomo ucciso sul fiume ed è meglio che tu non venga. Non credo che tu voglia assistere a uno spettacolo così impressionante.» «Figuriamoci!» esclamò Regina con un entusiasmo decisamente eccessivo. «Guarda che non è affatto piacevole» l'avvertì Andy, cercando di dissuaderla. «Hai mai sentito l'odore di un animale morto e pieno di insetti? Be', all'obitorio è peggio. Il tanfo è tale che ti entra nel naso e non se ne va più. Anche a distanza di ore, quando fai per mangiare qualcosa, ricompare e ti toglie l'appetito. Ma neanche le cose che si vedono e si sentono sono molto belle.» «Be', io ci vengo lo stesso!» Regina non era una che si lasciava convincere tanto facilmente. Andy tornò a casa di pessimo umore. Stava cominciando a maledire il momento in cui aveva conosciuto i Crimm, la sera prima. Non c'era essere al mondo che avrebbe frequentato meno volentieri di Regina, e invece se la ritrovava attaccata alle caviglie come un cagnolino. In più, il governatore pensava che Vigile Verità fosse complice di Trader. Come se non fosse bastato che un folle avesse inciso il suo nome su un cadavere e gli avesse recapitato a casa i suoi vestiti insanguinati... «Mi sono proprio cacciato in un bel pasticcio» disse al telefono a Judy Hammer. «Scusa, Andy, hai idea di che ora sia?» protestò lei, che stava dormendo della grossa. «Sembri molto abbattuto. Che cosa ti è successo?» Anche quella sera Andy era molto vicino alla casa di Judy Hammer a Church Hill, e lei lo invitò a passare per raccontarle tutto. In quello stesso momento, Fonny Boy decise di fare un salto all'ambulatorio medico a controllare il dottor Sherman Faux, che trovò bendato e tremante sulla sedia. «Signore, ti chiedo un miracolo. Non grande: un miracolo piccolo piccolo» diceva. «Se avessi un angelo momentaneamente libero, non potresti mandarmelo qui? Prometto che faremo in fretta e non perderemo tempo. So che ci sono tanti uomini e donne e animali che hanno più bisogno di te
di quanto non ne abbia io. Ma tieni presente che, finché sarò qui legato in questo luogo sperduto, non potrò fare del bene al mio prossimo. Sono tutto indolenzito, a furia di stare seduto. Un angelo, non chiedo altro. Per un'ora, due al massimo. Insomma, quel che mi ci vuole per tornare a casa.» Fonny Boy ascoltò attentamente senza farsi sentire, abituato com'era a muoversi con grande cautela per non far scappare i pesci. Con i granchi bisognava stare particolarmente attenti, perché erano tipi svegli e con la vista acuta. Se non si tenevano le nasse perfettamente pulite, e loro non vedevano bene cosa c'era dentro, si rifiutavano di entrare in un ammasso di alghe con un pezzetto di pesce marcio dentro. Fonny Boy teneva le nasse di suo padre pulitissime e sapeva essere più silenzioso di una farfalla, all'occorrenza. Voleva far credere al dentista che Dio avesse ascoltato le sue preghiere, ma in verità aveva deciso di accettare la sua proposta di lavoro nel continente. Si alzò senza far rumore e uscì, per poi tornare pochi istanti dopo sbattendo la porta in maniera che il dottor Faux questa volta lo sentisse. «Chi è?» chiese il dentista speranzoso. «Sei tu, Fonny Boy?» «Sì.» «Grazie a Dio. Ho freddo e devo tornare a casa, Fonny Boy. Come va il dente? È andata via l'anestesia?» «Sì.» «E il cotone che hai ingoiato? Ti ha dato dei problemi?» «Sì, certo!» Era un modo per dire che fino a quel momento non gli aveva dato nessun fastidio. «La condurrò a casa» aggiunse. «Non c'è tempo per prendere il binocolo e la torcia di mio padre, l'aria è fredda e lei non ha la giacca, ma bisogna che ci affrettiamo a partire prima che i pescatori escano in mare a raccogliere reti e nasse.» «Non importa se non ho la giacca, e sono sicuro che possiamo fare a meno sia del binocolo sia della torcia» esclamò il dentista con gioia. Aveva le lacrime agli occhi, ma Fonny Boy non se ne accorse per via del fazzoletto puzzolente con cui era stato bendato. In tutti gli anni in cui il dentista aveva messo le mani in bocca a quel ragazzo a spese del servizio sanitario nazionale non si era mai reso conto che era un angelo. «Che Dio ti benedica, figliolo» sussurrò mentre uscivano dall'ambulatorio. «Shh» fece Fonny Boy per tutta risposta. «Stia zitto!» Le strade dell'isola erano deserte e buie, non c'era una sola luce accesa: gli abitanti di Tangier Island stavano dormendo, ricaricandosi come i loro
golf-cart elettrici. Verso le tre del mattino, però, i primi pescatori sarebbero saliti sulle loro barche, e per quell'ora Fonny Boy e il dentista sarebbero dovuti sparire: se qualcuno avesse visto che stava cercando di salvare il dottor Faux, per Fonny Boy sarebbero stati guai. Tanto per cominciare, sua madre lo avrebbe portato dritto filato alla chiesa metodista, dove avrebbe raccontato tutto al reverendo Crockett. Fonny Boy aveva già avuto a che fare con il reverendo e non aveva più intenzione di imparare a memoria le Sacre Scritture per redimersi dai propri peccati. Il peschereccio di suo padre era ormeggiato a diversi isolati di distanza dalla chiesa e a ogni passo Fonny Boy aveva l'impressione che il campanile lo guardasse male. A Tangier Island la gente era timorata di Dio e disobbedire al padre e alla madre, ovvero non onorarli, era peccato mortale. Per quanto potesse sembrare un angelo al dottor Faux, uscendo di casa di nascosto per far scappare il dentista Fonny Boy non stava onorando affatto i suoi genitori. Senza contare che suo padre senza barca non avrebbe potuto raccogliere le nasse. Chissà come si sarebbe arrabbiato... Scendendo la scaletta di legno che portava agli ormeggi, Fonny Boy continuava a tormentarsi, chiedendosi se non fosse meglio lasciar perdere e tornare indietro. Era talmente combattuto che non riusciva a scendere l'ultimo scalino verso il nuovo mondo, che da una parte lo allettava ma dall'altra lo terrorizzava. Il dentista cercò di confortarlo, dicendogli che probabilmente anche i prodi avventurieri che nel dicembre del 1606 avevano sceso le scale di Blackwell sull'Isle of Dogs di Londra per imbarcarsi avevano provato lo stesso stato d'animo. Il piccolo Richard Mutton di St Bride aveva soltanto quattordici anni, la sua stessa età, e senza dubbio aveva avuto paura anche lui su quell'ultimo gradino. «Lui però era insieme ai suoi genitori» sussurrò Fonny Boy. «Risulta l'unico Mutton presente nelle liste di bordo.» «Perché mai si imbarcò, dunque?» bisbigliò Fonny Boy, immaginando il giovane Richard Mutton tutto solo e tremante nel buio che fissava le tre navi pronte a solcare l'Atlantico verso un mondo sconosciuto e pericoloso. «Oro» rispose il dottor Faux. «Come molti dei primi coloni, era certo di trovare nel Nuovo Mondo oro e argento, proprio come gli spagnoli erano convinti di trovarli nelle Indie Occidentali. E, naturalmente, sapeva che gli avrebbero assegnato un bel lotto di terra da coltivare.» «Chi le ha insegnato tutto questo?» chiese Fonny Boy ammirato. «Ho letto l'articolo di Vigile Verità la mattina prima che mi rapiste. Mi è sempre piaciuta la storia della Virginia.»
Nelle case si stavano accendendo le prime luci e Fonny Boy balzò sul peschereccio di suo padre. Mentre si allontanavano verso il mare aperto, sognò oro e argento. Trascurò di controllare quanta benzina c'era nel serbatoio e di portarsene una tanica o due di riserva, visto che il viaggio durava un'ora e mezzo e così, cinque miglia a ovest di Tangier Island, nella zona protetta R-6609, il motore cominciò a tossire e sputacchiare e, poco dopo, si spense. «Oh, no!» esclamò il dottor Faux cominciando a temere che Dio non avesse ascoltato le sue preghiere, bensì fosse deciso a punirlo ulteriormente per le truffe commesse. «E adesso che cosa facciamo?» Tutti i pescatori tenevano un lanciarazzi a bordo, ma Fonny Boy non poteva utilizzarlo perché non voleva farsi salvare dalla sua gente e affrontare la loro ira e i castighi che senza dubbio gli avrebbero comminato per essere fuggito con il dottore. Inoltre, sapeva che intorno all'isola c'erano diverse aree militari protette, e non era sicuro che sparare un razzo nel bel mezzo di una di queste fosse una buona idea. Se i militari avessero deciso di rispondere al fuoco? «Pensi che la corrente ci spingerà fino a Reedville?» chiese il dottor Faux intirizzito. «No, no» rispose sicuro Fonny Boy. Cominciò a frugare nei vari comparti della barca, spostando cime, un coltello arrugginito, bottiglie d'acqua e repellente per zanzare, che il dentista si sparse su tutto il corpo, nonostante facesse troppo freddo per gli insetti. Sotto il timone c'era un cassetto chiuso con un lucchetto di cui Fonny Boy cercò di ricordare la combinazione. Tutte le cose utili e di valore, compreso il lanciarazzi, dovevano essere chiuse là dentro e, benché non ne fosse certo, Fonny Boy sperava che suo padre ci avesse lasciato anche la radio, invece di portarsela a casa. 20 Cruz Morales sfuggì a vigili e poliziotti tagliando per una serie di strade secondarie e parcheggiando vicino a un cassonetto dietro a Freckles, in una traversa di Patterson Avenue. Rimase un momento lì seduto, al buio, affannato, con le orecchie tese e gli occhi attenti al minimo movimento. Da Freckles, che Cruz pensò fosse un piccolo bar di quartiere, provenivano voci e musica country. Gli venne voglia di una birra. Aveva i nervi a pezzi e più paura di quanta ne avesse mai provata in tutta la sua vita.
Era sicuro che tutti quegli enormi elicotteri che sorvolavano la città stessero cercando lui. Non aveva idea di che cosa poteva aver fatto per tirarseli tutti addosso e si chiedeva che cosa mai contenesse il misterioso pacco che gli avevano nascosto al posto della ruota di scorta. Ma come faceva a saperlo la polizia? Quando quei bianchi dell'autofficina lo avevano portato nel retro e gli avevano dato il pacco in cambio di un altro pacco, Cruz aveva intuito che poteva uscirne qualche guaio, ma non si sarebbe mai immaginato che lo andassero a denunciare alla polizia. Che cosa gliene veniva, a loro? Però allo scambio di pacchi non aveva assistito nessuno e a quanto Cruz ricordava gli elicotteri stavano già sorvolando la città quando lui era entrato nell'autofficina. Che le autorità avessero iniziato a dargli la caccia prima ancora che facesse qualcosa? Com'era possibile? Scese dalla macchina, aprì il bagagliaio e prese il pacco dal suo nascondiglio, che non era un granché, visto che non c'erano né tappetino né ruota di scorta e il primo posto in cui sarebbe andato a guardare un poliziotto insospettito sarebbe stato proprio quello. Stava per gettarlo nel cassonetto quando si aprì la porta di servizio del bar, riempiendo il vicolo di luce e di rumore. Major Trader era ubriaco, e siccome si sentiva molto macho aveva deciso di andare a orinare nel vicolo, nonostante Freckles fosse dotato di toilette più che dignitose. Farla all'aperto era un po' come tornare alle sue radici, visto che pirati e pescatori erano abituati così; sui pescherecci non ci sono bagni. Quando Trader era piccolo, la sua famiglia usava un gabinetto esterno, dove lui non poteva mettere piede se aveva solo bisogno di fare pipì. Barcollando, si apprestò a tirarsi giù la cerniera dei pantaloni, che gli si impigliò nella stoffa, rimanendo incastrata. «Merda!» imprecò Trader, strattonandola. «Che il diavolo ti porti!» Ma, più tirava, peggio era. La cerniera si era bloccata esattamente a metà e lui non riusciva più a farla andare né su né giù e aveva la vescica in procinto di scoppiare. Tenendosi la mano sul cavallo dei pantaloni, cominciò a saltellare sul posto imprecando e cercando di disincastrarla. Cruz fece capolino da dietro il cassonetto, osservando la scena di soppiatto. Non aveva mai visto un simile spettacolo e non capiva una parola di quello che il bizzarro ciccione stava dicendo, né perché saltellasse da un piede all'altro tenendosi le parti intime. Sembrava che stesse cercando di prendere il volo nella stradina buia. Aveva l'affanno e bestemmiava come un pirata, e a furia di saltellare si stava avvicinando proprio al cassonetto dove era nascosto Cruz.
Questi posò il pacco per terra e girò intorno al cassonetto spostandosi sul davanti nel momento stesso in cui lo strano individuo ci girava dietro. A quel punto si mise a correre, saltò in macchina, mise in moto e si allontanò a tutta birra, lasciando Trader a saltellare, in preda a uno stimolo incontrollabile. La lampo si era ormai definitivamente bloccata e a furia di tirare e forzare si stava surriscaldando. Dopo un ultimo, inutile strattone, Trader emise un gemito di sconforto: si sentiva come se gli avessero attaccato una pompa da bicicletta alla vescica e stessero cercando di vedere quanto era in grado di resistere prima di scoppiare e coprirsi di urina e di vergogna. Un pirata non si fa la pipì addosso nemmeno da piccolo. Un conto era farla in giro o contro gli altri, un altro farsela addosso: questo era inammissibile anche nei momenti di maggiore stress, come durante un arrembaggio o mentre si dava fuoco alle palafitte. Esausto e senza fiato per la fatica e la tensione, vide il pacco posato per terra e ci si sedette sopra con le gambe strettamente incrociate. «Corpo di mille balene!» continuava a borbottare. A un certo punto la porta del bar si riaprì, mandandogli un fascio di luce direttamente addosso e facendogli strizzare gli occhi. Finito il turno al casello, Hooter Shook aveva accettato di fare un salto da Freckles per bere qualcosa in compagnia di Thorlo Macovich. Per un po' si era divertita, tanto che aveva incominciato a girarle un po' la testa, ma poi purtroppo avevano avuto un battibecco. «Io non credo nel matrimonio» aveva dichiarato il pilota di elicotteri alla quarta birra. «Non voglio figli a rompermi le scatole tutte le volte che torno a casa dal lavoro. Oltre tutto, sono una spesa non indifferente. A essere sinceri, preferisco comprarmi una Corvette.» «Che cosa?» Hooter aveva reagito in malo modo, perché aveva bevuto e non era nella giusta disposizione d'animo. «Sei come tutti gli altri!» lo accusò posando le lunghissime unghie finte sul tavolo di formica. «Figuriamoci se dopo essermi fatta un mazzo così a lavorare io ho voglia di tornare a casa da un marito che si lustra la sua Corvette bello tranquillo mentre i bambini piangono perché hanno fame e bisogna cambiargli il pannolino. E che magari poi si aspetta anche che io sia carina a letto, dopo che lui ha tracannato birra tutta la sera senza nemmeno chiedermi com'è andata la mia giornata...» «Non ti sembra di correre troppo, bella? È la prima volta che usciamo insieme e pensi già che sarei un pessimo marito? Senti, perché non finisci la birra e ti calmi un po'?»
Hooter batté le unghie finte sul piano del tavolo producendo un rumore che a Macovich ricordò quello dei pattini in una partita di hockey su ghiaccio. «Non riesco a capire perché voi donne vi tenete le unghie così lunghe» le confessò. «Come fate, se dovete raccogliere una moneta o un francobollo?» «Io monete non ne tocco, senza guanti» replicò Hooter indignata. «Sai come la penso a proposito dell'igiene!» Questo preoccupò Macovich non poco: se Hooter era talmente fissata con l'igiene da non toccare i soldi, che tipo di rapporti pensava di avere con lui? Magari si sarebbe presentata a letto con una tuta ermetica da alto rischio biologico. Per non parlare del fatto che con quelle unghie... Per carità! pensò Macovich. Che non si azzardasse a toccarlo nelle parti intime con quelle unghiacce! E non gli aveva detto che usava un profumo che si chiamava Poison? Non avrebbe più dovuto rimorchiare ai caselli. L'ultima volta che era uscito con una donna appena incontrata, si era trovato in una situazione più o meno uguale. Letitia Sweet lavorava al distributore della Shell vicino alla sede della polizia e un pomeriggio che Macovich era andato a far benzina era entrato a prendersi un caffè e un sacchetto di popcorn. Letitia aveva la stazza di una vecchia Cadillac, e probabilmente anche lo stesso chilometraggio e la stessa carrozzeria rifatta, ma Macovich aveva bisogno di tirarsi su, dopo la tragica partita a biliardo con la figlia del governatore. "Allora?" le aveva chiesto pagando con un biglietto da venti dollari per impressionarla. "Allora cosa?" aveva ammiccato lei chinandosi in maniera da fargli vedere tutti gli optional. Bisognava ammetterlo: era ben conservata e viaggiava alla grande. Nonostante ciò, la loro prima volta era stata anche l'ultima. "Ma per chi mi hai preso!" gli aveva gridato in automobile. "Guarda che così mi fai male! Non mi puoi mica sbattere e strizzare come uno straccio da pavimenti! Come ti sentiresti, se lo facessi io a te?" Gli aveva dato una piccola dimostrazione, che Macovich non aveva affatto gradito. Ma perché adesso ci era ricascato con Hooter? Perso nelle proprie riflessioni e recriminazioni, decise di non protestare quando Hooter gli comunicò di aver bisogno di una boccata d'aria e di non avere più intenzione di rivolgergli la parola, salvo forse se si fosse presentato a pagare il pedaggio al suo casello. Era furibonda, perché ancora una volta le era
andata male e si ritrovava lontanissima da casa e senza nessuno che le desse un passaggio. Autocompiangendosi per la propria malasorte, uscì nel vicolo e si ritrovò davanti un bianco seduto su un pacco vicino a un cassonetto. Per un attimo dimenticò le proprie magagne. «Mi sembri in difficoltà, amico» disse allo sconosciuto avvicinandoglisi con passo stentato a causa dell'alcol e dei tacchi alti. «Che cosa fai qui solo al freddo? Non ti senti bene? Vuoi che chiami un'ambulanza?» «Mi si è incastrata la cerniera dei pantaloni» le rispose Trader tirando indietro la pancia e cercando invano di smuoverla. «Dannazione!» «Capita, a volte» cercò di consolarlo Hooter, squadrandolo per assicurarsi che non fosse un maniaco. «Quando è dietro, è peggio.» Fece il gesto di tirarsi su la zip di un vestito lungo, da sera, allacciato sulla schiena. «Mi è successo una volta, a una festa dell'ultimo dell'anno all'Holiday Inn. Non riuscivo più a tirarla su e a forzare avevo paura che mi si strappasse lo chiffon.» Gli spiegò che alla fine aveva trovato in un corridoio un signore arabo molto gentile che le aveva abbassato la cerniera in maniera che lei potesse di nuovo tirarla su senza farla impigliare nella stoffa. Solo che poi non gliela lasciava più tirar su e anzi insisteva per toglierle del tutto il vestito, tanto che lei alla fine non aveva potuto fare altro che mollargli un ceffone. Si accese una sigaretta, ripensando alla scena, mentre Trader continuava a tenersi una mano sul cavallo implorando la cerniera di lasciarlo libero. «Ti prego, non resisto. Anch'io, anch'io... Ah, non ce la faccio più...» Sembrava in lacrime. «Non c'è problema. Basta chiedere» lo fraintese Hooter accendendo una sigaretta anche per lui. «Anzi, ti lascio tutto il pacchetto. Soldi non ne voglio perché preferisco non toccarli. E, comunque, se uno ti chiede una sigaretta gliela fai pagare? A proposito, su cos'è che sei seduto?» Trader si ricordò solo in quel momento del pacco vicino al cassonetto. Lo prese con la mano libera e, dopo aver gettato la sigaretta per terra, cominciò a strappare la carta. «Armi» dichiarò, prendendo in considerazione l'ipotesi di spararsi nella cerniera lampo per tentare di sbloccarla. Avrebbe dovuto fare molta attenzione a non sbagliare la mira, però. «Oh, signore!» esclamò Hooter. «E perché te ne stai sopra delle armi? È pericolosissimo, te ne rendi conto? E perché le hai messe in un sacchetto dell'UPS?» Trader tirò fuori dal pacchetto una nove millimetri e controllò il caricatore, nonostante avesse poca dimestichezza con le armi, a parte i lanciaraz-
zi luminosi. Trafficò con il carrello e decise che doveva esserci un colpo in canna. A quel punto divaricò le ginocchia, prese attentamente la mira e sparò. «Per tutti i diavoli!» esclamò nel vedere che il proiettile rimbalzava sulla cerniera e finiva contro il cassonetto producendo un gran rumore. «Ma sei matto?» gridò Hooter arretrando così veloce da rischiare di finire con il sedere per terra. «Perché ti spari nelle palle?» Trader puntò il mirino sulla cerniera e premette di nuovo il grilletto, arrabbiandosi quando il proiettile rimbalzò contro un lampione rompendo la lampadina. Quella dannata zip era indistruttibile, pensava, stringendo i denti e continuando a sparare. Hooter corse via strillando e agitando le braccia per cercare di richiamare l'attenzione degli elicotteri sopra di lei. «Aiuto! Aiuto!» gridava in direzione dei Black Hawk. «Scendete subito! Fermate questo pazzo! Si sta sparando nelle parti intime! Finora ha sbagliato mira, ma prima o poi colpirà qualcosa! Aiuto! Aiuto!» Andy stava parcheggiando davanti alla casa di Judy Hammer quando sentì la chiamata via radio. «Sparatoria all'angolo di Patterson Avenue, all'altezza del civico 500. Chiunque si trovi nella zona è pregato di accorrere al più presto. Sono stati sentiti diversi colpi di arma da fuoco nel vicolo.» Judy Hammer, sul portone di casa, si domandava come mai Andy non scendesse dall'auto. Dopo un po', gli si avvicinò. «Che cosa fai?» gli chiese, mentre Andy tirava giù il finestrino. «C'è stata una sparatoria, ma sul posto non è ancora intervenuto nessuno» le rispose agitato. «Immagino che siano tutti impegnati in altre sparatorie e nella caccia all'ispanico.» «Andiamo noi» propose lei senza esitazione, salendo in auto. Accesero luci e sirena e partirono, mentre la radio continuava a esortare chiunque si trovasse nei paraggi a recarsi in Patterson Avenue. «Tre-trenta» comunicò Andy alla centrale, usando il numero di identificazione che gli era stato assegnato ai tempi in cui lavorava ancora per la polizia metropolitana. «Tre-trenta» rispose l'operatrice un po' confusa, perché si ricordava di Andy e sapeva che non lavorava più per loro. «Sto intervenendo in Patterson Avenue» disse Andy. «Dieci-quattro, ex unità tre-trenta.» «Sapete a che punto del vicolo?» chiese Andy al microfono.
«Dieci-dieci, tre-trenta» fu la risposta, che era come dire: "Negativo, agente Brazil, o chiunque tu sia che ti fai passare per l'agente Brazil". L'operatrice Betty Frekley si voltò verso gli altri operatori del 911 seduti alle sue spalle e assunse un'aria perplessa. «Credevo che se ne fosse andato, che fosse passato alla polizia di Stato. Che cos'è tornato a fare?» domandò. Tutti i suoi colleghi erano superimpegnati in quella che si stava rivelando una notte di tregenda. Un ubriaco era caduto in giardino portando a spasso il cane, una donna di colore giaceva in mezzo alla strada davanti a un negozio di alimentari, un bambino aveva mangiato l'imbottitura di un orsetto della Beanie Baby Millennium Y2K e c'erano stati parecchi incidenti stradali. Inoltre, la maggior parte degli agenti di turno stava dando la caccia a un ragazzo di origini ispaniche che viaggiava a bordo di una Pontiac Grand Prix targata New York. La cosa che più preoccupava Judy Hammer, tuttavia, era il ragazzo con un sacchetto sulla testa che stava rapinando il Popeye's Chicken & Biscuits di Chamberlayne Avenue. «Mi chiedo se è lo stesso che l'anno scorso ha tentato di rapinare il casello autostradale» disse Judy Hammer. «Come si chiamava? Si era anche fatto male, perché i buchi nel sacchetto erano dalla parte sbagliata e non vedeva niente.» «Il suo nome di battaglia è Stick» rispose Andy. «Ha la fedina penale più sporca di un letamaio e una serie di rapine alle spalle. Tutte con il sacchetto sulla testa.» «Possibile che non si renda conto che il suo modus operandi è ovvio, oltre che poco efficiente?» disse Judy Hammer, che non riusciva a capacitarsi di quanto potevano essere stupidi certi criminali. «Ha rapinato il Popeye's di Broad Street un paio di mesi fa» le ricordò Andy passando con il semaforo giallo in Cary Street. «È entrato con l'immancabile sacchetto sulla testa, è inciampato nei cordoni che delimitano le code, si è fatto consegnare un maximenu a base di pollo, ha sbattuto contro la porta a vetri e si è rotto il naso. E dal sangue siamo riusciti a risalire al suo DNA.» «È armato?» «Il problema è proprio quello. Non ha armi, ma si presenta qua e là con un sacchetto sulla testa e chiede della roba. Anche quando lo prendiamo, non riusciamo a tenerlo dentro più di tanto. Si difende sostenendo che lui si limita a chiedere e la gente tende ad accontentarlo senza protestare, per cui non ci sono gli estremi di reato. Peraltro, la legge della Virginia non
proibisce di andare in giro con un sacchetto sulla testa. Pensa che non è mai stato rinviato a giudizio...» «A tutti gli agenti» comunicò un operatore dalla centrale. «Incidente nel parcheggio di Popeye's in Chamberlayne Avenue. Si tratta di un individuo di sesso maschile con un sacchetto sulla testa. L'ambulanza è già stata chiamata.» «Dev'essere inciampato un'altra volta» commentò Andy. Non era l'unico, quella notte. Quando Barbie Fogg scese dalla sua macchina inciampò nella Barbie di una delle gemelle che, come al solito, lasciavano i loro giocattoli in giro. «Per l'amor del cielo!» esclamò rialzandosi e controllando di non essersi sbucciata le ginocchia. Barbie, che credeva nei segni del destino, pensò che quella caduta doveva farla riflettere sul fatto che forse aveva messo un piede in fallo anche metaforicamente, non vedendo qualcosa di importante. "Ma certo!" pensò poi, ricordando che cosa le era successo andando alla casa di riposo dove si recava con regolarità a trovare sconosciute vecchiette inferme e smemorate. Si convinse che il destino, dopo averla scelta per prendersi cura degli altri, finalmente fosse pronto a ricompensarla: doveva essere per questo che Hooter le aveva fatto un dono speciale. Alcuni minuti dopo le sue vicine, le sorelle Clot, la videro applicare un adesivo con l'arcobaleno sulla monovolume di famiglia. Uva Clot, che sbirciava dalla finestra della cucina, rimase scioccata. «Vieni a vedere!» gridò alla sorella Ima, anch'essa zitella, che guardava la TV nel salotto a volume altissimo. «Che Dio abbia misericordia di lei, è ubriaca da non stare in piedi e sta appiccicando quell'adesivo sulla macchina su cui porta in giro le figlie! Che cosa ne sarà di loro, povere piccine, quando il mondo vedrà? Devo dire che qualche dubbio sul conto di quella donna l'ho sempre avuto. Ti ricordi che te lo dicevo, Ima? Vieni a vedere, dai!» Ima arrivò, camminando con il girello, sbirciò da dietro le tende e si irrigidì. Non vedeva bene che cosa stesse facendo la sua vicina, ma le sembrava che girasse intorno alla macchina pigliando a calci una bambola e lisciasse un finestrino per poi ammirarlo compiaciuta. Ci aveva messo sopra qualcosa? Ima non riusciva a scorgere cosa. «Ma che cosa fa?» chiese a sua sorella. «Non hai visto che cosa ha appiccicato sulla macchina, Ima? Un adesivo
dell'arcobaleno! Ti ricordi quante bandierine, quando vivevamo nel quartiere francese?» Ima, sbigottita, trasalì, rischiando di perdere l'equilibrio e di cadere per terra. Si aggrappò alle tende, facendole rovinare sul pavimento. Barbie Fogg, sentendo il rumore, alzò lo sguardo verso le sorelle Clot che la sbirciavano dalla finestra della cucina e fece loro un cenno di saluto. «Lennie» disse Barbie mentre entrava in cucina, dove il marito stava frugando nel frigo. «Non indovinerai mai che cosa mi è successo oggi.» «Hai ragione» rispose Lennie scorbutico, aprendo una bottiglia di Budweiser. «Anche perché non ho nessuna voglia di provarci.» «Era un modo di dire» spiegò lei. «Com'è che arrivi solo a quest'ora? Ti aspettavo molto prima.» «C'era traffico e sono andata a trovare le vecchine della casa di riposo» rispose. «Oh, Lennie, ho trovato un'amica e adesso ho un arcobaleno sulla macchina!» «Sei scampata a un temporale e hai trovato una pignatta piena d'oro?» la schernì Lennie fra una sorsata di birra e l'altra, pulendosi la bocca con il dorso della mano. «Le bambine sono già a letto?» chiese Barbie guardando nel frigo e decidendo di festeggiare l'arcobaleno con una vodka lemon. «Non sarebbe meraviglioso trovare una pignatta piena d'oro?» «Altroché. Senti, volevo dirti che un mio cliente ha dei biglietti gratis per la corsa di sabato sera, ma, come tu ben sai, io devo essere a Charlotte per quella riunione di agenti immobiliari. Li vuoi tu o li do a qualcun altro?» «Chiamo una baby-sitter e ci vado con un'amica» rispose Barbie, senza specificare che non si sarebbe persa una corsa per tutto l'oro del mondo e che era felice di poterci andare senza il marito. Era segretamente innamorata del pilota Ricky Rudd, che aveva splendidi capelli biondi e una pelle straordinaria. Quando vedeva una sua fotografia con la stella della Texaco sulla tuta colorata o guardava la sua Monte Carlo rossa numero ventotto correre rombando per lo schermo televisivo, le venivano i brividi e non riusciva a trattenersi dallo scrivergli. Erano anni che gli mandava lettere: quando lui viveva nel North Carolina gli scriveva una volta alla settimana e dopo che era tornato nel suo paese natale, la Virginia, aveva anche cercato di contattarlo per telefono. Non le aveva mai risposto, naturalmente, ma Barbie era convinta che non lo facesse perché lei si firmava con uno pseudonimo e non metteva l'indirizzo del mittente.
Oltre che per Ricky Rudd, Barbie nutriva una passione anche per Bo Mann, che aveva notato al 200 Chevrolet Monte Carlo 500 dell'anno precedente a bordo della pace car. Aveva fatto di tutto per farsi fotografare ai box insieme a Bo ed era stata abbastanza scaltra da farsi dare il suo indirizzo. "Così ti mando la foto. Se ti allego una busta preaffrancata, me l'autografi e me la rimandi?" gli aveva chiesto mentre posavano insieme davanti alla sua macchina dopo la corsa. "Vuoi che ti autografi la busta o la foto?" le aveva domandato Bo, e Barbie si era sdilinquita di fronte a tanto senso dell'umorismo. «Ho sentito che stasera al fiume è bruciato vivo uno» diceva Lennie. «Vuol dire che c'è di nuovo qualche pazzo in giro. Di', andiamo a letto a fare l'amore?» Barbie sentì che la vodka lemon aveva cominciato a fare effetto. «Oh, caro, non me la sento proprio, stasera. Ho la testa piena di arcobaleni e ho solo voglia di stare un po' tranquilla, se a te non dispiace.» A Lennie dispiaceva. Frustrato, finì la birra e se ne prese un'altra. Mentre la stappava, osservò il fisico ben tenuto della moglie. Quella donna passava un sacco di tempo a mantenersi in forma, ma poi non lasciava che lui le togliesse i vestiti e si godesse il frutto di tante fatiche. Non aveva senso. A che cosa servono tanti sforzi se poi non si vuole fare sesso? «Passo a vedere se le bambine dormono e poi vado a letto» annunciò Barbie. «Oh, quella vodka lemon mi ha dato alla testa!» «Ci avrei giurato!» borbottò lui, che stava riflettendo su quanto poco si lamentava per tutti i soldi che sua moglie spendeva in chirurgia plastica, iniezioni e trattamenti vari. Andava da quel benedetto dottore una volta al mese, fra una cosa e l'altra. E lui zitto. Le comprava persino i fiori, anche senza che ci fosse un'occasione particolare, e non protestava mai quando lei usciva e lui restava a casa con Mandie e Missie, le due gemelle, che avevano quasi cinque anni. L'unica cosa che chiedeva è che si lasciasse toccare e che facesse finta che le piacesse, anche se non gliene importava niente. Le versò un'altra vodka lemon e si prese un'altra birra. Farla bere un tempo serviva, invece adesso dopo un paio di bicchieri Barbie diventava ancor più lontana e si addormentava subito. «Non ne posso più di questa vita!» esclamò. «Mi faccio un culo così a vendere case, sto dietro alle bambine mentre tu vai a trovare gli infermi e le tue amiche, e quando torni a casa sei troppo stanca per stare con me?
Non è che sei stanca di me, forse?» «Una donna necessita dei propri spazi» decretò Barbie. «Voi uomini non capite che abbiamo bisogno di vedere le amiche, di parlare con loro. Quanti biglietti ti ha dato il tuo cliente?» «Forse ho bisogno di un'amica anch'io» replicò lui con tono aspro. A quel punto, Barbie scoppiò in lacrime. Non sopportava il caratteraccio del marito, i suoi modi sgarbati e le sue sfuriate. «Non so che cosa fare, Lennie» mormorò fra i singhiozzi. «Mi dispiace. È così difficile farti contento, tesoro... Ma da quando ho compiuto quarant'anni, mi è passata la voglia, sai? Mi è proprio passata. Tu non c'entri. Sono sicura che tu non c'entri. Forse dovrei parlarne con qualcuno.» «Oh, no!» Lennie alzò gli occhi al cielo. «Adesso mi toccherà tirare fuori i soldi anche per uno strizzacervelli? Ma perché, poi? Nelle tue attività di volontariato, non ascolti i problemi psicologici degli altri? Non puoi risolverti anche i tuoi, già che ci sei?» Barbie si mise a piangere ancora più disperata e lui ci rimase male. L'abbracciò e la implorò di tirarsi un po' su. «Se pensi di doverne parlare con qualcuno, amore mio, fallo» la rassicurò con dolcezza. «Senti, ho due biglietti e se vuoi ne posso chiedere degli altri a quel dirigente della General Motors che ha comprato la villa sul fiume...» Andy e Judy svoltarono nel vicolo dietro Freckles e si accorsero che i lampioni erano spenti. Trader, in condizioni pietose, era seduto su un pacco davanti a un cassonetto traboccante di rifiuti maleodoranti. Aveva finito le munizioni, ma continuava a combattere con la cerniera lampo, sull'orlo di una crisi isterica. «Per l'amor del cielo!» disse Judy Hammer rivolgendosi al funzionario pubblico che meno stimava al mondo. «Che cosa fa lì seduto, con un'arma da fuoco in mano? Come ha fatto a ridursi in quello stato?» «Si è bloccata la cerniera!» esplose furioso Trader. Judy Hammer si chinò a controllare. Nel frattempo, Andy aveva notato una donna che si nascondeva nell'ombra a distanza di sicurezza. «Si è impigliata nelle mutande» spiegò Judy. «Come ha fatto ad ammaccarla così?» «Le ho sparato! Non ce la facevo più dalla voglia di pisciare!» «Si calmi un attimo» gli ordinò la Hammer. «Vediamo che cosa possiamo fare.»
Prese fra le dita la cerniera lampo facendo attenzione a non toccare nient'altro e nel giro di pochi secondi liberò la zip dalle mutande di Trader, abbassandogliela completamente. Trader corse dietro al cassonetto e si liberò la vescica con uno scroscio degno di un cavallo. «Gesù!» esclamò Andy disgustato. Controllò il pacco per terra e scosse la testa nel contare cinque pistole e diverse scatole di munizioni. «È invischiato in ogni genere di losco traffico» commentò. «Che vergogna!» esclamò Judy. «Scusi!» disse Andy rivolgendosi alla donna nascosta, di cui vedeva solo una massa di treccine e stivaletti dal tacco vertiginoso. «Può avvicinarsi, per favore?» Hooter avanzò traballante, nervosa e timorosa di passare dei guai, anche se non ne sapeva bene la ragione. «Ah, vi ho riconosciuto!» disse sorpresa. «Lei è la poliziotta, vero? Era il capo, ma adesso non lo è più, o sbaglio? E lei è il bel vigile che mi ha aiutato quando sono stata aggredita al casello autostradale da quel tipo con il sacchetto sulla testa!» «Che cosa è successo? Ha visto qualcosa?» le chiese Andy accennando a Trader che continuava a urinare dietro il cassonetto. «Sono uscita dal bar e l'ho visto saltellare per il vicolo. Poi si è seduto su quel pacco. Signore, quante pistole! Non capisco perché si è seduto su un mucchio di pistole davanti a un cassonetto. Gliel'ho detto che era pericoloso, ma quello si teneva una mano sulla patta dei pantaloni e non si spostava. A un certo punto si è messo a sparare come un ossesso e io sono scappata più in là e ho cercato aiuto. Basta, non so altro.» «Che cosa era venuta a fare nel vicolo?» le domandò Andy. «Volevo prendere una boccata d'aria» rispose Hooter. «Se aveva bisogno di prendere una boccata d'aria, doveva essere in qualche posto dove l'aria le mancava. Dove si trovava prima di venire qui?» continuò Andy. «Ero andata a bere qualcosa» rispose Hooter guardando Freckles. «C'era un sacco di fumo, là dentro. Tantopiù che ero con un pilota di elicotteri che si accende una sigaretta dietro l'altra.» A Andy venne subito in mente Macovich. Come anche a Judy Hammer. «Controlla se c'è ancora» disse Judy a Andy. Andy corse all'ingresso principale e appena entrò si sentì addosso lo sguardo assente di decine di persone. Macovich era seduto in un séparé da
solo, ubriaco, con una sigaretta fra le labbra. Andy andò a sederglisi vicino. «Abbiamo appena pescato Major Trader nel vicolo qui dietro» gli disse. «Non hai sentito gli spari?» «Credevo fosse una marmitta difettosa» biascicò Macovich in una nuvola di fumo. «E, comunque, sono fuori servizio» aggiunse truce. «So che Trader era da queste parti, però. Perché è stato seduto al bar un sacco di tempo a bere birra, tutto solo. Non gli ho parlato. Non ho attirato l'attenzione.» «L'hai visto parlare con qualcuno o telefonare? Non hai notato se aspettava gente? Se qualcuno gli ha consegnato delle armi?» «Che cosa? Certo che di questi tempi ne capitano di tutti i colori, eh?» borbottò Macovich giocherellando con la bottiglia di birra. «Non mi è particolarmente simpatico, quel Trader, ma non mi è sembrato che facesse niente di male.» «Allora non possiamo provare che quelle armi siano sue» concluse Andy deluso. «Per il momento, almeno. E poi non è di nostra competenza accertarlo. Tocca al Dipartimento di polizia di Richmond indagare, sempre che ritengano sia il caso di aprire un'inchiesta. Eri qui con Hooter?» «Sì, purtroppo. Quella donna non regge l'alcol. Diventa subito cattiva. Mi sta bene, così imparo a rimorchiare ai caselli autostradali.» Macovich faceva il superiore, come se non gli importasse più di tanto di Hooter. Non era un problema, se avevano bisticciato e lei lo aveva piantato lì in asso: poteva trovarsi tutte le donne che voleva. Non intendeva farsi il sangue cattivo dietro a una casellante, capoarea o meno. «Mi conviene riaccompagnarla a casa» borbottò. «È senza macchina.» «Penso che sia meglio se vi chiamo un taxi» replicò Andy. «Anche se prima dovrà parlare con la polizia.» Fuori, nel vicolo, Judy Hammer stava proprio parlandone con Hooter. «È stata lei a chiamare la polizia?» le domandò. «Qualcuno deve averlo fatto.» «Ho gridato per richiamare l'attenzione degli elicotteri» rispose Hooter guardando i Black Hawk che solcavano il cielo. «Immagino che abbiano fatto una segnalazione via radio.» «Non credo proprio che da lassù l'abbiano sentita» le fece notare Judy, mentre il lago dietro al cassonetto continuava ad allargarsi. «Be', io so solo che agitavo le braccia e gridavo. Penso che sia stato un elicottero a chiamare la polizia, perché io non ho chiamato proprio nessu-
no. Scusi, ha mai sentito una pipì come questa?» chiese guardando verso il cassonetto. «Strano tipo. Dovreste indagare: scommetto che ha fatto qualcosa che non va. Magari è omosensuale, perché si sparava nelle palle come se odiasse la sua virilità. Questo significa che probabilmente ha l'AIDS e un sacco di denaro sporco nelle tasche. Se posso darle un consiglio, non lo tocchi senza prima mettersi i guanti. Se vuole, glieli presto io. Ne tengo sempre un paio nella borsa» propose a Judy. «Dovreste sbatterlo dentro» aggiunse poi, mentre Andy sbucava dalla porta di servizio del bar. «Trader era qui a bere birra» disse Andy a Judy Hammer. «Lo ha visto Macovich. Anche lei l'ha visto?» chiese poi a Hooter. «No» rispose Hooter. «C'era troppo fumo. Non ho visto niente.» «Chiamerò il Dipartimento per vedere che cosa intendono fare» comunicò Andy alla Hammer. «Non credo che tocchi a noi occuparci del caso. Poi le chiamo un taxi» disse rivolto a Hooter. «Guardi che non sono mica ubriaca!» replicò lei indignata. «Non ho detto che è ubriaca, signorina. Le chiamo un taxi perché non ha la macchina.» «Ce l'ha lui, però. Per questo sono qui.» Fece un cenno in direzione di Freckles, immusonita. Era chiaro che si riferiva a Macovich. «Non è in condizione di guidare» spiegò Andy. «Ha bevuto troppo ed è di cattivo umore. Ho l'impressione che si sia offeso per qualcosa.» «Davvero?» Hooter sembrava tutt'a un tratto interessata. «Non credo, sa? È troppo insensibile.» «Non è vero» ribatté Andy. «Talvolta gli uomini grandi e grossi sono i più sensibili. È solo che si tengono tutto dentro. Potrebbe guidare lei la sua macchina e portarlo a casa.» «Sì, e poi cosa faccio?» esclamò Hooter. «Non voglio passare la notte con uno che abita ancora con la mamma.» Cruz Morales avrebbe dato qualsiasi cosa per essere a casa con la mamma, invece di girare per Richmond di notte. Alle tre del mattino si guardò intorno furtivo, si chiuse in una cabina telefonica e tirò fuori il fazzoletto di carta che gli aveva dato la signora al casello. Gli era sembrata una brava persona e lui aveva bisogno di aiuto. Non sarebbe mai riuscito a uscire dalla città sulla Pontiac targata New York, con tutti quei poliziotti ed elicotteri in giro. A quel punto, almeno, aveva capito il motivo di tanto spiegamento di forze. Quando era corso via dal vicolo in cui il pazzoide saltellava intorno al
cassonetto, aveva sentito alla radio che un uomo era arso vivo in riva al fiume e si sospettava che a ucciderlo fosse stato un ispanico di New York, ritenuto responsabile di una serie di omicidi a sfondo razziale che venivano fatti risalire addirittura ai tempi dei primi insediamenti a Jamestown, in particolare alla tragica morte per dissanguamento di un giovane, il cui assassino non era mai stato scoperto perché il capo della polizia, una donna, non faceva bene il suo lavoro. O almeno questo riteneva il governatore. Cruz aveva capito poco o niente di quella storia, ma sapeva di essere ispanico e di aver saltato un posto di blocco, quindi temeva di dover pagare per una serie di delitti di cui non aveva nessuna colpa. Così si era fermato davanti a un Seven-Eleven per telefonare. Guardò il fazzolettino di carta e notò che c'erano scritti due numeri, uno da una parte e uno dall'altra. Avrebbe giurato che la signora al casello ne aveva scritto uno soltanto e non sapeva che cosa ci stesse a fare l'altro. Qual era quello giusto? Infilò una monetina e compose il primo. Al terzo squillo rispose una voce di uomo. «Pronto?» «Volevo parlare con la señora del casello» disse Cruz, supponendo che a rispondere fosse stato il marito. «Chi parla?» «No puedo dir. Ho bisogno di parlare con la señora. Mi ha dato lei el numero.» Andy era al computer e stava finendo il nuovo articolo di Vigile Verità. Intuì che la signora in questione doveva essere Hooter: ma perché mai la cercavano a casa sua? «In questo momento non c'è» rispose, che non era propriamente la verità, ma nemmeno una bugia. Hooter aveva portato a casa Macovich e non si sapeva che cosa fosse successo dopo. Andy aveva chiamato il Dipartimento di polizia di Richmond, che era intervenuto e aveva sequestrato le armi, senza però arrestare Trader a causa della scarsità di prove a suo carico e del ruolo importante che ricopriva. "Se però accerteremo che quelle armi le appartengono" lo aveva minacciato un poliziotto "lei verrà perseguito come qualsiasi altro cittadino. Non mi interessa se lei lavora per il governatore. Pertanto le consiglio di tornare a casa e di non lasciare la città o fare altri gesti sconsiderati." "Non ne ho nessuna intenzione" aveva mentito Trader, che nel frattempo aveva superato lo choc e aveva ripreso a parlare normalmente. "Domattina
sarò al fianco del governatore come al solito." "Prima le conviene chiedergli se lui lo desidera" gli aveva consigliato Andy. "Mi risulta che non è molto contento di lei." "Sciocchezze" aveva ribattuto Trader. "Siamo sempre andati molto d'accordo. Anzi, ritengo che il governatore mi consideri il suo migliore amico." "Non credo che continuerà a farlo, se le analisi del sangue di Regina daranno certi risultati" aveva replicato Andy. "Ho sentito alla radio che è stata portata in ospedale in seguito a un violentissimo attacco enterico che entrambi sappiamo essere stato provocato almeno in parte dai biscotti che lei è stato visto lasciare nella cucina del governatore. Alcuni testimoni l'hanno sentita dichiarare che erano per il governatore soltanto, ma Regina li ha presi e se li è mangiati di nascosto." "Nessuno è mai stato male per i biscotti fatti da mia moglie" aveva dichiarato Trader. «Quando torna la señora?» domandò il ragazzo con un forte accento spagnolo a Andy. «Non lo so. Posso fare qualcosa io per lei?» gli chiese, cercando di far parlare quell'ignoto interlocutore tanto evasivo. «Io sono spaventato, entiende? Dicono che un ispanico ha ucciso l'hombre al fiume. Io non ho ucciso nessuno, ma la polizia me cerca.» Cruz aveva deciso di lasciarsi andare. Dalla cabina telefonica vide una Land Cruiser nera che si fermava davanti al distributore di benzina. «Perché pensa che la polizia stia cercando lei?» chiese l'uomo al telefono. «Perché me ferma al casello e me insegue senza ragione. Io mi sono nascosto. Ho paura! La señora del casello mi ha dato el su numero e mi ha detto di chiamare se avevo bisogno.» Come mai Hooter aveva dato il numero di telefono di Andy a un ricercato? Andy era perplesso. Poi gli venne in mente la tentata rapina al casello da parte del ladro con il sacchetto sulla testa. «Forse, dovremmo vederci e parlarne meglio» suggerì, cliccando su una parola dell'articolo che voleva cambiare. «Se lei è innocente, fuggire le servirà solo a peggiorare la sua situazione. Perché non ci vediamo in un posto sicuro e ne parliamo? Ho molte conoscenze e forse posso aiutarla.» Cruz era tentato di dire di sì e probabilmente avrebbe accettato la proposta dello sconosciuto al telefono, se davanti ai suoi occhi non si fosse svolta una scena assolutamente inaspettata e spaventosa. Vide una donna bian-
ca entrare nel Seven-Eleven e chiedere qualcosa a una commessa. Poi vide entrare un ragazzo bianco con i capelli da rasta e l'andatura barcollante di un drogato, che tirava fuori dalla giacca una pistola e la puntava sulla commessa, che non essendo alla cassa non poteva dare l'allarme. Cruz non sentiva che cosa diceva il ragazzo con i capelli da rasta, ma vedeva che aveva la faccia cattiva e i modi violenti e che la commessa con la divisa arancione era terrorizzata e piangeva. Il ragazzo andava alla cassa e prendeva tutti i soldi, poi la ragazza bianca con i capelli neri gli pigliava la pistola, la puntava alla testa della commessa e faceva fuoco più volte. Gli spari fecero tremare la cabina del telefono e Cruz gridò. «Che cosa è successo?» chiese Andy, sorpreso da quel rumore improvviso. «Ahhh! Il ragazzo con i capelli da rasta! Ahhh! Hanno sparato alla commessa!» urlò il ragazzo con l'accento spagnolo. Poi riattaccò. "Smoke!" pensò subito Andy, ricordando la descrizione che ne aveva fatto Pinn, la guardia carceraria, dopo che lui era evaso. Rintracciò la chiamata appena ricevuta e scoprì che era stata fatta da un Seven-Eleven vicino a Hull Street, sulla sponda meridionale del fiume. Chiamò il 911. Nel frattempo, Cruz saltò in macchina e fuggì. Terrorizzato, un minuto dopo si rese conto che la Land Cruiser nera era dietro di lui. Avendo imparato a guidare a New York, svoltò subito in un vicolo e percorse una serie di strade secondarie, per ritrovarsi poi in Three Chopt Road, nel parcheggio di quella che gli sembrava una enorme villa con i campi da tennis. BREVE STORIA DELLE CERNIERE di Vigile Verità Per chi non vi avesse mai riflettuto, la cerniera, altrimenti detta lampo o zip, è un semplice dispositivo di chiusura per vestiti, pantaloni e borse. Vi sono molti tipi di lampo, ma quella che ci interessa consiste in due strisce di stoffa, munite ciascuna di una fila di dentini in plastica o metallo che, azionando un cursore, si incastrano divenendo simili a un binario ferroviario. Questo si apre quando il cursore viene abbassato, a meno che non resti impigliato da qualche parte o non si blocchi, come è successo al malefico e mendace Major Trader ieri sera. La prima chiusura lampo che le cronache ricordino risale al 1893, quando Whitcomb L. Judson espose alla World's Fair di Chicago un rudimentale insieme di ganci e occhielli. Qualche anno dopo, Gideon Sundback, elet-
tricista di origine svedese, perfezionò il dispositivo introducendo fermagli a molla al posto di ganci e occhielli e lo brevettò nel 1913. Ma la chiusura lampo iniziò a chiamarsi zip soltanto nel 1923, quando adottò il nome inventato da B.F. Goodrich, che la utilizzò per le sue soprascarpe. Non è neppure il caso di dire che se trovassimo una zip in una presunta tomba coloniale dovremmo concludere senza ombra di dubbio che i resti umani in essa contenuti sono posteriori al 1913. Supponiamo che io abbia appena scoperto nel sito archeologico di Jamestown uno scheletro con una zip nella zona pelvica. In questo caso andrei subito ad avvertire il responsabile degli scavi, il dottor Bill Kelso, archeologo nonché esperto di manufatti di epoca coloniale. "Dottor Kelso" gli direi "vede questa macchia verdognola a forma di cerniera lampo? Secondo me indica la degenerazione nel tempo di una zip di ottone." L'illustre archeologo, probabilmente, sarebbe d'accordo con me e mi spiegherebbe che le spille di ottone e di rame erose nel corso degli anni lasciano in effetti macchie verdognole di forma caratteristica e ben diversa da quella lasciata da una chiusura lampo. Aggiungerebbe che in epoca medievale le spille erano soprattutto di ferro con una testa di peltro, occasionalmente incastonata di pietre semipreziose o perle di vetro. La maggior parte delle spille ritrovate negli scavi archeologici, tuttavia, sono in filo di ottone, con una testa conica consistente in due o tre giri di filo appiattiti a martellate. Le spille continuarono a essere fatte in questo modo fino al 1824, quando Lemuel W. Wright brevettò un procedimento per la fabbricazione di spille in un unico pezzo. Se trovassi uno spillone di dieci centimetri, mi verrebbe il dubbio che fosse un fermaglio per capelli e che i resti in cui mi sono imbattuto appartenessero a una donna. Se trovassi una spilla da balia, invece, sarei certo che la sepoltura è successiva al 1857. A seconda del tipo di spilla, potrei dedurre che il corpo era avvolto in un sudario. Nel caso rinvenissi un fermaglio di ottone da mantello, penserei a una tomba del diciassettesimo secolo. Quanto agli spilli, il dottor Kelso quasi certamente mi direbbe che è rarissimo trovarne, perché arrugginiscono, a meno che non siano d'osso, nel qual caso dovremmo concludere che lo scheletro è appartenuto a un tessitore di tappeti. "E se trovassi un ditale?" potrei chiedere al dottor Kelso togliendo con cura la terra dalla macchia di ottone a forma di cerniera lampo. "Dipende dal tipo" mi risponderebbe.
Nel sedicesimo secolo e all'inizio del diciassettesimo erano generalmente tozzi e pesanti, di rado decorati. Se si trattasse di un ditale molto alto, quasi di sicuro daterei la tomba intorno al diciassettesimo secolo, e se fosse perforato dedurrei che era stato dato agli indiani delle pianure in cambio di qualche altro oggetto e quindi appeso a una strisciolina di pelle, con funzioni decorative. I pellirosse erano molto attenti all'estetica e amavano adornarsi di perline, frammenti di rame, arnesi da cucina, teste e parti del corpo di bambole di legno. Ai tempi delle prime colonie, la maggior parte delle bambole erano di argilla. I ragazzini amavano le armi giocattolo e i cannoni, ricavati da stampi in peltro o in ottone. Siccome sono a canna cava, si deduce che i bambini potevano usarli per sparare contro Fort James, se così gli andava, e che se un pellerossa se ne impossessava e lo appendeva a una strisciolina di pelle, poteva spararsi accidentalmente in un piede se non peggio. Purtroppo, durante il mio stage a Jamestown non trovai giocattoli, né interi né rotti, e non ebbi la fortuna nemmeno di trovare monete o bottoni. Tuttavia, mi imbattei in una grande quantità di palle da moschetto, in una punta di freccia e nei resti di una donna che fumava la pipa e non si tagliava i capelli da quattro o cinque anni. Per dovere di cronaca, devo aggiungere che non trovai nemmeno chiusure lampo. Se mi fosse capitato, sicuramente le avrei subito riconosciute e utilizzate per ottenere una miriade di informazioni. Per tornare all'infame Major Trader, devo avvertirvi che è ancora a piede libero. L'ultima volta che è stato visto, sparava in un vicolo dietro a Freckles. Si presume che sia ancora in città e che non abbia interrotto le sue attività criminose. Cliccando sull'icona con le sbarre in alto a destra, vedrete una sua foto recente insieme con il governatore Crimm, che è il signore sulla sinistra con la lente di ingrandimento. Attenzione a non confonderli. Il governatore è un cittadino rispettoso della legge. Già che l'ho nominato, colgo l'occasione per dirgli quanto segue: "So che è un argomento molto delicato, ma credo che lei dovrebbe fare qualcosa per la sua vista e le suggerirei di farsi guidare da un cane o da un cavallo. In realtà penso che quest'ultimo sarebbe più appropriato, perché i tempi di attesa per un cavallino non sono lunghi e questo animale vive più di un cane. Peraltro lei ha già un cane, che potrebbe reagire male se ne prendesse un altro. Mi sono preso la libertà di informarmi al riguardo e ho scoperto che potrebbe avere un cavallino da guida anche subito, addestrato a stare in casa e a camminare con le scarpette da ginnastica per non scivo-
lare sui pavimenti tirati a cera. Mi hanno assicurato che viaggia senza problemi in macchina o su un traino e che va d'accordo con gli altri animali e con i bambini. Si chiama Trip, perché ama viaggiare. Mi sono preso la libertà di scrivere ai suoi allevatori di tenerglielo da parte e di contattarla al suo numero di ufficio per mettervi d'accordo. "Cambiando discorso, la pregherei di controllare la situazione del suo maggiordomo. Ho l'impressione che egli sia vittima di un grave errore giudiziario, che abbia già ampiamente scontato la pena cui era stato condannato e che dovrebbe lavorare per lei da civile, e non in qualità di detenuto in permesso. "Inoltre, le consiglierei di informarsi sulle condizioni di salute di Moses Custer e di assicurarsi che l'ospedale sia piantonato, in maniera tale che i suoi aggressori non possano fargli ancora del male. È possibile infatti che la stessa banda abbia colpito ancora questa notte uccidendo la commessa di un negozio, e che sia in qualche modo coinvolta nel brutale assassinio di Vicky Vash. Caro governatore, io credo che sia giunta per lei l'ora di mostrare alla Virginia che tiene ai suoi abitanti e che ha a cuore il benessere dello Stato." Mi raccomando, occhi aperti! 21 Possum lesse diverse volte l'ultimo articolo di Vigile Verità e si convinse che l'anonimo scrittore sospettava di Smoke e della sua banda di pirati. «Perché non avrebbe dovuto capirlo?» sussurrò a Popeye, che russava sonoramente sul letto. «Tutti sanno che Smoke è scappato di prigione e fa il delinquente perché non sa fare altro. Oh, Popeye, che cosa succede se la polizia scopre il camper e ci porta via e Smoke si mette a sparare e ci fa ammazzare tutti?» Popeye si svegliò all'istante. «Non è giusto!» protestò Possum arrabbiandosi. «Perché dovevano ammazzarla, quella poveretta del Seven-Eleven? E adesso, dato che qualcuno ha visto Smoke che le sparava, sul giornale c'è l'identikit!» Prese fiato e guardò la porta diverse volte. «È ora di fare qualcosa» bisbigliò a Popeye. «Spero solo che Smoke non se ne accorga!» E si mise a scrivere un'e-mail.
Caro Vigile Verità, quel Trader di cui parlava è un pirata informatico con un sito tutto suo che si chiama Capitano Bonny. Io l'ho scoperto dopo che l'altro giorno lei diceva che è parente di una pira tessa che di sicuro ormai sarà già morta. Secondo me, lei lo può irretire in rete. Gli scriva un'e-mail in cui dice che gli lascia una valigia impermeabile con dentro quello che lui sa. Così, quando lui la va a prendere, lei lo arresta. Se usa un nome uguale al mio il Capitano penserà che gli ho scritto io. p.s. È quel Trader lì che ha fatto rapire Popeye! Possum cliccò sul tasto "Invio" e guardò la porta chiusa con sollievo. Per fortuna, né Smoke né nessun altro l'avevano visto. Smoke l'avrebbe ammazzato, se l'avesse beccato a scrivere a Vigile Verità e a fare l'informatore. L'avrebbe ammazzato di botte, come aveva fatto lui con quel poveretto di Moses Custer. Costui, in quel momento, stava rispondendo al telefono nella sua stanza d'ospedale. «È il governatore» gli annunciò l'infermiera, la signorina Carless, con voce squillante, rovesciando con una gomitata il bicchiere sul vassoio di Moses e impiastricciandogli il pigiama di aranciata. «Sicura che sia per me?» Moses non le credeva. Era certo, però, che se lei avesse combinato un altro guaio si sarebbe messo a gridare. «E se invece fosse uno dei miei aggressori che si spaccia per il governatore?» L'infermiera gli strappò di mano il telefono, colpendolo inavvertitamente sul mento. «Mi dispiace, ma non c'è» rispose mentre cercava di asciugare l'aranciata che aveva appena rovesciato e urtando Moses sul pomo d'Adamo. «No!» gridò Moses riprendendosi il telefono. «E se invece lo è per davvero? Non posso mica far finta di non esserci! Pronto, chi parla?» disse nella cornetta. «Prima di andare in giro per l'ospedale a cercare il signor Custer, ammesso e non concesso che sia ancora ricoverato qui e che non sia passato a miglior vita, dobbiamo sapere chi lo desidera.» «Sono il governatore Crimm.» «Quale governatore Crimm?» chiese Moses, ancora poco convinto. «Bedford Crimm IV. Non esistono altri governatori Crimm al di fuori di
me. È la terza volta che vengo eletto governatore della Virginia. Se non addirittura la quarta.» «Senta» disse Moses, che ancora non riusciva a capacitarsi che il governatore in persona volesse parlare con lui «mentre cerchiamo di rintracciare il signor Custer, le spiace se le chiedo come si chiamano sua madre, sua moglie, i suoi figli e i suoi animali domestici, specificando l'età e il numero di scarpe di ciascuno?» «Sì, mi spiace» rispose il governatore offeso. «Okay. Vedo che cosa posso fare. Attenda in linea.» Moses posò la mano sulla cornetta, con il cuore che batteva all'impazzata. Era davvero Bedford Crimm, perché nessun governatore vero avrebbe risposto a domande tanto personali, mentre un pirata qualsiasi si sarebbe inventato qualcosa pur di convincerlo. «Pronto?» rispose Moses con voce lievemente alterata. «Sono Moses Custer.» «Sì, sì» disse Crimm un po' spazientito dalla poltrona del suo studio, guardando distratto dalla finestra il giardino e la guardiola all'ingresso. «Mi sembra che lei sia finito in un ospedale un po' disorganizzato. Al centralino, poi, sono davvero maleducati.» «Sì, guardi, sono dei grandissimi confusionari» gli rispose la voce strana e un po' in falsetto. «Ahi!» si sentì poi. «Mi ha di nuovo schiacciato il catetere! Possibile che non possa stare un po' più attenta! Mi fa un male cane, quando me lo deve infilare di nuovo!» Seguì un battibecco di cui il governatore colse solo qualche parola: sembrava che il catetere di Moses si fosse impigliato da qualche parte e che lui si rifiutasse di farselo togliere del tutto e usare la padella. «Io la padella non la voglio!» dichiarava Moses. «Conoscendola, me la rovescerebbe addosso una volta su due! Preferisco di gran lunga un bel catetere con il sacchetto a distanza di sicurezza. Sì, mi scusi, governatore. Ho un problema con l'infermiera. In confidenza, credo che abbia il morbo di Pakerson, o la dissenteria muscolare, perché è talmente goffa che ogni volta che si avvicina combina qualche guaio. Mi molla certe gomitate che a quasi quasi mi ha ridotto peggio lei di quei pirati che mi hanno rubato le zucche!» «Farò in modo di evitare quell'ospedale come la peste» replicò il governatore scorrendo l'ultimo articolo di Vigile Verità con la sua lente di ingrandimento. «Fa bene. Non ci passi nemmeno davanti, se vuole un consiglio. E, co-
munque, spero proprio che lei si mantenga in buona salute e non debba andare in ospedale. Prego ogni giorno per la sua salute e la sua prosperità.» «Che cosa?» Il governatore rilesse i consigli che gli aveva dato Vigile Verità. «Quali asperità?» «Mah, non saprei» rispose Moses confuso. Crimm giunse alla conclusione che Custer era sotto sedativi. «Senta» disse andando al punto «sono stato informato dell'aggressione che ha subito. Volevo sapere come sta e dimostrarle che ho a cuore la sua situazione. Desidero inoltre assicurarle tutta la protezione di cui avrà bisogno quando uscirà dall'ospedale.» «Davvero?» si stupì Moses in un falsetto ancor più accentuato, coperto dal frastuono di un vassoio carico di stoviglie che cadeva per terra. «Certo! Lei è un cittadino della Virginia e io ho giurato di prendermi cura di tutti i cittadini del nostro splendido Stato. Senta, quando pensa che la dimetteranno?» Il governatore vide Andy Brazil che superava il cancello della sua residenza e lasciava l'automobile davanti al portone. Non ricordava che quel giovane tanto beneducato avesse preso appuntamento per quella mattina. Poi vide Regina che lo raggiungeva e capì che doveva essersi messo d'accordo con lei. Ne era proprio contento: Regina aveva tanto bisogno di distrarsi un po'... E Crimm aveva bisogno di qualcuno da mandare da Moses Custer. «Dovrei uscire oggi, sempre che la mia infermiera non mi rompa qualche osso o non mi dia la medicina sbagliata» rispose Moses. «La ringrazio molto, governatore. E un grande onore, per me, parlare con lei. Se penso che mi hanno preso a botte e rubato tutte le zucche e poi mi chiama il governatore in persona per offrirmi protezione, non ci credo. Mi sembra un sogno che il governatore mi telefona per dirmi che gli dispiace tanto, anche se lui non c'entra. Allora, non importa se le mie zucche hanno intasato il fiume?» «Lei non ne ha nessuna colpa» lo tranquillizzò il governatore, osservando Andy che scendeva dalla macchina e Regina che lo salutava, in tenuta da safari. «A proposito» riprese, desideroso di chiudere la conversazione con una nota di ottimismo su cui la stampa potesse sbizzarrirsi. «Sabato sera pensavo di venirla a prendere in elicottero per assistere insieme alla corsa della Winston Series. Le manderò il vigile Brazil in ospedale, che la scorterà sino a casa.»
«Dio del cielo!» esclamò sorpreso e compiaciuto Moses Custer. «Non sono mai stato a una corsa del NASCAR in tutta la mia vita! Ma lei lo sa quant'è difficile trovare i biglietti e un buco dove lasciare la macchina? Mi sembra di sognare!» Crimm uscì dal suo studio pensando al cavallino guida e immaginando che cosa volesse dire affidarsi a un animale per andare da un posto all'altro. Be', in fondo poteva anche provare... Era vero che vedeva sempre meno. Quella mattina, scendendo le scale di casa, si era dovuto aggrappare alla ringhiera con tutte e due le mani. E poi si era di nuovo seduto sulla poltrona del salottino invece che andare nella sala della colazione. Non avendo ottenuto risposta dopo aver ordinato due uova e una fettina di pancetta, si era accorto dell'errore e si era alzato. Però era entrato in un altro salottino per ritrovarsi alla fine nell'ascensore, dove l'aveva sorpreso Pony che riportava la biancheria pulita al secondo piano. «Dove sono?» aveva chiesto confuso il governatore, e Pony lo aveva accompagnato nella sala della colazione. «Si accomodi» gli aveva detto, facendolo sedere al tavolo e posandogli il tovagliolo sulle ginocchia. «Ha dormito bene, signore?» «Io ho passato una nottataccia» aveva risposto Regina imburrandosi un panino. «Ho fatto di nuovo quel maledetto sogno che mi tormenta.» Dal momento che nessuno a tavola sembrava minimamente interessato al sogno ricorrente che tanto la tormentava, Regina decise di raccontarlo a Andy, appena salita in macchina. «Faccio sempre lo stesso sogno» gli spiegò. «Non so perché, ma ci sono dei pneumatici. Secondo te, perché sogno i pneumatici? Sogno che rotolano in autostrada da soli, senza macchina.» «E tu dove sei?» le domandò Andy allacciandosi la cintura di sicurezza per farle capire che si aspettava che anche lei facesse lo stesso. «A letto che dormo. Mi sembra evidente.» «Rispetto ai pneumatici del sogno, intendevo» si spiegò Andy. «Cerco di evitarli, no? Che cosa pensavi?» ribatté Regina. «Dunque tu sei a piedi.» «Certo che sono a piedi! Finché non scade il mandato a mio padre non possiamo mica guidare! Dobbiamo sempre girare sotto scorta, e io non ne posso più.» «Credo di capire il motivo di questo tuo sogno» disse Andy. «Ti sembra di non andare da nessuna parte, ti senti come un'automobile senza pneuma-
tici o quattro pneumatici senza automobile, in trappola nell'autostrada della vita, in pericolo e frustrata, con la sensazione che il mondo vada avanti senza di te.» Il governatore e la First Lady erano alla finestra e guardavano Andy e Regina. «Sembra che stiano bisticciando» osservò la signora Crimm. «Non possiamo prendere un altro cane» decise il governatore. «Chi parlava di cani?» «Non posso prendermi un cane guida» insistette il governatore. «Vigile Verità ha ragione. Non sarebbe giusto nei confronti di Frisky. Tanto varrebbe allora prendere un gatto. Non credo che esistano gatti guida, però.» «Sono sicura che basta addestrarli come si fa con i cani» osservò la signora Crimm. «Anche se, con la loro mania di saltare dappertutto e di infilarsi nei posti più assurdi, non dev'essere bello farsi tirare da un gatto.» «Non ti fai mica tirare» intervenne Fede, ingelosita dal fatto che la sorella fosse uscita con il bel vigile. «Sei tu che li tieni al guinzaglio. Ho appena letto che esistono anche i cavalli guida. Vigile Verità te ne consiglia uno, papà, hai letto? A mio avviso, per Frisky non sarebbe un trauma.» «Non voglio cavalli, in casa mia» protestò la signora Crimm. «Ho deciso» decretò il governatore. «Lo prendo.» «Sono un po' preoccupata che Regina vada all'obitorio» cambiò discorso la First Lady, guardando la figlia che si allontanava con Andy. «Secondo me, le farà bene» osservò il governatore. «Così, forse, capirà quanto è fortunata e la pianterà di lamentarsi sempre.» «Sono d'accordo» intervenne Fede. «Dovrebbe ringraziare il cielo di essere viva.» Il governatore fece per uscire, ma andò a sbattere contro un ritratto di Lady Astor a grandezza naturale. «Mi scusi» mormorò. Anche Barbie Fogg quella mattina andava a sbattere da tutte le parti. Aveva bevuto troppa vodka lemon la sera prima e aveva già urtato lo spigolo del letto, battuto una gomitata contro il tostapane e rischiato di tamponare un'automobile mentre guidava distratta sull'interstatale. Di solito quando andava al Baptist Campus Ministry, dove faceva volontariato ascoltando i problemi degli studenti dell'università, nessuno faceva caso a lei o alla sua monovolume. Invece, quella mattina aveva notato che la gente la fissava con gli occhi sgranati. Ancora annebbiata dalla sera prima, gli
sguardi altrui la disturbavano. Era sempre stata una bella donna, ben vestita e ben curata, attentissima alla propria pelle. Era convinta che la pelle fosse un dono di Dio e raccomandava alle ragazze che le chiedevano consigli di curarla con grande attenzione. I vestiti e gli accessori più belli del mondo non servivano a nulla, se si aveva una brutta pelle. Ogni donna doveva pertanto consultare con regolarità un dermatologo e usare i prodotti di bellezza più adatti, oltre che, naturalmente, ripararsi con cura dal sole. Era vero che la pelle di Barbie era molto luminosa, quella mattina, dopo la maschera glicolica che ricordava vagamente di essersi applicata la sera prima dopo la vodka lemon. Ma perché la guardavano tutti? Alcuni arrivavano addirittura a suonare il clacson nella sua direzione... Per non parlare del signore con l'orecchino che superandola sulla Porsche poco prima le aveva mostrato il pollice alzato. Rallentò al casello e notò con piacere che anche Hooter aveva attaccato l'adesivo con l'arcobaleno sulla vetrina della sua postazione. «Oh, ma lei non smette mai di lavorare?» le chiese Barbie. Hooter sembrava un po' giù di tono, quella mattina. «Abbiamo l'arcobaleno tutt'e due, non è divertente?» «Sapesse cosa mi è capitato ieri sera! Non se lo immagina nemmeno...» cominciò Hooter, mentre dietro l'auto di Barbie si formava una lunga coda di macchine. Le raccontò del matto che aveva trovato seduto su un pacco contenente armi da fuoco davanti a un cassonetto, e che voleva spararsi nelle parti intime. «E si ricorda che avevo appuntamento con quel vigile? Be'...» Si interruppe. «Ah, già, come fa a saperlo? Comunque, sono andata a bere qualcosa con uno e poi l'ho dovuto riaccompagnare a casa perché aveva alzato un po' troppo il gomito. Lui avrebbe voluto che facessimo qualcosa, ma io no perché abita ancora con sua madre, che fra l'altro dorme proprio nella camera accanto e probabilmente si mette lì con il bicchiere contro il muro per sentire che cosa fa il figlio. .. Gli ho detto: "Perché stai ancora da tua madre? Che cosa faccio io, se sul più bello quella apre la porta ed entra?". Ma ci pensa?» fece poi, rivolta a Barbie. «Magari è lì con quel suo enorme coso imbizzarrito e arriva sua madre. Mah, che uomo strano...» «Quale coso?» chiese Barbie confusa e leggermente scandalizzata. «Vedesse che roba! In tutta la mia vita io non ne avevo mai visti di più grossi, sa?»
Furono interrotte dal suono dei clacson. «E non l'ho nemmeno visto bene. A giudicare dal casino che faceva per uscire dalla stalla, però, dev'essere un bel...» Altri clacson. «Ma che baccano! Non so cosa succede, stamattina» confessò Barbie. «Mi sembra che mi guardino tutti. Un continuo suonare di clacson. Pensi che a momenti finivo fuori strada» le confidò mentre un grosso pickup si spostava su un'altra corsia e Bubba Loving gridava qualcosa nella sua direzione. «Come fa quello a sapere come mi chiamo?» chiese Barbie a Hooter, stupita. «Giuro che non l'ho mai visto prima d'ora. E sono sicuro che mi ha chiamato per nome, perché leggo il labiale.» «Sul serio?» chiese Hooter. Le cadde l'occhio su un altro camion che cambiava fila. «Li odio, quelli che hanno la bandiera della confederazione sul finestrino e la targa BUBBA. Meno male che ha cambiato fila, guardi, perché i soldi dei confederati io non li tocco nemmeno con i guanti! Nemmeno se mi costringono, glielo assicuro! Comunque, non credo che abbia detto il suo nome, sa?» Hooter era un po' in imbarazzo. «Come faceva a saperlo, se non vi conoscete?» «Io sono abbastanza sicura che abbia detto Barbie Fogg.» «Crede? Io ho avuto l'impressione che fosse qualcosa di molto meno gentile. E che cominciasse per "v", anziché per "b"...» «Dice che mi ha mandata a quel paese?» Barbie era mortificata. «Be', sì, ho avuto questa impressione. Del resto, dato il tipo... Questi razzisti schifosi hanno ancora il cappuccio sotto il cuscino. Lei mi capisce.» Veramente Barbie non capiva. «Il cappuccio bianco, sa?» continuò Hooter. «Con la tunica e la croce infuocata del Cuclusclan.» «Quelli che danno fuoco alle croci bruceranno all'inferno» esclamò Barbie piena di sacra indignazione. «Non me ne frega niente di dove vanno da morti. Voglio solo non averci a che fare da vivi. Ho paura che quando passano di qui a pagare il pedaggio magari gli salti in mente di scoprire dove abito per venire a rompermi le finestre o a bruciare una croce nel mio giardino. A parte il fatto che non ho il giardino. Però, possono sempre bruciarmela nel parcheggio.» «C'è pieno di matti, in giro» replicò Barbie, scoraggiata. «Il mondo va sempre peggio.» «Con il nuovo millennio, poi... Peggio di così si muore.» Hooter condivideva il senso di scoramento di Barbie Fogg.
Anche Andy aveva l'impressione che le cose non potessero andare peggio, mentre svoltava in Ninth Street diretto all'Istituto di medicina legale, con Regina seduta a fianco che giocava con la radio e masticava rumorosamente un chewing-gum. «Come si fa ad accendere luci e sirena?» gli domandò. «Non possiamo accendere luci e sirena» rispose Andy. «E perché no? Stiamo lavorando a un caso di omicidio, no? Secondo me, uno dovrebbe poterle accendere tutte le volte che vuole.» «Invece no. Sono per le situazioni di emergenza e basta.» Stava cercando di non perdere la pazienza. «Siamo di cattivo umore stamattina, eh?» commentò Regina voltandosi a guardare dal finestrino le macchine in cerca di un posteggio e le persone intirizzite che aspettavano di attraversare la strada. Per una volta si rallegrò di non avere i problemi della gente normale. Quasi non riusciva a credere di essere in giro senza scorta, su un'auto della polizia nuova di zecca, accanto a Andy, diretta all'Istituto di medicina legale. «Vedrai che sarai contento di avermi a fianco» gli disse. «So un sacco di cose che tu non sai. Probabilmente ne so di più anche della dottoressa. Scommetto, per esempio, che non sai che cosa bisogna fare se si finisce nelle sabbie mobili. Vero che non lo sai?» «Non intendo finire nelle sabbie mobili» replicò Andy. «Prevenire è meglio che combattere.» «Sì, sì, come se fosse facile. Se bastasse decidere di non finirci, non ci morirebbe tanta gente. Comunque, bisogna allargare gambe e braccia e cercare di galleggiare.» Gli diede una piccola dimostrazione. «Poi si passa il bastone da passeggio dietro la schiena per sollevare il bacino e si fa leva sulle gambe per uscire. Per abbattere una porta, invece, bisogna prendere a calci la serratura. E per forzare una portiera si usano chiave inglese e forcine. Inoltre so come bisogna comportarsi con gli alligatori, i pitoni e le api assassine» si vantò. «Sarei anche in grado di aiutare una donna a partorire in un taxi e di salvarmi se non mi si apre il paracadute.» «Devi aver letto Come sopravvivere alle emergenze più estreme» dedusse Andy, lasciando Regina stupefatta e infastidita. «E, visto che hai letto un manualetto di sopravvivenza comodamente seduta in poltrona, credi di essere in grado di gestire le situazioni più difficili che ti possono capitare.» «Me l'ha regalato mio padre per il mio compleanno» disse Regina. «Alle
mie sorelle non ha mai regalato un libro, perché a loro non gliene frega un accidente delle avventure. Sono delle pusillanimi. Non ce le vedo proprio a cercare di atterrare dopo che il pilota dell'aereo su cui stai viaggiando ha avuto un infarto, oppure a resistere nel deserto o alla deriva in mezzo all'oceano in attesa dei soccorsi.» Frugò nello zainetto e poco dopo tirò fuori un libretto dalla copertina gialla. «Allora, che cosa faresti se non ti si aprisse il paracadute?» lo mise alla prova, aprendo il libro a una pagina segnata con una piega nell'angolo e macchiata di cioccolata. «Controllerei il paracadute prima di lanciarmi» replicò Andy, teso come una corda di violino. «E se ti colpisse un fulmine?» «Cercherei di evitarlo.» «Riparandoti sotto un albero?» Regina voleva trarlo in inganno. «No di certo.» «E se durante un'immersione a trenta metri di profondità ti mancasse all'improvviso l'ossigeno?» chiese Regina con aria di sfida. «Farei in modo che non mi venisse a mancare.» Regina chiuse il libro con foga e lo gettò di nuovo nello zainetto. «Quando mi darete la divisa?» chiese rabbiosamente. «Quando avrai finito l'accademia e superato l'esame finale. Minimo un anno, ammesso che ti prendano.» «Perché non dovrebbero prendermi?» «Guarda che il fatto di essere figlia del governatore non ti apre automaticamente tutte le porte» rispose Andy piccato. «Io non dirò a nessuno chi è tuo padre: ti farò passare per una stagista che mi è stata affiancata.» «Se non glielo dici tu, glielo dico io» ribatté lei aprendo il finestrino per gettare la gomma da masticare. «Non te lo consiglio. Non vuoi che la gente ti apprezzi per quello che sei invece che per chi è tuo padre? E non si butta la roba dai finestrini.» «E se poi non mi apprezzano?» Stava passando dalla rabbia alla tristezza. «Lo sai anche tu che non mi apprezzerebbero. Nessuno ha mai apprezzato niente di quello che ho fatto, nemmeno sapendo chi è mio padre. Figuriamoci senza saperlo...» «Be', tanto vale che provi a vedere come va a finire. È ora che affronti la realtà» la spronò Andy svoltando in Clay Street. «Se la gente non ti apprezza, la responsabilità è tua.»
«Stronzate. Non è colpa mia.» Aveva alzato la voce e parlava con tono stridulo. «Che cosa ci posso fare se sono nata così!» «Non si nasce maleducati ed egoisti» replicò Andy. «E siccome per adesso ci sento ancora bene, ti prego di abbassare la voce. Se provassi una buona volta a pensare agli altri invece che a te stessa? Pensa a quel poveretto che ha messo il piede sulla gomma che hai appena lanciato dal finestrino. Ti piacerebbe mettere il piede su una gomma masticata quando sei di fretta, stai andando a lavorare, hai il bambino malato e non ti puoi permettere un paio di scarpe nuove?» Regina non ci aveva mai pensato. «Se la gente non ti apprezza è perché tu te ne freghi di tutto e di tutti. E gli altri se ne accorgono» continuò Andy fermandosi dietro al Biotech II, un moderno edificio che ospitava lo studio del capo dell'Istituto di medicina legale e i laboratori di medicina forense. «Non so come fare» confessò Regina. «Non posso saperlo, se nessuno me lo insegna. E tutta la vita che mi trattano con i guanti perché sono la figlia del governatore! Non ho mai avuto la possibilità di pensare agli altri!» «Be', adesso ce l'hai.» Andy si fermò nel parcheggio riservato ai visitatori e scese dall'auto. «Perché se mi tratterai male, ti tratterò male anch'io. Tutto sommato è un bene che siamo all'obitorio, così ti eserciti a essere gentile con i morti che non patiscono anche se non ci riesci.» «Mi sembra un'ottima idea!» Regina lo seguì entusiasta nell'atrio. «A parte il fatto che non è tanto normale preoccuparsi di non ferire i sentimenti di chi non ha più sentimenti.» «Si chiama compassione, empatia. Parole a te sconosciute, evidentemente.» Andy si diresse all'ufficio informazioni e firmò il registro. «Considera che cosa ha passato la povera gente che sta qui dentro e cosa stanno passando i loro cari. Per una volta, non pensare a te stessa. E tieni presente che, se rompi troppo le scatole, il tuo stage finisce oggi. Conosco il capo dell'Istituto di medicina legale: è una che ti mette a posto in un nanosecondo. Vedrai.» «Mio padre in un nanosecondo la può licenziare» replicò Regina. «Quella donna tuo padre se lo mangia a colazione.» Le porse un blocco per appunti e una penna. In quel momento le porte si aprirono automaticamente e furono ammessi negli uffici dell'istituto. «Prendi appunti» le ordinò Andy. «Scrivi tutto quello che dicono i dottori e tieni la bocca chiusa.» Regina non era abituata a prendere ordini, ma non appena vide le foto
delle autopsie sui tavoli dell'ufficio esterno, smise subito di fare la sbruffona. Le impiegate conoscevano bene Andy e lo salutarono con affetto e un pizzico di civetteria. Regina rimase piacevolmente impressionata quando lui la presentò come la sua stagista. «Beata te» disse una delle ragazze, strizzandole l'occhio. «Anche a me piacerebbe essere la stagista di Andy Brazil» osservò un'altra. «Perché non posso fare io un po' di pratica con te?» «Siamo venuti per il pescatore» tagliò corto Andy, professionale. «Se ne occupa il dottor Sawamatsu?» «No. Non è ancora arrivato.» «E il capo?» Andy era contento che il dottor Sawamatsu non ci fosse e si augurava che non arrivasse proprio. Prima di tutto parlava malissimo l'inglese e Andy faceva fatica a capirlo, specie quando tirava fuori paroloni medici. Inoltre, Sawamatsu era freddo e professionale e Andy non sopportava chi trattava con indifferenza le vittime, vive o morte che fossero. Ma la cosa peggiore era che Sawamatsu si era vantato più di una volta con Andy di avere una collezione segreta di macabri souvenir, che comprendeva protesi di arti, impianti al silicone, un occhio di vetro, frammenti di lamiera e pezzi di aeroplano. Andy dubitava che il capo lo sapesse, perché conservava la sua collezione a casa. «Dovrei avvertirla» pensò ad alta voce mentre percorrevano il lungo corridoio moquettato che conduceva allo studio della dottoressa Scarpetta. «Chi? Di cosa?» fece Regina sbigottita, sbirciando dentro gli uffici, pieni di microscopi e diafanoscopi. «Non fare domande e, come diciamo quando indaghiamo su un presunto attentato dinamitardo, non toccare e non spostare nulla» l'ammonì Andy. «Qualsiasi cosa tu senta o veda è coperta dal segreto e non va divulgata a nessuno. Nemmeno ai familiari.» «Ci proverò» rispose Regina. «Ma non ho mai tenuto uri segreto in vita mia.» Barbie Fogg, invece, custodiva gelosamente i propri segreti e alcuni di quelli che le venivano confidati. Temendo che Lennie ne avesse di suoi, imboccò l'uscita dell'autostrada e fece il giro in maniera da ritrovarsi di nuovo davanti al casello di Hooter, a cui confessò di aver paura che il suo matrimonio fosse in crisi. «Lennie viaggia spesso per lavoro e ieri sera mi ha detto che vuole farsi
un'amichetta! Secondo lei mi tradisce perché non voglio più fare l'amore con lui?» Barbie aprì il cuore a Hooter. «È un agente immobiliare e quindi, a volte, è a casa. In genere sta dietro alle gemelle, ma avrebbe un sacco di tempo libero per allacciare nuove relazioni. Il peggio è che la settimana prossima va a Charlotte per un convegno importante e io sarò chiusa in casa. Potremmo non vederci per un'intera settimana, se ne rende conto?» Hooter rimase molto male di non poter vedere per così tanto tempo quella che ormai considerava una cara amica. «Mi mancherà molto la sua compagnia» le confessò Barbie. «E io come farò, se non potrò più nemmeno scambiare qualche chiacchiera con lei? Perché suo marito va a Charlotte, scusi? Mi infastidisce che la gente vada in North Carolina. Nemmeno fosse la terra promessa... Io non ci ho mai messo piede, le dirò. Vorrei sapere cos'ha di tanto speciale.» «Non potrebbe prendersi una giornata di ferie?» chiese Barbie, mentre le macchine in coda dietro di lei suonavano il clacson. «Verrebbe con me alla corsa del NASCAR domani sera? Mi piacerebbe molto. Potremmo ammirare tutti quei bei piloti. Sono dei gran bei fusti, sa? Deve chiedere un pomeriggio di ferie, però, così andiamo presto e li vediamo salire in macchina. Certi si lasciano fotografare con le fan. È una piacevole esperienza, gliel'assicuro, prendere sottobraccio un pilota con la sua bella tuta ignifuga!» «Non ci sono mai andata. Non ho nemmeno mai visto un pilota afroamericano. Non saprei.» Hooter non prestava la minima attenzione agli automobilisti inferociti. «Potrei prendermi addirittura tutta la giornata. Non ho più fatto ferie da quando si è sposata mia sorella e io le ho fatto da testimone.» Hooter sorrise raggiante al ricordo dello splendido abito rosa con le maniche trasparenti, le perline e i fiocchi che aveva indossato per l'occasione. «E stata una gran bella festa, non c'è che dire.» «Perché non ve la raccontate da qualche altra parte, lesbicacce?» Bubba Loving era di nuovo in coda al casello con il suo pickup. «Perché ci ha dato delle lesbicacce?» domandò Barbie scrivendo il proprio numero di telefono su un Post-it. «Come si fa a essere così volgari?» «Siete tutti uguali!» gli gridò Hooter. «Allora, senta, mi telefoni entro mezzogiorno. Io ora vado al Baptist Campus Ministry. Basta che mi chiami e mi dica se viene o no, così non rischio di dare il biglietto a qualche altro fortunato. La prego, venga! Mi fa tanto piacere avere un'amica con cui parlare...» «Se posso, vengo sicuro. Ma sì, che diavolo! Vengo senz'altro.» Hooter
era eccitatissima all'idea. «Devo solo riuscire a trovare qualcuno che mi sostituisca qui al casello. Mi venga a prendere verso le... A che ora ci vediamo?» «Alle due.» «Passo un momentino da casa a cambiarmi e torno qui al casello. Se c'è qualcosa in contrario la avverto, okay? Così, abbiamo un sacco di tempo per parlare e mi racconta del perché non scopa più con suo marito.» «Sarebbe magnifico!» Barbie la salutò tutta allegra e superò il casello senza pagare, facendo scattare tutti gli allarmi. «L'arcobaleno funziona! Porta ricchezza, amicizia e magia!» «Parla ancora con la tua amichetta mentre noi siamo in coda ad aspettare e ti sistemiamo per bene, a te e al tuo casello!» gridò Lamonia dalla sua Dodge Dart. Era comprensibilmente di umore nero: prima era finita in manette per colpa della cecità notturna, poi era rimasta imprigionata in una coda eterna per colpa di una coppia omosessuale e interrazziale che amoreggiava al casello bloccando il traffico e aveva persino rischiato la rissa con un razzista maschilista e aggressivo. Possibile che il mondo stesse andando a catafascio così rapidamente? Lamonia contava sulla misericordia divina, ma il pianeta era sulla strada dell'autodistruzione e da un momento all'altro Gesù rischiava di stufarsi e di ritornare sulla terra. E Lamonia non era pronta per ascendere al cielo. Sul serio. Tutte le domeniche ripeteva a Nostro Signore di aspettare ancora, di portare un po' di pazienza, che lei aveva tanti amici e vicini di casa che rischiavano di restare indietro, se Lui fosse venuto sulla sua nuvoletta e avesse fatto salire al cielo tutti i credenti. «Dai la vita per Gesù» raccomandò a Hooter pagando il pedaggio. «Dagliela tu, amica mia» replicò lei, porgendole il resto con la mano guantata. «Non sono amica tua!» ribatté Lamonia piccata. «Non sono una di voi!» aggiunse. «Chiedi perdono per i tuoi peccati e prega Gesù che accolga la tua vita e la metta a frutto. Perché la sua venuta è vicina e tu non vuoi farti sorprendere seduta a un casello autostradale a concupire sconosciuti, per giunta del sesso sbagliato, e accorgerti tutt'a un tratto che sulle automobili in coda non c'è più nessuno perché sono tutti ascesi al Regno dei cieli!» «Hai ragione» la incoraggiò Hooter. «Hai proprio ragione.» Lamonia non aveva bisogno di incoraggiamento. «Due uomini al lavoro nei campi. A un certo punto uno non c'è più. Due donne lavano i panni alla lavanderia a gettoni e di colpo una scompare. Sarai qui a prendere i soldi
del pedaggio e all'improvviso metà degli automobilisti non ci sarà più. Allora dovrai augurarti di non essere più qui seduta, perché vorrebbe dire che sei condannata!» «Io sono pronta per il Regno dei cieli» le assicurò Hooter. Si scambiarono i numeri di telefono. «Sono pronta. Anzi, non vedo l'ora. È una vita che aspetto che Gesù torni fra noi! Sono qui in attesa della sua venuta!» Alzò gli occhi al soffitto della sua postazione. «Vieni a me, Signore, vieni a me. Ti aspetto, Signore. Quando Ti presenterai davanti a me, non Ti farò pagare il pedaggio!» «No!» la interruppe Lamonia. «Non gli dire di venire adesso! C'è ancora troppo da fare, sciocca che non sei altro! Guarda quanti peccatori ci sono in giro! Chilometri e chilometri di peccatori, li vedi? Prega per loro, prima!» Hooter osservò la fila sconfinata di veicoli e sentì i clacson che suonavano rabbiosi. «Hai proprio ragione. La maggioranza di loro non è pronta ad accogliere Gesù. Guarda come si lasciano prendere dall'ira. Aah!» Scosse la testa tristemente. «Chiediamo a Gesù di aspettare ancora un po'. Gesù, concedici ancora un po' di tempo» pregò ad alta voce, mentre Lamonia partiva di scatto saltando sulla macchina che aveva davanti. «Ti prego, Signore, dammi sabato pomeriggio libero, okay? Fa' che qualcuno mi sostituisca, ti prego! Non ti chiedo altro, Signore.» 22 «Oh, Signore che sei nei deli!» pregava il dottor Faux, alla deriva sul peschereccio insieme a Fonny Boy. «Siamo stati qui tutta la notte e mezza mattinata e io ho tanto freddo e tanta fame che non credo di poter sopravvivere ancora un'ora. Ti prego, aiutaci tu.» Fonny Boy aveva rinunciato a cercare di forzare il cassetto chiuso con il lucchetto e stava producendo suoni stonati con la sua armonica a bocca, sperimentando vari metodi di emissione del fiato e diverse posizioni delle dita. Quasi quasi avrebbe voluto che catturassero sia lui sia il dentista e li rinchiudessero nell'ambulatorio medico. Rimpiangeva di non essersi portato da bere e da mangiare: aveva dato per scontato di raggiungere Reedville prima che i rifornimenti diventassero un problema. «Signore misericordioso! Temo che la corrente ci stia riportando sull'isola» comunicò al dottor Faux.
«Non vedo terra da nessuna parte, Fonny Boy. Se fossimo vicini all'isola, ormai ci avrebbero avvistato e probabilmente saremmo già legati e imbavagliati. Secondo me, siamo finiti nella riserva naturale, dove non ci sono pescatori. Se è così, ci aspetta una morte lenta.» «Macché» replicò Fonny Boy. «Si capisce da che parte va la corrente.» Gli indicò le ondine che muovevano l'acqua. «Ormai avranno compreso che abbiamo trafugato il peschereccio e, se non ci affrettiamo, ben presto ci troveranno e ci faranno imparare la Bibbia a memoria!» «Potrebbero anche pensare che siamo già arrivati a Reedville e andarci a cercare là. Sei sicuro di non ricordare la combinazione del lucchetto? Magari in quello scomparto c'è un lanciarazzi o anche solo uno specchietto con cui mandare segnali!» Fonny Boy era certo che suo padre gli aveva detto la combinazione e lo irritava moltissimo non riuscire a ricordarla. Aveva provato tutte le date di nascita dei suoi familiari, il codice di avviamento postale di Tangier e alcuni numeri di telefono. Invano. Scrollò l'armonica fuori bordo per liberarla dalla saliva e provò a suonare una melodia in do, cominciando dal quarto foro. «Pensaci, Fonny Boy» lo incoraggiò il dottor Faux. «Di solito si usano degli stratagemmi per ricordare le combinazioni e sono sicuro che tuo padre ne ha scelta una a cui si arriva attraverso qualche associazione. Quali altri numeri hanno importanza, per lui? Forse l'anniversario di matrimonio?» Fonny Boy non lo ricordava. Improvvisò un pezzo di blues, come il suo idolo Dan Aykroyd. «Chi va per mare usa la bussola» insisteva il dentista. «Non c'è un'impostazione che tuo padre usa regolarmente, quando va a recuperare le nasse?» Quella parola si posò sulla superficie dell'acqua e cominciò a scendere verso il fondo dove si era raccolto un folto gruppo di Callinectes (dal greco: bei nuotatori) sapidus (dal latino: buono da mangiare) che si godeva la pace e la tranquillità della riserva naturale in cui era vietata la pesca. Fra loro c'erano anche i granchi sfuggiti al secchio del governatore e uno di questi, un maschio particolarmente aitante con zampe e chele robuste, decise di avventurarsi a vedere a chi appartenessero le voci umane e i suoni stonati dell'armonica; si alzò dal fondo, lasciando i compagni in una nuvola di sabbia. A circa sette metri dalla superficie scorse la chiglia di un peschereccio e sentì di nuovo le voci.
«Macché. Il babbo non usa bussole. Non ne abbisogna» diceva una voce di ragazzo. Il granchio la riconobbe: apparteneva a un biondo isolano magro come un chiodo che parlava sempre di tesori dei pirati quando usciva in mare a ritirare le nasse il mattino presto. «Il numero della vostra casella postale?» chiedeva un'altra voce. Il granchio non l'aveva mai sentita, ma dall'accento avrebbe scommesso che si trattava di un virginiano. Fonny Boy provò il numero, ma il lucchetto non cedette. «Un numero fortunato, magari. Tuo padre ha un numero fortunato, che tu sappia?» L'unico numero legato alla fortuna che a Fonny Boy venisse in mente era il tredici, ma il lucchetto non era d'accordo. Si impegnò a suonare un Oh, Susanna che risultò quasi riconoscibile. «Un cibo e una bevanda che gli piacciono particolarmente e che hanno un numero nel loro nome?» Il dottor Faux era determinato a non arrendersi. «Come Heinz 57 o 7-Up?» «Il babbo gradisce la 7-Up» disse Fonny Boy con un lampo di speranza negli occhi. «La beve sempre quando mangia il gelato di Spanky's. Ma per la combinazione occorrono quattro numeri. Dopo il sette, che cosa si mette?» «L'up.» Fonny Boy decise di ricominciare a suonare. «Potrebbe benissimo esserci un numero per l'up. Dài, Fonny Boy, aiutami un po'!» «Up vuol dire "su". Ma sulla bussola ci sono solo nord, sud, est e ovest. "Su" non c'è» rispose il ragazzo. «Potrebbe essere il nord. In fondo, si dice "su al nord e giù al sud". Prova trecentosessanta! Il nord corrisponde a trecentosessanta gradi: tre-seizero. È possibilissimo che la combinazione sia sette-tre-sei-zero, cioè 7Up.» Il granchio azzurro scese velocemente sul fondo per avvertire i suoi amici. «Vi sono sette uomini, a bordo di quel peschereccio!» esclamò. «E ne aspettano altri trecentosessanta! Se infrangono la legge pescando in acque proibite, farò di tutto affinché finiscano in gattabuia!» Il granchio era sicuro che i sette briganti fossero in cerca dei granchi e della trota sfuggiti al governatore, che si erano divisi appena dopo la fuga. La banda dei sette, come li battezzò l'aitante granchio maschio, era formata
da pirati cui il governatore aveva promesso l'immunità a patto che ritrovassero i fuggitivi e li riportassero nelle cucine di casa sua. I granchi azzurri conoscevano bene i pirati e non li temevano. Di solito quei beoni erano troppo ubriachi per dare loro la caccia. I granchi azzurri non finivano vittime dei pirati da secoli e secoli. E se sul fondo del mare si depositavano palle di cannone, monete e gioielli, per loro non era un problema. Si limitavano a spostarli dove non davano fastidio: ai crostacei non importava granché dei tesori. Al biondo isolano a bordo del peschereccio invece importava, eccome, rifletté il granchio partito in avanscoperta osservando il relitto che spuntava sul fondo. Era un vecchio sloop affondato nella baia dopo essere stato preso a cannonate e nel corso dei secoli la corrente l'aveva trasportato fin lì. Il granchio girò attorno all'ancora tutta arrugginita e afferrò un pezzo di ferro. Poi risalì in superficie il più velocemente possibile, si arrampicò sul motore fuoribordo del peschereccio e lo gettò per aria. Il ferro finì dritto in grembo a Fonny Boy, che si stava esercitando per ottenere un suono più limpido. «Perdindirindina!» esclamò il ragazzo. «Guardi questo!» Lo studiò con attenzione e capì che era molto vecchio e che con tutta probabilità apparteneva a un antico relitto. «Mi sta piovendo un tesoro dal cielo, chiaro segno che qui sotto c'è una nave pirata!» esclamò, colto da un'incontenibile eccitazione. Finalmente, dopo una vita di stenti e patimenti, la sorte gli aveva arriso. «Segniamo il punto, altrimenti non lo ritroveremo più!» L'unico modo per ritrovare l'ubicazione del tesoro era calare una nassa. Pochi istanti dopo i granchi sfuggiti al secchio del governatore assistettero sgomenti alla discesa di una gabbia di metallo che non riuscì a posarsi sul fondo perché la corda era troppo corta. Il granchio che aveva riconosciuto Fonny Boy sorrise fra sé e sé, soddisfatto di aver previsto ancora una volta la reazione degli umani: sapeva che l'avidità dell'isolano biondo l'avrebbe spinto a commettere un errore. E così la banda dei sette sarebbe finita in gattabuia. Anche il piano di Possum stava andando come previsto. Il ragazzo era intento a cucire e incollare ritagli di magliette di diverso colore in maniera da formare una sorta di bandiera. «Guarda che bellezza!» disse a Popeye. Lisciò la bandiera sul letto e la cagnetta rimase sconcertata nel vedere un
teschio con una sigaretta in bocca. «Ci serve per la corsa del NASCAR dove facciamo finta di essere un team» annunciò fiero Possum. «Se la mettiamo ai box e dico a chi so io di cercarci lì, siamo salvi! E se anche ci va male, spero che Smoke rimanga contento e che poi ci tratti meglio. Quando scapperemo su Tangerine Island troverò un modo per fuggire e io e te ci rifugeremo in casa di qualche pescatore.» Possum continuò a passare l'ago nella bandiera per cucire la scritta "Jolly Goodwrench". «Vedrai che riuscirò a restituirti al comandante Hammer e la polizia chiuderà un occhio sul fatto che ho pestato Moses Custer. Chissà, magari ogni tanto ci faranno anche incontrare di nuovo. Se alla tua padrona fa comodo, ti vengo a fare da baby-sitter, che ne dici?» Popeye pensava che fosse una splendida idea. Possum continuò a cucire e incollare brandelli di magliette. Il risultato non era proprio quello che sperava, perché il disegno era da una parte sola e quindi non si poteva farla sventolare come una bandiera normale. A parte questo, però, era soddisfatto perché assomigliava sia a una bandiera dei pirati sia a una bandiera del NASCAR. L'attaccò al muro e si sedette sul letto a immaginare la reazione di Smoke nel vederla, a preoccuparsi della corsa di sabato e a chiedersi se il suo piano aveva qualche speranza di riuscire. Non voleva cacciarsi ulteriormente nei guai. Se solo fosse potuto tornare indietro, nel seminterrato di casa sua, a girovagare per le strade di notte senza paura di venire arrestato... Aveva saputo dalla TV che Moses Custer era ancora in ospedale e, per fortuna, le sue condizioni erano stabili. Gli veniva male al cuore al ricordo di quando gli aveva puntato contro la pistola e aveva premuto il grilletto. Non capiva come mai l'avesse fatto, non riusciva a capacitarsene. L'unica giustificazione era che aveva paura di Smoke. Sapeva benissimo che se si fosse comportato in maniera diversa dagli altri, se avesse dimostrato di avere una coscienza, Smoke gli avrebbe ficcato un proiettile nella testa. Come ci sarebbe restata sua madre, quanto avrebbe pianto se avesse saputo che Possum era stato ucciso e il suo corpo abbandonato in un fosso insieme alla carcassa di un cagnolino bianco e nero? Se solo Ben Cartwright o Little Joe o Hoss avessero potuto dargli una mano... Ma Possum non aveva mai visto ragazzi neri in nessuna puntata di Bonanza. "Forse i neri non gli piacciono" disse fra sé ripensando a Ben Cartwright con il giubbotto di pelle e i capelli bianchi come la neve. "I neri facevano
gli schiavi. Perché dovrebbero venire a cavallo fin qui per salvarmi? Chi mi credo di essere? Almeno, i Cartwright non sventolavano la bandiera confederata." Guardò di nuovo la sua bandiera appesa dietro il televisore. "Mai visti né schiavi né bandiere confederate a Ponderosa. Solo Hop Sing, che è cinese e può andare e venire come gli pare, purché faccia da mangiare e tenga pulito." Possum era sicuro che i Cartwright avrebbero disapprovato la sua recente condotta criminale e si chiedeva come fare per rimediare. "Mi dispiace per Moses Custer" diceva a Hoss. "Be', figliolo, hai fatto una cosa sbagliata" gli rispondeva questo. "Lo so, Hoss, lo so. Ma avevo tanta paura che Smoke mi massacrasse di botte e mi ammazzasse, e magari affogasse anche Popeye, se io non sparavo. Vorrei tanto poter tornare indietro e scappare prima di ritrovarmi in quella situazione... Invece, ormai è troppo tardi e io sono qui sul camper..." "Ce la puoi fare, ragazzo" diceva Hoss da sotto il suo cappello da cowboy. "Quel che è stato è stato, ma puoi ancora rimediare." "E come?" chiedeva Possum a Ben. Ben era in sella al suo cavallo, pronto per partire alla volta di Carson City. Abbassava lo sguardo e sorrideva a Possum. "Perché tanto per cominciare non chiami Moses Custer e gli chiedi scusa?" gli suggeriva muovendo appena le redini. "E poi dovresti consegnarti allo sceriffo Coffey" aggiungeva, prima di allontanarsi al galoppo. Possum rimase seduto nella penombra e prese in mano il cellulare. Con il cuore che batteva all'impazzata, tese le orecchie per accertarsi che non ci fosse nessuno in giro. Non sentendo né passi né voci, chiamò l'assistenza clienti e, per cinquanta centesimi, si fece passare direttamente l'ospedale in cui al telegiornale avevano detto che era stato ricoverato Moses Custer. «Posso parlare con il signor Custer, per cortesia?» domandò a voce bassissima. «Chi lo desidera? Riceve telefonate solo da persone autorizzate. Ho qui l'elenco.» Possum cercò il modo per aggirare l'ostacolo. «Sono il numero tre, signora.» Sentì che controllava e sperò che il numero di Dale Earnhardt gli portasse fortuna. In un certo senso, fu accontentato. «Il numero tre corrisponde a Brutus Custer e signora. Lei chi è?» Possum aveva una vocina acuta e dolce, che poteva passare per quella di una donna. Un po' gli dispiaceva, ma sapeva benissimo che se avesse detto
che era Brutus, non gli avrebbe creduto nessuno. «Sono la signora Custer» rispose. «Sono preoccupata per mio suocero... Non sono più riuscita a mangiare né a dormire, da quando ho saputo cosa gli è successo. Gli dica che, se non si sente di parlare con me, riprovo un'altra volta.» Stava tremando, aveva i piedi gelati e il batticuore, ma Ben Cartwright, sempre in sella al suo cavallo, voltò la testa dalla sua parte e gli lanciò un'occhiataccia. «Attenda in linea, per favore» gli disse la signora. «Pronto» rispose una voce maschile. «Sei tu, Jessie? Come state? Perché non sei mai venuta a trovarmi? Oggi mi dimettono.» «Mi scusi, signor Custer, non sono Jessie, ma avevo assolutamente bisogno di parlarle. La prego, non mi butti giù il telefono.» Il cuore gli batteva tanto forte che aveva paura che gli scoppiasse. «Chi parla?» chiese Moses, all'improvviso insospettito. «Non glielo posso dire. Ma le assicuro che mi dispiace tantissimo di quello che le è successo. È stata una cosa sbagliatissima, malfatta. Non volevo, glielo giuro. Mi hanno costretto.» «Chi sei?» domandò Moses spaventato. «Perché mi hai chiamato? Sei uno di quei pirati, vero?» «Sì, ma non voglio esserlo» confessò Possum. «Figuriamoci se non vuoi. L'ho capito subito che non eri Jessie. Hai la voce completamente diversa.» Possum prese fiato. «Non posso stare tanto al telefono, ma volevo dirle che mi dispiace tantissimo di quello che ho fatto e, se posso rimediare in qualche modo, le prometto che lo farò. E senta, signor Custer, si faccia proteggere dalla polizia, perché vogliono venire a cercarla e chiuderle la bocca per sempre. Il capo della banda si chiama Smoke e la sua ragazza Unica, sono stati loro ad ammazzare quella poveretta del Seven-Eleven ieri sera. Smoke ha detto che mi uccideva se io non le sparavo, signor Custer, quando le abbiamo preso l'autotreno con tutte quelle zucche...» «Bastardi figli di puttana! Che si provino a toccarmi e gliela faccio vedere io!» «Cercherò in tutti i modi di fargli cambiare idea, signor Custer.» «Tu? Ma chi diavolo sei...» Moses si era messo a urlare e Possum, preso dal panico, chiuse la telefonata. «Cosa cazzo fai?» chiese Smoke spalancando la porta della sua stanza.
«Con chi stai parlando?» Possum riuscì appena in tempo a far sparire il cellulare sotto le coperte. «Con Popeye. Hai visto la nostra bandiera?» rispose pronto. «Che ne dici, Smoke?» Smoke entrò, con una lattina di birra in mano, e guardò a lungo la grande bandiera attaccata al muro. «Cos'è 'sta merda?» chiese con voce dura, cattiva. «Non avevi la bandiera e io ho pensato che tutti i pirati hanno una bandiera. E anche tutti i piloti del NASCAR. COSÌ te ne ho fatto una, Smoke. Te l'avevo detto, no? Ho pensato che la potevi mettere ai box quando andiamo alla corsa, domani sera. Poi, quando scappiamo sull'isola, l'appendi anche là e così la gente sa che gli conviene stare alla larga.» «Se parli da solo, almeno fallo a bassa voce, okay? Mi hai svegliato» lo sgridò Smoke. «Adesso resto stanco tutto il giorno.» Smoke si calmò un pochino e squadrò la bandiera pensoso, da angolazioni diverse. Gli venne un'idea e staccò il drappo dal muro. «Adesso sparo al cane, lo avvolgo qui dentro e lo lascio sui gradini di casa della Hammer» disse crudele. Popeye, che sapeva fare finta di niente bene quanto Possum, non diede a vedere che era sveglissima. Possum, invece, finse che non gliene importasse nulla. «Così, però, ti giochi la possibilità di farla pagare anche a Brazil» ricordò a Smoke, che in quel periodo tendeva a dimenticarsi un sacco di cose. «Il cane ci serve per attirare lui e la Hammer all'autodromo e sparargli nella testa. Poi Cat ci porta via in elicottero e andiamo a vivere felici e contenti sull'isola.» «Come cazzo la organizziamo, tutta 'sta manfrina?» chiese Smoke gettando la bandiera addosso a Popeye, che non si mosse di un millimetro. «Non è difficile» rispose Possum. «Mando un'e-mail al Capitano Bonny e gli dico di fare tutto lui. Ha i contatti giusti, no? Parla con la Hammer e le racconta che tu, pilota del NASCAR, e la tua bella fidanzata Unica e tutti noi del tuo team abbiamo trovato Popeye in mezzo a una strada e l'abbiamo presa. Solo che non gliela ridiamo se non si presenta accompagnata da un vigile, meglio se il vigile Brazil, che ci assicura che è veramente lei. Così li facciamo venire all'autodromo e appena la Hammer si mette a gridare dalla gioia perché ha riconosciuto Popeye, noi tiriamo fuori la pistola e spariamo a lei e al suo amico. Poi saliamo sull'elicottero e scappiamo via.»
«Fai tutto tu» gli ordinò Smoke. Ingollò il resto della birra e lanciò la lattina sul pavimento. 23 Il capo dell'Istituto di medicina legale, la dottoressa Kay Scarpetta, era nel suo studio quando Andy bussò alla porta socchiusa. «Si può?» disse educatamente, un po' teso. «Se non la disturbo, desidererei parlare con lei del cadavere non identificato ritrovato in Canal Street ieri sera.» «Prego, si accomodi.» La dottoressa Scarpetta alzò lo sguardo da una pila di certificati di morte che stava controllando. «Ci conosciamo?» «No, ma ho avuto occasione di lavorare con il dottor Sawamatsu.» Andy si presentò e quindi spiegò che Regina stava facendo uno stage nella polizia di Stato, ma senza dire il suo nome. «Come si chiama?» chiese la dottoressa, rivolgendosi direttamente alla ragazza. Regina la guardò con gli occhi sgranati e la bocca aperta: non aveva mai incontrato una donna tanto potente ed era in grandissima soggezione. Kay Scarpetta era bionda e molto attraente, sui quarantacinque anni. Indossava un elegante tailleur gessato. Perché una donna così aveva scelto di occuparsi di morti? E che risposta doveva dare Regina per non tradirsi e non creare confusione? «Gina» rispose alla fine. «Molto bene» disse la dottoressa Scarpetta annuendo dal suo posto di comando. «Garantisce lei per l'agente Gina?» chiese poi a Andy con un'ombra di minaccia. «Di norma, qui non entrano stagisti.» «Rispondo io di tutto» la rassicurò Andy, lanciando un'occhiataccia a Regina. «Non si preoccupi» intervenne lei. «Non riferirò niente di ciò che vedo o sento e non toccherò né sposterò niente.» «Bene» replicò la dottoressa. Poi si rivolse a Andy. «Il cadavere è stato identificato attraverso le impronte digitali. Si tratta di Caesar Fender, di sesso maschile, nero, quarantun anni, di Richmond. Purtroppo, stamattina l'obitorio è al completo. Lei ha mai assistito a un'autopsia?» chiese poi a Regina. «No, ma non perché non volessi» rispose la ragazza, decisa a fare bella figura con quella donna leggendaria.
«Capisco.» «Quando alle superiori ho scelto biologia, ero l'unica della mia classe a cui non faceva schifo sezionare le rane» si vantò. «Il sangue non mi ha mai impressionato. Credo che non mi farebbe senso nemmeno vedere uno che muore, tipo un condannato a morte.» «Io, invece, odiavo sezionare animali a scuola» replicò la dottoressa Scarpetta, con grande sorpresa di Regina. «Quelle povere bestie mi facevano una pena tremenda.» «Anche a me» intervenne Andy. «Mi ricordo che la mia rana era viva e io non la volevo ammazzare. Se ci penso, sto male ancora adesso.» «E sto male quando vedo morire qualcuno, condannato a morte o meno. Immagino che lei non abbia una grande esperienza di pronto soccorso o di indagini per omicidio, Gina» disse la dottoressa. Aveva l'impressione di aver già sentito nominare Andy. Frugò tra le carte e tirò fuori un certificato. Ma certo: Andy Brazil era il pubblico ufficiale che aveva richiesto l'analisi di alcuni cioccolatini. «Le devo parlare, Andy» gli disse. «A quattrocchi, se è possibile.» Era un modo gentile per dire che Regina se ne doveva andare un momento. «Ti spiace aspettarci fuori, Gina?» le chiese Andy. «Ti raggiungo subito.» «A che cosa serve fare lo stage, se sto sempre fuori della porta?» protestò Regina, con la sua solita voce antipatica. «Non sempre» precisò Andy, praticamente spingendola nel corridoio. «Su, da brava» aggiunse poi, come se fosse stata Frisky. Chiuse la porta e andò a sedersi davanti alla dottoressa Scarpetta. «Ho appena ricevuto il risultato delle analisi che aveva richiesto» cominciò lei. «È una cosa grave, tanto che il dottor Pond ha subito sottoposto il caso alla mia attenzione. Purtroppo, ho già avuto a che fare con avvelenamenti da lassativi. Ricordo di una donna, alcuni anni fa, che dopo una cioccolata calda in cui i figli per scherzo avevano messo dell'Ex-Lax ebbe uno scompenso cardiaco con edema polmonare, entrò in coma e morì.» Porse a Andy il certificato e continuò a spiegare. «Abbiamo effettuato un'HPLC, da cui risulta che i cioccolatini contengono fenolftaleina in concentrazioni diverse. La giusta dose di Ex-Lax ne contiene più o meno novanta milligrammi, mentre in un solo cioccolatino della scatola analizzata ce n'erano oltre duecento. A queste dosi la fenolfta-
leina provoca come minimo una perdita di liquidi e di elettroliti, con conseguenti gravi rischi, soprattutto se la vittima è anziana e non gode di ottima salute.» «Direi che il governatore rientra in questa categoria» osservò Andy preoccupato. «C'erano impronte digitali sull'involucro della scatola? E avete accertato se il biglietto è stato veramente scritto dal governatore?» La dottoressa Scarpetta cercò fra le carte sulla sua scrivania. «È stata rilevata un'impronta latente grazie al luminol e ai coloranti fluorescenti, che è stata poi mandata all'AFIS» lo informò. «Nella banca dati esisteva una corrispondenza. Questo è il numero di identificazione. Può controllare lei sui computer della polizia.» Glielo scrisse su un foglio. «Quanto all'esame dei documenti, abbiamo confrontato un esemplare della grafia del governatore con quella del biglietto nella scatola dei cioccolatini: non corrisponde.» «Dunque, il biglietto è un falso.» Andy se lo aspettava. «Non avendo un campione ufficiale, la nostra indagine non ha valore probante. Ci siamo basati su una lettera che presumiamo scritta dal governatore al dottor Sawamatsu.» «Ho capito. Ma non abbiamo l'assoluta certezza che l'abbia scritta veramente lui» disse Andy. «Che la firma sia davvero quella del governatore.» «Dal punto di vista legale, no.» «Questo mi fa venire in mente una cosa» mormorò Andy. «Spero di non andare troppo fuori tema, dottoressa. Ma ho saputo che il dottor Sawamatsu ha una collezione a dir poco bizzarra, di cui si vanta in giro. Lei è mai stata a casa sua?» «No» rispose la dottoressa, assumendo un'espressione severa. Se c'era una cosa che Kay Scarpetta non tollerava era che si mancasse di rispetto ai morti. Al suo staff non doveva passare nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di portarsi a casa soldi, effetti personali, armi, farmaci o alcol rinvenuti su un cadavere o nel luogo della sua morte. «Dovrebbe fargli un'improvvisata, un giorno di questi» le suggerì Andy. «Piombargli in casa senza avvertirlo.» «Stia tranquillo» rispose la dottoressa. «Lo farò.» «Mi occuperò al più presto dei cioccolatini avvelenati» promise Andy. «Immagino che vi serva anche un campione grafologico del sospettato.» «Non sapevo che aveste un sospettato» replicò la dottoressa. «Comunque sì, certo. Un campione della sua grafia ci sarebbe molto utile. Le suggerisco di procurarsene uno anche del destinatario dei cioccolatini.»
«Del comandante Hammer?» domandò Andy stupefatto. «E perché mai?» «Per eliminare la sindrome di Münchausen» spiegò la dottoressa Scarpetta con voce neutra. «L'avvelenamento da Ex-Lax spesso riguarda individui che ne fanno uso abituale per attirare l'attenzione, ad esempio per farsi compatire dai genitori o dal coniuge.» «Sta dicendo che il comandante Hammer potrebbe averci spinti a credere che il governatore o chi per lui le ha mandato cioccolatini avvelenati per attirare l'attenzione? Lo trovo assolutamente incredibile! Lei non conosce Judy Hammer» rispose Andy con tono educato ma fermo. «No, infatti non la conosco» rispose Kay Scarpetta. «Ma è appena arrivata a ricoprire una carica importante e, se il governatore la tratta come tratta me, avrà avuto l'esperienza frustrante di sentirsi respingere costantemente le telefonate e non vedersi invitare mai a un ricevimento. Esasperata, potrebbe aver fatto finta che il governatore la avvelenasse. Trovandosi di punto in bianco indagato per tentato omicidio, il governatore sarebbe costretto a prestarle attenzione.» «Posso farle qualche domanda veloce a proposito di Vicky Vash?» chiese Andy, cambiando discorso. «Non mi occupo io del caso, ma mi ha colpito molto, anche perché, come forse sa, l'assassino ha lasciato alcune prove davanti alla mia porta di casa, per motivi ancora tutti da scoprire.» «Ah, era casa sua?» Kay Scarpetta aggrottò la fronte. Andy capì subito che quel delitto aveva colpito anche lei. «Un assassinio brutale e terribilmente crudele» aggiunse. «Ha fatto bene a chiamare subito l'agente investigativo Slipper e a non toccare nulla. Abbiamo rilevato alcune impronte latenti, che però finora non hanno corrispondenza nella banca dati dell'AFIS. Attraverso gli STR siamo risaliti al DNA dell'assassino dalla saliva sulla busta, ma neanche di questo esiste corrispondenza. Per il resto, abbiamo recuperato alcuni lunghi capelli neri appiccicati alle macchie di sangue sui vestiti della vittima.» «Capelli di donna?» «Ancora non lo so» rispose la dottoressa Scarpetta. «Nelle banche dati non esiste alcuna corrispondenza. Interessante» osservò Andy. «Mi chiedo se sia perché l'assassino è giovane e i suoi precedenti sono secretati. Fino a poco tempo fa era vietato inserire le impronte digitali o il profilo del DNA di un minore nei data base. Quindi, potremmo avere a che fare con una persona con precedenti penali ma giovane, con lunghi capelli neri. Magari una ragazza che uccide per sport. Non è escluso
che sia legata alla banda dei pirati della strada capitanata da Smoke, che sospettiamo essere responsabile dell'aggressione a Moses Custer e dell'omicidio al Seven-Eleven di ieri sera.» «Non saprei.» Kay Scarpetta si alzò e andò ad aprire la porta. Regina rientrò nell'ufficio armata di penna e notes. «Non voglio portarle via troppo tempo, dottoressa Scarpetta, ma il caso del pescatore è alquanto delicato» riprese Andy, passando al punto successivo. «Soprattutto dal momento che è stato definito di matrice razziale. Ho ritenuto opportuno venire personalmente a riferirle di quali informazioni siamo in possesso e per assistere all'autopsia. Un individuo sospetto che era presente alla morte del pescatore sostiene che la vittima abbia preso fuoco spontaneamente, forse perché con il calore del proiettile gli si sono incendiati gli abiti in fibra sintetica. Devo aggiungere che questo presunto testimone è il principale sospettato nell'altro caso di cui parlavamo.» «Come mai non le hai detto che sono stata avvelenata anch'io?» chiese Regina, dimostrando così di aver origliato per tutto il tempo dalla porta chiusa. «Non intendo affrontare l'argomento adesso» la avvertì Andy, sapendo bene che, se avesse continuato su quella pista, sarebbe venuto fuori che non stava facendo nessuno stage, ma era la figlia minore e viziata del governatore. «È stato orribile!» disse Regina alla dottoressa Scarpetta. «Ho mangiato dei biscotti e tutt'a un tratto mi è venuto un mal di pancia come non mi era mai successo in vita mia. Cioè, tanto all'improvviso non è stato, visto che prima di nascondermi in giardino non mi sentivo troppo male. Invece poi mi sono venute delle fitte terribili e un orrendo meteorismo. Sono finita in ospedale, sa, dove mi hanno praticato una serie di trattamenti immondi e vergognosi. Si figuri che mi hanno fatto fare pipì in un bicchiere di plastica, in cui poi l'infermiera ha infilato un bastoncino. Volevano che facessi anche la cacca, ma dopo l'attacco di diarrea ero completamente svuotata. E la pipì è diventata rosa! Io ero terrorizzata, perché credevo che fosse sangue, invece poi l'infermiera mi ha spiegato che era un test, ma il fatto che si fosse colorata di rosa voleva dire che c'era qualcosa che non andava. Avevo mangiato biscotti pieni di Ex-Lax: qualcuno aveva cercato di uccidermi a sangue freddo! O forse non volevano uccidere proprio me e io ero la vittima innocente che aveva la sola colpa di aver assaggiato un paio di biscotti» continuò, chiaramente contenta di poter raccontare la propria di-
savventura. «L'infermiera diceva che l'urina di solito ha un pH compreso fra quattro e sei, ma che l'Ex-Lax la fa diventare rosa se il pH supera sette.» Regina non aveva la minima idea di che cosa significasse tutto questo, ma pensava che pi-acca fosse una variante ben peggiore e minacciosa della normale pi-pì. Era anche convinta di non aver ancora eliminato completamente dal proprio organismo questo fattore acca, perché si sentiva molto fiacca. «Mi è andata bene che non sono finita anch'io su uno dei suoi tavoli d'autopsia!» disse con tono melodrammatico. «Già» replicò la dottoressa Scarpetta. «Senta, Andy, abbiamo radiografato il pescatore. Non ci sono proiettili.» «Come avrà fatto, allora, a prendere fuoco?» «Faremo tutte le analisi possibili per individuare eventuali tracce di liquidi infiammabili o altre sostanze chimiche» replicò, togliendosi la giacca del tailleur per appenderla dietro la porta. «Questo è uno di quei casi in cui l'esame esterno è abbastanza rivelatore.» Si infilò il camice. «Per esempio, dal fatto che le ustioni tendono a essere più pronunciate posteriormente riteniamo che ciò che ha innescato l'incendio sia penetrato nel corpo all'altezza del petto. Nella cassa toracica, e soprattutto nella zona del cuore, non è rimasto praticamente nulla.» Andy e Regina la seguirono nel corridoio. «Dunque, un motivo per cui ha preso fuoco c'è» disse Andy, mentre Regina scriveva con foga. «Gli è penetrato nel torace qualcosa che lo ha bruciato.» «Avete ritrovato armi?» chiese Kay Scarpetta. «No, dottoressa.» «Scusate, in-fiammabile o im-fiammabile?» Regina era in difficoltà, e la dottoressa non aveva ancora iniziato a snocciolare termini medici. «Questo individuo sospetto che ha assistito alla morte del pescatore ha detto di che colore erano le fiamme o di che intensità?» domandò la dottoressa Scarpetta. «Se erano bianche, azzurre o rosse, per esempio?» «Innescato con due enne?» Regina aveva assunto un tono petulante. «No. E comunque non lo ritengo un teste affidabile» rispose Andy alla dottoressa. «Sì» rispose lei a Regina. «Ha detto posteriormente o anteriormente, che non me lo ricordo più?» «Lascia perdere» disse Andy a Regina con un tono che voleva farle capi-
re di smetterla di parlare a sproposito. «L'elemento più significativo è il residuo bianco-grigiastro ritrovato nella cavità toracica, che farebbe pensare a un dispositivo incendiario o altro materiale che è bruciato all'interno del corpo.» La dottoressa Scarpetta si fermò davanti alla porta dello spogliatoio femminile. «Lei passi dall'altra parte» disse a Andy. «Io e Gina l'aspettiamo di là, così cominciamo.» «In-cen-dia-rio?» Regina era sull'orlo del panico e non reagiva bene all'insicurezza e alla paura. «Che genere di dispositivo? Che cos'è un dispositivo incendiario?» Era diventata brusca e scostante. «Non riesco a prendere appunti, se parlate così veloce! Non è giusto! Non capisco nemmeno che cosa dite! Non è mica roba che si mangia!» La dottoressa Scarpetta le lanciò un'occhiata interrogativa. «Non mi pare che sia nello stato d'animo giusto per assistere alla sua prima autopsia.» Andy prese la radio e chiamò il collega Macovich. «Puoi riportare il pacco alla fonte?» gli chiese in codice. «E mi puoi controllare un identificativo all'AFIS?» «Dieci-quattro» replicò la voce di Macovich, decisamente poco entusiasta. «Dieci-venticinque nel garage dell'obitorio.» «Dieci-quattro. Fra quindici.» «Ecco. Hai visto che cos'hai combinato?» protestò Andy con Regina poco dopo, mentre aspettavano nel garage gelido, seduti su sedie di plastica davanti a un distributore automatico di bevande. Due inservienti delle pompe funebri, un uomo e una donna vestiti di scuro, stavano cercando di far salire sul carro un sacco mortuario, ma non riuscivano ad alzare le gambe da un lato della barella. «Non ho fatto niente!» si lamentò Regina. «Siete tutti cattivi con me!» «Ti avevo avvertita di stare zitta e di comportarti bene, ma non mi hai voluto dar retta» ribatté Andy. Gli inservienti erano in un'impasse. Non riuscendo ad alzare tutte le gambe della barella - e quindi a posare per terra il morto, che sembrava di stazza ragguardevole - non avevano una mano libera per aprire il portellone del carro. «Guardali!» fece Regina indicando i due in difficoltà. «Perché non vai a dargli una mano, invece di prendertela con me?» «Basta che tu mi prometta di non muoverti di qui» replicò Andy, che non si fidava minimamente di quella ragazza. Si avviò a lunghi passi verso il carro funebre.
«Aspetti che l'aiuto io» disse all'inserviente donna. «Molto gentile» rispose lei, lasciandogli la barella. «Non avevi detto che funzionava, Sammy?» domandò con tono stizzito al suo compagno, facendo forza sulle gambe della barella, che si erano incastrate. «Hanno solo bisogno di un po' d'olio, Maybeline.» «E cosa aspetti a darglielo, allora? Sono dure da morire: non riesco a muoverle. E l'altro giorno c'era una rotella bloccata. Non hai aggiustato nemmeno quella?» Sammy rimase zitto, mentre Andy reggeva la barella con una mano e provava ad aprire il portellone con l'altra. «Quante volte ti ho detto che preferisco saperlo, quando non fai una cosa?» Maybeline era furibonda. «Io mi spezzo la schiena a fare 'sto dannato lavoro e tu te ne stai seduto in poltrona a guardare la televisione.» «È chiuso a chiave» disse Andy, mentre la barella oscillava pericolosamente. «Non sarebbe meglio lasciar perdere le gambe della barella e aprire il portellone del carro? Al limite facciamo scivolare dentro il sacco, anche senza barella.» «La barella non ci sta, se le ruote non si piegano» insistette Maybeline, prendendole a calci. «La chiave è in tasca. Non ci arrivo. Un momento.» Sammy stava per perdere la pazienza. «La smetti di agitarti? Guarda che prima o poi 'sta poveretta cade per terra!» Regina, intuendo che la situazione stava per precipitare, decise di avvicinarsi. In quel momento si udì il segnale acustico e la porta del garage cominciò a sollevarsi. «Gliele prendo io, le chiavi» disse a Sammy, passandogli le mani su tutto il corpo come aveva visto fare ai poliziotti della televisione per perquisire i sospetti. Non sapeva che Sammy soffriva il solletico in maniera esagerata. Quando gli infilò la mano nella tasca anteriore destra dei pantaloni, l'uomo gridò e fece un salto di venti centimetri. Appena entrato nel garage, pertanto, Macovich vide un uomo vestito di scuro che rideva convulsamente gridando «Basta! Basta!» alla figlia del governatore e, contorcendosi, mollava per un istante l'estremità della barella che stava reggendo, provocando la caduta rovinosa del sacco mortuario che vi stava sopra. Nel frattempo, Andy gridava di tutto a Regina e un'inserviente donna ululava dal dolore perché la barella, cadendo, l'aveva colpita su una mano, che sanguinava in
abbondanza. Macovich ritenne più saggio rimanere a bordo della proprio auto a osservare la scena, che stava rapidamente degenerando. "Vediamo che cosa sa fare il mio bel collega" pensò acido. Hai visto che cosa succede a fare il cocco degli insegnanti e a essere troppo gentile con la figlia del governatore? Ti sta bene. Ah-ah-ah. Era un po' che non assistevo a una bella rissa. Chissà che faccia farà la dottoressa Scarpetta quando vedrà che cosa avete combinato! Vi prenderà tutti a calci nel sedere. Sporgerà reclamo al comandante Hammer. «Sei un'idiota!» gridò Andy a Regina. «Idiota sarai tu!» gli gridò lei a voce più alta. «Guarda che cos'hai combinato!» le urlò Sammy. «Spera che i familiari della signora non le vogliano porgere l'estremo saluto, perché sai cosa succede se si accorgono di com'è ridotta! Sarà piena di lividi e con le ossa rotte, te ne rendi conto?» «Sui cadaveri i lividi non si formano» precisò Andy. «E dubito che si sia rotta qualcosa.» Sammy diventò matto nel vedere Maybeline sanguinante e spintonò Regina contro il carro funebre, strappandole le chiavi di mano. Lei gli restituì lo spintone e gli tirò un calcio in uno stinco. Quindi gli mollò un pugno in un occhio, e quando lui per fermarla la prese per un braccio gli morse la mano. Allora, Andy si mise in mezzo e bloccò Sammy stringendogli un braccio intorno al collo. In quel momento la porta si spalancò e sulla soglia apparve la dottoressa Kay Scarpetta, in camice e guanti di lattice, richiamata da tanto baccano. «Basta così!» gridò con tono perentorio. «Smettetela immediatamente!» 24 Verso mezzogiorno, Fonny Boy era riuscito a capire quanti giri verso sinistra e verso destra erano necessari per aprire il lucchetto con la combinazione 7360, che secondo il dottor Faux era una traduzione in termini nautici di 7-Up. Come supponeva, nel cassetto c'erano una bottiglia di vodka Bowman, un pacchetto di sigarette e, grazie a Dio, un lanciarazzi Orion di plastica, con una gittata di ventun miglia. C'erano anche tre razzi, ciascuno con intensità luminosa da 15.000 candele. Fonny Boy li lanciò tutti e tre, uno dopo l'altro, diritti sopra di sé. Lui e il dentista trattennero il fiato un minuto,
alla deriva in mezzo al mare, con la nassa che li seguiva docilmente. «Non avresti dovuto spararli tutti e tre insieme» recriminò il dottor Faux, scoraggiato e irritato. «Perché l'hai fatto, Fonny Boy? Non sarebbe stato meglio spararne uno adesso, aspettare un po' di vedere se arrivava qualcuno prima di sparare il secondo e usare il terzo solo alla fine? Adesso siamo di nuovo daccapo, sperduti in mezzo al mare senza cibo né acqua. Rimetti a posto quella vodka: ti rimbecillisce, ti disidrata e basta.» Ciò che né Sherman Faux né Fonny Boy potevano sapere era che in quel momento un motorista e tre piloti della guardia costiera erano usciti in elicottero per un'operazione di routine. Erano a cinquecento piedi di quota quando tre piccoli razzi sfrecciarono davanti al vetro del grande Jay Hawk arancione, facendoli trasalire. «Oh, Cristo! Che roba è?» esclamò il comandante al microfono. «Ci sparano addosso!» gridò il motorista all'interfono dal suo sedile posteriore. «Secondo me è un SOS. Sono segnali luminosi.» Il secondo pilota cercava di calmare i suoi compagni di viaggio. «Non avete visto che erano brillanti, come fosforescenti?» «Non siamo in una zona vietata, vero?» «Assolutamente no.» «Saranno razzi di segnalazione, allora.» Le tracce luminose si spensero velocemente, ma lasciarono scie bianche nel cielo che permettevano di risalire al punto di origine. L'enorme elicottero virò verso est e nel giro di pochi minuti avvistò un peschereccio con due persone a bordo che gesticolavano in modo disperato. I piloti della guardia costiera notarono anche una boa, presumibilmente attaccata a una nassa. «Merda. Sono di Tangier Island.» «Sì. E sono nella riserva naturale» fece notare il motorista. «Vedete quella boa gialla? È una nassa.» Mentre la guardia costiera li individuava, Fonny Boy e il dentista riconobbero l'inequivocabile frastuono delle pale di un elicottero. Fonny Boy per abitudine era diffidente nei confronti della guardia costiera che, a suo dire, non faceva che perseguitare i pescatori. Ma in quel momento era particolarmente ottimista, per via del ferro arrugginito che aveva in tasca. Sua madre non diceva sempre che c'è un motivo per tutto? Se non avesse aiutato il dentista a fuggire, se non fosse rimasto senza benzina e non fosse stato tratto in salvo dalla guardia costiera, non avrebbe mai scoperto il relitto
nel luogo in cui aveva calato la nassa attaccata alla boa che, a sua insaputa, li aveva seguiti perché la corda era troppo corta. «Grazie a Dio» esclamò il dentista osservando il Jay Hawk che si avvicinava rapido. «Ci hanno trovato! E meno male, perché siamo fermi e non ci muoviamo di un millimetro: vedi che la boa è sempre lì? Vuol dire che non abbiamo fatto un metro da quando abbiamo calato la nassa.» «Non posso credere che abbiano la faccia tosta di gettare le nasse nella zona protetta» disse il tecnico della guardia costiera scuotendo la testa. Il pilota abbassò l'elicottero a punto fisso, provocando un vortice nell'acqua e mandando schizzi da tutte le parti. I due naufraghi abbassarono la testa e si coprirono gli occhi, con i vestiti che sventolavano come quelli degli spaventapasseri durante un uragano. Anche Cruz Morales aveva bisogno di aiuto. Era sull'orlo della disperazione e stava cominciando a meditare di consegnarsi alle autorità. Almeno sarebbe stato al caldo e avrebbe messo qualcosa sotto i denti. Era esausto, dopo essersi fatto a piedi tutto il West End di Richmond, avendo saggiamente deciso di mollare la macchina, visto che sembrava ricercato da esercito e polizia. Ma più di tutto era preoccupato che lo incolpassero della rapina e dell'omicidio al Seven-Eleven a cui aveva assistito la sera prima. Cruz non si era mai macchiato di crimini violenti, ma girovagando per il campus della University of Richmond facendo finta di essere uno studente cominciò a tramare cose che gli facevano paura. Sarebbe bastato trovare qualcuno più debole di lui, magari una donna - preferibilmente poco atletica e poco determinata - e spaventarla per farsi consegnare il portafoglio e le chiavi della macchina. In quel modo sarebbe potuto scappare, mollare l'auto appena possibile, rubarne subito un'altra e così via fino a New York. Meglio ancora, pensò avvicinandosi a un tozzo edificio di mattoni in un boschetto vicino al lago nel cuore del campus, avrebbe potuto lasciare in una stazione l'auto rubata e prendere il treno. Davanti all'edificio tozzo c'era una piccola insegna che diceva: BAPTIST CAMPUS MINISTRY. Siccome Cruz non sapeva leggere molto bene, lesse "Baptista" al posto di "Baptist" e si illuse che all'interno qualcuno parlasse spagnolo. Perciò si ravviò i capelli con le mani, si strofinò i denti nella manica del cappotto, cercò di darsi un contegno e con il batticuore aprì il portone proprio nel momento in cui Barbie Fogg accompagnava una studentessa nella sala d'attesa, dove c'erano un tavolino pieno di riviste e un sacco di piante finte, che Barbie si era aggiudicata nelle innumerevoli
pesche di beneficenza. «Posso solo immaginarlo» stava dicendo Barbie alla studentessa, che soffriva di acne. «Ho sempre avuto la pelle secca e quindi non ho mai avuto un brufolo, ma credo di capire come ti senti. Prova a contattare il mio medico, sono certa che ti aiuterà.» «Lo spero proprio, signora Fogg. Come dicevo, non penso ad altro. Sono così depressa...» Nessuna delle due si accorse di Cruz, il quale si sedette svelto su un divano e finse di essere assorto nella lettura di una rivista di cui non capiva nulla. «Mia madre diceva che il sapone risolve tutto. Secondo lei, basta passare un po' di Ivory Soap sui brufoli per seccarli» continuò Barbie, posando una mano sulla spalla della ragazza. «Io non ci ho mai provato perché, come dicevo, non ne avevo bisogno. Chissà, magari un bel peeling...» «Un peeling?» «Il mio medico li fa. Prova a chiederglielo.» «Senz'altro. Grazie molte, signora Fogg. È già un sollievo poterne parlare con qualcuno.» «Sono convinta che non ci sia nulla come una voce amica» concordò Barbie con sentimento. «E non ti preoccupare se i tuoi compagni non ti chiedono di uscire. Un giorno troverai il principe azzurro e vivrete felici e contenti con una pelle liscia e luminosa!» Barbie si sentì in colpa a dire quelle parole vuote: la ragazza non avrebbe mai avuto una pelle liscia e luminosa. Era già piena di cicatrici rossoviolacee che dopo anni di incuria avrebbero richiesto come minimo una terapia laser. Quanto al vivere felici e contenti con un principe azzurro, Barbie non conosceva nessuno a cui fosse capitato. La vita con Lennie era monotona e poco gratificante, e Barbie non vedeva l'ora di avere un attimo di tranquillità per scrivere al suo amato pilota del NASCAR. «A presto, allora» sussurrò alla ragazza. «A presto» le rispose la studentessa aprendo la porta. Fu in quel momento che Barbie vide il messicano male in arnese seduto sul divano. Aggrottò la fronte, in preda all'ansia. Non aveva proprio l'aria dello studente, per quanto negli ultimi tempi i ragazzi tendessero a essere piuttosto sciatti. Le pareva anche un po' troppo giovane per l'università, ma più lei invecchiava, più gli altri le sembravano giovani. «Salve! Posso fare qualcosa per te?» disse con il piglio professionale che tanto infastidiva Lennie.
«Ah-ah» rispose il ragazzo, alzando appena gli occhi dalla rivista. «Parli inglese, vero?» Barbie era agitata: se il messicano non parlava inglese non poteva fare l'università in America, e, se non era uno studente, che cosa ci faceva al Baptist Campus Ministry? Peccato che il reverendo Justice proprio quel giorno non ci fosse. Non aveva nemmeno telefonato per dire dov'era o a che ora intendeva rientrare e la segretaria era a casa in malattia, per cui Barbie era sola nell'edificio. «Un poquito.» «Hai un appuntamento?» «No, no appuntamento. Ho bisogno de aiuto.» Barbie si sedette sul lato opposto del divano per mantenere le distanze, riflettendo che era meglio non portare quel ragazzotto tanto sciatto nel suo ufficio e chiudere anche la porta. «Parlami di te.» Barbie cominciava sempre così le sue sedute. Guardò verso l'entrata, nella speranza che il reverendo Justice decidesse all'improvviso di rientrare. Invece il reverendo era andato a fare visita al povero camionista che era stato aggredito davanti al mercato ortofrutticolo e, comunque, era sempre impegnato in qualche talk-show televisivo o radiofonico. Barbie si disse che non doveva essere così egoista da desiderare la sua presenza quando c'era tanta gente più bisognosa di lei... In fondo, era soltanto un po' a disagio. «No tengo dinero» le rivelò il ragazzo, sempre più titubante rispetto ai piani criminosi di poco prima. «Non sono di qui e no tengo dinero por tornar a casa. Sono venuto per lavorare, entiende? E poi è successo tutto questo. Io ho paura.» «Be', qui al Campus Ministry non c'è da aver paura» disse Barbie con convinzione e una punta di orgoglio. «Siamo qui per aiutare il prossimo. Non potresti essere più al sicuro.» «Bueno. Io no me sento al sicuro e ho fame.» Aveva le lacrime agli occhi. Quel ragazzo avrebbe dovuto radersi e tagliarsi i capelli, pensò Barbie, che non poté fare a meno di notare che aveva le unghie sporche e un tatuaggio sul dorso della mano destra. Doveva aver avuto una vita dura, poverino. «Come hai fatto a sapere di noi?» gli chiese. «Ho visto la scritta e ho pensato che eravate parenti di Gustavo, Sabina o Carla.»
Barbie non vedeva il nesso. «Così sono entrato» continuò Cruz stringendosi nelle spalle. «Come faccio a tornar a casa?» «Dipende da come sei venuto» rispose Barbie, un po' confusa. «E da dov'è casa tua.» Cruz non era molto intelligente, ma sapeva di avere un'auto targata New York e che la polizia cercava un ispanico con una macchina targata New York. Quindi, forse, era meglio non dire che abitava a New York. «Scommetto che vieni dalla Florida» continuò Barbie. «In Florida è pieno di ispanici. Mio marito mi ha portato nelle Everglades per il nostro secondo anniversario di matrimonio. Avevo tanta voglia di andare sull'idroscivolante... Siamo stati due notti a Miami, in uno dei pochi hotel che a quei tempi non avevano le tavole alle finestre, perché mi piace tanto Jackie Gleason. Hai mai visto The Honeymooners?» Cruz fece una faccia stupita e si grattò la testa. «Be', per andare in Florida potresti prendere il pullman. Il Campus Ministry ha un fondo a cui possiamo attingere a nostra discrezione per aiutare gli studenti che non hanno i mezzi per tornare a casa.» Cruz si depresse. Non conosceva nessuno in Florida. «Potrei andare a New York a cercarmi un lavoro» disse, sperando che la signora non tirasse la conclusione che, se lui voleva andare a New York, doveva essere per forza il serial killer di origine ispanica che andava in giro ad ammazzare i neri. «È una metropoli tentacolare» replicò Barbie «e trovare lavoro è molto difficile. Ma ti dico io che cosa potresti fare. Se ti dessi abbastanza soldi per comprarti il biglietto del pullman e qualcosa da mangiare?» Barbie ebbe il sentore che non fosse prudente parlare di soldi e di fondi a cui lei poteva attingere a sua discrezione, ma quando si trovava di fronte ai bisognosi perdeva ogni cautela. E quel ragazzo, benché avesse una pelle stupenda, era chiaramente bisognoso. Forse Iddio le stava suggerendo di fare un piccolo miracolo per lui. Pensò all'arcobaleno e sentì una grande pace dentro. «Gracias, gracias» disse Cruz sollevato. «Che Dio la benedica. Lei è molto gentile. Mi ha salvato la vita e io no scorderò mai.» Barbie, gratificata da tanta riconoscenza, si sentì meglio e si alzò dal divano. «Prima di tutto devo chiedere l'autorizzazione al reverendo Justice, sempre che lo trovi. Forse ne hai sentito parlare. È molto famoso, di questi
tempi. Spero di riuscire a contattarlo: sembra che sia sparito dalla faccia della terra. Aspetta un attimo qui.» «Sì, aspetto» promise Cruz. Barbie tornò nel suo ufficio e chiuse la porta a chiave. Chiamò la segretaria, che quando rispose al telefono non sembrava per niente malata. «Sai dov'è il reverendo Justice?» le domandò, di nuovo in preda alla paura e alla diffidenza nonostante l'arcobaleno. Come faceva a essere sicura che quel messicano fosse un bravo ragazzo? E se non lo fosse stato? «Hai provato a cercarlo a casa?» le chiese la segretaria scorbutica, come se Barbie l'avesse infastidita. «Non risponde nessuno» replicò lei frustrata. In quel momento sentì bussare alla porta. Avrebbe voluto chiamare Hooter e chiederle se secondo lei faceva bene a dare dei soldi a quel messicano, ma a quanto sapeva nei caselli autostradali non c'erano telefoni. «C'è nessuno?» chiese una voce di donna ad alta voce, bussando più forte. Barbie corse a vedere chi era. «Scusi un momento» disse nervosamente attraverso la porta chiusa. «Chi è? Ha un appuntamento?» «Non ricevete senza appuntamento? Devo parlare subito con qualcuno, oppure mi butto nel lago. Non sono della vostra fede, ma se mi suicido e poi si viene a sapere che non mi avete voluto parlare, vedrete come reagirà la gente! Soprattutto quella che odia i battisti» disse la donna in lacrime. Le strade di Regina Crimm, Barbie Fogg e Cruz Morales si erano incontrate nel modo più straordinario possibile e con un tempismo eccezionale. Macovich stava attraversando il centro per riaccompagnare Regina a casa sua quando aveva ricevuto una chiamata per radio in cui lo informavano che una vecchia Pontiac Grand Prix con targa newyorkese era stata rinvenuta nel parcheggio del Country Club of Virginia. Si riteneva che l'auto fosse stata lasciata lì da poco perché un rottame, perdipiù con la targa di un altro Stato, avrebbe attirato subito l'attenzione in un circolo tanto esclusivo. Come in effetti era stato: una signora diretta ai campi da tennis indoor aveva notato la Pontiac mentre parcheggiava la sua Volvo e aveva chiamato subito il pronto intervento. «Scusa tanto» aveva detto Macovich a Regina, accendendo luci e sirena. «Dobbiamo controllare una cosa. Potremmo aver rintracciato l'ispanico
che stiamo cercando.» «Va bene, non dirò niente a nessuno» aveva esclamato Regina, eccitata dal suono delle sirene e dalle luci intermittenti, sapendo che era contro il regolamento per gli uomini della scorta del governatore rispondere a chiamate pericolose mentre erano con lui o con i suoi familiari. «Per quanto mi riguarda, stai ancora facendo il tuo stage» aveva tagliato corto Macovich accelerando nel traffico di Broad Street. «Quindi, se hai in testa di fare la spia come hai fatto quando ti ho stracciato a biliardo, sappi che negherò tutto e dirò che eri qui in veste di stagista.» «È mio padre che si è arrabbiato con te» replicò Regina. «Sì, perché tu non sai perdere e sei andata a mugugnare con lui.» Macovich accelerò per passare con il semaforo giallo. Nel vederlo, gli automobilisti accostavano, temendo di venire multati per qualche infrazione. Andavano tutti a venti chilometri l'ora, sperando di non essere stati colti a fare sorpassi azzardati o a superare il limite di velocità da qualche elicottero che poi aveva sguinzagliato un vigile a terra alle loro calcagna. «Il governatore non ha visto, quando ti ho battuto» aveva insistito Macovich irritato, cercando di districarsi nel traffico. «Così tu sei andata a dirglielo, e adesso devo solo sperare che non si ricordi di me.» «Non si ricorda, non si ricorda» aveva borbottato Regina. «Dice che voi neri vi assomigliate tutti. E lo dice con disprezzo, te l'assicuro. E, comunque, mio padre non vede nessuno e certe volte chiama Fede Costanza e viceversa, soprattutto quando sono ancora in vestaglia e senza trucco.» «Levati di mezzo!» gridava Macovich alle macchine che gli sbarravano la strada. Nel giro di pochi minuti, era arrivato al vialetto che portava all'elegante club, con tanto di campi da tennis, paddleball e golf. Il Country Club of Virginia era in un quartiere esclusivo le cui ville erano grandi e belle come quelle del governatore. Macovich, sudato e nervoso, superò la cunetta sul viale. Anche la gente che frequentava certi posti pensava che i neri si assomigliassero tutti. E non perché non ci vedevano bene. «Sai che cosa ti dico? Io qui vengo molto malvolentieri» aveva borbottato. «E perché? Mio padre è membro del club da quando è stato eletto governatore la prima volta. Io ci sono praticamente cresciuta.» Regina guardò nel parcheggio alla ricerca della Pontiac, sperando di vederla per prima. «Sì, certo. Adesso ti accettano perché sei figlia di tuo padre. Aspetta che
non sia più governatore e te ne accorgerai» le aveva detto Macovich, che aveva visto la macchina vicino all'ingresso dei campi da tennis. «Gente come te e me qui non è ammessa, caso mai non te ne fossi ancora accorta. E la maggior parte degli altri governatori ha rifiutato la tessera, anche se gratuita, per motivi di coscienza.» Regina era caduta dalle nuvole. «Perché non dovrebbero accettarmi? Sono bianca e appartengo a una famiglia bene.» «Comunque una minoranza.» Macovich aveva comunicato via radio di aver trovato la Pontiac e chiesto rinforzi. Poi si era acceso una sigaretta ed era sceso a controllare l'automobile. Avendo notato che la chiavetta era ancora inserita, aveva provato a metterla in moto e si era accorto che non c'era benzina. Aveva preso mentalmente nota del fatto che non c'erano effetti personali né nella vettura né nel bagagliaio ed era tornato alla radio. «Il ricercato sembra aver abbandonato il veicolo» aveva informato il collega che stava intervenendo sul posto. «Adesso do un'occhiata in giro. Chiama il carro attrezzi per farla portare via.» «Dieci-quattro.» «In che senso appartengo a una minoranza?» aveva ripreso Regina. «Come osi insultarmi?» «Ah, certo.» Macovich era arrabbiato. «Se tu lo dici a me non è un insulto, ma se lo dico io a te sì. Be', Miss Maggioranza, ti faccio presente che è risaputo che sei sempre da Babes', quando tuo padre non è governatore e tu puoi girare senza scorta.» «Non sempre: solo da due mandati a questa parte. Prima ero troppo piccola. E, comunque, che cosa significa?» «Dimmi un po': quanti maschi ci sono in quel locale, eh? Guarda che lo sanno tutti perché lo frequenti. Per conoscere una bella giocatrice di hockey su prato con la testa rasata e gli stivali da cowboy, o per farti riaccompagnare a casa da una con la Harley. Oppure per rimorchiare una dottoressa o un'avvocatessa che fanno finta di niente tutto il giorno e la sera si chiudono in un bel séparé buio insieme a un altro membro della maggioranza. Sì, tu vivi sotto una campana di vetro e ti comporti come se neanche te ne rendessi conto.» Regina era distrutta. Aveva sempre dato per scontato che quando suo padre non era governatore, e i giornalisti lo lasciavano in pace, lei potesse fare la vita che desiderava. Le volte che era stata in quel bar per donne nel Carytown Shopping Center non aveva mai pensato che la gente la vedesse
e mormorasse. E che Macovich avesse parlato di una giocatrice di hockey su prato, poi, era stato un colpo basso. Quella terribile delusione d'amore le bruciava ancora. Regina si era innamorata alla follia di D.D., una percussionista della Richmond Symphony Orchestra con l'hobby dell'hockey che aveva aspettato il suo compleanno per annunciarle che aveva una storia con una suonatrice di tuba e non la voleva mai più né vedere né sentire. «Odio la mia vita!» aveva detto Regina a Macovich, quando questi aveva svoltato nel circondario della University of Richmond per controllare se i colleghi di stanza lì al campus avevano notato qualcosa di sospetto. «Non ce la faccio più.» Macovich non l'aveva mai vista tanto sconvolta. «Sei cattivo, crudele. Siete tutti cattivi. Ma c'è un limite alle umiliazioni e alla crudeltà che uno può subire.» Macovich era entrato nel parcheggio vicino al lago per fare inversione. «Sono così infelice... Sto per scoppiare! Uno di questi giorni esplodo e troveranno solo un mucchietto di cenere sul pavimento!» gridava Regina. A un certo punto aveva notato una monovolume bianca con l'adesivo dell'arcobaleno vicino a un tozzo edificio di mattoni davanti a cui campeggiava la scritta BAPTIST CAMPUS MINISTRY. «Ferma!» aveva urlato a Macovich. «Fermati immediatamente, oppure trattengo il respiro finché non crepo, e voglio vederti a spiegare tutto a mio padre. Non scopriranno mai la causa della mia morte e diranno che mi hai ammazzato tu!» Macovich aveva inchiodato accanto alla macchina bianca e Regina aveva immaginato il proprio corpo, maltrattato e poco amato, chiuso dentro un sacco mortuario all'obitorio. Era sicura che la dottoressa Scarpetta le avrebbe fatto ore e ore di autopsia senza riuscire a capirci niente. "Potrebbe aver avuto un arresto cardiaco" avrebbe detto ai suoi genitori la famosa anatomopatologa. Sarebbe stato ancora meglio se Regina fosse riuscita a prendere fuoco da sola e Andy avesse trascorso il resto della sua vita a indagare sulla sua morte tragica e prematura. Avrebbe perso il sonno, spinto dai sensi di colpa a cercare di ricostruire nei minimi particolari che cosa le fosse successo. Avrebbe pensato a lei ogni ora del giorno e della notte, rimpiangendo di essere stato sgarbato e di averla cacciata da quello stesso obitorio in cui l'avrebbe vista per l'ultima volta quando ormai era troppo tardi. Regina passò accanto alla macchina con l'adesivo dell'arcobaleno ed entrò in quello che immaginò essere un ambulatorio specializzato nell'assistenza psicologica ai battisti gay. Effettivamente era una gran iella nascere battista e gay, ma Regina era sorpresa che alla University of Richmond ci
fossero tanti studenti battisti gay da aprire addirittura un centro apposta per loro. Salì i gradini ed entrò nell'atrio, dove vide quello che ritenne essere un omosessuale messicano di fede battista seduto su un divano. Si voltò dall'altra parte, sapendo di avere gli occhi gonfi e rossi, e si soffiò il naso, in preda a un'altra crisi di pianto. Andy se ne sarebbe pentito. Oh, se se ne sarebbe pentito. Sarebbe rimasto sconvolto. Sarebbe corso all'obitorio e avrebbe pregato di poter porgere l'estremo saluto alla sua ex stagista, la povera Gina. "Lasciatemi un momento solo con lei" avrebbe chiesto alla dottoressa Scarpetta. "È stata tutta colpa mia. Ho avuto paura di dirle quanto in realtà tenevo a lei, quanto avevo bisogno di lei e adesso... Una vita difficile e il mio atteggiamento respingente sono stati troppo: è scoppiata, è bruciata, si è consumata. Forse fu telepatia, ma, mentre Regina fantasticava di morire per autocombustione, Andy stava tornando in sede per mettere sul proprio sito un nuovo articolo di Vigile Verità che verteva proprio su quell'argomento. LA VERITÀ A PROPOSITO DELL'AUTOCOMBUSTIONE UMANA di Vigile Verità Sebbene non vi siano prove che la gente possa davvero prendere fuoco senza l'ausilio di sostanze chimiche o mezzi meccanici, è dimostrato che l'uomo può bruciare senza prendere letteralmente fuoco. Autocombustione (composto di auto- e combustione, dal greco autós = se stesso, e dal latino combustus, participio passato di comburere = bruciare) significa combustione provocata da un'autoaccensione (composto di auto e accensione). Il fenomeno dell'autocombustione è stato oggetto di numerosi trattati e di accesi dibattiti, anche se non sempre in maniera pertinente. Romanzieri come Melville e Dickens, per esempio, vi ricorrono per dimostrare che il male prima o poi colpisce anche chi lo compie, e che chi si comporta in modo ingiusto con gli altri prima o poi finirà bruciato nel proprio castello o nella propria casa, mentre si sta facendo egoisticamente gli affari suoi. Ciò che forse il lettore troverà sorprendente è che esiste una spiegazione scientifica per questo fenomeno. Alcuni esperimenti condotti su cadaveri e resti umani donati alla fabbrica dei corpi di Knoxville, nel Tennessee, hanno dimostrato che è possibile, in determinate circostanze, che il corpo umano bruci fino alla quasi completa cremazione. Di norma per incenerire
un corpo occorrono da una a tre ore e mezzo e temperature elevatissime, quali quelle di un forno crematorio. Devo ammettere, pertanto, che quando l'antropologo Bill Bass mi parlò per la prima volta della tesi di una sua studentessa sul fenomeno della combustione umana spontanea, pensai che stesse scherzando. "La gente non prende fuoco da sola" protestai a un barbecue al Calhouns di Knoxville. "Non ci credo." "Non prende letteralmente fuoco" mi rispose bevendo tè freddo mentre il sole tramontava dietro il Tennessee River "ma brucia per un periodo di tempo considerevole." Questo bizzarro colloquio avvenne la primavera scorsa, quando mi recai nella fabbrica dei corpi per chiedere ai ricercatori che vi lavorano se avevano mai fatto esperimenti di mummificazione. Ero appena tornato dall'Argentina, stavo studiando le mummie e speravo che il dottor Bass volesse tentare un'imbalsamazione alla maniera degli egizi su uno dei corpi che gli erano stati donati. Lui, però, non riteneva utile l'esperimento e oltre tutto disperava di trovare in farmacia tutto il necessario, a parte il fatto che gli sarebbe costato uno sproposito. Tuttavia, forse perché essendo un uomo sensibile non voleva che restassi troppo deluso, mi spiegò che alla fabbrica dei corpi stavano conducendo alcuni interessanti studi sull'autocombustione. Mi mostrai interessato e per qualche settimana visitai con regolarità i loro laboratori. Premesso che la fabbrica dei corpi non è un bel posto, lo descriverò brevemente per coloro che non ne hanno mai sentito parlare. Nella University of Tennessee esiste un centro di ricerca sulla decomposizione, detta anche "fabbrica dei corpi", che si trova in mezzo a un grande bosco recintato con il filo spinato. Lì, da circa venticinque anni antropologi ed esperti di medicina legale si dedicano allo studio della decomposizione. Le ragioni sono ovvie: se non conoscessimo le trasformazioni che avvengono in un cadavere in condizioni e tempi determinati, sarebbe impossibile stabilirne l'ora del decesso. La fabbrica dei corpi è l'unico centro che io conosca che permette a chi studia la morte di condurre esperimenti che non si potrebbero effettuare in un normale obitorio o nelle facoltà di medicina. Quando un corpo viene donato a questo istituto, si sa che verrà utilizzato per fare ricerca. Nel caso specifico, questo voleva dire amputare una gamba e darle fuoco per vedere fino a che punto bruciava in assenza di combustibile esterno. Riassumerò le conclusioni della brillante ricerca di Angi Christensen dicendo che, incendiati alcuni tessuti umani mediante uno stoppino di coto-
ne, questi continuavano a bruciare per quarantacinque minuti, essendo il fuoco alimentato dal grasso corporeo che sciogliendosi intrideva lo stoppino (effetto candela). Successivi esperimenti hanno dimostrato che un osso poroso e sottile brucia più rapidamente e completamente di un osso sano e compatto. Dopo una serie di studi e calcoli matematici, Angi Christensen ha concluso che in alcuni casi il corpo di un uomo può consumarsi a fuoco molto lento in presenza di stoffe di cotone che fungono da stoppino. Una donna anziana e obesa, affetta da osteoporosi e abituata a indossare vestiti di cotone è la vittima più probabile di questo fenomeno raro e spaventoso. A tal proposito voglio raccontarvi la storia di Ivy, di cui non specifico il cognome per motivi di privacy. Ivy era una donna bianca di settantaquattro anni che, stando ai documenti e alle descrizioni fornite dai vicini, era alta un metro e mezzo e pesava quasi cento chili. Fino a due anni prima della sua strana e tragica morte, aveva fatto la baby-sitter a Miami per integrare la modesta pensione e la misera eredità lasciatale dal marito Wally, che era morto all'improvviso. Ivy non teneva mai gli stessi bambini per più di sei mesi, perché inevitabilmente si alienava la fiducia dei genitori creando situazioni sospette che, sebbene non lasciassero spazio a eventuali denunce, finivano per creare un clima insostenibile. Ivy aveva un'assoluta necessità che gli altri avessero bisogno di lei e riteneva che nessuno potesse aver più bisogno di lei di un bambino malato e spaventato. Non accettava mai impieghi presso famiglie con figli abbastanza grandi da sapersi esprimere bene e quindi i genitori non sapevano che cosa facesse veramente, ma senza dubbio si preoccupavano quando, tornando a casa, trovavano il loro piccino in preda a forti dolori di stomaco, diarrea e pianto incontrollabile, se non addirittura lesioni e bruciature. Alcuni sventurati che avevano avuto a che fare con lei l'avevano soprannominata Poison Ivy e sostenevano che somministrasse ai loro figlioli lassativi, farmaci o spezie molto forti mescolati alle pappe. Una coppia era certa che Ivy aveva bruciato la loro figlioletta di due anni con una sigaretta, anche se Ivy sosteneva che la piccina si era procurata le otto ustioni sulla pianta dei piedi prendendola dal posacenere e camminandoci sopra. Storie e scandali si sprecavano, tanto che Ivy alla fine decise di smettere di lavorare. E fu allora che cominciarono i suoi veri problemi. Sola nella sua casetta, Ivy passava le giornate a bere porto da quattro soldi, fumare e mangiucchiare davanti alla televisione. Curva e ingobbita, soffriva di osteoporosi e di artrite cronica. Nessuno la cercava, nessuno a-
veva più bisogno di lei e lei odiava se stessa, la sua vita e chiunque ne avesse fatto parte. Tuttavia, non immaginava di poter diventare un importante caso di autocombustione umana. Destino volle che Ivy fosse di umore particolarmente nero il giorno di Natale del 1987, quando indossò un vestito da casa di cotone con le maniche lunghe perché la temperatura si era un po' abbassata, si preparò un cocktail di vodka e succo d'arancia e aprì una scatola di cioccolatini regalatale dal figlio che, pur vivendo abbastanza vicino a lei, non l'andava mai a trovare e le telefonava di rado. Coricatasi sul divano in finta pelle davanti alla televisione, bevve e fumò tutta la mattina. Fu proprio su quel divano che il suo corpo carbonizzato venne ritrovato due giorni dopo dalla signora cubana che abitava di fianco a lei, preoccupata che Ivy non avesse ritirato i giornali. A occuparsi del caso fu il capo dell'Istituto di medicina legale della Virginia, la dottoressa Kay Scarpetta, allora agli inizi della sua carriera di anatomopatologo nella contea di Dade. Periti e poliziotti non avevano mai visto una cosa simile. Questo non deve sorprenderci, giacché dal 1600 a oggi le cronache registrano soltanto duecento casi di autocombustione umana. Il torace di Ivy era carbonizzato, senza più traccia di ossa, ma nella casa non era scoppiato alcun incendio. Sebbene all'epoca la combustione umana spontanea fosse un fenomeno ancora tutto da studiare, alla luce delle informazioni che abbiamo adesso non è difficile ricostruire i fatti. Ivy, ubriaca, si accese una sigaretta, che le cadde di mano incendiandole il vestito di cotone. Avendo cominciato a bruciare, il suo grasso si sciolse impregnando la stoffa, che agì da stoppino. Probabilmente la donna bruciò a basse temperature per diverse ore prima di spegnersi, molto dopo la morte. E una fortuna che io abbia condotto alcune ricerche su questo raro fenomeno, perché capisco almeno due cose riguardo alla misteriosa morte del pescatore Caesar Fender, il cui corpo carbonizzato è stato di recente ritrovato in Canal Street. L'autocombustione non è un fenomeno paranormale e la morte di Caesar Fender non vi ha nulla a che vedere. In primo luogo, i residui bianco-grigiastri ritrovati nella cavità toracica indicano che l'incendio è stato appiccato da una fonte esterna. Fender non era né vecchio né sovrappeso, e non credo che soffrisse di osteoporosi. Ancor più importante, non indossava nulla di cotone, per cui è da escludere che si sia verificato il cosiddetto "effetto candela". Non risulta che stesse fumando al momento della sua morte, anche se un testimone, che peraltro
è indagato per lo stesso omicidio, dichiara di avergli visto nel taschino un accendino Bic, di cui però non è stata rinvenuta traccia né sul luogo del delitto né in obitorio. Secondo i dati in nostro possesso ritengo che Fender sia stato ucciso con un lanciarazzi. Ho la sensazione che anche la dottoressa Scarpetta la pensi come me. Questo renderebbe la morte di Caesar Fender ben diversa da quella di Poison Ivy, che desiderava attirare l'attenzione su di sé a spese degli altri. Ivy soffriva di quella che viene definita sindrome di Münchausen per procura, una malattia psichica che spinge un adulto affamato di attenzione a fare del male a chi non può difendersi né spiegare che cosa succede, tipicamente bambini piccoli e infermi. Spesso si tratta di madri che desiderano farsi compatire o sentirsi indispensabili. Portano la vittima in ospedale fra i singhiozzi. "Non capisco cosa sia successo al mio bambino" dicono ai medici. "Ha una diarrea incontenibile, è disidratato, non sta in piedi dalla debolezza! Sono disperata! Gli voglio tanto bene e ho già perso due figli. Se mi succede ancora perdo anche la voglia di vivere!" Un'altra reazione tipica è quella di prendere la vittima fra le braccia, coccolarla e piangere. "Povero il mio bambino" dice il responsabile del suo malessere. "Poverino! Come hai fatto a bruciarti i piedini? Non ti preoccupare, adesso ci sono qua io. Non piangere, ti prego. No, non piangere. Perché ce l'hai con me? Io non ho fatto niente, piccolino." Il bambino grida e strepita e, in preda al dolore e alla paura, si aggrappa a chi gli sta vicino, mamma, papà o baby-sitter, che così ottiene l'attenzione che cercava. Io credo possibile che Major Trader, oltre a essere un pirata, soffra anche della sindrome di Mùnchausen per procura. Avvelena per strumentalizzare la sua vittima e per sentirsi importante. Se qualcuno di voi sa dov'è o dovesse incontrarlo, chiami subito la polizia. L'ultima volta che è stato visto, stava uscendo in retromarcia dal vialetto di casa sua, mangiando un panino. Da allora è sfuggito all'arresto. È considerato pericoloso e quindi, se lo vedete, non vi avvicinate a lui, perché è un individuo violento e incapace di rimorso. Ma soprattutto non accettate cibo da lui, specie dolciumi. Mi raccomando, occhi aperti! 25
«È quello che pensavo anch'io» disse la voce della dottoressa Scarpetta al vivavoce di Judy Hammer poco dopo l'arrivo nel cyberspazio dell'ultimo articolo di Vigile Verità. «Avrei preferito però che le informazioni relative al lanciarazzi o ad altri elementi riservati non fossero stati resi noti su Internet.» «Nessuno ha il controllo su quel che scrive Vigile Verità» rispose Judy, lanciando un'occhiataccia a Andy. «Quest'uomo, sempre che sia un maschio, si nasconde dietro uno pseudonimo.» «Come fa a sapere di quel caso di Miami?» chiese la dottoressa. «Forse ha fatto una ricerca in rete sull'autocombustione» rispose Andy. «Immagino che quel caso abbia fatto sensazione e se ne sia parlato molto.» «Sì, come al solito.» «Che altro c'è?» chiese Judy Hammer passeggiando nervosa. «Ho mandato ai laboratori il residuo grigiastro trovato nella cavità toracica di Fender per vedere se ci sono tracce di ossido di stronzio, perclorato di potassio, fosforo o altre sostanze analoghe» li informò Kay Scarpetta. «Nel frattempo, posso dirvi che la morte è stata causata da ustioni sul quaranta per cento del corpo. Quanto al resto, è prematuro che mi esprima, ma secondo me dovreste trattare il caso come un omicidio, a meno che non scopriamo che Fender aveva addosso un segnalatore luminoso che si è incendiato accidentalmente.» «Trader ha mentito. La cosa non mi sorprende» disse Andy a Judy Hammer dopo che ebbe riattaccato. «Altro che ispanico con targa newyorkese.» Per sua sfortuna, Macovich non sapeva che Andy e Judy Hammer erano giunti a quella conclusione. Mentre aspettava in macchina che Barbie parlasse con Regina, Cruz Morales uscì a fumarsi una sigaretta e notò la Caprice. Con il cuore in gola, pensò che quella stronza avesse solo finto di aiutarlo per poi decidere di chiamare la polizia. Gettò per terra la sigaretta e si mise a correre, attirando così l'attenzione di Macovich, che lo riconobbe subito, avendolo visto al casello autostradale. Anche lui gettò il mozzicone e scese dalla macchina per lanciarsi all'inseguimento. «Fermo o sparo!» gridò, estraendo la pistola. «Sì, ho pensato più volte di spararmi» confessò Regina a Barbie Fogg, ignare entrambe di quello che stava succedendo lì fuori. «Purtroppo, però, non ho una pistola.»
«Meno male!» esclamò Barbie sollevata. «Non capisco cos'ho di sbagliato» continuò Regina piangendo nell'ufficio di Barbie, che era arredato con una scrivania azzurra, un divanetto rosa e fiori finti in varie tonalità di colori pastello. «Mi sento un'aliena, sempre fuori posto. Sono convinta di dire la cosa giusta e invece si arrabbiano tutti con me. Non ho amici... Cioè, credevo di averne uno...» Guardò l'ora. «Fino a tre ore fa ce l'avevo, ma poi... Sai, non credo di aver mai parlato tanto a lungo con una persona come con te. Di sicuro nessuno mi ha mai ascoltato così tanto.» «Chi è l'amico che avevi fino a tre ore fa?» chiese Barbie attentissima, dalla sua poltroncina lilla. «Andy. Quando gli ho chiesto di essere la sua compagna mi ha detto di sì. Poi, invece, mi ha trattata malissimo.» «La sua compagna? Avevi una relazione con lui?» Barbie era lievemente sorpresa. Non credeva di aver mai incontrato una donna con meno appeal sugli uomini. Quella ragazza avrebbe dovuto cambiare completamente look. Se Barbie avesse potuto assumersi l'ingrato compito, avrebbe cominciato dai colori, che nel caso di Regina erano indefinibili. La sua figura scialba e trasandata e i capelli scuri avrebbero tratto giovamento se si fosse vestita di rosso e grigio antracite, per quanto Barbie fosse convinta che solo le donne più femminili potessero permettersi accostamenti cromatici che implicavano un carattere forte ed energico. È sottolineare l'aggressività, nel caso di Regina, era decisamente sconsigliato. Se avesse perso quaranta chili, si fosse truccata, si fosse fatta un bel taglio di capelli e si fosse depilata regolarmente, forse si sarebbe addolcita un po'. «No, nessuna relazione» rispose Regina con un'indignazione che Barbie interpretò come sintomo di scarsa autostima e grande tormento interiore. «Soffri di emicranie?» le chiese Barbie. Regina si soffiò il naso rumorosamente. «Sì, certo. Come fa una come me a non soffrire di emicrania?» Accipicchia, pensò Barbie. Il problema di quella ragazza era grave e sfaccettato: avrebbe dovuto cambiare un sacco di cose, a cominciare dal modo in cui si soffiava il naso. «Essendo spesso accigliata, hai i muscoli della fronte molto sviluppati» le fece notare Barbie. «Secondo me potresti cominciare con il Botox. Vuoi che ti metta in contatto con il mio medico? Ma prima parlami di quello che
è successo con il tuo ragazzo.» «Non è il mio ragazzo!» protestò Regina con la faccia tutta rossa e gli occhi gonfi. «Ero la sua compagna di squadra stamattina, siamo andati all'obitorio e lui è diventato irascibile.» «Andy lavora all'obitorio?» chiese Barbie schifata. Stava andando di male in peggio: l'ultimo posto al mondo da frequentare, per una come Regina, era l'obitorio, dove i colori invernali erano fuori luogo e vagamente offensivi. In obitorio, il rosso e il nero erano assolutamente da evitare. «Andy fa il vigile» spiegò Regina, che si stava spazientendo. «Ma alla dottoressa dell'obitorio non sono piaciuta e non mi ha lasciato assistere all'autopsia perché non riuscivo a prendere appunti.» Barbie ascoltava perplessa, in silenzio. «Sai» continuò Regina «il capo dell'Istituto di medicina legale.» «Sì, ne ho sentito parlare in TV e sui giornali» replicò Barbie. «Be', lei che è bionda e magra sta bene con i colori invernali. Però con te andrei su qualcosa di diverso. Sì, su colori più estivi. Hai mai messo una gonna?» «Colori invernali? Gonna? Ma cosa siete, un istituto di bellezza?» Regina era offesa e sconcertata. «Sono venuta qui a parlare dei miei problemi, non a farmi trasformare in una come mia madre!» «Di tua madre parleremo un'altra volta» disse Barbie. «Affrontiamo un problema alla volta. Credo che avrai bisogno di un bel po' di sedute, Regina. Ma adesso continuiamo il discorso di Andy, perché mi sembra che questa cosa ti abbia sconvolta.» «Era la prima persona che mi dava retta. Sono stata un'imbecille a cascarci.» Scoppiò di nuovo in lacrime. «Mi ha detto che non ho amici perché sono egoista e me ne frego degli altri, poi mi ha mandata nel garage e mi ha gridato di tutto quando ho cercato le chiavi e il cadavere è caduto per terra.» «Oddio!» Era troppo, per Barbie. Se cercava di immedesimarsi, stava male. Temeva che non sarebbe più riuscita a dormire la notte. «Mi sono giocata la mia occasione» singhiozzava Regina. «Me ne rendo conto e non so come rimediare. Voglio che mi rispetti e mi ammiri, ma non so come fare.» «Noi donne dobbiamo impegnarci molto per guadagnarci il rispetto e l'ammirazione degli altri.» Finalmente Barbie sentiva di aver capito qualcosa. «Eh, sì, è molto importante. Devi porti degli obiettivi e cercare di re-
alizzarli. Che obiettivo vorresti darti, tanto per cominciare? Qualcosa che puoi fare da sola, che faccia buona impressione sugli altri e nel contempo aumenti la tua autostima.» Regina ci pensò, tirando su con il naso. «E se cominciassimo con una bella ceretta e pulizia del viso?» suggerì Barbie. «Per poi integrare con una dieta e un po' di yoga?» Se solo Regina fosse riuscita a dimostrare il proprio valore, per una volta. «Mio padre ha bisogno di un cavallo per ciechi» disse con un filo di speranza. «Potrei impegnarmi a prendermene cura io. Bisognerà dargli da mangiare, spazzolarlo, ammaestrarlo....» «Tuo padre ha un cavallo cieco?» chiese Barbie, che si sarebbe accigliata se le cure per il ringiovanimento del viso non le avessero paralizzato la fronte. «No, è lui che vede poco e vuole un cavallino perché abbiamo già Frisky.» «Che tenero!» Barbie cercava di essere incoraggiante. «Perché non incominci da quello? Sì, occupati del cavallino di tuo padre, della luce dei suoi occhi.» «Se domani sera lo porta all'autodromo, farò in modo che si veda che sono io a prendermi cura di lui» disse Regina, cominciando a tirarsi su di morale. «Rimarranno tutti impressionati. Anche Andy!» «Che coincidenza» si stupì Barbie pensando all'arcobaleno magico e a come stava cambiando la sua vita altrimenti futile. «Sai che andrò anch'io all'autodromo? Non vuoi che ti venga ad aggiustare un pochino prima di andare, così magari incontri un bel pilota?» «Okay. Se poi tu resti nella tribuna di mio padre con noi» Regina si stava emozionando. Stava persino iniziando a mostrare un po' di gratitudine. «Però la gonna non me la metto. Mi rifiuto, a meno che secondo te non sia indispensabile per fare bella figura. Magari io e il cavallo veniamo con te sul furgone. È piccolino: sarà più o meno come Frisky.» "Perché no?" pensò Barbie, dando per scontato che Frisky fosse un gatto e quindi che il cavallino stesse dentro una gabbietta nel bagagliaio della monovolume. «Dove ci vediamo?» «A palazzo. Domani a mezzogiorno» disse Regina tutta contenta. «Così avrai tempo per darmi la famosa aggiustatina.» Anche Unica stava pensando di darsi un'aggiustatina. Era in casa sua,
uno squallido appartamento di cui le pagava l'affitto il suo ricco papà. Unica lo odiava, anche se accettava i suoi soldi. Era nuda sul copriletto nero e stava guardando polaroid delle varie persone che aveva brutalmente ucciso nel corso degli anni. Rivivere i propri delitti, tuttavia, non le dava il solito brivido di eccitazione sessuale, perché era in ansia. Quando era scappata con Smoke dal Seven-Eleven la sera prima, avevano visto un ispanico a bordo di una Pontiac Grand Prix tutta scassata e Unica aveva ordinato a Smoke di seguirlo. Quando era entrata nel supermercato non si era preoccupata di riarrangiare le molecole perché era molto tardi e, nonostante avesse notato la Pontiac, non si era accorta che il proprietario si trovava nei paraggi, visto che le luci nella cabina telefonica erano spente. Perciò, quando aveva sparato in testa alla commessa ed era uscita di corsa dal supermercato e l'ispanico era scappato dalla cabina risalendo in macchina, lei non era invisibile. Smoke non era riuscito a stargli dietro e così adesso c'era in giro qualcuno in grado di fornire la sua descrizione alla polizia. Guardò le orrende foto di V.V. e ripensò a quando l'aveva trascinata per terra e tagliata con il cutter, al sangue e alla carne ancora caldi sacrificati al suo Scopo e alla sua insaziabile Oscurità. Tutte le sue vittime erano diventate parte del suo essere. Il nazista che era in lei le aveva detto molto tempo prima che questa transustanziazione violentemente sessuale, che era poi il suo Scopo, era indispensabile per tenerlo in vita. Se il nazista che era in lei fosse morto, anche Unica sarebbe morta. I suoi occhi spaventevoli controllarono la stanza, soffermandosi sui mobili neri da poco prezzo, sulle candele nere, sull'incenso e sui souvenir nazisti che aveva cominciato a comprare su Internet quando si era ripromessa di distruggere e sacrificare coloro che secondo il suo Scopo non erano degni di avere un'esistenza umana. Prese un'altra polaroid e pensò al biondo poliziotto di cui non conosceva il nome. Il suo Scopo l'avrebbe unito a lei molto presto. Sebbene fosse stata invisibile la prima volta che l'aveva visto dentro il supermarket e poi seguito fino a casa, non voleva correre il rischio che lui la riconoscesse. Poteva darsi benissimo che il ragazzo messicano l'avesse descritta proprio a lui. Si alzò dal letto e si guardò nello specchio, la pelle nuda e lucente. Scosse i lunghi capelli corvini e cominciò a tagliarli con il cutter, facendosene cadere folte ciocche tutto intorno. Il nazista che era in lei le ordinò di ossigenarsi e di cambiare i piani e andare con Smoke all'autodromo. Unica aveva deciso di sacrificare il poliziotto biondo al proprio Scopo mentre
Smoke e la sua banda di pirati si facevano passare per un team alla corsa del NASCAR, ma ormai non sarebbe più stato possibile. Se solo avesse potuto trovare il ragazzo messicano e tagliargli la gola per ridurlo all'eterno silenzio... Ma forse era troppo tardi. Forse lui aveva già fornito la sua descrizione alla polizia. «Mostrami la strada» sussurrò all'Oscurità nel suo intimo. «Mostrami lo Scopo.» «Troverai il tuo Scopo» si rispose con una voce diversa, profonda e raccapricciante. «Sì.» Sorrise alla propria immagine riflessa, colta da un desiderio irresistibile. «Presto. Prestissimo» disse pensando al poliziotto biondo «avrai un'esperienza unica.» 26 «Mi sento un poco indisposto» disse Fonny Boy nelle cuffie dei piloti mentre lui e il dottor Faux tremavano in preda al mal d'aria sul retro del Jay Hawk. «Mi sento come quando caddi dal triciclo e mi rigettai addosso.» La triste storia del piccolo Fonny Boy restò inascoltata dai piloti della guardia costiera, che avevano chiamato l'NCIC per un controllo di routine e scoperto che il dentista appena tratto in salvo era ricercato per frode, riciclaggio di denaro sporco ed estorsione. Il ragazzo di Tangier Island, invece, che parlava in maniera alquanto strana, era reo di navigazione in acque proibite e sospettato di sequestro di persona. Andy aveva infatti emesso un mandato di arresto per il dottor Faux e Fonny Boy dopo essersi recato a Tangier Island spacciandosi per giornalista e aver guardato la cartella clinica del ragazzo, avendo capito in seguito che quando questi gli aveva detto che il dentista era legato, intendeva nel senso letterale del termine. Stabilito che i due uomini soccorsi dalla guardia costiera erano ricercati dalla polizia di Stato, il pilota si sintonizzò sulla frequenza di emergenza e lo comunicò a eventuali velivoli della polizia in ascolto. Macovich, che aveva mollato Regina un'ora prima, stava per l'appunto dando una lezione di volo a Cat quando la segnalazione venne diramata. «Elicottero quattro-tre-zero Sierra Papa» rispose teso, mentre Cat volava a punto fisso. «Ti ho detto di abbassare il pedale sinistro!» ripeté Macovich e, nella confusione, premette il pulsante di trasmissione sul ciclico fa-
cendo sentire l'istruzione a centinaia di piloti nella zona, guardia costiera compresa. «Se sollevi il pedale sinistro, è come se abbassassi il pedale destro. Quante volte te lo devo dire? Lo vedi che cosa succede? L'elicottero vira a destra, perché se alzi il piede dal pedale sinistro è come se schiacciassi il destro. Ti ricordi cosa ti ho detto a proposito della coppia?» Cat stava sudando. Non gliene fregava niente dell'aerodinamica: a lui interessava imparare a pilotare l'elicottero, punto e basta. Non gliene importava un fico secco di prendere il brevetto o di rispettare i regolamenti della FAA, perché era quasi certo che una volta trasportato il resto della banda su Tangier Island, Smoke avrebbe venduto il Bell 430 a qualche pirata canadese e lui non si sarebbe mai più dovuto preoccupare di salirci sopra. "Sei milioni di dollari" pensò, facendo oscillare l'elicottero. «Elicottero zero Sierra Papa» rispose una voce. «Siete su uno-ventiquattro-punto-cinque» che era la frequenza di emergenza. «Sintonizzatevi su uno-venti-cinque-punto-zero.» Macovich eseguì e armeggiò con i comandi, gridando di tutto a Cat. Senza volere, schiacciò di nuovo il pulsante di trasmissione. «Torna giù. Piano, piano! Non di corsa. Lascia che si posi lentamente. Cristo, non mi muovere il collettivo all'ultimo momento!» L'elicottero si rialzò in aria e quindi si posò bruscamente a terra, rimbalzando sulle ruote mentre la coda oscillava rischiando di colpire un carrello. Macovich gridò a Cat di non toccare più niente e di togliere i piedi dai pedali. «Il mio elicottero!» esclamò. «Molla i comandi, figlio di puttana! Basta così! Non te ne do più lezioni, è inutile!» Cat spinse avanti il ciclico e schiacciò il pedale destro, facendo correre l'elicottero lungo l'asfalto diritto verso l'hangar, con le pale che ruotavano al massimo. Macovich non ebbe altra scelta che dargli un pugno in testa per stordirlo e farlo smettere di combinare guai. Schiacciò entrambi i pedali e fermò l'elicottero appena prima che finisse contro un Cessna Citation. Quindi ruotò la manetta al minimo e tirò un lunghissimo sospiro di sollievo che puzzava di nicotina. «Ma...» mormorò Cat riprendendo gradualmente i sensi. «Perché cazzo mi hai colpito?» «Di' al tuo capo che se ha bisogno di andare da qualche parte l'elicottero lo piloto io e tu stai lontano dai comandi, capito?» Non soltanto aveva rischiato il disastro, ma aveva ancora mal di testa dalla sera prima ed era avvilito per come Hooter l'aveva trattato male da Freckles e poi si era rifiuta-
ta di fare l'amore con lui sul divano di casa di sua madre, che aveva un'unica camera da letto. «Senta, domani sera c'è la corsa» disse Cat massaggiandosi la testa. «Sì, lo so, ci devo accompagnare il governatore» rispose Macovich spegnendo gli interruttori. «Quindi dovrete fare i turni, non ci sono alternative. Non posso certo dire al governatore di prendere la macchina, se vuole andare alla corsa.» «Ma cosa dice?» replicò Cat. «Guardi quanti elicotteri ci sono!» Indicò una flotta di elicotteri nuovi fiammanti dentro l'hangar. «Non importa con quale ci porta, basta che non costi più di questo» aggiunse Cat. Macovich capiva che il team aveva una certa immagine da mantenere, ma non sapeva proprio come fare. Forse avrebbe potuto chiedere a Andy di portare lui il governatore e la sua famiglia in un 407, più piccolo ma altrettanto lussuoso, lasciandolo così libero di accompagnare l'anonimo pilota del NASCAR e il suo team in maniera adeguata e per una cifra che gli permettesse di lasciare la casa di sua madre e prendersi un appartamento per conto suo, in maniera da poterci portare tutte le donne che voleva. Al governatore poteva sempre raccontare una storia e dire che il 430 era in officina per la manutenzione, ammesso e non concesso che lui se ne accorgesse. «Elicottero Sierra-Papa? Avete compagnia?» disse ancora il pilota della guardia costiera procedendo a centosettanta nodi verso i grattacieli di Richmond. «Sierra-Papa. Chi siete e che cosa volete?» Nel sentire quella voce affannata, i piloti della guardia costiera si scambiarono un'occhiata e annuirono, come a dire che non c'era da meravigliarsi se i piloti della polizia di Stato erano sempre meno. Correva voce che nessuno volesse fare il pilota di elicottero nella polizia di Stato perché la First Lady cercava di maritare le sue brutte figliole con chiunque le capitasse a tiro. Ma forse non era proprio così: probabilmente la polizia di Stato era diventata una gabbia di matti, da quando al comando c'era una donna. E, comunque, visto che il comandante era lei, la guardia costiera doveva informarla dei due fuggiaschi. «Guardia costiera, HH-sessanta» rispose il pilota. «Abbiamo a bordo due ricercati e dobbiamo contattare la polizia di Stato. La situazione è delicata. Come possiamo metterci in contatto con il comandante?»
«È come un film!» esclamò Windy Brees entrando nell'ufficio di Judy Hammer un minuto dopo per informare il comandante e Andy Brazil che un elicottero della guardia costiera aveva appena preso a bordo il dentista rapito e il musicista dilettante che lo aveva sequestrato. «Li hanno tratti in salvo, fra onde enormi e venti fortissimi, come nella Tempesta perfetta! L'avete visto, voi, il film con Keanu Clooney. Oh, se avessi qualche anno di più!» «Okay, okay» fece Judy Hammer. «Vedi se riesci a metterti di nuovo in contatto con la guardia costiera, così ci parlo io.» Ruotò sulla poltroncina e si girò verso la radio alle spalle della sua scrivania, mentre Andy si sintonizzava su 125.0, una frequenza generica usata dai piccoli aeroporti e spesso libera. «Digli che siamo sulla uno-venti-cinque-punto-zero» disse Andy alla segretaria. Poco dopo, parlavano con il pilota della guardia costiera. «Qui polizia di Stato» esordì Andy al microfono. «Siete sulla frequenza riservata?» «Roger» rispose una voce. «Roger» confermò Andy. «Volete riferirci che cosa è successo?» «Abbiamo localizzato due individui a bordo di un peschereccio e li abbiamo fatti salire sull'elicottero. Sembra che stessero pescando nelle acque della riserva di pesca e fossero rimasti a secco di carburante. Hanno sparato dei razzi di segnalazione. A un controllo successivo è risultato che erano ricercati. A bordo non avevano estintori né salvagenti.» «Portateli qui» intervenne Judy Hammer. «Dove siete?» «A undici punto tre miglia a est dell'aeroporto di Richmond.» Mentre Judy Hammer chiedeva alla guardia costiera di trasferire i due fermati alla sede della polizia per poterli interrogare, il dottor Faux stava dicendo al pilota che avrebbe gradito essere lasciato insieme a Fonny Boy a Reedville, non rendendosi conto che era sintonizzato su una frequenza riservata che escludeva i passeggeri e quindi non lo sentiva. «Preferirei non tornare a Tangier» diceva il dottor Faux al microfono, mentre l'elicottero attraversava rombando il cielo sereno. «Mi preme sottolineare che Fonny Boy mi aveva soltanto portato a fare un giro in barca e suonava l'armonica per me quando il motore del peschereccio ha avuto dei problemi. Quanto alla nassa, non capisco da dove venga.» «È vero?» chiese il motorista, che era seduto con loro e sentiva la trasmissione del dentista e non quello che stavano dicendo in cabina di pilo-
taggio. «No, non è vero» replicò Fonny Boy con tono sarcastico, intendendo il contrario. Nel frattempo, l'elicottero virava verso ovest e la sede della polizia. «Infatti. Sospettavo che fosse una panzana» ribatté seccato il motorista. «Dunque stavate pescando?» «Chiamo mia moglie e le dico di venirci a prendere» continuò teso il dottor Faux. «Scusate per il disturbo, ci avete salvato la vita. Se avete mal di denti, venite pure da me. Non vi farò pagare nulla, naturalmente. Ecco il mio biglietto da visita.» Lo tirò fuori per porgerlo al motorista, ma una corrente d'aria lo scaraventò fuori, dove venne fatto a pezzi dal rotore di coda. «Peccato, era l'ultimo che avevo. Scusate, ma questa non è Reedville...» disse allarmato mentre il Jay Hawk si apprestava ad atterrare in quella che il dottor Faux era certo fosse Richmond. «Adesso ci spiegherete tutto» disse Andy a Fonny Boy e al dentista, dopo che furono ammanettati e condotti nella sala riservata agli interrogatori. «È stato un equivoco» si giustificò il dottor Faux, decidendo di negare il rapimento e altri dettagli per evitare di rendere la faccenda ancor più complicata. «Ho semplicemente deciso di trattenermi sull'isola. Fonny Boy mi stava riportando a casa quando il suo peschereccio è rimasto senza benzina.» L'attenzione di Fonny Boy era concentrata sul ferro che aveva ancora in tasca. Comunque fossero andate le cose, si era ripromesso di tornare dove aveva calato la nassa per ritrovare il relitto, che era certo essere pieno di tesori. Non si spiegava come mai la boa fosse rimasta così vicina alla poppa del peschereccio mentre andavano alla deriva, ma decise che era stato lui a perdere l'orientamento e che in realtà la barca non si era mossa per niente: il pensiero di aver perso il riferimento e mancato il proprio appuntamento con il destino era inaccettabile. Non poteva nemmeno prendere in considerazione l'ipotesi che la vita gli riservasse soltanto un ritorno a Tangier Island e un soggiorno in gattabuia. «Ci sono altri ostaggi?» chiese Judy Hammer, mentre Windy prendeva appunti. «Quali ostaggi?» fece il dottor Faux, evasivo. «Trovo oltraggioso che mi teniate qui ammanettato. Io sono un medico che aiuta gli indigenti!» «Sai che aiuto!» replicò aggressivo Andy. «Ha sottoposto i suoi pazienti
a cure inutili oltre che dannose, realizzate con materiali scadenti che faceva figurare come costosi. È arrivato addirittura a emettere fatture per consulenze pediatriche e a sostituire denti da latte con corone in acciaio. Soltanto lo scorso anno lei ha effettuato centonovantadue estrazioni su un totale di trentadue pazienti e in almeno cento casi ha messo in fattura le prestazioni di un anestesista quando in realtà somministrava lei l'anestetico. E potrei andare avanti» insistette Andy guardando severo il dottore, che si sentiva mancare la terra sotto i piedi. «È giusto che lei sappia che ho aperto un'inchiesta insieme con il centro antifrodi, la procura, l'FBI e il servizio sanitario di Stato. È già stato spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti, ma lei era irreperibile. E sa come mai?» «No» rispose il dentista con un filo di voce, mentre Fonny Boy si passava la lingua sull'apparecchio, facendo saltare un elastico sul tavolo. «Perché il suo unico indirizzo è una casella postale e al telefono sia di casa sia dell'ufficio risponde la segreteria telefonica» continuò Andy. «E perché lei non ha mai permesso né ad amici né a parenti di fotografarla, così che le forze dell'ordine non sanno che faccia abbia. Inoltre, era tenuto in ostaggio su Tangier Island, dove non sarebbero comunque riusciti a trovarla, visto che gli abitanti si rifiutano di collaborare con chiunque indossi una divisa.» «Le sue sono soltanto illazioni» si difese il dottor Faux, cominciando a rivelare la propria vera natura. «Ci vogliono le prove, e deve anche provare che le mie motivazioni sono dolose. C'è un sacco di gente che usa caselle postali e non vuole farsi fotografare. E poi io non sono stato preso in ostaggio. Non ci sono ostaggi.» «Senta, dottor Faux, lei ci deve aiutare» intervenne Judy Hammer, recitando la parte del poliziotto buono. «Non vogliamo che scoppi un'altra guerra civile. Tangier Island fa parte del Commonwealth e un conflitto tra i suoi abitanti e la Virginia sarebbe un conflitto interno. Un po' come prendere una pistola e piantarsi un proiettile in una gamba: estremamente controproducente. Inoltre, la guardia costiera sostiene che quando avete sparato tre segnalatori luminosi dal peschereccio non stavate lanciando un sos, ma volevate abbattere il loro elicottero.» «Come?» esclamò il dottor Faux. «Voglio dirle una cosa» continuò Judy Hammer, facendo ora il poliziotto cattivo. «Quando un'isola dichiara guerra al governo, abbassa la bandiera dello Stato e commette un sequestro di persona, se uno dei suoi abitanti spara a un elicottero delle forze dell'ordine è lecito dedurre che abbia in-
tenzioni aggressive, le pare? Per non parlare del fatto che gli isolani avevano già manifestato antipatia nei confronti degli elicotteri a causa del VASCAR.» «È stato Fonny Boy a lanciare i segnalatori luminosi, non io. Io non sono un abitante di Tangier Island» si affrettò a precisare il dottor Faux. «Io gli avevo detto di non farlo. Ed è stato lui anche a calare la nassa nella riserva di pesca. Ma l'ha fatto per ritrovare la nave dei pirati.» «La nave dei pirati?» domandò Andy. Fonny Boy lanciò al dentista un'occhiataccia. «Non doveva dirglielo! Non accenni alla mia nave!» protestò. «Sapevo di non poter contare su di lei.» «Su cosa volevi contare?» sbuffò il dentista. «E, comunque, non hai trovato nessuna nave. Ti è solo piombato dal cielo un pezzo di ferro.» «Cosa sei, una calamita?» chiese sarcastico Andy a Fonny Boy. «Sentite, è venuto il momento di mettere le carte in tavola. Fammi vedere questo pezzo di ferro.» «Sì, sì.» Fonny Boy non aveva nessuna intenzione di mostrare il suo tesoro e, facendo stridere le manette sul piano del tavolo, cercò di proteggere con la mano la tasca che lo conteneva. «Non costringermi a perquisirti!» intervenne Judy Hammer. «E mio!» gridò il ragazzo, rifiutandosi di collaborare. «È caduto dal cielo su di me mentre suonavo l'armonica.» «Lasciamelo vedere un momento» disse Andy facendo il poliziotto buono e alzandosi dalla sedia. «Ti prometto che te lo ridò, se non mi serve per le indagini. Okay?» «E che diamine!» Fonny Boy era irremovibile e si teneva stretta la parte destra della giacca a vento. Nel sentire che vicino alla cerniera bloccata c'era qualcosa, si stupì. Curioso, infilò un dito nel buco dentro la tasca e trovò la chiave dell'ambulatorio medico sotto la fodera. «Ah!» sbottò il dentista. «Ecco la chiave che mi ha rubato quando mi ha chiuso nell'ambulatorio dopo avermi dato un pugno sul naso!» «Credevo avesse detto che non era stato sequestrato» intervenne Judy Hammer, cogliendolo in castagna. «Sono una vittima innocente» replicò il dottor Faux. «Esigo di essere rilasciato subito o sporgerò denuncia! Questi individui violenti e inaffidabili mi hanno tenuto sull'isola contro la mia volontà, oltre ad accusarmi ingiustamente di frode!»
«Io i loro denti li ho visti» gli fece notare Andy. «Basta guardare quelli di Fonny Boy: quante otturazioni, devitalizzazioni, estrazioni e corone ti ha fatto, Fonny Boy?» Il ragazzo non se lo ricordava nemmeno più, da tante che erano. Si toccò la tasca dei jeans e sentì il ferro. Rendendosi conto di essere nei guai perché il dentista aveva appena raccontato il suo segreto alla polizia, pensò che fosse meglio dare al poliziotto quello che gli chiedeva. Probabilmente quel pezzo di ferro non valeva molto in ogni caso, e l'importante per lui era uscire da lì e tornare alla nassa, trovare il relitto e prendersi il tesoro. Andy prese in mano con grande rispetto il ferro vecchio, irregolare e arrugginito, studiandolo attentamente come se fosse un preziosissimo pezzo di antiquariato. «Dobbiamo fare una prova al carbonio-14» disse poi alla Hammer. «Potrebbe essere importante.» 27 Era stata una giornata lunga, ma Andy aveva ancora un mucchio di cose da fare. Per prima cosa doveva andare a prendere Moses Custer in ospedale e accompagnarlo a casa, poi doveva portare una valigia impermeabile in Canal Street, dove il Capitano Bonny - alias Major Trader - aveva accettato per e-mail di presentarsi a ritirare quel che gli spettava. "Sì, avrai quello che ti spetta" pensò Andy infilando dentro una vecchia valigia di metallo i pesi che usava per fare ginnastica. "Ti arresterò per omicidio, tentato omicidio, associazione a delinquere, intralcio alla giustizia e chi più ne ha più ne metta!" Infilò nel bagagliaio la valigia, un travestimento e l'attrezzatura da pesca, e corse all'ospedale. «Scusi se ci ho messo così tanto» disse entrando nella comoda stanza privata in cui il governatore aveva fatto trasferire Moses Custer nonostante fosse in dimissione. «Alla buon'ora!» lo accolse un'infermiera sul cui cartellino era scritto "A. Carless". «È pronto da due ore. E a noi serve la stanza.» «Scusi, il suo nome si pronuncia Careless o Carless?» le chiese educatamente Andy, incuriosito da quel cognome e dall'infermiera, che sembrava un lottatore di wrestling ed era strabica. «Si può pronunciare in tutti e due i modi» rispose lei, aiutando Custer a
scendere dal letto e a sistemarsi su una sedia a rotelle. «Non mi serve la sedia a rotelle» protestò Custer agitato. «Ahi! Mi ha appena dato una gomitata nei denti. Aspetti un secondo, che mi sistemo il camice. Oh, signor vigile, mi aiuti lei. Oh, Signore, allontana da me quest'infermiera! Ho più lividi adesso di quando sono entrato...» Moses Custer era in condizioni pietose: aveva la testa livida, un occhio gonfio e gli mancavano diversi denti. Non si capiva quali danni avesse subito nell'aggressione e quali durante il ricovero. L'infermiera Carless gli spinse il braccio ingessato contro il comodino nel tentativo di farlo sedere sulla carrozzella, cui si era scordata di mettere i freni. Prima che Andy potesse intervenire, alzò di peso il pover'uomo e lo scaricò in malo modo sulla sedia a rotelle, che partì da sola finendo contro un comò. Custer lanciò un urlo, rimbalzò all'indietro e urtò contro il letto, agganciando con un piede fasciato il manico di una padella posata per terra, facendola volteggiare per aria mentre la carrozzella ruotava su se stessa e lui cadeva sul pavimento. «Non si azzardi a toccarmi!» gridò all'infermiera quando questa, per aiutarlo a tirarsi su, lo afferrò per i lembi del camice da ricoverato scoprendogli il sedere. «Si appoggi a me» intervenne Andy, offrendogli il braccio e impedendo alla signorina Carless di procurare altri danni. Poi gli aggiustò il camice. «Se mi dice dove ha messo i vestiti, glieli prendo.» «Dovrebbe avermeli portati mio figlio. Guardi un po' in quel cassetto» disse Moses. «No, lei no!» urlò poi all'infermiera. «Lasci che li cerchi lui!» Andy aiutò Moses Custer a vestirsi, nonostante le proteste e i tentativi di intromissione della donna, e alla fine gli diede una mano a sedersi sulla carrozzella. «L'accompagno alla mia macchina» disse. «Grazie, infermiera, non abbiamo bisogno di lei.» La signorina Carless, però, era offesa e sempre più aggressiva. «Il regolamento di questo ospedale vuole che siano gli infermieri ad accompagnare fuori i pazienti» protestò. «Ho il compito preciso di proteggere il signor Custer» spiegò Andy. «Andrei contro il mio regolamento, se lo lasciassi in mani altrui. La prego di non mettermi in difficoltà.» Cominciò a spingere la carrozzella lungo il corridoio, ma l'infermiera Carless non demordeva: con le mani sui fianchi, li seguì a grandi passi. «La denuncio ai miei superiori!» gridò, scontrandosi prima con un me-
dico e quindi con un'altra infermiera, la quale perse l'equilibrio andando a urtare contro la flebo di un malato nel corridoio. Major Trader era il tipo che prendeva il pullman solo quando era alla disperazione. Dopo aver letto l'ultimo articolo di Vigile Verità, però, decise di comprare un biglietto di sola andata per Key West, dove aveva dei parenti con le sue stesse origini piratesche, i quali non lo avrebbero sicuramente denunciato alle autorità. Se era stata aperta un'inchiesta sul suo conto, inevitabilmente prima o poi sarebbero venuti alla luce alcuni fatti alquanto compromettenti. Il governatore Crimm non gli sarebbe più stato amico, una volta scoperto che da anni Trader lo avvelenava, gli mentiva, lo teneva all'oscuro di informazioni importanti, gli intercettava i messaggi e gli falsificava la firma. Per non parlare del fatto che lavorava il meno possibile, fregava i colleghi, manipolava le notizie a proprio vantaggio, conduceva attività illecite in combutta con dei pirati, ed era lui stesso un pirata, un piromane e un assassino. Uscì dalla stazione dei pullman con un biglietto a nome falso in tasca e prese un taxi fino a Canal Street. Rendendosi conto di essere in ritardo, Andy chiese a Moses Custer se gli dispiaceva accompagnarlo a un appuntamento importante. «La sua infermiera ci ha fatto perdere un sacco di tempo» gli spiegò. «E io devo vedere un indagato alle due e mezzo, cioè fra un quarto d'ora.» «L'accompagno volentieri» replicò Moses Custer. «Mi sembra di essere stato chiuso in quell'ospedale per un mese. Mi fa piacere prendere una boccata d'aria fresca e fare due passi. Posso esserle d'aiuto in qualcosa, a proposito?» «Che cos'altro ricorda dell'aggressione?» «Niente. Solo che un angelo mi ha bussato alla portiera dicendomi di avere un guasto alla macchina e promettendomi un'esperienza unica.» «Unica?» Andy era sbigottito. «Così ha detto.» «Lei pesca?» domandò quindi Andy. «E come potrei non pescare?» fu la risposta di Moses. Andy lasciò la macchina distante dal luogo dell'appuntamento, che era proprio dove Trader aveva ucciso Caesar Fender. Quando il sedicente Capitano Bonny aveva risposto all'e-mail in cui Andy si era fatto passare per Possum, Andy gli aveva proposto di vedersi lì. Lo aveva fatto apposta, con
l'intento di aggiungere al danno anche la beffa: voleva far tornare Trader sul luogo del delitto per ripagarlo delle sue azioni malvagie con una valigia piena di ferro e un passaggio gratis fino alla prigione. Aprì il bagagliaio e prese la valigia. Poi si mise lo stesso travestimento che aveva indossato per recarsi in missione segreta su Tangier Island, con barba finta, parrucca con coda di cavallo e abiti trasandati, e porse a Moses una canna da pesca. «Lei non deve fare altro che pescare» gli disse, mentre si incamminavano verso la riva. «Se ne sta lì tranquillo, senza fare caso a me. A un certo punto verrà una persona e cercherà di prendere la valigia, come se fosse roba sua. Però non riuscirà a sollevarla di un millimetro. Io allora mi offrirò di dargli una mano e, non appena mi sarò avvicinato abbastanza, gli metterò le manette ai polsi.» «Che bellezza!» fu il commento di Moses Custer. «Dopo che l'avrò portato in prigione, accompagnerò lei a casa.» «Va bene» disse Moses Custer zoppicandogli accanto. Brandelli di nastro giallo, di quello usato dalle forze dell'ordine per delimitare i luoghi oggetto di indagine, sbattevano nel vento freddo. Moses Custer si guardò intorno lievemente a disagio e osservò la macchia di bruciato sull'asfalto e un secchio di plastica rovesciato. «Ma guarda come lavora la polizia» sbuffò Andy raccogliendolo. «Non riesco a credere che l'abbiano lasciato qui.» Posò il secchio sul muretto e sistemò la valigia a qualche metro di distanza. Custer legò alla lenza un'esca artificiale e un galleggiante. «Non è qui che è arso vivo quel pescatore, vero?» chiese preoccupato. «A dire la verità, sì» rispose Andy, trafficando con la sua canna da pesca. «Spero che l'indagato che deve vedere lei non sia l'assassino» replicò Custer. «Ho già avuto a che fare con abbastanza brutta gente, in questi ultimi tempi.» «Stia tranquillo» cercò di rassicurarlo Andy. «Peschi e non faccia caso a niente. Vedrà che non le farà nulla: vuole soltanto prendere la valigia e darsela a gambe.» «Certo che così conciato lei è irriconoscibile!» esclamò Custer lanciando la lenza nel fiume. «Sembra un hippy, uno di quelli che vanno in giro sui vecchi Maggiolini con i fiori pitturati sopra.» «Bene. Mi raccomando, non mi chiami né Andy né vigile, quando arriva questo signore.» «Per carità!» esclamò Custer. «Non voglio correre rischi, con gli assas-
sini. Vorrei tanto sapere perché ha dato fuoco a quel povero pescatore e come fa lei a essere tanto sicuro che non ci proverà anche con me. Scusi se glielo dico, ma se non mette il galleggiante, il verme va a fondo e le si incaglia l'amo su uno scoglio.» «Le assicuro che questo signore vuole solo prendere i soldi e togliersi di qua» ripeté Andy fissando un galleggiante alla lenza e lanciandola nell'acqua. «E poi ci sono io. Se prova a fare qualcosa, se la dovrà vedere con me.» «È armato?» «Sì, ho la mia pistola» rispose Andy toccandosi la schiena all'altezza della cintura. In quel momento, sentì tirare la lenza. Major Trader arrivò a bordo di un taxi e disse all'autista di aspettarlo lì, altrimenti non gli avrebbe dato un centesimo. Scorse due pescatori vicino al muretto e una malconcia valigia di alluminio poco lontano da loro. Controllò di avere la pistola lanciarazzi nella tasca della giacca, nel caso ne avesse avuto bisogno, e si avvicinò alla valigia. «È vostra?» chiese ai pescatori. «Mai vista prima» rispose Andy, ritenendosi in diritto di non dire la verità, date le circostanze. «Neppure io» gli fece eco Moses Custer. «Era già lì, quando siamo arrivati.» «Mi hanno rubato la macchina e dentro avevo una valigia esattamente uguale a questa» mentì Trader. «Per questo sono dovuto venire in taxi. Ero sicuro che il ladro l'avesse mollata da qualche parte, perché dentro ci sono solo libri e vestiti.» «Se la riprenda, allora» fece Andy. Trader squadrò i due pescatori per accertarsi che non lo guardassero bene e quindi non fossero in grado di riconoscerlo, nel caso la polizia li avesse interrogati. Decise che erano due falliti che non avevano mai combinato niente in vita loro: perché altrimenti sarebbero stati lì a pescare di venerdì pomeriggio, quando la gente per bene era a lavorare? Afferrò il manico della valigia e provò a sollevarla, rischiando di lussarsi la spalla. «Merda!» esclamò, sorpreso. Doveva pesare cento chili! Immaginò che contenesse centinaia di dollari d'argento, mazzette e mazzette di banconote e lingotti d'oro. I pirati dovevano aver fatto un gran bel bottino. Riprovò a tirarla su, invano. Allora provò ad aprirla, ma era chiusa con la combinazione e non c'era verso di far scattare la serratura. Mentre meditava sul da farsi lanciando occhiate
qua e là, vide che il pescatore nero, che sembrava reduce da un brutto incidente stradale, aveva preso qualcosa. «T'ho beccato!» gridò Custer. «Aspettami, che adesso ti tiro fuori!» «Uffa, ma come fai?» domandò Andy, recitando la propria parte. «Tutte le volte che vengo a pescare con te, tu torni a casa con il secchio pieno e io non prendo mai niente.» Fu a quel punto che Trader notò il secchio di plastica del governatore e, con l'adrenalina alle stelle, si mise in allarme. «È vostro quel secchio?» domandò, provando una serie di combinazioni diverse. «Sì» rispose Moses Custer. «Com'è che sopra c'è scritto PARKS SEAFOOD, che è il nome di una pescheria di Tangier Island?» Trader si stava insospettendo. Si tastò la tasca della giacca per controllare che la pistola lanciarazzi fosse al suo posto. «Quel secchio viene dalla residenza del governatore, quindi non ditemi che è il vostro.» «Non lo so. Io alla residenza del governatore non ci sono mai stato. Ci vado domani, però, perché il governatore mi ha invitato alla corsa del NASCAR. L'avrà lasciato lì qualcuno» rispose Moses Custer tirando su un pesce. «Sembrava che non fosse di nessuno. Se è il suo, domani glielo riporto.» «Scusate, ma se fosse vostro lo avreste riempito d'acqua, no?» fece Trader avvicinandosi per guardarci dentro. «Se ve lo foste portato da casa, ci avreste messo un po' d'acqua dentro per il pesce, o sbaglio? E, comunque, non credo proprio che il governatore l'abbia invitata alla corsa.» Andy guardò il pesce che stava lottando per la propria vita sul pelo dell'acqua e credette di riconoscerlo. «Una trota?» domandò a Moses Custer mentre Trader gemeva, cercando inutilmente di sollevare la valigia. «Sì» rispose Custer. «E bella grossa.» Disperato e deciso a non insospettire troppo i due pescatori, Trader cercò di smuovere la valigia senza alzarla da terra e si mise a imprecare. Moses prese in mano la trota che si dibatteva. Andy notò che aveva un pezzetto di amo infilato in bocca. Nel vedere Trader, la trota si immobilizzò, fingendosi morta. «La lasci andare» bisbigliò Andy a Moses Custer. «Non abbiamo bisogno di un pesce o di un granchio per identificare quel ciccione bugiardo.» Si tolse la barba finta e la parrucca ed estrasse la pistola.
«Mani in alto, Trader» gli ordinò. Nel frattempo, Moses Custer tolse l'amo dalla bocca della trota e la gettò di nuovo in acqua. «Finalmente libero» disse al pesce, vedendo che riprendeva a nuotare. «Lei è in arresto!» gridò Andy. Anche Regina gridava e dava ordini, ma senza risultato. Trip, il cavallo guida, era stato recapitato a palazzo un'ora prima, ma Regina non era stata a sentire le spiegazioni del suo istruttore, né si era presa la briga di guardare la videocassetta con le istruzioni per addestrarlo. Che cosa ci voleva a dire a un cavallino di andare avanti, indietro, a destra o a sinistra? E invece poteva gridare e strepitare quanto le pareva, ma il cavallo restava al centro del salone delle feste senza accennare a muoversi di un millimetro. «E dài, muoviti!» sbottò Regina battendo un piede per terra e facendo schioccare le dita. Trip sbatté le palpebre e non si mosse. «Vieni subito qui!» riprovò Regina con tono ancora più brusco. La First Lady, che stava correndo giù dalle scale con una scatola piena di poggiapentole in mano, la sentì. «Stupido pony!» «Regina!» intervenne la signora Crimm, fermandosi un istante a riprendere fiato. «Non ci si rivolge in questo modo alla servitù!» «Non sta parlando con me, signora» si intromise Pony, apparendo come dal nulla con la sua giacca bianca inamidata. «Vuole che le dia una mano con quella scatola?» «Che cosa succede?» domandò a gran voce il governatore dalla soglia di uno dei salottini, inforcando la lente di ingrandimento. «Dove sono? Sono andato nel mio studio, ma la scrivania non c'è più. Cos'hai in mano, Maude?» «Roba vecchia da buttare» si affrettò a rispondere la First Lady. «Stavo facendo ordine in uno dei miei armadi e mi è caduto l'occhio su quell'orribile portascarpe che ho comprato un po' di tempo fa. Hai capito quale? Be', comunque sia, non era utile come sembrava nella pubblicità. E le scarpe che ci avevo messo sono tutte fuori moda.» «La sua scrivania è sempre allo stesso posto» disse Pony al governatore. «Vuole che l'accompagni io al piano di sopra, signore?» «Cos'è quello?» Il governatore aveva intravisto il cavallo. «Ma che carino! E che bei finimenti! Accidenti, ha persino le scarpe!» «Per forza, altrimenti scivola sul pavimento» spiegò Regina spazientita,
mentre la First Lady si affrettava a scendere al piano di sotto per nascondere i poggiapentole in dispensa. «Peccato che non capisca un tubo. Non fa niente di quello che gli dico. Non vedo a che cosa ti possa servire, se continua così. Guarda, papà, ti faccio vedere. Vieni qui!» Batté le mani, ma il cavallo rimase imperturbabile. «Brutto scemo, vieni qui subito o ti rimando indietro, così finisci con qualche altro cieco che vive in una topaia! Non ti pare di essere stato fortunato a capitare in un posto come questo, fra stuoli di camerieri, limousine, cuochi e personalità di riguardo?» «Non credo che tu gli parli nel modo giusto» le fece notare il governatore avvicinandosi a Trip e accarezzandogli la criniera rossiccia. «Cuccia» gli sussurrò. Trip rimase dov'era. «Vai a prenderlo, da bravo» riprovò, fingendo gli lanciargli un legnetto sul tappeto persiano. «Okay, non andare.» Trip ubbidì. «Signor governatore, che cosa desidera che le serva per merenda?» chiese Pony. «Due uova e una fetta di pane tostato, grazie» rispose il governatore osservando il suo nuovo acquisto con la lente di ingrandimento. «Il pane sopra o sotto?» domandò educatamente Pony. «Sotto» decise il governatore. Trip si accucciò sotto un tavolo da gioco intarsiato. «Ma che stranezza!» esclamò il governatore accovacciandosi per cercare di far rialzare il cavallo. «Ho paura che abbia qualcosa che non va. O forse l'hai confuso e gli hai fatto paura gridando» disse a Regina. «Su» fece lei «non diciamo sciocchezze!» Trip si rialzò da sotto il tavolo e cominciò a passeggiare per il salone delle feste con le scarpette ai piedi. «Date sempre la colpa a me! Sono stufa di sentirmi dire che tutto quel che faccio è sbagliato! Non c'entro niente, io, se questo deficiente di un cavallo non capisce niente! Io ho fatto tutto giusto...» «Aspetta!» la bloccò il governatore, che non riusciva a intromettersi in quel fiume di parole. Trip si fermò. «Signore?» Pony era tornato. «Desidera sale, pepe, burro o qualche salsa con le uova?» Crimm controllò rapidamente lo stato dei sottomarini nella sua pancia, che da quando aveva smesso di mangiare i dolci di Major Trader avevano stipulato una tregua. Meditò se permettersi un piccolo strappo alla regola.
Era meraviglioso vivere in pace con le proprie budella... «E se riprovassi a mangiare il prosciutto?» si chiese a voce alta. «Posso farle uova e prosciutto, se desidera» propose Pony mentre Trip continuava a camminare per il salone a briglie sciolte. «Ma sì!» esclamò contento il governatore. «Diamoci dentro!» Il cavallino si bloccò, si guardò intorno e si diresse verso l'ascensore. «Guardate!» si stupì Pony. «Sta andando via...» «Qua» intervenne il governatore per fermare il cavallo. Trip si voltò dalla sua parte e gli porse una zampa. «Che bestiola intelligente» gongolò il governatore carezzandolo sulla testa. «Abbassa pure la zampa, amico mio.» Trip rimase con la zampa per aria. «Capisce solo i comandi diretti, di una parola o due» osservò Pony. «Dentro» ripeté rivolto al cavallo. Il cavallo abbassò la zampa e riprese la strada dell'ascensore. Incuriosito, Pony lo seguì e premette il pulsante. Appena le porte si aprirono, Trip entrò dentro. «Vengo anch'io. Vediamo che cosa fa» disse il governatore, che si stava divertendo un mondo. Crimm, Pony e Trip scesero al piano della cucina; quando le porte si riaprirono il cavallino rimase fermo. «Vediamo» riflette il governatore. «È salito quando gli abbiamo detto dentro. Proviamo a dire il contrario. Fuori» sussurrò al pony. Trip uscì dall'ascensore. «Avanti!» esclamò Pony, sperando di aver trovato la chiave giusta per farsi capire dal cavallo. Questo si mise a camminare e superò la porta della dispensa, dove la First Lady stava nascondendo la scatola con i poggiapentole su uno scaffale. Sentendo dei passi, si voltò e, vedendo il marito, lanciò un grido e fece cadere tutto quello che aveva in mano. Poggiapentole di ogni foggia e dimensione si sparpagliarono sul pavimento facendo un baccano tremendo. «Aspetta!» gridò la First Lady, ansiosa di spiegarsi. Trip si bloccò all'istante. «Cos'è questa roba?» domandò il governatore perplesso, occhieggiando i poggiapentole con la lente d'ingrandimento. «Okay» disse poi. Sentendosi libero di proseguire, Trip entrò nella dispensa scalpicciando sui poggiapentole, in attesa del comando successivo. «Dunque è di questo che si tratta!» dichiarò il governatore. «Hai di nuo-
vo fatto spese pazze! Mentre tu continuavi a nascondere i tuoi poggiapentole antichi, io credevo che ti intrattenessi con uomini di dubbia moralità...» «Come hai potuto pensare una cosa simile?» si scandalizzò la First Lady, chinandosi per raccogliere i suoi amati pezzi da collezione, partendo da quelli che aveva comprato più di recente. «Perché, Bedford! Lo sai che non ti tradirei mai!» «Basta così!» disse il governatore alla moglie perché la smettesse di raccogliere i poggiapentole. Trip credette che stesse parlando con lui e si bloccò all'istante. «Perché hai detto che continuavo a nascondere i miei poggiapentole?» chiese Maude al marito, sbigottita. «Come facevi a sapere che li nascondevo?» Lanciò un'occhiataccia a Pony, il quale alzò le spalle come a dire che non era stato lui a dirglielo. «Be', trovavo poggiapentole da tutte le parti...» spiegò Crimm. «Francamente, credevo che fosse robaccia lasciata in giro dai miei predecessori.» «Ma se sono preziosissimi!» esclamò indignata la First Lady. «Costano un occhio della testa!» aggiunse poco saggi amente. «Rimandali indietro» ordinò il governatore. «Rimandarli indietro?» Maude Crimm alzò la voce incredula e Trip fece un passo indietro, calpestando un poggiapentole a forma di ferro di cavallo e uno a forma di cane. «Dio santo!» Pony era strabiliato. «Credete che abbia riconosciuto il ferro di cavallo e che ci abbia posato lo zoccolo apposta? Che cavallino intelligente! Magari ha riconosciuto anche il cane: forse sta cercando di dirci che è geloso di Frisky e vuole essere l'unico animale domestico della famiglia.» «Dovremo tenerli separati» decise la signora Crimm, sgomenta al pensiero di avere anche quell'incombenza. «Povero Frisky! Chissà quanto ci patirà, se passiamo più tempo con il pony che con lui.» Non avrebbe dovuto chiamare così il cavallino, perché da quel momento anche il governatore cominciò a chiamarlo pony, creando non poca confusione al suo maggiordomo. «Vieni, pony!» Crimm voleva che Trip uscisse dalla dispensa, ma Pony si sentì interpellato e si affrettò a raggiungerlo all'interno. Siccome la dispensa era piccola e c'erano poggiapentole ovunque, in tre umani e un cavallo non riuscivano più a muoversi. «Da bravo, pony, esci» sussurrò il
governatore, come se Trip fosse Frisky. Pony uscì. Trip non si smosse. «Sei davvero cocciuto, pony» protestò seccato il governatore. «Mi scusi, signor governatore, non era mia intenzione indispettirla» mormorò Pony, non capendo che cosa aveva fatto di sbagliato. «Vado subito a prepararle le uova. Il pane tostato lo metto sotto.» «Avanti» si spazientì il governatore. Il cavallino uscì dalla dispensa, passò sotto un tavolo ed entrò diritto in cucina. «È il cavallo più straordinario che io abbia mai visto» esclamò Pony. «Guardi, signor governatore. Credo che voglia prepararle le uova. Ascolta: adesso ti spiego dove sono» fece poi rivolgendosi a Trip: «Dentro il frigo, sotto al ripiano del burro». Trip si diresse verso una credenza, che per fortuna era chiusa, e quindi si abbassò sotto al tavolo. «Scusate, non ho potuto farne a meno» disse Pony. «So che i cavalli non cucinano. Se fossero capaci, non avreste bisogno di tenervi in casa una schiera di detenuti con permesso di lavoro esterno.» «Personalmente, non mangerei piatti cucinati da un cavallo» dichiarò la signora Crimm, schizzinosa. «Non credo che sarebbe molto igienico.» «A proposito» disse il governatore, ricordandosi tutt'a un tratto di una cosa. «Devo chiamare la prigione.» «Ha letto Vigile Verità?» domandò Pony, sollevato e speranzoso. «Vorrei tanto sapere chi è per ringraziarlo come merita.» 28 «Chiudi quella cazzo di bocca!» La voce, ostile, veniva da una cella angusta e puzzolente. Era sera tardi e le luci nel carcere di Richmond erano già spente. «Silenzio!» urlò Major Trader all'odioso bandito che si faceva chiamare Stick, il quale era stato rinchiuso dopo aver battuto la testa, che aveva infilato in un sacchetto di carta, ed essersi finto privo di conoscenza nella speranza di essere trasferito in ospedale e di scappare da lì. Gli era andata male. «Zitto!» gridò un altro detenuto. Trader non ne era sicuro al cento per cento, ma credeva che a parlare fosse stato Slim Jim, un ladro specializzato nel forzare le portiere delle automobili per rubare spiccioli, occhiali da sole e altre cose che la gente lasciava in macchina.
«Ma piantala!» replicò Trader, che era di pessimo umore e non aveva voglia di sentirsi dare ordini da nessuno. «Comincia a piantarla tu, invece!» urlò Snitch, che si era svegliato irritato per il fracasso. «Un po' di silenzio, por favor» intervenne a quel punto il ragazzo messicano. «Tu non ti intromettere, straniero!» ammonì Trader. «Ehi!» replicò il messicano offeso. «Ma tu sei quello che saltellava intorno al cassonetto!» «Cazzo» esclamò Stick. «Lo sapevo che era fuori come un balcone. Perché saltava intorno a un cassonetto?» «Si tirava una sega, creo» rispose il messicano, che non aveva ancora detto come si chiamava ai compagni di cella né dichiarato alla polizia quanti anni aveva. «Me nascondevo dalla polizia in un bar, entiende? E vedo lui che salta por la via con el su coso in mano. Sono scappato porqué è loco.» «Che culo, finirci in cella insieme» commentò Snitch sarcastico, aggiustandosi il cuscino sotto la testa. «Gran botta di culo avere un ciccione loco nella stessa cella, eh?» «Allora, perché saltavi intorno a un cassonetto?» chiese Stick a Trader. «Non sono affari tuoi. Se faccio o non faccio qualcosa, un motivo c'è.» «Sì, un loco-motivo!» La battuta era di Slim Jim. «Per favore, cerchiamo di non litigare. Siamo già in una situazione difficile così. Cerchiamo di essere comprensivi nei confronti del prossimo e di essere portatori di pace» predicò il reverendo Pontius Justice, che la sera prima era andato a portare delle videocassette a Barbie Fogg e sulla strada di casa si era fermato a chiedere un servizietto a una donna che però si era rivelata essere non una prostituta, ma una signorina con la macchina in panne e il cellulare scarico. "Perché mi offre venti dollari, scusi?" gli aveva chiesto con uno strano accento quando il reverendo l'aveva invitata ad avvicinarsi alla sua Cadillac. "Se è per il taxi, molto gentile. Ma non accetto denaro dagli sconosciuti." "Non mi interessa se ci paghi il taxi o cosa" aveva insistito il reverendo, che aveva bevuto e si sentiva frustrato perché le ronde che aveva organizzato nei pressi del mercato ortofrutticolo si erano rivelate assolutamente inutili. "Se sali in macchina e mi rendi felice, io ti do questa bella banconota. Come la spendi a me non interessa. Okay?"
La signorina, che era Uva Clot ed era molto più vecchia di quanto Pontius Justice aveva creduto vedendola al buio in lontananza, si era avvicinata alla Cadillac, aveva preso il numero di targa e si era messa a gridare aiuto. Il reverendo era partito sgommando, ma pochi minuti dopo si era ritrovato alle calcagna un'auto della polizia con le luci accese e le sirene spiegate. «Perché sei dentro, comunque?» chiese il reverendo alla branda su cui Trader giaceva come un enorme sacco di patate. «Sono un pirata» rispose quello truce. «Signore, proteggici!» esclamò il reverendo scioccato. «Non sarai uno di quelli che ha picchiato il camionista per rubargli un carico di zucche, spero.» «Non sono affari suoi.» «Che il Signore abbia pietà di noi!» «E adoro torturare gli animali» aggiunse Trader, che conosceva abbastanza gli psicopatici da sapere che iniziavano quasi tutti la loro carriera criminosa tormentando bestiole indifese. A cominciare da lui, che non provava il minimo rimorso al pensiero di tutti i granchi che aveva ucciso dando fuoco alla palafitta su Tangier Island da bambino, né si rammaricava di aver bruciato barche e pescherecci. Se avesse raso al suolo anche l'Hilda Crockett's Chesapeake House o tutte le case dell'isola non gli sarebbe importato niente. La coscienza non gli rimordeva nemmeno per il rapimento del boston terrier appartenente al comandante della polizia, che aveva fatto sequestrare davanti a casa Hammer da Smoke e dalla sua banda. Anzi, sperava che l'avessero ammazzato, così quella stronza della sua padrona avrebbe imparato. «Bah!» esclamò Stick disgustato. «Quella è una cosa che io non farei mai. Dovremmo annegarlo nella latrina» propose poi ai compagni di cella. «Due lo bloccano e un altro gli tiene la testa sotto.» «Mi ricordo che quando facevo ancora la quinta elementare mi hanno investito il cane» disse Slim Jim triste e sconsolato. «Se ci penso, sto male ancora adesso. E quel criminale non si è nemmeno fermato.» «Come sarebbe che facevi ancora la quinta?» Snitch si tirò su a sedere incuriosito, aggiustandosi il cuscino dietro la schiena dolorante. «Be', non potevo levarmi dai piedi» spiegò Slim Jim. «Cioè, un po' come qui: ogni volta dovevo tornare in quinta. Tutta colpa della maestra, la signora Knock.» «Che nome! Scommetto che la prendevate in giro» osservò Stick.
«Be', sì. Forse era per quello che ce l'aveva con noi» ammise Slim Jim, ripensando alle frustrazioni di tutta una vita. «Adesso piantatela di parlare!» intervenne Trader, seccato. «Guarda che se non la pianti tu, ti affoghiamo nella latrina per davvero!» «Sì, sì! Chi me lo dice che non sei stato tu a investirmi il cane?» gridò Slim Jim in direzione dell'angolo buio in cui era disteso Trader. «Prima di tutto te lo dice il fatto che io nel quartiere malfamato in cui abitavi tu non ho certamente mai messo piede. Scommetto che vivevi in una schifosa casa popolare e passavi tutto il tempo in mezzo a una strada.» «Senti, se continui così ti spacco la testa prima di ficcartela nel cesso e tirare la catena. Capito?» lo minacciò Slim Jim. «Per carità di Dio!» protestò il reverendo. «Invece di bisticciare, dovremmo riflettere sui nostri peccati e pregare per trovare la pace. Ama il prossimo tuo come te stesso!» «Io non amo me stesso» replicò Snitch immusonito. «Manco io» gli fece eco Slim Jim. «Ho smesso quando mi hanno investito il cane davanti agli occhi. Non mi sono più affezionato a niente, da allora. Perché, tanto, se poi è così che deve finire...» «Hai proprio ragione» disse Stick. Possum era solo nel camper perché Smoke e gli altri della banda erano usciti. Si era tirato indietro con la scusa di finire la bandiera ed era rimasto insieme a Popeye. Il computer emise il trillo che annunciava l'arrivo di un'e-mail e a Possum salì l'adrenalina. La maggior parte delle persone a cui scriveva erano pirati, che di solito a quell'ora erano ubriachi o fumati e non si mettevano certo davanti al computer. Si alzò e andò ad aprire la casella di posta elettronica. Con un brivido di eccitazione vide che a scrivergli era Vigile Verità: Caro Anonimo, devi essere proprio una brava persona per darmi tante informazioni così importanti. Aspettavo che mi scrivessi di nuovo, ma siccome non lo hai fatto, ho deciso di mandarti un messaggio io. Sarai lieto di sapere che il Capitano Bonny (alias Major Trader) è stato arrestato e adesso è in prigione. Se è stato assicurato alla giustizia, è anche per merito tuo e mio. Che cosa è successo a Popeye? Come faccio a essere sicuro che mi
dici la verità? Credo che tu non voglia fare del male a nessuno. Possiamo vederci per parlare di come risolvere il problema e salvare Popeye? Vigile Verità Possum rimase immobile, emozionato ma anche spaventato. Se avesse cercato di incastrare Smoke e la sua banda e il piano non fosse andato a buon fine, per lui e Popeye sarebbe stata la fine. Possum accarezzava la cagnetta, che gli era saltata in grembo e sembrava leggesse il messaggio di Vigile Verità. Possum sapeva che non era possibile, perché i cani non sanno leggere. E neanche un sacco di umani, rifletté, per esempio gli altri pirati della banda. Persino Smoke e la sua strana ragazza, Unica, leggevano malvolentieri, e spesso, se avevano bisogno di informazioni, le chiedevano a Possum oppure guardavano la TV. «Che cosa facciamo, Popeye?» le sussurrò. Popeye prese fra i denti la matita e la batté sulla tastiera. Possum osservò sbalordito le lettere che si materializzavano lentamente sullo schermo: FALLO. «Ma come ho fatto a non accorgermene prima, che sapevi leggere e scrivere?» le sussurrò Possum abbracciandola. Popeye lo leccò sul collo. "Ti prego, salvami" lo implorò in cuor suo. «Che cosa vuoi che faccia?» domandò Possum guardando la scritta sullo schermo, che sembrava lampeggiare come un allarme. Popeye saltò per terra, salì sul letto e toccò con la zampa la bandiera con il teschio e la scritta Jolly Goodwrench. «Pensi che funzionerà?» le domandò Possum. «Voglio dire, la mia idea era quella. Come fai a sapere che era il vero motivo per cui ho fatto quella bandiera? Ma se va tutto a ramengo? Se Smoke ci spara a tutti quanti?» Popeye si accoccolò sulla bandiera e si addormentò, come a dire che non era per nulla preoccupata. Popeye, peraltro, sapeva una cosa che Possum non sapeva, e cioè che Vigile Verità era Andy Brazil e che Andy era un uomo coraggioso e deciso a vincere sul male. Anche Judy Hammer, la sua padrona, era così. L'unico dubbio che restava a Popeye era sul futuro di Possum. Non voleva che finisse in riformatorio. Si svegliò e saltò giù dal letto, quindi grattò contro la porta della stanza per segnalare a Possum di aprire. Quando lui le ubbidì, la cagnetta sgattaiolò nel soggiorno e scompigliò un mazzo di carte finché non trovò l'asso di picche, che riportò a Possum.
«Non capisco» mormorò lui perplesso. «Aspetta. Stai forse dicendo che ho un asso nella manica?» Popeye lo guardò come a dire che c'era vicino, ma non era la riposta esatta. «Che devo giocare a qualche gioco?» Popeye non reagì. «Che devo bluffare?» Popeye stava perdendo la pazienza. Possibile che gli umani fossero così lenti di comprendonio quando gli animali cercavano di dire loro qualcosa? Le bestie erano esplicite e non mentivano, né dicevano mezze verità. Se non è malato o maltrattato, l'unica cosa che interessa a un animale è vivere bene, rispettato e amato. Popeye prese l'asso dalle mani di Possum e lo posò sul tavolo. «Stai dicendo che devo mettere le carte in tavola con Vigile Verità?» Popeye gli leccò un piede nudo per congratularsi del fatto che finalmente c'era arrivato. «Che devo giocare a carte scoperte con lui?» Popeye gli saltò in grembo e gli leccò la faccia entusiasta. Possum sospirò e cominciò a scrivere, nervoso. Appena in tempo, perché Andy stava già disperando di ottenere una risposta. Caro Vigile Verità, giuro che mi può credere. Io però ho un problema: se la aiuto, poi finisco nei guai? Io da qui non me ne posso andare, ma se faccio la spia ho paura che poi finisco in prigione. Perché deve sapere che sono stato io a sparare al signor Moses Custer in un piede facendogli saltare via lo stivale, ma solo perché non potevo farne a meno, altrimenti Smoke sparava a me. Smoke dice sempre che se non faccio tutto quello che mi dice lui ammazza Popeye. Non so come fare. Andy lesse l'e-mail e per la prima volta si rese conto che dietro il sequestro di Popeye c'era quel criminale di Smoke. Sapeva che era un delinquente pericoloso, ma confidava nel fatto di avere un complice all'interno della sua banda e quindi gli rispose subito. Caro Anonimo, il signor Custer non aveva ferite di arma da fuoco. È stato ricoverato
perché era stato preso a botte e ferito con un coltello. L'hai picchiato e accoltellato anche tu? Vigile Verità Caro Vigile Verità, no! Io gli dovevo sparare e basta. Dopo, però, ho aiutato la banda a buttare le zucche nel fiume. È Unica che taglia. Come sono contento di non averlo ferito! Mi sento molto meglio e spero che Hoss non sia più arrabbiato con me. Andy non capì né il riferimento a Hoss, né il significato della frase "è Unica che taglia", ma decise di rischiare. Caro Anonimo, sono certo che sai quanto Hoss sarebbe felice se tu facessi arrestare la banda di Smoke in maniera che non possa più fare del male a nessuno, nemmeno a Popeye. E dubito che Hoss sia mai stato arrabbiato con te, perché senz'altro saprà che quando hai sparato al signor Custer non l'hai colpito. Al massimo sarà un po' deluso perché non hai ancora denunciato Smoke e gli altri. Adesso che hai l'occasione di farlo, potresti cominciare con il dirmi dove li posso trovare senza che loro si accorgano di niente. Se aiuterai la polizia ad arrestarli, otterrai l'immunità. Del resto, io sono sicuro che ormai hai capito che bisogna sempre dire la verità. Vigile Verità La risposta arrivò pochi minuti dopo: Caro Vigile Verità, vada all'autodromo e cerchi il team con la bandiera con il teschio che fuma una sigaretta e la scritta Jolly Goodwrench. È la nostra. Io terrò Popeye e cercherò di starmene da una parte. Sappia però che Cat sta prendendo lezioni di elicottero da un pilota della polizia di Stato, e così, dopo che Smoke avrà ammazzato tutti quelli che vuole ammazzare, lui ci porterà su Tangerine Island. «Oh, Gesù!» esclamò Andy leggendo. Gli veniva in mente un solo pilota della polizia di Stato che poteva aver dato lezioni di volo a qualcuno, visto
che in quel momento erano in pochissimi. "Macovich, sei un cretino!" disse fra sé. "Ma cosa ti è saltato in mente?" Macovich non era un santo, ma non era nemmeno molto intelligente e Andy cercò di capire perché avesse fatto una cosa del genere. Frugò nella ventiquattrore finché non trovò la pratica sulla tentata rapina al casello da parte del ragazzo con il sacchetto sulla testa di cui si era occupato l'anno prima. Fece il numero di Hooter Shook. Hooter cercò il telefono a tastoni e rispose con voce assonnata. «Pronto?» Era sicura che fosse Macovich, che negli ultimi tempi era passato a cercarla al casello e le aveva telefonato diverse volte. Quell'uomo era un porco, pensava rabbiosa. Non aveva mai conosciuto nessuno tanto arrapato. Di solito al primo appuntamento gli uomini con cui usciva aspettavano un po' prima di provarci. Invece Macovich aveva subito allungato le mani, da Freckles. Era un peccato, perché quando l'aveva conosciuto al casello, mentre lui istituiva il posto di blocco, le era piaciuto abbastanza. «T'ho detto di non chiamarmi più!» urlò nel telefono senza dare a Andy il tempo di dire una parola. «Non credo di averle mai telefonato, signorina Shook» si giustificò Andy. «Mi ha forse preso per Thorlo Macovich?» «Mi scusi» disse Hooter calmandosi. «Sono Vigile Verità» si buttò Andy. «Mi prende in giro?» fece Hooter diffidente. Non aveva riconosciuto la voce di Andy, anche perché le sembrava che ibianchi parlassero tutti nello stesso modo. «Non ci credo.» «Be', invece sono proprio Vigile Verità» replicò Andy sicuro di sé. «E il motivo per cui la chiamo è che ho bisogno del suo aiuto. So che era da Freckles con Thorlo Macovich, l'altra sera.» «Sì. Pessima serata, francamente.» «Ha pagato lui il conto?» «Io non ho pagato» replicò lei. «Sono uscita nel vicolo a prendere una boccata d'aria e ho incontrato un matto che si sparava nelle parti intime...» «Sì, lo so» la interruppe educatamente Andy. «Mi chiedevo se aveva visto Macovich tirare fuori il portafoglio.» «Sì. L'hanno fatto pagare a ogni consumazione. Forse, perché eravamo gli unici afroamericani e non si fidavano di noi.» «Non credo» cercò di rassicurarla Andy. «Mi risulta che da Freckles siano persone corrette. Probabilmente, essendo vittima di molte ingiustizie,
lei tende a prendere male le cose. È più probabile che Thorlo Macovich abbia voluto pagare volta per volta per farle vedere che aveva tanti soldi e fare bella figura con lei.» Hooter ci rifletté. «Può darsi» ammise dopo un po'. «Anche se a me i soldi fanno schifo perché sono pieni di germi, e lui lo sapeva perché glielo avevo detto. E non mi toglieva le mani di dosso, in quel séparé. Comunque è vero che non ha chiesto di mettere tutto in conto e pagare alla fine. Forse sono un po' malfidata. Sapesse quanta gente passa al casello e paga il pedaggio senza nemmeno salutare, anche se io gli dico buongiorno... Ho sempre dato per scontato che fosse perché sono nera.» «Al mondo c'è un sacco di gente maleducata: il colore della pelle non c'entra» le fece notare Andy. «Forse ha ragione» replicò Hooter. Si era addolcita e ormai era del tutto sveglia. «Riguardo a Thorlo senz'altro: voleva farmi vedere che aveva un mucchio di soldi» aggiunse. «Guardi, c'era parecchio fumo, ma ho visto benissimo che aveva diverse banconote da venti e forse una da cento, anche se non ci giurerei, perché non ne ho mai vista una in vita mia.» Dunque Macovich aveva davvero dato lezioni di volo a Cat, facendosi pagare in contanti, presumibilmente cento dollari a lezione. Doveva averlo fatto la sera, finito il turno, quando sapeva che all'hangar della polizia di Stato non c'era nessuno. Andò in cucina a controllare l'ora: era l'una di notte. Indossò abiti civili, prese la rivoltella d'ordinanza e il radiotrasmettitore, e salì in macchina. Quando arrivò in aeroporto, trovò conferma ai propri sospetti: il Bell 430 non era nell'hangar e per terra erano sparsi diversi mozziconi di Salem Light, alcuni dei quali pericolosamente vicini al deposito del carburante. Si sintonizzò sulle frequenze della sezione aerea della polizia di Stato. «Quattro-tre-zero Sierra-Papa» disse al radiotrasmettitore. Macovich si sorprese e si innervosì, nel sentire la voce di Andy nelle cuffie mentre Cat, con una tuta del NASCAR, cercava di portare l'elicottero sopra il vicino aeroporto di Chesterfield. «Trenta-Sierra-Papa» rispose Macovich cercando di fare la voce innocente e fingendosi occupatissimo. «Chi è?» chiese Cat. «Un momento» disse Macovich a Andy. «La torre di controllo» rispose poi a Cat nell'interfono, perché non voleva commettere di nuovo l'errore di trasmettere in pubblico comunicazioni private.
«Ci parlo io» si intromise Cat, sbagliando manovra. «Devo fare pratica.» «Dopo» rispose Macovich. «Adesso riprova a fare quello che ti ho detto. Sei troppo alto. Ho la sensazione che la torre si voglia lamentare per come voli, perciò è meglio che ci parli io. Anzi, già che ci sei, togliti le cuffie, così anche se dicono qualcosa che non ti va non ti metti in agitazione. Attento alla recinzione! Sali a ottocento piedi e va' un po' in giro, mentre io risolvo questa faccenda. Okay?» Cat si tolse le cuffie e strizzò gli occhi, protetti da un paio di occhiali Oakley con lenti fotocromatiche, cercando di distinguere le sagome scure degli alberi. «Trenta-Sierra-Papa» disse Macovich a Andy. «Sono occupato, adesso.» «Roger. Ho capito benissimo» disse la voce di Andy. Dal suo tono, Macovich intuì che sapeva tutto. «Il tuo allievo è in violazione» disse Andy in codice. «Che cosa vuoi dire?» Preoccupato, Macovich alzò il collettivo per evitare gli alberi con un gesto automatico, perché ormai aveva preso l'abitudine di rimediare agli errori di quell'imbecille del NASCAR a cui dava lezioni di volo. «Informa il tuo allievo che la torre ti richiede di rientrare immediatamente» gli ordinò Andy. «Roger» rispose Macovich di malavoglia. Poi toccò le cuffie di Cat e gli fece segno di rimettersele. «Ascoltami bene» esordì. «Questo elicottero è mio: non voglio dirti un'altra volta di lasciare stare i comandi, okay? Ho un problema con la Federal Aviation Association e devo risolverlo, altrimenti finiamo nei casini tutti e due.» «Oh, cazzo!» esclamò Cat. «Se vado a dire al famoso pilota per cui lavoro che c'è un casino, quello mi spara. Non ci devono essere problemi per la corsa. Guardi che il mio capo conosce il governatore e anche il presidente degli Stati Uniti. Potrebbe farla licenziare, sa?» «Non ti preoccupare» disse Macovich tornando di gran fretta all'aeroporto di Richmond. «Adesso risolvo tutto.» Invece nel giro di un'ora Cat era rinchiuso nel carcere di Richmond e i suoi compagni di cella litigavano e blateravano a proposito di un cane investito da un pirata della strada che non si era nemmeno fermato. Non stavano zitti un momento. Appena rientrato a casa, Andy chiamò Judy Hammer per aggiornarla su quello che era successo. Le disse anche che, con ogni probabilità, Popeye
era viva e lui contava di recuperarla alla corsa della Winston Cup. «Quella serpe!» esclamò Judy riferendosi a Macovich. «Appena arriva in sede domani mattina, mi faccio restituire pistola e distintivo. Chiamalo e digli di venire da me alle otto precise.» «Scusami, ma non sono d'accordo» disse Andy. «Smoke e compagnia non sanno che abbiamo preso Cat.» «L'avranno dato per disperso» osservò Judy. «Non credi che si insospettiranno se non si fa vivo per portarli alla corsa?» «Credo di avere una soluzione per questo.» «Sentiamo.» «Io accompagno il governatore su un 407 e mi assicuro che lui, la sua famiglia, Moses Custer ed eventuali altri ospiti prendano posto nella tribuna riservata» cominciò a spiegare Andy. «Dovremo posizionare strategicamente almeno venti fra vigili e guardie del corpo in borghese. A prendere Smoke e i suoi compari, come da programma, andrà Macovich. Sta' tranquilla, penso a tutto io.» «Non mi convince, Andy» disse Judy. «All'autodromo ci saranno almeno centocinquantamila persone. Venti uomini non possono proteggere il governatore, la sua famiglia, i suoi ospiti e un pubblico così numeroso: basta che parta un colpo e si scatenerà un parapiglia. Rischiamo che la gente muoia calpestata dalla folla, che le auto escano di strada, che succeda il finimondo. Non credo che abbiamo le risorse per tenere sotto controllo la situazione. E poi non vorrei che Tangier Island decidesse una qualche azione dimostrativa. Temo che non abbiano capito che il NASCAR non ha nessuna intenzione di prendere possesso dell'isola. Quale occasione migliore, allora, per manifestare la propria rabbia, che una corsa del NASCAR?» continuò Judy, prendendo in considerazione tutte le ipotesi più nefaste. «Dovremmo mobilitare degli uomini anche sull'isola, temo. Onestamente, credo che dovresti scrivere un articolo per convincere gli abitanti di Tangier Island a darsi una calmata. Anche se dubito che abbiano un computer o navighino in rete.» «Non ho mai ricevuto e-mail da Tangier Island» disse Andy. «Quindi, probabilmente hai ragione. Non mi legge nessuno, laggiù. Ho visto un sacco di antenne paraboliche, però, quindi immagino che guardino la televisione. Potrei scrivere qualcosa di cui parlino i notiziari televisivi prima della corsa.» Stava pensando a Fonny Boy e al pezzo di ferro arrugginito: probabilmente, niente avrebbe attirato l'attenzione degli isolani più della notizia
che i forestieri gli volevano portare via qualcosa di molto prezioso e che apparteneva a loro. Cominciò a scrivere un'e-mail al suo anonimo amico pirata, chiedendogli di lasciare aperto il sito di Vigile Verità sul suo computer in maniera da leggere l'articolo appena fosse stato pubblicato. Gli diede inoltre istruzione di informare Smoke che Cat stava facendo un corso intensivo di volo e si sarebbe fatto trovare a Tangier Island dopo la corsa, perché aveva intenzione di compiere un giro di ricognizione per decidere dove stabilire la nuova base. "Di' a Smoke e agli altri che Cat ha sentito parlare di un tesoro nascosto e ha deciso di farsi lasciare sull'isola dal suo istruttore di volo" scrisse Andy al suo anonimo amico. "Verrà lui a prendervi e ad accompagnarvi alla corsa, finita la quale vi porterà a Tangier Island, dove Cat a quel punto avrà già recuperato il tesoro, prima che lo trovi qualcun altro. Nel caso Cat non abbia il computer o non lo sappia usare, di' a Smoke che a scriverti tutto questo è stato l'istruttore di volo, Thorlo Macovich, che ha deciso di unirsi alla vostra banda e di farvi da pilota, procurarvi armi e attrezzatura da sub, riciclare denaro sporco, fare la spola da qui al Canada o qualsiasi cosa vi serva, in cambio di una fetta del tesoro." Possum rimase confuso e spaventato da quest'ultimo messaggio di Vigile Verità, ma decise di seguire alla lettera le sue raccomandazioni: avrebbe lasciato il computer aperto sul sito di Vigile Verità e riferito tutto a Smoke. Aveva un'ultima domanda, tuttavia. Caro Vigile Verità, questa è l'ultima volta che le scrivo ma le volevo chiedere di togliere la foto di Popeye con il cappottino rosso dal suo sito perché se Smoke la vede è la fine. Lui non sa che la cercano tante persone: pensa che è solo la sua padrona poliziotta. p.s. Il mio vero nome è Jeremiah Little, anche se da quando Smoke mi ha preso nella sua banda se no mi ammazzava sono diventato Possum. Potrebbe chiamare mia mamma e dirle che sto bene e che è tutto a posto? Già che c'è, veda se sta ancora con mio padre, perché se ci sta ancora io a casa non posso tornare e non so dove andare quando mi libero di Smoke e non sto più nel camper. P.p.s. Non si scordi che cosa mi ha promesso!
Andy rispose subito a Possum, assicurandogli che avrebbe tolto subito la foto di Popeye, chiamato al più presto sua madre e mantenuto tutte le sue promesse. Gli scrisse anche: Quando sarà il momento di andare via dall'autodromo, sali per primo sull'elicottero di Thorlo Macovich, scorri sul sedile fino al portellone dall'altra parte con Popeye in braccio, scendi e corri più forte che puoi verso il camper con la bandiera della Virginia sopra e sei coni segnaletici intorno. Il camper sarà dall'altra parte della recinzione dell'eliporto e io sarò seduto su una sdraio lì davanti, travestito da tifoso ubriaco. Mi raccomando, stai attento alle pale! In bocca al lupo! Vigile Verità IMMINENTE LA SCOPERTA DEL TESORO SCOMPARSO NELLA CHESAPEAKE BAY! di Vigile Verità Il recente arresto del dottor Sherman Faux (fraudolento dentista con cui vi consiglio di non avere nulla a che fare) ha portato a una scoperta sconvolgente, che ha mobilitato storici, archeologi e appassionati di tesori di tutto il pianeta. Poiché sono certo che alcuni di voi non hanno mai sentito parlare di un tesoro sepolto nella Chesapeake Bay, ritengo doveroso cominciare con una spiegazione. È risaputo che quell'imbroglione di Major Trader ha sempre manipolato a proprio uso e consumo le informazioni che circolavano nel Commonwealth e verso i paesi esteri. Non deve sorprendere pertanto che la notizia dell'avvistamento di alcuni antichi relitti nella Chesapeake Bay, che senza dubbio porterà presto al recupero del famoso tesoro scomparso, non sia stata resa nota ai virginiani, e tanto meno agli abitanti di Tangier Island. Durante la Rivoluzione americana, il pirata inglese più famoso e temuto era Joseph Wheland Jr, che nel 1776 si diede alla guerra di corsa depredando navi mercantili per conto della corona inglese. Nel giro di poco tempo ebbe il comando di una piccola flotta e imperversò ovunque gli capitava, bruciando le piantagioni della Chesapeake Bay e appropriandosi di bestiame, schiavi, mobili, argenteria, gioielli e in generale di ogni oggetto di valore su cui lui o i suoi uomini riuscivano a mettere le mani. Spinto da
motivazioni ben più grette e meschine che il desiderio di ottenere vittorie militari per il suo paese o dimostrare lealtà alla corona, Wheland divenne un terribile pirata e cominciò a svernare a Tangier Island, dal cui covo di pirati salpava con la sua flottiglia per andare all'arrembaggio di tutte le navi che incrociava, razziarne le stive e trucidarne gli equipaggi. Le cronache non specificano quali fortune riuscì ad ammassare Wheland, quante navi fece affondare o quante ne perse lui stesso, ma per logica dobbiamo presumere che in oltre due secoli sui fondali della Chesapeake Bay si siano depositati tesori di valore inestimabile. Corsari disperati e spietati come Wheland non solo depredavano vittime innocenti, ma non si facevano scrupolo a derubarsi e uccidersi fra loro, cercando sempre di farla franca. Se sapeva che nei paraggi c'era una nave di pirati che aveva appena dato fuoco a una piantagione e aveva le stive cariche di oggetti preziosi, pertanto, Wheland la assaltava, a meno che non temesse di avere la peggio. Da questo punto di vista i pirati del Settecento non erano diversi dai trafficanti di droga di adesso. I trafficanti che fanno la spola fra New York e Miami, spesso si fermano in Virginia a vendere armi o droga e in alcuni casi, subito dopo aver concluso l'affare, sparano alla controparte. In questo modo, oltre alla somma appena ricevuta in pagamento, si riprendono anche la merce e per buona misura si appropriano dei soldi e della droga che la vittima ha con sé, gli sfilano l'orologio d'oro tempestato di brillanti, gli anelli e le catene d'oro e gli rubano pure la macchina. I trafficanti di droga sono esattamente come gli antichi pirati, solo che non vanno per mare. Immaginiamo di trasferire una banda di trafficanti di droga nel diciottesimo secolo e di metterli tutti a bordo di una cannoniera al largo di Tangier Island: che cosa credete che farebbero, incrociando un'altra nave? Potete stare certi che non si comporterebbero in modo diverso da Wheland e i suoi uomini. Se avessimo la macchina del tempo potremmo fare un piccolo esperimento. Proviamo a immaginare... Una fredda sera di ottobre, Joseph Wheland parte a bordo della sua Mercedes nera con spoiler, vetri fumé, coprimozzo in oro, coprisedili di pelliccia, stereo e arbre magique. Sigaretta in mano, un po' suonato dopo un paio di canne, lascia New York e si dirige a Richmond con un convoglio di altri veicoli e uomini armati. Nonostante sia sempre in macchina e non faccia movimento fisico, è magro e segaligno. Questo non gli impedisce di incutere terrore in chiunque abbia a che fare con lui. Giunti a Richmond alle prime ore del mattino, Wheland e i suoi compari
parcheggiano in una lurida strada del quartiere popolare di Gilpin Court e si avviano verso lo squallido appartamento in cui ha ricavato il proprio covo uno spacciatore di nome Smack. Quando, sbirciando dalla finestra, Smack vede Wheland in impermeabile nero, Nike nere e tuta da ginnastica nera con un motivo a teschi e tibie incrociate, si spaventa. "Cazzo" dice ai suoi luogotenenti. "Quello è uno tosto. Non vorrei che nascondesse una mitraglietta Uzi sotto l'impermeabile. Mi sembra di veder spuntare la canna." "Sicuro che non è un'asola?" "Meglio non correre rischi." "Già" conviene Smack. "Spariamogli dalla porta." Tutti nel covo imbracciano un'arma, ma poi accade una cosa inspiegabile. Wheland e i suoi stanno per bussare alla porta, quando all'improvviso vengono circondati da un'intensa luce bianca che li risucchia nel nulla. Spaventati, Smack e compagnia aprono il fuoco, facendo a pezzi la porta, i lampadari e diverse bottiglie di birra. Quando finiscono le munizioni e il fumo si disperde piano piano, nella strada buia non c'è più nessuno. Wheland e i suoi pirati sono entrati nella terza dimensione e dopo un viaggio a ritroso nel tempo sono atterrati dolcemente su una cannoniera chiamata Rover, carica di pezzi di antiquariato del diciottesimo secolo, gioielli, sacchi di monete d'argento e oro. "Dove cazzo siamo finiti?" domanda Wheland osservando le pacifiche acque della Chesapeake Bay e l'ombra di Tangier Island in lontananza. "Ehi, non ho mai visto una nave così vecchia. Non ha nemmeno il motore." "Di', li avete visti i cannoni?" esclama uno dei suoi uomini, osservandone uno gigantesco. "Quanto mi piacerebbe sparare a una volante con uno di questi!" Wheland e gli altri scoppiano a ridere all'idea e studiano come usare i cannoni, le granate e le vele senza combinare pasticci. Passano i giorni, le settimane, e Wheland e i suoi se la spassano assaltando navi e festeggiando con vino e rum perché ormai hanno finito sia il fumo che il crack e non sono riusciti a procurarsene dell'altro. Diventano esperti nell'abbordare le altre navi pirata e dare loro fuoco, dopo averle razziate e aver trucidato, fatto a pezzi e dato in pasto ai granchi tutti quelli che c'erano sopra. Al termine della Rivoluzione americana, Wheland era sempre più potente e assetato di potere. Terrorizzava la baia e le spiagge del Maryland e della Virginia e divenne ancor più temuto di quanto era stato Barbanera ai suoi tempi, sebbene non risulti che si desse fuoco alla barba. Si dice però
che, senza dubbio ispirandosi ai racconti su Barbanera che i pirati si tramandavano di generazione in generazione, avesse l'abitudine di aprire il fuoco contro le ignare navi che avevano la sfortuna di incrociare le sue rotte e di tempestarle di bottiglie piene di polvere da sparo, pallini da schioppo, proiettili, pezzi di piombo e di ferro che i temerari pirati accendevano prima di lanciarle fuoribordo. Dopo averle così bombardate, Wheland e i suoi pirati andavano all'arrembaggio calpestando i morti, finendo i feriti e facendo man bassa di tutto quello che trovavano. Wheland sparisce dai documenti storici verso la fine del diciottesimo secolo. Nel 1806 la pirateria non era più un problema nella baia, che nel 1812, tuttavia, visse di nuovo un periodo agitato a causa della guerra. Il Chesapeake e il vicino Patuxent River rimangono tuttora luoghi di importanza strategica e militare. Questo spiega gli spazi aerei interdetti di cui parlavo in un mio precedente articolo, che rendono difficile accedere per via aerea a Tangier Island. Possiamo solo immaginare quanti relitti e quanti forzieri giacciono sui fondali della Chesapeake Bay dai tempi in cui John Smith fondò la colonia di Jamestown. La legge stabilisce che i reperti archeologici appartengono allo Stato in cui vengono ritrovati. I tesori sepolti nella Chesapeake Bay, dunque, appartengono alla Virginia. Teoricamente, se si risalisse alla nave da cui i pirati avevano trafugato i preziosi, il porto da cui un tempo era partita potrebbe rivendicarne il possesso, con conseguenti battaglie legali. Io sospetto che il North Carolina vorrà appropriarsi dei tesori di Wheland. Tuttavia, a nulla varranno le carte bollate se qualcuno troverà il tesoro e lo venderà a caro prezzo a qualche antiquario. E io temo fortemente che così accadrà, perché non vedo chi possa localizzare in modo più veloce un tesoro sepolto dei discendenti dei pirati che lì lo lasciarono, i quali presumibilmente abitano su Tangier Island e conoscono i fondali della baia meglio delle loro tasche. Peraltro, io credo che questi tesori spettino a loro di diritto. L'economia di Tangier Island è tutt'altro che florida, anche perché i granchi azzurri sono sempre di meno e le limitazioni sulla pesca sempre di più. Alla luce di ciò chiedo a tutti, governatore compreso, di non andare a cercare il tesoro nei pressi di una piccola boa gialla attaccata a una nassa a circa dieci miglia dalla costa occidentale dell'isola. Non siate avidi e pensate che fate una vita di certo meno dura dei pescatori di granchi. Poiché i loro antenati patirono quando Joseph Wheland stabilì di svernare sulla loro isola, è giusto che adesso godano delle ricchezze accumulate dal famigerato corsaro.
Sarebbe un perfetto esempio di giustizia poetica. Anne Bonny e Joseph Wheland non furono mai puniti per le loro malvagie azioni, e neppure Barbanera ebbe mai ciò che si meritava. Il fatto che sia stato ucciso e la sua testa mozza issata sul parapetto di una nave fu una punizione lieve rispetto a quella che ricevettero alcuni pirati in altre parti del mondo. Prima di venire romanticamente descritta come una sorta di rapina a mano armata continuata, la pirateria fu considerata una vera e propria piaga sociale. Basta sfogliare l'edizione del 1825 in due volumi de Il terrifico registro: cronache di crimini, giudizi, provvidenze e calamità per rendercene conto. C'è da rimanere scioccati. Per darvi un esempio, vi racconterò che fine facevano i pirati russi del Volga, che a un certo punto ne era così infestato che i mercanti rinunciarono a usarlo per trasportare le loro merci senza la protezione di un convoglio armato al seguito. I pirati russi, che non avevano il sangue freddo di Bonny, Wheland o Barbanera, dovevano certamente sentirsi mancare quando, dopo essere stati catturati, si vedevano costruire sotto gli occhi un patibolo galleggiante munito di enormi ganci di ferro. Venivano infatti denudati completamente e appesi per le costole ai ganci di un patibolo galleggiante che poi veniva abbandonato alla corrente in maniera che dalle sponde del fiume tutti potessero vedere l'agonia e udire i gemiti dei famigerati assassini. Se qualche buon samaritano dei villaggi o delle città lungo il Volga, mosso a pietà, offriva loro un sorso d'acqua o di liquore o poneva fine alle loro atroci sofferenze sparandogli un colpo di fucile, doveva soffrire il medesimo tormento. La severità della punizione era tale da scoraggiare chiunque, tanto che si narra che una volta un pirata riuscì a staccarsi dai ganci e, nudo e tremante per il dolore e la perdita di sangue, si imbatté in un pastore che, lungi dall'aiutarlo, gli spaccò la testa a colpi di pietra. Immagino che poi costui si fosse vantato in giro della sua poco compassionevole impresa, che altrimenti non sarebbe passata alla storia. Con questo non voglio dire che credo nei vigilantes o nella tortura, né che sono d'accordo sul modo in cui i russi combattevano la pirateria, ma solo che Bonny, Barbanera, Wheland e i loro compari furono fortunati a non essere catturati in Russia. È molto probabile che un pezzo di ferro proveniente da una delle granate di Wheland abbia portato alla scoperta di almeno uno dei relitti che da secoli giacciono sui fondali della Chesapeake Bay. È difficile immaginare quali misteri e tesori si nascondano sotto la boa gialla di cui vi parlavo pri-
ma. So che diversi storici sostengono che quella del tesoro scomparso nella baia è una leggenda, ma io tengo a ricordare a voi, cari lettori, e al governatore Crimm, che non si conosce l'entità delle ricchezze accumulate da Wheland in anni di pirateria, né quante di esse andarono perdute in mare. Mi raccomando, occhi aperti! 29 Possum non notò subito che l'articolo era apparso sul sito, perché quando Smoke e gli altri della banda erano rientrati, meno di un'ora prima, a lui si erano drizzati i capelli in testa. "Quanto vorrei che tu fossi qui con me" sussurrava Possum a Hoss. "Lo so che ho sbagliato, ma adesso sto cercando di rimediare. Diglielo tu a Little Joe, al signor Cartwright e magari anche a Adam, se non se n'è già andato via. Hai capito, Hoss? Se mi senti, raduna un po' di amici e raggiungimi all'autodromo. Io ho paura: non ne ho mai avuto tanta in vita mia. Me lo sento, che non andrà tutto liscio come dice Vigile Verità. E poi mi dispiace separarmi da Popeye. È l'unico essere di cui mi fido al mondo, sai? Come ti sentiresti tu, se dovessi separarti dal tuo cavallo o se avessi paura che un branco di fuorilegge ti facesse un'imboscata e te lo ammazzasse? Lo so che Popeye non è mia e che non è giusto che stia rinchiusa in questo camper. Lo so che è la cosa giusta da fare. Però mi serve una mano, Hoss. Davvero." "Ascolta, amico" gli rispondeva Hoss, in groppa al suo destriero. "I fuorilegge sono fuorilegge, che siano ladri di cavalli o di autotreni, e bisogna sempre fare la cosa giusta, nella vita. Io, papà e Little Joe non siamo arrabbiati con te, credimi. Ce l'abbiamo con Smoke, piuttosto, e con quegli altri delinquenti che gli stanno appresso. Bisognerebbe appenderli tutti quanti a un albero, te lo dico io. Ascolta, tu segui le indicazioni di Vigile Verità e non avere paura. Noi siamo dalla tua parte." Hoss svanì lentamente dai suoi pensieri e Possum si asciugò le lacrime nella bandiera con il teschio con la sigaretta in bocca. Alzandosi a sedere, vide il sito di Vigile Verità brillare sullo schermo. Andò a sedersi davanti al computer, cliccò sull'ultimo articolo e lo lesse con grande interesse. Intuì che cosa aveva in testa Vigile Verità, anche se proprio sicuro non era. Fece un respiro profondo, raccomandò a Popeye di starsene brava a cuccia e corse fuori della sua stanza per bussare alla porta di Smoke. «Smoke!» gridò. «Smoke, svegliati! Vieni a vedere! È una roba incredi-
bile!» Smoke era seduto sul letto a gambe incrociate e stava riempiendo una siringa di una miscela velenosissima di solventi e veleno per topi che aveva rubato nel reparto ferramenta del Wal-Mart in cui aveva portato la banda per comprare tutto quello che gli serviva per la corsa del NASCAR. «Cosa cazzo vuoi?» gli urlò, pieno di birra, crack e cattiveria. Era di pessimo umore perché aveva appena rapinato un supermarket scoprendo che in cassa c'erano solo ottanta dollari. «Hai visto Cat? Dove cazzo è Cat?» gridò rimettendo il cappuccio sull'ago della siringa. Possum aprì appena la porta e sbirciò nella camera di Smoke con il cuore che gli batteva all'impazzata. «Scusa se ti disturbo, Smoke, ma c'è una cosa su quel sito di Vigile Verità che secondo me devi vedere» disse con una vocina intimidita. «Parla di un tesoro. Se ci sbrighiamo, possiamo trovarlo noi per primi. Cosa fai con quella siringa?» Smoke saltò giù dal letto. Era a torso nudo, tutto sudato e coperto di tatuaggi, e aveva lo sguardo vitreo di quando esagerava con l'alcol e le droghe. «Popeye» rispose con una risata crudele, fingendo di iniettarle il veleno in una zampa. «Senti, lascia perdere un momento Popeye» replicò Possum fingendosi molto più freddo e spietato di quello che era. «Ehi! Decido io che cosa lascio perdere e cosa no» sibilò Smoke puntando la siringa contro Possum, come se volesse iniettare a lui il veleno. «E questa è la punizione per chi rompe i coglioni a Smoke, capito? Quando quella stronza della Hammer e quel rottinculo del suo scagnozzo Brazil arrivano per pigliarsi Popeye, io tiro fuori questa e gliela pianto in una zampa sotto il loro naso. Il veleno le farà venire le convulsioni, loro cercheranno di salvarla e io gli sparo nella testa a tutti e due. Poi arriva Cat con l'elicottero e noi ce la battiamo.» Era un piano orribile, ma Possum non si scompose. Faceva finta che non gli importasse di niente e di nessuno: solo del tesoro nella Chesapeake Bay. «Se ci arrivano i pescatori prima di noi» disse «aspettiamo che tornino sull'isola, gli spariamo in testa, li buttiamo in pasto ai pesci e glielo freghiamo. Cat è già là che prepara tutto. Per questo non è tornato. E adesso abbiamo anche un vigile dalla nostra. Che cosa ci manca, Smoke? Dimmelo tu.»
A Regina mancavano molte cose, quella mattina, mentre scendeva a fare colazione. Aveva di nuovo dormito male, tormentata dal sogno ricorrente dei pneumatici, e non poteva fare a meno di pensare che l'interpretazione di Andy fosse giusta. La vita le scorreva accanto. Era grassa e aveva un brutto carattere. Per la prima volta nella vita, provava qualcosa di simile alla vergogna e al pentimento. «Buongiorno» la salutò Pony mentre lei si sedeva pesantemente a tavola. «Dici per dire o credi davvero che possa essere un buon giorno per me?» borbottò Regina occhieggiando i piatti fumanti che Pony le stava sistemando davanti. «Per me lo sarà di sicuro» rispose lui allegro. «Sto per tornare a essere un uomo libero, signorina!» Posando un vassoio con lo stemma del Commonwealth in oro zecchino pieno di uova strapazzate e salsicce, continuò: «Sembra che abbia scontato tre anni più del necessario, per colpa di quel manigoldo di Major Trader. Ha complottato con alcuni funzionari perché non voleva che me ne andassi». Regina guardò il piatto e con una certa sorpresa si rese conto di non avere fame. Non ricordava che le fosse mai successo, a parte la sera in cui l'avevano portata in ospedale dopo che aveva mangiato i biscotti avvelenati di Major Trader. Ma allora la perdita di appetito era stata transitoria e legata a problemi medici ed era completamente diversa da quella che provava in quel momento. «Non mangia, signorina?» le domandò Pony preoccupato. Era di fronte a lei, con la sua giacca bianca inamidata e un tovagliolo sul braccio. «Non saresti mai dovuto andare in prigione» gli disse Regina con una gentilezza di cui si stupì lei stessa. «Non ti ho mai visto fare niente di male. Non ho mai avuto paura di te.» «Molte grazie, signorina» rispose Pony sorridendo. Non capiva: Regina non l'aveva mai considerato e non si era mai rapportato a lui come persona. «Mi fa molto piacere. Penso che potrei darle una mano con Trip, sa? Ho l'impressione che quel cavallo risponda solo a comandi diretti, di una parola o due soltanto. Se gli si parla più a lungo, si confonde e non capisce più niente.» Regina si ringalluzzì. «Potrei scriverle un elenco di comandi, così magari oggi vede come va» suggerì Pony. «Ho letto le istruzioni dell'addestratore e ho l'impressione che quel cavallo non abbia problemi a viaggiare. Basta che gli metta un
pannolone e lo può portare sia in limousine che in elicottero. Mia moglie gli sta cucendo una coperta con lo stemma del Commonwealth da mettere sotto i finimenti.» L'umore di Regina stava decisamente migliorando: sembrava che rabbia e depressione - fino a quel giorno come un fronte stazionario sulla sua vita - stessero tutt'a un tratto lasciando spazio a una schiarita. Le venne in mente che Andy le aveva consigliato di essere più attenta agli altri e fece qualche prova di umana compassione fra sé e sé, mentre Pony continuava a parlare di Trip e del fatto che era stato addestrato a fare i suoi bisogni fuori di casa ed era una bestia molto affettuosa. Le spiegò persino come bisognava mettergli le scarpe. «Sono contenta che papà sistemerà le cose in maniera che tu possa tornare in libertà» disse Regina ad alta voce, dopo essersi ripetuta la frase nella testa un paio di volte. «Ma spero che resterai a lavorare per noi anche quando non sarai più obbligato a farlo.» Pony rimase di stucco e si chiese se Regina avesse la febbre. Effettivamente era un po' pallida, quella mattina, e non era da lei non toccare cibo ed essere gentile. «Ti sarei molto grata, se mi facessi quell'elenco.» Regina continuava a sorprenderlo con la sua delicatezza. «Papà ha bisogno che io gli dia una mano stasera alla corsa e voglio essere all'altezza della situazione. Sono contenta che abbia finalmente una guida. Speriamo che non debba più dipendere dalle sue lenti d'ingrandimento.» Si alzò da tavola e piegò il tovagliolo. Pony sgranò gli occhi come se si fosse magicamente trasformata in un'altra persona. «Grazie, signorina» le disse. «Le scrivo subito quell'elenco. Se vuole, le mostro anche un paio di cosette.» «Grazie, Pony» rispose lei, avviandosi al piano di sopra. La First Lady, seduta al suo elegante scrittoio cinese, navigava su Internet, concentratissima. «Dov'è papà?» le chiese Regina, prendendo una sedia per sederle accanto e vedere che cosa la interessava tanto. «Credo sia in giardino con il pony» rispose la signora Crimm cliccando sulla freccia di scorrimento. «Non dovresti chiamarlo pony» replicò Regina con tono stranamente gentile. «Tanto per cominciare è un cavallino. E poi si fa confusione tra pony e Pony. Credo che a Pony non faccia piacere.» La First Lady guardò la figlia minore con aria perplessa. «Già, lo credo
anch'io. Sembri insolitamente di buon umore, Regina. Non credo di averti mai vista così. Ti senti bene?» «Non so cosa mi è successo» rispose Regina guardando Lo schermo e notando che sua madre stava leggendo l'ultimo articolo di Vigile Verità. «Ho di nuovo fatto il sogno dei pneumatici, mamma, e mi è venuto in mente quello che mi diceva Andy quando siamo andati all'obitorio. E così ho pensato che per un pelo non ci sono finita anch'io: bastava che mangiassi ancora qualcuno di quei biscotti con cui Major Trader cercava di avvelenare papà... E di colpo mi è venuto un briciolo di speranza. Sai, credevo che non fosse possibile...» «Ma come, figlia mia!» esclamò la signora Crimm distrattamente, chiedendosi se i pescatori di Tangier Island stessero davvero per trovare il tesoro scomparso nella Chesapeake Bay e se questo comprendesse anche antichi poggiapentole. Era improbabile che i pirati usassero poggiapentole, ma avrebbero sempre potuto rubarli ad altri. E, comunque, era certo che a bordo delle loro navi cucinavano e se non volevano rovinare il piano del tavolo dovevano pur appoggiare le pignatte su qualcosa. «Secondo te quanto si può conservare un poggiapentole in acqua di mare, prima di arrugginire irrimediabilmente?» chiese alla figlia guardandola da dietro gli occhiali antichi di metallo legati a una catenina d'oro. «Dovresti leggere questo articolo: è molto interessante. Pare che sia stato ritrovato un pezzo di ferro che probabilmente porterà alla scoperta di un tesoro scomparso nella Chesapeake Bay. Be', suppongo che se si è mantenuto quello dovrebbe mantenersi anche un poggiapentole, ti pare? In genere, sono di ferro. Temo che tuo padre non sarà molto contento, quando gli leggerò quest'articolo, comunque. Penso che lui sosterrà che il legittimo proprietario del tesoro adesso è lo Stato, indipendentemente da chi lo era ai tempi in cui Wheland lo rubò. Che diritto può avere il North Carolina su reperti ritrovati nella Chesapeake Bay? Se il tesoro si trova in Virginia, vuol dire che è della Virginia: quindi eventuali poggiapentole devono stare nella residenza del governatore.» Regina si avvicinò per vedere meglio quello che stava leggendo sua madre. Sebbene avesse sempre dichiarato che se uno trova qualcosa ha diritto a tenerselo, nel caso specifico aveva dei dubbi. Se gli abitanti di Tangier Island avessero trovato il tesoro e ne avessero disposto come meglio credevano, il resto del mondo non avrebbe mai avuto il piacere di ammirare vecchi cannoni, monete e pietre preziose nel Virginia Museum. «Secondo me, i reperti storici sono patrimonio della comunità» dichiarò.
In quel momento si sentì rumore di passi felpati. «Che cosa?» Nel cogliere gli ultimi stralci di quella conversazione, il governatore fece la sua domanda standard. «Va' pure avanti» disse poi a Trip, che lo stava facendo comunque. «Papà, penso che ti convenga usare comandi brevi» gli spiegò Regina. «Okay» replicò il governatore. Trip si sentì libero da qualsiasi richiesta precedente e si fermò accanto allo scrittoio intarsiato e laccato della First Lady. «Non ti avevo chiesto di fermarti, ma se è questo che vuoi» disse il governatore alla sua guida, accarezzandogli il muso. «Ho l'impressione che capisca molto più di quanto tu creda, Regina.» «Può darsi» rispose lei «ma a volte fra quello che lui capisce e quello che tu vuoi fargli fare c'è una bella differenza.» «Già. Cos'è 'sta storia che vecchi cannoni e pietre preziose sono patrimonio della comunità?» domandò il governatore cercando nella tasca della veste da camera la lente di ingrandimento che gli serviva per leggere. Regina gli riassunse l'articolo di Vigile Verità e riaffermò la propria opinione, secondo cui i reperti storici non appartengono a chi li ritrova, ma all'intera comunità. «Purché qualcuno di essi resti nella residenza del governatore» precisò la First Lady. «In effetti, un paio di vecchi cannoni in giardino non starebbero male» borbottò il governatore. Al pensiero del North Carolina, gli venne una fitta alla bocca dello stomaco. «Per quanto malvagio, il pirata Wheland fa parte della nostra storia. Non permetterò che i pescatori di Tangier Island si approprino di un tesoro e lo vendano a qualche antiquario o, peggio ancora, allo Stato del North Carolina.» «Oh, Bedford» implorò la First Lady «fai qualcosa prima che sia troppo tardi! Non puoi mandare una portaerei per impedire agli isolani di accaparrarsi il tesoro? Non hanno alcun diritto di tenerselo!» «No» concordò Regina. Era la prima volta che non si trovava d'accordo con Vigile Verità. «È strano» aggiunse, riflettendoci. «Da che parte sta Vigile Verità? Finora pareva che stesse dalla parte della verità e della giustizia.» «Potrebbe essere d'accordo con gli isolani e cercare di convincere me a lasciargli tenere il tesoro» commentò il governatore, che da quando aveva smesso di dare ascolto a Major Trader e di mangiare i suoi dolci aveva una visione molto più chiara delle cose. «Emetterò subito un comunicato stampa per avvertire tutti di stare alla larga dalla nassa attaccata alla boa gialla»
dichiarò accarezzando il dorso del cavallo. «Non voglio che quei pescatori si avvicinino al relitto e tantomeno che ci entrino dentro.» Trip si avviò verso l'ascensore. «Avanti così!» esclamò Regina, orgogliosa dell'autorevolezza di suo padre. Ancora una volta, Trip pensò si rivolgessero a lui e proseguì, finendo diritto davanti allo specchio dorato Chippendale. «A che profondità pensate che sia?» chiese la First Lady, immaginando forzieri traboccanti d'oro, argento e pietre preziose. «Giù, giù» rispose Regina. «Molto in giù.» Trip si accucciò davanti allo specchio, guardando sconcertato la propria immagine riflessa. «Se è effettivamente nella riserva naturale, come dice Vigile Verità, dovrebbe essere parecchio profondo» intervenne il governatore. «A quanto ho capito, è il punto di maggiore profondità di tutta la baia.» «Bene» esclamò sollevata la First Lady. «Così sarà più difficile recuperarlo. Non credo proprio che un pescatore disponga dell'attrezzatura necessaria per riportare in superficie un cannone. Rischierebbe di affondare lui stesso.» Nell'arco di un'ora, la notizia del tesoro della Chesapeake Bay si diffuse a macchia d'olio, propagandata da radio e televisioni della Virginia e di tutti gli Stati, specie il North Carolina. I cronisti prevedevano che Tangier Island avrebbe reagito molto male al decreto governativo che stabiliva che chiunque venisse colto a meno di cinque miglia dalla boa gialla attaccata alla nassa sarebbe stato arrestato dalla guardia costiera, mobilitata in tutta la riserva naturale. Barche e pescherecci erano avvertiti, lo spazio aereo fra l'isola e la costa era stato interdetto a tutti i velivoli non autorizzati e la marina militare si preparava a circondare Tangier. Fonny Boy e il dottor Faux sentirono la notizia per radio mentre uscivano da Richmond, dopo aver pagato la cauzione e ottenuto la libertà provvisoria. Erano diretti a Reedville, dove il dentista intendeva corrompere il comandante del battello postale perché li aiutasse a localizzare la nassa che Fonny Boy aveva calato nella baia. «La guardia costiera lascerà passare senza problemi il battello postale» ragionò il dentista. Fonny Boy guardava teso fuori del finestrino i pali del telefono che correvano lungo la strada. «È una solenne ingiustizia! Quel tesoro appartiene a me!» protestava. «Faremo metà per uno» gli ricordò il dottor Faux. «La cauzione l'ho pagata io e anche la bustarella per il capitano del postale dovrò sganciarla io.
Avremo anche bisogno di attrezzature costose. C'è un negozio al porto in cui possiamo procurarcele. Dobbiamo fare in fretta, però. E tu non combinare pasticci, mi raccomando. Ci hanno fatto uscire su cauzione a condizione che non lasciassimo la città: se la polizia viene a sapere che siamo andati via da Richmond, ci arresterà. E allora il giudice non sarà altrettanto comprensivo nei nostri confronti.» «Ci verrà di nuovo incontro!» In realtà Fonny Boy intendeva dire che se li avessero sorpresi mentre cercavano il tesoro il giudice sarebbe stato molto più severo. «Se fermano il postale, nega tutto» raccomandò il dottor Faux. «Non è mica nostro, no? Se ci dicono qualcosa, noi diamo la colpa al comandante. Diciamo che siamo saliti a bordo per spedire qualche lettera e delle fatture a Tangier Island e che il battello è partito alla ricerca del tesoro prima che noi potessimo scendere.» «No!» esclamò Fonny Boy, intendendo il contrario. Major Trader e i suoi compagni di cella vennero a sapere del tesoro perché una delle guardie aveva l'abitudine di tenere il walkman a volume così alto che dalle cuffie si sentiva tutto. «Ascoltate!» esclamò Trader. «Invece di perdere tempo a cercare di affogarmi nella latrina, cerchiamo di metterci d'accordo. Se riuscissimo a evadere, potremmo andare anche noi a cercare il tesoro scomparso.» «Ma va'!» fece Slim Jim scettico. «Cioè, anche se riusciamo a fuggire di qui come diavolo facciamo a trovare quella nassa e a tirare su il tesoro dal fondo della baia?» «Io non so nuotare» fece presente Snitch. «Manco io» ammise Stick. «Non dovete mica nuotare, stupidi!» replicò spazientito Trader. Aveva fatto cambio di letto con il ragazzo messicano perché, se c'era una cosa in cui Trader era bravo, era manipolare gli altri. La sua tecnica era molto semplice: per manipolarli con le buone bisognava portarli in un bel posto e offrirgli qualcosa da bere, mentre per manipolarli con le cattive era meglio riceverli in ufficio, seduti alla scrivania e metterli in soggezione. Per confonderli e umiliarli, invece, la soluzione più efficace era fargli assumere lassativi in dosi massicce e affrontare temi delicati in automobile o a passeggio. Era questa la tecnica che aveva usato con il governatore. Alla luce del giorno era apparso chiaro che la cuccetta del ragazzo messicano era quella al centro della cella. Appropriandosene non appena il ra-
gazzo era andato al gabinetto, Trader si era aggiudicato anche la leadership del gruppo, malgrado i suoi compagni di cella non riuscissero a capire come mai, tutt'a un tratto, lo consideravano degno di maggior rispetto. Consapevole del potere degli attacchi gastrointestinali, Trader orchestrò un'abile manovra: quando la guardia carceraria passava davanti alla loro cella, il reverendo Justice doveva farsi trovare piegato in due, gemente e piangente, circondato dai suoi compagni di cella che chiedevano aiuto a gran voce e imploravano di lasciarlo respirare. Trader spiegò che, con ogni probabilità, la guardia carceraria avrebbe aperto la porta della cella. «A quel punto tu gli infili un dito in un occhio» ordinò a Stick «tu gli freghi il walkie-talkie» comandò a Cat «e tu le chiavi» disse a Slim Jim. «Tu, invece» intimò al ragazzo messicano «ti infili la mano in tasca, punti il dito come se fosse una pistola e minacci di sparare. Tanto qui lo spagnolo non lo capisce nessuno. E tu» fece poi rivolto a Snitch «stai qui in cella e quando ti vengono a interrogare dici che avevamo un complice all'interno del carcere e che hai sentito benissimo mentre ci mettevamo d'accordo per farci venire a prendere da una macchina che ci doveva portare a Charlotte.» «Ma non ci verrà a prendere nessuna macchina» gli fece notare Stick, per nulla allettato all'idea di infilare un dito in un occhio a qualcuno. «Questo dipende da te» disse Trader rivolto al reverendo Justice. «Le guardie ti trattano con maggiore rispetto, ti hanno chiesto dei consigli e ti hanno detto di pregare per loro. Sono convinto che se gli chiedi il permesso di usare il telefono perché uno dei tuoi parrocchiani è in fin di vita e ha bisogno di un'estrema unzione telefonica, te lo concederanno.» «Noi battisti non abbiamo l'estrema unzione» protestò il reverendo. «Non so se voglio partecipare a questa cosa. Sono già nei guai per aver adescato quella vecchiaccia.» Siccome stava passando la guardia con il walkman a tutto volume, si zittirono. La guardia faceva schioccare le dita, tenendo il tempo di un motivo rap. «Appena hai le mani sul telefono» riprese Trader «chiami il più scemo, remissivo e ingenuo dei tuoi sottoposti e gli dici di venirti a prendere. Gli spieghi che devi andare fuori città con degli amici. Nell'improbabilissima eventualità che ci becchino, dichiarerò che è stato un sequestro di persona e che non avevi nulla a che fare con il piano.» Quando Major Trader fece questa precisazione, il reverendo Justice si sentì sollevato. Dopo tutto, aveva dedicato la sua vita a salvare anime e
fermare la criminalità. Era diventato persino famoso, per questo. E se ogni tanto indulgeva a qualche peccatuccio della carne, trattava con grande umanità le prostitute che ingaggiava per strada, non mancava mai di pagarle ed era prodigo di ringraziamenti. Judy Hammer, invece, non aveva ringraziato Andy, il quale si era seccato di guardarla passeggiare nervosamente per l'ufficio. «Avresti dovuto consultarmi, prima di pubblicarlo» continuava a ripetergli. Aveva chiuso la porta nonostante di sabato mattina negli uffici della polizia di Stato ci fossero poche persone. «Per l'amor del cielo, Andy, a che cosa pensavi quando hai scritto queste sciocchezze a proposito del tesoro della Chesapeake Bay? Ma ti rendi conto di che cosa hai scatenato? Istigando gli isolani a impossessarsi del presunto tesoro in quanto spetta a loro di diritto, hai fatto sì che il governatore mobilitasse l'esercito e la marina. Se non era già scoppiata prima, la guerra civile scoppierà di certo adesso. Francamente, sono d'accordo con Crimm: la gente di Tangier Island non ha nessun diritto di tenersi dei reperti archeologici. Bisogna esporli in un museo.» «È quello che sto cercando di dirti» riprovò Andy. «Il mio scopo era far sì che tutti si sentissero defraudati. Perché Tangier Island si arrabbiasse davvero con la Virginia dovevo per forza istigare la Virginia a prendere posizione contro l'isola. A questo punto, quando stasera Macovich arriverà su un elicottero della polizia di Stato con a bordo un team del NASCAR che in realtà è la banda di pirati della strada di Smoke, che accoglienza pensi che gli riserveranno? Non avremo bisogno di mandare agenti in borghese.» «Non capisco quello che hai in testa e mi fai paura» sbottò Judy Hammer. «Credevo che Vigile Verità dovesse dire la verità! Invece nell'ultimo articolo mi pare che tu abbia raccontato un sacco di frottole, per quanto ti illuda di averlo fatto a fin di bene. Accidenti, non ci capisco più niente!» «Mi rendo conto di come ti puoi sentire» disse Andy. «Ma ti assicuro che so quello che faccio. Sappiamo tutti e due quanto è spietato e pericoloso Smoke. Se quando arriva sull'isola si accorge che c'è qualcun altro, oltre ai pescatori, potrebbe fare una carneficina appena sceso dall'elicottero. Dobbiamo introdurre un elemento di sorpresa in maniera che si fermi lì abbastanza da consentirci di circondarlo e arrestarlo senza correre rischi.» «Allora andiamo avanti con il piano e mobilitiamoci» decise Judy Hammer. «Il governatore dovrà tornare a casa in macchina alla fine della
corsa. Tu e io andremo a Tangier Island a vedere come rimediare a questo pasticcio. A proposito, che cosa ti fa pensare che nella baia ci sia un tesoro?» «Non lo penso» rispose Andy. «Ma quel pezzo di ferro deve far parte di un'arma antica, probabilmente appartenuta a qualche pirata; e che Joseph Wheland ammassò grandi fortune in anni e anni di ladrocini e razzie è assodato. Il problema è che nessuno sa dove siano.» Barbie Fogg non era mai stata in una casa elegante come quella del governatore. L'ammirò sin dal primo momento, quando a mezzogiorno in punto fermò la macchina davanti ai cancelli. A colpirla non fu soltanto la bellezza del palazzo, ma anche due guardie del corpo molto aitanti e robuste, intente a caricare segatura sul retro di una limousine nera. Barbie superò il cancello e parcheggiò nella rotonda. Prese la cassetta degli attrezzi in cui teneva il necessario per il trucco e una borsa di vestiti dal bagagliaio. «Che cosa fate?» chiese incuriosita alle due guardie del corpo. «Non vorrei essere invadente, ma perché riempite di segatura questa splendida limousine? Ci volete piantare dei fiori? Bell'idea, davvero. Così il governatore porta sempre con sé il suo giardino.» Gli uomini dichiararono che si trattava di informazioni riservate, e un attimo dopo la porta del palazzo si aprì e un maggiordomo nero in giacca bianca e inamidata la accolse con un sorriso. «Prego, si accomodi» le disse gentile. «La signorina la sta aspettando. Vuole darmi la giacca? Desidera che le porti io la cassetta degli attrezzi?» «Grazie» disse Barbie, che sotto la giacca indossava un abitino di pelle aderentissimo e molto sexy, un po' in contrasto con la sua vocina sottile e i suoi modi garbati. «Cassetta e borsa mi servono per il lavoro che devo fare.» Pur rendendosi conto che Regina era tutt'altro che bella, Pony rimase male nel vedere che ormai la situazione era deteriorata al punto da richiedere una vera e propria cassetta degli attrezzi. Accompagnò Barbie su per lo scalone che portava agli appartamenti privati del governatore. Regina stava frugando nell'armadio di camera sua, scoraggiata. «Oh!» esclamò appena Barbie entrò nella stanza posando sul letto la borsa e la cassetta degli attrezzi. «Sono contenta di vederti. Non ho trovato niente da mettermi e poco fa, quando mi sono guardata allo specchio, mi è venuto male. Pensi davvero di riuscire a rendermi presentabile in tempo
per la corsa di stasera?» «Ma certo!» le assicurò Barbie guardando dalla finestra le due guardie del corpo che continuavano a spargere segatura nella limousine. «È per Trip» spiegò Regina. «Trip?» si stupì Barbie. «Trip» ripeté Regina. «Il cavallo di mio padre. Gli fa da guida, come i cani. Mio padre ci vede poco o nulla, perciò se lo deve portare appresso dovunque vada. Siccome mi ha chiesto di dargli una mano, ho svolto qualche indagine e ho scoperto che è meglio se sulla macchina c'è un po' di segatura.» Si interruppe e lanciò un'occhiata a Barbie, che la guardava sbigottita senza capire niente. «Così si sente più a suo agio» spiegò Regina. «Un po' come essere nella stalla.» «Oh» esclamò Barbie stupefatta. «E io che credevo stessero allestendo un piccolo giardino! Che sciocca! Scusa, ma non dev'essere tanto gradevole viaggiare in limousine con un cavallo che fa i suoi bisogni.» «La popò di cavallo puzza meno di quella di cane» osservò Regina. «E, comunque, se appena la fa ci butti su un po' di segatura non te ne accorgi nemmeno.» «E se la fa nella tribuna riservata?» si preoccupò Barbie aprendo la cassetta degli attrezzi e cominciando a sistemare fondotinta, correttore, smalto, lozioni per capelli, tinture e decine di altre boccette e boccettine sull'antico comò di noce. «Ah, no! Se ha bisogno, gratta la porta con la zampa e io lo faccio uscire» spiegò Regina. «Lo accompagno giù in ascensore e gli trovo un'aiuola. Scusa, ma perché tiri fuori le forbici? Vuoi tagliarmi i capelli?» Barbie disse a Regina si sedersi e rilassarsi. Poi controllò la situazione e decise che i lunghi capelli crespi di Regina, pieni di doppie punte, andavano come minimo spuntati. «Mi fai vedere i denti?» le chiese. Regina spalancò la bocca esibendo denti gialli e cavallini. «Ho portato lo sbiancante» esclamò Barbie con un ottimismo che era ben lungi dal provare. «Cominciamo con quello, sperando che inizi a fare effetto. Quanto ai capelli, mia cara, trovo che dovremmo ravvivare un po' il colore. Il tuo è un castano lievemente opaco, mi sembra. Io proporrei di tingerli corvini e di fare un bel taglio scalato che ti addolcisca un po' il viso.
«Pensavo anche a questa lozione abbronzante, da applicare dopo un bagno esfoliante a base di alghe del Mar Morto, manicure, pedicure e maschera all'argilla. In questo modo la tua pelle assumerà una calda sfumatura dorata senza gli svantaggi che l'esposizione ai raggi UVA comporta. Cosa ne dici?» Regina non era convinta. Tanto per cominciare non si aspettava che Barbie le chiedesse di denudarsi e di farsi applicare sulla ciccia lozioni, maschere e alghe del Mar Morto. «Sì, lo so a che cosa pensi» la prevenne Barbie mettendole un asciugamano intorno al collo e iniziando a tagliar via ciocche di capelli così ispidi che le ricordavano gli arbusti che si vedevano nei film western. «Dalla nostra seduta dell'altro giorno è venuto fuori che hai scarsa stima di te e odi il tuo corpo, quindi capisco che tu ti senta un po' a disagio al pensiero di spogliarti e di farti applicare creme, unguenti e maschere. Ma vedrai che sarà piacevole e alla fine sarai soddisfatta del risultato.» «Non riuscirò a levarmi tutta questa ciccia con un bagno esfoliante» osservò Regina guardando le ciocche di capelli che cadevano sul pavimento. In circostanze normali l'idea di farsi massaggiare non le sarebbe dispiaciuta, ma Barbie Fogg non era il suo tipo. Proprio per niente. Era troppo minuta e delicata e le dava l'impressione di essere una di quelle che poteva toccare e massaggiare un'altra donna per un giorno intero senza provare il minimo desiderio. Dubitava che le piacesse il contatto fisico in generale. Anzi, sotto quell'aspetto le ricordava un po' sua madre, che da quando Regina ricordava era molto più interessata alle sue collezioni di oggetti in ghisa, scatole di caffè e di tabacco e poggiapentole che al sesso, con uomini, donne o quant'altro. «Cominceremo subito una bella dieta» dichiarò Barbie continuando a tagliare. «Questo vuol dire che stasera dovrai stare lontana dal buffet, okay? Una bella insalata, tanto sedano, carote e ravanelli. Nel frattempo, però, non essere così pessimista. Dicono che l'abito non fa il monaco, ma è vero solo fino a un certo punto, sai? Per questo mi sono presa l'iniziativa di passare in una boutique che conosco e prendere dei vestiti che mi sembrano perfetti per te.» «Che cosa?» Regina era intimorita. Barbie cominciò a scalarle i capelli con il rasoio. «Guarda, sono ca-ri-nissimi. Una meraviglia, davvero. Ho capito che ami vestire sportivo e credo di aver bene interpretato i tuoi gusti scegliendo questo completino in jeans. Appena l'ho visto ho capito subito che era
ideale per te. Scusa, stai ferma. È un dondolo bellissimo, questo, ma non vorrei graffiarti il collo con il rasoio, se continui a muoverti così. Adesso finisco qui, poi facciamo una bella ceretta sul mento e sul labbro superiore e sfoltiamo un po' sopracciglia e basette, okay? «Comunque: ti ho preso una salopette in jeans con la gonna al posto dei pantaloni, da abbinare a una deliziosa camicetta di seta a maniche lunghe, di taglio maschile ma con il collettino di pizzo, che metterà in risalto il tuo bel décolleté. A proposito, ti ho procurato anche un reggiseno push-up. Porti la settima, giusto?» «Non uso reggiseni» rispose Regina. «Li odio. Di solito metto la canottiera e basta. Tanto sotto la felpa non si vede.» «Be', stasera è diverso» la interruppe allegra Barbie. «Un così bel décolleté va messo in mostra! Quanto alle scarpe, perché per fare le cose per bene bisogna pensare anche agli accessori, ti ho scovato un paio di scarpette da basket in finta pelle rosso fuoco. Belle, vero? Le paillette sulla caviglia e le stringhe bianche sono uno splendore, non trovi? Le puoi abbinare a un paio di calze firmate in seta. Dunque, ti ho preso il numero quarantacinque: ci ho azzeccato? E come vestito ho preso una taglia cinquanta.» «Non saprei» borbottò Regina, cercando di restare immobile mentre Barbie le passava il rasoio sul collo. «Io di solito compro roba da uomo. Quindi, dovendomi comprare un vestito, non saprei che taglia prendere.» «Non ti preoccupare. Sono molto brava a indovinare le taglie» le assicurò Barbie, facendo un passo indietro per ammirare la propria opera. «Probabilmente perché, ascoltando tanto la gente, sono abituata a prendergli le misure. Ecco qua.» Le mise davanti uno specchio perché guardasse come stava. «Non saprei» fece Regina perplessa. «Sembra che mi sia messa in testa un casco da pilota.» «È l'ultimo grido» esclamò Barbie raggiante. «Si chiama NASCOIF. Chic, vero? Non per dire, ma da un parrucchiere un taglio così ti sarebbe costato dei bei soldoni, sai? Sempre che ti dessero l'appuntamento, visto che stasera c'è la corsa.» «E perché non te lo fai anche tu, visto che è l'ultimo grido?» domandò Regina. «Perché io ho il viso troppo delicato» rispose Barbie. «Su, adesso passiamo al bagno.» 30
Anche Hooter si stava preparando alla corsa di quella sera. Aveva impiegato alcune ore per sciogliersi le treccine e pettinarsi i capelli, che in quel momento erano raccolti sotto una cuffietta all'uncinetto, e si stava applicando unghie finte decorate a stelle e strisce. Si infilò con fatica dei fuseaux neri pitonati e un paio di scarponcini argentati chiusi con il velcro che sembravano da astronauta. Dopo lunga riflessione, per completare l'opera indossò un semplice top nero e un giubbotto con i marchi Kodak, DuPont e Pennzoil a colori vivacissimi, che aveva trovato nel reparto NASCAR di una boutique di East Broad Street che vendeva copie delle grandi firme. Anche Andy stava meditando sull'abbigliamento da adottare, ma non perché fosse vanitoso o in cerca di avventure. Non era mai stato al Richmond International Racetrack e non era sicuro di come fossero vestiti i tifosi ubriachi. Decise che gli conveniva proteggersi e armarsi bene, ma passare il più possibile inosservato. Optò per un paio di vecchi stivaletti da cowboy, jeans sformati che non lasciassero intravedere la fondina alla caviglia, giubbotto antiproiettile, felpa dei Redskins e giaccone di pelle. Per fortuna quella mattina si era ricordato di non farsi la barba: con il mento non rasato, la parrucca con la coda di cavallo, gli occhiali a specchio e la nove millimetri nella cintura dei pantaloni, si sentiva ben protetto. Smoke non l'avrebbe di certo riconosciuto. Né lui né nessun altro. Mentre si spruzzava un po' di birra sui vestiti, suonarono alla porta. «Ma chi diavolo...» borbottò, preoccupato perché non aspettava nessuno. «Chi è?» domandò scorbutico senza aprire la porta. «Sono io» rispose a voce bassissima una donna. Sulle prime, Andy non la riconobbe e pensò al serial killer che gli aveva lasciato i vestiti di Vicky Vash sulle scale. «Io chi?» «Judy Hammer.» «Scusa» disse Andy sorpreso aprendo la porta «ma non ti aspettavo. Cioè, non ti avevo riconosciuto. Insomma, non credevo che...» Era come se il sangue non gli affluisse al cervello. Era così sbigottito nel vedere Judy Hammer vestita da Hell's Angel, in tuta di pelle e stivaletti neri, che non riusciva più a connettere. Judy aveva una borsa a tracolla che senza dubbio conteneva un piccolo arsenale, si era truccata pesantemente e si era arruffata i capelli.
«Non mettermi in imbarazzo» gli disse entrando in casa. «Non mi alletta passare per una motociclista volgarotta, ma qualcosa dovevo pure escogitare. L'unica cosa che mi preoccupa è arrivare in elicottero così conciati» aggiunse guardando il travestimento di Andy. «E non possiamo mandare uomini su Tangier Island perché gli unici piloti siete tu e Macovich, che siete impegnati tutti e due, e i traghetti hanno interrotto il servizio dopo i divieti e le restrizioni decretati dal governatore a seguito del tuo articolo sul tesoro sepolto nella baia. Per questo ho pensato di venire da te e valutare insieme se non sarebbe meglio cambiare i piani.» Lo seguì nel salotto che Andy aveva trasformato in studio. Judy Hammer osservò il computer, la stampante, i classificatori pieni di carte, le pile di libri e ritagli di giornale e provò uno strano brivido a pensare che quello era il quartier generale segreto di Vigile Verità. Era una sensazione bizzarra, visto che sapeva benissimo chi era Vigile Verità, dove abitava e dove lavorava. Le venne il sospetto di essere stata irretita anche lei dal misterioso personaggio, nonostante tutto. «È ridicolo» disse. «Lo so» concordò Andy. «Faccio ridere e mi spiace se puzzo di birra e non mi sono fatto la barba. E penso che tu abbia ragione: non possiamo viaggiare su un elicottero della polizia di Stato vestiti in questo modo.» «Io veramente mi riferivo alla tua postazione di lavoro. Mi sembra di aver scostato una tenda ed essermi ritrovata all'improvviso faccia a faccia con il mago di Oz o nella caverna di Batman. In parte è una delusione, perché avevo cominciato a credere anch'io al mistero di Vigile Verità. Oddio, non mi dire che stavo diventando una tua fan!» Scosse la testa e sospirò. «Non sono mica matta! Prima di tutto non ho mai avuto idoli, e poi credo che definirsi fan di qualcuno sia stupido e irrazionale. Perché un essere dotato di raziocinio dovrebbe idolatrare un altro essere umano, innalzarlo al rango di divinità, appendersi in camera un suo poster? Che senso ha adorare un perfetto sconosciuto al punto da desiderare di andarci a letto?» continuò, mentre Andy, imbarazzato, teneva gli occhi bassi. Gli dispiaceva che Judy Hammer preferisse Vigile Verità a lui. «Immagino che questo voglia dire che migliaia, se non addirittura milioni di persone che leggono tutti i giorni Vigile Verità si facciano delle fantasie sul suo conto» proseguì Judy. «So per certo che Windy lo adora e che uscirebbe con lui senza pensarci su due volte, a parte il fatto che è convinta che abbia ottant'anni e vada in giro con il bastone. Be', adesso la farsa è finita» annunciò poi, battendo il pugno sul tavolo.
«Quale farsa?» domandò Andy, offeso e incollerito. «Non è mai stata una farsa. Non importa se ho usato uno pseudonimo: a scrivere quegli articoli sono stato io. Io sono Vigile Verità!» «Vigile Verità non esiste» replicò la Hammer. «Okay. Però, scusa, posso farti una domanda?» chiese Andy, cercando di non perdere le staffe. «Se non hai mai pensato a me come a Vigile Verità, chi è Vigile Verità per te? Ti sei fatta anche tu delle fantasie sul suo conto?» «Smettiamo subito questa insulsa conversazione» decretò la Hammer. «Dobbiamo occuparci di un'operazione delicatissima e abbiamo bisogno di concentrarci soltanto su di essa.» «Hai ragione» ribatté Andy con voce ferma. «Non me ne frega niente se sei o non sei una fan di Vigile Verità o di chiunque altro, me compreso. Personalmente, non sono un fan di nessuno. Mai avuto idoli in vita mia» aggiunse. In quel momento, squillò il telefono. «Porca miseria, Brazil, abbiamo un problema» gli comunicò agitato Macovich. «Il governatore non vuole andare all'autodromo in elicottero!» «Scherzi?» fece Andy. «E perché? Devi assolutamente convincerlo. Digli che per motivi di massima sicurezza è indispensabile...» «Gliel'ho già detto. Non serve. Si è messo in testa che bisogna andarci in limousine per via del cavallo. Credo che ci sia di mezzo anche quel cesso della figlia minore: quella del biliardo, hai presente? Per me sono un cumulo di sciocchezze, ma intanto non ci possiamo fare niente. Si è fatto già mettere la segatura in macchina dalle sue guardie del corpo e non c'è verso di fargli cambiare idea. Ormai è stabilito: Crimm e famiglia vanno alla corsa in automobile. Mi dispiace, non sono riuscito a smuoverlo.» «E come facciamo con Smoke e la sua banda di pirati della strada?» protestò Andy. «Come reagiranno, se non li vai a prendere? Hanno Popeye, non ce lo dimentichiamo!» «Mi aspettano all'eliporto, ma io non ci posso andare.» «Merda!» Andy sbatté giù il telefono con rabbia. Spiegò a Judy che cosa era successo e rimase molto male nel leggerle in faccia la preoccupazione per Popeye. Il loro piano per salvare la cagnetta rischiava di andare in fumo. Se non avessero escogitato al più presto un altro modo per farli cadere in trappola, Smoke e la sua banda sarebbero rimasti a piede libero. Era possibile che all'autodromo non si sarebbero proprio fatti vedere. «Se aspettano l'elicottero e questo non arriva, capiranno che c'è sotto
qualcosa» disse Judy Hammer sconsolata. «Intuiranno che Cat è stato beccato e che la polizia li aspetta all'autodromo. Tutto per un maledettissimo cavallo!» Andy era senza parole. Sia lui che Judy sapevano che era stato lui a instillare l'idea del cavallo guida al governatore, suggerendoglielo in un articolo di Vigile Verità. «Non so proprio che cosa dire...» esordì Andy. «È troppo tardi per le scuse» rispose Judy, depressa. «E, comunque, non è nemmeno il caso. Non è mica colpa tua, Andy. Sono io che ho fatto male ad accettare questa buffonata di Vigile Verità, senza rendermi conto delle ripercussioni che avrebbe potuto avere. Spero solo che Popeye...» le si incrinò la voce «spero solo che non soffra troppo...» Si interruppe, gli occhi pieni di lacrime. «Maledizione!» «Un momento!» disse Andy. Gli era venuta in mente un'idea geniale. «Donny Brett ha un quattro e trenta.» «Chi?» chiese Judy cercando un fazzoletto nella borsa e facendo tintinnare le manette contro la rivoltella. «Il numero undici! È arrivato primo sei volte, quest'anno, anche a Martinsville e Bristol, e il motivo per cui so che ha un elicottero è che l'ho visto in una pubblicità della Bell. So che ha i suoi colori e che lo usa per andare alle corse. Sì!» I pensieri correvano più velocemente delle parole e Andy faceva fatica a esprimersi in maniera comprensibile. «Diciamo che siamo parenti di uno dei piloti! Ma certo! Andiamo noi a prendere Smoke e la sua banda. Con l'elicottero di Brett!» «E come facciamo a convincere Donny Brett a prestarci il suo elicottero a quest'ora?» chiese Judy. «Mi sembra un'impresa impossibile.» «È semplice» replicò Andy. «Entriamo nel regno della fantasia e trasformiamo i sogni in realtà.» «Potresti spiegarti meglio, per favore? Non stai scrivendo un articolo, adesso» si spazientì Judy, soffiandosi il naso. «Potresti farti passare per la mia ragazza» spiegò Andy, mettendo a punto il piano nei dettagli. «E tu per chi ti fai passare?» «Per il fratello di Donny Brett» rispose Andy. «Dobbiamo far credere a Smoke che, non potendo andarlo a prendere, Macovich ha chiesto aiuto a Brett. Facciamo salire a bordo lui e il suo presunto team, sistemiamo agenti in borghese dappertutto e, appena atterriamo, li arrestiamo. Funziona, no? Su, andiamo all'autodromo.»
L'unico modo per farlo, tenuto conto che il traffico era bloccato praticamente in tutto il Commonwealth da centocinquantamila fan del NASCAR che stavano cercando di raggiungere l'autodromo, era andarci in elicottero. Una volta arrivati, Judy e Andy avrebbero dovuto cercare Donny Brett, definito da tutti il tipico americano che credeva nei valori della famiglia e della legge. Judy e Andy scoprirono che credeva molto anche nella sicurezza, perché quando provarono a raggiungere il suo lussuoso caravan furono bloccati da due energumeni addetti al servizio d'ordine. «Dobbiamo parlare un momento al signor Brett» dichiarò Judy Hammer. «Sta riposando» rispose burbero uno dei gorilla. «Andate via.» Judy Hammer aveva il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni di pelle, attaccato a una catenella. Mostrò all'uomo il distintivo e sottovoce gli disse: «Polizia di Stato. Siamo impegnati in un'operazione delicata. Delle vite umane sono in pericolo!». Anche Andy mostrò il distintivo al marcantonio. «Ci dispiace disturbare il signor Brett. Sappiamo che ha bisogno di relax prima di correre, ma dobbiamo assolutamente parlargli. Speriamo che vinca lo stesso» disse Andy. «Speriamo» tuonò l'altro gorilla. «Quando non vince diventa una iena. E prima delle corse medita e riposa. Adesso, comunque, gli spiego la situazione e vediamo che cosa vuole fare.» «È uno scherzo, vero?» fu la reazione di Donny Brett quando, qualche minuto dopo, si vide davanti un'attempata motociclista con un ragazzo bianco molto più giovane di lei. «Non dubito che siate davvero poliziotti, ma non crederete che lasci il mio elicottero al primo venuto, che siate voi o chiunque altro. Come faccio ad andare via alla fine della corsa, tanto per cominciare?» «Possiamo prestarle il quattro e trenta della polizia di Stato» propose Andy al famoso pilota, che aveva l'aria addormentata e un po' dimessa, senza la tuta da gara. «Non appena il governatore avrà fatto ritorno sano e salvo a palazzo con tutta la sua famiglia, un mio collega di nome Macovich la verrà a prendere. Promesso.» Brett ci pensò su un momento e nel frattempo si aprì una Pepsi. «Davvero?» disse. «E come sono gli elicotteri della polizia? Hanno la scritta POLIZIA DI STATO?» «Sì» ammise Judy. «Quindi, se vinco, tutti penseranno che ho la scorta della polizia?» L'idea lo allettava.
«Anche se non vince» gli fece presente Judy. «Sono certo che vincerà» intervenne Andy. Brett si sedette e sospirò. Tutt'a un tratto sembrava piccolo e incerto, molto diverso dall'uomo brillante che sorrideva sicuro di sé dalle pagine dei giornali. «Francamente, non credo» confessò prendendosi la testa fra le mani. «Mi danno tutti per favorito e questo mi mette ancor più sotto pressione. La verità è che Labonte si è giocato la stagione molto meglio di me. Ha fatto punti nella terza corsa a Las Vegas e da allora ha mantenuto il vantaggio. Il mio problema è che a me piacciono le coppe. Mi piacciono da impazzire. E quindi non faccio i calcoli tattici che fa lui. E poi, francamente, il circuito di Richmond non mi è mai andato a genio. La primavera scorsa sono arrivato diciottesimo, ve lo ricordate? E quella è stata una brutta batosta, per me, anche se i tifosi non se ne sono accorti. Credo che sia uno dei motivi per cui mi sono comprato l'elicottero, a dire la verità. Perché la gente impazzisce, quando arrivo su quel coso, e a me dà sicurezza perché pensano tutti che sono un grande. Anche se, andando avanti così, non lo sarò per molto.» Judy Hammer guardò l'ora, sulle spine. Andy invece si prese una sedia e ascoltò con attenzione le confidenze di Brett. «Senta» gli disse. «Là fuori ci sono venti, venticinque macchine. Possono vincere tutte quante, compresa la numero undici.» «Lo so, lo so» disse Brett bevendo la Pepsi con aria afflitta. «Possiamo vincere tutti. Siamo tutti più o meno allo stesso livello. Per questo quando sono arrivato diciottesimo, l'altra volta, mi sono scoraggiato.» «A ogni corsa ogni pilota può fare bene e vincere. Io credo che stasera toccherà a lei. Ce la farà, Donny, ne sono sicuro. Lei è un duro come Rudd, Labonte, Skinner, Wallace e Earnhardt. Era in pole a Daytona e in ottima posizione alla Bud Shootout, no? Non si dimentichi che è il primo nella classifica dei Raybestos Rookie of the Year e che alla Winston di Charlotte ha preso la bandiera a scacchi.» «Ma sono anche arrivato diciottesimo...» continuava ossessivo Brett. «Non potrò fare a meno di pensarci, stasera. Ed è proprio quando hai paura di sbagliare che sbagli. Perché, se non sei concentrato, fai male i calcoli e rischi di andare a sbattere...» «Lei è famoso per avere un grande intuito e un'ottima capacità di giudizio» gli fece presente Andy. «Ricorda la Busch Series nel novantanove?» «Dobbiamo andare» si intromise Judy Hammer, tesa e nervosa. «Altri-
menti non ce la faremo mai ad arrivare in tempo!» «E come potrei dimenticare?» replicò Brett scuotendo la testa. «È stata una delle mie migliori performance.» «Infatti» lo incoraggiò Andy. «Ha dovuto sudarsi ogni metro, in una corsa piena di intoppi e di incidenti. E lei come se l'è cavata? Dopo lo scontro alla quarta curva che ha messo fuori gioco il quaranta e i conseguenti sette giri in modalità caution, quando Hamilton è uscito dalla seconda curva e ha superato Burton e Fuller, lei è stato così bravo da decelerare, e addirittura frenare, per poi partire sul rettilineo.» «Sì» disse Brett alzando gli occhi, rincuorato. «È vero.» «E questa prodezza l'ha fatta qui» concluse Andy, posando il dito sul tavolo. «Qui a Richmond.» «Lo so, lo so. Per carattere, tendo a pensare sempre ai miei errori» disse Brett sorridendo. «Ma sa una cosa? Stasera non commetterò errori. E se vuole il mio elicottero, lo prenda pure. Purché lo faccia portare da qualcuno che sa pilotare.» «Certo» rispose Andy. «Ma mi raccomando, durante la corsa si ricordi di quello che le ho detto: si butti, faccia la Grande Mossa. Capirà lei quando è il momento giusto.» «Ma come cavolo hai fatto?» domandò Judy a Andy mentre sorvolavano il centro di Richmond a bordo del glorioso 430 di Brett, che era nero con il numero undici in giallo, viola e rosso. «Non credevo che seguissi l'automobilismo.» «Non vado alle corse, ma ogni tanto le guardo in televisione. Mi interessano le strategie, che si tratti di automobilismo, tennis o marina militare» rispose Andy al microfono, portando l'elicottero a centocinquanta nodi sopra l'interstatale 95, intasata da una lunghissima fila di macchine che procedevano a passo d'uomo. «Meno male che non siamo laggiù» aggiunse. Barbie Fogg fino a quel momento era riuscita a evitare il traffico, non tanto perché fosse brava a scegliere percorsi alternativi, quanto perché dopo essere andata a prendere Hooter al casello le era successa una cosa inaspettata. Era squillato il telefono e, con sollievo e sorpresa, aveva sentito la voce del reverendo Justice. «Dov'era finito, reverendo?» gli aveva domandato, mentre Hooter si guardava le unghie finte a stelle e strisce. «In carcere» aveva risposto il reverendo. «A parlare con il cappellano. Senta, mi si è guastata la macchina e avrei bisogno che mi venisse a pren-
dere prima che può. Venga con un mezzo capace perché con me ci sono alcuni confratelli. Insomma, siamo in sei, me compreso.» «Oh, be', ci stringeremo un po'» rispose Barbie, mentre Hooter si slacciava gli scarponcini da astronauta per allargarli, soddisfatta del proprio abbigliamento e immaginandosi nella tribuna d'onore riservata al governatore. Si chiedeva se ci sarebbe stato il vigile grande e grosso che aveva conosciuto qualche giorno prima, Thorlo Macovich. Probabilmente sì, decise. Le aveva detto che faceva un lavoro importante e pericoloso per il quale si era dato un sacco di arie, parlando del governatore di qui e del governatore di là, la sera che erano andati insieme da Freckles. Ripensandoci, Hooter provò un po' di rimpianto. Era vero che Macovich pensava a una cosa soltanto, anche quando parlava del suo lavoro, del governatore e della sua residenza con il biliardo a cui lui batteva tutti, ma Hooter soffriva di solitudine. «Forse sono stata troppo dura, con lui» confidò a Barbie con un sospiro mentre questa faceva inversione davanti a un distributore di benzina chiuso. «Spero di rivederlo, stasera. Pensa che potrei fare colpo su di lui, vestita così?» «Io la trovo incantevole» la rassicurò Barbie, preoccupata di arrivare in ritardo alla corsa. La telefonata del reverendo era arrivata del tutto inaspettata, pensava dirigendosi verso il quartiere degradato appena a nord del centro in cui le aveva dato appuntamento. Le aveva raccomandato di fermarsi nel parcheggio sul retro del tribunale dei minori, di fronte al carcere cittadino. L'aveva avvertita che l'avrebbe aspettata dietro agli alberi, insieme ai suoi confratelli, e che sarebbe uscito allo scoperto solo dopo aver riconosciuto la sua monovolume. Inoltre, l'aveva pregata di ripartire subito e senza fare domande. «Le conviene telefonare al suo amico e dirgli che probabilmente arriveremo in ritardo» disse Barbie a Hooter, in ansia. «Gli chieda di tenerci i posti, mi raccomando.» «In ritardo?» esclamò Hooter, che non aveva ascoltato la telefonata fra Barbie e il reverendo. «Non possiamo arrivare in ritardo! Se no non vedremo i piloti salire in macchina! Non potremo farci scattare le foto insieme a loro! È l'occasione della nostra vita, non possiamo perdercela!» Mentre Barbie accelerava, Hooter notò un enorme elicottero colorato che sorvolava il Medical College.
«Ehi, guardi l'elicottero!» Hooter si sporse dal finestrino per vederlo meglio. «Non ce lo farebbe un giro sopra, eh? Mah, forse sarà qualche povero cristo diretto all'ospedale. Certo che non ho mai visto un elicottero del soccorso medico così colorato.» «Oh, Signore!» esclamò Barbie, rischiando di andare fuori strada. «Quelli sono i colori di Donny Brett! E sul portellone c'è il numero undici! No, non ditemi che ha già avuto un incidente...» «Ma se la corsa non è ancora cominciata!» le fece notare Hooter. «Casomai, avrà avuto un infarto. Chissà che stress, dopo che la primavera scorsa è arrivato diciottesimo...» 31 Andy e Judy erano ancor più stressati di Donny Brett. Nonostante Andy avesse ostentato grande sicurezza dicendole di sapere come comportarsi con Smoke e la sua banda, in verità era incerto e preoccupato, anche perché le cuffie continuavano a spostargli la parrucca e stava calando la sera, per cui non avrebbe più potuto mettere i Ray-Ban. Volando a punto fisso, cercò Smoke a terra e virò controvento non appena lo individuò insieme a una ragazza minuta con i capelli biondo platino e due ragazzotti, vicino a un'auto nera nel parcheggio adiacente all'eliporto. Erano tutti vestiti con tute del NASCAR e il più piccolo aveva in braccio qualcosa avvolto in una copertina scura. O era una bandiera? «Quello dev'essere Possum» fece Andy a Judy Hammer al microfono. «Credo che abbia in braccio Popeye.» Judy cercò di non perdere la calma: sapeva che non doveva mostrare il benché minimo interesse per il cane, visto che doveva passare per la fidanzata del fratello di Donny Brett, che non aveva motivo di conoscere Popeye. «Tu resta qui» disse Andy posando l'elicottero sull'asfalto e ruotando la manetta al minimo. «Io scendo a parlargli. Se succede qualcosa, spegni tutto, apri il finestrino e spara.» I pirati della strada e la ragazza biondo platino si erano raccolti vicino alla recinzione a guardare ammirati l'enorme elicottero. Vedendo scendere un ragazzo bianco con la coda di cavallo che veniva loro incontro, assunsero un'aria perplessa. «E tu chi cazzo sei?» lo apostrofò Smoke. Il fagottino in braccio a Possum si mosse.
«Mio fratello mi ha chiesto di venirvi a prendere» rispose Andy, riscrivendo il copione per l'ennesima volta. «Ehi, ma lei è il fratello di Donny Brett?» chiese Cuda con gli occhi sgranati. «Troppo fico! Stasera corre da Dio, ci scommetto. La primavera scorsa è arrivato diciottesimo...» «Sta' zitto!» ordinò Smoke. «Doveva venirci a prendere la polizia di Stato» disse poi rivolgendosi a Andy. «Com'è che invece sei venuto tu?» Andy notò che Smoke muoveva una mano nella tasca della giacca rossa della Winston Cup, dove con ogni probabilità nascondeva un'arma. Lanciò un'occhiata a quella che supponeva fosse la ragazza di Smoke e gli venne la pelle d'oca: aveva uno sguardo stranissimo e stranamente familiare. «Sentite, io e la mia ragazza, che mi fa da secondo, eravamo da mio fratello, che si stava preparando alla gara, quando arriva un nero grande e grosso, tutto agitato. Dice che l'elicottero del governatore non funziona, che deve restare a terra e che lui si era messo d'accordo per andare a prendere un team ma che non ce la fa. Può dargli una mano Donny, visto che ha un elicottero? Non siete voi, quelli della Jolly Goodwrench?» Andy si finse dubbioso e diffidente, per dare maggiore credibilità alla sua storia. «Sì, sì!» gridò Possum per farsi sentire nonostante il rumore delle pale. Svolse la bandiera abbastanza da mostrare a Andy il teschio con la sigaretta in bocca e la scritta. «Su, andiamo» disse poi. «Aspetta un momento» fece Smoke, guardando Andy con aria truce. «Come cazzo fai a sapere che ci chiamiamo Jolly Goodwrench?» «Già, è vero!» gli fece eco Cuda. «È scritto sulla bandiera!» rispose Andy, ringraziando mentalmente Possum che era stato svelto a rimediare alla sua gaffe. «E io l'avevo scritto su Internet» mentì Possum, per buona misura. «Sì, è vero» disse Andy, per lanciargli segretamente un segnale. «L'ho letto.» Possum capì e rimase scioccato: il ragazzo biondo con la coda di cavallo che aveva davanti non era il fratello di Donny Brett, ma Vigile Verità in persona! Vigile Verità aveva cambiato tattica! Dunque, Possum aveva ragione a tormentarsi al pensiero che all'ultimo momento potesse succedere qualcosa che mandava all'aria il piano... Se fosse andato tutto come doveva, Vigile Verità non si sarebbe presentato con l'elicottero di Donny Brett! «Sentite, non possiamo star qui tutta la sera a chiacchierare» disse Andy a voce alta. «Devo lasciare libero l'eliporto perché sta arrivando un elicottero con un cuore da trapiantare. Io riparto. Voi cosa fate?»
«Veniamo anche noi» rispose Smoke. Scavalcò la recinzione insieme con la ragazza e gli altri due e, tenendosi il berretto contro la corrente d'aria, si avvicinarono al 430 e salirono a bordo. Barbie e Hooter videro l'elicottero di Donny Brett prendere quota e allontanarsi mentre entravano nel parcheggio vuoto del tribunale dei minori. Poco dopo, sei figuri dall'aria disperata uscirono da dietro gli alberi e corsero verso la macchina, aprendo in fretta e furia le portiere per catapultarsi dentro. Fra loro c'era il reverendo Justice. Hooter notò che non si erano fatti la barba e, dall'odore, sembrava che non si lavassero da un po'. Non le sfuggì neppure che non avevano né stringhe né cinture. Capendo che erano evasi, si spaventò. In che razza di pasticcio si era cacciata? E quel ragazzo messicano non era lo stesso che era fuggito al posto di blocco qualche sera prima? «Parta!» gridò il reverendo Justice a Barbie. «Andiamo via, presto!» urlò Slim Jim. «Giù la testa!» raccomandò Trader. «State attenti, mi schiacciate!» protestò Cat. I sei si accucciarono e Barbie uscì dal parcheggio, proprio mentre una serie di automobili della polizia inchiodavano davanti alla prigione a sirene spiegate. «Faccia finta di niente» le disse Hooter, rendendosi conto che almeno uno in quella gabbia di matti doveva restare lucido e mantenere il controllo della situazione. «Se guida così, la fermeranno senz'altro. Non vorrà farsi arrestare per favoreggiamento...» «Che cosa?» domandò Barbie, lasciandosi prendere dal panico e stringendo il volante con entrambe le mani. «Favoreggiamento?» «Siamo stati arrestati ingiustamente, Barbie» le disse il reverendo. «Se siamo usciti è perché il Signore vuole così e ha fatto sì che lei ci desse una mano. Non avevo scelta, perché i miei compagni di cella mi hanno costretto a fingere un malore e quando la guardia è entrata nella cella per soccorrermi ho dovuto tramortirla con il vassoio della colazione. Come successe a Pinn quando lavorava in carcere, ricorda? Me lo raccontò quando mi invitò alla sua trasmissione, Testa a testa con Pinn, e io gli ho copiato l'idea. Proprio vero che le vie del Signore sono infinite...» blaterò il reverendo. «Se non avessi preso parte a quella trasmissione, dopo aver organizzato le ronde nei pressi del mercato ortofrutticolo in seguito all'aggressione a Moses Custer, non mi sarebbe mai venuto in mente di tramortire una guardia
carceraria con un vassoio della colazione. D'altra parte, se non fossi stato così stressato dalla mia improvvisa notorietà, non avrei tentato di adescare quella vecchia allo scopo di trovare un po' di sfogo e non mi sarei trovato costretto a ricorrere a un simile stratagemma...» Sarà anche stata una sciocca credenza, ma Moses Custer era convinto che, ogni volta che gli fischiava un orecchio, qualcuno stesse parlando di lui. E, mentre viaggiava sulla limousine del governatore, l'orecchio bendato gli fischiava. Forse questo voleva dire che la gente lo credeva un VIP, visto che era a bordo di una lussuosa limousine nera e stava per assistere alla corsa del NASCAR nella tribuna d'onore? Guardò dal finestrino fumé le macchine in coda, mentre il governatore russava sonoramente e sua figlia, con un'acconciatura che sembrava un casco da pilota, si guardava la vertiginosa scollatura per poi spostare gli occhi sul cavallino, che stava ritto su un mucchietto di segatura e ogni tanto gli pestava un piede. Macovich, nel frattempo, cercava di districarsi nel traffico e parlava via radio con Andy, che si era sintonizzato su una frequenza riservata in maniera tale che la banda di Smoke sul retro dell'elicottero non fosse in grado di sentire che cosa diceva. «A peggiorare ulteriormente la situazione» stava dicendo Macovich «sono evasi sei detenuti dal carcere cittadino e ci sono poliziotti dappertutto. È un gran casino, te lo dico io. Non so quando arriveremo all'autodromo. Sicuramente in ritardo.» «Dobbiamo passare al piano B» gli comunicò Andy, intravedendo l'autodromo in lontananza. «Piano B? Mi sa che qui siamo già al piano G o H.» «Adesso faccio un giro di ricognizione e continuo a sorvolare la zona finché tu non metti insieme un gruppetto di agenti in divisa all'eliporto, in maniera che Smoke li veda e decida di dirottarmi verso Tangier Island» disse Andy. «Porca miseria, non sarà facile» lo avvertì Macovich, preoccupato. Andy vide migliaia di fan che si sbracciavano sotto di lui, cercando di raggiungere l'eliporto. «Avrei dovuto prevederlo» si rammaricò. «I fan di Brett hanno riconosciuto il suo elicottero e fanno ressa in attesa che scendiamo a terra. Non vorrei che qualcuno si facesse male o che Smoke cercasse di fuggire. Non voglio atterrare all'autodromo.» «Dieci-quattro» rispose Macovich. «Cioè, Roger.»
Le gradinate erano quasi tutte piene, quando Andy accese le luci di atterraggio e cominciò ad abbassarsi. Cambiò la frequenza in maniera che tutti lo sentissero attraverso le cuffie. «Stiamo per atterrare» annunciò. «È molto importante che seguiate le mie istruzioni, per motivi di sicurezza. Quando toccheremo terra, restate seduti finché non verranno gli addetti a dirci di scendere.» Smoke guardava fuori e vide che l'eliporto pullulava di poliziotti. Notò anche che la coda di cavallo del pilota aveva qualcosa che non andava. Un minuto prima gli era sembrata al centro della testa, mentre adesso era spostata di lato. «Che cosa ci fa tutta quella polizia?» chiese al microfono. «Non lo so, ma spero che si tolgano di mezzo, quando mi avvicino» rispose Andy. Judy Hammer era nervosissima e faticava a trattenere l'impulso di girarsi a vedere come stava Popeye. «Davvero?» domandò Smoke, cattivo. «C'è qualcosa che mi puzza.» «Ehi, guardate quanta gente!» si stupì Cuda. «Ci stanno indicando tutti... Vedete come si sbracciano? Credono che siamo Donny Brett!» «Cazzo!» esclamò Smoke. Un attimo dopo, Andy si sentì strappare via la parrucca e i Ray-Ban. Si ricordò di quello che gli aveva insegnato Macovich quando gli dava lezioni di volo: "Non smettere mai di pilotare, qualsiasi cosa succeda". Anche nelle situazioni più disperate, la priorità era tenere mani e piedi sui comandi. Andy non se ne dimenticò e continuò la sua manovra di atterraggio anche quando sentì la canna gelata di una pistola sulla nuca e gli insulti e le minacce di Smoke nelle cuffie. «Calma» ordinò Judy Hammer. «Volete che ci schiantiamo, imbecilli? State zitti e lasciatelo pilotare, visto che voi non lo sapete fare. Guardate che dipendete tutti da noi.» «Maledetti poliziotti del cazzo...» continuava Smoke. «Adesso ammazzo il cane! Io lo so chi siete, stronzi fottuti! E siccome ho qui il cane e una siringa piena di veleno, vedrete cosa gli faccio...» Judy sperava che stesse bluffando, ma Possum lo vide tirare fuori la siringa che aveva già riempito di veleno. Tenne stretta Popeye, che tremava sotto la bandiera, e vide che Unica era immobile, come in trance, lo sguardo ancora più strano del solito. «Aspetta» disse a Smoke. «Non farlo adesso, se no le vengono le convulsioni e fa un gran casino. A parte il fatto che, se l'ammazzi, poi non hai
più niente per minacciarli.» Smoke tacque un istante, poi decise che Possum non aveva tutti i torti. Judy aveva il cuore stretto, perché si era resa conto che Smoke diceva e faceva sul serio. Che bastardo! Se mai fossero riusciti ad atterrare sani e salvi l'avrebbe ammazzato, a costo di perdere la reputazione e il lavoro. Unica prese da una tasca il cutter, gli occhi fissi sul collo del poliziotto biondo. Il nazista che era in lei le aveva mostrato lo Scopo. Stava per riarrangiare le proprie molecole e rendersi invisibile, ma cambiò idea perché il poliziotto biondo che pedinava da tempo, e che aveva scoperto essere Andy Brazil, l'aveva già vista in faccia, prima di salire in elicottero. E, comunque, dopo quello che stava per fargli, non avrebbe più avuto modo di identificarla. Eccitata, pregustò il momento in cui gli avrebbe infilato la lama nella gola. Morto il poliziotto biondo, avrebbe dovuto prendere i comandi il secondo pilota, ma una volta a terra Unica avrebbe sgozzato anche lei, per poi sfogarsi appieno sul suo corpo. «Andiamo via!» gridò Smoke a Andy. «Subito! Portaci a Tangier Island! E non escludermi dalle tue comunicazioni, capito?» 32 Macovich notò che due macchine davanti a lui c'era una monovolume bianca con l'adesivo dell'arcobaleno e ricordò che sul casello di Hooter ce n'era uno uguale. Nel momento stesso in cui gli venne in mente, la vide: era sul sedile davanti e si era voltata a parlare con qualcuno seduto dietro, che Macovich non vedeva. "Porca miseria! Ma cosa sta succedendo?" borbottò fra sé, quando vide che il veicolo sbandava cercando di cambiare corsia, accelerava di colpo e poi frenava bruscamente. Lampeggiò all'auto che aveva davanti, costringendola a fargli strada. Ripeté l'operazione con l'altra macchina che lo precedeva e si ritrovò dietro alla monovolume bianca. «Che cosa succede?» domandò Regina, dandosi un po' della cipria che Barbie le aveva lasciato. «Sto cercando di destreggiarmi in questo traffico» rispose Macovich, cambiando corsia per affiancare la monovolume. Salutò Hooter, cercando di attirare la sua attenzione. Quando finalmente lei si girò dalla sua parte - dopo che Barbie le aveva fatto notare che l'autista della limousine a fianco si stava sbracciando nella sua direzione - e lo
vide, gli mostrò un'espressione disperata. Macovich capì che gli stava chiedendo aiuto. «Merda!» esclamò, perché quando faceva da autista al governatore non poteva né fermare il traffico né causare incidenti. Si strinse nelle spalle, come a dire che non poteva fare niente. Poi le fece segno verso il sedile posteriore della limousine, per indicarle che stava accompagnando il governatore e i suoi ospiti alla corsa. Hooter alzò gli occhi al cielo e rinnovò la propria richiesta di aiuto. Poi gli fece segno verso il sedile posteriore e alzò sei dita, quindi batté le mani perpendicolarmente l'una all'altra per fargli intuire che erano scappati. Macovich aggrottò la fronte, cercando di capire che cosa stesse cercando di dirgli. Sei persone sul furgone che scappavano? Porca miseria, pensò. Non erano appena evasi sei detenuti dal carcere cittadino? E se quelli sulla macchina bianca fossero stati sei normali passeggeri, perché si sarebbero nascosti sotto il sedile? Accese la radio e chiamò rinforzi, quindi fece segno a Hooter di dire alla sua amica alla guida della monovolume di accostare. «Scusi, ma devo andare in bagno» disse Hooter a Barbie. «Urgentissimamente. Potrebbe mica fermarsi?» «Niente affatto!» gridò Cat da dietro. «Finché siamo in coda e circondati dalla polizia non se ne parla nemmeno!» «Stammi bene a sentire» gli disse Hooter voltandosi verso di lui. «Quando una signora deve urgentissimamente andare in bagno, vuol dire che ci deve andare, capito? Tua mamma non ti ha raccontato niente? Non sai che a noi donne una volta al mese vengono le nostre cose? Non sai che quando ti vengono ti vengono e non c'è niente da fare, anche se le aspettavi di lì a due giorni?» Gli uomini non fiatarono. «Senta, per favore, alla prossima stazione di servizio si fermi. Ci metto un secondo, ve l'assicuro. E speriamo che non mi venga mal di pancia. O, Signore, fa' che non mi venga il mal di pancia.» Barbie era così preoccupata che per un attimo si dimenticò dei sei evasi che stava aiutando a fuggire. Da ragazza aveva sofferto moltissimo il mal di pancia e capiva quanto poteva essere insopportabile e debilitante. Mise la freccia a destra e posò una mano sul braccio a Hooter. «Continui a guidare!» le urlò Trader. «Ha un analgesico?» chiese Barbie a Hooter.
«Ahi! Ahi!» gemeva questa, tenendosi la pancia. «Ahi! No, non me li sono portati perché non me l'aspettavo. Mi sono venute in anticipo. Oh, Signore, ma perché proprio oggi?» «Mi dispiace molto» la incoraggiò il reverendo Justice con il naso sul tappetino e la scarpa di Cat vicino alla faccia. «Pregherò il Signore che nella sua misericordia le risparmi questo mal di pancia. Dio Padre onnipotente, ti prego affinché la tua umile serva non abbia a soffrire il mal di pancia. Guardala con l'occhio tuo misericordioso e guariscila.» «Ahi!» continuava a gemere Hooter mentre la monovolume avanzava a passo d'uomo tra la folla di tifosi incattiviti al pensiero di perdere l'inizio della corsa, con la pace car che entrava rombando nel circuito e gli F-16 dell'aeronautica militare che volavano in formazione. «Okay, okay» intervenne Slim Jim, perché, se c'era una cosa al mondo che non poteva sopportare era aver a che fare con una donna che aveva le mestruazioni, con tutte le lamentele, il nervosismo e gli improvvisi cambiamenti di umore che ne conseguivano. «Accosta e falla scendere. Ma tu sbrigati, non parlare con nessuno e non attirare l'attenzione!» Macovich aveva seguito con attenzione tutta la scena, preoccupato perché evidentemente Hooter era stata ferita e andava portata in ospedale con la massima urgenza. Angosciato, temeva che l'avessero pugnalata alle spalle e stesse morendo dissanguata sotto i suoi occhi. «Mi scusi» disse Moses Custer, rivolgendosi al governatore. «Che cosa c'è?» fece questi, svegliandosi di soprassalto. «Il suo cavallino mi ha messo uno zoccolo sul piede e non c'è verso di farlo spostare» spiegò Custer, che non voleva disturbare ma aveva un male terribile e temeva l'ennesima frattura. Regina cercò di ricordare dove aveva messo l'elenco di comandi stilatole da Pony e le venne in mente che l'aveva lasciato a casa. Aveva l'impressione che esistesse un comando per fargli sollevare la zampa, ma quale? «Avvicinati» disse a Trip. Trip si avvicinò al suo padrone, cioè il governatore. «Ahi!» gridò Custer quando il cavallo gli pestò l'altro piede con l'altro zoccolo, urtandogli il braccio ingessato. «Scusate, ma qui è quasi peggio che in ospedale!» «Avanti...» Regina era nel pallone e non sapeva più come fare. «Non faccia così.» Trip andò avanti, spingendo la testa fasciata di Custer contro il finestrino
della limousine. Questi, spaventato ed esasperato, implorò che lo facessero scendere. «Chiamatemi un taxi! Voglio andare a casa!» gridava, cercando di togliersi di dosso il cavallino. «Puoi accostare, per favore?» chiese Regina a Macovich tirandosi giù la gonna di jeans, che le stava stretta e tendeva a salirle sui coscioni enormi. «Il signor Custer non si sente bene e vorrebbe andare.» «Andare dove?» domandò Macovich, che procedeva a passo d'uomo a fianco alla macchina di Barbie. «Via» disse Regina. Trip si allontanò da lei, andandosi praticamente a sedere in braccio a Custer. «Ahi!» ululò questi. «Ahi!» gridò Hooter in quello stesso momento. Barbie entrò nella stazione di servizio, seguita dalla limousine del governatore. Alcuni tifosi, che avevano deciso anch'essi una sosta ai box, fissarono a bocca aperta il corteo di automobili che si fermava davanti ai distributori. Le lucide portiere nere si aprirono per far scendere il governatore Crimm, una ragazza molto grassa, vestita in modo stravagante e con una pettinatura ridicola, un infermo e un cavallino, oltre a una schiera di uomini in borghese evidentemente armati e agli altri membri della famiglia Crimm. Mentre il governatore afferrava le redini del cavallino e si sgranchiva le gambe un po' incerto, Macovich corse verso la monovolume. Hooter scese e cominciò a urlare e gesticolare. «Siamo state rapite dagli evasi!» gridò. I tifosi che si erano fermati per comprarsi una birra o per andare al gabinetto proruppero in applausi ed evviva. Slim Jim, Stick, Cruz Morales, Trader, Cat e il reverendo scesero a razzo e si divisero. Due di loro vennero intercettati da Bubba Loving. Macovich bloccò Cruz e Stick, prendendoli per la camicia, mentre Cat scappò a zigzag in direzione del governatore, con l'idea di prenderlo in ostaggio. Regina, pensando al suo breve stage nella polizia, decise di prendere in mano la situazione e gridò a Trip: «Fermalo!». Il cavallino non capì e restò immobile. Il governatore, confuso, strizzò l'occhio dietro la sua lente di ingrandimento, e Regina, che da piccola aveva l'abitudine di prendere i compagni di scuola a testate, si chinò in avanti, prese la rincorsa con le sue scarpe da basket in finta pelle rosso fuoco e partì alla carica, con l'acconciatura a casco da pilota. Rapida ed efficiente, colpì il fuggiasco sotto la cintura, facendolo volare addosso a Trader, che
gli stava alle spalle. Quindi saltò addosso ai due uomini, sbatté le teste l'una contro l'altra e li lasciò a terra tramortiti. Hooter corse verso di lei per darle manforte, accompagnata dalle grida di incitamento della folla di tifosi. Smoke continuava a tenere la pistola puntata alla testa di Andy e a minacciare di uccidere Popeye se Andy e Judy Hammer non avessero fatto tutto quello che diceva. «So che siete armati: datemi le pistole» gli ordinò al microfono. "Non smettere mai di pilotare, qualsiasi cosa succeda" si disse Andy. «Avanti!» insistette Smoke con un tono crudele. «Sto pilotando» rispose Andy. «E per farlo ho bisogno di mani e piedi. Non mi muovo dai comandi finché non siamo atterrati.» «Io non ho armi» rispose Judy Hammer, domandandosi se se la sentiva di girarsi e sparare a Smoke con la nove millimetri che teneva nella borsetta. Decise che non sarebbe stata una buona idea: non poteva sbagliare la mira, visto che era vicinissimo, ma se lui avesse premuto il grilletto prima di lei, Andy avrebbe rischiato di morire e a quel punto sarebbe stata costretta a prendere lei in mano i comandi, senza sapere da che parte cominciare. Per non parlare del fatto che il proiettile si sarebbe potuto piantare da qualche parte e causare gravi danni all'elicottero, magari facendolo precipitare. Guardò le acque scure del James River che sfociava nella baia e le venne paura di affogare. «Siediti e sta' zitto» ordinò a Smoke con il tono severo con cui trattava gli indagati. «Stiamo sorvolando la baia e l'ultima cosa che vogliamo è perdere il controllo del mezzo. Se precipitiamo, anneghiamo tutti. Vi rendete conto di cosa significa restare intrappolati dentro - perché la pressione dell'acqua è più forte di quella dell'aria e aprire i portelloni è impossibile e veder salire piano piano il livello di acqua gelida nell'abitacolo buio, sapendo di non avere scampo?» «Datti una calmata, capo» intervenne Cuda, rivolgendosi a Smoke. «Non voglio fare quella fine!» Possum abbracciò Popeye, sempre avvolta nella bandiera, e Smoke andò a risedersi giocherellando con la siringa, mentre Unica continuava a fissare con lo sguardo da pazza il collo di Andy, stringendo il cutter con tanta forza che si piantò le unghie nel palmo della mano. Non sentiva dolore, tuttavia, solo le vampate di calore e le intense vibrazioni che salivano dall'O-
scurità del suo intimo. Andy controllò la carta di volo e si sintonizzò sulla frequenza di Patuxent per mettersi in comunicazione con la torre di controllo della base militare. «Elicottero zero-uno-uno-Delta-Bravo» disse alla radio. «Uno-Delta-Bravo» rispose la torre. «Le zone interdette sei-sei-zero-nove e quattro-zero-zero-sei sono occupate?» chiese Andy. «Negativo.» «Chiedo l'autorizzazione ad attraversarle per raggiungere Tangier Island» continuò Andy. «Autorizzazione negata» rispose la torre, come Andy prevedeva. «Roger» dichiarò. Quindi inserì nel transponder il codice 7500 - dirottamento - e fece a Judy un segnale di vittoria. Stava per attraversare comunque la zona interdetta, e ora che Patuxent lo aveva sul radar, conosceva il suo numero e sapeva che aveva a bordo un dirottatore avrebbe fatto qualcosa. Aumentò la coppia, grato di avere il vento favorevole che gli consentiva di procedere a centosettanta nodi. Quindici minuti dopo, entrò nello spazio aereo di Patuxent. Trasse un profondo respiro e inserì il pilota automatico. Smoke non sapeva che adesso Andy aveva mani e piedi liberi e non si accorse di quando si chinò lentamente a prendere la pistola dalla fondina alla caviglia. Judy invece sì, e tirò fuori dalla borsetta la nove millimetri. Tutti e due si nascosero l'arma sotto le gambe, in maniera che Smoke non le vedesse, nel caso fosse tornato vicino a loro. Fonny Boy e il dottor Faux camminavano lungo Janders Road senza capire come mai non ci fosse in giro nessuno. Le luci nelle case erano spente e non si sentiva rumore né di biciclette né di golf-cart. Da quando erano scesi dal battello postale, dopo aver cercato inutilmente di corrompere il comandante per farsi portare alla boa gialla, non avevano visto anima viva. «E se fossero tutti ascesi al cielo nel giorno del Giudizio?» si domandò Fonny Boy, che aveva ricevuto una rigida educazione religiosa. «Forse siamo rimasti solo noi peccatori, qui sulla terra...» «Sciocchezze» rispose il dentista, scocciato. Aveva fame e freddo ed era esausto. Aveva la sensazione che tutti gli isolani fossero usciti in mare a cercare il tesoro scomparso e si chiedeva se la guardia costiera li aveva arrestati tutti quanti o se i pescatori di granchi erano riusciti a trovare un accordo più o meno lecito con le autorità. In o-
gni caso, era sicuro che doveva essere successo qualcosa di spaventoso e rimpiangeva amaramente di essere stato così stupido da gonfiare le fatture, truffare il servizio sanitario dello Stato, approfittare di minori e rovinare i denti al prossimo per arricchirsi. Andarono a casa di Fonny Boy, ma non trovarono nessuno neanche lì. «A quest'ora mia madre dovrebbe attizzare il fuoco e rigovernare» decretò Fonny Boy. «Dopo il calar del sole non esce mai di casa.» Si stava preoccupando. «Temo che Nostro Signore sia sceso dal cielo per salvare tutti fuorché noi peccatori...» «Ma smettila!» ribatté il dentista. «Non è vero niente. Ci dev'essere un motivo razionale perché l'isola è deserta. Senti, prendiamo il golf-cart di tuo padre e facciamo un giro per l'isola. Io direi di andare a controllare all'aeroporto.» Purtroppo, però, il golf-cart dei genitori di Fonny Boy era scarico e questo contribuì a rendere più fosche le paure del ragazzo. «Andiamo a piedi» propose il dentista, avviandosi verso la palude per fare prima. «Ammetto che è molto strano. Se fossero usciti tutti in mare a cercare il tesoro, perché avremmo visto tante barche in porto quando siamo scesi dal battello postale?» «Shh!» disse Fonny Boy mettendosi un dito sulle labbra. «Mi pare di sentire un elicottero. Saranno i gendarmi!» Il dentista tese le orecchie e udì un rombo in lontananza, ma anche un altro suono. «C'è qualcuno che canta.» si stupì. «Non senti cantare anche tu, Fonny Boy?» Si bloccarono sul sentiero, con il vento di mare che scompigliava loro i capelli, e percepirono il fievole suono di un gospel. «Viene dalla chiesa metodista di Main Street» disse Fonny Boy, senza fiato per l'eccitazione. «Non ne comprendo il motivo, tuttavia. La congregazione non si riunisce il sabato sera.» Fonny Boy e il dentista corsero in quella direzione, mentre il rombo dell'elicottero diventava più nitido e fra le stelle apparivano due lucine che solcavano il cielo a ovest. Fonny Boy accelerò, lasciando indietro il dentista. «Aspettami!» gli gridò questi. «Anzi, fa' un po' come ti pare! Io vado all'eliporto a vedere chi arriva.» Fonny Boy corse più forte che poteva e arrivò senza fiato e madido di sudore davanti ai gradini della chiesa. Aprì la porta e rimase di stucco. Al-
l'interno le luci erano spente e c'erano tutti gli abitanti dell'isola, ciascuno con una candela in mano. Cantavano Amazing Grace senza accompagnamento. Fonny Boy rimase immobile, confuso e spaventato. Doveva essere accaduto qualcosa di terrificante, pensava. Oppure qualcosa di meraviglioso. O forse in qualche modo erano venuti a sapere che la fine del mondo era vicina e aspettavano che Gesù andasse a prenderli. Era una follia, rifletté: perché non erano andati tutti a cercare quel tesoro? Perché nessuno si preoccupava degli elicotteri che stavano arrivando? Ormai il rombo era così forte che si sentiva anche nella chiesa. Prese di tasca l'armonica a bocca e cominciò a suonare, battendo il piede per tenere il ritmo. Il canto si interruppe immediatamente e il reverendo Crockett scese dal pulpito scrutando i volti dei fedeli alla luce delle candele. «Chi ha suonato l'armonica?» domandò. «Sono tornato a te, Signore» improvvisò Fonny Boy, alternando canto e musica. «Non ho nulla da offrire, solo la mia libertà, ma sono qua. Sì, sono qua.» Per un attimo sembrò che tutti trattenessero il fiato, poi qualcuno gridò: «Grazie, Gesù» e «Miracolo! Miracolo!». La madre di Fonny Boy uscì dal banco e corse ad abbracciare il figlio. Un attimo dopo suo padre lo sollevò da terra, il viso rugoso solcato di lacrime. Quando avevano saputo dell'arresto del dentista e del tesoro scomparso, tutti sull'isola avevano creduto che Fonny Boy fosse morto. Poiché i notiziari non avevano fatto il suo nome, gli isolani avevano dato per scontato che l'avido dottor Faux l'avesse gettato fuoribordo. «Uniamo le mani e cantiamo lode al Signore» proclamò il reverendo Crockett. «Il Signore resuscita i morti. Egli ha riportato in vita anche questo povero ragazzo annegato.» «Rendiamo grazie a Dio!» pianse la mamma di Fonny Boy. «Il Signore mi ha restituito il mio figliolo defunto!» «Ma che defunto e defunto» intervenne Fonny Boy confuso, cominciando a sospettare che l'intera isola si fosse riunita in chiesa a pregare per lui, credendolo disperso in mare. «Il dentista mi ha riportato qui al calar della notte.» La congregazione si agitò di nuovo quando il passaggio degli elicotteri fece tremare i muri della chiesa. «E che diamine!» proruppe il reverendo con tono di sprezzo. «Che il dentista sia di nuovo qui?» «Macché» disse Fonny Boy, intendendo il contrario.
«E dove si trova?» «Sulla strada dell'eliporto» rispose Fonny Boy. «Quell'uomo malvagio mi ha estratto tutti i denti!» piagnucolò la signora Pruitt a voce abbastanza alta perché tutti la sentissero. «Anche a me!» «E a me.» «E a me!» «Starà cercando di fuggire in elicottero!» Prima che Fonny Boy potesse spiegare, tutti si misero a parlare e a strepitare e cominciarono a uscire dalla chiesa. Poco dopo, in ordinato corteo, si avviarono verso l'eliporto, che era a cinque minuti di strada, perché su Tangier Island non c'era niente di lontano. La solenne fiaccolata fu subito notata dai soldati in assetto di combattimento che scendevano dai Black Hawk, e Andy l'avvistò a centocinquanta piedi di quota nel momento stesso in cui Unica faceva scattare la lama del cutter. «Cosa succede?» non riuscì a trattenersi dal chiedere Judy Hammer. «Non provate a fare niente o vi ammazzo!» minacciò Smoke guardando le fiammelle che serpeggiavano verso gli enormi elicotteri Black Hawk. «Ma cosa avete fatto? Cosa cazzo succede? Ditemelo!» Possum non poteva staccare gli occhi dalla siringa che Smoke teneva in mano: conoscendolo abbastanza bene da prevedere la sua reazione, era sicuro che, appena atterrati, avrebbe iniettato il veleno per topi a Popeye e quindi sparato alla Hammer e a Vigile Verità, per poi fermarsi per sempre su quell'isolotto dimenticato da Dio insieme a lui e a Cuda. Con la coda dell'occhio notò che Unica tremava, slacciandosi la cintura, come se avesse le convulsioni. «Bye-bye, Popeye» disse Smoke con un ghigno spaventoso, togliendo il cappuccio dall'ago della siringa. «No, Unica!» urlò Possum. Andy in quel momento ricordò che in un messaggio Possum gli aveva scritto: "È Unica che taglia" e che Moses Custer aveva parlato di un angelo che gli aveva promesso un'esperienza unica, quindi lanciò un SOS via radio. Poi rallentò, inclinò in avanti l'elicottero e spinse il ciclico a destra, rovesciando completamente il 430. Per un istante si ritrovarono a testa in giù, poi si misero a suonare tutti gli allarmi e a lampeggiare tutte le luci, e l'elicottero si imbizzarrì come un cavallo selvaggio.
«Assumete la posizione di emergenza!» gridò Andy all'interfono, quindi ruotò la manetta al minimo, abbassò il collettivo e fece planare l'elicottero senza niente fuorché l'aria fra le pale a impedirgli di precipitare. Ruotare al minimo la manetta in volo non era niente di speciale per Andy, che lo faceva spesso e adorava il brivido che gli dava atterrare senza l'aiuto dei motori. Un trucchetto che gli piaceva molto era aspettare di essere a trenta piedi da terra per ridargli potenza e riprendere quota, come fece in quel momento. A cinquecento piedi, poi, ruotò di nuovo la manetta al minimo e sorrise a Judy effettuando un'altra discesa in autorotazione mentre gli allarmi impazzivano di nuovo. Ripeté questa pericolosa operazione tre volte e non rimase affatto sorpreso quando, dopo essersi posato a terra, vide che Smoke, Cuda e Possum erano cerei e rannicchiati in posizione fetale. Unica invece era per terra, priva di sensi. «Io prendo Smoke, tu la ragazza!» gridò Andy a Judy, aprendo il portellone posteriore mentre le pale continuavano a girare producendo una corrente infernale. «Fa' attenzione: è lei l'assassina!» Puntò la pistola contro Smoke, che aveva perso la sua ed era in stato confusionale. Lo fece scendere e lo gettò a terra, sull'asfalto. Judy intanto aveva preso Unica. Le fiammelle si disposero tutto intorno all'elicottero e i militari accorsero per vedere che cosa succedeva. «Pirati!» annunciò Andy agli isolani sbigottiti, facendo scattare le manette intorno ai polsi di Smoke. Judy aveva legato mani e piedi Unica, la quale aveva ripreso brevemente i sensi, ma era poi svenuta di nuovo. «Mi dispiace ma ho dovuto contravvenire ai vostri ordini perché ero minacciato. Immagino l'abbiate capito, quando vi ho inviato il codice» disse Andy ai militari. «Potete prendere voi l'altro pirata? Quello che sta vomitando nel sacchetto? Il piccoletto invece lasciatelo libero. Si chiama Jeremiah Little ed è un ostaggio innocente. Torna in Virginia con noi.» «Conosco i 430. Vuole che glielo spenga io?» si offrì uno dei soldati. «Grazie» rispose Andy, mentre Popeye leccava la faccia di Judy Hammer. Il dottor Faux le si avvicinò e le posò una mano sulla spalla. «Non so che cosa è successo di preciso, ma sono felice che il suo cane stia bene. È straordinario, vero? Sono come i bambini. Io adoro i miei gatti. Senta, se non le dispiace io tornerei in Virginia con voi. Sempre che partiate ora, naturalmente» le disse. «Sì, portatevelo via!» esclamò il reverendo Crockett. «Non vogliamo rivederlo mai più. E fategliela pagare!» «Macché» esclamò in coro la gente dell'isola. Intendendo il contrario,
naturalmente. «Riportatelo sul continente!» IL TRIONFO DI DONNY BRETT di Vigile Verità Che serata, amici sportivi! Be', la brutta notizia è che il tesoro della Chesapeake Bay non esiste, o perlomeno non era sotto la boa gialla, che pare sia stata trasportata dalla corrente finché la nassa a essa attaccata non si è incagliata fra le alghe a circa un miglio dalle coste della Virginia. Ma gli abitanti di Tangier Island hanno comunque ritrovato il loro tesoro, il giovane Fonny Boy! Colgo inoltre l'occasione per complimentarmi con l'agente Gina, che da sola è riuscita a sventare un'evasione dal carcere di Richmond. E il nostro amico Donny? Purtroppo non ho potuto assistere alla corsa ieri sera per impegni di lavoro, ma ho guardato e riguardato il replay della sua Grande Mossa in televisione. Quando era affiancato al numero 4 e l'incidente alla quarta curva ha messo fuori gioco il numero trentatré, con conseguente modalità caution per sette giri e ripresa della vera corsa al novantaquattresimo giro, solo un grande come Donny poteva azzardare una mossa tanto coraggiosa. Una gioia per gli occhi, amici sportivi! Ha accelerato per frenare subito dopo, com'è la sua specialità, superato come un razzo il numero 4 sull'esterno del rettilineo e quindi condotto il resto della gara. "Ho dato tutto me stesso" ha dichiarato Donny alla fine, bevendo un sorso di champagne. "Ho corso con gioia, cercando di non preoccuparmi troppo di perdere. A questo proposito, voglio ringraziare il poliziotto che mi ha parlato prima della gara. Non so come ti chiami, amico, ma grazie di cuore. Voglio dire a tutti le stesse cose che lui ha detto a me. Non importa essere bravi, importa capire quando è il momento di fare la Grande Mossa." E adesso, cari lettori, tocca a me fare la Grande Mossa. C'è un tempo per la parola e uno per il silenzio. Questo è il mio ultimo articolo, dopodiché chiuderò il sito. Forse, un giorno, tornerò. Negli ultimi tempi sono accadute molte cose, che devo portare a termine e cercare di capire. Continuerò a ricevere con gioia le vostre e-mail, tuttavia, e vi ringrazio sin d'ora per tutte le informazioni che mi darete e per l'impegno che dimostrerete per migliorare il mondo. Se non vi risponderò, non pensate che sia per di-
sinteresse e non vi offendete. Ricordate la Regola aurea: anche la vita più piccola su questa terra ha una storia da raccontare a chi trova il tempo per ascoltarla. Mi raccomando, occhi aperti! FINE