HARRY TURTLEDOVE LA CITTÀ ASSEDIATA (Videssos Besieged, 1998) CAPITOLO PRIMO Davanti alla residenza imperiale nella citt...
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HARRY TURTLEDOVE LA CITTÀ ASSEDIATA (Videssos Besieged, 1998) CAPITOLO PRIMO Davanti alla residenza imperiale nella città di Videssos i ciliegi erano in fiore. Ben presto i petali rosa e bianchi avrebbero ricoperto il suolo e i viali intorno alla residenza, quasi come aveva fatto la neve fino a poche settimane prima. Maniakes spalancò le imposte e scrutò il boschetto che faceva si che la residenza fosse il solo luogo del palazzo dove l'Avtokrator dei Videssiani potesse trovare almeno una parvenza di intimità. Una delle molte api che ronzavano nelle vicinanze fece per posarsi su di lui. Si ritrasse di scatto. Quando arrivava la primavera, le api erano una seccatura: in effetti, forse erano la sola cosa che non gradiva della primavera. «Phos sia lodato,» disse, tracciandosi il cerchio del sole del buon dio sul cuore, «ora che il tempo è di nuovo buono per navigare, potremo lasciare la città e tornare a combattere contro gli uomini di Makuran.» Assunse un'espressione arcigna. «So che i Makurani sono miei nemici. Qui nella capitale, i nemici si camuffano, per cui mi è più difficile individuarli.» «Una volta che avremo sconfitto i Makurani, le cose qui andranno meglio,» disse sua moglie, Lysia. Lo raggiunse e gli prese la mano, guardando anche lei i ciliegi in fiore. Quando un'altra ape tentò di volare nella stanza, afferrò un foglio di pergamena dallo scrittoio di Maniakes e lo usò per mandare fuori l'ape. Poi gli rivolse un sorriso. «Ecco. In questo modo i registri delle imposte sono certamente di maggiore utilità.» «Come hai ragione,» disse lui con passione. Lysia aveva il dono di non prendere troppo sul serio la ponderosa macchina burocratica videssiana, mentre per l'esercito di esattori, impiegati, scribi e contabili non solo era importante quanto la vita stessa ma era di fatto la vita stessa. In più, Lysia aiutava Maniakes a non prendere nemmeno lui troppo sul serio la burocrazia: dono che lui spesso riteneva impagabile. L'abbracciò. Fra i due non c'era molta differenza di altezza. Erano un po' più tarchiati, un po' più bruni della norma videssiana, ed erano di sangue vaspurakano, anche se, nel modo di pensare, erano quasi del tutto Videssiani. Entrambi avevano capelli lucidi, quasi blu-notte, sopracciglia folte sebbene Lysia se le strappasse per adeguarsi ai parametri della bellezza vi-
dessiana - e molto arcuate, nasi prominenti. La barba folta e abbondante di Maniakes copriva guance e mento, ma sotto la barba, sospettava lui, quel mento era identico a quello deciso di Lysia. La loro somiglianza non derivava solo dal fatto che erano originari della stessa terra, né rientrava nei casi in cui marito e moglie finiscono per assomigliarsi dopo una vita trascorsa insieme: casi del genere erano più una citazione scherzosa che una realtà. Loro non erano soltanto marito e moglie, erano cugini di primo grado: il padre di Lysia, Symvatios, era fratello minore del padre di Maniakes, del quale l'Avtokrator portava il nome. Lysia disse, «Quando navigheremo verso ovest per combattere contro i Makurani, hai deciso di seguire la rotta settentrionale o quella meridionale?» «Quella meridionale, credo,» rispose Maniakes. «Se sbarchiamo a nord, dobbiamo attraversare tutte le valli e i passi dei Monti Erzerum. E quella è anche la strada più lunga per raggiungere Mashiz. Voglio veder sudare il Re dei Re Sharbaraz...» Pronunciò il nome Sarbaraz come la maggior parte di quelli che parlavano videssiano, aveva difficoltà con la sh, anche se talvolta riusciva a pronunciarla, «...nella sua città, come io ho sudato qui.» «Ha avuto più preoccupazioni di noi, negli ultimi due anni,» disse Lysia. «Il Canale del Bestiame tiene lontani i Makurani dalla città di Videssos, ma il Tutub e il Tib sono soltanto dei fiumi. Se riuscissimo a battere i soldati che i Makurani hanno schierato contro di noi, potremmo saccheggiare Mashiz.» Sembrava fiduciosa. Maniakes si sentiva fiducioso. «Avremmo dovuto farlo l'anno scorso,» disse. «Non mi sarei mai aspettato che fossero capaci di tenerci a bada mentre scendevamo lungo il Tib.» Si strinse nelle spalle. «Comunque, è per questo che si combattono le guerre: per vedere quale delle cose che non ti aspetti si avvererà.» «Anche così abbiamo fatto loro dei danni,» disse Lysia. Parlava per consolarlo, ma quello che aveva detto era vero. Maniakes annuì. «Direi che le Mille Città fra il Tutub e il Tib si sono ridotte a ottocento, grazie a noi.» Sapeva che stava esagerando i danni che i Makurani avevano subito, ma riteneva anche che non ci fossero veramente mille città sulla pianura alluvionale. «Non solo abbiamo inflitto danni ai Makurani, ma abbiamo anche allentato la loro stretta sulle terre occidentali di Videssos.» «È una strana guerra.» osservò Lysia. Maniakes annuì di nuovo. Makuran controllava, virtualmente, tutte le
terre occidentali videssiane, la grande penisola sull'altro lato del Canale del Bestiame. Tutti i suoi sforzi per cacciarli via da quelle terre affrontandoli a viso aperto erano falliti. Ma Makuran, un paese senza sbocchi sul mare fino alla sua invasione di Videssos, non aveva una flotta. Il controllo del mare aveva consentito a Maniakes di colpire al cuore la loro terra, anche se non aveva potuto liberare la propria. Fece scivolare un braccio intorno alla vita di Lysia. «Non stai eseguendo bene il tuo compito, sai.» Lei sollevò un sopracciglio in un silenzioso interrogativo. Lui spiegò: «Negli ultimi due anni sei stata incinta mentre noi eravamo a combattere nella Terra delle Mille Città.» Lysia rise con forza e si staccò da lui. Maniakes la fissò, un po' sorpreso: non aveva pensato che quella battuta potesse essere così divertente. Poi lei disse, «Te lo avrei detto fra qualche giorno, quando fossi stata più sicura, ma... Penso di esserlo di nuovo.» «Davvero?» disse lui. Adesso fu Lysia ad annuire. La strinse a sé, scuotendo la testa. «Credo che dovremo far ingrandire la residenza imperiale, con tutti questi bambini che dovrà ospitare.» «Credo che tu abbia ragione,» rispose Lysia. Maniakes aveva avuto una figlia e un figlio, Evtropia e Likarios, dalla prima moglie, Niphone, che era morta nel dare alla luce Likarios. Lysia gli aveva dato due maschi, Symvatios e Tatoules. Uno, che ormai aveva iniziato a camminare, portava il nome del padre di lei - zio di Maniakes - l'altro, quello del fratello minore di Maniakes, disperso da anni nel caos seguito alla conquista delle terre occidentali da parte dei Makurani. Maniakes, quasi convinto che Tatoules fosse morto, aveva scelto quel nome in suo ricordo. Maniakes aveva anche un figlio bastardo, Atalarikhos, sull'isola orientale di Kalavria. Suo padre aveva governato là prima che la loro famiglia insorgesse contro il governo malvagio e inetto del precedente Avtokrator, Genesios, che era salito al trono con l'omicidio e aveva tentato di restarci compiendo massacri ancora più efferati. Maniakes, prudentemente, non aveva menzionato a Lysia né Atalarikhos né sua madre, una bionda haloga di nome Rotrude. Invece di affrontare una questione così ardua, disse, «Daremo un banchetto per festeggiare la notizia?» Con sua sorpresa e disappunto Lysia scosse la testa. «E cosa succederebbe? La famiglia è dalla nostra parte, e anche i tuoi soldati, dal momento che sei riuscito a far capire ai Makurani che non è facile combattere contro i Videssiani, ma la maggior parte dei nobili troverebbe delle educate ra-
gioni per trovarsi da qualche altra parte.» Lui assunse un'espressione minacciosa, con le sopracciglia abbassate in una spessa linea nera sopra gli occhi. Lysia aveva ragione, e lui lo sapeva e provò odio per questo. «Il patriarca ci ha dato la dispensa,» grugnì. «Certo,» convenne Lysia, «dopo che tu hai quasi deciso di tornare in Kalavria tre anni fa. Fu questo a spaventare e a convincere Agathios. Ma solo la metà dei sacerdoti si è convinta, e molto meno della metà dei nobili.» «So cosa li convincerà tutti,» disse Maniakes, fosco. Lysia distolse lo sguardo da lui, come per dire che niente avrebbe mai convinto il popolo a riconoscere la legittimità della loro unione. Ma lui trovò una parola magica, potente come se fosse stata pronunciata da un coro dei più potenti maghi del Collegio dei Maghi: «Vittoria.» Maniakes cavalcava nelle strade dì Videssos in direzione del porto di Kontoskalion sul lato sud della capitale. Davanti a lui marciava una dozzina di portatori di ombrelli, le cui cupole di seta sgargiante annunciavano a tutti quelli che guardavano che l'Imperatore si stava muovendo nella capitale. Affinché un simile pensiero non spingesse qualcuno a manifestare con eccessivo calore la sua gioia, intorno a lui era disposta una nutrita guardia del corpo. Circa la metà degli uomini del distaccamento erano Videssiani, l'altra metà erano Halogai - mercenari del freddo nord. I Videssiani erano piccoli, scuri e agili. Gli Halogai erano uomini corpulenti e di carnagione chiara, alcuni dei quali portavano i lunghi capelli biondi annodati in trecce e reggevano asce dalle lunghe impugnature che avrebbero potuto staccare una testa in un sol colpo. Davanti al corteo marciava un araldo che gridava, «Largo! Fate largo all'Avtokrator dei Videssiani!» I cittadini a piedi si toglievano frettolosamente dalla strada. Quelli a cavallo, o a dorso d'asino, aumentavano l'andatura o imboccavano una stradina laterale. Un carrettiere che guidava un pesante carro non aumentò l'andatura né svoltò. Un haloga suggerì a Maniakes, «Uccidiamolo.» Non accennò minimamente ad abbassare la voce. Maniakes non pensò che stesse scherzando: gli Halogai avevano un modo molto diretto di guardare al mondo. Evidentemente, nemmeno il carrettiere pensò che stesse scherzando. Tutto a un tratto, il carro non solo aumentò l'andatura ma imboccò anche una strada laterale. Non più ostacolato, il corteo avanzò verso il porto di Kontoskalion.
Maniakes superò uno dei cento templi della città di Videssos dedicato al culto di Phos. Forse attratto dalle grida dell'araldo, il sacerdote che officiava nel tempio uscì a guardare l'Avtokrator e la sua compagnia. Come altri chierici, aveva la testa rasata e la barba folta e incolta. Indossava una semplice tunica di lana, tinta di blu, con un cerchio di tessuto dorato che rappresentava il sole di Phos cucito sul lato sinistro del petto. Maniakes lo saluto agitando la mano. Invece di rispondere al saluto, il sacerdote sputò a terra, come per scacciare il rivale malvagio di Phos, Skotos. Alcune guardie videssiane latrarono al suo indirizzo. Lui le guardò torvo, armato della sua fede e quindi impavido. Dopo un momento, voltò deliberatamente la schiena e rientrò nel tempio. «Bastardo,» abbaiò una delle guardie videssiane. «Se qualcuno vi insulta così, vostra Maestà...» «Lo uccidiamo,» dissero all'unisono tre Halogai. S'infischiavano dei sacerdoti videssiani: loro non seguivano Phos, ma restavano ancora fedeli alle sanguinarie divinità di Halogaland. Se mai ci fosse stato bisogno di uccidere un sacerdote, erano loro gli uomini adatti a farlo. Ma Maniakes disse, «No, no. Non posso permettermi di avere seccature col clero, ora. Lasciamo perdere. Uno di questi giorni, forse...» Questo soddisfece gli Halogai, i cui periodi di attesa per una vendetta potevano durare anni, generazioni addirittura. Dentro di sé, però, Maniakes era stato ferito dal gesto del sacerdote. La metà del clero che aveva accettato il suo matrimonio con Lysia lo aveva fatto con riluttanza, come tradendo le proprie convinzioni. Quelli che lo avevano respinto come incestuoso, però, lo avevano fatto con veemenza e senza alcuna esitazione. «Una ragione in più per conquistare Makuran,» mormorò Maniakes. Il costume makurano non trovava nulla di male nei matrimoni fra cugini di primo grado, e neppure in quelli fra zii e nipoti. E i Makurani adoravano il Dio, non Phos: i soli sacerdoti videssiani che Maniakes voleva vicino a sé erano quelli dotati della facoltà di guarire e di infondere coraggio all'esercito. E tutti costoro erano quelli che tolleravano la sua situazione familiare, almeno all'apparenza. Raggiungere il porto fu un sollievo. I marinai lo salutarono con affetto genuino: a loro, come ai suoi soldati, interessava essere guidati da lui nella vittoria, più che il suo matrimonio con la cugina. Aveva sperato che tutto l'Impero di Videssos vedesse la cosa allo stesso modo. Non era ancora accaduto. Stava cominciando a chiedersi se sarebbe mai successo. La maggior parte delle navi ormeggiate alle banchine del porto di Kon-
toskalion erano grossi mercantili che avrebbero trasportato i suoi uomini, i cavalli e l'equipaggiamento fino al porto di Lyssaion, dove sarebbero sbarcati e avrebbero cominciato la loro campagna. Quasi tutte le navi da guerra che avrebbero protetto la flotta di vascelli mercantili erano ormeggiate nel porto neorhesiano, sulla riva nord della città di Videssos. La nave ammiraglia di Maniakes, la Rivalsa, era un'eccezione alla regola. La Rivalsa non era né la più grossa né la più veloce né la più nuova delle galee della flotta. Era, comunque, la galea sulla quale Maniakes aveva navigato dall'isola di Kalavria alla città di Videssos quando si era ribellato a Genesios, quindi aveva per lui un valore sentimentale. Stava nel porto di Kontoskalion poiché era là che lui era sbarcato la prima volta quando era giunto nella capitale: ancora una questione sentimentale. Thrax, il drungarios della flotta, saltò dal ponte della Rivalsa sulla banchina alla quale era ormeggiata e corse verso Maniakes. «Phos vi benedica, vostra Maestà,» disse. «Sono contento di rivedervi.» «Anch'io,» disse Maniakes, chiedendosi non per la prima volta se teneva ancora con sé Thrax per ragioni sentimentali. Il drungarios sembrava proprio un marinaio: era magro e agile, con la pelle bruciata dal sole e i lineamenti scavati di uno che ha trascorso tutta la vita all'aperto. Non era vecchio, ma i suoi capelli e la barba erano diventati argentei, il che gli conferiva un aspetto davvero singolare. Era stato al comando della Rivalsa nel viaggio dalla Kalavria alla capitale. Adesso era a capo dell'intera flotta videssiana. Non aveva mai fatto nulla per spingere Maniakes a pensare che l'avergli dato quell'incarico fosse stato un errore spaventoso. D'altra parte, non aveva mai fatto nulla per spingere Maniakes a rallegrarsi di averglielo concesso. Competente ma non brillante, gli venne fatto di pensare. E difatti disse, «Vostra Maestà, saremo pronti a partire il giorno che avete stabilito.» Quando diceva una cosa del genere, ci si poteva contare. «Possiamo essere pronti cinque giorni prima di quella data?» chiese Maniakes. «Prima salperemo, prima riporteremo la guerra in Makuran.» E prima, aggiunse fra sé e sé, Lysia e io potremo lasciare la città di Videssos. Thrax aggrottò le sopracciglia. «Non ne sono sicuro, vostra Maestà. Ho predisposto tutto per essere pronti il giorno che mi avevate detto. Cambiare sarebbe difficile, e probabilmente non sarebbe saggio farlo.» Non aveva pensato di affrettare le cose, dunque, e non era disposto a pensarci. «Vedi quello che puoi fare,» gli disse Maniakes. Quando Thrax sapeva
in anticipo ciò che gli si chiedeva di fare, lo realizzava con tutta la disinvoltura possibile. Quando era costretto a improvvisare, non se la cavava altrettanto bene. Una cosa che sembrava mancare al suo temperamento era la capacità di pensare in maniera originale. «Ci proverò, vostra Maestà,» disse dopo un momento. «Non è così difficile,» disse Maniakes, con tono incoraggiante. Lui era abituato a improvvisare: le campagne nella Terra delle Mille Città non erano state altro che improvvisazione dal principio alla fine, come, per esempio, lo era stata la campagna contro Genesios che gli aveva procurato il trono. Aveva capito, però, che non tutti avevano l'abilità di afferrare quello che l'occasione presentava. Un carro avanzava sbatacchiando sulla banchina diretto a uno dei mercantili. Il carrettiere si calò giù, diede al suo mulo una manciata di uva passa, e cominciò a lanciare dei sacchi di grano - o forse di fagioli - ai marinai, che li stivarono sotto il ponte e, con un po' di fortuna, lontano dall'acqua di sentina. Maniakes indicò il carrettiere. «Devi scoprire da dove provengono lui e quelli come lui, per quanto tempo viaggiano, quanto impiegano a scaricare e quanto tempo a ritornare. Poi dovrai riunire i responsabili dei magazzini e vedere se possono fare qualcosa per accelerare i tempi. Se possono caricare più carri di quanti noi ne mandiamo, per esempio...» S'interruppe, perché Thrax si era presa la testa fra le mani, quasi che stesse per esplodere come un orcio ben tappato e lasciato troppo sul fuoco. «Abbiate pietà delle mie povere facoltà mentali, vostra Maestà!» gridò il drungarios. «Come faccio a ricordare tutto?» «Non è così difficile,» ripeté Maniakes, ma, stando all'espressione afflitta di Thrax, doveva essere davvero così difficile, o forse anche di più. Gli parve di essere il patriarca ecumenico, che stesse tentando di spiegare qualche astrusa questione teologica a un contadino ubriaco che, innanzi tutto, se ne infischiava della teologia, e poi era più impegnato a pisciarsi sulle scarpe. «Tutto sarà pronto il giorno che mi avevate già detto,» promise Thrax e Maniakes ci credette. Thrax emise un tormentato sospiro, come doveva aver fatto il santo Kveldoulphios quando aveva scoperto che i suoi fratelli Halogai non si sarebbero convertiti alla fede di Phos, ma lo avrebbero ammazzato per impedirgli di continuare a predicare. Sospirando di nuovo, il drungarios proseguì, «Ma tenterò di approntare tutto prima che potrò, anche se dovrò mettere a soqquadro l'intero porto per farlo.»
«Questo è lo spirito giusto!» Maniakes gli assestò una pacca sulla schiena. «So che farai tutto quello che si deve fare, e so che lo farai bene.» Che bugiardo sono diventato da quando porto gli stivali rossi, pensò Maniakes. Ma un Thrax che tentasse di soddisfare le sue richieste era preferibile a un Thrax che stesse tentando... e basta. Mentre Thrax e Maniakes si spostavano da una banchina all'altra, il drungarios faceva del suo meglio per mostrarsi utile. Sapeva quello che si sarebbe dovuto fare secondo i programmi originari, e ne parlava con cognizione. Cominciò anche a pensare a come accelerare i programmi. Avendo già messo in discussione la possibilità di cambiarli, adesso aveva acquisito la prospettiva che qualsiasi cooperazione avesse dimostrato sarebbe stata accolta come un miglioramento. E aveva anche ragione, sebbene Maniakes facesse del suo meglio per non darlo a vedere. Fatto tutto quello che era in suo potere per incoraggiare il drungarios, Maniakes risalì in groppa e ripartì: Thrax non era il solo uomo sotto il quale doveva accendere un fuoco. Fece in modo di tornare al palazzo seguendo una strada diversa da quella percorsa per andare al porto di Kontoskalion, per non incontrare di nuovo il sacerdote che lo aveva offeso. Ma era difficile superare più di un paio di isolati nella città di Videssos senza passare davanti a un tempio, che fosse uno sontuoso come l'Alto Tempio o quelli dedicati alla memoria del santo Phravitas, dove gli Avtokrator e i loro parenti più prossimi venivano tumulati, o un piccolo edificio distinguibile dalle altre case solo per la guglia sormontata da una cupola dorata che si protendeva dal tetto. E così, nel passare davanti a quei templi, Maniakes si scoprì osservato e valutato da un altro sacerdote: osservato, valutato e respinto. Questa volta avrebbe anche potuto sguinzagliare la sue guardie halogai su quella tunica azzurra, e in men che non si dica. Ma per quanto trovasse allettante l'idea di prendersi una sanguinosa rivincita, ci passò sopra ancora una volta. La cosa gli avrebbe procurato problemi col patriarca ecumenico, e non se lo poteva permettere. Un contrasto con i templi avrebbe provocato una crepa, e forse una crepa fatale, nella guerra contro Makuran. E così Maniakes sopportò l'insulto. Talvolta gli sembrava che se avesse perfino preso Mashiz, la capitale di Makuran, e appeso la testa di Sharbaraz Re dei Re sulla Pietra Miliare nella piazza di Palamas come quella di un criminale comune o di un ribelle, un buon numero di chierici avrebbe continuato a ritenerlo un peccatore cui era negata la luce di Phos. Sospirò. Indipendentemente da quello che pensavano di lui se vinceva le
guerre, avrebbero pensato dieci volte peggio se avesse perso... per non parlare di quello che sarebbe accaduto all'Impero se avesse perso. Doveva vincere, dunque, per dare ai chierici la possibilità di continuare a disprezzarlo. Kameas il vestiarios disse, «Vostra Maestà, la cena è pronta.» La voce dell'eunuco si collocava in quello spazio senza nome fra il tenore e il contralto. Le sue guance paffute erano lisce: luccicavano alla luce delle lampade. Quando si voltò per condurre Maniakes e Lysia nella sala da pranzo, cominciò a scivolare come una nave che sfreccia davanti al vento, con quei passettini invisibili sotto la tunica. A Maniakes non dispiaceva affatto dover pranzare con i suoi parenti, che erano, inevitabilmente, anche parenti di Lysia. Loro non lo condannavano per quello che aveva fatto. Il solo fra i suoi parenti che lo aveva condannato, suo fratello minore Parsmanios, si era unito ai traditori del generale Tzikas e aveva tentato di ucciderlo con le arti magiche. Parsmanios, allora, era stato esiliato in un monastero nella lontana Prista, avamposto videssiano ai margini della steppa pardrayana che si estendeva verso nord dalla riva settentrionale del Mare Videssiano. Tzikas, in quei giorni, era in Makuran. E per quanto ne sapeva Maniakes, i Makurani lo avevano ben accolto. Maniakes era convinto che Tzikas stesse facendo del suo meglio per tradire Abivard, il comandante makurano. Ovunque fosse Tzikas, avrebbe cercato di tradire qualcuno. Aveva il tradimento nel sangue. Kameas disse, «La vostra famiglia sarà lieta di vedervi, vostra Maestà.» «Naturalmente,» disse Lysia. «Lui è l'Avtokrator. Non possono cominciare a mangiare finché non sarà arrivato.» Il vestiarios le rivolse uno sguardo in tralice. «Certamente avete ragione, Imperatrice, ma non era questo a cui intendevo alludere.» «Lo so,» disse Lysia, divertita. «E allora? Una piccola impertinenza non ha mai offeso nessuno, no?» Kameas tossicchiò e non rispose. La sua vita era assolutamente regolare - senza le distrazioni del desiderio, come poteva essere altrimenti? - e i suoi doveri gli chiedevano di imporre regolarità anche all'Avtokrator. Per lui, un'impertinenza era nel migliore dei casi una distrazione, nel peggiore una seccatura. Maniakes soppresse uno sbuffo, per non irritare il vestiarios. Lui stesso era per natura un metodico. Aveva l'abitudine di caricare a testa bassa sen-
za badare del tutto alle conseguenze. Le sconfitte subite per mano dei Kubratoi e dei Makurani gli avevano insegnato a essere più cauto. Ora faceva affidamento su Lysia, che gli impediva di diventare troppo barboso. Kameas si portò a lunghi passi davanti a lui e a Lysia, per annunciare il loro arrivo ai paventi. Qualcuno nella sala da pranzo applaudì con forza. Maniakes si voltò verso Lysia e disse, «Sto per dare a tuo fratello un bel calcio nel sedere, nella speranza che metta un po' di sale in zucca.» «Rhegorios?» Lysia scosse la testa. «Probabilmente finiresti solo per fargliene combinare un'altra delle sue.» Maniakes sospirò e annuì. Anche più di Lysia - o forse solo più apertamente - suo fratello si divertiva a scatenare putiferi. Rhegorios lanciò un pezzo di pane a Maniakes mentre l'Avtokrator attraversava la porta. Maniakes lo afferrò al volo: suo cugino aveva già fatto simili scherzi in precedenza. «Lesa maestà,» disse, e glielo rilanciò, colpendo Rhegorios alla spalla. «Chiamate il boia.» Alcuni Avtokrator, e non ultimo fra i predecessori di Maniakes, il defunto e non rimpianto Genesios, avrebbero inteso la cosa alla lettera. Maniakes stava scherzando, e in maniera ovvia. Rhegorios non ebbe alcuna esitazione a ritentare il colpo, con le parole stavolta piuttosto che col pane: «Chiunque ci costringa a morire di fame merita tutto quello che gli capita.» «Ha ragione,» dichiarò il vecchio Maniakes, rivolgendo al figlio e omonimo un'occhiataccia troppo feroce per essere convincente. «Stavo per diventare la mia ombra.» «Un'ombra importuna e brontolona.» replicò l'Avtokrator. Suo padre ridacchiò. Aveva il doppio degli anni dell'Avtokrator, era più basso, più grasso, più grigio e rugoso: quando Maniakes guardava suo padre, vedeva se stesso come sarebbe diventato se fosse riuscito a restare sul trono e vivo fino ai settant'anni o giù di li. Il vecchio Maniakes, un comandante veterano della cavalleria, aveva ancora una mente piena zeppa di tresche e tortuosità di ogni genere. «Potrebbe andar peggio,» disse Symvatios, il padre di Lysia, che era il più anziano de fratelli minori di Maniakes. «Potremmo trovarci tutti nella Sala dei Novanta Triclini, distesi su quei ridicoli Ietti appoggiati sui gomiti e con gli avambracci intorpiditi.» Ridacchiò: era più aggraziato e allegro del vecchio Maniakes, proprio come suo figlio Rhegorios era più aggraziato e allegro dell'Avtokrator Maniakes. «Mangiare distesi è una cerimonia funebre,» disse Maniakes. «Quando
la avvolgeranno nel sudario e la seppelliranno, sarò più felice.» La faccia glabra di Kameas mostrava un'eloquente afflizione. Con tono di rimprovero, disse, «Vostra Maestà, prometteste all'inizio del vostro regno di tollerare le antiche usanze, anche se non le trovavate affatto di vostro gusto.» «E infatti non facciamo altro che tollerare, quando mangiamo nella Sala dei Novanta Triclini,» disse Rhegorios. Non esitava a ridere delle sue stesse battute di spirito. «Vostra Maestà, volete essere così cortese da dire a vostro cognato il Sevastos che i suoi scherzi sono di gusto discutibile?» Usare la parola gusto in un contesto che includeva il cibo significava cercare guai. Il barlume negli occhi di Rhegorios diceva che era sua intenzione provocare il maggior numero di guai possibile. Prima che potesse causarne qualcuno, Maniakes lo anticipò, dicendo a Kameas, «Stimato signore...» Gli eunuchi avevano dei titoli speciali riservati solo a loro, «...non intendevo dire quello. Occasionalmente, avrai l'opportunità di far mangiare me e la mia famiglia in quell'antica maniera. Che poi tu sia anche in grado di farci rallegrare di questo è tutt'altra questione.» Kameas si strinse nelle spalle. Per quanto io riguardava, il fatto che le antiche usanze fossero antiche era ragione sufficiente a preservarle. Ciò aveva senso per Maniakes - come puoi capire chi sei se non sai chi erano i tuoi avi? - ma non abbastanza. Il rituale per il rituale era una cosa insensata nella vita quotidiana, a suo giudizio, come lo era nei templi. «Questa sera,» disse Kameas, «abbiamo una cena assolutamente moderna per voi, non temete.» Uscì con sollecitudine dalla sala da pranzo, ritornando di li a poco con una minestra piena di polpa di granchio e tentacoli di polpo. Il vecchio Maniakes sollevò uno dei tentacoli nel cucchiaio, esaminò le file di ventose su di esso e disse, «Mi domando cosa avrebbero detto i miei bisbisnonni, che non misero mai piede fuori dal Vaspurakan per l'intera esistenza, se mi avessero visto mangiare un pezzo di mostro marino del genere. Qualcosa che si ricorderebbe a lungo, scommetto.» «Probabilmente si,» convenne suo fratello Symvatios. Divorò un pezzo di polpo con manifesti segni di compiacimento. «Ma, del resto, io non banchetterei mai con quelle interiora di capra che loro ritenevano ghiottonerie. Potrei anche, bada, ma non mi piacerebbe affatto.» Rhegorios si protese verso Maniakes e sussurrò, «Quando i nostri antenati lasciarono Makuran per la prima volta e vennero nella città di Vides-
sos, probabilmente andavano a mangiare minestre di granchi nei bordelli.» Maniakes sbuffò e gli diede un calcio sotto il tavolo. Kameas portò via le ciotole di minestra e tornò con un muggine bollito cosparso di grasso e pezzetti d'aglio e servito su un letto di porri, pastinache e carote dorate. Quando aprì il muggine, il taglio rivelò degli usignoli arrostiti, a loro volta ripieni di fichi. Seguì un'insalata di lattuga e ravanelli, insaporita da un formaggio bianco e soffice, succo di limone e olio d'oliva. «Mangiate abbondantemente, per rinvigorire i vostri appetiti,» li avvisò Kameas. Maniakes lanciò un'occhiata a Lysia. «Meno male che non avverti ancora le nausee mattutine.» Lei gli rivolse uno sguardo fosco. «Non parlarne. Il mio stomaco potrebbe ascoltare.» In effetti, aveva superato le due precedenti gravidanze con una certa tranquillità, il che, considerando che si era trovata in campagna di guerra per buona parte di ognuna di esse, era molto positivo. Un montone fatto a pezzi seguì l'insalata, accompagnato da una casseruola di cavolfiori, broccoli, cavoli e altro formaggio. La frutta candita pose fine al pasto, assieme a un vino più dolce di quelli che avevano accompagnato le portate precedenti. Maniakes sollevò il suo calice d'argento. «Alla rivalsa!» disse. Tutta la sua famiglia brindò. Non era semplicemente il nome della sua nave ammiraglia, ma era quello che lui sperava di compiere per l'Impero di Videssos dopo il terribile regno di Genesios. Sarebbe stato molto più semplice se i Makurani non avessero tratto vantaggio da quel malgoverno per occupare gran parte delle terre occidentali, e se i Kubratoi non fossero quasi giunti a catturare e a uccidere Maniakes pochi anni prima. In seguito, lui era riuscito a ripagare i Kubratoi con la stessa moneta. Vendicarsi di Makuran, però, si stava dimostrando molto più arduo. Il comandante della guarnigione sulle mura della città di Videssos era un uomo di mezza età, solido e vigile, di nome Zosimos. Ci voleva un uomo equilibrato per quell'incarico: un'anima incostante e soggetta all'isterismo avrebbe potuto provocare danni indicibili. Zosimos era la persona adatta. E così, quando venne a chiedere un'udienza con l'Avtokrator, Maniakes non solo gliela concesse subito, ma si preparò ad ascoltare con attenzione qualunque cosa l'ufficiale avesse da dirgli. E Zosimos non perse alcun tempo: «Vostra Maestà, i miei uomini hanno scorto delle spie kubratoi dalle mura.»
«Ne sei sicuro, eccellente signore?» gli chiese Maniakes. «Sono rimasti tranquilli da quando li abbiamo battuti tre anni fa. Per quanto ne so, sono ancora tranquilli: non ho ricevuto alcun rapporto di razzie sul confine.» Zosimos si strinse nelle spalle. «Non so nulla di razzie, vostra Maestà. Quello che so è che i miei uomini hanno visto dei nomadi che scrutavano la città. Li hanno inseguiti un paio di volte, ma i Kubratoi sono fuggiti.» Maniakes si grattò la testa. «È... singolare, eccellente signore. Quando i Kubratoi vengono a Videssos, vengono a razziare.» Parlò come se stesse enunciando una legge naturale. «Se vengono a spiare e basta... Etzilios ha in mente qualcosa. Ma cosa?» Assunse un'espressione fosca. Il khagan dei Kubratoi era un barbaro rozzo. Era anche un nemico astuto, infido e pericoloso. Se aveva in mente qualcosa, non sarebbe stato certamente qualcosa a vantaggio di Videssos. Se Etzilios costringeva i suoi cavalieri a rinunziare alle solite razzie e ruberie, aveva di sicuro qualcosa di grosso in mente. «Farò meglio a occuparmi personalmente di questa faccenda.» Maniakes annuì a Zosimos. «Portami dove i Kubratoi sono stati visti.» Anche una semplice escursione sulle mura della città di Videssos s'intrecciava col cerimoniale. Non solo le guardie accompagnavano l'Avtokrator, ma anche i dodici portatori di ombrelli che si addicevano al suo rango. Dovette discutere a lungo con loro per impedire che lo seguissero sulle mura e annunciassero la sua presenza a chiunque fosse in osservazione. Con riluttanza, ammisero che la segretezza potesse essere di qualche utilità. Zosimos guidò Maniakes più a sud di quanto lui si fosse aspettato, molto addentro sul prato davanti all'estremità meridionale delle mura, che forniva ai cavalli e ai fanti un utile terreno di addestramento. «Stanno spiando le nostre manovre o la città?» chiese Maniakes. «Non so dirlo.» rispose Zosimos. «Se potessi vedere nella mente di un barbaro, sarei parecchio barbaro io stesso.» «Se non sai guardare nella mente del tuo nemico, passerai un mucchio di tempo a evitarlo,» disse Maniakes. Zosimos lo fissò, senza riuscire a seguirlo. Maniakes sospirò, si strinse nelle spalle e salì le scale che conducevano ai bastioni del muro interno. Una volta sul muro e guardando oltre la città di Videssos, Maniakes avvertì quello che avevano avvertito quasi tutti i suoi predecessori prima di lui: che la capitale imperiale era invulnerabile a un assalto. Le mura merlate su cui si trovava erano robuste e spesse, alte otto o nove volte un uomo.
Le torri - alcune quadrate, altre rotonde, altre ottagonali - aggiungevano ulteriore forza e altezza. Oltre il muro interno c'era quello esterno. Era più basso, in modo che le frecce provenienti dal muro interno non solo potessero superarlo e colpire il nemico ma anche bersagliarlo nel caso inimmaginabile che dovesse cadere. Anch'esso vantava torri d'assedio che lo rendevano ancora più imponente. Al di là, nascosto alla vista dell' Avtokrator dalla mole del muro, c'era un ampio e profondo fossato per tenere lontane dai bastioni le macchine da guerra. Un paio di soldati indicarono alcuni alberi non lontani dal terreno di addestramento. «È la che li abbiamo scorti, vostra Maestà,» disse uno di loro. L'altro annuì, come per dimostrare che non era stato portato davanti al suo sovrano per sbaglio. Maniakes guardò verso gli alberi. Non si era aspettato di vedere qualcosa, ma non fu così: due cavalieri vestiti di pellicce e cuoio, montavano su cavalli più piccoli di quelli che normalmente montavano i Videssiani. «Potremmo catturarli,» disse pensieroso, ma poi scosse la testa. «No... sicuramente non sono soli. Se prendiamo questi due, gli altri che sicuramente si trovano più a nord lo verranno a sapere, ed è probabile che ciò dia inizio a quello che Etzilios ha in mente.» «Lasciare che scoprano quello che vogliono scoprire porterebbe alla stessa decisione,» rispose uno dei soldati. E questo, sfortunatamente, era vero. Ma Maniakes disse, «Se Etzilios ha intenzione di avanzare di soppiatto invece di assalirci direttamente, voglio proprio farlo avanzare per un altro anno. La lezione che gli abbiamo dato tre anni fa è già durata più a lungo di quanto pensassi. Dopo aver sistemato i Makurani una volta per tutte, cosa che spero di fare quest'anno, allora potrò cercare di dimostrare a Etzilios che la lezione che ha avuto era solo la parte minore di quella che merita.» Lui stesso aveva imparato qualcosa, da quando aveva preso il trono. La cosa più difficile che aveva dovuto apprendere era la necessità di fare ogni cosa a suo tempo e di non cercare di fare troppo subito. Quando era riuscito a padroneggiare quel principio, gli era rimasto un impero più piccolo cui applicarlo. Ora rammentò a se stesso di non aspettarsi troppo anche se avesse avuto l'intenzione di scagliare tutta la forza disponibile dell'Impero contro Kubrat. Senza dubbio, da qualche parte in uno dei polverosi archivi della città di Videssos, mappe vecchie di un secolo e mezzo mostravano strade cancellate e città totalmente scomparse della vecchia provincia imperiale che
attualmente era dominio di Etzilios. Ma l'Avtokrator Likinios aveva scagliato l'intera forza di Videssos contro Kubrat, e tutto quello che aveva ottenuto era la ribellione che gli era costata il trono e la vita. Maniakes guardò i Kubratoi per l'ultima volta. Si domandò se un Avtokrator videssiano avrebbe mai riportato sotto il controllo imperiale la terra che i nomadi avevano rubato. Sperò che sarebbe stato lui a farlo, ma aveva imparato da dolorose esperienze che quello che si spera e quello che si ottiene sono troppo spesso cose diverse. «Va bene, sono laggiù,» disse. «Finché non faranno qualcosa che mi spingerà a notarli, fingerò che non ci siano. Per ora, ho cose più importanti a cui pensare.» Videssos aveva i maghi più abili del mondo e, nel Collegio dei Maghi, la migliore istituzione dedicata all'addestramento di nuovi maghi. Maniakes si era servito molte volte di loro. Più spesso, però, preferiva lavorare con un mago che aveva incontrato nella città orientale di Opsikion. Alvinos era il nome che il mago usava comunemente per trattare coi Videssiani. Con Maniakes, usava il nome che gli aveva dato sua madre, Bagdasares. Era un altro dei capaci uomini del Vaspurakan che avevano lasciato le montagne e le valli di quel piccolo paese per vedere cosa potevano fare nel mondo più grande di Videssos. Da quando aveva salvato Maniakes da un paio di formidabili attacchi magici, l'Avtokrator aveva maturato molto rispetto per la sua abilità. Avvicinandosi al mago, chiese, «Puoi dirmi come sarà il tempo sul Mare dei Naviganti quando lo attraverseremo per andare a Lyssaion?» «Vostra Maestà, credo di si,» rispose con modestia Bagdasares, come aveva fatto nei passati due anni quando Maniakes gli aveva posto domande simili. Parlava videssiano con un accento gutturale vaspurakano. Maniakes poteva comprendere la lingua dei suoi antenati, ma solo a tratti: parlava, con suo cruccio segreto, molto più speditamente la lingua makurana. «Bene,» disse ora. «Quando ci hai avvertito di quella tempesta l'anno passato, forse hai salvato tutto l'Impero.» «Le tempeste non sono difficili da vedere,» disse Bagdasares, parlando con più sicurezza. «Sono grandi e sono generalmente naturali... a meno che un mago con più orgoglio che buonsenso non cerchi di interferire con esse. La magia del tempo non è come la magia d'amore o la magia di guerra, dove le passioni della gente coinvolta indeboliscono gli incantesimi rendendoli inutili. Venite con me, Imperatore.»
Aveva un piccolo studio di arti magiche accanto alla sua camera da letto nella residenza imperiale. Una parete era piena di pergamene e codici; lungo un'altra c'erano giare contenenti molti degli intrugli dei quali un mago si serviva nell'esercizio delle sue funzioni. Il tavolo, che occupava la maggior parte dello spazio della stanzetta, sembrava essere reduce di parecchie guerre e forse di un'insurrezione o due: la magia poteva avere effetti deleteri sul mobilio. «Acqua di mare,» mormorò sottovoce. «Acqua di mare.» Maniakes si guardò intorno. Non vide nulla che rispondesse a quella descrizione. «Posso ordinare a un servitore di recarsi al porticciolo del palazzo con un secchio, eminente signore?» «Cosa? Oh.» Alvinos Bagdasares rise. «No, vostra Maestà, non ce n'è bisogno. Stavo pensando a voce alta. Abbiamo dell'acqua fresca, e io qui ho...» Prese una giara ben tappata da una cavità nel muro. «...del sale marino, che, mescolato alla nostra acqua fresca, ci fornirà un eccellente simulacro del mare. E con cosa ha a che fare la magia, se non coi simulacri?» Dal momento che Maniakes non pretendeva di essere un mago, lasciò che Bagdasares facesse quello che riteneva opportuno. E questa, aveva scoperto, era una buona formula per avere successo in qualsiasi genere di amministrazione: scegliere qualcuno che sa quello che fa - e scegliere l'uomo giusto non era la minore difficoltà di quest'arte - poi mettersi da parte e lasciare che a fare sia lui. Canticchiando a bocca chiusa, e in maniera stonata, Bagdasares mescolò un po' d'acqua di mare artificiale, e poi, salmodiando, la versò in una bassa e larga ciotola d'argento sul tavolo malconcio. Quindi usò un coltello affilato con un'elsa d'oro per tagliare rozzamente diverse schegge a forma di barche da una tavola di quercia. Ramoscelli e pezzi di tessuto costituirono il loro sartiame. «Parliamo del Mare dei Naviganti,» spiegò a Maniakes, «per cui le imbarcazioni devono essere dei velieri, anche se in verità si usano i remi.» «Quello che conta è che tu scopra ciò di cui ho bisogno,» rispose l'Avtokrator. «Si, si.» Bagdasares si dimenticò dell'altro nell'intensa concentrazione che gli era necessaria per eseguire l'incantesimo. Recitò una preghiera, prima in videssiano e poi nella lingua vaspurakana, a Vaspur il Primo Nato, il primo uomo che Phos aveva creato. All'orecchio di un videssiano impregnato di ortodossia, la cosa sarebbe apparsa eretica. A Maniakes, in
quel momento, interessavano di più i risultati. Nel corso delle sue dispute con i templi, la sua preoccupazione per i punti più cruciali dell'ortodossia lo aveva sfibrato. Bagdasares continuò a salmodiare. La sua mano destra si muoveva in rapidi gesti sopra la ciotola in cui galleggiavano le barchette giocattolo. Senza che lui le toccasse, si disposero in formazione come avrebbe fatto una flotta in viaggio sul mare. Un vento che Maniakes non udiva gonfiò le finte vele e le fece spostare da un lato all'altro della ciotola. «Il signore dalla mente grande e buona ci favorirà col bel tempo,» disse Bagdasares. Poi, sebbene non continuasse l'incantesimo, le imbarcazioni che aveva usato nella sua magia sì girarono e cominciarono a navigare di nuovo verso il lato della ciotola dal quale erano partite. «Cosa significa?» chiese Maniakes. «Vostra Maestà, non lo so.» La voce di Bagdasares era bassa e turbata. «Se dovessi fare una congettura, io...» Prima che potesse dire altro, l'acqua calma al centro della ciotola cominciò a sollevarsi, come se qualcuno avesse afferrato il bordo e stesse scuotendo avanti e indietro il mare artificiale. Ma né Bagdasares né Maniakes avevano le mani in prossimità della ciotola di lucido argento. Quella che sembrava una scintilla scoccata fra due lame di ferro che cozzavano fra loro si accese sopra la piccola flotta, e poi se ne accese un'altra. Ci fu un tenue brontolio nell'aria: non era forse simile a un tuono, anche se infinitamente smorzato? Una delle imbarcazioni della flotta in miniatura si capovolse e affondò. Le altre continuarono a navigare. Poco prima che raggiungessero il bordo della ciotola, Maniakes ebbe - o credette di avere - una visione momentanea di altre navi, navi che sembravano diverse in una maniera che non poteva definire, anch'esse sull'acqua, anche se non pensava che fossero fisicamente presenti. Ammiccò, ed esse svanirono anche dalla sua percezione. «Phos!» esclamò Bagdasares, e poi, come se la cosa non lo avesse soddisfatto, tornò alla lingua vaspurakana per aggiungere, «Vaspur il Primo Nato!» Maniakes si tracciò il cerchio del sole di Phos sul lato sinistro del petto. «Cosa,» chiese con cautela, «cosa significava quello?» «Se lo sapessi, ve lo direi.» Bagdasares sembrava scosso nel suo intimo. «Normalmente, la più grande sfida che un mago si trova ad affrontare è quella di ricevere una risposta parziale, ma tale da fornire spiegazioni a lui
e al suo cliente. Quando invece si riceve molto di più...» «Ho capito che incontreremo una tempesta al nostro ritorno nella città di Videssos?» disse Maniakes in quella che non era esattamente una domanda. «Direi che sembra probabile, vostra Maestà,» convenne Bagdasares. «Il lampo, il tuono, le onde...» Scosse la testa. «Vorrei potervi dire come evitare questo destino, ma non posso.» «Cos'erano quelle altre navi, alla fine dell'incantesimo?» chiese Maniakes. L'interpretazione qui era meno ovvia e la sua curiosità maggiore. Ma le folte sopracciglia di Bagdasares si abbassarono e si unirono in un'espressione severa. «Quali altre navi, vostra Maestà? Io ho visto solo quelle di mia creazione.» Dopo che Maniakes, indicando la parte della ciotola dove le altre navi erano brevemente apparse, spiegò quello che aveva visto, il mago fischiò piano. «Cosa significa?» chiese Maniakes. Poi ridacchiò con ironia. «Ho il dono di capire le cose ovvie, temo.» «Se le risposte fossero ovvie come le domande, sarei più contento... e, senza dubbio, anche voi,» disse Alvinos Bagdasares. «Ma le domande circa il significato, se sono facili da porre, risultano a loro modo molto difficili da affrontare.» «Tutto a suo modo può essere difficile da affrontare,» disse Maniakes. irritato. «Molto bene. Desumo che non puoi dirmi tutto quello che ho bisogno di sapere. Cosa puoi dirmi?» «Imitando il vostro dono per l'ovvietà, direi che è ovvio che la mia magia ha sfiorato una cosa più grossa di quella che immaginavo,» replicò Bagdasares. «Come ho già detto, avrete bel tempo nel viaggio fino a Lyssaion. Direi anche che è probabile che avrete brutto tempo al ritorno.» «Non ti ho chiesto del ritorno.» «Lo so,» disse Bagdasares. «E la cosa mi fa allarmare. Il più delle volte, la magia fa quello che uno vuole o di meno, come vi ho detto poco fa. Quando fa più di quello che si desidera, è segno che l'incantesimo ha tirato via il velo da qualche grande evento, un evento con un suo potere che si mescola al potere che si è adoperato.» «Cosa posso fare per sottrarmi a quella tempesta?» chiese Maniakes. Con rammarico, Bagdasares allargò le braccia. «Nulla, vostra Maestà. L'abbiamo vista, per cui accadrà. Phos voglia che la flotta la superi con perdite meno gravi possibili.» «Si.» disse Maniakes con voce assente. Come Avtokrator dei Videssiani,
sovrano di un grande impero, si era abituato all'idea che non vi fosse nulla al di là del suo potere. Nemmeno un Avtokrator, però, poteva sperare di piegare il vento, la pioggia e il mare alla sua volontà. Maniakes cambiò argomento, sia pure di poco: «E quelle altre navi che ho visto?» Bagdasares non parve più contento. «Non lo so, non posso dirlo. Non so se sono amiche o nemiche, se verranno a soccorrere le navi della vostra flotta che supereranno la tempesta o ad attaccarle. Non so se il soccorso o l'attacco avranno successo o falliranno.» «Puoi cercare di scoprire di più?» disse Maniakes. «Certo, posso tentare, vostra Maestà,» disse Bagdasares. «Tenterò. Ma non posso garantire il successo: in effetti, temo di fallire. Io non ho avuto quella visione, qualunque potesse essere. Ciò suggerisce che potesse essere rivolta a voi soltanto, il che a sua volta suggerisce che riprodurla, comprenderla e interpretarla sarà di straordinaria difficoltà per chiunque diverso da voi.» «Fai quello che puoi,» disse Maniakes. E, per le ore successive, Bagdasares fece quello che poteva. Alcuni dei suoi sforzi furono molto più spettacolari dell'incantesimo relativamente semplice che Maniakes gli aveva chiesto all'inizio. In una occasione, la stanza splendette di una luce bianchissima per diversi minuti. Ombre apparvero sulle pareti senza che nulla le proiettasse. Parole in una lingua che Maniakes non comprendeva uscirono dall'aria.' «Cosa significano?» sussurrò a Bagdasares. «Non lo so,» gli sussurrò il mago di rimando. Poco dopo desistette, dicendo, «Qualunque cosa sia è al di là della mia capacità di scoprirla, vostra Maestà. Solo il passare del tempo la rivelerà.» Maniakes strinse i pugni. Se avesse voluto attendere il passare del tempo, non avrebbe chiesto a Bagdasares di usare la magia. Sospirò. «So che l'armata raggiungerà Lyssaion senza grandi difficoltà,» dichiarò. «Per ora, mi basta questo. Una volta che sarò là, una volta che avrò punito i Makurani per tutto quello che hanno fatto a Videssos, allora mi preoccuperò di quello che accadrà dopo.» «È il corso naturale delle cose, vostra Maestà,» disse Bagdasares. I suoi occhi grandi e scuri, però... i suoi occhi erano colmi di apprensione. Quello che a una prima occhiata sembrava un caos riempiva il porto di Kontoskalion. A bordo di alcuni mercantili sfilavano i soldati. Su altre navi staffieri e cavalieri conducevano cavalli tristi e sospettosi sulle passerel-
le di altri. Su altre ancora venivano caricati i rifornimenti dell'ultimo minuto. «Il signore dalla mente grande e buona vi benedica, vostra Maestà, mentre sarete impegnato in questa sacra impresa,» disse il patriarca ecumenico Agathios a Maniakes, tracciandosi il cerchio del sole di Phos sul cuore. «Ti ringrazio, santissimo signore,» rispose l'Avtokrator, assolutamente sincero. Da quando aveva concesso la dispensa che riconosceva il suo matrimonio con Lysia, Agathios si era mostrato desideroso di farsi vedere con loro e di pregare con loro e per il loro successo in pubblico. Una buona parte degli altri chierici, incluso qualcuno che riconosceva che la dispensa era nelle prerogative del patriarca, rifiutava di darne un così aperto riconoscimento. «Sconfiggete i Makurani!» gridò all'improvviso Agathios, a gran voce. La sola cosa che Maniakes aveva notato in lui col passare degli anni era che, pur essendo solitamente calmo, poteva eccitarsi fino alla rabbia o crollare nel panico con velocità allarmante. «Sconfiggeteli!» gridò di nuovo. «Poiché hanno cercato di spazzare via e di corrompere la santa fede di Phos nelle terre che hanno rubato all'Impero di Videssos. Ora, che la nostra vendetta si compia.» Un buon numero di soldati, ascoltando le sue parole, si tracciò il segno del sole. Maniakes aveva punito la Terra delle Mille Città per gli oltraggi che i Makurani avevano perpetrato ai danni delle terre occidentali videssiane, per i templi abbattuti e bruciati, per la dottrina vaspurakana imposta con la forza ai Videssiani che la ritenevano eretica, per i sacerdoti torturati quando si rifiutavano di predicare l'eresia vaspurakana. Maniakes riconobbe l'ironia della cosa, anche se non si azzardò a manifestarla. Lui era incline a quella che i Videssiani chiamavano ortodossia, ma suo padre era testardamente legato alle dottrine così aborrite nelle terre occidentali. Aveva impiegato buona parte delle sue forze per distruggere i templi dedicati al Dio che i Makurani adoravano. Avendo intrapreso una guerra di religione, adesso stavano scoprendo cosa significava subirla. Agathios, fortunatamente per la pace mentale di Maniakes, si calmò con la stessa rapidità con la quale si era infiammato. Qualche momento dopo aver strillato con rabbia le iniquità dei Makurani, con tono normale di voce disse, «Se il buon dio è cortese, vostra Maestà, vi farà trovare un modo per porre fine a questa guerra lunga e difficile una volta per tutte.» «Dalle tue labbra all'orecchio di Phos,» convenne Maniakes. «Niente mi
renderebbe più felice della pace... ammesso che ci restituiscano quello che ci hanno sottratto. E niente li renderebbe più felici della pace... ammesso che possano conservare quello che hanno preso quando Videssos era debole. Capisci qual è il problema, santissimo signore?» «Capisco.» Il patriarca ecumenico emise un lungo e triste sospiro. «Vorrei che le cose non stessero così, vostra Maestà.» Sembrava imbarazzato. «Voi capite, spero, che ho parlato come ho parlato nell'interesse di Videssos e nell'interesse della pace piuttosto che nell'interesse dei templi.» «Naturalmente,» rispose Maniakes. Si era talmente esercitato nella diplomazia - o forse ipocrisia era la parola migliore - che Agathios non si accorse del suo sarcasmo. Quando la guerra contro i Makurani era apparsa nera come il vuoto della tesoreria imperiale, aveva preso in prestito oro e argento e candelabri, specialmente dall'Alto Tempio ma anche dagli altri, e li aveva fusi per farne monete d'oro e d'argento con le quali pagare i suoi soldati... e con le quali poteva anche pagare tributi ai Kubratoi in modo da concentrare quelle poche risorse che aveva nella guerra contro i Makurani. Con la pace, i templi sarebbero stati - forse - ripagati. Il pensiero dei Kubratoi gli fece rivolgere lo sguardo a est. Non si trovava sulle mura della città di Videssos ora; non poteva vedere gli esploratori kubratoi che si erano avvicinati alla città imperiale per vedere quello che lui stava facendo. Ma non li aveva nemmeno dimenticati. I nomadi non avevano mai mandato prima delle spie in maniera così palese. Si domandò cosa avevano in mente. Etzilios si era mantenuto molto tranquillo nei tre anni circa trascorsi da quando era stato punito... fino a quel momento. Mentre Maniakes rifletteva, Agathios sollevò le mani verso il sole e sputò sulle tavole della banchina per mostrare il suo disprezzo per Skotos. «Noi ti benediciamo, Phos, signore dalla mente grande e buona,» intonò, «nostro protettore per tua grazia, e ti preghiamo di far si che questa grande e vitale prova che ci attende sia in nostro favore.» Maniakes sì unì a lui nel credo di Phos, e così fecero molti dei marinai e dei soldati. Quel credo legava gli adoratori del buon dio nella lontana Kalavria, quasi all'estremità orientale del mondo, con i loro correligionari sulla frontiera makurana... o piuttosto, su quella che era stata la frontiera con i Makurani finché questi non avevano approfittato della debolezza di Videssos, dopo che Genesios aveva ucciso Likinios e i suoi figli. Agathios fece un profondo inchino. «Possa la buona fortuna seguirvi, vostra Maestà, e possiate tornare incoronato dalle nuvole fragranti della vittoria.» Maniakes era stato allevato per fare il soldato, non il retore, ma
sapeva riconoscere una metafora ambigua quando ne udiva una. Agathios parve non notare nulla di fuori dall'ordinario, aggiungendo, «Possa il Re dei Re acquattarsi come il bue frustato che hai come schiavo.» E, chinandosi ancora, se ne andò, sublimamente inconsapevole di aver lasciato dietro di sé un Maniakes molto perplesso. Thrax agitò una mano dalla Rivalsa. Maniakes restituì il saluto e si affrettò lungo la banchina verso la sua nave ammiraglia. I suoi stivali rossi, calzature riservate unicamente all'Avtokrator, emisero un rumore sordo sulla passerella. «Felice di avervi a bordo, vostra Maestà,» disse Thrax, inchinandosi. «L'Imperatrice sarà qui fra poco? Quando tutti saranno a bordo, non ci sarà più nulla a trattenerci in città.» «Lysia sarà qui presto,» rispose Maniakes. «Vuoi dirmi che Rhegorios è già a bordo?» «È così.» Thrax indicò a poppa, la cabina dietro l'albero maestro. Sulla maggior parte dei dromoni, solo il capitano si permetteva il lusso di una cabina, il resto della ciurma sospendeva le amache o stendeva le coperte sul ponte quando trascorreva occasionalmente la notte in mare aperto. Una nave che abitualmente trasportava l'Avtokrator, sua moglie e il Sevastos, però, li ospitava con tutti gli agi possibili nei confini ristretti di una nave da guerra. Maniakes bussò alla porta della cabina che suo cugino stava usando. Quando Rhegorios la aprì. Maniakes disse, «Non mi aspettavo che tu venissi a bordo prima di me e di Lysia.» «Beh, la vita è piena di sorprese, no, cugino vostra Maestà cognato mio,» disse Rhegorios, riunendo con sfrontata effusione tutti i titoli con i quali poteva rivolgersi a Maniakes. Era sua abitudine farlo, anche perché talvolta la cosa irritava Maniakes e questo lo divertiva immensamente. Quel giorno, però, l'Avtokrator rifiutò di abboccare. Disse, «Lysia e io abbiamo le nostre ragioni per volercene andare dalla città di Videssos, ma tu qui sei molto popolare. Avevo pensato che volessi restare quanto più a lungo potevi.» «Qualsiasi sciocco con un largo sorriso può essere popolare,» disse Rhegorios con un gesto noncurante della mano. «È facile.» «Non lo avevo capito,» rispose seccamente Maniakes. «Ah, ma tu non sei uno sciocco,» disse Rhegorios. «E questo complica le cose. Quando uno sciocco sbaglia, la gente lo perdona: non sta facendo nulla che non si aspettasse. Ma se un uomo reputato intelligente perde la rotta, si gettano su di lui come un branco di lupi, poiché li ha traditi.»
Lysia salì a bordo della Rivalsa in quel momento, e ciò avrebbe dovuto distrarre Maniakes ma non fu così. Un gran numero di persone nella città di Videssos riteneva che lui avesse sbagliato nell'innamorarsi di sua cugina. Il sentimento sarebbe stato meno potente se fosse stato più razionale. Allontanarsi dalla capitale, allontanarsi dai sacerdoti che ancora provavano irritazione per la dispensa che lui aveva strappato ad Agathios, era un grande sollievo. Thrax gridò gli ordini. Gli scaricatori accorsero a sciogliere gli ormeggi. I marinai avvolsero rapidamente le corde in spire serpentine. Ritirarono la passerella, collocandola dietro le cabine. Maniakes sentì il tonfo attraverso le piante dei piedi quando essa urtò le tavole del ponte. Un tamburo cominciò a battere, stabilendo il ritmo dei rematori. «Remi in acqua!» gridò il capovoga. I remi affondarono nell'acqua. A poco a poco, la Rivalsa scivolò via dalla banchina. Maniakes trasse un profondo respiro, poi emise un lungo sospiro di sollievo. Ovunque andasse, e in qualunque sorta di battaglia, sarebbe stato più felice che se fosse rimasto là. Arrivare a Lyssaion era come entrare in un altro mondo. Là nel lontano sud-ovest delle terre occidentali videssiane, il calendario poteva anche indicare gli inizi della primavera, ma stando a tutti i segni visibili era estate inoltrata. Il sole martellava dal cielo con quasi la stessa inesorabile autorità che mostrava nella Terra delle Mille Città. Solo il Mare dei Naviganti faceva sì che il clima caldo non fosse intollerabile. Ma anche il mare là era diverso da come appariva nella città di Videssos. Nella capitale, l'acqua di mare era verde. In Kalavria, nel lontano est, era quasi grigia. Si poteva raggiungere la riva occidentale da Kastavala, e far spaziare lo sguardo sulla distesa grigia e interminabile, un oceano grigio, che arrivava alla fine del mondo, o qualunque cosa ci fosse oltre lo sguardo. Nessuna nave era mai arrivata dalla parte orientale della Kalavria. In molti anni, poche navi si erano spinte a est salpando dall'isola. E nessuna di esse era mai tornata. Là, invece... l'acqua era blu. Non era il blu del cielo, il blu che i fabbricanti di vetro a piombo tentavano, senza riuscirvi, di imitare. Il blu del mare era più scuro, più profondo, più ricco, fin quasi ad avvicinarsi al colore del vino pregiato. Ma se, vittima dell'illusione, uno vi attingeva, si ritrovava solo con una coppa di acqua calda e salata. «Mi domando perché sia così,» disse Rhegorios, dopo aver fatto l'esperimento.
«Al ghiaccio se lo so.» Maniakes sputò in spregio di Skotos, il cui inferno gelato accoglieva le anime dei peccatori in un eterno tormento. «Phos è un mago migliore di tutti i maghi messi assieme,» disse Rhegorios, e suo cugino poté solo annuire. In contrasto col cielo splendente e col blu intenso del mare, le mura di Lyssaion e gli edifici visibili sopra di esse sembravano ricavati da una colata d'oro luccicante. Non lo erano, naturalmente: un simile esempio della stupidità umana non sarebbe mai stato realizzato, né sarebbe sopravvissuto a lungo qualora per miracolo lo fosse stato. Ma il giallo-ocra dell'arenaria splendeva e scintillava nella luce abbagliante del sole al punto che l'occhio doveva distogliersi per non restare accecato. Fino a due anni prima, Lyssaion non era stata altro che una piccola città addormentata, cotta dall'estate e calda per la maggior parte dell'inverno, che, in tempo di pace, mandava le merci provenienti dà ovest e occasionali carichi di datteri nella città di Videssos. Le palme sulle quali i datteri maturavano erano sparse per tutta la città, come nella Terra delle Mille Città. Maniakes le trovava assurde: gli facevano venire in mente più delle piume di dimensioni esagerate che degli alberi veri e propri. Lyssaion era stata così poco importante nello schema delle cose che i Makurani, quando avevano razziato le terre occidentali videssiane, si erano preoccupati di darle solo una guarnigione simbolica. La loro invasione si era concentrata a nord-est, in direzione della città di Videssos. Le città che si trovavano sulla strada per la capitale erano saldamente in loro pugno. Le altre città... «Non hanno dedicato molta attenzione alle altre città,» disse Maniakes con allegria, mentre i suoi uomini e i cavalli lasciavano le navi e marciavano dentro Lyssaion. «No di certo,» convenne Rhegorios, anch'egli con allegria. «E adesso la pagheranno cara.» Guardando Lyssaion, però, Maniakes pensò che i Makurani avrebbero potuto fare ben poco per impedirgli di utilizzarla come base anche se avessero voluto. Aveva mura robuste per tenere lontani i nemici che si avvicinavano da terra, ma nulla per impedire alle navi di avvicinarsi. Senza navi, quel posto non aveva motivo di esistere. Dei pescherecci salpavano da li: in tempo di pace godeva di una modesta prosperità derivata dai suoi datteri e dall'essere un punto di transito fra Makuran e Videssos. Fortificare la baia per tenere lontana una flotta? La città sarebbe morta, la gente sarebbe scappata e chi avrebbe nutrito la guarnigione, allora?
Maniakes sistemò Lysia nella residenza dell'hypasteos, dove la moglie del governatore della città la circondò di premure: un po' per le inattese nausee mattutine, un po' per il mal di mare, era molto sciupata. «Sono contenta che adesso sia solo il mio stomaco a muoversi, e non tutto quello che c'è intorno a me.» Di li a poco, sarebbe salita su un carro per essere sballottata fino alla Terra delle Mille Città e, Phos volendo, fino a Mashiz. Maniakes non ne fece parola. Sapeva che Lysia ne era al corrente. Come poteva biasimarla se non voleva pensarci? Il suo cavallo, Antilope, era contento di essere tornato sulla terraferma quasi quanto sua moglie. La bestia sbuffò e scalciò una volta condotta via dalla banchina. «Riesci a fiutare dove siamo?» chiese Maniakes, accarezzando il muso del cavallo. Il vento aveva un odore caldo e polveroso, ma lui non aveva il naso di un animale. «Sai cosa significano questi odori?» Per come Antilope nitrì, doveva saperlo. Maniakes era costretto a usare gli occhi. Vedere quelle colline - quasi montagne - contro l'orizzonte nordorientale e nord-occidentale, vedere il nastro verde del fiume Xeremos che fluiva nel deserto secco, da Lyssaion fino al Mare dei Naviganti... tutto ciò gli fece venire in mente le battaglie nella Terra delle Mille Città che avevano costretto Sharbaraz Re dei Re a danzare al ritmo imposto da Maniakes, invece del contrario. Un altro anno di combattimenti avrebbe potuto portare quella vittoria che era parsa inimmaginabile quando lui aveva preso il trono di Genesios. Il suo esercito riempì Lyssaion all'inverosimile e anche oltre: le tende spuntarono come funghi, persino parecchio fuori dalle mura cittadine. Avrebbe voluto dirigersi a nord-ovest lungo gli argini dello Xeremos e fino al territorio nemico, ma doveva attendere che non solo gli uomini e i cavalli ma anche i rifornimenti fossero scaricati dalle navi. Una volta nella Teina delle Mille Città, avrebbero potuto trarre sostentamento dalla campagna fertile. Sulla strada, però, la maggior parte del territorio era tutto fuorché rigoglioso. «Phos vi benedica, vostra Maestà, nel viaggio contro il vostro nemico,» disse il prelato locale, un amabile piccoletto di nome Boinos, alla cena di quella sera. Maniakes gli sorrise: non aveva mai sentito pronunciare la frase Per favore vattene da qualche altra parte e smettila di saccheggiare le nostre provviste in maniera più elegante. «Accetterò tutte le benedizioni, grazie,» rispose l'Avtokrator. «Già penso che il buon dio stia vegliando su di noi: i Makurani avrebbero potuto fa-
cilmente arrivare a Lyssaion scendendo lungo lo Xeremos. Li avremmo scacciati via di nuovo, non v'è dubbio, ma ciò avrebbe rinviato l'inizio della campagna, e non sarebbe stato un bene per la tua città.» Rivolse un sorriso radioso a Boinos, compiaciuto del suo tono pacato. Il prelato si tracciò il cerchio del sole sul cuore. E così fece Phakrases, l'hypasteos, che sembrava il cugino triste di Boinos. E così fece il comandante della guarnigione, Zaoutzes, che, per gli anni trascorsi in quel posto bersagliato dal sole, era abbronzato e scavato come un marinaio. Disse, «Sapete, vostra Maestà, mi aspettavo qualcosa del genere da loro, ma non è mai successo. Ho continuato a mandare degli esploratori su per il fiume per vedere se stavano preparando qualcosa. Non ho mai trovato traccia che stessero per venire qui, però, e di questo ringrazio il dio dalla mente grande e buona.» Si segnò di nuovo. «Forse non se ne sono interessati, sapendo che potevano raggiungere la Terra delle Mille Città passando per Erzerum, se avessimo saputo che Lyssaion era caduta,» suggerì Rhegorios. «Perdonatemi, vostra altezza, ma non mi piace pensare che la mia città possa ricadere nelle mani dei miscredenti,» disse rigidamente Phakrases. «E non mi piace nemmeno pensare che quello che accade a Lyssaion è importante per la città di Videssos nella misura in cui può costringervi a cambiare i vostri piani.» Ecco qua, pensò Maniakes. Una volta tanto, Rhegorios non ha avuto la risposta pronta: forse non si era aspettato che il governatore della città fosse così schietto - anche se educatamente schietto - con lui. Lysia disse, «Lyssaion è importante di per sé, anche perché è la chiave della serratura che quando sarà aperta libererà l'intero Impero di Videssos. Dissi la stessa cosa quando venimmo qui due anni fa, e la dico di nuovo ora che comincia a essere vera.» «Siete cortese, Imperatrice,» rispose Phakrases, inclinando la testa verso di lei. Quasi tutti in Lyssaion mantenevano un educato silenzio circa l'irregolarità del suo legame con Maniakes, e di questo sia lei che l'Avtokrator erano grati. Forse perché bastava la dispensa di Agathios, in un posto così lontano dalla capitale, in un luogo dove la gente era più flemmatica, meno propensa alle polemiche. O forse, al contrario, vivere così vicino a Makuran, dove i matrimoni fra cugini e anche fra zii e nipoti erano permessi, faceva si che la gente di Lyssaion accettasse queste unioni. Maniakes non aveva intenzione di chiedere quale delle due interpretazioni fosse vera. Invece, seguì il pensiero di Zaoutzes: «E se i Makurani stanno preparan-
do qualcosa, non destinata a Lyssaion?» Il comandante della guarnigione si strinse nelle spalle. «Non ho modo di saperlo, vostra Maestà. Nessuno dei miei uomini si è spinto così avanti nella Terra delle Mille Città da poterlo dire.» «Bene,» disse Maniakes. «Se Sharbaraz e Abivard stanno preparando qualcos'altro, immagino che lo scoprirò quando verrà mandato contro di noi.» Fece per aggiungere una frase tipo, Abbiamo fermato tutto quello che hanno mandato contro di noi finora, ma la lasciò inespressa. Se le terre occidentali videssiane non fossero state sotto il controllo makurano, non sarebbe stato costretto a raggiungere Lyssaion per poter iniziare la campagna di guerra contro il nemico. Rhegorios disse, «Siamo riusciti a restare vivi finora,» e questa era una sintesi più aderente alla situazione del momento. Rhegorios, com'era sua abitudine, sembrava allegro. Quando la semplice sopravvivenza, però, è sufficiente a rendere allegro un uomo, allora le nubi che si addensano in alto sono scure e tetre. Come Avtokrator dei Videssiani, Maniakes non poteva permettersi di mostrarsi preoccupato, per timore che ciò facesse inquietare anche i suoi sudditi, peggiorando così la situazione. Però, quando lui e Lysia stavano per mettersi a letto nella camera che Phakrases aveva messo a loro disposizione, disse, «Abbiamo dovuto evitare parecchie frecce degli archi dei Makurani, e ne abbiamo restituite poche. Quanto durerà tutto questo?» Lysia ci pensò un attimo prima di rispondere. Come cugina, lo conosceva da una vita. Come moglie, era giunta a conoscerlo in una maniera del tutto diversa. Alla fine, disse, «I Makurani hanno fatto tutto quello che potevano a Videssos, poiché non possono raggiungere la città imperiale. Noi abbiamo fatto molto meno di ciò che possiamo. Più faremo, prima torneranno ragionevoli e decideranno per la pace.» «Altri mi hanno detto la stessa cosa, da quando ho avuto l'idea di muovere la mia armata contro di loro per mare,» rispose lui. «Il vantaggio che hai tu è che mi spingi a crederci.» «Bene,» disse lei. «È così che devo fare. Non è forse quello che definiscono dovere di moglie?» Lui sorrise. «No, è qualcos'altro.» Lei gettò indietro la testa, scostandosi i riccioli neri dal viso. «Quello non è un dovere. Tu tolleri a malapena i doveri. Quello...» Quello era incantevole, anche perché lei non lo considerava un dovere. Maniakes pensò con tristezza a Niphone, che invece non riusciva a farlo in
maniera diversa.. Dopo, dormì profondamente. Al mattino, l'armata lasciò Lyssaion diretta a nord-ovest. CAPITOLO SECONDO Dove arrivavano le acque dello Xeremos, la valle era verde e fertile. Dove i canali e i condotti sotterranei simili a quelli della pianura occidentale makurana non arrivavano, c'era il deserto. Qui e là, gli abitanti del luogo avevano eretto mura di mattoni di fango e pietre, non contro nemici umani ma per tenere a bada le dune di sabbia. Ovunque i resti di tali mura che spuntavano dalla sabbia parlavano di simili combattimenti falliti. Era la seconda volta che i contadini nella valle vedevano l'armata videssiana andare all'attacco di Makuran. La prima volta, due anni prima, avevano oscillato fra il panico e lo sbalordimento: nessun Avtokrator era stato visto in quella parte lontana dell'Impero per secoli, se mai c'era stato. Non sapevano se i soldati li avrebbero depredati dei loro pochi beni. Certo, loro e i soldati avevano giurato fedeltà allo stesso sovrano, ma quante volte ciò aveva contato per i soldati? Maniakes aveva impedito ai suoi uomini di depredare, all'epoca e anche durante l'autunno appena trascorso, quando si erano ritirati dalle Mille Città passando per lo Xeremos. Ora i contadini salutavano dai campi invece di scappare. Quando Maniakes lo fece notare, Rhegorios disse, «I contadini fra il Tutub e il Tib non sarebbero così lieti di vederci.» «I contadini nelle terre occidentali - contadini e mandriani - non sono stati lieti di vedere i Makurani, o di farsi rubare le poche sostanze, o di dover pagare delle tasse rovinose al Re dei Re, o di vedere il loro culto deliberatamente turbato per alimentare le faide tra loro,» ribatté Maniakes. «È così, parola per parola, cugino vostra Maestà cognato mio,» convenne Rhegorios, esibendo uno dei suoi ghigni impudenti. «Ma ciò, nonostante sia vero, non renderà lieti di vederci i contadini della Terra delle Mille Città.» «Non voglio che siano lieti di vederci,» disse Maniakes. «Voglio che ci odino molto... voglio che tutta Makuran ci odi molto, si, e anche che ci tema molto... che rinuncino alla guerra, rinuncino alla nostra terra e che tornino dentro i loro confini. Se Sharbaraz ci offrirà questo, per quanto mi riguarda sarà maledettamente benvenuto in una delle Mille Città che saranno rimaste ancora in piedi.»
Si voltò a guardare sopra la spalla. Una buona parte dei carri del convoglio delle salmerie non trasportava foraggio per gli animali né cibo per gli uomini ma corde robuste, attrezzi di ferro e ottone, e un gran numero di tavole tutte della stessa lunghezza. Gli arnesi sembravano innocui... finché i genieri non ricavavano catapulte da quei pezzi, e in maniera molto più rapida di quanto potessero fare la maggior parte dei comandanti di guarnigione Makurani. Le tavole che servivano a realizzare le macchine d'assedio erano utili anche in un'altra maniera. C'erano dei canali che attraversavano la pianura alluvionale fra il Tutub e il Tib. Per rallentare i Videssiani, i Makurani non esitavano a rompere gli argini dei canali lungo il loro cammino e a farne defluire le acque per trasformare in fango strade e campi. Gettate nel fango, le tavole potevano rendere praticabile una strada che non lo era. Con voce pensierosa, Rhegorios disse, «Mi domando cosa cercherà di fare Abivard contro di noi quest'anno, ora che ha un po' di 'bolliti' makurani...» I Videssiani così chiamavano in gergo la temibile cavalleria pesante makurana, i cui membri davvero potevano raggiungere il punto di bollitura nell'armatura completa che racchiudeva non solo loro ma anche i cavalli. «...A far compagnia alle reclute di fanteria provenienti dalle guarnigioni cittadine.» «Non lo so.» Maniakes sospettava di apparire infelice. Era certo di sentirsi infelice. «Avremmo potuto fare di meglio nei trascorsi due anni se Sharbaraz avesse mandato un generale peggiore contro di noi. Ho conosciuto Abivard più di dieci anni fa ed era già abile allora... forse più di quanto luì stesso immaginava, dal momento che aveva appena iniziato a guidare campagne di guerra. Da allora è addirittura migliorato.» La sua risatina aveva una sfumatura amara. «Forse non dovrei nemmeno dirlo, dal momento che è stato lui a strapparci le terre occidentali.» «La sua armata non è paragonabile a quella che guidava allora,» disse Rhegorios. «Non ha tutta la cavalleria pesante con sé, solo una parte, mentre il resto si trova nelle terre occidentali o nel Vaspurakan. E sai una cosa? Quel resto non mi manca affatto, nemmeno un poco.» «E nemmeno a me,» convenne Maniakes. Cavalcarono in silenzio per un breve tratto. Poi proseguì, «Mi domando cosa pensa di me Abivard... come studia le sue campagne contro di me, voglio dire.» «Quello che tu fai - quello che tu fai e che la maggior parte delle persone non sa fare, voglio dire - è imparare dai tuoi errori,» rispose suo cugino. «Davvero?» disse Maniakes. «Allora perché continuo a sopportarti?»
Rhegorios fece finta di essere stato colpito a morte, e così bene che il suo cavallo sbuffò e scartò sotto di lui. Ne riprese il controllo, poi disse, «Perché indubbiamente riconosci la qualità quando la vedi.» Non si stava vantando: Rhegorios, in verità, non sembrava serio. Ma il Sevastos continuò con tono più sobrio: «Tu sai apprendere. Le cose che erano efficaci contro di te due anni fa adesso non lo sono, poiché le hai già viste.» «Lo spero.» disse Maniakes. «So che ero solito lanciarmi a testa bassa, senza cercare prima di capire quello che mi aspettava. I Kubratoi quasi mi uccisero per questo, non molto dopo che presi il trono.» «Ma ora non lo fai più,» disse Rhegorios. «Un sacco di gente continua a ripetere gli stessi errori. Prendi me, per esempio: ogni volta che vedo una graziosa ragazza, mi innamoro.» «No, non è così,» disse Maniakes. «Vuoi soltanto mettere le mani, o qualcos'altro, sotto la sua tunica. Non è la stessa cosa.» «Senza alcun dubbio, hai ragione, O modello di saggezza,» disse Rhegorios con una comica espressione maliziosa. «E quanti uomini imparano a fare questo?» Rideva nel porre la domanda, il che non significava che non fosse buona. «Prima o poi diventerai troppo vecchio per interessartene, o la tua vista troppo precaria per distinguere le ragazze graziose dalle altre,» replicò Maniakes. «Ah! Questo devo proprio dirlo a mia sorella.» «Stai per caso minacciando il tuo sovrano?» disse Maniakes. «Questa è lesa maestà, sai. Potrei farti incatenare la lingua.» Questa volta, fu lui a rivolgere al cugino un'espressione maliziosa. «E se lo facessi, non credo che piaceresti molto alle ragazze.» Rhegorios tirò fuori l'organo in questione. Adesso era facile ridere. La campagna era appena cominciata, e niente era ancora andato storto. Lo Xeremos nasceva nella zona collinosa a nord-ovest di Lyssaion. Quelle stesse colline davano origine al Tutub. che, col Tib, circondava la Terra delle Mille Città. Invece di fluire a sud-est fino al Mare dei naviganti, il Tutub deviava a nord attraverso la piana alluvionale per sfociare nel Mar Mylasa, che era interamente circondato dalla terra. Dopo aver viaggiato con passo rapido lungo lo Xeremos, l'esercito di Maniakes rallentò nella regione più accidentata dove nasceva il fiume. I soldati dovevano disporsi in lunghe file per farsi strada sugli stretti sentieri che serpeggiavano fra le colline. Un piccolo contingente makurano avreb-
be potuto rendere la vita molto difficile agli imperiali in marcia. Nulla del genere, però, cercò di bloccare la loro avanzata. Ciò suscitò i sospetti di Rhegorios. «Avrebbero potuto trattenerci qui per settimane se ci avessero pensato,» disse. «Si, ma avrebbero dovuto aspettare intere settimane per vedere se arrivavamo,» replicò Maniakes. Indicò con un ampio gesto il territorio brullo e roccioso intorno a loro. «Cosa avrebbero mangiato nell'attesa?» Rhegorios grugnì. Per quanto lo riguardava, fare la guerra significava combattere e nient'altro. Si curava poco di logistica. Maniakes poteva anche non trovare eccitanti i dettagli per mantenere un esercito ben nutrito e rifornito. Ma che quei dettagli fossero eccitanti o meno, occuparsene faceva la differenza fra una campagna fallita e una vittoriosa. Maniakes proseguì, «Avrebbero dovuto trasportare parecchie provviste per non morire di fame quaggiù.» Esagerava, ma non troppo. Una manciata di campi arati si estendeva qui e là. Alcuni mandriani facevano pascolare greggi sulle colline. A causa della ripidezza delle colline stesse, spesso si vedevano degli animali dai musi neri ruminare su un pendio. C'erano alcuni alberi di noci. Era abbastanza per consentire la sopravvivenza della popolazione locale. Un'armata che non avesse portato con sé delle provviste proprie avrebbe esaurito le risorse della zona in brevissimo tempo. Dopo un paio di giorni in quella terra brulla, arrivò un esploratore al galoppo dal percorso che l'armata avrebbe dovuto seguire. Gridò, «Vostra Maestà, ho trovato le sorgenti del Tutub!» «Una bella notizia!». Maniakes frugò nella borsa che portava alla cintura, ne tirò fuori un pezzo d'oro e lo lanciò al soldato. Con un ampio sorriso, l'uomo la intascò. Maniakes si domandò cosa avrebbe fatto il soldato se avesse saputo che il pezzo d'oro era stato fuso in una misura meno pura della norma videssiana. Per quanto ne sapeva Maniakes, nessuno all'esterno della zecca lo sospettava: era un modo per diluire maggiormente le sue scarse risorse. Ridurre il valore del denaro era un gioco pericoloso. Stando all'espressione sulla faccia del soldato, non aveva motivo di preoccuparsi. Era pur sempre un pezzo d'oro in più - beh, in effetti, quasi un pezzo d'oro in più - di quello che avrebbe posseduto altrimenti. «È tutta discesa da qui in avanti, ragazzi!» gridò Maniakes, e questo sollevò un'acclamazione dai soldati che lo udirono. Se ciò fosse stato vero per la campagna di guerra e non solo per la linea di marcia, sarebbe stato contentissimo. I Makurani, fino a quel momento, avevano avuto campagne facili ed erano riusciti a occupare le terre occidentali, mentre l'Impero di Vi-
dessos, sotto il governo malvagio e inetto di Genesios, si era contorto nell'agonia della guerra civile come un serpente con la schiena spezzata, invece di raccogliere tutte le sue forze per difendersi dal nemico. Mentre l'esercito avanzava nella regione collinosa in direzione della Terra delle Mille Città, incontrò altri villaggi di dimensioni maggiori. Non trovò più gente in essi. Anzi, non ne trovò affatto. Esploratori o mandriani dovevano aver portato la notizia dell'arrivo dei Videssiani. Se avesse avuto la notizia a tempo debito, anche Maniakes sarebbe fuggito davanti alla sua armata. Ordinò che i villaggi fossero bruciati. Mandò delle squadre di cavalieri all'altro lato della sua linea di marcia, con l'ordine di bruciare anche i villaggi più lontani. Quando aveva cominciato la campagna in Makuran, aveva fatto del suo meglio per rendere la guerra quanto più dura possibile per il nemico. Presto o tardi, aveva ragionato, o Sharbaraz si sarebbe stufato di vedere la sua terra distrutta o i suoi sudditi si sarebbero stufati loro e si sarebbero ribellati al Re dei Re. Il solo guaio era che questo non era ancora accaduto. Quasi impercettibilmente, le colline si abbassarono, appiattendosi nel suolo fangoso e percorso dai canali della pianura alluvionale fra il Tutub e il Tib. Scrutando a nord-ovest, Maniakes poteva vedere per un lungo, lungo tratto. La più vicina delle Mille Città, Qostabash, si trovava in quella direzione. L'autunno prima aveva evitato Qostabash. Allora si stava ritirando, con l'armata di Abivard a disturbarlo. Non aveva avuto la soddisfazione di potersi fermare per qualche giorno a saccheggiare la città. Promise a se stesso che stavolta sarebbe stato diverso. Qostabash, come parecchie delle Mille Città, sorgeva dalla terra piatta tutt'intorno come un foruncolo dalla pelle liscia sulla guancia di una donna. Non era stata edificata dov'era per trarre vantaggio dalla collinetta sulla quale era appollaiata. Quando venne fondata la collina non era là. Ma le Mille Città erano antiche, molto antiche. Erano apparse fra il Tutub e il Tib prima che la città di Videssos fosse una città, addirittura prima che fosse anche un villaggio. Col passare di molti anni, i loro stessi detriti - muri crollati e case ed edifici di mattoni di fango, assieme a secoli di pietrisco e rifiuti - avevano creato una collina dove prima non ce n'era nessuna. Le loro mura erano ancora di mattoni di fango, sebbene adesso i mattoni fossero cotti, per renderli più resistenti alle macchine da assedio. Una migliore resistenza non era la stessa cosa che una buona resistenza. Maniakes
guardava verso Qostabash come un cane affamato poteva guardare la bottega di un macellaio. Ma, mentre si avvicinava, scoprì che la città non era così indifesa come aveva sperato. Le sue mura non erano migliorate dall'anno precedente. Ma l'esercito che si trovava fra esse e i Videssiani le aveva rese più difficili da abbattere. «Bene, bene,» disse Maniakes. «Non è interessante?» Interessante non era la parola che aveva in mente, ma era una parola che poteva pronunciare senza far coprire di pustole tutti quelli che erano a portata d'orecchie. «Hanno deciso di reagire, eh?» disse Rhegorios. «Un anno fa, ci fecero percorrere metà della pianura prima di abbozzare una resistenza, e l'altro anno potemmo divertirci un po' quando arrivammo da Erzerum. Non questa volta, però.» «No.» Maniakes strizzò gli occhi, cercando di aguzzare la vista. I Makurani erano ancora troppo lontani per esserne sicuro, ma...» Mi sembra un esercito di discrete dimensioni quello che hanno messo assieme.» «Già,» convenne Rhegorios. «Possono permettersi di nutrire un buon esercito qui, più di quanto potessero permetterselo nella regione delle colline.» Forse stava cominciando a tenere conto della logistica, dopo tutto. Lanciò un'occhiata a Maniakes. «Cercheremo di passare attraverso di loro, o intorno?» «Non lo so ancora,» rispose Maniakes. Quelle parole che gli attraversarono le labbra erano un segno del tempo trascorso da quando il patriarca ecumenico lo aveva proclamato Avtokrator dei Videssiani. Non si sarebbe lanciato a testa bassa senza soppesare le conseguenze, come avrebbe fatto solo pochi anni prima. «Vediamo cos'hanno da dirci gli esploratori. Quando saprò quello che mi trovo di fronte, avrò una migliore possibilità di prendere la decisione giusta.» Gli esploratori si portarono in testa, galoppando alla volta dell'armata makurana. Il resto dell'esercito videssiano seguì i battistrada. Maniakes desiderò di avere un mezzo migliore dèi soli occhi per. osservare l'armata nemica. I suoi occhi non gli dicevano tutto quello che avrebbe voluto, e lui non si fidava affatto di quello che gli dicevano. Ma la magia e la guerra non si fondevano bene: le passioni che la guerra produceva rendevano inaffidabili le arti magiche. E così aspettò gli esploratori. Provò non poco sollievo quando vide uno di loro tornare da lui al galoppo, dicendo, «Vostra Maestà, sembra soprattutto un'armata di fanti. Hanno anche dei cavalieri - alcuni si sono spinti verso di noi per tenerci lontani dalla
fanteria - ma non c'è traccia dei 'bolliti'.» «Avevo pensato la stessa cosa, osservando da qui,» disse Maniakes. «Non ero sicuro dì poterci credere. Niente 'bolliti', eh? Non è interessante?» Adesso aveva usato due volte quella parola, pur avendone in mente un'altra. «Dov'è la cavalleria pesante, allora? Abivard ha in mente qualcosa di losco. Non mi piace.» Non gli piaceva affatto. Non sapere dove si trovavano le truppe del nemico costringeva a guardarsi alle spalle per tutto il tempo. Si guardò alle spalle. Nessun contingente di cavalleria pesante makurana si stava precipitando giù dalle colline per assalirlo. Se fossero stati là, li avrebbe già scoperti. Rhegorios si avvicinò per udire quello che l'esploratore stava dicendo. Poi disse, «Beh, cugino vostra Maestà cognato mio, ti porrò di nuovo la stessa domanda: cosa facciamo adesso?» «Se tu fossi Abivard, cosa faresti col grosso dell'armata?» replicò Maniakes, rispondendo alla domanda con una domanda. «Se fossi Abivard,» disse piano Rhegorios, riflettendo mentre rispondeva, «non saprei se stiamo arrivando da Lyssaion o da Erzerum. Saprei che potrei muovere un contingente di cavalleria più rapidamente di un branco di fanti. Potrei usare la fanteria per rallentare i maledetti Videssiani...», sogghignò a Maniakes, «...non appena mettessero piede nella Terra delle Mille Città, mentre io me ne resterei da qualche parte nel bel mezzo della regione in modo da poter arrivare in fretta dove fosse necessario.» «Si, è un'ipotesi sensata,» disse Maniakes, e poi. dopo un momento di riflessione, «in realtà, è più sensata di qualunque cosa avessi potuto pensare io stesso. E mi dice anche cosa dobbiamo fare.» «Ottimo,» disse suo cugino. «Cosa dobbiamo fare?» Maniakes parlò con decisione, puntando un dito in direzione dell'armata makurana. «Non ho intenzione di impantanarmi in uno scontro Con la fanteria. Se lo facessi, non sarei in grado di manovrare come voglio all'arrivo di Abivard. Voglio sconfiggere la vera armata makurana, superarla e puntare su Mashiz. Abivard mi ha impedito di farlo l'anno passato. Non ho alcuna intenzione di consentirgli di impedirmelo di nuovo.» «Sono trascorsi molti anni da quando un Avtokrator dei Videssiani ha saccheggiato Mashiz,» convenne Rhegorios con voce sognante. Poi tornò a un tono più pragmatico: «Così non vuoi affrontare questa gente né attaccare Qostabash, allora? Li aggireremo e cercheremo bersagli più proficui?» «L'idea è questa,» disse Maniakes. «La fanteria ha difficoltà ad attaccar-
ci se noi non vogliamo. E io non lo voglio. Lasciamo pure che ci inseguano. Se rompono la linea per farlo, torniamo indietro e li puniamo. Se non lo fanno, gli facciamo mangiare la polvere.» I corni riferirono i suoi ordini ai cavalieri videssiani. In linea di battaglia, superarono l'armata makurana a una distanza di circa mezzo miglio. Distanza che consentì ai suoi uomini di udire il nemico che gridava al loro indirizzo, e probabilmente li chiamava codardi per non aver ingaggiato battaglia. Per offrire ai Makurani qualcosa per cui strillare, inviò alcune squadre di esploratori a bersagliare di frecce i fanti, che per la maggior parte non indossavano armature. Il nemico rispose. Scagliarono molte più frecce di quelle dei suoi esploratori, ma con minore effetto: stavano mirando a bersagli piccoli e in movimento, protetti dalle armature. Un paio di cavalieri caddero e un esploratore fu scalzato dalla sella con una freccia nel volto, ma i Videssiani fecero di meglio. I Makurani tentarono anche di utilizzare il piccolo contingente di cavalleria per rallentare i Videssiani, in modo che la fanteria potesse avanzare e avvicinarsi. Se il contingente fosse stato più grosso, la mossa avrebbe potuto funzionare. Stando le cose diversamente, i Videssiani usarono e arcieri a cavallo e lanciatori di giavellotto per costringere il nemico a ritirarsi. «Continuate a muovervi!» gridò Maniakes ai suoi uomini dopo che la cavalleria makurana si fu ritirata a protezione dei fanti. «Saremo noi a decidere dove combattere. Non possono costringerci a farlo contro la nostra volontà.» Si era abituato al plauso dell'esercito nell'entrare in battaglia. Essere acclamati evitando una battaglia era un'altra cosa, ed era quasi come tornare ai brutti giorni quando i Videssiani fuggivano davanti ai Makurani per la sola ragione che erano Makurani. Ma la somiglianza con quel brutto periodo era solo superficiale. I suoi uomini avrebbero potuto attaccare i Makurani, se avesse dato l'ordine. Riteneva che avrebbero anche battuto il nemico. Ma un esercito di fanti non era il nemico che lui voleva sconfiggere, né il nemico che aveva la necessità di battere. Lui voleva gli uomini di Abivard, il meglio che il Re dei Re poteva mandare contro di loro. Nessun esercito di minore importanza meritava la sua attenzione. Lui e i suoi cavalieri percorsero un ampio arco intorno a Qostabash. Sulle mura della città, altri Makurani osservavano. Forse anche loro erano fanti. Forse erano cittadini comuni che fingevano di essere fanti. Gli uomini delle Mille Città usavano ogni sorta di trucchi per impedirgli di saggiare
l'inadeguatezza delle loro fortificazioni. Se quello era un trucco, avrebbe funzionato. Non poteva permettersi di attaccare Qostabash, non con quell'armata di fanti alle calcagna. I Videssiani proseguirono, ora tenendo al passo i cavalli ora al trotto. Maniakes si portò in retroguardia e scrutò alle loro spalle. Gli inseguitori erano scomparsi alla vista. Annuì a se stesso, compiaciuto. Quando venne la sera, l'esercito si accampò su un terreno irrigato non distante dal Tib. I soli nemici nelle vicinanze erano le zanzare e i moscerini, ed erano nemici imparziali di tutto il genere umano. Maniakes guardò a est, in direzione di Videssos. Nessun aiuto gli sarebbe giunto da quella parte, con i Makurani che controllavano le terre occidentali. Dei messaggeri avrebbero potuto arrivare da Lyssaion in caso di necessità, ma la necessità avrebbe dovuto essere urgente per costringerli a rischiare di essere catturati dagli uomini di Makuran. Aveva difficoltà a immaginare una necessità così urgente. Raggiunse il carro dove viaggiava Lysia. «Eccoci qui, completamente accerchiati dai nemici,» disse con un gesto melodrammatico e una pausa ancora più melodrammatica. La pausa terminò, e lui aggiunse, «Non è meraviglioso?» Lysia scoppiò a ridere, comprendendolo alla perfezione. «Certo che lo è,» disse. *
*
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I Makurani non persero tempo nel cercare di rendergli la vita difficile. Quando l'armata cominciò a muoversi la mattina dopo, incontrò ben presto i campi allagati dai canali distrutti. Maniakes affrontò il problema con tranquillità: avevano fatto la stessa cosa nei due anni precedenti. Aveva abbastanza tavole da allestire una strada fino a un luogo più asciutto, dove poi i genieri raccolsero le tavole e le riposero di nuovo. Prima o poi, i fanti avrebbero cercato di seguire le sue orme. Avrebbero dovuto percorrere una bella strada umida, lenta, e fangosa. Più avanti, apparentemente sicura sulla sua collinetta, stava acquattata una delle Mille Città. Non c'era nessuna armata makurana nelle vicinanze, adesso. Maniakes indicò la città, della quale non conosceva il nome. «La prenderemo,» disse. Con l'abituale efficienza, i genieri e i soldati si misero all'opera. Le tavole infangate che avevano permesso all'armata videssiana di avanzare attra-
verso la melma vennero ora assemblate in strutture per catapulte e arieti. Le catapulte cominciarono a scagliare vasi pieni di pece e altre sostanze infiammabili nella città. I genieri usavano stracci imbevuti di olio come stoppini per i vasi. Di li a non molto, colonne di fumo salirono dai tetti in fiamme, da tende e assi di legno dentro la città. In un altro luogo, le catapulte avrebbero scagliato anche pesanti pietre verso le mura. Nella terra fra il Tutub e il Tib, le pietre pesanti erano difficili da trovare. Praticare brecce era dunque compito degli arieti. Sotto strutture di legno coperte di cuoio, avanzarono sul pendio della collinetta artificiale in direzione della città. I difensori sulle mura li sfidarono a gran voce e scagliarono frecce sugli uomini che spingevano le strutture e che avrebbero fatto oscillare gli arieti. In un altro luogo, i difensori avrebbero lasciato cadere pesanti pietre sulle macchine, cercando di distruggerle e di rendere inutilizzabili gli arieti o almeno di sfondare le coperture di cuoio in modo da poter versare acqua bollente e sabbia incandescente sugli assalitori. Di nuovo, però, le pietre pesanti erano poche e lontane, nella Terra delle Mille Città. Gli arcieri videssiani riempirono l'aria di dardi, facendo del loro meglio per impedire agli uomini della guarnigione cittadina di ostacolare gli arieti. Hud! La punta di ferro di uno di essi cozzò contro il muro. Maniakes stava appena al di là della portata di tiro del nemico. Il suolo tremò sotto i suoi piedi, come per un piccolo terremoto. Thud! Un altro colpo, e un altro piccolo fremito si trasmise attraverso le suole delle sue scarpe. Thud! Quello fu ancora minore. All'altro lato della città, a metà del cerchio delle mura, un secondo ariete era entrato in azione. Ora i difensori avrebbero avuto due cose di cui preoccuparsi nello stesso tempo. Maniakes si domandò quale ariete avrebbe fatto cedere per primo il muro. Fu quello più vicino. Con un rombo che sembrava un sospiro di stanchezza, parte della struttura di mattoni crollò. Attraverso di essa, le grida dei difensori che cadevano dal muro si fecero alte e stridule. I Videssiani irruppero nella breccia. I superstiti della guarnigione li affrontarono e, per un po', combatterono con tale foga da tenerli a bacia. Ma la guarnigione della città era piccola, e i suoi uomini non erano ben addestrati né ben armati. Quando un paio degli ufficiali caddero, gli uomini cominciarono a scoraggiarsi. Alcuni di loro si ritirarono dalla breccia, e poi altri ancora. La cosa non poteva continuare, se avevano intenzione di respingere il nemico. E poi, al grido di
«Phos è con noi!» i Videssiani cominciarono a irrompere nella città. La difesa era terminata. Il saccheggio era cominciato. Un capitano chiese a Maniakes, «Le solite regole, vostra Maestà?» «Si, le solite, Immodios,» rispose. «Distruggete la città, saccheggiate e bruciate quello che vi pare, ma non attaccate chi non attacca per primo, non uccidete donne e bambini per il gusto di farlo. Abbattete tutti i templi del Dio makurano che trovate.» «Come voi ordinate, vostra Maestà.» Immodios eseguì il saluto, col pugno destro sul cuore, poi corse a diramare gli ordini. Metodicamente, così come avevano aperto una breccia nel muro, i Videssiani si dedicarono al compito di distruggere la città. Un paio di sacerdoti in tunica azzurra che avevano accompagnato l'armata li istigavano, gridando, «Phos vi benedirà per la punizione che infliggerete ai suoi nemici e al falso dio che essi adorano.» Maniakes ascoltò quegli appassionati incitamenti con un certo rammarico, ma non fece alcun tentativo di interromperli. I Makurani avevano trasformato lo scontro in una guerra di religione, non solo distruggendo i templi di Phos in tutte le terre occidentali, ma anche costringendo la gente delle terre occupate a seguire i costumi vaspurakani piuttosto che l'ortodossia videssiana. Trasformare il contrattacco in una guerra di religione faceva si che i suoi uomini combattessero con maggiore determinazione. Alla fine, pensò l'Avtokrator, sarebbe arrivata la pace fra Videssos e Makuran. La durezza della guerra che stavano combattendo non avrebbe reso la pace più facile da raggiungere. Maniakes lo sapeva. Ma sapeva anche che non voleva la pace per Videssos se essa doveva essere imposta da Sharbaraz Re dei Re. Sopraffatta la guarnigione, i Videssiani aprirono le porte e lasciarono che la gente fuggisse dalla città in direzione della pianura. Dopo un po', sarebbero probabilmente tornati e avrebbero cominciato la ricostruzione. A quel punto, naturalmente, le macerie del saccheggio avrebbero innalzato la collinetta artificiale su cui si ergeva la città di circa un altro palmo, rendendo molto più difficile la conquista della città al prossimo Avtokrator dei Videssiani che si fosse trovato in guerra da quelle parti, dieci, cinquanta o cinquecento anni dopo. Beh, pensò Maniakes, se ne dovrà preoccupare il mio successore e non io. Il mio compito è quello di assicurarmi di avere un successore che un giorno sarà in condizione di preoccuparsene. Lysia lo raggiunse quando il saccheggio era ormai alla fine. Per quanto
l'amava, avrebbe preferito non vederla in quel momento. Sapeva quello che stava per dire. E difatti, lei disse, «Prego il signore dalla mente grande e buona di perdonare i tuoi soldati per quello che stanno facendo alle donne qui. La guerra è una sporca faccenda.» «La guerra è una sporca faccenda,» convenne Maniakes. «E questa ci è stata imposta.» «Lo so,» disse Lysia: avevano fatto una discussione del genere ogni volta che una delle Mille Città era caduta. «Ma ciò non significa che dobbiamo renderla più sporca.» Maniakes strinse le spalle. «Se si fossero arresi invece di tentare di combattere, sarebbero stati lasciati in pace: lo sai che avrei fatto così. Ma hanno deciso di combattere. Così facendo, hanno cambiato le regole e le aspettative dei soldati. La prossima volta...» «Phos non voglia che ci sia una prossima volta,» lo interruppe Lysia, tracciandosi il segno del sole sul seno sinistro. «Ho sentito troppe storie sulle cose orrende che hanno fatto i Makurani quando hanno conquistato le nostre città nelle terre occidentali; non voglio che raccontino storie orrende su dì noi.» «Vorrei che non ci fosse la necessità che si raccontino storie orrende su di noi,» rispose Maniakes. «Non è la stessa cosa, però. Loro hanno fatto tutto il possibile per rendersi spaventosi ai nostri occhi. Se anche noi ci rendiamo spaventosi ai loro occhi, presto o tardi si convinceranno che non si possono più permettere di sfidarci. È questo che voglio.» «Lo so che è questo che vuoi.» Il volto di Lysia rimase turbato. «Il buon dio te lo conceda.» «Quello che veramente voglio.» disse Maniakes, «è l'armata di Abivard. Una volta sconfitto, tutto il paese cadrà nelle mie mani e potrò puntare su Mashiz. Prendere la sua capitale, per Phos... ecco quale sarebbe la giusta rivincita.» Ora Lysia sorrise, mestamente. «Credo che tu non abbia udito una sola parola di ciò che ho detto. Posso capirlo, suppongo. Posso anche capire che Videssos starà meglio dopo che avrai ottenuto quello che desideri. Ma questo non significa che la cosa debba piacermi.» Si allontanò, lasciandolo a grattarsi la testa. Dalla collinetta sulla quale un'altra città andava in fiamme alle sue spalle, Maniakes scrutava la pianura. Poteva vedere a notevole distanza da là, ma vedere lontano non significava vedere con chiarezza. Voltandosi verso
Rhegorios, disse, «Che io possa cadere nel ghiaccio...», sputò in disprezzo di Skotos, «...se so dove si trovano Abivard e la maledetta armata makurana. Con quello che abbiamo continuato a fare quaggiù, ero sicuro che sarebbero venuti a farci visita.» «Anch'io,» convenne suo cugino. «Ma finora nessuna traccia di loro. A parte queste insignificanti guarnigioni cittadine, la sola armata makurana che abbiamo visto è quella che si è messa alle nostre calcagna dopo Qostabash.» «Ed era fanteria.» Maniakes constatò l'ovvio. «In realtà, è lo stesso tipo di esercito che Abivard usò contro di noi due anni fa. Probabilmente si tratta comunque di truppe di guarnigione, sebbene abbiano avuto un tal da fare negli ultimi due anni, da diventare ormai una regolare fanteria.» «Non sono i peggiori combattenti in circolazione,» concesse Rhegorios. «Quando operano assieme ai 'bolliti', si comportano abbastanza bene.» Anch'egli si guardò intorno. «Ma dove sono i 'bolliti'?» «Se riuscirò a scoprirlo, te lo dirò,» disse Maniakes. «Ma dal momento che non riesco a scoprirlo, andrò a parlare con qualcuno che può riuscirci, o almeno che potrebbe: andrò a vedere cosa può fare Bagdasares.» «Male non può fare,» disse Rhegorios. «Potrebbe anche fare qualcosa di buono. Perché no?» «È per questo che si va dai maghi,» rispose Maniakes, «per scoprire perché no.» Nonostante i dubbi che nutriva, andò a consultare il mago vaspurakano. «Siete stato a contatto con Abivard per anni,» disse Bagdasares. «E questo ci sarà d'aiuto.» Parve riflettere. «Avete qualcosa di lui che possiamo usare come risorsa magica per scoprirlo?» «Non so.» Maniakes scoppiò a ridere di botto. «Vorrei quasi che Tzikas fosse qui con noi. È andato avanti e indietro tante di quelle volte fra me e Abivard che ognuno di noi potrebbe usarlo come risorsa magica contro l'altro.» «Contatto e affinità non sono necessariamente la stessa cosa,» osservò Bagdasares. «La sola persona con la quale Tzikas ha un'affinità è Tzikas,» disse Maniakes. «Avrei dovuto prendere la testa di quel traditore quando Abivard me lo restituì. Anche se ho potuto servirmi di lui in qualche modo, non ho mai dormito tranquillo con lui nei paraggi. È per questo che ho detto che vorrei quasi che fosse qui, e non che vorrei che realmente lo fosse. È di nuovo con Abivard, e Abivard può fare di lui quello che gli pare: tenerlo
d'occhio o ucciderlo.» «Certo, vostra Maestà.» Bagdasares si passò una mano nella barba folta e ricciuta mentre considerava modi e mezzi. «Voi gli avete stretto la mano, no?» Maniakes annuì. Il mago tirò fuori un piccolo coltello. «Consentitemi di prendere un pezzetto dell'unghia di un dito della vostra mano destra, allora. E avete anche parlato con lui, per cui vi chiederò qualche goccia della vostra saliva.» Si tracciò un rapido cerchio sul cuore. «Giuro sul signore dalla mente grande e buona che distruggerò queste cose col fuoco quando la magia sarà completata.» «Ti terrò d'occhio,» disse Maniakes. «Mi fido di te, Bagdasares, ma sei uno dei pochi. Tzikas mi ha quasi ucciso con la magia e da allora non ci tengo a lasciare in giro parti di me stesso, diciamo, permettendo così ad altri maghi di metterci le mani sopra.» «E avete ragione a essere prudente,» convenne Alvinos Bagdasares. «Ora, se posso...» Maniakes si lasciò tagliare un pezzetto d'unghia dall'indice destro. L'Avtokrator sputò in una piccola ciotola mentre Bagdasares legava il pezzetto all'estremità di un bastoncino con un filo rosso. Il mago riempì la ciotola nella quale Maniakes aveva sputato con dell'acqua presa da una brocca d'argento. Sollevò il bastoncino con un paio di pinzette e lo fece galleggiare sull'acqua. «Pensate ad Abivard, e desiderate intensamente di conoscere la direzione nella quale si trova,» disse Bagdasares. Obbediente, Maniakes evocò nella sua mente l'immagine del generale makurano. Bagdasares, nel frattempo, salmodiò prima in videssiano, poi nella lingua vaspurakana che Maniakes parlava solo in modo frammentario. Maniakes sperò che i maghi makurani non stessero deliberatamente tentando di impedirgli di scoprire la posizione del suo avversano. Era probabile che lo stessero facendo, proprio come Bagdasares e gli altri maghi al seguito dell'armata videssiana stavano facendo del loro meglio per nascondere la loro posizione alla controparte makurana. Di sua iniziativa, il bastoncino cominciò ad agitarsi nell'acqua, inviando piccole increspature verso l'orlo della ciotola. Maniakes tenne lo sguardo fisso sull'unghia legata col filo. L'estremità del bastoncino deviò verso est e rimase così. Maniakes si grattò la testa. «Non posso credere che Abivard abbia lasciato la Terra delle Mille Città.» «La magia suggerisce questo,» disse Bagdasares. «E non potrebbero i Makurani aver fatto in modo che, diciamo, il ba-
stoncino puntasse nella direzione esattamente opposta a quella reale?» chiese Maniakes. «Suppongo che sia possibile, e posso investigare,» replicò il mago. «Tuttavia, non ho avuto sentore di un simile raggiro.» «Se fosse fatto bene, però, non ne avresti avuto sentore,» disse Maniakes. «I Makurani l'altro anno ci misero un po' per capire che tu avevi piegato quel canale su se stesso, per esempio.» «È così,» ammise Bagdasares. «E Abivard non gradirebbe di meglio che farci credere che lui si trova in un posto anziché in un altro.» «E quest'altro è probabilmente un posto dal quale lui può soffiare direttamente sui nostri colli,» disse Maniakes. «La magia si usa solo quando procura un vantaggio a se stessi, no?» Bagdasares si tirò la barba mentre rifletteva. «La direzione opposta, eh? Bene, vedremo quel che vedremo.» Tirò fuori dall'acqua il bastoncino, rimosse il pezzetto d'unghia di Maniakes e lo gettò nel braciere. Cosparse di pece l'estremità del bastoncino, incollandosi le dita nell'operazione. Poi prese un arket d'argento makurano dalla borsa che portava alla cintura e usò una lama di ferro per ricavare alcune schegge di metallo lucente dalla moneta. Attaccò le schegge al bastoncino cosparso di pece e lo rimise nell'acqua. «Useremo i pezzetti d'argento dell'arket per rappresentare il generale makurano in una versione dell'incantesimo leggermente diversa.» «Tu conosci il tuo lavoro,» rispose l'Avtokrator. «Non m'interessa molto come fai una cosa, finché ottieni le risposte che voglio.» «La tolleranza di vostra Maestà è impagabile,» disse Bagdasares. Il mago vaspurakano cominciò ancora una volta a salmodiare e a gesticolare sulla ciotola nella quale galleggiava il bastoncino. Questa volta le formule magiche, specialmente quelle nella lingua vaspurakana, furono diverse da quelle che aveva usato prima, sebbene Maniakes non potesse dire in che misura. Come aveva fatto durante l'incantesimo precedente, il bastoncino cominciò a fremere nell'acqua. E, com'era accaduto durante l'incantesimo precedente, l'estremità cui era attaccata la fonte della magia ruotò verso est. Bagdasares spostò lo sguardo da essa a Maniakes e viceversa. «A meno che non sono stato completamente gabbato, Abivard si trova davvero a est.» «Ma è una cosa folle,» esclamò Maniakes. «È assolutamente assurdo.
Perché mai Abivard - e l'intera armata makurana con lui, senza dubbio dovrebbe trovarsi nelle terre occidentali videssiane? Makuran controlla quelle terre, tranne che per qualche porto qui e là e qualche roccaforte che gli si oppone sulle colline a sud-est. Cosa può fare là che non abbia potuto fare anni fa? Non può tentare di attaccare la città dì Videssos... senza navi, che non possiede e indipendentemente dal numero di soldati che ha con lui. E per qualsiasi altro scopo meno importante, sarebbe stato più saggio restare qui ad affrontarmi.» «Vostra Maestà, la mia magia può dirvi come stanno le cose... o come stanno le cose a mio giudizio, in effetti,» disse Bagdasares. «Scoprire perché stanno così... guardare nel cuore degli uomini in questa maniera... è al di là delle possibilità della mia arte, o dell'arte di qualunque mago. Spesso un uomo non è nemmeno consapevole delle ragioni degli atti che compie: lo avrete senz'altro constatato voi stesso.» «Già,» disse Maniakes. «Ma sono ancora perplesso. Abivard è molte cose, ma nessuno può certo definirlo uno stupido. Deve aver saputo che stavamo tornando nella Terra delle Mille Città quest'anno. Non ha tentato di fermarci occupando Lyssaion. Non poteva impedirci dì sbarcare a Erzerum e di dirigerci a sud. Se sapeva che stavamo arrivando, perché non è rimasto qui ad affrontarci? È questo che voglio sapere.» «È una domanda lecita, una domanda importante, vostra Maestà,» convenne con gravità Bagdasares. «È anche una domanda alla quale la mia magia non può dare alcuna risposta plausibile. Posso fare a mia volta una domanda?» «Chiedi.» gli disse Maniakes. «Qualsiasi cosa tu faccia che permetta alla luce di Phos di illuminare le tenebre di Skotos è la benvenuta.» Si tracciò il segno del buon dio sul cuore. Anche Bagdasares si tracciò il segno del sole, dicendo, «Non ho idee grandi e sagge da offrire, solo questo: se, per qualche ragione, Abivard ha deciso di andarsene dalla terra fra il Tutub e il Tib, non dobbiamo punirlo per il suo errore causando tutto il danno che possiamo da queste parti?» «Questo è quello che stiamo facendo,» disse Maniakes. «Questo è quello che ho intenzione di continuare a fare. Se Abivard si è precipitato a sbrigare qualche sua faccenda, lasciamogliela fare. Makuran ne pagherà le conseguenze.» «Ben detto, vostra Maestà.» Maniakes non si curò di replicare. Tutto quello che aveva detto aveva perfettamente senso... e non solo per lui. se Bagdasares aveva compreso
così rapidamente. Se lo era detto molte volte prima di venire a chiedere il parere magico di Bagdasares. Ma se Abivard non era uno stupido, perché aveva abbandonato la scena quasi certa della guerra di quell'anno? Quale ragione aveva ritenuto abbastanza valida per fare una cosa simile? «Non c'è modo di dirlo.» mormorò Maniakes. Le sopracciglia di Alvinos Bagdasares si sollevarono: senza dubbio sperava di scoprire quello che c'era nella mente di Maniakes. Ma non era probabile che vi riuscisse, dato che lo stesso Maniakes era ben lungi dall'esserne sicuro. Ma qualunque cosa stesse preparando Abivard, Maniakes aveva la sensazione che lo avrebbe scoperto, e che non ne sarebbe stato molto contento. Come facevano i Videssiani con i templi dedicati a Phos, i Makurani edificavano templi al Dio non solo nelle città a beneficio dei mercanti e degli artigiani ma anche sulle strade del paese in modo che i contadini potessero pregarlo e adorarlo, per poi tornare al lavoro. Maniakes si era dedicato alla distruzione di questi templi sulle strade da quando era entrato per la prima volta nella Terra delle Mille Città. Se non altro, ciò disturbava i contadini che solo in minima parte potevano aiutare la causa videssiana. Il Dio veniva di solito ospitato in dimore meno elaborate dei templi di Phos. Alcuni dei templi erano all'aria aperta, con i quattro lati di un altare quadrato a fronteggiare i punti cardinali, ognuno simboleggiante uno dei Quattro Profeti makurani. A mano a mano che i Videssiani si avvicinavano a Mashiz, i templi diventavano più elaborati, come Maniakes aveva già constatato in precedenti incursioni nella terra fra il Tutub e il Tib. E poi, mentre l'armata videssiana si avvicinava al Tib, i soldati s'imbatterono in un tempio così straordinario che chiamarono l'Avtokrator affinché lo vedesse. «Non sappiamo cosa farne, vostra Maestà,» disse Komentiolos, il capitano della compagnia che aveva depredato il tempio. «Dovete dircelo voi e, prima di dircelo, dovete vederlo.» «Va bene, darò un'occhiata,» acconsentì Maniakes, e affondò i calcagni nei fianchi di Antilope. Il tempio aveva dei muri e un tetto. I muri erano di mattoni cotti invece dei semplici mattoni di fango della pianura, ma questo non sorprese molto Maniakes: i Makurani davano al Dio e ai Quattro Profeti il meglio che avevano, come facevano i Videssiani con Phos. L'ingresso era aperto. Maniakes rivolse una muta domanda a Komentiolos. Il capitano annuì. Maniakes entrò, l'altro lo seguì. Gli occhi dì Maniakes ebbero bisogno di un po' di tempo per adattarsi al-
la penombra dell'interno. Al centro del tempio c'era il solito altare quadrato makurano. Komentiolos lo ignorò, avendone visti di simili in molte occasioni. Fece un gesto verso il muro, quello verso il quale era rivolto il lato dell'altare che onorava Fraortish, il profeta più vecchio. Contro il muro intonacato c'era una statua del Dio, la prima di tal genere che Maniakes avesse mai visto. Il Dio era rappresentato con le insegne regali di un Re dei Re makurano. Il sole e la luna erano dipinti sul muro accanto a lui in oro e argento. Reggeva un fulmine con una mano ed era atteggiato come se stesse per scagliarlo su qualche miscredente. La sua faccia paffuta e la bocca storta in un sorriso piuttosto malevolo dicevano che si sarebbe divertito molto a lanciarlo. A giudizio di Maniakes, gli artigiani videssiani raffiguravano Phos in maniera di gran lunga più artistica e ispirata. Phos veniva rappresentato come un dio degno di essere adorato, molto diverso da quel petulante... D'un tratto, Maniakes realizzò che il volto che lo scultore makurano aveva dato alla statua non intendeva essere un ritratto idealizzato del Dio, come lo erano le immagini del signore dalla mente grande e buona. L'effigie intendeva mostrare i lineamenti di un uomo, e di un uomo che l'Avtokrator conosceva, anche se ormai non lo vedeva da dieci anni e più. Maniakes distolse lo sguardo dalla statua. Non voleva guardarla: anche pensare a essa gli dava la sensazione di avere appena dato un morso a un pezzo di carne putrefatta. «Non è la scusa più singolare per un tempio che abbiate mai visto, vostra Maestà?» disse Komentiolos. «C'è una stanza là dietro con un mucchio di tamburi di metallo e pietre, per dare l'impressione che la statua del Dio tuoni contro chiunque abbia in mente di esprimere il suo dissenso.» «Questa non è la statua del Dio, o almeno non è esattamente la statua del Dio.» rispose Maniakes. «E, per l'esattezza, la statua di Sharbaraz Re dei Re.» Per un momento, Komentiolos non capì. Poi capì, e parve disgustato come Maniakes. «È una statua di Sharbaraz Re dei Re rappresentato come il Dio,» disse, sperando che Maniakes gli dicesse che si era sbagliato. Per quanto Maniakes desiderasse farlo, non poteva. «È esatto,» disse. «Ma i Makurani...». Komentiolos allargò le mani in una impotente incredulità, «...non credono che questo sia blasfemo?» Quando aveva conosciuto Sharbaraz, più di una decade prima, il Re dei Re - o almeno, quello che allora era il pretendente al titolo di Re dei Re non avrebbe mai fatto erigere un simile edificio. Ma lo Sharbaraz di allora
non era lo Sharbaraz di adesso. Col passare di tutti quegli anni, era stato il sovrano incontrastato di Makuran. Tutti avevano cercato il suo favore. Nessuno lo aveva contraddetto. Il risultato era... quello. Tracciandosi il cerchio del sole sul cuore, Maniakes mormorò, «Sarebbe potuto accadere a me.» Il servilismo nella corte dì Videssos non era affatto inferiore a quello della corte di Makuran. Grazie a suo padre, Maniakes prendeva sempre con un grano di sale tutte le adulazioni che sentiva. Sharbaraz, evidentemente, se le era bevute e ne aveva chieste sempre di più. Komentiolos disse, «Ora che abbiamo preso questo posto, vostra Maestà, cosa ne dobbiamo fare?» «Prima di tutto, vorrei non averlo mai visto,» disse Maniakes. Ma quella non era una risposta. Ne articolò una di questo tipo: «Porteremo qui qualche prigioniero makurano, in modo che potranno vedere coi loro occhi. Poi li lasceremo andare, affinché diffondano la notizia. Dopodiché, lo faremo vedere anche ad alcuni dei nostri soldati, per dare loro l'idea del genere di nemico che stiamo combattendo. Poi li lasceremo distruggere la statua. Poi li lasceremo distruggere l'edificio. Quindi lo bruceremo. Il fuoco purifica.» «Si, vostra Maestà. Provvedo subito.» disse Komentiolos. «Mi pare una buona idea.» «A me non sembra affatto,» disse Maniakes. «Vorrei non farlo. Vorrei non essere costretto a farlo. Per il buon dio, vorrei che questo tempio non fosse mai stato costruito.» Si domandò come Abivard, che aveva sempre combattuto contro di lui da soldato a soldato, né più né meno, potesse sopportare di servire un uomo che stava cominciando a ritenersi pari al suo dio. Si domandò se Abivard sapeva dell'esistenza di quel posto e, se si, cosa ne pensava. Allontanò da sé quell'interrogativo, riproponendosi di esplorarlo in seguito. Ogni cosa a suo tempo. «Raduna i prigionieri e mandali qui, più presto che puoi. Poi fai venire anche i nostri uomini. Più a lungo resterà in piedi, più grande sarà il sacrilegio.» «Avete ragione, vostra Maestà.» disse Komentiolos. «Provvedo subito, ve lo prometto.» «Bene.» Maniakes cercò di immaginare se stesso ritratto come Phos incarnato sulla terra. Assurdo. Se il buon dio non lo avesse abbattuto, lo avrebbero fatto i suoi sudditi. Si affrettò a uscire dal tempio, avvertendo un bisogno improvviso di aria fresca e pura. Maniakes si voltò a guardare a sud-est, verso Lyssaion. Non poteva ve-
dere il porto videssiano, naturalmente. Non poteva nemmeno vedere le colline che erano lo spartiacque fra lo Xeremos e il Tutub. Le sole colline che interrompevano la piattezza dell'orizzonte erano quelle artificiali sulle quali stavano appollaiate le Mille Città. Fece un risolino quasi imbarazzato. Voltandosi verso Lysia, disse, «Quando ero nella città di Videssos, non vedevo l'ora di andarmene. Ora che sono qui, vorrei sapere cosa sta succedendo là.» «Io non sento la mancanza della città,» disse Lysia. «Non abbiamo avuto molte notizie nelle due ultime estati, e le notizie che ci sono arrivate non erano granché importanti.» Parlava con grande sicurezza, e con non poco odio nella voce. Lo scherno e la disapprovazione che aveva ricevuto nella capitale per essere diventata la moglie di suo cugino pesavano più su di lei che su Maniakes. Se ne era già reso conto, da Avtokrator: niente di quello che faceva poteva rendere felici tutti. E ciò gli permetteva ormai di prendere il disprezzo con filosofia... il più delle volte. «Non è facile far passare dei messaggeri, comunque,» disse lui, come per consolarsi. «Non sentire nulla non è che significhi qualcosa. Non manderebbero dei dispacci a meno che le notizie non fossero talmente importanti da far loro rischiare di perdere degli uomini per farmele avere.» «Al ghiaccio le notizie, tranne quelle che mandiamo noi,» disse Lysia con decisione. «Al ghiaccio anche la città di Videssos. La cederei ai Makurani in un minuto se, facendolo, non provocassi la rovina dell'Impero.» Si, aveva permesso al suo risentimento di incancrenirsi, mentre Maniakes si era scrollato di dosso - quasi del tutto - il suo. ' Smise di preoccuparsi delle notizie da casa e guardò a ovest. L'orizzonte là era irregolare, con le vette dei monti Dilbat che si spalleggiavano per rendersi visibili al di sopra della più vicina pianura. In mezzo alle colline pedemontane di quelle montagne c'era Mashiz. Lui c'era stato una volta, anni prima, per aiutare Sharbaraz a sedersi sul suo trono. Se avesse di nuovo raggiunto Mashiz, avrebbe scaraventato Sharbaraz giù da quello stesso trono... e dalla sua presunzione di divinità. Distruggere quel tempio era una cosa che Maniakes si era divertito molto a fare. Più vicino ai Dilbat, più vicino a Mashiz, c'era il Tib. I canali convogliavano le sue acque fino all'occidente. Dove non arrivavano i canali, come ai margini orientali del Tutub, non c'era irrigazione. L'irrigazione, però, era solo un pensiero marginale nella sua mente. Si concentrò su come attraversare il fiume. Non era così ampio come il Tutub, ma scorreva più rapido,
ed era senza dubbio ancora in piena primaverile. Attraversarlo non sarebbe stato facile: i Makurani avrebbero fatto tutto quello che potevano per impedirgli di raggiungere l'argine occidentale. Non si aspettava di trovare un ponte di barche intatto: sarebbe stata una fortuna incalcolabile. Tutti i soldati che il nemico aveva collocato sull'altra riva lo avrebbero assalito in massa. Se lo avessero trattenuto abbastanza a lungo, com'era possibile, la fanteria makurana che si era lasciato alle spalle lo avrebbe raggiunto. Con tanti soldati radunati contro i suoi uomini, col fiume che limitava le direzioni nelle quali poteva muoversi, sarebbe stato tutto molto sgradevole. Quando si lamentò della difficoltà di attraversare il Tib, Rhegorios disse, «Se dobbiamo farlo, sai che possiamo sempre deviare verso sud in direzione delle sorgenti del fiume e guadarlo là dov'è giovane e stretto, oppure aggirarlo del tutto e risalire lungo l'argine occidentale.» «Non voglio fare niente del genere,» disse Maniakes. «Ci vorrebbe troppo tempo. Voglio puntare direttamente su Mashiz.» Suo cugino lo guardò senza dire niente. Maniakes sentì le sue guance arrossarsi. Nei primi giorni del suo regno, il suo vizio più inveterato era stato quello dì muoversi troppo presto, di mettersi in azione senza un'adeguata preparazione o disponibilità di mezzi. Rhegorios pensava che lo stesse rifacendo. Riflettendoci, però, decise che non era così. «Rifletti,» disse. «Se deviamo verso sud. cosa farà colui che è alla testa dei fanti di Qostabash? Ci inseguirà? Può sperare di raggiungerci, con dei fanti che inseguono i cavalli? Se ha un po' di buonsenso, quello che farà è attraversare il Tib lui stesso e aspettarci nelle vicinanze di Mashiz. Se tu fossi nei suoi sandali, non è questo che faresti?» Rhegorios rifletté, visibilmente. Maniakes gliene diede credito, tanto più che il suo giovane cugino era incline lui stesso a essere testardo. «Cugino vostra Maestà cognato mio, penso che tu abbia ragione,» disse infine il Sevastos. «Quando si comincia a riflettere su come fare una cosa semplice, si rischia di rovesciare il vaso da notte nella minestra di un piano complicato.» «Dobbiamo trovare il modo di attraversare quel fiume, una volta che lo avremo raggiunto,» disse Maniakes. «Il guaio è che, se i difensori sono svegli anche solo a metà, sarà un'impresa difficile quasi quanto lo è stato attraversare il Canale del Bestiame per i Makurani. Hanno tentato per anni di riuscirci, e ancora non ci sono arrivati, Phos sia lodato.»
«So di che cosa hai bisogno.» disse d'un tratto Rhegorios. «Devi ordinare a Bagdasares di trasformare l'intero Tib in una cinghia di Voimios e fare in modo che noi ci troviamo sul lato ovest e i dannati Makurani sul lato est.» Maniakes scoppiò a ridere. «Non pensi certo in piccolo, eh, cugino mio? A parte il dettaglio che una magia del genere sembra abbastanza grande da bruciare il cervello di tutti i maghi di Videssos, si tratta di una splendida trovata.» «Ero certo che ti piacesse,» disse Rhegorios. Entrambi risero. Rhegorios proseguì, «Se hai un'idea migliore mi piacerebbe sentirla.» «Quello che mi piacerebbe fare,» disse Maniakes, «è fargli uno scherzo come quello che usò mio padre contro gli uomini di Smerdis quando combattevamo al fianco di Sharbaraz. Mio padre fece la mossa plateale e ovvia di attraversare un corso d'acqua, per far si che il nemico vi rivolgesse tutta la sua attenzione. Poi posizionò un contingente a valle rispetto alla sua finta manovra, a distanza tale che nessuno lo notò finché non si fu stabilmente sistemato e non poté più essere ostacolato.» «Suona bene,» convenne Rhegorios. «Come possiamo realizzarlo?» «Siamo a corto di zattere, e questa zona non ha abbastanza alberi per poterle fabbricare,» disse Maniakes. «Forse possiamo cercare di usare le imbarcazioni nascoste dalla gente del luogo.» «Intendi dire quelle tonde che somigliano a ciotole di minestra?» Rhegorios roteò gli occhi. «Al ghiaccio se sono felice di salire su una di quelle. Non riesco a capire come la gente possa usarle evitando che ruotino su se stesse in continuazione. O stavi parlando delle zattere che galleggiano in cima a quelle pelli rigonfie per poter trasportare carichi più pesanti? Se sono queste il risultato del concetto di imbarcazione che hanno i Makurani, non fa meraviglia che non abbiano mai tentato di attraversare il Canale del Bestiame.» «Gli abitanti del luogo non sono Makurani,» gli rammentò Maniakes. «E guardati intorno, cugino mio. Fanno quello che possono con quello che hanno: non c'è molta legna, e non c'è molto d'altro a parte il fango. Non puoi fare una barca col fango, ma puoi allevare gli animali con quello che cresce dal fango e poi usare le loro pelli per spostarti su e giù lungo fiumi e canali.» «Vuoi davvero mettere i nostri uomini su quelle cose pazzesche per raggiungere la riva ovest del Tib?» disse Rhegorios. «Di più: pensi di farci salire sopra i cavalli? Gli uomini sono stupidi: se dai loro l'ordine di andare a
fare qualcosa, andranno a farla, anche se capiscono che una barca di loro...», usò l'espressione deliberatamente, «...finiranno col lasciarci la pelle. I cavalli, però, i cavalli hanno più buonsenso.» Come suo cugino, Maniakes sapeva che i cavalli fin troppo spesso dimostrano di non avere alcun tipo di buonsenso. Questo, comunque, non era rilevante. L'obiezione di Rhegorios lo era. Maniakes disse, «Forse hai ragione. Ma se è così, cosa proponi per attraversare il fiume?» «Chi, io? Sei tu l'Avtokrator: sei tu quello che deve avere tutte le risposte,» disse Rhegorios. che era irritante e sincero nello stesso tempo. «Una delle risposte che l'Avtokrator si può permettere di dare è scegliere qualcuno che ne sa più di lui in un campo particolare e ascoltare quello che ha da dire,» replicò Maniakes. «Se ti riferisci al campo delle belle ragazze, io ne so più di te,» disse Rhegorios. «Se ti riferisci al campo delle gozzoviglie, ne so più di te. Se ti riferisci al campo di come guidare una colonna di cavalleria, ne so almeno quanto te. Se ti riferisci al campo di come attraversare un fiume senza ponti o imbarcazioni adatte, nessuno di noi due ne sa un dannato niente.» «Hai strepitato come se lo sapessi,» disse Maniakes. «Se ti riferisci al campo dello strepitare, ne so più di te,» disse Rhegorios con la solita impudenza. «So cosa farò.» Maniakes si batté sulla fronte con il palmo della mano per mostrare quanto era stato stupido. «Avrei dovuto farlo ogni volta che siamo arrivati sul Tib. Parlerò con Ypsilantes.» Per la prima volta nella loro conversazione, scoprì di avere la completa e generosa approvazione di Rhegorios. «Questa è una buona idea,» disse Rhegorios. «Se il capo dei genieri non riesce a escogitare un modo per farlo, allora non può essere fatto. Se ti riferisci al campo dell'avere buone idee, ne sai più di me.» Essere lodato per un'idea ovvia come quella non fece sentire molto meglio Maniakes: il pensiero che non fosse venuta in mente nemmeno a Rhegorios lo consolava in parte. Non perse tempo a chiamare Ypsilantes. Il comandante dei genieri era più vicino all'età di suo padre che alla sua: aveva guidato il distaccamento di genieri che aveva accompagnato l'armata videssiana che il vecchio Maniakes aveva guidato nell'alleanza con Sharbaraz e contro Smerdis. «Come possiamo attraversare il fiume?» ripeté quando Maniakes gli pose la domanda. I suoi bei lineamenti rubicondi non mostravano molto del divertimento che stava ovviamente provando. «Vostra Maestà, lasciate fare
a me. Ditemi quando e dove volete attraversare e provvederò io.» Sembrava fiducioso come se stesse discutendo della sua fede in Phos. Ciò fece sentire meglio Maniakes: aveva constatato che Ypsilantes era un uomo che manteneva le sue promesse. Tuttavia, insistette: «Dimmi un solo sistema che hai in mente per riuscirci.» «Eccone uno... il primo che mi viene in mente,» disse Ypsilantes. «Supponiamo che vogliate attraversare in un punto dove c'è un grosso canale che defluisce a nord-est del Tib... in altre parole, più indietro rispetto a dove siamo noi in questo momento. Se deviamo l'acqua dal fiume al canale, quello che resterà de! fiume sarà abbastanza semplice da affrontare. Come ho detto, lasciate fare tutto a me. vostra Maestà.» Maniakes rammentò le sue riflessioni nella città di Videssos circa il modo migliore di amministrare. Ecco un uomo che chiaramente sapeva cosa era necessario fare. «Quando verrà il momento, Ypsilantes, te lo chiederò,» disse l'Avtokrator. Il geniere eseguì il saluto militare, si strinse il pugno destro sul cuore, poi corse via a preparare quello che doveva essere preparato. Alcuni ufficiali della sua abilità avrebbero potuto anche tenere un occhio sul trono. Tutto quello che lui voleva, invece, era la possibilità di giocare con i suoi giocattoli. Maniakes non vedeva l'ora di consentirglielo, per cui poteva dargli tutta la libertà che voleva. Si domandò se Sharbaraz si sarebbe fidato fino a quel punto, ed ebbe i suoi dubbi. Quando l'armata si trovava solo a un paio di giorni dal Tib, venne da Maniakes un esploratore al galoppo. «Vostra Maestà,» gridò, «il Re dei Re ha mandato un ambasciatore. Sta arrivando qui.» «Davvero?» disse Maniakes. e poi, un momento dopo, «davvero?» L'esploratore parve confuso. Maniakes sapeva che era colpa sua. Proseguì, «Sharbaraz non lo ha mai fatto prima d'ora. Come può mandarmi un ambasciatore quando non mi riconosce come legittimo Avtokrator dei Videssiani?» «Non lo so, vostra Maestà,» disse l'esploratore, con quella che aveva la virtù di essere una risposta onesta. «Va' a dire a questo ambasciatore che lo ascolterò.» disse Maniakes senza troppo entusiasmo. L'esploratore corse via più rapidamente che poteva. Maniakes si guardò alle spalle. La ragione più probabile che poteva trovare perché Sharbaraz gli mandasse un'ambasceria era quella di cercare di trattenerlo, in modo che i Makurani sulla riva occidentale del Tib potessero al-
lestire le loro difese. Ma non poteva rifiutarsi di incontrare quell'uomo, poiché la ragione probabile poteva non essere quella vera. L'ambasciatore lo raggiunse meno di mezzora dopo. L'uomo montava una bella giumenta bigia e indossava un caffettano a strisce, trapunto con fili d'argento. Era sulla cinquantina, con una folta barba grigia e il volto allungato, la pelle scura e gli occhi infossati che erano caratteristici dei Makurani. Inchinandosi sulla sella, chiese in buon videssiano, «Tu sei Maniakes figlio di Maniakes?» «Si,» rispose Maniakes. «E tu?» «Sono Rafsanj figlio di Shidjam,» disse l'ambasciatore, «e ti porto i saluti di Sharbaraz figlio di Peroz, Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi, uomo grande, potente e imponente, che il Dio è lieto di onorare...» Maniakes sollevò una mano. Sharbaraz aveva più titoli e attributi di quante erano le zecche di un cane randagio: a Maniakes non interessava passarli tutti in rassegna. «Sharbaraz non ha mai voluto trattare con me finora,» osservò. «Dopo tutto, ritiene che quell'impostore che lui chiama Hosios figlio di Likinios sia l'Avtokrator dei Videssiani. Cosa gli ha fatto cambiare idea?» pensava di conoscere la risposta: un'invasione che dava l'impressione di poter avere successo poteva ben attrarre l'attenzione di chiunque. Rafsanj tossicchiò con delicatezza. «Non mi è stato ordinato di trattare con l'Avtokrator dei Videssiani, ma con Maniakes figlio di Maniakes, comandante dell'esercito che al momento disturba il reame di Makuran, che, presumo, sei tu in persona.» «Ti ho già detto di si,» disse Maniakes, e poi, fra sé e sé. «Che arroganza.» Sharbaraz aveva un bel po' di sfacciataggine se pensava di poter esibire in giro il suo burattino-Avtokrator e trattare con Maniakes nello stesso tempo. Ma del resto, chiunque avesse edificato un tempio per farsi adorare come un dio aveva sfacciataggine da vendere. Che volesse parlare con Maniakes era comunque un passo avanti. E forse, avendo creato il falso Hosios, Sharbaraz sentiva di non poterlo abbandonare senza perdere la faccia fra i suoi stessi cortigiani. Rafsanj chiese, «Vuoi sentire quello che ho da dire, Maniakes figlio di Maniakes?» «Perché dovrei?» chiese Maniakes. «Perché non dovrei scovare una squallida prigione e gettartici, come fece Sharbaraz con l'eminente Triphylles, l'inviato che gli mandai per proporre la pace?» «Perché...», Rafsanj esitò. Perché lui allora stava vincendo e adesso non
è più così sicuro, fu quello che venne in mente a Maniakes. Non ha mai pensato che avrei avuto l'opportunità di riscuotere il debito che mi deve. Ma quello avrebbe potuto essere un pensiero di Sharbaraz, non ciò che stava passando per la mente di Rafsanj in quel momento. L'ambasciatore disse, «Perché se tu mi imprigioni, non ascolterai quello che ti offre il Re dei Re.» «Non è necessariamente così,» rispose Maniakes, sorridendo. «Potrei ascoltare l'offerta e poi imprigionarti, come fece Sharbaraz con Triphylles.» «Ti piace scherzare, Maniakes figlio di Maniakes,» disse Rafsanj. Era un buon ambasciatore: se era nervoso, non lo dava a vedere. Ma non lo era, altrimenti avrebbe chiamato Maniakes vostra Maestà. «Allora vediamo se sto scherzando, va bene?» disse l'Avtokrator. «Dimmi le condizioni di Sharbaraz e poi vedremo per quanto tempo resterai libero. Come ti sembra così la faccenda?» «Non buona,» rispose Rafsanj, chiaramente sincero. «Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi, ti propone di mettere fine alle devastazioni nella Terra delle Mille Città.» Maniakes espose i denti in quello che non era un vero sorriso. «Sono sicuro che è così. Io volevo che lui smettesse di devastare le terre occidentali. Mi ha ascoltato?» La domanda si rispose da sé, e suggerì la prossima: «Perché io dovrei ascoltare lui?» «Propone che ti fermi qui, in modo che possiamo discutere su come comporre le divergenze fra Videssos e Makuran,» disse Rafsanj. «E lui, naturalmente, terrà ferme tutte le sue armate nel frattempo,» disse Maniakes. «Naturalmente,» rispose Rafsanj. Maniakes lo osservò più attentamente. Era in gamba, ma non abbastanza. Proseguì con toni esagerati: «E una volta che l'accordo sarà stato raggiunto, non ci sarà giubilo ai due lati del confine? Non si leveranno grida di gioia e felicità?» «Il confine? Quale confine? Quello di prima che Sharbaraz cominciasse la guerra contro di noi?» chiese Maniakes. Rafsanj non rispose a quella domanda: forse Sharbaraz non gli aveva dato una risposta per essa. «Credo di non essere ancora pronto a parlare di pace, grazie,» disse l'Avtokrator. Strano com'erano cambiate le cose... pochi anni prima, si sarebbe buttato su quell'offerta con un grido di gioia. Ma non adesso. «E non voglio nemmeno parlare qui. Dì a Sharbaraz che se vuole ancora discutere di queste cose con me quando arriverò a Mashiz, potremo farlo là.»
«Attento, la tua arroganza potrebbe causare la tua rovina,» disse Rafsanj. «Più di un uomo è stato punito dall'eccessivo orgoglio.» «Non sono io quello che ha realizzato una statua del Dio a sua immagine,» ribatté Maniakes, facendo aggrottare le sopracciglia all'ambasciatore. «E non sono nemmeno quello che muove le sue armate dopo aver promesso di non farlo. Quando il Re dei Re tirerà fuori dalla manica del caffettano Abivard e i suoi cavalieri, per mandarli contro di me? Devono essere qui intorno da qualche parte.» Aveva ancora difficoltà a credere alla magia di Bagdasares. E la sua sonda andò a toccare un nervo, perché Rafsanj sobbalzò, come se Maniakes gli avesse ficcato uno spillo nella gamba. Ma l'inviato rispose, «Non sono obbligato a spiegarti come la rovina si abbatterà su di te e tutte le tue speranze cadranno nel Vuoto.» «E io non sono obbligato a restare qui mentre Sharbaraz muove i suoi pezzi sulla scacchiera,» replicò Maniakes. «E non sono nemmeno obbligato a lasciarmi gabbare. Dì a Sharbaraz che lo vedrò a Mashiz.» «Non accadrà mai,» gli disse Rafsanj. «Io credo di si.» lo schernì Maniakes. «Videssos ha già conquistato Mashiz in passato: noi possiamo farlo. Quello che non è mai accaduto è che Makuran abbia conquistato la città di Videssos.» Di nuovo Rafsanj sobbalzò. Questa volta, però, si controllò senza dire nulla. Tirò le redini, facendo girare bruscamente la testa del suo cavallo. Si allontanò da Maniakes con maggiore rapidità di quella che aveva impiegato nell'avvicinarsi. Maniakes lo osservò allontanarsi. Fece un gesto all'indirizzo dei suoi uomini, gridando, «Avanti!» E andarono avanti, in direzione del Tib. Non si mossero così velocemente come sarebbe piaciuto a Maniakes. I Makurani davanti a loro aprirono canali su canali. Il raccolto in quella parte della Terra delle Mille Città sarebbe stato magro. I Makurani, chiaramente, non se ne curavano. Una delle loro armate sarebbe rimasta impantanata, e sarebbe potuta diventare facile preda dei razziatori. I Videssiani non s'impantanavano. Ma realizzare una strada di tavole di legno e poi recuperarle era un lavoro lento e duro. Anche così, erano giunti a un giorno di marcia - un giorno di marcia normale - dal fiume quando un messaggero li raggiunse da dietro. E non era stata un'impresa da poco. Maniakes si congratulò con lui e lo gratificò col forte e acre vino dell'armata, prima di chiedergli, «Cosa ti ha portato fin qui in mezzo a tutti quei Makurani? Non può essere certo qualcosa di
poco conto.» «Sono il primo a raggiungervi, vostra Maestà?» Il messaggero parve sgomento ma non sorpreso. «Non sono il primo che è stato mandato, questo è certo.» «Cos'è accaduto?» domandò Maniakes, con la preoccupazione nella voce. Il messaggero trasse un profondo respiro. «Vostra Maestà, i Kubratoi hanno superato i confini, dirigendosi verso la città di Videssos. A quanto ne so, adesso sono davanti alle mura.» CAPITOLO TERZO «Phos stramaledica Etzilios nell'eternità del ghiaccio di Skotos!» esclamò Maniakes, sputando sul suolo fangoso. Mentre malediceva il khagan dei Kubratoi, però, provava una riluttante ammirazione per lui. Le spie di Etzilios avevano visto i Videssiani salpare verso l'ovest.' Lui sapeva, dunque, che le migliori truppe dell'Impero erano andate via. E, sapendolo, aveva deciso di prendersi la rivincita per la batosta che Maniakes gli aveva inflitto tre anni prima. «Ci ha colpiti duramente, vostra Maestà,» disse il messaggero, confermando il pensiero nella mente di Maniakes. «Non si tratta solo di un'incursione, o almeno non sembra tale. Per come Etzilios si è precipitato sulla città, si direbbe che ha intenzione di occuparla.» Fece una smorfia per mostrare quanto fosse sgradevole l'idea. Anche Maniakes fece una smorfia. «Se è questo che ha in mente, farebbe meglio a ripensarci,» disse. «I nomadi non hanno macchine da assedio. Può raggiungere le mura. Può fare ogni genere di orribili cose all'esterno di esse. Ma non può sfondarle.» Il fatto che nessuno che non fosse il benvenuto potesse entrare con la forza nella città di Videssos era stato un articolo di fede, e giustamente, per secoli. «Cosa stiamo facendo contro di lui?» chiese al messaggero. «Abbiamo usato le nostre navi per sbarcare delle truppe dietro al suo esercito?» L'uomo bevve un altro sorso di vino, poi scosse la testa. «Non è stato fatto fino alla mia partenza, vostra Maestà. In effetti, i Kubratoi stavano utilizzano quelle loro imbarcazioni ricavate da un solo tronco, i monoxyla, per spostare i loro uomini lungo la costa fino a noi.» «Si, al ghiaccio Etzilios,» disse Maniakes. «Ha imparato la lezione troppo maledettamente bene.» L'Avtokrator aveva fatto sbarcare truppe dietro
ai Kubratoi una volta. Adesso sembrava che volessero restituire il favore. Essendo i Videssiani quello che erano, l'arrivo sembrò agli ufficiali di ogni grado un segnale per avvicinarsi a Maniakes e cercare di sapere quali notizie aveva portato quell'uomo. «Importuni come passeri, tutti loro,» si lamentò Rhegorios dopo che finalmente riuscì a portarsi al fianco di Maniakes. «Non hanno un po' di pazienza?» «Quasi quanto te,» disse l'Avtokrator, guadagnandosi un'occhiataccia del cugino. Si voltò verso il messaggero. «Riferisci a sua altezza il Sevastos il messaggio, lo stesso che hai riferito a me.» «Si, vostra Maestà,» disse l'uomo, e lo ripeté per Rhegorios. Rhegorios ascoltò con attenzione, poi annuì. «Non è interessante?» disse quando il messaggero ebbe terminato. Sollevò un sopracciglio e chiese a Maniakes, «Cos'hai intenzione di fare?» «Per il buon dio, nulla,» rispose Maniakes. «Anche se i Kubratoi si mettono a scorrazzare per tutto il paese fino alle mura della città di Videssos, non è una cosa di primaria importanza: la città non cadrà certo per mano loro. Quello che stiamo facendo qui è cosa dì primaria importanza. Se prenderemo Mashiz, i Makurani dovranno spostare le loro truppe dalle terre occidentali, se vorranno risolvere il problema. Per cui continueremo a fare esattamente quello che stavamo facendo, e dopo ci occuperemo di Etzilios.» «Cugino, è un piano eccellente,» disse Rhegorios. «In verità, non si tratta soltanto di costringere i Makurani a spostare le loro truppe dalle terre occidentali. Si tratta di costringerli a spostare le truppe di Abivard, ovunque si trovino, e la cosa non è affatto semplice.» «Se l'attraversamento del Tib non li costringerà a farlo, allora nulla ci riuscirà,» profetizzò Maniakes. Parve riflettere. «Mi domando se Abivard stia volontariamente temporeggiando, con la speranza che toglieremo noi di mezzo Sharbaraz e gli lasceremo via libera per il trono. Sua sorella ha sposato il Re dei Re, dopo tutto, e questo conferisce una certa legittimità alle sue pretese.» «Mia sorella ha sposato l'Avtokrator dei Videssiani,» sottolineò Rhegorios. «E io, te lo assicuro, non ho alcun interesse a pretendere il tuo trono.» Maniakes annuì. Essendo un membro della corte, Rhegorios doveva dirlo. Nel suo caso, Maniakes era convinto che fosse vero. Quanto fosse vero per Abivard, però, era una questione del tutto diversa. «Stando alle cose che ho sentito, non credo che Sharbaraz si fidi di suo cognato come io mi fido del mio.»
«Vostra Maestà è cortese.» «La mia Maestà è maledettamente stufa di essere distratta, ecco cos'è la mia Maestà,» disse Maniakes, e quella battuta ironica sul suo stesso titolo provocò un sorriso sulle labbra di Rhegorios. «Non ho alcuna intenzione di lasciarmi distrarre, non qui, non adesso. So dove devo andare, penso di sapere come fare per arrivarci e penso di sapere cosa accadrà quando lo farò. Paragonato a questo, Etzilios è una pagnotta di pane.» «Hai senz'altro ragione.» disse Rhegorios. «Ci manca tanto...», dispose il pollice e l'indice, in modo che si toccassero quasi, «...per' vendicarci di dieci anni e più di affronti.» «Si, tanto,» gli fece eco Maniakes. Imitò il gesto di suo cugino e poi, lentamente e deliberatamente, avvicinò pollice e indice finché non si toccarono. Rhegorios fece un sorriso avido. Maniakes aveva lo sguardo fisso al di là del Tib, con un'espressione dispiaciuta sul volto. Il fiume scorreva rapido verso nord, impedendogli di attraversarlo, impedendogli di dirigersi verso Mashiz. Accanto a lui, anche Ypsilantes sembrava corrucciato. L'originaria fiducia nel geniere sembrava mal riposta. «Le piene primaverili sono abbondanti e lunghe quest'anno,» osservò. «Già,» disse Maniakes. «È la volontà di Phos.» Anche mentre pronunciava quelle parole, si domandò perché il buon dio voleva impedire che Makuran fosse castigata per tutto quello che il suo popolo aveva fatto a Videssos e allo stesso Phos. Forse il Dio makurano aveva fatto lega con Skotos contro il signore dalla mente grande e buona. Oltre il Tib, gruppi di fanti makurani sembravano pronti ad accogliere con calore i Videssiani. Lontano dalla vista, dietro l'armata imperiale, quel contingente di fanteria che Maniakes aveva eluso era ancora alle sue calcagna. Il suo generale non aveva tutte le risorse delle quali aveva goduto Abivard l'anno prima, ma stava facendo gran parte di quello che aveva fatto lui. Quel generale era anche nella mente di Ypsilantes. Il comandante dei genieri disse, «Non abbiamo il tempo di sederci comodi e di escogitare un modo per attraversare un fiume così impetuoso. Se ci sediamo, avremo una battaglia da affrontare prima di quando ci piaccia.» «Si.» Maniakes lo fissò con espressione arcigna. «Credevo che avessi detto che avresti avuto un buon numero di sistemi per attraversare il Tib.» «In primo luogo, vostra Maestà, come ho già detto, non immaginavo che
stesse scorrendo così rapido.» replicò Ypsilantes con una certa dignità. «E in secondo luogo, pensavo che avessimo più tempo per lavorare. Un'armata che scava un canale per deviare il Tib non può interrompere tutto e cominciare a combattere nel giro di un momento.» «Se avessi parlato con questa chiarezza a Sharbaraz, probabilmente ti avrebbe ringraziato tagliandoti la lingua.» disse Maniakes. «Talvolta, ciò che è vero conta più di ciò che al momento sembra buono, però. Cerco di tenerlo sempre in mente.» «So che lo fate, vostra Maestà,» rispose Ypsilantes. «È per questa ragione che le sole persone che devono temervi sono quelle che sbagliano.» «Sei più gentile di quanto io meriti,» disse Maniakes, «e, se vuoi vedere quanto posso essere gentile io, trovaci un modo per attraversare il Tib, per quanto possa essere in piena.» «Farò tutto ciò che posso,» disse il geniere. «In questo momento, però, non ho nessuna buona idea.» «Di solito hanno dei ponti di barche per attraversare il fiume.» Maniakes indicò l'altra riva del Tib. «Non se ne vede nessuno. Come possiamo sostituirlo se non usiamo quei palmizi che tu tanto detesti? Come facciamo a essere sicuri di non dover utilizzare quelle orribili imbarcazioni dei nativi realizzate con le pelli?» «Il buonsenso ci assicura che non sarà necessario,» disse Ypsilantes. Sembrava di nuovo scontento, di tutti, adesso, non nei riguardi di Maniakes in particolare. «Cosa ci resta, allora?» domandò l'Avtokrator. «Abbiamo bisogno di barche di un qualche tipo, vostra Maestà.» replicò Ypsilantes. «Certo, in mancanza d'altro, quelle mostruosità in pelle dovranno bastarci. Abbiamo bisogno di tavole di legno. Se non possiamo prendere niente di meglio, dovremo servirci di quelle palme da datteri. E se dovremo utilizzare tutte queste cose che non mi piacciono, avremo anche bisogno dì maggior tempo per realizzare il ponte.» «E se usassimo le tavole di legno delle macchine lancia-pietre e lanciadardi come pezzi del ponte?» disse Maniakes. Ypsilantes scosse la testa. «Avremo bisogno di almeno qualcuna di quelle macchine. Quando arriveremo a un tiro d'arco dall'argine occidentale del Tib, dovremo respingere gli arcieri makurani per poter allungare il ponte fino all'altro lato.» «Se lo dici tu.» Maniakes rifletté su uno dei problemi sollevato dal geniere. «Vorrei che tu non mi avessi detto che avremo bisogno di. più tem-
po di quello che sarebbe necessario se avessimo materiali migliori qui intorno.» Sollevò in fretta una mano. «No, non ti sto biasimando. Ma non ho intenzione di affrontare quei fanti makurani che si stanno trascinando dietro di noi. se posso evitarlo.» Si voltò di nuovo verso est. «Comprendo, vostra Maestà,» disse Ypsilantes. «Farò tutto quello che posso per accelerare il lavoro.» Si strofinò il mento. «Quello che veramente mi preoccupa è che Abivard possa spuntare all'improvviso dal cespuglio dietro al quale si sta nascondendo e sferrarci un colpo nel momento meno opportuno.» «Mentirei se dicessi di non aver pensato la stessa cosa,» Maniakes guardò di nuovo a est. «Vorrei sapere dov'è. Anche se si trovasse in un posto dove non potrei fargli nulla - così come non posso fare nulla ai Kubratoi il sapere cosa è in grado di combinarci mi toglierebbe un bel peso dalla mente.» «È così, vostra Maestà,» convenne Ypsilantes. «Non si può combattere continuando a guardarsi alle spalle ogni ora del giorno e della notte, e aspettandosi che lui salti fuori come un pupazzo in uno spettacolo di burattini. O almeno, si può anche, ma si sta molto meglio se non si è costretti a farlo.» «Staremmo molto meglio se un mucchio di cose fossero diverse,» disse Maniakes. «Ma non lo sono, per cui dobbiamo affrontarle così come sono.» «È così, vostra Maestà,» disse Ypsilantes, col tono di chi avrebbe voluto spazzare via quell'infausta verità con una delle sue macchine da guerra. Maniakes mandò degli uomini su e giù per il Tib e lungo i più vicini canali maggiori. Tornarono con poche barche di vario genere: meno di quante Ypsilantes aveva sperato di trovare. L'Avtokrator mandò anche degli uomini a tagliare le palme da datteri in modo da poter utilizzare quelle tavole piuttosto fibrose che riuscivano a ottenere. Ciò offese gli abitanti della Terra delle Mille Città più di tutte le altre cose che lui aveva fatto fino a quel momento: anche più dell'aver bruciato molte di quelle città. I contadini contrastarono i gruppi di taglialegna come meglio poterono, e cominciarono a tendere imboscate ai soldati videssiani ogni volta che ne sorprendevano qualcuno lontano dal grosso dell'armata. Nella tenda che divideva con Maniakes, Lysia sollevò una brocca di vino di datteri, dicendo, «Pensavo che i contadini del luogo ci avrebbero ringraziato per averli liberati da quegli alberi che consentono loro di prepara-
re una brodaglia densa e dolciastra come questa.» «Si, lo so» disse Maniakes. «Ho bevuto il vino di datteri per la prima volta quando stavo aiutando mio padre a rimettere Sharbaraz sul trono. A quanto vedo, i soli che lo gradiscono sono quelli che non conoscono di meglio.» «È quello che penso anch'io,» disse Lysia. «Però...» «Si, però,» convenne Maniakes. «Gli abitanti del luogo ci tendono imboscate, e alcuni dei miei uomini hanno cominciato a massacrarli ogni volta che ne hanno la possibilità.» Sospirò. «Loro fanno qualcosa, noi reagiamo, loro fanno di peggio... dove andremo a finire?» Lysia non rispose, forse perché la risposta era ovvia: erano finiti tutti e due nelle vicinanze del Tib, con gli sguardi puntati su Mashiz al di là del fiume. Alla fine, una delle fazioni avrebbe assestato all'altra un colpo che quest'ultima non sarebbe stata in grado di restituire. Ciò avrebbe posto fine ai combattimenti... per una generazione, o anche due. «Una volta che saremo entrati in Mashiz,» disse Maniakes, «i Makurani non potranno reggere contro di noi.» Aveva continuato a dirlo fin da quando aveva concepito per la prima volta l'idea di evitare le terre occidentali videssiane e di portare la guerra direttamente nel cuore del regno del Re dei Re. Ci credeva ancora. Sperava che avrebbe scoperto, di li a non molto, se aveva ragione. Pensando quello che stava pensando lui, come spesso accadeva, Lysia chiese, «Quando potremo attraversare il Tib e puntare sulla capitale?» «Qualche giorno ancora, mi ha detto Ypsilantes,» rispose Maniakes. «Le scaramucce con i contadini hanno rallentato le cose, ma finalmente abbiamo barche e tavole di legno a sufficienza. Ancora un po' di tronchi, qualche taglio ben fatto e passeremo sul fiume.» Lysia guardò verso ovest. «E poi sarà finita.» Non parlò con un tono di completa fiducia. In un modo o nell'altro, suggerivano le sue parole. Maniakes non cercò di rimproverarla o di correggerla. Dopo tutte le sventure che avevano colpito Videssos, come poteva farlo? In un modo o nell'altro era quello che anche lui pensava. Nulla era certo finché non accadeva. Come per dimostrarlo, una delle sue guardie gridò dall'esterno della tenda: «Vostra Maestà, è arrivato un esploratore con delle notizie.» «Vengo,» disse, e uscì. L'esploratore era già sceso dal cavallo. Fece per eseguire una prosternazione, ma Maniakes, impaziente di sentire quello che aveva da dirgli, gli fece segno di non farlo. L'esploratore eseguì il saluto militare, poi disse,
«Vostra Maestà, detesto dirvi questo, ma tutti quei fanti che abbiamo evitato a Qostabash stanno di nuovo per raggiungerci.» «Oh, maledizione!» sbottò Maniakes, e trascorse il successivo paio di minuti a imprecare con un'inventiva che lasciò l'esploratore con gli occhi strabuzzati. L'Avtokrator non se ne curò. Aveva trascorso più tempo da soldato che da sovrano e aveva imparato a sfogare il suo malumore. Gradualmente, si calmò. Lui e Ypsilantes sapevano che questo poteva accadere. E adesso era accaduto. Avrebbero dovuto fare del loro meglio. L'esploratore lo osservò. Dopo un momento, l'uomo annuì e ridacchiò una o due volte. «Vostra Maestà, penso che fra poco ci sarà un po' di fanteria makurana laggiù...» Indicò a est, «...che rimpiangerà di essere nata.» «Per il buon dio, lo spero.» Maniakes scrutò a est, in direzione del contingente di fanteria che si stava avvicinando. «Hai visto solo fanti?» domandò all'esploratore. «Nessun dei 'bolliti' makurani?» «No, vostra Maestà, nessuno,» rispose l'esploratore. «Hanno alcuni cavalieri con loro, esploratori e messaggeri e gente simile, ma non ho visto tracce di cavalleria pesante. Se ci fossero stati, li avrei scorti. E farete bene a crederci... quei bastardi sanno combattere davvero, e io voglio sapere quando sono nei paraggi.» «Anch'io,» disse Maniakes, distrattamente, e poi, più a se stesso che all'uomo che aveva portato quelle sgradite notizie. «Che tu possa precipitare nel ghiaccio Abivard: dove sei andato a nasconderti?» Ma il vero interrogativo era: quando sarebbe emerso Abivard dal suo nascondiglio, e quanti guai avrebbe causato? L'Avtokrator fece un cenno col capo all'esploratore, congedandolo, poi mandò una delle sue guardie da Ypsilantes. Quando il comandante dei genieri arrivò, Maniakes lo informò con poche parole di quello che era accaduto. Ypsilantes lo ascoltò fino in fondo prima di liberare un lungo sospiro. «Beh, vostra Maestà, non ci hanno mai detto che questa faccenda sarebbe stata semplice, no?» «Ho paura che non lo abbiano fatto... chiunque essi siano,» convenne Maniakes. «Possiamo proteggere tutte le tavole di legno che abbiamo tagliato e le barche che abbiamo raccolto mentre stiamo combattendo con questi dannati fanti?» «Dobbiamo,» disse schiettamente Ypsilantes, il che rese l'Avtokrator lieto di averlo al suo fianco. Proseguì, «Si, credo che possiamo. Nell'avvicinarsi a noi la fanteria makurana non s'imbatterà in quella roba, a meno che qualcuno non piscia nella pentola dello stufato, o quei bastardi all'altro lato
del fiume non hanno il fegato di venire fin qui a distruggere tutto mentre la maggior parte di noi è impegnata a fare altre cose. Sarei l'uomo più sorpreso della Terra delle Mille Città.» Maniakes lo corresse: «Il secondo uomo più sorpreso.» Ypsilantes ci pensò su, ammiccò come un rospo che ingoia una mosca, e abbaiò un paio di sillabe che sembravano una risata. «Mi assicurerò che non accada, vostra Maestà. Contate su di me.» «Ci conterò,» disse Maniakes. «Ci conto.» Congedò Ypsilantes con un gesto, poi cominciò a gridare ordini, preparando il suo esercito all'incontro con i Makurani. Aveva più rispetto per i fanti nemici di quello che aveva nutrito nei primi scontri, due anni addietro: erano diventati rapidamente dei veri soldati. Girò lo sguardo sull'accampamento, dove i suoi uomini stavano cominciando a muoversi. Sorrise. Anche loro erano guerrieri migliori di quanto lo fossero un paio di anni prima. La bandiera col leone rosso di Makuran sventolava pigramente nella brezza leggera. Il vessillifero nemico era un uomo enorme con spalle taurine. Maniakes fu lieto di vederlo usato per scopi ornamentali piuttosto che come un vero combattente. Anche la cosa più marginale era utile. L'Avtokrator guardò la linea di battaglia che avanzava dietro il vessillifero. Il generale makurano disponeva di più uomini di lui. Dal momento che la battaglia era fra fanteria e cavalleria, questo importava meno che se avesse dovuto affrontare l'intera armata di Abivard. Tuttavia, la cosa non lo rallegrava. La maggior parte dei fanti dell'armata nemica non erano, in senso stretto, Makurani, ma piuttosto uomini delle Mille Città. Erano più bassi e tarchiati e un po' più bruni dei 'bolliti' dell'altopiano a ovest, con capelli così neri che avevano riflessi blu-notte, spesso raccolti in una crocchia sulla nuca. La loro arma principale era l'arco, ma portavano anche pugnali e mazze per il combattimento corpo a corpo. Alcuni di loro indossavano elmi: dei pratici pentoloni di ferro, o talvolta dei berretti di cuoio rinforzati con bande di ferro. A parte questo, la sola armatura che portavano erano gli scudi di vimini. Sapevano combattere. Maniakes lo aveva constatato. Non avevano combattuto molto negli anni precedenti l'irruzione dei Videssiani nella Terra delle Mille Città, ma, come lui aveva pensato poco prima, da allora avevano imparato il mestiere. In parte, era anche colpa di Abivard... o suo merito, se si guardavano le cose dal punto di vista makurano. In parte era colpa
di Maniakes. Combattendo una serie di battaglie contro la fanteria locale, aveva impartito loro delle lezioni su come affrontare i Videssiani. Alcuni di loro avevano imparato meglio di quanto lui desiderasse. Fece un cenno con la testa a Rhegorios, che sedeva sul suo cavalloaccanto a Maniakes e Antilope, e indicò la fanteria nemica. «Guarda... stanno erigendo una sorta di barricata per impedirci di caricare su di loro. Biancospino, forse, o qualcosa del genere.» «Noi, però, non abbiamo intenzione di caricare direttamente su di loro.» rispose suo cugino. «Quel genere di barriera sarebbe molto più efficace contro la cavalleria pesante makurana, che attacca con le lance, di quanto lo sia contro i nostri arcieri a cavallo.» «Sarà un problema anche per i nostri uomini,» disse Maniakes, «e poi potranno sempre togliere la barricata se individueranno un buon punto dove caricarci. Nei combattimenti dell'autunno scorso, mentre noi ci ritiravamo verso Lyssaion, la loro fanteria fu aggressiva come qualunque generale vorrebbe.» «Certo, stavano operando assieme alla loro cavalleria,» disse Rhegorios. «Non saranno così tenaci senza i 'bolliti' qui.» L'accenno alla cavalleria pesante makurana fu sufficiente a spingere Maniakes a guardare a nord e poi a sud, e a domandarsi di nuovo dov'era Abivard e come e quando sarebbe apparso. Quando l'armata videssiana era impegnata in combattimento con la fanteria del luogo, ci avrebbe scommesso. «Tu avrai l'ala destra,» disse Maniakes a suo cugino quando Abivard ancora una volta evitò di materializzarsi. «Non ti darò ordini dettagliati su cosa fare, ma tu puoi muoverti più rapidamente dei fanti. Se riuscirai ad attaccarli sul fianco, sarà un'ottima cosa.» «Sarebbe molto più semplice se non stessero distruggendo altri canali,» osservò Rhegorios. «Ma ci proverò... lo sai.» «Tutto sarebbe più semplice se non lo rendessero più complicato,» disse Maniakes, il che spinse suo cugino a un cenno di assenso e a una risata. Proseguì, «Mantieni anche degli esploratori ben larghi sul fianco. Abivard si sta aggirando da qualche parte qua intorno.» «Forse è caduto nel Vuoto dove i Makurani destinano le persone che non gradiscono,» disse Rhegorios. «Ma sarebbe troppo sperarlo, no? Certo, terrò gli occhi bene aperti. E tu, cugino, tieni d'occhio anche il tuo fianco.» «Sarò vigile come un nobile makurano che controlla il suo gineceo per assicurarsi che nessuno si infili dentro.» L'Avtokrator diede una pacca sul-
la schiena di Rhegorios coperta dall'armatura. «Ora, andiamo a vedere che genere di danza dovremo fare con queste amabili persone, eh?» «Hanno fatto un lungo viaggio. Non vogliamo certo deluderli.» Rhegorios parve pensieroso. «Anche noi abbiamo fatto un lungo viaggio.» «Già,» disse Maniakes. «E non vogliamo deludere nemmeno noi.» Rhegorios si allontanò al galoppo per assumere il comando della sua ala. I Makurani stavano lasciando agli imperiali la decisione su quando e come iniziare la battaglia. In realtà, Maniakes avrebbe comunque avuto la possibilità di decidere se dare inizio o meno alla battaglia, dal momento che i suoi cavalieri erano più mobili della fanteria che si trovavano di fronte. Ma avendo quasi terminato la preparazione per attraversare il Tib, non poteva abbandonare le tavole di legno e le barche senza perderle e rinunciare così anche ai suoi piani. Non volendo farlo, Maniakes sapeva che doveva combattere là. Osservò Rhegorios e il suo contingente che lo superavano per la manovra di attacco laterale che avrebbero potuto attuare. Volendo rafforzare il centro, mandò un piccolo distaccamento sulla sinistra. Avvertì Immodios, che lo guidava, di vigilare sul possibile arrivo di Abivard. «Lo farò, vostra Maestà,» rispose l'ufficiale. «Se si farà vivo, lo fermeremo, ve lo prometto.» «Bravo,» disse Maniakes. Se Abivard si fosse fatto vivo con un forte contingente di 'bolliti', Immodios non lo avrebbe fermato. L'Avtokrator lo sapeva. Sperò che anche Immodios lo sapesse. Con un po' di fortuna, però, i cavalieri sulla sinistra avrebbero rallentato un attacco della cavalleria dal fianco, dando al centro qualche speranza di respingerlo. I corni squillarono gli ordini per l'avanzata. Mentre i Videssiani si avvicinavano, i loro avversari li insultarono a gran voce nella lingua makurana e nel linguaggio più duro e gutturale delle Mille Città. «Ignorate quegli insulti, qualunque cosa significhino,» dichiarò un sacerdote di Phos in tunica azzurra. «Andate avanti verso la vittoria e la gloria, a difesa dalla vera e santa fede di Phos con tutte le armi della guerra. Andate avanti, e possa il signore dalla mente grande e buona risplendere su di voi e illuminare il vostro cammino.» Pochi uomini esultarono. Gli altri - quelli che già avevano sentito le omelie di tanti sacerdoti e visto un mucchio di battaglie vinte, perdute o senza esito - assaporarono la retorica senza lasciarsi trascinare. Phos avrebbe fatto quello che voleva, loro avrebbero fatto quello che volevano, e alla fine il combattimento avrebbe avuto un vincitore.
Le prime frecce cominciarono a volare poco dopo. Chiunque fosse al comando dell'armata makurana aveva un'ottima padronanza della logistica, poiché i fanti della Terra delle Mille Città continuarono a scagliare frecce, non mostrando il benché minimo segno di potersi ritrovare a corto di dardi di li a poco. Un simile sbarramento indicava la presenza di un numero impensabile di carri pesanti, carichi di un numero impensabile di fasci di frecce. Vedere il loro volo era come osservare un grande sciame di locuste che abbandonava un campo per calare su un altro. I Videssiani risposero. Erano meno riforniti di dardi dei loro nemici. D'altra parte, quando una delle loro frecce colpiva un soldato dell'armata makurana, di solito questi restava ferito. Non era vero il contrario, dal momento che le loro cotte di maglia respingevano gran parte delle frecce. «Piombiamo in mezzo a loro e li avremo!» gridò Maniakes, spingendo avanti i suoi uomini, a dispetto dello sciame delle frecce nemiche. Ma piombare in mezzo ai soldati dell'armata makurana non era affatto semplice. I soldati che si erano appostati immediatamente dietro alla loro barricata di biancospini scagliavano frecce il più lontano possibile. La seconda linea di uomini delle Mille Città scagliava bene in alto sopra le teste della prima linea, in modo che queste frecce potessero scendere su quelli che raggiungevano la barricata e cercavano di distruggerla. Nel complesso, era come avanzare sotto una pioggia di bastoncini con le punte di ferro. Vedendo le difficoltà che stavano incontrando i suoi uomini nell'avvicinarsi all'armata makurana, Maniakes convocò Ypsilantes. I genieri erano fatti per quelle situazioni che i normali soldati trovavano impossibili. Sopra le grida degli uomini e i nitriti dei cavalli feriti, in mezzo al costante sibilo delle frecce, Maniakes indicò la barricata e disse, «Cosa possiamo fare, eccellente signore?» «Non sono degli sciocchi, purtroppo, vostra Maestà,» rispose Ypsilantes. «Hanno innaffiato d'acqua gli arbusti, in modo che non possano essere facilmente incendiati.» Solo dopo aver annuito Maniakes si sentì sorpreso per il fatto che il comandante dei genieri avesse già notato quel piccolo dettaglio: ma del resto, era proprio quel genere di attenzione a fare di Ypsilantes il comandante dei genieri. Proseguì, «Se ci pensate, è proprio come abbattere un muro cittadino. Saranno più o meno gli stessi strumenti a fornirci il rimedio.» Maniakes non aveva pensato che un combattimento su un terreno aperto e piatto potesse essere simile a un assedio. Una volta che la similitudine gli venne mostrata, gli parve abbastanza ovvia. Scosse la testa. Parecchie cose
sembrano ovvie... dopo che sono state spiegate. «Il tuo distaccamento è pronto a fare quello che è necessario?» domandò. «Si, vostra Maestà,» gli disse Ypsilantes. «Non dovrebbe essere difficile da portare a buon fine.» Sembrava un giocatore intento a studiare una mossa interessante sulla scacchiera videssiana, non uno che parlava in mezzo al caos di una guerra vera. Maniakes non sapeva se ammirarlo per il suo distacco o esserne spaventato. Che il suo distacco fosse ammirevole o spaventevole, Ypsilantes dimostrò rapidamente di sapere di cosa stava parlando. Sotto il riparo che solitamente veniva impiegato per spingere un ariete nelle vicinanze di un muro in modo da poterlo sfondare, gruppi di genieri si avvicinarono alla barricata e cominciarono a rimuoverla. Per loro, il lavoro era relativamente facile. Nessuno, in quella circostanza, stava facendo cadere pietre oppure olio bollente o piombo fuso sul loro riparo, che. essendo stato progettato per resistere a simili attacchi, si limitava a ridere di quelle semplici frecce che piovevano su di esso. I Makurani tentarono di scagliare le frecce direttamente sotto il riparo. Ma i soldati che stavano sui lati esposti con degli scudi ampi e resistenti resero la cosa molto difficile. Di li a poco, alcuni dei fanti nemici tentarono un attacco più diretto, gettandosi sui genieri per abbatterli. Ma quando lo fecero, i loro compagni, necessariamente, dovettero smettere di scagliare frecce. Ciò permise alla cavalleria videssiana di gettarsi nel varco già praticato per assalire i fanti. Fu una battaglia impari. I fanti avevano coraggio da vendere, ma contro i cavalieri coperti da armature caddero in numero spaventoso. «Vedete, vostra Maestà.» disse Ypsilantes. «Si, vedo,» rispose Maniakes. «Hai messo il comandante nemico in condizione di dover fare una scelta che sono lieto di non dover fare io. Può mandare i suoi uomini avanti per cercare di impedire che la barricata venga abbattuta... e farli massacrare; oppure può tenere indietro i suoi uomini e lasciare che la barricata venga rimossa... e farli massacrare.» «Quando ci si mette in una situazione del genere, è la sola alternativa che si ha,» convenne Ypsilantes. «La migliore risposta è non mettersi in una situazione del genere.» «Sarebbe stato molto diverso se Abivard...» Maniakes si bloccò. Non aveva visto segni del comandante makurano, né della cavalleria pesante che Abivard aveva guidato nell'ultima stagione di guerra. Non sapeva dove fossero, ma non erano là. Se Abivard non si era fatto vivo ad aiutare i fanti,
non poteva essere nelle vicinanze. Quel pensiero produsse un'eco nella mente di Maniakes, ma le grida dal fronte la soffocarono. I varchi nella barricata di biancospini si erano allargati a sufficienza perché i cavalieri Videssiani cominciassero ad attraversarli per attaccare l'armata makurana con spade e giavellotti, oltre che con le frecce. Anche adesso, però, i fanti nemici continuarono a mostrare coraggio. Quelli dei ranghi più lontani si precipitarono in aiuto dei loro compagni assaliti. Usarono le mazze e le spade corte sia contro i cavalli dei Videssiani che contro gli imperiali stessi. Più confusione riuscivano a creare, meglio era per loro. «Abbiamo uomini a sufficienza?» Maniakes pose la domanda più a Phos o a se stesso che a Ypsilantes, sebbene il comandante dei genieri sedesse sul cavallo accanto a lui. Ypsilantes non esitò a rispondere, che la domanda fosse o meno rivolta a lui. «Vostra Maestà, ritengo di si.» Si dimostrò buon profeta: a poco a poco, i Videssiani spinsero indietro i loro nemici da quella che era stata la barricata di biancospini. E ormai, il sole stava scendendo verso i monti Dilbat. Il combattimento era durato quasi tutto il giorno. Maniakes mandò dei messaggeri ai soldati che combattevano in prima linea: «Attaccateli con tutto quello che avete e cederanno.» Non poté biasimare i suoi uomini per come obbedirono all'ordine. Incalzarono i Makurani, e li incalzarono con accanimento. Alla fine, dopo un duro scontro - più duro di quello che ci fu al centro - Rhegorios superò gli ostacoli sul suo cammino ed eseguì l'attacco laterale che Maniakes aveva aspettato per tutto il giorno. Ma il nemico non cedette. Aveva sperato in un massacro, con i Makurani che fuggivano in tutte le direzioni e i suoi uomini a cacciarli come pernici. Forse era sleale. Ma lui non se ne curava. La battaglia non era un gioco: bisognava essere degli sciocchi per non affrontarla col solo proposito di annientare il nemico. D'improvviso, i fanti si ritirarono verso est, lasciando il campo ai Videssiani. Ma si ritirarono in buon ordine, restando in formazione come meglio potevano, e senza disperdersi e permettere all'armata di Maniakes di farli a pezzi. Avendo effettuato più ritirate di quante gli piaceva rammentare, l'Avtokrator sapeva com'erano difficili da portare a termine. Non si mise all'inseguimento con tutto il vigore che poteva. In primo luogo, la luce del giorno stava sparendo dal cielo. In secondo luogo, riteneva di aver inferto una tale batosta ai fanti della Terra delle Mille Città,
che non avrebbero tentato di riprendere a combattere per un bel pezzo. Questo era quello che aveva sperato dì fare. Con l'armata di fanti fuori dalla scena, poteva tornare all'opera interrotta: l'attraversamento del Tib e l'avanzata su Mashiz. «Ci accamperemo,» disse. «Ci prenderemo cura dei nostri feriti e poi torneremo a fare quello che stavamo facendo prima di essere costretti a combattere: portare la guerra fino a Sharbaraz in modo che capisca che è stata una pessima idea iniziarla.» Ypsilantes annuì, mostrando la sua approvazione. E così fece Rhegorios, quando giunse nell'accampamento con i suoi soldati mentre il crepuscolo stava cedendo il posto alla sera. «Sono buoni soldati,» disse a Maniakes. «Un po' più di disciplina, un po' più di flessibilità per come si spostano da una linea all'altra, e saranno del tutto affidabili. Se riusciremo a prendere Mashiz sarà un'ottima cosa. Ciò porrà fine alla guerra, così non dovremo insegnare loro a fare i soldati.» Maniakes disse, «Già.» Sapeva di dare l'impressione di stare ascoltando suo cugino con mezzo orecchio. Sfortunatamente, si dava il caso che fosse vero. Lo strepito sul campo di battaglia subito dopo la fine del combattimento era più spaventoso di quello che si udiva nell'infuriare della battaglia. Tutto il trionfo si dileguava con la battaglia stessa, lasciando solo la pianura. Gli uomini gemevano e strillavano, gridavano e imprecavano. I cavalli emettevano suoni ancora più spaventosi. Maniakes pensava spesso a come fosse sgradevole la guerra per i cavalli. Gli uomini che erano stati feriti sul campo quel giorno avevano almeno qualche idea del perché stavano combattendo e di come si erano feriti. Per i cavalli era tutto un mistero. Un momento prima stavano bene, un momento dopo soffrivano atrocemente. Non faceva meraviglia che i loro strilli lacerassero l'anima. Soldati e maniscalchi si aggiravano sul campo, facendo quello che potevano per gli animali. Troppo spesso, quello che potevano non era niente di più che un coltello piantato rapidamente e pietosamente nella gola. Stando alle loro grida, non pochi uomini avrebbero gradito quel rimedio. Alcuni di essi lo ricevettero: la maggior parte dei feriti nemici erano stati lasciati sul campo di battaglia. Era una cosa orribile, ma era così che si combattevano le guerre. Anche ad alcuni Videssiani, a quelli feriti in maniera più atroce, fu concesso un rapido passaggio all'altra vita e al giudizio eterno. Per gli altri, i chirurghi la cui abilità era al livello di quella dei maniscal-
chi aiutarono gli uomini feriti in maniera non fatale, strappando frecce, aggiustando ossa rotte e ricucendo squarci con rapide suture che qualsiasi sarto avrebbe osservato con disgusto. Le loro cure, sulle prime, sembravano portare più pene che sollievo. Un gruppo di sacerdoti-guaritori si aggirava per il campo, cercando gli uomini feriti più gravemente che potessero essere salvati con un intervento miracoloso. Tutti i guaritori non erano soltanto sacerdoti ma anche maghi, ma non tutti i maghi potevano guarire. La capacità di guarire era un dono. Se c'era, poteva essere coltivato. Se non c'era, tutto l'addestramento del mondo non poteva farlo nascere. A guidare i guaritori era un uomo in tunica azzurra di nome Philetos, che in tempo di pace - nella recente esperienza di Maniakes, un concetto puramente teorico - insegnava taumaturgia sperimentale nel Collegio dei Maghi della città di Videssos. Aveva anche, non del tutto spontaneamente, celebrato la cerimonia delle nozze fra Maniakes e Lysia, ignorando la proibizione del patriarca ecumenico. A dispetto della dispensa ricevuta da Agathios, alcuni sacerdoti intransigenti condannavano ancora Philetos per questo. Maniakes trovò Philetos accovacciato accanto a un soldato che aveva una ferita al petto e perdeva schiuma insanguinata dalla bocca e dal naso. L'Avtokrator sapeva che i chirurghi non avrebbero potuto salvare quell'uomo: se la ferita non si fosse dimostrata rapidamente fatale, lo avrebbe finito in breve tempo la febbre. «C'è qualche speranza?» chiese Maniakes. «Credo di si, vostra Maestà,» rispose il sacerdote-guaritore. Aveva già strappato la cotta di maglia del soldato e tirato su la tunica di lino che indossava sotto di essa, per esporre la ferita. Mentre Maniakes osservava, Philetos mise entrambe le mani sulla ferita, in modo che il sangue del soldato potesse scorrere fra le sue dita. «Dovete sapere, vostra Maestà, che il contatto diretto è necessario perché la guarigione riesca,» disse. «Si, certo,» disse Maniakes. Non era sicuro che Philetos lo avesse udito o no. «Noi ti benediciamo, Phos, signore dalla mente grande e buona,» intonò il guaritore, «per tua grazia nostro protettore, e ti preghiamo di far si che questa grande e vitale prova che ci attende sia in nostro favore.» Philetos ripeté più volte la formula, in parte come una preghiera, in parte come strumento per portarsi dal suo abituale stato di coscienza su un piano più elevato, dove la guari-
gione potesse riuscire. Il momento in cui raggiunse quell'altro livello fu abbastanza facile da cogliere. Sembrò rabbrividire e poi rinsaldare la sua posizione sul suolo, come se fosse tenuto fermo da un potere più forte di quello dei semplici mortali. Maniakes, a pochi passi di distanza, avvertì il flusso della guarigione passare da Philetos al soldato ferito, anche se non avrebbe potuto dire con quale dei sensi lo avesse avvertito. Si tracciò il cerchio del sole e mormorò anche lui il credo di Phos, pieno di timore reverenziale nei confronti di quel potere del quale Philetos era solo un canale. Il sacerdote-guaritore grugnì. D'un tratto, i suoi occhi tornarono a focalizzarsi sul mondo terreno. Tolse le mani dalla ferita e se le pulì sulla tunica del soldato, poi usò la tunica per strofinare via il resto del sangue dal petto dell'uomo. Invece di un foro attraverso il quale usciva il sangue, restava solo una cicatrice bianca e corrugata, come se quel soldato avesse subito quella ferita anni prima. L'uomo aprì gli occhi e guardò Philetos. «Santo signore?» disse con tono sorpreso. La sua voce sarebbe potuta essere quella di qualsiasi giovane, certamente non quella del giovane che aveva appena ricevuto una freccia in un polmone. Il ricordo gli riempì il volto di dolore, o piuttosto della reminiscenza del dolore. «Sono stato colpito. Sono caduto a terra. Non riuscivo a respirare.» I suoi occhi si spalancarono mentre realizzava quello che doveva essere accaduto. «Mi hai guarito, santo signore?» «È stato il buon dio a guarirti, per mio tramite.» La voce di Philetos uscì come un secco gracidio. Il suo volto era sofferente, la pelle tesa sugli zigomi. «Phos è stato gentile con te, ragazzo.» Riuscì a emettere una stanca risatina. «Cerca di non fermare più altre frecce col tuo petto, eh?» «Si, santo signore.» Il soldato, in punto di morte pochi minuti prima, si sollevò in piedi. «Phos ti benedica.» Corse via, e se non fosse stato per il sangue che aveva intorno alla bocca, nessuno avrebbe detto che era stato ferito. Philetos, per contro, sembrava sul punto di accasciarsi. Maniakes aveva già visto quella reazione nei guaritori: l'uso del loro talento li prosciugava. L'Avtokrator diede a gran voce l'ordine di portare cibo e vino. Philetos trangugiò e ingollò, mandando giù un pasto che sarebbe bastato a due uomini normali. Maniakes aveva già visto anche questo. «Dov'è il prossimo?» disse il guaritore, ancora stanco ma con parte del suo vigore recuperato. Era un sacerdote-guaritore di straordinario talento: poteva guarire due, tre, talvolta addirittura quattro uomini che sarebbero
morti senza il suo intervento. Dopodiché, lo sforzo diventava troppo grande, e il guaritore crollava prima di essere in grado di convogliare quella forza che fluiva dentro di lui. «Non devi ucciderti, lo sai,» gli disse Maniakes. «Ho sentito dire che può accadere se ti spingi troppo oltre.» «Dov'è il prossimo?» ripeté Philetos, non curandosi di lui. Ma quando nessuna risposta giunse di li a poco, il guaritore proseguì, «Poiché possiamo fare così poco, vostra Maestà, l'onore ci chiede di fare tutto quello che possiamo. L'arte di guarire è in continua evoluzione: i guaritori della mia generazione possono fare di più e a minor costo di quelli della generazione del mio bisnonno, come dimostrano le cronache e i testi giunti fino a noi. Nei giorni a venire, grazie a una continua ricerca, quelli che ci seguiranno potranno fare ancora di più.» «È tutto molto bello,» disse Maniakes, «ma ciò non ti impedisce di ucciderti se pretendi troppo da te stesso.» «Farò quello che potrò. Se muoio, sarà la volontà di Phos,» rispose Philetos. D'un tratto parve non solo esausto, ma anche corrucciato. «E questo è vero anche per coloro che non riusciamo a guarire.» Anche la bocca di Maniakes si curvò in una smorfia. Philetos aveva tentato di guarire la sua prima moglie, Niphone, dopo che dovette esserle praticato un taglio per far nascere Likarios. Era già in punto di morte quando l'intervento chirurgico terminò, ma Philetos ancora si biasimava per non essere riuscito a riportarla indietro. «Tu non fai miracoli,» disse l'Avtokrator. Philetos respinse la cosa con un gesto, come se non valesse la pena confutarla. «Quello che faccio, vostra Maestà, è un lavoro, senza alcun aggettivo accanto.» Girò la testa da un lato all'altro, osservando quanto più poteva del campo di battaglia, cercando un altro uomo da poter recuperare prima che le forze gli venissero meno. «Guaritore!» II lamento era debole e lontano. Qualcuno - forse un cerusico, forse solo un soldato intento a saccheggiare - si era imbattuto in un ferito che il particolare potere di un guaritore avrebbe potuto salvare. «Col vostro permesso, vostra Maestà,» disse Philetos. Ma non stava davvero chiedendo il permesso: stava dicendo a Maniakes che stava per allontanarsi. E si allontanò, con passo risoluto. Poteva anche essere mortalmente stanco, poteva anche essere lui stesso a cercare la morte - forse per fare ammenda per Niphone e per tutti i suoi fallimenti - ma l'avrebbe combattuta negli altri fino all'ultimo respiro.
Maniakes lo seguì con lo sguardo. Avrebbe potuto ordinare al sacerdoteguaritore di fermarsi e riposare. Però aveva imparato una cosa: l'ordine più inutile era quello dato senza la speranza che fosse eseguito. «Vediamo,» disse Ypsilantes, scrutando al di là del Tib i fanti sulla riva occidentale, «non eravamo qui pochi giorni fa?» «Mi pare di si,» disse Maniakes. «Qualcosa deve averci interrotti, però, altrimenti adesso saremmo impegnati nell'attraversamento.» Risero entrambi. Il loro umorismo aveva un tocco di macabro: l'aria era pregna del tanfo della decomposizione dopo la battaglia che Maniakes aveva disinvoltamente definito qualcosa, come se non riuscisse a ricordare perché il tentativo di attraversamento era stato rinviato. Sospettava che Makurani e Kubratoi facessero le stesse battute. Se si voleva restare sani dì mente, era necessario. Ypsilantes emise uno schiocco con al lingua, che fece venire in mente a Maniakes un pollo che esamina un bruco cercando di decidere se apparteneva al genere saporito o disgustoso. «Non mi piace affatto l'aspetto del fiume,» disse il comandante dei genieri. «Ci potrebbe essere un'altra piena.» «A stagione così avanzata?» disse Maniakes. «Non posso crederci.» «Sarebbe più probabile se stessimo parlando del Tutub,» ammise Ypsilantes. «Non ci si può fidare del Tutub. Ma ho l'impressione che il Tib sia salito rispetto agli argini e abbia increspature più alte di un paio di giorni fa.» Maniakes osservò il Tib. «A me sembra notevolmente simile a un fiume,» disse, dimostrando l'ampiezza delle sue conoscenze nel campo. «È un fiume, certo, e qualsiasi fiume può essere insidioso,» disse Ypsilantes. «Non mi piacerebbe affatto approntare il nostro ponte per vederlo subito spazzato via con metà armata su un lato del fiume, e metà sull'altro.» «Potrebbe essere imbarazzante,» ammise Maniakes, di nuovo con asciutta mancanza di enfasi: poteva anche non essere un geniere di mestiere, ma era un soldato di mestiere, e, come molti uomini di quel tipo, usava un linguaggio che minimizzava quel genere di cose che potevano accadergli. «Forse dovremmo aspettare qualche giorno prima di cercare di attraversare,» disse Ypsilantes. «Detesto dirlo...» «Anch'io detesto sentirlo,» lo interruppe Maniakes. «Abbiamo già dovuto attendere più di quanto volessimo, sia per procuraci tavole e barche, sia
per l'attacco dei Makurani.» La mascella di Ypsilantes si irrigidì. «Vostra Maestà, non sono certo che il fiume stia andando in piena. Se volete dire che sono un vecchio sciocco e mi ordinate di procedere, nessuno può dirvi che sbagliate. Voi siete l'Avtokrator. Ditemi di muovermi e obbedirò.» «Ed entrambi ci troveremmo a guardarci alle spalle ogni minuto, anche se non succederà proprio nulla,» disse tristemente Maniakes. «Tu non puoi sapere cosa accadrà, io non posso sapere cosa accadrà...» Fece una pausa. «Ma Bagdasares potrebbe essere in grado di saperlo.» «Chi?» «Alvinos, forse lo conosci con questo nome,» rispose l'Avtokrator. «Lui sa che ho sangue vaspurakano nelle vene, così quando parliamo di solito usa il suo nome di nascita, non quello che usa con i normali Videssiani.» «Oh, uno di quelli,» disse Ypsilantes, annuendo. «Mi fa venire in mente quel ribelle di centocinquant'anni fa, quel vaspurakano che avrebbe regnato col nome di Kalekas, se avesse vinto. Qual era il suo vero nome? Lo conoscete?» «Andzeratsik,» gli disse Maniakes, aggiungendo con un sogghigno ironico, «un nome non certo adatto a un Avtokrator dei Videssiani, no? La mia famiglia ha una. lontana parentela con lui. Da quando perse la guerra civile, non è una cosa di cui parliamo spesso.» «Posso capirlo,» convenne gravemente Ypsilantes. «Bene, dunque... provate col mago. Vedete cos'ha da dire.» «Bagdasares?» Maniakes roteò gli occhi. «Lui ha sempre un mucchio di cose da dire. Quante abbiano a che fare con la domanda che gli porrò... è tutt'altra faccenda.» La battuta era ingiusta se presa alla lettera, ma, come la maggior parte delle battute ingiuste, aveva un granello di verità. «Cosa posso fare per voi, vostra Maestà?» chiese Bagdasares dopo che Maniakes ebbe guidato Antilope fino alla sua tenda. L'Avtokrator lo spiegò. Bagdasares si tirò la barba. «Un incantesimo molto simile a quello che usammo per esaminare il viaggio della flotta dalla città a Lyssaion dovrebbe essere efficace, credo.» «Bene,» disse Maniakes, «ma puoi garantirmi che non ci mostrerà più di quello che vogliamo sapere, com'è successo l'altra volta?» «Se potessi garantire cosa la magia rivelerà e cosa non rivelerà, Vostra Maestà, sarei Phos, o almeno Vaspur, l'unica creazione perfetta del buon dio. La ragione principale per cui si opera un incantesimo è vedere cosa
accadrà, e non mi riferisco solo al mondo esterno ma alla magia in sé.» Rimesso al suo posto, l'Avtokrator allargò le mani, riconoscendo la sconfitta. «Fai quello che credi, dunque, eccellente signore. Qualunque cosa la tua magia mi mostrerà, sarò lieto di vederla.» Bagdasares si mise rapidamente all'opera. Riempì una ciotola di terra che scavò vicino al punto in cui si trovava...» Quale simbolo migliore per la terra del luogo se non della terra del luogo?» Vi ricavò un canale, e vi versò dell'acqua presa da una brocca posta accanto al suo giaciglio...» Come rappresentare l'acqua del Tib meglio che con l'acqua del Tib?» Creato così il paesaggio, usò dei ramoscelli e dei pezzi di legno per rappresentare il ponte di barche che presto si sarebbe allungato sul fiume. «Volete sapere se c'è una piena in arrivo, no?» «Esatto,» disse Maniakes. «Molto bene, allora.» rispose il mago, quasi distrattamente: stava già concentrandosi per l'incantesimo vero e proprio. Cominciò a salmodiare e a gesticolare sulla ciotola. «Rivelati!» gridò in videssiano, e poi di nuovo nella lingua vaspurakana che Maniakes aveva difficoltà a seguire. L'Avtokrator si domandò se i maghi Makurani stavano cercando di interferire con l'incantesimo di Bagdasares. Non sarebbe rimasto sorpreso se avesse scoperto che lo stavano facendo: sapere se avrebbe attraversato il Tib indenne era chiaramente importante per lui, e il metodo magico per determinare la verità non era troppo complesso. Ma Alvinos Bagdasares gli diede una risposta netta. L'Avtokrator vide il ponte che si allungava verso la riva occidentale del simulacro del Tib, poi vide apparire dei piccoli e spettrali puntini, che attraversarono il fiume simbolico da est a ovest. «Le intemperie non ci ostacoleranno, vostra Maestà,» mormorò Bagdasares. «Vedo,» rispose Maniakes, guardando ancora la ciotola. E, come era accaduto nel precedente tentativo del suo amico di sapere quello che li attendeva, vide più di quello che aveva richiesto. Quei puntini spettrali improvvisamente riattraversarono il Tib, questa volta da ovest a est. «E ciò cosa significa?» chiese a Bagdasares. Questa volta, il mago aveva visto anche lui quello che era accaduto, quindi non ebbe bisogno di affidarsi alla descrizione del suo sovrano. «Posso esprimere l'ipotesi - ma è solo un'ipotesi - che non resteremo a lungo a Mashiz. Se davvero riusciremo a raggiungere la residenza del Re dei Re.»
«Era anche la mia ipotesi,» disse Maniakes. «Ma speravo che la tua fosse più gradevole.» «Mi dispiace, vostra Maestà,» disse Bagdasares. «Non posso dare per certo che quello che ho detto sia vero, badate, ma tutte le altre interpretazioni mi appaiono meno probabili di quella che ho proposto.» «Appaiono così anche a me.» disse Maniakes. «Come ho detto, desideravo solo che non fosse così.» S'illuminò. «Forse la magia vuol dire che Sharbaraz sarà così spaventato dopo che avremo attraversato il Tib, che accetterà la pace alle nostre condizioni. Se lo farà, non dovremo restare a lungo a ovest del fiume.» «Potrebbe darsi,» rispose Bagdasares. «È inutile cercare di sapere con la magia cos'ha in mente il Re dei Re, dal momento che lui, come voi, è protetto contro questi tentativi. Ma nulla nell'incantesimo che ho eseguito contraddice l'interpretazione da voi proposta.» Nulla nell'incantesimo la contraddiceva, forse, ma Maniakes aveva difficoltà a crederci anche se era uscita dalla sua stessa bocca. II guaio era che, per quanto volesse ritenerla probabile, essa crollava davanti a tutto quello che sapeva, o pensava di sapere, del carattere di Sharbaraz. Quando il Re dei Re makurano avesse mostrato un segno di flessibilità, sarebbe stata la prima volta. L'ambasciatore che aveva mandato a negoziare con Maniakes era stato mandato non per fare la pace ma per ritardare i Videssiani finché l'armata di fanti non li avesse raggiunti. Il che significava... «Qualcosa andrà storto,» disse Maniakes. «Non so cosa, non so perché, ma qualcosa andrà storto.» Osservò Bagdasares. Il mago vaspurakano era stato un cortigiano per un buon numero di anni, e chiaramente voleva dirgli che nulla sarebbe andato storto nei piani della sempre vittoriosa armata videssiana. Il guaio era che Bagdasares non poteva farlo. Sia lui che Maniakes avevano già visto fallire dei piani fino a quel momento, avevano capito che l'armata videssiana era ben lungi dall'essere sempre vittoriosa. L'adulazione funzionava molto meglio quando entrambe le parti erano decise a ignorare quel piccolo dettaglio che è la verità. «Forse non andrà tutto storto,» disse Bagdasares. «Già, forse no,» disse Maniakes. In un mondo insidioso e imperfetto, talvolta ciò era tutto quello che ci si poteva ragionevolmente aspettare. Sollevò un dito. «Nessuno, a parte noi due, deve sapere di questo incantesimo.» Bagdasares annuì. Maniakes immaginò che lo avrebbe riferito a Lysia, e lei sicuramente non lo avrebbe detto in giro. Ma se l'armata non lo
sapeva, forse quello che la magia aveva predetto non si sarebbe avverato. Maniakes emise un silenzioso sospiro. Aveva difficoltà a credere anche a questo. I genieri collocarono tavole di legno e catene da una barca all'altra. Un pezzo per volta, il ponte che stavano costruendo avanzava sul Tib. Ypsilantes lanciò un'occhiata a Maniakes e osservò, «Sta andando tutto benissimo.» «Già,» rispose l'Avtokrator. Non aveva detto nulla a Ypsilantes a proposito dell'incantesimo, tranne che esso aveva mostrato che il ponte poteva essere costruito senza la minaccia di una piena. Troppo tardi, gli venne in mente che l'eccessivo silenzio avrebbe potuto far trarre al comandante dei genieri le sue conclusioni, e che le conclusioni potevano essere esatte. Che Ypsilantes lo avesse fatto o meno, eseguì gli ordini che Maniakes gli impartì. I fanti si erano radunati sulla riva ovest del Tib per disturbare i genieri e, suppose Maniakes, per resistere ai Videssiani se l'azione di disturbo fosse fallita. Grazie alla magia, Maniakes sapeva che sarebbe fallita. I Makurani, sapendone meno di lui, continuavano a tentare di rendersi molesti. E fecero anche un buon lavoro, ferendo diversi genieri Videssiani una volta che l'estremità del ponte giunse alla portata degli archi. Non troppo preoccupato, Ypsilantes mandò avanti degli uomini con scudi grandi e pesanti: gli stessi scudi, in realtà, che avevano protetto i genieri impegnati nella distruzione della barricata nella recente battaglia contro i Makurani. Dietro quegli scudi, i pontieri continuavano a lavorare. I cerusici si presero cura dei feriti, nessuno dei quali era ferito così gravemente da aver bisogno di un sacerdote-guaritore. Maniakes rammentò la storia di Abivard sui Makurani che costruirono un ponte sul fiume Degird in modo da poterlo attraversare e attaccare i Khamorth sulla steppa pardrayana. La spedizione makurana era andata male: in effetti, un disastro, con Peroz Re dei Re morto là sulle pianure. L'Avtokrator sperò che la sua sorte sarebbe stata migliore. Non aveva modo di sapere se lui sarebbe stato uno di quei puntini di luce che la magia di Bagdasares aveva mostrato mentre riattraversavano il Tib. Dopo un po', anche Ypsilantes mandò degli arcieri sull'estremità del ponte per rispondere alle frecce makurane. Il nemico, però, aveva più uomini sulla riva di quanti il comandante dei genieri poteva collocare all'estremità del ponte. Vedendo questo, mandò anche delle imbarcazioni di ar-
cieri e un paio di zattere con dei lancia-dardi. Questi scagliarono abbastanza proiettili sulla fanteria makurana priva di armature, da provocare un bel po' di confusione fra i ranghi dei fanti, con gli uomini ai lancia-dardi fuori dalla portata degli archi. «Ascolta,» disse Maniakes, chiamando vicino a sé Ypsilantes. Il comandante dei genieri fece un sogghigno malizioso dopo che ebbero finito di confabulare. Le barche con gli arcieri cominciarono a spostarsi su e giù per il Tib dando l'impressione di voler accostare. E ciò fece correre i Makurani da una parte all'altra. Due barche scaricarono arcieri videssiani, che restarono sulla riva occidentale del Tib abbastanza a lungo da far piovere una raffica o due di frecce sui Makurani, per poi reimbarcarsi e tornare remando in mezzo al fiume. Nel frattempo, i genieri continuarono ad allungare il ponte di barche finché non arrivò abbastanza vicino alla riva ovest del Tib. Osservando i loro progressi, Maniakes disse a Rhegorios, «Ecco cosa succede quando non si ha una cavalleria pesante come quella makurana. Avrei potuto mandarla alla carica sul ponte, e far disperdere quei fanti.» Fece schioccare le dita. Rhegorios disse, «Credo che i cavalieri che abbiamo possano portare a termine il compito.» «Credo che tu abbia ragione,» disse Maniakes. La magia di Bagdasares non poteva che persuaderlo che suo cugino aveva ragione. Cos'avrebbe portato alla fine tutto ciò era un'altra questione, alla quale Maniakes non voleva pensare. Talvolta agire era più facile che pensare. Radunò un contingente di cavalieri con i giavellotti in prossimità del lato orientale del ponte, pronto a muoverli al momento opportuno. Venne il pomeriggio e uno dei genieri riferì: «Vostra Maestà, l'acqua sotto il ponte è profonda soltanto tre o quattro piedi, adesso.» «Allora possiamo andare.» Maniakes gridò ordini ai suonatori. Gli squilli dei corni mandarono i cavalieri a tambureggiare sul ponte in direzione dei fanti makurani. Mandarono anche i genieri e i portatori di scudi videssiani a balzare dal ponte nell'acqua calda e fangosa del Tib. La mossa riuscì a sorprendere i Makurani e il loro comandante. I cavalli entrarono in acqua, spronati dai loro cavalieri, e corsero sguazzando verso il nemico. Alcuni dei cavalieri lanciarono i loro giavellotti sui fanti che li aspettavano, mentre altri imitarono i 'bolliti' makurani e usarono le aste leggere come se fossero lance. I Videssiani guadagnarono la riva e cominciarono a spingere indietro le
prime file dei Makurani. Questo gettò i ranghi della fanteria makurana in un disordine peggiore di quello che già avevano conosciuto, e permise ai Videssiani di guadagnare altro terreno. Agli ordini di Maniakes, altri imperiali attraversarono il ponte quasi completato in aiuto dei loro compagni. «Sei astuto,» gridò Rhegorios. «Immaginavano che il ponte dovesse essere finito prima che potessimo usarlo.» «Non bisogna mai fare quello che si aspettano,» rispose Maniakes. «Se sanno quello che sta per accadere, hanno maggiori probabilità di reagire. Se invece non l'hanno previsto...» Osservò con ansietà i suoi uomini che realizzavano la testa di ponte sulla riva occidentale del Tib. I cavalieri che avevano usato i giavellotti attaccarono i Makurani con le spade. Chiunque fosse il comandante dell'armata nemica mancava della presenza di spirito del generale di fanteria che aveva dato battaglia ai Videssiani pochi giorni prima. Quando vide le sue truppe ondeggiare, le fece ritirare davanti agli avversari. E questo le fece ondeggiare ancora di più. I Videssiani. pregustando la vittoria, spinsero con forza maggiore. Pochi alla volta, i fanti makurani cominciarono a fuggire, alcuni a nord, alcuni a sud, alcuni a ovest. Una volta terminato ogni serio tentativo di resistenza, i Videssiani non li inseguirono con effettiva determinazione. Piuttosto, formarono un perimetro dietro il quale i genieri finirono il ponte di barche. Maniakes raggiunse la riva ovest del Tib senza che lui e Antilope si bagnassero minimamente. «Mashiz!» gridarono i soldati. «A Mashiz!» Sapevano quello che avevano fatto, e sapevano anche cosa volevano fare. Se Mashiz si fosse trovata a una sola ora di galoppo, sarebbe caduta. Ma era ancora a un paio di giorni di distanza, e il sole stava scendendo dietro i Monti Dilbat. Maniakes ritenne di aver rischiato abbastanza, o forse anche di più. Ordinò all'armata di fermarsi per la notte. Fatto ciò, si domandò se poteva fare a meno di lasciare una guarnigione a protezione del ponte di barche. Fu tentato di non preoccuparsene: dopo tutto, la magia aveva mostrato che la sua armata avrebbe riattraversato il Tib. Avendo riflettuto un po', tuttavia, decise che l'idiozia poteva essere più forte della magia, e così fece sorvegliare quello che ovviamente andava sorvegliato. «Siamo sull'altra riva, finalmente,» disse a Lysia una volta sistemata la loro tenda. «Non ci siamo nemmeno avvicinati due anni fa; ci siamo avvicinati ma non ce l'abbiamo fatta l'anno scorso. Adesso... adesso vediamo
cosa possiamo fare.» Lei annuì, poi disse, «Vorrei che tu non avessi fatto fare quell'incantesimo a Bagdasares. Sarei più fiduciosa di quella che sono. Riusciremo a occupare rapidamente Mashiz? E se ci riusciremo, perché dovremmo andarcene così presto? Cosa potrebbe andare storto?» «Non conosco la risposta a nessuna di queste domande,» disse. «È per questo che stiamo avanzando verso Mashiz: per scoprire cosa può andare storto, voglio dire.» Lysia gli fece una smorfia. «E se niente va storto? E se entreremo, occuperemo la città e cattureremo Sharbaraz, o lo uccideremo o lo costringeremo a fuggire?» «Innanzi tutto, Bagdasares sarà molto imbarazzato,» rispose Maniakes, il che spinse Lysia a cercare qualcosa da lanciargli. Lui prese al volo un tozzo di pane duro e proseguì, «Non so altro: so solo che ne sarei felice. Ho cercato di comportarmi come se pensassi che questa è l'unica cosa che potrà accadere, ma non è facile. Continuo a chiedermi se commetterò qualcosa che farà andare storte le cose che devono andare storte.» «In questo caso, meglio non aver chiesto alla magia,» disse Lysia. «Lo so,» rispose Maniakes. «Continuo a pensarci di tanto in tanto. Conoscere il futuro, o pensare di conoscerlo, può essere più una maledizione che una benedizione.» Scrollò le spalle. «Non volevo sapere tutto quello che l'incantesimo mi ha mostrato: ha fatto più di quello che ho chiesto. E, naturalmente, anche non conoscere il futuro può essere più una maledizione che una benedizione.» «La vita non è così semplice,» disse Lysia. «Mi domando perché questo non sia oggetto di un'omelia del patriarca ecumenico nell'Alto Tempio. Le cose non vanno mai come uno si aspetta. Non importa quanto tu sappia, non ne saprai mai abbastanza.» «È vero,» disse Maniakes. Le lanciò un'occhiata. Anche lei lo stava fissando. Per la maggior parte delle loro vite, non si erano aspettati che si sarebbero sposati. Molte cose sarebbero state parecchio più semplici se non lo avessero fatto. Il solo problema era che la vita non sarebbe valsa la pena di essere vissuta. «Come ti senti?» le chiese. Lei sapeva a cosa si riferiva il marito quando le poneva quella domanda: d'istinto, la sua mano sinistra si portò sul ventre. «Abbastanza bene,» rispose. «Ho ancora più sonno di quello che avrei se non fossi incinta, ma questa volta non soffro molto di nausee. E di questo ringrazio il dio dalla mente grande e buona.»
Maniakes lasciò perdere la sua fantasia. Sapeva che lo stava facendo: non si stava illudendo, pensò. «Non sarebbe bello se costringessimo Sharbaraz Re dei Re a fuggire da Mashiz e se Bagdasares si fosse sbagliato? Potremmo trascorrere il resto della campagna di guerra qui, e forse anche l'inverno. Potremmo avere un principe - o una principessa - della casa imperiale videssiana nato nella capitale del Makuran.» «No, grazie,» disse subito Lysia, con voce secca. «So che può suonare grandioso, ma non m'importa. Voglio tornare a casa per avere questo bambino. Se torneremo a casa dopo aver sconfitto i Makurani, sarà meraviglioso... più che meraviglioso, in realtà. Ma sconfiggere i Makurani per me non è motivo sufficiente a farmi desiderare di restare qui. Se decidi di farlo, bene. Rimandami nella città di Videssos.» Nel matrimonio come in guerra, sapere quando ritirarsi non era la meno importante delle virtù. «Lo farò,» promise Maniakes. Si grattò la barba mentre rifletteva. «Nel frattempo, però, devo decidere come organizzare il trionfo dopo il quale rimandarti a casa.» Fece schioccare le dita. «Dovrebbe essere facile, no?» Lysia rise. E anche lui. Per i successivi due giorni, Maniakes si domandò se aveva poteri magici tali da far impallidire quelli di Bagdasares. Uno schiocco delle dita sembrava essere stato sufficiente ad aver ragione di tutta la resistenza che i Makurani avevano organizzato contro i suoi uomini. I fanti, che avevano sostenuto quello strenuo combattimento così a lungo, adesso cominciarono a disperdersi invece che a opporsi come avevano fatto. Di tanto in tanto, alcuni di loro tentavano di ostacolare i Videssiani, mentre altri distruggevano i canali. Ma quegli uomini di rado restavano al loro posto come aveva fatto il contingente più grosso a ovest del Tib nei passati due anni: era come se l'attraversamento del fiume avesse tolto loro il coraggio. E aprire i canali era meno efficace a ovest del Tib di quanto lo fosse stato nel cuore della Terra delle Mille Città. Come accadeva a est del Tutub, c'era della terra al di là di quella che i canali irrigavano. Invece di dover procedere a fatica attraverso campi resi impraticabili dall'acqua e dal fango, i Videssiani semplicemente li aggiravano e una volta o due sbaragliarono dei gruppi di nemici abbastanza consistenti. Molto più facilmente di quanto Maniakes avesse immaginato, i suoi uomini si avvicinarono alle vie d'accesso a Mashiz. E allora l'avanzata rallen-
tò. L'usurpatore Smerdis aveva fortificato quelle vie d'accesso per ostacolare Sharbaraz. Una volta che Sharbaraz ebbe vinto la guerra civile e divenne Re dei Re, ricostruì e migliorò le fortificazioni, sebbene non vi fossero nemici pronti a minacciare la capitale. «Una volta abbiamo contribuito ad abbattere queste fortificazioni,» disse Maniakes a Ypsilantes, «ma adesso sembrano parecchio più robuste di allora.» «È così, vostra Maestà,» disse il comandante dei genieri, annuendo. «Eppure, credo che riusciremo ad averne ragione. Smerdis aveva dei cavalieri che combattevano per lui, e questo ci rendeva la vita difficile, se ricordate. Le mura sono fatte meglio, adesso, non lo nego, e allora? Le truppe dentro e intorno a esse contano di più: gli uomini sono più importanti di quelle cose.» «Sai,» disse Maniakes, «avevo un bardo che mi disse esattamente questo. Disse che finché le persone nelle sue canzoni erano interessanti, le ambientazioni contavano molto meno... e se le persone erano scialbe, le migliori ambientazioni del mondo non servivano a nulla.» «Mi sembra sensato, vostra Maestà... più sensato di quanto mi aspettassi da un bardo, devo dire.» Ypsilantes guardò le fortificazioni. «La gente che si accalca dietro la dura pietra è più difficile da trattare.» «Se stanno tentando di impedirci di fare quello che è necessario, direi di si.» «Ci riusciremo, non abbiate timore,» ripeté Ypsilantes. «Senza cavalleria, avranno anche difficoltà a fare sortite contro di noi, come fecero gli uomini di Smerdis.» «È così,» disse Maniakes. «Avevo dimenticato quella sortita finché non me l'hai ricordata. Makurani che saltavano fuori da tutte le parti... non mi dispiacerà non rivederla, grazie di cuore.» I Makurani non fecero sortite. Lanciarono grosse pietre con le catapulte delle loro fortezze. Uno sfortunato esploratore videssiano si avvicinò troppo a uno di quei fortini nel momento sbagliato: lui e il suo cavallo vennero ridotti in poltiglia. Ciò fece riflettere Maniakes. Anche con i suoi lanciadardi e lancia-pietre pronti a rispondere a quelli dei Makurani, la sua armata avrebbe dovuto pagare un prezzo molto prima di entrare in Mashiz. Sarebbe stato un prezzo troppo alto, e lui non aveva molti uomini da sprecare: il fatto che avesse un'armata da contrapporre a quella makurana si poteva già considerare un diretto intervento di Phos, considerando quanti anni di sconfitte Videssos aveva patito.
Mandò a controllare le altre vie di accesso a Mashiz. I cavalieri che erano andati a spiare quelle strade tornarono da lui indenni ma non certo ottimisti: Sharbaraz si era assicurato che l'ingresso nella sua capitale risultasse una faccenda complicata. Non aveva il Canale del Bestiame per tenere lontani i nemici, ma aveva fatto tutto il possibile con quello che aveva. «Muoviamoci, allora,» disse con riluttanza Maniakes. Ypsilantes annuì, senza l'entusiasmo mostrato in precedenza. Anche Rhegorios sembrava preoccupato al pensiero dal prezzo che avrebbero dovuto pagare. E Maniakes continuava a essere preoccupato circa il significato della magia di Bagdasares. Doveva andare avanti, sapendo - o pensando di sapere - che non sarebbe rimasto a lungo a ovest del Tib? Con la solita competenza, Ypsilantes fece preparare le catapulte videssiane da opporre a quelle makurane. Maniakes chiamò a raccolta l'armata per quella che sperava fosse una rapida e inarrestabile discesa su Mashiz. Stava per dare l'ordine dell'attacco quando un messaggero arrivò al galoppo da nord-est tenendo alto un messaggio in un cilindro e gridando, «Vostra Maestà! I Makurani sono arrivati ad Aldilà, con l'intera armata, e loro e i maledetti Kubratoi hanno fatto causa comune contro la città di Videssos. La città potrebbe cadere, vostra Maestà.» CAPITOLO QUARTO Per un lungo momento, Maniakes si limitò a fissare il messaggero come se stesse declamando una sfilza di corbellerie. Poi, d'un tratto, i pezzi parvero comporre un disegno nuovo e spaventoso. Mantenendo la voce sotto stretto controllo, chiese, «Quando dici che i Makurani sono tornati ad Aldilà, intendi dire l'armata guidata da Abivard figlio di Godarz?» «Si, vostra Maestà, è quello che intendo dire... chi altri?» rispose l'uomo. «Abivard e Romezan e anche il lurido traditore Tzikas. E tutti i 'bolliti'. E tutte le macchine d'assedio, anche.» Indicò le catapulte di Ypsilantes per mostrare a cosa si riferiva. Rhegorios disse, «Va bene, i Makurani sono tornati ad Aldilà. E allora? Ci sono già stati, e per anni. Non possono raggiungere la città di Videssos attraversando lo stretto.» Ma il messaggero disse, «Questa volta, forse possono, vostra altezza, vostra Maestà. I Kubratoi hanno un intera flotta di quelle imbarcazioni a un tronco solo in acqua, e hanno continuato ad andare avanti e indietro nelle terre occidentali. Non possiamo fermarli, anche se lo volessimo.»
«Per il buon dio,» sussurrò Maniakes, orripilato. «Se riescono a mettere assieme le loro macchine lancia-pietre e le torri e il resto contro le mura della città...» «Le mura sono forti, vostra Maestà,» disse Rhegorios, una volta tanto non preoccupandosi di manipolare scherzosamente il titolo del cugino. «Stanno in piedi da un bel po' di tempo, e ancora nessuno è riuscito a trovare il modo per abbatterle.» «È così,» rispose Maniakes. «Però, mi vengono anche in mente un paio di obiezioni. Innanzi tutto, i Makurani sanno davvero come attaccare delle fortificazioni: in questo sono capaci almeno quanto noi. Lo abbiamo visto nelle terre occidentali, più volte di quante mi faccia piacere pensare. E in secondo luogo, non sono le mura a tenere lontani gli assalitori. Sono i soldati. E dove sono i migliori soldati dell'Impero? No, al ghiaccio tutto questo. Dove sono gli unici soldati dell'Impero che hanno dimostrato di poter contrastare i Makurani in battaglia?» Rhegorios non disse nulla. Maniakes sarebbe rimasto stupefatto se suo cugino avesse detto qualcosa. La risposta alla domanda retorica era troppo ovvia: lui guidava l'unica armata videssiana che si era misurata col nemico. Tutte le altre forze dell'Impero, temeva, erano ancora troppo simili alle armate che erano state sconfitte dai 'bolliti' a più riprese. Nel giro di un altro paio d'anni la cosa non sarebbe stata più vera... ma, Ahimè, al momento ciò non contava. E allora, con suo stupore, Rhegorios cominciò a ridere. Sia Maniakes che il messaggero guardarono il Sevastos come se avesse perso la ragione. «Vi chiedo perdono, vostra Maestà,» disse Rhegorios dopo un momento, «ma abbiamo continuato a scherzare su cosa sarebbe potuto accadere se avessimo preso la capitale dei Makurani mentre loro prendevano la nostra. Adesso lo scherzo si è avverato. Non è divertente?» «Per niente,» disse Maniakes In quel momento nulla gli sembrava divertente, questo era certo. Avrebbe voluto scendere da cavallo e prendersi a calci da solo. Era stato troppo ostinato ancora una volta. Senza alcun segno da parte di Abivard, aveva caricato a testa bassa, interrogandosi su quello che stava facendo ma non prestando alcuna attenzione a cosa il nemico potesse escogitare nello stesso momento. Di tanto in tanto Videssos aveva istigato i nomadi della steppa contro i Makurani. Non si sarebbe mai aspettato che i Makurani capovolgessero la situazione in maniera così netta. Etzilios, senza dubbio, aveva bramato la vendetta fin da quando i Videssiani lo avevano sconfitto due anni prima. E
se Sharbaraz era riuscito a far arrivare un'ambasceria fino a lui... Maniakes non aveva immaginato una simile doppiezza nel Re dei Re. Quanto gli sarebbe costato dover correggere la sua opinione errata? Rhegorios disse, «Cosa accadrà se prendiamo Mashiz mentre loro saccheggiano la città di Videssos?» Maniakes considerò la cosa. L'idea sulle prime lo spaventò. Dopo averci riflettuto un poco, gli piacque anche meno. «Se prendiamo Mashiz,» disse, «i Makurani torneranno sul loro altopiano e noi non potremo più raggiungerli là. Ma se essi prendono la città, cosa impedirà a loro e ai Kubratoi di invadere tutte le terre che abbiamo lasciato? Non ci sono montagne come la catena dei Dilbat, non ci sono grandi fiumi... nulla.» Suo cugino annuì. «Penso che tu abbia ragione. Se accettiamo lo scambio, siamo rovinati. La cosa da fare, quindi, è impedire che accada.» «Si.» Maniakes guardò a lungo a ovest verso Mashiz. Si domandò quando avrebbe mai rivisto la capitale dei Makurani. Rivedere la sua, però, improvvisamente contava di più. «Torniamo a casa.» Vedere il ponte che i genieri erano riusciti a costruire ancora intatto, riempì di sollievo Maniakes. Aveva pensato che sarebbe effettivamente rimasto intatto, in considerazione di quello che la magia di Bagdasares aveva mostrato. Ma Maniakes aveva da lungo tempo ricevuto una educazione efficace sulla differenza che passava fra ciò che sembrava probabile e ciò che risultava vero. Vedere con i suoi occhi quella struttura rozzamente improvvisata fu come vedere per la prima volta Lysia al ritorno nella città di Videssos dopo avere sconfitto i Kubratoi. Adesso riusciva a respirare con maggiore facilità e a riflettere su quello che bisognava fare. Rhegorios doveva aver pensato negli stessi termini, poiché disse, «Deduco che ciò significa che i Makurani non hanno catturato nessuno dei messaggeri che hanno tentato di portarci delle notizie da est. Se avessero saputo quale danno ci avrebbero arrecato bruciando questo ponte, ci avrebbero provato. «Non mi sento di contraddirti,» disse Maniakes. Quanto tempo avrebbe perso se il nemico avesse cercato di intrappolarlo sulla riva occidentale del Tib? Non era una domanda con una risposta precisa, ma troppo tempo rintoccò nella sua mente come una campana con due sole note funeree. Una volta che l'armata ebbe attraversato il ponte, Ypsilantes indicò alle loro spalle la struttura che i suoi genieri erano riusciti a costruire. «Cosa ne facciamo, adesso?»
«Raccogliete quante più tavole potete e bruciate il resto,» sbottò Maniakes. «Non otterremo molto - i Makurani hanno i loro ponti di barche - ma questo potrà rallentarli in qualche modo. E perché mai dovremmo rendergli la vita facile?» Le fiamme crepitarono. Il fumo salì nel cielo, denso e nero. Quando i Makurani avevano attraversato il Degird sotto Peroz Re dei Re per attaccare i nomadi Khamorth, avevano gettato un ponte su quel fiume: Maniakes rammentò Abivard che ne parlava. E una volta che i sopravvissuti, una manciata di loro, furono tornati in Makuran, bruciarono quel ponte. Adesso capiva cosa dovevano aver provato i loro genieri. Sul lato ovest del Tib, alcuni soldati makurani osservavano i Videssiani che distruggevano il ponte. Si domandò cosa pensassero della loro ritirata. Non lo avevano sconfitto. Non ci erano nemmeno arrivati vicino. Alla fine, però, cosa importava? Indipendentemente dal motivo, lui stava lasciando la loro terra. Se ciò non significava che loro avevano vinto e lui aveva perso, non aveva idea di quello che significava. «Dobbiamo muoverci con rapidità,» disse ai suoi guerrieri. «Non dobbiamo dare ai Makurani la possibilità di ostacolarci con scaramucce o roba del genere. Siamo più veloci di loro: ciò significa che possiamo essere noi a decidere quando e se combattere, e la risposta è no. a meno che non possiamo evitarlo. Se ci propongono battaglia, li aggireremo, se troveremo il modo per farlo. Altrimenti...», si strinse nelle spalle, «passeremo in mezzo a loro.» Per i primi due giorni di marcia attraverso la Terra delle Mille Città, videro solo esploratori e contadini che lavoravano la terra. Uno di quelli alzò lo sguardo dal terreno che stava seminando e gridò, «Credevo che voi ladri foste andati ad affliggere qualcun altro!» Dopo aver superato il contadino adirato, Rhegorios fece schioccare le dita, irritato. «Oh, maledizione!» sbottò. «Avrei dovuto dirgli che toccava di nuovo a lui. Ne sarebbe valsa la pena, solo per vedere la sua faccia.» «Lieto di sapere che non sempre pensi alla cosa giusta da dire quando hai bisogno di dirla,» gli disse Maniakes. «Ma ti dico questo: non ti girerai e non tornerai indietro per osservarlo mentre gli casca la mandibola. Nessuno tornerà indietro per nessuna ragione, non adesso.» Prima di quando Maniakes avesse sperato, le forze makurane nella Terra delle Mille Città compresero che l'armata videssiana si stava ritirando. Il nemico cominciò anche a cercare di ostacolare la ritirata. E questo lo fece
infuriare: aveva sperato che si sarebbero accontentati di vederlo andar via e che non avrebbero cercato di rallentare la sua marcia, per evitare che lui facesse altri danni sulla pianura alluvionale. I suoi capitani presero le nuove scaramucce e gli allagamenti come un affronto personale. «Se proprio vogliono che restiamo, possiamo anche tornare a dargliene di santa ragione, come abbiamo fatto negli ultimi due anni,» disse Immodios, incollerito. «Credo che nessuno nella Terra delle Mille Città voglia che noi restiamo,» rispose Maniakes. «Penso che il Re dei Re sia il solo a volerci bloccati qui. Se rimaniamo a combattere qui fra il Tutub e il Tib, anche se sconfiggiamo tutti quelli che ci mandano addosso, non possiamo tornare nella città di Videssos a difenderla da Abivard. Tenere noi qui serve al nemico che si trova là.» Immodios rifletté sulla cosa e annuì. «Sharbaraz ha una mano lunga e sicura, se può prestare attenzione a quello che accade qui e sul Canale del Bestiame, nello stesso tempo.» «Quest'anno, Sharbaraz mi ha mostrato più cose che in tutti gli anni che aveva passato prima sul trono,» replicò Maniakes, con rammarico genuino nella voce. «Stringere un'alleanza con Kubrat contro di noi... nessun Re dei Re aveva mai pensato a niente del genere. È molto più astuto di quanto avessi immaginato. Ma non è così astuto come crede di essere, se pensiamo a quel tempio che abbiamo scoperto, quello dov'era rappresentato come il Dio makurano. Non vive al centro del mondo con tutto a girargli intorno, anche se ne è fermamente convinto.» «Ah, quel tempio. Lo avevo dimenticato.» Immodios si tracciò il cerchio di Phos sui cuore. «Avete ragione, Vostra Maestà. Chiunque sia abbastanza sciocco da credersi un dio, beh, non importa se è furbo in altre cose. Presto o tardi, farà un errore tremendo. Un altro errore tremendo, direi.» «Presto o tardi,» gli fece eco Maniakes. «Credo che tu abbia ragione. No, so che hai ragione. Sarebbe bello, però, stando le cose come stanno, se l'errore arrivasse presto. Potremmo servircene.» La sua armata attraversò il maggior canale nord-sud fra il Tutub e il Tib. Passarvi sopra lo fece sorridere: la magia di Bagdasares aveva fatto un buon lavoro nel tenere bloccati i Makurani là un anno prima. Poi il sorriso di Maniakes gli si congelò sulla faccia. Abivard doveva avere un mago videssiano con lui, qualcuno che aveva preso con sé quando aveva conquistato le terre occidentali. Se non fosse così, la magia della cinghia di Voimios avrebbe trattenuto i Makurani ancora più a lungo.
Quando avevano lasciato la città di Videssos, Maniakes era stato contento - più che contento, anche se meno impaziente di Lysia - di lasciarsi alle spalle tutto ciò che accadeva nella capitale imperiale. Ora che si stava muovendo di nuovo verso la città, era ansioso di averne notizie. La sua era una corsa verso una città già caduta nelle mani del nemico? Cosa avrebbe fatto se le cose stavano veramente così? Non avrebbe voluto che quelle immagini così macabre vagassero nella sua mente, ma era riluttante a scacciarle. Se restavano, avrebbe anche potuto trovare delle risposte. Proprio quando si stava concentrando su come attaccare Mashiz, erano arrivati i messaggeri prima con le notizie dell'invasione dei Kubratoi e poi del fatto che Abivard aveva unito le sue forze a quelle dei nomadi. Da allora non aveva più visto messaggeri. I Makurani li avevano catturati prima che lo raggiungessero? Se così, ne avrebbero saputo più di lui circa quello che stava accadendo nel cuore dell'Impero. Oppure il suo popolo - Phos! la sua famiglia - non aveva mandato altri uomini perché era già troppo assediato o perché non poteva? L'ansia causata dall'ignoranza lo divorava. Un giorno, quando l'armata era a metà strada sulla Terra delle Mille Città, Rhegorios si portò accanto a lui e gli chiese, «Se tu fossi il comandante makurano e sapessi che stiamo lasciando il paese, non cercheresti di renderci le cose più difficili?» «È più o meno quello il nemico sta facendo,» rispose l'Avtokrator. «Scaramucce, allagamenti e simili.» Rhegorios annuì, ma aggiunse, «È vero, ma non mi riferivo a quello, o almeno non esattamente. Cosa sta facendo con gli uomini che non manda contro di noi?» «Ah, capisco cosa vuoi dire.» Le folte sopracciglia di Maniakes si aggrottarono. Quando si pone una domanda come quella che aveva posto Rhegorios, si dà anche la risposta: «Sta andando a collocarli dove possono bloccarci meglio: nei pressi di Qostabash e forse nella regione collinosa dove nasce il Tutub.» Suo cugino annuì.» È quello che pensavo anch'io. Speravo che tu mi dicessi che questo caldo mi aveva fuso il cervello. Come faremo a passare in mezzo a loro se è questo che stanno facendo?» «Finché noi e loro saremo sulla pianura alluvionale, non importa tanto, perché potremo far valere la nostra superiorità. Sulle colline, però...» Maniakes s'interruppe. «Devo rifletterci sopra.» «Sempre lieto di fornirti qualcosa per distogliere la tua mente dalle preoccupazioni,» disse Rhegorios, così allegramente che Maniakes dovette
controllarsi non poco per evitare di dargli un pugno in faccia. Maniakes rifletté su quello che Rhegorios gli aveva detto. Più ci pensava, meno gli piaceva. Andò a parlarne con Ypsilantes, che aveva tutte le mappe che i Videssiani erano riusciti a realizzare sulla Terra delle Mille Città, assieme ad altre che risalivano a un'invasione di diversi secoli prima. Dopo aver studiato le mappe per un po', si consultò con Rhegorios, Ypsilantes e Immodios. Indicò suo cugino. «È colpa tua, sai. Ecco cos'hai ottenuto complicandomi la vita... le nostre vite, anzi.» «Ti ringrazio,» disse Rhegorios, e questa non era la risposta che Maniakes si era aspettato ma nemmeno una che lo sorprendesse. A Ypsilantes e a Immodios, Maniakes disse, «Sua Altezza il Sevastos quello con la lingua incardinata a entrambe le estremità - mi ha fatto rendere conto che dovremmo raggiungere il più presto possibile la terra collinosa fra le sorgenti del Tutub e quelle dello Xeremos.» Spiegò perché, poi proseguì, «A meno che non mi sbagli di grosso, nemmeno tornare per Qostabash sarebbe la strada migliore.» «Allora perché lo stiamo facendo?» chiese Immodios. «Perché stiamo tornando per Qostabash, voglio dire.» Maniakes batté leggermente su due mappe, una nuova, una antica. «Per quanto posso dirne, la risposta è: la forza dell'abitudine. Ecco, guardate: la via commerciale che porta a Lyssaion adesso passa per Qostabash.» Fece scorrere il dito lungo il ghirigoro di inchiostro rosso che indicava la strada. Poi seguì la strada sull'altra mappa, quella antica. «Passa per Qostabash da un bel po' di tempo. Ma solo perché la via commerciale passa per Qostabash, ciò non significa che dobbiamo prenderla per forza.» Tracciò un altro percorso col dito, questo passante a est della città che era la porta meridionale della Terra delle Mille Città. «Se prendiamo questa strada, ci risparmiamo un giorno o due di viaggio... e, con un po' di fortuna, non troveremo tanti nemici in attesa dall'altra parte.» Immodios si accigliò. Aveva un volto fatto per accigliarsi, con lineamenti tirati, quasi contratti. «Non riesco a seguire, vostra Maestà. Si, raggiungeremo la regione collinosa più rapidamente con questa strada, il che va bene. Ma cosa impedirà ai Makurani di spostare le loro forze da Qostabash - se ne hanno là - per tentare di bloccarci a est? Questo ci farebbe perdere il tempo che abbiamo risparmiato.» «Cosa impedirà a loro di farlo?» Il sorriso che Maniakes fece era largo ma un po' innaturale, come se si stesse sforzando di imitare Rhegorios.
«Tu.» «Io?» Immodios parve splendidamente sorpreso: nessuna meraviglia, pensò Maniakes, che suo cugino trovasse la vita così divertente. «Tu,» disse l'Avtokrator. «Porterai con te un reggimento, forse un reggimento e mezzo, e raggiungerai Qostabash come se avessi con te l'intera armata videssiana. Brucia i campi durante il cammino, accendi molti fuochi di notte, fai il maggiore baccano che ti è possibile.» «Se vuoi il baccano, dovresti mandare me,» disse Rhegorios. «Silenzio,» gli disse Maniakes. «Tu sei già un baccano per conto tuo: per questo lavoro, voglio qualcuno che possa farlo in maniera un poco più professionale.» Tornò a voltarsi verso Immodios. «Il tuo compito è quello di tenere i Makurani troppo impegnati a badare a te per prestare attenzione al resto di noi mentre ci muoviamo verso sud. Hai ben compreso?» «Credo di si, vostra Maestà.» Immodios indicò, tra le bandiere imperiali, quella con uno sprazzo di sole dorato su cielo azzurro, che sventolava non distante da loro. «Datemi una buona quantità di quelle, così tutti coloro che vedranno il mio distaccamento penseranno che ci siete anche voi.» «Va bene,» disse Maniakes, mettendo da parte i cattivi presentimenti. Si domandò se, dopo tutto, non avrebbe dovuto dare a Rhegorios quell'incarico. Se Immodios avesse fallito e le bandiere fossero state catturate, sarebbe stata una vergogna per Videssos. E se Immodios avesse deciso che portare i vessilli imperiali gli conferiva il diritto di avere altre pretese imperiali, sarebbe stata peggio di una vergogna per Videssos: l'Impero avrebbe avuto un'altra guerra civile. Ma Immodios aveva ragione nel chiedere le bandiere, dato il ruolo che l'Avtokrator gli aveva assegnato. E se Maniakes avesse detto di no, avrebbe ben potuto cominciare a nutrire nel cuore un risentimento che fino ad allora non aveva provato. Il mestiere di governare non era mai semplice, e appariva più complicato quanto più lo si osservava da vicino. Facendo sventolare le bandiere, il distaccamento di Immodios partì, con l'intento di convincere i comandanti della fanteria makurana che si trattava dell'intera armata imperiale. La maggior parte di quell'armata, nel frattempo, interruppe il suo viaggio in direzione di Qostabash e deviò verso sud, in una regione della Terra delle Mille Città che prima non aveva mai visitato. Il fatto che la regione fosse nuova non significava che fosse interessante. Città ancora appollaiate su collinette create da millenni di detriti. Canali che s'incrociavano su campi di grano e orzo e fagioli, tratti di terreno colti-
vati a ortaggi con cipolle, lattughe e meloni. Quelle piccole e assurde imbarcazioni che ancora navigavano nei canali. Zanzare e moscerini che sciamavano, numerosi come una fitta pioggia. Maniakes aveva sperato dì passare inosservato. Dal momento che era alla guida di un'armata di diverse migliaia di uomini a cavallo, quella speranza, ammise a se stesso e a nessun'altro, era poco realistica. Attraversare in fretta quella regione inviolata, e con poche scaramucce, era il massimo che poteva sperare. Gli esploratori riferirono di messaggeri che stavano galoppando verso est. Alcuni riuscirono a prenderli, altri no. Quelli che fuggirono avrebbero senza dubbio portato la notizia del suo arrivo a quelli che erano in condizione di poter fare qualcosa. Si domandò se sarebbero stati creduti. Sperò che non lo fossero, dal momento che Immodios stava fingendo in maniera così ostentata di essere quello che non era. Un suo calcolo si dimostrò esatto: in una terra non molto toccata dalla guerra, gli abitanti del luogo esitavano ad aprire i canali per rallentarlo. «Lo avrebbero già fatto, nei pressi di Qostabash,» disse a Rhegorios. Suo cugino annuì. «Già. E noi stessi avremmo fatto più danni e saccheggi. È come se stessimo facendo un viaggio di piacere nella loro terra, non una guerra.» «Qui stiamo davvero facendo un viaggio,» disse Maniakes, e Rhegorios annuì di nuovo. E viaggiarono, con una buona andatura. A un certo punto, non molto dopo che Immodios si era separato da loro, da una delle città nella parte meridionale della pianura giunse una delegazione: ufficiali di qualche genere, assieme ai servi del Dio in tunica gialla. Maniakes suppose che volessero chiedergli di non saccheggiare la loro città, o forse di non depredare i campi. Non lo seppe mai per certo, poiché non permise loro di raggiungerlo. Si domandò cosa avrebbero fatto. Sarebbero tornati nella loro città, suppose, e avrebbero ringraziato il Dio perché lui l'aveva evitata. Non ebbe difficoltà a sostentare l'armata. Con l'abbondanza d'acqua, di suolo fertile e di calore, la Terra delle Mille Città era più ricca di prodotti delle pianure costiere dell'Impero di Videssos. C'era sempre qualcosa di abbastanza maturo per poter nutrire uomini e cavalli. I messaggeri andavano avanti e indietro fra l'armata di Maniakes e la divisione di Immodios che fingeva di essere l'armata. Un paio di giorni dopo che Maniakes non si era fermato ad ascoltare la delegazione locale, uno dei cavalieri di Immodios portò non solo il consueto rapporto sulla sua posi-
zione ma anche un cilindro di cuoio sul quale era impresso il leone di Makuran. «Bene, bene,» disse Maniakes. «Come te lo sei procurato?» «L'uomo che lo portava con sé non ne aveva più bisogno.» Il messaggero gli rivolse un largo sorriso. Maniakes parlava e comprendeva abbastanza bene la lingua makurana. Nella sua forma scritta, però, essa usava caratteri diversi dal videssiano, e lui non li aveva mai imparati. Scoprì che Philetos poteva interpretarli. «Ho letto qualche interessante testo magico makurano,» osservò il sacerdoteguaritore, «che valeva la pena leggere in lingua originale.» «Credo che non ci sia niente di magico in questo,» disse Maniakes, porgendogli la pergamena. Philetos la srotolò e la scorse con una velocità e una sicurezza che testimoniavano della sua dimestichezza con la lingua scritta makurana. «Vostra Maestà, viene dal comandante dell'armata nei pressi di Qostabash - Turan si chiama - ed è diretto ai governatori delle città della regione attraverso la quale stiamo passando.» «Ah,» disse Maniakes. «Sembra interessante. Scommetto che ne abbiamo recuperato una di diverse copie, allora. Cosa dice?» «Li mette in guardia contro i briganti videssiani - è una sua espressione, ve lo assicuro - che possono operare in questa zona. Dice che i loro saccheggi sono una trappola e un trucco, in quanto il grosso dell'esercito videssiano sta marciando contro di lui, e si aspetta di ingaggiare presto battaglia.» Maniakes sorrise a Philetos. Il sacerdote-guaritore gli restituì il sorriso. «Non è splendido?» disse l'Avtokrator. «Pare che questo Turan non immagini ciò che sta accadendo.» Tornò serio. «Non lo immagina, cioè, a meno che non riesca a catturare uno dei nostri messaggeri. E questo porrebbe fine allo scherzo.» «Già,» convenne Philetos. «In questo come in ogni cosa nella vita, i segreti non sono mai tanto segreti come noi vorremmo.» «È più vero di quanto preferirei,» disse Maniakes. «E, parlando di desideri, vorrei avere stabilito un codice con Immodios per i messaggi fra me e lui. Troppo tardi, temo: se gliene mandassi uno, i Makurani potrebbero metterci le mani sopra e leggere i messaggi senza che io lo sapessi. Meglio lasciar perdere.» Sorprendentemente presto, le colline dalle quali nasceva il Tutub divennero visibili davanti all'armata videssiana. Maniakes mandò diversi messaggeri a Immodios, ordinandogli di lasciar perdere la sua finzione e di u-
nirsi al grosso dell'esercito. Un cavaliere della sua divisione giunse da Maniakes, confermandogli che aveva ricevuto l'ordine. Della divisione, però, al momento non c'era alcuna traccia. Per i primi due giorni, Maniakes non si preoccupò eccessivamente. In effetti, ne trasse vantaggio, mandando esploratori nella regione delle colline per assicurarsi che le vie a sud e a est restavano aperte. E quelle vie erano aperte: Turan non aveva sistemato trappole lungo di esse per rallentare la sua marcia. Suppose che il generale makurano fosse semplicemente compiaciuto di vedere l'Avtokrator dei Videssiani che abbandonava le Mille Città, indipendentemente dagli ordini che riceveva da Sharbaraz. Ma, quando Immodios non arrivò dopo altri due giorni, Maniakes cominciò a inquietarsi e a irritarsi. «Maledetto lui,» borbottò l'Avtokrator, «non si rende conto che questa regione non è fertile come la Terra delle Mille Città? Ben presto l'avremo svuotata.» «Ha soltanto una divisione di uomini,» disse Rhegorios. «Per quanto riesco a vedere, questa intera regione nutre i fanti come un cane morto nutre le mosche Non disse altro. Per quanto riguardava Maniakes, aveva già detto troppo. L'Avtokrator aveva impiegato la forza di Immodios come diversivo. Non era stato nelle sue intenzioni farla inghiottire dai Makurani. I Makurani potevano permettersi delle perdite, ma lui non poteva permettersi quelle che loro gli infliggevano. Nessun messaggero giunse da Immodios. Gli esploratori che Maniakes mandò a nord, nella direzione di Qostabash, non riuscirono a trovare una strada per superare la fanteria di Turan, che era, come aveva detto Rhegorios, abbondante e anche molto vigile. Maniakes si trovò a dover fare una scelta sgradevolissima: abbandonare la divisione di Immodios al suo destino o andare a nord a salvarla, ritardando il suo ritorno alla città di Videssos, e forse consegnando la capitale ai Kubratoi e ai Makurani. Per qualsiasi Avtokrator dei Videssiani, la capitale doveva venire prima. Maniakes lo disse a se stesso, ma ancora non riuscì a convincersi a lasciare Immodios nei guai. Né riuscì a ordinare alla sua armata di spingersi a nord, lontano dalla strada per la città di Videssos. Per due o tre giorni, si limitò a temporeggiare. Quando finalmente si fece coraggio e decise di ordinare all'armata di dimenticarsi di Immodios, gli vennero risparmiate le conseguenze della sua decisione, poiché le avanguardie della divisione scomparsa si unirono ai suoi esploratori. Il distaccamento di Immodios entrò nell'accampamento mezza giornata dopo.
L'austero ufficiale si prosternò davanti a Maniakes. In altre occasioni, l'Avtokrator gli avrebbe fatto cenno di non preoccuparsi. Quel giorno, lasciò che Immodios concludesse la prosternazione come segno del suo disappunto. Quando fece segno al capitano di alzarsi, Immodios disse, «Vostra Maestà, fate di me quel che volete. Per il buon dio, i Makurani mi hanno talmente ostacolato lungo un fiume e un canale, che pensavo che non sarei riuscito mai a superarli.» Gran parte della rabbia di Maniakes svanì. «Abivard fece la stessa cosa un paio di anni fa... ricordi? Ci sfidò a salire sulla sua riva, ma noi lo battemmo una volta che ci fummo riusciti.» «E così ho fatto, vostra Maestà, ma allora avevamo l'intera armata, mentre adesso ne avevo solo un pezzo,» replicò Immodios. «Temo di aver fatto un lavoro troppo buono nel convincerlo che voi foste con noi: ha mandato contro di noi tutti quelli in grado di reggere uno scudo e un arco per tenerci lontani da Qostabash.» «Si, capisco che può essere stato un problema,» disse Maniakes. «Come sei riuscito a venirne fuori?» «Come facemmo due anni fa,» rispose Immodios. «Ho usato parte del mio distaccamento come se volessi tentare l'attraversamento in un determinato punto, poi ho attraversato in un punto dove i miei esploratori mi avevano riferito che la guarnigione si era assottigliata per andare a coprire l'altro posto. I cavalli sono più veloci dei fanti, così sono riuscito a portare tutti dall'altra parte senza troppi problemi. Dopo, non mi sono più impegnato in alcun combattimento: sono corso qui da voi.» «Va bene,» disse Maniakes. La lavata di capo che aveva avuto intenzione di fare a Immodios rimase inespressa. Il comandante sembrava essersela fatta, almeno in parte, da solo. «Dirigiamoci verso Lyssaion, dunque.» I contadini e i mandriani che vivevano sulle colline dalle quali nasceva il Tutub fuggirono nei luoghi più impervi quando l'armata videssiana avanzò nella terra per la seconda volta in un lasso di tempo relativamente breve. Senza dubbio si misero a osservare gli imperiali con impotente risentimento dai loro rifugi scoscesi, domandandosi cosa avesse spinto Maniakes a far loro visita di nuovo dopo così breve tempo. Sarebbero rimasti sorpresi nell'udire che lui era dispiaciuto della cosa almeno quanto loro. Avrebbe di gran lunga preferito stare a combattere davanti alla loro capitale invece di essere costretto a tornare precipitosamente indietro per salvare la sua.
«La prossima domanda interessante,» osservò Rhegorios mentre l'armata usciva dalle colline per entrare nella valle dello Xeremos, «è se le navi ci staranno aspettando quando saremo giunti a Lyssaion.» Maniakes aveva nutrito la stessa preoccupazione: l'aveva nutrita e adesso l'aveva respinta. «Le navi ci saranno,» disse, come se le avesse viste lui stesso: e, in effetti, in un certo qual modo, le aveva viste. «Bagdasares me le ha mostrate.» Non disse nulla, però, della tempesta che Bagdasares gli aveva mostrato. «Non mi piacerebbe proprio che si sbagliasse, ecco tutto,» mormorò il Sevastos. «Non si sbaglia,» disse Maniakes. «Rifletti: pensi che mio padre ci avrebbe mandato la notizia che la città era nei guai senza darci un modo per tornare indietro? Non ho bisogno della magia per capirlo.» «Zio Maniakes?» Rhegorios scosse la testa, accettando visibilmente l'argomentazione. «No, non farebbe mai un simile errore. Mio padre dice che è l'uomo più prudente che abbia mai visto.» Indicò l'Avtokrator. «Come ha fatto ad avere un figlio come te?» «Lui è stato più fortunato di me: è nato in un'epoca nella quale non c'era bisogno di prendersi tanti rischi,» rispose Maniakes. «Da quando ho preso la corona, ho dovuto fare le cose più disperate per assicurarmi di avere ancora un Impero da governare. Il guaio con le cose disperate è che parecchie di esse finiscono male.» Sospirò. «Abbiamo scoperto più dì quanto volevamo sapere su questo, no?» «Già,» disse Rhegorios, aggiungendo, «Beh, adesso noi e i Makurani siamo pari.» Quando Maniakes assunse un'espressione perplessa, suo cugino accettò di dare una spiegazione: «Non pensi che impegnare tutte le loro forze in un attacco alla città di Videssos sia un gesto disperato quanto il nostro impegnare tutte le nostre forze in un attacco a Mashiz? Forse sono ancora più disperati, dal momento che la città e più difficile da prendere di Mashiz.» «Ah, ora capisco,» disse Maniakes. «Messe così le cose, hai ragione, naturalmente.» Alcune delle cose disperate che lui aveva fatto erano state un disastro. Alcune di esse, contro i Kubratoi e i Makurani, erano state un successo superiore alle sue speranze. Ora doveva fare tutto quello che poteva per assicurarsi che l'attacco disperato di Abivard e di Sharbaraz - se era davvero questo - non rientrasse nella seconda categoria. Una delle cose che fece, non appena fu certo che le forze makurane davanti a lui non erano consistenti, fu di mandare cavalieri attraverso la zona
collinosa e giù nella valle dello Xeremos per accertare che la flotta che lui fiduciosamente riteneva in attesa fosse davvero là. Divenne meno fiducioso nel lasso di tempo che precedette il ritorno del primo cavaliere. Se la flotta non fosse stata là, non sapeva cos'avrebbe fatto. Avrebbe raggiunto le terre occidentali per via terra? Avrebbe raggiunto Erzerum e sperato di trovare una flotta là? Si sarebbe buttato in mare da un alto promontorio? Scegliendo la terza cosa, almeno, l'agonia avrebbe avuto rapidamente fine. Ma, dati gli ampi gesti che il cavaliere che stava tornando faceva, non avrebbe dovuto preoccuparsi. «Ci sono, vostra Maestà,» gridò l'uomo quando si fu avvicinato abbastanza perché l'Avtokrator potesse udirlo. «Nel porto ci aspetta un'intera, grande foresta di alberi maestri.» «Il signore dalla mente grande e buona sia lodato,» sospirò Maniakes. Si voltò verso i trombettieri che, come al solito, stavano nelle vicinanze. «Squillate un rapido trotto. Prima arriveremo a Lyssaion, prima salperemo.» Prima la tempesta ci colpirà, pensò. Si domandò se avrebbe dovuto rallentare l'andatura nella speranza che il brutto tempo precedesse l'arrivo della flotta. Non pensava che avrebbe funzionato. Se avesse rallentato il passo, in un modo o nell'altro la tempesta avrebbe causato gli stessi danni. E, se avesse rallentato il passo, chi poteva dire cosa sarebbe accaduto alla città di Videssos mentre lui si attardava? I suoi soldati scesero per la valle dello Xeremos più rapidamente che potevano, senza spossare i cavalli. Le bandiere azzurre con gli sprazzi di sole garrivano nella brezza. Vivaci come sempre, i corni squillarono gli ordini impartiti per tenere unita l'armata. Mentre i cavalieri passavano, i contadini che coltivavano la valle alzarono le teste dal loro interminabile lavoro. Sapevano che i soldati stavano tornando troppo, troppo presto? Quello che sapevano contava poco, non là, non in quel momento. Maniakes, invece, sapeva. E quello che sapeva lo tormentava come un mal di denti. Poi, più rapidamente di quanto si era aspettato, più lentamente di quanto gli sarebbe piaciuto, Lyssaion si mostrò davanti a lui, cotta e indorata dal sole. Oltre la città, ondeggiava il mare. Vide, sulle prime, solo una stretta striscia di quel blu intenso e implausibile. Ma dove c'era una striscia, c'era il mare intero. Lo avrebbe portato dove lui voleva andare. Come un amante folle e geloso, avrebbe tentato di ucciderlo. Poteva anche accadere. La magia di Bagdasares non gli aveva mostrato niente del genere, in un senso o nell'altro.
Lui si lanciò in avanti ad abbracciare il mare. A Lyssaion lo attendevano l'hypasteos e il comandante della guarnigione. Loro sapevano cosa stava accadendo nella città di Videssos. Lo sapevano da più tempo di lui: i messaggeri che lo avevano raggiunto erano passati prima da loro. A Lyssaion lo attendeva anche Thrax. I capelli argentei del drungarios sembravano fuori posto in mezzo alle costruzioni dorate. Maniakes comprese che non avrebbe dovuto sorprendersi di vedere il comandante della flotta là, ma ad ogni modo lo era. L'idea di Thrax che facesse qualcosa di inatteso era essa stessa inattesa. «Si, vostro padre ha mandato me e la Rivalsa,» disse Thrax, il che fece sentire Maniakes ancora meglio: il drungarios non aveva commesso la stranezza di agire di testa sua, dunque. «C'è bisogno di voi a casa.» «C'era anche bisogno di me dov'ero,» rispose Maniakes. Ma dirlo non significava più nulla. Nelle due trascorse stagioni di guerra, tutto era andato secondo i suoi piani. Quell'anno, la volontà che aveva diretto le cose apparteneva ad Abivard e a Sharbaraz. Lo avevano superato in astuzia. Era una cosa disgustosamente ovvia. Fece la domanda che doveva fare: «Come stanno le cose laggiù?» «Beh, la città di Videssos è ancora in piedi, o almeno lo era quando sono partito,» disse Thrax. Maniakes desiderò che non avesse aggiunto quelle ultime parole. Thrax proseguì, «Abbiamo scorto un makurano o due sulla riva est del Canale del Bestiame, che guardava la città come un gatto guarda un uccello in gabbia: la preda è appetitosa, ma bisogna prima scoprire come entrare.» «Soldati makurani sul nostro lato del Canale del Bestiame,» mormorò Maniakes, e piegò la testa. Una serie di umiliazioni subite da parte di Makuran e Kubrat aveva punteggiato il suo regno, ma questa era la peggiore di tutte. Per tutti i secoli della storia videssiana, lo stretto aveva protetto la capitale... fino a quel momento. «Nessuna macchina d'assedio sulla nostra riva,» disse Thrax, come per consolarsi... ed era effettivamente una sorta di consolazione. «Quei monoxyla che usano i Kubratoi possono trasportare furtivamente gli uomini sullo stretto, ma solo pochi per volta, per cui i nostri dromoni ancora riescono a catturarne e ad affondarne parecchi. Ci sono delle attrezzature, però, che sono troppo ingombranti.» «Meno di quello che pensi,» disse, preoccupato, Maniakes. Più ci pensava, più la sua preoccupazione aumentava. Corde e attrezzature di metallo e
pochi pezzi particolari delle macchine era tutto quello di cui i Makurani avevano bisogno. Potevano ricavare il resto dai tronchi degli alberi, utilizzando i Kubratoi come manodopera...» Si, dobbiamo tornare in città più presto che possiamo.» «È per questo che sono qui, vostra Maestà,» disse Thrax. Era stato il vecchio Maniakes a dirgli perché era là. Maniakes aveva un ben fondato sospetto che il drungarios avrebbe avuto difficoltà a immaginarlo senza delle preventive istruzioni. Avendo delle preventive istruzioni, se la cavava abbastanza bene. E volendo utilizzarlo al meglio, Maniakes disse, «Devi sapere che ci aspetta brutto tempo sulla rotta di ritorno alla città di Videssos. La magia di Bagdasares mi ha avvertito di questo quando lui ha fatto un incantesimo per assicurarsi che saremmo giunti sani e salvi a Lyssaion.» Quando la pelle indurita dal sole e dal vento si corrugò in un cipiglio, Thrax parve invecchiare di dieci anni in un momento. «Farò tutto quello che posso per affrettare i preparativi per la partenza,» disse. E poi, con ansietà, «È questa la ragione per cui me lo state dicendo, no?» «Si, è così,» rispose Maniakes con voce rassegnata. Lui e Thrax si conoscevano da lungo tempo. Il drungarios era abbastanza affidabile, perciò Maniakes gli aveva dato quell'incarico. In normali circostanze, l'affidabilità era sufficiente. Di tanto in tanto, a Maniakes sarebbe piaciuto vedere anche un pizzico di slancio. Mentre era stato in attesa nel porto di Lyssaion, con l'armata che nel frattempo tornava dalla Terra delle Mille Città, Thrax aveva preparato la flotta per il reimbarco di uomini e cavalli. Gli uomini borbottavano un po' mentre sfilavano sulle banchine per imbarcarsi sulle navi che li avrebbero portati via: dopo una dura campagna di guerra, tornavano finalmente nella città di Videssos, ma non avrebbero certo goduto di molte comodità. «Su con la vita,» disse Maniakes a un gruppetto di loro. «Questa è solo una piccola città fuori dal mondo. Più presto torneremo alla città di Videssos, prima potrete davvero ristorarvi.» E prima comincerete a combattere contro i Makurani e i Kubratoi, aggiunse per se stesso... ma non per loro. Nemmeno ai cavalli piaceva imbarcarsi, ma la cosa non procurava eccessivi fastidi. La loro attitudine a provocare guai era molto inferiore a quella degli uomini. In tutta la storia videssiana, nessun ammutinamento era mai stato provocato da un cavallo. «Phos sia con voi e vi porti la vittoria,» disse Phakrases. L'hypasteos sembrava preoccupato, e ne aveva ben donde. Se per malaugurata sfortuna
la città di Videssos fosse caduta, sarebbe stato governatore della città per un regime che, in effetti, non esisteva più. Se la città di Videssos fosse caduta, sarebbe caduta anche Lyssaion, e quindi lui non sarebbe stato più governatore della città. Se la città di Videssos fosse caduta, anche Maniakes sarebbe difficilmente rimasto Avtokrator. La chiave, quindi, era fare in modo che la città non cadesse. Così ragionava fra sé e sé mentre la flotta lasciava il porto e si avventurava sul Mare dei Naviganti. Come di solito facevano le navi, la flotta che trasportava Maniakes e la sua armata nella città di Videssos rimase in vista della terra, anche se, per dare alle navi spazio di manovra in caso di tempesta, Thrax le aveva spinte fin dove la terra non era più di una macchia sull'orizzonte. I venti da ovest, che prevalevano, le facevano muovere più rapidamente di quanto era accaduto nel viaggio fino a Lyssaion. Quando venne la notte, ancorarono non molto al largo. Se la riva fosse stata sotto il loro controllo, avrebbero tirato a secco le navi. Ma per come stavano le cose, forse un contingente makurano avrebbe anche potuto disturbarli mentre lo facevano. Forse qualcuno degli abitanti del luogo avrebbe anche potuto cercare di infastidirli. La costa meridionale delle terre occidentali era stata un paradiso di pirati finché la flotta imperiale non aveva annientato i predatori. Se l'Impero di Videssos fosse crollato, Maniakes era sicuro che la pirateria sarebbe di nuovo fiorita in quelle acque nel giro di poco tempo. Misurava il ponte della Rivalsa avanti e indietro durante il giorno. «Odio tutto ciò,» disse a Lysia non molto dopo che erano salpati verso est. «Non posso fare nulla per cambiare il corso delle cose mentre sono qui. Non posso fare nulla per la città di Videssos perché sono lontano, e non posso fare nulla nemmeno per questo viaggio dal momento che è Thrax il responsabile.» «Hai già fatto tutto quello che si doveva fare per la flotta... tu e tuo padre, direi,» replicò lei. «Lui si è accertato che fosse qui per riportarti nella città se era quello che tu volevi, e tu hai deciso così e hai guidato di nuovo gli uomini a Lyssaion. Oltre a questo, tutto il resto conta meno.» Lui le rivolse un'espressione di gratitudine. «Hai ragione, naturalmente. Ma io vorrei fare qualcosa, e non posso. Aspettare non è facile.» Lei si appoggiò entrambe le mani sul ventre. La sua gravidanza ancora non era visibile, ma lo sarebbe stata presto. Aveva una certa pratica nell'at-
tendere, nove mesi per volta. Maniakes sospettò che anche la gente che abitava nei pressi del Mare dei Naviganti avesse una certa pratica nell'attendere. Ogni volta che una flotta si avvicinava alle scogliere di calcare tipiche di quelle zone, ogni volta che scorgeva una delle insenature, non sufficientemente grande per fungere da porto vero e proprio ma più che adeguata come base per una rapida galea o anche due, concludeva che un mucchio di gente del luogo stava aspettando il suo momento, come aveva fatto per generazioni. Se mai Videssos si fosse indebolita, loro sarebbero diventato più forti, e dovevano saperlo bene. Si mise anche a osservare il tempo con occhio attento e dubbioso. Ogni chiazza di nuvole, per quanto piccola, per quanto vaporosa, appariva al suo sguardo preoccupato un nembo temporalesco gonfio di pioggia e spinto da venti che avrebbero frustato il mare fino a farlo infuriare. Ma i giorni passarono, le piccole nubi vaporose restarono piccole nubi vaporose, e il dolce ondeggiare sotto la chiglia della Rivalsa non fu mai sufficiente a far lamentare anche lo stomaco sensibile di Lysia. Doppiarono l'angolo sud-orientale delle terre occidentali e cominciarono a navigare verso nord, in direzione della città di Videssos. Ora Maniakes stava sulla prua della Rivalsa, e scrutava davanti a sé pur sapendo che la capitale si trovava ancora a diversi giorni di distanza. Si domandava se Bagdasares fosse davvero un buon mago come aveva pensato. «Lo scopriremo,» replicò Rhegorios quando Maniakes gli pose quella domanda a voce alta. Anche il Sevastos stava guardando a nord. «Non c'è nulla a parte l'oceano. C'è ancora un mucchio di tempo perché una tempesta possa scoppiare, se ce n'è una pronta a farlo.» «Grazie, cugino mio,» disse Maniakes. «Nessuno sa rinfrancarmi lo spirito come te.» Rhegorios s'inchinò. «Servo vostro,» disse. Maniakes sbuffò, poi rise con forza. In una maniera perversa, il pessimismo eccessivo di suo cugino gli aveva rinfrancato lo spirito, dopo tutto. Le pianure costiere costituivano la regione più fertile dell'Impero di Videssos, rivaleggiando in abbondanza anche con la Terra delle Mille Città. Lontane dalla città di Videssos, non erano state munite di forti guarnigioni dai Makurani. In effetti, il dominio videssiano del mare aveva conservato una presenza imperiale lungo le coste più forte che altrove nelle terre occidentali. Tuttavia, la flotta non entrò in nessun porto, né fu tirata in secco sulle invitanti strisce di sabbia. Un distaccamento makurano poteva anche aggirarsi per quelle zone in cerca di guai. E la distruzione della flotta che
trasportava la migliore armata videssiana certamente rappresentava un guaio nella mente di Maniakes. Il giorno dopo una vedetta gridò, «La Chiave! La Chiave a dritta di prora!» Maniakes si voltò a guardare l'isola. La Chiave aveva quel nome poiché la sua posizione, a sud-est della città di Videssos, la rendeva cruciale nella difesa della capitale in una campagna navale: una campagna navale combattuta da navi videssiane, in ogni caso. I Makurani e i Kubratoi erano saltati fuori con un'idea diversa. Sebbene fosse soltanto una macchia sull'orizzonte, vederla lo rassicurò per i suoi due eccellenti porti, Gavdos a sud e Sykeota a nord. Se fosse arrivata la tempesta, avrebbero concesso alla flotta sufficiente rifugio. Erano utili anche ad altro. Thrax raggiunse Maniakes e disse, «Col vostro permesso, vostra Maestà, preferirei ancorare a Gavdos, recuperare del cibo là, e riempire anche i barili d'acqua. Abbiamo trascorso più tempo in mare di quello che mi aspettavo, e siamo a corto di provviste.» Maniakes si accigliò. Arrivati ormai fin là, qualsiasi ritardo lo irritava. Ma anche del buon cibo, dell'acqua e la possibilità di tenere le navi e le vele nelle migliori condizioni erano cose che contavano. «Andiamo pure,» disse a Thrax, e fece del suo meglio per non mostrare che la sosta lo infastidiva. «Raccoglieremo notizie della capitale laggiù,» disse Lysia dopo che lui le ebbe confidato che aveva accettato la richiesta di Thrax. Un angolo della sua bocca si curvò in un sorriso ironico. «Non c'è bisogno che tu lo dica con quel tono di voce che usi per farmi sapere che mi sei stato infedele.» «Oh, si, ho avuto molte opportunità di fare questo durante la campagna di guerra,» disse, sollevando la mano. «'Fermate la battaglia, prego, e portatemi l'ultima fanciulla.'» La cabina che si dividevano era angusta per due: la cabina che condividevano sarebbe stata angusta anche per uno solo. Maniakes non poté sfuggire quando Lysia gli diede una gomitata nelle costole. «Chi è quest'ultima fanciulla?» gli chiese, fosca in volto. «In questo momento, porta in grembo il mio bambino,» rispose lui e la prese fra le braccia. La cabina aveva una porta, e delle imposte alle finestre, ma i marinai vi passavano davanti ogni minuto. Ciò significava, per rispetto della propria dignità, che dovevano essere molto silenziosi. Con sua sorpresa, Maniakes aveva scoperto che talvolta ciò aggiungeva qualcosina in più. E anche il dolce movimento della Rivalsa sulle onde... per lui,
almeno. Lysia ne avrebbe fatto a meno. «Scostati,» sussurrò lei quando ebbero finito. Aveva un colorito lievemente verdognolo, il che spinse Maniakes a obbedirle più rapidamente di quanto avrebbe fatto in altre circostanze. Ebbe un paio di conati di vomito, ma tutto finì li. Cominciò a vestirsi. Mentre infilava la testa nella sottoveste, disse con tono pensoso, «Meno male che il mio ventre fra un po' ti impedirà di starmi sopra. Ho i seni doloranti, e tu me li hai schiacciati.» «Mi dispiace,» rispose lui. Lo aveva detto in ogni gravidanza. E lei ci aveva creduto ogni volta... abbastanza da mostrarsi disponibile, e più che disponibile, comunque. Ed è stato un bene, pensò. Senza di lei, si sarebbe sentito solo contro il mondo, invece di sentirsi semplicemente esausto. Dietro Gavdos si ergevano le montagne al centro della Chiave. Thrax fece una breve risata. «Ricordo la prima volta che ho condotto la Rivalsa in questo porto, vostra Maestà.» «Anch'io. È difficile che me lo dimentichi,» rispose Maniakes. Era stato un ribelle allora ed era riuscito a portare dalla sua parte un bel po' di navi che salpavano dalla Chiave. Se il resto della flotta non si fosse schierato con lui dopo che giunse a Gavdos... se non fosse accaduto, Genesios sarebbe ancora Avtokrator dei Videssiani. La bocca di Maniakes si strinse in una linea sottile e amara. Tutto quello che Genesios aveva fatto era stato una catastrofe... ma quando Maniakes lo aveva sconfitto, Videssos controllava ancora un bel pezzo delle terre occidentali, e il signore dalla mente grande e buona sapeva che nessun makurano aveva mai attraversato il Canale del Bestiame per osservare da vicino le mura della città di Videssos con occhi bramosi e penetranti. Maledisse Genesios. Aveva perso un mucchio di tempo a maledire Genesios nell'ultima mezza dozzina di anni. Quel macellaio inetto non gli aveva lasciato niente - meno di niente - con cui poter fare qualcosa. Eppure... Poco prima che prendesse la testa di Genesios, quel miserabile gli aveva fatto una domanda che da allora lo ossessionava: «Saprai fare di meglio?» Fino a quel momento, non poteva essere certo che la risposta fosse si. I rematori guidarono la Rivalsa lungo una banchina. I marinai balzarono giù e ormeggiarono il dromone. Altri marinai sistemarono la passerella, per far si che tutti potessero salire e scendere più rapidamente. Quando Maniakes mise piede sulla banchina, si domandò se era arrivato nel mezzo
di un terremoto: le tavole oscillavano sotto i suoi piedi, no? Dopo un momento, realizzò che non era così. Non aveva mai trascorso prima tutto quel tempo in mare, e le sue gambe lo avevano tradito. Ad attenderlo per porgergli il benvenuto c'era il drungarios della flotta della Chiave, un uomo grassoccio e nervoso di nome Skitzas, che aveva una reputazione di uomo di mare aggressivo che smentiva il suo aspetto. «Salve, vostra Maestà,» disse, eseguendo il saluto militare. «È bello vedervi qui e non là.» Indicò a est. «Vorrei essere là e non qui, e anche la mia armata,» rispose Maniakes. «Ma, stando ai messaggi che mi hanno raggiunto, Sharbaraz ed Etzilios hanno avuto una pessima idea.» «Ho paura che abbiate ragione,» disse Skitzas. «I Kubratoi si stanno muovendo con astuzia, che Skotos li trascini nel ghiaccio eterno. I loro monoxyla non possono competere con i dromoni: hanno capito che quella era una strada ardua da percorrere. Così non hanno nemmeno cercato di affrontarci. Si limitano ad aggirarsi furtivi nelle terre occidentali, soprattutto di notte, e a portare i Makurani alla città di Videssos. Fra non molto, ce ne saranno parecchi sul lato sbagliato.» «I Makurani non dovrebbero trovarsi su nessuno dei due lati del Canale del Bestiame,» disse Maniakes, e Skitzas annuì. L'Avtokrator proseguì, «Voi cosa state facendo?» «Quello che possiamo,» rispose l'ufficiale. «Di tanto in tanto, c'imbattiamo in una di quelle barche a un tronco solo e la eliminiamo. Abbiamo anche continuato a perlustrare la costa a nord-est della città di Videssos, facendo tutto quello che potevamo per scovare i monoxyla tirati a secco. Ne abbiamo bruciati parecchi.» Assunse un'espressione triste. «Il guaio è che quelle dannate cose sono facili da trascinare lontano dall'acqua e da nascondere. Una volta che gli alberi maestri sono stati tolti, sono solo tronchi, dopo tutto. Non abbiamo avuto molta fortuna, ecco.» «Va bene,» disse Maniakes, e poi sollevò una mano. «Va bene, nel senso che mi hai dato una risposta franca, voglio dire: ne avevo bisogno. Tutto quello che sta accadendo intorno alla città non va bene per niente, nemmeno un poco.» «Lo so, vostra Maestà,» disse Skitzas. «La sola cosa che noi e la flotta della città di Videssos abbiamo fatto è essere riusciti a impedire ai Kubratoi di portare un'intera flottiglia di monoxyla nelle terre occidentali, e di trasportare l'intera armata makurana sul Canale del Bestiame in un colpo solo. Che possa andare al ghiaccio se ho mai pensato che sarei stato con-
tento di ostacolare il nemico invece che di batterlo, ma così stanno le cose adesso.» «Ci hanno sorpresi con i calzoni abbassati,» disse Maniakes, il che provocò in Skitzas uno scoppio di risa. «Ostacolarli conta; mi stavo domandando se sarei tornato solo per scoprire che la città era caduta.» «Il buon dio non voglia.» Skitzas si tracciò il cerchio del sole. «Tutto quello che posso fare per aiutarvi...» «Credo che Thrax abbia tutto sotto controllo,» disse Maniakes. Il drungarios della flotta stava strillando istruzioni agli ufficiali che gli si erano avvicinati per sapere quello che lui voleva. Stava fornendo una grande quantità di dettagli. Quando aveva l'opportunità di preparare le cose con un certo anticipo, era impareggiabile. Di li a non molto, gli scaricatori cominciarono a trasportare sacchi di farina e di fagioli, barili di carne salata e giare di vino sulle navi della flotta. Altri portarono rotoli di corda, tele, barili di pece e altre forniture nautiche. Quando scese il sole, la flotta aveva un aspetto migliore di quando era partita da Lyssaion. II tramonto conferì alle nuvole a ovest il colore del sangue. Maniakes lo notò, sulle prime distrattamente, e poi tornò a voltarsi per osservarlo di nuovo. Non aveva visto nuvole a ovest per un bel pezzo. Erano le avvisaglie della tempesta che Bagdasares aveva predetto? Se lo erano, non poteva attendere la tempesta li a Gavdos e poi salpare per la città di Videssos indisturbato? Avrebbe voluto che la risposta fosse si. Ma aveva la forte sensazione che, se quella era una tempesta e lui l'avesse aspettata, un'altra lo avrebbe raggiunto non appena si fosse messo in mare. Non aveva nulla da guadagnare in quella maniera, e tempo prezioso da perdere. «Partiremo,» disse a voce alta. «Qualunque sia il mio destino, andrò a incontrarlo: non voglio aspettare che sia lui a raggiungermi.» La Rivalsa saltava e vacillava sulle onde come se fosse una barchettagiocattolo in una tinozza occupata da un bimbo di due anni, tutto intento a schizzare l'acqua sul pavimento prima che sua madre potesse finire di lavarlo. La pioggia tambureggiava sulla faccia di Maniakes. Il vento ululava come un intero branco di lupi affamati. Thrax gli stava gridando qualcosa. Il drungarios della flotta stava accanto a Maniakes, ma lui non aveva idea di quello che gli stava dicendo il comandante. La pioggia incollava al cranio la folta capigliatura bianca di
Thrax, conferendogli un po' l'aspetto di una vecchia lontra. Qualunque sia il mio fato, andrò a incontrarlo. Maniakes assaporò la stupidità delle parole. Era stato di nuovo troppo ansioso. Era abbastanza facile da vedere, ripensandoci. C'erano tempeste, e tempeste. Nella sua fretta di tornare nella città di Videssos, aveva messo la flotta davanti a una di quelle peggiori. Thrax tentò di nuovo, ma qualunque cosa stesse urlando venne seppellita da un tuono che fece ronzare le orecchie di Maniakes. La Rivalsa s'inclinò in avanti in un varco fra due onde. E s'inclinò parecchio, dal momento che le onde erano molto alte. Maniakes barcollò, ma riuscì a mantenersi in piedi. Thrax rimase dritto senza sforzo apparente. Per quanti difetti avesse, era un uomo di mare. A dritta di prora e a discreta distanza, un altro dromone arrancava nella sua rotta verso nord. I rematori stavano mantenendo la prua nel vento e facendo tutto il possibile per far avanzare la nave, come quelli della Rivalsa. Al momento, Maniakes si preoccupava poco di avanzare. Tutto quello che voleva fare era restare sull'acqua finché la tempesta non avesse deciso di superarli e di andare a sconvolgere qualche altro tratto del Mare dei Naviganti. In qualche punto al di là delle nubi grigie che piangevano c'era il sole di Phos, simbolo principe della luce del buon dio. Sperò di vivere abbastanza da rivederlo. D'improvviso, senza alcun avvertimento, l'altra galea si spezzò. Una di quelle onde enormi doveva averla colpita nel punto sbagliato. Da nave quasi identica alla Rivalsa, si trasformò in un ammasso di relitti galleggianti nello spazio di mezzo minuto. Qui e là, sparsi sull'oceano, gli uomini stavano aggrappati a tavole, remi e a tutto quello che potesse reggere parte del loro peso almeno per un po'. Maniakes indicò i superstiti. «Possiamo salvarli?» gridò a Thrax. Sulle prime, pensò che il drungarios non lo avesse udito. Thrax si fece strada fino alla poppa della Rivalsa e urlò nelle orecchie degli uomini ai remi timonieri di puntare nella direzione della galea naufragata. La Rivalsa virò verso gli uomini che lottavano per mantenersi a galla. I marinai si legarono alla battagliola prima di lanciare le gomene nel mare agitato nella speranza che alcuni degli uomini che si dibattevano laggiù potessero afferrarle. E alcuni di quegli uomini ci riuscirono, e vennero tirati via semiaffogati dall'acqua che aveva cercato di . prendere le loro vite. ' E alcuni della ciurma del dromone distrutto non riuscirono a essere salvati malgrado gli sforzi degli uomini della Rivalsa. Uno sfortunato marina-
io lasciò la presa del pennone cui era aggrappato per afferrare una corda. Un'onda lo colpi alla testa prima che la sua mano si chiudesse sulla gomena. Annegò. «Vieni su!» gli gridò Maniakes. «Maledetto te, vieni su!» Ma lui non venne. Altri uomini persero la presa di quello che stavano usando per mantenere le teste fuori dall'acqua prima che la Rivalsa potesse avvicinarsi abbastanza per tirarli fuori dal mare. Maniakes gemeva ogni volta che ciò si verificava. E sapeva che altri marinai - troppi altri marinai - erano già annegati. Un'onda s'infranse sulla prua della Rivalsa. Per uno spaventoso momento, pensò che il dromone stesse per imitare quello che si era distrutto. Le assi della nave gemettero sotto i suoi piedi. Un'altra onda, ancora più grossa, la colpì... e colpì anche lui. Il muro d'acqua lo scaraventò giù. Scivolò sul ponte, andò a sbattere contro la murata... e cominciò a cadere, giù nel mare spumeggiante e rombante. Si allungò verso la battagliola. Una mano la afferrò. Rimase appeso con tutte le forze che aveva, sapendo che non sarebbe vissuto per un altro minuto se avesse perso la presa. Una mano si chiuse sul suo polso. Un marinaio con un cerchio d'argento a un orecchio lo issò a bordo della Rivalsa. L'uomo gli gridò qualcosa. Il vento e la tempesta soffiarono via le parole. Poi il marinaio gli offrì un pezzo di corda. Lui ne legò un'estremità alla battagliola, l'altra intorno alla vita. Fatto ciò, agitò un pugno verso il cielo, come per sfidarlo a fare di peggio. Il cielo parve accettare la sfida. Il vento soffiò con forza ancora maggiore. La pioggia venne giù a cateratte. Solo assaggiando se l'acqua sulle labbra era dolce o salata Maniakes poteva capire se era la tempesta o il mare a schiaffeggiarlo. Un marinaio indicò a babordo. Altri relitti galleggiavano là, assieme a forme umane. Maniakes cominciò a gridare che fossero lanciate più gomene, ma si fermò con le parole inespresse. Quegli uomini sfortunati ormai stavano attraversando il ponte della separazione per vedere se le loro anime sarebbero cadute nell'inferno gelato di Skotos, oppure avrebbero trascorso l'eternità nella luce di Phos. Maniakes si voltò a guardare a sud-est, in direzione della Chiave. Avevano superato Sykeota da poco, e non poteva comunque vedere troppo lontano. Non credeva che sarebbero stati gettati contro la riva, e comprese che non si sarebbe potuto rendere conto del disastro finché non fosse accaduto.
Lysia uscì barcollando dalla cabina che loro due occupavano. Maniakes corse verso di lei, facendole segno con le mani di tornare dentro. Indicò la corda che aveva intorno alla vita. Lysia annuì, gli mise in mano un vaso nel quale aveva copiosamente vomitato e tornò dentro. Lui versò in mare il vaso. Come tutto il resto, il suo contenuto venne disperso. Maniakes era così bagnato che non si sentiva umido: era quasi come se fosse immerso in una piscina. Nel mezzo dell'estate, il mare e la pioggia erano caldi: la sola consolazione che Maniakes poté ricavare dalla circostanza. Uno dei larghi mercantili che trasportavano i soldati passò rollando. Era molto più basso nell'acqua di quanto avrebbe dovuto essere: marinai e soldati stavano aggottando con tutte le loro forze. Maniakes pregò che la nave potesse farcela. Thrax tornò sulla prua della Rivalsa. Il drungarios rifiutò con sdegno una corda per ancorarsi. Maniakes pensò che quello sdegno fosse una sciocca smargiassata, ma tenne a freno la lingua: non era la balia di Thrax. A pieni polmoni, strillò, «Quanto durerà questa tempesta?» Dovette ripetere tre o quattro volte prima che Thrax capisse. «Non lo so, vostra Maestà,» gridò di rimando il drungarios. Anche lui non riuscì a farsi udire da Maniakes al primo tentativo. Quando fu sicuro che l'Avtokrator aveva compreso la prima frase, ne tentò un'altra: «Può darsi che si esaurisca al calar della sera.» «Sarebbe una buona cosa,» disse Maniakes... e lo disse ancora, e ancora. «Quanto manca al calar della sera?» «Al ghiaccio se lo so.» Thrax indicò il cielo. In tutti i punti era grigio e minaccioso e colmo di pioggia sferzante. Il solo modo che avevano per poter dire quando il sole sarebbe tramontato era vederlo farsi nero... o ancora più nero. Ma Thrax non aveva promesso che la tempesta sarebbe terminata quella sera. Maniakes, dunque, aveva di fronte un'attesa di durata indefinita per qualcosa che poteva anche non accadere. Desiderò che ci fosse un'alternativa migliore. La sola alternativa che gli venne in mente, però, era l'annegamento immediato. Paragonata a questa, era meglio l'attesa. Non molto lontano, una saetta trapassò il cielo. Strisce purpuree offuscarono la vista di Maniakes. Il lampo avrebbe anche potuto colpire la Rivalsa: un'altra cosa alla quale l'Avtokrator cercò di non pensare. Cercò di non pensare affatto. Nella tempesta, pensare non gli faceva bene. Là in mezzo era solo un altro animale spaventato, che cercava di af-
frontare e superare le forze della natura. Sulla terraferma, fra i suoi soldati o in una solida fortezza, poteva immaginarsi signore e padrone di tutto ciò che il suo sguardo dominava. Là, il suo sguardo dominava ben poco, e lui non poteva controllare alcunché. Poco dopo, Rhegorios emerse dalla sua cabina. Un marinaio gli consegnò una corda con cui ancorarsi, che lui accettò con una certa riluttanza. «Credevo che saresti rimasto sul ponte per l'intera durata della tempesta,» disse Maniakes. «Ti diverti come un matto in situazioni come questa.» Suo cugino fece una smorfia. «Stavo vomitando anche le budella, ecco cosa stavo facendo, se proprio lo vuoi sapere. Ho sempre creduto di essere un marinaio decente, ma non mi ero mai trovato in una situazione come...» Invece di terminare la frase, Rhegorios si sporse dalla murata. Quando gli spasmi passarono, disse, «Vorrei che non mi avessero dato questa maledetta corda. Adesso è più difficile per me gettarmi in mare.» «Non è poi così brutta,» disse Maniakes, ma tutto quello che voleva dire era che non era così brutta per lui. Rhegorios rise... finché non gli ripresero i conati di vomito. Maniakes cercò di scostargli i capelli dalla faccia mentre rigurgitava. «Si sta facendo più buio?» chiese Rhegorios quando poté parlare di nuovo. «O sto cominciando a morire?» Maniakes non aveva prestato molta attenzione al cielo per un po', soprattutto perché si era convinto che quella giornata non sarebbe mai finita. Era più buio. «Thrax ha detto che forse la tempesta sarebbe finita al calar della sera,» gridò speranzoso, sopra il rombo del vento. «Speriamo che Thrax abbia ragione.» Lo stomaco tormentato di Rhegorios si ribellò ancora. Niente venne fuori questa volta, ma la sua espressione era comunque avvilita. «Odio i conati di vomito secchi,» disse. Aggiungendo, «È uno schifo che siano l'unica cosa qui intorno che posso definire secca.» L'acqua gli gocciolava dalla barba, dalla punta del naso, dai capelli, dalle maniche e dai gomiti quando piegava le braccia. Maniakes, che era rimasto sul ponte per gran parte della tempesta, era ancora più zuppo, ma il divario si sarebbe colmato nel giro di qualche istante. Il buio, avendo fatto la sua apparizione, scese rapidamente sul mare. La pioggia da torrente divenne rigagnolo: il vento si placò. «Lodiamo il buon dio, ragazzi,» gridò Thrax alla ciurma. «Credo che il peggio sia passato.» Due marinai lo presero alla lettera, e cominciarono a recitare il credo di Phos e a rivolgere le loro preghiere di ringraziamento al signore dalla men-
te grande e buona. Maniakes mormorò una sua preghiera, in parte come ringraziamento, ma ancor di più come fervida speranza che la tempesta fosse realmente finita e non sarebbe ripresa all'alba. «Accendete una torcia, ragazzi!» strillò Thrax. «Vediamo se sono rimasti altri amici sull'oceano.» Maniakes avrebbe scommesso che sarebbe stato impossibile scovare a bordo della Rivalsa una torcia asciutta o, comunque, una qualsiasi cosa da poter accendere. Avrebbe perso la scommessa, e rapidamente anche. Anche in quel buio, alcuni marinai corsero a prendere le torce avvolte in strati e strati di tela imbevuta d'olio. E il cuoco aveva un braciere: un vaso di discrete dimensioni nel quale bruciavano sempre dei tizzoni. Thrax prese la torcia accesa e la agitò avanti e indietro. Una alla volta, altre torce presero vita sul Mare dei Naviganti, alcune vicine, altre così lontane da loro che era difficile non considerarle stelle prossime all'orizzonte. Ma non c'erano stelle, il cielo era ancora pieno di nubi. Le navi che erano sopravvissute alla tempesta scivolarono sull'acqua, avvicinandosi. Quando furono tutte a portata di voce, i capitani presero a gridare, riferendo il costo del pedaggio delle navi perse e, col silenzio, quello delle navi disperse. «Non è così brutta come sembra, vostra Maestà,» disse Thrax, da qualche punto buio che stava avanzando verso la mezzanotte. «Altre si uniranno a noi domani mattina, e altre ancora, spinte così lontano dalla rotta da non poter vedere le torce, punteranno direttamente sulla città imperiale. Nessuna che non sia qui va considerata persa definitivamente.» «Si, capisco,» rispose Maniakes. «E alcune, come quella nave che s'intravede laggiù...» Indicò vagamente oltre la prua delle Rivalsa. «...non possono accendere torce perché non hanno nulla da poter accendere. Credo che sia un miracolo di Phos se tante delle nostre navi sono state in grado di accendere delle luci. Eppure...» Eppure. In qualsiasi contesto, quella parola era nefasta, implicando una perdita di oro, di opportunità, di speranze. In quella circostanza, significava perdita di navi, di uomini, di animali: tante cose perdute senza una qualsiasi possibilità di recupero, come il dromone che si era spezzato sul mare in tempesta poco lontano dall'ammiraglia. Non tutti i sopravvissuti avevano storie come quella da raccontare, ma troppi di loro ne avevano. Maniakes fece quello che poté per mettere assieme i frammenti delle sue perdite, tenendo in mente quello che aveva detto Thrax. Risultò che ammontavano a circa un quarto della forza con la
quale era partito da Lyssaion. Sperò che non molte delle navi che Thrax riteneva disperse fossero effettivamente perdute. «E parlando di dispersi,» disse con uno sbadiglio, «noi dove ci troviamo?» Sbadigliò di nuovo: ora che la tempesta e i pencoli erano, per il momento, passati, avvertiva interamente - e forse doppiamente - la sua stanchezza e la sua debolezza. «Che possa cadere nel ghiaccio se lo so con esattezza, vostra Maestà,» rispose Thrax. «Salperemo verso nord domattina, e vedremo la terra, e potremo capire quale terra abbiamo avvistato. Poi sapremo dove siamo e quanto lontani dalla città di Videssos.» «Va bene,» disse con tono blando Maniakes. Non era un marinaio, ma aveva trascorso abbastanza tempo sul mare da sapere che la navigazione era un'arte arcana quasi quanto la magia, e meno esatta. Sapere come scoprire dov'erano era arduo quasi quanto sapere dov'erano. Slegò la corda, che era stata per tanto di quel tempo intorno alla sua vita che l'aveva quasi dimenticata. Niente di peggio di un lieve ondeggiare muoveva il ponte sotto i suoi piedi mentre s'incamminava verso la cabina. Apri la porta più piano che poté. Il dolce russare di Lysia non interruppe il suo ritmo. Si distese nella sua tunica umida sulle coltri umide e cadde anch'egli addormentato. Un raggio di sole sulla faccia lo svegliò. Per un momento, si limitò ad accettare la cosa, come aveva accettato prima le nubi al tramonto. Poi si tracciò il cerchio del sole di Phos sul cuore, un segno di gioia. Non aveva mai gradito così tanto una bella giornata. Ancora nelle vesti umide, salì sul ponte. I marinai erano indaffarati a riparare i danni provocati alla murata dalla tempesta, al sartiame e alle vele. Quando la tempesta si era scatenata le avevano ammainate rapidamente, ma non abbastanza. Thrax indicò a nord. «C'è terra là, vostra Maestà. Se distinguo bene la forma, non siamo così lontani dalla città imperiale come avevo immaginato.» «Bene,» disse Maniakes. «Si, molto bene.» Scorgendo delle piccole vele sul mare fra la flotta e la riva, puntò a sua volta il dito a nord-ovest. «Guarda. Tutti i pescatori che ieri non sono affondati oggi sono intenti a raccogliere quanto più possono.» «Cosa, vostra Maestà?» Thrax, che non aveva notato le vele, s'irrigidì. «Quelli non sono pescherecci, vostra Maestà. Sono i maledetti monoxyla, ecco cosa sono.» La sua voce salì in un muggito: «Pronti per la battaglia!»
CAPITOLO QUINTO La flotta difficilmente avrebbe potuto essere meno pronta a combattere, maltrattata dalla tempesta com'era. Tutto quello che Thrax avrebbe voluto fare, tutto quello che Maniakes avrebbe voluto fare era procedere a fatica fino alla città di Videssos, scaricare guerrieri e animali, e avere il tempo necessario per decidere cosa fare dopo. Ancora una volta, l'Avtokrator non avrebbe avuto quello che desiderava. I Kubratoi nelle loro imbarcazioni a un tronco stavano provvedendo in merito. «Il lancia-dardi sarà inutile,» borbottò Thrax, indicando la macchina sulla prua della Rivalsa. «Le corde sono sicuramente troppo umide per servire.» Maniakes non rispose subito. Fino a quel momento, non aveva mai visto uno di quei vascelli che i Kubratoi usavano da anni per razziare la sua costa. Scoprì che erano più formidabili di quanto suggerisse il loro nome. Ognuno di essi poteva anche essere stato ricavato da un tronco solo, ma i Kubratoi avevano realizzato le loro barche da foreste gigantesche. Alcune di esse sembravano lunghe quasi quanto la Rivalsa, sebbene trasportassero meno uomini. Assieme alle vele, che erano fatte di pelle, venivano spinte da pagaie... e spinte in maniera sorprendentemente rapida. Avevano avvistato le navi videssiane prima di essere avvistate a loro volta o forse nello stesso momento. Maniakes era convinto che le avrebbe spinte alla fuga. Al contrario, esse avanzarono verso i Videssiani. Le pagaie salivano e scendevano, salivano e scendevano, salivano e scendevano. Si, potevano raggiungere una ragguardevole velocità. «Le faremo a pezzi,» disse Maniakes. Thrax non replicò subito. Ma sembrava chiaramente meno felice di quanto Maniakes si sarebbe aspettato. Finalmente, disse, «Vostra Maestà, non sono preoccupato per i dromoni. Però le navi da trasporto sono una cosa diversa.» Cominciò a gridare ordini sull'acqua. I trombettieri gli fecero eco. I dromoni scivolarono verso i vascelli meno mobili e meno protetti che stavano scortando alla città imperiale. E non furono nemmeno troppo lesti nel farlo, perché i Kubratoi non avevano avuto più difficoltà di Thrax a immaginare come dovesse essere condotto il gioco. Anche i loro monoxyla stavano avanzando verso le più lente e grosse navi della flotta videssiana. «Forse dovremmo consentirgli di abbordare una delle navi che traspor-
tano le truppe,» disse Thrax. «Non credo che ne sarebbero felici.» «Qualcosa del genere,» convenne Maniakes, ma nessuno dei due stava parlando seriamente, come entrambi sapevano. Maniakes tradusse la cosa in questi termini: «Troppe cose potrebbero andare storte. Potrebbero avere fortuna, oppure potrebbero riuscire ad appiccare il fuoco...» «Non sarebbe facile, non oggi,» disse Thrax, «non con le assi bagnate dalla tempesta di ieri. Ma avete ragione, vostra Maestà: potrebbe accadere.» Uno dei dromoni, con i remi che fendevano l'acqua, si avventò sul monoxylon. I Kubratoi non solo riuscirono ad evitare lo sperone rivestito di bronzo sulla prua del dromone, ma bersagliarono di frecce la nave videssiana. Un marinaio cadde in mare, sollevando uno spruzzo d'acqua. Un altro vascello a un solo tronco si portò di fianco a una nave che trasportava cavalli. I Kubratoi non cercarono di sciamare a bordo del vascello, ma, di nuovo, scoccarono frecce con grande rapidità come se stessero mirando ai Videssiani dal dorso dei cavalli. Thrax indicò quel monoxylon. «Sono così impegnati in quello che stanno facendo, che non prestano attenzione a noi.» Gridò al capovoga: «Prepariamoci a colpire. Remate con tutta la forza che avete!» «Si, signore.» replicò il capovoga. Il tamburo che batteva il tempo per i rematori, due colpi alla volta, aumentò il ritmo. I rematori risposero. La scia che scaturiva dalla chiglia della Rivalsa divenne più ampia e bianca. Thrax corse a poppa del dromone per manovrare personalmente uno dei remi timonieri e strillare ordini all'uomo che manovrava l'altro. Maniakes, di contro, corse a prua. Non si era più trovato in una battaglia navale dopo quella nelle acque appena al largo della città di Videssos che gli aveva consentito di entrare nella capitale. Non era come combattere sulla terraferma: le navi trasportavano una compagnia di uomini, ma erano esse stesse dei pezzi a sé stanti, e di notevole valore, sulla scacchiera. La Rivalsa si era portata a circa cinquanta iarde prima che i Kubratoi si accorgessero della presenza del dromone. Erano abbastanza vicini perché Maniakes potesse sentire le loro grida di sgomento quando alla fine lo scorsero. Allora deposero gli archi e afferrarono le pagaie, facendo del loro meglio per sfuggire al rostro reso verde dall'acqua marina, che puntava dritto sulla loro poppa. II loro meglio non bastò. Avevano rallentato per affiancare la nave da trasporto, e avevano bisogno di tempo per riprendere velocità... di tempo che non avevano. Thrax aveva un buon senso della mira e del tempo. Colpì
con lo sperone proprio quando i Kubratoi si trovarono leggermente di fianco rispetto al dromone. Lo sperone non sfondò il monoxylon, come avrebbe fatto con un vascello videssiano. Invece, la Rivalsa capovolse la più piccola imbarcazione kubrati, facendola rotolare e schiantandola. La collisione fece vacillare Maniakes, che fu sul punto di cadere in mare. Com'era successo ai Kubratoi... Delle teste andavano su e giù sull'acqua, ma erano sorprendentemente poche. I Kubratoi erano dei demoni a cavallo: Maniakes non aveva mai avuto occasione di chiedersi quanti di loro sapessero nuotare. La risposta sembrava essere non tanti. Qualcuno, che forse sapeva o non sapeva nuotare, si aggrappò alle pagaie o a qualche altro relitto galleggiante. I marinai videssiani scagliarono frecce sui Kubratoi che si dibattevano. Da quello che Maniakes poté vedere, fecero pochi danni. Ma la cosa aveva scarsa importanza. O i Kubratoi sarebbero annegati, oppure qualche nave videssiana li avrebbe catturati una volta terminata la battaglia navale. Forse avrebbero preferito annegare. «Ben fatto!» urlò Thrax. «Non gli permetteremo di riprovarci.» Fece virare la Rivalsa in direzione del monoxylon più vicino. «Guidaci da quella parte, capovoga!» aggiunse. Il tamburo che ritmava i colpi proseguì regolare. Diversamente dalla flotta videssiana, i Kubratoi dovevano essere rimasti all'asciutto durante la tempesta. Ciò significava che non avevano difficoltà ad accendere il fuoco. Diverse imbarcazioni a un solo tronco oscillavano sulle onde in prossimità di un'altra nave da carico. Fili di fumo nell'aria mostravano che stavano scagliando frecce di fuoco su di essa. Maniakes desiderò di poter vedere meglio da dove veniva quel fumo, ma la Rivalsa si stava già dirigendo sul monoxylon che Thrax aveva scelto come nuovo bersaglio. Questo, diversamente dal primo, non venne preso alla sprovvista, e il kubrati che lo guidava stava facendo tutto quello che poteva per fuggire. La piccola vela di pelle era spiegata e colma d'aria; le pagaie colpivano l'acqua sollevando schiuma, con i nomadi che ce la stavano mettendo tutta. «Preparatevi a speronare!» Questa volta, Thrax ebbe la cortesia di gridare l'avvertimento un paio di secondi prima che il suo dromone cozzasse contro l'imbarcazione a un solo tronco. Di nuovo, Maniakes barcollò per l'impatto. Di nuovo, la Rivalsa andò dritta sul monoxylon. Questa volta, però, il colpo fu più lento e meno efficace, dal momento che la differenza
di velocità fra i due vascelli era molto inferiore. Di nuovo, i Kubratoi caddero in acqua. Di nuovo, molti di loro annegarono rapidamente. Ma alcuni di loro riuscirono ad aggrapparsi al fasciame della Rivalsa e ad arrampicarsi sul ponte. Grondavano acqua. Stando allo sguardo nei loro occhi, erano più che storditi. Ma nessuno di loro sembrava nello stato d'animo di volersi arrendere. Portavano spade alle cinture. Sfoderandole, si gettarono contro i marinai videssiani... e uno di loro venne dritto su Maniakes. Era così stupefatto, che sguainò la spada dal fodero quasi troppo tardi. La tirò fuori giusto in tempo per parare un fendente alla testa. Il kubrati poi tentò un colpo basso, tirando agli stinchi. Lui parò di nuovo, e fece un salto indietro. L'uomo poteva anche non essere uno spadaccino incredibilmente abile, ma aveva energia sufficiente almeno per tre uomini. Un marinaio era a terra e strillava. Altri, però, affrontarono i Kubratoi con spade, archi e mazze. Una volta che la sorpresa di essere stati abbordati cominciò a svanire, compresero che superavano di gran lunga in numero gli assalitori. Il combattimento sul ponte, allora, non durò a lungo. Qualcuno colpì con una mazza il kubrati che stava combattendo con Maniakes. L'uomo gemette e barcollò. La spada di Maniakes gli squarciò il ventre. L'Avtokrator girò il polso per assicurarsi che il colpo fosse mortale. Il kubrati non strillò, né si strinse la ferita: il colpo al lato della testa doveva averlo stordito e gli concesse una morte serena. Era stato quasi l'ultimo dei suoi a restare in piedi. Maniakes tirò fuori la spada, afferrò il kubrati per le caviglie e disse, «Getta questa carogna fuori bordo,» al marinaio col randello. Il corpo del kubrati finì con uno spruzzo nel Mare dei Naviganti. Thrax puntò un dito. «Ahhh, gli sporchi bastardi, sono riusciti a bruciarne una,» gridò. A dispetto delle assi bagnate, le fiamme si stavano diffondendo su una delle navi da carico. I soldati videssiani e i marinai si gettarono in acqua. Come i Kubratoi dei monoxyla affondati e rovesciati, si afferrarono a tutto quello che poterono raggiungere per tenersi a galla un po' di più. «Li raccogliamo o inseguiamo il nemico, vostra Maestà?» domandò Thrax. I monoxyla ancora a galla ne avevano chiaramente avuto abbastanza di quel combattimento impari con i dromoni videssiani. Con vele e pagaie, si stavano dirigendo a est più rapidamente che potevano. Maniakes non esitò neppure per un battito di cuore. «Raccogliamoli,» disse. «Poi ci dirigeremo verso la città imperiale. Al ghiaccio i Kubratoi:
lasciamoli andare.» «Si, vostra Maestà,» disse Thrax. Abbaiò gli ordini necessari, poi tornò a voltarsi verso l'Avtokrator con un'espressione perplessa sulla faccia. «Di solito preferivate finire il nemico, quando ne avevate l'opportunità.» «Si, di solito.» Maniakes dovette mettercela tutta per controllare la sua esasperazione. Thrax talvolta aveva difficoltà a vedere anche solo al di là della punta del suo naso. «Ora, però, la cosa più importante che possiamo fare è tornare nella città di Videssos e assicurarci che non cada. Quelle barche a un solo tronco si stanno allontanando da essa. Non possiamo perdere tempo appresso a loro.» «Ah,» disse Thrax. «Se la mettete così, la cosa pare sensata, no?» Bisogna dire, però, che portò a termine il salvataggio degli uomini che avevano abbandonato la nave in fiamme nel migliore dei modi. Parecchi soldati annegarono prima che i soccorritori potessero raggiungerli, ma un buon numero venne tirato fuori dall'acqua. Sarebbe potuta andar peggio. Quante volte Maniakes lo aveva pensato dopo ogni nuovo evento infausto? La magia di Bagdasares non aveva mostrato altri ostacoli davanti alla flotta dopo la tempesta e l'attacco di quelle altre navi. Forse ciò significava che avrebbero raggiunto la città di Videssos con facilità una volta superato l'attacco: nel caso della Rivalsa, quel superato andava inteso lettera, dal momento che era passata sopra ai monoxyla kubrati. Ma forse poteva anche significare che Bagdasares avesse, metaforicamente, ritirato la mano prima che la magia potesse mostrare tutto. In un modo o nell'altro, Maniakes si aspettava che lo avrebbe scoperto presto. Vicino alla città imperiale, nessuna delle barche a un solo tronco osava mostrarsi di giorno. Lo garantiva la flotta di stanza nella capitale. Ma, dalla Rivalsa, Maniakes vide gli accampamenti dei nomadi davanti alla doppia cerchia di mura della città. Questo gli fece male, come se sapesse che i genieri makurani stavano insegnando ai Kubratoi l'arte di costruire macchine da assedio. Da quel momento in poi, nessun videssiano in città sarebbe stato al sicuro. Dalle mura, i difensori videssiani esultarono quando videro lo stendardo imperiale che sventolava sulla Rivalsa. Maniakes non s'illuse che tutte quelle acclamazioni fossero per lui. Aveva portato nel Makuran i migliori soldati dell'Impero di Videssos. Riportare indietro quei soldati significava rendere la città di Videssos più difendibile. Se fosse stato lui stesso un difensore in speranzosa attesa, avrebbe festeggiato anche lui il loro ritorno.
«Ancoreremo quante più navi potremo nel piccolo porto del quartiere del palazzo,» disse a Thrax. «Inclusa la Rivalsa.» «Si, vostra Maestà,» disse il drungarios, annuendo in segno di obbedienza. «Volete che le altre vadano nel porto neorhesiano a nord?» «Va bene,» acconsentì Maniakes. «Quando attraccheremo nel porticciolo, avrete la possibilità di dare una buona occhiata a quello che sta accadendo ad Aldilà,» disse Thrax, come se l'idea gli fosse venuta in mente solo allora. Probabilmente gli era venuta in mente solo allora, e ciò rattristò Maniakes, che era abituato ad anticipare gli eventi. Thrax, naturalmente, poteva anche essere il genere d'uomo che non anticipava affatto gli eventi: troppi uomini erano fatti in quel modo. Ma in quel caso non avrebbe dovuto essere il drungarios della flotta. Aldilà sembrava brulicare di gente. Il vessillo del leone makurano sventolava su una tenda di seta situata appena fuori della portata dei lanciadardi montati sui dromoni. Si, Abivard doveva sapere esattamente quale fosse, avendo trascorso così tanto tempo sul lato sbagliato - o, secondo la prospettiva videssiana - sul lato giusto del Canale del Bestiame. Maniakes si domandò se il generale makurano si trovava sul lato occidentale del Canale, o se i Kubratoi lo avevano furtivamente portato al di là dello stretto, affinché potesse valutare con i suoi stessi occhi le mura della città imperiale. D'un tratto, l'Avtokrator si domandò su quale lato del Canale del Bestiame si trovava attualmente Tzikas. Prima che cominciasse i suoi tradimenti, Tzikas era stato un generale videssiano, e di grande valore. Se qualcuno conosceva i punti deboli delle mura - semmai ci fossero punti deboli da conoscere -quel qualcuno era lui. Anche i Makurani videro lo stendardo imperiale, quando la Rivalso si accostò ad Aldilà per dare a Maniakes la possibilità di osservarli meglio. Le maledizioni che gli rivolsero a gran voce sfidarono le acclamazioni provenienti dalla città di Videssos. Il loro accampamento era molto più vicino al Canale del Bestiame di quanto lo fosse stato durante le precedenti permanenze ad Aldilà. Allora era parso che si accontentassero di essere giunti vicini alla città di Videssos. Ora davano l'idea di poter attraversare lo stretto, di poter raggiungere la meta così a lungo negata. «Si sbagliano,» mormorò Maniakes. Dire ciò ed essere sicuro che fosse la verità, tuttavia, erano due cose diverse. Maniakes si voltò verso Thrax. «Guidaci nel porto. Ho visto abbastanza qui.» Con suo padre, e con Rhegorios e Symvatios, Maniakes oltrepassò la
Porta d'Argento che si apriva nel muro interno della città di Videssos e avanzò a grandi passi verso il muro esterno più basso. «Per il signore dalla mente grande e buona, i portatori di ombrelli stanno ancora fumando di rabbia perché non ho voluto che venissero con me fin qui,» disse, fumando di rabbia lui stesso. «Era tutto quello di cui avevo bisogno, no? Mostrare ai Kubratoi esattamente dove colpire, voglio dire.» «È quel genere di imbecillità con la quale non si ha a che fare su un campo di battaglia,» convenne il vecchio Maniakes. «Non ti biasimo per il fatto che vuoi uscirtene dalla città non appena puoi, figlio mio. Così non hai degli idioti che ti si mettono fra i piedi nei momenti meno opportuni.» «No,» disse l'Avtokrator. Sfuggire all'opprimente cerimoniale della corte imperiale era una delle ragioni per cui era lieto di uscire dalla città di Videssos. Suo padre non menzionò l'altra. Nemmeno il vecchio Maniakes approvava il suo matrimonio con Lysia, ma, diversamente da tanti in città, manteneva perlomeno il silenzio. Gli enormi battenti della Porta d'Argento che conduceva al muro esterno erano chiusi. Le sbarre ancora più enormi che tenevano chiusi quei portali si trovavano nelle grandi staffe di ferro. Dietro la porta, la saracinesca di ferro era abbassata. Sopra di essa, dei fori permettevano ai difensori di versare acqua bollente o sabbia incandescente sulle teste dei guerrieri che avessero tentato di superare le difese. Maniakes non avrebbe osato assalire la Porta d'Argento, se fosse stato assediante invece che assediato. Ma se i Makurani stavano insegnando ai Kubratoi come costruire e usare macchine da guerra, non avrebbero dovuto attaccare la porta. Potevano scegliere invece di tentare di abbattere qualche tratto di mura meno difeso. Se avevano buonsenso, avrebbero fatto proprio questo. Ma chi poteva dire per certo cosa c'era nella mente di Etzilios? Maniakes si domandò se lo stesso khagan kubrati lo sapesse. L'Avtokrator salì sulla scalinata di pietra fino alla passerella in cima al muro esterno. Suo padre, suo cugino e suo zio lo seguirono. Cercò di costringersi a salire lentamente in considerazione del vecchio Maniakes e di Symvatios, ma stavano entrambi ansimando quando raggiunsero la passerella. Maniakes scrutò il vicino accampamento dei Kubratoi. Etzilios aveva scelto di collocare la sua tenda di fronte alla Porta d'Argento, la principale via d'accesso alla città. Gli stendardi con la coda di cavallo che indicavano la sua tenda erano inconfondibili. Come quasi altrettanto inconfondibile era il vessillo che sventolava accanto a quello stendardo. Bianco e rosso...
Maniakes non poteva distinguere il leone di Makuran sul vessillo, ma non aveva dubbi che ci fosse. I Kubratoi cavalcavano avanti e indietro, al di là del fossato davanti alle mura. Non stavano facendo granché: non vide nessuno di loro che scagliava frecce ai Videssiani che difendevano la città, per esempio. Ma erano vigili abbastanza da far apparire una cattiva idea qualsiasi tentativo di sortita. «Come siamo messi col grano?» chiese Maniakes. Si voltò a guardare sopra la spalla. La massa del muro interno celava la città di Videssos alla sua vista. Avvertiva il peso della sua popolazione che premeva su di lui. Quante persone abitavano nella città? Centomila? Un quarto di milione? Due volte tanto? Non lo sapeva, nemmeno per grandi linee. Quello che sapeva era che avevano bisogno di mangiare e di continuare a mangiare. «Non stiamo troppo male,» rispose Symvatios. «I granai erano abbastanza pieni quando è iniziato l'assedio, e abbiamo continuato a ricevere grano da sud-est, dove i Kubratoi non sono arrivati. Possiamo resistere... per un po'.» «L'altra domanda è: quanto potranno resistere i Kubratoi là fuori?» Il vecchio Maniakes indicò l'accampamento di Etzilios. «Come faranno col cibo quando avranno saccheggiato tutta la regione?» «Moriranno di fame o torneranno a casa,» disse Rhegorios. «Queste sono le possibilità che hanno.» «Sono due delle possibilità che hanno,» disse Maniakes, suscitando un'espressione perplessa nel cugino. Desiderando non doverlo fare, l'Avtokrator spiegò: «Possono anche tentare di entrare nella città. Se lo faranno, non importerà quanto grano ci resta o quanto poco cibo abbiamo. E se ci riusciranno, vinceranno.» Rhegorios annuì, insolitamente serio. «Sai. cugino mio...», non mise nemmeno i titoli uno dietro l'altro, «...non mi era proprio venuto in mente. Malgrado tutto quello che sono riusciti a radunare là fuori, ho difficoltà a credere che possano entrare.» «Noi tutti abbiamo difficoltà a crederlo,» disse il vecchio Maniakes. «E ciò può essere un bene o un male. È un bene se i Kubratoi hanno dubbi nella stessa misura in cui noi abbiamo fiducia. Ma se restiamo inerti perché sappiamo che la città di Videssos non è mai caduta e loro invece sono zelanti e ansiosi di farlo, siamo nei guai.» «Già,» disse Maniakes. «Non hanno cercato di attaccare le mura?» Suo padre scosse la testa. «No. Per alcuni giorni non sono stati tranquilli come adesso, però. Si sono portati a tiro d'arco e hanno scagliato frecce
contro la gente sulle mura. Non l'hanno fatto spesso ultimamente. Come se stessero... aspettando.» «E sappiamo anche cosa stanno aspettando,» disse tristemente l'Avtokrator. «Stanno aspettando di vedere cosa possono mostrare loro i Makurani e quanto ciò possa essere utile. I 'bolliti' sono senza dubbio efficienti. Vorrei che non lo fossero, ma di assedi ne sanno almeno quanto qualunque videssiano.» «Abivard probabilmente vorrà portare altra sua gente su questo lato del Canale del Bestiame prima di qualsiasi serio attacco alle mura,» disse Symvatios. «Non gli piacerebbe affatto lasciare ai Kubratoi tutto il bottino.» «E loro non vorranno lasciare niente a lui: Etzilios ha succhiato tradimento dalla mammella della madre.» Maniakes divenne pensieroso. «Mi domando se possiamo spingere gli alleati a diffidare l'uno dell'altro più di quanto detestino noi.» «Questa è un'idea interessante,» disse il vecchio Maniakes. Anche lui fissò l'accampamento kubrati. «Devo dire che le probabilità sono contro. Ma possiamo anche tentare. Il peggio che possono dirci è no.» «Il mondo non finisce se rimedi uno schiaffo in faccia,» osservò Rhegorios. «Basta porre a un'altra ragazza la stessa domanda. O talvolta poni la stessa domanda alla stessa ragazza un po' di tempo dopo, e otterrai una risposta diversa.» «Ascoltate la voce dell'esperienza,» disse asciutto Maniakes. Suo cugino tossì e farfugliò. Suo padre e suo zio risero. II mondo sembrò un po' più luminoso, dandogli sollievo per tre, forse anche per quattro battiti di cuore... finché non tornò a pensare ai Kubratoi. Una posteria si aprì. Nonostante tutto il grasso che i soldati avevano cosparso sui cardini, cigolarono. Maniakes si domandò quando erano stati oliati per l'ultima volta. Un anno prima, o cinque, o dieci? Fino a quell'anno, nessuno si era aspettato che la città di Videssos sarebbe stata assediata, e un assedio era l'unica occasione in cui la posteria poteva essere utile. «Maledizione, non possiamo permettere a tutti i Kubratoi e i Makurani di sapere che stiamo facendo questo,» sibilò l'Avtokrator. «L'idea è di mantenere il segreto... altrimenti non avremmo scelto la mezzanotte.» «Mi dispiace, vostra Maestà,» rispose l'ufficiale addetto alla porta, anche lui a bassa voce. «Più silenziosa di così non poteva essere.» Scrutò nelle tenebre. «Ecco l'uomo: è puntuale. Non lo avrei pensato, trattandosi di un
barbaro.» Nessun grido dalle mura avvertì che qualche altro kubrati stesse avanzando assieme all'emissario che Maniakes aveva suggerito a Etzilios. Il khagan aveva rispettato la sua parte del patto, molto probabilmente perché pensava che non avrebbe ricavato un grande vantaggio tradendolo in quel momento. All'ordine di Maniakes, i soldati sulla posteria stesero una tavola al di sopra del fossato. «Attento a non cadere,» gridò uno di loro piano al nuovo arrivato. «È un bel volo.» «Starebbe molto attento, troppe grazie,» rispose il kubrati in un videssiano scorretto ma fluente. I suoi passi risuonarono sicuri sulla passerella. Quando raggiunse la città di Videssos, le guardie ritirarono la tavola e richiusero la posteria. «Moundioukh?» disse Maniakes. Nessuna torcia ardeva nelle vicinanze: la cosa avrebbe tradito l'abboccamento. Ma l'Avtokrator aveva udito solo un uomo capace di storpiare il videssiano come faceva quello. E difatti, il kubrati annuì nel buio e disse, «Chi altrui avrebbe mandato il magnifolente Etzilios contro di te?» Maniakes si domandò se quel contro rientrava nella grammatica scalcagnata o era un lapsus linguae. Lo avrebbe scoperto. Chiusa la porta, arrivarono due portatori di torce. Si, era Moundioukh, in carne e voce. La sua barba incolta aveva più grigio di quanto Maniakes ricordasse. «Il tuo padrone è un uomo infido,» disse con severità l'Avtokrator. Con sua sorpresa, Moundioukh scoppiò a ridere. «Certo che l'essere,» rispose il kubrati. «Oppuramente non parleresse con te.» «Direi proprio,» disse Maniakes. «Va bene: cosa vuole da me in cambio della rottura dell'alleanza con i Makurani? Presumo sia qualcosa che posso dargli, altrimenti non ti avrebbe mandato da me.» I denti grossi e quadrati di Moundioukh balenarono alla luce della torcia mentre lui rideva di nuovo. «Il magnifolente Etzilios mi dice, 'Vai da questo Maniakes. Vedilo inchinare. Vedilo strisciolare'... è la parola, si, strisciolare? 'Poi tu dire lui quello che io dire te.'» «E cosa ti ha detto il magnifolente Etzilios?» Maniakes riuscì faticosamente a mantenere la faccia seria mentre pronunciava l'epiteto. «Non visto abbastanza strisciolare tuttora,» replicò mordacemente il kubrati. Maniakes esalò attraverso il naso, esasperato. «Che possa andarsene al
ghiaccio, e al ghiaccio anche tu. Non so cos'altro posso fare se non dirti che farò tutto quello che tu e il khagan desiderate.» Non riuscì a dire di nuovo magnifolente, per quanto lo volesse. «Tu prostituisci per me, come tu sempre voluto che io prostituisce per te?» disse Moundioukh. Le guardie borbottarono. «Intende dire 'prosterni',» disse in fretta Maniakes. Si domandò se quello rendeva la richiesta più tollerabile. Era il vicereggente di Phos sulla terra: chi era quello sporco inviato barbaro a chiedergli di stendersi sul ventre davanti a lui? L'uomo con la frusta in mano: la risposta era dolorosamente ovvia. «Ho detto tutto, e non stavo mentendo.» Maniakes eseguì il gesto. Lo aveva visto fare innumerevoli volte davanti a sé, ma lui non lo aveva più fatto da quando l'Avtokrator Likinios sedeva sul trono videssiano. Scoprì che il suo corpo ricordava. «Tu davvero fatto.» Moundioukh sembrava sorpreso. «Si, l'ho fatto davvero. Ho strisciolato abbastanza per te?» Dopo aver eseguito una prosternazione, profanare anche la lingua videssiana veniva facile. «È bastantemente, si,» ammise Moundioukh. «Ora noi diciamo te quello che il magnifolente khagan dice noi. Lui dice, niente affatto a questo mondo tu fai...» Pronunciò tuz faz. «...per fargli fottere Makurani. Noi, loro hanno modo di massacrarvi, e noi usare il modo.» «Voi e i Makurani litigherete dopo, anche se vincerete,» disse Maniakes. «Noi abbiamo un detto: 'i ladri si azzuffano sempre tra loro'.» «Noi litiga?» Moundioukh si strinse nelle spalle. «Allora noi litiga. Non avere più litiga con Videssiani, ora non mai più. Il magnifolente Etzilios piglia tutto, questo vale pena di qualunque litiga con Makuran.» Il khagan aveva ragione, probabilmente, se si guardavano le cose dal punto di vista kubrati. Se la città di Videssos cadeva, sarebbe stata una provincia di frontiera per i Makurani, molto lontana dal loro centro. Ma la città di Videssos era il cuore dell'Impero di Videssos. Tagliandola via, all'Impero non sarebbe rimasto alcun cuore. Il che significava libertà di manovra là intorno: era questa la scommessa che Etzilios stava facendo. «E poi,» aggiunse Moundioukh, «tu hai sconfiggere Etzilios. Lui ripagare te come tu meriti.» Per essere un barbaro, il khagan era uno che ragionava. Ma la sete di vendetta, assieme a mere ragioni politiche, poteva renderlo irragionevole... e apparentemente così era. «Se non lo avessi sconfitto prima, sarebbe arrivato qui davanti alla città da anni,» osservò Maniakes.
«Poteva stare,» disse Moundioukh. «Poteva ucciso te con trucco mentre faceva trattato. Per salvare Kubrat da guai merdosi, poteva successo.» «Sono rammaricato,» disse seccamente Maniakes. «Avrei dovuto uccidere Etzilios, in quell'ultimo combattimento, quando feci sbarcare le truppe dietro i vostri predoni. Mi sarei risparmiato un sacco di guai.» «Adesso tu avere guai, Etzilios avere guai, tutti avere guai,» disse Moundioukh, apparentemente d'accordo. «È tempi di guaì.» «Nessun accordo col khagan, dunque?» disse tristemente Maniakes. «Nessuni,» disse Moundioukh. «Lui dice io dice no. Tu insistere, io dice no e fotto te, tu insistere più forte e io dice qualcosa davvero con molto piccante. Tu vuoi che dico?» Sembrava deliziato davanti a quella prospettiva. «Lascia perdere,» gli disse Maniakes. Non si preoccupò di fare segno ai portatori di torce di allontanarsi dalla posteria: se qualche makurano avesse visto Moundioukh tornare indietro, forse avrebbe pensato che i Kubratoi li stavano tradendo anche se non era vero. «Fatelo uscire,» disse agli uomini che presidiavano la porta. «È chiaro che non possiamo raggiungere un accordo.» Essendosi aperta una volta, la porta si mostrò più propensa a farlo in maniera silenziosa la seconda... quando Maniakes avrebbe preferito più rumore. I soldati videssiani fecero scivolare la passerella sul fossato. Moundioukh la attraversò. Questa volta, nessuno lo spinse a fare attenzione. Se fosse caduto giù e si fosse rotto il collo nel fossato, che differenza avrebbe fatto? Nessuna che Maniakes riuscisse a cogliere. «Credo che valesse la pena tentare, vostra Maestà.» disse l'ufficiale addetto alla porta. «Adesso non siamo messi peggio di prima.» «È vero.» Maniakes ricordò quando fu costretto a liberarsi della corona e delle insegne imperiali per sfuggire ai Kubratoi che gli tesero l'imboscata nella cerimonia del trattato. «Si,» disse, per metà a se stesso, «Ho ricevuto di peggio dai nomadi. Questa volta, Moundioukh mi è costato solo un po' della mia dignità.» «Continuavo a sperare che non fosse vero,» disse Maniakes, osservando da una torre che s'innalzava dal muro interno. «Beh, è maledettamente vero,» rispose Rhegorios. Stava guardando nella stessa direzione. «Non vorrai certo dirmi che i Kubratoi potevano costruire tutta quella roba da soli, no?» Quella roba erano le macchine da assedio: alcuni lanciapietre e lancia-
dardi, delle strutture scheletriche di torri per superare in altezza il muro esterno. Sull'incastellatura di legno, i Kubratoi avrebbero presto aggiunto delle pelli non conciate per rendere le torri più difficili da bruciare. Se fossero riusciti a portarle vicino al muro, sarebbero stati in grado di far salire degli uomini sul camminamento. E se lo avessero fatto, tutto sarebbe potuto accadere. «Hai ragione, naturalmente... non potevano,» disse tristemente Maniakes. «Abivard, che Skotos lo maledica nel ghiaccio...», voltò la testa ed eseguì lo sputo rituale, «...ha fatto attraversare furtivamente il Canale del Bestiame a uno o due dei suoi genieri. Quelle sono macchine di fattura makurana, altrimenti io sono un lupo col pelo rosso porpora.» «Niente può più sorprendermi, niente più,» disse suo cugino. «La sola cosa peggiore sarebbe combattere a mani nude contro tutti quei Makurani con le armature pesanti.» «Quelle armature vanno bene a dorso di cavallo,» disse Maniakes. «Lo so,» replicò Rhegorios. «Ma non sono nemmeno così pesanti da non poter essere utilizzate a piedi, e io non vorrei trovarmi sul loro cammino se lo facessero.» «Beh, nemmeno io,» ammise l'Avtokrator. «La chiave per assicurarsi che non accada è far si che festino... sull'altro lato del Canale del Bestiame.» Si accigliò, in collera con se stesso. «Stavo per dire: sul loro lato del Canale del Bestiame. Non è il loro. È nostro. E ho intenzione di riprendermelo.» «La cosa mi piace,» disse Rhegorios. «Come ti proponi di farlo?» «Cosa? Di tenerli sull'altro lato del Canale del Bestiame o di riprendermi le terre occidentali?» «Quello che preferisci. Sei l'Avtokrator, dopo tutto.» Rhegorios gli rivolse un sogghigno insolente. «E tu sei incorreggibile,» ribatté Maniakes. «Abbiamo dei dromoni che vagano avanti e indietro lungo la costa, a nord-est della città. Ogni volta che trovano uno dei monoxyla, lo bruciano o lo affondano. Il guaio è che non ne trovano molti. Quelle maledette cose sono troppo semplici da nascondere. Stiamo facendo quello che possiamo. Mi consolo così.» «È qualcosa,» convenne suo cugino. «Forse non tanto, ma è qualcosa. E sul fatto di riprenderci le terre occidentali?» «Su questo?» disse Maniakes, impassibile, e poi fece come se non volesse proseguire. Quando Rhegorios si trovò su un punto a metà strada fra la lesa maestà e l'assalto fisico, l'Avtokrator, ridacchiando, si degno di conti-
nuare: «Una volta fallito l'assedio, non penso che saranno in grado di approntarne un altro per lungo tempo. E ciò rimanda a me la decisione su cosa fare dopo. Cosa te ne pare di un altro viaggio fino alla Terra delle Mille Città? È meglio che sia Sharbaraz a preoccuparsi per la sua capitale che noi a preoccuparci per la nostra.» «Questo è vero.» Rhegorios gli rivolse un'occhiata rispettosa. «Davvero pensi di farlo?» Maniakes tossì, farfugliò e finalmente scoppiò a ridere. «Io so cosa mi piacerebbe fare, si. Se, potrò farlo è un'altra questione, e molto più ardua, purtroppo.» Rhegorios parve riflettere. «Forse dobbiamo usare le nostre navi contro i Kubratoi come facemmo tre anni fa: sbarcare le truppe dietro la loro armata e prenderli fra incudine e martello.» «Forse,» disse Maniakes. «Ci avevo pensato. Il guaio è che Etzilìos questa volta se lo aspetta. I capitani dei dromoni mi hanno riferito che ha messo delle squadre lungo la costa a intervalli di circa un miglio, perché possano informarlo se noi sbarchiamo. Non riusciremmo a coglierlo di sorpresa, come facemmo allora. Ed è molto probabile che lui farebbe attaccare la città non appena venisse a sapere che abbiamo portato via una parte della guarnigione.» «Sfortunatamente, la cosa ha molto senso,» disse Rhegorios. «Sei molto acuto quando applichi la logica, sai. Avresti potuto fare il teologo.» «No, grazie,» disse subito Maniakes. «Ho avuto tanti di quei guai dai teologi, che non vorrei infliggerne a nessuno al mondo. Inoltre, nel migliore dei casi sarei un mediocre teologo, e sono abbastanza vanitoso da pensare di poter fare meglio di un mediocre Avtokrator.» «Direi di si,» convenne Rhegorios. «Naturalmente, se non dicessi così, andrei a scoprire com'è il tempo a Prista in questo periodo dell'anno.» Stava scherzando: non si aspettava sul serio di essere mandato in esilio al di là del Mare Videssiano. Lo scherzo, però, spiegava il problema che aveva Maniakes nell'ottenere risposte franche dai suoi sudditi, per quanto lui ne avesse bisogno. E alcune delle risposte che otteneva dai suoi sudditi non gli piacevano per altre ragioni. Mentre stava tornando dalle mura al galoppo diretto al quartiere del palazzo, un uomo in una sudicia tunica gli gridò, «È colpa tua, maledetto! Se non avessi sposato tua cugina, Phos non avrebbe punito Videssos e lasciato libero Skotos per i tuoi peccati!» Alcune delle guardie dell'Avtokrator cercarono di agguantare l'importu-
no, ma lui riuscì a fuggire. Una volta lontano dalla Strada Centrale, si perse nel labirinto di vicoli e viuzze che costituivano gran parte delle strade della città. Le guardie ritornarono incollerite e deluse. «Non preoccupatevi,» disse Maniakes rassegnato. «Penserà Skotos a quell'individuo. Spero che si diverta nel ghiaccio, perché ci resterà un'eternità.» Sperava che, minimizzando l'incidente, avrebbe persuaso le guardie che non valeva la pena parlarne. In caso contrario, si sarebbero messe a spettegolare con le serve, e la cosa da loro sarebbe arrivata a Lysia. Era anche lieto che Rhegorios fosse rimasto sulle mura e non avesse udito il disturbatore. Nel predire che simili guai sarebbero durati parecchio, si era rivelato miglior profeta di Maniakes. L'Avtokrator non rimase a lungo nella residenza imperiale. Likarios, il figlio avuto da Niphone e suo erede al trono, gli chiese, serio, «Papà, quando saranno grandi, i miei fratelli mi cacceranno dal palazzo?» «Per il buon dio, no!» esclamò Maniakes, tracciandosi il cerchio sul cuore. «Chi ti sta riempiendo la testa di queste sciocchezze?» Likarios non diede una risposta diretta: aveva imparato molto presto a essere prudente. «È una cosa che ho sentito.» «Beh, è una cosa che puoi dimenticare,» gli disse Maniakes. Suo figlio annuì, apparentemente soddisfatto. Maniakes desiderò di essere soddisfatto anche lui. Sebbene Likarios fosse suo erede, aveva sempre la tentazione di diseredare il ragazzo e spostare la successione sulla discendenza di Lysia. Lei non lo aveva mai spinto in quella direzione. Se lo avesse fatto, lui avrebbe pensato che anteponeva il suo vantaggio a quello dell'Impero. Ma ciò non impediva all'idea di riaffacciarsi nella sua mente. Per scacciare quell'idea, raggiunse la diga marittima. Un dromone scivolava sull'acqua del Canale del Bestiame. La vista, però, era molto meno rassicurante di come lo era stata quando i Makurani erano accampati ad Aldilà. I monoxyla spuntavano fuori di notte e provocavano guai di ogni genere, proprio come facevano i topi anche nelle case dove si aggiravano i gatti. Poi gli venne in mente un'immagine diversa. Per due o tre volte, nei granai e nelle stalle, aveva visto dei serpenti avvolgere le loro spire intorno ai topi o ad altri piccoli animali. I topi si dimenavano, scalciavano e talvolta riuscivano anche a liberare un arto per un poco, ma senza esito. Venivano stretti in tanti punti del corpo, che finivano per morire nonostante tutti i loro contorcimenti.
Desiderò che quell'immagine non gli fosse venuta in mente. In essa, l'Impero di Videssos era il topo, non il serpente. Cosa stava architettando Abivard, laggiù ad Aldilà? Non poteva spostare di nascosto l'intera armata su questo lato del Canale del Bestiame a dieci o venti uomini per volta, se davvero aveva intenzione di prendere la città di Videssos prima dell'inverno. Maniakes era sicuro che voleva prendere la città più in fretta che poteva. I Kubratoi, del resto, non potevano mantenere l'assedio indefinitamente. Avrebbero depredato tutta la regione, e sarebbero stati costretti ad andarsene. Ciò significava... cosa? Probabilmente, un imminente tentativo da parte di Abivard di portare una buona fetta dell'armata sul lato orientale del Canale del Bestiame. Se la flotta fosse riuscita a fermarlo, l'assedio sarebbe probabilmente crollato sotto il suo stesso peso. Se la flotta non lo avesse fermato, forse la città di Videssos sarebbe caduta, malgrado tutta la storia passata di invincibilità. Per i Makurani, insegnare ai Kubratoi le tecniche dell'assedio era stata una cosa sicuramente ardua... o peggio. Per i Makurani, condurre loro stessi l'assedio sarebbe stato peggio ancora. Diversamente dai nomadi, sapevano davvero quello che stavano facendo. «Vorrei avere un migliore drungarios della flotta,» mormorò Maniakes. Erinakios, il precedente e irritabile comandante della flotta della Chiave, sarebbe stato l'ideale... se il capo dei maghi di Genesios non lo avesse ucciso con la magia mentre il tiranno stava cercando di opporsi a Maniakes. Una guardia venne trotterellando verso di lui. «Vostra Maestà, c'è un messaggero proveniente dalle mura nella residenza imperiale, che chiede di voi,» gridò l'uomo. «Vengo,» disse subito Maniakes. «È cominciato l'attacco?» Le torri d'assedio kubrati non erano ancora completate, ma forse questo contava poco. Se era cominciato l'attacco, tutte le preoccupazioni di Maniakes per quello che poteva accadere sarebbero svanite, sopraffatte dalle preoccupazioni per quello che stava accadendo. Queste, almeno, sarebbero state immediate, e... con un po' di fortuna... suscettibili di immediati interventi risolutivi. Ma la guardia scosse la testa. «Non credo, vostra Maestà... avremmo sentito il trambusto da qui, no? Sembra, però, che sia qualcosa di importante.» «Forse hai ragione sul trambusto,» ammise Maniakes. Seguì il soldato con un'andatura a metà strada fra il passo e il trotto. Mentre si affrettava, si grattava la testa. Era stato sulle mura poco prima che arrivasse la guardia, cos'era cambiato di così importante da doverlo accertare di persona? Si co-
strinse a scrollare le spalle, e si costrinse anche a rilassarsi. Lo avrebbe appurato nel giro di qualche momento. Il messaggero cominciò a prosternarsi. Maniakes, perdendo la pazienza che aveva coltivato, gli fece segno di non preoccuparsi. L'uomo giunse subito al punto: «Vostra Maestà, Immodios, che lo conosce bene, ha scorto Tzikas al di là delle mura.» Maniakes s'irrigidì e trasalì, come se li vicino fosse scoccato un fulmine. Beh, forse non c'era molta differenza. «Lo ha scorto?» disse. «Beh, e ha cercato di ucciderlo?» «Uh, no, vostra Maestà,» disse il messaggero. «Per il buon dio, perché no?» domandò Maniakes. Gridò che gli portassero Antilope... o almeno, se il suo destriero non era già pronto, qualsiasi altro animale che potesse essere sellato in un baleno. Il castrato che finì col montare non aveva lo scatto di Antilope, ma lo portò alle mura prima di poter esaurire tutta la sua energia. Il messaggero lo guidò fino al muro esterno, in prossimità di una delle torri d'assedio. Immodios stava là. Puntò il dito. «È là, vostra Maestà. Lo vedete? Quello alto e magro che cammina assieme ai Kubratoi?» «Lo vedo,» rispose Maniakes. Tzikas si muoveva con andatura maestosa oltre la portata degli archi. Indossava un caffettano makurano che si gonfiava nella brezza, e si era lasciato crescere una barba ben più folta della norma videssiana, che la voleva corta e ben curata, anche se restava inconfondibilmente videssiano. La sua corporatura, come aveva detto Immodios, lo collocava lontano dai tozzi nomadi che lo accompagnavano, ma Maniakes pensò che lo avrebbe riconosciuto anche fra i Makurani, la cui statura quasi eguagliava la sua. Tutto quello che si doveva fare era attendere che si fermasse a indicare qualcosa, qualsiasi cosa. Lo voglio s'irradiava da ogni poro del suo corpo. Un lanciadardi stava a pochi passi di distanza, pronto a scagliare i suoi proiettili sui Kubratoi quando avessero iniziato l'attacco. I dardi aspettavano accanto, nelle ceste di vimini che fungevano da enormi faretre. La macchina li scagliava più lontano di quanto il più forte degli uomini poteva scagliare una freccia. Il padre di Maniakes si era assicurato che Maniakes sapesse come utilizzare ogni genere di macchina dell'esercito videssiano. L'Avtokrator poteva quasi udire il vecchio Maniakes che diceva, «Imparare non ti fa alcun male, e di tanto in tanto qualcuna delle cose che hai imparato - e non lo saprai mai in anticipo - ti tornerà utile.»
Dopo aver rivolto mentalmente un saluto militare a suo padre, Maniakes osservò, «Ritengo che la distanza dal figlio di puttana sia di circa un furlong e mezzo. Ti sembra abbastanza giusto, Immodios?» «Uh, si, vostra Maestà,» replicò Immodios. Sebbene la domanda lo avesse colto di sorpresa, l'aveva già presa in considerazione prima di parlare. Maniakes ne fu soddisfatto. Afferrò un dardo, lo collocò nel solco della catapulta, e disse, «Allora forse mi farai l'onore di manovrare l'altro verricello. Non so se possiamo colpirlo, ma che io possa cadere nel ghiaccio se non intendo provarci.» Immodios ammiccò di nuovo, poi manovrò il verricello con zelo. Per una distanza di un furlong e mezzo, occorrevano quindici rotazioni del verricello: di più avrebbero teso troppo la corda e scagliato il dardo troppo lontano, di meno sarebbe caduto prima. La struttura di legno della catapulta cigolò sotto la tensione in aumento della corda. Il lanciadardi non puntava nella direzione esatta. Maniakes usò una leva per portarlo nella direzione di Tzikas. Controllò la mira con due spinotti inseriti nella struttura parallelamente alla scanalatura. Non era ancora precisa. Fece ruotare la macchina ancora un poco con la leva, poi grugnì di soddisfazione. Tzikas non stava badando all'attività sulle mura. Stava indicando qualcosa al livello del suolo, qualcosa alla quale i Kubratoi prestavano un'attenzione estatica. Maniakes guardò Immodios. «Siamo pronti?» «Si, vostra Maestà, credo di si,» rispose il sobrio ufficiale. Maniakes raccolse un mazzuolo di legno e assestò un colpo secco alla levetta di sgancio. Questa lasciò andare i bracci di lancio, che scattarono in avanti liberando il dardo. La macchina che lo aveva scagliato sgroppò come un asino selvatico. Metà della struttura sobbalzò in aria. Ricadde sul camminamento un attimo dopo. Il dardo volò dritto verso Tzikas, più rapido e su una traiettoria più rettilinea di quella che un arciere avrebbe mai potuto imprimere a una freccia. «Credo che stiamo per...» La voce di Maniakes salì per l'eccitazione. Un kubrati si portò davanti al rinnegato videssiano. Il nomade doveva avere scorto il dardo, poiché allargò le braccia un istante prima che esso lo colpisse. Prima che avesse la possibilità di fare di più, lui stesso venne scagliato via dal terribile impatto. «Stupido sciocco,» ruggì Maniakes. «Che possa andare al ghiaccio... era Tzikas che volevo.» Afferrò un altro dardo e lo infilò nella catapulta. Troppo tardi. Proprio mentre lui e Immodios manovravano i verricelli ai
lati della macchina, seppe che era troppo tardi. Tzikas e i Kubratoi si stavano disperdendo, tutti eccetto lo sfortunato che il dardo aveva massacrato. Giaceva dov'era caduto, come uno scarafaggio schiacciato. «Ci siamo andati vicini,» disse Immodios. «Vicini, si,» rispose Maniakes. «Ma vicini non è abbastanza. Lo volevo morto. E pensavo che lo avrei avuto. Un po' più di fortuna...» Scosse la testa. Non ne aveva vista molta durante il suo regno, e qualunque cosa aveva fatto, aveva dovuto farsela da sé. Un opportuno errore da parte del nemico, un messaggio makurano veramente importante che cadeva nelle sue mani... la prossima volta che avesse visto una cosa del genere sarebbe stata la prima. «Mi domando cosa stava mostrando il traditore ai Kubratoi,» osservò Immodios. «Non ne ho idea,» disse Maniakes. «E non m'importa nemmeno. Il guaio è che potrà ancora mostrargliela, ogni volta che vorrà e di qualsiasi cosa si tratti. Non gliel'avrebbe più mostrata se non fosse stato per quel dannato nomade, possa Skotos afferrarlo per sempre.» Che il kubrati avesse pagato con la vita il fatto di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, non parve a Maniakes una punizione sufficiente. Immodios insistette: «Cosa sa Tzikas su come sono state costruite le mura della città?» «Parecchio, purtroppo per noi,» rispose Maniakes. «Tuttavia, non arriverà abbastanza vicino da servirsi di quello che sa, se avrò ancora qualcosa da dire in merito.» Ma quanto avrebbe avuto la possibilità di dire? Immodios, essendo vigile, acuto nello sguardo e già collega di Tzikas, aveva riconosciuto il traditore a notevole distanza. Quanti altri ufficiali sarebbero riusciti a fare la stessa cosa il giorno dopo, o quello dopo ancora o dopo una settimana? Più Maniakes ci pensava, meno gli piaceva la risposta che gli venne in mente. Qualunque cosa sapesse Tzikas, probabilmente aveva la possibilità di mostrarla agli uomini che adesso chiamava amici... a meno che non decidesse di tradirli ancora. Se Tzikas lo avesse fatto, Maniakes decise che lo avrebbe accolto a braccia aperte. E se ciò non era misura della sua disperazione, non sapeva cosa lo fosse. Osservare le torri kubrati crescere e abbellirsi con pelli e scudi in cima era quasi come osservare degli alberelli allungarsi in fretta e mettere su foglie mentre la primavera cedeva il posto all'estate. Maniakes scoprì solo
due differenze: le torri crescevano più rapidamente di qualsiasi alberello, e diventavano più minacciose quando erano prossime al completamento, mentre invece le foglie rendevano gli alberi più belli. I Kubratoi stavano diventando più metodici nell'assedio di quanto Maniakes avesse mai ritenuto possibile. Accreditava ciò - o piuttosto, dava la colpa di ciò - ai Makurani che i monoxyla dei nomadi avevano trasportato dalle terre occidentali. Abivard e i suoi ufficiali conoscevano la pazienza e la sua utilità. Ben oltre la portata degli archi, delle pietre e dei dardi videssiani, i Kubratoi si esercitavano ad arrampicarsi sulle loro torri e a salire sulle scale di legno che avevano costruito. Si esercitavano anche a spostare le strutture sgraziate, con cavalli e muli e poi con gli uomini dentro le torri. «Stanno scoprendo che la cosa non è così facile come pensavano,» osservò il vecchio Maniakes un giorno, mentre lui e suo figlio osservavano una torre d'assedio strisciare a un'andatura abbastanza rapida da raggiungere e schiacciare una lumaca... ammesso sempre che non si dava il via alla lumaca. «Credo che tu abbia ragione,» convenne l'Avtokrator. «Nessuno adesso li sta bersagliando. Non importa cosa facciano, non saranno in grado di impedire a tutti i nostri dardi e alle pietre di procurare loro dei danni quando cominceranno i combattimenti.» «E questo fa un po' di differenza, no?» disse il vecchio Maniakes con una risatina catarrosa. «Tu lo sai, e lo so io, ed Etzilios è stato un bandito abbastanza in gamba negli anni da saperlo, ma i poveri kubrati normali lo sanno? Se non lo sanno, lo impareranno in fretta, poveracci.» «Cosa facciamo se i nomadi riescono a portare degli uomini sulle mura a dispetto di tutto quello che facciamo per impedirglielo?» chiese Maniakes. «Uccideremo i bastardi.» rispose subito suo padre. «Finché Etzilios non cavalcherà nel quartiere del palazzo o il Mobedhan-Mobhed non scaccerà il patriarca dall'Alto Tempio, sono troppo testardo per pensare di aver perso. Solo in quelle circostanze penso che mi convincerei.» Maniakes sorrise. Voleva solo che le cose fossero semplici come suo padre, un uomo della vecchia scuola, ancora riteneva che fossero. «Ammiro lo spirito,» disse, «ma cosa faremo se accadrà?» «Io non lo so,» rispose suo padre, un po' irritato. «La cosa migliore a cui riesco a pensare è fare in modo che non accada.» «Sembra facile, se la metti così,» disse Maniakes, e il vecchio Maniakes emise un grugnito che senza dubbio voleva essere una risata. L'Avtokrator
proseguì, «Vorrei che non stessero presidiando con tanta attenzione tutte quelle loro macchine da assedio. Avevo detto di no a Rhegorios, ma credo che farei una sortita contro di loro per vedere quanto danno potrei fare.» Suo padre scosse la testa. «Avevi ragione la prima volta. Il miglior vantaggio che abbiamo è combattere dall'interno della città e dalla sommità delle mura. Se facciamo una sortita, gettiamo tutto questo dalla finestra.» Sollevò una mano. «Non sto dicendo di non farla mai. Sto dicendo che il vantaggio della sorpresa deve superare lo svantaggio di perdere la nostra posizione.» Soppesando la cosa, Maniakes decise che aveva certamente senso. «Finché stanno allerta non vale la pena fare una sortita.» «È quello che stavo dicendo,» convenne il vecchio Maniakes. «Beh, i soldati sulle mura dovranno solo tenere gli occhi aperti, questo è tutto,» disse Maniakes. «Se si presenterà l'occasione, la coglierò.» «Due cose del tutto diverse,» disse suo padre. «Tutto dipende da come le guardi,» disse Maniakes. Fece una smorfia che suggeriva che stesse succhiando un limone. «Devo dire che sono stanco di gente che strilla che l'assedio è colpa mia perché ho sposato Lysia.» «Si, posso capire come ti senti,» disse con voce ferma il vecchio Maniakes. «Ma ciò non sorprende nemmeno, no? Sapevi, non appena decidesti di sposarla, che la gente ti avrebbe strillato quel genere di cose. Se non lo sapevi, non è perché io non te l'ho detto. La domanda che devi porti, come se stessimo parlando di fare una sortita contro i Kubratoi, è: la pena che patisci adesso vale ciò che hai ottenuto dal matrimonio?» «Un modo maledettamente freddo di guardare le cose,» osservò Maniakes. «Io sono un tipo dal sangue freddo,» replicò suo padre. «E lo sei anche tu, se è per questo. Se tu non sapessi quali sono le probabilità, come faresti a scommettere?» «Ne è ben valsa la pena. Ne è più che valsa la pena.» L'Avtokrator sospirò. «Avevo sperato, però, che le cose si sarebbero calmate con gli anni. Non è accaduto. E non è prossimo ad accadere. Ogni volta che qualcosa va storto, la gente in città mi getta in faccia il matrimonio.» «Faranno la stessa cosa anche fra vent'anni,» disse il vecchio Maniakes. «Credevo che lo avessi già capito.» «Oh, l'ho capito,» disse il figlio. «Il solo modo che conosco per spingere tutti loro... beh, la maggior parte di loro... a tacere è cacciare via Makurani e Kubratoi.» Indicò le torri d'assedio. «E puoi vedere che bel lavoro ho fat-
to.» «Non è colpa tua.» Il vecchio Maniakes sollevò l'indice. «Oh, in parte lo è: hai dato una brutta bastonata a Etzilios e lo hai reso ansioso di prendersi la rivincita. Ma non puoi incolparti di nulla. Stavamo cercando di colpire Sharbaraz nel luogo dove dimora, e adesso lui sta cercando di restituirci il favore. Ciò rende lui più intelligente. Ma non rende te stupido.» «Avrei dovuto preoccuparmi di più del fatto che Abivard e i 'bolliti' erano spariti,» disse Maniakes. Gli veniva facile rimproverarsi: aveva continuato a farlo fin da quando aveva lasciato la periferia di Mashiz. «E cosa avresti fatto se avessi saputo che aveva lasciato la Terra delle Mille Città?» gli chiese suo padre. «La mia opinione è che avresti raggiunto subito Mashiz e avresti cercato di prenderla perché sapevi che lui non poteva fermarti. E dal momento che è proprio quello che hai fatto, perché continui a tormentarti così?» Maniakes lo fissò. Non aveva trovato alcuna ragione per perdonarsi di non essere riuscito a capire quello che Abivard e Sharbaraz stavano complottando. E ora, in tre frasi, suo padre l'aveva trovata per lui. Come avvertendo il suo sollievo, il vecchio Maniakes gli diede una pacca sulla schiena. «Non potevi prevedere che le cose andassero così, figliolo. È questo che ti sto dicendo. Ma ora che stanno così, devi riuscire a trovare un rimedio. In questo non è cambiato niente, nemmeno una singola, solitaria e miserabile briciola.» Lontano, i Kubratoi stavano ancora spingendo avanti e indietro le loro torri d'assedio, cercando di imparare come usarle e cosa farne. Su un'altra torre, una che non si stava muovendo, un gruppo di operai stava inchiodando pelli sulla parte alta della struttura. Di li a non molto, anche quella torre sarebbe stata ultimata. «Lo so, padre,» disse Maniakes. «Credimi, lo so.» Splendido... forse anche magnifolente, pensò ironicamente Maniakes... nelle sue vesti di seta trapuntate d'oro e d'argento e tempestate di perle e altre gemme, il patriarca ecumenico Agathios marciava lungo la Strada Centrale in testa alla processione partita dalla Porta d'Argento e diretta ai bastioni della Città di Videssos. Dietro di lui sfilavano i sacerdoti minori, alcuni facendo oscillare* incensieri in modo che il fumo fragrante portasse le preghiere della gente in cielo e alla consapevolezza del signore dalla mente grande e buona, altri levando le voci ben impostate nei canti di lode a Phos.
Dietro i sacerdoti veniva Maniakes, in groppa ad Antilope. Quasi tutti acclamavano Agathios. Tutti senza eccezione acclamavano i sacerdoti più giovani. Sebbene fossero stati tutti scelti perché sostenevano con un certo vigore la dispensa che Agathios aveva concesso a Maniakes per il suo matrimonio con Lysia, ciò non risultava scontato per la gente della città. I sacerdoti che si occupavano di loro - tutti quelli che si occupavano di loro meritavano lode, e la ottenevano. La processione non ci sarebbe stata affatto se Maniakes non l'avesse sostenuta. Al popolo della città ciò non importava. Alcuni fischiavano e imprecavano al suo indirizzo perché i Kubratoi e i Makurani avevano cinto d'assedio la città di Videssos. E quelli erano coloro che ricordavano solo le cose accadute il giorno prima. Altri fischiavano e imprecavano al suo indirizzo perché ritenevano che la sua unione con la cugina Lysia fosse incestuosa. E questi, numerosi come quelli dell'altro gruppo, erano coloro che ricordavano tutto e non perdonavano nulla. Alcune persone acclamavano anche lui. «Hai sconfitto i Kubratoi,» gridò qualcuno mentre lui passava, «e hai sconfitto i Makurani. Adesso li sconfiggerai tutti assieme.» Seguirono altre acclamazioni... qualcuna, almeno. Maniakes si voltò verso Rhegorios, che cavalcava dietro di lui e alla sua sinistra. «Adesso devo batterli tutti assieme. Non dovrei sentirmi fortunato?» «Se sei fortunato, li sconfiggerai tutti assieme,» replicò il cugino. «È quello che accadrà se non sarai fortunato che mi preoccupa.» «Sei sempre rassicurante,» disse Maniakes, facendo ridere Rhegorios. Quando il coro non cantava inni alla folla, Agathios gridava un invito al popolo sotto i colonnati che osservava la processione come avrebbe osservato uno spettacolo di intrattenimento: «Unitevi a noi nella piazza di Palamas! Unitevi a noi nella preghiera per la salvezza dell'Impero!» «Forse avremmo dovuto farlo nell'Alto Tempio, dopo tutto,» disse Maniakes. «Avrebbe conferito alla cerimonia un'aria più solenne.» «Se vuoi un'aria solenne, trova una puzzola,» disse Rhegorios, tappandosi il naso. «Solo i nobili e una manciata di comuni cittadini possono entrare nell'Alto Tempio. Tutti gli altri sanno solo per sentito dire quello che accade là dentro. Così, invece, tutto il popolo saprà.» «Già,» disse Maniakes. «Se tutto va bene, dirò che avevi ragione. Ma se le cose vanno male, tutti ne saranno al corrente.» Per quanto lo riguardava, il patriarca ecumenico stava facendo del suo meglio per far andare male le cose. «Venite a pregare per la salvezza
dell'Impero!» gridò di nuovo Agathios. «Venite a implorare il buon dio di perdonare i nostri peccati e di restituirci la purezza.» «Lo purificherò io,» borbottò Maniakes. «Lo terrò nel forno per due settimane, finché non gli colerà via tutto il grasso.» Quando il patriarca parlava di perdonare i peccati, a quali poteva pensare la mente del popolo? Ai suoi stessi peccati? Maniakes emise uno sbuffo ironico. Non era probabile. Avrebbero pensato a lui e a Lysia. Se fosse stato un altro, avrebbe sospettato che volesse deliberatamente incitare il popolo contro di lui. In realtà, aveva sospettato di Agathios, ma solo per poco. Aveva capito che il patriarca ecumenico era un bimbo in fasce quando si trattava di questioni politiche. Si domandò che genere di folla avrebbero attirato nella piazza di Palamas, che di solito non era scenario di adunanze religiose. Mentre se lo domandava, si voltò a guardare sopra la spalla. Dietro la Guardia Imperiale, dietro un paio di reggimenti che si erano distinti nella Terra delle Mille Città, veniva un'ondata di cittadini videssiani decisi ad ascoltare quello che il patriarca e l'Avtokrator avevano da dire. La piazza si sarebbe riempita. E la piazza, in effetti, era zeppa. Agathios ebbe difficoltà a farsi strada fino alla piattaforma che era stata allestita per lui, una piattaforma più spesso usata dagli imperatori per rivolgersi ai cittadini. Maniakes si voltò di nuovo a guardare sopra la spalla. Questa volta agitò una mano. Le guardie si avvicinarono trotterellando fra le file di sacerdoti. Usando con efficienza gomiti, aste di lance e spade inguainate per farsi largo, raggiunsero il patriarca sulla piattaforma in breve tempo e provocando anche poca rabbia nella gente: impresa non marginale nella città di Videssos, dove tutti erano suscettibili anche quando non c'era un assedio. «Noi ti benediciamo, Phos, signore dalla mente grande e buona,» intonò Agathios, «nostro protettore per tua grazia, e ti preghiamo di far si che questa grande e vitale prova che ci attende sia in nostro favore.» Recitare il credo del buon dio era la cosa più insulsa che il patriarca ecumenico avrebbe potuto fare. E scegliere la cosa più insulsa da fare era del tutto nel suo carattere. Come sicuramente sapeva che avrebbero fatto, i cittadini si unirono a lui nel credo: molti di loro si tracciarono il cerchio del sole di Phos sul cuore mentre pregavano. Talvolta la scelta più insulsa era anche la più saggia. Agathios aveva fatto in modo che il suo uditorio fosse ricettivo, come aveva sperato, prima di dire quello che aveva deciso dì dire. «Abbiamo bisogno di essere uniti, di rammentare che tutti noi seguiamo
Phos e che siamo tutti Videssiani,» dichiarò il patriarca ecumenico. Le labbra di Maniakes si mossero assieme a quelle di Agathios. Conosceva l'imminente sermone almeno quanto il patriarca: e la cosa non sorprendeva, dal momento che ne aveva scritto lui la maggior parte. Agathios non aveva obiettato che si trattava di una dottrina fallace. Ottima cosa, pensò Maniakes. Non mi sarebbe piaciuto cambiare patriarca in questa situazione. Agathios gesticolò in direzione di quello che c'era al di là delle mura. «Là, intorno a noi, ci sono le tende dei Makurani, che adorano il loro falso Dio e che hanno costretto i templi di Phos nella terra che hanno rubato a Videssos a conformarsi ai costumi fallaci dei Vaspurakani: e là, sempre intorno a noi. ci sono le tende dei Kubratoi, che adorano solo le loro spade e il potere assassino del ferro affilato. Possa il buon dio impedire che la nostra discordia conceda ai nostri nemici la vittoria contro di noi. poiché una simile vittoria estinguerebbe sicuramente la luce della nostra vera fede nel mondo.» Gli applausi iniziarono vicino alla piattaforma e si propagarono intorno. Maniakes e Rhegorios si scambiarono uno sguardo divertito. In cerimonie di quel genere, non si doveva lasciare nulla al caso. Un paio di dozzine di uomini, con un po' di pezzi d'oro nelle borse, potevano creare parecchio entusiasmo e trasmetterlo alla folla. Parlare ad Agathios di questo espediente sarebbe stato... irrilevante era la parola che Maniakes aveva trovato. Se il patriarca ecumenico fosse stato gratificato dalla reazione che riceveva, avrebbe predicato meglio. O almeno, questo l'Avtokrator si era detto. E così fu. Con voce stillante sincerità, Agathios proseguì: «E così, compagni cercatori della verità e della luce santa di Phos e dell'illuminazione che da essa promana, esercitiamo oggi un principio basilare dell'economia e cerchiamo l'accordo con chi non è d'accordo. Mettiamo da parte tutte le questioni che ora ci dividono, finché non verrà il momento in cui potranno essere considerate senza considerare anche la minaccia di sterminio imminente sotto la quale ci troviamo.» Di nuovo, la claque assoldata diede inizio all'applauso. Di nuovo, esso si propagò. Per quanto riguardava Maniakes, Agathios stava parlando assennatamente. Il fatto che Videssos, sul punto di cadere nelle mani del nemico, potesse continuare a chiedersi se lui si era sposato entro i limiti prescritti dalla gerarchia del tempio era al di là della sua comprensione. Non era, comunque, al di là di quella di alcuni Videssiani. «Traditore!»
gridarono, protetti dall'anonimato della folla. «Vile!» «Meglio morire nel saccheggio e andare nella luce di Phos, che vivere nel peccato e trascorrere l'eternità nel ghiaccio di Skotos!» Gridarono anche altre cose all'indirizzo di Maniakes e di Lysia - che non era là - cose per le quali lui avrebbe sfoderato la spada se avesse saputo chi colpire. Fece un paio di passi verso Agathios e Rhegorios gli mise una mano sul braccio. «Attento,» lo ammonì il Sevastos. «Sei sicuro di sapere cosa stai facendo?» «Sono sicuro,» brontolò l'Avtokrator. Il suo tono fece preoccupare ancora di più il cugino. «Qualunque cosa sia, sei sicuro che domani non te ne pentirai?» «Abbastanza sicuro,» disse Maniakes, più coerentemente con il suo carattere. Rhegorios, ancora fosco in volto, non ebbe altra scelta che farsi da parte e lasciare che il suo sovrano facesse quello che voleva fare. Agathios parve sorpreso di vedere l'Avtokrator che si avvicinava: se le cose fossero andate secondo i piani, Maniakes non avrebbe dovuto parlare finché il patriarca non avesse finito. Beh, pensò Maniakes, le cose non sempre vanno secondo i piani. Se fosse così, in questo momento sarei a Mashiz, non qui. Come il Sevastos non poteva fermarlo, così il patriarca ecumenico non poteva impedirgli di parlare adesso, dal momento che aveva mostrato il desiderio di farlo. «Vostra Maestà,» disse Agathios e, inchinandosi, si trasse in disparte. Maniakes stava sull'orlo della piattaforma e guardava a ovest. La folla che riempiva la piazza di Palamas gli riempiva la visuale, ma oltre la piazza c'era la Strada Centrale, dalla quale era arrivato il corteo proveniente dalle mura della città. E al di là delle mura, apparentemente tenuti in scarso conto da molta gente della città, restavano i Kubratoi e i Makurani. Per un paio di minuti, Maniakes si limitò a restare dov'era stato Agathios. Fu raggiunto da alcuni insulti, ma la maggior parte della folla aspettò di sentire quello che aveva da dire. E ciò fece apparire inutili e vuoti quegli insulti, relitti galleggianti di suoni su un mare di silenzio. Finalmente, l'Avtokrator parlò, impostando la voce come se fosse su un campo di battaglia. «Non m'interessa molto se voi mi amate o no.» Era una bugia enorme, ma era anche un'armatura contro alcune delle cose che la gente aveva gridato a lui e a Lysia. «Quello che pensate di me è affar vostro. Quando la mia anima attraverserà il ponte della separazione e si troverà di fronte al signore dalla mente grande e buona, lo farà con limpida
coscienza. «Ma ciò non importa, come ho detto. Quando arriverà il Giorno di Mezzo Inverno, potrete inveire contro di me come vi piacerà. E lo farete. Vi conosco, abitanti della città: lo farete. Procedete pure. Nel frattempo, dobbiamo assicurarci che potremo celebrare il Giorno di Mezzo Inverno nell'Anfiteatro. Non c'è bisogno che mi amiate perché questo accada: i soldati non devono amare il loro comandante, devono solo fare quello che lui ordina e impedire che le cose vadano male. Dopo che avremo difeso la città, potremo azzuffarci tra noi per il piacere dei nostri cuori. Fino ad allora, faremo meglio ad aspettare.» Silenzio. Dall'intera folla, silenzio. Alcuni membri della cinque assoldata applaudirono, ma il loro applauso parve perdersi nel vuoto com'era accaduto agli insulti precedenti. Maniakes credette di aver ottenuto una tregua, una sospensione di giudizio, se non il consenso. Si sarebbe tranquillamente accontentato. E poi, dal silenzio, un grido: «Phos farà cadere la città, a causa del tuo peccato.» Dopodiché, altre grida, forsennate, feroci, implacabili. I nemici peggiori si trovavano fuori dalle mura, o dentro? Voleva gridare lui stesso, urlare ai soldati che massacrassero quegli odiosi provocatori. Ma, se lo avesse fatto, che importanza avrebbe avuto se fossero riusciti a respingere i Makurani e i Kubratoi? Su chi avrebbe governato, allora, e come? Sollevò una mano. Lentamente, tornò il silenzio. «Se la città non cadrà, allora la dispensa del patriarca ecumenico dev'essere valida. E la città non cadrà.» Di nuovo silenzio, adesso, e più lungo. Sfida. Accettata. CAPITOLO SESTO Oltre le mura, un corno squillò. Una volta, sarebbe stato un corno videssiano. Il kubrati che lo suonava, però, non aveva alcun concetto videssiano di musica. Quello che voleva era strepitare col corno, più che poteva, come farebbe un bambino per sollecitare la sua armata di soldatini di legno in marcia verso la guerra. Ma solo nell'immaginazione di un bambino i soldati di legno avrebbero attaccato e combattuto e, naturalmente, spazzato ogni cosa davanti a loro. Quello che il kubrati incitava era reale, così reale e spaventoso che avrebbe anche potuto essere uno stregone a soffiare nel corno invece di un sempli-
ce suonatore. Strillando come demoni, i Kubratoi eruppero dall'accampamento e si lanciarono verso (a città di Videssos, alcuni a cavallo, altri a piedi. Cominciarono a scagliare frecce contro i loro nemici prima ancora che fossero alla loro portata, cosicché i primi dardi caddero nel fossato alla base della grande massa di pietra e quelli immediatamente successivi colpirono la pietra e per lo più andarono in pezzi. Ma, come gocce di pioggia all'inizio di una tempesta, erano solo le prime di tante. Presto, le frecce superarono il muro esterno e volarono fra i difensori in cima. Una passò ronzando davanti alla faccia di Maniakes e poi scese per colpire la base del muro interno. Non tutti i dardi volarono fra i difensori. A nemmeno venti piedi dall'Avtokrator, un uomo cadde sul camminamento, contorcendosi, piangendo, imprecando, gridando. Un paio di suoi compagni, sfidando più frecce che se fossero rimasti accosciati dietro le merlature, lo spinsero fino a una torre d'assedio. Là dentro erano in attesa i cerusici per fare tutto quello che potevano per il ferito. Anche i sacerdoti-guaritori attendevano, per scagliare la loro fede e la loro energia contro le ferite della guerra. Una catapulta s'impennò e ricadde con un tonfo. Un dardo volò, dritto e rapido. Inchiodò la gamba di un nomade al suo cavallo. Il cavallo cadde come colpito da una scure, bloccando l'altra gamba dell'uomo fra il suo corpo scalciante e il suolo. Le grida del kubrati, semmai le stesse emettendo - semmai fosse ancora vivo - vennero cancellate, sommerse, dimenticate nel tumulto. Anche i lanciapietre sul muro scagliarono i loro spaventosi fardelli sugli attaccanti. Un uomo colpito da una pietra che pesava la metà del suo peso e viaggiava come una freccia cessò di essere un uomo, diventando invece, in un batter d'occhio, un orrore rosso steso immobile per terra, cosparso sul suolo o ululante come un bambino privato del seno, del fratello, della speranza. E Maniakes, sapendo come avrebbe sofferto se ciò fosse accaduto a uno dei suoi sudditi, anche a uno che lo odiava come tiranno incestuoso, batté le mani con gioia e gridò alla squadra di uomini che aveva lanciato la pietra fatale: «Diamogliene un'altra come quella, ragazzi!» E la squadra fece del suo meglio per obbedire, e gridò con furia e disappunto quando il suo proiettile successivo finì innocuo per terra. Anche Maniakes gemette quando questo accadde. Solo dopo pensò a che strana faccenda fosse la guerra.
Non ebbe comunque tempo per queste riflessioni, poiché alcuni Kubratoi, invece di fermarsi vicino al fossato davanti al muro esterno, si lasciarono cadere dentro di esso con scale abbastanza lunghe da raggiungere la sommità delle mura dal fondo. Non molte di quelle scale, però, vennero usate. Una pietra cadde giù invece di essere scagliata da una catapulta, e schiacciò un uomo come se fosse stata lanciata da una macchina, anche se non in maniera altrettanto spettacolare. I difensori videssiani fecero anch'essi piovere frecce e acqua bollente sulle teste dei Kubratoi direttamente sotto di essi. Indossando la cotta di maglia di un semplice soldato e un elmo parecchio malconcio, il vecchio Maniakes salì accanto al figlio. Scrutò per un momento giù nel fossato, poi annuì con sobria soddisfazione. «Non credo che ci riproveranno presto,» disse. «È un bel massacro laggiù.» «Questo significa stare in posizione elevata,» convenne il figlio. «Se ci permetteranno di mantenerla, pagheranno un alto prezzo.» Si accigliò. «Se ci permetteranno di mantenerla a lungo, pagheranno un alto prezzo.» Puntò il dito per mostrare cosa intendeva. Forse Etzilios, malgrado il miglior consiglio che sicuramente gli avevano dato i Makurani, aveva ritenuto che la città di Videssos sarebbe caduta sotto un attacco diretto, e non si era curato molto delle bizzarre macchine che aveva perso tempo ed energia per costruire. Forse aveva creduto che gli imperiali si sarebbero ammucchiati dentro le mura in preda al terrore, e non avrebbero avuto il coraggio di affrontare i suoi feroci guerrieri. Se era così, aveva ricevuto una bella lezione. E adesso stava facendo quello che avrebbe dovuto fare fin dall'inizio. Le scale giacevano nel fossato: dopo un po', i Videssiani le incendiarono, per liberarsene. Nel frattempo, però, i guerrieri di Etzilios e pariglie di cavalli stavano trascinando i lanciapietre, quelli che i Makurani gli avevano insegnato a costruire, fin dove avrebbero potuto bersagliare le mura. Altri uomini Maniakes pensò che fossero prigionieri videssiani, non Kubratoi - portavano le pietre e le ammucchiavano accanto alle macchine. «Abbattetele!» gridò alle squadre delle sue catapulte. Ma a lunga distanza non era facile. I Kubratoi dovevano colpire solo le mura, un bersaglio che era per loro difficile da fallire. Colpire invece proprio i lanciapietre, come dovevano fare i Videssiani, era ben altra impresa. Di tanto in tanto, per curiosa combinazione di precisione nel tiro e fortuna che tanto sono necessarie in guerra, una catapulta videssiana riusciva a
piazzare una pietra esattamente sulla macchina nemica, con risultati disastrosi per la macchina come per l'uomo che sfortunatamente si trovava sulla traiettoria del proiettile. Il lanciapietre colpito, in un battito di cuore, si trasformava da macchina in legna da ardere, e gli uomini addetti alla catapulta videssiana facevano capriole e si davano pacche sulla schiena e si vantavano con chiunque stesse ascoltando o, il più delle volte, con chiunque fosse nelle vicinanze, che stesse ascoltando o no. E i Kubratoi ordinavano ai prigionieri di portare via i resti del lanciapietre distrutto, dove per resti si intendevano talvolta anche gli uomini addetti alla macchina e che erano stati feriti da una scheggia volata via dalla medesima. E poi sospingevano un altro lanciapietre e tornavano a bersagliare le mura della città di Videssos. Sul camminamento del muro esterno, Maniakes avvertiva un interminabile terremoto di media entità. Le pietre si abbattevano sul muro, che trasmetteva ogni impatto direttamente alle suole dei suoi stivali. Anche lo schianto della pietra che cozzava contro la pietra gli faceva venire in mente il boato di un pauroso terremoto. Ma i terremoti, non importa quanto spaventosi fossero, terminavano in un minuto o due. Quello, invece, continuava, e il moto continuo sotto i suoi piedi gli faceva quasi venire la nausea. Molte delle pietre lanciate dalle macchine rimbalzavano via quasi senza effetto: i muratori che avevano edificato quelle mura secoli addietro conoscevano il loro mestiere. Di tanto in tanto, però, i Kubratoi scagliavano una pietra particolarmente pesante, o con una spinta particolarmente forte, o che colpiva in un punto migliore con un angolo migliore. Allora anche la pietra sulla superficie del muro si rompeva. «Quanti colpi possiamo sostenere?» chiese Maniakes a suo padre. «Non ho la più pallida idea,» replicò il vecchio Maniakes. «Ma non vale la pena di preoccuparsene già adesso. Dico, però, che sapere dove trovare le risposte è quasi altrettanto positivo che conoscerle. Tutto quello che può dirti Ypsilantes sulle mura è bene saperlo.» «È véro, per il buon dio,» convenne Maniakes, e convocò il comandante dei genieri. «Dovremmo essere in grado di resistere a questo martellamento per un bel pezzo, vostra Maestà,» disse Ypsilantes. «Solo pochi tratti delle mura hanno un nucleo di pietrisco: per lo più sono solida pietra, e addirittura il loro spessore raddoppia sopra le dispense, le cucine e così via.» «È quello che avevo sperato,» disse l'Avtokrator. «Mi fa piacere che le
speranze, di tanto in tanto, si avverino.» «Sono lieto di avervi soddisfatto, vostra Maestà,» disse Ypsilantes. «E ora, se volete scusarmi...» E corse via per un compito ben più vitale del rassicurare il suo sovrano. Dopo che Ypsilantes fu andato via, il vecchio Maniakes diede un colpetto sul braccio del figlio. «Torniamo al palazzo,» disse. «Vai a riposare un poco. La città non cadrà in pezzi mentre tu sarai a letto, ed è probabile che sia tu ad andare in pezzi se non lo farai.» Maniakes scosse la testa. «Finché sarò qui, gli uomini sulle mura sapranno che sono con loro. Combatteranno con più determinazione.» «Forse un po' di più, ma non tanto,» replicò suo padre. «E ti dico questo: se tu sei l'unico sostegno dei difensori, allora la città cadrà. Stanno combattendo per ragioni più importanti della tua presenza qui. Innanzi tutto, sono già dei buoni soldati, perché tu li hai resi tali durante i due anni trascorsi. E in secondo luogo, credimi, desiderano restare vivi come chiunque altro. Andiamo, adesso.» Mise una certa durezza nella voce, come faceva quando Maniakes, da ragazzo, gli disobbediva. L'Avtokrator rise. «Sembri sul punto di darmi una cinghiata se non farò quello che dici.» Il vecchio Maniakes abbassò lo sguardo sulla cinghia che portava. Come si addiceva al padre dell'Avtokrator, ne portava una d'oro con fibbia ingioiellata. Sganciò la fibbia, si tolse la cintura e la soppesò con espressione meditabonda. «Ti farei una bella serie di lividi con questa, figliolo,» osservò. «È così,» disse Maniakes. «Beh, se questa non è lesa maestà, che possa andare al ghiaccio se so cosa lo è.» Lui e suo padre risero. Quando il vecchio Maniakes si avviò giù per la scalinata, l'Avtokrator lo seguì. Cavalcarono assieme fino al palazzo. Per tutto il tragitto, però, Maniakes udì i tonfi delle pesanti pietre che colpivano le mura. Pensò che non si sarebbe riposato molto. «Una sortita, è quello di cui abbiamo bisogno,» disse Rhegorios. «Una sortita per disperdere un po' dei loro arcieri e sistemare un po' delle loro macchine. I lanciapietre andranno bene, suppongo, ma mi piacerebbe davvero liberarmi di quelle torri. Varrebbe la pena farlo.» Maniakes osservò suo cugino, divertito. «Come hai fatto a passare da abbiamo bisogno a suppongo in un paio di frasi? Quello che vuoi dire è che tu senti il bisogno di andare ad affrontare i Kubratoi e vuoi che io ti di-
ca che è giusto farlo.» Rhegorios gli rivolse uno sguardo rispettoso e risentito allo stesso tempo. «Chiunque penserebbe che siamo cresciuti assieme, o qualcosa del genere,» disse. «Come faccio a fregarti? Mi conosci troppo bene? In effetti, come fai a fregare mia sorella? Ti conosce troppo bene.» «Come faccio a fregare Lysia?» disse Maniakes. «Per lo più non lo faccio. Per qualche ragione, non mi riesce bene. Ma questo non ha nulla a che fare con la sortita contro i Kubratoi.» «Suppongo di no,» convenne suo cugino. «Ma dobbiamo restare seduti qui e lasciare che continuino a martellarci?» «È esattamente quello che avevo in mente, in effetti,» disse l'Avtokrator. «Ogni volta che mi sono trovato nei guai, in qualche parte del mio regno, ho cercato di strafare. Questa volta non sarà così. Farò il meno che posso, e lascerò che i Kubratoi e i Makurani si stanchino, battendo le loro teste contro le mura. È soprattutto per questo che le mura esistono.» «Che razza di piano di battaglia è questo?» disse indignato Rhegorios. «Un piano sensato?» suggerì Maniakes. «Dov'è la gloria?» domandò Rhegorios. «Dove sono gli eroi che sfilano in parata lungo la Strada Centrale, cantando inni di vittoria?» «Per quanto riguarda gli eroi,» disse Maniakes, «saranno in molti a restare vivi se giocheremo la partita con cautela. E per quanto riguarda la gloria, i Kubratoi e i Makurani possono pure accomodarsi, per me. Aspetta, adesso.» Sollevò una mano per bloccare la protesta del cugino. «Chiunque vuole la gloria per la gloria può averla, per quanto mi riguarda. Se posso vincere la guerra restando seduto qui come una lumaca nella conchiglia, lo farò, e con molto piacere.» «Un modo maledettamente freddo di guardare le cose,» disse Rhegorios. Poi, dopo un momento, ammise, «Tuo padre mi direbbe la stessa cosa, però, lo ammetto. Il che mi lascia solo una domanda: cosa fa una lumaca quando qualcuno cerca di schiacciare la sua conchiglia?» «È semplice,» disse Maniakes. «Si contorce e lo morde dall'interno.» Rhegorios se ne andò, insoddisfatto. L'attitudine dì Maniakes alla guerra avrebbe anche potuto essere più tipicamente videssiana di quella di suo cugino. Solo le Guardie Imperiali, per esempio, avevano un nome e una reputazione che abbracciavano intere generazioni. Quando l'Avtokrator salì sulle mura pochi giorni dopo, dunque, rimase sorpreso nello scoprire che un tratto di esse era difeso da un'u-
nità di lanciapietre decorate con graffiti che proclamavano: LE LUMACHE MORDACI! NON SCHIACCERETE LE NOSTRE CONCHIGLIE! «È stato mio cugino a volere questo?» domandò con finta severità. «Sua altezza il Sevastos ha solo menzionato la cosa, vostra Maestà, ma non è stato lui a volerla,» disse l'ufficiale al loro comando. «Ai ragazzi e a me piaceva il nome, così abbiamo deciso di adottarlo.» «Possano i vostri denti essere aguzzi, allora,» disse Maniakes, e i soldati applaudirono. Mentre camminava lungo le mura, comprese che tutti i difensori, non solo le Lumache Mordaci, avrebbero dovuto possedere denti aguzzi. I Kubratoi stavano trascinando le loro torri d'assedio, una dopo l'altra, in posizione per l'attacco alla città. Stavano appena al di là della portata delle macchine che i Videssiani avevano montato sul muro esterno. Anche Immodios stava studiando le torri, e non sembrava molto felice nel farlo. Maniakes si consolò rammentando quanto raramente Immodios sembrasse felice di qualcosa. L'ufficiale disse, «Vostra Maestà, temo che ce la vedremo brutta a fermarli o anche soltanto a rallentarli prima che raggiungano le mura.» «Penso che ti sbagli,» rispose Maniakes. «Credo che i dardi e le pietre e il fuoco che scaglieremo su di loro dalle mura faranno in modo da non fargliele mai raggiungere. Penso che la maggior parte di loro bruceranno o rimarranno schiacciati prima ancora di arrivare entro la portata dei nostri archi.» «Se i Kubratoi avessero progettato loro le torri, vostra Maestà, direi che è probabile che abbiate ragione,» disse Immodios. «Non le avrebbero costruite abbastanza robuste. Ma i Makurani sanno quello che fanno, come lo sappiamo noi.» «Si sono limitati a istruire,» disse Maniakes. «Ma sono stati i Kubratoi a costruire. Non avevano mai fatto nulla del genere prima d'ora. Scommetto che non le hanno costruite abbastanza robuste.» «Il signore dalla mente grande e buona ti conceda di avere ragione,» disse Immodios. Ma non dava l'impressione di crederci. E aveva anche ragione a preoccuparsi, come scoprì ben presto l'Avtokrator. Maniakes aveva osato sperare che i Kubratoi utilizzassero le bestie da soma per trascinare le torri in prossimità delle mura. Le Lumache Mordaci, e le altre squadre di lanciadardi e lanciapietre, e gli arcieri sarebbero stati contentissimi di avere simili bersagli, anche se massacrare animali da soma era di per sé una faccenda abbastanza rivoltante.
Ma Etzilios, pur avendo forse ignorato una serie di istruzioni da parte dei tutori makurani, non ne ignorò due. Né muli né cavalli arrivarono mai alla portata delle macchine sopra le mura esterne. I nomadi condussero via gli animali e slegarono le corde con le quali erano stati imbrigliati. Poi condussero degli uomini cenciosi - di nuovo prigionieri videssiani - dentro le torri, trattandoli non molto diversamente da come avevano trattato le bestie da soma. Anche dei guerrieri kubrati entrarono nelle torri, alcuni per costringere i prigionieri a spingerle avanti, i più per attaccare la città di Videssos. Molto lentamente, le torri iniziarono la loro avanzata. «Ora lo scopriremo,» disse Maniakes. Con suo sgomento, più le torri si avvicinavano, più sembravano solide. Quando lo disse, Immodios annuì. «È così, vostra Maestà,» convenne. Non era esattamente ve lo avevo detto, ma quasi. «Bene, bene,» mormorò Maniakes. «Sono stato uno stupido?» Sollevò una mano prima che Immodios potesse parlare. «Non importa. Non è necessario che tu risponda. In realtà, sarei più felice se tu non rispondessi.» Qualunque fosse l'opinione di Immodios, la tenne doverosamente per sé. Un piede dopo l'altro, le torri avanzarono. Quando entrarono nel raggio d'azione delle macchine sulle mura, i Videssiani lanciarono tutto quello che avevano. Alcuni dei loro dardi trapassarono le pelli e gli scudi davanti alle torri. Alcuni, senza dubbio, trapassarono i guerrieri e gli uomini che le spingevano. Quelle punture di spilli, però, fecero poco per costringere i Kubratoi a rinunciare all'attacco. Anche i lanciapietre scagliarono i loro proiettili sulle torri. Colpivano con forti schianti, ma rimbalzavano senza procurare danni visibili. Forse i Kubratoi avevano dato ascolto ai genieri makurani, dopo tutto. Invece di apparire soltanto preoccupato, Immodios appariva preoccupato e soddisfatto. Maniakes fece del suo meglio per non notarlo. Ma i lanciapietre potevano lanciare più delle pietre. Le loro squadre li caricavano con vasi colmi dì un fetido miscuglio di sego, petrolio, nafta e zolfo, poi davano fuoco al miscuglio con le torce prima di scagliarlo contro il nemico. Il fuoco colava davanti alle torri. Il fumo acre puzzava. Quando entrò negli occhi di Maniakes, li fece lacrimare e offuscare. Avendone inalato un po', lui tossì, «Che schifo!» disse, tossendo ancora. I Kubratoi non potevano ignorare il fuoco, come avevano fatto con i dardi e le pietre. Alcuni di loro salirono in cima alle torri e versarono acqua sulle fiamme. Ma ciò ebbe un effetto peggiore di quello che avevano
sperato. L'acqua, invece di spegnere il fuoco, lo diffondeva più rapidamente davanti alle torri. In ogni caso, le fiamme trovavano difficoltà a incendiare le pelli che coprivano le torri. Forse i Kubratoi le avevano imbevute per renderle umide e scivolose e difficili da bruciare. Qualunque fosse la ragione, non presero fuoco. E, un pollice dopo l'altro, continuarono ad avanzare. Guardando a nord e a sud, Maniakes ne scorse sette o otto. Tre si muovevano verso la Porta d'Argento, vicino a dove lui si trovava. Le altre scivolavano separatamente verso le mura. I lanciapietre kubrati scagliavano massi contro il muro esterno e sul camminamento in cima, rendendo difficile e pericoloso per i Videssiani concentrare i loro difensori dove sarebbero arrivati gli attacchi. Maniakes si morse un labbro. In uno degli accampamenti kubrati, i genieri makurani si stavano sicuramente abbracciando, soddisfatti. Le torri stavano facendo quello che volevano, il che significava che stavano facendo tutto quello che Maniakes non voleva. A nord, delle acclamazioni risuonarono dalle mura. L'Avtokrator cercò di vedere perché i suoi uomini stavano applaudendo nel bel mezzo di quello che appariva un disastro. Gli fu necessario scrutare per un po' in quella direzione, prima di capire: una delle torri non si muoveva più. Forse aveva cercato di muoversi sul suolo umido e si era impantanata. Forse una ruota o un asse si erano spezzati sotto il peso che la torre reggeva. Forse il suolo si sollevava lievemente, per cui essa non riusciva ad andare. Qualunque fosse la ragione, non andava più da nessuna parte. Maniakes avrebbe voluto applaudire lui stesso. Ma non lo fece: in fondo, una minaccia era stata sventata, ma ne restavano molte altre. E poi, proprio davanti ai suoi occhi, una delle torri che si stava avvicinando alla Porta d'Argento cominciò finalmente a bruciare. Le fiamme e il fumo che si sollevavano da essa non erano dovuti soltanto al liquido incendiario col quale i Videssiani l'avevano bersagliata. Anche le assi della struttura avevano preso fuoco. E anche i Kubratoi all'interno della torre. Sebbene fossero nemici, Maniakes ne ebbe pietà. Al di sopra degli schiocchi delle catapulte che scagliavano, al di sopra del tonfo delle pietre e dei dardi che arrivavano a segno sulle mura e sulle torri d'assedio, salivano le urla dei guerrieri in quell'inferno. Cosa stava succedendo là dentro? Maniakes tentò di immaginare se stesso come uno dei nomadi sulla scala fra, diciamo, il quarto e il quinto pia-
no. Doveva esserci buio e folla e spavento anche senza il fuoco: ogni pietra che cozzava contro la torre doveva sembrare la fine del mondo. Il puzzo del fumo doveva già essere nell'aria da parecchio tempo, a causa dei vasi di mistura infiammabile che avevano colpito la torre assieme alle pietre. Ma cosa accadeva quando l'odore cambiava, quando i Kubratoi fiutavano quello che era sicuramente il fumo del legno e vedevano le fiamme sopra di loro? Peggio, cosa accadeva quando fiutavano quello che era sicuramente fumo di legna e vedevano le fiamme sotto di loro? I guerrieri si precipitarono fuori dalla base della torre e fuggirono via dalle mura della città di Videssos in direzione del loro accampamento. Pietre e dardi e normali frecce riscossero un pesante pedaggio fra di loro. E, tuttavia, furono fortunati: la loro fu una morte ben più rapida e pulita di quella che avrebbero trovato se fossero rimasti nella torre. In cima alla torre si aprì una porticina e venne spinta fuori una passerella, come se un ragazzo avesse sporto la lingua. Con la torre che si trovava a metà tiro d'arco dalle mura, era una passerella verso il nulla. Eppure qualcuno la usò. I Kubratoi che disperavano di riuscire a sfuggire alle fiamme e al fumo dentro la torre si gettarono sulla passerella. Maniakes ebbe la sensazione che parecchi di loro si sarebbero accontentati semplicemente di rimanere li, di riposarsi per un momento dopo essere sfuggiti al fuoco. Ma non fu così, non poteva esserlo. In primo luogo, il fumo si riversò fuori dalla porta dalla quale era emersa la passerella. E in secondo luogo, altri Kubratoi e altri ancora, che non potevano usare le scale per raggiungere il suolo, cercarono di uscire sulla passerella. Quello che accadde dopo fu inevitabile e orribile. Alcuni nomadi, spinti sulle assi dai loro compagni, precipitarono al suolo per quasi quaranta piedi. Altri saltarono, senza dubbio pensando che fosse meglio lanciarsi nel vuoto da soli che essere costretti a farlo in un momento e in una posizione sbagliata. Alcuni nomadi furono fortunati, uscendo apparentemente illesi dalla caduta. Altri, sfortunati quanto potevano esserlo, giacquero immobili. I più, si trascinarono via, feriti ma vivi. Altri ancora, fortunati sulle prime, furono sfortunati dopo, quando alcuni Kubratoi, costretti a lanciarsi o lanciatisi di loro volontà dalla passerella, atterrarono su di loro oppure quando una pietra lanciata da una macchina videssiana causò loro quello che non aveva causato la caduta. E poi il fuoco raggiunse l'estremità della passerella ancora all'interno
della torre. Maniakes poté udire il legno che si spezzava, e le tavole, incendiate, che cadevano a terra assieme ai nomadi sopra di esse. La torre d'assedio crollò su se stessa un minuto o due dopo, con le fiamme che divamparono per un po' più vivide e alte nella brezza dovuta alla caduta, per poi riprendere a estinguersi. «Eccone una di cui non dovremo più preoccuparci,» disse Maniakes. Sfortunatamente, restavano tutte le altre torri delle quali i Videssiani si dovevano preoccupare. Diverse di esse stavano per raggiungere le mura: e ciò apparve subito ovvio, malgrado l'iniziale ottimismo dell'Avtokrator. Anche i punti dove avrebbero raggiunto le mura sembravano ovvi: difficilmente avrebbero potuto cambiare percorso, deviando e schivando come conigli inseguiti da segugi. «Ciò significa che dovremo dargli una splendida e calorosa accoglienza,» disse Maniakes, più che altro a se stesso. Ma il flusso degli ordini che pronunciò dopo fu diretto agli uomini sulle mura. I soldati nei pressi della Porta d'Argento ricevettero quegli ordini direttamente dalle sue labbra. I messaggeri si precipitarono a riferire le sue istruzioni agli uomini sui tratti delle mura verso i quali le torri stavano avanzando. Quando uno dei messaggeri tornò, disse, «Imploro il vostro perdono, vostra Maestà, ma gli ufficiali con i quali ho parlato ci avevano già pensato loro.» «Non è necessario che tu chieda il mio perdono,» rispose Maniakes. «Non sono in collera se i soldati al mio servizio pensano anche loro. Lo sarei nei caso contrario.» Gli arcieri e i lanciadardi e lanciapietre dal muro interno fecero piovere proiettili sulle torri d'assedio che si avvicinavano al più basso muro esterno. Alcuni dei proiettili che scagliarono arrivarono corti, ferendo i difensori invece degli attaccanti. Una freccia da dietro si infranse contro una merlatura un paio di piedi a sinistra di Maniakes. Un assassino avrebbe potuto facilmente ucciderlo, dicendo poi che si era trattato di un incidente. Si costrinse a scrollare le spalle. Non poteva farci nulla. Le due toni che non avevano preso fuoco erano sempre più vicine alla Porta d'Argento. I colpi che ricevevano dalle catapulte videssiane sulle mura erano i più terribili che Maniakes avesse mai visto. L'Avtokrator augurò ai genieri makurani, che avevano insegnato ai Kubratoi l'arte di costruire quelle torri, il più gelido abisso di ghiaccio di Skotos. Videssiani in cotta di maglia affollavano il camminamento nei punti do-
ve le torri avrebbero allungato le loro passerelle. I Kubratoi al suolo facevano tutto quello che potevano per impedire agli imperiali di concentrarsi contro le toni, raddoppiando lo sbarramento di frecce e pietre. Gli uomini illesi trasportavano i compagni feriti nelle torri a entrambi i lati della Porta d'Argento. Altri soldati prendevano il posto di quelli feriti o uccisi. «Dobbiamo respingerli,» gridò Maniakes ai suoi uomini. «Nessun nemico straniero ha mai messo piede nella città di Videssos. E inoltre,» aggiunse con tono pratico, «se non li uccideremo, saranno loro a uccidere noi, e gioiranno pure nel farlo.» Alcuni soldati risero. Altri, però, si limitarono ad annuire. Aveva pronunciato le frasi come se fossero una battuta scherzosa, ma ciò non significava che non fossero vere. La prima torre arrivò quasi a toccare il muro. Maniakes poté vedere che un paio degli scudi montati su di essa erano bruciati quando i suoi avevano scagliato il fuoco, ma le pelli sotto quegli scudi avevano impedito al fuoco di propagarsi. Le sue narici fremettero. Quelle pelli non erano fresche. Sperò che i Kubratoi all'interno della torre avessero tutti lo stomaco sottosopra. Sarebbe stato più facile batterli. La porticina in cima alla torre d'assedio si aprì. Come il resto della torre, era protetta da scudi e pelli. I Kubratoi che aspettavano dentro emisero un urlo di acclamazione nel rivedere la luce del giorno e spinsero la passerella verso le mura. «Ora!» gridò Maniakes, più forte che poté per farsi sentire al di sopra del trambusto della battaglia. Non ne fu sicuro dopo, ma non gli parve che la squadra della catapulta attendesse il suo ordine prima di lanciare. Non appena la porticina si fu aperta, lanciarono un grande vaso pieno di mistura incendiaria videssiana direttamente su di essa. Il vaso si ruppe contro i due Kubratoi in testa, capovolgendoli e cospargendo loro e l'interno della torre di fiamme appiccicose. L'interno della torre, naturalmente, era fatto di legno. Nel giro di qualche momento, cominciò a bruciare. Il fumo emerse dalla porta. La passerella rimase forse allungata per un terzo, a diversi piedi di distanza dal muro. «Non arriveranno di là, per il buon dio!» esclamò Maniakes. I soldati intorno a lui strillarono in maniera assordante. Non se ne curò. I Kubratoi avevano una sola strada per raggiungere il muro videssiano. Trasformando quella strada in una massa di fuoco, si rendeva di colpo inutile l'immensa torre d'assedio, alla quale avevano lavorato così a lungo e così duramente.
Non molti Kubratoi rimasero intrappolati nella torre com'era accaduto all'altra che era bruciata. Col fuoco in cima, i guerrieri che affollavano la torre ebbero la possibilità di fuggire dalla base. I Videssiani uccisero e ferirono molti dì loro con pietre e dardi e frecce, ma tanti riuscirono anche a fuggire al di là della portata di quei proiettili senza subire ferite. Maniakes li scacciò dalla mente mentre correvano: se si allontanavano dalla città di Videssos, non costituivano al momento una minaccia. Scacciò anche la torre d'assedio incendiata, tranne per il fatto che il fumo che si sollevava da essa lo faceva tossire e lacrimare. La torre che non aveva ancora aperto la porta costituiva una minaccia maggiore. «State pronti!» gridò alle squadre delle catapulte davanti alla seconda torre. «Faremo a questa quello che abbiamo fatto all'altra, e poi andremo ad aiutare i nostri compagni lungo il muro.» «Giusto, vostra Maestà!» urlarono le Lumache Mordaci. «Li bastoneremo, come bastoneremo tutti quelli contro i quali ci sguinzaglierete!» «Bravi!» disse, e un paio di guerrieri voltarono le teste per rivolgergli un sogghigno. Anche dopo essere tornati nella città di Videssos non si curavano del suo matrimonio. Il fatto che lui li guidasse verso la vittoria contava di più. Desiderò che valesse la stessa cosa per il popolo che non aveva guidato in battaglia. La seconda torre d'assedio all'attacco della Porta d'Argento scivolò avanti lentamente, pesantemente. Maniakes pensò che avrebbe impiegato molto tempo per raggiungere le mura. Forse aveva rallentato quando alcuni degli uomini al suo interno avevano visto quello che era accaduto alla compagna. O forse, semplicemente, il tempo per lui era rallentato, come succedeva spesso in battaglia. Quale che fosse la verità, finalmente la torre giunse abbastanza vicina da consentire ai Kubratoi di aprire la porta. «Ora!» gridò Maniakes, come aveva fatto prima. E, come aveva fatto l'altra catapulta, anche questa scagliò un vaso pieno del liquido incendiario videssiano dritto nella porta. Ma i Kubratoi dovevano aver pensato a quello che era andato storto quando la prima torre aveva tentato di spingere la passerella verso il muro. Tutti gli uomini che si lanciarono fuori avevano dei grossi scudi per resistere all'impatto del vaso. Stavano così pigiati nello spazio ristretto lassù, che l'impatto non poté rovesciarli, come altrimenti sarebbe accaduto. Il vaso s'infranse contro gli scudi sollevati, e probabilmente spezzò braccia e costole nel farlo, ma la maggior parte della mistura incendiaria colò sugli scudi e sulle pelli e non
appiccò un fuoco inestinguibile all'interno della sommità della torre. La passerella uscì, protendendosi verso il muro. Un videssiano con un'ascia che doveva aver preso da una guardia haloga la colpì una, due volte, prima che una freccia lo colpisse al volto. Lasciò cadere l'ascia e indietreggiò con un gemito. Ancora prima che la passerella raggiungesse le pietre del muro esterno, diversi Kubratoi caricarono. Snap! La squadra del lanciadardi percosse la leva della macchina. Quei dardi potevano uccidere un uomo a un quarto di miglio. A così breve distanza, trapassò due Kubratoi e trafisse un terzo dietro di loro. Tutti e tre caddero, colpendo il suolo un secondo dopo con pesanti tonfi. Nessuno che avesse affrontato i Kubratoi, armi in pugno, avrebbe mai potuto affermare che fossero men che coraggiosi. Dopo aver affrontato il fuoco, dopo che un dardo aveva segnato la fine dei primi tre abbastanza audaci da imboccare la passerella, i guerrieri che li seguivano difficilmente avrebbero potuto essere biasimati se avessero esitato. Non fecero nulla del genere. Emettendo feroci grida di guerra, si spintonarono a vicenda nell'ansia di attaccare i Videssiani. Le frecce s'infissero negli scudi che avevano sollevato per proteggere i loro organi vitali. Una freccia colpì alla coscia uno di loro, che barcollò e precipitò, gridando, al suolo. Un altro si lanciò sulla passerella, sulla quale il kubrati alle sue spalle inciampò e cadde anch'egli. Ma gli altri avanzarono. I Videssiani all'estremità della passerella li affrontarono: ma non con spade e lance, con lunghi e robusti pali. Spazzarono un paio di Kubratoi dalla stretta passerella, costringendoli alla caduta mortale. I nomadi tirarono fendenti ai pali con le loro spade. Uno dei pali si spezzò. Un kubrati ne afferrò un altro per l'estremità e, invece di tentare di evitarlo, lo tirò con tutte le sue forze. Colto di sorpresa, il videssiano che lo reggeva perse l'equilibrio. «Phoooos!» strillò mentre cadeva. Il suo gridò s'interruppe bruscamente quando colpì il suolo. Con un grido di trionfo, il primo kubrati saltò dalla passerella sulla pietra del muro. Il grido divenne uno strillo d'agonia qualche attimo dopo: circondato da tre imperiali, cadde sotto lancia e spada. E questo accadde al kubrati che venne dopo, e a quello dopo ancora. Dopodiché, anche il fiero coraggio dei nomadi vacillò. Un videssiano, preso dalla stessa furia combattiva e insensata dei suoi nemici, saltò sulla passerella e si lanciò verso i Kubratoi, menando fendenti. «Noi» gridò Maniakes. «Torna qui! Non sprecare la tua vita!»
Il soldato non gli prestò attenzione. Abbatté il primo nomade che si trovò davanti, ma venne trafitto da una freccia un momento dopo. Superando con un balzo il kubrati che aveva appena ucciso, afferrò l'uomo dietro a quello per la vita e poi saltò dalla passerella, portando con sé il suo nemico. Maniakes si tracciò il cerchio del sole sul cuore. Il videssiano non aveva sprecato la sua vita: l'Avtokrator lo ammise in silenzio. Aveva fatto pagare due volte la sua ai Kubratoi... e, per come lo aveva fatto, li aveva anche spinti a riflettere. Continuarono ad arrivare, ma il momento di esitazione dovuto al sacrificio del videssiano permise ad altri suoi compagni di lanciarsi verso la passerella. I Kubratoi riuscivano a far giungere degli uomini sulle mura, ma nessuno di loro sopravviveva per più di qualche momento. La paura maggiore di Maniakes era che sarebbero riusciti a respingere i Videssiani e a creare un perimetro entro il quale far affluire altri ancora dei loro uomini. Non accadde, non sulla Porta d'Argento. «Phos sia lodato,» mormorò Maniakes, e guardò ansiosamente su e giù per le mura per vedere se i Kubratoi avevano guadagnato posizione con qualcun'altra delle loro torri. Non vedendo alcun segno di ciò, disse, «Phos sia lodato,» di nuovo e tornò a rivolgere la sua attenzione al combattimento vicino a lui. La squadra del lanciapietre era finalmente riuscita a caricare un altro vaso di liquido incendiario sulla macchina. Non potevano lanciarlo sui Kubratoi, però, né sulla loro torre, poiché troppi soldati videssiani si affollavano intorno alla macchina che si trovava vicino al fronte del combattimento. Finalmente, quando giunse l'occasione, scagliarono il vaso. Esso schiacciò un kubrati sulla passerella vicino alla torre. Questi cadde roteando sul suolo sottostante, con un po' di quella roba ardente attaccata a lui. Altra mistura investì i Kubratoi immediatamente dietro di lui. Strillando, tentarono di rientrare di corsa nella torre, ma non riuscirono ad avanzare contro il flusso di guerrieri che cercavano di uscire. In effetti, quei guerrieri li respinsero con le armi in pugno, non volendo bruciare assieme ai due sfortunati. E un po' della mistura di olio, grasso, zolfo e nafta colò sulla passerella e appiccò il fuoco al legno. I Kubratoi che bruciavano impedirono agli altri di spegnerlo, anche se non sarebbe stato comunque facile spegnerlo con l'acqua. Gli uomini più vicini al muro dei due che stavano bruciando erano così intenti a premere sui Videssiani, che non notarono le fiamme finché non fu troppo tardi per estinguerle.
Allora, la passerella bruciò fino a spezzarsi in due. Entrambe le parti, e tutti gli uomini su di esse, precipitarono giù, giù, giù. Maniakes emise un grido di trionfo, quando accadde. «Venite avanti!» urlò, agitando un pugno verso i Kubratoi che osservavano con occhi sbarrati dalla torre. «Venite a prendere quello che abbiamo dato ai vostri compagni!» Aveva sperato che avessero solo una passerella e che sarebbero rimasti bloccati nella torre una volta persala. Ma loro, o più probabilmente i genieri makurani dai quali avevano imparato come costruire la torre, avevano organizzato le cose per bene. Un'altra passerella si protese verso le mura della città di Videssos. «Qui!» gridò Maniakes ai suoi uomini. «A me!» Impartì bruscamente gli ordini. I soldati videssiani portarono un altro vaso di liquido incendiario sul muro. Al suo comando, versarono un po' di quella roba sulla pietra dove la passerella avrebbe raggiunto il muro, poi avvicinarono una torcia. Scaturirono fiamme gialle. Dense nuvole di fumo nero e soffocante costrinsero i Videssiani a ritrarsi dal fuoco che avevano acceso. Ciò avrebbe potuto risultare a vantaggio dei Kubratoi, se fossero riusciti a mettere uomini sulle mura proprio in quel momento. Ma i nomadi addetti alla passerella la fermarono a metà strada, non osando spingerla nelle fiamme. «Suvvia!» gridò di nuovo Maniakes. «Non volete vedere il resto del benvenuto che abbiamo preparato?» Non sapeva se lo udivano oppure no. Se lo udivano, non sapeva se lo comprendevano. Quello che sapeva era che la passerella non stava più avanzando. Attraverso il fumo vorticante, vide i Kubratoi ritirarla dentro la torre. E poi, così lentamente che sulle prime non credette ai suoi occhi, la torre indietreggiò dalla Porta d'Argento. Anche le altre torri superstiti si stavano allontanando dalle mura. Ora. per la prima volta in quel giorno folle e terrificante, Maniakes parlò piano, con tono di meraviglia: «Per il signore dalla mente grande e buona, abbiamo vinto.» E uno dei suoi veterani, un uomo con una cicatrice sulla fronte e il naso storto, scosse la testa e disse, «No, vostra Maestà. Ne hanno solo avute abbastanza per oggi, questo è tutto.» «Hai ragione, naturalmente,» disse l'Avtokrator, riconoscendo la verità nell'udirla. E ancora per la prima volta quel giorno, rise. «E sai un'altra cosa? Mi sta benissimo così.» Nessuno lo contraddisse. Non pensò che i suoi soldati condividessero il suo giudizio perché lui era il loro sovrano. Pensò che rimasero in silenzio
perché loro, come lui, erano felici di essere vivi e di non essere precipitati dalle mura. *
*
*
«Cosa faranno, adesso?» Fu il vecchio Maniakes a ripetere la domanda da lui posta al consiglio di guerra, e a fare del suo meglio per rispondere: «Qualsiasi cosa facciano, spero che non sia brutta come quella che hanno tentato oggi.» «Io ritengo che sarà ancora più brutta,» rispose Maniakes. «Nel combattimento di oggi, stavano valutando quello che potevano fare. Ora, che siano maledetti nel ghiaccio, se ne sono fatti una buona opinione.» Symvatios disse, «Il khagan ci metterà parecchio a convincerli di riportare avanti le torri, dopo quello che gli abbiamo fatto questa volta. Un guerriero che ha appena visto un buon numero di amici cuocere come quarti di bue, non si getterà a testa bassa sulle mura per farsi cucinare a sua volta.» «Questo è vero,» disse Maniakes. «In buona parte, spero.» Rhegorios disse, «Quello che mi preoccupa di più è che questi erano Kubratoi. Non c'era alcuna traccia di Makurani oggi nel combattimento.» Indicò a ovest. «Per quello che ne sappiamo, si trovano ancora all'altro lato del Canale del Bestiame. Se raggiungeranno questa riva...» «Avremo altri guai,» lo interruppe l'Avtokrator. «E non sarebbe nemmeno la mossa peggiore che Etzilios potrebbe fare. Renderebbe i suoi uomini più felici, poiché gli alleati sarebbero al loro fianco, e renderebbe l'attacco ancora più forte, perché...» Il vecchio Maniakes approfittò del privilegio di esserne il padre per interrompere il suo sovrano: «Perché i Makurani sanno davvero quello che fanno.» Non era quello che Maniakes intendeva dire, ma quasi. Suo padre proseguì, «Se potessimo, dovremmo davvero scoprire quello che stanno architettando i Kubratoi e i Makurani, non quello che faremmo noi se fossimo nei loro sandali. Non sarebbe una magia di battaglia, non proprio...» «Si saranno difesi,» disse Maniakes, tetro. «Scommetto un pezzo d'oro contro uno di bronzo che i loro maghi stanno cercando di ascoltarci in questo stesso momento. Se apprendono qualcosa, alcune teste del Collegio dei Maghi dovranno andare sulla Pietra Miliare.» «Se non ci proviamo, non possiamo esserne sicuri,» disse il vecchio Maniakes.
«Già,» convenne Maniakes. «Faremo come tu dici, padre. Convocherò Bagdasares.» *
*
*
Alvinos Bagdasares disse qualcosa, allarmato, nella lingua gutturale vaspurakana. Maniakes, sebbene avesse il medesimo sangue vaspurakano del mago, comprendeva quella lingua solo a tratti. Non pensava, tuttavia, che Bagdasares lo avesse ringraziato per quell'incarico magico. «Vostra Maestà, sarà un incantesimo difficile nel migliore dei casi, e potrebbe anche risultare impossibile,» lo avvertì Bagdasares, tornando al videssiano. «Se fosse facile, potrei scegliere un mago a un angolo di strada per farglielo fare,» ribatté Maniakes. «So che non puoi ottenere le risposte che voglio, ma voglio che tu faccia tutto quello che puoi per scoprire cosa stanno complottando adesso Abivard ed Etzilios contro di noi.» Bagdasares s'inchinò. «Sarà come voi ordinate, naturalmente, vostra Maestà.» Si tirò la barba incolta, borbottando sia in videssiano che in vaspurakano. Quando Maniakes colse una parola - affinità -annuì a se stesso. Si, il mago poteva fare del suo meglio. Per simboleggiare Abivard, Bagdasares prese un arket d'argento luccicante. «Non ho niente di simile per il khagan kubrati,» disse tristemente. «Perché non usi uno dei nostri pezzi d'oro, allora?» replicò Maniakes, lui stesso con un tono non certo allegro. «Stavamo per darne abbastanza a Etzilios... ma non abbastanza da soddisfarlo.» «L'analogia dev'essere più esatta.» Bagdasares non si accorse che Maniakes si stava concedendo una battuta amara... anche per accusarsi di un suo passato fallimento. Il mago finalmente scelse una sciabola kubrati. Anche la sua lama luccicava, sebbene con un bagliore leggermente diverso da quello della moneta makurana. Bagdasares parve quasi soddisfatto, dopo. «Ora ho bisogno soltanto di un'altra cosa: voi.» «Io?» Maniakes udì la propria voce farsi acuta, come se fosse un adolescente la cui voce di tanto in tanto s'incrinava. «Certamente, vostra Maestà,» disse il mago. «Sarete l'elemento che tramuta il generale nello specifico. Questa non è la spada di Etzilios, solo un'arma kubrati. È quanto mai improbabile che questa moneta si sia trovata nella borsa alla cintura di Abivard. Ma voi avete incontrato entrambi. Per come funziona la legge del contagio, siete sempre in contatto con tutti e
due. E il contatto rafforza l'azione della legge della similitudine, unendo questi artefatti non solo alle loro rispettive nazioni ma anche agli individui i cui piani stiamo tentando di apprendere.» Maniakes aveva sperato di tornare sulle mura nel caso in cui Etzilios, invece di conferire con Abivard, avesse semplicemente deciso di attaccare ancora. Se ciò fosse accaduto, però, un messaggero gli avrebbe senza dubbio portato la notizia. Avrebbe potuto andarsene quando fosse accaduto. Le necessità urgenti della battaglia gli avrebbero fornito una buona scusa per interrompere la magia di Bagdasares. Nel frattempo, si rassegnò ad attendere. «Tenete l'arket in una mano, vostra Maestà, e la spada nell'altra,» disse Bagdasares. «Pensate ai due uomini che i due oggetti rappresentano. Pensate a loro mentre discutono, e a quello che potrebbero dirsi nella circostanza.» «Non ho fatto altro che pensare a quello che potrebbero dirsi.» rispose Maniakes. «Voglio scoprire quello che effettivamente si sono detti o quello che si diranno.» Bagdasares non replicò. Maniakes non era sicuro che Bagdasares avesse udito. Il mago aveva cominciato a ripetere l'invocazione che avrebbe usato per l'incantesimo e i gesti che l'avrebbero accompagnato. Se un mago non concentrava la sua mente sull'essenziale, la sua magia era destinata al fallimento. Avrebbe potuto fallire anche se tutto fosse stato perfetto. Il cipiglio di Bagdasares lo fece apparire più vecchio. «Difese,» disse a Maniakes in un momento in cui le sue mani erano impegnate ma non aveva necessità di salmodiare. «Sto incontrando resistenza.» La sua fronte si corrugò nella concentrazione. Quando riprese a salmodiare, il ritmo era sottilmente diverso da prima. Diverso, forse, ma non migliore. Il cipiglio si oscurò, diventando ancora più arcigno. «Hanno un mago videssano con loro,» disse, pronunciando le parole come se avesse la bocca piena di pesce marcio. «Ha predisposto degli incantesimi contro parecchie cose che potrei tentare. Parecchie, si, ma non tutte.» Ancora una volta, il ritmo dell'incantesimo cambiò. Questa volta, cambiò anche la lingua: dal videssiano arcaico, passò alla lingua vaspurakana. Adesso i suoi occhi si illuminarono, la sua voce divenne ferma: un progresso, giudicò Maniakes. Un momento dopo, fu in grado di valutare lui stesso il progresso. Co-
minciò a sentire... qualcosa che passava fra la moneta d'argento e la spada di ferro. Capì che non stava sentendo con uno dei sensi ordinari. Era più simile, o così immaginò, al flusso che scorreva da un sacerdote-guaritore alla persona che lui stava aiutando: indescrivibile, e reale, come quello. «Dobbiamo farlo assieme,» disse una voce che proveniva dall'aria davanti a lui. «I rinvii infastidiscono anche i miei uomini: metà di essi vorrebbero andare a nord, domani.» Maniakes sobbalzò, sorpreso. Non fu per Etzilios e Abivard che parlavano fra loro: aveva chiesto a Bagdasares di poter ascoltare lui stesso. Il fatto che il mago ci fosse riuscito, anche se aveva dubitato del possibile successo, gratificava Maniakes, non lo stupiva. Quello che non si era aspettato, però, era che sia il khagan dei Kubratoi che il generale dei Makurani parlassero in videssiano. Cosa si poteva dire quando i due più grandi nemici dell'Impero avevano in comune solo la sua lingua? «E mentre loro sono impegnati a respingere le torri...» Maniakes rimase di nuovo sorpreso, non essendosi aspettato di sentire una terza voce. Ma, che Bagdasares gli avesse dato oppure no qualcosa per simboleggiarla, lui aveva un'affinità con Tzikas, un affinità dovuta alla lunga collaborazione trasformatasi, poi, in un tentativo di assassinio e in un interminabile tradimento. Oh, si, loro due erano collegati. Ma cosa sapeva Tzikas? Quello che stava cercando di mostrare ai Kubratoi quando Maniakes lo aveva quasi trafitto con un dardo? L'Avtokrator non lo scopri. Abivard disse, «Porta fino a noi i monoxyla. Conosci il segnale per farci sapere quando stanno arrivando?» «Conosco quello che tu mi hai dato,» rispose Etzilios. «Perché quello in particolare?» «Perché...» Abivard continuò sicuramente a parlare, ma Maniakes non udì altro. L'arket e l'elsa della spada divennero caldi nelle sue mani. Arma e moneta caddero a terra, una con un clangore, l'altra con un tintinnio sulla pietra. Bagdasares barcollò lievemente, poi si riprese. «Imploro perdono, vostra Maestà,» disse. «I maghi che li proteggono si sono accorti che stavo facendo passare un filo attraverso le loro difese, e hanno spezzato quel filo.» «Vorrei che non lo avessero fatto proprio adesso,» disse Maniakes. «Se avessimo saputo qual era il segnale dei Kubratoi, i nostri dromoni avrebbero potuto appostarsi per poi avventarsi sulle loro imbarcazioni a un tronco solo. Li avremmo massacrati.» «Senza dubbio avete ragione,» disse Bagdasares. «Vi prometto che farò
tutto quello che posso per venire a conoscenza del loro segnale. Ma non posso farlo adesso: i maghi del nemico mi hanno quasi fatto perdere un pezzo della mia anima nella fuga.» «Vai a riposare, allora,» disse Maniakes. «Hai proprio l'aria di averne bisogno.» Bagdasares, in realtà, aveva l'aria di chi ha bisogno di qualcosa di più del riposo. Maniakes non aggiunse altro, nella speranza che il riposo ripristinasse anche le altre cose che il mago vaspurakano aveva perso. E, nel congedarsi, Bagdasares fece un enorme sbadiglio, come se il suo corpo, non il suo spinto, avesse superato un brutto frangente. Maniakes attese finché Bagdasares non fu uscito dalla stanza nella quale aveva lavorato prima di borbottare una scurrile imprecazione. La cosa non sarebbe servita, se Bagdasares era in ascolto con sensi diversi dai cinque normali. L'Avtokrator imprecò di nuovo, in maniera ancora più scurrile. «Per un pelo!» esclamò, pestando un pugno sulla superficie del tavolo. Un'altra frase, due al massimo, gli avrebbero detto quello che disperatamente voleva... che disperatamente gli occorreva... conoscere. Tutto quello che adesso sapeva era che i Kubratoi si erano rimangiati il loro orgoglio e avevano chiesto aiuto agli uomini di Makuran, che avevano più esperienza quando si trattava di assedi. Desiderò - quanto lo desiderava! - che Etzilios fosse stato troppo testardo per condividere con i suoi alleati quello che sperava sarebbe stato il suo trionfo. Ma Etzilios era troppo pragmatico, purtroppo. Con la barba tagliata e senza quelle pellicce addosso sarebbe stato un videssiano abbastanza credibile. Su questa nota depressa, anche Maniakes lasciò la stanza dove Bagdasares aveva lanciato il suo riuscito incantesimo. Se solo fosse riuscito un po' meglio, pensò l'Avtokrator. Thrax si alzò dalla sua prosternazione, rivolgendo uno sguardo preoccupato a Maniakes. «Come posso servire vostra Maestà?» chiese. Il cerimoniale della Gran Corte pesava su di lui, com'era giusto che fosse. «Ti ho convocato per accertarmi che tu abbia la flotta il più possibile pronta per i prossimi giorni,» disse Maniakes dal trono, fissando il drungarios della flotta col volto inespressivo. Il solo modo per incutere più soggezione era quello di usare il noi, come faceva Sharbaraz... probabilmente anche quando giace con le mogli, pensò Maniakes, il che lo divertì abbastanza da provocargli qualche difficoltà a mantenere immobile il volto. «La flotta è sempre pronta, vostra Maestà,» disse Thrax. «Se gli scarafaggi si allontaneranno dalle mura, li schiacceremo.»
«So che sei pronto a combattere,» disse Maniakes. «Ma non è esattamente quello che intendo.» «Beh, e cosa intendete, allora?» chiese il drungarios della flotta. Due cortigiani borbottarono fra loro circa la maniera imperfettamente rispettosa nella quale aveva posto la domanda. Anche a Maniakes venne voglia di borbottare, ma si costrinse a conservare la pazienza. Sapeva com'era fatto Thrax. E il sapere com'era fatto lo aveva spinto a organizzare la cerimonia. Se il drungarios sapeva per tempo quello gli veniva richiesto, lo avrebbe fatto, e abbastanza bene anche. Se fosse stato preso alla sprovvista, avrebbe ancora potuto far bene... ma non c'era modo di sapere con certezza se avrebbe fatto bene o male. «Ti ho convocato qui per spiegartelo,» rispose l'Avtokrator. «Sono convinto che i Kubratoi manderanno un buon numero di monoxyla sul lato ovest del Canale del Bestiame, per portare qui abbastanza Makurani da poter manovrare da soli una torre d'assedio contro di noi. Mi hai seguito fin qui?» «Si, vostra Maestà,» disse Thrax, sicuro di sé. Sotto quella folta chioma argentea, la sua faccia bronzea e segnata dalle rughe era una maschera di concentrazione. «Bene.» Maniakes fece del suo meglio per apparire incoraggiante. Dal momento che non aveva trovato nessuno migliore di Thrax, era costretto a ricavare quanto più poteva dai limiti di quell'uomo. Proseguì, «Prima di salpare, faranno un segnale, per far sapere ai Makurani che stanno arrivando. Se anche noi scorgeremo quel segnale, potremo, diciamo così, precipitarci su di loro. Dovunque sia il grosso della flotta, se ormeggiato alle banchine o in pattugliamento poco al largo della città, dovrai essere pronto a guidarla all'istante in copertura del Canale del Bestiame. Hai capito adesso cosa sto dicendo?» «Credo di si,» disse il drungarios. «State dicendo che non solo ci volete pronti a combattere in qualunque momento, ma che ci volete anche pronti a muoverci in qualunque momento.» «Proprio così! Perfetto!» Maniakes fu sul punto di balzare giù dal trono per collocare un bacio sulla guancia di Thrax. Solo il sospetto che avrebbe confuso più di quanto gli piacesse il drungarios impedì all'Avtokrator di alzarsi dal suo scranno. «Puoi farlo?» «Oh, certo, posso, senza alcun dubbio,» disse Thrax. «Non sono sicuro di comprenderne la necessità, ma posso.» «Comprendere la necessità è compito mio,» disse Maniakes.
«Oh, certo,» ripeté Thrax. Diversamente da parecchi altri ufficiali, non aveva la segreta ambizione di piazzare il suo deretano sul trono occupato da Maniakes. Probabilmente, gli mancava l'immaginazione per vedersi assaporare il potere che gli sarebbe derivato sedendosi su di esso. Piegando la testa da un lato, domandò, «Come saprete quale segnale stanno usando i Kubratoi?» Era una buona domanda. Era, in effetti, la domanda del momento. Non lo sarebbe stata, se i maghi di Etzilios - o forse di Abivard - non avessero scoperto la magia di Bagdasares con qualche istante d'anticipo. Ma l'avevano scoperta, e ora Maniakes era costretto a vivere... o forse morire... con le conseguenze di questo fatto. Disse, «I nostri maghi ci stanno lavorando,» il che aveva la doppia virtù di essere vero e di soddisfare Thrax. Era anche vero che i maghi non avevano ancora avuto alcuna fortuna, ma Maniakes non lo disse ai drungarios. L'Avtokrator era molto irritato per il fallimento dei maghi. E lo era anche perché non avrebbero dovuto fallire, o piuttosto, perché il loro fallimento avrebbe dovuto contare poco. Ma purtroppo contava. I Kubratoi, maledetti loro, non erano sciocchi. I loro maghi sapevano che lui aveva tentato di origliare le conversazioni fra Etzilios e Abivard. Sapevano che lui sapeva che avevano intenzione di fare ad Abivard un segnale prima che le loro imbarcazioni attraversassero il Canale del Bestiame per trasportare i Makurani sul lato est dello stretto, al fine di attaccare le mura della città di Videssos. Immaginavano anche, o forse speravano, che Maniakes non conoscesse il segnale. E così continuavano a mandarsi ogni genere di segnale. Di giorno, i fuochi sollevavano dense colonne di fumo nero. Di notte, i fuochi crepitavano sulla spiaggia vicino alla città. Kubratoi a cavallo portavano enormi bandiere di colori diversi avanti e indietro. In mezzo a questa confusione di esche, i nomadi avrebbero anche potuto esporre un cartello... SIAMO QUI, per esempio, in lettere alte cinque piedi... ed esso sarebbe passato inosservato. I Videssiani, nella frustrante assenza di una conoscenza certa di quello che poteva essere il segnale vero, dovevano reagire a ognuno di essi come se fosse quello giusto. Di volta in volta, i dromoni si lanciavano nel Canale dello Stretto, con i remi che frustavano le onde sollevando schiuma, solo per non trovare traccia dei monoxyla che avevano sperato di intrappolare.
Inevitabilmente, i falsi allarmi cominciarono a compromettere la prontezza della flotta. Maniakes si era aspettato che il problema fosse più grave di quanto in effetti risultò. Dopo un po', comprese che non era affatto grave. Aveva detto a Thrax che voleva i dromoni pronti a muoversi in qualsiasi momento, costi quel che costi. Costi quel che costi risultò essere più complicato e difficile di quanto si era aspettato. Ma aveva dato a Thrax un ordine, e il drungarios della flotta si stava assicurando che quell'ordine fosse eseguito... punto. Di tanto in tanto, la* mediocrità ostinata aveva i suoi vantaggi. Se Rhegorios avesse suggerito una sortita in quel momento, Maniakes avrebbe anche potuto essere incline ad ascoltarlo. L'idea non lo tentava abbastanza per ordinarne una. Aveva più pazienza del cugino... o almeno così continuava a ripetersi, sebbene la sua abitudine a caricare a testa bassa rendesse l'affermazione dubbia. I Kubratoi continuavano a tenere la città di Videssos sotto assedio, e, più lontano, i loro monoxyla affondavano alcuni dei mercantili che portavano rifornimenti ai difensori. Il grano non era ancora introvabile, ma presto lo sarebbe stato e questo ne faceva salire il prezzo nei mercati. Maniakes convocò un paio dei principali mercanti di grano. Uno di loro. Boraides, era basso e grasso e sorrideva per tutto il tempo. L'altro, Provhos, era alto, magro e triste. I loro aspetti e i temperamenti potevano anche essere differenti, ma la pensavano allo stesso modo. Boraides disse, «Non è giusto impedire a una persona di ricavare il giusto profitto, eh eh.» «Il nostro è un commercio a rischio, vostra Maestà,» convenne Provhos. Si fece schioccare le nocche con meticolosità, una dopo l'altra, i due pollici per ultimi. Gli schiocchi furono sorprendentemente forti nella piccola camera delle udienze della residenza imperiale. «Vi ho fatto venire qui per chiedervi di tenere bassi i prezzi di vostra libera volontà,» disse Maniakes, «e per pregarvi di chiedere la stessa cosa ai vostri colleghi.» Gli occhi di Boraides guizzarono a sinistra verso Provhos, i cui occhi guizzarono a destra verso di lui. Entrambi tossirono contemporaneamente. «Non si può fare, vostra Maestà,» disse Provhos. «Vorrei che si potesse, ma non si può,» convenne Boraides. «Noi venditori di grano non ci fidiamo di nessuno. Accidenti, non mi fido di me stesso per metà del tempo, eh eh. Se dico agli altri ragazzi quello che mi avete detto, è facile che aumentino i prezzi solo per quello che avete detto, e per
nessun altra ragione.» «Farebbero meglio a non fare una cosa così sciocca,» disse Maniakes. Boraides fece per iniziare un'altra storiella briosa. Provhos sollevò una mano. Le sue dita erano lunghe e, a parte le giunture, sottili. Maniakes si domandò se era così perché si faceva schioccare le nocche. Lo smilzo mercante di grano chiese, «Perché dite questo, vostra Maestà?» «Perché se cercano di trarre un profitto illecito dalla gente durante questo periodo difficile - che è una cosa che voi due non avete mai cercato di fare, naturalmente - potrei non avere scelta e aprire i granai imperiali per riabbassare il prezzo.» «Non vorrete fare una cosa simile, vostra Maestà,» disse Boraides. «Accidenti, vi costerebbe la benevolenza dei mercanti di grano per molti anni a venire.» Maniakes esalò, incollerito, dal naso. La prosopopea di certe persone non finiva mai di stupirlo. Disse, «Vuoi che ordini ai miei soldati di condurti sulle mura, distinto signore? Vuoi andare lassù a vedere i Kubratoi e i Makurani con i tuoi stessi occhi? Se così ti convincerai che sono davvero qui, sarò felice di farlo.» «So che ci sono, vostra Maestà, eh eh,» disse Boraides. «È solo che...» «Se sai che sono qui, perché non ti comporti di conseguenza?» lo interruppe Maniakes. «Non voglio che la gente si affami mentre siamo assediati, e non voglio nemmeno che la gente detesti gli uomini che vendono il grano. Entrambe queste cose possono farla combattere peggio che altrimenti, ed è questo che mi preoccupa. Se la città cade, siamo morti... e per davvero, non metaforicamente. Inoltre, signori, non voglio rischiare nemmeno di avere i mercanti di grano contro.» «Ma...» Boraides era pronto a continuare a discutere. Provhos parve essere più in contatto con la realtà. «Non va bene, Bor,» disse tristemente. «Può fare più cose a noi di quante ne possiamo fare a lui, ecco tutto.» S'inchinò a Maniakes. «Terremo i prezzi più bassi che potremo, vostra Maestà. Se apriste i granai imperiali, potreste abbassarli ancora di più. Questo significa essere Avtokrator.» «Giusto,» disse Maniakes. «Sono contento che tu abbia l'intelligenza per capirlo.» «Bah,» disse Boraides. «Se spingiamo un po' di persone a protestare nelle strade...» «Parecchi di loro moriranno,» promise Maniakes. «E anche voi. Avrete forse notato che abbiamo un'intera armata in città. Se i mercanti proteste-
ranno perché non possono guadagnare, saranno scontenti, come ho già detto. Per quanto tempo pensate che riusciranno a opporsi ai soldati che cominceranno a saccheggiare le botteghe dei mercanti che sono stati... importuni, specialmente se non hanno pensato che qualcuno dopo li avrebbe puniti?» Boraides sembrava non essere ancora pronto a tenere la bocca chiusa. Provhos gli sibilò qualcosa. Avvicinarono le teste. Maniakes li lasciò confabulare finché vollero. Quando ebbero finito, ebbe difficoltà a capire chi dei due fosse meno felice. La faccia lunga di Provhos probabilmente sembrava afflitta nei giorni più gioiosi della sua esistenza, e non era certo gioiosa adesso. Boraides di solito appariva allegro anche quando non lo era. In quel momento non sembrava allegro. «Ci state facendo una cosa tenibile, vostra Maestà, impedendoci di ricavare un onesto compenso dal nostro lavoro,» disse. «Potete costringerci a farlo - Provhos ha ragione in questo - ma non potete costringerci a esserne contenti.» «Non ho mai detto che non potete ricavare il vostro normale profitto. Ho detto che non potete approfittare della situazione,» rispose Maniakes. «Ripensateci. Prestate attenzione alle mie parole. Non mi piace l'idea che ci siano tumulti a causa del cibo. Ho abbastanza guai, fin troppi, fuori dalla città. Se posso fermare un ribellione prima ancora che cominci, state pur certi che lo farò.» I due mercanti di grano scossero le teste. Li aveva intimiditi. Non li aveva convinti. Ma si sarebbe accontentato di questo. Lui non era il signore dalla mente grande e buona, che poteva entrare nella testa di un uomo e cambiare il suo modo di pensare. Se poteva semplicemente spingere i suoi sudditi a fare come lui voleva, era soddisfatto. Provhos e Boraides presero il suo cipiglio come un congedo. Non l'aveva inteso in quel senso, ma andò così. Mentre si alzavano, Kameas apparve sulla soglia per scortarli fuori dalla residenza imperiale. «Come fai a farlo?» gli chiese Maniakes quando il vestiarios tornò a vedere se aveva bisogno di qualcosa. «Come faccio a fare cosa, vostra Maestà?» chiese di rimando Kameas. «A sapere con esattezza quando presentarti,» disse l'Avtokrator. «Non ti ho mai sorpreso a origliare - non ho mai sorpreso nessuno, se è per questo - ma ti trovi sempre nel posto giusto al momento giusto. Come fai?» «Riesco a valutare in anticipo il tempo che la vostra attenzione dedicherà a un particolare individuo,» disse l'eunuco, in quella che non era realmente
una risposta. «Se il tuo senso del tempo è così buono, stimato signore, forse c'è bisogno di te sul campo di battaglia, non nel quartiere del palazzo.» Maniakes non aveva inteso parlare seriamente, ma Kameas parve serio quando rispose, «Un paio di ciambellani con la mia menomazione hanno servito i loro sovrani come soldati, vostra Maestà. Mi è dato di sapere che non sono caduti in disgrazia, forse per la ragione da voi citata.» «Non lo sapevo,» disse Maniakes, attonito. I generali eunuchi avrebbero dovuto guadagnarsi il rispetto dei loro uomini con mezzi diversi da quelli usati dagli uomini integri, questo era certo. E non sarebbe nemmeno stato facile: lo capiva benissimo. «Devo dire che li ammiro.» «Oh, anche noi, vostra Maestà,» replicò Kameas. «La loro fama è ancora verde nel palazzo.» Maniakes immaginò i vecchi ciambellani che raccontavano ai giovani le grandi gesta dei loro predecessori guerrieri, e i giovani eunuchi che diventavano a loro volta vecchi e riferivano le storie a quelli che venivano dopo di loro. Poi Kameas rovinò in parte la sua visione, aggiungendo, «E anche diversi storici e cronachisti hanno sottolineato le loro imprese marziali.» «Davvero?» Le letture di Maniakes, a parte le pergamene interminabili di burocrati e soldati che mandavano avanti l'Impero di Videssos nonostante gli ostacoli creati dalle invasioni di Kubratoi e Makurani, tendevano più ai manuali militari che alle cronache degli storici. E soldati come Kalokyres, nello spiegare come un generale dovesse impegnarsi a fare tutte le cose necessarie, non si erano mai preoccupati di menzionare se i testicoli fossero essenziali nella fattispecie. «Certamente, vostra Maestà.» Il vestiarios mostrò più entusiasmo per l'argomento di quello che Maniakes vedeva di solito in lui, senza dubbio perché lo toccava personalmente. Proseguì, «Qualora lo desideraste, potrei mostrarvi alcuni dei passaggi più rilevanti. Ho diversi codici e pergamene io stesso, ricopiati da ottimi scribi, e ne sto accumulando sempre di più, a mano a mano che scopro nuovi documenti negli archivi.» «È questo che fai nel tuo tempo libero... cercare negli archivi, voglio dire?» «Una delle cose, si, vostra Maestà.» Kameas si raddrizzò con un orgoglio che poteva anche essere frainteso* «Dopo tutto, stando così le cose, non sono esattamente nella condizione di dare la caccia alle donne.» Maniakes gli sì avvicinò e gli diede un pugno sulla spalla, come avrebbe fatto con Rhegorios. «Che possa andare al ghiaccio se penso che potrei
scherzare su una cosa del genere,» disse. «Sei un brav'uomo, stimato signore... e non hai bisogno di un paio di palle per fare la maggior parte delle cose che un brav'uomo fa.» «L'ho pensato spesso, vostra Maestà, ma devo dirvi che mi dà una grande soddisfazione sentirlo da un uomo integro,» disse Kameas. «Alcuni, ve lo assicuro, sono meno generosi.» La sua bocca si strinse in una linea sottile, dura e triste. Era stato vestiarios per Genesios prima che Maniakes riuscisse a liberare Videssos dal tiranno. Di tanto in tanto, Kameas lasciava trapelare qualcosa che suggeriva che il regno del terrore di Genesios era stato nel quartiere del palazzo anche peggiore che all'esterno. Maniakes non aveva mai interrogato in proposito lui né qualcuno degli altri eunuchi del palazzo, in parte perché gli faceva piacere non sapere e in parte perché non voleva provocare dolore agli eunuchi spingendoli a ricordare. Il vestiarios s'inchinò. «C'è qualcos'altro, vostra Maestà?» «Non credo,» disse Maniakes. Mentre Kameas si voltava per andare, l'Avtokrator cambiò idea. «Aspetta.» L'eunuco si fermò, obbediente. Maniakes frugò nella borsa che portava alla cintura. Non trovò oro, solo argento: chiara testimonianza dello stato delle finanze imperiali. Lanciò un paio di monete a Kameas. Scintillarono nell'aria finché l'eunuco non le afferrò. «Per il tuo copista,» disse Maniakes. Kameas s'inchinò ancora, questa volta in maniera sottilmente diversa: come Kameas, non come vestiarios. «Vostra Maestà è cortese.» «La mia Maestà è nauseata e stanca di essere rinchiusa nella città e di aspettare che i Makurani cerchino di sciamare sul Canale del Bestiame,» disse Maniakes. «Dovremmo riuscire a capire quando lo faranno, ma non siamo riusciti a carpire il segnale che avverte che si stanno davvero muovendo.» «Se continuiamo a rispondere a tutti i segnali che i Kubratoi lanciano...» cominciò Kameas. «Finiremo col non rispondere bene a nessuno di essi,» lo interruppe Maniakes. «Accadrà, presto o tardi. Deve accadere. Ma, uno di questi giorni, il segnale sarà quello vero e, se non lo prenderemo sul serio, avremo l'armata makurana su questo lato del...» La sua voce rimase in sospeso. Quando per un minuto o due lui non mostrò di voler proseguire, Kameas si schiarì la gola. «Stavate dicendo, vostra Maestà?» «Stavo cosa?» rispose distrattamente Maniakes. I suoi occhi e i suoi
pensieri erano lontani. «Qualunque cosa stessi dicendo...» Non lo ricordava. «...Non importa più. Se avessi avuto dell'oro da darti, stimato signore, non l'avrei mai saputo. Ma ora si. Ora lo so.» «Vostra Maestà?» La voce di Kameas era lamentosa. Maniakes non rispose. CAPITOLO SETTIMO «Vostra Maestà!» Il messaggero parlò con grande eccitazione. Puzzava del sudore schiumoso dei cavalli, il che significava che aveva galoppato sulla sua cavalcatura attraverso le strade della città di Videssos per portare la notizia a Maniakes. «Vostra Maestà, i Kubratoi stanno facendo lampeggiare la luce del sole su uno scudo d'argento sul Canale del Bestiame!» «Davvero?» sussurrò Maniakes. Come aveva fatto con Kameas, frugò nella borsa in cerca di monete. Si era assicurato che fossero d'oro, adesso, in vista di quel momento. Il messaggero sgranò gli occhi quando l'Avtokrator gli premette nella mano mezza dozzina di pezzi d'oro. Maniakes disse, «Ora porta la notizia a Thrax. Lui sa cosa deve fare.» Sperò... pregò... che il drungarios lo sapesse. «Si, vostra Maestà, lo farò,» disse il messaggero. «Anche Immodios ha mandato un uomo da lui, ma andrò lo stesso, nel caso che il povero Vonos cada dal cavallo e si rompa la testa o qualcosa del genere.» Corse via. I suoi stivali echeggiarono contro le tessere del mosaico sul pavimento del corridoio della residenza imperiale. Rhegorios si alzò dalla sedia, s'irrigidì sull'attenti e rivolse a Maniakes un saluto formale, col pugno destro stretto sul cuore. «Lo sapevi,» disse, con nient'altro che ammirazione nella voce. Maniakes scosse la testa. «Ancora non lo so,» rispose. «Ma penso di avere ragione, e lo penso al punto da scommetterci sopra. Quando Abivard venne per la prima volta ad Aldilà e io parlamentai con lui, mi chiese se le Guardie Imperiali portavano scudi d'argento, e parve deluso quando dissi di no. E poi c'era la magia di Bagdasares...» «Si, ma ne avevi parlato l'altro giorno.» rispose suo cugino. «Riuscì a catturare le parole che un veggente makurano aveva rivolto ad Abivard?» «È così, o almeno credo,» disse Maniakes. «Da qualsiasi luogo provenissero, le parole erano abbastanza chiare.» Passò alla lingua makurana: «'Figlio del dihqan, vedo un vasto campo che non è un campo, una torre su una collina dove l'onore sarà conquistato e perduto, e uno scudo d'argento
che luccica al di là di uno stretto mare.'» Tornando al videssiano, proseguì, «Da qualsiasi luogo provenissero quelle parole, come ho detto, significavano - e significano - parecchio per Abivard. Se ha chiesto a Etzilios un segnale per far cominciare a muovere la sua armata, è quello... o almeno, questa è la mia ipotesi.» «Penso che tu abbia ragione,» disse Rhegorios. «E anche tuo padre. Non ho mai visto zio Maniakes così impressionato come quando gli hai esposto la tua idea... e lui non s'impressiona facilmente.» «Chi, mio padre?» disse Maniakes, fingendo di essere sorpreso. Ma desistette: non riuscì a insistere nella finzione. «Lo avevo notato, grazie.» «Ne ero convinto,» ammise suo cugino. Maniakes disse, «Non riuscivo a decidere se osservare la battaglia navale dal palazzo o dal ponte di una nave. Alla fine ho pensato: se sono andato sulle mura, devo andare anche sul mare. Ho ordinato a Thrax di venirmi a prendere nel porticciolo del palazzo. Vuoi venire anche tu?» «A bordo della Rivalsa!» chiese Rhegorios. Maniakes annuì. Suo cugino disse, «Se non sono annegato in quella tempesta, che possa andare al ghiaccio se penso che i Kubratoi possano farmi qualcosa. Andiamo. E faremo anche meglio ad affrettarci. Se hai detto a Thrax di venire a prenderti là, starà aspettando e continuerà a farlo anche se non ti farai vedere fino al mese prossimo, senza importarsene un fico secco di quello che ciò significherebbe per la battaglia navale.» Dal momento che Rhegorios aveva senz'altro ragione, Maniakes non perse tempo a discutere con lui. I due uomini uscirono in fretta dalla residenza imperiale. Alcune guardie si staccarono dagli ingressi dell'edificio e trotterellarono assieme a loro, lamentandosi per tutto il tempo del fatto che avrebbero dovuto aspettare che altri uomini li raggiungessero. Maniakes non perse tempo nemmeno a discutere con loro. Si stava rallegrando per essere riuscito a sfuggire ai suoi dodici portatori di ombrelli. Si domandò come avrebbero fatto a restare sulla prua della Rivalsa quando la nave avesse travolto qualche imbarcazione a un tronco solo. Con un po' di fortuna, metà di loro sarebbe caduta in mare e affogata. Lui e Rhegorios raggiunsero in tempo le banchine del palazzo. La Rivalsa stava arrivando, con i remi che salivano e scendevano in perfetto unisono. Il sole che scintillava sui capelli di Thrax era luminoso quasi come se fosse stato riflesso da uno scudo d'argento. Mentre l'ammiraglia imperiale raccoglieva l'Avtokrator e il Sevastos, altri dromoni - molti altri dromoni - si lanciavano nel Canale del Bestiame,
pronti a impedire ai Kubratoi di raggiungere la riva occidentale e di prendere a bordo gli alleati Makurani. «Se avete ragione, vostra Maestà, sono caduti in mano nostra,» dichiarò Thrax. Sembrava fiducioso. Maniakes gli aveva detto che sarebbe andata così. Lui si stava comportando sulla base di quell'assunto. Se Maniakes aveva torto, la cieca obbedienza di Thrax gli avrebbe dato ancora più torto. «Andiamo a prenderli,» disse Maniakes. Anche lui presumeva di avere ragione, e avrebbe continuato a presumerlo finché poteva. Se aveva torto, sperava di accorgersene in tempo, poiché Thrax non ci sarebbe arrivato. Uno dei dromoni che si trovavano abbastanza a sud da non poter guardare intorno alla mole della città di Videssos mandò lo squillo di un corno verso il resto della flotta. Le altre navi fecero eco, diffondendo la notizia più in fretta che potevano. «Significa nemico in vista.» disse con un filo di voce Rhegorios. «Si, non è vero?» disse Maniakes. Alzò lo sguardo verso il cielo e si tracciò il cerchio di Phos sul petto. Si sentiva più alto, più agile, come se un peso enorme gli fosse appena caduto dalle spalle. Thrax gridò al capovoga. Il tamburo aumentò il ritmo. La Rivalsa balzava lieve sulle onde, lanciandosi verso i nemici che finalmente si erano fatti vivi. Maniakes scrutò a sud e a est, rammaricandosi per una volta della diga marittima della città di Videssos, poiché per un po' gli impedì di vedere quanto grande fosse la minaccia che lui, la città e l'Impero stavano fronteggiando. «Per il buon dio,» disse quando la Rivalsa, come quel primo dromone, si fu spinta abbastanza al largo da consentirgli una buona visuale del nemico. Dozzine di monoxyla andavano su e giù sulle onde basse del Canale del Bestiame. Le loro pagaie salivano e scendevano, quasi allo stesso ritmo dei remi dei dromoni. Dal momento che il vento veniva da est, i loro alberi maestri erano abbassati. Thrax gridò di nuovo, questa volta al trombettiere: «Suona ogni nave scelga il suo avversario.» Il richiamo squillò e si diffuse rapidamente nella flotta. Scorgendo le navi videssiane fra loro e i loro alleati, i Kubratoi si lanciarono grida a vicenda. «Se tu fossi su una di quelle imbarcazioni, cosa faresti?» chiese Rhegorios a Maniakes. «Io?» L'Avtokrator rifletté. «Mi piace pensare che avrei il buonsenso di tornare sulla terraferma e di ritentare un altro giorno.» Scosse la testa. «Probabilmente proseguirei, però, essendomi spinto troppo avanti per tor-
nare indietro. Ho fatto un mucchio di errori del genere, e immagino che ne farei un altro ancora.» «Sperando che sia un errore,» disse Rhegorios, al che suo cugino poté solo annuire. Errore o no, i Kubratoi continuavano ad arrivare. Adesso gridavano non solo fra di loro ma anche ai Videssiani. Maniakes non capiva la loro lingua. Non aveva bisogno di capirla per afferrare l'idea che Io stavano insultando. Se i pugni che agitavano verso i dromoni videssiani non gli avessero fornito un indizio, ci avrebbero pensato le frecce scagliate contro la sua flotta. Le prime frecce arrivarono corte, cadendo nel mare con uno spruzzo come dei pesci volanti. La maggior parte dei dromoni portava dei lanciadardi che potevano lanciare più lontano di qualsiasi arciere. Quando i loro dardi mancavano il bersaglio, sollevavano spruzzi più grandi delle semplici frecce. Quando arrivavano a segno, come accadeva abbastanza spesso, un paio di Kubratoi improvvisamente smettevano di pagaiare, rallentando dì parecchio i loro monoxyla. Quando le imbarcazioni a un tronco solo e i dromoni si avvicinarono, anche gli arcieri Kubratoi cominciarono ad andare a bersaglio. Qui e là, i Videssiani crollavano sui ponti delle loro navi. Uno o due di essi caddero in acqua. Maniakes vide un uomo ferito nuotare coraggiosamente verso la riva, distante mezzo miglio. Non avrebbe mai saputo se fosse riuscito a raggiungerla. Altre frecce ancora piovvero sui dromoni. Altri uomini ancora gridarono per il dolore. «Ci daranno molti grattacapi?» Il drungarios della flotta scosse la testa, poi si scostò dalla fronte le ciocche argentee scompigliate. «È come la puntura di una zanzara, vostra Maestà. Prude. Punge. E allora? Le battaglie sul mare non sono come i vostri combattimenti sulla terra. Un fascio di frecce non decide proprio nulla.» Sembrava perfettamente sicuro di sé. Maniakes, riconoscendo di poter essere solo spettatore in quei frangenti, poté solo sperare che il drungarios avesse ragione a essere così fiducioso. Più avanti, il dromone che per primo aveva avvistato i monoxyla si stava lanciando dritto contro uno di essi, con l'acqua marina che si divideva ai lati del suo sperone. Colpì l'imbarcazione giusto nel mezzo. Lo schianto dello sperone rivestito di bronzo fu udibile per un paio di furlong. Il dromone remò all'indietro. L'acqua invase il monoxylon attraverso lo squarcio
aperto dallo sperone. Il vascello videssiano si avviò verso un'altra vittima. «Quella!» Thrax indicò un'imbarcazione a un tronco solo. Gli uomini ai remi timonieri fecero virare la Rivalsa nella direzione da lui indicata. Thrax gridò le correzioni di rotta con calma sicurezza. Lo aveva già fatto, dopo la tempesta sul Mare dei Naviganti. Qualunque cosa avesse già fatto prima, la faceva bene. Ma, comunque bene la facesse, il monoxylon gli sfuggì. Forse il suo capitano kubrati aveva tanta esperienza nell'evitare i dromoni quanta ne aveva Thrax nel travolgere i vascelli più piccoli. Mentre l'imbarcazione a un solo tronco e la galea da guerra si avvicinavano, il monoxylon ebbe uno scatto improvviso, cosicché lo sperone della nave videssiana arrivò oltre la sua poppa. Thrax gridò un'imprecazione oscena. «È stato fortunato,» disse Maniakes, il che non era esattamente vero: il kubrati aveva dimostrato padronanza di nervi e prontezza. L'Avtokrator proseguì, «Ci restano ancora parecchi monoxyla da cacciare, e non potranno sfuggirci tutti.» Almeno lo spero, aggiunse a se stesso. «Phos vi benedica, vostra Maestà, per la vostra pazienza,» disse il drungarios della flotta. Mentre Thrax faceva virare la Rivalsa in direzione della più vicina imbarcazione nemica, Maniakes si voltò verso Rhegorios. «Sono stato paziente con lui, certo: fin troppo paziente. Se avessi qualcuno migliore...» «Avresti dovuto metterlo al posto di Thrax già da un bel pezzo,» lo interruppe Rhegorios. «Tu lo sai. E lo so io. Forse lo sa anche Thrax. Ma non ce l'hai. Talvolta non ci sono uomini in gamba a sufficienza in giro, questo è tutto. Comunque, non è poi tanto male.» Maniakes non rispose. Che il fato dell'Impero dipendesse da un uomo che non era poi tanto male, era una cosa che lo rodeva. Ma la battaglia navale, così come si era sviluppata, non dipendeva in' effetti dal solo Thrax. Ogni capitano videssiano agiva per conto proprio, cercando di distruggere i vascelli nemici che sembravano piccoli e rapidi ed elusivi come scarafaggi che correvano da un lato all'altro di una stanza. Uno di quegli scarafaggi non ce l'avrebbe fatta. La Rivalsa travolse un monoxylon, rovesciandolo e scaraventando la maggior parte dei suoi guerrieri nelle acque verde-azzurre del Canale del Bestiame. Sarebbe riuscito a raggiungere il prossimo monoxylon prima che riuscisse a fuggire? Maniakes gridò di gioia quando lo sperone lo colpì in prossimità della poppa. «Indietro coi remi!» gridò Thrax. La Rivalsa indietreggiò. L'imbarcazio-
ne nemica si riempì rapidamente. Non affondò: era, dopo tutto, solo di legno. Ma i Kubratoi a bordo, che riuscissero o meno a raggiungere Aldilà, non avrebbero portato i Makurani ad attaccare la città di Videssos. Un monoxylon dopo l'altro vennero sfondati o rovesciati dalla flotta videssiana. Gli imperiali non uscirono del tutto indenni. Alcuni dei Kubratoi scagliarono frecce, come avevano fatto nel precedente scontro con Maniakes. Riuscirono anche ad appiccare il fuoco a un paio di dromoni. E quattro monoxyla conversero su una galea da guerra che aveva difficoltà a liberare lo sperone da un'imbarcazione che aveva colpito. I Kubratoi sciamarono sul dromone e massacrarono la ciurma. «Speroniamoli,» disse Maniakes. Indicando i nomadi che esultavano sul ponte del dromone. Thrax, una volta tanto, non ebbe bisogno di farselo ripetere. La Rivalsa non si trovava troppo vicina alla galea catturata, ma copri rapidamente la distanza. Thrax guidò l'ammiraglia fra due monoxyla ancora vicini al dromone. I Kubratoi avevano appena cominciato a far muovere quella nave a loro poco familiare. Non si mosse più dopo che lo sperone della Rivalsa ebbe aperto uno squarcio nel suo fianco. Maniakes scrutò in direzione della riva occidentale del Canale del Bestiame. Un paio di monoxyla erano riusciti a concludere la traversata a dispetto della flotta videssiana. I soldati makurani stavano correndo verso di essi e arrampicandosi a bordo. Parecchi Makurani stavano là, in attesa di essere trasportati sullo stretto fino alla città di Videssos. Per come si stava evolvendo la battaglia in mare, la maggior parte di loro avrebbe aspettato a lungo. Assieme, Kubratoi e Makurani spinsero di nuovo in mare una delle barche che erano arrivate. Prima che Maniakes potesse ordinare alla Rivalsa di attaccare, due altri dromoni videssiani si lanciarono sul monoxylon diretto a est. Gli uomini di Abivard, appesantiti dalle armature di ferro, affondarono più rapidamente degli uomini di Etzilios. Per altri versi, non c'era molta differenza fra loro. «È un massacro!» gridò Rhegorios, dando a Maniakes una pacca sulla schiena. «Per il buon dio, si,» disse Maniakes con un certo stupore. Pochi monoxyla che non si erano rovesciati rimanevano a galla. Alcuni di questi, riusciti a sfuggire al combattimento, stavano pagaiando di nuovo verso la spiaggia dalla quale erano venuti. Dei Kubratoi fluttuavano sull'acqua, alcuni nuotando o aggrappandosi ai relitti, ma i più erano cadaveri. «Non ve lo avevo detto, vostra Maestà,» tuonò Thrax, orgoglioso, «che
semmai avessimo avuto la possibilità di combattere una grande battaglia navale, dromoni contro monoxila, voglio dire, li avremmo fatti a pezzi? Non ve lo avevo detto?» «Si,» disse Maniakes. «Sembra che tu avessi ragione.» Non accennò al fatto che Thrax avesse anche detto un buon numero di cose che si erano poi rivelate sbagliate. Il drungarios quel giorno si era riscattato. «Non pensavo che sarebbe stato così facile,» disse Rhegorios. Anche lui stava osservando i corpi che galleggiavano. «Io si,» disse Thrax, il che era anche vero. «Queste imbarcazioni a un tronco solo sono abbastanza buone per trasportare dei predoni, ma hanno sempre preso batoste quando si sono trovate di fronte delle galee da guerra. Anche i Kubratoi lo sanno: non hanno l'abitudine di affrontarci a viso aperto. Questa volta ci hanno provato, ma l'hanno pagata cara.» «Già,» disse Maniakes. «Se non hanno perso più uomini qui sul mare di quanti ne abbiano persi nell'attacco alle mura della città, rimarrei meravigliato.» Si vide un'increspatura vicino a uno dei cadaveri che galleggiavano nel Canale del Bestiame. Un momento dopo, non galleggiava più. Le battaglie terrestri attiravano rapidamente corvi, poiane e volpi. Anche le battaglie navali avevano i loro mangiatori di carogne. «Ricordami di non mangiare pesce per un po',» disse Rhegorios. Maniakes deglutì. «Lo farò. E io stesso non lo farò per un po' di tempo.» Suo cugino annuì, riuscendo a decifrare senza difficoltà la frase un po' maldestra. L'Avtokrator valutò la posizione del sole. Non era trascorso molto tempo da mezzogiorno, e non mancava molto a mezzogiorno quando lui e Rhegorios erano saliti a bordo della Rivalsa. Nello spazio di un paio di ore, le speranze di Etzilios, e anche quelle di Sharbaraz, erano andate in rovina sullo stretto mare fra la città di Videssos e Aldilà. «Mi domando quanto oro abbiamo speso per la flotta negli anni... nei secoli, per Phos,» disse l'Avtokrator, pensieroso. «Una buona parte di esso deve avere dato l'impressione di essere sprecata. Ma comunque lo abbiamo speso, quello che abbiamo fatto oggi è valso fino all'ultimo pezzo di rame.» «Giusto, vostra Maestà. Giustissimo,» disse Thrax. «E così l'anno prossimo, quando vi chiederò oro per nuove navi e per mantenere quelle vecchie nelle migliori condizioni, mi darete tutto quello che vi chiederò, no?» Gratta un drungarios e troverai un cortigiano. Con voce falsamente se-
vera, Maniakes borbottò, «Se mi chiederai il corrispondente di un arket d'argento makurano, ti pesterò con una mazza chiodata. È chiaro?» «Si, vostra Maestà.» Nemmeno Thrax, ingenuo e stolido com'era, avrebbe potuto prendere sul serio quella minaccia. Rhegorios disse, «I piani di Etzilios sono caduti nella latrina, e così quelli di Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi giorni essere tanti e il suo culo coprirsi di vesciche. E i piani di Abivard?» Il Sevastos puntò il dito in direzione di Aldilà, dove i soldati ancora aspettavano vicino alla spiaggia le barche che non sarebbero mai arrivate. «Non so,» disse Maniakes. «Dovremo scoprirlo. Non può fare niente alla capitale, adesso. Questo credo sia certo. Può ancora fare parecchio alle terre occidentali... oppure può ritirarsi nella Terra delle Mille Città per rispondere a una nostra mossa. Non c'è modo di saperlo finché non accadrà.» «Suppongo di no,» disse Rhegorios. «Vorrei che potessimo staccarlo da Sharbaraz, come lui ha staccato Tzikas da te.» «Non è stato lui a staccare Tzikas da me. È stato Tzikas a staccarsi,» rispose Maniakes. «Quando non riuscì a uccidermi, rifugiarsi presso i Makurani gli parve il modo migliore per impedirmi di staccargli la testa dalle spalle.» Fece un'espressione amara. «E la cosa ha funzionato maledettamente bene.» «Abivard sembra leale.» Rhegorios face apparire la cosa come una malattia. Maniakes la avvertì allo stesso modo, almeno per quanto riguardava Abivard. Un generale makurano sleale sarebbe stato un grande vantaggio per l'Impero di Videssos. Pensare alla lealtà in termini così spregiativi fece comprendere a Maniakes come fosse diventato un completo videssiano, a dispetto dell'eredità vaspurakana. I suoi bis-bisnonni sicuramente avrebbero lodato la lealtà anche in un nemico. Si strinse nelle spalle. I suoi bisbisnonni non avevano nemmeno saputo tutto quello che c'era da sapere. «E adesso, vostra Maestà?» chiese Thrax. Avendo pensato a se stesso come a un vero videssiano, Maniakes ebbe un'idea di autentica ambiguità videssiana. «Raggiungiamo la spiaggia vicino all'accampamento kubrati,» rispose. «Voglio consegnare un messaggio a Etzilios.» Come aveva immaginato, la vista della Rivalsa che incrociava a non grande distanza portò una folla di Kubratoi vicino al mare a vedere come mai si trovava là. «Cosa voi volendo?» gridò uno di loro in un videssiano così storpiato da farsi immediatamente riconoscere.
«Moundioukh, porta le mie parole al tuo khagan, il magnifolente Etzilios.» Soddisfatto del trionfo, Maniakes usò il contorto epiteto senza esitazione. «Digli questo: dal momento che la mia flotta si è sbarazzata di quei poveri e meschini giocattoli che lui chiamava barche, niente adesso mi impedisce di trasportare un contingente via mare fino alla costa a nord della città di Videssos, di farlo sbarcare laggiù e di assicurarmi che lui non scapperà mai dall'Impero di Videssos.» «Tu sono ingannando,» gridò Moundioukh sull'acqua. Non sembrava sicuro di sé, però. Sembrava spaventato. «Vedrai. E anche Etzilios lo vedrà,» disse Maniakes, e poi, a Thrax, «Portaci fuori dalla portata degli archi, se vuoi essere così gentile.» «Si, vostra Maestà,» replicò il drungarios. Incredibilmente, comprese con esattezza quello che Maniakes voleva fare, e disse, «Indietro con i remi!» con voce abbastanza forte da farsi udire dal capovoga, ma non dai Kubratoi sulla spiaggia. «È... demoniaco, cugino mio,» disse Rhegorios con ammirazione. «Per il buon dio, e potremmo realmente farcela.» «So che potremmo,» disse l'Avtokrator. «Anche Etzilios deve saperlo. Lo abbiamo fatto una volta, tre anni fa, e gliel'abbiamo quasi fatta pagare. Deve pensare che potremmo riprovarci. Non ho alcuna intenzione di portare un'armata fuori dalla città di Videssos, col rischio che lui cerchi di usare di nuovo le torri d'assedio invece di ritirarsi, e riesca ad entrare perché noi abbiamo ridotto la guarnigione. Ma lui non lo saprà, e io voglio dargli l'impressione che stiamo davvero spostando le nostre truppe.» «E adesso, vostra Maestà?» chiese di nuovo Thrax. «Adesso torniamo nella città di Videssos,» rispose Maniakes. «Abbiamo piantato il seme. Dobbiamo vedere che genere di raccolto ricaveremo.» Il patriarca ecumenico Agathios allestì una cerimonia di ringraziamento nell'Alto Tempio. Fece portare la notizia in tutta la città di Videssos senza la minima spinta da parte di Maniakes, il quale rimase sorpreso quasi quanto compiaciuto. Agathios manifestava spirito d'iniziativa solo un po' più spesso di Thrax. Maniakes rimase anche sorpreso davanti al fervore dei Videssiani, che riempirono il Tempio per adorare e ringraziare il buon dio. Parecchi di loro parvero anche desiderosi di riconoscergli il merito di aver sconfitto in mare i Kubratoi. Sapevano quanto fosse stata disperata la loro situazione, e sapevano anche che, mentre i Kubratoi li assediavano ancora, il rischio che
i Makurani si unissero nell'assalto era scongiurato. E poi, con un tempismo che Maniakes non avrebbe mai potuto sperare di emulare, un messaggero entrò di corsa nell'Alto Tempio proprio mentre la cerimonia si stava concludendo e prima che fosse uscita più di una manciata di persone. «Vostra Maestà!» gridò l'uomo a gran voce. «Vostra Maestà, i Kubratoi si stanno ritirando! Stanno bruciando le torri e le macchine e se ne stanno andando!» «Noi ti benediciamo, Phos, dalla mente grande e buona!» esclamò Agathios, e la sua voce echeggiò dalla cupola dove il grande mosaico dell'effigie di Phos guardava, con espressione severa, la sua congregazione. Anche il volto maestoso di Phos sembrò meno severo in quel momento, pensò l'Avtokrator. «Voglio vedere io stesso,» dichiarò Maniakes. Per la prima volta da quando aveva sposato Lysia, lasciò l'Alto Tempio accompagnato da acclamazioni. Sebbene pensasse che quelle acclamazioni fossero più dirette alle notizie portate dal messaggero che alla sua persona, Maniakes ne fu ugualmente lieto. Molto prima di raggiungere le mura della città capì che il messaggero aveva detto la verità. Nuvole nere di fumo salivano nel cielo a est. Maniakes aveva già visto in precedenza quelle nuvole, quando i Kubratoi erano giunti fino alle mura per saccheggiare. Allora si era trattato di campi e fattorie che andavano in fiamme. Questa volta, i Kubratoi non avevano semplicemente raggiunto le mura. Avevano anche messo piede su di esse, cosa che nessun altro invasore in tutta la storia dell'Impero di Videssos aveva fatto prima di loro. Ma, sebbene fossero arrivati a tanto, non avevano fatto di più, grazie ai difensori e alla grande resistenza delle mura stesse. Ciò che adesso stavano bruciando era roba loro, che non potevano portare via perché avrebbe rallentato la ritirata, e che non potevano lasciare là per timore che i Videssiani la utilizzassero contro di loro. Quando Maniakes salì sulle mura, il quadro divenne ancora più roseo. Le torri d'assedio che i Videssiani non erano riusciti a incendiare adesso stavano bruciando. E così anche i lanciapietre che i genieri Makurani avevano insegnato a costruire ai Kubratoi. «Se fosse stata la nostra campagna di guerra, li avremmo salvati,» disse un ufficiale videssiano, indicandoli. «Si, è vero,» rispose Maniakes. Aveva portato una carovana intera carica dei pezzi necessari alle macchine d'assedio per tutta la Terra delle Mille Città. «Loro sono nomadi, però. Non hanno portato carri di salmerie con
loro, e si sono sostentati con i prodotti della nostra terra.» «Non torneranno presto, dopo tutto questo.» disse l'ufficiale. «Hanno fallito contro di noi per due volte di seguito, e non ne saranno contenti. Con un po' di fortuna, faranno una bella guerra civile su chi ha sbagliato e chi è da biasimare.» «Che Phos ti ascolti,» disse fervente Maniakes. Sembrava che nessun lanciapietre sarebbe tornato a nord con i Kubratoi. Sì domandò se i loro artigiani sarebbero stati in grado di costruirne di nuovi senza avere dei modelli. Probabilmente si, pensò con non poco rincrescimento. Sottovalutare l'astuzia del nemico non era cosa saggia. «Dobbiamo inseguirli, vostra Maestà?» chiese l'ufficiale, avido come qualsiasi videssiano di notizie che non lo riguardavano direttamente. «In questo momento, penso che li lascerò andare,» disse l'Avtokrator. L'espressione delusa dell'ufficiale avrebbe strappato un applauso se lui fosse stato un mimo in uno spettacolo del Giorno di Mezza Estate. E anche quella illuminata per l'eccitazione, quando Maniakes aggiunse, «E ti dirò perché.» Proseguì, «Non voglio che i miei soldati inseguano i Kubratoi lontano da quello che dev'essere il centro dell'azione. La cosa più importante che possiamo fare è riprenderci le terre occidentali dai Makurani. Inseguire i Kubratoi, anche se sarebbe divertente, ci distrarrebbe da quello che è più necessario fare.» «Ah.» Il capitano eseguì il saluto militare. «Questo posso capirlo.» I Videssiani potevano essere, e spesso erano, decisamente pragmatici quando si trovavano in guerra. Maniakes osservò le macchine dei Kubratoi che si consumavano nelle fiamme. Il vento cambiò, soffiandogli il fumo acre sulla faccia. Gli occhi gli punsero. Tossì diverse volte. E poi cominciò a ridere. L'ufficiale lo fissò per un momento. Anche lui cominciò a ridere. Il dolce suono si diffuse su e giù per il muro finché ogni soldato della guarnigione parve liberare il suo sollievo in un lungo scoppio di ilarità. Maniakes sperò che i Kubratoi non fossero scappati così lontano da non udire quella risata. Li avrebbe feriti quasi com'era riuscita a fare la strenua difesa dei Videssiani. Prendi questa, magnifolente Etzilios, pensò l'Avtokrator. Il vecchio Maniakes sollevò in alto una coppa d'argento colma di vino. «A una battaglia per metà già vinta!» disse, e scolò il calice. Maniakes brindò senza esitazione. Lui vedeva la situazione esattamente allo stesso modo. Lysia, tuttavia, parlò con una certa asprezza: «La batta-
glia è vinta più che per metà, direi. I Kubratoi e i Makurani avevano la possibilità dì agire assieme e l'hanno sprecata. Non potranno ricostituire l'alleanza, perché noi non glielo consentiremo.» «Hai ragione, ragazza, hai ragione,» disse il vecchio Maniakes, facendo un gesto conciliante. «Ogni parola che hai detto è vera... e lungi da me l'idea di discutere con mia nuora. Mio figlio probabilmente metterebbe la mia testa sulla Pietra Miliare se lo facessi, con un grosso cartello con su scritto che razza di essere abietto sono stato.» Fece come per ritrarsi davanti al l'Avtokrator. «Ci vorrebbe un cartello molto grosso, per metterci tutto sopra,» disse Maniakes con uno sbuffo. Ma anche la facezia di suo padre nasceva da un calcolo. Lysia era stata la nipote del vecchio Maniakes per tutta la vita. In quel momento, però, lui non aveva menzionato il vincolo familiare, come faceva spesso Rhegorios. Non era solito parlare contro il matrimonio che Maniakes aveva fatto, ma non parlava nemmeno a favore. «Hai ragione, Lysia... e hai torto,» disse Symvatios. «Si, abbiamo costretto i Kubratoi e i Makurani a dividersi di nuovo, e questo è un grande trionfo. Non dico che non lo sia. Ma...» Indicò a ovest, «...c'è ancora Abivard, praticamente a distanza di sputo. Finché non lo costringeremo a tornare a casa, ci mancherà un buon pezzo dell'intera vittoria.» «Salperemo di nuovo per Lyssaion, o navigheremo sul Mare Videssiano fino a Erzerum?» chiese Rhegorios. «La stagione è troppo inoltrata per fare una di queste due cose, purtroppo.» «Mi piacerebbe farlo,» disse Maniakes. «Ora che non dobbiamo preoccuparci più dei Kubratoi - o almeno del fatto che ci saccheggino la città potremmo anche.» Fece scivolare lo sguardo da suo padre a suo zio a suo cugino a sua moglie. Nessuno di loro sembrava apprezzare molto l'idea. Dopo una breve pausa, il vecchio Maniakes disse, «La stagione è troppo avanzata per sperare di far molto, a meno che tu non intenda trascorrere l'inverno nella Terra delle Mille Città.» «Potrei,» disse Maniakes. «Loro coltivano per tutto l'anno. L'armata troverebbe cibo a sufficienza.» «È anche tardi per far salpare una flotta,» osservò Rhegorios. «Siamo già passati attraverso una brutta tempesta. Ne ho abbastanza.» «Se ordino a Thrax di salpare verso ovest, salperà,» disse Maniakes. «Puoi ordinare a Thrax tutto quello che ti pare, e lui lo farà,» puntualizzò il vecchio Maniakes. «Ciò non testimonia affatto della sua intelligenza. So-
lo della sua obbedienza.» «L'Avtokrator dei Videssiani può ordinare ai suoi sudditi quello che gli piace,» aggiunse Symvatios, «ma non ho mai sentito dire che l'Avtokrator può anche ordinare al vento e alle onde di obbedire alla sua volontà.» Maniakes non aveva una visione così esagerata della sua posizione nel mondo per dissentire su questo. Se avesse avuto una tale visione, la tempesta che lui, suo cugino e la flotta intera avevano superato per un pelo lo avrebbe costretto a riesaminarla. Disse, «Farò controllare a Bagdasares che genere di tempo avremo se salperemo. Mi aveva avvertito di questa tempesta nel ritorno a casa, e non abbiamo potuto evitarla. Se dirà che la navigazione sarà buona, andremo. In caso contrario, no. Va bene così?» Tutti gli rivolsero un sorriso radioso. Bagdasares si prosternò quando Maniakes entrò nel suo laboratorio magico. Dopo essersi alzato, il mago vaspurakano disse, «Come posso servirvi, vostra Maestà?» Se non avesse saputo quello che Maniakes aveva in mente, l'Avtokrator sarebbe rimasto stupefatto. Bagdasares non avrebbe avuto bisogno della divinazione per saperlo: nel palazzo si spettegolava in abbondanza. Ma la forma doveva essere rispettata. E formalmente, Maniakes disse, «Voglio sapere se la flotta troverà bel tempo andando a ovest verso Lyssaion, in questo periodo dell'anno.» «Certamente, vostra Maestà,» disse Bagdasares, facendo un basso inchino. «Avete già visto come si esegue l'incantesimo. Se sarete abbastanza gentile da avere pazienza con me mentre recupero gli ingredienti necessari...» Fece quello che doveva fare con tale rapida efficienza da rimuovere ogni dubbio dalla mente di Maniakes: doveva già sapere che lui sarebbe venuto a fargli visita. Aveva anche già pronte diverse piccole navi a simboleggiare i vascelli della flotta. Maniakes celò il suo sorriso. Se tutti lo avessero servito bene come Bagdasares, sarebbe stato l'Avtokrator più fortunato della storia videssiana. Le navi ricavate da ciocchi di legno entrarono nella ciotola, e cominciarono a cavalcare le increspature come fanno le navi vere sulle onde del Mare dei Naviganti. Bagdasares cominciò a salmodiare: le sue mani si mossero in rapidi gesti sopra la ciotola. Non ci volle molto per assistere agli sviluppi. Maniakes rammentava con vividezza la tempesta che l'incantesimo de! mago aveva predetto per il vi-
aggio di ritorno da Lyssaion. La tempesta in miniatura che questa volta Bagdasares suscitò fu peggiore, con lampi simili a scintille e tuoni simili a piccoli rulli di tamburo. Uno di quei fulmini di dimensioni ridotte colpì una nave magica, che bruciò sulla superficie dell'acqua. «Vostra Maestà, non vi posso in buona coscienza raccomandare di intraprendere il viaggio,» disse Bagdasares con quello che Maniakes considerò un lodevole eufemismo. «Maledizione!» borbottò sottovoce Maniakes. «Va bene... allora navigheremo sul Mare Videssiano?» Non voleva farlo. Il viaggio fino a Mashiz sarebbe stato più lungo, e i Makurani avrebbero avuto parecchie opportunità di rallentarlo o anche di fermarlo prima ancora che fosse riuscito a guidare il suo esercito nella Terra delle Mille Città. «Cercherò di vedere quello che può essere visto, vostra Maestà,» replicò il mago. Come la maggior parte di coloro che esercitavano la sua arte, aveva un'espressione sobria, ma i suoi occhi scintillarono per un attimo. «Dal momento che questo percorso vi porterebbe più vicino al Vaspurakan, la magia sarà più precisa, più accurata.» «Davvero?» chiese Maniakes, interessato malgrado la sua irritazione per la precedente predizione: Bagdasares non aveva mai affermato niente del genere in precedenza. Il mago vaspurakano sospirò. «Vorrei che fosse vero. A rigor di logica, dovrebbe esserlo, poiché Vaspur il Primo Nato e i suoi discendenti costituiscono il punto focale primario dell'attività di Phos sulla terra. Ma se mi ordinate di dimostrarvi che è vero, temo di non poterlo fare.» «Ah, bene,» disse Maniakes. «Se tu potessi dimostrarlo, avresti un mucchio di maghi del Collegio dei Maghi - e anche a Mashiz, non mi meraviglierei - pronti a darti del matto. Va bene, non puoi essere più accurato circa quello che accade sul Mare Videssiano. Mi basta che tu sia accurato come prima.» Quello che voleva dire era: Se puoi mostrarmi come fare quello che voglio fare, anche se dovrò farlo in una maniera inopportuna, lo farò. Bagdasares passò un po' di tempo a recitare incantesimi sulla ciotola e sull'acqua e sulle piccole navi che aveva fabbricato - tranne quella che era bruciata - per persuaderle con la magia che adesso rappresentavano una flotta sul Mare Videssiano, non sul Mare dei Naviganti. Quando fu convinto che le componenti della magia avevano compreso il loro ruolo, cominciò l'incantesimo vero e proprio. Era quasi identico a quello che aveva fatto prima, a parte la sostituzione del nome e della de-
scrizione del nuovo mare e del nuovo porto. Nessuna delle piccole navi prese fuoco questa volta, ma quelle che si capovolsero furono più numerose che nel precedente incantesimo. Maniakes pose la sola domanda che poteva pensare di porre: «Sei certo di avere eliminato tutta l'influenza dell'incantesimo di prima?» «Certo quanto posso esserlo, si,» rispose Bagdasares. «Ma se vi fa piacere, vostra Maestà, posso riprendere di nuovo dall'inizio. Preparare tutto daccapo può richiedere un po' più di tempo, capite, ma...» «Fallo,» disse Maniakes. Bagdasares lo fece. Prese una nuova ciotola, preparò una più fresca - o piuttosto più nuova - acqua di mare simbolica, e allestì una nuova flotta di navi-giocattolo. Ci volle un po' di tempo, anche se Maniakes pensò che il mago era molto più rapido dei suoi costruttori di navi. «Questa volta userò anche un incantesimo diverso,» disse Bagdasares, «per ridurre ogni possibile effetto residuo del precedente incantesimo.» L'Avtokrator annuì la sua approvazione. Bagdasares preparò il nuovo incantesimo metodicamente come aveva preparato il precedente. L'incantesimo era davvero diverso da quello che aveva usato prima. Il risultato, tuttavia, fu lo stesso: una minuscola tempesta che affondò e disperse la flotta simbolica. «Sono molto spiacente, vostra Maestà.» La voce di Bagdasares appariva stanca quando l'incantesimo fu terminato. «Non posso in buona coscienza raccomandarvi nemmeno di mandare una flotta a ovest, sul Mare Videssiano.» Sbadigliò. «Chiedo il vostro perdono. Tre incantesimi in un pomeriggio sfiniscono qualunque uomo.» Sbadigliò di nuovo. «Riposati, allora,» disse Maniakes. «Non mi piace dare la colpa al messaggero per le cattive notizie che porta.» Bagdasares s'inchinò, e quasi cadde. Barcollando come un ubriaco, prese congedo. Maniakes rimase solo nel laboratorio magico. «Non mi piace dare la colpa al messaggero per le notizie che porta,» ripeté, «ma, per il buon dio, mi piacerebbe tanto.» Con un cigolio di cardini arrugginiti, la posteria si aprì. Non era la porta attraverso la quale Moundioukh era arrivato quando Maniakes aveva tentato di convincere i Kubratoi a rompere l'alleanza con Makuran. Quella era stata abbastanza silenziosa. Adesso il silenzio e la segretezza non importavano. Maniakes poteva lasciare la città di Videssos senza timore, senza preoccupazione: non c'erano nemici nelle vicinanze. Maniakes, tuttavia, non poteva lasciare la città di Videssos senza le sue
guardie o senza il pieno complemento dei dodici portatori di ombrelli. Poteva sconfiggere Etzilios, poteva anche bloccare i Makurani sul lato occidentale del Canale del Bestiame, ma contro il rigido cerimoniale qualsiasi sforzo risultava vano. Rhegorios disse, «Non preoccuparti, cugino vostra Maestà cognato mio.» Il fatto che stesse usando di nuovo il suo scherzoso miscuglio di titoli per Maniakes diceva che la crisi, al momento, era superata. Proseguì, «Non ti staranno troppo fra i piedi!» «Ah!» disse fosco Maniakes. Ma, anche col cerimoniale a opprimerlo, non poteva mantenere a lungo il suo cattivo umore. Essere in grado di lasciare la città imperiale, anche con la sua scorta, era incredibilmente bello. Vedere da vicino la rovina delle speranze di Etzilios era persino più bello. I saccheggiatori videssiani erano ancora all'opera su macchine e torri in cerca di tavole di legno e metallo da poter utilizzare o vendere. Fra non molto, non sarebbe rimasto più nulla. «Su questo lato del Canale del Bestiame, siamo di nuovo i padroni,» disse Rhegorios, pensando quello che stava pensando lui. Il sogghigno del Sevastos, sempre pronto, si fece ancora più largo. «E da dove ci troviamo, il muro ci impedisce di guardare i Makurani all'altro lato del Canale del Bestiame. Ci preoccuperemo di loro in seguito, naturalmente, ma non siamo costretti a farlo adesso.» Una volta tanto, Maniakes non tentò di scrutare al di là del muro per osservare le forze di Abivard. Non si stava preoccupando di loro adesso, ma non per la ragione che Rhegorios aveva sostenuto. Le sue preoccupazioni, al momento, erano più vicine a lui. Indicando la base del muro, disse, «Era proprio da queste parti.» «Cosa era da queste parti?» chiese Rhegorios, che non aveva chiesto all'Avtokrator perché stava uscendo dalla città prima di unirsi a lui. «È così,» disse Maniakes, rammentadolo a se stesso. «Tu non eri sulle mura in quel momento. Immodios e io stavamo manovrando il lanciadardi.» «Quale lanciadardi?» Rhegorios sembrava un uomo che stesse facendo del suo meglio per restare ragionevole, ma che non potesse restarlo indefinitamente. «Quello che usammo per scagliare il dardo a Tzikas,» rispose l'Avtokrator: non aveva inteso frustrare suo cugino. «Il rinnegato, possa il ghiaccio prenderselo, stava mostrando ai Kubratoi qualcosa... probabilmente qualcosa che voleva sapessero per poterci colpire. Cosa fosse, ho intenzione di
scoprirlo, così non dovremo più preoccuparcene.» «Cosa potrebbe essere?» Rhegorios appariva calmo, logico, ragionevole: più simile a sua sorella del solito. «Se qui ci fosse qualcosa, non lo sapremmo già?» «Chi può dirlo?» replicò Maniakes. «Abbiamo trascorso molti anni in esilio, con tutta la nostra famiglia. E il fatto che Likinios ci mandò lontano fu un'ottima cosa: se ci fossimo trovati in un posto dove Genesios avesse potuto raggiungerci, le nostre teste sarebbero andate a finire sulla Pietra Miliare. Ma Tzikas è rimasto qui in città per la maggior parte del tempo, prima di andare nelle terre occidentali a combattere i Makurani e a giocare il suo sporco gioco.» «Beh, può darsi,» disse Rhegorios con riluttanza. «Ma può anche darsi di no. Un mucchio di teste andarono sulla Pietra Miliare quando Genesios aveva il trono. E un mucchio di uomini morirono in altre maniere, uccisi in battaglia o anche nel loro letto. E questa cosa doveva essere molto segreta. Poche persone dovevano conoscerla, altrimenti l'avremmo sentita da anni.» «C'è un'altra spiegazione, sai,» disse Rhegorios: «Come fai a conoscere una cosa che non esiste?» Le guardie, i portatori di ombrelli, Maniakes e anche Rhegorios continuarono ad andare avanti e indietro. Maniakes cominciò a pensare che suo cugino avesse ragione. Si strinse nelle spalle. Se era così, era così. Saperlo piuttosto che limitarsi a sperarlo sarebbe stato un sollievo. Una delle guardie, un grosso haloga biondo che portava i capelli acconciati in una treccia fino a mezza schiena, gridò a Maniakes: «Signore, qui il terreno sembra cedevole sotto i piedi.» «Cedevole, Hafgrim?» L'Avtokrator lo raggiunse e batté i piedi dov'era la guardia. «Non mi sembra cedevole.» Hafgrim sbuffò. «Ci voglio due di voi per fare uno di me, signore.» Non era vero, ma non era nemmeno del tutto falso. L'haloga proseguì, «Dico che sembra cedevole. So quello che so.» Incrociò le braccia sul largo torace, sfidando Maniakes a contraddirlo. Non avendo trovato di meglio - anzi, non avendo trovato nulla - Maniakes si aggrappò alla pagliuzza. «Va bene, a te sembra cedevole,» disse, accondiscendente. «Prendete vanghe e mazzuoli e scopriamo perché.» Le guardie si misero all'opera, con zelo. I portatori di ombrelli, rimasero a guardare. Maniakes non disse nulla, ma sospettava che diversi di quei portatori avrebbero avuto degli incidenti a palazzo - incidenti non gravi, sperava - nel prossimo futuro.
Sospettava anche che gli scavatori non avrebbero trovato nulla più del suolo umido che Hafgrim aveva smosso sotto i piedi. Per cui rimase estremamente sorpreso quando, dopo aver scavato per non più di un piede e mezzo, gli attrezzi cozzarono contro il legno. «Cos'avevo detto, signore?» disse trionfante Hafgrim. «Cos'avevo detto, cugino mio?» disse trionfante Maniakes. Rhegorios, per una volta, non disse niente. «È una botola, signore,» disse la guardia haloga dopo che lui e i suoi compagni ne ebbero rivelato buona parte. «È una botola... e cosa può esserci sotto una botola?» «Un cunicolo,» disse con un filo di voce Maniakes, ancora prima che una delle guardie infilasse il bordo di una vanga sotto la porta e facesse leva. «Per il buon dio, un cunicolo.» «Ora, chi vorrebbe scavare un cunicolo sotto le mura?» disse Rhegorios. Non c'erano dubbi su dove il cunicolo fosse diretto: scendeva quasi a picco, per passare sotto il fossato che circondava le mura, ed era massicciamente puntellato ai quattro lati. Una risposta balzò nella mente di Maniakes: «Likinios. Dev'essere stato Likinios. Solo uno come lui poteva pensare a far costruire una botola, uno che vedeva angoli su una linea retta. E Tzikas avrebbe potuto facilmente esserne a conoscenza.» Maniakes rabbrividì. «Meno male che si trova così vicino alle mura, dove tutte le armi possono arrivare. Altrimenti, Tzikas avrebbe potuto farla facilmente portare alla luce dai Kubratoi.» «Avrebbe dovuto farlo comunque,» disse Rhegorios. «Portare il nemico dentro la città sarebbe stata una pugnalata nel nostro cuore.» «Quando si tratta di fare piani, nessuno può competere con Tzikas,» rispose Maniakes. «ma quando si tratta di combattere, è sempre stato incline alla prudenza. Lo abbiamo già constatato. Per quel che mi riguarda, credo che tu abbia ragione, cugino mio. Se mi fossi trovato io qua fuori, avrei tentato di entrare, anche a costo di subire delle perdite. Ma io sono l'opposto di Tzikas, non so complottare come fa lui, ma faccio spuntare fuori il collo quando c'è una battaglia.» «Si, e hai anche rischiato di rimettercelo in una o due occasioni,» disse Rhegorios, il che avrebbe fatto arrabbiare Maniakes se non avesse saputo che era vero. Con tono pensoso, il Sevastos proseguì, «Mi domando perché Likinios non ha mai usato la botola che fece costruire.» «Mi domando se lo sapremo mai,» disse Maniakes. «Ho i miei dubbi in merito. Stavamo appena dicendo che gran parte della gente al servizio di
Likinios è morta. Genesios si assicurò di questo dopo aver preso il trono.» Batté le palpebre. «Kameas però era già in circolazione, e lo è ancora.» Fece schioccare le dita. «Per il buon dio, mi chiedo se sapesse di questo cunicolo. Devo chiederglielo quando torneremo al palazzo.» «Cosa ne facciamo nel frattempo?» chiese Rhegorios, indicando la bocca nera del cunicolo. «Riempitelo,» disse subito Maniakes. «È per noi più pericoloso di quanto possa essere utile.» Rhegorios si tirò la barba mentre ci pensava su. Dopo alcuni secondi annuì, «Bene,» disse. «Un cunicolo, vostra Maestà?» Gli occhi di Kameas divennero tondi. La carne morbida sotto il mento glabro tremolò quando lui si ritrasse sorpreso. «No.» Si tracciò il segno di Phos sul cuore. «Non ne avevo mai sentito parlare. Ma dovete ricordare che l'Avtokrator Likinios è sempre stato uno che nascondeva il più possibile le cose che sapeva.» «È così,» disse Maniakes. Rhegorios, a questa sua affermazione, lo guardò: il Sevastos non aveva mai conosciuto personalmente Likinios. L'Avtokrator continuò, «Se il segreto era mantenuto così bene che nemmeno tu lo conoscevi, stimato signore, perché Likinios non se ne servì quando vide che Genesios stava per rovesciarlo?» «A questo, vostra Maestà, forse posso rispondere,» replicò Kameas. «Durante la ribellione di Genesios, Likinios non lo prese mai abbastanza sul serio. Soleva chiamarlo 'condottiero di centuria', come per dire che nessuno con una responsabilità così piccola poteva sperare di rovesciare l'Avtokrator dei Videssiani.» «Non dev'essersi accorto di quanto era detestato dall'armata dell'Astris, alla fine,» disse Maniakes. «E anche da tutti gli altri, alla fine,» convenne il vestiarios. «Le guardie della Porta d'Argento la aprirono per far entrare i soldati di Genesios nella città di Videssos. Niente, dicevano, poteva essere peggio di Likinios.» Il suo sguardo era lontano, rivolto oltre gli anni. «In breve tempo, Genesios fece capire a loro - e a tutti noi - che si sbagliavano.» «Likinios era astuto,» disse Maniakes. «Doveva esserlo, altrimenti non avrebbe governato l'Impero per vent'anni, non avrebbe convinto un uomo abile come mio padre che non aveva possibilità di salire al trono e non avrebbe usato la guerra per rimettere sul trono Sharbaraz Re dei Re a suo vantaggio. Ma era astuto con le cose, con le idee, non tanto con le persone
e i sentimenti. Alla fine, questo gli è costato caro.» «Noi eravamo soliti dire, vostra Maestà - noi di questa corte, voglio dire - che pensava come un eunuco,» disse Kameas. «Non era né un complimento né un'offesa. Ma sembrava in qualche modo separato dal resto del genere umano, come lo siamo noi, e distante anche dalle passioni che dominano il genere umano.» «Ho il sospetto che mio padre sarebbe d'accordo con te,» rispose Maniakes. «Dubito, però, che abbia mai detto qualcosa del genere quando Likinios era vivo.» «Il guaio con le cose complicate che faceva Likinios era che c'era bisogno di lui sul trono perché continuassero a funzionare,» osservò Rhegorios. «Una volta arrivato Genesios, invece, sono andate tutte in rovina più presto e peggio che se fossero state più semplici.» Si voltò verso Maniakes con quell'espressione impudente sulla faccia. «Sono lieto che tu sia buono e semplice, cugino mio vostra Maestà.» «Aspetta, che ti semplifico io,» disse Maniakes. Lui e suo cugino risero. L'Avtokrator ridivenne serio di botto. «Sai, a un tratto comincio a pensare di comprendere Tzikas.» «Oh, come mi dispiace!» esclamò Rhegorios. «Qui, siediti e stai calmo, poverino. Manderò a chiamare Philetos nel Collegio dei Maghi e anche il patriarca Agathios. Fra loro due, dovrebbero essere capaci di esorcizzare qualunque spinto maligno abbia messo le sue grinfie su di te.» Maniakes rise di nuovo, ma insistette: «Per il buon dio, mi spiegherò meglio. Tzikas deve aver imparato parecchio, al servizio di Likinios. Non poteva farne a meno, scaltro com'era... e com'è, purtroppo. Non so se decise di essere come Likinios, alla maniera dei figli che decidono di essere come i loro padri, ma scommetto che è stato qualcosa del genere. E lui è come Likinios... o piuttosto, è come sarebbe stato Likinios senza integrità.» «Vostra Maestà, credo che abbiate ragione,» disse Kameas. «Ammetto, tuttavia, che la mia esperienza con Tzikas è limitata.» «Vorrei che lo fosse anche la mia.» Ma Maniakes rifiutò di abbattersi. «Non è un mio problema, adesso, Phos sia lodato. È un problema di Abivard, laggiù sull'altro lato del Canale del Bestiame. Per quanto mi riguarda, stanno benissimo assieme.» La menzione di Abivard fu seguita dal silenzio, come spesso accadeva. «Perché si trova ancora ad Aldilà?» disse finalmente Rhegorios. «Cosa farà adesso che sa di non poter attraversare lo stretto e attaccarci?»
Lui, Maniakes e i loro parenti avevano continuato a porsi vicendevolmente la domanda da quando avevano sconfitto in mare i Kubratoi. «Non lo sappiamo ancora, maledizione,» disse Maniakes. «Ho cercato di fare delle ipotesi, nei giorni scorsi. Forse pensa che Etzilios sarà in grado di riportare i Kubratoi a sud e di riprendere l'assedio.» «Non può essere così sciocco, no, vostra Maestà?» disse Kameas, proprio mentre Rhegorios scuoteva con veemenza la testa. Maniakes allargò le mani. «Va bene. Non ci credo nemmeno io. Etzilios sarà molto fortunato se non troverà nessuno pronto a prendere la sua testa per aver guidato i nomadi al disastro.» Parlò con la sobria soddisfazione che un uomo può provare quando contempla la sconfitta del proprio nemico. «Ma se questa non è la risposta, allora qual è?» Rhegorios disse, «Finché sarà laggiù...» Annuì verso ovest, in direzione del sobborgo della città di Videssos. «...ci bloccherà la strada più facile per le terre occidentali.» «È vero,» disse Maniakes. «Eppure, avendo noi una flotta e lui no, possiamo portare i nostri uomini ovunque vogliamo, e quando vogliamo... se il tempo ce lo consente, naturalmente. Ma anche nei giorni bui, prima che avessimo un'armata degna di questo nome, usavamo le navi per portare dei razziatori avanti e indietro dalle terre occidentali.» «Non è che abbiamo interrotto l'attività da allora,» disse Rhegorios. «Affatto,» convenne Maniakes. «Abbiamo avuto cose più grosse da affrontare, oltre a queste, però.» Rhegorios e Kameas annuirono. Maniakes proseguì, «Cugino mio, hai un pezzo della verità, ma non credo che tu l'abbia tutta. Come ho già detto, ho continuato a pensarci da quando abbiamo visto che Abivard non andava da nessuna parte.» «Tutti abbiamo continuato a pensarci,» disse Rhegorios. Sogghignò. «Ma illuminaci, dunque, O saggio vegliardo.» «Ci proverò, cugino mio, anche se, dopo il titolo che mi hai concesso, quello che dirò potrà sembrare poca cosa,» rispose Maniakes. Lui e Rhegorios risero. Anche gli angoli della bocca di Kameas si sollevarono verso l'alto, lentamente, come se il vestiario non volesse farlo accadere ma scoprisse di non poterlo evitare. Maniakes proseguì, «La cosa spaventosa è che l'assedio è quasi riuscito. L'altra cosa spaventosa è che non lo abbiamo visto arrivare finché non era già qui. Sharbaraz Re dei Re - possa il ghiaccio prenderselo - aveva preparato bene il suo terreno.» «Tutto vero,» disse Rhegorios. «Il signore dalla mente grande e buona sa che è tutto vero. Se quel messaggero non ce l'avesse fatta ad attraversare la
Terra delle Mille Città...» Rabbrividì. «Era un buon piano.» «Già,» disse Maniakes. «E Abivard ha fatto anche tutto il possibile per farlo funzionare. Ha portato i genieri su un lato del Canale del Bestiame. Ha portato Tzikas sull'altro lato del Canale del Bestiame. Per il buon dio, lui stesso è stato qui. La sola cosa che non poteva fare era portare una buona parte della sua armata qui, e non è stata colpa sua. Dipendeva dalla flotta kubrati, e noi l'abbiamo fatta a pezzi.» «Tutto vero,» disse Rhegorios. «E allora?» «Il piano era splendido. Siamo tutti d'accordo,» disse Maniakes. Il Sevastos e il vestiarios annuirono. «Abivard ha fatto tutto il possibile per farlo funzionare.» Altri cenni del capo. «Ma non ha funzionato.» Altri cenni ancora. Maniakes sorrise, rallegrandosi ancora una volta della condizione del suo nemico. «Quando Sharbaraz Re dei Re, essendo la persona che è, essendo la cosa che è, scoprirà che non ha funzionato, cosa farà?» «Phos,» sussurrò Rhegorios. «Non esattamente,» disse Maniakes. «Ma stiamo parlando di colui che ha un tempio del Dio fatto a sua immagine, rammentatelo. Chiunque faccia questo non è il tipo che può restare calmo se le cose vanno male, no? E chi conosce Sharbaraz Re dei Re meglio di Abivard?» «Phos,» disse di nuovo Rhegorios, questa volta con tono più rispettoso. «Non osa tornare a casa, allora?» «Non mi spingerei fino a questo punto,» rispose Maniakes. «Ma sicuramente ci sta pensando su. Noi lo faremmo, se fossimo laggiù. I Makurani possono giocare in una maniera un po' più leale della nostra, ma il gioco è lo stesso. Sharbaraz starà cercando qualcuno da incolpare.» «Potrebbe incolpare Etzilios, vostra Maestà,» disse Kameas. «La colpa, come voi avete osservato, è della flotta kubrati.» «Si, potrebbe farlo,» convenne Maniakes. «Potrebbe anche averlo già fatto, oppure lo farà quando la notizia lo raggiungerà, se non lo ha ancora raggiunto. Ma a cosa gli gioverebbe? Anche se incolpa Etzilios, non può punirlo. È stato fortunato a far arrivare un'ambasceria a Kubrat. Non manderà mai un'armata laggiù.» Rhegorios disse, «Metà del divertimento nel dare la colpa a qualcuno sta nel punirlo per l'errore che ha commesso.» Maniakes non ci aveva pensato in quei termini. Si era preoccupato di cosa fosse realistico e cosa non lo fosse. Ma il suo disinvolto cugino aveva ragione. Quando uno era Re dei Re di Makuran - o, se era per questo, Avtokrator dei Videssiani - poteva, se lo voleva, fare esattamente quello che
voleva. Punire coloro che sbagliavano era una delle prerogative... talvolta una delle piacevoli prerogative... del titolo. Riflettendo, Kameas disse, «Mi domando come potremmo sfruttare al meglio una qualsiasi disaffezione fra Sharbaraz e Abivard, o creare una simile disaffezione se al momento non esiste.» Maniakes diede una pacca sulla schiena al vestiarios. «I Makurani si lamentano sempre di quanto sono infidi e ambigui i Videssiani. Stimato signore, se avessero udito questo, sarebbero certi di avere ragione. E sai una cosa? Tu hai assolutamente ragione. È questo che dobbiamo fare.» «Manda un messaggero - segreto ma non troppo segreto - ad Abivard,» disse Rhegorios. «Accadrà una di queste due cose: o lui si unirà a noi, che è quello che abbiamo in mente, oppure dirà di no, nel qual caso Sharbaraz avrà comunque la notizia che lui sta trattando con i Videssiani. Non credo che a Sharbaraz piacerà.» «Nemmeno io,» disse Maniakes. «Lo farò.» Il messaggero salpò dalla città di Videssos il giorno dopo. Portò con sé lo scudo della tregua. Abivard era solito onorare tali scudi più di qualsiasi altro ufficiale di entrambe le fazioni. Maniakes aveva ragione di attendersi che il messaggero, un certo Isokasios, sarebbe tornato indenne, anche se non necessariamente vittorioso. E Isokasios tornò, ma non quel giorno. Era alto e magro, con una barba grigia tagliata corta che gli ornava un volto talmente magro da essere scarno. Dopo essersi prosternato, disse, «Vostra Maestà, ho fallito. Abivard non ha voluto vedermi, non ha voluto ascoltare le mie parole, non ha voluto avere nulla a che fare con me. Vi ha mandato un messaggio: dal momento che le terre occidentali sono, usando le sue parole, legittimo territorio makurano, ogni guerriero videssiano sorpreso da quelle parti sarà quindi trattato come spia. Lo ha definito un leale avvertimento.» «Sarà ucciso su due piedi, insomma, invece che lentamente,» disse Maniakes. «Fanno lavorare i prigionieri fino ad ammazzarli di fatica, un certo numero per volta.» Si domandò se era accaduto questo a suo fratello Tatoules, che era scomparso durante l'invasione makurana delle terre occidentali e non era stato più visto. «Temo che abbiate ragione, vostra Maestà,» disse Isokasios. «Per Phos, metterò fine a tutto ciò prima che inizi.» Maniakes chiamò a gran voce uno scriba, dicendo, «Scriverei io stesso, ma non voglio che chiunque legga per lui il videssiano si scervelli sulla mia grafia.» Quando
il segretario arrivò, l'Avtokrator gli disse, «Riporta esattamente le mie parole: 'Maniakes figlio di Maniakes ad Abivard figlio di Godarz di Makuran: Salve. Sappi che, se un qualunque soldato videssiano catturato dalla tua armata entro quelli che sono i confini dell'Impero videssiano dalla morte del l'Avtokrator Likinios dovesse essere ucciso come spia, allora qualsiasi soldato makurano catturato da Videssos entro i medesimi confini sarà ucciso come brigante. Le mie azioni in merito si conformeranno alle tue e a quelle dei tuoi uomini.'» Fece un gesto perentorio per mostrare che aveva finito. «Fai una bella copia di questa lettera, se quella che hai non lo è, poi portala per la firma e il sigillo.» «Si, vostra Maestà.» Lo scriba corse via. A Isokasios, Maniakes disse, «Quando tornerà col messaggio, portalo direttamente ad Abivard. Senza segretezza, stavolta. Voglio che i Makurani sappiano esattamente in che genere di pasticcio si stanno cacciando e come la pensiamo noi in merito.» «Si, vostra Maestà,» rispose il messaggero. Qualche attimo dopo lo scriba tornò. Maniakes appose il suo nome sulla bella copia con l'inchiostro cremisi riservato solo all'Avtokrator. Impresse il sigillo dello sprazzo di sole nella cera calda, tese il messaggio a Isokasios e lo congedò. Il messaggero tornò alla città di Videssos al tramonto con un messaggio scritto da Abivard. Quando Maniakes ruppe il sigillo, grugnì per la sorpresa. «È scritto in makurano. Di solito non è così.» Fece schioccare la lingua fra i denti. «Mi domando se non possa esserci qualcosa che non ha voluto far sapere a uno scriba di lingua videssiana. Se è così, potrebbe essere interessante.» Dal momento che non leggeva il makurano, convocò il sacerdoteguaritore Philetos, che invece lo leggeva. Quando l'uomo in tunica azzurra arrivò, Maniakes gli consegnò il quadrato di pergamena. Philetos lo lesse una volta, con le labbra che si muovevano, poi lo tradusse: «'Da Abivard figlio di Godarz, servo di Sharbaraz Re dei Re di Makuran, buono, pacifico, benevolo...» «Puoi tralasciare i titoli,» disse seccamente Maniakes. «Come volete, vostra Maestà. Riassumo: 'A Maniakes figlio di Maniakes: Salve.'» Prima che potesse proseguire, Maniakes lo interruppe di nuovo: «Ancora non vuole ammettere che sono il legittimo Avtokrator, ma almeno non mi chiama più usurpatore.» Sharbaraz sosteneva un fantoccio che fingeva di essere il figlio maggiore di Likinios, Hosios. Avendo visto la vera testa di
Hosios, Maniakes sapeva che Genesios lo aveva liquidato assieme al resto della famiglia di Likinios. L'Avtokrator aggiunse, «A pensarci bene, i Makurani non hanno il falso Hosios con loro. Mi domando se è ancora vivo.» «Una domanda interessante, ne sono certo,» disse Philetos, «ma non volete prima ascoltare quello che volete farvi leggere?» Avendo riguadagnato l'attenzione di Maniakes, proseguì, «'Il provvedimento che metti in discussione è stato istituito per ordine di Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi. Non ho intenzione di adottarlo finché non avrò mandato la tua risposta al Re dei Re per sottoporla al suo giudizio.'» Maniakes si accigliò, in riluttante ammirazione. «Avevo sperato di più,» disse infine. «Tutto quello che sta dicendo è: 'Non è colpa mia, e forse potrò far cambiare le cose. Nel frattempo, non preoccuparti.'» «Deve aver pensato che era esattamente quello che volevate sentire, vostra Maestà,» disse Philetos. «No.» L'Avtokrator scosse la testa. «Questo non mi dà nulla da poter afferrare, nulla che io possa usare per separare Abivard da Sharbaraz. Sta obbedendo al Re dei Re e rimettendo a lui la questione. Non è di questo che ho bisogno. Preferirei che mi avesse detto che Sharbaraz ha torto marcio. Quindi, avrei potuto usare questo per staccarlo dal Re dei Re, oppure mandare il messaggio a Sharbaraz per staccare lui da Abivard.» «Ah. Adesso capisco meglio, vostra Maestà,» disse il sacerdoteguaritore. «Ma se la cruda realtà del fallimento di Abivard nel prendere la città di Videssos non gli costerà il favore del Re dei Re, perché una cosa di minore importanza dovrebbe avere quell'effetto?» «Speravo che il fallire gli costasse quel favore,» disse Maniakes, pronunciando le parola con cura: non gli sarebbe piaciuto provarci dopo un paio di coppe di vino. «Dal momento che non sembra essere andata così, non sono tanto orgoglioso da non tentare di lanciare sassolini sul macigno, nella speranza che facciano pendere la bilancia dalla sua parte. Ma Abivard non mi ha dato alcun sassolino.» «Cercate di avere pazienza.» Philetos sembrava più pretesco del solito. «Queste cose richiedono tempo.» «Si, santo signore,» disse con deferenza Maniakes. Da una parte, era già stato paziente per tutta la durata del suo regno: cosa necessaria per gran parte di esso, quando o si trovava in condizioni di particolare debolezza, o era attaccato su due fronti, oppure entrambe le cose assieme. D'altra parte, quando aveva visto l'opportunità di agire, si era spesso mosso troppo pre-
sto, per cui aveva ancora bisogno di istruzioni circa l'arte di attendere. «C'è altro, vostra Maestà?» chiese Philetos. «No. Grazie, santo signore.» rispose Maniakes. Il sacerdote-guaritore uscì, lasciando la lettera di Abivard. Maniakes fissò, frustrato, il documento che non poteva leggere senza aiuto. Si consolò rammentando che Abivard lo aveva scritto lui stesso, nella lingua makurana. in modo da non doverne rivelare il contenuto a nessun altro. Era qualcosa. Non era abbastanza. Philetos si dimostrò un visitatore abbastanza assiduo della residenza imperiale nelle settimane successive. I razziatori videssiani che si aggiravano nelle terre occidentali non avevano i numeri per attaccare le armate makurane. Osservavano e si servivano di messaggi recapitati via mare per informare Maniakes. Erano, in effetti, abbastanza simili a spie, se non proprio: una questione sulla quale l'Avtokrator decise dì non soffermarsi. Avevano anche l'abitudine di tendere imboscate ai messaggeri makurani ogni volta che potevano, cosa questa che risultava potenzialmente molto utile, come si era verificato nella Terra delle Mille Città. Parecchi dei messaggi che intercettarono e mandarono nella città di Videssos erano di lingua makurana. Il sacerdote-guaritore non ebbe difficoltà a capirli. La maggior parte, sfortunatamente, non valeva molto. «Vostra Maestà, di quale utilità vi è l'informazione che il comandante della guarnigione di Aptos ha chiesto in prestito un po' di grano al comandante della guarnigione di Vryetion?» chiese Philetos dopo aver tradotto un dispaccio su cui avevano messo le mani, nel quale il comandante di Aptos aveva fatto proprio quello. «Potrei tenere una conferenza elaborata su come l'apprendere che una guarnigione makurana si trovi a corto di rifornimenti potrebbe essere importante,» replicò Maniakes. «Ma lasciamo stare. La sincera verità è che per me non ha alcuna palese importanza. Non possiamo trovare sempre pietre preziose. Quando fai rotolare il dado, non ottieni i piccoli soli di Phos...», quelli doppi erano il colpo vincente nel gioco videssiano, «...ogni volta. Ma non lo saprai mai se non lanci i dadi.» «Suppongo che sia così, vostra Maestà.» Philetos parve condiscendente ma non proprio soddisfatto. Ogni volta che dei messaggi nuovi dalle terre occidentali arrivavano nella città di Videssos, veniva strappato alle sue ricerche magiche per tradurli. «Vorrei proprio che i Makurani avessero la cortesia di scriverli in videssiano.»
«Ci renderebbero la vita più semplice, no?» Maniakes rivolse un ampio sorriso al sacerdote-guaritore. «Certamente, renderebbero la tua vita più semplice.» A intervalli di pochi giorni, una nave o un'altra portavano un dispaccio o una manciata di dispacci dalle terre occidentali. La regione collinosa nella parte sud-orientale della penisola non era mai stata saldamente nelle mani makurane come il resto: si trovava ben distante dalla linea di marcia per la città di Videssos. I comandanti makurani della zona si erano sempre lamentati delle razzie videssiane, e avevano continuato a chiedere ad Abivard o a qualcun altro più uomini per non essere sopraffatti. Nella parte settentrionale delle terre occidentali le forze terrestri videssiane erano più deboli, ma la flotta, ora che la pressione sulla città imperiale era diminuita, poteva piombare su qualche porto e impossessarsene ogni volta che lo voleva. I messaggi intercettati che arrivavano alla città di Videssos da quella zona erano soprattutto avvertimenti agli ufficiali makurani di restare sempre all'erta e, ancora, interminabili richieste di rinforzi rimaste, apparentemente, senza risposta. Studiando le traduzioni di Philetos, il vecchio Maniakes disse, «Non hanno abbastanza uomini per fare tutto quello che devono fare, soprattutto se lasciano l'intera armata ad Aldilà.» «Vero, ma se si dividono, avranno parecchie difficoltà a riunirsi,» disse l'Avtokrator. «Più guardo la loro posizione, più mi piace la nostra,» osservò suo padre. «Stanno affondando un po' alla volta, e il solo sistema che hanno per tappare un buco è lasciare che un altro faccia passare l'acqua.» «E li abbiamo anche convinti a non portare più truppe fuori dalla Terra delle Mille Città,» disse Maniakes. «Se ci proveranno, noi prenderemo Mashiz, come avremmo fatto nell'ultima campagna di guerra se Sharbaraz non avesse avuto quell'idea maledettamente astuta.» «Siamo troppo avanti nella stagione per tentare di mandare fuori la flotta, anche se i tuoi presagi non fossero stati infausti,» disse il vecchio Maniakes. «Ma c'è l'anno prossimo, e ci sarà l'anno dopo ancora, se necessario. I Kubratoi ci lasceranno in pace per un po'. Possiamo concentrarci contro Makuran.» «Presto o tardi, però, dovremo affrontare l'armata makurana,» disse Maniakes. «C'è un bel mucchio di 'bolliti' da prendere in un colpo solo.» «Forse puoi anche farli dividere, per cui non sarà necessario,» rispose suo padre. «E forse, semplicemente, li sconfiggerai. Le armate videssiane
possono sconfiggerli, lo sai. Se non fosse così, Makuran avrebbe le terre occidentali già da centinaia di anni.» «Questo lo capisco,» disse Maniakes. «Eppure...» Durante l'infelice regno di Genesios e durante i primi anni del proprio, i Makurani avevano letteralmente sbaragliato tutte le forze che Videssos aveva messo in campo. Si erano convinti che potevano fare tutto quello che volevano... e anche i Videssiani. Nella Terra delle Mille Città, le truppe di Maniakes avevano dimostrato di poter fronteggiare la temibile cavalleria makurana quasi ad armi pari. Fronteggiare l'intera armata makurana, però, era diverso dall'affrontare dei suoi distaccamenti. Se qualcosa non andava per il verso giusto... Kameas ficcò la testa nella stanza dove i due Maniakes stavano conversando e disse, «Vostra Maestà, imploro perdono, ma è appena arrivata un'altra manciata di dispacci.» «Grazie, stimato signore,» disse Maniakes. «Falli portare qui e manda qualcuno a chiamare Philetos, se vuoi essere così gentile.» «Mi sono già preso la libertà di farlo,» disse il vestiarios con una quasi impercettibile sfumatura di compiacimento. Philetos arrivò circa un quarto d'ora dopo. Dopo essersi inchinato al vecchio Maniakes e prosternato davanti al più giovane, si mise all'opera sulle pergamene che Kameas aveva appoggiato sul tavolo col piano in alabastro. Quando arrivò a una di esse, s'irrigidì e si mise sul chi vive. «Vostra Maestà,» disse con voce rigidamente controllata, «abbiamo qualcosa di importante qui. È di Sharbaraz Re dei Re ed è diretto a Romezan figlio di Bizhan.» «Il secondo in comando di Abivard,» disse in un soffio Maniakes. «Hai ragione, santo signore: questo è importante. Cosa dice?» Philetos scorse la pergamena. Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi erano spalancati e sorpresi. Disse, «Il succo è questo: Sharbaraz ritiene Abivard colpevole del fallimento dell'attacco alla città di Videssos. Questa lettera ordina a Romezan di tagliare la testa di Abivard, di spedirla a Mashiz e di assumere lui stesso il comando dell'armata.» CAPITOLO OTTAVO Maniakes, suo padre e Philetos si fissarono. L'Avtokrator disse, «Non avrei mai immaginato che mi cascasse in grembo una cosa così grossa. È quasi troppo grossa. Come possiamo usarla a nostro vantaggio?»
Con voce asciutta, il vecchio Maniakes disse, «Stavamo cercando qualcosa che staccasse Abivard da Sharbaraz. Se un ordine di esecuzione non riesce a farlo, che io possa andare al ghiaccio se so cos'altro può riuscirci.» Philetos disse, «Non sarebbe meglio non interferire? Sarebbe il corso naturale degli eventi, diciamo così, a rimuovere Abivard dalle faccende che ci riguardano.» «E a mettere Romezan al suo posto.» Maniakes scosse la testa. «Ho combattuto contro Romezan. È molto in gamba, e i soldati lo amano. I Makurani con lui al comando sarebbero pericolosi quanto lo sono ora.» «È così,» convenne il vecchio Maniakes. «Stando a quello che ho visto, questo Romezan è abile quanto Abivard nel guidare le truppe in battaglia, forse di più, perché tende ad attaccare con più energia. Abivard è migliore nel guardare oltre il suo naso, però.» «È tutto vero, parola per parola, padre, e mi dice anche quello che dobbiamo fare,» disse Maniakes. «Se l'uscita di Abivard farebbe pochi danni a Makuran, quello che dobbiamo fare è istigare Abivard contro Sharbaraz.» «Sono d'accordo: mostrandogli quella lettera dovremmo riuscirci,» borbottò il vecchio Maniakes. «È proprio quello che intendo fare,» disse l'Avtokrator. «Lo inviterò nella città di Videssos col pretesto di discutere una tregua fra le sue truppe e le mie. Quando sarà qui, tirerò fuori la pergamena.» «Non temerà di entrare nella città di Videssos?» disse Philetos. «Non penserà che vogliate fargli davvero quello che intende fargli il suo sovrano?» «Credo che verrà,» disse Maniakes. «Nonostante quello che ha fatto Sharbaraz, Abivard e io siamo stati avversari duri ma leali: nessuno di noi due è mai ricorso a trucchi. E deve sapere che noi sappiamo quanto sia valido Romezan, e quanto poco guadagneremmo uccidendolo.» Philetos, ancora scosso per l'enormità di quello che aveva scoperto, si tracciò il cerchio di Phos sul cuore. «Che il buon dio esaudisca il vostro desiderio.» Con uno scudo di tregua a prua, la Rivalsa andava su e giù sulle onde basse a portata di voce dalla spiaggia di Aldilà. Di li a non molto, un soldato makurano venne avanti e gridò ai dromone in un videssiano con un forte accento: «Chi sei, e cosa vuoi?» Maniakes, sontuoso nei suoi paramenti imperiali, si fece avanti per mostrarsi al makurano. «Sono Maniakes figlio di Maniakes, Avtokrator dei
Videssiani. Vorrei parlare con Abivard figlio di Godarz, vostro comandante qui. Voglio invitarlo nella città di Videssos, in modo che possiamo discutere su come porre fine alla guerra fra di noi.» Il makurano lo fissò. «Come faccio a sapere che sei davvero Maniakes, e non uno qualsiasi con un vestito sgargiante?» «È Sharbaraz quello che mantiene gli impostori nella sua corte... Tutti i falsi Hosios che ha tirato fuori, per esempio,» rispose, brusco, Maniakes. «Vuoi riferire le mie parole al tuo comandante? Digli che gli prometto l'incolumità nella città e il suo libero e sicuro ritorno qui nell'istante in cui me lo chiederà. Digli anche che posso lasciare degli ostaggi se dubita della mia parola.» «Glielo dirò,» disse il makurano, «o, comunque, lo dirò a qualcuno che lo dirà a lui.» Corse via. A bordo della Rivalsa, Thrax emise un sospiro di sollievo. E così fece anche l'uomo munito di scudo che era pronto a porsi davanti a Maniakes al primo segno di pericolo: una nave che si trovava a portata di voce da una spiaggia era anche a portata di freccia. Abivard non sembrava incline a uccidere, anche se ciò poteva servire alla sua causa, ma i suoi soldati? Altri soldati vennero a osservare il dromone. All'ordine di Thrax, la ciurma della Rivalsa collocò un dardo sulla catapulta. Avevano fatto un buon lavoro in precedenza, contro i Makurani che si aggiravano troppo in prossimità della riva. Ora, come Maniakes, aspettavano prima di muoversi. L'attesa finì quando Abivard arrivò, con gli zoccoli del suo cavallo che schizzavano sabbia. Saltò giù dal grosso animale dall'ampio dorso - adatto a trasportare un uomo in armatura completa, sebbene adesso il generale indossasse un caffettano makurano - e scrutò la Rivalsa. Quando scorse i paramenti imperiali, gridò, «Se sei il vero Maniakes, come si chiama mia moglie?» Parlò in makurano in modo che i suoi uomini potessero capire. «Il suo nome è Roshnani,» replicò Maniakes nella stessa lingua. Sapeva di pronunciare male il nome, come faceva abitualmente con quello di Sharbaraz: i dialetti videssiani non se la cavavano bene col suono sh. «Sei proprio tu, oppure sei stato bene addestrato,» disse Abivard. Dopo un momento, proseguì, «Sei proprio tu: riconosco la voce e l'aspetto. Ci siamo incontrati abbastanza spesso, in questi anni. Cosa vuoi?» «Quello che ho detto al tuo uomo.» Per necessità, Maniakes si esprimeva in un makurano piuttosto semplice. «Ti invito a venire nella città di Videssos. Ti darò degli ostaggi, se vuoi degli ostaggi. Quello che voglio è porre fine alla guerra fra Makuran e Videssos. Penso di conoscere il mo-
do.» «Dimmelo qui e ora.» Abivard parlò con maggiore semplicità, per rispondere alla maniera rozza in cui Maniakes usava la sua lingua. «Ho qualcosa che devi vedere. È nella città.» Maniakes fece un gesto verso la capitale imperiale al di là del Canale del Bestiame, la città che Abivard era stato incapace di prendere con la forza delle armi. «Vuoi venire?» «Verrò,» dichiarò Abivard. «Devo nuotare fino alla tua nave, o mi mandi una barca?» Fece per sfilarsi il caffettano dalla testa, come aspettandosi di dover nuotare. «Metti una barca in acqua,» sibilò Maniakes a Thrax, che riferì l'ordine ai marinai. Ad Abivard, Maniakes parlò con una certa sorpresa: «Niente ostaggi, generale di Makuran? Posso darteli.» «Niente ostaggi.» Abivard rise. «Se elimini me, dovrai vedertela con Romezan. Non penso che tu preferisca che sia il cinghiale selvaggio di Makuran a scorrazzare per quelle che voi chiamate le terre occidentali.» Maniakes fece un gesto al suo indirizzo, in segno di rispetto: lui e Abivard avevano fatto lo stesso calcolo. La barca cigolò su per la spiaggia. Abivard, dopo poche parole ai suoi uomini, vi salì. Uno dei marinai la spinse nuovamente in acqua. Gli uomini remarono fino alla Rivalsa con notevole celerità, come contenti di allontanarsi da tutti i Makurani che si trovavano sulla riva. Maniakes non li biasimò per questo. Aiutò loro e l'uomo che erano andati a prendere ad arrampicarsi sulla Rivalsa. Maniakes studiò il generale makurano. Abivard aveva più o meno la sua età, era forse di pochi anni più giovane, e aveva un volto allungato e pensoso, sopracciglia cespugliose e scuri occhi liquidi, un naso più dritto di quello di Maniakes ma non certo meno formidabile e una barba nera nella quale erano all'opera i primi fili bianchi. Inchinandosi a Maniakes, disse, «Avrei trattato la città in maniera diversa se fossi entrato senza un invito.» Adesso parlò in videssiano, pronunciandolo in maniera molto più fluente di quanto fosse in grado di fare Maniakes col makurano. L'Avtokrator si strinse nelle spalle. «E anche la città ti avrebbe trattato in maniera diversa.» «Anche questo, probabilmente, è vero,» replicò Abivard con una disinvolta noncuranza che Maniakes fu costretto ad ammirare. «Ma dal momento che non sto entrando nella città di Videssos da conquistatore, perché ci sto entrando, per l'esattezza?»
«Posso dirtelo, se ti fa piacere,» disse Maniakes. «Preferirei mostrartelo, però. Puoi aspettare? Non è così lontano.» Fece un gesto sull'acqua del Canale del Bestiame verso la città imperiale, ora visibilmente più vicina di quanto lo era stata dalla riva dello stretto. Non aveva portato con sé la lettera di Sharbaraz, per timore che un'onda fortuita la investisse e rovinasse la prova di cui aveva bisogno per persuadere Abivard. «Mi sono messo nelle tue mani,» disse il generale makurano. «Aspetterò e vedrò di cosa si tratta. Se non l'accetterò, conto sul fatto che mi farai ritornare dai miei soldati. Hai combattuto duramente contro le armate di Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi, ma ti sei dimostrato uomo d'onore il più delle volte.» «Di questo ti ringrazio,» disse Maniakes. «Ho pensato la stessa cosa di te, per inciso. Se avessimo iniziato dalla stessa parte, credo che avremmo potuto essere amici.» «Questo pensiero ha attraversato anche la mia mente,» disse Abivard, «ma il Dio...», tornò al makurano per nominare la sua divinità, «...ha scelto il mio sovrano secondo la sua volontà, non secondo la mia. Essendo solo un mortale, accetto le disposizioni del Dio.» «Il tuo sovrano sa certamente che sei solo un mortale,» osservò Maniakes. Abivard gli rivolse uno sguardo curioso. Lui finse di non notarlo. Non ebbe bisogno di fingere a lungo, perché la Rivalsa raggiunse il porticciolo del palazzo. Degli uomini stavano sulla banchina per afferrare le corde che i marinai gettarono loro e per ormeggiare il dromone al molo. Abivard osservò con interesse l'operazione. «Conoscono il loro lavoro,» osservò. «Lo spero bene,» rispose Maniakes. Attese finché la passerella non venne allungata fino al molo, poi la attraversò con passo regale, facendo segno ad Abivard di seguirlo. «Vieni, eminente signore,» disse, concedendo ad Abivard il più alto rango della nobiltà videssiana. «Dai un'occhiata a quello che non sei riuscito a prendere.» Abivard la diede, con viva curiosità che divenne ancora più viva mentre avanzavano nel quartiere del palazzo verso la residenza imperiale. «Così è questo che non ho mai potuto vedere,» disse quando svoltarono un angolo e un edificio nascose il mare alla vista. «Finora, avevo colto maggiori dettagli di quelle cose che da lontano ho potuto solo scrutare. Questo, però, è nuovo per me.» Davanti alla residenza erano in attesa Rhegorios, Symvatios e il vecchio Maniakes. Abivard s'inchinò a tutti e tre. Il vecchio Maniakes tese la ma-
no, dicendo, «Felice di vederti in un momento in cui non tentiamo di ucciderci a vicenda.» Abivard accettò la stretta. «Certo. Se non fosse stato per l'armata che tu una volta guidavi, Sharbaraz non sarebbe il Re dei Re oggi.» «Ma è il Re dei Re oggi, purtroppo,» borbottò il vecchio Maniakes. «Se sarà il Re dei Re domani...» La sua voce si affievolì. La faccia di Abivard s'irrigidì, diventando una maschera. «Se mi avete convocato qui per tentare di farmi ribellare a Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi anni essere lunghi e il suo regno accrescersi, per favore riportatemi subito oltre il Canale del Bestiame. Non tradirò il mio sovrano.» «No?» Maniakes condusse il makurano nella residenza. Kameas li raggiunse, reggendo un vassoio d'argento. Abivard guardò il vestiarios senza curiosità: anche alla corte makurana c'erano gli eunuchi. Considerando il modo in cui spesso i Makurani chiudevano in gabbia le loro mogli, non era una cosa sorprendente. Maniakes prese la pergamena dal vassoio e la tese ad Abivard. «No?» ripeté. «Nemmeno dopo questo?» Mentre osservava Abivard che leggeva, avrebbe potuto individuare con esattezza il momento in cui il generale makurano raggiunse il passaggio che ordinava la sua eliminazione. Abivard non gridò, né strillò, né andò visibilmente in collera. La sua faccia divenne ancora più ferma e impassibile. «Come hai avuto questo?» «Fortuna,» rispose l'Avtokrator. «Nient'altro che fortuna. Uno dei nostri gruppi di razziatori si è imbattuto nel messaggero prima che raggiungesse Aldilà.» «Prima di fare qualsiasi cosa,» disse Abivard. «Voglio avere la certezza che sia autentico, lo sai.» Maniakes annuì. «Pensavo che lo avresti detto. Tu lasci il meno possibile al caso: l'ho capito combattendo contro di te. Suppongo che non ti fidi dei miei maghi: io non mi fiderei, al tuo posto. Se vuoi portare un mago makurano fin qui per verificare la cosa, puoi farlo.» «Il fatto che tu mi faccia questa offerta mi fa ovviamente pensare che la lettera sia autentica.» Abivard emise un lungo sospiro. «Non mi sorprende. Sharbaraz è già stato sul punto di tagliarmi la testa in passato, come forse sai. Ma devo sapere con certezza prima di decidere cosa fare. Uno dei miei due maghi è un makurano. L'altro è di sangue videssiano.» «Lo sapevo... o almeno lo sospettavo,» intervenne Maniakes. «Se non fosse stato così, l'incantesimo della cinghia di Voimios che abbiamo adoperato l'altro anno vi avrebbe confusi maggiormente.»
«È stato comunque brutto.» Abivard scosse la testa. «Galoppare verso un canale, dirigersi verso l'altra riva e tornare al punto di partenza... brutto, come ho detto. Ma la tregua vale anche per Panteles?» «Si, vale,» rispose Maniakes. «Dovrà restare con te per sempre, però. Semmai tornasse nell'Impero senza trovarsi sotto la tua protezione, la sua testa andrebbe sulla Pietra Miliare.» «Sono d'accordo,» disse Abivard. «Direi la stessa cosa se tu avessi un traditore makurano fra i tuoi uomini.» «Parlando di traditori, come sta Tzikas?» chiese Rhegorios. «Vivo.» disse Abivard. «Sfortunatamente. Sharbaraz ha una buona opinione di lui, dal momento che non può realisticamente mirare a posare sul trono di Mashiz il suo deretano.» «Questo può importare meno di poco fa, in relazione alla tua attuale visione delle cose,» osservò Maniakes. «Può,» convenne Abivard. «E non può.» Abbassò lo sguardo sulla pergamena che ancora aveva fra le mani e la lesse di nuovo. «Vedremo.» Portare i maghi sul Canale del Bestiame senza suscitare inopportuni sospetti si dimostrò più semplice di quanto Maniakes si era aspettato. Quando il suo inviato disse che erano necessari per quello di cui si stava discutendo nella tregua, i Makurani accettarono la cosa non solo senza esitazione ma anche senza ulteriori domande. Panteles e Borzog saltarono su una barca videssiana, vennero condotti alla Rivalsa e viaggiarono fino alla città di Videssos nel giro di un paio di ore. «Se rimani troppo sul vago,» disse Maniakes, osservando il dromone che ormeggiava nel porticciolo del quartiere del palazzo, «corri il rischio di non ottenere nulla.» «Cosa intendi per vago?» La voce di Rhegorios salì in una finta indignazione. «Non abbiamo raccontato nemmeno una bugia.» Come Abivard, Maniakes era determinato a osservare le prove che i maghi del generale makurano avrebbero effettuato sulla pergamena. Questo significava che doveva avere accanto i suoi maghi, per timore che quelli che lavoravano per il suo avversario potessero usare la loro magia contro di lui. Avrebbe dovuto convocare Bagdasares e Philetos in ogni caso, per assicurarsi che Panteles e Borzog non cercassero di fornire ad Abivard dei risultati fasulli. Borzog esaminò la pergamena con l'aria di un uomo che guarda un pesce rimasto per diversi giorni fuori dall'acqua. Era alto e magro e aveva un'e-
spressione acuta, con una postura così dritta da fare invidia a una colonna. Finalmente, con tono riluttante, disse, «Ha l'aspetto di un documento che potrebbe... bada, dico potrebbe... provenire dalla corte del Re dei Re.» Dal momento che lui stesso era venuto dalla corte del Re dei Re per servire Abivard, non era un'ammissione da poco. Panteles non disse niente. Sebbene gli fosse stata promessa l'incolumità all'interno della città di Videssos, aveva l'aria di uno pronto a scappare in qualsiasi momento. L'arrivo nella capitale imperiale sembrava avergli rammentato che era un videssiano, e quindi motivo di imbarazzo per gli altri Videssiani. La sua coscienza è ancora viva, pensò Maniakes. Tzikas, al suo posto, sarebbe rimasto imperturbabile. Abivard disse ai suoi maghi, «Voglio che mi diciate se Maniakes è più furbo di quanto lo sia stato finora...» Lanciò all'Avtokrator uno sguardo sospettoso, «...o se Sharbaraz vuole davvero che Romezan mi scaraventi nel Vuoto.» «Signore, la mia provenienza ci sarà d'aiuto,» disse Borzog, parlando un elegante makurano. «Per la legge del contagio, sia io che questa lettera siamo in contatto con la corte del Re dei Re, e quindi fra noi.» «Procedi, dunque. Fai tutto quello che è necessario,» disse Abivard. Maniakes annuì. Il suo cuore aumentò di ritmo nel petto. Una volta che Abivard si fosse convinto - se Abivard si fosse convinto-che Sharbaraz voleva liberarsi di lui... Allora, sarebbe potuto succedere ogni genere di cose interessanti. Borzog mise la lettera sul tavolo, poi attraversò la camera nella residenza imperiale fino a fermarsi vicino al muro più lontano dal tavolo. «Una volta in contatto, sempre in contatto,» disse. «Se questa lettera arriva davvero dalla corte del Re dei Re, l'incantesimo che sto per usare la attirerà a me un'altra volta. Inizio.» Maniakes poteva seguire il makurano parlato, ma colse solo qualche parola occasionale della salmodia del mago. Philetos, però, stava prestando particolare attenzione, attento a ogni discrepanza da un incantesimo e da un tipo di incantesimo a lui familiari. Borzog sollevò le mani e fece alcuni gesti: niente di complicato o elaborato, il che suggerì a Maniakes che l'incantesimo era elementare come aveva affermato l'arrogante mago makurano. Borzog gridò con voce forte e perentoria... e la pergamena volò attraverso la stanza, andandosi a posare sulla sua mano destra.
Spostò lo sguardo da essa a Maniakes e poi ad Abivard. Con voce cauta, disse, «Ciò sembra indicare che la lettera è venuta dalla corte di Mashiz, come ha asserito l'Avtokrator dei Videssiani.» Non era un'ammissione da poco: venendo lui stesso dalla corte, era più probabile che fosse uomo di Sharbaraz piuttosto che di Abivard. Panteles gli si avvicinò e prese la pergamena. Parlando in videssiano, il mago disse, «Questa è una semplice prova per vedere se la lettera può essere associata al Re dei Re.» Frugò nella borsa che portava alla cintura, tirandone fuori un arket d'argento nuovo di zecca. «Usando questa moneta con l'immagine di Sharbaraz, possiamo applicare la legge della similitudine per determinare il vincolo fra la pergamena e il Re dei Re.» «Questa è una magia valida,» disse Bagdasares. Philetos annuì. Dopo un momento, annuì anche Borzog. Maniakes lanciò un'occhiata a Bagdasares con una certa dose di divertimento. Non molto prima, Bagdasares stesso aveva usato una moneta makurana quando aveva origliato magicamente il colloquio fra Abivard ed Etzilios. Sebbene fisicamente lontano a Mashiz, Sharbaraz recitava un ruolo vitale in quella circostanza. Il mago videssiano al soldo di Abivard si mise all'opera con evidente competenza. Il suo incantesimo, pur eseguito in videssiano, sembrava strettamente imparentato con quello che aveva usato Borzog. Mise la moneta sul tavolo dove il mago makurano aveva collocato la lettera. Tenendo il foglio nella mano sinistra, cominciò a salmodiare. «Aspetta,» disse improvvisamente Bagdasares. Anche lui tirò fuori una moneta dalla sua borsa: un pezzo d'oro della zecca di Maniakes. Lo mise sul tavolo non lontano dall'arket d'argento. «Questo farà da controprova. Se la pergamena vi andrà sopra, saprai che stiamo cercando di fuorviarvi.» Panteles diede il suo assenso alla modifica dell'incantesimo. E lo diede anche Abivard, che disse calmo, «Se sei così sicuro di poter provare la tua innocenza, questo è già un buon segno.» Di nuovo, il mago videssiano cominciò a salmodiare. Lasciò cadere dalla sua mano la pergamena... ma essa non cadde sul pavimento. Fluttuando nell'aria come se fosse uno sbuffo di fumo, volò verso il tavolo sul quale stavano le due monete, una videssiana, l'altra makurana. Anche se sapeva di aver intercettato il messaggio e di non averlo fabbricato, Maniakes si sentiva teso. Forse Panteles era abbastanza astuto da poter ingannare Bagdasares e Philetos. O forse la magia poteva semplicemente sbagliare. Piano piano, la pergamena discese sull'arket che recava il profilo impe-
rioso di Sharbaraz. Maniakes emise un sospiro di sollievo. Anche Abivard sospirò: il sospiro di un uomo che adesso doveva fare una scelta che aveva sperato evitare. E sospirarono anche tutti e quattro i maghi nella camera, avendo mostrato ai loro padroni quello che era e quello che non era. Voltandosi verso Borzog, Abivard parlò nella sua lingua: «Dimmi, amico mio: merito questo trattamento da parte di Sharbaraz Re dei Re?» Non augurò al suo sovrano né lunghi giorni né tanti anni. Il mago makurano si leccò le labbra. Se veniva dalla corte di Mashiz, doveva essere cresciuto sotto lo sguardo di Sharbaraz. Eppure, per come Abivard aveva posto la domanda. Borzog sembrava anche essere stato per un certo tempo assieme al generale makurano. Se non fosse stato così, Abivard avrebbe dovuto liberarsi di lui all'istante... o almeno lo avrebbe fatto Maniakes, nella posizione di Abivard, per impedire che il mago mandasse all'aria qualsiasi piano gli sarebbe venuto in mente. «Signore, ti ho visto in guerra ormai da alcuni anni,» disse piano Borzog. «Tutto quello che Sharbaraz ti ha chiesto, tutto quello che un uomo poteva fare, l'hai fatto. Che lui ora voglia ripagarti ordinando il tuo assassinio a tradimento... signore, non c'è giustizia in questo. Ti aiuterò come meglio posso. Nel nome del Dio e dei Quattro Profeti lo giuro. Possa perdermi per sempre nel Vuoto se sto mentendo.» «Anch'io sono con te, signore,» disse in fretta Panteles. Abivard annui un distratto ringraziamento. Il videssiano al suo servizio non aveva altra scelta che restargli fedele: non poteva tornare nel suo paese, e chi altri fra i Makurani poteva volerlo con sé? Abivard parlò con stupore: «Ecco com'è andata a finire. Avrei potuto ribellarmi al Re dei Re una mezza dozzina di volte, e mi sono sempre trattenuto, per lealtà e perché mia sorella Denak è la sua moglie principale. Adesso non ho scelta, se voglio continuare a respirare.» «Tua sorella ha avuto un maschio l'anno scorso, ho sentito dire,» disse Maniakes. «Finalmente,» convenne Abivard, «e, oserei dire, con meraviglia di tutti.» «Dipende,» disse Maniakes. «Potresti metterti alla testa del tuo popolo come zio e protettore dell'infante del Re dei Re, piuttosto che come usurpatore che mira al potere solo per se stesso.» «Mhm, si.» Abivard inclinò la testa da un lato. «Possiamo parlare da soli, vostra Maestà?» «Possiamo.» Maniakes parlò senza esitazione, ritenendo Abivard un as-
sassino molto improbabile. L'Avtokrator lanciò uno sguardo d'intesa a Bagdasares e a Philetos. I due guidarono le loro taumaturgiche controparti fuori dalla stanza nella quale avevano dimostrato l'autenticità della pergamena. Bagdasares chiuse la porta dietro di sé. Maniakes invitò Abivard con un gesto a dire quello che aveva in mente. Dopo aver tossito un paio di volte, il generale makurano arrivò al punto: «Vostra Maestà, volete essere così gentile da invitare la mia moglie principale Roshnani - che ormai può benissimo essere la mia unica moglie, dal momento che non ho posato lo sguardo su nessuna delle altre da più di dieci anni - nella città di Videssos? Nessuno riterrebbe strana la cosa: tutti sanno come sia entusiasta delle relazioni ben più semplici che esistono fra uomini e donne videssiane.» «Si, lo farò,» disse subito Maniakes. «Per come me lo chiedi, però, sembra che tu voglia che la inviti solo per i banchetti dove possa mangiare con te senza scandalizzare tre quarti dei tuoi compagni.» «Metà di loro, direi.» Gli occhi di Abivard ammiccarono. «Ci siamo mossi poco, noi Makurani, rispetto a dove eravamo quando attraversammo il confine videssiano come rifugiati tanti anni fa, Sharbaraz, Denak, Roshnani e io.» Tornò determinato. «Ma la ragione per cui venimmo in Videssos... quella fu idea di Roshnani, non di Sharbaraz né mia.» «Davvero?» disse Maniakes con genuina sorpresa. Abivard annuì. «Non è interessante?» mormorò l'Avtokrator. «Così la vera ragione per cui la vuoi qui è quella di poter complottare meglio, no?» Abivard annuì di nuovo. Maniakes proseguì, «C'è, naturalmente, la possibilità che complottiate contro di me, ma intendo correre il rischio. Dovrebbe trovarsi bene con Lysia, in realtà.» «Certo,» convenne Abivard. «Da quello che so, il vostro matrimonio è lontano dai vostri costumi quanto lo è il mio dai nostri.» «Di più, forse,» disse Maniakes, con un'amarezza che non voleva scemare. Dopo un momento, cercò un punto di vista più giudizioso: «E forse anche no. Guardo al mio dall'interno e al tuo dall'esterno, per cui la visione che ho dei due è diversa. Ma non ti ho fatto venire qui per parlare di filosofia. Ti ho fatto venire qui per parlare di ribellione. E se avere tua moglie può essere d'aiuto in questo senso, eminente signore, la avrai.» Il volto tondo e grazioso di Roshnani dimostrò di celare una mente così evoluta che avrebbe potuto farle ottenere grandi successi come leguleio videssiano. «Romezan non ci crederà e non si ribellerà nemmeno sulla base
di questo,» disse quando Maniakes e Abivard l'ebbero messa al corrente delle ragioni per cui era stata convocata assieme al marito nella città di Videssos. «È un nobile dei Sette Clan di alto rango, le grandi famiglie che sostengono il Re dei Re.» Maniakes guardò Abivard. «E tu non lo sei.» «Nemmeno lontanamente.» Il sorriso di Abivard era tagliente. «Sono soltanto un dihqan di frontiera pieno di sé: un nobile minore, ma uno al quale Sharbaraz, per un caso fortuito, deve la sua vita, la sua libertà, il suo trono... dettagli di poco conto. Per essere giusto, Romezan non bada alle classi come fanno tanti nobili dei Sette Clan. A parecchi ufficiali sotto di lui piacerebbe pensare a me come a un dannato zotico venuto su dal niente, ma sono partito così in alto, si potrebbe dire, che non osano farlo.» Gli occhi di Roshnani s'illuminarono. «E sai anche chi sono quegli ufficiali. Potresti preparare un lungo elenco.» «Potrei, si, senza alcuna difficoltà,» disse Abivard. Roshnani allungò la mano e la appoggiò su quella di lui per un momento. Maniakes annuì, pensieroso. Si, il generale makurano e sua moglie erano isolati dalla loro armata come lui e Lysia lo erano dal popolo e dal clero della città di Videssos. Con voce bassa e innocente, Roshnani proseguì, «E potresti aggiungere quell'elenco di ufficiali dell'alta nobiltà... e alcuni ufficiali che sai che non godono del favore del Re dei Re... alla lettera di Sharbaraz a Romezan, in modo che potrebbe sembrare che lui debba uccidere anche tutti loro, non soltanto te.» «E... demoniaco,» disse Maniakes, con voce colma di stupefatta ammirazione. Si voltò verso Abivard. «Se molte donne makurane sono come lei, posso capire perché ne tenete tante sotto chiave: sarebbero pericolose se le lasciaste andare in giro liberamente.» «Grazie, vostra Maestà,» disse Roshnani. «Vi ringrazio molto.» «Avevo ragione,» disse l'Avtokrator. «Ti troverai benissimo con Lysia. Volete cenare con noi stasera?» «Naturalmente,» disse Abivard. «Siamo diventati amanti della cucina videssiana,» aggiunse Roshnani. «Abbiamo trascorso tanto di quel tempo ad Aldilà...» Maniakes le rivolse un sorriso, ma non fu facile. Aveva pensato di scherzare con Abivard, ma non ne era più così sicuro. Quando il solo pesce servito quella sera furono le ostriche crude, Roshnani disse, «Pensate che stavamo comportandoci da persone educate
quando abbiamo detto che ci piaceva il cibo videssiano?» «Per niente,» rispose Maniakes. «Io stesso non mangio pesce, granchi o gamberi di questi tempi.» Spiegò perché, ed ebbe la piccola soddisfazione di vedere Roshnani e Abivard diventare verdi. Si ripresero, tuttavia, per rendere giustizia al capretto bollito e al montone arrostito con l'aglio. La sola cosa che non fecero fu cospargere salsa di pesce fermentato sul montone. «Non ha nulla a che fare col pesce di mare,» disse Abivard. «Ma ho scoperto come viene fatta quella roba, non molto dopo essere entrato nell'Impero di Videssos. Da allora non sono stato in grado di reggerla.» Lysia disse, «Alcune cose sono migliori quando non le si guarda troppo da vicino. La politica è così, il più delle volte.» «Lo è certamente in Makuran,» convenne Roshnani. «Anche qui?» Lysia annuì. Maniakes pensò immediatamente al patto che aveva stretto col patriarca Agathios per spingerlo a riconoscere la validità del suo matrimonio con sua cugina. Pensò anche al piano per alterare la lettera di Sharbaraz concepito da Roshnani. Nessuna delle due cose avrebbe retto a un esame nella chiara e limpida luce del giorno, ma l'una era stata estremamente efficace e l'altra aveva tutte le caratteristiche per eguagliare la prima. Sollevò il calice di vino per brindare. «Ad Abivard figlio di Godarz, protettore del suo nipotino.» Abivard bevve, ma sembrava infelice. Aveva svuotato il suo calice già una o due volte. «Non è la cosa che desideravo fare, sapete.» disse, come se l'idea potesse sorprendere Maniakes. Non lo sorprese. «Lo capisco... desideravi prendere la mia testa,» disse l'Avtokrator, al che Abivard fece un brusco e sorpreso cenno con la testa. Maniakes proseguì, «Ma dal momento che Sharbaraz desidera prendere la tua...» lasciò che fosse il suo ospite a completare la frase per lui. «Sharbaraz non ha mai dato ad Abivard quello che meritava,» disse amara Roshnani. «Se non fosse stato per Abivard, Sharbaraz sarebbe morto o rinchiuso nella fortezza della Balza di Nalgis, e Smerdis sarebbe ancora Re dei Re.» E Makuran e Videssos non sarebbero in guerra, pensò Maniakes. Roshnani imboccò un cammino diverso: «In tutte le battaglie vittoriose contro di voi, era Abivard a guidare l'esercito. E cos'ha ottenuto dal Re dei Re?» «Lo stesso ringraziamento che Maniakes ottiene dai sacerdoti e dal popolo della città di Videssos per i successi che ha avuto contro Makuran,»
rispose Lysia, altrettanto amaramente. Almeno riguardo al disprezzo di cui godevano i mariti, le due donne si comprendevano molto bene. Roshnani indicò il ventre gonfio di Lysia. «Come ti senti?» «Abbastanza bene,» rispose Lysia. «Se avessi potuto scegliere, però, avrei preferito essere incinta in inverno, non nella stagione più calda dell'anno.» «Oh, si,» esclamò Roshnani. Ciò fece sorridere Abivard: Maniakes capì che lui aveva sentito la medesima lamentela una o due volte. «Non appena avrai approntato quell'elenco, me lo farai vedere,» disse Maniakes al generale makurano. «Certo,» disse Abivard. «Sarà pronto in un paio di giorni al massimo, ve lo prometto. Ho dei nomi che hanno continuato a gironzolarmi nella testa mentre gustavo il vostro eccellente cibo. Il primo di tutti è quello di Kandarigan. Viene subito dopo me e Romezan.» «Molto bene.» Maniakes fu sul punto di battere le mani. «Se Romezan pensa che Sharbaraz vuole che lui elimini tutti i tuoi ufficiali...» «...e se gli ufficiali pensano che Sharbaraz vuole che Romezan li elimini,» lo interruppe Roshnani. «Si,» disse Maniakes. «Se ciò accade, Romezan non sarà contento del Re dei Re, e gli ufficiali non saranno contenti di Romezan e del Re dei Re.» Annuì verso Abivard. «Dovresti essere in grado di ricavarne qualcosa, no?» «Cos'hai in mente?» chiese Lysia, «Una volta che Abivard preparerà l'elenco degli ufficiali, vuoi che Bagdasares lo riversi con la magia nella lettera inviata da Sharbaraz, in modo che sembri che lui voglia eliminarli tutti?» «È esattamente quello che voglio far fare a Bagdasares,» disse Maniakes. «Se non gli sarà possibile, la nostra vita si complicherà.» «È probabile che la vita si complichi comunque,» disse Lysia. «I due maghi di Abivard sanno com'era la lettera quando l'abbiamo avuta. Se vogliono, possono sbugiardarci.» «Hai ragione,» disse Maniakes. «Se vogliono, possono farlo.» Si voltò verso Abivard. «Come possiamo impedirglielo?» «Panteles non mi preoccupa,» disse Abivard. «La sua lealtà è innanzi tutto diretta a me, non a Sharbaraz. Ma Borzog... potrebbe essere una seccatura.» «Cosa vuole?» chiese Lysia con svelto pragmatismo. «Oro? Titoli? Qualunque cosa sia, promettigli che avrà tutto quello che ha mai sognato se
terrà la bocca chiusa al momento giusto.» «Posso sistemare io questa cosa,» disse Abivard. «Posso anche mettergli paura. I maghi sono più forti dei soldati... quando hanno il tempo di preparare i loro incantesimi. Quando non ce l'hanno, i soldati possono infilzarli prima che siano in grado di fare alcunché.» «E, soprattutto, puoi convincerlo che sta facendo la cosa giusta per Makuran,» disse Roshnani. «Stando a ciò che mi hai detto, marito mio, non ha voluto credere che Sharbaraz potesse abbassarsi al punto da ordinare il tuo assassinio.» «Sharbaraz si è abbassato anche di più,» disse Maniakes. «Mi piacerebbe sapere come!» disse, indignata, Roshnani. Maniakes raccontò a lei e ad Abivard del tempio del Dio nel quale si erano imbattuti i suoi soldati nella Terra delle Mille Città... o piuttosto del tempio di Sharbaraz nella parte di Dio. I due makurani esclamarono nella loro lingua e fecero dei gesti che Maniakes interpretò come scongiuri. Lentamente, tristemente, Abivard disse, «Questa è la maledizione della corte del Re dei Re, che non sente mai la parola no e che arriva a decidere di poter fare tutto quello che gli piace in tutti i campi. Lo riferirò a Borzog. Se ha bisogno di un'altra ragione per respingere Sharbaraz, l'avrà.» Roshnani disse, «Se lo avessi saputo, ti saresti ribellato al Re dei Re parecchio tempo fa.» «Forse lo avrei fatto, ma non lo so,» rispose Abivard: Maniakes ebbe la sensazione che quella fosse una vecchia disputa fra loro. Abivard proseguì, «Ma non ha più importanza. Adesso devo ribellarmi.» Roshnani borbottò qualcosa. Maniakes non ne era sicuro, ma pensò che fosse era ora. Abivard annuì verso di lui. «Vi farò avere quell'elenco non appena lo avrò scritto. Più perdiamo tempo, più diamo la sensazione di complottare qualcosa. Dal momento che è così, non possiamo permetterci di farlo sospettare.» Maniakes gli rivolse un pensieroso cenno col capo. Con un po' di pratica, sarebbe diventato un buon videssiano anche lui. Nel tardo pomeriggio del giorno dopo, Abivard porse a Maniakes un ampio foglio di pergamena. «Ecco, vostra Maestà,» disse il generale makurano. «Se questo non servirà, allora non c'è nulla da fare.» «Ti ringrazio per la tua diligenza,» rispose l'Avtokrator. Abbassò lo sguardo sull'elenco che Abivard aveva compilato. Poiché era scritto con i caratteri makurani, non riuscì a leggere un solo nome, né un titolo. In qual-
che modo ciò rendeva la cosa più impressionante, non meno: grazie alla sua incomprensibilità, lo scritto gli sembrava già magico. Ma conosceva la differenza - e la distanza - fra ciò che sembrava magico e ciò che lo era. Abivard gli aveva dato uno strumento mediante il quale avrebbe potuto raggiungere il suo scopo. Per ottenere il massimo dallo strumento, doveva capire come usarlo al meglio. Convocò Philetos dal Collegio dei Maghi. Il sacerdote-guaritore arrivò prontamente, senza dubbio aspettandosi di essere chiamato. Studiò l'elenco di Abivard per un po', poi guardò Maniakes e disse. «È stato molto minuzioso, vostra Maestà.» «Lo credo anch'io,» disse Maniakes. «Ci sono parecchie parole qui, anche se non riesco a capirne il senso.» «Comincia con Kandarigan, che viene subito dopo Romezan per grado, e prosegue con i comandanti di divisione e di reggimento, fino agli ufficiali minori.» Philetos parve sgomento. «Se si vuole far credere che Sharbaraz intenda far uccidere tutti questi ufficiali da Romezan, vostra Maestà, gli resterebbero a malapena gli ufficiali vivi per guidare l'armata.» «Bene,» disse Maniakes. «L'idea è questa.» Portò la pergamena a Bagdasares. Il mago vaspurakano la studiò. «È più lunga di quanto pensassi, vostra Maestà,» disse. «Questo complica le cose, perché dovrò espandere con la magia la sostanza della pergamena su cui Sharbaraz ha scritto in modo che essa possa accogliere tutti questi nomi.» «Non è un incantesimo difficile, grazie alla legge della similitudine,» mormorò Philetos, il che gli guadagnò uno sguardo velenoso da parte di Bagdasares: come gli uomini di altre professioni, i maghi non apprezzavano i suggerimenti sul proprio lavoro. «Potrebbe non importare,» disse Maniakes. «Dobbiamo ancora vedere se Panteles e Borzog vogliono collaborare.» Lasciando Bagdasares a preparare il suo incantesimo, Maniakes si avvicinò ai due maghi che erano venuti a confermare ad Abivard che la lettera che ordinava la sua esecuzione proveniva veramente dal Re dei Re. Come si era aspettato, Panteles non fece difficoltà: la sua lealtà e le sue speranze erano legate ad Abivard, per il quale era pronto a dire quasi tutto. Borzog si dimostrò una noce più dura da rompere. Rimase rigido ed eretto, indossando non solo il caffettano ma anche un mantello di virtù quasi palpabile. «Una bugia gratuita è il modo più semplice per l'anima di un uomo di cadere nel Vuoto e perdersi per sempre,» disse. «Se Romezan figlio di Bizhan mi chiede se il Re dei Re ha incluso tutti questi nomi nella
lettera, dovrò dirgli di no.» Aveva coraggio. Forse aveva anche la sicurezza che Maniakes non poteva permettersi di liberarsi di lui prima che avesse parlato con Romezan. In questo - almeno dal punto di vista di Maniakes - aveva sfortunatamente ragione. Guardando la sua faccia severa, Maniakes si fece l'idea che non sarebbe stato facile da corrompere come aveva suggerito Roshnani. Di nuovo, desiderò che i principi dei suoi nemici fossero più flessibili. Scegliendo le parole con cura, l'Avtokrator disse, «Se Romezan non ti pone la domanda esatta, non sarai costretto a dire tutto quello che sai, no? Potrai dire, con sincerità, che Sharbaraz ha mandato questa lettera. Potrai dire che ha ordinato che Abivard sia ucciso.» Capì che avrebbe dovuto portare con sé un sacerdote di Phos, a discutere con Borzog l'opportunità di dire solo parte della verità e di mentire per omissione. Il mago makurano masticò la parte interna del labbro inferiore. Alla fine, disse, «Sono dell'opinione che Sharbaraz abbia agito ingiustamente con Abivard. Se il mio silenzio può servire a ristabilire la giustizia, allora lo manterrò. Ma ve lo dico ancora una volta: non mentirò.» Maniakes finì con l'acconsentire, non avendo altra scelta. Ma rimase insoddisfatto. Più che insoddisfatto: rimase inquieto. L'intero piano adesso si basava su una scommessa: la scommessa che Romezan non avrebbe posto la maledetta domanda. In caso contrario, avrebbe dovuto preoccuparsi, ma non era ancora il momento. La magia di Bagdasares veniva prima. Quando l'Avtokrator tornò nella stanza del suo mago, Bagdasares era già riuscito a espandere il pezzo di pergamena, sul quale era stato scritto l'ordine dell'esecuzione di Abivard, in modo che potesse ospitare tutti i nomi dell'elenco preparato dal generale makurano. «Non era una magia difficile, vostra Maestà,» disse quando Maniakes lo lodò. Era andato in collera quando Philetos aveva detto la stessa cosa, ma adesso stava esaltando i suoi poteri magici, il che era del tutto diverso. «Invece di modificare la sostanza della pergamena, come avevo pensato in un primo momento, mi sono limitato a fondere il suo bordo con quello di un'altra, assicurandomi che il loro aspetto fosse il più simile possibile.» Prendendo il foglio ampliato, Maniakes annuì. Né con gli occhi né con i polpastrelli riuscì a individuare la connessione. Un mago probabilmente sarebbe stato in grado di farlo, ma contava sul fatto che nessuno stregone avrebbe esaminato il documento finché non fosse stato troppo tardi. «E adesso,» disse Bagdasares, «se mi perdonate una modesta metafora, ho intenzione di ritagliare l'elenco di nomi e gradi dalla pergamena sulla
quale Abivard l'ha scritto e di incollarlo nel punto appropriato su quella scritta dallo scriba di Sharbaraz. Mi occuperò prima del taglio, com'è logico.» La pergamena che Abivard aveva dato a Maniakes stava su un vassoio d'argento. Bagdasares aveva messo un arket d'argento con l'effigie di Sharbaraz sulla pergamena. Ora cominciò a salmodiare e a gesticolare sopra di esso. Alcuni degli incantesimi erano nel videssiano arcaico della liturgia divina, gli altri nella lingua vaspurakana. Il sudore scorreva sulla faccia di Bagdasares. Fermandosi per un momento, si voltò verso Maniakes e disse, «Ho creato le condizioni in cui il taglio sia possibile e fattibile. Ora, lo strumento.» Invece di usare un coltello magico, come Maniakes si era aspettato, il mago raggiunse una gabbia e ne tirò fuori un piccolo topo grigio. L'animaletto rimase calmo sulla sua mano, e non tentò di fuggire nemmeno quando lui intinse la sua coda in un vasetto d'inchiostro. «Capite, vostra Maestà, che l'animale sta agendo sotto impulso magico,» disse Bagdasares. Maniakes annuì. Il mago proseguì, «Individuerà - il buon dio e Vaspur il Primo Nato volendo - con precisione il testo da spostare da un documento all'altro.» Rimosse l'arket dall'elenco di Abivard, poi appoggiò il topo sulla pergamena. Con i baffi frementi, il topo corse fino in fondo all'elenco. Maniakes temette che la sua coda sporcasse d'inchiostro lo scritto di Abivard. Non accadde nulla del genere. La magia di Bagdasares, evidentemente, dovette impedirlo. Invece, i caratteri incomprensibili - almeno per Maniakes - che Abivard aveva scritto divennero di un bianco splendente, mentre la pergamena sotto di essi divenne nera come la fuliggine. Bagdasares emise un sospiro di sollievo. Evidentemente, era l'effetto che voleva ottenere. Anche Maniakes emise un sospiro di sollievo per la stessa ragione. Il mago disse, «Adesso incolliamo.» Blandì il topo fino a farlo risalire sul palmo della sua mano. L'animaletto lo fissò con gli occhietti neri e luccicanti. Maniakes si domandò cosa mai pensasse del suo ruolo in quell'incantesimo. Un'altra cosa che non avrebbe mai saputo. Bagdasares mise l'arket d'argento di Sharbaraz sulla lettera che il Re dei Re aveva mandato a Romezan. «Ho imparato abbastanza dei caratteri makurani da riconoscere il nome di Abivard,» disse, «e collocherò la moneta esattamente sopra di esso, in modo da indicare il punto dove dev'essere inserito il testo.»
Fatto ciò, rimise il topo nella gabbia. L'animaletto cominciò a leccarsi l'inchiostro dalla coda con una minuscola lingua rosa. Bagdasares cominciò un'altra salmodia. Le sue mani dalle lunghe dita si mossero in rapidi gesti. Il suo tono passò dal supplicante all'imperioso. Passò anche al gutturale vaspurakano, una buona lingua per risultare imperiosi, se mai ce n'era una. Maniakes esclamò. Là, a cominciare dal punto dov'era l'arket, c'erano i nomi e i titoli trasferiti nella lettera di Sharbaraz. I caratteri nei quali quei nomi e titoli erano scritti, però, restavano bianchi e la porzione di pergamena sulla quale erano apparsi, nera. «Ecco,» disse Bagdasares, «abbiamo una copia esatta dell'elenco scritto da Abivard.» «Troppo esatta, forse,» osservò Maniakes, esaminando il documento. «Innanzi tutto, i margini del testo aggiunto sono diversi da quelli della lettera che Sharbaraz ha mandato a Romezan.» «Non ho ancora completato la magia,» disse Bagdasares con un pizzico d'irritazione. L'Avtokrator gli fece segno di continuare. E lui continuò, borbottando ora in videssiano, ora nella lingua vaspurakana. Quando batté l'indice sulla pergamena, la parte con i caratteri bianchi sullo sfondo nero divenne più lunga e stretta: nomi e titoli parvero scivolare verso il basso per adattarsi al cambiamento. Osservando le parole che si muovevano a Maniakes venne quasi il mal di mare. Una volta scritto, si aspettava che quello che lui scriveva restasse al suo posto. Ma il risultato era un miglioramento non piccolo rispetto a prima. Era, tuttavia, non ancora perfetto. Indicando, Maniakes disse, «Non leggo il makurano, ma posso dire che sono state due mani diverse a scrivere.» Bagdasares esalò dal naso... e aveva anche un bel naso da cui esalare. Con l'aria di un uomo che stesse stringendo una pazienza in procinto di sfuggirgli dalle dita, disse, «Ne sono consapevole, vostra Maestà. E ho il rimedio.» Raggiunse la gabbia nella quale aveva rimesso il topo. Dopo averlo tirato fuori di nuovo, emise un'altra esalazione esasperata. «Maledizione! Questa sciocca creatura ha fatto un'ottima opera di pulizia. Dovrò inchiostrarla di nuovo.» Tornò ad affondare la coda del topo nel vasetto d'inchiostro, mormorando per tutto il tempo gli incantesimi che rendevano il liquido nero parte della sua magia piuttosto che una seccatura. Fatto ciò, mise il topo sopra il documento, consentendo alla coda inchiostrata di scivolare su un paio di
righe di testo. «Così dovrebbe andare,» disse, e riprese la bestiola. «Adesso applicheremo la legge della similitudine ai nomi incollati sulla pergamena...» Collocò il topo in cima all'area dove le parole erano ancora bianche e la pergamena nera. La sua magia lo spinse a trotterellare lungo l'area nera fino al margine, con la coda che si piegava di qua e di là finché non toccò tutti i nomi e i titoli nell'elenco incollato di Abivard. E mentre la sua coda li toccava, essi... cambiavano. Ora erano scritti nello stesso stile delle parole del documento al quale erano stati aggiunti. Una volta che la modifica dei caratteri fu completata, Bagdasares chiuse di nuovo il topo in gabbia. Si voltò verso Maniakes, «È così che volete che appaia il documento finale, vostra Maestà?» «Beh, sarei più felice se i caratteri fossero tutti neri sul bianco invece del contrario per metà di loro,» rispose l'Avtokrator. Bagdasares sbuffò. «L'area evidenziata alla rovescia mostra quella parte del testo che può essere ancora modificata. Adesso è tutto secondo i vostri desideri?» «Si,» disse Maniakes. «Spero che far tornare tutto nero su bianco non sia troppo complicato per te.» «Credo di poterci riuscire, vostra Maestà,» disse con un sorriso Bagdasares. Con la lingua fra i denti, emise un piccolo schiocco. D'un tratto, le lettere bianche divennero nere, la pergamena nera, bianca. «Ecco: una lunga e sanguinaria lettera, pronta a confondere Romezan.» Maniakes studiò la lettera. A suo parere, avrebbe potuto provenire direttamente dalla cancelleria del Re dei Re. Il solo guaio era che il suo parere non contava molto. «Facciamole dare un'occhiata da Abivard e vediamo cosa ne pensa,» disse Maniakes. Bagdasares annuì. Quando l'Avtokrator uscì dal laboratorio del mago, Kameas era in attesa di un suo ordine. Metà di lui rimase sorpresa di trovare là il vestiarios; l'altra metà si sarebbe stupita se Kameas si fosse trovato in qualsiasi altro luogo. «Lo condurrò subito qui,» disse l'eunuco, quasi prima che Maniakes potesse dirgli quello che voleva. Borzog percorse il corridoio della residenza imperiale assieme ad Abivard. Maniakes era lieto che entrambi esaminassero il documento prima che Romezan vi mettesse sopra gli occhi. Abivard lo osservò per primo. Lo lesse, lo rilesse e poi lo lesse una terza volta. Dopo averlo fatto, emise il suo verdetto: «Romezan vedrà i sorci verdi.» «Posso vedere, signore?» chiese Borzog. Abivard gli passò la lettera
contraffatta. Lui la studiò ancora più a lungo di quanto aveva fatto il generale makurano. Quando ebbe finalmente terminato, non guardò Maniakes ma Bagdasares. «È davvero un ottimo lavoro,» disse, con l'ammirazione nella voce. Bagdasares s'inchinò. «Al tuo servizio.» «Devi dirmi come hai ottenuto una somiglianza così perfetta fra l'originale e quello che è stato scritto dopo,» disse il mago makurano. «Non sono solito disprezzare la mia abilità, ma sono ben lungi dall'essere certo che avrei potuto tare altrettanto.» «Ne sarei lieto,» disse Bagdasares, pavoneggiandosi: non era mai imbarazzato quando riceveva delle lodi. «Il metodo impiega...» Maniakes tossicchiò. Bagdasares s'interruppe. Se non si fosse interrotto, Maniakes avrebbe potuto pestargli l'alluce. L'Avtokrator disse, «Sarebbe meglio se i dettagli restassero riservati.» Era un modo più educato di porre la questione che non dicendo, Se la nostra magia è migliore della loro, teniamocela per noi, dal momento che siamo stati in guerra con loro per l'ultima decina anni. Abivard tossicchiò a sua volta, e questo fece preoccupare Maniakes. Se il generale makurano avesse insistito affinché il suo mago imparasse la tecnica per alterare i documenti da Bagdasares, Maniakes avrebbe avuto difficoltà a contraddirlo. Ma Abivard si accontentò di osservare, «Anche noi abbiamo i nostri segreti, che saremo ben saggi a non rivelare a voi Videssiani.» «Mi pare giusto,» disse Maniakes. Abivard aveva ragione da vendere in questo, e l'Impero di Videssos era quasi defunto a causa del fatto che Sharbaraz aveva tenuto nascosto così a lungo la sua alleanza con i Kubratoi. Bagdasares disse, «Il documento incontra la piena approvazione, dunque?» «Oh, si,» rispose Abivard. «In tutti i particolari.» Borzog disse, «È la migliore contraffazione che abbia mai visto.» Bagdasares gongolò di nuovo. Il mago makurano proseguì, «Mi spingerà a cercare nuove tecniche, sicuro, perché nulla che al momento mi è familiare può produrre una fusione così perfetta di due documenti. Anche l'unione di una pergamena vecchia con una nuova è assolutamente perfetta, ma quella so realizzarla altrettanto bene.» Bagdasares s'irrigidì, offeso dall'idea che un altro mago fosse sicuro di uguagliarlo in qualcosa. Maniakes celò un sorriso. Quando aveva incontrato per la prima volta Bagdasares all'inizio della ribellione contro Genesios,
il mago vaspurakano esercitava la sua arte a Opsikion, e, sebbene orgoglioso della sua abilità, non la considerava straordinaria. Aveva fatto molta strada da allora. E anche Maniakes. Stare con l'Avtokrator aveva permesso - e talvolta imposto - a Bagdasares di avere a che fare con stregonerie più elaborate di quelle che avrebbe visto se fosse rimasto a Opsikion. Gli aveva anche permesso di disfarsi dell'appellativo di Alvinos. il nome videssiano che usava allora. Adesso era un mago veramente all'altezza di tanti altri... e ne era anche consapevole. Maniakes rifletté. Il punto debole di Bagdasares era facile per lui da riconoscere. E il suo? Si era accorto della sua abitudine di muoversi troppo presto e troppo insistentemente nella direzione dove voleva andare. Ma se non fosse stato lui ad accorgersi della sua debolezza, chi gliel'avrebbe fatta notare? Era l'Avtokrator. dopo tutto. E come poteva sperare di accorgersi delle proprie debolezze se era cieco davanti a esse? Perso in quell'inutile sogno a occhi aperti, comprese di non aver capito quello che Abivard gli stava dicendo. «Prego?» «Eravate concentrato su qualcosa,» osservò con un sorriso Abivard. «Mi è parso. Ho detto: voglio vedere l'espressione sulla faccia di Romezan quando leggerà questa lettera.» «Sarà interessante,» convenne Maniakes. «L'altra cosa che sarà... interessante è l'espressione sulle facce di tutti gli altri ufficiali che hai aggiunto all'elenco.» La sua attenzione improvvisamente si acuì. «Hai messo il nome di Tzikas, in ogni caso?» «Il nome di Tzikas è nel vostro elenco, vostra Maestà, e il Dio sa se è nel mio, ma non sarebbe mai, mai in un elenco di Sharbaraz, per cui l'ho lasciato fuori,» disse Abivard, con vero rammarico nella voce. «Sharbaraz si fida di lui, rammentatelo.» «Potresti raccontare la spassosa storiella in ogni taverna dell'Impero di Videssos, e faresti ridere ogni volta,» disse Maniakes. «Ti dirò questo: il concetto che qualcuno possa fidarsi di Tzikas mi risulta oltremodo comico.» «Anche a me,» disse Abivard. «Ma, in qualche strana maniera, ha senso. Come ho detto prima, Sharbaraz è la sola persona al mondo che Tzikas non può sperare di danneggiare. Può farcela con chiunque sia sotto Sharbaraz, con me, per esempio. Ma non con il Re dei Re. Inoltre, Tzikas sapeva, o affermava di sapere, qualcosa che ci avrebbe dato una migliore opportunità di prendere la città di Videssos.» «Sapeva qualcosa,» disse Maniakes. «Posso anche dirti cos'era.» E lo fe-
ce, concludendo, «Non ha importanza che tu lo sappia, dal momento che il cunicolo è stato ormai riempito.» «Non stento a credere che Likinios abbia fatto una cosa del genere,» disse Abivard. «Se Likinios me l'avesse riferita, l'avrei usata contro di te... e poi, con Tzikas non più necessario...» Sorrise di nuovo, questa volta cinicamente come avrebbe fatto un videssiano. «Quello che dobbiamo fare, adesso,» disse Maniakes, «è far venire qui Romezan prima possibile. Una delle cose che non sappiamo è quante copie di quella lettera Sharbaraz gli ha mandato. Se la versione autentica gli cade in grembo prima che veda questa...» «La vita diventa difficile.» disse Abivard. «Tanti anni fa, quando Sharbaraz e io venimmo in Videssos, mi domandai se stavamo andando in esilio. Se Romezan vede la lettera autentica, so perfettamente che è questo che mi aspetta.» Il suo volto si rabbuiò. «E i miei figli si trovano sull'altro lato del Canale del Bestiame.» «A questo penserò io,» disse Maniakes. Isokasios si alzò dalla prosternazione e disse, «Vostra Maestà, Romezan non vuole venire da questa parte del Canale del Bestiame. Gliel'ho chiesto in tutti i modi, e lui ha risposto con decisione che non verrà.» Maniakes fissò il messaggero con sgomento. «Cosa vuoi dire con non verrai Ti ha detto perché? È perché non si fida di noi?» «Vostra Maestà, è esattamente quello che ha detto,» rispose Isokasios. «Ha detto che, per quanto lo riguarda, siamo solo un branco di viscidi e infidi Videssiani che cercano di separare l'armata makurana dai suoi generali. Ha detto che non ritiene di avere buone probabilità di tornare ad Aldilà tutto intero, per cui resterà dove si trova.» «Che vada al ghiaccio!» esclamò Maniakes. «Non sono io quello che maltratta gli inviati del nemico... è Sharbaraz.» Abivard tossì. «Vostra Maestà, quello che ho constatato da quando siamo arrivati nell'Impero di Videssos è che esistono due categorie di Makurani. Qualcuno di noi, come me - e come Roshnani più di me - apprezza alcuni dei vostri costumi al punto di adottarli. Gli altri, però, mantengono le loro vecchie idee, e vi si attaccano più che mai per non dover guardare a qualcosa di completamente diverso. Romezan fa parte della seconda categoria. È più morbido in questo senso di parecchi altri ufficiali che la pensano a quel modo, ma ne fa parte.» «Dev'essere così,» disse Maniakes. lamentandosi per come andava il
mondo, lamentandosi per come il mondo era andato contro di lui da quando gli era stata collocata sulla testa la corona di Avtokrator. «Cosa facciamo, adesso?» chiese Rhegorios. Abivard disse. «Tornerò sul lato occidentale del Canale del Bestiame e gli dirò che è necessario che lui venga qui con me.» «È... un'idea,» disse Maniakes. Romezan non voleva venire nella città di Videssos, per paura di quello che i Videssiani potevano fare a lui e ad Abivard. Maniakes non era molto entusiasta del ritorno di Abivard all'armata makurana, per paura di quello che avrebbe potuto fare con essa. Era riuscito finalmente a separare Abivard da Sharbaraz - o piuttosto, lo aveva fatto Sharbaraz per lui - e non voleva né che la breccia fosse riparata, né che Abivard agisse di sua iniziativa piuttosto che in accordo con lui. Non trovò modo di esporre queste idee senza offendere Abivard, che era l'ultima cosa che voleva fare. Si domandò se poteva trovare un modo educato per usare Roshnani come ostaggio che garantisse il ritorno del generale makurano. Mentre ne stava cercando uno, Rhegorios disse, «Se Romezan verrà qui, io andrò là. Questo dovrebbe convincerli che la faccenda è per noi molto seria.» «Se vuole degli ostaggi, ha i miei figli,» disse Abivard, anticipando in qualche modo Maniakes. Sembrava serio, serio al punto da apparire lugubre. «Loro non contano,» disse Rhegorios. E poi, prima che Abivard potesse incollerirsi, «Per quanto ne sa, tu e lui siete ancora dalla stessa parte. Se vuole uno di noi là mentre è qui, andrò io.» «Non ha bisogno di te, cugino mio,» disse Maniakes. «Se vuole un ostaggio di Videssos, ha le terre occidentali.» «Non conta nemmeno questo,» insistette Rhegorios. «Per quanto ne sa, le terre occidentali appartengono a Makuran di diritto. Hai offerto degli ostaggi quando Abivard è venuto qui, perché non adesso.» Maniakes lo fissò, «Tu vuoi farlo.» Suo cugino annuì. «Si. In questo momento è la cosa più utile che posso fare, ed è l'unica: sono un ostaggio che Romezan può prendere sul serio. Ciò significa che è la cosa migliore che posso fare.» Quello che aveva detto non era strettamente vero. Il vecchio Maniakes o Symvatios sarebbero stati degli ostaggi altrettanto adatti. Maniakes, comunque, non avrebbe mandato suo padre o suo zio nelle mani dei Makurani, dal momento che si erano dimostrati propensi a maltrattare i Videssiani di alto rango. Non avrebbe mandato nemmeno suo cugino, ma Rhegorios
pensava chiaramente che valeva la pena correre il rischio.» Abivard disse, «Romezan è uomo di temperamento spesso feroce, ma, tutto considerato, è anche uomo d'onore.» «Tutto considerato?» A Maniakes l'inciso non piacque. «E se riceve ordine da Sharbaraz di uccidere tutti gli ostaggi che ha? Eseguirebbe quell'ordine com'è pronto ad eseguire quello che gli impone di ucciderti?» Abivard tossicchiò e abbassò lo sguardo sulle sue mani, il che spinse. Maniakes a tirare le proprie conclusioni. Ma Rhegorios rise, dicendo, «Che probabilità ci sono che il Re dei Re mandi un ordine del genere proprio in questo momento? È un rischio, ma credo che possiamo correrlo. Inoltre, non appena Romezan vedrà quello che gli abbiamo cucinato qui...», indicò la pergamena ampliata, «...non sarà più dalla parte di Sharbaraz, giusto? Da quel momento in poi, sarà dalla nostra. Per il buon dio, farà meglio a stare dalla nostra parte da quel momento in poi.» Maniakes non aveva nemmeno pensato cosa sarebbe potuto accadere se Romezan avesse letto il documento alterato e avesse detto qualcosa tipo, Beh, se questo è quello che Sharbaraz vuole, farò meglio a farlo. Thrax avrebbe potuto fare qualcosa del genere, se si fosse trovato di fronte a un ordine di Maniakes. Ma Abivard disse, «Romezan avrebbe di certo potuto eseguire un ordine riguardante la mia sola persona. Non eseguirà un ordine che riguarda me e metà degli ufficiali dell'armata. È testardo, ma non è uno sciocco. Capirà da sé che nel giro di pochi istanti ci troveremmo a combattere fra di noi più duramente di quanto abbiamo combattuto contro di voi.» L'ipotesi era sensata, e tranquillizzò molto la mente di Maniakes... almeno riguardo al comportamento di Romezan dopo la lettura della lettera. Riguardo al viaggio di Rhegorios fino ad Aldilà... non si sentiva più tranquillo, nemmeno un poco. Con suo cugino determinato ad andare, però, l'Avtokrator non vedeva modo di fermarlo, a maggior ragione se il suo viaggio avrebbe convinto Romezan ad attraversare il Canale del Bestiame. «Rimanderò Isokasios da Romezan,» disse Maniakes. «Se acconsente a venire...» Sospirò. «Se acconsente a venire, tu potrai andare.» Rhegorios parve sorpreso, come se non gli fosse venuto in mente di aver bisogno del permesso di Maniakes. E probabilmente era così: Rhegorios era abituato a fare quello che gli piaceva. Concludendo, evidentemente, che quello non era il momento di imbastire una discussione riguardo alla sua libertà d'azione, disse. «Molto bene, vostra Maestà,» come se avesse
l'abitudine di obbedire sempre a suo cugino senza discutere. Quando Maniakes ordinò a Isokasios di tornare ad Aldilà, il messaggero gli rivolse un sogghigno impudente. «Dovreste pagarmi a furlong, vostra Maestà,» osservò. «Pagherò la tua lingua a furlong,» ribatté Maniakes. Nei suoi giorni di esilio nell'isola di Kalavria, un messaggero avrebbe tirato fuori l'organo in questione dopo una battuta del genere. Maniakes vide gli occhi di Isokasios illuminarsi. Avrebbe voluto farlo, Maniakes se ne accorse. Ma non osò, dal momento che stava avendo a che fare con l'Avtokrator dei Videssiani. Maniakes sospirò fra sé e sé. Il cerimoniale sul quale si fondava l'Impero rendeva la vita meno interessante in una moltitudine di modi. Viaggiando apertamente sulla Rivalsa, Isokasios andò a far visita a Romezan la mattina dopo. Rhegorios stava con Maniakes sull'estremità della banchina nel quartiere del palazzo, e osservava l'ammiraglia imperiale scivolare sull'acqua del Canale del Bestiame, con i remi che salivano e scendevano all'unisono. Rhegorios disse, «Quando sarò laggiù, mi sentirò come se la riconquista delle terre occidentali fosse già cominciata.» «Potrai sentire tutto quello che ti pare,» replicò Maniakes. «Se sentire una cosa la rendesse reale, la vita sarebbe molto più semplice.» «Non è vero?» convenne suo cugino. «E se quello che sentiamo di Tzikas potesse fargli sentire quello che sentiamo che dovrebbe sentire...» «Non osare ripetere quello che hai detto,» lo interruppe Maniakes. «Anzi, ti sfido a ripetere quello che hai detto.» Rhegorios cominciò a farlo, ma s'imbrogliò con la lingua prima di terminare. Diversamente da Isokasios, era di rango abbastanza elevato da poter essere rude con l'Avtokrator. Risero entrambi. Maniakes, però, ridivenne subito serio. «Se riusciamo a mettere un cuneo fra Sharbaraz e la sua armata, abbiamo anche bisogno di immaginare come trarne vantaggio.» Ascoltò le sue stesse parole, poi scosse la testa confuso. «Per il buon dio, sembro il povero Likinios.» Si tracciò il cerchio del sole sul cuore per scacciare ogni possibile presagio che collegasse il suo destino a quello subito dal suo sfortunato predecessore. Anche suo cugino si tracciò il segno del sole. «Hai ragione,» disse. I suoi occhi si strinsero al pensiero. «Forse sarà il primo passo per riprenderci le terre occidentali... per riprendercele senza perdere nessun uomo.» «E hai ragione anche tu.» disse Maniakes. «Non so se funzionerà: non so cosa deciderà di fare Abivard. Ma adesso abbiamo la nostra migliore op-
portunità. Il che mi fa venire in mente... che devo tenere l'armata pronta a muoversi in caso di necessità. I Makurani potrebbero trovarla più convincente delle parole.» «Finora è stato sicuramente così,» disse Rhegorios. «E questa è un'altra ragione per cui devo andare ad Aldilà.» Maniakes fece una smorfia, irritato con suo cugino per avere individuato una correlazione che lui non aveva visto. La Rivalsa riportò indietro Isokasios, col sole che aveva superato da poco il mezzogiorno. Il messaggero disse, «Vostra Maestà, voi e Romezan avete un patto. Quando ho detto che Sua Altezza...», lanciò un'occhiata a Rhegorios, «...sarebbe andato ad Aldilà per garantire la sua incolumità, mi ha guardato come se avessi cominciato a parlare nella lingua haloga. Ho dovuto impiegare un po' di tempo per convincerlo che intendevo proprio quello.» Maniakes si voltò verso Rhegorios. «Ecco. Vedi? Anche Romezan pensa che sei pazzo.» Rhegorios scoppiò a ridere. Isokasios proseguì, «Una volta che Romezan ha capito che facevate sul serio, ha giurato sul suo Dio pagano che al Sevastos ad Aldilà non sarebbe stato fatto del male, finché non fosse stato fatto del male a lui nella Città di Videssos. E ha detto che sarebbe venuto qui sulla Rivalsa non appena il Sevastos fosse arrivato là.» «Non vuole aspettare molto, allora,» disse Rhegorios. «Io sono pronto, il che significa che Romezan sarà qui questo pomeriggio.» Fece un largo sorriso a Maniakes. «E non avrà una sorpresa quando sarà qui?» L'Avtokrator abbracciò il cugino. «Vorrei ancora che tu non andassi. Il signore dalla mente grande e buona sia con te.» Lui e Rhegorios - e anche Isokasios - si tracciarono il segno del sole di Phos sul cuore. Osservare la Rivalsa scivolare verso ovest sul Canale del Bestiame con Isokasios a bordo era stato abbastanza semplice. Osservare il dromone navigare verso ovest con Rhegorios a bordo fu qualcosa di completamente diverso. Se Maniakes non avesse avuto un bisogno così disperato di vedere Romezan, non avrebbe permesso a suo cugino di andare. Se non ne avesse avuto un bisogno così disperato, non avrebbe fatto parecchie delle cose che aveva fatto da quando il patriarca ecumenico gli aveva messo la corona sulla testa. Era stanco di agire per disperazione piuttosto che per desiderio. Quando la Rivalsa tornò alla città imperiale, Maniakes si schermò gli occhi con una mano, sperando in parte di vedere Rhegorios sulla prua, segno che Romezan aveva deciso di non rispettare il patto, dopo tutto. Non
vide suo cugino. Vide un uomo di grossa corporatura in caffettano che non gli parve familiare, sebbene l'Avtokrator potesse averlo visto su un campo di battaglia. I marinai fecero ormeggiare la Rivalsa alla banchina. Abivard raggiunse Maniakes. «Sono molto rapidi e agili,» osservò. «Mi fanno venire in mente dei soldati ben addestrati... e suppongo che, a modo loro, lo siano.» «Etzilios la penserebbe così,» disse distrattamente Maniakes. Attese che i marinai allungassero la passerella fra il dromone e il molo. Romezan la attraversò per primo. Quando lo fece, Maniakes capì perché i suoi lo chiamavano cinghiale selvaggio di Makuran: non solo era alto ma, cosa insolita per un makurano. aveva anche le spalle ampie. E aveva un volto fiero, attraente e leale, con i baffi e la punta della barba appuntiti con la cera. Si prosternò cortesemente davanti a Maniakes, poi baciò Abivard sulla guancia, riconoscendo il più alto rango del generale: non era una piccola concessione da parte di un nobile dei Sette Clan a un uomo di minore nobiltà che lo aveva superato. «Signore,» disse ad Abivard prima di voltarsi verso Maniakes, al quale parlò nella lingua makurana: «Maestà, avete punto la mia curiosità come farebbe col mio sedere una mosca nei calzoni. Cosa può essere così importante da spingervi a usare vostro cugino come garanzia per il mio ritorno incolume? Più presto lo saprò, più felice sarò.» Essendo finalmente riuscito ad attirare Romezan all'altro lato del Canale del Bestiame. l'Avtokrator temporeggiò. «Vieni nella mia residenza,» disse. «Quello che devi sapere si trova là, e ho anche del cibo e del vino che aspettano.» «Al Vuoto il cibo e il vino,» borbottò Romezan, con quella che sarebbe stata considerata una risposta brusca da un makurano e avrebbe fatto sobbalzare un videssiano. Se le guardie haloga di Maniakes avessero capito la sua lingua, lo avrebbero considerato uno spirito affine. Una volta nella residenza, però, accettò vino e tortine al miele e salutò Symvatios e il vecchio Maniakes col rispetto che i loro anni meritavano. A quest'ultimo, disse, «Quando sono andato in guerra per la prima volta, mi insegnasti che i Videssiani erano nemici da non disprezzare.» «Vorrei che tu avessi ricordato meglio la lezione in questi ultimi anni,» rispose il padre di Maniakes, al che Romezan emise una risata profonda e tonante. Il generale makurano ridivenne presto inquieto. Si mise a girovagare nei corridoi della residenza annuendo davanti ai mosaici di caccia sul pavimento e ai trofei delle vittorie passate. Maniakes e Abivard lo accompa-
gnarono, con l'Avtokrator che rispondeva a tutte le sue domande mentre camminavano. Quando Maniakes ritenne che il momento fosse maturo, tese a Romezan gli ordini contraffatti di Sharbaraz. «Ecco,» disse senza preamboli. «Cosa intendi fare con questo?» CAPITOLO NOMO Romezan scorse l'intero documento con l'irruente determinazione con la quale sembrava affrontare tutto le cose. Mantenne l'espressione immobile quanto poté, ma più leggeva, più le sue sopracciglia si sollevavano. «Per il Dio,» disse quando ebbe finito. Sollevò lo sguardo su Maniakes. «Maestà, vi chiedo perdono per aver dubitato di voi. Avevate ragione. Questa è una cosa che dovevo vedere.» «Ora che l'hai vista,» disse Abivard prima che l'Avtokrator potesse replicare. «Cos'hai intenzione di farne?» La sua voce aveva un'inflessione acuta che non richiese alcuna finzione da parte sua: Sharbaraz aveva ordinato davvero la sua esecuzione. «Non ho intenzione di sfoderare la mia spada e di farti immediatamente a fette, se è questo che intendi,» rispose Romezan. «Se tutto ciò è vero, Sharbaraz dev'essere uscito di senno.» Il suo sguardo si fece acuto, come se, a cavallo, avesse scorto un nuovo bersaglio per la sua lancia. «Ma è vero, oppure è un astuto falso prodotto dalla magia videssiana?» Parlò senza riguardo per Maniakes che stava a soli due piedi di distanza. Maniakes riuscì con grande sforzo a mantenere i suoi lineamenti più fermi di quelli del makurano. Dietro quella immobilità, stava ridendo. La sola vera risposta alla domanda di Romezan era si a entrambe le ipotesi: parte della pergamena era vera, parte un astuto falso, sebbene Abivard vi avesse contribuito quanto i Videssiani. «È vero,» disse Abivard, recitando la parte che andava a vantaggio di Videssos in quanto anche a suo vantaggio. «I miei maghi hanno dimostrato che è così: è per questo che li ho convocati all'altro lato del Canale del Bestiame.» «Voglio sentirlo da loro,» disse Romezan. Maniakes fecce un cenno del capo a Kameas. Inchinandosi a Romezan, il vestiarios scivolò fuori dalla stanza delle udienze. Tornò di li a poco con Panteles e Borzog. Inchinandosi di nuovo, disse, «Eccoli, eminente signore.» Ad Abivard, Romezan disse, «È giusto, hai portato con te anche il fidato
videssiano, eh?» Congedò Panteles con un gesto. «Va' pure, signore: quello che hai da dire non m'interessa affatto, poiché dirai tutto quello che il tuo padrone vuole che tu dica.» «Non è così,» replicò con dignità il mago videssiano. Dal momento che Maniakes sapeva perfettamente che era così, non fu sorpreso dì scoprire che anche Romezan lo sapeva. Il generale makurano disse, «Va' pure, ti dico,» e Panteles andò via a malincuore. Romezan rivolse la sua attenzione a Borzog. «Davvero vuoi dirmi che Sharbaraz è così stupido?» Il mago makurano annuì. «Puoi considerare assennato un uomo che trama la morte del suo generale migliore?» Non disse nulla delle morti di tutti gli altri ufficiali i cui nomi erano stati trasferiti sulla lettera del Re dei Re. Maniakes notò l'omissione. Doveva sperare che Romezan non la notasse. «Ha davvero mandato quell'ordine?» Romezan sembrava pensieroso e, a meno che Maniakes non si sbagliasse, triste. Borzog annuì. «Si. La mia magia - e anche quella di Panteles - lo ha confermato.» Quello che il mago diceva era vero, come aveva promesso che avrebbe fatto. Quello che non diceva, e non avrebbe detto a meno che non gli venisse chiesto direttamente... Con l'intento senza dubbio di impedire a Romezan di pone le domande alle quali Borzog avrebbe risposto con sincerità, Abivard disse, «Ancora non hai risposto alla domanda che ti ho fatto quando ti ho mostrato questo. Cosa intendi farne?» «Se faccio quello che mi ha ordinato il Re dei Re, l'intera armata andrà dritta nel Vuoto,» osservò Romezan, e Abivard annuì. «Ma se non faccio quello che il Re dei Re mi ha ordinato,» proseguì Romezan, «sarò un traditore, e significa che qualche altro ufficiale...» «Tzikas,» lo interruppe Abivard. Per come lo disse, era convinto che a Romezan non piacesse Tzikas. Maniakes si domandò se a qualcuno del mondo civilizzato piacesse Tzikas. a parte a Tzikas stesso. «Qualche altro ufficiale riceverà una lettera come questa,» terminò Romezan, come se Abivard non avesse parlato. «Ma non riceverà l'ordine di liberarsi di te. Riceverà l'ordine di liberarsi di me.» Romezan sospirò. Quelle ampie spalle si accasciarono. «Non avrei mai pensato che sarei stato costretto a voltare le spalle a Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi...» Troncò a metà la formula onorifica. «Al Vuoto anche questo. Possa il suo deretano essere rimosso dallo scranno che occupa a Mashiz.» Si distese sul ventre davanti ad Abivard. «Maestà,» disse. «Ecco. Adesso la mia ribellio-
ne è ufficiale.» «Non avevo previsto...» Abivard s'interruppe. La conseguenza logica di quella situazione si abbatté su di lui. Se restava leale a Sharbaraz, offriva il collo al ceppo. Accanto a questa possibilità, la ribellione appariva la scelta più attraente. Maniakes offrì l'alternativa che aveva suggerito prima: «Se non t'importa d'essere Re dei Re, c'è ancora il tuo nipotino da proteggere.» Ancora su mani e ginocchia, Romezan scoppiò in una risata lupesca, effetto accentuato dalla sua posizione. «Ho sentito un mucchio di storie su uomini che si sono ribellati per proteggere bambini piccoli,» disse. «Forse ne ho sentito una dove il bambino viveva e governava da adulto. Ma forse non l'ho mai sentita.» «Non devo decidere subito,» rispose Abivard. «Quello che conta è che sono in rivolta contro Sharbaraz Re dei Re... e lo sei anche tu.» Si chinò e diede un colpetto sulla spalla di Romezan. «Alzati.» Romezan si alzò, con lo sguardo lupesco ancora negli occhi. «Entro domani, l'intera armata sarà in guerra contro Sharbaraz. Marceremo su Mashiz, lo rovesceremo e ci libereremo di lui, metteremo te sul trono e...» La sua visione del futuro a quel punto si dissolse. «E tutto andrà per il meglio,» concluse. Abivard guardò più lontano del nobile dei Sette Clan. Lanciò un'occhiata a Maniakes. «No, non credo che sarà così semplice,» disse. «No,» convenne Maniakes. Aveva sperato, e pianificato, un momento come quello da quando era diventato Avtokrator dei Videssiani. Aveva anche speso un bel po' di tempo a domandarsi se sarebbe mai arrivato. Non parlò ad Abivard ma a Romezan: «Cosa ti proponi di fare con le vostre guarnigioni nelle terre occidentali mentre l'armata marcia verso Mashiz?» «Lasciarle là,» rispose subito Romezan. «Perché no? Torneremo l'anno prossimo e...» L'ostacolo che Abivard aveva visto subito divenne evidente anche per lui. Guardò Maniakes senza molto calore. «Oh. Se le lasceremo, voi comincerete a riprendervi quelle città.» L'Avtokrator scosse la testa. «No, non farò nulla del genere,» rispose. Romezan lo fissò, incollerito e sospettoso. Anche Abivard parve sorpreso. Non li biasimò. Liberare le terre occidentali dopo che l'armata makurana si fosse ritirata era stato il suo piano originario. Invece, disse, «Se lascerete dietro di voi le guarnigioni, brucerò tutto quello che si trova davanti all'armata e attaccherò alla prima opportunità.» «Perché fareste una cosa così stupida?» sbottò Romezan. «Se lo fate, la
nostra campagna contro Sharbaraz se ne va nella latrina.» «Lui lo sa,» disse Abivard, come a un bambino. «Non gl'importa... o almeno non tanto. Quello che vuole è riportare le terre occidentali sotto il dominio videssiano.» «Esatto,» disse Maniakes. «Stabiliamo un accordo per riportare il confine dove si trovava prima che l'Avtokrator Likinios fosse ucciso, e vi aiuterò in tutti i modi. Tentate di combattere la vostra guerra civile e di tenervi anche le terre occidentali, e vi danneggerò in tutti i modi... e posso causarvi danni seri, adesso.» «E se non marciamo su Mashiz?» disse Romezan. «Se ci limitiamo a restare qui? Allora?» «Allora Sharbaraz scoprirà che non hai giustiziato Abivard,» disse Maniakes, con un che di lupesco anche nel suo sorriso. «Allora qualcuno Kardarigan, forse, o Tzikas - avrà l'ordine di giustiziare te, non per fallimento ma per ribellione. Lo hai detto tu stesso.» Già di per sé bruno, Romezan divenne ancora più nero per la rabbia. «Oseresti trarre vantaggio da una guerra civile e usarla per rubare?» Maniakes tirò indietro la testa e rise in faccia a Romezan. Il nobile dei Sette Clan non avrebbe potuto apparire più stupefatto se Maniakes gli avesse gettato in faccia un secchio d'acqua fredda. L'Avtokrator disse, «Per il buon dio, Romezan, come pensi di avere ottenuto le terre occidentali? Le avete invase quando Videssos sembrava più una zuffa fra gatti che un impero, dopo che Genesios aveva ucciso Likinios e tutti i generali pensavano di potersi impadronire del trono, o almeno di impedire al vicino di impossessarsene. Riprendermi quello che era mio non è rubare.» «Ha ragione.» disse Abivard, e Maniakes inclinò la testa verso di lui. rispettando la sua onestà. «Non mi piace che si riprenda la terre occidentali, e se posso trovare un sistema per impedirglielo, lo userò. Ma il cercare di riprendersele non fa di lui un ladro.» «Non penso che tu possa trovare un sistema del genere.» disse Maniakes. «E non penso nemmeno che tu abbia troppo tempo da perdere per trovarlo. Puoi fare un patto con me o puoi cercare di fare un patto con Sharbaraz. Se hai altre scelte, a parte queste due, non riesco a vederle.» «Vi divertite un mucchio,» disse Romezan, come se stesse accusando l'Avtokrator di lappare la zuppa da una ciotola come un cane. Di nuovo, Maniakes accettò la sfida, «Ogni singolo minuto,» convenne. «Voi Makurani avete trascorso l'intero regno, e quello prima del mio, a umiliare Videssos. Adesso ho l'opportunità di riprendermi quel che è mio...
alla lettera. Potete cedermelo e tornare nella vostra terra a vedervela col Re dei Re che vi ha cacciati in questa situazione, oppure potete tentare di conservarlo, tentare di tornare a casa, e farvi sgranocchiare lungo la strada. La scelta è vostra.» «Non abbiamo scelta,» disse Abivard. «Lasciamo che i confini tornino com'erano prima che l'Avtokrator Likinios venisse ucciso.» Romezan parve contrariato, ma rimase zitto. «Fu così che cominciarono le dispute fra noi,» disse Maniakes. Ma Abivard scosse la testa. «No. Likinios pagò con l'oro le tribù Khamorth a nord del Degird perché entrassero nel Makuran a fare razzie. Quando Peroz Re dei Re, possa il Dio proteggere il suo spirito, si mosse contro di loro, venne sconfitto e ucciso, il che permise a Smerdis di usurpare il trono di Sharbaraz, il che permise a Likinios di interferire con la nostra guerra civile, il che... Conosci la storia come la conosco io. Trovare un inizio del conflitto fra noi non è semplice.» «E non lo sarà nemmeno trovare una fine per questo conflitto,» borbottò Maniakes: una chiara nota di ammonimento. «Per adesso, però, su questi termini, possiamo interromperlo,» disse Maniakes. «Per adesso.» Abivard e Romezan parlarono all'unisono. Abivard e Roshnani salirono su una barca delle Rivalsa. I marinai li condussero, remando lestamente, sulla stretta striscia d'acqua che separava l'ammiraglia imperiale dalla spiaggia di Aldilà. Quando scesero dalla barca sulla spiaggia, Rhegorios vi salì. I marinai lo riportarono sul dromone. «Sto bene,» disse a Maniakes. «E qui va tutto bene?» «Abbastanza,» rispose suo cugino. L'Avtokrator fece un cenno del capo verso Romezan. «È il tuo turno.» «Si, è il mio turno ora,» disse gravemente il nobile dei Sette Clan. «E ne approfitterò.» Scese nella barca. E così fecero Borzog e Panteles. Il mago videssiano al servizio dei Makurani pane come se volesse sedersi più lontano da Romezan di quanto la barca permettesse. Dopo che Romezan e i due maghi furono scesi dalla barca e si furono incamminati sulla spiaggia in direzione di Aldilà, Thrax disse: «Immagino che vogliate tornare nella città imperiale adesso, eh, vostra Maestà?» «Cosa?» disse Maniakes. «No, per il buon dio. Intratteniamoci qui vicino... poco oltre la portata degli archi, se ti aggrada. È qui che accadranno le cose che ci interessano, oggi. E io voglio essere qui quando accadranno.»
«Perché non saltare giù dal dromone e andare voi stesso nell'accampamento makurano, allora?» Thrax rise. Tutto quello che rispose Maniakes fu: «No, non ancora. Il momento non è ancora maturo.» Il drungarios della flotta lo fissò: Maniakes era abituato agli sguardi fissi di Thrax. Dopo che la flotta aveva impedito ai Kubratoi di attraversare il Canale del Bestiame per unirsi ai Makurani, tollerava meno che mai i limiti di Thrax. «Stiamo aspettando gli applausi che ci diranno che Abivard sta leggendo la lettera a un pubblico soddisfatto e generoso?» chiese Rhegorios, sogghignando alla sua stessa battuta ironica. «E proprio questo che stiamo aspettando, certo,» disse Maniakes. «Ho chiesto ad Abivard di incontrarsi con i suoi ufficiali vicino al mare, ma ha risposto di no. Non ha intenzione di rammentare loro che dovranno cooperare con noi finché non sarà necessario, e al momento non lo è. Messa così, ha ragione.» «Si, probabilmente è così,» convenne Rhegorios. «Sarò contento quando torneremo in città, però, voglio dirtelo. Volevano onorarmi, quindi mi hanno assegnato un cuoco makurano. Sono stato a mangiare montone senza aglio da quando ho fatto il cambio con Romezan. Credo che l'interno della mia bocca si sia addormentato.» «Se è la cosa peggiore che hai sofferto, te la sei cavata bene,» disse Maniakes. «Per quanto mi riguarda, sono maledettamente contento che i Makurani ti abbiano lasciato andare.» Thrax indicò Aldilà. «Sembra che stia succedendo qualcosa laggiù, vostra Maestà. Che possa andare al ghiaccio se capisco cosa, però.» Alberi e arbusti ed edifici - alcuni in piedi, altri in rovina - schermavano la maggior parte del sobborgo, impedendone la vista dal mare, ma Thrax aveva ragione: stava accadendo qualcosa. Dove le cose erano state tranquille, quasi addormentate, prima che Abivard e Romezan tornassero nell'armata makurana, ora improvvisamente gli uomini si stavano muovendo nelle strade, alcuni a cavallo, altri a piedi. Mentre Maniakes osservava, altri soldati ancora cominciarono a muoversi. Risuonarono delle grida, da qualche punto che non riusciva a vedere. Con sua irritazione, non poté cogliere le parole. «Avviciniamoci a riva,» disse a Thrax. Con riluttanza, il drungarios obbedì all'ordine. Due cavalieri arrivarono al galoppo da Aldilà. Maniakes e Rhegorios si guardarono. Non c'era modo di dire cosa significasse. Se la Rivalsa si fosse avvicinata maggiormente alla spiaggia, si sarebbe arenata. Maniakes a-
vrebbe potuto capire cosa stavano gridando i Makurani. Ma il guaio era che non stavano più gridando dopo quell'iniziale trambusto. Solo il frangersi delle onde contro lo scafo del dromone rompeva il silenzio. Aspettò, desiderando di poter essere una mosca su un muro dove i Makurani si erano raccolti invece di restare là, inutilmente, sul mare. Dopo un attimo, si batté la fronte col palmo della mano. La magia di Bagdasares avrebbe potuto trasformarlo in quella mosca sul muro, com'era successo quando aveva ascoltato per un po' Abivard ed Etzilios e, inaspettatamente, Tzikas. Allora, i maghi avversari avevano subito interrotto il suo ascolto. Ma due dei principali maghi avversari adesso stavano dalla sua parte, almeno fino a un certo punto. Del resto, la magia soleva andare in pezzi quando aveva a che fare - o cercava di avere a che fare - con le passioni più intense... ed era per questo che la magia dì guerra e la magia d'amore funzionavano raramente. E sospettò che le passioni nella riunione makurana, se non erano già intense, lo sarebbero state di li a poco. Il pensiero gli aveva appena attraversato la mente che un rombo gigantesco e furioso salì da qualche punto al centro di Aldilà. Non riuscì a distinguere le parole, ma scoprì di essere meno irritato di quanto lo era stato prima. Non pensava che quel baccano inferocito avesse delle parole al suo interno, più di quanto una muta di cani gridasse parole quando fiutava il sangue. Il rombo continuò ancora, ora attenuandosi lievemente, ora raggiungendo un nuovo picco di rabbia. Rhegorios ridacchiò. «Cosa vuoi scommettere che stanno leggendo l'elenco preparato da Abivard?» disse. «Forse hai ragione.» rispose Maniakes. «Quando gridano più forte dev'essere perché sentono il nome di qualche ufficiale particolarmente popolare.» Abivard aveva messo assieme più di trecento nomi. Leggerli tutti richiese un po' di tempo. Alla fine, scese il silenzio. Un momento dopo, esplose un nuovo baccano. Ora, per la prima volta, Maniakes riuscì a distinguere una parola, gridata come parte di una litania ritmata: il nome del Re dei Re makurano. «Se non significa 'Vogliamo le ossa di Sharbaraz!' in makurano, sono un sacerdote con la zucca pelata,» esclamò Rhegorios. Maniakes annuì. «Si, è questo che strillano, non c'è dubbio.» Fece diversi passi di un'allegra danza, là sul ponte, e si batté il pugno sul palmo aperto. «Per il buon dio, cugino mio, ce l'abbiamo fatta!»
Se lui appariva insolitamente allegro, Rhegorios appariva insolitamente controllato. «Possiamo avercela fatta,» disse. «Ce l'abbiamo fatta solo in parte, comunque. Ma ci sono ancora migliaia di 'bolliti' seduti là, vicino al Canale del Bestiame, a solo un lungo piscio dalla città di Videssos. Scacciare quelle canaglie dalle terre occidentali e rispedirli a casa ci richiederà ancora un bel po' di fatica.» Un makurano spuntò dagli edifici di Aldilà e corse lungo la spiaggia. Ignorò completamente la presenza della non lontana Rivalsa... e non avrebbe potuto fare diversamente, poiché tre dei suoi compagni gli stavano alle calcagna, con i caffettani che svolazzavano intorno a loro come ali mentre correvano. Le spade nelle mani scintillavano e balenavano nel sole. Il makurano in fuga, forse comprendendo che stavano per raggiungerlo, si voltò sguainando la spada. Come la maggior parte dei combattimenti uno contro tre, anche questo non durò a lungo. Giacque dov'era caduto, col sangue che inzuppò la sabbia. «Forse la loro armata si spezzerà in due,» disse Rhegorios con tono sognante. «Forse avranno subito la loro guerra civile.» «Forse,» disse Maniakes. «Ma non credo che i Makurani fedeli a Sharbaraz saranno in numero sufficiente a provocare una vera guerra civile.» «Mhm, è probabile,» ammise Rhegorios. «Finora, però, abbiamo ottenuto meno del dovuto, per cui non credo che il buon dio sarà in collera con me se spero che, una volta tanto, otterremo più del dovuto.» Passò dalla teologia alla politica, tutto d'un fiato: «Vorrei sapere da quale parte stava il morto, e da quale parte i tre che lo hanno ucciso.» Maniakes non poteva esaudire quel desiderio, ma i tre makurani si, quasi non appena fu espresso. Agitarono le braccia verso la Rivalsa e s'inchinarono, e fecero tutto quello che potevano per dimostrare di essere amici di Videssos. Uno di loro indicò il corpo dell'uomo che avevano ucciso. «Lui non sputava sul nome di Sharbaraz Lenon dei Lenoni!» gridò, con la voce smorzata dalla distanza sull'acqua del Canale del Bestiame. «Sharbaraz Lenon dei Lenoni.» Ora Maniakes, facendo eco ai Makurani, sembrava sognante, con la mente lontana negli anni. «Quando Sharbaraz stava combattendo Smerdis, così i suoi uomini chiamavano l'usurpatore: Smerdis Lenon dei Lenoni. Adesso il cerchio è completo.» Si tracciò il segno del sole di Phos sul cuore. «Abbiamo la ribellione,» disse Rhegorios. Solennemente, lui, Thrax e Maniakes si strinsero le mani. Come aveva detto Rhegorios, il successo sembrava strano dopo tante delusioni.
I Makurani sulla spiaggia stavano ancora gridando, ora in cattivo videssiano invece che nella loro lingua: «Avtokrator, vieni qui, siamo amici. Non siamo più nemici.» «Non ancora,» gridò di rimando Maniakes. «Non ancora. Presto.» Un leggera brezza trapelava attraverso i mantelli scarlatti degli Halogai e dei Videssiani della Guardia Imperiale mentre formavano tre lati di un quadrato sulla spiaggia vicino ad Aldilà. Il sole si rifletteva sulle cotte di maglia dorate. Apparivano vigili e pronti a combattere: tutt'intorno a loro, radunati in numero molto maggiore, stavano i guerrieri dell'armata makurana. Le acque del Canale del Bestiame formavano il quarto lato del quadrato. I marinai, abbigliati per l'occasione con tuniche scarlatte, stavano trasportando Maniakes e Rhegorios dalla Rivalsa alla spiaggia. Uno di loro disse, «Chiedo perdono, vostra Maestà, ma preferirei saltare in una cassa piena di ragni piuttosto che andare là.» «Non faranno niente a me e al Sevastos.» Maniakes mantenne la voce calma, divertita addirittura. «Se lo faranno, dovranno vedersela con i nostri padri, e lo sanno.» Era vero. Era, comunque, quel genere di verità che non gli avrebbe fatto alcun bene se si fosse realizzata. La sabbia scivolò sotto le tavole della barca. Maniakes e Rhegorios scesero. Mentre lo facevano, l'armata makurana scoppiò in un'acclamazione. Il sogghigno di Rhegorios era abbastanza ampio da minacciare di spaccargli la faccia in due. «Avevi mai immaginato di sentirlo?» chiese. «Nemmeno una volta,» replicò Maniakes. Le Guardie Imperiali, senza muoversi, parvero rilassarsi. Poteva ancora essere necessario il loro intervento per difendere l'Avtokrator da sostenitori troppo calorosi, ma non da qualche assalto assassino, che avevano temuto sapendo di essere troppo pochi per potervisi opporre. Fra i Makurani, si udivano i colpi sordi dei tamburi e i lamenti dei corni. Gli Halogai armati d'asce e i Videssiani con spade e lance si tesero di nuovo: quel genere di musica di solito presagiva un attacco. Ma poi un araldo makurano dai polmoni di ferro gridò: «Arriva Abivard figlio di Godarz, nuovo sole di Makuran che sorge a est!» «Abivard!» gridarono i guerrieri dell'armata più volte, sempre più forte, finché il nome del generale non fece ronzare le orecchie di Maniakes. Solo una manciata dei suoi soldati comprese quello che il clamore significava. Non volendo affatto che il combattimento iniziasse per panico o per
un semplice errore, l'Avtokrator gridò loro: «Stanno solo annunciando il loro generale.» Lentamente, Abivard avanzò in mezzo alla calca makurana fino a trovarsi di fronte alle Guardie Imperiali. «Posso salutare l'Avtokrator dei Videssiani?» chiese a un massiccio haloga armato d'ascia. «Lascialo passare, Hrafnkel,» gridò Maniakes. Senza una parola, l'haloga si spostò di lato. E così fece la fila di guardie dietro di luì. Abivard li superò a grandi passi, portandosi nello spazio aperto da essi circondato. Come l'armata makurana avrebbe potuto sopraffare le Guardie Imperiali e uccidere Maniakes prima che potesse giungergli un aiuto, così le guardie avrebbero potuto uccidere Abivard prima che i suoi uomini potessero salvarlo. Maniakes annuì, apprezzando la simmetria. Abivard lo raggiunse e tese la mano. Quella era una simmetria di altro genere: il saluto fra due pari. I soli che gli Avtokrator dei Videssiani consideravano loro pari in tutto il mondo erano i Re dei Re di Makuran. Maniakes strinse le mani di Abivard, riconoscendo quella parità. Mentre lo faceva, chiese, «Cosa sta dicendo il tuo araldo... il nuovo sole di Makuran? Cosa significa?» «Significa che non ho ancora deciso se devo rovesciare Sharbaraz per mio conto o per conto di mio nipote,» rispose Abivard. «Se mi dichiaro Re dei Re adesso, significa che rinuncio all'alternativa. In questo modo, la conservo.» «Ah.» disse Maniakes. «Abbastanza giusto. Più scelte hai, meglio è.» Inclinò la testa verso Abivard. «In tutti questi anni, me ne hai lasciate maledettamente poche.» «Come ben sapete, al momento non ho un grossa quantità di scelte da poter fare,» rispose bruscamente Abivard. «Vogliamo procedere con la cerimonia, vostra Maestà, vostra... uh... Solità?» disse Rhegorios con un sogghigno. «Più presto ce la leveremo di torno, più presto potremo trovare un posto tranquillo e ombreggiato e bere un po' di vino.» «Splendida idea.» convenne Abivard. Fino a quel momento, lui, l'Avtokrator e il Sevastos avevano continuato a parlare tranquillamente fra loro mentre le Guardie Imperiali e i guerrieri makurani li scrutavano e tentavano di capire cosa stavano dicendo. Ora Abivard alzò la voce, come avrebbe potuto fare sul campo di battaglia: «Soldati di Makuran, ecco l'Avtokrator dei Videssiani, che si è comportato onestamente e onorevolmente con noi. Chi è il nostro migliore amico, Maniakes o quella madre di assassini,
Sharbaraz Lenon dei Lenoni?» «Maniakes!» gridarono i soldati. Di nuovo, l'Avtokrator provò la sensazione sconcertante di sentirsi acclamato da uomini che, fino a pochi giorni prima, avevano impiegato tutti i loro sforzi per ucciderlo e saccheggiare la città. «Se Sharbaraz Lenon dei Lenoni vuole macellare metà dei nostri ufficiali, cosa gli diciamo?» chiese Abivard. La maggioranza degli uomini dell'armata gridò, «No!» Quella era una parola che Maniakes poteva distinguere con chiarezza. Le altre risposte alla domanda di Abivard furono più varie, e si mescolarono in un grande clamore. Ma, sebbene Maniakes potesse ricavarne poco senso, non pensava che avrebbero deliziato il cuore di Sharbaraz a Mashiz. Abivard pose la domanda successiva: «Faremo pace con Videssos, dunque, e torneremo a casa per sistemare l'uomo che ha cercato di rovinare tutta Makuran con questa guerra?» «Si!» gridarono alcuni dei guerrieri. Altri gridarono, «Pace!» Altre grida si mescolarono a quelle, ma Maniakes non pensava che fossero grida di dissenso. «Nel tornare a casa,» proseguì Abivard, «siamo d'accordo che toglieremo le nostre guarnigioni per assicurare la pace e che non provocheremo danni a questo paese, a parte quelli necessari al nostro sostentamento?» «Si!» gridarono di nuovo i Makurani, non con l'entusiasmo sincero che avevano messo nel primo paio di risposte, ma, di nuovo, senza rimostranze che Maniakes potesse udire. «Ecco,» disse Abivard all'Avtokrator. «Anche l'armata accetta quello che abbiamo stabilito io e voi nella città di Videssos. Fra noi c'è la pace, ed evacueremo le terre occidentali per sigillarla.» «Può andare,» disse Maniakes, «o piuttosto, può quasi andare. Puoi farmi un regalo?... Un pagamento in anticipo sulla pace, potremmo dire.» Abivard poteva anche passare per il nuovo sole di Makuran, ma la sua faccia si rannuvolò. «Ho rispettato il nostro patto in ogni particolare,» disse rigidamente. «Se adesso volete aggiungere nuovi termini...» «Ascoltami prima,» lo interruppe Maniakes. Non credo che avrai obiezioni.» «Parlate.» Ogni ruga sulla faccia di Abivard esprimeva dubbi. Sorridendo, Maniakes fece la sua richiesta: «Consegnami Tzikas. Adesso non hai la necessità di rifiutarmelo. Dal momento che è creatura di Sharbaraz, in effetti, dovresti essere lietissimo di sbarazzartene.»
«Ah.» Abivard si rilassò. «Si, questo potrei farlo in buona coscienza.» Non disse altro. Aveva già dimostrato di parlare bene il videssiano, e di poter anche interpretare le più sottili sfumature di significato della lingua dell'Impero. Prendendo nota di questo, Maniakes disse, «Potresti consegnarlo, eh? Oppure, puoi consegnarlo?» «Proprio così.» Abivard allargò la braccia con irato rincrescimento. «Non appena ho saputo che Sharbaraz mi aveva tradito, ho realizzato che la sua protezione sul traditore non aveva più valore... al contrario, come avete detto voi. Una delle prime cose che ho fatto, ancora prima di aver annunciato all'assemblea dei soldati quello che aveva fatto Sharbaraz, è stata quella di mandare due uomini a prenderlo. Avrei voluto sistemarlo per sempre io stesso, mi capite. I due uomini non sono tornati. E da quel giorno non ho più visto Tzikas.» «Li ha uccisi?» chiese Rhegorios. «Non credo,» rispose Abivard. «Volevo dire esattamente quello che ho detto: i due uomini non sono tornati. E nemmeno Tzikas. La sola cosa che ho pensato è che siano fuggiti assieme.» «Non mi piace affatto,» disse Maniakes, con uno dei migliori eufemismi usati da quando aveva preso il trono imperiale. «Se è scappato con loro...» «È molto probabile che sia sulla strada per recarsi da Sharbaraz. per fargli sapere che adesso agisco per mio conto,» lo interruppe Abivard. Maniakes fu sul punto di guardarlo in cagnesco: come osava costui interromperlo? Ma se anche Abivard era un sovrano, non stava interrompendo una persona di più alto rango, solo un suo pari, il che avrebbe anche potuto essere rozzo ma non era lesa maestà. Abivard proseguì, «Ho mandato dei cavalieri a inseguirli. Il Dio volendo, li riporteranno qui.» «E se non ci riusciranno?» chiese Maniakes. «Tzikas, che Skotos possa tormentarlo nel ghiaccio per l'eternità, si è tirato fuori da più guai di quanti una niente normale possa pensare di affrontare.» Abivard si strinse nelle spalle. Fece un gesto in direzione degli uomini barbuti in caffettano che lo fissavano dall'altro lato del cordone delle Guardie Imperiali di Maniakes. «Questa è l'annata di Makuran. Ed è, credo, la migliore armata che abbiamo mai messo in campo. Potete negarlo, Avtokrator Maniakes?» «Sarei sciocco se lo facessi,» rispose Maniakes. «Mi ci è voluto l'intero regno per mettere assieme la mia armata in modo che potesse affrontare i tuoi dannati 'bolliti'.» Finalmente anche lui aveva delle truppe che potevano farlo, ma non erano numerose quanto quelle che Abivard aveva raduna-
to là. «Proprio così,» disse Abivard, ripetendo il gesto. «Questi sono i migliori guerrieri di Makuran. E dal momento che è così, come se la caverà con loro Sharbaraz Lenon dei Lenoni? Forse dovremo cominciare a combattere contro di lui un po' più a est, e allora?» «È qualcosa,» ammise Maniakes. «Qualcosa,» disse Rhegorios, «ma non abbastanza. Se non sei preoccupato per quello che Tzikas sta facendo o per dove sta andando, perché hai mandato degli uomini a inseguirlo?» «Perché lo voglio morto,» sbottò Abivard, dando ancora di più l'impressione di un uomo che sarebbe diventato Re dei Re. «E,» aggiunse con riluttanza, «perché con Tzikas e Sharbaraz non sai mai niente per certo, finché non è troppo tardi.» «Io certamente questo l'ho scoperto con Sharbaraz,» disse Maniakes con calore. «Era un uomo buono, o almeno era un uomo buono quanto può esserlo un principe viziato, quando riprese il trono una dozzina di anni fa.» Abivard sospirò. «La corte e gli eunuchi e tutto il gineceo hanno contribuito a rovinarlo.» «Anche lui ha contribuito in qualche misura... a diventare quello che è, intendo,» disse Maniakes. «La mia corte è opprimente quanto quella di Mashiz: hai visto i miei ciambellani eunuchi, e non sto qui a dire quante donne hai la possibilità di scegliere.» «Mi date una speranza,» disse Abivard. «Sii pronto ad afferrarla dove la trovi,» disse Maniakes. «Un sacco di volte ho dovuto cercarla sotto le pietre piatte io stesso, tanto per dire. Ma Tzikas, adesso... tutto quello che fa Tzikas, lo fa innanzi tutto per se stesso. Se riesci a capirlo, hai un ritratto dell'uomo.» «L'ho visto con i miei occhi, ve lo assicuro,» rispose Abivard. Per la terza volta, fece un gesto verso gli uomini dell'armata makurana. «Volete dire a loro qualcosa? Credo che vorrebbero ascoltarvi. Quando ci siamo incontrati in precedenza non è mai stato il momento di parlare.» «Non lo è mai stato, già.» Maniakes sbuffò: anche Abivard aveva un insospettato dono per gli eufemismi. «Il mio makurano, al meglio, è appena accettabile.» Abivard si strinse nelle spalle, come per dire, E allora? Maniakes trasse un profondo respiro e alzò la voce: «Uomini di Makuran!» Il silenzio si diffuse come un'onda dai guerrieri più vicini alle guardie imperiali verso l'esterno. «Uomini di Makuran!» gridò di nuovo Maniakes. «Per
anni, ho cercato e inseguito tenacemente la pace. Ho combattuto, ma non ho mai voluto questa guerra. Sharbaraz ha costretto me... e voi. Ora, dunque, non solleviamo più le armi gli uni contro gli altri. Diamo il benvenuto alla pace che abbiamo trovato. Spegniamo la fiamma della guerra, prima che ci bruci tutti.» Si domandò come sarebbe stato accolto quel discorso. I Makurani erano orgogliosi e fieri: avrebbero potuto interpretare il desiderio di pace come ammissione di debolezza. Quando rimasero in silenzio dopo che ebbe terminato di parlare, ebbe paura che avessero fatto proprio quello. Poi cominciarono le acclamazioni. I Makurani spinsero le guardie videssiane con forza maggiore di quella che avevano impiegato quando la tensione riempiva l'aria. Spinsero con tale forza che riuscirono a rompere il cordone, cosa che non sarebbero riusciti a fare con altrettanta rapidità se avessero usato le armi. Sciamarono intorno a Maniakes, Rhegorios e Abivard. Maniakes aveva al fianco la spada che di solito portava in battaglia. Non la sfoderò: perché farlo? Con tanti Makurani che premevano su di lui, se uno di loro era un assassino sarebbe potuto riuscire nel suo intento. Se Tzikas aveva architettato qualcosa per quel momento, Maniakes era in serio pericolo. Non arrivò nessun colpo. Tzikas, persona certamente mai popolare, apparentemente non era riuscito a immaginare una così calorosa manifestazione di affetto da parte dei Makurani per un Avtokrator videssiano. Maniakes aveva difficoltà a considerarlo ottuso per questo. Nemmeno lui aveva mai immaginato una cosa del genere. Un makurano che gridava il suo nome lo afferrò alla vita. Non stava cercando di buttarlo a terra. Grugnendo, invece, lo sollevò sulle sue spalle. Una volta lassù. l'Avtokrator scoprì che Rhegorios e Abivard erano stati sollevati alla stessa maniera. Le acclamazioni divennero più forti che mai. I Makurani si passarono fra loro i due Videssiani e il loro quasi Re dei Re. Sarebbe stato scandaloso se... Maniakes scosse la testa. Era scandaloso, ma lui, come i soldati, si stavano divertendo troppo per porsi il problema. Di li a poco, scoprì che stava cavalcando una delle sue guardie haloga invece di un makurano. «Mettimi giù!» gridò, cercando di farsi udire in quel baccano. L'haloga scosse la testa bionda. «No, vostra Maestà,» tuonò in un lento e sonoro videssiano. «Avete bisogno di questo. I soldati hanno bisogno di
questo.» Come se Maniakes non pesasse affatto, lo gettò in aria a un paio di Makurani che lo presero al volo, impedendo che si schiantasse al suolo. A loro volta, lo gettarono ad alcuni dei loro amici. Allora quasi cadde: uno dei Makurani lo afferrò intorno alla vita all'ultimo momento. «Attento, Amashpiit!» esclamò un altro makurano là vicino. «Non farlo cadere.» «Non l'ho fatto cadere,» rispose Amashpiit. «E non lo farò cadere.» L'uomo che lo aveva ammonito lo aiutò a sollevare Maniakes un'altra volta. Poi i due - e altri entusiasti, urlanti e sogghignanti Makurani - lanciarono di nuovo l'Avtokrator in aria. Nel corso di quelle selvagge peregrinazioni, passò abbastanza vicino a Rhegorios da strillargli, «Se Kameas mi vedesse adesso, cadrebbe a terra stecchito.» Suo cugino rise... o almeno così pensò lui, sebbene la folla lo spingesse via prima che potesse esserne sicuro. Finalmente, quando fu certo che ogni 'bollito' lo aveva lanciato in aria almeno una e, la maggior parte di essi, due, tre o quattro volte, i suoi piedi toccarono terra. I due uomini più vicini a lui. invece di afferrarlo e di lanciarlo lungo un altro percorso dissestato, lo aiutarono a raddrizzarsi. «Vi ringrazio.» disse loro, assolutamente sincero. Qualcuno stava gridando il suo nome: Abivard. Per un caso fortuito, il generale makurano era atterrato non lontano da lui. «Uh!» disse Maniakes quando si strinsero di nuovo le mani. «Nell'incoronazione di un Avtokrator, come parte della cerimonia, i suoi soldati lo sollevano su uno scudo... ma dopo non lo lanciano da tutte le parti.» «Tutto questo non rientra nemmeno nei nostri rituali,» rispose Abivard. «Doveva accadere. Così è la vita, sapete: una dannata cosa dopo l'altra.» «Questa non la chiamerei una dannata cosa,» disse Maniakes con tono giudizioso. «Più che altro la definirei... interessante. Ecco la parola adatta.» Si guardò intorno. «Cos'è accaduto a Rhegorios? Lo hanno gettato nel Canale del Bestiame?» Lui e Abivard - e, ben presto, gli uomini intorno a loro - alzarono le voci, chiamando suo cugino. Si scoprì che Rhegorios era lontano da loro quanto poteva esserlo restando sulla stessa spiaggia. Quando finalmente si riunirono, il Sevastos disse, «Adesso so come si sente un cavallo quando viene montato per la prima volta. Tutti salti e rimbalzi e pesanti atterraggi... abbiamo un massaggiatore imperiale qui?» «Non ne ho mai chiesto uno,» disse Maniakes, «ma uno degli eunuchi saprà chi è il migliore in città.» Tastandosi il corpo, comprese di essere contuso e dolorante in qualche insolito punto. «Cugino mio, non è una cat-
tiva idea.» Abivard riportò l'attenzione su argomenti più immediati. «Al momento, siamo amici, voi e io, voi e la mia armata,» disse. «Se noi Makurani dobbiamo lasciare le terre occidentali, faremo meglio a lasciarle presto, mentre la nostra amicizia regge ancora. Volete a vostra volta fare tutto quello che potete per rifornirci per il viaggio, oppure dovremo prendere quello di cui avremo bisogno dalle terre che attraverseremo?» «Dal momento che Videssos non controlla la maggior parte delle terre occidentali da quando sono diventato Avtokrator, non so quanto posso fare per rifornirvi,» disse Maniakes. «D'altra parte, tu conosci la differenza fra requisire e saccheggiare, o almeno lo spero.» «Certamente,» disse subito Abivard. «Requisire è quello che fai quando uno ti osserva.» Abbassò di scatto la testa verso Maniakes. «Dal momento che siamo amici - per ora - e dal momento che starete osservando, noi requisiremo. Vi sta bene così?» Maniakes aprì la bocca, poi la richiuse realizzando che non aveva nulla da dire. Aveva, una volta tanto, incontrato uno che poteva stargli alla pari nel cinismo che deriva dal governare, o dall'aspirare a governare un grande impero. Più tardi, mentre navigavano verso la città di Videssos, Rhegorios osservò, «Smerdis Re dei Re non ci piaceva, così aiutammo i Makurani a liberarsi di lui e a mettere Sharbaraz Re dei Re sul trono. Sharbaraz si è rivelato più pericoloso di quanto Smerdis si fosse mai sognato di essere, il che ha significato che non ci piaceva nemmeno lui. Adesso stiamo aiutando i Makurani a liberarsi di lui e a mettere Abivard Re dei Re, o comunque finisca col chiamarsi, sul trono. Ed è probabile che Abivard si dimostri...» Lasciò che Maniakes terminasse da sé la progressione. «Oh, stai zitto,» disse Maniakes a voce alta e con sincerità. Rhegorios rise. E rise anche l'Avtokrator. In entrambi c'era una chiara sfumatura di nervosismo. L'armata videssiana si esercitava sul prato vicino alle propaggini meridionali delle mura cittadine. I soldati cavalcavano e lanciavano giavellotti e scagliavano frecce da cavallo in balle di paglia, mostrando più entusiasmo di quello che Maniakes aveva mai visto in loro. Immodios disse, «Non gli è piaciuto essere stati chiusi in un assedio, vostra Maestà. Adesso vogliono stare all'aperto e muoversi.» «Vedo,» disse Maniakes. «Ora sarebbero a Mashiz, se solo Sharbaraz
non si fosse dimostrato più astuto di quello che pensavamo.» Il commento di Rhegorios gli attraversò la mente. Con risolutezza, lo ignorò. Se Genesios non avesse rovesciato Likinios, Sharbaraz sarebbe stato un vicino abbastanza buono per l'Impero di Videssos. Dal momento che nessuno stava per rovesciare lui... Rise, sebbene la cosa non fosse molto divertente. Sapeva quanto era fortunato a trovarsi ancora sul trono. Immodios disse, «Non saremo numerosi quanto i 'bolliti', una volta che raggiungeremo le terre occidentali.» «Lo so che non lo saremo,» rispose Maniakes. «La loro armata diventerà più grande a mano a mano che si uniranno le guarnigioni. Ma questo li farà rallentare, e li renderà meno propensi ad attaccarci: tanto più che il loro bersaglio adesso è Sharbaraz. E inoltre, mi aspetto che recluteremo un po' di uomini anche noi, una volta che saremo là.» «Oh, si, non c'è dubbio,» disse Immodios, «uomini che un tempo erano videssiani, ma che si sono procacciati il sostentamento facendo i banditi e i razziatori mentre i Makurani occupavano le terre occidentali. Quelli che riusciranno a ricordare com'erano prima varrà la pena di averli. Gli altri...» «Gli altri si ritroveranno accorciati di una mano, o forse di una testa,» lo interruppe Maniakes. «Avranno quello che meritano, e io aiuterò i migliori a ricordare com'erano.» Mise alla prova il suo cavallo. Antilope era felice di correre, felice di impennarsi e di scalciare con gli zoccoli coperti di ferro, felice di fermarsi e restare immobile come una roccia mentre Maniakes scagliava mezza faretra di frecce in una balla di fieno. Dal momento che gli altri cavalieri lasciavano spazio a Maniakes, Antilope era convinto che i loro cavalli lasciassero spazio a lui. Per quanto ne sapeva Maniakes, era proprio così. Maniakes fu felice anche di mettere alla prova se stesso. Finché si trovava su Antilope, usando il suo corpo com'era stato addestrato a fare fin dai tempi che la sua memoria rammentava, non era costretto a pensare a come accompagnare i Makurani fuori dalle terre occidentali. Non era costretto a ricordare il disprezzo che il popolo della città e la gerarchia ecclesiastica nutrivano per lui. Non era costretto a pensare, e non lo faceva. Il suo corpo faceva quello che era necessario senza che lui dovesse preoccuparsene. Ritornò in sé un po' più tardi, quando fu consapevole che Antilope stava cominciando ad ansimare. Il suo successivo pensiero cosciente fu la meraviglia per come il sole si era spostato nel cielo. «Per un po' mi sono dimenticato di tutto,» comunicò a Immodios. «Si, vostra Maestà, è così.» Immodios era un tipo sobrio, e sembrava
sempre colmo di sobria approvazione. Se c'era qualcosa che considerava più importante del tenersi pronti per la battaglia, Maniakes non sapeva cos'era. Essendosi fermato, l'Avtokrator comprese di essere molto stanco. «Domani mi sentirò rigido e dolorante,» borbottò, «anche se non sarà perché sono stato lanciato in aria per tutta la regione. Non lo faccio abbastanza spesso da stare sempre in forma come dovrei.» Dopo aver pensato un momento - un pensiero che, purtroppo, non poteva essere negato - aggiunse, «E non sono nemmeno più così giovane.» Fu tentato di riprendere a esercitarsi, per scacciare quel pensiero. Ma no. L'alternativa al diventare vecchio era non diventare vecchio, il che era anche peggio. Accompagnato da un drappello di guardie, Maniakes raggiunse la Porta d'Argento e poi percorse la Strada Centrale in direzione del quartiere del palazzo. Le guardie erano là solo per proteggerlo. Non prestavano particolare attenzione ai venditori di vino caldo e alle puttane, agli scribi e ai ladri, ai monaci e ai mendicanti che riempivano la strada. Ma la folla notava loro. Erano la cosa più vicina a un corteo che la città di Videssos aveva al momento, cosa che, di per sé, li rendeva meritevoli di attenzione. Alcune persone, anonime fra tutte le altre, gridarono oscenità all'Avtokrator. Le ignorò. Aveva fatto un bel po' di pratica nell'ignorarle. Anche diversi uomini nella tunica azzurra dei sacerdoti gli voltarono le spalle. Agathios poteva anche avergli concesso la sua dispensa, ma essa mancava della forza necessaria essendo stata imposta con una sorta di guerra civile ecclesiastica. Maniakes ignorò anche il disprezzo dei sacerdoti. E poi, con suo stupore, un sacerdote in tunica azzurra che stava sotto a un colonnato gli rivolse un inchino mentre passava. Alcuni sacerdoti riconoscevano la dispensa di Agathios, ma pochi fino a quel momento erano stati disposti ad ammetterlo pubblicamente. L'Avtokrator si aspettò che qualche intransigente leguleio o sacerdote, oltraggiato, scagliasse un ciottolo contro quell'uomo. Nulla del genere accadde. Circa un furlong più avanti sulla Strada Centrale, qualcuno gridò, «Grazie per averci liberato dai bastardi Makurani, vostra Maestà!» L'uomo agitò un braccio verso Maniakes. Lui rispose al saluto. Aveva sempre sperato che il successo nella guerra gli avrebbe portato l'approvazione dei sudditi. Fino a poco prima, non aveva ottenuto abbastanza successi per mettere alla prova la sua idea. Forse, nonostante le prime apparenze deponessero a favore del contrario, era vera.
Qualcuno strillò una battuta volgare che suggeriva che Lysia fosse sua sorella, non una cugina che aveva circa la sua età. Per un momento, pensò di sfoderare la spada e di inseguire quell'idiota linguacciuto con la stessa tenacia che aveva impiegato nell'addestramento di poco prima. Ma sorprese le sue guardie, e se stesso, gettando indietro la testa e scoppiando a ridere. «State bene, vostra Maestà?» chiese uno degli Halogai. «Per il buon dio, sto bene,» rispose. «Alcuni di loro mi odiano ancora, si, ma per lo più sono degli sciocchi. Quelli che sanno quello che ho fatto sanno che non l'ho fatto male.» Era, pensò, la prima volta che non solo lo diceva ma ci credeva anche. «Il giudizio che ognuno ha di se stesso è quello che conta,» disse l'uomo del nord con la sicumera che il suo popolo mostrava normalmente. «L'uomo che permette al giudizio che gli altri hanno di lui di diventare il giudizio che lui ha di sé... è un uomo il cui giudizio non merita fiducia.» «Se solo fosse così semplice,» disse Maniakes con un sospiro. L'haloga lo fissò, con gli occhi pallidi spalancati in una perfetta incomprensione. Per lui, era semplice: per gli Halogai, il mondo era un posto semplice. Maniakes riteneva che fosse più complesso di quello che poteva mai sperare di comprendere. In quello, anche se non nel sangue, era molto videssiano. L'haloga si strinse nelle spalle, rimuovendo la questione in maniera visibile dalla sua mente. Maniakes continuò a interrogarsi sulla cosa, invece, per tutto il tragitto di ritorno alla residenza imperiale. Là, suppose, lui e la sua guardia rientravano nell'immagine del mondo che ognuno di loro si era costruito. Ma chi di loro aveva ragione? E come si poteva stabilirlo? Non lo sapeva. I soldati videssiani cominciarono a sfilare giù dai mercantili sulle spiagge vicine ad Aldilà. I marinai cominciarono a persuadere i cavalli a lasciare le chiatte e le barche sulle quali li avevano convinti a salire non molto prima. Avevano avuto difficoltà a far salire i cavalli, adesso avevano difficoltà a farli scendere. Le imprecazioni, alcune incandescenti come il ferro nella fucina di un fabbro ma più rassegnate, fluttuavano nel cielo del mattino. Non molto lontano, un distaccamento di cavalleria pesante makurana stava in attesa, e osservava. Quando Maniakes, Lysia al suo braccio e Rhegorios dietro di lui scesero dalla passerella della Rivalsa sul suolo sab-
bioso delle terre occidentali, i Makurani sollevarono le lance per salutarli. Rhegorios emise un lieve fischio. «Eccoci qui, a sbarcare sulle terre occidentali con i 'bolliti' che ci osservano,» disse con una certa meraviglia. «Non avevo mai pensato che sarebbe andata così,» convenne Maniakes. «No,» disse Lysia. «In altre circostanze, mi avresti fatta restare sulla Rivalsa finché non avessi scacciato via loro dalla zona dello sbarco.» Era risentimento? Probabilmente, pensò Maniakes. Lanciò un'occhiata al ventre rigonfio di sua moglie. «Non è che ti troveresti benissimo in questo momento, a scagliare frecce o giavellotti dal dorso di un cavallo,» osservò. «Suppongo di no,» ammise Lysia. Con un tono che suggeriva che stava tentando di essere giusta, continuò, «Usi quel genere di scusa meno della maggior parte degli uomini, stando a quello che ho visto e sentito. Non mi lasci a casa quando te ne vai a fare la guerra.» «Non ho mai voluto lasciarti a casa, quando sono andato in guerra.» rispose lui. Un makurano solitario in armatura completa cavalcò verso i Videssiani. Tutto quello che Maniakes poteva vedere del suo corpo erano i palmi delle mani, gli occhi e una piccola striscia di fronte sopra quegli occhi. Ferro e cuoio coprivano il resto, dai guanti che si allungavano sopra le dita al velo di maglia che gli proteggeva gran parte del volto. Mentre si avvicinava a Maniakes, parlò nella sua lingua: «Maestà, voi sapete che il traditore Tzikas è fuggito dal nostro accampamento, accompagnato da altri due che ha spinto al tradimento.» «Si, lo so,» rispose Maniakes. Emergendo da dietro il velo di" metallo, anche la voce del makurano acquisiva inflessioni metalliche. E ascoltare le sue parole senza vedere le sue labbra era sconcertante: era quasi come se fosse disincarnato e animato da arti magiche. Ma tutto ciò impallidiva di fronte alle possibili implicazioni del suo messaggio. «Lo so,» ripeté Maniakes. «Mi stai dicendo che avete catturato il figlio di puttana?» «No, Maestà. Ma una delle pattuglie mandate in perlustrazione da Abivard Re dei Re, possano i suoi giorni essere lunghi e il suo regno accrescersi...», sebbene Abivard non avesse ancora reclamato il titolo regale makurano, quel soldato lo stava facendo per lui, «...si è imbattuta in uno dei suoi complici. Il miserabile adesso è davanti al Dio per essere scaraventato nel Vuoto.» «Ecco una buona notizia, anche se non è così buona come avrei sperato,» disse Maniakes. «Aspetta,» intervenne Rhegorios. «Questa pattuglia ha catturato solo
uno degli uomini che sono andati a ovest con Tzikas?» «Proprio così, signore,» rispose il messaggero makurano. Maniakes comprese l'implicazione con la stessa prontezza del cugino. «Si sono divisi per rendere più difficile ai vostri uomini la loro cattura.» disse, «e più facile per loro riuscire a portare la notizia a Sharbaraz. Non mi piace.» Tzikas aveva l'abilità di rendere la sua vita - e, evidentemente, anche la vita di Abivard - difficile. «Abivard ha la stessa opinione,» disse il makurano. «Ritiene che si sarà liberato una volta per tutte di Tzikas quando vedrà la testa del traditore su un palo... ammesso che non sia capace di parlare anche in quella circostanza.» «Mhm, si,» disse Maniakes. «Se qualcuno può fare una cosa del genere, quello è Tzikas. In entrambi i casi, il vostro compito non cambia: che Tzikas raggiunga o no Mashiz prima di voi. dovrete sempre battere Sharbaraz.» «Anche questo è vero, Maestà,» convenne il messaggero. «Ma io posso nuotare nudo nel Tutub, oppure posso nuotare, o cercare di nuotare, col mio corsaletto addosso. Nuotare nudo è più facile, com'è più facile cogliere Sharbaraz alla sprovvista.» Ora fu Maniakes ad annuire, riconoscendo che aveva ragione. «Più rapido Abivard si muove, allora, più probabilità ha di farlo.» «Di nuovo credo che diciate il vero,» disse il makurano. «Il grosso della sua armata è già in marcia verso ovest.» Agitò un braccio verso i suoi compagni. «Noi siamo una guardia d'onore per i vostri uomini... e un contingente che può contrastarvi se rompete il patto che è stato concluso. Siete Videssiani, dopo tutto.» «In questo siamo vostri compagni, dal momento che la cosa va a nostro vantaggio come a vostro,» disse Maniakes. Il makurano annuì: quella era una logica che riusciva a capire. «E noi siamo vostri compagni. Sappiate, compagno, che vi terremo sempre d'occhio per assicuraci che restiamo amici e non tentate di occupare una posizione da dove potreste danneggiarci.» Maniakes gli sorrise, non troppo dolcemente. «Dopo che avete scacciato le nostre armate dalle terre occidentali, anche noi vi abbiamo sempre tenuto d'occhio. Continueremo a farlo. E dì ad Abivard da parte mia che non sono io quello che lo ha danneggiato, e non sono io quello che intende danneggiarlo.» «Riferirò le vostre parole, proprio come le avete dette.» Il makurano tor-
nò a galoppare verso il contingente di cavalleria pesante che lo aspettava. Lysia sospirò. «Vorrei che potessimo fidarci gli uni degli altri.» «Stiamo più avanti, in questo senso, adesso di quanto lo siamo mai stati in precedenza,» replicò Maniakes. «Se devo esprimere un'opinione, direi che più avanti di così non potremo mai andare. Abivard può benissimo tenere d'occhio me, io terrò d'occhio lui, e forse, in questo modo, potremo avere due generazioni di pace invece di una. Possiamo sperarlo, almeno.» Per rafforzare la speranza, si tracciò il cerchio del sole sul cuore. Vicino ad Aldilà, si era combattuto più volte, e la terra lo dimostrava. Molte piccole fattorie non erano altro che rovine, molti campi erano pieni solo di erbacce perché i contadini che avrebbero dovuto coltivarli erano morti o scappati. Vedere lo scempio di quella che era stata una terra fertile e prosperosa rattristò Maniakes senza sorprenderlo. Quello che lo sorprese fu come tutto apparisse normale non appena l'armata si allontanava dalle zone sconvolte dalla guerra. Il contingente videssiano viaggiava dietro e un po' più a nord dell'armata di Abivard: se si fosse trovato subito dietro ai Makurani, avrebbe scoperto una terra totalmente saccheggiata prima del suo arrivo. Per come stavano le cose, i quartiermastri che seguivano l'armata videssiana per tenerla ben nutrita se la stavano vedendo più brutta di quanto si erano aspettati. «I dannati contadini hanno saputo che stavamo arrivando, vostra Maestà.» disse indignato uno di loro, «e sono fuggiti sulle colline più vicine che hanno potuto trovare. E quel che è peggio, hanno portato con loro tutto il bestiame e hanno seppellito il grano mettendolo nelle giare. Come possiamo fare per trovarlo?» «Magia?» suggerì Maniakes. Il quartiermastro scosse la testa. «Ci abbiamo provato, vostra Maestà. Non funziona. La passione è nemica della magia. Quando i contadini nascondono il loro cibo, non rivolgono bei pensieri alla gente alla quale lo stanno nascondendo...» «Mi domando perché è così,» disse Maniakes. «Non lo so,» rispose il quartiermastro, mostrando di essere più incline a contare sacchi di fagioli che a comprendere la gente che li coltivava. «Il risultato, comunque, è che non abbiamo tutto quello che vorrei.» «Ma abbiamo abbastanza?» chiese Maniakes. «Oh, si, a sufficienza,» disse il quartiermastro, tirando su col naso, «ma potremmo avere di più.» Anche in materia di rifornimenti, voleva ricavare
qualche profitto. «A sufficienza è, uhm, sufficiente.» disse Maniakes. «Comunque, se tutto andasse come vorremmo, dopo questa campagna - che non è nemmeno una campagna di guerra, in effetti - riavremo le terre occidentali. Se non riusciremo a ricavare di più con l'Impero tornato alla sua interezza, ci sarà abbastanza tempo di preoccuparsene.» Il cenno di assenso del quartiermastro fu riluttante, ma fu un cenno di assenso. Tutto andò liscio fino a quando l'armata raggiunse Patrodoton, un villaggio di discrete dimensioni un paio di giorni di viaggio a est dell'Enza, un tributario che fluiva verso sud del più grande fiume delle terre occidentali, l'Arandos. Patrodoton, sebbene non fosse abbastanza grande da poter vantare una cinta di mura, aveva ospitato una guarnigione makurana, un paio di dozzine di uomini che si erano assicurati che i contadini cedessero una parte dei loro raccolti e dei loro animali, e una manciata dei mercanti locali una parte del loro denaro, per sostenere l'occupazione makurana. Non si presentò il problema di costringere la guarnigione a lasciare Patrodoton. I makurani se n'erano già andati quando i battistrada di Maniakes raggiunsero il villaggio. Tre degli occupanti avevano sposato donne videssiane, apparentemente con l'intenzione di sistemarsi nella zona per sempre. Due di quelle spose erano dirette a Makuran con i loro mariti, e anche il padre di una di loro era andato via con la guarnigione. E quello fu solo l'inizio del problema. L'ypepoptes, o capo, del villaggio era un mugnaio dalla barba grigia di nome Gesios. Dopo aver eseguito una prosternazione davanti a Maniakes, disse, «È una buona cosa che siate qui, vostra Maestà, così potrete sistemare tutti i tradimenti che ci sono stati in questa città quando erano quei rozzi Makurani a tenere in mano le redini. Se Optatos non fosse scappato con Optila e il pagano al quale si era data, immagino che lo avreste già accorciato della testa. Era il peggiore, ritengo, ma non è stato certo il solo.» «Aspetta.» Maniakes sollevò una mano ammonitrice. «Ti dico subito che non voglio e non vorrò più sentire niente del genere. Una volta che le terre occidentali saranno tornate nelle nostre mani, dovremo tornare a vivere gli uni con gli altri. Se qualcuno ha consegnato i suoi vicini ai makurani per farli uccidere, questo è tradimento, e sarò pronto ad ascoltare. Se qualcuno, invece, ha voluto vivere con tranquillità la sua vita, ho intenzione di lasciarlo in pace. Hai ben compreso?» «Si, vostra Maestà.» Gesios sembrava più che deluso. Sembrava arrabbiato. «E il sacerdote, allora? In questi ultimi anni, Oursos ha continuato a
predicare le più grosse sciocchezze che abbiate mai sentito su Vaspur il Primo Nato e ogni genere di eresie, al punto di farvi arricciare la barba. Sono stati i 'bolliti' a spingerlo a farlo.» Maniakes non si curò di menzionare il fatto che suo padre seguiva ancora le credenze vaspurakane che i Makurani avevano cercato di imporre a Videssos. Quello che disse fu, «Ora che i 'bolliti' se ne sono andati, il santo Oursos tornerà alla fede ortodossa? Se si, nessuno lo punirà per quello che ha predicato sotto costrizione.» «Oh, tornerà,» disse Gesios. «L'ha già fatto, in realtà. Però, ha continuato a predicare altrimenti per tanto tempo ormai, che quasi uno su quattro ha deciso che quella era la vera fede.» Quando si immergeva una torcia ardente in un secchio d'acqua il fuoco si spegneva, ma la torcia non tornava com'era prima di essere accesa. E nemmeno il fatto che i Makurani stavano andando via dalle terre occidentali le faceva tornare com'erano prima. Erano state torturate per anni. Non sarebbero guarite in una notte. «Fa' in modo che il santo Oursos parli con loro,» disse l'Avtokrator con tutta la pazienza che poté trovare. «Il buon dio volendo, li riporterà presto all'ortodossia. E se non accadrà... beh, è qualcosa di cui ci preoccuperemo più in là. Adesso, ho più cose di cui preoccuparmi di quante ne possa risolvere, più in là...» Rise, anche se non pensò che Gesios avesse colto l'ironia. Non solo lui, ma anche Rhegorios e quasi ogni altro ufficiale al di sopra del grado di semplice comandante di pattuglia vennero subissati dai reclami della gente del luogo mentre l'armata trascorreva la notte davanti a Patrodoton. Gli ufficiali liquidarono parecchi di quei reclami su due piedi - il che significava che Maniakes avrebbe dovuto affrontarli solo in seguito, ed era certo che non li avrebbe mai affrontati tutti - ma alcuni superarono lo sbarramento fino ad arrivare a lui. La mattina dopo, fissò gli abitanti del villaggio, tutti con addosso le loro tuniche migliori che erano troppo spesso le brutte e sole tuniche che possedevano. Non ho intenzione di punire nessuno che abbia fraternizzato con i Makurani,» disse. «Vorrei che non fosse accaduto, ma i 'bolliti' sono rimasti qui per anni a causa della nostra debolezza. Così... se è di questo che volete lamentarvi, tornate a casa, perché non vi ascolterò.» Un vecchio e sua moglie se ne andarono. Tutti gli altri restarono. Maniakes rimase ad ascoltare accuse e controaccuse e i contadini che si dava-
no del bugiardo a vicenda fino a parecchio dopo il momento che avrebbe dovuto andarsene a letto. Ma quello era il prezzo da pagare per il ritorno dell'autorità videssiana, e lui era l'autorità videssiana personificata. Il caso più brutto e difficile coinvolgeva un uomo chiamato Pousaios e la sua famiglia. Ciò che lo rendeva più complicato di quanto sarebbe stato altrimenti era che si trattava dell'uomo chiaramente più ricco di Patrodoton. Secondo la media della città di Videssos, sarebbe stato un pesce piccolo, ma Patrodoton era più lontana dalla città di Videssos dei pochi giorni di viaggio che le separavano. Era già vero prima che il villaggio fosse preso dai Makurani, lo era ancora di più adesso. Tutti insistevano con forza che Pousaios aveva accumulato la sua ricchezza leccando gli stivali degli invasori o qualcos'altro di più intimo. Con altrettanta forza, il prospero contadino lo negava. «Non ho fatto nulla che non abbiate fatto voialtri,» insisteva. «No?» lo contraddisse Gesios. «E quei due soldati - nostri soldati - che arrivarono in città in piena notte sei o sette anni fa? Chi disse ai Makurani in quale casa si nascondevano? Chi vive oggi in quella casa, perché è più bella di quella che possedeva prima?» Pousaios disse, «Blemmydes era la moglie di mio cugino. Perché non avrei dovuto trasferirmi nella sua casa dopo che è morto?» Questo produsse nuove urla. «Non è semplicemente morto,» disse Gesios con voce acuta. «Un 'bollito' lo ha ucciso, e nessuno ha mai più rivisto quei due soldati.» «Io non ne so nulla,» insistette Pousaios. «Per il buon dio Phos, lo giuro. Nessuno ha mai provato nulla, e la ragione è semplice: nessuno può provare nulla, perché non c'è nulla da provare. Vostra Maestà, non potete permettere che mi facciano questo!» Maniakes si morse un labbro. Il caso esigeva una lenta e accurata indagine, ma quella era l'ultima cosa che il popolo di Patrodoton voleva. Loro volevano vendetta. La domanda era: meritavano di averla? Dal momento che non poteva essere sicuro circa quello che aveva udito, decise di non concederla, dicendo, «Domani sarò andato via da qui, ma da questo giorno in poi questa terra è nuovamente sotto la sovranità videssiana. Giuro per il buon dio...», si tracciò il segno del sole sul cuore, «...che manderò una squadra di maghi affinché accertino la verità con la magia. Quando lo faranno, agirò in base a quello che avranno scoperto, con punizione doppia per coloro che mi hanno mentito.» Sia Gesios che Pousaios si lamentarono della decisione, con forza e a
lungo. Alla fine, Maniakes dovette voltare loro la schiena, con un po' di rudezza melodrammatica che riuscì ad azzittirli. Quando si alzò la mattina dopo, una delle sue guardie, un videssiano di nome Evethios, disse, «Vostra Maestà, metà della gente di questo pisciatoio di villaggio sta cercando di svegliarvi da un paio d'ore prima del sorgere del sole. Alla fine ho dovuto dire loro che li avrei presi a frecciate se non avessero chiuso le bocche, se ne fossero andati e vi avessero lasciato in pace finché non avreste deciso voi di alzarvi. Niente...», parlò con grande convinzione, «...niente di quello che accade qui può valere la pena di farvi alzare due ore prima del sorgere del sole.» «Probabilmente hai ragione, ma non dire ai Patrodotoi che l'ho detto.» rispose Maniakes. Mentre Evethios rideva, proseguì, «Adesso sono sveglio, per cui puoi portarli qui. Mi aspetto che l'armata sia pronta a muoversi senza che debba essere io a controllare tutto in ogni momento.» «Se non potremo muoverci, saremo nei guai, vostra Maestà, e non solo con voi,» disse Evethios, pronunciando le ultime parole sopra la spalla mentre andava a prendere il gruppo proveniente da Patrodoton. Arrivarono di gran carriera, quasi come se fossero inseguiti dai 'bolliti' makurani con le lance in resta. Non appena Maniakes vide Gesios che strillava nelle prime posizioni, capì cosa doveva essere accaduto. Avrebbe potuto pronunciare lui il discorso del capo del villaggio, idea per idea se non parola per parola. Cercò di dirlo, ma Gesios non era nell'umore di ascoltare. «Vostra Maestà, Pousaios è scappato, il figlio di puttana!» gridò il capo del villaggio. «Scappato!» gli fecero eco i compaesani da dietro, come se lui fosse il solista e loro il coro. «La sua casa è vuota, e anche la sua stalla è vuota.» «Vuota,» confermarono i compaesani. «È scappato dai Makurani, possa il ghiaccio prendere loro, lui e tutta la sua miserabile famiglia.» «Scappato dai Makurani.» «Ciò dimostra che quello che vi dicevo la scorsa notte era vero, no?» «No?» L'arrangiamento corale divenne, di li a poco, una totale confusione. La testa di Maniakes continuò a scattare avanti e indietro fra Gesios e i suoi seguaci. Ma il messaggio, a parte le modalità della consegna, era sufficientemente chiaro. Non dovette nemmeno voltare le spalle per far fermare
Gesios: bastò sollevare una mano. «Col suo comportamento, Pousaios si è dimostrato un traditore,» disse. «Che le sue terre, la casa e le altre proprietà siano divise in parti uguali fra tutti coloro che hanno degli appezzamenti confinanti col suo, senza che vi siano tasse su quelle terre per due anni.» «Potete catturarlo, adesso!» esclamò Gesios, stringendo i pugni con gioia sanguinaria. «Catturatelo e uccidetelo!» Il coro si smembrò. Invece di parlare all'unisono, gli abitanti del villaggio suggerirono, ognuno di loro, un sistema nuovo e diverso per eliminare Pousaios. Di li a poco, divennero così ingegnosi da far inorridire i carnefici di Sharbaraz. «Aspettate,» disse Maniakes. e ancora, e ancora, e poi ancora. Finalmente, i Patrodotoi aspettarono. In qualcosa che assomigliava al silenzio, salvo che era di gran lunga più rumoroso, l'Avtokrator proseguì. «Per quanto mi riguarda, i Makurani possono accogliere tutti i traditori che vogliono. Presto o tardi, si pentiranno di averlo fatto. I traditori sono come gli adulteri: chiunque inganni una moglie finirà per ingannarne anche un'altra.» I pettegolezzi del villaggio avevano fatto arrivare al suo orecchio diverse storie, che risalivano anche a un paio di generazioni prima. Gli scandali di Patrodoton, aveva scoperto senza grande sorpresa, erano molto simili a quelli che solleticavano la curiosità della città di Videssos. La sola differenza che notò era che là veniva coinvolto meno denaro ed erano di meno le persone che ne parlavano. Pensare ai traditori, inevitabilmente, gli fece venire in mente Tzikas. Ogni paio di giorni, Abivard mandava all'armata videssiana un messaggero con le notizie riguardanti quello che aveva appreso circa la posizione del rinnegato videssiano e del makurano che Tzikas aveva persuaso ad andare con lui. Ogni paio di giorni, la risposta era la stessa: nulla. La risposta non sembrava a Maniakes sufficiente. Anche se i Patrodotoi avrebbero continuato a parlargli allegramente di chi andava a letto con chi e perché e talvolta per quanto fino a tarda notte, lui pose fine a tutto, dicendo, «Mi dispiace, amici miei, ma questa non è la sola città dell'Impero i cui affari - o comunque vogliate considerarli - devo sistemare.» Lo guardarono a bocca aperta: davvero non si rendeva conto che erano il centro del mondo? Non si rendeva conto. L'armata si mosse a tempo debito, e lui con essa. Pousaios aveva regalato ai contadini un nuovo e gustoso scandalo col quale avrebbero potuto intrattenere piacevolmente i visitatori per un centinaio di anni a venire. E. per quanto ne sapeva, un paio dei suoi cavalieri pote-
vano anche aver causato qualche adulterio durante il loro breve soggiorno, essendo le donne non più immuni degli uomini. Un tempo, a ovest di Patrodoton, un ponte di legno attraversava l'Eriza. Adesso c'erano solo dei resti bruciati a entrambi i lati del fiume. Non pensò che fosse stata la guarnigione in ritirata a bruciare il ponte: l'evento sembrava più antico. Ypsilantes era della stessa opinione. «Si, vostra Maestà,» disse il comandante dei genieri. «Probabilmente è stata una banda di videssiani irregolari a fare il lavoro, negli anni in cui i 'bolliti' spadroneggiavano nelle terre occidentali. Beh, non importa.» Alcune delle tavole che i suoi uomini usavano per costruire dei ponti provvisori erano ancora impregnate del fango della Terra delle Mille Città. Dal momento che venne costruito senza incontrare opposizione, il ponte superò rapidamente l'Enza. Mentre aspettava, Maniakes pensò che, dopo tutto, avrebbe anche potuto ascoltare altri pettegolezzi a Patrodoton. Ypsilantes fu il primo ad attraversare il ponte provvisorio, per dimostrare che era sicuro. Lo seguì il resto dell'armata. Antilope sbuffò e scartò, come faceva sempre quando metteva zampa su un ponte, specialmente uno dove le tavole si muovevano sotto i suoi zoccoli come stavano facendo quelle. Ma, dopo aver fatto sapere al suo padrone cosa pensava della faccenda, lo attraversò quando scoprì l'insistenza di Maniakes. Questi si voltò a guardare l'Eriza con una certa meraviglia. «Un angolo delle terre occidentali è di nuovo nostro.» disse, e proseguì. CAPITOLO DECIMO L'armata di Abivard, nel raggiungere l'Eriza in un punto che si trovava un paio di giorni di marcia a sud di Patrodoton, non attraversò il fiume. Procedette, invece, verso sud lungo l'argine orientale dell'Enza finché non giunse a Garsavra, che si trovava sulla confluenza dell'Enza e dell'Arandos, dove le lussureggianti pianure costiere cedevano il posto all'altopiano centrale delle terre occidentali. Maniakes indugiava a nord-ovest di Garsavra, in attesa di vedere cosa avrebbe fatto la guarnigione là. Era uno dei sistemi che i Makurani avevano usato per vincolare le terre occidentali: se i soldati della città si dichiaravano a favore di Sharbaraz, i Makurani davano inizio alla loro guerra civile sul suolo videssiano, il che non era quello che Maniakes voleva. Ma il messaggero che Abivard mandò all'accampamento videssiano era tutto sorrisi. «La guarnigione è unita nel condannare e rifiutare Sharbaraz
Lenon dei Lenoni,» disse, sputando a terra in un gesto di disprezzo che aveva sicuramente imparato in Videssos. «Nessuno ha pronunciato una parola in favore del tiranno che ci ha mandati in questa inutile guerra.» «Buone notizie, e sono lieto di sentirle,» disse Maniakes. L'espressione questa inutile guerra, però, non avrebbe lasciato la sua mente una volta udita. Se i Makurani avessero preso la città di Videssos assieme ai loro alleati Kubratoi, nessuno di loro, nemmeno Abivard, avrebbe maledetto Sharbaraz in quel momento. A loro non importava l'ingiustizia dell'invasione di Videssos. Tutto quello che importava era la sua reazione furibonda quando non erano riusciti a portare la guerra a un esito soddisfacente. E, a loro insaputa. Maniakes era stato costretto a esagerare anche quella. Si strinse nelle spalle, non avvertendo il minimo senso di colpa per lo stratagemma che aveva perpetrato. Quando gettò un pezzo d'oro al messaggero makurano, l'uomo lo lodò come se il suo rango si collocasse fra quello del Re dei Re e i Quattro Profeti. Anche quello era uno stratagemma, destinato a garantire un altro pezzo d'oro - o forse due - alla prossima visita del messaggero. Fingendo di crederci, Maniakes fece cenno al messaggero di lasciare l'accampamento. Restarono là per diversi giorni ancora. E là ricevette un altro segno rassicurante, perché Abivard richiamò nella sua armata il contingente che aveva seguito come un'ombra i Videssiani, così come i Videssiani avevano seguito il grosso della sua armata. Con l'aggiunta di quegli uomini e della guarnigione di Garsavra, Abivard cominciò a risalire l'Arandos in direzione di Amorion. «Quando raggiungerà Amorion - meglio ancora, quando la lascerà - davvero il cerchio sarà completo,» disse Maniakes a Rhegorios. «Si, è vero,» rispose suo cugino. «Quella è la città che tenne a lungo lontani i Makurani dalla valle dell'Arandos. Una volta tornata in mano nostra, dov'è giusto che sia, potremo tenerli a bada di nuovo, qualora dovessero riprovarci.» «Già,» disse Maniakes. «E il generale che li tenne a bada era Tzikas. È probabile che abbia ancora degli amici là. Mi domando se sta aspettando Abivard... o noi.» «Ecco un'idea interessante.» Rhegorios sollevò un sopracciglio. «Chi supponi che detesti di più, te o Abivard?» «Ottima domanda.» Maniakes si tirò la barba mentre rifletteva. «Io ho il titolo che lui voleva di più, naturalmente, ma, a bilanciare questo, Abivard sta cercando di ottenere un titolo che lui non può sperare di pretendere. Entrambi avremmo dovuto giustiziarlo quando ne abbiamo avuto l'opportuni-
tà, e nessuno di noi lo ha fatto, sciocchi che siamo. Le colpe sono pressoché pari, direi.» «Direi che hai ragione,» rispose suo cugino. «Direi anche che tu e Abivard fareste meglio a stare attenti.» «Oh, si.» Maniakes annuì con veemenza. «Phos sa cosa accadrebbe all'armata makurana se Abivard dovesse improvvisamente perdere la vita.» Non sapeva nemmeno cosa sarebbe accaduto a Videssos se lui stesso fosse scomparso dalla scena senza preavviso. Non parlò di questo a Rhegorios per un paio di ragioni. Innanzi tutto, non sarebbe toccato a lui preoccuparsi della cosa se fosse accaduta. E poi. la successione sarebbe stata disastrosamente complicata. Likarios era il suo erede designato, ma la madre di Likarios era morta. Lysia avrebbe potuto sostenere le pretese dei suoi figli. Ma erano tutti troppo, troppo giovani. E Rhegorios, come cugino dell'Avtokrator, fratello dell'Imperatrice e Sevastos di diritto, avrebbe avuto una sua pretesa formidabile: certamente più formidabile, dal punto di vista della legittimità, di quella di Abivard al trono di Makuran. Rhegorios disse, «Speriamo che non si stia aggirando da queste parti. Speriamo che non si stia aggirando da nessuna parte. Speriamo che il suo cavallo scivoli su un viottolo di montagna e lui si spezzi nella caduta quel collo di serpente che ha. Speriamo che tu non debba mai più preoccuparti di quel figlio di puttana voltagabbana.» «Si, speriamo,» disse Maniakes. «Ma qualcosa mi dice che è sperare troppo. Tzikas è una seccatura troppo grande per sparire solo perché lo vogliamo.» L'armata dì Abivard si mantenne vicino all'argine settentrionale dell'Arandos, divorando tutto nel tragitto come uno sciame di locuste. I suoi cavalieri non erano i soli a portare notizie a Maniakes. Diversi contadini e mandriani arrivavano, implorandolo di impedire ai Makurani di svuotare la regione di tutto quello che era commestibile. Li mandò via dispiaciuti, dicendo, «Gli uomini di Abivard sono nostri alleati adesso, e io non posso lesinare ai nostri alleati il cibo di cui hanno bisogno.» Dover rispondere in quel modo dispiacque anche a lui. Quante volte i Makurani hanno saccheggiato le terre occidentali dopo la caduta di Likinios? Si domandò. Alla fine, però, la sua angustia si alleviò. Per quante volte siano, questa è l'ultima. Mantenne la sua armata un paio di giorni di marcia a nord dell'Arandos. Sull'altopiano, ciò significava assicurarsi di avere grano e acqua a suffi-
cienza, prima di attraversare il tributario che fluiva a sud, per essere certo di poter raggiungere il prossimo. La terra fra i corsi d'acqua era coperta di arbusti. A dispetto delle lamentele dei suoi sudditi, ammise a se stesso che Abivard avrebbe potuto fare molto peggio di quello che stava facendo. Il makurano non voleva concedere a Maniakes alcuna scusa per attaccarlo, proprio come l'Avtokrator non voleva concedergli alcuna scusa per rompere l'alleanza. Il timore reciproco aveva fornito una strana stabilità al loro patto, ma sembrava funzionare. L'Arandos e l'Ithome confluivano a est di un gruppo di colline, l'Arandos proveniente da sud-ovest, l'Ithome da nord-ovest. Amorion si trovava sull'argine settentrionale dell'Ithome, tre o quattro giorni di viaggio a ovest del punto in cui i due fiumi si incontravano. Era la città più importante delle terre occidentali, anche se i Garsavrani probabilmente avrebbero avuto da ridire in merito. Aveva fatto da ancora al possesso videssiano della valle dell'Arandos e, una volta perduta, aveva fatto da ancora all'occupazione degli invasori. Per tutte quelle ragioni, e anche a causa della sua posizione centrale, aveva la più grande guarnigione makurana delle terre occidentali. Maniakes si domandò se la guarnigione sarebbe rimasta fedele a Sharbaraz e avrebbe richiesto un assedio per arrendersi. L'assedio, del resto, non sarebbe stato un problema di Abivard: il generale makurano avrebbe sicuramente desistito e continuato a muoversi verso ovest per affrontare il Re dei Re. Amorion era una città di Maniakes, e sarebbe stato compito di Maniakes riprendersela. E così, quando un cavaliere di Abivard raggiunse l'armata videssiana, l'Avtokrator s'irrigidì. Ma il cavaliere gridò, «Due buone notizie, vostra Maestà!» La guarnigione di Amorion si unisce a tutte le altre nel rifiutare Sharbaraz. E i soldati della guarnigione hanno catturato il secondo cavaliere makurano che seguì il traditore Tzikas per riferire al Lenon dei Lenoni che la sua ferocia assassina era stata rivelata al mondo intero.» «Questa è una buona notizia,» convenne Maniakes. «Cos'è accaduto a questo secondo cavaliere?» «Niente di importante o di particolarmente interessante.» Il messaggero sembrava quasi scontento. «Il comandante della guarnigione, conoscendo l'inclinazione di Abivard alla clemenza, lo ha interrogato per un po' e gli ha tagliato la testa. Tutto molto semplice e pulito.» Maniakes non era abituato a pensare all'estetica delle esecuzioni. «Va
bene,» replicò, lievemente perplesso. «Ha saputo quale cammino stava facendo Tzikas, in modo da farlo inseguire?» «Non con la precisione che gli sarebbe piaciuta, Maestà,» rispose il makurano. «I due si erano separati un poco prima. Il cavaliere riteneva che Tzikas stesse procedendo a sud dell'Arandos, ma non sapeva altro.» «Va bene,» disse Maniakes. Non andava bene per niente, ma non poteva farci nulla. Sapeva troppo bene che si poteva fare poco affidamento su Tzikas quando non era in vista. Poteva anche darsi che il rinnegato si fosse diretto a nord non appena avesse pensato che il suo compagno stesse pensando che stava andando a sud. Era un conoscitore di raggiri, come alcuni sono conoscitori di vini, e aveva un palato fine e perspicace in tale materia. Oppure, naturalmente, sapendo che Maniakes conosceva la sua attitudine al raggiro, avrebbe potuto pensare di raggirarlo facendo esattamente quello che aveva detto che avrebbe fatto, e contando sul fatto che l'Avtokrator si sarebbe convinto che avrebbe fatto l'opposto. Oppure... Maniakes scosse la testa. Una volta che cominciavi a dibatterti in quelle acque, lo stupefacente vortice poteva anche risucchiati. Maniakes discese su Amorion non appena le forze di Abivard e la guarnigione makurana l'abbandonarono. Non solo aveva intenzione di stabilire una piccola guarnigione là, ma voleva anche vedere la città per la prima volta da quando era diventato Avtokrator. Il suo precedente viaggio lungo l'Arandos in direzione di Amorion era stato bruscamente interrotto dalla presa della città da parte di Abivard. Trovare le mura intatte fu la prima sorpresa. I Makurani, dopo tutto, avevano dovuto aprirvi una breccia, altrimenti non avrebbero mai preso la città. Dopo, evidentemente, avevano riparato la breccia con pietra nuova, facile da distinguere in quanto molto meno corrosa dalle intemperie. Anche una delle porte della città era nuova, e presumibilmente più robusta di quella videssiana che aveva sostituito. Una volta dentro Amorion, però, Maniakes vide quello che diversi anni di occupazione da parte di un padrone ostile avevano fatto. Un buon numero degli edifici era stato bruciato o rovinato nel saccheggio. Sarebbe rimasto stupefatto se una parte di essi, da allora, fosse stata riparata. E molti degli edifici che erano sopravvissuti all'ingresso dei Makurani erano semplicemente vuoti. Forse la persone che li avevano abitati erano fuggite prima che i Makurani vi facessero irruzione. Forse erano state espulse dopo, o se n'erano semplicemente andate. Forse erano morte. «Ci toccherà ricostruire,» disse Maniakes. «Dovremo far venire gente
dalle parti dell'Impero che non hanno subito una simile batosta.» «Dovremo trovare parti dell'Impero che non hanno subito una simile batosta,» disse Rhegorios, esagerando solo un poco. «Ci saranno sempre dei Vaspurakani che sono andati via dalle loro valli e dalle loro montagne,» disse Maniakes. «I Makurani non li hanno trattati così bene da spingerli a restare... e fra un po' di tempo, torneranno a essere Videssiani.» «Non riesco a immaginare di cosa stai parlando,» disse suo cugino con una risatina. Qui e là, la gente usciva e applaudiva il ritorno della sovranità videssiana... o almeno la riconosceva. «Ce ne avete messo del tempo!» gridò un vecchio, appoggiandosi al bastone. «Quando c'era Tzikas, le cose andavano abbastanza bene... non alla perfezione, badate, ma abbastanza bene. Dovrete mettercela tutta per fare meglio di lui, chiunque voi siate, di sicuro.» «Farò del mio meglio,» rispose Maniakes. Portandosi accanto a lui, Rhegorios ridacchiò: certo, non era un suono che ci si aspetterebbe dall'augusta gola di un Sevastos. L'Avtokrator lo ignorò. Quando raggiunse quello che era stato il palazzo dell'epoptes, lo trovò in condizioni migliori di quelle degli altri edifici che aveva visto. I servi che sfilarono fuori per salutarlo sembravano paffuti e prosperosi, quando chiunque altro in città appariva smunto e cencioso e bisunto. In risposta alla domanda di Maniakes, uno di essi disse, «Accidenti, si, vostra Maestà, il comandante della guarnigione makurana abitava qui. Come fate a saperlo?» «Definiscila una deduzione fortunata,» rispose seccamente Maniakes. All'altro lato della piazza centrale, di fronte alla residenza, il tempio principale di Phos sembrava aver subito tutti gli oltraggi e le trascuratezze risparmiati alla residenza. Come parecchi templi principali nella città di provincia, era stato edificato prendendo a modello l'Alto Tempio della città di Videssos. Già prima non doveva essere stata la copia migliore; adesso, con le erbacce che vi crescevano tutt'intorno, con la muratura esterna sporca e striata di escrementi di uccelli, e con tutte le finestre prive di vetri, era più prossimo a una visione da incubo che a un'imitazione. Un sacerdote in tunica azzurra uscì dal tempio e guardò Maniakes all'altro lato della piazza. Riconoscendo i paramenti imperiali, si mise a correre sui ciottoli nella sua direzione, con i sandali che gli sbatacchiavano ai piedi. Quando si fu avvicinato, si gettò a terra sui ciottoli davanti a Maniakes
in una prosternazione così rapida ed esagerata che parve cadere sulla faccia invece di prosternarsi. «Pietà, vostra Maestà!» gridò, con la faccia ancora premuta contro le pietre. «Abbiate pietà del vostro santo tempio, così a lungo torturato dai selvaggi invasori!» «Alzati, santo signore,» disse Maniakes. «Tu sei...?» «Mi chiamo Domnos, vostra Maestà,» rispose il sacerdote, «e ho avuto l'onore... e, vi assicuro, l'onere... di essere prelato di Amorion in questi ultimi tre anni, dopo che il santo Mavrikios giunse alla fine della sua vita e passò nella luce eterna di Phos. Non sono stati tempi facili.» «Beh, ci credo,» disse Maniakes. «Dimmi, santo Domnos: hai predicato i dogmi vaspurakani quando i Makurani hanno ordinato ai nostri sacerdoti di farlo?» Domnos piegò la testa. Arrossì fino alla cima del cocuzzolo pelato. «Vostra Maestà, si,» sussurrò. «Bisognava farlo o soffrire terribili tormenti, e io... io ero debole, e obbedii. Punitemi se volete.» Si raddrizzò, come impaziente di subire la punizione. Ma Maniakes disse, «Lascia stare. Hai predicato sotto costrizione, e allora tu e i tuoi compagni sacerdoti parlerete alle persone che hanno accettato le dottrine vaspurakane considerandole migliori delle nostre... so che ce ne sono. Vogliamo riportarle subito all'ortodossia. Dopo, potrete continuare a vivere come facevate prima dell'invasione.» Sapeva che non sarebbe stato facile. Se Domnos non lo sapeva, lo avrebbe scoperto presto. Domnos fissò l'Avtokrator. Aveva chiesto pietà. Maniakes gliel'aveva data, una grossa fetta, ma sembrava non volerne quanta ne aveva ottenuta. «Si, vostra Maestà,» disse, piuttosto imbronciato. Maniakes, tuttavia, aveva cose più importanti di un sacerdote incollerito di cui preoccuparsi. Scelse una domanda che toccava la più importante di queste cose: «Tzikas, il comandante di un tempo, è passato di qua negli ultimi giorni?» Gli occhi di Domnos si spalancarono. «No, vostra Maestà.» Dopo un momento, precisò: «Non che io sappia. Se è venuto qui segretamente, potrei non saperlo, anche se penso che lo avrei sentito dire. Ma perché avrebbe dovuto venire qua segretamente?» «Oh, avrebbe avuto le sue ragioni,» rispose Maniakes, con voce asciutta. Pensò che Amorion sotto la dominazione makurana era stata una città avvolta nell'ovatta, una città impantanata mentre il resto del mondo proseguiva per conto suo. Stando all'espressione sulla faccia di Domnos, pensa-
va ancora a Tzikas come al generale che aveva tenuto a lungo lontano Abivard, e non aveva motivo di pensare diversamente. Si, senza dubbio il mondo si era lasciato Amorion alle spalle. «Evidentemente, ne sapete più di me, vostra Maestà.» disse Domnos. «Volete venire a vedere il tempio per rendervi conto del sostegno di cui abbiamo bisogno?» «Verrò,» disse Maniakes. e seguì Domnos attraverso la piazza. Non aveva fatto più di un paio di passi che le sue guardie. Videssiani e Halogai, formarono un quadrato intorno a lui. «Non si può mai dire chi o cosa possa essere in agguato, vostra Maestà.» disse una guardia videssiana. come sfidandolo a ordinare ai guerrieri di farsi da parte. «Potrebbe anche essere questo Tzikas di cui vi state occupando.» Quel commento, pronunciato nel furbo dialetto della città di Videssos. avrebbe potuto essere una delle parole magiche di Bagdasares. per come bloccò qualsiasi obiezione potesse uscire dalla bocca dell'Avtokrator. La verità era che la guardia aveva ragione. Se Tzikas aveva intenzione di colpire, lo avrebbe fatto in un agguato. E quale posto per un agguato avrebbe potuto essere più inatteso di uno dei templi di Phos? Domnos guidò Maniakes su per i gradini e nell'exonarthex. Il sacerdote indicò il mosaico di un Avtokrator del passato che consegnava il tempio di Phos ad Amorion come un'offerta devota. «Vedete, vostra Maestà?» disse il sacerdote. «Gli infedeli Makurani hanno staccato tutte le tessere d'oro dal costume di Metokhites II.» «Vedo.» Maniakes non immaginava quanto oro avessero realizzato i Makurani dalla scalpellatura, ma dovevano aver pensato che il risultato valeva la fatica. Nella stanza successiva all'ingresso, il narthex, Domnos indicò tristemente i punti dove le lampade d'argento erano state strappate dal soffitto. «Hanno preso anche il grande candelabro d'ottone,» disse, «ritenendo che fosse d'oro. Anche quando hanno scoperto di essersi sbagliati, non lo hanno rimesso a posto.» «L'ottone è utile,» disse Maniakes. Non ebbe bisogno di dire molto per alimentare la conversazione. Domnos parlava abbastanza per due persone normali, o forse per tre. Tzikas non si era nascosto nell'exonarthex né nel narthex. Le guardie di Maniakes precedettero il loro protetto nella zona principale destinata alle cerimonie. Nessun rinnegato, nessuna banda di sicari, stavano accovacciati in agguato dietro i banchi. Le guardie diedero il loro permesso a Maniakes
di entrare. Era sovrano nell'Impero di Videssos, ma a malapena in casa sua. «Vedete?» disse di nuovo Domnos. «Oro, argento, ottone, gemme semipreziose... tutto sparito.» «Si,» disse Maniakes. Anche prima dell'arrivo di Maniakes il tempio di Amorion era stato una copia dell'Alto Tempio della capitale, ma una copia povera. Saccheggiato dagli invasori, era, come aveva affermato Domnos, ancora più povero. Maniakes lanciò un'occhiata alla cupola dell'altare centrale. II mosaico dell'immagine di Phos sulla volta non era particolarmente severo come lo era quello della città di Videssos: là. sembrava piuttosto petulante. E le tessere d'oro che avevano circondato la sua immagine erano scomparse, sopravviveva solo il cemento grezzo e grigio su cui erano state fissate. Ciò rendeva l'immagine di Phos più scialba che mai. «Si. hanno rovinato anche la volta,» disse Domnos, seguendo lo sguardo di Maniakes. Con una certa sobria soddisfazione, aggiunse, «E tre dei loro operai morirono anche nel farlo: possa Skotos congelare le loro anime per l'eternità.» Sputò sul pavimento di marmo in disprezzo del dio oscuro. E sputò anche Maniakes. Poi chiese, «Di quanto denaro credi di avere bisogno per far tornare il tempio com'era?» Domnos batté le mani. Un sacerdote meno anziano in una tunica azzurra ancora più semplice arrivò di corsa. «La nota delle spese,» disse bruscamente il prelato. Il suo subordinato corse via, tornando di li a poco con tre fogli di pergamena tenuti assieme per un angolo da un piccolo anello di ferro. Domnos lo prese, poi lo consegnò a Maniakes con un ampio gesto. «Ecco, vostra Maestà.» «Ehm... ti ringrazio,» disse Maniakes. Scorse in fretta il documento. Il suo allarme crebbe a ogni rigo che leggeva. Domnos aveva calcolato il costo di tutte le riparazioni fino all'ultima moneta di rame, sia riguardo ai materiali che al lavoro richiesto. La somma alla quale era arrivato alla fine sembrava ragionevole alla luce del danno arrecato al tempio... e totalmente spaventosa alla luce del danno arrecato alle finanze dell'Impero. «Ebbene, vostra Maestà?» disse Domnos quando Maniakes non diede segno di voler tirare fuori pezzi d'oro dalle orecchie. «Ebbene, santo signore, tutto quello che posso dire in questo momento è che il tuo non è il solo tempio che ha sofferto, e dovrò vedere cos'hanno subito gli altri prima di poterti pagare l'intera somma.» Maniakes sapeva di apparire debole. Ma non sapeva cos'altro dire. Tzikas non si era introdotto
furtivamente nel tempio, no, ma gli era stata tesa ugualmente un'imboscata. A parte le avide mire di Domnos, ristabilire il controllo videssiano su Amorion si dimostrò più semplice di quanto Maniakes si fosse aspettato. La maggior parte dei abitanti del luogo che avevano collaborato con gli invasori makurani era fuggita con loro. Quelli che erano rimasti indietro imploravano perdono a gran voce. Come aveva fatto altrove, Maniakes ne perdonò più di quanti ne punì. Essendo una città di discrete dimensioni. Amorion aveva avuto la sua piccola comunità vaspurakana prima di cadere in mano makurana, una comunità col suo tempio collocato in posizione riservata. Ciò consentì all'Avtokrator di mandare i Videssiani che si erano convertiti alle usanze vaspurakane durante l'occupazione, e che adesso rifiutavano di abbandonarle, in un luogo dove potevano continuare a professare la fede nella maniera che ormai ritenevano a loro adatta. «Ma, vostra Maestà,» protestò Domnos, «lo scopo è tornare all'ortodossia, come avete detto voi, non confermarli nel loro errore. Un solo Impero, una sola fede: è questa la legge naturale.» «È così,» disse Maniakes. «Col passare del tempo, credo che quasi tutti torneranno all'ortodossia. Faremo si che questo sia il percorso più semplice, il percorso preferito, proprio come i Makurani resero il dogma di Vaspur il Primo Nato la via da imboccare. Siete rimasti per anni sotto il giogo makurano: siete liberi da pochi giorni. Non tutto può accadere subito.» «Questo certamente lo capisco, vostra Maestà,» disse Domnos, e si allontanò con passo rigido e con la veste che gli vorticava intorno. Rhegorios osservò la sua ritirata con divertimento. «Sai, cugino mio, non credo che tu sia una delle sue persone predilette in questo momento.» «L'ho notato, grazie.» Maniakes fece schioccare la lingua per manifestare la sua tristezza. «Non ho intenzione di svuotare le casse della tesoreria per far riparare il tempio all'istante, e non voglio nemmeno bruciare gli eretici senza dare loro una decente opportunità di tornare all'ortodossia. Vedi come sono cattivo?» «A me sembri maledettamente cattivo,» convenne Rhegorios. «Non dare a qualcuno tutto il denaro che vuole nell'istante in cui lo vuole... Accidenti, se questa non è una cattiveria che merita di stare alla pari con quella che ordina l'uccisione del migliore dei propri generali, non so cosa lo sia.» Fece una pausa, diventando pensieroso. «Ma dal momento che tu sei il tuo
miglior generale, ciò complicherebbe un po' l'intera faccenda, no?» «Complicherebbe? Beh. possiamo pure metterla così.» Maniakes sospirò. «Amorion è tornata sotto il controllo videssiano. Non ho dovuto combattere per riprenderla, per cui la città non è stata bruciata né danneggiata più di quanto lo fosse già. I Makurani non hanno portato con loro nessuno che non volesse andare. E qual è stato il ringraziamento? Non ho fatto tutto alla perfezione, quindi non posso essere che un tiranno.» Rhegorios si tirò la barba. «Se ti può consolare, cugino vostra Maestà cognato mio, scommetto che la gente qui si lamentava allo stesso modo dei Makurani fino a quando i 'bolliti' se ne sono andati.» La sua voce salì in uno scherzoso falsetto: «'Che nervi quel dannato Abivard! Che vada al ghiaccio! Ha la sfacciataggine, si, di andarsene a conquistare la città di Videssos quando i suoi carri di rifornimenti hanno lasciato tutte queste buche nelle nostre strade.'» Sembrava proprio un effeminato pieno di indignazione. Maniakes aprì la bocca per dire qualcosa, ma aveva già cominciato a ridere, e quasi si strozzò. Quando poté parlare, puntò un indice accusatorio su suo cugino: «Tu, messere, sei un demone proveniente da un piano della realtà nel quale il Collegio dei Maghi non si è ancora imbattuto, per la semplice ragione che è troppo assurdo per uomini così calmi e semplici prevederne l'esistenza.» «Accidenti, grazie, vostra Maestà!» esclamò Rhegorios, come se l'Avtokrator gli avesse appena fatto un grande complimento. Dal suo punto di vista, forse era proprio così. «È una buona cosa che zio Symvatios abbia trasmesso tutta l'imbecillità della sua discendenza a te e non a Lysia,» disse Maniakes. «Oh, non saprei.» Rhegorios lo studiò. «Mia sorella ha sposato te, no?» Maniakes ci pensò su. «In questo potresti anche avere ragione,» disse infine, e gettò un braccio sulla spalla del cugino. Tornarono assieme alla residenza dell'epoptes. Mentre Maniakes sistemava le cose ad Amorion come riteneva opportuno, o a volte come ritenevano opportuno gli abitanti, Abivard continuava la sua marcia regolare verso ovest, e prese un buon vantaggio sul contingente videssiano che lo seguiva. Il giorno che Maniakes fu pronto a partire a sua volta da Amorion verso ovest, un cavaliere di Abivard portò un messaggio all'Avtokrator. «Maestà,» disse l'uomo, «il generale ha deciso di deviare un poco verso
nord-ovest, per raccogliere alcuni distaccamenti lasciati di guarnigione nel Vaspurakan. Ci vorranno solo un paio di giorni, e potrà aggiungere un buon numero di soldati all'armata.» «Faccia come meglio crede,» disse Maniakes, anche se avrebbe voluto non allontanarsi dalla strada più corta per Mashiz. «Spero che i soldati che recupererà valgano il ritardo accumulato.» «Con l'intercessione dei Quattro Profeti, preghiamo il Dio che così sia,» replicò il messaggero, e tornò a galoppare verso l'armata di Abivard. Maniakes lo seguì con lo sguardo. E così fece Rhegorios, che disse, «Io non avrei fatto così. Sarei balzato dritto alla gola di Sharbaraz con tutte le forze a mia disposizione.» «Stavo pensando la stessa cosa,» convenne Maniakes. «Così avrei fatto io. E così avrebbe fatto mio padre. Non ho più dubbi su questo di quanti ne abbia sulla verità del santo credo di Phos. Eppure...», rise mestamente. «Quando Abivard e io ci siamo incontrati sul campo di battaglia, è risultato vincitore al pari di me, quindi chi può giudicare chi di noi due è più saggio?» «Può darsi... spero,» disse suo cugino. «L'altra faccia della moneta è che se Abivard si è diretto a nord-ovest, dovremo spostarci verso nord-ovest più di quanto avevamo creduto, altrimenti dovremo nutrirci delle briciole che i Makurani si lasceranno dietro.» «Già,» disse Maniakes. «Ci hai pensato prima di me, e di questo ti ringrazio. Cambierò gli ordini di marcia. Hai ragione: soffriremo la fame in men che non si dica se seguiremo il percorso appena usato dai Makurani.» Il primo insediamento di dimensioni decenti a nord-ovest di Amorion era Aptos, che, come Patrodoton più a est, non era un villaggio ma nemmeno una città. Diversamente da Patrodoton, Aptos aspirava a essere una città: quando Maniakes e l'armata videssiana arrivarono, la gente della zona aveva cominciato a erigere il nucleo di quello che sarebbe stato un muro di cinta. Il capo, un fornaio di nome Phorkos, era orgoglioso dell'iniziativa che la sua città stava dimostrando. «Vostra Maestà, non avremmo mai immaginato che i Makurani sarebbero giunti fin qui e ci sarebbero rimasti così a lungo,» disse. «Se mai dovesse accadere di nuovo - Phos non voglia - non ci troveranno tutti pronti a entrare nel loro forno.» «Bene,» disse Maniakes. «Eccellente, in effetti. Devo dirti che non abbiamo molto denaro al momento. Farò quello che posso per aiutarti a pagare il lavoro, ma non sarà tanto e potrebbe non arrivare presto.»
«Ci stiamo pensando noi, vostra Maestà,» disse Phorkos. «In un modo o nell'altro, ci riusciremo.» «Mi domando se non dovresti andare ad Amorion a parlare un momentino con Domnos, il sacerdote,» mormorò Maniakes. L'espressione inalterata di Phorkos dimostrò che lui non sapeva di cosa stava parlando l'Avtokrator. E questo, decise Maniakes, era probabilmente un bene: se Phorkos avesse parlato con Domnos, il sacerdote sarebbe stato capace di persuaderlo che meritava uno spropositato sussidio. Il fatto che Phorkos e la sua gente avessero intrapreso quell'opera di loro iniziativa, il fatto che si fossero presentati a Maniakes dicendogli quello che stavano facendo invece di chiedergli il permesso di farlo, dimostrava che erano abituati a non avvertire il peso soffocante della burocrazia videssiana: una delle poche cose buone che l'Avtokrator aveva scoperto in merito all'invasione makurana. Non riteneva che ne avrebbe trovate molte altre. Da Aptos, l'armata proseguì verso nord-ovest per un altro paio di giorni fino alla città di Vryetion. Vryetion, avendo già delle mura, era quello che Aptos aspirava a essere. L'avere le mura, tuttavia, non le aveva permesso di non cadere in mano makurana. Forse, però, la presa della città era stata più ardua, ed era costata più feriti e morti ai 'bolliti'. Maniakes lo sperò. Alloggiò in quella che era stata la residenza dell'epoptes, una casa che un mercante di lino di media importanza avrebbe considerato inadeguata nella città di Videssos. Il comandante della guarnigione makurana vi aveva abitato durante l'occupazione, e aveva lasciato diversi graffiti che esprimevano la sua opinione su quel posto. O almeno, così dedusse Maniakes, sebbene non leggesse il makurano. Ma i rozzi disegni che accompagnavano un paio di quelle scritte non erano certo elogiativi. Che gli piacesse o no, comunque, quel comandante era stato costretto a ricavarne il meglio che poteva. E così fece Maniakes, che trascorse un giorno ad ascoltare petizioni dagli abitanti, come aveva fatto nelle altre città per le quali era passato. Per la maggior parte erano persone leali. Com'era accaduto in altre città più a est, pochi erano i collaborazionisti rimasti: i più erano fuggiti con la guarnigione makurana. L'ufficiale che aveva comandato quella guarnigione sembrava aver fatto un lavoro più scrupoloso di tanti suoi pari, e la gente di Vryetion cercò di convincere l'Avtokrator a modificare solo un paio delle regole che lui aveva imposto. «Che possa cadere nel ghiaccio, ma non so se voglio farlo,» disse Maniakes dietro la mano a Rhegorios. «Non li ha oppressi, e la maggior parte
di loro si è trovata bene con lui come con uno di loro.» «Se n'è andato, ormai,» replicò Rhegorios, al che Maniakes annuì. Una donna di pochi anni più giovane dell'Avtokrator venne davanti a lui assieme a suo figlio, che era un po' più grande del maggiore dei suoi figli. Lei e il ragazzo si prosternarono, meno goffamente di come avevano fatto gli altri. «Alzatevi,» disse Maniakes. «Ditemi come vi chiamate e come posso aiutarvi.» «Mi chiamo Zenonis.» disse la donna. Spostò lo sguardo da Maniakes a Rhegorios e viceversa. Sarebbe stata attraente - forse anche bella - se non fosse stata così sciupata. «Perdonatemi, vostra Maestà, ma perché mio marito non è con voi?» «Tuo marito?» Maniakes si accigliò. «Chi è tuo marito?» Le sopracciglia di Zenonis scattarono verso l'alto. Doveva averla sorpresa o insultata, o entrambe le cose. Forse entrambe, a giudicare dalla sua espressione. «Chi è mio marito, vostra Maestà? Mio marito è Parsmanios... vostro fratello. E questo...», indicò il ragazzo, «...questo è vostro nipote Maniakes.» Accanto all'Avtokrator, Rhegorios disse piano, «Phos.» Maniakes fu sul punto di tracciarsi il segno del sole. Ma non lo fece, costringendosi all'immobilità. Parsmanios aveva accennato al fatto di essersi sposato a Vryetion, e aveva menzionato anche il nome di sua moglie. Ma Parsmanios negli ultimi quattro anni e più non si era trovato in un posto dove poter parlare con Maniakes, e l'Avtokrator aveva speso tutto quel tempo a cercare di dimenticare tutte le cose che il suo fratello minore gli aveva detto. Aveva avuto più successo di quanto avesse immaginato. «Perché Parsmanios non è qui con voi?» chiese di nuovo Zenonis. Probabilmente aveva un po' di sangue vaspurakano in lei - e la cosa non sorprendeva dal momento che la terra dei principi era vicina -poiché era bruna quasi quanto Maniakes e Rhegorios. Sotto la carnagione bruna, divenne pallida. «Mio marito è morto, vostra Maestà? Se lo è, non nascondetemelo. Ditemi subito la verità.» Suo figlio, che somigliava molto a Likarios, cominciò a piangere. «Per il buon dio, signora, giuro che Parsmanios non è morto,» disse Maniakes. Riceveva rapporti da Prista, sulla penisola che si protendeva dalla riva settentrionale del Mare Videssiano, diverse volte all'anno. Stando alle ultime notizie, comunque, suo fratello stava bene. Il sorriso di Zenonis fu splendente come il suo cipiglio era stato fosco.
«Phos sia lodato!» disse, tracciandosi il cerchio del sole e poi stringendo il piccolo Maniakes. «Capisco, allora: dovete averlo lasciato nella famosa città di Videssos a governarla per voi, mentre andavate a togliere le terre occidentali ai malvagi Makurani.» Rhegorios cominciò ad avere un terribile accesso di tosse. Maniakes gli diede un calcio alla caviglia. La donna davanti a lui chiaramente non era una sciocca e avrebbe compreso di essere caduta in un grave errore. Maniakes aveva intenzione di darle la notizia nella maniera più gentile possibile: quello che aveva fatto il marito non era colpa sua. L'Avtokrator non le avrebbe mentito, però: «No, non è nella città di Videssos. È mio padre... suo padre... che governa laggiù mentre io mi trovo nelle terre occidentali.» Il cipiglio di Zenonis tornò, anche se non era fosco come lo era stato un momento prima. «Non capisco,» disse. «Lo so che non capisci,» le disse Maniakes. «La spiegazione richiederà un po' di tempo: non c'è modo di evitarlo. Vieni qui a cena con me e con Lysia, mia moglie, al tramonto, e con Rhegorios qui... mio cugino, il Sevastos.» «Avete entrambi qualcosa di Parsmanios,» disse Zenonis. «O forse è lui che ha qualcosa di voi, non so.» Il suo cipiglio si accentuò. «Ma se tuo cugino è Sevastos, qual è il rango di Parsmanios?» Esiliato, pensò Maniakes. A voce alta replicò, «Come ho detto, la spiegazione non è né rapida né semplice. Lascia che mi occupi adesso delle cose semplici. A cena, ti prometto che ti dirò tutto quello che devi sapere. Va bene?» «Siete l'Avtokrator. Avete il diritto di ordinare,» disse Zenonis con grande dignità. «Come voi dite, così sarà.» Condusse via suo figlio. Si fece avanti il postulante successivo. Prima di parlare con quell'uomo, Maniakes lanciò a Rhegorios un'occhiata afflitta. «Avevo dimenticato tutto,» disse. «Non sarà facile.» «Non sei il solo che ha dimenticato,» rispose suo cugino, e questo non lo fece sentire meglio. Rhegorios proseguì, «Hai ragione. Non sarà facile.» Lysia fece una smorfia. Parlò con severità al suo ventre: «Fermati.» Il bambino dentro di lei smise di dimenarsi: Maniakes vide un movimento dove il ventre rigonfio premeva contro la sua veste. Lei fece di nuovo una smorfia. «Mi sta prendendo a calci la vescica. Scusami. Ho bisogno di usare di nuovo il vaso.» «Non ci vuole molto,» osservò Maniakes quando lei tornò.
«No, non molto,» convenne Lysia. Scese il silenzio. Maniakes lo spezzò con un sospiro, e poi disse, «Preferirei farmi tirare un dente dolorante piuttosto che affrontare questa cena, ma non vedo come evitarla.» «Nemmeno io,» rispose Lysia. «le diremo la verità e vedremo come andranno le cose, questo è tutto. Non so cos'altro possiamo fare.» «Mandarla in esilio a tenere compagnia a mio fratello?» suggerì Maniakes. Ma poi scosse la testa e sollevò la mani davanti a lui prima che Lysia potesse dire qualcosa. «No, non intendevo questo. Quello che fece Parsmanios non era colpa sua.» «No, non lo era.» Anche Lysia sospirò. «E dovremo spiegarle tutto: meglio che lo senta da noi che da qualcun altro. Talvolta mi stufo di dare spiegazioni.» «Lo so. Anch'io.» Maniakes allargò di nuovo le mani. «Ci siamo innamorati l'uno dell'altra. Non me lo aspettavo, ma...» La sua voce rimase in sospeso. «Nemmeno io,» disse Lysia. «Non sto dicendo che non è valsa la pena lottare per la dispensa, per spiegare e tutto il resto. Ma sono stufa.» Rhegorios bussò alla porta della loro camera e disse, «Zenonis è arrivata. È nervosa come un gatto. Le ho dato una bella coppa di vino. Spero che la calmerà. Altrimenti, salterà fino al soffitto quando voi due arriverete nella sala da pranzo.» «Faremo meglio ad andare.» Maniakes si fece da parte per permettere a Lysia di uscire prima di lui. Mano nella mano, i due seguirono Rhegorios giù per le scale. Zenonis sobbalzò quando Maniakes entrò nella sala da pranzo, al punto da rovesciare un po' di vino dalla coppa che teneva in mano. Aveva lasciato a casa il piccolo Maniakes. Quando fece per prosternarsi davanti all'Avtokrator, lui le fece segno di non preoccuparsi. «Vostra Maestà è cortese,» disse lei, con la voce sotto stretto controllo. Avrebbe voluto strillargli la domanda: Maniakes aveva già visto in precedenza quel genere di autocontrollo, abbastanza spesso da riconoscerlo. Per anticiparla, almeno di un poco, l'Avtokrator disse, «Zenonis, lascia che ti presenti mia moglie, l'Imperatrice Lysia, che è sorella del Sevastos Rhegorios.» Ecco. Ecco fatto, tutto in una volta. Sulle prime, lei si limitò a sentire le parole. Poi realizzò quello che significavano. Rhegorios era cugino di Maniakes. Lysia era sorella di Rhegorios. Ciò significava... Zenonis trasse un profondo respiro. Maniakes si
preparò al peggio... anche se ci sarebbe stato comunque un peggio quella sera. «Sono legata a questa famiglia per matrimonio,» disse dopo una visibile pausa di riflessione Zenonis. «E le sono legata in tutto.» «Ben detto, per il buon dio!» esclamò Rhegorios. Lysia prese le mani di Zenonis nelle sue. «Ti accogliamo con piacere nella famiglia,» disse. «Se ne sarai così lieta fra un po' è un'altra questione, ma ci arriveremo.» I cuochi portarono il pane e un capretto arrosto coperto di aglio in polvere e di un formaggio secco, agro e piccante. Portarono anche ai commensali una ciotola di funghi dorati di una specie che Maniakes non aveva mai visto prima. Quando lo fece osservare, uno dei cuochi disse, «Che io sappia, non crescono lontano da Vryetion, vostra Maestà. Li abbiamo saltati velocemente nel vino bianco per voi.» Erano deliziosi, con un gusto in parte di noci, in parte di carne. Il capretto era così tenero che si staccava dall'osso, cosa fuori dal comune. Eppure, per quanto splendida fosse la cena, Maniakes sapeva che la stava apprezzando meno di quanto avrebbe dovuto. Continuava ad aspettare il momento in cui Zenonis avrebbe smesso di mangiare quel cibo squisito per cominciare a porgli le domande sgradevoli alle quali lui avrebbe dovuto rispondere. Resistette più a lungo di quanto lui aveva immaginato. Ma quando Maniakes non mostrò segno di volerle dire quello che desiderava sapere, bevve un lungo sorso dalla sua coppa di vino e disse, «Parsmanios è vivo, mi avete detto.» Maniakes annuì, traendo vantaggio dalla bocca piena per non dire nulla. La sua novella cognata proseguì, «Non è qui. Mi avete detto che non si trova nella città di Videssos.» Fece una pausa, come un avvocato che stesse discutendo un caso in un tribunale. Maniakes annuì di nuovo. Zenonis pose la prima domanda schietta: «Dov'è, allora?» «A Prista,» rispose Maniakes, schiettezza per schiettezza. Ma non era stato abbastanza schietto. «Dove si trova? Non ne ho mai sentito parlare. È importante? Dev'esserlo. È il vostro viceré là?» «No, non è il mio viceré là,» disse Maniakes. «Prista è una piccola città sulla riva settentrionale del Mare Videssiano.» Era, a suo modo, un luogo importante, poiché permetteva all'Impero di Videssos di tenere d'occhio le tribù Khamorth che vagabondavano nella steppa pardrayana. Ma non era questo che Zenonis voleva dire, e lo sapeva. «Si trova... al confine del mondo,» esclamò lei, e l'Avtokrator annuì ancora. Perché è là e non qui o nella capitale?»
Si, era quella la domanda schietta, senza dubbio. «Perché, signora?» le fece eco Maniakes. Non trovò il modo di addolcire la risposta: «Perché lui e uno dei miei generali hanno cospirato per uccidermi con la magia. Il generale riuscì a fuggire: non sono ancora riuscito a mettergli le mani addosso. Ma Parsmanios...» «No.» Le labbra di Zenonis formarono la parola, ma senza pronunciarla. Poi la disse di nuovo, questa volta a voce alta: «No.» Scosse la testa, come per scacciare una mosca ronzante. «Non è possibile. Quando Parsmanios era qui con me a Vryetion dopo che voi diventaste Avtokrator, vostra Maestà, parlava sempre di tornare nella città di Videssos in modo che voi, lui e vostro fratello Tatoules avreste potuto amministrare...» Maniakes sollevò una mano. «Non so dove sia Tatoules. Non è mai venuto nella città di Videssos, e nessuno sa cosa gli sia accaduto. Se dovessi esprimere un'opinione, direi che i Makurani lo hanno catturato durante i primi giorni dell'invasione, quando era ancora Avtokrator Genesios. La maggior parte della mia famiglia era in esilio in Kalavria, allora. Per i 'bolliti' dev'essere stato soltanto uno degli ufficiali, soltanto uno dei prigionieri. Probabilmente lo hanno ucciso.» «Mi dispiace,» disse Zenonis: aveva già mostrato di avere buone maniere. «Non lo sapevo. Nemmeno Parsmanios lo sapeva, naturalmente. Continuava a dire che voi tre avreste rimesso in sesto l'Impero e sareste anche diventati ricchi.» «Per me sarebbe stato il benvenuto se avesse voluto rimettere in sesto l'Impero,» disse Maniakes. «Per il buon dio, l'impero ne aveva davvero bisogno. E, in parte, lui aveva cominciato a dare una mano. Ma voleva un titolo senza esserselo meritato, solo perché era mio fratello. Quando gli dissi di no, la cosa non gli piacque.» Rhegorios si agitò sulla sedia, poi sollevò il suo calice di vino. Un servo si sbrigò a riempirglielo. Rhegorios si sbrigò a svuotarlo. Il titolo che Parsmanios avrebbe voluto era quello di Sevastos, il titolo che era suo. L'Avtokrator aveva preferito lui al fratello. Era ovvio che si sentisse a disagio. Zenonis disse, «Non riesco a credere che abbia tentato di uccidere la sua carne e il suo sangue.» «Non riuscivo a crederci nemmeno io,» rispose Maniakes. «Sfortunatamente, la cosa è vera, e io sono quasi rimasto ucciso. Ha sempre affermato di averlo fatto perché pensava che il mio matrimonio con Lysia fosse sbagliato e peccaminoso. Forse diceva anche il vero, non lo so. Non importa. Quello che fece importa, e questo è tutto. Phos, vorrei che non lo avesse
fatto.» Lo sguardo di Zenonis si spostò da lui a Lysia e poi di nuovo a lui. La moglie di Parsmanios aveva coraggio: Maniakes comprese che stava per sfidarlo. Quando lo fece, scelse le parole con grande cura, ma la sfida c'era: «Stando agli insegnamenti dei sacri templi, voi due avete un grado di parentela proibito, e...» «No.» Maniakes parlò con voce piatta. «Abbiamo una dispensa di Agathios, il santissimo patriarca ecumenico. Mio padre - il padre di Parsmanios - ha accettato le nozze.» Era vero, alla lettera. Al vecchio Maniakes il matrimonio non era piaciuto, ma lo aveva accettato. «Anche il padre di Lysia lo ha accettato.» E anche questo era vero, con le stesse riserve. «Nessuno di loro ha cercato di rovesciarmi o di prendere il trono per sé.» E, cosa più importante di tutte, anche questo era vero. «Nemmeno Rhegorios.» «Io?» I sopraccigli di Rhegorios scattarono verso l'alto. «Ho visto tutto quello che un Avtokrator deve fare. Troppa fatica per i miei gusti.» Lysia sbuffò. E sbuffò anche Maniakes. Rhegorios ebbe difficoltà a restare con l'espressione seria. Si divertiva a recitare la parte del bellimbusto vuoto e dorato. Quando era giovane, l'affettazione avrebbe potuto coprire una qualche verità. Ora non più. Maniakes sapeva che, se fosse morto il giorno dopo, suo padre e Rhegorios avrebbero continuato a governare l'Impero con tutta la tranquillità possibile in quei tempi difficili. Sapeva anche che Rhegorios non avrebbe fatto nulla per farlo morire, e avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per impedirgli di morire. Qui, in questa frase, c'era la differenza fra suo cugino e il fratello che aveva mandato in esilio. «Se il patriarca ecumenico dice che è accettabile, allora lo è,» disse Zenonis, come affermando una legge di natura. Se era una legge di natura, Maniakes desiderò che più chierici e cittadini avessero familiarità con essa. Sua cognata chinò la testa. «Grazie per avergli risparmiato la vita.» «Non c'è di che,» rispose Maniakes. Fece per dire qualcos'altro, ma si fermò. Accennò di nuovo a parlare, e di nuovo non lo fece. Qualunque commento sul fatto di non avere avuto il coraggio di versare il sangue del proprio fratello lo avrebbe solo fatto apparire compiaciuto e moralista, poiché Parsmanios aveva dimostrato che lui aveva il coraggio di farlo. «Cosa intendete fare?» chiese Zenonis. «Non intendo fare proprio nulla,» rispose Maniakes. «E, nel caso te lo stessi chiedendo, non intendo fare nulla nemmeno a te. Se vuoi restare qui
a Vryetion, puoi farlo. Se vuoi andare in esilio con Parsmanios, puoi fare anche questo. Ma rifletti bene, prima di decidere in tal senso. Se andrai a Prista, non tornerai più.» «Non so cosa fare, adesso,» disse Zenonis. «In questi pochi anni trascorsi, mi sono chiesta se mio marito era vivo. Scoprire che lo è, essere sollevata in alto da questo, e poi venire a sapere quello che ha fatto e sprofondare di nuovo nell'abisso... Adesso non so nemmeno dove sono.» Abbassò di nuovo lo sguardo sulle mani. Con gentilezza, Lysia disse, «Dopo quello che è accaduto, potresti non volere più avere a che fare con la nostra famiglia. Se decidessi di sciogliere il matrimonio, i sacerdoti non ti ostacolerebbero, dal momento che tuo marito si è dimostrato un traditore. Nessuno di noi ti ostacolerebbe, ne sono convinta.» Lanciò un'occhiata a Maniakes e a Rhegorios per avere conferma. Entrambi annuirono. «Non lo so,» ripeté Zenonis. «Non devi decidere subito,» disse Maniakes. «Prenditi del tempo per trovare quella che pensi possa essere la migliore soluzione. I Makurani non ci scacceranno di nuovo da Vryetion domani, e nemmeno dopodomani.» Si tracciò il cerchio del sole sul cuore per assicurarsi che Phos stesse prestando attenzione alle sue parole. «Quello che è meglio per me potrebbe non essere meglio per Maniakes... il mio Maniakes, voglio dire,» disse Zenonis, pensando ad alta voce. «E quello che è meglio per me potrebbe non essere meglio nemmeno per Parsmanios.» Alzò lo sguardo su Maniakes, in parte inquieta, in parte ardita, come se osasse sfidarlo a contraddirla. Prima che lui potesse replicare, Rhegorios chiese, «Com'è stato vivere sotto i Makurani, essendo cognata dell'Avtokrator?» «Non lo hanno mai saputo,» rispose Zenonis. «Metà della gente di Vryetion sa chi è mio marito, ma nessuno lo ha mai detto ai 'bolliti'. Ho sempre avuto paura che accadesse, ma non è mai accaduto.» «Interessante,» disse Maniakes. Ciò significava che Zenonis godeva di buona reputazione in città. In caso contrario, qualcuno ansioso di procurarsi il favore degli invasori l'avrebbe sicuramente tradita, com'era accaduto spesso in molti altri posti delle terre occidentali. Significava anche che nessuno aveva odiato Parsmanios abbastanza da volerlo colpire attraverso la sua famiglia: una briciola di informazione favorevole a lui, ma che non poteva essere ignorata. «Siete gentile con me,» disse Zenonis. «Per questo, sono in debito con
voi, un debito che non potrò mai saldare.» «Sciocchezze,» disse Maniakes. «Tu non mi hai fatto nulla. Perché dovrei fare qualcosa a te?» Quella domanda si rispose da sola nella sua mente non appena l'ebbe pronunciata. Genesios avrebbe ucciso Parsmanios per vendetta, e avrebbe anche fatto eliminare Zenonis e il piccolo Maniakes per puro divertimento. Likinios forse si sarebbe liberato di loro per efficienza, per non lasciarsi dei rivali alle spalle. Non essendo malvagio come Genesios, né calcolatore come Likinios, Maniakes aveva intenzione di lasciare in vita sua cognata e suo nipote. «Volete permettermi di pensare un po' a quello che dovrei fare?» disse Zenonis, come se avesse ancora difficoltà a credere a Maniakes. Dopo che lui l'ebbe rassicurata ancora, lei si alzò e si prosternò. «Alzati,» disse bruscamente lui. «Forse qualcuno il cui bisnonno fu Avtokrator prima di lui si è abituato a questo, ma io no.» La confessione avrebbe gettato nello sgomento Kameas, ma Kameas era nella città di Videssos. Il vestiarios aveva accompagnato Maniakes nel viaggio sventurato fatto per comprare la pace da Etzilios. Maniakes allora era stato quasi catturato. Kameas lo era stato, sebbene Etzilios lo avesse in seguito rilasciato. Da allora, non si era più mosso dalla città imperiale. Ringraziandolo ancora, Zenonis uscì dalla residenza del governatore della città. Maniakes guardò Rhegorios. Rhegorios guardò Lysia. Lysia guardò Maniakes. Essendo l'Avtokrator, aveva il privilegio di parlare per primo. In caso contrario, non lo avrebbe fatto. «È stato,» disse, «terribile. Se avessi saputo che sarebbe accaduto, sarebbe stato comunque difficile. Essere colto di sorpresa questo pomeriggio... sapevo che Parsmanios aveva vissuto a Vryetion. Non avevo mai pensato a cosa poteva significare.» «Hai fatto del tuo meglio,» disse Lysia. «Si, lo penso anch'io,» rispose lui senza falsa modestia. «Ma penso che avrei preferito essere preso a randellate.» Pensieroso, Rhegorios disse, «È più simpatica di quello che pensavo. Non è nemmeno brutta, né tantomeno stupida... Mi domando cos'abbia trovato in Parsmanios.» «Lasciamo stare,» disse stancamente Maniakes. «Non era cattivo, sai, finché la gelosia non lo ha roso da dentro.» Venne un servitore con un vassoio di pere, albicocche e fragole condite nel miele. Si guardò intorno con una certa sorpresa. «La signora se n'è an-
data prima dei dolci?» disse con un tono lievemente scandalizzato. «Si.» L'imperturbabilità di Maniakes sfidò il servitore a dire qualcos'altro. Dopo un momento l'Avtokrator proseguì, «Perché non metti giù questo vassoio? Prima o poi ce ne occuperemo. Nel frattempo, portaci una brocca di vino.» «Nel frattempo, portaci due o tre brocche di vino.» intervenne Rhegorios. «Si, per il buon dio, portaci due o tre brocche di vino,» esclamò Maniakes. «Non avevo pensato di ubriarcarmi stasera, ma le cose possono cambiare. Fino a questo pomeriggio, non avevo nemmeno pensato che mi sarei intrattenuto con la moglie del mio fratello traditore stasera.» Lysia sbadigliò. «Ho già bevuto abbastanza vino,» disse. «Me ne vado a letto. Domani mattina saprò cos'è rimasto di voi due.» «È più intelligente di noi,» disse Maniakes. Ma quel giudizio non gli impedì di usare un coltellino per scrostare la pece dal tappo di una delle brocche di vino che il servitore gli aveva portato. Una volta che il tappo fu tolto, l'uomo prese la brocca da lui e riempì la sua coppa e quella di suo cugino. Rhegorios sollevò il calice, sputò a terra in spregio di Skotos e bevve. «Ahhh,» disse. «Buono.» Bevve un altro sorso. «Tu dimentichi, magnifolente Maniakes...» Lui e Maniakes risero, «...che sono cresciuto con Lysia. So da lungo tempo che è più intelligente di me. Quindi, non commetterei alcuna lesa maestà se...» «Ho capito dove vuoi arrivare.» Anche Maniakes bevve, e mangiò una fragola candita. Poi scosse la testa. «Che notte. Hai mai visto le lavandaie che sbattono i loro panni sulle rocce per lavarli? È così che mi sento.» «La vita è piena di sorprese,» osservò Rhegorios. «Non è vero?» Maniakes scolò la coppa e la riempì prima che potesse farlo il servitore. «Avevo pensato che i Kubratoi e i Makurani -per non parlare di Tzikas, il che è generalmente una buona idea - mi avessero insegnato da lungo tempo quello che dovevo sapere in merito. Mi sbagliavo.» «Non credo che Zenonis voglia ucciderti o rovesciare l'Impero... oppure ucciderti e rovesciare l'Impero,» disse Rhegorios. «Non lo credo nemmeno io,» convenne Maniakes. «Ma quando ti sei sbagliato spesso in passato, non puoi evitare di chiedertelo. Le ho fornito una potente ragione per odiarmi.» «È vero,» ammise suo cugino. «In tempi come questi, cominci quasi a capire come lavorava la piccola e malefica mente di Genesios.»
«Ho avuto lo stesso pensiero non molto tempo fa,» disse Maniakes. «Spaventoso, no?» Abbassò lo sguardo sul suo calice. Era vuoto. Com'è accaduto? Si domandò. Dal momento che sul pavimento non circolava nessun topo ubriaco, doveva averlo fatto lui. Riempì di nuovo la coppa. «Se fossi stato avvertito, avrei potuto comportarmi meglio.» «Sei stato bravissimo, cugino mio,» disse Rhegorios. «Se non vuoi ascoltare Lysia, ascolta me. Non vedo cos'altro avresti potuto fare. Hai spiegato quello che ha fatto Parsmanios, hai spiegato quello che hai fatto tu dopo e hai spiegato perché. Non ti sei mai adirato. Io sarei andato in collera, credo.» «Ne dubito,»' disse Maniakes. «Anche tu probabilmente avresti perdonato Parsmanios. Io sono più severo di te.» «Non per cose del genere,» dichiarò Rhegorios. «Ti avrei consigliato di fargli tagliare la testa... ma non era compito mio consigliarti di nulla, non con lui che voleva il mio posto ed era sangue del mio stesso sangue. Ho pensato che avresti fatto la cosa migliore, e l'hai fatta.» «Povera Zenonis, però,» disse l'Avtokrator. «Se trovarla qui mi ha colto di sorpresa, quello che le ho detto deve averla colpita come... come un...» Cominciava a sentire il vino, il che gli rese complicato trovare una similitudine. Ne scovò comunque una: «Come una brocca di vino in una zuffa di taverna. La vita non dovrebbe andare così.» «Un mucchio di cose che non dovrebbero accadere, accade che accadono.» Rhegorios fissò con sguardo di rimprovero la coppa di vino che teneva in mano, come sorpreso dal fatto che il liquido color rubino che essa conteneva lo avesse tradito facendogli dire qualcosa di così assurdo. Poi ridacchiò. E ridacchiò anche Maniakes. Entrambi proruppero in uno scroscio di risa. Quando c'era abbastanza vino, il mondo appariva piuttosto divertente. Quando Maniakes si svegliò il mattino dopo, niente più era divertente. Si sentiva come se una tempesta stesse bersagliando il suo povero cervello stanco. Ogni suono era uno schianto, ogni raggio di sole una saetta. Lysia, che si era goduta un'intera notte di sonno e soltanto un po' di vino, era meno comprensiva che mai. «Hai l'aspetto di uno che sta per perdere tutto il sangue dagli occhi.» disse. «E devi pettinarti la barba: sembra che ti stiano spuntando dei... dei fili di ferro da un lato.» «Oh, sta' zitta.» borbottò, con voce non molto aita. Sua moglie, creatura senza cuore come si rivelò all'improvviso. scoppiò
a ridere. «Ricorda che hai un giorno intero davanti a te, per cercare di capire chi ha fatto cosa e a chi e perché, durante l'occupazione makurana.» Lui gemette e si alzò a sedere sul letto. Ciò provocò un altro gemito, più teatrale del primo. Allora gemette ancora, questa volta con grande convinzione. «Phos. Zenonis tornerà qui stamani, a dirmi quello che vuole fare.» «Se ti vedrà in queste condizioni...» Lysia esitò. «No. a pensarci bene, forse anche lei è andata a casa a ubriarcarsi dopo la cena di ieri sera. E non la si potrebbe certo biasimare.» «No, ma lei biasimerebbe me.» disse Maniakes. «Io sono l'Avtokrator. È a questo che servo... a essere biasimato, voglio dire.» Fece colazione con un po' di pane e miele e un prudente calice di vino. L'acqua fredda sulla faccia gli fu di una certa utilità. E gli fu anche utile sbrogliare con un pettine i grovigli che aveva nella barba. Lysia lo studiò, poi emanò il suo verdetto: «Incredibilmente vitale.» Maniakes si sentì vendicato. Si sentì anche umano, in una maniera un po' tetra. Naturalmente, quando scese giù, i postulanti erano già in fila davanti alla residenza del governatore della città. Se la sbrigò come meglio poté. Accettò delle cose, ne rifiutò altre, rese contento qualcuno e scontento qualcun altro, ma nessuno parve pensare che le sue decisioni fossero state particolarmente stupide. Rhegorios sporse coraggiosamente la testa nella stanza dove Maniakes stava pronunziando le sue sentenze. «Mi domandavo se potevo essere di aiuto.» disse, con una voce gracchiante. «Ce la faccio da solo,» rispose Maniakes. «Lo vedo,» disse suo cugino. «In tal caso...» Si ritrasse. Qualunque cosa avesse tentato per sconfiggere il suo stato confusionale aveva perso la battaglia. Zenonis e il piccolo Maniakes entrarono nella stanza a metà mattina. Si prosternarono davanti all'Avtokrator, anche se lui fece loro segno di non preoccuparsi. In un certo senso, ciò lo tranquillizzò, essendo un segno del fatto che Zenonis prendeva sul serio la sua sovranità... a meno che, naturalmente, non stesse dissimulando. La vita, decise con la lucidità dolente che solo la mattina successiva a una notte di bagordi poteva recare, non era mai semplice. «Hai deciso che cosa desideri fare?» chiese dopo che sua cognata e suo nipote si furono rialzati. «Si. vostra Maestà.» disse Zenonis. «Col vostro permesso...», mise un braccio intorno alla spalla del piccolo Maniakes, «...andremo nella città di
Videssos.» Esitò. «Forse, più in là. attraverseremo il mare per andare a Prista. Devo ancora rifletterci.» «Bene,» disse Maniakes. «Penso che tu sia saggia a non voler andare subito a Prista, ma non ti avrei ostacolata se me lo avessi chiesto. Ti darò una scorta per andare nella città, e manderò avanti un messaggero per far sapere a mio padre che stai arrivando e per chiedergli di trattarti con ogni cortesia. Lo farebbe comunque, per tuo marito.» Osservò gli occhi di Zenonis quando accennò a Parsmanios. Per quanto poté capire, sembrava triste, non in collera. Tuttavia, avrebbe chiesto anche a suo padre di tenerla d'occhio quando fosse arrivata nella capitale. Zenonis disse, «Anche vostro padre si chiama Maniakes, non è così?» Maniakes annuì, «Si. Suppongo che tuo figlio abbia preso il nome da lui, non da me.» «No,» disse Zenonis. «O almeno, non è del tutto così. Quando Maniakes - o il piccolo Maniakes, diciamo - nacque, mio marito lo chiamò così per entrambi voi. Ora ha incontrato uno dei suoi omonimi, e presto incontrerà l'altro.» «Cosa ne pensi?» chiese Maniakes al nipote. «Non so,» rispose il piccolo Maniakes. «Va bene, si, ma voglio vedere il mio papà. È questo che voglio veramente.» Accanto a lui, Zenonis cominciò, molto piano, a piangere. Ovviamente, non aveva detto a suo figlio quello che aveva fatto Parsmanios. Maniakes si scoprì incapace di biasimarla. Presto o tardi, il piccolo Maniakes avrebbe dovuto scoprirlo. Non necessariamente presto, però. Maniakes gli disse, «Forse lo vedrai, uno di questi giorni. Vedrai tuo nonno, però. Non ti fa piacere?» «Non so,» disse di nuovo suo nipote. «È più simpatico del nonno di Vryetion?» Maniakes non aveva mai pensato al padre di Zenonis. Preso alla sprovvista, disse, «Beh, potrai chiederglielo tu stesso quando arriverai nella città di Videssos. Scommetto che ti dirà di si.» Suo nipote assunse un'espressione perplessa. Sebbene le lacrime le striassero il volto, Zenonis riuscì a sorridere. Altre lamentele circa collaborazioni con gli invasori e tradimenti tennero impegnato l'Avtokrator per il resto della giornata. Vryetion non era stata occupata così a lungo come altre città videssiane sull'altopiano, ed era stata fortunata ad avere un comandante makurano relativamente generoso. Forse era per questo che così tanta gente aveva collaborato - o era stata accusata
di farlo - con gli invasori. Maniakes risolse tutte le dispute, una per una. Come in altre città videssiane per le quali era passato sulla scia dei Makurani che si ritiravano, il tempio era in fermento anche li. Vryetion non era molto lontana dal confine col Vaspurakan. Alcuni degli abitanti del luogo avevano sangue vaspurakano, e anche alcuni di quelli che non lo avevano si erano rivolti alle dottrine vaspurakane prima ancora che venissero loro imposte. Un sacerdote di nome Salivas disse, «Vostra Maestà, la vostra famiglia venera Vaspur il Primo Nato. Come potete condannarci se facciamo la stessa cosa?» «Io seguo il credo ortodosso di Videssos,» disse Maniakes, con una risposta che non era una totale negazione di quello che il sacerdote aveva detto. Proseguì, «E tu, santo signore, eri ortodosso prima che i Makurani ti ordinassero di cambiare il modo in cui predicavi. Eri abbastanza felice allora, no? Perché l'ortodossia non ti soddisfa più?» «Perché credo con tutto il cuore che le dottrine che predico ora siano la sacra verità di Phos.» Salivas si erse in tutta la sua altezza. Era alto, e anche magro, e questo lo faceva apparire ancora più alto. «Sono pronto a morire per difendere la verità del dogma di Vaspur.» «Nessuno ha parlato di ucciderti, santo signore,» replicò Maniakes, il che parve sorprendere e deludere il sacerdote: e non era nemmeno la prima volta che l'Avtokrator vedeva una cosa del genere. Proseguì, «Ho un'altra domanda per te: se sei così ansioso di diventare un martire per la tua fede in Vaspur il Primo Nato, perché non hai lasciato che i 'bolliti' ti uccidessero quando ti fecero abbandonare l'ortodossia?» Così non avrei dovuto avere a che fare con te, aggiunse a se stesso. Salivas aprì la bocca e la chiuse senza dire niente. Per quanto riguardava Maniakes, era un trionfo soddisfacente quasi quanto l'aver tenuto Kubratoi e Makurani fuori dalla città di Videssos. Poi, Salivas tentò di nuovo di parlare, e vi riuscì. Quello che disse, però, fece sentire comunque vittorioso l'Avtokrator: «Vostra Maestà, non lo so.» «Posso offrire un suggerimento?» chiese Maniakes, che aveva osservato quel fenomeno già un paio di volte. Dal momento che Salivas non poteva contraddire il suo sovrano, l'Avtokrator continuò, «Sei stato ortodosso per tutta la vita. Hai dato l'ortodossia per scontata, non è così?» Attese che Salivas annuisse, poi lo incalzò: «Le dottrine vaspurakane sono nuove per te. Sono eccitanti proprio per questo, credo, come un uomo può trovare eccitante una nuova amante, anche se fra lui e sua moglie non c'è nulla che va-
da male se non il fatto che lei non è più nuova per lui.» Salivas arrossì fino al cocuzzolo rasato della testa. «Non è un paragone che io avrei usato,» disse rigidamente. Rammentare ai sacerdoti videssiani il celibato loro imposto non era considerato corretto. A Maniakes non interessava essere corretto, a meno che ciò non significasse evitare disordini religiosi e un'altra guerra civile. «Usa il paragone che meglio credi, santo signore. Ma riflettici sopra. Ricorda che eri contentissimo quando eri ortodosso. Ricorda che gli altri sacerdoti qui...», la maggior parte, in ogni caso, precisò mentalmente, e un paio di altri che pure erano inclini alla fede vaspurakana erano indecisi, «...sono tornati all'ortodossia ora che i Makurani se ne sono andati.» «Ma la fede vaspurakana...» cominciò Salivas. Probabilmente aveva intenzione di tenere duro. Maniakes non gliene diede l'opportunità, «...ti è stata imposta da stranieri che volevano la rovina di Videssos,» disse con fermezza. «Vuoi aiutare Sharbaraz Re dei Re a vincere questa battaglia anche dopo che i suoi soldati hanno lasciato l'Impero?» «No,» ammise Salivas, «ma nemmeno voglio trascorrere l'eternità nel ghiaccio di Skotos per non aver avuto fede.» Quello che Maniakes avrebbe voluto fare era dare un pugno a quel sacerdote testardo, o possibilmente colpirlo sulla testa con una grossa pietra nella speranza di creare un varco attraverso il quale potesse entrare il buonsenso. Con pazienza maggiore di quella che aveva pensato di possedere, chiese, «Non credevi di essere immerso nella santa luce di Phos prima che i Makurani ti facessero cambiare il modo di predicare?» «Si, ma da allora ho cambiato idea,» rispose Salivas. «Se l'hai cambiata una volta, non pensi di poterla cambiare di nuovo?» disse l'Avtokrator. «Ne dubito,» gli disse Salivas. «Ne dubito molto.» «Prima che i 'bolliti' ti facessero rifiutare l'ortodossia, hai mai pensato che avresti cambiato idea su di essa?» chiese Maniakes. «No,» disse il chierico. «Dunque...» Maniakes attese che Salivas stabilisse la correlazione. Attese, e attese, e attese ancora. La correlazione rimase incompiuta. Salivas rimase convinto che avrebbe creduto per sempre nelle cose in cui credeva in quel momento. Maniakes si convinse che il sacerdote era un perfetto imbecille, ma la sola cosa che poteva fare era sperare che anche il popolo di Vryetion se ne accorgesse.
Vedendo il suo scontento senza riuscire a distinguerne la fonte, Salivas disse; «Pregherò per voi, vostra Maestà.» «Di questo ti ringrazio,» disse stancamente Maniakes. Vryetion sarebbe stata una città che ospitava eretici vaspurakani per un certo tempo a venire. C'erano un mucchio di città come quella nelle terre occidentali. Il patriarca ecumenico non ne sarebbe stato contento. Maniakes non ne era contento nemmeno lui: disturbava il suo senso dell'ordine. Ma far ripiombare le terre occidentali nella guerra subito dopo averle riprese ai Makurani disturbava il suo senso dell'ordine ancora di più. Congedò Salivas, che se ne andò con l'aria di un uomo che, essendosi preparato al peggio, era molto più adirato che sollevato per non averlo subito. Il caso successivo che si presentò davanti all'Avtokrator era una complicata questione di contraffazioni riguardo a dei confini di proprietà, nella quale erano coinvolti degli ufficiali makurani che erano stati corrotti affinché mentissero. Non era un caso che implicava la teologia, solo la disonestà. Maniakes vi si dedicò con grande sollievo. CAPITOLO UNDICESIMO Abivard s'inchinò sulla sella a Maniakes. «Se il Dio è cortese,» disse il generale makurano, «il prossimo messaggio che riceverete da me sarà che Mashiz è caduta nelle mie mani.» «Così sia,» disse Maniakes. «Allora saremo uguali: due generali venuti dal basso che siedono sui troni delle rispettive terre.» «Si,» disse Abivard. «Suppongo di si.» Aveva ancora il nipotino di cui preoccuparsi. Il figlio di Denak aveva più diritto di lui al trono makurano. Se il bambino fosse stato figlio di Sharbaraz e di un'altra donna, la risposta sarebbe stata facile. Eliminare il figlio di sua sorella, però... Giudicando più saggio cambiare leggermente argomento, Maniakes disse, «Così hai anche degli uomini del Vaspurakan?» «Oh, si,» rispose Abivard. «Ho tre reggimenti di Vaspurakani, tutti ansiosi di rovesciare Sharbaraz.» «Accetterai il loro aiuto, ma non vuoi accettare il mio?» fu la stoccata di Maniakes. «Naturalmente,» disse calmo Abivard. «Sono nostri sudditi. Se voi foste un suddito makurano adesso, Sharbaraz sarebbe ben soddisfatto di me, e io non avrei bisogno di ribellarmi a lui. I Vaspurakani non stavano nemmeno invadendo la Terra delle Mille Città all'inizio di quest'anno.»
«Hai ragione,» disse Maniakes. «Due ragioni, in effetti. Buona fortuna a te. Rovescia Sharbaraz, dagli quello che si merita per tutte le disgrazie che ha causato a Videssos e a Makuran. E poi, per il buon dio, vediamo quanto a lungo potremo vivere in pace.» «Abbastanza a lungo da ricostruire tutto quello che è stato distrutto, qui e in Makuran,» disse Abivard. «Dovrebbero volerci pochi anni, o qualcosa in più: non avete avuto la mano leggera fra il Tutub e il Tib.» «E non posso nemmeno dire che mi dispiace,» disse Maniakes. «Il solo sistema che sono riuscito a trovare per scacciarti dalla mia terra - dove nemmeno tu hai avuto sempre la mano leggera - è stato di devastare la tua.» «Capisco,» disse Abivard. «E ha pure funzionato. Forse, se il Dio è cortese, avremo perso l'abitudine di combatterci fra noi quando tutto sarà stato aggiustato. E noi due sappiamo cos'è stata questa guerra, e perché non ne vogliamo un'altra.» «Forse potremo farlo capire anche ai nostri figli,» disse Maniakes speranzoso. Il cenno di assenso di Abivard fu più secco e controllato di quanto sarebbe piaciuto all'Avtokrator. L'esitazione lo preoccupò finché non rammentò che Abivard stava ancora pensando se doveva governare come Re dei Re o come reggente del nipote. Maniakes si tracciò il segno del sole, per timore che i suoi pensieri riguardo a ciò che sarebbe accaduto dopo la vittoria di Abivard si rivelassero di cattivo augurio per la vittoria stessa. Fece avanzare il cavallo, allungando la mano. Il generale makurano la strinse. Poi Abivard lo sorprese, dicendo, «Voglio che diciate a vostro padre qualcosa da parte mia.» «Cosa?» disse l'Avtokrator. «Ditegli che se i nomadi Khamorth non avessero ucciso Godarz -mio padre - penso che loro due si sarebbero trovati splendidamente assieme.» «Lo ricorderò,» promise Maniakes. «Avrebbero anche potuto combattersi, quando noi eravamo piccoli o prima ancora che fossimo nati.» «Si.» Abivard parve perplesso. «Può darsi. Non ci avevo pensato, ma avete ragione. Del resto, noi lo abbiamo fatto. Se il Dio è cortese, i nostri figli non lo faranno.» Eseguì quello che avrebbe potuto essere un abbozzo di saluto militare videssiano o anche semplicemente un rapido cenno con la mano, poi usò le ginocchia e le redini per far girare il cavallo e galoppare verso la sua armata. Le sue guardie, che, come quelle di Maniakes, si erano fermate a distanza tale da non udire la voce dei loro padroni, lo circondarono e lo seguirono.
Dopo averlo osservato per più di un minuto, Maniakes fece voltare Antilope nella direzione dell'armata videssiana. Emise un lungo sospiro mentre trotterellava verso Rhegorios, che gli stava venendo incontro. «È finita,» disse Maniakes, quasi con meraviglia. «È davvero finita. Dopo tutti questi anni, i Makurani stanno davvero lasciando le terre occidentali. Siamo in pace con loro... a meno che Sharbaraz non sconfigga Abivard, naturalmente. Ma anche in quel caso, il Re dei Re dovrebbe pensarci tre volte prima di iniziare una nuova guerra contro di noi. Nemmeno i Kubratoi potranno disturbarci per un po' di tempo. Siamo in pace, e abbiamo riavuto l'intero Impero.» «Beh. non esserne così crucciato,» disse suo cugino. «I Khatrishiani potrebbero diventare audaci, oppure gli Halogai potrebbero mettere assieme una flotta e attaccare la Kalavria, oppure, se è per questo, qualche popolo che non abbiamo mai sentito nominare potrebbe apparire dal nulla, senza alcun'altra ragione che quella di causare dei guai a Videssos.» «Che sollievo dai alla mia mente,» disse Maniakes. Rhegorios rise. «Felice di compiacervi, vostra Maestà. Sembravate così smarrito, senza nessuno da combattere, che ho pensato di darvene qualcuno.» «Gente che appare dal nulla? Nel mezzo dell'Impero, presumo? No, grazie,» disse Maniakes con calore. «Se proprio desideri qualcosa di assurdo, desidera che gli Vaiolai invadano Kubrat invece della Kalavria. Questo davvero ci farebbe comodo.» «Hai vinto la guerra,» disse Rhegorios. «Cosa farai adesso?» «Quello che voglio,» rispose Maniakes, «è tornare nella città di Videssos, godermi i miei figli e il resto della mia famiglia per un po', e non avere la gente in città che mi lancia imprecazioni quando vado fra di loro. È chiedere troppo, suppongo.» «Ora ti stai commiserando,» disse Rhegorios. «Non ti permetterò di farlo. Devo rammentarti che hai appena scacciato l'invincibile armata makurana dalle terre occidentali, e che non hai perso un solo uomo nel farlo. Mettiti a singhiozzare su questo.» Maniakes ridacchiò. «Hai vinto. Questo significa solo, suppongo, che la mistificazione batte la guerra.» Rhegorios fece scattare la testa da una parte all'altra in un'improvvisa ansietà, o in un'eccellente simulazione di essa. «Faresti meglio a non far sentire a nessun makurano quello che hai detto.»
«Certo che no,» disse Maniakes. «Se Romezan scoprisse che tutti quei nomi non erano sull'ordine che Sharbaraz gli ha inviato, la guerra civile laggiù...», indicò nella direzione dell'armata che si stava ritirando, «...potrebbe ancora scoppiare.» «Non era questo che volevo dire,» disse suo cugino. «Stavi parlando come uno di quegli infidi Videssiani di cui spesso ci si lamenta.» «Oh.» disse l'Avtokrator, «io sono un infido videssiano, ma suppongo che non sia necessario che lo sappiano. Possono pensare di me quello che vogliono... finché lo fanno a grande distanza.» «Hai intenzione di tornare subito nella capitale?» «No.» Maniakes scosse la testa. «Una volta sicuro che i 'bolliti' se ne sono andati per sempre... o almeno per questa stagione di guerra... manderò indietro metà, o forse due terzi, dell'armata. Finché non scoprirò come sarà andata a finire lo scontro fra Sharbaraz e Abivard. però, ho intenzione di restare io stesso nelle terre occidentali. Se non riesci a stare lontano dalle comodità della città, ti manderò indietro con la parte dell'armata che andrà via.» «Cosa, per permetterti di scoprire chi vincerà la guerra civile makurana un paio di settimane prima di me?» esclamò Rhegorios. «Niente da fare. Manda Immodios. Se non passa il tempo a uccidere Makurani con le sue mani, non ha l'immaginazione per interessarsi di quello che sta accadendo a loro.» «Va bene, farò così,» disse Maniakes con una risata. «Mio padre e il tuo saranno gelosi di noi, perché lo sapremo prima di loro.» «Sicuramente.» Gli occhi di Rhegorios ammiccarono. «Ed entrambi diranno che è la prima volta nella storia del mondo che sapremo qualcosa che loro non sanno, almeno per un po'. È per questo che sono fatti i padri.» «Già,» disse Maniakes. «E ben presto sarò in grado di trattare i miei figli allo stesso modo. Vedi come va la vita?» Come aveva predetto Rhegorios, Immodios non fece la benché minima protesta quando Maniakes gli ordinò di riportare metà dell'armata imperiale nella città di Videssos. L'Avtokrator aveva deciso di non affidargli più della metà dell'esercito, nell'eventualità che potesse utilizzare le forze a lui affidate per ribellarsi. Maniakes si fidava di lui più che di uno della sua famiglia: ma qualcuno della sua famiglia aveva cospirato contro di lui, per cui ciò diceva poco. E non appena Immodios ebbe condotto via il distaccamento, prendendo
la strada per la città di Videssos, Maniakes desiderò riunire subito l'armata. Ciò non aveva nulla a che fare con i timori connessi alla lealtà di Immodios o alla perdita della medesima. Aveva, invece. a che fare con le notizie che un messaggero gli portò dal sud. «Mi dispiace di dovervi dire questo, vostra Maestà,» disse l'uomo, «ma la guarnigione makurana di Serrhes non ha lasciato la città. Continuano a sostenere di essere fedeli a Sharbaraz.» «Oh, lo sono, no?» Maniakes appariva per metà irritato, per metà rassegnato. «Beh, suppongo che avrei dovuto aspettarmi che sarebbe accaduto da qualche parte. Vorrei che non fosse accaduto a Serrhes, però.» La ragione principale per cui esisteva la guarnigione della città era il presidio di quel tratto di frontiera fra Makuran e l'Impero di Videssos. Lui e suo padre erano partiti da Serrhes assieme ad Abivard e a Sharbaraz per rimettere quest'ultimo sul trono makurano. Sembrava fossero trascorsi da allora ben più di dodici o tredici anni. «Cosa farete, vostra Maestà?» chiese il messaggero. «Cosa posso fare?» replicò Maniakes. «Andrò a Serrhes e caccerò via i Makurani.» Fece un pausa. «Quanti uomini conta la guarnigione?» «Un migliaio di uomini, o almeno così ho sentito,» disse il messaggero. «Con me ne ho il quadruplo,» rifletté a voce alta l'Avtokrator. Avendo mandato il distaccamento di Immodios alla capitale, non aveva intenzione di richiamare quelle truppe. «Forse posso farcela usando quelli che ho.» Con l'intento di provarci, si mosse verso sud con metà della sua armata. Non avevano più avuto la necessità di marciare rapidamente da quando avevano lasciato la Terra delle Mille Città: il viaggio attraverso le terre occidentali era stato una parata. Le strade che portavano a Serrhes non erano buone, ed erano state frequentate poco durante l'occupazione makurana. I Videssiani, tuttavia, la percorsero a tappe forzate. Prima di raggiungere Serrhes, l'ondulato altopiano centrale delle terre occidentali cominciò a cedere il posto alle terre semidesertiche che si estendevano fra il confine occidentale di Videssos e il fiume Tutub. Nei giorni ormai lontani del suo regno, l'Avtokrator Likinios si era lamentato di quasi tutte le spese che aveva dovuto affrontare. Il cercare di non affrontarne nessuna, alla fine, gli era costato il trono e la vita. Per quanto ne sapeva Maniakes, non si era mai preoccupato di mandare rifornimenti a Serrhes. Avvicinandosi alla città, Maniakes si domandò come - o se - i Makurani ci erano riusciti. Avevano nutrito Serrhes con i prodotti della zona? La zo-
na offriva poco. Un po' di bestiame vi pascolava, ma sicuramente non bastava a nutrire molte persone. Oppure i rifornimenti arrivavano dalle Mille Città, via terra? Se era così, o la linea dei rifornimenti era già stata interrotta o comunque si poteva facilmente interrompere. Guardando le spesse mura di Serrhes, guardando la fortezza sull'altura al centro della città, Maniakes decise subito che non avrebbe tentato un'irruzione. Avanzò a cavallo dietro uno scudo di tregua per parlamentare col comandante della guarnigione. Tegin figlio di Gamash giunse alla porta occidentale di Serrhes e guardò dall'alto l'Avtokrator dei Videssiani. Era un uomo dalla corporatura solida con una barba grigia e un naso imponente. «State perdendo il vostro tempo,» gridò a Maniakes. «Non ci arrenderemo.» «Se non lo farete, ve ne pentirete dopo che sarò riuscito a entrare in Serrhes,» disse Maniakes, minacciando di fare quello che meno voleva fare. «Vi siamo superiori in numero di almeno sei volte. Non avremo pietà.» Ammesso che siamo così fortunati da riuscire a superare o ad aprire una breccia in queste mura, pensò. Serrhes era stata costruita con ammirevole abilità per tenere a bada i Makurani. Adesso minacciava di fare la stessa cosa con la gente che l'aveva costruita. «Fate pure del vostro peggio,» ribatté Tegin. «Noi siamo pronti.» Maniakes concluse che non era il solo a tentare l'inganno. «Cosa vi proponete di mangiare là dentro?» «Oh. Non so,» disse disinvolto Tegin. «Abbiamo un mucchio di roba. Cosa vi proponete di mangiare là fuori?» Maniakes dovette ammettere che era un buona domanda. Rifornire un'armata che circondava Serrhes aveva tutti gli inconvenienti del rifornimento della città stessa. Non aveva intenzione, però, di concedere il punto al makurano. «Abbiamo tutte le terre occidentali da cui attingere,» disse. «La vostra è l'ultima guarnigione makurana nei dintorni.» «Una ragione in più per resistere, allora, non credete?» Tegin sembrava si stesse divertendo. Maniakes avrebbe voluto dire la stessa cosa. Quello che disse, invece, fu, «Restando qui, voi violate i termini della tregua che Abivard ha stabilito con noi.» «Abivard non è il Re dei Re,» disse Tegin. «Il mio sovrano è Sharbaraz Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi.» «Tutti i Makurani nelle terre occidentali hanno rifiutato Sharbaraz,» disse Maniakes. Tegin scosse la testa. «Non tutti. Noi no, per esempio.»
«Maledizione,» borbottò Maniakes sottovoce. Si sarebbe dovuto aspettare di incontrare una resistenza o due. Le cose sarebbero potute andare peggio. Ma sarebbero potute anche andare meglio. L'Avtokrator non aveva intenzione di lasciare Serrhes nelle mani dei Makurani. Disse, «Sapete che Sharbaraz ha ordinato che Abivard e la maggior parte dei suoi generali siano assassinati, per non essere riusciti a prendere la città di Videssos.» «L'ho sentito dire,» rispose il comandante della guarnigione. «Non so se è vero.» «Ho visto il dispaccio con i miei occhi,» disse Maniakes. Aveva anche visto il documento trasformarsi in uno più utile agli scopi videssiani, ma omise di menzionare la cosa, essendo una tale omissione più utile agli scopi videssiani. Tegin restò diffidente. «Maestà, chiedo il vostro perdono, ma non m'importa molto quello che avete visto e quello che non avete visto. Voi siete il nemico. Mi aspetto che mi mentiate se potete ricavarne un utile. I Videssiani sono fatti così.» Dal momento che Maniakes non solo avrebbe mentito ma fino a un certo punto stava mentendo, cambiò argomento: «Ti faccio osservare ancora una volta, eccellente signore, che stai al momento comandando la sola guarnigione makurana rimasta nelle terre occidentali.» «Questo è quello che voi dite.» replicò Tegin, ancora impassibile. «Se ce ne sono altre intorno, come ho fatto a farmi strada fino a voi?» chiese Maniakes. «Se sono tutte passate ad Abivard, non avete dovuto sostenere alcun combattimento,» disse Tegin. «Questo è vero, suppongo.» disse Maniakes. «E significa che posso concentrare la mia intera armata...», non riteneva che Tegin dovesse sapere che Immodios stava riportando metà di essa alla città di Videssos, «...contro la tua resistenza a Serrhes.» Fece un gesto verso il suo accampamento. Era grande quanto... un'armata. Non pensava che Tegin fosse in una posizione tale da consentirgli di stimare con accuratezza quanti uomini vi fossero. E, difatti, il comandante della guarnigione tentennò per la prima volta. «Sono circondato da traditori,» si lamentò. «No, sei circondato da Videssiani,» rispose Maniakes. «Questa è una parte dell'Impero, e ce la stiamo riprendendo. Probabilmente hai sentito storie su quello che abbiamo fatto alle mura delle Mille Città. Pensi che non faremo la stessa cosa a voi?»
Sapeva perfettamente che non potevano fare la stessa cosa a Serrhes. Le mura delle città fra il Tutub e il Tib erano fatte di mattoni, e nemmeno dei mattoni più robusti. Serrhes aveva fortificazioni di pietra. Superarle non sarebbe stato facile. Se Tegin aveva il tempo per pensarci, lo avrebbe capito anche lui. Meglio, allora, non dargli il tempo per pensarci. Maniakes disse, «Eccellente signore, non m'importa quanto siate audaci. La tua guarnigione è piccola. Se riusciremo a entrare, temo di non poter rispondere delle conseguenze. Credo che voi stessi abbiate fatto degli avvertimenti del genere: sai come sono i soldati.» «Si, so come sono i soldati,» disse sobriamente Tegin. «Se avessi più uomini, Maestà, vi batterei.» «Se avessi le piume, sarei un bel gallo,» replicò Maniakes. «Ma non le ho. E nemmeno tu. Farai meglio a ricordarlo.» Fece per voltarsi, ma si fermò. «Te lo chiederò di nuovo domani a questa stessa ora. Se dirai di si, potrete partire incolumi, con le vostre armi, come qualsiasi altro soldato makurano durante la tregua. Ma se dirai di no, eccellente signore, me ne laverò le mani.» Non concesse a Tegin l'ultima parola, e si avviò. Al suo comando, i genieri videssiani cominciarono ad allestire le macchine da assedio con le tavole e le corde e le speciali attrezzature di metallo che avevano trasportato sui carri, come se avessero intenzione di assalire una delle città sulle colline nella Terra delle Mille Città. «Potremmo costruirne di più, vostra Maestà,» disse Ypsilantes, «se nella zona vi fossero alberi da poter abbattere e usare. Possiamo trasportare solo questa quantità di tavole di legno.» «Fate del vostro meglio con quello che avete,» disse Maniakes al comandante dei genieri, che fece il saluto militare e tornò al suo lavoro. Dalle mura di Serrhes, i soldati makurani osservavano i lanciadardi e i lanciapietre spuntare come per magia, sebbene Bagdasares non avesse nulla a che fare con essi. Osservavano i genieri Videssiani allineare file su file di giare vicino alle catapulte. Senza dubbio avevano la loro scorta di liquido incendiario, ma non potevano essere felici davanti alla prospettiva di vederlo piovere sulle loro teste. Vedendo quelle giare, Maniakes convocò di nuovo Ypsilantes. «Non sapevo che fossimo così ben forniti di quella roba.» disse, puntando il dito. Ypsilantes tossicchiò. «Dovete sapere, vostra Maestà, che la maggior parte di quelle giare conteneva il vino che abbiamo dato alle truppe quando non ci siamo approvvigionati nelle città. Ora sono vuote. Noi lo sappiamo. I Makurani no.»
«Non è interessante?» disse Maniakes con un largo sorriso. «Hanno ingannato me, ora mi aspetto che ingannino Tegin.» Ypsilantes mise anche dei soldati ad ammucchiare pietre. Quelle erano vere, anche se Maniakes non si sarebbe meravigliato se il comandante dei genieri ne avesse sparse un po' di finte, fatte di... cosa? pane stantio, forse... per confondere l'avversario. Il giorno dopo, poco prima dell'ora stabilita, Tegin spalancò le porte di Serrhes. Uscì e si prosternò davanti a Maniakes. «Vi avrei combattuto, Maestà. Volevo combattervi,» disse. «Ma quando ho visto tutte quelle macchine da assedio che avete con voi, il coraggio mi è mancato. Ho capito che non avremmo potuto opporci alla vostra armata.» «Hai dimostrato buonsenso.» Maniakes si sforzò di non guardare Ypsilantes. Il geniere veterano lo aveva servito meglio nell'evitare l'assedio, di come lo aveva servito quando aveva sostenuto gli altri. «Come ti ho detto, puoi partire in pace.» La guarnigione makurana uscì, in fila, dalla città. Vedendola, Maniakes cominciò a ridere. Non era il solo ad avere mentito. Se Tegin aveva anche trecento soldati a Serrhes, sarebbe rimasto stupito. Aveva pensato che il comandante della guarnigione ne avesse tre volte tanti, forse più. Tegin avrebbe anche potuto resistere a un assalto, ma non a lungo. Serio, rispettando il nemico che lo aveva ingannato, Maniakes disse, «Se fossi in te, eccellente signore, terrei fuori i miei uomini dalla lotta fra Sharbaraz e Abivard. Ti potrai dichiarare a favore di chi ha vinto dopo che avrà vinto. Fino a quel momento, trovati una piccola città o una collina che puoi difendere e restatene là. Potrai salvarti la pelle.» «Avete trovato anche voi 'una piccola città o una collina' durante la guerra civile videssiana?» La voce di Tegin grondava disprezzo. Ma Maniakes rispose, «In effetti, si.» La mandibola di Tegin ricadde. L'Avtokrator proseguì, «Mio padre era governatore dell'isola di Kalavria, che si trova a est, lontano fin dove possono arrivare le navi. È rimasto là per sei anni. Avrebbe perso se stesso e tutti i suoi uomini se avesse fatto qualcosa di diverso.» «Voi e vostro padre seguite il comportamento che ritenete saggio.» disse Tegin, con tono piatto. «Mi perdonerete, spero, se dico che questo comportamento si scontra con il concetto di onore di ogni nobile makurano.» «I concetti makurani di onore non impediscono alla tua gente di dare calci a Videssos quando noi siamo a terra,» disse Maniakes. «Certo che no,» replicò Tegin. «Voi siete solo Videssiani. Ma io non
posso restarmene in ozio quando c'è una lotta fra i miei conterranei. Il Dio mi giudicherebbe un pusillanime senza la volontà di scegliere, e sicuramente farebbe cadere la mia anima nel Vuoto dopo la mia morte.» «Ci sono momenti,» disse lentamente Maniakes, «in cui non ho affatto difficoltà a trattare con i Makurani. E ce ne sono altri in cui penso che noi e voi non parliamo la stessa lingua anche se usiamo le stesse parole.» «È interessante che facciate questa osservazione, Maestà,» disse Tegin. «Spesso ho avuto la stessa sensazione quando ho trattato con voi Videssiani. A volte, sembrate abbastanza sensibili. Altre...» Roteò gli occhi. «Non ci si può fidare di voi.» Sembrava che stesse emettendo un verdetto. «No, eh?» Maniakes sapeva che il suo sorriso non era affatto gradevole. «Suppongo che ciò significhi che nulla potrebbe impedirmi di ignorare la tregua che abbiamo concordato e di annientare i tuoi uomini ora che sono fuori dalle mura di Serrhes.» Tegin parve raggelarsi. Maniakes sollevò una mano. «Non preoccuparti. Io credo di sapere cos'è l'onore, che tu lo ammetta o no.» «Bene,» disse Tegin. «Come ho detto, a volte i Videssiani sono gente sensibile. E sono lieto che questa sia una di quelle volte.» Alla testa della sua piccola armata, il comandante della guarnigione cavalcò verso ovest. Aveva una baldanza che Maniakes di solito non associava ai Makurani. Maniakes sperò che non avrebbe gettato il suo piccolo contingente nello scontro fra il Re dei Re e il suo generale. Come molte altre città di provincia, Serrhes aveva il suo centro in una piazza dov'erano la residenza del governatore e il tempio principale di Phos, l'una di fronte all'altro. Maniakes si stabilì nella residenza e, come aveva fatto in tante altre città, cominciò a districarsi fra le dispute sorte dopo che Tegin e i suoi uomini se n'erano andati. Alcune di quelle contese erano incredibilmente complicate. «Mi ha ingannato, vostra Maestà!» esclamò un mercante grassoccio, puntando un dito su un altro. «Per Phos, prima mi ha imbrogliato, si, e ora se ne sta là con quella faccia liscia da eunuco e nega tutto.» «Bugiardo,» disse il secondo mercante. «Stavano per fare di te un eunuco, ma invece ti hanno tagliato il cervello, perché era più piccolo.» «Ehm, signori,» disse Maniakes, concedendo a entrambi il beneficio del dubbio che nessuno dei due sembrava meritare. «Supponiamo che, invece di insultarvi a vicenda, mi diciate qual è il problema.» «In effetti,» mormorò Rhegorios accanto a lui, «non mi dispiacerebbe
ascoltarli mentre si insultano un altro poco. Dev'essere più interessante della disputa, non credi?» «Zitto,» disse Maniakes, e poi, al primo mercante, «Procedi. Hai detto che costui ti ha imbrogliato. Dimmi come.» Il secondo mercante cominciò a ululare una protesta prima che il primo potesse cominciare a parlare. Maniakes sollevò una mano. «Tu stai zitto. Ti prometto che verrà il tuo turno.» Il primo mercante disse, «Ho venduto a questo scellerato trecento libbre di montone affumicato, e lui promise di pagarmi dieci pezzi d'oro e mezzo. Ma quando è arrivato per lui il momento di sborsare il denaro, il figlio di puttana mi ha rovesciato addosso una pila di schifosi arket makurani e ha detto che potevo tenermeli o ficcarmeli nel culo, perché erano tutto quello che avrei mai ottenuto da lui.» La testa di Maniakes cominciò a fargli male. Si era già imbattuto in casi del genere. Con tante zone delle terre occidentali nella mani dei Makurani per più di una decade, non faceva meraviglia che le monte d'argento che recavano l'effigie del Re dei Re si fossero ampiamente diffuse. I metodici Makurani avevano anche imposto ad alcune zecche provinciali di produrre copie delle loro monete piuttosto che quelle di Videssos. «Posso parlare, vostra Maestà?» chiese il secondo mercante. «Procedi,» disse Maniakes. «Grazie,» disse il mercante. «La prima cosa che voglio dire è che il qui presente Broios può farsi venire le emorroidi quando starnutisce, dal momento che ha la testa a due passi dall'apertura posteriore. Per il signore dalla mente grande e buona, vostra Maestà, dovete capire bene qual era il prezzo stabilito. Ho ragione, oppure ho ragione?» «Oh, si,» rispose Maniakes. «Grazie,» disse di nuovo il mercante. «Quando dissi a questo sciacallo annusatore di piscio che gli avrei dato dieci pezzi d'oro e mezzo, quello era il prezzo. Quale altro poteva essere? Quando è stata l'ultima volta che qualcuno a Serrhes ha visto dei veri pezzi d'oro? Chiunque li abbia, li ha seppelliti dove i 'bolliti' non potevano trovarli. Noi tutti compriamo e vendiamo in argento di questi tempi. Coniamo il nostro argento a ventiquattro al pezzo d'oro, per cui se avessi dato a Broios duecentocinquantadue pezzi d'argento - argento videssiano, badate - per questo montone affumicato, sarebbe stato un pagamento giusto e appropriato. Non convenite, vostra Maestà?» Maniakes aveva avuto una buona istruzione... per un soldato. Avrebbe
preferito consegnarsi al carnefice piuttosto che moltiplicare a mente ventiquattro per dieci e mezzo. Ma, dal momento che Broios non stava saltando su e giù come uno che avesse urgenza di fare i suoi bisogni, l'Avtokrator suppose che l'altro mercante - il cui nome ancora non conosceva - avesse effettuato correttamente i calcoli. «Se Vetranios mi avesse dato duecentocinquantadue dei nostri pezzi d'argento, non starei qui a fare storie,» disse Broios, fornendo quindi a Maniakes il pezzo mancante. «Non ho potuto darti quei pezzi d'argento, perché non li ho, stupido idiota che sei,» disse Vetranios. «Te ne ho dati quanti ne avevo, e ho pagato il resto in arket makurani... ne ho un mucchio.» «Certo che ne hai,» gridò Broios. «Per tutto il tempo che sono stati qui i 'bolliti', non hai fatto altro che leccare i loro deretani.» «Io? E tu?» Vetranios tentò di sferrare un pugno all'altro mercante, goffamente ma con tutto lo sdegno. Broios ci provò a sua volta, con maggiore efficacia. Un paio di guardie haloga li afferrarono e li separarono. «Piano, signori, piano,» disse Maniakes. «Siete venuti davanti a me per azzuffarvi o per risolvere la disputa?» La domanda era retorica, ma nessuno dei due mercanti ebbe il coraggio di dire che avrebbe preferito aggredire l'altro. Maniakes considerò il loro silenzio un assenso. «Continuiamo, dunque. Tu, Vetranios, quanti pezzi d'argento videssiani hai dato a Broios?» «Quaranta,» rispose subito Vetranios. «È tutto l'argento videssiano che avevo. Ho pagato gli altri duecentoventi in arket. Anch'essi sono d'argento.» «Me ne hai dati solo settantasette,» ululò Broios. «E tanti te ne dovevo dare, stupido scroto bollito,» ribatté Vetranios. L'haloga che lo stava trattenendo lo lasciò per applaudire l'originalità dell'insulto. Il mercante lo ignorò, dicendo, «Ci vogliono undici pezzi d'argento videssiani per fare quattro arket, peso per peso, per cui ti ho dato il giusto dovuto: sei solo troppo stupido per capirlo.» Maniakes avrebbe avuto bisogno di penna e pergamena e di infinita pazienza per essere sicuro che Vetranios aveva fatto bene i calcoli. Decise che, comunque, dovevano essere giusti perché Broios non protestò. «Il pagamento è stato corretto, allora?» chiese al mercante che affermava di essere stato defraudato. «No, vostra Maestà.» rispose Broios. «Il pagamento sarebbe stato corretto, se questo stercorario che cammina come un uomo non mi avesse im-
brogliato. Tutti gli arket che mi ha dato erano talmente tosati, che i settantasette arket non ne valevano nemmeno sessanta.» «Accidenti, sei un sacco di trippa ammuffita!» disse Vetranios. «Che possa andare al ghiaccio se lo sono,» disse Broios, «e che ci possa andare tu se non lo sono.» Tese a Maniakes una borsa tintinnante d'argento. «Giudicate voi, vostra Maestà. Questo maledetto imbroglione ha tosato le monete, e ha tenuto per sé l'argento che stava intorno al bordo.» Aprendo il sacco, Maniakes esaminò gli arket d'argento che conteneva. Erano, difatti, tosati di brutto, uno per uno. «Posso vederli, vostra Maestà?» chiese Vetranios. Quando Maniakes glieli mostrò, la sua faccia si rabbuiò per la rabbia... o forse in una sua convincente imitazione: Maniakes non avrebbe saputo dirlo con certezza. Il mercante disse, «Queste non sono le monete che ho dato a Broios. Gli ho dato delle monete d'argento perfette, per Phos. Se qualcuno le ha tosate non sono stato io.» Adesso Broios diventò di porpora, convincente come lo era stato Vetranios qualche momento prima. «Per il signore dalla mente grande e buona, vostra Maestà, sentite come scoreggia dalla bocca questo sacco di letame.» Vetranios tentò di colpirlo di nuovo con un pugno: le guardie haloga li tennero lontani. «Ognuno di voi due dice che l'altro è un bugiardo, eh?» disse Maniakes. Entrambi i mercanti annuirono con veemenza. Maniakes proseguì, «Ognuno di voi due dice che l'altro ha tosato queste monete, eh?» Entrambi annuirono di nuovo. La faccia dell'Avtokrator divenne severa. «Entrambi senza dubbio sapete che tosare le monete rientra nella stessa legge della contraffazione e comporta le stesse sgradevoli pene. Se dovrò andare fino in fondo a questa faccenda, temo che uno di voi se ne pentirà amaramente.» Entrambi i mercanti annuirono ancora, con altrettanto vigore di prima. Ciò sorprese Maniakes. Si era aspettato che uno di loro - non sapeva chi mostrasse qualche segno di allarme. Avevano coraggio, quei due. Disse, «Se chi di voi due sta mentendo fa una completa confessione adesso, giuro sul signore dalla mente grande e buona che stabilirò una punizione non superiore a una multa di diciassette arket makurani e alla solenne promessa di non tosare di nuovo le monete, pena una più severa punizione.» Attese. Vetranios e Broios scossero entrambi le teste. Ognuno fissò l'altro in cagnesco. Maniakes non sapeva se essere irritato o intrigato dalla loro testardaggine. Avrebbe preferito non avere grane dalle terre occidentali
appena liberate. Non era accaduto. Non aveva pensato che sarebbe accaduto. Quella, almeno era una disputa più interessante di quelle che normalmente gli capitavano, dove la verità era semplice da trovare. «Molto bene, signori,» disse. «Per il momento, tratterrò io questi arket, dal momento che costituiscono una prova - resta da vedere di che genere nella controversia fra voi due. Tornate qui domani all'inizio dell'ottava ora, dopo il pasto di mezzogiorno. Vedremo cosa potrà fare il mio mago per questa strana faccenda.» Prima che i mercanti tornassero il giorno dopo, Rhegorios andò da Maniakes e disse, «Ho fatto un po' di indagini per conto mio su questo caso, cugino mio.» «Ah?» disse Maniakes. «E cos'hai scoperto?» «Che Broios ha una figlia molto attraente... per niente somigliante a lui, Phos sia Iodato.» Le mani di Rhegorios descrissero curve nell'aria. «Si chiama Phosia. Credo di essere innamorato.» Emise un sospiro. «Quello che tu sei, cugino mio,» ribatté Maniakes, «è che sei in calore. Quando ti avrò versato addosso un secchio d'acqua ti sarai calmato.» «No, mi sarò bagnato,» disse Rhegorios: si passò la lingua sulle labbra. «È bella davvero. Se suo padre non fosse un ladro... Forse anche se suo padre è un ladro...» Dal momento che Rhegorios aveva avuto un atteggiamento simile in ogni città che l'armata videssiana aveva visitato, Maniakes non vi prestò particolare attenzione. Broios e Vetranios, all'ora ottava, tornarono nella residenza del governatore della città a distanza di un paio di minuti l'uno dall'altro. Maniakes se l'era aspettato: per i mercanti, la puntualità era un divinità appena inferiore a Phos. Quello che l'Avtokrator non si era aspettato era che ognuno di loro portasse con sé un mago. Il campione di Broios, un certo Sozomenos, era corpulento quanto il suo principale, e gli somigliava abbastanza da poter essere suo cugino. Phosteinos, che rappresentava gli interessi di Vetranios, era, per contro, magro al punto da essere emaciato, come se chiunque avesse inventato il cibo si fosse dimenticato di parlargliene. Bagdasares guardò i due uomini giù dal suo lungo naso. «Voi due, signori...», come Maniakes aveva fatto con i mercanti, dava l'impressione di voler generosamente concedere un immeritato beneficio del dubbio, «...siete stati coinvolti in questa faccenda fin dall'inizio?» «Certo che si,» disse Phosteinos con voce esile e raspante. «Vetranios
mi ha assoldato per impedire a Broios di imbrogliarlo, e il miserabile ha reagito pagando il ciarlatano qui presente affinché lo aiutasse a frodare il mio cliente.» «Perché non schiatti una volta per tutte?» gli domandò Sozomenos. Phosteinos rispose con un sorriso scheletrico. Sozomenos lo ignorò, voltandosi verso Maniakes e dicendo, «Vedete come dipingono me e il mio principale questi due?» Si strinse nelle grasse spalle, come per dire, Cosa potete farci? L'Avtokrator d'un tratto fu certo che il mercante avesse speso per quella disputa presumibilmente molto più del valore dei diciassette arket in discussione. Bagdasares prese da parte Maniakes e sussurrò, «Vostra Maestà, andare a fondo di questa cosa sarà più difficile di quello che pensavamo. Questi due pasticcioni avranno intorbidito le acque al punto che nessuno può sperare di capire dov'è la verità e dov'è la menzogna.» «Procedi pure,» replicò L'Avtokrator. «Rendi l'atmosfera più impressionante che puoi.» Spostò lo sguardo da un mercante all'altro. «Ti spingono quasi a chiederti perché non abbiamo lasciato questo posto ai Makurani, eh?» Bagdasares emise un forte sbuffo, forse al pensiero di doversi cimentare con due maghi che, nella città di Videssos, sarebbero sicuramente morti di fame per mancanza di clienti. Phosteinos sembrava sul punto di morire di fame comunque, ma Maniakes attribuì la cosa a una sorta di personale ascetismo piuttosto che alla penuria di affari: la sua tunica sembrava costosa. «Molto bene,» disse Bagdasares, non essendo riuscito il suo sbuffo a far scomparire i colleghi stregoni. «Dobbiamo determinare due cose oggi: se le monete che Broios ha presentato a sua Maestà...», le aveva in una ciotola, «...sono davvero quelle che Vetranios gli ha pagato, e, se così, chi è stato responsabile della tosatura delle monete stesse.» «Questo lo sappiamo.» dissero all'unisono Broios e Vetranios con identica intonazione. Si fissarono in cagnesco. «Prima,» proseguì Bagdasares come se non avessero parlato, «useremo la legge della similitudine per determinare se Broios sta affermando onestamente che sono questi gli arket che ha ricevuto da Vetranios.» «Sentite un po',» disse Sozomenos, «ma come facciamo a essere sicuri che non stiate dalla parte di Broios? Quando i Makurani erano qui, per il buon dio, una monetina nelle mani giuste faceva funzionare la magia secondo la volontà di colui che aveva pagato.»
Bagdasares fece per rispondere. Maniakes lo bloccò, dicendo, «A questo penso io.» Rivolse uno sguardo truce al mago. «Tu pensi che uno dei vostri clienti sia così importante nello schema delle cose da poter corrompere l'Avtokrator dei Videssiani e il suo mago principale?» Prima che Sozomenos potesse dire qualcosa, Phosteinos scoppiò in uno scroscio di risa. Sozomenos lanciò un'occhiataccia allo smilzo collega, poi tossì un paio di volte. «Se la mettete così, probabilmente no, vostra Maestà,» disse. «Bene. Cerca di tenerlo in mente.» Maniakes fece un cenno della testa a Bagdasares. «Procedi, eminente signore. Queste persone sono le benvenute se vogliono assicurarsi che tu non faccia nulla per favorire Broios o Vetranios - non che tu voglia farlo - ma non devono interferire in alcun modo con la tua magia.» Rivolse a Phosteinos e a Sozomenos uno sguardo severo. «È chiaro, magici signori?» Nessuno dei maghi di Serrhes disse di no. Maniakes rivolse un nuovo cenno a Bagdasares. Il mago vaspurakano disse, «La prima cosa che intendo fare, come ho detto poco fa, è scoprire se Broios ha mostrato a sua Maestà le monete che effettivamente ricevette da Vetranios. Vetranios, se hai un arket nella borsa che porti alla cintura, per favore dallo a Broios. Broios, dopo lo darai a me.» «Potrei giusto avere un arket o due,» disse Vetranios, ridacchiando. «Si, signore, potrei.» Aprì la borsa e ne tirò fuori una luccicante moneta d'argento. «Nient'affatto tosata, come potete notare,» osservò mentre la tendeva a Broios. L'altro mercante la prese da lui come se avesse un cattivo odore. La tese a Sozomenos, che, a sua volta, la passò a Bagdasares. Bagdasares parve addolorato. «Dobbiamo rifarlo, con un nuovo arket,» disse, mettendo via il primo. Gli occhi di Vetranios lo seguirono bramosi. E anche quelli di Broios. E anche quelli dei due maghi locali. «Basta con le sciocchezze.» disse loro Bagdasares. «Chiunque non seguirà le mie istruzioni perderà la disputa.» Sotto lo sguardo attento di Bagdasares, Vetranios prese un altro arket. Anche quello non era tosato, ma lui non se ne vantò. Lo diede a Broios. Broios lo consegnò a Bagdasares senza passarlo prima a un altro mago. «Così va meglio,» disse Bagdasares. Maniakes celò un sorriso: il mago parlava con l'autorità di un governatore di provincia. L'Avtokrator divenne d'un tratto pensieroso. Avrebbe avuto bisogno di nuovi governatori per le province delle terre occidentali: avrebbe avuto bisogno di ricostruire l'inte-
ro sistema degli amministratori provinciali, in effetti. Avrebbe anche potuto trovare di peggio di Bagdasares. Borbottando fra sé e sé, il mago vaspurakano lasciò cadere l'arket di Vetranios fra le monete che Broios affermava di aver ricevuto dall'altro mercante. Fece un lieve tintinnio: i Makurani coniavano le loro monete con poco oro, ma il loro argento era puro quanto quello che proveniva dalla zecca videssiana. Bagdasares cominciò a salmodiare. Phosteinos e Sozomenos drizzarono le orecchie. Evidentemente conoscevano l'incantesimo che stava usando. Maniakes vide che il mago fece diversi rapidi gesti sulle monete. Phosteinos annuì quella che sembrava un'approvazione dell'abilità tecnica di Bagdasares. Dopo un gesto conclusivo, Bagdasares gridò con voce imperiosa. Alcune delle monete nella ciotola cominciarono a risplendere di una luminosità tenue e bluastra. Altre rimasero semplicemente... monete. «Vostra Maestà,» disse Bagdasares, «come potete giudicare voi stesso, alcune di queste monete sono davvero passate da Vetranios a Broios, come vediamo con l'aiuto della legge della similitudine. Alcune delle monete, tuttavia, non hanno seguito quel percorso.» «Non è interessante?» Maniakes studiò Broios, che sembrava fare del suo meglio per scomparire mentre rimaneva in piena vista. Una gioia maligna riempì il risolino di Vetranios. L'Avtokrator volse uno sguardo blando e speculativo sul mercante che per primo aveva rivolto le accuse all'altro. «Ebbene, Broios, cos'hai da dire in tua difesa?» «V-v-vostra M-maestà, forse ho-ho mischiato alcuni arket che non erano di Vetranios p-per errore.» La voce di Broios smise di vacillare. «Si, è così. Devo averlo fatto per sbaglio.» Vetranios si avvicinò per guardare più attentamente gli arket. «Come no,» lo schernì. «Potete vedere che tutte queste monete 'sbagliate' sono tosate.» Assunse un atteggiamento così affettato, che Maniakes si domandò se non lo aveva preso da qualche mimo negli spettacoli del Giorno di Mezzo Inverno. Broios disse, «Ma non sono le sole a essere tosate, per Phos!» Raggiunse la ciotola e indicò alcune delle monete splendenti. «Guardate quell'arket là, e quello... e quell'altro. Quello è tosato così male che si può distinguere a malapena la faccia del Re dei Re. Anche quelli erano così quando li ho avuti.» «Bugiardo!» gridò Vetranios. Si voltò verso Maniakes. «Avete udito con
le vostre orecchie e visto con i vostri occhi che razza di bugiardo è. Non credo che ci sia un bugiardo più grande di Broios in tutto l'Impero.» «Bugiardo tu,» ribatté Broios. «Avete il vostro mago qui, vostra Maestà. Può mostrarvi chi si è ficcato nella borsa gli orli d'argento di questi arket.» «Si, perché non me lo mostri, Bagdasares?» disse Maniakes. «Lo confesso, ormai sono curioso. E niente di questo caso potrebbe più sorprendermi, tranne forse scoprire che vi è implicato un uomo onesto.» Phosteinos s'irrigidì. «Vostra Maestà, respingo l'insinuazione. Non avete provato nulla di illecito nelle mie azioni.» «È vero,» ammise Maniakes, e lo smilzo mago si pavoneggiò. Allora l'Avtokrator lo riportò sulla terra: «Non ho provato ancora nulla.» Questo suscitò una risata in Sozomenos, una risata che s'interruppe bruscamente quando Maniakes lanciò un'occhiataccia al mago che spalleggiava Broios. A un cenno della testa di Maniakes, Bagdasares tese a Vetranios un piccolo coltello affilato e disse, «Presumo che tu abbia nella tua borsa un altro arket non tosato.» Con grande mestizia, il mercante annuì. «Eccellente,» dichiarò Bagdasares. «Sii così buono da tagliare l'argento dal contorno, dunque, in modo che possiamo avere un termine di paragone per gli arket che si trovano nella ciotola.» Vetranios diede l'impressione di essere sul punto di dare una coltellata a Bagdasares. Lanciò a Phosteinos un'occhiata risentita. Quasi impercettibilmente, il mago smilzo scosse la testa: non poteva fare nulla... o, più probabilmente, nulla che Bagdasares non potesse scoprire. Vetranios si sgonfiò come una vescica di maiale scoppiata. «Non importa,» borbottò. «Non è necessario ripetere tutta la tiritera. Ho tosato alcuni di quegli arket... proprio come l'ha fatto l'altro mercante qui nei paraggi.» Ora sembrava volesse pugnalare Broios. Broios non diede retta allo sguardo colmo d'odio. «Chi è il più grande bugiardo dell'Impero, adesso!» disse, in tutto simile a un ragazzino che avesse segnato un punto a suo favore. «Vi sbagliate entrambi,» disse Maniakes. «Nessuno di voi due conosce il nome del più grande bugiardo dell'Impero. Il suo nome è Tzikas.» Broios indicò Vetranios. «Lui conosce questo Tzikas. L'ho sentito parlare di lui, un sacco di volte.» Improvvisamente, tutti nella stanza stavano guardando Vetranios. «Così tu conosci Tzikas?» disse Maniakes con un filo di voce. «Parlami di Tzikas, Vetranios. Quando l'hai visto l'ultima volta, tanto per cominciare?» Vetranios capì che qualcosa era andato storto, ma non cosa, e non in che
misura. Serrhes era lontana dalla città di Videssos, ed era stata in mano makurana fin dai primi giorni del regno disastroso di Genesios. Il mercante rispose, «Accidenti, dev'essere stato circa tre settimane prima del vostro arrivo, vostra Maestà. Negli ultimi anni, è venuto varie volte in città. Gli ho venduto questo e quello, e abbiamo bevuto un bicchiere di vino assieme di tanto intanto. Questo è tutto, direi.» Maniakes studiò non lui ma Broios. Se il nemico di Vetranios accettava quel racconto, era probabile che fosse vero. Se, invece, Broios avesse avuto qualcosa da dire... Ma Broios non trovò nulla da dire. Maniakes non sapeva se esserne lieto o deluso. «Capisco benissimo che non vi piace vedere un videssiano che lavora per i 'bolliti',» disse Vetranios, con la simpatia che stillava da lui come linfa viscosa da un abete abbattuto. «Non è il solo, però.» «È il solo che ha cercato di rovesciarmi,» disse Maniakes. «È il solo che ha cercato di uccidermi. È il solo che ha tradito entrambi gli avversari di questa guerra più volte di quante possa contarne. È il solo che...» Fece un gesto disgustato. «Perché continuare?» Broios e Vetranios lo stavano fissando. Poteva vedere esattamente cosa stava accadendo dietro gli occhi di Broios mentre il mercante realizzava che avrebbe dovuto fare un lavoro più minuzioso per calunniare Vetranios. Poteva anche vedere Broios che realizzava che adesso era troppo tardi e s'infuriava per il suo passo falso. «Perché Tzikas veniva qui?» chiese Maniakes a Vetranios. «Non lo so per certo,» rispose il mercante. «Trascorreva parecchio tempo in colloquio privato con Tegin. ecco quello che so. Aveva qualcosa a che fare con le dispute fra i Makurani, no? Entrambi stavano dalla parte di Sharbaraz Re dei Re. possano i suoi giorni essere lunghi e il suo regno accrescersi.» Pronunciò la formula onorifica senza accorgersene. Serrhes era stata nelle mani dei Makurani per lungo tempo. Lasciando perdere, Maniakes disse, «Allora tu sai Tzikas chi sosteneva, eh?» Vetranios fece un piccolo cenno di assenso, come aspettandosi che la sua ammissione sarebbe stata seguita da pinze incandescenti e strizzapollici. Maniakes gli pose la domanda successiva: «Cosa ti disse esattamente quando vi siete visti?» «Vediamo.» Vetranios era pronto a cooperare spontaneamente, se non altro per non essere costretto a cooperare con altri metodi. «Comprò dieci libbre di montone affumicato che ebbi da questo miserabile qui presente.» Indicò Broios. «Poi disse qualcosa su com'era stata dura la vita negli ultimi
tempi, e su come nessuno apprezzasse le sue doti. Gli dissi che io le apprezzavo. Per qualche ragione, pensò che fosse divertente.» Maniakes pensò che era divertente, anche se non lo disse. Se un mercante imbroglione era il solo che apprezzasse Tzikas, cosa si poteva dire del poliedrico ufficiale videssiano? Oziosamente, l'Avtokrator chiese. «Quando gli vendesti le dieci libbre di montone, in che misura lo imbrogliasti?» «Neanche per un chicco d'orzo,» rispose Vetranios, con gli occhi sgranati. «L'altro anno uccise un uomo qui che lo aveva gabbato sul peso.» «Lo ricordo!» esclamò Broios: una simile calamità aveva ovviamente suscitato un'impressione durevole fra i mercanti di Serrhes. «Ma non ricordo il nome di quell'uomo.» Pensieroso, Bagdasares disse, «Dieci libbre di montone affumicato? È cibo per un viaggiatore, qualcosa che uno porterebbe con sé in un lungo viaggio.» «Già.» Anche Maniakes era pensieroso. «Non mi trovo con i tempi, però. Sei sicuro che venne qui solo tre settimane prima che venissi a Serrhes, Vetranios? Non è stato prima?» «Lo giuro sul signore dalla mente grande e buona, vostra Maestà.» Per enfatizzare le sue parole, Vetranios si tracciò il segno del sole di Phos sul cuore. «Vorrei che avessi detto che fu prima.» Maniakes si domandò se Vetranios. come parecchi mercanti, avrebbe cambiato la storia per compiacere il suo cliente. Ma il paffuto mercante scosse la testa e si tracciò di nuovo il segno del sole. Maniakes tambureggiò sul tavolo con le dita della mano. «Non mi trovo. Non avrebbe dovuto ciondolare nelle terre occidentali così a lungo, ansioso com'era di andare ad avvisare Sharbaraz. Phos, sarebbe potuto andare a Mashiz e tornare in tutto quel tempo. Ma perché mai si è comportato così?» Era una domanda retorica. Sperò, tuttavia, che Bagdasares, uno dei maghi di Serrhes o uno dei mercanti rispondesse. Nessuno rispose. Al contrario, Bagdasares aggiunse altre domande di suo: «E se non lo ha fatto, che bisogno avrebbe avuto del montone affumicato? Sarebbe potuto restare qui con Tegin e andare a ovest con la guarnigione makurana. E noi non ne sapremmo più di prima.» «L'ho visto qui dopo che comprò il montone da me,» disse Vetranios. «Se fosse rimasto Con la guarnigione, potrei anche non averlo visto, ma credo che lo avrei notato.» Phosteinos tossì per attirare l'attenzione su di sé e poi disse, «Anch'io
conosco quell'uomo. Sono d'accordo col mio principale su questo: la visita a Serrhes non fu breve.» L'occhiata di Maniakes al mago non fu né gentile né amichevole. «Tu conosci Tzikas, eh?» domandò. Phosteinos annuì. L'Avtokrator lo interrogò come aveva fatto con Vetranios: «Hai mai eseguito qualche magia per lui?» Phosteinos annuì di nuovo. Maniakes si avventò: «E che genere di magia era, messere?» «Accidenti, usare le leggi della similitudine e del contagio per aiutarlo a trovare un paio di speroni di lusso agli inizi di quest'anno, vostra Maestà,» rispose Phosteinos. «Nient'altro?» la voce di Maniakes era gelida. «Accidenti, no,» disse Phosteinos. «Non capisco perché...» «Perché quando il figlio di puttana cercò di uccidermi, lo fece con l'aiuto di un mago,» lo interruppe l'Avtokrator. Gli occhi di Phosteinos divennero grandi nella sua faccia scarna. Maniakes insistette: «Ora, sei sicuro che questa è stata la sola magia che hai mai eseguito per lui?» Phosteinos era ansioso di giurare su Phos come lo era stato Vetranios. Maniakes riteneva entrambi quei giuramenti validi fino a un certo punto: un uomo avrebbe potuto preferire di rischiare il ghiaccio di Skotos nel mondo a venire piuttosto che l'ira dell'Avtokrator nel mondo presente. Ma poi Sozomenos disse: «Se vostra Maestà lo consente, non nutro grande amore per il mio ossuto collega qui presente, ma da quando ci conosciamo non ho mai saputo che abbia usato la magia per fare del male a qualcuno, figuriamoci per uccidere.» A Bagdasares Maniakes disse, «Preferirei avere la tua parola su questo piuttosto che la parola di uno del quale non so se posso fidarmi.» Sozomenos parve offendersi. Maniakes non se ne curò. Bagdasares parve turbato. Ciò fece preoccupare l'Avtokrator. Bagdasares disse, «Giudicare la credibilità di un mago con mezzi magici è diverso dal valutarla in una persona comune. I maghi conoscono troppi metodi sottili per confondere i risultati di un esame del genere.» «Avevo paura che tu dicessi una cosa simile,» disse tristemente Maniakes. Studiò Phosteinos e Sozomenos. Entrambi irradiavano candore: se fossero stati delle lampade, avrebbe dovuto schermarsi gli occhi contro il loro bagliore. Quello che Bagdasares gli aveva detto significava che avrebbe dovuto valutare se stavano dicendo la verità con il solito e prosaico apporto dei sensi: quello o tentare di strappare loro la verità con la tortura. Non gli piaceva ricorrere alla tortura: sotto la frusta o altri e più ingegnosi
sistemi di interrogazione, la gente era troppo propensa a dire tutto quello che riteneva più utile per far smettere il dolore. Con riluttanza, decise di prestare fede ai due maghi di Serrhes. E ciò lasciava una sola cosa da fare. Voltandosi verso Broios e Vetranios, disse, «E adesso veniamo a voi due.» Entrambi i mercanti trasalirono. Entrambi, immaginò Maniakes, avevano sperato che li avesse dimenticati. «Cosa... cosa farete di noi, vostra Maestà?» chiese Broios, con voce tremante. «Non so chi di voi è il peggiore.» disse Maniakes. «Siete entrambi bugiardi e imbroglioni.» Si accarezzò la barba mentre rifletteva, poi improvvisamente sorrise. Broios e Vetranios si ritrassero davanti a quel sorriso. Maniakes provò un ignobile ma concretissimo piacere mentre pronunciava la sentenza: «Primo, pagherete una multa di cinquanta pezzi d'oro ciascuno - o in perfetto argento di pari valore -per avere contraffatto le monete. La somma va pagata domani. Secondo, entrambi sarete mandati al centro della piazza che si trova fra la residenza del governatore e il santo tempio di Phos. Là nella piazza, un haloga darà a entrambi un vigoroso calcio nel culo. Se non riuscite a prendere l'onestà dalla testa, forse riusciremo a mandarvela su dall'altra direzione.» «Ma, vostra Maestà, la pubblica umiliazione farà ridere di noi tutta la città,» protestò Vetranios. «Bene,» disse Maniakes. «E non pensate di meritarvelo?» Nessuno dei mercanti rispose. Se avessero approvato, si sarebbero umiliati da soli. Se avessero disapprovato, avrebbero contraddetto l'Avtokrator dei Videssiani. Date le due alternative, il silenzio era meglio. Maniakes li accompagnò fuori dalla stanza dove Bagdasares aveva eseguito la sua magia. Quando le informò della sentenza, le guardie gridarono la loro approvazione e vennero quasi alle mani per decidere chi avrebbe dovuto somministrare i calci. L'Avtokrator tornò nella stanza. Trovò Bagdasares che parlava di lavoro con Phosteinos e Sozomenos. Ciò lo convinse che i maghi condividevano la sua decisione circa i due mercanti di Serrhes. A quei due disse. «Presumo che non abbiate fatto nulla a mio danno, per cui potete andare.» I maghi lo ringraziarono e uscirono in fretta, per non dargli l'opportunità di cambiare idea. «Cosa stava facendo Tzikas qui, poco tempo fa?» chiese di nuovo Bagdasares non appena furono andati via. «Che possa andare al ghiaccio se lo so,» rispose Maniakes. «Per me non ha più senso adesso di quanto ne avesse quando lo abbiamo scoperto.» Ri-
volse a Bagdasares uno sguardo più arcigno di quello che aveva rivolto a Vetranios e a Broios. «Ma di una cosa sono sicuro.» «Cioè?» chiese Bagdasares. «Per Tzikas ha senso.» Finché Maniakes rimase a Serrhes, non sentì più parlare dei mercanti attaccabrighe. Gli parve un'ottima cosa: significava che i due si stavano comportando bene. L'altra alternativa era che stessero imbrogliando così bene che nessuno li aveva scoperti e denunciati. Maniakes suppose che fosse possibile, ma non ci credeva: Broios e Vetranios non potevano essere dei ladri così abili. Rhegorios continuava a sospirare per Phosia. Maniakes continuava a minacciarlo con l'acqua fredda. Dopo un po', suo cugino si azzittì. Finché Abivard era rimasto nelle terre occidentali videssiane, aveva mandato fiumi di messaggeri a Maniakes. Una volta tornato in territorio makurano, però, il fiume si era ridotto a un rigagnolo. Maniakes si preoccupò che qualcosa fosse andato storto. «Quello che può essere andato storto,» disse Rhegorios, un giorno in cui l'Avtokrator era stato più corrucciato del solito, «è che Tegin si è messo fra noi e Abivard. La piccola guarnigione non poteva fare molto contro Abivard, bada, ma è abbastanza numerosa da poter catturare un messaggero o due.» «Hai abbastanza ragione, naturalmente,» disse Maniakes. «E hai probabilmente ragione quando pensi che sia stato questo a causare il guaio. Avrei dovuto pensarci anch'io.» Pensare a tutto rientrava nei doveri dell'Avtokrator. Il tatto che fosse impossibile non lo rendeva meno necessario. Ogni volta che Maniakes trascurava qualcosa, si sentiva male per giorni. Si rallegrò quando un cavaliere arrivò da ovest. L'uomo indossava l'armatura completa dei 'bolliti' makurani: o si era preoccupato di incappare negl'i uomini di Tegin o in quelli di Maniakes. La sua armatura sferragliò quando si prosternò davanti all'Avtokrator dei Videssiani. «Maestà,» disse, alzandosi con rumorosa grazia, «sappiate che le forze guidate da Abivard il nuovo sole di Makuran si sono scontrate con quelle scioccamente fedeli a Sharbaraz Lenon dei Lenoni nella Terra delle Mille Città. Sappiate inoltre che le forze di Abivard hanno vinto.» «Buone notizie!» esclamò Maniakes. «Sono sempre lieto di sentire buone notizie.» Il messaggero annuì. Il suo velo di maglia tintinnò. Sopra quel velo, tut-
to quello che Maniakes poteva vedere dell'uomo erano gli occhi. Ammiccavano per l'eccitazione. «Sharbaraz è in fuga, Maestà,» disse. «Una buona parte della sua armata si è unita alla nostra, il che lo ha fatto tornare di corsa a Mashiz.» «Questa è più di una buona notizia,» disse Maniakes. «Incalzatelo, e sarà vostro. Una volta che le sue forze cominceranno a sbriciolarsi, svaniranno come mattoni di fango nella pioggia.» «Proprio così, o almeno lo speriamo,» disse il messaggero. «Quando sono venuto qui a est da voi, l'armata si stava preparando a seguire i fuggitivi di Sharbaraz nella capitale.» «Incalzateli,» ripeté Maniakes. «Se non lo fate, darete a Sharbaraz l'opportunità di recuperare.» Da dietro al velo del messaggero venne un inconfondibile risolino. «Cosa ti diverte?» chiese l'Avtokrator. «Maestà, voi parlate bene la mia lingua.» rispose il messaggero. Maniakes sapeva che stava educatamente dilungandosi prima di arrivare al punto, ma lo lasciò fare. L'uomo proseguì, «Nessuno, però, vi prenderebbe mai per un makurano, soprattutto per come pronunciate il nome dell'uomo che Abivard rovescerà.» Maniakes dimostrò che la sua padronanza della lingua makurana lasciava un po' a desiderare impiegando qualche momento a capire e a immaginare cosa intendesse dire il messaggero. «Ho detto di nuovo Sarbaraz?» domandò, e l'uomo annuì. Maniakes fece schioccare le dita, contrariato. «Oh. maledizione! Ho perso un sacco di tempo a imparare come pronunciare quello strano suono che usate. Il suo nome è... è... Sarbaraz!» Fece per alzare una mano trionfante, poi realizzò di aver sbagliato di nuovo. Realmente in collera adesso, si concentrò. «Sar... Sar... Sharbaraz! Ecco.» «Bene!» disse il messaggero. «La maggior parte di voi sibilanti e squittenti Videssiani non riesce a pronunciare bene, per quanti sforzi faccia.» «Puoi anche riconoscere un makurano da come parla videssiano,» disse Maniakes, al che il messaggero annuì. Maniakes proseguì, «Per caso non avete... o non ha Abivard... saputo dove si trova attualmente Tzikas?» «Il traditore? No, in effetti, Maestà. Vorrei saperlo, anche se lo direi ad Abivard prima che a voi. Offre una ricca ricompensa a chi gli porta notizie di lui e una ancora più ricca a chi gli porta la sua testa.» «Anch'io,» disse Maniakes. «Davvero?» Gli occhi del makurano si spalancarono. «Quanto?» La sua gente disprezzava i Videssiani ritenendoli una razza di mercanti e bottegai. L'esperienza di Maniakes era che gli uomini di Makuran non erano più
immuni al richiamo dell'oro e dell'argento di chiunque altro. E quando Maniakes gli disse quanto avrebbe potuto guadagnare dal ritrovamento di Tzikas, fischiò piano. «Se saprò qualcosa, lo dirò a voi e non ad Abivard.» «Dillo a chi di noi avrà la migliore opportunità di agguantare il rinnegato,» disse Maniakes. «Se sarà catturato grazie a te, portami pure la notizia e ti darò la differenza fra il premio di Abivard e il mio, te lo prometto. Dillo anche a tutti i tuoi amici, e di loro di dirlo ai loro amici.» «Lo farò,» promise il messaggero. «Bene,» disse Maniakes. «Se dovessi fare un'ipotesi, direi che si trova non lontano da qui, ma so che potrei anche sbagliarmi di grosso.» Spiegò quello che aveva appreso da Vetranios e da Phosteinos. «È più probabile che sia qui che nella Terra delle Mille Città o a Mashiz, penso,» disse il messaggero. «Qui, almeno, può aprire la bocca senza tradirsi ogni volta che lo fa.» «Quando Tzikas apre la bocca, tradisce gli altri, non se stesso,» disse Maniakes, il che fece ridere il messaggero. «Credi che io stia scherzando,» gli disse l'Avtokrator. Stava scherzando, in effetti, ma tino a un certo punto. E i commenti del makurano lo fecero riflettere. Se Tzikas voleva scomparire nelle terre occidentali, poteva farlo. Maniakes aveva scoperto che gli era impossibile pensare che Tzikas volesse sparire. Ammise a se stesso che poteva anche sbagliarsi. Diede un pezzo d'oro al messaggero, lo avvertì del piccolo contingente di Tegin ancora fedele a Sharbaraz e lo rimandò da Abivard con le sue congratulazioni. Fatto ciò, uscì dalla residenza del governatore della città invece di dedicarsi al caso successivo riguardante Serrhes. Tutto appariva normale. Alcuni contadini delle terre circostanti stavano vendendo pecore, maiali e anatre. Altri, avendo portato a termine le vendite, stavano comprando vasi e accette e altre cose che non potevano procurarsi nelle loro fattorie. Uno di loro stava mostrando del denaro a una prostituta. I due se ne andarono assieme. Se la moglie del contadino lo avesse scoperto, Maniakes riuscì a pensare ad almeno un'altra cosa che l'uomo non avrebbe potuto procurarsi nella sua fattoria. Quante persone: alte, basse, calve, pelose, giovani, vecchie. E, se Tzikas avesse deciso di sparire invece di cercare di vendicarsi, avrebbe anche potuto essere una di loro. Il pensiero era sconcertante, carico com'era di un pesante fardello di sconforto. Maniakes aveva dovuto affrontare Makurani e Kubratoi. Lo aveva fatto. Aveva dovuto trovare un modo per scacciare i Makurani dalle terre occi-
dentali. Grazie all'aiuto involontario di Sharbaraz, aveva fatto anche quello. E adesso, Abivard avrebbe battuto Sharbaraz o viceversa, nella guerra civile makurana che lui aveva contribuito a provocare. Qualsiasi cosa fosse accaduta, lo avrebbe saputo, e si sarebbe comportato di conseguenza. Risposte nette e decisive: ecco quello che voleva, come chiunque altro. C'era già troppa ambiguità nella sua vita: non aveva mai scoperto, e dubitava che avrebbe mai scoperto, cos'era accaduto a suo fratello Tatoules. Sapeva cosa gli era, molto probabilmente, accaduto, ma non era la stessa cosa. Liberarsi di Tzikas sarebbe stata una risposta netta e decisiva. Anche sapere quello che era accaduto a Tzikas, che lui potesse o no farci qualcosa, sarebbe stata una risposta netta e decisiva. Non sapere per certo se Tzikas era vivo o morto, oppure dov'era o cosa stava facendo se era vivo... a Maniakes non piaceva per nulla. Sapeva troppo bene quali pericolose ambiguità potevano esserci quando si trattava di Tzikas. Avrebbe anche potuto trovarsi a cavalcare per le strade delle città di Videssos dieci anni dopo, senza aver visto o sentito niente del rinnegato in tutto quel tempo e avendolo quasi dimenticato, solo per essere trafitto dalla freccia di un nemico paziente che non aveva dimenticato lui. Oppure avrebbe trascorso quei dieci anni a preoccuparsi di Tzikas ogni giorno quando il miserabile era morto da lungo tempo. «Non c'è modo di saperlo,» borbottò. Un narratore di gesta eroiche non sarebbe stato d'accordo. Tutto nelle storie di eroismi si svolgeva in maniera chiara e limpida. Gli Avtokrator in quelle storie non erano mai sciocchi... a meno che non fossero dei malvagi sovrani destinati a essere rovesciati da chi avrebbe rimesso le cose a posto. Maniakes sbuffò. Lui aveva fatto esattamente quello, ma. in qualche modo, ciò non gli aveva impedito di restare una creatura umana. «Non importa quanto voglia morto quel figlio di puttana, potrei anche non vivere abbastanza da vederlo.» Quella era un'altra faccenda, e lo rendeva infelice quanto la prima. Se Tzikas aveva scelto l'oscurità, sarebbe riuscito a evitare il carnefice. L'oscurità lo avrebbe punito abbastanza? Poteva darsi, anche se l'idea piaceva poco a Maniakes. Scalciò la polvere, in collera con se stesso e con Tzikas. Questo avrebbe potuto essere il più grande trionfo della sua carriera, il più grande trionfo che un Avtokrator avesse mai ottenuto, dal momento che la guerra civile che l'Impero aveva sofferto un secolo e mezzo prima gli era costata gran parte delle province orientali. Invece di godersi il trionfo, stava ancora
perdendo una parte eccessiva del suo tempo e della sua energia a crucciarsi per Tzikas. Conosceva una sola cura adatta. Più rapidamente che poté, tornò nella residenza del governatore della città. «L'Imperatrice, vostra Maestà?» disse un servo. «Credo che sia di sopra a cucire.» Lysia non stava cucendo quando Maniakes la raggiunse. Lei e alcune domestiche stavano filando il lino e, stando alle risate che provenivano dalla stanza destinata al cucito mentre Maniakes percorreva il corridoio, stavano usando il lavoro come una scusa per chiacchierare e spettegolare. «Qualcosa che non va?» gli chiese Lysia quando lo vide. Appoggiò il fuso sul ripiano che le proteggeva il ventre. Le domestiche esclamarono allarmate: l'Avtokrator non avrebbe dovuto essere là a quell'ora del giorno. «No,» rispose lui, ed era la completa verità, a parte le sue preoccupazioni. «E anche se fosse così, so come risolvere.» La raggiunse, la aiutò ad alzarsi dallo sgabello sul quale era seduta: il bambino non avrebbe aspettato ancora a lungo. Poi, ponendosi leggermente di lato rispetto a lei in modo da non doversi chinare troppo a causa del ventre gonfio, eseguì, con cautela e accuratezza, l'operazione di baciarla. Un paio delle domestiche risero, imbarazzate. Diverse altre mormorarono fra loro. Lui notò tutto con distacco. Alcuni uomini, aveva sentito dire, perdevano il desiderio per le proprie mogli quando le mogli s'ingrossavano per una gravidanza. Alcune delle domestiche gli avevano rivolto sguardi eloquenti, domandandosi se desiderava divertirsi altrove - e forse cercando di provocarlo affinché lo desiderasse -mentre Lysia si avvicinava al momento del parto. Lui se n'era accorto - non aveva mai perso l'abitudine di notare le ragazze graziose - ma non ne aveva fatto nulla. «Bene!» disse Lysia quando il bacio finalmente finì. Si strofinò il labbro superiore, dove i suoi baffi dovevano averle fatto il solletico. «E questo a cosa servirebbe?» «Mi sentivo di farlo,» rispose Maniakes. «Ho visto quanti livelli di burocrazia ci sono nell'Impero, ma non ho ancora visto qualcosa che mi impone di presentare un'istanza prima di dare un bacio a mia moglie.» «Non ne sarei sorpresa se esistesse,» rispose Lysia, «ma probabilmente tu puoi fare come se non ci fosse. Essere Avtokrator deve contare qualcosa, non credi?» Se quello non era un suggerimento, lo sarebbe stato finché non ne fosse arrivato uno vero. Maniakes la baciò di nuovo, con trasporto ancora maggiore. Era così concentrato in quello che stava facendo, che fu colto di sor-
presa quando alzò lo sguardo alla fine del bacio e scoprì che le domestiche avevano lasciato la stanza. «Dove sono andate?» disse scioccamente. «Non importa,» disse Lysia, «dal momento che se ne sono andate.» Questa volta, fu lei a baciare lui. Poco dopo, tornarono nella loro camera da letto. Con lei così avanti nella gravidanza, fare l'amore era una faccenda complicata. Quando si unirono, Lysia giaceva sul fianco destro e di spalle. Non solo quella era la posizione nella quale si trovava più comoda, ma era anche una delle relativamente poche nelle quali potevano unirsi senza che il suo ventre ci si mettesse di mezzo. Il bambino dentro di lei scalciò con l'entusiasmo di sempre, e riuscì a distrarla abbastanza da impedirle di godere dell'amplesso come avrebbe potuto. «Non preoccuparti,» disse a Maniakes, dopo. «È già accaduto, ricordi?» «Non ero preoccupato, no.» disse lui. e le appoggiò una mano sulla curva morbida del fianco. «Recupereremo dopo che il bambino sarà nato, questo è tutto. Abbiamo già fatto anche questo.» «Sì, lo so,» rispose Lysia. «È per questa ragione che sono così spesso incinta.» «Ho sentito dire che le due cose sono in qualche modo collegate, sì,» disse solennemente Maniakes. Lysia sbuffò e gli diede una gomitata nelle costole. Entrambi risero. Lui non pensò più a Tzikas. Meglio ancora, non si accorse che non stava più pensando a Tzikas. CAPITOLO DODICESIMO Avendo sistemato le cose a Serrhes, Maniakes cavalcò verso ovest con circa metà della sua armata, in modo da trovarsi in una posizione tale da consentirgli di fare subito qualcosa se lo richiedeva la guerra civile nel Makuran. Mandò dei piccoli gruppi ancora più a ovest, perché presidiassero quelle poche sorgenti d'acqua buona che si trovavano nel deserto fra la frontiera occidentale di Videssos, appena ripristinata, e la Terra delle Mille Città. «Vedi, eccoti qui a invadere il Makuran nella maniera giusta, come dev'essere fatto, invece di tentarlo dal mare,» disse Rhegorios. «Se non avessimo il controllo del mare, non staremmo qui sulla terra adesso,» disse Maniakes. «Inoltre, cosa potrebbe essere meglio che spuntare da una direzione inaspettata?»
«L'ultima volta che ho posto una domanda del genere, la ragazza a cui l'ho posta mi ha dato uno schiaffo in faccia,» disse suo cugino. Maniakes sbuffò. «Oserei dire che te lo sei anche meritato. Quando torneremo nella città di Videssos, dovrò farti sposare, dovrò far sì che una donna si occupi di te, e fare in modo così che tutte le altre donne dell'Impero non vivano più nel terrore.» «Se faccio tutta questa paura, cognato mio, pensi che essere sposato farà qualche differenza per me?» chiese Rhegorios. «Non so se farà qualche differenza per te,» disse Maniakes. «Immagino che farà un bel po' di differenza per Lysia, però. Se te ne vai in giro a fare il mandrillo, essendo non sposato, ti fai una certa nomea. Ma se continui a fare il mandrillo dopo esserti sposato, ti fai una nomea, sì, ma non è certamente quella che vorresti avere.» «Sai come colpire sotto la cintura,» disse Rhegorios. «Considerando quello di cui stiamo parlando, è il modo migliore in cui mettere le cose, no? E hai ragione, purtroppo: non vorrei mai che Lysia fosse in collera con me.» «Posso capirlo.» Maniakes si guardò intorno. «Mi domando se possiamo edificare una città qui vicino, per controllare il confine.» «Sì. perché no?» disse Rhegorios. «Possiamo chiamarla Frontiera, se ti piace.» Agitò la mano, come se fosse un mago che stesse facendo un incantesimo. «Ecco! Riesci a vedere? Mura e torri e un grande tempio di Phos sulla piazza, di fronte alla residenza dell'hypasteos, con delle caserme nelle vicinanze.» E Maniakes vide la città con l'occhio della mente. Per un momento, sembrò reale come le tante città delle terre occidentali che aveva liberato dai Makurani. Era, in effetti, come se avesse liberato anche l'ipotetica città di Frontiera dai Makurani, e avesse trascorso un paio di giorni nella residenza dell'hypasteos a scavare fra le solite e sordide storie di tradimenti, collaborazioni col nemico ed eresie. Ma poi Rhegorios agitò di nuovo una mano, e disse, «Non vedi i mandriani di polvere che portano le loro greggi al mercato per tossirle... voglio dire, per tosarle? Non vedi i coltivatori di rocce che portano i loro raccolti ai tavernieri perché ne facciano minestre? Non vedi i sacerdoti di Phos, che benedicono scorpioni e tarantole? Non vedi gli avvoltoi che volano in circolo sulle nostre teste, che ridono degli uomini che edificano qui una città a tre settimane da qualcosa che abbia l'aspetto dell'acqua?» Maniakes lo fissò, fissò il deserto attraverso il quale stavano viaggiando
e poi cominciò a ridere. «Va bene,» disse. «Penso di aver capito cosa vuoi dire. Forse potrei far costruire una città non troppo lontano da qui, un po' più vicino all'acqua - anche se dista meno di una giornata, non tre settimane - per poter controllare il confine. Questo incontra la vostra approvazione, vostra esaltata Sevastità, signore?» Anche Rhegorios rise. «Mi va benissimo. Ma se sto diventando difficile, non preferisci che io mi diverta nel fare il difficile, invece di avere l'espressione di chi ha appena preso un attizzatoio nel fondoschiena?» Assunse immediatamente un'espressione seria al punto da apparire tragica. «Lo sai chi sembri?» Maniakes si guardò intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando lui e suo cugino, poi proseguì, «Sembri Immodios, ecco chi sembri.» «Mi hanno affibbiato un sacco di epiteti nella mia vita, cugino mio, ma questo...» Rhegorios assunse di nuovo l'espressione severa. e poi, non avendo uno specchio, si tastò il volto. Mentre lo faceva, l'espressione si tramutò in una manifestazione di orrore e sgomento comicamente esagerati. «Per il buon dio, hai ragione!» Lui e Maniakes risero di nuovo. «Mi sento meglio,» disse Maniakes. «Abbiamo trascorso parecchi anni senza trovare nulla di divertente.» «Non è vero?» disse Rhegorios. «È sorprendente come riavere indietro metà del tuo paese possa migliorare la tua visione dell'esistenza.» «È così.» Invece di esaminare il terreno dal quale non sarebbe mai spuntata la città di Frontiera, Maniakes guardò a ovest verso Makuran. «È un po' di tempo che non abbiamo notizie di Abivard,» disse. «Mi domando come stia andando la guerra contro Sharbaraz.» «Io non mi preoccupo,» disse Rhegorios. «Per quanto mi riguarda, possono martellarsi a vicenda fino a logorarsi. Abivard è una brava persona non lo nego - e Sharbaraz è un emerito bastardo, ma sono entrambi Makurani, se sai cosa voglio dire. Se stanno combattendo fra loro, saranno troppo indaffarati per tormentare noi.» «E ciò, sono d'accordo, non è per noi la cosa peggiore al mondo,» disse Maniakes. «No, non per noi, no.» Il sogghigno di Rhegorios era predatorio. «Ma è il momento... non credi?... che ai Makurani accadano un po' di cose spiacevoli. Le cose si devono equilibrare in questo mondo, dove possiamo vederle accadere, non solo nell'altro, dove Phos trionfa alla fine del tempo.» «Sarebbe bellissimo, no?» Il tono di Maniakes era speranzoso. «Per lungo tempo, mi sono domandato se avremmo mai pareggiato i conti con i
'bolliti'.» Rhegorios seguì il suo pensiero: «Per esempio, potremmo anche riuscire a rovesciare quel maledetto Etzilios e a fare qualcosa ai Kubratoi. Il buon dio sa cosa ci hanno fatto loro in tutti questi anni.» «Oh, non sarebbe splendido?» sussurrò Maniakes. «Non sarebbe bello farla pagare a quel bugiardo imbroglione?» Lo sommerse il ricordo della maniera in cui Etzilios lo aveva ingannato e quasi catturato, per poi mettere in rotta la sua armata, come se gli anni fra il disastro e il presente fossero trasparenti come vetro. I Makurani avevano fatto più danni a Videssos. ma non gli avevano mai inflitto un'umiliazione pari a quella. «Un po' gliel'abbiamo fatta pagare,» disse l'Avtokrator. «Dopo che la nostra flotta distrusse i monoxyla, vederlo fuggire dalla città è stato dolce come il miele. Ma è ancora sul trono, e i suoi nomadi sono ancora pericolosi.» Sospirò. «Riprenderci le terre occidentali in un colpo solo conta molto, suppongo. Vorrei che non contasse, se capisci quello che intendo.» «Oh, sì,» disse Rhegorios. «Il piacere di fare quello che vuoi fare - specialmente di farla pagare a qualcuno che ti ha fatto un torto -può essere più delizioso di fare semplicemente quello che richiedono le necessità.» «Esatto.» Maniakes annuì. «Ma ora devo fare quello che richiedono le necessità.» Il suo largo sorriso era ironico. «Farò bene a stare attento. C'è il pericolo che diventi adulto.» Il cavaliere makurano smontò, avanzò verso Maniakes nello sferragliare dell'armatura, si prosternò davanti all'Avtokrator e poi, con una considerevole dimostrazione di forza, si alzò con agilità nonostante il peso del ferro che indossava. «Quali notizie porti?» domandò Maniakes. «Sharbaraz è caduto?» Avrebbe pagato una libbra d'oro per sentire proprio questo, ma non lo disse al 'bollito' che gli stava di fronte. Se era quella la notizia, ci sarebbe stato abbastanza tempo per parlare di ricompense. Con rammarico, il messaggero di Abivard scosse la testa. «Maestà, no, anche se abbiamo respinto il suo esercito verso Mashiz e anche se ogni giorno sono tantissimi gli uomini delle guarnigioni della terra delle Mille Città che si dichiarano con noi. Non è per questo che il nuovo sole di Makuran mi ha mandato da voi.» «Beh, perché ti ha mandato, allora?» disse Maniakes, cercando di celare il disappunto. «Quale notizia, a parte la vittoria, valeva la pena del viaggio fin qui?»
«Maestà, ve la riferirò,» replicò il makurano. «Nella Terra delle Mille Città, in un tratto di terreno arrido, lontano da qualsiasi canale, abbiamo scoperto un altro dei templi blasfemi simili a quello che descriveste al mio signore.» Gli occhi dell'uomo erano feroci sopra il velo di maglia che nascondeva la parte inferiore del suo volto. «Io stesso ho visto quell'abominio. Sharbaraz può anche comportarsi come se fosse il Dio in questa vita, ma il Dio sicuramente lo farà cadere nel Vuoto nell'altra.» «Feci bruciare quello che trovarono i miei uomini,» disse Maniakes. «Cosa ne ha fatto Abivard di questo?» «La prima cosa che ha fatto è stata mandare ogni squadrone, ogni reggimento della sua armata a visitare il posto, in modo che tutti i suoi uomini potessero vedere con i loro occhi che genere di nemico stavano affrontando,» disse il messaggero. «È stata una buona idea.» disse Maniakes. «Usai anch'io quello che scoprimmo per sollevare il morale dei miei uomini.» «Se un sacrilegio è così chiaro che anche un videssiano può vederlo, come ha fatto a sfuggire al Re dei Re?» chiese il messaggero, retoricamente. Non si accorse del disprezzo per i Videssiani che era implicito nelle sue parole. Invece di andare in collera, Maniakes si domandò quante volte aveva offeso lui i Makurani senza accorgersene. Il messaggero concluse, «Quando tutti hanno visto quel Lenon dei Lenoni raffigurato come il Dio degli Dei, al tempio è stato appiccato il fuoco.» «La migliore cosa che si potesse fare.» convenne Maniakes. «Peccato che Abivard non abbia potuto condurre i soldati di Sharbaraz a vedere quel posto invece dei suoi. Mi domando quanti avrebbero continuato a combattere per Sharbaraz dopo averlo visto. Non tanti, scommetto.» «Già, sarebbe stato meraviglioso.» Il makurano fece un sospiro di rammarico. «In ogni caso, Maestà, il succo del messaggio è questo: anche se Abivard il nuovo sole di Makuran non vi considerò un bugiardo quando gli parlaste di quel tempio, si riservò comunque di giudicare finché non avesse visto con i propri occhi. Ora sa che dicevate la verità in ogni particolare, e si scusa per aver dubitato di voi.» «In primo luogo, nascose molto bene i suoi dubbi,» replicò Maniakes. «E in secondo luogo, non posso certo biasimarlo per averli nutriti, poiché io stessi ebbi difficoltà a crederci prima di vedere.» «Capisco, Maestà,» disse il messaggero. «Se il Dio è cortese, la prossima volta che avrete notizie da noi sarà quando cacceremo il miserabile dalla capitale e daremo inizio alle epurazioni.»
«Spero che queste notizie arrivino presto,» disse Maniakes, dopodiché il messaggero eseguì il saluto militare e tornò a galoppare verso ovest. Maniakes sorrise alla schiena del makurano coperta dall'armatura. Così Abivard intendeva epurare Mashiz, o forse solo la corte di Mashiz, eh? Maniakes ebbe la sensazione che un progetto del genere avrebbe richiesto degli anni. L'idea gli piacque. Finché i Makurani si fossero concentrati sui loro affari interni, avrebbero avuto difficoltà a impensierire Videssos. Quando parlò a Rhegorios del messaggio ricevuto da Abivard. il sorriso di suo cugino sarebbe potuto essere quello di un sacerdote cui era stata concessa la visione beata di Phos. «I 'bolliti' possono epurare, e poi controepurare, e poi controcontroepurare, per quanto mi riguarda,» disse il Sevastos. «Sono i benvenuti. Nel frattempo, immagino che torneremo a Serrhes.» «Sì, suppongo di sì.» Maniakes lanciò a Rhegorios un'occhiata tagliente. «Di solito, non sei uno che ama tornare indietro.» Suo cugino tossì. «Beh... ehm... cioè...» cominciò, e non proseguì. Vedere Rhegorios senza parole stupì Maniakes... ma non a lungo. Ripensò alla conversazione che aveva avuto con suo cugino non molto prima. «Hai trovato una donna là?» Conoscendo le attitudini di suo cugino, non aveva dato alla domanda più valore di un semplice tentativo. Ma Rhegorios disse, «Può darsi.» Maniakes dovette fare tutto il possibile per non piegarsi in due dalle risate. Quando qualcuno come Rhegorios diceva che forse aveva trovato una donna, e specialmente quando lo diceva con un tono di voce che suggeriva che non voleva ammetterlo, neanche a se stesso, era probabile che ci fosse cascato di brutto. Forse Maniakes non avrebbe più dovuto preoccuparsi delle sue incursioni da mandrillo in lungo e in largo per l'Impero, dopo tutto. «Chi è?» Rhegorios parve voler tenere la bocca chiusa. «Se proprio devi saperlo,» disse, «è quella Phosia di cui ti ho parlato, la figlia di Broios.» «Il mercante tagliaborse?» Adesso Maniakes rise. «Se non fosse stato per te, non avrei mai saputo che aveva una figlia.» «Mi sono preoccupato di fare delle indagini in merito.» Rhegorios fece del suo meglio per apparire nobile. Il suo meglio non fu sufficiente. «Il signore dalla mente grande e buona sia lodato: pare che abbia preso da sua madre in quasi tutto... certamente nell'aspetto.» «Beh, ottimo. Tutto quello che posso dire è: meglio per lei.» Pensare a Broios ancora irritava Maniakes. «Non ha intenzione di farti scivolare un
coltello fra le costole perché ho fatto prendere a calci nel sedere suo padre in pubblico?» «Non ha manifestato intenzioni del genere,» disse Rhegorios. «Beh, meglio così, allora.» Maniakes allungò un braccio e diede a suo cugino una pacca indulgente sulla spalla. «Divertiti quando saremo a Serrhes, e potrai trovare un'altra amica, o una carrettata di amiche, quando torneremo nella città di Videssos.» Per quello che Maniakes sapeva del cugino, una frase del genere avrebbe dovuto far ridere Rhegorios e farlo reagire con una battuta delle sue. Invece, il Sevastos disse, «Forse chiederò a mio padre di andare a parlare con Broios quando torneremo nella città.» Se Maniakes era rimasto stupito prima, adesso spalancò la bocca. «Cosa?» disse di nuovo. «Non ti ho mai sentito parlare così.» Si domandò se suo cugino avesse preso a cuore la loro precedente conversazione e avesse deciso di sposarsi. Poi si domandò se questa Phosia, o forse Broios stesso, non avesse convinto il loro mago a eseguire una magia d'amore su... o meglio, contro... Rhegorios. In realtà, non era facile credere a una magia del genere: le passioni rendevano la magia inefficace. «Forse è arrivato il momento, questo è tutto.» disse Rhegorios. Il sorriso ironico era proprio il suo. «E forse, sono affascinato dall'idea di una ragazza che mi dice di no. Non mi capita tutti i giorni, sai.» «Mhm, ti credo,» disse Maniakes. Suo cugino era attraente, dì buon cuore ed era il secondo per rango nell'Impero di Videssos. Già le due prime cose sarebbero state sufficienti a procurargli un mucchio di donne. E nemmeno la prospettiva della ricchezza e del potere derivanti dalla sua posizione guastava. «Penso che lei sia quello che voglio,» disse Rhegorios. Maniakes si domandò se era quello che voleva esattamente perché lei gli si era negata. La sua riluttanza era tutta sua? L'Avtokrator immaginava che Broios fosse abbastanza astuto da poter concepire un simile piano. Non sapeva nulla della moglie del mercante, però. Non fidandosi del suo giudizio, chiese, «Hai parlato a Lysia di questa cosa?» «In parte,» rispose Rhegorios. «Non le ho detto tutto.» «Penso che faresti bene a farlo,» disse Maniakes. «Avrà sicuramente su Phosia e sulla sua famiglia un punto di vista più chiaro di quello che abbiamo noi. Non è invaghita della ragazza come lo sei tu.» Ignorò lo sguardo indignato di suo cugino. «E non è... non del tutto, almeno... preoccupata per l'Impero come lo sono io.»
«Per il buon dio, però, è mia sorella,» disse Rhegorios. «Come posso parlare di cose simili con mia sorella? Sarebbe indecente.» «Innanzi tutto, direi che lei è più sensata di noi due,» replicò Maniakes. «E, poi, se non riesci a parlare di queste cose con lei, con chi ne puoi parlare? So cosa stai pensando di fare, ci scommetto, e basta con tutto questo sproloquiare su zio Symvatios che deve parlare con Broios: tu vuoi sposare quella ragazza e dirmelo soltanto dopo, quando non potrò farci nulla. Ho ragione o ho torto?» Rhegorios tentò di mantenere un dignitoso silenzio. Dal momento che nella maggior parte delle circostanze non era mai incline alla dignità, né, in effetti, al silenzio, Maniakes concluse di aver letto bene nella mente del cugino. «Torneremo presto a Serrhes... come tu hai dedotto, cugino mio,» disse l'Avtokrator. «Per ora, dovrà essere il nostro avamposto di frontiera. E mentre staremo là ad aspettare notizie di Abivard. non avremo da fare di meglio che risolvere questa faccenda. Ciò non ti tranquillizza?» «No.» abbaiò Rhegorios. «Stai togliendo tutto il divertimento a questa storia. Per come la stai trattando, è una questione di interesse imperiale prima e una storia d'amore poi.» Maniakes lo fissò di nuovo. «Cugino mio, tutto quello che facciamo è interesse imperiale prima e qualsiasi altra cosa poi.» «Oh davvero?» Un Rhegorios educatissimo era un Rhegorios pericolosissimo. «Allora, cugino vostra Maestà cognato mio, tu non ti sei per caso sposato con una tua prima cugina? Se mi dirai che quella è stata una buona questione di interesse imperiale, mi mangerò l'elmo. E se tu ottieni quello che vuoi per la sola ragione che è quello che vuoi, perché io no?» Maniakes aprì la bocca, poi la richiuse in fretta realizzando che non aveva una buona risposta. Dopo aver riflettuto un po', tentò di nuovo: «La sola cosa di cui posso essere sicuro riguardo a Lysia è che non mi tradirà mai. Puoi dire la stessa cosa di questa donna?» «No,» ammise Rhegorios. «Ma puoi dire che non ti saresti innamorato di Lysia se non ne fossi stato sicuro?» «In questo momento, non posso dire nulla sui 'se',» rispose Maniakes. «Tutto quello che posso dire è che quando torneremo a Serrhes vedremo cosa succederà.» Dopo aver trascorso un po' di tempo nel territorio semidesertico che segnava il confine occidentale dell'Impero, Serrhes sembrava una città gran-
de quasi quanto la città di Videssos, misura eloquente di quanto fosse arida quella regione occidentale. Maniakes non invitò subito Broios e Phosia e sua madre a cena con lui. Al contrario, fece qualche piccola e discreta indagine. E fece altrettanto Lysia, che disse, «Quello che non sentono i tuoi uomini, lo sentono le mie domestiche, al mercato o dal bottegaio o dalla moglie del bottegaio.» «Ottimo,» disse Maniakes. «Hai ragione, naturalmente: le donne ascoltano un sacco di cose che sfuggono agli uomini.» Sogghignò. «Parte di quelle cose, per parte del tempo, potrebbe essere vera.» Lysia lo guardò accigliata, mostrando più rabbia di quella che probabilmente provava. «Tu sai che questo lo ricorderò,» disse. «Sai anche che te la farò pagare uno dì questi giorni. Allora perché l'hai detto?» «Se posso darti io qualcosa che serva a farti affilare i coltelli,» disse lui, con tutta l'innocenza possibile, «non dovrai andartela a cercare tu.» L'occhiataccia che ottenne per quella frase fu più sincera di quella di prima. Proseguì, «Non mi hai mai detto molto di quello che pensi della scelta di tuo fratello. Ciò significa quello che temo che significhi?» Lysia scosse la testa. «No, non esattamente. Significa che non ho prestato attenzione a questa Phosia quando siamo stati qui.» Poi lanciò un amo dei suoi, non rivolto a Maniakes in particolare ma alla metà della razza umana che lui rappresentava: «È meno probabile che un bel faccino distragga me.» «Meno probabile che distragga te di cosa?» chiese lui, e poi sollevò in fretta una mano. «Non rispondere. Non credo di volerlo sapere.» Stando al pericoloso scintillio apparso negli occhi di sua moglie, seppe di aver cambiato rotta al momento giusto. In effetti, pettegolezzi su Phosia, su Broios e sulla moglie di Broios - che si chiamava Zosime - cominciarono ad arrivare. Parecchi di essi avevano a che fare col modo in cui Broios portava avanti i suoi affari. Vetranios era stato abile a frodarlo, ma lui stesso evidentemente era riuscito a trovarsi dall'altra parte un buon numero di volte. Maniakes non sapeva con esattezza che peso dare a queste cose. Parecchi mercanti pensavano prima a sé e poi, semmai, a quelli con i quali trattavano. Non poteva dire se Broios era tipico della specie o tipico della peggiore specie. Anche i suoi uomini e le domestiche di Lysia riportarono molte dicerie che affermavano che Broios era stato culo e camicia con i Makurani quando questi occupavano Serrhes. Anche in questi casi Maniakes ebbe diffi-
coltà a decidere che significato attribuire. Se Broios non avesse collaborato con gli invasori in una certa misura, non sarebbe stato in grado di rimanere a galla. Nessuno affermava che aveva tradito qualcuno dei suoi amici, e l'Avtokrator aveva perdonato quelli che non avevano fatto altro che tirare avanti, indipendentemente da chi governasse sulle terre occidentali. Ma ciò significava che voleva gente del genere nella sua famiglia? Sembrava che nessuno avesse da dire qualcosa di male su Phosia. La gente a cui non piaceva suo padre la riteneva abbastanza simpatica. La gente a cui piaceva suo padre - ce n'era - la riteneva... abbastanza simpatica. Tutti ritenevano che sua madre parlasse troppo. «Se questo fosse un grave peccato, il ghiaccio di Skotos sarebbe ancora più affollato di quanto afferma il più tetro dei sacerdoti.» disse Lysia. «Abbastanza vero,» disse Maniakes. «Ehm, molto vero.» Sua moglie rise per come aveva formulato le sue osservazioni. Una volta tornato a Serrhes. aveva naturalmente ripreso a dirimere le controversie. Il suo primo soggiorno nella città aveva grattato la superficie di quello che era accaduto in più di una decade di dominio makurano, ma non aveva fatto di più. Mentre si tratteneva nelle terre occidentali in attesa di notizie da parte di Abivard, ebbe il tempo di occuparsi di casi che in precedenza non aveva mai affrontato. E, vedendolo così impegnato, altri che non gli avevano presentato reclami nel soggiorno precedente, ora li tirarono fuori, li spolverarono e li portarono davanti a lui. E davanti a lui si presentarono nuovi casi e accuse e dispute in numero tale da costringerlo a cederne alcuni a Rhegorios. Suo cugino, invece di protestare come al solito davanti all'eventualità di dover lavorare, accettò l'incarico con un'alacrità che Maniakes trovò sorprendente. Dopo averci pensato un po', non fu più così sorpreso. Quando Rhegorios era impegnato a farsi strada fra le complicazioni di un caso che coinvolgeva punti controversi delle leggi sia videssiane che makurane. non poteva pensare a Phosia. E le sue decisioni erano anche buone: ponderate come quelle che prendeva Maniakes. Mentre i giorni si susseguivano, l'Avtokrator diventava sempre più orgoglioso del Sevastos. Rhegorios era stato un buon secondo nell'Impero anche quando si lamentava del lavoro che doveva fare. Ora che lo faceva senza brontolare, era un ottimo secondo che chiunque avrebbe voluto al suo fianco. Mentre i giorni si susseguivano, divenne sempre più sicuro nelle sue decisioni e ne prese di sue senza consultarsi con Maniakes se non dopo. Così, sorprese letteralmente l'Avtokrator quando venne un pomeriggio e disse,
«Vostra Maestà, sono venuto a conoscenza di una cosa che credo devi trattare tu stesso al mio posto.» «Dovrà attendere un poco,» disse Maniakes. «In questo momento mi trovo nel bel mezzo di una disputa.» Fece un cenno col capo verso un postulante che stava davanti a lui. «Non appena avrò finito, mi dedicherò a questa cosa che ti rende perplesso. Devi sapere, però, che ritengo tu sia in grado di sistemarla da solo, qualunque essa sia.» «Vostra Maestà, starebbe meglio nelle tue mani,» disse Rhegorios con estrema fermezza. Maniakes si strinse nelle spalle e allargò le mani, con i palmi in su, in segno di perplessa acquiescenza. Avendo congedato il postulante - e avendolo irritato, negandogli la richiesta di una terra che era appartenuta a un monastero finché i Makurani non lo avevano raso al suolo, massacrando gran parte dei monaci - Maniakes mandò un segretario a Rhegorios per fargli sapere che poteva occuparsi del suo insolito caso, qualunque fosse, nella camera dove l'Avtokrator si trovava. Non appena il Sevastos e l'uomo che era andato da lui entrarono nella stanza, Maniakes capì. Broios si avvicinò all'alto scranno che Maniakes stava usando come trono e si prosternò davanti al suo sovrano. «Alzati,» disse l'Avtokrator, lanciando nello stesso tempo a suo cugino un'occhiata di scusa. Essendo legato alla figlia di Broios, non aveva voluto occuparsi di un caso che coinvolgeva il mercante. Chiese a Broios, «Bene, signore, come posso aiutarti oggi? Non più arket tosati, spero.» «No, vostra Maestà,» disse Broios. «Non ho intenzione di trascorrere un'altra settimana col didietro dolorante, vi ringrazio.» «Bene.» disse Maniakes. «Cosa posso fare per te, allora?» «Vostra Maestà, imploro il vostro perdono se vi reco grande offesa, ma ho sentito da parecchie persone che avete messo uomini e donne a fare domande su di me e sulla mia famiglia,» disse Broios. «Potete dire quello che vi piace di me, Imperatore: Phos sa che avete ragione. Ma se volete dire che ho in mente di tradire, non è così e questo è tutto. Tutti gli uomini e le donne che avete incaricato non scopriranno quello che non c'è. Ricordate, vostra Maestà, è Vetranios quello che aveva simpatia per quel tale Tzikas, non io.» Maniakes si voltò verso Rhegorios. «Beh, cugino mio, avevi ragione, dopo tutto: questo non era un caso per te.» Riportò la sua attenzione su Broios. «Non sto cercando di sapere cose sul tuo conto perché ti ritengo un traditore. Sto cercando di accertarmi che tu non lo sia.»
«Non capisco, vostra Maestà,» disse Broios. Sospirando, Maniakes si scoprì a spiegare quello che avrebbe preferito tenere nascosto ancora per un po'. «Mio cugino qui, sua Altezza il Sevastos Rhegorios, ha... concepito un interesse per tua figlia, Phosia. Ho bisogno di sapere se ci sono scandali nella tua famiglia che le impedirebbero di essere unita alla mia.» Broios barcollò. Per un momento. Maniakes ebbe timore che svenisse. Il mercante tossì un paio di volte, poi trovò le parole: «Vostra Maestà, imploro il vostro perdono per ragioni del tutto diverse. So che sua Altezza ha visto mia figlia, ma...» La sua voce si spezzò come quella di un giovane cui cominciava a spuntare la barba. Quello che stava pensando, probabilmente, era: Sapevo che Rhegorios voleva divertirsi con lei, ma «...non avevo idea che... che...» Si affievolì di nuovo. «Dal momento che sei qui, dal momento che sei venuto da me,» disse Maniakes, «voglio che tu mi dica qualcosa che potrebbe costituire un impedimento a questa unione. Se me lo dici qui e ora, per te non ci saranno punizioni né accuse, anche se decideremo di non dare luogo al matrimonio. Ma se mi nascondi qualcosa che verrò a sapere in seguito, non solo il matrimonio sarà annullato, ma maledirai il giorno in cui sei nato per avermi mentito. Hai capito, Broios?» «Sì, vostra Maestà.» Broios si raddrizzò in tutta la sua non impressionante altezza. «Vostra Maestà, che io possa andare al ghiaccio se riesco a pensare a qualche ragione - eccetto il recente calcio nel sedere, naturalmente - che vi impedisca di accogliere la mia piccola sotto la vostra ala.» La sua voce vibrò di sincerità. La sua voce aveva vibrato di sincerità anche quando aveva negato di aver aggiunto degli arket che Vetranios non gli aveva dato prima di portare le monete all'Avtokrator. Allora aveva mentito. Stava mentendo anche adesso? Maniakes non poteva dirlo. Un mercante di successo acquisiva la capacità di simulare al punto da poter ingannare chiunque non avesse un mago al suo fianco. L'Avtokrator si domandò se era il caso di convocare Bagdasares. Per il momento, decise di no. Broios era stato avvertito. «Ricorda quello che ti ho detto,» disse al mercante. «Se non parli adesso...» «Non ho niente da dire,» rispose Broios: affermazione di solito così improbabile che Maniakes ritenne, con molta probabilità, vera. Congedò il mercante e poi chiese a Rhegorios, «Cosa pensi del tuo possibile suocero?»
«Dannatamente male,» replicò subito suo cugino. «Ma non ho intenzione di sposare lui, il signore dalla mente grande e buona sia lodato. Lui è un problema di Zosime, il che mi sta benissimo.» «Dimostra solo che non sei mai stato sposato,» disse Maniakes. «La famiglia di tua moglie è un problema tuo.» Fece un sogghigno a Rhegorios. «Prendi mio cognato, per esempio.» «Chi, lui? È un principe fra gli uomini,» disse Rhegorios, ridendo. «Accidenti, è anche un principe fra i principi.» Il riferimento al sangue vaspurakano che i due condividevano fece ridere anche Maniakes. Ma non rise a lungo. Disse, «Davvero vuoi Broios nella nostra famiglia?» «No, non è questo il punto,» disse Rhegorios. «Il punto è: Broios è così rivoltante che non possiamo tollerare di averlo nella famiglia, indipendentemente da quanto io voglia Phosia in essa?» Per quanto poteva dire Maniakes, il punto non era quanto Rhegorios volesse Phosia in essa, il punto era quanto lui volesse essa in Phosia, con essa diversa nei due casi. Non lo disse, per timore di mandare in collera suo cugino invece di divertirlo. Per come aveva formulato la domanda, quello che Rhegorios chiedeva era ragionevole. Riconoscendolo, Maniakes disse, «Vedremo, cugino mio. Vedremo.» Con l'eccitazione sul viso, il soldato videssiano condusse uno dei 'bolliti' davanti a Maniakes. «Ha notizie per voi, vostra Maestà,» esclamò l'imperiale mentre il makurano si stendeva sul ventre nella prosternazione. «Alzati, signore, alzati,» disse Maniakes. «Qualsiasi cosa tu abbia da dirmi, sono certo che sarà più interessante delle discussioni interminabili che ho continuato ad ascoltare qui a Serrhes.» «Credo che questa sia una lode piccola, non grande,» disse il makurano, con gli occhi scuri che luccicavano divertiti sopra il velo di maglia che indossava. «Ma sì, Maestà, ho davvero delle novità. Sappiate che Abivard figlio di Godarz, il nuovo sole di Makuran, adesso tiene Mashiz nel cavo della mano, e sappiate inoltre che tiene nel cavo della sua mano Sharbaraz Lenon dei Lenoni, e attende solo il giudizio del Mobedhan-Mobhed, in merito alle pratiche infami ed empie di detto Sharbaraz riguardanti la religione, prima di porre termine alla sua vita e consegnarlo al Vuoto per l'eternità.» Il Mobedhan-Mobhed, il principale servitore del Dio, aveva un posto nella gerarchia makurana simile a quello del patriarca ecumenico in Videssos.
Maniakes batté le mani. «Ha la capitale e anche il suo nemico, eh?» Il messaggero makurano annuì. Maniakes continuò, «È molto saggio aspettare che il capo del vostro clero lo condanni. Prendere la sua testa non darà l'impressione di un assassinio: soprattutto se avrà quello che merita. «Maestà è così,» disse con rabbia il makurano. «Dare inizio a una guerra così grande e poi perderla, lasciarci senza nulla in cambio di una tale perdita di sangue e denaro... come può un uomo che fallisce così miseramente meritare di vivere?» Di nuovo, nessuno dei Makurani dava a Sharbaraz la colpa di aver iniziato la guerra contro Videssos. Lo incolpavano di averla persa. Se la città di Videssos fosse caduta, nessuno avrebbe sollevato un dito contro la figura vittoriosa e conquistatrice che Sharbaraz sarebbe diventato. Avrebbe governato per il resto dei suoi anni con l'inestinguibile riconoscenza dei suoi sudditi, che probabilmente avrebbero anche concluso che meritava la deificazione per quello che aveva fatto. Probabilmente avrebbe trovato una scusa conveniente per liberarsi di Abivard in modo da non dover dividere con nessuno la riconoscenza. Il successo avrebbe nascosto una moltitudine di peccati; il fallimento faceva svanire le sue virtù. «È finita, dunque,» disse Maniakes con tono meravigliato. Avrebbe ancora dovuto vedere se e come poteva vivere in pace con Abivard. Ma anche se avessero dovuto combattere, non lo avrebbero fatto subito. La guerra che era iniziata quando Sharbaraz aveva usato il rovesciamento di Likinios da parte di Genesios come scusa per invadere e cercare di conquistare Videssos era ormai finita. Il messaggero di Abivard interpretò le tre parole di Maniakes nel senso che lui aveva dato a esse. «Ebbene, Maestà, sì,» disse solennemente, usando a sua volta tre parole. «Presumo che il tuo padrone stia riannodando i fili, adesso,» disse Maniakes, e il messaggero annuì. L'Avtokrator chiese, «Cosa ne è della sorella di Abivard... Denak, si chiamava? Era la moglie di Sharbaraz, eh?» «La sua moglie principale, sì,» rispose il messaggero, facendo una distinzione della quale i monogami non dovevano preoccuparsi. «Cosa pensa dei cambiamenti a Mashiz?» Maniakes scelse le parole con cura, non volendo offendere né il messaggero né Abivard, al quale quello che lui diceva sarebbe stato riferito. Il 'bollito' makurano replicò con pari cautela; «Maestà, dal momento che le è stato promesso che nessun male sarebbe stato fatto ai suoi figli, e dal momento che negli ultimi anni i suoi rapporti con colui che era Re dei Re
non sono stati sempre i migliori, si dice che sia abbastanza compiaciuta di questi cambiamenti.» Maniakes annuì. Abivard, allora, non era intenzionato a uccidere il piccolo nipote. Maniakes lo apprezzò ancora di più. Eppure, si domandò se Denak sarebbe stata felice quando avrebbe compreso che il frutto della sua carne non sarebbe salito al trono. Ma quella era una preoccupazione di Abivard, non sua. Ne aveva già parecchie di sue, e decise di esporne una: «Nessuna traccia di Tzikas a Mashiz?» «Il traditore videssiano?» Il makurano parlò con un istintivo disprezzo che avrebbe ferito Tzikas se fosse stato là a sentirlo. «No, mi è stato detto che era a Mashiz un po' di tempo fa, ma Abivard il nuovo sole di Makuran...», Abivard l'uomo con un nuovo titolo fantasioso, pensò Maniakes con ironia, «...non ha trovato traccia di lui, a dispetto di tutte le ricerche effettuate.» «Che peccato.» Maniakes sospirò. «Non si può fare nulla, suppongo. Per la buona notizia che hai portato - ed è davvero una buonissima notizia - ti darò una libbra d'oro.» «Possano il Dio e i Quattro Profeti benedirvi, Maestà!» esclamò il makurano. Provenendo da una nazione che coniava soprattutto in argento, lui, come la maggior parte dei suoi conterranei, teneva in grande stima l'oro videssiano. Quando Maniakes andò a dire a Rhegorios che Sharbaraz era stato sconfitto, scoprì che suo cugino lo sapeva già. Rimase sbalordito per un momento, ma poi ricordò il soldato videssiano sorridente che aveva condotto il messaggero alla sua presenza. Quel largo sorriso diceva che il videssiano aveva già saputo la notizia... e quello che un videssiano sapeva, altri cento lo avrebbero saputo un'ora dopo, dato l'amore imperituro degli imperiali per i pettegolezzi. Per il tramonto del giorno dopo, tutta la gente di Serrhes avrebbe saputo i dettagli dell'ingresso di Abivard in Mashiz. E alcune persone avrebbero anche saputo i dettagli giusti. «Non importa se non l'ho saputo dalle tue labbra,» disse Rhegorios, conciliante. «Quello che importa è che è vero. Adesso possiamo cominciare a rimettere assieme i pezzi.» «Vero,» disse Maniakes. Con non poca riluttanza, aggiunse, «Non ho ancora sentito nulla di male su Phosia.» «Nemmeno io,» disse Rhegorios. «E non mi aspetto nemmeno di sentire nulla di male su di lei. Quello di cui mi preoccupo è sentire qualcosa di male su Broios che mi faccia desiderare di non averlo nella famiglia anche
se avesse dieci belle figlie.» «Dieci belle figlie!» esclamò Maniakes. «Cosa ci faresti con dieci belle figlie? No, aspetta, non dirmelo... vedo un bagliore nei tuoi occhi. Rammenta, cugino mio, che i Makurani stanno cercando di abbandonare l'usanza dei ginecei. Cosa direbbe tua sorella se scoprisse che hai dato inizio a quell'usanza sul suolo videssiano?» «Qualcosa che preferirei non sentire, ne sono sicuro,» rispose Rhegorios, ridendo. «Ma non devi preoccuparti. Avere una carrettata di mogli può sembrare molto divertente, ma come può un uomo che ha superato i diciott'anni - ventuno al massimo - sperare di renderle tutte t'elici? E se non le rende tutte felici, saranno infelici, e chi renderanno infelice a loro volta? Lui, ecco chi. No, grazie.» La grammatica della argomentazioni era discutibile. La logica, pensò Maniakes, era eccellente. Oziosamente, disse. «Mi domando cosa accadrà a tutte le mogli di Sharbaraz ora che non è più Re dei Re. In effetti, se ricordo bene, Abivard ha un suo gineceo, su nel feudo di Vek Rud, da qualche parte nel lontano nord-ovest di Makuran.» «Sì, ce l'ha,» disse Rhegorios. «Non ha mai parlato delle altre mogli, però. Lui e Roshnani potrebbero benissimo essere sposati alla maniera videssiana.» «Che va benissimo per loro, non ne dubito,» disse Maniakes. «Ma Abivard ha trascorso gran parte del suo tempo dei passati dieci anni qui in Videssos, e nemmeno un poco, per quanto ne so, nel feudo di Vek Rud. Mi domando cosa pensano di lui le altre sue moglie, si, me lo domando.» «Potrebbe essere interessante.» Rhegorios aveva uno sguardo assente negli occhi. «Non è più in Videssos. E non ha nemmeno intenzione di ritornare, se Phos è gentile. Ora che è la nuova guida di Makuran, non pensi che voglia tornare nella regione degli altipiani, per farsi vedere dai dihqan? Non pensi che un giorno tornerà nel suo feudo?» «Non mi dispiacerebbe essere una mosca su un muro per saperlo.» Maniakes si domandò se Bagdasares poteva eseguire una magia del genere. Dopo un momento, comprese che non importava: non avrebbe avuto modo di sapere con esattezza se Abivard sarebbe tornato nel suo feudo. Male, pensò, molto male. Grasso e sudato per il nervosismo come per il caldo, Vetranios si prosternò davanti a Maniakes. «Vi prego di ascoltarmi,» disse all'Avtokrator dopo essersi alzato. «È vero, vostra Maestà, che state cercando di scoprire
che genere di imbroglio sta architettando Broios con sua figlia?» «Sì, è vero,» disse Maniakes, «ed è altrettanto vero che mi abbatterò su di te come una valanga se stai mentendo per danneggiare il tuo rivale. Se sai qualcosa che dovrei sentire, perché non l'ho sentita tre settimane fa?» «Sono tornato a Serrhes soltanto l'altro ieri,» rispose Vetranios con una certa dignità. «Andai ad Amorion per vedere se potevo riscuotere un debito dovutomi da prima che i Makurani occupassero la città.» «Sei stato fortunato?» chiese Maniakes, genuinamente curioso. «Ohimè, no. Il mercante che mi doveva il denaro aveva attraversato lo stretto ponte della separazione durante gli anni dell'occupazione makurana, e adesso sta regolando i suoi conti con Phos o con Skotos.» Vetranios sembrava rattristato, non perché il suo debitore era morto ma perché se n'era andato senza pagarlo. Come per dimostrare ciò, il mercante proseguì, «Non sono nemmeno stato in grado di individuare uno dei suoi eredi. Un maniera molto snervante e scalcagnata di gestire gli affari.» «La guerra ha l'abitudine di rendere più difficili le esistenze,» disse Maniakes. Vetranios annuì: l'ironia dell'Avtokrator lo superò senza sfiorarlo. Pensando che avrebbe dovuto immaginarlo, Maniakes tornò all'argomento in questione: «Molto bene. Non sei stato a Serrhes per un po'. Ecco perché la città mi sembrava più tranquilla del solito. Cosa sai di Broios e Phosia che non ho già saputo?» «Dal momento che non so quello che già sapete, vostra Maestà, come posso dirvelo?» chiese Vetranios. Dati i suoi precedenti, la domanda parve a Maniakes troppo ragionevole per essere uscita dalle sue labbra. Vetranios proseguì, «Posso dirvi, però, che Broios promise Phosia in sposa a Kaykaus, ufficiale in seconda di Tegin, mentre i Makurani occupavano Serrhes.» «Cosa?» Maniakes sgranò gli occhi. «Per il buon dio, signore, farai meglio a darmi una buona risposta su come lo hai saputo quando nessun altro in questa città mi ha mai sussurrato una parola in merito. Se stai mentendo, gli Halogai prenderanno a calci la tua testa nella piazze della città, non il tuo culo.» «Non sto mentendo.» Vetranios si tracciò il cerchio del sole sul cuore. Naturalmente, aveva fatto la stessa cosa durante la sua precedente disputa con Broios. Allora stava mentendo. E anche Broios, che aveva giurato con la stessa determinazione che stava dicendo la verità. «Riguardo a come lo so... Vostra Maestà, anch'io ho una figlia. Si chiama Sisinnia. Kaykaus e io stavamo contrattando un fidanzamento quando tutt'a un tratto lui interrup-
pe le trattative, dicendo che preferiva Phosia... e io dedussi che si riferiva alla sua dote. Per cui la notizia non ha fatto il giro della città.» «Io... capisco,» disse lentamente Maniakes. «Non lasciare di nuovo Serrhes senza chiedere prima il mio consenso, Vetranios. Potrei dover usare la magia per scoprire se stai dicendo la verità.» «Vostra Maestà!» Il mercante assunse un'espressione d'innocenza offesa. «Come potete dubitare di me?» «In un modo o nell'altro, ci riesco,» disse Maniakes: altro colpo che passò sopra la testa di Vetranios. «Lascia perdere. Va' a casa. Restaci. Se avrò bisogno di te, ti convocherò.» Dopo che il mercante ebbe lasciato la residenza del governatore della città, Maniakes mandò a chiamare Rhegorios e gli riferì le novità. «Non è una bella notizia, no?» disse Rhegorios accigliato. «Non il fatto che lui volesse fare quel matrimonio: sarebbe stato abbastanza facile perdonarlo. Ma aver cercato di farlo e poi non dircelo... Padron Broios deve darci qualche spiegazione, temo.» «Sì. E a meno che non abbia una spiegazione maledettamente buona...» Maniakes avanzò rigidamente e appoggiò una mano sulla spalla di Rhegorios. «So che hai un debole per quella ragazza, cugino mio, ma a meno che suo padre non abbia una spiegazione maledettamente buona, non voglio avere alcun vincolo con lui.» «Non sto discutendo con te,» disse Rhegorios. «Vorrei poter discutere, ma non posso.» Rise fra sé e sé. «Se fossi più giovane di quindici anni, sarei sicuro che non potrei vivere senza di lei e che la mia vita sarebbe rovinata per sempre. E probabilmente tirerei fuori la spada e tenterei di farti cambiare idea... oppure fuggirei via con lei. come parecchie volte ho pensato di fare, troverei un sacerdote che ci sposasse e ti lascerei fare quello che riterresti più opportuno. Ma sai cosa, cugino vostra Maestà cognato mio? Se quello che Vetranios dice è vero, non ho alcuna intenzione di avere un vecchio gaglioffo come Broios nella famiglia.» «Non disperare,» disse Maniakes. «Potrebbe esserci una spiegazione perfettamente innocente.» «Già,» disse Rhegorios. «Che possa andare al ghiaccio se riesco a pensarne una, però.» Maniakes gli batté di nuovo la mano sulla spalla. Nemmeno lui riusciva a pensare a una spiegazione innocente. La prosternazione di Broios fu così agile, che il mercante doveva essersi esercitato molto a casa. Gli abiti che indossava erano di una taglio e di una
qualità superiori a quelli cui un normale mercante poteva normalmente aspirare. Maniakes non sapeva dove li avesse presi, ma sembrava pronto per il suo ruolo di suocero del Sevastos dell'Impero di Videssos. «Buona sera, vostra Maestà,» disse ansimando a Maniakes mentre si alzava. «È un piacere essere in vostra compagnia, come sempre.» Maniakes sollevò un sopracciglio. «Come sempre. A quanto ricordo, non eri così lieto di vedermi la seconda volta che ci siamo incontrati.» «Solo un malinteso,» disse con tono tranquillo Broios. Diede l'impressione che fosse stato Maniakes il responsabile del malinteso, e che lui avesse generosamente chiuso gli occhi sull'errore dell'Avtokrator. Con un'inflessione petulante nella voce proseguì. «Avevo sperato, vostra Maestà, che avreste deciso di onorare mia moglie e mia figlia con un invito alla cena di stasera. Dopo tutto...», lanciò a Maniakes un'occhiata civettuola e obliqua, «...dovremo vederci parecchio in futuro.» «Inutile avere fretta, allora, non credi?» replicò Maniakes. Broios guardò Rhegorios per avere un sostegno. Non ricevendone alcuno, disse, «Beh, come piace a voi, naturalmente.» Di nuovo riuscì a dare l'impressione che l'Avtokrator fosse chiaramente in errore, e che lui, con la sua splendida magnanimità, stesse chiudendo un occhio su quella violazione del decoro. Uno dei servi della residenza del governatore della città entrò e annunciò che la cena era pronta. Maniakes si scoprì poco entusiasta di spezzare il pane con Broios, ma sapeva che avrebbe dovuto sopportarlo. «Assaggiate il vino,» insistette il servo. Tutti assaggiarono. Gli occhi di Broios si spalancarono. «Roba potente,» disse, restituendo la sua coppa. «Buona, badate, ma potente. Avete intenzione dì far servire la cena sotto il tavolo stasera, eh, vostra Maestà?» Rise alla propria battuta. «Spero di no,» rispose Maniakes. anche se non gli sarebbe dispiaciuto vedere Broios ubriacarsi al punto da sciogliersi maggiormente la lingua. A tale scopo, aveva ordinato ai cuochi di preparare una casseruola di montone salato e cavoli per provocare una sete maggiore. Broios non si faceva certo pregare per bere vino. Per quanto poteva dire Maniakes, non si faceva pregare in niente, che si trattasse di fare affari o di dire bugie. Ma il mercante, pur riempiendo più volte il suo calice, non dava segni che il vino gli stesse facendo qualcosa che l'acqua non gli avrebbe fatto. «È un peccato, vostra Maestà, che Phosia non possa assaggiare questa
annata,» disse. «Non so dove l'abbiate trovata in città, ma è ottima.» «Sono lieto che ti piaccia,» disse Maniakes, e poi, tanto per introdurre l'argomento, proseguì, «Devi essere orgoglioso di tua figlia.» «Oh, lo sono,» disse Broios con la stessa esagerata sincerità che infondeva in ogni affermazione. «Niente è troppo buono, per la mia piccola, questa è la verità. Non che l'abbia viziata, capite.» aggiunse in fretta. «Niente del genere. Non sarà difficile per sua Altezza il Sevastos andare d'accordo con lei, assolutamente.» Lanciò un'occhiata a Rhegorios. «Non avete detto molto stasera, vostra Altezza.» Rhegorios continuò a non dire molto. Broios parve perplesso, ma poi si strinse nelle spalle e tornò alla sua cena. «Niente è troppo buono per Phosia, dici?» chiese Maniakes, come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Il cenno enfatico della testa di Broios disse che lui non aveva dubbi in merito. Meditabondo, Maniakes proseguì, «Nemmeno il Sevastos dell'Impero di Videssos?» «Vostra Maestà è stata generosa e graziosa abbastanza da farmi ritenere che questa unione non sarebbe impossibile,» disse Broios. Dal momento che era vero, Maniakes fece un cenno pensoso col capo. E, pensoso, chiese, «Niente è troppo buono per Phosia, eh? Nemmeno il...», colse dall'aria la parola perfetta, «...magnifolente Kaykaus, ufficiale in seconda della guarnigione makurana di stanza qui?» Broios lo fissò. Quando il mercante parlò, sembrava ci fosse biasimo nella sua voce: «Ah, vostra Maestà, dove avete potuto sentire una cosa simile?» «Non importa dove l'ho sentita,» rispose Maniakes. «Non è questo il punto. Il punto, messere, è perché non l'ho sentita da te qualche settimana fa, quando ti ho chiesto se c'erano ostacoli o motivi di disagio fra tua figlia e la mia famiglia. Non diresti che un fidanzamento con un ufficiale makurano sia un motivo di disagio?» «Se lo avesse sposato, vostra Maestà, sarebbe stato un motivo di disagio,» disse Broios. Qualunque cosa sapesse di motivi di disagio, chiaramente lo sapeva di seconda mano, poiché lui ne era del tutto immune. Maniakes disse, «Averla promessa a questo ufficiale può non significare molto, hai ragione in questo.» Broios parve sollevato. Ma poi l'Avtokrator proseguì, «Non dirmi del fidanzamento, però, è tutt'altra cosa. Ti avevo chiesto se c'erano problemi. Tu dicesti di no. Era una menzogna. Non credo che vogliamo bugiardi nella nostra famiglia.» «Vostra Maestà!» gridò Broios. Si voltò verso Rhegorios. «Vostra Al-
tezza!» Rhegorios scosse la testa. «No. Tu hai una figlia incantevole, Broios, e penso anche che sia una dolce fanciulla. Se stessi sposando solo lei, sarei più che felice. Ma non ci si sposa solo con una fanciulla: ci si sposa con la sua intera famiglia.» Maniakes dovette controllarsi per non battere le mani per la gioia. Suo cugino lo aveva ascoltato, dopo tutto! Rhegorios continuò, «Mentre sarei lietissimo di avere Phosia come moglie, preferirei avere un serpente nello stivale piuttosto che te come suocero.» Forse il forte vino che Broios aveva bevuto gli aveva sciolto la lingua, dopo tutto. Gridò, «Tu sei il cugino dell'Avtokrator, per cui pensi di poterti prendere ogni ragazza che vuoi e che lei sarà felice di averti. Se non fossi suo cugino, non ci sarebbe una sola donna nell'Impero che ti guarderebbe due volte.» «Sì, io sono il cugino dell'Avtokrator,» convenne Rhegorios, «e hai ragione, le regole sono diverse per me proprio per questo. Se non fossi il cugino dell'Avtokrator, potrei anche rassegnarmi a gente come te pur di avere Phosia. Ma posso anche scegliere, e così farò.» Si alzò e guardò giù dal suo naso Broios. «Ma ti dico questo, signore: quando ero in esilio sull'isola di Kalavria, non ho mai avuto difficoltà a trovare donne che mi guardassero due volte... e nemmeno a convincerle a fare molto di più, quando ne avevano voglia. E l'ho fatto.» Maniakes sapeva che era vero. Una delle ragioni per cui Rhegorios non era sposato era precisamente il fatto che riusciva ad ottenere quello che voleva senza impegnarsi in promesse. «Sei congedato, Broios,» disse l'Avtokrator, con non poca tristezza. «Avremmo dovuto tenere d'occhio più te che i Makurani, e questo è tutto. Se vorrai, una volta che le cose si saranno appianate a Mashiz, avrai il mio permesso di scrivere a Kaykaus e di vedere se potrai riproporgli quella unione.» «Bah!» Fermandosi solo per svuotare la sua coppa un'ultima volta e per gettarsi in bocca un paio di albicocche candite, Broios si precipitò fuori dalla sala da pranzo. La residenza del governatore della città fu scossa come da un piccolo terremoto quando lui sbatté la porta dietro di sé. «Mi dispiace, cugino mio,» disse Maniakes. «Anche a me,» rispose Rhegorios. «Mi ci vorrà un po' di tempo per trovare una che mi piaccia come Phosia. Ma Broios...» Scosse la testa di nuovo. «No, grazie.» Improvvisamente parve pensoso. «Mi domandò com'è la figlia di Vetranios.» Vendendo l'espressione di Maniakes, scoppiò a ridere. «Non dicevo sul serio, cugino mio. Se Broios è un serpente nel mio stivale.
Vetranios è uno scorpione. Meglio stare alla larga da entrambi.» «Ora sì che parli sensatamente.» Maniakes si tracciò il segno del sole sul cuore per sottolineare quanto sensato fosse il parlare di Rhesorios. Poi adocchiò una brocca di vino. «È davvero una buona annata. Ora che l'abbiamo cominciata, possiamo anche finirla. Dopo tutto, stai annegando il tuo dolore, no?» «Io?» disse Rhegorios. «Beh, sì, suppongo di sì. E per quando arriveremo in fondo, mi aspetto che sarà così annegato che avrò dimenticato qual era. Diamo inizio?» Broios non sì vide in pubblico per diversi giorni. La volta successiva che fu visto, esibiva un occhio nero e una straordinaria collezione di ammaccature su tutta la persona. Quando Maniakes seppe la notizia, fece notare a Lysia, «Direi che sua moglie non è stata molto contenta di vedere fallito il matrimonio... o pensi che sia stata Phosia a causargli quelle contusioni?» «Scommetterei su Zosime,» disse Lysia. «Sa di aver perduto, e sa anche a chi dare la colpa della sconfitta.» A giudicare dal suo tono, avrebbe fatto la stessa cosa a Broios se fosse stata sposata con lui invece che con Maniakes. L'Avtokrator sospettò che quella non fosse nemmeno l'ultima bastonatura che il mercante avrebbe rimediato. I Videssiani annusavano l'atmosfera inebriante del potere quasi con la stessa prontezza con la quale respiravano l'aria normale. Lasciarsi sfuggire l'opportunità di un'unione con la casata imperiale... no, Broios non avrebbe vissuto momenti facili. Maniakes continuava ad aspettare notizie dall'ovest. Si domandò di nuovo se, per caso, uno o più messaggeri di Abivard fossero scomparsi: poteva darsi che la guarnigione di Tegin proveniente da Serrhes e diretta in Makuran avesse teso un agguato ai cavalieri. Se era così, Tegin avrebbe dovuto sapere che il Re dei Re, la cui causa sposava ancora, era caduto, e che avrebbe fatto molto meglio a stare in pace col nuovo sovrano della sua terra. Tegin, almeno, lo avrebbe saputo. Maniakes, non sapendolo, continuava a fantasticare su nuove possibilità nella sua mente, ognuna meno piacevole della precedente. Forse Sharbaraz era riuscito a racimolare un esercito, e la guerra civile infuriava nella Terra delle Mille Città. Ciò avrebbe anche spiegato per quale ragione nessun messaggero era arrivato a Serrhes da un po' di tempo. O forse Abivard aveva ottenuto un trionfo così completo e così facile da essersi pentito della sua tregua con i Videssiani. Forse aveva smesso di
mandare messaggeri perché stava radunando le armate di Makuran con l'intenzione di riprendere la guerra contro l'Impero. «Non credo che lo farebbe.» disse Rhegorios quando Maniakes espresse a voce alta quella tremenda ipotesi. Il Sevastos guardò a ovest, poi proseguì pensieroso, «Non credo che potrebbe farlo, non in questa stagione. Siamo troppo vicini alle piogge autunnali. Il suo attacco si fermerebbe nel fango prima ancora di cominciare.» «Continuo a ripetermi la stessa cosa.» Il sogghigno di Maniakes non era per niente divertito. «Continuo anche ad avere difficoltà a crederci.» «È per questo che sei l'Avtokrator,» disse Rhegorios. «Se tu credessi che tutti i vicini di Videssos sono brava gente pronta a favorirci, non saresti adatto alla carica.» «Se io credessi che tutti i vicini di Videssos sono brava gente pronta a favorirci, sarei matto da legare,» esclamò Maniakes. «Beh, sì, anche,» disse Rhegorios. «Naturalmente, se tu credessi che tutti i nostri vicini sono sempre pronti ad attaccarci, come talvolta deve sembrarti dal momento che siedi sul trono, è probabile che anche così saresti matto da legare, no?» «Immagino di sì,» convenne l'Avtokrator. «E sì, parecchie volte ho davvero questa impressione. E qual è la conclusione, allora? Se credere a qualcosa di ovviamente falso vuol dire che sei matto da legare, e se credere a una verità ugualmente ovvia può farti diventare matto da legare, cosa significa allora stare seduto su un trono?» «Significa che devi essere matto da legare se vuoi stare seduto su un trono, ecco cosa significa.» Rhegorios studiò Maniakes. «A giudicare dall'esemplare a portata di mano, direi che la conclusione è corretta. Cugino mio, voglio che tu viva per sempre, o almeno finché tutti i tuoi figli avranno la barba. Non voglio questo dannato titolo. Essere Sevastos è già abbastanza brutto, con sanguisughe come Broios che cercano di attaccarsi a me.» «Bene,» disse Maniakes. «Io...» Prima che potesse continuare, entrò una delle guardie haloga. «Sì? Cosa c'è, Askbrand?» «Vostra Maestà, un 'bollito' aspetta nella piazza,» rispose il biondo nordico. «Vorrebbe parlare con voi.» «Vengo.» disse allegro Maniakes. «Era ora di avere notizie da Abivard. Phos voglia che siano buone.» «Anche il solo riceverle da lui è una buona notizia,» disse Rhegorios. «Ora puoi smettere di fare fosche ipotesi su quello che sta accadendo.» «Non essere sciocco,» disse Maniakes. «Io sono l'Avtokrator. ricordi? È
mio compito fare fosche ipotesi.» «Una ragione in più per non volere quel titolo, come ho detto prima,» replicò Rhegorios. Maniakes uscì dalla residenza del governatore della città e avanzò nella piazza centrale di Serrhes. Dopo la penombra dell'interno, ammiccò diverse volte per l'intensa luce del sole. Il messaggero s'inchinò sulla sella quando vide l'Avtokrator: le maglie del velo di ferro tintinnarono lievemente. «Maestà,» disse in makurano. «Quali notizie rechi?» chiese Maniakes. Il messaggero si avvicinò. «Maestà, le notizie sono buone,» disse. «Abivard mi ha ordinato di dirvi che ha finalmente deciso il destino di Sarbaraz Lenon dei Lenoni. Sarbaraz sarà...» Maniakes aveva ascoltato attentamente le notizie, così attentamente da non accorgersi subito che il cavaliere aveva pronunciato male il nome dello sconfitto Re dei Re. Quando, però, l'uomo fece per due volte lo stesso errore in due frasi, sbottò, «Tu sei un videssiano, non è vero?» Il messaggero era ormai arrivato molto vicino a lui, quasi accanto. Con una terribile imprecazione, l'uomo sguainò la spada e tirò un colpo a Maniakes. Ma l'Avtokrator, messo in guardia dal suo orrendo sospetto, era già balzato via. La punta della lama gli strappò la tunica, ma non lacerò la carne. Ancora imprecando, il messaggero si lanciò in un altro fendente. Anche questo arrivò corto. Il 'bollito' fece girare il cavallo e cercò di fuggire. L'ascia di Askbrand si abbatté sulla testa del cavallo. L'animale portava l'armatura di maglia con la quale i Makurani li rivestivano. Contro le frecce, l'armatura era meravigliosa. Contro un colpo come quello, avrebbe potuto anche non esserci. Il cavallo si accasciò sui ciottoli. Le guardie sciamarono intorno al cavaliere. «Non uccidetelo!» gridò Maniakes. «Vogliamo delle risposte da lui.» «Le vogliamo,» disse cupo Rhegorios. «Se Abivard sta mandando degli assassini invece che dei messaggeri, abbiamo una nuova guerra alle porte.» «Non credo che sia così,» disse Maniakes. «Non hai sentito come parlava costui?» «Non ci ho fatto caso.» rispose suo cugino. «Tu parli makurano meglio di me. Stavo solo cercando di capirlo.» Le guardie avevano tolto la spada al mancato assassino. Rudemente, una di loro gli strappò l'elmo. Maniakes conosceva bene il volto furioso, astuto e stretto che lo fissò. «Per un pelo. Tzikas,» disse, «per un pelo. Saresti an-
che potuto riuscire ad ammazzarmi e a fuggire... se non avessi fatto anch'io lo stesso errore che hai fatto tu parlando in makurano.» «Per un pelo.» La bocca dell'ufficiale rinnegato fece una smorfia amara. «La storia della mia vita. Per un pelo. Per un pelo conservai Amorion. Per un pelo non ti uccisi, la prima volta, come avrei dovuto. Una volta passato dall'altra parte, per un pelo non conquistai la posizione di Abivard. E per un pelo non ti ho ucciso adesso.» «È vero,» disse Maniakes. «Lo ammetto... perché no? Se pensi di poter portare con te questa consolazione quando cadrai nel ghiaccio di Skotos, direi che ti sbagli. Il dio nero priva le anime che cattura di qualsiasi consolazione.» Sputò sui ciottoli in spregio dell'eterno nemico di Phos, e rabbrividì un po' pensando che avrebbe anche potuto essere il suo sangue a fluire fra i ciottoli invece del suo sputo. «Preferisco credere che cadrò nel Vuoto e sarò... nulla... per l'eternità.» Tzikas aveva ancora la capacità di sorridere. «Ho adorato il Dio dei Makurani con lo stesso ardore con cui ho pregato Phos.» «Ci credo.» Maniakes sollevò una mano, col palmo rivolto in fuori, poi l'altra. «Nulla qui... e nulla nemmeno qui. Non è il quasi la storia della tua vita, Tzikas, è il nulla. Sei sempre stato capace di apparire come volevi, perché era tutta sembianza e niente realtà: non c'è niente in fondo alla tua anima che possa renderti una vera persona.» «Oh, non lo so,» intervenne Rhegorios. «È sempre stato un vero bastardo, se a qualcuno interessa quella che penso.» «Fate pure i vostri scherzi. Prendetevi l'ultima parola,» disse Tzikas. «Voi potete. Siete l'Avtokrator e il Sevastos. Avete vinto. Sei anche riuscito ad accoppiarti con tua cugina, Maniakes. Non ne sei orgoglioso? La mia maledizione morente sia su di te.» «In effetti, sono orgoglioso,» disse Maniakes. «Ho fatto quello che ho fatto, e non ho mai cercato di nasconderlo, che è più di quanto tu possa dire se vivessi per altri mille anni... cosa che non accadrà.» Alzò la voce: «Askbrand!» L'ascia dell'haloga salì e ricadde. Il sangue sgorgò dallo squarcio che quasi spaccava in due la testa di Tzikas. Quasi, pensò Maniakes. I piedi del rinnegato tamburellarono per un po', poi si fermarono. Rhegorios si tracciò il cerchio del sole. «Non temere la sua maledizione, cugino mio,» disse. «Tu avevi il diritto, e quella maledizione non coglierà, perché dietro non ha nulla.» «Nulla.» Il sangue fluiva sulla barba grigia di Tzikas. Maniakes scosse
la testa. «L'ho temuto da vivo... l'ho temuto più di chiunque altro, perché non sapevo mai cosa avrebbe fatto. Era mercurio fattosi carne: splendente, luccicante, capace di rotolare da qualunque parte e velenoso. E adesso che lui non c'è più e io sono ancora qui, sono maledettamente lieto di come sono andate le cose.» «Adesso potrai attraversare una porta senza controllare prima che non ci sia nascosto nessuno dietro,» disse Rhegorios. «Adesso posso fare tutto,» disse Maniakes. «Lo avrei fatto comunque, credo, ma più cautamente, sempre guardando sopra la mia spalla. Adesso posso vivere la mia vita da uomo libero.» O meglio, da uomo libero dalle convenzioni e dal pericolo come può esserlo un Avtokrator, che non è molto. La prima cosa che fece per celebrare la sua nuova libertà fu ordinare che la testa di Tzikas, già brutta di per sé da indossare, fosse staccata dal corpo e infilata su una picca a conforto del popolo di Serrhes. Almeno non dovette staccarla lui stesso, come aveva fatto con Genesios quando il malvagio predecessore era stato catturato. Askbrand e la sua ascia s'incaricarono della faccenda con un paio di colpi. Tzikas non si muoveva né combatteva più, il che rese le cose più semplici, o almeno più pulite. Quello che Maniakes fece dopo fu regalare ad Askbrand una libbra d'oro. L'haloga tentò dì declinare, dicendo, «Mi pagate già perché vi protegga. Non c'è bisogno che mi diate di più perché vi ho protetto.» «Consideralo un premio per aver fatto un ottimo lavoro,» disse Maniakes. Le guardie assieme ad Askbrand, che erano in quel momento videssiane, annuirono con forza, sussurrarono nelle orecchie del nordico e parvero sul punto di appiccare il fuoco alle sue scarpe. Nessun imperiale sano di mente - e maledettamente pochi di quelli malati - rifiutava il denaro senza una buona ragione, e i Videssiani temevano che, se fosse stato rifiutato un premio, non ne sarebbero arrivati altri. Alla fine, sia pur con riluttanza, Askbrand accettò di essere ricompensato. Attirata dal clamore nella piazza, Lysia uscì in quel momento. Ascoltò i resoconti eccitati, lanciò un lungo sguardo alle spoglie mortali e ancora sanguinanti di Tzikas e disse, «Bene. Era ora,» e tornò nella residenza del governatore della città. A volte, pensò Maniakes, sua moglie era così insensibile da risultare snervante. Un momento dopo, mandò una delle guardie nella residenza, non a cercare Lysia ma un segretario. L'uomo col quale la guardia uscì non resse la visione di un cadavere decapitato, di una testa impalata e di una grande pozza di sangue sui ciottoli. Deglutì, divenne pallido come il ventre di un
pesce e svenne. Divertite, le guardie gli versarono addosso un secchio d'acqua. Questo lo fece tornare in sé. ma rovinò il foglio di pergamena sul quale avrebbe dovuto scrivere. Quando sia lo scriba che i suoi strumenti furono pronti, Maniakes dettò una lettera: «Dall'Avtokrator Maniakes ad Abivard Re dei Re, suo fratello: Salve. Sono lieto di dirti che...» «Chiedo scusa, vostra Maestà, ma 'Re dei Re' è l'appellativo corretto di Abivard?» chiese il segretario. Maniakes celò un sorriso. Se l'uomo poteva preoccuparsi di queste minuzie, si era ripreso davvero. «Non lo so. Lo sarà,» disse l'Avtokrator, più per vedere lo scriba trasalire che per altro. «Procediamo: Salve. Sono lieto di dirti che Tzikas non turberà più i nostri sonni. Ha cercato di uccidermi facendosi passare per uno dei tuoi messaggeri, e ha subito la sorte che subiscono comunemente gli assassini mancati. Se vuoi, ti manderò la sua testa, così potrai constatare di persona. Ti assicuro che senza sta molto meglio.» Alzò una mano per mostrare che aveva finito di dettare. «Fammi avere una bella copia di questa per la firma prima del tramonto. Questa è una notizia che Abivard sarà lieto di ricevere.» «Farò come voi chiedete, vostra Maestà,» disse lo scriba, e tornò dentro - dov'è il suo posto, pensò Maniakes - in tutta fretta. «Per il buon dio,» disse l'Avtokrator, lanciando un'altra lunga occhiata ai resti di Tzikas, «ecco un altro passo avanti per farmi credere che la guerra è veramente finita, che le terre occidentali sono di nuovo nostre e che è probabile che lo restino.» «Se è questo che pensi, perché non torniamo nella città di Videssos?» disse Rhegorios. «Le piogge autunnali non tarderanno ad arrivare, sai, e preferirei tanto non dover arrancare nella melma.» «Anch'io,» disse Maniakes. «E anche Lysia, non c'è dubbio.» Non voleva che partorisse per strada. E sapeva che nemmeno lei voleva partorire per strada. Avendolo già fatto in precedenza, non le andava di ripeterlo. «E inoltre,» proseguì Rhegorios, «ormai il popolo della città di Videssos non vede l'ora che tu ritorni per poterti portare in trionfo. Phos!» Il Sevastos si tracciò il cerchio del sole. «Se non ti portano in trionfo adesso, non saprei quando mai potrebbero farlo!» «Se non portano in trionfo l'Avtokrator adesso...» cominciò Askbrand. Non terminò la frase, non con le parole. Fece roteare, invece, l'ascia che aveva usato per tagliare la testa di Tzikas. L'allusione era inequivocabile. «Ci crederò quando lo vedrò.» La risata di Maniakes fu meno amara di
quanto si fosse aspettato. «Se pure si limitassero a non coprirmi d'insulti quando passo per strada, mi accontenterei.» «Potresti rimanere sorpreso,» disse suo cugino. «Stavano già cominciando a riconoscerti il dovuto prima che venissi nelle terre occidentali.» «Potresti rimanere sorpreso tu,» ribatté Maniakes. «Erano soltanto lieti che in città ci fossi io invece di Etzilios e Abivard. Se un pastore salva una bella fanciulla caduta in un pozzo, lei potrebbe portarselo a letto per riconoscenza una volta, ma non significa che se lo sposerebbe. E la gente della città è più volubile di qualsiasi bella fanciulla mai nata.» «Il che dimostra semplicemente che tu non conosci le belle fanciulle come pensi,» disse Rhegorios. «Sono sicuro che tu puoi insegnarmi parecchie cose, O vecchio saggio,» disse Maniakes. «Sono sicuro che ci sono molte cose che puoi insegnare alle capre più stupide, se è per questo.» Rhegorios gli fece una smorfia. Lui lo ignorò, continuando, «Ma una cosa che non puoi insegnarmi, per il buon dio, è la gente della città di Videssos.» «Vedremo,» fu tutto quello che disse suo cugino. «Se mi sbaglio, chiederò in prestito l'ascia di Askbrand.» «Oh!» disse la guardia. «Se quella stupida gente non darà all'Avtokrator il dovuto, forse lui darà agli Halogai l'ordine di attaccare. Se lo ricorderebbero a lungo, ci scommetto.» Fece di nuovo roteare l'ascia. I suoi occhi pallidi e acuti s'illuminarono, forse pregustando l'evento. «Non credo,» disse in fretta Maniakes. «Ci sono dei modi per farsi ricordare, sì, ma questo non mi piacerebbe. Andremo a casa e vedremo cos'accadrà, questo è tutto. Comunque vada, sopravviverò.» CAPITOLO TREDICESIMO Pioveva sul corteo di Maniakes. Aveva piovuto il giorno prima, e il giorno prima ancora. Era probabile che continuasse a piovere per tutta la settimana. Non se ne curava. Era tornato nella città di Videssos prima che cominciassero le piogge autunnali, il che significava che il viaggio era stato agevole. Aveva voluto il corteo più perché pensava che la gente se lo aspettasse che perché avesse qualcosa di spettacolare da mostrare. Il solo svantaggio di aver riconquistato pacificamente le terre occidentali era l'assenza di macchine d'assedio catturate, di prigionieri avviliti in catene e della maggior parte degli altri elementi che rendevano teatrale un corteo e quindi de-
gno di essere guardato. Senza prigionieri e bottino, Maniakes fece sfilare i suoi soldati. Senza quei soldati, non sarebbe mai stato in grado di portare la guerra a Makuran o di difendere la città di Videssos da Makurani e Kubratoi. Meritavano l'elogio per le vittorie ottenute, vittorie che sarebbero state riportate dalle cronache. Aveva pensato che la pioggia e la natura relativamente prosaica del corteo - che si era preso la briga di annunciare in anticipo - avrebbero tenuto lontana la folla. Non se ne curava. Se fossero usciti fuori soltanto gli entusiasti di parate militari, aveva ragionato, pochi di quelli lungo la Strada Centrale avrebbero fatto parte della specie che si divertiva a fischiare lui e a gridare oscenità a Lysia. Vedendo quanti uomini e donne si affollavano nella via principale della città, però, si voltò verso Rhegorios e osservò, «È uscita più gente di quanto mi aspettassi. Devono essere i colonnati: avevo dimenticato che offrono riparo alla gente quando piove.» Rhegorios non rispose subito. Come Maniakes, era impegnato a salutare la gente mentre avanzava. Diversamente da Maniakes, molti dei suoi saluti sembravano diretti alle belle ragazze nella folla: non aveva permesso che la delusione patita per Phosia lo scoraggiasse a lungo. Finalmente, disse, «Cugino mio, potresti anche abituartici: hanno deciso che. dopo tutto, gli piaci.» «Cosa? Sciocchezze!» esclamò Maniakes. Si era talmente abituato a essere oggetto di derisione nella città di Videssos che qualsiasi altro ruolo gli sembrava innaturale. «Va bene, non darmi ascolto,» disse equanime Rhegorios. «Tu sei l'Avtokrator: non devi fare niente che tu non voglia fare. Ma se non presti attenzione a ciò che accade intorno a te, sei in una pietosa condizione, non credi?» Punto sul vivo, Maniakes ascoltò con maggiore attenzione. Poche grida di «Incesto!» ed «Eretico vaspurakano!» - malgrado la sua ortodossia vennero dalla folla. Cercava sempre di individuare grida del genere. E poiché cercava di individuarle, le udiva sempre. Ora, però, assieme a esse e, con suo stupore, quasi sommergendole, ne vennero altre: «Maniakes!» «Hurrah per colui che ha riconquistato le terre occidentali!» «Maniakes, conquistatore di Kubrat e Makuran!» «Tu trionfi, Maniakes!» Non aveva più udito quest'ultima da quando era
stato proclamato Avtokrator. La frase era stata gridata come pia speranza, durante la proclamazione. Adesso se l'era guadagnata. «Forse li ho davvero convinti,» disse, a se stesso come a Rhegorios. Aveva sperato che la vittoria provocasse proprio quello... sperato e sperato e sperato. Fino all'ultima campagna di guerra non aveva ottenuto abbastanza vittorie da poter mettere alla prova la teoria. «Sei un eroe,» disse con un sogghigno Rhegorios. «Abituati.» II sogghigno divenne più ampio. «E anch'io. Mi piace.» «Ci sono destini peggiori,» ammise Maniakes. «E siamo stati sul punto di scoprirlo parecchie volte in questi ultimi mesi.» «Non è vero?» disse Rhegorios. «Ma alla fine è andata bene. Accidenti, le compagnie di mimi potrebbero anche lasciarti in pace il prossimo Giorno di Mezzo Inverno.» Maniakes ci pensò su. Non ebbe bisogno di pensarci molto. «Non ci credo nemmeno per un minuto,» disse. «Le compagnie di mimi non hanno mai lasciato in pace nessuno: sono fatte per questo. E se tu sei l'Avtokrator. devi sederti sulla spina dell'anfiteatro e fingere di divertirti. Nel Giorno di Mezzo Inverno, è questo che deve fare un Avtokrator.» Dopo un momento, aggiunse con voce pensosa e quasi speranzosa, «Forse, però, quest'anno non morderanno troppo a fondo.» Ma non credette nemmeno a quello, non molto. Al Giorno di Mezzo Inverno mancavano ancora un paio di mesi. Per allora, la rinnovata familiarità avrebbe sicuramente smussato il rispetto che la gente della città adesso sentiva per lui. Rhegorios disse, «Goditela finché dura, comunque.» Per come parlò, nemmeno lui pensava che sarebbe durata per sempre. Nella folla, un uomo sollevò un bambino piccolo su una mano, lo indicò con l'altra e gridò, «Maniakes!»: aveva dato al bambino il nome dell'Avtokrator. «Portalo a casa e tienilo lontano dalla pioggia, prima che gli venga un malanno,» gridò Maniakes. Diverse donne nelle vicinanze - inclusa, stando all'apparenza, la madre del bimbo Maniakes - espressero forte e soddisfatta approvazione per la sua premura. Il patriarca Agathios, che montava un mulo accanto a Maniakes e a Rhegorios, disse, «Oggi, tutti vi onorano, vostra Maestà.» «Sì. Oggi,» disse Maniakes. Ma essere onorato era meglio che essere disprezzato: non poteva negarlo. Avendo sperimentato entrambe le cose, poteva confrontarle.
Ed era ancora disprezzato, qua e là. Dai margini della folla, un sacerdote gridò, «Il ghiaccio di Skotos ti aspetta ancora per la tua lascivia e per quella tua parodia di matrimonio.» Maniakes si voltò a guardare Agathios. «Sai, santissimo signore,» disse con tono pensieroso, «che abbiamo un gran bisogno di sacerdoti che predichino contro l'eresia vaspurakana nelle città e nei villaggi delle terre occidentali? Un uomo di appassionata fede come quello è davvero sprecato nella città di Videssos, non credi? Farebbe molto meglio in un posto come, oh, Patrodoton, per esempio.» Agathios non era un politico fine, ma sapeva quello che aveva in mente Maniakes nel fare un suggerimento del genere. «Farò tutto il possibile per scoprire chi è, uh, quello spirito intrepido, vostra Maestà, e per trasferirlo in una zona dove, come giustamente avete osservato, il suo zelo possa essere di grande utilità.» «Parlando di grande utilità, le terre occidentali giungono a proposito,» mormorò Rhegorios a suo cugino. «Ora che le abbiamo riavute, abbiamo un mucchio di nuovi posti dove poter scaricare le tuniche azzurre che ci danno ai nervi.» «Se pensi che questa sia una battuta, cugino mio. ti sbagli,» disse Maniakes. «Se i sacerdoti non vogliono avere a che fare con un peccatore come me in questa città peccatrice, possono - e vorranno - andarsene in qualche luogo tranquillo e lontano e vedranno come gli piacerà.» Un vago scintillio sanguinario - o forse era solo la pioggia - apparve negli occhi di Rhegorios. «Dovresti mandare quelli veramente zelanti a Kubrat. per vedere se riescono a convertire Etzilios e il resto dei nomadi. Se ci riusciranno, bene. Sennò, il signore dalla mente grande e buona avrà nuovi martiri, e tu ti libererai di qualche vecchia seccatura.» Era stata sua intenzione farsi sentire solo da Maniakes. Ma aveva parlato con voce un po' troppo forte, per cui essa raggiunse anche le orecchie del patriarca Agathios. Con tono di biasimo, il patriarca ecumenico disse, «Vostra Altezza, non scherzate con i martiri. Pensate alla storia del santo Kveldoulphios l'haloga, che sacrificò la sua vita nella speranza che la sua eroica e gloriosa fine avrebbe spinto il suo popolo all'adorazione del buon dio.» «Imploro il tuo perdono, santissimo signore,» disse Rhegorios. Come qualunque altro videssiano, era sostanzialmente una persona devota. Come qualunque altro videssiano che occupasse una posizione elevata nel governo, pensava anche che la fede fosse strumento della politica, ed era convin-
to di entrambe le cose senza sentirsi confuso né lacerato. Maniakes si voltò e disse ad Agathios, «Ma gli Halogai seguono i loro dèi oggi, e il santo Kveldoulphios è vissuto... quando?... diverse centinaia di anni fa. Molto prima che le guerre civili ci mandassero in pezzi.» «Vostra Maestà ha, naturalmente, ragione.» Il patriarca emise un sospiro dolente. Maniakes si. domandò se avesse anche versato una lacrima o due. Sotto la pioggia, non poteva dirlo. Agathios proseguì, «Ma andò gloriosamente e spontaneamente al martirio, invece di esservi spinto dalle macchinazioni altrui.» «Molto bene, santissimo signore. Ho compreso il punto,» disse Maniakes. Anche i patriarchi erano, alla loro maniera, funzionari del governo. Ognuno di loro, però, aveva un punto oltre il quale i doveri verso Phos avevano la precedenza sui doveri verso l'Avtokrator. Maniakes comprese che quel parlare sulla deliberata creazione di martiri aveva spinto Agathios in prossimità di quel punto. «Tu trionfi. Maniakes!» «Maniakes, salvatore della città!» «Maniakes. salvatore dell'Impero!» Quelle urla, e altre come quelle, continuavano a venire dalla folla. Non sommergevano del tutto le altre. quelle che erano state rivolte a Maniakes dal giorno in cui aveva sposato sua cugina, ma erano in numero senz'altro maggiore. Se non si era guadagnato un grande amore, l'Avtokrator si era però meritato un grande rispetto. Percorrendo avanti e indietro il pavimento, Maniakes disse, «Odio tutto questo.» Nella Stanza Rossa, la levatrice Zoïle stava con Lysia, e la consuetudine che lo incatenava gli impediva di essere là con loro. Avendo perso la sua prima moglie per parto, conosceva anche troppo bene i pericoli che Lysia stava affrontando. Suo padre gli mise una mano sulla spalla. «È dura per noi uomini in momenti come questi,» disse il vecchio Maniakes. «Solo, non farti mai sentire da tua moglie quando lo dici, altrimenti sarai tu a non sentire la fine della frase. C'è una bella differenza fra osservare una battaglia e parteciparvi, suppongo.» «Probabilmente è vero,» disse Maniakes. «Quante persone qui stavano osservando dalla diga marittima la nostra flotta che batteva i Kubratoi? Potevano bere vino e indicare questo e quello e dire com'era eccitante, ma non correvano alcun pericolo.» Fece una pausa. «Naturalmente, lo avrebbero corso se noi avessimo perso la battaglia navale invece di vincerla.»
«Nessuno perderà battaglie, per il buon dio,» disse Symvatios. «Lysia sta per darti un altro marmocchio che si metterà a ululare qua dentro impedendoci di avere una notte di sonno decente.» «Ah!» Il vecchio Maniakes sollevò un sopracciglio verso il fratello. «Molto probabilmente, tu stai desiderando un'altra notte di sonno indecente.» Symvatios brontolò qualcosa fingendosi sdegnato. Maniakes, dimenticando per un momento le sue preoccupazioni, sogghignò a suo padre e a suo zio. Si beccavano in quel modo da quando erano ragazzi, e si divertivano pure. Ma fra loro due, la gelosia che si era creata era reale. Come cogliendo il pensiero nella mente di suo figlio, il vecchio Maniakes disse, «Tuo nipote, il piccolo che ha preso il nostro nome, sembra un simpatico ragazzo.» «Spero di sì, per il suo bene,» disse Maniakes. «Zenonis e suo figlio sono arrivati qui parecchio prima di me, per cui hai li visti più di me. E non mi cercano nemmeno.» Gli angoli della sua bocca si curvarono verso il basso. «Tu sei suo suocero, ma nella sua mente - e suppongo anche nella mente del ragazzo - io sono colui che ha mandato suo marito in esilio al di là del mare.» «Non si può evitare, figlio.» disse gravemente il vecchio Maniakes. «Dopo che lui ti ha fatto quello che indubbiamente ti ha fatto, non credo che tu avessi altra scelta. Non te ne ho mai fatto una colpa... lo sai.» I suoi lineamenti marcati divennero un po' più marcati. Aveva tre figli. Uno, il primogenito, era una grande soddisfazione. Ma uno era un traditore confesso, e un altro era disperso da lungo tempo e sicuramente morto. Un grande peso doloroso doveva gravare su di lui, anche se vi accennava raramente. Symvatios disse, «Talvolta non si può evitare che le cose accadano, in alcun modo. Bisogna fare il meglio che si può e andare avanti.» Una delle cose che erano accadute, naturalmente, era che Lysia e Maniakes si erano innamorati l'uno dell'altra. Symvatios aveva accettato Maniakes come genero oltre che come nipote, e il vecchio Maniakes si era rassegnato ad avere Lysia come nuora. Il matrimonio era stato una delle cose - sebbene la gelosia nei confronti di Rhegorios avesse giocato un ruolo maggiore - che avevano spinto Parsmanios lontano dal resto della famiglia e verso il complotto di Tzikas. Né il padre di Maniakes né suo zio lo avevano mai incolpato per quello, non a voce alta. Lui gliene era grato. Con un sospiro, disse, «Siamo sempre stati una famiglia molto unita.
Adesso siamo più uniti che mai.» E questo era merito suo, suo e di Lysia. Ma, per quanto lo riguardava, non valeva la pena vivere senza di lei. Entrò Kameas. «Vino, vostra Maestà, vostre Altezze?» disse. «Sì, vino,» disse Maniakes. Il vino non avrebbe scacciato la preoccupazione. Niente l'avrebbe scacciata. Ma, dopo tre o quattro calici, i contorni perlomeno si sarebbero offuscati. E ciò sarebbe servito. Il vestiarios scivolò via, dando l'impressione, come sempre, di spingere la sua non indifferente mole senza muovere i piedi su e giù mentre camminava. Tornò pochi momenti dopo con la stessa grazia ponderosa. «Ho un calice in più, se sua Altezza il Sevastos dovesse arrivare,» disse. «Pensi a tutto,» disse Maniakes. Kameas annuì lievemente, come per dire che faceva parte del suo lavoro. Improvvisamente Maniakes desiderò che quella fosse la sua quarta coppa di vino, non la prima. Si costrinse a porre la domanda: «Hai visto Philetos?» «Oh. sì. vostra Maestà. Uno degli illustri signori...», usò il termine di palazzo per un eunuco di basso rango, «...sta occupandosi di lui, giù nella Stanza Rossa.» Kameas si tracciò il cerchio del sole sul petto. «Noi tutti preghiamo, naturalmente, che la presenza del santo signore si rilevi inutile.» «Sì, certo,» disse rudemente Maniakes. Il fatto che Philetos fosse un sacerdote non era la ragione, o almeno non era esattamente la ragione, per cui era stato convocato nella residenza imperiale quando erano iniziate le doglie di Lysia. Philetos era anche un sacerdote-guaritore, il migliore della città di Videssos. Se qualcosa fosse andato storto... Se qualcosa fosse andato storto, avrebbe potuto essere d'aiuto, o forse no. Non era stato in grado di dare molto aiuto quando Niphone era morta dando alla luce Likarios. Con un chiaro sforzo di volontà, l'Avtokrator costrinse i suoi pensieri ad allontanarsi da quel percorso. Sputò sul pavimento per respingere Skotos, sollevando nello stesso tempo la coppa verso Phos e la sua santa luce. Il vecchio Maniakes e Symvatios fecero lo stesso. Poi Maniakes bevve. Il vino, dorato nel calice d'argento, scivolò fluido giù per la sua gola come se fosse luce solare esso stesso. «Bene,» disse indignato Rhegorios, entrando nella piccola sala da pranzo dove i suoi parenti erano in attesa. «Ecco come sono importante qua dentro: si comincia a bere senza di me.» Maniakes indicò il calice in più che Kameas aveva lasciato. «Non abbiamo un grosso vantaggio su di te, cugino mio... non come quello che Abivard aveva su di noi quando si mosse contro la città mentre noi naviga-
vamo verso Lyssaion. Se ti ci applichi, immagino che lo colmerai ben presto.» «Applicarmi al vino?» Rhegorios sollevò un sopracciglio. «Che concetto divertente.» Usò il mestolone per riempire la coppa. «Il concetto non mi scandalizza,» disse Symvatios. Rhegorios ammiccò, sentendosi retoricamente tradito da suo padre. Dopo una pausa perfettamente calcolata, Symvatios proseguì, «Oserei dire che l'hai preso da me.» Il vecchio Maniakes disse, «È un dono che si tramanda nella famiglia, immagino. Mio padre certamente lo aveva.» Symvatios annuì. Il vecchio Maniakes proseguì, «E ne aveva da vendere, talvolta aveva bisogno di due o tre tentativi prima di riuscire a imboccare una porta.» «Era perfettamente in sé quando era necessario, però,» disse Symvatios. «Se beveva, significava che non aveva altro da fare.» Fece una nuova pausa. «Beh, era quasi sempre così, in effetti.» «State scandalizzando i vostri figli, sapete, voi due.» disse Rhegorios a suo padre e a suo zio. «Maniakes e io non ricordiamo molto bene il nonno, per cui se dite che era una vecchia spugna, dobbiamo credervi.» «Cos'altro crederai se te lo diciamo?» chiese Symvatios. «Crederai che siamo saggi e intelligenti se te lo diciamo?» «Certo che no.» replicò subito Rhegorios. «Noi vi conosciamo.» I Maniakes, padre e figlio, risero. E rise anche Symvatios. Kameas portò un vassoio pieno di calamaretti rosolati in olio d'oliva, aceto e aglio. Andavano bene col vino. Di lì a non molto, la brocca era vuota. Il vestiarios andò a prenderne un'altra della stessa annata. Per un po', Maniakes riuscì a godersi la compagnia dei suoi parenti abbastanza da tenere lontana la mente da quello che Lysia stava soffrendo nella Stanza Rossa. Ma il tempo passava. Se Maniakes non intendeva emulare suo nonno - o il ritratto che avevano fatto di suo nonno suo padre e suo zio - doveva smettere di alzare il gomito a quel modo. E se rallentava le bevute in modo da conservare la lucidità, questa lo riportava a sua moglie. Lysia aveva cominciato a lamentarsi a metà mattina. Il sole stava scendendo verso quei tramonti del tardo autunno quando Zoïle entrò nella piccola sala da pranzo con passo rigido e tese un fagotto avvolto in una coperta a Maniakes. «Vostra Maestà, avete una figlia,» annunciò la levatrice. Maniakes fissò la bimba, che stava fissando lui. I loro occhi s'incontrarono per un momento prima che quelli della bambina vagassero altrove. Aveva un colorito rosso scuro e la sua testa non aveva la forma del tutto esatta. Maniakes aveva imparato che era abbastanza normale. Pose la do-
manda principale che aveva in mente: «Lysia sta bene?» «Mi pare che stia benissimo.» Se Zoïle disapprovava il suo matrimonio con la cugina, non lo dimostrava. Dal momento che Maniakes aveva la forte impressione che fosse franca come un haloga, prese la risposta come buon auspicio. La levatrice proseguì, «Ci è già passata un paio di volte, sapete.» «Tre. adesso.» la corresse distrattamente Maniakes. «Posso vederla?» Quando si trattava di faccende connesse alla Stanza Rossa, anche l'Avtokrator dei Videssiani doveva chiedere il permesso alla levatrice. Zoïle annuì. «Andate pure. Sarà affamata, sapete, e stanca. Penso che Kameas sia già andato a portarle qualcosa.» Indicò la bambina che Maniakes reggeva ancora. «Come la chiamerete, vostra Maestà?» «Savellia,» disse Maniakes: lui e Lysia avevano scelto il nome abbastanza prestò. «È bello,» disse Zoïle, lesta e brusca nelle lodi come in tutto il resto. «È la forma videssiana di un nome vaspurakano, no?» «Esatto.» Il vecchio Maniakes parlò per suo figlio, la cui padronanza della lingua dei suoi antenati era sommaria. «L'originale è Zabel.» «Perdonatemi, vostra altezza, ma lo preferisco nella forma videssiana,» disse Zoïle... no, non era una che celasse le sue opinioni. Maniakes portò Savellia lungo il corridoio fino alla Stanza Rossa. La bimba si dimenava col sorprendente vigore che hanno i neonati. Se camminava troppo in fretta, sua figlia si spaventava, e tentava di allargare braccia e gambe, sebbene la coperta nella quale era avvolta le impedisse di farlo. Frustrata, cominciava a piangere, con un lamento acuto, sottile e penetrante, che aveva lo scopo di costringere i genitori novelli a fare tutto il possibile per fermarlo. Stava ancora piangendo quando Maniakes entrò nella Stanza Rossa con lei. «Presto, dammela,» disse indignata Lysia, allungando le braccia ma non sollevandosi dal letto sul quale giaceva. Sembrava esausta come se avesse appena combattuto una grande battaglia, e in effetti così era. Non appariva affatto ragionevole, e probabilmente non lo era. Maniakes aveva già assistito a questo in passato, e sapeva che sarebbe durato un paio di giorni. Le tese Savellia. Lei si mise la bambina al seno, reggendo la testina con la mano. Savellia non sapeva ancora molto del mondo, ma sapeva a cosa serviva il seno. Succhiò con avidità. Una serva asciugò il volto di Lysia con un panno. Lysia chiuse gli occhi
e sospirò, grata. Altre domestiche pulirono la stanza delle partorienti. Avevano già cominciato a farlo prima che Maniakes entrasse. Il luogo, però, aveva ancora un odore che, come i lineamenti esausti di Lysia, gli fece venire in mente un campo dopo la battaglia. Odorava di sudore ed escrementi, con un tenue sentore ferroso di sangue che avvertì nella bocca come nel naso. Essere là, sentire quegli odori - specialmente l'odore del sangue -gli fece venire in mente anche Niphone, e la sua morte là dentro. Per placare le sue paure, disse, «Come ti senti?» «Stanca,» rispose subito Lysia. «Dolorante. Quando cammino, è come se avessi le gambe arcuate, come se avessi montato un cavallo per trent'anni come un nomade Khamorth. E ho fame. Potrei mangiare un cavallo, se qualcuno me ne portasse uno e me lo servisse con pane e cipolle. E un po' di vino. Zoïle non mi ha permesso di bere vino durante il travaglio.» «Lo avresti vomitato,» disse la levatrice dalla soglia, «e restituirlo ti sarebbe piaciuto molto meno che berlo.» Poi si scostò, perché Kameas scivolò dentro la Stanza Rossa, portando un vassoio i cui aromi deliziosi servirono a coprire quelli che prima si erano librati nella stanza delle partorienti. «Tonno ai porri, vostra Maestà,» disse a Lysia, «e carciofi marinati in olio d'oliva e aglio. E, naturalmente, vino. Congratulazioni. Savellia... ho sentito bene il nome?» «Sì, è esatto,» disse Lysia. L'eunuco mise accanto a lei il vassoio sull'ampio letto. Lei gli sorrise. «Bene. Adesso non mangerei quel cavallo, dopo tutto.» Parve confusa. Maniakes celò un sorriso. Lysia proseguì, «Oh, e hai anche tagliato tutto a piccoli pezzetti per me. Ti ringrazio molto.» Sembrò sull'orlo delle lacrime per la gratitudine. Forse lo era. Ancora per un po', le sue emozioni sarebbero state intense. «Sono lieto che vostra Maestà sia soddisfatta,» disse Kameas. L'Avtokrator si domandò come si sentiva in presenza di una nuova vita che lui non avrebbe mai potuto generare. «Ecco.» Maniakes si sedette sul letto, con cautela, per non urtare Lysia. «Lascia fare a me.» Prese il cucchiaio e cominciò a imboccare sua moglie. «Bene!» disse lei dopo che le ebbe dato alcune cucchiaiate di cibo. «Sei tu quello che deve avere bellissime schiave che gli fanno cadere acini d'uva nella bocca quando ti degni di aprirla, non io.» «Temo che il bellissimo sia ben lontano dalla mia portata, ormai,» disse Maniakes, «e la stagione è troppo avanzata per avere acini d'uva fresca, ma
se Kameas vuole portarmi dell'uva passa, vedremo cosa posso fare per te.» Kameas fece per uscire dalla Stanza Rossa, senza dubbio per cercare l'uva passa. «Aspetta!» gli gridò Lysia. «Lascia stare. Non la voglio.» Rise, e ciò la fece trasalire. «Ahi!» disse. «Sono ancora molto dolorante quaggiù.» I suoi occhi viaggiarono fino a Savellia, che si era addormentata. «E quale credi che sia la ragione?» Rhegorios, Symvatios e il vecchio Maniakes apparvero nel corridoio davanti alla porta aperta della Stanza Rossa. Maniakes fece loro segno di entrare. «Ah!» disse Rhegorios quando vide suo cugino che imboccava Lysia. «Alla fine siamo a corto di servi, eh?» «Stai zitto,» gli disse Lysia. «È dolcissimo, e non è che sì possa dirlo sempre di lui.» Maniakes sapeva che Rhegorios gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora per questo, ma al momento non poteva farci nulla. «Stai bene?» chiese Symvatios alla figlia. «In questo momento? No,» rispose Lysia. «In questo momento mi sento come se fossi stata calpestata in tutti i miei punti morbidi, e ogni volta che ho un bambino, mi sembra di scoprire un paio di punti morbidi che non sapevo di avere. Ma se tutto va come dovrebbe, starò bene in poche settimane. Non mi sento diversa da come mi sono sentita le prime due volte che ho dovuto passare tutto questo.» «Bene. Ottimo,» disse Symvatios. «'Passare tutto questo,' eh?» borbottò il vecchio Maniakes. Fece un cenno col capo a suo figlio. «Tua madre disse così, dopo averti avuto. Questo non le impedì di avere i tuoi fratelli, bada, ma per un po' ebbi qualche dubbio.» Maniakes fece del suo meglio per far apparire leggero e spontaneo il suo risolino. Anche le battute che si facevano in famiglia potevano avere un risvolto amaro, con uno dei suoi fratelli in esilio e l'altro probabilmente morto. Tornò a imboccare Lysia. Il tormento che Rhegorios gli avrebbe inflitto per quello non lo avrebbe punto troppo sul vivo. Lysia finì ogni briciola di tonno e ogni pezzetto di cuori di carciofo. Bevve anche tutto il vino. Maniakes si domandò se avrebbe chiesto a Kameas dell'uva passa, dopo tutto. Invece lei sbadigliò, si staccò Savellia dal seno e disse, «Per favore, qualcuno vuole mettere la bimba nella culla per un po'? Vorrei cercare di dormire finché non si sveglierà di nuovo affamata. È stata una giornata faticosa.» Entrambi i nonni, suo marito e suo fratello allungarono le mani verso Savellia. Lei diede la neonata a Symvatios, che sorrise mentre reggeva la
nipotina, poi la mise nella culla così dolcemente che non si svegliò. «Potresti chiedere a una balia di occuparsi di lei,» disse Maniakes. «Lo farò presto,» rispose Lysia. «I sacerdoti-guaritori e i medici dicono che è preferibile il latte della madre per la prima settimana, però. I neonati sono strani. Sono resistenti e fragili, nello stesso tempo. Tanti di loro non sopravvivono, indipendentemente da quello che facciamo. Io voglio dare ai miei la migliore opportunità che possano avere.» «Va bene.» disse Maniakes. Anche lei aveva ragione. Ma anche le madri erano resistenti e fragili, nello stesso tempo. Si chinò e la baciò sulla fronte. «Riposati più che puoi, allora, e spero che lei te ne dia la possibilità.» «Me la darà,» disse Lysia. «È una brava bambina.» Maniakes si domandò come faceva a dirlo. Si domandò se poteva dirlo. In un modo o nell'altro, lo avrebbero scoperto abbastanza presto. Savellia era una brava bambina. Dormiva a lungo e non era inquieta quando si svegliava. Questo aiutò Lysia a riprendersi più presto. I fratelli e il fratellastro della neonata principessa la fissavano con curiosità passando dal serio al ridanciano. Quando realizzarono che era troppo piccola per fare granché, persero interesse. «Non ha nemmeno dei capelli da tirare,» osservò Likarios, come un giudice che emette una sentenza. «Li avrà,» promise Maniakes. «Presto, sarà in grado di tirare anche i tuoi.» Il figlio che aveva avuto da Niphone - suo erede, per come stavano le cose - parve terrorizzato dall'idea che qualcuno potesse fargli un simile affronto. Maniakes disse. «Lo ha già fatto a me,» il che sorprese ancora di più Likarios. «Lo facevi anche tu, se è per questo,» aggiunse l'Avtokrator. Quando un bambino raggiunge una manciata di barba... Le guance gli facevano male, al solo pensarci. Likarios se ne andò. Maniakes lo seguì con lo sguardo. Si tirò la barba. Si era chiesto come avrebbe affrontato Abivard il problema del figlio che Denak aveva dato a Sharbaraz. Ma Abivard non era il solo ad avere problemi di famiglia legati al trono. Maniakes si domandò cosa avrebbe fatto se Lysia gli avesse mai suggerito di mettere i suoi figli davanti a Likarios nella successione. Non lo aveva mai fatto, fino a quel momento. Forse non lo avrebbe fatto mai. La successione del figlio più anziano dell'Avtokrator era una consuetudine forte. Ma una consuetudine forte non equivaleva a una legge. Cosa avrebbe fatto se avesse visto il giovane Symvatios, o anche il piccolo Tatoules, crescere meglio di Likarios? Sospirò. La risposta venne da sé: in quel caso,
mentre lui sperava nella semplicità più che in qualsiasi altra cosa, sua moglie sarebbe diventata più complicata, in nuovi e imprevedibili modi. La bocca gli si torse. Parsmanios non si era curato della consuetudine forte del governo del più anziano. Ciò aveva provocato la rovina di Parsmanios, e. per un pelo, la rovina di tutta la famiglia. Sarebbe stato comunque nulla, a confronto con quello che sarebbe potuto accadere se i suoi figli avessero cominciato a litigare fra loro. Più tardi, si domandò se fosse stato quel tornare con la mente a Parsmanios a far venire Kameas da lui a dirgli, «Vostra Maestà, dama Zenonis chiede un'udienza, con vostro comodo.» La voce dell'eunuco non aveva nulla in sé: né approvazione, né il suo contrario. Forse Kameas non si era formato un'opinione sulla moglie di Parsmanios. O forse se l'era formata, e non voleva farla trapelare. «La vedrò, naturalmente,» disse Maniakes. Formale come un ambasciatore, Zenonis si prosternò davanti a lui. La lasciò fare, quando con altri membri della famiglia avrebbe fatto cenno di lasciar perdere. Forse nemmeno lui si era fatto un'opinione di Zenonis. Forse gli dava la sensazione di avere gli stessi difetti di Parsmanios. «Cosa posso fare per te, cognata mia?» le chiese quando si fu alzata. Era nervosa. Constatarlo fu in qualche modo un sollievo. Se lei fosse stata sicura di sé, anche lui avrebbe dovuto essere sicuro: sicuro dì avere la necessità di guardarsi alle spalle. «Se piace a vostra Maestà,» disse, «ho un favore da chiedervi.» Si leccò le labbra, realizzò di averlo fatto e desiderò visibilmente di non averlo fatto. «Tu appartieni alla mia famiglia,» rispose Maniakes. «Se è in mio potere farti un favore devi sapere che te lo farò.» «Appartengo alla vostra famiglia, sì.» Zenonis si leccò nuovamente le labbra. «Considerando a quale ramo appartengo, dovreste volere che non vi appartenessi.» Parlando con cautela. Maniakes rispose, «Non ho mai iscritto i crimini di mio fratello nella tua pagina del libro mastro, e nemmeno in quella di tuo figlio. Sarebbe sciocco. Tu non sapevi - non potevi sapere - quello che lui stava facendo.» «Siete stato cortese, vostra Maestà: siete stato gentile e più che gentile,» disse Zenonis. «Ma ogni volta che mi vedete, ogni volta che vedete il piccolo Maniakes, pensate a Parsmanios. Me ne accorgo dal vostro viso. Come posso biasimarvi? Ma le cose stanno così, che lo vogliate o no.» Maniakes sospirò. «Forse hai ragione. Vorrei che non fosse così, ma for-
se lo è. Ma anche se lo è, ciò non mi impedirà di concederti il favore che mi chiederai.» «Vostra Maestà, voi siete giusto.» Zenonis lo studiò. «Fate tutto il possibile per esserlo.» Per come lo disse, non era esattamente un complimento: lo era. ma non del tutto. Trasse un respiro profondo, poi pronunciò d'impeto le parole successive: «Quando verrà la primavera e le navi potranno attraversare il Mare Videssiano senza timore di tempeste, voglio che mandiate mio figlio e me a Prista.» «Ne sei sicura?» chiese Maniakes. Il rincrescimento lottò dentro di lui con qualcosa che ebbe bisogno di un momento per riconoscere: sollievo. Quello che provò lo fece vergognare, ma non riuscì a scacciare via quella sensazione. Combattendo contro di essa, disse, «Pensaci tre volte prima di chiedermi questo, cognata mia. Prista è un posto desolato, e...» Con sua sorpresa, Zenonis rise. «È una città di provincia, vostra Maestà, no? Tutto quello che ho conosciuto nella mia vita è una città di provincia.» Sollevò una mano. «State per dirmi che se andrò, non potrò tornare. Non importa. Non avevo mai messo piede fuori da Vryetion finché non sono arrivata nella città di Videssos. Se sarò a Prista con mio marito, avrò compagnia a sufficienza.» Maniakes parlò con cautela maggiore di quella che aveva usato prima: «Parsmanios avrà già trascorso un po' di tempo in esilio quando arriverai là, cognata mia.» «Sarà più contento di vedermi, allora, e di vedere suo figlio,» replicò Zenonis. Non capì cosa voleva dire Maniakes. Essendo stato per diversi anni a Prista, Parsmanios poteva anche aver trovato un'altra compagna. Perché no? Non poteva certo aspettarsi che sua moglie si unisse a lui, dal momento che, fino all'estate precedente, Vryetion si era trovata nelle mani dei Makurani. Maniakes riceveva dei rapporti su suo fratello, ma erano notizie che riguardavano la politica, non le compagne di letto di Parsmanios. Maniakes immaginava che avrebbe potuto scoprire chi si portava a letto Parsmanios, se davvero lo faceva, ma avrebbe dovuto aspettare fino alla primavera ventura. Disse, «Non tagliare tutti i ponti. Se, quando arriverà la stagione della navigazione, vorrai farlo ancora, ne riparleremo. Nel frattempo, tu e tuo figlio siete i benvenuti qui, che tu voglia credermi o no.» «Grazie, vostra Maestà,» disse Zenonis, «ma non credo che cambierò idea.»
«Va bene,» rispose lui, anche se non andava tutto bene. Si era abituato a essere Avtokrator, ormai, e restava sempre sorpreso quando qualcuno resisteva alla sua volontà. «Ricorda soltanto che puoi davvero non decidere adesso. Se in primavera vorrai andare a Prista, darò a te e a tuo figlio una nave, e potrai raggiungere Prista e... e mio fratello. Ma tu e il piccolo Maniakes e Parsmanios non tornerete mai più qui. Te lo dico un'altra volta, per essere certo che tu abbia capito.» «Ho capito,» disse lei. «Avrò un po' di tempo per pensarci, ma non di più. Andrò da mio marito. Il piccolo Maniakes andrà da suo padre.» «Se è questo che vuoi, è questo che avrai,» rispose Maniakes formalmente. «Non penso che tu stia facendo la scelta più saggia, ma non ti priverò del diritto di farla.» «Grazie, vostra Maestà,» gli disse Zenonis, si prosternò un'altra volta e uscì. Maniakes la seguì con lo sguardo. Sospirò. Pensò - o almeno ne era così sicuro che non faceva differenza - che stava per fare un pessimo errore. Non aveva il diritto di salvare i suoi sudditi da se stessi, anche quando non lo avrebbero ringraziato per questo? Era una delle domande più intriganti che si era posto da quando aveva preso il trono. Non riuscì ad arrivare a una buona risposta. Beh, come Zenonis aveva il tempo di pensare alla sua scelta, lo aveva anche lui. Cortigiani, funzionari, burocrati, soldati e, per quanto ne sapeva Maniakes, complete nullità che per puro caso avevano un bell'aspetto nei loro abiti sgargianti, affollavano la Gran Corte. L'Avtokrator sedeva sul trono e osservava l'ingresso in fondo al lungo corridoio fiancheggiato da colonne attraverso il quale sarebbe entrato l'ambasciatore di Makuran e gli avrebbe reso omaggio. Quando Makuran e Videssos cambiavano sovrani, celebravano una cerimonia, simile a una danza, nella quale si notificavano a vicenda l'accaduto. Nello schema delle cose, era necessario, in quanto ognuno riconosceva solo l'altro come suo pari. Quello che facevano i barbari intorno a loro era una cosa. Quello che facevano fra di loro era un'altra cosa ancora, e poteva - e doveva - avere ripercussione su tutto il mondo civilizzato. Nessun mormorio corse lungo i dignitari videssiani là riuniti quando l'ambasciatore makurano apparve sulla soglia. Al contrario: i cortigiani si fecero ancora più silenziosi e immobili. Continuarono a guardare davanti a loro. No... le loro teste erano puntate davanti a loro. Ma i loro occhi scivolarono verso quella piccola e snella figura che si stagliava contro la fredda
luce del sole invernale all'esterno. L'ambasciatore avanzò scivolando verso Maniakes, muovendosi con levità simile - no, miracolo: identica - a quella di Kameas. Nel punto giusto davanti al trono, si prosternò. Mentre giaceva con la fronte premuta contro il marmo lucido, il trono si sollevò con un cigolio di ingranaggi finché non si trovò diversi piedi più in alto. L'effetto talvolta destava una grande impressione sulle ambascerie dei barbari. Maniakes non si aspettava che il makurano restasse impressionato, ma il rituale era il rituale. Dalla sua nuova altezza, l'Avtokrator disse. «Alzati.» «Obbedisco,» disse l'inviato di Abivard, alzandosi in piedi con un unico movimento agile. Il suo volto era senza barba e bello come quello di una donna. Quando parlò, in buon videssiano, la sua voce era un suono di campane argentee. Doveva essere stato castrato nei primi anni della sua vita, poiché essa non si era mai rotta né era cambiata. «Il tuo nome,» disse Maniakes, proseguendo nel rituale, sebbene l'ambasciatore gli fosse già stato presentato in privato. «Maestà, mi chiamo Yeliif,» rispose l'avvenente eunuco. «Sono venuto ad annunciare al l'Avtokrator Maniakes, suo potente fratello, l'ascesa al trono di Abivard Re dei Re, possano i suoi anni essere tanti e il suo regno accrescersi, divino, buono, pacifico, al quale il Dio ha concesso grande fortuna e grande impero, gigante dei giganti, che si è formato a immagine del Dio.» «Noi, Maniakes, Avtokrator dei Videssiani, vicereggente di Phos sulla terra, accogliamo con gioia e speranza l'ascesa al trono di Abivard Re dei Re, nostro fratello,» disse Maniakes. offrendo ad Abivard il riconoscimento che Sharbaraz - che aveva affermato che il Dio makurano era formato a sua immagine - aveva regolarmente rifiutato a lui. «Lunga vita ad Abivard Re dei Re!» «Lunga vita ad Abivard Re dei Re!» fecero eco i cortigiani riuniti. «Maestà, siete cortese nel concedere ad Abivard Re dei Re il sostegno del vostro splendente favore,» disse Yeliif. Per quanto modulasse in maniera incantevole la sua voce, non c'era molto calore in essa. Parlava, non con l'impassibilità di Kameas, ma con quella che parve a Maniakes un'amarezza ben celata. Era, naturalmente, un eunuco, e ciò dava di sicuro a qualsiasi uomo - o mezzo uomo - il diritto di essere amaro. E i suoi lineamenti, per quanto belli, avevano la fredda perfezione di una statua, non il calore della carne. «Che possiamo vivere in pace, Abivard Re dei Re e io.» Anche questo
faceva parte del rituale, ma Maniakes pronunciò le parole con grande sincerità. Videssos e Makuran avevano bisogno entrambi della pace. Osava sperare che sarebbero riusciti a trovarne un poco. Abivard Re dei Re, pensò. L'uomo che era, o poteva essere, suo amico, il guerriero che era stato un nemico così pericoloso, e adesso il sovrano che aveva scelto di regnare a suo nome, non nel nome di suo nipote, figlio di sua sorella e di Sharbaraz. Questo gli riportò in mente un'altra domanda: «Cos'è accaduto a Sharbaraz, il precedente Re dei Re, stimato signore?» chiese l'Avtokrator, conferendo a Yeliif il titolo che avrebbe avuto in Videssos un eunuco di alto rango. «Maestà, il Dio lo giudica adesso, non i mortali,» rispose Yeliif. «Non molto prima che partissi per questa città, il suo successore gli ha fatto tagliare la testa.» C'era del rammarico? Yeliif era stato presumibilmente a corte durante il regno di Sharbaraz. Anche se la maggior parte dei Makurani alla fine doveva aver vituperato Sharbaraz, lui poteva essersi dispiaciuto per la caduta del suo sovrano. Beh, pensò Maniakes, questa non è preoccupazione mia. A voce alta, disse, «Ho dei doni per te da portare ad Abivard Re dei Re al tuo ritorno a Makuran.» Anche questo era parte del rituale. Ma le questioni del Makuran erano preoccupazione di Maniakes, perché Yeliif interruppe il rituale prosternandosi di nuovo. «Maestà, vi prego, io non posso tornare in Makuran, altrimenti ne risponderà la mia testa, come quella di Sharbaraz ha risposto per lui,» disse l'avvenente eunuco. «Abivard Re dei Re mi ha mandato qui non solo in ambasciata ma anche in esilio.» Sospirò, con un suono freddo. «È stato, a suo modo, pietoso, avendo avuto il potere di uccidermi su due piedi.» «Io non ti ucciderò su due piedi,» promise Maniakes. «Sono sicuro che da te potrò apprendere molte cose su Makuran.» Ti spremerò, era quello che voleva dire. Yeliif annuì per mostrare che aveva capito e assentì: non aveva molta scelta. Maniakes proseguì, «Per ora, stimato signore, puoi considerarti arruolato negli eunuchi del palazzo.» «Maestà, siete gentile con un esiliato,» disse Yeliif. «Avrò molto da dire su tutto quello che so, ve lo assicuro.» «Ne sono certo,» disse Maniakes. «Ne sono certo.» Il tradimento era la moneta con la quale l'avvenente eunuco avrebbe comprato il suo benvenuto nella città di Videssos. Abivard doveva averlo saputo e lo aveva esiliato comunque, il che era... interessante. E Yeliif non aveva bisogno che lui
glielo rammentasse. Maniakes studiò gli occhi neri e limpidi, gli zigomi eleganti, la linea scolpita della mandibola. Sebbene fosse un uomo attratto solo dalle donne, riconobbe il pericolo in quei tratti leggiadri. Sì, Yeliif doveva sapere molto sui tradimenti. E, naturalmente, qualcuno nei primi giorni di vita di Yeliif lo aveva consegnato per farlo castrare. C'era tradimento peggiore di quello? L'Avtokrator chinò la testa, significando che l'udienza era terminata. Yeliif si prosternò, si alzò e arretrò dal trono finché non poté voltarsi senza mostrarsi irriverente. Molti occhi lo seguirono mentre si allontanava dalla Gran Corte. «Sì,» disse Yeliif, «naturalmente madama Denak era furiosa quando Abivard decise di governare come Re dei Re piuttosto che come reggente di Peroz, figlio suo e di Sharbaraz. Prima ancora, era stata furiosa con lui per aver rovesciato Sharbaraz proprio quando era finalmente riuscita a guadagnare influenza sul Re dei Re dandogli un maschio. E prima ancora, era stata furiosa con Sharbaraz per non averle concesso l'influenza che considerava dovuta alla moglie principale.» L'eunuco sorseggiò vino e annuì prima a Maniakes e poi al segretario che stava trascrivendo le sue parole per una successiva rilettura. «E Sharbaraz?» chiese Maniakes. «Come la prese quando seppe che Abivard si stava muovendo contro di lui?» «Muggì come un toro.» Il labbro di Yeliif si curvò in segno di disprezzo. «E, come un toro, s'infuriò contro tutti, senza preoccuparsi di come affrontare nel migliore dei modi la minaccia che aveva davanti, e limitandosi a muggire e a scalciare.» Con un lieve scric-scric, lo stilo del segretario correva sulla superficie incerata della tavoletta di legno. Maniakes annuì lentamente. Sperò che Yeliif avrebbe preso il gesto come assenso e comprensione. Era entrambe le cose, ma era anche qualcos'altro, qualcosa che cresceva a ogni conversazione che aveva con l'avvenente eunuco: diffidenza. Il prossimo complimento che Yeliif avesse fatto a qualcuno della corte makurana, sarebbe stato il primo. Quello che poi era peggio, era che l'eunuco non sembrava accorgersi che stava denigrando tutti quelli che menzionava. Il suo punto di vista era così ostile, che Maniakes aveva difficoltà a decidere quanto poteva prestarvi fede. A titolo di esperimento, l'Avtokrator disse, «E Romezan? È un nobile dei Sette Clan. Come si sente a servire un sovrano nato come semplice di-
hqan?» «Non è una grossa difficoltà.» Il gesto di Yeliif era elegante, sdegnoso e conclusivo. «Date a Romezan qualcosa da uccidere ed è felice. Potrebbero essere Videssiani, asini selvatici o seguaci di Sharbaraz. Finché si crogiola nel sangue, non si cura di chi sia il sangue.» Scric-scric continuò lo stilo. «Combatte bene,» osservò Maniakes. «Certo. Ha fatto parecchia pratica. Si batterebbe con se stesso, oserei dire, finché le ferite non fossero troppo dolorose per essere sopportate.» In qualche modo, la malizia era ancora più maliziosa quando espressa con quella voce dolce e asessuata. Se Romezan era avvezzo ai combattimenti, Yeliif era avvezzo alle calunnie... ma non aveva mai ferito se stesso. «E Abivard?» disse Maniakes. «Da molto tempo avevo consigliato a Sharbaraz di diffidare di lui,» disse l'avvenente eunuco. «Gli avevo detto che Abivard aveva adocchiato il trono. Mi ha dato retta? No. Qualcuno mi ha dato retta? No. Avrebbe dovuto darmi retta? Maestà, lascio decidere a voi.» «Supponi che Sharbaraz si fosse liberato di lui,» disse Maniakes: in effetti, disse Sarbaraz, ma nella città non si curava del suo accento imperfetto. «Chi avrebbe guidato l'armata di Makuran contro di noi la scorsa estate?» Yeliif rispose con una perfetta scrollata di spalle. «Romezan. Perché no? Avrebbe fatto meglio, e difficilmente avrebbe fatto peggio... peggio per Makuran, intendo, dal momento che dal fallimento ha ricavato vantaggi per sé.» Un tale cinismo toglieva il respiro, anche a un Avtokrator dei Videssiani. Tossendo un po', Maniakes disse, «Comincio a capire perché Abivard non vuole che tu torni a Mashiz.» «Oh, certo,» convenne Yeliif. «Io gli ricordo il tempo in cui il mondo non girava al suo comando, quando era piccolo e debole e impotente.» L'uso di quella particolare parola da parte di un eunuco, e con tale ponderatezza, era di per sé sconvolgente. Maniakes si convinse che Yeliif lo aveva fatto per confonderlo. Se era così, ci era sicuramente riuscito. «Ehm... sì,» disse l'Avtokrator, e congedò l'esiliato ambasciatore del Makuran. «Pensavo che voleste proseguire, vostra Maestà,» disse il segretario dopo che Yeliif fu andato via. «Anch'io,» disse Maniakes, «ma ho avuto abbastanza veleno da ingurgitare questo pomeriggio, grazie.»
«Ah.» Lo scriba annuì. «Dopo averlo ascoltato per un po' vi fa venire la voglia di andarvene a casa a tagliarvi i polsi, eh?» «I tuoi o quelli del tuo vicino, a seconda di chi era l'oggetto dei suoi discorsi,» rispose Maniakes. Lanciò un'occhiata allo scriba con un certo sollievo. «L'hai pensato anche tu, eh? Bene. Sono lieto di non essere il solo.» «Oh, no, vostra Maestà. Se mai ha avuto un po' di latte di umana gentilezza, dev'essersi cagliato parecchio tempo fa.» Il segretario sembrava molto sicuro. Ma poi, con tono meditabondo, aggiunse, «Certo, perdere i coglioni, ecco, non è esattamente il genere di cosa che ti rende felice e pronto a farti un boccale di vino con gli amici dopo il lavoro, no?» «Direi proprio di sì,» disse Maniakes. «Eppure, non ho conosciuto molti eunuchi qui che siano così...» Non riuscendo a trovare le parole per descrivere Yeliif, fece un gesto vago. Il segretario annuì un'altra volta. Avendo udito l'avvenente eunuco, non aveva bisogno di sentirne la descrizione. Forse la sua bellezza aveva qualcosa a che fare con quello che era, pensò Maniakes. Doveva sicuramente essere stato oggetto di desiderio alla corte di Mashiz, molto probabilmente per uomini e donne, essendo la sua avvenenza di quel genere che attrae lo sguardo di entrambi i sessi. Cosa significava essere oggetto di desiderio e, nello stesso tempo, essere incapaci di provare desiderio? Quando l'Avtokrator se lo chiese a voce alta, lo scriba annuì ancora. Ma poi disse, «L'altra possibilità, vostra Maestà, se mi è permesso dirlo, è che avrebbe potuto essere un emerito bastardo anche se avesse avuto le palle e la barba fino a qui e una voce più profonda di quella di vostro padre. Alcuni lo sono, sapete.» «Sì, me ne sono accorto,» disse tristemente l'Avtokrator. Congedò lo scriba: «Vatti a prendere una coppa di vino, o anche due.» L'uomo uscì con agile andatura. Seguendolo con lo sguardo, Maniakes decise che avrebbe bevuto anche lui una coppa di vino, o forse anche due. Quando Kameas fece per prosternarsi davanti a Maniakes, L'Avtokrator gli fece cenno di lasciar perdere. Con sua sorpresa, l'eunuco portò comunque a termine la prosternazione. Con sorpresa ancora maggiore, vide un livido sul volto di Kameas quando il vestiarios si alzò. «Cos'è accaduto?» chiese Maniakes. «Hai sbattuto contro una porta, stimato signore?» «Vostra Maestà,» cominciò Kameas, e poi scosse la testa, non convinto. Trasse un respiro profondo e tentò ancora: «Vostra Maestà, posso parlare con franchezza?»
«Accidenti, sì. Naturalmente, stimato signore,» rispose Maniakes, pensando che forse era la richiesta più insolita che gli fosse mai giunta da un eunuco di corte. Si domandò se Kameas poteva parlare con franchezza, anche se lo desiderava. Stando alle apparenze, lo sforzo necessario non fu facile per il vestiarios. Ma poi, dopo essersi toccato la guancia livida, Kameas parve fermo nel proposito per il quale si era avvicinato all'Avtokrator. Tirò un altro profondo respiro e disse, «No, vostra Maestà, non ho sbattuto contro una porta. Ho ricevuto questo... dono dalle mani di un altro dei vostri illustri servitori.» Dalle mani di un altro eunuco, voleva dire, essendo illustre un gradino sotto stimato nella loro gerarchia onorifica. Maniakes sgranò gli occhi. Le zuffe fra eunuchi di solito si consumavano con le calunnie, occasionalmente col veleno, ma...» Pugni, stimato signore? Sono sbalordito.» «Anch'io, vostra Maestà. Devo dire, però,» aggiunse Kameas con un certo orgoglio, «che ne ho dati quanti ne ho presi.» «Sono lieto di sentirlo,» disse Maniakes. «Ma per il buon dio, stimato signore, cosa mai ha spinto te e i tuoi colleghi a pestarvi le orecchie?» Quel genere di manifestazione violenta era un vizio degli uomini normali al quale di solito gli eunuchi guardavano con divertito disprezzo. «Non cosa, vostra Maestà, chi,» replicò Kameas, con la voce che divenne sorprendentemente feroce. «La ragione per cui sono venuto da voi, la ragione per cui sto violando correttezza e decoro, è la richiesta... no, la supplica... che troviate un modo per mandare via quella serpe di Yeliif dal palazzo, prima che si arrivi ai coltelli invece che ai pugni. Ecco. L'ho detto.» E non doveva nemmeno essere stato facile per lui: il respiro veniva in piccoli ansiti, come se avesse costretto la sua corpulenta persona a correre per un lungo tratto. «Cosa mai ha fatto, stimato signore, per spingerti a chiedere una cosa del genere dopo sole due settimane che è arrivato qui in città?» «Vostra Maestà, quell'eunuco makurano è una serpe con la pelle di miele, cosicché essendo il suo morso dolce sulle prime, solo troppo tardi ci si accorge del veleno. Nel breve tempo che avete detto, ha messo gli uni contro gli altri tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui, giocando con gli eunuchi imperiali come il gatto gioca col topo, facendo sorgere l'odio fra noi...», Kameas si toccò di nuovo la guancia, «...e facendo sospettare ognuno di tutti gli altri. Se Skotos fosse emerso dal ghiaccio eterno...», Kameas e Maniakes sputarono, «...non avrebbe seminato più zizzania fra i
vostri servitori.» «Cosa crede di fare?» chiese Maniakes. «Pensa che, seminando discordia, mi spingerà a nominarlo vestiarios al tuo posto? Se è così, stimato signore, credimi, si sta sbagliando.» «Vostra Maestà è cortese. «Kameas s'inchinò. «In effetti, però, ne dubito. Per quanto riesco a vedere, Yeliif suscita odi per la semplice ragione che si diverte a suscitarli. Essendo inverno, non ci sono mosche alle quali può strappare le ali come fa un bambino cattivo, così tormenta la gente che gli sta intorno.» Era un parlare più schietto di quello che Maniakes aveva mai immaginato potesse venire da Kameas. «Andremo in fondo alla cosa,» assicurò al vestiarios. «Mandami qui lo stimato Yeliif. Non intendo condannarlo senza sentire quello che ha da dire a sua discolpa.» «Proteggetevi le orecchie dalle sue menzogne, vostra Maestà,» disse Kameas, ma se ne andò più contento di quando si era avvicinato all'Avtokrator. Come ogni volta che Maniakes lo vedeva, le maniere di Yeliif furono impeccabili. Dopo essersi prosternato con liquida grazia, domandò, «Come posso servirvi, vostra Maestà?» «Mi è stato riferito,» disse con cautela Maniakes, «che hai qualcosa a che fare con i recenti contrasti fra gli eunuchi del palazzo.» Gli occhi grandi e scuri di Yeliif si spalancarono. Parve stupefatto in maniera convincente. «Io, Maestà? Come può essere una cosa simile? Sono solo il più umile dei profughi preso la vostra corte, grato alla vostra persona per la grande gentilezza che avete avuto la generosità di dimostrarmi. Come potete immaginare che io ripaghi in questo modo tanta generosità?» «Considerando il modo in cui hai parlato di tutti quelli che conoscevi a Mashiz, stimato signore, devo dirti che le cose riferitemi non mi stupiscono affatto,» disse Maniakes. «La prossima buona parola che pronuncerai sul conto di qualcuno sarà la prima.» L'avvenente eunuco scosse la testa in vigoroso disaccordo. «Maestà, come tanti altri, mi avete frainteso. Io non dico altro che la verità, la pura e semplice verità. Se questa fa male, è mia la colpa?» «Forse,» disse Maniakes. «Probabilmente, sì. Hai mai conosciuto qualcuno che si vanta di quella che chiama franchezza ma usa quella franchezza solo per distruggere quelli che gli stanno intorno, mai per elogiarli?» «Oh, sì,» replicò Yeliif. «Ho sofferto molte volte a causa di scorpioni
del genere... e adesso, pare che ci risiamo, altrimenti perché mi avreste chiamato davanti a voi per rinfacciarmi queste infondate calunnie?» Se Maniakes avesse udito Yeliif per la prima volta, avrebbe ben potuto farsi convincere che l'avvenente eunuco stava dicendo la verità. Ed era convinto che Yeliif ritenesse di dire la verità. Meditabondo, disse, «La misura di un uomo è il genere di nemici che si fa. Fra i tuoi, stimato signore, sembri annoverare sia Abivard Re dei Re che il mio vestiarios, lo stimato Kameas.» «Hanno dei pregiudizi nei miei confronti,» replicò Yeliif. «Può darsi,» disse Maniakes. «Può darsi. Tuttavia...» Diversamente da Yeliif, non era così franco da dichiarare che si fidava più delle opinioni di Abivard e di Kameas che di quelle dell'avvenente eunuco. Invece, con tono ancora pensieroso, proseguì, «Forse noi tutti saremmo meglio serviti se tu occupassi una posizione distante dall'atmosfera litigiosa del palazzo.» «Credo che non sia affatto necessario,» disse Yeliif, con più di un'asperità in quella voce scampanellante. Dopo un momento, comprese di essersi spinto troppo oltre. «Naturalmente, voi siete il sovrano, e quello che gradite ha forza di legge.» «Sì.» Maniakes mise a segno il suo colpo prima di tornare conciliante. «La posizione che ho in mente non è affatto disonorevole. Ho ricevuto notizia che il governatore della città di Kastavala è morto di malattia la scorsa estate. Penso che ti manderò là, assieme a una scorta adeguata, per prendere il suo posto. Kastavala, devi sapere, è la capitale della provincia di Kalavria, dove mio padre servì da governatore prima che diventassi Avtokrator.» «Ah.» Yeliif s'inchinò «È davvero un posto d'onore. Grazie, vostra Maestà: farò tutto quello che è in mio potere per non farvi rimpiangere la fiducia che riponete in me.» «Ne sono sicuro,» rispose Maniakes. Essendo un makurano, Yeliif non aveva molta familiarità con la geografia di Videssos, specialmente quella delle zone orientali dell'Impero. Maniakes non aveva mentito in nulla. Si era limitato a non menzionare il fatto che la Kalavria era l'isola più a est sotto la sovranità di Videssos: l'isola più a est sotto la sovranità di chiunque, per quanto se ne sapeva. Nessuna nave era giunta in Kalavria da est. Nessuna nave che avesse navigato verso est dalla Kalavria era mai tornata. Una volta che Yeliif fosse partito verso est dalla Kalavria, era probabile che non sarebbe mai tornato neanche lui. Maniakes non pensava che avrebbe provato rimorso per questo.
«Dal momento che si tratta di una posizione di tale importanza, non credo che dovrebbe rimanere a lungo vacante,» disse l'avvenente eunuco. «Se, Maestà, vi fidate davvero di me...», fece apparire la cosa come se lui non ci credesse, «...mi ci manderete immediatamente, senza indugi.» «Hai ragione,» disse Maniakes, con sorpresa evidente di Yeliif. «Se puoi essere pronto a partire dalla città imperiale domani, farò approntare una scorta armata che ti accompagni a Opsikion, da dove potrai prendere una nave per la Kalavria.» «Prendere... una nave?» disse Yeliif, come se le parole non facessero parte del videssiano che aveva imparato. «Certamente.» Maniakes conferì un tono pungente alla sua voce. «È troppo lontana per poterci arrivare a nuoto da Opsikion, e comunque l'acqua è troppo fredda per nuotarci in questo periodo dell'anno. Sei congedato, stimato signore. So che avrai una considerevole quantità di bagagli da preparare, e dovrai partire presto domattina, con le giornate ancora così corte. Grazie di nuovo per aver voluto occupare quel posto con tanto entusiasmo e con un preavviso così breve.» Yeliif fece per dire qualcosa. Maniakes gli voltò le spalle, volendo significare che l'udienza era terminata. Intrappolato nella ragnatela dell'etichetta di corte, l'avvenente eunuco non poté fare altro che andarsene. Con la coda dell'occhio Maniakes notò l'espressione di Yeliif. Era più eloquentemente velenosa di una qualsiasi delle sue zuccherose parole. Kameas entrò nella stanza delle udienze pochi minuti dopo. «È vero, vostra Maestà? L'isola di Kalvaria?» Maniakes annuì. L'eunuco sospirò. La sua specie poteva anche non conoscere l'estasi fisica, ma quello ci andava molto vicino. «Dal profondo del mio cuore, vostra Maestà, vi ringrazio.» «Tu ringrazi me,» domandò Maniakes, «per aver fatto ciò alla povera, sonnacchiosa, innocente Kastavala?» Avtokrator e vestiarios si guardarono per un momento. Poi, come se fossero due mimi che ricevevano la medesima imbeccata, cominciarono a ridere. Il Giorno di Mezzo Inverno albeggiò limpido e freddo. Il freddo non aveva nulla a che fare con la ragione per la quale Maniakes era rimasto a letto. «Una volta,» disse con tono meravigliato, «non vedevo l'ora che arrivasse questa festa. Lo ricordo bene, ma faccio difficoltà a crederci.» «So cosa vuoi dire,» disse Lysia. «Non c'è modo di evitarlo, però.» «No, se sei un Avtokrator,» convenne Maniakes. Una delle cose in base
alle quali la città ti giudica è come riesci a prendere gli sberleffi dei mimi.» Che poi avessero una ragione in più per sbeffeggiarlo a causa del suo matrimonio con Lysia era inutile dirlo. Sua moglie che era anche sua cugina lo capiva quanto lui. «Finché non saremo nell'Anfiteatro, possiamo anche cercare di goderci la giornata,» disse lei, e Maniakes annuì. «Beh, sì,» ammise lui. «Il guaio è che dobbiamo trascorrere nell'Anfiteatro la maggior parte della giornata.» «Ma non tutta.» Lysia sembrava determinata a ricavare il massimo dalle cose che aveva. Negli ultimi anni, quello era stato il ruolo di Maniakes, con lei riluttante a mostrarsi in pubblico. Ma adesso fu lei a strattonarlo. «Andiamo,» disse. Lui andò, poi si fermò subito. «So cos'è,» disse. «Sei così contenta di potertene andare in giro dopo aver partorito Savellia, che tutto ti appare bello a parte l'interno della residenza imperiale.» «Suppongo che tu abbia ragione,» disse lei. Poi gli mostrò la lingua. «E allora?» Lo spinse di nuovo. Questa volta, Maniakes si lasciò trascinare. Quando lui e Lysia lasciarono la residenza riscaldata dall'ipocausto, il fiato uscì dalle loro bocche e dai nasi sotto forma di soffici nuvolette di nebbia. Il gelo scintillava sull'erba morta e giallastra dei prati che si stendevano fra gli edifici. Come per combattere il freddo, un grande falò divampava sul vialetto di ciottoli che conduceva a est verso la piazza di Palamas. Una folla di servi del palazzo e staffieri e giardinieri, assieme a gente comune in abiti da festa, stava intorno al fuoco. Alcuni stavano addossati e allungavano le mani per riscaldarle. Poi una lavandaia si lanciò verso le fiamme, con le lunghe gonne che le svolazzavano intorno alle caviglie. Mentre saltava sopra il falò, gridò, «Brucia, sfortuna!» Barcollò nell'atterrare, uno staffiere in sgargiante tunica l'afferrò per la vita per impedirle di cadere. Lei lo ripagò con un bacio. Le braccia dell'uomo le si strinsero intorno. La folla gridò e applaudì e diede loro consigli osceni. Gli occhi di Lysia scintillarono. «Tutto può accadere nel Giorno di Mezzo Inverno,» disse. «So cosa sta sperando che accada quell'uomo,» rispose Maniakes. Inclinò verso l'alto il volto di Lysia per darle un breve bacio. Poi fece il suo salto sul falò. La gente gridò e si scostò. Lui saltò. Si librò. «Brucia, sfortuna!» gridò. In tutta la città di Videssos, in tutto l'Impero di Videssos la gente stava saltando e gridando. I sacerdoti la chiamavano superstizione e
talvolta inveivano contro di essa, ma quando arrivava il Giorno di Mezzo Inverno, anche loro saltavano e gridavano. Il rumore di piedi in corsa fece voltare Maniakes. Era Lysia con la sagoma che si deformava bizzarramente attraverso le onde di calore del falò. «Brucia, sfortuna!» gridò mentre balzava. Assicurandosi che nessuno lo precedesse, Maniakes la aiutò ad atterrare. «Accidenti, grazie, signore,» disse lei, come se non lo avesse mai visto prima. La folla gridò di nuovo quando lui le diede un altro bacio. I consigli che gridarono non furono diversi da quelli che avevano dato allo staffiere e alla lavandaia. A braccetto, Maniakes e Lysia attraversarono la piazza di Palamas. Un oste intraprendente aveva approntato un tavolo con una grossa brocca di vino e diverse coppe di terracotta. Maniakes lanciò un'occhiata a Lysia, che annuì. Il vino non era migliore di quello che sì era aspettato. Diede un pezzo d'oro all'oste. Gli occhi dell'uomo si spalancarono. «Sono sspiacente, vostra Maestà,» disse, «ma questo non posso cambiarlo.» «Non essere sciocco,» gli disse Maniakes. «È il Giorno di Mezzo Inverno. Tutto può accadere nel Giorno di Mezzo Inverno.» Lui e Lysia si allontanarono. «Phos vi benedica, vostra Maestà,» gli gridò dietro l'oste. Lui sorrise a Lysia. Non l'aveva mai sentito dire in città, o almeno non spesso. Lysia doveva aver pensato la stessa cosa, perché disse, «Dopo questo mi sembra una vergogna dover andare all'Anfiteatro.» «Non è vero?» disse l'Avtokrator. «Non c'è modo di evitarlo, però. Se non vado a sedermi sulla spina per vedere le compagnie dei mimi che mi prendono in giro, metà della città penserà che sono stato rovesciato e l'altra metà penserà che dovrei esserlo. Sono il sovrano in tutti i giorni dell'anno tranne uno, e non posso - o almeno non devo -lamentarmi di quello che accade quel giorno. Tutto può accadere nel Giorno di Mezzo Inverno.» Conferì una sfumatura ironica al detto. La piazza di Palamas, oltre il quartiere del palazzo, era affollata di festaioli... e di vinai, venditori ambulanti di cibarie e puttane che li avrebbero aiutati a festeggiare ancora di più. E sicuramente anche di tagliaborse e giocatori disonesti che li avrebbero aiutati a festeggiare di meno. Maniakes e Lysia saltarono sopra altri falò. Nessuno li insultò. Maniakes vide una coppia di sacerdoti nella folla, ma l'uno era così ubriaco da non reggersi in piedi e l'altro aveva un braccio intorno alla vita di una donna che probabilmente non era una signora. L'Avtokrator si strinse nelle spalle e proseguì verso l'Anfiteatro. Immaginò che anche i sacerdoti avessero diritto a un
giorno di non santità una volta all'anno. La gente affluiva nell'Anfiteatro, l'edificio a forma di enorme ciotola di minestra dove si svolgevano corse di cavalli per la maggior parte dell'anno. Un attimo prima che Maniakes e Lysia raggiungessero la porta attraverso la quale, negli altri giorni, entravano i cavalli, l'Imperatrice emise uno strillo indignato. «Qualcuno,» disse, truce, «ha le mani che necessitano di una lezione di buone maniere, ma, in questa folla, che io possa andare al ghiaccio se so chi è.» Sospirò, con un'espressione che si avvicinava alla rassegnazione. «Il Giorno di Mezzo Inverno.» «Il Giorno di Mezzo Inverno,» le fece eco Maniakes. Gli uomini non avevano pudore durante i festeggiamenti. In effetti, nemmeno le donne. Parecchi bambini, nati intorno all'equinozio autunnale, non avevano grande somiglianza con i mariti delle madri. Tutti lo sapevano. Sottolinearlo era indice di pessima educazione. Kameas, Rhegorios, il vecchio Maniakes, Symvatios, il patriarca Agathios, cortigiani e funzionari assortiti, un picchetto di Guardie Imperiali in cotte dorate e mantelli scarlatti e i dodici portatori di ombrelli al completo aspettavano davanti alla porta. Rhegorios batté sulla spalla di Kameas. «Ecco. Vedi, stimato signore? Te lo avevo detto che sarebbero venuti qui.» «Non dovevano andarsene in giro da soli per la città, lasciandomi sulle spine,» disse con petulanza il vestiarios, lanciando a Maniakes un'occhiata severa. «Tutto può accadere nel Giorno di Mezzo Inverno: anche una fuga dal cerimoniale,» disse l'Avtokrator. Kameas scosse la testa, chiaramente in disaccordo. Ma adesso avrebbe avuto modo di rifarsi: Maniakes era tornato ancora una volta nella rete. Con un gesto più imperioso di quelli che l'Avtokrator avrebbe mai potuto ostentare, Kameas ordinò al corteo di entrare nell'Anfiteatro. La folla tacque per un momento, poi proruppe in forti acclamazioni, sapendo che il principale intrattenimento della giornata stava per iniziare. Il padre di Maniakes e quello di Lysia provocarono applausi prolungati: erano diventati molto popolari in città. E anche Rhegorios, che era popolare ovunque andasse. Marciando dietro i portatori di ombrelli, Maniakes provò un momento di gelosia. Se Rhegorios avesse voluto usurpare il suo posto, probabilmente avrebbe potuto farlo. Poi, con Lysia accanto a lui, l'Avtokrator avanzò rendendosi pienamente visibile dalla folla. Era pronto a subire gli insulti e gli sbeffeggiamenti che si sarebbero rovesciati su di loro a cascata, com'era accaduto nei Giorni di
Mezzo Inverno passati. E ci furono insulti e sbeffeggiamenti. Li udì. Ma, con suo deliziato stupore, un grande torrente di applausi quasi li sommerse. Lysia allungo una mano stringendo la sua. «Finalmente ci siamo riusciti, eh?» disse. «Forse sì,» rispose Maniakes. «Per il buon dio, forse sì.» Dietro i portatori di ombrelli, avanzarono sulla spina dell'Anfiteatro. Lo scranno dell'Avtokrator, posto al centro, aveva una speciale proprietà: uno stratagemma acustico consentiva a tutti coloro che erano dentro l'enorme struttura di udire le parole che pronunciava. Per contro, luì sentiva, o credeva di sentire, tutto il clamore dentro l'Anfiteatro, dal momento che ogni singola parola sembrava diretta a lui. Seduto su quello scranno, talvolta si domandava se la sua testa sarebbe esplosa. Quando sollevò la mano per imporre il silenzio, ottenne... un po' meno trambusto. Dopo un momento, ne ottenne ancora meno, e decise quello che doveva fare. «Popolo della città di Videssos!» gridò, e poi, correndo il rischio, «Amici miei!» Nessun grande torrente di fischi e ululati si rovesciò su di lui, per cui proseguì, «Amici miei, ne abbiamo passate tante insieme in questi ultimi anni, e specialmente la scorsa estate. Il buon dio volendo, i tempi duri saranno per un po' alle nostre spalle. Per celebrare ciò, e per celebrare il sole di Phos che tornerà a ruotare verso nord da questo giorno in poi, rallegriamoci e divertiamoci. Tutto può accadere nel Giorno di Mezzo Inverno!» L'applauso gli fece quasi saltare via la sommità del cranio. Dovette scostarsi dal fuoco esatto del suono per salvarsi le orecchie. Poi la prima compagnia di mimi fece il suo ingresso sulla pista dei cavalli. Le acclamazioni frenetiche che ricevettero fecero apparire tiepide quelle che aveva ricevuto lui. Fece un sogghigno amaro. Questo dimostrava qual era il suo posto nel cuore della città: buono rispetto a prima, ma sempre dopo i divertimenti. Sapeva che le cose sarebbero peggiorate se non fosse apparso divertito a ogni parodia presentata dai mimi, che fosse o no indirizzata a lui. La prima non lo era: mostrava Etzilios che fuggiva a Kubrat come un cane con la coda fra le gambe, fermandosi a defecare durante il tragitto. Era cruda, ma Maniakes era abbastanza contento da ridere davanti al ritratto della sconfitta di uno vecchio nemico. La parodia successiva sembrava riguardare i furti nelle taverne. La folla la apprezzò, Maniakes meno. «Accadevano mentre eri nelle terre occidentali,» disse suo padre.
Dopo quella compagnia uscirono diversi uomini con la facce sbarbate, uno dei quali si mise ad avvelenare gli altri e a pugnalarli alla schiena. Kameas e gli altri eunuchi sulla spina dell'Anfiteatro risero fino alle lacrime. Yeliif era già sulla via di Opsikion. Maniakes dubitò che si sarebbe divertito. L'Avtokrator si domandò quanto avevano dato gli eunuchi ai mimi per convincerli a tagliarsi le barbe. Un'altra parodia suggerì che Sharbaraz, invece di ritenersi il Dio incarnato, pensava di essere il patriarca ecumenico, una carica che i guitti ritenevano molto più suggestiva. Quello che fece quando scopri che il patriarca doveva essere celibe fece trasalire e ridacchiare Agathios nello stesso tempo. Tutto era lecito nel Giorno di Mezzo Inverno. Uscì una nuova compagnia e presentò lo spettacolo dei monoxyla kubrati che affondavano e andavano in fiamme. I mimi diedero davvero fuoco alle loro finte barche, poi saltarono sopra di esse come se fossero i falò beneauguranti nella piazza di Palamas. Un'altra compagnia ancora mostrò un 'bollito', che chiaramente rappresentava Abivard, intento a decidere se indossare abiti simili a quelli dell'Avtokrator dei Videssiani o a quelli del Re dei Re makurano. Quando decise per questi ultimi, il mimo che stava indossando le vesti videssiane lo inseguì lungo tutta la pista, fra le grida divertite della folla. Maniakes si chinò verso Lysia e disse, «Vorrei che fosse stato così facile.» «Tutto è facile... se sei un mimo,» rispose lei. Maniakes pensò che lui e Lysia l'avrebbero fatta franca, ma una compagnia prese di mira loro... e anche Agathios, per buona misura. Lanciando un'occhiata al patriarca, Maniakes lo vide fumare di rabbia. Ciò rese più facile per l'Avtokrator restare seduto e fingere di divertirsi agli insulti che fecero ridere a crepapelle il popolo della città. Ma il suo buonumore tornò del tutto quando, nella successiva - e conclusiva - parodia, realizzò che l'ometto dispettoso che veniva fatto rimbalzare a calci fra mimi abbigliati da Videssiani e altri che rappresentavano i Makurani era Tzikas. La folla rise con forza maggiore di quella che aveva mostrato davanti alla volgare parodia indirizzata a lui. E poi finì. Ricevette applausi quando congedò la folla: applausi, senza dubbio, da tanti della folla che lo avevano deriso durante lo scherzo di pochi minuti prima. Si allontanò dallo scranno collocato nel cuore acustico dell'Anfiteatro e disse. «Non è stato tanto brutto... e adesso è finita per un altro anno.» «Phos sia lodato!» disse Lysia. «Ma hai ragione: non è stato tanto brut-
to.» Mentre si facevano strada fuori dalla grande arena dietro i portatori di ombrelli, chiese, «Cosa intendi fare, adesso?» Le loro incombenze cerimoniali erano terminate. Lui le fece scivolare un braccio intorno alla vita. «So che è passato pochino dalla nascita di Savellia, ma è il Giorno di Mezzo Inverno. La gente sarà troppo impegnata a procacciarsi il proprio divertimento per badare a noi,» disse speranzoso Maniakes. «Forse.» Lysia non sembrava crederci, ma anche il suo braccio scivolò intorno alla vita di lui. Assieme, attraversarono la piazza di Palamas e raggiunsero il quartiere del palazzo, dov'era la residenza imperiale. FINE INDICE CAPITOLO PRIMO CAPITOLO SECONDO CAPITOLO TERZO CAPITOLO QUARTO CAPITOLO QUINTO CAPITOLO SESTO CAPITOLO SETTIMO CAPITOLO OTTAVO CAPITOLO NONO CAPITOLO DECIMO CAPITOLO UNDICESIMO CAPITOLO DODICESIMO CAPITOLO TREDICESIMO
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