SHELLEY SMITH LA CANTINA N. 5 (The Cellar At N° 5, 1954) A Barbara, il suo libro 1 Non appena le lettere scivolarono sul...
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SHELLEY SMITH LA CANTINA N. 5 (The Cellar At N° 5, 1954) A Barbara, il suo libro 1 Non appena le lettere scivolarono sullo stuoino, lei cominciò a scendere la scala ciabattando, diretta verso la porta. Aveva le gambe magre, avviluppate in un paio di calze grinzose, mentre la cintura della veste da camera le penzolava sui fianchi. Già prima di aver raggiunto lo stuoino, la signora Rampage si rese conto che la lettera che aspettava non era tra quelle appena recapitate. Sempre la solita storia. Nient'altro che buste commerciali. Vi diede una scorsa veloce. Conti... conti... conti... o ricevute. No, niente che venisse da Jonquil. Provò qualcosa di più di una semplice delusione; era come un rigurgito d'ansia che la faceva stare male. Non ricevere notizie di Jonquil le faceva provare sempre l'orribile sensazione che dovesse essere successo qualcosa. Eppure sapeva che la figlia non era un'assidua interlocutrice. E così, anche il giorno del suo compleanno, nessuno le aveva spedito il benché minimo bigliettino d'auguri, tanto per non farla sentire completamente dimenticata. «Povera vecchia mamma!» disse a voce alta, in tono autoironico. «Ormai non si ricorda più nessuno di te!» Tenendo la posta ancora in mano, aprì la porta alla sua sinistra e, con passo traballante, attraversò la stanza al buio, sbattendo ripetutamente contro i mobili. Doveva togliere le pesanti sbarre di ferro che bloccavano gli scuri e far entrare così l'aria fresca del mattino. Sarebbe stata una bella giornata. Rallegrata da quell'auspicio, di colpo decise che con il secondo giro di posta avrebbe ricevuto una lettera da parte della figlia. Jonquil non si sarebbe mai dimenticata del compleanno della madre, di quello poteva stare certa. Non c'era alcun dubbio, si ripeté tra sé e sé. Allora, perché stava a preoccuparsi tanto? Rimase in piedi nel centro dell'elegante salotto a controllare la posta. Era tutta spettinata, con quel grosso e vecchio corpo in equilibrio sulle gambe malferme. Era una figura grottesca, persa tra i bronzi dorati, i lavori d'intarsio e i broccati che la circondavano da ogni parte. Eppure, la luce che
filtrava dalle lunghe finestre di stile georgiano e illuminava la vestaglia di satin, facendo risaltare l'argenteria e le porcellane contro le tappezzerie scure delle pareti, trasformava quella scenetta patetica in un bell'interno sfavillante tipico della scuola olandese, magari di un Gerard Terborch. Poi, spazientita, infilò nuovamente i conti dentro le buste e i raggi di luce scivolarono via come gocce di mercurio. Con passo pesante, scese fino al seminterrato per prepararsi la colazione. Una cucina nel seminterrato a quei tempi! Il candore ospedaliero della stufa e del frigorifero faceva a pugni con i muri in pietra che ricordavano una prigione sotterranea. La signora Rampage s'appoggiò al tavolo per mangiare in fretta i suoi cereali. Non le piacevano e voleva toglierseli di torno il più in fretta possibile. Nonostante ciò, comunque, non aveva la minima intenzione di disturbarsi per preparare qualcosa di più appetibile. «Deliziosi!» esclamò, facendo schioccare persino là lingua non appena li ebbe terminati. Quando il bollitore cominciò a fischiare, si preparò una tazza di caffè con del surrogato e lo trangugiò. Poi risciacquò tazza e bollitore sotto il rubinetto e li lasciò ad asciugare sullo sgocciolatoio. Anche il rito della colazione era terminato. A guardarla, si sarebbe pensato che non avesse un minuto da perdere, e invece non aveva niente da fare per tutto il giorno. La signora Rampage non si vestiva mai prima di aver sbrigato i lavori domestici. Le piaceva gironzolare per casa con il corsetto e la vestaglia di satin. Tre volte alla settimana veniva una donna a sbrigarle i lavori pesanti. "Un vero angelo", "un tesoro": così la definiva la signora Rampage. Nonostante ciò, non ci si poteva aspettare che facesse tutto; inoltre, la signora Rampage ci teneva a essere lei stessa a occuparsi dei vari pezzi d'antiquariato che aveva in casa. Non si sarebbe fidata di nessun altro. E poi, a lei piaceva lavare le sue ceramiche di Dresda, o far uso di una delle proprie esclusive ricette per pulire l'avorio antico o ravvivare il colore di un vecchio mobile. Con la figlia così lontana, le rimaneva ben poco da fare nella vita; il suo unico, vero interesse risiedeva nel collezionare pezzi d'antiquariato. Il tempo scorreva più velocemente se lo passava a rovistare tra la paccottiglia di qualche squallido negozio di bric-à-brac. Il numero 5 era una vecchia casa piuttosto alta; dalla strada si vedeva solo la finestra del pianerottolo, che spuntava dietro un alto muro di mattoni. La signora Rampage viveva lì tutta sola. Senza dubbio, era una casa sco-
moda e troppo grande per lei ("tutte quelle scale!", si lamentava sempre con le sue amiche), ma non si decideva mai a cambiare. In fondo l'amava, quella casa. Ne andava enormemente orgogliosa; le stanze a pannelli, la lunga scalinata a chiocciola con la balaustra in legno tornito, le bellissime architravi d'epoca... tutto la deliziava. Inoltre, era stata costretta a spendere molti soldi per rimetterla a posto e per tenerla in ordine (grondaie rotte, vecchie tubature, travi consunte dal tempo potevano gettare una persona sul lastrico), e ciò che ci è costato molto finisce inevitabilmente per occupare un posto privilegiato nei nostri affetti. La logica della natura umana è questa. Eppure, non si trattava solo di una questione d'orgoglio. Non era solo il fatto che lei avesse speso in quella casa più soldi di quanto pensava di poterne guadagnare se l'avesse rivenduta. Si trattava di qualcosa di più doloroso, di qualcosa che aveva a che fare con Jonquil, anche se la figlia non aveva mai visto quell'edificio. Era l'idea che se lei avesse deciso di andare a vivere in un altro posto, ci sarebbe stata tutta un parte della sua vita che Jonquil non avrebbe mai potuto conoscere, eventi di un intero capitolo esistenziale che sarebbero andati persi per sempre. E anche la più piccola separazione, mentale o fisica che fosse, alla signora Rampage dava lo stress; era un'odiosa, piccola "morte". Tutti erano d'accordo sul fatto che se c'era una persona in grado di sollecitare la fantasia della brillante signora Rampage, quella era proprio la figlia. Come la faceva grossa! Quando parlava di lei, aveva quell'espressione eccitata e adorante, tipica degli amanti, che la rendeva ancora più insopportabile. Ma nessuno si rendeva conto che Jonquil era la sua religione; una religione che affondava le sue radici nel possesso e nell'adorazione della figlia. Come i mistici riescono a restare in contemplazione per lunghissimi periodi, così la signora Rampage era in grado di meditare sulla sua Jonquil senza mai stancarsi. Anche adesso che stava passando lo straccio sul pavimento, con una parte della mente pensava a lei. Dopo quattro anni, era difficile raffigurarsi come fosse Jonquil o che vita stesse conducendo, così era obbligata a immaginarsi la figura della figlia collocandola in sfondi del tutto fittizi. Stranamente, durante quei suoi esercizi di meditazione non compariva mai l'immagine sbiadita dell'uomo che Jonquil aveva sposato. Lui non faceva parte dei pensieri della signora Rampage. Il parquet era così splendente che, in un altro scomparto della sua mente, la signora Rampage decise di regalare alla donna delle pulizie quel suo vecchio cardigan rosso che aveva le tarme. Ma cambiò idea non appena
scoprì una grossa ragnatela dietro la pendola del nonno. «Brutta sudiciona!» urlò con rabbia, togliendo la ragnatela con un panno. Erano tutte uguali. Sempre la solita musica. "Evidentemente, le costa troppa fatica guardare dietro i mobili" disse tra sé e sé in tono di rimprovero, pensando a Lily Graveyard. "Mezza corona all'ora per una spolveratina, più lo spuntino a metà mattina, una simpatica chiacchierata mentre se ne sta seduta su quel suo grosso fondo schiena, e ha ancora il coraggio di chiamarla una giornata di lavoro!" Non era un pensiero molto equo nei confronti della signora Graveyard, una donnetta che lavorava come una schiava. Certe volte, pareva addirittura che la signora Rampage le avesse messo i carabinieri alle calcagna. Il telefono la fece sobbalzare, e lei si precipitò in fretta a sollevare il ricevitore come se fosse stato un vulcano sul punto di esplodere. Lo maneggiava sempre con una certa circospezione e parlava con un tono così alto da rompere i timpani a chi si trovava dall'altra parte del filo. Era una sua amica, che le telefonava per augurarle mille di quei giorni. «Mia cara, non ricordarmelo!» la implorò la signora Rampage. «Alla mia età, uno cerca di dimenticarsene.» Mentre ascoltava le chiacchiere di Geraldine, con la mano libera cominciò a passare lo straccio sullo specchio dorato accanto al telefono. Tirò fuori la lingua e si mise ad esaminarla allo specchio con la serietà di un medico. Geraldine era particolarmente noiosa quel giorno, con la visita di una sua cugina ipocondriaca. Come se, per la signora Rampage, la cosa avesse una qualche importanza! A quanto pareva, comunque, Geraldine non aveva nessuna intenzione di invitarla a mangiare fuori, così la signora Rampage urlò all'improvviso: «Mia cara, devo scappare; il latte mi si sta versando sul fuoco!» e riagganciò. «Sei tu, Lily?» urlò dopo un po' dalla balaustra, sentendo un rumore al piano di sotto. Ma non ottenne nessuna risposta. Delusa, la donna riprese a spolverare. Doveva succedere qualcosa di speciale nel giorno del proprio compleanno, per quanto anziana una potesse essere. Se non ci fosse stato nessuno a farle una sorpresa, se la sarebbe fatta da sola. «Ti porterò a fare un giro, povera la mia vecchietta» disse, rivolgendosi a se stessa. «Ce ne andremo a vedere se Etta ha qualcosa d'interessante e ti lascerò spendere fino a tre sterline» si ripromise, per tirarsi un po' su di morale. Henrietta Purvis era la sua amica più intima, la sua confidente naturale. Niente era mai riuscito a dividerle. Né Jonquil né i loro mariti. Sembrava incredibile persino a loro stesse pensare che erano amiche da oltre cin-
quanta anni! Due ragazzine che se ne andavano a scuola con i loro berrettini rossi e le calze di lana nere. Ripensare a quando si confidavano i loro piccoli segreti, o a quando bisticciavano fino alle lacrime, adesso la faceva sorridere. Non esisteva nessun altro al mondo che le conoscesse come si conoscevano loro. Henrietta, piena di buon cuore ma un po' turbolenta, si era data al teatro. Questo, però, era avvenuto molto tempo prima. Da allora erano successe così tante cose da poter riempire un libro. La sua ultima impresa era stata quella di aprire un negozio d'antiquariato in Church Street, a Kensington. Lei diceva sempre che gli affari andavano a gonfie vele, quando la signora Rampage glielo chiedeva. Ma il sospetto che l'amica potesse dire la verità faceva impazzire la signora Rampage, che pensava di conoscere l'antiquariato molto meglio di Henrietta. Ciò che la tormentava era che in quell'affare avrebbe potuto esserci anche lei, se solo fosse stata un po' più coraggiosa. Perché quando Henrietta aveva aperto quel negozio, le aveva chiesto se voleva diventare sua socia mettendo un migliaio di sterline nell'affare. Lei aveva rifiutato per paura di rischiare i suoi preziosi capitali affidandoli all'ignoranza abissale di Henrietta. Henrietta non si rendeva conto di quanto dolore avrebbe potuto arrecare all'amica una perdita così ingente. "Sorseggiare soltanto è una cosa pericolosa. O si beve fino in fondo o è molto meglio non bere affatto" diceva sempre la signora Rampage. In privato, lei era dell'opinione che Henrietta avrebbe dovuto prenderla come socia solo per le conoscenze che la signora Rampage aveva nel campo, senza pretendere di farle rischiare anche del denaro. Ma Etta era fermamente convinta di saperne almeno quanto la signora Rampage, se non di più. Naturalmente, ci sarebbero state liti furibonde se si fossero messe insieme negli affari, ma la signora Rampage non poteva fare a meno di pensare che sarebbe stato anche un grande spasso. Etta era una vecchia divertente. Certo, lei sperava che a Henrietta le cose andassero bene, ma sarebbe stato altrettanto gratificante se gli affari fossero andati a rotoli, nonostante tutti gli scongiuri della signora Rampage. Il campanello squillò due volte. «Questo è Billy, il postino!» urlò la donna, annoverandolo di colpo tra i suoi amici. Lui le lanciò un pacchetto. «Un regalo! Che bello!» gridò lei estasiata, come se avesse davvero ricevuto un dono. Poi, vedendo che il pacchetto non era di Jonquil, chiamò il
postino con aria ansiosa. «Non c'è altro per me?» «Per oggi è tutto!» bofonchiò quest'ultimo, sbattendo il cancello. Non era più un amico, ma un nemico. «Non è proprio il caso di piangere, vecchia scema» disse la signora Rampage, rientrando con il pacchetto sotto il braccio e sbattendosi la porta d'entrata alle spalle. «Probabilmente la posta sarà in ritardo» proseguì, asciugandosi le guance con la manica della vestaglia (ma quegli stupidi occhi continuavano a versare lacrime). «Be', è curioso che Rhoda si sia ricordata di me!» esclamò dopo qualche attimo, cercando di sentirsi compiaciuta (Rhoda era la sua sorella maggiore). «Vediamo cosa mi ha spedito... Ma dove ho messo le forbici?» si chiese, passando da una stanza all'altra. «Forbici... forbici...» aggiunse affannosamente stringendosi la cintura, mentre qualche lacrima di autocommiserazione e di rabbia cominciava a scenderle lungo le guance. Odiava quel regalo già prima di vedere cosa fosse, per il semplice fatto che non era di Jonquil. (Già: la figlia non le aveva mandato niente). Una volta scartato il pacchetto, scoprì che si trattava di un capace cestino da lavoro, costruito su un'armatura di legno abbastanza larga da poter contenere la Queen Mary e abbastanza brutta da scuotere la terra fin dalle fondamenta. C'era spillato un bigliettino, scritto con la grafia quasi illeggibile di Rhoda. La signora Rampage inforcò i suoi occhiali con la montatura rosa e lesse: Spero che questo ti sarà utile, se trovi ancora tempo per fare i tuoi meravigliosi ricami. La tua affezionatissima sorella RHODA Quell'innocuo bigliettino la fece praticamente andare su tutte le furie. Ogni parola le suonava come un insulto. Doveva essere stato un lavoro da artisti raggruppare tante frecciatine in una frase così breve. Rhoda non poteva credere che quel cestino le servisse davvero. Ma cosa pensava che se ne potesse fare lei di quegli arnesi da lavoro che le inviava in continuazione? Inoltre, Rhoda doveva ricordarsi perfettamente che per il ricamo lei aveva sempre usato la sua pregevole scatola da lavoro Sheraton. E poi quella frecciatina sul tempo! Come a dire che solo una come la signora Rampage, senza la minima responsabilità familiare e con nessun altro a cui
dover badare, poteva trovare piacevole al giorno d'oggi perdere tempo con simili civetterie. L'allusione a quei suoi "meravigliosi ricami" era puro sarcasmo, naturalmente. Rhoda era sempre stata gelosa della straordinaria abilità di cui la sorella aveva sempre dato prova nel settore. La signora Rampage rivoltò l'interno del cestino e, con rabbia, esaminò la fodera e le stecche, come una scimmia alla ricerca di pulci. Stava pensando a come usarlo per potersi vendicare dell'insulto subito. Nella sua testa cominciò a prendere forma una lettera immaginaria. "Cara Rhoda" le avrebbe scritto "che gentile da parte tua spedirmi un altro di quei bellissimi cestini da lavoro per il mio compleanno. Quello che mi hai mandato per Natale è stato così utile che non so proprio come avrei fatto se non l'avessi ricevuto. E poi, i cestini da lavoro non sono mai troppi..." Lei voleva molto bene a Rhoda, l'ultima della famiglia. L'aveva sempre ammirata, e anche un po' temuta. Di tanto in tanto, l'aveva persino odiata (una volta avevano bisticciato e non si erano più parlate per tre anni). Nonostante ciò, e sebbene Rhoda avesse ora settant'anni, la signora Rampage riusciva ancora a provare una profonda gelosia nei confronti della sorella. Era gelosa che Rhoda avesse un marito a cui badare e che l'amasse; era ingiusto che quei due dovessero passarsela così bene lassù nel Cumberland, in quella fattoria che Tom aveva comprato dopo essere andato in pensione. È che semplicemente Rhoda non aveva idea, presa com'era dal marito, della vita che poteva condurre una vecchia vedova; la tremenda solitudine di una condizione del genere, aggiunta alla scarsità di denaro e a quell'unica figlia a quattromila miglia di distanza. Rhoda, adesso, non veniva quasi più a Londra, e la signora Rampage non riusciva davvero a trovare il tempo per andare fino nel Cumberland dalla sorella solo perché lei la invitava sempre. Le due sorelle non si vedevano da un paio d'anni, e ormai conducevano due vite così indipendenti l'una dall'altra che non si curavano neanche più di scriversi: sembrava che non avessero niente da dirsi. Solo qualche ricordino a Natale e per i compleanni, tanto per tenere sempre vivi i legami familiari. Il cestino da lavoro era foderato internamente con un bel pezzo di stoffa dal quale sarebbe stato possibile ricavare un paio di mutande lunghe per l'inverno. Un pensiero così osceno gratificò il desiderio di vendetta della signora Rampage. Era di nuovo allegra quando scese per fare quattro chiacchiere con la donna di servizio. Si sentiva proprio dell'umore adatto per conversare in allegria. Ma la si-
gnora Graveyard era malinconica. Si sedette sui calcagni e, con il suo faccino giallo, in cui spiccavano due occhi neri come le prugne, rimase a fissare la signora Rampage. «Ieri mia sorella è stata di nuovo male, signora» cominciò la donna di servizio. Era uno dei suoi inizi preferiti. «Oh, mi spiace.» «Già. È rimasta alzata metà della notte e io ho dovuto starle dietro. Oh, era sconvolgente vederla. Pensavo che stavolta non ce l'avrebbe fatta.» Questo genere di discorsi provocavano sempre ilarità nella signora Rampage. Non era abituata a sentire qualcuno che si lamentava. Non aveva cuore. Per cercare di nascondere la risata che le saliva alle labbra, disse in fretta: «Oh, poverina! Immagino che si sentirà a pezzi. Stavo giusto per preparare il tè. Lo prenda anche lei, così si rincuorerà un po'.» «Be', non posso dire che non lo gradirei, signora» osservò amabilmente la domestica. Ma un attimo dopo, la signora Rampage corse fuori dalla cucina urlando: «Lily, diavolo di una donna!» «E ora, signora, cos'ho fatto?» urlò la povera Lily, sbiancando in volto. «Hai lasciato la luce accesa in cantina, brutta sprecona!» «Dovevo ritornarci tra poco con la pala, signora.» «Be', avresti potuto riaccenderla» sottolineò la signora Rampage in tono gentile. Poi ricordò qualcos'altro. «Questo mi fa venire in mente l'entrata. Da quanto tempo non la pulisci? Mi pare siano diversi mesi che non passi lo straccio dietro la pendola, no? È disgustoso.» Con il tono mesto di un bambino colto in fallo dalla maestra, la signora Graveyard disse: «Ci pulisco ogni settimana, signora.» «Allora vieni a vedere tu stessa» disse la signora Rampage, con un'alzata di spalle. Sempre a lamentarsi per qualcosa. Non avrebbe potuto spegnere la luce o togliere la ragnatela lei stessa? Oh, no, doveva sempre ricamarci su, dimostrare che c'era immancabilmente qualcosa che non andava. La signora Graveyard era veramente stufa, su questo non c'erano dubbi. «Se il mio lavoro non la soddisfa...» disse la donna di servizio con voce tremante. «Come corri, Lily... Non ho mai detto una cosa del genere. Non essere sciocca.» «Non può aspettarsi che questa casa sia tenuta come dovrebbe, dato che la pulisco solo tre mattine alla settimana. Nessuno riuscirebbe a farla
splendere, con così poco tempo a disposizione.» «Non mi sto lamentando. Lo so che stai passando un brutto periodo, ti capisco.» «Lavoro come una schiava dalla mattina alla sera» disse la signora Graveyard, guardando il pavimento «ed è più di quanto un essere umano possa sopportare.» «Lily, per amor del cielo, non prenderla così!» «No, forse è meglio che mi licenzi e la faccia finita, se lei preferisce, signora» disse la domestica con voce strozzata. «Stupidina, non dico sempre a tutte le mie amiche che grande lavoratrice sei? E poi, oggi è il mio compleanno. Non potrei mai accettare le tue dimissioni nel giorno del mio compleanno» disse allegramente la signora Rampage. «Avevo intenzione di regalarti quel mio bel cardigan rosso. Dovrebbe andarti bene, adesso che si è ristretto.» La signora Graveyard si soffiò il naso e tirò un gran sospirone. «Be', grazie, signora» disse, tutta compunta. Poi, vedendo i buchi creati dalle tarme, aggiunse: «A qualcosa servirà.» Stavolta, l'aveva spaventata sul serio quella vecchia insopportabile... La signora Rampage andò al piano di sopra a vestirsi. Si mise la vecchia gonna di tweed color mostarda che portava tutti i giorni e sul bustino indossò una camicetta verde muschio. Si sporse verso lo specchio e, senza farci troppa attenzione, si passò il rossetto sulle labbra. Si ombreggiò le palpebre e diede un po' di colore anche alle guance. Poi vi passò sopra una spruzzata di cipria per nascondere il livido che da una gota le saliva fino all'occhio, come una specie di voglia. Stava ravviandosi i riccioli sulla fronte quando la signora Graveyard entrò nella stanza per dirle con voce tremante che la signora Getaway la stava aspettando al piano di sotto. Cissie Getaway era la nipote della signora Rampage, e una sua visita a quell'ora del mattino era, se non del tutto inattesa, almeno alquanto improbabile, visto che Cissie passava per un donna ricca che aveva due cameriere fisse e non si alzava mai prima delle dieci e mezzo del mattino. La signora Rampage balzò subito alla conclusione che Cissie doveva essere foriera di cattive notizie. «Ciao, cara!» urlò Cissie. «Cissie, che piacere vederti!» esclamò la signora Rampage, porgendole una guancia color magnolia. «Tutto bene cara, vero?» «Ma certo, zietta. Cosa dovrebbe essere successo?» La signora Rampage spinse in avanti una sedia con un gesto nervoso,
chiedendosi che cosa potesse volere la nipote. «Hai un aspetto meraviglioso!» disse falsamente, dato che non aveva voglia di osservarla con attenzione. «Vieni a sederti vicino a me, così mi dirai come mai sei passata a trovare la tua vecchia zia.» «Ma per il tuo compleanno, naturalmente, zietta.» Cissie rovistò nella sua elegante borsa di coccodrillo e tirò fuori una scatoletta incartata. «No! Me ne ero completamente dimenticata!» dichiarò la signora Rampage. «Vuoi dire che sei venuta fin qui solo per farmi una visitina?» «Be', ma certo. Non lo faccio sempre? Ti ho portato anche un regalino.» «Oh, Cissie, cara, ma che discolaccia sei! Che cos'è?» «Aprilo e lo saprai» suggerì la signora Getaway. «Alla mia età, ci si dovrebbe dimenticare degli anni che passano» disse con indifferenza la signora Rampage, mentre con le tozze dita cercava di strappare la carta. «Io credo invece che è proprio quando una invecchia che ha bisogno di qualche regalino per consolarsi un po'.» La zia Luna non sapeva che espressione assumere davanti a quel regalo, così rimase a fissarlo ammutolita. «Be', ti piace, zietta?» «È troppo bello, è troppo bello» disse la signora Rampage, posandolo frettolosamente. Si trattava di una stupenda scatola in cuoio lavorato che conteneva sette anelli con pietre semipreziose. A tutta prima, la reazione della signora Rampage fu alquanto sospettosa. Un regalo di così grande valore non poteva essere certo fatto per niente. Che cosa voleva Cissie? Ma dopo un quarto d'ora, Cissie non era ancora arrivata al nocciolo della sua visita e continuava a chiacchierare allegramente dell'autista pazzo della cugina Emily e di un ballo a cui lei e Wilfred avevano partecipato al Dorchester. Nel frattempo, la signora Rampage era sugli spilli vedendo che il piccolo orologio dorato sul camino segnava già mezzogiorno e venti; la mattinata era andata perduta... E lei che aveva immaginato di passarla allegramente a rovistare nel retrobottega di Henrietta, tra pile di cartoni Regency e quadretti dipinti a mano! Alla fine, Cissie si lasciò scappare che aveva acquistato due biglietti per la nuova commedia di Yvonne Arnaud ma che, prima, avrebbe portato la zia a pranzo fuori. Che fosse successo qualcosa?, si chiese la signora Rampage. Magari qualcosa che aveva a che fare con Wilfred. Lui era un debole, un debole, e lei l'aveva ripetuto fin dall'inizio. Povera Cissie, con quel corpo così sgraziato! Tutti sapevano che lui l'aveva sposata per i soldi, e
naturalmente adesso si era stufato di lei. Era molto meglio discuterne nell'atmosfera privata della propria casa. «Perché pranzare fuori, cara? Spendere tutti quei soldi quando posso aprire qualche scatoletta e prepararti in pochi minuti un pranzetto delizioso!» «Oh, no, zia Lu!» disse bruscamente Cissie. «Ma non è un disturbo.» «Il fatto è che, in questo momento, sto facendo una rigidissima dieta» spiegò Cissie, terrorizzata dalla cucina della zia. «Ma in dieci minuti posso prepararti una mousse leggera come l'aria, che non farebbe male neanche a un bambino. Mi basta mescolare un po' di latte in polvere con della gelatina e sbatterci dentro una scatola di salmone e una piccola quantità di crema. È identica a quella che fanno al Ritz.» «Cara, mi è assolutamente proibito mangiare cibi in scatola. È veleno per me.» «Se posso darti un consiglio, tesoro, gli uomini odiano le donne che fanno tante storie con il cibo.» Ormai aveva deciso che tra Cissie e Wilfred dovessero esserci problemi grossi. «Ma che festa sarebbe per te se mangiassimo a casa?» disse Cissie in tono perentorio. Poi fece a modo suo, perché era abituata a farlo. Una non lavorava certo vent'anni in un comitato senza sviluppare una tecnica formidabile per piegare alla propria volontà le persone che mettevano sempre i bastoni tra le ruote. Forse era un carattere come quello che portava la gente a operare nei comitati; si aveva il potere di sentirsi utili alla società, di organizzare un ospedale o un club, di "gestire" un distretto o un consiglio. Messi con le spalle al muro dall'autorità della signora Getaway, anche gli avversari più duri non potevano che capitolare. Pranzarono al club della signora Getaway, nella bella sala da pranzo bianca con i pannelli di seta e i lampadari di cristallo. «Allora, Nelly... come sta Arthur?» chiese gentilmente la signora Getaway alla cameriera, durante le ordinazioni. La sua disponibilità d'animo si estendeva praticamente a tutte le persone che la servivano; di ognuno si ricordava il nome e le malattie dei familiari. Non era certo un tipo facile da abbindolare con una tragedia inventata. Riconosceva un bugiardo non appena il malcapitato apriva bocca, e non sbagliava mai quando dava giudizi sulla gente. Quali erano le ultime notizie di Jonquil?, chiese alla signora Rampage
mentre sorbivano la zuppa. E quella era proprio la domanda che piaceva di più alla signora Rampage. Si lanciò così in un racconto carico di vanterie e aggiunte personali del tutto improbabili. Jonquil, con la sua pelle candida e i capelli d'oro; Jonquil, per la quale un maharajah aveva perso la testa; Jonquil, che era stata personalmente lodata dal governatore per il lavoro svolto durante l'ultima epidemia di colera... Ma, purtroppo, tutta questa era roba vecchia, che la zia Luna le aveva già raccontato l'ultima volta che si erano viste, più di un mese fa. «Dovrebbe scriverti più spesso» disse la nipote con una punta di commiserazione. «Oh, ma cara, non sai quanto sia impegnata. E lei è così popolare! Ma lo sai che quando il Conte di Lavenham si è fermato lì mentre andava a Rangoon...» «Lo so, lo so. Ma di madre ne ha soltanto una. Potrebbe fare uno sforzo e scriverti un po' più spesso.» «Oh, ma mi scrive delle lettere meravigliose» disse la signora Rampage con lealtà. «E dovresti vedere come mi racconta quei posti! Prima o poi, scriverà un libro.» Ma Cissie era stufa di quella ragazza tanto egoista. «Zia Lu, cos'è quel livido che hai in faccia?» le chiese all'improvviso. In casa, la signora Rampage era riuscita a celare quella metà del volto allo sguardo indagatore di Cissie. Ma lì, in quel vasto ristorante tutto bianco, e con quelle lunghe finestre che lasciavano filtrare completamente la luce di un giorno di ottobre, non poteva più nasconderla. «Questo? Oh, niente. È quasi sparito.» «Come te lo sei fatto?» «Raccontami di Wilfred» tagliò corto la signora Rampage. «Dicono che sia così bravo nel suo lavoro. È vero?» Ma Cissie non era certo il tipo da lasciarsi scoraggiare dall'innocente malizia della zia Luna. «Come è successo?» insistette. «Stavo scendendo la scala con un vassoio e sono scivolata, tutto qui. Pensavo di essermi ammazzata» disse la signora Rampage, ridendo. «Zietta, dovresti stare più attenta! Uno di questi giorni ti farai male sul serio, e non ci sarà nessuno ad aiutarti. Spero che tu abbia chiamato un dottore, comunque.» «Per un'ammaccatura al sedere!» disse volgarmente la zia Luna. «E allora, per una cosa grave cosa dovrei fare? Invece mi sono semplicemente in-
filata a letto e mi sono nutrita con del succo d'arancia fino a quando non sono stata meglio. In ospedale, una cura del genere costerebbe almeno venti sterline. E invece a me è costata solo tre sterline e sei pence.» «Hai fatto male a non chiamare un dottore, zietta. Avresti potuto ferirti internamente con una caduta come quella. Non dovresti vivere da sola, lo sai.» «Be', comunque non potrei tenere perennemente una persona in fondo alle scale pronta a prendermi nel caso dovessi cadere» replicò la signora Rampage in tono scherzoso. «Parlo seriamente, zia Lu.» Il fatto è che la signora Getaway non era molto entusiasta all'idea che le signore anziane vivessero da sole. Ne aveva viste così tante di miserie umane, di tragedie, di vecchi abbandonati a se stessi... Ma certe cose non si potevano raccontare di punto in bianco a una povera vecchia. Le persone anziane avevano bisogno di essere trattate con delicatezza. E la zia Luna era notoriamente difficile, evasiva, contraria a certe idee e sempre incline a piangere sulle sue precarie condizioni economiche. Eppure, la signora Getaway continuò a sgridarla per la testardaggine che la vecchia dimostrava, così come aveva fatto tante volte in precedenza; e a ogni fallimento, seguiva un altro tentativo di volta in volta più pressante. «Non è giusto verso Jonquil, oltre tutto» disse furbescamente Cissie. «Cielo!» ribatté la signora Rampage, spazientita. «Tu parli come se fossi una vecchia rimbambita.» «Cara, ma non ti senti sola?» le domandò Cissie, quasi supplicando. «Io sarei terrorizzata a vivere da sola in una casa così grande.» Ma la signora Rampage non aveva mai avuto tempo di sentirsi sola, e quanto ad aver paura, quando chiudeva le imposte e sbarrava la porta, che cosa avrebbe dovuto temere? Era inutile che la cara e ottima Cissie controbattesse (rovinandole quel buon pranzetto): la verità, in fondo, era che lei non poteva sopportare l'idea di dividere la sua bella casa con nessuno, donna o uomo che fosse. Un intruso che le usasse il bagno e magari volesse mettersi a cuocere a ore strane, per poi lasciare tutta la cucina sporca e coperta di grasso... Oh, no, grazie tante! Dato che la signora Rampage aveva così tanto insistito sul fatto che non poteva permettersi di pagare una cameriera a tempo pieno, Cissie s'azzardò a suggerirle che avrebbe potuto prendere un ospite pagante, o se per lei quello significava troppo lavoro, una persona con la quale dividere le spese della casa. Ma a tutti quei suggerimenti la signora Rampage aveva un'unica
risposta: non avrebbe funzionato, per nessuna ragione al mondo. Gli ospiti a pagamento chiedevano in continuazione bicchieri di acqua calda e lasciavano le loro spazzole piene di capelli nel bagno; le signore con cui dividere le spese avrebbero ben presto rivelato i lati stravaganti del loro carattere, e non era da escludersi che potesse capitarle proprio il tipo che osservava ogni più piccola cosa e aveva da ridire su tutto. Le cameriere, poi, oggigiorno non erano che delle sudicione e delle vere streghe nei confronti dei loro datori di lavoro, lo sapevano tutti. E comunque, le sarebbe costato più di metà della sua pensione mantenere un'altra persona, e non le sarebbe rimasto niente per le tasse, la luce, il telefono e il giardiniere. Per non parlare poi del cibo, dei divertimenti o delle vacanze, concluse la signora Rampage con aria trionfante, elencando le varie voci con le sue dita tozze. «Non vedo perché Jonquil non dovrebbe darti una mano. Mi sembra che suo marito stia piuttosto bene» disse Cissie controbattendo la zia con le sue stesse armi, dato che lei si vantava in continuazione della ricchezza di Guy Bracebridge. «Lo farebbe, se glielo permettessi» mentì in fretta la signora Rampage. Per cambiare argomento, tirò fuori dalla borsetta la scatola con gli anelli e cominciò ad esaminarne il contenuto. Non li aveva osservati con attenzione, prima. Ora si accorse che le pietre erano berilli, ametiste e topazi bianchi; ogni anello portava, oltre al giorno della settimana, una iscrizione come Amor nel Cor o Candor et Felix, unitamente a un piccolo e grazioso bassorilievo di un cupido, un dragone o una nave. Lei li espose alla luce uno alla volta e rimase a fissarli, incantata. «Come mai hai deciso di separartene, Cissie?» le disse. «Sono meravigliosi! Non li avevo mai notati, prima.» «Come avresti potuto? Li ho appena comprati.» «Li hai comprati!» trillò la zia Luna come un cacatua. (Cissie si diede un'occhiata intorno, in direzione degli altri commensali). «Ho capito bene? Li hai proprio comprati? Ma sei impazzita? Perché hai fatto una cosa del genere? Spendere tutti quei soldi! Chissà cosa devono esserti costati! No, non me lo dire!» «Benone, zia Lu!» esclamò Cissie, ridendo. «Sono proprio contenta che ti piacciano.» «No, sono arrabbiata con te. Davvero. Non c'era bisogno di spendere tutti quei soldi. A casa hai un mucchio di cianfrusaglie che per me andavano più che bene.» «Non essere così ingrata con te stessa, zietta.»
«Se penso a quello straccio di sciarpa che ti ho regalato per il tuo compleanno...» disse lei in tono lamentoso. «Ma avevo appena fatto cambiare la caldaia e non potevo permettermi niente di più costoso.» «Cara zia Lu, sulla maggior parte delle cose sei astuta come una volpe, ma a volte mi sembri proprio una bambina. Perché devi sempre giudicare ogni cosa dal suo prezzo? C'è un valore affettivo che non ha niente a che vedere con il denaro, e tu lo sai benissimo.» «Ma certo, cara, lo so; ed è esattamente quello che sto dicendo. Aspetta che li faccia vedere a Henrietta: morirà dall'invidia!» la rassicurò la signora Rampage, ormai certa del valore di quel regalo che in un primo momento aveva tanto sottovalutato. 2 Osservando lo specchio stile Impero sopra la scrivania Queen Anne davanti alla quale sedeva, Cissie Getaway vide che la superficie argentea del primo veniva oscurata dall'uniforme viola di Edith e poi da un'altra figura. Edith mormorò qualcosa di incomprensibile e subito dopo sparì. (Doveva rispiegare a Edith come andavano annunciate le persone). Data l'inclinazione dello specchio, Cissie poteva guardare senza essere vista. Le piaceva osservare il comportamento delle persone quando queste credevano di essere sole e rivelavano così tanti lati del loro carattere. Poco dopo posò la penna e, con le mani tese e un sorriso sul volto, si alzò e cominciò a camminare. Davanti a sé, vide una donna che non cercava certo di nascondere la sua mezza età. Cissie Getaway pensò che doveva trattarsi della moglie di qualche vicario di una città di provincia. Aveva quell'aspetto profondamente rispettabile e perbene, lontanissimo da ogni minimo accenno di seduzione, che al giorno d'oggi è ormai scomparso dalla faccia della terra; un'aria di bontà e semplicità che veniva rafforzata anche dall'abito stile marinaro, dal viso franco e senza ombra di cipria e dalle spesse calze di seta grigie che andavano di moda una trentina d'anni addietro. Cissie Getaway provò una simpatia immediata per quella donna. Era una certa signora Roach, una vedova; come presentazione aveva una lettera dell'assistente sanitario del King William Hospital. L'assistente sanitario sperava tanto che la signora Getaway potesse aiutarla, visto che faceva parte del comitato di un convalescenziario per donne indigenti. E la signora Roach era senza dubbio una donna decisamente indigente.
Era stata ospedalizzata per diciotto settimane. «Sono stati tutti così gentili» disse lei. Quella simpatica donna era stata custode di una casa di riposo per anziani nel sud di Londra non meno di due anni. Amava quel lavoro perché le piaceva aiutare quei poveri vecchi e alleviare almeno in parte la loro esistenza; le si era quasi spezzato il cuore, all'idea di doverli lasciare. Il problema era che quell'istituto mancava di molto personale; non si riusciva a trovare gente che volesse lavorarci e, piano piano, la signora Roach si era trovata costretta ad occuparsi, oltre che del suo lavoro, anche della biancheria e della segreteria. Aveva svolto mansioni di infermiera e persino di cuoca, fino a quando aveva avuto un crollo per il troppo stress. E adesso i dottori le avevano proibito di intraprendere nuovamente un lavoro così faticoso. La signora Getaway non se ne stupiva minimamente. La donna era chiaramente quel genere di persona che non si risparmia affatto sul lavoro. Ma, purtroppo, la signora Getaway non poteva fare niente per lei. Secondo lo statuto, le spiegò, il convalescenziario era riservato solo a coloro che avevano subito un'operazione, e la signora Roach, purtroppo, non aveva i titoli professionali per poter essere assunta. La signora Roach si sedette un attimo nella poltrona di chintz, come se fosse troppo esausta per muoversi. I suoi occhi azzurri continuavano a guardare fissi la signora Getaway, non come se la vedesse, ma piuttosto come se lei stesse usando tutta la sua forza d'animo per fronteggiare qualcosa di spiacevole. Per un attimo, sembrò passarle sul volto un'ombra grigia. Poi irrigidì i muscoli e si costrinse ad alzarsi. «È stato molto gentile da parte sua ricevermi» disse in tono calmo. «Perciò non voglio rubarle altro tempo.» «Mi sembra così stanca, mia cara. Non vuole sedersi di nuovo e prendere una tazza di tè? Forse c'è qualche altro modo in cui posso aiutarla» disse la signora Getaway. «Non vorrei disturbarla con i miei problemi.» Povera donna! Aveva più di quarant'anni quando il marito era morto senza aver stipulato alcuna assicurazione. Perciò, l'aveva lasciata completamente al verde. Se non fosse stato per la guerra, c'era da chiedersi come avrebbe potuto campare. Non c'era nessuno che potesse aiutarla, e non aveva una casa. Non aveva nessun posto dove andare. «Cosa farà, adesso?»
La signora Roach abbozzò un sorrisetto. Che domande assurde faceva la gente! «Non lo so.» «Quanto denaro ha?» «Due sterline.» «Voglio dire, compresi i suoi risparmi.» «Due sterline; sono quelli i miei risparmi. La malattia mi ha mangiato quei pochi soldi che avevo.» «Ma, mia cara, cos'ha intenzione di fare?» insistette la signora Getaway. Si sarebbe potuto pensare che non capisse la posizione di quella donna, che non si rendesse conto che stava quasi per morire di fame. La signora Roach piegò il capo e si avvolse intorno al collo la sua sciarpa gialla. «Il Signore provvederà» disse A quelle parole, un pensiero attraversò la mente di Cissie. «Se riuscisse a trovare un lavoro in casa di qualcuno?» suggerì lei. «Oh, laverei anche i pavimenti!» esclamò la donna con foga. «Non m'importa quello che c'è da fare. Non mi spaventano i lavori pesanti, purché mi regga il fisico.» La signora Getaway corrugò leggermente la fronte e si limitò a dire: «Mi lasci nome e indirizzo, comunque. Può darsi che senta qualcosa.» Meglio non aggiungere altro fino a quando non avrebbe parlato con la zia Luna. Nel cielo si stavano ammassando banchi di nuvole. E proprio come la signora Roach scese dall'autobus della Green Line, un colpo di vento trascinò a terra numerose foglie secche. Lei aspettò qualche secondo, trattenendo il fiato e proteggendo il viso dalla polvere, fino a quando le folate di vento cessarono. Poi attraversò la strada e s'incamminò piano piano su per il vialetto, notando quanto le dolessero i fianchi. I soliti reumatismi che l'autunno porta sempre agli anziani. Sembravano lance, pensò, lance che le trapanavano il costato. Doveva dirlo a Eleanor. Il vialetto era in salita, così lei fece una pausa al cancello per riprendere fiato. Stranamente, nel mezzo di quei campi secchi e grigi, tra gli alberi piegati dal vento, svettava una graziosa casetta a un piano, con un giardino tenuto alla perfezione. Dietro la staccionata, il giardino dava quasi l'idea di un tappeto da salotto. Attraverso il vetro della porta, Eleanor la vide salire lentamente su per il vialetto, così si affrettò ad aprire prima che la signora Roach raggiungesse
i gradini. Le due donne si abbracciarono in silenzio. «Carissima!» disse Eleanor. «Come sta lui?» chiese la signora Roach. Tutte e due parlavano a voce bassa. Eleanor tirò un profondo sospiro, alla ricerca della parole per descrivere come stava lui. Non peggio. Onestamente, non poteva dire che fosse peggiorato. Ma, oh, qualche volta era così difficile! «Lo sa che dovevo venire?» «Ma certo, e ti stava aspettando anche lui» mentì Eleanor. «Gli fa sempre bene vederti. Ah, com'è bello averti di nuovo qui, anche se è solo per un paio d'ore» sospirò. La signora Roach le sorrise. Le due donne si erano conosciute durante la guerra, quando entrambe lavoravano nello stesso Dipartimento della Censura. Mentre il signor Fielding era in ospedale a seguito di una bomba che gli aveva danneggiato l'appartamento, la signora Roach ed Eleanor avevano trovato una stanza nella stessa casa. La loro amicizia era iniziata così. La signora Roach era stata una fonte di forza inesauribile per Eleanor, in quei giorni disperati. Fortunatamente, Eleanor si trovava al lavoro quando l'appartamento era stato colpito, ma il padre, avendo svolto il suo turno la notte prima in qualità di vigile del fuoco, stava dormendo tranquillo e beato. Quando si era svegliato, aveva scoperto di essere rimasto intrappolato con le gambe sotto le macerie. Ci erano voluti quasi tre giorni per poterlo tirare fuori. Riuscì a cavarsela, ma fu ancora peggio. Certa gente non dovrebbe sopravvivere dopo aver avuto una disgrazia. Il signor Fielding non era stato un tipo facile, neanche nei suoi momenti migliori; era un uomo irascibile, sarcastico, il tipico insegnante vecchio stile. E adesso era anche pieno di risentimento verso il mondo intero. Quando venne dimesso dall'ospedale, sua figlia fu naturalmente costretta a dare le dimissioni per potergli star dietro. Era fondamentale portarlo via da Londra, le avevano detto; così era stata davvero fortunata a trovare quella casetta di pietra a Edenbridge. E da quel momento avevano vissuto sempre lì, legati in maniera morbosa. Per lui era terribile, ma per la figlia era anche peggio. Nessuno avrebbe potuto biasimarla se avesse ammazzato quel vecchio brontolone. Gli ultimi due anni erano stati più terribili che mai. Il vecchio, che adesso aveva quasi ottant'anni, era diventato cieco. Mez-
zo pazzo per il rancore che provava verso il mondo, non era gentile neppure con sua figlia. Lei sopportava tutto, perché era suo dovere farlo. Non avrebbe mai potuto lasciarlo, mai, neppure per una notte; era la disperata Andromeda per la quale nessun Perseo sarebbe mai arrivato. Ormai non viveva che nell'attesa della morte del padre. Se non fosse stato per le lettere della signora Roach, per quelle speranze e quei piani di una vita futura trascorsa insieme all'amica, forse non sarebbe riuscita ad andare avanti. Lui stava nella sua sedia a rotelle accanto alla finestra, con le mani posate sulla coperta leggera che gli copriva le ginocchia. «Papà» disse Eleanor, toccandogli una manica «c'è Norah.» Lui non si curò di voltare la testa. Si limitò ad abbozzare un sorrisetto di scherno e disse: «Non cuivis homini contingit adire Corinthum! Eh, signora Roach?» Sapeva che lei non lo avrebbe capito e sperava che quel saluto potesse metterla in imbarazzo o persino offenderla. Lui la detestava. E si divertiva, si era sempre divertito a ferire la gente con le parole. Da dove si trovava, non poteva vedere né la figlia, che mosse leggermente la testa come per implorarlo, né il sorrisino rassicurante dell'altra. Sentì solo che la signora Roach diceva tranquillamente: «Il latino deve essere un grande conforto per lei, signor Fielding. Magari mi avessero insegnato il latino quando ero ragazza. Tutti quei grandi scrittori!» La signora Roach si sedette accanto a lui, mentre Eleanor preparava la cena, e si mise a parlare allegramente del più e del meno. Del suo viaggio nel sud, di com'era il paesaggio... Lui non fece commenti. Probabilmente, non la stava neppure ascoltando. «Forse preferirebbe che le leggessi il giornale, vero?» disse lei alla fine, stufa di quell'ostinato silenzio. «No.» «Oh, Eleanor ha già trovato il tempo per leggerglielo? È proprio una persona meravigliosa.» «Leggermi il giornale, come dice lei, non fa parte degli obblighi di mia figlia, perché si dà il caso che io non abbia il minimo interesse nei confronti della carta stampata.» «Non le interessa quello che accade nel mondo? Be', ma lei mi sorprende davvero, signor Fielding! Credevo che un uomo intelligente come lei avesse sempre voglia di essere informato su quello che gli succede intorno.» «Perché dovrebbero interessarmi le follie che vengono perpetrate nel
mondo o i disastri che succedono? A me il peggio è già capitato.» «Oh, su, non dica così!» ribatté allegramente lei. «Non le sembra un modo di guardare le cose un po' troppo egoista e personale? Sono certa che la vita può offrirci ancora molto, basta cercare di allargare i nostri orizzonti.» «Cara la mia donna» disse lui, con una nota d'odio nella sua voce vecchia e stanca «ma che orizzonti posso avere io?» Poi, dopo un attimo, aggiunse in fretta: «Ad ripas Stygis Charontem exspecto.» «La prego, mi dica cosa significa» pregò lei, tanto per compiacerlo. Lui voltò il suo sguardo vuoto e rabbioso verso la donna. «Sto aspettando Caronte alle rive dello Stige.» «Oddio! Ci crederebbe se le confessassi che non ho ancora capito di che cosa sta parlando?» Come se avesse di fronte a sé un'alunna un po' ottusa, lui le spiegò sprezzante: «Caronte è il traghettatore che porta le anime dei morti lungo il fiume che divide questo mondo dal mondo delle ombre. E sulla riva di questo fiume ci sono anch'io, ad aspettarlo con bramosia.» Come aveva preventivato, lei rimase turbata. «Non dovrebbe dire queste cose, signor Fielding. C'è molto di cui anche lei dovrebbe essere grato. Pensi ad Eleanor, per esempio» lo rimproverò la donna. «E allora? Non sarebbe meglio per Eleanor se fossi morto? Perché aver paura della verità? Cosa sono per lei se non un peso sgradevole?» «Lei non la conosce, se parla così. Non l'ho mai sentita lamentarsi. Sono certa che per lei non è affatto un peso, che non le è mai neppure passata per la mente una cosa del genere. È così buona, così tenera. E poi abitate qui, in questa casa tanto graziosa... Io credo che uno dovrebbe essere felice per il solo fatto di essere vivo!» «E questo lei lo chiama essere vivi? Un essere inutile, sbattuto avanti e indietro in questa scatola di metallo... Sono stufo!» ringhiò lui. «Ma perché non muoio?» «La nostra vita è nelle mani di Dio, signor Fielding.» «Vuole parlare a me di Dio!» urlò lui, e sbottò in una risata così selvaggia che lei ne rimase terrorizzata. Quando finalmente il pranzo, con tutti i suoi momenti d'imbarazzo, ebbe fine e il vecchio si appisolò, Eleanor indossò il suo vecchio cappotto di tweed e le due amiche uscirono per godersi un po' di quel sole autunnale. «Oh, che bello poter respirare!» esclamò Eleanor, voltando il viso verso il vento così da farlo penetrare tra i capelli striati di grigio. «Mi sembra di
riuscire a respirare solo quando ci sei tu. Se potessi stare sempre qui, come sarebbe tutto più facile!» disse sospirando. «Temo che a tuo padre non piacerebbe molto» replicò la signora Roach con un sorriso. «La mia stupidità lo irrita.» «Non sei tu. Lui odia tutte le donne.» «È un complesso d'inferiorità.» Le due donne si scambiarono un'occhiata e scoppiarono a ridere. Si presero le mani come due ragazze, oltrepassarono il piccolo cancello in fondo al giardino e attraversarono il campo. «Non puoi immaginare cosa significhino per me questi momenti di libertà.» «Dici?» le chiese gentilmente la signora Roach. Eleanor le lanciò uno sguardo tormentato con quei suoi occhi castani. «Credi che riusciremo mai a stare insieme?» «Un giorno» le promise teneramente la signora Roach. «Cara, se non avessi questa speranza...» «Anch'io» ammise la signora Roach con estremo candore. Pure lei attendeva con bramosia quel giorno, come l'anima anela al paradiso; quel giorno in cui il signor Fielding sarebbe morto e lei ed Eleanor avrebbero potuto dividere quella casetta linda e ordinata, allevare qualche gallina e fare un po' di apicoltura. Finalmente, una casa tutta sua e più nessuna preoccupazione sul versante finanziario. Si sarebbe occupata Eleanor di lei. E sebbene fosse apparentemente turbata e anche un po' dispiaciuta per il fatto che il signor Fielding non vedesse l'ora di morire, lei desiderava quella morte con non minore bramosia del vecchio. Non vedeva l'ora che Caronte venisse a traghettarlo al più presto possibile sull'altra riva del fiume. Tutti e tre desideravano quella morte... eppure, il vecchio non riusciva a morire! «Ma non ti ho ancora chiesto niente di te e di quello che hai fatto» disse Eleanor con un tono di autorimprovero. Eleanor voleva che lei le raccontasse tutto. La signora Roach selezionò le notizie più allegre e le infarcì, cercando di farle diventare vere e proprie storie. Per niente al mondo avrebbe confessato a Eleanor che era al verde. Lei aveva già abbastanza da sopportare, senza che le si dovessero aggiungere anche le preoccupazioni della sua migliore amica. Così la signora Roach decise di parlare della signora Getaway. «Mi ha detto che forse riuscirà a trovarmi un lavoretto.» Come se fosse arrivata improvvisamente a una decisione, la signora Roach si tolse lo spillone dal cappello e lo posò sulle ginocchia (lei si era ap-
poggiata allo steccato ed Eleanor sedeva ai suoi piedi, con lo sguardo rivolto verso l'alto). Portava i capelli grigi divisi al centro e annodati mollemente sopra la fronte, come una vecchia dama di compagnia. «Che tipo di lavoro?» chiese Eleanor, sospettosa. «Lo sai che hanno detto...?» «Oh, ma questo non può farmi male. Dovrei solo stare dietro a sua zia; probabilmente, sarà una delle solite vecchie un po' malandate di salute che si incontrano dappertutto. Immagino che me l'abbia proposto perché così, perlomeno, avrei una casa dove andare.» «Be', è meglio che niente.» «Oh, lo accetterò. Non posso permettermi di rifiutare.» «E sono certa che presto salterà fuori qualcosa di meglio. Non credi?» «Be', ti proibisco di preoccuparti per me» disse scherzando la signora Roach. «Ma come potrei farne a meno? Cosa sarebbe la mia vita se non sapessi che ti ho accanto, con tutta la tua dolcezza?» Per un attimo, lei posò la fronte contro il ginocchio della signora Roach. «Non devi dispiacerti per me» disse la signora Roach, accarezzando con una mano i capelli ruvidi di Eleanor. «Lo sai che mi piacciono le persone anziane. Sono molto fortunata, non credi? C'è sempre così tanto per cui essere grati.» «Una vecchia fortunata, quella, chiunque essa sia. Spero che ti pagherà bene» mormorò Eleanor. «Non mi pagherà affatto» rispose la signora Roach, dicendo l'esatta verità. A quella risposta, Eleanor assunse un'aria indignata. «Perché dovrebbe aspettarsi che tu le stia dietro per niente? Non è giusto.» «Se è quello che Dio vuole per me, è giusto. A me non serve sapere altro.» «Sei così buona! Io non sarò mai come te; tu sei una santa!» «Che stupidaggine! So io chi sono i veri santi» disse allusivamente la signora Roach, con uno sguardo tenero. E poi aggiunse: «Prega per me, domani.» Era quello il giorno in cui avrebbe conosciuto la signora Rampage, la vecchia malata. «Le piacerai sicuramente» disse Eleanor. «E io ne sarò gelosissima.» «Speriamo che anche lei mi piaccia» disse la signora Roach con ironia. «Ma non troppo. Promettimi che non le vorrai troppo bene!»
«Sciocchezze.» «Potresti volerle più bene che a me. Potresti trovarti così stupendamente lì da decidere di rimanerci per sempre» disse Eleanor, credendo solo per metà a quello che diceva. La signora Roach sorrise; poi prese l'amica per le mani e la fece alzare. «Scrivimi!» le gridò Eleanor, mentre l'autobus si portava via la sua diletta Norah. 3 La signora Rampage aveva pensato di preparare qualcosa di speciale per la cena, visto che ci sarebbe stata anche Henrietta, ma lasciò passare il tempo e alla fine si sentì troppo stanca per preoccuparsene. Così aprì una scatola di sardine e le mischiò con del cavolo avanzato che aveva ancora un bell'aspetto; servì il tutto su alcune fette di pane con uno spruzzo di salsa Worcestershire. Si chiese se a Etta sarebbe dispiaciuto mangiare in sala da pranzo, che in quel periodo dell'anno era già fredda. Ma quando Henrietta vide di che cosa sì trattava, convenì che non valeva la pena di portare le vivande di sopra, nel salotto riscaldato. La sala da pranzo si trovava nel seminterrato, accanto alla cucina. Era una stanza lunga e buia, illuminata soltanto da una grata appena sopra il livello del marciapiede. La signora Rampage aveva fatto miracoli con quella stanza. Sotto la grata c'era uno spazio, tappezzato con una carta vivace a rampicanti, da cui era stata ricavata una nicchia. La signora Rampage vi aveva inserito un putto stilizzato con una fontanella in testa. Quando le luci nascoste venivano accese e l'acqua scorreva, era uno spettacolo incantevole. Ma quella sera non c'era nessuno spettacolo. Era troppo costoso accendere le luci tutti i giorni, e comunque Henrietta l'aveva visto già diverse volte. Ma senza quel quadretto neoclassico, la stanza diventava un luogo terribilmente deprimente, scuro e senza vita. Così si finiva per guardare quell'edera finta, tutta incrostata di sporcizia. Nel primo pomeriggio, fortunatamente, la signora Rampage era uscita a comprare una mezza dozzina di paste, di quelle ricche, che scoppiavano di crema da tutti i lati. Non riusciva a darsi pace che le fossero costate nove pence ognuna! Henrietta rimarcò acida che la roba buona costava sempre un bel po' di soldi. Ma quello era come mangiare oro, si disse la signora
Rampage, leccandosi le dita grassocce. Anche a Henrietta le paste piacquero molto, il che era già qualcosa. Una volta terminata quella strana cena, si spostarono al piano di sopra. «Non c'è bisogno di accendere la luce» disse la signora Rampage, smuovendo alcuni ceppi nel camino del salotto. All'istante, lunghe lingue di fuoco presero a salire per la canna fumaria come alghe marine. «No, è più riposante...» Il brandy di Henrietta le riscaldò il cuore. La luce del fuoco sul suo viso creava ombre come il carbone passato sulla carta ruvida: qua un reticolato di sottili rughe che scendevano lungo le guance, là uno scarabocchio agli angoli degli occhi, poi ancora una piccola chiazza sul naso massiccio. I bagliori di quel fuoco vivace sui capelli tinti li rendeva di un incredibile color ambra. La signora Rampage teneva tra le sue mani corte e tozze il bicchiere di brandy con bramosia, e di tanto in tanto lo faceva ondeggiare per sentire l'aroma del liquore. Le piaceva odorarlo, così come le piaceva tenere in mano il bicchiere. Le sue mani dovevano sempre toccare qualcosa, come se lei provasse il continuo bisogno di venir rassicurata. Si sedettero comodamente, con le gonne leggermente rialzate e le ginocchia un po' larghe, in modo che il calore potesse salire fino ai fianchi. Henrietta si preoccupava per un piatto Worcester che aveva comprato credendolo originale, ma adesso Luna le aveva detto che era di un blu falso. Più ci pensava e più si convinceva che Luna aveva ragione. «Non pensarci, allora» disse pigramente la signora Rampage. «Cosa importa? Lo venderai lo stesso.» «Sì, ma il fatto è che l'ho pagato come se fosse un Worcester.» Ma la signora Rampage non aveva voglia di preoccuparsi per un piatto. Aveva già i suoi problemi. Adesso non era più sicura della decisione presa sulla signora Roach, e questo non la faceva certo stare bene. «Mi sto dando per caso la zappa sui piedi, mi domando?» «Cosa c'è, adesso?» «Potrebbe darmi sui nervi qualcuno che mi giri intorno tutto il tempo.» «Credevo che ormai fosse già deciso.» «Lei ha detto che sarebbe venuta e che avremmo potuto fare una prova...» «E prova, allora» disse rapidamente Henrietta. «Potrei sempre mandarla via, dirle che devo partire...» «Tesoro mio, mi sembra che tu ti stia fasciando la testa prima di esserte-
la rotta. Provala. Puoi sempre liberarti di lei, se non ti va; non la stai mica sposando.» La signora Rampage abbozzò un debole sorriso e bevve un sorso di brandy. «Ho i piedi freddi» confessò. «Io amo fare le cose a modo mio e non voglio che nessuno interferisca. Probabilmente sarò una stupida, ma...» «Sei una stupida. Dopotutto, credo che sia un buon affare per te.» «In un certo senso.» Desiderosa di cambiare argomento, la signora Rampage prese una scatoletta in cuoio dal tavolino accanto al sofà. «Ti ho fatto vedere i miei anellini?» «Sì.» La signora Rampage aprì e richiuse il coperchio con aria assente, fissando le scintille prodotte dalle pietre semipreziose. «Ti farà bene non stare da sola. E ho sempre sostenuto» disse Henrietta in tono saggio «che la solitudine è peggio per le vedove che per le zitelle.» «Be', buon Dio, spero non vorrai paragonare quella noiosa donna con un marito, no? Bada che non sto dicendo che non mi sposerei di nuovo, se mi capitasse l'occasione.» «Be', ma certo, cara. Chi non lo farebbe? Ma questo è un altro paio di maniche.» «È quello che dico anch'io. Etta, non sarai mica ubriaca, no?» A quella domanda, Henrietta non si degnò di rispondere. Dopo qualche secondo, osservò: «Tu hai bisogno di qualcuno che ti stia dietro, e questa signora Roach è proprio quello che ti ci vuole.» «Perché?» «Mia cara Luna» disse Henrietta, ridendo «se proprio pensi di non aver bisogno di nessuno, allora perché diavolo l'hai assunta?» «Solo Dio lo sa» mormorò la signora Rampage, cercando a disagio di ricordare come mai si fosse lasciata convincere. «Non so che cosa mi abbia preso. Forse deve avermi fatto pena. Sai, è una signora.» «Anch'io, ma non mi sembra che qualcuno abbia mai provato pena per me.» Ma una signora era l'ultima cosa a cui Henrietta avrebbe potuto assomigliare, con quella sua vecchia faccia patetica tutta imbellettata, la sigaretta che le penzolava mollemente dalle labbra e la gonna sollevata sopra le ginocchia. Ma anche la signora Rampage, d'altra parte, con la sua faccia pallida dall'aria furba e i capelli arricciati che le scendevano fin sulla schiena un po' curva, non aveva certo l'aria di una donna di classe. A essere sinceri,
vedendole così insieme davanti al fuoco, si sarebbe detto che rassomigliassero più al ritratto delle "Cortigiane" di Carpaccio che a due vere signore. «Appartiene a una buona famiglia, che adesso è decaduta. Suo padre era un generale... Chough, mi sembra mi abbia detto che si chiamasse. Comunque, era un pezzo grosso in India.» «Non ne ho mai sentito parlare» dichiarò Henrietta. «Oh, è stato lì durante la rivolta indiana o più o meno in quel periodo» disse vaga la signora Rampage. «Comunque, la sua famiglia è arrivata qui con Guglielmo il Conquistatore.» «Che razza di snob sei, Luna!» «Be', che male c'è?» «Comunque, quella è storia vecchia. A chi può interessare? Che mi dici del marito, invece?» «Si è. limitata a qualche vago accenno. Non credo che le sia servito a molto.» «Vuoi dire che era impotente?» chiese Henrietta con interesse. «Mia cara, non mi è certo venuto in mente di chiederglielo. Che stupida!» disse la signora Rampage, con un sorriso. «Be', avrai modo di discuterne quanto vorrai nelle serate d'inverno e fare tutti i paragoni che ti vengono in mente.» «Charles era tutto fuorché impotente. Come dovresti sapere anche tu.» «Perché dici che io dovrei saperlo?» chiese bruscamente Henrietta, con gli occhi che le brillavano. «Oh, Etta, non puoi esserti dimenticata le ore passate insieme a chiacchierare sedute nel bagno e a bere gin...» La signora Rampage si coprì la bocca con la mano e disse allegramente: «Quando ha trovato la bottiglia vuota sotto il lavandino... lui ha pensato... gli ho detto che il droghiere aveva messo i sali lì dentro...» «Mi viene in mente la volta in cui ti sei slogata una caviglia saltando dal cassettone» disse Henrietta, asciugandosi gli occhi. Se ne rimasero sedute a ridere delle sventure passate, dimentiche del presente. «Oh, Dio, quelli sì che erano bei giorni! Quanto ci siamo divertite, anche nei momenti più terribili! E adesso non mi è rimasto altro che questa insignificante figlia di un generale a tenermi compagnia» brontolò la signora Rampage. «Forse suo marito era davvero impotente. Forse è questo quello che non va in lei.» «Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? Un minuto fa dicevi che
era una donna meravigliosa.» «Tutti hanno qualcosa che non va.» «Luna...» «Usi lo stesso tono dei dottori, sai?» disse la signora Rampage, allargando le dita tozze in grembo con aria compiaciuta. «Comunque, non ha figli, perché gliel'ho chiesto. Lei mi ha fatto una specie di smorfia e mi ha risposto di no. Ho pensato che magari ne aveva avuto qualcuno e che poi l'avesse perso. Ma, per non essere indiscreta, non le ho più chiesto niente. Certo che se il marito era impotente, potrebbe essere quella la sua tragedia. Sì, dev'essere per forza così. E quello stupido non era neanche assicurato quando è morto. L'ha lasciata senza un soldo, ci crederesti?» «Quando è accaduto?» chiese Henrietta, con uno sbadiglio che stava per spaccarle le mascelle. La signora Rampage ricominciò a ridere. «Oh, Etta, stavo quasi per mettermi a urlare. Quando le ho chiesto da quanto tempo era vedova, lei mi ha risposto: "Ho seppellito mio marito quattordici anni fa". Come se avesse scavato lei stessa la fossa nel giardino sul retro!» «Potrebbe averlo fatto, se lo avesse assassinato.» «Pensi che sia possibile? Etta, che cosa macabra!» La signora Rampage guardò nel buio alle sue spalle. «Avrei preferito che tu non avessi detto....» «Facciamocene un altro goccino. Ho freddo. Poi bisogna che vada.» «La signora Roach direbbe "freddino"» osservò la signora Rampage, ghermendo la bottiglia. «Ha un vocabolario tutto suo, fatto di un'accozzaglia di cliché. Credo che questa sarà una delle cose che mi farà impazzire, tanto per cominciare. Mi ha detto che è stata allevata a non dover neanche alzare una mano, così io le ho replicato: "Ah, ma al giorno d'oggi è una cosa che vale per tutti". Oh, lei non si vergognava affatto di lavorare, stando alle sue parole; non chiedeva altro che prodigarsi con tutte le sue forze per qualche anima in pena.» «Però!» «Purché non mi diventi una specie di angelo custode. Non ci terrei proprio. E gliel'ho detto in faccia.» «Ma no!» «Certo che l'ho fatto, puoi giurarci.» «Non prendertela, Lu, può darsi che non sia così male come credi tu» disse Henrietta, mettendosi in piedi e aggiustandosi i vestiti. «E comunque, non ti costerà niente.»
«Non mi costerà niente!» esclamò la signora Rampage, sbalordita. «E tu come lo sai?» «Non mi hai detto che non l'avresti pagata?» «Be', buon Dio, Etta, ma cos'hai in testa? Devo pur mantenerla, no? Poi ci sono la lavanderia, l'elettricità e il cibo! Perlomeno due sterline alla settimana, a occhio e croce.» "Non se le dai da mangiare pelle di merluzzo e gambi di cavolo" pensò Henrietta. Alla signora Rampage si ghiacciò il sangue nelle vene quando vide arrivare la signora Roach con cinque bauli enormi. Quella donna pensava forse di fermarsi per sempre? «Buon Dio!» esclamò. «Mi domando come faranno a stare tutti nella sua camera. Non avrei mai creduto che avesse tanta roba!» «Oh, si possono sistemare dovunque. Qualunque angolino andrà bene, signora Rampage.» «Ma non c'è... Potremmo sistemarli in cantina, forse. Anch'io ci ho messo qualcosa; è un posto pulito.» «Oh, le ripeto che qualsiasi posto andrà bene, signora Rampage. Il problema è che quando uno non ha una casa, è costretto a trascinarsi dietro tutto quello che possiede.» «Sarebbe molto meglio mettere la roba in un magazzino.» «Ma vede, sono tutte cose di cui ho più o meno bisogno. Spero che non le dispiaccia molto.» «Oh, no, non importa» disse la signora Rampage con un tono falso. «Perché, purtroppo, ho qualcosa di molto peggio da confessarle» disse la donna con uno sguardo furbo. «Oh!» «È stata una cattiveria da parte mia, avrei dovuto dirglielo prima. Diciamo che avrei dovuto chiederle se le dava fastidio» si corresse la signora Roach, piegando la testa da un lato e aspettando. «Fastidio?» disse alla fine la signora Rampage. «Le dispiacerebbe molto se portassi qui anche la mia gatta? È un animale mite e pulito» aggiunse in fretta la signora Roach. «Una gatta!» urlò la signora Rampage, sgomenta. «Oh, non le piacciono i gatti?» «Li adoro. Adoro tutti gli animali. Ma non ne tengo a casa per il solo motivo che causano danni.»
«Danni?» disse la signora Roach, incredula. «Ah, li conosco, io! A quegli animali vanno bene solo le migliori Hepplewhite. È lì che affilano le loro care unghiette. E poi saltano sulle sedie di broccato, o fanno i loro bisognini sui miei tappeti persiani. No, no, mi spiace, non potrei mai. Davvero, non potrei tenerne uno in casa.» «Oh, ma non la farei entrare nelle sue stanze, signora Rampage. Winky Woo è abituata ad aspettare nella mia camera fino a quando non la porto fuori a fare i suoi bisognini. Le assicuro, non si accorgerà di averla in casa» disse l'altra in maniera accattivante. «Be', non credo che sia giusto tenere un animale così segregato. No, mi spiace davvero, signora Roach, ma credo che sia meglio per tutti se si organizza diversamente.» La signora Roach sbiancò in volto. Rimase in piedi senza dire niente, come inebetita. «È un peccato che non abbia pensato di dirmelo prima» sottolineò la signora Rampage. «Ma immagino che avrà delle amiche che potranno ospitare la sua gattina.» «No» disse bruscamente la signora Roach. «Bisognerà che la faccia sopprimere.» «Oddio, ma è terribile!» disse la signora Rampage stringendo nervosamente la ringhiera della balaustra, mentre pensava a come uscire da quella situazione. «Meglio così che renderla infelice.» «È un animale di valore?» «Solo per me» disse dolcemente la signora Roach. «È solo una gattina randagia che ho salvato dalla strada. E lei mi si è affezionata, tutto qui.» "Oddio!" pensò la signora Rampage. "E adesso come faccio? Non posso dire a questa donna di andarsene appena arrivata. In ogni caso, non ha nessun posto dove sbattere la testa. E poi, come farei a sopportarla giorno dopo giorno sapendo che sono stata la causa della morte del suo gatto? La colpevole! Sarebbe un'accusa silenziosa, che le leggerei perennemente in viso! E so di una donna che è impazzita quando le hanno ucciso il cane". S'immaginò la signora Roach che veniva verso di lei con un coltello da macellaio e le sfigurava il suo grazioso visetto. «Be'» disse debolmente «si può provare...» Dal diario della signora Roach: "Arrivata in taxi alle ore 11.30 del mattino. Mi sono subito presa uno
spavento terribile quando ha detto che non poteva ospitare W.W.. È stato un momento spaventoso. Ma ho fatto una preghiera a san Francesco e lui ci è venuto in soccorso. "La vecchia signora ha davvero un cuore d'oro. Se riuscirò a renderla felice, sono sicura che tutto andrà per il meglio. Farò presto ad abituarmi al suo modo di fare. "La casa è piena di begli oggetti; sembra un museo. Abbiamo fatto due chiacchiere in una magnifica stanza all'ultimo piano e, quando avrò sistemato tutte le mie cose, sono certa che mi sentirò come a casa mia. Non ho una lampada accanto al letto e c'è solo uno sgabello su cui sedersi; credo che ci siano ancora una o due cosucce di cui avrò bisogno. Ma è meglio non chiedere tutto subito, visto che sono appena arrivata. "Le ho subito chiesto se potevo rendermi utile in qualcosa, ma lei mi ha risposto di no (ha dei modi di fare piuttosto stravaganti e curiosi), annunciandomi poco dopo che la cena era pronta. 'Non devo fare altro che metterla in forno' mi ha detto. 'Lei vada su e disfi i bagagli'. Quando sono scesa, stava leggendo il giornale... Era già l'una e non c'era ancora niente di pronto. Ha detto che si era dimenticata dell'ora. A un certo punto, mi fa: 'Oh, non ho niente fame, e lei?'. Io non me la sentivo di dire che avevo fame. Col fatto di vivere da sola, immagino che si sia abituata a mangiare quando ne ha voglia. Così mi sono preparata degli hamburger. Mi trovo in una situazione imbarazzante. Se stasera mi offro di preparare la cena, penserà forse che voglia prendermi troppe libertà? Lei ha messo in chiaro il fatto che non pretende che io cucini. Ma se inizio a farlo, non si aspetterà poi che lo faccia sempre? A me non secca darle una mano, ma questa non è una di quelle mansioni per cui sono stata assunta. Comunque, il problema dei pasti regolari è troppo importante per essere trascurato. Forse, oggi era solo un po' indisposta." La signora Roach non fece alcun accenno a quei commenti nella lettera che inviò a Eleanor. Lì tutto era meraviglioso. Descrisse il prato, gli alberi e i cespugli: una tale gioia per Winky Woo! C'era persino un giardiniere che si chiamava Peacock. Non era un nome curioso? La stessa signora Rampage era una persona piacevole, molto attiva e divertente. E aveva una figlia sposata che faceva la dottoressa in Malesia. Avevano passato la serata a guardare le foto della donna. L'unica cosa che desiderava la signora Roach era una casa, un posto dove poter riposare le sue stanche membra; e adesso credeva di averlo trova-
to. Pregava che fosse quello il posto: era così esausta... Pur di sentirsi finalmente a casa propria, avrebbe sopportato qualsiasi eccentricità. "Carissima (scriveva la signora Rampage a Jonquil), sai che cosa ha fatto la tua mamma? Ho assunto una governante-dama di compagnia. È un vero agnello, corre su e giù per me tutto il giorno, insiste che faccia colazione a letto e così mi sta viziando tremendamente. Immagino penserà che ho bisogno di qualcuno che mi stia dietro!!! Anche lei aveva un fratello in Malesia, così era molto interessata a sapere di te. Suo padre era il generale Chough. L'ho saputo da Cissie. Non credo che le cose vadano molto bene tra Cissie e Wilfred, ultimamente. In apparenza, lui si trattiene sempre fino a tardi al ministero. Io le ho detto che non sapevo che lavorassero oltre le cinque nel pubblico impiego. Ma povera Cissie, non si accorge proprio di niente!" (Seguivano poi alcuni pettegolezzi su una certa signora Lawson, che non c'entra con questa storia; poi qualche accenno a Henrietta e un paio di paragrafi che si riferivano all'ultima lettera di Jonquil). "Qui, adesso, abbiamo un acchiappatopi. Una femmina di nome Winky Woo! Io la chiamo Puss. Quella donna la adora. Sempre un 'mamma di qua, mamma di là', per tutte le sante ore della giornata. Appena è arrivata, la prima cosa che ha fatto è stata quella di sedersi e di metterle un po' di burro sulle zampette. Evidentemente, lo si fa per abituare i gatti a stare in un posto nuovo. Ancora un po' e stava per venirmi una sincope. 'Il burro?' ho detto. 'Con quello che costa?'. 'Oh' mi fa lei 'penso che se lo meriti dopo quello che ha passato (si riferiva al viaggio), e poi lei va pazza per il burro'. 'Anch'io' le ho fatto notare subito, ma non credo che abbia capito la frecciatina. "Cara, non mi hai ancora detto..." Nonostante ciò, la signora Rampage scoprì con sua grande sorpresa che era piacevole la compagnia della signora Roach. Naturalmente, diventava una noia quando attaccava a parlare dell'India e della vita meravigliosa che aveva passato lì. Era il suo argomento preferito, almeno quanto lo era Jonquil per la signora Rampage. Raramente parlava della sua vita matrimoniale. Era come se quella parte della sua esistenza fosse stata completamente cancellata, mentre la lontana infanzia era per lei ancora vivida come lo è un sogno quando ci si è appena svegliati. Ma la cosa più buffa è che alla signora Rampage piaceva starla ad ascoltare.
Avere una persona nuova con cui potersi vantare di Jonquil era quasi meglio che avere lì la stessa Jonquil, con quella sua crudele impazienza. Prima di allora non si era quasi accorta di come quella casa così vuota e silenziosa le desse sui nervi. Fino a quando la signora Roach non l'aveva presa in giro, lei non si era resa conto di parlare da sola a voce alta. Qualche volta lasciava la radio accesa tutto il giorno, solo per avere un po' di compagnia; ma, per la verità, lei odiava le canzonette e non aveva abbastanza pazienza da starsene seduta ad ascoltare una commedia sino al termine. Ma con la signora Roach c'era sempre qualcuno con cui potersi sfogare. E la signora Roach era sempre così buona... Non controbatteva mai, non imponeva mai le sue opinioni. Rimaneva sempre gentile, sorridente, e sapeva mantenere in ogni situazione un notevole decoro. Questa calma sussiegosa in futuro avrebbe anche potuto dare sui nervi alla signora Rampage, ma per il momento la affascinava. C'era solo una cosa che la signora Rampage disapprovava. La signora Roach, come diceva la stessa signora Rampage, non faceva che "andare e venire in continuazione dalla chiesa". La signora Roach era una fervente anglicana, e la signora Rampage avrebbe trovato difficile spiegare perché quell'eccesso di zelo religioso le desse così tanto fastidio. «Non so come potresti proibirglielo» le disse un giorno Henrietta. «Be', non posso, lo so. Ma sono sempre stata prevenuta verso quelli che sono troppo religiosi, Etta. Non so cosa sia, ma ho come la sensazione di non potermi fidare di loro.» «Forse ti sembrano falsi» suggerì Henrietta. «Eppure, ci saranno pur state brave persone che, malgrado tutto, erano anche religiose.» La signora Getaway concesse loro un po' di tempo per abituarsi l'una all'altra, prima di andare a vedere come se la passavano insieme. La zia Luna era rimasta estasiata dalla donna, e quindi tutto procedeva per il meglio. E la signora Roach, naturalmente, non trovava le parole per esprimerle tutta la sua gratitudine. In ogni caso, Cissie si rafforzò nella sua convinzione che, di tanto in tanto, quegli incontri organizzati da terze persone davano ottimi risultati. Sembravano proprio tutti contenti. La signora Roach andava fin troppo d'accordo con Lily Graveyard. E Lily le era assurdamente devota. Ma purtroppo faceva perdere un sacco di tempo a Lily, e questo dava enormemente fastidio alla signora Rampage.
Stava ad ascoltare i loro interminabili discorsi che venivano dal piano di sotto. Sembravano una cantilena. Così lei cominciava a dare qualche colpetto di qua e di là, sperando che il rumore le disturbasse e le facesse tornare ai loro impegni, ma quelle due non si lasciavano certo intimorire. Anche se lei irrompeva nella camera dove si trovavano le due donne - Lily in ginocchio accanto al fuoco e la signora Roach con uno straccio in mano queste non si preoccupavano di fingere un minimo di applicazione; continuavano tranquillamente a chiacchierare come se lei non fosse stata presente, immerse nei loro interminabili racconti di disastri e di malattie. La signora Rampage cercava di gestire quella situazione come meglio poteva, agitandosi a destra e a manca, sbattendo i cassetti e tirando le tende fino a quando, disturbate da tutto quel fracasso, le due pettegolone non erano costrette a lasciare la stanza. Si disse che era quella perdita di tempo che la faceva inquietare più di ogni altra cosa. C'erano un sacco di lavoretti che la signora Roach avrebbe potuto sbrigare, invece di menare il can per l'aia con i pettegolezzi. Quanto a quello, anche Lily non scherzava. E il tempo era denaro; denaro che scivolava via, penny dopo penny. Non era molto divertente pensare che ogni mezz'ora di lavoro persa da Lily costava alla signora Rampage mezzo penny. Come l'avrebbe presa la signora Roach se fosse stata lei a dover pagare quei soldi? Ma ancora più del denaro, quello che le dava fastidio erano i pettegolezzi. Lei sospettava che le due donne le parlassero dietro le spalle, in maniera sleale. E le sembrava che avessero verso di lei un atteggiamento di pietà e di velato disprezzo. Tutte assurdità, naturalmente, si rassicurò all'istante tra sé e sé. Alla signora Roach consigliò di non disturbare troppo Lily mentre la domestica lavorava. Lily era una gran chiacchierona, aggiunse. «Io credo che non dovrebbe lavorare affatto, con la schiena che si ritrova» fu il commento della signora Roach. «Cos'ha alla schiena? Sentiamo.» «I dottori dicono che ha l'ernia del disco.» «Oh, se uno desse retta ai dottori!» disse ridendo la signora Rampage, che credeva ai medici solo quando le tornava comodo. «Per l'amor di Dio, non le dia corda incoraggiandola a non lavorare.» «Ah, le mie parole hanno ben poco valore, comunque. Che cosa ne sarebbe della sorella inferma, se Lily non andasse a lavorare? No, è una brutta situazione, mi creda. Quella poveraccia ne ha di problemi da affronta-
re!» «Tutte buone azioni per il paradiso» disse la signora Rampage a cuor leggero. «Questa mattina era così triste che si è messa a piangere» disse la signora Roach, seria. «E anche se io ci rimetto, perché non è certo una gioia ascoltarla, il fatto stesso che lei mi racconti tutti i suoi problemi credo le faccia bene.» «Non credo proprio che sia lei a rimetterci, oserei dire» sottolineò la signora Rampage con un sorriso. La signora Roach sembrava perplessa. Non capiva cosa volesse dire l'altra. «Intendo dire che, parlando di soldi, quando Lily perde tempo a chiacchierare con lei, invece di lavorare, lo fa a mie spese. In questo modo riesco a perdere due o tre scellini al giorno. Ma non mi secca tanto il denaro perso, quanto il lavoro svolto senza cura o non svolto affatto» aggiunse in fretta la signora Rampage. Se la signora Roach rimase turbata da una franchezza così interessata non lo diede a vedere. Cercò invece di spiegare alla padrona di casa il problema che aveva rattristato Lily quella mattina, e cioè che il fratello della domestica si era ferito accidentalmente un occhio con un paio di forbici. Ma non aggiunse altro quando la signora Rampage, con un sospiro, si mise le mani sulle orecchie e scappò via. Quella era una cosa che la signora Roach non riusciva a capire: come si poteva fuggire via davanti al sacramento del dolore, che era proprio il sigillo di Dio su coloro i quali erano stati da Lui prescelti? Era un tipo un po' strano e patetico, questa signora Rampage; sembrava aver paura della vita ed era sempre pronta a gettare tutto in burla, come se quello fosse l'unico modo a sua disposizione per sopportare l'esistenza. La signora Roach scoprì ben presto che c'erano sempre due argomenti sui quali poteva fare affidamento quando voleva mettere la signora Rampage di buonumore: il primo e il migliore, ma anche il più noioso, era la figlia. Lei non si stancava mai di parlare di Jonquil, di raccontarle tutto quello che faceva da bambina; l'altro erano i suoi tesori. La signora Roach la convinceva a farsi descrivere, pezzo per pezzo, dove erano stati acquistati e quanto valevano. Non che alla signora Roach interessassero minimamente quegli oggetti, ma così almeno, mentre l'altra parlava, poteva pensare tranquillamente ai fatti suoi. La turbava l'idea che qualcuno potesse attribuire un valore così
eccessivo a degli anelli o a delle pietre, quando al mondo c'erano disgrazie abissali di cui occuparsi. Ma, in un lampo di genio, le venne in mente che forse era proprio per dimenticarsi di quelle miserie umane che la signora Rampage si lasciava assorbire da oggetti che, in quanto tali, non potevano né cambiare né soffrire. "Vendere tutto ciò che si possiede e donarlo ai poveri" pensò la signora Roach. (Il che è facile, quando uno non ha niente). Il tesoro più prezioso, per esempio, la signora Rampage lo teneva chiuso a chiave in una vetrinetta. Un cofanetto vecchio e logoro che un tempo aveva contenuto le lettere d'amore di qualcuno. Al suo interno, c'era un dipinto piuttosto crudo di un uomo e di una donna che la signora Rampage pensava fossero rispettivamente Mary Stuart e Bothwell. E quanto la faceva grossa! L'aveva scovato in una stradina di Hastings per cinquanta sterline. Quella somma sconcertava la signora Roach: per un vecchio cofanetto! Ma la signora Rampage diceva che avrebbe potuto ricavarci quattrocento sterline in qualunque momento, se avesse deciso di venderlo. Avrebbe dovuto stare in un museo, disse. Che quell'insignificante cofanetto potesse valere così tanto affascinava la signora Roach, che spesso rimaneva a fissarlo, incredula. La signora Rampage immaginava che la sua governante fosse andata in estasi per quel cofanetto. Ma era al denaro che pensava la signora Roach: alle quattrocento sterline e a tutto ciò che avrebbe potuto fare lei con quella somma. 4 La signora Rampage perdeva in continuazione qualcosa. Ogni giorno la si sentiva borbottare: «Dove sono le mie chiavi? Dove ho messo le mie chiavi? Ce l'avevo in mano un attimo fa. Dove le ho messe?» Poi, dopo un istante, gridava: «Signora Roach, ha preso lei le mie chiavi?» E la signora Roach, per niente seccata, compariva sulla porta e diceva: «E che cosa dovrei farne delle sue chiavi, cara signora Rampage?» Poi si guardava un po' intorno e le scovava sotto un paio di calze arrotolate sul ripiano della toletta. O poteva trattarsi di soldi. La signora Rampage tornava dall'aver fatto la spesa e scopriva che le mancava una sterlina. Con crescente agitazione, cominciava a fare la somma di quello che aveva speso e ricontava all'infinito il denaro che le era rimasto nel borsellino. I conti non le tornavano mai. Mancava una sterlina! La caduta di Troia non doveva aver causato più
lamenti d'angoscia di quelli emessi dalla signora Rampage! Alla fine, era sempre la signora Roach a trovare la banconota dentro uno dei guanti ricamati personalmente dalla signora Rampage. A quel punto, la signora Rampage si metteva una mano sulla bocca e sorrideva con aria colpevole. Ma la signora Roach era abituata alle persone anziane, e le loro piccole manie non la mettevano certo in allarme. Anche quando la signora Rampage l'accusò di essersi presa le sue calze di nylon (o cose del genere), lei non si turbò affatto. No, si limitò a far presente in modo ragionevole e con freddezza che non aveva mai portato calze di nylon, perciò che cosa avrebbe potuto farsene? La signora Graveyard, pulendo i gradirli, sentì tutto. Poco dopo si avvicinò alla signora Roach e le disse: «Non deve prendersela, signora. Fa sempre così. Pensa sempre che la gente le porti via le sue cose. Io non ci faccio neanche caso.» «Neanch'io, Lily» la rassicurò la signora Roach sorridendo. Alcune volte, se si trattava di un oggetto di valore, come un anello, la signora Rampage finiva per scherzarci su. «Tanto non serve a niente, Roachy» diceva. «Lo regali pure a qualcuno!» La maggior parte delle volte le cose venivano ritrovate. Ma non sempre. Si trattava di oggetti che la signora Roach non aveva mai visto, forse perché erano stati smarriti già prima del suo arrivo, o di cui più semplicemente non si era accorta (era arduo pensare che lei potesse sapere quante lenzuola ricamate a mano possedeva la signora Rampage). Ma, come sottolineò la signora Roach, la casa era così piena di cianfrusaglie che non c'era da stupirsi se la signora Rampage non si ricordava esattamente cosa aveva e cosa non aveva. Ciò dava enormemente fastidio alla padrona di casa, che insisteva nel dire di sapere sempre quello che possedeva, anche quando più tardi si ricordava di avere venduto quell'oggetto o di averlo spedito a Jonquil. «Non importa» diceva la signora Roach in tono consolatorio «tutti perdiamo la memoria quando diventiamo vecchi.» Un'affermazione che aveva fatto allibire la signora Rampage, la prima volta che l'aveva sentita. Come poteva essere diversa da quello che era sempre stata? Qualche anno in più, forse... ma non aveva mai pensato a se stessa come a una vecchia; non si sentiva anziana, e certo è che continuava a possedere tutte le capacità di un tempo. Eppure, senza alcun dubbio, la signora Roach la considerava una perso-
na non più in grado di badare a se stessa. Faceva le scale venti o trenta volte al giorno per prenderle gli occhiali da lettura, il borsellino, una semplice lettera. Si preoccupava che la signora Rampage facesse un riposino nel pomeriggio con i piedi sollevati e uno scialle addosso. Bisognava avere un cuore di pietra per rifiutare tutta quella gentilezza. Con quei piccoli gesti, la signora Roach pensava di rendersi indispensabile alla signora Rampage. E invece fece molto di più. Poco per volta, minò la fiducia che l'anziana signora nutriva nelle proprie capacità. «Non dovrebbe farlo, cara signora Rampage» diceva in continuazione. «Lasci fare a me. Lei pretende troppo da se stessa. Non è giusto, alla sua età.» Come ci si poteva offendere, se era detto con il cuore? La signora Roach si preoccupava della salute della sua padrona di casa e la rimproverava con ansia. «È sicura di stare bene? Non ha mal di testa? Non ha per niente una buona cera. Vorrei che mi lasciasse chiamare un dottore.» Al che la signora Rampage si metteva a ridere allegramente e cambiava argomento. (Ma dopo un po' non poteva fare a meno di guardarsi allo specchio e domandarsi se...). Quando la signora Roach usciva, alla signora Rampage piaceva fare un salto di sopra a dare un'occhiata alla camera della governante. Quella donna era una completa sconosciuta, si diceva; per quanto ne sapeva, poteva essere una ladra o un'assassina. Non che la signora Rampage si aspettasse veramente di trovare una mannaia sporca di sangue tra la biancheria; era solo un modo come un altro di razionalizzare quella sua curiosità maniacale. Lei ficcava il naso dappertutto. Gratificava quella sua curiosità infantile curiosare nel cassetto del tavolo da toletta e scoprire la boccetta di profumo, le aspirine, le forcine per capelli, i vasetti di crema e un vecchio piumino posato su un barattolo di cipria. Quelle non erano certo cose che avrebbe sognato per se stessa. Le piaceva restare a fissare le foto nella loro bella cornice d'argento: il generale e la sua consorte, la fin troppo nota signora Roach e un'istantanea di Eleanor che, in ginocchio, abbracciava un terrier di Aberdeen. Cercava di scoprire il carattere di quelle persone attraverso i loro volti. Quella era la mascella di un uomo con forte personalità o di un despota nudo e crudo? E gli occhi della moglie? Erano occhi onesti, gentili? Difficile a dirsi. C'era un grosso crocifisso in legno sopra il letto, con un Cristo tutto con-
torto che lei detestava. Non quanto detestava, però, quel maledetto agnellino posato sul ripiano del caminetto che portava una croce sul dorso. E non poteva neanche evitare di guardare la riproduzione a colori di una suora in preghiera, con la sua grande cuffia bianca e un rosario stretto tra le mani, o la veduta di Gerusalemme dal Giardino del Getsemani. Esaminati quegli oggetti, passava solitamente alle lettere. (È così che aveva saputo dell'esistenza di Eleanor). Quelle lettere erano la sua passione. Tra la posta del mattino, aveva visto che c'era una lettera per la sua governante. Così, non appena la signora Roach uscì, lei si recò su di corsa a vedere cosa c'era scritto. Stava cercandola forsennatamente quando sentì alle sue spalle la voce della signora Roach, che le diceva: «Sta cercando qualcosa, cara signora Rampage?» La povera signora Rampage sobbalzò come un canguro. Anche gli innocenti sembrano colpevoli, se vengono presi in castagna. Paura e senso di colpa portarono la signora Rampage a sferrare un attacco diretto. «Che spavento mi ha fatto prendere!» disse con rabbia, mettendosi una mano sul petto. «Piombare dentro così, all'improvviso!» esclamò in tono indignato. «Anche lei mi ha fatto prendere un bello spavento» disse la signora Roach, con una risatina secca. «Non mi aspettavo di trovare qualcuno... nella mia stanza.» Diede un'occhiata veloce in giro per vedere che cosa era stato toccato. Non sopportava l'idea che qualcuno frugasse tra le sue cose. Lo sentiva come un oltraggio, una violazione fisica, una sensazione tremenda di essere stata tradita. Gli uccelli dovevano sentirsi così, quando i loro nidi venivano manomessi. Per questo li abbandonavano. «Non ho toccato... non deve preoccuparsi... mi piace controllare che sia tutto a posto... stavo solo dando un'occhiata in giro» disse la signora Rampage con frasi incoerenti, senza però arrossire. Erano quelle mani sempre in movimento che la tradivano. Continuavano ad andare avanti e indietro lungo il bordo del libro di preghiere della signora Roach. «Spero che non abbia trovato niente fuori posto» disse acida quest'ultima. La signora Rampage cercò di abbozzare una risata a quella frecciatina. «Ma lei sarà affamata» disse. «Vado giù a prepararle qualcosa da mangiare.» Era così ansiosa di uscire dalla stanza che quasi diede una spinta alla signora Roach.
La governante non era certo una stupida. Sapeva bene che la signora Rampage stava frugando tra le sue cose per una ragione ben precisa. "Se avessi fatto una cosa del genere a lei" pensò "sarebbe scoppiata una lite. È proprio strana la gente. Grazie a Dio, il diario lo tengo chiuso a chiave". Lo tirò fuori dalla valigia che teneva sotto il letto e vi annotò: "Molto seccata di aver trovato, oggi, la signora R. nella mia stanza. Curiosava. Dovrò tenere la porta chiusa a chiave, in futuro". La signora Rampage riusciva a stento a crederci, quando il giorno seguente salì di nuovo a curiosare nella stanza della signora Roach. Prese a sbattere la porta con furia. La scusa di quella visita era di portare alla signora Roach una lampada da comodino, giusto per il suo buon cuore, perché aveva notato che nella stanza non ce n'era neanche una. Stava scendendo la scala con la lampada in mano quando la signora Roach tornò dal solito giro di acquisti. La signora Rampage la seguì in cucina, dove la trovò che stava scartando il cibo. «Oh, bistecche» disse la signora Rampage, fissando con uno sguardo vago la carne nella carta insanguinata che la signora Roach le stava mostrando. La punzecchiò con un dito, del tutto indifferente alla bistecca. «Sono salita in camera sua» disse, senza preamboli «e non sono riuscita a entrare.» «È per me? Che bella! La porterò su io, insieme alle altre mie cose.» «La porta era chiusa a chiave.» «Sì, adesso la tengo chiusa a chiave, quando esco.» «La tiene chiusa a chiave? E per quale ragione?» La signora Roach piegò il capo di lato e sorrise. «Uno, di solito, chiude a chiave quando non vuole che nessuno entri» osservò. La signora Rampage, arrossendo fino alle sopracciglia, dichiarò che non aveva mai sentito niente di più straordinario in vita sua. «Spero non penserà che qualcuno voglia rubarle le sue cose. Lily è scrupolosamente... È con me da tre anni e non ha mai... mai rubato niente» insistette la signora Rampage. «Non mi stavo riferendo a Lily.» «E allora, mi dica, a chi stava pensando? Ci terrei tanto a saperlo.» «Io non stavo pensando a nessuno in particolare, cara signora Rampage. È solo che preferisco tenere la mia porta chiusa a chiave quando non sono in casa. Sono certa che lei non avrà niente da obiettare.» «Ma è una cosa così assurda! Perché? Voglio dire che la gente non chiu-
de a chiave le porte in una normale abitazione.» La signora Roach la fissò per un attimo in silenzio e poi disse tranquillamente: «Non l'avevo mai fatto, prima.» Poteva mantenere la calma perché era sicura di aver ragione, e aveva tutte le intenzioni di non farsi intimorire da quella donnetta. «Davvero, non so cosa penserebbe se io all'improvviso chiudessi a chiave tutte le porte e lei non potesse più entrare! Mi chiedo come si sentirebbe, in quel caso. Non è un gran complimento che mi fa, non crede?» La signora Rampage stava tremando per l'indignazione. Tentando di non farsene accorgere dall'altra, raccolse alcune stoviglie da riporre, ma, essendo troppo distratta per completare l'operazione, si limitò a posarle sulla credenza. Poi, aprendo un cassetto, cominciò a piegare e ripiegare diversi tovaglioli, le mani tremanti e la testa piegata per nascondere le lacrime di rabbia. «La prego, non lo prenda come un affronto personale, cara signora Rampage. Non l'ho fatto con l'intenzione di offenderla. La consideri soltanto una delle mie manie. Non sopporto che qualcuno tocchi le mie cose, solo questo. Tutti abbiamo le nostre piccole manie, e alcune sono più strane di altre.» «Persino troppo strane» disse bruscamente la signora Rampage. «Una cosa simile non l'avevo mai sentita in vita mia. Lei, forse, crede di potere far qui tutto quello che le pare, e non capisco proprio cosa glielo faccia pensare. Lo sapevo che non avrebbe funzionato. Glielo avevo detto alla signora Getaway. Bisogna che gliene parli al più presto.» «Ma cara signora Rampage, che cosa ho fatto?» La signora Rampage chiuse di colpo un cassetto e riprese in mano le stoviglie, che ormai tremavano in maniera incontrollata. «...Con tutto il mio buon cuore» balbettò rabbiosamente. «...Perché lei stava male... Cucinare per lei e tutto il resto... Ed è questo il ringraziamento? Non avrebbe mai il coraggio di parlarmi così, se ci fosse qui mia figlia!» Un nodo di autocommiserazione le si bloccò in gola, rischiando quasi di strozzarla. La signora Roach era sinceramente incredula davanti alla scenata che la sua piccola autodifesa aveva provocato. «Ma signora Rampage...» cominciò. «No! No, basta!» La signora Rampage tentò di tenersi occupata trafficando al lavandino e continuando a brontolare di tanto in tanto qualcosa di incomprensibile. A-
prì il rubinetto in maniera così violenta che l'acqua spruzzò dappertutto e le fece scivolare dalle mani una tazza. Come si piegò per raccogliere i cocci, la padella di ferro posta sotto il lavandino le cadde su uno stinco, provocandole un dolore lancinante. Nei suoi occhi, lacrime di dolore si mischiarono a lacrime di rabbia. "Meglio non dire niente" pensò la signora Roach, osservandola di sottecchi. Con fare tranquillo, cominciò a preparare il pranzo. La signora Rampage si avventò subito su di lei e le strappò il pezzo di carne dalle mani. «Lasci stare quella carne, per favore. Me ne occuperò io, grazie!» «Come vuole. Stavo solo cercando di aiutarla. È già piuttosto tardi.» «Si dà il caso che non la mangeremo per pranzo.» «Mi scusi. Non lo sapevo.» «Ora lo sa. Così ho deciso e così faremo.» «Posso sapere che cosa mangeremo?» «Non lo so» disse scontrosa la signora Rampage. «Non ci ho ancora pensato. Non sono nello stato d'animo adatto per mettermi ai fornelli. Probabilmente, pranzerò fuori. E può anche darsi che non pranzi affatto» aggiunse. Senza proferire parola, la signora Roach rimise nel cassetto il coltello per sbucciare le patate. Ma sembrava che anche quello non andasse bene. «Sto cominciando a stufarmi di cucinare tutto il santo giorno per qualcun altro» continuò la signora Rampage, in un tono di voce acuto e strano. «La padrona di casa è diventata la schiava!» declamò in modo stravagante, con una risata stridula. «Non è molto gentile» ribatté dolcemente la signora Roach. «Lei parla di gratitudine, ma non so se troverebbe un'altra persona che fa tutto quello che faccio io senza essere pagata.» «E allora, perché continua a restare qui?» le chiese la signora Rampage. «Il rimedio è a portata di mano. Se non è soddisfatta, può anche andarsene.» «Non mi sto lamentando» cominciò là signora Roach, ma la signora Rampage la interruppe bruscamente, indignata. «Be', buon Dio, spero proprio di no! Non credo che abbia avuto qualcosa di cui lamentarsi qui. Trattata come una regina. In vita mia, non ho mai sentito...» «Mi spiace che lei...» «Non sto parlando di quanto mi costi mantenerla! Ma che si pretenda
che io corra su e giù tutto il santo giorno, spezzandomi la schiena per lei ... be', è troppo!» La signora Roach pareva sgomenta, e forse lo era davvero. «Chi è che corre su e giù tutto il giorno?» «Cosa pensa direbbe mia figlia se sapesse che devo pulire il bagno dopo che lei è uscita?» «Oh, signora Rampage, ma quando?» protestò la signora Roach con un sorriso. Dandole le spalle, come se non avesse sentito bene o non avesse capito il significato di quelle parole, la signora Rampage disse: «Be', vada, allora! Magari lo facesse!» E cominciò a sbattere i tegami per riporli. La signora Roach rimase lì ferma, in piedi, con il sorriso che pian piano le scompariva dal volto. Cercava di incassare il colpo. «Mi spiace di non averla soddisfatta» disse alla fine, in tono dispiaciuto. «Quando vuole che me ne vada?» «Quando preferisce» disse la signora Rampage, la testa infilata nella credenza. «Cercherò di trovare un altro posto al più presto possibile» disse umilmente la signora Roach. «Bene, bene, bene!» urlò offensivamente la signora Rampage mentre le passava accanto (non vedeva l'ora di allontanarsi da quella donna, visto che il bisticcio era arrivato a tal punto) e inciampò in Winky Woo, che scappò via miagolando. «Quel maledetto animale... sporco... peli dappertutto... che il diavolo se lo porti... Jonquil...» la si udiva borbottare mentre risaliva pesantemente le scale per raggiungere la sua camera, dove forse si sarebbe sentita finalmente al sicuro. Il cuore le batteva all'impazzata; sì, era sconvolta. A causa di tutti quegli anni di vedovanza, era superiore alle capacità della signora Rampage dire semplicemente alla sua governante di andarsene; lei non era mai stata in grado di licenziare nessuno usando maniere urbane; c'era sempre voluto un bisticcio perché riuscisse a farlo. Si tolse le scarpe e si mise a camminare su e giù per la stanza a piedi nudi, continuando a brontolare tra sé e sé per il risentimento e la paura. Di colpo, si vide riflessa nello specchio. "Povera vecchia mamma!" si disse, provando pietà per quegli occhi rossi. Per rincuorarsi, s'infilò in bocca alcune caramelle prese dalla bomboniera Sèvres. Quei bisticci la sconvolgevano sempre, povera stupida, e in più, questa volta, niente pranzo. Una lacrima le scivolò giù lungo la guancia. Si faceva così tanta pena che
avrebbe potuto scoppiare a piangere, ma in quel momento sentì un cigolio proveniente dalla scala e, temendo che fosse la signora Roach, salita per continuare quel bisticcio, la signora Rampage s'infilò nel letto, divorò una barretta di cioccolato, si rimboccò le coperte fin sotto il mento e fece finta di essersi assopita. La signora Roach era così scossa che, per qualche attimo, dovette sedersi su uno sgabello in cucina. Prese la gatta in braccio e le mormorò qualcosa all'orecchio. Non si sarebbe preoccupata affatto di quella stupida vecchia eccitabile. Le signore anziane avevano spesso un brutto carattere e ogni tanto si comportavano in maniera strana, come i bambini; qualche volta era indispensabile spaventarle un po', giusto per rimetterle in riga. Altre volte, invece, era meglio ignorarle del tutto. La signora Roach preparò alcune fette di pane e burro, si versò una tazza di Ovomaltina e portò il tutto nella sua camera: quel bisticcio le aveva messo appetito. Si sedette con il piumino sulle gambe, a rammendare e a cantare inni religiosi sotto voce. Dopo un po', tirò fuori il diario e scrisse: "Oggi la signora R. mi ha regalato una bella lampada da comodino per la mia stanza". Poco dopo le quattro, la signora Roach scese e preparò un vassoio con una tazza di tè e un uovo bollito, poi lo portò di sopra alla signora Rampage. La signora Rampage era a letto con le coperte tirate fin sul naso. Quando la porta si aprì e lei vide entrare la signora Roach, chiuse gli occhi. «Signora Rampage! Le ho portato il tè!» «Non ne voglio» disse la signora Rampage, imbronciata. Si girò di lato, dandole le spalle. «Adesso non lo faccia freddare» disse la signora Roach mentre posava il vassoio e usciva dalla stanza. «Maledizione!» esclamò la signora Rampage, sedendosi sul letto. Aveva la faccia sporca di cioccolato come un bambino piccolo. Desiderava disperatamente il tè, anche perché non era mai stata capace di resistere alle richieste del proprio stomaco. Dopo si sentì molto meglio e provò anche un po' di vergogna. Non aveva intenzione di scusarsi (altrimenti, la signora Roach sarebbe magari rimasta), ma avrebbe potuto farle un regalino per ripagarla di quella brutta scenata e di tutte le cose spiacevoli che si rendeva conto di averle detto. Prese a osservare un vaso Minton, con una filatura, che la signora Roach una volta aveva trovato tanto grazioso, ma quando lo esaminò più attenta-
mente, si rese conto che era troppo bello per liberarsene, così lo scartò. C'era poi un sottile bricco in argento della regina Anne, con un buchetto proprio nel centro, ma le venne in mente quanto valeva l'argento da solo e così lo rimise nel cassetto. Quindi trovò uno zoccolo danese, ma sapeva che la signora Roach non lo avrebbe apprezzato. Alla fine, le capitò tra le mani un vecchio centro tavola, con un grosso strappo su un lato. Quello sarebbe stato benissimo sul tavolino da toletta della signora Roach. Così, quella sera, la signora Roach poté aggiungere una nota al suo diario. "Questo pomeriggio ho avuto una spiacevole scenata con la signora, e tutto per niente. Io mi sono mantenuta calma fino a quando la bufera non è passata. Immagino che abbia pensato di avermi offeso, perché più tardi mi ha regalato un delizioso centro tavola, in pizzo irlandese." Non vi fu più nessun accenno alla partenza della signora Roach, e lei non se ne andò. La signora Rampage accettò ben presto che l'altra rimanesse perché ancora una volta la signora Roach continuava a correre su e giù per la casa, rendendosi indispensabile. Aveva persino ripreso a chiamarla Roachy. Eppure, di tanto in tanto, la signora Rampage le diceva: "Quello che ha in borsetta è il mio fazzoletto" (o "i miei guanti" o "la mia sciarpa"), ma la signora Roach rispondeva sempre con calma: "No, cara, si sbaglia. L'avevo già molto prima che arrivassi qui. Lei deve averne uno simile". "Be', allora dov'è il mio?" "Questo non lo so" rispondeva dispiaciuta la signora Roach. Quel suo strano atteggiamento fu una delle cose che la governante riferì al dottore quando, poco prima di Natale, la signora Rampage si prese l'influenza. Non aveva la febbre molto alta, ma la signora Roach insistette nel chiamare il medico, dicendo che altrimenti lei non si sarebbe presa la responsabilità di starle dietro; non era giusto pretendere questo da lei. Quella era proprio l'opportunità che la signora Roach stava aspettando, e, si potrebbe aggiungere, per cui quasi stava pregando. «Chi le chiede di prendersi responsabilità?» brontolò la signora Rampage. «Io non voglio un'infermiera. Voglio solo essere lasciata in pace. Odio la gente che mi gira intorno quando non sto bene.» Così la signora Roach la lasciò in pace. La signora Rampage comparve sul pianerottolo e si mise a chiamarla invano. Scese persino alcuni gradini
e bussò alla porta della governante, singhiozzando dalla rabbia. «Ero uscita» disse dolcemente la signora Roach. «Lei ha detto che voleva essere lasciata in pace.» «Dica pure lasciata a morire.» osservò piangendo la signora Rampage. Il dottore arrivò e auscultò il respiro della signora Rampage; ci scherzò su e le prescrisse qualcosa. Non appena il medico uscì dalla stanza, la signora Roach lo afferrò per un braccio, lo sguardo tutto serio. «Dottore» disse sottovoce «come sta?» «Oh, non c'è male, non c'è male. Si faccia preparare questa medicina e gliela dia due volte al giorno.» «Sciolta in un po' d'acqua?» «Sì. E le dia solo del brodo per un paio di giorni.» Impartì quegli ordini in tono brusco mentre scendeva le scale, pensando già a tutti gli altri pazienti che lo attendevano. «Quando tornerà, dottore?» «Oh, non ce ne sarà bisogno. Andrà tutto bene, purché la signora se ne stia a letto e faccia quello che le ho detto.» Raccolse il suo cappello di feltro e se lo calcò sulla fronte. Nel giro di un minuto avrebbe aperto la porta, sceso i gradini e si sarebbe diretto alla macchina. Lei lo sorpassò in fretta, per andare ad aprirgli. Con la mano posata sulla maniglia, gli disse: «La ringrazio di essere venuto a visitarla, dottore, anche se non è niente di serio. Ultimamente, ero... be', preoccupata. Non credo che dovrei tenere tutta questa responsabilità sulle mie spalle. In fondo io non faccio parte della famiglia. Se succedesse qualcosa, potrebbero rimproverarmi di non averli messi al corrente della situazione. Ma, d'altra parte, se parlassi, non credo che sarebbero molto contenti» aggiunse con un sorriso. «È uno di quei casi in cui non si sa mai come comportarsi.» «Già» disse lui, senza seguirla. «Be', mi faccia sapere se ci sarà bisogno che ripassi» aggiunse in fretta, e allungò la mano per afferrare la maniglia che lei pareva non avesse nessuna intenzione di girare. «Mi perdoni se la trattengo ancora dottore. So bene quanto sia impegnato. Ma se potesse concedermi anche solo due minuti...» «Ma certo» disse lui, riluttante. «Vuole accomodarsi qui, se non le dispiace?» Lei gli fece strada nel salottino e chiuse la porta. «Si sieda, dottore, la prego.» «No, grazie.» Si era tolto il cappello e lo teneva in mano. «Sigaretta? Credo che ce ne siano da qualche parte» disse lei, dando un'occhiata al camino e alle pile di giornali.
«Non ora, grazie.» «Se ci ripensa, comunque, me lo faccia sapere.» «Allora, di cosa si tratta?» disse lui in fretta. «Non lo so neanch'io, con precisione» osservò la signora Roach con un sorrisino. «Vede, mi trovo qui soltanto da sei settimane. Un membro della sua famiglia mi aveva chiesto di starle dietro. Non mi era stato detto che poteva esserci qualche problema. Problema mentale, intendo dire. E ora mi domando cosa dovrei fare. Lei non sembra minimamente rendersene conto, vede, ma fa o dice delle cose che poi si dimentica di avere detto o fatto.» «Oh, perdiamo un po' tutti la memoria, invecchiando.» «Certo, dottore. Ma credo che qui si tratti di qualcosa di più. Metà delle volte crede che le mie cose siano le sue. Devo tenere la porta della mia camera chiusa a chiave perché altrimenti lei sarebbe sempre lì dentro a curiosare. E magari a rubare la mia roba sostenendo che appartiene a lei.» «Un sintomo di senilità?» «Be', lei crede, dottore? È proprio quello che vorrei sapere. È un comportamento destinato a peggiorare, suppongo. Pensa che la famiglia dovrebbe esserne informata?» «Dovrei saperne molto di più, prima di poterle dare una risposta. Mi spiace.» «Naturalmente, dottore. Pensavo magari che se lei potesse darle un'altra occhiata...» «Le farò un esame più approfondito quando starà meglio» promise lui. «Grazie mille, dottore, mi toglie un gran peso dallo stomaco. Crede che sia qualcosa di serio?» Quasi non osava chiederglielo. «Speriamo di no» disse lui allegro, con il classico tono indifferente dei medici. Ritornò una settimana dopo. La signora Rampage si era alzata. «Il dottore, cara» disse dolcemente la signora Roach. «Chi? Il dottore? Non gli avevo chiesto di passare. Non voglio vederlo. Gli dica che sono uscita» ordinò lei, mentre si alzava dalla poltrona dove si era appisolata. «Su, su, su!» disse il medico con un sorriso, già alle spalle della signora Roach. Anche la signora Rampage si mise a ridere. «Sto meglio, dottore. Sarebbe un'inutile perdita di denaro... ehm, di tempo, del suo tempo così prezioso...» «Be', visto che ormai sono qui, forse è meglio controllare che l'influenza
non abbia lasciato strascichi» disse lui, tirando fuori l'apparecchio per misurare la pressione e avvolgendole la fascia di gomma intorno a un braccio. «Stiamo meglio, eh?» disse, pompando aria. «Qualche dolore al capo?» «Adesso no.» «Prima erano frequenti?» «Costanti, direi.» «Quanto tempo fa?» «Be', quando stavo male» disse lei in tono sorpreso. «Oh, capisco... le capita mai di rimanere senza respiro?» «Solo quando faccio le scale di corsa. Ma c'è da aspettarselo, in una ragazzina come me.» «Vediamo, quanti anni ha?» «Sono troppo vecchia per dirglielo.» Lui diede un'occhiata all'apparecchio. «Più di sessanta?» suggerì. «Poco gentile, direi!» «Dimentica spesso le cose?» «No.» Lei lo fissò. «Perché dovrei?» «Bene, bene.» Lui le esaminò gli occhi e disse: «Be', credo che non ci sia nessuna complicazione.» «Non vedo perché dovrei pagarla solo per avermi detto cose che sapevo già.» «Lei mi paga per confermare la sua opinione» disse lui, lanciandole un sorrisino mentre si dirigeva verso la porta. La signora Rampage si mise a ridere divertita, perché, alla sua età, ricevere attenzioni da un uomo, fosse pure un dottore, era una cosa piacevole. La signora Roach lo aspettava fuori dal cancello, dove la signora Rampage non poteva vederla anche se avesse accompagnato di persona il dottore fino alla porta. Lui stava già per salire in macchina quando le rivolse la parola. «Non è in cattive condizioni» disse, allegro. «C'è un certo indurimento delle arterie, ma è una cosa normale alla sua età.» «Ma questa confusione che ha in testa...?» «Dipende anche da quello. È uno dei sintomi. E non ci si può fare niente, purtroppo.» «Peggiorerà?» «Be', certo non potrà migliorare.» «Oh, Dio! Cosa dovrei fare?»
«Mi spiace, ma lei non può fare proprio niente.» «Voglio dire, secondo lei dovrei dirlo alla famiglia? Io sento che la responsabilità per me è troppa.» «Male non può fare. In fondo, prima o poi dovranno ben saperlo.» Mise in moto e innestò la marcia. «E posso dire che si rivolgano a lei, dottore, se hanno bisogno di altre informazioni?» Lui annuì e alzò una mano in segno di saluto. «Oh, grazie!» urlò lei, mentre la macchina cominciava ad allontanarsi. «Grazie, dottore!» E il sollievo della signora Roach doveva essere stato grande, visto il sorriso che le illuminava il volto mentre tornava verso casa. La volta successiva che Cissie Getaway andò a trovare la zia fu nei primi giorni di gennaio. Fu sollevata dal rilevare che le due donne sembravano andare ancora d'accordo. Notò che la zia Luna rimproverava qualche volta l'altra usando un tono brusco, ma non era certo per cattiveria. Evidentemente, la signora Roach si rendeva conto che quello era solo il modo di fare della zia Lu, perché anche lei finiva per riderne. «E che novità hai di Jonquil?» le chiese gentilmente Cissie. «Hai ricevuto sue notizie, per Natale?» «Oh, sapessi, mi ha mandato un meraviglioso libro composto di fogli di papiro! Bisogna che te lo faccia assolutamente vedere Ma quello è arrivato un po' prima di Natale. Da allora, come c'era da aspettarsi, non ho più ricevuto niente.» «Oh, sì invece, cara. Ha ricevuto una sua lettera meno di due settimane fa» le ricordò la signora Roach. «Grazie per la correzione; certo, lei è sempre più informata di me.» «Se ricorda bene, qualche tempo fa le ho chiesto se era da molto che non riceveva più notizie di sua figlia, e lei mi ha risposto che le era arrivata una sua lettera proprio quel giorno, mentre ero fuori. Giovedì scorso, credo che fosse.» «Deve aver ragione» disse soave la signora Rampage. Poi aggiunse: «Perché non va in chiesa per una mezz'oretta, mentre io faccio quattro chiacchiere con mia nipote?» «C'è un battesimo importante questo pomeriggio, ma preferirei salire in camera mia a scrivere un paio di lettere» dichiarò allegramente la signora Roach, mentre lasciava la stanza. «Zia Lu!» esclamò Cissie in tono di rimprovero. «Non avresti dovuto
farlo!» «Che cosa?» le chiese l'altra con aria innocente. «Pensavo che fosse lieta di inginocchiarsi e di poter recitare preghiere davanti a qualche statua; trova sempre mille scuse per andare in chiesa! Probabilmente, si sarà innamorata del vicario, pover'uomo. Lui è solo e lei è una zitella.» «Quanto sei assurda! E, comunque, è una vedova.» «Ho sempre pensato a lei come a una zitella. Inoltre, suo marito era impotente.» «Come lo sai?» chiese con tatto Cissie; non le era mai piaciuto quando la zia Lu diventava volgare, il che, purtroppo, era una sua naturale tendenza. «Me l'hanno detto» disse la signora Rampage con aria cospiratoria, dato che non poteva confessare di averlo dedotto dalle parole di Henrietta. Mentre parlava le era venuta in mente un'altra idea, così proseguì: «Naturalmente, non ho modo di sapere se quando esce va veramente in chiesa. Mi baso semplicemente su quello che mi racconta, e lei non dice sempre la verità. Per quanto ne so, potrebbe recarsi di nascosto in una fumeria d'oppio. E ciò spiegherebbe come mai le sue visite sono così frequenti.» Cissie corrugò la fronte. «Zietta, non credo che le sia piaciuto il modo con il quale ti sei rivolta a lei, a proposito della lettera di Jonquil.» «È una terribile ficcanaso. Magari si facesse i fatti suoi!» «Stava solo cercando di aiutarti, cara.» «Il fatto è che non mi serve il suo aiuto. Mi farà impazzire col suo starmi continuamente addosso e chiedermi: "È da un pezzo che la signora Bracebridge non le scrive più, non le pare?", oppure: "Ci sono notizie della signora Bracebridge?". Ogni giorno la stessa solfa, credimi. Come se potessi ricevere sue notizie tutti i giorni. Io le dico che mi ha scritto, così la pianta.» «Immagino che creda di farti piacere, parlando di Jonquil. Sono certa che lo fa a fin di bene.» «È un'asina.» Tanto per cambiare argomento, Cissie disse, allegra: «Ma non ti ho raccontato la novità. Non indovini?» «Stai per avere un bambino.» «Quella sì che sarebbe una notizia!» esclamò Cissie. «No, Wilfred sta per andare in Sudafrica. Non è bello? Almeno per un anno, crediamo.» «Una meraviglia!» esclamò la signora Rampage. «E tu te ne resterai qui
a fare la moglie sconsolata?» «Oh, no, vado anch'io con lui. Non ho nessuna intenzione di esser tagliata fuori dal divertimento, non credi? Dicono che Durban sia un paradiso.» «Ha un clima molto caldo, mi pare» osservò la zia, un po' gelosa. «Lo spero.» «Può darsi che tu riesca a dimagrire» disse la signora Rampage, con una risatina incredula. «E i tuoi comitati? Come faranno gli altri senza di te?» «Non faranno, infatti» disse Cissie, ridendo. «Credo che andranno tutti in malora.» «Ma a te non importa niente. Che sensibilità! Quando partite?» «Questo venerdì.» «Così presto? Mi sembra una partenza precipitosa.» «Abbiamo fatto una corsa contro il tempo. Il fatto è che non avevo ancora trovato un attimo libero per venirtelo a dire. Mettere tutta la roba nei bauli, e poi i passaporti, i vestiti, i vaccini... non immagini quante cose ci siano da fare.» «È un peccato che tu non me lo abbia fatto sapere prima; magari avrei potuto aiutarti con i vestiti. Jonquil, comunque, dice che è meglio non portare nessun indumento sintetico. Sono assolutamente sconsigliati per i tropici. Lei sostiene che...» Era difficile poter sfuggire all'esperienza e alla saggezza di Jonquil, ma Cissie ascoltò pazientemente la zia e promise di ricordarsi del consiglio. La signora Roach, naturalmente, riuscì a tornare in tempo per l'ora del tè, così si mise a raccontare dell'India e di come ci si vestiva con quel clima. «Ma lei sta parlando di secoli fa» la interruppe sbrigativamente la signora Rampage. «Nessuno li porta più, al giorno d'oggi.» Cissie si accorse che la signora Roach era arrossita: era proprio maleducata la zia. Senza fermarsi a pensarci su, lei disse in fretta: «Senti, dove sono i miei anelli? L'ultima volta che sono venuta erano sul tavolino accanto al sofà.» «Appunto!» esclamò trionfalmente la zia Luna, rivolgendosi alla signora Roach. «Ha sentito? Erano sul tavolino accanto al sofà. Forse alla signora Getaway crederà.» «Io ho solo detto, cara signora Rampage, che non li avevo mai visti.» «Be', adesso si renderà conto che deve averli visti... e spesso.» «Ma non li avrò notati. Voglio dire, non sono una grande osservatrice, purtroppo.» Si rivolse a Cissie. «Gli oggetti che possiede la signora Ram-
page significano così tanto per lei che non riesco a farle capire...» «A cosa serve tutta questa tiritera? Non sono più lì. Perciò dove sono?» «Continuo a dirle, cara signora Rampage, che non possono essersi smarriti da soli. Saranno stati messi in qualche posto insolito e poi dimenticati.» «Sicuramente, prima o poi verranno fuori» concordò Cissie, più perché non le andava di starsene lì seduta a vedere quella povera donna tiranneggiata che perché ci credesse veramente. La zia Luna non era per niente gentile, quel giorno. Avrebbe cercato di vedere la signora Roach da sola prima della sua partenza, per scambiare quattro chiacchiere con lei. Anche la signora Roach era ansiosa di parlarle. C'erano molte cose che ci teneva a spiegare. Quando la signora Getaway andò a lavarsi le mani, la signora Roach, intelligentemente, trovò una scusa e la seguì. Ci fu un attimo di mutua simpatia e un'occhiata d'intesa tra le due. «Vede» iniziò la signora Roach in tono supplichevole «sua zia sta diventando davvero difficile.» «Mi spiace tanto, signora Roach. Ma non deve farsi turbare. Lei non lo dice seriamente, ne sono sicura.» «Ma certo che non me la prendo. Non me la prendo mai per quello che mi dice, è un'anziana così cara... Ma si comporta in maniera tanto strana, alle volte, che l'altro giorno ho dovuto chiamare il dottore. Avevo paura che uscisse fuori di testa. Sa, a volte dice o fa certe cose che...» «Che genere di cose, signora Roach?» le chiese Cissie, provando un'ondata di gelo a quella frase. (Poteva essersi sbagliata con quella donna, dopotutto?). «Mi vergogno di doverle dare una preoccupazione proprio quando sta per farsi una bella vacanza, ma penso che non sarebbe giusto da parte mia lasciarla partire senza metterla al corrente... nel caso dovesse succedere qualcosa mentre è via, sa.» «Dio ce ne guardi!» «Ma certo. So quanto vuole bene a sua zia. E questo rende la cosa ancora più triste. Il dottore dice che può solo peggiorare, con il tempo.» «Che cosa può peggiorare?» chiese bruscamente Cissie. «Ma questa perdita di memoria! Questa... questa confusione che ha nella mente riguardo a ciò che le succede. Come la lettera della figlia che si era dimenticata di aver ricevuto. E, vede, non ammetterà mai di aver torto. E poi quegli anelli. Li ha venduti. Non so dirle perché. Ma a me aveva detto di volerli vendere. Alla signora Purvis, credo. Poi si dimentica delle cose,
immagino, o semplicemente non vuole ammettere i propri errori e fa finta che sia stato qualcun altro a prenderle la sua roba... e il capro espiatorio sono sempre io, purtroppo.» «Erano suoi e quindi poteva venderli, se voleva; a me non importa» disse tristemente l'altra. Povera zia Lu, non era stata gentile verso di lei, quel giorno. Com'era brutto invecchiare. «Pensa di non poter sopportare questa situazione, signora Roach?» «Francamente, signora Getaway, se non ci fossi io qui, dovrebbe esserci qualcun altro a starle dietro. Il medico si è espresso in termini categorici. Non la si può assolutamente lasciar sola. Naturalmente, se crede che potrebbe stare meglio con un'altra governante...» «Non avevo certo intenzione di dir questo, mia cara. Io le ho solo chiesto se pensa di potercela fare.» «Io le voglio molto bene. E a parte tutto, è una cara vecchia» disse la signora Roach, teneramente. "Una cara vecchia". Non era proprio la definizione più calzante per la zia, ma la signora Getaway l'accettò con gratitudine e fu lieta che quella donna ci credesse, almeno per il momento. «Allora, posso stare tranquilla? Se ne occuperà lei, mentre sarò via?» «Oh, può fidarsi di me» promise la signora Roach, con un sorrisetto gentile e rassicurante. «Mi occuperò io di tutto.» 5 A essere sinceri, la signora Roach non vedeva niente di male nell'usare qualche mobile della signora Rampage per abbellire l'aspetto della sua camera e renderla più confortevole. C'era un'infinità di oggetti spaiati per casa, chiusi magari in qualche stanza e dimenticati. Che male c'era nel sistemarli dove più occorrevano e dove più sarebbero stati apprezzati? Se non chiese il permesso della signora Rampage, fu solo perché ne conosceva abbastanza bene il carattere da sapere che sarebbe stato fiato sprecato. Non era perché l'anziana signora fosse avara, ma piuttosto per il fatto che l'idea che un'altra persona potesse desiderare qualcosa che le apparteneva le faceva automaticamente nascere il bisogno di quell'oggetto che fino al giorno prima non aveva degnato neanche di uno sguardo. Se la signora Roach accampava qualche richiesta, lei rispondeva sempre: "Non posso darglielo... l'ho avuto da... Ma tanto non lo vorrebbe, non è un pezzo di valore. Le darò qualcosa di molto meglio". E cominciando a rovistare tra tutte le sue
cianfrusaglie, compariva dopo un po' con qualcosa che non serviva affatto allo scopo o che era di qualità nettamente inferiore. Meglio, molto meglio - e più saggio - rimuovere semplicemente quello che le serviva quando la signora Rampage era fuori casa. E, come la signora Roach diceva spesso, quella donna aveva così tante cose che molto difficilmente le sarebbe venuto in mente di servirsi di uno qualsiasi di quegli inutili ammennicoli che teneva stivati nelle stanze sul retro e in soffitta. Non sarebbe mai riuscita a notarne la scomparsa. Inoltre, continuando a tenere la porta della sua stanza chiusa a chiave, ovviava a qualsiasi inconveniente. Se poi la signora Rampage avesse scoperto qualcosa, lei sapeva già cosa rispondere. Avrebbe detto che l'aveva fatto solo per abbellire un po' la sua stanza quando qualche amica veniva a trovarla. Eleanor, infatti, dopo aver tanto brigato, le aveva promesso che sarebbe passata in città per i saldi e che avrebbe preso il tè insieme a lei, prima di tornare a casa col treno delle sei e un quarto. Non voleva che Eleanor vedesse la stanza in quello stato, così misera e trasandata. Non era certo meglio della camera di una serva. Anzi, non aveva niente a che fare con le stanze della servitù di oggigiorno, con quelle allegre poltrone rivestite di chintz e la radio sul comodino. Ma la signora Roach si riferiva ai buchi che la servitù aveva durante il periodo vittoriano, quando lei era ancora una bambina. Non appena la signora Rampage scoprì che Eleanor l'avrebbe onorata di una visita, si lasciò quasi scappare un gridolino di gioia. Comunque, cercò di nascondere quella scintilla che le si era accesa negli occhi e disse soltanto che sarebbe stato bello per Roachy. «Mi spiace, ma io non sarò a casa» mentì la signora Rampage. «Ma cercherò di rientrare in tempo, almeno per conoscere la sua amica.» "Oh, la prego, non stia a preoccuparsi" stava quasi per dire la signora Roach; ma non si diede grande pensiero, dato che aveva scelto il venerdì proprio perché sapeva che era il giorno in cui la signora Rampage andava dalla parrucchiera. Comunque, la signora Rampage non aveva certo intenzione di perdersi quell'incontro; sarebbe stato ingiusto non dare anche a Henrietta, a Geraldine Lawson e alle altre sue amiche, che aveva tanto divertito citando frasi delle lettere della signora Roach, l'opportunità di apprendere com'era l'amica del cuore della sua vecchia dama di compagnia. La signora Roach era giù nel seminterrato a preparare dei sandwich quando Eleanor suonò il campanello. Prima che potesse asciugarsi le mani
e correre di sopra ad aprire la porta, la signora Rampage era già uscita come un fulmine dal salottino, dove era rimasta seduta in grande attesa, e l'aveva fatta entrare. «Venga, venga» le disse, ridendo di cuore per una ragione che Eleanor non riusciva a capire. La condusse direttamente nel salotto importante. «Sarà stanchissima! Immagino che vorrà togliersi il soprabito, ma è inutile che la porti su nella stanza di Roachy, perché lei la tiene sempre chiusa a chiave.» Le lanciò un'occhiata d'intesa e scoppiò in una fragorosa risata. Eleanor si stupì, perché non era riuscita a cogliere l'allusione. A Eleanor, la signora Rampage diede l'impressione di una donna allegra e gioviale; non le sembrava certo quella strana vecchietta mezzo rincitrullita che Norah le aveva dato a intendere. Proprio in quel momento, entrò Norah. Con un timido sorriso sul volto, disse: «Oh, signora Rampage, posso presentarle...?» «Be', sono certa che voi due avrete molte cose da dirvi, perciò credo che mi scuserete se vado avanti con la mia corrispondenza. Voglio terminare la lettera prima che passi il postino; è per mia figlia, sa, quella che si trova in Malesia...» Non riusciva mai a resistere all'opportunità di parlare di Jonquil, se le capitava l'occasione: c'erano conducenti d'autobus e commessi che sapevano vita, morte e miracoli di Jonquil, né più né meno di Henrietta Purvis. Così la signora Rampage si trattenne ancora per qualche minuto a conversare allegramente dei piani della figlia, continuando a rivolgersi a Eleanor come se la signora Roach non fosse stata presente. Osservava con vivo interesse la nuova arrivata, una donnetta di mezza età con un vecchio tailleur di tweed fuori moda e quelle striature candide, che davano l'idea di sottilissimi fili di cotone, tra i capelli scuri. Era davvero una delusione. Le lettere avevano fatto immaginare alla signora Rampage... be', non sapeva esattamente cosa, ma che fosse rimasta delusa da quello che vedeva era una certezza. Buttò giù in fretta il resto della lettera e si sbatté rumorosamente la porta alle spalle per andare alla posta. «Credevo che sarebbe rimasta fuori tutto il pomeriggio, cara» disse in tono di scusa la signora Roach. «Ma è simpatica, no? Una vecchietta allegra, mi sembra.» La signora Roach non disse niente. Sul viso le apparve un'espressione rassegnata, «Norah!» le urlò Eleanor (anche se, nel suo intimo, il cuore le si sollevò nel petto dalla gioia). «Credevo che ti piacesse.»
«Povera vecchia, uno non può che provare rammarico per come si è ridotta. Non ha un carattere molto facile.» «Io, invece, avrei detto proprio il contrario. Mi sembrava così allegra e gioviale...» La signora Roach sorrise tristemente. «Non è quello a cui mi riferivo, cara. Ha un carattere un po' particolare. È come certe ragazzine capricciose. Quando non ha le lune, allora è davvero simpatica.» Diede un'alzata di spalle, mentre concludeva la frase. «Ne sono quasi felice, così non dovrò essere gelosa» disse timidamente Eleanor. «Dalle tue lettere, cominciavo a temere che ti stessi affezionando un po' troppo a lei.» «Cara, io cerco sempre di vedere il lato migliore delle cose.» «Lo so bene quanto sei coraggiosa!» disse impulsivamente Eleanor, mentre le stringeva una mano. «Norah, cosa intendeva dire? Poco fa mi ha riferito che non poteva farmi entrare nella tua stanza perché tu la tenevi chiusa a chiave. Mi è sembrata proprio una cosa stupida da dirsi.» «Proprio un'affermazione stupida, da parte sua. Avrebbe dovuto vergognarsi.» Così la signora Roach le raccontò come l'aveva scoperta a spiare in camera sua e colta in flagrante a leggere le lettere di Eleanor. (A questo punto, l'amica arrossì violentemente). «Capito? Lei è fatta così. E poi si pente delle stupidaggini che dice, come i bambini, e per farsi perdonare mi fa un regalino. Una donna della sua età! No, non la si può certo definire una persona normale.» Nonostante ciò, cercò di essere giusta nei confronti della signora Rampage, mostrando a Eleanor tutti i regali che la padrona di casa le aveva fatto. Ancora una volta, Eleanor provò una fitta di paura e di gelosia. «Devi proprio averla stregata» disse. «Credo di sì» osservò con aria compiaciuta la signora Roach. «Avrebbe dovuto chiedere alla sua amica di fermarsi per cena» disse la signora Rampage al suo ritorno, sporgendosi sulla pentola fumante a osservare la testa di un vitello i cui occhi gelatinosi la fissavano con uno sguardo di rimprovero. «Molto gentile da parte sua, ma doveva tornare a casa; ha il padre invalido, sa.» «Oh, ma avrebbe dovuto obbligarla a fermarsi. Credo che le avrebbe fatto bene.» Era un'inutile perdita di tempo cercare di far capire qualcosa alla signora
Rampage; se una cosa non le andava, non c'era modo di fargliela entrare in testa. La signora Roach si rendeva conto che quella donna non avrebbe mai accettato l'idea che Eleanor potesse essere tanto legata al padre, perciò lasciò cadere il discorso. «Mi è sembrato che avesse un'espressione così triste» disse la signora Rampage, incuriosita ("quasi quanto quella di un terrier di Aberdeen che implora un osso" aggiunse tra sé). «Perché non si è mai sposata?» «Non ne ho idea.» «Doveva essere abbastanza carina da giovane, credo.» «Sì, forse.» «Sicuramente qualcuno le avrà chiesto la mano, no?» «Mi spiace, ma non saprei proprio dirle. Non gliel'ho mai domandato.» «Oh, credevo che foste molto amiche» disse la signora Rampage, mentre cercava di estrarre il cervello dalla testa dell'animale e di metterlo in una scodella. Voltando lo sguardo da un'altra parte per non vedere quell'operazione, la signora Roach rispose che più un'amicizia era profonda, più era necessaria una certa reticenza; bisognava rispettare la sfera del privato. Ma un rimbrotto simile non poteva che avere poco effetto sulla signora Rampage. «Quella non è amicizia. Sarei curiosa di vedere Henrietta Purvis che rispetta la mia "sfera del privato"!» disse, mentre sulla sua bocca si formava un sorrisetto di scherno. «Il mondo è bello perché è vario» replicò pacatamente la signora Roach, sperando che ciò mettesse fine a quella conversazione. Versando un uovo crudo sulle cervella e mettendosi poi a impastare il tutto con le dita, la signora Rampage mormorò: «Ma è intelligente? Che cosa fa? Non mi aveva detto che vive a casa col padre? Questo mi fa supporre che se la passino bene, no?» «Ma signora Rampage!» disse ridendo la signora Roach. «Che peccato che non le sia venuto in mente di chiederglielo quando era ancora qui. Mi spiace, ma argomenti del genere non mi interessano affatto.» «Oh, non potevo essere io a chiederglielo; per lei ero una perfetta estranea» spiegò in tono gentile la signora Rampage. «Comunque, non riesco a capire perché la gente fa finta di non avere alcun interesse per il denaro. Se per lei le questioni economiche hanno un'importanza molto secondaria, non mi stupisco che la cosa non le interessi affatto.» «Forse è questa la ragione.» «Ma se le sue amiche se la passano abbastanza bene, non riesco a capire
perché non l'abbiano aiutata loro, quando aveva bisogno di trovare una casa.» La signora Roach divenne paonazza e si guardò bene dal rispondere. «Oh, ho forse mancato di tatto?» disse allegramente la signora Rampage. In un modo o nell'altro, c'era sempre da divertirsi con la vecchia Roachy. Una delle cose che irritavano particolarmente la signora Roach era il denaro che la signora Rampage buttava via per quell'inutile paccottiglia, mentre si rifiutava di pagare pochi spiccioli per comprare qualche pesce a Winky Woo e le lesinava apertamente anche una misera tazza di latte. Le sembrava uno spreco così gratuito, anche se alcuni giorni non spendeva più di cinque o dieci scellini per acquistare un vasetto di terracotta, o magari una caraffa o uno stupido cucchiaino; tutte cose che, probabilmente, nessuno avrebbe voluto e che finivano in una casa già stracolma di cianfrusaglie simili. La situazione veniva ancora più aggravata dal fatto che lei era sempre costretta ad ammirare i nuovi trofei che la signora Rampage le mostrava tutta eccitata, tenendoli tra le sue mani piccole e grassocce. Il fatto è che la donna non possedeva nella maniera più assoluta il senso del denaro e del suo valore, proprio quel genere di colpa che la signora Rampage rinfacciava alla propria governante. E ciò venne ampiamente provato dal caso Peacock. La gente che viene a lavorare solo qualche giorno alla settimana porta spesso con sé misteriose borse di pelle o strani sacchetti. Per questo, la signora Roach non aveva mai fatto particolare caso al fatto che Peacock, il giardiniere, si presentava sempre al lavoro con un pacchetto avvolto in un paio di pantaloni vecchi e mezzo nascosto sotto l'impermeabile che teneva ripiegato sull'avambraccio. Avrebbe potuto trattarsi di un paio di stivali o di qualche attrezzo da lavoro. «Finito, per oggi» aveva detto una volta Peacock, con un sorriso piuttosto colpevole. «Pensavo di portare questa vecchia scopa a mia moglie. Magari poi la riporto indietro» aveva aggiunto, piegando il capo da un lato e lanciandole un sorrisetto d'intesa con quei suoi occhi caramellosi. Gli occhi dell'uomo, che spiccavano sulla faccia rotonda e scura, uniti ai capelli folti e morbidi e ai sorrisini di scusa di cui era sempre prodigo, facevano venire in mente una bambola dal volto nero. «Be', non so cosa dirle» aveva osservato in tono dubbioso lei. «Gliel'ha data la signora Rampage?» «Ma non serve più a niente, vede? Non la usa più nessuno.» «Credo, comunque, che farebbe bene a chiederlo a lei.»
«Ha ragione» disse allegramente il giardiniere. «Gliela chiederò la prossima volta.» La signora Roach credeva che l'uomo fosse solo un sempliciotto, un tipo innocuo, anche se un po' strambo. Non era certo un gran giardiniere, ma teneva la proprietà pulita ed era sempre disponibile e di buonumore. Nei giorni di pioggia, si dedicava a tagliare la legna. Un pomeriggio di pioggia, mentre lei stava contando a uno a uno gli scellini da dargli, notò che sotto il braccio l'uomo portava un fascio di ceppi seminascosti dall'impermeabile che si era buttato sopra le spalle. Non le andava di starsene lì a fissarlo, ma non poté fare a meno di lanciargli uno sguardo incuriosito. Lui se ne accorse, la guardò di sottecchi e annuì. Per la prima volta, lei si rese conto di quanto quegli occhi stessero all'erta e avessero un'aria tutt'altro che innocente. «Grazie» disse lui, lasciando scivolare gli scellini nella tasca. «Ho tagliato un bel po' di legna, oggi» aggiunse, tanto per dire qualcosa. «Poi ho sistemato in perfetto ordine tutti i ceppi e ho pensato di portarne qualcuno a casa: così risparmio un po' di lavoro a mia moglie.» «Vedo» disse la signora Roach, dato che l'altro sembrava aspettarsi qualche lode o almeno un segno d'approvazione per quanto aveva fatto. Le sembrava molto strano che la signora Rampage regalasse qualcosa, anche se si trattava soltanto di un po' di legna. A lei era venuto il dubbio che la sottrazione di quella legna fosse solo un'iniziativa del giardiniere. Cento metri più in giù, lungo la strada, c'era una fila di negozietti dai quali la signora Rampage si serviva per le spese più urgenti. Avendo terminato le ultime fette di pane per il tè, la signora Roach fu obbligata a fare una corsa dal fornaio per prendere un sacchetto di pane prima che il negozio chiudesse. Partì subito dopo essersi messa il cappotto sulle spalle, cosicché si ritrovò a camminare a poca distanza da Peacock. Non appena chiuse il cancello, notò che l'uomo svoltava nella stradina dei negozietti e ne rimase un po' sorpresa, avendo sempre creduto che il giardiniere svoltasse a destra, non a sinistra, per andare a prendere l'autobus. Forse, come lei, anche Peacock doveva fare qualche spesa. Magari un regalino per i bambini, con i soldi che si era appena guadagnato. Fu così che la signora Roach si mise a fantasticare su una casetta linda e ordinata, piena di bambini dai visini rosa e paffutelli. Comunque, bastava dare uno sguardo a Peacock per capire in che squallido tugurio dovesse abitare, magari insieme a una moglie sciatta e a dei bambini sporchi e trasandati. Se non avesse pensato a lui in quel momento, probabilmente non si sarebbe accorta che, do-
po aver svoltato nella stradina, l'uomo si era infilato in una specie di drogheria. Lei affrettò il passo, comprò il pane che le occorreva e, come uscì dal negozio, si ritrovò faccia a faccia con il giardiniere. Lo sguardo della signora Roach andò automaticamente alle mani di lui per vedere che cosa aveva comprato, ma non vide niente. «Devo andare a casa di corsa» disse in tono colpevole Peacock. «Forse, se non è troppo tardi, faccio ancora in tempo a prendere l'autobus!» Si mise a ridere rumorosamente, piegando il capo di lato. La stava guardando per vedere che cosa avrebbe detto, ma lei si limitò ad annuire gentilmente e accelerò l'andatura. Fu solo dopo che il giardiniere aveva girato l'angolo che le venne in mente all'improvviso che sotto il braccio Peacock non aveva più il fascio di ceppi. Ne fu nuovamente sorpresa e, sull'onda di un impulso che difficilmente avrebbe saputo spiegarsi, entrò nella drogheria, che puzzava di creosoto, e fece qualche domanda. Oltre ai generi vari, vendevano anche legna, che costava due pence e mezzo al fascio. Di tanto in tanto, Peacock veniva lì dentro con una dozzina di fasci per volta, che il negoziante gli pagava un penny l'uno. La signora Roach rimase sconcertata da una manovra così meschina. Non poteva credere che quell'ometto si comportasse in maniera tanto disonesta per una manciata di spiccioli. Era l'anima immortale del giardiniere che aveva in mente, non i soldi, quando raccontò alla signora Rampage di quella triste faccenda. «È terribile se ci pensa, non crede?» disse con aria compassionevole. «Dovremmo fare qualcosa.» Ma, in tutto quel racconto, la signora Rampage notò soltanto che era stata truffata da qualcuno verso il quale lei si era sempre comportata come la gentilezza personificata, per esempio dandogli spesso sacchetti di pane vecchio da portare a casa per i suoi bambini. E lui la ripagava così? Non solo le aveva rubato la legna, come se già non fosse abbastanza, ma l'aveva anche tagliata durante le ore in cui veniva pagato per sistemare il giardino. La signora Rampage si sentiva doppiamente truffata. «Incredibile!» esclamò. «È una cosa incredibile. Ma non si preoccupi che non la passerà liscia!» «Deve essere veramente alle strette per fare una cosa simile» disse in tono caritatevole la signora Roach. «Si troverà alle strette quando gli avrò dato quello che si merita» promise la signora Rampage, mentre con mano nervosa spostava avanti e indie-
tro un vasetto di ceramica posto sul tavolo. Era stata colta da uno di quei violenti attacchi di rabbia in cui si riesce a ripetere soltanto le frasi altrui, come un pappagallo. E la sua rabbia aumentò ulteriormente quando le venne il sospetto che le simpatie della signora Roach andassero a quel disgraziato invece che a lei, come avrebbe invece suggerito il buon senso. «Ha proprio sbagliato» ammise la signora Roach. «Ma forse, se lo aiutassimo, non ripeterà un errore del genere.» «Certo non lo ripeterà con me, glielo assicuro.» «Oh, cara! Spero che non starà pensando di licenziarlo. Ci resterei molto male se sapessi che quell'uomo ha perso il lavoro per colpa mia.» «Non crederà mica che abbia intenzione di continuare a tenerlo, no? Quando penso al denaro che mi è costato, mi metterei a piangere.» In effetti, gli occhi le si riempirono di lacrime, come a dimostrazione della sincerità dei suoi sentimenti. Le lacrime le scivolarono sulle guance e caddero nel piatto di trippa. (La sua cena preferita! Ma come poteva trovarci gusto a mangiarla in quel momento? Nonostante ciò, continuò a ingurgitare il cibo con un'aria affranta, che faceva presagire un attacco di dispepsia). La signora Roach la fissava con un'espressione incredula, non avendo mai visto un essere umano che riuscisse a mangiare e a piangere nello stesso tempo. «Ma rifletta solo per un attimo, cara... Se quei pochi scellini avevano un valore così grande per lei, pensi allora quanto dovevano essere importanti per quell'uomo.» Il tono di quella frase fece ammutolire la signora Rampage dalla rabbia, ma l'altra continuò tranquillamente: «Gli faccia pure una bella lavata di capo. Sì, anch'io sono d'accordo con lei che se la merita, ma non può licenziarlo per una sciocchezza del genere. Non sarebbe una decisione equa, dal punto di vista cristiano.» «Be', se il Cristianesimo perdona il furto, mi congratulo con me stessa per essere atea!» esclamò la signora Rampage. «Noi non perdoniamo, così come non condanniamo: non spetta a noi giudicare» disse la signora Roach, rimproverandola gentilmente. «Mi si deve fare la predica anche in casa? E mentre sto mangiando, per di più!» sbottò furiosamente la signora Rampage, balzando in piedi di colpo e trascinandosi dietro la tovaglia, un lembo della quale era finito in mezzo al tovagliolo che teneva ancora in mano. Quella donna era un'idiota! C'era da pensare che vedesse il mondo alla rovescia. «Oh, stia attenta» le urlò la signora Roach, allungando troppo tardi una
mano per tentare di afferrare il piatto che stava per scivolare a terra, seguito dalla tazzina del caffè e dal piattino del burro. «Oh, cara!» esclamò la governante, girando in fretta intorno al tavolo. «Lasci... faccio io.» Quello era troppo. Alla signora Rampage sembrava che tutte le forze maligne dell'universo si fossero coalizzate contro di lei. Automaticamente, lacrime di rabbia e di disperazione presero a sgorgarle dagli occhi. «Oh, si tolga di mezzo!» le urlò spazientita, con un gesto furibondo che andò a colpire la signora Roach proprio al petto. «È tutta colpa sua!» Per un attimo, la signora Roach rimase a fissarla con una mano sul seno e uno sguardo di rimprovero, come la Venere di Botticelli, poi si ritirò in silenzio. «Perché la gente non può...» singhiozzò la signora Rampage, mentre raccoglieva i cocci e cercava di lavare le macchie di caffè sulla moquette con lo stesso tovagliolo che di tanto in tanto usava anche per asciugarsi le lacrime. La trippa continuava a scivolarle dalle mani mentre tentava di tirarla su con le dita; era come raccogliere la gelatina, e lei era troppo esausta per considerare quel problema da un punto di vista pratico, usando un cucchiaio. Cercò di pulire per terra servendosi del tovagliolo, ormai tutto sporco. «Nessuno mi aveva mai...» proseguì in tono dolente mentre cercava di togliere i frammenti di vetro dal burro (una cosa che a quei tempi non ci si poteva permettere di sprecare) e si ripuliva poi le dita sulla gonna. «Chiunque altro avrebbe mandato a chiamare la polizia» argomentò «e stia pure tranquilla che glielo farò notare.» Ma quell'occasione non capitò. Il signor Peacock non fece ritorno. Dato che era ormai arrivato l'inverno, la signora Rampage non si diede pena di sostituirlo. «Non mi posso permettere di mantenere un giardiniere, con tutte le spese che ci sono» disse alla signora Roach, sottintendendo che una delle altre maggiori uscite era lei. La governante capì perfettamente. Fu proprio il giorno successivo che la signora Rampage entrò in casa tutta agitata. Per ventidue sterline aveva trovato un tesoro in Fulham Road, un oggettino meraviglioso di cui andava tutta fiera. Le sue piccole mani grassocce tremavano per l'eccitazione, mentre svolgeva il pacchetto. Su un piedistallo di ebano, sotto una campana di vetro, alla signora Roach apparve una bella statuina di porcellana raffigurante una fanciulla del diciottesimo secolo che suonava il clavicembalo. Anche lei si era accorta, pur non restandone altrettanto impressionata, dell'eleganza e della raffinatezza di quel pezzo. La grazia delle dita e dei polsi che sovrastavano il pic-
colo strumento e la serena posizione d'ascolto assunta dalla testa rivelavano una perfetta messa in opera. Qualcuno, magari dotato di una maggiore fantasia rispetto alla signora Roach, avrebbe potuto immaginare che, sollevando la campana di vetro e tendendo l'orecchio, si potesse persino udire le note della melodia che la ragazza stava suonando. «Non è adorabile?» bofonchiò la signora Rampage. «Non le verrebbe da mangiarla? Ed è in perfette condizioni. Un pezzo simile a questo, un po' più antico a dire il vero, è stato venduto l'altro giorno per trecentottanta sterline. E io l'ho scovato in un vecchio negozietto, gettato tra una cetra tirolese e una tazza. Pensi un po', solo ventidue sterline! Quando lo dirò a Henrietta, credo che vorrà uccidermi!» concluse con un sogghigno. La signora Roach rimase immobile come un baccalà. Aveva intrecciato le mani e pensava: "Ventidue sterline per un'inutile cianfrusaglia che potrebbe finire a pezzi in un attimo. E questa è la donna che si lamentava di non farcela più con le spese, che si è messa a sbraitare per la bolletta del telefono e che ha osato cacciare via un povero, umile lavoratore perché le aveva sottratto pochi scellini! O è matta o è crudele in maniera abominevole". «Molto graziosa» disse con voce tremante. Poi lasciò la stanza. «Be', e adesso cosa le è preso?» si domandò a voce alta la signora Rampage. «Metterò la Dama Bianca nella mia stanza, così potrò vederla quando mi sveglio la mattina» decise. Con molta attenzione portò l'oggettino al piano di sopra e, dopo aver fatto un po' di spazio, lo sistemò sul tavolo Sutherland tra le due finestre. Ogni volta che comprava qualcosa, le piaceva tenerselo accanto, come una bambina con la sua bambola preferita da cui non può mai separarsi. Adesso non le restava che godersi il suo nuovo acquisto. Si accovacciò su quelle povere, vecchie ginocchia per guardarlo meglio. Entrando proprio allora per dirle che la cena era pronta e vedendola in quell'atteggiamento, la signora Roach pensò: "Nella sua cecità, il selvaggio si inchina al legno e alle pietre!". 6 Per la signora Roach fu un colpo di fortuna insperato che la sua protettrice, la signora Getaway, lasciasse l'Inghilterra. La faceva sentire più sicura. E anche la figlia della signora Rampage si trovava a migliaia di chilometri da casa. L'unica persona che poteva crearle qualche problema era la signora Purvis, ma sperava di riuscire a liquidare anche lei. La sua idea era
quella di rovinare l'amicizia che c'era tra le due donne seminando zizzania, come un cuneo inserito in una fenditura, a forza di premere, riesce a spaccare la roccia. Perlomeno, quelle erano le sue intenzioni. Certo non sarebbe stata una cosa facile. La signora Purvis l'aveva trattata malamente quella volta in cui lei aveva cercato di mettere in cattiva luce la signora Rampage, e la governante si era resa conto di aver fatto un passo falso. Per questo, adesso, doveva fare bene attenzione a che la signora Rampage non si accorgesse della manovra che aveva in mente. Così non faceva che ripetere: "Mi spiace di non andare a genio alla signora Purvis". Di solito, la signora Rampage le rispondeva: "Non credo che Henrietta pensi a lei, mia cara signora. Né in un modo né nell'altro". «Si inalbera facilmente, non crede?» osservò una volta la signora Roach. «L'altro giorno ha frainteso qualcosa che le avevo detto e non mi ha dato modo di spiegarmi.» «Questo è tipico di Henrietta» concordò la signora Rampage con un sorrisetto compiaciuto; ma la signora Roach non si rendeva conto che, la maggior parte delle volte, i vizi delle persone che amiamo non sembrano che virtù, ai nostri occhi. «Sono certa che non c'è ragione di temerla, e che sotto quelle sue maniere brusche nasconde un cuore d'oro.» «Riguardo al cuore d'oro, non lo so» disse ridacchiando la signora Rampage. «Temo proprio che, se avesse un cuore d'oro, se lo sarebbe già venduto per comprarsene uno di ottone.» La signora Rampage, poi, aveva una strana idea dell'amicizia. Apparentemente, sembrava non darle fastidio parlare della sua amica con un pizzico di malignità. Eppure, quando la signora Roach, incoraggiata da quel comportamento, si azzardava come il Claudio shakespeariano a insinuare qualche cattiveria, questa non sembrava avere nessun effetto sulla signora Rampage. Era come se la donna, preoccupata da altri pensieri che le si affollavano nella mente, ascoltasse quelle parole senza minimamente preoccuparsi di riflettere sul loro significato. La verità, che sembrava quasi inafferrabile alla signora Roach, era che Henrietta e la signora Rampage non erano portate alle incomprensioni, proprio come una vecchia coppia sposata; nonostante non fossero per niente "devote" l'una nei confronti dell'altra, conoscevano perfettamente i reciproci processi mentali. Il fatto che ogni tanto si prendessero vicendevolmente in giro, o non si trovassero d'accordo su qualcosa, non guastava in
nessun modo il loro sodalizio di una vita. La cosa strana della signora Rampage era che, sebbene si fosse abituata ad avere qualcuno in giro per casa, tanto da non sopportare quasi l'idea di dover rimanere di nuovo sola, la presenza della signora Roach, con quei modi falsamente gentili, la irritava sempre di più. La melensaggine della sua governante le dava proprio sui nervi. Nonostante fosse trattata sempre peggio, la signora Roach continuava a rispondere gentilmente, senza perdere la pazienza. "Scarafaggio!" le diceva mentalmente la signora Rampage. Faceva una tragedia di qualsiasi inezia, senza che la signora Roach controbattesse mai, anche quando alla fine veniva invitata ad andarsene. A quel punto, rispondeva tranquillamente alla sua padrona: "Benissimo", come se fosse pronta a fare le valigie e a sparire. Invece non se ne andava mai, nemmeno per finta. Era una situazione pazzesca. Fu allora che alla signora Rampage venne un'idea brillante. Come al solito, erano passate diverse settimane dall'ultima volta che aveva ricevuto notizie della figlia. All'improvviso, le arrivò una sua lettera in cui si diceva che Guy era troppo preso e perciò, per quell'anno, non sarebbero tornati in Inghilterra. La signora Rampage ebbe un tuffo al cuore. Aveva sperato così tanto... Il sapere che ben presto avrebbe rivisto la figlia l'aveva aiutata a sopportare quella situazione. Tra l'altro, l'arrivo di Jonquil avrebbe costituito una scusa meravigliosa. Poi, all'improvviso, le venne in mente l'idea geniale. Di colpo, l'intero piano si dispiegò davanti alla sua mente. «Oh!» urlò la donna con quanto fiato aveva in gola, correndo verso la cucina dove la signora Roach stava lavando le tende. Con aria eccitata, prese a sventolare la lettera. «Oh, Roachy!» le disse. «Pensi un po': sta per tornare a casa! Jonquil sta per arrivare. Non è meraviglioso? Deve essere già in viaggio» aggiunse, facendo finta di consultare la lettera. «Qui dice che arriveranno il tre di marzo.» «Be', è una bella notizia» disse senza particolare entusiasmo la signora Roach. «Sono quasi cinque anni che non la vedo, glielo avevo detto?» «Sì, lo so, cara. E non mi stupisco che sia così agitata.» «Credo che risistemerò la sua stanza, così le farò una sorpresa. Certo, non è che mi rimanga tanto tempo... comunque, il copriletto e le tende... La sua camera, signora Roach, diventerà la stanza degli armadi per Guy. Lei deve assolutamente venire a trovarci quando Jonquil sarà tornata. Mi pia-
cerebbe molto che la conoscesse» aggiunse con impeto. Era una sua fantasia o la signora Roach era sbiancata improvvisamente in volto? «Vuole che vada via, allora?» mormorò la governante con un filo di voce. «Non ci sarebbero stanze a sufficienza, in caso contrario. Naturalmente, i miei cari devono sentirsi a proprio agio, come se fossero a casa loro.» «Oh, ma certo. Capisco perfettamente. Ma... non potrei sistemarmi nello stanzino sopra il bagno? In questo modo, non vi sarei d'impaccio e i suoi parenti non si accorgerebbero neppure della mia presenza, cara signora Rampage.» «Mi spiace, ma credo che non sia proprio possibile» disse in tono fermo la signora Rampage. «Non sopporterei l'idea che mia figlia e suo marito credessero di essere di disturbo in alcun modo. Li farebbe stare male pensare che, per causa loro, io ho dovuto mandarla via dalla sua stanza.» «Quindi dovranno fermarsi molto, no?» «A essere sincera lo spero tanto, dopo tutti questi anni» disse la signora Rampage con un sorrisetto impaziente. (Quella donna era proprio ottusa, sul serio: se ne stava lì in piedi e sembrava quasi che dovesse mettersi a piangere). «Ma non sarà un po' troppo lavoro per lei, cara signora Rampage? Se ci fossi io ad aiutarla...» «Oh, sarò ben lieta di lavorare. Non può immaginarsi da quanto tempo desidero dedicarmi di nuovo alla mia famiglia. Averla solo per me, tutta riunita in casa mia, senza nessun estraneo, mi farà stare meglio.» «Ah, già» disse la governante con una leggera nota di autorimprovero. «Quando una non ha più una famiglia sua, tende a dimenticare i sacri vincoli della parentela.» «Be', sì... vede, è che vogliamo stare insieme senza che ci sia nessun estraneo, se non le dispiace.» «Ma certo che non mi dispiace. Sarebbe stupido da parte mia non essere contenta della sua felicità e pensare solo ai miei problemi, Non sarebbe proprio da me, un comportamento del genere. No, non oserei mai rovinarle questi momenti di felicità. Mi darò subito da fare per trovare qualche altra sistemazione. Lei non deve minimamente preoccuparsi per me. In qualche modo, mi aggiusterò. Ha detto che non sarebbero arrivati prima del tre, vero? Le dispiacerebbe... sempre che le cose si mettano al peggio... se mi trattenessi qui fino a quando non arrivano?» «Non potrei tenerla qui fino al tre, Roachy; devo far sistemare la stan-
za.» «No, no. Volevo solo dire che, se dovessi avere delle difficoltà nel trovare qualche altro posto dove posare le mie stanche membra, potrei continuare a stare qui almeno per una o due settimane? O vuole che vada via subito? Farò quello che decide lei, naturalmente. Non voglio esserle di peso. A dire il vero, il mio unico problema è Winky Woo. M'interessa così poco di quello che succederà a me... ma non si può andare in giro per l'Embankment con un gatto» concluse la signora Roach con un sorrisetto coraggioso. A malincuore, la signora Rampage disse che andava bene. Così la signora Roach, per dimostrare tutte le sue buone intenzioni, uscì quel giorno stesso per andare a comprare una copia di The Lady, che studiò poi con ostentata coscienziosità. Al termine della lettura, seguirono un certo numero di lettere spedite a diversi indirizzi. La signora Rampage si domandava con un certo terrore che cosa sarebbe successo se Roachy non avesse trovato nessun posto dove andare entro il tre. Aveva deliberatamente scelto quella data per darle abbastanza tempo da sistemarsi. Allo stesso tempo, la scadenza non era così lontana da permettere alla signora Roach di fare le cose con troppa calma. Si scrutavano l'un l'altra come il gatto con il topo, sospettandosi di bluffare a vicenda. La signora Roach nutriva molti dubbi sulla lettera di Jonquil, e quando la signora Rampage si dimenticò completamente di cambiare copriletto e delle tende nella camera della figlia, la governante ebbe la conferma che la sua padrona di casa stesse cercando di imbrogliarla. In ogni caso, anche la signora Rampage dubitava molto che la sua governante si fosse messa seriamente alla ricerca di un'altra casa. «È una cosa troppo assurda!» disse la signora Rampage a Etta, portandosi una mano alla bocca e sorridendo. «Come diavolo posso fare per liberarmi di lei? Di solito, quando si dice a qualcuno di andarsene a chiare lettere, l'ordine viene prontamente eseguito. Ma quella vecchia pazza non vuole saperne di levare le tende! Io credo che abbia intenzione di fermarsi qui per sempre.» La signora Rampage sembrò sconvolta da quel pensiero nuovo e orribile che le era venuto in mente all'improvviso. «Non ne sarei affatto sorpresa» disse Henrietta con incredibile indifferenza, lanciando un'occhiata furtiva allo specchio mentre si strofinava dell'acqua ossigenata sulla scriminatura dei capelli. «Quella donna mi è sempre sembrata un cattivo soggetto, se proprio lo vuoi sapere, Luna. Mi è stata antipatica fin dall'inizio, con quei suoi modi affettati. Io non le avrei
mai permesso di mettere piede in casa mia.» «Grazie mille! Potevi anche dirmelo prima, mi pare. E invece sei stata proprio tu che mi hai convinto a prenderla, dicendo che potevo liberarmene quando volevo se non mi fosse andata a genio. Non potevi parlar chiaro prima?» «Va bene, cara, adesso non scaldarti tanto. Te l'avevo detto prima di conoscerla. Non potevo sapere che razza di rompiscatole sarebbe stata.» Henrietta sollevò un ciuffo di capelli e, per un attimo, rimase a osservarlo con una certa disapprovazione. Poi prese a pizzicarsi la pelle all'altezza delle tempie e, mettendosi in posa davanti allo specchio, disse: «Sembrerei più giovane di vent'anni, se mi facessi fare il lifting.» «Ma non avresti vent'anni di meno» disse spazientita Luna. «Come faccio a liberarmi di lei? Dammi un consiglio, forza.» «Trattala male!» «Come sarebbe?» «Tu sei troppo buona con lei, tesoro. Te l'ho già detto; qui con te se la passa troppo bene. Quella donna non è una stupida, e sa di fare una bella vita.» Henrietta riavvitò il tappo dell'acqua ossigenata e rimise la bottiglietta nello scaffale. «Per esempio, smettila di comprarle da mangiare. Questo la sveglierà di certo!» Sì, Henrietta aveva ragione. Nutriva quella donna, la trattava come una regina: quello era l'errore! Durante quella stessa notte, la signora Rampage ebbe un'ispirazione: si sarebbe liberata di Lily! Naturalmente, era un peccato dover licenziare una lavoratrice come lei, ma sarebbe stata una perdita utile se significava liberarsi anche della signora Roach. Per la Roach, trovarsi a dover strofinare le piastrelle in cucina, portare su il carbone, pulire i pavimenti e lucidare l'ottone e l'argento fino a non poter più muovere le braccia sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Tutto quel lavoro, unito al fatto che la signora Rampage non le avrebbe più passato il cibo, doveva senz'altro convincerla ad andarsene. La signora Rampage si voltò nel letto e chiuse gli occhi: davanti a sé, vedeva la signora Roach inginocchiata per terra a sfregare il pavimento. La governante diventava sempre più minuscola, mentre il pavimento assumeva dimensioni gigantesche. Adesso, la donna era piccola e nera come uno scarafaggio... Con la terribile umiltà della disperazione, Lily non disse niente quando la signora Rampage la licenziò. Andò avanti in silenzio con il suo lavoro, strizzando lo straccio con le mani rosse come un paio di guanti di gomma.
Non appena la signora Roach entrò in cucina, si accorse immediatamente che c'era qualcosa che non andava. «Che cos'ha, cara?» Ma Lily non riusciva a parlare. Se ne stava lì in piedi, con le labbra irrigidite, senza riuscire a proferire parola o a versare quelle lacrime che premevano per sgorgarle dagli occhi. «Mi ha licenziato» disse alla fine. «Oh, mia cara! Ma perché? Che cosa ha fatto?» «Dice che non può permettersi di pagarmi. Non è per come lavoro, questo l'ha ammesso anche lei.» «Non so proprio come farà senza una domestica.» «Una casa così grande da pulire in solo sei ore alla settimana... è disumano... E ogni volta trovava sempre qualcosa da ridire...» mormorò Lily, tenendo lo straccio consunto come un paravento tra lei e la signora Roach, in modo che questa non vedesse le lacrime di rabbia che le scivolarono all'improvviso lungo le guance. Alla fine della mattinata, la signora Graveyard non fece altro che rimettersi il vecchio feltro e il cappottino con il colletto di coniglio ormai logoro. Poi, tirando su con il naso, si chiuse la porta alle spalle. Peacock era sparito, e adesso anche la donna delle pulizie era stata licenziata. Non c'era più nessuno a portare una ventata di novità in quella casa, anche se solo per poche ore. Ora le due donne erano rimaste sole e potevano portare avanti quella strana guerra che stavano combattendo senza la minima interferenza. Ma, in quella nuova atmosfera di solitudine, la situazione era a poco a poco peggiorata. E anche la rimarchevole tranquillità della signora Roach aveva assunto adesso una punta di acidità tutt'altro che piacevole. Non s'impuntava minimamente a doversi cucinare quello che mangiava. Anzi, così era meglio, visto che preferiva piatti semplici. (Un giorno si cuoceva un pesce in padella, seguito magari da un budino; un altro giorno poteva invece prepararsi una fetta di merluzzo con salsa al prezzemolo e concludere il pasto con un po' di semolino. Non c'era niente di meglio della semplice cucina inglese). La signora Rampage aveva dichiarato che, purtroppo, lei non era abbastanza forte da poter cucinare per tutt'e due, adesso che c'era così tanto da fare in casa. Il fatto è che lei faceva ancora meno di prima, e passava metà della mattinata in salottino a leggere il giornale. Il pomeriggio, poi, se non usciva alla ricerca di cianfrusaglie, se ne stava in camera sua a dormire.
Sinceramente, se la signora Roach non avesse fatto del suo meglio per tenere la casa minimamente pulita, ci sarebbe stato da rabbrividire al pensiero della sporcizia che poteva accumularsi in ogni angolo. Be', la signora Roach accettava anche questo. Gli anziani, come aveva sottolineato spesso in altre occasioni, avevano le loro piccole manie. Ma la cosa che la sbalordiva di più... sì, la sbalordiva e la disgustava... era che quando mostrava alla signora Rampage i conti del cibo che aveva comprato per sé, questa si rifiutava categoricamente di pagare. «Oh, no» diceva «se non le va di mangiare il cibo che le fornisco...» Dimenticandosi completamente del fatto che lei non le passava più alcun cibo. La signora Roach preferì non discutere; era troppo signora per farlo. Non era certo bello dover scrivere alla signora Getaway, ma sperava sinceramente che la sua antica protettrice sarebbe riuscita ad aggiustare tutto. La casa era già molto meno confortevole, ma entrambe le donne pensavano segretamente che quella situazione non sarebbe durata ancora per molto. La bugia riguardo alla visita di Jonquil era ormai superata. Lei aveva costretto la signora Rampage ad ammetterlo, e il ricordo di quei momenti la faceva sempre sorridere. «Maledizione a quella sporcacciona!» diceva la signora Rampage mentre spolverava una sedia, parlando a voce alta in modo da farsi sentire. A quel punto, la signora Roach compariva sulla porta per dirle allegramente: «Sta parlando da sola, cara? È un brutto segno.» Adesso non era più tanto dolce e paziente riguardo allo strano modo di fare della signora Rampage. Quando questa si lamentava di qualcosa che non riusciva più a trovare, la signora Roach osava risponderle sfrontatamente: «Pensa forse che gliel'abbia preso io?» La signora Rampage dava un'alzata di spalle e continuava a spostare di qua e di là altri oggetti, con quelle mani che non stavano mai ferme. «Come potrei saperlo?» «Mia cara» diceva la signora Roach «mi spiace veramente per lei. Capisco che possa non ricordarsene.» Erano arrivate al punto che ognuna pensava solo al modo migliore in cui poter stuzzicare l'altra. In questo la signora Rampage era molto più furba della signora Roach; ma la governante era molto meno suscettibile della sua padrona di casa, perciò entrambe ottenevano più o meno gli stessi risultati. La signora Rampage usciva dalla stanza e spegneva la luce, lasciando la signora Roach a cucire al buio. Un punto per la signora Rampage.
Ma la signora Roach aspettava che la signora Rampage fosse al piano di sopra per riaccendere la luce, poi si sedeva a rammendarsi le calze fino alle dieci o alle undici di sera, mentre la signora Rampage continuava a rigirarsi a letto per l'impazienza. Poi si affacciava anche due o tre volte sul pianerottolo e le gridava: "Si vuole decidere ad andare a dormire, signora Roach?". "Subito, cara" le rispondeva pronta la signora Roach. E a quel punto era la signora Rampage a soffrire, pensando a tutto il carbone che veniva bruciato e all'elettricità che andava sprecata. Per tutto il giorno, in quella casa solenne e tranquilla, il gatto e il topo si squadravano, si nascondevano a vicenda e rielaboravano senza sosta i loro piani. Il lunedì di Pasqua, la signora Roach trascorse un'intera giornata a Edenbridge. Aveva proprio bisogno di una boccata d'aria fresca. Eleanor rimase quasi sconvolta, quando la vide. «Mia povera cara, ma che cosa ti hanno fatto? Sembri distrutta.» «È stata dura» confessò la signora Roach. «Meno male che ci sei tu a tirarmi su di morale. Come sempre, d'altra parte.» Era un giorno pieno di sole, uno di quei rari giorni in cui faceva caldo come se si fosse d'estate. Così decisero di pranzare all'aperto, sotto il melo, spingendo con cautela attraverso il prato la sedia a rotelle del vecchio. Lui se ne stava seduto lì sopra come Edipo a Colono, sentendo i raggi del sole sulla sua pelle e ascoltando il trillo degli uccelli. Mangiarono abbastanza in fretta, senza troppe chiacchiere. Dopo il pranzo, Eleanor riportò il padre in casa per fargli fare un pisolino, poi raggiunse di nuovo Norah sotto l'albero. Le due donne rimasero a osservare le nuvole che si formavano e si dissolvevano nel cielo. «Che pace!» mormorò la signora Roach. «Che pace celestiale!» Eleanor unì le mani dietro la testa e per un po' non parlò, cercando di pensare come poteva esprimere meglio quello che aveva da dire. Come succede sempre quando ci si concentra su un argomento delicato, più ci si pensa e meno si riesce a trovare le parole adatte. «Vorrei che te ne andassi da quella casa, Norah» disse Eleanor, impacciata per il nervosismo. «Non credi che lo vorrei anch'io, se potessi?» replicò la signora Roach, chiudendo gli occhi e voltando il viso verso il sole. «Probabilmente, mi dirai di farmi gli affari miei, ma non sopporto di vederti così malandata. Sembra che tu stia peggio adesso di quando sei arrivata per la prima volta in quella casa.»
«Stupidaggini» disse pigramente la signora Roach. «Mia cara, non sono stupidaggini. Sono così preoccupata per te! Quella maledetta donna ti sta uccidendo.» «Sono solo un po' stanca. Forse è la primavera. Chissà, magari avrei bisogno di una vacanza.» «Perché non te ne fai una?» La signora Roach spalancò gli occhi azzurri, con un'espressione incredula. «Ma cosa diavolo dici? Come faccio a prendermi una vacanza? Non essere assurda, mia cara.» «Non devi arrabbiarti e pensare che ti stia insultando, Norah cara.» Nella sua agitazione, Eleanor le si era inginocchiata accanto. «Senti, in tutti questi mesi sono riuscita a mettere via qualcosa; non economizzando sui soldi di papà, te lo giuro. Ho fatto qualche lavoretto a maglia... due o tre paia di guanti... e ho racimolato quasi nove sterline.» «E tu le daresti tutte a me?» disse la signora Roach, sedendosi e abbracciandola teneramente. «Mi fai venire voglia di piangere» aggiunse. E in effetti, anche se solo per un attimo, le due si misero a piangere, l'una nelle braccia dell'altra. «È incredibile piangere in una giornata bella come questa» disse poi la signora Roach, soffiandosi il naso. «Potresti prenderti una piccola vacanza con quei soldi» suggerì Eleanor, impaziente. «Mia cara, è inutile, non posso. Lasciamo perdere quest'argomento.» «Ma io voglio parlarne, Norah.» «Ho detto di no. Non essere ostinata.» «E invece voglio essere ostinata. Almeno per questa volta. Che razza di amica sarei, se facessi finta di niente? Non puoi andare avanti così. Tu non sei felice in quella casa. Il lavoro è troppo faticoso per te.» La signora Roach non rispose. «Perché ti arrabbi, se te lo dico? Me ne sono accorta dal modo in cui affondi le unghie nell'erba. Quello che non riesco a capire è perché non vuoi andartene. Continui sempre a dire che è un lavoro molto stancante. E allora, perché rimani?» «So come trattarla.» «Ma perché vuoi fermarti lì?» «Perché...» iniziò con voce esitante la signora Roach. «Perché cosa?» «Oh, Eleanor, quanto sei insistente! Va bene. Devo restare perché l'ho promesso.»
«Promesso? E a chi?» «Alla signora Getaway. Quando è andata in Sudafrica, le ho promesso che non avrei abbandonato il mio posto.» «Posso chiederti cosa c'entra questa signora Getaway?» «C'entra, perché si dà il caso che sia la nipote della signora Rampage. È stata lei a trovarmi il posto, perciò non sopporterei di andarmene senza nemmeno avvertirla. E inoltre» aggiunse la signora Roach in tono diffidente, dopo una leggera pausa «nonostante qualche volta quella vecchia dimostri proprio un carattere impossibile, io le voglio bene lo stesso. A volte, ho come la sensazione, per quanto assurda e ridicola questa possa sembrarti, che anche lei provi un certo affetto per me.» «Ah, adesso sì che siamo arrivati alla verità!» disse Eleanor con una risatina crudele, balzando in piedi. «Prima o poi ci si doveva arrivare, no?» «Sei tu che non volevi altro.» «Sì, preferisco la verità, anche se dovrò soffrirne. Tu non vuoi andartene, vero?» disse Eleanor in tono accusatorio. «Credevo che il concetto fosse ormai abbastanza chiaro.» «Sì, ora è chiarissimo.» Eleanor si premette il dorso della mano contro i denti e rimase a fissare, senza vederlo, il mosaico che i rami formavano contro il cielo. «Ma perché?» disse in fretta. «Io credo che la nostra... amicizia mi dia il diritto di chiedertelo.» «Se avessi pensato che tu potessi capire, te lo avrei detto prima» osservò freddamente la signora Roach. «Ah! Allora c'è qualche cosa di cui ti vergogni?» «No, perché dovrei vergognarmi del fatto che la mia padrona di casa ha cercato di ripagarmi per le gentilezze che ho nei suoi confronti?» «Cosa intendi dire, esattamente?» «Voglio dire questo: mi lascerà la casa con i mobili, alcuni pezzi perlomeno, purché io resti con lei.» «Ah, ora capisco!» disse Eleanor, scoppiando a ridere. «Mio Dio, adesso mi è tutto chiaro! È curioso che tu abbia pensato che non avrei capito. È come prevedevo, se non mi sbaglio. Non ti avevo detto che tu saresti rimasta per sempre con quella donna?» Le parole le vennero fuori con difficoltà. «Capisco che non potresti mai pensare di lasciarla, visto che ti ha promesso tutte quelle cose purché tu rimanga. E mi rendo pure conto che tutti i nostri piani non sono niente, se paragonati a quello che ne ricaveresti» concluse con un suono che era più simile a un singhiozzo che a una risata. «È destino che non debba mai più avere niente di mio? Devo rimanere
spiantata sino alla fine dei miei giorni e dipendere dalla tua carità? È questo il futuro che mi stai augurando?» «Non ti avevo mai sentito parlare prima di carità» disse Eleanor in tono quasi impercettibile. «Non sapevo che tu considerassi la nostra amicizia in questo modo. Sei tu che hai suggerito che avremmo dovuto vivere insieme, prima o poi. Perché l'hai detto, se non ci credevi?» Il cuore le batteva così forte che Eleanor si spaventò. «Mettiti al mio posto e dimmi se la cosa non piacerebbe anche a te, dopo tutto quello che ho dovuto passare» disse amaramente la signora Roach. «Credi che per me sia bello trovarmi senza un penny e non avere una casa, niente? Io non mi sono mai lamentata, ed è per questo che forse a te non è mai venuto in mente che la mia non è certo una posizione invidiabile.» «No, non ci avevo pensato» disse Eleanor, appoggiandosi all'albero e chiudendo gli occhi. «Hai sempre detto che eri felice di non possedere niente che potesse darti dei grattacapi. Niente che potesse arrugginirsi, venir mangiato dalle tarme o rubato. Hai sempre sostenuto che era più facile salire al cielo senza soldi in tasca ad appesantire le tasche.» «Mio Dio!» esclamò la signora Roach, prendendosi la testa fra le mani. «Devo forse rendere conto di ogni stupida parola che ho pronunciato?» «Ho forse sbagliato a interpretare le tue intenzioni?» disse in fretta Eleanor. «Be', mi sarò sbagliata anch'io. Adesso mi rendo conto che cosa voleva dire per te la nostra amicizia. Non sono io che t'interesso, ma quello che posso darti. Tu non hai mai pensato minimamente a me. Io dovrei continuare a sgobbare, aspettando che tu sia finalmente libera... quest'anno, il prossimo anno o forse mai!» urlò la signora Roach. «È forse colpa mia se non sono libera? Cosa pretendi che faccia? Che uccida il mio vecchio?» Il diverbio andò avanti su toni sempre accesi, fino a quando il vecchio non si svegliò dal suo pisolino, poco prima dell'ora del tè, costringendo le due donne a tornare nel mondo della realtà. Il bisticcio si interruppe all'istante e la signora Roach se ne andò in fretta e furia, senza aver preso il tè e senza essersi riappacificata con Eleanor. Nessuna delle due poteva perdonare di colpo le cose che aveva ascoltato dall'altra. Inoltre, Eleanor doveva essere punita. Punita anche per aver rovinato l'unico giorno di libertà della signora Roach. Ormai la giornata era andata, anche se il sole era ancora alto e gli uccellini trillavano allegramente. Fu per calmarsi un po' e per scacciare quel senso di amarezza che pro-
vava nel cuore che la signora Roach s'incamminò su per la collina. Anche le persone migliori provano piacere a sapere di avere qualcuno in loro potere. E se la vittima non ha i mezzi per essere indipendente, il più piccolo segno di debolezza può essere fatale. Morale della favola: bisognava sempre stare in guardia. Come adesso. Eleanor si trovava in vantaggio, perlomeno così pensava la signora Roach. Perciò era lei a doverle chiedere scusa; bisognava che Eleanor si rendesse conto di quanto precario fosse il potere che lei aveva sull'amica. Il fatto di ricevere favori e di dipendere finanziariamente da altri era una cosa insignificante rispetto al più piccolo accenno di insulto o di ingiustizia. Ma era una strada dura da percorrere, e non si poteva certo paragonarla a una vera indipendenza. «Chi può biasimarmi per il desiderio di voler essere indipendente?» mormorò la signora Roach al vento. Inoltre, quello che aveva detto a Eleanor era vero; potevano passare ancora diversi anni prima che il vecchio morisse, e la signora Roach non era più tanto giovane. Lei desiderava ardentemente una casa che fosse tutta sua. E adesso sperava finalmente di averla trovata, sempre che giocasse bene le sue carte. Non che fosse così stupida da immaginarsi che la signora Rampage le avrebbe veramente lasciato qualcosa... la vecchia era troppo egoista per fare una cosa del genere, lo sapeva bene. Inoltre, quando c'era una famiglia di mezzo, non poteva esserci alcuna speranza. E lei era troppo intelligente perché una consapevolezza del genere potesse ferirla. Il successo del suo piano dipendeva dal rendersi indispensabile alla vecchia. E davvero, nonostante se lo dicesse da sola, chi poteva essere più gentile e paziente di lei? Sarebbe arrivato il momento in cui quella povera vecchia non avrebbe più potuto farcela, e allora "Roachy" si sarebbe trovata lì a prendere nelle sue mani la responsabilità dell'intera casa e a badare lei alla signora Rampage. Tutti quegli ammennicoli che ricoprivano i ripiani dei mobili e che la vecchia sosteneva valessero tanto... non era giusto! A che servivano? E chi ne avrebbe sentito la mancanza? Solo una stupida vecchia, alla cui parola non avrebbe creduto nessuno. Il dottore era già stato preparato, e così pure la signora Getaway. Perché avrebbe dovuto essere privata della sua ricompensa per tutti quei mesi di lavoro e di paziente pianificazione, solo per la stupida gelosia di una ragazza? Sarebbe bastata una mezza dozzina di quelle cianfrusaglie a mantenerla per anni. E quei soldi potevano farle tanto comodo. Dopo si sarebbe recata da Eleanor, ma non a mani vuote. Così avrebbe potuto lasciarla quando voleva, e il timore di una sua partenza sarebbe bastato a tenere Eleanor in soggezione. Avrebbe anche potuto vivere da sola, e
forse quella sarebbe stata la soluzione migliore. A ogni modo, in quella discussione lei era dalla parte della ragione. Sarebbe stata pazza ad andarsene solo perché Eleanor era gelosa. Se avesse dato retta all'amica, non avrebbe mai avuto un posto dove rifugiarsi, con tutte le ansietà che ne sarebbero derivate. Inoltre, anche se il vecchio fosse morto il giorno seguente, chi poteva dire che sarebbe rimasto abbastanza denaro per due persone? Le giustificazioni che la signora Roach si era data l'avevano pienamente soddisfatta, così si fermò in una fattoria sul lato della strada e si concesse un robusto tè. Quella passeggiata le aveva messo un certo appetito e schiarito la mente. Acquistò tre uova da portare a casa, come regalo per la signora Rampage. Ma Eleanor non poteva fuggire via. Eleanor era obbligata a sedersi accanto al padre e a dire sì e no al momento giusto. Nel frattempo, le lacrime le scendevano lungo le guance e quel maledetto bisticcio continuava a martellarle il cervello, senza fine. Alle cinque e mezzo stava pensando di scendere giù per il vialetto, fino alla fermata dell'autobus, per vedere se poteva scambiare ancora due parole con Norah. Bastò quel pensiero a farle battere il cuore all'impazzata. Capì subito che non ne avrebbe mai avuto né il coraggio né la forza; quando era arrabbiata, Norah era troppo terribile da affrontare. Avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per discutere di quella faccenda, se si fosse recata alla fermata dell'autobus. A causa della stupenda giornata di festa, infatti, gli autobus erano così pieni che la signora Roach dovette aspettare quasi un'ora sul marciapiede, prima di poterne prendere uno. Poi, prima di rientrare a casa, dovette sorbirsi una coda interminabile e venticinque minuti di sosta forzata a Leatherhead. Erano le dieci e mezzo quando arrivò a Victoria. Giunse a casa alle undici passate. E non riuscì neppure a entrare. Le porte erano chiuse a chiave. La signora Rampage doveva aver pensato che lei non sarebbe tornata a casa, quella sera, e così aveva chiuso tutto a chiave. Non sarebbe mai andata a letto senza prima sprangare le porte. La signora Roach se ne rimase in piedi sotto il portico buio a suonare il campanello; sperava tanto di non doversi sorbire una scenata, dato il ritardo; di scenate ne aveva avute già abbastanza, per quel giorno. Qualcosa di morbido le sfiorò una caviglia, così lei s'inchinò. «Cara, anche tu sei fuori!» Sollevò la gatta e se la posò sulla spalla. «Vediamo se possiamo entrare da qualche altra parte. La signora Rampage starà dor-
mendo, con ogni probabilità.» Fece il giro della casa, ma tutte la finestre del pianterreno erano sprangate. Non c'era speranza di aprirle, neanche fracassando un vetro, perché all'interno c'erano gli scuri, come in tutte le finestre inglesi. «È un bel problema» mormorò dolcemente la signora Roach nell'orecchio della gatta, premendo nuovamente il dito sul campanello. Be', cosa si aspettava la signora Rampage? Non avrebbe potuto certo passare la notte all'addiaccio. Comunque, Dio solo sapeva che era così stanca da riuscire a dormire persino appoggiata al muro. Le spalle le crollarono per la stanchezza. Era così giù che avrebbe potuto piangere. Il campanile di St. Anne batté la mezz'ora. Non c'era neanche un vicino da cui avrebbe osato bussare; erano tutti a letto, a quell'ora, e le luci nelle stanze completamente spente. Fu solo in quel momento che nella mente della signora Roach balenò l'idea che quello potesse essere qualcosa di più che un semplice fraintendimento, su cui magari avrebbero potuto ridere allegramente l'indomani mattina, durante la colazione. Il cuore cominciò a martellarle nel petto, quando le venne in mente che poteva trattarsi di un tentativo deliberato e crudele di buttarla fuori di casa. La signora Rampage doveva essere del tutto impazzita, se pensava di poterla fare franca così facilmente! Che ironia, dopo il bisticcio che aveva avuto con Eleanor! Ma l'indignazione che provò le conferì una nuova vitalità. I passi sul marciapiede deserto risuonavano come quelli di un soldato. Al sergente che faceva il turno di notte raccontò semplicemente quello che era successo. «La mia anziana signora mi ha buttato fuori di casa» gli disse. «Sono rientrata dal mio giorno libero e ho trovato tutte le porte chiuse a chiave. Cosa devo fare?» Spiegò loro che non le era stato dato alcun preavviso, sebbene si fosse accorta che ultimamente la sua padrona di casa l'aveva presa in antipatia. Gli anziani erano spesso soggetti a quei cambiamenti d'umore. Il suo compito era quello di non far caso agli umori della sua padrona di casa, ma di starle dietro e di tenerla lontana dai guai. Così le aveva raccomandato la famiglia della signora Rampage, adesso che la donna non era più in grado di badare a se stessa. Inoltre, le sue valigie erano ancora in casa. Nonostante l'urgenza delle sue perorazioni, la signora Roach fu costretta ad aspettare che un agente mettesse nero su bianco, domande e risposte, prima che ulteriori passi venissero effettuati. Il sergente portò con sé un poliziotto. Non suonò il campanello, ma bus-
sò prepotentemente alla porta. «Questi colpi dovrebbero svegliare un morto» disse nervosamente la signora Roach. Comunque, bastarono a svegliare la signora Rampage. La luce sulla scala venne accesa e poco dopo una finestra si aprì. La signora Rampage si sporse all'esterno nella sua veste da camera e chiese, con fare seccato, chi stesse facendo tanto baccano. Il sergente si toccò il berretto con un dito. «Posso parlarle un attimo, signora?» «Di che si tratta?» «Può scendere, se non le dispiace?» «No, non ci penso nemmeno... Ho addosso la camicia da notte e, per quanto ne so, potreste anche volermi uccidere» disse la signora Rampage, quasi strillando. (La signora Roach scambiò un'occhiata d'intesa con il poliziotto). «Sono un ufficiale di polizia, signora.» «Benissimo. E allora, che cosa vuole?» «C'è qui con me una signora che dice di abitare in questa casa e di essere stata chiusa fuori.» «Abitava qui... grazie al mio buon cuore. Ma adesso non ci abita più.» «Oh, signora Rampage, cara!» «No, ne ho avuto abbastanza. Chiunque altro l'avrebbe già mandata via mesi fa. Segua il mio consiglio e sparisca, finché ne ha l'occasione. Se cerca di seccarmi ancora, l'avviso, la farò arrestare.» «Signora, la legge non permette...» «Non dica a me quello che permette la legge. La farò arrestare per molestia; non riesco a liberarmi di lei.» «Un momento, per favore!» Il sergente sollevò una mano perché la signora Rampage non se ne andasse, mentre nelle altre case numerose finestre cominciavano ad aprirsi. Infatti, era passata da un bel po' la mezzanotte, e a quel battibecco si erano aggiunte altre voci. «Perché bisticciano?» «Cosa sta succedendo?» «È il numero 5; stanno discutendo di non so cosa» disse qualcuno. «Fate piano, per favore. Stiamo cercando di dormire» urlò con rabbia un uomo. «Io non mi faccio mettere la testa sotto i piedi! Ma cosa sta diventando questo paese?» La signora Rampage chiuse la finestra. «Be', e adesso?» disse scoraggiata la signora Roach.
Il poliziotto aveva già il dito sul campanello. Riuscivano a sentire persino lo squillo dentro casa. La signora Rampage scese le scale nell'oscurità, piangendo. «...Una povera vecchia!... È possibile che non debba avere un po' di pace?» disse rabbiosamente. «Pensavo che la polizia avesse il compito di proteggere la gente...» «Proprio così, signora» mormorò il sergente. «No, non la faccio entrare; non potete obbligarmi!» «Signora, la legge non permette quello che lei sta facendo» riprese il sergente. «Mi lamenterò con il sovrintendente. E prenderò le sue generalità. Entrare a forza in una casa e osare...» «Meglio entrare, signora, se ci riesce» suggerì il sergente. «Su, cara» cominciò la signora Roach. «Non mi tocchi!» urlò l'altra, isterica. «Lei, diavolo di una donna!» «Oh, ma che cosa mi combina, signora Rampage? Scendere le scale senza mettersi i calzini! Vuole prendersi un raffreddore? Le ho portato un regalino dalla campagna» disse la signora Roach, facendosi strada senza guardarsi all'indietro. Non poté fare a meno di sorridere, tra sé e sé. Persino quell'incidente giocava a suo favore. Adesso, anche la polizia sapeva che la signora Rampage era un po' strana. 7 La signora Rampage dormì ben poco quella notte, arrabbiata e umiliata com'era dallo "scandalo" provocato dalla signora Roach. Continuava ad andare su e giù per la sua stanza calpestando con i tacchi il bordo della vestaglia e mangiandosi le unghie, mentre tentava di escogitare un sistema per liberarsi definitivamente della Roach. Aveva freddo e non si sentiva affatto bene; così, di tanto in tanto, beveva qualche sorso di brandy dalla fiaschettina in argento del suo defunto marito e si asciugava quelle stupide lacrime che continuavano a scenderle lungo le guance. Per cercare di distrarsi s'ingegnò a inventare piani straordinari, impossibili e inutili, grazie ai quali avrebbe tolto di mezzo una volta per tutte "quella strega". Poi s'infilò a letto e rimase a fissare le ombre che si muovevano sul soffitto; ma queste continuavano a trasformarsi nell'immagine della signora Roach, così si mise a sedere, accese la luce e scrisse a Cissie una lettera di
dieci pagine, inondata di lacrime e piena di frasi non terminate (a causa del brandy). La lettera conteneva anche un mucchio di oscure allusioni ai bisticci che lei aveva avuto con la mamma della nipote, ormai deceduta da tempo; una che "era sempre stata dalla parte del torto, come Cissie". Le tornarono in mente antichi ricordi, immagini vivissime. ("Mi avete reso la vita un inferno, tu e tua madre, con le vostre interferenze. Quando Charles era vivo, queste cose le sapeva bene e le ripeteva spesso... Quella volta che il tuo povero padre voleva venire ad abitare da voi e lei ha detto di no... E sai perché? Perché lei non lo sopportava, sebbene Dio solo sa che non aveva fatto niente... L'ho accettata a casa esclusivamente per il mio buon cuore, e tutto quello che ne ho ricavato è che lei mi sta letteralmente uccidendo dalla preoccupazione..."). Era una bella lettera, pensò la signora Rampage. Le sembrava di aver detto tutto il necessario. Poco dopo sprofondò in un sonno pesante e sognò un piano che le sembrava ancora fattibile, quando si svegliò. Siccome era tutta presa da quel pensiero, la disgrazia di aver macchiato un lenzuolo con l'inchiostro quando la penna le era scivolata dalle mani, dopo che aveva preso sonno, non la portò a inveire contro la sua cattiva sorte, come solitamente accadeva. Il giorno dopo continuò a badare ai propri affari, con un sorrisino tranquillo e piuttosto terrorizzante sul volto pallido. Per discrezione, neanche la signora Roach aprì bocca. Le lanciava qualche occhiata con la coda dell'occhio, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa. La signora Roach aveva paura. Era stata una situazione spiacevole quella della sera prima. Adesso non si sarebbe più azzardata a lasciare quella casa, per paura di venir nuovamente chiusa fuori. Ma quello era un pensiero assurdo. Una situazione del genere non sarebbe potuta durare a lungo. "Oh, cambierà idea" si disse, cercando di consolarsi. "Ci vorrà un po' di tempo, ma prima o poi cambierà idea su di me." Come una specie di penitenza, o di augurio perché in futuro le cose andassero meglio, la signora Roach si inginocchiò e si mise a lavare il pavimento della cucina, che non aveva più visto uno straccio da quando Lily era stata licenziata e che adesso presentava uno spesso strato di sporcizia e macchie di grasso un po' dappertutto. Un po' sorpresa, sentì la signora Rampage che le gridava dalle scale: «Vado a impostare una lettera!» Ma la signora Roach, tutta presa dai suoi pensieri, non si accorse quanto fosse strano un comportamento del genere.
O forse, con quell'angolino della mente che lo aveva registrato, lo interpretò come un segno che la vecchia cominciava a ravvedersi. Era sempre la vecchia a scusarsi e a girarle intorno con un'espressione colpevole sul volto, nel tentativo di fare pace. La signora Rampage era uscita da poco più del tempo necessario a impostare la lettera quando ritornò accompagnata da un operaio in tuta. Quest'ultimo era un tipo lungo e magro, che salì facendo gli scalini a tre alla volta. La signora Rampage lo lasciò al suo lavoro e scese la rampa di scale in punta di piedi, per vedere cosa stava facendo la signora Roach. Voleva assolutamente impedire, se necessario, che quest'ultima andasse di sopra. Il secchio era nel centro del pavimento, ormai mezzo lavato, e la signora Roach se ne stava seduta su una sedia da cucina tracannando del latte al malto da un boccale, con una bramosia simile a quella di un malato di cuore che stia inalando nitrato di amile. Quando si accorse che la signora Rampage la stava guardando, si sentì colpevole come una scolaretta ingorda; doveva dare una spiegazione... quello sforzo improvviso... era stata obbligata a ingerire subito un po' di zucchero, altrimenti sarebbe svenuta dalla debolezza. Con fare studiato, la signora Rampage si mostrò poco interessata a quella spiegazione, e continuò a canticchiare sottovoce un motivetto. Nessuna delle due si accorse del fabbro fino a quando questi non si schiarì la gola. «Tutto fatto, signora» disse lui allegramente, come un attore. «Ho lasciato la chiave infilata nella serratura. Sono certo che adesso non avrà più problemi.» La signora Rampage lo accompagnò in fretta alla porta, prima che lui potesse aggiungere qualcos'altro, e corse subito al piano di sopra. La porta della stanza della signora Roach era spalancata. «Oh!» esclamò la signora Rampage, con voce terrorizzata. Il sangue le affluì al viso. Fissava l'interno della camera, incredula. Dovunque le cadesse l'occhio, notava immancabilmente qualcuno dei suoi oggetti, dei suoi preziosissimi tesori. Qualcuno non lo vedeva da così tanto tempo che si era persino dimenticata di possederlo. O credeva di averlo riposto in dispensa. Il tappeto persiano rosso, per esempio, che avrebbe dovuto trovarsi nel ripostiglio, era invece posato sul pavimento della stanza, tutto pieno di peli di gatto. La sedia di vimini, il copriletto in seta dipinta e lo stuoino di cotone in-
diano, invece, non c'erano più. Sul letto, adesso, si trovava un copriletto in broccato cremisi che lei aveva comprato anni prima e che la signora Roach doveva aver trovato rovistando in qualche baule. La sedia di vimini con le gambe logore era stata sostituita da una piccola sedia da camera Chippendale che aveva bisogno solo di essere rifasciata. Il bollitore elettrico, che lei aveva sempre tenuto lucido come uno specchio, adesso si trovava tutto ossidato sul camino. Accanto a questo c'era uno stuoino in lana irlandese, per scovare il quale la signora Rampage, solo pochi giorni prima, aveva messo sottosopra il ripostiglio; e ora quello stuoino era lì, a rivestire internamente un cesto in cui Winky Woo stava sonnecchiando, tutto raggomitolato. Sul tavolo, un mazzo di anemoni faceva bella mostra di sé in uno dei più bei bicchieri Waterford che la signora Rampage possedesse. E sul tavolo da toletta, vicino allo specchio a forma di cuore Sheraton, che la donna aveva preso dalla camera degli ospiti senza dire una parola, si trovava il suo splendido portaspilli di Dresda. Lì accanto si vedeva un cherubino che era sempre stato sul tavolo da toletta della signora Rampage, e della cui perdita la signora Roach doveva certamente essere a conoscenza, visto che la signora Rampage l'aveva pianto con lacrime amare per diversi giorni. A quel punto, alla signora Rampage fu chiaro che tutte quelle cose dovevano esserle state sottratte deliberatamente, e ciò la fece stare male, come succedeva sempre prima di un tremendo bisticcio. Stava male, ma nello stesso tempo provava una sensazione di trionfo. Questa volta, la signora Roach era nelle sue mani. Se non si fosse trovata in un tale stato di eccitazione, non sarebbe riuscita a prenderla così di petto. Come alzò lo sguardo e vide sulla porta la signora Roach, le urlò: «Ladra!» La signora Roach si sentì avvampare fino al collo, ma l'espressione sul suo volto rimase quella imperturbabile di sempre. "Mi manterrò perfettamente calma, qualunque cosa mi dica" continuava a ripetersi, mentre il cuore le batteva all'impazzata. Unì le mani in un modo che una volta le aveva suggerito uno spiritista per scacciare l'aggressività e le influenze maligne. «Mi scusi! Credo di non aver capito bene quello che ha detto.» «Lei è una sporca ladra! Una ladra e una bugiarda» disse a voce alta la signora Rampage, ancora tremando per l'agitazione. «Mi sembra di capire che lei abbia intenzione di insultarmi» disse la si-
gnora Roach, soppesando le parole «ma purtroppo non ho la minima idea di che cosa stia parlando.» «Sa maledettamente bene a cosa mi riferisco, donnaccia. Non faccia finta di non capire!» sbottò la signora Rampage, come un piccolo bulldog rabbioso. «Ha passato al setaccio tutti i miei bauli e ha portato via degli oggetti dalla mia camera per nasconderli qui. Non mi stupisco che stesse tanto attenta a tenere la porta chiusa a chiave!» La signora Roach spalancò il suoi occhioni azzurri, come se stesse offrendo alla signora Rampage tutta la loro innocenza e ingenuità; e l'idea, nella sua meravigliosa semplicità, le venne in mente proprio in quel momento. «Ma mia cara signora Rampage» le disse «questa è una delle sue idee fisse. Io non ho preso niente che le appartenesse. Come avrei potuto fare una cosa simile?» Che sfrontata bugiarda era quella donna! «Davvero? E allora cosa mi dice di quest'oggetto qui, che lei ha portato via dalla mia toletta?» disse la signora Rampage, afferrando con mano tremante il portaspilli di Dresda. Uno sguardo di assoluta costernazione apparve sul volto della signora Roach. «Ma signora Rampage, me l'ha dato lei! Non si ricorda?» La signora Rampage rimase ammutolita a fissarla. «Gliel'ho dato io? Ma lei è matta! Quello apparteneva a mia madre, perché diavolo avrei dovuto darglielo?» le disse in tono rabbioso. «È una cosa veramente spiacevole» mormorò l'altra. «Non può essersene dimenticata. Me lo ha regalato per il mio compleanno, il mese scorso.» «No che non l'ho fatto! Lei è una bugiarda matricolata, ecco quello che è.» Cominciava a capire la situazione. «Lei credeva che non l'avrei mai scoperta, e adesso, per cercare di uscirne, continua a mentire facendo finta che sia stata io a regalarle quelle cose. Mi spiace per lei, ma non la passerà tanto liscia, cara signora.» Si mise a ridere, ma quello sguardo paziente sul volto della signora Roach, quell'espressione di orgoglio ferito, per un attimo fece nascere qualche dubbio alla signora Rampage. Poteva essersi sbagliata? Averle dato quel portaspilli e poi essersene dimenticata? Per tacitare i suoi dubbi, afferrò l'alto bicchiere nel quale la signora Roach aveva messo degli anemoni e disse con aria di scherno: «Immagino che le avrò regalato anche questo, vero?» Vide che la signora Roach la guardava in modo strano.
«Ma no, certo che no. Quello è mio.» «Mio Dio, ha una bella faccia tosta! Si dà il caso, però, che questo faccia parte di un servizio di cui posseggo altri cinque pezzi nella vetrinetta al piano di sotto» disse la signora Rampage indignata, afferrando il bicchiere con la mano libera. «Non è solo lei ad avere dei bicchieri di quella forma» spiegò semplicemente la signora Roach, gratificando l'altra di un sorrisino pietoso. «Sono certa di averglielo detto diverse volte che ne avevo anch'io uno simile ai suoi.» «In questo caso, mi piacerebbe sapere dove lo ha comprato, perché avrei bisogno di acquistarne altri.» Ma la signora Roach ignorò quel sarcasmo e rispose tranquillamente e in tono serio: «L'ho sempre avuto. La mia famiglia lo possedeva da tanti anni. È uno dei pezzi più belli che mi hanno lasciato.» «Ma che interessante!» disse in fretta la signora Rampage, dirigendosi verso la porta con il bicchiere in una mano e il portaspilli di Dresda nell'altra. «Mi scusi!» esclamò la signora Roach, allungando una mano per fermarla. Ciò che successe esattamente a quel punto è difficile a dirsi. La signora Roach dichiarò che la signora Rampage lasciò cadere il bicchiere mentre stava per riporlo. La signora Rampage, d'altra parte, giurò che la signora Roach le aveva deliberatamente assestato un colpo per farglielo scivolare di mano, in modo che non potesse essere messo a confronto con gli altri pezzi del servizio. Chiunque fosse da incolpare, per qualche attimo le due donne si produssero in una specie di danza; l'acqua si sollevò all'improvviso dal bicchiere con un violento schizzo, poi ricadde a cascata sulla manica di jersey verde della signora Rampage e il vetro esplose in mille pezzi. La signora Rampage scoppiò in lacrime. Con furia, colpì la Roach in pieno viso. Fu la volta della signora Roach di mettersi a piangere. Si portò una mano al naso per vedere se stava sanguinando. (La sensazione era proprio quella. Era un'agonia!). Non c'è niente come un pugno assestato in pieno viso per far perdere il controllo anche a un santo. «Prendere a pugni la gente!» esclamò la signora Roach, tenendosi una mano sul naso. «Potrei denunciarla per aggressione e percosse.» «L'ha fatto apposta, maledetta cagna!» singhiozzò la signora Rampage. «Il mio servizio più bello! Mi era costato venti sterline.»
«Avrebbe potuto rompermi il naso.» «Magari ci fossi riuscita» disse la signora Rampage, cadendo in ginocchio e mettendosi a piangere come se si fosse trovata davanti alla tomba di un congiunto. «Ci si aspetterebbe che una persona della sua età avesse un maggiore autocontrollo. Prendersela tanto per un pezzo di vetro!» sbottò la signora Roach. Adesso alla rabbia si stava aggiungendo anche l'odio. «Un pezzo di vetro, lo chiama lei, brutta ignorante! Il valore di quel "pezzo di vetro" stava nella sua bellezza e nell'abilità di chi lo aveva fatto. Oh, potrei ucciderla! Se fosse stato suo...» «Ma era mio. Gliel'ho già detto. Solo perché non mi lascio andare a scene d'isterismo per gli oggetti che mi appartengono, anche se sono pochi, non vuol dire che... Perdere la tramontana per un incidente del genere! Mettersi a piangere e venire addirittura alle mani! Non sapevo che ci si potesse comportare in un modo così barbaro...» La signora Rampage, ancora in ginocchio a raccogliere i frammenti di vetro, mormorò in tono incredulo: «Io l'ho mantenuta tutti questi mesi e lei mi ripaga così, cercando di rubare quello che è mio. È assolutamente incredibile!» «E difatti, stia tranquilla che nessuno le crederà» concordò la signora Roach. «È meglio che faccia i bagagli e se ne vada... prima che chiami la polizia» disse la signora Rampage, seccata dall'insolenza di quell'ultima affermazione. «Oh, quei poveri poliziotti? Le sembra il caso di interpellarli di nuovo? Dopo ieri sera? Non mi è sembrato che le abbiano dato molto ascolto, non crede?» disse ridendo la signora Roach. «Penso proprio che una denuncia di furto la considereranno in tutt'altra maniera» replicò la signora Rampage, arrossendo dalla rabbia per la sfacciataggine della donna. «Ah, lei crede? Io penso che non la considereranno che un'altra delle tante uscite di una vecchia pazza.» La sgradevole idea che quella donna potesse avere qualche rotella fuori posto le si insinuò nella mente. «Può darsi che abbia ragione» disse nel tono più allegro possibile, spostando lo sguardo da un'altra parte e balzando di colpo su un oggetto che si trovava sopra il camino. Dietro l'agnellino di porcellana con la croce sulla schiena, aveva intravisto l'angolo di una scatola in cuoio. Era la scatola degli anelli che le aveva regalato Cissie.
«Ha intenzione di sostenere che anche questa gliel'ho data io?» urlò la signora Rampage, trionfante. Era proprio quello che le occorreva! Aprì in fretta la scatola per vedere se c'era ancora tutto. «E lei sosteneva di non averla mai vista! Mio Dio, che bugiarda!» «Non l'avevo mai vista prima d'ora» disse tranquillamente la signora Roach. «Deve essere stata lei a metterla lì. Magari per tendermi una trappola. Solo che io non ci sono cascata.» «No, è lei che l'ha fatta sparire» disse indignata la signora Rampage. (Quella donna aveva una risposta per tutto!). «Non ho più intenzione di stare a discutere con lei. Tanto è inutile. Adesso vado direttamente dalla polizia.» Afferrò gli anelli e il portaspilli e si avviò verso la porta. La signora Roach attese in silenzio che l'altra cercasse di aprire la porta con le mani occupate. Poi le disse con un tono di voce normale, come se non provasse il minimo risentimento: «Credo di doverla avvisare che la polizia sa tutto di lei. Per questo ritengo sarà molto improbabile che le possano credere.» Con aria d'indifferenza, la signora Rampage le chiese che cosa volesse dire, mentre s'infilava la scatoletta sotto il mento e apriva la porta con la mano libera. «Conoscono la ragione per cui io mi trovo in questa casa. Sanno perché devo stare qui, anche se lei continua a dirmi di andarmene e cerca di liberarsi di me. Ma sappia che, se non ci fossi io a starle dietro, dovrebbero rinchiuderla.» La signora Rampage si voltò di scatto. «Di che cosa sta parlando?» disse con voce stridula. «Tutti sanno di lei» rispose la signora Raoch con un sorrisetto terribile. «Chieda a chiunque. Tutte queste dimenticanze, queste idee fisse, non sono che i sintomi della sua malattia. Oh, il dottore mi aveva avvisato... sa quella volta che aveva avuto quel piccolo disturbo cardiaco, anche se noi le abbiamo detto che si trattava solo di influenza? Mi aveva avvertito che le cose sarebbero peggiorate inesorabilmente e che lei aveva bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei. "Meglio che non viva da sola": sono state queste le sue parole testuali. Ecco perché la signora Getaway mi ha pregato di restare.» La signora Rampage cercò di parlare, ma di bocca non le uscì alcun suono. Aveva le gambe immobili come massi. "Farò venire Jonquil!... Lo dirò a Henrietta" pensò, disperata. "Qualcuno deve aiutarmi!" «Dovrebbe essermi grata per non aver lasciato che sua figlia la mettesse
in un ospizio» disse crudelmente la signora Roach. Quelle parole sconvolsero a tal punto la signora Rampage che la donna desiderava solo tapparsi le orecchie e fuggire via da lì il più presto possibile. «Dimenticavo l'ora... la cena...» mormorò, come scusa. Così, piano piano, riuscì a scendere le scale barcollando. Non poteva restare in casa con quella donna un attimo di più. Aveva troppa paura. Per questo corse verso la strada ghiacciata così come si trovava. Era tanto turbata che non riusciva quasi più a pensare. Non sapeva più neanche dove stesse andando. Di colpo si ritrovò davanti alla fila di negozi, e per provare a se stessa che era perfettamente normale, entrò impetuosamente nel primo che le si parò davanti. Ma una volta dentro, non riusciva a ricordarsi cosa doveva prendere. Se ne stava lì in piedi, con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca aperta. Vide che il droghiere la guardava con ansietà, quando le chiese che cosa desiderasse. «Volevo qualcosa...» disse lei, cercando di riacquistare un contegno "...ma al momento l'ho dimenticato" stava per aggiungere. Invece si portò le mani alla bocca e sul volto le apparve uno sguardo di terrore, perché "dimenticare" era una delle parole che quella donna aveva usato per terrorizzarla. Dall'altro lato del bancone, due ragazze con un grembiule bianco si misero a bisbigliare qualcosa tra loro, cercando di reprimere una risatina mentre la osservavano. Nel frattempo il droghiere le era venuto in soccorso elencandole una lista nutritissima. «Tè, caffè, cacao, salse, condimenti per insalate, sale, aceto, cera per pavimenti, biscotti, formaggio, albicocche in scatola, pere in scatola, farina d'avena, cereali...» «Cereali» disse la signora Rampage, afferrando la palla al balzo. Il droghiere fece un cenno e una delle due ragazze che stavano ridendo si avvicinò per servirla. Facendo un grosso sforzo di concentrazione, la signora Rampage cercò di pensare a cos'altro aveva bisogno. «Cinque e quarantacinque» disse la ragazza, toccando i pacchetti con la matita mentre compilava il conto. Ma la signora Rampage non aveva la somma che le era stata richiesta. Non aveva dietro neanche uno spicciolo; le uniche due cose che aveva in
mano erano quell'antica scatola di cuoio che conteneva gli anelli e il portaspilli. «Non ho soldi» balbettò. Poi si diede un'occhiata intorno. Le sembrava che tutti la stessero fissando. «Andavo così di fretta...» disse a voce alta, in modo che tutti potessero sentirla. «Fa lo stesso. Ritornerò con il denaro.» La ragazza si stava ormai mordendo il labbro; teneva gli occhi bassi, mentre il corpo era scosso dai tremiti. La signora Rampage si rese conto che stava ridendo di lei, con la crudeltà dei giovani che si burlano dei vecchi quando li vedono in difficoltà. All'improvviso, con terrore, la signora Rampage capì che la gente la stava osservando proprio come aveva detto la signora Roach. Non riusciva più a sopportare tutte quelle persone che la guardavano di sottecchi. Si sentì circondata da nemici. Fece due passi traballanti, come se si trovasse sul ponte di una nave. Di colpo le passò per la mente la possibilità che la signora Roach la stesse perseguitando, e che magari sarebbe piombata nel negozio a farle una scenata. "È in questo modo che si fa diventare pazza la gente" pensò. Il droghiere andò dietro la ragazza e le batté un colpetto sulla schiena. La commessa smise di ridere all'istante. «Non ha importanza, signora. Le manderò la spesa a casa» disse, rivolgendosi alla signora Rampage. Dovunque andasse, alla signora Rampage sembrava di non aver mai osservato gli sguardi della gente prima d'allora. Il macellaio sorrise quando le diede il buongiorno, e per la prima volta la signora Rampage si rese conto di quanto fosse insinuante e sinistro quel sorriso. Ebbe la sensazione che tutti i negozianti la tenessero sotto controllo e poi si relazionassero a vicenda sul suo comportamento. Erano tutti complici. "È così che si porta la gente a impazzire" pensò di nuovo lei, terrorizzata. 8 L'unica cosa da fare era andare a trovare Geoffrey. Lui l'avrebbe consigliata per il meglio. Non appena le venne in mente quell'idea, cioè un paio di giorni dopo il tremendo bisticcio, si sentì molto più sollevata. Sì, stava decisamente meglio, ma era ancora così confusa per la rabbia e la paura che si dimenticò di telefonare alla segretaria di Geoffrey per prendere un appuntamento. Dato che se n'era scordata, entrò nell'ufficio e disse: «Voglio parlare con il signor Bede.» Era la ditta Kirtle, Bede & Son, ma Kirtle e Bede erano morti, perciò era
rimasto solo il figlio, che aveva già una sessantina d'anni. Ma era una persona intelligente, lo dicevano tutti, e la signora Rampage lo conosceva da più di trent'anni; era stato un amico di Charles. La segretaria le rispose affermativamente, poi le chiese se avesse un appuntamento. «No, ma devo vederlo subito. È una cosa importante» disse la signora Rampage. La segretaria, che era molto giovane, cominciò a innervosirsi e uscì dalla stanza. Entrò il vecchio signor Deeks, tutto tremolante. Era ormai un uomo inutile. Geoff avrebbe dovuto metterlo in pensione. Molto cortesemente, e con voce strascicata, la salutò, poi le chiese come si chiamasse e se poteva esserle di qualche aiuto. «Ah, il signor Bede è impegnato in questo momento, temo. Sarà preso per tutto il giorno.» «Non gli ruberei più di cinque minuti. Lei potrebbe chiamarmelo un attimo, vero?» domandò la donna in tono persuasivo. Il vecchio fece un sorrisino imbarazzato. «Cara signora, non oserei mai!» «Potrebbe trovare una scusa. Devo assolutamente vederlo.» Non c'era dubbio che la donna rivelasse segni di stress, con quel trucco tutto impiastricciato sul viso, le calze spiegazzate e le unghie sporche, notò il signor Deeks. «Luna! Cosa c'è?» disse Geoffrey, contrariato. «Oh, Geoff, che seccatura! Mi spiace di doverti disturbare, ma non so come liberarmi di quella stupida.» «Stammi a sentire: ora non posso riceverti. Ho un cliente. Perché diavolo non hai preso un appuntamento?» «Non volevo che quella donna mi sentisse mentre ti telefonavo. Questo avrebbe potuto metterla in guardia» disse lei in fretta. «Ma non ti tratterrò più di cinque minuti.» «Mia cara, dovrai aspettare fino a quando non avrò terminato. Ti avrei portato a pranzo, ma sono già impegnato con un'altra persona per quell'ora. Posso concederti cinque minuti prima di uscire.» Fu lasciata a far penzolare le gambe da una panca bassa e a sbadigliare nell'atmosfera un po' antiquata della stanza fino a che non si slogò la mandibola e gli occhi non cominciarono a lacrimarle. Quando Geoffrey fu finalmente pronto a riceverla, lei si era quasi dimenticata di quello che voleva dirgli.
«È da una vita che sto cercando di liberarmi di lei, ma fa finta di non capire» cominciò, piena d'ardore. «È meglio che inizi dal principio, Luna. Chi è questa donna?» «Mio caro, non ne ho la minima idea! Lei dice di essere una certa signora Roach. Cissie ha insistito che venisse a stare con me, e Dio solo sa il perché. Oh, era stata male e non aveva un soldo; ma il risultato è che mi ha rubato tutte le mie cose...» «Aspetta un attimo. Quando è successo?» «Che ha cominciato a derubarmi? Da quando...» «No. Quando è venuta a stare con te?» «Lo scorso ottobre. Lo ricordo esattamente perché era appena passato il mio compleanno e Cissie mi aveva regalato una serie di anelli...» «Lascia perdere i particolari, Luna. Sto cercando di farmi un quadro preciso della situazione.» «Stavo per dirti che mi ha rubato anche gli anelli» insistette la signora Rampage in tono di rimprovero. «Bene, è arrivata da te l'ottobre scorso. Che tipo di contratto avevate stipulato?» «Contratto? Non c'è stato alcun contratto.» «Be', allora diciamo che cosa avevate stabilito, se preferisci così. Avrete pur stabilito qualcosa, no?» «Tanto per cominciare, non mi sarei mai sognata che si sarebbe fermata così a lungo. Pensavo che sarebbe rimasta soltanto per riprendersi un po', prima di affrontare un nuovo lavoro. Aveva fatto l'infermiera in qualche maledetto ricovero per anziani, questo fino a quando non era stata male.» «Aveva delle referenze?» La signora Rampage rimase a fissarlo. «Non mi è proprio venuto in mente di chiedergliele. Ho pensato che fosse una signora» disse lei, amaramente. «Be', è stata una stupidaggine da parte tua.» «Sai, me l'aveva presentata Cissie. Così ho pensato che si fosse occupata lei, di quelle cose.» «Buon Dio, Luna, quante volte te l'ha detto Charles di stare più attenta? Le donne!» esclamò lui, spalancando le braccia per la disperazione. «Spero che tu non sia uno di quei maledetti avvocati che cercano di far passare i loro clienti sempre dalla parte del torto» disse lei, seccata. «Io stavo solo cercando di aiutarla. Non mi sembrava un'imbrogliona... Ma immagino che non lo sembrino mai, quando lo sono» aggiunse in tono me-
sto. A Geoffrey occorsero ben più di cinque minuti per avere chiaro in mente quanto era successo. Poi, naturalmente, la prima cosa che le chiese fu: «Perché non sei andata alla polizia?» Era proprio quello che non voleva sentirsi chiedere. «Geoffrey, ma è terribile! Non potevo farlo. Non potrei mai coinvolgere la polizia in questa faccenda» tagliò corto lei. Non aveva nessuna intenzione di raccontargli del suo scontro con la polizia la sera che aveva tentato di chiudere la signora Roach fuori della porta; meglio non farvi nessun cenno. Gli uomini erano strani, a volte, e magari lui si sarebbe fatto qualche pregiudizio nei suoi confronti. Né voleva far sapere a Geoffrey la vera ragione per cui non aveva chiamato la polizia quando aveva scoperto tutte le sue cose nella stanza della signora Roach; la governante le aveva messo paura e lei aveva perso la testa, ma comunque era sempre meglio non dire niente. «Pensavo, Geoffrey, che saresti un vero angelo se potessi venire a parlarle. Magari riusciresti a spaventarla e forse lei se ne andrebbe» disse la signora Rampage, con uno sguardo da cane bastonato. Bede era già stato obbligato a dire alla segretaria di telefonare al signor Devereux per avvisarlo che avrebbe fatto tardi e che forse era meglio annullare l'appuntamento. E dato che quella visita andava fatta... almeno in ricordo del povero Charles (Luna era una perdita netta, come cliente)... tanto valeva togliersi subito il pensiero. Che peccato! A Devereux piacevano i vini pregiati e c'era un posticino in Fleet Street... Sospirò, poi afferrò bastone e cappello: «Mangeremo un sandwich e berremo una Guinness al Black Dog» disse. La signora Rampage aprì la porta senza fare tanti complimenti, per cui la signora Roach fu colta di sorpresa. Era seduta sul letto a rammendare qualcosa, così Bede riuscì a vederla prima che la donna avesse tempo di darsi un contegno. Sembrava un po' spaventata, ma non certo in imbarazzo. Lui se l'era immaginata ben diversa. Si accorse subito di quello che aveva voluto dire Luna: sembrava proprio una signora. «Questo è il mio avvocato, signora Roach» disse sgarbatamente la signora Rampage. Era una minaccia più che una presentazione. La signora Roach, scura in viso, gli rivolse un piccolo cenno col capo. Con fare agitato, Luna cominciò subito a indicare a Geoffrey le cose che la signora Roach le aveva preso.
«Sei assolutamente certa di non averle messe tu stessa lì prima che arrivasse la signora Roach, Luna?» «Non dire stupidaggini, Geoffrey! In una camera della servitù!» disse lei spazientita, indicando il piccolo specchio Sheraton. «Si dà il caso che quello sia mio» s'intromise tranquillamente la signora Roach. «È una bugia!» disse nervosamente Luna. «Dice che sono tutte cose sue, o altrimenti che sono stata io a dargliele. Ma non è vero niente!» «Vede, io non ho una casa, signor... oh, Bede! Non vuole sedersi, signor Bede? Non c'è nessun bisogno di stare scomodi, le pare?» (La signora Rampage ebbe un violento attacco di rabbia per quell'impudente usurpazione del suo ruolo di padrona di casa). «Come stavo dicendo, adesso non ho una casa, ahimè, e così sono obbligata a portarmi dietro quelle poche cose che possiedo da qualunque parte vada. La signora Rampage è stata tanto gentile da permettermi di portarle qui» disse gentilmente la signora Roach, come se non riuscisse a esprimere con le parole la bontà d'animo della signora Rampage. Bede cominciò a porle con garbo domande sugli oggetti che lei sosteneva fossero di sua proprietà. «Questi qui... questo... e questo...» disse la donna, muovendosi per la stanza e toccando gli oggetti con fare pensieroso. La signora Rampage sbottò in un urlo, quando la signora Roach si avvicinò al tappeto persiano. «È pazza! Tu lo sai che è mio, Geoffrey. Dille che lo hai visto un sacco di volte!» «Luna, per favore!» «Be', chiedile di provarlo! Posso portare una dozzina di persone che giureranno di riconoscerlo. Henrietta, tanto per cominciare, giurerà che appartiene a me. Come potrebbe averlo dimenticato?» «Luna, devo chiederti di lasciarmi trattare questa faccenda a modo mio.» «Ma tu la stai semplicemente incoraggiando» mormorò Luna, in tono di rimprovero. «Si capisce che, quando le cose appartengono a una famiglia da diversi anni, è difficile avere ancora le fatture originali da mostrare» sottolineò energicamente la signora Roach. «Purtroppo, l'unica prova che posso offrirle è il possesso» concluse con un ampio sorriso. Ma quando si giunse agli oggetti che, secondo la signora Roach, le erano stati regalati dalla signora Rampage, la governante fu in grado di fornire
delle prove reali e valide, prove che anche un tribunale avrebbe accettato. Perché la donna, come disse di aver già riferito alla signora Rampage, aveva annotato sul suo diario tutte le occasioni in cui la sua padrona di casa le aveva fatto un regalo. (Non ci fu bisogno di spiegare al signor Bede, in quanto avvocato, che due tra i fattori più importanti della giustizia britannica sono il possesso, che rappresenta un punto vitale della legge, e la testimonianza scritta, che viene sempre accettata come prova. Quei due punti non sono meno sacri della Bibbia). La signora Roach gli mostrò le entrate, sfogliando personalmente le pagine del diario. La lampada da tavolo... il centrino di pizzo... il bollitore elettrico (che le permetteva di prepararsi una tazza di tè senza dover scendere in cucina)... lo stuoino... la piccola, vecchia sedia come regalo per Natale... il cherubino di porcellana per il suo compleanno... «Bugie! Tutte bugie!» esclamò Luna, accanto alla finestra. «Naturalmente, se adesso la signora Rampage vuole riprendersi quello che mi ha regalato può farlo» disse sdegnosamente la signora Roach. «Non mi sognerei mai di tenermi le sue cose. Ma volevo solo che lei si rendesse conto che stavo dicendo la verità... è stata la signora Rampage a darmi tutto questo.» «Non è altro che una montatura» insistette la signora Rampage, voltando loro le spalle. «È quello che dice sempre» mormorò la signora Roach in tono confidenziale. «E mi rattrista così tanto, anche se so perfettamente che la povera cara non può farci niente: si dimentica le cose. È quello il suo problema, povera donna.» Gli lanciò una rapida occhiata di complicità, ma gli occhi di lui, quando incontrarono quelli della signora Roach, erano inespressivi. La signora Rampage grattò sul vetro per allontanare Winky Woo, che si era accoccolata tranquillamente in mezzo ai suoi fiori. Per questa ragione, non riuscì a sentire l'ultima frase. «Tutti possono scrivere quello che gli pare, in un diario; non è certo una prova» disse. La signora Roach fece una risatina. «Ma cara, e allora quanto pensa possa valere la sua parola, se proprio vuole saperlo? Comunque, le ho già detto che può riprenderseli, se è quello che desidera.» «Voglio indietro anche le altre cose, quelle che, secondo lei, sarebbero di sua proprietà: lo stuoino, lo specchio e quel pezzo di stoffa che sta usando come copriletto» disse abbastanza tranquilla e in tono ragionevole la signora Rampage.
«Ma signora Rampage» protestò la signora Roach «non è possibile!» Si voltò verso l'avvocato e disse mestamente: «Non riesco a farle capire che quella roba è mia.» Bede si avvicinò alla signora Rampage. «Luna, se ti rende le cose che, secondo lei, tu le avresti dato, io la lascerei andare» le sussurrò. «Lasciarla andare via con delle cose che sono mie? Geoffrey, non dire stupidaggini! Quello stuoino da solo vale come minimo cento sterline.» «Be', sei vuoi farla incriminare, la faccenda cambia completamente aspetto. Tu mi avevi detto che volevi solo liberarti di lei.» «E così è. Ma non posso lasciarla andare via con della roba che vale centinaia di sterline.» La signora Rampage cominciò a piangere. Anche la signora Roach si mise in piedi, rossa in viso, ma tenendo la schiena dritta e con un'espressione di sfida. «Credo sia necessario che le dica perché non me ne sono ancora andata, signor Bede. Non ho accettato il licenziamento della signora Rampage perché, legalmente, lei non può licenziarmi. Sono stata assunta e vengo pagata dalla signora Getaway, perciò credo che solo lei possa licenziarmi.» A quelle parole, la signora Rampage smise di far finta di piangere e aprì la bocca di colpo, come costretta da una trappola scattata all'improvviso. Nella sua mente, apparve il ricordo vivido della donna quando le aveva detto che, se nessuno si fosse preso cura di lei, avrebbero dovuto metterla in qualche ricovero. Venne di nuovo assalita dalla paura terribile che quell'affermazione fosse vera, che Cissie ne fosse a conoscenza e che cercasse di proteggere così la signora Rampage. Ma una cosa è aver paura, e altra cosa è ammetterlo. In un tentativo frenetico di tenere all'oscuro Geoffrey, lei disse: «Oh, è inutile, Geoff! Non stare a sprecare il tuo tempo. È solo una bugiarda matricolata. Non ascolterai che una sequela di menzogne, se continui a darle retta. Lascia perdere!» «Un momento» disse gentilmente Bede. «Mi piacerebbe saperne di più su questa faccenda, se non ti dispiace.» «Ti dico che sono tutte bugie, Geoff. Se così fosse, perché non mi aveva mai detto niente prima? Eppure, ci sono state un sacco di occasioni per farlo.» «Era la signora Getaway che non voleva glielo dicessi; pensava che la signora Rampage non l'avrebbe accettato» spiegò la signora Roach a Bede. «Una posizione un po' anomala per lei» disse pensieroso Bede, toccando le gambe della sedia col suo bastone.
«È sempre stata una posizione molto scomoda. Io, comunque, ho cercato solo di fare il mio dovere» disse lei, compiaciuta. «Ma se non fosse che la signora Getaway è lontana da casa e mi aveva supplicato di starle dietro... sì, supplicato» ripeté la signora Roach «avrei chiesto già da un bel pezzo di essere sciolta da questa promessa.» «Per l'esattezza, quali erano gli accordi tra voi due?» le chiese Bede. «Deve sapere che la signora Rampage non mi passa alcun salario.» «Ma la mantengo» disse tagliente la signora Rampage. La signora Roach proruppe in una risata squillante. «Oh, mi mantiene! Sono stata costretta a chiedere alla signora Getaway di passarmi qualche soldo per potermi comprare un po' di cibo. Credo che la signora Rampage volesse farmi morire di fame» disse in tono volutamente offensivo, continuando a ridere. «Prima che venissi qui la signora Getaway si era accordata con me perché io svolgessi le mansioni di governante presso la zia; la signora Getaway sapeva bene che era meglio che la sua anziana parente non vivesse da sola. Finché stavo con la zia, la signora Getaway mi avrebbe pagato due sterline e dieci pence alla settimana.» «Come fa a pagarla?» le chiese Bede. «Non si trova in Sudafrica, adesso?» «Sì, ma mi manda un assegno presso la sua banca inglese e io non faccio altro che riscuoterlo. Guardi, quello di questa settimana non l'ho ancora incassato; posso farglielo vedere» disse. E così fece, mostrando con un'aria di trionfo l'assegno, accompagnato da una nota scritta di pugno da Cissie. «Non ci credo» continuava a insistere Luna senza speranza, mentre scendevano le scale. «Cosa devo fare?» gemette, quando Bede le assicurò che era la verità. «Manda un telegramma a tua nipote spiegandole quello che è successo e chiedile di licenziarla» la consigliò Bede. «È l'unica strada da seguire.» «Le ho già scritto raccontandole tutta la faccenda» disse Luna, pensando al costo di un lungo telegramma esplicativo. «Dici che non basterà?» «Be', mia cara, la decisione spetta solo a te» disse Bede. Poi sollevò una mano per far capire che non poteva fare nient'altro. Lo accompagnò fino al cancello, cercando di farsi coraggio per porgli quella famosa domanda senza speranza. È come quando si chiede a un amante che sta per abbandonarti: "Mi ami?"; si sa già la risposta, ma si rifiuta di accettarla. Facendo uno sforzo sovrumano, lei gli chiese in fretta: «Mi credi?» In quella abbagliante luce primaverile, lei sembrava più vecchia, orri-
bilmente patetica. Lui distolse lo sguardo dalla signora Rampage. «Cara la mia ragazza!» le disse, dandole un buffetto su una mano. «Se ti crea altri problemi, fammelo sapere. Certo che è proprio una persona orribile!» concluse allegramente. Gli occhi le si riempirono di lacrime; lei si sentiva assurdamente grata per la lealtà mostrata da Geoffrey, per il suo giudizio favorevole. Solo più tardi, quando le capitò di ripensarci, si rese conto che Geoffrey non aveva fatto niente. Non aveva costretto quella donna ad andarsene, non l'aveva spaventata a morte facendole restituire il maltolto; aveva solo scoperto il piano malvagio di quella traditrice di Cissie. E questo in che modo poteva esserle d'aiuto? L'aveva messa in una situazione ancora peggiore di prima. Geoffrey era uno di quegli uomini che si offrono di ripararti un oggetto e poi, dopo averlo smontato pezzo per pezzo e non sapendo come rimetterlo insieme, se ne lavano le mani, lasciando agli altri l'onere di aggiustarlo. Eppure, quella donna non gli era piaciuta. Lui l'aveva di sicuro esaminata con quel suo occhio da legale consumato. Si era accorto che era un'imbrogliona. Ritornò verso casa con fare pensoso. Dalla sua stanzetta all'ultimo piano, la signora Roach riusciva a sentirla passeggiare avanti e indietro, come una vespa impazzita dentro un bicchiere. La signora Rampage era sempre stata rumorosa durante i suoi momenti di riflessione: e più era difficile il problema da risolvere, più faceva rumore. Ormai le era abbastanza chiaro che doveva liberarsi di quella donna e nello stesso tempo tenersi tutto ciò che le apparteneva. Era il modo da adottare per riuscire nell'impresa che la faceva camminare avanti e indietro per la casa. Più o meno intenzionalmente, la signora Rampage fece precipitare gli eventi quando il giorno dopo scese in cantina per aprire i bauli della signora Roach. Era certa che qualche suo oggetto dovesse essere stato nascosto anche lì dentro. L'improvviso silenzio mise in allarme la signora Roach, la quale scese piano piano le scale per vedere cosa stava combinando quella vecchia pazza. Dapprima non si rese conto dove potesse essere andata la signora Rampage, poi udì i colpi di martello che provenivano dalla cantina e immaginò ciò che stava accadendo. Aprì la porta della cantina. Sotto di lei, rischiarato dalla vivida luce della stanza, giaceva un baule già aperto, il cui contenuto era sparso alla rinfusa
sul pavimento. La signora Rampage ne stava vergognosamente aprendo un altro con il pesante attizzatoio d'acciaio del salotto. La signora Roach venne sopraffatta all'improvviso da un'incontrollabile ondata di rabbia per quell'attacco sfacciato e malvagio alle sue proprietà personali. Era un oltraggio! Quella donna era una pazza, come lei aveva sempre pensato. Come osava toccare le sue cose? La signora Roach si precipitò giù dalle scale ripide come un angelo vendicatore, mentre le due estremità della sua sciarpa gialla le sventolavano ai lati... «Non si avvicini!» la ammonì la signora Rampage, difendendosi con un urlo di terrore. 9 Fu così che successe. Si trattò quasi di un incidente. Gli psicologi affermano però che gli incidenti non esistono, perché nessuna nostra azione è involontaria. Il bicchiere caduto per terra, sostengono loro, esprime il conflitto e l'indecisione della mente che lo lascia andare. Non c'è niente di accidentale, almeno nel senso che diamo noi a questa parola. Chiamiamolo omicidio, allora. Eppure, quanto è incredibilmente facile, triviale quasi, la tremenda finalità di quell'atto, se solo ci si pensa! Sembrerebbe avere un significato solo leggermente più complesso dello spostamento di una tazza da tè o dell'accensione di una lampadina. C'è la moglie brontolona o il vecchio infermo al piano di sopra, che se ne stanno distesi a letto ad aspettare soltanto che giunga la morte a portarseli via. La tentazione è evidente, il vantaggio manifesto. È solo più tardi, quando il fatto è ormai compiuto, che uno scopre che quel piano perfetto mostra qualche crepa qua e là, ed è così che sorge la paura: paura di passi che echeggiano di notte lungo il selciato, paura di uno sguardo incrociato inaspettatamente in un caffè affollato o in un bar, paura di una parola o di un nome che può balzare fuori innocentemente dalle pagine di un quotidiano e che fa saltare il cuore in gola. La paura... simile a un animale che si agita nella sua gabbia, che spalanca di tanto in tanto le mandibole e che poi si rimette a sonnecchiare. Ci sono alcuni che uccidono e non conoscono poi né paura né senso di rimorso, ma solo un'incredibile sorpresa per quanto hanno fatto. Passano per le strade che di solito frequentano e non vedono altro che i loro terribili pensieri. Sono persone che passano inosservate, dai modi tranquilli, imper-
turbabili. I tipi che ai vicini ispirano fiducia. Non si mettono in allarme per l'eco dei passi notturni e non sono affatto turbati dal pensiero di uno sguardo che li osserva; sono sicuri nell'irrazionalità del loro atto. Sono quelli che vengono a conoscenza dei nomi delle loro vittime leggendo il giornale. La signora Rampage, però, non faceva parte di quel gruppo felice e spensierato; anche se, all'inizio, era troppo sbalordita per provare un senso di colpa o di paura. Fu soltanto un terrore fisico puro e semplice che la fece schizzare via dalla cantina, come sarebbe fuggita da un topo che squittiva. Si sbatté la porta alle spalle e girò la chiave nella toppa. "È stato un incidente" pensò, ansimando. "Non è stata colpa mia. Volevo solo allontanarla, sembrava come impazzita... È stata lei che si è messa in mezzo. Lei che ha voluto ficcare il naso nei miei affari. Non possono accusarmi." Ma noi sappiamo bene che gli psicologi direbbero che il colpo inferto dalla signora Rampage non sarebbe potuto essere così accurato e potente se non avesse partecipato anche la volontà della donna. Se avesse solo voluto spaventare la signora Roach, la sua mano avrebbe vacillato. L'omicidio inizia nella mente. Era da un pezzo che la signora Rampage desiderava liberarsi della sua dama di compagnia; aveva speso molte ore di rabbia crogiolandosi nel pensiero di buttarla giù dalle scale o di farla finire sotto un autobus; e adesso l'aveva davvero uccisa: dall'intenzione era passata ai fatti. Nessuno può rimanere quello che era, dopo aver assassinato un essere umano. Come la signora Rampage avrebbe imparato molto presto. È inevitabile che la prospettiva morale venga alterata. E l'autoconvincersi che si sia trattato solo di un incidente non può comunque cambiare gli effetti del gesto. All'inizio, la signora Rampage non provò niente, non pensò niente. Come un disco multicolore sembra bianco quando viene fatto girare rapidamente, così la rapida incoerenza dei suoi pensieri le svuotò del tutto la mente. Corse verso il giardino con la chiave ancora stretta in pugno. Poi la stupidità di quella fuga la colpì all'improvviso. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno la stesse spiando, e poi, quasi senza rendersi conto di quello che stava facendo, lasciò cadere la chiave nella grata che stava sopra le tubature della cucina. Subito la invase una sensazione di sollievo; non solo adesso nessuno poteva entrare in cantina, ma il nemico che si trovava lì dentro ormai non sarebbe più potuto uscire. Era un'idea primitiva e assurda, ma non poteva
impedirsi di pensarla. Il sole lanciava i suoi raggi di approvazione dietro una scura nuvola d'aprile, inondando il corpo della signora Rampage di un dolce tepore. Alzò il viso a quella carezza, con un piacere animalesco: era bello essere viva! La pioggia aveva portato l'odore pungente delle foglie bagnate. Qualche goccia luccicava ancora tra i capelli della signora Rampage, nel punto in cui lei era passata un attimo sotto un ramo. Poi le gocce le scivolarono lungo la fronte, facendole provare una sensazione di gelo. Ebbe la sensazione improvvisa e orribile che si trattasse di gocce di sangue, che lei se ne stesse lì come Caino, esposta a qualsiasi evento potesse capitarle, col segno della colpa sulla fronte. Ritornò barcollando verso la cucina, coprendosi il viso con le mani. Per niente al mondo avrebbe osato guardarsi allo specchio! Si lavò scrupolosamente, ma quella disgrazia lasciò nella sua mente un segno indelebile. Anche in seguito le bastava scorgere una macchia su un abito per provare un tuffo al cuore. Non si sarebbe mai più sentita pura, anche se si lavava le mani venti volte al giorno. Avrebbe fatto meglio a chiamare subito la polizia. A essere onesti, considerò un'eventualità del genere. Solo che forse la prese in esame per troppo tempo, e dentro di lei crebbe la paura: paura delle domande dei poliziotti; paura che la sua versione dei fatti non venisse creduta. Perché, posto pure che la si guardasse sotto diversi aspetti, non era una bella faccenda: che cosa ci faceva giù in cantina con quel pesante attizzatoio in mano? Non solo la verità l'avrebbe fatta vergognare, ma suonava anche poco ragionevole. Poteva facilmente immaginarsi l'incredulità sulle facce enigmatiche dei poliziotti. Non le era difficile sentire le loro voci gelide che dicevano: "Mi spiace, ma noi non lo definiremmo un incidente, signora. Siamo costretti a pregarla di seguirci alla stazione di polizia". E poi ci sarebbe stata la frase che aveva letto tante volte: qualunque cosa avesse detto, avrebbe potuto essere usata contro di lei. Quanto poi a inventare una storia che potesse reggere alle domande incalzanti della polizia, non si riteneva abbastanza intelligente da riuscirci. Più pensava a una scappatoia, più le si confondevano le idee. No, era inutile, inutile! In pochi attimi, si ritrovò a pensare al suo ipotetico processo all'Old Bailey: c'era Jonquil, Con l'aria smarrita e in lacrime; lei che veniva condannata ingiustamente (perché si riteneva innocente, anche se intrappolata dalle apparenze). Riusciva persino a sentire il gelo delle sbarre della prigione contro le guance, quando si affacciava per gridare di-
speratamente, come Dreyfus in un film che aveva visto vent'anni prima (solo adesso le era tornato in mente): "Sono innocente! Sono innocente!". Ma nessuno le rispondeva. Non arrivava nessuno, fino a quando il governatore non entrava nella sua cella per dirle con aria solenne che il suo ricorso in appello non era stato accettato... Con i sudori freddi, cercò di riscuotersi da quell'orribile fantasticheria. Che stupida era a lasciare che i suoi sogni la terrorizzassero a tal punto! Con incredulità, si accorse che la cucina era già quasi buia. Alzò lo sguardo e vide che anche gli alberi là fuori erano diventati oscure silhouette contro un cielo violaceo. Era quel colore che precede il crepuscolo. Ma l'heure exquise era proprio l'ora che la signora Rampage odiava di più. Chiuse a chiave la porta sul retro. Le ombre nell'angolo della cucina la spaventavano, così si avvicinò alla porta. Mentre teneva lo sguardo fisso sul battente, qualcosa le fece girare involontariamente il capo. Lei si guardò alle spalle e soffocò un urlo. In cantina c'era una luce accesa. Era impossibile, eppure era vero. Quelle inutili, vecchie gambe erano diventate gelatina. Subito, però, la signora Rampage proruppe in una risata. Ma certo, era stata lei stessa a lasciarla accesa. Che stupida, spaventarsi così per niente! Ma un attimo dopo era già sgomenta al pensiero che adesso non avrebbe più potuto spegnere la luce: aveva buttato via la chiave. Era terribile, eppure non c'era più niente da fare; quella lampada doveva rimanere accesa fino a quando non si sarebbe consumata da sola. Una tremenda perdita di denaro, ma non poteva fare diversamente. Stare al piano di sopra era molto meglio, con la porta rivestita di panno tra lei e lo scantinato chiuso a chiave. Accese tutte le luci per far sembrare quel posto un po' più allegro, e ben presto le risate di una commedia radiofonica riempirono la casa, tenendole compagnia. Con tutte quelle luci accese, il suono piacevole della musica e le risate, i vicini avrebbero pensato che doveva esserci una festa al numero 5. Non voleva essere irriverente verso un morto. Non le sarebbe mai venuta in mente un'idea simile. Desiderava semplicemente che la sua vita tornasse a essere quella che era stata un tempo. «Oh, è bello potersene di nuovo stare sole!» disse a voce alta, sorridendo. Ma si sentiva molto piccola sotto gli enormi lampadari; si sentiva molto più sola, circondata com'era da quegli specchi che riflettevano senza fine la sua immagine tra le sedie e i tavoli. "Non c'è niente di cui aver paura, stupidona" si diceva.
Ma la paura la seguiva dovunque. La signora Rampage continuava a guardarsi dietro le spalle, verso la porta, come se aspettasse di vedersi venire incontro da un momento all'altro quella figura alta e magra, magari con un sorrisetto ipocrita sulle labbra e il sangue che le luccicava tra i capelli grigi come vernice fresca. La signora Rampage era decisissima a non farsi impressionare. Aveva programmato di passare la serata con i suoi ammennicoli; era da molto tempo che non li lustrava o li coccolava. Così prese un panno, alcune spazzole e polveri varie. Era un metodo infallibile per tranquillizzarla, quando aveva la mente in subbuglio. Eppure, si era appena seduta al tavolo e aveva afferrato il pappagallo d'argento che dondolava nella sua gabbietta, che un'idea le trapassò la mente all'improvviso: un'idea tanto rivoltante da farle venire nausea. La stanza era fredda, ma era troppo noioso mettersi ad accendere il fuoco nel camino; non ne valeva la pena, era stanca. «A letto!» disse a voce alta a quel silenzio che l'avvolgeva angosciosamente. Ma una volta che si trovò in camera sua, cambiò nuovamente idea. Era troppo agitata per dormire. Tastando qua e là, le sue mani grasse e gelate riuscirono a trovare un vecchio blocco di carta da lettere in fondo a un cassetto. Le venne in mente che poteva scrivere a Jonquil. Sì, era proprio quello di cui aveva bisogno: doveva raccontare tutto a Jonquil, scriverle quello che era successo, confessare alla sola persona di cui le importasse e venire assolta. Le parole fluirono dalla sua mano come lacrime, spargendosi sulla pagina in una frenesia in cui la punteggiatura non era contemplata. "Mia cara bambina (scarabocchiò con passione), è successo qualcosa di terribile. Oh, la tua povera vecchia mamma... ma non è stata colpa sua. Ti ricordi che ti avevo parlato di quell'orribile donna? Be', si è rivelata anche peggio di quanto immaginassi e, in tutto questo periodo, non ha fatto altro che rubare le mie cose, la ladra... Anche Geoffrey non ha potuto fare niente. Io dico che è tutta colpa di Cissie, innanzitutto, ma è troppo tardi adesso per recriminare. Ormai la frittata è fatta! Be', cosa dovevo fare? Non c'era nessuno a cui potessi rivolgermi per un aiuto ed ero veramente disperata. Non oso nemmeno ripeterti le cose che mi ha detto quella donna..." Non era quello che voleva dirle, ma ciò che intendeva comunicarle non riusciva a esprimerlo con le parole; ci girò intorno protestando, accusando. Le scuse le vennero in mente mentre scriveva. (Naturalmente, non c'era al-
cun bisogno di spedire quella lettera, se avesse deciso diversamente). Incoraggiata da quell'idea assurda, scrisse: "Adesso la donna è morta" . Ma a quel punto la mano ebbe un attimo d'esitazione, così lei aggiunse: "E io non so cosa fare. Mi spiace...". Poi ci tirò una riga sopra. Rimase un attimo a pensarci su e scrisse, come per mettere le mani avanti: "Potrebbero pensare che sia stata io". Ma anche quello era un travisamento dei fatti, così si affrettò a costruirci intorno un muro di assurdità. Eppure, ormai aveva fatto cenno a quella faccenda, aveva sottolineato il pericolo in cui si trovava, per quanto in maniera vaga; sentì che adesso spettava a Jonquil leggere tra le righe. Ma quella timida frasetta non era certo una confessione, e se non fosse stato per quella sciocca superstizione in base alla quale i pensieri espressi acquistano una loro interna realtà - perché le parole, una volta dette, non possono mai più essere negate - le sarebbe piaciuto scriverle la nuda verità, in tutta la sua brutale secchezza, e ripetergliela all'infinito: "La signora Roach è morta, la signora Roach è morta, la signora Roach è morta. E sono stata io a ucciderla". Ma era troppo orribile anche solo ammetterlo a se stessi, così voltò la pagina con disperazione e scrisse: "Carissima, magari fossi qui con me". Poi sottolineò quella frase con mano tremante, perché le parole non sottolineate non le sembravano abbastanza espressive per dare l'idea di tutto l'affetto che provava per la figlia. Una figlia che, da un paese lontano, guardava con indifferenza la madre che le apriva senza remore il cuore. Poi chiuse la lettera e la ripose in un posto sicuro. Nella sua ingenuità si ritrovò a pensare che, "se fosse successo qualcosa", quella sarebbe stata la prova della propria innocenza. Era incredibilmente stanca. Si tolse le calze, sbottonò il corsetto e s'infilò a letto. Era in cucina con la signora Roach. Di colpo, si accorse con terrore che il pezzo di carne che la signora Roach stava affettando con indifferenza non era assolutamente un pezzo di carne, ma il suo prezioso cestino delle lettere! Cercò di urlare, ma dalla gola non fuoriuscì alcun suono. Con orrore, vide che la signora Roach era sul punto di buttare il cestino ormai affettato in una pentola che bolliva sul fornello. Con le gambe nude infilate negli stivali, riuscì in qualche modo ad attraversare la cucina nell'intento di fermarla. La signora Roach aveva già sollevato il coperchio della pentola, cosicché lei riuscì a vedere, sbalordita dall'orrore, che tutte le sue cose più
preziose stavano bollendo lì dentro: gli avori e le porcellane si stavano disfacendo in una poltiglia spaventosa. "Se non vuole darmi da mangiare lei, dovrò bene arrangiarmi in qualche modo" le spiegò la signora Roach, con quell'odioso, mesto sorrisino. "Ah, mai più!" pensò la signora Rampage, dando un colpo alla pentola. Sfortunatamente, un po' dell'acqua che bolliva finì addosso alla signora Roach, che emise un urlo così terrificante, un gemito così agonizzante, che quel rumore la svegliò di colpo. Era in preda al terrore. Rimase distesa, immobile come un masso, a parte il cuore che le batteva all'impazzata. Non era ancora uscita da quell'incubo, perché il suono dell'urlo della signora Roach continuava a echeggiarle nelle orecchie. "Si è trattato solo di uno stupido sogno" continuò a dire a se stessa, cercando di calmarsi. Un altro urlo disumano si perse nella notte. E questa volta non poteva dire che fosse un sogno. Lei NON credeva nei fantasmi, ma una ventata d'aria gelida le sfiorò il volto e le sembrò come se la stanza, o qualcuno che fosse lì dentro, la stesse guardando. Raccogliendo tutto il suo coraggio, accese la luce. Naturalmente, non c'era niente. Lo sapeva bene che non avrebbe trovato niente. L'aria gelida proveniva dalla finestra aperta. Saltò giù dal letto e andò a chiuderla. Il terzo urlo la colse alla finestra, facendole provare un brivido di gelo lungo la schiena; non poteva più muoversi. Fu mentre se ne stava lì tremante, a fissare il buio con uno sguardo terrorizzato, che vide il luccichio di quegli occhi. Si mise un dito tra i denti. L'urlo straziante lacerò di nuovo la notte. La signora Rampage si sporse in fuori, verso il buio. «Winky Woo!» esclamò, cercando dolcemente di ammansirlo. «Winky Woo!» ripeté, facendo schioccare le dita. «Psss, psss, psss!» Ma il gatto, interrotto nelle sue orazioni funebri, saltò giù dal muro e scomparve nel buio impenetrabile. La mattina dopo, con i raggi del sole che entravano dalle finestre aperte, lei si sentì una persona diversa. Lo stupido nervosismo della notte prima era scomparso. Doveva tenere lontana dalla sua mente "tutta quella faccenda", si ripromise con fermezza. C'era una voluminosa busta per la signora Roach da parte di Eleanor. Se la portò in cucina, per leggere la lettera mentre faceva colazione. Ma l'assurdità era che non aveva nessuna voglia di turbarsi leggendola; non provava più nessun gusto a mettere il naso nella vita privata della signora Roach. Forse era perché non voleva più pensare a "quella persona". Comun-
que, dovette aprirla lo stesso, perché era troppo spessa per poterla strappare così com'era. Frasi e parole attirarono la sua attenzione. Sembrava che ci fosse stato qualche disaccordo; Eleanor ammetteva di aver avuto torto, si scusava e cercava di spiegare nuovamente il suo punto di vista. Erano otto pagine in tutto. «Be', almeno si è risparmiata le scuse» disse con impertinenza la signora Rampage, facendola a pezzettini. I frammenti di carta svolazzarono verso il secchio della spazzatura come una manciata di confetti; così allegri e festosi, pensò lei. Le parole: "Perdono... rimprovero... triste..." la fissavano dal fondo del secchio. All'improvviso, su di loro passò un'ombra e una voce disse: «Buon giorno, signora» facendola trasalire. (Eccola lì di nuovo con quella vecchia vestaglia e la cuffia di sghimbescio!). «Che cosa vuole?» chiese lei, seccata. «Lettura del contatore, signora, se non le dispiace.» La signora Rampage si voltò con aria spazientita per l'interruzione, mentre l'uomo era già sulla soglia, quando una vampata improvvisa la fece arrestare di colpo. Le era venuto in mente che il contatore si trovava in cima alle scale che portavano in cantina. «No, mi spiace» balbettò in fretta, quasi spingendolo fuori a forza. «Mi spiace davvero. Dimenticavo, ma non è... possibile, non in questo momento. Bisognerà che lei ritorni.» «Ah» disse l'altro, pensieroso. Per niente spiazzato da quella risposta, se ne stava a fissare la cucina buia alle spalle della donna. «Ha una luce accesa laggiù, lo sa?» osservò, dando alla domanda il tono di un'asserzione. Lei si accorse che, stupidamente, stava arrossendo; le mani presero a giocherellare con il montante della porta. «Lo so» disse. «La porta è chiusa a chiave, e... e, involontariamente, la mia donna di servizio ha perso la chiave. Dovrò farne un duplicato.» «Ah, tutto qui? Mi sembrava strano, infatti. Be', vuole essere così gentile da farmi sapere quando potrò ripassare, allora?» Si toccò il berretto in cenno di saluto, ma sarebbe stato difficile dire a cosa stesse realmente pensando. Quell'episodio, però, spaventò a morte la signora Rampage, che non aveva certo voglia di correre il minimo rischio. Quella porta doveva restare sempre chiusa, in modo che nessun ficcanaso potesse entrarci. E, la maggior parte delle volte, stava all'erta da una finestra o da un'altra; non le era difficile poterlo fare, adesso che aveva di nuovo la casa tutta per sé. Doveva tenere conto dei vicini; la gente è così intrigante, quando si tratta degli
affari degli altri... Non avrebbero mai dovuto accorgersi di niente. Ecco perché Winky Woo diventava un problema. La gatta, infatti, se ne stava accoccolata tutto il santo giorno sui rami del frassino e continuava spudoratamente a guardare la casa. La cosa non andava per niente bene, e prima o poi qualcuno avrebbe sentito odore di bruciato. Lei fece di tutto per farla rientrare in casa, offrendole un piattino di latte e qualche bocconcino in una scodella, ma lei non li toccò neppure. Stupida creatura! A fasi alterne, cercò di spaventarla sperando che fuggisse via, ma lei rimaneva a fissarla dall'alto con quel suo sguardo fisso e minaccioso, senza mai prenderla sul serio. «Prova a fare solo un miagolio stanotte e ti prenderai una bella secchiata d'acqua» le promise. «Brutta bestiaccia!» Non passò molto tempo che cominciò a nutrire timori anche nei confronti della cucina. Tanto per cominciare, non le andava per niente di restare lì dopo che calava la sera; era un atteggiamento stupido, infantile, se ne rendeva conto lei stessa, ma non poteva farci niente. Poi cominciò a darle fastidio scendere lì anche durante il giorno. Quando si avventurava dabbasso, era solo per prendere qualcosa dalla credenza e scappare di sopra il più in fretta possibile. Non riusciva a trattenersi neanche il tempo necessario per cucinare qualcosa, così smise di fare pasti caldi. Avrebbe potuto mangiare fuori - almeno una volta al giorno, comunque - se non avesse temuto di lasciare la casa incustodita. Si limitava a nutrirsi di scatolette prese dalla dispensa. Qualche volta, quando calava la sera, faceva una scappata a comprare un po' di cibo nella tavola calda più vicina. Così le sembrava anche di aver risolto il grande problema del nutrimento. Era molto più facile mangiare qualcosa da un sacchettino che cucinare. E, soprattutto, niente più piatti e tegami da lavare! Basta con quelle interminabili ore davanti ai fornelli! Curiosamente, cominciò anche a convincersi che era felice. Al sesto giorno della Nuova Era, Henrietta le telefonò. «Tesoro» esclamò con i suoi soliti modi esuberanti. «Che cosa hai combinato in questi giorni?» Non avrebbe potuto iniziare in un modo più infausto. «Io? Niente! Perché?» disse seccata Luna. «È una vita che non ci vediamo. Che cosa ti è successo?» «Niente di particolare.» «Oh! Pensavo che ti fossi ammalata, dato che non ti avevo più sentita.» Poi aggiunse affettuosamente: «Così ho pensato di darti un colpo di telefono per sapere cosa stavi combinando.» «Non ho niente da dirti» disse ostinatamente la signora Rampage.
Be', Henrietta capiva subito quando l'amica aveva la luna di traverso; sapeva che ci voleva un po' prima di ammansirla e riuscire a farsi dire quello che aveva sullo stomaco. C'era qualcosa che sembrava inibirla, come se, almeno dal punto di vista mentale, un osso di pollo le fosse andato di traverso. La cosa migliore era far finta di niente; così Henrietta cominciò a raccontarle di una serie di Baxter che aveva acquistato e di un paio di splendidi candelieri che teneva da parte per farli vedere a lei, nel caso le interessassero. Solo che Luna doveva decidersi, perché Henrietta aveva già un compratore che vi aveva messo gli occhi sopra. La cosa era strana, perché la signora Rampage le fece ben poche domande su quei candelieri. Si limitò a dire che, se non si fosse fatta vedere entro uno o due giorni, poteva pure venderli. Non era proprio da Luna un comportamento simile! Forse quella tipa che stava con lei cominciava sul serio a darle addosso. «E che mi dici della signora Roach? Cosa ha combinato, negli ultimi tempi?» chiese allegramente Etta. Rimase sbalordita nel sentire che se n'era andata. «Andata?» urlò Henrietta. «Ma non sei elettrizzata? Dio mio, è strano che tu non me lo abbia detto subito, cuore ingrato che non sei altro! Quando se n'è andata? E come mai? Raccontami tutto! Non farmi stare sulle spine!» «Oh, circa una settimana fa.» (Meglio attenersi alla verità, finché era possibile). «E come sei riuscita a liberarti di lei, alla fine? Voglio sapere tutto» disse Henrietta, considerando quante volte si era dovuta sopportare le lacrime di Luna e i racconti dell'amica su quella peste di governante. Ma questa volta Luna disse soltanto: «Se n'è andata e basta.» «Tutto qui? Veramente? Ma è incredibile! Sarai felice da impazzire, quindi. Avresti dovuto darmi un colpo di telefono, così avremmo festeggiato. Ne valeva la pena, stavolta. E dove se n'è andato quell'impiastro?» «Non ne ho idea.» «Vuoi dire che non te lo ha detto? Non ho mai sentito una cosa così incredibile! Ma non si aspettava che tu le spedissi le sue lettere da qualche parte?» «Come faccio a sapere che cosa si aspettava da me? Se avessi saputo che eri così curiosa, glielo avrei chiesto» replicò la signora Rampage, irritata. «Ma cos'hai, vecchia mia? C'è qualcosa che non va? Oggi non mi sembri la Luna che conosco.»
«Sto bene, grazie; sono solo molto occupata.» «E anche con un diavolo per capello, direi» osservò Henrietta scaldandosi all'improvviso, com'era sua abitudine. «Oh, va' all'inferno!» sbottò la signora Rampage, riagganciando di scatto. Se c'era una cosa che non sopportava erano le interferenze, e se Etta non lo aveva ancora capito, era ora che se ne rendesse conto. "Può anche morire, se aspetta che la richiami di nuovo" si disse Henrietta con indignazione, mentre posava il ricevitore. E quello era proprio il risultato che la signora Rampage sperava di ottenere. Non voleva vedere nessuno, specialmente la cara Etta, che aveva il naso più lungo del mondo e sapeva leggerle dentro come se lei fosse stata un libro aperto. 10 Naturalmente, la signora Rampage non poteva campare soltanto su quei pochi acquisti che faceva nelle tavole calde aperte dopo il tramonto. C'erano altre cose di cui aveva bisogno, e per quelle doveva affidarsi al telefono. In quella zona solo il latte veniva consegnato a domicilio, ma dato che la povera vecchia viveva da sola e sosteneva di non poter uscire per le sue condizioni di salute, i negozianti le recapitavano a casa ciò che le serviva. La gente è così; si dà sempre da fare quando uno si trova in difficoltà, persino in Inghilterra. A sua richiesta, le portavano la spesa fino alla porta di casa, "per risparmiarle la fatica di salire e scendere i gradini dell'ingresso"; in quel modo, la porta di servizio destinata ai venditori finì per non essere più usata, e tra i gradini che scendevano nel seminterrato cominciò a crescere il muschio. Qualche negoziante era gentile fino all'esasperazione. La signora Flinch, la moglie del droghiere, era tutta piena di riguardi, forse in modo anche eccessivo. La donna ne faceva un punto d'onore di portarle lei stessa la spesa e di vedere in che cosa potesse rendersi utile per aiutare quella cara vecchietta. Continuava a porle domande importune sulla sua malattia, ma nonostante fosse molto abile, riusciva a cavare ben poche risposte dalla vecchia signora. Tentò con vari aneddoti raccapriccianti che riguardavano i suoi parenti, con le vene varicose, con i reni e con diversi altri organi, ma era difficile riuscire a intavolare una chiacchierata convincente attraverso una porta semichiusa. L'anziana signora, infatti, non le aveva mai permesso di mettere piede dentro casa, sebbene lei si fosse offerta varie volte di
aiutarla a sbrigare qualche faccenda domestica. «Lei non dovrebbe vivere da sola» le diceva sdegnata la signora Flinch. «Non va bene. Ha bisogno di qualcuno che le stia vicino. Dov'è finita quella signora così perbene che abitava con lei?» Erano domande sgradevoli, imbarazzanti, indiscrete. Spesso la signora Rampage si ritrovò a pensare che sarebbe stato molto più facile fare a meno della frutta, pur di non dover sopportare quell'intrigante. «Mettiamoci dentro anche questo bel cetriolo, insieme alla spesa del numero 5. Le farà piacere, povera vecchia.» «Floss!» le urlava il marito dal retrobottega. «La finisci di regalare la roba?» «Ma per chi mi prendi?» le rispondeva allegramente lei. C'era sempre qualcosa in più nel cestino, magari un cetriolo o una pesca. E come poteva rifiutarsi la signora Rampage di pagare quel ben di Dio, quando quella dannata donna ne faceva una questione d'onore di portarle personalmente la spesa? Perciò al conto bisognava aggiungere sempre uno o due scellini in più. Infatti, fare acquisti per telefono era una cosa tutt'altro che conveniente: ti rifilavano sempre la roba più vecchia. E i prezzi salivano. Era questa la cosa che le dava più fastidio: ogni conto doveva essere pagato con un assegno, il che faceva crescere enormemente gli oneri bancari; in più, oltre a tutte le spese, bisognava aggiungere due pence per ogni assegno e due pence e mezzo di francobollo per ogni busta. Sembravano cifre da niente, ma alla fine, messe insieme, diventavano bei soldoni. E sebbene la signora Rampage corresse pochi rischi a uscire la sera per raggiungere la buca delle lettere all'angolo, o per prendere una boccata d'aria fresca, durante il giorno non si azzardava mai a mettere il naso fuori di casa per paura d'incontrare il letturista della Compagnia Elettrica, o qualche altro esattore. L'uomo, infatti, continuava a passare per leggere il contatore, ma naturalmente lei si guardava bene dal rispondere al campanello. Continuava a lasciarlo suonare fino a quando l'uomo non si stancava e se n'andava. Di solito, le lasciava un biglietto nella cassetta delle lettere, in modo che lei lo riempisse indicando quando sarebbe stata a casa. Una volta, lo vide sbirciare dalla finestra della cucina, con una mano sopra gli occhi come un marinaio. Il fatto che si potesse ancora vedere quella sottile striscia luminosa sotto la porta della cantina la rendeva estremamente nervosa. Per non sospettare che c'era sotto qualcosa di strano, quell'uomo doveva essere un completo idiota!
A che cosa serviva che la Compagnia Elettrica le chiedesse di leggere da sola il contatore e di riempire il cartoncino accluso, quando lei non aveva alcuna idea di cosa volessero dire tutte quelle cifre? Avrebbe potuto sbagliarsi di molto tentando di tirare a indovinare, e l'effetto sarebbe stato peggiore che non rispondere affatto. Molto meglio ignorare quei messaggi, come ignorava tutte le altre cose spiacevoli. Se solo la gente l'avesse lasciata in pace! Quando qualche amica veniva a trovarla, lei faceva finta di essere uscita. Quando le telefonavano, rispondeva maleducatamente, come aveva fatto con Henrietta. Si trattava più che altro di autodifesa; temeva le domande della gente, e i ficcanaso la innervosivano. Così si diceva: "Che vadano pure al diavolo!". Una volta telefonò anche Geoffrey, per chiederle se le cose andavano bene e se aveva bisogno di qualche altro consiglio; e quando lei gli assicurò che "la persona" era andata via, lui disse con sciocca vanità maschile: «Ah, l'avevo immaginato!» Un'altra volta si spaventò terribilmente quando, nel rispondere al telefono, sentì che qualcuno diceva: «Posso parlare con la signora Roach, per favore?» «No!» urlò lei. Per una maledettissima frazione di secondo, fu sul punto di aggiungere le parole: "È morta!". Ma riuscì a frenarsi giusto in tempo e a dire, con voce agitata: «No, mi spiace... non abita più qui. Se n'è andata.» Quell'agitazione sembrò contagiare anche chi stava all'altro capo del filo, perché la persona cominciò a balbettare: «Non...? Ma quando...? Allora potrebbe darmi il suo nuovo indirizzo, per favore?» «Non posso darle proprio niente. È partita all'improvviso. Non so dove sia andata» replicò la signora Rampage, sempre agitata. «Deve essere successo qualcosa» aggiunse lentamente la voce, quasi parlando tra sé e sé. «Be', di certo non la troverà qui» sbottò la signora Rampage, cominciando a spazientirsi. «No, ma...» «Tre minuti» disse la centralinista. «Oh, la prego! Non ho più spiccioli. Solo un'altra domanda: le ha spedito le lettere?» Ma non ci fu risposta. Solo un clic e poi il silenzio. La signora Rampage aveva riattaccato il ricevitore, perché quella era una domanda a cui non sapeva come rispondere. Di colpo, si rese conto del suo
errore. Non avrebbe mai dovuto distruggere le lettere di Eleanor. Meglio rimandarle indietro con la dicitura "Indirizzo sconosciuto". Distruggendole, aveva distrutto l'unico straccio di prova che la signora Roach avesse veramente lasciato quella casa. In ogni caso, quello fu un episodio snervante, che servì solo ad accrescere la paura della signora Rampage e a farle odiare sempre di più il telefono. Eppure, quello strumento era il suo unico legame con il mondo esterno. Come poteva farne a meno? Con inquietudine attese l'arrivo di Eleanor (si era trattato di lei, no?), prima di compiere qualche ulteriore passo. Accanto al letto del padre, Eleanor continuava a rimuginare su quella breve conversazione. La vecchia le era sembrata così strana, così arrabbiata... Cosa poteva essere successo tra lei e Norah? (Che Norah avesse potuto andarsene senza farle sapere niente era troppo doloroso da ammettere in quel triste momento della sua vita, in cui aveva più che mai bisogno del dolce conforto che solo l'amica sapeva darle; non desiderava altro che uscire e andare a cercarla, mentre era costretta a starsene seduta accanto al letto di quel vecchio ormai moribondo... Sarebbe morto, prima o poi, ma forse, quando fosse giunto il momento, sarebbe stato troppo tardi). "Be', di certo non la troverà qui" le era sembrata una frase strana, detta dalla signora Rampage; non aveva nessun significato particolare, eppure quelle parole la disturbavano. Non riusciva a togliersele dalla mente mentre detergeva le labbra del vecchio o cercava di sollevarlo un po' sui cuscini. Poi ricomparve Peacock. «È stato Dio a mandarmelo» disse allegramente la vecchia atea, perché si accorse subito di come avrebbe potuto usarlo. «Eccomi di nuovo qui!» la salutò lui con un sorrisetto colpevole. «Dov'era andato a finire?» gli chiese lei, tutta seria. Non si sarebbe affatto sorpresa di sentire che era stato in prigione. «Sono stato malato» rispose lui, piegando la testa di lato come un fanciullo. «Non le è venuto in mente che nel frattempo avrei potuto assumere un altro giardiniere?» «In questo caso, potrei darle una pulita alle scale. Fare qualsiasi cosa. Non importa quali saranno i miei compiti, purché riesca a racimolare qualche scellino» disse lui, distogliendo lo sguardo dalla signora Rampage. «Potrei aver bisogno di qualche lavoretto particolare» disse lei con aria
riflessiva. «Anch'io non sono stata bene. Che ne direbbe di farmi un po' di spesa? Il dottore non vuole che io esca.» Così si misero d'accordo: lui doveva incassare per conto della signora gli assegni dalla banca, pagare i conti e farle la spesa. La signora Rampage voleva fidarsi di lui, sottolineò piamente, e sperava che l'uomo non avrebbe tradito la sua fiducia. Se poi Peacock aveva intenzione di sparire di nuovo, all'improvviso, era meglio che non cominciasse affatto col nuovo lavoro, perché adesso che era sola la signora Rampage sarebbe dipesa interamente da lui. «Quell'altra non c'è più?» chiese Peacock. «È andata via da un po'.» Non appena l'uomo si congedò, la signora Rampage scrisse alla Compagnia Telefonica e chiese che le staccassero la linea a partire da quello stesso giorno, dato che stava per partire. Con Peacock che l'avrebbe servita, non aveva più alcun bisogno del telefono. Era una magnifica sensazione di sollievo sapere che non l'avrebbero più disturbata. Si sentiva sicura, protetta come un'ostrica nel suo guscio; adesso nessuno sarebbe più riuscito a raggiungerla. Uno dei primi acquisti che commissionò a Peacock fu un rotolo di carta da parati da poco prezzo con il quale foderare la porta della cantina da cui filtrava ancora la solita luce rivelatrice. (Quella luce continuava a preoccuparla). Rifasciare la porta con la carta da parati fu un lavoro difficile e faticoso, e, quando ebbe terminato, il risultato non fu proprio di suo gradimento. Le sembrava quasi che adesso la porta si notasse più di prima, con quella copertura rabberciata. Così ora le toccava occultare quel rattoppo mal riuscito! Lo fece togliendo tutti i piatti dalla credenza e spostando a gran fatica quest'ultima, centimetro dopo centimetro, fino a collocarla davanti alla porta della cantina. Quando le porcellane vennero risistemate dov'erano, la porta rimase completamente nascosta. Nonostante ciò, fu felice di allontanarsi al più presto dalla cucina. Secondo lei, quella stanza era carica di sinistri presagi. Ma avrebbe fatto meglio a risparmiarsi tutta quella fatica, perché circa una settimana dopo si ritrovò senza elettricità. La Compagnia Elettrica si era stufata e le aveva tagliato i fili. Non che a lei la cosa importasse. Cosa c'era di male a usare le candele? Nessuno si lamentava delle candele nel diciottesimo secolo, cioè il periodo più civile che l'umanità avesse mai conosciuto. A lei piacevano; anzi, a di-
re il vero le preferiva. Quella luce soffusa la trasportava nel passato, dove personaggi eleganti passavano il tempo a chiacchierare giocando a carte. Quando scriveva, era divertente sentirsi come Boswell che, col panciotto sbottonato, si sedeva alla sua scrivania con la penna d'oca in mano e componeva alla luce della candela articoli per il suo giornale. Oppure, quando leggeva, immaginava di essere Horace Walpole, tutto preso da una lettera di Mademoiselle du Deffand. Solo che bisognava stare molto attenti a non lasciarsi trasportare troppo dalla vita di quei romantici ormai defunti da un pezzo, perché altrimenti c'era il pericolo d'intristirsi: quando uno pensava alle frustrazioni del povero Swift, al Dr. Johnson, con i suoi terrori metafisici, a Mademoiselle du Deffand, cieca e sola, o a Madame de Sévigné... Quanto avevano sofferto, anche i migliori tra loro! Com'era triste la vita! Ma non voleva pensarci, perché quelle esistenze infelici le ricordavano la sua situazione attuale. In particolare, non aveva più il coraggio di leggere le adorabili lettere di Madame de Sévigné, così squisitamente patetiche; le sofferenze della gentildonna, causate dalla figlia che se n'era andata, le aveva fatte sue ormai da un pezzo. Nonostante ciò, cominciava a convincersi che Jonquil stesse cambiando, che sentisse maggiormente il bisogno della madre; così le era sembrato almeno dall'ultima lettera che la signora Rampage conservava dentro l'astuccio per gli occhiali, in modo da poterla leggere cento volte al giorno e da scoprire, ogni volta, qualche nuovo significato. Quel foglio di carta arrotolato era per lei prezioso come un bacio. Dalla lettera si capiva che la figlia era un po' ansiosa di sapere se lei stava bene, dato che non riceveva sue notizie da parecchio. Ma per la signora Rampage quelle parole erano cariche di tenerezza. Dopotutto, era più che naturale che, crescendo, la figlia diventasse più comprensiva (almeno così la signora Rampage aveva sempre sperato e pregato) e che pensasse di più alla madre. Si ritrovava a pensare: "Magari Jonquil sta per avere un bambino e questo è il suo modo di dirmelo. È così timida e modesta... Probabilmente, si aspetta che riesca a leggere tra le righe. In quel caso, la raggiungerei subito. Sì, non c'è alcuna ragione per cui non potrei chiudere la casa e andare da Jonquil; tenuto conto di tutto, sarebbe la soluzione migliore". Da quel momento cominciò a consolarsi elaborando complicati piani per raggiungere la figlia in Malesia. Non fece alcun accenno a ciò nelle sue lettere: doveva essere una sorpresa. A meno che, naturalmente, Jonquil non le proibisse di partire. Quanto alle lettere, è vero che le scrisse, ma in un modo o nell'altro queste non vennero mai spedite: alle volte se ne di-
menticava, o magari temeva che avrebbero potuto preoccupare Jonquil. A ogni modo, si accumularono piano piano in fondo alla scrivania, tra i conti della spesa, senza che lei se ne accorgesse. Comunque, quelle lettere avevano poca importanza, visto che l'avrebbe presto raggiunta. Si rifiutava categoricamente di ammettere che non avrebbe mai osato partire senza il consenso della figlia. Ma il tempo continuava a scorrere tra queste inutili fantasticherie e lei non faceva nulla. Fu una fortuna che quel maggio fosse caldo, perché la signora Rampage si nutriva sempre di più di piccoli pasti frugali, assunti ogniqualvolta sentiva i morsi della fame. Da un po' non mangiava o sorbiva niente di caldo, adesso che le avevano tagliato i fili dell'elettricità. Neanche una tazza di tè. Poteva bollire un po' d'acqua sulla stufa, ma quella era pur sempre una seccatura. Così si era abituata a bere latte freddo. ("Fa bene ai nervi" diceva tra sé e sé. La verità, però, è che la signora Rampage aveva l'abitudine di vedere solo il lato positivo delle cose). La gente di Edenbridge rimase piuttosto sconvolta che Eleanor Fielding si recasse in città addirittura il giorno dopo il funerale del vecchio padre; sembrava una cosa di dubbio gusto. Non però che a Eleanor importasse molto di quello che pensava la gente. Aveva solo un'idea in testa. Trovare Norah. La sua intenzione era quella di recarsi al numero 5 e cercare di sapere qualcosa dalla signora Rampage. Perlomeno scoprire che cosa era successo tra le due donne. Perché Norah se n'era andata in quel modo quando, l'ultima volta che le aveva parlato, l'amica le aveva confessato che non avrebbe mai potuto lasciare la signora Rampage? Non avrebbe potuto e neanche voluto. Insomma, non aveva nessuna intenzione di andarsene. Non era stato quello l'argomento della loro discussione? (Eleanor si era comportata come una stupida gelosa, adesso aveva il coraggio di ammetterlo). Allora, che cos'aveva fatto cambiare idea a Norah, così all'improvviso? Forse glielo avrebbe rivelato la signora Rampage, anche se non poteva fornirle l'indirizzo di Norah. Vide la vecchia, ed era questa la cosa più straordinaria di tutto. Non poteva sbagliarsi: si trattava senza dubbio della vecchia signora Rampage, sebbene adesso sembrasse una mezza pazza con quei capelli scarmigliati e lo sguardo fisso. Eleanor la vide alla finestra, mentre risaliva il vialetto. La signora Rampage rimase lì solo per un attimo, ma Eleanor era sicura di non essersi sbagliata. Eppure, sebbene lei continuasse a suonare il campa-
nello e a bussare alla porta, non venne ad aprire nessuno. Non riusciva a capire. A meno che la donna non fosse diventata improvvisamente sorda... Ma anche quella non era una spiegazione valida, perché la signora Rampage l'aveva notata chiaramente, così come Eleanor aveva notato lei; ne era certa perché, nel momento in cui i loro sguardi si erano incontrati, sul volto della vecchia era passata un'ombra di paura. Eleanor sbirciò attraverso la buca delle lettere, ma non riuscì a vedere niente. Urlò a gran voce attraverso la fessura, come un ragazzaccio: «Signora Rampage! Signora Rampage! Lo so che è in casa, l'ho vista!» (Sentendo quelle urla, la signora Rampage fece una strana faccia, e le ginocchia cominciarono a tremarle). Alla fine, sentendosi sconfitta, Eleanor decise di rinunciare. Aveva il cuore pesante, e le sue ricerche su Norah erano ancora in alto mare. Non sapeva da dove cominciare, dato che la sua unica speranza era fallita miseramente. Pensò con disperazione che non l'avrebbe più ritrovata, che Norah non volesse più farsi rivedere da lei. Forse quello era il suo modo crudele di tagliare i ponti con Eleanor. Certamente, nessuno avrebbe lasciato che una persona amata si rodesse dalla rabbia per così tanto tempo. Quando raggiunse il cancello, si voltò ancora a guardare la casa, nella speranza di rivedere per qualche attimo la signora Rampage a una delle finestre. Ma della vecchia neanche l'ombra. Scoprì però qualcos'altro, comunque. Che fosse un segno del cielo? Sul tetto era accoccolata la gattina di Norah, Winky Woo, come un fantasma in paziente attesa. Eleanor non riusciva a spiegarsi il fatto che Winky Woo si trovasse lì. Era così improbabile che Norah se ne fosse andata senza portare via la sua adorata gatta! Non sapeva cosa pensare. Il fatto è che non poteva continuare a starsene lì impalata come una stupida, con la bocca spalancata e gli occhi fuori delle orbite. Di colpo, aprì il cancello e scomparve. La visita di Eleanor terrorizzò la signora Rampage. E la cosa peggiore fu che la donna tornò anche il giorno dopo. E il giorno dopo ancora. La signora Rampage la vide fare il giro della casa, alla ricerca di qualche finestra aperta. Che impertinente era quella donna! Era una persecuzione! E se la volta successiva avesse rotto un vetro per entrare dentro casa, cosa diavolo avrebbe dovuto fare la signora Rampage? Era una cosa orribile! Non c'era nessuno a cui potersi rivolgere in cerca di aiuto, adesso. Quella povera vecchia viveva in un continuo stato di agi-
tazione, da perenne batticuore. Non poteva sopportare a lungo di essere spiata in quel modo. Pareva che la donna avesse capito qualcosa. Ben presto la signora Rampage si ritrovò a vivere in casa sua come in un fortino: le imposte chiuse e i mobili più pesanti spostati a sbarrare le porte. Era l'unico modo per farla sentire al sicuro; le sembrava quasi di ritornare nelle tenebre del ventre materno. Barcollando, andava avanti e indietro da una finestra all'altra e da una porta all'altra, con una candela in mano per controllare che tutto fosse stato sprangato. «Una povera vecchia da sola... Si sentono certe cose terribili, di questi tempi... Chiunque potrebbe venire a sapere che in casa ci sono oggetti di valore. Quella signora Flinch, per esempio, che continua a farmi domande sui miei pezzi d'antiquariato... E lei è una chiacchierona...» Con quei continui borbottii, la signora Rampage cercava di convincersi che il suo incredibile modo di vita avesse ancora una certa razionalità. Era un'esistenza impossibile, ma in fondo era stata lei a scegliersela. Henrietta Purvis aveva avuto una colica biliare. Era stata ricoverata per un mese in una casa di cura e poi aveva passato quindici giorni di convalescenza nella cara vecchia Brighton. Quando era tornata a casa, aveva trovato così tante cose da sistemare che era passata un'altra settimana prima che riuscisse a dare un colpo di telefono a Luna per scoprire se l'amica fosse ancora arrabbiata. Henrietta non riusciva a capire come mai il numero di Luna fosse scollegato. Era una cosa così straordinaria che veniva spontaneo preoccuparsi. Perciò, non appena ebbe un momento libero, fece un salto al numero 5 per vedere cos'era successo. Rimase a bocca aperta quando si accorse che tutte le finestre erano sprangate, come se Luna fosse morta. Non era ancora abbastanza in forze per sopportare uno shock, e infatti cominciò ad avere i sudori freddi. Luna era quel genere di persona che non si sarebbe mai allontanata da casa. Niente al mondo l'avrebbe convinta a muoversi. A meno che Jonquil non si fosse rotta l'osso del collo, naturalmente. Sì, doveva essere quella la spiegazione. Doveva essere successo qualcosa a Jonquil, e così Luna aveva preso l'aereo di corsa senza trovare il tempo di comunicare a nessuno dove sarebbe andata. E chissà in quale agitazione si trovava, adesso! Tornando verso casa, Henrietta si fermò all'ufficio postale e comprò un francobollo da sei pence per posta aerea. Avrebbe scritto all'amica in Malesia, inviandole immediatamente una lettera. Chissà che sorpresa sarebbe
stata per Luna ricevere notizie di Henrietta! 11 Un paio di giorni dopo, per una di quelle coincidenze così frequenti nella vita, Henrietta ricevette una lettera dalla Malesia. Ma non era di Luna. Era di Jonquil. Agitata e indignata, quest'ultima le scriveva: "Cosa ne è stato di mamma? Non è da lei dimenticarsi di scrivere. Sono diverse settimane che non ricevo sue notizie. Io continuo a scriverle, ma non ottengo mai nessuna risposta. Sta male? Fino a ora non mi ero tanto preoccupata perché pensavo che, se ci fosse stato qualcosa di grave, tu me lo avresti fatto sapere." «Già, sta' a vedere che adesso le colpe sono tutte mie» disse ad alta voce Henrietta, arricciando il naso. "Mia cara Jonquil, mi spiace doverti dire che non ho idea di dove si trovi tua madre. Io credevo che ti avesse raggiunto. Sfortunatamente, sono stata male per alcune settimane e, in quel periodo, non l'ho né sentita né vista. Solo questa settimana, in cui mi sono un po' ripresa, ho deciso di fare un salto da lei, ma ho trovato la casa tutta sprangata. Sai, sembrava la casa di un morto. Evidentemente, Luna sarà andata da qualche parte. Può darsi anche che sia ancora in viaggio e che tra poco arrivi da te. Magari avrà creduto che era inutile aspettare che tu la invitassi, e sai bene quanto desiderava rivederti..." Quello sì che era un colpo basso! Avrebbe anche potuto cominciare a sospettare qualcosa di strano riguardo a Luna, se non fosse che la lettera di Jonquil l'aveva veramente seccata. Per questo, fu per lei come un fulmine a ciel sereno ricevere cinque giorni dopo un telegramma che le dava istruzioni di informare immediatamente la polizia. Ma cosa diavolo era preso a Jonquil? Pensava forse che fosse successo qualcosa a Luna? Ma cosa poteva esserle capitato? Certo però, pensò Henrietta con un brivido lungo la schiena, che una donna che vive tutta sola, oggigiorno... Si mise il cappellino di paglia rosso e si recò di corsa alla
stazione di polizia di Culloden Road, a denunciare il fatto che la signora del numero 5 era scomparsa. «Il numero 5!» esclamò il sergente, con un'aria leggermente sorpresa. Poi allungò la mano per prendere un foglio di carta e disse, tutto serio: «Da quanto manca?» (Porre subito quella domanda, prima di sapere altri particolari. Faceva risparmiare molto tempo, alle volte, perché spesso la persona dispersa non mancava all'appello che da poche ore). «Non lo so. Potrebbero essere anche un paio di mesi» fu costretta a confessare Henrietta. «Io ero malata, in quel periodo. E quando sono andata a farle visita, ho trovato la casa sprangata.» «Hmmm» disse il sergente mentre scriveva. «Lei è una parente della persona scomparsa?» «No, sono solo un'amica.» Le sembrò che il poliziotto le lanciasse uno strano sguardo, così s'affrettò a raccontargli del telegramma ricevuto da Jonquil. «Bene, adesso ho bisogno di alcune informazioni, se non le dispiace. Nome della persona scomparsa?» «Luna Adeline Rampage.» «Rampage?» esclamò il sergente, sollevando di colpo lo sguardo dal foglio. «Sì. Ha avuto sue notizie?» Ma i poliziotti sono come i dottori: le domande a cui non vogliono rispondere preferiscono far finta di non averle sentite. Non appena ebbe cavato da Henrietta tutto quello che voleva sapere, il sergente la congedò dicendole che le avrebbe comunicato qualcosa non appena ci fossero state novità. Poi si diresse in un ufficio interno. «Sono appena arrivate nuove notizie sul numero 5, signore.» «Di che si tratta?» «Ce le ha portate un'"amica", signore» disse lui, posando un foglio davanti all'ispettore. «Stessa denuncia: scomparsa in circostanze misteriose.» «Ma quella riguardava l'altra donna!» «Sì, signore. Interessante, non le pare?» I loro sguardi s'incontrarono. «Che cosa le ha detto?» gli chiese l'ispettore. «Le ho detto che ci saremmo fatti vivi non appena avessimo saputo qualcosa.» «Benissimo.»
«Quella Fielding mi sembra un po' strana» disse tranquillamente il sergente. «Ha preso una casa al numero 17, così può controllare quello che succede. Non le è venuto in mente che anche la polizia si sta occupando... o magari crede che siamo tutti una massa di fannulloni» aggiunse in tono sardonico. Ma l'ispettore era tutto impegnato a scrivere, quindi non sollevò il capo. Riguardo a Eleanor Fielding, il sergente aveva detto la verità; la donna era disgustata dall'indolenza e dall'incompetenza mostrate dalla polizia. Si era rivolta alle forze dell'ordine terrorizzata e questi le avevano quasi riso in faccia per le sue paure. Sostenevano che era possibile e persino probabile che la signora Roach avesse temporaneamente lasciato il gatto al numero 5 perché magari, per il momento, non sapeva dove sistemarlo. «Lei crede forse che io sia una vecchia zitella isterica» disse Eleanor «eppure c'è qualcosa che non quadra, ne sono certa. Deve essere successo qualcosa alla mia amica, e sono sicura che quella vecchia è in grado di fornire una spiegazione. Altrimenti, perché non mi lascerebbe entrare? La scongiuro, lei deve perquisire quella casa!» «Mi spiace, signorina, ma non possiamo farlo; non senza un mandato di perquisizione, perlomeno, e non abbiamo elementi sufficienti per richiederne uno» disse il sergente, cercando di essere ragionevole. «Dovete forse aspettare che si commetta un omicidio, per ottenere un mandato di perquisizione?» domandò Eleanor con sarcasmo. «Non arriviamo a tanto, signorina. Ma ci devono essere elementi sufficienti da convincere il coroner che una perquisizione è necessaria.» «Sono certa che, se perquisiste quella casa, di prove ne trovereste più che a sufficienza» disse Eleanor con una risatina amara. «Lei avrebbe più possibilità di noi, se riuscisse a convincere la proprietaria a farla entrare.» «Non vuole, gliel'ho già detto. E non capisco perché questo non vi insospettisca. Pensavo che la polizia fosse sempre all'erta, riguardo a cose del genere. Credevo fosse per questo che i cittadini pagano le tasse... perché voi preveniate i crimini, o quantomeno cerchiate di scoprirne i responsabili.» «Che io sappia, signorina, non c'è nessuna legge che proibisca di sprangarsi in casa propria, se uno ne ha voglia. Questo è un paese libero, sa?» «Libero per chi?» saltò su Eleanor. Ma la polizia non era così pigra come Eleanor aveva pensato in quel momento di collera. I poliziotti si davano da fare, almeno per quanto ri-
guardava le loro funzioni essenziali; era un loro dovere esaminare coscienziosamente ogni informazione che ricevevano. Ovviamente, cose del genere andavano trattate con la massima discrezione; se qualcuno avesse saputo che stavano interessandosene, non sarebbero approdati assolutamente a nulla. I poliziotti non erano degli stupidi. Non fino a quel punto, almeno. Ma anche per gli interrogatori di routine ci voleva tempo. Lo stesso uomo non poteva venir usato per diversi tipi di lavoro. Fu il sergente investigativo Charles che contattò i vicini (dopo aver bussato al numero 5 senza ottenere risposta). Davanti ai suoi occhi scuri si confondevano visi di casalinghe sospettose e irritabili, che lui ammansiva sfoggiando tutto il suo fascino. «Si rassicuri, non voglio venderle niente» diceva con quel suo sorriso allegro e rassicurante. Alla giovane sposina che abitava al pianterreno del numero 3 disse che stava facendo un'inchiesta porta a porta su una ricerca d'ascolto promossa dalla B.B.C. «È piuttosto sciocco, non le pare?» disse allegramente lui. «La maggior parte delle gente pare accenda la radio la mattina e la lasci in funzione tutto il giorno, senza curarsi minimamente di cosa sta ascoltando.» «Come la donna della porta accanto» disse lei, sollevando le mani per nascondere un sorrisetto. «Oh, è una di quelle? Ci sono appena passato, ma non c'era nessuno in casa. Be', allora non è il caso che perda tempo con una tipa del genere.» «Ma sono certa che è a casa.» «Non ho sentito nessuna radio» disse lui, ridendo. «Oh, non sempre... A dire il vero, è da un po' che non la sento neanch'io» precisò lentamente la donna. «Non me ne ero resa conto, fino a questo momento. Che strano! Forse, quella povera vecchia è malata.» Sembrava che stesse considerando con riluttanza l'idea di recarsi a controllare di persona se tutto andava bene. «Vive sola?» chiese quell'uomo simpatico. «Adesso credo di sì. Fino a poche settimane fa, c'era una specie di dama di compagnia con lei. Una persona davvero per bene. La conoscevo perché frequentavamo la stessa chiesa.» La donna sembrò fissare il vuoto, non appena riprese a parlare. «Ma, detto tra me e lei, credo che trovasse la vecchia una persona piuttosto difficile.» «Così ha fatto armi e bagagli e se n'è andata» suggerì lui, come per darle corda. «Può darsi» ammise la donna, scrollando le spalle. «O magari è stata
mandata via. Non saprei.» «Non si è confidata con lei, a questo proposito?» «Non eravamo amiche» disse in tono altezzoso la donna, sentendo che quella conversazione si era dilungata fin troppo. «Semplicemente, ho notato che non frequentava più la chiesa. E anche allora, per un certo periodo, non ho pensato a niente di strano, perché il suo gatto continuava a girare intorno alla casa. Ma il fatto è che lo ritrovavamo sempre a miagolare alla nostra porta di servizio. Alla fine, mi sono resa conto che doveva aver lasciato quella povera bestiola a morire di fame.» «Ma lei ha detto che era una persona per bene, se non mi sbaglio. Non mi sembra un bel modo di comportarsi, quello. Ci scommetto che adesso è lei a far mangiare quella bestiola» disse il sergente Charles. «Be', in effetti sì, ma non vuole mai entrare.» «Ah, ci avrei giurato» disse lui allegramente. «Me ne intendo di caratteri, io.» Poi passò a un altro argomento. La vecchia donna di servizio che abitava di fronte, al numero 4, aveva più voglia di chiacchierare. Conduceva una vita così solitaria, sempre dietro a quel vecchio entomologo sordo e irascibile per il quale lavorava, che non si sarebbe certo lasciata sfuggire l'occasione per fare due pettegolezzi. Con fare furtivo si lasciò andare a un fiume di parole. Continuava ad annuire in direzione del sergente, le braccia sui fianchi. Pareva che si trovasse in una stradina del suo villaggio natale, nel Galles, a spettegolare con un'amica. Ah, certo che aveva notato qualcosa... E le era sembrato strano... Non che fosse una pettegola, ma i fatti erano i fatti, no? Il punto era: sia che la signora Roach se ne fosse andata, sia che stesse ancora al numero 5, nessuno tra i vicini l'aveva più incontrata e nessuno l'aveva vista andare via. Il vicario della chiesa di St. Anne disse in tono colpevole: «Oh, mi spiace di essere stato tanto negligente! Ci sono andato solo una volta, per vedere se si fosse ammalata. Era una frequentatrice talmente assidua della nostra chiesa, sa, che ne ho proprio sentito la mancanza. Comunque, non c'era nessuno in casa. Così ne ho dedotto che quella cara signora se ne fosse andata. Una vera negligenza da parte mia» aggiunse gravemente, scuotendo il capo. «Comunque, non è successo niente, no?» domandò alla fine con un lampo negli occhi. «Perché dovrebbe essere successo qualcosa?» «Mio caro signore» disse il vicario, con l'asprezza di uno che si era ac-
corto di venir preso per i fondelli. «Non credo che lei sarebbe venuto a trovarmi, se così non fosse. Lei è della polizia, non è vero?» Comunque, l'interrogatorio del vicario non fu del tutto inutile. L'uomo di chiesa fu in grado di confermare più esattamente di chiunque altro la data della scomparsa della signora Roach. La signora Roach si comunicava tutti i giorni. L'ultima volta che le aveva impartito il Sacramento dell'Eucarestia era stato il mercoledì dopo Pasqua. Cioè due giorni dopo che la donna era stata vista dalla signora Fielding. Fu a questo punto che entrò in scena la seconda testimone, nella persona di Henrietta Purvis. Senza dubbio, qualcuno viveva ancora al numero 5, dato che il latte veniva ritirato giornalmente; ma di quale delle due donne si trattasse, alla polizia non era ancora chiaro. Era curioso, comunque, che ciascuna delle due persone che avevano sporto denuncia alla polizia pensasse che fosse la sua amica a essere scomparsa. All'agente Wright fu affidato il noioso compito di fare domande in tutti i negozi. Il signor Bull, il macellaio, disse che la signora Rampage non comprava più da lui da quasi due mesi. Flinch, il droghiere, riferì che aveva consegnato della merce per un certo periodo, quando l'anziana signora era stata male, ma ora lei mandava un uomo a ritirare quello che le occorreva. Al funzionario di banca era sembrato di capire che la signora Rampage fosse malata. La donna mandava qualcuno ogni lunedì a incassare un assegno. Sì, era tutto perfettamente in ordine; la firma era senza dubbio quella della signora Rampage. Al sergente Maxwell fu assegnato il compito di fare qualche domanda alla signora Purvis. Per esempio: conosceva per caso il nome dell'avvocato della signora Rampage? Abbastanza stranamente, lo sapeva. Non era un nome che si potesse scordare facilmente: il Venerabile Bede. Poi ci furono altre domande, a cui Henrietta rispose sempre più spazientita. «Ma insomma» sbottò alla fine «che cosa ne è stato della mia amica?» «Oh, è a casa sua, signora. Al numero 5.» «In quella casa sprangata da cima a fondo?» urlò Henrietta. «Così sembrerebbe.» «Ma è pazzo?» «Abbiamo informazioni attendibili al riguardo, signora.» «Non ci credo. Lei non conosce Luna. La più allegra... Qualcuno deve tenerla chiusa lì dentro contro la sua volontà. Non mi sono mai fidata di quella donna. Infida e basta!» «Di chi sta parlando?»
«Una tipa che si faceva chiamare signora Roach. Venne accolta come una specie di dama di compagnia. La mia povera Luna non riusciva a liberarsene. Povera cara, quella donna l'aveva quasi fatta diventare matta...» Ma come pronunciò quella frase, si ricordò che le ultime parole di Luna l'avevano rassicurata sull'effettiva partenza della signora Roach. Tutte le fantasie di Henrietta su Luna assassinata o tenuta prigioniera nella sua stessa casa crollarono come un castello di carte. «Quindi vuol dire...? Ma cosa può esserle successo per costringerla a vivere in quel modo?» «A volte, la gente impazzisce e si segrega in casa. Rimarrebbe sorpresa, signora, di scoprire quanto spesso ci imbattiamo in situazioni simili.» «Ma è terribile! Non si può fare niente?» «Spetterebbe alla sua famiglia. La polizia ha le mani legate, in questi casi. Non è contro la legge vivere come un recluso, se uno ne ha voglia. Ma se fosse la famiglia a compiere qualche passo...» Così Henrietta telegrafò a Jonquil: MAMMA SERIAMENTE AMMALATA CONSIGLIOTI VENIRE IMMEDIATAMENTE. L'ispettore Hunt informò il signor Bede che si stava svolgendo un'inchiesta sulla scomparsa della signora Norah Roach, ex dama di compagnia della sua cliente, la signora Rampage. Bede si osservò le unghie con alterigia. «Sappiamo che ha lasciato la nostra cliente il diciotto di aprile, o più o meno intorno a quella data. Ci siamo messi in contatto con la nostra cliente proprio in quei giorni, e lei è stata molto precisa sul fatto che la donna se ne fosse andata.» «Com'è nata la discussione, se posso chiederglielo? È stato lei o è stata la signora Rampage a farne cenno?» «Sono stato io.» «C'era stato qualche problema tra loro due?» azzardò l'ispettore. «Qualche difficoltà» concesse lui. «La mia cliente era venuta da me per chiedermi un consiglio riguardo... ma non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.» L'ispettore Hunt disse in tono grave che la cosa era della massima importanza. «Quella donna era una ladra, lo sa?» chiese Bede. «Comunque, la mia
cliente non aveva alcuna intenzione di denunciarla; so che preferiva non sollevare uno scandalo. Ma, nel suo caso, il difficile era convincere la donna ad andarsene: c'era una complicazione nel contratto.» «Ah!» esclamò flemmatico l'ispettore, come se non avesse capito e neppure gli importasse. «E di cosa si trattava?» «Una situazione piuttosto inusuale» disse Bede con aria pensosa «anche se c'è stato un caso simile nella causa Judson contro Barker e Cruikshank, 1907.» Spiegò le buone intenzioni della signora Getaway, che avevano però dato origine a un accordo compromettente col quale quest'ultima aveva assunto e pagava la signora Roach, lasciando però credere alla signora Rampage di essere lei la datrice di lavoro legale. Dal punto di vista giuridico, non c'era niente che la signora Rampage potesse fare. «Se poi era veramente una ladra» osservò l'ispettore. «La cosa era un po' difficile da provare. Secondo quella donna, la mia cliente le avrebbe dato vari oggetti, che lei registrava nel suo diario come regali.» Bede gli lanciò un'occhiata per scoprire se l'ispettore aveva intuito l'astuzia di quella mossa. «Comunque, mi sembra di capire che adesso lei abbia delle prove di altri misfatti.» «Se non le dispiace, tornerei per un momento all'altra faccenda, al cosiddetto accordo che la nipote della signora Rampage aveva stipulato con la Roach a nome della zia. Come fa a sapere che questa non fosse un'altra storia inventata dalla donna per evitare di venir licenziata?» «Ho visto gli assegni» rispose semplicemente Bede. «La signora Getaway le spediva ogni settimana un assegno dal Sudafrica, dove pare risieda in questo momento. Assegno riscuotibile presso la sua banca inglese.» «Sarebbe interessante fare un controllo. Si ricorda presso quale banca ha il conto la signora Getaway?» «Sì, c'ero arrivato anch'io» disse Bede con un segno di approvazione. «È la Westminster, la filiale di Baker Street.» Non fu un gran problema controllare presso la banca quante settimane erano passate dall'ultima volta in cui la signora Roach aveva incassato l'assegno della signora Getaway: erano quasi undici settimane. Chiaramente, quindi, non era stato incassato più nessun assegno dopo la sua scomparsa; evidentemente, non aveva più avuto bisogno di soldi. Il lunedì successivo la polizia fermò Peacock non appena questi entrò alla Lloyds Bank di High Street per incassare l'assegno settimanale della signora Rampage. «Vogliamo solo farle qualche domanda in centrale» gli sussurrò l'agente
Wright, prendendolo per il gomito. Lui sbiancò come un cencio. «Non lo incasso per me» disse lui. «Chiedetelo a lei! È lei che me l'ha dato.» «Va tutto bene» lo rassicurò Wright, trascinandolo fuori con l'aiuto di un altro agente. Tra quei due, Peacock sembrava piccolo piccolo e continuava a voltare il capo dall'uno all'altro. Ci volle un po' per calmarlo e fargli capire che non era accusato di niente. All'inizio, era troppo sulla difensiva per rispondere alle domande che gli posero, ma poi si rese conto della situazione. No, non era mai entrato in casa. All'inizio, era lei a uscire per dargli le istruzioni. Dopo, invece, la donna aveva preso l'abitudine di socchiudere la porta con la catena inserita. Adesso, invece, gli passava la lista e il denaro attraverso la buca delle lettere e lui le consegnava la spesa allo stesso modo. «Come fa la signora a sapere quando lei è di ritorno?» «Busso» disse l'uomo, battendo con le nocche sulla scrivania. «Cosa vede quando guarda attraverso la buca delle lettere?» «Niente» disse Peacock, scrollando le spalle. «È buio pesto lì dentro. Che mi venga un colpo se capisco come diavolo fa a muoversi in quella casa!» «Non accende la luce?» «Io non l'ho mai vista accesa.» «Allora, cosa usa per illuminare le stanze?» domandò il sergente. «Le compro delle candele. Tre o quattro dozzine alla settimana.» «Lo fa anche adesso?» gli chiese il sergente. Fu così che contattarono la Compagnia Elettrica, dalla quale vennero a sapere che la signora Rampage era una "utente in mora" e che, di conseguenza, le avevano tagliato l'erogazione della luce. Il letturista del contatore era passato da lei ripetutamente; inoltre, le avevano scritto tre volte, senza alcun risultato. Alla fine, erano stati obbligati a tagliarle i fili. La Compagnia non era un ente di beneficenza. Con aria cupa, il letturista raccontò gli incidenti durante le sue varie visite al numero 5. (Le visite a vuoto erano la parte più deprimente del suo già deprimente lavoro. I piedi gli facevano un male cane!). Ricordava bene di essersi recato lì in quel giorno d'aprile; la donna era stata quasi sul punto di farlo entrare, quando all'improvviso aveva cambiato idea e deciso che non era il caso. Essendo un edificio vecchio stile, il numero 5, aveva il contato-
re in cantina. Era un'abitudine degli inizi del Novecento sistemare il contatore nel posto più buio e più difficile da raggiungere in tutta la casa! Lei gli aveva detto che la porta della cantina era chiusa a chiave e che la sua domestica l'aveva persa, o comunque non sapeva più dove fosse. Aveva anche aggiunto che ne avrebbe fatto un duplicato. «Naturalmente, non spettava a me darle della bugiarda» disse il letturista, un po' risentito. «Io mi sono solo limitato a chiederle se fosse al corrente che la luce della cantina era accesa. Lei mi ha risposto che lo sapeva» aggiunse l'uomo con un sorrisetto di superiorità. «Come faceva a sapere che c'era una luce accesa in cantina?» «La vedevo» rispose l'altro, un po' indignato: la gente sospettosa per natura non sopporta che anche gli altri possano nutrire sospetti. «Attraverso la porta della cantina?» gli chiese il poliziotto. «Be', senta...» «Glielo sto chiedendo.» «Lì giù è piuttosto buio, essendo un seminterrato; da dove mi trovavo, nell'entrata, riuscivo a vedere la luce che filtrava sotto la porta. Inoltre, quando ci sono passato le altre volte, mi sono accorto che la luce era sempre accesa. I tizi che non pagano, guarda caso, sono sempre quelli che sprecano più corrente degli altri. Tutte le luci accese per casa al solo scopo di evitare il disturbo di alzarsi tutte le volte e marciare verso l'interruttore.» Fece una pausa, poi grugnì: «Proprio come al numero 5.» 12 Jonquil arrivò a Londra dall'aeroporto poco dopo le nove e si recò direttamente da Henrietta. Henrietta stava spazzando il negozio prima dell'apertura, la testa avvolta in un fazzoletto per ripararsi dalla polvere. Non era certo uno degli orari migliori per farle visita. «Ciao, Etta» disse Jonquil, non appena la piccola porta d'ingresso azzurra venne aperta. «Jonquil!» «Be', non essere così sorpresa. Non mi aspettavi?» «Perché diavolo non mi hai fatto sapere che stavi arrivando, cara?» «Tu mi hai detto di venire e io sono partita appena ho potuto.» «Be', meno male che l'hai fatto!» «Non mi chiedi di entrare? Ho fatto un lungo viaggio, sai?» «Mia cara! Che stupida sono a lasciarti sulla porta!»
«Come sta mamma?» chiese Jonquil, non appena si trovò dentro il negozio. «Non lo so di preciso» disse evasiva Henrietta. «Hai fatto colazione?» «Ho preso un po' di caffè all'aeroporto, grazie. Come sarebbe, Etta, che non sai come sta? Che cosa è successo?» «Prima ti preparo qualcosa da mangiare, mia cara.» «Non voglio niente.» «Prendi almeno una tazza di tè» insistette Henrietta. «Etta, per favore, rispondi alla mia domanda. Che cos'ha mamma?» «Ti risponderei, se lo sapessi. Ma non lo so, Jonquil. Non l'ho più vista.» «Non capisco» disse bruscamente Jonquil. «Dove si trova?» «A casa sua, immagino. Ma siediti, cara, e cerca di rilassarti: il tè sarà pronto tra un attimo.» Jonquil aveva fatto un viaggio stancante e carico d'ansia; dover scontrarsi adesso anche con le prevaricazioni di Henrietta le fece venire voglia di urlare. Dio, i vecchi erano impossibili! «Non voglio del tè, davvero. Vorrei che tu ti spiegassi, Henrietta. Mi telegrafi che mamma sta molto male e io mi sobbarco una spesa non indifferente e un sacco di problemi per lasciare il lavoro e venire qui di corsa, e quando arrivo...» «Calma, calma, mia cara! Cose come queste non possono essere spiattellate così su due piedi, dovresti saperlo.» Henrietta immerse un cucchiaino nella teiera e mescolò con energia. «Il fatto è che la povera cara è diventata un po' strana e si è sprangata in quella enorme casa. Sai come fa la gente a volte, no? Insomma, non vuole vedere né far entrare nessuno. Bisogna farla ragionare; non può andare avanti così, no? Ma la polizia dice che spetta ai parenti fare qualcosa, che gli altri non possono intervenire in alcun modo. Pare che non sia contro la legge fare l'eremita. Zucchero?» le chiese, porgendole la tazza. «Be', avevo pensato a Rhoda, naturalmente, essendo la più vicina, ma poi ci ho riflettuto su e mi sono detta: "Be', a cosa servirebbe? Non sono mai andate d'accordo". No, senza dubbio eri tu l'unica persona a cui Luna avrebbe dato ascolto. Non potevo spiegarti come stavano le cose in un telegramma, perciò ho fatto quello che mi sembrava più giusto.» «Va bene» disse stancamente la ragazza. «Grazie, Etta. Ci faccio un salto subito.» «Devo venire con te?» «Credo che sia meglio se l'affronto da sola. Grazie lo stesso, comun-
que.» La signora Rampage aveva comprato la casa al numero 5 dopo che Jonquil era partita per la Malesia, immaginando che la figlia sarebbe tornata entro l'anno. Ma Jonquil si era sposata laggiù e la madre era stata costretta a dover gestire tutta sola quella grande e inutile casa. Vedendola adesso, così desolata, con il giardino abbandonato e i cespugli di rose accanto al vialetto che avevano bisogno di una buona potatura, Jonquil non poté fare a meno di domandarsi che cosa avesse convinto la madre ad acquistare una casa come quella; le faceva veramente una brutta impressione. Era difficile credere che in un posto così desolato potesse viverci qualcuno. Naturalmente, tentò di suonare il campanello e di bussare alla porta, ma sapeva di aver poche possibilità di successo. Le finestre, tutte sprangate dall'interno, non lasciavano alcuna speranza. Alla fine si decise a scribacchiare su un foglio di carta: "Fammi entrare, mamma. Sono venuta per vederti. Jonquil". Poi spinse il foglio dentro la buca delle lettere. Sentì muoversi qualcuno all'interno; così, dall'apertura della buca, urlò: «Mamma, sono io. Apri la porta, per amor del cielo!» La signora Rampage udì quella voce con un moto di vero terrore, non credendo alle proprie orecchie. «Chi è?» disse rumorosamente. «Cosa c'è?» «Sono io! Jonquil!» disse un po' seccata la ragazza. «Jonquil è in Malesia.» «Be', sono tornata a casa.» Che situazione assurda dover urlare in quel modo attraverso la fessura della buca delle lettere. «Per amor di Dio, mamma, apri la porta! È mezz'ora che sto aspettando.» «Va bene, cara, arrivo, arrivo» disse la vecchia con voce tremante, cercando di togliere in fretta i catenacci. «Jonquil! Mia cara! Il mio tesoro!» singhiozzò lei, cadendole tra le braccia. Toccava la figlia con mani incerte, come fanno i ciechi. «Perché non mi hai detto che stavi arrivando, cara?» aggiunse, ridendo di gioia tra le lacrime. «Be', mamma, comunque adesso sono qui. Ho deciso così in fretta e furia che non ho avuto modo di comunicartelo. Pensavo di farti una sorpresa.» «Lasciati guardare! Sei più bella che mai, tesoro. Ti adora sempre? Siete felici insieme?» Era sempre la stessa, con la solita, inveterata abitudine di ficcare il naso nella vita privata degli altri. Ma l'aspetto non era quello della sua vecchia mamma; era cambiato in maniera orribile. La signora Rampage sembrava a
pezzi. Jonquil stentava a riconoscerla. Sembrava un essere che non avesse mai visto la luce del giorno e non conoscesse l'aria fresca. «Ma non stiamo qui in piedi, mia cara» disse in fretta la signora Rampage, notando che la figlia la stava fissando. Sbatté la porta e tirò di nuovo il catenaccio, poi prese la candela e fece strada a Jonquil verso la sala. «Perché questo buio, mamma?» La signora Rampage abbozzò un sorriso, imbarazzata. «Cara, è così bello averti di nuovo qui! Non riesco a crederci.» «Ma perché stai al buio?» insistette Jonquil. «Cara, temo che la tua mamma abbia fatto la cattiva dormendo più del necessario, questa mattina. Ero appena scesa.» «C'è un odore di chiuso tremendo, qui dentro. Apriamo qualche finestra per far entrare un po' d'aria.» «Be'... Oh, cara!» mormorò la signora Rampage. Non era troppo contenta di quella decisione, ma non osava protestare. «Come si aprono questi affari? Qui dentro è buio pesto. Non ci vedo niente Accendi la luce, mamma.» «Qui, ti faccio vedere io. È semplice» disse in fretta la madre, alzando la sbarra di ferro che bloccava gli scuri. La luce forte e improvvisa le fece battere le palpebre, e gli occhi cominciarono a lacrimarle. Tirò su con il naso e poi se lo strofinò sul dorso della mano. Jonquil notò che aveva le unghie nere e la vestaglia piena di macchie, completamente sfilacciata; i capelli erano ormai riccioli aggrovigliati che le scendevano lungo il collo. Sembrava che non si lavasse da parecchio. Quei segni di trascuratezza, uniti agli occhi che le lacrimavano e al naso che le gocciolava, portarono Jonquil a chiedersi se la madre non stesse prendendo qualche droga, il che avrebbe spiegato tutto. Persino le bugie che aveva detto a Jonquil quando era stata messa alle strette dalla figlia. Il respirare di nuovo aria fresca diede le vertigini alla signora Rampage. Si appoggiò allo schienale di una sedia e sarebbe finita per terra se Jonquil non l'avesse afferrata e non le avesse fatto poggiare la testa sul suo grembo. «Siediti qui e non muoverti! Vado a prenderti un po' d'acqua. Dov'è la cucina?» «No! No!» urlò la signora Rampage, saltando in piedi atterrita. «Sto bene. È stato lo shock... l'eccitazione di rivederti.. Rimani qui con me, tesoro, rimani qui!» «Hai già fatto colazione?»
«Sì, sì» mormorò la vecchia, afferrando le mani della figlia e premendosele contro le labbra. «Quando l'hai fatta? Mi hai detto che eri appena scesa.» «L'ho fatta un attimo prima che arrivassi, tesoro mio. Questa acconciatura ti sta benissimo.» «Al buio?» chiese Jonquil. «Che cosa, cara?» «Ho detto, hai fatto colazione al buio?» «Oh, tesoro, non stare a preoccuparti per me.» «Ma io mi preoccupo, invece. E mi preoccupo molto.» Il cuore della signora Rampage si gonfiò dalla gioia per quella frase. Erano parole che aveva tanto sognato di ascoltare! «Davvero, cara?» domandò appassionatamente. «Sapessi com'è importante per me sentirtelo dire... Oh, quanto mi sei mancata!» «Allora, perché non mi hai più scritto?» «Ma ti ho scritto, carissima. Certo che ti ho scritto. È che sono successi tanti pasticci... Ora però che tu sei tornata, tutto si sistemerà, me lo sento.» «Non ho più ricevuto una tua lettera da mesi, mamma. Ti ho scritto e riscritto, chiedendoti come stavi, e tu non mi hai mai risposto.» «Non posso crederti, cara; non sarebbe da me non rispondere a una delle tue preziosissime lettere a cui ho sempre attribuito una enorme importanza. In talune circostanze, sono state le uniche cose che mi davano la forza di tirare avanti. Tu penserai che mi sono indebolita, ma tu sei giovane, cara, e non sai. A volte, la solitudine e la disperazione...» la voce le si ruppe in gola, morendo. «Disperazione?» urlò incredula Jonquil. «Oh, non proprio, naturalmente» si corresse in fretta la signora Rampage. «Ma se hai letto le mie lettere...» «Leggerle!» esclamò la signora Rampage, rovistando nella tasca della vestaglia e tirando fuori due lettere sgualcite. «Dimmi se non le ho lette! Le porto sempre con me, dovunque vada.» «Allora, ti sarai resa conto di come fossi preoccupata di non ricevere tue notizie. E visto che mi vuoi così bene come dici, non capisco perché non mi hai mai risposto.» «Non puoi non aver ricevuto le mie lettere, tesoro.» «È esattamente quello che sto dicendo, invece» disse irritata Jonquil. «Già. Della posta, qui, non c'è più da fidarsi, ultimamente. Credo che la
rubino. Dev'essere una grande tentazione, per i postini. Ma io li benedico lo stesso» disse lei sorridendo «perché, grazie a loro, ora tu sei qui.» «Che stupidaggini, mamma!» «Mi piace che tu mi rimproveri. Sei così dolce.» Le belle labbra di Jonquil divennero una sottile striscia rossa. Non doveva perdere la pazienza solo perché era sua madre. Meglio comportarsi come se lei fosse una delle sue pazienti. Senza lasciarsi coinvolgere troppo, doveva riuscire a mettere la madre di fronte alla verità. Sfortunatamente, le bugie che diceva adesso non erano imputabili solo alla sua malattia; era sempre stata evasiva e un po' falsa. «Può andare persa una lettera, ma non una mezza dozzina» disse categorica Jonquil, fissandola in volto. La signora Rampage distolse lo sguardo dalla figlia. «Aspetta!» disse, e Jonquil la vide allontanarsi con quelle vecchie ciabatte sporche, ormai quasi del tutto a pezzi. Un attimo dopo, era di ritorno. «Non mi credi? Guarda!» disse, rovesciando le lettere in grembo a Jonquil. Jonquil rimase a fissarle. Signora J. Bracebridge... Signora J. Bracebridge... Signora J. Bracebridge... Era la calligrafia irregolare della madre. Quelle parole sembravano ondeggiarle davanti agli occhi. «Cosa sono?» disse più gentilmente. «Le lettere che ti ho scritto, cara.» «Perché non me le hai mai spedite, mamma?» chiese Jonquil con una punta di impazienza nella voce. La signora Rampage si mise una mano sulla fronte. «Ero malata» disse. «Sono stata male. E non volevo fartelo sapere.» «Che cos'avevi?» «La testa» spiegò, mentre copiose lacrime cominciavano a scivolarle lungo le guance. «Ma cara mamma, certo che ti senti male e ti vengono le emicranie, se vivi in un mausoleo del genere! È come se fossi sepolta viva. È veramente spaventoso! Questo posto è fetido; puzza come un tugurio» concluse gravemente Jonquil, arricciando il naso dal disgusto. La signora Rampage fece un sorrisetto nervoso, imbarazzata. «Dovresti avere più buon senso, mamma. Pensavo ci fosse qualcuno che badasse a te. Che cosa ne è stato di quella signora gentile di cui mi avevi parlato?» «È andata via» disse noncurante la signora Rampage. Poi aggiunse in fretta: «Ma Jonquil, non mi hai ancora raccontato niente di te. Sto morendo
dalla voglia di sapere tutto.» Jonquil però, decisa a non cambiare argomento, disse in tono severo: «Ma non è stata una stupidaggine liberarti di lei in quel modo?» Rimase sconvolta nel vedere che la madre cambiava colore. «Io... io...» balbettò la signora Rampage, prendendo quella frase come un'accusa. Aveva interpretato le parole "liberarti di lei" nel senso peggiore; era terrorizzata, ma non tanto per il fatto che Jonquil l'avesse scoperta (non si stupiva affatto che Jonquil fosse anche onnisciente), quanto per il timore della sua collera. Jonquil osservava le piccole dita grassocce che continuavano a muoversi in continuazione afferrando i bordi della vestaglia. «Io... io preferirei non parlarne» sbottò alla fine la signora Rampage. «Perché no? Dicevi che era così cara, così gentile. Che cosa è successo?» «Ma non era così. Era una persona orribile.» Scrollò le spalle e si coprì il volto con la mani. «Chiedilo a chi vuoi. Chiedilo a Geoffrey. Chiedilo a Henrietta; lei non riusciva a sopportarla. Stavo veramente male insieme a quella donna. E nessuno può farmene una colpa.» Sbirciò tra le dita per vedere l'espressione della figlia: Jonquil aveva corrugato la fronte come un angelo dipinto da un artista italiano. «Non essere arrabbiata con me. Ti prego! Cerca di perdonarmi, tesoro mio» mormorò con voce soffocata. «Mamma!» sospirò esasperata Jonquil. «Non prendertela così, non ti fa bene. Non dovresti dipendere tanto dalla mia approvazione o disapprovazione, lo sai.» «Lo so, mia cara, lo so» disse la madre, asciugandosi le lacrime. «Cercherò di non essere così sciocca. Lo sai che voglio solo farti contenta.» Jonquil allargò le braccia dalla disperazione. A che serviva cercare di parlarle? «Non faresti meglio ad andarti a vestire, mamma?» le suggerì con aria stanca. Mentre la madre si trovava al piano di sopra per vestirsi, Jonquil girovagò da una camera all'altra, aprendo gli scuri e le finestre. L'aria era stagnante. La polvere copriva tutti i mobili, e gli angoli erano pieni di ragnatele. C'era persino un mazzo di fiori di un colore ormai indefinito, che sporgeva inerte da un vaso. Quei fiori dovevano essere appassiti da così tanto tempo che non era nemmeno più possibile identificarli. Era come esplorare una tomba. Come poteva sua madre essere rimasta lì dentro per tutto quel tempo? Come aveva potuto lasciare che l'argento si annerisse, che le sue tanto amate statuine d'avorio diventassero marroni e le porcella-
ne si ricoprissero di polvere? O non si trattava solo di quei pochi mesi? Forse aveva cominciato a comportarsi così fin da subito, ed era peggiorata sempre di più durante tutti quegli anni in cui lei era stata lontana. Nella cucina, sembrava che non fosse più entrato nessuno da diverse settimane. Fu sorpresa di non trovare niente nella dispensa, all'infuori di qualche scatoletta di cibo su uno scaffale. Neanche una fetta di pane! Di che cosa era vissuta la madre per tutto quel tempo? Era un vero e proprio mistero; prima lo scopriva, meglio era. Salì al piano di sopra. «Mamma, ho fame. Non ho ancora fatto colazione.» «Mio povero angioletto! Che razza di madre sono a non averci pensato prima» disse la signora Rampage, muovendosi avanti e indietro per la stanza. «Ti preparo subito qualcosa.» «Non preoccuparti. Ci penso io, se mi dici dove hai messo la roba.» La signora Rampage guardò sotto il letto e tirò fuori una mezza bottiglia di latte e un cartoccio con del dolce stantio. «Se solo avessi saputo che stavi arrivando, avrei comprato qualcosa» disse, scusandosi. «Sai com'è: vivo sola e non mi preoccupo molto del cibo.» «Fai mai dei pasti completi, mamma?» «Cara, alla mia età si ha bisogno di molto poco.» «Non hai voglia di cucinare, eh? Ti sei ridotta in uno stato pietoso. Ma adesso cambierà tutto» disse Jonquil con quel suo tono persuasivo e professionale. «E tanto per cominciare, ti porterò fuori a fare un pasto decente, perciò mettiti il tuo abito migliore.» «Oh, cara, davvero... io non...» balbettò la signora Rampage, già agitata. «Sciocchezze! Devi smetterla di comportarti come se fossi una reclusa. Questa cosa deve finire. Non è normale che ti spranghi dentro casa e vivi al buio.» «Non sono matta, se è questo che pensi» brontolò la vecchia. «Certo che non lo sei. Ma la gente dirà che è vero, se ti comporti in modo così strano.» «C'è una ragione. Non volevo che tu... Pensavo che potessi preoccuparti... Ma ora te lo dirò. Ho subito un brutto furto in casa, non molto tempo fa. E la cosa mi ha spaventata a morte. Vivendo da sola, potrebbe succedermi di tutto. Così ho pensato che la cosa migliore da fare fosse chiudermi a chiave qui dentro.» «Hai denunciato il furto alla polizia?» «Non serve a niente. Non sai com'è la polizia in Inghilterra, oggigiorno.»
Naturalmente, Jonquil volle sapere che cosa era stato rubato, se la madre aveva avuto un rimborso da parte della compagnia d'assicurazione e a quale epoca risaliva il furto. «A ogni modo» disse «non credo che verranno i ladri nella mezz'ora che staremo fuori.» Naturalmente stava scherzando, ma la madre la prese sul serio. «E invece è proprio quello che faranno, cara» protestò la signora Rampage. «Non ti rendi conto di quanta roba di valore c'è in questa casa? Si tratta di migliaia di sterline. Lo so, ti dico: si sono appostati per controllare quando esco.» «Ma mamma, a cosa diavolo ti serve avere tutti quei ninnoli se devi diventarne schiava a tal punto da non poter mettere il naso fuori casa? La tua è solo una mania.» «Tesoro, non ti devi arrabbiare con la tua vecchia e stupida madre» la implorò la signora Rampage. In quel momento, un colpo alla porta, simile a un rombo di tuono, sembrò scuotere le pareti. «Cosa c'è?» urlò la padrona di casa, portandosi una mano al cuore. «Vado a vedere» disse Jonquil, scendendo di corsa le scale. «Non far entrare nessuno!» le urlò la signora Rampage. Era la polizia. Erano quasi più stupiti loro nel sentire che la porta si apriva di quanto non lo fosse Jonquil nel vederseli comparire davanti. Chiesero di poter parlare con la signora Rampage. «È occupata. Io sono la figlia. Posso fare qualcosa per voi?» «Temo di no. Si tratta di una questione personale. Aspetteremo, se non le dispiace.» «Vado a dirle che la state aspettando.» Non appena Jonquil se ne fu andata, i due uomini si guardarono senza parlare. Controllarono attentamente la camera mentre aspettavano, notando quello che c'era da notare. Dovettero attendere un bel po', perché la signora Rampage non aveva nessuna voglia di riceverli. Voleva che Jonquil dicesse loro che era ammalata. Jonquil si rifiutò di fare una cosa del genere, dato che non ne vedeva una ragione valida. Alla signora Rampage, i poliziotti fecero la stessa impressione bucolica che avrebbero potuto farle due alberi. Se ne stavano in piedi nel salotto a capo scoperto, come se fossero stati piantati proprio in quel punto. Come sempre, quando si trattava della signora Rampage, la paura si trasformò in rabbia.
«Che c'è? Cosa volete?» chiese la donna in tono di rimprovero. «Non mi sembra un'ora molto adatta per fare una visita, questa. C'è qui mia figlia che è appena tornata dalla Malesia e io non la vedo da quasi cinque anni; non è arrivata neanche da mezz'ora e voi piombate in casa mia a seccarmi. Non è modo, questo. Non potete passare in un altro momento?» «Cercheremo di non portarle via tanto tempo, signora. Solo qualche domanda.» «Un'altra volta» disse lei, cominciando a spostare tavoli e sedie come se fosse stato della massima importanza che venissero collocati nel punto più giusto. «Chiedigli se si vogliono sedere, mamma» disse Jonquil. «Cosa, cara? Oh, Jonquil, tesoro, perché non porti di sopra le tue valigie e non le disfi?» «Preferisci che non stia qui con te?» «No, certo che no. Ma... temo che potresti annoiarti.» «Va bene, mamma. Ho capito» disse con magnanimità la giovane donna. «Bene, signora Rampage» disse l'ispettore non appena Jonquil chiuse la porta. «Stiamo facendo qualche ricerca sulla signora Norah Roach e pensiamo che lei possa esserci d'aiuto.» «Perché?» «Perché sappiamo che è stata qui con lei per circa sei mesi.» «No. Voglio dire, perché state facendo ricerche su di lei? Che cosa ha fatto?» «È scomparsa» disse laconico l'ispettore. «Davvero? Be', non credo di potervi essere d'aiuto. È andata via già da molto tempo.» «Quando, esattamente?» «Mi spiace, ma non ricordo la data esatta.» «Era aprile?» «Sì, credo di sì.» «Be', lasciamo stare, per il momento. Le ha detto dove sarebbe andata?» La signora Rampage si portò una mano alla fronte. «Un indirizzo in Cromwell Road. So di averlo scritto da qualche parte. Forse potrei anche trovarlo, se v'interessa.» «Capisco» disse l'ispettore, preso in contropiede. «Ed è lì che lei mandava la posta per la signora Roach?» «Tutte le lettere che ho ricevuto» gli concesse la signora Rampage. «Ne è certa?... Perché sembra ci siano diversi assegni che le sono stati
spediti e che lei non ha mai incassato.» «Non ne so niente» disse la signora Rampage, alzando le spalle. «Abbiamo saputo che le venivano spediti da sua nipote, signora Rampage, quella che ora vive in Sudafrica. Era stata lei ad assumere la signora Roach perché lavorasse qui come governante, no?» «Questo è ciò che sosteneva lei» disse beffarda la signora Rampage, continuando a tirarsi su e giù le maniche del vestito. «Io so solo che, grazie al mio buon cuore e per fare contenta Cissie, l'ho presa in casa con me quando non sapeva dove andare.» «E la cosa non ha funzionato» disse amichevolmente l'ispettore. «Era una persona impossibile, tutto qui.» L'ispettore annuì. «Ha avuto qualche problema con lei. Ci sono stati dei litigi, eh?» Piano piano, Jonquil aprì la porta e notò che la madre era d'umore nero. «Non avete ancora finito?» «Manca poco, signora.» «Alla fine, ho perso la pazienza e le ho intimato di andarsene» disse la signora Rampage. «E lei se n'è andata?» «Sì.» «Così, su due piedi?» le chiese l'ispettore. «Senza le valigie?» «Certo che no. Non capisco cosa voglia insinuare» ribatté la signora Rampage. «Sembra che nessuno l'abbia vista andare via» osservò l'ispettore, fissandola. La signora Rampage cercò di apparire sicura e innocente, come se non sapesse nemmeno di cosa stava parlando. «Se avesse preso con sé le valigie, avrebbe avuto bisogno di un taxi; e un taxi qualcuno l'avrebbe notato» continuò lui. «Quindi, dobbiamo presumere che se n'è andata da questa casa senza portare via niente... neppure una valigetta piccola piccola.» «Sì, è proprio così. Mi ha chiesto di conservarle le sue cose fino a quando non si sarebbe sistemata... compresa la gatta» precisò la signora Rampage. «Ci crederebbe? Mi ha chiesto persino di tenerle la gatta!» «Ma cosa sono tutte queste domande?» intervenne Jonquil, aggrottando le sopracciglia. «Solo qualche informazione che concerne una persona scomparsa; una certa signora Roach, che ultimamente risiedeva a quest'indirizzo.» «Non capisco...» «Va tutto bene, cara.»
«Un attimo, mamma. Non capisco perché questi signori si trovino qui. Se la donna è scomparsa da quando ha lasciato questa casa, a che scopo tormentare mia madre?» «Certo, signora. Ci rendiamo conto di quello che vuol dire. Ma si tratta solo di un normale controllo» disse l'ispettore in tono comprensivo. «Be', avete terminato? Perché stiamo per uscire.» «Vorremmo solo dare un'occhiata in giro, se non le dispiace.» «A che scopo?» chiese bruscamente Jonquil. ("Eccola qui la. mia coraggiosa ragazza!" pensò la signora Rampage). «Fa sempre parte dei normali controlli di routine, signora.» «Non ne vedo la necessità.» «Capisco, signora» sospirò l'ispettore. «Ma questi sono gli ordini. Non spetta a noi chiederci se sono giusti o sbagliati. Dobbiamo solo eseguirli e basta.» «Oh, be', allora cerchiamo di liquidare questa faccenda al più presto» disse sgarbatamente Jonquil. «Mamma, è meglio che li accompagni tu.» La signora Rampage si umettò le labbra e tentò di sorridere. Ma il coraggio le ritornò solo quando cominciò a mostrare la casa ai poliziotti. Questi si limitarono a dare un sguardo frettoloso e annoiato in tutte le stanze, come fanno gli agenti immobiliari in cerca di locali. Il giro si svolse in silenzio e, una volta terminato, i poliziotti se ne andarono. La signora Rampage e sua figlia poterono così uscire per recarsi a pranzo; adesso, la vecchia non aveva più obiezioni a lasciare la casa. «Allora?» chiese l'ispettore, mentre si allontanavano dal numero 5. «Sì, signore?» «Sembrerebbe tutto a posto, no?» «Non si può esserne certi, comunque.» «Forse mi sbaglio. Eppure, ho la sensazione...» «Come un presentimento, signore?» «Niente di preciso, ma qualcosa mi dice che faremmo bene a ritornare e dare un'altra occhiata. Ha notato niente in cucina?» «La credenza è stata spostata, signore. Si nota ancora il segno più chiaro sul muro, giusto?» «Già. Potrebbe essere un indizio interessante, non crede? Perché è stata spostata la credenza? Che dovesse nascondere la porta che conduce alla cantina, quella di cui ci ha parlato il letturista della Compagnia Elettrica? La vecchia non voleva saperne di farlo avvicinare lì. È solo un'idea come un'altra» concluse con modestia l'ispettore «ma credo che sarà meglio dare
un'altra occhiata alla casa.» C'erano ancora molte cose che Jonquil voleva sapere, prima di poter mettere a fuoco la situazione. Era terribile per la signora Rampage dover cercare una risposta a tutte quelle domande, e Jonquil era così insistente che le riusciva difficile mentire. Quale spiegazione ragionevole poteva darle, per esempio, sul fatto che non ci fosse elettricità in casa? Dire che c'era stato un corto circuito avrebbe solo peggiorato le cose, perché a quel punto Jonquil avrebbe certamente voluto far aggiustare il contatore che, com'è ovvio, si trovava in cantina. Per cercare di sviare tutte quelle domande, la signora Rampage cominciò a parlare di altri argomenti. Jonquil la stava ad ascoltare con malcelata impazienza. «Ma mamma» la interruppe alla fine «se la vita solitaria ti ha reso così nervosa al punto che ti sei dovuta segregare, perché hai fatto staccare il telefono? Non era l'unico legame che potesse tenerti in contatto con il mondo esterno?» «Mi sembrava una spesa inutile» disse in fretta la signora Rampage. «E poi, quando è venuta Etta, perché non...?» «Oh, tesoro! A proposito di Etta... Me n'ero quasi dimenticata. Ho una cosa bellissima per te; ti piacerà, ne sono sicura. Non potevo spedirtela, perché è troppo fragile e troppo preziosa. È veramente un pezzo da museo. Adesso vado a prenderla... io la chiamo la Dama Bianca.» Decidere di fare un regalo a Jonquil fu un'ispirazione improvvisa, con la quale sperava di distrarre la sua bambina da quegli argomenti così scabrosi. «Aspetta, mamma! Non ora!» «Ma sì, cara, non ci vorrà che un attimo» disse la signora Rampage, uscendo in fretta dalla stanza. Salì di corsa in camera sua e poi, per riprendere fiato, si tolse gli abiti che aveva indossato al ristorante e le scarpe che le facevano tanto male. S'infilò di nuovo le vecchie ciabatte logore, si ravviò i capelli e poi prese la Dama Bianca sotto la campana di vetro. Con estrema attenzione, la portò fuori della stanza. Stava scendendo le scale lentamente (lentamente perché il piedistallo di ebano non era fissato e, a ogni movimento, la Dama Bianca oscillava leggermente contro le pareti della campana), quando sentì il campanello. Si fermò e rimase ad ascoltare il rumore di passi che salivano le scale. «Chi è?» urlò, in preda al panico. «Jonquil!» Jonquil raggiunse l'ingresso proprio nello stesso istante in cui l'ispettore apparve in cima alle scale dello scantinato.
La signora Rampage sentì che Jonquil diceva con voce tagliente: «Che ci fa lei qui?» Dal punto in cui si trovava, la vecchia vide che il poliziotto teneva nella mano sollevata una sciarpa gialla... La sciarpa gialla! Emise un urlo soffocato. Gli altri la udirono e alzarono gli occhi. E l'ultima immagine che la sua mente registrò fu quella di Jonquil che la guardava con la bocca aperta e un'espressione di stupore sul volto. Se un piede le scivolò, o se fu una delle sue logore ciabatte a tradirla, nessuno può dirlo con certezza. Non è nemmeno escluso che avesse intenzione di risalire le scale, nel tentativo di fuggire. L'unica cosa che si può dire è che si sarebbe potuta salvare, perché chiunque, al suo posto, si sarebbe afferrato alla balaustra. Ma non la signora Rampage. La sua unica preoccupazione era quella di salvare la sua preziosa Dama Bianca, il pezzo da museo che lei riteneva valesse centinaia di sterline. Avrebbe preferito morire, piuttosto che arrecargli danno. E infatti, così fu. Quella morte, tuttavia, non servì a niente. I poliziotti ebbero qualche difficoltà ad allentare la presa della vecchia sul piedistallo. Ma la campana di vetro andò in mille pezzi e la Dama Bianca finì in fondo alle scale con il collo spezzato. Come la signora Rampage. FINE