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ELLIS PETERS LA CONFESSIONE DI FRATELLO HALUIN (The Confession Of Brother Haluin, 1988) Il viaggio di fratello Haluin e fratello Cadfael
CAPITOLO I La fase peggiore dell'inverno, in quel 1142, venne molto presto. Dopo un prolungato autunno di giornate umide e miti, dicembre cominciò con cieli oscurati da fitte nubi che s'incurvavano come una cappa sopra i tetti e opprimevano il cuore. Nello scrittoio, a mezzogiorno, v'era a malapena luce sufficiente per tracciare le lettere, ma non per usare con perizia i colori che, in quel crepuscolo incessante, perdevano ogni splendore. Erano attese pesanti nevicate, che giunsero difatti alla metà del mese, ma non con burrasche di vento bensì in una lenta, silenziosa cascata che continuò per giorni e giorni, appianando ogni dislivello, sbiancando ogni colore, seppellendo le pecore sulle colline e le casupole nelle valli, soffocando ogni rumore, trasformando i tetti in catene di montagne candide e invalicabili e l'aria stessa tra cielo e terra in una massa opaca di fiocchi grandi come gigli. Quando finalmente smise di nevicare e la greve coltre di nubi si sollevò, il Foregate era mezzo sepolto, appianato a tal punto in un'immensa
distesa bianca che non v'erano quasi più ombre, salvo che intorno agli alti edifici dell'abbazia. La luce che ne riverberava trasformava la notte in giorno, laddove soltanto una settimana avanti il buio aveva trasformato il giorno in notte. Quelle nevicate dicembrine, che avevano ricoperto quasi tutto l'occidente, fecero ben più che sconvolgere l'esistenza degli abitanti delle campagne, ridurre alla fame villaggi isolati, seppellire sulle colline alcuni pastori col loro gregge e rendere totalmente intransitabili le strade: capovolsero le sorti della guerra, si beffarono delle preoccupazioni dei principi e procrastinarono il mutevole corso della storia al nuovo anno, il 1143. E arrecarono, inoltre, una strana concatenazione di eventi all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo a Shrewsbury. Nel corso dei cinque anni durante i quali re Stefano e sua cugina, l'imperatrice Maud, avevano combattuto l'uno contro l'altra per il trono d'Inghilterra, la fortuna aveva oscillato più volte come un pendolo fra le due parti, presentando alternativamente a ognuno la coppa della vittoria, soltanto per strappargliela poi di mano ancora intatta e offrirla all'avversario. E proprio allora, sotto le candide spoglie dell'inverno, le sorti della guerra si erano capovolte di nuovo e l'imperatrice era miracolosamente sfuggita alla ferrea presa delle mani del re, allorquando pareva che esse fossero saldamente strette sulla prigioniera, mettendo trionfalmente fine alla contesa. E si era tornati così al punto di partenza. Bisognava ricominciare daccapo. Ma tutto questo accadeva a Oxford, ben lontano da quell'invalicabile coltre di neve, e sarebbe trascorso un bel po' di tempo prima che la notizia arrivasse a Shrewsbury. Ciò che accadeva all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo era soltanto una seccatura, al confronto, o così almeno sembrava al principio. Un inviato del vescovo, alloggiato in una camera all'ultimo piano della foresteria e già irritato per quella sosta forzata, in attesa che le strade tornassero a essere praticabili, era stato sgradevolmente destato in piena notte da un improvviso rivolo d'acqua gelida piovutogli sulla testa e si era assicurato che quanti si trovavano a portata della sua voce stentorea lo udissero immediatamente. Fratello Denis, l'ospedaliere, era accorso a calmarlo e gli aveva assegnato un'altra camera, ma nel giro di un'ora era apparso evidente che il guaio non era limitato a quel primo rivolo, quasi subito diminuito d'intensità: altri gocciolii presero a cadere dal soffitto, in un cerchio largo qualche iarda. A causa dell'enorme peso della neve sul tetto doveva essersi aperto un varco tra i piombi, filtrando poi fra le tegole di ardesia, facendone per-
sino crollare alcune. La mattina seguente si tenne un'urgente riunione del capitolo, per decidere che cosa si sarebbe dovuto e potuto fare. Non era certo il momento adatto per un lavoro tanto difficile e pericoloso su un tetto, ma se lo si fosse rimandato, in attesa del disgelo, ci si sarebbe trovati davanti alla possibilità di un'inondazione e il danno, fino a quel punto limitato, sarebbe enormemente peggiorato. Molti dei confratelli presenti erano pratici di opere in muratura perché avevano lavorato alla costruzione dei fabbricati secondari dell'abbazia, granai, stalle e magazzini, primo fra tutti fratello Conradin - sui cinquant'anni e forte come un toro - che quel mestiere lo aveva appreso da ragazzo ed era quindi in grado di esprimere un valido giudizio. Non v'era tempo da perdere, dichiarò dopo aver esaminato con cura l'estensione della falla in foresteria, se non ci si voleva poi ritrovare nella necessità di rifare una buona metà dello spiovente. Disponevano di tutto il materiale occorrente, legname, piombi e tegole, e non sarebbe stato troppo difficile erigere un'impalcatura per salire sul tetto. Certo, vi sarebbe stato l'ostacolo del freddo, dovendo prima rimuovere una montagna di neve per arrivare alla copertura sottostante e quindi sostituire le tegole rotte o cadute e riparare i piombi, ma se avessero lavorato in turni brevi e tenuto un bel fuoco acceso per tutto il giorno nel tepidario, anche quell'ostacolo sarebbe stato superato. L'abate Radulfus ascoltò attentamente, poi annuì con la consueta prontezza nel decidere. «Benissimo, fatelo!» Non appena smise di nevicare e il cielo si schiarì un poco, i coriacei abitanti del Foregate riemersero dalle loro case bene imbacuccati e armati di scope, badili e rastrelli dal lungo manico e si misero d'impegno ad aprirsi la strada verso il ponte e la città, dove senza dubbio altri abitanti muovevano guerra al comune nemico stagionale. Poi, anche il ghiaccio che aveva orlato di rigide frange ogni sporgenza parve dissolversi e radi viaggiatori, spericolati o spinti dalla necessità, ripresero a percorrere le strade maestre divenute un po' più accessibili. Intanto, anche l'impalcatura alla foresteria era stata sistemata, con le scale saldamente agganciate allo spiovente del tetto, e i confratelli si misero al lavoro, a turno, sollevando con cautela l'alto strato di neve per mettere allo scoperto piombi e tegole danneggiati. Disordinate collinette di neve andarono accumulandosi rapidamente ai piedi del muro e un malaccorto fratello che non aveva udito il grido di av-
vertimento venuto dall'alto, o non ne aveva tenuto conto, era stato investito in pieno da una piccola valanga, così che si era dovuto intervenire in tutta fretta per disseppellirlo e portarlo nel tepidario a scongelarsi. Frattanto era stata aperta una strada tra il Foregate e la città e, seppure in ritardo e con qualche difficoltà, le ultime notizie da Winchester erano potute arrivare alla guarnigione del castello di Shrewsbury e allo sceriffo della contea alcuni giorni prima di Natale. Hugh Beringar si precipitò all'abbazia per informare l'abate Radulfus. In un paese afflitto da cinque anni di guerra civile, con alterne vicende, Chiesa e Stato dovevano collaborare strettamente e là, dove si dava per di più il caso che abate e sceriffo la pensassero alla stessa maniera, essi erano in grado di assicurare alla popolazione una relativa calma e un'esistenza abbastanza tranquilla, risparmiandole i dolorosi eccessi che purtroppo colpivano altre città e paesi. Hugh era un fedele seguace di re Stefano, ma se reggeva lealmente la contea per lui, lo faceva con zelo forse maggiore per i suoi abitanti. Avrebbe salutato con gioia, e negli ultimi mesi se lo era praticamente aspettato, il trionfo finale del suo sovrano, ma desiderava soprattutto consegnargli, dopo la battaglia conclusiva, una contea per quanto possibile prospera, tranquilla e intatta. Dopo il colloquio con l'abate andò a cercare il vecchio amico Cadfael e lo trovò nel suo laboratorio dell'erbario, occupato a rimescolare una pentola gorgogliante sopra il braciere. Gli inevitabili malanni dell'inverno, tosse, raffreddori, geloni alle mani e ai piedi, richiedevano un impegno costante per rifornire l'armadio dei medicinali nell'infermeria e grazie al braciere e alle pareti di tronchi, nella capanna si stava assai meglio che negli scomparti dello scrittorio. Hugh v'irruppe con una ventata di aria gelida, in preda a quella che era per lui una notevole eccitazione. Soltanto un certo nervosismo dei suoi movimenti e un brusco saluto indussero il monaco a smettere di rimescolare per scrutare il viso del giovane sceriffo, i suoi occhi neri più scintillanti del solito e il lieve tremolio di un nervo su una guancia. «È andato tutto all'aria!» esclamò Beringar. «È tutto da rifare!» Che cosa significassero quelle parole, Cadfael non si preoccupò di chiederlo, lo avrebbe saputo ben presto. Non sembrava escludere che, all'esasperata frustrazione palese nella voce e sul viso di Hugh, si accompagnasse un vago, divertito sollievo. Il giovane si abbandonò sulla panca contro la parete, con le mani tra le
ginocchia, in una posa d'inane rassegnazione. «Stamani è arrivato un corriere dal sud», spiegò, alzando gli occhi al viso attento dell'amico. «Se n'è andata! Sfuggita alla trappola e volata a raggiungere il fratello a Wallingford. Il re ha perduto la propria preda. Persino quando l'ha tra le mani se la lascia sgusciare via! A meno che...» Hugh spalancò gli occhi, colpito da un improvviso pensiero. «A meno che, arrivato a quel punto, non abbia volutamente guardato da un'altra parte, permettendole di prendere il largo. Dio sa quanto bramasse farla prigioniera, ma poi, quando c'è riuscito, potrebbe essersi impaurito, non sapendo che cosa fare di lei. È una domanda che amerei rivolgergli... ma non lo farò!» concluse con un sorrisetto. «Mi state dicendo», domandò cauto Cadfael, guardando l'amico di sopra il braciere, «che l'imperatrice è fuggita da Oxford? Con l'esercito del re tutt'intorno a lei e le scorte al castello quasi esaurite? Come c'è riuscita? Dovrebbe aver messo le ali e sorvolate le linee del re per arrivare a Wallingford! A piedi non avrebbe mai potuto oltrepassare i bastioni dell'assedio, quand'anche ce l'avesse fatta a uscire non vista dal castello.» «Ma è stato così, Cadfael! È stato così! È uscita dal castello e ha attraversato almeno in parte le linee di Stefano. Forse è stata calata con una fune sul lato posteriore della torre, affacciato sul fiume, insieme con due o tre uomini al massimo. Tutti ammantati di bianco per confondersi con la neve. Sembra addirittura che nevicasse in quel momento, a nasconderli meglio. Hanno attraversato a piedi il fiume ghiacciato e percorso le sei miglia fino ad Abingdon, dove erano ad aspettarli i cavalli per portarli a Wallingford. Rendiamo onore al merito, Cadfael, è una donna eccezionale! A quanto si dice, è impossibile vivere con lei quand'è sulla cresta dell'onda, ma posso capire che un uomo resti al suo fianco quando la sorte le è avversa!» «Sicché è di nuovo con FitzCount, dopotutto», osservò il monaco con un lungo sospiro. Meno di un mese addietro sembrava certo che l'imperatrice e il suo più fedele alleato fossero irrevocabilmente separati l'una dall'altro e che non avessero a rivedersi mai più. Fin dal mese di settembre l'augusta signora era stata assediata nel castello di Oxford, con l'esercito del re che, già padrone della città, si andava stringendo intorno a lei, in attesa che la guarnigione stremata si arrendesse per fame. E adesso, grazie a una mossa audace e al favore di una notte nevosa, Maud era fuori della sua prigione, libera di radunare le proprie forze e riprendere la lotta ad armi pari. Mai nessuno al mondo era stato bravo come re Stefano a trasformare in amara sconfitta una vittoria! Ma quella
doveva essere una peculiarità innata in entrambi, perché anche l'imperatrice, già felicemente insediata a Westminster, e incoronata da soli pochi giorni, doveva essersi comportata con tale aspra arroganza verso i caparbi abitanti della sua capitale da indurli a rivoltarsi infuriati e buttarla fuori. Si sarebbe detto che ogniqualvolta uno dei due aveva a portata di mano la corona, la fortuna s'impaurisse davanti alla prospettiva di ritrovarsi al servizio dell'uno o dell'altra e strappasse loro il premio ambito. «Sicché, dopotutto», riprese Cadfael, levando la pentola dal fuoco e posandola su una griglia accanto al braciere perché si raffreddasse, «re Stefano si è almeno liberato del suo problema. Non ha più motivo di chiedersi che cosa farne di lei!» «Vero», convenne Hugh. «Non ha avuto nerbo sufficiente per metterla in catene, come ha fatto Maud con lui, quando lo ha avuto in proprio potere dopo la battaglia di Lincoln. Penso che Stefano abbia chiuso un po' gli occhi sulla situazione, senza guardare più in là del momento in cui avrebbe costretto la sua rivale ad arrendersi. Non si è preoccupato delle complicazioni che avrebbe comportato la sua cattura. O forse si aspettava persino di poterla ridurre alla disperazione, tanto da spingerla a tornare in Normandia. Ma noi abbiamo imparato a conoscerla meglio, l'illustre signora», sottolineò tristemente Hugh. «Non si arrende mai!» «E il re come ha preso questo scacco?» «Come ormai mi aspettavo che lo prendesse», ribatté lo sceriffo con affettuosa rassegnazione. «Fuggita la prigioniera, il castello di Oxford si è arreso. Ma senza di lei, Stefano ha perduto ogni interesse per i topi affamati che v'erano rimasti. Chiunque altro avrebbe sfogato la propria collera sulla guarnigione, ma non lui! Una volta, non lo avete certo dimenticato, si era lasciato indurre a vendicarsi, suo malgrado, proprio qui a Shrewsbury. Mai più! Probabilmente è stato questo ricordo a salvare Oxford. Ha permesso ai difensori di uscire incolumi, a patto che se ne tornassero tranquilli alle loro case. Ha lasciato il castello ben guarnito di uomini suoi e di vettovaglie e se n'è andato a Winchester con il fratello vescovo, per trascorrere là il Natale, invitando gli sceriffi delle contee centrali a trascorrerlo con lui. Non veniva da tempo in questa zona e senza dubbio è ansioso di accertarsi che le sue difese siano ben salde.» «Adesso?» ribatté Cadfael, stupito. «A Winchester? Non arriverete in tempo!» «Oh, ce la faremo. Mancano ancora quattro giorni e, a quanto ha riferito il corriere, il disgelo è a buon punto, più a sud, e le strade sono sgombre. Io
partirò domattina.» «Lasciando Aline e il bambino a trascorrere la festa senza di voi? Con Giles che ha appena compiuto tre anni!» Il figlio di Hugh era venuto al mondo in uno dei peggiori inverni, con gelo, neve e terribili bufere, e Cadfael era il suo padrino, oltre che un devoto ammiratore. «Oh, Stefano non ci tratterrà a lungo», lo rassicurò lo sceriffo. «Ha bisogno di noi nei posti dove ci ha messi, a tenere d'occhio le rendite delle sue contee. Sarò di nuovo a casa per la fine dell'anno, se non accadranno imprevisti. Ma Aline sarà felice se le farete qualche visita durante la mia assenza. Il padre abate non vi rifiuterà un paio di permessi e quel vostro spilungone... Winfrid, vero?... è già abbastanza bravo per vedersela con erbe e medicine anche se lo lasciate solo per una o due ore.» «Sarà un immenso piacere per me badare al vostro gregge», dichiarò cordialmente il monaco, «mentre voi fate il pavone a corte. Ma si sentirà ugualmente la vostra mancanza. Che situazione! Sono passati cinque anni e nessuno dei due ha guadagnato qualcosa. Col nuovo anno ricomincerà tutto daccapo, senza dubbio. Tante fatiche, tanti guai e non è cambiato niente!» «Oh, sì, qualcosa è cambiato, per ciò che può valere! È apparso sulla scena un nuovo contendente. Goffredo d'Angiò può disporre soltanto di un pugno di cavalieri per soccorrere la sua consorte, ma le ha mandato qualcuno dal quale pare possa separarsi più volentieri. Per questo, o forse perché ha ben giudicato il carattere di Stefano e ha capito perfettamente quali sono i suoi limiti, ha mandato il loro rampollo dallo zio Robert, per vedere se l'inglese se la prenderà con lui invece che con sua madre. Enrico Plantageneto, di nove anni... Robert glielo aveva portato a Wallingford, ma penso che a quest'ora il pargolo sia a Bristol o forse a Gloucester, lontano da ogni spettacolo. E, comunque, che cosa potrebbe farsene Stefano, quand'anche riuscisse a impadronirsene? Nient'altro che imbarcarlo su una nave e rimandarlo a proprie spese in Francia.» «Che mi dite!» esclamò Cadfael, spalancando gli occhi per lo stupore e la curiosità. «C'è dunque una nuova stella all'orizzonte? E così giovane! Per qualcuno almeno vi sarà un Natale felice, senza più catene e col figlioletto di nuovo tra le braccia. La sua vicinanza servirà certo a rincuorarla, ma dubito che egli possa fare molto altro per la sua causa.» «Non ancora, almeno», osservò Beringar con profetica cautela. «Aspettiamo finché non avremo visto di che stoffa è fatto. Col fegato di sua madre e lo spirito di Goffredo potrebbe dare molto filo da torcere al re, tra
qualche anno. Cerchiamo dunque di approfittare del tempo a nostra disposizione e fare in modo che il ragazzino se ne torni in Angiò e ci rimanga, meglio ancora se con sua madre. Bene, chi vivrà vedrà», sospirò, alzandosi. «È meglio che vada a prepararmi per il viaggio, ora. Partiremo domattina all'alba.» Il monaco uscì con lui nella candida quiete dell'erbario dove le sue aiuole ben curate dormivano al riparo di una spessa coltre di neve che le proteggeva dal gelo. Proseguendo quindi lungo il sentiero, oltre gli stagni ghiacciati alla loro sinistra, arrivarono a vedere, più lontano, il lato posteriore del tetto della foresteria con l'alta gabbia scura dell'impalcatura, le scale e le due figure imbacuccate al lavoro sulle tegole messe allo scoperto. «Vedo che anche voi avete i vostri guai», commentò Hugh. «E chi non ne ha, d'inverno? È stato il peso della neve a spostare e rompere alcune tegole, aprendo un varco attraverso il quale l'acqua ha innaffiato il cappellano del vescovo nel suo letto. Se avessimo aspettato il disgelo, avremmo avuto un'inondazione e danni ben peggiori da riparare.» «E il vostro capomastro ha pensato bene d'intervenire subito.» Lo sceriffo aveva riconosciuto la robusta figura a metà della lunga scala, con un grande secchio da muratore pieno fino all'orlo che ben pochi dei suoi giovani aiutanti sarebbero stati capaci di sollevare. «Lavoro duro, lassù», aggiunse, osservando la piattaforma più alta dell'impalcatura, dov'erano ammucchiate altre tegole, e le due figure che si muovevano con estrema cautela sul tetto. «Facciamo turni brevi e nel tepidario è sempre acceso il fuoco. Noi anziani saremmo esentati dal servizio, ma siamo in parecchi a fare ugualmente la nostra parte, escludendo soltanto i malati e gli infermi. È giusto, ma dubito che Conradin sia molto soddisfatto. Lo infastidisce avere lassù dei giovani avventati, lui vorrebbe lavorare soltanto con persone delle quali è sicuro. Se appena appena ne vede uno che impallidisce al trovarsi così in alto, lo rimanda subito giù, sul terreno solido. Purtroppo, non tutti siamo tagliati per un lavoro simile.» Hugh strizzò gli occhi contro un improvviso, breve raggio di sole che si riverberò, abbagliante, da tutto quel cristallino candore. «Chi sono i due lassù ora? Fratello Urien? E l'altro?» «Fratello Haluin.» La figura snella era quasi nascosta dall'impalcatura, ma Cadfael l'aveva vista salire la scala con il compagno poco più di un'ora prima.
«Come, il più bravo miniatore di Anselm? Perché permettete che si sprechi in tal modo un artista? Gli si rovineranno le mani, con questo freddo! Non riuscirà a usare pennelli così sottili e delicati per un paio di settimane almeno, dopo aver maneggiato tante tegole!» «Anselm ha cercato d'impedirglielo, ma lui non ha voluto saperne. Nessuno gli avrebbe rimproverato niente, considerata la sua bravura, ma se da qualche parte c'è un cilicio a portata di mano, Haluin pretende subito d'indossarlo. È un penitente irriducibile, quel figliolo, per chissà quali peccati immaginari, poiché a quanto ne so non ha mai infranto la minima regola, da quand'è entrato in convento, e siccome aveva soltanto diciott'anni allora, dubito che possa essere stato un grande peccatore, prima. Ma certuni hanno la vocazione alla penitenza. Chissà, forse alleviano il peso ad altri che se la prendono comoda, con la scusa che siamo esseri umani, non angeli. E se l'eccesso di penitenza da parte di Haluin servirà a lavare qualcuna delle mie mancanze, che Dio gliene renda merito. Io non mi lamenterò di certo!» Ormai faceva troppo freddo per attardarsi tra la neve a osservare il procedere dei lavori sul tetto della foresteria. Hugh e Cadfael proseguirono attraverso il giardino, oltrepassando la peschiera ghiacciata dove fratello Simeon aveva aperto dei fori per non far mancare l'aria ai pesci, ma quando furono più vicini, l'impalcatura così alta nascose ai loro occhi i fratelli indaffarati con le tegole. «Ho avuto Haluin per qualche tempo con me all'erbario come novizio», riprese il monaco mentre emergevano nella grande corte. «Io stesso avevo appena finito il mio noviziato, perché sono entrato in convento a quarant'anni passati, e lui ne aveva a malapena diciotto. Lo avevano mandato da me perché era istruito e appassionato di latino. Dopo tre o quattro anni io stavo ancora imparando da lui. Viene da una famiglia di grandi proprietari terrieri e avrebbe ereditato un ricco maniero, se non avesse scelto il chiostro, un possedimento che ora si gode un suo cugino. Ancora giovinetto, Haluin era stato allogato presso una famiglia nobile e là teneva i conti della proprietà del suo signore, perché era bravissimo anche con i numeri. Mi sono chiesto spesso come mai avesse poi cambiato strada... ma, si sa, la vocazione non si discute. Quando viene viene e non ci si deve opporre.» «Non sarebbe stato meglio assegnarlo fin dal principio allo scrittorio, se era tanto istruito?» obiettò lo sceriffo. «Ho visto qualcuno dei suoi lavori, è stato uno spreco assegnarlo ad altro.» «Lo so, ma, coscienzioso com'è, ha voluto passare per tutti i gradi del-
l'apprendistato, prima di sistemarsi. È stato con me nell'erbario per tre anni, poi ne ha trascorsi altri due all'ospedale di San Giles, tra i malati e gli storpi, poi ancora due nei nostri orti del Gaye e con le pecore a Rhydycroesau, prima di dedicarsi al lavoro che sa fare meglio di tutto. Anche ora, lo vedete, non vuole godere di alcun privilegio, soltanto perché ha la mano leggera con penne e pennelli. Se altri rischiano di scivolare su un tetto ricoperto di neve, rischierà lui pure. Una colpa intesa a fin di bene, senza dubbio», ammise Cadfael, «ma lui la porta agli estremi e la nostra regola disapprova gli estremi.» Attraversarono la corte, diretti verso la portineria dov'era legato il cavallo di Hugh, l'alto, scarno grigio che era il suo preferito e che avrebbe potuto portare agevolmente un peso tre volte tanto quello del suo agile padrone. «Non nevicherà più stanotte», osservò il monaco, alzando gli occhi al cielo appena velato e fiutando l'aria limpida e calma. «E nemmeno per i prossimi giorni, penso. Il grande gelo dovrebbe essere alla fine, ormai. Spero che non incontriate difficoltà, nel vostro viaggio al sud.» «Partiremo all'alba.» Lo sceriffo prese le briglie e balzò con un abile volteggio in sella. «Ma voi non dimenticate che Aline vi aspetta!» Un attimo e fu oltre la portineria, con un profondo risonare di zoccoli sulle pietre e un fugace lampo dei ferri prima che ritoccassero terra. Cadfael si avviò lentamente verso l'infermeria e andò a controllare le riserve nell'armadio dei medicinali. Un'altra ora e la luce avrebbe cominciato a calare, in quel giorno che era uno dei più brevi dell'anno. Fratello Urien e fratello Haluin sarebbero stati gli ultimi due rimasti ancora sul tetto, a quell'ora. Come accadde esattamente, nessuno lo stabilì mai con chiarezza. Fratello Urien, che aveva obbedito immediatamente all'ordine di fratello Conradin di scendere, mise insieme i pezzi di quello che gli sembrava il resoconto più probabile, ma ammise lui stesso di non avere alcuna certezza. Conradin, avvezzo a essere obbedito e concludendo con giusta ragione che nessuno dotato di un briciolo di buon senso si sarebbe attardato più del dovuto lassù in quel freddo pungente, aveva semplicemente lanciato il suo ordine e poi girato le spalle per togliere di mezzo gli ultimi pezzi di tegole, mentre Urien, con un sospiro di sollievo, scendeva guardingo la lunga scala, e scivolava fino a terra, ben contento di lasciare quello sgradito lavoro. Era robusto e volenteroso, e benché non possedesse abilità particolari,
una lunga esperienza lo metteva in grado di svolgere sempre perfettamente i suoi compiti, ma non vedeva alcuna necessità di fare più di quanto gli si chiedeva. Allontanatosi di qualche passo, alzò gli occhi a guardare il lavoro compiuto e vide che fratello Haluin, invece di scendere la scaletta posta sul tetto, saliva alcuni pioli e si stendeva di lato per sgombrare dalla neve un'altra fila di tegole, come se avesse avuto motivo di supporre che il danno fosse più esteso da quella parte e intendesse impedire che il peso della neve lo aggravasse. La neve cadde in parte sul piano dell'impalcatura e sulle tegole che vi erano ammucchiate, e in parte direttamente sul terreno sottostante. Ma Haluin aveva osato troppo. La scaletta scivolò insieme con la neve compatta che era servita ad assicurarla e lui cadde, sbatté con violenza contro le tavole e volò senza un grido di sotto, sul terreno indurito dal gelo. E insieme con una valanga di neve, caddero su di lui la scaletta e una pioggia di tegole spezzate, dagli orli taglienti come lame. Fratello Conradin, sotto l'impalcatura, balzò via appena in tempo, semiaccecato, per un momento, da quella nevicata artificiale mentre fratello Urien che, qualche passo più in là, stava per gridare al compagno di smettere perché si andava facendo buio, lanciò invece un urlo, ormai inutile, di avvertimento e si precipitò in avanti, restando a sua volta mezzo sepolto sotto il margine della valanga. Scrollandosi di dosso la neve, lui e Conradin raggiunsero insieme lo sfortunato confratello. Urien corse a cercare Cadfael, mentre Conradin, raggiunta in fretta la grande corte, mandava a chiamare fratello Edmund, l'infermiere. Cadfael era nel suo laboratorio, intento a ricoprire di cenere per la notte il fuoco nel braciere, quando Urien apparve sulla soglia, col viso scuro e sconvolto per la triste notizia che portava. «Venite in fretta, fratello! Fratello Haluin è caduto dal tetto!» Cadfael, altrettanto parco di parole, girò di scatto la testa, sparse sulle braci l'ultima cenere, poi prese da un ripiano una coperta di lana. «Morto?» Doveva aver fatto un volo di almeno quaranta piedi, con l'impalcatura di mezzo per giunta, e il ghiaccio sotto, ma se aveva avuto la fortuna di finire sulla neve alta, accresciuta da quella sgombrata sul tetto, forse non gli era andata tanto male. «Respira», aggiunse Urien. «Ma per quanto ancora? Conradin è andato a cercare altri soccorritori, Edmund è già stato avvisato.» «Andiamo!» Cadfael era già fuori della porta, correndo verso il ponticello sopra la gora del mulino, ma cambiò idea a un tratto e sfrecciò lungo il
passaggio rialzato tra gli stagni dell'abbazia per raggiungere l'altro ponte vicino alla foresteria e al punto in cui giaceva Haluin. Dalla grande corte avanzava intanto il bagliore di due torce, e un momento dopo fratello Edmund e due aiutanti con una barella si fermarono alle spalle di Conradin. Fratello Haluin, con le gambe sepolte fino alle ginocchia sotto un mucchio di tegole e il ghiaccio macchiato di sangue sotto la testa, giaceva immobile al centro dello scompiglio che aveva causato. CAPITOLO II Qualunque rischio si corresse a muoverlo, lasciarlo lì per un solo momento più del necessario avrebbe facilitato l'opera della morte che già aveva posto gli artigli su di lui. Con sollecitudine silenziosa e risoluta, i confratelli spostarono le assi cadute e scavarono con le mani nude fra le tegole taglienti come coltelli per liberare i piedi e le caviglie di Haluin, ridotti ormai a un ammasso di sangue e ossa. Lui sembrava lontano da tutto, ora, non sentiva niente di ciò che gli facevano. In mesta processione, dopo averlo sollevato dal suo letto di ghiaccio e avergli infilato le cinghie sotto il corpo, lo issarono sulla barella e lo portarono attraverso i giardini quasi bui fino all'infermeria, dove fratello Edmund gli aveva già preparato un letto in una cella separata dai vecchi e dagli infermi che trascorrevano là gli ultimi anni della loro vita. «Non ce la farà», mormorò Edmund, osservando il suo viso pallido. Era quello che pensava anche Cadfael. E che pensavano tutti gli altri. Tuttavia Haluin non aveva smesso di respirare, anche se era un respiro roco e lamentoso che poteva far sospettare danni alla testa forse irreparabili. I fratelli lo spogliarono con la massima cautela degli indumenti bagnati e gelidi e gli sistemarono addosso coperte che erano state avvolte intorno a pietre riscaldate, mentre Cadfael lo tastava delicatamente alla ricerca di qualche frattura e gli bendava l'avambraccio sinistro. Poi il monaco tastò con cura il cranio di Haluin, prima di pulire e medicare la ferita sanguinante, ma non riuscì a capire se fosse anch'esso fratturato. Quel respiro roco sembrava indicare di sì, ma non ve n'era alcun segno certo. Quanto ai piedi e alle caviglie palesemente fratturati, Cadfael vi lavorò a lungo per impedire qualche brusco e doloroso movimento se Haluin avesse ripreso i sensi, dopo che il resto del corpo era stato ricoperto con cura per evitare l'assideramento. «Non potrà più camminare», mormorò fratello Edmund, rabbrividendo
di fronte al piede fracassato che Cadfael stava laboriosamente lavando. «Non senza un appoggio», riconobbe mestamente lui, senza per questo smettere di ricomporre come meglio poteva quei resti frantumati. I piedi di Haluin erano lunghi e sottili, eleganti, in accordo con la sua figura alta e snella, ma le profonde, crudeli ferite provocate dalle tegole di ardesia spezzate erano arrivate in alcuni punti fino alle ossa, frantumandole, e ci vollero tempo e fatica per eliminare le schegge insanguinate e ridare al resto la sua forma umana, racchiudendolo poi in un'improvvisata gabbia di feltro, imbottita all'interno, per tenere le ossa ferme finché non si fossero rinsaldate, tornando a essere più o meno com'erano state una volta. E durante tutto quel tempo fratello Haluin giacque respirando a fatica, ignaro di quanto gli si faceva, affondato in un abisso dove non giungevano le luci e le ombre del mondo, finché anche quel respiro stento non si ridusse a un lievissimo sussurro, non più di quello di una foglia solitaria appena mossa da un alito quasi impercettibile di brezza, e tutti pensarono che se ne fosse andato. Ma la foglia continuò a muoversi, anche se debolmente. «Se ritorna in sé, fosse pure soltanto per un momento, chiamatemi subito», disse l'abate Radulfus, e li lasciò ai loro compiti. Fratello Edmund andò a riposare un poco e Cadfael rimase a vegliare con fratello Rhun, l'ultimo arrivato e il più giovane tra i fratelli del coro, osservando attentamente quel sonno di un corpo unto e benedetto e pronto per la morte. Erano trascorsi parecchi anni da quando Haluin era uscito dalla tutela di Cadfael per passare al lavoro ben più pesante del Gaye. I tratti del suo viso erano molto diversi, ora, da quelli che l'anziano monaco ricordava, più scarni e marcati di quando era entrato in convento, ragazzo non ancora cresciuto del tutto, appena alle soglie della virilità. Doveva avere trentacinque o trentasei anni, ormai, e allora ne aveva sì e no diciotto, con tutta la rosea freschezza della gioventù. Un viso di un ovale un po' allungato, zigomi e mandibola ben disegnati, sopracciglia sottili e arcuate quasi nere, un po' più scure della folta criniera bruna e ricciuta che aveva sacrificato alla tonsura. Il suo viso, ora supino sul guanciale, aveva un pallore di gesso, con le guance incavate e gli occhi chiusi e infossati circondati da un alone bluastro, simili a macchie sulla neve. E lo stesso livido azzurro si andava addensando a vista d'occhio intorno alle labbra contratte. Nel cuore della notte, quando la vita è al suo punto più debole, Haluin sarebbe o morto o migliorato. All'altro lato del letto, di fronte a Cadfael, fratello Rhun s'inginocchiò,
attento, per nulla intimorito dalla morte di un'altra persona, come non lo sarebbe stato un giorno dalla propria. Persino nella semioscurità di quella piccola stanza spoglia, il viso giovane e fresco di Rhun, i capelli biondo chiaro e gli occhi color acquamarina irradiavano splendore. Soltanto un essere dotato della virginea sicurezza di Rhun poteva restare tanto serenamente al capezzale di un moribondo, con tale slancio di affettuosa bontà, aliena da vani pietismi. Cadfael aveva avuto sotto gli occhi altri giovanissimi giunti al chiostro con qualcosa di quella stesse fede incantata, che aveva poi visto ottundersi e logorarsi a poco a poco, col trascorrere degli anni, sotto il semplice peso della loro natura di esseri umani. Questo non sarebbe mai accaduto con Rhun. Santa Winifred, che lo aveva toccato con la propria grazia guarendolo da una grave imperfezione fisica, non avrebbe mai tollerato che quel dono venisse depauperato da un'imperfezione dello spirito. La notte trascorse lentamente, senz'alcun cambiamento percettibile nell'implacabile immobilità di fratello Haluin. Era quasi l'alba quando Rhun sussurrò: «Guardate, si muove!» L'ombra di un brivido era apparsa sul volto livido, poi le sopracciglia scure si aggrottarono, le palpebre si strinsero come per una vaga sensazione di dolore e le labbra si tesero in una breve smorfia allarmata. I due monaci attesero per quello che sembrò un tempo assai lungo, senza poter fare altro che tamponare la fronte madida del ferito e tergere il rivolo di saliva che gli colava a un angolo della bocca. Finalmente, nel tenuissimo chiarore riverberato dalla neve prima dell'alba, fratello Haluin aprì gli occhi, e mosse le labbra in un filo di voce così sottile che Rhun dovette accostare l'orecchio alla sua bocca per udirlo. «Confessione...» disse il sussurro proveniente dal limitare tra la vita e la morte, e per un poco fu tutto. «Vai a chiamare il padre abate», mormorò Cadfael. Rhun corse via senza rumore, mentre il ferito riprendeva lentamente i sensi, rivelando con la chiarezza dello sguardo e il movimento degli occhi di sapere dov'era e chi c'era accanto a lui, e sforzandosi di chiamare a raccolta le poche forze e il brandello di vita che gli rimaneva. Ma insieme con quelli tornò anche la coscienza del dolore, palese nella contrazione della bocca e della mandibola. Cadfael cercò di fargli scorrere tra le labbra qualche goccia dello sciroppo di papavero che aveva portato con sé. Ma il suo paziente le tenne ostinatamente chiuse e girò persino la testa. Non voleva niente che gli intorpi-
disse o gli offuscasse i sensi, non ancora, non finché si fosse liberato di ciò che aveva da dire. «Tra poco verrà il padre abate», spiegò il vecchio monaco, che aveva compreso. «Aspettate, così parlerete una volta sola.» Radulfus entrò in quel momento, chinando il capo per passare sotto il basso architrave, e sedette sullo sgabello lasciato libero da Rhun, che rimase accanto alla porta per essere pronto a correre fuori, se fosse stato necessario. Cadfael si alzò a sua volta, per trarsi lui pure in disparte, ma un lampo ansioso brillò negli occhi di Haluin e tutto il suo corpo si contrasse all'improvviso, con un gemito, come se egli avesse inteso alzare una mano per trattenere Cadfael e non fosse riuscito a farlo. L'abate si chinò verso di lui, per essere visto, oltre che udito. «Sono qui, figliolo, vi ascolto. Che cosa vi turba?» Il ferito trattenne per qualche istante il respiro, come se volesse farne una scorta per poter parlare. «Peccati...» alitò, «... mai detti.» Le parole uscirono lente, faticose, ma chiare. «Uno contro fratello Cadfael... Tanto tempo fa... Mai confessato...» L'abate guardò il monaco, all'altro lato del letto. «Restate! Lui lo desidera.» Poi si rivolse ad Haluin, toccando la mano abbandonata, troppo debole per venire alzata. «Parlate come vi riesce, vi ascoltiamo. Risparmiate le parole, sapremo comprendere i sottintesi.» «I miei voti», disse la voce esile, remota. «Voti impuri... non per devozione... Disperazione!» «Molti sono venuti da noi per motivi sbagliati», osservò Radulfus. «E sono rimasti per quelli giusti. E nei quattro anni da che sono il vostro abate non ho riscontrato alcuna manchevolezza in voi. Da questo lato non dovete nutrire alcun timore. Forse Dio ha avuto i suoi motivi per guidarvi al chiostro.» «Sono stato al servizio di de Clary, ad Hales», riprese il filo di voce. «O meglio della sua signora... perché lui era in Terrasanta, allora. Sua figlia...» Un lungo silenzio, mentre Haluin rafforzava con ostinata pazienza la determinazione a dire di più, di peggio. «L'amavo... e lei mi amava. Ma la madre... La mia corte non era bene accetta. Quello che ci era proibito ce lo siamo preso...» Un altro silenzio, più lungo. Le palpebre bluastre si abbassarono per un momento sugli occhi ardenti. «Siamo stati a letto assieme», disse risolutamente Haluin. «Questo peccato l'ho confessato, ma senza fare il suo nome. La signora mi ha scacciato. Sono venuto qui per la disperazione... per non
fare altro male, almeno. Ma il peggio deve ancora venire!» L'abate strinse con forza la mano inerte al fianco del giovane per rincuorarlo, perché il suo viso era divenuto una maschera di gesso e un lungo brivido aveva scosso il corpo martoriato, lasciandolo teso e gelido. «Riposate, ora!» gli sussurrò all'orecchio. «Non preoccupatevi! Dio ode anche ciò che non si dice.» Osservando che la mano di Haluin, per quanto debolmente, rispondeva alla stretta, Cadfael gli versò tra le labbra socchiuse qualche goccia della pozione di vino ed erbe con la quale gli aveva inumidito di tanto in tanto la bocca mentre era privo di sensi e questa volta l'offerta venne accettata e faticosamente deglutita. Il momento non era ancora venuto. Qualunque fosse il peso che egli doveva levarsi dal cuore, bisognava aspettare ancora un poco. Qualche altro sorso di vino e la maschera di gesso tornò a essere carne, seppure esangue e con gli occhi chiusi. «Padre...?» domandò intimorita la voce remota. «Sono qui. Non vi abbandono.» «È venuta sua madre... Soltanto allora ho saputo che Bertrade aspettava un bambino! La signora era atterrita all'idea della collera del suo signore quando fosse tornato. Io allora lavoravo con fratello Cadfael, avevo imparato... conoscevo le erbe... ho rubato un po' d'issopo e gliel'ho dato. Fratello Cadfael sa a che cosa serve!» Lo sapeva sì! Ma ciò che in piccole dosi serviva per calmare un petto congestionato e una tosse squassante o per combattere un'itterizia che ingialliva la pelle poteva anche, se male usato, mettere fine all'attesa di un nuovo essere, un'offesa gravissima per la Chiesa e un pericolo per la donna. Per paura della collera di un padre, della vergogna agli occhi del mondo, di buone prospettive matrimoniali rovinate! Era stata la madre della fanciulla a minacciarlo o era stato Haluin a persuadere lei? Anni di rimorso e di autopunizioni non erano bastati a esorcizzare l'orrore che ancora attanagliava la sua carne e gli contorceva il viso. «Sono morti tutti e due», continuò Haluin, con voce fattasi a un tratto aspra e forte per lo strazio. «Il mio amore e il piccino. Mi ha comunicato la notizia sua madre: morti e sepolti. Morti di una febbre... non avevo più niente da temere. Il mio peccato, il mio atroce peccato... Iddio sa quanto me ne dolgo!» «Se il pentimento è sincero, Dio lo sa certamente», osservò Radulfus. «Adesso il peccato è stato confessato. Avete finito o c'è altro?» «Ho finito. Ma debbo chiedere perdono. Il perdono di Dio... e di Cadfa-
el, perché ho abusato della sua fiducia e dei suoi insegnamenti. E della signora di Hales, per l'immenso dolore che le ho causato.» Levatosi quel peso dal cuore, Haluin controllava meglio la voce e le parole, la tensione che gli impacciava la lingua si era dissolta, la sua mente era lucida e rassegnata. «Potrei morire mondato e assolto.» «Fratello Cadfael parlerà per quanto lo riguarda», disse l'abate. «Io parlerò per il Signore, come mi suggerirà.» «Per me, lo perdono volentieri», intervenne Cadfael, pesando le parole più di quanto fosse avvezzo a fare, «qualunque mancanza sia stata commessa sotto la spinta di un profondo turbamento. C'erano i mezzi e le cognizioni a tentarvi e non c'ero io a dissuadervi. Di questo mi prendo la mia parte di colpa, non meno di quanto possa farne una colpa a voi.» Ciò che aveva da dire Radulfus per conto di Dio richiese un po' più di tempo. Molti confratelli, rifletté il monaco erborista, sarebbero rimasti stupiti, non credendo alle proprie orecchie, se lo avessero udito e avessero scoperto che l'incrollabile austerità del loro abate poteva addolcirsi di tanta misurata ma umana tenerezza. Una coscienza netta e una morte limpida, questo desiderava Haluin e, se era troppo tardi per esigere una penitenza da un moribondo, un conforto in extremis non doveva essergli lesinato. «Un cuore sinceramente addolorato e pentito è tutto ciò che Dio vi chiede», dichiarò l'abate. Impartì all'infermo l'assoluzione e una benedizione solenne e uscì dalla cella, facendo cenno a Cadfael di seguirlo. Sul volto di Haluin la serenità della gratitudine si era oscurata di nuovo nell'indifferenza dello sfinimento e ogni luce si era spenta negli occhi opachi e semichiusi tra il sonno e il deliquio. Nella stanza attigua aspettava paziente Rhun, in disparte per evitare di ascoltare anche involontariamente quella confessione. «Vai a sederti accanto a lui», gli disse Radulfus. «Può xlormire ora, non farà più sogni angosciosi. Se avvenisse qualche cambiamento, chiama fratello Edmund e se vi fosse bisogno di fratello Cadfael, potrete trovarlo a casa mia.» Nel salottino dell'abate sedevano insieme le due sole persone che avrebbero mai conosciuto la colpa della quale si autoaccusava Haluin e che fossero autorizzate a parlarne tra loro. «Io sono qui soltanto da quattro anni», esordì Radulfus, «e non so niente delle circostanze che hanno indotto Haluin a indossare il saio. Se non sbaglio, uno dei suoi primi compiti è stato quello di darvi una mano con le er-
be, acquisendo così le cognizioni che lo hanno portato a farne un pessimo uso. Siete certo che la pozione preparata da lui potesse risultare esiziale? Quella fanciulla non potrebbe essere morta davvero di febbre maligna?» «Be', sua madre gliel'ha somministrata, non dovrebbero esservi dubbi», rispose mestamente Cadfael. «So di altri casi in cui l'issopo ha procurato la morte. Sono stato sciocco io a conservarlo nel mio laboratorio, esistono altre erbe che possono sostituirlo. Ma in piccole dosi, sia la pianta sia le radici, seccate e polverizzate, sono ottime contro il catarro e le malattie dei bronchi, mentre in dosi maggiori possono diventare un violento purgante e provocare anche l'aborto.» «Questo è accaduto certo durante il suo noviziato, perché non poteva essere qui da lungo tempo, se il bambino era suo, come lui suppone. Doveva essere poco più di un ragazzo.» «Sì, sui diciott'anni, e così la fanciulla, se pure li aveva. Certo dev'essere stata una grande tentazione, vivere nella stessa casa, vedersi tutti i giorni, due ragazzi della stessa posizione sociale, e aperti all'amore come sono in massima parte i giovani. Tanto che io mi chiedo come mai il suo corteggiamento fosse stato tanto sgradito. Dopotutto Haluin era figlio unico, erede di un ricco maniero e un bel giovane, intelligente e istruito. Molti sarebbero stati ben contenti di averlo come genero.» «Chissà, forse suo padre accarezzava progetti diversi per lei», obiettò l'abate. «O forse l'aveva già promessa a qualcuno fino dall'infanzia e la madre non ha voluto compromettersi con un altro pretendente in assenza del marito, se aveva tanta paura di lui.» «Anche in tal caso non avrebbe dovuto scacciarlo a quella maniera! Se gli avesse lasciato qualche speranza, lui si sarebbe rassegnato ad aspettare, non avrebbe cercato di forzarle la mano comportandosi come un marito prima di esserlo. Ma forse in questo gli faccio torto», si corresse il monaco. «Probabilmente non è stato un freddo calcolo a portarlo nel letto della fanciulla, ma l'eccessivo amore. Haluin non è tagliato per costruire trame simili.» «Bene, comunque sia», sospirò Radulfus, «quel che è stato è stato e non v'è rimedio. Non è stato né il primo né sarà l'ultimo giovane caduto in tale errore, come lei non è stata né la prima né l'ultima povera bambina che ne ha pagato le conseguenze. Se non altro, ha mantenuto intatto il suo buon nome. Non è difficile capire perché egli temesse a confidarsi, anche nel segreto della confessione. Ma è passato tanto tempo, ormai, diciotto anni, quanti ne aveva lui allora. Assicuriamoci che possa almeno morire in pa-
ce.» Era convinzione generale che una morte serena fosse tutto ciò che si poteva ancora sperare e chiedere con le preghiere per fratello Haluin, tanto più quando a una fugace ripresa di conoscenza seguì una più profonda incoscienza ed egli giacque per sette giorni, nel corso di tutte le feste per la Natività, inconsapevole degli andirivieni dei confratelli intorno al suo letto, senza mangiare niente, senza emettere altro suono che un tremulo, quasi impercettibile respiro. Tuttavia, per quanto debole, quel respiro era regolare, ininterrotto, e quando si lasciava cadere tra le labbra dell'infermo qualche goccia di vino col miele, essa veniva inghiottita inconsciamente, come per un movimento spontaneo, senza che un solo muscolo o nervo del viso bianco e gelido desse il minimo segno di consapevolezza. «Come se soltanto il suo corpo sia qui», commentò fratello Edmund, «e il suo spirito si trovi già altrove, in attesa che sia pronta per lui la sua nuova casa, ripulita e bene ordinata.» Un'efficace similitudine, rifletté Cadfael, perché senza dubbio Haluin si è liberato dai demoni che abitavano in lui e la dimora che essi hanno lasciata libera può restare vuota per un poco, tanto più se dopotutto avesse a realizzarsi un'imprevista e all'apparenza improbabile guarigione. Meglio dunque che teniamo gli occhi bene aperti perché la similitudine si avveri appieno e ci assicuriamo che sette diavoli peggiori dei primi non abbiano a varcare la soglia della sua casa mentre egli è assente. Così le preghiere per Haluin continuarono con immutato fervore durante tutte le festività natalizie e il solenne avvento del nuovo anno. Frattanto stava cominciando il disgelo, lento e graduale, che andava consumando giorno per giorno le vaste, candide distese di neve. I lavori sul tetto erano terminati senza altri guai, l'impalcatura era stata smontata e gli ospiti della foresteria non avevano più nulla da temere. Tutto ciò che rimaneva di quell'enorme scompiglio era il tacito, immobile testimone isolato in una cella dell'infermeria, in bilico tra la vita e la morte. Poi, la notte dell'Epifania, fratello Haluin aprì gli occhi, esalando il lungo, profondo sospiro di chi si sveglia normalmente la mattina, e girò uno sguardo incuriosito intorno, nella piccola stanza, finché non vide fratello Cadfael, muto e attento, seduto su uno sgabello accanto a lui. «Ho sete», disse col tono di un bambino e si appoggiò tranquillo sul braccio del confratello che gli teneva sollevate le spalle per farlo bere. Tutti si aspettavano più o meno che ricadesse nell'incoscienza, ma non
fu così: rimase in sé per tutto il giorno, anche se spossato, e la notte dormì di un sonno naturale, profondo ma tranquillo. Dopo di che rivolse il viso verso la vita, senza più guardarsi indietro. Una volta uscito dall'ombra della morte, tuttavia, tornò sul terreno del dolore, che traspariva dalla sua fronte corrugata, dalle sue labbra contratte, benché lui lo sopportasse senza un lamento. Il braccio fratturato si era rinsaldato mentre egli giaceva ignaro delle lesioni riportate. Dopo un altro paio di giorni di vigile assistenza, Edmund e Cadfael furono concordi nel ritenere che se qualcosa era andato fuori posto dentro la sua testa anche quello doveva essersi ormai risanato, grazie all'immobilità e al riposo, di pari passo con le ferite esterne. Haluin aveva la mente lucida, ora, ricordava perfettamente il tetto ghiacciato, la propria caduta e anche la propria confessione, perché una volta, rimasto solo con Cadfael, disse, dopo un lungo silenzio: «Io mi sono comportato in maniera ignobile nei vostri confronti, molti anni fa, e ora voi mi assistete con tanta cura, senza alcuna ammenda da parte mia!» «Non ve ne ho chieste», ribatté serenamente il monaco, mentre gli rinnovava il bendaggio a un piede. «Ma debbo pure pagare il mio debito! Altrimenti come potrei avere la coscienza netta?» «Avete fatto piena confessione dei vostri peccati e siete stato assolto dal padre abate in persona, non vi basta?» «Non mi è stata imposta alcuna penitenza. Un'assoluzione ottenuta senza dare niente in cambio mi lascia sempre in debito», insistette Haluin. Cadfael intanto aveva messo a nudo anche l'altro piede, il sinistro, quello che aveva riportato i danni più gravi. Le lacerazioni della cute si erano cicatrizzate, ma per ciò che era accaduto nel labirinto di piccole ossa all'interno non esisteva rimedio: si erano fuse in un blocco deforme, sotto una rete di cicatrici e di macchie rosso-viola. «I vostri debiti, se ne avete», disse risolutamente Cadfael, «li pagherete in tanto dolore fino al giorno della vostra morte. Questo piede non lo poserete mai più saldamente sul terreno. Dubito persino che possiate ancora camminare.» «Oh, sì che camminerò!» esclamò Haluin in tono altrettanto risoluto. «Voglio camminare. Se Dio me lo concede, andrò ancora sui miei piedi, anche se dovrò servirmi di stampelle. E se il padre abate me lo consentirà, quando avrò imparato a usarle, andrò ad Hales, a chiedere perdono ad Adelais de Clary e a vegliare per una notte sulla tomba di Bertrade.» Cadfael si domandò in silenzio se la morta o la viva avrebbero ricavato
una consolazione qualsiasi da quella tardiva espiazione e se la seconda si ricordasse ancora di Haluin, dopo diciotto anni. Ma se quel pio intendimento poteva dare a quel poveretto il coraggio e la risolutezza per continuare a vivere e operare e rendersi in qualche modo utile a qualcuno, perché scoraggiarlo? Così si limitò a dire: «Bene, vediamo prima di accomodare le cose e di rimettervi in corpo un po' del sangue che avete perduto, perché non avrete alcun permesso di andare in nessun posto, così come siete ora». E, osservando il piede destro, che almeno conservava ancora qualche somiglianza con un piede umano, proseguì: «Potremo farvi un paio di robusti stivali di feltro, bene imbottiti. Un piede riuscirete ad appoggiarlo in terra, sia pure con le stampelle, ma non ancora... vi ci vorranno settimane, forse mesi prima che siate in grado di farlo. Frattanto, vi prenderemo le misure e studieremo il modo e i mezzi per aiutarvi». In seguito, Cadfael rifletté che sarebbe stato opportuno informare il padre abate dell'espiazione che fratello Haluin intendeva addossarsi e lo fece dopo il capitolo, nell'intimità del suo salottino. «Si sentirà in pace, se potrà levarsi quel peso dal cuore. È fuori pericolo, ormai, ha la mente lucida, lo spirito forte nonostante la debolezza fisica e non si sente veramente assolto dai suoi peccati senza averli scontati con la debita penitenza. Se poi, riacquistando via via le forze, avesse a sentirsi meno in colpa e si potesse indurlo a rinunciare a quel progetto, non sarò certo io a biasimarlo, ne sarò anzi ben contento. Ma Haluin non si accontenterà mai di un peccato perdonato e non espiato. Io cercherò di tenerlo quieto il più a lungo possibile, ma tornerà certo su quest'argomento non appena si sentirà in grado di muoversi con una certa sicurezza.» «Non posso certo disapprovare un desiderio tanto adeguato al caso», assentì Radulfus. «Ma posso proibirgli di metterlo in atto finché non avrà recuperato le forze necessarie. Se potrà servire a restituirgli la pace spirituale, non ho alcun diritto di ostacolarlo. Oltretutto potrebbe anche arrecare un tardivo conforto all'infelice signora che ha perduto una figlia in circostanze tanto deprecabili. Non mi torna nuovo il nome de Clary, ma non so niente di quel maniero di Hales», aggiunse l'abate, riflettendo sul progettato pellegrinaggio. «Sapete dove si trova, voi?» «Verso il confine orientale della contea, padre, più o meno a venticinque miglia da Shrewsbury.» «E il suo signore che era lontano, in Terrasanta... Potrebbe non avere sa-
puto niente del modo in cui era morta in realtà sua figlia, se la sua consorte aveva tanta paura di lui. Sono trascorsi tanti anni, è vero, ma, se è ancora vivo, questo pellegrinaggio non deve assolutamente avere luogo. Sarebbe una cattiva azione da parte di fratello Haluin salvarsi l'anima arrecando altri dolori e altri guai alla signora di Hales. Quali che siano stati i suoi errori, li ha già pagati a duro prezzo.» «Per quel che ne so, padre», ammise Cadfael, «potrebbero essere morti entrambi, nel frattempo. Ho visto una volta il maniero, tornando da Lichfield dov'ero andato per un incarico affidatomi da padre Heribert, ma non so nulla della casata dei de Clary.» «Lo saprà senz'altro Hugh Beringar», affermò fiducioso l'abate. «Lui conosce per filo e per segno fatti e misfatti di tutta la nobiltà della contea. Potremo chiederglielo al suo ritorno, non c'è fretta. Anche se ad Haluin dev'essere concesso di fare la propria penitenza, ci vorrà tempo. Non si è ancora alzato dal letto nemmeno per un momento.» CAPITOLO III Hugh e la sua scorta tornarono quattro giorni dopo l'Epifania. Buona parte della coltre di neve si era disciolta, ormai, le giornate erano grigie e brevi e di notte faceva ancora molto freddo. Il disgelo proseguì gradualmente; dopo una nevicata tanto prolungata e pesante, infatti, tutti i corsi d'acqua avrebbero potuto gonfiarsi, a cominciare dal Severn che sarebbe straripato nel torrente Meole allagando i campi più bassi. Pericolo scampato per tutti, grazie a Dio. Hugh, mentre la sua sposa gli portava le pantofole foderate di pelliccia e il piccolo Giles si aggrappava alla cintura della sua spada strillando per avere il suo nuovo, adorato giocattolo, poté raccontare i particolari di un viaggio agevole, per quella stagione, e del lusinghiero gradimento del re per il lavoro svolto. «Per quanto io dubiti che questa tregua possa durare a lungo», confidò più tardi a Cadfael, dopo aver riferito all'abate le ultime novità da Winchester. «Ha ingoiato con sufficiente eleganza lo smacco di Oxford, ma ciò nonostante ha in animo la vendetta, non resterà tranquillo per molto, inverno o no. Il re rivuole indietro Wareham, che però è ben rifornito di viveri e di uomini, e come sapete Stefano non ha mai avuto la pazienza necessaria per un lungo assedio. Avrebbe desiderato una fortezza più a ovest, per poter spostare la guerra nel territorio di Robert. Non è possibile prevedere quale sarà la sua prima mossa, comunque non vuole né me né i miei
uomini laggiù a sud. Diffida troppo del conte di Chester per tenermi lontano dalla mia contea. E grazie a Dio, la penso anch'io così. E voi come ve la siete cavata? Ho saputo che il più bravo dei vostri miniatori è caduto da un tetto e per poco non si è ammazzato. Me lo ha detto il padre abate. Mi dispiace tanto. Dovevo essermi congedato da voi al massimo da un'ora, quand'è accaduto, ma si sta riprendendo bene, vero?» «Meglio di quanto ci aspettassimo tutti, meno lui, che non vedeva l'ora di purificarsi l'anima in attesa della morte. Ma ormai è fuori pericolo e tra un paio di giorni riuscirà ad alzarsi dal letto. Però ha i piedi storpiati senza rimedio, le tegole di ardesia coi loro margini taglienti glieli hanno fatti a pezzi. Fratello Luke gli sta preparando un paio di stampelle. Oh, a proposito, Hugh, che cosa sapete voi dei de Clary, signori del maniero di Hales? Uno di loro è stato crociato una ventina d'anni fa. Sapete se sia ancora vivo?» «Bertrand de Clary...» rispose pronto lo sceriffo, guardando l'amico con curioso interesse. «È morto una decina d'anni fa. Gli è succeduto il figlio, ma io non ho contatti con loro. Hales è il loro unico maniero in questa contea, il loro possedimento principale e la maggior parte delle loro terre sono nello Staffordshire. Ma come mai mi chiedete notizie dei de Clary?» «Per causa di Haluin. Era al loro servizio prima di vestire il saio e sembra che abbia lasciato un debito insoluto da quelle parti. È venuto fuori quando ha fatto quella che pensava dovesse essere la sua confessione in punto di morte. Sente di essere colpevole di qualcosa e gli pesa ancora sulla coscienza.» Di più non era lecito dire, nemmeno a un amico: il segreto del confessionale era sacro e Hugh non avrebbe chiesto altro, anche se poi avrebbe almanaccato su ciò che non era stato detto. «Adesso ha in mente di andare là per saldare il conto», riprese Cadfael. «Non appena sarà in condizioni di compiere il viaggio, e mi chiedevo... Se la vedova di quel Bertrand non fosse più tra i vivi, neppure lei, bisognerebbe informarne Haluin e levargli quell'idea dalla testa.» «Perché voi desiderate che non vi sia più niente a turbarlo, nel corpo e nella mente; che possa riprendere a vivere normalmente il più presto possibile», osservò Hugh con un sorriso indulgente. «Dolente, Cadfael, ma debbo deludervi. La signora è là, ad Hales, viva e vegeta. Suo figlio ha sposato una nobile fanciulla dello Staffordshire e ha a sua volta un giovane erede, ma a quanto pare sua madre non è tipo da tollerare un'altra donna a fare da padrona nel suo dominio. Hales è la sua dimora preferita, dove lei
vive per la maggior parte del tempo, senza intromettersi negli affari del figlio, a patto che egli non interferisca nei suoi. E così vanno d'amore e d'accordo. Tutto questo lo so perché tornando da Winchester abbiamo percorso qualche miglio con alcuni uomini di de Clary usciti alla spicciolata da Oxford dopo la fine dell'assedio. Non ho visto lui, era ancora bloccato a corte quando noi siamo partiti. Ma ormai sarà sulla via di casa, a meno che Stefano non lo trattenga per qualche suo scopo, in vista della prossima mossa che intende fare.» Il monaco accolse con filosofia quelle notizie, per sgradite che fossero. Dunque era ancora viva, la nobile signora che aveva cercato di aiutare la figlia ad abortire e l'aveva aiutata invece a morire. Ma quali dovevano essere stati allora la disperazione e i rimorsi di una madre e quali amari ricordi dovevano restare ancora, sotto le ceneri di diciotto anni? Sarebbe stato meglio, senza dubbio, lasciarli sepolti com'erano, ma la coscienza tormentata di Haluin, la sua anima desiderosa di purificazione avevano esse pure i loro diritti. Dopotutto, lui aveva soltanto diciotto anni allora e la donna che aveva inesorabilmente stroncato il suo desiderio di affetto doveva averne almeno il doppio! Avrebbe dovuto possedere saggezza sufficiente per rendersi conto di ciò che cominciava a sbocciare tra sua figlia e quel ragazzo e prendere i provvedimenti opportuni per separarli in tempo! «Non vi è mai accaduto di pensare, Hugh», domandò mestamente Cadfael, «che sia meglio accettare persino un male, piuttosto che cagionare il peggio?» domandò mestamente Cadfael. «Oh, bene! Non ha ancora nemmeno provato le sue stampelle. Chissà quali cambiamenti potranno apportare le prossime settimane!» Fecero alzare Haluin dal suo letto alla metà di gennaio, lo sistemarono in un angolo dell'infermeria vicino al fuoco e iniziarono una cura con pomate e massaggi per ridare elasticità a muscoli e nervi irrigiditi per la prolungata immobilità. Per tenere occupate la mente e le mani, gli portarono colori, pennelli, un tavolinetto su cui lavorare e una pagina facile da miniare, affinché le sue dita riacquistassero abilità e sicurezza. Guariti di tutte le ferite, i suoi piedi erano rimasti deformi ed era fuori questione che egli potesse tentare di reggersi su di essi, ma Cadfael gli consentì di provare le grucce approntate da fratello Luke, perché si abituasse a muoverle e a tenersi in equilibrio. Naturalmente, senza poter usare i piedi, neppure le stampelle sarebbero servite, ma tanto Edmund quanto Cadfael ritenevano che il destro avrebbe riguadagnato ben presto le proprie capacità e anche il sinistro,
opportunamente calzato, sarebbe stato di qualche aiuto. A quello scopo, alla fine del mese Cadfael mandò a chiamare Philip Corviser, il figlio del borgomastro, e fra tutti e due escogitarono un paio di stivali, diversi l'uno dall'altro come i piedi ai quali erano destinati, di feltro pesante con la suola di cuoio, alti fino al polpaccio e stretti da cinghie di pelle per usare come sostegno le ossa delle gambe rimaste intatte. Philip era fiero del proprio lavoro, ma non volle ascoltare elogi finché Haluin non li ebbe calzati e non constatò che non causavano alcun dolore, fornendo per giunta un calore prezioso in quella stagione. Tutto ciò che si faceva per lui, Haluin lo accettava con gratitudine e umiltà, continuando tenacemente a esercitare occhi e mani con i suoi rossi e azzurri, ma di tanto in tanto si alzava per fare pratica con le stampelle, tenendosi a ogni buon conto vicino a una parete o a una panca, caso mai avesse a perdere l'equilibrio. Ci volle un certo tempo perché i tendini recuperassero il loro vigore, ma al principio di febbraio il giovane fu in grado di posare saldamente il piede destro sul pavimento e persino di reggersi su quello senza alcun sostegno. Da quel momento prese a muoversi sicuro sulle grucce, lo si rivide puntualmente nel coro a ogni funzione e alla fine del mese poté appoggiare anche la punta dell'alluce sinistro per tenersi meglio in equilibrio. Per fortuna l'inverno, cominciato con tanta neve e ghiaccio, si fece poi più mite. Qualche parentesi di gelo svanì in fretta e lo stesso fu per qualche occasionale spruzzata di neve cosicché Haluin, quand'ebbe preso confidenza con le sue stampelle, poté esercitarsi anche all'aperto e divenne sempre più sicuro di sé, timoroso soltanto della possibilità di sdrucciolare sui ciottoli del cortile principale. Al principio di marzo, con le giornate più lunghe e le prime, caute avvisaglie della primavera nell'aria, fratello Haluin durante una riunione del capitolo si alzò e, deferente ma risoluto, fece un discorsetto che soltanto Radulfus e Cadfael compresero pienamente. «Padre», esordì fissando senza batter ciglio l'abate, «come sapete, nella mia afflizione ho concepito il desiderio di compiere un certo pellegrinaggio se, per grazia di Dio, mi fossi ristabilito. È stata usata con me una clemenza infinita e ora, se me lo consentite, vorrei sciogliere il mio voto. Chiedo la vostra approvazione e le preghiere dei miei confratelli per poter mantenere la promessa e tornare con l'animo in pace.» Radulfus lo guardò in silenzio per un lungo, imbarazzante momento, senza che dal suo viso trasparisse se approvava o no, e la fissità del suo
sguardo fece salire un'ondata di rossore alle guance scarne di Haluin. «Venite da me dopo il capitolo», disse finalmente. «Mi spiegherete quali sono esattamente le vostre intenzioni e giudicherò se siete ormai in grado di fare ciò che vi proponete.» Nel salottino dell'abate, il giovane monaco fu chiaro e onesto, come si conveniva con persone che conoscevano a fondo la sua anima. Cadfael sapeva bene perché fosse stato chiamato. Due motivi, infatti, erano evidenti: era l'unico altro testimone della confessione di Haluin e poteva quindi dargli qualche consiglio, e lo aveva assistito durante la sua infermità, essendo quindi in grado di giudicare se le sue condizioni gli consentivano di affrontare quel viaggio. A un terzo motivo non aveva ancora pensato e non fu eccessivamente compiaciuto quando lo conobbe. «Non debbo e non voglio trattenervi dal fare quanto è necessario per la salute della vostra anima», dichiarò Radulfus, quando Haluin ebbe finito di parlare. «Ma penso che sia troppo presto. Non avete ancora recuperato del tutto le vostre forze e non è ancora primavera. Abbiamo avuto bel tempo in queste ultime settimane, ma non è detto che debba continuare così. Non dimenticate quanto siete stato vicino alla morte, di recente. Non siete pronto per affrontare tali fatiche.» «Padre», ribatté con ardore Haluin, «è proprio perché sono stato così vicino alla morte che non debbo frapporre altri indugi. Se la morte avesse a raggiungermi prima che io abbia espiato il mio peccato? Sono stato avvisato, debbo tenerne conto. Se morissi mentre sto pagando il mio debito, mi sembrerebbe giusto, ma senza aver fatto ammenda... no, non me lo perdonerei mai. Padre», continuò, accendendosi come un fuoco riattizzato, «l'amavo profondamente, come un marito, l'avrei amata per tutta la mia vita. E l'ho distrutta. Ho nascosto i miei peccati troppo a lungo, ora che li ho confessati non vedo l'ora di espiarli.» «Avete pensato a tutte le miglia che dovrete percorrere? Sapete andare a cavallo?» Haluin scosse energicamente la testa. «L'ho giurato in cuor mio, padre, e lo prometterò davanti all'altare, se volete. Andare là dov'è sepolta e tornare a piedi... questi piedi che mi hanno portato alla realtà, alla consapevolezza delle mie colpe inconfessate. Posso farcela, ho imparato come debbono andare gli zoppi innocenti. Perché non dovrei addossarmi io le stesse fatiche? Io, che sono tanto colpevole? Ce la farò. Fratello Cadfael lo sa!» Fratello Cadfael non fu particolarmente felice di essere tirato in ballo come testimone e ancor meno di dover dire qualcosa in favore di quella
impresa pazzesca, ma sapeva che per quella pover'anima tormentata non vi sarebbe stata pace finché non l'avesse compiuta. «So che ne ha la volontà e il coraggio», disse. «Che ne abbia anche la forza è un'altra questione. E se ha il diritto di sottoporre il proprio corpo a uno sforzo mortale per lavarsi l'anima non sta a me giudicarlo.» Radulfus rifletté per qualche minuto, assorto e silenzioso, guardando di nuovo il giovane confratello con una fissità che lo avrebbe sicuramente messo a disagio, inducendolo ad abbassare gli occhi, se vi fosse stato qualcosa di falso o di esibizionistico nel suo proposito. Ma gli occhi ansiosi di Haluin rimasero a loro volta fissi in quelli dell'abate. «Bene», disse finalmente questi, «credo al vostro desiderio di espiazione. Meglio tardi che mai. Andate, dunque, fate questo tentativo. Ma non voglio che andiate da solo. Dovete avere qualcuno con voi, per il caso che avessero a mancarvi le forze. Se questo dovesse accadere, dovrete permettere al vostro compagno di prendere i provvedimenti che riterrà necessari. Se sopporterete bene la fatica, egli non farà niente che possa sminuire il vostro sacrificio. Ma ricordate che è il mio rappresentante e, se vi accadesse qualcosa, dovrete obbedirgli come fareste con me.» «Ma padre», protestò con calore Haluin, «il mio peccato è soltanto mio, la mia confessione è sacra e segreta. Come potrei avere al mio fianco per tanto tempo un estraneo, senza infrangere io stesso il segreto? Sarebbe già una violazione soltanto provocare stupore e interrogativi riguardo alla mia penitenza!» «Avrete un compagno che né si stupirà né farà domande perché sa già tutto, glielo avete detto voi stesso», lo rassicurò Radulfus. «Verrà con voi fratello Cadfael. La sua compagnia e le sue preghiere vi saranno di grande aiuto e conforto per qualsiasi necessità. E voi, fratello, accettate l'incarico? Haluin non può farcela da solo!» C'era poco da scegliere, pensò Cadfael, peraltro non dispiaciuto di quel compito. Sussisteva ancora, nel suo intimo, qualcosa del vagabondo che aveva percorso mezzo mondo, da occidente a oriente e viceversa, per quarant'anni, prima di acquietarsi nella calma del chiostro. E un'evasione col beneplacito, una volta tanto, anzi addirittura per ordine, dell'autorità superiore era benvenuta e benedetta. «Lo farò volentieri, padre», fu la risposta. «Questo viaggio durerà alcuni giorni ma, con l'aiuto di Edmund, fratello Winfrid sarà in grado di badare a qualsiasi evenienza, suppongo.» «Per qualche giorno se la caveranno benissimo. Ho rifornito proprio ieri
l'armadio dei medicinali nell'infermeria e nel mio laboratorio c'è una buona scorta dei rimedi che si usano abitualmente d'inverno. Nel caso di qualche evenienza particolare, si potrebbe richiamare per qualche tempo fratello Oswin dall'ospedale di San Giles.» «Bene! Allora, Haluin, potete prepararvi per partire, anche domani, se volete. E affidatevi a Cadfael, se vi mancassero le forze, seguite i suoi ordini, come avete sempre seguito i miei.» «Lo farò, padre», promise solennemente Haluin. Quella sera stessa, dopo il vespro, fratello Haluin pronunciò il proprio voto davanti all'altare di santa Winifred, per non lasciarsi alcuna via d'uscita. Il pallore del suo viso, l'ardore della sua voce rivelarono a Cadfael come l'ostinato penitente si rendesse conto, con un certo, segreto timore, della fatica e delle sofferenze che imponeva a se stesso, affrontandole tuttavia con un'appassionata determinazione che sarebbe stata meglio impiegata per uno scopo più pratico e utile. Chi, difatti, avrebbe tratto qualche profitto da quel viaggio, sempre che avesse avuto successo, salvo lui, il penitente, che avrebbe ritrovato almeno in parte il rispetto di se stesso? Certo non la povera fanciulla il cui solo peccato era stato quello di cedere a un amore eccessivo e che senza dubbio era da tempo in stato di grazia. E nemmeno la madre che, nel corso di tanti anni, si era probabilmente lasciata alle spalle quell'incubo angoscioso e che ora se lo sarebbe ritrovato di nuovo davanti agli occhi. Cadfael non riteneva che lo scopo principale nella vita di un uomo fosse quello di salvare la propria anima. V'erano al mondo tante anime, e tanti corpi sofferenti e bisognosi di una spinta verso la salvezza. Ma per i tanti, amari anni trascorsi da Haluin a biasimare se stesso era necessario un rimedio. «Su queste sante reliquie», dichiarò il giovane, premendo le palme sul drappo che ricopriva il grande reliquiario, «faccio il mio voto penitenziale: non avrò pace finché non sarò andato a piedi alla tomba in cui giace Bertrade de Clary e non avrò vegliato là per una notte pregando per la sua anima e tornando poi, sempre a piedi, al luogo dal quale sono partito. E se vengo meno alla mia promessa, possa io essere pubblicamente giudicato e morire senza perdono.» Si misero in cammino dopo la Prima, il quarto giorno di marzo, dirigendosi lungo il Foregate verso San Giles e la strada maestra che portava a oriente. Era una giornata grigia ma senza vento e non troppo fredda. Cadfael
percorse con la mente la via che avrebbero dovuto percorrere e non gli sembrò eccessivamente ardua. Si sarebbero lasciati alle spalle le colline occidentali e, procedendo poi verso oriente, la campagna intorno a loro si sarebbe appianata un miglio dopo l'altro in una pacifica distesa verde. La strada era asciutta, perché non v'erano state piogge recenti né sembravano minacciarne le nubi chiare e alte nel cielo, e fiancheggiata su entrambi i lati da larghi margini erbosi dov'era più agevole camminare anche per uno storpio. Per un paio di miglia sarebbe andato tutto bene ma in seguito, nonostante tutto, la fatica incessante avrebbe cominciato a farsi sentire e sarebbe toccato a Cadfael decidere quando fermarsi, perché Haluin probabilmente avrebbe stretto i denti e tenuto duro finché non fosse crollato. In qualche punto alle falde del Wrekin avrebbero certo trovato un rifugio per la notte presso uno dei tanti affittuari dell'abbazia che abitavano da quelle parti e li avrebbero accolti tutti ben volentieri. Quanto ai viveri, non v'erano problemi: Cadfael ne aveva a sufficienza nella sua bisaccia. Con la viva speranza del mattino, quando l'energia e l'impazienza di Haluin erano al vertice, procedettero di buon passo e a mezzogiorno fecero una piacevole pausa col parroco di Attingham, ma il pomeriggio la loro andatura rallentò alquanto e Haluin cominciò a sentirsi le spalle indolenzite per lo sforzo costante di reggersi con tutto il proprio peso sulle stampelle; verso sera poi, il freddo gli intorpidì le mani, benché fratello Luke avesse avuto l'accortezza di avvolgervi intorno un panno di lana. Non appena la luce prese a sfumare nel crepuscolo grigio, Cadfael decise quindi d'interrompere il viaggio e sostare in un paese vicino, Uppington, chiedendo asilo per la notte al maniero. Il suo pupillo era stato estremamente taciturno durante tutto il tragitto, bisognoso com'era di tanto fiato e forza d'animo per continuare a camminare. Anche la sera, nutrito e a proprio agio, rimase per qualche tempo in silenzio. «Fratello», disse finalmente, «siete stato molto buono a venire con me. Con nessun altro potrei parlare apertamente di quel vecchio dolore. Il mio lato peggiore lo conoscete già e non dirò mai una parola per giustificarmi. Ma in diciotto anni non ho mai pronunciato il suo nome.» «Parlate o tacete come vi sentirete di fare e io udrò o sarò sordo come vorrete coi. Ma riposate, stanotte, perché avete percorso un buon terzo del cammino e domani, vi avverto, proverete dolori quali nemmeno immaginate, dopo aver faticato tanto e tanto a lungo.» «Sì, sono davvero stanco», ammise Haluin con un improvviso, commo-
vente sorriso, fugace quant'era stato dolce. «Pensate che non arriveremo ad Hales domani, allora?» «Non pensate a quello, ora. No, arriveremo soltanto alla casa dei monaci agostiniani a Wombridge e dormiremo là. Siete stato bravissimo a fare tanta strada oggi, perciò non state a brontolare per un giorno in più.» «Come volete voi», si arrese docilmente Haluin e si mise a dormire con la fiduciosa semplicità di un bambino rassicurato e protetto dalle sue preghiere. Il giorno successivo fu meno clemente, con una pioggerella sottile ma pungente, frammista talvolta a nevischio, e un vento freddo da nord-est contro il quale la massa verde e impervia del Wrekin non offriva loro alcun riparo, perché la strada la costeggiava proprio a nord. Tuttavia, raggiunsero il priorato prima del crepuscolo, benché Haluin avesse ormai il viso livido e le guance incavate per la stanchezza. Cadfael respirò di sollievo quando furono al caldo e prese subito a massaggiargli braccia, spalle e cosce che avevano sopportato tanto bene le fatiche di una lunga giornata. Il terzo giorno, di primo pomeriggio, arrivarono al maniero di Hales. La casa padronale, in legno sopra un ammezzato in pietra, era un poco lontana dal paese e dalla chiesa, tra campi pianeggianti e bene irrigati e con un dolce pendio boscoso alle spalle. All'interno e a ridosso della staccionata si allineavano stalla, granaio e forno, lindi e ordinati. Fratello Haluin si fermò all'entrata, osservando con occhi colmi di dolore, la sola cosa viva nel suo viso rigido e inespressivo, il luogo dove aveva prestato servizio tanto tempo addietro. «Quattro anni», mormorò. «Per quattro anni ho tenuto i registri qui. Mio padre era vassallo di Bertrand de Clary e mi ha mandato qui quando non avevo ancora quattordici anni, come paggio della signora del maniero. Ma Bertrand era già partito per la Terrasanta, allora, io non l'ho mai visto. A fare le sue veci c'era suo figlio, che governava tutti i loro possedimenti dallo Staffordshire. Hales è soltanto uno dei suoi manieri, quello che Adelais de Clary ha sempre preferito, così si è installata qui, lasciando al figlio la signoria di tutto il resto. Sarebbe stato meglio per lei se io non fossi mai entrato in questa casa. E ancora meglio per Bertrade!» «È tardi ormai per rimediare a quegli errori», osservò blandamente Cadfael. «Potete soltanto farne penitenza come avete promesso, per questo non è tardi. Forse vi sentirete più libero, parlando con lei, se io vi aspetterò fuori.»
«No», protestò Haluin. «Restate con me, ho bisogno di voi come testimone, mi sembra giusto!» Un giovane uscì dalla stalla con un forcone in mano e alla vista dei due monaci alla porta della staccionata si diresse verso di loro sorridendo. «Se desiderate un letto e un pasto, entrate, fratelli, il vostro abito è sempre il benvenuto qui. C'è una comoda stanza in soffitta e in cucina troverete del cibo, se avete la compiacenza di venire avanti.» «Sì», convenne Haluin, sempre con lo sguardo rivolto a un lontano passato, «ricordo che questa è sempre stata una casa molto ospitale per i viaggiatori. Ma non ho bisogno di un letto per questa notte, ho un messaggio per la vostra signora, se vorrà concedermi udienza. Mi basteranno pochi minuti.» Il giovane si strinse nelle spalle, fissandoli con imperscrutabili occhi grigi da sassone, e indicò loro i gradini di pietra che portavano all'ingresso del vestibolo. «Entrate e chiedete della sua cameriera personale, Gerta, che sentirà se la signora acconsente a ricevervi.» L'uomo rimase a guardarli mentre attraversavano il cortile, prima di tornare al proprio lavoro. Nel vestibolo, i due monaci s'imbatterono in un servitore il quale, saputo che cosa desideravano, andò subito a chiamare Gerta. La cameriera, sui quarant'anni, era modestamente vestita, bruttina e col viso butterato, ma indubbiamente consapevole della propria importante posizione perché squadrò con una certa alterigia i visitatori e ascoltò la timida richiesta di Haluin senza l'ombra di un sorriso, riluttante ad aprire una porta della quale si sentiva palesemente custode privilegiata. «Venite dall'abbazia di Shrewsbury? Con un incarico del padre abate, suppongo?» «Una questione che lui stesso ha approvato», precisò Haluin. «Non è la stessa cosa», ribatté aspramente Gerta. «Pensavo che soltanto una faccenda riguardante l'abbazia potesse portare fin qui due monaci di Shrewsbury! Se è un vostro affare privato, la mia signora deve sapere prima con chi ha a che fare.» «Ditele», rispose gentilmente il giovane, evitando di guardare il viso ostile della donna, «che fratello Haluin, monaco benedettino dell'abbazia di Shrewsbury, le chiede umilmente il favore di riceverlo.» Quel nome non diceva niente a Gerta, era chiaro. Senza dubbio non era ad Hales, allora, o comunque non in tanta dimestichezza con Adelais de Clary da essere al corrente delle sue preoccupazioni. Un'altra donna, forse
più vicina all'età della padrona, doveva avere occupato diciotto anni prima quel posto confidenziale. Servitori personali, che godono della fiducia dei padroni e la ricambiano con lealtà assoluta, portano con sé, spesso fino alla morte, un cospicuo tesoro di segreti. Da qualche parte, pensò Cadfael, doveva esservi una donna che si sarebbe irrigidita spalancando gli occhi all'udire quel nome, anche se a tutta prima non avesse riconosciuto il viso mutato e segnato dal tempo. «Andrò a chiedere», disse infine la cameriera, un po' seccata, e si allontanò per raggiungere una porta nascosta da una pesante tenda in fondo al vestibolo. Quando ricomparve, dopo alcuni minuti, si limitò a scostare la tenda e annunciò, dalla soglia: «La mia signora dice che potete venire». La sala nella quale entrarono era piccola e male illuminata, perché le imposte delle due finestre esposte al vento erano chiuse, le tappezzerie vecchie e in tinte scure e invece del camino c'era, nell'angolo più riparato, un braciere a carbone. Tra quello e l'unica finestra con le imposte aperte, una donna sedeva su uno sgabello imbottito, davanti a un piccolo telaio da ricamo. Sullo sfondo della finestra si disegnava la sua figura alta ed eretta, vestita di scuro, mentre il carbone incandescente del braciere si riverberava in macchie color rame sui punti prominenti del suo viso in ombra. Lasciato l'ago appuntato nella stoffa, Adelais de Clary fissava ora la porta, dove Haluin si teneva faticosamente ritto sulle grucce, col piede destro affaticato e indolenzito posato sul pavimento e la punta del sinistro che lo sfiorava appena. Il prolungato uso delle stampelle gli aveva incurvato le spalle e il dorso, la sua figura non aveva più niente del bel giovane agile e brioso che lei doveva essersi aspettata udendo il suo nome e che aveva scacciato dalla propria casa tutti quegli anni addietro. Quello che aveva davanti a sé era ormai soltanto un povero relitto storpio! Il giovane aveva appena fatto un passo avanti quando Adelais balzò in piedi, dritta come una lancia. «Andate, voi», disse a Gerta, che aveva accennato a seguirlo. E ad Haluin, mentre la pesante tenda ricadeva dietro di lui: «Che cos'è accaduto? Chi vi ha ridotto in questo stato?» CAPITOLO IV Doveva avere passato da un bel po' la cinquantina, pensò Cadfael quando i suoi occhi si furono abituati al gioco di luci e ombre nella stanza, ma sembrava più giovane. Fra le folte trecce di capelli scuri ai lati del suo capo appariva a malapena qualche filo grigio e i tratti delicati e imperiosi a
un tempo del suo volto erano inalterati, benché la carnagione mostrasse qualche lieve segno del tempo e il suo corpo non avesse più l'elastica pienezza della gioventù. Le mani, sì... le mani, pur sempre belle, la tradivano con le loro nocche ingrossate e le vene sporgenti. La pelle del collo e dei polsi era un po' flaccida, ma ciò nonostante nel suo viso ovale, nella bocca ben disegnata, nei grandi occhi scuri, Cadfael vide le ceneri di una grande bellezza. No, non le ceneri, i tizzoni, vivi e splendenti come il carbone che ardeva nel braciere. «Avvicinatevi!» disse lei. E come Haluin le fu davanti, col viso illuminato dalla luce pallida e fredda della finestra, alla quale si mescolava un lieve riverbero rosso del fuoco: «Siete proprio voi, dunque!» esclamò. «Non vi avrei mai riconosciuto in tali condizioni!» Una voce bassa, ma ferma e autorevole, dalla quale era scomparsa ogni traccia di stupore e di sgomento. Adesso nell'espressione di Adelais non si leggevano né compassione né freddezza, ma soltanto una distaccata indifferenza, una vaga curiosità a fior di pelle. «È stata soltanto colpa mia», rispose Haluin. «Non preoccupatevi. Ho avuto quello che meritavo. Una caduta disastrosa, alla quale sono sopravvissuto per grazia di Dio, quando sembravo già morto. E ora, dopo aver liberato la mia anima da vecchi peccati davanti a Dio e al mio confessore, vengo a chiedere il vostro perdono.» «Ve n'era bisogno?» ribatté lei, stupita. «Dopo tanti anni e tante miglia fra di noi?» «Sì, era necessario. Debbo sentirvi dire che mi perdonate il male che ho fatto, l'immenso dolore che vi ho arrecato. Non può esservi pace per me finché anche l'ultima ombra non sarà cancellata.» «E intanto avete spifferato tutto ciò che era segreto e disonorevole!» esclamò amaramente Adelais. «Al vostro confessore! E a quanti altri? A questo buon monaco che vi accompagna? All'intera abbazia nel corso di un capitolo? Non potevate rassegnarvi a essere un peccatore non assolto, piuttosto che insudiciare il nome di mia figlia davanti a tutti, quand'era poi morta e sepolta da tanti anni? Io avrei preferito finire al purgatorio con tutti i miei peccati!» «Anche io!» ribatté il giovane, addolorato. «Ma non è stato così. Fratello Cadfael è venuto con me perché lui, ma lui soltanto, oltre all'abate Radulfus, ha udito la mia confessione; ma nessun altro saprà mai niente. Inoltre era stato in un certo senso coinvolto nella mia colpa perché nel suo laboratorio e dopo i suoi insegnamenti avevo rubato quella medicina. Lui solo
poteva decidere se concedermi o no il perdono.» La gentildonna fissò per un lungo momento il monaco, con uno sguardo penetrante, poi riprese la sua espressione d'indifferente distacco. «Bene», disse, «è passato tanto tempo, ormai. Chi se ne ricorderebbe? E io non sono ancora morta. Chi lo sa, potrei avere bisogno io stessa di un confessore, un giorno. Sarei potuta essere meno severa con voi. Mi avete chiesto di perdonarvi e lo farò. Non voglio che continuiate a tormentarvi per causa mia. Vi perdono come spero di essere perdonata.» Lo disse senza alcuna emozione, il breve accesso di collera era già svanito. Non le costava niente assolverlo e lo fece in un tono impersonale, come avrebbe dato un tozzo di pane a un mendicante. Per una gentildonna del suo rango, concedere un'elemosina chiesta in modo appropriato era un segno di liberalità, il debito compimento di un rito inerente alla signoria, ma ciò che lei diede alla leggera fu per Haluin una grazia consolante. La dolorosa tensione che gli irrigidiva le spalle e le mani si sciolse a un tratto e lui chinò umilmente il capo, mormorando qualche parola di ringraziamento con voce rotta e sommessa. «Milady, la vostra clemenza mi leva un gran peso. Vi ringrazio con tutto il cuore.» «Tornate dunque alla vita che avete scelto e ai doveri che vi siete assunti», ribatté lei, sedendosi di nuovo, ma senza riprendere l'ago. «Non pensate più a quanto è accaduto in un tempo ormai lontano. Vi è stata risparmiata la vita, avete detto. Fatene il miglior uso possibile e lo stesso cercherò di fare io.» Era un congedo e come tale lo accettò Haluin. S'inchinò per quanto gli fu possibile e, con l'aiuto di Cadfael, si girò cautamente sulle stampelle. Adelais non li aveva neppure invitati a sedersi, forse un po' frastornata da quella visita sconcertante. Ma, mentre stavano per uscire, li richiamò all'improvviso. «Potete trattenervi a riposare e mangiare qualcosa, se volete. I miei servitori provvederanno a ogni vostra necessità.» «Vi ringrazio», rispose Haluin, «ma la licenza che abbiamo avuto ci impone di tornare non appena compiuto il mio pellegrinaggio.» «Dio vi faciliti il cammino, allora», augurò Adelais de Clary e riprese risolutamente il suo ago. La chiesa non era molto lontana dal maniero, tra un gruppo di casette addossate al muro di cinta del camposanto.
«La tomba di famiglia dei de Clary è qui», spiegò Haluin mentre varcavano il cancello. «Vi è sepolto il padre di Bertrand e deve esserci anche Bertrade. Mi dispiace di aver rifiutato l'ospitalità anche per voi, fratello. Non ho riflettuto. Ho pensato soltanto che io non avevo bisogno di un letto, stanotte.» «Non lo avete detto alla signora», osservò Cadfael. «È vero, non so nemmeno io perché. Quando l'ho rivista, mi ha turbato il pensiero del male che le avrei fatto rinnovando nel suo cuore quell'antico dolore, della pena che forse le avrebbe arrecato la mia semplice presenza. Invece mi ha concesso subito il suo perdono. Così ora io mi sento meglio e lei non sta certo peggio di prima. Ma voi avreste potuto dormire tranquillo stanotte, se io fossi stato più avveduto.» «Non preoccupatevi, sono più agguerrito di voi e non sono affatto certo che quell'invito fosse sincero. Non vedeva l'ora che ce ne andassimo. No, no, va bene così. Con ogni probabilità la nobile dama pensa che siamo sulla via di casa, ora, fuori delle sue terre e della sua vita.» Raggiunta la chiesa, Haluin sostò per un attimo con la mano sul grosso pomolo della porta e il viso in ombra, poi il battente si aprì cigolando e lui, afferrate saldamente le stampelle, scese i due ampi gradini oltre la soglia. L'interno era buio e gelido e Cadfael si fermò un momento per abituare gli occhi all'oscurità, ma Haluin proseguì sicuro verso l'altare. Non era cambiato quasi niente in quei diciotto anni e lui non aveva dimenticato niente, nemmeno le crepe fra le mattonelle del pavimento. Girò a destra e Cadfael, che lo aveva finalmente seguito, lo trovò davanti a una grande lastra tombale, tra due pilastri, sulla quale giaceva la figura scolpita di un uomo in cotta di maglia, con una mano sull'elsa della spada. Un altro crociato, pensò Cadfael, senza dubbio il padre di Bertrand, che aveva seguito le sue orme in Terrasanta. Questo, calcolò il monaco, potrebbe anche essere stato con Roberto di Normandia ai miei tempi, alla presa di Gerusalemme. I maschi de Clary erano evidentemente fieri delle guerre combattute in oriente. Dalla sacrestia uscì un uomo di mezz'età, in tonaca nera, che al vedere due sai benedettini si avvicinò loro con espressione lievemente incuriosita e un sorriso cordiale. Udendo il rumore dei suoi passi, per quanto sommessi, Haluin si girò, contento di poter salutare un vicino indimenticato, ma lo bloccò all'istante la vista di uno sconosciuto. «Buongiorno, fratelli! Dio vi benedica!» esclamò il prete di Hales. «Per viaggiatori che portano il vostro abito la mia casa è sempre aperta, come questa dimora di Dio. Venite da lontano?»
«Da Shrewsbury», rispose Haluin, riprendendosi dalla delusione. «Scusatemi, padre, ma sono stato colto alla sprovvista. Mi aspettavo di vedere padre Wulfnoth. Sciocco da parte mia, perché non venivo qui da anni e lui aveva già i capelli grigi, quando me ne sono andato. Adesso non oso chiedere...» «Purtroppo è morto sette anni fa. Io sono qui da dieci. Lui era confinato a letto per un colpo apoplettico e l'ho assistito fino alla sua morte. Ero stato consacrato prete da poco e ho imparato moltissimo da padre Wulfnoth, aveva conservato fino all'ultimo la mente perfettamente lucida. Conoscete bene la chiesa e il maniero, dunque! Siete nato ad Hales?» «No, ma sono stato per alcuni anni al servizio di Lady Adelais, prima di vestire il saio a Shrewsbury. Adesso», aggiunse in fretta Haluin, notando con quale attenzione venisse osservato e sentendo il bisogno di spiegare in qualche modo perché era tornato, «debbo rendere grazie per essere sopravvissuto a un incidente che sarebbe potuto essere mortale e, finché posso farlo, desidero saldare i debiti che ho sulla coscienza, uno dei quali mi ha portato a questa tomba. Molto tempo fa, più o meno diciotto anni, nutrivo una profonda stima per una giovane appartenente alla famiglia dei de Clary, morta prematuramente, e vorrei vegliare una notte accanto al suo sepolcro, pregando per lei. Non vi dispiace?» «Anzi, vi approverei», rispose cordialmente il prete. «E accenderei anche una torcia per voi, sarebbe di qualche aiuto contro il freddo. Ma siete in errore, fratello. Diciotto anni fa io non ero ancora qui, è vero, però ho appreso da padre Wulfnoth una quantità di notizie su questa chiesa e il maniero... lui era stato al servizio dei signori di Hales per tutta la vita. Aveva potuto studiare grazie al loro aiuto e poi lo avevano sistemato qui. In questa tomba non è stato sepolto più nessuno dopo il vecchio Lord, quello raffigurato sulla lastra, morto da più di trent'anni. Appartenente alla famiglia, dite? Morta giovane?» «Una parente», rispose sommessamente Haluin, profondamente turbato, con gli occhi fissi sulla lastra di pietra rimasta intatta per trent'anni. «È morta qui ad Hales ed ero convinto che fosse sepolta in questa tomba.» Non avrebbe fatto né il suo nome, né avrebbe detto più di quanto fosse strettamente necessario, neppure a quel prete tanto gentile. «Diciotto anni fa, dite? Allora non è certamente qui, fratello. Se avete conosciuto padre Wulfnoth sapete senza dubbio che ci si poteva fidare della sua parola. E io so che la sua mente era acuta come sempre anche dopo che il suo corpo era stato offeso.»
«Vi credo», mormorò Haluin, raggelato dall'amara delusione. «Non si sbagliava di certo. Lei non è qui!» «Ma questo non è il possedimento più importante della famiglia», riprese il prete, come per consolarlo. «C'è anche Elford, nello Staffordshire. Lord Audemar, il signore attuale, ha seppellito il padre là, dove hanno pure una grande tomba. E sarebbe a Elford anche qualsiasi altro parente che fosse morto in questi ultimi anni, compresa la giovane di cui parlate voi.» Haluin si aggrappò avidamente a quella speranza. «Sì... sì, potrebbe essere così, deve essere così! La troverò là!» «Senza dubbio», convenne il prete. «Ma la strada è lunga, per farla a piedi.» Avvertiva nel monaco una smania che difficilmente avrebbe ceduto alla ragione, comunque cercò di mitigarla. «Sarebbe più saggio andare a cavallo, se proprio dovete, o rimandare il viaggio a una stagione più propizia. Ma fate almeno una pausa, ora. Venite a casa mia a mangiare un boccone e riposarvi fino a domattina.» Un invito che Haluin non avrebbe certo accettato, rifletté Cadfael: non quando c'era ancora un'ora o più di luce e lui aveva ancora forze sufficienti per approfittarne. Difatti si scusò, ringraziando un po' impacciato, e si congedò laconicamente dal brav'uomo che li seguì perplesso con lo sguardo finché non ebbero risalito i due gradini, richiudendosi poi la porta alle spalle. «No!» dichiarò risolutamente Cadfael mentre si dirigevano verso la strada maestra oltre il paesetto. «Questo non potete farlo!» «Posso, devo!» ribatté Haluin non meno risolutamente. «Perché no?» «In primo luogo perché non sapete quant'è lontano Elford. Una volta e mezzo il cammino che abbiamo già percorso. E sapete benissimo quali fatiche vi sia costato. In secondo luogo perché il permesso che vi è stato accordato riguarda soltanto un viaggio fino ad Hales e ritorno. E così faremo. No, è inutile che scrolliate la testa: era nei patti, il padre abate non vi avrebbe concesso di più. Dobbiamo tornare indietro.» «Come potrei?» obiettò Haluin, calmo e paziente, ma irremovibile. «Sarei uno spergiuro, se tornassi indietro. Verrei meno al mio voto e questo non lo vorrebbe neppure il padre abate, benché né lui né io potessimo prevedere una penitenza tanto lunga. Mi ha dato licenza finché non avessi portato a termine ciò che avevo giurato di fare. Se fosse qui e potessimo chiederglielo, mi direbbe certo di continuare. Ho detto che non avrei avuto pace finché non fossi andato a piedi fino alla tomba di Bertrade e non a-
vessi vegliato là per una notte intera, pregando per lei, e questo non l'ho fatto.» «Non per colpa vostra», obiettò strenuamente Cadfael. «Mi giustifica forse questo? È soltanto un meritato castigo se debbo percorrere il doppio del cammino. Se vengo meno alla mia promessa, ho detto, possa io essere considerato spergiuro e morire senza perdono. L'ho giurato sulle benedette reliquie di santa Winifred, che è stata tanto buona con noi tutti. Come potrei tornare indietro? Preferisco morire lungo la strada, nel tentativo di adempiere il mio voto, piuttosto che tradire la mia fede, il mio onore e coprirmi di vergogna.» Ma chi era a parlare in tal modo, si domandò Cadfael, il monaco ligio al dovere o il figlio di un'ottima famiglia normanna, giunta in Inghilterra ai tempi di Guglielmo il Conquistatore? L'orgoglio era senza dubbio un peccato, particolarmente biasimevole in un fratello benedettino, ma non era facile spogliarsene per chi aveva sangue nobile nelle vene. Anche Haluin si era reso conto di essere stato un po' arrogante e arrossì, ma non cercò di scusarsi. Si fermò bruscamente, barcollando sulle grucce, e prese il confratello per un braccio. «Non rimproveratemi! Metto voi pure nei guai, lo so, ma non condannatemi. Non posso fare diversamente. Oh, Cadfael, conosco bene tutti gli argomenti che potreste giustamente usare contro di me, li ho già considerati anch'io, li ho tuttora in mente, ma sono costretto. Costretto da un voto che non voglio, non oso infrangere. Se il mio abate mi giudicasse un ribelle, se l'abbazia mi cacciasse, potrei sopportarlo, ma non dare a Bertrade ciò che le avevo promesso, questo no!» L'ondata di sangue che gli era salita al viso cancellava il pallore della lunga infermità, lo ringiovaniva persino un poco, mentre se ne stava lì ben eretto sulle stampelle. Niente avrebbe potuto smuoverlo da quel proponimento, tanto valeva arrendersi. «Ma voi», continuò Haluin, «non avete fatto alcun voto, niente vi obbliga a proseguire: avete assolto il compito che vi è stato assegnato. Tornate indietro, dunque, e perorate la mia causa col padre abate.» «Figliolo», ribatté Cadfael, comprensivo ed esasperato a un tempo, «sono incatenato come voi, lo sapete benissimo. Il mio compito è quello di starvi vicino per il caso che avessero a mancarvi le forze e di assistervi se accadesse. Ordini del padre abate. Non posso tornare senza di voi.» «Ma il vostro lavoro», protestò Haluin, sbigottito ma risoluto. «Il mio può aspettare, il vostro no. Che cosa farebbero senza di voi per tanto tempo?»
«Oh, se la caverebbero, non temete! Nessuno è indispensabile a questo mondo. E meno male, visto che siamo tutti mortali. No, non c'è altro da dire. Voi avete deciso e io pure. Ovunque andiate, ci andremo insieme. E poiché ci resta sì e no un'ora di luce e suppongo che non abbiate alcuna intenzione di cercare un letto qui ad Hales, è meglio che ci sbrighiamo. Troveremo asilo da qualche parte, cammin facendo.» Cadfael giaceva sveglio nel fienile del guardaboschi addetto alla foresta di Chenet, ascoltando il respiro del compagno, regolare ma più marcato di quanto sarebbe stato nel sonno. Era la seconda notte dopo la loro partenza da Hales. La prima l'avevano trascorsa nella casa isolata di un contadino a un miglio da Weston e la giornata fra l'una e l'altra era stata lunga e faticosa, cosicché questo secondo rifugio nei pressi della foresta era stato una grazia di Dio. Si erano coricati presto perché Haluin, che aveva insistito per proseguire fino a sera, era esausto. Per fortuna, rifletteva Cadfael, si addormentava prontamente e il sonno era un profondo ristoro per un'anima sempre in angustie. Sono molte le vie usate dal Signore per alleviare un peso. Haluin si svegliava ogni giorno fresco e risoluto. Era ancora buio, doveva mancare almeno un'ora all'alba. Dall'angolo in cui riposava Haluin non proveniva alcun rumore, ma Cadfael sapeva che egli era sveglio e quell'immobilità era un buon segno, significava che il suo giovane compagno si beava della pace del corpo, ovunque vagasse la sua mente. «Cadfael», sussurrò a un tratto la sua voce esitante, «siete sveglio?» «Sì.» «Pensavo... Non mi avete mai chiesto niente, voi. Di ciò che ho fatto, di lei...» «Non è necessario. Se c'è qualcosa che desiderate dirmi, lo farete senza che io ve lo chieda.» «Non ho mai potuto parlare liberamente di lei, prima. E anche ora lo farò soltanto con voi.» Un breve silenzio, come se Haluin soppesasse le parole, prima di pronunciarle. «Non era bella come sua madre. Non pareva risplendere come lei, ma possedeva una sua grazia gentile, la grazia semplice e naturale di un fiore. Non aveva paura di niente... non allora. Si fidava di tutti. Nessuno l'aveva mai tradita... non ancora. Le è accaduto dopo, e ne è morta.» Un altro, più lungo silenzio, e questa volta il fieno frusciò lievemente, come un sospiro. Poi Haluin domandò, titubante: «Cadfael, siete stato uo-
mo di mondo per metà della vostra vita... Avete mai amato una donna?» «Sì... una.» «Allora potete capire qual era la nostra situazione. Ci amavamo, noi due. E fa più male quando si è giovani», mormorò Haluin, guardando al passato con dolorosa rassegnazione. «Non v'è posto dove mettersi al riparo, non v'è modo di frapporre uno schermo. Vederla tutti i giorni... e sapere che provava per me ciò che io sentivo per lei...» Anche se aveva allontanato quei pensieri per tanti anni, cercando di dedicarsi anima e corpo ai doveri che si era volontariamente assunti nel suo estremo sconforto, non aveva dimenticato niente. Erano sempre lì, pronti a ravvivarsi al primo soffio, come un fuoco semispento all'aprirsi di una porta. Adesso, finalmente, potevano venire alla luce e trovare comprensione e compassione. Da parte di Cadfael non v'era bisogno di parole, bastava la consapevolezza dell'amicizia, la certezza di un orecchio che ascoltava. Haluin si addormentò con un'ultima parola sulle labbra. Non contava. L'importante era che l'avesse pronunciata mentre scivolava nel sonno e ora avrebbe dormito tranquillo dopo tante ore di fatica estenuante. Tanto meglio! Impiegare una giornata in più in quel pellegrinaggio sarebbe forse stato un cruccio per il suo spirito impaziente, ma certo un vantaggio per il suo corpo duramente provato. Cadfael si alzò, lasciando il compagno addormentato e praticamente prigioniero nel fienile, perché non avrebbe avuto nessuno ad aiutarlo per alzarsi e scendere la scala. Il monaco uscì nell'aria limpida e frizzante del mattino, aspirando gli effluvi fragranti della foresta ancora semiaddormentata. Dalla piccola radura intorno alla casa del guardaboschi si scorgeva a tratti, fra i vecchi tronchi, il grigio chiaro della strada, dove in quel momento stava passando un uomo con un carretto carico di sterpi. Anche il guardaboschi era già in giro per le sue mansioni mattutine, con un cane che gli scodinzolava intorno. Una splendida giornata per rimettersi in viaggio. Prima di sera sarebbero potuti essere a Chenet e trovare ospitalità al maniero. E il giorno dopo a Lichfield, dove Cadfael era risoluto a sostare per un'altra buona notte di riposo, anche se Haluin avrebbe senza dubbio insistito perché proseguissero fino a Elford, distante soltanto poche miglia. Proprio per lui era necessaria quella sosta, perché fosse poi nelle condizioni migliori per la successiva notte di veglia sulla tomba di Bertrade e per affrontare subito dopo il viaggio di ritorno durante il quale, grazie a Dio, non vi sarebbe stato alcun bisogno di affrettarsi, mettendo a dura prova le sue forze.
I rumori giungevano attutiti e sommessi dalla terra battuta della strada, ma Cadfael colse la vibrazione, più che l'impatto. Due cavalli provenienti da occidente. I loro passi echeggiavano in contrappunto, a un trotto sostenuto, animosi dopo il riposo della notte e preparati per la giornata. Forse viaggiatori diretti a Lichfield. Cadfael rimase a guardarli. Due uomini sobriamente vestiti di grigio, sicuri in sella e talmente uguali nel modo di cavalcare da far pensare che avessero imparato dallo stesso maestro o l'uno dall'altro. Uno era grosso il doppio del compagno e palesemente di parecchi anni più vecchio ma, benché fossero troppo lontani per distinguere i tratti del viso, nel complesso la loro figura indicava che erano parenti. Due privilegiati stallieri di qualche famiglia nobile, entrambi con il cuscino per un secondo cavaliere dietro la sella, occupato, al momento, da una signora. Nei pesanti indumenti da viaggio, le donne sembrano tutte uguali, tuttavia il monaco osservò con particolare attenzione la prima, seguendola con lo sguardo finché cavalli e cavalieri non scomparvero oltre gli alberi e il tonfo degli zoccoli svanì in lontananza. L'aveva ancora davanti agli occhi mentre tornava verso il fienile, frugandosi nella mente e respingendo al tempo stesso la folle idea di averla già vista in un posto ben diverso. Fosse vero o no, e qualunque cosa significasse quel viaggio, se la sua idea era giusta, lui non poteva farci niente. Relegò quel pensiero nel fondo della mente ed entrò nel piccolo magazzino dov'era il fienile, ad aspettare che Haluin desse segno di essere sveglio e di avere bisogno del suo aiuto. Emersero da un gruppo di alberi in un'ampia distesa di prati ancora un po' bianchi di brina, ma folti e ben curati, una sorta d'isola felice in una contea rimasta sempre un po' trascurata dopo la dura rappacificazione di cinquant'anni addietro. Davanti a loro luccicavano le anse del fiume Tame, intorno al tetto ripido di un mulino e al fitto grappolo delle case di Elford. A Lichfield, dov'erano stati cordialmente accolti dal parroco, avevano trascorso una soddisfacente notte di riposo e ricevuto indicazioni precise sulla strada migliore per Elford. Ecco la meta del pellegrinaggio di Haluin, soltanto pochi campi nella pace del mattino e un ponticello di legno tra lui e l'assoluzione definitiva. Un'isola felice, prospera laddove tanto era immiserito, non con un mulino in riva al fiume, ma due, perché se ne vedeva un altro più a monte, e prati verdi e campi arati. Un posto che pareva promettere benedizione e pace della mente dopo tanto faticare e penare.
Proseguirono lungo il pallido nastro del sentiero, tra alberi e cespugli ancora nudi e scuri, senza neppure un primo, esitante germoglio verde, varcarono il ponticello delle tavole disuguali che costrinsero Haluin a badare con cura dove posava le grucce, e finalmente imboccarono la stradina fra le case. Un paesetto lindo, con massaie e contadini intenti alle proprie occupazioni quotidiane, all'erta con i forestieri ma cortesi e cordiali con l'abito benedettino. Salutavano premurosamente, passando, e Haluin, rinvigorito dal buon esito del suo viaggio, s'illuminò in viso per il piacere di quella spontanea accoglienza che gli appariva come un presagio dell'estrema liberazione. Non ebbero bisogno di chiedere dove fosse la chiesa, ne avevano visto il campanile prima di attraversare il ponte. Costruita in solida pietra grigia in epoca precedente all'arrivo dei normanni, era circondata da un ampio camposanto, ben recintato perché potesse all'occorrenza diventare esso pure un asilo inviolabile, e ombreggiato da alberi frondosi. Oltrepassato il piccolo portico all'ingresso, i due monaci avanzarono nella fresca, echeggiante penombra lievemente odorosa di polvere e candele di cera. Haluin si fermò in capo alla navata per orientarsi. Scoprì quello che cercavano grazie al tenue splendore della lampada sull'altare: un grande sarcofago di pietra in una nicchia sulla destra, con una figura in bassorilievo sulla lastra che lo chiudeva. Si mosse per avvicinarsi, ma si fermò di botto dopo due passi. Accanto alla tomba era inginocchiata una donna. La vedeva soltanto come un'ombra sfumata perché indossava un mantello grigio che in quella luce incerta si confondeva con la pietra e capì che era una donna perché portava un leggero velo bianco sotto il cappuccio ora abbassato sulle spalle. Pensò di ritrarsi con Cadfael sotto il portico per lasciarla finire indisturbata le sue preghiere, ma lei aveva udito il rumore delle grucce sul pavimento. Dopo aver girato di scatto la testa a guardarli incuriosita, si alzò con un unico, armonioso movimento e venne verso di loro, rivelando il viso fiero e tuttora bello di Adelais de Clary. CAPITOLO V «Voi?» esclamò sbarrando gli occhi e girando lo sguardo stupita dall'uno all'altro, come se si sforzasse di trovare un senso in quella visita che pareva non averne nessuno. La sua voce era incolore, non denotava né contrarietà né benevolenza. «Non pensavo davvero di rivedervi così presto. Se aveva-
te altro da chiedermi, Haluin, perché affaticarvi a seguirmi qui? Sarebbe bastato chiederlo. Ho detto che vi perdonavo, no?» «Signora», rispose il monaco scosso e confuso per quell'incontro inimmaginabile, «non vi abbiamo affatto seguita. Non mi ha mai neppure sfiorato il pensiero di potervi trovare qui. Vi sono grato per la vostra indulgenza e non intendevo infastidirvi oltre. Sono venuto in questa chiesa soltanto per adempiere un voto. Mi ero proposto di vegliare per una notte in preghiera ad Hales, persuaso che la signora vostra figlia fosse sepolta là, ma poi abbiamo saputo dal vostro prete che non è così, che la sua tomba è qui a Elford, assieme ai suoi avi. Ecco perché sono venuto. E tutto ciò che ho da chiedervi è il permesso di fare la mia veglia qui, stanotte, in adempimento del mio voto. Poi ce ne andremo e non vi disturberemo mai più.» «Sarò contenta quando saprò che ve ne siete andati, non lo nego», ammise lei, in tono più blando. «Non per malevolenza! Voglio tenere bendata e nascosta ai miei stessi occhi la ferita che voi avete riaperto finché non si sarà rimarginata di nuovo. E la vostra presenza è un pungolo che la tiene aperta e sanguinante. Perché mi sarei precipitata qui, a cavallo, se non fosse stato per quel vecchio dolore che voi avete rinnovato nel mio cuore?» «Confido, signora», ribatté Haluin con voce sommessa e malferma, «che possiate trovare, come spero di fare io, quella ferita mondata da ogni rancore, grazie a questa mia penitenza. Prego Iddio che per voi questa volta la guarigione sia facile e completa.» «E per voi?» replicò Adelais con un cenno della mano che pareva escludere la necessità di una risposta. «Facile e completa! Chiedete molto a Dio, e ancora di più a me. Avete appreso bene il linguaggio dei monaci. Bene, acqua passata... La vostra voce era più spedita allora, come il vostro passo. Questo almeno debbo riconoscerlo: vi è costato caro, il viaggio! Adesso consentitemi di offrirvi cibo e riposo in casa mia, stavolta. Ho un'abitazione mia, al maniero di mio figlio. Venite a riposarvi là almeno fino a vespro, se proprio volete punire il vostro corpo con una notte di veglia sulle pietre.» «Dopo potrò farlo, allora?» «Perché no? Non mi avete appena vista pregare Dio con lo stesso intendimento? Mi sembrate distrutto, non vorrei vedervi spergiuro. Sì, assolverete alla veglia penitenziale ma, prima, venite a ristorarvi un poco a casa. Manderò i miei stallieri a prendervi, quando avrete finito le vostre devozioni qui.» Era quasi arrivata alla porta, ignorando gli esitanti ringraziamenti di Ha-
luin e impedendogli così di rifiutare la sua ospitalità, quando si fermò di botto, girandosi a guardarlo. «Ma non dite una parola a nessun altro riguardo al vostro proposito», esclamò in tono categorico. «Il nome e la reputazione di mia figlia sono al sicuro nella sua tomba, lasciateli in pace dove sono. Il nostro segreto rimanga fra noi due, con la sola eccezione del buon fratello che vi accompagna.» «Signora», promise solennemente Haluin, «nessuno ne saprà niente, né ora né mai, né qui né in alcun altro posto.» «Mi rincuorate», sospirò Adelais. Un momento dopo era sparita e la porta si stava richiudendo alle sue spalle. Haluin non era in grado d'inginocchiarsi senza l'aiuto di qualcuno al quale aggrapparsi e naturalmente fu il braccio robusto del suo compagno a sostenerlo mentre piegava le ginocchia davanti all'altare. Pregarono insieme, a fianco a fianco, mentre Cadfael osservava un po' preoccupato il viso esausto del giovane confratello. Era sopravvissuto al lungo viaggio a piedi, ma l'aveva pagato a caro prezzo. Una notte intera sulle pietre sarebbe stata gelida, lunga e paralizzante, ma per nessun motivo al mondo Haluin avrebbe rinunciato a compiere sino in fondo la punizione che lui stesso si era imposto. E dopo quella, il lungo viaggio di ritorno. Oh, se almeno Adelais de Clary fosse riuscita a trattenerlo per la notte seguente, anche soltanto come una graziosa concessione, ora che erano venuti in certo modo a patti riguardo al loro comune, doloroso passato! Perché era stata indubbiamente l'improvvisa visita di Haluin la causa di quel suo precipitoso, personale pellegrinaggio a Elford, per confrontarsi con la parte da lei stessa avuta in quella lontana tragedia. Poteva essere così. Però... sarebbe germogliato tanto in fretta, quel seme? Perché fretta c'era senza dubbio. Cadfael rivide davanti a sé i cavalli con due cavalieri che passavano di prima mattina, veloci e risoluti. Fretta di pagare un debito quasi dimenticato di affetto e di rimorso? O di arrivare prima di qualcun altro, con la mente pronta a riceverlo? Lei voleva che se ne andassero soddisfatti, ma al più presto, ed era comprensibile. Avevano violato la sua pace e posto davanti al suo bel viso un annoso specchio incrinato. «Aiutatemi!» pregò Haluin, alzando le braccia per venire rimesso in piedi. Era la prima volta che chiedeva aiuto, gli era sempre stato offerto e lui lo aveva sempre accettato con mesta rassegnazione, più che con gratitudine.
«Non avete detto una sola parola, voi», osservò inaspettatamente mentre si avviavano per uscire. «Non avevo niente da dire», ribatté Cadfael. «Ma ne ho udite tante. E persino i silenzi tra l'una e l'altra parevano parlare.» Lo stalliere di Adelais de Clary era ad aspettarli sotto il portico, come lei aveva promesso, appoggiato con aria indolente contro uno stipite della porta, come se fosse lì da un bel po', con sacrosanta pazienza. Il suo aspetto confermò tutte le supposizioni fatte da Cadfael giudicando dal poco che era riuscito a vedere oltre gli alberi. Questo era il più giovane, sulla trentina, tarchiato ma muscoloso, con un collo da toro, d'indubbio stampo normanno. Forse un lontano pronipote di un antenato venuto come armigero al seguito del primo de Clary. E in lui il ceppo originale prevaleva tuttora, anche se i susseguenti matrimoni con donne inglesi avevano trasformato la biondezza delle origini in color paglia scuro e moderato i tratti troppo marcati del viso. Però lui portava ancora i capelli tagliati come una calotta e le guance ben rasate alla moda normanna e aveva tuttora gli occhi chiari, brillanti e impenetrabili del nord. Come li vide, si raddrizzò immediatamente, più a proprio agio nel muoversi che nel restare fermo. «La mia signora mi ha mandato a farvi da guida», disse e senza aspettare risposta li precedette attraverso il camposanto, tenendo un passo che Haluin non era assolutamente in grado di seguire. Si fermò ad aspettare di nuovo al cancello e in seguito rallentò l'andatura, benché fosse chiaro che lo infastidiva camminare con tanta lentezza. Non disse niente di propria iniziativa, ma rispose alle domande con sufficiente cortesia, anche se con poche parole. Sì, Elford era uno splendido possedimento, buona terra e bravi signori, ma la competenza di Audemar nel governare le proprie terre non fu particolarmente elogiata, la devozione del giovane stalliere era per Adelais, non per suo figlio. Sì, anche suo padre era stato al servizio dei de Clary e pure suo nonno. Non manifestò curiosità alcuna nei confronti dei due inusitati ospiti, ne avesse o no. Quei suoi occhi chiari ed estranei nascondevano qualsiasi pensiero, o forse erano un segno della totale assenza di pensieri. Una comoda strada erbosa li portò alla dimora dei de Clary, un vasto spazio recintato da un muro con la casa padronale al centro e intorno altri locali abitabili, stalle, armeria, forno, depositi e laboratori tra i quali si aggirava un nugolo di servitori. Lo stalliere li accompagnò fino a una casetta di legno a ridosso del mu-
ro. «La mia signora ha fatto approntare tutto per voi», spiegò. «Servitevene come se foste a casa vostra, ha detto. Il portiere provvederà perché possiate andare e venire liberamente.» L'ospitalità di Adelais si rivelò generosa ma impersonale. Acqua a volontà, comodi giacigli, vivande della sua stessa tavola, servitori pronti a soddisfare ogni loro desiderio o necessità, ma lontano da lei. Forse il suo perdono non arrivava fino al punto di renderle gradita la presenza di Haluin, fonte costante di rimorsi. E non erano neppure i domestici della sua casa a servirli, ma i due stallieri coi quali era venuta da Hales. Cadfael non si era ingannato sul loro conto: il più anziano era palesemente il padre dell'altro, un uomo tarchiato e granitico sulla cinquantina, taciturno come il figlio, ma con le spalle più larghe, le gambe più arcuate per il lungo cavalcare. E benché i suoi occhi fossero parimenti chiari e assenti, il suo viso, ugualmente rasato con cura, era scurito da una durevole abbronzatura che Cadfael riconobbe per esperienza personale come frutto di una lunga permanenza in oriente. Il suo signore era stato un crociato e lui doveva averlo seguito in Terrasanta, acquistando quella patina brunita sotto il sole violento e implacabile. Venne lui, il pomeriggio, con un messaggio non per Haluin, ma per Cadfael. In quel momento Haluin dormiva nel suo giaciglio e la venuta del messaggero, che si muoveva silenzioso come un gatto nonostante la sua mole, per fortuna non lo aveva disturbato. Facendo cenno allo stalliere di non parlare, Cadfael uscì con lui nel cortile e richiuse senza rumore la porta. «Lasciamolo dormire», disse. «Dovrà restare sveglio tutta la notte.» «Sì, la signora ci ha detto che cosa intende fare. Ma è con voi che desidera parlare, se volete avere la compiacenza di venire con me. Lasciate riposare l'altro monaco, ha detto, perché è stato gravemente ammalato. Però deve avere un coraggio da leone, per avere fatto tanta strada con quei piedi così conciati! Da questa parte, fratello.» Le stanze di Adelais erano su un lato riparato dal vento, poche ma sufficienti per le sue occasionali soste nel dominio del figlio: un piccolo ingresso, una saletta, una stanza da letto e la cucina. Lo stalliere attraversò senza cerimonie l'ingresso ed entrò nella saletta come avrebbe potuto fare un figlio o un fratello, fiducioso e fidato. «C'è fratello Cadfael di Shrewsbury, Milady. Fratello Haluin dorme.» La nobile signora era seduta a lavorare con fuso e conocchia, ma smise
subito. «Bene! Ne ha bisogno. Andate pure, Lothair, il nostro ospite saprà ritrovare la strada da solo. È tornato mio figlio?» «Non ancora. Vi avvertirò, appena torna.» «Ha Roscelin e i cani con sé. Quando saranno tutti sistemati, riposatevi un poco, ve lo siete meritato.» Lo stalliere si limitò a ringraziare con un cenno del capo e uscì, taciturno e ritroso come sempre, ma ciò nonostante v'era nel rapporto tra servitore e padrona una nota di reciproca comprensione, salda e inalterabile. Adelais non parlò finché la porta non si fu richiusa. Osservava il monaco con profonda attenzione. «Sì», disse, come se gli avesse letto nel pensiero. «Più che un vecchio servitore. È stato sempre col mio signore, quand'era a combattere in Palestina, e più di una volta lo ha salvato da gravi pericoli. La sua è molto più che la devozione di un servo, è quella di un vassallo per il feudatario. E ora si è riversata su di me. Si chiama Lothair, e suo figlio Luc. L'uno la copia fedele dell'altro, lo avete notato anche voi.» «Sì, certo. E so anche dove ha preso quell'abbronzatura.» «Davvero?» Adelais osservava il suo ospite con un nuovo interesse. «Anch'io sono stato in oriente per qualche anno, prima di lui», spiegò Cadfael. «Alla lunga, anche la sua abbronzatura sbiadirà, com'è stato per me, ma ci vorrà tempo.» «Ah! Sicché non vi hanno mandato in convento da bambino. Mi pareva che non aveste l'aria tanto innocente!» «No, ci sono andato di mia spontanea volontà, quand'è stato il momento.» Adelais non fece altre domande. «Vi ho fatto chiamare», spiegò, «perché volevo sapere se avete tutto quanto vi abbisogna... se i miei uomini non vi hanno fatto mancare niente.» «Non preoccupatevi. E per la loro e la vostra gentilezza vi siamo profondamente grati.» «Volevo sapere anche di lui... di Haluin. Ho visto in quali condizioni è ridotto. Pensate che possa migliorare?» «Non camminerà mai più come prima, ma col tempo e l'esercizio potrà migliorare un poco. Pensavamo tutti che sarebbe morto, lui compreso, invece se l'è cavata e potrà ritrovare gusto alla vita, appena si sarà messo l'anima in pace.» «E l'avrà dopo questa notte? È di questo che ha bisogno?»
«Sì, penso di sì.» «Abbia la mia benedizione, allora. Lo riporterete direttamente a Shrewsbury dopo? Posso procurarvi due cavalli, se volete. Penserà poi Lothair a riportarli ad Hales.» «Siete molto buona, ma Haluin rifiuterebbe di certo. Ha giurato di fare la sua penitenza a piedi, all'andata e al ritorno.» Adelais annuì, comprensiva. «Glielo chiederò ugualmente. Bene, questo è tutto, fratello. Se rifiuta, non posso fare altro. Ancora una cosa. Verrò al vespro, stasera, e chiederò al prete di accertarsi che nessuno, dico nessuno, abbia a fare domande o disturbare la sua veglia. Non deve trapelare niente con anima viva, all'infuori di noi che sappiamo già tutto, e fin troppo bene. Diteglielo. Il resto riguarda soltanto lui e Dio.» Il padrone di casa stava rientrando, quando Cadfael uscì. Il tintinnare dei finimenti, il tonfo di zoccoli e le voci lo precedettero, facendo accorrere domestici e stallieri come api fuggite da un alveare disturbato. Audemar de Clary, alto e robusto, in sella a un vigoroso sauro, indossava semplici vesti di panno scuro, senza alcun ornamento. Era a capo scoperto, col cappuccio del mantello abbandonato sulle spalle, lasciando così libera la massa di capelli crespi, scuri come quelli di sua madre, mentre i tratti marcati del viso, gli zigomi sporgenti e la fronte alta li aveva certo ereditati dal padre crociato. Doveva avere senza dubbio meno di quarant'anni, pensò Cadfael. La vigoria dei suoi movimenti mentre smontava da cavallo, l'elasticità del suo passo, i gesti stessi delle sue mani nello sfilarsi i guanti erano quelli di un giovane. Ma la sua espressione imperiosa, il senso di padronanza che emanava da lui, la stessa deferente premura dei suoi servitori lo facevano apparire più vecchio dei suoi anni. Era stato lui il signore durante la lunga assenza del padre, ricordò il monaco; aveva cominciato presto, probabilmente quando non aveva ancora vent'anni e il possedimento dei de Clary era vastissimo. Aveva imparato bene il suo mestiere. E benché fosse autoritario e non incline ad accettare critiche, nessuno lo temeva. Tutti gli si avvicinavano, parlavano con lui senza remore. La sua collera poteva essere terribile, persino pericolosa, ma non era mai ingiusta. Adesso aveva accanto a sé un giovane, paggio o valletto, sui diciotto anni, e dietro due uomini a piedi, ognuno con un cane da caccia al guinzaglio. Appena smontato, Audemar passò le briglie allo stalliere venuto di corsa a servirlo, poi si levò il mantello e lo consegnò al suo giovane com-
pagno. Un momento dopo era già tornata la calma: i cavalli avviati verso le scuderie, i cani condotti al canile. Frattanto era venuto dalle stalle Luc, il giovane stalliere, che si avvicinò ad Audemar per dirgli qualcosa, a quanto pareva un'ambasciata da parte di Adelais, perché egli guardò verso le stanze della madre, annuendo, e si avviò risoluto in quella direzione. Al vedere Cadfael quasi sulla propria strada rallentò il passo, come se intendesse fermarsi a parlare con lui, ma poi cambiò idea e proseguì, sparendo oltre la porta della casa. Tornando con la mente all'ora in cui aveva visto il piccolo corteo passare al trotto nella foresta, il monaco calcolò che Adelais doveva essere arrivata lì quello stesso giorno, e ne erano trascorsi altri due. Aveva quindi avuto tempo a sufficienza per parlare col figlio di cose più o meno importanti, perciò quello che intendeva dirgli con tanta premura, appena tornato dalla sua cavalcata, riguardava senza dubbio le ultime novità della giornata al maniero. E che cosa c'era di nuovo, se non l'arrivo di due benedettini da Shrewsbury e il motivo che li aveva condotti a Elford? Un motivo che lei gli avrebbe spiegato con qualche riserva. Perché Audemar era a Elford, quando sua sorella era morta ad Hales, di febbre maligna secondo la versione ufficiale, ed era assai difficile che lui avesse mai saputo altro. Una morte dolorosa ma normale, quale poteva accadere in qualsiasi famiglia, anche a una fanciulla nel fiore della giovinezza. No, quella donna forte e inflessibile non avrebbe mai messo il figlio a parte di quel segreto. Una vecchia fantesca fidata e muta come una tomba, forse: doveva aver avuto bisogno di una donna così, ora magari morta essa pure, ma il giovane Audemar no, in nessun caso. E se questo era vero, nessuna meraviglia che Adelais facesse il possibile per aiutare Haluin a compiere la propria penitenza e liberarsi di lui al più presto, evitando intrusioni persino da parte del prete, offrendogli cavalli per affrettare la sua partenza e facendo promettere a lui e al suo compagno di non fare parola con nessuno di quel triste passato, di non svelare il motivo del loro viaggio e di non pronunciare mai il nome di Bertrade. Qualcosa almeno comincio a capirla, rifletté Cadfael. Da qualsiasi parte ci voltiamo, c'è Adelais fra noi e gli altri. È lei che ci fornisce cibo e letti, sono i suoi servitori più fidati quelli che badano a noi. «Il nome e la reputazione di mia figlia sono al sicuro nella sua tomba, lasciateli in pace dove sono!» Non v'era né da biasimarla per quello, né da stupirsi se si era messa precipitosamente in viaggio per arrivare a Elford prima di loro ed essere pronta a riceverli.
Bene, ce ne andremo, domattina, se Haluin se la sente, decise fra sé il monaco, e lei potrà mettersi il cuore in pace. Troveremo asilo da qualche altra parte a un miglio o due da qui, se sarà necessario, ma dobbiamo assolutamente lasciare queste mura e Haluin uscirà per sempre dalla sua vita. Il paggio era rimasto a guardare il suo signore che si allontanava, col mantello che egli gli aveva affidato su una spalla, e a contrasto di quella stoffa scura i suoi capelli apparivano quasi color lino. Aveva ancora la vivace, un po' angolosa grazia della giovinezza, soltanto fra qualche anno il suo corpo snello avrebbe assunto la solida pienezza dell'età virile, il sicuro controllo dei movimenti. Per ora conservava la vulnerabile insicurezza di un ragazzo. Seguì Audemar con uno sguardo riflessivo e stupito, guardò Cadfael con innocente curiosità, poi se ne andò lentamente, per rientrare lui pure in casa. Quello doveva dunque essere il Roscelin del quale aveva parlato Adelais, non un de Clary, a giudicare dal suo aspetto e dal colore dei capelli, ma nemmeno un servitore. Senza dubbio il figlio di qualche affittuario di Audemar, messo al suo fianco perché si addestrasse nell'uso delle armi e apprendesse le maniere e le usanze di una piccola corte, prima di affrontare un mondo più vasto. Tali apprendisti signori proliferavano in tutte le grandi casate, era logico che anche i de Clary ne avessero qualcuno. All'approssimarsi della sera la temperatura si era abbassata e cominciava a soffiare un vento pungente, con qualche goccia di pioggia gelida. Era quasi l'ora del vespro, ormai, e Cadfael rientrò ben volentieri nel loro alloggio, dove trovò Haluin sveglio e coi nervi tesi, pronto per la sua notte di penitenza. Adelais aveva dato evidentemente disposizioni accurate. Nessuno venne a disturbarli, nessuno fece domande o mostrò il minimo segno di curiosità. Luc, il giovane stalliere, portò loro la cena prima del vespro e al termine della funzione tutti se ne andarono, lasciandoli soli in chiesa a predisporsi per la veglia come meglio credevano. Probabilmente nessuno dei servitori si era posto domande sul loro conto, avvezzi com'erano a visitatori occasionali d'ogni genere, con necessità diverse. Che due monaci dell'abbazia decidessero di trascorrere una notte in preghiera nella chiesa di San Pietro non era poi così strano e non riguardava nessun altro. Così fratello Haluin poté adempiere al proprio voto. Senza una coperta per alleviare la durezza delle pietre, non un mantello in più per difendersi
dal gelo della notte, niente per attenuare il rigore della sua penitenza. Cadfael lo aiutò a mettersi in ginocchio vicino alla tomba perché avesse qualcosa cui aggrapparsi, evitando di cadere, se gli fossero mancate le forze o avesse sofferto di vertigini, e gli mise accanto le stampelle. Haluin non avrebbe permesso che si facesse altro per lui. Ma Cadfael s'inginocchiò a sua volta, nell'ombra, per lasciarlo solo con la sua Bertrade morta e un Dio senza dubbio disposto a porgere un orecchio compassionevole. Fu una notte lunga e gelida. La lampada sull'altare era una macchia di luce nel buio, almeno rossa come il fuoco, anche se non dava calore. Le ore trascorsero lente, l'una dopo l'altra, nel silenzio appena appena scalfito dal respiro di Haluin, dal lieve sussurro delle sue labbra, che si sentivano nel sangue, più che con le orecchie. Da qualche punto dentro di sé traeva un'inesauribile ricchezza di parole da rivolgere alla sua perduta Bertrade con una passione che gli faceva ignorare il dolore. Dolore che tuttavia lo riprese spietato verso mezzanotte e non lo lasciò più, finché passione e sofferenza non svanirono insieme con la prima luce dell'alba. Quando aprì finalmente gli occhi alla luce piena di un gelido mattino e sciolse a fatica le dita intrecciate, intorpidite dal freddo, dalla strada provenivano già gli abituali rumori delle varie attività quotidiane. Girando intorno uno sguardo incerto, come se tornasse da un luogo lontano, nel più profondo segreto del suo animo, Haluin tentò invano di muoversi, di aggrapparsi all'orlo della tomba: le sue dita intirizzite avevano perduto il senso del tatto e le braccia irrigidite dalla lunga immobilità non risposero al suo sforzo. Cadfael cercò invano di aiutarlo ad alzarsi mettendogli un braccio intorno alle spalle, ma lui non riuscì a distendere il ginocchio, intorpidito, per posare sul pavimento il piede più sano e si abbandonò come un peso morto sul braccio che lo sorreggeva. Poi si udì all'improvviso un rumore di passi leggeri; un altro braccio, giovane e forte, circondò dal lato opposto il corpo inerte, una testa bionda si chinò sulla sua spalla e fra tutti e due i soccorritori lo rimisero in piedi, sostenendolo come avrebbero fatto le stampelle. «Santo cielo, amico», esclamò Roscelin, spazientito, «dovevate proprio abusare a questo modo delle vostre forze, quando vi siete già addossato fatiche che sarebbero eccessive anche per un uomo sano?» Haluin era troppo frastornato, con la mente troppo lontana per comprendere e men che meno per rispondere a quell'osservazione. E Cadfael, seppure dentro di sé la ritenesse sensata, si limitò a dire: «Reggetelo voi, così, mentre io prendo le grucce. E Dio vi benedica per essere arrivato tanto op-
portunamente. Ma non rimproveratelo, sarebbe fiato sprecato. Ha fatto un voto». «Un voto idiota!» commentò il ragazzo con l'arrogante sicumera tipica della sua età. «Chi ne ha guadagnato qualcosa?» Ma, anche se lo disapprovava, continuò a sostenere saldamente Haluin, guardandolo con la fronte aggrottata in un'espressione non meno ansiosa che esasperata. «Lui», ribatté il monaco, infilando le grucce sotto le ascelle del suo malfermo compagno e massaggiando le sue mani gelate che non riuscivano ancora a stringerne le traverse. «Vi riuscirà difficile crederlo, ma è così. Buon per voi che, giovane come siete, potete dormire tranquillo, senza avere niente di cui pentirvi, niente di cui chiedere perdono. Come mai siete arrivato tanto a proposito?» domandò poi, fissando Roscelin con nuovo interesse. «Vi ha mandato qualcuno?» Ma non gli sembrava che quel figliolo potesse essere uno strumento usato da Adelais per tener d'occhio i suoi incomodi ospiti ovunque andassero. Troppo giovane, troppo schietto, troppo innocente. «No», rispose lui, brusco. Poi cambiò tono e aggiunse con maggior cortesia: «Ero semplicemente curioso». «Be', è umano», ammise Cadfael, consapevole di essere lui pure incline a quel peccato. «E stamattina Audemar non ha bisogno di me, è occupato col suo sovrintendente. Ma ora non sarebbe meglio riportare a casa il vostro confratello? Potrei andare a prendere un cavallo, se è possibile farlo montare in sella.» Haluin intanto aveva ripreso contatto con la realtà e si rendeva conto che si stava parlando di lui, come se non avesse né una volontà propria né coscienza di ciò che lo circondava. S'irrigidì istintivamente contro quell'affronto. «No, grazie», protestò. «Posso camminare da solo, ora. Non debbo e non voglio abusare più a lungo della vostra bontà.» Mosse quindi i primi, esitanti passi per allontanarsi dalla tomba. Cadfael e Roscelin gli si misero a fianco, uno per parte, pronti a sostenerlo nel caso vacillasse, ma lui aveva ad aiutarlo una volontà rinnovata e rafforzata dal compimento del proprio voto ed era risoluto a procedere da solo, a qualsiasi costo. E non c'era fretta. Poteva fermarsi a riprendere fiato, se era necessario, e lo fece tre volte, prima di raggiungere il cortile del maniero, già in piena attività. Era stata una nuova prova della sensibilità di Roscelin, rifletté Cadfael, il fatto che fosse rimasto ad aspettare zitto e paziente quando Haluin si era fermato e si fosse trattenuto dall'offrire un aiu-
to non richiesto. Così egli era potuto tornare alla dimora offerta loro da Adelais come aveva desiderato, sui propri piedi martoriati, con la consapevolezza di essersi guadagnato il ristoro di un buon sonno. Roscelin li seguì nella stanza, senza preoccuparsi di andare a chiedere se c'era bisogno di lui. «Tutto finito, allora?» domandò, osservando Haluin che si stendeva con profondo sollievo sul letto, tirandosi la coperta sulle spalle. «Dove andrete, ora? E quando? Non vi rimetterete in viaggio oggi stesso, vero?» «Torneremo a Shrewsbury», rispose Cadfael. «Domani, forse, ma sarebbe meglio concederci una giornata di riposo.» Il viso stanco e rilassato e lo sguardo assente del suo compagno gli dicevano che era prossimo ad addormentarsi e sarebbe stato il sonno più quieto e meritato da quando aveva reso la propria, drammatica confessione. «Vi ho visto a cavallo con Audemar, ieri», riprese Cadfael, scrutando il giovane viso davanti a sé. «E la signora ha fatto il vostro nome. Siete un loro parente?» Roscelin scosse la testa. «No, mio padre è locatario e vassallo di Audemar, sono sempre stati ottimi amici. No, è stato lui a mandarmi qui al suo servizio.» «Ma non per vostro desiderio...» disse Cadfael, interpretando il tono di quelle parole. «Proprio così», esclamò il ragazzo. «Eppure è un signore buono e comprensivo, a quanto pare, certamente meglio di tanti altri!» «Oh, per questo sì», riconobbe lealmente Roscelin. «Non mi lamento di lui. Ce l'ho con mio padre che mi ha mandato qui per liberarsi di me, è la pura e semplice verità.» «Ma perché? Perché mai avrebbe voluto liberarsi di voi?» indagò cautamente Cadfael, incuriosito. Perché lì davanti a lui c'era l'esatta immagine di un figlio ammodo, bello e beneducato, buono e gentile, un figlio che qualsiasi padre sarebbe stato felice di mettere in mostra. Persino così corrucciato, il suo viso era attraente, anche se veramente non quello di una persona contenta dei propri compiti. «Ha le sue ragioni», spiegò Roscelin. «E si può dire buone ragioni, anche, lo so. E non intendo certo disobbedirgli. Così eccomi qui, impegnato a restarci finché mio padre e il mio signore non mi consentiranno di andare altrove. E non sono tanto sciocco da non ammettere che sarei potuto capitare in posti peggiori. Sicché tanto vale che cerchi di cavarne il meglio
possibile, finché sono qui.» Parve che la sua mente avesse mutato corso a un tratto, virando verso zone più impegnative, perché se ne restò seduto in silenzio per qualche momento, rimirandosi con la fronte aggrottata le mani intrecciate, e alzò poi gli occhi soltanto per osservare attentamente Cadfael, soffermandosi in particolare sul suo saio nero e la tonsura. «Fratello», disse a un tratto, «mi sono chiesto più volte come sia la vita monastica. Alcuni l'hanno intrapresa perché ciò che più desideravano al mondo era irrealizzabile per loro... proibito, vero? Può essere una soluzione se... se la vita che si vorrebbe è irraggiungibile?» «Sì», disse la voce di Haluin, sommessa e flebile. «Sì, può!» «Non la consiglierei a nessuno come un ripiego», dichiarò recisamente Cadfael. Eppure era ciò che aveva fatto Haluin, tanto tempo addietro, e ora ne parlava come al ricordo di una rivelazione, di qualcosa che gli aveva aperto gli occhi dell'anima proprio quando stavano per chiudersi in un sonno irrevocabile. «Il tempo potrà essere lungo e il prezzo molto alto», continuò Haluin con garbata certezza, «ma alla fine non sarà più un ripiego.» Girò la testa sul guanciale con un profondo, memore sospiro e tanto Cadfael quanto Roscelin rimasero a guardarlo con la mente tanto assorta tra dubbi e interrogativi che nessuno dei due avvertì il rumore di rapidi passi che si avvicinavano. Trasalirono stupiti quando la porta si spalancò davanti a Lothair che portava vivande e birra per gli ospiti. Alla vista di Roscelin familiarmente seduto su un letto, come se fosse in rapporti confidenziali coi due monaci, il viso dello stalliere si contrasse in un'espressione quasi minacciosa e un lampo fugace attraversò i suoi occhi chiari. «Che cosa ci fate voi qui?» domandò con la brusca dimestichezza di un eguale e l'autorità di un anziano. «Mastro Roger vi sta cercando e il signore vi vuole con sé non appena avrà fatto colazione. È meglio che andiate, e subito!» Roscelin, tuttavia, anziché allarmato per quelle notizie o risentito per il modo col quale gli erano state comunicate, sembrava divertito dalla presuntuosa arroganza di Lothair. Però si alzò ugualmente e, congedandosi con un cenno della mano e poche parole, uscì obbediente. Lothair si fermò sulla soglia, seguendolo con uno sguardo severo, e non entrò nella stanza finché non lo ebbe visto salire i gradini della porta principale del maniero. Il nostro cane da guardia, rifletté Cadfael, ha ordine di allontanare chiunque si sia avvicinato troppo, ma non aveva immaginato di doverlo fa-
re con Roscelin. C'è qualche motivo particolare perché la sua presenza qui abbia provocato in lui tale costernazione? CAPITOLO VI Adelais stessa venne a far visita ai suoi ospiti, dopo la messa, informandosi premurosamente della loro salute e del loro benessere. Forse perché Lothair le aveva parlato dell'inopportuna e indesiderabile intrusione di Roscelin in un territorio che sarebbe dovuto essere privato? Apparve sulla soglia della loro camera, col libro delle preghiere in mano, e Haluin tentò di alzarsi dal suo giaciglio, in segno di rispetto, ma lei lo fermò con un gesto imperioso. «No, non muovetevi! Non occorrono cerimonie tra noi. Come vi sentite ora che avete adempiuto il vostro voto? Spero che abbiate ottenuto ciò che desideravate e che possiate tornare in pace al vostro monastero. Ve lo auguro con tutto il cuore. Un viaggio tranquillo e una felice conclusione!» E, soprattutto, commentò fra sé Cadfael, una solitaria partenza. È comprensibile. È ciò che voglio anch'io e senza dubbio pure Haluin. Vedere conclusa questa faccenda, nel migliore dei modi, senza altri danni per nessuno, con reciproco perdono e poi il silenzio. «Avete riposato ben poco», continuò Adelais. «E vi aspetta un lungo viaggio. Dalla mia cucina vi forniranno viveri sufficienti per le prime tappe, ma penso che dovreste accettare anche i cavalli. L'ho già detto a fratello Cadfael. Non dovete azzardarvi di nuovo a fare tutta quella strada a piedi!» «Vi siamo molto grati per l'offerta e per le premure che avete avuto nei nostri riguardi, ma non posso accettare», protestò immediatamente Haluin. «Ho giurato di venire e tornare a piedi e debbo tener fede alla mia parola. Non sono tanto storpio da poter giustificare una tale inadempienza. Non vorrete fare di me un vergognoso spergiuro, vero?» Adelais scrollò la testa di fronte a quella caparbia ostinazione, ma si arrese. «Me lo aveva detto il vostro confratello che non vi sareste lasciato persuadere. Avrete senza dubbio promesso anche di tornare alla vostra abbazia il più presto possibile, penso. Nemmeno questo ha valore? Se insistete per andare a piedi, non potrete mettervi in viaggio fino a domani, dopo aver vegliato per una notte intera sulle pietre di un pavimento!» Al giovane monaco quelle parole parvero senza dubbio l'espressione di una sincera premura, ma all'orecchio del suo più scaltrito confratello esse
suonavano come un velato congedo. «Non ho mai pensato che sarebbe stato facile assolvere al mio voto. E non doveva esserlo. Il solo merito, se di merito si può parlare, è quello di resistere alle fatiche e portare a termine la penitenza. Questo posso farlo e lo farò. Ma avete ragione, ho promesso al mio abate e ai miei confratelli di tornare ai miei doveri non appena possibile. Dobbiamo partire oggi stesso, senza perdere tempo prezioso.» Per renderle giustizia, Adelais non parve affatto colta di sorpresa da quella decisione che si accordava tanto bene col suo inespresso desiderio. Insistette ancora, pur senza calore, sulla necessità di riposo, ma arrendendosi poi docilmente di fronte alla fermezza di Haluin. Era arrivata dove voleva, poteva anche permettersi uno sfoggio di compassione e di rammarico. «Bene, se così dev'essere!» accondiscese. «Luc vi rifornirà di cibo e bevande. Quanto a me, mi congedo da voi amichevolmente, augurandovi ogni bene, ora e sempre.» Dopo che se ne fu andata, Haluin rimase a lungo silenzioso, riflettendo, palesemente turbato invece che soddisfatto per quella conclusione. «Ho reso senza necessità le cose difficili anche per voi», mormorò, contrito. «Dovete essere stanco quanto me e adesso vi costringo a rimettervi in viaggio così, senza un'ora di sonno. Ma lei voleva che ce ne andassimo e per parte mia non ne vedo l'ora. Quanto prima, tanto meglio per tutti.» «Avete fatto benissimo», lo rassicurò Cadfael. «Una volta fuori di qui, non è necessario che andiamo tanto lontano. Non siete in grado di farlo, oggi. L'importante è che ci leviamo di torno!» Lasciarono il maniero di Audemar de Clary a metà pomeriggio, sotto un cielo offuscato da nuvoloni grigi, e si avviarono verso occidente, con un vento gelido che sferzava loro il viso. Era finita. D'ora in poi ogni passo li avrebbe riportati verso la normalità e la sicurezza della loro vita monacale, col suo ritmo regolare di ore per il lavoro, per la preghiera, per il riposo. Dalla strada maestra, Cadfael si voltò a guardarsi indietro e vide i due stallieri fermi all'entrata del muro di cinta, intenti a osservare gli ospiti che si allontanavano. Per accertarsi, pensò il monaco, che insieme con loro se ne andassero tutti i fastidi che avevano procurato alla nobile signora. Non si voltò una seconda volta. Adesso bisognava mettere lo spazio di almeno un miglio fra loro e il maniero, poi avrebbero potuto cercare al più presto un asilo per la notte, perché era evidente che Haluin, nonostante la
sua determinazione, non avrebbe potuto camminare a lungo senza il rischio di crollare. Col viso grigio e gli occhi infossati, procedeva a passi regolari ma con estrema fatica. Impossibile capire se godesse finalmente la pace che avrebbe dovuto trovare pregando sulla tomba di Bertrade, ma forse non era Bertrade che ossessionava ancora la sua mente. «Non la vedrò mai più», disse, infatti, a Dio, a se stesso e alle prime ombre del crepuscolo, più che a Cadfael. E sarebbe stato difficile dire se nel tono vi fosse sollievo o rimpianto per aver lasciato qualcosa in sospeso. La prima neve di un marzo capriccioso li investì quand'erano ormai a un paio di miglia da Elford. In quella stagione non sarebbe stata una gran nevicata e non sarebbe durata a lungo, ma intanto i fiocchi erano fitti, li pungevano sul viso e confondevano i margini della strada davanti a loro. Le prime ombre di un tramonto anticipato li avvolsero all'improvviso, così che tra buio e neve non riuscirono più a vedere gli scarsi punti di riferimento che avevano su quel tratto di strada in aperta campagna. Haluin aveva cominciato a incespicare, disturbato dalla neve che gli entrava negli occhi e impossibilitato a staccare una mano per proteggersi il viso col cappuccio. Per due volte posò una stampella oltre il margine della strada e per poco non cadde. Cadfael si fermò e gli si mise davanti, volgendo le spalle al vento per fornire al compagno un riparo che gli consentisse di riprendere fiato, mentre lui si guardava intorno alla ricerca di qualche particolare che lo aiutasse a capire dov'erano. Lì nei pressi, rammentò, si dipartiva una stradetta laterale che portava a nord, a un gruppo di piccole case e al muro di cinta di un maniero, le uniche abitazioni visibili da quel punto. Adesso ricordava bene. Proseguendo cautamente, con Haluin alle calcagna, giunse a un boschetto isolato di cespugli e alberelli che riconobbe immediatamente, e poco più avanti ecco la stradetta, in fondo alla quale si scorgeva persino, tra il turbinio della neve, una luce tremolante a fare loro da guida. In una casa dove il signore teneva una torcia accesa per viaggiatori sorpresi dal buio, li aspettava senza dubbio un'accoglienza cordiale. Per raggiungere il piccolo villaggio impiegarono più tempo di quanto Cadfael aveva calcolato, perché Haluin barcollava pericolosamente e di tanto in tanto aveva bisogno del suo aiuto per sostenersi. Qualche albero solitario emergeva talvolta dal candore turbinoso a destra o a sinistra della strada, per sparire subito dopo. I fiocchi di neve si erano fatti più larghi e bagnati, ora, il freddo si era un po' attenuato e tra le nubi alte nel cielo co-
minciava ad aprirsi qualche squarcio. Finalmente si trovarono davanti a un massiccio portone spalancato che dava accesso a un ampio cortile, illuminato da un'altra torcia infissa su un braccio sopra la gradinata che saliva alla porta del maniero. Cadfael lanciò un grido e da una stalla uscì di corsa un uomo, che urlò a sua volta per chiamare qualcun altro, mentre la porta del castello si apriva in un confortante rettangolo di luce. Come Cadfael avanzò nel cortile, sorreggendo Haluin che incespicava, un braccio volenteroso si tese a sorreggerlo sull'altro lato, trascinandolo verso il riparo della cinta, mentre una voce cordiale usciva dal fitto della neve. «Fratelli, avete scelto una brutta sera per mettervi in viaggio! Ma venite avanti, i vostri guai sono finiti, ora. Non chiudiamo mai la porta davanti a un saio.» L'arrivo di due viaggiatori, a quell'ora e con quel tempo, aveva richiamato anche altri: un giovane che balzò fuori dal seminterrato con la testa e le spalle protette da un sacco, un uomo più anziano, con la barba, che uscì dalla casa e scese qualche gradino, ad aspettarli. Haluin fu portato, più che accompagnato, su per la gradinata e dentro il vestibolo, dove il signore del maniero venne premurosamente ad accogliere gli inaspettati ospiti. Un uomo cortese, alto e magro, con una corta barba e un casco di capelli color paglia. Più o meno sulla quarantina, giudicò Cadfael, dal viso roseo e schietto e azzurri occhi da sassone di un sorprendente splendore. «Avanti, avanti, fratelli! Meno male che avete trovato noi. Qua, portatelo vicino al fuoco.» Aveva notato alla prima occhiata l'abito benedettino, la neve sulle loro spalle, i piedi storpiati del monaco più giovane e il suo viso grigio per la stanchezza. «Edgytha, fate preparare una camera e dite a Edwin di portare due coppe di vino caldo aromatizzato», ordinò e provvide lui stesso a far accomodare Haluin su una panca contro una parete, dove poteva arrivare a rianimarlo il calore del focolare in mezzo alla stanza. «Il vostro giovane confratello», mormorò in disparte a Cadfael, «non è certo nelle condizioni migliori per un viaggio tanto lontano da casa... Non c'è nessuno del vostro Ordine da queste parti, all'infuori delle sorelle di Farewell, la nuova comunità istituita dal vescovo. Da dove venite, voi?» «Da Shrewsbury», rispose il monaco, posando le stampelle contro la panca accanto ad Haluin, perché potesse prenderle senza fatica, se ne avesse avuto bisogno. Lui intanto aveva chiuso gli occhi e il suo viso andava riprendendo un po' di colore, col caldo e il riposo. «Così lontano? Il vostro abate non poteva affidare l'incarico a un uomo
più vigoroso, se aveva affari in un'altra contea?» «Questo era un affare personale di Haluin, nessun altro avrebbe potuto occuparsene. Adesso è fatto e noi stiamo tornando al nostro monastero, a tappe e con l'aiuto di anime caritatevoli come voi, naturalmente. Posso chiedere dove siamo? Non conosco questi posti.» «Io sono Cenred Vivers, ho lo stesso nome di questo maniero. Il vostro compagno si chiama Haluin, avete detto, e voi?» «Cadfael, gallese e monaco a Shrewsbury da vent'anni. Il mio compito in questo viaggio è soltanto quello di accompagnare Haluin e assisterlo in qualsiasi evenienza.» «Un compito non facile, considerate le sue condizioni», osservò Cenred, gettando una compassionevole occhiata ai piedi deformi del monaco. «Ma se ormai il più è fatto e non vi resta altro che il viaggio di ritorno, se la caverà di certo. Che cos'è stato a ridurlo in questo stato?» «È caduto da un tetto. Dovevamo fare una riparazione urgente, con quel tempo orribile prima di Natale, e le tegole che gli sono cascate addosso gli hanno frantumato i piedi. È un miracolo che non sia morto.» Parlavano sotto voce, un po' appartati, ma sembrava una preoccupazione inutile, perché Haluin se ne stava comodamente appoggiato alla parete, con gli occhi chiusi come se dormisse e le lunghe ciglia scure che gli ombreggiavano le guance incavate. Frattanto la sala si era svuotata, i servitori erano occupati altrove, con guanciali, coperte e fornelli. «Non capisco perché tardano tanto a portare il vino», brontolò Cenred. «E voi avete bisogno di bere qualcosa di caldo. Se permettete, vado a vedere che cosa stanno facendo.» Uscì rapidamente e Haluin dovette avvertire il rumore dei suoi passi, perché le sue palpebre vibrarono leggermente e poco dopo aprì gli occhi, guardandosi in giro intontito, a poco a poco cosciente di quanto lo circondava, la grande sala, il bagliore del fuoco, la luce delle candele. «Ho sognato?» sussurrò, confuso. «Come siamo arrivati qui? Dove siamo?» «Non preoccupatevi», lo tranquillizzò Cadfael. «Coi vostri piedi, ci siete arrivato, e niente più che un braccio a sorreggervi quando ne avete avuto bisogno. Ci troviamo al maniero di Vivers e il suo signore si chiama Cenred. Siamo stati fortunati.» Haluin sospirò. «Non sono forte come avevo creduto», mormorò tristemente. «Non importa, potrete riposare ora. Elford ce lo siamo lasciato alle spal-
le da un pezzo.» Parlavano entrambi a bassa voce, messi in soggezione dal silenzio che li avviluppava persino al centro di una dimora tanto popolosa. Poco dopo si spalancò una porta in fondo al vestibolo e nel riquadro si disegnò per un momento una figura snella ed eretta, quasi altera, probabilmente la signora della casa, la consorte di Cenred. Poi la figura avanzò rapidamente, prese una candela e accese una torcia, apparendo così per quello che era: non una graziosa castellana sui trent'anni, ma una fanciulla che poteva averne al massimo diciotto, dal viso fresco e roseo, grandi occhi che fissavano stupiti i due monaci e la fronte candida e levigata come una perla. Con una sorta di rantolo strozzato, Haluin afferrò le stampelle e si alzò, fissando a sua volta sconcertato la luminosa apparizione, mentre lei si ritraeva bruscamente davanti ai forestieri, ricambiando lo sguardo. Rimasero così per qualche momento, muti e immobili, poi la fanciulla girò sui tacchi e uscì quasi di corsa, richiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. Le mani di Haluin allentarono la presa, le grucce gli scivolarono via e lui cadde a faccia in giù, svenuto, sul pavimento. Lo portarono nella camera già pronta per gli ospiti, quieta e lontana dal vestibolo, e lo adagiarono sul letto, tuttora privo di sensi. «È soltanto effetto della stanchezza», spiegò Cadfael per rassicurare Cenred, preoccupatissimo. «Sapevo che stava chiedendo troppo alle proprie forze, ma ormai il peggio è passato. D'ora in poi possiamo prendercela comoda. Lasciamolo dormire fino a domattina, non ha bisogno d'altro. Guardate, si sta già riprendendo. Apre gli occhi.» Haluin difatti si riscosse, girando lentamente lo sguardo sui volti ansiosi attorno a lui, evidentemente consapevole di dove si trovava e di quanto era accaduto perché le prime parole che pronunciò furono di scusa per avere procurato tanto disturbo e di ringraziamento per le cure ricevute. «È stata tutta colpa mia!» esclamò. «Della mia presunzione nell'azzardarmi a una simile impresa. Ma ora sto bene e vi sono profondamente grato per le vostre attenzioni.» Visto che era soprattutto il riposo ciò che gli occorreva, lo lasciarono tranquillo, con Cadfael, nella camera. Non mancarono tuttavia altre visite nel corso della serata: il dispensiere che portò vino aromatizzato ed Edgytha con una lampada, una brocca di acqua per le mani e la cena. Di mezz'età, alta e forte, essa aveva le maniere spicce e l'aria autorevole di chi è da anni al servizio degli stessi signori, dei quali si è guadagnata la
confidenza e l'assoluta fiducia. Il suo impeccabile abito nero, il candido soggolo e il mazzo di chiavi tintinnanti alla sua cintola erano i simboli evidenti del suo grado. Tornò più tardi, accompagnando una signora grassoccia e attraente, dalla voce morbida e gentile, che veniva ad accertarsi che i due reverendi fratelli avessero tutto l'occorrente per la notte e si fosse completamente ristabilito quello che aveva perso i sensi. La consorte di Cenred, rosea e paffuta, bruna d'occhi e di capelli, non assomigliava per niente alla fanciulla apparsa all'improvviso nel vestibolo e quasi fuggita alla vista d'inaspettati forestieri. «Hanno figli, i vostri signori?» domandò Cadfael, dopo che la padrona di casa se ne fu andata. Edgytha era molto riservata, soprattutto per quanto riguardava la famiglia del suo padrone, della quale si sentiva la protettrice, al punto di farle apparire sospetta una simile domanda. Ma, dopo una breve esitazione, rispose con sufficiente cortesia: «Uno, adulto». Poi, pentendosi della propria reticenza nel soddisfare una curiosità dopotutto innocente, aggiunse: «È lontano da casa, ora, al servizio del signore di cui Cenred è vassallo». Ma c'era nella sua voce un vago tono di perplessità, quasi di disapprovazione, benché lei non lo avrebbe mai ammesso. Una sfumatura che non sfuggì a Cadfael, senza tuttavia trattenerlo dal domandare ancora, garbatamente: «E nessuna figlia? È venuta una giovinetta nel vestibolo, mentre aspettavamo. Non fa parte della famiglia?» La donna fissò su di lui un lungo sguardo indagatore, stringendo le labbra e corrugando la fronte con aperta disapprovazione per quell'interesse per giovani donne da parte di un monaco. Ma gli ospiti della casa dovevano essere trattati con la massima cortesia, anche se non lo meritavano. «È la sorella del signore», rispose. «Suo padre si era sposato una seconda volta, quand'era già avanti negli anni. Ma è più una figlia che una sorella per lui, data la differenza di età fra loro. Dubito che la vedrete ancora. Si guarderà bene dal disturbare il riposo di due monaci, è stata educata bene», concluse Edgytha, con evidente orgoglio per il risultato della propria devozione e il chiaro monito che monaci capitati lì per caso avrebbero dovuto tenere gli occhi bassi in presenza di una giovinetta innocente. «Se è stata educata da voi», osservò amabilmente Cadfael, «non dubito che faccia onore alla propria educatrice! Vi siete presa cura anche del ragazzo?»
«La signora non si sarebbe mai sognata di affidare il suo pulcino a qualcun altro.» Edgytha si era infervorata al pensiero dei suoi pupilli di un tempo. «Non avrei potuto avere bambini più bravi cui badare. Io voglio bene a tutti e due come se fossero figli miei!» Quando furono di nuovo soli, Haluin rimase per qualche tempo in silenzio, ma con gli occhi aperti e l'espressione pensierosa. «Davvero era venuta una giovinetta, mentre eravamo nel vestibolo?» domandò, aggrottando la fronte nello sforzo di richiamarsi alla mente una circostanza della quale gli era rimasto un ricordo vago e incerto. «Mi andavo chiedendo perché fossi balzato in piedi! Rammento che mi erano cadute le stampelle, ma quasi niente altro. Entrare al caldo mi aveva dato le vertigini.» «Sì, c'è stata una fanciulla. Sorellastra di Cenred, pare, ma di circa vent'anni più giovane. Se pensavate di esservela sognata, no, non è stato così. Non si aspettava di trovarci là e forse non le siamo piaciuti, perché se n'è andata in tutta fretta, richiudendo con cura la porta dalla quale era venuta. Non lo ricordate?» No, Haluin non lo ricordava, o forse soltanto come una vaga visione tra sogno e realtà, apparsa e scomparsa in un lampo. Rifletté un poco, poi scrollò la testa come per liberarsi gli occhi offuscati dalla stanchezza. «No, è tutto così confuso! Rammento di aver visto aprirsi la porta e vi credo sulla parola se dite che è entrata lei... ma io non riesco a ricordare niente, nessun viso... chissà, domani, forse.» «Non la vedremo più, se quella sua devota dragonessa ha voce in capitolo», affermò Cadfael. «Penso che Edgytha non abbia molta simpatia per i monaci! Bene, volete dormire? Debbo spegnere la lampada?» Ma se Haluin aveva soltanto una confusa reminiscenza di quella fanciulla, della sua breve apparizione prima sullo sfondo luminoso della porta e poi nella piena luce della torcia, Cadfael la vedeva chiaramente, e ancora più quando ebbe spento la lampada e si fu coricato accanto al compagno addormentato. E a quell'immagine si associava la strana, inquietante sensazione che essa gli rammentasse qualcosa, che però non riusciva a precisare. Ripensò ai tratti del suo viso, al suo modo di muoversi, senza trovare una spiegazione, nessuna somiglianza con altre donne viste o conosciute; tuttavia quella sensazione di un'elusiva similitudine rimase. Una fanciulla alta, benché forse non tanto quanto la faceva apparire la sua snellezza, comunque superiore alla media per la sua età, dal portamen-
to eretto e armonioso, pur senza avere ancora persa la spontaneità dell'infanzia, la prontezza di un agnello o di un cerbiatto, attento a ogni rumore o movimento. Sorpresa, era scappata via, ma aveva richiuso silenziosamente la porta, per evitare altre sorprese. E il suo viso... non veramente bello, se non della bellezza della gioventù, dell'innocenza e della gentilezza. Un viso ovale, la fronte alta, grandi occhi scuri e il mento tondo. Era a testa nuda e i capelli pettinati all'indietro, raccolti in una treccia sulla nuca, mettevano in particolare risalto la fronte e gli occhi, ombreggiati da lunghe ciglia scure, che parevano persino troppo grandi per quel viso, color nocciola scuro con qualche pagliuzza verde, innocenti e vulnerabili ma impavidi. Giovani, libere creature dei boschi alle quali mai nessuno avesse dato la caccia avevano forse quello sguardo, che aveva colpito Cadfael, nonostante la fugacità di quell'apparizione. Ma in quel viso, in quegli occhi, che aveva ben chiari nella mente, che cosa lo aveva indotto a pensare a un'altra donna, non sapeva neppure lui quale? Tornò col pensiero alle tante che aveva conosciuto nel corso della sua lunga, avventurosa esistenza, cercando in ognuna un viso, un gesto, un portamento che potessero far vibrare in lui qualche corda, ma senza risultato. La sorella di Cenred restava unica, diversa, ossessiva soltanto perché era apparsa e scomparsa in un momento e con ogni probabilità lui non l'avrebbe rivista mai più. Tuttavia l'ultima, fuggevole immagine presente dietro le sue palpebre mentre si addormentava fu quella del suo viso stupito. La mattina seguente, l'aria aveva perduto il suo morso gelido e la neve si era sciolta quasi dappertutto, ne rimaneva soltanto qualche frangia ai piedi dei muri e degli alberi. Cadfael si guardò intorno, dalla porta del vestibolo, e quasi gli dispiacque che non continuasse a nevicare, così che Haluin non potesse insistere per rimettersi immediatamente in viaggio. Ma risultò ben presto che avrebbe potuto fare a meno di preoccuparsi. Non appena ripresero le attività quotidiane del maniero, venne a cercarli il sovrintendente di Cenred, con la preghiera di raggiungere il suo signore nel salone, subito dopo la colazione, perché desiderava chiedere loro qualcosa. Lo trovarono solo, nella grande sala illuminata da due finestre, con sedili ricoperti di cuscini, e arredata con belle cassapanche lungo le pareti, un tavolo intagliato, alcune sedie e un seggiolone principesco per il signore della casa. Evidentemente Lady Emma, la sua consorte, governava con molta oculatezza il proprio dominio: tanto i cuscini quanto gli arazzi appesi alle
pareti erano finemente ricamati e un telaio in un angolo, con un ricamo a vivaci colori non ancora terminato, palesava che erano tutti lavori fatti in casa. «Spero che abbiate dormito bene, fratelli», disse Cenred, alzandosi. «Vi siete ripreso dal vostro malore? Se si è trascurato qualcosa nel servirvi, non avete che da chiederlo. Fate conto di essere a casa vostra. Vi pregherei soltanto di rimandare di un giorno o due la vostra partenza, se è possibile.» Cadfael, dal canto proprio, era pronto ad acconsentire, ma temeva che fosse Haluin a tirar fuori qualche obiezione, frugando in quella sua troppo inquieta coscienza. Pericolo tuttavia subito scongiurato da Cenred che proseguì, senza lasciare loro il tempo di aprir bocca: «Perché ho io qualcosa da chiedervi... L'uno o l'altro di voi due è stato ordinato prete?» CAPITOLO VII «Sì, io», rispose Haluin, dopo un momento di dubbioso silenzio. «Ho studiato quando ero già in convento. E una pratica che i nostri superiori incoraggiano con novizi giovani e non digiuni di lettere. Che cosa posso fare per voi?» «Celebrare un matrimonio.» Stavolta il silenzio fu più lungo, mentre i due monaci osservavano intenti Cenred. Perché se fosse stato in programma un matrimonio, si sarebbe già dovuto provvedere a cercare un prete, uno che conoscesse fatti e persone, non un ignoto benedettino capitato lì per caso, disorientato da una bufera di neve! Cenred si rese conto dei loro dubbi, che si riflettevano sul viso di Haluin. «So che cosa pensate. Questo dovrebbe essere compito del prete della casa. Ma non abbiamo una chiesa, qui a Vivers, benché io intenda costruirne una. E si dà il caso che anche quella della parrocchia più vicina sia vacante, al momento, in attesa che il vescovo mandi qualcuno. Avevo pensato di chiamare un mio cugino, prete pure lui, ma se voi accettate gli risparmieremo un viaggio lungo e scomodo. Vi assicuro che non v'è nulla di meno che onesto, nella mia richiesta, e se desidero concludere in fretta, ho le mie giuste ragioni. Sedetevi, almeno, e vi dirò tutto quanto vi occorre sapere. Poi deciderete voi.» Con la spontanea sollecitudine dell'ospite premuroso, sostenne Haluin per un braccio e lo aiutò a sedersi su una cassapanca, mentre Cadfael si accomodava accanto a lui, ben contento di potersi limitare a guardare e a-
scoltare poiché, non essendo prete, non toccava a lui decidere. Cenred venne direttamente al punto. «Mio padre, già in età avanzata, si era sposato una seconda volta, con una donna che aveva trent'anni meno di lui. Io ero già sposato, con un bambino di un anno, quand'è nata Helisende e i due piccini sono cresciuti insieme, come fratello e sorella, attaccatissimi l'uno all'altro. A noi genitori, ovviamente, sembrava naturale che fosse così e questa è stata la mia colpa. Non mi sono mai reso conto che cominciavano a essere qualcosa di più che compagni di giochi. Non ho mai nemmeno immaginato che quel loro normale affetto infantile poteva mutare nel corso degli anni, trasformandosi in un sentimento pericoloso. Li abbiamo lasciati giocare insieme troppo a lungo e troppo affettuosamente, e sono scivolati a poco a poco in un legame smoderato, sotto i miei stessi occhi. Io non l'ho capito finché non è stato quasi troppo tardi. Come vedete, non intendo sottrarmi alle mie responsabilità. Si amano con un'intensità tale... Grazie a Dio, non c'è stato peccato carnale, non ancora. Spero di essermi svegliato in tempo. Dio sa se desidero il loro bene, se vorrei vederli felici, ma quale felicità può esservi in tale obbrobrio? Meglio separarli subito, con la speranza che il tempo cancelli il dolore. Ho mandato mio figlio ad apprendere l'uso delle armi dal mio signore, che è anche un ottimo amico e sa tutto. E per quanto soffra di quest'esilio, ha giurato di non tornare finché non gliene darò io il permesso. Ho agito bene?» «Penso che non avreste potuto agire meglio», rispose Haluin, pensieroso. «Peccato che le cose fossero già andate tanto avanti.» «È vero, ma quando due persone sono cresciute come fratello e sorella sin dall'infanzia, è abbastanza facile che scordino un affetto d'altro genere dopo un matrimonio. Mi sono chiesto più di una volta quanti indizi avrà notato Edgytha che a me sono sfuggiti. È sempre stata indulgente con loro. Ma non ha mai detto niente né a me né a mia moglie, e ora, sia giusto o no ciò che ho fatto, debbo andare avanti.» «Ditemi», domandò Cadfael aprendo bocca per la prima volta, «si chiama Roscelin, vostro figlio?» Cenred lo guardò spalancando gli occhi, stupito. «Sì, ma voi come lo sapete?» «E il vostro signore è Audemar de Clary. Venivamo dritti da Elford, quando siamo arrivati qui e avevamo parlato col vostro Roscelin, ha persino offerto il braccio a fratello Haluin, che si reggeva a malapena in piedi.» «Avete parlato con lui! Di che cosa? Che cosa vi ha detto di me?» Cenred era già preparato a udire parole di biasimo e di disaffezione e a
ingoiare quel dispiacere, se fosse stato necessario. «Ben poco, e niente che non avreste potuto udire anche voi senza inquietarvi. Non una parola su vostra sorella. Ha spiegato di avere lasciato la propria casa per desiderio del padre, al quale però intendeva obbedire com'era suo dovere. Abbiamo parlato soltanto per pochi minuti, e per puro caso, ma non ho visto in lui niente di cui non potreste essere compiaciuto e orgoglioso. Pensate, a sole tre miglia da casa e contro la propria volontà, eppure risoluto a tener fede alla propria parola. Poi ha aggiunto qualcosa che penso abbiate il diritto di sapere, come padre», continuò Cadfael con un subitaneo intento indagatore. «Ci ha chiesto se il chiostro poteva essere una soluzione soddisfacente per un uomo... se la vita che desiderava più di ogni cosa al mondo gli era proibita.» «No!» proruppe Cenred, sgomento. «Non quello! Non vorrei a nessun costo che voltasse le spalle alle armi e al suo nome per rifugiarsi in convento! Non è fatto per quello! Un ragazzo tanto promettente! Fratello, questo riafferma il mio proponimento. Non si può rimandare. Dopo accetterà il fatto compiuto. Ma finché la perdita non sarà irrevocabile, continuerà a sperare, a bramare l'impossibile. Per questo voglio che lei si sposi, che sia lontana prima di lasciar tornare Roscelin.» «Capisco benissimo le vostre ragioni», osservò Haluin guardandolo con un'espressione quasi di sfida, «ma non sarebbe giusto servirsene come motivo per un matrimonio, se la signora non è d'accordo. Per quanto difficile possa essere la vostra situazione, non potete sacrificare una per salvare l'altro!» «No, non è questo il caso», ribatté pacatamente Cenred. «Voglio molto bene alla mia sorellina e le ho parlato con leale franchezza. Sa, riconosce lei pure l'enormità di ciò che minacciava entrambi, l'impossibilità che un simile amore possa mai sfociare in qualcosa di buono e vuole che questo terribile nodo venga tagliato, non meno di quanto lo desidero io. Vuole che Roscelin si faccia onore perché lo ama e piuttosto che essergli di ostacolo su quella strada preferisce togliersi di mezzo sposando un altro. Non è stata una resa forzata. E neppure una scelta sconsiderata. Ho fatto quanto di meglio potevo per lei. Uno sposo che sarebbe il benvenuto in qualsiasi famiglia. Jean de Perronet è un giovane per bene, di ottima condizione, proprietario di un vasto possedimento. Deve venire da noi oggi, così lo vedrete voi stessi. Helisende lo conosce già e nutre molta stima per lui, anche se naturalmente non si può parlare di amore. Questo verrà in seguito, quando lo conoscerà meglio. Frattanto, ha acconsentito senza riserve a questo ma-
trimonio. E de Perronet ha un altro inestimabile vantaggio, vive molto lontano da qui. Se la porterà nella sua dimora a Buckingham, fuori portata per Roscelin. Lontano dagli occhi lontano dal cuore, forse, ma almeno il ricordo che avrà di lei potrà affievolirsi con gli anni. Qualsiasi ferita, anche grave, finisce sempre per rimarginarsi.» La sua stessa accorata inquietudine lo aveva reso eloquente, ma non aveva notato un particolare che invece non era sfuggito a Cadfael, il pallore crescente sul viso scarno di Haluin, le sue labbra contratte, la forza con la quale stringeva le mani sulle stampelle, fino ad averne le nocche bianche. Le parole di Cenred avevano riaperto in lui la vecchia ferita che egli aveva tentato di risanare una volta per tutte con quel suo lungo, doloroso pellegrinaggio. Il ricordo, certamente attenuatosi nel corso di diciotto anni, aveva ripreso vita e vigore. E ferite che nonostante tutto non avevano smesso di suppurare nel suo cuore non potevano guarire finché non fossero state riaperte e pulite a fondo, col fuoco, se era necessario. «E potete essere certi, come lo sono io», continuò Cenred, «che sarà trattata con amore e col massimo riguardo da Perronet. L'aveva già chiesta in moglie due anni fa e benché lei non lo avesse accettato, allora, ha aspettato pazientemente una nuova opportunità.» «E vostra sorella è d'accordo, ora?» insistette Cadfael. «Ne abbiamo parlato assieme, noi tre, ed è tutto sistemato. Acconsentite a celebrare il matrimonio, fratello... padre Haluin? Mi è sembrato un segno del cielo che un prete sconosciuto abbia bussato alla mia porta proprio quando stava per arrivare lo sposo! Restate dunque un altro giorno e sposateli.» Haluin trattenne per un attimo il respiro, come per una pena improvvisa, poi disse sommessamente: «Bene, lo farò». «Spero di avere fatto ciò che era giusto», mormorò Haluin quando furono di nuovo nella loro stanza, quasi come cercasse di rassicurare se stesso, più che ottenere un assenso. «So quali sono i pericoli di una continua vicinanza e il loro caso è ancora più disperato del mio. Mi sembra di riudire echi che credevo dimenticati da tempo. Ma era tutto predestinato, Cadfael! Com'è per ogni cosa. Io sono caduto perché capissi in quale baratro ero già precipitato e facessi ogni sforzo per risollevarmi? Sono rimasto zoppo perché intraprendessi col corpo e con lo spirito un viaggio che non avrei mai fatto quand'ero sano e forte? È stato Iddio a mettermi in mente questo pellegrinaggio perché venissi in aiuto di altre anime bisognose, è stata un'altra
volontà a condurci qui?» «A trascinarci, direi», ribatté Cadfael, ripensando al barlume della torcia che li aveva guidati come un faro nel buio. «È vero, perché arrivassimo nel posto giusto al momento giusto, ad aspettare lo sposo, e io non posso rifiutare il compito che mi è destinato, con la speranza di essere stato guidato sulla via giusta. Questi matrimoni in età avanzata creano situazioni ingarbugliate. Due bambini nati e cresciuti nella stessa casa, abituati a giocare insieme, come potrebbero sapere di essere zia e nipote, un frutto proibito? È un peccato che l'amore possa andare sprecato a questo modo!» «L'amore non va mai sprecato!» ribatté Cadfael. «Bene, ora almeno siete costretto a prendervi una giornata o due di riposo e buon per voi! Arriva anche questa al momento giusto.» Buon per lui davvero, perché Haluin era quasi allo stremo delle forze. Cadfael lo lasciò lì tranquillo, e andò a dare un'occhiata al maniero alla luce del giorno, benché il cielo fosse coperto di nubi, con qualche fugace accenno di pioggia. La casa padronale era molto grande e nel vasto cortile ferveva l'abituale attività quotidiana, ma senza né fretta né confusione. Oltre la cinta si stendeva una pianura ondulata con campi ben coltivati, una macchia di arbusti e alberi isolati, dai rami ancora spogli ma già con qualche segno delle prime foglie che stavano per spuntare. Leggeri merletti di neve erano rimasti tra le pieghe del terreno e nei punti più riparati ma uno spiraglio di sole che appariva tra le nubi basse avrebbe ben presto disciolti anche quelli. Il monaco andò a curiosare fra stalle e magazzini, tutti mantenuti in perfetto ordine da servitori zelanti e orgogliosi di mostrarli a un visitatore attento, e più avanti trovò un canile dove una cagna stava sdraiata su un mucchio di paglia con sei cuccioli intorno. Incapace di resistere alla tentazione, si chinò a prenderne uno, sotto lo sguardo vigile della madre compiaciuta di quell'ammirazione per i suoi figli, e si accingeva a restituirle il tenero corpicino odoroso di pane appena sfornato quando alle sue spalle una voce fresca e giovanile domandò: «Siete voi il prete che deve celebrare il mio matrimonio?» Era Helisende Vivers, non ancora abbigliata per ricevere lo sposo, ma modestamente vestita di lana blu e con in mano un piccolo secchio di cibo per i cani fumante. «No», rispose Cadfael, raddrizzandosi con una certa fatica dopo aver posato il cucciolo tra i suoi fratellini. «Quello è padre Haluin.»
«Ah, lo zoppo!» commentò lei con distaccata commiserazione. «Fa tanta pena, in quelle condizioni. Spero che abbiano avuto buona cura di lui, qui. Ma sapete del matrimonio, vero? Sapete che viene Jean, oggi?» «Sì, ce l'ha riferito vostro fratello. Ma c'è qualcos'altro che potete dirci soltanto voi», aggiunse il monaco, osservando attentamente il grazioso viso splendente di giovinezza. «Soltanto voi potete dirci se acconsentite spontaneamente, senza coercizioni, a questo matrimonio, sì o no?» Il breve silenzio di Helisende non sembrava indicare un'incertezza a quel riguardo, ma piuttosto un circospetto esame dell'uomo che aveva avanzato quel dubbio. I suoi grandi occhi, schietti e impavidi, scrutavano e penetravano, senza timore di essere, a loro volta, esaminati. Ma non fu il caso. «Sì», dichiarò, «ammesso che facciamo liberamente qualcosa, ora che siamo cresciuti. Vi sono regole da rispettare, altre persone intorno a noi che hanno diritti e bisogni, siamo tutti legati in qualche modo. Ma potete dire a padre Haluin che non deve preoccuparsi per me, so quello che faccio. Non mi costringe nessuno.» «Glielo dirò. Ma penso che lo facciate per gli altri, non per voi stessa.» «Allora ditegli che ho scelto, liberamente, di farlo per gli altri.» «E per quanto riguarda Jean de Perronet?» indagò Cadfael. Le labbra ferme e piene della fanciulla tremarono un poco. Era l'unico particolare che turbasse la sua determinazione, il fatto di non poter essere leale con l'uomo che stava per diventare suo marito. Cenred non gli aveva certamente detto che avrebbe ricevuto soltanto un triste avanzo, dopo che il cuore se n'era andato altrove. E nemmeno poteva dirglielo lei. Era un segreto di famiglia. La sola speranza per quella coppia infelice era che l'amore avesse a nascere in seguito, più devoto forse di quanto non fosse in tanti matrimoni, ma pur sempre lontano dal vertice. «Cercherò di dargli tutto ciò che chiede», rispose risolutamente Helisende. «Tutto ciò che desidera e si aspetta. Lo merita e avrà quanto di meglio io possa dare.» Inutile forse osservare che poteva non essere sufficiente, lo sapeva già ed era turbata per quell'inganno al quale non aveva possibilità di sottrarsi. E forse quella sorta di confessione fatta lì nella solitudine del canile aveva riaperto un abisso d'incertezze che lei era quasi riuscita a chiudere. Meglio lasciarla in pace, dato che non v'era modo di alleggerire il peso che portava. «Bene, pregherò perché siate benedetta in tutto ciò che fate», promise il monaco, quasi come congedo prima di allontanarsi. La cagna si era alzata,
in mezzo ai suoi piccoli, e strofinava il muso contro il secchio, agitando impaziente la coda. I comuni eventi quotidiani si svolgono tra matrimoni e nascite, tra funerali e feste. Quando si voltò a guardare indietro, dopo qualche passo, Helisende era china a riempire la ciotola per la cagna, con la pesante treccia bruna ciondolante tra l'irrequieta nidiata. Non alzò il capo, ma Cadfael ebbe la sensazione che fosse consapevole della sua presenza, finché lui non si fu girato di nuovo, andandosene definitivamente. «Sentirete la mancanza della vostra prediletta», osservò Cadfael quando Edgytha venne a portare loro il pranzo. «O andrete con lei anche dopo che si sarà sposata?» La donna esitò un poco, dibattuta tra il naturale riserbo e il desiderio di alleggerirsi il cuore, tutt'altro che rassegnato alla perdita della sua adorata pupilla. «Che cosa potrei fare alla mia età, in un posto sconosciuto? Sono troppo vecchia, ormai, non servo più a molto. No, resterò qui, dove so come stanno le cose e mi conoscono tutti. Lei sì se ne andrà, come deve. E quel giovane non lascia niente a desiderare... se il mio agnellino non avesse un altro nel cuore!» «Però ben lontano da casa», sottolineò gentilmente Haluin, ma si era sbiancato in viso e distolse lo sguardo quando gli occhi di Edgytha si fissarono su di lui. Occhi chiari, di un azzurro slavato, che probabilmente un tempo erano stati di un bel pervinca, sotto folte ciglia scure, ora rade e sottili. «Un bravo giovane, per fortuna. Così dice il mio signore, così giurano tutti. Guai se non fosse vero, lei potrebbe fare di peggio. Lo so bene, io! Sono venuta qui al servizio di sua madre, tanti anni fa, e nemmeno il suo è stato un matrimonio d'amore... lei così giovane e lui che aveva quasi il triplo della sua età. Buono e gentile, ma vecchio, vecchio! Bisognava che lei avesse accanto a sé qualcuno della sua casa, qualcuno che conoscesse intimamente, di cui potesse fidarsi. Per la mia bambina, almeno, hanno cercato un marito giovane!» Poiché nessuno aveva ancora detto una sola parola al riguardo, Cadfael si risolse a fare la domanda che gli girava da qualche tempo nel capo. «È morta, la madre di Helisende?» «No, ha preso il velo a Polesworth dopo la morte del vecchio signore, circa otto anni fa. Monaca benedettina lei pure! Aveva sempre accarezzato quell'idea e quand'è rimasta vedova ha deciso di realizzarla, benché facesse
gola a molti e tutti la esortassero a risposarsi. Una maniera per evadere», concluse Edgytha a labbra strette. «Lasciando praticamente orfana sua figlia?» osservò Haluin, con un tono di disapprovazione più marcato di quanto fosse stato nelle sue intenzioni. «Oh, no! Ne ha avute addirittura due, di madri: Lady Emma e me!» Negli occhi di Edgytha si accese una luce che lei si affrettò a nascondere abbassando le palpebre. «Quella bambina ha avuto tre mamme, e tutte affettuose. Lady Emma non ha mai saputo essere severa coi bambini. Troppo tenera... e quei due ottenevano sempre da lei ciò che volevano. Ma la mia signora era portata alla solitudine e alla malinconia e quand'è stato il momento ha preferito prendere il velo piuttosto che sposarsi di nuovo.» «Helisende non ha mai pensato di fare altrettanto?» domandò Cadfael. «No, lei no! Ce ne guardi Iddio! Non le è mai neppure passato per la testa. Se si sceglie il chiostro per vocazione può essere una gioia, ma se si è costretti dev'essere un inferno! Se volete scusare la mia sfacciataggine, fratello! Voi lo sapete meglio di me, avete avuto senza dubbio ottimi motivi per vestire il saio, ma Helisende... no, non lo vorrei mai per lei. Molto meglio quel Perronet, se non si può fare di meglio.» Aveva cominciato a radunare piatti e vassoi vuoti e prese la caraffa per riempire di nuovo le loro coppe. «Ho sentito dire che siete stati a Elford e avete parlato con Roscelin, è vero?» «Sì, ieri. Ci siamo incontrati per caso e abbiamo chiacchierato un poco, ma soltanto stamattina abbiamo saputo che il signore di Vivers è suo padre.» «Come vi è sembrato?» domandò Edgytha con affettuosa preoccupazione. «Sta bene? È abbattuto? Non lo vedo da un mese o più e so quale dispiacere sia stato per lui essere scacciato dalla sua casa come un paggio screanzato, mentre non aveva fatto niente di male e mai aveva pensato di farne. Un così bravo figliolo! Che cosa vi ha detto?» «Era comunque in ottima salute», lo rassicurò il monaco. «E di ottimo umore, tutto considerato. Si è lamentato, sì, per essere stato esiliato a quel modo e non sembrava molto soddisfatto della sua attuale situazione, ma naturalmente non si è dilungato in particolari con due sconosciuti, in un incontro occasionale. Ha detto soltanto che non avrebbe mai trasgredito agli ordini di suo padre e avrebbe atteso il suo permesso, prima di tornare a casa.» «Ma lui non sa che cosa stanno progettando qui!» proruppe la donna, incollerita e disperata a un tempo. «Oh, lo avrà certo il permesso di tornare,
quando Helisende sarà ben lontana, nel maniero di suo marito! Bel ritorno a casa sarà per quel poverino! È una vergogna complottare così alle sue spalle!» «Secondo loro lo fanno a fin di bene», osservò Haluin, turbato. «Nel suo stesso interesse, pensano. Ma non deve essere stato facile neppure per loro prendere una simile decisione. E se sbagliano tenendolo all'oscuro di questo matrimonio fino a cose fatte e finite, si può perdonarli.» «Alcuni non potranno mai essere perdonati», ribatté cupa Edgytha. Prese risolutamente il vassoio di legno carico di stoviglie e le chiavi appese alla sua cintola tintinnarono, mentre si dirigeva verso la porta. «Avrebbero dovuto agire alla luce del sole, dirlo onestamente a Roscelin. Aveva il diritto di saperlo, di conoscere il vero motivo del suo esilio. Com'è accaduto che vi siate imbattuti in lui, a Elford, e che sappiate come si chiama, ma soltanto col nome di battesimo?» «Lo ha detto la signora, accennando a un compagno di suo figlio», spiegò Cadfael. «E c'era lui con Audemar de Clary quand'è rientrato dopo una cavalcata. Noi gli abbiamo parlato più tardi. Ha visto il mio amico che si reggeva a fatica sulle stampelle, dopo aver trascorso una notte in ginocchio, a pregare, ed è accorso a sostenerlo.» «C'era da aspettarselo!» esclamò Edgytha compiaciuta. «È sempre pronto ad aiutare chi ne ha bisogno. La signora di Elford, avete detto? La moglie di Audemar?» «No, non era lui che cercavamo. Non abbiamo visto nessuno della sua famiglia. Volevamo parlare con sua madre, Adelais de Clary.» I piatti tintinnarono un poco sul vassoio, ancora prima che la donna posasse una mano sulla maniglia della porta. «Ah, è là, ora?» «Sì, o quanto meno c'era quando siamo partiti noi, ieri. E con la neve che è cominciata a cadere subito dopo, non si sarà mossa di sicuro.» «Ci va di rado a Elford», commentò Edgytha, stringendosi nelle spalle. «Pare che non corra eccessivo amore fra lei e la consorte di Audemar. Che non è poi un fatto eccezionale, suppongo; così stanno bene lontano l'una dall'altra. Aprì abilmente la porta con un gomito e v'infilò di traverso il vassoio. «Sentite i cavalli, fuori? Senza dubbio è Jean de Perronet col suo seguito.» Un seguito non certo appariscente: un domestico personale, due stallieri, un cavallo per la sposa e uno per la sua accompagnatrice e un altro ancora per le borse. Lo stesso Perronet era vestito modestamente, senza fronzoli,
ma a Cadfael non sfuggì l'alta qualità degli animali e dei loro finimenti. Un giovane che sapeva come usare il proprio denaro, senza sprecarlo in spese vane. I due monaci erano usciti a loro volta per assistere all'arrivo degli ospiti. Il pomeriggio era ancora chiaro, ma alte nel cielo correvano nubi minacciose, forse sarebbe caduta altra neve durante la notte, e i viaggiatori sarebbero stati ben contenti di avere un solido tetto sopra la testa e un impenetrabile riparo contro il vento gelido. De Perronet smontò dal suo splendido roano davanti alla porta del vestibolo e Cenred scese di corsa la gradinata per salutarlo e abbracciarlo, poi risalì tenendolo per un braccio fino alla soglia, dove lo aspettava Lady Emma, per dargli il benvenuto con eguale calore. Helisende, notò Cadfael, non venne incontro al promesso sposo. Alla cena ufficiale, naturalmente, non sarebbe potuta mancare, ma frattanto aveva evidentemente preferito lasciar fare gli onori di casa al fratello e alla cognata, i suoi guardiani, gli artefici del suo destino, che sparirono ben presto nel vestibolo, mentre i servitori di Cenred scaricavano le borse e conducevano i cavalli nelle scuderie, con tale esperta rapidità che nel giro di pochi minuti il cortile rimase deserto. Quello era dunque lo sposo! Cadfael rifletté per qualche momento su quanto aveva visto e non trovò niente da eccepire salvo il fatto che, come aveva detto Edgytha, quel matrimonio era una soluzione di ripiego. E un affetto di ripiego avrebbe ottenuto de Perronet. Un giovane sui venticinque anni, che dal piglio e dal portamento mostrava di possedere l'autorevolezza e il senso di responsabilità che la sua posizione richiedeva, ma ciò nonostante i suoi uomini, almeno i più vicini a lui, non ne avevano soggezione. L'uno e gli altri erano consapevoli dei propri compiti, dei propri doveri e si rispettavano a vicenda. Inoltre era pure un bell'uomo, alto e snello, dal viso aperto e cordiale, che sembrava per quanto possibile felice alla vigilia delle sue nozze. Cenred aveva fatto del proprio meglio per la giovane sorella e la sua scelta pareva promettere buoni frutti. Peccato che non fossero quelli desiderati da Helisende. «Ma che altro avrebbe potuto fare Cenred?» mormorò Haluin, rivelando con quelle poche parole lo sgomento e i dubbi che lo angustiavano. CAPITOLO VIII Nel tardo pomeriggio, Cenred mandò il sovrintendente a chiedere ai due
benedettini se gradivano unirsi alla famiglia per la cena nel vestibolo o se desideravano invece riposare e cenare nella loro camera. Haluin, che si era chiuso in una profonda, cupa meditazione, avrebbe preferito starsene appartato ma, rendendosi conto che sarebbe stata una scortesia, si sforzò di accettare l'invito. Lo fecero sedere accanto agli sposi, giacché era il prete che avrebbe celebrato le nozze, e questo indusse Cadfael, seduto poco lontano da lui, in un punto dal quale poteva godersi lo spettacolo nello splendore delle torce, a riflettere che egli veniva chiamato per la prima volta a fare da intermediario fra Dio e gli uomini. Benché i fratelli più giovani fossero abitualmente esortati a prendere gli ordini sacerdotali, ora, ancor più che in passato, molti di loro sarebbero stati, come Haluin, preti senza cura d'anime, probabilmente senza essere mai chiamati a celebrare battesimi, nozze o funerali. Una responsabilità tremenda, pensò il monaco, che dal canto proprio non aveva mai aspirato al sacerdozio, essere il mandatario della grazia divina, avere il privilegio e l'onere d'interferire nella vita d'altri uomini, di promettere loro la salvazione col battesimo, di legare due persone col sacro vincolo del matrimonio, di detenere la chiave del purgatorio al momento della loro morte. Se talvolta mi sono immischiato, rifletté devotamente, e Dio sa se l'ho fatto quand'è stato necessario e non v'era nessuno più adatto di me per quel compito, almeno mi sono comportato come un altro peccatore, un compagno di strada, non come un inviato dal cielo dispensatore di grazie. Adesso Haluin si trova per la prima volta di fronte a questa stessa terribile responsabilità, non c'è da stupirsi se gli trema il cuore. Girò lo sguardo dall'uno all'altro dei volti che Haluin, così vicino a loro, poteva vedere soltanto come profili sovrapposti: quello di Cenred un po' contratto per l'intima tensione, ma volutamente gioviale, la sua consorte che presiedeva al convito con la debita amabilità della perfetta padrona di casa e un sorriso vagamente ansioso, de Perronet con un'aria d'innocente felicità per avere accanto a sé Helisende già quasi sua, e la fanciulla, pallida e quieta al suo fianco, che si sforzava palesemente di apparire altrettanto felice, perché lui non aveva alcuna colpa del suo dolore e meritava di meglio. Vedendoli così, l'uno accanto all'altra, non v'era da dubitare dei sentimenti del giovane e se egli si rendeva conto che non erano ricambiati in egual misura, probabilmente lo accettava come una situazione comune al principio d'ogni matrimonio ed era disposto a pazientare finché la gemma non fosse sbocciata.
Haluin rivedeva per la prima volta Helisende, da quando lei lo aveva fatto balzare in piedi per lo stupore e poi crollare di schianto sul pavimento, mezzo abbacinato com'era già dal vento pungente e dalla neve. E ora l'esile figura riccamente abbigliata e dorata dalla luce delle torce sarebbe potuta essere quella di un'estranea qualsiasi, mai vista prima. La guardava, quando il suo profilo emergeva per caso dagli altri, dubbioso e stupito, oppresso da una responsabilità del tutto nuova per lui e tanto pesante. Era già tardi quando le donne si ritirarono, lasciando gli uomini al loro vino e alle loro chiacchiere, e i due monaci si scambiarono un'occhiata come a dirsi che era tempo anche per loro di lasciare la compagnia. Haluin aveva già teso le mani per prendere le stampelle quando nel vestibolo rientrò a precipizio Emma, ansiosa e preoccupata, seguita da una giovane ancella. «Cenred, Edgytha è sparita! È uscita da un bel po' e non è ancora ritornata. E sta nevicando di nuovo! Dove mai può essere a quest'ora? L'avevo fatta chiamare perché venisse a prepararmi per la notte, ma non l'hanno trovata da alcuna parte e ora Madlyn mi ha detto che se n'è andata da ore, quando cominciava a fare buio.» Cenred faticò un poco a distogliersi dai suoi doveri d'ospite per occuparsi di un piccolo problema domestico che non era affar suo. «E allora? Edgytha è padrona di uscire quando vuole», ribatté, senza perdere il buonumore. «E di tornare quando le pare e piace. Non è una schiava, sa quello che fa e quali sono i suoi doveri. Se una volta tanto non è lì a rispondere quando la chiamano non è poi la fine del mondo! Perché ve ne preoccupate tanto?» «Quando mai se n'è andata senza avvertire? Nemmeno una sola volta. È uscita da quattro ore o più, a quanto dice Madlyn. Se le fosse accaduto qualcosa? Non sarebbe mai stata fuori per tanto tempo, volontariamente. E voi sapete quanta stima io abbia di lei, mi atterrisce il pensiero che possa esserle accaduta una disgrazia!» «E lo stesso è per me», cercò di consolarla suo marito. «A lei o a chiunque altro della nostra casa. Bene, se non è tornata, andremo noi a cercarla. Ma non tormentiamoci prima del tempo. Voi, figliola, che cosa sapete esattamente? Quattro ore fa, avete detto?» «Sì, sir.» Madlyn venne avanti senza esitare, spalancando gli occhi per l'emozione. «Era già tutto pronto, quando ho visto Edgytha uscire dalla cucina col mantello sulle spalle. Allora le ho fatto osservare che avremmo avuto molto da fare più tardi, con tanti ospiti, e si sarebbe sentita" la sua
mancanza, ma ha ribattuto che sarebbe tornata presto, prima che ci fosse bisogno di lei.» «E non le avete chiesto dove stava andando?» «Certo che gliel'ho chiesto, pur sapendo che non parla mai molto delle sue faccende e che mi avrebbe risposto con malagrazia, nel caso poco probabile che lo facesse. Ma quello che ha detto, mi sembra che non abbia senso. Vado a prendere un gatto da mettere fra i piccioni, ha detto.» Ma se quella frase non significava niente per lei, significava indubbiamente qualcosa per Cenred e sua moglie. Emma guardò sbigottita il consorte balzato bruscamente in piedi e, nell'occhiata che i due si scambiarono, Cadfael seppe leggere come in un libro aperto. Era in possesso di nozioni sufficienti per farlo. Edgytha li aveva allevati entrambi, era sempre stata indulgente con loro, li amava come se fossero suoi figli, soffriva di quella separazione e, checché avesse da dire la Chiesa sui vincoli di sangue, ancora più di quel matrimonio che rendeva definitiva la separazione... È andata a chiedere aiuto per impedirlo, seppure all'ultimo momento. È andata ad avvertire Roscelin di ciò che si sta facendo alle sue spalle. È andata a Elford! Considerazioni che non si potevano fare ad alta voce, lì davanti a Jean de Perronet che, accorso al fianco di Cenred, girava lo sguardo da un viso all'altro, perplesso ma partecipe di un guaio che non lo riguardava. Andare alla ricerca di una vecchia, fedele governante allontanatasi da casa di sera era un dovere, ora che si approssimava la notte e nevicava. Lo disse apertamente, rompendo un silenzio che da un momento all'altro avrebbe potuto indurlo a indagare più da vicino ciò che stava accadendo. «Non dovremmo andare a cercarla, se manca da tanto tempo? Le strade non sono troppo sicure, di notte, e una donna sola...» Un suggerimento che agli interessati parve un dono del cielo e Cenred l'accolse con gratitudine. «Lo faremo subito. Manderò i miei uomini a perlustrare la strada più probabile. Può darsi che sia andata a trovare qualcuno in paese e che l'abbia bloccata la neve. Ma voi non dovete preoccuparvi, Jean, non voglio guastarvi la festa. Lasciate fare ai miei uomini, ne abbiamo più che a sufficienza. State tranquillo, non può essere molto lontana, la ritroveranno ben presto e la riporteranno a casa sana e salva.» «Verrei volentieri con voi», si offrì de Perronet. «No, no, non è necessario. Lasciate fare a noi e dormite tranquillo questa notte. Domani sarà tutto sistemato.» Ma forse quell'offerta era stata fatta dal premuroso ospite come un puro
e semplice atto di cortesia, e non fu difficile dissuaderlo. I problemi familiari di un uomo riguardano soltanto lui, meglio lasciare che sia lui a risolverli. Offrire aiuto a chi ne ha bisogno è doveroso, ma è saggio arrendersi garbatamente. Cenred sapeva fin troppo bene dove poteva essere andata Edgytha, non v'erano dubbi riguardo alla strada dove cercarla. E ormai era davvero il caso di preoccuparsi perché quattro ore o più sarebbero state un tempo più che sufficiente per andare e tornare, anche con la neve. Cenred non ne perse altro. Augurata cordialmente la buonanotte a de Perronet, che interpretò rassegnato l'augurio come un definitivo congedo, radunò in fretta gli uomini del suo seguito davanti alla porta del vestibolo e impartì secchi ordini a quelli che gli sembrarono i più adatti per una disagevole spedizione notturna: sei giovani vigorosi, oltre al proprio sovrintendente. «Noi che cosa dobbiamo fare, ora?» domandò a mezza voce Haluin, ritto sulle stampelle accanto a Cadfael, un po' in disparte. «Voi andarvene a letto, da persona ragionevole, cercando di dormire, se vi riesce», fu la risoluta risposta. «E un paio di preghiere non saranno sprecate. Io vado con loro.» «Lungo la strada più vicina a Elford, vero?» «A prendere un gatto da mettere fra i piccioni, sì, dove altro? Ma voi restate qui. Non potreste fare o dire niente che non sia in grado di fare o dire io, se fosse il caso.» La porta del vestibolo era rimasta aperta, dietro gli uomini che erano scesi nel cortile, con due torce, e Cadfael si accodò al gruppo, nella notte gelida. Il terreno biancheggiava di neve, ma era uno strato sottile e piccoli fiocchi pungenti come aghi cadevano da un cielo quasi chiaro, punteggiato qui e là da qualche stella, troppo freddo per una vera e propria nevicata. Quando il monaco si girò a guardare indietro dal portone della cinta, le donne presenti nel maniero, dame e domestiche insieme, erano raggruppate al sommo della gradinata, unite da una medesima preoccupazione, seguendo con lo sguardo i loro uomini che si allontanavano. Soltanto Helisende se ne stava in disparte, l'unica che non si aggrappasse a qualcuno in cerca di conforto. Tutto ciò che Emma aveva detto al marito, tutto ciò che aveva riferito Madlyn lo sapeva certamente anche lei. Sapeva dove fosse andata Edgytha e con quale intento e guardava fisso davanti a sé, a un futuro che non poteva più prevedere, un futuro in cui si celavano incertezze, sgomento e forse persino una catastrofe. Si era preparata a un sacrificio del quale conosceva i termini, ma si scopriva del tutto impreparata a ciò che la minacciava ora. Il suo viso sembrava fermo e composto
come sempre, ma aveva perduto la sua abituale, calma sicurezza, la risolutezza aveva lasciato il posto all'impotenza, la rassegnazione si era cambiata in disperazione. Era giunta su un campo di battaglia dove aveva creduto di poter mantenere la propria posizione, ma ora le si era aperto il terreno sotto i piedi e lei non sapeva più che cosa le riserbasse la sorte. L'immagine della sua forza d'animo distrutta, inerme e vulnerabile, fu l'ultima visione che Cadfael portò con sé nel buio e nel gelo. Stringendosi un lembo del mantello intorno al viso per difendersi dal vento, Cenred si avviò lungo un sentiero nuovo per Cadfael, diverso da quello che aveva seguito con Haluin verso la luce delle torce del maniero. In quella direzione avrebbero raggiunto la strada maestra molto più vicino a Elford, probabilmente accorciando il tragitto di almeno mezzo miglio. La notte non era molto scura, un po' per il vago chiarore del cielo e un po' per il riverbero della neve, cosicché potevano procedere speditamente, in fila indiana al centro del sentiero, nel silenzio della campagna rotto soltanto dal rumore dei loro passi e dal lieve fruscio del vento fra i pochi arbusti. Una volta, e poi un'altra, Cenred li fece fermare perché non si facesse alcun rumore e lanciò un grido di richiamo, ma non ebbe risposta. Seguendo questa strada, calcolò Cadfael, ci saranno più o meno due miglia per arrivare a Elford. Edgytha, che senza dubbio la conosceva bene, sarebbe potuta essere di nuovo a Vivers da un pezzo, tanto più se, a quanto ha riferito Madlyn, intendeva tornare molto prima che la sua signora avesse bisogno di lei. E non si sarebbe certo smarrita, lungo una strada nota, in una sera limpida e con appena una spruzzatina di neve. Cominciò ad apparirgli chiaro che qualcosa doveva averle impedito di attuare il suo proposito o di tornare al maniero. Non il freddo o la neve o un qualsiasi incidente naturale, ma la mano di un uomo. Ed era poco probabile che fuorilegge in cerca di viaggiatori da depredare, ammesso che ve ne fosse qualcuno lì in aperta campagna, fossero in giro in una sera simile, che avrebbe trattenuto chiunque dall'avventurarsi su strade isolate. Restava, forse, un'altra possibilità: che fosse arrivata regolarmente a Elford e che Roscelin, informato di ciò che si stava preparando, l'avesse persuasa a restare là, al riparo, lasciando il resto a lui. Ma Cadfael stesso credeva poco a quell'eventualità. Se fosse stato così, Roscelin, indignato, sarebbe piombato come un fulmine a Vivers ancora prima che si notasse l'assenza della sua informatrice. Il monaco, frattanto, aveva risalito la fila e raggiunto Cenred, che non
sembrò troppo stupito al vederlo. «Non dovevate sobbarcarvi questa fatica, fratello», si limitò a osservare. «Siamo già in tanti.» «Uno di più non guasta.» Forse non guastava, ma nemmeno era il benvenuto. Sarebbe stato meglio che quella vicenda fosse restata nello stretto ambito della famiglia. Tuttavia pareva che l'inattesa presenza di un benedettino tra i suoi uomini non turbasse eccessivamente Cenred. La sua preoccupazione era quella di trovare Edgytha, preferibilmente prima che arrivasse a Elford, ma in ogni caso in tempo perché vi fosse modo di rimediare ai danni che poteva avere creato. Forse si aspettava persino d'incontrare prima o poi il figlio, risoluto a prevenire a ogni costo quel matrimonio che avrebbe distrutto le sue ultime speranze. Ma avevano percorso ormai un miglio abbondante e la strada era ancora deserta. Una strada che ora correva attraverso un bosco rado, con sparsi ciuffi d'erba che il lieve strato di neve non arrivava neppure a piegare, e forse sarebbero passati, senza notarlo, accanto a una sorta di grosso fagotto sul ciglio destro, se non fosse stato perché tra il merletto di neve che lo ricopriva apparivano chiazze più scure del terreno imbiancato intorno a loro. Cenred era già un passo avanti, ma si fermò di botto quando si arrestò Cadfael e seguì la direzione del suo sguardo. «Presto, portate qui una torcia!» La luce giallastra rivelò la natura di quel fagotto: una donna distesa in una posizione un po' scomposta, con la testa fuori del sentiero, supina ma leggermente girata su un fianco e con le braccia alzate ai lati del capo come se il suo ultimo gesto fosse stato il tentativo di parare un colpo. Il monaco si chinò e sgombrò dal lieve velo cristallino un viso con gli occhi sbarrati e contorto in un'espressione di atterrito stupore, i capelli grigi lasciati scoperti dal cappuccio che le era scivolato sulle spalle nella caduta e il mantello nero. Sul petto una piccola chiazza rompeva il velo candido, dove un rivolo di sangue aveva fatto sciogliere i fiocchi via via che cadevano. Dalla sua posizione era impossibile capire se fosse stata aggredita all'andata o al ritorno, ma, comunque fosse, rifletté Cadfael, probabilmente si era accorta che qualcuno la seguiva furtivamente e si era girata di scatto, alzando le mani per proteggersi la testa. E così il pugnale che l'aggressore intendeva piantarle nelle spalle le aveva trafitto il petto. «Dio benedetto!» mormorò Cenred in un sussurro roco. «Chi lo avrebbe mai pensato? Ma perché, perché, qualunque cosa avesse in mente di fare?» «I lupi cacciano anche col gelo», osservò tristemente il sovrintendente.
«Benché sa il cielo quale ricco bottino si possa sperare di trovare qui! Però non è stato preso niente, neppure il suo mantello. Uomini senza legge l'avrebbero spogliata di tutto.» Cenred scrollò la testa. «Non ce n'è nemmeno l'ombra, da queste parti, potete esserne certo. No, qui si tratta d'altro. Quello che vorrei sapere è da quale parte andasse quand'è stata uccisa.» «Questo potremo scoprirlo quando la muoveremo», disse Cadfael. «Purtroppo non c'è più niente da fare, per lei. Chiunque abbia usato quel pugnale sapeva il fatto suo, non ha avuto bisogno di un altro colpo. E non possiamo nemmeno aspettarci di trovare impronte perché, anche dove non le avesse coperte la neve, il terreno è troppo indurito dal gelo.» «Adesso dobbiamo portarla a casa», dichiarò mesto Cenred. «Sarà una dolorosa sorpresa per mia moglie e mia sorella. Avevano molta stima di lei, sempre devota e fidata in tutti questi anni, da quando era entrata nella nostra casa al servizio della mia giovane matrigna. Un delitto simile grida vendetta al cielo! Manderò qualcuno a Elford a sentire se c'era arrivata, se possono dirci qualcosa sul suo conto, se è giunta loro voce di qualche predone che si aggiri da queste parti, magari in fuga da altre regioni. Per quanto non mi sembri molto probabile, Audemar governa con mano ferma le proprie terre.» «Mandiamo indietro qualcuno a prendere una lettiga, Milord?» domandò il sovrintendente. «Ma non è un gran peso, forse potremmo cavarcela portandola a turno avvolta nel suo mantello.» «Sì, è inutile fare un altro viaggio. E voi, intanto, andate con Jehan a Elford a chiedere se sanno qualcosa, se qualcuno l'ha vista o ha parlato con lei. No, prendete due uomini con voi. Non voglio che corriate qualche pericolo, se vi fossero davvero in giro dei fuorilegge.» Il sovrintendente obbedì immediatamente e, presa una torcia, si avviò con due compagni. La piccola luce andò via via decrescendo lungo il sentiero verso Elford, finché non svanì nel buio, mentre gli altri uomini sollevavano la povera morta e la posavano di lato per stendere sul terreno il suo mantello. «Guardate, c'era neve sotto di lei!» esclamò Cadfael. L'impronta del corpo era scura e umida dove il suo calore l'aveva fatta sciogliere, ma tutt'intorno, dove si era posato soltanto il mantello, il velo candido era quasi intatto. «È caduta quando nevicava già. Stava tornando a casa.» Il corpo si abbandonava mollemente tra le mani degli uomini, freddo per
il gelo esterno, non per il rigor mortis. Lo avvolsero nel mantello, legandolo stretto con tre cinture e il cordiglio del monaco da usare come maniglie per sorreggerlo. E così, la povera Edgytha tornò finalmente a Vivers. Là erano ancora tutti alzati, inquieti, incapaci di dormire finché non avessero saputo che cos'era accaduto. Una cameriera vide entrare nel cortile il mesto corteo e corse ad avvertire la padrona, cosicché quando i portatori giunsero nel vestibolo, tutta la starnazzante colombaia delle domestiche era di nuovo radunata, l'una stringendosi all'altra per farsi coraggio. Emma prese il comando con un vigore che nessuno si sarebbe aspettato da una persona tanto dolce e gentile, impartendo ordini con un'autorità che non lasciava spazio per lacrime o lamenti: fece approntare in una camera una tavola su cavalietti come catafalco e portare acqua calda e lenzuoli, provvedendo lei stessa a comporre ordinatamente la salma. Queste incombenze servirono alla morta come ai vivi, tenendoli occupati con le mani e con la mente, consolandoli con le cure presenti di eventuali manchevolezze passate. E ben presto il mormorio di voci proveniente dalla camera ardente passò dal tono di angustia e sgomento a quello di un'elegiaca cantilena. Emma tornò nel vestibolo, dove il marito e i suoi aiutanti si stavano riscaldando davanti al fuoco le mani e i piedi intirizziti. «Cenred, com'è possibile? Chi può avere commesso una simile infamia?» Domande alle quali naturalmente nessuno fu in grado di rispondere. «Dove l'avete trovata?» A questo rispose Cenred, passandosi una mano sulla fronte corrugata. «A circa mezza strada tra qui ed Elford, sul ciglio del sentiero. E non era là da molto tempo, perché c'era neve sotto il suo corpo. Era diretta a casa, quando qualcuno l'ha aggredita.» «Pensate che fosse andata a Elford, allora?» «E dove altro, da quella parte? Ho già mandato là Edred a informarsi se v'era arrivata, se qualcuno aveva parlato con lei. Dovrebbe essere di ritorno entro un'ora, Dio solo sa con quali notizie.» Giravano entrambi cautamente intorno al nocciolo della questione, evitando con cura di nominare Roscelin o di accennare, fosse pure di sfuggita, al motivo che aveva indotto Edgytha a uscire sola in una sera come quella. Però la voce ormai si era sparsa tra i domestici e tutti si andavano raggruppando ansiosi, quelli di casa lì in un angolo del vestibolo e gli altri fuori nei cortili, incapaci di tornare alle proprie mansioni e persino di ritirarsi per il normale riposo senza sapere qualcosa di preciso. Alcuni, in maggiore
intimità col loro signore, erano forse al corrente dell'amore proibito di Roscelin e molti, probabilmente, avevano intuito che cosa si nascondeva dietro il frettoloso matrimonio di Helisende: meglio non parlare troppo davanti a loro. Poco dopo, a complicare le cose, sopraggiunse Jean de Perronet, sceso dalla camera dove si era ritirato per un atto di riguardo, non certo per dormire, perché era tuttora elegantemente vestito come a cena. Poi comparve fratello Haluin, taciturno e ansioso sulle sue grucce, e infine tutti i presenti, in quella tragica sera, tornarono via via nel vestibolo. No, non tutti, osservò Cadfael guardandosi intorno. Mancava una persona. Come mai Helisende non era venuta a unirsi a tutti gli altri? A giudicare dalla sua espressione, de Perronet doveva aver riflettuto a lungo, dopo essersi arreso alla volontà del suo ospite, rinunciando ad aggregarsi al gruppo che usciva alla ricerca di Edgytha. Col viso grave e composto, sostò per qualche momento a osservare i presenti, soffermandosi in particolare su Cenred, ritto davanti al focolare ad asciugarsi gli stivali, con la testa china e lo sguardo vacuo fisso sui tizzoni ardenti. «Non è andata bene, pare», disse risolutamente. «L'avete trovata, la vostra domestica?» «Sì, l'abbiamo trovata», rispose Cenred, avvilito. «Ferita? Morta? L'avete trovata morta?» «E non di freddo! Uccisa con una pugnalata e abbandonata là di fianco al sentiero. Non abbiamo trovato tracce di nessun altro, là intorno, benché non fosse passato molto tempo. È stata uccisa dopo che aveva cominciato a nevicare.» «Era con noi da diciotto anni», gemette Emma torcendosi le mani. «Pover'anima, finire così... aggredita da un vagabondo fuorilegge e lasciata a morire in mezzo alla neve! Perché, perché le è accaduta una simile disgrazia?» «Ne sono profondamente addolorato anch'io», disse de Perronet. «In un momento come questo, poi! Può esservi qualche collegamento tra il motivo che mi ha condotto qui e la morte di quella poveretta?» «No!» proruppero all'unisono marito e moglie, come per respingere quel pensiero già nato nella loro mente, più che per mentire all'ospite. «No», continuò in tono più sommesso Cenred. «Mi auguro di no, sono certo che non è così. È la più malaugurata delle possibilità, comunque non più che una vaga possibilità.» «Esistono sempre ipotesi deprecabili», osservò de Perronet. «Anche nei
momenti più felici, persino nei matrimoni. Non intendete rimandare questo, vero?» «No, perché mai? È un dolore nostro, non dovete soffrirne voi. Ma si tratta di un omicidio, dovrò avvertire lo sceriffo perché inizi subito la caccia all'assassino. Che io sappia, Edgytha non aveva parenti prossimi, e quindi tocca a noi provvedere alla sepoltura. Faremo tutto quanto è necessario, ma nessun'ombra deve riflettersi su di voi.» «Temo che sia già accaduto per Helisende», obiettò lo sposo. «Era la sua bambinaia, se non sbaglio, e lei le era molto affezionata.» «Ragione di più perché la portiate via da qui al più presto, in una casa nuova, verso una nuova vita.» Cenred si guardò in giro per la prima volta a cercare la sorella e fu stupito di non vederla, ma al tempo stesso contento che non fosse lì a complicare ancora di più una situazione già abbastanza difficile. Se era andata a letto ed era riuscita a prendere sonno, meglio così, che dormisse tranquilla e non sapesse niente fino all'indomani. Le donne erano tornate dalla camera dove Edgytha giaceva composta nell'eterno riposo, non avevano più altro da fare e la loro presenza, in un gruppo taciturno e timoroso, cominciava a diventare opprimente. Cenred guardò la moglie. «Emma, mandate a letto le vostre donne. Non c'è più bisogno di loro, è inutile che stiano qui. E voi, amici, andate a riposare. Tutto ciò che si poteva fare è stato fatto, manca solo che Edred torni da Elford; però non è necessario che la casa intera resti ad aspettarlo. L'ho mandato con due compagni a informare il mio signore dell'accaduto», spiegò rivolgendosi a de Perronet. «Un omicidio da queste parti è di sua competenza, riguarda lui quanto me. Venite, Jean, andiamo nel salone, staremo più comodi.» Senza dubbio, rifletté Cadfael notando l'espressione leggermente infastidita di Cenred, preferirebbe di gran lunga che il caro Jean si ritirasse in buon ordine, senza ficcare oltre il naso in questa faccenda, ma non v'è alcuna probabilità che lo faccia. E per quanto lui giri attorno al vero motivo che lo ha indotto a mandare il suo sovrintendente a Elford, il semplice nome di quel posto ha assunto ora un significato che è impossibile eludere. E Cenred non è tipo né da ricorrere senza scrupoli all'inganno, né da praticarlo con piacere e abilità. Le donne, obbedienti agli ordini, si erano allontanate per ritirarsi nelle proprie stanze mentre altri servitori spegnevano le torce, meno due ai lati della porta d'ingresso, e spargevano un po' di cenere sul fuoco perché ardesse lentamente durante la notte. De Perronet seguì Cenred fino alla porta
del salone, dove questi si voltò, facendo cenno a Cadfael di andare con loro. «Voi siete un testimone, fratello, potete attestare come l'abbiamo trovata. Siete stato proprio voi a farci notare che era già cominciato a nevicare quand'è caduta. Vi dispiace aspettare insieme con noi e sentire quali notizie ci porterà il mio sovrintendente?» Né parole né cenni lasciarono intendere se l'invito includesse anche fratello Haluin, ma lui, ignorando l'occhiata ammonitrice di Cadfael, decise di fare come se fosse così. Era già accaduto più di quanto bastasse per mettere in subbuglio la sua mente, se doveva unire due persone in un matrimonio di cui si poteva sospettare che avesse causato una morte. Doveva sapere che cosa si nascondeva dietro quei vagabondaggi notturni ed esimersi eventualmente da quell'incarico, se ne vedeva un motivo. Strinse i denti e seguì i due nel salone, dove sedette su una panca nell'angolo più buio, spettatore discreto, mentre Cenred si abbandonava su una sedia davanti al tavolo, appoggiandovi i gomiti e stringendosi la testa fra le mani. «I vostri uomini sono a piedi?» domandò de Perronet. «Sì.» «Allora dovremo aspettare un bel po', prima che tornino. Ne avete altri in giro?» «No», rispose seccamente Cenred. In un altro momento, pensò Cadfael, avrebbe risposto evasivamente o addirittura ignorato la domanda. Adesso non gli importa più niente della discrezione. Un omicidio porta a galla questioni non meno penose, sempre presenti come un'ombra in agguato nel buio. Trattenendosi dal fare altre domande, de Perronet si dispose ad aspettare pazientemente. La notte si era chiusa intorno al maniero, immobile e tacita, minacciosa e opprimente. Forse non tutti si erano ritirati nelle loro camere, ma, se qualcuno si muoveva, lo faceva quasi furtivamente e, se parlava, si limitava a un sussurro. L'attesa, tuttavia, non fu lunga. Il silenzio fu bruscamente interrotto da un affrettato scalpitare di zoccoli sul terreno ghiacciato del cortile e da una collerica voce giovanile che chiamava in tono perentorio un servitore. Al precipitoso accorrere di stallieri che seguì, fuori, si accompagnò lo scompiglio dei domestici ancora alzati, in casa. Piedi che correvano alla cieca, inciampando nell'oscurità, scintille da pietra focaia e acciarino troppo brevi per dar fuoco all'esca, finché una torcia non venne affondata tra le braci del focolare e usata per accendere in gran fretta le altre. Prima che qualcuno
uscisse dal salone, attirato da quel trambusto, si udirono colpi furiosi bussati alla porta e la stessa voce minacciosa che chiedeva di entrare. Due o tre domestici corsero ad aprire, ma furono scaraventati all'indietro dal pesante battente, spalancato con violenza e, nella luce delle torce, eruppe la figura di Roscelin, a capo scoperto, con i capelli biondi scomposti dalla cavalcata e gli occhi sfavillanti di adirato sdegno. Con lui entrò nel vestibolo un'ondata di aria gelida che fece tremare la fiamma delle torce, mentre dal salone sopraggiungeva Cenred, che si fermò di botto alla vista del viso infuriato del figlio. «È vero quello che mi ha detto Edred?» proruppe Roscelin. «Che cosa state tramando alle mie spalle?» CAPITOLO IX Mai, finora, la sua autorità paterna era stata colta in tale posizione di svantaggio, e Cenred n'era fin troppo consapevole. Né lui aveva mai avuto in famiglia la reputazione di despota alla quale far ricorso, tuttavia fece del proprio meglio per riguadagnare l'iniziativa. «Che cosa ci fai tu, qui?» domandò severamente. «Ti ho richiamato io? Il tuo signore ti ha congedato? Qualcuno ti ha sciolto dalla tua promessa?» «No», ammise Roscelin, tutt'altro che sottomesso. «Nessuno mi ha dato alcun permesso, e io non ne ho chiesti. Quanto alla mia promessa, me ne avete sciolto voi stesso con la vostra slealtà nei miei confronti. Non sono stato io a rompere i patti. E sono pronto a tornare al mio servizio presso Audemar de Clary, se debbo, accettando qualsiasi punizione egli voglia infliggermi per la mia mancanza, ma non prima che voi mi rendiate conto qui, apertamente, di ciò che intendevate fare alle mie spalle. Io vi ho sempre dato retta, vi ho sempre rispettato e obbedito. Non mi dovete nulla in cambio? Nemmeno l'onestà?» Un altro padre lo avrebbe forse castigato duramente per quell'insolenza, ma Cenred preferì lasciar perdere. Emma lo stava tirando per una manica, addolorata e preoccupata per quello scontro, e de Perronet, dietro di lei, osservava allarmato quel ragazzo troppo impetuoso, certo vedendo già in lui una pericolosa minaccia ai propri progetti. Che cos'altro, difatti, poteva averlo spinto a lanciarsi come un matto nel gelo della notte e, a quanto pareva, per la strada più breve, particolarmente pericolosa col buio, altrimenti non sarebbe arrivato così presto? Niente di quanto era accaduto in quelle ultime ore era stato un caso, un puro e semplice incidente. No, la causa di
quella spirale di omicidio, ricerche e inseguimento era il matrimonio di Helisende e che cos'altro li aspettava ancora, Dio solo lo sapeva. «Io non ho fatto niente di cui debba vergognarmi», dichiarò risolutamente Cenred. «E niente di cui debba rispondere a te. Sai benissimo qual è il dovere, lo hai accettato, non venire a lamentarti ora. Sono padrone in casa mia, ho diritti e doveri nei riguardi della mia famiglia e i miei doveri li assolvo come mi sembra più opportuno. Per il meglio!» «Senza avere la cortesia di farne parola con me!» ribatté Roscelin, avvampando come un fuoco riattizzato. «No, da Edred dovevo saperlo, quando il misfatto è già in corso, dopo una morte della quale avete voi la responsabilità. Anche questo è stato per il meglio? Osate forse dirmi che Edgytha è stata uccisa per tutt'altro motivo, per mano di un estraneo? Sarebbe già una disgrazia, anche se non vi fosse di peggio. Chi era l'autore del progetto che l'ha indotta a precipitarsi fuori di casa, nell'oscurità della notte? Osate dirmi che era un altro il suo scopo? Edred dice che andava a Elford, quand'è stata aggredita. E io sono qui per impedire il resto.» «Vostro figlio, suppongo», intervenne de Perronet, con voce alta e gelida, «intende riferirsi al matrimonio tra madamigella Helisende e me. A questo proposito penso di avere io pure qualcosa da dire.» I grandi occhi azzurri di Roscelin si spostarono dal viso del padre a quello dell'ospite. Era la prima volta che lo guardava e ora rimase a fissarlo per qualche momento in silenzio. De Perronet non era un estraneo, per lui, rammentò Cadfael. Le loro famiglie si conoscevano, forse erano persino lontane parenti, e due anni addietro il giovane Jean aveva già chiesto ufficialmente la mano di Helisende. Non v'era ostilità personale nello sguardo di Roscelin, ma piuttosto una sorta di risentimento confuso e avvilito contro le circostanze, non contro il pretendente favorito, che non poteva, non doveva essere un rivale. «Voi siete lo sposo?» domandò bruscamente. «Sì, e intendo mantenere il mio diritto. Avete qualche obiezione?» Ostilità o no, avevano cominciato a drizzare le penne come due galli in combattimento, ma Cenred posò una mano su un braccio di de Perronet, come per frenarlo, e guardò severamente il figlio, con un brusco gesto dell'altra mano. «Calma, calma! Arrivati a questo punto, bisogna mettere le cose in chiaro. Tu, Roscelin, intendi dirmi di aver saputo di questo matrimonio e della morte di Edgytha soltanto da Edred?» «Certo, da chi altri? È piombato ansimante a Elford con queste notizie e
ha svegliato tutti, Audemar compreso. Forse non intendeva che udissi anch'io quando ha parlato del matrimonio, invece l'ho udito ed eccomi qui per scoprire direttamente quello che voi mi tenevate nascosto. Vedremo se anche questo è stato fatto per il meglio!» «Allora non hai visto Edgytha? Non hai parlato con lei?» «Come avrei potuto, se giaceva morta a un miglio o più da Elford?» «È morta dopo che era cominciato a nevicare ed era uscita da ore, quanto bastava per raggiungere Elford ed essere in cammino per tornare a casa. Perché non era certo uscita per fare una passeggiata, e dove altro poteva essere stata?» «Così avete pensato che fosse venuta proprio a Elford», osservò Roscelin. «Io non ho mai saputo altro, se non che era morta, su una strada. Mentre veniva da me! È questo che avevate in mente? Per avvertirmi di ciò che si stava tramando qui, mentre io ero lontano?» Il silenzio di Cenred e l'espressione infelice di Emma furono una risposta più che sufficiente. «No», riprese Roscelin. «Io non ho visto neppure l'ombra di lei. Né io né altri della casa di Audemar, per quanto ne so. Se mai è stata là, non so con chi potesse essersi incontrata. Certamente non con me.» «Potrebbe averlo fatto», obiettò Cenred. «Nossignore. Non è venuta a Elford. Tuttavia», insistette il ragazzo, inesorabile, «sono qui come se lo avesse fatto, perché ciò che forse intendeva dirmi lei l'ho saputo da un'altra fonte. Dio sa se mi addolora la sua morte, ma ormai non c'è più niente da fare per lei se non seppellirla reverentemente e dopo, se sarà possibile, trovare il suo assassino. Comunque non è troppo tardi per riflettere su ciò che era in programma qui per domani, o per cambiarlo.» «Mi stupisce che tu non accusi addirittura me per la morte di Edgytha!» esclamò aspramente Cenred. Quell'idea mostruosa lasciò di stucco Roscelin, che fissò per un momento il padre a bocca aperta, stralunato. Farfugliò una sdegnata, inarticolata protesta, poi la lasciò a mezzo per rivolgersi di nuovo a de Perronet. «Ma voi... voi avevate un motivo sufficiente per volerla fermare, se sapevate che veniva ad avvertire me. Voi avevate un ottimo motivo per volerla ridurre al silenzio, così che nessuna voce potesse alzarsi contro il vostro matrimonio, come io alzo ora la mia. L'avete uccisa voi?» «Scempiaggini!» ribatté sprezzantemente de Perronet. «Sono sempre stato qui sotto gli occhi di tutti, per l'intera sera.»
«Può darsi, però avete uomini ai quali avreste potuto affidare quell'incarico.» «Per ognuno di loro potrebbero essere garanti i domestici di vostro padre. Inoltre ora sappiamo che quella poveretta è stata uccisa non all'andata, ma al ritorno. A che cosa mi sarebbe servito, allora? E vorrei chiedere a voi, padre e figlio, quale interesse ha questo ragazzo in una parente stretta per osare di mettere in discussione i diritti di suo fratello e del suo futuro marito.» E con questo dovrebbe essere chiuso l'argomento, pensò Cadfael. Perché de Perronet è abbastanza intelligente per aver ormai capito quale particolare, proibita passione trascina questo figliolo. E dipenderà da Roscelin se saranno salvate le apparenze o no. Che è chiedere molto a un ragazzo già tormentato come lui e sdegnato per quello che considera un tradimento. Adesso si vedrà se ha coraggio. Il volto di Roscelin si era fatto bianco e rigido come il marmo, con gli zigomi e la mandibola messi in risalto dalla luce delle torce. Prima che Cenred ritrovasse un po' di fiato per attestare la propria autorità, suo figlio rispose per lui. «Il mio interesse è quello di un parente che le è stato vicino come un fratello per tutta la vita e desideroso della sua felicità sopra ogni cosa al mondo. Non ho mai messo in discussione i diritti di mio padre e non dubito che egli voglia il suo bene come lo voglio io. Ma quando sento parlare di un matrimonio combinato in tutta fretta in mia assenza, come posso accettarlo serenamente? Non me ne starò a guardare in silenzio se Helisende viene spinta a un matrimonio che potrebbe non essere di suo gradimento. Non sopporterò che venga costretta o persuasa contro la propria volontà.» «Non è certamente questo il caso», protestò con calore Cenred. «Nessuno la costringe, ha acconsentito di buon grado.» «Allora perché mi avete tenuto all'oscuro? Finché non fosse tutto finito? Come posso credere a ciò che la vostra stessa condotta smentisce?» Roscelin si girò di scatto verso de Perronet, sforzandosi di controllare l'espressione del viso cereo. «Non nutro alcun malanimo verso di voi, non sapevo neppure chi fosse il suo promesso sposo. Ma vi renderete certamente conto anche voi che è difficile credere all'onestà di qualcosa che si fa di nascosto!» «Bene, ora non c'è più niente di nascosto», dichiarò seccamente de Perronet. «Potreste udirlo dalle labbra di madamigella Helisende. Vi basta?» Il viso di Roscelin si contrasse in un'espressione dolorosa e per un mo-
mento egli lottò palesemente contro l'idea di una perdita irreparabile alla quale poteva andare incontro, ma non aveva scelta, doveva accettare. «Se mi dirà che lo desidera lei pure, allora non avrò altro da obiettare.» Ma non aggiunse che tanto gli sarebbe bastato. Cenred si voltò a guardare Emma, rimasta lealmente al suo fianco, pur senza staccare lo sguardo turbato dal volto tormentato del figlio. «Andate a chiamare Helisende.» Nel silenzio pesante e inquieto che seguì l'uscita di Emma, Cadfael non riuscì a capire se a qualcuno non apparisse strano, com'era sembrato a lui, che Helisende non fosse venuta già da tempo a vedere che cosa significasse tutto quell'andirivieni notturno. Non poteva levarsi dalla mente l'ultima visione che aveva avuto di lei, sola pur in mezzo a tanta gente, a un tratto sperduta e confusa su una strada che aveva creduto di poter percorrere con dignitosa fermezza sino alla fine. In una situazione tanto diversa e fosca si sentiva disorientata, ma era tuttavia singolare che, per difendere la propria lealtà, non fosse scesa come tutti in attesa delle notizie, buone o cattive che fossero, che avrebbero portato gli uomini usciti alla ricerca di Edgytha. Forse non sapeva neppure che era morta! Cenred era venuto avanti fino a metà del vestibolo, rinunciando al relativo isolamento del salone, per il quale oltretutto non era protezione sufficiente una porta chiusa. Una donna della sua casa era stata uccisa. Il matrimonio di una giovane della sua famiglia era diventato causa di conflitti e di morte. Non v'era più distinzione, lì, tra signori e servitori. Aspettavano tutti con uguale inquietudine. Tutti tranne Helisende, che non si era ancora fatta vedere. Fratello Haluin si era ritratto nell'ombra e sedeva immobile e silenzioso su una panca contro una parete, con le spalle curve tra le stampelle che si teneva ai fianchi. I suoi occhi scuri e infossati passavano attenti da un viso all'altro, penetranti e indagatori. Se anche era stanco e affaticato non ne dava segno. Cadfael lo avrebbe mandato volentieri a letto, ma pareva che tutti fossero trattenuti lì da una sorta d'incantesimo. Nessuno si sarebbe mai allontanato e Haluin meno degli altri. Una persona sola aveva resistito. Una persona sola si era sottratta a quell'influsso. «Che cosa diavolo stanno facendo quelle due?» sbuffò Cenred spazientito, dopo qualche tempo. «Quanto ci vuole per infilare un vestito?» Ma altri minuti trascorsero prima che Emma riapparisse nel vano della porta, col viso gentile costernato e sgomento, cincischiandosi il corpetto
con dita tremanti. Dietro di lei c'era Madlyn, con gli occhi sbarrati. Di Helisende, nemmeno l'ombra. «È sparita!» proruppe, troppo sconvolta per dare la notizia con qualche riguardo. «Non è a letto, né in camera sua, né da qualsiasi altra parte della casa. Jean è andato a controllare nelle scuderie. È sparito anche il suo cavallo con tutti i finimenti. Mentre voi eravate fuori, lo ha sellato lei stessa e se n'è andata di nascosto, sola.» Ammutolirono tutti, fratello, promesso sposo, innamorato deluso, servitori... Mentre loro facevano progetti, si angustiavano, altercavano riguardo al suo futuro, lei aveva deciso per conto proprio, piantandoli tutti in asso. Sì, anche Roscelin, che se ne stava lì sorpreso e allibito, perplesso non meno degli altri. Per quanto suo padre lo guardasse corrucciato e de Perronet palesemente insospettito, era chiaro che egli non aveva avuto niente a che fare con quella fuga improvvisa. Ancora prima che si sapesse della morte di Edgytha, rimuginò Cadfael, la sua missione misteriosa e il suo mancato ritorno avevano infranto la sicurezza faticosamente raggiunta di Helisende. Sì, de Perronet era un uomo gentile, uno sposo degno del massimo rispetto e lei lo aveva accettato per allontanarsi da Roscelin, per togliere entrambi da una situazione insostenibile, ma se il suo sacrificio doveva generare soltanto collera, pericoli e conflitti, per non parlare di morte, allora cambiava tutto. Helisende si era tirata indietro e aveva scelto la libertà. «È fuggita!» ansimò Cenred. «Come ha potuto farlo, senza che nessuno la vedesse? Dov'erano le sue ancelle? Non c'era uno stalliere nelle scuderie a chiederle dove andava, o almeno per venire ad avvertirci?» Si passò desolato una mano sul viso e fissò il figlio con espressione ancora più severa. «E dove può essere fuggita, se non da te? L'hai nascosta da qualche parte e poi ti sei precipitato qui fingendoti indignato per nascondere l'imbroglio?» Era venuto fuori, ora, e non v'era modo di ritrattare. «Non crederete sul serio una cosa simile!» protestò Roscelin, offeso. «Non l'ho vista, non ho mai avuto una sola parola da lei né lei da me, lo sapete benissimo! Sono venuto da Elford per la stessa strada seguita dai vostri uomini, ci saremmo incontrati, se l'avesse presa lei. E pensate che l'avrei lasciata proseguire sola, di notte, ovunque fosse diretta? Se ci fossimo incontrati, saremmo insieme, ora, dove che fosse.» «Consideriamo anche la strada maestra», suggerì de Perronet. «È più lunga, il che a cavallo non avrebbe molta importanza, ma molto più sicura. Potrebbe aver preferito quella, se intendeva davvero andare a Elford, anzi-
ché affrontare i rischi della scorciatoia.» Parlava con voce secca e gelida e i tratti del suo viso erano composti in un'espressione grave, ma era un uomo pratico, non intendeva sprecare parole o commozione sull'amore sbagliato di un giovincello, che non minacciava la sua posizione. Le nozze che lui desiderava erano fissate di comune accordo, non dovevano essere e non sarebbero state annullate. Ciò che importava, ora, era ritrovare sana e salva la sposa. «Può darsi», convenne Cenred, rincuorato. «È probabile che lo abbia fatto. Se arriverà a Elford, sarà al sicuro ma, comunque, andremo a cercarla anche là, meglio non lasciare nulla al caso.» «Ci tornerò io per quella strada», si offrì ansioso Roscelin, e si sarebbe precipitato di corsa verso la porta se de Perronet non lo avesse trattenuto prendendolo per un braccio. «No, non voi! Non mi piace l'idea che possiate incontrarvi, voi due. Lasciate che vada vostro padre, è sua sorella, e desidero io pure che possa essere di nuovo qui, a dirvi chiaro e tondo come la pensa. E quando lo avrà fatto, ragazzino, sarà meglio che vi rassegniate e teniate a freno la lingua.» Ma a Roscelin non piacque affatto sentirsi quella mano addosso e tanto meno venire disprezzato da un uomo col quale riteneva di essere alla pari per rango e statura, anche se non per età e sicurezza di sé. Si liberò con uno strattone, facendo il viso scuro per evitare altri soprusi. «Bene, trovate dunque Helisende e permettetele di dire qual è veramente la sua volontà, non la vostra, sir, né quella di mio padre o di chiunque altro, signore, prete o re che sia, e sarò soddisfatto. Ma anzitutto», aggiunse fissando il padre con un'espressione di sfida e di preghiera a un tempo, «trovatela, fate che io possa vederla qui, incolume e trattata col massimo riguardo. Che altro importa, ora?» «Vado io stesso», dichiarò Cenred, ritrovando la propria autorità, e tornò a gran passi nel salone a riprendere il suo mantello. Ma non vi furono altre cavalcate da Vivers, quella notte. Cenred si era appena gettato il mantello sulle spalle e nelle scuderie gli stallieri erano tuttora indaffarati con selle e finimenti, quando si udì avvicinarsi un precipitoso scalpitare di zoccoli, voci che interrogavano e altre che rispondevano al portone, poi il tonfo sordo degli zoccoli echeggiò sul terreno indurito dal gelo nel cortile, facendo accorrere tutti verso la porta del vestibolo per vedere chi mai arrivasse a quell'ora così inoltrata. Edred e i suoi compagni avevano proseguito a piedi ed era logico che a
piedi tornassero e lì invece c'erano uomini a cavallo. Servitori muniti di torce uscirono nel buio, subito seguiti da Cenred, Roscelin e de Perronet. La luce guizzante delle torce illuminò i tratti marcati e la figura massiccia di Audemar de Clary che smontava, gettando le briglie a uno stalliere, e dietro di lui Edred e i suoi due compagni, in sella a cavalli evidentemente avuti in prestito, insieme con tre uomini dello stesso Audemar. Cenred scese di corsa la gradinata. «Milord», esclamò, una volta tanto in tono molto formale con l'amico che era anche il suo signore, «non mi aspettavo davvero di vedere voi qui, ma arrivate proprio al momento giusto e pertanto siete ancora più gradito. Dio sa se vi stiamo procurando abbastanza guai con l'omicidio che ci ha toccati da vicino, ve ne avrà già parlato Edred, penso. Un omicidio nella vostra giurisdizione. È difficile crederlo, ma purtroppo è così.» «Sì, l'ho saputo», assentì Audemar. «Ma entriamo e raccontatemi tutto. Non possiamo fare niente prima di mattina.» Poi, mentre entrava nel vestibolo, gli cadde l'occhio su Roscelin, notò la sua espressione angosciata, anche se non pentita, e aggiunse in tono tollerante: «Tu qui, figliolo? Questo in fondo me l'aspettavo». Evidentemente, il reale motivo del bando di Roscelin non era un segreto per il suo signore che parteggiava per lui, lo comprendeva e per poco non scusava la sua follia. Gli batté affettuosamente una mano su una spalla, passandogli accanto, e cercò di trainarlo con sé nel salone. Ma Roscelin resistette e lo prese ansioso per una manica. «Milord, c'è altro da dire! Padre», pregò appassionatamente, «parlate voi! Se si era diretta a Elford, dov'è adesso? Milord, Helisende è sparita, è uscita sola a cavallo e mio padre pensa che intendesse venire là, a cercare me! Ma io sono venuto per la strada più breve e non l'ho vista. Si è davvero rifugiata da voi? Oh, liberatemi da quest'ansia... Ha preso la strada maestra? È sana e salva a Elford, ora?» «No, non c'è!» Irritato da quella nuova complicazione, Audemar passò bruscamente lo sguardo dal figlio al padre e poi di nuovo al figlio, rendendosi conto dell'apprensione che li tormentava. «Veniamo ora da quella strada e non abbiamo visto né lei né alcuna traccia del suo passaggio. Da una strada o dall'altra, qualcuno di noi l'avrebbe incontrata, se ci fosse stata. Ma andiamocene di là nel salone, fra noi», aggiunse prendendo Cenred per un braccio, «e vediamo di raccogliere le idee, di mettere insieme ciò che sappiamo rispettivamente, così da essere pronti a fare i passi necessari, domattina, senza sprecare altro tempo. Voi, Milady, dovreste andare a ri-
posare un poco, non possiamo fare niente, per il momento, e d'ora in poi mi assumerò io ogni responsabilità. È inutile che restiate alzata tutta la notte.» Appariva ormai chiaro chi fosse il padrone della situazione ed Emma fu ben contenta di obbedire all'invito. Congedandosi con un'occhiata mesta e affettuosa dal marito e dal figlio, se ne andò senz'aprir bocca per quel po' di sonno che poteva sperar di trovare prima dell'alba. Uscita lei, Audemar girò lo sguardo per tutto il salone, uno sguardo amichevole e tuttavia autoritario, come un congedo per gli estranei. Si soffermò un momento sui due benedettini che si tenevano riguardosamente in disparte, li riconobbe e sorrise, con un breve cenno di rispetto per il loro abito. «Buonanotte, fratelli!» disse e chiuse risolutamente la porta, ritirandosi in colloquio privato con i Vivers e il loro aspirante cognato e zio. CAPITOLO X «Giusto!» esclamò fratello Haluin, disteso sul letto ma perfettamente sveglio, rompendo il lungo silenzio osservato nel trovarsi a contatto con i guai altrui. «Buonanotte, fratelli, e addio! Più niente matrimonio. Si è perduta la sposa. E anche se tornasse, non si potrà procedere come se nessun incidente fosse intervenuto a destare tante perplessità. Quando ho accettato questo peso, perché anche senza tante complicazioni era già tale, pareva che fosse indubbiamente la soluzione migliore, per quanto dolorosa. Ma ora vi sono ottimi motivi per dubitarne.» «Non sembrate troppo dispiaciuto per essere stato esonerato dall'incarico!» osservò Cadfael. «E non lo sono, infatti. Dispiaciuto sì, lo sa Iddio, per la morte di quella povera donna, perché quei due ragazzi sono profondamente e irrimediabilmente infelici, ma non intendo addossarmi la responsabilità davanti a Dio di unire la fanciulla a qualsiasi uomo, finché non avrò ritrovata la certezza che ho perduta. È un bene che se ne sia andata, in un rifugio sicuro, spero e prego. E ora non ci rimane altro che andarcene a nostra volta. Non abbiamo più niente da fare qui, de Clary ce lo ha quasi detto in faccia e Cenred ne sarà felice.» «E voi avete un voto da mantenere, senza altri ritardi», aggiunse Cadfael, dibattuto tra il sollievo e il rimpianto. «Ho già tardato troppo. È tempo che io riconosca quanto lievi siano le
mie pene e quanto grande sia la parte che mi sono attribuita, una parte che ho scelto soltanto per miei motivi personali, ma ora intendo spendere per motivi ben più validi la vita che mi resta, lunga o breve che sia.» Questo viaggio dunque non è stato inutile, rifletté Cadfael. Per la prima volta Haluin si è avventurato nel mondo dal quale era fuggito in preda ai rimorsi per la propria colpa e la perdita che ne era seguita, e lo ha trovato colmo di dolore in cui il suo è caduto e si è perso come una goccia di pioggia nel mare. In tutti questi anni si è mostrato esteriormente ligio al dovere e rispettoso della Regola, mentre si tormentava in disperata solitudine. La sua vera vocazione comincia ora. Una volta toccato dalla luce, potrebbe mostrarci di quale stoffa sono fatti i santi. Quanto a me, sono un impenitente incallito. Perché in cuor suo non avrebbe voluto andarsene da Vivers, lasciando tanti problemi insoluti. Tutto ciò che aveva detto Haluin era vero. La sposa era sparita, non si potevano più celebrare nozze di sorta, non v'era più alcun motivo per trattenersi lì e Cenred sarebbe stato davvero felice della loro partenza. Ma lui, Cadfael, non lo era affatto, al pensiero di lasciarsi alle spalle un delitto invendicato, la giustizia calpestata, un'iniquità alla quale non v'era rimedio. Altrettanto vero che era Audemar de Clary il signore del feudo e toccava a lui, potente e risoluto, occuparsi di crimini che avessero ad accadere nell'ambito della sua giurisdizione e Cadfael non poteva dirgli nulla di più. E, in fin dei conti, che cosa sapeva per certo lui, in quella dolorosa vicenda? Che Edgytha era morta parecchie ore dopo che si era allontanata da casa, quando era già cominciato a nevicare, che quindi stava tornando a Vivers e aveva avuto tutto il tempo per arrivare a Elford. Che non era stata derubata, come le sarebbe potuto accadere con un qualsiasi predone di strada, ma che l'assassino si era limitato a ucciderla. Ma se non per impedirle di parlare con Roscelin, per chiuderle la bocca prima che fosse di ritorno a Vivers. E perché? Quale nesso esisteva tra Elford e Vivers, se non l'esilio di Roscelin? Quale altro motivo poteva esservi per temere una spiata, all'infuori del progettato matrimonio? Però Edgytha non aveva parlato col ragazzo, né con Audemar né con altri della casa. Se era stata davvero a Elford, come mai nessuno l'aveva neppure vista? E se non c'era stata, dove era andata? E ancora, se lui stesso, Emma e Cenred si erano sbagliati, che cosa aveva inteso dire Edgytha parlando di un gatto da mettere tra i piccioni? Con ogni probabilità non avrebbe mai trovato risposta a quelle domande
né saputo quale sorte aspettasse la fanciulla scomparsa, il suo infelice innamorato e i loro parenti preoccupati e afflitti. Peccato! Ma non v'era niente da fare, lui e Haluin non potevano andare oltre i limiti del lecito in una situazione come quella. Non appena la servitù fosse stata in piedi, avrebbero dovuto congedarsi e riprendere la via di Shrewsbury. Nessuno se ne sarebbe dispiaciuto e loro sarebbero dovuti essere a casa già da tempo. La mattina era grigia, ma le nubi che velavano il cielo erano alte, senz'alcuna minaccia di altra neve, e anche il freddo si andava attenuando. Soltanto pochi ricami bianchi erano rimasti alla base dei muri e sotto alberi e cespugli. Non sarebbe stata una cattiva giornata per viaggiare. La servitù era già indaffarata di buon'ora, dopo un breve sonno, consapevole che l'aspettava un'altra giornata difficile. Qualunque decisione fosse stata presa nel corso della solenne riunione nel salone, a qualunque rifugio si fosse pensato per Helisende, non v'era dubbio che Audemar avrebbe spedito pattuglie a perlustrare tutte le strade dei dintorni, a indagare in ogni luogo, per il caso che qualcuno, da qualche parte, avesse visto Edgytha o scorto un'ombra furtiva lungo la strada che lei aveva seguito. Erano già tutti radunati nel cortile, con i cavalli sellati, in attesa di ordini, quando i due monaci, in stivali e mantello, andarono a cercare Cenred per prendere congedo da lui. Lo trovarono nel vestibolo, occupato col sovrintendente, e furono accolti con fredda cortesia. «Debbo scusarmi con voi, fratelli, per avervi trascurato tanto. Se abbiamo dei guai, non dovete soffrirne voi. Fate conto di essere a casa vostra.» «Milord», ribatté Haluin, «vi siamo molto grati per la vostra cortesia, ma dobbiamo metterci in viaggio. La mia presenza qui non è più necessaria, dal momento che non esiste più alcun segreto. E noi abbiamo dei doveri che ci aspettano, alla nostra abbazia. Siamo venuti per congedarci da voi.» Troppo onesto per fingersi dispiaciuto, Cenred non fece obiezioni. «Vi avevo trattenuti per uno scopo preciso, che ora purtroppo è andato in fumo, ma, dovete credermi, le mie intenzioni erano buone. Vi auguro un felice viaggio.» «E a voi, noi auguriamo che possiate ritrovare al più presto la giovane signora sana e salva», ricambiò Haluin. «E che Dio vi assista nelle vostre difficoltà.» Cenred non offrì loro cavalli, almeno per la prima parte del viaggio, come aveva fatto Adelais de Clary, ma li accompagnò fino alla porta e rimase a guardarli mentre scendevano la gradinata. Respirò di sollievo quando
li vide finalmente allontanarsi nel cortile, felice di essersi liberato di quel fastidio, e tornò dal sovrintendente. Roscelin, indispettito per il ritardo, era già accanto al portone, con le briglie in mano, e guardava spazientito verso la casa in attesa che suo padre o Audemar dessero il segnale della partenza. Gli si leggeva in viso l'ansia che lo torturava, ma riuscì ugualmente a sorridere ai due monaci. «Tornate a Shrewsbury? Bene, vi auguro un viaggio tranquillo.» «E a voi una felice conclusione delle vostre ricerche», auspicò Cadfael. «Felice, per me?» ribatté il ragazzo, rannuvolandosi di nuovo. «Come potrebbe esserlo?» «Se la trovaste indenne e al sicuro, non sposata con un uomo che non ha scelto lei, sarebbe una buona porzione di felicità, no? Dubito che potreste chiedere di più. Per il momento, almeno. Accettate ciò che di buono vi offre il cielo e siatene grato. Potreste poi ottenere altro, in seguito.» «Parlate di cose impossibili, fratello, ma capisco che sono l'espressione della vostra premura per me e vi ringrazio.» «Dove comincerete a cercare Helisende?» domandò Haluin. «A Elford, naturalmente, per accertare che non sia arrivata davvero là, senza che nessuno di noi l'abbia vista lungo la strada. Poi ai manieri dei dintorni, per il caso che qualcuno sappia qualcosa di lei o di Edgytha. Non può essere andata molto lontano.» La tragica morte della sua bambinaia lo aveva dolorosamente colpito, ma quella che occupava quasi per intero la sua mente era Helisende. I due monaci lo lasciarono così, irritato e tormentato, più irrequieto del cavallo che scalpitava al suo fianco. Quando, varcato il portone, si voltarono, Roscelin aveva infilato il piede in una staffa e i suoi compagni, dietro di lui, stavano montando in sella a loro volta. Per tornare a Elford, anzitutto, dove sembrava più probabile che Helisende avesse cercato riparo, sfuggendo in qualche modo alla vista di Roscelin o degli altri cavalieri, lungo la strada. Cadfael e Haluin dovevano andare invece nella direzione opposta, verso occidente. All'arrivo avevano svoltato dalla strada maestra verso nord, attirati dalle luci di Vivers, ma ora non tornarono da quella parte, si diressero a ovest, seguendo un sentiero ben battuto che costeggiava il muro di cinta. Poco dopo, all'udire i cavalieri di Audemar che uscivano dal portone, si fermarono a guardare il variopinto corteo che si allontanava e spariva tra gli alberi della prima cintura di boschi. «E così è tutto finito?» mormorò Haluin, accorato. «Non sapremo mai che cosa ne sarà di loro! Povero figliolo, prigioniero di una situazione sen-
za speranza. Il suo unico conforto al mondo dev'essere quello di vedere almeno Helisende felice, sempre che questo sia possibile senza di lui. Io so bene che cosa debbono patire!» Ma il caso era definitivamente chiuso per i due monaci, non v'era senso a restar lì a guardare. Si rimisero in cammino, preceduti dalle proprie ombre allungate che il sole alle loro spalle, aprendosi un varco tra il lieve velo di nubi, proiettava sull'erba umida. «Ormai dovremmo avere oltrepassato da un bel po' Lichfield, che è più a sud», osservò Cadfael facendo un rapido calcolo, quando si fermarono presso un filare di alti, folti cespugli per un frugale desinare composto di pane, formaggio e listerelle di bacon. «Non importa, troveremo un letto da qualche parte, prima che faccia buio.» Frattanto il cielo si era fatto limpido e terso e la campagna intorno a loro era gradevole, ma scarsamente popolata. Poiché avevano dormito così poco quella notte, procedettero senza fretta, sostando per un breve riposo ovunque se ne offrisse loro la possibilità, talvolta una piccola radura artificiale dove trovavano una panca e qualcuno con cui scambiare due parole. Con l'approssimarsi della sera si alzò un vento leggero ma pungente, che segnalò loro la necessità di trovare un riparo per la notte. Adesso si trovavano in una zona dov'erano tuttora evidenti i segni delle devastazioni subite cinquant'anni prima, quando gli abitanti, non particolarmente felici dell'arrivo dei normanni, avevano duramente pagato il fio della propria ostilità: relitti sparsi di abitazioni cadute in rovina tra erba e rovi, le macerie di un mulino sgretolato nella sua stessa gora invasa dalla vegetazione selvatica. I villaggi erano pochi e radi e Cadfael prese a scrutare il paesaggio alla ricerca di qualche segno che rivelasse l'esistenza di un casolare abitato. Finalmente scorsero un vecchietto intento a raccogliere legna tra alcuni alberi, il quale raddrizzò la schiena per rispondere al loro saluto, fissandoli incuriosito. «Meno di mezzo miglio più avanti, fratelli, vedrete sulla vostra destra la cinta di un convento di monache che vi ospiteranno sicuramente. Sono persino del vostro stesso ordine, benedettine anche loro.» «Non sapevo che ve ne fosse uno da queste parti», disse Cadfael. «Come si chiama?» «Farewell, come il villaggio vicino. Esiste soltanto da tre anni, lo ha fatto costruire il nostro vescovo. Sarete i benvenuti, là.» I due monaci lo ringraziarono e proseguirono col cuore più leggero. «Ricordo di aver sentito parlare di questo posto», disse Haluin. «O quan-
to meno delle intenzioni del vescovo di costruire un nuovo monastero qui da qualche parte, vicino alla sua cattedrale. Ne aveva parlato anche Cenred la sera in cui siamo arrivati a Vivers, ricordate? L'unica casa benedettina nei dintorni, ha detto, quando ci ha chiesto da dove venissimo. È stata una buona idea scegliere questa strada.» Dopo una lunga giornata di cammino, cominciavano a venirgli meno le forze, nonostante le ripetute soste, e respirarono entrambi di sollievo quando, oltre uno spazio erboso attorniato da quattro o cinque linde casette, scorsero la lunga cinta del nuovo monastero sopra la quale svettava il campanile. Svoltarono da quella parte e un largo sentiero li condusse a una modesta portineria in legno. Porta e spioncino erano chiusi ma, come tirarono la fune della campanella, il tintinnio destò una serie di echi che si ripeterono in distanza e poco dopo vi rispose un rapido e leggero rumore di passi. Lo sportello dello spioncino si abbassò e nel piccolo riquadro apparve un visetto giovanile, roseo e sorridente. Grandi occhi azzurri scrutarono i visitatori e riconobbero l'abito benedettino. «Buonasera, fratelli», disse una voce gaia e squillante. «Ancora in giro a quest'ora? Possiamo offrirvi un tetto e un letto, se volete.» «Stavamo appunto per chiedervelo», ribatté Cadfael. «Potete ospitarci per questa notte?» «Anche di più, se è necessario. I monaci del nostro ordine sono particolarmente benvenuti. Siamo un po' lontano dalla strada maestra e pochi conoscono la nostra casa. Sarà un piacere ospitarvi.» Si udì uno scorrere di catenacci, il battente si spalancò e la sorella portinaia, gentilmente, fece loro cenno di entrare. Non poteva avere più di sedici o diciassette anni, giudicò Cadfael, una giovinetta all'inizio del noviziato, probabilmente figlia minore in una delle tante famiglie di piccola nobiltà ma povere, dove avrebbe avuto poco da sperare quanto a dote e scarse prospettive di un buon matrimonio. Piccolina e rotondetta, non molto bella ma fresca e genuina come il pane appena sfornato, splendente d'entusiasmo per la sua nuova vita e, a quanto pareva, senz'alcun rimpianto per il mondo che aveva abbandonato. «Venite da lontano?» domandò, osservando turbata la faticosa andatura di Haluin. «Da Vivers», rispose prontamente lui, per rassicurarla. «Non è tanto lontano e abbiamo camminato senza fretta.» «Dove siete diretti?»
«A Shrewsbury. La nostra casa è l'abbazia dei Santi Pietro e Paolo.» «Quella sì che è lontana!» commentò la suorina scuotendo la testa. «Avete bisogno di una buona notte di riposo, allora. Vi dispiace aspettare qui, mentre vado ad avvertire sorella Ursula che ha ospiti? È lei l'addetta alla foresteria. Monsignor vescovo ci ha fatto mandare due sorelle più anziane da Polesworth per qualche tempo, perché istruiscano le novizie. Siamo tutte nuove, qui, e abbiamo tanto da imparare, in aggiunta a tutto il lavoro per la casa e il giardino. Ci hanno mandato sorella Ursula e sorella Benedicta. Sedete e scaldatevi un poco, torno subito.» E se ne andò con passo leggero e quasi danzante, gioiosa nei suoi nuovi compiti monacali come lo sarebbe stata una sposina nella sua nuova vita. «È veramente felice», osservò Haluin, ammirato. «Non è stato un ripiego, per lei. Possiede fin dal principio quello che io ho trovato soltanto dopo tutti questi anni. Le sorelle di Polesworth debbono essere molto savie e avvedute, se le chiamano per siffatte incombenze.» Sorella Ursula era alta e magra, sulla cinquantina, con un viso segnato da rughe dovute più all'esperienza che all'età, a un tempo sereno, rassegnato e vagamente divertito, come se lei avesse conosciuto e accettato tutte le stramberie umane e più niente ormai potesse sorprenderla e sconcertarla. Quelle fanciulle di Farewell, rifletté Cadfael, erano fortunate ad avere una maestra simile. «Benvenuti tra noi, fratelli!» esclamò entrando nella portineria, con la giovane portinaia raggiante al suo fianco. «La madre badessa sarà felice di ricevervi domattina, ma frattanto dovete aver bisogno di cibo e riposo, tanto più se vi aspetta un viaggio così lungo. Venite con me, c'è sempre una camera pronta per eventuali ospiti e i nostri confratelli sono i più graditi.» Li guidò in un cortiletto davanti alla chiesa, una modesta costruzione in pietra non ancora completata, come dimostrava il vario materiale accatastato al suo fianco. In soli tre anni avevano edificato la chiesa e tutta l'ossatura del chiostro, fuorché sul lato meridionale, rimasto al pianterreno dove si trovava il refettorio. «Monsignor vescovo non ha badato a spese per tutto il necessario», spiegò sorella Ursula, «ma ci vorrà ancora qualche anno prima che sia tutto finito. Allora io dovrò tornare a Polesworth, ma mi dispiacerà andarmene. Mi sono affezionata a queste mie pupille e resterei qui volentieri, se potessi scegliere.» Infermeria, foresteria, magazzini, servizi vari sarebbero stati costruiti a
poco a poco, ma nel futuro chiostro lussureggiava già un bel prato e un basso bacino di pietra al centro era pieno d'acqua per attirare gli uccelli. «L'anno venturo avremo anche i fiori», annunciò sorella Ursula. «È venuta con me sorella Benedicta, la nostra giardiniera più esperta a Polesworth, e si occuperà lei del chiostro. Ha un tocco magico, erbe e fiori crescono prodigiosamente e gli uccelli vengono a beccare nel palmo delle sue mani. Un dono che io non ho mai posseduto.» «Hanno mandato anche la badessa da Polesworth?» domandò Cadfael. «No, il vescovo ha portato madre Patrice da Coventry. Noi due dovremo tornare alla nostra casa non appena qui non ci sarà più bisogno di noi, a meno che, come ho detto, non ci permettano di restare in questo posto per sempre. Occorrerebbe la dispensa del vescovo, ma, chissà, forse Sion avrebbe alcuna difficoltà a concederla.» Una sorta di foresteria provvisoria, in legno, si trovava in un altro piccolo cortile oltre il chiostro e la stanzetta in attesa di ospiti odorava della calda fragranza del legno. L'arredamento non era certo sibaritico: due lettucci, un tavolino e un inginocchiatoio sotto un crocifisso appeso a una parete. «Restatevene pure a riposare tranquilli», disse la monaca. «Vi farò portare qui la cena. Siete arrivati tardi per il vespro, ma se vorrete unirvi a noi per compieta, vi avvertirà la campana. Intanto potete andare liberamente in chiesa per le vostre preghiere, se lo desiderate. È nata da poco, più anime buone ospiterà sotto il suo tetto, tanto meglio. E ora, se non vi occorre altro, vi lascio a riposare.» Nella felice, verginale quiete del nuovo monastero, Haluin piombò in un sonno beato, appena tornato da compieta, e dormì come un bambino per tutta la notte e buona parte dell'alba di un giorno mite e sereno, senza più alcuna traccia di gelo. Quando si svegliò, Cadfael era già alzato e si stava preparando per andare a recitare l'uffizio del mattino e le sue preghiere personali in chiesa. «È già suonata la campana per la prima?» domandò Haluin, affrettandosi ad alzarsi. «No, ci vorrà ancora mezz'ora, a giudicare dalla luce. Potremo avere tutta la chiesa per noi, se volete venire con me.» «Senz'altro.» I due monaci uscirono insieme nel piccolo cortile e raggiunsero il chiostro, dove il prato era umido e verdissimo, invece che del colore sbiadito dell'inverno, svanito dalla sera alla mattina, e la timida bruma delle gemme
appena spuntate sugli alberi si era trasformata in un concreto velo verde. Poche altre giornate così miti e sarebbe stata a un tratto primavera. La presentivano persino gli uccellini che già sbattevano le ali cinguettando nell'acqua limpida del basso bacino di pietra. Haluin si sentì confortato da quei presagi, mentre si avvicinava alla chiesa. Senza dubbio sarebbe stata ingrandita o addirittura sostituita più tardi, quando fossero stati costruiti gli altri edifici necessari e il monastero avesse goduto di una vita propria, sicura e indipendente, guadagnandosi una meritata rinomanza. Quel primo santuario, però, pur piccolo e modesto com'era, sarebbe stato sempre ricordato e rimpianto da chi lo aveva visto nascere. Inginocchiati l'uno accanto all'altro, davanti alla fiammella della lampada sull'altar maggiore, Cadfael e Haluin recitarono insieme l'uffizio e le preghiere private. Il primo raggio di sole superò la cinta e illuminò di un tenue colore rosato la sommità della chiesa. Cadfael fu il primo ad alzarsi. Doveva mancare poco alla prima, ormai, e probabilmente sarebbe stato imbarazzante per le giovani consorelle trovare lì due uomini, fossero pure confratelli del loro stesso ordine. Il monaco uscì silenziosamente e si fermò accanto alla porta socchiusa, guardandosi intorno in attesa che Haluin avesse bisogno di lui per alzarsi. Accanto al bacino di pietra al centro del chiostro c'era una monaca, snella, diritta e composta, che dava da mangiare agli uccellini. Sbriciolava del pane sull'orlo del bacino, tenendone qualche minuzzolo sul palmo aperto di una mano. L'abito nero accentuava l'esilità della sua figura e il suo portamento aveva una grazia giovanile che destò un'eco confusa nella memoria di Cadfael. Il capo eretto sul lungo collo, le spalle dritte, la vita sottile e la bella mano, ora tesa a offrire briciole agli uccellini... lui li aveva sicuramente già visti, in un altro posto, sotto un'altra, ingannevole luce. Adesso era all'aria aperta, nella morbida luce del mattino, ma Cadfael era certo di non sbagliarsi. Helisende... Helisende era lì a Farewell, indossava il saio. La sposa aveva risolto il suo intollerabile dilemma prendendo il velo, piuttosto che sposare chiunque altro all'infuori del suo infelice innamorato Roscelin. E benché, senza dubbio, non avesse ancora potuto pronunciare i voti, le sorelle dovevano avere ritenuto opportuno, nella sua angosciosa situazione, offrirle subito la protezione dell'abito, senza aspettare che avesse inizio il suo noviziato. Doveva avere l'udito fine, o forse aspettava qualcuno e stava con l'orecchio teso, perché all'avvicinarsi pur silenzioso del monaco si voltò sorri-
dendo, mostrando pienamente un viso che non era quello che egli si aspettava, un viso che non aveva mai veduto. Non una fanciulla giovane e inesperta, ma una donna matura, consapevole e serena. Gli tornò alla mente la breve apparizione nel vestibolo di Vivers e fece tra sé un confronto tra la fanciulla e la donna. Non Helisende, e nemmeno molto uguale a lei: soltanto la stessa fronte candida come una perla, il dolce ovale del viso e i grandi occhi schietti e innocenti. Ma la figura e il portamento, sì, erano identici. Se questa monaca avesse girato di nuovo le spalle, sarebbe stata la perfetta immagine di sua figlia. Perché chi altri poteva essere se non la madre di Helisende, che dopo la morte del marito, il vecchio signore di Vivers, aveva preso il velo a Polesworth per sottrarsi alle fastidiose esortazioni a risposarsi? Chi altri se non sorella Benedicta, mandata dal vescovo al nuovo monastero di Farewell, a catechizzare le giovani novizie? Sorella Benedicta, capace di ammaliare fiori e uccelli, sino a far crescere più rigogliosi gli uni e indurre gli altri a posarsi sulla sua mano? Helisende doveva essere al corrente di quel trasferimento e sapeva già dove cercare rifugio, quando ne aveva avuto bisogno. Dove sarebbe potuta andare, se non da sua madre? Assorto in quei pensieri, Cadfael non aveva più pensato ad Haluin, finché non lo richiamò alla realtà lui stesso, apparendo improvvisamente al suo fianco. Era riuscito in qualche modo a rimettersi in piedi senza il suo aiuto e ora si guardava intorno compiaciuto, nel chiostro dove alla luce velata del sole si mescolavano umide ombre. Poi il suo sguardo cadde sulla monaca e lui s'irrigidì bruscamente, barcollando sulle grucce con gli occhi sbarrati e fissi come nello stupore di una visione soprannaturale, mentre le sue labbra pronunziavano quasi senza voce un nome. Quasi, ma non del tutto, perché Cadfael lo udì. Tra meraviglia, gioia e pena, col tono trasognato dell'uomo rapito in un'estasi mistica: «Bertrade!» sussurrò Haluin. CAPITOLO XI Nessun dubbio era possibile, sull'esattezza di quel nome, pronunziato con tanta sicurezza da Haluin, e se Cadfael si aggrappò a tutta prima a una rassicurante, ragionevole incredulità, si ricredette subito di fronte all'inconfutabile evidenza. Haluin non aveva alcun dubbio, alcuna incertezza, quelli erano il nome e la donna che non aveva mai dimenticato: Bertrade! L'apparizione improvvisa di sua figlia lo aveva sconvolto, a Vivers, tan-
to la copia che si stagliava contro la luce assomigliava all'originale, ma non appena Helisende era entrata nel vestibolo ben illuminato la somiglianza si era attenuata, la visione era svanita, lasciando al suo posto una fanciulla che egli non conosceva. Adesso era là di nuovo e girava verso di lui il viso indimenticato e pianto, e nessun dubbio era possibile. Bertrade non era morta. Cadfael faticò ad accettare quella rivelazione. La tomba sulla quale Haluin aveva pregato e penato non era la sua. Non era stata uccisa dalla pozione che avrebbe dovuto liberarla del suo bambino, era scampata a quel pericolo e a quel dolore, l'avevano sposata a un uomo tanto più vecchio di lei e aveva dato alla luce una figlia che era il suo ritratto per figura e portamento. E finché era vissuto il vecchio signore aveva impegnato tutta se stessa per essere una brava moglie e madre, ma dopo la sua morte aveva rinunciato al mondo per seguire il suo primo e unico amore nella vita monastica, scegliendo il suo stesso ordine e sottoponendosi alla stessa disciplina alla quale lui si era sottoposto. Allora perché, argomentò un incorreggibile monello nella mente di Cadfael, perché tu - tu, non Haluin! - hai notato sul viso di quella fanciulla a Vivers qualcosa di familiare che non sapevi spiegarti? Che cosa si celava in fondo alle caverne della tua memoria, rifiutando di rivelarsi? Helisende l'hai incontrata là per la prima volta e sua madre non l'avevi mai vista in vita tua. Chi ti guardava con i suoi occhi e avrebbe poi sollevato un velo non era Bertrade de Clary. Un tumulto di pensieri che sfociarono nel lampo di una rivelazione pochi istanti prima che Helisende stessa venisse a raggiungere la madre nel chiostro. Non aveva indosso il saio, portava lo stesso vestito della sera precedente, a cena, ed era pallida e seria, ma tranquilla nella pace del convento, al sicuro da ogni costrizione e con tutto il tempo per riflettere e chiedere consiglio. Con l'orlo delle vesti che tracciava un sentiero più scuro tra il verde argenteo dell'erba umida, madre e figlia si avviarono insieme verso la chiesa per unirsi alle sorelle nella prima funzione del mattino. Se ne andavano, fra un momento sarebbero sparite e niente era stato detto, niente chiarito! E Haluin era sempre là, aggrappato alle sue stampelle, muto, immobile e costernato... ma non voleva perderla di nuovo. Le due donne erano ormai al margine del chiostro, l'ultima speranza stava per morire. «Bertrade!» gridò Haluin, in un impeto di terrore e di disperazione. Bertrade ed Helisende si fermarono bruscamente, voltandosi a guardarlo stupite e allarmate, mentre lui, riscuotendosi con uno sforzo da quella sorta
di doloroso intontimento che lo paralizzava, avanzava verso di loro, senza badare dove posava le grucce. Le due donne indietreggiarono istintivamente, ma si fermarono subito al vederlo così storpio, e mossero persino qualche passo per andargli incontro, spinte dalla compassione. Per un momento non vi fu altro che quello, la pietà per un povero zoppo, poi tutto cambiò a un tratto. Nella fretta di raggiungerle, Haluin inciampò, perse per un attimo l'equilibrio, rischiando di cadere, ed Helisende, commossa, fece un balzo avanti, tendendo le braccia per sorreggerlo, ma il suo peso li fece barcollare entrambi, e i due, nel sostenersi a vicenda, si trovarono quasi a guancia a guancia, e Cadfael ebbe così per qualche momento sotto gli occhi le due facce, l'una accanto all'altra. Ecco finalmente la risposta che cercava. Ora sapeva tutto ciò che v'era da sapere, tutto tranne quale furioso livore poteva avere indotto un essere umano a compiere un'azione tanto spregevole e crudele ai danni di un suo simile. Ma anche quella risposta l'avrebbe trovata non molto lontano. A quanto pareva, quella era l'ora delle rivelazioni, perché Bertrade de Clary, osservando con maggiore attenzione quel monaco sconosciuto, si rese conto che non era affatto uno sconosciuto. «Haluin!» Non vi fu altro, non ancora. Soltanto il reciproco riconoscimento e la comprensione d'ambo le parti di errori e dolori mai pienamente compresi, dapprincipio amari e terribili, ma presto cancellati da un'immensa ondata di gratitudine e di gioia. Rimasero tutti e tre a guardarsi per qualche momento muti e immobili, come affascinati, poi li riscossero i rintocchi della campana per le funzioni del mattino, il segnale che tra poco sarebbero sopraggiunte in processione le sorelle dirette alla chiesa. Le due donne, ancora con lo stupore scritto in volto, si allontanarono lentamente per rispondere all'appello e unirsi alle sorelle, mentre Cadfael si avvicinava al confratello e lo prendeva garbatamente per un braccio, guidandolo, come se fosse un sonnambulo, verso la foresteria. «Non era morta, non era morta», mormorò Haluin rigidamente seduto sull'orlo del letto, ripetendo quelle parole quasi per se stesso, come se stentasse a crederlo. «Tutto falso, falso, falso! Non era morta!» Cadfael non aprì bocca. Non era ancora il momento di parlare di ciò che si nascondeva dietro quel miracolo. Per ora la mente scossa di Haluin non vedeva più in là del semplice fatto, la gioia di avere ritrovato, viva e sana,
la donna che lui aveva pianto così a lungo come morta, e morta per colpa sua; lo sconcerto e lo sdegno per essere stato lasciato in preda al dolore e al rimorso per tanti anni. «Debbo parlare con lei», dichiarò Haluin. «Non posso andarmene senza averle parlato.» «No, certo», lo rassicurò Cadfael. Era inevitabile, ormai. Si erano incontrati, si erano rivisti, non si poteva più tornare indietro. Il forziere ermeticamente chiuso era stato aperto, i segreti che conteneva stavano rotolando fuori, nessuno avrebbe più potuto richiudere il coperchio su di loro. «Non possiamo andarcene oggi», insistette Haluin. «Non ce ne andremo. Pazientate un poco. Vado a chiedere udienza alla madre superiora.» La badessa di Farewell, portata dal vescovo da Coventry per dirigere il suo nuovo monastero, era più o meno sui quarantacinque anni, tozza e tonda come una pagnotta, col viso colorito e penetranti occhi scuri che soppesavano e misuravano al primo sguardo, certi del proprio giudizio. Quando arrivò Cadfael, sedeva bene eretta su una panca nel suo piccolo, spartano salottino, e si affrettò a chiudere il libro sullo scrittoio davanti a lei, al vederlo. «Benvenuto nella nostra modesta casa, fratello. Sorella Ursula mi ha detto che venite dall'abbazia dei Santi Pietro e Paolo di Shrewsbury. Intendevo invitare voi e il vostro compagno a pranzare con me, ma voi mi avete preceduta chiedendomi questa udienza. Per un valido motivo, suppongo. Sedete, fratello, e ditemi che cosa desiderate.» Cadfael sedette, riflettendo su quanto fosse conveniente dire o tacere. La badessa sarebbe stata senza dubbio capace di riempire per proprio conto i vuoti, giudicò, ma era anche dotata di una scrupolosa discrezione che l'avrebbe indotta a tenere per sé quanto avesse letto tra le righe. «Reverenda madre, vengo a chiedervi di acconsentire a un colloquio privato tra il mio confratello Haluin e sorella Benedicta.» Madre Patrice corrugò la fronte, ma i suoi occhi rimasero imperscrutabili, perspicaci come sempre. «Da giovani», continuò il monaco, «vivevano nella stessa casa. Lui era al servizio di Adelais de Clary, la madre di sorella Benedicta, e trovandosi sempre così vicini, e della stessa età, finirono con l'innamorarsi l'uno dell'altra. Ma Adelais non vedeva di buon occhio quell'attaccamento e decise
di separarli. Cacciò di casa Haluin, proibendogli di vedere ancora la fanciulla e convinse lei ad accettare un matrimonio più adatto alla sua famiglia. Il seguito lo conoscete senza dubbio anche voi. Haluin entrò in convento, non per vocazione ma per la disperazione, lo ammette lui stesso. Un motivo che tuttavia, per quanto riprovevole, ha indotto a indossare il saio molti altri, che sono stati poi fedeli e devoti servi di Dio. Così è stato per Haluin e, ne sono certo, per Bertrade de Clary.» A Cadfael non sfuggì il lampo di stupore negli occhi della badessa all'udire quel nome. Probabilmente ignorava ben poco di quanto riguardava il suo gregge, ma se sul conto di Bertrade sapeva più di quanto aveva detto lui, non ne diede segno. «Mi sembra», ribatté, «che una situazione simile minacci di ripetersi in un'altra generazione. Le circostanze non sono le stesse, ma potrebbe esserlo il risultato. Sarà bene studiare in tempo come comportarci in questo caso.» «Ci ho pensato anch'io. Voi come avete agito finora? Da quando la ragazza si è precipitata qui, a tarda sera? Perché tutti gli uomini di Vivers sono fuori da due giorni a cercarla, perlustrando ogni strada.» «Non più, perché io stessa ho mandato ieri ad avvertire suo fratello che è con noi e chiedergli di lasciarla in pace per un poco, a riflettere e pregare. Penso che rispetterà il suo desiderio, date le circostanze.» «Delle quali lei vi ha parlato senza riserve», asserì con sicurezza Cadfael. «Per quanto ne sa, almeno.» «Sì.» «Dunque sapete della morte di una donna e del matrimonio combinato per Helisende. E anche del motivo per cui era stato combinato?» «So che è parente troppo stretta del giovane che lei avrebbe voluto. Sì, me lo ha detto e penso che lo abbia rivelato anche al suo confessore. Non preoccupatevi per Helisende. Qui nessuno potrà molestarla e ha il conforto di essere vicina a sua madre.» «Non potrebbe essere in un posto migliore», convenne calorosamente il monaco. «Ora, riguardo al motivo che mi ha condotto da voi, dovete sapere che ad Haluin era stato detto che Bertrade era morta e lui non ne ha mai dubitato in tutti questi anni, addossandosene addirittura la colpa. Ma stamattina, per grazia di Dio, se l'è vista davanti viva e vegeta. Non hanno scambiato una parola, all'infuori del loro nome, e penso che invece dovrebbero avere la possibilità di farlo, se voi acconsentite. Servirebbero meglio la propria vocazione, con il cuore in pace. E hanno pure il diritto di
sapere, ognuno, che l'altro sta bene, ed è felice e appagato.» «E pensate che lo sarebbero, dopo? Come prima?» domandò dubbiosa madre Patrice. «Meglio di prima», affermò convinto Cadfael. «Se fossero separati di nuovo, senza aver potuto dirsi niente, ne sarebbero angustiati per tutto il resto della loro vita.» «Non vorrei certo assumermi questa responsabilità davanti a Dio», esclamò la badessa con un fugace, pallido sorriso. «Bene, avranno ciò che chiedete, se questo potrà servire a dar pace al loro cuore. Male non può fare. Pensate di trattenervi qui ancora per qualche giorno, voi?» «Almeno fino a domani. Perché ho qualcos'altro da chiedervi. Lascio a voi fratello Haluin. Io debbo trovare la risposta a un certo interrogativo, prima di tornare a casa. Ma non qui. Volete prestarmi uno dei vostri cavalli?» Lei lo scrutò a lungo e parve soddisfatta di quello che vedeva perché, alla fine, disse: «A una condizione». «Quale?» «Che al ritorno mi raccontiate l'altra metà della storia.» Il vescovo si era preoccupato di dotare il nuovo monastero di una comoda scuderia per le sue visite e di lasciarvi sempre due robusti cavalli da sella di rimonta per il caso che qualcuno dei suoi inviati venisse da quelle parti e decidesse di chiedere ospitalità al convento. Cadfael, naturalmente, scelse il migliore, un bel baio giovane e vigoroso. Il viaggio che doveva compiere non era lungo, ma, già che ne aveva l'occasione, tanto valeva che cercasse di ricavare il maggior piacere da quella cavalcata. Quando varcò la porta della cinta, il sole era già alto, e si fece sempre più limpido e splendente, diffondendo nell'aria un tepore decisamente primaverile. La verde filigrana delle gemme su alberi e cespugli era sbocciata in un delicato piumaggio di nuove foglie, l'erba umida luccicava e ne emanava un lieve, fragrante vapore sotto il sole. Tanta bellezza intorno e lui si lasciava alle spalle una grazia insperata, una giusta consolazione e una rinnovata speranza. E davanti a sé aveva un'anima solitaria da assolvere o condannare. Non prese la strada per Vivers, non era quella la sua meta. Quando si fermò a guardarsi indietro, la lunga linea della cinta del monastero era
scomparsa tra le pieghe del terreno e nemmeno il paese si vedeva più. Haluin doveva essere là ad aspettare, brancolando in un sogno confuso, assillato da domande che non potevano avere risposta, dibattuto finché la badessa non l'avesse fatto chiamare per l'incontro che avrebbe finalmente chiarito tutto quanto. Cadfael proseguì lentamente, con la speranza di trovare qualcuno cui chiedere informazioni sulla via da seguire. Lo trovò in una donna che stava portando alcune pecore al pascolo e che si fermò cortesemente, indicandogli la più breve. Passava lontano da Vivers, e tanto meglio, perché lui non aveva alcun desiderio d'incontrare Cenred o i suoi uomini, ora. Raggiunta quella strada, Cadfael procedette più rapido e sicuro, finché non smontò al portone del maniero di Elford. Più tardi, quando il sole si era ormai spogliato del suo velo e l'erba nel chiostro era asciutta, la giovane sorella portinaia bussò alla porta ed entrò nella stanza dove Haluin si macerava in una solitudine infestata dagli spettri. Lui, che si era aspettato di vedere Cadfael, la guardò con occhi ancora spalancati e vacui per lo stupore. «Mi manda la madre badessa», spiegò la monaca con cortese sollecitudine, poiché sembrava che egli fosse quasi al di là di ogni comprensione, «a pregarvi di raggiungerla nel suo salottino. Se volete venire con me, vi mostrerò la strada.» Obbediente, Haluin prese le stampelle. «Fratello Cadfael è uscito e non è ancora tornato», mormorò girando lo sguardo intorno come se si fosse appena svegliato. «È invitato anche lui? Non dovrei aspettarlo?» «Non è necessario. Ha già parlato con madre Patrice e aveva qualcosa da fare, ha detto.» Alzatosi faticosamente in piedi, Haluin uscì con lei, seguendola con aria assente nel cortile posteriore dov'era l'alloggio della badessa. La giovane portinaia commisurò il proprio passo al suo, guidandolo senza fretta sino alla porta del salottino, dove si fermò, con un sorriso incoraggiante. «Entrate pure, siete atteso.» Gli tenne aperta la porta, perché lui aveva bisogno di ambe le mani per reggersi sulle grucce, e Haluin avanzò esitante nella piccola stanza odorosa di legno e scarsamente illuminata, fermandosi appena oltre la soglia per fare il debito inchino alla madre superiora. Ma si raddrizzò di scatto, immobile e tremante mentre i suoi occhi si abituavano alla penombra. Perché la donna che lo aspettava là, ritta al centro del salottino, con un sorriso mera-
viglioso e le mani istintivamente tese per aiutarlo, non era la madre superiora, ma Bertrade de Clary. CAPITOLO XII Lo stalliere accorso ad accogliere il visitatore e chiedergli lo scopo della sua visita non era né Lothar né Luc, ma uno spilungone sui vent'anni, con una gran massa di capelli scuri. Nel cortile dietro di lui non ferveva la consueta attività, soltanto qualche servitore attendeva senza fretta ai propri compiti, quasi svogliatamente, come se nessuno vi badasse. A quanto pareva, il signore del maniero e la maggior parte dei suoi uomini erano tuttora fuori, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse condurli all'assassino di Edgytha. «Se desiderate parlare con Lord Audemar», disse il ragazzo, «siete sfortunato. È andato a Vivers, per sentire se possono dirgli qualcosa riguardo a quella donna che è stata uccisa un paio di giorni fa. Però c'è il suo sovrintendente, è meglio che v'incontriate con lui, se cercate ospitalità.» «Vi ringrazio», ribatté Cadfael, consegnandogli le briglie. «Ma non è Lord Audemar lo scopo della mia visita. Desidero vedere sua madre. So già dove sono le sue stanze. Se mi fate il favore di occuparvi voi del mio cavallo, posso andarci da solo. Pregherò la sua cameriera di chiedere alla signora se vuole essere tanto buona da concedermi un colloquio.» «Come volete, allora. Siete già stato qui, vero?» aggiunse il giovane stalliere, strizzando gli occhi incuriositi, fissi sul visitatore. «Sì, me lo ricordo. Pochi giorni fa, con un vostro confratello che usava le stampelle.» «Esatto. E ho parlato con la signora, non si sarà certo dimenticata di noi. Se rifiuta di vedermi, pazienza, non insisterò. Ma non credo sarà così.» «Bene, andate allora», acconsentì il giovane stalliere, alzando le spalle. «So che è in casa. Esce poco, in questi giorni.» «Aveva due stallieri con sé, padre e figlio, che si era portati dallo Shropshire. Avevamo fatto amicizia quand'eravamo qui e parlerei volentieri con loro, dopo, se non sono andati a Vivers con Lord Audemar.» «Ah, quelli? No, sono al servizio della signora, non hanno niente a che vedere con lui. Ma non sono qui, ora. Sono partiti ieri mattina presto. Li ha mandati la vecchia signora in qualche posto, ma non so dove. Probabilmente ad Hales, dove lei sta per la maggior parte del tempo.» Chissà, si domandò Cadfael avviandosi, se Adelais de Clary sarebbe contenta di sapere che i suoi domestici la chiamano «la vecchia signora».
Senza dubbio a quel ragazzo ignorante sembrava vecchia come le montagne, ma in realtà conservava, probabilmente con molta cura, buona parte della sua bellezza, e questo bisognava riconoscerlo. Non per niente aveva scelto come sua cameriera personale una donna tutt'altro che bella e col viso butterato, che metteva in risalto il suo splendore. Alla porta del vestibolo di Adelais, Cadfael chiese di poter parlare con la signora e poco dopo comparve Gerta, con l'aria altezzosa che si conveniva alla fedele guardiana dell'intimità della sua padrona e all'importanza della propria posizione. Cadfael non aveva detto il proprio nome e al vederlo la cameriera si fermò di botto, per nulla compiaciuta di rivedere così presto quel benedettino che non aveva alcun motivo per essere lì. «La mia signora non desidera ricevere visite. Che cosa c'è di tanto importante perché veniate a disturbarla? Se avete bisogno di cibo e di un letto, se ne occuperà il sovrintendente di Lord Audemar.» «Qualcosa che riguarda soltanto Lady Adelais e nessun altro. Ditele che c'è di nuovo fratello Cadfael, che viene dal monastero di Farewell e chiede di parlare con lei. Penso che non rifiuterà di ricevermi.» Gerta non era tanto ardita da assumersi la responsabilità di congedarlo lei stessa, benché se ne andasse scuotendo la testa con un'espressione di sdegno. Sarebbe certo stata felice di tornare con un deciso rifiuto, ma quando ricomparve il suo viso diceva chiaro che quel piacere le era stato negato. «La mia signora vi prega di accomodarvi», disse gelida spalancando la porta e sperando senza dubbio di poter assistere al colloquio. «Lasciateci», disse la voce di Adelais dall'ombra sotto una finestra con le imposte accostate. «E badate a chiudere bene la porta.» Questa volta non aveva alcun lavoro fra le mani, non finse di essere occupata a ricamare o filare, se ne stava semplicemente seduta su una grande poltrona, con le mani strette sulle teste di leone in capo ai braccioli. Non si mosse quando entrò Cadfael né diede segno di sorpresa o di fastidio. Quasi come se lo aspettasse. «Dove avete lasciato Haluin?» domandò. «Al monastero di Farewell.» Lei tacque per un poco, col viso impassibile e lo sguardo fisso sull'ospite con tale intensità che egli lo avvertì come una vibrazione dell'aria. «Non lo vedrò mai più», disse con recisa determinatezza. «No, non lo vedrete mai più davvero. E non vedrete più nemmeno me. Torneremo direttamente a Shrewsbury, dopo che avrò parlato con voi.»
«Ma voi... sì, lo sapevo che sareste tornato, prima o poi. Meglio così, forse. Le cose sono andate molto più in là di quanto potessi prevedere. Ditemi ciò che dovete, vi ascolterò in silenzio.» «Non potete farlo», ammonì Cadfael. «È la storia di una parte della vostra vita.» «Siate il mio cronista, allora. Raccontatemela! Rammentatemela! Fatemi sentire come suonerà all'orecchio del mio confessore, se mai ne avrò ancora uno.» Tese a un tratto una mano, lunga e bianca, indicando imperiosamente una seggiola, ma lui preferì restare in piedi dov'era, dove poteva vederla meglio. E Adelais non cercò di evitare il suo sguardo. Il suo bel viso altero era impassibile, insondabile, soltanto i suoi ardenti occhi scuri erano eloquenti, ma parlavano in una lingua che il monaco non sapeva tradurre. «Sapete fin troppo bene ciò che avete fatto», esordì. «Avete inflitto un tremendo castigo ad Haluin, perché aveva avuto la temerarietà di amare vostra figlia e metterla nei guai. Lo avete perseguitato persino nel chiostro dove il vostro odio lo aveva spinto... con troppa fretta, forse, ma i giovani si lasciano prendere facilmente dalla disperazione. Lo avete costretto a fornirvi i mezzi per provocare un aborto, facendogli poi credere che con quella pozione aveva ucciso mamma e bambino, una colpa inesistente che lo ha torturato per tutti questi anni. Avete detto qualcosa?» «No, continuate. Avete appena cominciato.» «Quell'intruglio non è mai stato usato. Doveva servire soltanto per avvelenare lui, non ha mai fatto male a nessun altro. E voi non ne avevate alcun bisogno. Molto prima di chiederlo ad Haluin e subito dopo averlo buttato fuori di casa vostra, vi siete affrettata a portare Bertrade qui a Elford e l'avete fatta sposare con Edric Vivers. Deve essere stato così, certamente è stato fatto in tempo per dare al suo bambino un padre credibile, anche se poco probabile, che dovette sentirsi orgoglioso di possedere ancora tanta virilità da poter generare un figlio. E voi avevate agito così in fretta che a nessuno sarebbe sorto il minimo dubbio riguardo alle date.» Adelais non si era mossa, non aveva battuto ciglio, non aveva mai distolto lo sguardo dal viso del monaco, senza negare o ammettere niente. «Non avete mai temuto», continuò Cadfael, «che potesse penetrare in qualche modo persino dentro le mura di un monastero la notizia che Bertrade de Clary era la sposa di Edric Vivers e non chiusa in una tomba? Che avesse dato al vecchio marito una figlia? Sarebbe bastato un visitatore occasionale con qualche propensione per il pettegolezzo.»
«Non esisteva alcun rischio del genere», disse semplicemente lei. «Quali rapporti v'erano tra Hales e Shrewsbury? Nessuno, finché Haluin non è caduto da quel tetto e ha progettato il suo pellegrinaggio. Né era pensabile che potesse mai esservene qualcuno con manieri di un'altra contea.» «Bene, proseguiamo. Avete portato via entrambi vivi. È nata la sua bambina. Almeno questa clemenza l'avete avuta per lei, perché non per lui? Perché un odio tanto cocente e implacabile da farvi concepire una vendetta spietata? Non per ciò che era accaduto a vostra figlia, no! Perché non avete ritenuto Haluin un marito adatto per lei, in primo luogo? Apparteneva a un'ottima famiglia, avrebbe ereditato un ricco maniero, se non avesse indossato il saio. Che cos'avevate da rimproverargli? Eravate una bella donna, abituata all'ammirazione e agli omaggi. Vostro marito era in Palestina. E ricordo bene com'era Haluin quand'è venuto da me la prima volta, all'età di diciotto anni e ancora senza la tonsura. L'ho visto come lo avevate visto voi per alcuni anni nella vostra solitudine di temporanea vedova... un bel giovane...» Cadfael non finì la frase, perché le labbra ostinatamente chiuse di Adelais si erano finalmente aperte per parlare. Lo aveva ascoltato senza fare un cenno, senza né interromperlo né protestare. A quel punto reagì. «Troppo bello!» proruppe. «Io non ero avvezza alle ripulse, non avevo neppure idea di come si conquistasse un uomo e Haluin era troppo innocente per arrivare a leggermi nel cuore. Come sanno ferire con la loro innocenza bambini simili! E allora, se non potevo averlo io, non doveva averlo nemmeno lei. Nessun'altra donna doveva possederlo, ma lei meno di tutte!» Adelais non aggiunse altro, riflettendo in silenzio sulle proprie parole, come se vedesse in un'altra donna ciò che lei non poteva più sentire con la stessa intensità, la bramosia e la collera. «C'è dell'altro», osservò il monaco. «Molto di più. Quella vostra Edgytha, la confidente sicura che vi occorreva, l'unica che conoscesse la verità. Avete mandato lei a Vivers con Bertrade e, leale e devota com'era, ha conservato il vostro segreto e collaborato alla vostra vendetta per tutti questi anni. Eravate certa di poter contare per sempre sul suo silenzio e così sarebbe stato se non fosse sorto il problema di Roscelin ed Helisende che, cresciuti insieme come un fratello e una sorella, finirono con l'amarsi come un uomo e una donna. Sapendo, ma non tenendone conto, che il mondo lo avrebbe considerato un amore colpevole, immorale, condannato dalla Chiesa. Quando il segreto divenne una barriera fra loro - una barriera che
in realtà non esisteva -, quando Roscelin fu esiliato a Elford e il matrimonio con de Perronet fece prevedere una separazione definitiva, Edgytha non poté sopportarlo. Si precipitò qui di notte, non a cercare Roscelin ma voi! Per pregarvi di dire finalmente la verità o permettere a lei di dirla.» «Mi sono chiesta come avesse saputo che ero qui», confessò Adelais. «Glielo avevo detto io. Io l'ho mandata involontariamente da voi, a supplicarvi di cancellare quell'ombra tra due ragazzi innocenti. Per puro caso ho accennato alla nostra visita a Elford, dove avevamo parlato con voi. Io l'ho mandata incontro alla morte, com'è stato Haluin a farvi correre qui a precipizio per scongiurare il pericolo di qualche perniciosa scoperta. Siamo stati lo strumento dei vostri misfatti, noi che non vi abbiamo mai augurato altro che bene. Riflettete dunque su ciò che potete ancora salvare.» «Continuate!» ribatté aspramente lei. «Non avete ancora finito.» «No, non ancora. Vi siete rifiutata di acconsentire a quanto vi chiedeva Edgytha e l'avete rimandata a Vivers in preda alla disperazione. Quello che le è accaduto mentre tornava lo sapete già.» Adelais non negò niente. Era pallida, col viso leggermente contratto, ma i suoi occhi rimasero impassibili. «Avrebbe rivelato la verità, nonostante il vostro divieto?» proseguì Cadfael. «Non lo sapremo mai. Ma qualcuno parimenti devoto a voi udì per caso quanto bastava perché si rendesse conto del pericolo che avreste corso se lo avesse fatto. Così l'ha seguita e le ha chiuso la bocca per sempre. Oh, no, non voi, certo! Avevate altri strumenti da usare. Ma una parolina avreste potuto sussurrarla all'orecchio giusto.» «No!» esclamò Adelais. «Non ho mai fatto niente di simile! A meno che non abbia parlato per me il mio viso. Ma in tal caso avrebbe mentito. Non le avrei mai fatto del male!» «Vi credo. Ma chi l'ha seguita? Padre e figlio tanto somiglianti, che sarebbero morti senza batter ciglio per voi, e senza batter ciglio uno di loro ha ucciso per voi. E ora sono spariti. Tornati ad Hales? Ne dubito, non è abbastanza lontano. Qual è il vostro maniero più lontano?» «Non li troverete mai», dichiarò Adelais. «Quale dei due abbia commesso un delitto che forse avrei potuto impedire non lo so, e non voglio saperlo. Ho tappato loro la bocca quando hanno cercato di dirmelo. A che pro? La colpa, come tutto il resto, è soltanto mia, non intendo addossarla ad altri. Sì, li ho mandati via, non tocca a loro pagare i miei debiti. Aver seppellito onorevolmente Edgytha è stata una ben povera ammenda. Confessione, penitenza, la stessa assoluzione non possono restituire una vita.»
«Un'altra ammenda può ancora essere fatta», ribatté Cadfael. «Inoltre penso che un prezzo non esiguo lo abbiate pagato pure voi, nel corso di tanti anni. Ho visto il vostro viso quando ve lo siete ritrovato davanti in quelle condizioni, ho udito la vostra voce angosciata. Chi vi ha ridotto in questo stato? Quello che avete fatto a lui lo avete fatto anche a voi stessa e non si può più ripararlo, ma ora potete rimediare almeno a un danno, se volete. Sta a voi decidere.» «Avanti, parlate», lo esortò lei, benché sapesse bene che cosa l'aspettava. Il monaco lo capì dalla compostezza che aveva sempre mantenuto. Senza dubbio era stata ad aspettare nella sua stanza in penombra che il dito di Dio si appuntasse contro di lei. «Helisende non è figlia di Edric ma di Haluin», disse. «Non c'è una goccia di sangue dei Vivers nelle sue vene. Niente le impedisce di sposare Roscelin, se lo desidera. Lo vogliono entrambi ed è ora che venga tolta loro di dosso l'ombra di un amore incestuoso. Deve venire finalmente a galla la verità, com'è già accaduto a Farewell. Haluin e Bertrade sono là, insieme, artefici ognuno della pace dell'altro, e c'è Helisende, la loro bambina, con loro, la verità è già uscita dalla tomba.» Adelais sapeva, lo sapeva fin da quando era morta Edgytha, che doveva venir fuori tutto, alla fine, e se aveva distolto deliberatamente gli occhi e rifiutato di riconoscerlo persino con se stessa, non poteva più farlo ora. Né era donna da delegare ad altri un difficile compito, una volta presa una decisione, o da fare le cose a metà, bene o male che fosse. Cadfael non volle influenzarla. Si allontanò di qualche passo e si tenne in disparte per lasciarle il tempo necessario per riflettere, osservando la sua composta immobilità e pensando a quale doloroso fio avesse dovuto pagare in diciotto anni di silenzio, di odio spietato e di amore segreto. Le prime parole che udì da lei, ora, riguardavano ancora Haluin e l'angoscia le faceva tremare la voce. Adelais si alzò all'improvviso e andò ad aprire le imposte della finestra, lasciando entrare aria, luce e freddo, poi rimase per qualche momento a guardare il cortile silenzioso, il cielo chiaro macchiato qui e là da candide nuvolette e il velo verde sugli alberi oltre il muro di cinta. E quando si voltò verso di lui, col viso in piena luce, Cadfael poté vedere a un tempo, come in una duplice visione, la sua intramontabile bellezza e i lievi segni degli anni che la incrinavano: il collo un po' floscio, piccole rughe agli angoli della bocca e degli occhi, le guance non più vellutate, qualche filo grigio tra il nero dei capelli. E lei era forte, non avrebbe abbandonato facilmente
il proprio imperio. Sarebbe vissuta a lungo, battendosi con accanimento contro gli implacabili assalti della vecchiezza, finché la morte non l'avesse sconfitta e liberata a un tempo. La sua stessa natura sarebbe stata la sua penitenza. «No!» proruppe ora in tono brusco e autoritario, come se Cadfael avesse suggerito qualcosa su cui lei non era d'accordo. «No, non voglio avvocati, nessuno mi toglierà ciò che spetta a me. Quello che deve essere detto, lo dirò io e nessun altro! Come sarebbero andate le cose se non foste mai venuto da me, voi con la mano eternamente posata sul gomito di Haluin e quei vostri occhi impenetrabili nei quali non sono mai riuscita a leggere, non lo so. E voi? Comunque non ha più importanza, ormai. Quanto rimane da fare, sarò io a compierlo!» «Se volete che me ne vada...» replicò il monaco. «Non avete più bisogno di me.» «Come avvocato no. Come testimone, forse! Perché defraudarvi della conclusione? Sì, sì!» affermò Adelais, con gli occhi scintillanti. «Verrete con me e assisterete al gran finale. Vi debbo questa soddisfazione, e debbo rispondere a Dio di una morte.» Cadfael ripartì a cavallo con lei, obbediente al comando. Perché no? Doveva comunque tornare a Farewell e la strada per Vivers andava bene come qualsiasi altra. Il dramma era ormai alla fine, dopo quell'ultima scena non vi sarebbero più stati ritardi o impacci. A differenza dell'altra volta, quando l'aveva vista dignitosamente seduta sul grande cuscino dietro il cavaliere, come si conveniva a una dama del suo rango e della sua età, ora Adelais, in stivali e speroni, inforcava mascolinamente il cavallo, eretta e a proprio agio sulla sella, procedendo a passo veloce ma sicuro, sempre ugualmente risoluta nella sconfitta come nella vittoria. Cadfael non poté fare a meno di chiedersi se non fosse tentata di celare una parte della verità per sminuire le proprie responsabilità, ma la calma assoluta del suo viso lo rassicurò. Non avrebbe nascosto niente, né cercato scuse o pretesti. Ciò che aveva fatto, lo avrebbe dichiarato apertamente. Se poi ne fosse pentita o no, sarebbe stato soltanto Dio a saperlo. CAPITOLO XIII Giunsero a Vivers un'ora dopo mezzogiorno. Il portone era spalancato e
il trambusto nel cortile si era acquietato, soltanto pochi servitori si aggiravano qui e là occupati nelle faccende consuete. Evidentemente il messaggero della badessa era già ripartito e Cenred aveva aderito al desiderio di Helisende di essere lasciata ancora per un poco tranquilla nella pace del suo rifugio. Esonerati da una ricerca, gli uomini di Audemar sarebbero stati liberi di dedicarsi col massimo impegno all'altra, la caccia all'assassino. Che non avrebbero mai trovato! Col buio e la neve, chi mai poteva essere in giro per i boschi, assistendo così a un omicidio? Del quale, in ogni caso, non avrebbe potuto riconoscere il colpevole, uno stalliere di Hales, lontano miglia e miglia! Il sovrintendente di Cenred, che stava attraversando il cortile quando entrarono i due visitatori, riconobbe Adelais e accorse per aiutarla, ma lei smontò senza aiuto prima che potesse raggiungerla. Abbassò con cura le gonne e si guardò intorno, cercando con gli occhi qualcuno degli uomini di suo figlio. Cadfael aveva già notato che non se ne vedeva nessuno, non dovevano essere ancora tornati da Elford, e Adelais corrugò la fronte al pensiero di dover aspettare e tenersi più a lungo in cuore ciò che aveva da dire. Una volta presa quella decisione, non le garbava incontrare ostacoli. «È in casa il vostro signore?» domandò al sovrintendente. «Sì, Milady.» «E anche mio figlio?» «Anche lui, Milady. È tornato da poco e i suoi uomini sono ancora fuori con i nostri, a interrogare gli abitanti per miglia intorno.» «Tempo sprecato!» disse lei, più a se stessa che a lui. «Bene, sono contenta che siano qui entrambi. No, non importa che li avvertiate del mio arrivo, vado direttamente da loro. Quanto a fratello Cadfael, questa volta è venuto ad accompagnare me, non come ospite.» Il sovrintendente, che forse non aveva fatto molta attenzione al secondo cavaliere, lo fece ora, probabilmente chiedendosi, immaginò il monaco, che cosa avesse ricondotto lì il benedettino, oltretutto senza il suo strano confratello. Ma non v'era tempo per domande. Adelais si era era avviata risolutamente verso la gradinata che portava al vestibolo e Cadfael la seguì doverosamente, lasciando il sovrintendente a osservarli perplesso e incuriosito. Nel vestibolo, i domestici stavano sparecchiando dopo il pranzo e Adelais passò tra loro senza una parola né un'occhiata diretta, con passo sicuro, alla porta del salone, dietro il pesante tendaggio. Dall'interno proveniva un mormorio di voci, attenuate dalla cortina ma chiaramente riconoscibili:
quella profonda di Cenred e quella più vivace e giovanile di Jean de Perronet. Il pretendente non se n'era andato, era rimasto ad aspettare cocciuto il suo momento. Tanto meglio, pensò Cadfael. Aveva il diritto di sapere quale formidabile ostacolo si trovava ora sulla sua strada. Non aveva fatto niente di men che corretto, gli si doveva un comportamento leale. Adelais scostò bruscamente la tenda e spalancò la porta. Erano tutti lì, a scambiarsi considerazioni e suggerimenti su una situazione che li lasciava sconfitti e impotenti. Se qualcuno nei dintorni avesse saputo qualcosa lo avrebbe già detto e quand'anche Audemar avesse pensato di contare i servitori di sua madre e nutrito qualche sospetto sui due che mancavano, lei si sarebbe messa risolutamente di mezzo fra lui e loro. Ovunque fossero ora Lothair e Luc, per quanto sconcertata e sconvolta potesse essere Adelais dal tremendo errore che avevano commesso per amor suo, non avrebbe mai permesso che si addebitasse loro un prezzo che riteneva di dover essere lei a pagare. Al rumore della porta che si apriva, tutti girarono di scatto la testa per vedere chi entrava, perché nessun servitore l'avrebbe spalancata così, senza riguardo. Gli occhi di Adelais passarono dall'uno all'altro dei volti stupiti, Audemar e Cenred seduti accanto al tavolo con una coppa di vino davanti, Emma in disparte col suo telaio da ricamo, ma senza badare troppo al suo lavoro, aspettando al meglio che la vita riprendesse il proprio corso abituale. E l'estraneo... Cadfael capì che lei non aveva mai visto de Perronet, ma dopo essere rimasta a osservarlo per qualche momento intuì che era il promesso sposo. Le sue labbra si socchiusero in un mesto sorriso, prima che i suoi occhi si posassero su Roscelin. Sedeva solo in un angolo dove aveva sott'occhio tutta la compagnia, come se prevedesse una battaglia imminente e si tenesse pronto ad affrontarla, rigido ed eretto su una panca contro la parete, con la testa alta e le labbra strette. A quanto pareva, si era rassegnato al desiderio di Helisende di essere lasciata in pace a Farewell, ma non aveva perdonato quei cospiratori che avevano progettato di farla sposare a sua insaputa, togliendogli anche l'ultima, folle speranza che lo aveva sostenuto. Il suo rancore verso il padre si estendeva come per contagio a de Perronet, persino ad Audemar de Clary, nella casa del quale era stato esiliato per togliere di mezzo l'ostacolo ai loro progetti. Come poteva essere certo che non fosse stato complice anche in qualcosa di più? Un viso per sua natura aperto, amabile e vivace ora si volgeva verso di loro chiuso, sospettoso e ostile. Un altro giovane troppo bello per il suo stesso bene, che attirava indebito amore come un fiore atti-
ra le api. Il momento di vacua sorpresa passò. Cenred fu subito in piedi con ospitale premura, con una mano tesa a prendere quella della visitatrice, e l'accompagnò verso una seggiola accanto al tavolo. «Benvenuta nella mia casa, Milady! È un onore per me!» Ma Audemar non parve altrettanto soddisfatto. «Che cosa vi ha indotta a venire qui, signora?» domandò accigliato. «E senza scorta?» Gli accomodava di più che una madre dal carattere così ferreo si esiliasse nel lontano maniero di Hales, con tutta la sua corte. Al vederli ora a faccia a faccia, Cadfael notò una straordinaria somiglianza fra loro. Senza dubbio nutrivano un reciproco affetto, ma doveva essere difficile per quei due convivere nella stessa casa. «Non era necessario che vi scomodaste», continuò Audemar. «Non potreste fare più di quanto è già stato fatto.» Adelais si lasciò condurre fino al centro della stanza, ma là si fermò, liberando risolutamente la mano, sola e sotto gli occhi di tutti. «Era necessario, sì», dichiarò, guardando a turno i volti attenti. «E non sono venuta senza scorta. Ho fratello Cadfael con me. È appena arrivato dal monastero di Farewell e tornerà là, quando avremo finito.» Fissò l'uno dopo l'altro i due giovani, dallo sposo privilegiato all'innamorato infelice, che la guardavano entrambi circospetti, intuendo che lei stava per rivelare qualcosa di grave, ma incapaci d'immaginare cosa. «Sono contenta di trovarvi qui tutti assieme», riprese Adelais. «Così avrò da dire una volta sola ciò che devo.» Non doveva mai essere stato difficile per lei attirare su di sé l'attenzione generale, ovunque andasse, rifletté Cadfael. Non appena entrata in una stanza, diventava il punto focale, la figura dominante su tutti. E ora tutti avevano gli occhi fissi su di lei, aspettando che parlasse. «A quanto ho sentito, Cenred», disse, «intendevate far sposare a vostra sorella, diciamo meglio sorellastra, questo giovane gentiluomo, due giorni fa. Con giusta ragione, forse, dato che si era affezionata un po' troppo a vostro figlio Roscelin, parimenti ricambiata, e un matrimonio che l'avesse portata ben lontano da qui avrebbe anche cancellato l'ombra di un sacrilego affetto che gravava sulla vostra casa e sul vostro erede. E nessuno può biasimarvi, era l'unica soluzione per voi, sapendo soltanto ciò che sapevate.» «Che altro c'era da sapere?» ribatté Cenred, perplesso. «Sono parenti stretti, lo sapete bene! Non avreste fatto lo stesso, voi, per salvaguardare vostra nipote da un tale errore, come io intendevo fare per mia sorella? Mi
sento responsabile per lei come per mio figlio, e mi è altrettanto cara. Ricordo bene il secondo matrimonio di mio padre. Ricordo il giorno in cui avete portato qui la sposa, e l'orgoglio di mio padre per la figlia che gli aveva dato. E, morto lui, debbo a Helisende le cure di un padre, oltre che di un fratello. Certo, ho cercato di proteggere lei e mio figlio, e lo desidero tuttora. Questo è soltanto un intoppo temporaneo. Messer de Perronet non ha ritirato la sua parola, né io la mia approvazione.» Audemar si era alzato e ora fissava la madre con la fronte aggrottata e un'espressione indecifrabile. «Che altro c'è da sapere?» ripeté, e benché la sua voce fosse pacata e sommessa, rivelava tuttavia una profonda contrarietà che per un'altra donna meno inflessibile avrebbe potuto suonare come una minaccia, ma Adelais sostenne il suo sguardo senza batter ciglio. «Questo!» dichiarò. «Che non dovete più preoccuparvi. Non v'è alcun ostacolo tra vostro figlio ed Helisende, Cenred, salvo quello che avete eretto voi. Potrebbero sposarsi oggi stesso, e non sarebbe affatto un incesto. Helisende non è vostra sorella, non è figlia di vostro padre. Non v'è una sola goccia del sangue dei Vivers nelle sue vene.» «Ma è una pazzia!» protestò lui, davanti a un'affermazione tanto inverosimile. «È nata e cresciuta qui, lo sappiamo tutti. Come potrebbe essere così, quando tutta la mia gente può testimoniare che sua madre era la moglie legittima di mio padre, che l'ha messa al mondo nel loro talamo nuziale, qui nella mia casa?» «Dopo averla concepita nella mia», ribatté Adelais. «Non mi stupisce che nessuno di voi abbia pensato a contare i giorni. Mia figlia era già gravida, quando l'ho portata qui.» Erano tutti in piedi, ora, tranne Emma, sempre seduta davanti al suo telaio, sbalordita, tra la bufera di esclamazioni di collera e d'incredulità che le turbinava intorno. Cenred era rimasto senza fiato, ma de Perronet andava strepitando che era una bugia, che la signora aveva perduto il senno e Roscelin lo affrontava eccitato, quasi fuori di sé, oscillando tra il rivale e Adelais, pregando, implorando che quanto lei aveva detto fosse vero. Finché Audemar non batté vigorosamente un pugno sul tavolo, alzando imperiosamente la voce per chiedere silenzio, mentre sua madre se ne stava rigida e immobile come una statua. Finalmente regnò il silenzio, totale e ininterrotto. Tutti gli sguardi erano fissi su Adelais, come se si potesse leggerle in viso la verità o la falsità delle sue parole. «Vi rendete conto di ciò che state dicendo?» domandò Audemar.
«Perfettamente, figlio mio. Me ne rendo conto, e so che è la verità. So che cosa ho fatto e so di essermi comportata in modo indegno. Non c'è bisogno che me lo dicano gli altri, lo dico io stessa. Ma l'ho fatto e né voi né io possiamo disfarlo. Sì, ho ingannato Lord Edric, sì, ho costretto mia figlia, sì, ho fatto entrare un figlio bastardo nella vostra famiglia. Ma dovevo proteggere il buon nome e l'eredità di mia figlia e assicurarle uno stato onorevole, come fareste voi, Cenred, per vostra sorella. Si è mai lamentato di qualcosa Edric? Credo proprio di no. È stata fonte di gioia per lui la sua supposta figlia? Senza dubbio. In tutti questi anni non mi sono mai fatta domande, ma ora Dio ha disposto diversamente e non me ne dispiace.» «Se tutto questo è vero», osservò Cenred con un vago sorriso, «Edgytha lo sapeva. Era venuta qui con Bertrade, doveva sapere tutto fin dall'inizio.» «Certo che lo sapeva», ammise Adelais. «E mi rammarico con tutto il cuore di averle proibito di parlare, quando mi ha chiesto di poter dire la verità, e tanto più mi duole ora che non possa essere qui a farmi da testimone. Ma c'è chi può farlo. Fratello Cadfael è stato al monastero di Farewell, dov'è ora Helisende, con sua madre. E per una strana combinazione c'è pure suo padre. Non è più possibile, ormai, chiudere gli occhi davanti alla verità.» «Li avete chiusi già abbastanza a lungo, signora, a quanto pare», osservò cupo Audemar. «È vero, e non è gran merito rivelarla ora, quand'è già venuta alla luce.» Seguì ancora qualche momento di silenzio, prima che Cenred domandasse: «Avete detto che è là... suo padre? Là a Farewell con loro due?» «Questo potrà dirvelo meglio di me fratello Cadfael, che li ha visti.» «Sì, tutti e tre», confermò il monaco. «È vero.» «Ma lui... questo padre, chi è?» domandò Audemar. Adelais raccontò tutto, senza mai abbassare gli occhi. «Era stato al mio servizio, un tempo. Un giovane di buona famiglia, di solo un anno maggiore di Bertrade. Desiderava essere accettato come suo pretendente, ma io mi sono opposta e loro... hanno fatto in modo di forzarmi la mano. No, forse sono ingiusta, forse non è stato un calcolo ma la disperazione perché lei non era meno innamorata di lui. Comunque fosse, ho cacciato il giovane da casa mia e ho portato qui Bertrade in tutta fretta, a concludere un matrimonio che Edric desiderava da tempo. E ho mentito, dicendo al suo innamorato che era morta, insieme col suo bambino, quando avevamo cercato di liberarla di quel fardello. Soltanto ora lui ha saputo di avere una figlia.» «E come mai», domandò Cenred, «l'ha trovata adesso, e in un luogo tan-
to appartato? Una storia così strana, scaturita com'è dal nulla, che stento a crederla!» «Bene, dovrete ricredervi, perché né voi né io possiamo disconoscere la verità o cambiarla. L'ha trovata per un misericordioso dono di Dio. Non vi basta?» Cenred si voltò spazientito verso Cadfael. «Fratello, siete stato mio ospite, voi, diteci dunque tutto ciò che sapete. È proprio vero, dopo tanti anni? E come sono arrivati a incontrarsi tutti e tre, alla fine?» «È la sacrosanta verità», confermò il monaco. «Si sono incontrati, hanno parlato fra di loro. E lui ha trovato madre e figlia a un tempo perché convinto che la sua amata fosse morta ed essendo scampato miracolosamente alla morte lui stesso, pochi mesi or sono, è stato portato a riflettere sulla caducità della vita umana e, nell'impossibilità di rivedere lei in questo mondo, ha deciso di recarsi in pellegrinaggio alla sua tomba e pregare per la sua pace nell'altro. Ma ad Hales, dove pensava che dovesse essere, non l'ha trovata e allora è venuto qui a Elford, dove sono sepolti tutti gli appartenenti alla vostra casata, Lord Audemar. Stavamo tornando finalmente a Shrewsbury, ieri sera, quando Dio ha voluto che ci fermassimo a chiedere ospitalità per la notte al monastero di Farewell, dove la signora che era stata la vostra matrigna è ora maestra delle novizie. Ed Helisende era corsa a cercare rifugio là, nella dolorosa situazione in cui si trovava. Così ora sono finalmente tutti sotto lo stesso tetto.» Dopo qualche momento di silenzio, Audemar osservò sommessamente: «Siete stato molto chiaro, fratello, ci avete spiegato molte cose, ma aggiungete qualcos'altro, ora... il nome del protagonista!» «È entrato in convento molti anni fa ed è un mio confratello all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo, a Shrewsbury. Quello che è venuto a Elford con me, camminando sulle grucce. Monaco e prete a un tempo, quello cui voi, Lord Cenred, avete chiesto di celebrare il matrimonio fra Helisende e l'uomo che avevate deciso di farle sposare. Fratello Haluin.» Ora la sorprendente verità aveva cominciato a farsi strada in tutti, anche se non potevano ancora afferrarne pienamente le conseguenze. Poi, a poco a poco, ciascuno si rese conto di ciò che essa significava per lui. Per Roscelin, tremante e col viso illuminato da una luce incerta come quella di una torcia appena accesa, la liberazione dall'angoscia e dal senso di colpa, l'aria intorno a lui inebriante come vino, il mondo divenuto un'immensa isola di gioia incandescente che lo abbagliava e ammutoliva. Per de Perro-
net, la sfida di trovarsi di fronte un rivale formidabile laddove si era aspettato di non incontrare ostacoli, l'istintivo acuirsi del suo orgoglio e la risolutezza a lottare con tutte le proprie forze per il premio minacciato. Per Cenred, il capovolgimento di tante immagini familiari: un padre che la supina accettazione di un tale inganno faceva apparire come un povero, vecchio sciocco, una sorella divenuta a un tratto un'estranea, un'intrusa nella sua casa. Per Emma, silenziosa e intimorita nel suo angolo, l'afflizione di un simile affronto al suo consorte e la perdita di una persona cara che aveva finito per considerare quasi una figlia. «Sicché non è mia sorella», disse tristemente Cenred, più a se stesso che agli altri, ripetendo subito dopo a tutti con un improvviso scatto di collera: «Non è mia sorella!» «No», ribadì Adelais. «Ma lei credeva di esserlo. Non ha alcuna colpa, non dovete biasimarla.» «Non è mia parente. Non le debbo niente, né dote né terre. Non ha alcun diritto su di me», insistette Cenred con amarezza più che con risentimento, deplorando la brusca rottura di un profondo legame affettivo. «No, ma lo è per me», ribatté Adelais. «I beni dotali di sua madre sono passati al convento quando ha preso il velo, ma Helisende è mia nipote ed erede.» «Mi avete frainteso, signora», protestò Cenred, irritato. «Questa è sempre stata la sua casa, può sempre considerarla tale. Che altro c'è per lei? È stata strappata a noi, tutt'a un tratto, ed è come se fossimo stati mutilati. Suo padre e sua madre sono entrambi in convento e da voi quale aiuto, quali cure ha mai ricevuto? Parente o no, il suo posto è qui, a Vivers.» «Ma più niente impedisce ormai che io le rimanga vicino», esclamò Roscelin in tono trionfante. «Che la chieda per me, non vi sono più barriere fra noi. Non abbiamo fatto niente di riprovevole, non v'è alcuna ombra, alcun impedimento, fra noi. Andrò io a prenderla, a riportarla a casa. E lei verrà, ne sarà felice! Lo sapevo», esultò con gli occhi azzurri scintillanti di gioia vittoriosa, «lo sapevo che non commettevamo alcuna colpa! Siete stato voi a convincermi che era peccato! Signore, permettetemi di andare a prenderla!» A questo punto de Perronet prese fuoco a sua volta e avanzò rapidamente di qualche passo, fermandosi di fronte a lui. «Correte troppo in fretta e troppo lontano, amico! Quale diritto avete più di me? Io non ritiro la mia richiesta, la riconfermo e la sosterrò con tutte le mie forze.» «Fate pure», concesse Roscelin che, nell'ebbrezza del sollievo e della fe-
licità, si sentiva generoso e comprensivo persino col suo rivale. «Ognuno è padrone di agire come crede, ma a parità di condizioni, voi, io e chiunque altro, e si vedrà che cos'ha da dire Helisende.» Lui lo sapeva benissimo, naturalmente, la sua stessa incrollabile sicurezza era un insulto, e de Perronet aveva già la mano sull'elsa del pugnale e parole più accese sulle labbra quando Audemar batté imperiosamente un colpo sul tavolo. «Smettetela!» proruppe alzando la voce. «Sono io il signore, qui, o no? A Helisende non mancano parenti, è mia nipote, se c'è qualcuno che ha diritti e doveri nei suoi confronti, senza averli mai delegati a nessun altro, sono io e, se Cenred è d'accordo, l'affido alla sua tutela, con gli stessi diritti che ha esercitato come parente in tutti questi anni, Quanto al suo matrimonio, esamineremo insieme, lui e io, che cos'è meglio per lei, ma sempre rispettando la sua volontà. Adesso basta! Ha chiesto di essere lasciata tranquilla per qualche tempo e lo faremo. Quando sarà disposta a tornare, andrò a prenderla io stesso.» «Bene», approvò Cenred con un profondo sospiro. «Io sono d'accordo! Non chiedo di meglio.» «E voi, fratello...» Audemar era di nuovo padrone della situazione, la sua autorità era prevalsa su tutto il resto, i suoi ordini sarebbero stati prontamente eseguiti e lui doveva cercare di rimediare per quanto possibile ai danni arrecati da sua madre. «Fratello, se tornate a Farewell, riferite ciò che ho detto. Quel che è fatto è fatto, quello che rimane dev'essere fatto apertamente, alla luce del giorno. Roscelin», ordinò bruscamente, guardando il ragazzo raggiante e irrequieto per la felicità, «fate sellare i cavalli, andiamo a Elford. Siete tuttora al mio servizio, finché non vi esonererò io, e non ho dimenticato che ve ne siete andato per i fatti vostri senza il mio permesso. Non datemi altri motivi di rimproverarvi.» Ma né il tono della sua voce né la severità del suo sguardo poterono offuscare il gioioso splendore sul viso di Roscelin, che piegò brevemente un ginocchio in segno di obbedienza e uscì di corsa per eseguire l'ordine. Audemar guardò finalmente e più a lungo la madre, che lo fissava a sua volta senza mai distogliere lo sguardo, in attesa delle sue decisioni. «Voi, signora, tornerete a Elford con me. Qui avete già fatto ciò per cui eravate venuta.» Tuttavia, fu Cadfael il primo a montare in sella. Nessuno aveva più bisogno di lui, lì, e qualsiasi naturale curiosità potesse provare riguardo agli
affari di famiglia rimasti da sistemare, forse meno facili da portare a termine che da programmare, era destinata a restare per sempre insoddisfatta, perché era del tutto improbabile che lui avesse mai a tornare da quelle parti. Andò senza fretta a riprendere il suo cavallo, montò ed era a mezza strada dal portone quando Roscelin si staccò bruscamente dagli stallieri occupati a sellare i cavalli di Audemar e gli si avvicinò di corsa: «Fratello Cadfael...» S'interruppe, come se non trovasse le parole, perché stupore e felicità in lui erano al di là di ogni parola, poi scosse la testa, ridendo della propria storditaggine. «Diteglielo! Ditele che siamo liberi, non dobbiamo rinunciare a niente, nessuno può biasimarci, ora...» «Figliolo», lo rassicurò affettuosamente il monaco, «ormai lo sa anche lei, meglio di voi.» «E ditele che presto, molto presto, andrò a prenderla. Oh, sì, lo so», aggiunse fiducioso, vedendo che Cadfael aggrottava la fronte, «ma affiderà a me l'incarico, lo conosco! Certo, avrebbe preferito un suo parente, uno sul quale sa di poter contare, uno dei suoi uomini, piuttosto che un giovane di una regione lontana. E mio padre non s'intrometterà fra noi due. Perché dovrebbe, quando questo risolve tutto? Che cosa è cambiato, all'infuori di quello che doveva cambiare?» Non si poteva dargli torto, rifletté Cadfael osservando il bel viso raggiante alzato verso di lui. Che cosa c'era di diverso, tranne la verità al posto della menzogna? E il cambio, per quanto difficile da assimilare, era senza dubbio per il meglio. La verità può costare cara, ma alla fine vale sempre il prezzo che si è pagato. «E dite a lui», aggiunse ansiosamente Roscelin, «il fratello storpio... suo padre...» La sua voce esitò un poco, sospesa tra stupore e reverente rispetto su quella parola. «Ditegli che sono felice, ditegli che gli debbo molto più di quanto potrò mai ricambiare. E che non deve darsi pensiero per la felicità di Helisende, perché sarà sempre l'unico scopo della mia vita.» CAPITOLO XIV Mentre Cadfael smontava nel cortile di Farewell, Adelais de Clary sedeva col figlio nel suo studiolo a Elford. V'era stato un lungo, pesante silenzio fra loro. Il giorno volgeva ormai alla fine, ma Audemar non aveva fatto portare candele. «C'è un punto», disse finalmente, riscuotendosi da una cupa immobilità,
«che si è a malapena sfiorato finora. Era venuta da voi, signora, quella povera donna. E voi l'avete mandata via con una brusca risposta. Incontro alla morte! Per vostro ordine?» «No!» rispose spassionatamente lei. «Non starò a chiedervi che cosa ne sapevate. A che scopo? È morta. Ma non mi piace il vostro modo di agire, e non voglio averci niente a che fare. Domani, signora, ve ne tornerete ad Hales. Potete tenerlo come vostro eremo, se volete, ma non dovete azzardarvi comunque a tornare qui, perché trovereste la porta chiusa per voi. Come lo saranno d'ora in poi quelle di tutti i miei manieri, all'infuori di Hales.» «Come volete», ribatté lei in tono indifferente. «È lo stesso per me. Non ho bisogno di molto spazio, e forse nemmeno per troppo tempo. Hales andrà benissimo.» «Allora, signora, partirete quando vorrete. Penserò io a darvi la debita scorta per il viaggio, visto che», aggiunse Audemar in tono velatamente minaccioso, «vi siete separata dai vostri abituali accompagnatori. E una lettiga, se preferite non farvi vedere in viso. Non sia mai detto che vi lasci viaggiare senz'alcuna difesa, come una povera vecchia che si avventuri da sola nella notte.» Adelais si alzò e uscì senza aprir bocca. Nel vestibolo i servitori avevano cominciato ad accendere le torce, ma l'oscurità si addensava ancora in ogni angolo, si aggrappava alle travi affumicate dell'alto soffitto in grandi ragnatele d'ombra. Al centro della stanza, Roscelin, ritto davanti al focolare di pietra, stuzzicava con la punta di uno stivale le braci per ravvivarle dopo che erano state ricoperte di cenere per tutto il giorno. Aveva ancora su un braccio il mantello di Audemar e le fiamme che si andavano riaccendendo stendevano sul suo volto uno splendore dorato: un volto liscio, dai tratti delicati come quelli di una fanciulla, con le labbra socchiuse in un sorriso sognante e seducente, espressione della sua immensa felicità, e i capelli biondi che gli incorniciavano le guance, dividendosi sull'aggraziata curva della nuca, mettevano in risalto la sua giovanile bellezza. Adelais sostò per un momento nell'ombra, guardandolo senza essere vista, soltanto per il piacere, e la pena, di gustare una volta ancora l'irresistibile attrazione, l'intollerabile gioia e l'angoscia di vedere bellezza e giovinezza passare e sparire. Memento troppo pungente e dolce di cose finite da tempo, apparentemente dimenticate per anni, e ora rinate a un tratto come la fenice dalle proprie ceneri.
Poi proseguì senza rumore, perché Roscelin non avesse a udirla e girare verso di lei quei suoi occhi azzurri troppo radiosi, troppo felici. Gli occhi scuri che ricordava, infossati sotto l'arco delicato delle sopracciglia brune, non avevano mai avuto quell'espressione, nemmeno per lei. Adelais uscì nel freddo della sera e si diresse verso le proprie stanze. Bene, era finita. Il fuoco si era ridotto in cenere. Non lo avrebbe rivisto mai più. «Sì, l'ho vista», disse fratello Haluin. «Ho parlato con lei, le ho toccato la mano, carne tiepida, di una donna, non un'illusione. La sorella portinaia mi ha condotto da lei del tutto impreparato, non riuscivo più a parlare, a muovermi. L'avevo creduta morta per tanti anni. Anche quando l'ho vista di sfuggita là nel chiostro tra gli uccelli... Non riuscivo a convincermi di non avere sognato. Ma toccarla, sentirla pronunciare il mio nome... ed era felice... Il suo caso non era come il mio, benché Iddio sa se il suo fardello sia mai stato più leggero. Ma lei sapeva che ero vivo, sapeva dove e che cos'ero, non aveva niente di cui sentirsi colpevole, non aveva mai fatto altro male che amare me. E riusciva a parlare. Le cose che mi ha detto, Cadfael! 'Qui c'è una persona che vi ha già abbracciato, con pieno diritto. Adesso, abbracciatela voi. È vostra figlia!' Riuscite a concepire un tale miracolo, fratello? Lo ha detto sospingendola verso di me. Helisende, mia figlia! Viva e giovane, gentile, fresca come un fiore. E io credevo di averla uccisa, di averle perse entrambe! Mi ha baciato di sua spontanea volontà, la mia bambina. E anche se è stato soltanto per compassione... Che altro sarebbe potuto essere? Non poteva certo essere affetto per una persona che non aveva mai visto! Ma anche così è stato un dono inestimabile! «E sarà felice, potrà amare, sposarsi come le detta il cuore. Una volta mi ha chiamato 'padre', ma soltanto come appellativo per un prete, penso, quale mi aveva conosciuto dapprima. Ma è stato ugualmente meraviglioso... «L'ora che abbiamo trascorso insieme, tutti e tre, mi ripaga di tutte le pene di diciotto anni, anche se non ci siamo detti molto. Il cuore non potrebbe contenere di più. Adesso lei, Bertrade, è tornata ai propri doveri! Come io debbo tornare ai miei, presto... molto presto... domani...» Cadfael aveva ascoltato in silenzio il monologo rivelatore, interrotto soltanto da qualche pausa durante la quale Haluin ricadeva in preda a uno stupito rapimento. Neppure una parola riguardo all'infame trattamento che gli era stato inflitto: tutto era stato cancellato dalla gioia immensa che ne era seguita, persino il ricordo di qualcosa da condannare o perdonare. E
quello, ironia della sorte, fu l'estremo giudizio su Adelais de Clary. «Andiamo al vespro?» domandò Cadfael. «La campana è già suonata da un po', saranno tutte al loro posto, ormai, potremo scivolare in chiesa senza farci notare.» Dall'angolo in ombra che avevano scelto, Cadfael girò lo sguardo sui volti giovani e schietti delle sorelle e si soffermò a lungo su sorella Benedicta, un tempo Bertrade de Clary. Accanto a lui, la voce sommessa e gioiosa di Haluin si accompagnava a risposte e preghiere, ma al suo orecchio risuonava come quella che, incerta ed esitante, mormorava nel fienile del guardaboschi, nel buio antelucano. Là nel suo stallo, serena, appagata e in pace col mondo intero, c'era la donna che egli aveva cercato di descrivere. «Non era bella come sua madre. Non pareva risplendere come lei, ma possedeva una sua grazia gentile, la grazia semplice e naturale di un fiore. Non aveva paura di niente... non allora. Si fidava di tutti. Nessuno l'aveva mai tradita... non ancora. Le è accaduto dopo, e ne è morta.» No, non era morta. E indubbiamente possedeva tuttora la sua grazia semplice e naturale. Mentre se ne stava lì, devota e reverente, sul suo viso ovale risplendeva la pace che regnava nel suo cuore, la gioia riconoscente per il dono che Dio le aveva concesso dopo tanti anni. Senz'alcun rimpianto, nessun'ombra offuscava la sua contentezza. La via che aveva intrapresa senza vocazione e percorsa forse suo malgrado per tanti anni aveva certamente raggiunto la meta soltanto ora, con la rivelazione della grazia. Non si sarebbe mai rammaricata di non essere tornata indietro, nemmeno per quel suo primo amore. A che scopo? V'è una stagione per l'amore. Il loro aveva superato le burrasche della primavera e il calore dell'estate, per addentrarsi nella calma dorata del primo autunno, innanzi che cominciassero a cadere le foglie. Bertrade de Clary appariva come fratello Haluin: salda e invulnerabile nella pace dello spirito. Ormai la presenza reale era inutile, la passione senza importanza. Entrambi si erano liberati del passato, ora dovevano lavorare per il futuro, con tanto maggiore impegno e devozione, sapendo ognuno che l'altro viveva e lavorava nella stessa vigna. La mattina seguente, subito dopo la prima, preso congedo da tutti, si misero in cammino per il lungo viaggio di ritorno a casa. Le sorelle erano riunite in capitolo, quando Cadfael e Haluin si avviarono, accompagnati da Helisende. Cadfael aveva l'impressione che, con le abluzioni mattutine, quei due si fossero lavati dal viso ogni ombra e ogni
dubbio. Entrambi erano illuminati dalla stessa, nuova luce, dallo stesso stupore per l'enorme bene ricevuto. Adesso appariva ancora più chiara la loro somiglianza, come se i segni degli anni fossero stati in qualche modo cancellati dal viso di Haluin. Helisende lo abbracciò senza parlare, quando si congedarono, affettuosamente ma intimidita. Comunque avessero trascorso la giornata precedente, qualsiasi confidenza si fossero scambiata, per lei Haluin era tuttora poco meno che uno sconosciuto, ma, grazie a quanto le aveva detto la madre, sapeva che era una persona buona, gentile e amabile e come tale lo avrebbe sempre ricordato, con una simpatia non molto lontana dall'affetto. Un sentimento prezioso per lui, anche se non l'avrebbe rivista mai più. «Dio vi protegga, padre», disse Helisende. Era la prima e sarebbe stata l'ultima volta che lo chiamava così, come un uomo e non come prete, ma fu un dono che lo avrebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita. Si fermarono per la notte ad Hargedon, dove i canonici di Hampton avevano una masseria, in una campagna che si andava riprendendo lentamente dalla desolazione seguita all'insediamento dei normanni. Soltanto ora, dopo sessant'anni, il terreno veniva strappato all'invasione di arbusti selvatici e qualche piccolo villaggio solitario appariva in prossimità di crocicchi o torrentelli in grado di fornire l'acqua per un mulino. La relativa sicurezza offerta dalla presenza di canonici, fattori e domestici aveva indotto altri a insediarsi lì intorno, e ora, tra il fitto dei boschi, venivano creati, da intraprendenti, giovani figli, alcuni spazi aperti. Ma era pur sempre un territorio scarsamente popolato, piatto e oltremodo malinconico nella luce serale. Tuttavia, a ogni faticoso passo verso occidente, il viso di Haluin andò facendosi sempre più luminoso e colorito dall'impazienza, anche attraverso quella triste campagna. Dalla finestrella senza imposte del fienile, guardò il cielo ormai trapunto di stelle. In direzione di Shrewsbury, dove le colline preannunciavano le montagne più alte del Galles, cielo e terra si dividevano equamente lo spazio, ma lì la volta sopra di loro sembrava immensa e la terra degli uomini compressa e indistinta. Il limpido luccichio delle stelle era indizio di un tocco di gelo nell'aria, ma prometteva una giornata splendida per l'indomani. «Non sentite mai il desiderio di guardarvi indietro?» domandò Cadfael sommessamente. «No», dichiarò calmo Haluin. «Non ve n'è bisogno. Là dietro di me è
tutto a posto. Nel migliore dei modi. Non ho più niente da fare, là, e ho altri vincoli altrove. Siamo semplicemente un fratello e una sorella, ora, e non chiediamo, non desideriamo niente di più. Posso offrire a Dio il mio cuore tutto intiero e sono immensamente felice che mi abbia abbattuto, per risollevarmi poi, rinnovato, al Suo servizio.» Seguì un lungo, imperturbato silenzio durante il quale Haluin rimase a fissare la notte limpida, con una sorta di brama ansiosa dipinta in viso. «Ho lasciato a metà una pagina, quando siamo partiti», disse soprappensiero. «Pensavo di poter tornare a completarla molto prima. Spero che Anselm non l'abbia data a qualcun altro. Era una N maiuscola per il NUNC DIMITTIS alla quale mancava quasi tutto il colore.» «Sarà tuttora là ad aspettare voi, non dubitate», lo rassicurò Cadfael. «Fratello Aelfric è bravo, ma non sa che cosa intendevo fare io. Potrebbe esagerare con l'oro.» «Smettete di preoccuparvi. Ancora qualche giorno di pazienza e sarete di nuovo là, con penne e pennelli in mano. E lo stesso sarà per me con le mie erbe, gli armadietti delle medicine saranno quasi vuoti, ormai. Coricatevi, figliolo, e cercate di dormire. Vi aspettano un altro bel po' di miglia, domani.» Dalla finestra aperta sul buio entrava un venticello lieve e Haluin sollevò la testa, annusando l'aria come un cavallo di razza che senta l'odore della stalla. «Com'è bello tornare a casa!» sospirò. FINE