La porta e l’arco di Castelnuovo a Napoli
Rosanna Di Battista
Per la Corona d’Aragona la conquista dell’Italia meridio...
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La porta e l’arco di Castelnuovo a Napoli
Rosanna Di Battista
Per la Corona d’Aragona la conquista dell’Italia meridionale segna uno stravolgimento per l’assetto del Regno1. Dopo lunghissimi anni di guerra Alfonso V nel 1442, una volta sconfitto il rivale Renato d’Angiò2, decise di trasferire la sede della corte da Barcellona a Napoli. Il Magnanimo, assunto il titolo di Alfonso I Rex utriusque Siciliae, il 26 febbraio del 1443 faceva il suo ingresso trionfale nella città partenopea. Sito rappresentativo di tutta la città divenne Castelnuovo (ill. 1) prescelto dal sovrano come sua residenza. L’impianto della fortezza, creato nel 1279 – ex fundamentis – da Carlo d’Angiò a ridosso dell’area portuale, venne ristrutturato a partire dal 25 marzo del 14433. Al tempo di Carlo I d’Angiò l’entrata principale del Castrum Novum si trovava sulla cortina settentrionale e solo nel periodo aragonese fu spostata in quella occidentale (visibile nella parte inferiore della planimetria). Dai Registri angioini risulta che nel 1283 “in balio ipsius castri iuxta pontem predictum ex parte Neapolis usque de novo construi, et a turri que est iuxta portam castri ipsius ex parte Neapolis usque ad murum dicti balij”4, pertanto la Porta medievale di Castelnuovo si apriva verso la città, e non in direzione della Collina di S. Martino. Essa era 1. Planimetria di Castelnuovo (rilievo di Avena del 1902). 2. Immagine del vestibolo d’ingresso a Castelnuovo (da R. Filangeri, Castelnuovo reggia angioina ed aragonese, Napoli 1934). 3. Volta del vestibolo (da Filangeri Castelnuovo reggia..., cit.).
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4. Galleria ad archetti presente sulla cortina occidentale e meridionale (da R. Pane Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Milano 1973).
fiancheggiata da torri e collegata, per mezzo di un ponte levatoio, ad una seconda porta aperta nel recinto perimetrale, chiamato balium. La Porta angioina, se da un lato consentiva un collegamento più diretto con il porto, dall’altro costituiva un punto vulnerabile nella struttura difensiva, come aveva potuto constatare nel 1441 la flotta aragonese durante gli attacchi sferrati contro Renato d’Angiò, asserragliatosi in Castelnuovo. Terminata la guerra “la gram parte de la terra inverso castel novo” era “disfatta”5 e Alfonso I dopo aver munito il porto di un nuovo molo e dell’Arsenale – grazie all’opera di Onofrio di Giordano della Cava6 – iniziò a rafforzare il perimetro murario della fortezza. Nel 1446 veniva realizzata la copertura sul nuovo portale di accesso al castello, secondo quanto testimoniava una Cedola della Tesoreria Aragonese trascritta da Riccardo Filangeri. Nel settembre di quell’anno infatti gli scalpellini, o per meglio dire i “pedra piquers” Bartolomeu Prats e Bartolomeu Villasclar, originari di Maiorca, ricevevano dieci ducati “per abeuratge dela volta que han feta sobre lo portal del Castell nou”7. La volta fatta sopra il portale di Castelnuovo dovrebbe essere quella di accesso al vestibolo, impostata su pianta quadrata e coperta da una crociera costolonata, ancora oggi visibile dopo aver attraversato l’Arco trionfale (ill. 2). Su ognuno dei quattro peducci angolari poggiano tre costoloni che incrociandosi fra di loro disegnano una stella a quattro punte, secondo un motivo diffuso in area catalana8. Il centro della volta appare marcato – oltre che dai costoloni impostati sulle diagonali – da altre quattro nervature, fra loro perpendicolari, concluse all’estremità da altrettante chiavi su cui sono scolpite le imprese del re: il miglio, il nodo, la sedia ardente e il libro aperto (ill. 3). Gli emblemi per-
sonali di Alfonso I sono disposti in maniera tale da circondare la chiave di volta centrale, su cui campeggia lo stemma aragonese e tali da formare, congiunti con i peducci, i vertici della stella. Il vestibolo d’ingresso al castello alfonsino si trova nuovamente nominato il 14 gennaio 1451 nel “Memorial fet per la magestat del senyor Rey an Antoni Sagrera d.a la obra del Castellnou”, con il quale si ordinava il trasporto di pietra da Maiorca a Napoli. Antoni Sagrera, figlio di Guillerm “protomagister” della fabbrica di Castelnuovo, veniva inviato nell’isola nativa per scegliere il materiale lapideo da impiegare nella costruzione9. Fra le voci dell’ordinativo sono indicate le dimensioni di un blocco o, per meglio dire, di una “peça que a servir per lo tabernacle de la figura de la Justicia qui sia davant la gran volta de la entrade del ditt Castell, ha da aver de lonch VI palms e de ample V palms e mig e dealt IIII palms”10. Sembrerebbe quindi che dinanzi alla gran volta posta all’entrata del Castello si prevedesse di collocare un tabernacolo contenente una statua della Giustizia. La situazione di tutto il castello e, in particolare di questa zona, viene definita con maggiore dettaglio nel contratto sottoscritto dal re e dai quattro maestri di Cava dei Tirreni – Onofrio di Giordano, Coluccio di Stasio, Carlo e Pretello de Marino – il 19 aprile del 1451. Sulla base di un preciso capitolato i detti maestri si impegnavano, per la cifra di 41.000 ducati, a lasciare inalterata la facciata rivolta verso il mare ed a rifare le cortine settentrionale, occidentale e meridionale con le relative torri: ossia quella del Beverello a nord-est, quella di S. Giorgio a nord-ovest, nonché la torre di Mezzo e la torre di Guardia a sud-ovest11. I vertici della fortezza ed il portale d’ingresso venivano così marcati dalle torri cilindriche in pi-
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5. La Torre di Mezzo e la Torre di Guardia. 6. I basamenti delle torri in una miniatura del codice De Majestate custodito nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
perno, da completarsi sul modello della già eseguita torre dell’Oro. La pietra scura di Pozzuoli, detta per la particolare colorazione piperno, avrebbe dovuto essere impiegata anche per concludere superiormente le nuove cortine in tufo, nelle quali si prevedeva di realizzare una galleria ad archetti. Questo “corretore coperto” doveva rigirare su tre lati del perimetro anche se Riccardo Filangeri, nei lavori di restauro del 1926, ne trovò traccia solo sulla cortina meridionale ed occidentale (ill. 4), dove ripristinò l’originaria disposizione12. Nel contratto del 1451 – indicato come staglio maggiore – si fa riferimento alla Porta del castello dinanzi alla quale bisognava eseguire un ponte di collegamento fra il muro di controscarpa del fossato e la Porta stessa13. Ai maestri di Cava veniva inoltre chiesto di “fornire le tre torre zoe la torre de sancto Giorgio e le doy torri de nante la porta delo castello tucte de fora invasolate de piperno”14. Per le “copate” delle torri inoltre Onofrio di Giordano, Coluccio di Stasio, Carlo e Pretello de Marino si dichiaravano disponibili ad eseguire i disegni messi a punto dalla Regia corte purché non vi fossero “tanti bastuni, come ave fatto mastro Guillermo alla torre di Sancto Giorgio”15 e infatti, rispetto alle scanalature realizzate da Guillermo Sagrera nella torre nord-ovest, i due basamenti della torre di Guardia e della torre di Mezzo vennero rivestiti con una sorta di bugnato a punta di diamante (ill. 5, 6). Le decorazioni marmoree furono invece espressamente escluse in quanto “li dicti maestri non volevano essere tenuti a laborare marmore
in figure e fuglyagi”16 e inevitabilmente, la Regia Corte doveva farsi carico di affidare a degli scalpellini il completamento di tali opere. In base a quanto le maestranze di Cava e il sovrano avevano pattuito appare evidente che, a partire dal 1451, la mole dell’intera fabbrica iniziava ad assumere una configurazione ben precisa, come anche la struttura dell’ingresso formata dalle due torri e dalla Porta. Quest’ultima è stata talvolta confusa con l’Arco trionfale che, da oltre un secolo, continua a essere oggetto di numerosi studi; al contrario quasi sconosciuto rimane il problema della Porta del castello, la cui trasformazione costituisce un importante tassello nella storia della costruzione17. L’ingresso a Castelnuovo è infatti caratterizzato da una singolare sequenza di ambienti: attraversato l’archivolto cassettonato del fornice trionfale, ci si trova dinanzi alla parete contenente il portale detto di Ferrante, che a sua volta immette nel vestibolo del castello (ill. 7). Pertanto fra la struttura dell’Arco e la parete esterna del vestibolo, rivolta ad occidente, esiste un piccolo vano di collegamento coperto da una volta ribassata spingente sulle pareti ricavate ai lati delle due torri (ill. 8). Il problema della concatenazione di questi spazi è stato finora solo sommariamente affrontato dagli studiosi che si sono occupati dell’argomento, mentre varrebbe la pena di soffermarsi sulle modifiche fatte apportare da Alfonso I d’Aragona alla preesistente Porta per capire come e quando il basamento dell’Arco venne creato fra le due torri di Castelnuovo.
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7. Pianta della zona d’ingresso a Castelnuovo. 8. Disegno di A.Vaccaro relativo all’impianto dell’Arco trionfale.
Un ulteriore spunto per riflettere sulla struttura d’accesso al castello verso la metà del Quattrocento e, più in generale, sul senso delle trasformazioni che Alfonso aveva commissionato ai maestri di Cava potrebbe essere rintracciato nel cosiddetto disegno Boymans.
Il disegno Boymans Il disegno, che prende il nome dal museo Boymans di Rotterdam, dove è attualmente custodito, venne scoperto nel 1933 dal Planiscig, nella Collezione Königs di Haarlem (ill. 9)18. Attribuito a Pisanello, esso fu subito messo in relazione con l’Arco di Alfonso a Napoli (ill. 10) e datato, per una serie di analogie con altri disegni pisanelliani contenuti nel codice Vallardi, alla prima metà del Quattrocento. Nel foglio I. 527 è rappresentata una struttura a sviluppo verticale, spesso definita come “frontespizio” architettonico, composta da piani sovrapposti19. La zona inferiore mostra un arco ogivale, inquadrato da due coppie di esili colonne tortili. Su questo ordine binato poggiano alcune membrature sovrapposte, vagamente accostabili ad una trabeazione all’antica, concluse da una cornice che corre lungo tutto il piano e che divide nettamente il piano inferiore da quelli superiori. La parte inferiore (architrave e fregio) della “trabeazione” si articola sugli elementi portanti e consente l’inserimento, nello spazio libero sopra l’ogiva, di un medaglione retto da putti. Nella parte centrale del secondo ordine si apre un’esedra semicircolare contenente una statua equestre ai cui lati, in corrispondenza del binato inferiore, si dipartono due corpi aggettanti contenenti ciascuno una nicchia inquadrata da lesene. A queste corrispondono nel piano
superiore due nicchie che, affiancate ad altre tre di uguale dimensione, costituiscono il motivo della terza fascia. Le nicchie laterali, pur essendo fra loro incolonnate, nell’ultimo piano non seguono il risalto della trabeazione sottostante. In ognuna delle cinque nicchie superiori così come nelle due inferiori compare una statua ma, in particolare nella nicchia centrale del terzo livello – posta in asse con l’esedra sottostante dove è collocata la statua equestre – si distingue una figura femminile seduta, fiancheggiata da due amorini, probabilmente un’allegoria della Giustizia20. L’intera composizione è poi conclusa da un coronamento formato da scudi aragonesi alternati a bifore con terminazioni archiacute e ornamenti floreali. Il notevole sviluppo in altezza della composizione, la successione dei piani e la presenza degli stemmi aragonesi – come si è già detto, ma vale la pena ripeterlo – fecero pensare al Planiscig che si trattasse di un disegno per l’Arco trionfale di Alfonso d’Aragona a Napoli21; inoltre le affinità già evidenziate da Fritz Burger fra alcuni schizzi del Codice Vallardi e dei motivi decorativi scolpiti nell’Arco22, lo indussero a sostenere che Pisanello stesso ne fosse stato l’ideatore. Riccardo Filangeri, che in quegli stessi anni ricostruiva la storia di Castelnuovo, informato dal Planiscig della scoperta, ritenne il disegno databile fra il 1449 ed il 1452 e lo considerò, invece, una sorta di tentativo precedente alla realizzazione dell’Arco dato che “il progetto essendo stato fatto per la porta del castello” a suo avviso doveva essere “non anteriore alla creazione della nuova porta (1449-1451) né posteriore all’inizio dei lavori presente il Laurana (fine del
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9. Il disegno custodito nel museo Boymans van Beuningen (Inv. I.527). 10. L’arco di Alfonso (foto Anderson 28187, Napoli).
1452)”23. Filangeri inoltre affermava, sulla base di un pagamento da lui individuato in data 17 luglio 1453, a favore dei “mestres marmorar” Pere Johan, Pietro di Martino da Milano, Paolo Romano e Francesco Laurana che, a quell’epoca e non nel 1455, si stavano già scolpendo le decorazioni dell’Arco24. All’interno di questi limiti cronologici l’archivista napoletano distinse un primo progetto di matrice pisanelliana pensato per la Porta del Castello da un secondo, per così dire definitivo, messo a punto da Francesco Laurana per l’Arco vero e proprio, senza però chiarire la differenza fra questi due diversi elementi (porta-arco). Filangeri, pur rifacendosi all’ipotesi del Planiscig per quanto concerne la rispondenza del disegno all’Arco di Alfonso, non considerò Pisanello esecutore del frontespizio architettonico. A suo avviso infatti “il disegno della collezione Königs è una soluzione dovuta ad un mediocre artista, che si giovò dei disegni del Pisanello ed al quale forse il Pisanello stesso dettò norme” e d’altronde, “l’inorganicità” che la composizione architettonica presenta appare lontana dalla soluzione definitiva poi realizzata per l’Arco, più rispondente ad un concetto “classico”.
Alla fine degli anni Sessanta il problema venne riproposto in nuovi termini da Michael Baxandall. Secondo questi il disegno pisanelliano non andava riferito all’Arco, bensì ad un disegno preparatorio per un affresco scomparso che si trovava in Castel Capuano a Napoli, dove “Giovanni Carafa, vigoroso decurione romano, stabilì che venisse dipinto un ritratto del re, raffigurato a cavallo e con l’armatura [...] attorno a questa immagine, poi le raffigurazioni di quattro virtù: la Giustizia, la Carità (o la Liberalità) la Prudenza e la Temperanza (o la Fortezza)”25. In merito ai versi che si sarebbero dovuti inserire fra le Virtù che erano incolonnate ai lati della statua equestre di Alfonso d’Aragona, nacque una disputa che oppose Lorenzo Valla ad Antonio Panormita, del cui esito riferisce lo stesso Valla nelle sue invettive contro Bartolomeo Facio26. Il fatto di cui si narra dovette avvenire quando il Valla lavorava ancora a Napoli alle dipendenze di Alfonso, ossia prima di ottenere l’incarico apostolico a Roma27; di conseguenza l’affresco avrebbe una datazione antecedente al 1448 e non successiva. Le similitudini riscontrate da Michael Baxandall fra la descrizione dell’affresco e il Disegno
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11. L’arco trionfale venne creato davanti alla Porta di Castelnuovo. 12. Portale di Ferrante (da Filangeri, Castelnuovo reggia..., cit.).
di Rotterdam lo portarono ad ipotizzare per quest’ultimo, sia una diversa committenza, sia a spostarne i termini cronologici. Sempre secondo Baxandall lo schema dell’affresco voluto dal Carafa per celebrare il compagno d’armi Alfonso appare simile a quello del disegno pisanelliano soprattutto per ciò che attiene la disposizione delle quattro Virtù che circondano la statua equestre, anche se in realtà sul disegno compaiono ben cinque figure allegoriche e non quattro. Lo studioso, però, non analizzò in maniera puntuale il disegno, rimandando per questo al saggio di George Hersey del 196928. La questione venne riproposta nel 1973 anco-
ra dallo Hersey29, che tornava a riconsiderare le possibili relazioni del disegno non più con il monumento di Alfonso a Castelnuovo, quanto con l’affresco di Castel Capuano descritto dal Valla. Lo studioso concluse che il disegno Boymans doveva mostrare un alzato costruito per una scenae frons permanente o temporanea creata nel castello federiciano di Napoli e sostenne che, sebbene nel 1446 Pisanello non fosse a Napoli, in quello stesso periodo potrebbe aver mandato un assistente a realizzare il disegno, poiché già in una lettera del marchese Guglielmo Gonzaga dell’11 marzo 1444 l’artista veronese aveva espresso il desiderio di recarsi nel Regno30.
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Anche Roberto Pane, d’accordo con George Hersey, fu propenso a credere che il disegno appartenesse alla cerchia pisanelliana, anche se ebbe modo di far rilevare un errore di carattere “tettonico”. Da un attento esame dell’impaginato architettonico, reso prospetticamente, Pane notò che “mentre nella parte inferiore i risalti simmetrici sono delineati ai lati dell’ingresso” nella zona superiore “la ricorrenza degli aggetti è limitata ai soli piedistalli che fiancheggiano il nicchione. La cornice invece, al di sopra delle nicchie si svolge con andamento ininterrotto, e cioè senza risaltare come dovrebbe in corrispondenza dei piedistalli”31. Pertanto, essendoci delle incongruenze a livello strutturale, dedusse che l’autore del disegno o non doveva avere “alcuna esperienza di architettura” o comunque “molto limitata”32. Un anno dopo la pubblicazione dello studio di Roberto Pane, ossia nel 1976, Hanno Walter Kruft e Magne Malmanger presentavano una nuova monografia sull’Arco trionfale di Napoli33. Gli studiosi tedeschi, nel riesaminare il problema della possibile relazione fra il disegno di Rotterdam e l’arco di Alfonso, confutavano le tesi sostenute dallo Hersey. L’eventualità che la soluzione architettonica mostrata nel disegno fosse un apparato scenografico allestito in Castelcapuano fu del tutto esclusa, infatti Kruft e Malmanger sostennero che le proporzioni del disegno Boymans-van Beuningen dipendevano dalla situazione topografica di Castelnuovo. Gli stessi ritenevano invece possibile che Pietro di Martino, incaricato di completare l’Arco alfonsino, essendo a conoscenza della disposizione del disegno di Rotterdam, avesse avuto modo di riprenderne l’impostazione generale, trasformando il linguaggio tardo gotico in forme più “classiche”. In tempi più recenti Ferdinando Bologna, ritenendo storicamente attendibile la data del 1446 per l’affresco di Castel Capuano descritto dal Valla, ne attribuisce l’ideazione a Dello Delli, che proprio nel giugno di quell’anno si era trattenuto alcuni giorni presso la corte di Alfonso34.
Significato del disegno Il disegno Boymans è stato interpretato alcune volte come preparatorio per un affresco completamente estraneo al progetto per l’Arco trionfale di Castelnuovo, altre volte come un suo disegno preliminare, ma in realtà esso potrebbe rappresentare qualcos’altro ancora. I pareri discordanti in merito alla natura dell’architettura in esso rappresentata fanno oscillare la sua datazione fra il 1446 ed 1452, anche se poi gran parte degli studiosi giungono ad una conclusione comune e rintracciano se non direttamente in Pisanello, almeno in un suo copista, l’autore del disegno35. Nonostante manchino elementi certi per sta-
bilirne l’anno di esecuzione, coloro che hanno voluto vedere nel disegno un diretto riferimento all’affresco di Castel Capuano sono costretti ad anticipare la presenza di Pisanello a Napoli al 1446, senza alcun supporto documentario; lo stesso dicasi per il limite cronologico del 1452 fissato da Riccardo Filangeri. Se il frontespizio architettonico fosse effettivamente da mettere in relazione con la cerchia pisanelliana di Napoli, la presenza dell’artista veronese alla corte di Alfonso potrebbe rappresentare un termine di riferimento cronologico certo. Il disegno è, infatti, più ragionevolmente databile agli anni in cui Antonio Pisano prestava servizio presso la corte aragonese, come attestano le fusioni di alcune medaglie eseguite nel 1449 ed anche un privilegio concessogli durante tutto l’anno seguente. In questi anni, però, nelle Cedole della Tesoreria non risultano registrati pagamenti per le decorazioni dell’Arco; le prime somme certe risalirebbero secondo Von Fabriczy solo al 1455, secondo Filangeri al 145336. Altre fonti, però, documentano che già a partire dal 1450 era in atto una trasformazione della zona d’ingresso al castello. Un indizio è contenuto nel memoriale del Re inviato al procuratore reale di Maiorca37, con il quale furono richiesti dei blocchi di pietra di Santagny anche per il tabernacolo di una statua della Giustizia da collocarsi sopra l’ingresso, come si è già sottolineato in precedenza. Sebbene l’esistenza del vestibolo fosse attestata già a partire dal 1446, solo a distanza di quattro anni i Maestri di Cava si impegnavano a rivestire le torri della Porta che, evidentemente proprio in questo frattempo, erano state create sulla cortina occidentale di Castelnuovo. Pur non sapendo con esattezza quando la Torre di Mezzo e la Torre di Guardia furono previste, dal momento in cui nel marzo 1451 se ne rivestivano i basamenti si può dedurre che le misure dell’interturrio d’ingresso erano state definite. Di conseguenza fra il 1449 e 1450, e cioè quando Pisanello si trovava a Napoli, sebbene le torri non fossero complete, esse potevano essere già state progettate; a tal proposito è significativo notare che nel disegno Boymans le torri non compaiono ai lati del frontespizio, anche se poi lo sviluppo dello schema architettonico lascia facilmente immaginare che esso fosse limitato lateralmente da due avancorpi. Nel disegno di Rotterdam tra l’altro la Porta ogivale immette in un androne voltato a crociera, i cui costoloni poggiano direttamente su quattro peducci collocati nei rispettivi angoli. Dallo spazio interno dell’androne è possibile intravedere sul fondo un portale come se dall’ingresso si passasse attraverso uno spazio aperto. Una situazione analoga esisteva nella zona d’ingresso a Castelnuovo prima della co-
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13. L’incontro fra Federico III ed Eleonora di Portogallo raffigurato da Pinturicchio nella Biblioteca del Duomo di Siena, particolare (foto Alinari 9344, Siena).
struzione dell’Arco trionfale, quando cioè la Porta del castello immetteva direttamente nel vestibolo, avente per copertura una volta a crociera costolonata poggiante su peducci. Parte degli elementi descritti, tipo il vestibolo e la sua copertura, seppure esistenti, purtroppo oggi non sono più visibili dall’esterno a causa delle ridotte dimensioni del portale di Ferrante. Tenendo presente che questo portale a tutto sesto, posto alle spalle del fornice basamentale dall’Arco di Trionfo, venne modificato dal figlio di Alfonso, Ferrante, fra il 1465 e il 1471 per inserirvi il bassorilievo dell’incoronazione, esso poteva in origine seguire l’andamento della retrostante volta del vestibolo e, di conseguenza, poteva essere a sesto acuto (ill. 11). In tal caso la porta del Castelnuovo avrebbe avuto una forma del tutto simile a quella riprodotta nel disegno Boymans. Va sottolineato, fra l’altro, che il muro su cui si apriva l’ingresso originario, essendo collegato alla retrostante fabbrica, anche nelle fasce superiori era vincolato all’altezza degli interpiani; questo tipo di vincolo è ininfluente per la parete superiore dell’Arco, molto più simile ad una quinta che ad un corpo di fabbrica vero e proprio. Data la particolare configurazione della zona d’ingresso a Castelnuovo intorno al 1450, tenendo presente la volta a crociera costolonata del vestibolo ed i peducci, nonché le proporzioni dell’interturrio, possiamo a ragion veduta, considerare l’ipotesi che il disegno di Rotterdam vada riferito non tanto all’Arco, come inizialmente aveva sostenuto Planiscig, né tantomeno all’affresco previsto in Castel Capuano, quanto piuttosto alla Porta di Castelnuovo. Questa Porta, di cui si parla nei capitolati del 1451 in relazione al com-
pletamento delle torri che la fiancheggiavano38, si doveva trovare alle spalle dell’Arco trionfale sullo stesso piano della cortina rifatta dai maestri di Cava, dove, come si è già fatto rilevare, fra il 1465 ed il 1471 Pietro di Martino da Milano realizzò il portale di Ferrante. Di conseguenza, il piano di facciata su cui il progetto di matrice pisanelliana venne immaginato doveva trovarsi a filo della cortina perimetrale del castello compresa fra la Torre di Mezzo e la Torre di Guardia, e non avanzato rispetto ad essa, ossia nella posizione attualmente occupata dalla struttura dell’arco trionfale (ill. 12). Il disegno Boymans, come è stato giustamente osservato, non ha il carattere di una costruzione realizzabile, quanto piuttosto di un’architettura dipinta. Non a caso Michael Baxandall lo aveva messo in relazione con l’affresco descritto da Lorenzo Valla e successivamente George Hersey lo considerò un apparato scenografico per Castel Capuano. Accogliendo l’ipotesi che si tratti di un fondale scenografico, si può ritenere che fosse destinato a decorare l’ingresso di Castelnuovo. Resta aperto un quesito: quale avvenimento ebbe luogo a Napoli tale da richiedere l’ideazione di un simile apparato decorativo? Una data importante per capire le vicende che interessarono la costruzione di Castelnuovo è proprio quella del 1450; nel dicembre di quell’anno infatti a Napoli, all’interno dell’arce alfonsina, vennero celebrate per procura le nozze fra il Re dei Romani ed Eleonora di Portogallo. Attraverso i documenti della Cancelleria alfonsina, custoditi a Barcellona, è possibile constatare come già nel giugno 1450 fossero in corso le trattative per concludere il matrimonio fra Federico d’Austria ed Eleonora, richiesta a Napoli già nel 144939. Relativamente agli avvenimenti del 1450 Bartolomeo Facio scrive che “Appresso a questo tempo Alfonso diede per moglie à Federico III Imperadore, Heleonora sua nipote bellissima giovane, figliuola di Alfonso Re di Portogallo. sì per maritarla sì per fermare le sue forze, e stabilirsi nel Regno con quel parentado Et havendo Federico deliberato di là a due ani di passare in Italia, per coronarsi, secondo il costume degli altri Imperadori, venne...”40. Lo storiografo del re con molta precisione sostiene che il re dei romani si sarebbe recato a Roma entro due anni dalla stipula del matrimonio ed infatti nel febbraio 1452 Federico III fu incoronato imperatore da papa Nicolò V. Il contratto nuziale, finora sconosciuto, prevedeva infatti che la “copula carnale” sarebbe avvenuta entro venti mesi e che Eleonora sarebbe potuta approdare in Italia o nel porto di Napoli o in quello di Pisa41. Il Facio, sempre riferendo del viaggio compiuto da Federico per raggiungere Roma, fa pre-
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14. Basamenti della porta di Capua. 15. Ricostruzione della Porta di Capua (da C.A. Willemsen, Kaiser Friedrichs II. Triumphtor zu Capua, Wiesbaden 1953).
sente che “In questo mezzo Heleonora chiamata in Italia da Re Alfonso, giunse a Pisa per mare, e poi a Siena”42, dove avvenne il primo incontro alla presenza di Enea Silvio Piccolomini (ill. 13). Le grandi trasformazioni che si eseguirono nel castello, a partire dall’ordinativo della pietra di Maiorca fino allo staglio del 1451, possono essere legate alla visita dell’imperatore Federico III, che sarebbe dovuta avvenire pochi mesi dopo. Ne consegue che, a partire dal 1450 ci fu un interesse del sovrano aragonese ad accelerare i tempi di costruzione. Dalla sollecitazione rivolta da Alfonso I in persona al procuratore reale di Maiorca al quale si chiede “quant pus prest sia possible doneu orde que la dita pedra vinga, car una hora nos par un any sia arribada per continuar la obra de nostre castell”43, si capisce l’impazienza del Re di veder sistemato l’impianto della fortezza che, come dice Alfonso, fa sembrare il trascorrere di un’ora pari ad un anno. Con il contratto del 1451 si fissavano i termini per la durata dello staglio detto maggiore, relativo al rivestimento ed al completamento delle cortine e delle torri, con un preciso obbligo per i Maestri di Cava di rispettare i termini contrattuali sottoscritti. Evidentemente il Re aragonese si aspettava che l’imperatore, una volta giunto in Italia gli avrebbe fatto visita per festeggiare il matrimonio combinato grazie alla sua volontà. Scrive sempre il Facio che dopo l’incoronazione “Federico propose di andare à vedere Re Alfonso per non partirsi d’Italia senza fargli motto. Il che rapportato ad Alfonso fece incontanente apparecchiature, benché fosse la Settimana Santa, tutte le cose necessarie per riceverlo. Ma Federico, che desiderava di essere presto col Re
Alfonso, e sapeva ciò parimenti desiderarsi da Heleonora; si trovava già posto in viaggio avendo lasciato in Roma per alquanti giorni Ladislao re d’Ungheria”44. Data la religiosità del sovrano aragonese45, questa coincidenza fra la Settimana Santa e l’arrivo dell’Imperatore non gli avrebbe consentito di dar inizio ai festeggiamenti e, perciò, pregava di ritardare l’arrivo a Napoli. Continua sempre Facio “Havendo adunque Federico inteso la volontà di Alfonso, gli fece rispondere, ch’egli ne andava a trovarlo, non come Imperadore, ma nella guisa che un figliuolo va al padre. e però voleva che egli non facesse tanti apparecchi, quanti intendeva che voleva fare. Alfonso quantunque lodasse questa sua umanità, nondimeno ordinò che si facessero i preparativi già incominciati, e deputò per l’alloggiamento della sua persona Castel Capuano”46. Nonostante l’imperatore sollecitasse un’accoglienza dimessa, Vespasiano da Bisticci conferma che il re “fece loro sì grande e sontuoso onore, non udito in questa età una pompa simile a questa”47. Una cronaca anonima del 1452 descrive in maniera minuziosa la durata dei festeggiamenti; l’intera città venne abbellita e, all’interno di Castelnuovo, venne organizzato il convito. Fra gli apparati scenografici allestiti nella città, vanno segnalati quattro archi dipinti distribuiti fra Castelnuovo e la piazza dell’Incoronata. Secondo quanto riferisce il cronista anonimo “uno stava al largo del Castello all’incontro della porta del Castelnuovo [...] Quali archi erano stati fatti dalli Signori mercanti Fiorentini, tanto ben fatti in alto con le nubbi, con certe bellissime figure, con angeli, e picture de grande invenzione, e con l’arme di
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16. Sezione dell’Arco di trionfo (elaborazione dell’autrice su disegno di A. Vaccaro). 17. L’arco di Alfonso, rilievo di d’Angicourt (da G. Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, in Napoli 1769-72, 22 voll., vol VI). 18. Disegno della zona basamentale dell’Arco (da E. Bernich, Leon Battista Alberti e l’arco trionfale di Alfonso d’Aragona, in “Napoli Nobilissima”, 12, 1903).
Re Alfonso, e dell’Imperatore e dell’Imperatrice et anco del Re d’Ungheria. E l’archi e le girandole erano tutti lavorati di mortelle, brattinorio e cartoni dipinti di vari colori”48. Nell’aprile 1452 un arco effimero venne sicuramente costruito davanti alla Porta di Castelnuovo. Oltre alla necessità di definire un ingresso monumentale al Castello, in quell’occasione, era importante decorare la Sala ”maggiore” nella quale “fu posto un tinello, dico un riposto di argenteria bellissima, fatto per meraviglia con tanti gradoni altissimi, al quale s’entava per sotto con scaglioni a caracò che saglievano per dentro”49. Appare quindi evidente che le trasformazioni operate da Alfonso a Castelnuovo, fra il 1450 e il 1452, furono eseguite in funzione di questo straordinario avvenimento. Anche se la visita era stata predisposta con largo anticipo il tempo a disposizione era insufficiente per realizzare delle opere permanenti e, pertanto, vennero messe a punto delle soluzioni per abbellire temporaneamente le strutture del castello in vista di una trasformazione futura. L’ingresso inquadrato dalle torri e privo dell’Arco marmoreo doveva conferire alla costruzione un aspetto molto severo; è facile pensare che si volesse decorarlo e che anni prima Pisanello potesse aver fornito uno schizzo preparatorio in previsione dell’arrivo dell’imperatore o aver già predisposto qualcosa in occasione delle nozze celebrate per procura a Napoli, in Castelnuovo, nel 1450, quando l’artista si trovava al servizio di Alfonso. Si è notata una certa affinità fra il disegno Boymans e la Porta di Federico a Capua (ill. 14, 15), somiglianza riscontrabile anche nell’Arco di Castelnuovo. Qualora lo schema pensato per decorare la Porta di Castelnuovo avesse voluto richiamare quello della Porta federiciana, allora si potrebbe comprendere la necessità di aggiungervi dei corpi cilindrici in piperno. A Capua Federico II aveva voluto creare l’ingresso ufficiale al regno di Sicilia. La porta costruita dall’imperatore svevo si sviluppava in altezza ed al centro della composizione spiccava la statua del sovrano. Dalla via Appia, attraverso la Porta federiciana costruita sul fiume Volturno a capo del ponte romano, si entrava in città50. Questo stesso percorso fu seguito dal neo imperatore nell’aprile del 1452 per raggiungere Napoli: “Avvicinandosi Federico à Capoua, il Re Alfonso andò a incontrarlo tre miglia lontano dalla città e l’accolse amorevolissimamente: et accompagnatolo dentro di Capoua, se ne tornò subito a Napoli per dar fine a tanti apparecchi. Il giorno seguente l’imperadore venne à Napoli: et il re similmente uscendogli incontra, gli mandò il baldacchino, ò (come altri dicono) ombrella, sotto il quale l’imperatore andava. Et seguendolo il Re Alfonso per sua modestia, al16
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19. Bassorilievo con il Trionfo di Alfonso (foto Anderson 26189, Napoli).
quanto discosto, egli, benché Alfonso facesse un poco resistenza lo tirò seco per mano sotto il Baldacchino. A questa guisa uniti insieme andarono per tutta Napoli”51. Queste notizie vengono confermate da un’altra fonte che, sebbene più tarda, attinse informazioni direttamente da documenti originali; secondo quanto riferisce Geronimo Zurita dopo l’incoronazione di Federico III, il corteo imperiale partì da Roma per raggiungere il Regno di Napoli, dove “fueron recebidos dal Rey con el aparato, y grandeza, que per un Principe tan poderoso, y magnanimo, si pudo pensar, y llevando el camin de Capua, salio el Rey recibirlos antes que entrassen en Napoles”52. Il riferimento implicito che il disegno pisanelliano mostra nei confronti della porta di Federico II a Capua trova un riscontro tangibile nel recupero delle vestigia imperiali promosso da Alfonso il quale, ricostituendo il Regno di Sicilia o più precisamente riunificandone le due parti, intendeva richiamarsi alla grandezza dell’impero federiciano53. Nel disegno Boymans l’antico legame con la dinastia imperiale è ribadito, nella zona basamentale ai lati dell’ingresso, dalla presenza dello stemma aragonese di Sicilia, contenente l’aquila imperiale sveva, emblema del quale i sovrani aragonesi poterono fregiarsi dal tempo del matrimonio fra Costanza, nipote di Federico II di Svevia e Pietro III d’Aragona. Sottolineando questa discendenza dalla nipote dell’imperatore, Alfonso I indirettamente legittimava la sua linea dinastica rispetto a quella angioina, che era stata espulsa dalla Sicilia in seguito ai Vespri54.
Il progetto preliminare e la soluzione definitiva Dopo i grandi festeggiamenti dell’aprile 1452 i lavori di costruzione affidati ai maestri di Cava ripresero regolarmente e in anticipo rispetto ai tempi previsti dal contratto; sappiamo che essi furono completati nel luglio del 1453; anche la Gran Sala che aveva accolto i banchetti imperiali veniva ristrutturata a partire dal dicembre del 1452. Già comunque nel mese di maggio di quello stesso anno Alfonso chiedeva la presenza di Donatello a Napoli e sollecitava la partenza di Pietro di Martino da Ragusa55. La lettera datata 26 maggio 1452 indirizzata al doge Foscari presso il quale, all’epoca, Donatello si trovava è stata collegata al progetto per un monumento equestre che il re aragonese gli avrebbe commissionato. Secondo Hersey questo progetto è da mettere in relazione al disegno pisanelliano, anche se dal testo della lettera si evince più che altro l’intenzione di far modellare a Donatello non tanto un’immagine del Re a cavallo, quanto un ritratto dal vivo. Tramite l’ambasciatore veneziano a Napoli, Zaccaria Vallareso, Alfonso mandava a dire “havendo noi voluntate grande de haver per alcuno tempo lo dictto mastro Donatello in nostro servitio, vogla ad quello per contemplatione nostra dare bona licentia de podere venire ad servirve e li placia pagare lo de la statua la quale have facta de Gattamelata” e pertanto si menziona il monumento equestre padovano, non come possibile modello di riferimento, ma per sollecitare il pagamento del credito dovuto all’artista. Di Donatello non vi sono tracce nelle Cedole della Tesoreria aragonese; bisogna invece ri-
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cordare che Pietro di Martino veniva pagato nel luglio del 1453. Non è possibile sostenere con certezza che in quel periodo lo scultore stesse realizzando le decorazioni dell’Arco. Più probabile è che Pietro di Martino fosse stato chiamato a Napoli per eseguire le rifiniture marmoree escluse dagli altri contratti e in particolar modo quelle della sala principale del castello, in cui venne tra l’altro realizzata una porta scolpita56. La decorazione realizzata dinanzi all’ingresso principale di Castelnuovo, seppure effimera, dovette costituire senz’altro uno spunto per riflettere sul problema della sua definizione scultorea ma, a quanto pare, solo fra la fine del 1452 e prima dell’estate del 1455, un progetto molto preciso iniziava a essere messo in cantiere. Quest’ultimo progetto era stato pensato per celebrare, dopo un decennio, la vittoria di Alfonso e per immortalare il suo ingresso trionfale nella città partenopea, come mostra l’elemento innovativo costituito dal bassorilievo del trionfo. Non essendo invece chiaro il nesso fra il progetto pisanelliano e la Porta di Castelnuovo Planiscig, Filangeri, Kruft e Malmanger furono indotti a credere che l’Arco di Alfonso costituisse solo una “revisione” del disegno Boymans “in senso classico”, limitata alla zona inferiore. La diversità riscontrata fra l’architettura disegnata e quella poi realizzata, dipenderebbe quindi solo da un cambiamento di forme, ma resta da chiedersi se potevano sussistere altre ragioni tali da giustificare la trasformazione dello schema originario. Se si fosse voluta realizzare una facciata simile a quella del disegno, ma con forme classiche, sarebbe stato sufficiente trasformare l’arco ogivale in un arco a tutto sesto e sostituire i fusti delle colonne binate rendendole da tortili scanalate. Nello spessore della cortina occidentale di Castelnuovo era possibile ricavare al posto della preesistente Porta un archivolto, inoltre nel piano soprastante il fornice d’ingresso si sarebbe potuta scavare una nicchia, così come appare nel disegno Boymans. Resta il fatto che l’imposta e l’ampiezza dell’ipotetico archivolto d’ingresso al castello sarebbero state limitate dall’altezza della retrostante volta del vestibolo: però l’idea di realizzare una facciata decorata per la Porta d’ingresso al Castello, ad un certo punto venne sostituita dalla volontà di creare, in suo luogo, un vero e proprio arco trionfale. Le fonti d’archivio dichiarano espressamente che nel 1455 non si stava realizzando un portale scolpito, ma un arco all’antica. L’ambasciatore sforzesco Alberico Maletta, in visita a Napoli proprio il 28 luglio del 1455 anno in cui, come egli stesso ci informa, erano state già gettate le fondamenta dell’Arco alfonsino, parla di un’ “architetura somptuosa et mi-
rabile – che – dala porta fa un arco di marmorj scorpidi et lavoradi alantica”57. Anche Bartolomeo Facio, storiografo del Re, a proposito delle opere eseguite da Alfonso a Castelnuovo afferma che “Inter turrim mediam et angularem ad occasum vergentes, portam cum ingenti arcu triumphali ex marmore candidissimo constituit”58. Di questa struttura, oltre all’orientamento e al materiale, si sottolinea il singolare accostamento di Porta e Arco trionfale. La scelta di aggiungere davanti ad un elemento preesistente il basamento della nuova costruzione poteva essere ben visibile in fase di edificazione e pertanto poteva essere segnalato da coloro che seguivano l’evoluzione dei lavori. La decisione di spostare in avanti l’Arco e collegarlo alla Porta del Castello, permise di realizzare una struttura completamente indipendente dalle altezze del retrostante corpo di fabbrica, che non si sarebbe dovuta adeguare alle dimensioni dell’arco ogivale di testata delimitante a occidente la volta del vestibolo. La zona inferiore dell’Arco è collegata ai muri perimetrali del castello tramite una volta, il cui piano di copertura corrisponde all’ultima cornice che conclude il piano in cui è inserito il bassorilievo del Trionfo (ill. 16, 17). Sul fornice basamentale impostato su dei piloni marmorei isolati è, infatti, scolpito l’ingresso trionfale di Alfonso nella città partenopea, avvenuto il 26 febbraio 1443 (ill. 19). Questa articolazione rende la struttura simile ad un arco trionfale antico e gli umanisti dell’epoca con il termine arcum triumphalem usavano indicare una precisa tipologia, di cui erano chiari sia la funzione sia il significato. Questa tipologia, come d’altronde quella degli altri edifici antichi, erano all’epoca ben conosciute59. Archi provvisori vennero costruiti proprio in occasione dell’ingresso del sovrano a Napoli. In piazza del Mercato, ad esempio, venne eretto un arco tetrapilo con “4 faccie e 4 archi, alla sommità di ogni angolo [aveva] li trombetti vestiti di seta all’arme di Napoli, et alla parete per ogni banda [erano] le inventioni diverse e le tabelle per ogni lato con le lettere maiuscole, con laude della prospera e buona fortuna di Alfonso”. Antonio Panormita, sempre a proposito del Trionfo del 1443, riferisce che i cittadini napoletani “ob virtutem et clementia Alphonsi cum decrevissent uno consensu omnes arcum ille triumphalem ad memoriam honorifice struere, elegerunt locum super grados marmoreos majoris Ecclesiae”60. All’arco trionfale che si sarebbe dovuto costruire in prossimità del Duomo, come nel passato, era demandata la funzione di celebrare le imprese militari del sovrano. Antonio Panormita non racconta nulla dell’Arco trionfale fatto costruire da Alfonso all’ingresso di Castelnuovo, mentre Bartolomeo Facio
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lo menziona sia nel De rebus gestis ab Alphonso I, sia nel De viris illustribus61. Considerato che l’umanista genovese morì nel 1457 quando ancora non era stato affidato il contratto per terminare le decorazioni dell’Arco, è strano che Facio parli del monumento come già realizzato, quando nel 1458 si lavorava al suo completamento62. La parte basamentale fino al bassorilievo del Trionfo sicuramente fu realizzata prima della morte del re aragonese avvenuta il 28 giugno del 1458 ; la fascia in cui è contenuto il bassorilievo del Trionfo è del tutto simile all’attico di un arco onorario romano63 (ill. 18). Sebbene il linguaggio architettonico utilizzato al tempo di Alfonso non rispetti “filologicamente” quello degli ordini classici, il senso più generale della composizione fa riferimento a precisi modelli antichi come l’Arco dei Sergi a Pola e l’Arco di Traiano a Benevento64. L’architettura dell’Arco napoletano va considerata una soluzione straordinaria per l’epoca, ideata al fine di adeguare una tipologia antica ad uno spazio estremamente problematico. Non a caso Bartolomeo Facio riassumendo l’operato di Alfonso nel De viris illustribus scriveva “arcem instauravit cum arcu triumphali magnificentia, structura, opere nulli omnium in Orbe terrarum secundam”65. Un ruolo importante nella messa a punto del programma celebrativo di Castelnuovo lo ebbe-
1. A. Ryder, The Kingdom of Naples under Alfonso the Magnanimos: the Making of a Modern State, Oxford 1976. 2. A. Ryder, Alfonso the Magnanimous King of Aragon, Naples and Sicily, 19361458, Oxford 1990. Il problema della successione al Regno si riaprì con Giovanna II d’Angiò, figlia di Carlo III di Durazzo, il quale aveva conquistato Napoli nel 1385. La regina nel 1414 successe al fratello Ladislao, re d’Ungheria: Giovanna II, rimasta priva di eredi diretti, decise una prima volta nel 1421 ed in seguito ad alcuni ripensamenti di nuovo nel 1432, di adottare Alfonso V re d’Aragona per contrastare la politica papale. La decisione venne revocata, ancora una volta, due anni dopo a favore di Renato d’Angiò. Alla morte di Giovanna II, avvenuta nel 1435, si aprì un conflitto fra i due schieramenti angioino ed aragonese che si concluse quasi un decennio dopo, con la vittoria di Alfonso V. Per la descrizione del trionfo v.a. Antonio Panormita (Antonio Beccadelli detto), Alphonsi regis triumphus, Basileae 1538, p. 206- 213. 3. F. Aceto, Il Castrum Novum Angioino di Napoli, in R. Cassanelli (a cura di), Cantieri medievali, Milano 1995, pp. 252- 256. Attualmente disponiamo solo delle trascrizioni dei Registri angioini e delle Cedole della Tesoreria aragonese, andati bruciati durante la seconda guerra mondiale. Queste preziose fonti vennero ricostruite e rac-
colte dagli archivisti napoletani; cfr. R. Filangeri (a cura di), I Registri della Cancelleria Angioina, Napoli 1960 e J. Mazzoleni (a cura di), Le fonti documentarie e bibliografiche dal X al XX secolo conservate presso l’Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1957-91, vol. I, II. I documenti relativi alla storia dei castelli contenuti nei Registri angioini furono visionati e trascritti, ma solo in parte pubblicati da Eduard Sthamer (E. Sthamer, Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien. Dokumente zur Geschichte der Kastellbauten Kaiser Friedrichs II. und Karls I. von Anjou, II, Leipzig 1926). Questi manoscritti in parte ancora inediti sono stati rinvenuti nell’archivio di Lipsia dopo la Riunificazione e sono attualmente custoditi presso l’Istituto Storico tedesco che ne sta curando la pubblicazione. 4. R. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte prima. Il castello angioino, in “Archivio Storico per le Provincie napoletane”, a. XXI, 1936, pp. 309- 310. Il documento era contenuto nel Regio Archivio di Stato di Napoli (d’ora in avanti indicato con R.A.S.N.), Cancelleria angioina, Reg. 49, f. 49. 5. Archivio di Stato di Modena, Documenti e carteggi di Stati e città, serie 85. Manoscritto anonimo pubblicato per la prima volta da C. Foucard, Fonti di Storia Napoletana nell’Archivio di Stato di Modena. Descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, in “Archivio Storico per le Province napoletane”, a. II, 1877, p. 732.
ro tra l’altro gli umanisti. Le due iscrizioni contenute nel fregio della prima e della seconda trabeazione, attribuite al Panormita, confermerebbero il ruolo ed il programma del sovrano aragonese66 che, come riferisce lo stesso Panormita, durante i lavori di trasfomazione di Castelnuovo fece rileggere Vitruvio67. Alfonso I tentò di realizzare una fortezza possente e allo stesso tempo ricchissima, che doveva riflettere la magnanimità del suo committente. Enea Silvio Piccolomini che ebbe modo di recarsi a Napoli quando il cantiere di Castelnuovo era nel pieno dell’attività, esalta l’inespugnabilità e la magnificenza della reggia e soprattutto il contrasto fra le torri circolari costruite “ex lapide quadrato” e quella dell’arco “ex marmore candidissimo”68. Le trasformazioni promosse da Alfonso, più che a restaurare il preesistente castrum, miravano a creare una nuova fortezza militare, indicata nelle fonti coeve con il termine arce, sulla quale doveva spiccare l’Arco immagine stessa del sovrano (ill. 19). Questa identificazione fra Arco e sovrano divenne tangibile quando Ferrante, figlio bastardo di Alfonso e suo successore al Regno, dopo aver incarito Pietro di Martino da Milano di montare i piani superiori dell’Arco, decise di sospendervi il cuore di suo padre, racchiuso in una teca di cristallo69.
6. R. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte seconda. Il castello aragonese, in “Archivio Storico per le Province napoletane”, a. XXIII, 1937, p. 274. Nel 1448 infatti Onofrio di Giordano dalla Cava copriva la sala grande dell’Arsenale (R.A.S.N., Cedole di Tesoreria, vol. 10, f. 17) mentre nel 1451, sul molo già realizzato, creava una fontana (R.A.S.N., Cedole di Tesoreria, vol. 14, f. 286). L’architetto partenopeo, esperto di problemi idraulici, a partire dal 1438 aveva realizzato a Ragusa, attuale Dubrovnik, un acquedotto e due fontane chiamate in suo onore la Piccola e Grande Fontana di Onofrio. Nella città croata aveva inoltre costruito il Palazzo dei Rettori. H. Folnesics, Studien zur Entwicklung der Architektur und plastik des XV Jahrhunderts in Dalmatien, in “Jahrbuch des Kunsthistorischen Institutes der K. K. Zentralkommission für Denkmalpflege”, VIII, 1914, pp. 187- 194 ; N. Grujic, Landanjska arhitektura dubrovakog prodrucja, Zagreb 1991. 7. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte seconda..., cit. [cfr. nota 6], p. 305. Anche questo documento era contenuto nel Regio Archivio di Stato di Napoli (R.A.S.N., Cedole di Tesoreria, vol. 9, f. 169) 8. Analoga volta si trova nella Cappella di S. Giorgio all’interno del Palazzo della Deputazione di Barcellona e altre nella cattedrale della stessa città.
9. G. Jovellanos, Carta historico artistica sobre el edificio de la Lonja de Majorca, Palma 1812, p. 40. Dispaccio reale del 21 ottobre 1450 in cui si revoca, per competenza territoriale, la causa fra “Guillerme Sagrera protomagistri castri novi protomagistrum ex una, et defensores collegii mercatorum dictae civitatis ex alia”. L’architetto maiorchino aveva infatti chiesto giustizia a re Alfonso, dopo essere venuto in controversia con i mercanti di Palma per il pagamento della Lonja da lui costruita. 10. Archivo de la Corona de Aragón (d’ora in avanti indicato con A.C.A.), Cancilleria, Reg. 2736, f. 11v . Una copia è custodita anche nell’Archivo del Real Patrimonio de Mallorca, Lletres Reals 1448-1452, f. 152. Il documento venne pubblicato per la prima volta da G. Alomar, Guillermo Sagrera y la arquitectura gotica del siglo XV, Barcelona 1970. 11. Il contratto che si trovava nel Regio Archivio di Napoli fu citato, per la prima volta, da M. D’Ayala, Dell’Arco trionfale di re Alfonso d’Aragona in Castelnuovo, in “Annali civili del Regno delle due Sicilie”, XII, 1836, pp. 34-45 e poi trascritto da H. W. Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, vol. IV, pp. 186-188. Il testo integrale fu ampiamente esaminato da B. Ruocco, L’origine dugentesca della struttura dell’attuale Castel Nuovo di Napoli chiarita alla luce di un inedito documento dei Privilegiorum della Sommaria, Napoli 1930. La
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trascrizione alla quale si fa comunque riferimento è quella di R. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte terza. Il castello vicereale e borbonico in “Archivio Storico per le Province napoletane”, a. XXIV, n. LXII 1938, p. 333-336 . R.A.S.N., Regia Camera della Sommaria, Privilegi, vol. 4, f. 107 e sgg. 12. R. Filangeri, La Galleria di Castel Nuovo in “Bollettino del Comune di Napoli”, a. VI, febbraio 1928, pp. 3- 6. 13. Secondo il contratto del 1451 il perimetro della fortezza doveva essere circondato da una seconda cinta difensiva di cui parlano, seppure in termini diversi, sia Achille Stella che Riccardo Filangeri. A. Stella, Castelnuovo di Napoli alla luce dei documenti e della Storia, Napoli 1928; R. Filangeri, La cittadella aragonese e il recinto bastionato di Castel Nuovo, Napoli 1929. 14. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte terza. Il castello vicereale e borbonico, cit. [cfr. nota 11] p. 334; R.A.S.N., Regia Camera della Sommaria, Privilegi, vol. 4, f. 107 e sg. 15. Ibidem. 16. Ivi, p. 335 17. Il presente studio costituisce un approfondimento rispetto al più complesso tema delle vicende costruttive del castello oggetto del dottorato di ricerca della scrivente discusso in data 7/5/1998. La tesi riguardante il cantiere di Castelnuovo a Napoli tra il 1443 e il 1473 è stata seguita dal prof. Howard Burns all’interno del IX ciclo del Dottorato di Storia dell’Architettura e dell’Urbanistica dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. A tal proposito vorrei ringraziare il prof. Burns e tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura del testo. 18. L. Planiscig, Ein Entwurf für den Triumphbogen am Castelnuovo zu Neapel, in “Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen”, LIV, 1933, pp. 16-24. 19. Ibidem. Il termine venne utilizzato per la prima volta dallo stesso Planiscig ; v.a. J. Cordellier (a cura di), Pisanello (catalogo della mostra), Paris 1996, p. 418. Nel catalogo della mostra parigina, il disegno di Rotterdam custodito nel museo Boymans-van Beuningen (Inventario I. 527) è stato definito con il termine frontespizio architettonico (Frontspice architectural). 20. Secondo Hersey si tratterebbe invece di Partenope che, stanca di molti anni di guerra, può finalmente riposarsi grazie alla pace raggiunta da Alfonso; G.L. Hersey, The Arch of Alfonso in Naples and its Pisanellesque “Design”, in “Master Drawings”, VII, 1969, pp. 16-24. 21. Per quanto riguarda le analogie tra il disegno e l’Arco trionfale è possibile far rilevare che le proporzioni fra la larghezza e l’altezza dello spazio compreso fra le due torri d’ingresso a Castelnuovo sono simili a quelle del disegno. La sovrapposizione dei due archi è presente sia nel disegno Boymans che nell’arco realizzato, con la differenza che mentre la forma dell’apertura superiore è quasi identica, ben diversa è la conformazione del portale inferiore. Un’altra analogia è riscontrabile nell’uso
di un binato nella zona basamentale. Anche in questo caso, però, il disegno risulta ancora “gotico” sia per il dimensionamento delle colonne tortili, estremamente esili, sia per il verticalismo dell’arco acuto che inquadra il vestibolo di accesso. Uno degli elementi che, fra gli altri, distinguono l’Arco di Alfonso dal disegno di Rotterdam consiste nel tipo di apertura presente nel secondo livello: infatti mentre sopra il fornice basamentale dell’Arco trionfale esiste una bucatura, che però non funziona come loggia (in quanto priva di parapetto), nel frontespizio architettonico sopra l’arco ogivale compare una nicchia depressa, contenente al suo interno una statua equestre. L’apertura della loggia, nella zona superiore dell’Arco, non consentendo un affaccio diretto sull’esterno, sembra essere stata pensata per contenere qualcosa al suo interno. In conclusione, dal confronto fra i due schemi emerge con chiarezza che mentre la zona inferiore dell’Arco presenta un’articolazione compositiva e strutturale completamente diversa dal disegno, una maggiore affinità si riscontra invece nella parte superiore, soprattutto per quanto riguarda le proporzioni della bucatura del secondo livello, estremamente tozza, e al suo abbinamento con il piano contenente le Virtù. Prescindendo dal numero delle nicchie e delle statue, che nell’arco si riducono a quattro (contro le cinque previste nel disegno) si può notare, nell’attacco dei due piani, una diversa articolazione ritmica. Mentre nel frontespizio architettonico il terzo livello è concepito organicamente con i due piani sottostanti, non altrettanto si può dire per il monumento di Alfonso in cui le cinque lesene che incorniciano le nicchie non rispettano assolutamente la partitura architettonica della zona inferiore, disposte in maniera tale da far corrispondere alla loggia sottostante un pieno in asse. 22. F. Burger, Antonio nicht Vittore Pisanello, in “Kunstkronik”, a. XX, n. 5 November 1908, p. 67. Lo studioso ritenne possibile un coinvolgimento di Pisanello nella progettazione dell’Arco; solo la scoperta del disegno Boymans, avvenuta anni dopo, forniva nuovi elementi per il confronto dei singoli dettagli architettonici. 23. Filangeri, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, Parte seconda, cit. [cfr. nota 6], p. 322. 24. Nella Cedola della Tesoreria aragonese (Ced. di Tes. Vol. 25, f. 89) non si fa alcun riferimento a precisi elementi scultorei dell’Arco. Cfr. R. Filangeri Di Candida, L’arco di trionfo di Alfonso d’Aragona, in “Dedalo”, XII, p. 465. 25. M. Baxandall, Giotto e gli umanisti. Gli umanisti osservatori della pittura in Italia e la scoperta della composizione pittorica, (trad. it. F. Lollini), Milano 1994, p. 155.
[cfr. nota 20], pp. 16-24. 29. G.L. Hersey, The Aragonese Arch at Naples 1443-1475, Yale 1973, pp. 25-27. 30. A. Venturi, Gentile da Fabriano e il Pisanello, Firenze 1926, p. 48-49. 31. R. Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Milano 1975, vol. I, p. 171.
43. A.C.A., Cancilleria , Reg. 2736, f. 9. Il documento è datato 29 settembre 1450. 44. Facio, Fatti d’Alfonso d’Aragona..., cit. [cfr. nota 40], p. 414 . 45. Vespasiano Da Bisticci, Le Vite (edizione critica a cura di A. Greco), Firenze 1970, p. 74.
32. Ibidem.
46. Facio, Fatti d’Alfonso d’Aragona..., cit. [cfr. nota 40], p. 414
33. W.H. Kruft, M. Malmanger Der Triumphbogen Alfonsos in Neapel. Das Monument und seine politishe Bedeutung, Tübingen 1977, pp. 266-267.
47. Vespasiano Da Bisticci, Le Vite, cit. [cfr. nota 45] Dell’avvenimento si parla sia nella Vita di Alfonso che in quella di papa Nicolò V.
34. F. Bologna, L’arco di Alfonso d’ Aragona nel Castelnuovo di Napoli, in L’arco di trionfo di Alfonso d’Aragona e il suo restauro, Roma 1987, pp. 13-19. V.a. F. Navarro, La pittura a Napoli e nel meridione nel Quattrocento, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano Ristampa 1987, p. 485.
48. Presso la Società di Storia Patria di Napoli si conserva una copia del manoscritto, che doveva far parte della Biblioteca del Comune di Napoli (Mss. T. II), attualmente disperso. Una trascrizione è comunque stata pubblicata nell’“Archivio Storico per le Province napoletane”, nel 1908 da un autore che si firma D. (probabilmente il direttore della rivista Giuseppe De Blasiis); non essendovi certezze sull’identità dell’autore, in bibliografia è stato indicato come Anonimo. Cfr. Anonimo, Racconti di Storia Napoletana, in “Archivio storico per le Province Napoletane”, a. XXXIII-1908, p. 481. A proposito degli altri archi il cronista dice che quello immediatamente successivo si trovava davanti “al pred. o largo (di fronte all’ingresso di Castelnuovo) prima che si arrivasse alla giostra, l’altro all’altro capo discosto; e l’altro a capo della porta Petruza.
35. Se si esclude Ferdinando Bologna che ha avanzato l’ipotesi che si potesse trattare di un disegno di Dello Delli in visita a Napoli nel 1446, cfr. Bologna, L’Arco..., cit. [cfr. nota 34]. 36. Kornelius Von Fabriczy, prima che il disegno Boymans venisse scoperto, sulla base delle Cedole della Tesoreria aragonese, aveva stabilito che i primi pagamenti per le decorazioni dell’Arco trionfale risalivano al 1455; K. Von Fabriczy, Der Triumphbogen Alfonsos I. am Castelnuovo zu Neapel, in “Jahrbuch der Königlich preussischen Kunstsammlungen”, 1902, pp. 3-16. La scoperta del disegno Boymans fece sospettare l’esistenza di un progetto preliminare la cui ideazione, secondo Planiscig sarebbe avvenuta fra il 1449 e il 1450. Filangeri, riguardando nelle Cedole della Tesoreria individuò un pagamento, in data 17 luglio1453, a favore di Pere Johan, Paolo Romano, Pietro di Martino e Francesco Laurana. Cfr. Filangeri Di Candida, L’arco di trionfo di Alfonso d’Aragona, cit. [cfr. nota 24], p. 465.
49. Ivi, p. 481. Per abbellire le pareti della Sala principale in cui si svolsero i conviti furono commissionati, a Roger Van der Weyden, i famosi arazzi della Passione. 50. I motti inseriti accanto alle decorazioni scultoree erano un chiaro monito ai viandanti come la figura della Giustizia imperiale. C. A. Willemsen, Kaiser Friedrichs II. Triumphtor zu Capua, Wiesbaden 1953, pp. 61- 74. 51. Facio, Fatti d’Alfonso di Aragona..., cit. [cfr. nota 40], pp. 415-416.
37. A.C.A., Cancilleria, Reg. 2736, f. 11v. 38. Filangeri, Rassegna critica per le fonti di Castelnuovo. Parte terza, cit. [cfr. nota 11], pp. 333-336; R.A.S.N., Regia Camera della Sommaria, Privilegi, vol. 4, f. 107 sg.; id., in Curie, vol. I, f. 6 sgg. 39. A.C.A, Cancilleria, Reg. 2659. 40. Bartolomeo Facio, Fatti d’Alfonso d’Aragona, primo Re di Napoli (tradotti in volgare da G. Mauro), Vinegia 1580, p. 412
52. Geronimo Zurita, Los cinco libros postereros de la secunda parte de los Annales de la Corona Aragón, Saragoza, 1668, vol. IV, p. 10. Scrive testualmente Geronimo Zurita che l’imperatore si recò “con todo su aconpañamiento y esercito a la Cuitad de Napoles, a donde fueron recebidos dal Rey con el aparato, y grandeza, que per un Principe tan poderoso, y magnanimo, si pudo pensar, y llevando el camin de Capua, salio el Rey recibirlos antes que entrassen en Napoles”.
27. L. Barozzi, R. Sabbadini, Studi sul Panormita e sul Valla, Firenze 1981.
41. A.C.A., Cancilleria, Reg. 2936, f. 124125. Nello “strumento” del matrimonio si stabilisce che l’incontro fra il Re dei Romani ed Eleonora di Portogallo sarebbe dovuto avvenire “infra menses quindecim a die consumationi ipsis matrimoni per copula carnale computandis” e che la nipote di Alfonso avrebbe dovuto essere condotta per mare dal Portogallo al “portu pisano usque scilicet Neapolim inclusive et non ultra, nec alio”.
53. Il regno fu infatti chiamato Utriusque Siciliae; G. Romano, L’origine della denominazione “Due Sicilie” in un’orazione inedita di Valla, in “Archivio storico per le Province Napoletane”, a. XXII, 1898, pp. 371- 403. Alla morte di Alfonso, il figlio Ferrante assunse il titolo di Re di Napoli, poiché per volontà testamentaria gli venne assegnata solo la parte del Regno conquistata dal padre, mentre a Giovanni fratello di Alfonso, furono trasferiti i territori ereditari della Corona d’Aragona.
28. G.L. Hersey, The Arch of Alfonso in Naples and its Pisanellesque “Design”, cit.
42. Facio, Fatti d’Alfonso d’Aragona..., [cfr. nota 40], p. 412.
54. Che il problema fosse all’epoca molto dibattuto lo attesta Flavio Biondo che a
26. Ibidem. Bisogna tener presente, però, che Valla parla semplicemente di una “imaginem regis armati”. Lorenzo Valla, Bartolomaeum Facium Ligurem invectivae seu recriminationes, Liber IV, in Opera omnia, Basilea 1540, pp. 597-599.
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proposito dell’occupazione siciliana compiuta da Pietro III, dopo la rivolta dei Vespri notava che “l’aragonese si scagionò da tutte le accuse vantando la successione ereditaria spettante alla moglie Costanza da parte del padre Manfredi e dello zio Corradino”. Cfr. Flavio Biondo, Le Decadi (traduzione di A. Crespi), Forlì 1963, p. 53. 55. L’idea di realizzare un monumento del Re a cavallo, chiaramente visibile nel disegno, venne messa in relazione per la prima volta dallo Hersey con la lettera scoperta tempo prima, nell’Archivio della Corona d’Aragona, da J. Rubiò, Alfons el Magnanim rei de Napols, i Daniel Fiorentino, Leonardo da Bisuccio i Donatello in “Miscellanea Puig i Cadafalch”, I, Barcelona 1947-51, pp. 33-34. Alla statua non eseguita per Alfonso, sempre George Hersey, ricollegava la colossale testa di Cavallo, ora al Museo Archeologico di Napoli, che Lorenzo dei Medici inviò in dono a Diomede Carafa. Sebbene alcune analisi recentemente eseguite con una tecnica messa a punto dall’I.C.R. confermerebbero la fattura donatelliana del bronzo, risulta pur sempre difficile stabilire un nesso fra il desiderio espresso da Alfonso nel 1452 e l’arrivo della protome equina a Napoli nel 1471. E. Formigli, La grande testa di cavallo in bronzo detta “Carafa”: un’indagine tecnologica, in “Bollettino d’Arte”, a. LXXVII, serie VI, 1992, pp. 83-90. 56. Pietro di Martino da Milano viene definito Intercisori Lapidum nella lettera rivolta da Alfonso ai Rettori della città di Ragusa il 2 giugno 1452 con la quale li pregava di lasciare partire lo scultore al quale erano stati confiscati i beni per impedirgli di lasciare la città. A.C.A., Cancilleria, Reg. 2660, f. 41v. Per l’attività svolta a Ragusa v.a. V. Gvordanovic, The dalmatian works of Pietro di Martino and the beginnings of Francesco Laurana, in “Arte Lombarda”, 42-43, 1974, pp. 113223; P. Goss, I due rilievi di Pietro da Milano e Francesco Laurana in Castelnuovo, in “Napoli Nobilissima”, XX (1981), pp. 102-13. Nella porta della sala principale di Castelnuovo è inserito un bassorilievo raffigurante un corteo trionfale. L’idea di riproporre il trionfo di Alfonso in scala monumentale sull’ingresso principale del castello potrebbe essere stata suggerita dal motivo riprodotto in piccolo sulla porta nota come porta trionfale. 57. Archivio di Stato di Milano, Potenze estere, Napoli, Cart. 195, f.122. Documento pubblicato per la prima volta da Filangeri, Rassegna critica delle fonti per la storia di Castel Nuovo, Parte seconda..., cit. [cfr. nota 6]. 58. Bartolomeo Facio, De rebus gestis Alphonsi Aragonum (1451-1455) in G. Gravier, Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, Napoli 1769-72, XXII voll., vol. VI, 9, 255. 59. Anonimo, Racconti di Storia napoletana, cit. [cfr. nota 48], pp. 488 e sg. Una sorta di ricostruzione archeologica di antichi edifici napoletani, ormai in rovina, venne eseguita anche nella scena del Trionfo posta sulla porta omonima all’interno della Sala dei Baroni; sul fondo del corteo trionfale, compaiono due architetture emblematiche della Neapolis
antica: il Tempio dei Dioscuri e il teatro di Nerone. Cfr. A. Campana, Ciriaco D’Ancona e Lorenzo Valla sull’iscrizione del Tempio dei Dioscuri a Napoli, in “Archeologia Classica”, XXV-XXVI, 1973-74, pp. 84-102. 60. Antonio Panormita (Antonio Beccadelli detto), De dictis et factis Alphonsi Regi Aragonum, Basileae 1538. Il re rinunciò al progetto, perché per costruirlo era necessario demolire la casa di Nicola Bozzuto: “Id vero quandoquidem non poterat, ne magna ex parte diruerent Nicolai Mariae Bozuti magnani, et strenui, militi domus”. 61. Bartolomeo Facio, De rebus gestis ab Alphonso I Neapolitanorum rege Commentariorum libri decem, Napoli 1769, id., De viris illustribus, Firenze 1745. 62. Von Fabriczy, Der Triumphbogen Alfonsos I. am Castelnuovo zu Neapel, cit. [cfr. nota 36], p. 149. Il 31 gennaio del 1458 venivano pagati Isaia da Pisa, Antonio da Pisa, Pietro di Martino da Milano, Domenico Lombardo, Francesco Laurana e Paolo Romano per completare le decorazioni marmoree dell’Arco. Con molta probabilità si trattava dell’arco superiore, la cui costruzione sembra essere stata decisa in un secondo tempo rispetto alla zona basamentale. 63. E. Bernich, Leon Battista Alberti e l’Arco trionfale di Alfonso d’Aragona in “Napoli Nobilissima”, vol. XII, agosto 1903, pp. 116-117. Ettore Bernich sostiene che l’idea di mettere l’arco di trionfo “avanti alla porta del castello” sia stata di Leon Battista Alberti e loda l’originalità dell’attico raffigurante l’ingresso di Alfonso d’Aragona a Napoli.
REX HISPANICVS SICULVS ITALICVS PIVS CLEMENS INVICTVS quella superiore ALFONSVS REGVM PRINCEPS HANC CONDIDIT ARCEM. 67. Panormita, De dictis et factis Alphonsi Regi Aragonum, cit. [cfr. nota 60], p. 19. 68. P.P. Pius II (Enea Silvio Piccolomini), De Europa in Aeneae Sylvii Piccolominei senensis... opera quae extant omnia, Basel 1551, cap. LXV, p. 471. Questa giustapposizione cromatica fra la pietra di Pozzuoli e il marmo si ritrova impiegata nella Porta di Capua. 69. Biblioteca Nazionale di Napoli, Manoscritto Brancacciano, III E7, f. 104. A proposito della morte di Alfonso dal manoscritto risulta che il re “fu imbalsamato e quando fu aperto li cavarono lo core, e lo figlio lo fece incastrare in un reliquiario d’argento dorato con un cristallo fino che pare scolpito lo core”. Le Cedole della Tesoreria aragonese confermano che l’argentiere Andrea Galasso veniva pagato, il 30 giugno 1466, per “hun gran vaxell de aram daurat e saldat de argent que ha fet a forma de cor per tenjr en a quell conservat lo cor del gloriosissimo S.or R. don Alfonso de immortal memoria lo qual deu star pengiat en l’arch triumphal del Castell nou”, (R.A.S.N., Ced. di Tes., vol. 42, f. 258). Il 4 luglio del 1465 Pietro di Martino era stato pagato “en accouriment de la fabrica dell’arch triumphal” (R.A.S.N., Ced. di Tes., vol. 44, f. 383)., Von Fabriczy, Der Triumphbogen Alfonsos I. am Castelnuovo zu Neapel, [cfr. nota 36], p. 150.
64. La profondità dell’archivolto e le colonne binate ricordano l’arco dei Sergi a Pola, mentre i bassorilievi inseriti nel fianco dell’arco fanno riferimento a quello di Traiano a Benevento. Il proporzionamento delle membrature è, però, condizionato dall’impaginato decorativo; ad esempio la mancata tangenza fra la trabeazione retta dalle colonne binate e l’arco, permette l’inserimento del motivo araldico dei due grifi che reggono lo stemma del re. Lo scudo aragonese sostituisce la mensola, che compare appena accennata in basso, anche i piedritti dell’arco e i piedistalli delle colonne sono suddivisi in funzione delle fasce decorative. A differenza dell’arco dei Sergi a Pola, nell’arco di Napoli, le colonne binate sono completamente libere, simili a quelle rappresentate in un disegno di Jacopo Bellini: B. Degenhart, A. Schmitt, Corpus der italienischen Zeichnungen 1300-1450 Jacopo Bellini, II-7 Berlin 1990, tav. 42. I dettagli architettonici delle colonne, ad esclusione delle basi, sembrano essere molto vicini a quelli del tempio dei Dioscuri, oggi chiesa di S. Paolo Maggiore. Per quanto riguarda le analogie con l’arco dei Sergi a Pola esse furono riscontrate per la prima volta da W. Rolfs, Franz Laurana, Berlin 1907, e poi da R. Filangeri, Castelnuovo: Reggia angioina ed aragonese di Napoli, Napoli 1934. 65. Facio, De viris illustribus, cit. [cfr. nota 61], p. 78 66. L’iscrizione inferiore ALFONSVS
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