R.A. SALVATORE L'EREDITÀ (The Legacy, 1992)
Anche con il favore della debole luce delle torce che costellavano le paret...
33 downloads
283 Views
971KB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
R.A. SALVATORE L'EREDITÀ (The Legacy, 1992)
Anche con il favore della debole luce delle torce che costellavano le pareti e i cunicoli ben segnati, Drizzt e Regis impiegarono quasi tre ore per raggiungere la zona delle nuove gallerie nel grande regno di Mithril Hall Attraversarono la meravigliosa Città Sotterranea lungo i cui livelli si ergevano le dimore dei nani, così simili a imponenti scalinate che si snodavano lungo i fianchi della grande caverna. Le case si affacciavano su un grandioso opificio che occupava il livello più basso in cui fervevano le attività di una razza industriosa. A Diane, affinché condivida questo libro con me.
Preludio Il solitario Dinin avanzò con passo guardingo lungo le strade buie di Menzoberranzan, la città degli elfi scuri. Lui, rinnegato, senza una famiglia da quasi vent'anni, un guerriero temprato dalle battaglie che conosceva bene i pericoli di quella città, e sapeva come evitarli. Oltrepassò l'insediamento abbandonato che si estendeva per due miglia lungo la parete occidentale della caverna e non poté fare a meno di fermarsi a osservare. Le stalagmiti sostenevano a coppie la palizzata divelta che un tempo recintava quel luogo. Un portale incrinato giaceva a terra, mentre un altro dondolava a una ventina di passi di altezza, oltre un terrazzo, appeso a cardini contorti e bruciacchiati. Quante volte Dinin aveva raggiunto levitando quel terrazzo per entrare nelle stanze private dei nobili della sua dimora, il Casato dei Do'Urden? Il Casato dei Do'Urden. Nella città degli elfi scuri era proibito persino nominare quel nome sottovoce. Un tempo la famiglia di Dinin occupava l'ottavo rango fra le sessanta famiglie di Menzoberranzan. Sua madre sedeva fra il consiglio che governava la città, e lui, Dinin, era stato uno dei Gran Maestri di Melee-Magthere, la famosa Accademia di Guerra degli elfi scuri. Immobile davanti a quella scena di devastazione, a Dinin parve che l'oblio avesse sospinto lontano migliaia d'anni il periodo glorioso che quel luogo aveva conosciuto. La sua famiglia non era più, della sua casa non era rimasto che un cumulo di macerie e Dinin si era veduto costretto a unirsi all'infame banda di mercenari di Bregan D'aerthe solo per sopravvivere.
«Ricordi,» sussurrò l'elfo mentre si stringeva nelle esili spalle e si sistemava le falde dell'ampio mantello piwafwi ripensando a quanto vulnerabile poteva essere un elfo scuro senza casa come lui. Lanciò una veloce occhiata al centro della caverna, verso la stele conosciuta con il nome di Narbondel, e capì che era tardi. Ogni giorno l'Arcimago di Menzoberranzan si fermava davanti a Narbondel e le infondeva un calore magico che avrebbe scandito il trascorrere delle ore della giornata. Per gli occhi sensibili di un elfo, in grado di avvertire le più piccole variazioni della luce, il calore sprigionato dalla stele fungeva da enorme orologio di pietra. Ora Narbondel era quasi fredda. Un'altra giornata stava volgendo al termine. Dinin doveva ancora attraversare più della metà della città per raggiungere una grotta segreta che si trovava nella Faglia Uncinata, un profondo baratro che si apriva nella parete nordoccidentale di Menzoberranzan. Là Jarlaxle, il capo di Bregan D'aerthe, lo attendeva in uno dei suoi numerosi nascondigli. Il guerriero attraversò il centro della città, passò sotto l'ombra di Narbondel, davanti a un centinaio di stalagmiti cave che circondavano una decina di insediamenti diversi, soffermando lo sguardo per un attimo sulle loro favolose sculture e gargolle che riflettevano il bagliore multicolore dei fuochi magici. I soldati di guardia davanti alle mura di quelle case o lungo i ponti che collegavano la miriade di sottili stalattiti si fermarono e squadrarono a lungo quello straniero solitario tenendo le balestre e le lance avvelenate puntate finché Dinin li sorpassò. Quella era l'aria che spirava a Menzoberranzan... Sempre all'erta, sempre diffidenti. Dinin si guardò intorno con attenzione non appena raggiunse il bordo della Faglia Uncinata e dopo essersi lasciato cadere nel vuoto usò i suoi straordinari poteri di levitazione per discendere lentamente nel baratro. Aveva percorso un centinaio di passi verso il basso quando venne accolto da uno stuolo di balestre pesanti rivolte verso l'alto e pronte a scoccare dardi avvelenati, ma quando lo riconobbero come uno di loro, le guardie del mercenario abbassarono le armi. Jarlaxle ti sta aspettando, gli disse una delle guardie muovendo le mani in un intricato arabesco, il codice silenzioso degli elfi scuri. Dinin non si dette pena di rispondere. Non doveva dare alcuna spiegazione ai soldati dei ranghi inferiori. Oltrepassò il drappello di guardia senza nemmeno un cenno di saluto per imboccare una piccola galleria che ben
presto si diramò in un dedalo di corridoi e grotte. Molti bivi più tardi, l'elfo scuro si fermò davanti a un portale luccicante, quasi fosse un velo di luce opalescente. Appoggiò una mano su quella superficie, affinché il calore del proprio corpo venisse trasmesso dall'altra parte per annunciare il suo arrivo. «Finalmente,» disse la voce di Jarlaxle un attimo più tardi. «Entra pure, Dinin, mio Khal'abbil. Ho atteso troppo a lungo il tuo arrivo.» Dinin esitò, quasi per guadagnar tempo e capire il tono delle parole proferite dall'imprevedibile mercenario. Jarlaxle lo aveva chiamato Khal'abbil, amico fidato, ovvero il soprannome di Dinin dal giorno dell'incursione che aveva distrutto il Casato dei Do'Urden... Un'incursione, quella, in cui Jarlaxle aveva rivestito un ruolo a dir poco predominante. E in quella frase lui non riuscì ad avvertire ombra di sarcasmo. Non sembrava esserci motivo di preoccupazione, si disse. Ma allora perché Jarlaxle lo aveva richiamato dalla sua difficile missione esplorativa al Casato dei Vandree, Diciassettesima Famiglia di Menzoberranzan. Aveva impiegato quasi un anno per conquistarsi la fiducia della temibile Guardia di quel potente Casato, una posizione che indubbiamente correva il grosso rischio di venire compromessa da quella sua inspiegabile assenza. Il soldato decise che c'era un unico modo per scoprire la ragione di quella convocazione. Trattenne il fiato e oltrepassò la barriera opaca della porta, così simile a uno spesso muro d'acqua che non bagnava. Percorse a lunghi passi il territorio fluttuante che collegava i due piani dell'esistenza finché raggiunse una seconda porta magica oltre la quale si apriva la piccola stanza di Jarlaxle. Venne accolto da un invitante bagliore rossastro. Gli occhi di Dinin si abituarono quasi subito allo spettro della luce normale. Ammiccò mentre la trasformazione si completava, e ammiccò una seconda volta, come gli capitava sempre, quando il suo sguardo si poggiò su Jarlaxle. Il capo dei mercenari sedeva dietro a un tavolo di pietra, su una sedia la cui imbottitura era ricoperta da un prezioso tessuto damascato. Il sottile supporto poggiava su un meccanismo basculante che gli permetteva di dondolare descrivendo un ampio angolo. Comodamente accoccolato, com'era solito fare, Jarlaxle aveva reclinato la sedia portando le mani sottili dietro la testa ben rasata, una consuetudine così insolita per un elfo. Quasi per divertimento, il capo sollevò un piede, lo appoggiò sul tavolo sbattendo il tacco dello stivale nero con un tonfo sordo, e subito dopo sollevò anche l'altro, ma lo stivale colpì la dura superficie di pietra emettendo
solo un debole fruscio. Quel giorno l'occhio destro del mercenario era coperto da una benda color rubino, osservò Dinin. Accanto al tavolo scorse una piccola creatura umanoide, tutta tremante. Era alta la metà di Dinin, comprese le due piccole corna bianche che sporgevano dalla fronte bassa. «Un coboldo della Casata degli Oblodra,» spiegò Jarlaxle con aria distratta. «Pare che questo sciagurato sia riuscito a entrare, ma non sia in grado di trovare la strada per andarsene.» Quel ragionamento non faceva una piega, pensò Dinin. Il Casato degli Oblodra, Terza Famiglia di Menzoberranzan, occupava un insediamento popoloso al limitare della Faglia Uncinata e correva voce che vi fossero tenuti prigionieri migliaia di coboldi che finivano sotto i ferri delle torture o infilzati negli spiedi in caso di guerra. «Vuoi andartene?» chiese Jarlaxle alla creatura con una voce gutturale. Il coboldo annuì ripetutamente con espressione stupida. Jarlaxle indicò la porta opaca e la creatura si precipitò a lunghi passi, ma non ebbe la forza di oltrepassare quella barriera magica. Rimbalzò e cadde ai piedi di Dinin, lanciando uno sbuffo di rabbia verso il capo dei mercenari. La mano di Jarlaxle si mosse veloce, troppo perché Dinin fosse in grado di seguirla con lo sguardo. Il guerriero irrigidì i muscoli, ma non si mosse poiché sapeva che la mira di Jarlaxle era infallibile. Quando abbassò il capo verso il coboldo, vide cinque pugnali conficcati a forma di stella nell'esile torace squamoso di quella creatura. Jarlaxle scrollò le spalle, quasi volesse tranquillizzare lo sguardo confuso di Dinin. «Non potevo permettere che quella bestia ritornasse dagli Oblodra,» disse. «Non quando aveva scoperto che il nostro insediamento è così vicino al loro.» Dinin si unì alla risata del capo. Si chinò per estrarre i pugnali, ma Jarlaxle gli ricordò che non era necessario. «Torneranno al loro posto da soli,» spiegò il mercenario sollevando un lembo dell'ampia manica per mostrargli i foderi magici annodati attorno al polso. «Siediti,» aggiunse indicando un semplice sgabello a un lato del tavolo. «Abbiamo molte cose di cui discutere.» «Perché mi hai richiamato?» gli chiese Dinin a bruciapelo non appena si accomodò. «Ero finalmente riuscito a infiltrarmi fra le guardie di Vandree.»
«Ah, mio Khal'abbil,» ripeté Jarlaxle. «Non ti perdi mai in ciance, e questa è una qualità che ho sempre apprezzato molto in te.» «Uln'hyrr,» sbottò Dinin segretamente disgustato dalla capacità di mentire di quell'essere. Risero insieme, ma Jarlaxle si fece improvvisamente serio. Appoggiò i piedi sul pavimento e ondeggiò in avanti intrecciando le dita inanellate sotto al mento. Più volte Dinin si era chiesto quanti di quei gioielli scintillanti degni di un re fossero magici. «Verrà forse sferrato presto l'attacco a Vandree?» chiese Dinin pensando di aver scoperto il motivo dell'atteggiamento enigmatico del capo. «Scordati di Vandree,» ribatté Jarlaxle. «Per il momento le loro questioni non ci interessano affatto.» Dinin appoggiò il mento sottile sul palmo della mano e sistemò il gomito sul bordo del tavolo. Avrebbe voluto balzare in piedi e strozzarlo con le proprie mani. Come osava parlare in modo così sibillino e sprezzante dopo un intero anno dedicato a intrufolarsi fra le file della Guardia di Vandree! Dinin lasciò che quei pensieri si dileguassero nella sua mente. Fissò a lungo il volto imperturbabile di Jarlaxle alla ricerca di indizi e alla fine capì. «Mia sorella,» disse e Jarlaxle cominciò ad annuire lentamente prima ancora che avesse finito di parlare. «Cos'ha combinato?» Jarlaxle irrigidì la schiena e con lo sguardo rivolto verso un angolo della stanza emise un acuto fischio. Una lastra di pietra scivolò su un lato scoprendo un'alcova da dove entrò Vierna Do'Urden, l'unica sorella sopravvissuta di Dinin. Risplendeva di una sorprendente bellezza, di una radiosa serenità che Dinin non vedeva dal giorno della caduta della loro famiglia. Il guerriero sgranò gli occhi dalla meraviglia quando si accorse degli indumenti che indossava. Vierna era avvolta nelle sue vesti... La tunica dell'Alta Sacerdotessa di Lloth, impreziosita da ricami che raffiguravano un aracnide e l'arma del Casato dei Do'Urden! Dinin non sapeva che Vierna l'avesse conservata poiché da oltre una decina d'anni non l'aveva più veduta in giro. «Tu rischi...» cominciò a dire il fratello, ma venne zittito dall'espressione serafica di Vierna, resa ancor più estrema dagli occhi rossi così simili a due minuscole lingue di fuoco che addolcivano la durezza degli zigomi alti dello stesso color dell'ebano. «Ho ritrovato il favore di Lloth,» annunciò Vierna. Dinin lanciò un'occhiata a Jarlaxle che si limitò a scrollare le spalle e far
scivolare la benda sull'occhio sinistro. «La Regina Aracnide mi ha rivelato la strada,» proseguì la sorella mentre la sua voce così melodiosa veniva incrinata da una profonda emozione. Dinin temette che la sorella si trovasse a pochi passi dalla pazzia. Vierna si era sempre dimostrata calma e tollerante, anche dopo l'improvvisa fine del Casato dei Do'Urden. Ma negli ultimi anni le sue azioni si erano fatte stranamente bizzarre, e aveva cominciato a trascorrere periodi interminabili in completa solitudine, assorta in preghiere disperate rivolte alla loro dea spietata. «Vuoi onorarci spiegando quale sarebbe la strada che Lloth ti ha rivelato?» le chiese Jarlaxle dopo un lungo silenzio con voce assente. «Drizzt.» Il nome del loro fratello sacrilego uscì dalle labbra delicate di Vierna come un rigurgito di veleno. Dinin portò una mano davanti alla bocca per frenare un'esclamazione meravigliata. Dopotutto Vierna, nonostante la sua sconsideratezza, era un'alta sacerdotessa e non doveva lasciarsi andare alla rabbia. «Drizzt?» ripeté Jarlaxle con calma imperturbabile. «Tuo fratello?» «Non è più mio fratello!» urlò Vierna precipitandosi verso il tavolo come se volesse colpirlo. Dinin scorse il movimento impercettibile del mercenario, quasi un gesto fluido grazie al quale puntò il braccio in cui erano nascosti i micidiali pugnali contro la sorella. «Traditore del Casato dei Do'Urden!» sbottò Vierna. «Traditore di tutti gli elfi scuri!» La smorfia che le aveva deturpato il viso si trasformò in un improvviso sorriso malevolo e intrigante. «Grazie al sacrificio di Drizzt ritroverò il favore di Lloth e potrò finalmente...» La frase le morì in gola, quasi volesse conservare i propri piani nel più assoluto segreto. «Parli come Matrona Malice,» si azzardò a dire Dinin. «Anche lei cominciò a dare la caccia a nostro frat... a quel traditore.» «Ti ricordi ancora di Matrona Malice?» mormorò Jarlaxle sottolineando con il tono della voce quel nome per cercare di sedare la frenesia che si agitava nell'animo di Vierna. Malice, madre di Vierna e Matrona del Casato dei Do'Urden era rimasta annientata dai propri infruttuosi tentativi di riacciuffare e uccidere Drizzt il traditore. All'udire quel nome Vierna si calmò e un'estenuante risata nervosa le scosse il petto. «Hai capito perché ti ho chiamato qui?» disse Jarlaxle rivolto a Dinin, incurante della sacerdotessa. «Tu vorresti che la uccidessi prima che diventi un problema?» replicò
Dinin con altrettanta noncuranza. La risata di Vierna si interruppe all'improvviso. I suoi occhi selvaggi si posarono sul fratello impertinente. «Wishya!» urlò e un'ondata di energia magica investì il fratello scaraventandolo dalla sedia. Dinin cadde rovinosamente sul pavimento di pietra. «Inginocchiati!» gli ordinò Vierna e quando riuscì a ricomporsi Dinin si lasciò cadere in ginocchio tenendo lo sguardo fisso su Jarlaxle. Anche il mercenario non fu in grado di nascondere la sorpresa. La voce imperiosa della sacerdotessa era un semplice incantesimo, non v'era dubbio, che difficilmente avrebbe avuto effetto su un guerriero esperto della levatura di Dinin. «Il favore di Lloth mi protegge,» disse Vierna irrigidendo la schiena. «Se opporrete resistenza ai miei piani, decretate la vostra fine. Grazie alla potente benedizione di Lloth i miei incantesimi e le mie maledizioni ridurranno in polvere le vostre difese.» «Le ultime notizie su Drizzt lo danno in superficie,» puntualizzò Jarlaxle nel tentativo di mitigare la furia di Vierna. «E a quanto si dice, si trova ancora lassù.» Vierna annuì e un sorriso appena abbozzato lasciò intravedere i suoi denti il cui candore era in un così drammatico contrasto con la carnagione scura. «È vero,» disse, «ma Lloth mi ha mostrato il modo per raggiungerlo... Un modo per raggiungere la gloria.» Jarlaxle e Dinin si scambiarono un'occhiata perplessa. In cuor loro consideravano i vaneggiamenti di Vierna il frutto di una mente a pochi passi dal baratro della pazzia, ma Dinin, contro ogni sua volontà e nonostante il suo apprezzato buon senso, continuò a rimanere inginocchiato.
PARTE 1 PAURA ISPIRATRICE Sono trascorsi quasi trent'anni dal momento in cui abbandonai la mia terra. Una manciata di tempo per un elfo scuro, ma un periodo che mi è parso una vita intera. Quanto desiderai, o credetti di desiderare, mentre percorrevo le caverne oscure per andarmene da Menzoberranzan, era una vera casa, un luogo di amicizia e pace dove avrei potuto appendere le mie scimitarre alla cappa di un tiepido camino e davanti a un fuoco crepitante raccontare ed ascoltare storie avventurose assieme a compagni fidati. Ho trovato quanto cercavo ora, accanto a Bruenor, nelle salire sale della sua giovinezza. Prosperiamo e viviamo in pace. Indosso le mie armi solo in occasione dei miei viaggi fra Mithril Hall e Luna d'Argento. Mi sbagliavo forse? Non dubito, né oso lamentarmi della mia decisione di abbandonare il mondo ripugnante di Menzoberranzan, ma ora, nell'interminabile quiete della mia vita, comincio a credere che i desideri sgorgati dal mio cuore in quei momenti critici erano frutto dell'inevitabile frenesia dell'inesperienza. Allora non conoscevo quella esistenza tranquilla che tanto bramavo. Non nego che la mia vita sia migliore, mille volte migliore di quanto avessi mai potuto immaginare nel Mondo Tenebroso. Ma nonostante ciò,
non sono in grado di ricordare l'ultima volta che ho avvertito l'ansia, quella paura ispiratrice per l'imminente battaglia, o quel pizzicore alla pelle che si percepisce solo quando il nemico è vicino o si va incontro a un duello. Oh, ricordo un momento ben preciso... Un anno fa, quando assieme a Wulfgar e Guenhwyvar lavorai nelle gallerie inferiori per ripulire tutta Mithril Hall dal nemico. Ma quella sensazione, l'inquietante aspettativa nata dalla paura stava ormai scomparendo dalla mia memoria. Siam dunque creature d'azione? Sosteniamo forse di desiderare la comodità agognata da tutti quando, nel profondo dei nostri cuori, sappiamo che sono la sfida e l'avventura a darci la vita? Devo ammettere, almeno a me stesso, che non lo so. Esiste tuttavia un punto irrefutabile, una verità che mi aiuterà a venire a capo di tutte le domande prive di risposta e mi porrà in una posizione fortunata. Poiché ora, accanto a Bruenor e alla sua gente, accanto a Wulfgar, a Catti-brie e alla cara Guenhwyvar, il mio destino è riposto nelle mie stesse mani. Mai in tutti i sessanta inverni della mia vita sono stato più sicuro. Il futuro non mi ha mai sorriso come adesso profondendomi pace e sicurezza imperiture. Eppure mi sento mortale. Per la prima volta rivolgo lo sguardo a quanto è stato e non a quanto verrà. Mi pare di morire lentamente e che quelle stesse storie che avrebbero dovuto riunire tutti i miei amici davanti al fuoco presto puzzeranno di stantio e nulla potrà rinnovarle. Ma, ripeto a me stesso, la decisione ultima spetta sempre a me. Drizzt Do'Urden Capitolo 1 Alba di primavera Drizzt Do'Urden camminava lentamente lungo la pista che si snodava attraverso gli speroni frastagliati più meridionali della Spina Dorsale del Mondo quando il cielo cominciò a rischiararsi. Molto più a sud, oltre le pianure antistanti le Paludi Eterne, si scorgevano gli ultimi bagliori della lontana città di Nesme confondersi con il luccichio rosato dell'alba. Quando Drizzt oltrepassò un'altra curva del sentiero, il suo sguardo spaziò sul piccolo villaggio di Settlestone adagiato sul fondovalle. I barbari, il popolo
di Wulfgar proveniente dalla lontana Valle del Vento Ghiacciato, si stavano apprestando a iniziare la loro lunga giornata durante la quale avrebbero cercato di ricostruire le rovine di una città devastata. Drizzt osservò i minuscoli profili brulicare per le strade e ripensò al tempo in cui Wulfgar e la sua gente orgogliosa vagavano per la gelida tundra di una terra molto più a nordovest, dall'altro capo della grande catena montuosa a un migliaio di miglia di distanza. La primavera, la stagione del commercio, si stava avvicinando a grandi passi. Gli uomini e le donne di Settlestone avrebbero cominciato a mercanteggiare con i nani di Mithril Hall e la ricchezza e il benessere che si sarebbero annidati nelle loro tasche avrebbe fatto dimenticare la loro non lontana esistenza precaria. Erano arrivati al richiamo di Wulfgar, avevano combattuto valorosamente al fianco dei nani lungo quelle gallerie antiche e presto avrebbero raccolto la ricompensa del loro duro lavoro lasciandosi alle spalle una vita disperata di stenti e i gelidi venti implacabili della Valle del Vento Ghiacciato. «Quanta strada abbiamo percorso tutti,» mormorò Drizzt rivolto alla fresca brezza mattutina. Si sorprese a sorridere divertito, dato che lui stesso stava ritornando da Luna d'Argento, una magnifica cittadina a oriente dove un tempo l'elfo guardaboschi non avrebbe mai osato sperare di venire ammesso. Quando, infatti, aveva accompagnato Bruenor e gli altri alla ricerca di Mithril Hall, poco più di un paio d'anni prima, Drizzt era stato fermato davanti ai portali cesellati di Luna d'Argento. «Tu hai percorso un centinaio di miglia in questa settimana,» disse una voce alle sue spalle. Drizzt appoggiò con un gesto fulmineo le mani sull'elsa delle scimitarre, ma la mente ebbe il sopravvento sui suoi riflessi e si rilassò. Aveva riconosciuto quella voce melodica in cui si avvertiva appena l'accento dei nani. Un istante più tardi Catti-brie, la figlia adottiva di Bruenor Martello di guerra, sgusciò da dietro uno spuntone roccioso. I folti capelli castano ramati ondeggiavano al vento e i suoi occhi blu risplendevano quasi fossero due gemme spruzzate di rugiada. Drizzt non poté frenare un sorriso quando il suo sguardo si posò sul passo flessuoso della ragazza, su quel corpo pieno di una vitalità che si era dimostrata sorprendente nelle più terribili battaglie che aveva dovuto affrontare negli ultimi anni. Né poté fingere di non sentire quell'ondata di tepore che si impossessava del suo corpo ogni volta che vedeva Catti-brie, l'unica donna che conoscesse il suo animo meglio di chiunque altro. Catti-
brie lo aveva capito e lo aveva accettato per il suo cuore e non per il colore della sua pelle fin dalla prima volta che si erano incontrati in una vallata rocciosa sferzata dal vento più di una decina d'anni prima, quando Cattibrie era ancora una fanciulla. L'elfo scuro attese nella speranza di vedere Wulfgar, il futuro sposo di Catti-brie, sbucare da dietro il picco. «Ti sei avventurata lontano da casa senza scorta,» osservò Drizzt quando non vide il barbaro. Catti-brie incrociò le braccia al petto e dopo aver appoggiato il peso del corpo su una gamba cominciò a battere l'altro piede con impazienza. «E tu cominci a parlare più come mio padre che come mio amico,» lo rimbeccò lei. «Comunque, nemmeno Drizzt Do'Urden si aggira per questi sentieri con una scorta.» «Ben detto,» ammise l'elfo con voce rispettosa. Il rabbuffo della donna gli aveva ricordato senza mezze misure che Catti-brie era in grado di badare a se stessa. Dalla sua cintura pendeva un pugnale corto uscito dalle migliori fucine dei nani. Sotto il mantello di pelliccia indossava una armatura preziosa quanto la cotta di maglia che Bruenor aveva regalato a Drizzt. Taulmaril l'Arco Spezzacuori, l'infallibile arco magico di Anariel, era appoggiato sulla sua spalla. Drizzt non aveva mai veduto un'arma più potente. Ma nonostante lo portasse sempre appresso, Catti-brie era cresciuta fra la rude razza dei nani ed era stata allevata da Bruenor stesso affinché diventasse una creatura resistente come le rocce della montagna. «Vieni spesso a osservare l'alba?» gli chiese la donna notando che il suo viso era rivolto a oriente. Drizzt si sedette su un macigno piatto e invitò Catti-brie ad accomodarsi al suo fianco. «Non ho mai smesso di ammirare l'alba dal giorno in cui sono risalito in superficie,» spiegò l'elfo appoggiando il cappuccio verde del mantello sulle spalle. «Anche se a quei tempi mi bruciavano gli occhi e ciò mi ricordava il luogo dal quale provenivo. Ora, con mio sommo sollievo, riesco a sopportare la luce.» «Meglio così,» ribatté Catti-brie incrociando lo sguardo color lavanda dell'elfo. Drizzt rimase a osservare estasiato quello stesso sorriso innocente che aveva scorto molti anni prima in un pendio sferzato da un vento implacabile nella lontana Valle del Vento Ghiacciato. Il sorriso della sua prima amica. «Ciò significa che appartieni al mondo della luce, Drizzt,» aggiunse lei. «Come qualsiasi altro membro di ogni razza, secondo me.»
Drizzt rivolse lo sguardo all'orizzonte rosato e non rispose. Anche Cattibrie non disse nulla e insieme rimasero a osservare il risveglio del mondo nel più assoluto silenzio. «Sono venuta qui perché dovevo vederti,» disse Catti-brie all'improvviso. «Girava voce che eri andato a Settlestone e che saresti ritornato a Mithril Hall fra qualche giorno. Da quando sono venuta a saperlo, passo di qui ogni giorno.» «Desideri parlarmi in privato?» le chiese Drizzt con espressione imperturbabile. L'impercettibile gesto del capo mentre girava il volto verso l'orizzonte orientale fece capire a Drizzt che qualcosa non andava. «Non potrei mai perdonarti la tua assenza al nostro matrimonio,» disse Catti-brie con voce pacata mordicchiandosi le labbra e annusando l'aria. A Drizzt parve quasi che Catti-brie stesse camuffando l'emozione che provava con una finta infreddatura. Drizzt le cinse le spalle con un braccio. «E tu credi che io non verrei anche se davanti alla sala della cerimonia si fosse riunito un intero esercito di troll delle Paludi Eterne?» Catti-brie si voltò verso di lui e guardandolo negli occhi lo strinse in un affettuoso abbraccio mentre un ampio sorriso le illuminava il viso. All'improvviso si alzò in piedi trascinando con sé anche Drizzt. L'elfo si sforzò di dimostrare la propria contentezza. Catti-brie non aveva dubitato di lui e aveva sempre saputo che Drizzt avrebbe presenziato alle sue nozze con Wulfgar poiché loro due erano i suoi migliori amici. E allora perché quelle lacrime, quel vago rossore al naso che non era certo provocato da un incipiente raffreddore, si chiese l'elfo. Perché Catti-brie aveva sentito la necessità di spingersi in quelle zone per cercarlo a solo poche ore di distanza dall'entrata di Mithril Hall? Non ebbe la forza di interrogarla, ma la cosa lo aveva turbato non poco. Ogni volta che lo scorgeva, quel triste lucore negli occhi blu di Catti-brie aveva il potere di far trepidare il suo cuore. *
*
*
Gli stivali scintillanti di Jarlaxle battevano contro il pavimento di pietra con un cupo tonfo mentre il mercenario solitario avanzava lungo le gallerie sinuose che lo conducevano lontano da Menzoberranzan. La maggior parte degli elfi scuri che si allontanava dalla grande città per addentrarsi nelle
zone più selvagge del Mondo Tenebroso sarebbe avanzata con maggiore cautela, ma il mercenario conosceva quanto si nascondeva in quelle gallerie e le creature che vi abitavano. Le informazioni non erano mai mancate a Jarlaxle. La fitta rete di esploratori di Bregan D'aerthe, la banda che egli stesso aveva fondato e portato alla gloria, era la più complessa in tutto il regno degli elfi scuri. Jarlaxle conosceva quanto accadeva o quando sarebbe accaduto all'interno e all'esterno della città. E grazie a quelle stesse notizie egli era sopravvissuto per centinaia d'anni nonostante fosse un furfante impenitente senza casa né famiglia. Da quando era entrato a far parte dei loschi intrighi di Menzoberranzan, nessuno, a eccezione forse della Prima Matrona Baenre la Madre, era mai riuscito a scoprire le vere origini dell'astuto mercenario. Indossava il suo cappuccio luccicante, i cui colori magici avvolgevano la sua figura aggraziata, e la sua testa rasata era adornata da un copricapo dalla falda larga su cui poggiavano le morbide piume di un diatryma, un enorme uccello incapace di volare che abitava nel Mondo Tenebroso. Appesa al fianco una spada sottile dondolava al ritmo del suo incedere, mentre dall'altro una lunga daga era legata alla cintura. Quelle erano le sue uniche armi visibili, ma chiunque lo conoscesse sapeva che nelle falde del suo mantello ne erano nascoste molte altre, sempre pronte a colpire nel momento del bisogno. Sospinto dalla curiosità, Jarlaxle affrettò il passo, ma non appena si rese conto che il fiato cominciava a spezzarsi rallentò subito, ricordandosi che si era prefissato di arrivare con un buon margine di ritardo all'incontro inopportuno predisposto da quella pazza di Vierna. Quella pazza di Vierna, ripeté in cuor suo. Jarlaxle rimase a lungo soprappensiero e addirittura si fermò appoggiandosi contro la parete di una galleria per cercare di contare le assurde pretese avanzate dall'alta sacerdotessa nelle ultime settimane. Quanto all'inizio gli era parso una fugace e disperata speranza di una nobile decaduta, senza la benché minima possibilità di successo, si era trasformato con inesorabile lentezza in un piano ben definito. Il mercenario aveva prestato ascolto a Vierna più per divertimento e curiosità che per la ferma convinzione che sarebbero riusciti a individuare e persino uccidere Drizzt. Ma qualcosa che gli sfuggiva stava effettivamente guidando Vierna, e Jarlaxle era giunto al punto di credere che si trattasse di Lloth oppure di uno dei potenti servi della Regina Aracnide. I poteri magici della sacerdotessa erano ritornati in tutto il loro antico splendore e Vierna aveva elargito
numerose informazioni di capitale importanza dimostrandosi una spia perfetta per la loro causa. Ora erano sicuri di dove si trovasse Drizzt Do'Urden e Jarlaxle stava cominciando a convincersi che uccidere quell'elfo traditore non sarebbe stata un'impresa così ardua come gli era sembrato finora. Gli stivali del mercenario annunciarono il suo arrivo quando Jarlaxle oltrepassò una curva della galleria oltre la quale si apriva un'ampia grotta dal soffitto basso dove Vierna e Dinin lo stavano aspettando. La mente sempre all'erta del mercenario notò subito che Vierna sembrava maggiormente a suo agio in quel territorio selvaggio rispetto al fratello. Cosa alquanto strana, si disse Jarlaxle, soprattutto se considerava il fatto che Dinin aveva trascorso molti anni in quelle gallerie, a capo delle pattuglie di perlustrazione, mentre Vierna, nobile sacerdotessa che viveva reclusa, di rado si era allontanata dalla città. Ma se veramente credeva che la mano protettrice di Lloth guidava i suoi passi, allora l'alta sacerdotessa non doveva temere alcunché. «Hai consegnato il nostro dono all'umano?» gli chiese Vierna a bruciapelo, quasi bruciata da una fretta impellente. Jarlaxle ebbe l'impressione che tutta la vita di Vierna si fosse trasformata in una frenesia perpetua. La domanda improvvisa, non preceduta da un saluto o dalla parvenza di un commento sul suo ritardo, colsero il mercenario alla sprovvista. Jarlaxle guardò Dinin di sottecchi, ma il guerriero si limitò a stringersi nelle spalle. Se negli occhi di Vierna ardeva il fuoco della rabbia, in quelli del fratello dimorava una sconfitta rassegnazione. «L'umano ha ricevuto l'orecchino,» rispose Jarlaxle. Vierna trasse da sotto la tunica un oggetto piatto a forma di disco la cui superficie riportava gli stessi motivi cesellati sul prezioso orecchino. «È freddo,» disse strofinando le dita sulla superficie metallica del disco. «Ciò vuol dire che la nostra spia si è già allontanata da Menzoberranzan.» «Ormai è lontana con quel regalo prezioso,» osservò Jarlaxle con malcelato sarcasmo. «Era necessario per favorire la nostra causa,» sbottò Vierna voltandosi di scatto verso di lui. «Solo se l'umano dimostra di essere un informatore valido come pensi che sia,» aggiunse il mercenario con voce piatta. «Dubiti forse del suo valore?» Le parole di Vierna echeggiarono nelle gallerie più lontane a mo' di minaccia per il mercenario e fonte di angoscia per Dinin. «È stata Lloth a guidarmi da lui,» proseguì Vierna con una smorfia.
«Lloth mi ha mostrato il modo per riconquistare l'onore perduto della mia famiglia. Dubiti...?» «Non dubito nulla quando si tratta della nostra dea,» la interruppe Jarlaxle. «L'orecchino, la tua guida luminosa, è stata consegnata secondo le tue istruzioni e l'umano si è già messo in cammino.» Il mercenario si piegò in un rispettoso inchino portando una mano verso il copricapo per sfiorarne la falda. Vierna si tranquillizzò e sembrò contenta. I suoi occhi di fuoco sembravano sprigionare una luce avida mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso ambiguo. «E i goblin?» chiese con voce fremente d'anticipazione. «Presto si metteranno in contatto con gli avidi nani,» ribatté Jarlaxle, «e senza ombra di dubbio rimarranno con un palmo di naso. Le mie spie si sono infiltrate fra i ranghi dei goblin e se tuo fratello farà la sua comparsa sul campo di quella battaglia inevitabile, noi lo verremo a scoprire.» Il mercenario dovette nascondere il proprio sorriso compiaciuto alla vista della gioia di Vierna. La sacerdotessa si illudeva di ricevere una conferma di dove si trovasse il fratello dalla sgangherata tribù dei goblin, ma Jarlaxle aveva ben altro per la mente. I goblin e i nani erano accomunati da un profondo odio gli uni per gli altri, un odio viscerale così simile a quello che accomunava gli elfi scuri ai loro cugini di superficie. Quel mutuo sentimento garantiva lo scoppio di un violento combattimento ogni volta che i due gruppi avevano la sfortuna di incontrarsi. Sarebbe stata un'opportunità meravigliosa per studiare da vicino le misure difensive dei nani e i loro punti deboli. Se da un lato le aspirazioni di Vierna si concentravano attorno alla morte del fratello traditore, Jarlaxle mirava molto più in alto prefiggendosi di trovare un modo per rendere maggiormente fruttuosa quella costosa esplorazione verso la superficie. Vierna si sfregò le mani con vigore e si voltò di scatto verso il fratello. Jarlaxle frenò a stento una risata quando si accorse della difficoltà di Dinin di imitare l'espressione raggiante della sorella. La sacerdotessa era troppo presa dai suoi stessi pensieri per accorgersene. «I goblin destinati al macello hanno capito quali sono le loro alternative?» chiese rivolta al mercenario, ma non dette tempo a Jarlaxle nemmeno di aprire bocca perché aggiunse subito: «Loro non hanno nessuna alternativa.» Jarlaxle avvertì il forte desiderio di punzecchiare la bolla tesa della rabbia di Vierna. «Cosa succede se i goblin ammazzano Drizzt?» le chiese
con aria innocente. Il volto di Vierna venne storpiato da una smorfia assurda e le sue labbra si mossero in un mormorio indistinto. «No!» esclamò dopo un lungo attimo di esitazione. «Sappiamo che in quell'insediamento abita più di un migliaio di nani... Forse il doppio, o addirittura il triplo! La tribù dei goblin verrà annientata.» «Ma i nani e i loro alleati subiranno molte perdite,» obiettò Jarlaxle. «Drizzt non sarà fra loro,» ribatté Dinin inaspettatamente, e la veemenza che impregnava il tono della sua voce seria non dette spazio all'intervento della sacerdotessa e del mercenario. «Nessun goblin sarà in grado di ucciderlo. Le armi dei goblin non potranno nemmeno avvicinarsi al suo corpo.» Il sorriso di approvazione di Vierna era la palese dimostrazione che non comprendeva il sincero terrore che covava nell'animo di Dinin, perché solo lui aveva affrontato Drizzt in battaglia. «Le gallerie che conducono alla città sono libere?» si informò Vierna rivolgendosi a Jarlaxle, e quando vide il cenno del capo del mercenario, la sacerdotessa se ne andò senza aggiungere altro. «Tu desideri che questa storia finisca in fretta,» osservò il mercenario voltandosi verso Dinin quando furono finalmente soli. «Non hai mai incontrato mio fratello,» replicò Dinin con voce pacata e inconsciamente portò la mano sull'elsa della magnifica spada, quasi che il solo nome di Drizzt lo spingesse a difendersi. «Non sul campo di battaglia, almeno.» «Paura, Khal'abbif?» Quella domanda pungolò il senso dell'onore di Dinin molto più di un banale motteggio, ma il guerriero non si scompose. «Dovresti temere anche tua sorella,» aggiunse Jarlaxle con sincerità, mentre sul volto di Dinin si formava un'espressione disgustata. «Da qualche tempo la Regina Aracnide o uno dei servi di Lloth parla con lei,» proseguì il mercenario più a se stesso che al compagno sconvolto. Le ossessioni di Vierna erano sembrate reazioni esasperate e pericolose agli occhi di Jarlaxle, ma era da molto tempo ormai che si aggirava per quel mondo caotico e sapeva che molti dei personaggi preminenti della città, prima fra tutti la Matrona Baenre, avevano avuto atroci visioni molto simili a quelle di Vierna. Quasi tutte le figure di spicco di Menzoberranzan, compresi i membri del Consiglio di Governo, avevano raggiunto il potere grazie ad azioni apparentemente disperate che avevano aperto loro una strada verso la glo-
ria nel caos melmoso della città. Era forse giunto il momento anche per Vierna di attraversare quel pantano insidioso? Capitolo 2 Insieme Lasciando alle spalle il fiume Surbrin le cui acque scorrevano indolenti nella valle sottostante, Drizzt varcò la porta orientale di Mithril Hall nelle prime ore del pomeriggio. Catti-brie lo aveva preceduto per accogliere ignara la sorpresa del suo ritorno. I nani di guardia salutarono l'elfo guardaboschi come se fosse un loro simile dalla folta barba, e Drizzt non poté fare a meno di apprezzare il calore del loro benvenuto, così sincero anche se non inaspettato poiché il popolo di Bruenor lo aveva accettato come amico fin dai giorni in cui avevano attraversato la Valle del Vento Ghiacciato. Drizzt non aveva bisogno di essere accompagnato da scorte lungo i corridoi tortuosi di Mithril Hall, e d'altro canto non ne voleva poiché preferiva aggirarsi da solo, in compagnia delle innumerevoli emozioni e della miriade di ricordi che gli affollavano la mente e il cuore ogni volta che percorreva quella zona dell'insediamento superiore. Attraversò il nuovo ponte sulla Forra di Garumn, un'incantevole e complicata struttura di archi di pietra sospesi su un abisso profondo centinaia di piedi. In quel baratro Drizzt aveva perduto Bruenor per sempre, o almeno così aveva creduto, dopo aver visto il nano precipitare in quel mare di tenebre compiendo vorticose spirali concentriche sul dorso di un drago di fuoco. Non poté fare a meno di abbozzare un sorriso mentre i ricordi si susseguivano veloci. Per uccidere Bruenor Martello di guerra ci voleva ben altro che un drago! Mentre si avvicinava ai margini di una spianata, Drizzt notò che le nuove torri di guardia, la cui costruzione era cominciata solo dieci giorni prima, erano in procinto di essere completate grazie alla dedizione incrollabile di quel popolo industrioso. Purtuttavia, tutti i nani sollevarono il capo dal loro lavoro al passaggio di Drizzt per lanciargli una parola di saluto. L'elfo si diresse verso i corridoi principali che si allontanavano dall'immensa sala a oriente del ponte, guidato dall'incessante fragore di martelli e scalpelli. Oltre la sala, attraversato un minuscolo vestibolo, entrò in un
ampio corridoio dal soffitto alto, anch'esso una vera e propria sala, dove i laboriosi artigiani di Mithril Hall erano impegnati a ricavare dalle pareti di roccia le sembianze di Bruenor Martello di guerra accanto alle altre sculture che raffiguravano gli avi di Bruenor, i sette predecessori che si erano seduti prima di lui sul trono. «Bel lavoro, che ne dici, elfo?» disse una voce alle sue spalle. Drizzt si voltò e vide un minuscolo nano dalla corporatura tozza, il cui viso era ricoperto da una barba bionda ben tagliata che a stento gli raggiungeva l'ampio torace. «Salute a te, Cobble,» lo salutò Drizzt fissando il nano che Bruenor aveva recentemente insignito della carica di Alto Chierico delle Sale. «Basterà?» chiese Cobble indicando la scultura alta una ventina di piedi che raffigurava l'attuale re di Mithril Hall. «Se fosse commisurata al valore di Bruenor, dovrebbe essere alta un centinaio di piedi,» ribatté l'elfo e il corpo di Cobble venne scosso da una fragorosa risata che accompagnò a lungo Drizzt mentre percorreva quelle gallerie serpeggianti. Raggiunse ben presto il livello superiore, la città sopra la meravigliosa Città Sotterranea. Era in questa zona che vivevano Catti-brie e Wulfgar, come pure Bruenor per la maggior parte del tempo mentre si preparava per l'imminente stagione dei commerci. Gran parte degli altri duemilacinquecento nani del clan si trovava altrove, nelle miniere e nella Città Sotterranea, ma in quella parte dell'insediamento vivevano i comandanti della guardia di palazzo e i soldati dei ranghi più alti. Persino Drizzt, sempre il benvenuto nella casa di Bruenor, non poteva presentarsi al cospetto del re senza essere annunciato e accompagnato da una scorta. Un nano atticciato dal portamento grave e con una lunga barba castana la cui estremità era imprigionata in un'alta cintura incastonata di pietre preziose condusse Drizzt lungo l'ultimo corridoio che conduceva nel salone delle udienze del livello superiore. Lo scontroso generale il cui nome era Dagna, un tempo attendente personale del re Harbromme della Fortezza di Adbar, l'inespugnabile roccaforte dei nani che si trovava nei territori settentrionali, era giunto a capo di un intero esercito dalla Fortezza per dare man forte a Bruenor durante la riconquista del suo regno e della sua terra antica. Dopo aver vinto la guerra, la maggior parte dei nani di Adbar era ritornata a casa, ma Dagna e altri duemila soldati erano rimasti là e avevano giurato fedeltà al clan di Bruenor Martello di guerra, costituendo un vero e proprio esercito con cui il nuovo re avrebbe difeso le ricchezze
del ritrovato regno dei nani. Bruenor aveva conferito a Dagna l'alta carica di consigliere personale e comandante militare, e nonostante il generale non avesse mai dimostrato affetto per Drizzt, era sufficientemente intelligente e accorto da non offendere l'elfo scuro affiancandogli un soldato di grado inferiore al suo affinché lo scortasse dal re dei nani. «Vi avevo detto che sarebbe tornato,» Drizzt udì Bruenor bofonchiare oltre il portale socchiuso mentre si avvicinava al salone delle udienze. «L'elfo non si sarebbe mai perduto il vostro matrimonio.» «Mi par di capire che mi stanno aspettando,» osservò Drizzt rivolto a Dagna. «Correva voce che ti trovassi fra la gente di Settlestone,» ribatté il generale in tono burbero evitando di incrociare lo sguardo di Drizzt. «Immaginavamo che saresti tornato prima o poi.» Drizzt sapeva che il generale, il nano per eccellenza com'era stato soprannominato, nutriva un garbato disprezzo per chiunque non appartenesse alla razza dei nani, compresi Wulfgar e Catti-brie. Ma l'elfo scuro non poté frenare un sorriso poiché ormai era abituato a quella malcelata ostilità e sapeva che Dagna era un alleato importante e insostituibile di Bruenor. «Salute a voi,» disse Drizzt rivolgendosi ai tre amici mentre entrava nella sala. Bruenor era accomodato sul trono di pietra e Wulfgar e Catti-brie erano seduti al suo fianco. «Ce l'hai fatta finalmente,» disse Catti-brie con aria assente fingendosi disinteressata alla comparsa dell'elfo. Drizzt sorrise per il loro segreto. Evidentemente la ragazza non aveva raccontato proprio a nessuno di averlo incontrato a poche ore di cammino dalla porta orientale. «Non ce l'aspettavamo,» aggiunse Wulfgar, un uomo gigantesco dai muscoli sodi e scattanti, il cui volto era incorniciato da lunghi riccioli biondi e i cui occhi erano simili a due cristalli azzurri come i cieli tersi dei territori settentrionali. «Speriamo che ci sia un posto in più al tavolo delle nozze.» Drizzt abbozzò un sorriso e fece un profondo inchino in segno di scusa. Si meritava quel rimbrotto poiché negli ultimi tempi se n'era andato spesso, per settimane a volte. «Bah!» sbuffò Bruenor dalla folta barba rossa. «Ve l'avevo detto io che sarebbe ritornato! Per fermarsi, stavolta!» Drizzt scosse il capo lentamente sapendo in cuor suo che presto sarebbe ripartito, alla ricerca di... qualcosa. «Sei forse sulle tracce dell'assassino, eh?» gli chiese Bruenor.
Mai più, pensò Drizzt ripensando al suo nemico più odiato, il terribile Artemis Entreri, un assassino spietato quanto abile con la spada. Un suo pari nell'arte del combattimento, nonostante fosse animato, per non dire ossessionato dal desiderio di sconfiggere l'elfo scuro. Entreri e Drizzt si erano scontrati a Calimport, una città molto più a meridione, dove l'elfo era riuscito ad avere il sopravvento sull'avversario prima che gli eventi li dividessero ancora una volta. Dopo quell'incontro Drizzt, forte della vittoria, era riuscito a liberarsi di un'ossessiva avversione per Entreri molto simile a quella che l'assassino nutriva nei suoi confronti. Drizzt aveva veduto se stesso nell'assassino e nei suoi occhi aveva scoperto come sarebbe diventato se si fosse fermato a Menzoberranzan. Non avrebbe sopportato di trasformarsi in una creatura animata dalla bramosia di distruzione e morte. Catti-brie, la sua cara e saggia amica, gli aveva mostrato la verità su Entreri e sul suo stesso animo, e se non avesse mai più incontrato Entreri, Drizzt sarebbe stato la creatura più felice al mondo. «Non ho nessun desiderio di rivederlo,» rispose l'elfo rivolgendo lo sguardo verso Catti-brie, che ammiccò per dimostrargli di aver capito, e poi ancora verso Bruenor. «Il mondo è grande, mio caro nano, e pieno di cose meravigliose che non possono essere ammirate se è buio. L'aria vibra di suoni molto più belli dell'incessante martellare contro l'incudine e profuma di odori molto più fragranti del puzzo di morte.» «Presto bisognerà preparare un altro banchetto,» mugugnò Bruenor alzandosi di scatto dal trono. «Di sicuro l'elfo ha appoggiato gli occhi da qualche parte!» Drizzt lasciò cadere quel commento sornione nel silenzio. All'improvviso un nano entrò nella sala e si precipitò verso Dagna. Dopo essersi accomiatati, uscirono insieme ma il generale ritornò subito dopo con un'espressione turbata sul viso. «Cosa c'è?» gli chiese Bruenor frastornato da tanta agitazione. «È arrivato un altro ospite,» spiegò il generale, ma prima che potesse finire di parlare, nella stanza irruppe un nanerottolo dalla pancia rigonfia. «Regis!» esclamò Catti-brie e assieme a Wulfgar si precipitò ad abbracciare l'amico. «Pancia-che-Brontola!» urlò Bruenor usando il soprannome che il nanerottolo si era guadagnato a causa del suo insaziabile appetito. «Cosa diamine combini...» Era davvero strano, si sorprese a pensare Drizzt, che non avesse incontrato il suo piccolo amico lungo i sentieri che conducevano a Mithril Hall.
Avevano lasciato Regis a Calimport, a più di un migliaio di miglia di distanza, a capo di una potente corporazione di ladri che insieme erano riusciti a sgominare nel loro tentativo di salvare il nanerottolo. «Credi forse che mi lascerei sfuggire un'occasione come questa?» disse Regis fingendosi offeso per la sfiducia dimostrata da Bruenor. «Il matrimonio dei due miei più cari amici?» Catti-brie lo abbracciò con trasporto e il volto di Regis si illuminò di contentezza. Bruenor lanciò un'occhiata sorpresa a Drizzt e scosse il capo quando si rese conto che l'elfo scuro non aveva tradito alcuna reazione. «Come l'hai saputo?» aggiunse il re rivolto al nanerottolo. «Sottovaluti la tua fama, re Bruenor,» ribatté Regis con un profondo inchino che fece tracimare la sua pancia oltre la stretta cintura. Drizzt osservò il nanerottolo con curiosità. Quell'inchino aveva fatto tintinnare l'aria di un suono metallico che proveniva dalle pietre preziose e dalle bisacce gonfie di monete d'oro e altri preziosi che gli pendevano dalla cintura. Regis aveva sempre dimostrato una forte predilezione per le cose belle, ma mai Drizzt lo aveva veduto così riccamente vestito. Indossava la sua tunica tempestata di gemme e molti monili preziosi, oltre al magico pendente di rubino, più di quanti lui stesso riuscisse a immaginare. «Ti fermi a lungo?» chiese Catti-brie. «Non ho fretta,» ribatté Regis. «Posso avere una stanza,» aggiunse rivolto a Bruenor, «dove sistemerò le mie cose e mi riposerò del lungo viaggio?» «Ce ne occuperemo noi,» disse Catti-brie mentre Drizzt e Bruenor si scambiavano un'occhiata esterrefatta. I due amici sapevano che il capo di una potente corporazione di ladri non avrebbe mai abbandonato il centro del proprio potere per correre il rischio di perderlo per mano dei nemici. «E i tuoi servi?» gli chiese Bruenor a bruciapelo. «Oh...» balbettò Regis alla ricerca di una risposta. «Io... Veramente sono venuto solo. I meridionali non sopportano la fredda primavera del nord!» «Vai a sistemarti, allora,» disse Bruenor. «È arrivato il mio turno di far preparare un buon banchetto per il piacere della tua pancia.» Drizzt si accomodò accanto al re dei nani mentre i tre amici uscivano dal salone. «Poca gente a Calimport conosce il mio nome, elfo,» disse Bruenor a Drizzt non appena furono soli. «E nessuno più a sud di Sellalunga può avere avuto notizia del matrimonio.» Bruenor lanciò un'occhiata maliziosa all'elfo il cui silenzio costituiva l'implicita conferma ai suoi dubbi.
«Scommetto che il piccoletto si è portato dietro parte del suo tesoro!» esclamò il nano d'un fiato. «Sta fuggendo,» si limitò a dire Drizzt. «Si è cacciato di nuovo nei guai,» sbuffò Bruenor. «O io non sono più un nano dalla barba rossa!» *
*
*
«Cinque pasti al giorno,» mormorò Bruenor rivolto a Drizzt a una settimana dall'arrivo del nanerottolo. «E le porzioni successive sono ancora più abbondanti delle prime!» Drizzt, che l'appetito di Regis riusciva sempre a sbalordire, non riusciva a trovare una risposta soddisfacente alla constatazione del re. Insieme rimasero a osservare Regis dall'altro capo della sala che ingurgitava avidamente boccone dopo boccone. «Per fortuna stiamo aprendo nuove gallerie,» aggiunse Bruenor sbuffando. «Avrò bisogno di una buona quantità di mithril da vendere per soddisfare quel pozzo senza fondo.» Come richiamato dal riferimento del re alle nuove esplorazioni sotterranee, il generale Dagna entrò nella sala da pranzo, e incurante del cibo che vi veniva servito allontanò un servo e attraversò a lunghi passi il salone per dirigersi subito verso Drizzt e Bruenor. «Hanno fatto davvero in fretta,» osservò Bruenor non appena vide il nano dalla folta barba castana. Dagna era partito di buon'ora quel mattino a capo di una pattuglia di esplorazione nelle miniere più profonde della zona occidentale della Città Sotterranea. «Problemi o tesori?» si informò Drizzt con tono retorico mentre Bruenor si stringeva nelle spalle aspettandosi, e segretamente sperando, entrambe le cose. «Mio re,» disse Dagna fermandosi davanti al re e non degnando l'elfo scuro nemmeno di uno sguardo. Fece un veloce inchino senza tradire alcuna emozione che potesse dare una risposta alle parole dell'elfo. «Avete trovato il mithril?» chiese Bruenor con espressione fiduciosa. «Sì,» rispose il generale dopo un attimo di esitazione, quasi sorpreso da quella brusca domanda. «Nella galleria oltre la porta murata abbiamo trovato un nuovo filone molto ricco di minerale metallifero, da quanto abbiamo veduto. Le voci sul tuo naso che sa individuare le gemme continuano ad aumentare, mio re,» concluse con un inchino ancora più profondo
del primo. «Lo sapevo,» mormorò Bruenor a Drizzt. «Sono andato laggiù una volta, poco dopo che mi è spuntata la prima barba. E ho ucciso alcuni ettin...» «Ma ci sono problemi,» lo interruppe il generale con una voce inespressiva. Bruenor attese a lungo la spiegazione di quel soldato testardo, ma quando si rese conto che Dagna avrebbe avuto il coraggio di prolungare quel silenzio fino a notte fonda per dare maggior effetto drammatico alle proprie parole, decise di sollecitarlo. «Problemi, hai detto?» «I goblin,» disse Dagna con voce cupa. «E tu li chiami problemi?» sbottò Bruenor infastidito. «È una tribù consistente,» aggiunse Dagna. «Potrebbero essere alcune centinaia.» Bruenor si girò lentamente verso Drizzt e dal vivace bagliore che illuminava i suoi occhi color lavanda comprese che quella notizia aveva turbato l'amico nella stessa misura in cui aveva turbato lui. «Centinaia di goblin... Hai sentito, elfo?» disse Bruenor inarcando un sopracciglio. «Che ne dici?» Drizzt non rispose e continuò a sorridere. Il lucore che brillava nel suo sguardo non lasciava spazio a dubbi. La vita era diventata monotona e talvolta noiosa dal giorno della conquista di Mithril Hall. Lungo le gallerie echeggiava solo il clangore dei picconi e delle pale dei minatori, e dei martelli dei fabbri e dei maniscalchi. I sentieri che collegavano Mithril Hall a Luna d'Argento solo di rado nascondevano insidie o pericoli. La notizia portata da Dagna aveva un interesse tutto particolare per l'elfo scuro. Drizzt era un elfo guardaboschi, dedito a proteggere le razze buone, che disprezzava i fetidi goblin dalle braccia lunghissime più di ogni razza malvagia che dimorava in superficie e nelle viscere del mondo. Bruenor condusse l'amico e il generale al tavolo di Regis. Tutti gli altri tavoli nel salone erano vuoti. «La spanciata è finita,» tuonò il nano mentre con un ampio gesto del braccio mandò tutti i piatti davanti al nanerottolo a schiantarsi sul pavimento. «Va' a chiamare Wulfgar,» grugnì Bruenor a un palmo dal volto stupefatto di Regis. «Devi essere di ritorno prima che io abbia finito di contare fino a cinquanta. Se impieghi più tempo, ricordati che ti dimezzo le porzioni!» Regis scomparve oltre la porta in un batter d'occhio. A un cenno del capo del re Dagna trasse un pezzo di carbone dalla tasca
e sul tavolo abbozzò una piantina della nuova regione, mostrando con dovizia di particolari il punto in cui avevano incontrato i primi segni dei goblin e dove la pattuglia credeva si trovasse la loro tana principale. I due nani trovarono particolarmente interessante la disposizione articolata delle gallerie in quella regione, il terreno ben battuto e le pareti perpendicolari. «Un vantaggio se vogliamo sorprendere quella massa di stupidi goblin,» spiegò Bruenor a Drizzt ammiccando. «Tu sapevi che c'erano,» lo accusò l'elfo rendendosi conto che Bruenor era molto più emozionato dalla notizia dei potenziali nemici che da quella delle potenziali ricchezze. «Immaginavo che potevamo incontrare qualche goblin,» ammise Bruenor. «Li ho veduti una volta, ma con l'arrivo del drago, mio padre e i suoi soldati non hanno avuto tempo di ripulire la zona da quelle creature ripugnanti. Ma è accaduto molto tempo fa, elfo,» concluse accarezzandosi la barba fulva, «e io non ero sicuro che fossero rimasti là.» «Costituiscono una minaccia?» disse una voce profonda e calda alle loro spalle. L'imponente barbaro si avvicinò al tavolo e si chinò per esaminare il disegno di Dagna. «Sono solo banali goblin,» ribatté Bruenor. «Un invito alla guerra!» tuonò Wulfgar sbattendo Aegis-fang sul palmo della mano, il micidiale maglio da guerra che Bruenor aveva forgiato per lui. «Un invito a giocare,» lo corresse Bruenor con un cenno del capo e una risatina complice rivolta a Drizzt. «Se gli occhi non mi ingannano, a voi due ha punto la vaghezza di uccidere,» disse Catti-brie entrando in quel momento con Regis. «Ci puoi scommettere,» sbottò Bruenor. «Avete trovato un branco di goblin che se ne sta pacificamente in un buco, che non dà fastidio a nessuno, e voi già state progettando di ammazzarli,» ribatté Catti-brie con veemenza. «Donna!» esclamò Wulfgar. Il sorriso divertito di Drizzt svanì come neve al sole e venne sostituito da un'espressione meravigliata non appena l'elfo posò lo sguardo sulla smorfia sprezzante dell'imponente barbaro. «Dovresti esserne contento, invece,» proseguì Catti-brie con aria imperturbabile e senza farsi fuorviare dalle argomentazioni di Bruenor. «Cosa ti fa pensare che vogliano combattere?» chiese rivolta al re. «Ti interessa così tanto?»
«Quelle gallerie sono ricche di mithril,» replicò Bruenor come se desiderasse porre fine alla discussione. «E quel mithril apparterrebbe ai goblin?» chiese Catti-brie con aria innocente. «Sarebbero loro i legittimi proprietari?» «Non per molto,» si intromise Dagna, e Bruenor non riuscì ad aggiungere una battuta arguta, tanto era rimasto sbalordito dal tono accusatore delle parole della figlia. «Il combattimento è la cosa più importante per voi... Per tutti voi,» proseguì Catti-brie facendo scivolare il suo sguardo blu sui quattro convenuti. «Più di qualsiasi tesoro che si possa trovare laggiù! Avreste il coraggio di dare la caccia ai goblin anche se quelle gallerie non contenessero un solo sassolino di metallo degno di essere estratto!» «Non io!» esclamò Regis, ma nessuno gli prestò attenzione. «Sono goblin,» disse Drizzt all'amica. «Non è stato forse a causa di un'incursione di una banda di goblin che tuo padre ha perduto la vita?» «Esatto,» ammise Catti-brie. «E se mai un giorno troverò quella tribù, puoi star certo che cadranno a uno a uno per quell'orrendo misfatto. Ma questi goblin sono forse parenti loro, a oltre mille miglia di distanza?» «I goblin sono goblin!» precisò Bruenor bofonchiando. «Ma davvero?» ribatté Catti-brie incrociando le braccia al petto. «E gli elfi scuri sono elfi scuri?» «Cosa vai cianciando, donna?» tuonò Wulfgar osservando la sua sposa promessa. «Se ti imbattessi in un elfo scuro che vaga per le tue gallerie,» proseguì Catti-brie rivolgendosi a Bruenor e ignorando Wulfgar anche quando il barbaro le si avvicinò con passo marziale, «sfodereresti la tua arma per ammazzarlo?» Bruenor lanciò un'occhiata di sottecchi a Drizzt, ma l'elfo stava sorridendo poiché aveva intuito dove il ragionamento di Catti-brie voleva arrivare e dove avrebbe incastrato quel re testardo. «E se tu lo uccidessi e se quell'elfo scuro fosse proprio Drizzt Do'Urden, chi rimarrebbe al tuo fianco ad ascoltare pazientemente le tue tronfie spacconerie?» «Almeno ti ammazzerei senza che tu te ne renda conto,» mormorò Bruenor a Drizzt in tono dimesso. La risata dell'elfo provenne dal cuore. «Sia convocata l'Assemblea per andare a parlamentare con loro,» disse infine riprendendo fiato. «Le sagge parole della nostra cara giovane amica ci spingono a dare ai goblin almeno
una possibilità di spiegare le loro vere intenzioni.» Drizzt guardò Catti-brie e i suoi occhi lavanda brillavano di una luce strana poiché lui sapeva cosa aspettarsi da quell'infida razza. «Prima di ammazzarli,» aggiunse dopo un attimo di silenzio. «Senza che se ne rendano conto,» precisò Bruenor. «Lei dovrebbe starne fuori, da queste storie!» sbuffò Wulfgar con voce grave. Nella sala ritornò la tensione che si era avvertita pochi istanti prima. Drizzt zittì l'amico con l'occhiata più gelida e minacciosa che mai fosse stata scoccata dall'elfo scuro al barbaro. Catti-brie guardò a uno a uno i suoi amici con un'espressione addolorata e dopo aver sfiorato una spalla di Regis uscì dalla sala. «E noi dovremmo discutere con un branco di goblin?» chiese Dagna incredulo. «Ehi, tieni chiusa quella ciabatta di bocca che hai!» lo apostrofò Bruenor appoggiando rumorosamente le mani sul tavolo e chinandosi per studiare ancora una volta il disegno. Impiegò qualche istante per capire che gli sguardi di Wulfgar e Drizzt erano ancora imprigionati in una muta prova di forza. Bruenor scorse il disorientamento negli occhi dell'elfo, ma quando osservò il barbaro non riuscì a vedervi traccia di malanimo, e fu certo che quell'incidente sarebbe stato presto dimenticato. *
*
*
Drizzt si appoggiò contro la parete di pietra del corridoio, a pochi passi dalla porta delle stanze di Catti-brie. Era venuto per parlare con la giovane amica, per scoprire la ragione per cui si era dimostrata così preoccupata e irremovibile quando insieme avevano parlato della tribù di goblin scoperta nelle nuove regioni. Catti-brie aveva sempre portato una ventata di novità, analizzando la situazione da prospettive nettamente diverse e suggerendo soluzioni alternative alle prove che i cinque amici avevano dovuto affrontare. Ma in quella sala a Drizzt era parso che fosse qualcosa di molto diverso a spingerla a parlare a quel modo e che non fossero i goblin a rendere le sue parole infuocate. Solo quando puntò bene i piedi per terra e reclinò la testa contro la parete, l'elfo scuro cominciò a capire. «Tu non verrai!» stava urlando Wulfgar. «Ci sarà una battaglia, nonostante i tuoi tentativi di evitarla. Quelli là sono goblin, e non hanno nessuna intenzione di parlamentare con i nani!»
«Se ci sarà una battaglia, avrete bisogno di me,» ribatté Catti-brie. «Ho detto che non verrai.» Drizzt scosse il capo alla risolutezza del tono di voce di Wulfgar e ricordò di aver udito una tale tracotanza solo quando aveva incontrato quel giovane barbaro burbero e orgoglioso per la prima volta. L'elfo stava aspettando il barbaro soprappensiero quando Wulfgar rientrò nella sua stanza. Drizzt si era appoggiato alla parete con aria distratta e teneva le mani chiuse attorno alle spigolose else delle sue scimitarre magiche. Il cappuccio del mantello verde foglia era accuratamente sistemato sulle spalle. «Bruenor mi manda a chiamare?» gli chiese Wulfgar con malcelata confusione, sorpreso di trovarsi davanti all'amico. Drizzt chiuse la porta. «Non sono qui per Bruenor,» spiegò con voce pacata. Wulfgar scrollò le spalle cercando di capire il vero significato di quella frase. «Bentornato, allora,» disse a denti stretti. «Ti allontani troppo spesso e Bruenor sente la mancanza della tua compagnia...» «Sono qui per Catti-brie,» lo interruppe Drizzt. Gli occhi di ghiaccio del barbaro scomparvero dietro la fessura delle sue palpebre. Wulfgar drizzò le ampie spalle e serrò le labbra. «So che ti è venuta incontro lungo il sentiero,» disse. «A poche ore di distanza da qui, prima che tu entrassi.» Un'espressione meravigliata attraversò il volto di Drizzt quando avvertì l'ostilità che grondava dalla voce dell'amico. Perché Wulfgar sembrava essersi adontato per il suo incontro con Catti-brie? Per i Nove Inferi, cosa stava succedendo al suo amico? «È stato Regis a dirmelo,» spiegò Wulfgar credendo di aver compreso la ragione della confusione che si agitava nell'animo di Drizzt. Il barbaro lanciò all'elfo un'occhiata di superiorità, quasi che quell'informazione segreta gli avesse garantito una sorta di vantaggio sull'amico. Drizzt scosse il capo e con una mano si ravviò la chioma candida. «Non sono qui per il nostro incontro lungo il sentiero,» disse, «né per quanto Catti-brie mi ha detto.» Tenendo le mani appoggiate sulle scimitarre, Drizzt cominciò ad attraversare l'enorme stanza fermandosi dalla parte opposta del grande letto. «Oltretutto, quanto Catti-brie mi dice non sono affari tuoi,» aggiunse l'elfo, sentendo la necessità di precisare. Wulfgar non batté ciglio, ma Drizzt si rese conto che il barbaro aveva
dovuto chiamare a raccolta tutte le proprie forze per non perdere la pazienza e balzargli addosso saltando il letto che c'era fra loro. Nonostante lo conoscesse bene, Drizzt stentava a credere ai propri occhi. «Come osi?» sibilò Wulfgar a denti stretti. «Lei è la mia...» «Come oso?!» lo interruppe l'elfo. «Tu parli di Catti-brie come se fosse un oggetto che ti appartiene. Ho sentito che le hai ordinato di non venire quando noi andremo dai goblin.» «Stai oltrepassando i confini del lecito,» lo ammonì Wulfgar. «E tu fai lo spaccone come un orco ubriaco,» ribatté Drizzt abbozzando un sorriso divertito. Il possente torace di Wulfgar si gonfiò in un profondo respiro. Il gigante raggiunse con un solo passo la parete cui era appeso il suo meraviglioso martello a due teste. «Un tempo eri il mio maestro,» disse Wulfgar con voce tranquilla. «E sono sempre stato tuo amico,» aggiunse Drizzt. Il barbaro gli scoccò un'occhiata inferocita. «Tu mi parli come un padre al figlio più piccolo. Sta' in guardia, Drizzt Do'Urden, che non sei più il mio maestro.» Drizzt ebbe un impercettibile moto di sorpresa, soprattutto quando Wulfgar, che non distoglieva il suo sguardo pericoloso dal suo viso, tolse Aegis-fang dai ganci che lo sorreggevano. «Adesso saresti tu il maestro?» gli chiese l'elfo scuro. Wulfgar annuì lentamente, ma strabuzzò gli occhi dalla sorpresa quando si accorse che le scimitarre apparvero all'improvviso nelle mani di Drizzt. La lama di Lampo, l'arma magica che il mago Malchor Harpel aveva donato all'elfo, sprigionava un'intensa luce azzurrognola. «Ricordi quando ci siamo conosciuti?» chiese Drizzt spostandosi lentamente in fondo al letto poiché si rendeva conto che le gambe lunghe di Wulfgar lo mettevano in netto vantaggio con quell'ostacolo in mezzo. «Ricordi i nostri addestramenti sul Picco di Kelvin, le nostre perlustrazioni per la tundra e le notti trascorse attorno a un fuoco con la tua gente?» Wulfgar si girò lentamente non distogliendo mai lo sguardo dall'elfo pericoloso. Le nocche erano diventate bianche a causa della forza con cui stringeva il manico della sua arma. «Ricordi i veerberg?» aggiunse Drizzt con un ampio sorriso. «Tu e io che combattevamo insieme, vincevamo insieme contro un'intera orda di giganti? «E Gelida Morte, il drago?» proseguì l'elfo portando davanti al viso l'al-
tra scimitarra, l'arma che aveva preso nella tana del drago sconfitto. «Ricordo,» ribatté Wulfgar con voce pacata e Drizzt infilò le scimitarre nei foderi, convinto di aver sedato l'animosità che si agitava nel cuore dell'amico. «Parli di giorni lontani!» tuonò il barbaro all'improvviso balzando in avanti con un'agilità felina così sorprendente per un uomo della sua corporatura. Cercò di colpire il volto di Drizzt con un potente gancio, ma il pugno sfiorò la spalla dell'elfo che si era chinato per evitare il colpo. L'impatto scaraventò Drizzt nell'angolo opposto della stanza, ma l'elfo si rialzò subito in piedi con entrambe le scimitarre strette nei pugni. «È giunto il momento di un'altra lezione,» disse con voce solenne mentre le gemme violette dei suoi occhi brillavano di una luce che il barbaro aveva più volte avuto modo di conoscere tempo prima. Wulfgar avanzò imperterrito roteando Aegis-fang in una serie di finte prima di sollevarla sopra il capo e lasciarla cadere in un colpo che avrebbe fracassato il cranio dell'elfo. «È trascorso troppo tempo, forse, dall'ultima volta che abbiamo combattuto?» chiese Drizzt considerando in cuor suo quello strano evento come una sorta di rituale di iniziazione per il giovane barbaro. Incrociò le scimitarre sopra la testa per bloccare la discesa della pesante arma e dovette flettere le ginocchia per controbilanciare la violenza dell'urto. Wulfgar indietreggiò per prepararsi a un nuovo attacco. «Pensi sempre ad attaccare,» lo rimproverò Drizzt sventagliando il piatto delle scimitarre ai lati del volto del barbaro in rapida successione. Wulfgar indietreggiò ancora di un passo e senza battere ciglio si pulì la sottile riga di sangue che gli apostrofava la guancia con il dorso della mano. «Ti chiedo scusa,» disse Drizzt quando si accorse di averlo ferito. «Non era mia intenzione.» Il barbaro non gli dette tempo di aggiungere altro perché si avventò selvaggiamente su di lui invocando a gran voce Tempus, il suo Dio della Guerra. Drizzt scartò per evitare il primo colpo. Il martello andò a sbattere contro la parete di pietra portando via con sé un generoso blocco di intonaco. L'elfo non indugiò e si buttò sul pesante martello, stringendo le braccia attorno al manico per bloccarlo. Wulfgar lasciò andare l'arma, afferrò Drizzt per il bavero della tunica e lo sollevò dal pavimento. I muscoli del braccio nudo del barbaro sembra-
vano danzare in quella rapida successione di movimenti e Drizzt si ritrovò schiacciato contro la parete. L'elfo rimase sbalordito dalla forza del giovane. Gli parve quasi di venire sospinto attraverso la pietra e che presto sarebbe caduto sul pavimento della stanza attigua. Serrò i denti e sferrò un potente calcio. Wulfgar spostò la testa, temendo che il colpo avesse il suo naso come bersaglio, ma Drizzt mirò al braccio teso del barbaro, proprio alla parte interna del gomito. Fece leva con la gamba e investì il polso di Wulfgar con una violenta manata in modo da piegare il braccio e liberarsi da quella morsa che lo imprigionava a mezz'aria. Mentre ricadeva al suolo colpì il viso del giovane con l'elsa di una scimitarra e lasciò andare la presa attorno al manico del martello del barbaro. Il grugnito disumano di Wulfgar echeggiò nella stanza. Afferrò Aegisfang per colpire, ma ormai Drizzt si era accoccolato sul pavimento. L'elfo allungò le gambe e spingendosi con i piedi contro la parete compì una capriola che lo fece rotolare sotto le gambe divaricate dell'amico. Non appena gli fu sotto, sferrò un potente calcio all'inguine, e quando la capriola successiva lo portò alle sue spalle ne sferrò un secondo che investì le ginocchia del barbaro. Le gambe di Wulfgar cedettero e un ginocchio andò a sbattere contro la parete. Drizzt sfruttò la rincorsa per compiere una terza giravolta, si rialzò di scatto e si lanciò in avanti afferrando Wulfgar per una ciocca di capelli e tirando con quanta forza aveva in corpo in modo da farlo cadere come un albero appena segato. Wulfgar grugnì e stramazzò a terra. Cercò di rialzarsi subito, ma le scimitarre di Drizzt cominciarono a colpirlo freneticamente alla mandibola. Il barbaro si rimise lentamente in piedi ridacchiando, mentre Drizzt indietreggiava. «Tu non sei più un maestro,» disse Wulfgar, ma il grumo di saliva insanguinata affievoliva la rabbia che incrinava la sua voce. «Che ti salta in mente?» domandò Drizzt con voce stentorea. «Parla!» Ma come tutta risposta vide Aegis-fang attraversare la stanza roteando su se stessa. Drizzt si tuffò in avanti evitando all'ultimo momento quel colpo mortale, e quando udì il tonfo sordo del martello contro la parete ammiccò sbalordito. Si rialzò di scatto, ma con sua enorme sorpresa vide il barbaro incombe-
re su di lui. Drizzt cercò di schivare le braccia protese di Wulfgar, piroettò su se stesso e gli colpì le natiche con un potente calcio. Wulfgar urlò e si voltò con un rapido movimento, ma venne colpito in pieno viso dal piatto della lama di Drizzt che gli aprì una ferita più profonda della prima. Wulfgar, la cui testardaggine non era inferiore a quella di un nano, cercò di sferrare un altro potente gancio. «La rabbia che covi ha decretato la tua sconfitta,» osservò Drizzt mentre schivava il colpo. Stentava a credere che Wulfgar, un guerriero per cui l'arte del combattimento non aveva alcun segreto, avesse perduto il controllo della situazione. Wulfgar emise un urlo cupo e si avventò sull'elfo, ma indietreggiò quasi subito perché Drizzt aveva sollevato la lama tagliente di Lampo per intercettare il suo colpo. Il barbaro non riuscì a frenare la rincorsa e ritrasse la mano insanguinata. «So che Aegis-fang ritornerà nelle tue mani,» disse Drizzt notando un'espressione sorpresa impossessarsi del volto di Wulfgar, quasi avesse dimenticato i poteri magici della sua stessa arma. «Vuoi conservare qualche dito per poterla afferrare?» Proprio in quell'istante Aegis-fang si appoggiò sul palmo della mano del barbaro. Sbalordito dalle assurde accuse mossegli dal giovane e ormai stanco di quell'increscioso alterco, infilò le scimitarre nei foderi e si fermò a pochi passi dal barbaro, sotto il tiro micidiale della sua arma, e allargò le braccia quasi in segno di resa. In un attimo imprecisato durante quel combattimento, quando aveva cominciato a rendersi conto che quell'apparente gioco si stava tramutando in una cosa molto più seria e pericolosa, la luce che abitualmente illuminava lo sguardo di Drizzt si era spenta. Wulfgar rimase immobile a lungo con gli occhi chiusi, e a Drizzt parve che stesse combattendo una dura lotta interiore. Alla fine abbozzò un sorriso e aprì gli occhi mentre abbassava il braccio per appoggiare il martello sul pavimento. «Mio amico e maestro,» disse dopo un attimo di esitazione. «È un piacere che tu sia tornato,» aggiunse allungando una mano verso la spalla di Drizzt. Ma le sue dita si rinchiusero a pugno e un violento colpo investì l'elfo in pieno viso. Drizzt girò su se stesso, si aggrappò al braccio di Wulfgar e sfruttando la
violenza del movimento lo scaraventò a terra. Il barbaro riuscì ad afferrare l'elfo con l'altra mano e lo trascinò con sé nella rovinosa caduta. Si rialzarono insieme appoggiandosi l'uno contro la spalla dell'altro e scoppiarono in una fragorosa risata. Per la prima volta da quando si erano incontrati nella sala dove Regis stava mangiando a quattro palmenti, Drizzt ebbe l'impressione di avere finalmente ritrovato il vecchio compagno di battaglia. L'elfo se ne andò poco dopo, evitando di parlare di Catti-brie. E non ne avrebbe parlato fintantoché non fosse riuscito a venire a capo di quanto era accaduto fra le quattro mura di quella stanza. Drizzt riusciva a comprendere la confusione provata dal barbaro nei confronti di Catti-brie. Wulfgar proveniva da una tribù in cui predominavano gli uomini, e dove le donne, assoggettate ai loro padroni, avevano il permesso di parlare solo quando venivano interpellate. Sembrava quasi che ora, a poca distanza dal giorno in cui le loro vite si sarebbero unite per sempre, Wulfgar trovasse terribilmente difficile scrollarsi di dosso le antiche consuetudini del suo stesso popolo. Quel pensiero continuava a pungolare la mente di Drizzt. Ora capiva la ragione della tristezza che aveva scorto nello sguardo di Catti-brie quando gli era venuta incontro lungo il sentiero. E allo stesso modo comprendeva il furore che ribolliva nel sangue di Wulfgar. Se quel barbaro cocciuto si ostinava a cercare di spegnere lo spirito ardimentoso di Catti-brie, l'avrebbe privata di quanto aveva fatto nascere quel tenero sentimento che ora li univa, annullando per sempre ciò che il barbaro, e Drizzt stesso, amava in quella giovane donna coraggiosa. Drizzt cercò di allontanare da sé quel pensiero. Si era perduto in quegli occhi blu per una decina d'anni, aveva assistito al lavorio paziente e inesorabile di Catti-brie per instillare un briciolo di remissività nel padre testardo. Né Wulfgar, né Drizzt e tantomeno gli dèi avrebbero mai potuto spegnere il fuoco inestinguibile che ardeva in fondo agli occhi di Catti-brie. Capitolo 3 Trattative L'ottavo re di Mithril Hall, affiancato dai suoi quattro amici e a capo di duecento nani guerrieri, era agghindato più per una battaglia che per anda-
re a parlamentare con il nemico. Bruenor indossava l'elmo ammaccato da cui sporgeva un solo corno poiché l'altro era stato spezzato molto tempo prima, e una preziosa armatura di mithril il cui petto era attraversato da fasce verticali di metallo argenteo che scintillavano sotto la luce delle torce. Sullo scudo che teneva al braccio era riportato un boccale di birra spumeggiante, l'emblema del clan Martello di guerra. A portata di mano, da un anello della cintura pendeva la sua ascia costellata da una miriade di tacche, per ognuna delle quali era caduto un nemico, la maggior parte dei quali appartenevano alla razza dei goblin. Wulfgar era avvolto in una veste di pelle e appeso al muscoloso torace portava una testa di lupo. Camminava dietro al nano con Aegis-fang appoggiato sull'incavo del braccio. Catti-brie camminava al suo fianco con Taulmaril a tracolla, ma i due giovani scambiavano poche parole. La tensione fra loro era quasi palpabile. Drizzt si trovava alla destra del re, mentre Regis trotterellava a poca distanza per non perderli di vista. Guenhwyvar, l'agile e possente pantera, i cui muscoli scattavano a ogni passo, procedeva all'estrema destra del gruppo, scomparendo nella penombra non appena il cunicolo si allargava. La luce tremolante delle torce strette nelle mani di un gran numero di nani che marciava alle loro spalle gettava cupe ombre che accarezzavano le pareti della galleria. I cinque amici procedevano con passo guardingo, anche se non avevano alcun timore di venire sorpresi, forti della presenza di Drizzt e Guenhwyvar. La pantera nera dell'elfo scuro era infatti molto abile nell'aprire la strada. Nulla avrebbe potuto sorprendere quel gruppo di valorosi. L'intero plotone era pronto per la battaglia. Le teste erano protette da resistenti elmi, i corpi da pesanti armature e le dita strette attorno ad armi infallibili. Ogni nano era armato di un martello o un'ascia per i tiri a lunga gittata, mentre un drappello trasportava un terribile marchingegno che sarebbe servito se i nemici si fossero avvicinati un po' troppo. In mezzo al plotone quattro nani in fila sorreggevano un pesante asse di legno sulle spalle tracagnotte. Altri nani al loro seguito trasportavano grossi anelli di pietra, pesanti matasse di corda, lunghi pali dentellati, catene e lamine di metallo flessibile che costituivano quello che Bruenor aveva definito un giocattolo per i goblin quando i suoi compagni lo avevano guardato con evidente sorpresa. Mentre osservava quei pesanti arnesi, Drizzt cercò di immaginare l'effettivo divertimento che i goblin avrebbero potuto trarre da quello strano aggeggio.
Nel punto in cui la galleria si biforcava in un cunicolo a destra trovarono un cumulo di ossa di gigante su cui erano appoggiati due enormi teschi, ciascuno dei quali sufficientemente grande perché un nanerottolo vi ci potesse nascondere dentro. «Ettin,» bofonchiò Bruenor ripensando a molti anni prima, quando con il viso cosparso di giovane peluria aveva abbattuto quei mostri. Alla successiva biforcazione incontrarono il generale Dagna e la sua avanguardia composta da altri trecento nani armati di tutto punto. «Il parlamento è pronto,» spiegò Dagna. «I goblin si sono riuniti in un'ampia grotta a un migliaio di passi di distanza da qui.» «Ci fiancheggerai?» si informò Bruenor. «Sì, ma anche i goblin faranno lo stesso,» spiegò il comandante. «Hanno mandato un plotone di quattrocento soldati puzzolenti. Ho dato ordine a Cobble e ai suoi trecento guerrieri di aggirare la grotta e fermarsi dall'altra parte per impedire la fuga.» Bruenor annuì. Il peggio che poteva aspettarsi era un esercito pressoché uguale numericamente, ma lui era disposto a gettare ogni suo nano contro cinque goblin. «Io entro con un centinaio di soldati,» disse il re. «Un altro centinaio andrà a destra, con il giocattolo, mentre il resto lo lascio a te. Non piantarmi in asso se mai avessi bisogno del tuo aiuto!» Dagna soffocò una risata divertita, ma l'espressione del suo viso si fece improvvisamente seria. «Devi proprio essere tu a parlamentare con loro?» chiese a Bruenor. «Io non mi sono mai fidato dei goblin.» «Oh, sicuramente mi hanno preparato uno scherzo, o io non sono più un nano dalla barba rossa,» ribatté Bruenor. «Ma se la memoria non mi inganna, negli ultimi cent'anni questa marmaglia non ha avuto modo di far salotto con i nani e non v'è ombra di dubbio che ci sottovalutino un po' troppo.» Si salutarono con una vigorosa stretta di mano e Dagna si allontanò subito dopo, accompagnato dai tonfi cadenzati degli stivali dei suoi trecento soldati, e parve quasi che lungo quelle gallerie si stesse allontanando una tempesta estiva. «Le azioni furtive non sono mai state il punto forte dei nani,» mormorò Drizzt con voce asciutta. Regis indugiò a lungo con lo sguardo sul plotone di nani che si allontanava, e dopo un attimo di esitazione rivolse lo sguardo all'altro gruppo che trasportava l'asse, i dischi di pietra e quella miriade di altri orpelli.
«Se la fifa ti fa tremare la pancia...» cominciò a dire Bruenor scambiando l'interesse del nanerottolo per paura. «Sono arrivato fin qui, non ti pare?» lo apostrofò Regis in tono scontroso, e l'insolita espressione della sua voce attirò su di sé lo sguardo degli amici. Ma all'improvviso, con un gesto tipico del nanerottolo, Regis si sistemò la cintura sul ventre rigonfio, drizzò le spalle e rivolse lo sguardo altrove. Gli altri scoppiarono a ridere, ma Drizzt continuò a osservarlo incuriosito. Regis era effettivamente là con loro, ma l'elfo non riusciva a capire la ragione che l'aveva spinto a seguirli. Affermare che Regis non era un nanerottolo d'azione sarebbe equivalso ad affermare un'altra verità irrefutabile, ovvero che Regis era un gran mangione. Alcuni istanti più tardi, i soldati che proteggevano le spalle del re entrarono nella grotta passando sotto a un'imponente arcata di pietra che sovrastava un enorme lastrone rialzato di alcuni piedi rispetto al pavimento della zona centrale della caverna, dove li stavano attendendo i goblin. Drizzt notò con viva curiosità che in quell'area non esistevano stalagmiti, formazioni rocciose che invece costellavano il resto di quel vasto antro. Dal soffitto basso, a poca distanza dalla testa dell'elfo, pendevano numerose stalattiti e Drizzt non poté fare a meno di chiedersi come mai il loro incessante gocciolio non avesse creato altrettante rocce speculari. L'elfo scuro e Guenhwyvar si spostarono di lato, allontanandosi dall'alone di luce delle torce di cui gli occhi abituati alle tenebre di Drizzt non avevano bisogno. Scivolando all'ombra di un gruppo di stalattiti, i due sembrarono svanire nel nulla. Anche Regis li seguì, a pochi passi di distanza. «Hanno rinunciato al posto migliore ancor prima di iniziare,» sussurrò Bruenor a Wulfgar e Catti-brie. «Credevate che i goblin fossero un po' più brillanti, vero?» Il nano rimase a lungo meditabondo, mentre con lo sguardo esaminava i bordi di quella sorta di promontorio roccioso. Notò con sorpresa che la pietra era stata lavorata con arnesi particolari, in modo che potesse venir collocata proprio in quella parte della caverna. Socchiuse gli occhi in preda a un improvviso sospetto e si girò verso il punto in cui Drizzt era scomparso. «Credo che sia un vantaggio trovarci quassù per parlamentare con loro,» disse Bruenor a voce alta. Nell'ombra Drizzt capì. «È una trappola bell'e buona,» borbottò Regis dietro le spalle dell'elfo.
Drizzt ebbe un sussulto. Non si era accorto che il nanerottolo si era avvicinato e si chiese quale oggetto magico nascondesse nelle pieghe della sua tunica che gli permetteva di muoversi così silenziosamente. Seguendo la direzione dello sguardo di Regis, Drizzt osservò il vicino bordo della piattaforma e scorse una sottile stalagmite dall'estremità smussata sporgere dalla pietra. «Con un colpo ben assestato non sarà difficile buttarla giù,» osservò Regis. «Non muoverti di qui,» disse Drizzt trovandosi pienamente d'accordo con l'osservazione dell'ingegnoso nanerottolo. Forse i goblin avevano accuratamente preparato il campo di battaglia, pensò mentre usciva dalla penombra affinché i nani lo vedessero. Con un ampio gesto del braccio disse a Bruenor che sarebbe andato a controllare e assieme a Guenhwyvar si allontanò. I nani erano entrati tutti ormai e per precauzione Bruenor cercava di tenerli allineati lungo il margine più lontano della piattaforma semicircolare. Affiancato da Wulfgar e Catti-brie, Bruenor avanzò d'un passo e si fermò davanti all'orda di goblin. Erano molto più di un centinaio, forse il doppio, a giudicare dal puzzo e dal numero di occhi iniettati di sangue rivolti verso l'alto. «Siamo venuti a trattare,» urlò Bruenor nella lingua gutturale dei goblin. «Com'eravamo d'accordo.» «Parla,» rispose un goblin in lingua franca. «Cos'hanno i nani da offrire a Gar-yak e ai suoi mille guerrieri?» «Mille?!» ripeté Wulfgar sollevando un sopracciglio. «I goblin non sanno nemmeno contare le dita di una mano,» gli ricordò Catti-brie. «Altro che dita,» sussurrò Bruenor. «Questi stanno cercando grane. Lo sento.» Wulfgar scoccò a Catti-brie un'occhiata di superiorità, ma quell'espressione svanì presto dal suo volto poiché la giovane donna non lo stava nemmeno guardando. *
*
*
Drizzt scivolò di ombra in ombra, avanzò di macigno in macigno e sgattaiolò fino al ciglio del ripiano roccioso. Proprio come aveva osservato Regis, ed egli stesso si era aspettato, la piattaforma poggiava su solide sta-
lattiti decapitate ed era composta da una serie di lastroni levigati. I goblin avrebbero divelto i supporti in modo da far cadere i nani nella parte centrale della caverna. Massicci cunei di acciaio erano stati inseriti fra le stalattiti più esterne, in attesa che un colpo di maglio li facesse saltare. Ma sotto la roccia non vide un goblin in attesa di far scattare la trappola, bensì un ettin, un disgustoso gigante a due teste. Nonostante fosse appiattito al suolo, il suo corpo era alto quanto Drizzt, e l'elfo era sicuro che se si fosse alzato in piedi avrebbe sfiorato il soffitto della caverna. Le sue braccia nude erano grosse quanto il torace di Drizzt e in ogni mano stringeva una pesante mazza borchiata, mentre le due teste si guardavano l'un l'altra, impegnate in una fitta conversazione. Drizzt non sapeva se i goblin desiderassero parlamentare onestamente con i nani e avessero intenzione di far cadere la piattaforma solo in caso di attacco, ma una seconda occhiata a quel pericoloso gigante fugò ogni dubbio. Non poteva correre un rischio così grande. Con il favore delle lunghe ombre gettate dai pilastri di roccia, si calò oltre il bordo e scomparve nell'oscurità, poco lontano dal fianco del gigante in agguato. Quando intercettò gli occhi verdi del felino dall'altra parte dell'ettin, Drizzt capì che Guenhwyvar si era silenziosamente appostata. *
*
*
In mezzo ai ranghi dei goblin venne innalzata una torcia e tre creature dalla pelle giallastra avanzarono con passo dinoccolato. «E allora,» sbuffò Bruenor annoiato oltre misura da quell'incontro. «Chi di voi è Gar-yak?» «Gar-yak è indietro con gli altri,» rispose il più alto lanciando un'occhiata alle spalle. «Il loro atteggiamento lascia intendere che ci saranno guai,» mormorò Catti-brie facendo scivolare l'arco dalla spalla con un gesto discreto. «Quando il capo si trova al sicuro nelle retrovie, i goblin vogliono combattere.» «Va' a dire al tuo Gar-yak che non vogliamo uccidervi,» disse Bruenor con voce decisa. «Il mio nome è Bruenor Martello di guerra.» «Martello di guerra?» ripeté il goblin sputando. «Allora saresti il re dei nani?» «Preparatevi,» sibilò Bruenor a denti stretti ai suoi amici mentre la mano di Catti-brie si appoggiava mollemente sulla faretra allacciata al fianco.
Bruenor annuì lentamente. «Re!» tuonò il goblin guardando l'orda di mostri alle sue spalle mentre la sua mano disgustosa indicava fremente il nano davanti a loro. I guerrieri nani compresero il vero significato di quel grido molto prima dei loro stupidi avversari, e un istante più tardi nella grotta echeggiarono le loro urla di guerra. *
*
*
Drizzt non ebbe dubbi su quanto stava accadendo sopra la sua testa e agì con la rapidità di un fulmine. L'ettin portò le mazze dietro le teste per colpire, ma dalle sue labbra uscì un urlo di sorpreso dolore poiché la pantera gli aveva azzannato il polso mentre la lama affilata di una scimitarra gli si era conficcata nell'ascella. Le teste del mostro si mossero contemporaneamente con un gesto goffo e una si voltò verso Drizzt mentre l'altra verso Guenhwyvar. Ma prima ancora che l'ettin fosse in grado di capire quanto gli stava succedendo, la seconda scimitarra di Drizzt gli sfregiò gli occhi sporgenti. Il gigante cercò di liberarsi per attaccare quell'infido elfo, ma Drizzt scivolò agilmente sotto il suo braccio e si avvicinò fulmineo alle teste vulnerabili del mostro. Dall'altra parte Guenhwyvar affondò i suoi denti acuminati nella carne e conficcò gli artigli nella roccia in modo da immobilizzare il gigante in una mortale presa. *
*
*
«Drizzt l'ha preso!» esclamò Bruenor quando la roccia ondeggiò sotto ai suoi piedi. Il fallimento di quella semplice e ridicola trappola aveva gettato i goblin in netto svantaggio. Quelle stupide creature urlavano e si dimenavano mentre si avvicinavano scagliando rozze lance che mai avrebbero raggiunto il bersaglio. Il contrattacco dei nani fu più ordinato ed efficace. Catti-brie si trovava in prima fila con Taulmaril, l'Arco Spezzacuori, appoggiato al petto. Scoccò la prima freccia magica. Quello strale argenteo descrisse una scia abbagliante nel suo volo foriero di morte. Squarciò il torace di un goblin, ne traforò un altro e si conficcò nel cuore della creatura che gli stava alle spalle. Tre goblin stramazzarono a terra privi di vita.
Un centinaio di nani si lanciarono alla carica urlando e brandendo le pesanti asce e i temibili martelli contro l'orda tumultuosa dei goblin. Catti-brie scoccò un'altra freccia, poi un'altra ancora e con soli tre lanci riuscì a uccidere otto avversari. Inspirò a fondo soddisfatta e fu allora che la donna lanciò un'occhiata di fuoco a Wulfgar che, in preda a un violento imbarazzo, distolse subito lo sguardo. La roccia fremette paurosamente e Bruenor udì i ruggiti di morte del gigante ferito. «Giù!» ordinò il re con voce poderosa per sovrastare il fragore della battaglia. I nani agguerriti non avevano bisogno dell'incoraggiamento del loro re poiché le prime file di goblin erano giunte ormai a tiro. Sul nemico si riversò una gragnuola di proiettili viventi, e quello che non poterono le armi di metallo e legno venne compiuto da pesanti stivali e pugni nodosi. *
*
*
Un supporto si spezzò quando l'ettin lo colpì inavvertitamente nel tentativo di sollevare la mazza contro Drizzt, e la piattaforma piombò sul mostro schiacciandolo. Drizzt si accoccolò accanto al fianco del gigante meravigliato dalla stupidità con cui i goblin, e l'ettin stesso, avevano elaborato quella trappola. «Come pensavi di uscire da questo buco?» gli chiese l'elfo pur sapendo che il gigante non era in grado di capirlo. Drizzt scosse il capo provando una sorta di segreta compassione per l'ingenuità dell'avversario, ma con un gesto fulmineo roteò le scimitarre davanti al viso e alla gola del mostro mentre Guenhwyvar balzava contro la seconda testa e affondava i suoi artigli nel collo dello sventurato. Alcuni istanti più tardi l'elfo e il felino sgusciarono da sotto la piattaforma. Consapevole del fatto che avrebbe sfruttato meglio le proprie doti altrove, Drizzt evitò la confusione della mischia e si avvicinò alla parete della caverna. In quell'androne confluivano decine e decine di cunicoli dai quali si riversavano fiumi di goblin. Ma con la coda dell'occhio l'elfo notò gli alleati di quella masnada scomposta. Nascosti dietro alle stalagmiti vide numerosi ettin che attendevano il momento propizio per unirsi ai loro compagni. *
*
*
Catti-brie, a gambe divaricate sulla piattaforma e con la corda dell'arco che non smetteva un attimo di tendersi e rilassarsi, fu la prima a scorgere Drizzt che risaliva una massiccia stalagmite sul lato sinistro della caverna invitando Wulfgar e lei ad avvicinarsi con un gesto del braccio. Proprio in quel momento un goblin uscì dalla massa e si scagliò contro la donna, ma Wulfgar gli sbarrò il passo e con una potente martellata lo scaraventò in mezzo alla grotta. Il barbaro si voltò di scatto per accogliere l'attacco di un altro goblin che si stava avvicinando al suo fianco con una lancia acuminata puntata contro di lui. L'arma nemica l'avrebbe trafitto se non fosse stato per una freccia scoccata da Catti-brie che spappolò il cervello dello sventurato. «Drizzt ha bisogno di noi,» disse Catti-brie attraversando quel lastrone traballante mentre Wulfgar la seguiva abbattendo tutti i goblin che osavano ostacolarlo. Quando furono sufficientemente lontani dall'infuriare del combattimento, Drizzt indicò a Catti-brie di fermarsi e a Wulfgar di avanzare con estrema cautela. «Ha trovato i giganti,» mormorò Regis alle loro spalle. «Dietro a quelle rocce.» Drizzt aggirò la stalagmite e compì una serie di vorticose capriole quando un ettin gli si avventò addosso brandendo due pesanti mazze che ondeggiavano pronte a colpirlo. Ma quando la freccia di Catti-brie si conficcò nel torace del mostro incenerendo la lurida pelliccia che indossava, la creatura si erse in tutta la sua altezza irrigidendo la schiena. Una seconda freccia gli fece perdere l'equilibrio, mentre alla tonante invocazione di Tempus Wulfgar scagliava il suo martello che sfracellò la testa del nemico. Guenhwyvar uscì con un balzo felino dal suo nascondiglio dietro le rocce per avventarsi contro un secondo ettin che stava caricando contro di loro. Gli artigli dilaniarono il suo corpo senza pietà, mirarono con precisione agli occhi del mostro finché Drizzt non fu abbastanza vicino per ucciderlo con le sue scimitarre. Il terzo gigante si fece avanti dall'altro lato della roccia, ma Catti-brie lo precedette. Il violento impatto della freccia lo fece girare su se stesso, lo mandò a sbattere contro la parete della caverna e con un rantolo raccapricciante il mostro stramazzò a terra. Wulfgar si protese in avanti e allungato un braccio afferrò il martello che
magicamente stava ritornando a lui. Drizzt aveva già dato il colpo di grazia all'ettin quando Wulfgar lo raggiunse. L'elfo scuro e il barbaro si prepararono ad accogliere fianco a fianco la nuova ondata di mostri. «Come ai vecchi tempi,» disse Drizzt. Un lampo accecante passò davanti ai loro visi. I due amici ammiccarono sbalorditi quando si resero conto che una freccia di Catti-brie era passata a un palmo di distanza dai loro nasi per andarsi a conficcare nel ventre del gigante più vicino. «Va per le spicce, la ragazza,» osservò l'elfo, ma non attese una risposta perché fletté le ginocchia e rotolò davanti ai piedi di Wulfgar. Il barbaro capì al volo la tattica d'attacco dell'elfo. Sollevò Aegis-fang sopra Drizzt e attese che l'ettin si chinasse per colpire l'amico. Il martello investì in pieno la tempia di una testa. L'altra testa ondeggiò stordita e disorientata nel tentativo di riprendere il controllo dell'intero corpo. Ma quell'attimo di indecisione gli fu fatale, perché Drizzt scattò in piedi e con un gesto perfettamente sincronizzato sforbiciò le braccia tracciando due ferite parallele sulla gola del gigante con la punta delle scimitarre. L'ettin lasciò cadere le mazze e portò le mani alla ferita, ma una freccia pose fine al suo rantolo di morte. Altri due mostri fecero capolino da dietro la formazione rocciosa, ma avevano potuto apprezzare a sufficienza l'abilità dei tre amici a debita distanza, e preferirono darsi alla fuga lungo un cunicolo laterale, ignari che stavano correndo fra le braccia dell'esercito di Dagna. Alcuni istanti più tardi da quello stesso cunicolo uscì barcollando un ettin orribilmente ferito inseguito da un diluvio di martelli e asce che sbattevano inclementi contro le sue spalle ricurve. Prima che Drizzt, Wulfgar o persino Catti-brie con il suo arco potessero attaccarlo, l'imboccatura del cunicolo vomitò una moltitudine di nani che si riversò nella caverna e si scagliò contro il mostro investendolo con una profusione di mortali colpi. Drizzt lanciò un'occhiata a Wulfgar e si strinse nelle spalle. «Non temere, amico,» mormorò il barbaro con un sorriso. «Ce ne sono molti altri che attendono di assaggiare il filo delle nostre armi!» E dopo aver invocato ancora una volta il dio della guerra con voce tonante, Wulfgar si lanciò nella mischia cercando di individuare con lo sguardo l'elmo di Bruenor in mezzo a quel groviglio di corpi. Drizzt non lo seguì poiché preferiva i combattimenti corpo a corpo. Richiamò Guenhwyvar al suo fianco e camminando rasente alla parete uscì dalla caverna.
Aveva fatto pochi passi quando il cupo ringhio della pantera lo avvertì che Regis lo stava seguendo a pochi passi di distanza. *
*
*
Bruenor si rese conto di non essersi sbagliato a valutare l'abilità dei suoi nani a mano a mano che l'offensiva dei goblin si stava inesorabilmente tramutando in una vera e propria rotta. I colpi sferrati contro le resistenti armature dei suoi soldati avevano dimostrato ai goblin che le loro rozze spade e rudimentali mazze non potevano competere con le armi di metallo temprato dei loro nemici. Inoltre, l'addestramento ineccepibile dell'esercito di Bruenor consentiva ai guerrieri di avanzare compatti e non perdere la calma nonostante la confusione e le urla dei morenti. I goblin vennero falcidiati senza pietà, e i pochi che riuscivano a fuggire si ritrovavano davanti i guerrieri di Dagna che attendevano pazientemente il loro arrivo. In quel bailamme Catti-brie dovette aguzzare lo sguardo per evitare di colpire involontariamente qualche nano. Mirò il suo arco soprattutto contro quei goblin che abbandonavano il campo di battaglia per mettersi in salvo. Nonostante la sua accorata richiesta di parlamentare con il nemico per garantire il diritto alla difesa e le sue veementi accuse a Bruenor e agli amici, Catti-brie non poté fare a meno di assaporare l'emozione intensa e la strana sensazione che si impossessavano del suo corpo ogni volta che sollevava Taulmaril, l'Arco Spezzacuori, e tendeva la corda per scoccare una freccia. Anche gli occhi di Wulfgar brillavano di una luce esagitata. Cresciuto in mezzo a un popolo bellicoso, il barbaro aveva imparato l'arte del combattimento in tenera età, ma la rabbia e il furore che lo investivano erano stati saggiamente addolciti quando Bruenor e Drizzt gli avevano insegnato ad apprezzare il valore del nemico e a capire quanto dolore avevano provocato le guerre dichiarate dalle tribù barbare. Quella battaglia non poteva essere ritenuta una colpa, non contro i malefici goblin, pensò Catti-brie vedendo Wulfgar allontanarsi dal cumulo di ettin morti per gettarsi nella mischia con un poderoso urlo di guerra. Il barbaro non trovò alcun bersaglio a portata di mano, ma non sembrò darsi pena perché con la coda dell'occhio aveva intravisto un gruppo di goblin allontanarsi dalla parte centrale della caverna e dirigersi verso di lui. I primi tre vennero spazzati via da un colpo di traverso di Aegis-fang.
Due stramazzarono a terra privi di vita, mentre i goblin alle loro spalle continuarono ad avanzare guardandolo sbigottiti e con uno scarto repentino cercarono di aggirarlo. La testa di un goblin venne investita da Aegis-fang. Wulfgar non tentò nemmeno di frenare la rincorsa della sua arma. Parò una spada e descrivendo un ampio cerchio sfracellò la mandibola sinistra dell'avversario scaraventandolo contro la parete della grotta. Il barbaro avvertì qualcosa pungolargli il fianco e indietreggiò di scatto prima che la punta di una spada gli mordesse la carne. Allungò la mano libera e afferrò la creatura per il bavero sollevandolo da terra, ma quando si rese conto che avrebbe potuto colpirlo con la spada cominciò a scuoterlo con tale vigore che lo sventurato non fu in grado nemmeno di muovere un dito. Wulfgar cominciò a girare su se stesso sfruttando l'irruenza del suo stesso movimento per sbaragliare con il martello che brandiva con una sola mano i nemici che si avvicinavano. Un goblin cercò di sorprenderlo alle spalle. Sollevò il braccio pronto a colpirlo, ma Aegis-fang gli sfracellò la mano e concluse il suo mortale arco contro la mascella aperta dallo sgomento. La creatura cadde supina con la testa orribilmente affondata nel terreno melmoso. Il goblin ancora sospeso a mezz'aria cercava invano di ferire i possenti bicipiti di Wulfgar. Il barbaro lo lasciò cadere a terra con aria annoiata, lo investì con una gragnuola di colpi e non smise finché non sentì il secco strappo delle ossa del collo. Scorse di sfuggita un nugolo di altri goblin che si avvicinava e giratosi di scatto scaraventò il cadavere del loro compagno contro di loro. «Tempus!» tuonò Wulfgar e afferrato Aegis-fang con entrambe le mani e sventolandolo con veemenza si precipitò contro il nemico. I goblin che non riuscirono a sfuggire a quella carica furiosa e ad allontanarsi dalla micidiale arma caddero esanimi al suolo. Wulfgar ormai era inebriato dal combattimento e si girò di nuovo per andare incontro a un altro manipolo di nemici. I goblin avevano chiamato a raccolta il poco coraggio e la poca forza rimasti, ma quando videro l'imponente guerriero girarsi verso di loro e avanzare con un'espressione minacciosa si sparpagliarono per la caverna nel vano tentativo di mettersi in salvo. In una rapida successione di movimenti Wulfgar abbassò il braccio e lanciò il martello uccidendo i malcapitati che correvano nella stessa direzione di Aegis-fang. Si girò di nuovo per andare incontro all'ennesimo
gruppo di goblin che testardamente avevano intenzione di attaccarlo. Ma anch'essi fuggirono, incuranti del fatto che il feroce umano fosse disarmato. Wulfgar ne afferrò uno per un braccio, lo voltò con un gesto brusco e lo colpì in pieno viso facendolo cadere svenuto a terra proprio nel momento in cui Aegis-fang gli ritornava fra le mani rinfocolando la furia devastatrice che gli faceva ribollire il sangue. *
*
*
Bruenor appoggiò uno stivale contro la spalla della sua ultima vittima e fece leva per estrarre l'ascia dal torace del goblin. Quando riuscì a liberare l'arma, un fiotto di sangue sgorgò dalla ferita investendolo in pieno viso. Bruenor non si dette pena nemmeno di scostarsi. Dopotutto i goblin erano creature infide e quel repulisti generale avrebbe sicuramente giovato al buon andamento di tutto il suo regno. Con un sorriso soddisfatto stampato sul viso il re si aggirò in mezzo al guazzabuglio di corpi sudati e stanchi alla ricerca di un altro bersaglio. Un goblin gli si scagliò contro e la mazza sbatté violentemente spezzandosi in due contro il suo prezioso scudo. La fetida creatura rimase a osservare con aria sbalordita la propria arma, ma quando sollevò il capo per guardare l'avversario fece appena in tempo a vedere l'implacabile lama di Bruenor conficcarglisi in mezzo agli occhi. Un improvviso bagliore saettò davanti allo sguardo estasiato del nano. Bruenor comprese che quella era opera di Catti-brie, e a pochi passi di distanza vide un goblin imprigionato contro la parete della grotta da una freccia argentea. «Una mira infallibile,» mormorò fra sé mentre si girava a guardare la figlia, ma solo allora si accorse che un goblin stava salendo sulla piattaforma. «E tu, cosa vorresti fare?» urlò il nano saltando sulla lastra di pietra con un'agile capriola. Si rialzò di scatto fermandosi a pochi passi dalla creatura, pronto ad attaccare, ma un altro bagliore lo costrinse a indietreggiare e coprirsi gli occhi. Il goblin rimase immobile un istante. Abbassò lo sguardo verso il torace aspettandosi di vedere una freccia, ma quando scorse un enorme buco vi infilò un dito nel vano tentativo di fermare il sangue che sgorgava copioso. La creatura vacillò e dopo un attimo di esitazione si accasciò al suolo.
Bruenor appoggiò le mani ai fianchi e scoccò un'occhiata inferocita alla figlia. «Ragazza,» bofonchiò con aria seria. «Mi stai rovinando tutto il divertimento!» Le esili dita di Catti-brie tesero di nuovo la corda, ma inspiegabilmente indugiarono a lungo. Bruenor osservò la figlia con malcelata sorpresa, ma quando la mazza di un goblin lo colpì alla nuca, capì. «Quello te l'ho lasciato,» disse Catti-brie stringendosi nelle spalle per scrollarsi di dosso l'occhiata di fuoco con cui il padre l'aveva trafitta. Bruenor non ebbe il tempo di risponderle a modo. Sollevò lo scudo con un gesto fulmineo per parare l'attacco successivo e roteò l'ascia con forza. Il goblin ritrasse la pancia e indietreggiò di un passo. «Un salto troppo corto,» precisò il nano nella lingua dei goblin mentre la sua arma lo sventrava. La creatura si guardò la pancia mentre una smorfia orripilante gli storpiava il viso. «Non avresti dovuto attaccarmi alle spalle,» disse Bruenor Martello di guerra quasi in tono di scusa mentre con un secondo colpo gli spezzava il collo. Dopo aver sgomberato la piattaforma dai nemici, Bruenor e Catti-brie rivolsero lo sguardo alla parte centrale della caverna dove il furore della battaglia si stava affievolendo. Dopo un attimo di esitazione Catti-brie abbassò l'arco e ripose la freccia nella faretra. I pochi goblin superstiti stavano fuggendo a gambe levate e si stavano dirigendo verso la retroguardia del generale Dagna. Bruenor balzò dal bordo del lastrone di pietra e unì il suo esercito a quello del generale circondando quanto era rimasto dell'orda scomposta di goblin in una morsa mortale. Capitolo 4 Il gioco dei nani Drizzt scivolò lungo un cunicolo tranquillo lasciandosi alle spalle il clangore delle armi. Procedeva con animo sereno poiché sapeva che Guenhwyvar, la sua ombra, lo precedeva silenziosamente a pochi passi di distanza. L'unica cosa che lo preoccupava era la presenza di Regis che sembrava
incollato alle sue spalle, ma fortunatamente il nanerottolo camminava senza far rumore, tenendosi ben nascosto nella penombra. Avrebbe voluto chiedergli la ragione per cui si ostinava a seguirlo, ma decise di non aprire bocca per non tradire la loro presenza nella galleria. Non riusciva a immaginare come Regis, creatura incapace di difendersi e lottare, si fosse buttato a capofitto fra i pericoli della battaglia. Avvertì che la pantera si era fermata e incrociò il suo sguardo. Il felino più nero della stessa notte oltrepassò un'apertura ed entrò in una sorta di caverna dalla quale proveniva l'inconfondibile grugnito dei goblin. Drizzt si voltò verso Regis e individuò gli occhi rossastri che, come i suoi, erano in grado di vedere nel buio grazie al calore sprigionato dai corpi. Anche i nanerottoli erano dotati di un'ottima vista, ma non come gli elfi scuri o i goblin. Dopo aver alzato una mano per invitare Regis a fermarsi e aspettarlo là, Drizzt seguì la pantera. Almeno sei o sette goblin erano riuniti al centro della piccola grotta e si aggiravano disordinatamente fra la miriade di stalagmiti che costellavano il terreno. Drizzt avvertì un lieve movimento alla sua destra, lungo la parete, e si rese conto che Guenhwyvar si stava appostando in attesa della sua prima mossa. La pantera era una meravigliosa compagna di battaglia, si sorprese a pensare l'elfo. Guenhwyvar lasciava sempre che fosse Drizzt a determinare il corso del combattimento e aspettava il momento più opportuno per accorrere a dare man forte al suo padrone. L'elfo si avvicinò alla stalagmite più vicina, avanzò carponi fino alla successiva formazione rocciosa e con un'abile capriola raggiunse quella più vicina alla preda. Contò nove goblin, tutti impegnati a discutere animatamente sul da farsi. Non vide sentinelle o guardie e si rese conto che quelle creature non si erano nemmeno accorte di non essere sole. Un goblin si aggirò per la grotta e si avvicinò a una stalagmite per appoggiarvisi e riposare, allontanandosi dai suoi compagni di una mezza dozzina di passi. Una scimitarra fendette l'aria squarciandogli le viscere e lacerandogli la gola prima ancora che potesse dare l'allarme. Ne rimanevano otto, pensò Drizzt trascinando il cadavere dietro alla roccia, e dopo aver preso il posto dell'avversario appoggiò la schiena contro la stalagmite. Quando, qualche istante più tardi, un goblin lo chiamò Drizzt abbozzò un sorriso soddisfatto e come tutta risposta emise un suono gutturale. Una mano gli si appoggiò sulla spalla, ma l'elfo non si mosse.
Il goblin gli dette una manata più forte, e poi una terza, ma dopo un attimo di esitazione la creatura cominciò a palpare quel corpo nascosto sotto il pesante mantello e lentamente si rese conto che era troppo grande rispetto a quello del compagno. Il goblin sbirciò da dietro il masso con un'espressione meravigliata sul volto disgustoso. Ne rimanevano sette, contò Drizzt balzando in avanti descrivendo un elaborato arabesco con le scimitarre. I due goblin più vicini caddero silenziosamente al suolo, mentre gli altri cinque si sparpagliarono per l'antro gridando e sbattendo fra di loro. Un goblin si avvicinò a Drizzt vomitando una sequela di parole incomprensibili e con un braccio alzato sopra la testa e la mano aperta, quasi in un gesto di amicizia, ma quando comprese di trovarsi davanti a un elfo scuro e non a un suo compagno cominciò a indietreggiare terrorizzato. Drizzt abbassò le braccia e incrociò le scimitarre davanti al torace del goblin aprendo due enormi squarci che si intersecavano all'altezza del cuore. Guenhwyvar si mosse fulminea alle spalle dell'elfo e con un morso deciso ammazzò il goblin che stava tentando di fuggire dall'altro capo della caverna. I due goblin superstiti cercarono di vincere la sorpresa e di scagliarsi contro l'elfo in modo coordinato sfoderando le armi. Uno lanciò la mazza dopo aver preso la rincorsa dondolando con forza il braccio, ma Drizzt parò il colpo poco dopo che il manico aveva abbandonato la mano del goblin. Con la stessa scimitarra con cui aveva scaraventato lontano l'arma nemica, Drizzt aprì sei ferite mortali nel torace dello sventurato. Il goblin lo guardò esterrefatto e scivolò a terra privo di vita. Nel frattempo la seconda scimitarra teneva a bada i disperati affondi dell'altro goblin che quando si ritrovò faccia a faccia con Drizzt capì di essere perduto. In preda alla disperazione gli scagliò addosso la sua piccola spada e fuggì correndo verso lo sperone di roccia più vicino. La reazione improvvisa di quella creatura disorientò l'elfo. Drizzt imprecò contro la buona sorte del goblin che era riuscito a sfuggirgli. Non voleva lasciare superstiti, ma aveva sbagliato a far di conto e a quanto aveva veduto ne erano rimasti altri due che stavano fuggendo in direzioni opposte. Un attimo più tardi l'elfo udì un tonfo sordo echeggiare da dietro un pilastro di roccia e il goblin che aveva timidamente cercato di colpirlo lanciandogli la spada pochi istanti prima indietreggiò barcollando e cadde a
terra con il cranio sfasciato. Da dietro la roccia fece capolino Regis. In mano stringeva una piccola mazza borchiata. Il nanerottolo gli lanciò un'occhiata furtiva e si strinse nelle spalle. Drizzt lo guardò oltremodo meravigliato, ma non aveva un attimo da perdere. Si girò di scatto e si lanciò all'inseguimento dell'ultimo goblin che ormai stava per imboccare un cunicolo dall'altra parte della grotta. Avanzò con passo veloce e con la coda dell'occhio notò il muso di Guenhwyvar imbrattato di sangue. La pantera stava correndo al suo fianco e presto si sarebbe scaraventata sul goblin che ormai non aveva scampo. Ma davanti all'apertura della galleria il goblin si fermò. Drizzt scartò di lato e assieme a Guenhwyvar si rifugiarono dietro a un masso proprio nel momento in cui misteriose esplosioni avvolsero il corpo del nemico. Il fragore e le urla echeggiarono nella caverna. Il goblin si contorse dal dolore mentre brandelli di vesti e carne venivano proiettati in aria. Quello strano scoppiettio sostenne a lungo il corpo della creatura, e quando infine tutto si placò il cadavere si accasciò lentamente al suolo mentre sottili pennacchi di fumo si innalzavano dalle ferite. Drizzt e Guenhwyvar rimasero immobili nel più assoluto silenzio aspettandosi l'arrivo di un nuovo inquietante mostro. La grotta si illuminò all'improvviso di una luce abbacinante. Drizzt strinse con forza l'elsa delle scimitarre mentre cercava di mettere a fuoco l'immagine. «Sono tutti morti?» disse una voce familiare. Drizzt aprì gli occhi e vide entrare Cobble il Chierico. Teneva una mano nascosta in una piccola sacca appesa alla cintura mentre con l'altra reggeva uno scudo. Altri soldati entrarono al suo seguito. «Un incantesimo fenomenale, chierico,» borbottò uno. Cobble si avvicinò per esaminare il cadavere e annuì soddisfatto mentre Drizzt usciva dal suo nascondiglio e gli andava incontro. Il chierico trasse la mano dalla bisaccia e scagliò una manciata di minuscole biglie contro l'elfo. Guenhwyvar ringhiò mentre Drizzt si accovacciava. I misteriosi sassolini caddero contro la roccia dietro alla quale pochi istanti prima si era rifugiato e scatenarono il finimondo. «Per gli dèi, Drizzt!» urlò Cobble rendendosi conto del madornale errore che aveva commesso. «Drizzt!» esclamò precipitandosi verso l'elfo che si era voltato per guardare i segni bruciacchiati sulla roccia e sul pavimento. «Stai bene?» gli chiese Cobble ansimando.
«Un incantesimo davvero fenomenale, chierico,» rispose Drizzt imitando il pesante accento dei nani e abbozzando un sorriso di sollievo. Cobble gli dette una manata sulla spalla. «Anche a me piace molto,» disse sollevando la bisaccia piena di quei minuscoli e terribili proiettili. «Ne vuoi un po'?» «Io ne vorrei una manciata,» si intromise Regis sgusciando da dietro una stalagmite vicinissima all'entrata della galleria da cui era sbucato il chierico. Drizzt si voltò e sgranò gli occhi, meravigliato dalla sorprendente agilità del nanerottolo. *
*
*
Un altro centinaio di goblin si era disposto lungo le gallerie a destra della caverna in attesa di entrare in azione dopo lo scoppio del combattimento. Ma il fallimento della trappola, l'animoso assalto delle truppe di Bruenor capeggiate dall'arco infallibile di Catti-brie, la strage degli ettin e l'arrivo dei guerrieri di Dagna avevano convinto quello sparuto gruppo di guerrieri che sarebbe convenuto loro darsi alla fuga. «Nani!» urlò un goblin e quell'esclamazione rimbalzò di bocca in bocca riattizzando la voglia di combattere, poiché si erano convinti di essersi imbattuti in una piccola banda di creature barbute, forse una pattuglia in esplorazione sperduta nel labirinto di quei cunicoli. Sembrava, però, che nonostante tutto i nani non avessero intenzione di farsi prendere, e l'inseguimento continuò. Dopo una serie di svolte e di curve i nani fuggiaschi e i goblin inseguitori si ritrovarono in una galleria dalle pareti lisce, illuminata da numerose torce, scavata parecchie centinaia d'anni prima dai nani di Mithril Hall. Per la prima volta dopo molto tempo, i nani si erano riuniti proprio là, in fondo alla galleria. Mani poderose avevano sollevato i pesanti dischi di pietra e li avevano infilati uno alla volta nell'asse di legno fino a formare un'enorme ruota cilindrica. Alle estremità del telaio erano stati inseriti alcuni perni cui fu fissata la lamina di metallo irta di acuminate borchie. Ad altri perni erano state assicurate due sbarre ricurve verso la parte posteriore del marchingegno grazie alle quali i nani avrebbero potuto spingerlo. Davanti era stato sistemato un imponente drappo su cui era disegnato un intero esercito di nani all'attacco, in modo che i goblin rimanessero in fila
fino all'ultimo momento. «Arrivano,» disse un esploratore avvicinandosi di corsa lungo la parte finale della galleria. «Saranno qui a momenti.» «I nani esca sono pronti?» chiese il capitano dello squadrone. Un altro nano annuì con espressione grave. Gli addetti alla guida della micidiale arma appoggiarono le mani sulla sbarra in corrispondenza delle tacche mentre quattro nani si disponevano davanti pronti a fingere di battere in ritirata, mentre il resto del contingente, un centinaio di nani, si allineava dietro al micidiale rullo di pietra. «Le nicchie di salvataggio sono a un centinaio di passi di distanza,» il capitano ricordò ai nani che spingevano. «Non mancate il bersaglio! Una volta messo in moto questo aggeggio, non riusciremo più a fermarlo!» In lontananza si cominciavano a udire le urla di terrore dei nani in fuga inseguiti dal vociare concitato dei goblin. Il capitano scosse il capo e la folta barba ondeggiò al ritmo della sua pacata rassegnazione. Era così facile trarre in inganno quelle creature, pensò. Bastava far credere loro di avere il sopravvento, e quei grulli si lanciavano all'inseguimento, immancabilmente. I nani esca cominciarono a correre mentre alle loro spalle gli altri presero a spingere la ruota di pietra e la retroguardia seguiva il rombo cupo del cilindro. Nella galleria echeggiarono le urla esagitate degli inseguitori che vennero sovrastate all'improvviso dal grido del capitano. «Ora!» I nani esca si dimenarono in preda a un finto terrore e fuggirono ai lati del cunicolo, mentre l'imponente giocattolo alle loro spalle prendeva velocità, sospinto dalle gambe muscolose dei loro compagni. Il fragore, dapprima sommesso poi sempre più assordante, venne accompagnato dalla cavernosa canzone dei nani: Larga è la ruota, Stretta è la galleria, Grullo d'un goblin Fuggi ben via! La carica assunse la potenza di una valanga devastatrice che avrebbe travolto inesorabilmente i goblin in preda al panico più puro. I nani esca avvisarono i loro compagni inseguiti con ampie bracciate e dopo essersi fermati accanto alle nicchie laterali cominciarono a inveire contro i goblin.
Il capitano abbozzò un sorriso al pensiero che il marchingegno sarebbe passato accanto a quei minuscoli anfratti, gli unici luoghi sicuri in tutta la galleria, pochi istanti prima dell'arrivo degli ignari goblin. Proprio come avevano immaginato, ridacchiò il nano. I soldati si unirono ai nani esca e insieme si tuffarono nelle nicchie. Il giocattolo, camuffato dietro al telo disegnato, sfrecciò a un palmo di distanza. I goblin rallentarono il loro inseguimento e si guardarono stupiti. Nelle loro bocche disgustose le urla di terrore si mescolarono ben presto alle sempre più deboli grida di guerra. Un goblin in prima linea, animato da un imprudente coraggio, si avvicinò al fittizio esercito di nani, afferrò un lembo del telo e capì l'imminenza del disastro pochi attimi prima di venire schiacciato. I nani avevano soprannominato quell'aggeggio di guerra lo spremitore, un nome ben meritato data la poltiglia che scorreva ai lati della ruota. «Cantate, miei prodi!» ordinò il capitano e il loro canto assordante accompagnò l'avanzata inesorabile e mortale dello spremitore. Ogni scossone, la testa d'un goblin scoppia! Ogni chiazza rossa, un goblin nella fossa! Correte, spingete il balocco, finché non rimarrà nemmeno un allocco. La ruota vibrò e sobbalzò. I nani che spingevano cominciarono a inciampare, ma se qualcuno cadeva altri dieci erano pronti a prendere il suo posto e spingere con rinnovato vigore. I compagni alle loro spalle si allargarono e cominciarono a dare il colpo di grazia ai goblin rimasti ancora in vita. Ma la maggior parte dei nani avanzava molto vicino al rullo poiché a mano a mano che si inoltrava nella galleria passando davanti a uscite o anfratti laterali, quei soldati uccidevano i goblin che si illudevano di aver scampato il pericolo rifugiandosi proprio lì. «Il gioco è finito!» urlò il capitano mentre i lati della ruota ricoperta di metallo sbattevano contro le pareti della galleria in una fantasmagorica pioggia di scintille. I nani avevano raggiunto il punto in cui dovevano cercare di fermare il loro marchingegno di morte. Ma la curva a gomito non fu sufficiente per rallentare la loro corsa. Poco lontano si intravedevano la fine del cunicolo e una decina di goblin che tentavano disperatamente di appiattirsi alle pareti per mettersi in salvo.
«Lasciatelo andare!» urlò il capitano e i nani obbedirono cadendo rovinosamente a terra a causa della rincorsa. Lo spremitore andò a schiantarsi contro la fine della galleria e il tremendo boato che seguì fece tremare il pavimento roccioso. I nani guardarono davanti ai loro nasi con aria soddisfatta. Non era difficile capire qual era stata la tragica fine dei pochi goblin rimasti. «Ottimo lavoro!» esclamò il capitano guardandosi alle spalle. I suoi guerrieri stavano ancora combattendo contro i fortunati che erano riusciti a evitare la forza distruttrice del rullo. Ma ormai non avevano scampo. «Un ottimo lavoro davvero!» ripeté il nano gonfiando il petto per l'orgoglio. *
*
*
Riuniti nella caverna, Bruenor e Dagna si scambiarono complimenti e abbracci di vittoria, uniti da quello spargimento di sangue nemico, com'erano soliti definire ogni scontro vittorioso. Il numero di nani feriti o uccisi era pressoché irrilevante, e né il re né il generale si sarebbero aspettati una vittoria così schiacciante. «Che ne pensi, figlia mia?» chiese Bruenor a Catti-brie quando la ragazza si avvicinò con una mano appoggiata sull'arco che ora portava a tracolla. «Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare,» rispose Catti-brie. «Nonostante i goblin avessero teso un agguato, non mi rimangio quanto ho detto. Ci siamo comportati correttamente dando loro la possibilità di trattare.» Dagna sputò il proprio disgusto, ma Bruenor annuì con aria grave. «Tempus!» tuonò la voce di Wulfgar poco lontano. Il barbaro si avvicinò a lunghi passi con Aegis-fang sollevato sopra la testa in segno di vittoria. «Sono comunque convinta che voi tutti troviate un piacere eccessivo in queste cose,» osservò Catti-brie rivolta a Bruenor, e non volendo scambiare parola con Wulfgar si girò di scatto e si allontanò per andare a medicare i feriti. «Bah!» sbottò Bruenor. «La corda del tuo arco ha suonato una bella musichetta, oggi!» Catti-brie scostò una ciocca di capelli dalla fronte e non si voltò per nascondere un lieve sorriso divertito. Mezz'ora più tardi giunse il plotone addetto allo spremitore con la noti-
zia che tutti i cunicoli orientali erano stati sgomberati dai goblin. Alcuni istanti più tardi arrivarono anche Drizzt, Regis e Guenhwyvar. L'elfo disse a Bruenor che i nani di Cobble stavano ripulendo il resto delle gallerie occidentali e quelle più lontane. «Sei riuscito a mettere le mani su qualche goblin?» gli chiese il nano. «Dopo gli ettin, voglio dire?» «Certo,» rispose Drizzt annuendo. «Anche Guenhwyvar... E Regis!» Lo sguardo incuriosito dell'elfo e del nano scivolò lentamente sul nanerottolo che se ne stava immobile poco lontano stringendo la mazza insanguinata fra le mani. Non appena si accorse che i due amici lo stavano squadrando dall'alto al basso meravigliati, Regis nascose l'arma dietro le spalle e chinò il capo con evidente imbarazzo. «Non mi sarei mai aspettato che ti unissi a noi, Pancia-che-brontola!» esclamò Bruenor. «Ero convinto che ti fossi fermato in cucina a rimpinzarti mentre noi sistemavamo le cose quaggiù.» Regis si strinse nelle spalle. «Mi sono detto che il posto più sicuro al mondo è accanto a Drizzt,» spiegò il nanerottolo. «Potremo cominciare a scavare fra poche settimane,» disse Bruenor rivolto a Drizzt. «Dopo che una spedizione di minatori avrà dichiarato sicura questa zona.» Ma l'elfo non lo stava ascoltando. Aveva notato che Catti-brie e Wulfgar si aggiravano fra i feriti, ma a debita distanza l'uno dall'altra. «È ancora giovane,» disse Bruenor accorgendosi della direzione dello sguardo dell'amico. «È convinto che una donna dovrebbe tenersi lontana dal campo di battaglia,» ribatté Drizzt. «Bah!» sbuffò il nano. «Quella ragazza è coraggiosa e abile quanto noi. A proposito, con noi ha combattuto anche una sessantina di nane e solo un paio sono rimaste uccise.» Drizzt guardò il re con aria sorpresa, e dopo aver scosso il capo si allontanò per raggiungere Catti-brie. Ma fatti pochi passi si fermò, scuotendo ancora una volta la sua chioma di riccioli candidi. «Una sessantina,» ripeté Bruenor accorgendosi dell'espressione dubbiosa negli occhi dell'amico. «Ed erano nane, ti dico.» «Amico,» rispose Drizzt riprendendo a camminare. «Ho sempre sostenuto che non esiste alcuna differenza.» *
*
*
Le forze di Cobble si riunirono al grosso della truppa due ore più tardi, con la notizia che le zone più lontane erano state completamente sgomberate dal nemico. La disfatta era stata totale, per quanto era dato sapere a Bruenor e ai suoi comandanti. Non era rimasto vivo nemmeno un goblin. Nessuno fra i nani, però, aveva notato le esili sagome degli elfi scuri, le spie di Jarlaxle, muoversi nell'ombra delle stalagmiti, spostandosi in prossimità del campo di battaglia per osservare le tecniche di guerra dei nani con occhio attento. La minaccia dei goblin era stata sgominata, ma quello si sarebbe presto rivelato un problema di secondaria importanza per Bruenor Martello di guerra. Capitolo 5 Elfo di poca fede Dinin osservò i movimenti sinuosi e cadenzati di Vierna mentre officiava il rituale in onore della Regina Aracnide. L'elfo si trovava in un piccolo tempio che Jarlaxle aveva fatto allestire appositamente per Vierna in una delle case di basso rango di Menzoberranzan. Dinin era rimasto fedele al culto oscuro della dea Lloth e aveva accettato di sua spontanea volontà di unirsi alla sorella nelle sue preghiere quotidiane, anche se in cuor suo era convinto che quella fosse una stupida finzione dietro alla quale si nascondeva l'orgoglio di una sacerdotessa decaduta. «Non dovresti dubitare,» lo ammonì Vierna continuando il suo rito e non degnando il fratello nemmeno di un'occhiata. Ma quando udì il sospiro disgustato di Dinin, Vierna si voltò di scatto e lo trafisse con un'occhiata di fuoco. «A che scopo?» chiese Dinin sostenendo con coraggio lo sguardo iroso della sorella. Anche se lontana dal favore di Lloth, come Dinin si ostinava a credere, Vierna era molto più grande e forte di lui, e armata di potenti incantesimi. Serrò i denti chiamando a raccolta la propria determinazione, e non indietreggiò pur temendo che le ossessioni di Vierna sospingessero chiunque le stesse accanto lungo la strada della distruzione. Come tutta risposta Vierna trasse una frusta da sotto una piega della sua ampia tunica. Il manico era composto da una verga di nera adamantite di sorprendente bellezza, dal quale partivano cinque serpi che si dimenavano
convulsamente. Dinin sgranò gli occhi dalla meraviglia. Conosceva la potenza di quell'arma. «Lloth concede solo alle sue alte sacerdotesse di impugnare questa,» gli ricordò Vierna accarezzando amorevolmente le disgustose teste. «Ma noi abbiamo perduto il suo favore...» protestò Dinin, consapevole che la sua era un'argomentazione alquanto debole agli occhi di Vierna. La sacerdotessa lo squadrò da capo a piedi e sbottò in una risata inquietante mentre si chinava lentamente a baciare la testa di un aspide. «Perché cacciare Drizzt?» insistette Dinin. «Hai riottenuto il favore di Lloth. Perché rischiare tutto per catturare il nostro fratello traditore?» «Così ho riguadagnato il favore divino!» urlò Vierna avanzando d'un passo. Dinin non poté fare a meno di indietreggiare. Ricordava i tempi della sua fanciullezza, quando il Casato dei Do'Urden era ancora potente, e Briza, la sorella più anziana e perfida, si divertiva a torturarlo con quella frusta. Vierna si calmò all'improvviso e rivolse lo sguardo all'altare ricoperto di ragni scolpiti e vivi. «La nostra famiglia è caduta in disgrazia a causa della debolezza di Matrona Malice,» disse. «Malice non è riuscita a portare a compimento l'importante missione affidatale da Lloth.» «Uccidere Drizzt,» mormorò Dinin. «Esatto,» si limitò ad aggiungere Vierna lanciando una fugace occhiata al fratello alle sue spalle. «Uccidere Drizzt... Drizzt, quel maledetto traditore. Ho promesso di immolare il suo cuore a Lloth, ho giurato di raddrizzare il torto subito dalla nostra famiglia, affinché noi... tu e io possiamo riottenere il favore della nostra dea.» «A quale scopo?» chiese Dinin vagando con lo sguardo per quel tempietto spoglio con malcelato disprezzo. «Il nostro casato non esiste più. Nessuno in tutta Menzoberranzan osa pronunciare più il nome dei Do'Urden. Che vantaggio trarremo se Lloth rivolgerà su di noi i suoi occhi benevoli? Ritornerai a essere un'alta sacerdotessa, e per questo me ne compiaccio, ma tu non avrai una casa degna della tua posizione.» «Certo che l'avrò!» tuonò Vierna con lo sguardo iniettato di sangue. «Sono l'unica sopravvissuta di un nobile casato distrutto, proprio come te, fratello. Godiamo del Diritto d'Accusa.» Dinin sgranò gli occhi. Le parole di Vierna erano corrette. Il Diritto d'Accusa era infatti un privilegio riservato ai rampolli superstiti dei nobili casati distrutti, in virtù del quale i figli vittime del sopruso accusavano gli aggressori in modo da travolgerli con il peso della giustizia degli elfi scuri.
Ma negli intrighi che si svolgevano lungo i corridoi bui di palazzo della caotica Menzoberranzan la giustizia veniva praticata in modo selettivo. «Accusa?!» balbettò Dinin con la bocca impastata dall'angoscia. «Tu hai forse dimenticato quale casato ci ha distrutto?» «La vendetta è un piatto che va gustato molto lentamente,» sussurrò la sorella con espressione serafica. «Baenre!» esclamò Dinin. «Il Casato di Baenre, Prima Famiglia di Menzoberranzan! Tu non potrai muovere accuse contro Baenre. Nessun'altra famiglia, da sola o alleata, muoverà un dito contro di loro. Non bisogna dimenticare che Matrona Baenre controlla l'Accademia di Guerra. Dove e come farai valere il tuo diritto alla giustizia? «E ti sei dimenticata di Bregan D'aerthe?» la incalzò Dinin. «Quella stessa banda di mercenari che ci ha accolto fra loro ha determinato la rovina del nostro casato.» Dinin zittì all'improvviso. Ripensò alle parole che aveva pronunciato e rimase sbalordito dal paradosso e dalla crudele ironia che permeava la società degli elfi scuri. «Tu sei un maschio e non puoi comprendere la bellezza e la grandezza di Lloth,» ribatté Vierna. «La nostra dea si alimenta di questa confusione e considera la situazione vantaggiosa appunto per le sue inconciliabili assurdità.» «La città non muoverà guerra contro il Casato dei Baenre,» aggiunse Dinin con voce pacata. «Non si giungerà mai a questo punto!» lo apostrofò la sorella trafiggendolo con uno sguardo inquietante. «Matrona Baenre è vecchia ormai, fratello. Da tempo è giunto il momento che si ritiri. Quando Drizzt sarà morto secondo i voleri della Regina Aracnide, mi verrà concesso ascolto presso il Casato di Baenre dove io... noi muoveremo le nostre accuse.» «E allora verremo dati in pasto ai loro schiavi goblin,» osservò Dinin senza scomporsi. «Le stesse figlie di Matrona Baenre la obbligheranno ad andarsene affinché il loro Casato venga onorato ancora dal favore della Regina Aracnide,» proseguì l'esagitata sacerdotessa ignorando i timori del fratello. «E a questo scopo metteranno me in una posizione di controllo.» Dinin non riuscì a trovare le parole adatte per ribattere ai vaneggiamenti grotteschi della sorella. «Prova a pensare, fratello,» proseguì Vierna. «Cerca di immaginarti al mio fianco mentre presiedo la Prima Famiglia di Menzoberranzan!» «Lloth ti ha promesso tutto questo?»
«Attraverso Triel,» rispose Vierna, «la figlia più anziana di Matrona Baenre, anch'essa Signora Matrona dell'Accademia.» Dinin cominciava a capire. Se Triel, la cui potenza e influenza erano di gran lunga superiori a quelle di Vierna, aveva intenzione di allontanare l'anziana madre, avrebbe preteso per sé il trono del Casato dei Baenre, oppure avrebbe concesso a una delle sue sorelle di occuparlo. Impetuosi dubbi si agitavano nella mente di Dinin. L'elfo si sistemò sul bordo della panca e dopo aver incrociato le braccia al petto cominciò a scuotere lentamente il capo. «Non c'è posto per gli increduli nel mio seguito,» lo ammonì Vierna. «Il tuo seguito?» ripeté Dinin inarcando un sopracciglio. «Bregan D'aerine non è che uno strumento che userò per compiacere la mia dea,» spiegò Vierna con voce sicura. «Tu sei pazza,» disse Dinin prima ancora di riuscire a serbare per sé quel pensiero. Ma con suo enorme sollievo Vierna non reagì. «Rimpiangerai di aver pronunciato queste parole sacrileghe quando Drizzt il traditore verrà immolato sull'altare di Lloth,» promise la sacerdotessa. «Non riuscirai nemmeno ad avvicinarti a nostro fratello,» ribatté Dinin d'un fiato mentre il ricordo del suo ultimo disastroso incontro con Drizzt gli pungolava la mente. «E io non ti accompagnerò in superficie... Non per andare incontro a quel demone. È potente, Vierna, molto più di quanto tu riesca a immaginare.» «Silenzio!» Quell'unica parola trasudava di forza magica, e Dinin sentì che le proteste gli morirono in gola. «Più potente?» ripeté Vierna con aria di scherno dopo un attimo di esitazione. «Che ne sai tu di potenza, verme?» Un sorriso malevolo le increspò le labbra e Dinin si mosse nervosamente sulla panca. «Vieni con me, elfo di poca fede,» lo invitò la sorella dirigendosi verso una porta laterale del tempietto, ma Dinin non riusciva a muoversi. «Vieni, ho detto!» gli ordinò la sacerdotessa, e Dinin avvertì un movimento impercettibile delle proprie gambe. Si sentì sollevare e allontanare da quella casa ai ranghi inferiori, uscire dalla città e lasciare Menzoberranzan alle proprie spalle, seguendo docilmente i passi della folle sorella. *
*
*
Non appena i due Do'Urden si allontanarono, Jarlaxle abbassò un drappo
sullo specchio di cristallo magico e fece svanire l'immagine del piccolo tempio. Meditò di parlare a quattr'occhi con Dinin per mettere in guardia quel guerriero ostinato dalle conseguenze che avrebbe dovuto sicuramente affrontare. Jarlaxle doveva ammettere che Dinin gli piaceva e avrebbe voluto far qualcosa per evitare l'imminente disastro che sarebbe calato sulla sua testa. «L'hai irretita a dovere,» osservò il mercenario rivolto alla sacerdotessa che gli stava accanto scoccandole un'occhiata infida con l'occhio sinistro che quel giorno non era coperto dalla benda. La sacerdotessa, molto più bassa di Jarlaxle ma con un portamento regale che incuteva soggezione, ringhiò il proprio disprezzo. «Mia cara Triel,» cercò di rabbonirla Jarlaxle. «Frena la tua lingua,» lo ammonì Triel Baenre, «se non vuoi che te la strappi per osservarla per benino sul palmo della tua mano.» Jarlaxle si strinse nelle spalle e considerò più saggio cambiare subito argomento. «Vierna crede ciecamente alle tue promesse,» osservò. «Vierna è disperata,» ribatté Triel Baenre. «Avrebbe inseguito Drizzt anche se le avessi promesso di accettarla in seno alla tua famiglia,» precisò il mercenario. «Ma illuderla con la promessa di prendere il posto di Matrona Baenre...» «La grandezza della ricompensa cementerà le sue motivazioni,» aggiunse Triel con voce pacata. «È di fondamentale importanza per mia madre che Drizzt Do'Urden venga immolato sull'altare di Lloth. Che quella stolta sacerdotessa creda ciò che vuole!» «Sta bene,» disse Jarlaxle annuendo. «Il Casato dei Baenre ha preparato la scorta?» «Una ventina di elfi usciranno assieme ai guerrieri di Bregan D'aerthe,» rispose Triel. «Tutti maschi,» aggiunse con disprezzo, «e tranquillamente sacrificabili se sarà necessario.» La primogenita del Casato di Baenre chinò il capo di lato mentre osservava con curiosità l'astuto mercenario. «Accompagnerai Vierna personalmente con i tuoi soldati prescelti?» gli chiese Triel. «Per coordinare i due gruppi?» Jarlaxle strinse le sue esili mani. «Faccio parte di questo piano,» ribatté con fermezza. «Per mio sommo dispiacere,» sibilò Triel e dopo aver pronunciato una sola parola scomparve in un alone di luce abbacinante. «Tua madre mi ama, mia cara Triel,» disse Jarlaxle al vuoto davanti a sé, come se la Signora Matrona dell'Accademia si trovasse ancora in quella
stanza. «E non potrei permettermi di lasciarmi sfuggire un'occasione simile,» aggiunse il mercenario a voce alta. Secondo i suoi calcoli, dalla caccia a Drizzt non potevano che venirgli enormi vantaggi. Avrebbe potuto concedersi il lusso di perdere qualche soldato, ma non avrebbe trovato difficoltà a sostituirli. E se Drizzt fosse veramente finito sull'altare sacrificale, Lloth si sarebbe compiaciuta. Anche Matrona Baenre si sarebbe compiaciuta dell'esito della missione e lui, Jarlaxle, avrebbe trovato il modo per farsi ricompensare dei suoi sforzi. Dopotutto, se si considerava il lato più banale di tutta quella storia, sulla testa di Drizzt Do'Urden, traditore rinnegato, era appoggiata una cornucopia di sconfinate possibilità. Jarlaxle ridacchiò ammiccando e si crogiolò nel piacere che gli dava quel bizzarro svolgersi degli eventi. Se in qualche modo Drizzt fosse riuscito a sfuggirgli, la colpa sarebbe caduta sulle spalle di Vierna e il mercenario avrebbe continuato indisturbato per la sua strada. Ma esisteva un'altra possibilità che Jarlaxle stava esaminando con mente fredda, forte della sua conoscenza dei modi degli elfi scuri. Una possibilità che se anche si fosse inspiegabilmente avverata gli avrebbe fruttato immensi vantaggi proprio dall'amicizia privilegiata che aveva intessuto con Vierna. Triel aveva promesso a Vierna un'incredibile ricompensa perché Lloth aveva ordinato a lei e a sua madre di irretirla. Cosa sarebbe successo se Vierna fosse riuscita a onorare la sua parte dell'accordo, si sorprese a pensare il mercenario. Quali piani segreti Lloth aveva elaborato per il Casato dei Baenre? Non v'era ombra di dubbio che la folle Vierna Do'Urden avesse ciecamente creduto alle vuote promesse di Triel, ma Jarlaxle sapeva che molti fra i più potenti elfi scuri di Menzoberranzan, prima fra tutti Matrona Baenre, si erano comportati con altrettanta pazzia in un momento imprecisato della loro vita. *
*
*
Molto più tardi Vierna oltrepassò il portale opaco che dava accesso alle stanze private di Jarlaxle. L'espressione esagitata che indugiava sul suo viso tradiva l'ansia provocata dall'imminente inseguimento. Jarlaxle udì un concitato trambusto nel corridoio esterno, ma Vierna si limitò a sorridere guardandolo con aria saccente. Il mercenario dondolò sulle gambe posteriori della sedia su cui era comodamente seduto tamburellando le dita sulle ginocchia nel vano tentativo di anticipare la sorpresa
che la sacerdotessa sembrava avergli preparato. «Abbiamo bisogno di un altro soldato per completare il numero del plotone,» ordinò Vierna. «Si può fare,» ribatté Jarlaxle cominciando a capire. «Ma perché? Dinin non verrà con noi?» «Verrà,» rispose Vierna guardandolo con una luce strana negli occhi. «Ma il ruolo di mio fratello è cambiato.» Jarlaxle non si mosse e continuò a dondolare tamburellando distrattamente le dita. «Dinin non ha creduto al destino che Lloth ci ha riservato,» spiegò Vierna accomodandosi dall'altro capo del tavolo. «Non ha voluto accompagnarmi in questa difficile missione. La Regina Aracnide pretendeva questo da noi!» esclamò balzando in piedi con un movimento aggressivo e si diresse a lunghi passi verso la porta. Jarlaxle non batté ciglio. Si limitò a flettere appena le dita della mano al cui polso erano assicurati i terribili pugnali mentre dalla bocca di Vierna continuavano a uscire invettive. La sacerdotessa camminava per la stanza invocando la potente Lloth, imprecando contro chiunque non si inginocchiasse davanti alla dea e maledicendo Drizzt e Dinin, i suoi sciagurati fratelli. All'improvviso Vierna si fermò in mezzo alla stanza, e apparentemente tranquilla abbozzò un sorriso inquietante. «Lloth richiede la più assoluta fedeltà,» disse quasi in tono di accusa. «Esatto,» mormorò il mercenario con espressione imperturbabile. «È compito di una sacerdotessa amministrare la giustizia.» «Certo.» Negli occhi di Vierna passò una saetta di luce, e Jarlaxle irrigidì i muscoli temendo che la sacerdotessa avesse intenzione di balzargli addosso per qualche recondita ragione. Ma Vierna si avvicinò alla porta e chiamò il fratello a gran voce. Jarlaxle scorse un vago profilo delinearsi oltre il portale, vide quel materiale opalescente sagomarsi contro il corpo di Dinin che entrava. Un'enorme zampa di ragno si appoggiò sul pavimento della stanza, poi una seconda e una terza. Si fece avanti un corpo nudo e irriconoscibile, rigonfio oltre misura, così simile dalla cintola in giù alla parte inferiore di un gigantesco ragno nero. Sul viso un tempo aggraziato di Dinin aleggiava una vacua espressione di morte. Era scomparsa l'indomita luce che brillava nel suo sguardo, i suoi lineamenti erano tumefatti.
Il mercenario dovette sforzarsi per non tradire un moto di sorpresa. Si tolse il copricapo e si passò una mano sul cranio rasato imperlato di sudore. Quella creatura deforme avanzò lentamente al centro della stanza e si fermò accanto a Vierna che sorrideva al notare il disagio del mercenario. «La missione è di vitale importanza,» spiegò Vierna. «Lloth non ammette disfattisti fra i suoi seguaci.» Se Jarlaxle aveva nutrito qualche debole dubbio sul favore che la Regina Aracnide aveva concesso a Vierna per la sua impresa, era giunto il momento di accantonarlo. Vierna aveva inflitto al pericoloso Dinin la punizione più crudele concepita dalla comunità degli elfi scuri. Una pena che solo un'alta sacerdotessa che godeva del più sublime favore di Lloth poteva comminare. Il corpo armonioso e forte di Dinin non era più. Il guerriero ora aveva le sembianze grottesche di un ragno e il suo aspetto fiero e indomito era stato sostituito da un'aria remissiva e sottomessa a qualsiasi capriccio della sorella. Vierna lo aveva trasformato in un terrificante drider.
PARTE 2 PERCEZIONI
Nella lingua degli elfi scuri non esiste una parola per amore. Credo che la parola che più si avvicina sia ssinssrigg, ma il suo significato recondito addita più alla lussuria o all'avidità cieca. Il concetto di amore esiste tuttavia nei cuori di alcuni elfi scuri, ma il vero amore, quel desiderio generoso che spesso implica il sacrificio personale, non trova spazio in un mondo governato da oscure e pericolose rivalità. Gli unici sacrifici ammessi dalle tradizioni degli elfi scuri sono quelli a Lloth, ma non presuppongono abnegazione, né generosità, né altruismo, poiché il donatore spera e prega di ricevere in cambio qualcosa di più grande del dono stesso. Tuttavia, il concetto di amore non mi era nuovo quando mi allontanai dal Mondo Tenebroso. Amavo Zaknafein. E amavo Belwar e Clacker. Ed è stato proprio l'ardente bisogno di amare la ragione ultima che mi ha spinto ad abbandonare Menzoberranzan. Esiste al mondo un concetto più fugace, più elusivo? Un gran numero di creature appartenenti a tutte le razze sembra comprendere appieno l'amore, e ne appesantisce la sua incantevole semplicità con un opprimente fardello di pregiudizi e aspettative irraggiungibili. L'ironica sorte vuole che io, proveniente dai meandri bui della spietata Menzoberranzan, riesca ad abbracciarne il vero significato più di chiunque abbia da sempre vissuto alla luce di questo nobile sentimento, o almeno abbia avuto la possibilità di riscaldare il proprio cuore sotto i suoi raggi. Sono molte le cose che un elfo scuro rinnegato non è in grado di dare per scontate. I miei sporadici viaggi nel regno incantato di Luna d'Argento nelle ultime settimane hanno suscitato i frizzi ridanciani dei miei amici. «Di sicuro l'elfo ha appoggiato gli occhi da qualche parte!» Bruenor ha commentato più volte in questo modo la mia amicizia con Alustriel, la Signora della città incantata di Luna d'Argento. Accetto di buon grado i loro motteggi, forte del fatto che scaturiscono da cuori sinceri e leali, ma mai oserei tarpare le ali alle loro speranze spiegando ai miei cari amici che i loro pensieri corrono su sentieri fuorvianti. Provo un profondo affetto per Alustriel e per la bontà che ha dimostrato nei miei confronti. Apprezzo che lei, signora di un popolo troppo spesso privo di misericordia, abbia concesso l'opportunità a un elfo scuro di aggirarsi per le incantevoli strade della sua città. La fiducia dimostrata da Alustriel per avermi concesso di diventare suo amico mi ha permesso di scoprire nel mio cuore, e non nei limiti impostimi, i veri desideri che pro-
vavo. Ma ciò vuol forse dire che l'amo? Non più di quanto lei ami me. Devo ammettere, però, che amo l'idea di poterla amare e che lei possa amare me, e ancor più il fatto che, se fosse presente l'attrazione, il colore della mia pelle e la fama del mio lignaggio non scoraggerebbe certo la nobile Signora di Luna d'Argento. Sono consapevole, ora, che l'amore è diventato una parte dominante della mia esistenza, che il forte legame d'amicizia che mi unisce a Bruenor, a Wulfgar e a Regis è di fondamentale importanza per la felicità che io, elfo scuro, potrò mai conoscere. Ma il legame che mi stringe a Catti-brie è ancora più forte. Ho già detto che l'amore fondato sull'onestà è altruismo e abnegazione, ma questa parte di me è stata messa a dura prova questa primavera. Comincio a temere per il futuro, per Catti-brie e per Wulfgar, e per tutti quegli ostacoli che insieme dovranno superare. Wulfgar l'ama, non oso dubitarlo, ma ha ammantato quel suo sentimento di un'aura possessiva che sconfina nell'irriverenza. Dovrebbe capire lo spirito che anima Catti-brie, dovrebbe avere sentore del fuoco che alimenta i suoi fieri occhi blu. È proprio quello spirito che ha fatto nascere l'amore nel cuore del giovane barbaro, purtuttavia Wulfgar lo sta soffocando quando considera la donna che gli sta accanto un oggetto di sua proprietà. Il mio amico barbaro proviene da molto lontano, e nella sua più giovane età ha vagato per la sconfinata tundra. Ma dovrà percorrere ancora molta strada prima di riuscire a conquistare appieno il cuore della coraggiosa figlia di Bruenor per divenire finalmente il ricettacolo dell'amore di Cattibrie. Or dunque, esiste al mondo un concetto più fugace, più elusivo? Drizzt Do'Urden Capitolo 6 Sentiero diritto e tranquillo «Non accetterò mai il gruppo di Nesme!» sbuffò Bruenor rivolto all'ambasciatore barbaro proveniente da Settlestone.
«Ma re...,» balbettò il muscoloso uomo dai capelli fulvi con aria confusa. «No, ho detto!» sbottò Bruenor con voce severa per porre fine a quello scambio di battute. «Gli arcieri di Nesme hanno avuto un ruolo importante nella conquista di Mithril Hall,» osservò Drizzt con prontezza. L'elfo era fermo accanto a Bruenor nella Sala delle Udienze. Bruenor si agitò sullo scranno di pietra. «Hai forse dimenticato il trattamento che hai ricevuto proprio a Nesme quando abbiamo attraversato il loro territorio?» gli chiese il re. Drizzt scosse il capo e quel ricordo gli arricciò un angolo della bocca in una parvenza di sorriso. «Non potrei mai scordare,» disse e dal tono pacato della sua voce si intuiva che se anche non aveva dimenticato, aveva perdonato. Lanciando un'occhiata di sottecchi all'amico dalla pelle scura che sembrava così in pace con se stesso, il burbero re sentì che la rabbia si dileguava. «Tu credi che dovrei permettere loro di venire al matrimonio, allora?» «Ora sei re,» rispose Drizzt allargando le braccia come se quella semplice affermazione spiegasse tutto. Ma dall'espressione caparbia che si impossessò del volto di Bruenor l'elfo capì che avrebbe dovuto spendere qualche parola in più. «Le tue responsabilità verso il popolo che governi si fondano sulla diplomazia,» spiegò Drizzt. «Nesme si può dimostrare un insostituibile socio in affari e un alleato fedele. Oltretutto, possiamo perdonare i soldati di una cittadina così provata per la loro inopportuna reazione alla vista di un elfo scuro.» «Bah, il tuo cuore è troppo tenero, elfo,» bofonchiò Bruenor. «E purtroppo mi stai contagiando!» Il nano lanciò un'occhiata feroce all'imponente barbaro, così simile a Wulfgar, e annuì lentamente. «Porta il mio invito ufficiale e il mio benvenuto alla città di Nesme, allora! Ma ricordati che devo sapere esattamente quanti avranno intenzione di venire!» Il barbaro ringraziò Drizzt con un sorriso e dopo un inchino ossequioso al re uscì dalla sala. Ma non servì a nulla la partenza del guerriero, perché Bruenor continuò ancora per molto a borbottare fra sé. «C'è un'infinità di cose da sbrigare, elfo,» si lamentò il nano. «Cerchi di rendere il matrimonio di tua figlia un avvenimento indimenticabile,» osservò Drizzt. «Faccio del mio meglio,» ammise Bruenor. «Se lo merita, la mia piccola
Catti-brie. Ho tentato di non farle mancare nulla in tutti questi anni, ma...» Il re allargò le braccia e si guardò l'enorme pancia, in un muto invito all'amico a considerare il fatto che lui e Catti-brie non appartenevano alla stessa razza. Drizzt appoggiò una mano sulla spalla di Bruenor. «Nessun umano sarebbe riuscito a darle di più,» disse con espressione seria. Bruenor tirò su con il naso e Drizzt dovette frenare a stento una risatina divertita. «Ma non riuscirò mai a combinare tutto!» ruggì Bruenor mentre la sua indole impetuosa prendeva il sopravvento su quel barlume di commozione. «La figlia di un re si merita un matrimonio degno della posizione che occupa, dico io! Ma nessuno mi dà una mano in tutta questa maledettissima faccenda!» Drizzt immaginava quale fosse la ragione dell'ondata di rabbia di Bruenor. Il nano si era aspettato che Regis, un tempo capo di una potente corporazione e indubbiamente profondo conoscitore delle regole del protocollo, lo aiutasse a organizzare la celebrazione. Poco dopo l'inaspettato arrivo di Regis a Mithril Hall, Bruenor aveva affermato con convinzione a Drizzt che finalmente i suoi problemi erano finiti perché Pancia-che-brontola avrebbe curato anche i più piccoli dettagli della festa. Per amor di verità, Regis si era accollato numerosi impegni, ma non si era comportato secondo le esigenti aspettative di Bruenor. Drizzt non era sicuro, infatti, se ciò fosse dovuto all'insospettata inettitudine del nanerottolo o all'atteggiamento intransigente di Bruenor. Proprio in quell'istante fece irruzione un nano che si avvicinò a Bruenor e gli porse una ventina di rotoli di pergamena diversi su cui erano state disegnate altrettante disposizioni dei tavoli e degli arredi per la grande sala del banchetto. Lo seguiva a poca distanza un altro nano con le braccia cariche di elenchi di possibili pietanze per la festa. Bruenor si lasciò sfuggire un lungo sospiro rassegnato e lanciò un'occhiata sconsolata a Drizzt. «Ce la farai,» lo rassicurò l'elfo scuro. «E Catti-brie ricorderà quel giorno come la cerimonia più sfarzosa che si sia mai tenuta in tutti i regni.» Drizzt avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma all'improvviso un'espressione preoccupata si impossessò del suo viso. «Sei preoccupato per la ragazza?» mormorò Bruenor al cui sguardo attento non era sfuggito quel repentino cambio d'umore. «Wulfgar mi preoccupa ancor di più,» ammise Drizzt.
Bruenor ridacchiò divertito. «Ho dovuto ingaggiare tre muratori per sistemare le pareti delle stanze del ragazzo,» disse. «Qualcosa deve avergli fatto perdere veramente le staffe.» Drizzt si limitò ad annuire. Non aveva rivelato a nessuno di essere stato proprio lui il bersaglio dell'ira di Wulfgar e che il barbaro l'avrebbe ucciso senza rimorsi se avesse avuto la fortuna di vincere. «Il ragazzo è solo nervoso,» aggiunse Bruenor. Ancora una volta l'elfo annuì, anche se in cuor suo non era sicuro che le cose stessero effettivamente come le descriveva il nano. Wulfgar si era dimostrato inspiegabilmente insofferente. Purtuttavia, Drizzt non riusciva a trovare una spiegazione che lo soddisfacesse soprattutto perché aveva notato che dal giorno del loro scontro nella stanza il giovane barbaro era ritornato a essere l'amico affettuoso d'un tempo, dimenticando quanto era accaduto. «Si calmerà dopo la cerimonia,» proseguì Bruenor, ma Drizzt ebbe l'impressione che il nano stesse cercando di convincere innanzitutto se stesso. Anche quell'apprensione che velava le parole del nano era comprensibile, si disse Drizzt, poiché Catti-brie, nonostante fosse un'umana, era davvero la figlia di Bruenor. Quella ragazza era l'unica creatura al mondo per cui il cuore di pietra del nano fremeva, l'unico punto debole della sua massiccia armatura. Dalle sagge parole di Bruenor l'elfo intuì che nemmeno a lui era sfuggito l'atteggiamento dispotico e bizzarro di Wulfgar. Ma se era vero che proprio quell'atteggiamento del barbaro lo infastidiva non poco, Drizzt era convinto che non avrebbe mosso un dito per porvi rimedio se prima Catti-brie non fosse andata da lui a chiedergli aiuto. Era altrettanto sicuro, però, che Catti-brie, nel cui petto palpitava un cuore orgoglioso e testardo, non avrebbe mai chiesto favori né a Bruenor né a lui. «Dove diamine ti eri cacciato, razza di imbroglione?» tuonò Bruenor con un tono di voce che riportò Drizzt alla realtà. L'elfo si voltò appena e vide Regis entrare nella sala con un'espressione agitata sul volto abitualmente serafico. «Ho appena consumato il mio primo pasto della giornata!» ribatté Regis indispettito passandosi una mano sul ventre. «Non è questa l'ora di gozzovigliare,» lo apostrofò Bruenor. «Ci sono...» «Tantissime cose da sbrigare,» lo interruppe Regis imitando la cadenza del nano e sollevando le mani verso il soffitto in una muta preghiera rivol-
ta a Bruenor perché la smettesse di tormentarlo. Bruenor sbatté con forza un pesante stivale e si precipitò verso il nano addetto alle pietanze del banchetto. «Dato che non pensi ad altro che a mangiare,» cominciò a dire raccogliendo le pergamene e gettandole addosso a Regis. «Ci saranno elfi e umani a non finire alla festa,» aggiunse con lo sguardo fisso sul nanerottolo che cercava di mettere ordine in quella confusione. «Dovrai pensare qualcosa per il banchetto che non irriti le loro budella delicate!» Regis scoccò un'occhiata implorante a Drizzt, ma quando l'elfo si strinse nelle spalle, il nanerottolo raccolse le pergamene in fretta e furia e si diresse verso la porta. «Avrei scommesso le brache che quello là si sarebbe dimostrato più in gamba a organizzarmi la cerimonia,» osservò Bruenor a voce sufficientemente alta affinché le sue parole giungessero all'orecchio del nanerottolo. «E che fosse meno in gamba a combattere contro i goblin,» aggiunse Drizzt per ricordargli il sorprendente impegno di Regis nel recente scontro. Bruenor si accarezzò la barba rossa con aria pensosa mentre fissava il portale attraverso il quale Regis era appena uscito. «Per molto tempo ha vissuto in strada accanto a tipi loschi,» disse il nano dopo un lungo silenzio. «Per troppo tempo,» mormorò Drizzt con un filo di voce in modo che il nano non udisse, poiché dall'espressione di Bruenor l'elfo aveva intuito che il re considerava quella rivelazione inaspettata del loro piccolo amico una cosa degna di apprezzamento. *
*
*
Quando, poco più tardi, si avvicinò alla porta del tempio di Cobble per una commissione richiestagli da Bruenor, Drizzt ebbe la certezza che il re non era l'unico a essere nervoso a causa dei frenetici preparativi per l'importante cerimonia. «Nemmeno per tutto il mithril del regno di Bruenor!» udì che Catti-brie stava esclamando con quanto fiato aveva in gola. «Sii ragionevole,» la implorò il chierico. «Tuo padre non ti sta chiedendo una cosa impossibile.» Drizzt varcò la soglia e vide Catti-brie immobile su una pedana, le mani appoggiate con fermezza sui fianchi flessuosi, mentre Cobble, inginocchiato ai suoi piedi, le stava sistemando l'orlo di un grembiule tempestato di
gemme. Catti-brie lanciò a Drizzt un'occhiata in tralice e scosse il capo. «Vogliono che indossi il grembiule di un maniscalco il giorno del mio matrimonio!» Drizzt comprese che non era certo quello il momento più opportuno per sorridere. Si avvicinò a Cobble con passo solenne e afferrò un lembo del grembiule. «È una tradizione del clan di Bruenor Martello di guerra,» mormorò il chierico con aria risentita. «Qualsiasi nano sarebbe onorato di indossare questo indumento prezioso,» concordò Drizzt. «Devo forse ricordarti che Catti-brie non appartiene alla razza dei nani?» «Un simbolo di sottomissione, ecco cos'è,» sentenziò la donna. «La tradizione vuole che le nane lavorino nelle fucine tutto il giorno. E io non ho mai preso in mano il maglio di un fabbro e oltretutto...» Drizzt cercò di calmarla con una lunga occhiata e sollevando una mano. «È la figlia di Bruenor,» osservò Cobble. «Ed è un suo dovere compiacere il padre.» «Esatto,» mormorò Drizzt sfoderando la sua miglior diplomazia. «Ma ricordati che non sposa un nano. Catti-brie non ha mai lavorato in una fucina.» «È un indumento simbolico,» protestò Cobble. «E Wulfgar ha impugnato un maglio solo durante il suo anno di sottomissione a Bruenor, quando il barbaro non aveva molte altre alternative,» concluse Drizzt senza battere ciglio. Lo sguardo del chierico scivolò lentamente dal volto imbronciato di Catti-brie al grembiule. «Troveremo un compromesso,» disse lasciandosi sfuggire un lungo sospiro. Drizzt si voltò verso Catti-brie e ammiccò, ma la giovane donna non parve rasserenarsi. «Mi manda Bruenor,» disse infine l'elfo rivolto a Cobble. «Mi ha chiesto di ricordarti che è ancora pendente la prova dell'acqua sacra per la cerimonia.» «L'assaggio,» lo corresse Cobble saltellando nervosamente attorno alla pedana. «Sì... Certo, l'idromele,» aggiunse con aria afflitta. «Bruenor vuole che la questione dell'idromele venga sistemata entro oggi,» disse sollevando lo sguardo verso Drizzt. «Pensiamo che quel liquido scuro sia troppo forte per lo stomaco degli invitati provenienti da Luna d'Argento.»
Cobble attraversò a lunghi passi il tempietto e sollevò pesanti secchi da sotto le fonti lungo le pareti. Catti-brie scrollò le spalle mentre Drizzt si guardava intorno sbigottito. «Acqua sacra? Idromele?!» I sacerdoti e i chierici di molte religioni erano soliti preparare le loro acque sacre con profumati oli esotici, ma non avrebbe dovuto essere una sorpresa per Drizzt, dopo la sua lunga amicizia con il turbolento Bruenor, il fatto che i chierici dei nani usassero il luppolo per le loro inebrianti miscele. «Bruenor dice che dovresti prepararne in abbondanza,» aggiunse Drizzt rivolto a Cobble, ma ebbe la sensazione che le sue fossero parole inutili poiché il chierico aveva già freneticamente caricato un piccolo barroccio di fiaschi e secchi. «Per oggi abbiamo finito,» annunciò Cobble rivolto a Catti-brie. Il nano caracollò verso la porta tirando il suo prezioso carico. «Ma non illuderti di averla spuntata con questa storia!» Catti-brie bofonchiò qualcosa, ma Cobble ormai era già lontano per poter udire. Drizzt e Catti-brie si sedettero l'uno accanto all'altro sull'orlo della pedana e rimasero a lungo in silenzio. «Quel grembiule, è così insopportabile?» riuscì a trovare la forza di chiedere l'elfo dopo un attimo di esitazione. Catti-brie scosse il capo. «Non è l'indumento in sé, quanto piuttosto il suo significato che non mi piace affatto,» spiegò. «Fra due settimane si celebreranno le mie nozze, e ho come l'impressione di aver vissuto la mia ultima avventura, di aver combattuto la mia ultima battaglia... E che non mi rimarrà altro che le lotte con il mio futuro marito.» Quella sommessa confidenza colpì profondamente Drizzt, ma ruppe il pesante sigillo che confinava una ridda di paure segrete nel suo cuore. «I goblin di Faerun ne gioiranno,» disse l'elfo con tono scherzoso nel tentativo di rasserenare l'espressione cupa che si era impossessata degli occhi di Catti-brie. La donna abbozzò un sorriso stanco, ma le nuvole della tristezza non parvero allontanarsi dal suo viso. «Hai combattuto coraggiosamente come tutti noi,» aggiunse Drizzt. «Non mi credevi all'altezza, forse?» sbottò Catti-brie con un tono di voce tagliente quanto il filo delle scimitarre dell'amico. «Serbi rancore e rabbia?» l'apostrofò Drizzt, e quelle parole ebbero il potere di calmarla. «Ho solo paura, credo,» ribatté lei con voce pacata. Drizzt annuì lentamente e in cuor suo comprese l'inquietante dilemma che si agitava nel cuore dell'amica. «Devo ritornare da Bruenor,» disse
alzandosi, deciso a lasciar cadere il discorso, ma non poté ignorare l'occhiata accorata che Catti-brie gli lanciò. L'amica, però, distolse subito lo sguardo e fissò un punto indistinto davanti a sé con struggente sconforto. «Non ho nessun diritto di dirti cosa dovresti provare,» disse Drizzt con voce pacata, turbato dall'espressione dell'amica e osservando i suoi folti riccioli ramati. Catti-brie non si mosse. «In questo momento il fardello della mia amicizia verso di te equivale a quello che un tempo hai portato tu nella città meridionale di Calimport, quando io, disorientato, non riuscivo più a muovere un passo lungo il sentiero della vita. Ma ora ti dico che la strada che hai davanti presto prenderà molte direzioni, ma sarai sempre tu a scegliere dove andare. Per l'amore che nutri verso tutti noi, ma soprattutto per amor tuo, ti prego di considerare attentamente la direzione che imboccherai.» L'elfo si inchinò e dopo aver scostato una ciocca di capelli baciò lievemente la guancia di Catti-brie, allontanandosi subito dal tempietto senza nemmeno voltarsi. *
*
*
Quando Drizzt entrò nella Sala del Trono metà del barroccio di Cobble era stato scaricato. Bruenor, Cobble, Dagna, Wulfgar, Regis e molti altri nani erano impegnati in una vivace discussione su quale di quelle fiaschette conteneva l'acqua sacra più buona. Seguirono molti assaggi e molti altri commenti che si trasformavano in ulteriori assaggi e innumerevoli battibecchi. «Questa, ho detto!» tuonò Bruenor sollevandosi con la barba intrisa di schiuma dopo aver bevuto avidamente da un secchio. «Questa roba è buona per i goblin!» esclamò Wulfgar, ma la sua risata si smorzò subito quando Bruenor gli calò il secchio ormai vuoto sulla testa e lo percosse con un violento manrovescio. «Forse mi sbaglio,» mormorò il barbaro seduto sul pavimento mentre la sua voce cupa echeggiava all'interno del secchio di metallo. «Voglio sapere il tuo parere, elfo,» urlò Bruenor non appena si accorse dell'arrivo di Drizzt sollevando due fiaschi verso l'amico. Drizzt declinò l'invito alzando una mano. «Preferisco bere l'acqua dei ruscelli di montagna,» spiegò. Con un moto di stizza Bruenor gli lanciò addosso i fiaschi, ma l'elfo si scostò velocemente e il liquido ambrato formò una piccola pozzanghera
sul pavimento di pietra. Drizzt rimase stupito dalla reazione violenta degli assaggiatori scatenata da quell'inutile spreco, e fu quella, forse, la prima volta in cui vide Bruenor incapace di ribattere alle veementi parole degli amici. «Mio re.» L'arrivo improvviso nella sala di un nano tracagnotto, armato fino ai denti e dall'espressione seria, pose fine all'alterco. «Sette guerrieri non sono tornati dalle nuove gallerie,» disse il nano con voce grave. «Se la saranno presa comoda, ecco tutto,» ribatté Bruenor. «Non li abbiamo visti nemmeno per il rancio,» aggiunse la guardia. «Problemi,» dissero Cobble e Dagna all'unisono con voce solenne. «Bah!» sbuffò Bruenor ondeggiando la mano paffuta davanti a sé. «Non dovrebbero esserci altri goblin in quella zona. Quelli là si stanno aggirando per i cunicoli alla ricerca di mithril e ne hanno trovato una vena consistente, ve lo dico io. E una simile scoperta farebbe dimenticare il rancio a qualsiasi soldato!» Drizzt si accorse che Cobble e Dagna, e persino Regis, annuirono. Ma dati i potenziali pericoli nascosti nelle gallerie in prossimità del Mondo Tenebroso, e in quelle ancor più profonde di Mithril Hall, il cauto elfo non poteva essere d'accordo. «Cosa pensi?» gli chiese Bruenor notando la preoccupazione che velava lo sguardo dell'elfo. «Credo che forse hai ragione,» disse Drizzt dopo aver soppesato la risposta. «Forse?!» ripeté Bruenor sbuffando. «Come posso sperare di convincere te, elfo diffidente? E allora, sai cosa ti dico? Va' pure. Prendi il tuo gattone e cerca di ritrovare i miei nani scomparsi.» Il sorriso di Drizzt non lasciò spazio a dubbi. Era esattamente ciò che voleva fare. «Io, Wulfgar figlio di Beornegar, andrò con lui!» esclamò Wulfgar, ma la sua voce venne smorzata dal secchio che ancora non si era tolto. Bruenor lo zittì con un secondo manrovescio. «Elfo!» esclamò il nano. Drizzt si voltò lentamente e vide che Bruenor sorrideva guardando i presenti uno alla volta, ma quando i suoi occhi si posarono su Regis il suo sorriso si fece smagliante. «Porta Pancia-chebrontola con te,» aggiunse il re. «Non sta combinando un granché da queste parti.» Regis sgranò gli occhi dalla meraviglia. Si passò una mano fra i capelli e
con aria stupida strinse uno degli orecchini che indossava. «Io?» disse con un filo di voce. «Io dovrei ritornare laggiù?» «Ci sei già stato una volta,» ribatté Bruenor rivolgendosi più agli altri che al nanerottolo. «E se la memoria non mi inganna, sei riuscito a uccidere anche un numero considerevole di goblin.» «Ma ho un sacco di cose da...» «Muoviti, Pancia-che-brontola,» lo zittì Bruenor sporgendosi in avanti sul bordo del trono. «Per la prima volta da quando hai trovato rifugio qui da noi... Dicevo, per la prima volta fa' ciò che ti chiedo di fare senza cercare di trovare stupide scuse!» Il tono serio e perentorio di Bruenor stupì tutti, ma soprattutto Regis, poiché il nanerottolo si alzò senza aprir bocca e si avvicinò a Drizzt. «Ti dispiace se passo nella mia stanza prima?» chiese Regis all'orecchio dell'elfo. «Vorrei prendere almeno la mazza e la bisaccia.» Drizzt cinse le spalle del suo piccolo amico con un braccio e abbozzò un sorriso. «Non temere,» mormorò lasciandogli cadere la statuetta di onice di Guenhwyvar nella mano tremante. E Regis non ebbe più dubbi. Sarebbe stato in buona compagnia. Capitolo 7 Quiete nelle tenebre Anche con il favore della debole luce delle torce che costellavano le pareti e i cunicoli ben segnati, Drizzt e Regis impiegarono quasi tre ore per raggiungere la zona delle nuove gallerie nel grande regno di Mithril Hall. Attraversarono la meravigliosa Città Sotterranea lungo i cui livelli si ergevano le dimore dei nani, così simili a imponenti scalinate che si snodavano lungo i fianchi della grande caverna. Le case si affacciavano su un grandioso opificio che occupava il livello più basso, in cui fervevano le attività di una razza industriosa. Quello era il cuore di tutto il regno di Bruenor. Là i nani di Mithril Hall vivevano e lavoravano. Lo stridore assordante delle operose fucine non cessava un istante. I magli dei nani scandivano incessantemente il loro instancabile lavoro e nonostante le miniere fossero state riaperte solo da un paio di mesi, numerosi carri allineati lungo le pareti della grotta in attesa dell'inizio della stagione dei commerci erano già pieni di migliaia di prodotti finiti, da armi finemente cesellate a boccali di sorprendente bellezza.
Drizzt e Regis entrarono dall'estremità orientale del livello superiore, attraversarono la città su un ponte sospeso nel nulla, scesero una mirabolante scalinata per raggiungere il livello inferiore diretti a occidente verso le miniere più profonde di Mithril Hall. Le pareti dei cunicoli ospitavano poche fiaccole, molto distanti fra loro, e di tanto in tanto l'elfo e il nanerottolo si imbattevano in squadre di minatori impegnati a estrarre il prezioso metallo argenteo dalla roccia. Raggiunsero le gallerie più esterne, buie e deserte. Drizzt rovistò nella bisaccia alla ricerca di una torcia da accendere, ma si accorse degli occhi luminosi del nanerottolo. «Nonostante riesca a vedere al buio, preferirei la presenza di una torcia,» mormorò Regis quando si accorse che Drizzt si era sistemato la bisaccia a tracolla senza accendere nulla. «Ci conviene non sprecarle,» rispose Drizzt. «Non sappiamo quanto tempo dovremo rimanere in questa zona inesplorata.» Regis scrollò le spalle con aria rassegnata, e Drizzt non poté fare a meno di sorridere quando notò che l'amico stringeva con forza la piccola ma indubbiamente efficace mazza anche se si aggiravano ancora nelle zone pattugliate del complesso. Fecero una piccola pausa per riposarsi, ma ripresero subito il cammino e percorsero altre tre miglia. Con la stessa puntualità del suo insaziabile appetito, Regis cominciò quasi subito a lamentarsi che i piedi gli dolevano, ma le parole gli morirono in gola quando udirono il vociare di alcuni nani poco lontano. Dopo alcune curve si ritrovarono davanti a una stretta scalinata che conduceva all'ultimo corpo di guardia della zona. Scorsero quattro nani impegnati a giocare a dadi e a darsi manate sulle spalle, prestando scarsa attenzione alla massiccia porta di pietra piena di borchie di metallo che delimitava le nuove gallerie. «Salve,» disse Drizzt interrompendo il loro gioco. «Lassù qualcuno si è ricordato di noi,» borbottò un nano corpulento dalla folta barba castana non appena si accorse di Drizzt. «Re Bruenor vi ha mandato a cercarli?» «Per nostra sfortuna,» mormorò Regis a denti stretti. Drizzt annuì. «Siamo venuti a ricordare ai soldati che non sono rientrati che il mithril verrà estratto a tempo debito,» disse tenendosi sul vago per non allarmare le guardie sulla possibile minaccia che si nascondeva in quella zona.
Due nani imbracciarono le loro armi mentre gli altri due si prodigavano a togliere le pesanti sbarre di ferro che bloccavano la porta. «Quando sarete di ritorno e vorrete rientrare, battete con forza per tre volte e poi per altre due volte,» disse il capitano della guardia. «Se il segnale non è quello giusto, noi non apriamo. Ricordatevelo!» «Tre e poi due,» ripeté Drizzt annuendo. Anche l'ultima sbarra scivolò dalla fessura e la porta si aprì verso l'interno con un inquietante stridore. Oltre l'apertura non si vedeva altro che buio pesto. «Tranquillo, amico,» mormorò Drizzt accorgendosi della strana luce che aveva illuminato lo sguardo del nanerottolo. Avevano percorso quelle stesse gallerie solo un paio di settimane prima per andare a parlamentare con i goblin, ma nonostante avessero la certezza di averli sconfitti tutti durante la battaglia che era seguita, il silenzio angosciante e quasi palpabile nel cunicolo che si snodava davanti a loro ebbe il potere di far accapponare loro la pelle. «Spicciatevi,» disse il capitano alle loro spalle desideroso di richiudere subito quella porta. Drizzt accese la torcia e avanzò nelle tenebre con Regis alle calcagna. Avevano fatto pochi passi quando alle loro spalle udirono il cupo clangore delle sbarre di ferro che venivano sistemate al loro posto. Drizzt porse la torcia a Regis e sfoderò le scimitarre. Dalla lama di Lampo si irradiò una debole luce azzurrognola. «Dovremmo fare in fretta,» osservò l'elfo. «Chiama Guenhwyvar affinché sia lei a condurci.» Il nanerottolo appoggiò la mazza e la torcia contro la parete e rovistò nelle tasche alla ricerca della statuetta d'onice. Quando la trovò l'appoggiò a terra davanti a sé e dopo aver ripreso in mano i suoi oggetti lanciò un'occhiata a Drizzt che si era allontanato di qualche passo. «Chiama tu la pantera,» gli disse l'elfo, ma quando non ricevette alcuna risposta si voltò. Con sua enorme sorpresa vide che il nanerottolo sembrava attendere qualcosa. Si chiese quale fosse la ragione della sua esitazione, data la profonda amicizia che legava Regis al mistico felino. Guenhwyvar, potente entità magica che dimorava nei Piani Astrali, rispondeva alla chiamata del legittimo possessore della statuetta. Bruenor si era sempre dimostrato diffidente nei confronti del felino, poiché era normale che un nano si fidasse solamente della potenza delle proprie armi. Era strana invece quell'esitazione di Regis. Il nanerottolo e Guenhwyvar erano amici da molto tempo. La pantera gli aveva persino salvato la vita portandolo inco-
lume attraverso i piani dell'esistenza. Ora, invece, Regis era immobile davanti alla statuetta, con la torcia e la mazza strette fra le mani, indeciso sul da farsi. Drizzt tornò sui suoi passi e si fermò accanto all'amico. «Qualcosa non va?» gli chiese. «Io... io credo che dovresti essere tu a chiamare Guenhwyvar,» balbettò il nanerottolo. «Dopotutto la pantera ti appartiene, e lei conosce la tua voce meglio della mia.» «Guenhwyvar conosce molto bene anche la tua,» lo tranquillizzò l'elfo appoggiandogli una mano sulla spalla. Ma non volendo perdere altro tempo prezioso Drizzt pronunciò lentamente il nome della pantera e attese. Dopo alcuni istanti una nube di vapori grigiastri, resi ancor più cupi dalla luce fioca, avvolsero la statuetta e lentamente assunsero la forma del felino, dapprima indistinta, poi sempre più definita. I vapori si dileguarono lasciando intravedere il corpo possente di Guenhwyvar. Regis indietreggiò di un passo quando notò le orecchie appiattite contro la testa, ma Drizzt si avvicinò e l'accarezzò con affetto. «Alcuni nani mancano all'appello,» spiegò l'elfo al felino, e Regis non dubitò un solo istante che Guenhwyvar non capisse il suo padrone. «Cerca il loro odore e portaci da loro.» La pantera osservò a lungo il cunicolo davanti a sé e dopo essersi girata per guardare Regis emise un cupo ringhio. «Forza,» le disse Drizzt. Il felino si mosse e i suoi muscoli scattanti si agitarono sotto la pelliccia nera come la notte sgusciando silenziosamente oltre l'alone di luce della torcia. Drizzt e Regis la seguirono. L'elfo avanzò con passo spedito, mentre Regis procedeva lanciando occhiate nervose a destra e a manca. Raggiunsero il punto in cui Bruenor aveva ucciso i primi giganti ettin, le cui ossa erano ammonticchiate in un angolo. Poco dopo Guenhwyvar si unì a loro e insieme entrarono nella caverna che aveva assistito alla disfatta dell'esercito di goblin. Erano rimasti pochi segni della recente battaglia, a eccezione delle chiazze di sangue rappreso sul terreno e piccoli cumuli di cadaveri al centro della grotta. Creature dai lunghi tentacoli, simili a ripugnanti vermi, strisciavano dimenandosi in mezzo alle carogne ormai putride del nemico sconfitto. «Stammi vicino,» disse Drizzt, e Regis non se lo fece ripetere due volte. «Quelle creature sono gli Arrampicanti Assassini,» spiegò l'elfo. «Gli av-
voltoi del Mondo Tenebroso. Non c'è penuria di cibo, a quanto vedo, e ci lasceranno in pace. Ma ci conviene non stuzzicarli. Se solo un loro tentacolo ci sfiora, siamo morti.» «Credi che i nani siano stati sorpresi dagli Arrampicanti Assassini?» gli chiese Regis cercando con lo sguardo fra i cadaveri se vi fossero anche i corpi dei soldati che cercavano. Drizzt scosse il capo. «I nani li conoscono molto bene,» mormorò. «E non hanno nessun interesse a disturbarli, visto che quei mostri ripuliscono questa zona dal puzzo dei goblin. Mi stupirei che sette guerrieri esperti come loro non si siano accorti di nulla.» L'elfo cominciò ad attraversare la piattaforma di pietra, ma Regis lo afferrò per un lembo del mantello. «Qua sotto c'è il cadavere di un ettin,» gli disse. «Un sacco di carne prelibata.» Drizzt reclinò il capo con espressione stupita mentre con lo sguardo scrutava il volto dell'accorto nanerottolo. Bruenor gli aveva fatto un enorme favore obbligando Regis a seguirlo in quella missione. Aggirarono la pietra e scesero dal lato opposto. Con la coda dell'occhio si accorse che numerose creature voraci stavano banchettando con il cadavere del gigante. Se avesse continuato ad avanzare nella direzione iniziale, Drizzt sarebbe caduto in mezzo a quel groviglio di mortali tentacoli. Imboccarono un cunicolo laterale e fatti pochi passi si ritrovarono di nuovo soli, immersi nelle tenebre con Guenhwyvar che procedeva silenziosamente davanti a loro. La torcia cominciava a spegnersi e quando Drizzt tuffò una mano nella bisaccia per prenderne un'altra, Regis si limitò a scuotere la testa per ricordare all'amico che avrebbero dovuto usarle con molta parsimonia. Continuarono a camminare nel silenzio e nel buio più assoluti. I loro passi erano rischiarati dalla luce magica di Lampo e l'elfo ebbe l'impressione di essere tornato indietro nel tempo, quando attraversava il Mondo Tenebroso in compagnia del suo fedele felino e della strana sensazione che gli solleticava la pelle ogni volta che era consapevole che il pericolo poteva nascondersi in ogni angolo. *
*
*
«Il disco è tiepido?» chiese Jarlaxle scorgendo l'espressione estasiata del volto di Vierna mentre le sue dita accarezzavano la superficie metallica. La sacerdotessa era seduta sul drider, la sua cavalcatura per quel viaggio. Di-
nin procedeva tranquillo con espressione vuota e stordita. «Mio fratello non è molto lontano,» rispose Vierna socchiudendo gli occhi per concentrarsi. Il mercenario si appoggiò contro la parete e aguzzò lo sguardo per vedere oltre il cumulo di cadaveri di goblin, in fondo alla galleria. Attorno a lui si aggiravano ombre silenziose, il suo implacabile esercito di sanguinari assassini, che si stavano tranquillamente appostando. «Siamo sicuri che Drizzt è veramente qui?» ebbe il coraggio di chiederle Jarlaxle, anche se non aveva nessuna intenzione di distoglierla dai suoi pensieri... Non quando la sacerdotessa montava il simbolo della sua stessa ira. «È qui,» rispose Vierna con voce pacata. «E sei sicura che i nostri amici non lo uccideranno prima che noi saremo in grado di acciuffarlo?» la incalzò il mercenario. «Possiamo fidarci dei nostri alleati,» rispose Vierna con un'espressione imperturbabile che ebbe il potere di tranquillizzare il soldato. «Lloth me l'ha assicurato.» Quella era la fine della discussione, si disse Jarlaxle, anche se stentava non poco a fidarsi degli umani, e soprattutto di quelle creature malvagie di cui Vierna si era attorniata. Osservò la galleria davanti a sé e le ombre indistinte dei mercenari che avanzavano lentamente. Jarlaxle si fidava solo dei suoi soldati, un esercito di elfi scuri che sapeva come destreggiarsi in quel mondo. Se Drizzt Do'Urden si stava veramente aggirando per quelle gallerie, non v'era ombra di dubbio che gli abili guerrieri di Bregan D'aerthe lo avrebbero catturato. «Devo liquidare le forze di Baenre?» chiese il mercenario rivolgendosi a Vierna. La sacerdotessa rimase un attimo pensierosa, ma alla fine scosse il capo, quasi a confermare i dubbi che Jarlaxle nutriva sulla sua effettiva sicurezza che il fratello si trovasse proprio in quella zona. «Lascia che rimangano con noi ancora un po',» disse. «Quando avremo trovato mio fratello, serviranno a coprire il nostro ritorno.» Jarlaxle si lasciò sfuggire un silenzioso sospiro di sollievo. Se Drizzt si aggirava per quei cunicoli, come Vierna si ostinava a sostenere, non potevano sapere quanti dei suoi amici lo avevano accompagnato, ma la presenza di una cinquantina di soldati di Baenre lo rincuorava. Ma un'altra cosa pungolava la curiosità di Jarlaxle. Mentre avanzava non poté fare a meno di chiedersi come Triel Baenre avrebbe accolto la notizia
che i suoi soldati, anche se erano solo maschi, erano stati usati come carne da macello. *
*
*
«Questi cunicoli non finiscono mai,» gemette Regis dopo due ore di cammino in quei sinuosi budelli sotterranei. Quando si ritrovarono in una piccola grotta naturale costellata di stalattiti e giganteschi cumuli di terriccio, Drizzt decise di fermarsi per cenare e accese persino una torcia. L'elfo avvertì l'innocente apprensione nelle parole del nanerottolo. Si erano addentrati nelle viscere oscure di quel regno per parecchie miglia e le gallerie si snodavano davanti ai loro piedi collegando una miriade di caverne e intersecando un'infinità di cunicoli laterali. Non era la prima volta che Regis si aggirava per la zona delle miniere dei nani, ma prima d'allora non era mai entrato nel regno inferiore, nell'inquietante Mondo Tenebroso, dimora degli elfi scuri e luogo in cui era nato Drizzt Do'Urden. L'aria opprimente e il tetto di solida pietra sopra le loro teste scatenarono una ridda di pensieri nella mente dell'elfo. Drizzt ripensò al proprio passato, al periodo in cui viveva ancora a Menzoberranzan e passeggiava assieme a Guenhwyvar nel labirinto di gallerie del mondo di Toril. «Ci perderemo, proprio come quei poveri nani,» mugugnò Regis con la bocca piena. Stava sbocconcellando un biscotto e lo masticava lentamente per assaporarne anche la più piccola briciola. Il sorriso di Drizzt non parve tranquillizzarlo, ma l'elfo confidava nel proprio senso dell'orientamento, e ancor più in quello della pantera poiché la loro marcia aveva sempre tenuto come punto di riferimento la caverna in cui si era svolta la battaglia contro i goblin. Drizzt indicò un punto dietro alle spalle di Regis, e il nanerottolo si voltò appena. «Se noi torniamo indietro lungo quel cunicolo e imbocchiamo la prima galleria a destra nel giro di poco tempo ci ritroveremo nella grotta dove Bruenor ha sconfitto i goblin,» spiegò Drizzt. «Il luogo in cui abbiamo incontrato Cobble non è molto lontano da qui.» «Mi sembra molto più lontano, invece,» mormorò Regis con un filo di voce. Drizzt non aggiunse altro, ma fu contento che Regis fosse al suo fianco anche se il nanerottolo non era di buon umore. Si sorprese a pensare che era la prima volta che si ritrovava da solo con il piccolo amico da quando Regis era ritornato inaspettatamente a Mithril Hall. Nelle settimane che
erano seguite al suo arrivo, infatti, nessuno aveva avuto modo di vederlo molto in giro, se non forse i cuochi delle cucine di palazzo. «Perché sei tornato?» gli chiese Drizzt all'improvviso. Regis cominciò a tossire briciole di biscotto e a lanciare occhiate incredule all'elfo. «Siamo davvero contenti che tu sia tornato,» aggiunse Drizzt per fugare i dubbi che avrebbero potuto nascere da quella domanda inaspettata. «E tutti noi speriamo che ti fermerai a lungo. Ma dimmi perché, amico?» «Io... Per il matrimonio,» balbettò Regis. «Ne sono sicuro, ma non è certo questa l'unica ragione,» ribatté l'elfo con un sorriso malizioso. «Quando ti ho visto l'ultima volta, ti ho lasciato a capo di una potente corporazione e con tutta Calimport ai tuoi piedi.» Regis fissò lo sguardo in un punto lontano mentre si ravviava i capelli con una mano, tormentandosi nervosamente l'orecchino con le dita inanellate. «Quella era la vita che aveva sempre desiderato il Regis che io conoscevo,» osservò Drizzt. «Allora, forse, non conosci abbastanza Regis,» ribatté il nanerottolo. «Forse,» concordò Drizzt, «ma sono sicuro che ci sono altre ragioni. Ti conosco abbastanza per sapere che faresti qualsiasi cosa pur di evitare di combattere. Nonostante ciò, mi sei sempre rimasto accanto durante la battaglia contro i goblin.» «Dimmi un posto più sicuro se non vicino a Drizzt Do'Urden?» «Nei livelli superiori, in cucina,» ribatté prontamente l'elfo con un sorriso affettuoso. La luce che brillava nei suoi occhi lavanda era sincera, anche se l'elfo si rendeva conto che Regis gli stava nascondendo qualcosa di veramente grosso. «Indipendentemente dalla ragione che ti ha riportato fra noi, sappi che siamo contenti che tu sia qui,» aggiunse l'elfo. «Primo fra tutti è Bruenor, anche se non vuole darlo a vedere. Ma se hai avuto qualche problema, se qualche pericolo incombe sulla tua testa, ti consiglio di dirlo apertamente in modo che possiamo risolverlo insieme. Noi siamo tuoi amici, non scordarlo, e rimarremo sempre al tuo fianco senza recriminare o condannare. Se devo dar ascolto alla mia esperienza, si affronta meglio il nemico quando lo si conosce bene.» «Ho perduto il controllo della corporazione,» disse Regis dopo un lungo attimo di silenzio. «Solo due settimane dopo la vostra partenza da Calimport.» Quella notizia non sorprese affatto l'elfo che rimase zitto, in attesa che Regis gli raccontasse i particolari.
«Artemis Entreri,» aggiunse il nanerottolo con voce cupa mentre sollevava il suo viso serafico per guardare l'elfo negli occhi e studiarne l'espressione. «Entreri si è impossessato della corporazione?» gli chiese Drizzt. Regis annuì lentamente. «Non gli è stato molto difficile. La rete dei suoi scagnozzi si è infiltrata fino a raggiungere i miei più stretti e fidati collaboratori.» «Avresti dovuto aspettarti un trattamento simile dall'assassino,» disse Drizzt con un sorriso che sorprese non poco il nanerottolo. «La trovi molto divertente, la mia storia?» «È meglio che la corporazione sia caduta in mano a Entreri,» aggiunse Drizzt mentre la sorpresa si impossessava definitivamente del viso di Regis. «Lui si trova a proprio agio in quella sudicia città in cui imperano il malaffare e i loschi raggiri.» «Ma io credevo...» cominciò a dire Regis con aria confusa. «Tu non avevi intenzione di tornare e...» «Uccidere Entreri?» concluse Drizzt con una risatina soffocata, e quando Regis cominciò ad annuire aggiunse: «Ho già combattuto contro l'assassino e per me la storia è conclusa.» «Entreri non la pensa allo stesso modo,» bofonchiò Regis. Drizzt scrollò le spalle. Aveva notato che il suo atteggiamento distaccato aveva vagamente infastidito il nanerottolo. «Finché rimane nei territori meridionali, Entreri non costituisce una minaccia per me,» disse pur immaginandosi che anche Regis sapeva che Entreri non si sarebbe mai dato pace a Calimport. Forse era stato quello il motivo per cui Regis non era rimasto nei livelli superiori durante lo scontro contro i goblin, si sorprese a pensare Drizzt. Forse il nanerottolo aveva temuto che Entreri si intrufolasse a Mithril Hall e se l'assassino lo avesse trovato, avrebbe sicuramente colto l'occasione per vendicarsi dell'elfo. «Gli hai inflitto un duro colpo,» aggiunse Regis. «Al suo amor proprio durante il vostro duello, voglio dire. Non è il tipo che perdona un simile affronto.» L'espressione di Drizzt si fece improvvisamente grave. Colto alla sprovvista, Regis indietreggiò d'un passo quasi volesse allontanarsi dallo sguardo feroce dell'elfo. «Credi che ti abbia seguito fin qui?» gli chiese Drizzt a bruciapelo. Regis scosse il capo con veemenza. «Ho sistemato le cose in modo che sembri che io sia stato ucciso,» spiegò il nanerottolo. «Oltretutto Entreri sa
dov'è Mithril Hall e pertanto se voleva scovarti, non aveva certo bisogno di inseguirmi.» «Ma sono sicuro che non lo farà,» si affrettò ad aggiungere dopo aver inspirato a fondo. «Da quanto ho sentito dire in giro, ha perso l'uso di un braccio ed è diventato guercio da un occhio. Non è più un tuo pari in combattimento.» «È stato il suo stesso cuore a causare la sua rovina,» mormorò Drizzt soprappensiero, anche se non poteva negare l'eterna rivalità che lo aveva legato da sempre allo spietato assassino. Il corrotto e freddo Entreri era stato il suo avversario in molte occasioni, ma si era sempre dimostrato all'altezza dell'abilità in combattimento di Drizzt. Purtuttavia, Entreri aveva adottato una filosofia di vita in base alla quale un vero guerriero doveva essere un'efficiente macchina di morte. L'elfo, invece, anch'egli cresciuto fra quegli stessi ideali, era convinto che l'aspirazione alla rettitudine avrebbe stimolato l'abilità del guerriero. Suo padre, il grande Zaknafein, non aveva rivali in tutto Menzoberranzan poiché la sua spada era divenuta il vessillo della giustizia e i suoi combattimenti affondavano le loro radici in una equa giustizia. «Non illuderti che abbia smesso di odiarti,» mormorò Regis riportandolo alla realtà. Drizzt notò un guizzo misterioso nello sguardo del nanerottolo ed ebbe quasi l'impressione che fosse una malcelata dimostrazione del ribrezzo che provava il suo piccolo amico nei confronti dell'assassino. Dopo qualche attimo di esitazione, non poté fare a meno di chiedersi se quel suo modo laconico di esprimersi non fosse un velato invito a ritornare a Calimport per concludere una volta per tutte l'annosa lotta contro Entreri, in modo che la corporazione dei ladri ritornasse nelle mani di Regis. «L'odio di Entreri nasce dal fatto che il mio comportamento gli ha dimostrato che il suo stile di vita non è altro che una vuota menzogna,» disse infine Drizzt con fermezza. No, si disse, non sarebbe ritornato a Calimport per sconfiggere Artemis Entreri, per nessuna ragione. Se così avesse fatto, si sarebbe abbassato all'infido livello morale del suo stesso avversario. Sarebbe stato costretto a soggiacere alle sue regole del gioco, e Drizzt aborriva una simile possibilità. Molto tempo prima aveva voltato le spalle al suo popolo, senza rimpianti, e non aveva nessuna intenzione di ritornare sui suoi passi. Regis si voltò leggermente, quasi intuisse i reconditi pensieri che si agitavano nella mente dell'amico. L'espressione sul suo viso tradiva un im-
bronciato disappunto. Drizzt dovette concludere che Regis effettivamente aveva sperato con tutte le proprie forze che l'elfo riconquistasse la corporazione con le sue infallibili scimitarre, e che il nanerottolo aveva mentito quando aveva sostenuto che Entreri non avrebbe mai osato spingersi a settentrione all'inseguimento del suo mortale nemico. Se l'assassino, o i suoi temibili scagnozzi, non si erano dati pena di raggiungerli da quelle parti, perché Regis non lo aveva abbandonato un solo istante quando avevano combattuto contro i goblin? «Andiamo,» disse Drizzt prima che la rabbia lo travolgesse. «Dobbiamo percorrere ancora molte miglia prima di accamparci per la notte. E presto dovremo mandare Guenhwyvar nel Piano Astrale. Le nostre probabilità di ritrovare i nani saranno maggiori se la pantera rimane al nostro fianco.» Regis infilò quanto rimaneva delle loro provviste nella sua capiente bisaccia, spense la torcia e cominciò a trotterellare alle spalle dell'elfo. Di tanto in tanto Drizzt si voltava verso l'amico e ogni volta provava meraviglia frammista a sconcerto quando intercettava l'espressione sdegnata negli occhi rossi del suo amico nanerottolo. Capitolo 8 Vortice di scintille Scintillanti gocce di sudore scivolavano lentamente lungo le braccia muscolose del gigante. Le ombre gettate dalle lingue di fuoco avvolgevano le sue spalle e il suo possente torace. Con sorprendente facilità, come se stesse sollevando un leggero fuscello, Wulfgar alzava e abbassava ripetutamente un massiccio maglio su una sbarra di metallo. Schegge infuocate di ferro fuso si irradiavano dall'incudine e rimbalzavano contro le pareti e il pavimento spegnendosi sfrigolando sul grembiule di cuoio che indossava. Il sangue gli pulsava veloce nelle vene rendendole ancora più turgide, ma nulla lo avrebbe fermato. Il braccio di Wulfgar era mosso dalla certezza che in qualche modo avrebbe dovuto venire a capo delle emozioni contrastanti che gli avevano attanagliato il cuore. Avrebbe trovato sollievo solo nello sfinimento. Erano anni, ormai, che Wulfgar non lavorava davanti a una fucina. Dai tempi della Valle del Vento Ghiacciato, quando Bruenor lo aveva liberato
dal giogo della servitù. Il barbaro ripensò a quei luoghi ed ebbe l'impressione che i ricordi si perdessero nei meandri oscuri della memoria. Wulfgar aveva sentito il bisogno del ritmico e istintivo battito del maglio contro il ferro rovente, dello sforzo fisico per sedare la ridda di impulsi che non gli dava tregua. Quei movimenti cadenzati e quasi disperati avrebbero lentamente incanalato i suoi pensieri turbinosi lungo un sentiero rettilineo permettendogli così di focalizzare l'attenzione fra un battito e l'altro. Desiderava risolvere molte cose quel giorno e rispolverare le ragioni per cui si era sentito attratto dalla sua futura sposa. Ma quando il braccio rimaneva sospeso a mezz'aria, pronto per ricadere subito sul ferro, la stessa immagine gli si formava davanti agli occhi: Aegis-fang che roteava vorticosa a una spanna dalla tempia di Drizzt. Wulfgar aveva tentato di uccidere il suo amico più caro. Con rinnovato vigore il maglio si schiantò contro il metallo e una pioggia di faville rossastre rischiarò la stanza. Per i Nove Inferi, cosa gli stava succedendo, si chiese mentre abbassava il braccio con forza. Quante volte Drizzt Do'Urden gli aveva salvato la vita? Quale vuoto incolmabile aveva riempito quel suo amico dalla pelle scura come l'ebano? Wulfgar emise un gemito mentre riabbassava il maglio ripensando che l'elfo aveva baciato Catti-brie, la sua Catti-brie, fuori dalle porte di Mithril Hall il giorno del suo ritorno. Il respiro si spezzò dalla fatica, ma il suo braccio continuò a seguire i ritmici movimenti altalenanti quasi desiderasse convogliare nel maglio tutta la rabbia che covava nel suo animo. Wulfgar socchiuse gli occhi e serrò la mano attorno al manico. Le vene delle braccia e del collo si ingrossarono a dismisura. «Sfoghi i tuoi bollenti spiriti o cerchi di non perdere l'abitudine?» disse la voce di un nano. Wulfgar aprì gli occhi e si girò di scatto appena in tempo per vedere un suddito di Bruenor sgattaiolare velocemente davanti alla porta socchiusa della sua stanza. La risatina divertita del nano echeggiò a lungo nel corridoio di pietra. Quando il barbaro osservò il frutto del suo lavoro, capì la ragione delle parole del nano. La lancia di metallo aveva assunto una forma indistinta, eccessivamente smussata agli angoli. Il barbaro lanciò la sbarra in un angolo e appoggiò il maglio sul pavimento. «Perché mi hai fatto una cosa simile?» disse a voce alta quasi che Drizzt
si trovasse in quella stanza. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad allontanare dalla propria mente l'immagine di Drizzt e della sua amata Cattibrie avvinghiati in un bacio appassionato nonostante non fosse stato testimone dell'accaduto. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e striata di fuliggine e si sedette sul bordo di un tavolo di pietra. Non avrebbe mai immaginato che la situazione si complicasse fino a quel punto e mai si sarebbe aspettato un comportamento così oltraggioso da parte di Catti-brie. Riandò con il pensiero alla prima volta in cui il suo cuore aveva sussultato d'amore per lei, quando Catti-brie era poco più di una ragazzina che si aggirava con passo leggiadro lungo le gallerie della città dei nani nella Valle del Vento Ghiacciato, come se i pericoli che si nascondevano dietro a ogni angolo non avessero il potere di sfiorarla nonostante l'acerrima guerra appena conclusa contro la gente di Wulfgar. Aveva compreso quasi subito che Catti-brie aveva catturato il suo cuore costringendolo a pulsare al ritmo di una danza struggente a lui sconosciuta. Non aveva mai incontrato una donna come lei. Nella tribù in cui era cresciuto erano gli uomini a dettare legge, mentre le donne si limitavano a vivere in disparte sempre pronte a soddisfare le esigenze dei loro mariti e capi. Le donne barbare non avrebbero mai avuto il coraggio di contraddire i loro uomini, proprio come aveva fatto Catti-brie con Wulfgar quando il giovane barbaro voleva imporle di rimanere al sicuro a Mithril Hall anziché accompagnare l'esercito all'incontro con i goblin. Doveva ammettere che le tradizioni del suo popolo gravavano ancora sulle sue spalle e che era stato uno stolto a comportarsi a quel modo con Catti-brie. Nonostante ciò, sentiva di avere bisogno di una donna al suo fianco, una moglie da proteggere e di cui prendersi cura. La situazione era davvero complicata, si disse Wulfgar, e a peggiorare le cose c'era quel bacio di Catti-brie dato a Drizzt Do'Urden. Wulfgar si alzò con un gesto fulmineo e afferrò il maglio, consapevole del fatto che avrebbe trascorso ancora molto tempo davanti alla fucina nel disperato tentativo di sfogare la propria rabbia con quell'arnese sul metallo che si modellava a suo piacere come Catti-brie non aveva fatto. Il barbaro lasciò cadere il maglio con tutta la forza che aveva in corpo su un pezzo di metallo che aveva appena estratto dal fuoco. L'incudine vibrò, la stanza rimbombò. Una pioggia di scintille lo inondò in pieno viso, ustionandogli le guance, ma Wulfgar non provò dolore.
*
*
*
«Accendi una torcia,» sussurrò l'elfo. «La luce tradirà la nostra presenza,» bisbigliò Regis di rimando. In lontananza si udì un cupo ringhio che echeggiò a lungo nella galleria. «La torcia,» ordinò Drizzt porgendo la pietra focaia all'amico. «Tienila stretta e aspettami qui. Vado a fare un giro con Guenhwyvar.» «Devo forse fare da esca?» lo incalzò il nanerottolo. Drizzt non udì nemmeno la domanda dell'amico. I suoi sensi erano tutti protesi verso i segni del pericolo che incombeva in quei cunicoli tenebrosi. Dopo aver sguainato una sola scimitarra si allontanò silenziosamente, riservandosi di sfoderare Lampo solo in caso di necessità affinché il tenue bagliore sprigionato dalla sua lama non lo rendesse una preda facile. Regis accese la torcia sbuffando con aria irritata ma quando la luce rischiarò il cunicolo si ritrovò solo. Un ringhio soffocato lo sorprese alle spalle. Il nanerottolo si voltò di scatto brandendo la mazza, ma si accorse che era Guenhwyvar che si avvicinava con passo furtivo. La pantera lo oltrepassò silenziosa diretta verso Drizzt, e Regis cercò inutilmente di seguirla. Di nuovo solo, il nanerottolo si guardò intorno osservando le lunghe ombre gettate dalla torcia che danzavano contro la roccia frastagliata. Appoggiò la schiena contro la parete e continuò a procedere lentamente. A pochi passi di distanza scorse l'imboccatura di un cunicolo laterale. Regis avanzò con passo guardingo tenendo la torcia davanti a sé mentre nell'altra mano stringeva la mazza. Avvertì la presenza di qualcuno che si stava avvicinando dalla parte opposta. Appoggiò la torcia sul pavimento e avvicinò la mazza al torace allargando leggermente le gambe per bilanciare il peso dell'arma. Inspirò a fondo e svoltò l'angolo con un movimento fulmineo sventolando la mazza davanti al naso, ma un bagliore azzurrognolo intercettò il suo colpo. L'assordante fragore del metallo echeggiò nella galleria e Regis ebbe appena il tempo di indietreggiare di un passo e abbassare il braccio deviando il fendente per colpire il misterioso avversario al fianco. Si udì di nuovo il fragore del metallo contro il metallo. La mazza roteò velocemente, ma il nemico parava ogni colpo con un'abilità sorprendente. «Regis!» Il nanerottolo aveva appena sollevato l'arma sopra la testa per lasciarla ricadere in avanti, ma ruotò il braccio di lato non appena riconobbe la vo-
ce. «Ti avevo detto di rimanere indietro con la torcia,» lo rimproverò Drizzt uscendo dalla penombra. «Sei stato fortunato che non ti abbia ucciso.» «E che io non abbia ucciso te,» ribatté Regis senza battere ciglio con una voce pacata che sorprese l'elfo. «Hai trovato qualcosa?» Drizzt scosse il capo. «Non ancora,» disse, «ma Guenhwyvar e io siamo sicuri che non manca molto.» Regis si chinò per afferrare la torcia e infilò la mazza nel cinturone, a portata di mano. Il ringhio soffocato della pantera richiamò la loro attenzione e i due amici cominciarono a correre lungo la galleria. «Non abbandonarmi!» implorò il nanerottolo afferrando un lembo del mantello di Drizzt e sforzandosi di tenere il passo senza inciampare sul terreno insidioso. Drizzt rallentò non appena gli occhi dorati di Guenhwyvar rifletterono la fioca luce della torcia. La pantera era acquattata oltre una curva a gomito della galleria. «Ho la vaga sensazione che li abbiamo trovati,» mormorò Regis con voce cupa porgendo la torcia all'elfo e mollando il suo mantello. Drizzt avanzò lentamente ammiccando mentre Regis lo seguiva a poca distanza. Alzò la torcia davanti a sé e descrisse un ampio arco con il braccio. La torcia illuminò una scena raccapricciante. Avevano finalmente ritrovato i nani che mancavano all'appello. Alcuni corpi dilaniati e insanguinati erano riversi sul pavimento, mentre altri erano stati appoggiati contro la parete irregolare del cunicolo. *
*
*
«Se non vuoi indossare il grembiule, non farlo!» esclamò Bruenor con voce esasperata. Catti-brie annuì soddisfatta. Aveva finalmente ottenuto ciò che desiderava. «Ma, re...» protestò Cobble frastornato lanciando occhiate furtive prima a Catti-brie e poi a Bruenor. «Bah!» sbuffò il nano per zittire il suo fedele e intransigente chierico. «Tu non la conosci quanto la conosco io. Se dice che non lo indosserà, nemmeno i giganti che si aggirano sulla Spina Dorsale del Mondo riusciranno a farle cambiare idea.» «Ehi, voi là dentro!» tuonò una voce da dietro la porta accompagnata da
violenti colpi. «So che sei lì, Bruenor Martello di guerra, e che ti fai chiamare re di Mithril Hall! E adesso apri questa porta e accogli chi è migliore di te come si deve.» «Conosciamo questa voce?» chiese Cobble lanciando un'occhiata sorpresa a Bruenor. «Ti ho detto di aprire!» urlò la voce seguita da una seconda raffica di colpi contro la porta. Il legno si incrinò e una pioggia di schegge riempì la stanza mentre una mano avvolta in un pesante guanto borchiato su cui sporgeva una acuminata punta di lancia si apriva una breccia fra le pesanti assi. «Per tutto il metallo di Mithril Hall!» esclamò con tono più tranquillo. Bruenor e Cobble si guardarono con espressione incredula. «No, non può essere,» mormorarono all'unisono scuotendo la testa. «Cosa sta succedendo?» chiese Catti-brie con impazienza. «Incredibile,» aggiunse Cobble aumentando la curiosità della ragazza. La creatura al di là della porta emise un grugnito quando ritrasse il micidiale guanto. «Mi vuoi dire cosa sta succedendo?» ripeté Catti-brie rivolta al padre con le mani appoggiate sui fianchi. La porta si aprì all'improvviso e fermo sulla soglia Catti-brie vide il nano più strano che avesse mai incontrato in vita sua. Portava un paio di guanti irti di punte metalliche, molto simili a quelle che sporgevano dai gomiti, dalle ginocchia e dalle punte degli stivali. Indossava un'armatura composta da strisce metalliche orizzontali distanziate fra loro che lo copriva dal collo alle cosce e dalle spalle all'avambraccio. L'elmo grigio, su cui si innalzava una sorta di lancia lunga la metà dell'altezza del nano, non aveva visiera ma dai lati scendevano due liste di cuoio che scomparivano nella sua folta barba nera. «Lui è un armigero,» disse Bruenor con malcelato sdegno. «Non sono un armigero,» lo corresse il nano. «Ma l'armigero per eccellenza! Il più bravo e selvaggio di tutti!» esclamò avvicinandosi a lunghi passi a Catti-brie mentre allungava una mano sorridendole. Il cupo tintinnio dell'armatura a ogni suo passo ebbe il potere di far accapponare la pelle alla ragazza. «Thibbledorf Pwent al tuo servizio, mia buona signora!» esclamò il nano con un inchino. «Miglior guerriero di tutta Mithril Hall. E tu dovresti essere la Catti-brie di cui ho tanto sentito parlare ad Adbar. La figlia umana di Bruenor, così mi hanno raccontato, anche se mi sorprende il fatto che tu
non abbia barba e baffi come tutte le nane del clan Martello di guerra che si rispettino!» Catti-brie venne investita da un odore rivoltante e non poté fare a meno di chiedersi se quella creatura si fosse tolta l'armatura negli ultimi cent'anni. «Cercherò di farmela crescere,» rispose. «Ci conto! Oh, ci conto davvero!» esclamò Thibbledorf avvicinandosi a Bruenor con il suo cupo tintinnio. «Mio re!» gridò con un inchino talmente sfrontato che per poco la punta tagliente sul suo elmo non recise il lungo naso di Bruenor. «Per i Nove Inferi, cosa combini da queste parti?» gli chiese Bruenor. «Vivo e ben arzillo, per giunta!» aggiunse Cobble stringendosi nelle spalle. «Credevo che tu fossi morto quando il drago Shimmergloom si è impossessato delle gallerie inferiori,» lo incalzò Bruenor. «Respirare il suo alito fetido era morte certa!» esclamò Thibbledorf. Catti-brie lo guardò sorpresa, ma non disse nulla. Thibbledorf continuò a parlare dimenando le braccia e camminando per la stanza con lo sguardo fisso nel nulla quasi stesse rivivendo un passato ormai lontano. «Un alito davvero fetido. Non ho veduto più nulla e sono stato sopraffatto da una sensazione che mi ha tolto le forze. «Ma sono riuscito a fuggire e a salvarmi!» si affrettò ad aggiungere il nano voltandosi di scatto verso Catti-brie e puntandole contro un dito grassoccio. «Grazie a una porta segreta nelle gallerie inferiori! Nemmeno un drago è riuscito ad avere ragione di un membro del clan dei Pwent.» «Siamo riusciti a difendere Mithril Hall per altri due giorni prima che gli scagnozzi di Shimmergloom ci spingessero verso la Valle del Guardiano,» aggiunse Bruenor. «Non si seppe più nulla di te o del tuo ritorno a combattere accanto a mio padre e mio nonno, l'allora re di Mithril Hall.» «Ho impiegato una settimana a ricuperare le forze e raggiungere la porta occidentale,» spiegò l'armigero. «Ma ormai Mithril Hall era perduta.» «Qualche tempo più tardi,» aggiunse ravviandosi la barba con una punta del guanto, «ho sentito raccontare che un gruppo di giovani nani, te compreso, si era diretto a occidente. Qualcuno sosteneva che eravate andati a lavorare nelle miniere di Mirabar, ma quando arrivai lì nessuno seppe dirmi nulla.» «Duecento anni!» tuonò Bruenor a una spanna di distanza dal viso di Thibbledorf. «Hai impiegato duecento anni per ritornare qui, e in tutto questo tempo non siamo mai riusciti ad avere notizie su di te.»
«Mi misi in viaggio verso oriente,» spiegò il nano con aria tranquilla. «Ho vissuto bene. I soldi non mi mancavano. Facevo il mercenario a Sundabar e per il re Harbromme della Fortezza di Adbar. È stato là che tre settimane fa, al mio rientro da un viaggio nei regni meridionali, sono venuto a sapere del tuo ritorno... Che un nano del clan dei Martello di guerra si era impossessato di Mithril Hall! «Eccomi qui, re,» disse inginocchiandosi davanti a Bruenor. «Nominami tuo difensore,» aggiunse ammiccando verso Catti-brie e indicando la punta sull'elmo. «Fedele e agguerrito?» gli chiese Bruenor con aria sorniona. «Come sempre,» ribatté l'armigero con voce asciutta. «Mando a chiamare una scorta,» disse infine Bruenor. «Ti accompagneranno a farti un bagno e a mangiare un boccone.» «Accetto il cibo di buon grado,» replicò Thibbledorf. «Ma puoi tenerti la scorta e il bagno. So ancora arrangiarmi e girare da queste parti molto meglio di te, Bruenor Martello di guerra. Ricordati che eri un nano ancora imberbe quando siamo stati cacciati da qui!» esclamò accarezzando scherzosamente il mento del re che con un gesto fulmineo gli allontanò il braccio. Il guerriero scoppiò in una fragorosa risata che si mescolò al tintinnio dell'armatura mentre usciva dalla stanza. «Un bel tipo,» mormorò Catti-brie. «Ed è ancora vivo,» mormorò Cobble con aria assente. «Tu non me ne hai mai parlato,» osservò Catti-brie rivolta al padre. «Credimi, figliola,» ribatté Bruenor inarcando un sopracciglio. «Non valeva la pena di perdere fiato.» *
*
*
Esausto, il barbaro si lasciò cadere sul giaciglio nella speranza di ritrovare la pace nel sonno. Avvertì, però, che il sogno si stava lentamente riformando nella sua mente non appena chiuse gli occhi. Si mise a sedere, ormai stremato da quelle immagini di Catti-brie e Drizzt che lo perseguitavano. Ma per quanto si sforzasse, il sogno ritornava con un'insistenza che lo sfiniva. Vedeva una miriade di scintille che lentamente formavano un vortice che lo risucchiavano verso il basso. Wulfgar cercava disperatamente un appiglio per rimanere in piedi, ma
ogni suo tentativo era vano. Inesorabilmente il suo corpo scendeva in quel baratro di luce senza fine verso un caleidoscopio di immagini che lo attendevano con una crudeltà implacabile. Capitolo 9 Ferite profonde «Goblin?» chiese Regis mentre Drizzt si chinava su uno dei cadaveri per controllare le ferite. L'elfo scosse il capo. I goblin non sarebbero mai stati in grado di lasciare quei poveri nani ridotti in quelle condizioni anche se fossero stati armati con le spade più resistenti. Oltretutto i goblin non erano soliti ricuperare i corpi dei loro morti, e in quell'anfratto gli unici cadaveri erano quelli dei nani. Indipendentemente dalla superiorità numerica del nemico o dall'agguato teso a quello sfortunato drappello di nani valorosi, Drizzt era sicuro che i goblin non potevano averli uccisi senza subire nessuna perdita. Le ferite sul cadavere confermarono i dubbi dell'elfo. Erano tagli profondi e precisi, sicuramente aperti non dal filo tagliente di una spada. La gola di quel nano era stata squarciata da un rasoio forse incantato. La ferita era appena visibile anche dopo che Drizzt l'aveva ripulita dal sangue rappreso. «Cosa li ha uccisi?» chiese Regis dondolandosi sui piedi con aria impaziente e passando la torcia da una mano all'altra. Drizzt non voleva accettare l'irrefutabile verità. Quante volte durante gli anni che aveva vissuto a Menzoberranzan aveva veduto ferite simili a quelle quando combatteva assieme alla sua gente? Nessun'altra razza che abitava nei Regni, forse con l'unica esclusione degli elfi di superficie, era in grado di infliggere ferite mortali con armi così taglienti. «Cosa li ha uccisi?» ripeté Regis con voce tremante di paura. «Non lo so,» disse Drizzt scuotendo il capo. Si avvicinò a un corpo appoggiato contro la parete della galleria e nonostante l'abbondante sangue rappreso scorse un unico sottile sfregio diagonale sulla gola del nano. «Potrebbero essere stati i duergar,» disse Drizzt rivolto a Regis riferendosi ai malvagi nani grigi. Quella conclusione non faceva una piega, soprattutto se si considerava il fatto che i duergar avevano servito Shimmergloom e avevano vissuto in quelle gallerie fino a poco tempo prima, quando l'esercito di Bruenor li aveva cacciati. Ma in cuor suo Drizzt si rendeva
conto che quel ragionamento si fondava più sulla speranza che sulla verità. Gli avidi duergar avrebbero spogliato le loro vittime e si sarebbero impossessati degli attrezzi da scavo. Dall'attento esame di quelle misteriose ferite l'elfo capì che non potevano essere stati nemmeno i duergar poiché quei nani, come del resto anche i nani delle montagne, combattevano con armi pesanti e soprattutto con asce. «Nemmeno tu ci credi,» osservò Regis alle sue spalle. Drizzt non si voltò nemmeno e si accovacciò accanto al terzo cadavere. Dopo un lungo attimo di silenzio, però, la voce di Regis colpì il suo udito con sorprendente chiarezza. «Tu credi che sia stato Entreri.» Drizzt non lo credeva affatto. L'elfo non poteva credere che un guerriero solitario la cui spietata bravura non aveva eguali potesse aver compiuto un lavoro così preciso e definitivo. Lanciò un'occhiata di sottecchi a Regis avvolto nell'alone di luce della torcia nella sua impassibile immobilità mentre con lo sguardo cercava qualche indizio nell'espressione del volto dell'amico. Drizzt stentava a credere che il nanerottolo fosse giunto a una conclusione così bizzarra e ritenne che ciò fosse dovuto alla sua folle paura che Entreri avesse abbandonato Calimport per riacciuffarlo. L'elfo scosse il capo con aria rassegnata e continuò a esaminare i cadaveri. Sul corpo del terzo nano scoprì un indizio che restrinse la rosa dei potenziali assassini a una sola, inconfondibile razza. Un minuscolo dardo era conficcato nel fianco dello sventurato, seminascosto da una piega del mantello. Drizzt inspirò a fondo prima di trovare il coraggio di toglierla. Quella fatale arma spiegava la facilità con cui il drappello di guardie era stato sopraffatto e barbaramente trucidato. La punta della freccia, senza dubbio scoccata da una pesante balestra, era stata intinta in un veleno soporifero. Quella era l'arma preferita degli elfi scuri. Drizzt si alzò in piedi lentamente e le scimitarre comparvero all'improvviso nelle sue agili mani. «Dobbiamo andarcene di qui,» sussurrò d'un fiato. «Perché mai?» gli chiese Regis. Drizzt si girò senza proferire parola e rivolse lo sguardo all'oscurità in cui si perdeva il cunicolo, mentre alle spalle del nanerottolo, a poca distanza, Guenhwyvar ringhiava con fare minaccioso. L'elfo indietreggiò di qualche passo, silenziosamente, consapevole che un movimento brusco avrebbe potuto scatenare il finimondo. Gli elfi scuri erano giunti a Mithril Hall! Fra tutte le cose peggiori che la mente di
Drizzt era in grado di pensare, e in tutta Faerun gli orrori erano innumerevoli, nulla poteva uguagliare la forza devastatrice degli elfi scuri. «Da che parte?» sussurrò Regis. Il bagliore di Lampo si fece più intenso. «Vattene!» urlò Drizzt comprendendo il terribile significato della variazione d'intensità della propria arma. Si voltò di scatto e fece appena in tempo a vedere il nanerottolo e la sua torcia scomparire in una sfera di magiche tenebre. Drizzt scivolò contro la parete e aggirò il cadavere del nano appoggiato contro il cunicolo. Socchiuse gli occhi per sfruttare al meglio la sua potente vista e avvertì un lieve movimento del cadavere trafitto dai dardi avvelenati ai suoi piedi. Un lampo nero saettò dal globo tenebroso alle sue spalle. La galleria si illuminò quando Regis sgusciò dal suo rifugio e si allontanò accompagnato dal chiarore della torcia. Il nanerottolo non si lasciò sfuggire nemmeno un lamento e Drizzt temette che fosse stato catturato. Guenhwyvar lo seguiva a poca distanza con un percorso tortuoso. All'improvviso un dardo avvelenato rimbalzò contro il pavimento di roccia, a poche spanne dalle zampe della pantera. Subito dopo un altro la colpì con un tonfo sordo, ma il felino non rallentò il passo. Drizzt riuscì a scorgere il profilo indistinto di due esili creature ad alcuni passi di distanza. Individuò le loro braccia protese, come se stessero prendendo la mira prima di lanciare le loro mortali frecce. L'elfo si concentrò sulle sue innate capacità magiche per formare un altro globo di tenebre e dopo averlo scagliato davanti a Guenhwyvar per proteggere i suoi passi cominciò a correre nella stessa direzione del felino sperando in cuor suo che Regis fosse riuscito a sfuggire al nemico. Ripercorse tutto il cunicolo con passo sicuro, ricordandone ogni minima asperità e curva ed evitando i cadaveri delle sventurate guardie. Quando raggiunse la fine scorse l'imboccatura avvolta nella penombra di un cunicolo alla sua sinistra. Guenhwyvar vi era appena entrata e aveva assalito i due elfi scuri, ma da profondo conoscitore delle tattiche della sua gente Drizzt sapeva che quei due non erano soli. Udì un fruscio allarmante, come di una creatura dalle molteplici zampe che avanzava, e indietreggiò inorridito quando vide un mostro mezzo elfo e mezzo ragno avvicinarsi annaspando con gli otto orripilanti arti che strisciavano contro il pavimento e le pareti della galleria mentre in ogni mano
stringeva un'ascia a due teste. Un drider, pensò Drizzt con un nodo alla gola. Non esisteva altra creatura in tutto il mondo verso la quale un elfo scuro, Drizzt Do'Urden compreso, provasse un orrore paralizzante. Il ruggito di Guenhwyvar accompagnato dalla raffica di scatti metallici delle balestre riportò l'elfo alla realtà appena in tempo per parare il primo attacco del mostro. Il drider si avventò su di lui scalciando con le zampe anteriori nel tentativo di sbilanciare Drizzt e di colpirlo con le asce ondeggiandole in rapida successione. Drizzt indietreggiò subito ed evitò quel mortale colpo, ma anziché cercare riparo si avvinghiò a una zampa e con un potente colpo di reni si gettò in avanti. Lampo descrisse un rapido arco nelle tenebre ferendo la seconda zampa in modo da aprire una breccia e consentire a Drizzt di flettere le ginocchia e sgattaiolare sotto la creatura. Il drider indietreggiò e sibilò mentre tentava di colpire la schiena di Drizzt con le asce. Ma l'altra scimitarra dell'elfo era già pronta a contrattaccare, ferma davanti alla gola a mo' di scudo. Parò un'ascia e intercettò la seconda all'altezza del manico. Drizzt puntò bene i piedi a terra e girò su se stesso mentre si alzava sollevando le punte delle scimitarre sopra la testa. Parò un altro colpo mentre continuava a rialzarsi cercando di contrastare i movimenti del drider, ma all'improvviso ritrasse il braccio mentre sollevava rapidamente Lampo alla ricerca di un punto in cui conficcare l'infallibile arma. Portò tutto il peso del proprio corpo sull'impugnatura e dopo aver perforato la dura pelle del mostro spinse la lama nelle sue carni. Un fluido tiepido e viscido imbrattò il braccio dell'elfo mentre il drider urlava in preda a violente convulsioni. Le zampe continuavano a percuoterlo da tutti i lati. Per poco Lampo non gli sfuggì di mano e Drizzt dovette estrarre l'arma dal corpo dell'avversario per evitare di perderla. In quel groviglio di zampe riuscì a scorgere altri profili indistinti sbucare da un'altra galleria laterale. Erano elfi scuri, non v'era dubbio, e tutti avevano un braccio proteso in avanti. Drizzt si girò velocemente proprio nel momento in cui il primo lanciava il suo dardo. Un lembo del suo pesante mantello si sollevò avviluppandosi attorno alla mortale freccia. Quando concluse quella manovra disperata si accorse di essersi finalmente liberato del drider, ma che sfortunatamente era sotto il tiro della seconda ascia e, peggio ancora, che un elfo lo aveva catturato nel mirino della balestra.
L'ascia del mostro scese lentamente obbligando Drizzt a difendersi. L'elfo si aspettava di udire lo scatto della balestra e il sibilo del dardo, ma udì invece il ruggito soffocato della pantera che si avventava contro l'avversario. Drizzt deviò i colpi con movimenti veloci delle scimitarre riuscendo a guadagnare sufficiente tempo per allontanarsi. Ma quando finalmente si fu rialzato ed ebbe mosso qualche passo per sfuggire a quell'orrendo mostro, dovette sollevare ancora le scimitarre per bloccare la spada di un elfo vicino. «Lascia andare le tue armi e tutto sarà più facile!» disse l'elfo impugnando con forza due incantevoli spade, in una lingua che Drizzt non sentiva da molto tempo. Quella era una lingua che aveva il potere di rimestare con vigore nel calderone dei suoi ricordi di una lontana e terribile Menzoberranzan. Quante volte Zaknafein, suo padre, era rimasto fermo davanti a lui, armato di tutto punto in attesa della conclusione del loro combattimento? Drizzt si lasciò sfuggire un grugnito di rabbia e senza indugiare compì una serie di movimenti così fulminei che l'avversario rimase sbalordito. Una scimitarra avanzò rapida di lato mentre la seconda calò dall'alto incrociandosi con l'altra all'altezza della spalla. Il nemico sgranò gli occhi inorridito consapevole ormai del tragico destino che lo attendeva. Guenhwyvar li scavalcò con un agile salto e si scagliò contro il drider trascinandolo a terra mentre con i suoi terribili artigli gli dilaniava le zampe e il torace. Stavano arrivando altri elfi scuri dalle gallerie principali e laterali, ma la furia di Drizzt non si smorzò. Lampo e l'altra scimitarra riuscirono a sventare l'inizio di una controffensiva. L'elfo individuò un punto nel collo dell'avversario in cui avrebbe potuto affondare la sua lama, ma non ebbe il coraggio di ucciderlo. Quello non era un goblin, si disse Drizzt, bensì un elfo scuro, un suo simile della stessa razza di Zaknafein. Ripensò al giuramento che aveva fatto il giorno in cui aveva abbandonato la città degli elfi scuri. Abbassò velocemente il braccio e percosse una delle spade dell'avversario. Fece seguire Lampo subito dopo e la sua lama colpì l'arma nemica dall'altra parte con tale forza che venne scaraventata lontano. Il nemico indietreggiò frastornato flettendo le ginocchia, forse nella speranza di contrattaccare con la spada rimasta e di rimpossessarsi dell'arma perduta. Ma Lampo colpì l'arma avversaria di rovescio che roteò in un angolo
della galleria, e Drizzt si portò in avanti. Avrebbe potuto finirlo senza difficoltà e in un batter d'occhio, ma Drizzt ripeté in cuor suo il giuramento che aveva fatto quando aveva lasciato Menzoberranzan. Il giuramento che costituiva una promessa a se stesso e una giustificazione per la sua partenza. Non avrebbe ucciso mai più un suo simile, si disse abbassando veloce la scimitarra e girando lievemente il polso mentre sfiorava il ginocchio dell'avversario con la punta della lama. L'elfo stramazzò a terra urlando e aggrappandosi disperatamente alla roccia. Guenhwyvar si trovava sotto al drider e un lembo di pelliccia corvina penzolava al suo fianco lasciando scoperti i suoi muscoli rossastri. «Vattene, Guenhwyvar!» urlò Drizzt precipitandosi in aiuto del felino cercando di farsi strada nel groviglio delle zampe del mostro. Udì un urlo raccapricciante quando una scimitarra per poco non recise una zampa, ma quell'attimo di esitazione della creatura gli servì a raggiungere il lato opposto scivolando lungo la parete della galleria. L'ascia del drider infierì ancora sul corpo stremato della pantera, ma il felino non reagì. Guenhwyvar non seguì l'elfo, né cercò di difendersi. «Guenhwyvar!» urlò ancora Drizzt e la pantera si voltò appena. Solo allora l'elfo capì la ragione dello suo strano comportamento. Una pioggia di dardi aveva investito il suo fedele compagno. Avrebbe voluto mandarlo via prima che fosse troppo tardi, ma non aveva la statua con sé. «Guenhwyvar,» disse scorgendo altri elfi avanzare alle spalle del drider. Drizzt decise di tornare sui suoi passi e combattere accanto alla pantera fino alla fine. La creatura sibilò mentre si preparava a colpire il collo del felino con un'ascia. L'arma cadde pesantemente, ma colpì un pennacchio di fumo e l'urlo di vittoria si tramutò subito in un grido di rabbia. «Vieni!» esclamò Regis alle sue spalle mentre Drizzt si lasciava sfuggire un sospiro di sollievo. Ma il drider si avventò inaspettatamente su di lui e per la prima volta Drizzt riuscì a scorgerne il volto stranamente familiare grazie al chiarore della torcia di Regis. Ma non aveva tempo da perdere. Si girò di scatto con un ampio movimento del braccio per sollevare il lembo del mantello e neutralizzare un altro dardo nemico, e si lanciò in fuga. La galleria piombò nel buio, si illuminò di nuovo e poi fu di nuovo buio.
Regis aveva attraversato la prima sfera di tenebre ed era appena entrato nella seconda. Drizzt si gettò di lato non appena entrò in quel rifugio oscuro e udì il tonfo sordo di una freccia contro la roccia. L'elfo raggiunse il nanerottolo poco lontano, lo sorpassò e insieme continuarono a correre in quell'infinito dedalo di gallerie. Capitolo 10 Sfaccettature di un'incantevole gemma Regis e Drizzt si fermarono in un minuscolo anfratto dal soffitto privo delle stalattiti così comuni in quella regione e dall'entrata bassa e ben difendibile. «Spengo la torcia?» chiese il nanerottolo alle sue spalle mentre si chinava in avanti per sentire eventuali rumori sospetti. Drizzt rimase a lungo soprappensiero e infine scosse il capo. Ormai era convinto che la presenza della torcia non avrebbe cambiato la loro sorte. Era assurdo illudersi che sarebbero usciti da quelle gallerie senza incontrare altri gruppi di elfi scuri. Durante la loro fuga, infatti, aveva scorto numerosi nemici scendere lungo i cunicoli laterali. Conosceva fin troppo bene le tecniche di inseguimento del suo popolo e sapeva che la trappola ormai era stata tesa. «A differenza degli elfi scuri combatto senza problemi con la luce,» mormorò Drizzt. «Per fortuna non era Entreri,» disse Regis con voce tranquilla. Drizzt gli scoccò un'occhiata incuriosita. Magari fosse stato Artemis Entreri, si disse meravigliato dal riferimento alquanto strano dell'amico. Almeno avrebbero dovuto affrontare un solo avversario e non un'orda di elfi scuri inferociti. «Hai fatto bene a mandar via Guenhwyvar,» aggiunse l'elfo. «Credi che la pantera sarebbe morta?» gli chiese Regis. Drizzt non conosceva la risposta, ma era certo che Guenhwyvar non aveva corso nessun rischio mortale. Aveva già veduto la pantera trascinata nella roccia da una creatura del Piano Elementare della Terra e un'altra volta sprofondata in un lago magico di acido puro. In entrambe le occasioni la pantera era tornata da lui con il corpo perfettamente intatto. «Se l'elfo scuro e il drider avessero continuato a ferirla,» aggiunse, «forse Guenhwyvar avrebbe impiegato più tempo a guarire nel Piano Astrale. Credo che la pantera non possa essere uccisa quando non si trova nel suo piano... Almeno finché esiste la statuetta.» Drizzt rivolse uno sguardo di
gratitudine a Regis. «Comunque, hai fatto bene perché la pantera sicuramente stava soffrendo molto per mano dei nemici.» «Sono contento che non morirà,» mormorò Regis mentre Drizzt continuava a tenere fisso lo sguardo sull'entrata. «La perdita di una creatura magica così potente sarebbe davvero insopportabile.» Nulla di quanto Regis aveva detto agli amici o a Drizzt in persona dal suo ritorno da Calimport era mai stato così inopportuno. Drizzt si accovacciò cercando di vincere la meraviglia che provava per quell'osservazione strana. Nel corso degli anni il legame che univa Guenhwyvar e Regis si era trasformato in un'amicizia profonda e affiatata e mai il nanerottolo avrebbe avuto il coraggio di definire la pantera una creatura magica potente. Ma lentamente la verità si fece strada nella mente sconvolta dell'elfo scuro. Troppe volte il nanerottolo aveva parlato di Artemis Entreri... Ora Drizzt capiva lo strano modo con cui Regis soppesava le sue reazioni ogni volta che nominava l'assassino. Solo allora capì l'accanimento con cui Wulfgar aveva combattuto contro di lui. Il barbaro non gli aveva forse detto che era stato Regis a raccontargli dell'incontro di Drizzt con Catti-brie a poca distanza dall'entrata di Mithril Hall? «Che altro hai raccontato a Wulfgar?» chiese Drizzt non voltandosi nemmeno. «Di quali altre nefandezze lo hai convinto con quel ciondolo che ti pende al collo?» La piccola mazza cadde rumorosamente sul pavimento e scivolò fino a fermarsi a poca distanza dall'elfo. E dal viso di Regis scivolò un altro oggetto... La maschera che Drizzt stesso aveva indossato durante il suo viaggio nei regni meridionali e che gli aveva permesso di assumere le sembianze di un elfo di superficie. *
*
*
Wulfgar squadrò dall'alto al basso quel nano dall'aspetto oltraggioso non sapendo cosa pensare. Bruenor gli aveva appena presentato Thibbledorf e dalle sue maniere il giovane barbaro aveva avuto l'impressione che quel guerriero puzzolente e scostante non riscuotesse la simpatia del re. Dopo i convenevoli Bruenor aveva attraversato la sala velocemente per andarsi a sedere fra Cobble e Catti-brie lasciandolo impalato sulla porta. Ma Thibbledorf sembrava a proprio agio. «Tu sei un guerriero, allora?» disse Wulfgar nella speranza di intavolare
una parvenza di conversazione. Thibbledorf scoppiò in una fragorosa risata che lo irritò. «Guerriero?» ripeté il nano con aria canzonatoria. «Vuoi dire uno che combatte con onore?» Wulfgar si strinse nelle spalle non riuscendo a capire cosa volesse dire con quelle parole. «E tu, sei un guerriero, ragazzo?» lo incalzò Thibbledorf. Il barbaro gonfiò il petto inorgoglito. «Il mio nome è Wulfgar, figlio di Beornegar...» «Lo immaginavo,» lo interruppe il nano rivolgendosi agli altri che si trovavano nella parte opposta della sala. «E se tu stessi combattendo con qualcuno e l'avversario venisse disarmato, tu lo lasceresti riprendersi l'arma consapevole del fatto che vinceresti comunque,» concluse. Wulfgar scrollò le spalle meravigliato dall'insensatezza della risposta. «Ti rendi conto che fra poco lo insulterà,» bisbigliò Cobble all'orecchio di Bruenor appoggiando un gomito contro il bracciolo dello scranno. «Scommetto tutto sul ragazzo,» ribatté Bruenor con aria placida. «Sarà anche un armigero bravo e invincibile, ma non ha la forza di sopraffare quella massa di muscoli.» «Sta bene,» mormorò Cobble, «ma se Wulfgar alza una mano contro di lui, senza dubbio prenderà una bella pizzicata.» «Perfetto,» si intromise Catti-brie inaspettatamente. Bruenor e Cobble si scambiarono un'occhiata stupita. «Wulfgar ha proprio bisogno di una bella ripassata,» spiegò la ragazza. «Oh, non mancherò!» tuonò l'armigero tirando il braccio del barbaro mentre attraversava la stanza. «Se io combattessi contro qualcuno, se combattessi contro di te e ti cadesse l'arma, anch'io te la lascerei raccogliere.» Wulfgar annuì lentamente, ma indietreggiò di un passo quando Thibbledorf gli schioccò le dita lerce a una spanna dal naso. «Sì, ti lascerei chinare e poi ti conficcherei questa punta nel cranio,» si affrettò ad aggiungere. «Io non sono uno stupido guerriero, razza di imbecille! Io sono un armigero... L'armigero per eccellenza, e vedi di non scordare che io combatto per vincere!» Schioccò un'altra volta le dita davanti al viso di Wulfgar e si avvicinò a lunghi passi a Bruenor. «Non mi stupisco che tu abbia amici del genere,» tuonò Thibbledorf rivolto al re. Lanciò un'occhiata verso Catti-brie e scoprì i suoi denti neri e rotti in quello che doveva essere un sorriso. «Ma la tua ragazza sarebbe davvero bella se riuscisse a farsi crescere qualche pelo in faccia.»
«Prendilo come un complimento,» mormorò Cobble, ma Catti-brie scrollò le spalle e abbozzò un sorriso divertita. «I membri del tuo clan hanno sempre avuto un debole per chiunque non fosse un nano,» proseguì Thibbledorf indicando Wulfgar che si stava avvicinando. «E noi continuiamo a nominarli nostri re! Non sono mai riuscito a capire il perché!» Bruenor afferrò con forza i braccioli finché le nocche non sbiancarono nel tentativo di tenere a freno la rabbia che gli faceva ribollire il sangue nelle vene. Catti-brie gli appoggiò una mano sulla spalla e quando il nano sollevò lo sguardo sul volto della figlia l'ira si dissipò nel suo sguardo azzurro. «A proposito,» ruggì l'armigero. «Corre voce che al tuo fianco ci sia un elfo scuro. C'è del vero in tutto questo?» Bruenor si sentì investire da una seconda ondata di rabbia, ma Catti-brie non gli dette tempo di aprire bocca. La ragazza parlo più al padre che a quel nano insolente, quasi volesse ricordargli che ormai Drizzt sapeva badare a se stesso. «Incontrerai l'elfo scuro nostro amico molto presto,» disse Catti-brie. «E sono sicura che si rivelerebbe un guerriero degno delle tue aspettative.» Thibbledorf scoppiò nell'ennesima chiassosa risata, ma ben presto si fece serio quando si rese conto delle parole di Catti-brie. «Se tu lo incontrassi in combattimento e ti cadesse l'elmo, sarebbe lui stesso a chinarsi per raccoglierlo e rimettertelo in testa. Ma sono sicura che te lo toglierebbe subito e te lo infilerebbe dove tutti sanno dandoti il benservito con un paio di solenni calci!» Thibbledorf serrò le labbra e per la prima volta dopo molto tempo Wulfgar approvò il comportamento di Catti-brie. «Da quanto tempo è partito?» chiese il barbaro per cambiare subito discorso prima che l'armigero avesse il tempo di riprendersi. «Le gallerie sono lunghe,» ribatté Bruenor. «Ritornerà per la cerimonia?» continuò Wulfgar scoccando un'occhiata furtiva a Catti-brie. «Puoi scommetterci,» disse la ragazza con aria placida. «Ti posso assicurare che non ci sarà nessun matrimonio senza Drizzt.» Lanciò un'occhiata al padre per zittire qualsiasi sua protesta. «E non mi interessa un bel nulla se tutti i re e le regine dei regni settentrionali dovranno aspettare un mese intero!» Wulfgar avrebbe voluto sbottare qualcosa, ma ritenne più opportuno in-
dirizzare la propria rabbia altrove. «Avrei dovuto andare con lui!» esclamò rivolto a Bruenor. «Perché hai mandato Regis? Cosa può fare un nanerottolo se incontra il nemico?» La serietà della voce di Wulfgar colse Bruenor alla sprovvista. «Ha ragione,» sibilò Catti-brie all'orecchio del padre. Bruenor si appoggiò allo schienale e guardò prima l'uno poi l'altro. «Quei nani sono morti,» si limitò a dire. «Se anche fosse vero, non credi che Regis sia un impaccio per Drizzt?» lo incalzò Catti-brie. «Ma mi ha detto che avrebbe trovato un modo per aiutarlo,» protestò Bruenor. «Chi te l'ha detto?» gli chiese Catti-brie. «Pancia-che-brontola!» tuonò Bruenor esasperato. «Ma se lui non aveva nemmeno voglia di andare,» osservò Wulfgar. «Come no!» esclamò il nano alzandosi in piedi e precipitandosi verso Wulfgar sospingendolo indietro a suon di pugni sul suo torace muscoloso. «È stato Pancia-che-brontola a chiedermi di andare con Drizzt, ti dico!» «Regis era qui con noi quando hanno portato la notizia dei nani dispersi,» osservò Catti-brie. «Io non l'ho sentito chiederti di mandarlo con lui.» «Me l'aveva detto prima,» rispose Bruenor. «Mi aveva detto...» La frase gli morì in gola. Si rendeva conto dell'assurdità di tutta quella storia. In un angolo della mente si ricordava che Regis gli aveva spiegato che doveva andare alla ricerca di quei nani assieme a Drizzt... Ma come poteva essere successo se lui aveva deciso cosa fare solo dopo aver appreso della scomparsa delle sue guardie? «Hai provato altri tipi di acque sacre ultimamente?» gli chiese Cobble. Bruenor allargò le braccia in una muta richiesta a lasciarlo raccogliere i propri pensieri. Ricordava le parole di Regis ed era sicuro di non aversele sognate. Ma quei ricordi non erano accompagnati da immagini precise, né da una particolare scena. Un'immagine lentamente si formò nella sua mente. Ricordò un baluginio di raggi porpora sprigionati dalle innumerevoli sfaccettature di un incantevole rubino che lo avevano attirato nelle sue viscere cristalline. «Pancia-che-brontola mi ha raccontato che alcuni nani mancavano all'appello,» disse Bruenor scandendo le parole e a occhi chiusi quasi stesse rivivendo quei momenti. «Mi ha pregato di mandarlo assieme a Drizzt a cercarli sostenendo che solo loro due sarebbero stati in grado di riportarli qui sani e salvi.»
«Regis non poteva saperlo,» osservò Cobble dubitando delle parole del suo re. «E se anche lo avesse saputo, quel piccoletto non si sarebbe mai offerto volontario per accompagnare Drizzt,» aggiunse Wulfgar. «Sei sicuro che non sia stato un sogno?» «Non è stato un sogno!» ruggì Bruenor. «È stato proprio lui a dirmelo... Con quel rubino!» Il volto di Bruenor venne storpiato da una smorfia mentre cercava di ricordare e di liberarsi dagli invincibili tentacoli della magia. «Regis non oserebbe mai usare...» cominciò a dire Wulfgar, ma Cattibrie lo interruppe. «A meno che non fosse veramente Regis,» osservò la ragazza sgranando gli occhi inorridita dalle sue stesse parole. I tre amici conoscevano Drizzt da molto tempo e sapevano che l'elfo aveva molti nemici potenti e determinati, ma solo uno in particolare era in grado di creare un simile inganno. Wulfgar si guardò intorno esterrefatto, ma Bruenor era già pronto all'azione. Balzò dal trono e passò fra il barbaro e l'armigero seguito da Cattibrie. Wulfgar si girò di scatto e li seguì. «Per il cervello di un goblin!» esclamò Thibbledorf. «Qualcuno mi vuol dire di cosa state parlando?» «Di un combattimento imminente,» ribatté Cobble con pacata diplomazia. Thibbledorf si inginocchiò a terra e batté un pugno con forza contro il pavimento. «Evviva!» urlò a squarciagola. «È un vero lusso essere di nuovo al servizio del clan dei Martello di guerra.» *
*
*
«Sei in combutta con loro oppure è stata una terribile coincidenza?» chiese Drizzt con voce asciutta rifiutandosi di voltarsi per non dare ad Artemis Entreri la soddisfazione di scorgere il tormento nel suo sguardo. «Non credo nelle coincidenze,» ribatté l'assassino. Drizzt si voltò per fronteggiare il suo mortale rivale. Artemis, l'assassino umano, era già pronto all'attacco con una bellissima spada in una mano e un pugnale incastonato di gemme nell'altra. La torcia ancora accesa era appoggiata poco lontano dai suoi piedi. La metamorfosi magica era completa ormai. Persino i suoi abiti si erano trasformati e Drizzt non poté fare a meno di stupirsi. Quando l'aveva indossata, quella maschera aveva cambiato solo il colore della pelle e dei capelli. Com'era possibile che Artemis
avesse assunto le sembianze di un nanerottolo, si chiese l'elfo stupito. «Dovresti imparare ad apprezzare il valore di questi oggetti magici prima di sbarazzartene,» gli disse l'assassino con voce piena di disprezzo. Drizzt, però, non aveva mai rimpianto di aver abbandonato la maschera magica a Calimport. Grazie ai suoi potenti influssi l'elfo era riuscito a camminare liberamente fra le altre razze senza venire perseguitato e deriso, ma aveva imparato anche il significato di vivere nella menzogna. «Avresti potuto uccidermi durante lo scontro con i goblin o un centinaio di altre volte dal tuo arrivo a Mithril Hall,» disse Drizzt. «Cos'hai in mente?» «Dolce sarà la mia vittoria.» «Tu vuoi che sfoderi le mie armi e continui il combattimento che abbiamo cominciato nelle fogne di Calimport.» «Il nostro combattimento è cominciato molto prima, Drizzt Do'Urden,» disse l'assassino pungolando l'elfo con la punta della spada. Ma Drizzt non batté ciglio, né avvicinò le mani alle else quando la spada gli solleticò la guancia. «Tu e io,» continuò a dire Entreri girandogli lentamente intorno, «siamo diventati mortali nemici dal giorno in cui l'uno ha appreso dell'esistenza dell'altro. L'uno rappresentava un insulto nei confronti del codice di combattimento dell'altro. Io disprezzo i tuoi principi, tu insulti la mia disciplina.» «Disciplina e vacuità non sono la stessa cosa,» ribatté Drizzt. «Tu non sei altro che un guscio che sa usare le armi. Un involucro che non contiene alcuna sostanza.» «Sta bene,» mormorò Entreri sbattendo la punta della spada contro il fianco dell'elfo. «Avverto la tua rabbia anche se cerchi disperatamente di nasconderla. Sguaina le tue armi e sfogati. Insegnami con i fatti ciò che non riesci a spiegarmi a parole.» «Ti ostini a non capire,» rispose Drizzt con voce imperturbabile abbozzando un sorriso sornione. «Io non devo insegnarti proprio nulla. Artemis Entreri non è degno del mio tempo.» Lo sguardo di Entreri si illuminò di una rabbia irrefrenabile, e l'assassino balzò in avanti sollevando la spada pronto a colpire, ma Drizzt non si mosse. «Sfodera le tue armi e che il nostro destino si compia,» ruggì Entreri indietreggiando e abbassando la spada all'altezza degli occhi del suo nemico. «Buttati sulla tua spada e va' incontro all'unica fine che ti meriti,» ribatté
l'elfo. «Ma io ho la pantera,» sbottò l'assassino. «Tu devi affrontarmi se non vuoi che Guenhwyvar rimanga mia.» «Tu dimentichi che presto verremo catturati e forse uccisi,» osservò Drizzt. «Non sottovalutare le capacità dei miei simili.» «Allora combatti per il nanerottolo,» lo incitò Entreri e per la frazione di un istante un'impercettibile espressione sul viso dell'elfo fece capire all'assassino di aver finalmente colpito il bersaglio. «Ti eri forse scordato di Regis?» si affrettò ad aggiungere. «Non l'ho ucciso, ma presto morirà in un luogo che solo io conosco. Ti svelerò dove si trova solo se vinci. Combatti, Drizzt Do'Urden, almeno per salvare la vita di quel miserabile nanerottolo!» La spada di Entreri saettò verso il viso di Drizzt, ma la lama descrisse un ampio arco laterale quando la scimitarra dell'elfo la deviò con forza. «Credevo che tu fossi rimasto cieco d'un occhio e monco d'un braccio,» mormorò l'elfo. «Ti ho mentito,» ribatté Entreri indietreggiando d'un passo e rigirando l'elsa delle sue armi nel palmo delle mani. «Devo essere punito per questo?» Drizzt lasciò che fossero le sue scimitarre a rispondere in un groviglio di movimenti sinuosi e perfetti che si conclusero in un micidiale affondo. Ma l'assassino parò con la spada e il pugnale senza fatica. Il combattimento si trasformò in una danza dai movimenti speculari eseguiti con un'armonia così perfetta che nessuno dei due avversari era in grado di avere la meglio sull'altro. Consapevole che il tempo stringeva sia per la situazione precaria in cui si trovava che per il suo povero amico Regis, Drizzt si avvicinò lentamente alla torcia e la calpestò fino a spegnerla. Nell'anfratto calò un buio pesto. Ma se Drizzt si illuse di avere il sopravvento sull'avversario grazie alla sua vista abituata alle tenebre, dovette ricredersi non appena si accorse di un bagliore rossastro sprigionato dagli occhi dell'assassino. «Credi che sia stata la maschera a elargirmi questa dote?» gli chiese Entreri. «Ti sbagli. Questo è il dono di un mio amico elfo scuro... Un mercenario non molto diverso da me!» Le parole dell'assassino dettero inizio al suo attacco e la sua tagliente spada costrinse Drizzt a flettere le ginocchia e a piroettare su se stesso. L'elfo abbozzò un sorriso soddisfatto quando Lampo intercettò il pugnale di Entreri sprigionando scintille abbacinanti. Con un rapido movimento Drizzt si preparò all'attacco e roteando il polso
aggirò la spada avversaria e sfregiò il torace dell'assassino. Entreri cominciò ad avanzare ondeggiando il braccio ma tenendo l'arma a debita distanza. Il tenue bagliore della scimitarra magica scolorò le pelli dei due avversari infondendo una sfumatura grigiastra che li faceva sembrare quasi simili. Entrambi si accorsero di quello strano mutamento, ma a differenza dell'espressione compiaciuta di Entreri, Drizzt provò un profondo disgusto. Ai suoi occhi, l'assassino non sembrava altro che lo specchio della sua anima nera, l'immagine di quello che sarebbe diventato se fosse rimasto a Menzoberranzan fra la sua gente. La rabbia spinse Drizzt ad avventarsi contro il suo avversario con una serie di accaniti colpi, abili affondi e misurati rovesci avvolgendo Entreri in una ragnatela di insidiosi attacchi. Ma l'arma dell'uno bloccava sempre quella dell'odiato nemico con pari abilità e un colpo veniva sempre anticipato con un altro di eguale forza. Drizzt avrebbe potuto continuare a combatterlo per l'eternità senza sfiancarlo. Ma all'improvviso avvertì uno strano pizzicore alla coscia e una bruciante sensazione che lentamente gli risaliva la gamba. Nel giro di pochi istanti comprese che i riflessi lo stavano abbandonando. Avrebbe voluto urlare la verità per smorzare l'espressione vittoriosa che sicuramente si era impossessata del volto di Entreri poiché l'assassino desiderava sconfiggerlo con un combattimento onesto e non avrebbe certo apprezzato una vittoria aiutata con un dardo avvelenato scoccato alle spalle da un alleato invisibile. La punta di Lampo si appoggiò sul pavimento e Drizzt si rese conto della propria vulnerabilità. Entreri stramazzò a terra, avvelenato anche lui da un dardo soporifero. Drizzt avvertì l'avvicinarsi di figure indistinte che oltrepassavano l'apertura dell'anfratto e si chiese se mai avrebbe avuto il tempo necessario di tagliare il collo dell'assassino prima che anche lui cadesse al suolo svenuto. Udì le scimitarre cadere fragorosamente ai suoi piedi, ma non riusciva a ricordare di aver aperto le dita. Lentamente si accasciò socchiudendo gli occhi e cercando invano di opporre resistenza a quel torpore che lo aveva assalito. Cercò di immaginarsi la gravità di quella situazione per i suoi amici e per se stesso, ma un vortice tenebroso lo risucchiò nel nulla. Ma alcune parole si fecero strada nella sua mente frastornata... Era una voce che parlava in una lingua che gli parve di conoscere... Una voce che sembrava sgorgare dal suo stesso passato.
«Dormi, mio caro fratello perduto.» PARTE 3 EREDITA
Ho camminato lungo numerosi sentieri pericolosi nel corso della mia vita. Su quanti tipi di terra hanno poggiato i miei piedi, nella mia patria, lungo i cunicoli del Mondo Tenebroso, in superficie attraverso il Regno Settentrionale e persino quando inseguivo i miei amici! Scuoto la testa meravigliato. In ogni angolo dello sconfinato mondo abitano dunque creature così chiuse in se stesse che non sono in grado di permettere agli altri di camminare lungo il sentiero della loro vita? Esseri impregnati d'odio che si lanciano all'inseguimento e si vendicano per torti subiti, anche se quei torti non erano altro che un onesto moto di difesa contro le loro perfide azioni? Ho lasciato il corpo di Artemis Entreri a Calimport. L'ho abbandonato là, dopo aver legittimamente soddisfatto la mia sete di vendetta. In quella città i sentieri delle nostre vite si sono incrociati e subito divisi, per il bene di entrambi. Entreri non aveva alcun scopo nell'inseguirmi, poiché non aveva nulla da guadagnare nel ritrovarsi faccia a faccia con me se non il vano tentativo di lenire il suo orgoglio ferito.
Che stolto è stato! Egli ha trovato la perfezione del corpo in un'abilità con le armi ineguagliabile. Ma è stato il suo desiderio di perfezione a rivelare la sua debolezza. E mentre si scoprono i misteri del corpo, verranno svelati anche i moti armoniosi dell'anima. Nonostante il suo valore fisico, però, Artemis Entreri non conoscerà mai la musica che il suo spirito potrebbe cantare. Rimarrà sempre gelosamente in ascolto della musica altrui, accecato dal desiderio di annientare chiunque minacci la sua spregevole superiorità. Assomiglia molto alla mia gente, e a molte altre creature di altre razze che ho incontrato. Ai condottieri barbari, il cui potere è imperniato sulla loro capacità di dichiarare guerra a nemici che non sono tali. Ai re dei nani, dediti ad accumulare sconfinate ricchezze con cupidigia, che se solo dividessero un briciolo dei loro tesori migliorerebbero la vita di chi li circonda e smantellerebbero le ingenti opere di fortificazione dileguando così antichi e infondati dissapori fra clan rivali. Agli arroganti elfi che distolgono disgustati lo sguardo per non vedere le sofferenze di chi non appartiene alla loro razza, convinti che le razze inferiori siano la causa del loro stesso dolore. Sono fuggito da quelle creature, sono passato loro davanti senza fermarmi, ho ascoltato innumerevoli storie sul loro conto da viandanti provenienti dai regni conosciuti. E ora so di doverli combattere non con la spada o con le armi, bensì rimanendo fedele a quanto il mio cuore mi dice che è il legittimo corso dell'armonia. E grazie al favore degli dèi, non sono solo. Dal giorno in cui Bruenor è di nuovo seduto sul trono reale, le genti confinanti confidano nella sua promessa che le ricchezze dei nani di Mithril Hall serviranno a garantire la prosperità e la pace. La devozione di Catti-brie ai propri principi non è inferiore alla mia, e Wulfgar ha insegnato al suo popolo bellicoso il vero dolce significato dell'amicizia, il modo dell'armonia. Sono loro la mia armatura, la mia speranza in ciò che il destino serba per me e per gli abitanti del mondo. E nel momento in cui le anime perdute degli eterni cacciatori quali Entreri si accorgono che inevitabilmente il sentiero della vita si incrocia ancora una volta con il mio, io ricordo Zaknafein, carne della mia carne e sangue del mio stesso sangue. E ricordo Montolio, e mi rincuora il fatto che esistono altre menti che conoscono la verità, che se un giorno venissi distrutto, i miei ideali non moriranno con me. Grazie agli amici che ho conosciuto, agli esseri giusti che ho incontrato, ho la certezza di non essere l'eroe solitario di una causa perduta. Ho la
certezza che quando morrò, gli ideali mi sopravviveranno. Questa sarà l'eredità che lascio. E grazie al favore degli dèi, non sono più solo. Drizzt Do'Urden Capitolo 11 Questioni familiari Numerosi indumenti volarono in aria, un'infinita di cianfrusaglie andarono a sbattere contro le pareti della stanza, una miriade di armi roteò sopra la testa del nano andando a sbattere contro le sue spalle. Ma il nano, chino sulla sua cassapanca, sembrava non accorgersi di nulla e non si lasciò nemmeno sfuggire un lamento quando, mentre si rialzava, il piatto di un'ascia da tiro lo colpì con violenza e ammaccò il suo elmo. «Deve essere qui dentro!» grugnì Bruenor con espressione ostinata mentre una cotta di maglia gli sferzava il collo e continuava il suo volo vorticoso verso gli altri oggetti fermi in mezzo alla stanza. «Per Moradin, quel dannato orpello deve essere qui dentro!» «Per i Nove Inferi!» esclamò Thibbledorf, ma l'urlo di Bruenor gli impedì di aggiungere altro. «Lo sapevo!» gridò il nano girandosi di scatto e allontanandosi dalla cassapanca ormai vuota. In mano stringeva un piccolo medaglione a forma di cuore appeso a una catena d'oro. Catti-brie riconobbe subito il dono magico che la Signora Alustriel di Luna d'Argento aveva dato a Bruenor per permettergli di ritrovare l'amico che si era diretto verso meridione. All'interno del medaglione c'era un minuscolo ritratto di Drizzt e quell'oggetto era impregnato dell'essenza dell'elfo scuro affinché il possessore potesse trarre dal gioiello le informazioni necessarie su dove si trovava Drizzt Do'Urden. «Questo ci porterà dall'elfo,» proclamò Bruenor sollevando il medaglione davanti al naso. «E allora dammelo, mio re,» disse Thibbledorf, «affinché io possa ritrovare quel tuo strano amico.» «So arrangiarmi da solo,» sbottò Bruenor come tutta risposta sistemandosi l'elmo in testa e afferrando l'ascia ammaccata e lo scudo d'oro. «Ma tu sei il re di Mithril Hall!» protestò l'armigero. «Non puoi adden-
trarti in quelle gallerie sconosciute e pericolose!» Bruenor aprì la bocca per rispondere, ma Catti-brie non gli dette il tempo di farlo. «Chiudi quella bocca, armigero da strapazzo,» disse la donna. «Mio padre mollerebbe Mithril Hall ai goblin piuttosto che lasciare Drizzt nei pasticci!» Cobble appoggiò una mano sulla spalla di Thibbledorf tagliandosi un dito contro una punta per confermare l'osservazione di Catti-brie e invitare silenziosamente il nano a non insistere. Bruenor non era nello stato d'animo di sentire ragioni. Il nano si guardò intorno con occhi iniettati di sangue e ancora una volta passò fra Wulfgar e Thibbledorf dirigendosi velocemente verso la porta. *
*
*
Le immagini ritornarono nitide lentamente e quando Drizzt si risvegliò dal pesante torpore in cui era caduto, con enorme sorpresa riconobbe sua sorella Vierna china su di lui. «Occhi porpora,» disse la sacerdotessa nella lingua degli elfi scuri. Drizzt rimase sopraffatto quando ebbe l'impressione che la stessa scena e le stesse parole fossero state ripetute un'infinità di volte molti anni prima, durante la sua giovinezza. Vierna, si sorprese a pensare. L'unico membro della sua famiglia per cui l'elfo avesse mai provato un profondo affetto, oltre al padre Zaknafein morto da tempo, si trovava davanti a lui. Lei era stata una madre per lui, la persona che gli era stata assegnata affinché egli, principe del Casato dei Do'Urden, venisse iniziato alle tradizioni della società degli elfi scuri. Ma riandando con il pensiero al passato nel tentativo di richiamare i ricordi che sembravano sparuti e sfocati, Drizzt si rese conto che c'era qualcosa di diverso in Vierna, una sorta di tenerezza nascosta sotto alle inquietanti vesti di sacerdotessa della Regina Aracnide. «Quanto tempo è passato, fratello perduto?» chiese Vierna. «Quasi due decenni? E quanta strada hai percorso e quanto vicino sei arrivato al punto in cui è cominciato tutto, al luogo cui appartieni!» Drizzt fissò lo sguardo sul volto della sorella, ma non rispose. Non si azzardò nemmeno a farlo, legato com'era con le mani dietro alla schiena e la stanza che pullulava di soldati. Anche Entreri si trovava là e stava parlando con un elfo scuro che indossava un copricapo piumato e una giubba corta e
aperta sul petto che lasciava intravedere i muscoli sodi del torace e dell'addome. L'assassino aveva legato la maschera magica alla cintura e Drizzt non poté fare a meno di pensare alla rovina che avrebbe potuto provocare se l'assassino fosse ritornato a Mithril Hall aiutato da quell'oggetto magico. «Cosa penserai quando entrerai di nuovo a Menzoberranzan?» chiese Vierna richiamando su di sé l'attenzione del fratello. «Di essere un prigioniero,» ribatté Drizzt. «E quando verro trascinato al cospetto della malvagia Malice...» «Matrona Malice!» lo corresse Vierna con disprezzo. «Malice,» si ostinò a dire Drizzt, ma Vierna lo schiaffeggiò in pieno viso. Alcuni elfi scuri si voltarono per vedere cos'era accaduto, e dopo qualche risatina di scherno ritornarono alle loro discussioni. Anche Vierna sbottò in una fragorosa risata, lunga e selvaggia. Reclinò la testa indietro e scostò le pesanti trecce candide dalla fronte. Drizzt l'osservò in silenzio incapace di capire la ragione di quell'insolita reazione. «Matrona Malice è morta, stolto!» disse Vierna d'un fiato avvicinando il viso a quello di Drizzt. Drizzt rimase sbalordito dalla propria mancanza di reazioni. Aveva appena appreso la notizia della morte della madre e non sapeva cosa pensare. Provò una sorta di lontana tristezza, ma la cacciò subito dalla mente poiché sapeva che proveniva dal fatto di non aver mai conosciuto una vera madre, e non dalla perdita di Malice Do'Urden. Mentre ripensava alle parole di Vierna, si sentì invadere da una strana tranquillità e da un'accettazione della realtà che non gli causò alcun dolore. Malice lo aveva generato, ma non era mai stata una madre e per quanto Drizzt si sforzasse la sua morte non era una cosa cattiva. «Non lo sapevi, vero?» disse Vierna sghignazzando. «Manchi da molto tempo, rinnegato!» Drizzt rimase a osservarla in silenzio aspettando con il fiato sospeso altre rivelazioni importanti. «A causa delle tue azioni il Casato dei Do'Urden è stato distrutto e tu non lo sai nemmeno!» tuonò Vierna avvampando in viso. «Distrutto?!» ripeté Drizzt fingendosi sorpreso. Nonostante tutto, l'elfo non riusciva a provare nulla né per la sua famiglia, né per Menzoberranzan. «Matrona Malice era stata incaricata di ritrovarti,» spiegò Vierna. «E quando non vi riuscì, quando tu le sfuggisti di mano, perse irrimediabilmente il favore e la benedizione di Lloth!»
«Peccato,» mormorò Drizzt con malcelato sarcasmo. Vierna lo schiaffeggiò ancora, con più forza, ma Drizzt non batté nemmeno ciglio. Vierna piroettò su se stessa e mentre si allontanava di qualche passo si strinse le mani e cercò disperatamente di riprendere fiato. «Sì, distrutto,» ripeté con una smorfia di dolore. «Annientato per volere della Regina Aracnide. Sono morti tutti per causa tua,» urlò fermandosi davanti a Drizzt e puntandogli un dito accusatore davanti al naso. «Le tue sorelle, Briza e Maya, e tua madre. Tutto il casato, Drizzt Do'Urden, è morto per causa tua.» Drizzt rimase impassibile. Nel suo cuore non si agitavano rimorsi, né violente emozioni per le notizie che Vierna continuava a vomitargli addosso. «Che ne è stato di nostro fratello?» chiese più per cortesia che per sincera curiosità. «Ma come, Drizzt?» sibilò Vierna inarcando un sopracciglio. «Lo hai appena incontrato e per poco non gli hai reciso una gamba.» Drizzt la guardò esterrefatto, e Vierna si affrettò ad aggiungere: «Una delle sue otto zampe!» Drizzt dovette chiamare a raccolta tutte le sue forze per non tradire la sorpresa. Stentava a credere che Dinin fosse stato tramutato in un drider. «E ancora una volta la colpa è tua!» sibilò Vierna osservandolo intensamente con un sorriso malevolo. «Zaknafein è morto a causa tua!» urlò la sacerdotessa all'improvviso e nonostante Drizzt sapesse che la sorella stava cercando di istigarlo. «Non è vero!» urlò l'elfo avvampando di rabbia e cercando di rialzarsi dal pavimento, ma una mano lo costrinse a sedersi. Vierna abbozzò un sorriso malevolo e soddisfatto. Aveva finalmente trovato il punto debole di Drizzt. «Se non fosse per i peccati di Drizzt Do'Urden, Zaknafein sarebbe ancora vivo,» insistette la sacerdotessa. «Il casato dei Do'Urden avrebbe conosciuto la gloria e Matrona Malice avrebbe occupato lo scranno più importante del Consiglio di Governo.» «Peccati?» ripeté Drizzt cercando di vincere i ricordi dolorosi del padre morto. «Gloria?!» aggiunse. «Tu stai confondendo le due cose.» Vierna sollevò la mano con un gesto fulmineo, pronta a schiaffeggiare il fratello, ma quando si accorse che Drizzt continuava a guardarla con espressione impassibile, l'abbassò lentamente. «Nel nome della tua dea spietata vivi e trai la tua forza dalla falsità e malvagità del mondo degli elfi scuri,» mormorò l'elfo. «Zaknafein è mor-
to... No, è stato assassinato a causa di falsi ideali. Non riuscirai mai a convincermi della mia presunta colpa. Non era forse Vierna colei che brandiva il pugnale sacrificale?» La sacerdotessa sembrava sul punto di esplodere. Nei suoi occhi brillava una luce intensa mentre le sue guance si coloravano di rabbia. «Era anche tuo padre,» le disse Drizzt. Vierna ammiccò nel disperato tentativo di frenare la propria rabbia. Ma le parole di Drizzt corrispondevano a una verità irrefutabile. Zaknafein aveva generato due figli, e solo due, con Malice. «Ma a te non importa nulla,» proseguì Drizzt. «Zaknafein era un maschio dopotutto, e i maschi non valgono nulla nella società degli elfi scuri. «Non devi però scordare che era tuo padre,» insistette. «E ti ha dato molto di più di quanto tu sia disposta ad ammettere.» «Zitto!» tuonò Vierna a denti stretti schiaffeggiandolo ripetutamente in viso. Drizzt rimase a lungo in silenzio, avvertendo i rivoli di sangue scorrergli lungo le guance e sprofondato in un mare di pensieri contrastanti. Vierna era diventata un mostro di crudeltà. Ora assomigliava più a Briza, la sorella più anziana e malvagia di Drizzt, invischiata nella frenetica ossessione che solo la Regina Aracnide sembrava prodiga a elargire. Dov'era la Vierna che lui aveva conosciuto, la Vierna che aveva segretamente dimostrato un tenero affetto per il giovane Drizzt? Che ne era stato di Vierna, profonda conoscitrice delle tradizioni spietate degli elfi scuri proprio come Zaknafein ma sempre così restia ad accettare quanto Lloth aveva da offrirle? Dov'era la figlia di Zaknafein? Era morta e sepolta, decise l'elfo mentre scrutava il viso arrossato. Sepolta sotto a un opprimente manto di menzogne e vuote promesse di una gloria perversa in grado di stravolgere qualsiasi cosa. «Ti redimerò,» disse infine Vierna mentre i suoi lineamenti delicati si rilassavano. «Ti darò del filo da torcere,» ribatté Drizzt fraintendendo le intenzioni di Vierna. La sacerdotessa scoppiò in una fragorosa risata. «Ti offrirò a Lloth,» disse Vierna. «E come ricompensa otterrò un potere che nemmeno l'ambiziosa Matrona Malice poteva sperare. Rallegrati, fratello perduto, e sappi che sarai tu a restaurare il prestigio e la potenza del Casato dei Do'Urden.» «Una potenza che presto svanirà,» osservò Drizzt con voce pacata. «Un prestigio che porterà i Do'Urden sul bordo di un altro precipizio in cui ver-
rà spinto ancora una volta da un altro casato benedetto dal mutevole favore di Lloth.» Il sorriso di Vierna si fece più ampio. «Non puoi negarlo,» la incalzò Drizzt nonostante fosse consapevole che le sue stesse parole non avevano la forza di controbattere e annullare la risolutezza di Vierna. «Non esiste alcun equilibrio né stabilità a Menzoberranzan proprio a causa dei bizzosi capricci della Regina Aracnide.» «Benissimo, fratello,» mormorò Vierna. «Lloth è una creatura malvagia.» Vierna si limitò ad annuire. «Le tue parole sacrileghe non mi sfiorano più,» disse la sacerdotessa con voce cupa. «Poiché tu non appartieni più al mio sangue. Tu non sei altro che un rinnegato che Lloth ritiene adatto per il sacrificio. «Continua pure a inveire contro la Regina,» si affrettò ad aggiungere Vierna. «Mostra a Lloth che questo sacrificio è davvero giustificato. È davvero assurdo poiché se tu ti pentissi e ritornassi alla verità del tuo retaggio, allora decreteresti la mia sconfitta.» Drizzt si morse un labbro rendendosi conto che gli conveniva stare zitto finché non avesse compreso appieno la natura di quell'incontro inaspettato con la sorella. «Non capisci?» continuò Vierna. «La misericordiosa Lloth accoglierebbe te e la tua potente spada e il mio sacrificio non sarebbe più necessario. E così io sarei votata a vivere come una rinnegata e reietta, proprio come te.» «Perché mi racconti questo?» le chiese Drizzt sollevando un sopracciglio. Vierna gli scoccò un'occhiata di fuoco. «Perché tu non ti pentirai mai, razza di folle. Perché non proferirai mai una simile menzogna e non offrirai mai la tua fedeltà alla Regina Aracnide nemmeno per salvarti la vita. I tuoi preziosi ideali si rivelano pressoché inutili in questo frangente!» Vierna lo percosse ancora per una ragione che a Drizzt sfuggiva e dopo essersi girata di scatto si allontanò in un armonioso ondeggiare delle pieghe della sua tunica. L'elfo che stava parlando con Entreri si avvicinò a Drizzt sbattendo con forza i tacchi degli stivali contro la pietra. Si fermò a qualche passo di distanza e dopo avergli lanciato un'occhiata di compassione scrollò le spalle. «Un vero peccato,» disse estraendo Lampo da sotto una piega del mantello luccicante.
«Un peccato davvero,» ripeté allontanandosi senza nemmeno fare rumore. *
*
*
Le guardie scattarono sull'attenti nascondendo a stento la meraviglia quando videro arrivare il loro re accompagnato dalla figlia, da Wulfgar e Cobble, e da un nano dall'armatura stravagante che non avevano mai visto prima d'allora. «Avete notizie dell'elfo?» chiese Bruenor alle guardie avvicinandosi alla pesante sbarra che chiudeva la porta di pietra. Il silenzio che seguì fu più esauriente di una risposta. «Va' dal generale Dagna,» ordinò rivolgendosi a una guardia. «E digli di riunire quanti guerrieri ritiene necessario per scendere nelle nuove gallerie!» La guardia sbatté i tacchi e si allontanò di corsa. I quattro compagni si avvicinarono a Bruenor mentre faceva scorrere la sbarra contro la pietra. Wulfgar e Cobble stringevano due torce accese. «Il segnale che abbiamo dato all'elfo è tre colpi e poi due,» disse l'altra guardia rivolta al re. «Tre colpi e poi due,» ripeté Bruenor scomparendo nella penombra della galleria obbligando gli altri, ma soprattutto Thibbledorf che continuava a ritenere alquanto sconveniente che il re di Mithril Hall si aggirasse da quelle parti, a seguirlo quasi di corsa. Cobble e persino l'armigero si voltarono e serrarono i denti quando udirono il pesante portale richiudersi alle loro spalle, mentre gli altri tre, sopraffatti dalla preoccupazione per l'amico forse in pericolo, non udirono nulla. Capitolo 12 Rivelazioni «Sangue,» mormorò Catti-brie con voce grave abbassando la torcia e chinandosi sulle gocce che aveva intravisto lungo il cunicolo accanto all'entrata di una piccola grotta. «Potrebbe appartenere ai goblin,» disse Bruenor con il fiato sospeso, ma Catti-brie scosse la testa. «È ancora umido,» osservò. «Il sangue dei goblin dovrebbe essere già
rappreso.» «Allora potrebbero essere stati gli Arrampicanti Assassini che abbiamo appena visto,» insistette Bruenor. «Quando hanno dilaniato i cadaveri dei goblin.» Ma Catti-brie non era convinta. Si abbassò ancora e muovendo lentamente la torcia davanti a sé entrò nella grotta. Wulfgar la seguì e la sorpassò non appena il cunicolo si allargò fermandosi in posizione difensiva davanti alla giovane donna. Ma Catti-brie non gradì molto il comportamento del barbaro. Forse Wulfgar credeva di essersi dimostrato prudente nel suo tentativo di proteggere Catti-brie impacciata dalla torcia e con lo sguardo fisso sul pavimento. Ma la ragazza pensò che Wulfgar fosse entrato così velocemente solo perché lei si era mossa per prima, spinto soprattutto dal suo desiderio di proteggerla dagli eventuali pericoli. Ma anziché lusingata, l'orgogliosa Catti-brie si sentì insultata e provò una profonda preoccupazione poiché nel suo innocente tentativo di proteggerla Wulfgar avrebbe potuto commettere un errore tattico che poteva dimostrarsi fatale. I suoi amici erano sopravvissuti a una miriade di pericoli e combattimenti solo perché ciascuno di loro aveva rivestito un ruolo particolare che aveva integrato le capacità altrui. E Catti-brie era convinta che una rottura di quell'armonioso schema avrebbe potuto essere mortale. Passò davanti a Wulfgar e scostò con un gesto rapido il braccio con cui il barbaro tentava di sbarrarle il passo. Wulfgar le lanciò un'occhiata strana, ma Catti-brie sostenne a lungo il suo sguardo. «Cosa c'è là dentro?» chiese Bruenor. Catti-brie si voltò e vide il padre che entrava mentre Cobble e Thibbledorf rimanevano fermi alle sue spalle. «Vuota,» disse Wulfgar con fermezza e si girò per andarsene. Catti-brie continuò ad aggirarsi nella grotta quasi volesse contraddire l'ostentata sicurezza del barbaro. «Non è vuota,» lo corresse subito dopo e il tono vibrante della sua voce fece fermare Wulfgar e fu un invito irresistibile per Bruenor a farsi avanti. Si avvicinarono a Catti-brie che se ne stava accovacciata accanto a un minuscolo oggetto sul pavimento. Osservarono a lungo un dardo da balestra, troppo piccolo rispetto a quelli usati dai guerrieri di Bruenor o a quelli che conoscevano. Bruenor lo afferrò e dopo averlo avvicinato al viso lo esaminò con attenzione. «Per queste gallerie si aggirano forse i folletti?» chiese riferendosi alle creature dispettose che abitavano nei territori di superficie.
«Forse...» cominciò a dire Wulfgar. «Elfi scuri,» lo interruppe Catti-brie. Il barbaro e il nano si voltarono verso la ragazza. Wulfgar le lanciò un'occhiata irosa per essere stato interrotto, ma capì subito la gravità delle parole di Catti-brie. «Drizzt aveva una balestra con cui scoccava questi dardi?» chiese Bruenor dopo un istante di esitazione. «Non lui,» disse Catti-brie, «ma altri elfi scuri.» Wulfgar e Bruenor si guardarono stupiti dall'espressione sicura sul viso della donna. Molte volte in passato, nella Valle del Vento Ghiacciato seduti sui fianchi desolati del Picco di Kelvin, Drizzt le aveva raccontato della sua terra e delle micidiali armi della sua gente. Fra tutte l'arma preferita era la balestra che veniva armata con piccoli dardi la cui punta era intinta in un potente veleno. Wulfgar e Bruenor si scambiarono ancora un'occhiata nella speranza di trovare le parole per confutare la terribile osservazione di Catti-brie. Ma il nano si limitò a stringersi nelle spalle e dopo aver riposto il dado nella bisaccia uscì. Wulfgar guardò Catti-brie con evidente preoccupazione. Nessuno dei due parlò poiché entrambi stavano pensando ai terribili racconti delle malvagità degli elfi scuri e alle sconvolgenti conseguenze di una possibile infiltrazione di quelle creature a Mithril Hall. Ma nell'espressione del volto di Wulfgar Catti-brie scorse qualcosa che la inquietò. Nei suoi lineamenti tesi vide un possessivo desiderio di proteggerla che lei cominciò a temere potesse creare non pochi problemi a tutti. Gli passò davanti senza dire nulla e dopo aver chinato il capo uscì dalla grotta lasciando Wulfgar da solo con il tumulto di emozioni che gli si agitava nell'animo. *
*
*
La colonna avanzava lenta lungo gallerie e cunicoli che si facevano sempre più frastagliati. Drizzt indossava ancora l'armatura, ma era stato privato delle sue armi. Aveva le mani legate dietro alla schiena da una corda magica che non cedeva per quanto si sforzasse a cercare di sciogliere i nodi. Dinin apriva la strada mentre Vierna e Jarlaxle lo seguivano a breve distanza. Molti altri elfi scuri si erano uniti a loro durante la marcia. Incontrarono uno squadrone consistente di soldati del Casato di Baenre e dopo che Jarlaxle impartì alcuni ordini, gli elfi scomparvero silenziosamente nella penombra.
Solo allora Drizzt cominciò a intuire la portata dell'incursione degli elfi scuri a Mithril Hall. Secondo i suoi calcoli circa una sessantina di elfi era risalita da Menzoberranzan, e tutti erano venuti per lui. Ma Drizzt non poté fare a meno di chiedersi perché anche Entreri si trovasse là. Nonostante non riuscisse a capire in che modo l'assassino fosse stato coinvolto in quella storia, gli parve che si sentisse eccessivamente a proprio agio in mezzo agli elfi scuri. Entreri chiacchierò a lungo con Vierna e il mercenario dalla testa rasata ma poi rallentò il passo lasciando passare al suo fianco gran parte dei soldati per avvicinarsi all'odiato nemico. «Benvenuto,» disse con aria sorniona mentre camminava al suo fianco. Lanciò un'occhiata significativa alle due guardie che non avevano abbandonato Drizzt un solo istante, e i due elfi si allontanarono senza dire nulla. Drizzt osservò attentamente il viso dell'assassino alla ricerca di qualche indizio ma poi distolse subito lo sguardo. «Cosa c'è?» gli chiese Entreri afferrandogli una spalla e costringendolo a voltarsi. Drizzt si fermò di scatto e gli elfi che lo attorniavano lo guardarono allarmati. Anche Vierna si voltò per vedere cosa stava accadendo, ma non volendo attirare l'attenzione su di sé Drizzt riprese subito a camminare. Lentamente la colonna riprese la marcia. «Non capisco,» osservò Drizzt con aria distratta. «Possiedi la maschera, hai catturato Regis e sapevi dove trovarmi. Perché ti sei alleato con Vierna e la sua gentaglia?» «Tu credi che sia stato io a scegliere,» disse Entreri con voce pacata. «È stata tua sorella a trovarmi. Io non l'ho nemmeno cercata.» «Allora anche tu sei un prigioniero,» mormorò Drizzt. «Non proprio,» ribatté Entreri ridacchiando. «Hai detto bene poco fa. Sono un suo alleato.» «Avete molte cose in comune.» Ancora una volta Entreri sorrise divertito a quel tentativo di istigarlo e Drizzt si rese conto degli stretti rapporti che univano il suo nemico agli elfi scuri, dei legami che lui aveva sperato in un fuggevole momento di allentare e sfruttare a suo vantaggio. «Per essere precisi, io tratto con Jarlaxle,» spiegò l'assassino, «e non con la tua volubile sorella. Jarlaxle, il mercenario pragmatico, l'opportunista. Lui sì, che lo capisco. Noi due siamo molto simili!» «Quando non avrà più bisogno di te...» cominciò a dire Drizzt. «Ma ha bisogno di me, e continuerà ad averne!» lo interruppe Entreri.
«Jarlaxle l'opportunista,» ripeté a voce alta e il mercenario annuì lentamente, quasi comprendesse la lingua franca della superficie. «Che vantaggio trarrebbe Jarlaxle a uccidermi? Costituisco il suo anello con la superficie, non credi? Sono il capo della potente corporazione dei ladri di Calimport, un alleato che potrebbe tornargli utile in futuro. Da sempre tratto con gente come Jarlaxle, con i capi delle gilde di quasi tutte le città lungo la Costa della Spada.» «Gli elfi scuri sono famosi perché adorano il piacere di uccidere,» osservò Drizzt non volendo dargliela vinta. «È vero,» ribatté Entreri, «ma non uccidono quando traggono maggior vantaggio appunto non uccidendo. Sono molto concreti, ecco tutto. Non riuscirai a minacciare questa nostra alleanza. Ormai sei irrimediabilmente perduto, Drizzt. Da ciò trarremo un comune vantaggio e la tua definitiva sconfitta.» Drizzt rimase a lungo in silenzio, quasi alla ricerca del bandolo di un'intricata matassa che gli permettesse di ritrovare la strada in quel complicato groviglio di alleanze e inimicizie. «Nessun vantaggio comune,» disse infine con voce pacata notando con la coda dell'occhio lo sguardo incuriosito di Entreri. «Spiegati,» lo invitò l'assassino dopo un attimo di esitazione. «Conosco la ragione per cui mi hai inseguito,» disse l'elfo. «Lo hai fatto non per vedermi uccidere, bensì per uccidermi con le tue stesse mani. E non solo per uccidermi tu stesso, ma per sconfiggermi in un equo combattimento. Purtroppo questa possibilità sembra alquanto improponibile in queste gallerie accanto alla spietata Vierna agitata dai suoi folli desideri di sacrificio a una divinità bizzarra.» «Continui a comportarti in modo brillante anche quando tutto è perduto,» osservò Entreri con un tono di voce che sbalordì Drizzt. «Io ti sconfiggerò in combattimento! Questo fa parte dell'accordo. In una grotta non molto lontano da qui la tua gente e io ci saluteremo e ognuno andrà per la sua strada, ma non prima che tu e io abbiamo sistemato le nostre questioni una volta per tutte.» «Vierna non ti permetterà mai di uccidermi,» ribatté Drizzt. «Certo, ma mi permetterà di sconfiggerti,» rispose Entreri. «Il suo desiderio è il mio. Vuole che la tua umiliazione sia totale. E quando avremo concluso fra noi due, lei ti immolerà a Lloth con la mia benedizione. «Vieni, amico,» disse infine quando si accorse dell'espressione seria sul volto dell'elfo.
«Non sono tuo amico,» ribatté Drizzt con voce grave. «Mio simile, allora,» lo motteggiò l'assassino deliziandosi dell'occhiata furente che l'elfo gli aveva lanciato. «Non sia mai!» «Noi due combattiamo troppo perfettamente e lottiamo per vincere anche se le motivazioni possono essere diverse. Ti ho detto poco fa che non mi sfuggirai e finalmente riuscirò a farti capire chi veramente sei.» Drizzt decise di non rispondere, non in una galleria stretta, attorniato dai nemici e con le mani legate dietro alla schiena. Non era la prima volta che udiva Entreri affermare quelle cose, ma prima d'allora Drizzt se n'era fatto una ragione e aveva elaborato e accettato le proprie decisioni che lo avevano condotto su un sentiero molto diverso. Ma l'espressione compiaciuta sul volto dell'assassino lo innervosì. Qualunque cosa avesse potuto fare in quella situazione disperata, Drizzt era più che mai deciso a non dargli soddisfazione. Attraversarono una zona costellata da una miriade di cunicoli laterali, gallerie tortuose e frastagliate che si irradiavano in ogni direzione. Entreri gli aveva detto che la grotta non era molto lontana e Drizzt si rese conto che non aveva molto tempo per decidere cosa fare. Si tuffò a terra e dopo aver raccolto le gambe al petto le infilò nelle mani legate mentre con un'agile piroetta si rialzava in piedi. Scorse Entreri sguainare la spada e il pugnale e nonostante fosse disarmato Drizzt gli si avventò contro. Pur non avendo molte probabilità di uscirne illeso, l'elfo era convinto che Entreri non avesse il coraggio di ferirlo per non distruggere irrimediabilmente l'occasione che tanto e così disperatamente aveva agognato. Entreri ebbe un attimo di esitazione. Drizzt si fece avanti e con una potente sforbiciata di gambe sferrò due potenti calci al viso e al torace dell'assassino. L'elfo ricadde in piedi e si precipitò verso l'apertura del cunicolo laterale più vicino, l'unico presidiato solo da una sentinella. Avanzò deciso nella speranza che Vierna avesse minacciato con una morte lenta e dolorosa chiunque avesse ucciso la sua preda. E quando si voltò vide infatti Vierna che tratteneva Jarlaxle con una mano sulla spalla. Il guerriero si avventò su Drizzt con un'agilità felina protendendo in avanti l'elsa, ma l'elfo fu più veloce. Sollevò i polsi legati e agganciò l'arma con la corda obbligando il soldato a sollevare le braccia sopra la testa. Con una mossa veloce Drizzt sollevò un ginocchio e colpì la pancia dell'avver-
sario che ruzzolò a terra piegato in due dal dolore. Drizzt lo scavalcò e con un altro calcio lo fece ruzzolare addosso al soldato e a Entreri che lo stavano inseguendo. Seguì il percorso sinuoso della galleria, attraversò una piccola spianata di roccia, imboccò un altro cunicolo e continuò a correre nella speranza di distanziare i suoi inseguitori. Ma i nemici incalzavano e non appena svoltò in un'altra galleria udì un dardo saettare a poca distanza dalla sua tempia. In lontananza scorse molti altri profili indistinti entrare e uscire dalle gallerie. Fino a pochi istanti prima era stato in compagnia di sette elfi, ma sapeva che Vierna doveva avere una scorta molto più consistente e che non molto tempo prima Jarlaxle aveva disposto una forza ben più numerosa lungo le altre gallerie. Drizzt si rese conto che quelle gallerie pullulavano di soldati ed esploratori, pronti a comunicare la sua presenza con il loro codice silenzioso. Oltre l'ennesima svolta si ritrovò a camminare nella stessa direzione di pochi istanti prima, quasi stesse ritornando sui suoi passi. Scalò una piccola parete di roccia e imprecò contro la sorte perché scoprì di essere nel livello precedente. In lontananza scorse il bagliore di uno specchio di segnalazione, un disco di metallo con un lato riscaldato magicamente che veniva usato dagli elfi per comunicare fra loro. Nonostante l'oscurità quel diabolico marchingegno risplendeva come uno specchio sotto un sole abbacinante. Drizzt imboccò un altro cunicolo rendendosi conto che il cerchio si stava stringendo attorno a lui e che le possibilità di scampo si stavano tragicamente assottigliando. Non aveva fatto pochi passi che il drider gli sbarrò il passo. In preda a un moto di disgusto Drizzt indietreggiò inorridito. Suo fratello ridotto in quello stato! Il petto rigonfio di Dinin dondolava al ritmo delle sue otto zampe, mentre sul suo volto era calata una maschera inespressiva. Drizzt cercò di controllare le violente emozioni che provava. Frenò un urlo di rabbia mentre tentava di trovare un modo per aggirare l'ostacolo. Dinin stava roteando le asce dalla parte smussata mentre le zampe si divincolavano freneticamente impedendo a Drizzt di oltrepassarlo. L'elfo non aveva altra scelta. Si girò di scatto nel disperato tentativo di ritornare sui suoi passi e trovare un'altra via di scampo, ma Vierna, Jarlaxle ed Entreri sbucarono da un cunicolo che non aveva visto prima. Stavano tranquillamente discorrendo nella lingua franca ed Entreri stava dicendo che preferiva concludere subito, ma quando si accorse di Drizzt
parve cambiare idea. Vierna fece un passo avanti brandendo la sua disgustosa frusta di aspidi. «Se mi sconfiggi, ti lascerò libero,» disse nella lingua degli elfi scuri mentre lanciava Lampo ai piedi di Drizzt. L'elfo si chinò per raccoglierla, ma Vierna cercò di colpirlo. Drizzt si aspettava una reazione simile e si fermò appena in tempo lasciando la scimitarra a terra. Il drider avanzò caracollando e lo colpì alle spalle con un'ascia scaraventandolo ai piedi della sacerdotessa. Drizzt non aveva un attimo da perdere. Si gettò sulla scimitarra e allungò un braccio per afferrarla, ma avvertì un morso doloroso al polso. Una seconda stilettata insopportabile gli trafisse l'avambraccio mentre una terza gli dilaniava la guancia. Il dolore era sconvolgente, ma fu il veleno ad avere la meglio sullo sventurato elfo. Per un istante gli parve di aver afferrato la scimitarra, ma uno strano indolenzimento si era impossessato delle sue dita. La frusta di Vierna continuò a colpirlo e le cinque teste continuarono ad accanirsi sulle carni di Drizzt che lentamente si sentiva paralizzato da un irresistibile torpore. La spietata sacerdotessa di un'altrettanto crudele dea sferzò il prigioniero assaporando ogni suo movimento. Drizzt cercò disperatamente di non svenire e guardò Vierna con disprezzo, ma quello sguardo non fece altro che invitare la sacerdotessa a proseguire la sua tortura. E lo avrebbe percosso a morte se non fosse stato per Jarlaxle, ma soprattutto per Entreri che le si avvicinarono e tentarono di calmarla. Ma per Drizzt, il cui corpo era sconvolto da un dolore insostenibile e le cui speranze di sopravvivenza erano improvvisamente svanite, quella tregua non sembrò altro che una procrastinazione della sua imminente fine. *
*
*
«Aaargh!» gemette Bruenor. «Ehi, gente!» Ancora più drammatica fu la reazione di Thibbledorf all'orripilante scena dei sette nani sgozzati. L'armigero si avvicinò alla parete della galleria barcollando e cominciò a sbattere la fronte contro la pietra. E avrebbe continuato finché non si fosse sfracellato la testa se non fosse stato per Cobble che gli si avvicinò per ricordargli che quel rumore avrebbe potuto allertare i nemici. «Uccisi senza pietà,» mormorò Catti-brie cercando di trovare una ragio-
ne plausibile per quella carneficina. «Entreri,» ringhiò Bruenor. «Se è come pensiamo ed Entreri si è camuffato con il viso e il corpo di Regis, questi nani sono morti prima che lui scendesse in queste gallerie,» osservò Catti-brie. «Sembra che l'assassino non sia arrivato da solo,» aggiunse ripensando al dardo che lentamente fugava ogni loro dubbio. «Quelli avranno vita breve non appena riuscirò ad appoggiare le mie mani sulle loro gole!» esclamò Bruenor inginocchiandosi ai piedi di un nano che era stato un suo carissimo amico. In preda a una profonda commozione Catti-brie distolse lo sguardo e si voltò verso Wulfgar, immobile poco lontano con la torcia in mano, che la stava guardando con espressione imbronciata. «Insomma, dimmi a cosa stai pensando,» disse Catti-brie dopo averlo osservato a lungo sentendosi a disagio. «Non avresti dovuto venire,» si limitò a dire il barbaro. «Drizzt non è anche mio amico, forse?» lo rimbeccò lei, ma rimase sorpresa dalla smorfia che storpiò il suo viso quando il barbaro udì il nome dell'elfo. «Oh, non dubito che sia tuo amico,» ribatté Wulfgar con voce che grondava veleno. «Ma tu presto diventerai mia sposa e non dovresti trovarti in un luogo pericoloso come questo.» Catti-brie sgranò gli occhi dalla meraviglia e si sentì ribollire il sangue nelle vene. «Non sei tu che devi decidere per me!» esclamò con tale veemenza che Cobble e Bruenor si scambiarono un'occhiata esterrefatta. Il re si allontanò dall'amico morto e si avvicinò alla figlia. «Tu diventerai mia sposa!» ripeté Wulfgar a voce più alta. Catti-brie non batté ciglio e sostenne lo sguardo irato del barbaro con tale determinazione che Wulfgar indietreggiò d'un passo. Catti-brie abbozzò un sorriso, convinta che il barbaro stesse finalmente capendo di che tempra era fatta. «Non dovresti essere qui,» disse Wulfgar cercando di riprendere terreno. «Allora tornatene a Settlestone,» sibilò Catti-brie premendo l'indice contro il suo torace. «Perché se credi che io non dovrei essere qui per aiutare a ritrovare Drizzt, allora non puoi definirti un amico dell'elfo!» «Non più di quanto lo possa essere tu!» esclamò Wulfgar lanciandole un'occhiata di fuoco e serrando un pugno. «Cosa vai dicendo?» gli chiese Catti-brie frastornata dalle parole insensate e dal comportamento bizzarro di Wulfgar.
Ma Bruenor ne aveva avuto abbastanza. Si fermò fra i due giovani e dopo aver allontanato Catti-brie si voltò verso il barbaro. «Cos'hai detto, ragazzo?» disse cercando di mantenersi calmo anche se moriva dal desiderio di sferrargli un potente pugno in bocca. Wulfgar evitò lo sguardo di Bruenor e dopo aver alzato un braccio sopra la testa del nano indicò Catti-brie. «Quanti baci gli hai dato?» disse corrugando la fronte. «Co... Cosa?» balbettò Catti-brie. «Tu sei impazzito. Io non ho mai...» «Tu menti!» ruggì Wulfgar. «Bada a come parli,» tuonò Bruenor sfoderando l'ascia e roteandola davanti a sé per costringere il barbaro ad allontanarsi. Wulfgar cercò di parare il colpo con la torcia, ma andò a sbattere contro la parete e per non perdere l'equilibrio la lasciò cadere a terra. Il barbaro cercò di estrarre Aegisfang da sotto la bisaccia, ma Bruenor non gli dette tregua e continuò ad attaccarlo senza mai colpirlo, ma obbligandolo a scartare e a strisciare lungo la parete. «Lascia che sia io a ucciderlo, re!» urlò Thibbledorf avvicinandosi al nano. «Togliti dai piedi, tu!» ruggì Bruenor con una rabbia che sorprese tutti. «Ho sopportato le tue stupide azioni per parecchio tempo, e la mia pazienza si è esaurita,» aggiunse rivolgendosi a Wulfgar. «Non ho più tempo da perdere. Di' ciò che devi dire e sfogati. Dopo terrai la bocca chiusa finché non troveremo Drizzt e saremo fuori da questo posto puzzolente!» «Io ho cercato di rimanere calmo,» ribatté Wulfgar ancora inginocchiato a terra dopo aver tentato di schivare uno dei micidiali colpi di Bruenor. «Ma non posso fingere di non conoscere l'insulto che è stato fatto al mio onore!» esclamò alzandosi in piedi di scatto. «Drizzt ha incontrato Cattibrie prima del suo ritorno a Mithril Hall.» «Chi te l'ha detto?» gli chiese Catti-brie. «Regis!» urlò Wulfgar di rimando. «E mi ha anche detto che vi siete detti pochissime parole!» «È una menzogna!» cercò di difendersi Catti-brie. Wulfgar aprì bocca per rispondere, ma la risata fragorosa di Bruenor lo zittì. Il nano appoggiò l'ascia a terra e dopo aver appoggiato le mani ai fianchi cominciò a scuotere la testa. «Razza di stupido!» esclamò riprendendo fiato. «Perché non usi un po' il tuo cervello ogni tanto e smetti di ragionare solo con i muscoli? Ti rendi conto di quanto hai appena detto? Hai capito che ci troviamo qui perché
pensiamo che Regis non sia veramente Regis?» Wulfgar sgranò gli occhi dalla meraviglia e si grattò in testa, rendendosi conto solo allora di non aver riconsiderato gli avvenimenti alla luce delle loro nuove scoperte. «Se ti senti stupido come sembri in questo momento, allora vuol dire che senti giusto!» esclamò Bruenor. Quell'improvvisa quanto inaspettata rivelazione lo colpì con la stessa forza di una mazzata. Quante volte negli ultimi giorni Wulfgar aveva conversato a quattr'occhi con Regis? E di che cosa avevano chiacchierato? Per la prima volta il barbaro si rese conto che avrebbe potuto uccidere il suo più caro amico se Drizzt non avesse vinto il combattimento che avevano ingaggiato nella sua stanza. «Il nanerottolo...» disse con aria trasognata ricordando solo un vortice rossastro sprigionato da una preziosa gemma. «Artemis Entreri... Ha cercato di usarmi per i suoi loschi piani. Non sono sicuro ma credo che mi abbia irretito con il suo pendente. Non riesco a ricordare.» «Ti conosco da molto tempo, ragazzo,» bofonchiò Bruenor, «e mai prima d'ora ti ho visto comportarti così stupidamente. Anch'io non sono esente da colpe... Mandare quel nanerottolo assieme a Drizzt in questa regione sconosciuta!» «Entreri ha cercato di farmi uccidere Drizzt,» aggiunse Wulfgar sconvolto. «Di' piuttosto che ha cercato di fare uccidere te da Drizzt,» lo corresse Bruenor. Catti-brie sbuffò soddisfatta. Finalmente qualcuno aveva ridimensionato la boria del giovane barbaro, ma Wulfgar le lanciò un'occhiata indispettita. «Tu hai incontrato l'elfo, vero?» le chiese con voce asciutta. «Non sono affari tuoi,» ribatté Catti-brie. L'aria vibrò di una rinnovata tensione e nonostante il broncio sul viso di Wulfgar fosse scomparso, rimaneva il fatto che il barbaro era ancora convinto che Catti-brie avrebbe dovuto rimanere in un luogo più sicuro. Ma la giovane donna non ebbe il tempo di dare sfogo alla propria rabbia perché Cobble si avvicinò al gruppo implorandoli di non fare rumore. Solo allora Bruenor si rese conto che Thibbledorf non era con loro. «Ho sentito rumori strani,» spiegò il chierico. «Laggiù, in fondo alla galleria. Preghiamo Moradin affinché i nemici non abbiano udito la nostra stupidità.» Catti-brie lanciò un ultimo sguardo ai cadaveri dei nani e si voltò verso
Wulfgar. Anche il barbaro sembrava essersi reso conto che il grosso pericolo in cui si trovava Drizzt rendeva futili i loro battibecchi. Bruenor parve accorgersi del turbamento della figlia e dopo essersi avvicinato le cinse le spalle con un braccio. «Erano cose che si dovevano dire,» mormorò con voce affabile. «Era meglio dissipare i dubbi prima dell'inizio della battaglia.» Catti-brie annuì e sperò in cuor suo che se mai uno scontro doveva esserci, cominciasse subito. Ma sperò anche, con tutte le proprie forze, che non fosse un combattimento per vendicare la morte di Drizzt Do'Urden. Capitolo 13 Giuramento violato Era stata accesa una sola torcia e Drizzt capì che doveva far parte dell'accordo. Non ancora abituato alle sue nuove capacità visive Entreri si sarebbe sentito maggiormente a proprio agio a combattere con una sorgente luminosa. Quando i suoi occhi si abituarono alla luce, l'elfo studiò la grotta con attenzione. Le pareti e il soffitto erano frastagliati e costellati di nicchie e anfratti e piccole stalattiti. Intravide due portali, sicuramente fatti costruire appositamente da Vierna su espressa richiesta di Entreri. Ogni porta era presidiata da due soldati, mentre un terzo era fermo in mezzo a loro a due passi di distanza. Nella grotta Drizzt contò una decina di elfi scuri, oltre a Vierna e a Jarlaxle, mentre non riuscì a vedere dove fosse andato a finire il drider. Entreri stava parlando con Vierna e Drizzt vide che la sacerdotessa stava porgendo all'assassino il cinturone cui erano appese le sue due scimitarre. Scorse una nicchia molto strana rientrata rispetto alla parte principale della grotta che si apriva a metà parete. L'apertura era nascosta da un drappo e un soldato era fermo davanti con la spada e il pugnale stretti nei pugni. Drizzt non poté fare a meno di chiedersi se fosse un canale di scolo o uno scivolo. Entreri gli aveva detto che quello era il luogo in cui lui e gli elfi scuri si sarebbero salutati per proseguire ciascuno per la propria strada, ma Drizzt era convinto che dopo il combattimento l'assassino aveva intenzione di ritornare in superficie tenendosi a debita distanza da Mithril Hall.
Non esistevano altre vie d'uscita da quella grotta e l'elfo dedusse che dietro a quel drappo doveva effettivamente nascondersi uno scivolo che conduceva alle gallerie tortuose della Città Tenebrosa. Vierna sussurrò qualcosa che Drizzt non fu in grado di udire ed Entreri si avvicinò all'elfo con le sue armi in braccio. Un soldato si avvicinò alle spalle di Drizzt e gli liberò le mani. L'elfo portò le braccia davanti a sé e si massaggiò vigorosamente i polsi per alleviare i crampi che gli torturavano le braccia e le spalle. Entreri lasciò cadere il cinturone ai piedi di Drizzt e indietreggiò di un passo. L'elfo lanciò un'occhiata alle sue armi indeciso sul da farsi. «Raccoglile,» gli ordinò Entreri. «Perché dovrei?» La forza di quella domanda sembrò investire l'assassino in pieno viso. Un lampo illuminò il suo sguardo, ma subito sul suo volto calò la solita maschera inespressiva. «Così potremo conoscere finalmente la verità,» ribatté Entreri. «Io conosco già la verità,» replicò Drizzt con calma. «Tu vorresti nasconderla e travisarla... Fingere di non conoscerla per non ammettere l'assurdità della tua disgraziata esistenza.» «Raccoglile, ho detto,» sibilò l'assassino. «Se non vuoi che ti uccida subito.» Drizzt sapeva che quella era una minaccia senza senso. Entreri non lo avrebbe mai ucciso finché non si fosse riscattato con un combattimento imparziale. E se anche Entreri avesse cercato di ucciderlo, era sicuro che Vierna sarebbe intervenuta. Drizzt era troppo importante per la folle causa e l'assurdo sacrificio della sacerdotessa di Lloth. L'elfo finalmente si chinò, afferrò il cinturone e lo agganciò ai fianchi. Si rendeva conto che in quello spazio angusto le sue possibilità di uscire vivo erano pressoché nulle, ma confidava nel fatto che la sorte si dimostrava molte volte mutevole. Entreri sfoderò la spada e il pugnale, fletté le ginocchia mentre le sue labbra sottili abbozzavano un sorriso. Drizzt puntò i piedi per terra e abbassò le spalle lasciando le scimitarre nei rispettivi foderi. La spada dell'assassino balenò nell'aria e ferì il naso dell'elfo che dovette girare velocemente la testa di lato. Drizzt si portò lentamente una mano al viso e cercò di fermare il fiotto di sangue stringendo il pollice e l'indice. «Codardo,» disse Entreri fingendo un affondo mentre cercava di aggirar-
lo. Drizzt seguiva ogni suo spostamento incurante degli insulti. «Forza, Drizzt Do'Urden,» lo incitò Jarlaxle. «Sai benissimo che il tuo destino è già stato segnato. Cerca di sfruttare i tuoi ultimi attimi di vita uccidendo questo umano che ha fatto soffrire te e i tuoi amici!» «Cos'hai da perdere?» lo incalzò Entreri. «Io non posso ucciderti. Devo limitarmi a sconfiggerti... Questo è il mio patto con tua sorella. Ma tu puoi uccidere me. In questo caso Vierna non muoverebbe un dito e potrebbe anche divertirsi a vedere morire un inutile umano.» Drizzt non si degnò nemmeno di ribattere. Era vero che non aveva nulla da perdere, ma nessuno sembrava capire la ragione per cui Drizzt Do'Urden combatteva solo quando era costretto a farlo. «Sfodera le tue armi,» tuonò Jarlaxle. «La tua fama ha raggiunto persino le mie orecchie e mi piacerebbe vederti all'opera. Vorrei vedere con i miei occhi se sei veramente migliore di Zaknafein.» Drizzt si sforzò di mantenersi calmo, cercando di non mancare ai propri principi, ma non poté fare a meno di nascondere una smorfia di dolore quando udì il nome del padre morto, famoso per essere il miglior elfo d'armi di tutta Menzoberranzan. Con gesto fulmineo sguainò le scimitarre e la luce sprigionata da Lampo rifletté la rabbia che a stento l'elfo riusciva a frenare. Entreri si avventò su di lui e Drizzt reagì prontamente. Le scimitarre bloccarono la spada e il pugnale con una serie di movimenti cadenzati e precisi. L'elfo passò al contrattacco e reagendo d'istinto cominciò a girare su se stesso accompagnando i movimenti del braccio in un vortice di morte. Confuso da quell'inaspettata reazione, Entreri non parò un paio di colpi, ma riuscì a tenersi a debita distanza. «Sei bravissimo a sorprendermi,» ammise l'assassino con una smorfia di disgusto quando si rese conto che gli astanti mormoravano la loro approvazione. Drizzt si fermò di scatto con le braccia abbassate, proprio davanti al suo avversario. «Bravo, ma inconcludente,» urlò Entreri buttandosi in avanti con la spada protesa e il pugnale che scendeva lentamente dall'alto. Drizzt scartò di lato e incrociò le scimitarre in modo da bloccare le due temibili armi nemiche. Il pugnale di Entreri completò il suo arco mentre la spada roteava vorticosamente per tenere l'elfo occupato.
Proprio come se l'era aspettato, la daga dell'assassino cambiò direzione all'improvviso, ma Lampo l'intercettò e con un fragoroso colpo la scaraventò dall'altro capo della grotta. «Bravissimo!» urlò Jarlaxle e anche Entreri fece un inchino in segno di muta approvazione. L'assassino rigirò nella mano l'elsa della spada rimastagli e finse un potente affondo, ma cambiò nuovamente direzione all'ultimo momento ritraendo il braccio e descrivendo un semicerchio. Ormai aveva Drizzt in pugno e avrebbe potuto conficcare la lama nella spalla o addirittura nel collo. Ma il sorriso scaltro di Drizzt lo fermò. Girò il polso e colpì la spalla dell'elfo con il piatto della spada. Drizzt si stava prendendo gioco di lui fingendosi incapace di difendersi. Entreri avrebbe voluto urlare la propria rabbia e fare in modo che gli altri elfi scuri intervenissero e si scagliassero contro quella creatura insopportabile. Ma decise che quello scontro era una questione personale che doveva essere sistemata definitivamente fra loro due, senza nemmeno l'intervento di Vierna o di Jarlaxle. «Potevo ucciderti,» disse Entreri nella lingua dei nani sperando che gli elfi non lo capissero. «Allora potevi finirmi,» ribatté Drizzt in lingua franca volendo ridicolizzare la serietà delle intenzioni dell'assassino agli occhi di tutti. «Avresti dovuto combattere meglio,» lo rimproverò Entreri in lingua franca. «Almeno per amore del tuo amico nanerottolo, se non per te stesso. Se mi uccidi, Regis sarà libero. Ma se io esco da questa grotta sulle mie gambe, allora...» L'assassino lasciò cadere il discorso per sottolineare la drammaticità della situazione, ma la risata denigratoria di Drizzt ebbe il potere di farlo rabbrividire. «Regis è morto,» disse l'elfo. «O morirà presto, indipendentemente dall'esito di questo combattimento.» «No!» esclamò Entreri. «Sì, invece,» lo interruppe Drizzt. «Ti conosco molto bene e non mi faccio abbindolare facilmente dalle tue menzogne. La tua rabbia ti ha accecato e non sei stato abbastanza accorto da prevedere tutto.» Entreri si avvicinò con passo felino e continuò i suoi attacchi per distogliere l'attenzione degli elfi scuri che li stavano guardando. «È morto,» disse Drizzt. «Tu cosa pensi?» lo motteggiò l'assassino. Drizzt si rese conto che ora Entreri stava cercando di attizzare la sua rabbia, e si sforzò di mantenersi calmo mentre parava e attaccava svoglia-
tamente. Vierna e Jarlaxle cominciarono a sussurrare fra loro e Drizzt pensò che si stessero stancando del loro temporeggiare. Continuò a sferrare colpi su colpi ma senza una particolare determinazione o efficacia. All'improvviso Entreri fece un cenno con il capo per fargli capire che aveva compreso le sue intenzioni. Quel gioco, quella sorta di scaramuccia silenziosa e strana, era una questione personale, fra Drizzt ed Entreri, e non richiedeva affatto l'intervento di Vierna. «Assaporerai la tua vittoria,» tuonò Entreri con una voce strana. «Verrà senza fatica,» ribatté Drizzt. L'assassino voleva vincere, lo desiderava con tutte le forze soprattutto perché Drizzt combatteva con fare quasi annoiato. L'elfo sapeva che Entreri non era uno stupido e se erano accomunati dalla stessa abilità, le loro motivazioni erano molto diverse. Se da un lato Entreri lottava per dimostrare a Drizzt il suo valore, l'elfo era invece convinto di non dover dimostrare un bel nulla, tantomeno all'assassino. Lo strano comportamento di Drizzt non era una finzione. Avrebbe perso di buon grado pur di non dare all'avversario la soddisfazione di una vittoria onesta. L'assassino non parve sorpreso dall'insolito mutare degli eventi. «Questa è la tua ultima occasione,» gli disse Entreri. «Qui le nostre strade si dividono. Io me ne andrò da quella porta, mentre gli elfi scuri se ne andranno giù nel loro mondo sotterraneo.» Drizzt lanciò una veloce occhiata alla nicchia nella parete per far capire a Entreri di aver colto il significato recondito delle sue parole. L'assassino si spostò di lato con un movimento veloce dopo che lentamente si era avvicinato al punto in cui si trovava il suo pugnale. Era una manovra molto azzardata che lo lasciava scoperto all'attacco nemico, ma dato lo scarso accanimento di Drizzt non correva alcun rischio. «Posso chiamare il tuo gatto?» gli chiese Entreri scoprendo una piccola bisaccia appesa alla cintura dentro la quale si intravedeva una statuetta nera. L'assassino si avvicinò e sferrò un attacco micidiale i cui colpi avrebbero finito l'elfo, se solo lo avesse voluto. «Forza!» esclamò a gran voce. «Tu sai combattere molto meglio di così! Ho visto con i miei occhi la tua bravura, in gallerie e cunicoli come questi, per dubitare che tu non sappia nemmeno difenderti!» Drizzt osservò Entreri con aria stupita e si chiese la ragione per cui stes-
se parlando a voce alta. Voleva forse rassicurare che il resto del combattimento si sarebbe svolto in piena regola? Ma ben presto capì il significato nascosto delle parole dell'assassino. Entreri aveva ricordato i loro combattimenti nelle gallerie in tempi in cui non lottavano l'uno contro l'altro. In quell'occasione, infatti, Drizzt Do'Urden e Artemis Entreri avevano combattuto insieme, fianco a fianco, per il semplice piacere di sconfiggere un nemico comune. Insinuava forse che quella era una situazione analoga, si chiese Drizzt. Entreri desiderava così disperatamente uno scontro con lui che si stava offrendo di aiutarlo a sconfiggere Vierna e la sua gente? E se così era, e la sorte li avesse assistiti, lo scontro fra loro due avrebbe valso la pena di essere combattuto? Se avessero vinto il loro comune nemico e fossero riusciti a fuggire, la promessa libertà non lo avrebbe forse spinto a scontrarsi con Artemis Entreri? «Tempus!» Quel familiare urlo di guerra riportò i due avversari alla realtà. Si mossero in perfetta sincronia. Drizzt ondeggiò le scimitarre e l'assassino abbassò la guardia porgendo il fianco da cui pendeva la piccola bisaccia. Lampo recise il tessuto e la statuetta incantata cadde sul pavimento. La porta da cui erano entrati poco tempo prima si infranse sotto i poderosi colpi di Aegis-fang e l'elfo che la presidiava venne scaraventato dall'altra parte della grotta. Drizzt avrebbe voluto avvicinarsi alla porta divelta per unirsi agli amici, ma vide che gli elfi gli stavano sbarrando il passo. Anche l'altra porta si rivelò inutile, perché si aprì di scatto per lasciar entrare Dinin alla testa di un nutrito squadrone di elfi scuri. La grotta venne inondata da una luce abbacinante. Si udirono i primi gemiti di morte. Una freccia argentea perforò un'asse del portale andandosi a conficcare nel torace di una guardia che si stava rialzando. La violenza dell'impatto fu tale che il suo corpo venne scaraventato contro la parete dove rimase appeso alla freccia conficcata nella pietra. «Guenhwyvar!» Drizzt non indugiò a vedere se la pantera aveva risposto alla sua chiamata. Si precipitò verso la nicchia e l'unica guardia che lo stava aspettando con la spada sguainata. Vierna emise un urlo raccapricciante. L'elfo avvertì un pugnale imprigionato nelle pieghe del suo mantello, a poche spanne dalla coscia, ma continuò a correre abbassando una spalla all'ultimo momento quasi volesse
tuffarsi in avanti. Anche la guardia si protese in avanti, ma Drizzt si rialzò di scatto fermandosi davanti allo sventurato e incrociando le scimitarre all'altezza del suo collo. L'elfo non riuscì nemmeno a sollevare una spada per parare il colpo, tantomeno a scartare di lato e lasciarsi cadere a terra. Le lame acuminate gli recisero il collo. Drizzt ammiccò, ritrasse le braccia e si tuffò verso il drappo che nascondeva la nicchia nella speranza di lasciarsi cadere in uno scivolo, e non in un baratro senza fine. Capitolo 14 Lotta impari Thibbledorf si precipitò di corsa lungo un cunicolo laterale che si snodava parallelo a una ventina di passi a destra rispetto a quello in cui aveva salutato i suoi compagni, in modo da poter riuscire ad aggirare i nemici. Udì l'assordante fragore della porta che si schiantava, l'inquietante sfrigolio delle frecce di Catti-brie che fendevano l'aria e le urla disperate che si innalzavano in più punti, maledicendo la sua sorte per trovarsi lontano dal punto in cui i suoi amici si stavano divertendo. Tenendo la torcia davanti a sé, l'armigero svoltò rapidamente oltre una curva nella speranza di riunirsi a loro prima che fosse troppo tardi. Si fermò di scatto davanti a una creatura che lo stava squadrando con aria sorpresa. «Ehi, tu,» sbottò Thibbledorf, «sei forse l'amichetto di Bruenor?» Il nano seguì i movimenti fulminei dell'elfo. Vide comparire fra le sue mani una piccola balestra, udì lo scatto della sicura e riuscì a malapena a distinguere il dardo scoccato da quella micidiale arma. La punta si fece strada fra le pieghe dell'armatura e si conficcò nella spalla aprendo una ferita dalla quale sgorgarono alcune gocce di sangue. «Non credo proprio!» urlò il nano lanciandosi all'attacco mentre scandiva le parole. Ritrasse la torcia e dopo aver chinato il capo per mirare la punta conficcata nell'elmo contro l'avversario si lasciò cadere in avanti mentre l'elfo annaspava con le mani per sfoderare la sua spada. Thibbledorf avanzò ondeggiando la testa per parare i colpi che gli piovevano addosso e dopo essersi rialzato all'ultimo momento si buttò addos-
so al nemico con voluttuosa rapidità travolgendolo nella ricorsa del proprio attacco e bloccandolo contro la parete. L'elfo scuro riuscì a non perdere l'equilibrio e a bloccare i movimenti del temibile nano. Liberò la mano che stringeva l'elsa della spada, ma l'armigero cominciò a dimenarsi con forza mentre le punte della sua armatura affondavano nel torace dello sventurato. La reazione fu immediata, ma non fece altro che favorire l'attacco del nano. L'elfo emise un urlo raccapricciante e continuò ad agitarsi, ma Thibbledorf divincolò una mano da quell'abbraccio inconsueto e sferrò un potente pugno con il guanto borchiato che andò a colpire la pelle liscia dell'elfo. Il nano fletté le ginocchia, dette una gomitata e dopo averlo morso al naso lo scaraventò di lato. Un agghiacciante urlo di guerra proruppe dalla gola dell'armigero ed echeggiò a lungo nella galleria. Il sangue del nemico gli aveva fatto riassaporare il brivido della battaglia e la sensazione che provava in quell'istante ebbe il potere di fargli ribollire il sangue nelle vene. «Aaaaaargh!» urlò di nuovo il nano. L'elfo scuro si accasciò sul pavimento, travolto dal corpo dell'armigero, e nel giro di pochi istanti esalò il suo ultimo respiro. «Razza di bastardo schifoso!» ruggì Thibbledorf continuando a infierire sul cadavere colpendogli il viso con la propria fronte. Quando finalmente la sua sete di vendetta fu appagata, sistemò il cadavere contro la parete e si allontanò. Avvertiva uno strano dolore alla schiena e solo allora si rese conto che la spada dell'elfo doveva averlo colpito almeno una volta. Ma ciò che lo preoccupava maggiormente era l'inquietante torpore che si stava impossessando del suo braccio. Il veleno della freccia stava circolando nelle sue vene e presto avrebbe avuto il suo effetto devastante. In preda a un'accecante rabbia, Thibbledorf chinò nuovamente il capo, puntò con forza gli stivali contro il terreno e si lanciò contro il nemico morto per sfogare l'ira che lo aveva assalito. La micidiale punta si conficcò nel torace dell'elfo seduto contro la parete e quando l'armigero si ritrasse il cadavere si accasciò lentamente a terra in una pozza di sangue. «Spero proprio che tu non sia l'amichetto di Bruenor,» bofonchiò il nano temendo che quell'incidente potesse tramutarsi in un orribile quanto innocente sbaglio. «Anche perché ora non posso farci più nulla!» *
*
*
Mentre ispezionava la zona alla ricerca di trappole o trabocchetti avvalendosi delle sue arti magiche, Cobble avvertì l'ennesima freccia scoccata da Catti-brie sfiorargli la spalla e la vide scomparire nell'oscurità davanti a sé. Il chierico cercò di non distrarsi perché desiderava finire il proprio lavoro in fretta per potersi finalmente riunire agli altri. Proprio in quell'istante un dardo gli si conficcò nella gamba, ma non si dette pena né per il dolore né per il veleno, poiché si era protetto con potenti incantesimi che avrebbero rallentato gli effetti devastanti di quel liquido. Anche se gli elfi scuri lo avessero trafitto con una miriade di frecce, Cobble sarebbe stramazzato a terra addormentato dopo parecchie ore. Perlustrò la galleria con una precisione maniacale e quando si sentì finalmente tranquillo si voltò verso gli amici che stavano attendendo impazienti il suo responso, e solo allora notò uno strano luccichio. «Polvere di ferro?!» mormorò infilando una mano nella bisaccia in cui custodiva le biglie esplosive. Si preparò all'attacco e sollevò una mano per avvertire gli altri di rimanere dov'erano. Quando finalmente riuscì a discernere le forme e le voci nel groviglio di corpi che combattevano, udì la voce cantilenante e armoniosa di una elfo che stava formulando un incantesimo. Il nano sgranò gli occhi inorridito. Si voltò di scatto verso gli amici urlando che fuggissero e si mettessero in salvo. Anche lui cominciò a fuggire ma gli stivali scivolarono sulla roccia levigata. In lontananza la voce acquistava sicurezza e veemenza e all'improvviso la polvere metallica si trasformò in un muro che travolse il povero chierico. La galleria venne spazzata da una violenta raffica di vento che trasportava terriccio frammisto a schegge di ferro e grumi di sangue. Un centinaio di esplosioni meno intense, quasi una sequenza snervante di piccoli scoppiettii, echeggiò sotto il cumulo sepolcrale che aveva travolto lo sfortunato nano. «Cobble,» sussurrò Catti-brie con aria affranta. La luce magica scomparve. Una sfera di tenebre venne rigurgitata dall'apertura della grotta bloccando il loro avanzare. Una seconda sfera cominciò ad avanzare a pochi passi di distanza dalla prima mentre una terza si innalzava dalla tomba di Cobble. «Continuate a caricare!» tuonò Thibbledorf passando di corsa al loro fianco, ma quando si ritrovò davanti a una sfera di tenebre si fermò frastornato. Lo scatto metallico di un'infinità di invisibili balestre echeggiò
nell'aria accompagnato dall'inquietante sibilo dei dardi. «Indietro!» urlò Bruenor mentre Catti-brie tendeva la corda e scoccava le sue frecce. Con il corpo trafitto dai dardi nemici Thibbledorf cominciò a barcollare. Wulfgar lo afferrò per l'elmo e lo trascinò con sé mentre seguiva Bruenor. «Drizzt,» mormorò Catti-brie mentre l'angoscia le stringeva la gola. Si inginocchiò e continuò a pizzicare la corda del proprio arco nella speranza che il suo caro amico non si trovasse nella traiettoria delle micidiali frecce. Un dardo grondante di veleno colpì l'arco e cadde a poca distanza dai suoi piedi. Non poteva fermarsi. Incoccò un'ultima freccia e dopo averla lanciata nell'oscurità seguì suo padre e gli amici pensando che si stava allontanando dall'amico che era venuta a salvare. *
*
*
Drizzt continuò a cadere sbattendo contro le pareti scoscese e tortuose dello scivolo. Strinse con forza l'elsa delle scimitarre cercando di tenerle lontane dal proprio corpo in modo da non venire trafitto dalle loro lame affilate. Compì una piroetta, ma sfruttando la velocità della caduta con una capriola riuscì a riportare i piedi sotto di sé nel tentativo di attutire l'impatto finale. Non si accorse, però, di una svolta improvvisa del cunicolo e l'urto violento gli fece quasi perdere i sensi. Proprio quando aveva ricuperato il controllo del proprio corpo e si stava girando ancora una volta, lo scivolo si aprì in una discesa diagonale che sfociava in un cunicolo inferiore. Drizzt allargò le braccia per tenere le scimitarre lontane da sé e in men che non si dica si schiantò contro il terreno, ruzzolò più volte e sbatté la schiena contro uno spuntone di roccia. L'elfo scuro rimase a lungo immobile. Non era il dolore che lo preoccupava. Le stilettate che gli martoriavano il corpo e le gambe si stavano lentamente trasformando in uno strano indolenzimento. Non si dette pena nemmeno di controllare le ferite e i lividi, tantomeno di riandare col pensiero a Entreri poiché in quei terribili istanti la sua mente era galvanizzata da una sola, unica considerazione. Aveva violato un giuramento. Quando da giovane aveva abbandonato Menzoberranzan dopo aver ucciso il suo compagno Masoj Hun'ett, aveva giurato che non avrebbe mai più
ucciso un elfo scuro. Aveva rispettato quell'eterna promessa anche quando la sua famiglia aveva cercato di riacciuffarlo dandogli l'inseguimento nelle gallerie della Città Tenebrosa e anche quando aveva dovuto combattere contro la sorella maggiore. La morte di Zaknafein era un ricordo ancora molto vivo nella sua mente e il desiderio che provava di uccidere la malvagia Briza era a dir poco irresistibile. Accecato dal dolore e dopo dieci anni di sopravvivenza in quel mondo spietato, Drizzt era riuscito tuttavia a mantener fede a quel giuramento. Ma ora era tutto cambiato. Non nutriva alcun dubbio. Aveva ucciso la guardia che presidiava lo scivolo in cui si era gettato. Ricordava di aver incrociato le scimitarre davanti alla sua gola. Le lame avevano reciso con spietata precisione le vene pulsanti di vita del suo simile e nemico. Non aveva avuto alternative se voleva liberarsi di Vierna e della sua masnada, si disse Drizzt, e la sua era stata una mossa difensiva dettata dalle circostanze. Non era stato lui la causa di quella violenza, tantomeno l'aveva cercata. Non era sua la colpa se si era veduto costretto a uccidere per riunirsi agli amici che sicuramente avevano scoperto la sua assenza. Per quanto si sforzasse di trovare una ragione per le proprie azioni, nonostante valutasse gli avvenimenti da diversi punti di vista, Drizzt non poté fare a meno di accettare la verità. Aveva violato un giuramento. *
*
*
Bruenor percorse velocemente il labirinto di cunicoli e gallerie mentre alle sue spalle lo seguiva Wulfgar trascinando con sé l'armigero che sbuffava inviperito e lo pungolava con la sua armatura. Catti-brie li seguiva poco lontano fermandosi di tanto in tanto per scagliare una freccia per scoraggiare chiunque osasse avvicinarsi troppo. All'improvviso si resero conto del silenzio che li attorniava. Un silenzio eccessivo, rotto solo dal frenetico scalpiccio della loro fuga. Dove avrebbero potuto fuggire, si chiesero in cuor loro. Non sapevano dove si trovavano in quella regione sconosciuta e avrebbero dovuto procedere con estrema lentezza e cautela prima di riuscire a raggiungere le zone conosciute. Bruenor raggiunse un piccolo passaggio laterale dal quale partivano tre cunicoli, ciascuno dei quali si biforcava a pochi passi di distanza. Senza una meta precisa il nano si precipitò dapprima a sinistra, poi a destra, e ben
presto raggiunsero una piccola grotta scavata dai goblin, oltre la cui apertura bassa si intravedeva un'enorme lastra di pietra. Entrarono di corsa e finalmente al sicuro Wulfgar afferrò la lastra e l'appoggiò contro l'imboccatura della grotta. «Elfi scuri!» esclamò Catti-brie cercando di riprendere fiato. «Come ci sono arrivati, a Mithril Hall?» «Non come, ma perché,» la corresse Bruenor con aria meditabonda. «Perché gli elfi scuri sono venuti nelle mie gallerie?» «Cosa staranno mai cercando?» aggiunse il nano con aria cupa. Il suo sguardo scivolò dal volto dell'amata Catti-brie a quello dell'orgoglioso Wulfgar. «In che guaio ci siamo cacciati, questa volta?» Catti-brie non riusciva a trovare una risposta soddisfacente alla domanda del padre. Insieme avevano combattuto contro numerosi mostri e avevano superato ostacoli e difficoltà incredibili. Ma ora si trovavano davanti agli infami e spietati elfi scuri che molto probabilmente avevano catturato il loro amico Drizzt. Non appena avevano scoperto la sua misteriosa assenza si erano precipitati in suo aiuto, sorprendendo gli elfi scuri. Erano stati semplicemente sopraffatti e la loro ritirata precipitosa era dovuta alla superiorità numerica del nemico. Si erano allontanati senza nemmeno riuscire a scoprire il destino del loro amato amico. In preda a un'angoscia sconfinata Catti-brie cercò Wulfgar con lo sguardo ma sul suo volto scorse la stessa pena di Bruenor. La giovane donna distolse subito lo sguardo. Sapeva che Wulfgar continuava a essere preoccupato per lei, e non poteva certo biasimarlo date le circostanze. E in una situazione simile Catti-brie si rendeva conto di essere un impaccio per il giovane barbaro che in lei aveva un punto debole. Non dubitava delle sue capacità, né della sua forza, ma sapeva che Wulfgar non vedeva in lei un alleato, proprio in un momento in cui avevano un disperato bisogno di unire le forze. *
*
*
Grazie ai suoi poteri di levitazione l'elfo uscì dal cunicolo fermandosi su una roccia. Il suo sguardo si posò immediatamente su una creatura dalle spalle ricurve avvolte in un pesante mantello. Lo sconosciuto impugnò una mazza e si precipitò contro Drizzt con urla di gioia pregustando la lauta ricompensa che avrebbe ricevuto per aver
catturato Drizzt. L'arma si abbassò velocemente e colpì la roccia su cui poggiavano i piedi di Drizzt con un tonfo sordo. Silenzioso come la morte, Drizzt spiccò un salto e cadde alle spalle del nemico. L'elfo sgranò gli occhi dalla meraviglia rendendosi conto dell'errore fatale che aveva commesso. Drizzt provò il forte desiderio di colpirlo con l'elsa della scimitarra. Non voleva infrangere ancora una volta il giuramento. Un colpo ben assestato avrebbe neutralizzato quella creatura abbastanza a lungo da permettergli di legarlo e disarmarlo. Se si fosse trovato da solo in quelle gallerie, se solo avesse dovuto sfuggire dalle grinfie di Vierna ed Entreri, Drizzt avrebbe obbedito all'urlo disperato del proprio cuore. Ma non poteva dimenticare i suoi amici che sicuramente stavano combattendo contro il comune nemico nelle gallerie superiori. Non poteva certo correre il rischio che quel soldato, una volta ricuperato i sensi, mettesse in pericolo la vita di Bruenor, Wulfgar o Cattibrie. Drizzt girò velocemente il polso e la lama di Lampo scomparve nella schiena dell'elfo. Quando la ritrasse, la scimitarra emanava un bagliore rosato e le sue mani erano imbrattate di sangue. Ripensò agli amici e serrò i denti. Nonostante tutto, il sangue poteva essere lavato con l'acqua. PARTE 4 GATTO E TOPO
Quale turbamento ho provato quando per la prima volta sono venuto meno al voto più solenne e sacro che un tempo feci, ovvero che non avrei mai più tolto la vita a un mio simile. Il dolore, il senso di fallimento e perdita mi hanno assalito con sorprendente intensità quando mi sono reso conto dell'orribile scempio provocato dalla lama delle mie scimitarre. Il senso di colpa è tuttavia svanito in fretta, non perché ho guardato con occhio benevolo il mio stesso fallimento, non perché mi sono reso conto che il vero sbaglio era stato il voto stesso, e non per averlo infranto. Quando mi sono allontanato un passo dopo l'altro dalla mia terra, proferii quelle parole dettate dalla mia innocenza, dall'ingenuità della mia giovane età. E ho creduto in quanto dicevo, sul serio. Con il trascorrere del tempo, però, sono lentamente giunto alla conclusione che non avrei mai dovuto proferire quel voto poiché, se desideravo perseguire una vita giusta in qualità di difensore degli stessi ideali cui agognavo, non avrei potuto esimermi da azioni dettate dal corso della vita, se mai un giorno il nemico si fosse rivelato essere un elfo scuro come me. La fedeltà al mio voto dipendeva semplicemente da situazioni che le mie facoltà non erano in grado di controllare. Se, dopo aver abbandonato Menzoberranzan, non avessi mai più incontrato un elfo scuro sul campo di battaglia, non avrei mai infranto il mio voto. Tuttavia, questa possibilità non mi avrebbe reso maggiormente degno d'onore. Le circostante fortunate della vita non sempre collimano con i principi più alti che albergano
nell'animo di una creatura. Quando il destino ha voluto che gli elfi scuri minacciassero i miei più cari amici e travolgessero con le loro guerre esseri incapaci di nuocere loro, come potevo io, in tutta coscienza, tenere le mie scimitarre riposte nei foderi? Che valore avrebbe avuto il mio voto al confronto delle vite di Bruenor, Wulfgar e Catti-brie, e delle vite di molti altri innocenti? Se, durante i miei viaggi, mi fossi trovato nel bel mezzo di un'incursione di elfi scuri contro gli elfi di superficie, o contro un piccolo villaggio indifeso, so, oltre ogni ombra di dubbio, che mi sarei unito alla battaglia nel tentativo di sgominare quegli aggressori sleali con tutte le mie forze. E anche in un'occasione simile sono sicuro che avrei avvertito le insopportabili stilettate del fallimento, ma che le avrei allontanate da me, proprio come adesso. Non rimpiango, infatti, di non aver rispettato il voto di non uccidere, anche se provo un acuto dolore. Ma ho dovuto. Tantomeno rimpiango di averlo fatto, poiché quell'affermazione della mia giovanile follia non ha provocato altro dolore. Se avessi cercato di prestar fede incondizionatamente a quelle parole, se un senso di falso orgoglio mi avesse impedito di sguainare le armi, e se la mia stessa inazione avesse recato danno anche a una sola creatura innocente, allora il dolore provato da Drizzt Do'Urden sarebbe stato insopportabile e non lo avrebbe abbandonato mai più. Devo ancora meditare su un altro punto che riguarda la mia affermazione giovanile, un'ultima verità che ritengo sia in grado di farmi progredire lungo il sentiero da me prescelto. Ho detto che non avrei mai ucciso un elfo scuro. Ma quando ho proferito queste parole, nulla sapevo della miriade di razze che popolano il mondo, i regni della superficie e il Mondo Tenebroso, ignaro della moltitudine di genti e razze esistenti. Non avrei mai ucciso un elfo scuro, dissi allora, ma come mi sarei comportato con gli svirfnebli, gli gnomi delle viscere? O con i nanerottoli, gli elfi e i nani? E con gli umani? Ho avuto modo di uccidere gli uomini, quando il popolo barbaro di Wulfgar ha invaso Ten-Towns. La difesa di quegli innocenti implicava combattere, fors'anche uccidere gli umani aggressori. Tuttavia, quell'atto, per quanto potesse essere spiacevole, era necessario e non pregiudicava in alcun modo il mio voto solenne, nonostante la fama degli umani fosse di gran lunga migliore dei miei simili. L'aver affermato che non avrei mai più sparso il sangue di un elfo scuro per la sola ragione che eravamo accomunati dallo stesso retaggio mi sem-
bra, a questo punto, di parte. Misurare il valore di un essere vivente e reputarlo superiore a quello di un altro solo perché ha la pelle del mio stesso colore sminuisce i miei principi. I falsi valori racchiusi in quel voto non trovano più posto nel mio mondo, in un mondo sconfinato caratterizzato da differenze di corpi e tradizioni. Sono proprio queste differenze che rendono emozionanti i miei viaggi, che arricchiscono il concetto universale della bellezza di colori variegati e molteplici forme. Formulo ora un nuovo voto, una dichiarazione che nasce dall'esperienza e da una mente attenta e ricettiva. Non solleverò più le mie scimitarre se non per difendermi. Per difendere i miei principi, la mia vita e quella di chiunque non sia in grado di difendersi. Non scenderò in battaglia per avanzare la causa dei falsi profeti, per aumentare i tesori dei re, né per vendicare il mio orgoglio ferito. E a quegli opulenti mercenari, siano essi votati agli dèi o al commercio, che avranno il coraggio di considerare un voto simile insensato, banale o persino ridicolo, io incrocerò le braccia al petto e risponderò loro: Io sono di gran lunga più ricco di voi! Drizzt Do'Urden Capitolo 15 Intrigo Muovendo agilmente le mani Vierna ordinò il silenzio più assoluto. Le sicure delle balestre vennero subito riagganciate e gli elfi che le imbracciavano fletterono le ginocchia con lo sguardo fisso sulla porta divelta. Alle loro spalle, dall'altro capo della grotta, si udì il sibilo di una freccia smorzarsi nella schiena di un'ignara vittima che cadde a terra con un fruscio. Dinin si scostò dal cadavere dimenando le sue disgustose zampe. Silenzio, ordinò ancora Vierna. Jarlaxle scivolò lungo la parete per avvicinarsi alla porta e dopo aver appoggiato un orecchio all'oscura sfera magica comandò ai suoi soldati di prepararsi con un cenno perentorio della mano. Ma dovette fermarli subito dopo con un altro movimento veloce della mano quando un esploratore sgusciò dalla sfera ed entrò nella grotta. «Se ne sono andati,» disse l'elfo mentre Vierna si avvicinava al mercenario. «Sono in pochi e uno di loro è stato travolto dal muro magico.» Il soldato e Jarlaxle si inchinarono per dimostrare a Vierna la propria ammira-
zione. La sacerdotessa abbozzò un sorriso malevolo nonostante l'esito disastroso di quella sortita. «Che ne è di Iftuu?» chiese Jarlaxle ricordando il soldato che aveva lasciato di guardia nella galleria. «Morto,» si limitò a dire l'esploratore. «Ridotto a brandelli.» «Conosci i nostri nemici?» chiese Vierna voltandosi di scatto verso Entreri. L'assassino le lanciò un'occhiata inquietante ricordando che Drizzt lo aveva avvertito di non allearsi con i suoi simili. «È stato Wulfgar il barbaro umano a distruggere la porta con la sua arma,» rispose con voce sicura mentre con lo sguardo sfiorava i due cadaveri accasciati sul pavimento di pietra. «E la morte di quei due soldati è stata causata da Catti-brie, un'altra femmina umana.» Vierna si voltò verso l'esploratore di Jarlaxle e tradusse quanto Entreri aveva appena detto nella lingua degli elfi. «La vittima del muro magico era uno di questi due?» si informò la sacerdotessa. «No, era un nano,» ribatté il soldato. Entreri capì la risposta. «Bruenor?» disse l'assassino inarcando un sopracciglio, chiedendosi se non avessero ucciso inavvertitamente il re di Mithril Hall. «Bruenor?!» ripeté Vierna non capendo. «Il capo del clan dei Martello da guerra,» spiegò Entreri. «Chiediglielo,» la pregò indicando il soldato. «Aveva una folta barba fulva?» aggiunse portando una mano al mento glabro e fingendo di accarezzarsi la barba. Vierna tradusse la domanda e dopo un attimo si voltò e scosse il capo. «Laggiù non c'è luce. Non ha potuto vedere bene.» «Comunque sono fuggiti e la cosa non deve più preoccuparci,» aggiunse la sacerdotessa subito dopo. «Li lasci andare dopo che hanno ucciso tre dei tuoi soldati?» obiettò Entreri non sapendo che piega avrebbero preso gli eventi. «Quattro,» lo corresse Vierna con lo sguardo fisso sul cadavere della guardia ai piedi dell'imboccatura dello scivolo attraverso il quale Drizzt era fuggito. «Ak'kafta sta inseguendo tuo fratello,» si intromise Jarlaxle. «Allora sono cinque,» ribatté Vierna con voce cupa. «Ma mio fratello si trova nei cunicoli inferiori e deve risalire verso di noi per raggiungere i suoi amici.» La sacerdotessa cominciò a parlare velocemente nella lingua degli elfi e
nonostante non la conoscesse bene, Entreri capì che stava organizzando l'inseguimento di Drizzt lungo lo scivolo. «Che ne è del nostro patto?» la interruppe l'assassino. «Hai avuto ciò che volevi,» rispose Vierna con voce asciutta. «Ti rendiamo la libertà.» Entreri si mostrò compiaciuto. Sapeva che se avesse tradito il proprio disappunto avrebbe rischiato di accasciarsi al suolo assieme agli altri cadaveri. Ma l'assassino non era disposto ad accettare il fallimento a cuor leggero e cercò con lo sguardo qualcosa che potesse aiutarlo a modificare gli eventi. Aveva previsto tutto alla perfezione, almeno fino a quel momento, ma qualcosa non era andato per il verso giusto. All'ultimo momento, in quel trambusto, non era riuscito a raggiungere lo scivolo e lasciarvisi cadere assieme a Drizzt in modo che, finalmente soli, avrebbero potuto redimere definitivamente la loro rivalità. Alla luce di quanto era accaduto la possibilità di incontrare l'elfo a quattr'occhi per sconfiggerlo stava inesorabilmente svanendo nel nulla. Lo scaltro assassino era sempre riuscito a togliersi d'impiccio nelle situazioni più precarie, ma quella volta non poté fare a meno di pensare che aveva a che fare con gli elfi scuri, maestri indiscussi dell'intrigo. *
*
*
«Zitti!» sibilò Bruenor rivolto a Wulfgar e Catti-brie, anche se l'unico rumore che udiva alle sue spalle era l'assordante russare di Thibbledorf. «Mi pare di aver sentito qualcosa!» Wulfgar sbatté la testa dell'armigero contro la parete e dopo avergli tappato la bocca strinse il naso del nano con due dita. Le guance di Thibbledorf si gonfiarono a dismisura e da un punto indistinto del suo corpo uscì uno strano rumore. Wulfgar e Catti-brie si guardarono stupiti e il barbaro si chiese se quell'energumeno non avesse russato per le orecchie. Bruenor socchiuse gli occhi, ma in lontananza udì un fruscio appena percettibile, e subito dopo un altro molto più vicino. Non avevano via di scampo, si sorprese a pensare il nano, soprattutto quando Wulfgar e Cattibrie avevano bisogno di una torcia per procedere in quelle anguste e tenebrose gallerie. Il fruscio si avvicinò ancora a pochi passi da una piccola grotta. «Che aspetti?» ruggì il nano cercando di controllare la paura e avvici-
nandosi alla lastra che Wulfgar aveva appoggiato contro l'uscita. Portò lentamente l'ascia sopra la testa, pronto a colpire, ma all'improvviso un profilo nero si fermò davanti a lui. Bruenor cercò di investirlo con la propria arma, ma la sagoma balzò di lato e sgusciò via senza far rumore. «Per i Nove Inferi!» esclamò meravigliato sentendosi trascinare dal proprio braccio. «Guenhwyvar!» urlò Catti-brie nascosta dietro la pietra. Bruenor si rimise in piedi barcollando proprio nel momento in cui la pantera aprì le sue possenti fauci lasciando cadere a terra una statuetta stretta nella mano insanguinata di un elfo. Catti-brie scostò quella mano con un calcio. «Un alleato davvero prezioso,» mormorò Bruenor con aria soddisfatta. Guenhwyvar emise un lungo ringhio che echeggiò nelle gallerie circostanti. Thibbledorf socchiuse gli occhi e quando vide il felino accovacciato a una spanna di distanza aprì la bocca dalla meraviglia. In preda a un terrore cieco l'armigero trasse una dozzina di spade dal suo cinturone mentre cercava di rimettersi in piedi. Quando finalmente raggiunse la pantera, Guenhwyvar capì le sue vere intenzioni e con una lenta ma precisa zampata lo colpì in pieno viso. Il nano sbatté violentemente la testa contro la parete della grotta e scuotendo il capo per schiarirsi le idee si ripeté che lui era un armigero e che avrebbe combattuto valorosamente. Da sotto una piega della cotta trasse una fiaschetta e dopo aver trangugiato una generosa sorsata di liquido ed essersi pulito i baffi con il dorso della mano, il nano si preparò all'attacco. Ma proprio quando si stava per scagliare contro il felino, Wulfgar lo afferrò per la punta dell'elmo e lo sollevò da terra. «Cosa stai facendo?» ruggì Thibbledorf inviperito, ma il ruggito di Guenhwyvar lo zittì all'istante. «La pantera è nostra amica,» gli spiegò Wulfgar. «Quel... Quel dannato animale?» balbettò Thibbledorf sbigottito. «Un alleato insostituibile,» lo corresse Bruenor perlustrando la grotta mentre ringraziava silenziosamente gli dèi per avergli fatto incontrare di nuovo quel fedele animale. *
*
*
Entreri scorse un elfo ferito che veniva medicato da due suoi compagni. Le bende con cui fasciavano il moncone diventavano subito rosse. Rico-
nobbe il soldato che aveva cercato di afferrare la statuetta quando Drizzt aveva richiamato la pantera, e il ricordo di Guenhwyvar suggerì all'assassino una nuova idea. «Gli amici di Drizzt vi inseguiranno anche lungo lo scivolo,» disse Entreri con voce cupa interrompendo la conversazione di Vierna. La sacerdotessa si girò verso di lui con espressione sorpresa. Anche Jarlaxle lo squadrò esterrefatto. «Non sottovalutarli,» aggiunse l'assassino. «Li conosco bene e non puoi nemmeno immaginare la fedeltà che li unisce, seconda solo a quella di una sacerdotessa verso la Regina Aracnide,» si affrettò ad aggiungere per non irritare Vierna. «Pensi di inseguire tuo fratello, ma se anche riuscissi a prenderlo e a dirigerti in fretta e furia a Menzoberranzan, sta' pur certa che i suoi amici ti staranno alle calcagna.» «Sono in pochi,» osservò Vierna. «Ma torneranno in molti, soprattutto se il nano travolto dal muro magico è Bruenor Martello di guerra,» ribatté Entreri. Vierna cercò la conferma alle parole dell'assassino scrutando il viso di Jarlaxle con un'intensità inaudita, ma il mercenario si limitò a stringersi nelle spalle e a scuotere il capo. «Torneranno armati fino ai denti,» proseguì Entreri con maggiore sicurezza. «Accompagnati da maghi e potenti chierici, forse. E con un mortale arco e il micidiale martello del barbaro.» «Le gallerie sono numerose,» osservò Vierna cercando di mettere fine alla discussione. «Non riusciranno mai a ritrovare le nostre tracce,» concluse con voce decisa. «Ma loro hanno la pantera!» esclamò Entreri. «Quel felino è l'amico più caro di tuo fratello. Guenhwyvar sarebbe in grado di raggiungerti nell'Abisso se tu trascinassi il cadavere di Drizzt fin laggiù.» «Tu, che dici?» chiese Vierna lanciando un'occhiata perplessa a Jarlaxle. Il mercenario si accarezzò il mento con aria meditabonda. «Tutti gli esploratori hanno avuto modo di conoscere la pantera quando Drizzt abitava ancora a Menzoberranzan,» ammise dopo un lungo attimo di silenzio. «Le nostre pattuglie non sono numerose, date le perdite che abbiamo subito.» Vierna si voltò verso Entreri con un ampio sfarfallio della tunica. «Tu che sembri conoscere molto bene i nostri nemici,» disse con una voce grondante di sarcasmo, «cosa proponi di fare?» «Inseguire i fuggiaschi,» disse l'assassino indicando la porta divelta al di là della quale si snodava un corridoio buio. «Catturarli e ucciderli prima
che riescano a ritornare a casa e chiamare rinforzi. Io, intanto, ritroverò tuo fratello.» Vierna lo guardò con sospetto. «Per questo mi dovrai garantire un altro combattimento con Drizzt,» aggiunse per dare maggiore credibilità al suo piano. «Quando tu mi consegnerai la vittima,» aggiunse Vierna con voce glaciale. «Sta bene,» disse l'assassino e dopo averla salutata con un profondo inchino si avvicinò allo scivolo. «Non andrai da solo,» decise Vierna all'improvviso e dopo aver intercettato lo sguardo di Jarlaxle invitò le sue due guardie ad accompagnare Entreri. «Io lavoro sempre da solo,» insistette l'assassino. «Morirai da solo,» lo corresse Vierna. «Voglio dire, se trovi mio fratello nelle gallerie inferiori,» aggiunse in tono canzonatorio. Entreri reputò inutile continuare a disquisire con la sacerdotessa e con una scrollata di spalle rassegnata ordinò a un soldato di precederlo. I poteri di levitazione di un elfo scuro avrebbero reso meno pericolosa la sua discesa, si disse rincuorato mentre scendeva. Il primo elfo cadde sul pavimento della galleria inferiore seguito in rapida successione da Entreri e dal secondo soldato. Il primo elfo scosse il capo sbigottito quando vide un corpo bocconi poco lontano. Lo pungolò con la punta di uno stivale, ma Entreri, profondo conoscitore dei tranelli di Drizzt, lo allontanò con un ampio gesto del braccio e conficcò la spada nella schiena di quella creatura immobile. Con movimenti veloci lo voltò e vide che non era Drizzt sotto mentite spoglie. Con aria soddisfatta infilò la spada nel fodero. «Il nostro nemico è furbo,» disse mentre uno dei due soldati annuiva e traduceva le parole dell'assassino all'amico. «Questo è Ak'hafta,» spiegò l'elfo scuro rivolto a Entreri. «Morto, proprio come ha detto Vierna,» aggiunse avvicinandosi all'assassino assieme al compagno. Entreri non si sorprese di aver trovato il cadavere di quel soldato in fondo allo scivolo. Più di chiunque altro conosceva le capacità del loro avversario e non nutriva alcun dubbio che nonostante quei due soldati fossero abili nell'uso delle armi ma ignari e inesperti del comportamento del loro nemico, non sarebbero sopravvissuti a un eventuale scontro con Drizzt. E secondo i suoi calcoli, se quei due si fossero trovati laggiù da soli, Drizzt li
avrebbe uccisi già da un pezzo. Entreri nascose un sorriso soddisfatto. Se quei due elfi scuri non comprendevano il loro nemico, comprendevano ancor meno il loro alleato. La sua spada compì un ampio cerchio nell'aria all'altezza della spalla e squarciò il torace dell'elfo che gli stava accanto. L'altro soldato si mosse fulmineo e imbracciò la balestra mentre indietreggiava lentamente. Il pugnale tempestato di gemme brillò fra le dita dell'assassino e la sua lama ferì il polso dell'avversario in modo da deviare il colpo. L'elfo scuro serrò i denti e sfoderò due spade dalle lame affilatissime. Entreri non poté fare a meno di meravigliarsi per l'abilità con cui gli elfi scuri erano in grado di combattere con due armi della stessa lunghezza, mentre con un gesto fulmineo della mano sinistra sfilava il fodero di cuoio che portava a tracolla. «Tu stai dalla parte di Drizzt Do'Urden,» lo accusò l'elfo. «Di sicuro non sono vostro amico,» precisò Entreri mentre il soldato si avvicinava sventolando e incrociando le lame con una velocità inaudita. L'assassino si vide costretto a parare con la propria spada e a indietreggiare. L'attacco fu veloce e ingannevole, ma Entreri avvertì subito la sottile differenza che distingueva quell'elfo dal suo rivale di sempre. Una differenza talmente impalpabile, ma così determinante che rendeva Drizzt il migliore. Durante quell'attacco pressoché perfetto l'elfo aveva incrociato le lame davanti a sé, ma per la frazione di un istante le spade non erano allineate lasciando così scoperto il suo corpo. Come tutti i guerrieri, si disse Entreri, l'elfo poteva essere perfetto nell'attacco o perfetto nella difesa, ma non in tutt'e due. Quella lacuna era però compensata dalla sua velocità e solo pochi avversari avevano avuto modo di notare il suo punto debole. Tuttavia, Entreri non era un avversario comune. L'elfo si lanciò ancora una volta contro il nemico mirando con una spada il viso di Entreri. La stoccata deviò all'ultimo momento, ma venne seguita subito dalla seconda spada, che proveniva dal basso e da destra. Entreri girò velocemente il polso e invertì il movimento parando quel micidiale colpo in modo che l'elfo abbassasse la spada verso terra. L'elfo si scagliò contro Entreri con accanimento, ma ogni suo colpo venne parato dalla spada o dal fodero dell'assassino che indietreggiava lentamente in attesa che giungesse il momento propizio per il colpo di grazia. Le spade si incrociarono con un fragore assordante, vennero ritratte per essere ancora una volta incrociate nel tentativo di trafiggere il petto di En-
treri. L'assassino cambiò all'improvviso la tattica di difesa e cominciò a muoversi con una rapidità terrificante. Il fodero intercettò la punta della spada che l'elfo impugnava con la mano destra e deviò il movimento in modo che scendesse sotto la seconda spada. L'assassino si spostò a sinistra, imprigionò entrambe le armi con il fodero e le abbassò di lato. L'elfo cominciò a indietreggiare per liberare le armi, ma quel gesto gli fu fatale. Perse l'equilibrio e la sequenza dei movimenti e dovette perdere attimi preziosi per prepararsi a controbattere. La spada di Entreri non attese. L'assassino appoggiò il peso del proprio corpo sull'elsa e trafisse l'avversario al fianco sinistro spingendo con quanta forza aveva fino a raggiungere il cuore. L'elfo cadde a terra portando le mani alla ferita, ma Entreri rimase immobile con lo sguardo fisso davanti a sé. «Tu ormai sei morto,» disse mentre l'elfo lottava per rimettersi in piedi e difendersi con le spade. Consapevole del disastro che incombeva su di lui, dopo alcuni vani tentativi l'elfo lasciò cadere le armi a terra e allargò le braccia. «Mi arrendo.» «Ben detto,» sibilò l'assassino trafiggendogli il petto. Ripulì la spada sul piwafwi della vittima, ricuperò il pugnale e rivolse lo sguardo alla galleria deserta. «A noi due, Drizzt,» urlò a squarciagola. «Le cose procedono come avevo pensato io.» Entreri sorrise soddisfatto e gonfiò il petto inorgoglito pensando di essere riuscito per l'ennesima volta a sfuggire a una situazione pericolosa. «Non ho dimenticato le fogne di Calimport, Drizzt Do'Urden!» urlò sentendosi ribollire il sangue dalla rabbia. «E non ho perdonato!» Entreri cercò di calmarsi, ricordando che era stata proprio la sua rabbia a decretare il fallimento del loro combattimento a Calimport. «Attendi il mio arrivo, caro amico,» aggiunse quasi sottovoce, «perché ora comincia il nostro vero gioco, proprio come avrebbe dovuto essere stato fin dall'inizio.» *
*
*
Drizzt riattraversò lo spiazzo finale dello scivolo poco dopo che Entreri se n'era andato. Capì subito quanto era accaduto pochi istanti prima. Scrutò a lungo i due cadaveri e si rese conto di aver aizzato Entreri nella grotta in
cui aveva ingaggiato il combattimento sotto all'occhio vigile di Vierna rifiutandosi di accettare i termini del suo avversario. Entreri sembrava aver previsto la riluttanza dell'elfo e aveva improvvisato un piano alternativo. L'assassino era riuscito a isolarlo nelle gallerie inferiori in modo che Drizzt fosse costretto a combattere per riguadagnare la libertà. Drizzt annuì lentamente provando una segreta ammirazione per l'astuzia del suo rivale. Tuttavia i suoi scopi non erano gli stessi di Entreri. La principale preoccupazione dell'elfo era trovare una via d'uscita e correre in aiuto dei suoi amici, sicuramente in pericolo di vita. Ai suoi occhi Entreri non era altro che una minuscola parte di una minaccia ben più grande e devastante. E se mai si fosse imbattuto in Entreri, Drizzt Do'Urden era più che mai deciso a concludere una volta per tutte quel mortale gioco iniziato molto tempo prima. Capitolo 16 Ragnatele insidiose Non mi piace affatto,» disse Vierna ferma accanto a Jarlaxle a pochi passi dal muro magico sotto al quale si intravedeva il cadavere di Cobble. «Credevi che fosse facile?» le chiese il mercenario. «Ci siamo addentrati nelle gallerie fortificate dei nani con uno squadrone di una cinquantina di soldati... Una cinquantina contro migliaia di nani!» «Ma non preoccuparti,» si affrettò ad aggiungere non volendo innervosire la sacerdotessa. «Riuscirai a catturare tuo fratello. Le mie truppe sono ben addestrate. Ho già mandato una trentina di soldati di Baenre lungo il corridoio che porta verso Mithril Hall. Nessuno riuscirà più a entrare e i nostri amici non ci sfuggiranno.» «Quando i nani sapranno della nostra presenza, invieranno un esercito,» osservò Vierna con aria cupa. «Solo se lo vengono a sapere,» la corresse Jarlaxle. «Le gallerie di Mithril Hall sono molto lunghe. Ci vorranno giorni prima che i nostri avversari riescano a raccogliere un esercito consistente. Saremo già a Menzoberranzan, con Drizzt come nostro prigioniero, prima che i nani si organizzino.» Vierna considerò a lungo la situazione. Esistevano due modi per raggiungere il livello inferiore: lo scivolo nella grotta accanto oppure una se-
rie di gallerie tortuose che si trovava più a nord. Si avvicinò allo scivolo e lanciò un'occhiata oltre l'apertura chiedendosi se non avesse commesso un errore terribile a mandare solo due soldati assieme a Entreri. Per un attimo pensò di mandare un drappello di una decina di guardie accompagnate dal drider, ma Jarlaxle interruppe le sue meditazioni. «Quell'umano lo riacciufferà,» disse il mercenario quasi le avesse letto nel pensiero. «Artemis Entreri conosce il nostro nemico meglio di noi. Lo ha combattuto più volte in superficie, e indossa l'orecchino così potrai seguire i suoi movimenti in qualsiasi momento. Quassù abbiamo gli amici di Drizzt da sistemare... E a quanto pare non sono in molti.» «E se Drizzt riesce a sfuggire a Entreri?» gli chiese Vierna. «Per risalire ci sono due vie,» le ricordò Jarlaxle. Vierna annuì soddisfatta. Dalle morbide pieghe della tunica trasse una piccola bacchetta e dopo aver socchiuso gli occhi cominciò a mormorare una formula. Muovendo il braccio con gesti armoniosi Vierna cominciò a tracciare linee precise davanti all'apertura mentre dalla punta della bacchetta usciva un filamento appiccicoso. La sacerdotessa si allontanò di un passo per rimirare l'intricata ragnatela con cui aveva sigillato lo scivolo. Tuffò una mano in una piccola sacca appesa alla cintura e dopo aver tirato fuori un pugno di fine polvere cominciò a mormorare un'altra formula accompagnando le parole con un ampio gesto del braccio. La polvere si posò su quell'intricato groviglio di fili che assunsero un cupo lucore argenteo che svanì in un batter d'occhio. Nella grotta sembrò calare un gelo mortale e dopo pochi istanti la ragnatela divenne invisibile. «Solo una,» annunciò Vierna con voce trionfante rivolta a Jarlaxle. «Nessuna spada riuscirà mai a recidere questi fili.» «A nord, allora,» disse il mercenario. «Ho inviato alcuni esploratori perché perlustrino le gallerie inferiori.» «Drizzt non deve riunirsi ai suoi amici,» ordinò Vierna. «Se Drizzt rivedrà i suoi amici, li troverà morti,» ribatté il mercenario sicuro di sé. *
*
*
«Forse c'è un'altra strada,» disse Wulfgar. «Se noi riuscissimo a sorprenderli da entrambi i lati...» «Drizzt non è più lì,» lo interruppe Bruenor accarezzando il medaglione magico con lo sguardo fisso a terra avvertendo una strana sensazione che
gli dava quasi la certezza che Drizzt si trovasse sotto di loro. «Quando avremo ucciso tutti i nostri nemici, il tuo amico ci troverà,» osservò Thibbledorf ancora sospeso a mezz'aria. Wulfgar lo scosse violentemente e lo lasciò cadere a terra. «Non ho voglia di combattere contro gli elfi scuri,» ribatté Bruenor lanciando occhiate furtive a Catti-brie e Wulfgar. «Non in questo momento. Teniamoci alla larga il più possibile e combattiamo solo quando è necessario.» «Potremmo tornare indietro e chiedere aiuto a Dagna,» propose Wulfgar. «Assieme a lui potremo scacciare gli elfi scuri dalle nostre gallerie.» Bruenor rivolse lo sguardo al labirinto di cunicoli e passaggi nel tentativo di elaborare un percorso, ma si rese conto che avrebbero perso ore intere per ritrovare la strada verso Mithril Hall, e ancor più tempo per riunire l'esercito di Dagna. «Ci conviene cercare Drizzt,» disse Catti-brie con fermezza. «Abbiamo il tuo medaglione che ci guiderà e Guenhwyvar ci porterà dritti da lui.» Bruenor sapeva che l'armigero avrebbe accettato qualsiasi cosa purché gli si desse modo di combattere, e notò il mantello arruffato della pantera. Il nano lanciò un'occhiata a Wulfgar e provò un moto di stizza per l'espressione preoccupata che indugiava sul viso di quel ragazzo. All'improvviso Guenhwyvar irrigidì i muscoli ed emise un cupo ringhio. Catti-brie spense la torcia e si accovacciò seguendo i movimenti degli occhi abituati all'oscurità dei due nani. Il gruppo si strinse attorno a Bruenor e il nano li invitò a rimanere fermi mentre andava a ispezionare la zona assieme alla pantera. «Elfi scuri,» mormorò quando fu di ritorno più tardi con Guenhwyvar al suo fianco. «Sono in pochi, ma si spostano veloci verso nord.» «Sono già morti,» sbuffò Thibbledorf gonfiando il petto e sfregandosi le mani. «Niente combattimenti, ho detto!» esclamò Bruenor soffocando la rabbia e afferrando l'armigero per una spalla. «Sono convinto che stanno cercando Drizzt e sanno dove andare. Purtroppo non riusciremo a seguirli senza torce.» «E se ne accendiamo una, ben presto li avremo tutti addosso,» osservò Catti-brie. «Allora, cosa aspetti ad accenderle tutte?» li interruppe Thibbledorf. «Chiudi quella dannata boccaccia!» sibilò Bruenor a denti stretti. «Proseguiremo nel più assoluto silenzio. Tu, Wulfgar, tieni pronte due torce e
accendile non appena ci sono segni di battaglia.» Con una lieve manata sul dorso invitò Guenhwyvar ad aprire la strada. Mentre si incamminavano lungo la galleria Thibbledorf infilò una fiaschetta nella mano di Catti-brie. «Bevi una sorsata di questa roba,» le disse, «e passala agli altri.» Catti-brie tolse il tappo, ma quando avvertì l'odore rivoltante del liquido restituì la fiaschetta al nano. «Cambierai idea quando i dardi avvelenati degli elfi scuri ti colpiranno il sedere,» sbuffò l'armigero dandole una solenne manata nel fondo schiena. «Con questa roba che ti circola nel sangue, avresti potuto annullare gli effetti del veleno.» Ricordandosi che Drizzt era in pericolo, la donna afferrò la fiaschetta e trangugiò un'abbondante sorsata. Tossì e dovette appoggiarsi alla parete poiché le parve di vedere doppio. Quando finalmente si sentì meglio passò la fiaschetta a Bruenor. Il nano bevette senza problemi e sottolineò la propria soddisfazione con un rumoroso schiocco della lingua contro il palato. «Bevi,» disse porgendo la fiaschetta a Wulfgar. «Ti riscalderà i piedi.» E quando finalmente anche il barbaro smise di tossire i quattro amici ripresero la marcia con Guenhwyvar davanti e il tintinnio sommesso dell'armatura di Thibbledorf alle loro spalle. *
*
*
Un drappello di quaranta nani armati di tutto punto seguiva il generale Dagna che con passo pesante si dirigeva verso l'ultimo corpo di guardia in fondo alle miniere inferiori di Mithril Hall. «Andremo nella grotta del combattimento contro i goblin,» spiegò il generale ai suoi soldati, «e lì ci divideremo.» Impartì ordini molto precisi alle guardie che presidiavano l'uscita, inventò una nuova sequenza di segnali di avvertimento e dette istruzione che non lasciassero passare gruppi con meno di dodici nani. Dagna mise in fila i propri soldati e dopo averli controllati, si mise alla loro testa e varcò la porta. Il generale era sicuro che Bruenor non era in pericolo. Forse si era attardato in quella zona poco conosciuta per sbaragliare uno sparuto manipolo di goblin, ma poiché lui era ligio al dovere preferiva non rischiare quando si trattava della sicurezza del suo re. Il rumore degli stivali, il frastuono delle armature, il crepitio delle torce
e le numerose grida di guerra scandivano la loro marcia. Dagna non poteva immaginare che l'avanzata dei suoi valorosi guerrieri necessitava di assoluto silenzio e completa oscurità. Sperava anzi che il rumore aiutasse Bruenor e i suoi amici a ritrovare la strada del ritorno. Ma il generale Dagna non sapeva degli elfi scuri. Raggiunsero ben presto il cumulo di ossa degli ettin uccisi tempo prima da Bruenor. Il generale inviò alcune staffette e continuò la sua marcia diretto verso la grotta in cui si era svolta la battaglia contro i goblin, ma quando raggiunse il primo cunicolo laterale, rallentò il passo e richiamò le sue truppe al silenzio. Si guardò intorno avvertendo uno strano nervosismo attanagliargli la gola. I suoi sensi affinati ormai da oltre tre secoli di combattimenti lo stavano avvertendo che qualcosa non andava. Sentiva uno strano pizzicore che gli solleticava la pelle. All'improvviso le torce si spensero. Dapprima Dagna credette che fosse stato una corrente sotterranea, ma quando si rese conto che i soldati mormoravano terrorizzati e i suoi occhi si abituarono all'oscurità, capì che era accaduto qualcosa di terribile. «Le tenebre!» urlò un nano alle sue spalle. «I maghi!» gridò un altro. Dagna avvertì lo scompiglio alle proprie spalle e udì un inquietante fischio seguito dal borbottio di un suo comandante. Istintivamente indietreggiò di qualche passo e dopo pochi istanti uscì da una sfera di tenebre per ritrovarsi davanti alle truppe allo sbaraglio. Una seconda sfera aveva spezzato in due la colonna. Nell'aria cominciarono a echeggiare le invocazioni di aiuto dei compagni imprigionati nel potente incantesimo. «Riunitevi!» tuonò Dagna con quanto fiato aveva in gola. «È un banale incantesimo! Nulla di cui preoccuparsi.» Aveva appena finito di parlare quando un nano portò le mani al petto, parve aggrapparsi a una minuscola freccia e stramazzò a terra addormentato. Qualcosa lo pungolò al polpaccio, ma incurante del dolore continuò a gridare ordini nel tentativo di riunire i soldati. Mandò cinque nani lungo il fianco destro in modo che aggirassero la sfera e si avvicinassero al punto da cui sembravano provenire le frecce. «Trovatemi quel dannato mago!» urlò. «E scoprite da chi siamo stati attaccati.» La rabbia gli fece ribollire il sangue nelle vene, ma ben presto riuscì a riunire i soldati con una formazione a cuneo in modo da oltrepassare la
prima sfera di tenebre. I cinque nani mandati in ricognizione si intrufolarono in una galleria laterale convinti che il nemico fosse ancora lontano e sbucarono dall'altro capo del globo oscuro per dirigersi verso un'apertura che avevano intravisto in lontananza. Ma dalla penombra uscirono due sagome indistinte che si inginocchiarono e appoggiarono le balestre contro la spalla. Il capitano venne colpito da due dardi ma riuscì a lanciare un urlo di avvertimento. Insieme ai suoi compagni si lanciò all'attacco notando solo troppo tardi che altri elfi scuri stavano scendendo magicamente dai cunicoli superiori. «Cosa sta...» disse un nano mentre la pesante mazza borchiata di un elfo gli sfracellava il cranio. «Ehi, ma tu non sei Drizzt!» urlò un altro prima che la spada nemica lo sgozzasse. Il capitano avrebbe voluto battere in ritirata, ma per quanto si sforzasse non riusciva ad aprire bocca. Un irresistibile torpore si era impossessato di lui e lentamente si lasciò cadere a terra consapevole che non si sarebbe mai più risvegliato. «All'armi! Elfi scuri!» urlarono i due sopravvissuti. Il primo cadde trafitto da tre frecce. Tentò invano di rialzarsi, ma due elfi gli furono addosso e lo finirono con spade affilate. L'unico superstite si precipitò verso il resto dell'esercito, ma si ritrovò davanti a un elfo che gli sbarrava il passo. Il nemico si lanciò in avanti con la spada, ma il nano parò il colpo e lo ricambiò con la sua micidiale ascia recidendogli il braccio e lacerandogli la cotta. Il nano lo scavalcò e si precipitò nel globo di tenebre fermandosi ruzzolando davanti alla formazione di Dagna che avanzava lentamente. «Gli elfi scuri!» urlò ancora terrorizzato. Un terzo globo sbucò dal nulla e una pioggia di dardi li investì in pieno. Dagna si rese conto che avrebbe avuto bisogno di chierici e maghi per combattere contro gli elfi scuri, ma quando cercò di chiamare la ritirata la sua bocca si aprì in un interminabile sbadiglio. Qualcosa lo aveva colpito alla tempia e gli parve che una forza misteriosa lo trascinasse verso il basso. Nella confusione più totale e in quelle fitte tenebre l'esercito non era in grado di conservare la formazione. Le possibilità di vittoria erano nulle. I nani ruppero i ranghi. Molti afferrarono i loro compagni feriti e ritornarono
di corsa sui loro passi. La disfatta era completa, ma i nani non erano codardi. Non appena raggiunsero una zona più tranquilla e illuminata si fermarono per riorganizzarsi. Ma la sorte si stava rivoltando contro di loro poiché oltre una decina di nani addormentati, e Dagna fra loro, avrebbe decretato il loro insuccesso. Sei valorosi si offrirono volontari per coprire la ritirata dei compagni. «Correte se non volete che i nani caduti siano morti invano!» urlò uno dei nuovi comandanti. «Correte per il vostro re!» urlò un altro. I nani nelle ultime file si voltarono di tanto in tanto per vedere i loro compagni che erano rimasti indietro a difendere la loro fuga finché un altro globo di tenebre non li fagocitò. «Continuate a correre!» gridarono tutti. I nani abbassarono il capo e corsero a perdifiato mentre alle loro spalle si udiva il clangore delle armi e le urla dei primi elfi caduti. Nessuno indugiò, né rallentò il passo, tantomeno si voltò, ma tutti giurarono di brindare in onore dei loro compagni caduti per loro. La fuga si fece precipitosa e se qualcuno cadeva altri quattro si prodigavano ad aiutarlo a mettersi in salvo. E se uno non riusciva più a trasportare un nano addormentato, un altro era subito pronto a dargli il cambio. Un giovane soldato fece uno scatto e cominciò a battere il martello contro la porta di pietra rispettando la sequenza segreta. La porta si socchiuse, ma quando le guardie si resero conto della disfatta la spalancarono completamente. I sopravvissuti si riversarono nel corpo di guardia. Qualcuno si era fermato sulla soglia per aiutare gli altri che avanzavano a fatica. Le guardie tennero aperta la porta fino all'ultimo momento, quando all'improvviso videro formarsi un altro globo dall'altro capo della galleria, attraverso il quale sfrecciò un dardo velenoso che andò a conficcarsi nel petto di un soldato. La pesante lastra di pietra venne richiusa e sprangata. Solo trentasette soldati erano tornati dalla spedizione, e molti di essi erano addormentati. «Chiamate a raccolta tutto l'esercito!» esclamò una guardia. «E tutti i chierici!» aggiunse un altro indicando Dagna. «Solo la magia può fermare il veleno e tenere accese le torce!» I nani si organizzarono con la velocità di un fulmine. Metà di loro rimase a badare ai dormienti presso il corpo di guardia, mentre l'altra metà si
precipitò a Mithril Hall per avvertire tutto il popolo del pericolo che incombeva sulle loro teste. Capitolo 17 Dolce fardello Si sentiva terribilmente vulnerabile con le scimitarre nascoste nei foderi e spesso si dovette fermare per ripetersi che il suo comportamento temerario era davvero imperdonabile. Ma il pensiero delle vite in pericolo degli amici lo spingeva ad avanzare con cautela portando una mano davanti l'altra per risalire quell'insidioso e intricato scivolo. Anni prima, quando poteva ancora considerarsi un abitante della Città Tenebrosa, Drizzt avrebbe potuto risalirlo senza difficoltà usando i suoi poteri di levitazione. Ma quelle capacità, apparentemente collegate alle vibrazioni magiche sprigionate dalle stesse viscere di quel regno malvagio, erano scomparse non appena aveva posato i piedi sulla superficie di Toril. Non riusciva ad avere un'idea della profondità della propria caduta e ringraziò in silenzio la dea Mielikki per averlo assistito in quel momento terribile. Continuò ostinatamente ad avanzare lungo tratti quasi pianeggianti e altri ben più scoscesi e frastagliati. Non poté fare a meno di chiedersi cosa fosse successo a Guenhwyvar. La pantera aveva forse risposto alla sua chiamata, oppure un elfo, se non addirittura il perfido Jarlaxle, aveva afferrato la statuetta e aveva reclamato il possesso del potente felino? Lentamente Drizzt si avvicinò sempre più all'uscita dello scivolo e notò che il drappo che la chiudeva non era stato sostituito. Tese l'orecchio e il silenzio opprimente lo innervosì. Un tempo aveva più volte condotto pattuglie di perlustrazione lungo le gallerie per parecchie miglia senza fare il minimo rumore. L'elfo si fermò un istante e immaginò che la grotta soprastante pullulasse di suoi simili in attesa del suo ritorno. Ma Drizzt doveva risalire e cercando di respingere il terrore che gli serrava la gola concentrò i propri pensieri sui suoi amici. Allungò un mano per aggrapparsi all'imboccatura, ma all'ultimo momento si fermò. Non vide nulla che potesse metterlo in guardia, ma quante volte il suo istinto di guerriero gli aveva salvato la vita? Fece scivolare le dita lungo la parete di pietra frenando a stento il forte desiderio di allungare entrambe le braccia e balzare nella grotta. All'im-
provviso avvertì qualcosa che gli sfiorava la punta di un dito. Cercò di ritrarre la mano, ma non vi riuscì e non appena fu in grado di vincere la paura iniziale, Drizzt si rese conto di essere intrappolato in una ragnatela incantata. Ne aveva vedute parecchie, e usate in una miriade di modi, quando si aggirava per le strade di Menzoberranzan. La dimora del Primo Casato della città era completamente circondata da un fitto groviglio di ragnatele. Ora, con un unico dito impigliato in quei fili magici, Drizzt si sentì perduto. Rimase perfettamente immobile cercando di controllare persino il respiro e di spostare il peso del proprio corpo contro la parete quasi verticale. Riuscì a far scivolare la mano libera sotto il mantello, ma dopo aver appoggiato la mano sull'elsa di una scimitarra, decise di afferrare uno dei dardi che aveva sottratto dalla faretra dell'elfo che aveva ucciso nelle gallerie inferiori. Aveva appena sollevato il braccio, quando si sentì rabbrividire al rumore di voci nella grotta. Dalla posizione in cui si trovava non era in grado di sentire bene, ma capì che stavano parlando di lui e dei suoi amici... Cattibrie, Wulfgar e tutti gli altri che sembravano essere riusciti a fuggire. Anche la pantera si era messa in salvo. Più volte Drizzt colse esclamazioni vibranti di paura che parlavano di un malefico felino. La notizia lo rincuorò. L'elfo serrò i denti e meditò di usare Lampo per recidere i fili che lo imprigionavano in modo da poter correre in aiuto dei suoi compagni in pericolo. Ma l'attimo di scoramento che lo colse quando si rese conto che Vierna aveva sigillato quella uscita con tutti i suoi terribili poteri si dileguò quasi subito perché si ricordò che doveva esistere un altro sentiero non molto lontano che lo avrebbe ricondotto ai livelli superiori. Le voci degli elfi si allontanarono. Drizzt si sistemò contro la parete appoggiando bene i piedi su un appiglio per rendere meno precaria la sua posizione e dopo aver impugnato il dardo cominciò a sfregarne la punta contro la pietra per asportare tutto il veleno. Lavorò minuziosamente e quando ritenne che poteva bastare allungò la mano, si morse le labbra per non urlare e infilò la punta sotto la pelle per lacerarla. Sperò di essere riuscito a rendere innocua quell'arma mortale perché altrimenti avrebbe rischiato di addormentarsi e schiantarsi al suolo molti livelli più sotto. Si aggrappò alla parete con tutte le proprie forze, serrò i denti e tirò il braccio imprigionato strappando via un lembo di carne.
Per poco non svenne dal dolore, ma ricuperò subito l'equilibrio e infilò il dito in bocca per assicurarsi di succhiare e sputare il resto del veleno della freccia. Raggiunse il livello inferiore qualche istante più tardi con le scimitarre in pugno e con lo sguardo fisso davanti a sé alla ricerca del suo nemico e di una via veloce che lo portasse a destinazione. Mithril Hall doveva trovarsi molto più a oriente, ma Drizzt si rese conto che Vierna e i suoi soldati lo avevano portato verso settentrione. Se esisteva una via verso le gallerie superiori, doveva trovarsi più a nord. Dopo aver portato una scimitarra davanti al viso, infilò velocemente Lampo nel fodero poiché non voleva che il fioco bagliore della lama tradisse la sua presenza. Di tanto in tanto incontrava sporadici cunicoli laterali e ciò lo rasserenò perché riduceva le sue possibilità di scelta. Si ritrovò all'improvviso davanti a un incrocio e in lontananza scorse un'ombra sgattaiolare via furtiva lungo una galleria parallela alla sua destra. Drizzt capì che era Entreri, ed era sicuro che l'assassino conosceva la strada per uscire da quel labirinto. Svoltò a destra e avanzò a piccoli passi. Si fermò quando raggiunse un altro cunicolo parallelo al primo, inspirò a fondo e sbirciò oltre l'angolo. L'ombra continuava a procedere veloce e dopo alcuni passi svoltò di nuovo a destra. Drizzt si insospettì. Non era più logico che Entreri svoltasse a sinistra seguendo la direzione del suo nemico? L'elfo concluse che l'assassino avesse scoperto di essere inseguito, e molto probabilmente stava cercando di condurlo in un luogo che lui riteneva sicuro. Ma Drizzt non poteva perdere altro tempo prezioso. Svoltò a destra per scoprire con disappunto che la direzione intrapresa da Entreri lo aveva portato in una ragnatela di infiniti cunicoli. Entreri era scomparso, ma Drizzt fissò lo sguardo sul terreno per seguire le impronte ancora tiepide del suo nemico. Si rese conto di offrire un ottimo bersaglio per chiunque, soprattutto quando non sapeva se Entreri lo precedeva oppure lo seguiva. Seguì a fatica le sue impronte e notò appena che la galleria si allargava di tanto in tanto in ampie grotte naturali. Ma all'improvviso un urlo soffocato lo paralizzò. Non era Entreri, si disse Drizzt, ma nemmeno i suoi amici. Chi mai era stato a gridare in quel luogo sconosciuto? Drizzt si affidò al proprio udito per seguire la debole eco e lentamente il gemito si fece più nitido e forte. Chiunque stesse piangendo si trovava a
poca distanza, oltre una svolta della galleria, al di là della quale si apriva una minuscola grotta ovale. Con una scimitarra pronta a colpire e l'altra mano appoggiata sull'elsa di Lampo Drizzt oltrepassò la curva ed entrò nella grotta per ritrovarsi davanti a Regis. Il nanerottolo era pieno di lividi e se ne stava appoggiato alla parete dall'altro capo della grotta. Aveva mani e piedi legati e un pesante bavaglio davanti alla bocca. Drizzt avrebbe voluto precipitarsi per liberarlo, ma temendo un tranello da parte di Entreri si fermò in mezzo alla grotta. Non appena lo vide, Regis guardò Drizzt con un'espressione disperata e supplichevole. Non era la prima volta che il nanerottolo lo guardava così e Drizzt decise che se anche Entreri avesse avuto la maschera magica non sarebbe mai riuscito a imitare un'espressione che solo Regis era in grado di fare. Si avvicinò di corsa all'amico e gli liberò la bocca e i polsi. «Entreri...» balbettò il nanerottolo ansimando. «Lo so,» rispose Drizzt con voce pacata. «No che non sai,» ribatté Regis d'un fiato. «Entreri è passato...» «È passato di qui pochi istanti fa,» lo interruppe l'elfo. Regis annuì guardandosi intorno quasi temesse che l'assassino ritornasse per ucciderli tutt'e due. Drizzt esaminò il corpo martoriato del nanerottolo. Le numerose ferite non sembravano profonde, ma erano tutte infettate e gonfie. Massaggiò delicatamente i polsi e le caviglie per riattivare la circolazione e dopo qualche istante lo aiutò ad alzarsi. Regis scosse il capo per tentare di vincere un violento capogiro che lo aveva colto all'improvviso, ma le forti braccia di Drizzt lo sorressero. «Lasciami qui,» mormorò Regis con aria sconsolata. L'elfo abbozzò un sorriso e portò un braccio di Regis dietro al collo mentre gli cingeva i fianchi con l'altro braccio. «Andremo via insieme,» gli disse con dolcezza. «Non ti abbandonerei mai in un posto simile.» Ormai era impossibile seguire le impronte dell'assassino e Drizzt dovette procedere alla cieca. Sfoderò Lampo e con il favore della luce emanata dalla sua lama continuò a camminare evitando i punti più insidiosi e gli speroni di roccia che sporgevano dalle pareti. «Credevo che volesse... uccidermi,» mormorò Regis quando finalmente riuscì a riprendere fiato.
«Entreri uccide solo quando è sicuro del vantaggio che trae,» osservò Drizzt. «Perché mi ha portato con sé?» aggiunse il nanerottolo con aria meravigliata. «E perché ha fatto in modo che tu mi trovassi?» Drizzt si voltò appena e lanciò all'amico un'occhiata incuriosita. «Ti ha condotto da me,» continuò Regis. «Lui...» Il nanerottolo inciampò su un sasso, ma Drizzt lo strinse forte e lo sorresse. L'elfo aveva capito la ragione per cui Entreri lo aveva condotto da Regis. L'assassino sapeva che Drizzt non avrebbe mai abbandonato il nanerottolo al suo destino e che proprio la compassione e l'amicizia erano i suoi punti deboli. Arrivati a quel punto, Drizzt era costretto a soggiacere alle regole del gioco che Entreri stesso dettava dovendo dividere la propria attenzione equamente fra l'amico in difficoltà e l'imminente scontro con il nemico. E se anche la fortuna avesse guidato i suoi passi fino al livello superiore, non v'era dubbio che Drizzt avrebbe incontrato Entreri prima di ricongiungersi con gli amici. Ma l'assassino gli aveva restituito Regis per una ragione molto più precisa. Solo così, infatti, era sicuro che Drizzt avrebbe combattuto seriamente senza tentare di fuggire poiché Regis avrebbe assistito poco lontano, inerme e ferito. Di tanto in tanto il nanerottolo perdeva i sensi, ma Drizzt continuava a portarlo senza battere ciglio cambiando a intervalli regolari la spalla sulla quale lo sorreggeva per non stancarsi eccessivamente. Continuò a camminare con estrema cautela riuscendo con sorprendente abilità a destreggiarsi in quel dedalo di cunicoli. Raggiunsero un punto in cui il cunicolo era molto più alto e ampio rispetto a quelli che finora avevano attraversato. Drizzt appoggiò Regis contro la parete e osservò attentamente le rocce. Notò che il pavimento era leggermente inclinato, ma si innalzava verso sud. Il fatto che fossero diretti a nord, e pertanto il sentiero fosse in discesa, non lo disturbò affatto. «Questa è la galleria principale che attraversa tutta la regione,» disse infine notando lo sguardo meravigliato di Regis. «Qui scorreva un fiume sotterraneo una volta,» si affrettò ad aggiungere, «proprio sotto le montagne. Forse usciva formando una cascata verso nord.» «Vuol dire che noi andiamo giù?» chiese Regis. Drizzt annuì. «Se esiste una via che conduce ai livelli inferiori di Mithril Hall, si trova sicuramente lungo questa galleria.»
«Bravo,» disse all'improvviso una voce in lontananza. Un profilo sinuoso uscì dalla penombra di un cunicolo laterale, una decina di passi davanti a loro. Drizzt infilò la mano sotto al mantello, ma la ritrasse subito e attese che l'assassino si avvicinasse. «Ti ho forse dato la speranza che tanto agognavi?» lo motteggiò Entreri. L'assassino aggiunse qualcosa sottovoce e come per incanto la sua spada cominciò a emanare un bagliore verdastro che sottolineava il profilo aggraziato contro le tenebre alle sue spalle. «Una speranza che presto rimpiangerai,» ribatté Drizzt a denti stretti. Entreri abbozzò un ampio sorriso che scoprì i suoi denti resi ancora più candidi dalla strana luce. «Vedremo,» si limitò a dire continuando a camminare. Capitolo 18 Pericolo comune Il rumore della sua armatura richiamerà l'attenzione di tutti gli elfi della Città Tenebrosa,» sussurrò Catti-brie all'orecchio di Bruenor indicando l'armigero davanti a loro. Anche Thibbledorf sembrava essersi reso conto del tintinnio snervante della propria armatura e aveva accelerato il passo per distanziare gli altri e guidarli nelle tenebre con la propria vista. Wulfgar e Catti-brie dovevano procedere carponi più lentamente tenendo una mano appoggiata sulla schiena di Bruenor. Solo Guenhwyvar riusciva a destreggiarsi senza difficoltà in quell'ambiente e procedeva silenziosa talvolta davanti a Thibbledorf, altre volte davanti a Bruenor. Un ennesimo tintinnio dell'armatura dell'armigero provocò una smorfia esasperata sul viso di Bruenor. Alle sue spalle Catti-brie sospirò rassegnata. Il nano pensò addirittura di ordinare a Thibbledorf di togliersela, ma si rese conto che se anche si fossero spogliati di tutti i loro indumenti, le orecchie dei nemici avrebbero colto ogni minimo rumore. «Accendi una torcia,» ordinò Bruenor rivolto a Wulfgar. «Ma non possiamo,» protestò Catti-brie. «Siamo circondati,» ribatté il nano. «Li sento, quei luridi cani, e loro sono in grado di vederci con o senza torce. Non possiamo permetterci di rischiare di capitargli in braccio... E se proprio dovremo combattere, almeno che ci sia un po' di luce.»
Catti-brie si voltò, ma non riuscì a vedere nulla. In cuor suo dette ragione al padre poiché anche lei aveva l'impressione che il nemico si muovesse furtivo nelle tenebre per stringersi sempre più attorno alla sventurata compagnia. Un attimo più tardi ammiccò più volte quando la torcia di Wulfgar gettò una vivida luce tutt'intorno. Lunghe ombre ondeggiarono lungo le pareti. Catti-brie rimase sorpresa quando il suo sguardo si posò sulle pareti grezze della galleria. Il pavimento e il soffitto erano cosparsi da un terriccio friabile che conferiva a quel mondo un aspetto alquanto precario. Catti-brie sembrò rendersi conto solo allora dell'immane strato di roccia e terra che aveva sopra la testa e per la frazione di un istante pensò che un semplice smottamento avrebbe potuto trasformarsi nella loro rovina. «Cosa c'è?» le chiese Bruenor notando la sua espressione preoccupata. Il nano si voltò verso Wulfgar e vide che anche il barbaro si guardava intorno con aria nervosa. «Gallerie grezze,» si affrettò ad aggiungere quando finalmente capì la ragione della loro preoccupazione. «Vi abituerete presto,» mormorò appoggiando una mano sulla spalla della figlia. «Non preoccupatevi... Vi abituerete,» ripeté. «Ricordatevi che Drizzt è solo e ha bisogno del nostro aiuto. Tenetelo bene a mente e vi dimenticherete di tutta la roccia che avete sopra la testa!» Catti-brie annuì, inspirò a fondo e si asciugò il sudore che le imperlava la fronte con il dorso della mano. Bruenor si mosse veloce e disse loro che sarebbe andato avanti per raggiungere l'armigero. «Drizzt ha bisogno di noi,» mormorò Wulfgar non appena Bruenor fu lontano. Catti-brie si voltò e lo guardò con aria sorpresa. Era la prima volta dopo tanto tempo che le parlava con un tono di voce privo di animosità. Wulfgar le si avvicinò e le cinse le spalle con un braccio. Camminarono insieme e ogni tanto Catti-brie si girava per osservare i suoi lineamenti stravolti da un tumulto interiore. «Quando sarà tutto finito, abbiamo molte cose di cui discutere,» disse il barbaro. Catti-brie si fermò all'improvviso e gli lanciò un'occhiata sospettosa, ma il giovane la guardò con un'espressione travagliata. «Devo scusarmi con un sacco di gente,» si affrettò a spiegare Wulfgar. «Con Drizzt, con Bruenor e soprattutto con te. Lasciare che Regis... Che Artemis Entreri mi gabbasse a quel modo!» esclamò stringendola a sé.
«Quanto è accaduto negli ultimi tempi è stato favorito dal rubino magico dell'assassino,» ammise Catti-brie. «Ma temo che i nostri problemi esistessero già prima dell'arrivo di Entreri. Non scordarlo.» Wulfgar fissò lo sguardo su un punto lontano e annuì lentamente. «Ne parleremo con calma,» promise. «Quando avremo ritrovato l'elfo,» aggiunse Catti-brie. Ancora una volta Wulfgar annuì. «E cerca di non scordare qual è il tuo ruolo,» lo incalzò la donna. «Non devi badare alla mia sicurezza, ma a ben altre cose. Ricordatelo!» «E tu, non essere avventata!» esclamò Wulfgar con un tenero sorriso che ricordò a Catti-brie le ragioni per cui il suo cuore aveva palpitato per quel giovane innocente e talvolta avventato. Il barbaro annuì ancora e insieme continuarono a camminare una accanto all'altro, come da tempo non facevano più. *
*
*
«Sono stato io a darti tutto questo,» aggiunse Entreri avvicinandosi lentamente e tenendo la spada luccicante e il pugnale davanti a sé quasi per guidare i propri passi. «Grazie a me, puoi camminare lungo queste gallerie e sperare ancora di rivedere la luce del sole.» Drizzt serrò i denti e strinse le mani attorno alle scimitarre, ma non rispose. «Non mi ringrazi?» «Ti supplico... Uccidilo,» sussurrò Regis con voce accorata. Drizzt si voltò e vide che il nanerottolo tremava come una foglia in balìa del vento autunnale, si mordicchiava le labbra e giocava nervosamente con le dita ancora tumefatte. Si girò di scatto verso l'assassino e Lampo emise un bagliore impressionante. «Ora posso dire che sei pronto a combattere,» sibilò Entreri arricciando un angolo della bocca. «E fors'anche pronto a morire!» Drizzt sollevò i lembi del mantello e li appoggiò sulle spalle mentre avanzava con passo baldanzoso per impedire a Entreri di avvicinarsi troppo a Regis. L'assassino avrebbe potuto trafiggere il corpo del nanerottolo per diletto, solo per tormentare l'elfo e scatenare la sua rabbia. La mano che stringeva il pugnale scattò in avanti. Drizzt istintivamente si accovacciò a terra e sollevò le scimitarre per difendersi, ma la mano di
Entreri non si aprì. L'assassino abbozzò un sorriso rivoltante. Drizzt avanzò ancora e si portò sotto il tiro della spada nemica mentre le sue scimitarre cominciavano la loro lenta danza. «Nervoso?» disse l'assassino parando abilmente i suoi colpi. «Non ne dubito. Il tuo problema è un cuore troppo tenero, Drizzt Do'Urden! La passione costituisce il tuo punto debole.» Drizzt abbassò le scimitarre diagonalmente e con un rapido movimento del braccio le chiuse davanti a sé all'altezza dei fianchi di Entreri. L'assassino dovette trattenere il fiato e tirare indietro la pancia. Balzò indietro e con il pugnale riuscì a bloccare una delle due scimitarre. «Hai troppo da perdere,» disse Entreri con aria imperturbabile, incurante di quell'attacco a sorpresa. «Sai che se muori, morirà anche il nanerottolo. Troppe distrazioni, mio caro amico. Ne andrà della tua concentrazione!» L'assassino si lanciò contro l'avversario ondeggiando la spada davanti a sé nel tentativo di aprire una breccia nelle difese di Drizzt da forzare subito dopo con la daga. Ma la difesa di Drizzt era ineccepibile. Ogni mossa di Entreri veniva respinta e annullata con un'abilità sorprendente e l'assassino si ritrovava sempre al punto di partenza. «Eccellente!» si congratulò Entreri. «Adesso sì che posso dire che combatti con il cuore. Ho atteso questo momento dal giorno del nostro scontro a Calimport.» Drizzt scrollò le spalle. «Smettila di blaterare a vanvera,» sibilò lanciandosi contro l'avversario con un vortice di piroette che costrinse Entreri a tenersi a debita distanza. Quando l'elfo si fermò si trovava leggermente spostato a sinistra, molto vicino alla mano con cui Entreri stringeva il pugnale. Drizzt si tuffò in avanti, si accovacciò a terra per evitare l'affondo di Entreri e si rialzò subito dopo aggirandolo di lato e obbligando l'assassino a girare su se stesso e a sollevare la spada nel disperato tentativo di bloccare le scimitarre. Entreri non sorrideva più. Riuscì a fatica a evitare di venire ferito, ma Drizzt continuò ad attaccarlo senza dargli tregua. All'improvviso si udì lo scatto metallico della sicura di una balestra. I due nemici si guardarono e senza dire nulla si accovacciarono a terra ed evitarono un dardo avvelenato. Cinque ombre si fecero avanti lentamente con le spade sfoderate. «I tuoi amici,» sussurrò Drizzt. «Ho l'impressione che la nostra battaglia dovrà aspettare ancora un po'.»
Entreri socchiuse gli occhi e frenò a stento la rabbia che provava al vedere avvicinare gli elfi scuri. Drizzt comprendeva la ragione della frustrazione dell'assassino. Vierna non gli avrebbe mai garantito un altro scontro, soprattutto con le gallerie che pullulavano di potenti nemici tutti alla ricerca di Drizzt. E se anche gliel'avesse concesso, non sarebbe mai riuscito a raggiungere quel livello di coinvolgimento dell'elfo nella battaglia, non quando le speranze di Drizzt erano svanite nel nulla con l'arrivo della sorella e del mercenario. Ma le parole di Entreri sorpresero l'elfo oltre ogni modo. «Ti ricordi la nostra battaglia contro i duergar?» L'assassino si lanciò contro Drizzt mentre i soldati si avvicinavano. L'elfo parò quel colpo veloce, ma non mirato. «La spalla sinistra,» sussurrò Entreri sollevando subito dopo la spada nel tentativo di colpire il bersaglio preannunciato. Lampo si alzò da destra per parare, ma il gesto fu troppo ampio e la spada avversaria si appoggiò sul mantello lacerandolo. Regis urlò disperato quando vide Drizzt lasciar cadere la scimitarra e contorcersi dal dolore. Entreri avvicinò la punta della spada alla gola del nemico impedendogli di sollevare Lampo per difendersi. «Arrenditi!» urlò Entreri. «Molla la scimitarra.» Lampo cadde a terra con un tintinnio mentre Drizzt continuava a contorcersi. Alle sue spalle Regis emise un lungo lamento e cercò disperatamente di fuggire, ma le sue gambe non riuscirono a sorreggerlo. Gli elfi scuri si avvicinarono lentamente dimostrando la loro soddisfazione per il lavoro di Entreri con esagerati sorrisi. «Lo riconsegneremo a Vierna,» disse uno di loro in lingua franca. Entreri abbozzò un sorriso ma con una mossa fulminea girò su se stesso e squarciò il torace del soldato. Poco lontano Drizzt si rialzò di scatto e sforbiciò le scimitarre davanti all'addome del secondo elfo. Il soldato ferito cercò di indietreggiare, ma Drizzt fu più veloce. Invertì il movimento del braccio e lo portò verso l'alto in modo che la lama gli dilaniasse diagonalmente il petto. Entreri aveva ingaggiato una lotta cruenta con il terzo elfo che cercava disperatamente di difendersi con le spade. L'assassino voleva concludere rapidamente quello scontro e si limitava ad azioni difensive in attesa che giungesse il momento propizio per assestare il colpo finale. Ma l'elfo, che apparteneva all'esercito di Bregan D'aerthe, non era una recluta inesperta e gli stava dando del filo da torcere.
Entreri ruggì di rabbia ma sostenne quell'attacco senza battere ciglio, convinto che presto o tardi il soldato avrebbe commesso un errore che gli sarebbe costato la vita. Drizzt si ritrovò a fronteggiare altri due elfi. Uno sollevò la balestra con la mano libera e gli sorrise in modo inquietante, ma Drizzt si dimostrò più veloce. Inclinò la scimitarra davanti alla micidiale arma percuotendola con forza proprio nel momento in cui veniva scoccato il dardo. La violenza dell'urto deviò il proiettile che andò a conficcarsi nel soffitto della galleria. Con un gesto disperato l'elfo scagliò la balestra addosso a Drizzt obbligandolo a indietreggiare in modo da poter estrarre un pugnale dal fodero. L'altro elfo sfruttò l'attimo di esitazione di Drizzt e continuò a sventolare le spade davanti a sé. Il fragore delle armi echeggiò in modo assordante, ma Drizzt riuscì a parare quell'attacco combinato. L'elfo si ritrovò fra due fuochi. Lampo bloccò la spada corta, descrisse un arco veloce e intercettò la punta dello spadone del secondo soldato, invertì il movimento e deviò il pugnale. I due soldati di Bregan D'aerthe continuarono ad attaccarlo con una sincronia sorprendente, l'uno difendendo l'altro nel momento in cui abbassava le armi per cambiare tattica. Drizzt dubitò di riuscire a sconfiggerli, e se anche vi fosse riuscito lo scontro sarebbe andato per le lunghe. Lanciò un'occhiata alle spalle e vide Entreri rallentare i movimenti e seguire una tattica più armoniosa e cadenzata. Anche l'assassino parve accorgersi di Drizzt e della sua difficoltà. Fece un veloce cenno col capo e l'elfo notò un improvviso movimento del pugnale. Drizzt si lanciò in avanti costringendo il soldato armato di spada e pugnale a indietreggiare, piroettò su se stesso sollevando la scimitarra in modo che l'elfo con lo spadone lo seguisse in quel movimento. Ma Drizzt abbassò subito il braccio e indietreggiò di due passi. L'elfo lo guardò sorpreso con la mano sospesa a mezz'aria ma quell'attimo di esitazione gli fu fatale. L'arma ingioiellata di Entreri si mosse veloce e la sua lama scomparve nel petto dello sventurato. L'elfo ferito gridò e si allontanò barcollando, sbatté contro la parete ma riuscì a non perdere l'equilibrio e a tenere le spade sollevate per difendersi. Il suo compagno si precipitò in avanti presagendo le intenzioni del nemico e investì l'avversario con una gragnuola di colpi che Drizzt riuscì a
parare abilmente. Drizzt si avventò con rinnovata forza in una serie di attacchi laterali che disorientò il soldato ferito e fece breccia nella sua difesa. Una scimitarra si abbassò veloce vicino al punto in cui il pugnale di Entreri aveva morso le sue carni, mentre la seconda affondò fino al cuore completando il lavoro. Drizzt ritrasse subito l'arma e con un gesto meccanico la sollevò in aria e parò la spada del secondo elfo che era accorso in aiuto del compagno. L'avversario di Entreri cominciò ad attaccarlo con determinazione non appena l'assassino lasciò andare il pugnale imprigionato nel petto del soldato e cercò di sfiancarlo e di preparare il colpo finale. Quando ritenne giunto il momento, l'elfo si scagliò contro l'assassino con una raffica di colpi paralleli, ma Entreri li parò con una precisione sorprendente colpendo in rapida successione le lame. L'elfo si vide costretto ad allargare le braccia a causa della forza dell'impatto. Proprio in quell'istante, Drizzt estrasse la seconda scimitarra dal petto dell'avversario ormai morto, ma non la diresse contro l'elfo che gli stava vicino. Infilò la punta sotto l'elsa a crociera del pugnale e quando vide che Entreri era pronto ad afferrarla, la liberò con un violento strattone. L'assassino la prese al volo e sfruttò la rincorsa per conficcarla nel torace esposto dell'avversario. Entreri indietreggiò mentre l'elfo lo guardava sbigottito. Il soldato tentò disperatamente di sollevare le spade per scagliarsi in un ennesimo attacco, ma le forze lo stavano abbandonando. Lentamente le ginocchia si piegarono, e l'elfo stramazzò a terra privo di vita. L'altro soldato si rese conto di non poter sperare di sopraffare Drizzt. Si mantenne sulle difensive, ma all'improvviso si accorse che ancora non era tutto perduto. Mentre si difendeva con la spada, strinse il pugnale con forza e sollevò il braccio quasi volesse lanciarlo. Drizzt si preparò a ricevere il colpo e a deviarne la traiettoria come aveva già fatto più di una volta, ma il nemico lanciò un'occhiata di lato, verso il nanerottolo che se ne stava rannicchiato in un angolo vicino. «Arrenditi se non vuoi che lo uccida!» urlò l'elfo. Gli occhi violetti di Drizzt brillarono di una luce inquietante. Una scimitarra colpì il polso dell'elfo disarmandolo, mentre l'altra gli recideva i tendini del ginocchio e si sollevava rapidamente per bloccare l'altra arma. Lampo descrisse un arco luminoso nella penombra, intercettò la spada nemica che scendeva con un movimento divenuto improvvisamente insicuro e morse i muscoli della coscia dello sventurato.
Il viso dell'elfo si contorse in una smorfia di dolore. Indietreggiò barcollando, aprì la bocca quasi volesse proferire le parole della sua resa o forse per chiamare rinforzi, ma dalle sue labbra non uscì nulla. Drizzt si mosse con precisione mortale. Abbassò le scimitarre ai fianchi, pronto a parare qualsiasi mossa dell'avversario. L'elfo rimase paralizzato a osservare lo sguardo terribile di Drizzt. Non aveva mai veduto nulla di simile prima d'allora, e quella luce che vi brillava dentro non era paragonabile nemmeno alla frusta di aspidi di una sacerdotessa di Lloth, né alla rabbia inarrestabile di una matrona madre. Il soldato abbassò il capo e con un urlo disperato si lanciò in avanti. Le scimitarre lo colpirono al torace. Lampo gli recise i muscoli della spalla mentre l'altra scimitarra gli si appoggiò sotto il mento in modo che nel momento estremo della sua morte il soldato sollevasse ancora una volta il viso per vedere per l'ultima volta quegli occhi colmi di rabbia. Drizzt lanciò il cadavere lontano e ansimando si girò per concludere una volta per tutte il suo combattimento contro Entreri. Ma l'assassino si era dileguato nel nulla. Capitolo 19 Sacrificio Thibbledorf si fermò in fondo a un cunicolo molto stretto e perlustrò con lo sguardo l'ampia caverna che gli si apriva davanti osservando con attenzione anche le minime variazioni di calore per capire meglio la disposizione della grotta. Scorse numerose stalattiti grandi e piccole, e due linee nella parte alta delle pareti che dovevano essere due cenge, una sopra la sua testa mentre l'altra si snodava lungo il lato destro. Le pareti erano costellate in più punti da svariati buchi a livello del pavimento. Dal particolare colore che avevano dedusse che il buco alla sua sinistra e quello opposto alla sua destra, proprio sotto la cengia, dovevano essere l'imboccatura di due gallerie, mentre le altre erano semplici nicchie o grotte. Guenhwyvar era al suo fianco. Il felino aveva le orecchie appiattite contro la testa e continuava a ringhiare sommessamente. Anche la pantera aveva annusato il pericolo. Finalmente abituato ad averla come compagna d'avventure, l'armigero le appoggiò una mano sul dorso per invitarla a seguirlo e ritornò sui suoi passi per andare ad avvertire gli amici. «Ci sono almeno tre o quattro gallerie che potrebbero portare da qualche
parte,» riferì l'armigero con voce grave, «e un'infinità di aperture.» Descrisse la grotta con dovizia di particolari sottolineando le innumerevoli insidie che potevano nascondersi in quel luogo sconosciuto. Bruenor ascoltò attentamente lanciando di tanto in tanto occhiate fugaci agli amici. Anche lui avvertiva la vicinanza del nemico, e gli parve quasi di sentire il loro alito sul collo. Si voltò verso la direzione da cui provenivano nel vano tentativo di trovare un modo per uscire da quella zona. «Potremmo sfruttare la loro tattica di avvicinamento a sorpresa,» propose Catti-brie. Avevano poco tempo da perdere e tutti sapevano che le gallerie laterali che avevano appena lasciato alle spalle non davano loro nessuna garanzia di raggiungere i livelli inferiori, né le gallerie in cui forse Drizzt si stava disperatamente aggirando. Un lampo illuminò lo sguardo di Bruenor, ma il suo viso si fece subito cupo quando si accorse che Guenhwyvar si accasciava pesantemente ai piedi di Catti-brie. «La pantera è qui da troppo temo,» osservò la donna. «Guenhwyvar deve riposare.» Wulfgar e i due nani si guardarono sconcertati. «Questa è una ragione in più per continuare sempre dritti,» osservò Catti-brie. «Guenhwyvar deve assolutamente ricuperare le forze prima della battaglia.» Bruenor rimase un attimo soprappensiero e sbatte con forza l'ascia contro il palmo aperto della mano. «Dobbiamo assolutamente avvicinarci al nemico,» mormorò con voce grave. Thibbledorf tirò fuori la fiaschetta di pozione. «Bevetene un altro sorso,» disse porgendola a Catti-brie e Wulfgar. «Lo stomaco dev'essere sempre pieno di questa robaccia per essere sicuri che faccia effetto.» Catti-brie ammiccò ma bevette senza protestare e porse la fiaschetta a Wulfgar che con una smorfia trangugiò una generosa sorsata. Bruenor e l'armigero si sedettero a terra e Thibbledorf disegnò una mappa del luogo sul pavimento polveroso. Vennero individuati subito i punti cruciali della caverna e ognuno venne incaricato di tenerne uno sotto vigile controllo in base alle specifiche capacità difensive. Non c'era abbastanza tempo per elaborare un piano perfetto, e Bruenor non affidò nessun incarico né alla pantera né a Thibbledorf, poiché sapeva che l'armigero avrebbe comunque fatto di testa sua. Anche Catti-brie e Wulfgar compresero la decisione di Bruenor e non dissero nulla. Se fossero stati costretti a combattere contro quel temibile nemico, famoso per la sua spietata precisione,
un po' di confusione non avrebbe certo guastato. Accesero una seconda torcia e si rimisero in marcia. Non appena la luce tremolante illuminò la grotta, scorsero numerose ombre indistinte allontanarsi veloci per rifugiarsi negli angoli più bui. Guenhwyvar balzò a destra, attraversò la grotta in direzione contraria portandosi al centro e poi scartò di nuovo a destra verso la parete opposta. Da un punto indistinto sopra le loro teste si udì il sibilo delle balestre e il rumore dei dardi contro la roccia a pochi passi di distanza dall'agile felino. Guenhwyvar scartò ancora all'ultimo momento e con un possente balzo si aggrappò alla roccia scoscesa nel tentativo di raggiungere la cengia sulla parete destra. La pantera perse la presa e ruzzolò a terra. Indietreggiò fulminea, prese la rincorsa e portando il corpo quasi parallelo alla parete riuscì a balzare sulla roccia soprastante. I tre elfi scuri che si trovavano lassù non si aspettavano una simile agilità. Due investirono la creatura con una pioggia di dardi prima di allontanarsi nella galleria alle loro spalle, mentre il terzo ebbe la sfortuna di trovarsi nella traiettoria del salto di Guenhwyvar. Ebbe appena il tempo di portare le braccia davanti al viso che una massa nera lo investì. La luce delle torce illuminò completamente la caverna. Bruenor avanzò con passo spedito fiancheggiato a destra da Wulfgar, a sinistra da Thibbledorf. A un passo di distanza lo seguiva Catti-brie che si stava dirigendo verso il punto in cui Guenhwyvar aveva spiccato il salto tenendo l'arco davanti a sé, pronta a scoccare le sue mortali frecce. Ancora una volta le balestre invisibili lanciarono i temibili dardi che investirono i compagni con precisione infallibile. Wulfgar sentì il veleno bruciargli una gamba, ma la pozione dell'armigero lo neutralizzò quasi subito. All'improvviso un globo di tenebre fagocitò la luce delle torce ma con una mossa repentina Wulfgar ne accese una terza e la lanciò lontano. Intanto Thibbledorf aveva scorto un nemico appostato in una galleria alla sua sinistra e sfregandosi vigorosamente le mani si lanciò all'attacco accompagnando la sua corsa con agghiaccianti grida di guerra. Bruenor e Wulfgar procedevano lentamente diretti verso l'altro lato della grotta per raggiungere l'imboccatura della galleria più grande. Il barbaro individuò lo sguardo luminoso di un elfo appostato sull'altra cengia. Si fermò, si girò di scatto e lanciò Aegis-fang implorando a gran voce il suo dio della guerra. L'arma fendette l'aria e andò a sbattere contro il bordo della roccia. Un elfo cercò di mettersi in salvo dall'altro capo della cengia, mentre un altro cadeva sulla gamba maciullata aggrappandosi all'ultimo
momento alla roccia che franava. Wulfgar cambiò subito direzione, ma venne colpito da un altro dardo. Si diresse di lato, verso l'altra galleria che si apriva nella parete destra, dove aveva intravisto un paio di elfi scuri in agguato. Desideroso di unirsi alla battaglia, Bruenor seguì il barbaro. Il nano non aveva fatto che pochi passi quando si sentì gelare il sangue nelle vene. Dalla galleria vide sbucare un drider, un orripilante mostro le cui otto zampe si dimenavano forsennatamente. Alle sue spalle scorse altre ombre che si muovevano con una rapidità sorprendente. Incurante della loro inferiorità numerica, il nano si sentì invaso da una contentezza inarrestabile e si lanciò contro il nemico più che mai deciso a vincere. *
*
*
Catti-brie chiamò a raccolta tutta la propria concentrazione per prendere la mira per il suo primo tiro. Non si trovava in una posizione favorevole per colpire gli elfi che l'armigero stava inseguendo, né quelli che si trovavano sulla cengia su cui Guenhwyvar era balzata. Tantomeno riteneva opportuno finire il soldato che dondolava appeso alla roccia. Bruenor le aveva chiesto che durante i primi momenti dello scontro, quando ancora i nemici non si erano accorti di lei, cercasse di colpire con precisione. La giovane donna osservò lo spazio fra Bruenor e Wulfgar e incoccò una freccia. Riusciva a scorgere un elfo accovacciato dietro a uno sperone inclinato poco lontano che si era sporto per colpire i due amici con la balestra. Il dardo partì, ma l'elfo cadde a terra con aria sorpresa e seguì con lo sguardo una freccia argentea che andò a conficcarsi nella roccia alle sue spalle. Catti-brie non riusciva più a vederlo, ma era convinta che lo sperone non fosse molto resistente e dopo aver teso di nuovo la corda scoccò la seconda freccia. Il proiettile saettò nella minuscola fessura fra lo sperone e la parete principale e un attimo dopo si udì il rumore raccapricciante di un cranio sfracellato. *
*
*
L'elfo aggrappato alla roccia continuò a scalciare proteggendosi con lo
scudo rotondo e con il pugnale che stringeva con la mano libera. La cotta resistente riusciva a tenere a bada gli artigli affilati di Guenhwyvar, ma ben presto il braccio e il corpo furono costellati da profonde ferite. Cercò di colpire il fianco della pantera, ma quella mossa non fece altro che aizzare il felino. Con una violenta zampata Guenhwyvar scostò lo scudo e la forza di quel movimento slogò la spalla dello sventurato. L'elfo cercò disperatamente di abbassare il braccio per proteggersi, ma ogni suo tentativo fu vano. Abbassò l'altra mano, ma ebbe un attimo di esitazione che gli fu fatale. Gli artigli di Guenhwyvar affondarono nella sua fronte e nonostante l'elfo cercasse di respingerla con il pugnale, la zampa si abbassò lentamente squarciandogli il volto. Una raffica di scatti si udì in lontananza e la pantera venne investita da un nugolo di dardi. Il felino si allontanò dalla sua vittima e incurante delle ferite si lanciò all'inseguimento. I due elfi scuri riposero le balestre e dopo aver formulato un incantesimo per coprire la loro fuga con un globo di tenebre si girarono di scatto e si allontanarono di corsa. Se i due fuggitivi si fossero dati pena di voltarsi, si sarebbero accorti dello scampato pericolo. Il corpo martoriato dalle ferite di pugnale e con il veleno che cominciava a scorrere nelle sue vene, la pantera rallentò il passo. Avrebbe voluto rimanere a combattere accanto ai suoi amici e ritrovare il suo padrone, ma le forze la stavano abbandonando. La magia che impregnava la statuetta di onice non era in grado di soddisfare i suoi reconditi desideri. Avanzò di qualche passo, si fermò e barcollò. E all'improvviso il suo corpo si dissolse in un pennacchio di fumo grigio mentre la galleria che la conduceva al suo piano astrale si apriva davanti a lei invitante. *
*
*
Venne colpito un'altra volta mentre usciva dalla grotta, ma il dolore che sentì lo fece sorridere. Nonostante una sfera di tenebre gli sbarrasse il passo, l'armigero vi si gettò dentro urlando. Il sorriso soddisfatto non l'abbandonò nemmeno quando andò a sbattere contro la parete di roccia che l'aspettava dall'altro lato. L'elfo rimase a osservare allibito la carica di quel feroce nano. Imboccò la galleria più vicina e scomparve oltre una svolta. Thibbledorf non si dette
per vinto e si lanciò all'inseguimento accompagnato dal rumore della sua armatura. «Ehi, stupido!» urlò con quanto fiato aveva in gola abbassando la testa mentre oltrepassava la curva poiché si aspettava un'imboscata. La punta che sporgeva dal suo elmo intercettò il filo della spada nemica e trafisse il braccio dell'elfo. L'armigero non si fermò e con un potente colpo di reni spiccò un salto e travolse l'avversario con il peso del proprio corpo immobilizzandolo a terra. I guanti borchiati sfregiarono il viso dell'elfo, le punte della sua armatura perforarono la preziosa e resistente cotta di maglia. Il corpo del soldato nemico venne assalito da violente convulsioni che si affievolirono lentamente quando Thibbledorf gli inflisse il colpo di grazia. *
*
*
In prossimità dell'imboccatura della galleria Bruenor scorse un esile profilo sulla cui testa poggiava un copricapo dalle larghe falde e impreziosito da un'enorme piuma. Contro il chiarore delle torce vide uno strano luccichio metallico alle spalle del drider ed ebbe appena il tempo di abbassare lo scudo. Tre pugnali sbatterono contro il metallo, mentre un quarto gli ferì un polpaccio. Il quinto pugnale saettò oltre il bordo superiore dello scudo e aprì una profonda ferita nel punto in cui l'elmo gli si appoggiava sulla fronte. Ma il dolore, né l'orripilante drider e tantomeno le armi che stringeva nelle sue zampe ebbero il potere di arrestarlo. Il nano avanzò con passo sicuro, parò un colpo con lo scudo e bloccò con pari forza l'ascia con cui il mostro cercava di investirlo. Avvantaggiato dalla sua bassa statura, Bruenor si intrufolò in mezzo alle zampe inferiori della creatura e cominciò a infierire con la mazza contro la pelle dura del drider tenendo ben stretto lo scudo sopra la testa per difendersi dalle armi incantate degli elfi scuri. L'ascia riuscì ad aprire un profondo squarcio, ma la reazione del mostro fu imprevedibile. Il colpo che seguì fu talmente devastante che Bruenor si vide costretto ad abbassare il braccio mentre veniva investito da un potente calcio allo stomaco che lo scaraventò lontano. Il nano scosse più volte il capo e cercò di riprendere fiato non pensando al dolore che gli paralizzava il braccio. Una seconda pioggia di pugnali lo investì in pieno e Bruenor per poco non perse definitivamente l'equilibrio. Riuscì a malapena a sollevare lo scudo e a bloccarne quattro, ma quando
cercò il quinto pugnale e lo vide conficcato nel pettorale della sua armatura lungo la quale scorreva un sottile rivolo di sangue, si ripeté più volte che aveva scampato la morte solo perché gli dèi erano al suo fianco. Sapeva che quella distrazione avrebbe potuto costargli la vita poiché non aveva tenuto sotto controllo l'avanzare lento ma inesorabile del drider, che ormai era su di lui. *
*
*
Il martello di Wulfgar saettò nella galleria passando in mezzo agli innumerevoli dardi scagliati dalle balestre nemiche. Lo aveva lanciato verso l'alto mirando alle stalattiti che pendevano dall'apertura. L'impatto fu devastante e una pioggia di pietre investì il nemico. Un elfo scuro cadde bocconi, mentre l'altro si lanciò in avanti sfoderando la spada e il pugnale per andare incontro al barbaro disarmato. Wulfgar si fermò di scatto a poca distanza dalle lame, scartò di lato, sferrò un potente calcio seguito da un pugno e si mosse veloce per tenere a bada l'avversario il tempo sufficiente perché la sua arma ritornasse. Ignaro della magia che permeava Aegis-fang, l'elfo non parve preoccupato dalla tattica prudente del nemico. Roteò veloce dapprima la spada poi il pugnale e infine con un temibile affondo ferì il fianco del barbaro. Sul volto dell'elfo comparve un sorriso malvagio, ma un istante più tardi Aegis-fang si appoggiò sulla mano aperta di Wulfgar. Con una mossa rapida il barbaro lo girò vorticosamente davanti a sé e l'elfo fu costretto a indietreggiare per evitare di venire colpito. Il pugnale cercò di intercettare la micidiale arma, ma Wulfgar colpì il manico di Aegis-fang con la mano libera invertendo improvvisamente la direzione del movimento in modo da parare il pugnale avversario. L'elfo si mosse veloce e nonostante avesse dovuto allontanare il pugnale cercò di colpirgli la spalla con la spada. Il barbaro fermò il braccio a mezz'aria e dopo aver impugnato il manico in prossimità della testa lo sollevò diagonalmente bloccando così la stoccata dell'elfo. Il soldato si ritrovò con le braccia allargate, una rivolta verso il basso e l'altra sopra la testa. Wulfgar era immobile davanti a lui e stringeva Aegisfang con entrambe le mani. Prima che l'elfo riuscisse a ricongiungere le armi o darsi alla fuga, il barbaro lo colpì alla spalla e sfruttando il rimbalzo gli sfracellò un fianco. L'elfo indietreggiò barcollando e cadde rovinosamente contro la parete.
Nel vano tentativo di difendersi portò la spada davanti al viso, ma il barbaro sollevò il martello sopra la testa e lo lasciò cadere. Con uno scricchiolio raccapricciante il cranio dell'elfo venne schiacciato fra Aegis-fang e la roccia della galleria. *
*
*
Un lampo argenteo bloccò l'attacco del drider e salvò la vita a Bruenor. La freccia non colpì il mostro, ma si conficcò nella schiena dell'elfo che finalmente era riuscito a mettersi in salvo sulla cengia soprastante. L'attimo di esitazione della disgustosa creatura bastò a Bruenor per ricomporsi. Ricuperò l'equilibrio, portò nuovamente lo scudo sopra la testa e si avventò contro la zampa più vicina del drider colpendolo con un'accanita pioggia di colpi. Il nano si avvicinò al fianco destro della creatura sfruttando il suo corpo abnorme per proteggersi dagli altri elfi che avanzavano. Un'altra freccia di Catti-brie gli passò a poche spanne dal viso e rimbalzò contro le rocce, e Bruenor non poté fare a meno di ringraziare gli dèi di avergli dato una figlia coraggiosa e un'insostituibile alleata. *
*
*
Le prime due frecce ebbero il potere di innervosire Vierna, ma la terza per poco non la colpì alla tempia. Jarlaxle le si avvicinò di corsa. «Incredibile,» mormorò il mercenario con aria sorpresa. «I miei soldati stanno morendo laggiù.» Vierna avanzò in preda a un tremore inarrestabile e si avvicinò al nano che stava combattendo contro il drider. «Dov'è Drizzt Do'Urden?» chiese la sacerdotessa usando un potente incantesimo affinché il nano riuscisse a sentirla. «Tu mi attacchi, e vorresti anche chiacchierare con me?» urlò Bruenor di rimando concludendo la frase sferrando un colpo micidiale con la sua ascia. Una zampa di Dinin cadde a terra e il nano riuscì a farlo indietreggiare di qualche passo. Vierna aveva appena socchiuso le labbra per formulare un altro incantesimo, ma Jarlaxle le afferrò un braccio e la trascinò a terra. La rabbia della sacerdotessa verso quel mercenario irriverente si dileguò subito non appena vide il bagliore di un'altra freccia che si conficcava nella roccia, proprio nel punto in cui si trovava pochi istanti prima.
Solo allora Vierna ricordò le parole di Entreri. Aveva avuto modo di constatare personalmente la bravura e il coraggio di quel gruppo. Fremente di rabbia cercò di raccogliere i pensieri e di soppesare il terribile costo che la sconfitta avrebbe significato per lei. I suoi pensieri vennero incanalati lungo i sentieri della fede che nutriva verso la sua dea e silenziosamente invocò l'aiuto di Lloth. «Vierna!» urlò Jarlaxle da un punto indistinto. Lloth non poteva piantarla in asso, doveva aiutarla a superare quell'ostacolo inaspettato in modo che lei, sua sacerdotessa, riuscisse a portare a termine la missione. «Vierna!» ripeté il mercenario mentre assieme a un altro elfo l'aiutava a rialzarsi. «Wishya!» esclamò involontariamente la sacerdotessa consapevole che finalmente Lloth aveva ascoltato la sua invocazione. Jarlaxle e l'elfo vennero scaraventati contro la parete, investiti dalla potente magia sprigionata dal corpo di Vierna. I due si scambiarono un'occhiata impaurita, ma il viso del mercenario si rasserenò quando la sacerdotessa lo invitò a seguirla in un angolo più sicuro. «Lloth ci aiuterà a finire ciò che qui abbiamo cominciato,» gli spiegò Vierna. *
*
*
Dopo aver scoccato un'altra freccia nel corridoio per precauzione, Cattibrie si guardò intorno alla ricerca di un altro bersaglio. Esaminò con attenzione l'infuriare dello scontro fra Bruenor e il mostruoso drider e rinunciò a intromettersi poiché aveva la certezza che qualsiasi colpo sarebbe stato rischioso per suo padre. Wulfgar sembrava cavarsela egregiamente da solo. Un elfo giaceva esanime ai suoi piedi mentre il barbaro scrutava davanti a sé alla ricerca del nemico che si era dato alla fuga. Di Thibbledorf non si vedeva nemmeno l'ombra. Volse lo sguardo verso la cengia su cui l'elfo era morto trafitto da una sua freccia e subito dopo verso l'altra dove Guenhwyvar era sparita. In una piccola nicchia poco lontano notò un vortice di vapori, così simile all'arrivo della pantera. Ma quella nuvola cambiò colore, divenne arancione come se qualcuno stesse accendendo un fuoco.
Avvertì una sensazione spiacevole e appoggiò l'arco alle spalle mentre si sentiva accapponare la pelle. Qualcuno la stava osservando. Catti-brie lasciò cadere l'arco e si voltò di scatto sfoderando la spada corta dalla guaina appena in tempo per deviare l'arma di un elfo che stava silenziosamente scendendo dall'alto. Anche Wulfgar si era accorto di quanto stava accadendo e si preparò ad accogliere quel nemico misterioso non appena avesse rivelato la sua vera natura. All'improvviso udì l'urlo disperato di Catti-brie e quando si voltò la vide schiacciata contro il pavimento della grotta mentre tentava disperatamente di difendersi dall'attacco furioso dell'elfo. Nell'ombra, a pochi passi di distanza dalla sua donna e dal suo assalitore, scorse un'altra sagoma che lentamente stava scendendo. *
*
*
Il sangue tiepido del nemico ormai spacciato lordò la barba di Thibbledorf, e anche se l'elfo aveva smesso di dimenarsi l'armigero non si dette pace. Proprio in quell'istante un dardo gli ferì l'orecchio. Il nano si voltò di scatto e si ritrovò davanti a un altro nemico che stava avanzando lentamente. La punta del suo elmo era imprigionata nel braccio dell'avversario che aveva appena abbattuto e Thibbledorf dovette agitarsi non poco per liberarsi dilaniando il corpo ormai sfigurato del malcapitato. L'elfo si fermò a osservare inorridito la scena e dopo un istante di esitazione cominciò a ritornare sui suoi passi, ma l'indomito armigero gli fu subito addosso. Meravigliato dal passo scomposto del suo inseguitore, l'elfo continuò a procedere lungo quel dedalo di corridoi e cunicoli nel tentativo di allontanare il nano dalla battaglia. Attraversarono una zona particolarmente insidiosa e l'elfo continuò ad avanzare a una decina di passi di distanza da Thibbledorf, con passo leggiadro e la spada stretta in mano pronta per ogni evenienza. L'armigero lo seguì con testardaggine. Abbassò la testa per prepararsi a infilzarlo con l'elmo puntando lo sguardo al pavimento, ma si rese conto troppo tardi della trappola in cui il suo nemico l'aveva attirato. All'improvviso si sentì mancare la terra sotto ai piedi e capì di non aver visto che l'elfo aveva appena saltato una forra.
Thibbledorf ebbe l'impressione di cadere nel nulla. Il suo corpo piroettò su se stesso sbattendo violentemente contro le pareti frastagliate. Rimbalzò contro la punta arrotondata di una stalagmite rompendosi una costola e cadde disteso sul pavimento di una grotta al livello inferiore. Rimase lì, frastornato, a lungo ammirando in cuor suo l'abilità con cui l'elfo si era liberato del suo inseguitore e osservando con aria stranita il soffitto che continuava a vorticare davanti al suo sguardo. *
*
*
Catti-brie usò la spada con maestria cercando di sfruttare quanto Drizzt le aveva insegnato in materia di difesa, sicura del fatto che ben presto avrebbe annullato il vantaggio iniziale dell'elfo che l'aveva attaccata. Ma all'improvviso si ritrovò senza nemico da combattere. Aegis-fang roteò nell'aria a una spanna da lei investendo in pieno la testa dell'avversario mentre la scia del suo passaggio le solleticava le guance. Si voltò verso Wulfgar per dirgli qualcosa, ma notò con apprensione che una fitta foschia si stava formando a poca distanza dal gigante. Qualcuno stava richiamando un'entità che abitava in un piano dell'esistenza inferiore, un nemico ancora più temibile degli elfi scuri contro cui stavano combattendo. Catti-brie si precipitò verso l'arco. Doveva assolutamente reimpossessarsene, ma prima ancora che potesse appoggiare la mano sulla sua potente arma dai vapori magici sgusciò uno yochlol. Si fece avanti un corpo informe così simile a un grumo di cera molle dal quale sporgevano otto disgustosi tentacoli e nella cui parte centrale si apriva una sorta di bocca costellata di lunghi denti affilati. Catti-brie rimase inorridita a guardarlo, incapace di invocare l'aiuto di Wulfgar. Si girò velocemente imbracciando l'arco e con la coda dell'occhio vide un altro elfo che scendeva dall'alto minacciandola con una spada. La donna tese la corda e scoccò, e la freccia attraversò il corpo del nemico quando ancora si trovava sospeso nell'aria andandosi a conficcare nel soffitto. L'elfo si posò a terra e con aria frastornata lanciò un'occhiata alla spada e poi davanti a sé. Catti-brie afferrò l'arco come se fosse una mazza e si avventò su di lui per finirlo, ma quando si trovò a faccia a faccia si accorse che era morto. Si girò appena in tempo per vedere che uno dei tentacoli dello yochlol si era avvolto attorno al corpo di Wulfgar mentre gli altri si stavano avvici-
nando in modo pauroso. Nonostante fosse dotato di una forza inesauribile, il gigante non riusciva ad allontanarsi da quell'orrenda bocca piena di saliva velenosa. *
*
*
Bruenor non riusciva a vedere altro che il torace disgustoso del drider che cercava disperatamente di far indietreggiare. Non riusciva a sentire altro che il clangore delle armi e il frastuono del metallo contro la scorza dura della pelle del suo avversario. Nonostante la battaglia lo tenesse impegnato, si rendeva conto istintivamente che Catti-brie e Wulfgar erano in pericolo e avevano bisogno di lui. Finalmente riuscì ad assestare uh colpo micidiale e la creatura andò a sbattere contro la parete della grotta. Un'altra zampa cadde poco lontano. Bruenor piantò i piedi a terra e con un colpo di reni balzò indietro di qualche passo. Dinin, ormai orrendamente mutilato, rimase frastornato a osservare il suo nemico indietreggiare, ma non ebbe il tempo di ricomporsi e prepararsi perché il nano gli si avventò contro con una ferocia inarrestabile. Lo scudo di Bruenor bloccò la prima ascia, l'elmo intercettò un colpo che avrebbe potuto ucciderlo mentre la sua ascia continuò a colpire finché non raggiunse l'addome molle del mostro aprendo una profonda ferita diagonale. Una sostanza melmosa cominciò a sgorgare dall'apertura, un liquido viscido imbrattò le zampe del drider e le braccia di Bruenor. Il nano non si fermò. La sua arma si mosse con un ritmo incessante raggiungendo un punto non protetto fra due zampe anteriori del suo avversario. La pelle si squarciò, l'ascia dilaniò la carne e altro liquido disgustoso si riversò sul pavimento. All'improvviso Bruenor venne investito da un colpo alla spalla, ma nonostante l'arma di Dinin non avesse oltrepassato la cotta di fine mithril, il braccio del nano era paralizzato dal dolore. Bruenor socchiuse gli occhi e ripeté a se stesso che non poteva demordere perché Catti-brie e Wulfgar avevano bisogno di lui. Con una smorfia sollevò l'ascia e investì in pieno il gomito del nemico. La creatura emise un orrendo urlo, ma il nano non si fece intenerire. Sfruttando la rincorsa del colpo ondeggiò la mano in direzione opposta colpendo l'ascella della creatura e staccandogli un braccio. Non poteva mollare proprio in quel momento, si disse continuando a
pensare che i suoi amici erano in pericolo. Il drider lo colpì con la sua seconda ascia, ma nonostante il nano fosse riuscito a bloccarlo con lo scudo il bordo inferiore dell'arma lo ferì al braccio. Bruenor avvicinò lo scudo a sé e lo sollevò appena appoggiandovi contro il peso del proprio corpo. Spinse con tutte le proprie forze e imprigionò il mostro contro la parete. Indietreggiò subito dopo, gli colpì il fianco esposto, si buttò in avanti per sbatterlo ancora una volta contro la parete e ripeté quella sequenza di ritirate e attacchi con una precisione infallibile. Il nano udì finalmente l'arma del drider cadere a terra e quando indietreggiò ancora una volta continuò a tempestarlo con una gragnuola di colpi. Bruenor si girò e vide che Catti-brie stava combattendo valorosamente. Si avvicinò velocemente a Wulfgar. «Wishya!» Il nano si sentì investire da un'ondata di energia misteriosa che lo mandò a sbattere contro la parete della grotta. Sfruttò il rimbalzo per rimettersi in piedi e dopo aver lanciato un urlo raccapricciante si lanciò verso l'imboccatura di una galleria oltre la quale aveva intravisto alcuni elfi scuri che stavano osservando la battaglia. «Wishya!» urlò ancora una voce e Bruenor si ritrovò inaspettatamente al punto di partenza. «Per i Nove Inferi!» tuonò il nano scrollando la testa frastornato dall'impatto contro la pietra. All'improvviso gli occhi di tutti si girarono verso il punto della grotta in cui un globo di tenebre fagocitò il nano. *
*
*
Un quarto soldato si avvicinò a Vierna, Jarlaxle e la loro unica guardia del corpo mentre si addentravano nelle gallerie più profonde. «C'è un nano qui accanto,» spiegò. «È inferocito, quasi pazzo dalla rabbia. L'ho fatto cadere in una voragine, ma non credo che si sia calmato.» Vierna stava per rispondere qualcosa, ma Jarlaxle la interruppe indicando con la mano un cunicolo laterale dove un elfo stava comunicando con il linguaggio delle mani. Nemico agguerrito, stava dicendo il soldato mentre altri due si avvicinavano. Jarlaxle comprese la natura degli spostamenti delle sue truppe e intuì che quei tre fossero i superstiti di una feroce battaglia e che la cengia e il
cunicolo ormai erano stati perduti. Dobbiamo andare, disse a Vierna muovendo velocemente le mani. Troviamo un luogo più sicuro dove potremo continuare la nostra battaglia. «Lloth ha risposto alle mie invocazioni!» esclamò Vierna di rimando. «È appena arrivato un suo servo!» «A maggior ragione ci conviene allontanarci,» ribatté Jarlaxle. «Dimostra la tua fede alla Regina Aracnide e continuiamo la caccia a tuo fratello.» Vierna soppesò le parole del mercenario a lungo e infine annuì. Jarlaxle la precedette e la condusse lontano, ma mentre camminava di buona lena si sorprese a pensare che forse gli unici sopravvissuti erano loro sette, i cinque soldati del drappello di Bregan D'aerthe, lui e Vierna. *
*
*
Le braccia di Wulfgar si dimenarono selvaggiamente nel tentativo di liberarsi dai tentacoli che lo imprigionavano. Il gigante afferrò quelle appendici viscide, ma a mano a mano che riusciva a scostarle, altri tentacoli si avviluppavano attorno al suo corpo. Si sentì sollevare da terra e con orrore vide aprirsi le fauci del mostro. I denti affilati gli morsero la carne, dilaniarono i suoi muscoli e raschiarono contro le sue ossa. Portò le braccia davanti a sé e dopo aver afferrato una manciata di pelle limacciosa tirò con quanta forza aveva in corpo. La creatura non reagì e continuò ad azzannarlo e a dilaniargli il petto. Proprio in quell'istante il manico di Aegis-fang si appoggiò magicamente contro il palmo della sua mano aperta, ma Wulfgar si trovava in una posizione che gli impediva di usare l'arma. Cercò di liberarsi, colpì il mostro alla cieca, ma il corpo informe del nemico sembrò assorbire quel colpo quasi fosse un panetto di burro. Wulfgar colpì ancora nonostante il dolore gli rendesse difficoltoso qualsiasi movimento. Vide con sollievo che Catti-brie si stava allontanando incolume dal cadavere del secondo elfo che l'aveva assalita con il volto stravolto dall'orrore. Una freccia argentea squarciò l'aria, quasi accecando il giovane Wulfgar che per la frazione di un istante pensò che la sua amata Catti-brie l'avrebbe salvato da quella situazione terribile. Ma un tentacolo dello yochlol intrappolò la caviglia della donna solle-
vandola da terra e scaraventandola lontano. L'arco le sfuggì di mano mentre il mostro le si avventava contro. «No!» urlò Wulfgar in preda alla disperazione continuando a colpire quel corpo molle. Il gigante invocò l'aiuto di Bruenor a gran voce e con la coda dell'occhio lo vide uscire dalla sfera di tenebre barcollando. Le fauci dello yochlol continuarono a infierire su di lui e chiunque si sarebbe abbandonato alla forza devastatrice di quella creatura, ma non lui! Più che mai deciso ad andare fino in fondo, Wulfgar strinse i denti e si ripromise che avrebbe fatto quanto era in suo potere per salvare Catti-brie e Bruenor. Cominciò a cantare un'antica invocazione a Tempus, il dio della guerra, modulando la voce con una maestria struggente mentre dalle sue labbra usciva un filo di sangue. Quella canzone gli sgorgò dal petto in cui batteva un giovane cuore che pulsava con l'irruenza dei suoi vent'anni. Cantò e dimenticò le stilettate di dolore che gli dilaniavano il corpo. Udì la sua stessa voce echeggiare nella grotta, rimbalzare di pietra in pietra raggiungendo i cunicoli più lontani, quasi una schiera di amici si stesse unendo al suo inno disperato. Inspirò a fondo e non smise di invocare il suo dio mentre la mano si stringeva con forza attorno all'impugnatura di Aegis-fang. All'improvviso il suo braccio si alzò fulmineo, ma non contro la bestia, bensì contro il soffitto basso della grotta. L'arma vorticò nell'aria andando a sbattere violentemente contro la roccia. Una pioggia di pietrisco e polvere investì il barbaro e il suo assalitore. Wulfgar continuò a scandire la sua canzone colpendo con forza sopra la sua testa. Il mostro si scosse dall'iniziale meraviglia e riprese ad attaccarlo, ma Wulfgar ormai non avvertiva più il dolore. I suoi movimenti cadenzati sembravano alimentati da una forza sovrannaturale. Il primo pezzo di roccia cadde pesantemente a terra. Ripresasi dalla paura di quell'attacco inaspettato dello yochlol, Catti-brie capì le intenzioni del barbaro. Ormai il giovane era riuscito a distogliere il mostro dalla sua amata, e lei poté finalmente imbracciare di nuovo il suo arco. «Ragazzo mio, non farlo!» udì Bruenor urlare alle sue spalle mentre incoccava una freccia. Si voltò lentamente. Aegis-fang colpì per l'ultima volta il soffitto. La freccia di Catti-brie si conficcò nel corpo del mostro un istante prima che la grotta cedesse. Una valanga di massi e terra cominciò a cadere con
un frastuono assordante formando un muro invalicabile davanti al suo sguardo inorridito. Dense nuvole di polvere riempirono la caverna che vibrò con una violenza inaudita. Il fragore si propagò lontano con il suo messaggio di morte. Nessuno dei due riuscì a rimanere in piedi. Sbalzati lontano e accovacciati a terra, con le braccia sollevate sopra la testa, Bruenor e Catti-brie attesero angosciati che quel frastuono finisse. Nella polverosa oscurità nessuno dei due vide scomparire il mostro abbracciato a Wulfgar sotto quel sepolcro di pietra. PARTE 5 SCONTRO FINALE
Quando morrò... Ho perduto amici, mio padre e il mio mentore abbandonandoli fra le braccia del più grande fra i misteri... La morte. Ho conosciuto il dolore fin dal giorno della mia partenza dalla mia terra natia, fin dal giorno in cui la malvagia Malice mi ha portato la notizia che Zaknafein era stato immolato sull'altare della Regina Aracnide. Il dolore è un'emozione bizzarra poiché il suo bersaglio è in costante mutazione. Provo dolore per Zaknafein, per Montolio, per Wulfgar? Oppure provo dolore per me stesso, per la
perdita che dovrò sopportare per sempre? Questa forse è la domanda più grande che assilla l'esistenza mortale, ma continua a essere senza risposta... A meno che la risposta non nasca dalla fede. Provo una tristezza infinita quando ripenso ai diverbi con mio padre, alle passeggiate in compagnia di Montolio attraverso le montagne e soprattutto quando i ricordi più intensi di Wulfgar si assiepano nella mia mente come un impetuoso riepilogo degli ultimi anni della mia vita. Ricordo quel giorno sul Picco di Kelvin, mentre spaziavamo con lo sguardo l'immensa tundra della Valle del Vento Ghiacciato, quando il giovane Wulfgar e io scorgemmo i falò degli accampamenti del suo popolo ramingo. Fu quello il momento in cui Wulfgar e io diventammo amici, fu quello il momento in cui entrambi capimmo che, a prescindere da tutte le incertezze che la vita poteva serbarci, avremmo potuto confidare l'uno nell'altro. Ricordo il drago bianco, Gelida Morte, e Briggin il gigante, e come sarei morto se l'eroico Wulfgar non fosse stato al mio fianco. Ricordo l'esilarante sensazione della vittoria condivisa con il mio amico mentre il legame della fiducia e dell'amore ci stringeva sempre più, ma mai in modo opprimente. E io non mi trovavo al suo fianco quando è caduto. Non ho potuto offrirgli il sostegno che lui stesso non mi avrebbe mai negato. Non ho potuto dirgli addio. Or dunque, quando morrò sarò solo anch'io? Se le armi dei mostri o gli artigli della malattia non spezzeranno il filo che mi lega alla vita, sopravviverò a Catti-brie e a Regis, e persino a Bruenor. E in questo istante credo fermamente che, indipendentemente da chi si troverà accanto a me in quel momento estremo, se loro tre non saranno più, io morirò veramente solo. I pensieri che si agitano nella mia mente non sono cupi. Ho detto addio a Wulfgar migliaia di volte. L'ho detto quando gli facevo capire quanto mi era caro, ogni volta che le mie parole o azioni hanno affermato l'affetto che ci legava. Sono i vivi a dire addio, tutti i giorni. È una parola mormorata con amore e amicizia, quasi a suggello dei ricordi imperituri contro un corpo corruttibile. Wulfgar ha trovato un'altra dimora, una nuova vita. Devo credere, altrimenti quale sarebbe lo scopo dell'esistenza? Il vero dolore che provo è rivolto a me stesso, per il vuoto che continuerò a sentire fino alla fine dei miei giorni, per quanto il destino mi riservi di
vivere molte centinaia d'anni. Ma nel vuoto di questa perdita scorgo la serenità, una calma quasi divina. È stato meglio che io abbia conosciuto Wulfgar e abbia condiviso con lui quegli stessi ricordi che ora alimentano il mio dolore, anziché non aver mai camminato al suo fianco, combattuto accanto a lui oppure osservato il mondo con i suoi occhi azzurri come il cielo terso. E quando morrò... Possano esistere amici che piangeranno per me, che conserveranno le gioie e i dolori che ci hanno accomunati, che gelosamente custodiranno il mio ricordo. Questa è l'immortalità dello spirito, l'eredità eterna, la sorgente del dolore. E nonostante tutto, anche la sorgente della fede. Drizzt Do'Urden Capitolo 20 Fulmine a del sereno Il pulviscolo si depositò con lentezza indolente offuscando la luce danzante delle poche torce rimaste accese. Anche lo sguardo di Wulfgar si era spento per sempre. Quando finalmente quel cumulo di macerie si assestò, quando anche l'ultimo masso rotolò rumorosamente ai piedi di quel sepolcro, Catti-brie si mise a sedere con il viso rivolto davanti a sé. Si strofinò vigorosamente gli occhi, si passò una mano sul viso imbrattato dal terriccio e dovettero passare lunghi istanti prima che potesse mettere a fuoco quella scena terribile. Il tentacolo del mostro, ancora avvolto attorno alla sua caviglia, era stato completamente tranciato da quel corpo informe. I suoi occhi scivolarono lentamente verso la montagna di rocce. Cercò di alzarsi, barcollò, srotolò con mano tremante quell'orribile propaggine dalle gambe e avanzò trascinandosi carponi. Tentò ancora una volta di rimettersi in piedi, ma un'ondata di nausea la investì in pieno. Wulfgar era là sotto. Catti-brie si chinò in avanti e prese a scavare con le mani nude mentre le sue esili dita cominciavano a rigarsi di sangue. Quella frana era così simile a quella che aveva trascinato Drizzt nei cunicoli inferiori quando per la prima volta avevano attraversato Mithril Hall. Ma quella era una trappola
escogitata dai nani che abbinava la frana del soffitto al pavimento cedevole che garantiva la salvezza! Ma la natura di quanto era appena accaduto era ben diversa. Là sotto non esisteva alcuno scivolo che si apriva in una grotta sottostante. Dalle sue labbra serrate dal dolore e dall'angoscia sfuggì un lieve gemito. Continuò a scavare aggrappandosi all'assurda speranza che lo smottamento non lo avesse investito in pieno. Bruenor si avvicinò a lei, lasciò cadere l'ascia e lo scudo e si chinò ad aiutarla. Ma dopo aver sollevato alcuni massi e quando riuscì ad intravedere lo squarcio nel soffitto, si fermò e rimase a osservare il cumulo con occhi stralunati. Catti-brie non si fermò ignara dell'espressione preoccupata che si era impossessata del volto del padre. Dopo duecento anni trascorsi nelle miniere Bruenor dedusse la terribile verità. La frana era stata fatale. Il giovane barbaro non era più. Le mani di Catti-brie continuavano a muoversi febbrili in mezzo alle rocce mentre la sua mente cercava di negare quanto il cuore cominciava a temere. Bruenor le appoggiò una mano sul braccio nel vano tentativo di interrompere quell'inutile lavoro e quando la donna sollevò lo sguardo verso di lui, l'espressione del suo viso squarciò il cuore del burbero nano. Il viso gentile di Catti-brie era sporco di terra e rigato di sangue, i capelli madidi di sudore erano appiccicati contro la fronte e i suoi occhi azzurri offuscati da cocenti lacrime di dolore. Il nano scosse lentamente la testa. Catti-brie si mise a sedere stringendo le mani nel grembo, lo sguardo impietrito fisso davanti a sé. Quante volte lei e i suoi amici si erano ritrovati faccia a faccia al momento estremo? Quante volte erano sfuggiti dall'abbraccio definitivo della Morte? Tante volte, si disse in preda a un dolore straziante. Tante volte, ma non quella, non per Wulfgar. La terribile Compagna era sopraggiunta con passo infido e silenzioso e aveva colto il tenero fiore dei suoi anni. Il coraggioso guerriero, capo di un'indomita tribù, l'uomo con cui lei aveva intenzione di trascorrere la sua vita, se n'era andato. Né lei, né Bruenor, né Drizzt Do'Urden avrebbero potuto fare nulla per aiutarlo. «Lui mi ha salvata,» mormorò con un filo di voce. Bruenor parve non sentirla. Il nano continuava a passarsi una mano sulle guance sulle quali le lacrime trascinavano via il pulviscolo. Wulfgar era
stato un figlio per lui. Riandò col pensiero al giorno in cui lo aveva trascinato a casa sua, dopo una battaglia, incatenato come uno schiavo anche se in cuor suo intendeva insegnargli a essere un vero uomo. Bruenor aveva temprato il suo carattere di ragazzo irruente e lo aveva fatto diventare un guerriero onesto e coraggioso. Il nano ricordò il giorno più bello della sua vita, più bello ancora del momento in cui era rientrato in possesso di Mithril Hall... Il giorno in cui Wulfgar e Catti-brie gli avevano annunciato che si sarebbero sposati. Bruenor si sentì ribollire il sangue, sferrò un potente calcio contro un masso vicino e solo allora il suo sguardo si posò su Aegis-fang. Il nano si inginocchiò vicino a quella meravigliosa arma la cui testa era impreziosita dai simboli di Dumathoin, dio dei nani e Custode dei Segreti. Bruenor inspirò a fondo più volte e infine riuscì ad allungare una mano per liberare Aegis-fang dal cumulo di detriti. Quell'arma era stata la sua più bella creazione, il ricettacolo delle sue abilità di fabbro. Nel metallo fuso aveva impresso tutto il suo amore e la sua bravura di forgiatore poiché l'aveva creata appositamente per Wulfgar. Catti-brie scoppiò in un pianto dirotto e le sue spalle cominciarono a sussultare al ritmo dei singhiozzi. Bruenor trovò la forza di resistere all'opprimente tristezza che gli attanagliava il cuore. Si ripeté più volte che era l'ottavo re di Mithril Hall, che era responsabile dell'incolumità dei suoi sudditi e della sua stessa figlia. Lentamente infilò la preziosa arma nella cintura e cinse le spalle di Cattibrie con un braccio invitandola ad alzarsi. «Non possiamo più fare nulla per lui,» mormorò Bruenor. Catti-brie si divincolò dall'abbraccio del padre e si precipitò verso il cumulo di rocce. Nonostante capisse la futilità delle sue stesse azioni, riprese a scavare con movimenti frenetici e disperati. Le mani di Bruenor si posarono sulle sue spalle, ma la donna le allontanò con un violento scossone. «No!» tuonò Bruenor afferrandola con maggior vigore e trascinandola lontano a viva forza. La rimise a terra e si fermò davanti a lei bloccandole il passo. «Non puoi più fare nulla!» le urlò in faccia fino allo sfinimento. «Ma devo almeno tentare!» disse lei con voce implorante quando si rese conto che il padre non intendeva lasciarla passare. Bruenor scosse ancora il capo e solo le lacrime che gli bagnavano il viso ebbero il potere di impedire a Catti-brie di colpirlo. La donna si calmò e si
lasciò sfuggire un lungo lamento. «È finita,» aggiunse il nano. «Il ragazzo... Il mio ragazzo si è sacrificato per noi due. Non disonorare il suo coraggio rimanendo qui esposta al pericolo.» Catti-brie chinò il capo. Suo padre aveva ragione e rimase immobile mentre Bruenor ricuperava l'ascia e lo scudo. «Digli addio,» mormorò cingendole le spalle con un braccio. Aspettò qualche istante e poi la condusse via, prima a riprendere l'arco e poi verso la grotta e l'apertura da cui erano entrati. Catti-brie si fermò al suo fianco e il suo sguardo passò dal viso del padre alla galleria che si snodava davanti a loro. «Thibbledorf e la pantera dovranno arrangiarsi,» disse Bruenor all'improvviso fraintendendo la sua confusione. Catti-brie non era preoccupata per Guenhwyvar poiché sapeva che nulla poteva nuocere alla pantera finché possedeva la statuetta di onice, e tantomeno era preoccupata per l'armigero. «E Drizzt?» si limitò a chiedere. «Ho la sensazione che l'elfo sia vivo,» ribatté Bruenor con sicurezza. «Uno degli elfi scuri che ho abbattuto mi ha chiesto di lui. È vivo ed è riuscito a fuggire. Ti dirò di più. Quell'elfo ha molte più probabilità di noi due di uscire sano e salvo da questo posto. Forse la pantera è con lui.» «E forse ha bisogno di noi,» aggiunse Catti-brie allontanandosi dal padre mentre si sistemava l'arco a tracolla e incrociava le braccia al petto. «Noi due adesso andremo a casa, ragazza,» ribatté Bruenor con voce decisa. «Non sappiamo nemmeno dove si trovi Drizzt.» «Ti stai tirando indietro?» gli chiese Catti-brie quasi con tono di sfida. «Vuoi correre il rischio di non verificare che non abbia effettivamente bisogno di noi? Abbiamo già perso un nostro caro amico... Forse due se l'assassino ha messo le mani su Regis. Non ho nessuna intenzione di perdere anche Drizzt!» Catti-brie socchiuse gli occhi. Un altro ricordo era riaffiorato nella sua mente sconvolta dal dolore. Un ricordo che l'aveva riportata a Tarterus, un piano dell'esistenza molto lontano in cui Drizzt Do'Urden aveva dovuto affrontare orrori indicibili per riuscire a salvarla. «Ti ricordi di Tarterus?» chiese a Bruenor e il nano ammiccò e fissò un punto lontano. «Non rinuncio,» ripeté Catti-brie, «nemmeno per tutto il mithril del mondo!» esclamò con lo sguardo fisso sulla galleria lungo la quale gli elfi fuggiaschi si erano messi in salvo. «Né per nessun elfo scuro maledettis-
simo né per i loro disgustosi amici!» Bruenor rimase a lungo in silenzio. Ripensò a Wulfgar, alle parole determinate della figlia e non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe fatto Drizzt se lui si fosse trovato in pericolo. Dopo un attimo di esitazione non ebbe più dubbi. Si girò lentamente verso Catti-brie. Aveva appena perduto il giovane barbaro e non poteva correre il rischio di perdere anche la figlia. Bruenor scrutò a lungo il viso di Catti-brie e dopo aver inspirato a fondo decise. «Sta bene,» disse con voce pacata. Ricuperarono una torcia e uscirono dalla parte opposta da cui erano entrati scendendo nelle viscere della terra alla ricerca dell'amico perduto. *
*
*
Chiunque non fosse cresciuto nel buio perpetuo del Mondo Tenebroso non sarebbe mai riuscito a scorgere il tenue cambiamento dell'oscurità, il lieve chiarore di una brezza più fresca. Ma Drizzt se ne accorse subito e sistematosi Regis sulle spalle accelerò il passo. «Cosa c'è?» chiese il nanerottolo con la voce incrinata dalla paura guardandosi intorno con aria stranita quasi temesse di ritrovarsi davanti ad Artemis Entreri. Percorsero un cunicolo basso ma largo, lievemente in salita. Drizzt ebbe un attimo di esitazione, quasi temesse di aver imboccato la galleria sbagliata, ma ignorò i timori che lo assillavano e proseguì in silenzio nella speranza che l'apertura che presto avrebbero trovato fosse sufficientemente larga affinché Regis e lui potessero respirare una boccata d'aria fresca. Oltre una curva vennero investiti da un refolo di vento. In lontananza si intravedeva una luce, il profilo di svettanti montagne e il cielo stellato. Il sospiro di sollievo che sfuggì dalle labbra di Regis accompagnò il battito violento del cuore di Drizzt. E quando finalmente uscirono all'aperto i due amici rimasero a osservare incantati lo splendido spettacolo che avevano davanti agli occhi. Sotto quel manto trapuntato di minuscole gemme di cristallo, accarezzati dal vento, si sentirono vivi. Si ritrovarono su una cengia molto stretta che sporgeva da una parete scoscesa e frastagliata a migliaia di piedi di altezza. Un sentiero angusto digradava verso destra, svoltava poi in direzione opposta, scomparendo nel nulla. Drizzt rimase a lungo a esaminare la direzione da prendere. Avrebbe
raggiunto facilmente il fondo del baratro, oppure la sommità della montagna, ma non era sicuro che Regis fosse in grado di seguirlo, né gli piaceva l'idea di trovarsi in una zona sconosciuta in cui non sapeva quanto tempo avrebbe impiegato per raggiungere Mithril Hall, soprattutto quando i suoi amici si trovavano poco lontano da lì, immersi nei guai fino al collo. «La Valle del Guardiano non è lontana,» osservò Regis indicando verso nordovest. «Qualche miglia di cammino.» «Dobbiamo tornare dentro,» si limitò a dire Drizzt annuendo. Nonostante non gradisse affatto quell'improvvisa decisione, Regis non rispose, consapevole del fatto che non sarebbe mai riuscito ad arrivare in nessun posto nelle condizioni in cui si trovava. «Ben detto,» disse Entreri sbucando dal nulla da dietro uno sperone di roccia. Il profilo dell'assassino si delineò contro la notte e i suoi occhi brillarono con la stessa intensità delle pietre preziose incastonate nel suo pugnale. «Sapevo che saresti arrivato fin qui,» aggiunse. «Immaginavo che avresti seguito il profumo dell'aria fresca.» «Ti stai forse congratulando con me oppure ti compiaci della tua bravura?» gli chiese l'elfo. «Entrambe le cose!» esclamò Entreri con una fragorosa risata che gli scoprì i denti candidi. «La galleria che ti sei lasciato alle spalle ti avrebbe condotto al livello superiore dove avresti trovato i tuoi amici,» aggiunse avvicinandosi. «Senza dubbio, morti!» Drizzt strinse i pugni, ma si mantenne calmo. «Ma non puoi tornare indietro, vero?» lo motteggiò Entreri. «Se fossi da solo, forse lo potresti fare, negandomi il diritto di combattere contro di te. Ma sfortunatamente hai un amico ferito sul groppone. Pensaci, Drizzt. Mollalo qui e salvati! «Se fossi in te, lo abbandonerei qui in balìa della sua sorte,» proseguì l'assassino quando capì che l'elfo non l'avrebbe degnato di una risposta mentre il suo sguardo arcigno si posava sul nanerottolo che si stringeva tremante al braccio dell'amico. «Ma tu non lo faresti mai,» aggiunse Entreri. «Da tempo abbiamo stabilito la nostra diversità... Una diversità che tu chiami forza, mentre io la definisco debolezza.» L'assassino sfoderò la spada la cui lama emanò un bagliore verdastro. «Ma ora a noi due,» continuò. «Il nostro destino ci attende. Ti piace il campo di battaglia che ho preparato? L'unica via di scampo è la galleria alle tue spalle. Nessuno di noi due può fuggire e pertanto saremo costretti a combattere fino in fondo.» Dopo un attimo di si-
lenzio durante il quale lanciò un'occhiata al baratro che si apriva ai loro piedi, Entreri aggiunse con un sorriso: «Un bel salto per il perdente. Un combattimento all'ultimo sangue.» Drizzt non poté negare a se stesso la violenza delle sensazioni che gli si agitavano in petto. Dovette ammettere che in un angolo recondito del suo cuore e della sua mente desiderava quello scontro poiché bramava dimostrare una volta per tutte che Entreri si sbagliava e che l'esistenza di quell'essere malvagio era inutile. Ma se fosse stato per lui, quello scontro non avrebbe mai avuto luogo poiché nonostante avesse compreso e imparato ad accettare le emozioni che provava, sapeva che esse non costituivano una ragione che poteva giustificare uno scontro mortale. Ma ora, con Regis ferito alle sue spalle e i suoi amici in difficoltà in quel dedalo di gallerie, non poteva sottrarsi a quella sfida. Avvertì il duro metallo dell'elsa delle scimitarre nelle sue mani e fissò lo sguardo sul bagliore azzurrognolo sprigionato dalla lama di Lampo. Entreri si fermò con le armi in pugno e con un cenno del capo invitò l'elfo ad avvicinarsi. E per la terza volta nella stessa giornata la lama di Lampo percosse con forza la spada dell'assassino. Per la terza volta, e forse l'ultima. La danza che avevano cominciato molti anni prima riprese con la stessa fluidità di movimenti, come se non fosse mai stata interrotta. Il punto in cui si trovavano era largo una decina di passi, ma alle loro spalle si restringeva in un modo pauroso. Un rovescio sferrato dalla spada di Entreri dette l'avvio al combattimento e venne seguito subito dal pugnale. Le scimitarre di Drizzt si mossero fulminee e cercarono di intrufolarsi fra le due armi avversarie. L'assassino reagì prontamente e riportò le lame in assetto deviando l'attacco dell'elfo. Girarono intorno guatandosi, Drizzt verso l'interno e sfiorando la parete rocciosa, l'assassino spostandosi verso il bordo della cengia. Entreri colpì basso, portando il pugnale in avanti assieme a tutto il corpo. Drizzt scartò di lato mirando alla testa del nemico, ma la spada di Entreri ondeggiò vorticosamente, si librò alta per parare i colpi e ridiscese veloce in diagonale obbligando l'elfo a indietreggiare permettendogli così di ricuperare l'equilibrio. «Temo che andremo per le lunghe,» sibilò Entreri con un sorriso malvagio e quasi per smentire le sue stesse parole si avventò contro l'elfo con una sequenza di stoccate e affondi che parvero cogliere Drizzt di sorpresa.
Le braccia dell'elfo si destreggiarono in quel marasma di colpi con sorprendente abilità. Drizzt si spostò lateralmente sforzandosi di non indietreggiare verso la parete. In cuor suo dovette dar ragione all'assassino. Non sarebbe stato un combattimento veloce, con un vinto e un vincitore nel giro di poche battute. Avrebbero lottato a lungo, forse per l'intera notte. Ma a che scopo, si chiese Drizzt all'improvviso. Che vantaggio avrebbe tratto da quello scontro con il suo nemico di sempre? Vierna e i suoi soldati sarebbero sbucati dal nulla concludendo ancora una volta prematuramente il loro incontro? Se così fosse stato, Drizzt e Regis non avrebbero avuto scampo. Ma l'elfo non poté indugiare a lungo su quei pensieri perché Entreri gli si avventò contro. Le scimitarre ondeggiarono con movimenti perfetti e armoniosi bloccando le armi di Entreri a debita distanza. Entreri compì una piroetta veloce accompagnando i movimenti delle braccia in quel vorticoso movimento e obbligando Drizzt ad appiattirsi contro la montagna. L'elfo rimase sorpreso dalla velocità con cui l'assassino aveva assimilato una sua tecnica difensiva dopo averla veduta solo un paio di volte. Nonostante ciò aveva previsto quella possibilità e lui sapeva come neutralizzarlo. Anche l'elfo imitò il suo avversario, ma in senso contrario, muovendo le scimitarre in sincronia. Le lame si scontrarono, vivaci scintille rischiararono la notte, il metallo stridette e l'azzurro si mescolò al verde in un chiarore indistinto. Drizzt si spostò verso destra, ma proprio in quell'istante Entreri invertì la direzione. L'elfo reagì veloce. Si fermò di scatto e dopo aver piegato le ginocchia protese le braccia in avanti bloccando per l'ennesima volta il pugnale e la spada dell'assassino. Drizzt riprese a girare su se stesso, seguito da Entreri, ma quando quest'ultimo cambiò senso di rotazione, l'elfo lo precedette. Regis rimase a osservare in un angolo esterrefatto. Non osava intervenire, un po' per paura delle creature notturne che potevano nascondersi dappertutto in quella regione sconosciuta, un po' perché era rimasto sopraffatto da quella danza incredibile dove due corpi sembravano aver perduto il loro peso, le lame dei due nemici sembravano intessere un tessuto di luce, e il bagliore viola degli occhi di Drizzt pareva contrastare il lucore purpureo di quelli di Entreri. Il frastuono delle armi si trasformò in una cruda musica che accompagnava quella danza di morte in grado di sottolineare la
perfetta armonia che accomunava i due avversari. All'improvviso si fermarono tutt'e due, consapevoli del fatto che nessuno avrebbe tratto vantaggio da quel tergiversare, e si studiarono a lungo. Entreri scoppiò inaspettatamente in una fragorosa risata, assaporando il piacere dello scontro finale che forse avrebbe visto le prime luci dell'alba, ma Drizzt non era dello stesso parere poiché il suo cuore era oppresso dal peso della responsabilità che sentiva nei confronti di Regis e dei suoi amici in difficoltà. L'assassino si protese in avanti, la spada dritta davanti a sé e irrigidendo la schiena a mano a mano che avanzava, più che mai deciso a ristabilire il ritmo del combattimento. Ma con la stessa prontezza con cui aveva ripreso l'attacco, lo interruppe scoccando un potente fendente con il pugnale. Entreri si lasciò sfuggire un urlo di vittoria perché per la frazione di un istante credette di essere riuscito a oltrepassare la difesa di Drizzt. L'elsa di Lampo rimase quasi sospesa a mezz'aria e intercettò il pugnale fermandolo a poche spanne dal fianco di Drizzt. Il viso dell'assassino venne storpiato da una smorfia di disgusto. Digrignò i denti e chiamò a raccolta tutte le sue forze, ma si rese conto della terribile verità. Sul viso di Drizzt era calata una maschera gelida e imperscrutabile. Il pugnale non si muoveva. Un semplice movimento del polso di Drizzt sollevò in aria il braccio nemico. Entreri indietreggiò di qualche passo e rimase in attesa del momento propizio per sferrare un altro attacco. «C'è mancato poco,» disse ansimando ma quando capì che dalle labbra di Drizzt non sarebbe mai uscita una risposta, né i suoi lineamenti si sarebbero scomposti ai suoi motteggi dovette sforzarsi di non tradire la propria preoccupazione. Una scimitarra fendette sibilando la brezza della notte parando la spada di Entreri, ma un rumore strano raggiunse le orecchie di Drizzt. Ricordò che Vierna poteva trovarsi molto vicino e si immaginò gli amici alla sua mercé, fors'anche uccisi. Avvertì uno strano rimorso verso Wulfgar che non riusciva a spiegare. Inspirò a fondo e fissò a lungo gli occhi iniettati di sangue del suo nemico. Era stato lui ad attirarlo in trappola costringendolo ad aggirarsi per quel labirinto di gallerie per separarlo dagli altri. E ora Drizzt non era in grado di proteggere i suoi più cari amici. Quel pensiero accompagnò la stoccata di una scimitarra e il movimento speculare dell'altra. Drizzt ripeté quella serie di movimenti con una velocità inaudita, e la ripeté per la terza volta in modo che il fragore del metallo
conducesse i suoi pensieri lontano dal marasma di emozioni che provava. La mira fu perfetta, e altrettanto perfetta fu la difesa. Ma né Drizzt né Entreri, i cui occhi si perdevano in quelli dell'altro quasi fossero avvinghiati in un combattimento mentale, si accorsero di quanto i loro corpi stavano compiendo. Nessuno dei due ammiccò, né si accorse dell'aria spostata dalle armi dell'altro nemmeno quando la scimitarra dell'elfo sfiorò la testa del nemico o il pugnale dell'assassino quasi accarezzò l'occhio dell'avversario. Drizzt sentiva che stava giungendo il momento, avvertì che il ritmo si faceva sempre più serrato. Persino i movimenti dei loro corpi si fecero più audaci. Entreri inarcò le spalle mentre cercava di infilzare Drizzt con un affondo. L'elfo descrisse un rapido semicerchio e parò il colpo con le braccia dietro alla schiena. Nella mente di Drizzt continuavano a formarsi immagini strane. Vide Bruenor e Catti-brie catturati dalla malvagia Vierna, gli parve di scorgere Wulfgar ferito a morte da una spada nemica conficcata in gola. Immaginò il vigoroso corpo del giovane barbaro disteso sul rogo funebre e per quanto si sforzasse di allontanare da sé quella cupa scena, non vi riusciva. Accettò quelle terribili immagini in cuor suo e fece sì che alimentassero la sua concentrazione e determinazione. Stava proprio lì la differenza fra lui ed Entreri, si disse calibrando con precisione i suoi movimenti. Entreri era solito controllare la situazione con una freddezza d'animo sorprendente poiché il suo cuore non era in grado di provare nulla. Dalle labbra di Drizzt uscì un lieve grugnito. I suoi occhi lavanda brillarono di una luce strana mentre nella sua mente l'immagine di Catti-brie che implorava aiuto continuava a non dargli tregua. Con rinnovato vigore si scagliò contro l'assassino, ma Entreri sbottò in una risata raccapricciante mentre la spada e il pugnale roteavano velocemente per tenere a bada quell'attacco. «Lasciati trascinare dalla rabbia!» esclamò a denti stretti. «Abbandona la tua terribile disciplina per un po'!» Convinto che Entreri non sarebbe mai riuscito a capire, Drizzt lasciò cadere Lampo davanti a sé, ma l'assassino parò con estrema bravura. L'elfo indietreggiò ritraendo il braccio, ma attaccò di nuovo, ripetutamente, assediando la strenua difesa dell'avversario. Era proprio la furia che aveva investito Drizzt ad alimentare la resistenza di Entreri. I colpi echeggiarono nella notte mentre sul volto dell'assassino si formava un lieve sorriso. Non si sarebbe mai aspettato un'offensiva così disperata, né che Drizzt osasse tanto. E se fosse riuscito a neutralizzare una sola scimitarra per la frazione di un secondo era sicuro che avrebbe avuto
la meglio. Ma per quanto si sforzasse, Entreri non riusciva a liberarsi di quella ragnatela invisibile in cui si sentiva invischiato. Sembrava quasi che nel petto di Drizzt ardesse un fuoco inestinguibile, che le sue gambe si muovessero con la velocità di un lampo e la sua concentrazione potesse durare in eterno. Ormai non aveva più nulla da perdere, si disse l'elfo, poiché la situazione in cui si trovavano i suoi amici lo costringeva a vincere. Il combattimento riprese con forza inaudita. Regis si tappò le orecchie per proteggersi dal rumore assordante delle armi, ma non riuscì a distogliere lo sguardo. Temette più volte che Drizzt precipitasse nel baratro e la spada o la scimitarra ponessero fine a quello scontro, ma sempre, in un modo che gli sfuggiva, i due avversari riuscivano a parare o a mettersi in salvo. Lampo vibrò a causa di un potente colpo sferrato da Entreri, ma Drizzt lo incalzò con una stoccata che l'assassino riuscì a evitare all'ultimo momento con un'agilità sorprendente. Il pugnale saettò in avanti ed Entreri si lasciò sfuggire un urlo di vittoria credendo di aver colpito Drizzt, ma Lampo intercettò l'arma avversaria a una velocità incredibile ferendogli il braccio un istante prima che la punta del pugnale sfiorasse l'addome dell'elfo. Con un rapido scarto Entreri si mise in salvo, ma se Drizzt non riuscì a girare il polso e infilzare il nemico, fu in grado di sporgere lievemente la mano e colpire Entreri in pieno viso con l'elsa. L'assassino fu costretto ad indietreggiare frastornato. L'elfo gli si avventò contro muovendo rapido le scimitarre davanti a sé e costringendo Entreri a indietreggiare verso il bordo della cengia. L'assassino cercò di spostarsi verso destra, ma una scimitarra gli bloccò la strada mentre l'altra lo obbligava a fronteggiare il nemico. Entreri si spostò verso sinistra, ma il suo braccio ferito gli impediva di usare il pugnale. In preda alla disperazione parò con una ferocia esasperata mentre cercava di trovare un punto debole che gli consentisse di far indietreggiare l'avversario. Il respiro di Drizzt era spezzato dallo sforzo. I suoi occhi brillavano di una luce disperata. Doveva trovare un modo per liberarsi e accorrere in aiuto dei suoi amici. Mentre la rabbia gli avvampava nel petto non si accorse del movimento fulmineo del pugnale. All'ultimo momento chinò il capo nel tentativo di
schivarlo, ma la lama gli procurò una ferita alla guancia. Si accorse che quell'attimo di distrazione aveva rotto il ritmo incessante dei suoi movimenti. Avvertì il dolore e la fatica appesantirgli il braccio e la concentrazione svanire quasi d'incanto. L'assassino sfruttò quell'istante con una furia inarrestabile e con pochi sapienti colpi costrinse Drizzt a voltarsi. Quando finalmente l'elfo riuscì a ritrovare il ritmo perduto si accorse di essere a poche spanne dal vuoto. «Sono io il migliore!» urlò Entreri gonfiando il petto e avventandosi su di lui per sottolineare le proprie parole. Il piede di Drizzt scivolò su quel terreno franoso, ma con prontezza di riflessi si lasciò cadere in ginocchio portando in avanti il peso del corpo. Avvertì il sibilo del vento trasportare l'urlo disperato di Regis. Entreri lo investì con un attacco ancora più agguerrito per sfruttare al massimo quel vantaggio. Drizzt barcollò sotto l'irruenza di quei colpi e gli parve quasi che il vuoto lo chiamasse a sé. L'elfo socchiuse gli occhi e richiamando i suoi poteri magici produsse una sfera di tenebre. Rotolò di lato e si rialzò a pochi passi dal bordo insidioso della cengia, oltre quel globo che nascondeva lui e Regis agli occhi dell'assassino. Entreri, però, non si dette per vinto e attraversò il frutto di quell'inaspettato incantesimo come un baleno. «Conosco i tuoi trucchi,» sibilò l'assassino con aria indignata. Una parte di Drizzt avrebbe voluto demordere, ma quell'istante di debolezza fu fuggevole poiché il suo spirito indomito infuse forza alle sue braccia stanche. Artemis si scagliò contro di lui e l'elfo scivolò. Lampo gli sfuggì di mano e cadde nel baratro sottostante, mentre lui dovette aggrapparsi al bordo della cengia. Entreri infierì con la sua spada e bloccò ripetutamente l'altra scimitarra del nemico. L'assassino urlò di gioia e indietreggiò di un passo pronto per sferrare l'ultimo attacco. Sapeva che Drizzt non sarebbe mai stato in grado di fermarlo e quella certezza gli illuminò lo sguardo. La vittoria era finalmente a portata di mano poiché Drizzt si trovava in una posizione che gli impediva di difendersi. No, l'elfo non l'avrebbe fermato. E Drizzt non tentò nemmeno di fermarlo. Aveva piegato una gamba sotto al corpo, pronto a spiccare un salto. Nel momento in cui la spada stava calando sulla sua testa balzò di lato e in avanti girando su se stesso mentre
sferrava un potente calcio contro la caviglia di Entreri e con l'altra gamba gli colpiva il ginocchio. Solo allora Entreri comprese che la caduta e l'arma scivolata di mano erano una finta. Solo in quel terribile istante l'assassino si rese conto che la sua stessa sete di vendetta aveva decretato la sconfitta. Non poté frenare la rincorsa del movimento e si sentì proiettato verso il bordo della cengia. I muscoli del suo corpo si tesero mentre dirigeva la spada contro il piede dell'elfo trafiggendogli lo stivale e cercava di aggrapparsi alla sua caviglia con la mano libera. L'impatto fu terribile e Drizzt, disteso sul bordo liscio della cengia, non riuscì ad arrestarlo. L'elfo si sentì trascinare verso il basso, ma nonostante i dolori lancinanti che gli trafiggevano la gamba riuscì ad aggrapparsi con una mano mentre con l'altra stringeva la scimitarra. Conficcò l'elsa in una fessura e ne trovò un'altra da usare come appiglio per la mano. La caduta si fermò all'improvviso con un violento strattone. Entreri si trovava sotto di lui in un punto della roccia che non offriva alcun appiglio. Drizzt sentì la lama squarciargli i muscoli della caviglia. Rivolse lo sguardo verso il basso e vide l'assassino sventolare selvaggiamente un braccio mentre l'altra mano era disperatamente stretta attorno all'elsa della spada. Drizzt strinse i denti per sopportare il dolore mentre la lama affondava ancora di più nelle sue carni. «No!» urlò Entreri sotto di lui smettendo all'improvviso di dimenarsi. Drizzt gli lanciò un'occhiata e lo vide penzolare a mezz'aria in equilibrio precario. «Questo non è il modo di vincere!» urlò Entreri con voce esasperata. «Il tuo comportamento ti disonora.» In quel momento i volti degli amici si riformarono nella mente di Drizzt e l'elfo serrò i denti. «Tu non hai vinto!» urlò Entreri. Drizzt non rispose, ma lasciò che il suo sguardo rispondesse per lui. Si aggrappò alla roccia e dopo aver socchiuso gli occhi flette il ginocchio e avvertì la lama uscire lentamente dalla caviglia. Entreri scalciò e si dimenò. Riuscì quasi ad aggrapparsi all'altra caviglia dell'elfo, ma ogni suo tentativo fu inutile e il suo corpo cadde nell'oscurità sottostante mentre il suo urlo disperato venne cancellato dal lamento del vento. Capitolo 21
Venti di valli lontane Drizzt riuscì a fatica a piegarsi e a portare una mano alla caviglia ferita per fermare l'emorragia. Nonostante il dolore fosse insopportabile, dopo alcuni tentativi vi appoggiò sopra parte del peso del proprio corpo. «Regis!» urlò sollevando il viso. Il profilo della testa del nanerottolo sbucò dal bordo della cengia. «Drizzt?» mormorò Regis col fiato sospeso. «Io ti... credevo...» «Sto bene,» lo tranquillizzò l'elfo. «Entreri è caduto.» Drizzt non poté vedere il volto estasiato dell'amico, ma poté immaginare la contentezza che quella notizia gli arrecava. Erano anni che Entreri inseguiva il nanerottolo, era riuscito ad acciuffarlo per ben due volte e in entrambe le occasioni Regis aveva dovuto sopportare orribili torture. Il nanerottolo aveva imparato a temere quella creatura come nessun'altra cosa al mondo e ora finalmente poteva sospirare di sollievo. «Da qui vedo la tua scimitarra!» esclamò Regis allungando un braccio verso il basso. «Laggiù, alla tua destra.» Drizzt si voltò lentamente, ma uno sperone di roccia gli ostacolava la vista. Si sporse di lato seguendo la direzione indicata dalla mano dell'amico e scorse il bagliore magico di Lampo contro la pietra scura del fondovalle. Rimase sbalordito dall'intensità di quella luce poiché aveva finora creduto che fosse alimentata dalle emozioni che albergavano nel suo cuore. Per un istante temette che Artermis si fosse impossessato della sua preziosa arma e la stesse brandendo con fare vittorioso, ma allontanò da sé quel pensiero. Dopotutto lo aveva veduto cadere e rimbalzare contro gli spuntoni di roccia e se anche fosse sopravvissuto a quella terribile caduta, sicuramente non aveva la forza di rimanere in piedi. Rimase a lungo a pensare sul da farsi. Avrebbe potuto raggiungere Regis e insieme a lui continuare la ricerca dei suoi amici, oppure raggiungere la Valle del Guardiano senza incontrare goblin o troll se la fortuna li avesse assistiti. Ma quando considerò la possibilità di uno scontro con Vierna e i suoi soldati, si rese conto che avrebbe preferito impugnare la sua fedele Lampo. Guardò ancora una volta verso il basso e gli parve quasi che la scimitarra lo invitasse a scendere. Rimase a lungo soprappensiero. Era vero! Qualcosa lo stava chiamando,
ma si chiese se effettivamente fosse la sua scimitarra oppure un'irresistibile curiosità nei confronti del destino di Entreri. L'elfo era sicuro che avrebbe riposato più tranquillo se i suoi occhi si fossero posati sul cadavere sfracellato del suo più acerrimo nemico. «Vado a riprenderla,» disse l'elfo rivolto a Regis. «Non ci impiegherò molto. Urla se ti trovi nei guai!» Udì un sommesso gemito, ma dopo un istante di esitazione Regis ribatté: «Vedi di sbrigarti!» Drizzt infilò la scimitarra nel fodero e cominciò a scendere aggrappandosi alle numerose fessure nella roccia per non affaticare troppo la gamba ferita. Dopo una cinquantina di passi si ritrovò in una zona di pietra liscia, ma dopo un attimo di titubanza si appiattì contro la parete e si lasciò scivolare lentamente verso il basso. Durante la sua discesa scorse con la coda dell'occhio il pericolo incombere su di lui. Una creatura dalle sembianze umane e le ali di pipistrello si librava nell'aria trasportata da venti provenienti da valli lontane. Drizzt si ritrasse non appena quella creatura misteriosa lo sfiorò e fece appena in tempo a vedere il bagliore verdastro di un'arma che gli parve molto familiare. Entreri! L'assassino emise un ghigno malefico quando gli passò accanto colpendolo con forza alla spalla. Il suo mantello si era trasformato in due possenti ali nere come la notte. Solo allora Drizzt capì la ragione per cui l'assassino aveva scelto quel luogo per il loro combattimento! Entreri gli passò accanto una seconda volta percuotendolo con il piatto della spada e sferrandogli un potente calcio nella schiena. Drizzt perse l'appiglio e cominciò a cadere trascinando con sé una frana di detriti mentre con un terribile sforzo sfoderò la scimitarra per proteggersi contro l'imminente attacco dell'avversario. «Anche tu hai un mantello come il mio?» urlò Entreri sospeso a mezz'aria. «Povero sfortunato! Non c'è niente o nessuno che freni la tua caduta!» esclamò ridacchiando e mantenendosi a debita distanza per pregustare l'imminenza della sconfitta del nemico. La sua spada colpì con forza la scimitarra di Drizzt e nonostante fosse riuscito a parare il micidiale colpo l'elfo capì di trovarsi in seria difficoltà. La caduta si fece più veloce. Cercò di girarsi verso la roccia, si aggrappò con la forza della disperazione, affondò le dita nel terriccio friabile nel tentativo di frenare quella corsa mortale e trovare una posizione che gli
consentisse di parare i colpi dell'assassino. «Ora anche tu hai modo di conoscere i miei trucchi!» urlò Entreri con la voce vibrante di gioia. Drizzt si voltò di scatto mentre l'assassino piombava in picchiata su di lui. Allungò una mano che stringeva un oggetto che Entreri non si sarebbe mai aspettato di vedere. «E tu comincerai ad approfondire la conoscenza dei miei!» ribatté Drizzt con lo sguardo fisso sul volteggiare frenetico del nemico. Trattenne il fiato e dopo aver puntato la balestra che aveva sottratto al soldato che aveva ucciso in fondo allo scivolo scoccò il dardo. Entreri si portò una mano al collo ed estrasse un piccolo proiettile. «No!» urlò avvertendo un bruciore irresistibile impossessarsi del suo corpo. «Che tu sia maledetto, Drizzt Do'Urden!» L'assassino sbatté contro la parete rocciosa, ma continuò a volare anche se si rendeva conto che sarebbe stato molto pericoloso. La vista gli si offuscò, non riuscì a evitare uno sperone di roccia poco lontano e la spada gli sfuggì di mano. Drizzt seguì la scia luminosa della sua caduta, udì un lamento accompagnato da un'imprecazione e da uno sbadiglio. Ma le ali continuavano a sbattere tenendo l'assassino sollevato da terra. Entreri non era più in grado di controllare il volo e si abbandonò alle correnti. L'elfo udì lo scricchiolio di ossa infrante. Il braccio sinistro di Entreri penzolò a lungo dal suo corpo. Anche le sue gambe non riuscivano più a rimanere parallele al suolo. «Che tu possa essere maledetto in eterno,» ripeté con la voce impastata dal sonno mentre si abbandonava al potere irresistibile del veleno. All'improvviso un refolo di vento lo portò sulla scia di una corrente veloce. Il mantello si gonfiò ed Entreri scomparve nell'oscurità della notte. Drizzt continuò a scendere. Dopo quanto era accaduto apprezzò quegli attimi di calma durante i quali riuscì a comprendere appieno la vera natura dell'inimicizia che lo legava a Entreri. Il loro scontro aveva radici lontane ed era alimentato da una determinazione brutale e irrinunciabile. L'assassino costituiva la sua antitesi, lo specchio malvagio in cui Drizzt vedeva riflessa la sua stessa anima e le sue stesse paure. Ma ora era finalmente finita. Drizzt era riuscito a infrangere quello specchio e se anche non aveva dimostrato nulla a nessuno, almeno poteva dire di aver liberato il mondo da una creatura malvagia.
Ritrovò Lampo quasi subito poiché il suo stesso lucore aveva guidato i suoi passi. Non appena la impugnò, la sua lama sfavillò di una luce abbacinante che si spense quasi subito lasciando che lo scintillio delle stelle si riflettesse contro il metallo perfetto. L'elfo rimase estasiato ad ammirare quella scena e dopo aver riposto l'arma nel fodero meditò di cercare anche la spada di Entreri. Dopo un attimo di esitazione si disse che non aveva altro tempo da perdere perché Regis, e forse anche gli altri, avevano bisogno di lui. Raggiunse velocemente il nanerottolo e dopo esserselo appoggiato contro la spalla si diresse verso l'entrata della galleria. «Ed Entreri?» gli chiese il nanerottolo scoccandogli un'occhiata incuriosita. «Se n'è andato,» disse Drizzt abbozzando un sorriso. «Trasportato via dal vento.» *
*
*
Drizzt non poteva immaginare quanto vere fossero le sue parole. Impastoiato nell'avvolgente abbraccio del veleno, Artemis vagò di corrente in corrente lungo la vallata. La mente paralizzata non riusciva a comandare al mantello e senza nessun controllo le ali magiche continuavano a battere. Avvertì il vento soffiare più veloce. Scosse violentemente il capo nella speranza di riprendersi ripetendosi che doveva assolutamente svegliarsi. Ma il sibilo del vento nelle orecchie era piacevole. L'aria fredda contro le guance gli infondeva una sensazione di libertà che mai aveva provato. Socchiuse gli occhi e davanti a sé vide un cielo tenebroso, privo di stelle, non accorgendosi nemmeno che quella era la parete della montagna. Un refolo di vento lo invitò ad abbandonarsi a quei strani sogni. Il suo corpo sbatté con violenza contro la roccia. Artemis ebbe quasi l'impressione che qualcosa gli scoppiasse nella testa. L'aria gli uscì dai polmoni con uno sbuffo. Ignaro che l'impatto aveva distrutto il mantello magico e annullato l'incantesimo che lo teneva sospeso in aria, l'assassino non si accorse che il sibilo che gli echeggiava nelle orecchie non era più quello del vento, bensì il frutto della sua vorticosa e ultima caduta. Capitolo 22
Riscossa Dodici nani protetti da pesanti armature erano alla testa di una lunga fila di soldati. I loro scudi erano talmente vicini da assomigliare a un muro di metallo contro cui le armi nemiche non avrebbero potuto fare nulla. Gli scudi erano imperniati in modo tale che i nani ai fianchi potevano indietreggiare fino a formare un cuneo nei punti più stretti della galleria. Il generale Dagna e il suo esercito di valorosi, armati di pesanti balestre appoggiate contro le spalle e temibili frecce dalle punte argentee, li seguivano a passo sostenuto. Alcuni nani si erano intrufolati in mezzo alle file e porgevano le torce accese ai venti squadroni di soldati in sella a destrieri provvisti di zanne lunghe e sporgenti. Il resto dell'esercito di nani si snodava alle loro spalle. Sui volti dei soldati indugiava un'espressione cupa, molto diversa da quella del giorno in cui avevano percorso quella stessa galleria per andare a combattere contro i goblin. I nani non erano soliti ridere della presenza degli elfi scuri nelle loro miniere, tantomeno quando correva voce che il loro re fosse in pericolo. Raggiunsero il cunicolo laterale dove l'incantesimo delle tenebre finalmente era svanito, e videro le ossa degli ettin che parevano non essere state nemmeno toccate dal precedente scontro. «I chierici,» sussurrò Dagna e quella parola passò di bocca in bocca fino alla retroguardia. Poco lontano, fra i nani che appartenevano alle truppe scelte, una decina di maghi, avvolti nei loro preziosi grembiuli e con le mani appoggiate su preziosi martelli da guerra le cui teste erano adornate dai sacri simboli magici, socchiusero gli occhi per individuare i loro bersagli: due ai lati, due davanti e due sopra le loro teste. «Ci siamo,» disse Dagna ai nani dell'avanguardia. «Diamogli una sacrosanta lezione.» La falange si aprì a ventaglio e i dodici nani avanzarono lentamente, ma non successe nulla. «Maledizione,» imprecò il generale dopo alcuni istanti rendendosi conto che gli elfi scuri si erano ritirati e forse stavano preparando un'altra imboscata. In un battibaleno la formazione si riunì e l'esercito avanzò deciso mentre drappelli di rinforzo ripercorrevano le gallerie laterali per assicurarsi che il nemico non fosse in agguato. Sussurri nervosi si innalzavano dalle file di nani avviliti per quell'inaspettato ritardo.
Poco più tardi il grugnito di alcuni cani da guerra, sguinzagliati in mezzo all'esercito, fu l'unico avvertimento. Le sicure di balestre invisibili scattarono all'unisono, i dardi cominciarono a piovere dall'alto e rimbalzare contro gli scudi. Alcuni proiettili, scoccati con angolazioni impensabili, colpirono i loro bersagli nel folto dei nani. Un soldato stramazzò a terra e la sua torcia ruzzolò fra i suoi compagni provocando un piccolo trambusto. Ma la disciplina dei nani e dei loro destrieri riuscì a impedire che quell'accaduto si trasformasse nel caos più completo. I chierici cominciarono a intonare i loro canti, scandendo gli incantesimi e modulando le loro armoniose voci. Dagna e i suoi cavalieri puntarono le loro balestre contro la luce delle torce, l'avanguardia si dispose in formazione d'attacco sollevando gli scudi sopra le loro teste. La cavalleria avanzò con passo baldanzoso accompagnata dal grugnito degli animali da guerra mentre le punte delle frecce intinte nel magnesio brillavano di un'intensa luce bianca. La carica portò i nani oltre l'alone sprigionato dalle torce, ma venne preceduta dagli incantesimi dei chierici che fendevano l'oscurità della galleria con il loro bagliore magico. Dagna e i suoi soldati urlarono di gioia al vedere che gli elfi scuri cominciavano a indietreggiare titubanti, poiché quell'attacco inaspettato e feroce li aveva colti di sorpresa. Se il loro nemico aveva confidato di sopraffare quelle creature dalle gambe tracagnotte e corte, ora dovevano fare i conti con i loro agguerriti destrieri. In lontananza il generale intravide un elfo voltarsi e sollevare il braccio, quasi volesse scagliare qualcosa e lui, istintivamente, capì che quella creatura stava avvalendosi delle sue capacità magiche per cercare di neutralizzare la luce dei suoi chierici. Ma quando il magnesio di un dardo dei suoi soldati carbonizzò le viscere dell'elfo, il generale scostò lo sguardo. «Per i Nove Inferi!» urlò un cavaliere al suo fianco. Il generale vide il soldato flettere il busto all'indietro e sollevare la balestra, ma all'improvviso venne scosso da un fremito e nonostante fosse stato colpito da un proiettile nemico riuscì a sparare prima di venire disarcionato. Il proiettile tracciante vagò a lungo nell'aria illuminando il soffitto della galleria e rese lo sventurato elfo che stava scendendo un bersaglio terribilmente facile per i numerosi nani che avanzavano a piedi. «Il soffitto!» urlò un nano e due dozzine di soldati si inginocchiarono a terra mentre le loro braccia e i loro sguardi si diressero verso l'alto. Dopo un istante che parve interminabile scorsero un lieve movimento fra le sta-
lattiti che pendevano dall'alto e spararono insieme. Altri nani li sorpassarono quasi volessero rincarare la dose, accompagnati dagli ululati dei cani da guerra. L'esercito di Dagna continuò l'inseguimento con la tenacia dei segugi, incuranti di oltrepassare l'alone di luce. Le gallerie erano pianeggianti e gli elfi scuri fuggiaschi non molto lontano. Un chierico si fermò fra i balestrieri e quando capì la direzione dei loro proiettili formulò un potente incantesimo di luce per aiutarli. Il torace dell'elfo venne trafitto da decine di frecce e dopo essere rimasto sospeso a mezz'aria per qualche istante stramazzò pesantemente a terra. Ma i nani avevano ben altro cui pensare. La luce aveva rischiarato gli anfratti più nascosti del soffitto dove si nascondevano i due compagni dello sventurato. Gli elfi tentarono invano di proteggersi dietro a una sfera di tenebre, ma ormai era troppo tardi. I balestrieri li avevano scoperti e in un batter d'occhio li investirono con una pioggia di frecce. Nell'aria echeggiarono urla di guerra e gemiti di dolore. Una potente esplosione venne seguita dal sibilo inquietante dei proiettili e dal tonfo sordo dei loro rimbalzi fra le rocce. I due elfi caddero contorcendosi dal dolore e i feroci nani si precipitarono su di loro, finendoli con le impugnature delle loro pesanti armi. *
*
*
La galleria che stavano percorrendo ben presto si diramò in un groviglio di altri cunicoli laterali, ma Dagna individuò subito il percorso da seguire, senza esitazione. Infatti, l'elfo che stava inseguendo era stato colpito a una spalla e il proiettile luminoso si intravedeva da lontano. Guadagnò terreno, vide l'elfo voltarsi di scatto e Dagna lasciò cadere la balestra e dopo aver impugnato la mazza cercò di colpirlo al fianco, ma l'elfo lo precedette e scartò di lato sfoderando un'arma con gesto fulmineo. All'ultimo momento Dagna abbassò la testa e fece girare l'animale che montava. L'elfo sgranò gli occhi dalla meraviglia poiché si rese conto delle intenzioni dell'avversario. Tentò disperatamente di indietreggiare d'un passo ma venne trafitto dalle zanne dell'animale all'altezza delle ginocchia. L'elmo di Dagna lo colpì all'addome. La violenza dell'urlo sollevò lo sventurato e lo scaraventò contro la parete della galleria. Accasciato a terra, paralizzato dal dolore che gli martoriava il corpo, l'elfo si accorse appena che Dagna era smontato e stava sollevando la mazza sopra la testa.
Un istante più tardi gli parve che la sua testa venisse attraversata da una folgore abbacinante che lentamente venne fagocitata dalle tenebre eterne. *
*
*
I segugi da guerra avanzarono veloci davanti al contingente di nani agguerriti diretti verso una zona costellata di caverne naturali. I soldati li seguivano accompagnati dai chierici e dai loro canti, mentre alle loro spalle altri nani armati di arnesi da lavoro si avventavano contro le pareti rocciose. Raggiunsero un quadrivio. I cani si fermarono ad annusare l'aria a destra e a manca mentre i nani li spronavano a proseguire. Ma una decina di elfi scuri sgusciarono dal nulla dietro di loro, si fermarono in mezzo alla galleria centrale e cominciarono a sparare i loro proiettili avvelenati. L'esercito di nani si voltò compatto come un'onda marina. I chierici rischiararono la zona mentre gli elfi, vistisi sopraffatti, preferirono darsi alla fuga. Imboccarono il cunicolo dal quale erano arrivati sicuri del fatto che così avrebbero evitato la retroguardia nemica, ma dopo alcuni passi si resero conto del loro madornale errore. Si ritrovarono davanti a un pesante portale di ferro che si stava lentamente incastrando nella roccia frastagliata. Imboccarono una galleria vicina e più promettente sentendosi i latrati e il fiato dei cani nemici contro il collo. Svoltarono di corsa, ma si dovettero fermare davanti a un secondo pesante portale. Udirono il rimbombo dei martelli contro i cardini e capirono che non avevano più speranze. Gli elfi disperati formularono un incantesimo delle tenebre per rallentare l'avanzata nemica alle loro spalle e il lavoro febbrile dall'altro lato. Riuscirono a intrufolare le loro armi nelle fessure fra la roccia e la porta e cominciarono a sparare con la forza della disperazione per aumentare la confusione. Uno di loro riuscì persino ad allungare un braccio e ad afferrare il chiavistello, ma non si avvide del pericolo alle sue spalle. L'orda di cani avanzò inferocita e l'esercito di nani si precipitò su di loro. Le tenebre calarono sulla galleria, ma un chierico esausto riuscì ad annullare i poteri di quel terribile incantesimo. Una seconda sfera magica ottenebrò la zona, e i nani coraggiosi combatterono alla cieca opponendo alla scaltra abilità degli elfi una furia inarrestabile. Un nano avvertì il bruciore insopportabile provocato dalla spada del suo nemico invisibile squarciargli il petto. Si rese conto che la ferita sarebbe
stata mortale e già sentiva il sangue uscirgli dalla bocca. Tossì. Avrebbe potuto battere in ritirata e raggiungere un chierico per farsi curare da un potente incantesimo, ma in quell'attimo disperato capì che il suo avversario era vulnerabile e che se fosse tornato sui suoi passi forse qualche suo compagno sarebbe morto per mano nemica. Si tuffò in avanti incurante della spada che affondava nelle sue carni e sventolò il suo martello da guerra con quanta forza gli era rimasta in corpo. Cadde sopra il cadavere dell'elfo e morì con un sorriso soddisfatto sul viso. Altri due nani stavano avanzando fianco a fianco e si resero conto che il loro avversario si era tuffato di lato solo quando andarono a sbattere violentemente contro il portale di ferro. Nonostante fossero frastornati dal colpo, avvertirono un movimento a poca distanza e brandendo con forza i loro martelli colpirono alla cieca. Caddero a terra l'uno accanto all'altro mentre l'elfo si precipitava su di loro. Ma il buio decretò la sua fine. Il torace dell'avversario venne trafitto dalla punta di una lancia e la rincorsa lo scaraventò contro la porta. L'elfo ricadde sui due nani che lo immobilizzarono in un battibaleno. A suon di calci e morsi e colpi con le impugnature delle armi e dei guanti borchiati, finirono lo sventurato in un istante. Più di una ventina di nani perirono in quel corridoio angusto, ma per ognuno di loro un elfo scuro aveva smesso di respirare. *
*
*
Un manipolo di elfi scuri, con i loro inseguitori alle calcagna, riuscirono a raggiungere la grotta in cui Drizzt ed Entreri avevano combattuto per deliziare Vierna e i suoi seguaci. La porta scardinata e numerosi cadaveri confermarono i loro dubbi. Il gruppo di Vierna aveva subito un duro colpo, ma dopo aver esaminato velocemente la caverna intravidero la loro salvezza. Uno dei due si precipitò verso lo scivolo, spiccò un balzo e si ritrovò imprigionato nella ragnatela magica. Implorò invano aiuto annaspando con le braccia ancora libere, ma i suoi compagni si dimenticarono presto di lui. Si voltarono lentamente verso l'altra porta che si apriva nella parete della grotta, già pregustando la salvezza, ma quelle pesanti assi di legno vennero travolte da un drappello di nani infuriati in groppa ai loro destrieri. Il generale Dagna arrivò qualche istante più tardi e il suo sguardo spaziò su cinque elfi scuri, due nani e tre cinghiali da guerra esanimi sul pavimen-
to. Soddisfatto dell'esito di quella sortita, il generale ordinò un'ispezione della zona circostante. Il dolore attanagliò i cuori di tutti quando ritrovarono il cadavere di Cobble sotto a un pesante muro di ferro, anche se ben presto la speranza rinacque nei loro cuori quando videro i segni di un violento combattimento. Bruenor era sicuramente riuscito a infliggere un duro colpo ai nemici. «Dove sei, Bruenor?» urlò il generale verso le gallerie deserte. «Dove sei?» *
*
*
Animati dalla più adamantina determinazione e dal più profondo rifiuto della sconfitta, Catti-brie e Bruenor si addentrarono nel dedalo di gallerie e cunicoli, esausti e feriti. Il nano stringeva una torcia nella mano libera mentre Catti-brie teneva una freccia incoccata nell'arco, pronta a colpire. Entrambi erano convinti che non avrebbero resistito a un altro scontro con gli elfi scuri, ma nessuno dei due era disposto a cedere così facilmente. «Dov'è quel dannato felino?» chiese Bruenor. «E quell'armigero sconsiderato?» Catti-brie scosse il capo. Chi poteva mai sapere dove fosse finito Thibbledorf? L'aveva veduto allontanarsi come una furia e dopo un rapido calcolo immaginò che avesse raggiunto la Forra di Garumn. Ma Guenhwyvar era un'altra storia. Catti-brie infilò una mano nella bisaccia e le sue dita accarezzarono la preziosa statuetta di onice. Avvertì che la pantera non si trovava più nei paraggi. Credette ciecamente alla sensazione che provava poiché se la pantera non aveva abbandonato il piano materiale, li avrebbe raggiunti già da molto tempo. La donna si fermò all'improvviso. Dopo pochi passi Bruenor si voltò a guardarla con espressione sorpresa. Catti-brie si inginocchiò a terra, appoggiò l'arco e strinse la statuetta fra le mani. «Se n'è andata?» le chiese Bruenor. Catti-brie si strinse nelle spalle e dopo aver appoggiato il prezioso oggetto sul pavimento della galleria invocò il nome di Guenhwyvar. Per lunghissimi istanti non accadde nulla, ma proprio quando Catti-brie stava riponendo la statuetta nella bisaccia, un pennacchio di vapori grigi cominciò a vorticare nell'aria. La pantera si materializzò davanti ai loro sguardi allibiti. Il corpo scat-
tante dell'animale sembrava quasi afflosciato dalla fatica e su una sua spalla la pelliccia nera era lacerata e lasciava intravedere i muscoli e i tendini sottostanti. «Oh, torna indietro!» urlò Catti-brie inorridita ondeggiando la statuetta davanti al viso. Ma Guenhwyvar si mosse rapida e con una zampata fece cadere la statuetta dalla mano di Catti-brie emettendo un lungo grugnito. «Lascia che rimanga,» mormorò Bruenor. Catti-brie scoccò un'occhiata incredula al nano. «Non sta certo meglio di noi due,» proseguì il nano riprendendo a camminare dopo aver appoggiato una mano sulla testa della pantera. Guenhwyvar sollevò le orecchie e smise di ringhiare. «Ma ci potrà aiutare. Un po' di compagnia non guasta.» Bruenor lanciò un'occhiata a Catti-brie, alle sue spalle e poi alla galleria che si snodava davanti a loro. «Tutti e tre insieme,» disse, «pronti a combattere e a cadere... Ma non prima di aver travolto i nemici con i nostri cadaveri!» *
*
*
Drizzt avvertì la vicinanza del pericolo e sfoderò Lampo concentrandosi sulla sua lama per evitare che la luce magica tradisse la loro presenza. L'elfo avanzò lentamente, incurante del peso del nanerottolo appoggiato contro la sua spalla. I suoi sensi erano tutti tesi alla ricerca del nemico in agguato. Oltrepassò un'apertura bassa che lo portò in una piccola grotta, poco più larga della galleria che aveva appena percorso. Da un lato si apriva un'uscita allo stesso livello del pavimento, mentre dal lato opposto se ne apriva un'altra leggermente in salita. L'elfo buttò Regis in un angolo e dopo essersi appiattito contro la parete e aver brandito le scimitarre con forza aguzzò lo sguardo. Ma la creatura che vide arrivare era l'essere più strano che avesse mai veduto in vita sua. Thibbledorf si avvicinò di corsa urlando a squarciagola, convinto del fatto di aver il vantaggio della sorpresa su quell'elfo apparentemente inerme e sul suo compagno. A tre passi di distanza abbassò il capo puntando la micidiale arma verso l'addome di Drizzt e gli parve di udire un debole lamento sfuggire dalle labbra della piccola creatura accanto all'elfo. Drizzt sollevò le braccia sopra la testa, palpò le fessure nella roccia e pur continuando a stringere le sue armi si aggrappò a una nicchia. Pochi istanti
prima che l'armigero lo travolgesse con l'imponenza della sua carica, l'elfo si sollevò da terra e raccolse le gambe al petto. Thibbledorf sbatté contro la parete con una violenza inaudita conficcando la punta nella dura roccia. Drizzt abbassò fulmineo le gambe, le attorcigliò ai fianchi dello sconosciuto e cominciò a colpirgli la nuca con l'elsa delle scimitarre. L'elmo di Thibbledorf cadde rumorosamente a terra, mentre il nano si accasciò di lato emettendo cupi gemiti. Drizzt balzò di lato ondeggiando vorticosamente le scimitarre in un baluginio di luce magica. «È un nano,» mormorò Regis sorpreso. Thibbledorf rotolò a pochi passi di distanza e Drizzt ebbe il tempo di scorgere un amuleto raffigurante un boccale di birra spumeggiante appeso al collo del misterioso guerriero. Il blasone del Clan di Bruenor Martello di guerra! L'armigero scosse il capo e balzò in piedi. «Per questa volta hai vinto!» ruggì precipitandosi verso Drizzt. «Noi due non siamo nemici,» cercò di spiegargli l'elfo. Regis urlò disperato quando si accorse che il nano si stava gettando sull'amico sventagliando le mani avvolte in terribili guanti borchiati. Drizzt evitò l'attacco con estrema facilità e notò i punti deboli dell'armatura del suo avversario. Thibbledorf ripartì alla carica accompagnando con tutto il corpo il movimento del braccio per rendere il colpo ancora più potente. Ma Drizzt sapeva che quella era una finta, un attacco il cui scopo era disorientarlo e portarlo in una posizione più comoda per travolgerlo. Non gli fu difficile scoprire le tecniche difensive di quel guerriero e con un gesto fulmineo sollevò una scimitarra bloccando il pugno con il piatto della lama. La seconda arma seguì la prima descrivendo un ampio arco sopra la testa e ricadendo alle spalle dell'armigero fino a fermarsi contro la parte posteriore del suo ginocchio. Thibbledorf non si sarebbe mai aspettato una reazione simile. Dimenticò il salto che stava per spiccare e ritrasse la gamba per evitare di essere ferito. Drizzt lo incalzò obbligandolo a indietreggiare. L'armigero inciampò, barcollò e cadde pesantemente sulla schiena. «Smettila!» urlò Regis verso il nano che cercava di rialzarsi. «Smettila, ho detto. Non siamo nemici!» «È la verità,» aggiunse Drizzt.
Inginocchiato a terra, l'armigero lanciò occhiate sospettose prima a Regis poi a Drizzt. «Siamo venuti quaggiù per ritrovare il nanerottolo,» spiegò a Drizzt che lo guardava sbigottito. «Per acciuffarlo e scuoiarlo vivo. E tu ora mi preghi di fidarmi di lui?» «Quello è un altro nanerottolo,» osservò Drizzt infilando le scimitarre nei foderi. Sul volto del nano si formò un sorriso impercettibile. Il suo nemico gli stava offrendo la vittoria su un piatto d'argento. «Non siamo tuoi nemici,» aggiunse Drizzt con voce pacata mentre i suoi occhi lavanda trafiggevano il nano immobile davanti a lui. «Ma non ho tempo da perdere con i tuoi stupidi giochetti!» L'armigero tese i muscoli, si chinò in avanti pronto a spiccare un salto per travolgere quell'elfo. Ma la luce che brillava in quegli occhi dallo strano colore lo fece desistere. Thibbledorf si rilassò poiché aveva capito che l'elfo aveva intuito i suoi pensieri. «Attaccami pure, se vuoi,» disse Drizzt con aria imperturbabile. «Ma sappi che la prossima volta che cadi, non potrai più rialzarti.» L'armigero rimase a osservare a lungo quel volto immobile, soppesando in cuor suo la terribile promessa nascosta in quelle parole. Ricordò le parole di Catti-brie sul suo amico elfo e si disse che forse la sorte aveva voluto che si imbattesse nel leggendario Drizzt Do'Urden. «Credo proprio che siamo amici,» mormorò lentamente mentre si rialzava. Capitolo 23 Il Guerriero Thibbledorf apriva la strada e perlustrava con minuziosa attenzione la galleria che stavano percorrendo. Drizzt era sicuro che presto avrebbe conosciuto il destino degli amici e forse affrontato di nuovo la sua sorella malvagia. L'armigero non gli fu molto d'aiuto poiché gli disse di essersi separato da Bruenor e dagli altri poco dopo il primo scontro. Quella notizia gli fece accelerare il passo. Non riusciva a sopportare l'idea che Catti-brie fosse caduta prigioniera e venisse torturata da Vierna. Immaginò il testardo e altero Bruenor sputare in faccia il proprio disprezzo per Vierna, mentre la sacerdotessa cercava di sfigurarlo con i suoi potenti incantesimi.
Lungo quelle gallerie strette e sconfinate incontrarono poche grotte. Di tanto in tanto trovarono i puntelli con cui i goblin avevano rafforzato le zone più insidiose. Raggiunsero una galleria completamente ricoperta di lastre di pietra dalle cui pareti partivano numerosi cunicoli ancora più stretti. Drizzt non fu in grado di vedere le ombre degli elfi scuri che si muovevano in lontananza, ma quando la lama di Lampo vomitò un bagliore allucinante si fermò di scatto. I suoi dubbi ebbero la conferma pochi istanti più tardi, quando un dardo fendette l'aria e colpì Regis al braccio. Il nanerottolo gemette e l'elfo lo trascinò di peso verso un cunicolo che avevano appena oltrepassato, nascondendolo dietro a uno sperone di roccia. Quando Drizzt ritornò sui suoi passi, vide che l'armigero era già partito alla carica urlando a squarciagola e incurante della pioggia di proiettili con cui i nemici cercavano di rallentare i suoi passi. Drizzt lo seguì, ma vide che il nano imboccò una galleria laterale ed ebbe la certezza che fosse caduto in una trappola. L'elfo lo perse di vista subito dopo, proprio nel momento in cui un dardo nemico lo colpì al braccio. Chinò il capo per osservare la ferita. Avvertì il bruciore del veleno e i potenti effetti della disgustosa pozione che l'armigero gli aveva fatto bere. Drizzt pensò di accasciarsi al suolo per invitare gli avversari ad avvicinarsi, ma non poteva abbandonare Thibbledorf proprio in quel momento e non vedeva l'ora di concludere una volta per tutte quell'assurdo inseguimento. Sgattaiolò furtivo in una galleria laterale portando Lampo dietro la schiena per nasconderne la luce. Un ruggito feroce echeggiò in lontananza seguito da una valanga di imprecazioni che solo un nano poteva inventare. Non c'era altra spiegazione a quell'urlo inferocito. Gli elfi scuri si stavano allontanando. Drizzt avvertì uno strano fruscio e capì che l'armigero stava perlustrando la zona poco lontano. Trattenne il fiato, contò fino a tre e con un balzo agile oltrepassò un gruppo di rocce. Lampo saettò nell'aria veloce. L'elfo più vicino indietreggiò barcollando dopo aver scoccato un dardo che colpì Drizzt alla spalla. L'elfo sperò che la pozione riuscisse a neutralizzarne il veleno e si rincuorò al pensiero che Thibbledorf era stato trafitto da parecchie frecce nemiche durante la sua carica furiosa lungo la galleria. Drizzt avanzò veloce costringendo l'avversario a ritirarsi. Lo avrebbe ammazzato senza fatica se non fosse stato che un secondo elfo stava accorrendo in aiuto del compagno in difficoltà, armato di spada e pugnale.
Drizzt si ritrovò in una piccola grotta circolare. Sulla sua destra scorse un'uscita che forse portava alla galleria principale poco lontano, ma non ebbe il tempo di osservare con attenzione le possibilità di scampo che quella grotta gli poteva offrire, perché mentre si difendeva dagli attacchi misurati dei suoi nemici in un angolo scorse Vierna e Jarlaxle. «Tu sei stato la causa di indicibili dolori, fratello perduto,» sibilò Vierna a denti stretti, «ma la ricompensa che trarrò vale il prezzo che ho dovuto pagare, ora che sei tornato da me.» Distratto da quelle parole Drizzt per poco non venne trafitto dalla spada di uno dei due elfi. La deviò all'ultimo momento, ma i due soldati lo assediarono con un attacco serrato costringendolo a indietreggiare. «Mi piace vedere come combatti,» aggiunse la sacerdotessa con un sorriso malevolo, «ma non posso correre il rischio di perderti... Non ancora!» Cominciò a modulare la voce in un canto incomprensibile e Drizzt capì che ben presto un incantesimo lo avrebbe travolto. Serrò i denti e accelerò i movimenti delle braccia mentre cercava di concentrare la propria mente sul volto di Catti-brie. Vierna concluse la formula con un urlo raccapricciante e un'ondata di energia travolse la mente e il corpo dell'elfo ordinandogli di rimanere immobile e smettere di difendersi. Ma un rigurgito di determinazione sgorgò dal suo cuore. Si sentì libero dalle emozioni e dalla vulnerabilità della sua mente. Si scrollò di dosso i densi viluppi dell'incantesimo e sbatté con forza le scimitarre contro le armi nemiche concentrandosi ancora una volta sui movimenti dei due elfi che gli stavano davanti. Vierna sgranò gli occhi dalla meraviglia, mentre al suo fianco Jarlaxle abbozzava uno strano sorriso. «I tuoi poteri non hanno alcun effetto su di me,» urlò Drizzt. «Io nego la potenza della tua Regina Aracnide!» «Tu sarai immolato alla Dea!» urlò Vierna di rimando mentre un altro soldato entrava nella grotta. «Uccidilo!» gridò la sacerdotessa rivolta all'elfo. «Che il sacrificio si compia qui, subito. Non posso tollerare le parole blasfeme di questo reietto!» Drizzt combatté con maestria costringendo i due avversari più vicini a indietreggiare. Il terzo soldato non riuscì nemmeno ad avvicinarsi perché Thibbledorf sbucò da una galleria sulla destra urlando come un ossesso e avanzando con il capo chino. Trafisse il fianco dell'elfo sbigottito dilaniandogli le viscere.
Le gambe muscolose dell'armigero continuarono a muoversi veloci, incapaci di frenare la rincorsa, finché Thibbledorf non inciampò sul cadavere dell'elfo e ruzzolò rovinosamente ai piedi di Vierna che osservava la scena inorridita. L'elfo travolto continuava a dimenarsi disperato, e Drizzt capì che doveva accorrere in aiuto dell'amico che ora si trovava sotto il mortale tiro di Vierna e del mercenario. Roteò Lampo, deviò le spade dell'elfo più vicino, balzò di lato accompagnando il movimento del braccio verso il secondo avversario, quello che lo aveva colpito con la balestra e che ora era disarmato. Lo sventurato trasse un pugnale dal fodero appeso alla cintura e riuscì a bloccare la scimitarra, ma non prima che la sua lama gli sfregiasse una guancia. Con la coda dell'occhio Drizzt vide che Vierna stava brandendo la sua terribile frusta. Il volto della sacerdotessa si era trasformato in una maschera di rabbia, mentre il braccio si accaniva contro l'armigero disteso ai suoi piedi. Gli aspidi affondarono i loro denti nella fitta cotta del nano raggiungendo la carne. Thibbledorf estrasse la punta dell'elmo, investì il viso dell'elfo con un potente pugno borchiato e si voltò verso il suo nuovo nemico e la terribile arma. Un serpente gli sferzò la spalla, mentre altri due gli morsero il collo. Il nano si girò di scatto sollevando un braccio per proteggersi, ma sentì un bruciore insopportabile irradiarsi dalle ferite. Avvertì la potente pozione combattere il veleno che già cominciava a scorrergli nelle vene, ebbe un attimo di esitazione durante il quale si sentì quasi svenire. Vierna lo colpì ancora, con più accanimento, e tutti e cinque i serpenti si avventarono sul viso e le mani del nano. Thibbledorf sollevò il viso verso la sacerdotessa, la guardò per un lungo istante, mosse le labbra quasi volesse investirla con una sua imprecazione e si accasciò al suolo, paralizzato dal veleno. La sacerdotessa mosse un passo e rivolse lo sguardo a Drizzt. «Ora tutti i tuoi amici sventurati sono morti, fratello perduto,» ruggì avvampando in viso dall'odio. Ma la sacerdotessa si fermò quasi subito non appena si accorse della strana espressione che si era impossessata dei lineamenti del fratello. Ora tutti i tuoi amici sventurati sono morti! Quelle parole ebbero il potere di gelargli il sangue nelle vene e trasfor-
margli il cuore in un pezzo di piombo. Ora tutti i tuoi amici sventurati sono morti! Catti-brie, Wulfgar e Bruenor... Gli amici che Drizzt aveva più cari della sua stessa vita erano perduti per sempre, sopraffatti da un animo malvagio cui egli stesso non era riuscito a sottrarsi. Non si accorse nemmeno dei movimenti impercettibili della sacerdotessa, anche se sapeva che le scimitarre stavano descrivendo quasi per incanto un baluginio di archi e fendenti che non offriva alcuna possibilità all'avversario. Ora tutti i tuoi amici sventurati sono morti! Sentì nascere nel proprio cuore una forza indescrivibile. Era tornato a essere l'elfo sopravvissuto alle oscure malie del Mondo Tenebroso. Non era più un elfo guardaboschi, bensì il Guerriero che combatteva animato dal suo stesso istinto. Una spada si avvicinò da destra, ma la scimitarra di Drizzt la intercettò obbligandola ad appoggiarsi a terra. Il nemico non fu in grado di anticipare la piroetta fulminea di Drizzt e si vide costretto a indietreggiare di un passo. La scimitarra cadde pesantemente dall'alto recidendogli i muscoli della spalla. L'elfo urlò di dolore, ma strinse con forza la spada. Il suo disperato tentativo di difesa fu inutile, poiché la scimitarra di Drizzt invertì la sua corsa di morte e gli squarciò il petto. Drizzt passò la scimitarra nell'altra mano, sollevò il braccio con gesto fulmineo, la ripassò nell'altra in una sequenza di movimenti che il secondo soldato non poté seguire. Alcuni istanti più tardi la testa dello sventurato rotolò in un angolo buio della grotta. Nel frattempo l'altro braccio di Drizzt si muoveva veloce per parare gli attacchi dall'altro fianco. Vierna gemette. L'unico soldato rimasto urlò dalla disperazione e Drizzt lo avrebbe finito senza problemi se non fosse stato che Jarlaxle si stava avvicinando nel tentativo di sostituire l'elfo caduto. La danza di Drizzt si fece vertiginosa e disperata. I suoi movimenti erano perfetti, scanditi dal fragore metallico delle armi. Lampo si sollevò rapida e scostò un pugnale nemico. La minaccia venne sventata in un istante. Cinque pugnali caddero tintinnando a terra, percossi con violenza dall'arma di una creatura che non li aveva nemmeno visti avvicinare.
Jarlaxle indietreggiò sbalordito. Girò attorno all'elfo ridendo sguaiatamente, sorpreso dall'abilità inconsueta del suo avversario. Ma Drizzt non poté darsi tregua perché Vierna balzò in avanti invocando a gran voce la sua dea e brandendo una frusta che costituiva un pericolo più serio di qualsiasi altra arma nemica. *
*
*
Regis si fece piccolo contro la parete quando si accorse che alcune ombre si stavano muovendo a poca distanza. Il nanerottolo si lasciò sfuggire un lungo sospiro quando le vide allontanarsi e si trascinò verso l'apertura per osservare dove erano diretti. Ma i suoi occhi rossi tradirono la sua presenza. Un altro soldato si stava avvicinando e lui non se n'era nemmeno accorto. Regis si ritrasse cercando di soffocare un urlo. Afferrò una pietra con mano tremante e la portò davanti a sé pur essendo consapevole che si sarebbe dimostrata inutile. L'elfo si fermò a pochi passi e scrutò con attenzione il nanerottolo e la zona circostante. Fece un passo avanti e quando si accorse dello stato di Regis abbozzò un sorriso malevolo. «Sei ferito?» gli chiese in lingua franca. Regis impiegò un po' di tempo a comprendere quelle parole pronunciate con un pesante accento. Sollevò la mano stretta attorno alla pietra con fare minaccioso mentre l'elfo si avvicinava e si accovacciava davanti a lui. Scorse che in una mano stringeva una spada mentre nell'altra un affilato pugnale. «Vuoi colpirmi con il tuo sassolino?» gli chiese l'elfo ridendo sguaiatamente e allargando le braccia per offrirgli il petto. «Colpiscimi allora, nanerottolo. Divertimi prima che il mio pugnale affondi nella tua gola!» Regis si sentì attraversare il corpo da un violento tremore. Ondeggiò il sasso sotto al naso dell'elfo, ma fu l'altra mano a protendersi fulminea in avanti assieme al pugnale che era riuscito a sottrarre ad Artemis Entreri. Le pietre preziose incastonate in quella preziosa lama brillarono di una luce strana, come se l'arma fosse impregnata di un arcano sortilegio, mentre la punta affondava nell'armatura dell'elfo e scompariva oltre la sua tenera pelle. Il nanerottolo rimase stupido dalla facilità con cui il pugnale aveva trafitto il corpo del nemico, quasi l'armatura fosse stata costruita con una per-
gamena sottile. Avvertì una scarica di energia passare dall'elsa al suo braccio. Ritrasse la mano inorridito. L'elfo stava cercando di reagire e lui non avrebbe potuto difendersi contro la furia inarrestabile delle terribili armi brandite da quella creatura. Ma l'elfo non si mosse. Sgranò gli occhi, il suo corpo venne scosso da una violenta convulsione e Regis rimase a osservare quel volto stravolto da un'espressione disperata. Il corpo del nanerottolo venne sferzato da un'energia misteriosa. Regis udì le armi dell'elfo cadere a terra e quel tintinnio gli ricordò una storia che suo padre era solito raccontargli. Cercò di immaginare la sensazione che provava un vampiro, creatura della notte, nel momento in cui beveva il sangue delle sue vittime, e in quell'istante si sentì invadere da un tepore quasi perverso. Chinò il capo e vide che le sue ferite si stavano rimarginando. L'elfo si accasciò a terra, privo di vita. Regis osservò a lungo il pugnale magico e non poté fare a meno di rabbrividire al ricordo di quante volte aveva rischiato di venire infilzato da quella punta malefica. *
*
*
I due elfi scivolarono silenziosi lungo le tortuose gallerie che li avrebbero ricondotti da Vierna e Jarlaxle, più che mai sicuri che avrebbero distanziato il nano inferocito. Non potevano sapere che Thibbledorf aveva imboccato un'altra direzione e stava raggiungendo Vierna proprio in quell'istante. Tantomeno potevano sapere che un altro nano si stava aggirando in quella zona... Un nano dalla barba rossa e dagli occhi offuscati dalle lacrime nel cui cuore covava un violento desiderio di vendetta. Gli elfi oltrepassarono una curva e si ritrovarono davanti a un nano corpulento che non appena li vide si scagliò contro di loro. I tre si gettarono l'uno sull'altro. Lo scudo di Bruenor colpì a destra e a manca mentre la sua ascia sventolava in una lugubre danza di morte. «Avete ucciso il mio ragazzo!» urlò il nano e nonostante i due elfi non riuscissero a capire quelle parole, intuirono dal tono di voce che la rabbia del loro avversario non prometteva nulla di buono. Uno dei due elfi riuscì a indietreggiare e a sfoderare la spada con la quale colpì di rimbalzo lo scudo ferendo la spalla del nano. Bruenor parve non accorgersi di nulla e continuò a combattere con di-
sperato valore. «Il mio ragazzo!» ripeté con voce rotta deviando con forza la spada dell'altro elfo. Il nemico non si dette per vinto e cercò di attaccarlo con la seconda spada, ma Bruenor accettò quei colpi senza battere ciglio aspettando il momento opportuno per ucciderlo. Abbassò veloce il braccio. L'elfo spiccò un salto, evitò la micidiale ascia del nano, ma Bruenor invertì il movimento e girò su se stesso. L'elfo cercò disperatamente di saltare ancora, ma quell'attimo di esitazione gli fu fatale. L'ascia lo colpì alla caviglia e lo scaraventò lontano. L'altro elfo accorse in aiuto dell'amico caduto nel tentativo di proteggerlo dall'infuriare dei colpi. La punta della spada nemica ferì il viso del nano sfregiandogli un occhio in quel movimento dirompente, ma Bruenor non sentì alcun dolore e continuò a lottare. «Il mio ragazzo!» ripeté ancora quasi in quelle parole cercasse forza e determinazione. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e lasciò cadere l'ascia contro la schiena dell'elfo che tentava di fuggire. Sollevò lo scudo, parò il colpo con cui il secondo avversario cercava di bloccarlo e lo finì selvaggiamente investendolo con l'ascia fino allo sfinimento. *
*
*
Le teste dei serpenti si dimenavano furiosamente assalendo Drizzt da più direzioni. Incitato dalla vista di Vierna che combatteva al suo fianco, l'elfo mise Drizzt alle strette usando con abilità la spada e il pugnale mosso dal desiderio di uccidere per guadagnarsi così la benevolenza della sacerdotessa e della malvagia Regina Aracnide. Drizzt si difese senza scomporsi, mosse le scimitarre in sincronia per parare e colpire riuscendo a tenere lontani entrambi gli avversari, ma soprattutto Vierna. Sapeva di essere in pericolo, ma fu quando scorse Jarlaxle avanzare fra Vierna e il soldato che cominciò a temere per la sua sorte. Si chiese come avrebbe potuto difendersi dai piccoli pugnali del mercenario quando la frusta di Vierna continuava a tenerlo impegnato. Ma la paura si trasformò in terrore quando si accorse che Jarlaxle gli aveva puntato contro non una spada, bensì una bacchetta. «Un vero peccato, Drizzt Do'Urden,» disse il mercenario. «Avrei dato
tutti i miei averi pur di avere un guerriero come te nel mio esercito.» Jarlaxle socchiuse gli occhi e cominciò a proferire una cantilena incomprensibile. Drizzt cercò di allontanarsi di lato, ma Vierna e l'altro soldato gli impedivano di muoversi. In quell'istante un'altra ombra nera sgusciò dal nulla alle spalle di Drizzt e dopo essersi appoggiata sulla sua spalla si proiettò in avanti, fra Vierna e il suo soldato. Guenhwyvar venne investita da una folgore magica. Il suo corpo ne assorbì l'energia prima di ricadere pesantemente sul mercenario immobilizzandolo a terra. Ma quell'arrivo inaspettato del felino non distrasse Drizzt, né Vierna che in preda a una furia cieca si girò verso il fratello. L'altro elfo si guardò dietro le spalle per osservare la natura di quell'animale incredibile, ma quando si voltò per raggiungere la sacerdotessa si ritrovò il cuore infilzato dalla lama scintillante di Lampo. *
*
*
Il bagliore era durato abbastanza a lungo da permettere a Catti-brie di seguire i movimenti di Guenhwyvar che si avvicinava al drappello di elfi. Scagliò un'altra freccia e seguì la scia argentea con lo sguardo per individuare l'esatta posizione del nemico. Sul suo volto si formò una smorfia mentre si rialzava e si avvicinava incoccando una freccia. I suoi pensieri erano dominati dal desiderio di vendicare la morte di Wulfgar. Nel suo cuore non albergava paura, né la sua mano tremò quando udì le balestre nemiche scattare. Due dardi avvelenati la colpirono, ma incurante del dolore scagliò il suo proiettile che uccise un elfo vicino. Prima che la scia luminosa svanisse, Catti-brie ne scoccò un'altra, il cui sibilo echeggiò a lungo nella galleria. Catti-brie continuò a camminare, consapevole del fatto che gli elfi non erano in grado di vederla mentre lei riusciva a scorgere i loro profili indistinti contro la luce dei suoi proiettili. All'improvviso sollevò l'arco sopra la testa e scagliò una freccia che si conficcò nella testa di un elfo che stava scendendo dall'alto. La violenza dell'urto fece volteggiare a lungo quel corpo privo di vita a mezz'aria. Catti-brie non vide la freccia che aveva appena scagliato perché solo allora si accorse del globo di tenebre con cui l'elfo l'aveva investita. Continuò a camminare imperterrita, uscì da quella sfera oscura, tese ancora la corda dell'arco e uccise un altro avversario.
Serrò i denti e intravide in lontananza gli occhi rossi degli ultimi due elfi che si stava avvicinando con passo minaccioso brandendo spade e pugnali. Incoccò una freccia e prese la mira aiutandosi con i loro occhi luminosi, ma proprio in quell'istante un'altra sfera di tenebre l'avvolse. Catti-brie si sentì paralizzata dal terrore. Cercò di vincere le proprie paure perché un attimo di distrazione avrebbe potuto dimostrarsi fatale. Ricordò la posizione in cui i due soldati si trovavano prima che scomparissero nel nulla, si girò lievemente e dopo aver teso la corda sparò un proiettile. Avvertì un fruscio sulla sinistra, si voltò di scatto, incoccò una seconda freccia e tirò. Le sue mani si mossero veloci fra la faretra e la corda, guidate dalla speranza di riuscire almeno a ferire i nemici e ritardare la loro avanzata. Si appiattì al suolo, tirò di lato, e quasi l'istinto le guidasse il polso, si distese supina e scagliò una freccia sopra la testa. Udì il sibilo del proiettile smorzarsi nel corpo di un elfo che si stava librando nell'aria e subito dopo il tonfo sordo della punta che si conficcava nella roccia. Una pioggia di pietrisco le investì il viso. Catti-brie si portò le mani agli occhi e rimase immobile a lungo, temendo che il soffitto della galleria le crollasse sulla testa o che un nano in agguato le balzasse addosso. *
*
*
Cercò di avvicinare la spada ai punti che riteneva più scoperti, ma l'ascia del nano non gli dette tregua. L'elfo scuro che fronteggiava Bruenor capì di essere spacciato. Invocò i suoi poteri magici e dalle sue dita partirono sottili filamenti di luce che circondarono il corpo tarchiato del nano rendendolo un bersaglio facile. Ma Bruenor non si scompose. L'elfo gli si avventò contro con un micidiale affondo che lo costrinse a indietreggiare, piroettò su se stesso e si lanciò in fuga sperando di fermarsi a pochi passi di distanza e da lì investire l'avversario con un globo di tenebre. Bruenor non si dette pena di inseguirlo. Ritrasse l'ascia, l'afferrò con entrambe le mani e chiamate a raccolta tutte le proprie forze la scagliò davanti a sé. «Il mio ragazzo!» gridò con voce rotta dalla rabbia. L'ascia vorticò veloce nell'aria accompagnata nel suo viaggio di morte dal disperato dolore di un padre che ha appena perduto il figlio. L'arma di Bruenor non sarebbe mai ritornata fra le sue mani come avrebbe fatto Aegis-fang con Wulfgar, pensò il nano, ma nonostante ciò la vide colpire il fianco del nemico.
La violenza dell'impatto scaraventò l'elfo a terra. Lo sventurato cercò di rimettersi in piedi sgambettando veloce per raggiungere la spada che gli era sfuggita di mano, ma quando la sua mano sfiorò l'elsa dell'arma caduta un pesante stivale gli si appoggiò sul polso. Lo sguardo di Bruenor indugiò a lungo sulla vittima e sulla sua arma grondante di sangue. «Ormai sei morto,» disse con voce glaciale ritraendo l'arma per dargli il colpo di grazia. Quelle parole raggiunsero l'elfo come se provenissero da molto lontano. La sua mente vacillò e i pensieri fluirono lenti assieme al sangue che sgorgava copioso dalle mortali ferite. *
*
*
Vierna rimase impassibile quando vide un suo soldato cadere sotto i colpi nemici, quasi incurante l'improvviso evolversi degli eventi. Drizzt si sentì invadere da un profondo senso di disgusto al vedere il volto della sorella imprigionato nella maschera di un odio senza limiti e ritegno, alimentato dalla Regina Aracnide. Cercò tuttavia di ricacciare quei pensieri per non compromettere il lavoro della propria spada, animato da una sottile disperazione dopo aver scoperto che i suoi amici erano morti. Colpì ripetutamente quelle infide teste, ma inspiegabilmente non fu in grado di danneggiarle né di reciderle. Avvertì un bruciante morso al braccio e con gesto veloce mosse la scimitarra per decapitare l'aspide, ma quel movimento lasciò scoperto il fianco. Un secondo serpente gli morse la spalla mentre un terzo si tese per affondare i denti nella guancia. La sua stoccata colpì il rettile più vicino e investì in pieno l'altro. La frusta di Vierna aveva ancora tre serpenti, ma il veleno di quelle creature si stava insinuando nelle vene dell'elfo. Drizzt indietreggiò barcollando fino a raggiungere la parete. Si appoggiò e lentamente rivolse lo sguardo alla spalla dove vide inorridito la testa del serpente ancora attaccata ai suoi muscoli. Solo allora Drizzt si accorse di un bagliore argenteo familiare... Le frecce di Taulmaril, l'arco di Catti-brie, accompagnate dai guizzi corvini di Guenhwyvar! Anche la pantera era viva! Catti-brie stava combattendo non molto lontano e da un punto indistinto lungo la galleria, leggermente sulla destra, Drizzt udì l'inconfondibile litania di imprecazioni di Bruenor Martello di guerra.
«Il mio ragazzo!» «E tu avevi detto che erano morti,» disse Drizzt rivolto a Vierna irrigidendo la schiena contro la parete. «Non ha importanza!» urlò Vierna il cui volto tradiva una profonda meraviglia. «Sei tu che mi interessi. Tu e la gloria che la tua morte mi arrecherà!» esclamò lanciandosi contro il fratello ferito preceduta dai tre mortali serpenti. Drizzt aveva ritrovato la forza, quasi che la vicinanza degli amici gli infondesse una nuova speranza e l'irresistibile desiderio di vincere per loro. Non sollevò le scimitarre, né cercò di difendersi. Lasciò che gli aspidi infierissero su di lui. Venne morso due volte, ma all'improvviso Lampo tagliò in due la testa di un serpente che continuò a dimenarsi a lungo inutilmente. Drizzt appoggiò un piede contro la parete, si gettò in avanti costringendo Vierna a indietreggiare. Mosse le armi con gesti fulminei mirando alla frusta e fingendo di non vedere i punti deboli della difesa della sorella. Un'altra testa cadde al suolo. Vierna continuò a sferzare l'aria davanti a sé con la sua frusta ormai decimata, ma la lama di una scimitarra le ferì il braccio. La frusta ruzzolò a terra e l'ultimo serpente smise di divincolarsi non appena il manico dell'arma magica abbandonò le esili dita della sacerdotessa. Vierna urlò e inveì contro Drizzt mentre le sue mani annaspavano nell'aria. Drizzt non si mosse perché aveva appoggiato la punta di Lampo a un paio di dita dal petto indifeso della sorella. Le mani di Vierna si mossero veloce e si appoggiarono sul manico di due mazze decorate con intricate rune e fitte ragnatele. Drizzt intuiva il potere devastante di quelle armi. Vierna l'avrebbe ucciso se fosse riuscita a impossessarsene. «Non farlo,» le disse indicando le mazze con un cenno del capo. «Noi due abbiamo imparato a usarle per merito di Zaknafein,» disse Vierna e Drizzt ebbe un sussulto al ricordo del padre. «Temi forse di scoprire chi è il migliore?» «Siamo entrambi figli di Zaknafein,» ribatté Drizzt allontanando la mano di Vierna con il piatto della lama di Lampo che aveva cominciato a emanare una luce sfolgorante. «Smettila e cerca di non disonorare la sua memoria. Esistono altri modi che tu purtroppo non conosci.» La risata di Vierna echeggiò a lungo nell'aria.
«Non farlo!» esclamò Drizzt con forza mentre la mano di Vierna si avvicinava sempre più a una mazza. La sacerdotessa strinse la mano attorno all'impugnatura, ma Lampo affondò la sua punta nel petto, le trafisse il cuore e fuoriuscì insanguinata dalla schiena. Drizzt si spostò di lato e allungato un braccio le cinse le spalle, quasi volesse sorreggerla. I due fratelli si guardarono a lungo. Le ginocchia di Vierna cedettero e lentamente si accasciò al suolo. Sul suo volto l'ossessionata rabbia che le aveva finora stravolto i lineamenti venne sostituita da una profonda serenità. «Mi dispiace,» mormorò Drizzt. Vierna scosse il capo, quasi volesse rifiutare le sue scuse. Agli occhi di Drizzt parve che l'eredità del sangue di Zaknafein Do'Urden che scorreva nelle vene della sorella quasi approvasse quella fine. E lentamente gli occhi di Vierna si chiusero per sempre. Capitolo 24 Ritorno Ben fatto.» Le parole raggiunsero le orecchie di Drizzt inaspettate e gli fecero capire che se anche Vierna era morta, la battaglia non poteva ancora dirsi vinta. Balzò di lato e portò le scimitarre davanti a sé. Rimase immobile a osservare Jarlaxle che se ne stava seduto con le spalle appoggiate alla parete della grotta con una gamba inclinata in modo pauroso. «La pantera,» spiegò il mercenario parlando in lingua franca. «Pensavo che volesse uccidermi, mentre invece mi ha solo immobilizzato,» aggiunse stringendosi nelle spalle. «Forse il mio incantesimo l'ha indebolita.» Quelle parole ricordarono a Drizzt che Jarlaxle possedeva ancora la bacchetta e poteva essere molto pericoloso. Fletté le ginocchia e si preparò a un eventuale attacco. Il viso di Jarlaxle venne stravolto da una smorfia di dolore mentre protendeva una mano vuota per tranquillizzare l'elfo. «La bacchetta non c'è più,» disse. «Non l'avrei mai usata se fossi riuscito a neutralizzarti, proprio come hai fatto tu con me.» «Tu volevi uccidermi,» disse Drizzt con espressione imperturbabile. Il mercenario scrollò le spalle e sorrise. «Vierna avrebbe ucciso me se
avesse vinto e se io non fossi accorso in suo aiuto,» spiegò Jarlaxle. «E per un istante ho creduto che ci riuscisse.» «Lloth ti ricompenserebbe comunque per la mia morte,» osservò Drizzt dopo un lungo silenzio. «Non sono uno schiavo della Regina Aracnide,» ribatté Jarlaxle. «Io sono solo un opportunista.» «È forse una minaccia?» Il mercenario scoppiò in una fragorosa risata, ma zittì subito perché il dolore alla gamba fratturata si era fatto insopportabile. Proprio in quell'istante Bruenor si precipitò nella grotta entrando da un cunicolo laterale. Lanciò un'occhiata a Drizzt e subito dopo si accorse di Jarlaxle e il suo viso venne stravolto da un lampo di rabbia. «Calma!» urlò Drizzt quando si accorse che il nano si stava precipitando contro il mercenario indifeso. Bruenor si fermò con una lunga scivolata e scoccò un'occhiata di fuoco a Drizzt, resa ancora più cupa dall'occhio sanguinante. «Non abbiamo bisogno di prigionieri che rallentino il nostro ritorno,» grugnì il nano. Drizzt soppesò a lungo le parole di Bruenor, ma all'improvviso si accorse che mancava qualcuno all'appello. «Dove sono gli altri?» chiese. «Sono qui,» rispose Catti-brie entrando da un'apertura alle spalle dell'elfo. Drizzt si voltò e il suo sguardo si posò sul viso stanco e sporco della donna. «E Wulfgar...» mormorò l'elfo, ma Catti-brie scosse lentamente il capo, quasi non sopportasse di udire quel nome. La donna si avvicinò a Drizzt e gli appoggiò una mano sulla spalla. L'elfo socchiuse gli occhi ed ebbe appena il tempo di vedere un piccolo dardo sporgere dalla sua spalla. Drizzt le accarezzò il viso, afferrò con mano ferma il dardo e lo estrasse con gesto deciso mentre con l'altra la sorreggeva. «Spero di non aver ferito la pantera,» si intromise Jarlaxle. «È una bestia davvero magnifica!» Drizzt si voltò di scatto e gli lanciò un'occhiata infuriata. «Ti sta istigando,» disse Bruenor accarezzando il manico della sua mazza. «Sta implorando la tua pietà senza intenzione di farlo.» Drizzt rimase a lungo soprappensiero. Conosceva gli orrori di Menzoberranzan, la strada che un elfo scuro doveva percorrere e i compromessi che doveva accettare per sopravvivere e sottrarsi a quel gioco di crudeltà. Anche Zaknafein, il padre che lui aveva teneramente amato, era stato uno spietato assassino al servizio di Matrona Malice solo per sopravvivere.
Forse anche il mercenario era animato da un pragmatismo simile? Drizzt si sforzò di credere che fosse vero. Il suo sguardo si posò su Vierna morta ai suoi piedi e considerò il fatto che la sua famiglia e i suoi legami con quel mondo ormai non esistevano più. «Se non uccidi quel cane, lo faremo noi,» tuonò Bruenor spazientito. «Tu cosa faresti, Drizzt Do'Urden?» gli chiese Jarlaxle con voce pacata. Drizzt lo guardò ancora. Il mercenario non assomigliava affatto a Zaknafein, si disse, poiché ricordava che suo padre si era infuriato non poco quando aveva scoperto che si mormorava sul fatto che Drizzt aveva ucciso alcuni elfi di superficie. La sostanziale differenza fra suo padre e Jarlaxle era che Zaknafein uccideva solo coloro che meritavano la morte, solo i servitori di Lloth... Suo padre non avrebbe mai aiutato Vierna in quell'assurda caccia. La rabbia che sgorgò all'improvviso dal suo cuore lo gettò contro il mercenario. Cercò di ricacciare quell'impulso ripensando al pesante fardello di malvagità che gravava sulle spalle di quei pochi elfi scuri che non condividevano le usanze di Menzoberranzan. Zaknafein aveva più volte ammesso con suo figlio di aver rischiato di perdere se stesso nel groviglio feroce del culto di Lloth. Come poteva arrogarsi il diritto di giudicare quell'elfo, si disse infilando le scimitarre nel fodero. «Ha ucciso il mio ragazzo!» tuonò Bruenor sconvolto dalla reazione di Drizzt. Drizzt si limitò a scuotere il capo. «La pietà è una cosa molto curiosa, Drizzt Do'Urden,» osservò Jarlaxle. «È forse simbolo di forza o di debolezza?» «Forza,» mormorò Drizzt con aria risoluta. «Può salvarti l'anima,» aggiunse Jarlaxle, «o dannare il tuo corpo.» Portò una mano alla larga falda del copricapo e con un gesto fulmineo scoprì il braccio da sotto il mantello. Qualcosa colpì il suolo davanti al mercenario con una fragorosa esplosione e in un istante la grotta si riempì di un denso fumo. «Maledetto!» sibilò Catti-brie imbracciando l'arco e scoccando una freccia dopo l'altra in quella nebbia. Bruenor si precipitò in avanti brandendo selvaggiamente l'ascia, ma dopo un attimo di esitazione si fermò. Jarlaxle era scomparso. Quando Bruenor ritornò sui suoi passi, trovò Drizzt e Catti-brie accanto a Thibbledorf accasciato a terra. «È morto?» chiese il nano.
Drizzt si chinò sull'armigero ed esaminò le ferite. «No,» disse. «La frusta di Vierna non uccide, serve solo a paralizzare il nemico.» L'armigero si mosse lentamente e dopo aver socchiuso un occhio mormorò: «Per gli dèi, se fa male.» Ben presto Thibbledorf si riebbe, ma quando cercò di rialzarsi le gambe cedettero più volte nonostante Drizzt si fosse offerto di sorreggerlo. Nella galleria principale ritrovarono i cadaveri di cinque elfi scuri, uno dei quali era ancora sospeso a mezz'aria. «Regis,» mormorò Drizzt battendosi una mano contro la fronte e precipitandosi verso il nascondiglio del nanerottolo. Lo ritrovò seduto, tremante di paura, con le dita di una mano strette attorno a un magnifico pugnale. Il cadavere di un elfo gli impediva di muoversi. «Vieni, amico,» disse Drizzt sospirando di sollievo. «È ora di tornare a casa.» *
*
*
I cinque compagni percorsero con passo lento gli innumerevoli cunicoli e le ampie gallerie che li riportavano a casa, l'uno appoggiato contro la spalla dell'altro. Di tanto in tanto Drizzt lanciava occhiate fugaci al gruppo, soffermando lo sguardo su Bruenor e sul suo occhio tumefatto, oppure su Thibbledorf che avanzava caracollando. L'elfo avvertì il dolore alla caviglia ferita non appena l'emozione e la fatica della battaglia si dileguarono. Ma non era tanto il dolore fisico che lo martoriava, quando la violenza con cui la notizia della perdita di Wulfgar lo aveva investito. Una profonda tristezza serpeggiava fra gli amici. Sarebbe mai stata capace Catti-brie di vincere le cupe emozioni che si agitavano nel suo animo e riuscire ancora una volta a combattere con la fierezza d'un tempo? E Bruenor, così mal ridotto che forse non sarebbe mai riuscito a raggiungere Mithril Hall sulle sue gambe, li avrebbe condotti in un'altra battaglia? Rimase immerso in quel marasma di pensieri a lungo e quando si accorse che il generale Dagna si stava avvicinando a capo di un intero esercito di nani si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo. Anche Bruenor se ne accorse e proprio in quell'istante si lasciò cadere a terra, quasi il dolore avesse avuto la meglio sulla sua indomita volontà. I nani accorsero a sorreggerlo e con ogni premura lo adagiarono sulla sella
di un cane da guerra. Anche l'armigero accettò controvoglia un destriero mentre Drizzt e Catti-brie si allontanarono in silenzio. Accompagnati da tre soldati fra i quali c'era anche il generale Dagna, la giovane donna condusse Drizzt nella grotta in cui Wulfgar era andato incontro al proprio destino. Non appena si fermarono davanti al cumulo di pietre e terriccio, Drizzt non ebbe più dubbi. Il suo amico se n'era andato per sempre. Catti-brie raccontò i particolari della battaglia e dovette fermarsi più volte perché il dolore le incrinava la voce. Dopo un lungo silenzio Catti-brie rivolse gli occhi umidi di lacrime su quell'insolito tumulo funebre. «Addio,» mormorò dirigendosi verso l'uscita. Drizzt si soffermò qualche istante ancora con lo sguardo fisso davanti a sé. Stentava a credere che il possente Wulfgar giacesse là sotto. Tutto gli parve incredibile e irreale. Ma era vero, e lui non poteva fare nulla. Violenti rimorsi gli attanagliarono il cuore. A stento ricacciò il pensiero che era stato lui la causa di tutto, dall'inseguimento di Vierna alla morte del suo più caro amico. Era giunto il momento di dirgli addio per sempre. Avrebbe voluto trovarsi al fianco di Wulfgar per confortarlo e guidarlo in quel misterioso viaggio. «Addio, amico mio,» sussurrò mentre una lacrima gli rigava la guancia. «Questo viaggio dovrai intraprenderlo da solo.» *
*
*
L'arrivo a Mithril Hall non fu occasione di festeggiamenti e celebrazioni da parte degli amici esausti e feriti. Non potevano dichiararsi vincitori alla luce di quanto era accaduto nei cunicoli inferiori. Ciascuno di loro provava sentimenti diversi per la morte dell'amico, poiché Wulfgar era stato un figlio per Bruenor, un futuro marito per Catti-brie, un caro compagno per Drizzt e un mentore per Regis. Tutti e quattro erano gravemente feriti, ma la situazione di Bruenor era la peggiore di tutti. Il nano aveva perduto un occhio e avrebbe dovuto imparare a convivere per il resto dei suoi giorni con una cicatrice bluastra che partiva dalla fronte e scompariva sotto la mascella. Ma il dolore fisico non era nulla al confronto dello strazio che il re provava nel suo cuore.
Più volte nei giorni seguenti Bruenor si sorprese a pensare che avrebbe dovuto chiamare Cobble per sistemare gli ultimi preparativi per la grande cerimonia, ma con rammarico ricordava che il chierico non era più e che non ci sarebbero mai state le tanto desiderate nozze con l'arrivo della primavera. Drizzt intuiva quei pensieri nelle rughe del viso dell'amico e per la prima volta dopo tanti anni di amicizia, gli parve che il nano fosse diventato improvvisamente vecchio e stanco. L'elfo provava una stretta al cuore ogni volta che lo vedeva, ma soffriva ancora di più quando incontrava Cattibrie. Era sempre stata piena di vita e con un magnifico sorriso impresso sulle labbra. Ora, invece, sembrava che qualcosa si fosse irrimediabilmente rotto nel suo mondo. Gli amici conducevano una vita ritirata e lasciavano che le ore scorressero lentamente. Drizzt, Bruenor e Catti-brie si incontravano di rado, e nessuno dei tre vide più Regis. Nessuno, infatti, si era accorto che il nanerottolo se n'era andato da Mithril Hall, aveva imboccato la porta occidentale e si era diretto verso la Valle del Guardiano. Regis uscì in prossimità di uno sperone di roccia, a una cinquantina di passi di altezza dal fondo frastagliato di una lunga e stretta vallata. Si avvicinò a una figura che dondolava da uno spuntone appesa a brandelli di uno strano mantello. Il nanerottolo scostò quei lembi consunti mentre si appiattiva contro la pietra per difendersi dalle impietose raffiche di vento. Con suo enorme stupore l'uomo si mosse. «Sei ancora vivo?» sussurrò il nanerottolo inarcando un sopracciglio. Il corpo di Entreri maciullato e ferito penzolava da quella roccia da un'intera giornata. «Ancora vivo, eh?» Regis si mosse con estrema cautela, sfoderò il pugnale incastonato di pietre preziose e tagliò parte della cucitura del mantello che teneva ancorato quel corpo alla roccia. Un solo movimento inconsulto e l'assassino sarebbe precipitato nel fondovalle. Entreri girò lievemente la testa ed emise un flebile lamento quasi stesse cercando di dire qualcosa. «Tu hai ancora qualcosa che mi appartiene,» gli disse Regis. L'assassino cercò di voltarsi verso il nanerottolo, e Regis dovette scostare lo sguardo dal disgusto. Gli zigomi erano fracassati, la pelle sollevata dal viso e le palpebre rigonfie nascondevano occhi che non potevano vedere.
«Il pendente di rubino,» disse Regis con forza puntando lo sguardo sul ciondolo che dondolava nel vuoto. Entreri parve comprendere quelle parole perché la sua mano si mosse verso il prezioso monile, ma dopo un vano tentativo di afferrarlo ciondolò nel vuoto. Regis scosse il capo e afferrò il suo bordone. Continuando a tenere il pugnale accanto alla cucitura del mantello si allontanò di un passo e pungolò l'assassino con la punta del bastone. Ma l'assassino non reagì. Regis lo pungolò ancora, con più forza, finché fu sicuro dell'assoluta impotenza del suo rivale. Regis abbozzò un ampio sorriso e dopo aver infilato la punta del bastone nella catenina sfilò il pendente dal collo di Entreri. «Come ti senti?» gli chiese il nanerottolo lasciando cadere il prezioso rubino nella bisaccia. Riprese il bastone che aveva appoggiato alla roccia e lo usò per colpire la nuca di Entreri. «Come ci si sente a essere impotenti, prigionieri e in balìa del destino? Quante creature si sono trovate nelle tue stesse condizioni prima di te per causa tua?» disse Regis pungolandolo ancora. «Cento?» Lo stava per colpire ancora quando scorse un altro oggetto di inestimabile valore appeso alla cintura dell'assassino. Il recupero fu molto più difficile, ma Regis era un ladro e la sua bravura non aveva ostacoli. Annodò una fune di seta attorno allo sperone di roccia, scese lentamente e appoggiò un piede sulla schiena di Entreri. La maschera magica fu sua. Per precauzione il nanerottolo rovistò nelle tasche dell'assassino e trovò una piccola bisaccia e alcune pietre preziose. Entreri gemette e cercò di girarsi. Impaurito da quel movimento inaspettato, Regis risalì in un batter d'occhio impugnando il pugnale ancora appoggiato sotto alla cucitura del mantello. «Potrei dimostrarmi misericordioso,» disse osservando gli avvoltoi che volteggiavano nel cielo e che gli avevano permesso di ritrovare quanto cercava. «Potrei accompagnare qui Bruenor e Drizzt e fare in modo che pongano fine alle tue sofferenze. Forse muori dalla voglia di svelare loro informazioni importanti.» Il ricordo delle torture subite per mano di Entreri riaffiorò nella sua mente non appena il suo sguardo si posò sulla mano in cui mancavano due dita... Due dita amputate proprio dallo stesso pugnale che stringeva. La sorte era davvero burlona, pensò Regis in cuor suo.
«No,» disse con forza. «Non mi sento particolarmente misericordioso oggi,» aggiunse sollevando lo sguardo al cielo. «Dovrei lasciarti qui a penzolare e a farti mangiare dagli avvoltoi.» Entreri non reagì e Regis scosse il capo. Non poteva comportarsi con la stessa crudeltà che l'assassino aveva usato con lui. «Le ali incantate ti hanno salvato la vita quando Drizzt ti ha fatto cadere nel burrone,» disse. «Ma le ali non esistono più, ora!» Regis piegò il polso, tagliò gran parte della cucitura e lasciò che il tempo e il peso del corpo dell'assassino completassero l'opera. Entreri dondolava ancora nel vuoto quando Regis raggiunse una cengia lontana, ma il mantello aveva cominciato a lacerarsi. Artemis Entreri, il crudele assassino, non aveva più carte da giocare. Epilogo
Drizzt Do'Urden se ne stava seduto nella sua stanza mentre i pensieri turbinavano nella sua mente. I ricordi di Wulfgar riaffiorarono alla memoria, ma non erano le immagini tristi del semplice sepolcro di pietra sotto il quale il giovane barbaro giaceva. L'elfo ricordò le numerose avventure emozionanti e spericolate che insieme avevano compiuto. Forte della sua fede, Drizzt ripose il ricordo di Wulfgar nello stesso angolo del cuore in cui riposava Zaknafein suo padre. Non poteva negare a se stesso di provare
una forte nostalgia per la perdita dell'amico, ma quanto il coraggioso e indomito barbaro aveva lasciato in lui addolciva quella tristezza e mitigava l'amarezza che lo pungolava ogni volta che avrebbe desiderato averlo al suo fianco. Era sicuro che anche Catti-brie se ne sarebbe fatta una ragione. Era giovane e forte, e nel suo animo albergava una brama di avventura forte quanto quella di Drizzt e quella che aveva animato il polso di Wulfgar. Fra le lacrime Catti-brie avrebbe imparato a sorridere ancora. Drizzt provava un unico vero timore. L'atteggiamento di Bruenor negli ultimi tempi tradiva la sua ritrosia a guardare con occhi fiduciosi al futuro. Ma il nano aveva superato numerose vicissitudini nel corso della sua lunga e movimentata vita, e ben presto la sua natura stoica lo avrebbe portato ad accettare la morte prematura di un figlio nel fiore degli anni. Ma fu quando le sue meditazioni si concentrarono su Regis che l'elfo soppesò con attenzione le molteplici sfaccettature di quanto era accaduto. Entreri, l'assassino malvagio che aveva causato dolore a molti, non era più. Le genti ai quattro angoli di Faerun avrebbero gioito all'apprendere questa notizia? E il Casato dei Do'Urden, l'ultimo vincolo di Drizzt con il Mondo Tenebroso, non esisteva più. Era riuscito finalmente a sottrarsi al potere di Menzoberranzan? Bruenor, Catti-brie, tutti i nani di Mithril Hall e lui stesso avrebbero potuto riposare tranquillamente, ora che la minaccia degli elfi scuri era stata definitivamente annullata? In cuor suo sperò che tutto fosse finito. Riconsiderando la battaglia in cui Wulfgar era perito, ripensò allo yochol, fedele e umile servo di Lloth. Se l'inseguimento al fratello reietto era stato ispirato solo dalla disperazione di Vierna, cosa o chi aveva invocato l'aiuto di una creatura così potente? Quel pensiero indugiò a lungo nella mente di Drizzt. E mentre se ne stava seduto immerso in quei pensieri, l'elfo non poté fare a meno di chiedersi se la minaccia degli elfi scuri poteva dirsi superata una volta per tutte e se poteva finalmente dimenticare la città che si era lasciato alle spalle. *
*
*
«Gli emissari di Settlestone sono arrivati,» disse Catti-brie a Bruenor mentre entrava nella stanza del nano senza nemmeno bussare. «Non mi interessa un bel niente,» sbuffò il re. Catti-brie gli si avvicinò e dopo avergli appoggiato le mani sulle spalle
lo obbligò gentilmente a voltarsi e a guardarla negli occhi. In quell'istante che sembrò dilatarsi in eterno, padre e figlia condivisero tutto il dolore di cui i loro cuori erano capaci e la consapevolezza che se non continuavano a vivere, la morte di Wulfgar sarebbe stata inutile. Cosa valeva la morte se la vita non veniva vissuta, sembrò che dicessero i loro occhi. Bruenor afferrò i fianchi della figlia e l'attirò a sé per abbracciarla con trasporto. Catti-brie lo allontanò delicatamente e mentre due lacrime le rigavano le guance abbozzò un sorriso. Nonostante avvertisse la tristezza del padre che singhiozzava sconsolato, era sicura che anche lui presto avrebbe trovato la pace. Nonostante il dolore, Bruenor rimaneva l'ottavo re di Mithril Hall, e nonostante le gioie, le avventure e la tristezza che aveva conosciuto Catti-brie aveva appena compiuto il suo ventesimo compleanno. E rimanevano ancora molte cose da fare. FINE