ALEX KAVA LA PERFEZIONE DEL MALE (A Perfect Evil, 2000) Alla cara memoria di Robert (Bob) Shoemaker (1922-1998) e a quel...
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ALEX KAVA LA PERFEZIONE DEL MALE (A Perfect Evil, 2000) Alla cara memoria di Robert (Bob) Shoemaker (1922-1998) e a quella perfezione del bene che continua a ispirare NOTA DELL'AUTRICE Anche se La perfezione del male è un'opera di fantasia, desidero esprimere la mia più profonda partecipazione al dolore di tutti quei genitori che hanno perso un figlio a causa di un insensato atto di violenza. PROLOGO Penitenziario di Lincoln, Nebraska Mercoledì 17 luglio «Mi benedica, Padre, perché ho peccato.» Il tono di Ronald Jeffreys rendeva la frase una sfida più che una confessione. Padre Stephen Francis guardò le grosse mani del detenuto, le unghie rosicchiate a sangue. Quelle mani stringevano - no, strangolavano - la falda della camicia blu dell'uniforme. Padre Francis le immaginò intorno al collo del piccolo Bobby Wilson ed ebbe un brivido. «È così che si comincia, vero?» «Sì» disse il prete. La piccola stanza era soffocante. Padre Francis diede un'occhiata ai resti dell'ultima cena di Jeffreys, pizza e una bibita in lattina. L'odore di peperoni e cipolle gli diede la nausea. «E poi cosa devo dire?» Fuori della prigione, la folla, esasperata dall'attesa e dall'alcol, si faceva sempre più rumorosa. «Friggi, Jeffreys, friggi» scandivano in coro. Voci monotone, raggelanti. Jeffreys pareva non badarci. «Non mi ricordo come funziona» riprese. «Cosa dico adesso?»
Già, che cosa doveva dire? Per un attimo Padre Francis sentì la testa completamente vuota. «I tuoi peccati» balbettò. «Dimmi i tuoi peccati.» Jeffreys esitò. Visto così, con la barba e la testa rasate, sembrava più giovane dei suoi ventisei anni. Padre Francis fu attraversato dal pensiero che quella faccia infantile non sarebbe mai invecchiata. Poi Jeffreys alzò gli occhi e lo guardò. Occhi gelidi, trasparenti, vuoti. Lo sguardo del male, si disse il prete. «Devi confessarmi i tuoi peccati» ripeté con un filo di voce. «Quelli di cui sei veramente pentito.» Jeffreys continuò a fissarlo, poi scoppiò a ridere. Padre Francis sobbalzò. Perché aveva insistito con le guardie per fargli togliere le manette? pensò fissando le grosse mani. Gocce di sudore presero a scorrergli lungo la schiena. Fu tentato di abbandonare la sua missione, di scappare via, prima che Jeffreys si rendesse conto che un altro delitto non gli sarebbe costato nulla di più. Ma gli venne in mente che la porta era chiusa dall'esterno. La risata del detenuto cessò di colpo, come era cominciata. «Sei come tutti gli altri, prete» disse con un ringhio. Poi sorrise mettendo in mostra i canini aguzzi. «Anche tu vuoi che confessi cose che non ho mai fatto.» E prese a lacerare l'orlo della camicia in tante piccole strisce. «Non capisco cosa vuoi dire» sussurrò Padre Francis allargandosi il colletto. «Credevo che avessi chiesto un prete perché volevi confessarti.» «Sì, è così» disse l'altro con la sua voce bassa e impersonale. «Ho ucciso io Bobby Wilson. Gli ho messo le mani intorno al collo e ho stretto. Prima ha fatto uno strano gorgoglio, poi più niente.» La voce adesso era calma e distaccata, come se stesse ordinando qualcosa al bar. «Ha soltanto scalciato un po'. Credo che sapesse che stava per morire. Ma non ha lottato molto, nemmeno mentre lo stavo violentando.» Si interruppe per controllare se aveva spaventato Padre Francis, e sorrise quando si rese conto di sì. «Ho aspettato che fosse morto prima di cominciare a tagliarlo. Non sentiva più niente, così l'ho tagliato e l'ho tagliato ancora. Poi l'ho violentato di nuovo.» Chinò la testa di lato, come se si accorgesse per la prima volta dei cori fuori della prigione. O forse, pensò il prete, quello che sentiva era il battito cupo del suo cuore. «Ho già confessato tutto una volta, alla polizia» riprese il condannato. «Ma adesso lo confesso a Dio, capisci? Confesso di avere ucciso Bobby Wilson. Ma gli altri due no, quelli non li ho uccisi io. Mi senti, prete? Non
ho ucciso il piccolo Harper e nemmeno quel Paltrow.» Fece un ghigno. «Ma questo Dio lo sa già, non è così?» «Dio conosce tutte le verità» replicò Padre Francis. «Vogliono giustiziarmi perché credono che io sia un serial killer che ammazza i ragazzini» disse Jeffreys a denti stretti. «È vero, ho ucciso Bobby Wilson e mi è piaciuto farlo, e forse merito di morire per questo. Ma Dio sa che non ho ucciso gli altri due. Da qualche parte là fuori, Padre, c'è ancora un mostro in libertà. Ed è molto peggiore di me.» Nel corridoio si sentirono dei passi. Padre Francis sobbalzò di nuovo facendo cadere la Bibbia sul pavimento. Stavano già venendo a prendere il condannato? Così presto? «Sei pentito dei tuoi peccati?» domandò sottovoce. Jeffreys non rispose. Ascoltava i passi nel corridoio, sempre più vicini. «Sei pentito dei tuoi peccati?» ripeté Padre Francis. Ormai respirava a stento. I canti e le grida della folla, sempre più alti, penetravano nella stanza attaverso la finestrella sigillata. Jeffreys si alzò in piedi e fissò la porta che si apriva cigolando. Era spaventato? si chiese il prete. «Sei pentito dei tuoi peccati?» ripeté per la terza volta, incapace di dargli l'assoluzione senza una risposta. Il battente si spalancò del tutto. «È ora» disse una guardia. «È il momento dello spettacolo, Padre» disse Jeffreys. Poi si voltò verso le guardie e allungò i polsi. Allo scatto delle manette Padre Francis ebbe un piccolo sussulto, poi seguì con il fiato sospeso il rumore dei passi che si allontanavano lungo il corridoio. Dalla porta aperta entrò una folata di aria fresca che gli asciugò il sudore dalla fronte. Si calmò, ma gli rimase un dolore sordo al centro del petto. «Dio aiuti Ronald Jeffreys» sussurrò tra sé. Se non altro, all'ultimo aveva detto la verità. E lui lo sapeva che era la verità, perché tre giorni prima il mostro senza volto che aveva ucciso Aaron Harper e Eric Paltrow glielo aveva detto attraverso la grata del confessionale, a St. Margaret. Ma il segreto del confessionale impediva a Padre Francis di riferirlo ad anima viva. Ronald Jeffreys compreso. 1 Cinque miglia da Platte City, Nebraska
Venerdì 24 ottobre Nick Morrelli guardò la donna e pensò che il suo ombretto azzurro era troppo pesante. La ragazza gemeva e si strofinava contro di lui, più che pronta. Ma tutto quello che lui riusciva a pensare era che quel trucco esagerato lo disturbava. «Oh, tesoro, sei così forte...» sussurrò lei accarezzandogli le braccia e la schiena. Lui scivolò via. Che diavolo gli stava succedendo? Forse doveva soltanto concentrarsi di più... Le mordicchiò l'orecchio, poi scese a cercare i seni. Lei fece un sospiro. Gemiti e sospiri di solito lo eccitavano subito. Ma quella sera, niente. Stava perdendo il suo tocco magico? Era troppo giovane per avere simili problemi... aveva solo trentasei anni! E da quando aveva cominciato a badare all'età? «Oh, amore, non fermarti!» implorò la ragazza. Nick non si era reso conto di essersi fermato, e lei stava diventando impaziente. Cominciò a muovere le anche su e giù. Sì, era decisamente pronta... e lui decisamente non lo era. Come avrebbe voluto che le donne lo chiamassero per nome invece di dolcezza, tesoro, amore. Anche loro si preoccupavano di gridare il nome sbagliato? Le mani della ragazza afferrarono i capelli di Nick, riportandogli la bocca verso i seni. Ma tutto quello che lui notò fu che i segni dell'abbronzatura non erano uniformi. Che diavolo gli prendeva? Aveva una bionda nel letto, più che disposta a fare l'amore con lui. Perché non reagiva? Forse perché gli sembrava tutto così meccanico, così privo di significato? Aveva una reputazione da difendere, che diamine. Gli sarebbe toccato supplire in qualche modo, con le dita e con la lingua... Scese lungo il corpo di lei, mordicchiando e baciando, poi raggiunse le mutandine di seta e prese l'orlo tra i denti. Un suono lo fermò di nuovo. Tese l'orecchio, ma lei afferrò la sua testa e la spinse verso il punto che le interessava. «Vai avanti, ti prego» gemette. Il suono si ripeté. Qualcuno bussava alla porta. «Torno subito» disse Nick sciogliendosi gentilmente dalla stretta. Infilò i jeans e gettò un'occhiata alla sveglia sul tavolino da notte. Le dieci e trentasei. Cominciò a scendere le scale in punta di piedi, per abitudine, poi ricordò
che i suoi non abitavano più lì da cinque anni. Il suono alla porta si fece insistente. «Un attimo... arrivo!» disse infastidito, ma in fondo grato per l'interruzione. Aprì la porta e riconobbe il figlio di Hank Ashford, di cui non ricordava il nome. Aveva sedici anni, faceva parte della squadra di football del liceo ed era più alto e robusto della media. Ma in quel momento, con la faccia bianca come un lenzuolo e le mani in tasca, sembrava un bambino. «Sceriffo Morrelli, deve venire subito in Old Church Road» balbettò. «Qualcuno si è fatto male?» domandò Nick. «No, è molto peggio... è una cosa terribile...» Il giovane guardò verso la sua macchina, e solo allora Nick vide la ragazza che piangeva con il viso affondato tra le mani. «Che diavolo succede?» sbottò aspro. Il ragazzo fece una serie di gesti convulsi, come se non riuscisse a trovare la voce. Che altra stupidaggine avevano combinato? pensò Nick. La settimana prima un gruppetto di liceali aveva fatto una gara con due trattori rubati a Jake Turner, e uno era finito a muso in giù in un torrente. Se l'era cavata con tre costole rotte e l'esclusione da due partite di football, il che secondo Nick era una punizione troppo clemente. «Si può sapere che accidenti avete fatto questa volta?» gridò. Il ragazzo lo guardò tremando. «Lo abbiamo trovato nell'erba alta... oh, Dio... abbiamo trovato un corpo» riuscì finalmente a dire. «Un corpo? Vuoi dire un cadavere?» Era ubriaco o drogato? si chiese Nick. Il ragazzo annuì con gli occhi pieni di lacrime, poi si passò la manica del giubbotto sulla faccia. «Aspetta un momento» disse Nick. Rientrò sbattendosi la porta alle spalle, infilò gli stivali senza calzini e recuperò la camicia, allacciandola in fretta. Probabilmente i due avevano bevuto qualche birra di troppo e si erano immaginati tutto quanto. Ò magari si trattava di uno scherzo di Halloween un po' in anticipo. «Che succede?» gridò una voce. Diavolo, pensò Nick, come aveva fatto a dimenticarsi di Angie? Vedendola sulle scale, con i lunghi capelli arruffati e una maglietta che le arrivava a malapena alle cosce, non riusciva a capire perché era stato così contento di allontanarsi da lei.
«Devo andare a controllare una cosa» rispose vago. «Quale cosa?» domandò Angie. Sembrava più incuriosita che preoccupata. Forse voleva solo un succoso pettegolezzo da servire ai clienti di Wanda con il caffè del mattino. «Non lo so ancora» rispose Nick. «Hanno trovato il piccolo Alverez?» insisté lei. A questo Nick non aveva nemmeno pensato. Alverez era scomparso la domenica precedente, mentre stava facendo il giro di consegna dei giornali. «No, non credo» disse. Anche l'FBI riteneva che fosse stato rapito dal padre, che nessuno era riuscito a rintracciare. Un litigio tra divorziati per la custodia del figlio. «Può darsi che ci metta un po', ma se vuoi resta pure» concluse. Prese le chiavi della jeep e uscì. Il ragazzo era seduto sui gradini. Nick gli toccò una spalla e lo fece alzare. «Voi due venite con me» disse. Old Church Road era piena di buche e di pozzanghere dopo la pioggia della settimana precedente, e Nick aveva il suo daffare a evitarle. «Che ci facevate qui, si può sapere?» chiese. Ma si rese subito conto che la risposa era ovvia. Non c'era bisogno di avere sedici anni per sapere che cosa si fa in una strada deserta e fuori mano. «Lasciamo perdere» disse. «Ditemi solo se vado nella direzione giusta.» «Sì, è a circa un miglio da qui» rispose il ragazzo, «subito dopo il ponte. C'è un sentiero che segue la riva del fiume.» Non balbettava più, notò Nick. Forse gli stava passando la sbornia? La ragazza, seduta tra loro, non aveva ancora detto una parola. Nick passò sul ponte di assi, rallentando un po', poi imboccò il sentiero fangoso. «Vado avanti fino al folto degli alberi?» domandò. Il giovane Ashford annuì. La ragazza nascose il viso nella sua spalla. Nick si fermò senza spegnere i fari e si chinò a prendere una pila nel cassetto del cruscotto. Nessuno dei due giovani pareva intenzionato a scendere dalla jeep. «Non mi hai detto che dovevamo vederlo di nuovo» sussurrò la ragazza al suo compagno. Nick scese e aspettò accanto all'auto, ma i due non si mossero. Senza insistere, puntò la torcia verso il fiume e guardò il ragazzo per avere conferma. Il giovane Ashford annuì di nuovo e Nick si incamminò. L'erba alta gli intralciava i passi e i suoi stivali affondavano nel fango. La luna era nascosta da un banco di nuvole e la notte era molto buia. Un vento leggero muoveva le foglie dietro di lui. Nick si fermò un paio di vol-
te ad ascoltare. Gli sembrava di vedere un'ombra tra gli alberi... No, si disse, era solo la sua immaginazione. Non doveva farsi influenzare da quello che molto probabilmente era soltanto uno scherzo idiota. Continuò a camminare a fatica, affondando sempre di più. Ormai aveva decisamente freddo, senza calze, senza biancheria e senza giacca com'era. Se quei due imbecilli gli avevano fatto uno scherzo, l'avrebbero pagata cara... Proseguì a testa bassa finché il raggio della pila non colse qualcosa di luccicante. Nick si diresse verso quel punto, ma inciampò in una radice, perse l'equilibrio e cadde. La pila gli sfuggì di mano e finì in acqua. Si rialzò sulle ginocchia. Sentiva un odore nauseabondo, più forte di quello che veniva dall'acqua putrida delle pozzanghere. Nonostante il buio, adesso riusciva a vedere che l'oggetto luccicante era una croce appesa a una catenina, strappata e aggrovigliata nel fango. Si voltò per capire che cosa l'avesse fatto inciampare. Aveva pensato a una radice o a un ramo. Invece era un corpicino bianco, seminascosto dalle foglie marce. Nick balzò in piedi. L'odore nauseabondo adesso riempiva l'aria. Si avvicinò lentamente, come per non svegliare il ragazzo, che sembrava dormisse anche se aveva gli occhi spalancati. Poi vide la gola squarciata e il petto aperto da un orribile taglio, con i lembi della pelle ripiegati all'indietro. Allora il suo stomaco si ribellò. 2 «Fate molta attenzione a usare solo mele perfettamente sane...» digitò Christine Hamilton sulla tastiera. Poi cancellò tutto. Non avrebbe mai finito quell'articolo, pensò. Diede un'occhiata all'orologio sulla parete e vide che erano quasi le undici. Grazie a Dio Timmy dormiva da un amico. Il custode aveva spento tutte le luci del corridoio, il che dimostrava quanto la rubrica Living today venisse considerata importante. Dalla redazione arrivavano gli squilli dei telefoni e il ronzio dei fax. In quella stanza i giornalisti della cronaca ingollavano caffè e correggevano gli ultimi pezzi. E lei si dannava l'anima sulla torta di mele! Christine aprì una cartellina e sfogliò appunti e ritagli su almeno un centinaio di modi di affettare, tritare, frullare e cuocere le mele, senza ricavarne una scintilla di ispirazione. Forse l'aveva esaurita del tutto la settimana prima, arrovellandosi a inventare sani e appetitosi piatti di verdura per i
bambini. Tutta colpa dell'atteggiamento sciovinista di Bruce, secondo il quale una moglie non doveva lavorare perché in casa era il marito a portare i pantaloni. Peccato che i pantaloni lui li togliesse troppo volentieri. Christine chiuse la cartellina di scatto e la gettò sulla scrivania. Per quanto tempo avrebbe continuato a soffrire così? pensò amara. Perché il punto era quello, soffriva ancora come un cane, dopo quasi un anno di separazione. Si scostò dalla scrivania e si ravviò i capelli biondi. Il colore chiaro era un regalo che si era fatta dopo il divorzio, e il risultato era stato soddisfacente. Far voltare gli uomini per strada era un'esperienza nuova, però doveva ricordarsi di andare dal parrucchiere prima che rispuntassero le radici scure. Trascurando il divieto di fumare, pescò una sigaretta dalla borsa, l'accese e aspirò profondamente. Ma proprio in quel momento sentì una porta sbattere e poi dei passi in corridoio. Spense in fretta la sigaretta in un posacenere colmo di mozziconi - era così che cercava di smettere! - e lo gettò nel cestino della carta, agitando l'aria per disperdere il fumo. Pete Dunlap entrò nella stanza. «Hamilton» disse. «Sei ancora qui.» Dunlap lavorava all'Omaha Journal da quasi cinquant'anni. Aveva cominciato come fattorino ed era uno dei pochi in grado di far uscire un'edizione tutto da solo. Christine gli sorrise, contenta di vedere lui anziché Charles Schneider, il caporedattore che abbaiava ordini come un colonnello nazista. «Blocco dello scrittore» disse ironica per spiegare come mai lavorava a quell'ora. «Bene» commentò Pete seguendo i suoi pensieri. «Bailey è malato, Russell sta ancora occupandosi dello scandalo del senatore Neale e ho appena mandato Sanchez sulla Superstrada 50 a seguire un maxi-tamponamento. E sta succedendo qualcosa vicino al fiume, in Old Church Road. Ernie non ha capito molto dai messaggi radio, ma pare che due o tre macchine di pattuglia stiano andando là di gran carriera. Potrebbero essere di nuovo dei liceali ubriachi che giocano con i trattori, e so che non è il tuo lavoro, Hamilton, ma non andresti a dare un'occhiata?» Christine cercò di contenere l'eccitazione. Finalmente qualcosa di serio, da vera giornalista. «Ti copro io con Schneider per quello che stavi facendo» continuò Pete, fraintendendo la sua esitazione. «E va bene, ci vado» rispose lei, come se gli facesse un favore.
«Prendi la statale, perché la superstrada sarà sicuramente bloccata dall'incidente» suggerì lui. «Esci allo svincolo per la 66 e vai avanti circa sei miglia. Old Church Road è a sud, lungo il fiume.» Lei stava per dirgli che lo sapeva bene, perché da ragazzina c'era andata a flirtare più di una volta. Ma così gli avrebbe rivelato di essere una ragazza di campagna, e questo voleva evitarlo. Si limitò ad annotare le istruzioni e prese la borsa. «Cerca di tornare prima dell'una. Magari facciamo in tempo a mettere qualcosa nell'edizione del mattino» concluse Pete. «Sarà fatto.» Christine si allontanò in fretta e appena fu al sicuro nel parcheggio deserto fece un salto di gioia. L'occasione di passare dall'altra parte era arrivata. Di passare alle notizie mollando le ricette di cucina e i trucchi per casalinghe indaffarate. Qualsiasi cosa stesse succedendo giù al fiume, lei ne avrebbe tratto un articolo sufficientemente drammatico da inchiodare i lettori. E se non era successo niente, be', si sarebbe inventata qualcosa. 3 L'uomo correva rapido, scostando i rami e calpestando le foglie secche, senza osare guardarsi alle spalle. Lo stavano seguendo? Gli erano addosso? Possibile che nessuno sentisse il rumore dei rami spezzati? Poi, d'improvviso, scivolò nel fango e finì nell'acqua gelida, annaspando. Cercò di restare in piedi, ma cadde in ginocchio e allora si rannicchiò, sperando di rendersi invisibile. La corrente era forte e minacciava di riportarlo indietro, nel punto da cui era appena fuggito. L'acqua fredda placò le sue paure. Doveva respirare con calma, si disse. Con calma. Tirò il fiato, ma un sorso di acqua fetida gli entrò in bocca, dandogli il vomito. Non vedeva più i fari. Forse era riuscito ad allontanarsi quanto bastava per mettersi in salvo. Allungò il collo per cogliere qualche suono, ma non sentì passi affrettati né guaiti di cani o il rombo di qualche motore. Aveva rischiato grosso, pensò. Il tizio con la torcia lo aveva quasi scoperto. Strano che non lo avesse visto acquattato nell'erba. Non doveva più tornare in quel posto. Stava diventando un'abitudine stupida e pericolosa. Era come una droga, per lui. Lo eccitava, gli dava una specie di orgasmo mentale... No, non doveva tornarci più. Per fortuna nessuno lo aveva visto, nessuno lo aveva seguito. Era al sicuro. E anche il ra-
gazzino, finalmente, era al sicuro. 4 L'odore nauseabondo era penetrato non solo nella pelle, ma nella mente di Nick. Si strappò di dosso la camicia infangata e accettò una giacca a vento da Bob Weston dell'FBI. Le maniche gli arrivavano a metà avambraccio e la cerniera non si chiudeva del tutto, ma se non altro stava un po' più al caldo. Però continuava a puzzare terribilmente, e ne ebbe conferma quando Eddie Gillick, uno dei suoi uomini, con una smorfia gli porse un asciugamano perché si ripulisse. Intorno a lui la scena era apocalittica. Le lampade fotoelettriche illuminavano i rami degli alberi su cui era stato fissato il nastro giallo. Nel mezzo giaceva il piccolo fantasma bianco e un orribile odore di morte aleggiava su tutto. Nick lavorava come sceriffo da un paio di anni. Aveva estratto tre vittime da altrettante macchine accartocciate, aveva visto qualche ferita da arma da fuoco ed era intervenuto a sedare alcune risse beccandosi la sua parte di pugni. Ma a questo non era preparato. «Sta arrivando Canale Nove» fece Gillick indicando un furgoncino che sobbalzava verso di loro. «Diavolo» esclamò Nick. «Come hanno fatto a scoprirlo?» «Avranno ascoltato la radio della polizia. Probabilmente non sanno nemmeno di che cosa si tratta, ma vengono a vedere se c'è qualche notizia interessante.» «Di' a Lloyd e ad Adam di tenerli lontani. Niente riprese, niente interviste e niente sbirciate. E questo vale anche per tutti gli sciacalli che dovessero arrivare.» L'ultima cosa di cui aveva bisogno era un servizio televisivo che lo ritraesse con quella giacca troppo piccola e i jeans infangati, rendendolo ridicolo davanti a tutta la contea. «Altre maledette impronte di pneumatici» borbottò Weston gettando un'occhiata a Nick in modo da fargli capire che parlava di lui. Nick arrossì di rabbia, ma non replicò. Weston lo considerava un dilettante e non ne faceva mistero. Si erano presi in antipatia fin dalla domenica precedente, quando Danny Alverez era scomparso lasciando a terra la bicicletta e un pacco di giornali non consegnati. Nick avrebbe voluto frugare tutti i campi e i parchi della zona; ma l'altro, dall'alto della sua esperienza
ventennale, aveva insistito per aspettare una richiesta di riscatto che non era mai arrivata. E lui si era dovuto arrendere. La versione che l'FBI dava dei fatti continuava a non convincerlo. Certo, le cronache erano piene di padri divorziati che si vendicavano delle ex mogli perché non potevano vedere i figli. Tuttavia Nick sentiva che qualcosa non quadrava. E il fatto che Weston, piccolo e mingherlino, cercasse di compensare la bassa statura con l'arroganza, non gli faceva accettare più facilmente il suo punto di vista. In questo caso, però, l'uomo dell'FBI aveva ragione: lui era piombato sulla scena del delitto confondendo gli indizi, e aveva fatto intervenire troppi uomini, aumentando la confusione. Chissà, forse Weston gli aveva dato di proposito una giacca troppo piccola, per umiliarlo. In quel momento George Tillie si fece strada tra la folla e Nick si sentì sollevato. Finalmente una faccia amica. L'anziano medico legale era stato evidentemente tirato giù dal letto: aveva i capelli scarmigliati e la barba mal rasata, e indossava un paio di pantofole di peluche a forma di cane. «Da questa parte, George» disse Nick. Un agente scattò un'ultima foto della scena e poi si fece da parte. Non appena vide il piccolo cadavere liyido, il vecchio medico impallidì. «Dio mio, no» gemette. «Di nuovo!» 5 Da lontano, la scena era illuminata come uno stadio la sera di una partita importante. Christine premette sull'acceleratore, pensando che doveva essere successo qualcosa di grosso. Sentì montare l'eccitazione. Il messaggio radio della polizia - Si richiedono rinforzi immediati - non era molto esplicito. Ma mentre avanzava sul sentiero fangoso Christine avvertiva che la faccenda era seria. Numerose macchine della polizia, due furgoncini di stazioni televisive e un nugolo di agenti: decisamente non si trattava di qualche adolescente ubriaco. Le venne in mente il rapimento, le foto del ragazzino trasmesse centinaia di volte da tutti i notiziari e riprodotte su tutti i giornali. Che fosse arrivata una richiesta di riscatto? O forse era addirittura in atto la liberazione del piccolo Alverez? Saltò giù dalla macchina, scivolò e rischiò di cadere. «Non fare la scema» si ordinò. «Sta' calma e non perdere la testa.» Con il taccuino in mano, si incamminò verso gli alberi. Le sue assurde scarpe col tacco furono immediatamente inghiottite dal fango. Christine le
scalciò verso la macchina e proseguì senza scarpe, raggiungendo il gruppo di giornalisti che l'avevano preceduta. Gli agenti sostenevano impassibili il fuoco di fila delle domande. Oltre gli alberi si intravedeva soltanto un cordone di uomini in divisa, che impediva completamente la visuale. Canale Cinque aveva mandato sul posto Darcy McManus, una delle conduttrici del notiziario serale. Appariva perfetta nel suo tailleur rosso, senza un capello fuori posto e con il trucco impeccabile. Ma doveva essere troppo tardi per una ripresa in diretta, perché la telecamera non era accesa e la donna se ne stava muta in disparte. Christine riconobbe l'agente Eddie Gillick nel cordone di poliziotti e si avvicinò con cautela. «Agente Gillick, si ricorda di me? Sono Christine Hamilton.» L'altro la guardò severo, poi un sorriso gli illuminò la faccia. «Certo che mi ricordo, signora Hamilton. Lei è la figlia di Tony. Che ci fa qui?» «Lavoro per l'Omaha Journal.» «Ah.» La sua espressione si indurì di colpo. Doveva pensare rapidamente al modo di agganciarlo, si disse Christine, o l'avrebbe mandata via. Guardò i baffi sottili dell'agente, i capelli lisciati all'indietro, l'uniforme stirata. E ricordò che Gillick si piccava di essere un dongiovanni. «Incredibile com'è fangoso, qui. Mi sono addirittura persa le scarpe» ridacchiò indicando i piedi nudi. Le unghie dipinte di rosso si intravvedevano sotto le calze di nylon. Gillick lanciò un'occhiata alle gambe di Christine e lei pensò che la sua gonna corta e stretta finalmente le serviva a qualcosa. «Sì, in effetti è un bel pasticcio... stia attenta a non prendersi un raffreddore» fece l'agente. E le diede un'altra occhiata, fermandosi sui seni. Christine inarcò la schiena per metterli in evidenza. «Tutta la faccenda mi sembra un bel pasticcio, Eddie» sussurrò. «Si chiama Eddie, vero?» «Infatti» rispose lui compiaciuto. «Ma non sono autorizzato a rivelare niente.» «Oh, certo.» Christine si chinò in avanti cercando di ignorare il penetrante odore di brillantina e azzardò: «È chiaro che lei non può parlare con nessuno del ragazzo Alverez». «Come lo sa?» esclamò Gillick cadendo nella trappola. Centro! esultò Christine. «Lei capirà che non posso rivelarle le mie fon-
ti...» continuò con voce bassa e seducente. «Oh, sì, certo» fece lui. «E probabilmente non è nemmeno riuscito a vedere la scena... voglio dire, l'hanno messa qui a fare il lavoro più pesante!» Gillick gonfiò il petto. «Oh, no, ho visto tutto benissimo» esclamò tronfio. «Il ragazzo è conciato male, eh?» insisté lei. «Già. Quel figlio di puttana l'ha sgozzato.» Christine si sentì girare la testa. «Ehi» gridò l'agente, «metti via quell'arnese! Mi scusi, signora Hamilton...» Mentre Gillick afferrava la telecamera dell'operatore di Canale Nove, Christine tornò verso la macchina e si sedette al volante, facendosi aria. Nonostante il freddo, era stranamente sudata. Così Danny Alverez era morto. Sgozzato, per citare Gillick. E lei aveva il suo primo scoop. Ma nel suo stomaco le farfalle di pochi minuti prima si erano tramutate in scarafaggi. 6 Sabato 25 ottobre Nick ingollò un sorso di caffè ormai freddo, pensando ai ricordi sgradevoli che la bevanda gli evocava: le nottate insonni passate a studiare, e il terribile viaggio in macchina per andare al capezzale del nonno morente che suo padre si era rifiutato di assistere. Nick si chiedeva spesso che cosa avrebbe provato il grande Tony Morrelli se lui, suo figlio, avesse rifiutato di stargli accanto nel momento finale. Adesso il sapore del caffè gli avrebbe ricordato anche le grida laceranti di una madre che aveva riconosciuto il cadavere straziato del figlio. Non un gran miglioramento. Nick aveva incontrato Laura Alverez la settimana precedente, dodici ore dopo la scomparsa di Danny. Era una donna alta e statuaria, e per tutta la durata del loro colloquio aveva lavato e asciugato ossessivamente tazze e piattini, come una condanna senza fine. Nick aveva anche notato le scarpe spaiate e il cardigan infilato a rovescio, e aveva capito che la sua calma innaturale era dovuta allo stato di shock. Laura aveva conservato la stessa calma per l'intera settimana, preparan-
do caffè e panini per tutti i poliziotti che le affollavano la casa. Forse per questo le grida laceranti che echeggiavano fra le pareti asettiche dell'obitorio gli erano parse ancora più tremende. Nessuno avrebbe dovuto affrontare da solo un dolore così atroce, pensò Nick. E si rammaricò di non aver rintracciato l'ex marito, magari per picchiarlo a sangue. «Monelli» disse Bob Weston entrando nell'ufficio di Nick. «Vai a casa, fatti una doccia, cambiati. Puzzi come un caprone.» Non voleva insultarlo, stava semplicemente enunciando i fatti. «E se fosse l'ex marito?» domandò Nick. L'altro scosse la testa. «Sono padre anch'io. Per quanto uno possa avercela con l'ex moglie, non credo che arrivi a fare una cosa del genere al proprio figlio.» «E allora da dove cominciamo?» «Io partirei da un elenco di pedofili e pornografi infantili.» In quel momento Lucy Burton si affacciò alla porta. «Scusa, Nick, volevo dirti che i reporter dei quattro canali televisivi di Omaha e dei due di Lincoln sono giù nell'atrio che aspettano una dichiarazione. E ci sono anche dei giornalisti della carta stampata.» «Merda» imprecò lui. «Grazie, Lucy.» La ragazza si allontanò e Weston si girò a guardarla. Forse era il caso che Lucy smettesse di portare quei vestiti aderenti, adesso che erano destinati ad apparire spesso in televisione. Peccato, però, si disse Nick. Lucy aveva un corpo strepitoso e le piaceva metterlo in mostra. «Bisognerà pure che gli diciamo qualcosa» sospirò rivolto a Weston. «Li abbiamo evitati per tutta la settimana.» «Sono d'accordo. Devi fare una dichiarazione.» «Perché io? Credevo fossi tu l'esperto.» «Lo ero finché pensavamo a un rapimento. Ma adesso si tratta di omicidio, e quindi è roba tua. Spiacente.» Nick si abbandonò allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi. Doveva essere un incubo, pensò. Tra poco si sarebbe svegliato nel suo letto, con Angie accanto. «Senti, Morrelli...» La voce di Weston era insolitamente gentile, e lui riaprì gli occhi insospettito. «Stavo pensando, visto che si tratta di un bambino... Forse potremmo far venire qualcuno che ti aiuti a tracciare un profilo del colpevole.» «Che vuoi dire?» «Finora nessuno ha ancora notato la somiglianza con i delitti di Jeffreys,
ma quando se ne accorgeranno sarà il caos.» Diavolo, pensò Nick, un altro bel problema da risolvere. Sentì di nuovo l'odore di decomposizione e gli venne la nausea. «Ci sono degli esperti in grado di mettere insieme un profilo di questo individuo. Giusto per darti un'idea un po' più precisa di chi può essere quel figlio di puttana.» «Certo, sarebbe un aiuto» fece lui cercando di mostrarsi padrone della situazione. Non era il momento di rivelare la propria debolezza, anche se Weston si stava dimostrando comprensivo. «Ho sentito parlare bene dell'agente speciale O'Dell. A quanto pare è in grado di tracciare il profilo di un assassino in tutti i dettagli, misura di scarpe compresa. Potrei chiamare Quantico e vedere se è disponibile.» «Quanto pensi che ci vorrà?» «Di' al medico legale di rinviare l'autopsia. Se chiamo subito può darsi che ci mandino qualcuno entro domani.» Weston si alzò e Nick lo imitò, stupito di constatare che le ginocchia reggevano, malgrado tutto. L'agente Hal Langston li aspettava sulla porta. «Ho pensato che magari vi interessava vedere questo» disse. E sventolò una copia dell'Omaha Journal. Il titolo diceva a grandi lettere: LO STILE DI JEFFREYS NELL'ASSASSINIO DEL RAGAZZO. «Chi accidenti...?» grugnì Weston afferrando il giornale e cominciando a leggere ad alta voce. Ieri sera il cadavere di un ragazzino è stato rinvenuto in Old Church Road, nella zona che costeggia Platte River. Secondo il parere di un agente che era sul posto, e che desidera mantenere l'anonimato, "qualche bastardo lo ha sgozzato". Sgozzare era il segno distintivo di Ronald Jeffreys, un serial killer giustiziato nel luglio di quest'anno. La polizia non ha ancora rivelato l'identità della vittima. «Gesù» esclamò Nick sempre più nauseato. «Bisognerà che tu metta un bavaglio ai tuoi uomini» commentò Weston. «C'è di peggio» fece Hal. «Il pezzo è firmato Christine Hamilton.» «E chi accidenti è?» ringhiò Weston rivolto a Nick. «Una delle squinzie che ti sbatti?» Come aveva potuto Christine fargli questo? Senza dirgli niente, senza metterlo sull'avviso? «No» sospirò lui. «È mia sorella.»
7 Per evitare i rimproveri di Greg, Maggie O'Dell sfilò le scarpe impolverate prima di entrare in casa. Da quando avevano comperato lo spazioso appartamento nella zona residenziale di Crest Ridge, suo marito era diventato un maniaco dell'ordine e della pulizia, e a volte lei aveva la sensazione che quella casa - che tra l'altro le costava quasi l'intero stipendio mensile fosse senza vita e senza carattere come una camera d'albergo. Sfilò la blusa di felpa, la gettò verso la lavanderia mancando il cesto, e andò ad aprire il frigorifero in cucina. La vista era desolante. Un contenitore con i resti di una cena cinese, un croissant stantio avvolto nella pellicola, una scodella colma di una poltiglia misteriosa. Maggie prese una bottiglia d'acqua e richiuse il frigo. Altro che ordine e pulizia. In quel momento squillò il telefono. «Sono Cunningham.» Lei si ravviò i capelli corti, umidi di sudore, immediatamente all'erta. «Ciao. Ci sono novità?» «Ho appena ricevuto una chiamata dall'ufficio di Omaha. Hanno trovato il cadavere di un ragazzino. Le ferite sono tipiche di un serial killer che operava nella zona circa sei anni fa.» «Vuoi dire che il killer è di nuovo in giro?» «No, si trattava di Ronald Jeffreys. Non so se ricordi il caso, aveva ucciso tre bambini e...» «Sì, mi ricordo. Non è stato giustiziato in giugno?» «In luglio, mi pare.» Maggie sentì un fruscio di carte e, conoscendo Kyle Cunningham, immaginò che avesse il dossier di Jeffreys davanti a sé, sul tavolo dell'ufficio, anche se era sabato pomeriggio. «Perciò questo potrebbe essere un imitatore» disse aprendo uno dopo l'altro i cassetti della cucina alla ricerca di carta e penna. Trovò solo tovaglioli meticolosamente ripiegati e file di utensili e posate allineati come soldatini. D'impulso, prese un cucchiaino e lo mise di traverso, sopra tutti gli altri, poi richiuse il cassetto con un colpo secco. «Sì, potrebbe essere un imitatore» ammise Cunningham. «Ma il fatto è che hanno richiesto uno psicologo, anzi, Bob Weston ha chiesto espressamente di te.» «Così sono una celebrità perfino in Nebraska» fece lei ignorando il tono irritato del suo capo. Un mese prima, Cunningham sarebbe stato fiero che
una sua protetta fosse tanto famosa. «Quando devo partire?» «Calma, calma, O'Dell.» Maggie strinse il ricevitore in attesa della predica. «Forse i rapporti lusinghieri che Weston ha su di te non comprendono il tuo ultimo caso.» Lei si appoggiò alla credenza e si premette la mano sullo stomaco. «Spero che non mi butterai in faccia il caso Stucky tutte le volte che mi darai un incarico» disse aggressiva. «Sai bene che non si tratta di questo, Maggie.» Strano, l'aveva chiamata per nome. La predica prometteva di essere severa. «È che mi preoccupo per te. Non ti sei presa un giorno di pausa dopo Stucky, e non sei voluta andare dal nostro psicologo.» «Sto benissimo» mentì lei. «Non era la prima volta che vedevo sangue e interiora, in otto anni. Ormai non c'è più niente che possa traumatizzarmi.» «Senti, per quanto tu voglia fare la dura, quando il sangue e le interiora ti finiscono addosso fa una bella differenza.» Non c'era bisogno che glielo ricordasse, pensò Maggie. Era anche troppo facile per lei rivedere la scena di Albert Stucky che faceva a pezzi quelle donne, e risentire la sua voce che diceva: Voglio che tu guardi, Maggie. Se chiudi gli occhi ne ammazzerò un'altra, e poi un'altra ancora... Lei era laureata in psicologia e non le serviva un altro psicologo che le spiegasse perché non dormiva la notte. Non aveva parlato di Stucky neppure con Greg, come avrebbe potuto confidarsi con un estraneo? Greg era lontano, quando lei era tornata nella sua stanza d'albergo a Miami, si era tolta dai capelli i brandelli del cervello di Lydia Barnett e aveva strofinato via dai vestiti e dalla pelle il sangue di Melissa Stonekey. Greg non c'era quando si era medicata la ferita che le attraversava l'addome. Del resto non erano cose di cui si poteva parlare al telefono. «Com'è andata la tua giornata, caro? Oh, io non ho fatto niente di speciale, ho solo visto due donne sgozzate e fatte a pezzi sotto i miei occhi.» Ma la vera ragione per cui non ne aveva parlato con Greg era un'altra. Maggie temeva la sua reazione. Lui avrebbe ricominciato a tormentarla perché lasciasse il lavoro, o, peggio, perché si trasformasse in una funzionarla da scrivania. Ci aveva provato l'unica volta che si era confidata con lui, e questo le era bastato. E poi Greg non sembrava troppo in ansia per la mancanza di dialogo tra loro, non si accorgeva nemmeno che la notte lei non dormiva e passeggiava su e giù per la casa. «Maggie? Sei sempre lì?»
«Ho bisogno del mio lavoro, Kyle. Per favore, non togliermelo.» La sua voce era ferma, solo le mani tremavano. Ci fu un attimo di silenzio, poi Cunningham concluse: «Ti mando i dettagli per fax. Il tuo volo parte domani mattina alle sei. Chiamami se hai delle domande». La porta d'ingresso sbatté e lei ebbe un sussulto. «Maggie?» «Sono in cucina» rispose inghiottendo in fretta un sorso d'acqua. Aveva bisogno di questo incarico, pensò. Doveva dimostrare a Cunningham che il sadico gioco di Albert Stucky non aveva segnato la sua psiche, né l'aveva privata della sua professionalità. «Ehi, piccola» disse Greg abbracciandola. Poi notò che era sudata e si ritrasse, sorridendo per mascherare il disgusto. «Abbiamo prenotato per le sei e mezza» disse. «Ce la fai a prepararti in tempo?» Lei guardò l'orologio sulla parete. Erano solo le quattro. Era davvero ridotta così male? «Oh, sicuro» replicò continuando a bere dalla bottiglia e lasciando di proposito che l'acqua le gocciolasse sul mento. Lui strinse la mascella, guardandola con disapprovazione. Aveva cercato di dissuaderla dal fare jogging nel quartiere. All'inizio lei aveva pensato che si preoccupasse per la sua sicurezza. «Sono cintura nera di karate, Greg» lo aveva rassicurato. «So difendermi.» Lui però pensava ad altro. «Non è questo» le aveva detto. «Quando corri ti riduci in un modo... Non ci tieni a fare buona impressione sui vicini?» Il telefono squillò di nuovo e lui allungò la mano verso la cornetta. «Lascia, è un fax di Cunningham» disse Maggie. E andò in soggiorno per commutare il telefono. «Perché diavolo ti manda un fax di sabato?» brontolò lui seguendola. «Sono i dettagli di un caso che mi ha chiesto di seguire» spiegò lei evitando di guardarlo. Di solito era Greg che annullava i loro impegni nei week end, ma le sembrava infantile ricordarglielo adesso. «Dovevamo fare una cenetta tranquilla, noi due soli» fece lui seccato. «E la faremo» replicò Maggie. «Devo solo cercare di non fare troppo tardi perché il mio aereo parte domani mattina alle sei.» Silenzio. «Accidenti, Maggie, è il nostro anniversario... dovevamo passare il week end insieme!»
«No, il nostro anniversario era sabato scorso, solo che tu te ne sei dimenticato e ti sei iscritto al torneo di golf.» «Quindi è una ripicca!» «No, non è una ripicca» disse Maggie cercando di mantenere la calma. «E che cosa sarebbe secondo te?» «Il mio lavoro.» «Certo, come no. Chiamalo come vuoi, per me è il tuo modo di vendicarti.» «Un ragazzino è stato assassinato, e forse posso aiutarli a trovare il bastardo che lo ha ucciso» spiegò lei alzando la voce. «Mi dispiace, Greg. Cercherò di farmi perdonare la prossima volta.» Staccò il foglio dal fax e si diresse verso la porta per uscire dalla stanza, ma lui l'afferrò per un braccio. «Digli di mandare qualcun altro» esclamò. Lei lo guardò negli occhi, cercando invano le tracce dell'intelligenza e del calore umano che l'avevano conquistata nove anni prima, quando entrambi erano all'università e progettavano di salvare il mondo, lei rintracciando i criminali e lui prendendo le parti delle vittime. Poi Greg aveva accettato di entrare in un famoso studio legale di Washington, e le vittime da difendere erano diventate multinazionali plurimiliardarie. Eppure, per un attimo, le era parso quasi di ritrovare in quegli occhi una scintilla di sincerità... Poi Greg accentuò la stretta sul suo braccio e sibilò: «Digli di mandare qualcun altro, o fra noi è finita». Maggie si liberò con uno strattone, e quando lui cercò di riafferrarla gli mollò un pugno nello stomaco. Gli occhi di Greg si spalancarono per la sorpresa. «Non azzardarti mai più a maltrattarmi» urlò Maggie. «E se usi questo incarico per decidere che è finita, vuol dire che tra noi non c'era più niente da un pezzo.» Dopo di che girò sui tacchi e se ne andò, sperando di riuscire a trattenere le lacrime. 8 Domenica 26 ottobre Così si comincia, pensò l'uomo sorseggiando il tè bollente. Il titolo sembrava più adatto a un foglio scandalistico che a un giornale rispettabile
come l'Omaha Journal. IL SERIAL KILLER TERRORIZZA LA CITTÀ ANCHE DALLA TOMBA. Naturalmente, una frase del genere sull'edizione domenicale era destinata ad attrarre un gran numero di lettori. L'articolo era firmato da Christine Hamilton, un nome che ricordava di avere visto nelle pagine del tempo libero. Perché mai avevano affidato la storia a una novellina? Aprì il giornale per leggere il seguito a pagina dieci. Accanto a una foto del ragazzo, l'articolo raccontava come la madre e l'FBI avessero aspettato una richiesta di riscatto che non era mai arrivata, finché lo sceriffo Morrelli aveva ritrovato il cadavere lungo il fiume. Morrelli? pensò lui. No, questo non era il famoso Tony, ma suo figlio Nick. Non male che padre e figlio facessero la stessa esperienza. L'articolo sottolineava la somiglianza del caso con gli omicidi di tre ragazzini avvenuti nella stessa città sei anni prima, e ricordava che i corpi delle vittime, strangolate e accoltellate, erano stati ritrovati in zone boscose qualche giorno dopo la scomparsa. Non forniva però dettagli sulla meccanica dell'ultimo assassinio, né sulle ferite al torace della vittima. Che la polizia sperasse di nuovo di tenere sotto silenzio quei particolari? pensò scuotendo la testa. L'uomo chiuse il giornale e con il suo coltello da macellaio perfettamente affilato spalmò un po' di marmellata sul pane bruciacchiato. Il tostapane funzionava male, ma lui preferiva fare colazione da solo piuttosto che in cucina con gli altri. La camera era semplice, con pareti bianche e un anonimo pavimento di legno. Il letto era troppo corto per il suo metro e ottantacinque e spesso la notte si ritrovava con i piedi scoperti. In un angolo, su un tavolo ricoperto di formica, c'erano il fornello elettrico e il bollitore che usava per il tè, oltre al tostapane difettoso regalato da un parrocchiano. Il comodino ospitava l'unico pezzo un po' prezioso, una lampada dalla base in bronzo scolpito che rappresentava una danza di ninfe e cherubini. Se l'era concessa benché fosse troppo costosa per il suo magro stipendio, quella lampada e le tre riproduzioni appese sulla parete di fronte al letto. Guardava sempre i tre quadri prima di addormentarsi, ma in questi giorni stentava parecchio a prendere sonno. Era sempre così quando quel dolore pulsante alla testa lo assaliva, alterando la sua vita tranquilla e riportando in superficie tutti gli orribili ricordi. Quando accadeva, la sua vita smetteva di appartenergli. Diede un'occhiata all'orologio e si passò una mano sulle guance. Erano ancora lisce, non avrebbe avuto bisogno di radersi. Così aveva il tempo di
finire la lettura del giornale, saltando a piè pari gli articoli dedicati a Ronald Jeffreys. Jeffreys non aveva mai meritato l'attenzione che gli avevano riservato in vita, eppure era agli onori della cronaca anche dopo morto. Finita la colazione, ripulì meticolosamente il tavolo con una spugna umida, poi prese le Nike dal piccolo lavabo. Avrebbe dovuto toglierle prima, pensò, ma per fortuna erano di nuovo pulitissime, senza la minima traccia di fango. Scosse le ultime gocce d'acqua e le mise da parte, poi lavò con cura il piatto di porcellana dipinto a mano che aveva trovato nella credenza della comunità. Strizzò la bustina del tè usata e lavò anche la tazza. Il rituale del mattino era completato. Si mise a quattro zampe sul pavimento e prese una scatola di legno, che teneva nascosta sotto il letto, deponendola sul tavolo. Ritagliò dal giornale gli articoli che lo interessavano, aprì la scatola e li unì a un mucchio di ritagli simili. I più vecchi cominciavano a ingiallire. Controllò gli altri oggetti: un fazzoletto di lino candido, due candele, un piccolo contenitore di olio. Infine leccò i resti di marmellata dal coltello e lo rimise delicatamente nella scatola, sopra un paio di mutandine da ragazzo. 9 Timmy Hamilton scostò la mano di sua madre che gli ravviava i capelli. Era già abbastanza imbarazzante essere in ritardo, ma farsi trattare come un bambinetto era anche peggio. «Dai, mamma, ci guardano tutti!» «Cos'è questo livido?» «Ho urtato contro Chad in allenamento. Non è niente.» E si mise la mano sul fianco, come per nascondere un livido molto più grande. «Devi stare più attento, Timmy. Ti fai male troppo facilmente. Quando ti ho dato il permesso di giocare a calcio dovevo essere fuori di testa.» «Devo andare» fece lui impaziente. «La messa comincia tra dieci minuti.» Christine frugò nella borsa. «Aspetta, volevo darti il modulo e i soldi per il campeggio... ma non importa, di' a Padre Keller che glieli faccio avere domani.» «Allora posso andare? Non vuoi controllare se ho messo la biancheria a rovescio o roba simile?» «Vai, spiritoso!» rise lei dandogli una pacca sul fondoschiena. A Timmy piaceva quando sua madre rideva, cosa che non faceva spesso da quando il papà se n'era andato. Se rideva diventava bella, la donna più
bella che lui avesse mai conosciuto, specialmente con quei nuovi capelli biondi. Perfino più bella di Miss Roberts, la sua insegnante di quarta. Adesso era in quinta e come insegnante aveva il signor Stedman, che non gli piaceva per niente. Era soltanto il mese di ottobre, ma Timmy aveva già deciso che essere in quinta era orribile. Le sue uniche soddisfazioni erano gli allenamenti di calcio e servire messa con Padre Keller. In luglio, quando sua madre lo aveva mandato in campeggio, lui si era arrabbiato. Ma con Padre Keller si era divertito, e al ritorno lui gli aveva chiesto di fargli da chierichetto. I chierichetti di Padre Keller erano un'elite, scelti con cura e ricompensati con premi speciali, come il breve campeggio che era in programma tra qualche giorno. Timmy bussò alla porta della sacrestia, ma nessuno gli aprì. Allora entrò, prese dall'armadio una cotta della sua misura e la infilò in fretta. Stava gettando il giubbotto sull'inginocchiatoio quando vide il prete assorto in preghiera. Padre Keller non si mosse. Finì di pregare, si fece il segno della croce e si alzò, raccogliendo il giubbotto che era caduto a terra. «Tua madre lo sa che butti in giro i vestiti in questo modo?» sorrise mettendo in mostra i denti bianchissimi. «Mi scusi, Padre. Non l'ho vista quando sono entrato, e avevo paura di essere in ritardo...» «Non preoccuparti, Timmy abbiamo tempo.» E gli arruffò i capelli come faceva sempre. All'inizio Timmy non era a suo agio quando Padre Keller lo toccava, ma adesso le sue mani lo facevano sentire al sicuro. Non lo avrebbe mai ammesso, ma Padre Keller gli piaceva quasi più di suo padre. Quando gli parlava, Timmy si sentiva la persona più importante del mondo. In cambio si sforzava di fargli piacere e di servire messa come si deve, anche se faceva ancora degli errori. La domenica prima, per esempio, aveva portato all'altare l'ampolla dell'acqua ma non quella del vino. Invece di arrabbiarsi, Padre Keller gli aveva sorriso e gli aveva sussurrato quello che mancava. Decisamente Padre Keller non era severo come il papà: sembrava più un amico che un prete. Giocava a football con i ragazzi, raccontava storie di fantasmi e a volte, dopo la messa, scambiava con loro le figurine dei giocatori di baseball. Ne aveva di preziosissime, come Babe Ruth e Joe Di Maggio. No, Padre Keller era troppo in gamba per somigliare al papà. Timmy finì di vestirsi e aspettò che il prete indossasse i paramenti. «Pronto?» disse Padre Keller. «Sì, prontissimo» rispose Timmy.
E guardando l'alta figura che camminava davanti a lui non poté trattenere un sorriso. Dalla tonaca nera spuntavano un paio di Nike candide come la neve. 10 Maggie non aveva mai apprezzato il fascino delle cittadine di provincia, quei piccoli centri che venivano definiti raccolti e amichevoli quando in realtà erano noiosi e pettegoli. Gli incarichi nelle piccole città la innervosivano. Sentiva la mancanza del traffico, dei clacson, dello smog, del cibo a cui era abituata, ma doveva ammettere che il tragitto da Omaha a Platte City era piuttosto suggestivo. Gli alberi erano un tripudio di arancio, rosso e oro, e l'aria profumava di resina e di pioggia. Mentre guidava, un jet passò rombando sulla sua testa e Maggie ricordò che a circa quindici miglia da lì si trovava una base aeronautica. Dunque anche a Platte City avrebbe potuto sentire qualche rumore familiare. Percorse di proposito la strada più lunga per attraversare il centro e farsi un'idea del luogo in cui avrebbe lavorato. Vide una pizzeria, un piccolo supermercato e un nuovissimo McDonald con il caratteristico arco doppio che superava in altezza il campanile della chiesa. La croce di ferro battuto spiccava sulle nuvole nere che si erano ammassata in cielo. I fedeli che uscivano dalla messa stavano svuotando a poco a poco il parcheggio e lei riuscì a infilare la Ford presa a noleggio in uno spazio appena liberato. Le informazioni che aveva raccolto su Internet descrivevano Platte City come una sorta di quartiere residenziale per i pendolari che lavoravano a Omaha (venti miglia a nordest) o a Lincoln (trenta miglia a sudovest), il che spiegava le belle case e i giardini curati. Affacciati sulla piazza principale c'erano alcuni negozi, un ufficio postale, un cinema, un ristorante chiamato Da Wanda e un bar con un distributore di bibite accanto alla porta d'ingresso. Molti negozi avevano dei tendoni a strisce bianche e rosse e alcune vetrine erano decorate da cassette di gerani ancora fioriti. L'edificio del tribunale, in mattoni rossi, dominava la piazza. L'intero isolato era circondato da una cancellata di ferro dipinta di bianco, che racchiudeva statue di bronzo, piccole aiuole, qualche panchina e dei lampioni in stile antico. La cosa che più impressionò Maggie fu l'assoluta assenza di rifiuti: né un sacchetto vuoto né un bicchiere di carta deturpavano il terreno ombreggiato da aceri e sicomori. I tacchi di Maggie echeggiarono nell'atrio di marmo del tribunale. Non
c'erano uomini di guardia, ma secondo le indicazioni di un pannello alla parete l'aula del tribunale, il carcere e l'ufficio dello sceriffo si trovavano al terzo piano. Maggie evitò l'ascensore e salì a piedi la sontuosa scalinata di marmo bianco e grigio, notando i rivestimenti di quercia alle pareti e le finiture in ottone lucido. L'insieme era così imponente che d'istinto camminava in punta di piedi. L'ufficio dello sceriffo era deserto, ma odorava di caffè appena fatto. Si sentiva una fotocopiatrice ronzare in una stanza vicina. Maggie vide che l'orologio sulla parete segnava le undici e mezzo e risistemò il suo, ancora regolato sull'ora di Washington. Non era nemmeno mezzogiorno e lei si sentiva già esausta, dopo il litigio con Greg, l'ennesima notte insonne e il volo piuttosto turbolento. Detestava volare e non ci si era mai abituata. «Devi imparare a rilassarti, Maggie» le diceva sua madre. «Non puoi mantenere l'autocontrollo ventiquattr'ore su ventiquattro.» Parlare di autocontrollo era alquanto ironico da parte di una donna che aveva annegato il dolore per la morte del marito ubriacandosi ogni venerdì sera e portandosi a casa chiunque le offrisse da bere. Solo quando uno dei suoi amici aveva suggerito un giochetto a tre sua madre si era decisa a usare le stanze dei motel: non tanto per il disgusto di cedere all'uomo la figlia dodicenne, pensava a volte Maggie, quanto perché il confronto la intimidiva. Maggie si massaggiò la nuca rigida per la tensione. Forse aveva fatto male a venire subito in tribunale invece di passare in albergo e magari mangiare qualcosa. Ma era impaziente di cominciare e per tutta la durata del volo non aveva fatto altro che ripassare nei dettagli i delitti di Ronald Jeffreys. L'ultimo omicidio era identico agli altri, perfino nella ferita a forma di X incisa sul petto della vittima. Gli imitatori, spesso meticolosi in modo maniacale, erano spesso più crudeli del modello originale. «Posso aiutarla?» disse una voce alle sue spalle. Maggie si voltò e guardò la donna che aveva parlato, sorpresa. Non sembrava affatto la tipica segretaria di uno sceriffo. Aveva i capelli cotonati e rigidi di lacca, e i vestiti troppo corti e stretti. Faceva piuttosto pensare a una ragazzina pronta per un appuntamento. «Vorrei vedere lo sceriffo Nicholas Morrelli» disse Maggie in tono deciso. La segretaria la squadrò sospettosa. Con il suo metro e sessantacinque e
i cinquantacinque chili di peso, Maggie non era certo una donna imponente, ma aveva adottato da anni un atteggiamento autoritario che richiamava immediatamente all'ordine gli interlocutori. «Al momento Nick non c'è» disse la donna senza ulteriori spiegazioni. «Aveva un appuntamento?» Maggie ignorò la domanda e insisté: «Come posso rintracciarlo?» La donna raddrizzò le spalle, come se volesse sfidarla. «Senta, signora, non voglio essere scortese. Ma per quale ragione vuole vedere Nick... lo sceriffo Morrelli?» Adesso non sembrava più così giovane, e barcollava un po' sui tacchi a spillo. Maggie mise la mano in tasca per prendere il distintivo, e in quel momento due uomini varcarono la porta d'ingresso. Il più vecchio indossava un'uniforme marrone impeccabilmente stirata, con la cravatta stretta al collo. Aveva i capelli lisci e spazzolati all'indietro: un perfetto agente di polizia. L'altro era in felpa grigia macchiata di sudore, short e scarpe da jogging: decisamente anomalo ma anche molto attraente, con quel lungo corpo muscoloso e i capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte. Maggie si affrettò a distogliere lo sguardo. «Salve, Lucy. Tutto bene?» domandò il più giovane dei due. Poi squadrò Maggie da capo a piedi. «Stavo solo cercando di capire che cosa vuole questa signora...» «Voglio vedere lo sceriffo Morrelli» fece Maggie impaziente. «E per cosa?» intervenne l'agente. Lei sistemò i capelli dietro l'orecchio per calmare l'irritazione, poi estrasse il distintivo. «Sono dell'FBI» disse. L'uomo più giovane la guardò imbarazzato. «Lei è l'agente speciale O'Dell?» chiese. «Esatto.» «Ci scusi per il terzo grado. Io sono lo sceriffo Morrelli.» E si asciugò la mano sulla felpa prima di tendergliela. Maggie lo guardò stupefatta. Nessuno degli sceriffi di provincia con cui le era capitato di lavorare aveva l'aspetto di Nick Morrelli. Quest'uomo sembrava piuttosto un atleta professionista, uno di quegli individui che sanno di essere attraenti e perciò credono di potersi permettere ogni arroganza. Gli occhi azzurri risaltavano sul viso abbronzato, e la sua stretta di mano era ferma e decisa. Lo sguardo fisso nel suo era senza dubbio un trucchetto che riservava alle donne, pensò Maggie infastidita. «Questo è l'agente Eddie Gillick, e ha già conosciuto Lucy Burton» con-
tinuò Morrelli. «Mi scuso ancora, ma siamo tutti un po' nervosi. Abbiamo avuto un paio di giornate difficili, e un mucchio di reporter a ficcare il naso dappertutto.» «Devo dire che ha trovato un travestimento molto efficace» replicò Maggie squadrandolo da capo a piedi come lui aveva fatto poco prima con lei. Quando lo guardò di nuovo negli occhi, l'arroganza era scomparsa e Morrelli sembrava a disagio. «Sono appena tornato da Omaha dove ho partecipato alla Maratona» si giustificò. «È per raccogliere fondi destinati all'Associazione per la cura delle malattie polmonari, o forse delle malattie cardiache, non ricordo bene. Ma comunque per una buona causa.» «Non mi deve nessuna spiegazione, sceriffo» replicò lei, soddisfatta di averlo intimidito. Ci fu un attimo di silenzio, poi Gillick si schiarì la gola. «Io devo tornare al lavoro. Lieto di averla conosciuta, signorina O'Dell.» «Agente O'Dell» corresse Morrelli. «Sì, certo, mi scusi...» «Sono sicura che ci vedremo ancora» disse Maggie con un sorriso. L'altro batté in ritirata e Morrelli cercò di riprendere in mano la situazione. «Lucy, è odore di caffè quello che sento?» «L'ho appena fatto» rispose la ragazza facendosi avanti. «Te ne porto subito una tazza.» «Che ne dici di portarne una anche all'agente O'Dell?» disse lo sceriffo guardando Maggie. «Niente caffè per me, grazie» rispose lei. «Le va una Pepsi?» Morrelli sembrava ansioso di compiacerla. «Sì, grazie.» Forse un po' di zucchero avrebbe giovato al suo stomaco vuoto. «Allora lascia perdere il caffè, Lucy, e portaci due lattine di Pepsi.» La ragazza fissò Maggie con antipatia, poi voltò le spalle e si allontanò lungo il corridoio. Nick e Maggie rimasero soli e lui si massaggiò le braccia come se avesse improvvisamente freddo. Ma lei sapeva benissimo di essere la causa del suo imbarazzo. Forse avrebbe dovuto avvertirlo del proprio arrivo. «Dopo quasi quarantotto ore ininterrotte di lavoro abbiamo deciso di prenderci una pausa» spiegò lui. «E poi oggi è domenica...» «Sì, lo so, è domenica, ma da quello che ho capito il caso è piuttosto urgente» replicò Maggie. «Ha tenuto il corpo a mia disposizione, vero?»
«Sì, certo. È nell'obitorio dell'ospedale.» Morrelli chiuse gli occhi e si passò la mano sulla faccia, e solo allora lei notò una piccola cicatrice che rovinava la perfezione della mascella ben scolpita. Era stanco, pensò, o voleva scacciare le immagini che dovevano perseguitarlo ancora, visto che era stato lui a trovare il cadavere? «Se vuole la accompagno» aggiunse lui. «Sì, grazie. Ma prima c'è un altro posto dove vorrei andare.» «Oh, certo, vorrà disfare le valigie... in che albergo è?» «Quello può aspettare, mi interessa di più la scena del delitto.» Morrelli impallidì e lei precisò: «Vorrei che mi portasse nel punto esatto in cui ha scoperto il corpo». 11 Sul terreno fangoso, tra pozzanghere e radici affioranti, si incrociavano parecchie tracce di pneumatici. «Nessuno si è reso conto che tutto questo traffico poteva distruggere delle prove?» Nick guardò di traverso l'agente O'Dell. Cominciava a non poterne più che tutti gli ricordassero la sua incompetenza. «Quando abbiamo scoperto il corpo, di qui erano già passati almeno due veicoli. Ci siamo resi conto che potevamo aver confuso le tracce dell'assassino, ma ormai non c'era più niente da fare.» Anche se si dava un tono da donna matura, pensava intanto Nick, Maggie O'Dell non poteva avere più di trent'anni. Troppo giovane per essere un'esperta. Ma l'età non era la sola cosa che lo sconcertava. A dispetto dei suoi modi bruschi, era molto bella, e gli abiti severi non nascondevano del tutto quello che aveva l'aria di essere un corpo da favola. In altre circostanze Nick avrebbe messo in moto tutto il suo fascino, ma in quella donna c'era qualcosa che lo bloccava. Agiva con troppa sicurezza, con troppa calma. Dava l'impressione di sapere sempre quello che stava facendo, il che gli dava un tremendo fastidio, perché lo faceva sentire ancora più inadeguato al compito. Frenò di colpo davanti al folto degli alberi. La nausea lo assalì di nuovo. Sentì l'agente O'Dell che trafficava con la maniglia della portiera e senza riflettere si chinò su di lei per aiutarla. «Lasci, faccio io.» Lei arretrò premendo la schiena contro il sedile per evitare ogni contatto. «Forse è meglio che apra da fuori.»
«Buona idea.» Appena sceso, Nick si diede dell'idiota per quel comportamento così poco professionale. In ufficio aveva fatto una doccia rapida e si era cambiato, ma indossava ancora gli stivali incrostati del fango di quella notte, e che adesso si sarebbero sporcati di più. Dall'esterno la portiera si aprì facilmente. L'agente O'Dell avrebbe pensato che la sua era stata una scusa meschina per farle delle avance? Comunque sembrava del tutto immune al suo fascino, o per lo meno a quel poco che gli era rimasto. «Aspetti» la fermò. «Devo avere degli stivali di gomma sotto il sedile.» Fece per arrampicarsi nella jeep, ma preferì aspettare che lei si spostasse a distanza di sicurezza. Grazie a Dio gli stivali erano a portata di mano. «Sono proprio necessari?» domandò l'agente O'Dell guardandoli come se si trattasse di un paio di manette. «Assolutamente» rispose Nick sicuro. «Giù al fiume il fango è ancora più alto.» E la osservò mentre sfilava i mocassini e infilava gli enormi stivali sui piedi snelli. Cominciarono la discesa verso il fiume e Nick notò che O'Dell manteneva il passo benché fosse molto più piccola di lui. La zona era ancora circondata dal nastro giallo, ormai strappato in diversi punti. Soffiava un'aria gelida e il cielo era carico di nuvole nere. Nick alzò il bavero del giubbotto. O'Dell aveva solo una leggera giacca di lana sui pantaloni uguali, ma non mostrava di sentire il freddo. Si abbassò a esaminare l'impronta del piccolo corpo, tastò i fili d'erba schiacciati, raccolse una manciata di fango e lo annusò. Ricordando quell'orribile odore, Nick ebbe un brivido. «Dove ha trovato la croce?» gli chiese fissando il fiume. Nick si avvicinò al paletto bianco che uno dei suoi uomini aveva conficcato nel terreno. «Qui» disse indicandolo. O'Dell guardò di nuovo l'impronta del corpo, a mezzo metro di distanza dal paletto. «Apparteneva sicuramente al ragazzo» disse Nick. «La madre l'ha riconosciuta. La catenella si deve essere spezzata durante la lotta.» «Solo che non c'è stata nessuna lotta...» «Come?» Nick la guardò in attesa di una spiegazione, ma lei era di nuovo chinata e misurava con un metro pieghevole la distanza tra l'impronta del corpo e il paletto di plastica.
«Non c'è stata nessuna lotta» ripeté alzandosi e ripulendosi i pantaloni alla meglio. «Come fa a dirlo?» Era lì solo da pochi minuti e aveva già capito tutto? «Lei è caduto qui quando ha inciampato, giusto?» domandò lei indicando l'erba strappata poco più avanti. Nick fece una smorfia irritata. «Sì.» «E le orme qui intorno sono ovviamente quelle dei suoi uomini.» «E dell'FBI» precisò lui sulla difensiva. «Si sono occupati del caso finché non abbiamo scoperto che non si trattava di un rapimento.» «A parte questo punto e quello in cui giaceva il corpo, non c'è erba strappata o schiacciata. La vittima aveva mani e piedi legati?» «Sì, dietro la schiena.» «Io penso che li avesse già legati quando è stato portato qui. Il medico legale ha stabilito l'ora approssimativa della morte?» «È stato ucciso meno di ventiquattr'ore prima che io lo trovassi» disse Nick. La nausea era sempre più forte. Chissà se sarebbe mai riuscito a dimenticare quegli occhi innocenti che fissavano il cielo. «Quando è scomparso il ragazzo?» «Domenica mattina. Abbiamo trovato la bicicletta e il pacco dei giornali appoggiato contro uno steccato. Non aveva ancora cominciato il suo solito giro di consegna.» «Perciò l'assassino lo ha tenuto prigioniero per almeno tre giorni.» «Gesù» borbottò Nick. Non aveva pensato al tempo trascorso tra la scomparsa di Danny e la sua morte. Tutti ritenevano che fosse stato rapito dal padre, che fosse in buona salute, non prigioniero e sottoposto a chissà quali torture. «E allora come si è spezzata la catena?» chiese per cambiare discorso. «Non lo so, forse l'assassino gliel'ha strappata. Era una crocetta d'argento, vero?» Nick annuì, colpito dal fatto che lei avesse letto così attentamente il suo rapporto. «Forse l'assassino non voleva vederla» continuò Maggie, come pensando ad alta voce. «Forse non poteva fare quello che aveva intenzione di fare finché la vittima la portava addosso. La croce è un simbolo che assicura protezione, e l'assassino potrebbe essere abbastanza religioso da saperlo e provare disagio.» «Un omicida fanatico» fece lui. «Ci mancava anche questa.» «Che cos'altro avete in mano?» domandò lei.
«Mi scusi?» «Avete altre prove, oggetti, brandelli di stoffa o di corda? Siete riusciti a identificare qualche impronta di pneumatico?» Di nuovo con quella storia. Quante volte gli avrebbero ricordato la sua inesperienza? «Be', sì, abbiamo trovato l'impronta di un piede.» Lei lo guardò scettica. «Mi scusi, sceriffo, ma come avete fatto a isolarne una sola? Da quanto posso vedere, qui ci deve essere stata almeno una dozzina di persone. Come fate a sapere che l'impronta non era di uno di voi, o di un agente dell'FBI?» «Nessuno di noi era a piedi nudi» replicò Nick. E senza aspettare una risposta si calò verso la riva del fiume, aggrappandosi a un ramo per non scivolare. Lei lo imitò e guardò le impronte ancora cosparse di polvere bianca. «Non c'è nessuna garanzia che siano dell'assassino» osservò. «Chi altro poteva essere tanto pazzo da andarsene in giro a piedi nudi con questo freddo?» Maggie si aggrappò allo stesso ramo e si sporse in avanti. «Le spiace darmi una mano?». Nick obbedì cercando di non guardare la giacca aperta che rivelava il morbido seno di lei. Dio santo, sembrava tutto tranne un'agente speciale. Assicurati i piedi sul terreno, Maggie gli lasciò immediatamente la mano. Poi prese un appunto sul taccuino. Nick sospirò. Si sentiva spossato. Le ultime quarantottore lo avevano privato di ogni forza. I muscoli gli facevano male per la maratona a cui si era imposto di partecipare e la nausea era diventata insopportabile. Uno stormo di oche selvatiche passò gracchiando sopra le loro teste e lui si sorprese a domandarsi quale fosse stata l'ultima cosa che Danny aveva visto. Si augurò che fosse qualcosa di tranquillo e familiare come quelle oche selvatiche. «I segni delle pugnalate e la ferita sul petto erano esattamente le stesse degli altri omicidi di Jeffreys» disse. «Com'è possibile che l'assassino abbia avuto quelle informazioni?» «Jeffreys è stato giustiziato da poco, vero?» «Infatti. In luglio.» «Spesso, quando c'è un'esecuzione capitale i giornali pubblicano una storia dettagliata del condannato. Chiunque può avere tratto le sue informazioni da lì.»
«Già, i giornali» borbottò lui pensando agli articoli di Christine. «O dagli atti del processo» continuò Maggie. «Di solito vengono resi pubblici quando il processo è finito.» «Così lei pensa che l'assassino sia un imitatore.» «Sì. I dettagli riprodotti con tanta cura non possono essere una coincidenza.» «Ma perché qualcuno dovrebbe mettersi a imitare dei delitti tanto orribili?» «Questo non lo so» disse Maggie sollevando gli occhi dal taccuino. «Ma le posso dire una cosa: lo rifarà. E molto presto, temo.» 12 L'obitorio era nel seminterrato e forse per questo ogni rumore riecheggiava sordamente contro le pareti di piastrelle bianche. Si sentiva l'acqua scorrere nelle tubature, il ronzare di un ventilatore, lo scricchiolio dell'ascensore che tornava al pianterreno. Maggie lanciò un'occhiata a Morrelli: cercava di darsi un contegno come se per lui la cosa fosse di ordinaria amministrazione, ma camminava in punta di piedi ed era chiaramente sottosopra. Giù al fiume lo aveva visto trattenere il fiato un paio di volte come se stesse per svenire. Eppure aveva insistito per accompagnarla all'obitorio, specie dopo aver scoperto che il medico legale era andato a caccia e non era rintracciabile. Maggie aveva pensato che lei non avrebbe mai scelto come diversivo uno sport che comportava altre forme di morte. Morrelli armeggiò con un mazzo di chiavi, poi scoprì che la porta non era chiusa e si appoggiò al battente per aprire a Maggie. Che fosse intenzionale o no, notò lei, era la terza volta che lo sceriffo faceva in modo che i loro corpi si trovassero quasi a contatto. Di solito il suo atteggiamento freddo e autoritario metteva fine alle avance indesiderate, ma Morrelli sembrava non capire. Probabilmente trattava tutte le donne come potenziali avventure di una notte, e dato il suo innegabile fascino era probabile che riuscisse a ottenere quello che voleva. Ma lei non si sarebbe lasciata impressionare per così poco. Era abituata ai commenti degli uomini che si sentivano sminuiti dalla sua autorità. Aveva sperimentato di tutto, dalle semplici battute ironiche a vere e proprie aggressioni fisiche, ma aveva imparato che l'indifferenza era la difesa migliore.
Morrelli trovò il pulsante della luce e i tubi al neon si accesero in successione, uno dopo l'altro. La stanza era più grande di quanto Maggie si aspettava, ordinata e disinfettata con ammoniaca. Al centro troneggiava un tavolo di acciaio inossidabile e su un ripiano lungo una parete erano allineati strumenti, bisturi, fiale e microscopi. Sulla parete opposta c'erano cinque cassetti frigoriferi. Maggie tolse la giacca e la appoggiò su una sedia, poi rimboccò le maniche della blusa e si guardò intorno alla ricerca di un camice o di un grembiule da laboratorio. La costosa camicetta di seta era un regalo di Greg e se l'avesse macchiata l'avrebbe accusata di essere trasandata e irresponsabile, come aveva fatto quando aveva perso la fede nuziale, che adesso giaceva da qualche parte sul fondo del fiume Charles. Maggie aprì la borsa che aveva con sé. Estrasse un flaconcino di Vicks VapoRub e ne spalmò un po' intorno alle narici. Aveva imparato anni prima che i cadaveri, anche se refrigerati, emanavano un odore che era meglio evitare. Fece per richiudere il flacone, poi diede un'occhiata a Morrelli e glielo porse. «Se ha intenzione di rimanere, è meglio che lo usi.» Lui guardò perplesso il flacone, poi eseguì. Maggie infilò i guanti chirurgici e ne offrì un paio a Nick, ma lui scosse la testa. «Guardi che non è obbligato a restare se non se la sente» gli disse lei. Era di nuovo pallidissimo, e non avevano nemmeno tirato fuori il corpo. «No, no, rimango. Solo che... non voglio starle tra i piedi, ecco.» Maggie avrebbe preferito esaminare il cadavere da sola, ma visto che si trovava nella giurisdizione di Morrelli tollerò la sua presenza, mettendosi al lavoro come se lui non ci fosse. Estrasse dalla borsa un piccolo registratore e una Polaroid. «Che cassetto?» domandò a Morrelli, voltandosi verso le celle frigorifere. Lui si fece forza, aprì il gancio del cassetto di mezzo e tirò. Il pesante carrello uscì dal suo alloggiamento. Maggie vi spinse sotto il tavolo, poi insieme sistemarono il tutto sotto la lampada centrale. Ma non appena lei cominciò ad aprire il sacco di plastica nera che conteneva il cadavere, Morrelli indietreggiò in un angolo. Il corpo sembrava molto piccolo e fragile, il che faceva apparire le ferite ancora più pronunciate. Era stato un bel ragazzino, pensò Maggie. Capelli biondo-rossi tagliati corti, un visetto spruzzato di lentiggini che adesso spiccavano vivide sulla pelle grigia. Sotto il collo aveva un grosso livido bluastro e la fune che lo aveva strangolato aveva lasciato delle lacerazioni
sopra lo squarcio che gli attraversava il collo. Maggie cominciò a scattare fotografie delle pugnalate e della X slabbrata sul petto, poi dei lividi sul collo e sui polsi e della ferita alla gola. Aspettava che ogni Polaroid si sviluppasse prima di scattare la successiva, cercando la luce e l'angolazione più adatte, e intanto dettava le sue osservazioni al registratore. «La vittima ha intorno al collo dei lividi prodotti da quella che potrebbe essere una fune robusta. Sotto l'orecchio sinistro c'è un'abrasione forse causata dal nodo del cappio.» Sollevò delicatamente la testa per esaminare la nuca e continuò: «I lividi corrono tutt'intorno al collo, il che sta a indicare che la vittima potrebbe essere stata strangolata prima che l'omicida le tagliasse la gola. La ferita si estende da un orecchio all'altro. I lividi sui polsi e sulle caviglie sono simili a quelli del collo, forse prodotti dallo stesso tipo di fune». Le mani del ragazzo erano sottili come piume. Maggie le controllò con cura e continuò a dettare: «Nei palmi si notano profonde incisioni prodotte dalle unghie, il che potrebbe indicare che la vittima era viva quando alcune delle ferite sono state inferte. Tuttavia le unghie sono assolutamente pulite». Depose le mani lungo il corpo e si concentrò sulle ferite. «Ci sono otto, no, nove tagli sul petto.» Li tastò con l'indice guantato e aggiunse: «Sembrano prodotti da un coltello a taglio singolo, tre sono superficiali ma gli altri sei sono molto profondi e potrebbero essere arrivati fino all'osso. Uno potrebbe avere raggiunto il cuore, anche se non è presente una goccia di sangue. Sceriffo Morrelli, ha piovuto mentre il corpo era all'aperto?». Nick Morrelli non rispose. Fissava il tavolo come ipnotizzato. «Sceriffo?» Questa volta Nick reagì e si scostò dalla parete. «Mi scusi, come ha detto?» domandò a bassa voce. «Ricorda se ha piovuto mentre il corpo si trovava presumibilmente all'aperto?» «No, mai. Ha piovuto la settimana scorsa.» «Il medico legale ha ripulito il cadavere?» «No, gli abbiamo chiesto di sospendere tutto fino al suo arrivo. Perché?» Maggie sfilò un guanto e sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Qualcosa non quadrava. «Alcune di queste ferite sono molto profonde, e anche se fossero state inferte dopo la morte, dovrebbe esserci del sangue.» Sollevò di nuovo la piccola mano. Le unghie erano perfettamente pulite, senza tracce di fango o brandelli di pelle, benché a un certo punto il ragaz-
zino le avesse affondate nel palmo. E anche i piedi erano pulitissimi. Il poverino non poteva avere lottato molto con mani e piedi legati, ma sul corpo avrebbe dovuto esserci qualche segno. «Sembra quasi che sia stato lavato» disse tra sé. Poi alzò lo sguardo verso Morrelli, che si era avvicinato. «Sta dicendo che l'omicida ha lavato il corpo una volta finito?» domandò lui. «Guardi il taglio sul petto» disse Maggie infilando di nuovo il guanto. «Qui ha usato un coltello con la lama seghettata, che ha lacerato la pelle in più punti. E guardi questi tagli» continuò inserendo il dito in uno dei più profondi. «Da un taglio di questa dimensione sgorga molto sangue. Questo è arrivato al cuore, quindi ha reciso un'arteria, il che deve avere provocato un fiotto. E anche nella gola... sceriffo?» Morrelli si era accasciato contro il tavolo. Prima che potesse aiutarlo le crollò addosso, ma era troppo pesante e lei non riuscì a sorreggerlo. Finì a terra insieme a lui e con fatica lo appoggiò a una gamba del tavolo. Morrelli sembrava in sé, ma aveva gli occhi velati e la faccia contratta. Maggie si rialzò e cercò inutilmente un asciugamano, per inumidirlo e metterglielo sulla fronte. Il laboratorio era ben attrezzato, ma non c'era nemmeno uno straccio. Maggie ricordò di aver visto un distributore di bibite in corridoio, tirò fuori dalla tasca qualche monetina e andò a prendere una Pepsi ghiacciata. Quando tornò, Morrelli si era ripreso. Maggie gli si inginocchiò accanto e gli porse la lattina. «Tenga.» «No, non ho sete...» «Non deve berla. Ecco, lasci che l'aiuti.» Gli appoggiò la lattina fredda sulla nuca e lui si abbandonò contro di lei. Ancora qualche centimetro e la testa le sarebbe finita tra i seni, ma Morrelli sembrava non accorgersene. E se dietro quell'aria da macho fosse nascosta una natura sensibile? Maggie stava per ritirare la mano quando Nick le afferrò il polso fissandola negli occhi. «Grazie» le disse piano. Le sue iridi azzurre adesso erano perfettamente a fuoco. «Non riesco a credere di essere quasi svenuto» ridacchiò. «Sono molto imbarazzato.» «Non deve. Prima di farci l'abitudine sono caduta per terra un sacco di volte.» «Ma come ci si abitua?». «Non saprei... ci si distacca, si cerca di non pensare a quello che si sta
facendo.» Maggie si alzò rapida in piedi, turbata dal modo in cui quegli occhi incredibilmente azzurri parevano leggere dentro di lei. Con ogni probabilità era soltanto un altro dei trucchetti da dongiovanni di Morrelli, ma sembrava davvero che potesse distinguere la debolezza che lei teneva accuratamente nascosta. Albert Stucky aveva messo a nudo il suo lato vulnerabile, e in questo momento sentiva che era pericolosamente vicino alla superficie. Anche Morrelli si alzò, senza sforzo apparente. Si passò la lattina fredda sulla fronte, poi azzardò un sorrisetto. «Le spiace se l'aspetto nella caffetteria?» disse. «No, vada pure» rispose Maggie. «Io ho quasi finito.» Nick alzò la lattina in una specie di brindisi e uscì. Lo stomaco di Maggie brontolò, e lei rimpianse di non aver mangiato in aereo. La stanza era fredda, ma quel breve contatto con Morrelli l'aveva fatta sudare. Tornò a concentrarsi sul corpicino di Danny e vide sulla fronte qualcosa che prima non aveva notato. Si chinò ed esaminò meglio lo sbaffo traslucido, poi ci passò sopra un dito e sfregò insieme pollice e indice. Se il corpo era stato lavato, quella sostanza oleosa doveva essere stata applicata dopo. Maggie osservò le labbra bluastre e trovò un'altra traccia oleosa. Senza nemmeno controllare, sapeva che ne avrebbe trovata una terza sul petto, poco sopra il cuore. Tanti anni di catechismo finalmente le tornavano utili, pensò. Altrimenti non avrebbe mai capito che qualcuno, forse lo stesso assassino, aveva impartito alla sua vittima l'estrema unzione. 13 Con un occhio al campo di football e uno al taccuino, Christine cercò di correggere l'articolo che aveva buttato giù. Non riusciva a seguire del tutto il gioco, ma quando sentì grida e applausi alzò la testa in tempo per vedere la squadra di suo figlio che si scambiava pacche sulle spalle. Tìmmy la guardò e lei gli fece un gran sorriso e un segno con i pollici alzati come se avesse visto tutto. Com'era piccolo in confronto agli altri, pensò. Eppure aveva già dieci anni... e cresceva anche troppo in fretta, somigliava a suo padre ogni giorno di più. Sospirò e si spinse gli occhiali sulla fronte. Ormai il sole stava calando e l'aria si era rinfrescata, ma per fortuna le nuvole erano scompar-
se e i ragazzi avevano potuto giocare indisturbati la loro partita. Christine si era seduta di proposito in uno dei posti più isolati, lontana dagli altri genitori che incoraggiavano i figli e insultavano l'allenatore. Mentre stava per tornare al suo taccuino sentì dei bisbigli provenire dalla panchina dove sedevano tre o quattro mamme divorziate che conosceva di vista. Seguì il loro sguardo e vide l'oggetto della loro attenzione. Alto, bruno e molto attraente, l'uomo indossava un paio di jeans e una felpa con la scritta dell'università del Nebraska, e sembrava ancora il difensore che era stato al college. Christine lo guardò camminare lungo la corsia laterale, consapevole dell'attenzione che suscitava, e quando lui sollevò lo sguardo gli fece un cenno di saluto. Le altre donne le lanciarono occhiate piene di invidia mentre lui saliva a sederle accanto. «Quanto sono?» domandò Nick. «Credo cinque a tre. Ti rendi conto di come mi invidiano le altre mamme? Stavano tutte sbavando per te.» «Ecco, vedi i favori che ti faccio? E tu mi ricambi con dei colpi bassi.» «Ma se non ti ho mai sfiorato nemmeno con un dito» replicò Christine. «Sai bene di che cosa parlo» fece Nick serissimo. Lei raddrizzò le spalle, pronta a difendersi. Certo, avrebbe dovuto chiamarlo prima di mandare in stampa l'articolo; ma se lui l'avesse pregata di non farne niente? Quell'articolo l'aveva fatta passare dall'altra parte della barricata e le aveva fatto guadagnare due prime pagine con la sua firma. Ormai non poteva - e non voleva - tornare indietro. «Posso farmi perdonare invitandoti a cena domani sera? Ti preparo gli spaghetti con la salsa speciale della mamma.» «Proprio non vuoi capire, eh?» «Andiamo, Nick, lo sai quanto ho aspettato questa occasione. Se non avessi scritto io quell'articolo l'avrebbe fatto qualcun altro.» «Ah, davvero? E questo qualcuno avrebbe citato le parole di un agente che gli aveva detto qualcosa di strettamente riservato?» «Gillick non mi ha mai detto che era un'informazione riservata. Se a te ha detto il contrario, mente.» «Non sapevo nemmeno che fosse stato Eddie. Ragazza mia, ti sei appena tradita.» Lei arrossì. «Vai al diavolo» sbottò. «Sarò anche un po' arrugginita, ma posso essere una giornalista maledettamente brava.» «A me sei sembrata solo irresponsabile.» «Santo Dio, Nick. Il fatto che non ti sia piaciuto quello che ho scritto
non fa di me un'irresponsabile.» «E che mi dici dei titoli?» disse lui a denti stretti. Christine non lo aveva mai visto così arrabbiato. «Che cosa ti è saltato in mente di paragonare questo delitto a quelli di Jeffreys?» «Le somiglianze ci sono.» «Jeffreys è morto» esclamò lui, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno li sentisse. «Cerca di ragionare, Nick. Chiunque abbia un po' di cervello paragonerà questo caso agli omicidi di Jeffreys. Io ho solo scritto quello che pensano tutti. Mi stai dicendo che sbaglio?» «Ti sto dicendo che non abbiamo bisogno di gettare di nuovo nel panico una città che stava ricominciando a sentirsi al sicuro.» Incrociò le braccia e continuò: «Mi hai fatto fare la figura dell'imbecille, lo capisci?». «Ah, ecco qual è il problema. Non ti importa un accidente del panico, ti importa solo della figura che fai. C'era da immaginarlo.» Lui la fissò furibondo, ma non rispose e girò la testa verso il campo. Era sempre stato così, anche quando erano bambini. Nick non reagiva mai agli insulti della sorella maggiore, e adesso a Christine dispiaceva di averlo trattato male. Però il suo modo di affrontare i problemi era davvero irritante. Nick sceglieva sempre la via più facile, d'altra parte la vita gli offriva tutto su un piatto d'argento, dal lavoro alle donne. Quando il loro padre era andato in pensione e aveva insistito perché Nick si candidasse al suo posto, lui aveva lasciato l'incarico all'università senza rimpianti, anche se gli piaceva insegnare e ancora di più essere una leggenda vivente con stuoli di ragazze ai suoi piedi. Naturalmente era stato subito eletto, ma solo grazie al nome che portava; eppure non sembrava badarci troppo. Prendeva le cose come venivano, ecco tutto. Christine, invece, aveva sempre dovuto lottare con le unghie e con i denti per ogni cosa, specialmente dopo che Bruce se n'era andato. E non aveva intenzione di scusarsi per il primo, meritatissimo colpo di fortuna che le era capitato. «Se questo omicida è un imitatore, non pensi che la gente vada messa sull'avviso?» domandò. Lui rimase in silenzio e si chinò in avanti, appoggiando le braccia sulle ginocchia. Sembrava insolitamente scosso. «Danny Alverez aveva solo un anno più di Timmy» disse dopo una lunga pausa.
Christine guardò suo figlio che saltava e correva in mezzo agli altri ragazzi. Erano tutti più alti di lui, ma lui dalla bassa statura traeva vantaggio. Anche lei aveva notato la somiglianza tra i due ragazzini: Danny aveva i capelli rossicci e gli occhi azzurri come Timmy, e come lui era piuttosto basso per la sua età. «Ho passato il pomeriggio in obitorio» riprese Nick. «Come mai?» Non aveva mai visto il fratello così serio. «Bob Weston ha chiamato un'esperta per aiutarci a tracciare un profilo dell'assassino, l'agente speciale O'Dell. È arrivata stamattina da Quantico e non vedeva l'ora di mettersi al lavoro.» Guardò la sorella e vide che scarabocchiava qualcosa sul taccuino. «Dio santo, Christine, possibile che non ci sia più niente di riservato per te?» «Se era una notizia riservata dovevi dirmelo» replicò lei. «E poi entro domani tutti sapranno del suo arrivo. Perché ti preoccupi tanto, Nick? Avere un'esperta è una buona cosa, no?» «Mi farà solo apparire un idiota che non sa che pesci prendere» borbottò lui. «E non azzardarti a stampare anche questo.» «Rilassati, fratellino. Io non sono il nemico.» La partita era finita e i vincitori ballavano sul campo per festeggiare. Le luci si stavano già accendendo. «Se ben ricordi papà collaborava con la stampa.» «Be', io non sono papà» ribatté lui secco. Adesso lo aveva davvero fatto arrabbiare, ma non sopportava che la trattasse come uno sciacallo a caccia di titoli sensazionali. «Sto solo dicendo che sapeva farsi aiutare dai giornalisti.» «Aiutare, dici? Papà usava la stampa perché adorava essere alla ribalta. Con tutte le indiscrezioni che ci sono state, è un miracolo che abbiano preso Jeffreys.» «Quali indiscrezioni? Di cosa stai parlando?» «Lasciamo perdere» sospirò Nick. Christine inarcò le sopracciglia. «Però alla fine Jeffreys lo hanno preso e papà ha risolto il caso, no?» insisté. «Certo. L'hanno preso e il vecchio si è aggiudicato tutto il merito.» «Nick, nessuno ti ha chiesto di prendere il posto di papà. L'hai deciso tu.» Ecco, l'aveva detto. Lo guardò, in attesa di una reazione, ma lui si limitò a una smorfia. «Ti sei mai chiesta... voglio dire, non ti è mai sembrato che accadesse tutto troppo in fretta, che fosse troppo facile?» Christine fissò il fratello, perplessa. Stava cominciando a preoccuparla
con quell'atteggiamento insolito. E non solo perché aveva tirato fuori la storia del padre, c'era dell'altro. Che cosa sapeva? Che cosa l'aveva spaventato? «Nick, che vuoi dire?» tentò ancora. «Zio Nick, mi hai visto segnare?» strillò Timmy avventandosi su per gli scalini. «Certo» mentì lui. «Sei stato grande.» E aprì le braccia per stringere il nipote, sorridendo con la solita allegria. Ma Christine non si lasciò ingannare. Suo fratello nascondeva qualcosa, e lei aveva tutte le intenzioni di scoprire che cosa. 14 La partita era finita. L'uomo fece un giro con l'auto intorno al campo, lentamente, e si fermò in un angolo del parcheggio lontano dalle altre macchine. Poi spense i fari e rimase ad ascoltare una cassetta con musiche di Vivaldi, sperando che gli calmasse il dolore alle tempie. Stava succedendo di nuovo e lui non riusciva a controllarsi. Peggio, non voleva. Era mortalmente stanco, non ricordava l'ultima volta che aveva dormito una notte intera invece di camminare avanti e indietro o di uscire a vagabondare per le strade. Si strofinò gli occhi, poi si interruppe notando che le sue mani tremavano convulsamente. «Ti prego, Dio, fa' che smetta» sussurrò premendosi la fronte. Il dolore martellante si era fatto insopportabile. I ragazzi uscivano a gruppetti, con le magliette sporche di erba e le facce sudate. Sembravano felici dopo la vittoria, e si gettavano le braccia al collo con tanta naturalezza... Il ricordo riaffiorò improvviso, inchiodandolo contro il sedile della macchina. Aveva undici anni e il suo patrigno aveva insistito per iscriverlo nella squadra della scuola, accordandosi con l'allenatore perché lo tenesse impegnato il sabato mattina. Lui sapeva benissimo che lo aveva fatto solo perché voleva scoparsi sua madre in santa pace. E una volta, per caso, li aveva sorpresi. La scena era ancora dolorosamente vivida nella sua memoria. Si era fermato sulla soglia della camera da letto, paralizzato alla vista delle natiche bianche di sua madre e della croce d'argento che le ballava tra i grossi seni. Sua madre si puntellava sulle mani e sulle ginocchia, mentre il suo patrigno la montava come una cagna in calore.
Era stato lui a vederlo per primo e gli aveva urlato di andarsene, ansimando, mentre sua madre cercava affannosamente di coprirsi con il lenzuolo. E allora lui si era voltato e si era messo a correre verso la sua stanza. Proprio mentre stava per chiudere la porta, il patrigno lo aveva raggiunto. Era nudo e il suo pene, rigido in mezzo ai peli neri, a lui era sembrato mostruoso. Il patrigno lo aveva afferrato per la nuca e gli aveva sbattuto la faccia contro la parete. «Sei un guardone, eh? O vuoi assaggiarne un po' anche tu?» La voce era roca e lui non l'avrebbe più dimenticata. Era rimasto perfettamente immobile mentre il patrigno gli strappava i pantaloni del pigiama. Dietro la porta chiusa a chiave sua madre urlava e picchiava i pugni. Poi lui aveva sentito la pressione, il dolore lacerante, così orribile che gli era parso di esplodere. Ma non si era mosso e non aveva emesso fiato, benché avesse voglia di urlare come un pazzo. La parete ruvida gli graffiava la guancia, ma lui aveva continuato a fissare il crocifisso appeso poco sopra la sua testa, in silenzio, finché quella tortura ebbe fine. Un clacson suonò e lui sobbalzò stringendo con forza il volante. Aveva le mani sudate, ancora tremanti. Guardò i bambini salire sulle macchine dei genitori. Quanti di loro nascondevano segreti simili al suo? Quanti di loro avevano lividi e cicatrici, quanti sognavano di essere salvati dalla stessa infelicità, dalle stesse torture? Fu allora che vide il ragazzino. Dopo un cenno ai compagni si allontanava da solo. Aspettò per controllare se qualcuno fosse venuto a prenderlo, ma osservò che si incamminava verso casa per conto suo, come sempre. Stava calando la notte e i lampioni erano accesi. Le macchine lasciavano il parcheggio una dopo l'altra, accecandolo con i fari, ma nessuno fece particolarmente caso a lui. Non c'era niente di strano se voleva assistere a una partita di calcio, e infatti alcuni lo riconobbero e lo salutarono. Un isolato più avanti, il ragazzino camminava ancora da solo, con un pallone stretto sotto il braccio. Era piccolo e vulnerabile nella sua divisa troppo grande, ma pareva abituato alla solitudine, e non sembrava badare troppo al fatto che nessuno fosse venuto a vederlo giocare. Quando anche l'ultima macchina se ne fu andata, lui spense lo stereo, interrompendo bruscamente Vivaldi. Le sue dita presero la fialetta nel cassetto del cruscotto e la spezzarono con sicurezza, intridendo con il contenuto il fazzoletto candido. Non avrebbe voluto usare quella precauzione, ma con Danny era stato imprudente e non poteva ripetere lo stesso errore. Indossò il passamontagna e scese dalla macchina, richiudendo cautamente
la portiera. Ecco, pensò. Le sue mani non tremavano più. Stava riprendendo il controllo della situazione. Con passo leggero, si incamminò sul marciapiede. 15 Lunedì 27 ottobre Maggie versò nel bicchiere il resto della bottiglietta e bevve un sorso, poi chiuse gli occhi sentendo il calore scendere nella gola. Forse stava prendendo anche lei il gusto di sua madre per l'alcol, pensò. O, peggio, si stava abituando al piacevole intontimento procurato dal whisky. Si strofinò gli occhi e guardò la sveglia sul comodino. Le due di notte, e non riusciva a dormire. Sul tavolo, in ordine cronologico, erano disposte le Polaroid scattate in mattinata. L'assassino era metodico, faceva le cose con calma, tagliava e incideva con spaventosa precisione. Persino la X sul torace seguiva un percorso preciso, dalle spalle all'ombelico. Maggie raccolse i piedi nudi sotto di sé, cercando una posizione più comoda. La maglietta che portava come camicia da notte era slabbrata e scolorita per il troppo uso, ma per lei era una coperta di Linus che la faceva sentire a casa dovunque fosse. Perciò rifiutava di buttarla via, nonostante le pressioni di Greg. Greg. Avrebbe dovuto chiamarlo tornando in albergo, ma ormai era troppo tardi. E forse era meglio così, avevano bisogno entrambi di calmarsi un po' prima di parlarsi di nuovo. Esaminò gli appunti, una serie di annotazioni che sarebbero parse insignificanti a chiunque, ma che alla fine le avrebbero permesso di tracciare un ritratto del colpevole. Spesso riusciva a descrivere un assassino nei minimi dettagli fisici, l'altezza, il colore dei capelli, il dopobarba preferito. Ma questo caso era insolitamente difficile, in parte perché il sospettato più ovvio era già morto e in parte perché non era semplice insinuarsi nella mente malata e disgustosa di chi uccideva dei bambini. Maggie osservò la crocetta d'argento sul comodino, simile a quella di Danny Alverez. Finché la porterai Dio ti proteggerà da ogni male, le aveva detto suo padre regalandogliela per la prima comunione. Ma quella identica che anche lui portava al collo non era bastata a salvarlo dalle fiamme. Negli anni successivi Maggie aveva risolutamente messo da parte la sua
educazione cattolica, ma aveva continuato a portare la crocetta, per abitudine e per rispetto alla memoria del padre. Poi, quando era entrata a Quantico otto anni prima, le illustrazioni del suo vecchio catechismo, piene di demoni con le corna e gli occhi scintillanti, avevano assunto un nuovo significato. Il male esisteva, ne aveva sperimentato gli effetti sulle vittime, lo aveva visto negli occhi degli assassini. Stranamente, la scoperta del male l'aveva riportata a credere in Dio. Ma Albert Stucky le aveva fatto un'altra volta dubitare che a Dio importasse qualcosa delle sue creature. Dopo essere stata costretta a guardare quel mostro mentre faceva a pezzi due donne, era tornata in albergo e si era strappata la crocetta dal collo. La portava ancora con sé, ma non riusciva più a indossarla. Prese la crocetta dal comodino e lisciò la superficie lucida, domandandosi che cosa avesse provato Danny Alverez quando l'assassino gli aveva strappato via quell'ultima protezione simbolica. Poi la strinse nel pugno e alzò la mano per scagliarla irosamente a terra. Ma un tocco leggero contro la porta la fermò. Balzò in piedi e andò a prendere la Smith & Wesson, poi si avvicinò alla porta in punta di piedi, sentendosi più vulnerabile che mai con addosso la sola maglietta e gli slip. Guardò dallo spioncino, vide lo sceriffo Morrelli e si rilassò un poco, ma aprì soltanto un piccolo spiraglio. «Che succede, sceriffo?» «Le chiedo scusa, ho cercato di chiamarla, ma era sempre occupato. Il portiere di notte si deve essere attaccato al telefono.» Sembrava sfinito, aveva gli occhi arrossati e la barba ispida. «È scomparso un altro ragazzino» sussurrò deglutendo. «Non è possibile!» esclamò lei. Ma in realtà sapeva che era possibilissimo. Stucky aveva ucciso la quarta vittima meno di un'ora dopo che la terza era stata scoperta: l'aveva fatta a pezzi, poi aveva messo i brandelli nei contenitori per la consegna del cibo a domicilio e li aveva buttati in un bidone della spazzatura, di fronte al ristorante dove aveva appena cenato. «I miei uomini hanno passato al setaccio tutta la zona. Viali, parchi, campi» disse Morrelli. «Il ragazzino si chiama Matthew Tanner e stava tornando a casa dopo una partita di calcio. Doveva fare solo cinque isolati.» «Sarà meglio che entri» sospirò lei aprendo la porta. Morrelli fece qualche passo, ma si fermò sulla soglia. I suoi occhi corsero alle gambe nude di Maggie. «Mi scusi... l'ho svegliata» disse guardando il soffitto.
Maggie arrossì e si diresse verso il cassettone. Posò la pistola e cercò un paio di jeans. Mentre li infilava, Nick domandò: «Le ho detto che ho cercato di chiamarla, vero?». «Sì, me l'ha detto. Non si preoccupi, ero sveglia e stavo rivedendo i miei appunti.» «C'ero anch'io alla partita» mormorò lui. «Che partita?» «Quella che il ragazzo aveva appena finito di giocare. Mio nipote fa parte della stessa squadra. Gesù, se penso che Timmy lo conosce...» «È sicuro che non sia andato a casa di un amico?» Morrelli fece segno di no. «Abbiamo telefonato agli altri genitori. I compagni ricordano di averlo visto allontanarsi da solo, e abbiamo anche trovato il suo pallone, con gli autografi di giocatori famosi. Sua madre dice che è una delle cose più preziose che ha, e che non lo avrebbe mai lasciato in giro.» Morrelli si passò una mano sulla faccia e lei riconobbe il panico nella sua espressione. «Forse dovrebbe sedersi» gli disse. «Bob Weston mi ha suggerito di fare un elenco di pedofili e assassini a sfondo sessuale. Ma che devo fare, trascinarli tutti in cella per interrogarli? E poi, dove cazzo li vado a cercare?» «Sceriffo, perché non si siede?» gli ripeté lei. «Sto bene in piedi.» «Mi dia retta.» Maggie lo afferrò per un braccio e lo spinse gentilmente su una sedia. Lui si arrese distendendo le lunghe gambe. «Avevate dei sospetti quando il piccolo Alverez è scomparso?» domandò Maggie. «Solo uno, il padre, che è un maggiore dell'aeronautica in servizio alla base qui vicino. I genitori sono divorziati e al padre erano state negate la custodia e i diritti di visita perché beveva e maltrattava moglie e figlio. Noi non siamo riusciti a rintracciarlo e nemmeno i suoi superiori hanno potuto darci indicazioni. A quanto pare è sparito senza permesso due mesi fa. Pare sia scappato con una ragazza di sedici anni che aveva conosciuto in Internet.» «E a che punto sono le ricerche?» si informò ancora Maggie. Anche lei cominciava a sentirsi sfinita. Quanto tempo poteva andare avanti dormendo due o tre ore per notte? «Le abbiamo sospese.»
«Come, sospese?» «Dopo che abbiamo trovato il corpo di Danny, Weston ha detto che non poteva essere stato il padre. Che nessun padre avrebbe potuto fare una cosa del genere a suo figlio.» «Ho visto cose spaventose fatte dai padri» replicò lei. «Mi ricordo un caso di quattro anni fa. Un uomo aveva rinchiuso il figlio di sei anni in uno scatolone e poi lo aveva seppellito in giardino, lasciandogli solo una piccola presa d'aria collegata a un tubo di gomma. Era la punizione per una sciocchezza che il bambino aveva fatto, non so nemmeno più quale. Dopo qualche giorno di pioggia il padre non riuscì più a trovare il punto in cui aveva sepolto il figlio, e invece di scavare cercò di far passare la cosa per un rapimento. E la madre lo aiutò, forse perché temeva di fare la stessa fine. Perciò credo che dovreste continuare a cercarlo, il maggiore Alverez. Lei stesso mi ha detto che maltrattava i suoi, vero?» «Sì, la moglie lo aveva fatto diffidare un paio di volte dalla polizia. Ma non vedo che collegamento ci sia con questo ragazzino... non credo neppure che Matthew Tanner e Danny si conoscessero.» «Può darsi che non ci siano collegamenti, ma non siamo sicuri che sia stato rapito. Potrebbe essere scappato di casa.» «Sì, certo» sospirò Nick appoggiando la testa alla spalliera della sedia. «Ma lei crede veramente che sia scappato?» Maggie decise di dirgli la verità. «No, non lo credo. Sapevo che l'assassino avrebbe colpito di nuovo, ma non immaginavo che lo facesse così presto.» «E allora mi dica da dove comincio. Ha avuto il tempo di capire qualcosa di questo tizio?» «È meticoloso e molto controllato. Agisce con calma, e dopo aver ucciso ripulisce tutto con cura. Non lo fa per nascondere le prove, ma perché è parte del suo rituale. Credo che abbia già commesso altri crimini simili.» Maggie sfogliò i suoi appunti e riprese: «È giovane, ma non immaturo. Sulla scena del delitto non c'erano segni di lotta, perciò la vittima era stata legata in precedenza. Questo significa che l'uomo è abbastanza forte da trasportare un ragazzino sui trenta chili. Immagino che sia sulla trentina, alto almeno un metro e ottanta e sui novanta chili di peso. Ed è bianco, intelligente e colto». Morrelli ascoltava con interesse crescente. «Ricorda che all'obitorio, dopo aver esaminato il corpo di Danny, le ho detto che l'assassino poteva avergli dato l'estrema unzione?» continuò lei.
«Questo potrebbe significare che è cattolico, forse non praticante ma con un forte senso di colpa. Tanto da essere infastidito da un ciondolo a forma di croce e da doverlo strappare via. Un timorato di Dio che dà l'estrema unzione alla sua vittima per espiare il suo peccato. Potrebbe controllare se questo ragazzo, Matthew Tanner, frequentava la stessa parrocchia di Danny Alverez?» «Direi che è improbabile. Danny frequentava la scuola e la chiesa della base militare, mentre i Tanner - sempre che siano cattolici - abitano a pochi isolati dalla chiesa di St. Margaret.» «Può anche darsi che l'assassino non conosca affatto le sue vittime, e che cerchi semplicemente degli obiettivi facili come i ragazzini che vanno in giro da soli. Però credo che abbia dei legami con una chiesa cattolica, probabilmente in questa zona. Potrà sembrarle strano, ma di solito quelli come lui non si allontanano troppo dal territorio familiare.» «Insomma, un vero psicopatico. Se ha già commesso altri delitti simili, potrebbe essere stato schedato per molestie ai minori, o magari per maltrattamenti a un amante gay?» «Lei pensa che sia gay o pedofilo?» replicò Maggie. «Un uomo adulto che fa una cosa del genere a un ragazzino... è una deduzione logica, direi.» «Non necessariamente. Può darsi che quest'uomo tema di essere gay, o che abbia delle tendenze omosessuali. Ma io non credo che sia gay né pedofilo.» «E l'ha capito dalle prove che abbiamo?» «L'ho capito da quelle che non abbiamo. La vittima non sembra aver subito violenza sessuale, anche se l'assassino potrebbe aver lavato le tracce di seme. Non c'erano abrasioni né segni di penetrazione. E anche tra le vittime di Jeffreys solo una, Bobby Wilson mi pare, mostrava segni di violenza sessuale. Segni molto chiari.» «Un momento. Se questo tale è solo un imitatore di Jeffreys, come possiamo essere sicuri che le prove che lascia siano significative?» «Gli imitatori spesso scelgono come modelli gli omicidi che soddisfano le loro fantasie, e poi aggiungono tocchi personali. Nei rapporti su Jeffreys non ho trovato cenni al fatto che somministrasse alle sue vittime l'estrema unzione, ma questo è un dettaglio che potrebbe essere sfuggito agli investigatori.» «Comunque ha chiesto di parlare con un prete prima di essere giustiziato» disse Nick.
«Come lo sa?» domandò lei. «Forse le hanno detto che mio padre è stato lo sceriffo che ha catturato Jeffreys. Ovvio che avesse un posto in prima fila il giorno dell'esecuzione.» «Potrei fargli qualche domanda?» «Credo di sì, ma rintracciarlo non sarà facile. I miei si sono comprati un camper quando mio padre è andato in pensione, e viaggiano molto. Ogni tanto passano di qui, e penso che non appena mio padre saprà quello che è successo si metterà in contatto con me. Ma potrebbe volerci un po' di tempo.» «Ed è possibile rintracciare il prete che ha parlato con Jeffreys?» «Questo sì, perché Padre Francis è ancora qui a St. Margaret. Però non so quanto ci sarà di aiuto, perché è improbabile che riveli quello che ha saputo in confessione.» «Vorrei parlargli comunque, e poi vorrei incontrare i Tanner. Lei li avrà già visti, naturalmente.» «La madre. I genitori di Matthew sono divorziati.» Maggie aggrottò la fronte, poi cominciò a frugare tra i suoi appunti. «Ecco» disse quando trovò quello che cercava. «Tutte e tre le vittime di Jeffreys venivano da famiglie di divorziati e vivevano con la madre.» «E questo che cosa significa?» «Significa che forse l'assassino non sceglie le sue vittime a caso. Mi ha detto che Danny aveva lasciato la bicicletta e il pacco dei giornali appoggiati da qualche parte?» «Sì. Non aveva ancora cominciato il suo giro di consegna.» «E non c'erano segni di lotta.» «No, nessuno. Era come se avesse parcheggiato la bicicletta prima di andare via con qualcuno che conosceva. Questa è una piccola città, ma i ragazzini sanno badare a se stessi. Non credo che Danny sarebbe mai salito in macchina con un estraneo.» «A meno che non fosse qualcuno di cui pensava di potersi fidare. Qualcuno che diceva di conoscere sua madre o suo padre, o magari qualcuno che portava una divisa. Succede, sa. Nessuno si chiede se una persona in divisa è davvero quello che sembra.» «Magari era qualcuno che indossava un'uniforme militare, come quella di suo padre» disse Nick. «Già» assentì Maggie. «O un camice. O anche... una divisa della polizia.»
16 Timmy si appoggiò alla parete, poi scivolò a sedere sul pavimento. Doveva fare pipì, ma se avesse bussato alla porta sua madre avrebbe insistito perché sbrigasse la faccenda mentre lei finiva di truccarsi, e lui era troppo grande per fare pipì in pubblico. Per distrarsi allacciò la scarpa da tennis e notò che il buco nella suola si stava allargando. Tra poco avrebbe avuto bisogno di un paio di scarpe nuove, e sapeva che la mamma non poteva permetterselo, perché l'aveva sentita protestare al telefono con suo padre che non aveva mandato nemmeno un centesimo della somma stabilita dal tribunale. Mentre sua madre cominciava a canticchiare un motivo della Sirenetta squillò il telefono, e lui corse a rispondere. «Timmy, sono Ann Calloway, la mamma di Chad. Tua madre è in casa?» Lui avrebbe voluto dire che era stato Chad a cominciare, invece disse soltanto: «Vado a chiamarla». Chad Calloway era un bullo, ma se Timmy avesse detto a sua madre che era stato lui a gonfiarlo di botte lei lo avrebbe ritirato dalla squadra. E comunque anche Chad aveva qualche livido, pensò soddisfatto. Bussò alla porta del bagno e sua madre aprì, uscendo in una scia di profumo. «Chi era al telefono?» «La signora Calloway, la madre di Chad. Non so che cosa vuole.» Lei prese la cornetta. «Sono Christine Hamilton. Sì, certo.» Poi sussurrò a Timmy: «Chi hai detto che è?». «La madre di Chad» ripeté lui. Perché non lo stava mai a sentire? Guardò sua madre che passeggiava come sempre quando era al telefono, annuendo e dicendo «Hmmm...» oppure «Oh, sì, naturalmente.» Chissà che cosa stava blaterando la madre di quello sbruffone. Il fatto era che Chad ce l'aveva con lui e si divertiva a gonfiarlo come un otre senza ragione. «Grazie della telefonata» concluse sua madre. «Arrivederci.» E dopo aver riagganciato, rimase a guardare per un attimo fuori della finestra. Timmy era pronto a lanciarsi in un'autodifesa appassionata quando lei si voltò e parlò, prendendolo in contropiede. «Timmy, è scomparso uno dei tuoi compagni» disse. «Cosa?»
«Matthew Tanner non è tornato a casa ieri sera dopo la partita.» Così la telefonata non aveva niente a che vedere con Chad, pensò lui sollevato. «Gli altri genitori dei tuoi compagni di squadra si trovano stamattina a casa Tanner per vedere se possono essere d'aiuto.» «Ma cosa gli è successo?» si allarmò Timmy. «Perché non è tornato a casa?» «Senti, tesoro, non voglio che ti preoccupi, ma ti ricordi gli articoli che ho scritto su Danny Alverez?» Lui annuì. Come poteva non ricordarseli? Sua madre lo aveva mandato a comperare decine di giornali, anche se poteva avere tutte le copie che voleva in ufficio. «Non siamo sicuri e perciò non devi spaventarti, ma l'uomo che ha rapito Danny potrebbe avere rapito anche Matthew.» Timmy la guardò. Aveva intorno alla bocca le rughe che le comparivano sempre quando era preoccupata. «Va' in bagno e preparati» disse Christine. «Ti accompagno a scuola in macchina. Non voglio che tu vada in giro da solo.» «Va bene» rispose Timmy, e corse finalmente in bagno. Povero Matthew, pensò. Poi, vergognandosene un po', si disse che era un peccato che non fosse toccato a Chad. 17 Mentre Tìmmy era in bagno Christine aveva telefonato al caporedattore della cronaca, Taylor Corby, e adesso stentava a contenere l'emozione. Al giornale Corby veniva considerato un tipo bizzarro. Portava occhiali rotondi cerchiati di nero, una camicia immancabilmente bianca e cravatte coloratissime con i personaggi dei cartoni animati, e andava al lavoro in bicicletta anche d'inverno. Non perché non potesse permettersi una macchina, ma perché la bicicletta lo divertiva di più. Tutti però riconoscevano che era un giornalista di prim'ordine. «Sai che significa?» le aveva detto quando aveva finito di raccontargli di Matthew Tanner. «Che se prepari un articolo per l'edizione della sera, battiamo i concorrenti per il terzo giorno di fila.» «Devo ancora convincere la signora Tanner a concedermi un'intervista...» «Intervista o no hai già il materiale per un bell'articolo. Sta' solo attenta a
fornire le prove di quello che scrivi.» «Naturalmente.» Adesso, in macchina, Christine guardava il figlio insolitamente tranquillo. Si era lasciato accompagnare senza far storie, e lei sapeva che stava pensando al suo amico ed era preoccupato. Girò l'angolo e dovette frenare di colpo. Davanti alla scuola c'era una lunga fila di auto, a ogni angolo si vedeva un genitore che accompagnava il figlio. «Mamma, che succede?» esclamò Timmy. «I genitori dei tuoi compagni vogliono essere sicuri che i figli arrivino a scuola sani e salvi» rispose lei. «Per via di Matthew?» «Non sappiamo ancora che cosa gli è successo. Può anche darsi che abbia avuto una discussione con sua madre e abbia deciso di scappare di casa. Forse è meglio se per il momento non ne parli a nessuno.» Non avrebbe dovuto dirgli niente, si rimproverò. Lo aveva spaventato senza ragione. Ma come si spiegava quel traffico? Dovevano essere ancora in pochi a sapere della scomparsa di Matthew: il panico era stato certamente causato dai suoi articoli. Il solo nome di Ronald Jeffreys aveva scatenato una reazione iperprotettiva, come era già successo anni prima, quando Jeffreys aveva colpito per la prima volta. Nella folla di genitori Christine riconobbe Richard Melzer, della radio locale. Doveva sbrigarsi a intervistare Michelle Tanner prima che qualcuno la battesse sul tempo. «Mamma...» «Sì?» «Sai, riguardo a quello che hai detto prima... be', non credo che Matthew sarebbe mai scappato di casa.» Lei gettò un'occhiata a Timmy, che inginocchiato sul sedile osservava l'insolita processione. La spruzzata di lentiggini sul naso lo faceva apparire ancora più pallido. Da dove gli veniva tanta saggezza? pensò. O era cresciuto senza che lei se ne accorgesse? Christine sospirò. Avrebbe dovuto essere fiera di suo figlio, e invece era rattristata perché non poteva più proteggere la sua innocenza. 18 Chissà perché, pensò Maggie, appena entrava in una chiesa cattolica si
sentiva come se avesse di nuovo dodici anni. Respirò l'odore di incenso e candele e tastò la pistola sotto l'ascella. Forse non avrebbe dovuto entrare con una pistola. Non essere ridicola, si disse. Morrelli, che l'aspettava più avanti, domandò: «Tutto bene?». Aveva lasciato la stanza d'albergo di Maggie alle cinque del mattino per andare a casa a cambiarsi, e quando era tornato a prenderla due ore più tardi sembrava trasformato. Aveva i capelli lavati di fresco, la faccia perfettamente rasata, una camicia bianca con cravatta sotto il completo di jeans. Anche se non portava la divisa marrone come i suoi collaboratori, riusciva ugualmente ad avere un'aria ufficiale, forse perché camminava dritto e a grandi passi decisi. «Ehi, O'Dell, tutto bene?» domandò Morrelli di nuovo. «Sì, benissimo» rispose lei finalmente. «Stavo guardando la chiesa. Sembra fin troppo grande per una cittadina come Platte City.» «È stata costruita abbastanza di recente. La vecchia parrocchia si trovava nella zona lungo il fiume ed era poco più di una chiesetta di campagna. Ma la città si è ingrandita quasi del doppio negli ultimi dieci anni, in gran parte grazie a persone che erano stanche di vivere in città. Molti fanno i pendolari tra Platte City, Omaha e Lincoln. Buffo, eh?» Sulla sua bocca comparve una piega amara. «Probabilmente sono venuti qui per allontanarsi dalla criminalità e far crescere i figli in un ambiente sicuro...» In quel momento un uomo sbucò dalla tenda dietro l'altare. «Vi serve qualcosa?» chiese. «Stiamo cercando Padre Francis» disse Morrelli. L'uomo li fissò sospettoso, brandendo la scopa che teneva in mano. Sembrava giovane, anche se i capelli scuri erano brizzolati sulle tempie. Portava abiti scrupolosamente puliti, addirittura la cravatta, e un paio di scarpe da tennis candide. Mentre si avvicinava, Maggie notò che zoppicava leggermente. «Che cosa volete da Padre Francis?» insisté l'uomo. Poi cambiò espressione. «Aspetti un momento... io so chi è lei! Non giocava quarterback con i Cornhuskers? Nick Morrelli, campionato 1982-83.» «Era un tifoso dei Cornhuskers?» fece Morrelli lusingato. Quarterback, pensò Maggie, l'avrebbe giurato. «Tifoso sfegatato. Mi chiamo Ray Howard, sono arrivato qui da pochi mesi. Ho giocato un po' anch'io, sa, al liceo. Poi mi sono rovinato un ginocchio durante l'ultima partita di campionato e da allora ho dovuto smet-
tere.» «Un vero peccato» disse Nick. «Già, le vie del Signore sono misteriose. Questa è sua moglie?» si informò l'uomo, squadrando Maggie da capo a piedi. Lei cercò di resistere all'impulso di allacciarsi la giacca. «Non siamo sposati» fece Morrelli imbarazzato. «La sua fidanzata, allora. È per questo che volete Padre. Francis? Ha celebrato centinaia di matrimoni, sapete.» «No, non è per questo.» «È una faccenda ufficiale» tagliò corto Maggie. «Padre Francis c'è?» Howard guardò Morrelli, ma quando capì che nessuno dei due intendeva dargli ulteriori spiegazioni rispose: «Credo si stia cambiando... la messa è finita pochi minuti fa». «Le dispiace andarlo a chiamare?» disse Morrelli gentile. «Sicuro. Chi devo dire?» Maggie si stava innervosendo: «Dica solo Nick Morrelli.» Finalmente Howard sparì dietro la tenda e lei guardò incuriosita il suo accompagnatore. «Quarterback, eh?» «È stato tanto tempo fa» disse lui. «Secoli.» «Ed era bravo?» «A un certo punto mi avevano chiamato i Dolphins, ma mio padre voleva che mi laureassi in legge, così ho lasciato perdere.» «Naturalmente lei fa sempre tutto quello che vuole suo padre» commentò lei ironica. Era una battuta, ma dallo sguardo di lui capì di avere toccato un tasto dolente. «A quanto pare sì» ribatté Nick asciutto. «Nicholas» esclamò una voce dietro le loro spalle. Maggie si voltò e vide un prete anziano, di statura piuttosto bassa, con una lunga tonaca nera. «Il signor Howard mi ha detto che devi parlarmi di una faccenda ufficiale.» «Buongiorno, Padre Francis. Mi scusi se non l'ho avvertita prima di venire.» «Ma figurati. Sai che sei sempre il benvenuto.» «Le presento l'agente speciale Maggie O'Dell. Lavora con l'FBI ed è venuta ad aiutarmi per il caso Alverez.» Maggie tese la mano e il vecchio sacerdote la prese tra le sue, tenendola stretta. Tremava un po', ma lo sguardo che la scrutava sembrava attento e vivissimo.
«È un piacere conoscerla» disse. Poi, rivolgendosi a Nick: «Sai che tuo nipote mi ricorda molto te?» Sorrise a Maggie e spiegò: «Timmy è uno dei chierichetti di Padre Keller a St. Margaret e Nicholas è stato mio chierichetto nella vecchia parrocchia anni fa». «Davvero?» Maggie lanciò un'occhiata a Nick e vide che la tenda dietro l'altare si muoveva. Poi notò un paio di scarpe bianche fare capolino sotto l'orlo, ma decise di non smascherare il ficcanaso e si girò di nuovo verso il prete. «Padre Francis, volevamo farle alcune domande...» cominciò Morrelli. «Ma certo.» «So che ha raccolto l'ultima confessione di Jeffreys e...» «Sì, ma non posso rivelare quello che mi ha detto» lo interruppe subito il prete. «Spero che tu capisca.» La sua voce si era fatta più grave, come se l'argomento lo turbasse. Maggie pensò che Padre Francis fosse malato. Questo avrebbe spiegato il colore grigiastro della pelle e il respiro affannoso che gli sollevava le spalle ossute. «Naturalmente, capiamo benissimo» disse cercando di nascondere l'impazienza. «Ma se ci fosse qualcosa capace di gettare luce sul caso Alverez, lei dovrebbe parlarcene.» «O'Dell» fece il prete. «È un cognome cattolico irlandese, vero?» «Sì» rispose lei, un po' seccata della divagazione. «E Maggie sta per Margaret, come la patrona della nostra chiesa.» «Credo di sì, ma... Padre Francis, lei si rende conto che se Jeffreys le ha confessato qualcosa in grado di condurci all'assassino di Danny Alverez, lei ha il dovere di dircelo, vero?» «Il segreto della confessione deve essere rispettato anche nel caso di assassini confessi, agente O'Dell» ribadì il prete. Maggie guardò Morrelli e anche lui le sembrò sul punto di perdere la pazienza. «Padre, c'è un'altra cosa che potrebbe dirci» riprese Nick mantenendo il controllo. «Chi, oltre a un prete, è autorizzato a impartire l'estrema unzione?» «È un sacramento, e come tale dovrebbe essere amministrato da un sacerdote, ma in circostanze particolari la presenza di un ministro di Dio non è necessaria.» «Chi altro può saperlo?» «Prima del Concilio Vaticano II veniva insegnato nel catechismo, ma voi forse siete troppo giovani per averlo studiato. Adesso si insegna solo in
seminario, però può essere parte dell'istruzione dei diaconi.» «E quali sono i requisiti per diventare diaconi?» si informò Maggie. La lista dei sospetti aumentava. «Esistonocondizioni molto precise. Bisogna essere in buoni contatti con la chiesa, naturalmente. E solo i maschi possono diventare diaconi. Ma non capisco che cosa c'entra questo con Ronald Jeffreys...» «Mi dispiace, Padre, ma non possiamo dirglielo» replicò Nick. «Senza offesa.» Guardò Maggie per vedere se aveva altre domande, poi aggiunse: «Grazie per l'aiuto, Padre. Ci è stato molto utile». Dopo un attimo di esitazione anche Maggie si congedò e uscì con Nick, ma appena misero piede fuori della chiesa si fermò. «Padre Francis sa qualcosa» disse. «C'è qualcosa di Jeffreys che non ci ha detto.» «Che non poteva dirci.» D'improvviso Maggie si voltò e ritornò sui suoi passi. «O'Dell, che sta facendo?» esclamò Nick. Lei non rispose e spalancò il pesante portone di legno intagliato. Padre Francis stava sparendo dietro la tenda alle spalle dell'altare. Maggie lo bloccò chiamandolo ad alta voce. Il vecchio prete fece un sobbalzo e si voltò. «Se lei sa qualcosa, se Jeffreys le ha detto qualcosa che potrebbe impedire un altro omicidio... non pensa che varrebbe la pena di violare il segreto della confessione?» lo aggredì Maggie. «Di infrangerlo per salvare una vita innocente?» E scrutò nel fondo di quegli occhi che sapevano più di quanto volevano rivelare. «Posso dirle soltanto che Ronald Jeffreys ha detto la verità» sospirò il sacerdote. «Che intende dire?» «Dal giorno in cui ha confessato il suo delitto fino al giorno dell'esecuzione, ha detto solo la verità.» Padre Francis fissò Maggie intensamente. «E adesso, se vuole scusarmi, devo andare.» «Che significa?» domandò Nick, che intanto li aveva raggiunti. «Che dobbiamo andare a rivedere la confessione originale di Jeffreys» disse Maggie, fingendo una sicurezza che non provava. Poi si incamminò lungo la navata in punta di piedi. 19 Mentre usciva in fretta dal parcheggio davanti alla chiesa, il sacchetto
delle provviste si rovesciò e alcune arance rotolarono sotto il sedile della macchina. Doveva calmarsi, pensò. Quella gente era venuta in chiesa a fare domande su Jeffreys, perciò non sapeva niente. Anche la giornalista, nei suoi articoli, aveva insinuato che l'omicidio di Danny era un'imitazione di quelli di Jeffreys. Ma nessuno aveva pensato che l'imitatore poteva essere Jeffreys. Intorno alla scuola c'erano cortei di genitori che accompagnavano i figli e controllavano che entrassero senza problemi. E pensare che fino a pochi giorni prima non li vedevano neanche, li lasciavano soli per ore, fingendo che concedere le chiavi di casa fosse un segno di affetto. In quei ragazzini il trauma della solitudine sarebbe durato una vita. Ma adesso certi genitori stavano imparando la lezione. In effetti, lui gli stava facendo un favore. Soffiava un vento freddo, che faceva presagire la neve. Tra poco ci sarebbe stato bisogno di vestiti più pesanti e di altre coperte sui letti. A proposito, doveva controllare se la coperta nel bagagliaio era ancora macchiata di sangue. Non riusciva a ricordarlo e, mentre era fermo a un semaforo, cercò di frugare nella memoria. I genitori continuavano la loro processione. Qualcuno lo riconobbe e gli fece un cenno di saluto. Lui sorrise ricambiando. Sì, certo, adesso era sicuro, la coperta l'aveva lavata ed era perfettamente pulita. Il detersivo speciale aveva fatto miracoli. E se fosse arrivato il freddo gli sarebbe tornata utile. Quando arrivò in periferia, notò uno stormo di oche selvatiche in volo verso sud e abbassò il finestrino per guardarlo. L'aria sapeva davvero di neve, lo sentiva nelle ossa. Lui odiava il freddo e la neve. Gli ricordavano quei Natali solitari, quando si alzava prestissimo la mattina, secondo le istruzioni di sua madre, e apriva in silenzio i regali. Faceva così poco rumore che poteva sentire distintamente i grugniti del patrigno mentre la mamma lo teneva occupato in camera. Il patrigno non aveva mai sospettato nulla, appagato di ricevere il suo regalo in natura. Se avesse scoperto i pacchetti, lui e sua madre le avrebbero prese di santa ragione per aver sprecato in regali inutili il denaro che lui faticava a guadagnare. Era stata la reazione del patrigno, il primo Natale che avevano passato insieme, a far nascere quella consuetudine segreta. Svoltò in Old Church Road e proseguì lungo il fiume. Non era lontano dalla sua meta. Il folto degli alberi era un trionfo di gialli e rossi autunnali:
peccato che la neve fosse destinata a coprire quei colori così vivi con il sudario bianco della morte. D'improvviso ricordò le figurine dei giocatori di baseball e si tastò le tasche, ansioso, perdendo per un attimo il controllo della macchina. Poi sentì il rigonfio nella tasca posteriore dei jeans e sospirò sollevato. Parcheggiò tra gli alberi bassi, che erano un ottimo nascondiglio, quindi raccolse le arance e le rimise nel sacchetto. Infine scese dalla macchina e aprì il bagagliaio per prendere la coperta di lana, ripiegata e legata con una fune. Quando richiuse, l'eco risuonò nella boscaglia. Il vento adesso portava un odore di erba marcia e di pesce decomposto. Le foglie ammucchiate nascondevano così bene la botola di legno che dovette cercare prima di trovarla. Tirò con forza il gancio di ferro e aprì. Scese gli scalini e appena ebbe raggiunto il fondo prese da una tasca la maschera di gomma. Era meglio del passamontagna, meno spaventosa e più adatta al periodo dell'anno, anche se un po' scomoda. Gli vennero in mente gli occhi di Danny, che prima lo avevano riconosciuto e guardato fiduciosi e poi erano diventati accusatori. Se solo avesse capito che voleva salvarlo. Quegli occhi, e quella maledetta crocetta che portava al collo lo avevano sconvolto. No, non poteva rischiare un'altra volta. Infilò la maschera e cominciò immediatamente a sudare. Procedette a tentoni fino allo scaffale di legno su cui aveva lasciato la lanterna e i fiammiferi. Mentre allungava la mano, qualcosa di peloso lo sfiorò. Lui si ritrasse di scatto, facendo quasi cadere la lanterna. «Maledetti topi schifosi» borbottò. Riuscì ad accendere lo stoppino al primo tentativo e il sotterraneo si illuminò di una luce giallastra. Aspettò che i topi scappassero a cercare un altro rifugio, poi spinse con forza lo scaffale appoggiandosi con tutto il peso. Infine lo spostò liberando il passaggio segreto e vi si insinuò carponi, trascinandosi dietro il sacchetto delle provvise e la coperta. La maschera lo faceva sudare sempre di più, ma si concesse un sorriso soddisfatto. Matthew avrebbe sicuramente apprezzato le figurine. 20 Casa Tanner era sull'angolo di un isolato, dietro il quale stavano costruendo un enorme complesso di appartamenti. Il rapido sviluppo di Platte City era una delle cose che Nick trovava più sgradevoli. Un bel giorno arrivavano le ruspe e un'altra zona verde, con prati e cespugli di rose selvati-
che, veniva coperta dal cemento. Di fronte alla casa era parcheggiata una lunga fila di macchine. «Dio santo» borbottò Nick. «C'è qualcuno qui in grado di tenere a bada questa gente?» domandò Maggie. Lui le gettò un'occhiataccia. «Non era una critica» fece lei. «Era solo una domanda.» Aveva ragione, pensò Nick. Doveva ricordarsi che O'Dell era dalla sua parte. Così le raccontò i provvedimenti che aveva preso fino a quel momento, mettendo a frutto gli insegnamenti di Bob Weston. Pochi minuti dopo la frenetica telefonata di Michelle Tanner, aveva mandato uno dei suoi uomini a mettere sotto controllo il telefono e a organizzare la sorveglianza della casa. Entro la mezzanotte Lucy Burton aveva trasformato la sala riunioni in una unità di crisi, con mappe alle pareti, foto di Matthew e un telefono speciale per gli eventuali informatori. Nick aveva subito chiesto dei rinforzi dalle città vicine e gli agenti erano andati di porta in porta a fare domande con molta cautela. Ma il panico si era diffuso rapidamente, lo si era visto dal numero di genitori che quella mattina avevano voluto accompagnare i figli a scuola: e di questo Nick doveva ringraziare sua sorella e i suoi maledetti articoli. La porta di casa Tanner era aperta e dall'interno proveniva un brusio di voci. O'Dell bussò sullo stipite e aspettò. Stando accanto a lei, Nick notò che gli arrivava a stento alle spalle. Il vento le scompigliò i capelli e lei li ricacciò dietro l'orecchio con impazienza. Quella mattina indossava un tailleur pantalone bordeaux scuro, che rendeva la sua pelle più chiara e luminosa. La zanzariera cigolò sui vecchi cardini. Un uomo li squadrò domandando senza complimenti: «Chi diavolo siete?» «Li conosco, stia tranquillo» disse Hal Langston raggiungendolo. L'uomo si mise da parte e Langston li fece entrare. Alto e robusto come Nick, Hal aveva giocato nella sua stessa squadra di football al liceo. Da allora aveva messo su un po' di chili, e quando Nick lo prendeva in giro per la pancetta spiegava che erano i vantaggi della vita matrimoniale. «Dovresti provare anche tu» aggiungeva di solito. Hal poteva ritenersi soddisfatto, perché era riuscito a conquistare una delle donne più belle e desiderate di Platte City, un'insegnante che era arrivata in città dieci anni prima e con la sua intelligenza e i suoi modi decisi aveva intimidito e affascinato tutti gli scapoli.
Tutti compreso Hal, che aveva dovuto farsi aiutare dal migliore esperto nelle strategie di corteggiamento. All'epoca Nick frequentava la facoltà di legge a Boston e Hal gli telefonava quasi tutte le sere per chiedere consigli. Nick scriveva per Tess piccole poesie, suggeriva quali fiori comperarle, indicava perfino all'amico quali punti toccare quando l'abbracciava: un piccolo bacio sull'orecchio, uno sulla gola, niente parole volgari e tantomeno assalti. A poco a poco, benché l'avesse vista solo una volta, Nick si era quasi innamorato di lei. I due si erano sposati dopo sei mesi. Nick non sapeva se Hal le avesse mai rivelato il loro segreto, ma ogni tanto Tess lo guardava con un'espressione strana, come se sapesse tutto e gliene fosse grata. Il soggiorno di casa Tanner era pieno di agenti e ufficiali di polizia che bevevano caffè e prendevano appunti, mescolati a una piccola folla di sconosciuti. Michelle Tanner non c'era e Nick si domandò se si fosse ripresa. La notte prima, con i capelli rossi scarmigliati e gli occhi gonfi di pianto, ubriaca e disorientata, gli era parsa poco affidabile e incline all'isterismo. «Chi accidenti è tutta questa gente?» domandò all'amico. «Persone che ha chiamato lei» rispose Hal. «I vicini, sua madre, i genitori dei compagni di squadra del ragazzo.» «Dio santo, ma sono tantissimi.» Nick passò in cucina, e lì, seduta al tavolo a bere caffè, c'era Michelle Tanner. Non appena riconobbe la donna che le sedeva accanto, Nick si fece largo tra la gente a gomitate. «Che diavolo ci fai qui?» urlò. E d'improvviso tutti smisero di parlare. 21 Prima che Christine potesse aprire bocca, suo fratello puntò un dito contro di lei: «Signora Tanner, si rende conto che questa donna è una giornalista?». Michelle Tanner era pallida, minuta, e sembrava un tipo che si lascia intimidire facilmente. Alzò su Nick gli occhi sbarrati, poi guardò Christine: «Sì, sceriffo, lo so. Ma ho pensato che poteva servire se usciva qualcosa sul giornale... riguardo a Matthew, voglio dire». La sua voce tremò e gli occhi si riempirono di lacrime. Christine vide Nick calmarsi all'istante. Se c'era una cosa che suo fratello non sapeva come affrontare era una donna che piangeva. Lei stessa aveva
fatto ricorso alle lacrime in più di un'occasione, ma al contrario delle sue, quelle di Michelle Tanner erano sincere. «Le chiedo scusa, signora, ma non mi pare che sia una buona idea.» «Al contrario, è un'ottima idea» disse una voce femminile alle spalle di Nick. Christine guardò incuriosita la donna che aveva parlato. Con quella pelle liscia, gli zigomi alti, le labbra piene e i magnifici capelli neri avrebbe potuto essere una ragazza copertina. Per di più aveva una figura snella e atletica, dotata di curve sufficienti a risvegliare l'attenzione di tutti gli uomini presenti. Ma la donna sembrava non curarsi dell'effetto che produceva, e aveva l'aria decisa di chi non si fa sviare facilmente dal suo obiettivo. A Christine piacque a prima vista, ma Nick sembrava molto irritato dal suo intervento. «Come dice?» esclamò. «Dico che è meglio coinvolgere i mezzi di comunicazione fin dall'inizio.» «Posso parlarle un momento in privato?» fece lui prendendola per un braccio. La donna si liberò subito dalla stretta, ma lo seguì fuori della cucina. «Mi scusi» disse Christine con un colpetto sulla mano di Michelle. Era ansiosa di conoscere la donna che aveva messo Nick al suo posto con tanta disinvoltura, e che sicuramente era l'agente speciale Maggie O'Dell, l'esperta inviata dall'FBI. Nick e l'agente O'Dell si erano rifugiati in un angolo del soggiorno e Christine cercò di origliare quello che si stavano dicendo. Ma Hal glielo impedì. «Te l'avevo detto che la tua presenza lo avrebbe fatto infuriare.» Christine gli gettò un'occhiata. «Comunque pare ci sia qualcuno che gli sta facendo cambiare idea.» «Già, il nostro Nick ha trovato pane per i suoi denti. Vado fuori a fumare una sigaretta. Mi tieni compagnia?» «Grazie, no, sto cercando di smettere.» «Come vuoi.» Hal uscì facendo cigolare la zanzariera e Christine si rimise in ascolto. Nick parlava a voce bassa, ma non riusciva a nascondere la rabbia. L'agente O'Dell sembrava imperturbabile. Christine decise di avvicinarsi. «Scusate se vi interrompo» disse evitando di guardare il fratello. «Lei è l'agente speciale dell'FBI, vero? Io sono Christine Hamilton.» Tese la mano e Maggie la prese senza esitazione.
«Buongiorno, signora Hamilton» disse con una stretta energica. «Nick è così arrabbiato che sicuramente non le ha detto che sono sua sorella.» O'Dell guardò Nick con un sorrisetto. «Infatti, mi domandavo se tra voi due ci fosse una relazione...» «E siccome ce l'ha tanto con me» continuò Christine, «non capisce che in realtà sono venuta per essere d'aiuto.» «Oh, ne sono certa.» «Dunque non le dispiacerebbe rispondere a qualche domanda?» «Vede, signora Hamilton...» «Mi chiami Christine.» «Va bene, Christine. Vede, io posso avere delle opinioni personali, ma questo caso non è mio. Sono qui solo per tracciare un profilo dell'assassino.» Con la coda dell'occhio, Christine si accorse che Nick sorrideva gongolante e lo aggredì: «Che cosa significa, che ci sarà di nuovo il silenzio stampa come nel caso Alverez? Non capisci che così peggiori le cose?». «A dire la verità credo che lo sceriffo Monelli abbia cambiato idea» intervenne calma O'Dell. Lui esitò, si schiarì la gola e finalmente disse: «Ci sarà una conferenza stampa domani mattina alle otto e mezzo, nell'atrio del tribunale». «Posso scriverlo nell'articolo che uscirà stasera?» domandò lei. «Sì» concesse lui con un grugnito. «E non c'è nient'altro che posso usare?» «No.» «Sceriffo Morrelli, non ha detto che aveva già le foto del ragazzo?» intervenne di nuovo O'Dell. «Se Christine ne pubblica una con l'articolo può darsi che qualcuno ricordi qualcosa di interessante.» Lui cacciò le mani in tasca come se volesse trattenersi dallo strangolarla. «Passa in ufficio a ritirarle» sibilò a Christine. «Dirò a Lucy di fartele trovare all'ingresso. Hai capito bene? All'ingresso. Non voglio che cominci a curiosare in giro.» «Rilassati, Nick. Te l'ho già detto, non sono il nemico.» Christine fece per allontanarsi, poi si fermò. «Vieni lo stesso a cena stasera, vero?» «Può darsi che sia troppo occupato.» «Le farebbe piacere cenare con noi, agente O'Dell? Niente di speciale, solo spaghetti con un fiasco di Chianti.» «Grazie, volentieri.»
Vedendo la sorpresa sulla faccia del fratello, Christine trattenne a stento una risata. «Molto bene. Allora vi aspetto verso le sette.» E questa volta se ne andò. 22 Nell'ufficio dello sceriffo si lavorava a ritmo frenetico. I telefoni squillavano, le tastiere dei computer crepitavano, gli agenti si gridavano richieste e ordini da una stanza all'altra. E c'era un mucchio di gente che lui non conosceva, osservò con fastidio Nick. Il fatto di dipendere da estranei nella gestione di un caso che lo coglieva impreparato lo rendeva ogni ora più nervoso. Lucy sembrò sollevata di vederlo e gli fece un caloroso cenno di saluto dall'altra estremità della stanza, poi lanciò a Maggie uno sguardo sprezzante, che lei non notò. «Nick, abbiamo controllato ogni centimetro quadrato della città» disse Lloyd Benjamin. Si tolse gli occhiali e si strofinò le palpebre. «Gli uomini di Richfield stanno ancora passando al setaccio la zona lungo il fiume, dov'è stato trovato Danny Alverez. E ho mandato quelli di Staton alla vecchia cava, su a nord, vicino al lago.» «Ben fatto, Lloyd» disse Nick. Benjamin era uno dei suoi collaboratori più anziani e Nick si fidava ciecamente di lui. «C'è ancora una cosa» aggiunse l'altro abbassando la voce. «Sai, ne parlavamo poco fa. Stan Lubrick si è ricordato che Jeffreys aveva un amico quando fu arrestato... una specie di amante. Se non sbaglio, lo avevamo anche interrogato, ma poi non fu chiamato a testimoniare. Un certo Mark Rydell» disse consultando un taccuino consunto. «Ci chiedevamo se non fosse il caso di cercare questo tizio.» Nick e Lloyd guardarono Maggie, che sembrava intenta a osservare il movimento degli altri agenti. Lei capì che stavano aspettando il suo parere e arrossì leggermente. «Non sapevo che Jeffreys fosse gay» commentò. Lloyd si allentò la cravatta. Era chiaro che l'argomento lo metteva a diagio. «All'epoca vivevano insieme...» «E non potevano essere semplicemente coinquilini?» replicò lei. Lloyd gettò un'occhiata implorante a Nick, ma lui non intervenne. «Si può controllare se Rydell si mantenne in contatto con Jeffreys dopo la condanna» suggerì O'Dell. «Al penitenziario lo sapranno di sicuro. E si potrebbe anche vedere se c'era qualche prigioniero oppure una guardia di
cui Jeffreys era diventato amico. Nel braccio della morte non ci sono molti rapporti tra i condannati, ma è una possibilità.» Nick la guardò ammirato. Un'idea che a lui era parsa inverosimile diventava di colpo possibile, e persino Lloyd, che aveva un'opinione molto antiquata delle donne, sembrava soddisfatto. Scrisse un paio di annotazioni sul taccuino e si allontanò in cerca di un telefono. «Ehi, Nick, ha di nuovo chiamato quella donna» gridò Eddie Gillick dalla scrivania. Un altro agente diede a Maggie un lungo rotolo di carta. «Agente O'Dell, è arrivato questo fax da Quantico per lei.» «Che donna?» chiese Nick. «Sophie Krichek, quella che diceva di aver visto un furgoncino blu nella zona in cui era stato rapito Danny Alverez.» «Fammi indovinare... questa volta ha visto il furgoncino con a bordo un ragazzino che somigliava a Matthew Tanner?» fece Nick. Maggie sollevò lo sguardo dal suo fax. «E che cosa le fa pensare che non sia attendibile?» «È una che telefona tutti i momenti.» «Nick, ecco i tuoi messaggi» disse Lucy avvicinandosi con un mucchietto di fogli. Portava il solito golfino attillato e la solita gonna troppo stretta, ma bisognava ammettere che vederla era un piacere, pensò Nick. «Mi faccia capire. Non vuole controllare questa informazione perché la donna ha oltrepassato la sua quota di telefonate?» protestò O'Dell. «Senta, tre settimane fa ha chiamato per dirci che nel suo cortile c'era Gesù che spingeva sull'altalena una bambina con le trecce. E non ha nemmeno un cortile, abita in un appartamento al quarto piano» disse Nick seccato. «Lucy, abbiamo le trascrizioni della confessione e del processo di Jeffreys?» «Le ho chieste a Max, come mi avevi detto, e lei ha promesso di portarle al più presto. Ma devono fare le copie, perché gli originali non possono uscire dalla cancelleria.» Lucy si allontanò muovendo i fianchi a puro beneficio di Nick, poi si voltò e aggiunse: «Oh, agente O'Dell, ha telefonato un certo Gregory Stewart per lei, tre volte. Ha detto che era importante e di richiamarlo appena possibile». «Il suo capo che la controlla, eh?» sorrise Nick. «No, mio marito» ribatté lei. «Che telefono posso usare?» Il sorriso di Nick svanì. Eppure aveva controllato la sua mano sinistra, per abitudine, e non aveva visto anelli... «Può usare quello della mia stan-
za» disse. «L'ultima porta a destra in fondo al corridoio.» «Grazie.» Non appena si fu allontanata, Eddie si avvicinò a Nick con un sogghigno. «Perché ti stupisci tanto, capo? Una bella donna come lei doveva per forza avere un marito.» Ridicolo, pensò Nick senza rispondere. Poco prima, in casa Tanner, aveva voglia di strozzarla. E adesso si sentiva come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco. 23 La stanza di Nick era piccola e spartana: scrivania di metallo grigio, due sedie, un classificatore a cassetti e uno scaffale con trofei e coppe. Maggie si sedette sulla poltrona di pelle - l'unico lusso dell'ufficio - e diede un'occhiata alle fotografie allineate sulla parete. In quasi tutte c'erano ragazzi in divisa da football, tra cui un Nick Morrelli più giovane. In un'altra si vedeva Nick da solo, accanto a un allenatore dall'aria trionfante. E in un angolo, un po' nascosti, erano appesi due diplomi: uno dell'università del Nebraska e l'altro... Per poco Maggie non lasciò cadere il telefono. L'altro era un diploma di laurea della facoltà di legge di Harvard, che a un esame ravvicinato appariva autentico. Lo sceriffo Nick Morrelli era un uomo pieno di sorprese, e più lei ne scopriva, più diventava curiosa. Cosa che trovava molto seccante, anche perché tra loro sembrava ci fosse una corrente elettrica che faceva scintille ogni volta che si trovavano vicini. La sua relazione con Greg, invece, era sempre stata molto tranquilla. Non li aveva messi insieme la passione, ma l'amicizia e gli interessi comuni. E purtroppo gli interessi erano molto cambiati nel corso degli anni, mentre l'amicizia era diventata poco più di una distratta tolleranza. A volte Maggie si chiedeva che cosa li aveva spinti a sposarsi. Ma era anche fermamente convinta che il matrimonio fosse qualcosa cui bisognava lavorare con determinazione - altrimenti il loro non sarebbe durato tanto - e considerò un buon segno che Greg le avesse telefonato facendo il primo passo. Chiamò l'ufficio del marito e aspettò che la segretaria si degnasse di rispondere. «L'avvocato Stewart è in riunione» disse la ragazza. «Vuole lasciare un messaggio?»
«No, vorrei parlargli subito. Sono sua moglie e lui mi ha cercata tutta la mattina.» Ci fu una pausa, poi la segretaria decise che la richiesta non era del tutto irragionevole e finalmente le passò Greg. «Maggie, grazie a Dio riesco a parlarti» esclamò lui. Il tono era del tutto privo di rimorsi e lei si allarmò. «Perché non tieni il cellulare acceso?» aggiunse Greg, che evidentemente non poteva fare a meno di rimproverarla. «Ho dimenticato di metterlo sotto carica» si giustificò lei. «Va bene, non importa» fece Greg. «Si tratta di tua madre.» La sua voce assunse il tono comprensivo che adottava con i clienti quando perdeva una causa. «È in ospedale.» Maggie appoggiò la testa allo schienale della poltrona. «Che cos'ha combinato questa volta?» «Ho paura che abbia fatto sul serio. Ha usato un rasoio.» 24 Maggie riappese la cornetta e si massaggiò le tempie. Aveva appena finito di discutere con il dottore che aveva preso in cura sua madre, un arrogante neolaureato che credeva di sapere tutto. Quando alla fine Maggie gli aveva spiegato come stavano le cose e gli aveva dato il numero di uno psichiatra a cui rivolgersi, era parso sollevato, e aveva confermato che non era necessario che lei piantasse in asso il suo lavoro e saltasse sul primo aereo per Richmond. Certo, quell'ennesimo tentativo di suicidio era una disperata richiesta di affetto, ma se lei l'avesse preso troppo sul serio non avrebbe fatto altro che aggravare la situazione. E benché il passaggio al rasoio fosse un peggioramento - in questo Greg aveva ragione - il dottorino le aveva assicurato che i tagli non erano profondi. Maggie sospirò e chiuse gli occhi. Badava a sua madre da quando aveva dodici anni, subito dopo la morte di suo padre. A volte, ripensando agli anni passati, si diceva che non le era stata abbastanza vicina. Ma poi ricordava che era stata sua madre ad abbandonarla, rifugiandosi nell'alcol, e capiva di non avere nulla da rimproverarsi. Sentì un piccolo colpo sulla porta e Nick fece capolino. «O'Dell, tutto bene?» Lei annuì, ma gli occhi azzurri di lui la guardarono interrogativi. Nick avanzò verso la scrivania e le porse una lattina di Pepsi.
«Grazie» disse Maggie. Nick si cacciò le mani in tasca, imbarazzato. «Ha un aspetto orribile» disse dopo un po'. «Grazie tante, sceriffo» fece lei con un sorrisetto. «Senti, fammi un favore» sbottò lui. «Dammi del tu e chiamami Nick. Tutte le volte che mi chiami sceriffo mi volto a cercare mio padre.» «Va bene, ci proverò.» «Lucy sta ordinando dei panini. Che cosa preferisci? Il piatto del giorno di Wanda è il polpettone, ma anche il pollo fritto non è male.» «Non ho fame.» «Ma non hai mangiato niente da stamattina. Devi mantenerti in forze, sai. Non vorrei che ti rovinassi quelle belle cur...» Nick si fermò in tempo, ma ormai la gaffe era fatta. Arrossendo, si girò in fretta verso la porta e concluse: «Ti ordino un sandwich al prosciutto e formaggio». «Con pane di segale, per favore» precisò lei. «D'accordo.» «E con senape.» «Va bene» fece lui voltandosi a guardarla. «Lo sai di essere una gran rompiscatole, O'Dell?» «Ehi, Nick» disse ancora lei mentre Nick stava uscendo. «Che altro c'è?» «A questo punto puoi chiamarmi Maggie.» 25 «Ti piacciono le figurine?» domandò l'uomo. La maschera alterava la sua voce, come se venisse da una piscina. E lui sudava talmente che gli sembrava davvero di essere sott'acqua. Matthew lo guardò dal lettino. Stringeva il cuscino al petto e aveva gli occhi rossi e gonfi. La maglietta da calcio era tutta spiegazzata, e non si era nemmeno tolto le scarpe. Il vento entrava fischiando dalle assi inchiodate sulla finestra, ma era l'unico suono nella stanza. Il ragazzino non diceva una parola. «Stai abbastanza comodo?» gli chiese ancora l'uomo avvicinandosi alla brandina. Matthew si ritrasse nell'angolo più lontano e la catena che lo legava al letto tintinnò. Era abbastanza lunga da permettergli di raggiungere il centro della stanza, eppure il cheeseburger con patatine che l'uomo gli aveva por-
tato la sera prima era intatto sul tavolino di metallo. Nemmeno il frullato era stato bevuto. «Non ti è piaciuta la tua cena? Preferisci un hot dog? Puoi chiedermi quello che vuoi.» «Voglio andare a casa» sussurrò Matthew mangiandosi le unghie. Le aveva rosicchiate fino a farsi male e delle goccioline di sangue avevano macchiato la federa. Sarebbe stato difficile farle scomparire, pensò l'uomo. «Forse preferisci i fumetti alle figurine? Ho dei vecchi album di Flash Gordon, la prossima volta te li porto.» Mise le provviste sulla cassetta della frutta che fungeva da comodino: arance, tavolette di cioccolata alle nocciole, lattine di aranciata, due barattoli di spaghetti al pomodoro e due budini al cioccolato. Si era dato un gran daffare per procurarsi i cibi preferiti di Matthew. «Stanotte farà freddo, questa ti servirà» aggiunse posando sul letto la coperta di lana. «Mi dispiace di non poterti lasciare la luce. C'è qualcos'altro che vorresti?» «Voglio andare a casa.» «A casa non c'è nessuno che bada a te, Matthew...» «C'è la mia mamma. Voglio la mamma!» «Tua madre non ha tempo di pensare a te. E scommetto che si porta a casa degli sconosciuti. Lo fa da quando ha mandato via tuo padre, vero?» «Mi lasci andare a casa.» «Sei sempre da solo perché lei lavora fino tardi e sta fuori perfino nei week end» continuò l'uomo. «E non puoi vivere con tuo padre perché ti picchia, non è così?» «Mi lasci andare a casa» ripeté Matthew cominciando a piangere. «Voglio andare a casa!» Doveva restare calmo. Calmo. Anche se sentiva la collera montare a poco a poco. «Io ti aiuterò, Matthew. Ti salverò, ma devi avere pazienza. Guarda, ti ho portato tutte le cose che ti piacciono di più.» Il ragazzino però continuava a piangere, un pianto lamentoso che gli limava i nervi. Doveva restare calmo, pensò di nuovo. Perché non ci riusciva? Calmo e controllato! «Voglio andare a casa» gemette Matthew. Qualcosa esplose nel suo cervello e l'uomo urlò: «Stai zitto, maledetto piagnone! Stai zitto, zitto, zitto!». 26
L'articolo di Christine sull'Omaha Journal uscì nelle edicole di Omaha alle tre e trenta. Entro le quattro i fattorini avevano recapitato a domicilio tutte le copie di Platte City. Alle quattro e dieci i telefoni nell'ufficio dello sceriffo cominciarono a squillare freneticamente. Nick diede a Phillip Van Dorn l'incarico di potenziare le linee e se necessario di requisire l'ufficio del cancelliere. Stava succedendo esattamente quello che aveva sperato di evitare: la città era in preda al panico e lui sentiva l'ansia crescere sempre di più. I cittadini esigevano di sapere quali misure erano state prese. Il consiglio comunale voleva chiarimenti su quanto sarebbero costati il personale e le attrezzature aggiuntive. I giornalisti e i reporter televisivi volevano un'intervista personalizzata senza dover aspettare la conferenza stampa del mattino - e alcuni si erano già accampati davanti all'ingresso del tribunale. Però arrivavano anche delle informazioni, in questo Maggie aveva avuto ragione. La fotografia di Matthew aveva risvegliato parecchie memorie. Il problema adesso era separare le informazioni utili da quelle immaginarie. Maggie insisteva perché fossero controllate anche le più inattendibili, e alla fine Nick aveva mandato qualcuno a verificare la storia di Sophie Krichek riguardo al furgoncino blu. «Nick, ti ha cercato quattro volte Angie Clark» disse Lucy con una smorfia. Era chiaro che non le andava la parte di messaggera della vita amorosa del suo capo. «Se richiama dille che mi dispiace molto ma non ho tempo di parlarle.» Lei parve soddisfatta e si allontanò ancheggiando, poi tornò indietro. «Ah, dimenticavo. Max sta arrivando con i documenti che hai chiesto. Dove vuoi che li metta?» «Dalli all'agente O'Dell.» «Tutte e cinque le scatole?» Nick la guardò incredulo. «Cinque scatole, hai detto?». «Sai quanto è pignola, Max. Ha etichettato e catalogato tutto. Dice che ci sono anche gli elenchi delle prove e le dichiarazioni di quelli che non sono andati a testimoniare in tribunale.» «Cinque scatole... allora falle mettere nella mia stanza. E per favore avvisa l'agente O'Dell.» Lucy fece un'altra smorfia, poi aggiunse: «E c'è il sindaco che aspetta di parlarti sulla linea tre». «Insomma, Lucy, lo sai che non possiamo tenere occupati i telefoni.»
«Lo so, ma lui ha insistito. Non potevo mica sbattergli il telefono in faccia.» Logico che Brian Rutledge, da quell'ansioso che era, avesse insistito. Nick si rifugiò nel suo ufficio, allentò la cravatta e il colletto della camicia e prese il telefono. «Ciao, Brian.» «Nick, che diavolo succede lì? Sono rimasto in attesa venti minuti.» «Mi dispiace, Brian, ma come capirai siamo parecchio occupati.» «Cosa credi, ho anch'io i miei problemi. Il consiglio comunale vuole che annulli la festa di Halloween. Ma se la annullo faccio la figura dell'orco cattivo.» «Capisco che per te la faccenda è seria, Brian, ma sai che ti dico? Ho delle questioni molto più gravi a cui pensare.» In quel momento Lucy si affacciò alla porta e lui le fece cenno di entrare con i tre uomini che portavano le scatole dei documenti. Indicò un posto sotto la finestra, quelli depositarono le scatole e se ne andarono. «Halloween è un faccenda serissima, Nick» insisté il sindaco. «E se quel pazzo decide di agire mentre tutti i ragazzini sono in giro per le strade di notte?» La voce stridula di Rutledge gli dava sui nervi, ma Nick cercò di non badarci mentre sussurrava un grazie a Maxine Cramer, la responsabile della cancelleria, che aveva trasportato nella stanza l'ultima scatola. La donna, impeccabile nel tailleur blu e senza uno solo dei riccioli grigi fuori posto, sorrise e uscì. «Brian» sospirò Nick, «dimmi che cosa vuoi da me.» «Voglio sapere se questa faccenda è veramente grave come sembra. Hai dei sospetti? Hai intezione di arrestare qualcuno? Che misure stai prendendo?» «Con un ragazzo morto e un altro scomparso direi che la faccenda è grave, non credi?» replicò Nick. «Quanto al modo in cui conduco le indagini, non sono affari tuoi. Abbiamo bisogno che le linee siano libere per ricevere altre informazioni, non per rassicurare te. Perciò non chiamare più.» E sbatté la cornetta sul gancio. O'Dell aveva assistito alla scena ferma sulla soglia. «Scusami...» fece imbarazzata. Era la seconda volta che lo vedeva perdere le staffe, pensò Nick. Probabilmente lo riteneva un incompetente fragile di nervi. «Ho saputo da Lucy che i documenti di Jeffreys sono qui» continuò
Maggie. «Infatti. Vieni dentro e chiudi la porta. Quello al telefono era il sindaco» spiegò Nick. «Voleva sapere se ho intenzione di arrestare qualcuno entro venerdì, in modo che lui non debba annullare la festa di Halloween.» «E tu che gli hai detto?» «Più o meno quello che hai sentito. Le scatole con i documenti sono lì sotto il davanzale.» Nick si avvicinò alla finestra facendo scorrere le rotelle della sua poltrona, ma non si alzò e rimase a fissare il cielo nuvoloso. Non ne poteva più di brutto tempo: non ricordava da quanto non vedeva una giornata di sole. Maggie si era messa subito al lavoro e aveva sparso dei documenti sul pavimento. «Vuoi una sedia?» domandò lui. «No, grazie, ho più spazio così.» A quanto pareva, Maggie aveva già trovato quello che cercava, perché aveva aperto una cartellina e cominciato a sfogliare il contenuto. Poi si era fatta molto seria, ritornando a una delle prime pagine. «Trovato qualcosa?» domandò Nick. «Sì, la confessione originale di Jeffreys» rispose lei. «È molto particolareggiata, c'è perfino la descrizione precisa del nastro adesivo che usò per legare mani e piedi della vittima, e il numero di incisioni sul manico del coltello da caccia di cui si era servito.» «Quindi, dal momento che secondo Padre Francis aveva detto la verità, questi dettagli sono esatti. E allora?» «Jeffreys confessò di aver ucciso solo Bobby Wilson» disse lei sfogliando di nuovo i documenti. «Anzi, ripeté più volte di non avere niente a che vedere con l'omicidio degli altri due ragazzini.» «Non ricordo di aver mai sentito niente del genere. Probabilmente gli investigatori pensarono che mentisse.» «Ma se non mentiva?» insisté lei fissandolo. «Se non mentiva e se davvero aveva ucciso solo Bobby Wilson...» Nick si interruppe di colpo, con una stretta alla bocca dello stomaco. Fu Maggie a terminare la frase. «Vuol dire che il vero colpevole l'ha fatta franca, e adesso è tornato a colpire.» 27 Christine si sentì sollevata quando Nick chiamò per annullare la cena. Se la traccia che aveva risultava buona, avrebbe dovuto lavorare fino a tardi
per scrivere un altro articolo da prima pagina. «Possiamo rimandare a domani sera?» fece lui scusandosi. «Certo, non è un problema. Qualcosa di grosso?» aggiunse rapida, per vedere se riusciva a strappargli qualche notizia. «Il successo non ti dona affatto» disse lui. «Il numero che mi hanno dato al giornale sembra quello di un cellulare, è così?» «Sì. È uno dei vantaggi del successo» ribatté lei. Poi si affrettò a cambiare argomento, prima che lui le chiedesse dove era diretta. «Nick, puoi portare il tuo sacco a pelo domani sera quando vieni a cena? Serve a Timmy per il campeggio...» «Vanno in campeggio per Halloween?» «Sì, e tornano venerdì sera perché Padre Keller deve dire messa per Ognissanti. Allora, te lo ricordi?» «Sì, certo.» «E non dimenticare di portare l'agente O'Dell.» «Non me lo dimenticherò.» Christine chiuse il cellulare e lo cacciò nella borsa mentre svoltava nel parcheggio. L'edificio era piuttosto malconcio, con i muri scrostati e qualche vetro rotto, e in quel quartiere popolato di villette con giardino sembrava decisamente fuori posto. Questa era la zona in cui abitava Danny Alverez, pensò Christine prendendo qualche appunto. La sua bicicletta rossa era stata trovata contro lo steccato che divideva il parcheggio dell'edificio dal giardino adiacente. L'ascensore puzzava di fumo e pipì di gatto e la moquette sul pavimento aveva un colore indefinibile. Christine dovette premere tre volte il pulsante del quarto piano prima che la cabina si decidesse a partire con un cigolio sospetto. Quando finalmente l'ascensore arrivò a destinazione, lei scivolò fuori svelta. Nel corridoio il puzzo era ancora più forte. Come si poteva vivere in un buco fetido come quello? pensò arricciando il naso. Fu sorpresa di notare che lo zerbino all'uncinetto di fronte al numero 410 fosse scrupolosamente pulito. Christine bussò e aspettò cercando di trattenere il respiro. Finalmente sentì scattare una serie di chiavistelli, poi nella porta si aprì uno spiraglio. «La signora Krichek?» domandò Christine. «Lei è la giornalista?» rispose la donna. «Sì, sono Christine Hamilton.»
La porta si aprì un po' di più. «È parente di Ned Hamilton, del supermercato all'angolo?» «Non credo. Hamilton è il cognome del mio ex marito, che non era di qui.» «Ah.» La donna si fece da parte. Appena entrata Christine fu assalita da tre grossi gatti che vennero a strofinarsi sulle sue gambe. «Ho appena fatto della cioccolata calda» disse la donna. «Ne vuole una tazza?» Lei stava per accettare, poi vide il bricco sul tavolo e un quarto gatto che leccava avidamente il contenuto. «No, grazie» disse mettendo a tacere il disgusto. A parte i gatti, l'appartamento sapeva di pulito. Plaid colorati erano gettati su divani e poltrone, e sui davanzali c'erano parecchie piante verdi. Sulla credenza e su un tavolino, disposte sopra centrini lavorati all'uncinetto, c'erano parecchie fotografie di un uomo in divisa, di una giovane coppia e di una bimbetta bionda. «Si sieda» disse la donna scegliendo per sé una sedia a dondolo. «Oh, il dolore che ho alla spalla... L'artrite, sa. Non lo augurerei al mio peggior nemico.» «Mi dispiace» disse Christine. In effetti le ossa della signora Krichek sembravano contorte e nodose come vecchi rami, e forse per questo la sua faccia, a dispetto dei modi gentili, aveva un'espressione truce. Gli occhi azzurri erano ingranditi a dismisura da un paio di occhiali cerchiati di metallo, e i capelli bianchi erano raccolti in una crocchia e fermati da due pettini ornati di turchesi. «Che brutta cosa invecchiare... se non fosse per i miei gatti l'avrei già fatta finita.» Christine si sedette cauta sul divano ricoperto di peli di gatto. Uno di loro saltò sulla spalliera per esaminarla più da vicino. «Rummy, vieni via di lì!» gridò la donna. Ma naturalmente il gatto non le badò. «Lo lasci stare, signora Krichek. Non importa» mentì Christine. «Vorrei sentire che cos'ha visto esattamente la mattina in cui Danny Alverez è scomparso. Non le dispiace, vero?» «No, niente affatto. Anzi sono contenta che finalmente qualcuno mi dia retta.» «Vuol dire che l'ufficio dello sceriffo non ha mai mandato nessuno a in-
terrogarla?» «Li ho chiamati due volte, e poi un'altra volta stamattina appena ho letto il suo articolo. Loro mi hanno trattata come se mi fossi inventata tutto, e allora ho chiamato lei. La gente può dire quello che vuole, io ho visto le cose che ho visto.» «Me le racconti.» «Ho visto il ragazzino appoggiare la bicicletta allo steccato e salire su un vecchio furgoncino blu.» «Ed è sicura che fosse Danny Alverez?» «Oh, sì, l'avevo visto decine di volte. Era un bravo fattorino, veniva a posarmi il giornale sullo zerbino, non come il ragazzo che c'è adesso, che si affaccia alla porta dell'ascensore e butta il giornale come capita, a volte vicino alla mia porta e a volte no, e allora devo uscire e andarmelo a prendere, e per me non è facile camminare... Il suo giornale dovrebbe dire ai fattorini di fare il loro lavoro come si deve.» «Lo farò presente, signora Krichek. Mi dica del furgoncino... è riuscita a vedere chi lo guidava?» «No, era ancora buio. Io ero a quella finestra lì». La indicò. «E il sole stava appena spuntando. Il furgoncino è entrato nel parcheggio, ma era girato dalla parte del passeggero. Chi c'era al volante deve aver detto qualcosa a Danny, perché lui ha appoggiato la bicicletta ed è salito.» «È salito spontaneamente? È sicura che l'uomo non lo abbia forzato?» «No, no, è stato tutto molto normale, altrimenti avrei chiamato subito la polizia. È stato dopo, quando ho sentito che Danny era scomparso, che ho fatto due più due e ho telefonato.» Christine trovava incredibile che nessuno avesse controllato il racconto di questa donna. Era vecchia, ma la sua storia sembrava attendibile... Si alzò e andò a guardare dalla finestra che Sophie Krichek le aveva indicato. Si vedevano perfettamente il parcheggio e lo steccato, ed era molto probabile che avesse visto davvero quello che aveva riferito. «Che tipo di furgoncino era?» «Sa, io mi intendo poco di macchine» disse la donna raggiungendo faticosamente Christine accanto alla finestra. «Ma quel furgoncino era vecchio come me, con la vernice blu scrostata e un po' di ruggine. E aveva il predellino, me lo ricordo perché ho visto Danny che ci appoggiava il piede per salire. Oh, e uno dei fari anteriori non funzionava.» Se questa donna era una pazza, di certo aveva una grande fantasia. Christine annotò i particolari e domandò: «È per caso riuscita a vedere i numeri
sulla targa?». «No, la mia vista non è più così buona.» In quel momento in basso si sentì sbattere una porta, poi una bambina corse nel giardino confinante e saltò su un'altalena, chiamando a gran voce. Poco dopo un uomo la raggiunse. Aveva barba e capelli molto lunghi, e portava una tunica bianca sui jeans. «Si sono trasferiti qui il mese scorso» osservò Sophie Krichek accennando all'uomo che spingeva l'altalena mentre la piccola strillava divertita. «La prima volta che l'ho visto le assicuro che mi è parso di trovarmi di fronte a Gesù in persona. Gli somiglia, non le pare?» Christine sorrise e annuì. 28 Nick scavalcò una pila di fogli sul pavimento, liberò un tratto e vi depose la pizza bollente e due lattine di Pepsi. Poi sedette a terra accanto a Maggie distendendo le gambe e con un piede quasi le sfiorò la coscia. Anche se era troppo stanca per badarci, Maggie aveva avvertito acutamente la sua presenza per tutto il giorno. Scosse la testa per cacciare quel pensiero e ricominciò a esaminare il rapporto del medico legale sui cadaveri di Aaron Harper ed Eric Paltrow, i due ragazzini per la morte dei quali Jeffreys poteva essere stato condannato ingiustamente. Dalla pizza si alzava un profumo invitante, che contrastava con i dettagli raccapriccianti che stava leggendo. Ma questa volta era davvero affamata. Aveva mangiato solo due bocconi del sandwich al formaggio e prosciutto che Nick le aveva ordinato a mezzogiorno, e ormai fuori era buio. I telefoni avevano smesso di squillare, parte del personale se n'era andato, mentre altri erano tornati in strada a cercare un ragazzino che sembrava essersi volatilizzato. Nick prese una fetta di pizza, la mise su un piatto di carta e la porse a Maggie. Era ricoperta di peperoni, salsiccia e mozzarella, e lei la addentò con una tale foga che salsa e formaggio fuso le colarono sul mento. «Attenta, O'Dell, ti stai sporcando come un bambinetta.» Lei si leccò un lato della bocca. «No, dall'altra parte. E anche sul mento.» Maggie si guardò le mani, occupate con la pizza e il mucchio di documenti. «Lascia, faccio io» disse Nick. Il suo pollice sfiorò le labbra attardandosi
sul mento, dove non c'era traccia di salsa. Maggie si sorprese a fissarlo negli occhi, e capì che anche lui avvertiva la stessa elettricità. Le dita di Nick risalirono a carezzarle la guancia, poi tornarono alla bocca. Maggie si scostò. «Grazie» disse a voce bassa. Afferrò un tovagliolo di carta e si strofinò il mento. «Vado a prendere altri tovaglioli» annunciò lui balzando in piedi. Prese anche altre due lattine di Pepsi dal frigobar nell'angolo e quando tornò a sedersi si mantenne a distanza di sicurezza. «Ci sono tantissime discrepanze» disse Maggie cercando di concentrarsi sui fogli. «Non capisco come abbiano potuto credere che Jeffreys fosse il responsabile di tutti e tre gli omicidi.» «Anche i serial killer cambiano tecnica ogni tanto, non è così?» «Sì, aggiungono dei dettagli, a volte fanno degli esperimenti. Prendi Jeffrey Dahmer, per esempio. Ha sperimentato parecchi modi diversi per mantenere in vita le sue vittime, è persino arrivato a trapanare il cranio per paralizzarle senza ucciderle.» «Forse anche Jeffreys si divertiva a fare esperimenti.» «Può darsi, ma la cosa strana è che gli altri due omicidi, quelli di Harper e Paltrow, sono identici tra loro. Entrambi avevano le mani legate dietro la schiena, entrambi sono stati strangolati e poi sgozzati. Le ferite al petto erano identiche, anche nel numero, e il taglio a forma di X era stato fatto con lo stesso coltello. Nessuno dei due ragazzini aveva subito violenza sessuale e tutti e due i corpi sono stati trovati in zone simili, lungo il fiume.» Maggie esaminò di nuovo i documenti sul pavimento, stando bene attenta a non macchiarli di salsa. Nell'ultima mezz'ora aveva cominciato a sentire tutto il peso della stanchezza e faticava a interpretare le annotazioni scarabocchiate dal medico legale. George Tillie non era stato troppo accurato e solo il rapporto su Eric Paltrow riferiva che il corpo era stato ripulito dopo la morte. Nessuno dei due rapporti parlava di tracce oleose sulla fronte dei cadaveri o altrove. «Il ragazzo Wilson invece...» «Lo so» sospirò lui. «Aveva le mani legate davanti, con nastro adesivo e non con una corda. Ed era stato pugnalato a morte, non strangolato. Non c'erano ferite alla gola, ma molti tagli in tutto il corpo.» «Ventidue.» «Già, ventidue. Ma nessuno a forma di X.»
«Ed era stato violentato ripetutamente.» «Il cadavere fu trovato in un bidone della spazzatura e non nei boschi lungo il fiume.» Nick allontanò il piatto con la pizza e ingoiò il contenuto della lattina di Pepsi. «Dio santo, mi è passato l'appetito» esclamò pulendosi la bocca con il dorso della mano. «E va bene, ci sono un sacco di discrepanze. Ma Jeffreys non potrebbe aver cambiato metodo? Anche la violenza, per esempio, non potrebbe essere una specie di escalation?» «Sì, potrebbe, ma ricordati che la sequenza è stata Harper, Wilson, Paltrow. Ed è strano che un killer faccia degli esperimenti, aggiunga qualcosa alla sua tecnica e poi torni indietro. Prima usa un coltello affilato, da macellaio, poi passa a un coltello da caccia e torna di nuovo al coltello da macellaio? Molto improbabile. E anche lo stile è diverso. Gli omicidi Harper e Paltrow sono molto meticolosi. Tutti e due i ragazzini sono stati uccisi da qualcuno che non aveva fretta e che si divertiva a far soffrire le vittime. Come nel caso di Danny Alverez. Invece l'omicidio di Bobby Wilson sembra commesso in un accesso di furia, senza il tempo di badare ai dettagli.» «Sai, se devo essere sincero fino in fondo, il caso Jeffreys mi è sempre parso troppo facile» sospirò Nick. «E mi sono domandato spesso se mio padre non fosse talmente preso dal circo dei mezzi di informazione da trascurare qualche aspetto.» «Cosa vuoi dire?» «A mio padre è sempre piaciuto essere al centro dell'attenzione. L'anno in cui cominciai a giocare come quarterback nel campionato universitario, veniva a vedere tutte le partite. La mamma diceva che lo faceva perché era fiero di me, ma il più delle volte per farsi inquadrare dalle telecamere dimenticava di parlarmi.» Maggie ascoltò senza commentare. «Non fraintendermi» continuò lui. «Non sto dicendo che mio padre abbia deliberatamente trascurato delle prove. Dico solo che la soluzione del caso Jeffreys mi è sempre sembrata un po' troppo rapida. Un giorno c'è stata una soffiata anonima e il giorno dopo Jeffreys confessava tutto quanto. Troppo semplice, no?» «Che soffiata?» «Fu una telefonata, mi pare. Non ne sono sicuro, perché all'epoca non vivevo qui. Nei rapporti non c'è niente?» «Non ho trovato nessun accenno a una soffiata» disse Maggie passandogli la cartellina etichettata Arresto di Jeffreys. «Sono rapporti molto dettagliati, come vedi, e c'è anche l'elenco delle prove trovate nel bagagliaio
della Chevrolet di Jeffreys: un rotolo di nastro adesivo, un coltello da caccia, un pezzo di corda... ehi, aspetta un momento.» Controllò meglio. «E un paio di mutandine da ragazzo che più tardi vennero identificate come appartenenti a Eric Paltrow.» Maggie fissò Nick. «Ma Eric Paltrow fu trovato con le mutandine addosso.» Nick scosse la testa. «Scommetto che perfino Jeffreys fu stupito di trovare quella roba nella sua macchina.» Rimasero a guardarsi in silenzio. Ormai era chiaro: Ronald Jeffreys era stato incolpato per due omicidi che non aveva commesso. Probabilmente da qualcuno che lavorava nell'ufficio dello sceriffo. 29 Martedì 28 ottobre Le due ore di sonno sulla poltrona dell'ufficio avevano lasciato il segno. Nick era indolenzito e di cattivo umore, anche perché non riusciva a togliersi dalla testa Maggie e il breve contatto che avevano avuto. Fortunatamente, dalla doccia dell'ufficio usciva solo acqua fredda. Anche se era un inguaribile dongiovanni, Nick aveva delle regole ferree riguardo alle donne sposate. Peccato che il suo corpo continuasse a dirgli che quelle regole si potevano infrangere. Maggie era tornata in albergo alle tre di notte per riposarsi un po', fare una doccia e cambiarsi. Lui aveva ormai usato tutti gli abiti di ricambio che teneva in ufficio e aveva dovuto ripiegare sull'uniforme, che per la verità era più adatta alla conferenza stampa del mattino. Aveva parlato con determinazione, ma la conferenza si era presto tramutata in un linciaggio, grazie soprattutto al titolo dell'articolo di Christine, L'UFFICIO DELLO SCERIFFO TRASCURA UNA TRACCIA NEL CASO ALVEREZ. Eppure Nick aveva mandato Eddie a parlare con la Krichek dopo la prima telefonata. Perché diavolo non si era reso conto che dall'appartamento della donna si vedeva perfettamente il parcheggio dove Danny era stato rapito? Aveva voglia di strozzarlo, quell'idiota. O meglio, di offrirlo in pasto ai giornalisti come capro espiatorio. E invece aveva dovuto esibire tutta la calma che era riuscito a trovare. Non era il momento di perdere le staffe, cosa che aveva rischiato un paio di volte durante la conferenza. Per fortuna O'Dell, con i suoi modi autorita-
ri, aveva zittito gli interlocutori più accaniti, sfidandoli a rintracciare il furgoncino blu, e spingendoli a dare la caccia al killer, anziché mettere sotto accusa lo sceriffo per le sue mancanze. Nick cominciava a chiedersi che cosa avrebbe fatto senza di lei. Svoltò nella strada in cui abitava Christine proprio quando il sole, apparso alla fine del pomeriggio, scendeva lentamente all'orizzonte. Accanto a lui, Maggie era immersa nei documenti del caso Alverez. In grembo aveva le Polaroid scattate all'obitorio e le confrontava con quelle fatte dal medico legale. Sembrava ossessionata dal suo incarico, come se tracciare il profilo dell'assassino fosse essenziale per la salvezza di Matthew Tanner. Ma dopo un intero pomeriggio di piste dubbie e di interrogatori inutili, Nick cominciava a temere che fosse troppo tardi. Non avevano trovato niente, nonostante le ricerche accurate. Forse il ragazzino era salito su un furgoncino blu ed era sparito chissà dove, com'era successo a Danny secondo Sophie Krichek. E se era così, voleva dire che l'assassino era qualcuno di cui Matthew si fidava. Magari qualcuno che lo stesso Nick conosceva... Quel pensiero gli dava i brividi. Frenò un po' troppo bruscamente e le foto di Maggie caddero a terra. «Scusa» disse chinandosi a raccoglierle. Le loro braccia si incrociarono, le teste si sfiorarono. Nick le porse le foto, lei lo ringraziò senza guardarlo. Era tutto il giorno che si comportavano con cautela, ma Nick non avrebbe saputo dire se era perché volevano evitare di parlare di quanto avevano scoperto sul caso Jeffreys, o semplicemente perché avevano paura di toccarsi. Mentre erano quasi sulla porta della casa di Christine, il cellulare di Maggie squillò. «Agente O'Dell» rispose. Christine li fece entrare, prese Nick sottobraccio e lo portò in soggiorno, in modo che Maggie potesse fare tranquillamente la sua telefonata. «Credevo che avresti annullato di nuovo» disse al fratello. «Per via del tuo articolo?» «No, perché sei oberato di lavoro» rispose lei. «Allora non sei arrabbiato?» «La Krichek è matta come un cavallo.» «A me è parsa perfettamente in sé, e quello che mi ha detto era molto convincente. Dovreste cercare quel furgoncino blu.» Nick non rispose e diede un'occhiata a Maggie, che camminava avanti e indietro nervosa.
«Sai che ti dico, Greg?» esclamò a un certo punto alzando la voce. «Vai al diavolo.» Poi chiuse il cellulare e se lo cacciò in tasca. «Chi è Greg?» sussurrò Christine. «Suo marito.» «Non sapevo che fosse sposata. Ecco perché ti sei comportato così bene con lei.» «E questo che diavolo significa?» «In caso non lo avessi notato, fratellino, quella donna è uno schianto.» «Ma è anche un'agente dell'FBI, e i nostri rapporti sono strettamente professionali.» «Anche con la bella avvocatessa dello studio del procuratore dovevi avere dei rapporti strettamente professionali, se ben ricordo.» «Ma lei non era sposata.» In quel momento Maggie entrò in soggiorno con la fronte corrugata. «Scusatemi» disse. «Ultimamente mio marito ha la tendenza a farmi innervosire.» «Questa è la ragione per cui mi sono liberata del mio» fece Christine con un sorrisetto. «Nick, dai un bicchiere di vino a Maggie mentre io vado in cucina a controllare la pasta.» E si allontanò lasciandoli soli. Nick riempì due bicchieri e si avvicinò a Maggie, che si era fermata accanto alla finestra. «Nick, sei mai stato sposato?» domandò lei prendendo il bicchiere. «No, ho fatto di tutto per evitarlo» rispose lui. E rimase accanto a Maggie, godendo della loro vicinanza e augurandosi che lei gli dicesse che il suo matrimonio stava andando a rotoli. Poi, per cancellare il senso di colpa, aggiunse: «Ho notato che non porti la fede». Lei si guardò la mano e la mise in tasca. «Già, è in fondo al fiume Charles. Circa un anno fa stavamo recuperando un cadavere. L'acqua era gelida e la fede mi è scivolata.» Tacque per un momento, mentre lui si domandava che tipo fosse l'uomo che aveva conquistato il cuore di Maggie O'Dell. Un intellettuale snob, sicuramente. Uno che non guardava mai le partite di football in TV. «E non l'hai mai sostituita?» «No. Forse perché mi sono resa conto che tutto ciò che doveva rappresentare aveva perso valore da tempo.» «Zio Nick!» strillò Timmy saltandogli al collo. Nick sentì una fitta alla schiena, ma afferrò il nipote e fece un giro intorno alla stanza, mentre le gambe penzoloni di Timmy minacciavano di buttare all'aria i soprammobi-
li. «Smettetela, voi due» li rimproverò Christine dalla porta. Nick mise il nipote a terra e sogghignò, cercando di ignorare il dolore alle reni. Dio, come odiava questi segni dell'età. «Maggie, ecco mio figlio Timmy. Timmy, ti presento l'agente speciale O'Dell.» «Un agente dell'FBI come Mulder e Scully di X-Files?» esclamò il ragazzino. «Sì, solo che non mi occupo di alieni. Anche se alcuni dei tipi a cui do la caccia sono piuttosto strani.» Adesso Maggie sorrideva e sembrava più rilassata. Come mai i ragazzini avevano quell'effetto sulle donne? pensò Nick. «Ho dei poster di X-Files nella mia camera, vuoi vederli?» disse Timmy. «Stiamo per andare a tavola» ammonì Christine. «Ma qualche minuto l'abbiamo, vero?» intervenne Maggie. E si lasciò prendere per mano da Timmy e condurre via. «È bello vedere che il nipote segue gli insegnamenti dello zio» commentò Nick ironico. Christine alzò gli occhi al cielo e gli gettò uno strofinaccio. «Piantala, e vieni piuttosto ad aiutarmi in cucina.» 30 Maggie non aveva tempo per la televisione e non aveva mai visto una puntata di X-Files, ma Timmy non sembrò preoccuparsene troppo e una volta in camera prese a mostrarle tutti i suoi tesori, dai modellini di Guerre Stellari alla collezione di fossili che comprendeva un autentico dente di dinosauro. Il copriletto era decorato con immagini di Jurassic Park. Su uno scaffale della libreria c'erano I cavalieri della Tavola Rotonda e l'Enciclopedia del collezionista. Le pareti della stanza erano coperte da un assortimento di poster, tra cui spiccavano X-Files, la squadra dei Cornhuske, Star Trek e Batman. Lei osservò tutto, non da agente dell'FBI ma con la curiosità di una dodicenne derubata di una parte dell'infanzia. Per un attimo ripensò alla telefonata con Greg, che adesso l'accusava di trascurare sua madre. Inutile che Maggie gli ricordasse che era lei quella laureata in psicologia. Greg era arrabbiato perché non avevano potuto festeggiare il loro anniversario e cercava di rifarsi in tutti i modi. Com'erano arrivati a quel punto? si domandò Maggie.
La mano di Timmy che la trascinava verso il cassettone le tolse dalla testa i cattivi pensieri. «Guarda, mio nonno me l'ha portata dalla Florida» disse indicando una grossa conchiglia. «Lui e la nonna viaggiano sempre. Puoi toccarla, se vuoi.» Maggie lisciò la conchiglia e così facendo notò una foto appoggiata contro lo specchio. Una ventina di ragazzini in magliette uguali stava in piedi accanto a una canoa. Lei riconobbe subito il primo a sinistra: era Danny Alverez. «Da dove viene questa foto?» domandò. «Oh, quella è del campeggio della parrocchia. La mamma mi ci ha fatto andare l'estate scorsa. Io credevo che fosse una barba e invece è stato molto divertente.» «Questo non è Danny Alverez?» continuò lei. «Lo conoscevi bene?» «Non tanto. Lui era nella camerata dei Pettirossi, io in quella delle Ginestre.» «Ma veniva nella tua chiesa?» «No, credo che andasse nella chiesa della base aeronautica. Ehi, vuoi vedere la mia collezione di giocatori di baseball?» chiese Timmy frugando in un cassetto. Lei però voleva saperne di più di quel campeggio. «In quanti eravate?» insisté. «Non lo so. Tanti, perché venivamo da tante chiese diverse.» Timmy aprì una scatola di legno. «Ne ho anche una di Darryl Strawberry da giovane.» Maggie continuava a guardare la foto, che oltre ai ragazzini ritraeva due adulti. Uno era Ray Howard, il sacrestano di St. Margaret. L'altro era un uomo alto e attraente con i capelli neri ondulati e una faccia da ragazzo. «E questo chi è?» domandò Maggie. «È Padre Keller. Un tipo proprio in gamba. Quest'anno sono uno dei suoi chierichetti. Non sono in tanti a riuscirci, perché lui è molto esigente.» Maggie badò bene a non apparire preoccupata, ma solo blandamente interessata. «Ah, sì? E cosa pretende da voi?» «Vuole che siamo affidabili e altre cose del genere, ma in cambio ci fa dei favori speciali.» «Che tipo di favori?» «Per esempio ci porta in campeggio questo giovedì e venerdì, e poi a volte gioca a football con noi, e scambia delle figurine dei giocatori di baseball. Una volta mi ha dato un Joe DiMaggio per un Bob Gibson, che vale molto meno.»
Maggie fece per rimettere a posto la foto, ma un'altra faccia attirò la sua attenzione e il suo cuore cominciò a battere forte. In seconda fila, nascosta in parte da un ragazzo più alto, c'era la faccetta lentigginosa di Matthew Tanner. «Timmy, ti dispiace se prendo in prestito questa foto per qualche giorno? Prometto di ridartela appena possibile.» «Va bene. Porti la pistola?» «Sì» fece lei sfilando la foto dalla cornice. Le sue mani tremavano leggermente. «E ce l'hai anche adesso? Posso vederla?» «Timmy, è pronto» li interruppe Christine. «Vai a lavarti le mani.» Mentre lui usciva dalla stanza, Maggie si infilò in tasca la foto senza farsi vedere da Christine. 31 Dopo cena Nick insisté per lavare i piatti con Timmy. Christine sapeva benissimo che era a puro beneficio di Maggie, ma accettò e portò in soggiorno le tazze di caffè, posandole sul tavolino davanti al divano. Maggie era parsa inquieta durante la cena e adesso camminava di nuovo avanti e indietro. Sembrava carica di energia nervosa, nonostante l'evidente stanchezza. «Si sieda» disse Christine. «Credevo di essere un tipo agitato, ma lei mi batte.» «Mi scusi... devo aver passato troppo tempo con assassini e cadaveri, e le mie buone maniere sono andate a farsi benedire.» «Sciocchezze, ha solo passato troppo tempo con Nick.» Maggie sorrise. «La cena era deliziosa. Era da tempo che non mangiavo così bene.» «Grazie, ma è solo frutto di una lunga pratica. Ho fatto la casalinga e la moglie per anni, finché mio marito non ha deciso che preferiva le ventenni.» Christine si rese conto che stava rivelando troppi dettagli privati e metteva in imbarazzo l'ospite. Quando finalmente Maggie decise di sedersi, preferì una poltrona al divano. Christine riconobbe il suo stesso desiderio di evitare ogni forma di intimità. Si comportava così anche lei, tranne che con suo figlio. «Quanto si fermerà a Platte City?» domandò. «Fino a quando sarà necessario.» Non c'era da stupirsi che il suo matrimonio fosse in crisi, pensò Christi-
ne. Come se leggesse nei suoi pensieri, Maggie si difese: «Tracciare il profilo di un criminale è una cosa che prende molto tempo, ed è meglio se si rimane nel suo ambiente». «Spero che non le dispiaccia» disse Christine, «ma ho fatto un po' di ricerche su di lei, e sono molto colpita. Lei ha una laurea in psicologia criminale, una specializzazione in psicologia comportamentale e dopo otto anni a Quantico con l'FBI è già una delle loro migliori esperte. E ha solo trentadue anni. Deve essere una bella soddisfazione aver fatto tanto in così poco tempo.» Si aspettava che Maggie si schermisse, che fosse imbarazzata, ma invece aveva solo uno sguardo un po' fisso, come se i pazzi che aveva contribuito a catturare avessero lasciato un segno sulla sua psiche. «Sì, forse dovrei sentirmi soddisfatta» ammise Maggie dopo un po'. Non aggiunse altro, e allora Christine proseguì: «Nick non lo ammetterà mai, ma so che è molto contento di averla qui. Questa è un'esperienza nuova per lui. Sono sicura che non si aspettava niente del genere quando mio padre lo convinse a candidarsi per l'incarico di sceriffo». «È stata un'idea di suo padre?» «Era vicino alla pensione, ma era stato sceriffo così a lungo che non sopportava l'idea di cedere il posto a qualcuno che non fosse un Morrelli.» «Ma Nick era d'accordo?» «Insegnava alla facoltà di legge, credo che fosse contento del suo lavoro...» Christine si interruppe. I rapporti tra suo padre e suo fratello erano così complessi che lei stessa non li capiva del tutto, e meno ancora poteva spiegarli a un'estranea. «Suo padre deve essere un tipo notevole» commentò Maggie. «Perché lo pensa?» Christine la guardò perplessa, domandandosi che cosa le avesse detto Nick. «Tanto per cominciare, ha praticamente catturato Ronald Jeffreys da solo.» «Sì, è stato un vero eroe.» «E pare abbia una grande influenza sulle decisioni di Nick.» Dunque sapeva qualcosa. A disagio, Christine si versò dell'altro caffè. «Sa, credo che nostro padre voglia per Nick tutte le opportunità che lui non ha potuto avere, tutte le cose che non ha potuto fare.» «E lei?» «Che vuol dire?» «Suo padre vuole le stesse opportunità e le stesse cose anche per lei?»
Accidenti, era brava. Se ne stava lì a bere caffè e intanto la metteva sotto torchio. «Io adoro mio padre, ma so benissimo che è un maschilista. Siccome ero una ragazza, qualsiasi cosa facessi gli è sempre andata bene. Per Nick è stata più dura, perché ha sempre dovuto dimostrare di essere il migliore, che gli piacesse o no. Per questo ce l'ha tanto con me.» «No, ce l'ho con te per la tua lingua lunga» intervenne lui entrando nella stanza. Dietro le sue spalle, Timmy sogghignava. Lo squillo del telefono la salvò da una predica. «Christine, sono Hal. Nick è ancora lì?» «Sì. E la tua chiamata arriva giusto in tempo...» Fece una smorfia a Nick. «Ti sento malissimo» aggiunse. «Sei in macchina?» «Sì... posso parlare con Nick, per favore?» Hal sembrava piuttosto agitato e quando Nick le strappò la cornetta di mano lei rimase nelle vicinanze con la speranza di carpire qualcosa, finché suo fratello non le gettò un'occhiataccia. «Pronto, Hal, che succede?» Una pausa. «Non far avvicinare nessuno.» Adesso la voce di Nick tradiva il panico. Maggie si alzò di scatto dalla poltrona. Christine mise le mani sulle spalle di suo figlio. «Timmy, sali a prepararti per andare a letto.» «Ma mamma, è prestissimo...» «Ubbidisci, Timmy.» Il ragazzino eseguì l'ordine a malincuore, mentre Nick continuava a parlare al telefono. «Circonda la zona e, te lo ripeto, non lasciare avvicinare nessuno. L'agente O'Dell è qui con me. Arriviamo lì tra una ventina di minuti al massimo.» E riappese. «Hanno trovato il cadavere di Matthew, vero?» domandò Christine. Nick si voltò verso di lei come una furia. «Giuro che se scrivi una sola parola...» «La gente ha il diritto di sapere.» «Non prima della madre. Puoi avere la decenza di aspettare almeno questo?» «Sì, ma a una condizione.» «Gesù, Christine, ma ti rendi conto di quello che dici?» ruggì lui. «Prometti di chiamarmi quando si può dare la notizia. È chiedere troppo?» Nick scosse la testa e Christine cercò con lo sguardo Maggie, che se ne stava vicino alla porta senza intromettersi.
«Su, Nick» aggiunse con un sorriso per riportare la calma. «Non è una richiesta così irragionevole. Non vorrai che mi accampi davanti alla porta di casa Tanner, no?» Nick sembrava ammansito. «Non azzardarti a parlare con qualcuno o a scrivere una riga prima di avere il mio permesso» esclamò. «E stai lontana da Michelle Tanner.» Dopo di che uscì in fretta, seguito da Maggie. Christine aspettò che le luci della jeep sparissero dietro l'angolo, poi afferrò il telefono. «Agente Langston» rispose la voce all'altro capo. «Hal, sono Christine. Nick e Maggie sono appena andati via, ma Nick non è riuscito ad avvertire George Tillie e mi ha pregata di farlo al posto suo... Sai, il vecchio George potrebbe dormire mentre gli sparano delle cannonate in casa.» «E allora?» La domanda era sospettosa. «Allora non mi ricordo che posto devo dirgli.» Silenzio. L'aveva smascherata? Christine fece un tentativo. «So che è dalle parti di Old Church Road, ma...» Hal cadde in trappola. «Infatti. Di' a George di proseguire per circa un miglio oltre il cartello della strada statale. Può lasciare la macchina nel pascolo di Ron Woodson, da lì vedrà le nostre fotoelettriche vicino al fiume.» «Grazie, Hal. So che sembra brutto dirlo, ma continuo a sperare che sia un ragazzino sconosciuto e non Matthew. Per amore della povera Michelle.» «Capisco cosa vuoi dire, però non ci sono dubbi. È proprio Matthew. Be', devo andare.» E riappese. Christine aspettò lo scatto del cellulare, poi fece il numero di casa del suo caporedattore. 32 Aveva cominciato a nevicare e i fiocchi volteggiavano illuminati dai fari della jeep. In fondo alla discesa che portava al fiume le fotoelettriche creavano ombre spettrali fra gli alberi. Nelle ultime due ore la temperatura era scesa rapidamente e il gelo penetrava attraverso la giacca di Maggie, che non aveva pensato di mettere un cappotto in valigia e adesso rabbrividiva.
Presto la neve le si attaccò alle ciglia e ai capelli, aggiungendo al freddo l'umidità. Come se non bastasse, per arrivare al luogo del ritrovamento dovevano camminare un bel po'. Dopo aver confuso le tracce del primo delitto, Nick aveva raddoppiato le precauzioni e aveva ordinato ai suoi uomini di isolare una zona molto ampia. Il sentiero tra gli alberi era ghiacciato. Nell'ultimo tratto, ancora più ripido, Nick scivolò atterrando sul fondoschiena. Imbarazzatissimo, si rialzò all'istante e rifiutò la mano tesa di Maggie. Hal venne verso di loro a grandi falcate. Maggie notò che la sua faccia abbronzata aveva perso ogni colore. Anche gli occhi sembravano spenti. Era come se la scoperta del piccolo cadavere avesse prosciugato in lui ogni scintilla di vita. «Bob Weston sta mandando qui un'equipe della scientifica. Non far passare nessun altro, intesi?» gli disse Nick. Hal si limitò ad annuire, poi li precedette fino a una radura e si fermò. Un treno fischiò in lontananza. La neve continuava a cadere sempre più fitta. Il corpicino bianco era disteso sull'erba, nudo. Il torace era così piccolo che la ferita a forma di X arrivava fino alla vita. Le braccia erano allargate lungo i fianchi, i pugni chiusi. Non c'era stato bisogno di legargli i polsi: un bambino tanto minuto non avrebbe potuto opporre resistenza. Maggie lasciò indietro i due uomini e si avvicinò lentamente a Matthew, quasi con reverenza. Il corpo era stato lavato, come sospettava. Si inginocchiò e spazzò via la neve dalla fronte. Sulle labbra bluastre e sul petto c'era una striscia di liquido oleoso. Il cadavere era così magro e indifeso che Maggie provò l'impulso di coprirlo, per ripararlo dal freddo e per nascondere le ferite. Questa volta non c'erano solo i tagli. C'erano anche dei segni all'interno della coscia, forse il morso di un animale: e doveva essere accaduto dopo la morte, perché non si vedevano tracce di sangue. Maggie prese una pila ed esaminò meglio quei segni. Erano stati lasciati da denti umani, sovrapposti gli uni agli altri come in un accesso di furia. Un fatto nuovo, pensò. L'assassino aggiungeva particolari e stava diventando meno prudente. Aveva rapito il ragazzo soltanto due giorni prima. Forse gli articoli sul giornale lo innervosivano? Sentì un'insolita fitta allo stomaco. Aveva smesso di stare male sulla scena di un delitto da molti anni e aveva considerato quel distacco come il passaggio a un livello superiore. Ma forse Albert Stucky aveva davvero
smantellato il suo sistema di difesa. Stava per rialzarsi in piedi quando notò un pezzetto di carta fra le piccole dita. Matthew aveva qualcosa stretto in pugno. Si guardò alle spalle. Nick e Hal erano ancora dove li aveva lasciati e stavano aspettando cinque uomini con le giacche a vento blu dell'FBI che scendevano verso di loro. Aprì cautamente il pugno ormai irrigidito e prese il pezzetto di carta. Era poco più di un angolo strappato, ma lei non aveva bisogno di esaminarlo per sapere che cos'era. Un'ora prima aveva visto decine di quei rettangolini colorati sparsi sul letto di Timmy. Matthew Tanner era morto stringendo il brandello di una figurina di baseball, e Maggie era sicura di sapere a chi apparteneva. 33 L'équipe della scientifica prese a lavorare in fretta, perché ormai la neve cadeva sempre più fitta e minacciava di seppellire le prove. Maggie e Nick stavano rannicchiati al riparo degli alberi. Lei teneva le mani in tasca, badando a non spiegazzare la foto che aveva preso in prestito da Timmy. Hal aveva promesso di portare delle giacche a vento e dei maglioni, ma tardava ad arrivare e Maggie si sentiva paralizzata dal freddo. «Forse faremmo meglio ad andarcene» disse Nick. Il fiato si condensava in nuvolette bianche mentre parlava. «Qui non possiamo fare molto.» «Vuoi che venga con te da Michelle Tanner?» domandò lei. «Non so che fare... vorrei evitare di svegliarla nel mezzo della notte, e può anche darsi che ci voglia un po' prima che portino il corpo all'obitorio. Ma d'altra parte lei vorrà vederlo. Laura Alverez ha insistito per identificare Danny. Si rifiutava di credermi finché non l'ha visto con i suoi occhi. Che ne dici se aspettiamo fino a domattina?» «Non è un cattiva idea. Domani avrà intorno qualche persona in più a cui appoggiarsi.» «Va bene. Dico a quelli della scientifica che ce ne andiamo.» Nick si alzò per allontanarsi, ma Maggie lo afferrò per un braccio. Qualche metro dietro di loro si vedevano delle impronte di piedi nudi sulla neve. Fresche, appena fatte. «Aspetta» gli sussurrò. «È qui.» Ma certo, si disse, come mai non ci aveva pensato? Era perfettamente logico. «Di che stai parlando?»
«Dell'assassino. È qui.» E continuò a stringere il braccio di Nick per trattenerlo. «Lo vedi?» bisbigliò lui. Maggie si guardò intorno, cauta. «No, ma sono sicura che è qui. Stai calmo e parla a bassa voce. Forse ci sta osservando.» «Secondo me ti si è congelato il cervello» fece Nick, pur continuando a bisbigliare. «Qui attorno c'è almeno una trentina di agenti.» «Dietro di te, vicino a quell'albero con il nodo nel tronco, ci sono delle impronte di piedi nudi. Guardale senza farti notare.» Nick si voltò piano. «Gesù» esclamò. «Con la neve che cade così fitta devono essere molto recenti. Quel figlio di puttana era proprio dietro di noi. E adesso che accidenti facciamo?» «Tu stai qui e aspetta Hal, io torno su per il sentiero come se stessi andando alla macchina. Deve essere ancora nel perimetro degli agenti e non può battersela senza passare vicino a uno di loro. Da lassù forse riesco a vederlo.» «Vengo con te.» «No, se ci sta guardando c'è il rischio che se ne accorga. Aspetta Hal, mi servite tutti e due qui come copertura.» «E come facciamo a sapere dove sei?» «Te lo segnalo in qualche modo... magari sparo un colpo in aria. Fai solo in modo che i tuoi uomini non sparino a me.» «Come se potessi controllarli a uno a uno...» «Guarda che non sto scherzando, Morrelli.» «Nemmeno io» rispose Nick serissimo. Vagabondare in un bosco pieno di poliziotti forse era una stupidaggine. Ma se l'assassino era ancora là, Maggie non doveva lasciarselo scappare. Ed era là, se lo sentiva. Li stava osservando. Non poteva farne a meno perché faceva parte del suo rituale. Maggie cominciò a risalire il sentiero ghiacciato, camminando a fatica nei mocassini incrostati di neve. Sentiva l'adrenalina pompare nelle vene, ma dopo qualche minuto si ritrovò senza fiato. Si aggrappò a un ramo, però quello si spezzò e lei scivolò per un tratto sbattendo il fianco contro un albero. Si raddrizzò artigliando il tronco con le mani intorpidite dal freddo. Sentiva delle voci sopra di sé, segno che ormai stava arrivando sul crinale della collinetta. In basso vedeva Nick e Hal che parlottavano, e al di là degli alberi gli agenti della scientifica che raccoglievano prove, chinati sul corpicino livi-
do di Matthew. Poco oltre, le acque nere del fiume scorrevano veloci. A metà della salita, qualcosa si mosse. Maggie si immobilizzò. L'aria era così gelida che faticava a respirare. Che avesse immaginato tutto? Un ramoscello cadde poco sotto di lei, e allora lo vide. L'uomo si premeva contro un albero come se volesse penetrare nel tronco, e in effetti quasi si confondeva con il legno, alto, sottile, vestito di scuro tranne i piedi nudi. Era venuto a osservare il lavoro della scientifica e adesso, strisciando da un albero all'altro, cercava di aggirare la zona delimitata dalla polizia per andarsene. Maggie iniziò a scendere e la neve scricchiolò sotto i suoi piedi. Il rumore le sembrò assordante, ma nessuno lo sentì, nemmeno l'ombra che si stava rapidamente avvicinando alla riva del fiume. Con il cuore che batteva sordo contro le costole, Maggie estrasse la pistola. Le sue mani tremavano, ma lei preferì pensare che era colpa del freddo. Continuò a seguire l'uomo nella boscaglia, fermandosi quando lui si fermava e appiattendosi come poteva contro gli alberi per non farsi vedere. Ormai erano su un tratto di terreno piano, gli agenti della scientifica erano parecchio dietro di loro. D'improvviso l'uomo si voltò a guardare nella sua direzione. Maggie si bloccò. Il vento fischiava intorno alla sua testa e il fiume che scorreva poco oltre portava con sé un odore putrido di decomposizione. Maggie aspettò qualche istante, poi si sporse dal suo rifugio, ma non riuscì a vedere nulla. L'uomo era sparito. Si sentivano solo le voci confuse dei poliziotti lontani e nient'altro. Il resto era silenzio. Come poteva essersi volatilizzato così, in pochi secondi? Maggie fece due passi avanti e cercò di vedere qualcosa nel buio fitto. Avvertì un movimento e puntò la pistola, ma era un ramo che oscillava nel vento. Nonostante il freddo aveva le mani sudate. Strinse la pistola e continuò a camminare con prudenza. Ormai il fiume era molto vicino, non c'erano argini, solo alberi che sembravano sorgere direttamente dall'acqua. Sì sentì lo schioccare di un altro ramoscello spezzato, poi dei passi affrettati. Maggie si voltò di scatto e lo vide di nuovo, una grossa ombra scura che correva dritta verso di lei. Sparò un colpo in aria come avvertimento, poi abbassò la pistola e prese la mira, ma prima che potesse premere il grilletto l'ombra le balzò addosso ed entrambi finirono nel fiume. L'acqua gelida le tolse il fiato. Maggie strinse la pistola e cercò di pun-
tarla sull'ombra che riaffiorava poco lontana da lei. Avvertì una fitta alla spalla, cercò di scostarsi per prendere di nuovo la mira, ma sentì il dolore acuto di una punta metallica che le penetrava nella carne. Allora capì di essere finita in un groviglio di assi e chiodi. Poi sentì delle voci e le fotoelettriche la accecarono. In quelle luci lei cercò ancora di vedere l'ombra scura, ma ormai non c'era più. L'uomo era scomparso. 34 L'acqua gelida lo tramortiva, i muscoli gli facevano male per lo sforzo, i polmoni minacciavano di scoppiare, ma lui continuava a restare sott'acqua mentre la corrente lo trasportava lontano. Non lottava, anzi, si lasciava cullare, e salvare una volta di più. I poliziotti erano ancora vicini, troppo vicini. Lui vedeva le luci saettare sulla superficie, ai lati e sopra di lui. Sentiva le loro voci. Ma nessuno si era tuffato in acqua, nessuno tranne l'agente O'Dell, che però era rimasta imprigionata per bene nel piccolo regalo che lui le aveva preparato. Così le sarebbe servito di lezione. Credeva di potergli scivolare alle spalle e di intrappolarlo, quella stupida? Aveva solo avuto quel che si meritava. Finalmente le luci si puntarono su di lei e l'uomo emerse per prendere fiato. Il passamontagna nero gli si era incollato alla faccia, ma non osò toglierlo, e dopo un momento si abbandonò di nuovo alla corrente. Gli agenti si stavano affannando per ripescare la donna. Lui sorrise compiaciuto. Alla coraggiosa e astutissima agente O'Dell non sarebbe affatto piaciuto trovarsi in quella situazione. Fradicia, impotente e bisognosa di aiuto. Le stava bene, a quella maledetta che credeva di poter penetrare nella sua mente senza che lui le rendesse la pariglia. Però doveva ammetterlo: in fondo era contento di avere finalmente un'avversaria di classe, invece di quei poveri provinciali che non sapevano da che parte cominciare. Qualcosa galleggiò accanto a lui, un piccolo oggetto nero. Non sembrava qualcosa di vivo e allungò il braccio per prenderlo. Mentre lo toccava un coperchio si aprì e una lucetta verde si accese, spaventandolo. Era un cellulare. Peccato lasciarlo andare perso, pensò ficcandoselo in tasca. Riuscì ad avvicinarsi alla riva e poco dopo trovò il punto che si era segnato, afferrò il ramo che pendeva sopra l'acqua e vi si aggrappò. L'acqua spingeva e tirava con violenza e le dita congelate gli dolevano, ma lui non mollò la presa. Ancora un breve tratto e finalmente i suoi piedi,
ormai resi insensibili dal freddo, incontrarono la terraferma. Corse sull'erba ghiacciata. I fiocchi di neve gli cadevano tutt'intorno come piccoli angeli custodi nella notte scura. Trovò il suo nascondiglio in una macchia di rovi: i rami coperti di neve facevano un piccolo tetto. Si accucciò per riprendere fiato, ma uno squillo lo fece sobbalzare. Era il cellulare nella sua tasca. Lo prese e lo fissò senza sapere che cosa fare, mentre quello squillava altre due, tre, quattro volte. Finalmente aprì il coperchio e gli squilli cessarono. Una voce concitata disse: «Pronto? Pronto?» «Pronto» rispose lui. «È il telefono di Maggie O'Dell?» «Sì. Le è caduto poco fa.» «Posso parlarle, per favore?» «Al momento è impegnata» disse lui trattenendo a stento una risata. «Allora le riferisca che ha chiamato suo marito per dirle che sua madre sta molto male e che deve mettersi in contatto con l'ospedale. Ha capito?» «Sì.» «Non se ne dimentichi» abbaiò la voce. E chiuse. Lui tenne il cellulare all'orecchio per un attimo, ma aveva troppo freddo per perdere tempo con il nuovo giocattolo. Si sfilò la tuta da ginnastica nera e il passamontagna: la peluria delle braccia e delle gambe subito si gelò. Si asciugò in fretta, indossò un paio di jeans e un pesante pullover di lana, poi gettò gli indumenti bagnati in un sacco di plastica. Infine si sedette su un predellino per allacciarsi le scarpe da tennis, salì sul vecchio furgoncino e girò la chiavetta. Il motore sputacchiò un paio di volte, poi partì. Guidò verso casa tremando di freddo, mentre l'unico faro illuminava la neve che continuava a cadere. 35 Al momento gli era parsa una buona idea. Nick abitava poco lontano e Maggie era fradicia, ferita e sanguinante. Ma adesso, mentre stendeva gli abiti di lei ad asciugare nella lavanderia, cominciava a domandarsi se non era stato un errore. Tastò la biancheria di Maggie, respirò il suo profumo ed ebbe un piccolo brivido. Ridicolo. Nonostante la fatica delle ultime ore si sentiva eccitato. Aveva lasciato Maggie nella stanza da letto, poi era andato a farsi una
doccia nel bagno al pianterreno e aveva acceso il fuoco nel camino. Al piano di sopra, lei si stava ancora lavando. Nick si domandò se era tutto a posto. Maggie ostentava calma, ma era visibilmente sotto shock, e le ferite dovevano farle un male d'inferno. Quel bastardo era riuscito ad attirarla in un groviglio di chiodi e fil di ferro arrugginito. Nick aprì l'armadietto del pronto soccorso e si armò di cotone, alcol, garze e cerotti, poi portò il tutto davanti al camino, insieme con alcuni cuscini e una coperta. I ceppi che aveva accatastato poco prima bruciavano a tutta forza, riempiendo la stanza di calore. Per una volta, si disse, avrebbe ignorato le sue reazioni fisiche e si sarebbe comportato da gentiluomo. Si girò sentendo i passi di Maggie che scendeva la scala, con i capelli ancora bagnati e il suo vecchio accappatoio addosso. Avanzava a passi incerti, come se la doccia avesse lavato le sue difese residue. Ma non appena vide le bende e i cerotti scosse la testa e fece un cenno negativo con la mano. «Mi sono ripulita quanto basta» disse. «Non c'è proprio bisogno di altro.» «Se non ti lasci medicare dovrò portarti all'ospedale» replicò Nick. «Quel fil di ferro era arrugginito. Quando hai fatto l'ultima antitetanica?» «Non lo so, ma sono sicura che è ancora valida. Ci fanno tutte le vaccinazioni ogni tre anni, anche quando non sono necessarie.» Lui non le diede retta e aprì il flacone di disinfettante. «Siediti» le ordinò. Troppo stanca per protestare, Maggie ubbidì. Allentò la cintura dell'accappatoio e lo lasciò scivolare sulla spalla ferita. Nick trattenne il respiro. Come avrebbe potuto toccarla senza desiderare di andare oltre? pensò. Eppure doveva farlo. Doveva concentrarsi e ignorare il desiderio con tutte le sue forze. Sei tagli triangolari deturpavano la spalla e l'avambraccio. Un paio di ferite sanguinavano ancora, da una pendeva un brandello di pelle. Nick picchiettò il primo taglio con il cotone intriso di alcol. Lei sobbalzò senza emettere suono. «Ti ho fatto male?» si preoccupò lui. «Un po'. Fa' in fretta, se puoi.» Lui continuò, veloce e delicato. Ripulì le ferite, applicò garze e cerotti, e alla fine, incapace di trattenersi, diede una lunga carezza alla spalla e al braccio. Lei esitò un istante, poi si coprì la spalla e strinse la cintura dell'accappatoio. «Grazie» disse evitando di guardare Nick.
«Abbiamo ancora un bel po' di ore prima che faccia giorno» osservò lui. «Potremmo riposarci qui davanti al fuoco. Vuoi qualcosa da bere? Un brandy, una tazza di cioccolata calda?» «Un brandy mi farebbe piacere.» «E qualcosa da mangiare? Una minestra, o magari un sandwich?» «No, grazie.» «Sei sicura?» Lei sorrise. «Com'è che cerchi sempre di nutrirmi, Morrelli?» «Forse perché non posso fare le cose che vorrei.» Il sorriso di lei scomparve. Davvero non provava niente? si chiese Nick. Si alzò e andò a rifugiarsi in cucina. 36 La fotografia recuperata dalla tasca della giacca era accartocciata, ma ancora visibile. Maggie pensò che avrebbe dovuto trovare il modo di fare una copia nuova per Timmy, anche se non sapeva a chi rivolgersi. Per fortuna non era caduta in fondo al fiume come il cellulare... Evidentemente era destinata a perdere le cose nell'acqua. Nick era ancora in cucina e Maggie si domandò se stesse per caso preparandole un sandwich. La sua ultima frase aveva risvegliato in lei un pericoloso turbamento e trovarsi seduta davanti a un camino acceso, e con il solo accapatoio addosso, non l'aiutava. Doveva però ammettere che Nick si stava comportando da perfetto gentiluomo. Era di se stessa che non si fidava. Poco prima, mentre Nick la medicava, era persino arrivata ad apprezzare il bruciore dell'alcol perché la distraeva dal tocco di lui. E quando alla fine Nick le aveva accarezzato il braccio, lei aveva sperato che continuasse, che non smettesse più. Come sarebbe stato sentire le mani di Nick sul collo, sulla gola, sui seni? Nick ritornò dalla cucina e lei si coprì il viso con le mani. Il calore del fuoco avrebbe giustificato il suo rossore, pensò. «È questa la foto di cui mi parlavi?» domandò Nick sedendole accanto. Le porse il bicchiere di brandy, poi prese un plaid dal divano e lo gettò sulle loro gambe, come se fosse del tutto naturale che stessero accoccolati davanti al fuoco sotto la stessa coperta. «La caldaia non funziona» spiegò, con un lieve imbarazzo. «Avrei dovuto farla riparare, ma non immaginavo che in ottobre facesse così freddo.» Maggie gli diede la foto, poi bevve un sorso di brandy e appoggiò la te-
sta all'indietro, chiudendo gli occhi. Sapeva che con qualche sorso in più ogni tensione sarebbe scomparsa: purtroppo in quei momenti capiva anche troppo bene la fuga di sua madre nell'alcol. Non c'era dolore, se non potevi sentirlo. Non c'era pena, se eri troppo intontita per provarla. «Sono d'accordo» disse Nick, interrompendo i pensieri di Maggie e riprendendo il filo di un discorso che avevano cominciato mentre venivano a casa. «L'estrema unzione, le croci strappate sono coincidenze troppo strane. Ma non posso fermare Ray Howard e interrogarlo senza ragione, ti pare?» Maggie riaprì gli occhi. «Non Howard. Padre Keller.» «Cosa dici? Sei impazzita? Non crederai che un prete cattolico, e per di più come Padre Keller, possa ammazzare dei ragazzini.» «Corrisponde esattamente al profilo. Dovrei scoprire dell'altro sulla sua infanzia, sulla sua vita, ma in effetti sì, credo che un prete cattolico sia capacissimo di ammazzare dei ragazzini.» «Io no. E in città mi appenderebbero per i pollici se fermassi Padre Keller, che per tutti è una specie di Superman in tonaca. Sei fuori strada, O'Dell.» «Pensaci bene. Hai detto tu stesso che Danny Alverez non aveva lottato, e questo perché Padre Keller era qualcuno di cui si fidava. E Padre Francis ci ha detto che è improbabile che un laico sotto i trentacinque anni - cioè dopo il concilio Vaticano II - sappia come amministrare l'estrema unzione.» «Ma Keller è l'eroe dei ragazzini di Platte City. Come puoi pensare che faccia una cosa del genere senza che loro avvertano qualcosa di strano?» «Può succedere. E poi ho trovato l'angolo di una figurina di baseball stretta nel pugno di Matthew, e stasera Timmy mi ha detto che Padre Keller scambia sempre le figurine con loro.» Nick si ravviò il ciuffo sulla fronte. «E va bene» disse dopo un po', «controlla i suoi precedenti. Ma prima di interrogarlo ho bisogno di qualcosa di più che una fotografia accartocciata e l'angolo strappato di una figurina. Nel frattempo io controllerò Howard, perché devi ammettere che anche lui è un tipo strano. A chi mai verrebbe in mente di indossare camicia bianca e cravatta per far le pulizie in chiesa?» «Vestirsi in modo inadatto al proprio lavoro non è un reato. Altrimenti ti avrebbero arrestato da tempo.» Nick non poté impedirsi di sorridere. «Senti, è molto tardi e siamo tutti e due sfiniti. Perché non cerchiamo di dormire un po'?» disse. Distese le
gambe sotto il plaid, prese un telecomando dal tavolino e premette alcuni pulsanti. Le luci nella stanza si abbassarono. Un'organizzazione perfetta per le serate romantiche davanti al caminetto, pensò Maggie. Si abbandonò per un istante, poi, di colpo, reagì: «È meglio che torni al mio albergo». «Non dire sciocchezze, O'Dell» replicò rapido Nick. «I tuoi vestiti sono ancora bagnati, non puoi andartene. E se è questo che ti preoccupa, sono troppo stanco per farti delle avances.» «No, non è questo» disse altrettanto rapida Maggie. E si domandò perché lei invece non fosse affatto stanca, perché ogni suo muscolo e ogni suo nervo sembrassero tesi a cogliere la vicinanza di lui. Che diavolo le stava succedendo? Non le importava più niente di Greg? «Il fatto è che di solito non dormo, e non vorrei tenerti sveglio.» «Che vuol dire che non dormi?» domandò Nick coricandosi. Aveva gli occhi chiusi e lei notò le sue ciglia lunghissime. «È da circa un mese che non riesco a dormire. E se mi addormento ho dei terribili incubi.» «Già, immagino che con tutte le cose che sei costretta a vedere sia difficile non avere degli incubi. O ti è successo qualcosa?» Lei lo guardò. Nonostante l'ombra di barba c'era un che di fanciullesco nella bella faccia di lui, smentito dai muscoli possenti che si intravvedevano sotto il tessuto leggero della camicia. Era pazzesco, pensò Maggie. Doveva smetterla di osservarlo in quel modo. Poi si rese conto che lui la fissava preoccupato, in attesa di una risposta. «Ti è successo qualcosa?» le domandò di nuovo. «Non mi va di parlarne.» Nick si rizzò a sedere. «Io conosco un rimedio per gli incubi. Con Timmy, quando si ferma a dormire qui, funziona benissimo.» «Allora non può essere il brandy» sorrise lei. «No. Si tratta di tenersi abbracciati stretti a qualcuno mentre ci si addormenta.» Lei abbassò gli occhi. «Non credo che sia una buona idea.» «Maggie» fece lui serissimo, «questo non è un trucchetto per starti vicino. Voglio solo aiutarti. Che cos'hai da perdere se provi?» Lei non rispose, e allora Nick si avvicinò con gentilezza, la cinse con un braccio e le fece appoggiare la testa sul suo petto. Maggie sentiva il cuore di lui battere contro l'orecchio, e il suo batteva così forte che le era difficile distinguere tra i due. La peluria era meravigliosamente ruvida contro la guancia.
Nick posò il mento sui capelli di lei. «Adesso rilassati» disse. «E pensa che niente può colpirti senza prima passare attraverso di me. Fidati, vedrai che funziona...» Lei ne dubitava, ma chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. E poco dopo, incredibilmente, il sonno arrivò. 37 Maggie si svegliò con la testa pesante e le ossa indolenzite. Aveva freddo, il fuoco si era spento e Nick non era più accanto a lei. Si guardò intorno nella stanza buia e lo vide addormentato sul divano. Poi, un lampo di luce passò davanti alla finestra. Lei si girò di scatto e vide un'ombra scura che passava all'esterno, con una torcia elettrica. L'assassino li aveva seguiti dal fiume? Con il cuore in gola chiamò Nick, ma lui non rispose. Dove aveva lasciato la pistola? pensò. Su un tavolino ai piedi delle scale, l'aveva tolta e appoggiata lì appena entrata in casa. Stando curva sulle ginocchia andò fino alla scala. Il tavolino non c'era più. Era stato spostato da qualche parte, ma nella stanza buia lei non riusciva a scorgerlo. Senza il fuoco acceso faceva così freddo che le sue mani tremavano. Nel silenzio si sentì il lieve scatto della serratura. Maggie vide il pomolo che girava. Allora cercò un'arma qualsiasi, qualcosa di pesante o di tagliente. Alla fine prese una lampada con la base di metallo e strappò via l'abat-jour. La serratura scattò di nuovo, ma non si aprì, perché la porta era stata chiusa a chiave dall'interno. Maggie tornò in punta di piedi accanto al divano. «Nick» sussurrò scuotendolo. «Nick, svegliati.» Il corpo di lui rotolò sul pavimento. Lei guardò i suoi occhi azzurri che la fissavano, poi la gola squarciata da un taglio che sanguinava ancora e a stento soffocò un grido. La stanza fu di nuovo attraversata da un lampo di luce. Alzando gli occhi, Maggie vide l'ombra che la fissava dalla finestra, sorridendo beffarda. Era una faccia che conosceva. La faccia di Albert Stucky. Si svegliò agitando braccia e gambe e ansimando terrorizzata. Nick le afferrò i polsi. «Maggie, stai calma» disse rassicurante. «Stai tranquilla, Maggie. Ci sono io con te.» Lei si calmò e lo guardò. Gli occhi azzurri erano preoccupati, ma vivi. La stanza era illuminata dalle fiamme del camino, ed era molto calda. Fuo-
ri della finestra la neve cadeva fitta. Niente lampi di luce, niente Albert Stucky. «Stai meglio?» domandò lui accarezzandole i capelli. Maggie sospirò. «Mi hai mentito, non ha funzionato.» Lui sorrise. «Mi dispiace. Hai dormito tranquilla per un po', ma forse non ti tenevo abbastanza stretta.» Lei si rilassò e Nick continuò ad accarezzarla, le mani, poi i polsi e le braccia, risalendo dentro le maniche dell'accappatoio e scaldandola con il suo tocco lieve. Ma il gelo che Maggie sentiva le veniva da dentro, si era insinuato sotto la sua pelle, scorreva come ghiaccio nelle sue vene. Si appoggiò al petto di Nick e slacciò a uno a uno i bottoni della camicia. Sentì che il corpo di lui si irrigidiva. Senza lasciarsi intimidire, scostò i lembi della camicia e rimase ad ascoltare il battito del suo cuore, assorbendo il suo calore e sperando che lui capisse. Nick le cinse la vita tenendola stretta. Molto stretta. 38 Christine cliccò sul pulsante INVIA. Tra pochi minuti il suo articolo sarebbe uscito dalla stampante della redazione, per poi passare alle presse che erano ferme in attesa. Nemmeno nei suoi sogni più audaci aveva mai immaginato niente del genere. Era stanchissima, ma l'adrenalina l'aveva aiutata a pensare e a scrivere l'articolo. Asciugò le mani sudate sui pantaloni, poi chiuse il computer portatile e staccò la spina. Non capiva un accidente della tecnologia moderna, ma era contenta che permettesse a suo figlio di dormire tranquillamente nella stanza accanto alla sua, mentre lei digitava il suo quinto articolo da prima pagina. Chissà qual era il record dell'Omaha Journal in materia? Diede un'occhiata all'orologio. Il giornale sarebbe uscito con circa un'ora di ritardo, ma il caporedattore Corby le aveva dato carta bianca senza battere ciglio. Christine bevve il resto del caffè ormai freddo e sollevò il computer dalla scrivania, facendo cadere un mucchietto di lettere. Mentre le raccoglieva il suo buon umore svanì. Alcune erano bollette che lei non poteva permettersi di pagare, e una, ancora da aprire, conteneva formulari in triplice copia separati da fogli di carta carbone. Come si poteva rispettare uno stato che usava ancora la carta carbone? Come si poteva sperare che un sistema così obsoleto riuscisse a rintracciare un ex marito e lo costrin-
gesse a pagare gli alimenti per Timmy? Era già abbastanza brutto che Bruce facesse del male a lei, ma fare del male a suo figlio e rifiutare di pagare quello che gli era dovuto... Christine cacciò le buste dietro una lampada, cercando di dimenticarle almeno per il momento. La sua nuova posizione al giornale le aveva fruttato solo un piccolo aumento, e ci sarebbero voluti mesi prima che facesse una qualche differenza. Certo, poteva vendere la casa, pensò sedendo sul divano e osservando le pareti che aveva tappezzato lei stessa con tanta fatica. Aveva anche staccato la vecchia moquette ammuffita e scartavetrato il pavimento di legno fino a specchiarsi. Fuori, aveva tagliato, potato e sradicato piante nel vecchio cortile, mettendo cespugli di rose e costruendo con le sue mani un muro di mattoni che lo trasformasse in un rifugio fiorito. Con che coraggio si sarebbe disfatta di tutto questo? Aparte Timmy, la casa era l'unico bene che aveva. Nick non poteva capire. Lei non godeva del suo inaspettato successo per stupido narcisismo, ma perché rappresentava la salvezza, in ogni senso. Per una volta faceva qualcosa per se stessa. Non come figlia di Tony Morrelli, o come moglie di Bruce Hamilton, o come madre di Timmy, ma come Christine Hamilton. Ed era una bella sensazione. Per anni aveva recitato una parte, facendo la brava moglie e la brava madre, cercando di far felice quel bastardo di suo marito. Sapeva della relazione con la ventenne da più di un anno, perché era difficile ignorare i conti della carta di credito per alberghi in cui lei non aveva mai messo piede e per fiori che non aveva mai ricevuto. Ma si diceva che se suo marito aveva una relazione con una donna più giovane era colpa sua, lo faceva perché gli mancava qualcosa che lei non era capace di dargli... Arrossiva ancora pensando alla costosa biancheria di pizzo che si era comprata nel tentativo di risvegliare il suo interesse. I loro amplessi, che non erano mai stati niente di straordinario, erano diventati rapidi e deludenti. Bruce la prendeva brutalmente, come se volesse punirla dei peccati che lui commetteva, poi si girava e si addormentava di colpo. E spesso lei aspettava di sentirlo russare, poi si alzava e andava in bagno, si toglieva la biancheria macchiata e piangeva sotto la doccia, pensando che se suo marito non l'amava più il torto era solo suo. Christine si accoccolò sul divano e si coprì con un plaid. Ormai non era più quella povera donnetta debole e ossessiva. Era una giornalista di successo e si sarebbe concentrata solo ed esclusivamente su quello, il succes-
so. Finalmente, dopo tanti fallimenti. 39 Mercoledì 29 ottobre Maggie si era offerta di accompagnare Nick da Michelle Tanner, ma lui aveva preferito andarci da solo e lasciarla al suo albergo. Nonostante la loro intimità notturna - o forse proprio per questo - durante il tragitto lei gli riservò un silenzio ostinato. Un agente dell'FBI non poteva lasciarsi coinvolgere emotivamente da una persona o da un ambiente. E poi lei era pur sempre una donna sposata, anche se non felicemente, ed era oltremodo inopportuno, oltre che idiota, cadere nella trappola di un dongiovanni di provincia che si riempiva la casa di giochetti elettronici. Ripetendosi il predicozzo, Maggie entrò nella hall dell'albergo. L'impiegato guardò con occhi sbarrati gli abiti sporchi, la manica strappata, le macchie di sangue. «Santo cielo, agente O'Dell, sta bene?» «Sì, grazie. Ci sono messaggi per me?» Lui si voltò rischiando di rovesciare la sua tazza di cappuccino e prese dalla casella un mucchietto di fogli e una busta chiusa con l'indirizzo AGENTE O'DELL scritto in stampatello. «E questa com'è arrivata?» domandò lei. «Qualcuno deve averla messa tra la posta durante la notte. L'ho trovata stamattina.» Maggie finse che non fosse importante e domandò: «C'è un negozio qui in città dove posso comprare un cappotto e degli stivali?» «Poco fuori città c'è un emporio di abbigliamento sportivo, ma vendono solo cose da uomo.» Lei estrasse una banconota da cinque dollari dallo scomparto di emergenza dietro il distintivo. «Mi farebbe un favore? Chiami il negozio e chieda di mandare qui un giaccone. Non mi importa del colore o com'è fatto, basta che sia di una misura abbastanza piccola, e soprattutto caldo.» Il ragazzo annotò la sua richiesta. «E gli stivali?» «Chieda se hanno qualcosa che si avvicina al numero trentotto. Li vorrei di cuoio con la gomma, per andare in giro nella neve.» «Però non credo che aprano prima delle nove.» «Va benissimo, perché io resterò in camera tutta la mattina. Appena ar-
riva il fattorino mi chiami, così posso pagarlo.» «D'accordo» disse il ragazzo. «Non desidera nient'altro?» «Avete il servizio in camera?» «No, ma posso ordinarle quello che vuole da Wanda e metterlo sul conto dell'albergo.» «Ottimo. Vorrei una colazione completa, con uova strapazzate, salsicce, toast e succo d'arancia. E un cappuccino, se possibile.» «Sarà fatto» assicurò il ragazzo. Lei si avviò verso l'ascensore, poi si fermò e domandò: «Come si chiama?». «Calvin Tate» fece lui un po' sorpreso. «Grazie, Calvin.» Una volta in camera, Maggie scalciò via le scarpe incrostate di neve, sfilò gli abiti sporchi e strappati, poi alzò il termostato al massimo. Tutti i muscoli le facevano male e la ferita sulla spalla bruciava. Aprì la doccia e aspettando che arrivasse l'acqua calda esaminò i messaggi. Uno era di Cunningham. Non aveva lasciato detto niente, solo che aveva chiamato. Maggie si domandò perché non l'avesse cercata sul cellulare, poi ricordò di averlo perso e si ripromise di chiedere la sostituzione al più presto. Tre messaggi erano di Darcy McManus di Canale Cinque, e ognuno dava diverse istruzioni su come contattarla, compresi i numeri dello studio televisivo e del cellulare, e un indirizzo e-mail. Due messaggi erano del dottor Avery, lo psichiatra di sua madre. Entrambe le telefonate erano arrivate la sera prima, piuttosto tardi. Probabilmente la busta chiusa conteneva un altro messaggio dell'insistente McManus, pensò Maggie. Il vapore si stava alzando dietro la tenda della doccia e lei si chinò a osservare la propria immagine riflessa nello specchio appannato. Si contorse per vedere meglio la spalla ferita, poi strappò il cerotto applicato da Nick. Sotto c'era un taglio di circa sei centimetri, gonfio e sporco di sangue rappreso. Sarebbe rimasta la cicatrice. Magnifico. Avrebbe fatto pendant con l'altra. Sollevò il reggiseno e guardò il regalo lasciatole da Albert Stucky. Era un taglio appena cicatrizzato, che andava dal seno sinistro a metà dell'addome. «Ringrazia Dio che non ti sgozzo» le aveva sussurrato mentre il coltello le tagliava la pelle, abbastanza in profondità da lasciare il segno senza ucciderla. Maggie non aveva nemmeno sentito il dolore, forse perché era troppo esausta, o forse perché era già rassegnata a morire. «Sarai ancora
viva quando comincerò a mangiare le tue budella» aveva promesso Stucky. Completamente paralizzata, lei l'aveva guardato tagliare a pezzetti le due donne, recidere capezzoli e altri brandelli di carne, aveva ascoltato le loro urla terrificanti. Poi Stucky le aveva sventrate e alla fine aveva spaccato i crani contro la parete. No, non c'era più niente che Stucky potesse fare per traumatizzarla. Le aveva lasciato un ricordo permanente. Maggie si passò le mani sulla faccia e tra i capelli. In quello specchio appannato si vide terribilmente piccola, minuta, vulnerabile. Poi, senza una ragione apparente, agli occhi degli altri rimaneva sempre la stessa donna coraggiosa di un tempo, la dura che era entrata in accademia otto anni prima. E anche lei, nonostante tutto, si sentiva determinata come allora. Sganciò il reggiseno, sfilò le mutandine e mise un piede sotto la doccia. Ma le venne in mente la busta ancora chiusa e tornò a prenderla. Diede un'occhiata alla scritta sul cartoncino e il suo cuore cominciò a battere furiosamente. Si aggrappò a un ripiano per non cadere, ma poi cedette e si lasciò scivolare sul pavimento. Non poteva essere, pensò. Non poteva accadere di nuovo. Raccolse le ginocchia contro il petto cercando di soffocare il panico, poi lesse di nuovo il cartoncino. CREDI CHE TUA MADRE AVRÀ BISOGNO DELL'ESTREMA UNZIONE? 40 Era ancora presto e il traffico quasi inesistente. Il cielo era coperto di nuvole grigie, continuava a nevicare e i lampioni stradali erano ancora accesi. Il parabrezza della jeep era di nuovo gelato, così Nick accese l'aria calda benché fosse già sudato all'idea di parlare con Michelle Tanner. Doveva liberare la mente dalle immagini dei due piccoli cadaveri, altrimenti non sarebbe stato di nessun aiuto a quella poveretta. Per distrarsi, concentrò i suoi pensieri su Maggie. Non si era mai sentito così piacevolmente a disagio con una donna, nonostante la sua vasta esperienza. Quella donna lo aveva davvero colpito, e per di più lui era certo che non lo avesse fatto intenzionalmente. Si aggrappò al ricordo di lei con la guancia premuta sul suo petto e richiamò alla mente tutti i particolari, il profumo dei capelli, la grana fine della pelle, il battito del cuore. Era incredibile, ironico, addirittura criminale che l'unica donna che gli faceva quell'effetto fosse anche l'unica che non poteva avere. Svoltò nel vialetto di casa Tanner proprio nel momento in cui la radio
annunciava che il sindaco Rutledge aveva annullato la festa di Halloween per via della neve. Guarda che fortuna, pensò Nick. Parcheggiò dietro a un furgoncino e solo quando fu sulla porta lesse il nome della radio sulla fiancata, KRAP News. Era troppo presto per un'intervista generica, pensò. La notizia doveva già essere filtrata. Bussò con forza. Ad aprire venne una donna anziana, che lo fece passare in soggiorno andando poi a sedersi accanto a Michelle Tanner sul divano. Un uomo alto e quasi calvo sedeva di fronte a loro reggendo un microfono collegato a un registratore. Sulla porta che dava in cucina torreggiava un uomo robusto con i capelli cortissimi. Dopo un attimo Nick capì che si trattava dell'ex marito. «Allora è vero?» domandò Michelle alzando gli occhi rossi e gonfi su Nick. «Avete trovato un corpo ieri notte?» Nick si allentò il colletto della camicia. «Chi gliel'ha detto?» «Che accidenti importa?» ringhiò il padre di Matthew. «Douglas, per favore» lo rimproverò la donna anziana. Poi accennò all'uomo calvo. «Il signor Melzer della radio dice che era sull'Omaha Journal stamattina.» Melzer alzò il giornale e Nick vide il titolo: TROVATO UN SECONDO CADAVERE. Christine lo aveva fatto di nuovo. Lo aveva pugnalato alle spalle. Inghiottì la rabbia e disse: «Sì, è vero. Mi dispiace di non essere arrivato a dirglielo per primo». «Siete sempre un passo indietro, eh, sceriffo?» «Douglas» ammonì di nuovo la donna anziana. «È lui?» domandò Michelle. Nick pensava che ormai fosse ovvio, ma era comprensibile che la madre volesse sentirglielo dire. Cacciò le mani in tasca e si costrinse a guardarla negli occhi. «Sì. È Matthew.» Si aspettava le grida, i pianti, eppure quando vennero si scoprì impreparato. La donna anziana abbracciò Michelle e insieme si misero a dondolare avanti e indietro, gemendo. Altre due donne arrivarono dalla cucina e si unirono a loro, piangendo disperate. Melzer diede un'occhiata a Nick, poi raccolse la sua attrezzatura e se ne andò. Nick avrebbe tanto voluto seguirlo. Invece restò lì, incerto sul da farsi, quasi annichilito. Il padre di Matthew lo fissò con odio, poi in due passi gli fu addosso e lo colpì con un gancio sinistro. Nick urtò una libreria e i vo-
lumi crollarono sul pavimento. Prima che potesse riaversi Tanner lo colpì di nuovo, questa volta allo stomaco. Nick cadde sulle ginocchia. La donna anziana gridò a Douglas di smetterla, le altre tacquero fissando la scena con gli occhi sbarrati. Nick si rialzò scrollando la testa, e quando vide Douglas alzare di nuovo il braccio riuscì ad allontanarlo con uno strattone. Ma non era finita lì. Tanner lo caricò di nuovo e allora Nick estrasse la pistola. Finalmente l'altro si immobilizzò, abbandonando lungo il fianco la mano che stringeva un coltello da caccia. La donna anziana si alzò, si avvicinò con tutta calma a Douglas e gli tolse il coltello di mano. Poi, con sorpresa di tutti, gli appioppò un ceffone. «Diavolo, ma'. Che accidenti ti prende?» fece l'uomo. Ma non si mosse né reagì. «Sono stufa marcia di vederti menare le mani. Non puoi trattare la gente in questo modo, che siano i tuoi familiari o gli estranei. Adesso chiedi scusa allo sceriffo.» «Manco per sogno. Se avesse fatto il suo lavoro, Matthew sarebbe ancora vivo.» Nick si passò le mani sulla faccia e si rese conto che il labbro sanguinava. Lo asciugò con la manica, poi rimise la pistola nella fondina. «Fagli le tue scuse» insisté la donna. «Vuoi essere arrestato per aggressione a un pubblico ufficiale?» «Non ce n'è bisogno» disse Nick. Era come se quei pugni gli avessero ridato un po' di coraggio. Aspettò che la testa smettesse di girare, poi si avvicinò a Michelle. «Signora Tanner, sono davvero addolorato. E sono io che mi scuso di non essere venuto ad avvertirla prima. Non è stato per mancanza di rispetto, le assicuro... pensavo solo che sarebbe stato meglio dirglielo quando aveva intorno i parenti e gli amici, piuttosto che bussare alla sua porta nel mezzo della notte. Le prometto che troveremo chi ha fatto questo a Matthew.» «Ne sono sicuro, sceriffo» fece la voce sarcastica di Douglas alle sue spalle. «Ma quanti altri ragazzini dovrà massacrare prima che lo prendiate?» 41 Senza che nessuno glielo dicesse, Timmy aveva capito che Matthew era morto, proprio come Danny Alverez. Ecco perché zio Nick e l'agente O-
'Dell erano andati via in tutta fretta, la sera prima, e sua madre lo aveva mandato a letto e poi era stata sveglia metà della notte a scrivere per il giornale sul nuovo computer portatile. Quella mattina lui si era svegliato presto e aveva acceso la radio, proprio mentre stavano dicendo che le scuole erano chiuse a causa della neve. Tempo ideale per andare in slitta, pensò, anche se lui avrebbe preferito usare una di quelle che i suoi amici si costruivano da soli anziché quella di plastica arancione che gli avevano regalato, una cosa ridicola, da lattanti, che spiccava in mezzo alle altre come un camion dei pompieri. Trovò sua madre addormentata sul divano sotto il plaid della nonna. Sembrava esausta e così andò a prepararsi la colazione in punta di piedi per non svegliarla. Accese subito la radio della cucina per sentire le altre notizie. L'annunciatore parlava ancora delle scuole chiuse, e lui aumentò il volume. Usò i due cassetti inferiori come scaletta per prendere una ciotola nel pensile. Dio, com'era stufo di essere così basso. Era il più piccolo della sua classe, addirittura più di certe ragazze. Zio Nick gli diceva sempre che un bel giorno sarebbe cresciuto di colpo e li avrebbe superati tutti, ma lui per ora non vedeva segnali. Aprì una scatola di cereali, riempì la ciotola, poi cominciò a versare il latte mentre la radio trasmetteva una pubblicità. «E vai!» disse ad alta voce. «Niente scuola». Poi ricordò il campeggio e la sua gioia sfumò. E se Padre Keller avesse annullato anche quello per via della neve? «Timmy» disse sua madre arrivando in cucina. Aveva i capelli arruffati e gli occhi ancora impastati di sonno. «Hanno chiuso le scuole?» «Sì, per la neve.» Ingollò una cucchiaiata di cereali e domandò: «Credi che il campeggio si farà?». Christine riempì la caffettiera, rischiò di inciampare nei cassetti che Timmy aveva lasciato aperti e li richiuse con un piede senza sgridarlo. «Non lo so» rispose. «Siamo solo in ottobre, può darsi che domani ci siano dieci gradi e che la neve si sciolga. Che cos'ha detto la radio del tempo?» «Per ora hanno parlato solo delle scuole. Certo che sarebbe bello fare campeggio nella neve.» «Sarebbe una stupidaggine. Vi prendereste tutti un malanno.» «Ma dai, mamma, non hai il senso dell'avventura.» «No, se questo significa che mi torni a casa con la polmonite. Ti ammali già abbastanza per conto tuo, senza aiuti esterni.» Timmy avrebbe voluto dirle che non si prendeva un raffreddore dall'an-
no prima, ma poi pensò che lei avrebbe tirato fuori la storia dei lividi e del calcio e lasciò perdere. «Posso andare in slitta con i miei amici?» chiese invece. «Sì, purché ti copra bene e usi la tua slitta e non quei mezzi tubi di cemento così pericolosi.» Intanto la radio passò alle ultime notizie di cronaca. Secondo un articolo dell'Omaha Journal, la scorsa notte lungo Platte River è stato trovato il corpo di un altro ragazzino. L'ufficio dello sceriffo ha confermato poco fa che si tratta di Matthew Tanner, che era stato... Christine spense la radio e l'improvviso silenzio le sembrò insopportabile. La caffettiera gorgogliò, il cucchiaio di Timmy risuonò contro la ciotola. Lei si sedette al tavolo di fronte a suo figlio. «Quell'uomo alla radio ha detto la verità. La notte scorsa hanno trovato Matthew.» «Lo so» fece lui continuando a mangiare. Ma i cereali non erano più così buoni. «Come lo sai?» «Ho capito che era per questo che zio Nick e l'agente O'Dell sono andati via così in fretta ieri sera. E tu sei stata su tutta la notte a scrivere.» Lei gli ravviò i capelli sulla fronte, poi gli accarezzò una guancia. «Dio, come stai crescendo in fretta.» E si alzò a prendere il caffè lasciando il plaid sulla spalliera della sedia. «Mamma, che cosa si prova da morti?» domandò lui. Christine rovesciò il caffè sulla credenza e si affrettò a pulire con un tovagliolo di carta. Timmy capì che era stata la sua domanda a provocare il disastro. Chissà perché gli adulti si agitavano tanto per argomenti del genere. «Non lo so, Timmy» rispose lei dopo un po'. «Forse è una cosa che dovresti chiedere a Padre Keller.» 42 La colazione era ancora intatta sul tavolino. Le uova, le salsicce e i toast imburrati avevano un aspetto invitante e un ottimo profumo, ma dopo aver aperto la busta con l'indirizzo in stampatello, Maggie aveva perso l'appetito. Collegò il computer portatile al sito di Quantico e mentre aspettava che il programma si caricasse si distese un momento sul letto. Le ci era voluta tutta la sua forza d'animo per ricomporsi, e questo la spaventava. Come po-
teva un semplice biglietto provocarle tanto terrore? Non era la prima volta che riceveva lettere da un killer, e sapeva bene che era uno dei rischi del suo lavoro. Se lei cercava in tutti i modi di entrare nel cervello di un assassino per vedere come ragionava, doveva aspettarsi che lui ricambiasse. E per fortuna il biglietto non era accompagnato da dita o capezzoli tagliati, come nel caso di Albert Stucky... Dio santo, doveva dimenticarsi di quell'uomo. Stucky era al sicuro dietro le sbarre e ci sarebbe rimasto fino al giorno dell'esecuzione capitale. Questo biglietto era di origine diversa, e lei aveva già provveduto a sigillarlo in una busta apposita e a spedirlo al labortatorio di Quantico. Forse c'erano delle impronte sulla carta o qualche traccia di saliva sul lembo della busta. E poi quella sera stessa sarebbe stata su un aereo diretto a casa. Ormai aveva concluso il suo lavoro, aveva fatto assai più di quanto le era richiesto. Però si sentiva come se stesse scappando... forse perché era esattamente quel che stava facendo. Ma doveva farlo, doveva andarsene da Platte City prima che questo ennesimo pazzo mandasse in rovina la sua psiche già così provata. Sentiva di essere al limite, lo aveva capito quando era scivolata a sedere sul pavimento perché le gambe non la reggevano. Sì, doveva andarsene e alla svelta. Andarsene prima di crollare del tutto. Decise di fare una telefonata mentre aspettava il collegamento. Dopo alcuni squilli, una profonda voce maschile rispose: «Chiesa di St. Margaret». «Padre Francis, per favore.» «Chi parla?» «Sono l'agente O'Dell. Lei è il signor Howard?» Invece di rispondere, l'uomo disse solo: «Un attimo, prego». Gli attimi furono parecchi. Intanto, sullo schermo del computer apparve la scritta blu di Quantico. «Maggie O'Dell, che piacere sentirla» disse la voce acuta di Padre Francis. «Mi chiedevo se poteva rispondere a qualche altra domanda» disse lei. Mentre parlava sentì un lieve scatto. Qualcuno stava ascoltando la telefonata. Bene, pensò Maggie, che ascoltasse pure: lo avrebbe fatto sudare un po'. «Che mi può dire del campeggio estivo?» domandò. «Oh, quella è una cosa di cui si interessa Padre Keller. Dovrebbe domandare a lui.» «Lo farò. Ma mi dica, è una stata una sua iniziativa o St. Margaret lo organizzava già prima?» «No, è stata un'idea di Padre Keller. Ha iniziato a organizzarlo nel mil-
lenovecentonovanta, appena arrivato qui, e ha avuto subito un grande successo. Forse perché lo aveva già fatto nella parrocchia precedente.» «Davvero? E dove?» «Oh, nel Maine... un posto chiamato Wood qualcosa. Di solito ho un'ottima memoria... ecco, sì, Wood River. Abbiamo avuto un colpo di fortuna quando Padre Keller è venuto qui.» «Oh, ne sono certa. Bene, gli parlerò quanto prima. Grazie del suo aiuto, Padre.» «Agente O'Dell» la fermò il prete, «è tutto qui quello che voleva chiedermi?» «Sì. E lei mi è stato molto utile.» «Ecco, io mi domandavo... ha trovato le risposte alle altre domande? Voglio dire, su Ronald Jeffreys?» Maggie non voleva discutere la cosa con qualcun altro in ascolto. «Sì, credo di aver trovato quello che volevo. Grazie di nuovo.» «Perché vede, agente... potrei avere qualche altra informazione, non so quanto importante, ma...» «Mi scusi, Padre, aspetto una telefonata. Non possiamo vederci più tardi?» «Sì, forse è meglio. Stamattina sono impegnato con le confessioni e poi ho il mio giro in ospedale, ma verso le quattro sarò libero.» «Anch'io sarò in ospedale oggi pomeriggio. Possiamo vederci nella caffetteria verso le quattro?» «Ottima idea. A presto, Maggie.» Padre Francis riappese, poi lei sentì un secondo scatto. Non c'erano dubbi, qualcuno aveva ascoltato la loro conversazione. 43 Nick sbatté la porta con tanta violenza che il vetro tremò e tutti lo fissarono. «Statemi bene a sentire» ruggì lui. «Se c'è un'altra fuga di notizie da questo ufficio, prenderò personalmente il responsabile a calci nel sedere e farò in modo che non possa mai più lavorare!» Poi si asciugò il labbro che aveva ripreso a sanguinare e continuò: «Lloyd, voglio che tu metta insieme un gruppetto di uomini e controlli tutte le baracche abbandonate nel raggio di dieci miglia da Old Church Road. Quel bastardo deve pur tenere i ragazzini da qualche parte. Hal, trova tutto
quel che puoi su un certo Ray Howard che fa il sacrestano a St. Margaret. Non solo da dove viene e così via, voglio sapere tutto, dagli hobby fino alla misura delle scarpe. In particolare se colleziona figurine di giocatori di baseball. Eddie, tu vai a trovare Sophie Krichek». «Non dirai sul serio... quella è fuori di testa!» «Mai stato così serio.» Nick vide una piccola smorfia sotto i baffetti sottili di Eddie e aggiunse: «Voglio che tu ci vada subito. E ricorda che il tuo posto di lavoro dipende da come annoterai i dettagli». Poi si rivolse a un altro agente: «Adam, telefona a George Tillie e digli che l'agente O'Dell lo assisterà oggi pomeriggio durante l'autopsia di Matthew. Poi chiama l'agente Weston e fatti dare quello che hanno raccolto gli uomini della scientifica. Voglio foto e rapporti sulla mia scrivania entro l'una di oggi». «Lucy» tuonò subito dopo, «trova tutto quel che puoi sui campeggi estivi organizzati a St. Margaret, e vedi se riesci a collegare Aaron Harper ed Eric Paltrow con i campeggi.» «E Bobby Wilson?» domandò lei alzando gli occhi dal taccuino. Nick non rispose e fissò le facce dei suoi uomini, domandandosi se sarebbe riuscito a trovare il giuda che aveva imbrogliato le carte, sempre che facesse ancora parte della loro squadra. Sei anni prima qualcuno si era dato la pena di far sì che Ronald Jeffreys apparisse l'assassino di tutti e tre i ragazzi. Qualcuno aveva sottratto le mutandine di Eric Paltrow dall'obitorio e le aveva messe nel bagagliaio di Jeffreys con le altre prove destinate a incriminarlo. E poteva essere stato qualcuno che lavorava con lui. Se era così, lo avrebbe fatto sudare. «Se leggo qualcosa di quello che sto per dirvi sul giornale di domani, vi licenzio in tronco» urlò. Poi si ricompose. «Sembra che Ronald Jeffreys abbia ucciso solo Bobby Wilson» disse d'un fiato. «Ed è probabile che il bastardo che ha ucciso Danny e Matthew sia lo stesso che anni fa ha ucciso anche Eric e Aaron.» «Che diavolo stai dicendo?» esclamò Lloyd Benjamin, che era stato uno dei collaboratori di suo padre nell'arresto di Jeffreys. «Sostieni che la prima volta ci siamo sbagliati?» «No, Lloyd, non vi siete sbagliati perché avete preso Jeffreys, che era un assassino. Ma pare che non abbia ucciso tutti e tre i ragazzi.» «Dici quello che pensi tu, Nick, o ti ha influenzato l'agente O'Dell?» disse Eddie sarcastico. Nick fece un grande sforzo per non mollargli un pugno. Non era il mo-
mento di lanciarsi in una difesa del suo rapporto con Maggie, o peggio ancora di lasciar trasparire i suoi sentimenti per lei. E non voleva nemmeno rivelare altri dettagli su Jeffreys, specialmente adesso che non era più sicuro della lealtà dei suoi uomini. «Dico che c'è una probabilità. Ma che sia vero o no, non possiamo permettere che questo bastardo la passi liscia, magari per la seconda volta.» Dopo di che scostò bruscamente Eddie e marciò verso la sua stanza. Lloyd lo raggiunse in corridoio, tenendogli dietro a fatica sulle gambe corte. «Nick, aspetta. Non volevo dire niente di offensivo, poco fa. E sono sicuro che nemmeno Eddie lo voleva. È solo che questa cosa ci ha sconvolto tutti... proprio come sei anni fa.» «Va bene, Lloyd, non preoccuparti.» «Quanto alle baracche, non c'è molto che non abbiamo già controllato. C'è un vecchio granaio mezzo crollato sul terreno di Woodson, e un riparo per il fieno poco oltre, ma è tutto. A parte la vecchia chiesa, che però è coperta di assi inchiodate e quindi è inaccessibile come una vergine novantenne.» Nick inarcò un sopracciglio per il paragone. «Chiedo scusa... stai diventando molto sensibile, Nick. E non c'è nemmeno O'Dell.» «Controlla di nuovo la chiesa, Lloyd. Cerca delle finestre rotte, delle impronte, qualsiasi cosa che indichi l'ingresso di qualcuno negli ultimi giorni.» «Che impronte vuoi che troviamo con questa neve?» «Tu cerca comunque.» Nick si chiuse la porta dietro le spalle, già esausto benché la giornata fosse solo agli inizi. Due secondi dopo qualcuno bussò e Lucy si affacciò reggendo una borsa del ghiaccio. «Che diavolo ti è successo?» domandò. «Non me lo chiedere.» Lucy girò attorno alla scrivania e si appoggiò al ripiano. La minigonna salì sulle cosce, lei vide che lui lo aveva notato, e non si diede la pena di riassestarla. Si chinò invece sulla faccia di Nick, applicandogli il ghiaccio sulla mascella gonfia. Lui sussultò e ne approfittò per scostarsi. «Povero Nick... deve farti un male terribile» sussurrò lei sensuale. Quella mattina portava un pullover rosa a maglia larga, talmente aderente che tra una maglia e l'altra si intravedeva il reggiseno di pizzo nero. Si chinò ancora di più su Nick e lui si alzò di scatto. «Senti, Lucy non ho tempo di farmi gli impacchi di ghiaccio» disse. «Grazie del pensiero.»
Lei parve delusa. «Ti metto la borsa nel frigorifero, casomai ti servisse più tardi.» E si avvicinò al frigobar, sporgendosi di proposito in avanti per fargli vedere che cosa si perdeva. Poi si raddrizzò, diede un'ultima occhiata a Nick e uscì ancheggiando. «Gesù» borbottò lui lasciandosi cadere nella poltrona. Che reparto aveva messo in piedi? Il violento marito di Michelle Tanner aveva ragione. Non c'era da meravigliarsi se con quella squadra di sbandati non riusciva a catturare l'assassino. 44 Padre Francis raccolse i ritagli di giornale e li mise in una cartellina, poi si fermò a osservare le sue mani, le chiazze scure, le vene bluastre, il tremito che ormai era abituale. Erano passati solo tre mesi dall'esecuzione di Ronald Jeffreys, tre mesi da quando aveva ascoltato la confessione del vero assassino, ma adesso non poteva più tacere. Non poteva più invocare il segreto della confessione. Sentiva che non era giusto. Entrò in chiesa e vide che non c'era nessuno in attesa di lui, ansioso di liberarsi di qualche segreto. Sarebbe stata una mattinata tranquilla, si disse entrando nel confessionale. Ma di lì a poco sentì avvicinarsi qualcuno. Si accostò alla grata e vide un'ombra scura. «Mi benedica, Padre, perché ho peccato» sussurrò l'ombra. «Ho ucciso di nuovo.» Oh, mio Dio, pensò il vecchio prete, e il cuore prese a battergli disordinatamente. Si sforzò di vedere oltre la fitta rete metallica che divideva in due il cubicolo, ma non distinse nessuna figura. «Ho ucciso Danny Alverez e Matthew Tanner, e chiedo perdono e assoluzione per questi peccati.» La voce era contraffatta, come se la persona parlasse attraverso una maschera. Padre Francis cercò invano di cogliere un'inflessione, un accento particolare che lo aiutasse a riconoscere il peccatore. «Qual è la mia penitenza?» Il vecchio prete aveva nel petto un dolore acuto che quasi gli impediva di parlare. «Come posso... come posso assolverti dai tuoi orrendi peccati, se hai intenzione di commetterne altri?»
«No, no, lei non capisce» balbettò l'uomo. «Io do loro la pace...» Dunque non si pentiva, pensò sgomento Padre Francis. Era venuto per avere a tutti i costi il perdono. «Non posso assolverti» ripeté con voce ferma. «L'ho già fatto una volta, e tu ti sei preso gioco del sacramento peccando di nuovo.» «Ma io sono pentito dei miei peccati e chiedo il perdono di Dio» insisté l'altro. «Devi provarmi di essere davvero pentito» disse Padre Francis. Forse poteva influenzare questo peccatore, fargli affrontare i suoi demoni e fermarlo una volta per sempre. «Devi dimostrare il tuo rimorso.» «Lo farò. Mi dica qual è la mia penitenza.» «Prova che sei pentito e torna da me tra un mese.» «Dunque non mi assolve?» «No. Torna tra un mese.» L'ombra non si mosse e Padre Francis si chinò di nuovo per cercare di vedere chi fosse. Poi sentì uno schiocco e un fiotto di saliva lo colpì in piena faccia. «Ci vedremo all'inferno, Padre» sibilò l'ombra. Il vecchio prete sentì un brivido lungo la schiena. L'ombra si alzò dall'inginocchiatoio e si allontanò. Padre Francis rimase paralizzato, incapace perfino di asciugare lo sputo che gli colava sul mento. Restò nel confessionale per un'eternità, ma per fortuna non arrivò nessun altro. Forse la neve aveva trattenuto in casa i fedeli, però questo significava che nessuno aveva visto l'ombra entrare o uscire. Ci volle del tempo prima che il cuore di Padre Francis riacquistasse un ritmo normale. Ma alla fine il respiro si calmò, e lui prese un fazzoletto dalla tasca per ripulirsi la faccia. Le sue mani tremavano ancora più del solito. Reggendosi alla mensola e poi allo stipite della porticina, uscì nella chiesa deserta. Fuori si sentivano le risate dei bambini che si avviavano verso la collina con le loro slitte. Meno male che erano in gruppo, pensò il prete. In quel momento Padre Francis decise che avrebbe riferito a Maggie O'Dell anche la visita appena ricevuta. Sì, era la cosa migliore da fare. Una volta presa questa risoluzione si sentì più leggero e si avviò rassicurato verso la sacrestia. Qualcuno aveva lasciato aperta la porta della cantina e Padre Francis si affacciò a guardare gli scalini avvolti nel buio. Si sentiva un odore di muffa e di umidità, e dal fondo veniva un soffio di aria fredda. Era la sua im-
maginazione o c'era un'ombra nascosta in un angolo? Il prete scese il primo gradino, reggendosi al corrimano, e così non vide la figura che sopraggiungeva alle sue spalle e lo spingeva violentemente. Il suo corpo debole e malfermo rotolò giù per la scala. Padre Francis aprì la bocca per gridare, ma riuscì a emettere solo un rantolo. In preda al panico, si guardò la gamba destra che doleva terribilmente e la vide piegata in un angolo innaturale. Un gradino scricchiolò proprio sopra la sua testa. Lui alzò gli occhi in tempo per accorgersi di un fazzoletto bianco che gli veniva premuto sulla faccia. Poi fu il buio. 45 Christine si concesse i tagliolini in brodo di Wanda, accompagnati da panini al burro. Corby le aveva dato la mattinata libera, ma lei si era portata il taccuino per buttare giù qualche idea per l'articolo del giorno dopo. Era ancora presto e aveva trovato un tavolo tranquillo accanto alla finestra. Timmy le aveva telefonato per chiedere se poteva restare a pranzo con i suoi amici da Padre Keller a St. Margaret. Il giovane sacerdote era andato in slitta con loro a Cutty's Hill, e per ricompensarli della delusione per il campeggio mancato li aveva invitati ad arrostire hot dog sul grande camino del rettorato. «Hai scritto dei magnifici articoli, Christine» disse Angie venendo a riempirle la tazza di caffè. «Grazie» sorrise lei inghiottendo un pezzo di panino caldo. «Tua madre è una cuoca eccezionale.» «Già. Continuo a dirle che dovrebbe decidersi a vendere le sue torte, ma lei sostiene che se la gente può comprarsele poi non viene più a mangiare qui.» Angie aveva il bernoccolo degli affari. Era stata lei a suggerire a sua madre il servizio di consegna a domicilio, e dopo soli sei mesi Wanda aveva già dovuto assumere un aiuto cuoca e noleggiare due furgoncini, pur continuando a servire i clienti abituali. A volte Christine si domandava perché Angie, con la sua mente sveglia e la sua intraprendenza, fosse rimasta a Platte City. Ma dopo due anni di università e una storia finita male con un uomo sposato, la ragazza aveva preferito tornare a casa per dare una mano alla madre vedova. «Come sta Nick?» domandò Angie fingendo di sistemare le posate sul
tavolo vicino. «Al momento ce l'ha a morte con me per via dei miei articoli» rispose Christine. Non era quello che l'altra voleva sapere, ma lei aveva imparato a tenersi fuori dalla vita sentimentale del fratello. «Salutalo, quando lo vedi.» Povera Angie. Probabilmente Nick non si faceva vivo con lei da quando era stato scoperto il primo cadavere, e Christine era sicura che ormai il suo interesse fosse tutto per la bella e irraggiungibile agente O'Dell. Forse quella donna gli avrebbe finalmente spezzato il cuore, così avrebbe imparato che cosa significava. Chissà perché le donne continuavano a cadergli ai piedi, pensò. Lo aveva visto passare da una all'altra senza badarci più di tanto, ma tutte gli restavano attaccate come sanguisughe. Bevve un sorso di caffè e scrisse sul taccuino medico legale. George Tillie era un vecchio amico di famiglia, forse le avrebbe dato qualche informazione. D'improvviso Wanda alzò il volume della televisione e le fece un cenno. «Ehi, Christine, senti un po' qui.» Un reporter della CNN aveva appena nominato Platte City e stava facendo vedere dove si trovava su una piantina alle sue spalle. Subito dopo comparve la prima pagina dell'Omaha Journal della domenica precedente con l'articolo di Christine. Il conduttore descrisse gli omicidi recenti e quelli commessi da Jeffreys sei anni prima. A quanto pare lo sceriffo della cittadina non ha ancora alcun indizio. Il suo unico sospetto è l'assassino giustiziato tre mesi fa, concluse ironico. Per la prima volta, Christine si sentì solidale con suo fratello. Ma i clienti del locale scoppiarono in un applauso. Per loro contava solo che Platte City fosse assurta agli onori della cronaca. Qualcuno abbassò di nuovo il volume e lei tornò ai suoi appunti e al pranzo. Poi il cellulare squillò e lei dovette ripescarlo sul fondo della borsa, frugando tra portafoglio, rossetto e pettine. «Christine Hamilton.» «Signora Hamilton, sono William Ramsey di Canale Cinque. Spero di non disturbarla... ho avuto il suo numero al giornale.» «Sto pranzando, signor Ramsey, ma dica pure.» Negli ultimi giorni i notiziari di Canale Cinque si erano basati soprattutto sui suoi articoli, e sembravano aver perso la grinta di un tempo. «Potremmo incontrarci domani?» disse Ramsey.
«Sono molto occupata.» «Allora verrò subito al punto. Vorrei che lei venisse a lavorare da noi come reporter, con un suo notiziario settimanale.» «Come ha detto, scusi?» disse lei incredula, rischiando di soffocarsi con un pezzo di pane. «I suoi articoli sono ben fatti, brillanti, e hanno lo stile che ci interessa.» «Signor Ramsey, io scrivo per un giornale. Non credo che...» «Naturalmente possiamo insegnarle a stare davanti alla telecamera. Tra l'altro mi hanno detto che il suo aspetto è molto gradevole.» Il complimento la lusingò. Ma Corby e l'Omaha Journal le avevano offerto un'occasione... non poteva piantarli in asso. «La ringrazio, ma non posso accettare» disse a malincuore. «Sono disposto a offrirle sessantamila dollari l'anno, se comincia subito» rilanciò l'altro. Il cucchiaio le cadde nel piatto, schizzandola di brodo. «Come, scusi?» Ramsey scambiò la sua esitazione per un altro rifiuto e si affrettò a dire: «Va bene, posso arrivare a sessantacinquemila. Con un extra di duemila dollari se comincia questo weekend». Sessantacinquemila dollari erano più del doppio di quel che guadagnava adesso. Poteva saldare tutti i debiti e smettere di correre dietro a Bruce per farsi pagare gli alimenti. «Devo pensarci un po' prima di darle una risposta» disse. «Certo, capisco che voglia rifletterci. Facciamo così, ci dorma su e mi chiami domani.» «D'accordo. Lo farò.» Christine chiuse il telefono, ed era ancora sottosopra quando Eddie Gillick scivolò sulla panca accanto a lei, spingendola contro la finestra. «Ehi, che diavolo fa?» esclamò Christine. «È stato abbastanza grave che tu mi abbia ingannato facendoti dare delle informazioni per i tuoi articoli» fece Gillick sprezzante. «Ma adesso tuo fratello mi costringe a fare i lavoretti più sporchi e immagino che sia perché tu gli hai fatto il mio nome...» «Senta, agente Gillick...» «Mi chiamavi Eddie, ricordi?» la interruppe lui impadronendosi della sua tazza di caffè. «A Nick non ho detto niente» protestò Christine. «L'avrà capito da solo...» «Comunque sia, da come la vedo io adesso mi devi un favore.» E Gillick
posò la mano sul ginocchio di lei, facendola scivolare su per la coscia sotto la gonna. Lei l'allontanò disgustata. «Posso portarti qualcosa, Eddie?» intervenne Angie in soccorso. «No, grazie, adesso devo andare» fece lui con un sorrisetto. «Ci vediamo, Christine.» Si alzò lisciandosi i capelli unti di brillantina e si avviò verso la porta. «Tutto bene?» si informò Angie. «Sì, tutto bene» mentì Christine. Ebbe un tremito e nascose in grembo le mani. 46 Maggie aprì la porta e tornò di corsa al tavolo. «Entra» disse digitando qualcosa sulla tastiera del computer. «Ho chiesto qualche informazioni al database di Quantico e sto scoprendo cose molto interessanti.» Nick avanzò nella piccola stanza d'albergo passando accanto alla porta del bagno, e sentì il profumo dello shampoo di lei. Maggie portava un paio di jeans e la maglietta sbiadita dell'altra volta, ormai così slabbrata che le scendeva su una spalla. Nick guardò la porzione di pelle nuda e deglutì, cercando di pensare ad altro. «Che ti è successo?» esclamò Maggie notando i lividi sulla sua faccia di Nick. «Ricordi che avevamo deciso di aspettare? Christine non l'ha fatto. C'era un articolo sul giornale di stamattina.» «E Michelle Tanner l'ha letto prima che tu arrivassi» indovinò Maggie. «È lei che ti ha picchiato?» «No, il suo ex marito. Il padre di Matthew.» «Gesù, Morrelli, non potevi scansarti?» Maggie vide un lampo di rabbia negli occhi di Nick e si affrettò a scusarsi: «Mi dispiace» disse, «cercavo di sdrammatizzare». Aggiunse: «Forse dovresti metterci un po' di ghiaccio». E tornò al computer. «Come va la tua spalla?» si informò lui, ricambiando la cortesia. I loro occhi si incontrarono e si addolcirono per un attimo, poi lei distolse lo sguardo. «Oh, è quasi a posto» fece ruotandola un po'. «Fa ancora male, ma passerà.» La maglietta scivolò un po' più in giù e lui deglutì di nuovo. Il desiderio di toccarla era così forte che dovette cercare, per l'ennesima volta, di di-
strarsi. «E così sei tifosa dei Packers» disse accennando alla scritta stampata sulla maglietta. «Sì, ma solo perché lo era mio padre» precisò lei senza sollevare gli occhi dallo schermo. «Mio marito ha cercato più volte di convincermi a buttarla via, ma questa maglia è una delle poche cose che mi restano di lui. La metteva sempre quando andavamo a vedere le partite.» «Da quanto tempo non c'è più?» Maggie si cacciò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, come faceva sempre quando era nervosa o imbarazzata. «È morto quando avevo dodici anni.» «Era anche lui un agente dell'FBI?» «No, era un vigile del fuoco ed è morto da eroe in un incendio.» Maggie si interruppe. «È una cosa che tu e io abbiamo in comune, ma almeno tuo padre è riuscito a non lasciarci la pelle.» «È stato molto aiutato» disse amaro Nick. Maggie lo guardò sorpresa, e questa volta fu lui ad abbassare gli occhi. «Non crederai davvero che abbia avuto qualcosa a che fare con la faccenda di Jeffreys?» «Da quella cattura ha ricavato enormi vantaggi» sospirò lui. «E io non so più che cosa credere.» «Ecco» fece lei indicando lo schermo, su cui stavano comparendo delle pagine di giornale. Nick si chinò sopra la sua spalla per leggere. «Wood River Gazette, novembre ottantanove. Dov'è Wood River?» «Nel Maine.» Lei fece scorrere il testo sullo schermo e si fermò su un titolo. TROVATO IN RIVA AL FIUME IL CADAVERE MUTILATO DI UN RAGAZZINO. «Suona familiare» commentò Nick. E cominciò a leggere le tre colonne dell'articolo. «Indovina chi era il vice parroco nella chiesa cattolica di Wood River?» Nick si massaggiò la mascella. «Non hai alcuna prova concreta» disse. «Ma com'è che questa cosa non è saltata fuori durante il processo a Jeffreys?» «Non ce ne fu bisogno, perché a quanto ho potuto scoprire, del delitto fu incolpato un assistente temporaneo a St. Mary.» «Che forse era davvero colpevole» insisté Nick. «Come l'hai scoperto?» «Un'ispirazione. Mi è venuta dopo aver parlato al telefono con Padre Francis stamattina. Mi ha detto che Padre Keller aveva organizzato un
campeggio estivo anche nella parrocchia in cui lavorava prima, a Wood River nel Maine.» «E così hai controllato se c'erano stati degli omicidi in quella zona e in quel periodo.» «Già. E questo omicidio è identico ai nostri, compresa la ferita a forma di X. Io dico che Padre Keller deve essere considerato un sospetto.» Maggie chiuse il computer. «Devo vedere George Tillie tra un'ora» aggiunse. «E poi ho appuntamento con Padre Francis.» Aprì l'armadio e cominciò ad appoggiare sul letto gli indumenti da mettere in valigia. «E stasera devo andare a Richmond perché mia madre è in ospedale.» «Niente di grave, spero.» «No, si rimetterà presto. Ti lascerò un dischetto con alcune informazioni.» «Bene.» La calma di Maggie lo confondeva. «Darò a George i miei appunti sull'autopsia, e se scopro qualcosa da Padre Francis ti chiamo prima di partire.» «Non tornerai, vero?» Quel pensiero colpì Nick come un secondo pugno alla mascella. Lei si fermò, lo guardò per un attimo, poi tornò ai vestiti sul letto. «Tecnicamente il mio lavoro qui è finito. Avete un profilo dell'assassino e addirittura un sospetto.» «E dunque te ne vai.» Nick si cacciò le mani in tasca, sconvolto all'idea di non rivederla più. «Sono certa che il mio ufficio vi manderà qualcun altro se sarà necessario.» «Ma non sarai tu.» Maggie non rispose e cominciò a fare la valigia. «La tua partenza ha qualcosa a che vedere con quel che è successo stanotte?» «Stanotte non è successo niente» ribatté lei secca. «Se ti ho dato un'impressione sbagliata ti chiedo scusa.» E continuò a mettere meccanicamente le sue cose in valigia. Non gli aveva dato nessuna impressione sbagliata, pensò Nick. Era lui che aveva fatto tutto da solo. Eppure non riusciva ancora a credere che lei non provasse la stessa attrazione. «Mi mancherai molto» le disse, meravigliando anche se stesso. Maggie lo guardò dritto negli occhi e lui si sentì cedere le ginocchia. «Sei stata una vera rompiscatole, O'Dell, ma mi mancherà la tua severità.» Ecco, aveva
corretto il tiro. Lei sorrise e si scostò i capelli dietro l'orecchio. Allora un po' nervosa lo era. «Hai bisogno di un passaggio per l'aeroporto?» «No, ho una macchina a noleggio che devo restituire.» «Bene, allora buon viaggio» disse lui. Cercò di non pensare che voleva prenderla tra le braccia e supplicarla di restare. Attraversò la stanza in tre lunghi passi, ma quando fu alla porta lei lo chiamò. «Nick.» Lui si bloccò con la mano sulla maniglia. «Buona fortuna» disse Maggie. Nick non si voltò. 47 Maggie rimase accanto al letto a fissare la porta che si richiudeva, spiegazzando una blusa di seta. Perché non gli aveva detto del biglietto? Quando lei gli aveva parlato dei suoi incubi, Nick aveva capito, e probabilmente sarebbe stato solidale con lei anche questa volta. Avrebbe capito perché non poteva restare, perché non poteva lasciarsi coinvolgere psicologicamente da un altro maniaco. Era troppo rischioso: le sue facoltà di giudizio stavano per abbandonarla. Anzi, forse era già successo. La notte precedente, nel bosco, lei non aveva visto l'assassino finché non era stato troppo tardi. L'uomo avrebbe potuto ucciderla. Ma evidentemente anche lui, come Albert Stucky, la voleva viva, e lei non era in grado di sopportarlo. No, non poteva restare, doveva andarsene. Ed era meglio che lo facesse senza spiegare la ragione vera, lasciando che Nick e tutti gli altri pensassero che se ne andava a causa di sua madre. Finì in fretta la valigia. Cunningham aveva ragione, era arrivato il momento di prendersi una pausa. Forse lei e Greg si sarebbero finalmente concessi la vacanza che non avevano mai fatto, in un paese caldo, con tramonti dorati e notti piene di stelle. Squillò il telefono e Maggie sobbalzò. Aveva già parlato con il dottor Avery, sapeva che sua madre si era ripresa ed era in via di guarigione, ma sollevò ugualmente la cornetta con ansia. «Agente speciale O'Dell.»
«Come mai sei ancora lì? Pensavo che tornassi a casa.» Lei si lasciò cadere sul letto. «Ciao, Greg. Prendo un aereo stasera.» Maggie sentì il fruscio di qualche documento, poi Greg disse: «Quell'imbecille non ti ha riferito il mio messaggio di ieri?». «Quale imbecille?» «Quello che ha risposto al cellulare. Mi ha detto che lo avevi fatto cadere, e che in quel momento eri occupata e non potevi venire al telefono.» Il cuore di lei accelerò i battiti. «Che ora era?» «Non lo so, circa mezzanotte. Perché?» «Che cosa gli hai detto esattamente?» «Allora non ti ha proprio riferito una parola...» «Greg, che cosa gli hai detto?» «Con che razza di idioti incompetenti lavori?» «Greg» disse lei cercando di non alzare la voce, «ho perso il cellulare ieri sera mentre inseguivo l'assassino. È molto probabile che sia lui quello con cui hai parlato.» Silenzio. Anche il fruscio di carte cessò. «Dio santo... come facevo a saperlo?» «Infatti non potevi, non ti sto rimproverando. Ma cerca di ricordare che cosa gli hai detto.» «Niente di particolare... solo di chiamarmi perché tua madre non stava bene.» Lei affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi. «Maggie, quando torni a casa dobbiamo parlare.» Sì, pensò lei. Ma su una spiaggia assolata, bevendo succhi di frutta. Lì avrebbero riscoperto quello che era davvero importante, e forse avrebbero imparato di nuovo ad amarsi. «Voglio che tu lasci l'FBI» disse lui con un tono che non ammetteva repliche. In quell'istante lei capì che per loro non ci sarebbe più stato un futuro. 48 Camminava in fretta e la neve gli entrava dentro le scarpe, gelandogli i piedi. Scese di corsa la collina, finché non sentì i ragazzini strillare e ridere, e allora si fermò nascondendosi tra i cespugli. Presto sarebbe calato il buio. Perché non se n'erano andati? Perché non
erano rientrati a casa quando ancora il suo cervello taceva? Già, ma a casa che cosa avrebbero trovato? Una tavola apparecchiata, il calore di una famiglia, o solo un biglietto con le istruzioni per scaldarsi la cena nel forno? Ad aspettarli ci sarebbero stati dei genitori amorevoli che li aiutavano a togliersi i vestiti bagnati? Qualcuno che rimboccasse loro le coperte? Ormai non riusciva ad arginare la piena dei ricordi, non ci provava nemmeno più. Affondò la faccia nella neve, sperando che il freddo arrestasse il battito del sangue nelle tempie, ma non servì a niente. Si rivide a dodici anni, con un giubbotto militare troppo leggero per ripararlo e i jeans rattoppati che lasciavano passare gli spifferi. Non possedeva nemmeno un paio di stivali. La neve era arrivata a venti centimetri di altezza, l'intera città si era bloccata, e il suo patrigno non poteva andare da nessuna parte se non in camera da letto con sua madre. Gli aveva ordinato di uscire di casa, di andare a giocare con i suoi amici, ma lui non aveva amici. Le uniche volte che qualche compagno gli rivolgeva la parola era per schernirlo, per ridere dei suoi vestiti e della sua magrezza impressionante. Dopo ore e ore seduto in cortile, al freddo, lui aveva cercato di rientrare, ma aveva trovato la porta chiusa a chiave. Attraverso le pareti sottili aveva sentito le grida e i gemiti di sua madre, piacere e dolore mescolati insieme. Perché il sesso doveva fare così male? aveva pensato. Ma allo stesso tempo era sollevato: finché il suo patrigno era occupato con sua madre, lui non aveva niente da temere. Era stato allora, immobile nel freddo pungente, che aveva fatto un piano. Un piano così semplice che sarebbe bastato un gomitolo di spago per metterlo in atto. La mattina dopo, quando il patrigno si fosse ritirato nel laboratorio che si era costruito in cantina, ne sarebbe uscito su una barella. Così lui e sua madre non avrebbero più sofferto, non si sarebbero più dovuti vergognare. Non poteva sapere che quella mattina sua madre sarebbe scesa in cantina per prima. Da quel momento lui non aveva più avuto una vita: era finita con la morte di sua madre, per mano sua. D'improvviso avvertì una presenza sopra di sé, qualcuno o qualcosa che ansimava e annusava. Alzando la testa, vide un grosso cane nero che ringhiava mostrandogli i denti. D'istinto la sua mano scattò in avanti: afferrò il cane alla gola e il ringhio si tramutò in un mugolio, in un gorgoglio soffocato. Poi tornò il silenzio. Finalmente i ragazzi, nelle loro pesanti giacche a vento, raccolsero le
slitte e si salutarono. Uno di loro chiamò il cane un paio di volte, poi rinunciò, come se la cosa fosse normale. Il gruppetto si separò, due andarono in una direzione, tre in un'altra. Il più piccolo attraversò il parcheggio da solo. Il cielo diventò nero, i lampioni si accesero, un aereo passò sopra la loro testa. Nel parcheggio deserto nessuno vide l'uomo salire in macchina. Calzò il passamontagna, poi prese la fialetta dalla tasca, la spezzò e intrise il fazzoletto pulito. E ripetendo il suo macabro rituale, con i fari spenti e il motore al minimo, cominciò a seguire il ragazzino che andava verso casa, trascinandosi dietro le spalle la sua slitta di plastica arancione. 49 Il dipartimento di polizia disponeva di cinque macchine di pattuglia, ma quando Nick tornò in ufficio ne trovò ben quattro parcheggiate davanti all'ingresso. Che cosa doveva fare perché questa gente gli desse retta ed eseguisse i suoi ordini? pensò furioso. Ma in fondo era colpa sua. Aveva assunto l'incarico di sceriffo con la stessa leggerezza con cui viveva la sua vita, senza mai prendere niente sul serio. Negli ultimi giorni, dopo aver visto il cadavere martoriato di Danny Alverez, continuava a domandarsi ossessivamente se un vero sceriffo non avrebbe saputo salvare Matthew Tanner. Lui doveva solo al nome di suo padre l'incarico che ricopriva, così come il diritto di portare un distintivo e una pistola, che fra l'altro non aveva più usato dopo l'allenamento al poligono di tiro due anni prima. Superò il portone d'ingresso e fu preso dal panico. Il grande atrio di marmo echeggiava di voci, sul pavimento serpeggiavano cavi e fili elettrici, e grossi fari accesi illuminavano a giorno l'ambiente. Appena lo videro, i giornalisti gli si affollarono intorno mettendogli sotto il naso una selva di microfoni. Darcy McManus, esuberante come sempre, presidiava le scale. Gli fece un cenno perché lui la raggiungesse di fronte alle telecamere di Canale Cinque, ma invece di flirtare con lei, come avrebbe fatto in passato, Nick cercò di passare oltre per rifugiarsi nel suo ufficio. «Sceriffo, ha già qualche sospetto?» gli domandò lei pronta. Vista da vicino era più vecchia che in TV, e il trucco non nascondeva del tutto le piccole rughe intorno agli occhi. «Al momento non posso tare commenti.»
«È vero che il cadavere di Matthew Tanner era decapitato?» domandò un uomo con un costoso abito a doppio petto. «Dio santo, chi gliel'ha detto?» «Allora è vero?» «Assolutamente no.» «Sceriffo, è vero che ha ordinato di riesumare il cadavere di Ronald Jeffreys? C'è la possibilità che non sia stato lui quello giustiziato tre mesi fa?» «Il ragazzo è stato violentato?» «Avete trovato il furgoncino blu?» «Sceriffo, può almeno dirci se Matthew Tanner è stato ucciso nello stesso modo degli altri? Abbiamo a che fare con un serial killer?» «Basta» urlò Nick, alzando le mani per zittirli. L'improvviso silenzio lo preoccupò ancora di più. Che diavolo doveva dire? L'ultima volta Maggie era intervenuta a trarlo d'impaccio, ma adesso lui non sapeva come venirne fuori e si sentiva un perfetto imbecille. Salì un gradino e si trovò al fianco di Darcy McManus, che con aria compiaciuta cominciò a sistemarsi i capelli e la giacca preparandosi per la telecamera. Lui la ignorò e guardò la folla di facce. Poteva girare sui tacchi e darsela a gambe, pensò. Dopo tutto non doveva loro alcuna spiegazione. Non sarebbero certo stati i giornalisti ad aiutarlo nella cattura dell'assassino. O invece sì? «Sapete tutti che non posso rivelare alcun dettaglio sulle vittime» esordì. «Ma posso ribadire che il corpo di Matthew non è stato, ripeto, non è stato decapitato. Il che non vuol dire che l'assassino non sia un pazzo psicopatico.» «Ma è un serial killer? La gente ha il diritto di sapere se deve chiudere in casa i propri figli.» «Dalle prime indagini è emerso che Matthew è stato ucciso dalla stessa persona che ha ucciso anche Danny Alverez» ammise Nick. «Ed è vero che non avete indizi utili?» «Avete dei sospetti?» Nick salì un altro paio di gradini, allentandosi la cravatta troppo stretta. «Un paio di sospetti li abbiamo, ma per ora non posso dire altro.» Dopo di che riprese a salire le scale, con la speranza che il discorso fosse chiuso. Ma i giornalisti continuarono a tempestarlo di domande. «Quando potrà dirci qualcosa di più?» «È gente del posto?»
«Perché non cercate il furgoncino blu?» «Adesso sarà suo padre a condurre le indagini?» Nick si voltò di scatto. «Che c'entra mio padre?» Tutti guardarono l'uomo in doppio petto che aveva fatto la domanda. Aveva una barba perfettamente curata, i capelli freschi di parrucchiere, un paio di mocassini italiani e l'atteggiamento del reporter di successo che non ha tempo da perdere con un oscuro sceriffo di provincia. Nick provò l'impulso di dargli un pugno, e invece disse: «Secondo lei, perché diavolo dovrebbe essere mio padre a condurre questa indagine?». «Be', è lui che ha catturato Jeffreys» disse Darcy McManus rivolta alla telecamera. E solo allora Nick capì che Canale Cinque aveva ripreso tutta la scena. «Quando suo padre ci ha parlato poco fa» riprese l'elegantone «ci ha fatto capire che...» «È qui?» lo interruppe Nick. «Sì, e ci ha fatto capire che era tornato per darle una mano nelle indagini. Credo che le parole esatte siano state...» L'uomo sfogliò lentamente i suoi appunti: «L'ho già fatto una volta e so che cosa cercare. Potete scommettere che questo tizio non sfuggirà a un vecchio segugio come il sottoscritto. Il che secondo me significa che è qui in veste professionale». Altri reporter annuirono. Nick spostò lo sguardo dall'uno all'altro con lo stomaco chiuso per la rabbia. Quella sera, pensò, tutti avrebbero visto in TV le immagini dello sceriffo che scappava di fronte ai giornalisti... Ma non gliene importava più. Girò le spalle a tutti quanti e riprese a salire i gradini a due a due, pregando di non scivolare e di non rendersi ancora più ridicolo. Fece irruzione nel suo ufficio, spalancando la porta a vetri con tanta violenza da mandarla a sbattere contro la parete. Il vetro si incrinò e tutte le teste si voltarono, distogliendo momentaneamente l'attenzione dall'uomo alto e brizzolato che stava in mezzo alla stanza. Gli uomini che non eseguivano un suo ordine senza brontolare erano tutti raggruppati con reverenza intorno a Tony Morrelli, che a sua volta guardava il figlio con le sopracciglia aggrottate. «Ehi, vacci piano, figliolo. Hai appena danneggiato una proprietà del governo» disse indicando il vetro rotto. Di colpo tutta la rabbia di Nick svanì. Abbassò gli occhi come uno scolaretto colto in fallo e si sorprese a domandarsi quanto sarebbe costato sostituire il pannello di vetro.
50 Maggie osservò i passeggeri in attesa sorseggiando uno scotch e cercando di indovinare chi era in viaggio di lavoro e chi in vacanza. Molti voli, compreso il suo, erano stati ritardati per la tempesta di neve e la piccola sala d'aspetto era affollata. Così si era seduta al bar e aveva appoggiato il giaccone appena acquistato sulla sedia accanto alla sua, per evitare compagnie indesiderate. Aveva già consegnato i bagagli, tenendo per sé solo il computer portatile, e stava pensando di chiamare di nuovo St. Margaret. Cominciava a temere che fosse successo qualcosa di grave, perché Padre Francis non si era fatto vedere al loro appuntamento, e quando lei aveva telefonato al rettorato nessuno aveva risposto. In realtà avrebbe voluto chiamare Nick, anzi aveva fatto il suo numero più di una volta, ma poi aveva chiuso dicendosi che lui aveva già abbastanza problemi. Con molta probabilità i suoi erano solo presentimenti dettati dalla paura. E poi stava finendo le monetine per il telefono e aveva speso l'ultima banconota da dieci dollari per lo scotch che stava bevendo e per i due precedenti. Dopo aver passato il pomeriggio a sezionare il piccolo corpo di Matthew Tanner, a pesare gli organi e a contare le ferite, si meritava una cena a base di alcol. Il segno all'interno della coscia di Matthew era davvero un morso umano. Il povero George Tillie aveva cercato di trovare altre spiegazioni, ma poi si era dovuto arrendere all'evidenza: l'assassino aveva morso Matthew più volte nello stesso punto, fino a vanificare ogni tentativo di identificazione delle impronte. E quel che era più strano, i morsi erano stati dati molte ore dopo la morte. Dunque l'assassino non tornava sulla scena del delitto solo per osservare la polizia. Era affascinato dal corpo della sua vittima. Stava discostandosi dal solito rituale, stava diventando imprudente, e forse aveva lasciato dei segni o delle impronte che potevano incriminarlo. Maggie aveva suggerito a George di cercare tracce di seme sul piccolo corpo, perché poteva darsi che l'uomo si fosse masturbato mentre mordeva la sua vittima. Il vecchio dottore era arrossito fino alla radice dei capelli. Lei aveva capito che la sua presenza lo metteva in imbarazzo e che lui mal sopportava le interferenze nel suo metodo cauto, perfino delicato di effettuare l'autopsia, quasi temesse di offendere l'anima del bambino.
Maggie, invece, aveva tagliato e sezionato con fredda precisione, registrando a voce alta le sue impressioni. Ormai quello che esaminava era solo un involucro senza vita e qualsiasi scintilla sacra vi fosse stata custodita era ormai volata via. Anche lei però lo sapeva che c'era qualcosa di orribilmente sbagliato nel dover sezionare il cadavere di un bambino: quella pelle ancora liscia, quelle ossa tenere che avevano vissuto così poco. Era un tale spreco, una tale ingiustizia. E lo scotch serviva a dimenticare tutto questo, almeno per un po'. «Mi scusi» disse il barista, mettendo un altro bicchiere sul suo tavolo, «quel signore laggiù in fondo le offre un altro whisky e mi ha detto di darle questo.» Maggie riconobbe subito la busta e la scritta in stampatello e si alzò così in fretta che la sedia rischiò di rovesciarsi. «Quale signore?» domandò sentendo salire la nausea. Si sporse per guardare in fondo alla sala e il barista fece altrettanto, ma poi scrollò le spalle. «Dev'essere andato via.» «Che aspetto aveva?» «Non saprei... alto, bruno, sui trent'anni. Non ci ho badato molto. Perché?» Lei lo scostò brusca e si incamminò rapida lungo il corridoio dell'aeroporto, cercando freneticamente un volto nella folla dei passeggeri. Le sue tempie martellavano e la vista era un po' annebbiata dal whisky. C'era una famiglia con tre bambini, poi alcuni uomini d'affari con la loro ventiquattrore, un inserviente che spingeva un carrello, due donne anziane, un gruppo di africani nei loro lunghi abiti colorati. Ma nessun uomo alto e bruno senza bagaglio. Non poteva essere svanito nel nulla, pensò lei. Corse alle scale mobili, prese quella che saliva e si girò a guardare i passeggeri sulla scala in discesa. Ma nemmeno lì c'era qualcuno che rispondesse alla descrizione. Le era sfuggito ancora una volta. Maggie tornò al suo tavolo nel bar, dove fortunatamente nessuno aveva toccato il computer. Anche la busta era appoggiata al bicchiere dove il barista l'aveva lasciata. Lei la prese per un angolo, l'aprì cercando di non toccarla e fece scivolare il cartoncino sul tavolo. Il biglietto diceva: MI DISPIACE DI VEDERLA ANDARE VIA COSÌ PRESTO. FORSE LA PROSSIMA VOLTA CHE PASSO DA CREST RIDGE POTREI FARLE UNA VISITA. SALUTI GREG DA PARTE MIA.
51 In piedi dietro la vetrata, l'uomo vide Maggie O'Dell che correva verso la scala mobile. Si muoveva con la grazia e la forza di un'atleta, pensò. Gambe agili e allenate. Probabilmente stava benissimo in short, anche se la cosa non lo interessava più di tanto. Spinse da parte il carrello e sfilò il giubbotto e il berretto che aveva preso in prestito dall'inserviente dopo averlo tramortito. Poi li appallottolò e li gettò in un cesto dei rifiuti. Aveva lasciato la macchina nella zona di carico degli aerei, con la radio accesa a tutto volume. Così nessuno avrebbe sentito Timmy, anche se si fosse svegliato prima del tempo. E poi, il bagagliaio era ben imbottito, quasi insonorizzato. Si infilò in auto mentre una guardia si avvicinava, e scivolò via a gran velocità. Stava facendo buio, ma era valsa la pena di fare quella deviazione per vedere la faccia terrorizzata dell'agente O'Dell. Il vento era aumentato e faceva turbinare i fiocchi di neve davanti al parabrezza. La stufa a kerosene, la lanterna e il sacco a pelo che aveva caricato sul sedile posteriore, destinati in un primo tempo al campeggio, sarebbero tornati utili. Forse poteva passare da McDonald, pensò ancora. A Timmy piacevano gli hamburger, e anche a lui stava venendo fame. Si immise nel traffico, accelerando. La giornata era stata fruttuosa, concluse soddisfatto. Adesso aveva di nuovo il pieno controllo della situazione. 52 «Questo tizio ti sta prendendo in giro» dichiarò Antonio Morrelli seduto nella poltrona girevole che era stata sua. «Devi concedere un'intervista alla TV» continuò. «Far capire a quella gente che sai quello che fai. L'altra sera uno di loro ti ha fatto apparire come un povero poliziotto di campagna che senza aiuto non trova nemmeno la porta di casa!» Appoggiato alla finestra, Nick continuò a guardare le strade coperte di neve e uno spicchio di luna arancione che faceva capolino tra le nuvole. «La mamma è venuta con te?» domandò ignorando gli insulti. Era lo stesso giochetto da anni: suo padre strillava epiteti e istruzioni, Nick stava zitto e fingeva di ascoltare. Il più delle volte eseguiva gli ordini ricevuti. Era
più semplice per entrambi. «No, è rimasta a Houston con tua zìa Minnie» replicò Tony senza lasciarsi distrarre. «Devi cominciare a fermare qualcuno per interrogarlo» insisté. «Magari qualche vagabondo, non importa, purché si veda che tu hai il controllo della situazione.» «In effetti un paio di sospetti li ho» disse Nick. «Fantastico, allora interrogali! Forse il giudice può farti avere un mandato per domani mattina. Chi sono?» Era così che aveva fatto con Jeffreys? pensò Nick. Aveva ottenuto un mandato all'ultimo momento, dopo che le prove false erano state messe a punto? «Allora, figliolo, chi sono?» ripeté suo padre. Forse voleva solo impressionare suo padre. E invece di tacere, come dettava il buon senso, Nick lo fissò negli occhi e disse: «Uno è Padre Michael Keller.» Tony Morrelli smise di dondolarsi sulla poltrona e si passò una mano sulla fronte abbronzata. «Che diavolo ti viene in mente? Un maledetto prete... i media ti metteranno in croce! È un'idea tua o di quell'agente FBI di cui mi hanno parlato i ragazzi?» Certo, i ragazzi, pensò Nick. I suoi ragazzi. Tony Monelli trattava ancora il dipartimento come se fosse roba sua. Nick immaginava gli agenti fare allusioni e battutine sul suo conto. «Padre Keller corrisponde perfettamente al profilo tracciato dall'agente O'Dell.» «Nick, quante volte devo ripeterlo? Non puoi lasciare che il tuo coso prenda le decisioni al posto tuo!» «Infatti non è così» ribatté lui voltandosi di nuovo verso la finestra. Ma la vista adesso era annebbiata dalla collera. «O'Dell è molto carina e sono sicuro che sa preparare un'ottima colazione dopo una notte di sesso, ma questo non vuol dire che devi darle retta in altre cose.» Nick si strofinò la mascella per calmarsi, deglutì, poi si girò di nuovo a guardarlo. «L'indagine la faccio io» disse. «Le decisioni le prendo io, e ho deciso di fermare Padre Keller per interrogarlo.» «Bene, renditi pure ridicolo quanto vuoi» fece suo padre. «Intanto io vedo se Gillick e Benjamin riescono a trovarmi qualche sospetto come si deve.»
Nick aspettò che suo padre uscisse, poi colpì la parete con un pugno e aspettò che il dolore delle nocche spellate soffocasse la furia e l'umiliazione. 53 La casa era buia quando Christine parcheggiò nel vialetto. Mise la scatola calda della pizza sul computer, cercando le chiavi, poi pensò che avrebbe finito per cenare da sola, perché poteva darsi che Timmy si fosse fermato da qualche amico. E al ritorno le avrebbe raccontato meraviglie della cena casalinga, polpettone e patate al forno o cose del genere, cibo che non usciva da una scatola o da una lattina come da un po' di tempo succedeva a casa loro. Quanto era costata a Timmy la nuova indipendenza di sua madre? si chiese preoccupata. Accese la luce in corridoio e per qualche strana ragione il silenzio le diede un brivido. Forse era colpa del vento, pensò. Si avviò verso la cucina, notando che la segreteria telefonica non lampeggiava. Quante volte doveva ripetere a Timmy di lasciarle detto dov'era? Non c'erano scuse, specialmente adesso che lei aveva un cellulare! Appoggiò il cappotto su una sedia e inalò il profumo della pizza, improvvisamente affamata. Dopo la visita di Gillick da Wanda aveva perso l'appetito e aveva lasciato il pranzo quasi intatto. Scalciò via le scarpe, si versò un bicchiere di vino, prese una fetta di pizza appoggiandola su un tovagliolo di carta e tornò in soggiorno, augurandosi che Timmy non la sorprendesse sul fatto. Di solito lei non permetteva che si mangiasse sul divano. Si accoccolò tra i cuscini e aprì il giornale. L'edizione della sera aveva lo stesso titolo di quella del mattino, TROVATO UN SECONDO CADAVERE, ma nell'occhiello lei aveva specificato che si trattava di Matthew Tanner e aveva riportato una frase di George Tìllie secondo cui gli omicidi potevano essere opera di un serial killer. A chiusura dell'articolo, ricordando l'appello che Michelle Tanner aveva fatto in TV perché suo figlio fosse liberato, Christine aveva scritto: Ancora una volta la disperata preghiera di una madre non è stata ascoltata. Adesso, vedendola stampata, la frase le sembrava un po' troppo melodrammatica. Ma a Corby era piaciuta. Scorse il resto del giornale, poi le venne in mente che era l'ora del notiziario e accese la TV su Canale Cinque. Come sempre, Darcy McManus
appariva impeccabile nel suo tailleur di ottimo taglio. Christine esaminò i lucidi capelli neri, gli occhi sapientemente truccati, il rossetto in perfetto accordo con il rosso della blusa. Non riusciva a immaginarsi davanti a una telecamera. Avrebbe dovuto rinnovare tutto il guardaroba... ma d'altra parte avrebbe potuto permetterselo, con la cifra che Ramsey le offriva. Doveva ammettere che l'idea l'attirava. Sarebbe diventata celebre, magari avrebbe fatto dei reportage su eventi di portata nazionale. Aveva chiesto tempo per decidere, ma in realtà sapeva di non poter rifiutare un'offerta così vantaggiosa. Avrebbe accettato la mattina dopo, naturalmente dopo aver parlato con Corby. Con tutti i debiti che aveva e il rischio di perdere la casa, non poteva permettersi di avere scrupoli. Finì il vino e capì che era troppo stanca per andare a prendere un'altra fetta di pizza. Forse era meglio fare un sonnellino. Si distese sul divano, chiuse gli occhi e pensò a tutte le belle cose che lei e Timmy avrebbero comprato. Nel giro di due minuti era profondamente addormentata. 54 «Perché non mangi il tuo Big Mac?» domandò l'uomo con la maschera di un presidente. Timmy si rannicchiò nell'angolo e le molle del materasso cigolarono. La stanzetta era illuminta solo da una lampada a petrolio sopra una cassetta di legno, e lui tremava in tutto il corpo come l'anno prima, quando aveva avuto una febbre così alta che sua madre aveva dovuto portarlo al Pronto Soccorso. Solo che questa volta tremava per la paura, perché non sapeva dov'era né come ci fosse arrivato. Finora l'uomo era stato gentile. Quando lo aveva fermato vicino alla chiesa per chiedere informazioni su una via, portava un passamontagna nero, di quelli che indossano i rapinatori nei film. Ma siccome faceva molto freddo a lui non era parso strano. Anche quando era sceso dalla macchina per mostrare a Timmy una mappa, lui non si era spaventato, forse perché in quella figura c'era qualcosa di familiare. Era stato allora che l'uomo gli aveva coperto la faccia con un panno bianco. Timmy non ricordava altro, se non di essersi svegliato in quella stanzetta. Il vento filtrava attraverso le assi che coprivano la finestra, ma lì dentro faceva caldo. Timmy vide in un angolo una stufa a kerosene, come quella che usava il papà tanto tempo prima quando andavano in campeggio. «Dovresti mettere qualcosa nello stomaco» disse paterno l'uomo. «Non
hai mangiato niente dall'ora di pranzo.» Timmy lo guardò. Sembrava quasi buffo con quella maschera, i jeans, un maglione e un paio di Nike bianche nuove di zecca, ma con una stringa spezzata e riannodata. Accanto alla porta c'erano degli stivali di gomma ancora bagnati, appoggiati a un sacco di carta. Strano che un paio di Nike così nuove avessero già una stringa strappata, pensò. Se lui avesse avuto delle Nike come quelle le avrebbe tenute meglio. Nella voce soffocata dalla maschera c'era qualcosa che gli sembrava di riconoscere, ma non riusciva a capire che cos'era. Cercò di ricordare il nome del presidente a cui la maschera somigliava. Era quello con il naso grosso, quello che aveva dovuto dimettersi... come accidenti si chiamava? Cercò di smettere di tremare, ma non ci riuscì e allora lasciò che i suoi denti battessero rumorosamente. «Hai freddo? C'è qualcos'altro che posso portarti?» domandò l'uomo premuroso. Timmy fece segno di no, e allora l'uomo prese la lanterna dalla cassetta e fece per andarsene. «Posso tenere la lanterna?» chiese Timmy. Stranamente, benché tremasse come una foglia, la sua voce era chiara e ferma. L'uomo lo guardò e Timmy gli vide gli occhi dietro i buchi della maschera. Scintillavano, come se sorridesse. «Certo, Timmy. Te la lascio.» Lui non ricordava di avergli detto il suo nome. Come faceva a conoscerlo? L'uomo rimise la lanterna sulla cassetta di legno, infilò gli stivali e disse: «Domani ti porto delle figurine e qualche fumetto». Dopo di che uscì, chiudendo la porta con parecchi giri di chiave. Timmy aspettò, contando fino a due minuti, e quando fu sicuro che l'uomo se n'era andato davvero esaminò la stanza. Le vecchie assi inchiodate alla finestra sembravano la via di fuga migliore. Scese dal letto e inciampò nella sua slitta, che stava sul pavimento. Poi cercò di avvicinarsi alla finestra, ma qualcosa lo trattenne: e quando guardò in basso vide che aveva un anello d'acciaio alla caviglia, con una catena assicurata alla gamba del letto. Tirò, ma il letto di ferro non si mosse di un millimetro. Allora si mise in ginocchio e tirò ancora e strattonò finché la caviglia non gli fece troppo male per continuare. Si arrestò di colpo. Aveva capito. Questo era il posto in cui Danny e Matthew erano stati tenuti prigionieri. «Ti prego, Dio, non farmi morire come loro» disse a voce alta.
Poi cercò di pensare a qualcos'altro, qualsiasi cosa, e cominciò a elencare i nomi dei presidenti che aveva imparato l'anno prima. «Washington, Adams, Jefferson...» 55 Dopo parecchie telefonate senza risposta, Nick decise di andare al rettorato. Non aveva voglia di tornare a casa, perché prima o poi ci sarebbe tornato anche suo padre. E lui non se la sentiva di vederlo e tantomeno di parlargli. Le finestre del rettorato erano tutte illuminate, ma ci volle parecchio prima che qualcuno venisse ad aprire la porta. Infine arrivò Padre Keller in persona, con addosso un accappatoio nero. «Mi scusi se l'ho fatta aspettare, sceriffo. Stavo facendo una doccia.» «Ho chiamato prima di venire, ma non ha risposto nessuno.» «Strano, sono stato qui tutta la sera. È che dal bagno non si sente il telefono. La prego, entri.» Nel grande soggiorno c'era il camino acceso, e alcune poltrone raggruppate attorno a un tappeto. Accanto a una delle poltrone erano accatastati dei libri. Dando una rapida occhiata, Nick vide che si trattava di libri d'arte, Degas, Monet, i pittori rinascimentali. Era sciocco aspettarsi solo letture religiose o filosofiche, pensò. Dopo tutto i preti erano esseri umani, con le loro passioni e le loro manie... «Si accomodi» disse Padre Keller indicandogli una poltrona. A parte la bella faccia da ragazzo, il giovane sacerdote possedeva una calma e una disinvoltura che mettevano chiunque a proprio agio. Nick fu attirato dalle sue mani. Le dita erano lisce e pulitissime, e le unghie molto curate. Non sembravano certo le mani di uno strangolatore di bambini. Forse Maggie l'aveva davvero messo sulla strada sbagliata, quest'uomo non poteva essere un assassino. Avrebbe dovuto interrogare Ray Howard, piuttosto. «Posso portarle un caffè?» domandò Padre Keller. «No, grazie. Non ci vorrà molto.» Nick aprì la cerniera del giubbotto e prese un taccuino e una penna. «Temo di non poterle dire granché, sceriffo. Credo che abbia semplicemente avuto un attacco di cuore.» «Mi scusi?» «Padre Francis. È per questo che è qui, no?»
«Cosa è successo a Padre Francis?» «Oh, santo cielo... credevo che fosse venuto qui per questo... Questa mattina è caduto sulle scale della cantina. Noi crediamo che abbia avuto un infarto.» «E come sta adesso?» «Purtroppo è morto» disse Padre Keller a capo chino, evitando lo sguardo di Nick. «Dio accolga la sua anima.» «Mi dispiace, non sapevo...» «È stato un colpo duro per tutti noi. Lei da bambino serviva messa con lui, vero?» «Sì... sembrano passati secoli.» Nick fissò le fiamme del camino, ricordando quanto era apparso fragile il vecchio prete quando lui e Maggie erano venuti a parlargli qualche giorno prima. «Mi scusi, sceriffo, ma se non è qui per Padre Francis cos'altro posso fare per lei?» Nick dovette farsi forza per ricordarsi che Padre Keller corrispondeva al profilo psicologico di Maggie. Perfino i suoi piedi sembravano della misura giusta ma, come le mani, anche quelli apparivano troppo puliti, troppo lisci per essere stati fuori al freddo, a calpestare rocce e rami secchi. Padre Keller notò la sua esitazione. «Sceriffo Morrelli?» disse. «Tutto bene?» «Sì, sì, certo» rispose Nick. «Volevo farle qualche domanda sul campeggio estivo organizzato dalla chiesa.» «Il campeggio?» Lo sguardo del prete era confuso o allarmato? «Sia Danny Alverez sia Matthew Tanner hanno preso parte al campeggio la scorsa estate, non è così?» «Davvero?» si stupì Padre Keller. Oppure fingeva? «Non lo sapeva?» ribatté Nick. «L'estate scorsa avevamo più di duecento ragazzi. Vorrei poterli conoscere tutti, ma purtroppo manca il tempo materiale.» «Ha delle foto fatte con loro?» «Mi scusi?» «Mio nipote, Timmy Hamilton, ha una fotografia di circa venti ragazzi con lei e con il signor Howard.» «Ah, sì, certo...» Padre Keller si ravviò i capelli e solo allora Nick notò che non erano nemmeno umidi. «Le foto delle gare di canoa. Ho cercato di includere anche Ray in molte delle attività della chiesa, per farlo integrare meglio, capisce. Ha lasciato il seminario solo l'anno scorso per venire a la-
vorare da noi.» Howard era stato in seminario. Nick memorizzò l'informazione e aspettò. «Sicché Timmy è suo nipote, eh?» proseguì Padre Keller. «Ragazzino in gamba.» «Oh, sì. Molto.» Doveva continuare a fare le domande su Howard, o il prete lo aveva nominato solo per distrarlo? «Lei aveva organizzato un campeggio simile a questo nella parrocchia dov'era prima, vero? Nel Maine.» Nick finse di consultare la pagina bianca del taccuino. «Credo che il posto si chiamasse Wood River.» E rimase in attesa di una reazione, che non ci fu. «Infatti.» «E come mai ha lasciato Wood River?» «Mi hanno offerto un posto di vice pastore qui. Si può definire una promozione.» «Aveva saputo dell'omicidio di un ragazzino nella zona di Wood River, poco prima che lei se ne andasse?» «Sì, ne sentii parlare... ma non sono sicuro di capire la ragione delle sue domande, sceriffo.» Il tono della voce non era allarmato né difensivo, forse un po' preoccupato. «Sto solo controllando tutti gli indizi possibili» disse Nick sentendosi ridicolo. Come poteva aver pensato che un prete fosse capace di commettere un omicidio? Poi qualcosa lo colpì. «Padre Keller, come sapeva che ho servito messa con Padre Francis nella vecchia chiesa?» «Oh, credo che me lo abbia detto lui stesso» rispose il prete. E di nuovo evitò lo sguardo di Nick. In quel momento qualcuno bussò alla porta e Padre Keller si alzò in fretta, quasi fosse ansioso di sfuggire all'interrogatorio. «Mi chiedo chi può essere...» sorrise stringendo la cintura dell'accappatoio. «Non sono certo vestito per una visita.» E sparì in corridoio. Nick ne approfittò per osservare la stanza. C'erano una grande libreria, alcune piante verdi, e su una parete era appeso un crocifisso di legno scuro, lucidissimo, con una punta insolitamente aguzza. Sembrava quasi un pugnale. C'erano anche alcuni quadri di un artista sconosciuto, che Nick, pur non essendo un esperto, trovò interessanti. Le pennellate di colori stridenti erano quasi ipnotiche. Gialli vibranti, rossi accesi, viola cupi. Poi Nick li vide. Dietro l'angolo del caminetto, su un vecchio zerbino,
c'erano degli stivali di gomma ancora incrostati di neve. Dunque il prete aveva mentito dicendo di essere stato in casa tutta la sera. A meno che gli stivali non appartenessero a Ray Howard. Dall'ingresso arrivavano delle voci concitate. Nick si alzò dalla poltrona e andò a controllare. Padre Keller era in piedi davanti a Maggie, che lo fissava rossa in faccia e lo subissava di domande. 56 Nick non aveva nemmeno riconosciuto la voce di Maggie, tanto era stridula e bellicosa, il che era ancora più strano in una donna controllata come lei. «Voglio vedere Padre Francis, e subito» disse Maggie spingendo Keller da parte. E andò quasi a sbattere contro Nick. «Che diavolo ci fai qui?» esclamò. «Potrei farti la stessa domanda. Non dovevi partire stasera?» «I voli sono stati ritardati per il maltempo» replicò. Nel suo giaccone troppo grande, senza trucco e con i capelli scompigliati dal vento, sembrava una studentessa. «Scusatemi...» intervenne il prete. «Maggie, tu non conosci ancora Padre Keller» disse Nick. «Padre, lei è l'agente speciale O'Dell.» «Così lei è Keller». Maggie aveva un tono accusatorio. «Che cos'ha fatto a Padre Francis?» Nick stentava a riconoscere in questa donna ai limiti dell'isteria l'agente calma e sicura di sé che faceva apparire lui come una testa calda. «Se mi lascia spiegare...» tentò di placarla Padre Keller. «Ah, certo, una spiegazione me la deve. Avevo un appuntamento con Padre Francis in ospedale, oggi alle quattro, ma lui non si è visto. E ho chiamato qui inutilmente per tutto il pomeriggio» «Maggie» intervenne Nick, «perché non entri e non cerchi di calmarti?» «Non voglio calmarmi, voglio sapere che cosa succede!» «Stamattina c'è stato un incidente» spiegò Nick, visto che Maggie non permetteva a Padre Keller di parlare. «Padre Francis è caduto sulle scale della cantina e purtroppo è morto.» Lei si immobilizzò. «Un incidente?» ripeté. «Nick, siamo sicuri che sia stato un incidente?» «Maggie...»
«Come sappiamo che non è stato spinto? Qualcuno ha esaminato il corpo? Posso fare l'autopsia io stessa, se è necessario.» «Padre Francis era vecchio e malfermo sulle gambe» protestò Nick. «E allora perché era andato in cantina?» «Ci teniamo il vino per la messa...» insinuò Padre Keller. Maggie lo fissò stringendo i pugni, e per un attimo Nick pensò che lo avrebbe colpito. Non riusciva a capire il suo atteggiamento. Se voleva giocare al poliziotto buono e a quello cattivo, perché non lo metteva al corrente? «Che cosa vorrebbe dire, Padre Keller?» incalzò lei. «Che Padre Francis beveva?» «Io non voglio dire proprio niente.» «Forse è meglio che andiamo» disse Nick prendendola per il gomito. Lei si liberò con uno strattone e gli gettò un'occhiata di fuoco, poi si diresse verso la porta. Nick si scusò con il prete e seguì Maggie in strada. «Che cos'è questa storia?» la aggredì. «Perché ti sei comportata in questo modo?» «Perché quello sta mentendo, e io non credo affatto alla favola dell'incidente. Padre Francis doveva dirmi qualcosa di importante. Quando ci siamo parlati al telefono stamattina, ho capito che qualcuno stava ascoltando la nostra conversazione, e io credo proprio che fosse Keller. Ma non capisci, Nick? Ha deciso di fermare Padre Francis prima che potesse parlarmi! L'autopsia dimostrerà se è stato spinto o no. Sono disposta a farla personalmente.» «Non ci sarà nessuna autopsia. Keller non ha spinto nessuno e io non credo che abbia niente a che vedere con gli altri delitti. È pazzesco sospettare di lui. Dobbiamo cominciare a cercare un vero colpevole e...» Lei impallidì di colpo, svoltò di corsa l'angolo del rettorato e si chinò sulla neve. Si aggrappò a un albero e cominciò a vomitare, e allora lui capì la voce alterata, l'atteggiamento bellicoso e la collera. Maggie era ubriaca. Aspettò che avesse finito per non metterla in imbarazzo, poi la vide allontanarsi verso gli alberi che separavano il terreno della chiesa dalla collina. «Nick... guarda!» lo chiamò puntando un dito verso la boscaglia. Lui seguì l'indicazione, guardò e si sentì male. Nascosto fra gli alberi c'era un vecchio furgoncino blu con il predellino di legno. 57
«Domattina per prima cosa chiederò un mandato al giudice Murphy» disse Nick mentre salivano nella camera d'albergo di Maggie. Lei lo ascoltava solo a metà, perché aveva un terribile mal di testa e lo stomaco in subbuglio. Bere tutto quel whisky a stomaco vuoto era stata una stupidaggine colossale. Gettò computer e giaccone sul letto, poi si sdraiò. Nick rimase sulla soglia, un po' a disagio, senza risolversi ad andare via. «Non riuscivo a credere ai miei occhi» disse. «Hai aggredito Keller in un modo tale che pensavo volessi prenderlo a pugni.» Lei lo guardò dal letto senza muoversi. «Tu non mi credi, ma Keller è sicuramente coinvolto in questa storia.» Poi, coprendosi gli occhi con la mano: «O entri o te ne vai, ma non restare lì sulla porta. Ho una reputazione da difendere, dopo tutto». Nick entrò chiudendo la porta con un giro di chiave, accostò una sedia al letto e si sedette. «Così hai deciso di concederti una festa privata di addio...» commentò con un sorrisetto. «Al momento mi sembrava una buona idea.» «Ma non rischi di perdere il volo?» «Molto probabilmente l'ho già perso.» «E tua madre?» «Telefonerò al medico domani.» «Insomma, sei tornata indietro solo per avere la pelle di Keller.» Lei si rizzò sul gomito, frugò nella tasca del giaccone e gli porse il biglietto. «Ero in aeroporto quando il barista me l'ha dato, dicendo che un tizio gli aveva chiesto di consegnarmelo. L'ho cercato subito, quel tizio, ma se n'era già andato.» Nick lesse il biglietto e la guardò senza capire, e lei ricordò di non avergli parlato del primo biglietto. «È dell'assassino» sussurrò. «Ma come fa a sapere dove abiti e come si chiama tuo marito?» «Ha fatto delle indagini su di me. Scava nel mio passato e nella mia vita, proprio come faccio io con lui.» «Gesù, Maggie!» «Rischi del mestiere. Mi è già successo altre volte.» Maggie si massaggiò le tempie che pulsavano e aggiunse: «Nessuno ha riposto al telefono del rettorato per ore. Quindi lui ha avuto tutto il tempo di fare una capatina in aeroporto e di tornare indietro». Chiuse gli occhi, poi li riaprì e scoprì che Nick la stava fissando. Si mise
a sedere, imbarazzata da quello sguardo, e le loro ginocchia si toccarono. La stanza cominciò a girare e a ondeggiare, i mobili a spostarsi sul pavimento. «Maggie, stai bene?» Nick le tese una mano e lei vi si appoggiò per un istante, poi si alzò e andò ad addossarsi al cassettone, il più lontana possibile. Nick però la raggiunse, e i loro occhi si incontrarono di nuovo nello specchio. Maggie sentì sul collo il suo respiro mentre Nick si chinava su di lei. Le labbra di lui la sfiorarono, scesero sulla nuca, poi di nuovo sul collo. Ormai Maggie non poteva più tornare indietro. «Che... che cosa fai?» balbettò. «Quello che desidero fare da giorni» replicò lui baciandole il lobo dell'orecchio. Lei si sentì mancare. «Non... non dovremmo...» disse. Ma la debole protesta non impedì a Nick di continuare ad accarezzarla, di stringerla, di premere le mani calde sulla sua schiena. «Nick...» ansimò. La bocca di lui la stava divorando, mentre le mani continuavano a esplorarle il corpo. Maggie notò che una era fasciata e provò l'impulso di domandargli che cos'era successo. Ma non riusciva più a pensare. Le mani raggiunsero i seni e cominciarono una lenta carezza circolare che fece crollare in lei ogni resistenza. Tra le sue gambe un punto doleva e pulsava, e una mano di lui scese proprio lì e lo sfiorò con tocco lieve ed esperto. Maggie era vicina all'orgasmo quando trovò finalmente la forza di girarsi per guardarlo in faccia, fermarlo, respingerlo. Le sue mani però la tradirono e invece di allontanarlo aprirono i bottoni della camicia, cercando la pelle di lui. Tremando, Nick si chinò a baciarla sulla bocca. E dopo una breve esitazione lei ricambiò il bacio con la stessa avidità, gemendo. Era senza respiro quando lui la lasciò e scese a baciarle i seni, succhiando i capezzoli attraverso la maglia sottile. La scossa fu così forte che Maggie dovette tenersi al cassettone per non cadere. «Dio, Nick...» La stanza aveva ripreso a girare, il cuore martellava, e nelle sue orecchie c'era un suono insistente che minacciava di assordarla. Poi ritornò in sé. Quel suono era lo squillo del telefono che la richiamava alla realtà. «Devo rispondere...» sussurrò.
Nick era in ginocchio di fronte a lei e i suoi occhi erano pieni di desiderio. Com'erano arrivati a quel punto? pensò Maggie. Era quel maledetto whisky, ecco cos'era. Era la nebbia nel suo cervello, e quella bocca così fresca e quelle mani così esperte... Si staccò da lui e barcollò fino al tavolino da notte, facendo cadere il telefono e afferrando la cornetta appena in tempo. «Sì» riuscì a pronunciare. «Sono Maggie O'Dell.» «Maggie, sono Christine Hamilton. Grazie a Dio l'ho trovata... non so che cosa fare, mi scusi se la chiamo così tardi, ma ho cercato Nick e nessuno sa dov'è.» «Christine, si calmi e mi dica che succede» fece lei lanciando un'occhiata a Nick. Sentendo il nome della sorella lui si raddrizzò e riallacciò in fretta la camicia, come se Christine fosse entrata e li avesse sorpresi. Maggie incrociò le braccia sulla maglietta ancora umida, poi si scostò i capelli dietro le orecchie. «Allora, che succede?» ripeté. «Si tratta di Timmy. Quando sono rientrata, non era a casa. Ho pensato che si fosse fermato a cena da qualche amico... ma ho telefonato a tutti e nessuno l'ha visto dopo questo pomeriggio. Erano andati con la slitta a Cutty Hill. Gli altri bambini lo hanno visto incamminarsi da solo verso casa. Lui però non è qui, Maggie, e sono passate più di sei ore... sono così spaventata, non so che cosa fare.» Maggie coprì il microfono con la mano e si sedette sul letto. «Timmy è scomparso» sussurrò a Nick. Vide gli occhi di lui riempirsi di terrore. «Dio mio, no...» gemette Nick. Ed entrambi rimasero a fissarsi, sconvolti. 58 Christine aveva ricominciato a mangiarsi le unghie, un'abitudine dell'infanzia che credeva dimenticata, e guardava suo padre passeggiare su e giù in soggiorno. Era stato un sollievo sentire la sua voce al telefono, quando aveva cercato Nick; ma adesso non era affatto un conforto vederlo abbaiare ordini agli agenti che affollavano la casa. Si sentiva di nuovo una ragazzina sciocca, incapace di fare qualcosa di buono. «Perché non vai a riposarti un po', tesoro?» suggerì Tony. Ma lei scosse la testa e rimase sul divano. Poco dopo, quando Maggie e Nick entrarono in soggiorno, Christine
balzò in piedi e si trattenne a stento dal gettare le braccia al collo del fratello. Lui doveva aver capito le sue intenzioni, perché si avvicinò e la strinse contro di sé senza dire una parola. E lei, che fino a quel momento aveva resistito, cominciò a piangere. Gentilmente, Nick la fece sedere di nuovo sul divano mentre Maggie andava a prenderle un bicchiere d'acqua. Christine la sorseggiò piano, sforzandosi di controllare il tremito delle mani. Suo padre era sparito, come se non volesse assistere alla sua manifestazione di debolezza. «Sei sicura che non ci sia un posto a cui non hai pensato, o qualcuno che non hai chiamato?» le chiese Nick. «Ho telefonato a tutti quanti» rispose soffiandosi il naso. «E tutti quanti mi hanno detto che lo avevano visto dirigersi verso casa con la sua slitta.» «Non potrebbe essersi fermato, che ne so, in qualche negozio?» domandò Maggie. «Non credo. A parte la chiesa, tra qui e Cutty Hill ci sono solo case. Ho provato anche a telefonare in rettorato, ma non mi ha risposto nessuno.» Colse l'occhiata tra Maggie e Nick e aggiunse: «Perché? Che è successo?». «Niente, solo che Maggie e io eravamo al rettorato poco fa... Senti, vado a vedere che cosa sta facendo papà con i miei uomini. Torno subito.» Maggie si tolse il giaccone e si sedette accanto a Christine. Non era impeccabile come al solito. Portava un paio di jeans e una vecchia maglietta slabbrata e stinta, e aveva i capelli tutti arruffati. «Non l'ho buttata giù dal letto, vero?» domandò Christine. «No, per niente.» Maggie cercò di ravviarsi un po' i capelli e poi si guardò, come se notasse solo allora il suo abbigliamento trasandato. «Stavo tornando a casa... in Virginia, intendo. Il mio volo è stato ritardato, ma ormai avevo già consegnato tutti i bagagli. Probabilmente a quest'ora i miei abiti stanno volando sopra Chicago.» «Posso prestarle qualcosa, se vuole.» «Davvero non le dispiace?» «No, si immagini. Venga in camera mia.» Christine si alzò, sorpresa di averne ancora l'energia e sollevata di avere qualcosa da fare. Chiuse la porta della camera dietro di loro, poi aprì l'armadio e qualche cassetto. Era più alta di Maggie e aveva meno seno, ma a parte questo aveva più o meno la stessa taglia. «Si serva pure» disse sedendosi sul letto. Maggie prese un pullover dolcevita da uno dei cassetti. «Non ha da pre-
starmi anche un reggiseno?» «Sono nel primo cassetto di sinistra, ma temo che siano un po' piccoli per lei. Può provare uno di quelli sportivi che sono un po' più elastici.» Il disagio di Maggie era palpabile. Christine pensò di lasciarla sola, ma in quel momento l'altra si sfilò la maglia e infilò un reggiseno. Era molto stretto e lei cercò di assestarlo come meglio poteva. Christine notò la cicatrice che le attraversava l'addome e non riuscì a trattenere la curiosità. «Mi scusi se sono indiscreta, ma quella non sembra la cicatrice di un'operazione» disse. «Infatti.» Maggie la toccò. «È un regalo» disse piano. «Il ricordo di un assassino che ho contribuito a catturare.» «Non riesco nemmeno a immaginare le situazioni orribili in cui si deve essere trovata» esclamò Christine. «Sono i rischi del mestiere. Senta, non ha una canottiera invece di questa camicia di forza?» «Ultimo cassetto a sinistra. Come fa a non farle effetto?» «Oh, non ho detto che non mi fa effetto» replicò Maggie, scegliendo una canottiera di cotone e infilandola nella cintura dei jeans. «Cerco solo di non pensarci.» Anche il pullover era aderente, ma la canottiera aiutava a smussare un po' le curve. «Grazie» disse. «I corpi di Danny e di Matthew erano coperti di ferite spaventose, vero?» Maggie capì che la domanda non era fatta dalla giornalista a caccia di dettagli sensazionali, ma dalla madre che voleva sapere. «Troveremo Timmy molto presto» disse invece di rispondere. «Nick ha già chiamato il giudice Murphy per farsi dare un mandato, e abbiamo un sospetto.» Per un attimo l'istinto giornalistico ebbe il sopravvento. Chi era? Che tipo di mandato stava preparando il giudice? Ma il pensiero tornò subito al suo bambino, così fragile, ancora così piccolo, rannicchiato in un angolo buio chissà dove. Davvero glielo avrebbero trovato prima che qualcuno rovinasse la sua pelle così bianca con quei brutti tagli rossastri? «Cade sempre» sussurrò. «È continuamente pieno di lividi...» Le lacrime le riempirono gli occhi, ma cercò di non lasciarsi andare. Non voleva crollare proprio adesso, di fronte a una donna che era stata tagliata a pezzi da un maniaco, ma reagiva con un'incredibile forza d'animo. Sì, ecco che cosa le serviva. Essere forte. Piangere non avrebbe aiutato Timmy.
Si alzò dal letto e inspirò a fondo. «Mi dica come posso essere d'aiuto» disse. E ignorò la stretta di terrore alla bocca dello stomaco. 59 Giovedì 30 ottobre Timmy fu svegliato da un raggio di sole che penetrava attraverso le assi. Per un attimo pensò di essere a casa, poi avvertì l'odore di kerosene e di muffa, sentì il rumore della catena che gli stringeva la caviglia ed ebbe paura. Moltissima paura. No, non doveva lasciarsi prendere dal panico. «Pensa a qualcosa di piacevole» si disse a voce alta. Suo zio Nick gli aveva insegnato a fare così, quando aveva paura e non riusciva a dormire. Si guardò intorno. Sulle pareti della stanzetta c'erano dei poster molto simili a quelli che aveva in camera sua: i Cornhuskers, Batman, due Star Trek. Non si sentiva rumore di traffico, solo il vento che fischiava tra le assi. Se fosse riuscito ad arrivare alla finestra, era sicuro di poter schiodare le assi e scivolare fuori. Cercò di smuovere il letto, ma era troppo pesante e lui troppo debole per la fame. Mangiò una manciata di patatine fritte. Erano fredde, ma non male. Poi trovò sulla cassetta due tavolette di cioccolato, un sacchetto di salatini al formaggio e un'arancia. Divorò tutto, esaminando gli anelli della catena. Nel punto di giuntura c'era una fessura sottilissima, ma lui non aveva abbastanza forza per allentarla. Non si era mai sentito così fragile e impotente. Avvertì dei passi e si rimise in fretta sotto le coperte, mentre il chiavistello scattava e la porta si apriva. L'uomo aveva una giacca a vento e un berretto di lana sulla maschera di gomma. «Buongiorno» sussurrò amichevole. «Ti ho portato qualcosa che forse ti piacerà.» E gli mostrò un sacchetto di carta marrone. Timmy si avvicinò mostrandosi interessato e fingendo di non aver paura. Il sacchetto conteneva degli album di fumetti quasi nuovi e un mucchietto di figurine tenute insieme da un elastico. C'erano anche delle cose da mangiare, che l'uomo posò sulla cassetta: un pacco dei suoi cereali preferiti, altre tavolette di cioccolato, un pacchetto di salatini al mais e due o tre barattoli di spaghetti al pomodoro. «Ho cercato di prenderti le cose che ti piac-
ciono di più» disse lo sconosciuto. Timmy lo ringraziò automaticamente, e notò di nuovo che gli occhi dell'uomo nelle fessure della maschera sembravano sorridere. «Come sapeva che mi piacciono i cereali Cap'n Crunch?» domandò. L'uomo rispose a bassa voce: «Oh, io mi ricordo tante cose... Adesso però devo andare. C'è qualcos'altro che vorresti?». Timmy lo vide spegnere la lampada a kerosene e provò una fitta di panico. «Tornerà prima che faccia buio? Odio il buio.» «Cercherò di tornare.» L'uomo mise la mano in tasca e aggiunse: «Ti lascio questo. Ma stai attento, Timmy, mi raccomando...». E gettò sul letto un piccolo accendino luccicante. Timmy aspettò di essere solo, poi prese in mano l'accendino. E fu allora che notò il piccolo stemma che aveva visto tante volte sui giubbotti di suo nonno e di zio Nick. Era il simbolo dell'ufficio dello sceriffo. 60 L'odore del caffè le diede la nausea. Il locale si stava riempiendo di clienti che venivano a fare colazione. Nella speranza di non essere riconosciuta, Maggie mangiò senza voglia delle uova strapazzate. Prima o poi Nick si sarebbe deciso a tornare. Le aveva detto che non ci sarebbero voluti più di dieci o quindici minuti, ma era andato via da più di un'ora. Quella mattina aveva lasciato Christine a malincuore. Non era molto brava a confortare le persone o a rassicurarle. Dopo tutto la sua sola esperienza in materia risaliva a quando aveva dodici anni, e la sera doveva trascinare a letto sua madre ubriaca. Ma aveva simpatia per Christine e provava molta pena per lei. La faccetta lentigginosa di suo figlio le era rimasta impressa, e non poteva nemmeno immaginare di dover aggiungere il corpo martoriato di Timmy alla sua orribile, incancellabile galleria di ricordi. Finalmente Nick entrò, la cercò con gli occhi e le fece un cenno. Portava i soliti jeans con gli stivali da cowboy, ma questa volta sotto il giubbotto aveva una felpa rossa con il nome dei Cornhuskers. La mascella non era più gonfia, ma ancora livida, annerita dalla barba non rasata. Sembrava stanco, ma era più attraente che mai. Si sedette di fronte a lei e prese il menu. «Il giudice Murphy esita un po' a darmi un mandato di perquisizione per il rettorato» la informò leggendo. «Non ha avuto problemi per il furgoncino, ma dice che...» «Ciao, Nick» lo interruppe Angie. «Che cosa ti porto?»
«Oh, ciao» rispose lui imbarazzato. Maggie guardò la bella cameriera bionda e capì subito che i suoi rapporti con Nick non si limitavano alle ordinazioni del ristorante. «Come stai?» proseguì la ragazza cercando di apparire disinvolta. «Sono stato molto occupato» fece lui senza guardarla. «Vorrei solo caffè e pane tostato, per favore.» «Pane integrale, giusto? E panna per il caffè.» «Sì, grazie.» «Una vecchia amica?» domandò Maggie quando la ragazza si fu allontanata. Non aveva alcun diritto di curiosare, ma vederlo così imbarazzato la divertiva. «Chi, Angie? Sì, più o meno...» Nick prese dalla tasca il cellulare della sorella, che si era fatto dare nel caso Timmy chiamasse, cercando di cambiare discorso. «Odio questi affari.» «Sembra molto carina» insisté lei. Questa volta lui la guardò dritto negli occhi. «È molto carina, ma non mi fa sudare le mani o mancare le ginocchia come te» disse. Nello stomaco di Maggie le farfalle si risvegliarono. Lei cercò di distrarsi imburrando un toast. «Senti, Nick, a proposito di ieri sera... credo sia meglio che ci dimentichiamo di tutto quanto.» Lui sembrò ferito e fece una piccola smorfia. «E se io non volessi dimenticare? È da tempo che non sentivo niente del genere, e non posso...» «Ti prego, non trattarmi come un'ingenua camerierina. Non c'è bisogno che tu finga o...» «Non è una finzione. Ieri, quando pensavo che stessi partendo e che non ti avrei più rivista, mi sentivo come se qualcuno mi avesse dato un pugno in faccia. E poi ieri sera... Gesù, Maggie, tu mi sconvolgi, mi togli il respiro, mi fai ammutolire... e credimi, di solito con le donne non sono così!» «Eravamo solo esausti, tutti e due.» «Io non ero poi così stanco, e non lo sembravi nemmeno tu.» La sua reazione era stata davvero così scoperta? pensò lei. «Sei deluso perché non puoi aggiungere il mio nome al tuo elenco di conquiste?» disse difensiva. «Sai bene che non è questo.» «E allora sarà il gusto del proibito» concluse secca. «Io sono sposata, Nick. Non sarà il miglior matrimonio del mondo, ma per me significa ancora qualcosa. Perciò non voglio più parlare di ieri sera.»
«Eccoti toast e caffè» disse Angie avvicinandosi. Maggie si domandò se potesse avvertire la tensione fra loro. «Non vuoi nient'altro?» fece la ragazza rivolgendosi solo a Nick. «Maggie, tu vuoi qualcos'altro?» disse lui di proposito. La cameriera arrossì. «No, grazie.» «Va bene» concluse Angie, ansiosa di andarsene. Ci fu un momento di silenzio, poi Maggie chiese: «Perché il giudice non vuole darti il mandato di perquisizione?». Nick sospirò e prese a imburrare il toast con rapidi colpetti rabbiosi. «Il giudice Murphy e mio padre appartengono a una generazione che ritiene intoccabili preti e chiesa. Ho cercato di convincerlo che sospettiamo di Howard, ma...» «D'altra parte è quello che pensi.» «Non lo so.» Lui spinse da parte il toast e si massaggiò la mascella ispida. «Che cosa ti sei fatto alla mano?» si informò lei notando di nuovo la fasciatura. «Oh, non è niente. Senti, ieri sera Padre Keller mi ha detto che Ray Howard ha lasciato il seminario l'anno scorso. E mentre aspettavo la risposta del giudice ho fatto qualche ricerca. Howard era in un seminario di Silver Lake, nel New Hampton, che è vicinissimo al Maine e a meno di cinquecento miglia da Wood River.» Lei si raddrizzò sulla sedia. «E quanto tempo c'è rimasto?» «Gli ultimi tre anni.» «Questo elimina il delitto di Wood River.» «Sì, ma non è una coincidenza un po' strana? Voglio dire, in tre anni di seminario potrebbe aver imparato come si somministra l'estrema unzione.» «Era qui all'epoca dei primi delitti?» «Sto facendo controllare da Hal. Ma ho parlato con il rettore del seminario, un certo Padre Vincent. Non ha voluto scendere in dettagli, però mi ha detto che Howard è stato allontanato per condotta disdicevole.» «In seminario può voler dire qualsiasi cosa, dal rompere il voto di digiuno allo sputare sul pavimento. Non lo so, Nick. Howard non mi sembra abbastanza intelligente per architettare i rapimenti e il resto.» Nick ripiegò il tovagliolo di carta più volte, battendo ritmicamente il piede sotto il tavolo. «Forse è quello che vuol farci credere» osservò. «E sia lui sia Keller avevano la possibilità di togliere di mezzo Padre
Francis.» «Dio santo, Maggie, pensavo che ieri sera tu ne fossi convinta solo perché avevi bevuto!» «Te lo ripeto, ieri mattina Padre Francis mi ha detto che doveva dirmi qualcosa di molto importante. E qualcuno ha ascoltato la nostra conversazione, lo so perché ho sentito lo scatto di un altro telefono.» «Non poteva essere una coincidenza?» «Ho imparato anni fa che le coincidenze sono rare. L'autopsia potrebbe dirci se Padre Francis è stato spinto o è solo caduto.» «Ma non posso chiedere un'autopsia se non ho prove» protestò lui. «Potremmo parlarne con la famiglia, o con l'arcidiocesi.» «La verità è che non abbiamo tempo di aspettare i permessi per autopsie e mandati di perquisizione» fece lui prendendosi la testa fra le mani. «Io voglio solo spaventare Howard a morte.» Invece di discutere ancora, Maggie disse: «Che sia Howard o Keller, dobbiamo essere molto cauti. Se l'assassino si fa prendere dal panico...». Questa volta la vittima non era un ragazzino sconosciuto: era Timmy. Non aveva parlato con Nick del fatto che l'assassino sembrava accelerare i suoi ritmi, ma dagli occhi di lui vide che lo aveva intuito. «Già» disse Nick come se leggesse nella sua mente. «Sta accelerando, vero?» Maggie annuì. «Andiamocene di qui.» Nick gettò una manciata di banconote sul tavolo e infilò il giubbotto. «Dove andiamo?» «A sequestrare il furgoncino. E mentre ci siamo, tu potresti scusarti con Padre Keller per ieri sera.» 61 Padre Keller aveva appena terminato la messa del mattino e aveva un aspetto molto ufficiale. Tuttavia da sotto la tonaca facevano capolino come sempre le Nike bianche. «Sceriffo, agente O'Dell... che sorpresa!» «Possiamo entrare un momento?» domandò Nick sfregandosi le mani per riscaldarle. Nonostante il sole, la temperatura era ancora insolitamente bassa per la stagione. Il prete diede un'occhiata prudente a Maggie, poi sorrise e si fece da par-
te lasciandoli entrare in soggiorno. Il camino era acceso, ma nell'aria si sentiva odore di bruciato. Nick si chiese se Keller avesse appena eliminato qualcosa che voleva nascondere. «Non so se posso esservi d'aiuto» esordì Padre Keller. «Ieri sera...» «In effetti volevo scusarmi» lo interruppe Maggie. «Il fatto è che avevo bevuto un po', e questo mi aveva resa aggressiva. Spero che capisca e che accetti le mie scuse.» «Ma certo, capisco benissimo. E sono lieto di sapere che non ce l'aveva con me... dopo tutto ci eravamo visti per la prima volta!» Padre Keller sembrava più rilassato e aveva smesso di tenere le mani strettamente intrecciate dietro la schiena. «Stavo per prepararmi un tè. Posso offrirne una tazza anche a voi?» «Siamo qui in veste ufficiale, Padre Keller» disse Nick. «Ah, davvero?» La voce del prete era calma, ma le sue mani si infilarono nelle profonde tasche della tonaca, come se volesse nasconderle. Nick prese il mandato dal giubbotto e disse: «Vede, ieri sera abbiamo notato il vecchio furgoncino qui dietro...» «Il furgoncino?» domandò Padre Keller sorpreso. Perché quella reazione? pensò Nick. «Sì, quello parcheggiato in mezzo agli alberi. Corrisponde alla descrizione che una testimone ci ha fornito del veicolo in cui ha visto salire Danny Alverez il giorno della scomparsa.» Nick aspettò. Sapeva che accanto a lui, Maggie registrava ogni piccolo movimento del prete. «Le dirò, non so nemmeno se funziona ancora», disse Padre Keller. «Credo che Ray lo abbia usato qualche volta per andare a far legna nei boschi vicino al fiume.» Nick gli porse il mandato e lui lo prese con due dita, come se potesse esplodere da un momento all'altro. «Come le ho detto ieri sera» riprese Nick, «sto solo cercando di seguire tutti gli indizi. Saprà che ultimamente il mio ufficio ha subito delle critiche... Ecco, non voglio si possa dire che non abbiamo controllato tutto. Ha le chiavi del furgoncino, Padre?» «Oh... non credo che sia chiuso a chiave. Mi metto un giaccone e gli stivali e l'accompagno.» «Grazie.» Nick lo osservò avvicinarsi al camino e infilare gli stivali di gomma che aveva notato la sera prima. Così erano davvero suoi! Keller aveva detto di essere sempre rimasto al rettorato, e allora Nick aveva pensato che le tracce di neve sugli stivali potevano essere state causate da una
rapida uscita in cortile per prendere altra legna per il caminetto. Ma adesso non ne era più tanto sicuro. Erano sulla porta quando Maggie si aggrappò a un tavolino e si piegò su se stessa. «Dio... mi viene di nuovo da vomitare...» borbottò. «Si può sapere che cosa hai bevuto ieri sera?» esclamò Nick. Poi sussurrò al prete: «È tutta la mattina che fa così...» «Posso andare in bagno?» domandò lei. «Oh, certo...» Padre Keller guardò ansioso la moquette bianca, poi disse: «In corridoio, la seconda porta a destra.» «Grazie. Vi raggiungo subito.» E Maggie si allontanò con una mano sullo stomaco. «È il caso di lasciarla da sola?» si informò Padre Keller. «Oh, sì... anzi è meglio. Prima mi ha sporcato tutti gli stivali.» Il prete guardò gli stivali di Nick con una smorfia, poi si affrettò a uscire. Il furgoncino era coperto di neve e dovettero toglierla con una pala per aprire la portiera. All'interno c'era un forte odore di muffa e di chiuso, come se il veicolo non fosse stato usato da anni. Nick soffocò la delusione e si arrampicò sul sedile di finta pelle screpolata, cercando a tastoni in ogni angolo senza sapere bene che cosa sperava di trovare. «Credo che non ci sia un granché in questa vecchia carretta» disse Padre Keller. Nick ritirò la mano che aveva infilato sotto i sedili, graffiandosi le nocche con una molla che sporgeva, poi aprì lo scomparto vicino al posto di guida e puntò la torcia. C'erano un libretto di istruzioni ingiallito, una lattina arrugginita, alcuni tovaglioli di McDonald, un foglietto con un elenco di nomi e numeri, una scatola di fiammiferi di un posto chiamato Pink Lady e un piccolo cacciavite. Sentendo gli occhi di Keller su di sé, Nick prese i fiammiferi e poi fece scorrere la mano sul fondo. Sentì un piccolo oggetto cilindrico, prese anche quello e lo cacciò in tasca con i fiammiferi. Senza farsi vedere, mise nel giubbotto anche il foglietto con i nomi. Infine richiuse lo sportellino. «Qui non c'è niente» disse. Scivolò fuori dopo un'ultima occhiata, e notò che, nonostante l'odore di vecchio e di chiuso, il cruscotto, i tappetini e i sedili erano incredibilmente puliti. «Mi dispiace che abbia perso tempo» osservò Padre Keller avviandosi verso il rettorato. «Be', devo ancora guardare nel retro.»
L'altro si fermò e tornò indietro. Sembrava decisamente seccato. O era qualcosa di più? 62 Maggie guardò di nuovo dalla finestra, vide che Nick e Padre Keller erano ancora alle prese con il furgoncino e continuò ad aprire tutte le porte lungo il corridoio, sbirciando nelle stanze. Dopo alcuni uffici e una dispensa, trovò infine una camera da letto. Era piccola, arredata in modo molto semplice, con il pavimento di legno e le pareti bianche. Sopra il letto era appeso un crocifisso, in un angolo c'era un tavolo con due sedie e nell'angolo opposto un tavolino che reggeva un vecchio tostapane e una teiera. Sul comodino c'era una bella lampada dalla base scolpita, che stonava un po' con tanta semplicità. Niente che le sembrasse veramente degno di attenzione. Maggie stava già per abbandonare il campo quando notò tre stampe sulla parete di fronte al letto. Non era un'esperta, ma lo stile faceva pensare al Rinascimento italiano. E in ognuna era raffigurata la tortura di un uomo. Si avvicinò e lesse le scritte sulle cornici. Il Martirio di San Sebastiano, 1475, di Antonio del Pollaiolo, ritraeva un San Sebastiano legato a una colonna con il corpo trafitto di frecce. Nel Martirio di Sant'Erasmo, 1629, di Nicolas Poussin, alcuni cherubini alati volavano sopra una folla di uomini che strappavano le budella a un martire incatenato a una graticola. Chi poteva desiderare di vedere immagini simili prima di chiudere gli occhi? pensò Maggie. La terza stampa, Il Martirio di Sant'Ermione, 1512, di Matthias Anatello, rappresentava un uomo legato a un albero che veniva ferito con pesanti coltelli. Il petto del martire era coperto di sangue e due ferite si intersecavano formando una sorta di croce. Ma certo, pensò Maggie. Adesso era tutto chiaro. I tagli sul torace dei ragazzi non erano a forma di X, ma di croce, e avevano un valore simbolico ben preciso. Così l'assassino trasformava le sue vittime in martiri. In corridoio si sentirono dei passi e Maggie uscì dalla stanza proprio mentre Ray Howard le veniva incontro. «Ah, è lei» fece l'uomo guardandola severo. «L'agente dell'FBI.» «Sì, ho accompagnato lo sceriffo Morrelli.» «E che cosa ci faceva nella camera di Padre Keller?» «Ah, è la sua camera?» commentò distratta Maggie. «Stavo cercando il bagno, ma non riuscivo a trovarlo...»
«Certo, perché è dall'altra parte del corridoio» disse Ray continuando a fissarla con diffidenza. «Ah, ecco. Grazie mille.» Maggie si avviò nella direzione giusta ed entrò in bagno, mettendosi in ascolto dietro la porta chiusa. Poco dopo, quando si affacciò, vide Howard sparire nella camera di Padre Keller. 63 Il pianale posteriore del furgoncino era colmo di neve ghiacciata. Nick vi si arrampicò e chiese a Padre Keller di passargli la pala. Ma il prete rimase immobile con le mani strette al petto, come se stesse pregando. Il vento gli sbatteva la tonaca contro le gambe e gli scompigliava i capelli. «Padre Keller?» ripeté Nick. «Mi dà la pala?» «Oh, certo» fece lui riscuotendosi. «Però non credo che troverà niente di utile, sa.» «Lo vedremo subito.» Nick si sporse a prendere l'arnese dalle mani di Padre Keller, che sembrava restio a darglielo. C'era sotto qualcosa, lo sentiva, e cominciò a scavare in fretta nella neve. Poi rallentò il ritmo per paura di rovinare o far scomparire qualche prova, e continuò sollevando mucchi di neve più piccoli. Nonostante il freddo sentiva il sudore scorrergli per la schiena. Proseguì finché la pala non urtò qualcosa di solido. Il suono allarmò Padre Keller, che si avvicinò. Con piccoli colpi prudenti, Nick disseppellì un oggetto e abbandonò la pala per esaminarlo. Tutt'intorno c'era una crosta di ghiaccio, il che stava a indicare che la cosa era ancora calda quando era stata gettata nel mucchio di neve che poi l'aveva ricoperta. Nick guardò meglio e intravvide qualcosa che sembrava un lembo di pelle. Riprese a scavare con il cuore in gola e poi si ritrasse sconvolto. «Dio santo!» esclamò. Incrostato nella tomba di ghiaccio c'era il corpo scorticato di un grosso cane nero, con la pelliccia che pendeva a brandelli dalla carogna incisa e scarnificata in più punti, e la gola tagliata. 64 Nick e Padre Keller stavano risalendo i gradini dell'ingresso quando
Maggie aprì la porta. Nick la guardò per capire se aveva trovato qualcosa, ma il sorriso sfuggente di lei non gli disse nulla. «Sta meglio?» domandò il prete. «Molto meglio, grazie.» «È un bene che tu non sia venuta con noi» disse Nick, che aveva ancora la nausea. «Perché? Che cosa avete trovato?» «Te lo dirò più tardi.» «Adesso vi andrebbe una tazza di tè?» suggerì il prete. «No, grazie. Dobbiano an...» «Sì, se non è troppo disturbo» intervenne a sorpresa Maggie. «Magari qualcosa di caldo mi sistemerà lo stomaco.» «Entrate, allora. Vedo se abbiamo anche qualche biscotto.» Nick non riusciva a spiegarsi la mossa. Perché all'improvviso Maggie sembrava ansiosa di passare altro tempo con quel prete che disprezzava tanto? Padre Keller aiutò Maggie a togliersi il giaccone e Nick lo sorprese a guardare le gambe di lei fasciate nei jeans. Non era un'occhiata casuale, ma uno sguardo di apprezzamento. In fondo era un uomo, si disse Nick. E in effetti Maggie, con quei jeans aderenti, era uno schianto. Non appena Padre Keller si fu allontanato, si chinò verso di lei. «Allora?» sussurrò. «Hai sempre il cellulare di Christine?» domandò lei invece di rispondere. «Sì, è nella tasca del giubbotto.» «Ti dispiace prenderlo?» Dopo di che, senza dare spiegazioni, si avvicinò al camino come se volesse scaldarsi le mani e prese a frugare nella cenere con l'attizzatoio. «Che diavolo stai facendo?» chiese Nick incuriosito. «Quando siamo entrati ho sentito odore di gomma bruciata.» «Ehi, attenta, sta per tornare...» Maggie fece in tempo a osservare: «Qualsiasi cosa fosse, è ridotta in cenere.» «Latte, limone, zucchero?» domandò Padre Keller entrando con un vassoio. Quando lo posò sulla panca nel vano della finestra, Maggie era in piedi accanto a Nick. «Latte e zucchero, grazie» disse Nick. «Per me limone» disse lei. «Ma prima, se volete scusarmi, devo fare una
telefonata.» «C'è un apparecchio nell'ufficio in corridoio» offrì Padre Keller. «No, grazie, userò il cellulare di Nick. Posso?» Lui le porse il telefono inarcando le sopracciglia e lei si rifugiò subito nell'ingresso. «Vuole un pasticcino?» chiese Padre Keller. «No, grazie.» Nick cercò di tendere l'orecchio, ma Maggie doveva essersi allontanata perché la sua voce non si sentiva più. Poi un telefono cominciò a squillare, un suono soffocato ma insistente. Con aria perplessa il prete uscì in corridoio. «Che cosa sta facendo, agente O'Dell?» esclamò. Nick posò la tazza e si affrettò a raggiungerli. Maggie, con il cellulare all'orecchio, camminava lungo il corridoio e si fermava davanti a ogni porta, in ascolto. Padre Keller le stava alle calcagna e continuava a interrogarla senza ricevere risposta. Nick si avvicinò a Maggie e ascoltò con lei gli squilli, a ogni passo sempre più chiari. Quando arrivarono in fondo al corridoio, Maggie aprì una porta e lo squillo risuonò fortissimo. «Di chi è questa camera?» domandò. Padre Keller la guardò indignato. «Padre, le dispiace rispondere al telefono?» insisté lei senza entrare. «Sembra che sia in uno dei cassetti.» Il prete non si mosse. Gli squilli non cessavano e solo allora Nick capì che era stata Maggie a fare la chiamata: teneva in mano il cellulare e una lucina verde lampeggiava ogni volta che l'altro telefono squillava. «Risponda, Padre Keller» ripeté Maggie. «Ma questa è la camera di Ray, e io non posso frugare nelle sue cose...» «Prenda solo il telefono» disse lei. «È nero, piccolo, di quelli con il coperchio richiudibile.» Lui la fissò stupito, poi entrò nella camera. Di lì a poco ne uscì con un piccolo cellulare. Lei lo prese e lo gettò a Nick. «Dov'è Ray Howard, Padre? Dobbiamo portarlo con noi al distretto per interrogarlo.» «Sta facendo le pulizie in chiesa. Vado a dirglielo.» Non appena furono soli Nick prese Maggie per un braccio. «Ma insomma, si può sapere che cosa succede? Perché tutto a un tratto ti sei convinta di dover interrogare Howard, e come mai hai fatto il numero del suo cellulare? Come lo sapevi, tra l'altro?»
«Non ho fatto il numero di Howard, Nick, ho fatto il mio. Questo è il cellulare che ho perso l'altra notte nel fiume.» 65 Christine cercò di mettersi più comoda sulla sedia, infastidendo la truccatrice. «Andiamo in onda tra dieci minuti» disse un uomo calvo con le cuffie. Poi si chinò verso di lei per assicurarle un piccolo microfono al bavero della giacca. Christine respirò profondamente. Si sentiva accecata dalle luci, soffocata dall'aria polverosa, ed era sicura che in pochi minuti tutto il trucco le si sarebbe sciolto per il caldo. Arrivò una donna, si sedette nella poltroncina di fronte alla sua e, ignorandola, cominciò a leggere dei fogli. Allontanò con un colpo la mano dell'uomo calvo e si appuntò il microfono da sola. Poi gettò a terra i fogli e disse: «Spero che abbiate preparato un gobbo, perché non ho intenzione di usare questa roba!». Un'inserviente si inginocchiò a raccogliere la pagine dattiloscritte, mentre l'uomo la rassicurava paziente: «Il gobbo è pronto, stai tranquilla». «Voglio un bicchiere d'acqua» disse ancora la donna sbuffando. «Perché non c'è una bottiglia sul tavolino qui accanto?» L'inserviente le porse un bicchiere di plastica, ma la donna lo allontanò con malagrazia. «Non questo, ho bisogno di un bicchiere di vetro. Cristo santo, quante volte lo devo ripetere?» D'improvviso Christine si rese conto che la donna era Darcy McManus. Forse non era abituata alle trasmissioni del mattino, perché appariva di pessimo umore. Nella luce cruda, la sua pelle mostrava una ragnatela di piccole rughe e i capelli neri, di solito così lucenti, erano secchi e stopposi. Il rossetto vivace strideva con la pelle troppo bianca, priva del solito strato di fondotinta che la truccatrice stava applicando in quel momento. «Un minuto» gridò l'uomo calvo. McManus mandò via la truccatrice con un gesto nervoso, si controllò in uno specchio, si raddrizzò la giacca e la gonna troppo corta. E Christine si rese conto di averla fissata tutto il tempo come ipnotizzata. «Tre, due, uno...» «Buongiorno» disse McManus nella telecamera. La sua faccia si era trasformata e adesso inalberava un sorriso amichevole. «Oggi abbiamo con noi un'ospite speciale, Christine Hamilton, la giornalista dell'Ornata
journal che ha scritto gli articoli sul serial killer di Platte City. Benvenuta» continuò, accorgendosi finalmente di lei. «Buongiorno» rispose Christine, cercando di non pensare a quello che le aveva detto Ramsey poco prima, e cioè che la sua intervista sarebbe stata trasmessa da tutte le stazioni televisive dello stato. Quella era senza dubbio la ragione per cui in studio c'era Darcy McManus invece del solito conduttore del mattino. «Oggi però lei non è qui come giornalista ma come madre. Può dirci perché, Christine?» McManus era davvero brava, pensò. La guardava con un'espressione preoccupata che sembrava autentica, ma in realtà teneva d'occhio il gobbo, il cartellone elettronico che stava alle sue spalle e le suggeriva le battute. «Riteniamo che un pazzo pericoloso abbia rapito mio figlio Timmy ieri pomeriggio» disse Christine con un filo di voce. «Che cosa terribile...» McManus si chinò verso di lei e le batté un colpetto sulla mano. Christine resistette all'impulso di voltarsi per controllare se il gobbo le suggeriva anche i gesti. «E la polizia pensa che sia opera dello stesso uomo che ha brutalmente ucciso Danny Alverez e Matthew Tanner?» «Non lo sappiamo con certezza, ma c'è questa possibilità.» «Lei è divorziata e cresce suo figlio da sola, non è vero?» La domanda stupì Christine, che tuttavia rispose: «Sì, infatti». «Anche Laura Alverez e Michelle Tanner sono madri divorziate, non è così?» «Credo di sì.» «Pensa che scegliendo dei ragazzini che hanno solo la madre l'assassino voglia mandare un messaggio?» Christine esitò. «Non ne ho idea...» «Suo marito l'aiuta nell'educazione di Timmy?» «No, non molto» ammise Christine stringendosi le mani in grembo. «È vero che lei e Timmy non lo vedete da quando lui l'ha lasciata per un'altra donna?» «Non mi ha lasciata, abbiamo deciso di divorziare» ribatté Christine infastidita. Aveva i nervi scossi e cominciava a sentire la collera salirle alla testa. Doveva controllarsi, la sua rabbia non sarebbe certamente stata di aiuto. «È possibile che sia stato suo marito a rapire Timmy?» insisté la conduttrice.
Christine si fece forza. «Non credo» disse con tutta la calma che riuscì a inventarsi. «È piuttosto improbabile.» «La polizia si è messa in contatto con il suo ex-marito?» «È chiaro che ci metteremmo in contatto con lui se pensassimo che... Insomma» sbottò di colpo Christine, «non crede che preferei pensare che Timmy sia con suo padre invece che con uno psicopatico che fa a pezzi i ragazzini?» McManus stiracchiò un sorriso. «Lei è chiaramente turbata» commentò. «Forse dovremmo fare una pausa...» Le versò un bicchiere d'acqua e aggiunse: «Noi tutti capiamo quanto deve essere difficile per lei...» «No, lei non capisce un bel niente» ribatté Christine ignorando il bicchiere, la telecamera e quel maledetto studio televisivo. «Mi scusi?» «Non può capire. Prima non capivo nemmeno io. Volevo solo lo scoop, esattamente come lei.» McManus si guardò intorno alla ricerca del regista, irritata. «Lei è sotto pressione, Christine» disse fingendosi comprensiva. «E anche il fatto di essere qui deve essere uno stress... prendiamoci una pausa mentre va in onda la pubblicità, che ne dice?» E continuò a sorridere finché le luci non si abbassarono, poi aggredì l'uomo calvo ignorando Christine, come se lei fosse di nuovo invisibile. «Così non andiamo avanti» ringhiò. «Ho bisogno di qualcosa su cui lavorare!» «Ho tempo di andare alla toilette?» domandò Christine. L'uomo calvo annuì e lei si staccò il microfono posandolo sul tavolino accanto al bicchiere che non era stato toccato. «Non ci metta molto» fece McManus acida. «Qui non è come al suo giornale, dove possono fermare le presse. Qui siamo in diretta.» Poi prese il bicchiere e bevve a piccoli sorsi per non rovinarsi il rossetto. Christine si allontanò dallo studio e dalla selva di cavi e luci, e non appena fu in corridoio le parve di ricominciare a respirare. Proseguì oltre i camerini, oltre il bagno, aprì la porta di metallo con la scritta USCITA. E finalmente si sentì libera. 66
«Sono in arresto?» domandò Ray Howard. La sua faccia biancastra faceva apparire gli occhi ancora più sporgenti. Maggie si massaggiò la nuca per allentare la tensione dei muscoli. Nella stanza c'era un odore forte di caffè e dalle veneziane polverose faceva capolino la luce aranciata del tramonto. Lei e Nick erano in quella stanza da ore, avevano ripetuto decine di volte le stesse domande e avevano avuto sempre le stesse risposte. Maggie non credeva che Howard fosse colpevole, ma sperava che crollasse e rivelasse qualcosa di utile. Nick, invece, era ancora convinto che il sagrestano fosse il loro uomo. «No, lei non è in arresto» ammise alla fine. «E allora non potete tenermi qui più di un certo numero di ore.» «E come lo sa?» «Guardo sempre i gialli alla TV, cosa crede? E poi ho un amico poliziotto.» «Ah, ha un amico?» «Nick» intervenne Maggie. Lui le diede un'occhiataccia e si rimboccò le maniche della camicia. «Ray, vuole un caffè?» domandò lei gentilmente. L'uomo esitò, poi fece segno di sì. «Due cucchiaini di zucchero, per favore. E panna, se l'avete.» «Le andrebbe qualcosa da mangiare?» continuò lei. «Le abbiamo fatto saltare il pranzo ed è quasi ora di cena. Nick, forse potresti ordinare qualcosa da Wanda per tutti e tre.» Lui le lanciò un'altra occhiataccia, ma Howard si raddrizzò sulla sedia, rassicurato. «Mi piacciono molto le cotolette di pollo che fanno da Wanda» disse. «Bene. Nick, puoi ordinare una cotoletta di pollo per il signor Howard?» «Con puré di patate e salsa scura. E condimento all'italiana per l'insalata, ma messo da parte.» «Nient'altro?» fece Nick sarcastico. «No, nient'altro.» «E per te?» domandò lui. «Un panino al formaggio e prosciutto. Lo sai come mi piace.» I tratti di Nick si distesero immediatamente e il suo sguardo si addolcì. «Sì, certo. Torno subito.» Maggie mise una tazza di caffè fumante di fronte a Howard, poi aspettò che lui si rilassasse. L'uomo assaggiò il caffè bollente con la lingua e a lei ricordò una lucertola.
Maggie lo osservò sorseggiare la bevanda, poi chinare la testa e ascoltare i rumori che si sentivano oltre la parete. Passi affrettati, squilli di telefono, qualche voce un po' più forte delle altre di tanto in tanto. Quando fu certa che avesse dimenticato la sua presenza, Maggie andò alle sue spalle e disse: «Lei sa dov'è Timmy Hamilton, vero, Ray?». Lui smise di bere e si irrigidì. «Non so niente. E non so neanche come ha fatto quel cellulare ad arrivare nel mio cassetto. Non l'ho mai visto in vita mia.» Lei girò attorno al tavolo e venne a sedersi davanti a lui. Howard abbassò gli occhi da lucertola fissandoli per un attimo sui suoi seni. Distolse lo sguardo, ma un cupo rossore salì sulla sua faccia olivastra. «Lo sceriffo Morrelli pensa che lei abbia ucciso Danny Alverez e Matthew Tanner.» «Io non ho ucciso nessuno.» «E io le credo, Ray.» Lui la guardò perplesso. «Davvero?» «Sì. Però credo che sappia molto più di quanto vuole dirci. E credo che sappia dov'è Timmy.» Lui non protestò, ma si guardò affannosamente intorno, come un animale in cerca di una via di fuga. Maggie notò le mani strette intorno alla tazza: dita corte e tozze, e unghie rosicchiate fino a sanguinare. Non sembravano affatto le mani di un uomo ossessionato dalla pulizia. «Se ci dice quello che sa ne terremo conto, Ray. Ma se non ci dice niente e scopriamo che sapeva tutto, potrebbe finire molto male. Potrebbero anche sbatterla in prigione per parecchio tempo.» Lui chinò di nuovo la testa in ascolto, forse sperando che qualcuno arrivasse a salvarlo. «Dov'è Timmy, Ray?» Howard si portò una mano alla bocca e cominciò a rosicchiare quel che restava delle unghie. «Allora?» «Non so niente» disse in fretta. «E se ogni tanto guido il furgoncino per andare a far legna non vuol dire niente.» Maggie si ravviò i capelli, esausta. Che avessero davvero perso un pomeriggio intero dietro una falsa pista? Certo, Padre Keller poteva benissimo avere nascosto il cellulare nel cassetto di Howard, ma lei era sicura che al rettorato non succedeva nulla che Howard non venisse a sapere. «Dove va a far legna?» domandò.
Lui smise di mangiarsi le unghie e la guardò, diffidente. «Ho visto il caminetto al rettorato e immagino che ci voglia parecchia legna» spiegò lei. «Specialmente se comincia a far freddo in ottobre come quest'anno.» «Sì, ce ne vuole parecchia, e a Padre Francis piace... Dio accolga la sua anima... a lui piaceva che in soggiorno ci fosse sempre molto caldo.» «E allora lei dove va a raccoglierla?» «Giù vicino al fiume. La chiesa possiede ancora un pezzo di terra lì, dove c'era la vecchia St. Margaret. Era una chiesetta così bella, ma adesso cade a pezzi... Ci trovo un sacco di olmi e noccioli, qualche quercia, e moltissimi aceri. Il legno di nocciolo è quello che brucia meglio...» L'uomo si interruppe e guardò fuori della finestra. Maggie seguì il suo sguardo. Il sole stava tramontando, rosso sangue contro la neve bianca. Era chiaro che il discorso sulla legna e sui boschi aveva colpito il sagrestano, ma né le minacce della prigione né il pollo di Wanda sarebbero riusciti a smuoverlo, si convinse Maggie. Avrebbero dovuto rilasciarlo. 67 Nick riappese la cornetta e si sfregò gli occhi. Maggie doveva aver capito che aveva voglia di prendere a pugni qualcuno, magari anche Howard, e per questo lo aveva allontanato. Ma come faceva a restare così calma? Lui pensava a Timmy e gli sembrava che qualcuno gli avesse messo una bomba a orologeria al posto del cuore. E l'ordigno batteva e batteva, ricordandogli che il tempo passava inesorabile. Aaroon Harper ed Eric Paltrow erano stati uccisi a due settimane di distanza l'uno dall'altro. Matthew Tanner era stato rapito poco dopo Danny Alverez. E adesso, Timmy... Qualcosa era scattato nella mente dell'assassino e gli aveva fatto perdere il controllo. Ma se non lo prendevano nemmeno questa volta, che cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasto tranquillo per altri sei anni prima di colpire di nuovo? E se non era Howard o Keller, chi diavolo era? Nick prese il foglio che aveva trovato sul furgoncino, una specie di lista della spesa con un elenco di nomi e numeri. Coperta di lana, kerosene, fiammiferi, arance, tavolette di cioccolata, lattine di spaghetti, veleno per topi. Forse era solo un promemoria di roba da comperare per il campeggio. Però qualcosa gli diceva che c'era dell'altro.
In quel momento Hal bussò alla porta ed entrò. Le ampie spalle erano incurvate per la stanchezza, i capelli erano appiattiti dopo tante ore con il berretto dell'uniforme, e la cravatta era macchiata di caffè e allentata. «Sì, Hal, che c'è?» L'altro si lasciò cadere sulla sedia di fronte alla scrivania. «La fiala che hai trovato nel furgoncino conteneva dell'etere.» «E da dove accidenti veniva?» «Probabilmente dall'ospedale. Ho chiesto al direttore e lui mi ha detto che hanno delle fiale dello stesso tipo all'obitorio. Lo adoperano come solvente, ma può tramortire una persona. Basta inalarlo un paio di volte.» «E chi ha accesso all'obitorio?» «Praticamente tutti. Non chiudono mai la porta a chiave.» «Stai scherzando!» «Ma pensaci un momento, Nick. È un locale che non viene quasi mai usato. Chi vuoi che ci vada se non è strettamente necessario?» «Ma quando è in corso un'indagine l'ingresso dovrebbe essere permesso solo al personale autorizzato!» esclamò lui incollerito. Hal non rispose, e dopo un po' Nick domandò: «Siete almeno riusciti a identificare delle impronte sulla fiala?». «Solo le tue. E la scatola di fiammiferi non è di un locale notturno, è di una tavola calda nel centro di Omaha, vicino al distretto di polizia. Eddie dice che serve i migliori hamburger della città.» «Eddie Gillick?» «Sì. Prima di trasferirsi qui lavorava con la polizia di Omaha. Credevo che lo sapessi... saranno sei o sette anni fa.» «Non so se mi fido di quell'uomo» sbottò Nick, pentendosene subito. «Perché mai non dovresti fidarti di lui?» «Non lo so, una sensazione... lasciamo perdere.» Hal scosse la testa e si alzò per andarsene, ma poi si fermò come se ci avesse ripensato. «Senti, Nick, non vorrei che te ne avessi a male, ma in questo distretto ci sono un sacco di persone che la pensano allo stesso modo su di te.» «E cioè?» esclamò Nick. «Devi ammettere che la sola ragione per cui hai avuto questo incarico è che sei figlio di tuo padre. Io ti sono amico, e sono con te fino in fondo. Ma devo dirtelo, certi pensano che tu non abbia autorità e lasci decidere tutto all'agente O'Dell.» «Guarda che lo avevo capito» fece lui accusando il colpo. «Anche per-
ché pare che mio padre stia conducendo un'indagine per conto suo.» «Già... sapevi che ha messo Eddie e Lloyd sulle tracce di Mark Rydell?» «Rydell? Ma perché diavolo...» «Credo fosse un amico o il compagno di Jeffreys.» «Gesù, ma possibile che non lo abbiate capito? Jeffreys non ha ucciso tutti e tre i...» Poi si interruppe di colpo vedendo Christine sulla soglia. «Rilassati, Nick. Non sono qui come giornalista.» Nick la guardò. Aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi, le guance rigate di lacrime e il trucco sciolto. «Devo fare qualcosa» disse. «Lascia che ti dia una mano.» «Vieni a sederti» disse lui resistendo all'impulso di sorreggerla come un'invalida. Non poteva vederla così. Era la sua sorella maggiore, la roccia, quella che non cedeva mai. Anche quando Bruce se n'era andato, lei si era rimboccata le maniche e aveva tirato avanti. Ma adesso, così spaventosamente calma, gli ricordava Laura Alverez. «Corby mi ha dato una licenza temporanea» spiegò lei sfilandosi il cappotto e gettandolo su una sedia. «Naturalmente a patto che l'Omaha Journal abbia l'esclusiva di tutto quel che succede.» Poi si avvicinò alla scrivania. «Siete riusciti a rintracciare Bruce?» domandò senza guardare Nick. «No, ma forse verrà a sapere di Timmy dai giornali o dalla TV e si farà vivo.» Lei fece una smorfia. «Io ho bisogno di fare qualcosa, Nick. Non posso starmene seduta a casa ad aspettare. Che ci fai con quella roba?» domandò indicando il foglietto che Nick teneva in mano. «Sai che cos'è?» «Sì, è il ruolino di consegna che viene dato ai fattorini ogni giorno. Vedi, c'è indicato il numero di codice del fattorino, i numeri civici delle strade, quanti giornali devono essere consegnati, quali inserti...» «E tu riesci a capire di che giorno è e a che fattorino apparteneva?» disse Nick balzando dalla sedia e venendo accanto a lei. «Questo è di domenica 19 ottobre. Il codice personale è ALV0436, e dagli indirizzi direi che...» Sgranò gli occhi e li alzò su Nick. «È il ruolino di Danny Alverez, della domenica in cui è scomparso!» 68 Timmy cercava disperatamente di non cedere alla paura, ma la prospet-
tiva di un'altra lunga notte al buio lo terrorizzava. Aveva provato tutta la giornata a trovare una via di fuga, o almeno un modo di chiedere aiuto. Non era facile come lo facevano apparire nei film, ma lo sforzo lo aiutava a non farsi prendere dal panico. Lo sconosciuto gli aveva portato dei fumetti di Flash Gordon e Superman. Timmy li aveva sfogliati da cima a fondo in cerca di qualche ispirazione, ma le loro eroiche imprese si erano rivelate del tutto inutili. Non era un super eroe, lui. Era solo un ragazzino di dieci anni, piccolo e magro... Eppure sul campo di calcio aveva imparato a sfruttare la sua bassa statura, per sgusciare tra gli altri giocatori. Forse non gli ci voleva la forza, solo un po' di astuzia. Ma era difficile pensare con il buio che a poco a poco inghiottiva gli angoli della stanza. Nella lampada c'era pochissimo kerosene, quindi era meglio rimandare il più possibile il momento di accenderla. Osservò la stufa, pensando che forse poteva prendere un po' del kerosene per usarlo nella lampada. Poi sentì le folate di vento che facevano tremare le assi inchiodate sulla finestra e si disse che senza stufa si sarebbe congelato. Per quanto odiasse il buio, aveva bisogno del calore più che della luce. Allora ricreò mentalmente le scene preferite di Guerre Stellari, ripetendosi i dialoghi a voce alta. Poi prese l'accendino e si convinse che con quello poteva controllare il buio. Ogni tanto lo accendeva e lo spegneva, e i brevi lampi di luce lo confortavano. Ma il buio non era il solo nemico. Anche il silenzio faceva paura. Per tutto il giorno aveva teso l'orecchio cercando di sentire delle voci, o l'abbaiare di un cane, o magari le campane di una chiesa o la sirena di un'ambulanza. Ma aveva sentito solo il fischio di un treno molto lontano, e un jet che passava sulla sua testa. Aveva anche provato a gridare finché non gli faceva male la gola, ma il vento era stato l'unica risposta. Doveva essere molto lontano da qualsiasi centro abitato, e quindi era impossibile sperare in un aiuto. Qualcosa si mosse sul pavimento con un clic-clic di minuscole unghie sul legno, e il cuore di Timmy cominciò a battere forte. Premette l'accendino, ma la fiammella era troppo debole. Allora si sporse senza scendere dal letto e accese la lanterna. La luce invase la stanza, ma invece di sentirsi confortato Timmy provò terrore e si accoccolò sotto le coperte tirandosele fino al mento. E per la prima volta da quando suo padre se n'era andato, si mise a piangere.
69 L'agente O'Dell era davvero in gamba, anche se era solo una donna. Un avversario degno di nota. Ma quanto sapeva realmente e quanto invece giocava a indovinare? Be', a lui piaceva giocare. Lo distraeva dal pulsare doloroso alle tempie. Nessuno fece particolarmente caso a lui mentre camminava lungo il corridoio. La sua presenza qui era accettata facilmente, come nel resto della comunità. Nessuno vedeva la maschera che portava tutti i giorni, e che non poteva sfilare come faceva con quella di gomma. Si avviò per le scale che odoravano di disinfettante. L'odore gli ricordava sua madre, china sulle ginocchia a strofinare il pavimento di cucina finché le sue belle mani delicate non diventavano rosse e screpolate. Quante volte l'aveva osservata senza che lei lo sapesse, mentre puliva freneticamente, singhiozzando, nei rari momenti in cui il suo patrigno dormiva? Era come se quel rituale di purificazione aiutasse sua madre a sopportare meglio l'orrore della sua vita. E adesso, tanti anni dopo, lui era nella stessa situazione, e cercava di strofinare via dalla mente le immagini del passato attraverso un suo rituale... Ma quante altre morti sarebbero state necessarie per cancellare il ricordo del bambino debole e impotente di allora? La porta si chiuse alle sue spalle, e lui osservò l'ambiente che conosceva bene e che gli dava uno strano conforto. A parte il ronzare di un ventilatore, tutto era silenzio. L'atmosfera giusta per una tomba temporanea. Infilò i guanti da chirurgo, cercando di indovinare quale cassetto aprire. Il numero uno, due, o magari cinque? Scelse il numero tre e tirò, facendo una smorfia per il cigolio delle rotelle. Aveva visto giusto. Il sacco di plastica nero sembrava piccolissimo sulla lettiga di metallo. Lui l'aprì quasi con reverenza, ripiegando i lembi a lato del corpicino livido. Sembrava una carta geografica, segnata dai tagli precisi del medico legale e dalle sue pugnalate, ma ormai Matthew non c'era più, era andato in un posto migliore dove aveva smesso di soffrire, libero da umiliazioni, solitudine e abbandono. Lui aveva fatto in modo che avesse un riposo tranquillo, da eterno bambino innocente. Doveva soltanto eliminare l'unica prova che poteva incriminarlo. Era stato scioccamente imprudente, e forse era già troppo tardi... ma in quel caso, si disse, sarebbe già stato al distretto ad ascoltare Maggie O'Dell che gli leggeva i suoi diritti.
Impugnò il coltello da macellaio e fece scorrere la lampo del sacco fino in fondo, esponendo le gambe di Matthew. Eccole lì sulla coscia, le impronte rosse dei morsi, i segni della rabbia demoniaca che si era impadronita di lui. Un'onda di vergogna gli salì alla gola. In quel momento, in corridoio si sentirono dei passi attutati dalle suole di gomma, ma sempre più vicini. Lui si immobilizzò, stringendo il coltello. I passi si fermarono davanti alla porta. Come avrebbe spiegato la sua presenza lì? pensò trattenendo il respiro. Sarebbe stato quasi impossibile giustificarsi. Proprio quando temeva che i suoi polmoni sarebbero esplosi per lo sforzo, i passi si allontanarono. Lui aspettò ancora un poco, sentì una porta chiudersi e inalò una profonda boccata d'aria intrisa di ammoniaca. Stava diventando imprudente, pensò di nuovo. Ed era sempre più difficile cancellare le sue tracce, o soffocare gli impulsi demoniaci che gli facevano perdere di vista l'obiettivo della sua missione. Ma presto sarebbe finito tutto, si disse. Presto lo sceriffo Morrelli avrebbe avuto il suo colpevole. Ci aveva pensato lui, mettendo prove e indizi nei posti giusti. Era stato facile come nel caso di Ronald Jeff reys, quando era bastato nascondere un po' di oggetti nel bagagliaio della sua macchina e poi fare una telefonata anonima allo sceriffo Antonio Morrelli. Anche allora, però, aveva commesso l'imprudenza di aggiungere le mutandine di Eric Paltrow e non quelle di Aaron alle prove incriminanti, perché di solito le prendeva con sé come ricordo, ma con Eric se n'era dimenticato e quindi il corpo era finito all'obitorio con la biancheria indosso. Questa volta non avrebbe corso rischi inutili. E presto avrebbe messo a tacere il dolore alle tempie, forse per sempre. E il povero Timmy sarebbe stato salvato. Tutti quei lividi, povera creatura, chissà che cosa doveva patire per mano di quelli che fingevano di amarlo! Lui, invece, gli voleva bene sul serio. A lui come agli altri che aveva scelto con cura per liberarli dal male. 70 Christine premette il pulsante della fotocopiatrice e la faccetta sorridente di Timmy scivolò sul ripiano. La foto, con il colletto un po' storto e i capelli arruffati, era stata scatatta a scuola l'anno prima ed era una di quelle che lei preferiva. Timmy però era cambiato moltissimo in quei pochi ultimi mesi e lei si domandava se qualcuno lo avrebbe riconosciuto.
Premette un altro bottone e le copie scivolarono numerose una sull'altra. Alle sue spalle sentiva voci, passi, rumori, suoni. Il distretto era in piena attività e lei aveva la sensazione che il compito di fare le fotocopie le fosse stato affidato solo per toglierla di mezzo. Ma Nick sosteneva che maggiore era il numero di foto che distribuivano in giro, più aumentavano le possibilità che qualcuno ricordasse qualcosa. Stava trattando il caso con molto impegno e molta sicurezza, e non soltanto perché Timmy era suo nipote. Dal caso di Danny Alverez tutti loro avevano imparato la lezione, e nel modo più difficile. Christine avvertì la presenza di un uomo dietro di sé. Si girò di scatto, ma Eddie Gillick l'aveva già scaraventata in un angolo, premendosi contro di lei. Sul labbro superiore aveva delle goccioline di sudore e la sua pelle emanava un profumo di dopobarba nauseante. «Scusa, Christine, devo fare un paio di copie di queste foto» disse mostrandogliele. Poi, visto che lei non guardava, gliele mise sotto il naso, lucide, colorate, terribili: una gola squarciata, i tagli rosso vivo, la faccina pallida di Matthew con gli occhi sbarrati che la fissavano. Christine scostò Eddie con violenza e scappò via, ferendosi una mano sul bordo della fotocopiatrice. Quando fu in corridoio, si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi. Era solo la sua immaginazione, o tutti si muovevano al rallentatore? Anche le voci erano basse, si fondevano insieme in un ronzio monotono, e sopra ogni cosa risuonava uno squillo acuto, insistente, che trapanava le orecchie. Possibile che nessuno lo sentisse? «Christine» disse una voce. Lei si addossò alla parete mentre il corridoio cominciava a girare. «Christine, tutto bene?» La faccia di Lucy Burton le apparve davanti agli occhi, le labbra dipinte di rosa fucsia si mossero, ma lei non sentì alcun suono. Dov'era il telecomando? pensò. Doveva aumentare il volume di Lucy, altrimenti non poteva sentirla... Due mani le si materializzarono di fronte, ma lei le allontanò. Aveva bisogno di un po' d'acqua, e il distributore era lì, alla sua sinistra, però sembrava miglia lontano. «Non ti sento, Lucy» gridò. Ma capì che le parole non uscivano, restavano imprigionante nella sua mente. Poi il corpo cominciò a scivolare lungo la parete senza che lei potesse fare niente. Vide delle scarpe, dei mocassini, un paio di stivali. Qualcuno spense la luce.
71 Nick uscì dal suo ufficio e vide un gruppetto radunato intorno al distributore dell'acqua, poi il corpo di Christine a terra. Lucy le faceva vento con una cartellina, Hal cercava di raddrizzarla. Tony Morrelli guardava la scena con aria irritata, e Nick capì che disapprovava quella prova di debolezza di fronte ad altri. «Che è successo?» domandò a Eddie Gillick che stava accanto alla fotocopiatrice. «Non lo so. Non ci ho badato» fece l'altro continuando il suo lavoro. Nick guardò il ripiano su cui le foto del corpo martoriato di Matthew Tanner si sovrapponevano al sorriso di Timmy. Forse chiedere a Christine di fare copie della faccia del figlio scomparso non era stata una buona idea. «Sono le foto dell'autopsia?» domandò a Eddie. «Sì. Le ho appena ritirate all'obitorio e ho immaginato che ti servissero.» «Lascia gli originali sulla mia scrivania quando hai finito.» Adesso sembrava che Christine si fosse ripresa. Adam Preston le porse un bicchiere d'acqua e lei lo mandò giù in un sorso, poi Tony disse a voce alta: «Okay, gente, lo spettacolo è finito. Tornate al lavoro». Tutti eseguirono l'ordine senza fiatare, e Tony chiamò il figlio con un cenno. Nick si irrigidì e rimase dov'era, in un ultimo tentativo di salvaguardare la sua dignità. Tony firmò un foglio che Lloyd gli porgeva e poi si avvicinò. «Abbiamo trovato Rydell e lo stiamo portando qui per interrogarlo» disse. «Non hai l'autorità per farlo» replicò Nick obbligandosi a rimanere calmo. «Come hai detto?» fece suo padre inarcando le sopracciglia. In realtà aveva sentito benissimo. Farsi ripetere le cose era uno dei suoi metodi di intimidazione, e in passato aveva sempre funzionato. «Non hai più l'autorità per interrogare nessuno» ripeté Nick scandendo le parole. «Sto solo cercando di aiutarti, figliolo. Di evitarti la figura dell'idiota davanti a tutta la città!» «In questa storia Mark Rydell non c'entra niente.» «Certo, come no. Tu preferisci un sagrestano mezzo scemo.» «Io ho delle prove che incriminano Ray Howard. Tu su Rydell che cos'hai?» Nella stanza era caduto il silenzio e tutti li stavano ad ascoltare fingendo
di occuparsi d'altro. «Rydell è una checca dichiarata. Ha una fedina penale lunga un chilometro per aggressione ad altre checche, ed è stato l'amante di Jeffreys per un po'. Non ho mai creduto che non fosse coinvolto negli omicidi di Jeffreys, e scommetto che adesso è lui il colpevole. Solo che tu non lo capisci perché non vedi al di là del bel culetto dell'agente O'Dell.» Nick arrossì di rabbia e suo padre lo piantò in asso come faceva sempre, liquidandolo con il disprezzo abituale. Lui guardò le facce degli agenti che lavoravano a occhi bassi, poi vide Maggie sulla soglia e capì che aveva sentito tutto. «Questo non è un assassino che ne imita un altro» disse Nick alla schiena di suo padre. Tony prese le foto dell'autopsia dalle mani di Eddie. «Di che diavolo stai parlando?» «Jeffreys aveva ucciso solo Bobby Wilson» continuò Nick. «Non gli altri due. Ma questo tu lo sapevi già.» E aspettò che l'accusa facesse breccia nel cervello di suo padre. Finalmente Tony si girò a guardarlo, con il solito cipiglio che in altri tempi aveva ridotto Nick a un ragazzino tremebondo. Ma questa volta lui era pronto. «Che Cristo vuoi dire?» gridò Tony. «Ho letto i rapporti sull'arresto di Jeffreys e ho visto i referri delle autopsie. È chiaro come il sole che Jeffreys non poteva aver commesso i tre delitti, e lui stesso te l'ha detto più volte.» «E tu dai più credito a un assassino checca che a tuo padre?» «Il tuo stesso rapporto provava che Jeffreys non aveva ucciso gli altri due ragazzini» ribatté Nick sostenendo lo sguardo di suo padre. «Solo che non hai voluto vedere la verità. Volevi essere un eroe, così hai lasciato libero un assassino. E adesso, a pagare per i tuoi errori e il tuo maledetto orgoglio è tuo nipote!» Il pugno colse Nick di sorpresa e lo mandò a sbattere contro la fotocopiatrice. Lui si raddrizzò scuotendo la testa, ma era ancora confuso quando il secondo pugno lo prese alla mascella. Dopo un attimo alzò gli occhi e vide suo padre nella stessa posizione di prima, con le foto in mano e un'espressione stupefatta. E capì che a colpirlo non era stato lui solo quando vide Hal che tratteneva Eddie Gillick con entrambe le braccia. 72
Maggie non fu sorpresa che Nick non tornasse nella stanza dove stavano interrogando Howard. Adam Preston portò la cena ordinata da Wanda e lei disse al sagrestano che dopo aver mangiato poteva andarsene. Lui la guardò sospettoso, ma quando Adam gli mise di fronte il piatto fumante lo attaccò con gusto. Poi l'agente mise sul tavolo il resto delle ordinazioni. Maggie, presa da altri pensieri, si allontanò. «Agente O'Dell» la chiamò Preston. «Questo è per lei.» «Non ho fame» rispose Maggie. Ma quando si voltò vide che l'agente non le porgeva il sandwich, bensì una piccola busta bianca. «Dove l'ha trovata?» domandò fissandola. «Insieme al sandwich. C'era scritto il suo nome.» Lei rimase immobile. «Vuole che gliela apra?» domandò ancora Preston con espressione preoccupata. «No, no, faccio io.» Maggie prese la busta per un angolo e l'aprì. Il messaggio questa volta era breve, una sola riga: SO TUTTO DI ALBERT STUCKY. Lei si sforzò di non crollare. «Nick è ancora in ufficio?» chiese. «Non l'ha più visto nessuno da quando...» «Da quando Eddie lo ha steso» sogghignò Howard. «In gamba, il mio socio.» Poi si cacciò in bocca una forchettata di puré. «Cosa vuol dire, il mio socio?» scattò Maggie. Poi capì di essere stata troppo brusca, perché l'altro si rimise subito sulla difensiva. «Niente. È un mio amico.» «L'agente Gillick?» esclamò lei. «Sì, perché? Non è un delitto, che io sappia. Facciamo delle cose insieme, ogni tanto.» «Che tipo di cose?» Howard smise di masticare e la guardò con aria di sfida. «Delle volte viene al rettorato e gioca a carte con me e Padre Keller. Altre volte ce ne andiamo a mangiare un hamburger.» «Lei e l'agente Gillick?» ripeté Maggie incredula. Howard posò la forchetta nel piatto. «Ho quasi finito» disse. «Dopo posso andare, no?» Lei lo guardò. Ne era certa, quegli occhi da rettile nascondevano qualcosa. Howard sapeva molto più di quanto aveva detto. Non era l'assassino, di
questo Maggie era convinta. Anche se aveva avuto la sventura di avere il suo cellulare nel cassetto, non era il colpevole. Zoppicava troppo per arrampicarsi sul pendio sopra il fiume, o peggio ancora per trasportare un corpo inanimato di trenta chili. E nonostante la lingua pronta, non era abbastanza intelligente da architettare quella serie di delitti. «Sì, può andare» gli rispose infine senza smettere di fissarlo. Voleva che vedesse il sospetto nel suo sguardo, che sudasse un po', che magari si lasciasse sfuggire qualcosa. Ma lui la ignorò e ricominciò a cacciarsi in bocca grandi forchettate di cibo, aiutandosi con il coltello. Maggie fece un cenno a Preston e lui la seguì in corridoio. Era troppo giovane per essere uno dei fedeli di Tony Morrelli, ma sembrava ansioso di non rendersi sgradevole agli altri, di far parte del gruppo. Aveva però un grande rispetto per l'autorità, che fortunatamente si estendeva anche a lei. «Adam» gli chiese con le mani sui fianchi, «lei è cresciuto a Platte City, vero?» Il giovane agente annuì, un po' stupito. «Che cosa mi può dire della vecchia chiesa?» «L'abbiamo controllata, se è questo che intende. Lloyd e io ci siamo andati prima che nevicasse, e poi di nuovo dopo. Finestre e porte sono inchiodate, e si vedeva che non c'era entrato nessuno da anni. Non c'erano impronte né tracce di pneumatici.» «È vicina al fiume?» «Sì, in fondo a Old Church Road. Ed è registrata come edificio storico, per questo nessuno l'ha mai buttata giù.» «Come fa a saperlo?» fece lei fingendosi interessata. In realtà voleva solo conoscere l'ubicazione esatta della chiesa, perché se Howard ci andava a raccogliere legna poteva darsi che avesse visto qualcosa. «Mio padre ha della terra lì vicino e voleva comperare il lotto e buttare giù la vecchia chiesa. Sa, in quella zona il terreno è molto ricco, ideale per le coltivazioni. Ma Padre Keller gli ha detto che non poteva buttare giù niente perché la chiesa era un edificio storico. Nel milleottocentosessanta veniva usata come nascondiglio per gli schiavi in fuga. C'era un tunnel che la collegava al cimitero...» Maggie lo guardò, questa volta davvero interessata, e il giovane agente continuò: «Di notte usavano il tunnel per far fuggire gli schiavi fino al fiume, dove una barca li aspettava per portarli a un altro nascondiglio. Ma adesso pare che il tunnel sia crollato, perché era troppo vicino all'acqua.
Non si adopera nemmeno più il cimitero. Qualche anno fa, quando c'è stata una piena, abbiamo addirittura visto delle bare andarsene con la corrente. Uno spettacolo da brivido, le assicuro». Maggie immaginò il cimitero abbandonato e il tunnel che lo collegava alla chiesa in rovina. Per un omicida ossessionato dalla salvezza delle sue vittime, quello sembrava davvero il posto ideale. 73 Prima di fare la sua spedizione, Maggie decise di lasciare un biglietto a Nick, anche se non sapeva bene che cosa scrivergli. Caro Nick, sono andata a cercare l'assassino in un cimitero... Un po' strano, forse, ma comunque molto più di quel che aveva lasciato detto quando era andata a cercare il nascondiglio di Albert Stucky. Certo non poteva immaginare che lui le avesse teso una trappola e la stesse aspettando. Che questo killer volesse fare altrettanto? «Credo che Nick sia andato via» disse Lucy vedendo Maggie con la mano sulla maniglia dell'ufficio. «Lo so, voglio solo lasciargli un messaggio.» Lucy però non sembrava soddisfatta, e solo quando capì che lei non le avrebbe dato ulteriori spiegazioni aggiunse: «Ah, hanno chiamato dall'arcidiocesi». «Che hanno detto?» Quella mattina Maggie aveva parlato con un certo Padre Jonathan e aveva saputo che secondo le autorità ecclesiastiche la morte di Padre Francis non era altro che un disgraziato incidente. Lucy, per una volta, volle mostrarsi zelante. «Vediamo... ecco qua. Un certo Padre Jonathan ha detto che Padre Francis non aveva parenti e che perciò i funerali saranno organizzati dalla chiesa.» «E non ha detto niente di una possibie autopsia?» Lucy la guardò risentita. «Ho preso il messaggio io stessa, e non c'era altro.» «Grazie.» «Può dare a me il messaggio per Nick, se vuole.» «Grazie, non importa. Glielo lascio sulla scrivania.» Maggie entrò senza accendere la luce, lasciandosi guidare dal chiarore dei lampioni in strada. Urtò una sedia con la gamba e si chinò a massaggiarla: e così facendo vide Nick seduto a terra in un angolo, con le ginocchia raccolte al petto e lo sguardo fisso nel vuoto.
Sarebbe stato semplice fingere di non averlo visto, lasciare il biglietto e andarsene via. Invece si avvicinò e si sedette accanto a lui sul pavimento, in silenzio. Notò il labbro spaccato e le macchie di sangue sul mento e sulla camicia, e allo stesso modo di Nick si mise a fissare il rettangolo di cielo scuro fuori della finestra. Lui continuava a tacere, immobile. «Sai, Morrelli, per essere un ex atleta ti batti come una signorina» fece lei per provocarlo, farlo arrabbiare, scuoterlo in qualche modo da quell'apatia. Ma Nick non reagì. Avrebbe dovuto alzarsi e continuare il suo lavoro, si disse Maggie. Non poteva farsi coinvolgere. Non poteva permettersi di tenere troppo a lui. Aveva già i suoi problemi. Ma, come se le avesse letto nel pensiero, mentre lei accennava ad alzarsi, Nick parlò: «Mio padre ha sbagliato a dire quelle cose su di te». «Cioè, non ho un bel culetto?» Finalmente lui sorrise. «E va bene, ha sbagliato a metà.» «Non ti preoccupare, ho sentito di peggio.» «Sai» continuò lui, «quando è cominciato tutto questo, mi interessava soltanto la figura che avrei fatto. Non volevo che la gente mi ritenesse un incompetente.» Maggie guardò il profilo di Nick scolpito dalla luce della luna. Adesso anche le sue pupille si erano adattate al buio e poteva vedere la bella faccia di lui, la mascella ben disegnata, le labbra piene. Ma non i suoi occhi dallo sguardo così intenso, quegli occhi che sembravano scavare nella sua anima, che la facevano sentire esposta e vulnerabile e viva. Non avrebbe dovuto sentirsi così vicina a un uomo che conosceva da pochi giorni, e quasi temeva che lui le rivelasse un segreto che li avrebbe avvicinati ancora di più; ma nello stesso tempo lo sperava. Così rimase in silenzio e aspettò. «La verità è che sono un incompetente» riprese Nick. «Non ho la minima idea di come si fa a condurre un'indagine. E forse, se lo avessi ammesso fin dall'inizio, Timmy non sarebbe scomparso.» La confessione la commosse, e Maggie capì che per lui era stato un sollievo poter dire quelle parole ad alta voce. «Hai fatto tutto quel che potevi, Nick» lo confortò. «Credimi, se ci fosse stato qualcosa che avevi dimenticato, o che avresti dovuto fare in un altro modo, te lo avrei detto. Non so se l'hai notato, ma di solito non esito a dire quello che penso.» Nick fece un piccolo sorriso, distese le gambe e appoggiò la schiena alla
parete. Poi diventò di nuovo serio. «Continuo a immaginare di trovarlo, sai. Lo vedo riverso nell'erba còme gli altri bambini, con quello sguardo vuoto... e mi sento così inutile!» Maggie sollevò la mano, l'avvicinò alla nuca di lui, poi si fermò. Avrebbe voluto accarezzarlo, consolarlo, prenderlo tra le braccia, invece si scostò un poco e si appoggiò a sua volta alla parete, chiudendo gli occhi. Che cosa aveva di speciale quell'uomo? Che cosa c'era in lui che la faceva sentire così? «Capisci, per tutta la vita ho fatto tutto quel che mio padre mi diceva di fare. Non tanto perché volessi compiacerlo, solo perché era più facile. Così ho accettato di diventare sceriffo, pensando che consistesse nel fare multe, salvare cani sperduti, magari sedare qualche rissa di tanto in tanto. Ma non pensavo a un delitto così spaventoso. Non sono preparato per questo.» «Non credo ci sia niente che ti prepara alla morte di un bambino» sussurrò lei. «Per quanti cadaveri tu possa aver visto.» «Non voglio che Timmy faccia la fine di Danny e di Matthew. Non voglio... Eppure non posso fare niente per impedirlo.» La voce di Nick tremò. «Niente!» Maggie allungò di nuovo la mano, esitò, e poi gli accarezzò le spalle e la schiena. Lui prese la mano tra le sue e se la portò alla guancia. «Sono felice che tu sia qui, Maggie» disse. «E credo proprio di...» Lei si irrigidì, preoccupata per la rivelazione che Nick era sul punto di farle. «Qualsiasi cosa accada non sarà colpa tua» lo interruppe cambiando discorso. «Stai facendo tutto il possibile. Devi solo allentare un po' la tensione.» «Però tu non lo fai» rispose lui guardandola negli occhi. «Perché hai quegli incubi? E per via di Stucky?» 74 «Come sai di Stucky?» esclamò Maggie. «L'altra notte a casa mia hai gridato il suo nome parecchie volte. Credevo che prima o poi me ne avresti parlato, ma non l'hai fatto e allora ho pensato che non erano affari miei... e in effetti forse è così.» «Ormai è una cosa di pubblico dominio. Albert Stucky è un serial killer che ho contribuito a catturare circa un mese fa. Lo avevamo soprannominato il Collezionista, perché rapiva due o tre donne per volta e le teneva
prigioniere in qualche edificio in rovina, o in un magazzino abbandonato. Quando si stancava di loro le uccideva tagliandole a pezzetti, fracassando il cranio e staccando a morsi dei brandelli di carne.» «Gesù, e io credevo che il maniaco che stiamo cercando fosse l'assassino peggiore del mondo...» «Albert Stucky è un mostro, ma molto intelligente. Lo abbiamo inseguito per due anni, ogni volta che credevamo di essere vicini lui si spostava in un altro stato. A un certo punto ha scoperto che io ero incaricata di tracciare il suo profilo, ed è stato allora che è cominciato il gioco.» La luce della luna adesso aveva inondato l'ufficio, e Maggie notò che il labbro di Nick aveva ripreso a sanguinare. Prese un fazzoletto dalla tasca e glielo porse: «Tieni. Stai sanguinando di nuovo». Lui si ripulì la bocca con la manica. «L'hai detto tu, mi batto come una signorina. Parlami del gioco.» «Stucky fece delle ricerche su di me e scoprì tutto della mia famiglia, della morte di mio padre, dell'alcolismo di mia madre. E circa un anno fa cominciò a mandarmi dei messaggi. Non che sia una cosa insolita, mi era già successo in altri casi, ma le lettere di Stucky erano particolari: metteva sempre nella busta un pezzetto delle sue vittime, un dito, un lembo di pelle con un tatuaggio, e una volta un capezzolo.» Nick scosse la testa ammutolito. «La sua era una specie di caccia al tesoro. Mi mandava degli indizi e se indovinavo mi ricompensava con un nuovo indizio più preciso. Ma se mi ero sbagliata mi puniva con un cadavere. E ogni volta che una delle sue vittime veniva ritrovata in un bidone della spazzatura, io mi sentivo più colpevole.» Maggie chiuse gli occhi per un attimo. Rivedeva le loro facce, tutte quante, con quello sguardo terrorizzato negli occhi sbarrati, e ricordava nomi e indirizzi e caratteristiche. Una litania di martiri. «A volte si prendeva una pausa, ma solo per trasferirsi da qualche altra parte. Poi, finalmente, lo rintracciammo a Miami. Dopo aver ricevuto qualche altro indizio, capii che si nascondeva in un magazzino abbandonato vicino al fiume, ma avevo il terrore di sbagliarmi. Non avrei più sopportato di avere un'altra vittima sulla coscienza. Così non dissi niente a nessuno e decisi di rischiare di persona. Per lo meno, se mi fossi sbagliata non sarebbe morto qualcun altro. Solo che avevo ragione, Stucky era davvero lì, e mi aveva teso una trappola.» Maggie si interruppe. Respirava a fatica, il suo cuore batteva forte. Per-
ché quella storia le faceva ancora un simile effetto, se era finita? «Mi legò a una colonna e mi costrinse a guardare mentre torturava e mutilava due donne. Anzi, le torture alla seconda furono una punizione perché avevo chiuso gli occhi mentre lui spaccava il cranio della prima. E mi disse che se non avessi guardato avrebbe continuato a ucciderne un'altra e poi un'altra...» Dio, quando avrebbe smesso di vedere quegli sguardi supplichevoli, di sentire quelle urla disumane? «Così guardai, e mi sentii impotente e inutile e disperata come mai in tutta la mia vita.» Fissò la luna e le stelle e sussurrò: «Ero così vicina che mi vennero addosso gli spruzzi del loro sangue, e pezzetti di cervello e schegge di ossa». «Ma alla fine lo avete preso?» «Oh, sì, ma solo perché un passante aveva sentito le grida e aveva chiamato la polizia. Non è stato certo per merito mio.» «Non hai nessuna colpa» disse lui. «Sì, lo so.» E lo sapeva davvero, ma questo non riusciva a consolarla. Si asciugò gli occhi, poi si alzò in fretta. «Oh, a proposito» aggiunse cercando di riprendersi. «Ho ricevuto un altro biglietto.» Prese la busta dalla tasca e la porse a Nick. Lui lesse il biglietto. «Dio santo, Maggie. Che cosa pensi voglia dire?» «Forse niente. Forse si sta solo divertendo un po'.» «E adesso che diavolo facciamo?» domandò ancora provando a rimettersi in piedi. «Un'idea ce l'avrei. Che ne dici di ispezionare un vecchio cimitero?» 75 Timmy osservò la fiammella della lanterna. Incredibile come riuscisse a illuminare tutta la stanza, e anche a riscaldarla un poco. Gli ricordava i campeggi con suo padre, che adesso sembravano lontanissimi. Suo padre non era un grande esperto, e gli ci voleva un'ora per montare la tenda. E anche come pescatore non valeva un granché, di solito prendevano solo dei pesciolini piccoli che all'inizio ributtavano in acqua e poi finivano col tenere quando erano troppo affamati per aspettare una preda più consistente. Una volta suo padre si era dimenticato sul fuoco il pentolino preferito della mamma, e quello si era quasi sciolto... Ma a Timmy quelle avventure fra uomini erano piaciute. Sapeva che i suoi genitori erano arrabbiati uno con l'altro, ma quello che
non capiva era perché il babbo fosse arrabbiato anche con lui. La mamma gli aveva detto che il papà gli voleva ancora molto bene, ma che non voleva far sapere dov'era perché non voleva dar loro dei soldi. Però questo non spiegava perché non volesse nemmeno più vederlo, pensò Timmy. Fissando la fiamma, cercò di ricordare la faccia di suo padre. La mamma aveva tolto di mezzo tutte le fotografie dicendo che le aveva bruciate, ma qualche settimana prima lui l'aveva sorpresa a guardarle. Era notte e lei credeva che Timmy dormisse. E invece lui l'aveva vista guardare le foto di loro tre insieme, bevendo vino e piangendo. Ma allora, aveva pensato, se sentiva tanto la sua mancanza, perché non gli diceva di tornare? A volte era davvero difficile capire gli adulti. Si sporse per scaldare le mani alla fiamma e la catena che aveva alla caviglia tintinnò. Di colpo Tìmmy ricordò il pentolino che si era sciolto sul fuoco. Gli anelli della catena non erano tanto spessi. Quanto calore ci voleva perché si piegassero e si aprissero? Bastava qualche millimetro... Con il cuore in gola, cercò di sollevare il cilindro di vetro che proteggeva la fiamma, ma si scottò le dita. Allora sfilò la federa dal cuscino, se la avvolse intorno alle mani e provò di nuovo. Il cilindro venne via facilmente, la fiamma tremolò un poco, poi si fermò. Allora lui posò la lanterna sul pavimento e mise un tratto di catena sul fuoco. Aspettò qualche secondo, poi tirò e si spellò le mani, ma non accadde niente. Gli anelli erano come prima. Forse ci voleva un po' più di tempo. Doveva avere pazienza e intanto pensare a qualcos'altro. Com'era la canzone che cantava la mamma in bagno? Ah, sì, era una di quelle della Sirenetta. «In fondo al mar, vieni a danzar...». Ecco, così gli sembrava di non avere più tanta paura. Tirò di nuovo. Gli anelli si muovevano... o era solo la sua immaginazione? No, cedevano, si stavano aprendo. Un altro po' e sarebbe riuscito a far passare un anello nell'apertura dell'altro. I passi fuori della porta lo gelarono. Non adesso, pensò. Gli servivano ancora pochi istanti... Tirò con tutta la sua forza, e in quel momento la porta si aprì. 76 Quando riaprì gli occhi, Christine si trovò distesa su un vecchio divano, in un ufficio vuoto usato come archivio. Il tessuto ruvido le aveva lasciato un segno sulla guancia, aveva i capelli arruffati e non ricordava nemmeno
l'ultima volta che si era lavata i denti. Doveva averlo fatto quella mattina prima dell'intervista a Canale Cinque, ma sembravano passati secoli. La sua fuga dallo studio le sarebbe di sicuro costata il nuovo posto, ma non gliene importava un accidente. Le importava solo di Timmy. La porta si spalancò ed entrò suo padre con un bicchiere in mano. Se avesse ingurgitato un'altra goccia d'acqua avrebbe vomitato, pensò lei. E invece prese il bicchiere e bevve. «Ti senti meglio?» domandò Tony. «Sì, grazie. Oggi non ho mangiato, dev'essere per questo che ho avuto un capogiro.» «Se ti ordinassi qualcosa di caldo? Magari una zuppa o un sandwich?» «Grazie, ma non mi va niente.» «Ho chiamato tua madre. Cercherà di trovare un volo stasera per essere qui domani mattina.» «Grazie. Sarà bello averla con noi» mentì Christine. In realtà sua madre entrava nel panico appena sentiva aria di crisi, e per lei sopportarla sarebbe stata una doppia fatica. «Non arrabbiarti, tesoro... ma ho anche chiamato Bruce. Aveva il diritto di sapere. Timmy è suo figlio.» «Sì, certo. Erano due giorni che Nick e io cercavamo di rintracciarlo... Ma allora tu sapevi dov'era...» «No, ma ho un numero per le emergenze.» «Quindi hai sempre saputo come metterti in contatto con lui.» Tony la guardò, stupito da tanta rabbia. «Sapevi che da più di otto mesi cercavo di fargli pagare gli alimenti per Timmy e non mi hai detto che avevi il suo numero?» «Era per le emergenze, Christine.» «E far sì che suo figlio avesse cibo in tavola tutti i giorni non era un'emergenza? Come hai potuto?» «Non esagerare, tesoro. Sai bene che tua madre e io non ti lasceremmo mai senza soldi... e poi Bruce mi ha detto che ti aveva lasciato un bel gruzzoletto.» «Ah, ti ha detto così?» fece lei con una risata isterica. «Mi ha lasciato esattamente centosessantaquattro dollari sul conto in banca, e più di cinquemila di debiti da pagare!» Suo padre odiava le discussioni e lei stessa aveva passato la vita a compiacerlo. Sua madre lo chiamava rispetto, ma adesso Christine lo vedeva per quel che era. Colpevole debolezza.
«Che figlio di buona donna» disse finalmente Tony smettendo di camminare avanti e indietro. «A me ha detto delle cose ben diverse... ma tu l'hai cacciato da casa sua, figliola.» «Si scopava la sua segretaria!» Tony arrossì e la guardò con disapprovazione. Una signora non usava quel linguaggio. «A volte un uomo sbaglia, Christine» lo giustificò lui. «Un piccolo errore. Non dico che non sia un male, ma non è una ragione per buttarlo fuori di casa sua.» Sicché era questo che pensava. Christine aveva avuto il sospetto che i suoi non stessero dalla sua parte, ma finora non ne avevano mai fatto parola. «Saresti così comprensivo se fossi stata io ad avere una relazione?» domandò. «Non essere ridicola.» «No, dico sul serio, vorrei saperlo. L'avresti considerato un piccolo errore se io mi fossi scopata il portalettere?» Lui fece una smorfia. «Parli così perché sei sconvolta, Christine. Ti faccio accompagnare a casa da uno dei ragazzi, eh?» Lei era troppo arrabbiata per rispondergli, così acconsentì pur di vederlo andare via. Dopo pochi minuti la porta si aprì di nuovo. «Tuo padre mi ha pregata di portarti a casa» disse Eddie Gillick. 77 Era stato un vero idiota, pensò Nick premendo l'acceleratore a tavoletta e lasciandosi alle spalle Platte City. Non avrebbe mai dovuto mostrarsi così debole e spaventato, non con Maggie, che nonostante le rivelazioni su Stucky adesso appariva calma e controllata come sempre. Come ci riusciva? Come poteva ricacciare in un angolo della mente tutti gli orrori che aveva visto e subito senza perdere la ragione? Quanto a lui, riusciva a malapena a concentrarsi sulla strada. Nel suo cuore la bomba a orologeria continuava a ticchettare, segnando ogni minuto che passava e che poteva essere l'ultimo di Timmy. E come se non bastasse, era stato sul punto di confessare a Maggie che l'amava! Un vero idiota, senza speranza. Forse stava davvero andando fuori di testa.
Si girò verso Maggie, vide il profilo quieto di lei e di colpo si sentì invadere da una nuova forza. Doveva essere coraggioso, doveva farlo per Timmy, e forse ci sarebbe riuscito se non era solo. Anche questa era una novità assoluta: Nick Morrelli che ammetteva di aver bisogno di qualcuno. Strinse le mani sul volante. No, non era troppo tardi, si disse con determinazione. Avrebbe salvato Timmy, insieme a Maggie ce l'avrebbe fatta! La jeep avanzava zigzagando sulla strada buia e sollevava sbuffi di neve. Nick decise di mettere da parte l'orgoglio e disse: «Forse dovrei sapere qualcosa di più. Perché stiamo andando a visitare un cimitero in piena notte?». «So che i tuoi uomini hanno controllato la vecchia chiesa, ma che mi dici del tunnel?» «Oh, quello deve essere crollato anni fa.» «Ne sei sicuro?» «Be', no, e in effetti non l'ho mai visto. Sai, quando ero bambino avevo sentito dire che dei corpi risorgevano dalle tombe e strisciavano attraverso il tunnel fino in chiesa per purificare le loro anime dannate... Ma io ho sempre pensato che fosse una storia inventata per tenerci lontani dalla chiesa di notte.» «Sembra il posto perfetto per un pazzo ossessionato dalla redenzione.» «Pensi che Timmy sia lì? In un buco scavato nella terra?» Nick ricordò la storia del padre che aveva seppellito il figlio di sei anni in giardino e accelerò. «È solo un'idea» disse lei. «Ma non abbiamo niente da perdere se controlliamo. Ray Howard ha detto che viene qui a far legna, e io credo che sappia o abbia visto qualcosa.» «Però lo hai lasciato andare!» «Non è lui l'assassino, Nick. Ma può darsi che sappia chi è.» «Tu credi ancora che sia Keller, vero?» Maggie fissava il cielo scuro fuori del finestrino. «Keller può benissimo aver nascosto il mio cellulare in camera di Howard. Può anche aver usato il furgoncino. E in camera tiene quegli inquietanti quadri di martiri torturati, con una ferita a forma di croce incisa sul petto.» «Anche se ha uno strano gusto in fatto di arte non vuol dire che sia un assassino. E poi chiunque può avere visto quei quadri nella sua stanza e averne tratto ispirazione.» «Già, ma Keller conosceva tutti e tre i ragazzini.» «Tutti e cinque, a dire il vero. Lucy e Max hanno trovato gli elenchi de-
gli anni scorsi, e così abbiamo appurato che Eric Paltrow e Aaron Harper avevano frequentato il campeggio l'estate prima di essere uccisi. Questo però significa che li conosceva anche Ray Howard.» «C'è dell'altro, Nick. Secondo me questo assassino crede di trasformare le sue vittime in martiri, salvandoli da qualcosa di terribile. In genere i serial killer uccidono per piacere, per gratificazione sessuale o per soddisfare un bisogno egocentrico. In questo tizio, invece, scatta qualcosa che lo convince di avere una missione, e Padre Keller risponde a tutte le caratteristiche. Chi darebbe l'estrema unzione alle sue vittime, se non un prete? E chi altri avrebbe avuto l'occasione di spingere Padre Francis giù dalle scale e farla franca?» «Gesù, Maggie, non vuoi proprio lasciar perdere?» «Forse sarò costretta a farlo. Dal momento che Padre Francis non ha parenti, sarà l'arcidiocesi a occuparsi dei suoi resti. E mi hanno fatto sapere che non vedono ragioni per un'autopsia.» «Forse c'è qualcosa che ci sfugge» disse Nick pensando ad alta voce. «Forse Keller è coinvolto in qualche modo perché protegge qualcuno. Padre Francis non ci ha potuto rivelare niente della confessione di Jeffreys. Ma supponi che il vero assassino si sia confessato con Keller...» Vide Maggie riflettere sull'idea e capì che forse non era così assurda. Poi lei disse: «Lo sapevi che Ray Howard e Eddie Gillick sono amici?». 78 La rabbia doveva averla momentaneamente distratta, pensò Christine. Altrimenti non avrebbe mai commesso l'imprudenza di salire sulla vecchia Chevrolet di Eddie, che puzzava di patatine fritte e fumo stantio misti all'opprimente odore di dopobarba. Eddie si mise al volante, si guardò compiaciuto nello specchietto retrovisore e poi gettò un'occhiata alle gambe di Christine. Lei avvicinò i lembi del cappotto, pentita di non essere passata da casa per cambiarsi dopo l'intervista. La macchina fece un balzo in avanti, e quando Christine cercò la cintura di sicurezza per allacciarla scoprì che era stata tagliata. Eddie proseguì oltre la deviazione che portava a casa sua senza svoltare, e allora lei, in preda al panico, si afferrò alla maniglia. Ma quella si ruppe e le rimase in mano. «Rilassati, Christine. Tuo padre mi ha anche detto di comprarti qualcosa da mangiare.»
«Non ho per niente fame» protestò lei. «Sono solo stanca morta.» Ecco, così andava meglio. Non poteva fargli capire che aveva paura di lui. «Se vuoi, ti cucino io una bistecca da far venire l'acquolina in bocca» disse lui. «Ne ho giusto un paio in frigo.» Oh, Dio, no. Non a casa sua! «Forse un'altra volta, Eddie» fece Christine nel tono più gentile possibile, nonostante il disgusto. «Sono proprio esausta. Non potresti semplicemente portarmi a casa?» Lui fece un sorrisetto storto. «L'altra sera, giù al fiume, non eri così restia.» Già, come aveva potuto essere così stupida? «Mi dispiace se ti ho dato un'impressione sbagliata» si scusò. «Era il mio primo incarico importante e... ero un po' nervosa, capisci?» «Oh, capisco eccome. È quasi un anno che tuo marito se n'è andato e so benissimo che anche le donne hanno le loro esigenze.» Di male in peggio, pensò. Si stavano allontanando, stavano uscendo fuori città, e ormai a lei non importava più di fingersi tranquilla. Si appoggiò con tutto il suo peso alla portiera, ma quella resistette. Eddie la fissò con un altro sorrisetto maligno e lei capì che avrebbe tirato dritto per la sua strada, che lei fosse consenziente o no. Era alto più o meno quanto lei, ma più forte: e aveva atterrato Nick con un paio di pugni nemmeno tanto violenti. Però ci era riuscito anche perché lo aveva colto di sorpresa, e qualcosa le diceva che quello era il suo modo di agire. Attaccare quando le prede erano più vulnerabili, come un ragno velenoso. «Eddie, per favore» lo pregò. «Mio figlio è scomparso, puoi immaginare in che stato sono. Portami a casa.» «Lo so io di che cos'hai bisogno, dolcezza. Di rilassarti, di pensare a qualcos'altro.» Lei si guardò intorno. Possibile che non ci fosse niente che poteva usare come arma? Poi, come in risposta alle sue preghiere, intravvide una bottiglia di birra vuota sotto il sedile. «Trattami bene, ti conviene» disse lui viscido. «Se sarai carina con me, può darsi che ti dica dov'è Timmy.» 79 Timmy nascose il piede sotto le coperte proprio mentre l'uomo entrava. Cominciò a camminare avanti e indietro senza dire una parola: sembrava
arrabbiato, così Timmy non disse niente e aspettò. Intanto, sotto le coperte, continuava a tirare la catena per allentare almeno un anello. L'uomo aveva lasciato la porta aperta e dal buio proveniva un odore di muffa e di terra bagnata. «Che è successo alla lanterna?» esclamò l'uomo notando che il cilindro di vetro era rimasto sulla cassetta. «Non... non riuscivo ad accenderla» balbettò Timmy, «e ho dovuto togliere il vetro. Poi ho dimenticato di rimetterlo dov'era.» L'uomo prese il cilindro e lo rimise a posto. Mentre si chinava Timmy vide dei capelli neri che uscivano dalla maschera del presidente Nixon, lunghi e arricciati sulla nuca. C'era qualcosa di familiare in quei capelli, e anche negli occhi che lo guardavano attraverso le fessure. Lo aveva pensato subito, ma non riusciva a capire che cos'era. Poi l'uomo afferrò la giacca a vento e la infilò di nuovo. «È ora di andare» disse. «Dove?» esclamò Timmy. Possibile che lo riportasse a casa? Eccitato, scese dal letto cercando di nascondere dietro il piede la catena allentata. «Togliti tutti i vestiti eccetto le mutandine.» «Cosa?» disse Timmy con voce strozzata. «Perché? Fuori fa freddo!» «Non fare domande» ribatté l'altro. «Ma non capisco...» «Ubbidisci senza tante storie, stronzetto!» Quella rabbia inattesa lo colpì come uno schiaffo. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma lui le ricacciò indietro. Non era più un bambino, ma era così spaventato che tremava come una foglia mentre cercava di slacciarsi le scarpe. La suola era rotta e lasciava passare la neve, ma a piedi nudi avrebbe avuto ancora più freddo. «Non capisco...» mormorò di nuovo. «Non c'è bisogno che tu capisca» scattò lo sconosciuto. Si avviò verso la porta e i suoi stivali di gomma incrostati di neve fecero uno strano schiocco sul pavimento. «Non mi dispiaceva stare qui» tentò di nuovo Timmy. «Taci, piccolo bastardo, e datti una mossa!» Le dita di Timmy tremarono convulse mentre si slacciava la camicia. Adesso l'uomo avrebbe dovuto staccargli la catena e si sarebbe accorto dell'anello allentato. Si sarebbe arrabbiato ancora di più? Lo avrebbe picchiato? D'improvviso l'uomo si immobilizzò tendendo l'orecchio. Timmy in-
ghiottì le lacrime e si mise in ascolto. E allora udì il motore di una macchina che si avvicinava. «Cazzo!» imprecò l'uomo afferrando la lanterna. «No, per favore, non mi porti via la luce...» «Chiudi quella boccaccia, piagnone!» ringhiò l'uomo. E si voltò per appioppargli un manrovescio. Timmy si arrampicò di nuovo sul letto, stringendo il cuscino. «Sarà meglio che ti trovi pronto quando torno» sibilò l'uomo. Poi sbatté la porta, lasciando Timmy nel buio più completo. Aveva tanta fretta che non si accorse della catena, finalmente spezzata e penzolante oltre il bordo del letto. 80 Christine riconobbe la strada sterrata che serpeggiava tra gli alberi in riva al fiume. Ormai le intenzioni di Eddie erano chiarissime: quello era il posto dove si appartavano le coppiette, vicino a Old Church Road. Era davvero possibile che Eddie sapesse dov'era Timmy? Christine sapeva che il sagrestano di St. Margaret era stato portato al distretto e interrogato. Che Eddie avesse sentito qualcosa? Ma se era emerso qualcosa, Nick non lo avrebbe detto anche a lei? No, concluse. Nick voleva solo tenerla fuori dai piedi, perciò le dava incarichi minori come fare le fotocopie. Eddie la disgustava. Era il classico tipo di poliziotto che abusa del suo potere solo perché veste un'uniforme. Ma poteva darsi che sapesse veramente dov'era Timmy. E lei, che prezzo era disposta a pagare per riavere suo figlio a casa, sano e salvo? Era stata sul punto di vendere l'anima per uno stipendio più alto. Che cos'era disposta a fare per salvare il suo bambino? Quando la macchina si fermò nella radura affacciata al fiume, il panico si impadronì di lei. Il suo stomaco vuoto brontolò, la testa si mise a girare di nuovo. Dio, no, non poteva svenire. Eddie Gillick non avrebbe esitato ad approfittarne. Lui spense il motore e le luci, e nella macchina calò il buio. Solo un minuscolo spicchio di luna rischiarava il cielo nero. «Bene, eccoci qui» disse Eddie voltandosi verso di lei. Con il piede Christine tastò la bottiglia vuota, assicurandosi di averla a portata. Sentì uno scricchiolio, poi un fiammifero si accese e lei avvertì
l'odore del tabacco. «Posso averne una anch'io?» Lui le porse una sigaretta, le accese un fiammifero e finì col bruciarsi le dita. «Diavolo» brontolò scuotendo la mano, «Odio i fiammiferi... Ho perso l'accendino da qualche parte.» «Non sapevo che fumassi» disse Christine inalando a fondo e sperando che la nicotina la calmasse. «Sto cercando di smettere.» «Anch'io.» Ecco, pensò lei, avevano qualcosa in comune... forse poteva reggere fino in fondo. Ormai i suoi occhi si erano adattati al buio e vedeva distintamente la brutta faccia di Eddie. Doveva cercare di calmarsi, così almeno avrebbe evitato la violenza. «Sai davvero dov'è Timmy?» domandò. «Forse...» Le dita di lui le carezzarono la nuca, arrivarono alla guancia e poi scesero lungo il collo. «E tu che cosa sei disposta a fare per scoprirlo?» «Come faccio a sapere che non è un trucco?» «Non lo puoi sapere.» Le dita si insinuarono sotto il colletto del cappotto, slacciarono i bottoni, scostarono il bavero. Christine rabbrividì. «Questo non è leale, Eddie. Devo avere qualcosa in cambio, no?» Lui si finse offeso. «Direi che un incredibile orgasmo è una ricompensa più che sufficiente.» Poi le dita sfiorarono i seni di lei, e Christine si costrinse a rimanere immobile. Non pensare, si ordinò. Stacca la spina. Ma avrebbe voluto gridare mentre la mano di Eddie le strizzava un capezzolo. Poi Eddie spense la sigaretta e con l'altra mano le toccò la gamba. Le dita tozze scomparvero sotto la gonna, ma lei rifiutò di aprire le cosce. «Andiamo, dolcezza, rilassati» rise lui. «È che... che sono un po' nervosa. Hai qualche protezione?» «Tu non usi niente?» fece lui spingendo la mano tra le sue cosce. «Non sono...» Era difficile non vomitare sotto quel tocco così rozzo. «Non sono più stata con nessuno dopo che Bruce se n'è andato.» «Davvero?» fece lui compiaciuto. Le dita cercarono di scostare le mutandine per insinuarsi dentro di lei. «Be', io i preservativi non li uso.» Lei era così nauseata che non riusciva a respirare. «Allora non possiamo farlo» sussurrò. Lui scambiò il suo respiro corto per eccitazione, e con l'altra mano le sfiorò le labbra inserendovi il pollice. «Ci sono tante altre cose che pos-
siamo fare.» Christine provò l'impulso di gridare. No, non poteva... non poteva permettersi di farlo arrabbiare. Intanto lui aveva aperto la lampo per liberare il pene eretto, e aveva preso la mano di lei. La spostò verso il pene e la costrinse a stringerlo, poi si appoggiò all'indietro. No, non poteva farlo, pensò lei. Non poteva. «Davvero sai dov'è Timmy?» domandò di nuovo, come per ricordarsi perché si sottoponeva a quella violenza. «Piccola, strizzami e succhiami come si deve e ti dirò tutto quel che vuoi» fece lui ansimando. Se non altro le aveva tolto le mani di dosso, pensò Christine. Poi ricordò la sigaretta ancora accesa che teneva nell'altra mano. Diede una profonda boccata finché la brace non si infiammò, poi conficcò le unghie nella carne pulsante di Eddie. «Che diavolo...?» ruggì lui aprendo gli occhi. Lei gli piantò la sigaretta accesa nella guancia, e approfittando della sorpresa si sporse sopra di lui cercando la maniglia della portiera. Eddie cercò di afferrarle il polso, ma lei gli assestò una ginocchiata tra le gambe. Lui ansimò e si piegò in due per il dolore, mentre Christine afferrava la bottiglia e gliela sbatteva sulla testa. Lui fece un urlo disumano. Christine si addossò alla portiera con la maniglia rotta, raccolse le ginocchia e con tutta la forza che aveva gli diede un calcio piantandogli nel petto i tacchi alti. Eddie volò fuori della portiera e atterrò nella neve. Si rialzò quasi subito, ma lei aveva già chiuso la portiera con la sicura e girato la chiavetta. La Chevrolet partì al primo colpo. Eddie si arrampicò sul cofano, gridando oscenità e prendendo a pugni il parabrezza. Una crepa si allargò sul vetro. Christine innestò la retromarcia e premette l'acceleratore, facendo balzare la macchina all'indietro. Eddie cadde dal cofano. Allora lei inserì la prima e partì. I fari, pensò. Non aveva acceso i fari! Provò due o tre leve, accese il tergicristallo e la radio, poi finalmente trovò il bottone giusto. Aveva abbassato gli occhi per una frazione di secondo, ma quando li rialzò e vide la curva stretta era troppo tardi. Premette il pedale del freno girando il volante con entrambe le mani, ma la macchina volò oltre il fossato e si schiantò contro un albero. 81
Nick guardò la chiesa abbandonata nello specchietto retrovisore. «Sicura di non aver visto una luce?» domandò. Maggie si voltò sul sedile. «Forse era solo un riflesso. Stasera c'è un po' di luna.» La jeep prese la strada del cimitero e Nick guardò di nuovo la chiesa abbandonata che adesso era alla sua sinistra. L'intonaco si era staccato dalle pareti esterne lasciando in vista le assi della struttura, ingrigite dalle intemperie. Molte vetrate erano state rubate, le poche rimaste erano in frantumi e rabberciate da altre assi inchiodate. Anche la porta era coperta da pezzi di legno fissati l'uno sull'altro in strane diagonali. «Eppure mi era sembrato di vedere una luce» insisté Nick. «In una delle finestrelle della cantina.» «Perché non vai a vedere?» propose Maggie. «Intanto io do un'occhiata in giro.» «Ma ho solo una torcia» disse Nick aprendo il cassettino del cruscotto, attento a non sfiorare Maggie nemmeno per sbaglio. «Ne ho una anch'io» rispose lei, e gli mostrò una penna con la luce nel cappuccio. «Quella non ti servirà a molto» sorrise lui. «Ma se vuoi posso lasciare i fari accesi.» «No, vai, non preoccuparti.» Nick spense i fari ed entrambi rimasero fermi, senza accennare a scendere dalla macchina. «Chissà perché i cimiteri sono sempre su una collina» osservò lui. Maggie continuò a fissare la notte scura. «Ehi, tutto bene?» «Sì, certo» fece lei in fretta. «Sto solo aspettando che gli occhi si adattino al buio.» Nick osservò la cinta di ferro arrugginito che circondava il cimitero. Il cancello d'ingresso pendeva da un cardine e sembrava oscillare, anche se non c'era quasi vento. Odiava questo posto, fin da quando era bambino e Jimmy Montgomery lo aveva sfidato a entrare e a toccare l'angelo di marmo nero. Era impossibile non vederlo, perfino nel buio della notte. La statua si ergeva al di sopra delle lapidi e le sue ali smozzicate la rendevano ancora più minacciosa. La sfida con Jimmy era avvenuta la notte di Halloween, quasi venticinque anni prima. E domani sarebbe stato di nuovo Halloween... Era
stupido e infantile, ma gli sembrava di sentire i gemiti che si diceva provenissero dalla tomba su cui l'angelo vegliava. «Hai sentito?» sussurrò. Poi si rese conto di essere ridicolo. «Scusa» borbottò. Grazie a Dio lei non disse nulla. Aprirono le rispettive portiere nello stesso momento, ma quella di Maggie si bloccò. «Diavolo... devo proprio farla aggiustare» esclamò Nick. «Aspetta, vengo ad aprirti.» Saltò giù dalla jeep e fece il giro, poi rimase immobile, come ipnotizzato dal raggio di luna che illuminava la faccia dell'angelo. «Nick? Che succede?» Lui distolse gli occhi a fatica. Come mai lei non vedeva niente di strano? «È tutto a posto... vado a controllare la chiesa.» «Cominci a spaventarmi.» «Mi dispiace... è solo l'angelo.» E lo illuminò con la torcia. «Non è che a mezzanotte si mette a volare, vero?» Nick si avviò verso la chiesa e per stare al gioco disse: «Ricordati che domani è Halloween». «Credevo che lo avessimo annullato» rispose lei. Con un sorrisetto, Nick continuò per la sua strada, seguendo il fascio di luce della torcia. Era tutto terribilmente tranquillo, si sentiva soltanto un gufo in lontananza. Era davvero assurdo lasciarsi influenzare dalle paure dell'infanzia, pensò. Dopo tutto, quella notte era entrato nel cimitero e l'aveva toccato, l'angelo, mentre gli altri stavano fuori a guardarlo troppo impauriti per entrare. E la terra non si era aperta per inghiottirlo. Però l'aveva sentito quel terribile gemito, e non era stato il solo... Dal lato della chiesa che guardava la vecchia strada del pascolo non c'era nessuna impronta, il che voleva dire che Adam e Lloyd non erano neanche scesi dalla macchina. Adam lo capiva, era giovane e non voleva recitare la parte del primo della classe, voleva solo fare buona impressione sugli altri ed essere parte del gruppo... ma Lloyd avrebbe dovuto capire che i suoi ordini non erano da prendere sottogamba! Nick avanzò nella neve alta e si accucciò davanti a una delle finestre della cantina. Illuminò l'interno con la torcia, vide cassette accumulate le une sulle altre e un movimento in un angolo... Topi, pensò con un brivido. Lui odiava i topi. Avanzò fino all'altra finestra e d'improvviso sentì un rumore di assi.
Puntò la torcia aspettandosi di vedere qualcuno, ma anche lì c'erano solo cassette accatastate. Un altro schianto, poi un rumore di vetri rotti. Venivano da dietro l'angolo. Nick si alzò e cercò di correre, ma la neve intralciava i suoi movimenti e la mano infreddolita faticò a slacciare la chiusura della fondina per prendere la pistola. Spense la torcia e girò l'angolo, impugnando la pistola. Niente. Riaccese la torcia e vide schegge di legno e vetro sulla neve davanti a una finestra aperta. Il passaggio non era più grande di una quarantina di centimetri. Sentì dei passi, puntò la torcia tra gli alberi. Qualcosa si mosse e poi scomparve. Una piccola figura nera e un lampo arancione. 82 Maggie esaminò attentamente il terreno, cercando impronte o tracce di scavi recenti. Timmy era stato rapito dopo la nevicata, perciò se era stato portato qui doveva esserci qualche indizio. Ma dove poteva essere l'entrata del tunnel? Alzò gli occhi sull'angelo e illuminò con la piccola torcia la scritta sulla lapide. IN MEMORIA DEL NOSTRO DILETTO NATHAN, 1906-1910. Certo, un bambino. Ecco perché un angelo custode vegliava su quella tomba. Maggie tastò in tasca la catenina con la croce, che secondo suo padre avrebbe dovuto proteggerla. Chissà se la protezione funzionava anche per una scettica come lei? Improvvisamente avvertì un movimento alle sue spalle. Si voltò puntando la torcia e vide un'ombra scura a terra, poco lontano. Che fosse un corpo? pensò avvicinandosi cauta. La sua mano scivolò all'interno della giacca e si posò sulla fondina. Poi riconobbe un telo cerato simile a quelli che venivano usati per coprire le tombe scavate da poco. Ma il cimitero non era più in uso da anni... Il suo cuore accelerò i battiti. Il telo era nuovo. Gli angoli erano fissati a terra da grosse pietre, ma una era scivolata via e l'angolo libero si muoveva ogni tanto nella lieve brezza notturna. Con il cuore in gola, Maggie si chinò. Avrebbe dovuto aspettare Nick, invece afferrò il telo e lo sollevò. Sotto c'era una botola chiusa da un battente di legno. Doveva aspettare Nick, si disse un'altra volta. Questa poteva essere una trappola come quella di Stucky... Ma lei aveva fretta di mettere le mani su quel bastardo, e poi lui non poteva sapere che lei sarebbe venuta lì quella
notte. Guardò la botola, con il cuore che le rombava nelle orecchie, poi si chinò decisa e visto che non c'erano maniglie afferrò il battente per un angolo, senza riuscire a spostarlo. Sempre più decisa, Maggie riprovò e questa volta la botola si aprì, rivelando un buco nero. Un forte odore di muffa aggredì le sue narici. Con la minuscola torcia non poteva vedere oltre i primi tre scalini. Sarebbe stato ridicolo e inutile calarsi giù con una luce così debole. Doveva aspettare Nick, si ripeté, ma lui non si vedeva... Maggie respirò profondamente, impugnò la pistola e scese nel buio. 83 Timmy scivolò in un cespuglio spinoso, ma non osò fermarsi. Aveva sentito lo sconosciuto dietro di sé, aveva visto il raggio della torcia, e sapeva che la sua unica speranza di salvezza era continuare a correre cercando di confondersi col buio. Teneva stretta la slitta, anche se era un ingombro, e correva nella neve senza voltarsi indietro. Nella fretta di scappare si era dimenticato di infilarsi il cappotto e adesso tremava di freddo. Dopo qualche minuto si fermò contro un albero per riprendere fiato e si asciugò il sudore dalla faccia. Quando ritirò la mano vide che c'erano ancora delle tracce di sangue miste alle lacrime. «Smettila di piangere!» si rimproverò. Poi sentì un rumore dietro di sé. Rami spezzati, scricchiolio di neve calpestata, sempre più vicino. Sarebbe riuscito a nascondersi? No, l'uomo avrebbe sentito il battito del suo cuore e lo avrebbe scoperto subito. Non gli restava che continuare a correre. Riprese la fuga, incurante dei rami che lo schiaffeggiavano e si impigliavano nei capelli e nei vestiti. Poi, d'improvviso, gli mancò il terreno sotto i piedi: la discesa si faceva ripidissima, e in fondo c'era il fiume... Non ce l'avrebbe mai fatta, pensò. I passi dietro di lui si avvicinavano paurosamente. Timmy si guardò intorno e notò una radura sulla destra. Si arrampicò sulla roccia che gli bloccava il cammino per vedere meglio, sempre tenendo stretta la slitta arancione. Non era una vera e propria radura, sembrava piuttosto un sentiero, e scendeva fino al fiume in una serie di curve. Perfetto per la slitta, pensò. Alla mamma sarebbe venuto un colpo se l'avesse visto... ma era l'unica cosa da fare.
Uno scricchiolio più forte lo fece sobbalzare. Si voltò e vide un'ombra gigantesca poco sopra di lui, che però per fortuna gli girava la schiena. Adesso o mai più, si disse. Posò la slitta sul terreno, salì cautamente, poi si distese in modo da opporre pochissima resistenza e si diede una piccola spinta. La slitta cominciò a scivolare lungo la discesa. 84 Nick si fermò sull'orlo del pendio, ansimante. Impossibile vedere qualcosa con la sola torcia. I rami degli alberi gli confondevano la vista, ma l'ombra scura sembrava sparita. L'uomo gli era sfuggito, o si era nascosto talmente bene che lui non poteva più vederlo. Doveva fare assolutamente qualcosa. Annaspò nella neve, poi gli venne in mente il vecchio sentiero che scendeva al fiume: era molto ripido, percorribile con la jeep. Tornò verso la chiesa, e mentre rimetteva in tasca la pistola trovò il cellulare di Christine. Magnifico, pensò. Se non usava la radio della jeep, nessun giornalista ficcanaso avrebbe potuto ascoltare la sua chiamata. «Lucy, sono Nick.» «Santo cielo, Nick, dove diavolo sei? Eravamo così preoccupati.» «Non ho tempo di spiegarti, ma ho bisogno di un po' di uomini con le fotoelettriche. Ho inseguito l'assassino nei boschi dietro la vecchia chiesa, e credo che sia di nuovo diretto al fiume.» «Dove vuoi che ti mandi gli uomini?» «C'è un tratto di strada vicino a una radura, non lontano dal punto dove abbiamo trovato Danny.» «È il posto dove i ragazzi vanno a fare l'amore in macchina?» fece Lucy. «Credo di sì. Parlane con Hal e fai decidere a lui chi deve portare, d'accordo?» Poi richiuse il telefono e si domandò se ancora una volta non aveva preso un granchio. E se fosse stato solo un vagabondo che si era rifiugiato nella vecchia chiesa per ripararsi dal freddo? Avrebbe fatto la figura dell'idiota per l'ennesima volta. Ma se questo poteva servire a ritrovare Timmy... Si avvicinò alla finestra rotta e illuminò l'interno con la torcia. Aveva visto giusto: c'erano una brandina, dei poster alle pareti e una cassetta di legno con del cibo. Qualcuno era stato lì. Poi notò la catena che pendeva dal letto e capì. Qualcuno era stato tenuto prigioniero... Infine vide i fumetti, le
figurine dei giocatori di baseball e una giacca a vento. La giacca di Timmy! Il suo cuore prese a battere come un tamburo. Questo era il posto in cui Timmy era stato nascosto, Maggie aveva ragione. Timmy e forse anche gli altri. Fu allora che vide il cuscino macchiato di sangue. 85 Maggie sentì delle piccole creature zampettare sopra la sua testa. Un po' di terriccio le cadde sui capelli, ma lei non osò guardare in alto e proseguì allontanando le ragnatele dalla faccia. Qualcosa le passò su un piede, e anche senza luce capì che si trattava di un topo. Li sentiva correre e squittire tutt'intorno, probabilmente disturbati dalla sua presenza quanto lei dalla loro. Aveva contato undici scalini, e adesso era in una specie di cantina che somigliava ai vecchi rifugi usati un tempo come riparo dagli uragani. Ma a parte uno scaffale di legno e una grossa cassa in un angolo, il locale era vuoto e non c'erano segni di un passaggio segreto o di un tunnel. Eppure qualcuno si era dato la pena di spazzare la neve dalla botola e di nasconderla con un telo cerato... Maggie ispezionò di nuovo il locale con la torcia, e questa volta si fermò a osservare meglio la cassa di legno. Non era marcia come lo scaffale, anzi era in condizioni piuttosto buone, e il coperchio era assicurato al resto con chiodi nuovi e lucenti. Maggie cercò di forzare il coperchio con le dita, poi trovò in un angolo un piede di porco arrugginito e provò con quello. Il coperchio si sollevò di qualche millimetro e subito un odore di putrefazione si diffuse nel sotterraneo. Che contenesse un corpo? pensò indietreggiando. Il corpo di un bambino? D'altra parte aveva visto di peggio: Stucky aveva cacciato in un contenitore di plastica per gli hamburger i polmoni di una delle sue vittime, e poi aveva gettato il tutto in un bidone della spazzatura. Cercò di sollevare la cassa per trascinarla all'aperto, ma non riuscì a smuoverla di un millimetro. Allora forzò di nuovo il coperchio, e questa volta ne uscì un puzzo così forte che le diede un conato di vomito. Sputò via la piccola torcia che aveva tenuto tra i denti e la lasciò a terra, poi trattenne il respiro e tentò di nuovo. Qualcosa si mosse nel buio e Maggie cadde sulle ginocchia impugnando
il piede di porco alto sulla testa. Il rumore proveniva da qualcosa o qualcuno molto più grande di un topo... ma era cessato, e intorno a lei di nuovo il silenzio. Maggie raccolse la torcia e proiettò la luce sulle pareti: e allora vide che lo scaffale era stato spostato, e rivelava un buco abbastanza grande da essere il passaggio per il tunnel. Poi, nel buio, qualcosa si mosse di nuovo alle sue spalle. Non era più sola, qualcuno stava sugli scalini e le bloccava ogni via di fuga. Maggie avvertiva la sua presenza, sentiva il respiro un po' affannoso, come se venisse filtrato da un tubo. Il panico l'assalì. D'istinto portò la mano alla fondina della pistola, ma la lama di un coltello le si appoggiò contro la gola. 86 «Agente O'Dell, che bella sorpresa.» Maggie non riconobbe la voce soffocata. La lama le premeva contro la gola e la costringeva a tenere la testa rovesciata all'indietro. Un rivolo di sangue scendeva nel colletto del giaccone. «Una sorpresa?» ribatté. «Credevo che mi aspettassi. Sai tutto di me, o sbaglio?» «Getta quell'arnese» ordinò l'altro, stringendola, alle sue spalle. Lei ubbidì. La mano dell'uomo frugò nella giacca, trovò la pistola e si ritrasse di scatto dopo averle toccato accidentalmente un seno. L'arma venne gettata in un angolo, dietro la cassa. Certo, pensò Maggie. Era molto più bravo a usare il coltello. Cercò di concentrarsi, di capire meglio con chi aveva a che fare. L'uomo era forte, atletico, dieci-dodici centimetri più alto di lei. Il volto che le sfiorava le orecchie era coperto da una maschera di gomma, sulle mani portava un paio di guanti di pelle nera, del tipo dozzinale che si trova nei grandi magazzini. «Non ti stavo aspettando» riprese l'uomo. «Pensavo che fossi tornata a casa nel tuo bell'appartamento, a badare a tuo marito e alla tua povera mamma malata. A proposito, come sta?» «Dimmelo tu, bastardo» lo provocò lei. Il coltello penetrò un po' più a fondo e un secondo rivolo di sangue scese lungo la sua gola. «Non sei stata gentile» la sgridò l'uomo. «Chiedo scusa.» Maggie evitò di muovere la testa, pensando che poteva
benissimo giocare al suo stesso gioco. «Ma vedi, quest'odore mi disturba» disse. «Forse potremmo continuare a discutere all'aria aperta.» «Spiacente, ho paura che non te ne andrai più di qui. Che ne dici della tua nuova casa?» L'uomo rise. «O forse dovrei dire la tua tomba?» Calma, si disse lei. Doveva restare calma. Non doveva pensare a Stucky che le tagliava a fette l'addome. Se solo fosse riuscita a fargli allentare un po' la pressione del coltello... «Non ti servirà a niente eliminare me» disse lentamente, muovendosi il meno possibile. «Tutto il distretto di polizia sa chi sei. E tra qualche minuto arriveranno qui decine di poliziotti.» «Non raccontarmi favole, agente O'Dell. So che ti piace agire per conto tuo, ed è questo che ti ha messa nei guai con Stucky. Tutto quel che hai su di me è il tuo ridicolo profilo psicologico, e scommetto che so anche che cosa dice. Che mia madre ha abusato di me quando ero piccolo, che mi ha trasformato in una checca e che perciò ammazzo i ragazzini. Giusto?» La risatina adesso sembrava il ghigno di un pazzo. «Veramente non penso che tua madre abbia abusato di te» replicò Maggie, cercando di ricordare il poco che aveva scoperto su Padre Keller. Sua madre era divorziata, gli disse, proprio come le madri delle vittime, ma era morta quando lui era molto giovane, in un incidente. Non riusciva a ricordare i dettagli. «Credo che ti volesse molto bene» proseguì. «Come tu ne volevi a lei. Però c'è stato qualcuno che ha abusato di te.» Un piccolo scatto della mano che reggeva il coltello le confermò che aveva ragione. «Un parente, forse un amico di tua madre... no, il tuo patrigno.» Il coltello si spostò di qualche millimetro e lei poté riprendere a respirare. L'uomo era zitto e fermo. Adesso Maggie aveva tutta la sua attenzione. «Tu non sei omosesuale, ma lui ti ha fatto dubitare di te stesso, vero? Ti ha fatto credere che potevi diventarlo.» La stretta attorno al torace si allentò, ma il respiro affannoso dell'uomo aumentò. «Tu non uccidi i ragazzini per divertimento. Cerchi di salvarli perché ti ricordano il bambino spaventato e vulnerabile che eri. Credi che salvandoli riuscirai a salvare te stesso.» L'uomo rimaneva sempre in silenzio. Si era spinta troppo oltre? si chiese Maggie. Cercò di concentrarsi sulla mano che stringeva il coltello. Se gli dava una gomitata all'indietro, forse poteva strapparglielo... ma per riuscir-
ci doveva distrarlo di più. «Tu liberi le tue vittime dal male, non è così? Infliggendo loro il tuo male, ne fai dei martiri e diventi un eroe. Si potrebbe dire che il tuo è il male perfetto.» Il braccio scattò a stringerla di nuovo. Aveva esagerato. La lama del coltello si appoggiò al collo di piatto. Con un solo gesto l'uomo poteva sgozzarla. «Queste sono solo stronzate psicologiche» gridò. «Non sai di che cosa parli!» La trascinò verso il foro e continuò: «Albert Stucky avrebbe dovuto sventrarti quando ne aveva la possibilità. Adesso toccherà a me finire l'opera». La fece cadere sulle ginocchia e le gettò una scatola di fiammiferi, poi prese una lanterna dallo scaffale. «Accendila» ordinò tenendole il coltello premuto sulla gola. «Voglio che tu veda tutto.» Maggie riuscì ad accendere la lanterna al primo tentativo, anche se le sue dita avevano perso ogni sensibilità e tutto il sangue sembrava essere defluito dalle sue vene. Accadeva di nuovo. Il suo corpo si preparava al dolore distaccandosi, annullando ogni sensazione. La mano che stringeva il coltello sembrava tremare. Di rabbia o di paura? «Perché non urli? Perché non piangi?» sibilò lui. Ma lei non poteva rispondere, perché anche la voce se n'era andata. «Di' qualcosa» si infuriò l'uomo afferrandola per i capelli e tirandola in piedi. «Prega. Supplicami!» «Fai quel che devi fare» disse lei finalmente. E in quel momento la voce di Nick chiamò dalla cima delle scale: «Maggie? Sei lì?». L'uomo si voltò di colpo trascinandola con sé. Approfittando di quell'attimo di distrazione, lei gli afferrò il polso, lo torse verso l'esterno e si liberò dalla stretta. Lui le affondò il coltello nel fianco e la lama penetrò attraverso la stoffa fin nella carne. Poi l'uomo le diede uno spintone e prese la lanterna, scomparendo nel tunnel. Lo scaffale oscillò e cadde a terra. «Maggie!» gridò Nick irrompendo nel sotterraneo. La luce viva della torcia l'accecò. «È nel tunnel» disse lei lottando per rimettersi in piedi. Una fitta nel fianco la immobilizzò e ricadde a terra. «Non lasciarlo scappare!» Nick sparì nel buco lasciandola nel buio più totale, ma a lei non serviva la luce per capire che era ferita gravemente. Si tastò il fianco appiccicoso di sangue, poi mise la mano in tasca e prese la catenina con la croce che le aveva regalato suo padre. Lentamente la passò sopra la testa e se la rimise
al collo. 87 Il tunnel si restringeva e si abbassava e ormai Nick era costretto a strisciare sulle ginocchia. Non vedeva più l'ombra mascherata davanti a sé, solo sassi, detriti, radici affioranti o penzolanti dalla volta che gli si attaccavano alla faccia come ragnatele. Mentre tastava il terreno molliccio, la sua mano sfiorò una cosa calda e pelosa. Un topo! Per il disgusto lasciò cadere la torcia che si aprì lasciando uscire le batterie. Le cercò senza perdersi d'animo, le trovò e le rimise al loro posto. Ma anche dopo aver stretto per bene il coperchio la torcia si rifiutava di funzionare. Premette il pulsante una, due volte, e finalmente la luce tornò. Riprese a strisciare più in fretta, ma il tunnel si era ancora abbassato e adesso era costretto ad avanzare piatto sul ventre, aiutandosi con i gomiti. Gli sembrava che la terra gli penetrasse in gola e si sentiva soffocare. Intorno a lui, a parte lo zampettare di qualche topo, c'era il silenzio più assoluto. Che si fosse seppellito vivo? Come aveva fatto l'ombra mascherata a sparire così velocemente? E se quello era il killer, chi era l'ombra che aveva inseguito nei boschi? Era una pazzia. Non ce la faceva più, i suoi polmoni stavano esplodendo, e cominciava a temere di aver preso una deviazione sbagliata. Questo avrebbe spiegato perché l'uomo era sparito. Forse il passaggio in cui era intrappolato finiva in un punto morto e non sarebbe mai più riuscito a tornare indietro... Proprio mentre pensava che non avrebbe più potuto proseguire, distinse un lampo più chiaro davanti a sé. Era neve che ostruiva l'uscita del tunnel. Con un ultimo sforzo Nick artigliò, scavò e spinse, finché vide il cielo stellato sopra di sé. Gli sembrava di aver percorso dei chilometri e si accorse di non aver nemmeno lasciato il cimitero. Emerse fra le lapidi come un fantasma, e a circa un metro di distanza vide l'angelo nero che sembrava guardarlo con l'ombra di un sorriso. 88 Christine si svegliò con la nuca indolenzita come le succedeva sempre quando si addormentava sul divano. Solo che c'era qualcosa di strano, ve-
deva dei rami, e sopra la testa il cielo stellato. Possibile che il vento avesse scoperchiato la casa? pensò nel dormiveglia. E dov'era il plaid? Aveva freddo, bisognava che dicesse a Timmy di alzare il termostato, e poi avrebbe preparato una bella tazza di cioccolata calda per tutti e due. Ma non riusciva ad alzarsi, doveva esserle caduto qualcosa sul petto. Cercò di spingerlo via: le braccia erano prive di forza. Eppure le vedeva distese lungo i fianchi... e allora che era successo? Si erano addormentate come il resto del corpo? Strano come la luce fosse accecante. Dov'era l'interruttore dell'abat-jour? Forse era meglio richiudere gli occhi per un momento, e magari dormire un altro po'. Se almeno quel suono fastidioso fosse cessato... Ma da dove veniva? Da un punto dentro il suo cappotto? No, veniva da lei, ed era molto doloroso... E che cosa ci faceva il presidente Nixon nel suo soggiorno? Cercò di rispondere al suo cenno di saluto, ma era troppo debole, e il suo braccio era ancora addormentato. Nixon le sollevò il peso dal petto e poi la rimise a dormire. E lei cedette grata al sonno. 89 L'arancione vivido della slitta sembrava brillare nella luce pallida della luna. Timmy la guardò ondeggiare nella corrente e cercò di accucciarsi più vicino al terreno, nei cespugli lungo la riva. Tutta la pratica fatta giù per Cutty Hill gli era stata molto utile, anche se nel salto finale aveva perso una scarpa e doveva essersi storto una caviglia, perché adesso era gonfia e gli faceva male. Nonostante questo si sentiva abbastanza fiducioso. Forse era riuscito a farcela, pensò. Trovò anche il coraggio di concedersi un piccolo sorriso. Poi si voltò e intravide l'ombra nera che veniva di nuovo verso di lui, aggrappandosi a rami e sassi. Per la prima volta Timmy si sentì disperato: non aveva più vie di scampo. Rimpiangeva di non essere rimasto sulla slitta, ma ormai era lontana... Una piccola speranza lo rianimò. E se lo sconosciuto avesse creduto che lui era ancora sulla slitta che si allontanava nella corrente? D'un tratto sembrava che l'uomo non avesse più nessuna fretta, e adesso che era arrivato in riva al fiume se ne stava fermo a guardare l'acqua. Allo scoperto appariva anche più basso, e non aveva più la maschera del presidente Nixon. Peccato che fosse troppo buio per vederlo in faccia.
Timmy si appiattì nella neve. La brezza che saliva dal fiume era fredda e umida, e lui ricominciava a battere i denti. Doveva muoversi. Non appena l'uomo se ne fosse andato, avrebbe preso la strada che risaliva la collina. Era molto ripida, ma almeno non passava in mezzo ai boschi, e doveva pur portare da qualche parte. Finalmente l'uomo sembrò decidersi ad andare via da lì. Si frugò in tasca e dovette trovare quello che cercava perché si accese una sigaretta. Poi si voltò e cominciò a camminare dritto verso Timmy. 90 Maggie strisciò sulla scala, arrabbiata con le sue ginocchia che rifiutavano di collaborare. La ferita al fianco bruciava e il bruciore arrivava allo stomaco e ai polmoni, come se la lama del coltello si fosse staccata dal manico e adesso frugasse dentro il suo corpo. Eppure avrebbe dovuto avere l'abitudine alle ferite e al sangue. Non era la prima volta che le succedeva. Ma quando arrivò faticosamente alla luce della luna e si vide gli abiti intrisi di sangue le venne la nausea. Si ravviò i capelli sudati e si rese conto che anche la sua mano era insanguinata. Allora si sfilò la giacca e strappò la fodera fino a ricavarne delle strisce abbastanza grandi da tamponare la ferita. Poi fece un impacco di neve e l'applicò al fianco. Il dolore era fortissimo e dovette chiudere gli occhi per un momento. Quando li riaprì un'ombra scura veniva verso di lei, barcollando tra le lapidi come un ubriaco. Mise la mano alla fondina, ma la trovò vuota: la sua pistola era rimasta là sotto, in quel maledetto nascondiglio. «Maggie» chiamò l'ubriaco, e lei riconobbe la voce di Nick. Il sollievo fu tale che per un istante dimenticò il dolore e la nausea. Nick era coperto di terra e fango, e puzzava di morte. Ma lei gli si aggrappò con tutte le sue forze. «Dio santo, Maggie... sei ferita?» , «Sì, ma in qualche modo sono riuscita a medicarmi e per un po' resisto... L'hai preso?» Lui scosse la testa. «Là sotto c'è un labirinto di passaggi e io mi sono infilato in quello sbagliato.» «Dobbiamo fermarlo, Nick» disse Maggie, senza più preoccuparsi di nascondere la paura. «Probabilmente è nella vecchia chiesa, e dev'essere lì che tiene Tìmmy.»
«Non più. Ho visto la stanza dove lo teneva. C'era il giaccone di Timmy, ma lui no.» «Allora dobbiamo trovarlo, subito!»Maggie cercò di mettersi in piedi, ma gli ricadde addosso. «Ho paura che sia troppo tardi» disse Nick con voce spezzata. «Ho anche visto... insomma, c'era un cuscino con del sangue.» «Oh, no...» gemette lei appoggiandogli la testa sul petto. «Gesù, Maggie, ma tu stai male, devo portarti al pronto soccorso. Non ho intenzione di perdere due persone che amo nella stessa notte!» E la sorresse mentre lei si alzava a fatica. Il dolore era diventato insopportabile, ma non le aveva impedito di sentire quello che lui aveva appena detto. Veramente l'amava? «Non fare sforzi» disse Nick. «Lascia che ti porti in braccio fino alla jeep.» «Morrelli, nemmeno tu mi sembri molto fermo sulle gambe» replicò lei stringendo i denti per far fronte al dolore. Ma si abbandonò volentieri alle sue braccia. Erano quasi arrivati all'auto quando Maggie si ricordò della grossa cassa di legno. «Aspetta, Nick» disse. «Dobbiamo tornare indietro.» 91 Christine fissò le stelle e trovò l'Orsa Maggiore, l'unica costellazione che riconosceva. Adesso si era resa conto di essere sdraiata sul ciglio della strada, ma la neve era soffice e la coperta di lana, benché un po' ruvida, era calda e piacevole. Se solo fosse riuscita a respirare senza soffocare per i grumi di sangue, forse avrebbe anche potuto riaddormentarsi. I ricordi riaffioravano nella sua mente a poco a poco. Le mani di Eddie sui seni, lei che lo buttava fuori della macchina, poi l'auto, le lamiere che premevano sul petto, e Timmy, oh Dio, Timmy... Sentì il sapore delle lacrime e si morse le labbra per fermarle, poi cercò di rizzarsi a sedere, ma il corpo non ubbidiva, e respirare era sempre più doloroso. Perché non poteva smettere di respirare per un po'? I fari sbucarono dal nulla, poi sentì lo stridore dei freni, e infine due ombre scesero dalla macchina e si avvicinarono. In un primo momento le sembrarono degli alieni con teste enormi, poi capì che sembravano più grandi del normale per via dei cappelli. «Oh, Signore Gesù... è Christine!»
Lei sorrise e chiuse gli occhi. Non c'era mai stata tanta paura nella voce di suo padre e, anche se forse non era giusto, la cosa le fece piacere. Quando Tony e Lloyd Benjamin si inginocchiarono accanto a lei, Christine riaprì gli occhi. «Eddie sa dov'è Timmy» riuscì ancora a dire. 92 Nick cercò inutilmente di convincere Maggie a restare nella jeep. Aveva perso molto sangue era pallidissima e forse immaginava cose che non c'erano. Lei però insisté: «Bisogna andare a controllare, Nick. È importante». «E va bene, ci vado io» disse lui. «Tu resta qui.» «Nick, aspetta... là dentro potrebbe esserci Timmy!» Lui si immobilizzò e dovette appoggiarsi alla fiancata della jeep perché le ginocchia non lo reggevano più. «Perché... perché dovrebbe fare una cosa del genere?» riuscì a balbettare. Non poteva nemmeno immaginare Timmy chiuso in una cassa di legno, morto. Eppure l'aveva già pensato e temuto. «Non è nel suo stile.» «Comunque, quello che c'è nella cassa potrebbe essere dedicato a me.» «Non capisco.» «Ricordi l'ultimo biglietto che mi ha mandato l'assassino? Se sa di Stucky, può darsi che abbia copiato anche le sue manie. E se là dentro c'è Timmy, io non voglio che tu lo veda.» Lui la fissò. Il viso di Maggie era sporco e insanguinato, i capelli arruffati erano pieni di terra e di ragnatele, le labbra erano serrate per combattere il dolore e aveva le spalle incurvate per la stanchezza. Eppure cercava ancora di proteggerlo! Si voltò e si avviò verso la botola, incurante dei richiami di lei. Sapeva che non sarebbe stata in grado di seguirlo senza aiuto. All'imbocco del sotterraneo si fermò. L'odore di putrido era spaventoso, ma lui si costrinse a scendere. Accese la torcia e trovò facilmente il piede di porco e la pistola di Maggie, che mise in tasca. Poi si chinò, afferrò un angolo della cassa e la trascinò penosamente su per gli scalini. Ogni passo era una tortura, i muscoli sembravano scoppiare per lo sforzo, ma finalmente fu di nuovo all'aria aperta e lasciò cadere la cassa sul terreno. Maggie era lì, più bianca del marmo della lapide a cui era appoggiata. «Lascia che la apra io» disse allungando la mano verso il piede di porco. «No, Maggie. Posso farcela.» Nick inserì l'estremità del ferro sotto il co-
perchio e fece leva. Anche nell'aria fredda della notte, l'odore di morte sovrastava tutti gli altri. Quando il coperchio fu libero lui esitò un istante, e Maggie lo sollevò del tutto. Entrambi fecero un passo indietro, ma non per il puzzo terribile. All'interno, avvolto con cura in un telo bianco, c'era il corpicino livido di Matthew Tanner. 93 Ormai Timmy non poteva più nascondersi né scappare. Guardò il fiume, domandandosi se sarebbe stato capace di attraversarlo a nuoto, o di lasciarsi trasportare dalla corrente. Ma l'acqua nera scorreva troppo in fretta, ed era sicuramente gelida. L'uomo aveva finito la sigaretta e continuava a camminare nella sua direzione. Ogni tanto borbottava qualcosa tra sé e con un calcio gettava qualche sasso nel fiume. Era così vicino che gli spruzzi lo bagnavano. Doveva risalire nei boschi, si disse Timmy. A nuoto non ce l'avrebbe mai fatta. Si sporse per controllare l'uomo e vide che si stava accendendo un'altra sigaretta. Adesso, pensò. Saltò su e si mise a correre, ma i sassi che franavano sotto i suoi piedi lo tradirono. Fece appena in tempo ad arrivare sulla strada che la caviglia cedette e lui cadde in ginocchio. Si rialzò quasi subito, ma qualcuno lo sollevò a mezz'aria. Timmy scalciò e graffiò il braccio che lo stringeva alla vita, e ottenne solo che un altro braccio lo strangolasse. «Piantala di agitarti, stronzetto» intimò l'uomo. Timmy cercò di gridare, ma la voce gli morì in gola. Quando la macchina imboccò la strada, l'uomo lo teneva ancora sollevato a mezz'aria. L'auto si fermò, ma l'uomo non accennò a fuggire. Timmy riconobbe l'agente Hal e allora si convinse che l'incubo stava per finire. Ma perché quello non scappava? pensò stupito. «Che succede?» domandò Hal camminando verso di loro con un altro agente. Timmy era incredulo. Che cosa aspettavano a estrarre le pistole? Non vedevano che quello gli stava facendo male? «L'ho trovato che si nascondeva nel bosco» disse l'uomo. «Si può dire che l'ho salvato.» «Già, lo vedo» disse Hal. No, voleva gridare Timmy, è una bugia! Ma non riusciva a respirare. Non capivano, quei due, che l'uomo era l'assassino? «Sali in macchina» disse Hal. Poi, con voce più dolce: «Rilassati,
Timmy. Sei in salvo». Finalmente l'uomo lo rimise a terra e lui corse verso l'agente, trascinando la caviglia gonfia. Hal lo prese gentilmente per le spalle e lo mise al riparo dietro di sé. Poi estrasse la pistola e disse all'uomo: «Quanto a te, Eddie, mi devi un bel po' di spiegazioni». 94 Venerdì 31 ottobre Christine si svegliò circondata di fiori. Era morta? pensò. Poi vide sua madre seduta accanto al letto e si disse che doveva essere viva per forza, perché la tuta da jogging a strisce fucsia e turchese che indossava sua madre non era sicuramente una tenuta adatta al paradiso, e forse nemmeno all'inferno. «Come ti senti, tesoro?» «Dove sono?» chiese lei. Era una domanda stupida, se ne rendeva conto, ma dopo tante ore di allucinazioni, o che diavolo altro, aveva il diritto di saperlo. «Sei in ospedale, cara. Sei uscita dalla sala operatoria qualche ora fa.» Un'operazione? Solo allora Christine notò i tubicini che la collegavano a macchine e monitor. In preda al panico, si strappò le coperte. «Ma cosa fai?» la rimproverò sua madre. Le gambe c'erano ancora, grazie a Dio. Una era fasciata, ma poteva muoverla. «Non vorrai prenderti anche una polmonite!» Lei alzò le braccia e piegò le dita. Se non altro i pezzi c'erano tutti. Lo stomaco le faceva un male d'inferno, ma era tutta intera. «Tuo padre e Bruce sono andati a prendere un caffè. Saranno felici di trovarti sveglia.» «Bruce è qui?» si allarmò Christine. Poi ricordò il rapimento di Timmy e di colpo ebbe l'impressione che l'aria della stanza fosse stata risucchiata via. «Dagli un'altra possibilità, tesoro» disse sua madre. «Questo calvario l'ha cambiato molto.» Calvario? pensò Christine. Adesso era così che definivano la scomparsa di Timmy?
Proprio allora Nick si affacciò dalla porta. Era in giacca e cravatta, lei non lo vedeva così elegante da tempo, sembrava quasi vestito per un funerale... Christine pensò di nuovo a Timmy ed ebbe un altro attacco di panico. «Ciao, caro» disse sua madre mentre Nick si chinava a baciarla sulla guancia. Christine li osservò attentamente. Stavano recitando? Avevano deciso di non dirle niente perché era ancora troppo malandata? «Voglio la verità, Nick» implorò con una voce così stridula che lei stessa non la riconobbe. Entrambi la guardarono senza parlare, poi Nick si avvicinò alla porta che aveva appena richiuso. «D'accordo, se è davvero quello che vuoi.» «Nick, per favore...» gemette lei. Lui aprì la porta e Christine vide un'apparizione che sembrava Timmy. Si sfregò gli occhi. Aveva di nuovo le allucinazioni? Poi suo figlio avanzò zoppicando verso di lei, con un taglio su una guancia e un labbro gonfio, ma in ordine e pettinato, e con i vestiti puliti. Aveva perfino un paio di scarpe da tennis nuove. Che tutto fosse stato solo un bruttissimo sogno? «Ciao, ma'» fece Timmy come in una mattina qualsiasi. Poi si inginocchiò sulla sedia che la nonna aveva avvicinato al letto, e a quel punto Christine rinunciò a trattenere le lacrime. Gli accarezzò la testa, gli ravviò il ciuffo sulla fronte, posò la mano sulla guancia ferita. «Ma dai, mamma» fece lui. «Ci guardano tutti.» E lei capì che era vero e reale. 95 Nick se la svignò prima che l'atmosfera diventasse troppo sdolcinata, e svoltando l'angolo del corridoio si imbatté in suo padre. «Ehi, calma, figliolo» disse Tony mettendo in salvo la tazza di caffè che aveva in mano. «Non si può mai dire che cosa ti perdi andando troppo in fretta.» Il tono era sarcastico come sempre, ma Nick era troppo di buon umore per arrabbiarsi. «Non è Eddie, sai» disse ancora suo padre. «Ah, davvero? Questa volta sarà il tribunale a deciderlo e non Antonio Morrelli.» «Che diavolo vorresti dire?» Nick si avvicinò a suo padre fino a guardarlo fisso negli occhi. «Hai aiu-
tato qualcuno a montare delle false prove contro Jeffreys?» «Attento a come parli, sai. Non ho mai commesso un falso in vita mia!» «E allora come spieghi le discrepanze che sono venute fuori?» «Non c'era nessuna discrepanza. Ho solo fatto il necessario per far condannare quel figlio di puttana.» «Ma hai ignorato delle prove importanti.» «Sapevo che aveva ucciso quel ragazzino, quel Wilson. Tu non hai visto il cadavere, non sai che cosa gli aveva fatto passare. Jeffreys meritava di morire!» «Non venirmi a dire che i tuoi orrori sono peggiori dei miei» sbottò Nick stringendo i pugni. «Questa settimana ho visto quanto basta per una vita intera. Forse Jeffreys meritava di morire, ma accollandogli gli altri due omicidi hai lasciato libero un assassino. Hai fatto in modo che la città si sentisse al sicuro quando non lo era affatto.» «Ho fatto quello che ritenevo necessario.» «Non dirlo a me, questo. Vallo a dire a Laura Alverez e a Michelle Tanner.» E Nick girò sui tacchi e se ne andò. Si aspettava di provare soddisfazione per aver finalmente detto a Tony Morrelli il fatto suo, invece sentiva solo amarezza. Si fermò davanti alla reception dell'ospedale e guardò stupito la segretaria in mantello nero e cappello a cono, poi vide i festoni di cartone con le zucche e capì. Ma certo, era Halloween. «Ciao, Nick» disse una brunetta arrivando dietro di lui. «Ehi, Sandy... adesso fai il turno di giorno?» fece lui un po' imbarazzato. C'era un posto in città in cui non rischiasse di imbattersi in un'ex amante, fosse anche solo l'avventura di una notte? pensò. La ragazza ignorò il suo imbarazzo. «Sembra che Christine stia molto meglio» disse. Lui la fissò senza sentirla. Chissà perché era finita con Sandy? Era bella, intelligente, simpatica... come tutte le donne che aveva scelto finora. Ma nessuna reggeva il confronto con Maggie. «Ehi, Nick, tutto bene?» domandò Sandy. «Eh? Oh, sì... volevo solo sapere il numero della camera dell'agente O'Dell.» «È la 372, in fondo al corridoio» disse la segretaria. «Ma può darsi che sia già andata via.» «Come, andata via?» «Ha firmato i documenti poco fa e stava aspettando dei vestiti, perché
quelli che aveva addosso ieri sera erano ridotti piuttosto male» spiegò la donna. Ma Nick era già a metà del corridoio. Spalancò la porta. Maggie stava guardando fuori della finestra. Si voltò in fretta chiudendo la camicia dell'ospedale aperta sulla schiena. «Morrelli, ma tu non bussi mai?» «Scusami.» Il cuore di Nick si calmò mentre la guardava. I capelli erano di nuovo lucidi e puliti, la faccia aveva ripreso un po' di colore, gli occhi brillavano. «Mi hanno detto che eri già andata via e...» «Sto aspettando dei vestiti nuovi. Una delle infermiere volontarie si è offerta di andarmeli a comperare.» «E i medici hanno detto che va bene?» domandò lui preoccupato. «Che te ne puoi andare?» «Hanno lasciato decidere a me.» Si fissarono negli occhi per un attimo, poi lei ruppe l'incantesimo. «Come sta Christine?» «L'operazione è riuscita e pare che sulla gamba non resteranno cicatrici. Le ho appena portato Timmy.» Gli occhi di Maggie si addolcirono. «Viene quasi da credere al lieto fine» disse. I loro sguardi si incontrarono di nuovo e questa volta lei sorrise. Dio, lo sapeva quanto era bella quando sorrideva? Nick stava per dirglielo, per farle sapere che la sola idea di non rivederla più lo faceva star male, che l'amava, e al diavolo il suo matrimonio e tutto il resto. Ma ci ripensò e disse invece: «Stamattina abbiamo arrestato Eddie Gillick». Maggie andò a sedersi sul letto. «Abbiamo interrogato di nuovo Ray Howard» continuò Nick, «e questa volta ha ammesso che ogni tanto prestava il furgoncino blu a Gillick.» «Anche il giorno che Danny è scomparso?» «Ovviamente Howard non se lo ricorda, ma c'è dell'altro. Eddie è venuto a lavorare qui l'anno del primo omicidio. Il distretto di polizia di Omaha gli ha dato una lettera di referenze, ma nel suo dossier c'erano ben tre rimproveri ufficiali per uso improprio della forza durante un arresto, e in due casi si trattava di minorenni. A un ragazzino ruppe addirittura un braccio.» «E l'estrema unzione?» «Sua madre - una madre single, tra l'altro - ha fatto per anni il doppio lavoro per mandarlo alla scuola cattolica. E questo fino al liceo.» Maggie si scostò i capelli dietro l'orecchio. «Non lo so, Nick... tu credi sia lui?»
Invece di rispondere Nick continuò: «Ha avuto sicuramente accesso alle prove del caso Jeffreys, e può averlo incastrato con facilità. Aveva anche accesso all'obitorio, tanto che ieri c'è andato a prendere le foto dell'autopsia. Quindi può aver sottratto il corpo di Matthew quando si è reso conto che i segni dei morsi potevano farlo identificare. E usando la sua autorità può benissimo aver fatto qualche telefonata per avere informazioni su Albert Stucky». Sentendo quel nome lei fece una piccola smorfia involontaria. «L'obitorio non è chiuso a chiave» obiettò. «Ci può entrare chiunque. E molto di quel che Stucky ha fatto è stato descritto con dovizia di particolari sui giornali e in TV.» «Sì, ma c'è di più.» Nick aveva tenuto per ultima la cosa più grave, ma anche la più dubbia. «Abbiamo trovato degli oggetti nel suo bagagliaio. Una maschera di Halloween, un paio di guanti neri e un rotolo di corda.» «E perché avrebbe dovuto lasciare quella roba in macchina se sapeva che gli stavamo dando la caccia? Specialmente se era stato lui il responsabile delle false prove contro Jeffreys?» Anche Nick la pensava allo stesso modo, ma non vedeva l'ora che quell'incubo finisse. «Mio padre ha appena ammesso di sapere che quelle prove erano false» disse. «Davvero?» «Più o meno. Ha ammesso di avere ignorato le discrepanze tra alcune prove.» «E crede che Eddie sia colpevole?» «No, dice di essere sicuro che non lo è.» «E questo ti convince ancora di più che invece è lui» osservò Maggie. Dio, come lo conosceva bene. «Timmy ha un accendino che gli ha dato il suo rapitore, con lo stemma del nostro dipartimento. È un regalo che mio padre faceva ai collaboratori come ricompensa, ma non ne diede via molti. Eddie era una delle cinque o sei persone che lo possedevano.» «Gli accendini si perdono» fece lei alzandosi e tornando alla finestra. Questa volta dimenticò il suo abbigliamento sommario, e lui poté vedere una generosa porzione della sua schiena e una spalla. Così, con quel camicione addosso, Maggie sembrava piccola e fragile. Nick immaginò di stringerla fra le braccia, di distenderla sul letto, di sdraiarsi accanto a lei, di guardarla e accarezzarla per ore... Si massaggiò gli occhi per scacciare quel sogno impossibile.
«Tu pensi ancora che sia Keller?» domandò. «Non lo so più. Forse non voglio ammettere che sto perdendo il mio fiuto.» «Perché? Secondo te Eddie non corrisponde al tuo profilo psicologico?» «No» rispose senza esitazioni. «Vedi, l'uomo del sotterraneo non è uno che perde la testa e fa a pezzetti i ragazzini in un accesso d'ira. Ucciderli per lui è una missione, qualcosa di programmato nei minimi dettagli. Io credo addirittura che sia convinto di salvarli.» Nick non le aveva ancora chiesto che cosa era successo nel sotterraneo prima del suo arrivo, ed evitò di farlo anche adesso. I giochetti sadici, i messaggi, Albert Stucky... sembrava una faccenda troppo personale, ma proprio per questo c'era il rischio che Maggie non fosse obiettiva. «Timmy che cosa dice?» fece lei voltandosi. «Ha identificato Eddie?» «Ieri sera sembrava sicuro, ma questo accadeva subito dopo che Eddie lo aveva inseguito lungo l'argine. D'altra parte Eddie sostiene di averlo visto nel bosco e di averlo seguito solo per portarlo in salvo. E stamattina Timmy ha ammesso di non aver mai visto in faccia il suo rapitore. Però non possono essere soltanto coincidenze, no?» «No. Direi che hai finalmente un vero indiziato» ammise Maggie stringendosi nelle spalle. «Già. Ma il punto è: ho anche il vero assassino?» 96 La valigia era vecchia e malconcia e lui aveva perso la combinazione anni prima, così adesso evitava semplicemente di chiuderla a chiave. Anche il manico era rotto e aggiustato con un po' di nastro adesivo, che d'estate diventava appiccicoso. Ma quella valigia era l'unico ricordo che aveva di sua madre. L'aveva rubata da sotto il letto del patrigno la notte che era scappato di casa, se si poteva chiamare casa la prigione in cui era vissuto ancora tre settimane dopo la morte di sua madre, subendo la stessa punizione tutte le notti. Aveva aspettato che il patrigno si addormentasse, esausto, aveva preso la valigia e senza far rumore ci aveva infilato dentro le sue poche cose, mentre il sangue gli colava ancora lungo le cosce. Al contrario di sua madre non si era mai abituato alle spinte profonde e violente del patrigno, e anche quella notte camminava a stento. Ma era andato ugualmente a piedi fino alla chiesa di Nostra Signora di Lourdes, dove Padre Daniel gli aveva offerto
un rifugio. Il prezzo da pagare per l'ospitalità non era diverso dalle punizioni subite fino allora, ma se non altro Padre Daniel era gentile. Non c'erano più state lacerazioni e lacrime, solo l'umiliazione che lui accettava come espiazione della sua colpa. Perché in fondo lui era un assassino. E lo sguardo sbigottito negli occhi spenti di sua madre, distesa sul pavimento della cantina con le ossa spezzate, lo ossessionava. La seconda volta che aveva ucciso era stato più facile. La vittima era un gatto randagio che Padre Daniel aveva raccolto e nutrito senza chiedere nulla in cambio come faceva con lui - il che era stata una ragione più che sufficiente per ammazzarlo. Ricordava ancora il sangue caldo che gli era schizzato sulle mani quando gli aveva tagliato la gola. Da allora, ogni morte era stata un rito sacrificale. Aveva ucciso il primo ragazzino durante il secondo anno di seminario, un fattorino con le lentiggini e gli occhi tristi che gli ricordavano i suoi. Aveva dovuto ucciderlo, per liberarlo dalla sua infelicità, per salvarlo. E per salvare se stesso. Controllò l'orologio. Aveva ancora tempo, pensò posando la valigia accanto alla sacca di tela grigia che aveva finito di preparare poco prima. Diede un'occhiata al giornale ben ripiegato sul letto. UN AGENTE DI POLIZIA SOSPETTATO DEGLI OMICIDI DI PLATTE CITY. Il titolo gli strappò un sorriso. Com'era stato facile! Quando aveva trovato l'accendino sul pavimento del furgoncino, aveva capito che quel bulletto arrogante era un perfetto capro espiatorio, perfino meglio di Jeffreys. Tutte le barbosissime serate di conversazione e le partite a carte con quel bastardo avevano avuto la loro utilità. Si era mostrato interessato alle conquiste sessuali di Gillick, gli aveva offerto consigli e assoluzione, aveva addirittura finto di essergli amico, quando in realtà quell'uomo gli dava il voltastomaco. Ma aveva capito che Gillick era l'uomo che gli serviva. Era un violento, e ce l'aveva in particolare con i ragazzini e con le donne, che secondo lui lo provocavano e quindi si meritavano qualsiasi maltrattamento. Gillick gli ricordava parecchio il suo patrigno, il che avrebbe reso la sua condanna ancora più piacevole. E sarebbe stato condannato, questo era sicuro, grazie alle prove nascoste opportunamente nel bagagliaio della vecchia Chevrolet. Era stato un vero colpo di fortuna imbattersi nella macchina dopo l'incidente e metterci quelle due o tre cosette compromettenti. Proprio come aveva fatto con Jeffreys. Quell'idiota di Ronald Jeffreys era venuto da lui a confessare l'assassinio di Bobby Wilson, ma quando gli aveva chiesto l'assoluzione non aveva
mostrato un briciolo di rimorso. Fargli avere la meritata condanna era stato semplicissimo. Erano bastati una telefonata anonima e un po' di oggetti ben scelti. Un perfetto capro espiatorio, come Daryl Clemmons, il giovane seminarista che gli aveva confidato la sua paura di essere omosessuale e così facendo si era candidato al ruolo di colpevole per la morte del fattorino. E poi c'era stato quel poveraccio di Randy Maiser, un vagabondo che aveva chiesto ospitalità al parroco di St. Mary. La gente di Wood River non ci aveva messo molto a incolparlo della morte di quell'altro ragazzino. Sì, aveva sempre trovato la soluzione più giusta per tutti... Diede un'altra occhiata al giornale e la foto di Tìmmy appannò un po' il suo buonumore. Stranamente, aveva provato sollievo per la fuga di Timmy, ma non poteva nascondersi che era colpa di quel ragazzino se adesso era costretto ad andarsene in quel modo poco dignitoso. Non poteva continuare la vita di sempre sapendo che aveva fallito la sua missione, con il timore che Tìmmy riconoscesse i suoi occhi o il suo modo di camminare. A meno che... Riprese in mano il giornale per leggere gli articoli all'interno. Sì, ecco. Il padre di Timmy, Bruce, era di nuovo in città. Povero Timmy, con tutti quei lividi. Sì, forse poteva ancora tentare di salvarlo. 97 Maggie avrebbe tanto voluto poter dire a Nick che era finita, che nessun ragazzino sarebbe più scomparso. Ma mentre rivedevano i vari elementi dell'accusa contro Eddie Gillick, continuava a sentire lo stesso dubbio. Possibile che si fosse sbagliata così grossolanamente e che la sua fosse solo testardaggine? E poi le riusciva difficile fare una conversazione seria con addosso solo quel ridicolo camicione. Nick si impegnava a guardarla il meno possibile, ma lei si sentiva sempre più nuda ogni volta che i loro occhi si incontravano. «E va bene, sembra proprio che Eddie Gillick sia colpevole» disse incrociando le braccia sul petto. Poi si accostò di nuovo alla finestra, tenendo la schiena contro la parete. Quel giorno il cielo era così azzurro e limpido che sembrava finto. Quasi tutta la neve si era sciolta e le foglie degli alberi erano un trionfo di colori dorati. Era come se un incantesimo maligno si fosse dissipato e tutto fosse tornato normale, anzi migliore di prima. Solo che lei aveva ancora quel dubbio che la tormentava.
«Che ci faceva Christine con Eddie ieri sera?» «Lui doveva accompagnarla a casa, ma invece l'ha portata in Old Church Road dicendo che se faceva sesso con lui le avrebbe detto dov'era Timmy.» «Sapeva dov'era?» esclamò lei. «Così ha detto Christine, ma forse quando me ne ha parlato ieri sera era ancora sotto shock. Mi ha anche detto che il presidente Nixon l'aveva portata sul ciglio della strada.» «Ma certo. Quando ha estratto Christine dalla macchina aveva addosso la maschera, che poi ha nascosto nel bagagliaio.» «E poi si è messo a dare la caccia a Timmy nei boschi» proseguì Nick. «Dopo aver cercato di violentare Christine e di aggredire te nel sotterraneo. Un tipo molto occupato, no?» Lui e Maggie si guardarono di nuovo, mentre il dubbio aumentava in entrambi. «Ha cercato di fare qualcosa con te?» domandò Nick. «Che vuoi dire?» «Sì, insomma, ti ha messo le mani addosso? Ha cercato di...?» «No» disse lei. «No, per niente.» E ricordò che quando l'uomo aveva frugato nella sua giacca per toglierle la pistola e l'aveva sfiorata, aveva ritratto la mano come scottato. E anche mentre le parlava all'orecchio non l'aveva mai toccata. No, all'uomo del sotterraneo non interessava il sesso, non con gli uomini e certamente non con le donne. Poi ripensò alle immagini dei martiri sulle pareti della camera di Padre Keller. Il sacerdozio e il conseguente voto di castità dovevano essergli apparsi come una soluzione perfetta. «Dobbiamo di nuovo interrogare Keller» aggiunse. «Ma non abbiamo assolutamente niente su di lui.» «Dammi retta per l'ultima volta» insisté Maggie. In quel momento un'infermiera si affacciò alla porta. «Agente O'Dell, c'è una visita per lei.» «Era ora» sospirò Maggie aspettandosi la volontaria con i vestiti. L'infermiera tenne aperta la porta e lanciò un sorriso ammirato al bell'uomo biondo nell'elegante abito di Armani. Lui entrò dando una breve occhiata a Nick, poi dedicò a Maggie un sorriso professionale. «Greg» esclamò lei. «Che diavolo ci fai qui?» 98
Timmy inserì due monetine nel distributore, fece per scegliere la solita tavoletta di Snicker, poi ricordò la stanzetta buia e l'uomo con la maschera e scelse una barretta di cioccolata alle noccioline. Non doveva pensare alla sua prigionia, si disse. Doveva concentrarsi su sua madre e aiutarla a stare meglio. Vederla in quel grande letto, con tutti quei tubicini collegati alle macchine che sibilavano e ticchettavano, gli faceva un po' paura. Lei però non sembrava tanto malata ed era parsa anche contenta di vedere il papà, per quanto gli avesse strillato contro. Questa volta il papà non aveva risposto con altri urli, aveva solo detto e ripetuto che gli dispiaceva tanto, e quando Timmy era uscito dalla stanza loro due si tenevano per mano. Era un buon segno, no? Timmy si sedette sulla poltroncina della sala d'aspetto e aprì l'involucro della sua tavoletta. Il nonno doveva portargli un sandwich dal bar di fronte, ma lui non aveva fatto colazione e aveva lo stomaco vuoto, così decise di non aspettare. Mise in bocca metà della barretta e la lasciò sciogliere un po', poi cominciò a masticare. «Credevo che preferissi gli Snicker.» Timmy si voltò stupito. «Buongiorno, Padre Keller» mormorò a bocca piena. «Non l'avevo sentita.» «Come stai?» disse il prete arruffandogli i capelli e indugiando con la mano sulla sua testa. «Oh, bene.» Timmy inghiottì il resto della cioccolata e aggiunse: «Mia madre è stata operata stamattina». «Già, l'ho saputo.» Padre Keller posò la sacca di tela sulla sedia, poi si accucciò di fronte a lui. Quella era una cosa che gli piaceva, pensò Timmy, l'interesse genuino che il prete gli dimostrava. Lo si vedeva da quegli occhi azzurri che certe volte erano così tristi... Solo che oggi c'era qualcosa di diverso negli occhi di Padre Keller. Tìmmy non capiva perché, ma gli avevano fatto venire un nodo allo stomaco. Si agitò sulla sedia e il prete domandò: «Davvero stai bene?». «Sì, sì, sto bene... deve essere tutta quella cioccolata che ho mangiato. Non avevo fatto colazione. Va da qualche parte?» domandò poi accennando alla sacca. «Sì, accompagno Padre Francis alla sua dimora eterna. È per questo che sono qui, per vedere se il corpo è pronto.» «È... è qui?» balbettò Timmy. «Sì, giù nell'obitorio. Ti andrebbe di venire con me?» «Non lo so... sto aspettando mio nonno.»
«Ci vorranno solo pochi minuti, e credo che ti piacerà. Sembra una scena di X-Files.» «Davvero?» Chissà se i cadaveri erano davvero così pallidi e rigidi, pensò. «Ma la gente dell'ospedale non si arrabbierà?» «No. Non c'è mai nessuno.» Quando Timmy si alzò dalla poltroncina, l'involucro della barretta di cioccolata gli cadde a terra. Lui si chinò a raccoglierlo e notò le Nike di Padre Keller, candide come sempre. Solo che oggi c'era un nodo in una delle stringhe, un nodo strano.... Timmy ebbe uno strano capogiro. Sì, doveva essere tutta quella cioccolata a stomaco vuoto. Il prete gli tendeva la mano sorridendo, gentile come sempre. Ma perché aveva quel nodo nella stringa delle Nike? 99 «Come hai scoperto che ero in ospedale?» domandò Maggie quando furono soli. «Non lo sapevo finché non sono arrivato stamattina al distretto di polizia, dove una sciacquetta in minigonna di pelle mi ha messo al corrente.» «Non è una sciacquetta.» Adesso si metteva a difendere Lucy Burton? pensò Maggie. «Comunque, questo conferma quello che ho sempre sostenuto. Il tuo lavoro è troppo pericoloso.» Cercando di soffocare la collera, Maggie gli voltò le spalle e aprì la valigia che lui le aveva portato. Riavere le proprie cose era confortante, e lei cercò di concentrarsi solo su quello. «Perché non vuoi ammetterlo?» insisté Greg. «Che cosa?» «Che il tuo lavoro è troppo pericoloso.» «Per chi, Greg? Per te? Per me non lo è. Ho sempre saputo che c'erano dei rischi.» Lo guardò scura in viso. Lui camminava nervosamemte per la stanza, come in attesa di un verdetto. Maggie sospirò. «Quando ti ho chiesto di ritirare le mie valigie in aeroporto non intendevo chiederti anche di portarmele fin qui.» Poi cercò di sorridere, ma lui non si lasciò smuovere. «L'anno prossimo diventerò socio dello studio. Siamo sulla buona strada, capisci?» «Sulla buona strada per cosa?» fece lei scegliendo un completo di slip e
reggiseno. «Non dovresti più fare queste cose rischiose. Hai otto anni di anzianità, Dio santo, dovresti avere tutti i titoli per diventare un sovrintendente, un direttore, non so... insomma, qualcos'altro!» «Ma a me piace il lavoro che faccio.» Maggie cominciò a sfilare il camicione dell'ospedale, poi gli gettò un'occhiata. «Vuoi che me ne vada?» esclamò lui alzando le mani - e gli occhi - al cielo. «Già, forse è meglio che me ne vada così puoi dire al tuo cowboy di tornare.» «Non è il mio cowboy!» «È per questo che non hai risposto alle mie telefonate? C'è qualcosa fra te e lo sceriffo Big Jim?» «Non essere ridicolo» disse lei sfilando il camicione e chinandosi a infilare gli slip. Muoversi le faceva male, ma se non altro le ferite erano medicate a dovere e coperte da una fascia. «Oh, mio Dio, Maggie...» sussurrò lui vedendola. Poi i suoi occhi si fermarono sulla cicatrice all'addome e lei si coprì. «Quella non è una ferita di ieri sera» disse Greg, più arrabbiato che preoccupato. «Perché non me l'hai detto?» «E tu perché non te ne sei accorto?» «E così adesso è anche colpa mia!» sbottò lui alzando di nuovo le braccia. Lei riconobbe il gesto che faceva quando ripassava le sue arringhe. Forse poteva funzionare con qualche giuria, ma per lei era solo un atteggiamento inutilmente teatrale. «No, tu non c'entri» lo rassicurò. «Sei mia moglie, il tuo lavoro è tanto pericoloso da farti tagliare a pezzetti e io non c'entro? Non dovrei preoccuparmi?» «Tu non sei preoccupato, sei arrabbiato perché non te l'ho detto.» «E certo che sono arrabbiato. Perché non me ne hai parlato?» Lei gettò da parte il camicione offrendogli un'ampia visuale della cicatrice. «Questa è di più di un mese fa, Greg. Qualsiasi marito l'avrebbe notata, ma tu no. Non facciamo più l'amore, io non dormo più nemmeno nel tuo stesso letto, ma tu non hai notato neanche questo, né che passo le nòtti a camminare avanti e indietro. Non ti importa un accidente di me, Greg, questa è la verità.» «Ma è assurdo! Come puoi dire che non mi importa di te? Se voglio che tu lasci l'FBI!» «Se ti importasse davvero capiresti quanto il mio lavoro è importante per
me, invece tu ti preoccupi della figura che faccio fare a te. Vuoi poter dire ai tuoi colleghi che tua moglie è un pezzo grosso dell'FBI, con un ufficio lussuoso e un esercito di segretarie. Vuoi che mi tiri a lucido per i tuoi party fra avvocati, così puoi mettermi in mostra senza che si vedano le cicatrici. Be', io non sono così, Greg. Io sono come sono, con le mie ferite e le mie cicatrici. E forse non mi adatto più al tuo stile di vita tanto raffinato.» Lui la guardò scuotendo la testa, come fa un padre con una bambina capricciosa, ma non disse niente. «Grazie per avermi portato le valigie» fece lei stancamente. «Ma adesso voglio che tu te ne vada.» «E va bene» sbuffò Greg cacciandosi le mani in tasca. «Vediamoci a pranzo, dopo che ti sarai data una calmata.» «No. Voglio che tu torni a casa.» Lui la fissò con le labbra contratte, ma invece di sbottare di nuovo girò sui tacchi e la piantò in asso, e Maggie si lasciò cadere sul letto. Dopo un po' sentì un lieve tocco sulla porta e con la rabbia in corpo si preparò mentalmente all'ennesimo attacco di Greg. Ma fu Nick a entrare. «Scusa, non sapevo che non fossi vestita» balbettò voltando la testa. Lei afferrò il reggiseno e lo infilò. «Dovrei essere io a scusarmi» disse adottando il sarcasmo tipico di Greg. «Sembra che il mio corpo pieno di cicatrici sia una vista repellente.» Dopo di che prese una camicetta e cominciò a infilarla. Nick le lanciò una rapida occhiata. «Dio santo, Maggie, ormai dovresti sapere che non sono la persona a cui dire una cosa del genere. Sono giorni e giorni che cerco di trovare una minima cosa di te che non mi faccia impazzire.» Maggie continuò ad allacciare la blusa, anche se le sue dita tremavano. Bastava la presenza di Nick Morrelli perché lei si sentisse di nuovo viva, sensuale, bellissima. «Comunque scusami, non volevo irrompere qui come un pazzo... ma abbiamo un problema riguardo all'interrogatorio di Padre Keller.» «Lo so, lo so, non abbiamo prove sufficienti.» «No, non è solo questo.» Un'altra rapida occhiata gli rivelò che Maggie era quasi vestita, ma lui rimase voltato. Pensando che l'aveva vista con molto meno addosso, lei sorrise fra sé. «Ho appena telefonato al rettorato e ho parlato con la cuoca» continuò Nick. «Padre Keller sta per partire, e Ray Howard è scomparso.»
100 Timmy notò la scritta ZONA RISERVATA - ACCESSO VIETATO fuori dell'ascensore, ma Padre Keller non ci badò e si avviò per il corridoio come se fosse stato lì molte altre volte. Tìmmy gli tenne dietro come poteva, anche se la caviglia gli faceva ancora male. Solo allora, guardando verso di lui, Padre Keller notò che zoppicava. «Che hai fatto?» domandò. «Mi sono slogato la caviglia ieri notte nel bosco» disse lui in fretta. Non voleva pensarci, non voleva ricordare. Ogni volta che ci ripensava, gli veniva un nodo allo stomaco, e non era piacevole. «Ne hai passate un bel po', eh?» disse Padre Keller fermandosi e accarezzandolo sulla testa. «Ti va di parlarne?» «Veramente no» fece Timmy fissando le sue Nike nuove. Erano dell'ultimo modello, regalo di zio Nick proprio quella mattina. Padre Keller non insisté come facevano tutti gli altri, e lui gliene fu grato. Cominciava a essere stufo di tutte quelle domande. L'agente Hal, i giornalisti, i dottori, zio Nick, il nonno, tutti volevano sapere della stanzetta buia, dello strano uomo, di come aveva fatto a scappare. E invece lui non voleva più pensarci. Padre Keller aprì una porta e accese la luce, e la grande stanza si illuminò a giorno. «Ehi, sembra proprio X-Files» esclamò Timmy sfiorando il lungo tavolo d'acciaio al centro della stanza. Poi i suoi occhi corsero agli strumenti sistemati in bell'ordine sui vassoi, e infine ai cassetti lungo la parete opposta. «È lì che tengono la gente morta?» si informò. «Sì» rispose Padre Keller. Ma sembrava distratto mentre posava la sacca di tela sul tavolo. «E Padre Francis è in uno dei cassetti?» sussurrò Timmy. «Sì, a meno che gli incaricati dell'agenzia di pompe funebri non lo abbiano già prelevato per portarlo in aeroporto.» «Come, in aeroporto?» Timmy non aveva mai sentito che i morti viaggiassero in aereo. «Ricordi che ti ho detto che avrei accompagnato Padre Francis nel suo luogo di sepoltura?» «Certo.» Timmy ricominciò a esaminare i ripiani e gli strani strumenti che vi erano disposti, cercando di indovinare a che cosa servivano. Alcuni
erano molto aguzzi, altri lunghi e sottili, uno sembrava una sega in miniatura. «Ho sentito che tuo padre è di nuovo in città» disse Padre Keller stando fermo in piedi accanto al tavolo. «Sì. Spero che rimanga.» Fra gli strumenti c'era anche un microscopio. Gli sarebbe piaciuto un microscopio come regalo di compleanno. «Davvero vorresti che rimanesse? Ma non ti trattava male?» Timmy guardò Padre Keller, sorpreso dalla domanda. «Che vuol dire?» fece dopo un po'. Il prete sembrava occupato a controllare il contenuto della sua sacca. «Non ti faceva del male?» insisté frugando tra la biancheria. «Non ti faceva delle cose spiacevoli?» Timmy non capiva di che cose spiacevoli stesse parlando Padre Keller, ed era sempre più perplesso. «Be', no, era quasi sempre gentile con me. Delle volte urlava, ma non tanto...» «E i tuoi lividi, allora?» Timmy arrossì, ma per fortuna il prete non lo stava guardando. «Oh, mi vengono facilmente. Di solito me li faccio giocando a calcio.» O scontrandomi con Chad Calloway, pensò. «E allora perché la tua mamma lo ha mandato via?» domandò Padre Keller. La sua voce era strana, bassa, come se fosse arrabbiato. E Timmy non voleva farlo arrabbiare... Poi sentì un tintinnio metallico e si domandò che cosa cercasse in quella sacca. «Non lo so. Ma credo che fosse per via di una puttanella con grosse tette e niente cervello» disse usando le stesse parole che aveva sentito dire a sua madre. Questa volta Padre Keller lo guardò, ma i suoi occhi di solito così gentili erano freddi e... no, non era possibile... Lo stomaco di Tìmmy si contrasse, poi un conato di vomito gli salì alla gola mentre un brivido gelido gli serpeggiava lungo la schiena. «Ehi, stai bene?» domandò il prete. I suoi occhi tornarono caldi e gentili. Il panico di Tìmmy diminuì, ma il nodo allo stomaco non accennava a sciogliersi. L'aveva immaginato il cambiamento nella faccia di Padre Keller? «Tìmmy, credi che la tua mamma e il tuo papà torneranno insieme?» domandò il prete a bassa voce. «Credi che potrete essere di nuovo una vera famiglia?» «Lo spero. Sento la mancanza di mio papà. Mi piaceva quando andava-
mo in campeggio e lui mi insegnava a pescare, e parlavamo insieme e tutto quanto. L'unica cosa era che lui non sapeva proprio cucinare.» Padre Keller gli sorrise e richiuse la sacca senza prendere niente. «Ah, eccovi qui» disse Tony Morrelli spalancando la porta. «L'infermiera Richards ha detto che aveva visto l'ascensore scendere nel seminterrato. Che stavate facendo?» «Padre Keller è venuto a prendere Padre Francis per il suo ultimo viaggio» spiegò Timmy. Poi si voltò a guardare il prete e fu contento di notare che sorrideva ancora, e non era più strano come poco prima. Si rivolse al nonno e disse: «Di', questo posto non sembra una scena di X-Files?». 101 Nick rallentò vedendo la faccia tesa di Maggie. Certo la ferita le faceva male, pensò, ma lei non l'avrebbe mai ammesso. L'aeroporto di Eppley era affollato come ogni venerdì sera e loro si fecero strada tra la folla dei pendolari che tornavano a casa e i fortunati che partivano per il week end. La signora O'Malley, cuoca di St. Margaret, aveva detto a Nick che Padre Keller partiva alle due e quarantacinque per accompagnare Padre Francis alla sua ultima dimora, e che Ray Howard era sparito. «Non lo vedo da stamattina» aveva spiegato. «Fa sempre finta di essere molto occupato, dicendo che deve fare delle commissioni per Padre Keller, ma non si capisce mai dove va cacciarsi tutto il giorno.» A Nick però interessavano molto di più altri dettagli, così aveva insistito: «E dove sarà seppellito Padre Francis?». «Oh, da qualche parte in Venezuela.» «Venezuela? Dio santo, e perché?» «Padre Francis amava molto quel paese» aveva spiegato la donna, felice di essere in possesso di informazioni così preziose. «C'era stato per il suo primo incarico, appena uscito dal seminario, in un villaggio di poveri contadini. Parlava sempre di quei bellissimi bambini con gli occhi neri e di come sperava di tornare in Venezuela una volta o l'altra. Peccato che da vivo non ci sia riuscito.» «Ricorda il nome del villaggio o della città più vicina?» aveva domandato Nick. «Veramente no... sono tutti nomi così difficili da pronunciare. Ma Padre Keller torna fra pochi giorni, non può aspettare di chiederlo a lui?»
«Temo di no. Non sa nemmeno il numero del volo o il nome della compagnia aerea?» «Oh, povera me, non so se me l'ha detto... Forse la TWA, oppure no, chissà.... Di sicuro so che partiva da Eppley alle due e quarantacinque.» Nick guardò l'orologio e vide che erano quasi le due e mezzo. Lui e Maggie si erano separati all'ingresso e avevano tentato di superare file e code con l'aiuto dei loro distintivi, ma l'impiegata della TWA non sembrava molto impressionata dalla veste ufficiale di Nick, e nemmeno il fascino che lui aveva cercato di mettere in atto pareva avere alcun effetto. «Mi dispiace, sceriffo, ma non posso darle la lista dei passeggeri e tantomeno informazioni su di loro.» «Può dirmi almeno se avete un volo per il Venezuela tra, diciamo, una decina di minuti?» La donna controllò lo schermo del computer. «C'è un volo per Miami, e da lì si può prenderne uno per Caracas.» «Ottimo. Che uscita?» «L'uscita undici, ma il volo è partito alle due e quindici.» «Ne è sicura?» «Oh, sì. Oggi la visibilità è eccellente e tutti i voli sono in perfetto orario.» «Può almeno controllare se su quell'aereo c'era una bara?» «Mi scusi?» «Una bara. Sa, di quelle che trasportano i morti.» Dietro di lui, nella coda, qualcuno ridacchiò. «Sono sicuro che questa informazione non lede più la privacy di nessuno.» Altre risatine. La donna si cucì la bocca ancora di più. «Non posso dirle nemmeno questo. Adesso, se non le dispiace, dovrebbe spostarsi in modo da non intralciare le operazioni di imbarco degli altri passeggeri.» «Lei sa che posso farmi dare un mandato dal tribunale e tornare con quello, vero?» sbottò Nick perdendo la pazienza. «Ecco, allora faccia così.» L'impiegata tese la mano per prendere il biglietto dell'uomo anziano dietro a Nick, e quello gli diede un'occhiata ostile. Nick si spostò al banco della United Airlines, dove nemmeno Maggie aveva ottenuto informazioni utili. Era sempre più pallida, ma Nick le aveva già chiesto un paio di volte come si sentiva e non voleva l'ennesima risposta secca, così lasciò perdere e la mise al corrente del poco che aveva scoperto.
«Uscita undici, hai detto? Che aspettiamo?» «Il volo è partito venti minuti fa.» «E Keller era a bordo?» «L'impiegata non ha voluto dirmelo. E adesso che cosa facciamo? Pensi che valga la pena di andare a Miami e cercare di intercettarlo prima che prenda il volo per Caracas? Perché se arriva in Sudamerica non lo troveremo mai più... Maggie?» Ma lei fissava un punto oltre la spalla di Nick. «Credo di aver localizzato Ray Howard» sussurrò. 102 Nick la guardò perplesso. «Forse ha accompagnato Padre Keller» disse. «Già. Ma allora perché si è portato dietro una valigia?» La grande sacca di tela grigia sembrava molto pesante e accentuava l'andatura zoppicante di Howard. Il sagrestano era vestito di tutto punto come sempre, in pantaloni ben stirati, camicia bianca e cravatta. Il solito cardigan era stato sostituito da una giacca blu. «Spiegami di nuovo perché non può essere il colpevole» disse Nick senza togliergli gli occhi di dosso. «Perché zoppica. Non sarebbe mai riuscito a trasportare i corpi dei ragazzi nei boschi dove li abbiamo trovati. E poi Timmy ha detto che il suo rapitore non zoppicava affatto.» Howard si fermò a osservare il cartello con gli orari di partenza, poi si diresse verso le scale mobili. «Non lo so, Maggie. Certo che quella sacca sembra molto pesante...» «Sì, è vero» fece lei avviandosi in fretta verso le scale con Nick alle calcagna. Ray stava mettendo il piede sul primo gradino quando lei lo chiamò: «Signor Howard.» Lui si voltò. Gli occhi da rettile erano terrorizzati. Afferrò la sacca, saltò sulla scala in discesa e cominciò a correre, spostando violentemente le persone. «Io prendo le scale» fece Nick correndo verso l'uscita di emergenza. Lei estrasse la pistola e gridò: «FBI!» La folla si aprì al suo passaggio come per incanto. Howard continuava a correre con sorprendente rapidità, zigzagando tra i passeggeri, evitando valigie e carrelli. Ma Maggie gli teneva dietro benché
il suo respiro fosse ormai affannoso e la ferita al fianco bruciasse di nuovo come l'inferno. Di colpo Howard si fermò, prese un carrello carico di valigie dalle mani di una hostess stupefatta e lo gettò addosso a Maggie. Una valigia si aprì rovesciando il contenuto sul pavimento. Maggie scivolò su un paio di slip di pizzo, perse l'equilibrio e cadde in mezzo a cosmetici e scarpe, schiacciando un flacone di fondotinta con il ginocchio. Con un ghigno soddisfatto Howard corse verso l'uscita, sempre stringendo la sacca di tela. Ma proprio mentre stava per varcare le porte scorrevoli, Nick piombò su di lui e lo afferrò per la giacca. Howard cadde a terra e si riparò la testa con le mani come se si aspettasse un pugno. Maggie si rimise in piedi. «Sto bene» disse prima che Nick le facesse la domanda. Ma mentre riponeva la pistola nella fondina sentì che la ferita si era riaperta e aveva ricominciato a sanguinare. «Che ci fa qui, Howard?» esclamò Nick aumentando la stretta sul bavero della giacca. «Ho accompagnato Padre Keller che partiva. Perché mi inseguite? Non ho fatto niente, io!» «Allora perché è scappato?» «Perché Eddie mi aveva detto di stare attento a voi due» fece l'altro con aria furba. «Che cosa c'è nella sacca?» intervenne Maggie. «Non lo so. Padre Keller mi ha detto che non gli serviva più e mi ha pregato di riportarla al rettorato.» «Allora non le spiace se diamo un'occhiata, vero?» Maggie gliela tolse di mano, la scagliò su una sedia e la aprì. «Sicuro che non è sua?» domandò vedendo il solito cardigan marrone e alcune camicie bianche ben ripiegate. Howard guardò il contenuto e scosse violentemente la testa. «No!» Sotto le camicie c'era una pila di libri d'arte, il che spiegava il peso considerevole. Ma sotto ancora c'era qualcosa di molto più interessante: una scatola di legno dal coperchio inciso con un fazzoletto di lino, un piccolo crocifisso, due candele e una bottiglietta di olio. E poi, sotto un mucchietto di ritagli di giornale, un paio di mutandine da bambino avvolte intorno a un affilatissimo coltello da macellaio. 103
Domenica 2 novembre Maggie digitò un codice e aspettò, dando un morso al sandwich portato poco prima da Wanda. Le valigie erano pronte, lei era vestita da ore, ma il suo volo non partiva che a mezzogiorno. In attesa di connettersi con Internet, prese l'Omaha Journal e lesse di nuovo l'articolo di Christine in prima pagina. Secondo l'agente speciale Maggie O'Dell, la psicologa forense che l'FBl aveva destinato al caso, è improbabile che Gillick e Howard fossero complici. "I serial killer" ha detto, "agiscono da soli. " Tuttavia l'ufficio del procuratore distrettuale ha incriminato formalmente l'ex poliziotto Eddie Gillick e il sagrestano Raymond Howard per gli omicidi di Aaron Harper, Eric Paltrow, Danny Alverez e Matthew Tanner. Un'accusa separata è stata inoltrata per il rapimento di Timmy Hamilton. Qualcuno bussò alla porta. Maggie gettò il giornale sul letto e controllò lo schermo del computer prima di andare ad aprire. Ancora niente. Era domenica mattina, perché ci voleva tanto per un semplice collegamento? Poi aprì e il solito tremito arrivò puntuale. Nick stava sulla soglia, sorridente, con un paio di jeans e una maglietta rossa che sottolineva i suoi muscoli. Perché le faceva quell'effetto? «Deve far caldo, fuori» si sentì dire. Ma sì, meglio parlare del tempo e ignorare l'elettricità che Nick aveva portato nella stanza. «Già. È difficile credere che abbia nevicato solo pochi giorni fa. Tieni, questo è per te» aggiunse lui porgendole una scatola che lei non aveva notato. «Diciamo che è un regalo di ringraziamento e un augurio di buon viaggio.» Maggie pensò di rifiutare, di dirgli che non era il caso, ma poi prese la scatola e l'aprì. Dentro c'era una maglietta da football, con il numero diciassette stampato in bianco sulla schiena. «È magnifica» disse sorridendo. «Non sostituirà la vecchia maglietta di tuo padre» fece lui con un'ombra di imbarazzo, «ma ho pensato che dovevi avere una maglia dei Cornhuskers. Il diciassette era il mio numero.» «Grazie» sussurrò lei. I loro occhi si incontrarono e Maggie cercò di nuovo di combattere quel brivido così speciale, ma questa volta fu lui il primo a distogliere lo sguardo. «Oh, e questo è da parte di Tìmmy.»
Lei prese la videocassetta con un sorriso. «X-Files» esclamò. «Mi ha detto di riferirti che è uno dei suoi episodi preferiti, quello con gli scarafaggi assassini.» «La guarderò di sicuro» promise lei. «E farò sapere a Tìmmy che cosa ne penso.» Rimasero in piedi a guardarsi, in silenzio. Per una settimana avevano passato insieme ventiquattr'ore su ventiquattro, scambiandosi opinioni e consigli, dando la caccia a pazzi e santi, piangendo la morte di due ragazzini che non conoscevano. Maggie aveva concesso a Nick di scoprire vulnerabilità e sentimenti cui lei stessa non pensava mai. E forse per questo, adesso sentiva che andando via avrebbe lasciato dietro di sé una parte di vita. Che fine aveva fatto la fredda, controllata, professionale agente O'Dell? «Maggie, io...» Lei lo interruppe in fretta. «Scusa, quasi dimenticavo... ho chiesto alcune informazioni via Internet» e si avvicinò al tavolo dove stava il computer. Il collegamento era finalmente in atto e lei digitò un paio di indirizzi. «Lo stai ancora cercando» disse lui senza mostrarsi sorpreso. «Da Caracas il corpo di Padre Francis è stato spedito via corriere in un piccolo villaggio, circa cento miglia a sud della capitale» spiegò lei. «Keller dovrebbe tornare oggi, e io sto cercando di sapere se ha preso l'aereo che da Miami doveva riportarlo qui, o se è andato altrove.» «È incredibile quante informazioni riesci ad avere» osservò Nick chinandosi a esaminare lo schermo. «In aeroporto, l'altro giorno, ho pensato come sarebbe stato comodo avere un distintivo dell'FBI invece del mio, che non impressionava nessuno.» «Non ti starai ancora preoccupando di apparire incompetente...» «In effetti no. Non più.» Finalmente l'elenco dei passeggeri del volo TWA 1692 apparve sullo schermo, e Maggie trovò il nome che cercava. Il reverendo Michael Keller compariva sull'elenco anche a decollo avvenuto. «Questo però non significa che sia davvero su quell'aereo» osservò Nick. «Lo so.» «E se non torna?» «Oh, prima o poi lo troverò. Non può scappare per sempre, no?» «Anche se dovessi trovarlo, ricorda che non abbiamo uno straccio di prova contro di lui.»
«Ma tu credi davvero che Eddie Gillick o Ray Howard abbiano ucciso quei ragazzini?» Lui esitò, guardò le valigie sul letto, poi di nuovo lei. «Non so che parte può aver avuto Gillick nella faccenda, ma tu sai che ho sospettato di Howard fin dall'inizio. E poi lo abbiamo trovato in aeroporto con quella che poteva essere l'arma dei delitti nella borsa!» «Però non corrisponde affatto al profilo dell'assassino» insisté lei. «Può darsi. Ma sai che ti dico? Non voglio passare i miei ultimi momenti con te a parlare di Eddie Gillick o Ray Howard...» Le si avvicinò lentamente, fissandola, e lei si ravviò i capelli e spinse una ciocca dietro l'orecchio. Le sue dita tremavano di nuovo, e il brivido era sceso dallo stomaco al ventre. Nick prese il viso di Maggie tra le mani, poi si chinò su di lei, baciandola teneramente. Il bacio proseguì, caldo, intimo, dolcissimo. Maggie chiuse gli occhi e li tenne chiusi anche quando lui si scostò. «Ti amo, Maggie.» Lei riaprì gli occhi di scatto. La faccia di Nick era vicinissima, il suo sguardo era serio, l'espressione ansiosa come quella di un bambino. E lei capì che dirle quelle parole doveva essere stato molto difficile. «Nick, ci conosciamo appena...» protestò. Come poteva un semplice bacio toglierle il respiro in quel modo? «Non ho mai provato niente di simile, Maggie. È qualcosa che non so spiegare, ma è così.» «Nick, io non...» «Per favore, lasciami finire.» Lei inspirò a fondo e si afferrò al cassettone, come aveva fatto la notte in cui erano stati sul punto di fare l'amore. «È passata solo una settimana, ma ti posso assicurare che quando si tratta di... be', d'amore, non sono affatto un tipo impulsivo. Non ho mai provato prima quel che provo per te. E prima d'ora non ho mai detto a una donna che l'amavo.» Lei aprì la bocca per protestare di nuovo, ma lui la zittì alzando una mano. «Non mi aspetto che quello che ti ho detto cambi la tua vita o comprometta il tuo matrimonio. Ma non volevo che tu partissi senza saperlo, anche se per te non farà alcuna differenza. Volevo sapessi che sono pazzamente, disperatamente, follemente innamorato di te.» Lei non trovava la voce. Le sue mani si aggrapparono al cassettone,
mentre avrebbero voluto volare al collo di lui e stringerlo forte. «Non so che cosa dire...» sussurrò infine. «Non devi dire niente.» «Io... è evidente che anch'io provo qualcosa per te» balbettò lei lottando con le parole. Non sopportava l'idea di non rivederlo più, ma che ne sapeva dell'amore? Aveva creduto di essere innamorata di Greg, aveva sperato di amarlo per sempre, ma non era stato così... «È che adesso le cose sono molto complicate.» Si sarebbe presa a calci. Come poteva essere così terra terra, così pratica e razionale, quando lui le aveva aperto il suo cuore? «Lo so» disse Nick. «Ma non è detto che lo siano per sempre.» «E quello che mi hai detto fa differenza, sai» aggiunse Maggie. «Un'enorme differenza.» Lui sembrò sollevato da quella semplice rivelazione. «Vedi» disse ancora, «tu mi hai aiutato a vedere alcune cose molto più chiaramente. Ho continuato per anni a seguire le impronte di mio padre... ma adesso non voglio più farlo.» «Sei un bravissimo sceriffo» sussurrò Maggie invece di gridare che anche lei lo amava. «Grazie, ma non è quello che voglio dalla vita. Ammiro molto il fatto che il tuo lavoro sia così importante per te. Ammiro la tua dedizione, la tua ostinazione. E solo adesso mi rendo conto che voglio anch'io qualcosa di simile.» «E allora sentiamo, che cosa vuoi fare da grande?» sorrise lei. «Quando ero all'università ho lavorato per qualche tempo nell'ufficio del procuratore distrettuale a Boston. Mi hanno sempre detto che potevo tornare quando volevo... è passato un bel po' di tempo, ma pensavo di chiamarli e sentire se l'offerta è ancora valida.» «Sembra un'ottima cosa» disse Maggie. Quanto distava Boston da Quantico? Non molto, di sicuro. «Mi mancherai» disse Nick. Poi, con un sospiro: «Credo sia ora di avviarci». «Sì.» Lei lo sfiorò e andò a chiudere il computer, staccando spine e cavi e poi mettendolo nell'apposita borsa. Nick prese le valigie. Erano già sulla porta quando il telefono squillò. Dopo una breve esitazione, Maggie tornò indietro e sollevò la cornetta. «Maggie O'Dell.» «O'Dell, meno male che ti trovo ancora» disse la voce di Cunningham.
«Stavo giusto andando in aeroporto.» «Bene. Mando Delaney e Turner a prenderti. Venite qui il più presto possibile.» «Che succede?» fece lei. «A sentirti sembra che io abbia bisogno di guardie del corpo!» Scherzava, ma quando il silenzio si prolungò, cominciò a preoccuparsi. «Volevo dirtelo prima che lo sapessi da qualche notiziario» riprese Cunningham. «Albert Stucky è scappato. Lo stavano trasferendo da Miami a un carcere di massima sicurezza in Florida, e lui ha staccato l'orecchio di una delle guardie con un morso e ha pugnalato l'altra, immagina un po', con uno stiletto nascosto in un crocifisso. Poi gli ha fatto saltare la testa con le loro pistole d'ordinanza. Sembra che il giorno prima avesse ricevuto in cella la visita di un prete, e dev'essere lui che gli ha lasciato il crocifisso. Ma non devi preoccuparti, Maggie... abbiamo preso quel bastardo una volta e lo prenderemo di nuovo.» Maggie strinse il ricevitore. Sì, certo, pensò. Ma per ora tutto quel che sapeva era che Stucky era di nuovo libero. EPILOGO Una settimana dopo Chiuchin, Cile Era incredibile quanto fosse caldo il sole. Sotto i piedi nudi lui sentiva la spiaggia di sassolini, le onde tiepide che gli lambivano le caviglie. L'oceano Pacifico sembrava estendersi all'infinito e le sue acque erano come un balsamo che rinnovava e calmava la sua anima. Dietro di lui, le montagne isolavano quell'angolo di paradiso, dove vivevano contadini poverissimi e bisognosi di gentilezza e attenzione quanto di salvezza eterna. La piccola parrocchia comprendeva poco più di cinquanta famiglie. Era perfetto. Da quando era arrivato non aveva più sentito il pulsare alle tempie e forse questa volta se n'era liberato per sempre. Un gruppo di ragazzini dalla pelle scura, con addosso soltanto dei calzoncini laceri, corse verso di lui dando calci a un pallone. Due di loro lo riconobbero dalla messa del mattino e gli fecero grandi cenni di saluto chiamandolo per nome. Lo pronunciavano in un modo buffo, che lo faceva ridere. Quando furono più vicini e gli si strinsero intorno, lui accarezzò le loro
testoline di capelli corvini e sorrise. Uno dei ragazzini, quello con gli short blu tutti strappati, aveva uno sguardo triste che colpiva al cuore. «Buongiorno anche a voi» disse. «Ma ricordatevelo bene, il mio nome è Padre Keller. Non Killer.» RINGRAZIAMENTI Devo gratitudine e stima a tutti coloro che mi hanno sostenuto con la loro competenza, rendendo possibile questo viaggio straordinario. Un ringraziamento particolare a: Philip Spitzer, il mio agente, che ha creduto da subito nel libro e ha fatto di tutto perché fosse pubblicato. Philip, sei un mito. Patricia Sierra, collega scrittrice, per aver condiviso sapere, acutezza e amicizia con generosità. Amy Moore-Benson, il mio editor, per la tenacia, le intuizioni sottili e la capacità di rendere indolore e gratificante la revisione del libro. Dianne Moggy e tutti i professionisti di MIRA Books, per l'impegno e la determinazione nel fare di questo libro un successo. Ellen Jacobs per la capacità di dire le cose giuste al momento giusto. Sharon Car, per tutti i pranzi passati insieme, io ad autocommiserarmi e lei a incoraggiarmi. LaDonna Tworek, che mi ha indicato la giusta prospettiva, aiutandomi da subito a non perderla di vista. Jeanie Shoemaker Mezger e John Mezger, che mi hanno accolto e ascoltata nel corso di tante cene deliziosamente amichevoli. Bob Kava, per aver sempre risposto con pazienza alle mie domande sulle armi da fuoco. Mac Payne, che mi ha offerto qualcosa da dimostrare. I miei genitori, Edward e Patricia Kava, in particolare la mamma, per aver acceso tutte quelle candele augurali. Scrivere è per lo più un atto solitario e tuttavia non sarebbe stato possibile senza l'appoggio affettuoso della mia famiglia e dei miei amici. Grazie anche a Patti El-Kachouti, Marlene Haney, Nicole Keller, Kenny e Connie Kava, Natalie Cummings, Sandy Rockwood e Margaret Shoemaker. E, infine, grazie a Bob Shoemaker. Questo non sarebbe stato esattamente il genere di libro che Bob avrebbe voluto leggere, ma ciò non gli avrebbe
impedito di essere orgoglioso di me e di parlarne a chiunque. FINE